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LE STORIE

DI

POLIBIO
DA M EGALOPOLI
VOLGARIZZATE
SUL T E ST O G RECO D ELLO SCHW EIGHUSER E CO RREDATE D I N OTE

DAL DOTTORE J. G. B. KOHEN


DA T R I E S T E

TOMO QU INTO

MILANO
eoi tipi di Paolo Andrea Molina
contrada dei Bossi, num. ij56

1832 .

DELLE STORIE
p f POLIBIO DA MEGALOPOLI.

AVANZI DEL LIBRO DUODECIMO.

I. (i) 1 ppoitb, citt dellAfrica. Polibio del duode- Olimp. cimo. (Stef. Biz.) Cx l i i ,
v '

4. di R. 459

(2) Tabatra , citt dellAfrica. Polibio nel duodecimo. 11 nome nazionale Tabatreno. ( Lo stesso ). (3) Singa, come Polibio nel duodecimo. Il nome della nazione Singo. (Lo stesso.) Calca, citt dell Africa. Il (4) Poliistore nel terzo libro delle cose d Africa, siccome Demostene. (5) Poli bio biasimando costui nel duodecimo, cos scrive: Erra egli grandemente intorno a Calcesi: ch non citt} ma (6) officine di bronzo. ( Lo stesso. ) Polibio nel duodecimo dice che la (7) Bissatide una

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t. di R. contrada circa le Sirti, che ha una circonferenza di ^9 duemila stadii, e la forma rotonda. ( Sfef. Biz. alla voce Byzantes. ) II. Polibio da Megalopoli riferisce nel duodecimo li bro delle Storie intorno a quello che in Africa chia mano hlo di (8) propria vista le stesse cose che ne narra Erodoto, cos esprimendosi : E il loto un albero non grande, ma aspro e spinoso. Ha la foglia verde simile al ranno, ma di tinta un poco pi cupa, e pi larga. (9) Il frutto dapprincipio simile in colore ed in grandezza alle bacche di mirto bianche, quando sono fatte 5 ma cresciuto diviene il colore purpureo, e la grandezza eguale a quella delle olive rotonde : il nocciuolo affatto picciolo. Gom maturo il raccolgono, e parte, per uso de domestici, lacciaccano con ispelta, e lo stivano in vasi; parte, per uso della gente libera, ne cavano il nocciuolo, Io ripongono nello stesso modo, e il mangiano. Il suo sapore simile a quello del fico e del dattero, ma lodore pi grato. Fassi di quello ezian dio un vino, macerandolo e pestandolo nell acqua' dol ce al gusto e piacevole, somigliante al miglior sidro: il quale beono senz acqua. Ma non pu mantenersi oltre dieci giorni $ quindi il fanno a poco a poco secondo il bisogno. Ne fanno eziandio aceto. ( Ateneo, Deipnos. lib. xiv, cap. 18. ) ir. ani. IJI- Leccellenza della campagna africana chi non am mirer? (10) Timeo pertanto riputarsi dee non solo mal informato delle cose che all Africa appartengono , ma

eziandio puerile, ed al tutto senza raziocinio, e sover- A. di * chiamente attaccato alle voci antiche, che ne furono 549 trasmesse, ^quasich 1 Africa tutta fosse sabbiosa ed asciutta e sterile. Lo stesso dicasi degli animali : ch la moltitudine de cavalli, de buoi, delle pecore, e delle capre ancora, tanta in quelle contrade, quanta non so se possa trovarsi nel resto della terra abitata. La causa di ci si , che molte nazioni dell Africa non campano di frutti (11) per via della cultura ingentiliti, ma sibbene vivono delle loro mandre^ e con esse. E chi non ha udito parlare della quantit e della forza degli elefanti e de lioni e de liopardi, egualmente che della bellezza dei (12) bubali e della grandezza degli struzzi? de quali non ve n ha punto in Europa , ma 1 Africa n piena. Timeo di quelli non fa motto come se a bello studio narrasse cose contrarie al vero. E non altrimenti eh egli manifestossi dappoco nelle cose spettanti all Africa , si dimostr tale ne particolari dell isola chia mata ( i3) Cimo (Corsica). Imperciocch discorrendo d essa nel secondo libro, dice avervi molte capre salvatiche, e pecore e buoi salvatici, e cervi, e lepri, e lupi, ed alcuni altri animali, e gli uomini consumar il tempo nel cacciarli, e spender in ci tutta la lor vita. E pure nell isola anzidetta, (14) non che capra o bue salvatico , non esiste n lepre, n bue , n cervo , n alcun altro di siffatti animali, fuorch volpi e conigli e pecore salvatiche. Il ( i5) coniglio veduto da lungi sem bra una piccola lepre } ma ove lo si prenda in mano dif ferisce grandemente nell aspetto e nel gusto. La pi parte del tempo sta sotto terra.

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i R. IV Sembrano tutti gli animali di quell isola essere 549 salvatici pella seguente cagione. Non possano i pastori seguir il bestiame al pascolo, perciocch l^isola follar d alberi e scoscesa ed aspra, ma quando vogliono rac coglierlo , stando sopra luoghi opportuni, chiamano colla tromba gli animali, e tutti senza fallare traggono alla propria tromba. Del resto quando alcuno approda nell isola, e vede capre 0 buoi che pascolano soli, ove li voglia prendere , gli animali noi lasciano avvicinare, perciocch non sono a lui avvezzi, ma fuggono. Ma quando il pastore, accortosi che sbarca gente, d fiato alla tromba, a precipizio recansi e corrono a quel suo no. Donde avviene che hanno 1 apparenza di selvagge. Delle quali cose Timeo, male e trascuratamente trattan do, parl a vanvera. L ubbidir pertanto che fanno alla tromba non dee recar maraviglia ; dappoich ezindio in Italia coloro che nutricani porci (16) usano la stessa guisa di pascolare : eli i pastori di maiali non vanno dietro al bestiame, conforme costume presso i Greci, ma Io precedono suonando tratto tratto la (17) cornet ta 5 e le mandre li seguitano, ed accorrono alla voce. E tal 1 abitudine che contraggono gli animali pella propria cornetta , che chi node parlar la prima volta si maraviglia e stenta a crederlo. Conciossiach (18) pella moltitudine delle braccia , ed oltracci peli abbon danza delle (19) somministrazioni, molte gregge di por ci sono in Italia, e singolarmente alla marina, presso i Tirreni ed i Galli, per modo che (20) una troia ha mille porci, e talvolta anche pi. Quindi conduconsi fuori delle stalle, in cui pernottano, (ai) per famiglie e

per et. Donde avviene, che incamminate essendo molte A. di 1 gregge pello stesso luogo, non possono tenerle separate **49 per famiglie; ma egli mestieri che si confondano, cos nell uscita e nel pascolo, come nel ritorno. Per la qual cosa immaginarono luso della cornetta,affinch ove si mescolino, possano senza fatica ed impaccio far la se parazione. Imperocch, quando un pastore (aa) suo nando va in una parte, e laltro torce ad un altra, il bestiame separasi da s , e seguita la propria cornetta con tal prontezza ; che non possibile di rattener in alcun modo il loro impeto. Ma presso i Greci, quando pe querceti si mescolan insieme, traendo dietro alla ghianda, (a3) chi ha pi mani e propizia occasione unisce al proprio bestiame e porta via quello del com pagno. Talvolta qualche ladro appiattato il fa andar seco, ed il conduttore non sa come siasi smarrito, per ciocch gli animali molto da lui si dilungano, correndo a gara dietro alla ghianda, quando incomincia a cadere dall albero. E di ci basti aver ragionato. V. A me sovente accaduto di recarmi nella citt de (a4) Locresi, e di prestar loro importanti servigi ; perciocch dalla (a5) spedizione della Spagna e da (a6) quella della Dalmazia, in cui doveano mandar soccorso a Romani giusta i trattati, furon essi francati per opera mia. D onde avvenne che liberati da vessazione, da pe ricolo e da non lieve spesa con ogni onore e cortesia mi rimeritarono. Il perch io debbo dir bene deLocresi, anzi che no. Tuttavia non ho esitato di dir e di scri vere, che la (37) storia lasciataci da Aristotile intorno a

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r. di R. questa colonia pi vera di (28) quella che riferisce 549 Timeo. I mpercioccb m noto come i Lrfcresi con fessano , che la fama trasmessa loro da padri circa la colonia quale la divulg Aristotile, non quale Timeo. Di che adducono le seguenti prove. Primieramente, che tutto ci che hanno da maggiori ricevuto di glorioso , da donne e non da uomini (29) loro derivato; siccome il reputarsi nobili coloro che discendono dalle cos dette cento case : e queste esser le cento case, che furono so pra le altre pregiate da Locresi, innanzi che uscisse la colonia; dalle quali, secondo loracolo, essi trar doveano a sorte (3o) le vergini che mandavansi in Ilio. Di queste femmine alcune esser partite colla colonia, i discendenti delle quali sono oggid ancora stimati nobili, e cliiamansi dalle cento case. Quanto a quella che presso di loro appellasi (3i) Portasecchia , corre la seguente tra dizione. Allorquando scacciarono li Siciliani che occupa vano quel sito dItalia, aquali nelle sacre solennit pre cedeva un giovane della pi chiara e nobile schiatta, essi, adottando molti costumi siciliani, perciocch non ne aveano de patrii, serbarono da loro questo ancora : avendolo pertanto in ci corretto , che non fanno por tasecchia un ragazzo, ma una vergine, per cagione della loro nobilt procedente dalle femmine. VI. Trattati co Locresi di Grecia non ebbero mai, n asseriscon essi d averne avuti, ma che ne avessero co Siciliani tutti il tenevano per tradizione. Intorno alla qual cosa diceano, che (32) allorquando al primo arrivo trovaron i Siciliani occupare la contrada in cui ora dimorano, quelli sbigottirono, ed accoltili per ti-

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more (33) fermarono con essi questo accordo : Sareb- A . d i i tono loro amici, ed in comune possederebbon il suolo, ^4d finattantoch fossero per passeggiare su quella terra, e portar le teste sulle spalle. Sanzionata che fu siffatta convenzione, dicono che i Locresi gittassero terra nelle suola delle scarpe, e mettessero sulle loro spalle teste d aglio (34) non visibili, e cos giurassero ; e che poscia gittata fuori delle scarpe la terra, e buttate via. le teste daglio, poco stante offertasi l occasione , discaccias sero i Siciliani dal paese. Ci narrasi presso i Locresi. Tim eo. da Tauromenio nel nono libro delle storie ( ed il riprende di ci Polibio da Megalopoli nel duode cimo libro delle storie) dice, (35) che non fosse antica mente costume patrio de Greci il farsi servire da schia vi comperati; e cos scrive: Accusavano molto Aristotile d aver sbagliati i costumi de Locresi : ch hanno per legge i Locresi di neppure posseder servi. (Ateneo, Dipnos. lib. Ti) c. 18 e ao.) VII. Siccome, dice (37) Timeo, circa i regoli, quan- Estr. danche alcuno sia (38) meno lungo, o pi basso del giu sto, purch abbia la propriet del regolo, desso regolo, e deesi cos appellare ; ma ove non s appressi alla di rittura ed a ci che ne forma lessenza, tutt altro che regolo hassi a chiamare : cos nelle storie, delle quali se alcuna pecca nello stile, o nella disposizione delle p arti, o in qualche altro capo, ma ritiene la verit, i libri che la contengono sono, a detta di lu i, degni del nome di storia ; ma quando di questa priva, non

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t. di R puossi pi storia chiamare. Io convengo che in siffatte

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scritture dominar debba la verit, ed in alcun luogo della mia Opera uso questi detti, che (39) siccome un corpo animato cui sieno tolti gli occhi al tutto rendesi inutile, cos, ove levisi dalla storia la verit, ci che di lei rimane diviene una narrazione di nessun conto. Due pertanto (4o) dicemmo esser le maniere di (4 i) falsit: luna che procede da ignoranza, laltra da elezione. Ed a quelli che per ignoranza deviano dalla verit conve nirsi perdonare, ma a coloro che il fauno per elezione doversi serbar nimicizia implacabile. V ili. Molte cose false riferisce Timeo. E sembrami eh egli noi facesse per essere in alcune d esse inesper to ; ma che accecato da parzialit, quando una volta ha stabilito di biasimare, o al contrario di lodare alcuno, egli si dimentichi di tutto , e di molto sorpassi la con venienza. Ci (42) sia da noi detto per Aristotile, come ed a qual cosa riguardando egli fece una tal narrazione intorno a Locresi. Ma quanto sar per dire circa Timeo e tutta la sua composizione, ed in generale circa 1 uffi cio di chi scrive una storia, (43) prender quindi in cer to modo autorit. Ora che ameudue siensi fatti da coughietture, e che v abbia pi probabilit nella storia di Aristotile , parmi che ciascheduno da quanto ho detto arguir : ch la verit possibil non di (44) scerner in siffatte cose. Ma concediamo che. quauto dice Timeo sia pi verisipnile. Per questa causa dunque dovrassi ogni parola ed ogni voce ascoltare, e per poco non con dannar a morte coloro che nelle storie dicoito ci eh ,

Estr.
Vales.

meno probabile? No davvero! Imperciocch quelli che di B. per ignoranza scrivono falsit, dicemmo dovere conse- 5 4 9 guire una correzione benigna e perdono , ma coloro che per elezione il fanno, un implacabile accusamento. IX. O hassi dunque a dimostrare, che Aristotile disse le cose test riferite circa i Locresi per grazia, o per interesse, o per nimicizia; o veramente, non osando al cuno di ci dire, deesi confessare, che singannano e deviano dal vero colro che tal odio ed acerbit usano verso il loro simile, quale us Timeo contro Aristotile. Conciossiacb asserisca esser quegli ardito , leggero, precipitoso, ed avere sfacciatamente mentito, in dicen do , che la (45) loro colonia era composta di servi fug gitivi, dadulteri, e di rubatori d uomini. E ci, prose gue egli, afferma costui con tanta autorit, come se stato fosse uno de capitani, ed avesse test vinti in battaglia .i Persiani nelle (46) porte della Cilicia : non gi un (47) sofista tardi istruito ed odioso, e tale che poco fa chiusa avea una ragguardevole officina farmaceutica ; oltrech in ogni corte ed albergo s introduceva, ed era goloso , di squisiti bocconi ghiotto, e tutto si cac ciava pella strozza. A me sembra che siffatti discorsi appena tollerati sarebbono, ove in giudizio scappassero dalla bocca di qualche ciarlatano petulante: tanto son essi (48) immodesti. Ma ad uno scrittore di geste, ed autore veritiero d una storia , non passerebbono tam poco pella mente, non che egli osasse di scriverli. X. Ma esaminiamo ancora la condotta dello stesso Tim eo, e confrontiamo le asserzioni d amendue circa la medesima colonia, affinch conosciamo quale dessi

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. di R. degno sia di siffatta accasa. Dice adunque Timeo nello ^49 (4 g) stesso libro, che, non valendosi d argomenti tolti dal verisimile , ma conformemente alla verit, egli, re catosi presso i Locresi della Grecia, (5o) abbia rintrac ciate le circostanze appartenenti alla colonia. I quali primieramente gli mostrarono la convenzione scritta, che rimane oggid ancora, con quelli che furono spediti, cui (5 1) premesso questo principio: (5a) Siccome conviensia genitori verso i figli. Oltracci asserisce, avervi pubblici decreti, giusta i quali gli uni e gli altri godono reciproca cittadinanza. Finalmente, udendo essi il rac conto dAristotile intorno alla colonia, essersi maravi gliati dellimprudenza dello scrittore. (53) Passato po scia aLocresi d Italia, aver trovate presso di loro e leggi, e costumanze quali non alla leggerezza di servi, ma ad una colonia d uomini liberi si addice. Imper ciocch sono fra di loro stabilite pene contro i rubatoli di persone, e contro gli adulteri e gli schiavi fuggitivi ; le quali non avrebbono punto, se consci fossero desser nati da siffatta gente. XI. In primo luogo dubiter taluno, a quali de Lo cresi trasferitosi, egli siasi di queste cose informato. Im perocch, se per avventura, siccome i Locresi d Italia, cos quelli di Grecia avessero uno stato solo, forse non vi sarebbe ragione di dubitare, ma di leggieri comprenderebbesi la faccenda. Ora posciach vha due (54) na zioni locresi, a quale d amendue, ed in quale delle respettive loro citt venne Timeo, e presso quali trov egli scritta la convenzione ? ch nulla di ci egli ne espo ne. Eppure che questo proprio sia di Timeo , e che per

questa prerogativa egli contenda cogli altri storici, ed ot- di R tenga una certa accoglienza (dico 1 (55) ostentazione ^49 tl esattezza ne tempi e nepubblici monumenti ), tu tti, credo, che conosciamo. Il perch a buon dritto ci maraviglieremo, come, n il nome della citt in cui trov 1 accordo, n il (56) luogo in cui leggevasi, egli ne fece a sapere, n i maestrali che gli mostrarono lo scritto, e coquali abboccossi ; affinch a nessuno rimanesse dub bio alcuno, ma determinato essendo il luogo e la citt, chi fosse titubante trovar potesse la notizia accurata. Ma egli tutto ci omettendo, manifestossi conscio a s stesso daver di proposito mentito. Imperocch quin di chiaro, che Tim eo, se conseguiti avesse siffatti do cumenti, non gli avrebbe trasandati, ma (57) tenace mente , come si suol dire, amendue le mani vi avrebbe appiccate. Imperciocch egli che attenutosi alla fede dEchecrate da lui nominato, con cui dice daver ragionato intorno a Locresi d Italia, e dal quale afferma daver queste cose udite; aggiugnendo eziandio a (58) bel com pimento , affinch non sembri che da comune persona sia stato informato, come il padre di quegli fu in ad dietro onorato d una ambasceria da Dionigi : egli , dissi, avvenutosi in un pubblico scritto, od in una ta vola da maggiori lasciata, 1 avrebbe passata sotto si lenzio ? XII. Ed pur lui, che risalendo aprimi (59) efori, ne fa il paragone core in Lacedemone, e gli arconti in Ate ne, e le (60) sacerdotesse in Argo confronta co vincitori agiuochi olimpici, e che riprende gli errori di queste citt nelle pubbliche iscrizioni, che hanno un divario di

16 (. di R tre mesi. E colui che trov le (61) colonne detrattati 549 (62) ne deretani luoghi, de1templi, ed i monumenti di (63) pubblici ospizii nevestibuli desacrarii, si Timeo, il quale nulla di siffatte cose ignorava, n rinvenendole da credersi che le abbia neglette 5quindi, se ment, non bassi per nessun modo a perdonargli. Imperciocch sic come egli fu acerbo ed inesorabile castigatore altrui, meritamente da altri ancora gli sar fatto addosso im placabile processo. Avendo egli pertanto in questi af fari manifestamente mentito, passando aLocresi d I talia, dice, che Aristotile e Teofrasto (64) hanno falsa mente attribuito al loro stato la forma di governo ed i patti d1amicizia che sussistevano fra amendue i Locre si di Grecia. Ma (65) io non ignoro che qui ancora costretto sar ad uscire dall argomento dell opera mia, per definire e stabilir queste cose. E per siffatta cagione appunto ho trasportato in un solo luogo il ragionamento intorno a Timeo, affinch io non fossi sovente obbligato a tener poco conto della convenienza.
Estr. XIII. Dice Timeo , che (66) Democare ha fornicato Vales. co]|e partj superiori del corpo, e non era degno di (67) soffiare il fuoco sacro, e che colla sua condotta supe rate ha le memorie di (68) Botrio e di Filenide, e degli altri scrittori di cose impudiche. Ma cotale villania e discorsi tali, non che un uomo educato, non proferirebbe nessuno di coloro che ne bordelli mercato fanno del loro corpo. costui, per acquistar fede a detti suoi sver gognati , a tanta inverecondia cotesta menzogna ancor aggiugne contra lo stesso uomo, chiamando in testimo-

certo comico (69) senza nome. Ma d onde ho io A ci congetturato ? In primo luogo dall esser Democare nato onestamente, ed aver avuta educazione liberale, es sendo figlio duna sorella di Demostene; secondariamen te , dall esser lui stato fregiato dagli Ateniesi non solo della dignit di pretore, (70) ma di altri onori ancora, de quali nessuno gli sarebbe riuscito di conseguire se in siffatte (71) tristezze fosse stato avvolto. Il perch a me sembra Timeo accusare non tanto Democare che gli Ateniesi i quali promossero un tal uom o, e nelle sue mani posero la patria e le proprie sostanze. Ma non sta cos la faccenda; perciocch non avrebbe ci detto di Democare il solo scrittore di comedie (72) Archedico, conforme dice Timeo, ma molti degli amici d (73) Antipatro, contro il quale egli fece molti discorsi arditi, e che potean offendere non solamente lo stesso Antipatro, m a ben anche i successori e gli amici di lui. N avrebboao parlato molti della fazione contraria, fra cui era (74) Demetrio falereo, del quale Democare lev i pezzi senza rispetto nella sua storia, dicendo, eh egli fu un tal capo dello stato, e nell amministrazione della re pubblica erasi per tali azioni illustrato, per cui segna lato sarebbesi eziandio un arrendatore o un vii arti giano. (75) Imperciocch vantavasi egli, che molte cose a basso prezzo vendeansi pella c itt, e che gli effetti alla vita necessari! vi erano in buon dato; ma che una macchina fatta a chiocciola (76) per forza di certi in gegni gli andava innanzi nella processione, sputando (77) saliva, e che insieme (78) asini mandati furono pella scena (perciocch la patria agli altri Greci cedeva poLiBio, tom._r. a
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f. di R. ogni cosa onesta, e faceva i comandamenti di Cassan549 dro) ; di ci, disse, non essersi lui vergognato. E tutta via n Demetrio n alcun altro dice nulla di simile intornoa Democare. XIV. Donde io, stimando la testimonianza della pa tria pi fondata dell acerbit di Timeo , francamente asserisco, che la vita di Democare non fu avviluppata in nessuna di siffatte colpe. Sebbene, quaud anche in realt qualche tristezza di questa sorta fosse stata in Democare, qual occasione o qual fatto costrinse Timeo str. ant. ad inserirla nella sua storia ? (79) Imperciocch , sicco me gli uomini prudenti, quando han deciso di vendicarsi de nemici, non riguardano precipuamente a ci che altri merita di patire, ma a quanto loro conviensi di fare ; cos nel dir male, non da considerarsi in primo luogo, che cosa agli avversarli acconcio sia di sentire, ma sovrattutto necessario di riflettere, che cosa di dire a noi si convnga. Ma chi tutto misura colla propria collera, e colle proprie gare, necessariamente (80) di tutto avr sospetto e trascorrer nel parlare oltre il do vere. Il perch noi pure a buon dritto abbiam ora (81) contraddetto a ci che Timeo riferisce di Democre. E colui meritamente n perdono n credenza ab biasi da nessuno, dappoich nerimbrotti usc manifesta mente fuori d ogni convenienza, per cagione dellinnata sua acerbit. XV. Ma io non approvo neppur le sue invettive con tro (82) Agatocle ; quantunque egli fosse il pi empio fra gli uomini. Dico di quelle, in cui .egli alla fine di tutta la storia narta, essere stato Agatocle nella prima

19 giovent pubblico bagascione, rotto alle pi intempe- A. di ranti lascivie, (83) putta, (84) bozzagro, ed a (85) posta ^49 ^ i chiunque il volea col dinanzi e col da dietro ; iu oltre, quando mor , averlo pianto la moglie cos escla mando; Che cosa (86f non feci io a te? che cosa non tu a me? Qui pertanto non solo ripeter taluno quan to abbiam detto intorno a Democare, ma strabilier an cora delleccesso della sua amarezza. Imperciocch aver Agatocle di necessit avuti grandi doni dalla natura, manifesto per ci che afferma lo stesso Timeo. Che se venne in Siracusa (87) fuggito dalla ru o ta, dal fumo, dal fango , in (88) et di circa diciotto an n i, e dopo qualche tempo, movendo da siffatto fondamento , signor divenne di tutta la Sicilia, condusse i Cartaginesi in grandi pericoli, e finalmente invecchiato nel supremo potere, termin la vita col nome di re; non egli me stieri che gran cosa ed ammirabile fosse Agatocle, e molte (89) disposizioni e facolt avesse per reggere i pub blici affari? Per la qual cosa dee lo storico non solo esporre a posteri quanto vale ad accusare ed incolpar Agatocle, ma ci eziandio che appartiene alla sua lode ; dappoich questo proprio della storia. Ma (90) colui offuscato dalla sua bile, i difetti narr con animosit ed esagerazione, e le buone qualit tutte omise ; ignorando (91) come chi cela nelle storie l accaduto non incorre in minor biasimo di menzogna. Noi (92) pertanto ab biam lasciato ci che merc dellodio suo trapassa ogui misura; ma quanto spetta al nostro argomento non ab biam omesso.

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XVI. Due giovani contendendo insieme per un servo, 549 avvenne che il ragazzo presso uno di loro pi tempo str. ani. j j morasse ^ e p altro, due giorni (93) prima andasse in campagna, non essendovi il padrone, e portasse lo schia vo per forza a casa. Di che accortosi laltro, venne a quella abitazione, e ripresplo, alla giustizia il condusse, dicendo, s doverlo aver in suo potere, e dare malleva dori; sendoch una legge di (94) Zaleuco comandava, che V effetto conteso sino al giudizio definitivo esser dovea nella podest di colui, al quale era stato rapito. Diceva 1 altro, secondo la stessa legge, che presso di s fosse stato eseguito il ratto , dappoich lo schiavo dalla casa sua fosse condotto alla giustizia. I maestrati che sedevano per tribunale, parendo loro dubbioso 1 affare, chiamaron il (g5 ) cosmopoli, e con lui si consigliarono. Questi spieg la legge dicendo, doversi considerare log getto disputato condotto via da quelli, (96) presso cui ultimamente alcun tempo rimase incontrastato. Che se alcuno rapisse al compagno qualche cosa e seco la re casse, e poscia il padrone di prima da costui la ripren desse , non esser cotal atto un vero rapimento. Male sofferiva ci il giovine, e diceva non esser questa la mente del legislatore ; laonde il cosmopoli invitollo a ragionare (97), se volesse, sulla sentenza (98} secondo la legge di Zaleuco. La qual era, che nella seduta dei mille, e (99) col laccio pendente dalla gola, ragionas sero sullopinione del legislatore, e chi di loro sembras se voltar alla parte peggiore il suo intendimento, mo. risse strozzato al cospetto demille. Avendo. il cosmopoli ci proposto, disse il giovine, essere il patto ineguale;
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perciocch all altro rimaneano due o tre anni di vita, A . di l (ch avea il cosmopoli non molto meno di novant an- 549 jii, ) ed a s, secondo ogni probabilit, restava ancora del viver la maggior parte. Il giovine adunque convert per tal modo il serio in iscberzo. ed i maestrati giudi caron il ratto secondo la sentenza del cosmopoli. XVII. (100) Affinch non abbiamo lapparenza di de Eslr. an rogare all autorit d uomini cotali, (101) rammentere mo una sola battaglia campale, la quale fu (102) insie me nobilissima , e non molto lontana da nostri tempi, e ci che pi monta, a cui fu presente Callistene. Dica di quella che in Gilicia avvenne fra Alessandro e Dario,nella quale egli riferisce, che Alessandro avea gi pas sate le strette, e le cos dette Porte della Gilicia : mentrech Dario , preso il cammino pelle Porte cos dette dell (io 3) Amano, era coll esercito disceso nella Cili^ eia, e come ebbe udito da paesani che Alessandro pro grediva verso la Siria, gli tenne dietro, ed avvicinatosi alle strette , accampossi presso il fiume (io4) Pinaro, nel qual luogo, a detta su a, lintervallo dal mare alle falde demonti non maggiore di quattordici stadii ; Io attraversa l anzidetto fiume, che sboccato appena dalla montagna ha (io5) laceri i fianchi, e corre pel piano sino al mate fra colli a lti,(106) scoscesi e di ma lagevol accesso. Ci posto narra egli, aver Dario ed i suoi duci, poich Alessandro voltatosi andava lor ad dosso , deciso di schierare tutta la falange nello stesso sito dell accampamento, conforme avean fatto dapprin cipio, ed essersi servito del fiume come di riparo * per

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ciocch correa presso gli alloggiamenti. Poscia dice, (107) aver egli schierata la cavalleria presso al mare, i mercenari! subito dopo di questi presso al fiume, e lar madura leggera appoggiata a monti. XVIII. Ma com egli abbia collocati questi innanzi alla falange, quando il fiume correva presso il campo stesso, diflficil a comprendersi, avendovi tanta molti tudine ; conciossiach, a detta dello stesso Callistene, vi fossero (108) trenta mila cavalieri, ed altrettanti merce nari!. Di quanto luogo questi abbisognassero facilmente puossi comprendere. Alluopo duna giusta battaglia la maggior altezza a cui schierasi la cavalleria d otto uomini, e fra ciascheduno degli (109) squadroni esser debbe un intervallo (n o ) eguale alle fronti, (111) affin ch possano comodamente voltarsi in fianco e far il mezzo giro. Laonde uno stadio riceve ottocento cava lieri, dieci ottomila, quattro tremila dugento; per modo che da undicimila dugento tutto lo spazio di quattordici stadii sarebbe stato occupato. Che se schierare vi si vo lessero tutti i trenta mila, per poco non ne risulterebbe una (n a ) triplice falange de cavalli in cui una parte sarebbe all altra addossata. In qual sito adunque era attelata la massa de mercenarii? Forse dietro i cavalli? Ma egli noi dice, sibbene che nell attacco i mercenarii affrontaronsi coMacedoni. Donde necessariamente flui sce che la met del luogo presso al mare occup la schiera de cavalli, e la met'verso i monti quella de mercenarii. Egli quindi facile a calcolarsi, (113) qual profondit avessero i cavalli, e quanto il fiume distante foss^dagli alloggiamenti. Poscia avvicinatisi i nemici,

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dice Callistene, aver Dario, eh era in mezzo alla schie- A . di ra , chiamati a s i mercenarii dall ala. Lo che come 549 abbia ad intendersi, pu esser soggetto a dubbio. Im perciocch egli mestieri che il contatto de merce narii e de cavalli fosse nel mezzo di quel luogo, a tale che Dario, (t>4) essendo gi fra i mercenarii, dove, ed a che, e come chiamolli? Per ultimo dice, che i ca valli dell ala destra assaltaron Alessandro medesimo , il quale avendoli accolti valorosamente, attaccolli a vi cenda , e fece aspra battaglia. Ma che nel mezzo fosse ( 115) un fiume, ed un fiume, qual egli test descrisse > di ci non ricordossi. XIX. Simile a questo ci eh egli scrive dAlessan dro. Imperciocch dice, che questi fece il passaggio in Asia con quaranta mila fanti e quattro mila cinquecento cavalli, e quando era per invadere la Gilicia gli vennero altri cinquemila fanti ed ottocento cavalli. Daquali se tolgansi tremila fanti, e trecento cavalli, facendo ascenr dere alla maggior somma il numero di ( 116) quelli che erano assenti per varie bisogne, rimangono tuttavia qua ranta due mila fanti, e (117) cinquemila cavalli. Cosi stando le cose, narra egli, come Alessandro riseppe l arrivo di Dario nella Cilicia, essendo cento stadii da lui distante, dopo aver gi passate le strette. ]1 perch voltatosi pass di bel nuovo le strette, conducendo pri ma la falange, poscia i cavalli, e per ultimo le salmerie. E come prima riusc a luoghi pi spaziosi, ordin a tutti che si attelassero in falange, e ne facessero lal tezza di trentadue uomini, indi di sedici, e finalmente avvicinatisi a nemici di otto. Ma cotesti strafalcioni so-

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. di R.

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no anche maggiori degli anzidetti. (118) Imperocch ricevendo lo stadio mille seicento uomini, quando glinterstizii adattansi all uopo di camminare e 1 altezza di sedici uomini, occupando ciascheduno sei piedi; egli manifesto che dieci stadii ue riceveranno sedicimila,, e venti il doppio. D onde scorgesi di leggieri, che al lorquando Alessandro diede all esercito laltezza di se dici uomini, lo spazio da lui occupato era necessaria mente di venti stadii, ed avanzavan aucora tutti i cavalli, e diecimila fanti. XX. Poscia dice, che Alessandro condusse lesercito colla fronte spiegata, come fu quaranta stadii distante da nemici : assurdit, della quale diffidi immaginarsi una maggiore. Imperciocch dove (1(9) trovansi siffatti luoghi, massimamente nella Gilicia, che sopra venti sta dii di larghezza, e quaranta di lunghezza marciar vi possa colla fronte spiegata una falange armata d aste macedoniche ? Ch tanti sono gli ostacoli nell uso di cotesto schieramento , che non facile 1 annoverarli. Della qual cosa fa sufficiente fede (120) quanto riferisce Callistene medesimo ; perciocch, a detta sua, i torrenti che precipitano da monti tagliano quel piano in tanti siti, che nella fuga la maggior parte de Persiani per in coteste cavit. Dir taluno che voleva Alessandro esser pronto alla comparsa de nemici. Ma (121) che havvi di pi mal pronto di una falange colla fronte sciolta e (122) spezzata? Quanto sarebbe stato pi facile schierar la conformemente a (123) quanto si pratica nelle marce, che ridurre a linea retta 1 esercito sciolto nella fronte e distratto, e metterlo in posizione di battaglia in luoghi
*

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selvosi e rotti ? Il perch meglio assai sarebbe stato con- . r. di dur la falange divisa in due o quattro parti, 1 una die 5 4 9 tro all altra collocate; (ia/{) ch se impossibil non era, di trovar un luogo acconcio a marciare, riusciva ezian dio di formar prestamente una schiera regolare, po tendosi per via degli scorridori conoscere molto prima larrivo denemici. Ma egli, oltre ad altri errori, non pose neppure dinanzi i cavalli, conducendo l esercito in fronte spiegata per luoghi piani; sibbene gli adegu cofanti. XXI. Ci pertanto che ogni altra assurdit eccede si , il dire che essendo gi vicino a nemici, egli ridusse 1 altezza a otto. D ond' chiaro , che necessariamente la lunghezza della falange esser dovea di (i a5) quaranta stadii. Ma poniamo che i soldati talmente si (126) toc cassero cogli scudi, che conforme dice il poeta, lun Poltro puntellava: tuttavia avrebbon abbisognatodun luogo di venti stadii ; ed egli dice eh era minore di quattordici. (127) Una parte di questo era presso al mare, e la (ia8) met nell ala destra; e tutta la schiera distante da monti uno spazio sufficiente , perch non fosse sottoposta a nemici che tenevano le falde. Sap piamo bene che secondo lui la schiera (129) verso di questi voltata torcevasi indietro, e perci gli abbiamo la sciati i ( i3o) diecimila fanti, che sono ( i3 i) pi di quanti fanno mestieri al suo divisamento. Per tal modo rimangono secondo lo stesso Callistene al pi undici stadii pella lunghezza della falange, nequali di necessi t i trentadue mila uomini doveano serrando gli scudi aver un altezza d i( i3a) quindici, quando egli asserisce

26
. di R.

549

che nella battaglia la schiera fu di olio. Cotali errori non ammettono difesa, dappoich ci eh impossibile nel fatto ( i 33) toglie a s stesso la fede. Quindi ove pongasi lo spazio per ciaschedun uomo, e la grandezza determinata del luogo, ed il numero della gente, difender non puossi la menzogna addotta. XXII. Le altre assurdit chegli a queste aggiugne lungo sarebbe il riferirle tutte : quindi ( 134) pochissime rammenteremo. Dice egli aver Alessandro messo ogni studio nello schierar il suo esercito, affinch appiccasse la zuffa l dovera Dario, e Dario egualmente dapprin cipio aver voluto combattere contr Alessandro stesso , ma poscia essersi pentito. Ma (135) come questi fra loro si riconoscessero, e sapessero in ( i 36) qual parte del proprio esercito ciascheduno avea la sua schiera, o dove passasse poscia D ario, di ci non ragiona egli punto. E come pot la falange schierata salire sul ciglione del fiume eh era scosceso e pieno di spiue? Ch ci ancora contro ragione. Alessandro non hassi ad incolpare di tanta incongruenza, (137) avendo noi appreso comegli avesse fama d esser nelle cose di guerra esperto e pra tico sino dalla fanciullezza, sibbene accagionarsene do vr lo storico, il quale per imperizia il possibile e l im possibile in cotesti affari non pot distinguere. In torno ad Eforo e Callistene questo ci basti d aver detto. XXIII. ( i38) Contra Eforo Timeo forte si scglia, mentrechegli in due peccati avvolto; luno, che acer bamente riprende altri degli stessi difetti, che lui strin-

Estr.
Yales.

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gono ; 1 altro, che fu danimo affatto corrotto, sponen- A. do ( i 3p) cotali sentenze nelle sue memorie, e cotali opinioni imprimendo nesuoi leggitori. Ma se da stabi lirsi che (14o) Callistene meritamente fu punito colla morte, che cosa convenivasi che sofferisse Timeo ? ch a ben maggior dritto il Cielo contra lui dovea esser irato che non contra Callistene. Questi non volle divi nizzar Alessandro : ma ( i 4 >) Timeofa Timoleonte mag giore de pi illustri Dei. E Callistene tal uomo ( i42) ricus d adorare, che tutti accordano essere stato d animo pi grande che non proprio dell umana natura^ laddove costui magnific Timoleonte , il quale sembra non che non aver fatto, ma neppur impreso alcuna cosa di grande, ed in tutta la vita corse un solo arin go , e questo in certa guisa non nobile per rispetto alla grandezza della terra abitata, cio dalla sua patria a Siracusa. Ma Timeo parmi si persuadesse, che, se Timoleonte cerc gloria solamente in Sicilia, come in (143) un bicchiere, egli fosse da paragonarsi a pi illu stri eroi, e se egli stesso scrisse sull Italia unicamente e sulla Sicilia, degno fosse del confronto con quelli che composero la storia di tutta la terra ,.e descrissero gli avvenimenti universali. Adunque intorno Aristotile , ( 144) Teofrasto, Callistene , Eforo e Dcmocare ci sia sufficiente contro le invettive di Timeo, ed insieme con tra quelli che ( i45) bonariamente persuadonsi aver que* sto scrittore detta la verit. XXIV. Circa il (146) genio di Timeo non rimane alcun dubbio^ Imperciocch die egli, che i poeti e gli

d i R.

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28 storici pelle ( i47) soverchie ripetizioni negli scritti appalesano la loro indole : sostenendo, che ( i48) Omero, dal frequente banchettare che rappresenta nel suo poe ma, si manifesta ghiotto; ed Aristotile che sovente nelle sue opere prepara manicaretti, era amatore di cibi dilicati e leccone. Nello stesso modo parla egli del ( 49) tiran no Dionigi, che negli ornamenti de letti, e nella bont e variet dei ( i5o) tessati ogni opera poneva. D onde ( i 5 i ) necessariamente concludesi, che Timeo con istudiato proponimento fa leggero e .fastidioso ; dappoich nell accusar altrui egli spiega molta eloquenza ed au dacia, e nelle proprie sposizioni pieno di sogni e di miracoli e di fole incredibili, ed in somma dimbecille superstizione, e ( i5a) di femmineschi prodigii. Egli adunque chiaro da quanto ora dicemmo che accadde a Timeo, avvenir ad alcuni per imperizia e difetto di giudizio, che presenti non sieno in certo modo {153) a ci che han dinanzi, e veggano senza vedere.
XXV. (154) Unanime voce corre circa un toro di bronzo che daFalaride fu fatto fabbricare in, AgrigentOj nel quale egli introduceva uomini, e poscia accendendovi sotto fuoco dava a sudditi supplizio tale, che riscaldato il bronzo, luomo dappertutto arrostito ed arso periva, e quando pel|J eccesso del dolore urlava, un suono si* mile a l,muggito d un toro usciva della macchina a fe rire gli orecchi. (i55) Cotesto toro al tempo dell im pero de Cartaginesi trasportato essendo da Agrigento in Cartagine, e rimanendo la porticciuola nell inter vallo delle scapole , per cui calaransi quelli eh erano

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giustiziati, e non potendosi trovare in alcun modo altra A . d i . qualsivoglia causa, per cui esso fosse stato fabbricato in ^4d Cartagine; Timeo prese tuttavia a sovvertire la voce co-' xnune, ed a tacciare di falsit le asserzioni de poeti e degli storici, dicendo, che non era altrimenti venuto da Agrigento il toro che trovavasi in Cartagine, e che tale nella citt dapprima nominata stato non vi era giam mai. E ( i56) molte novelle di questa fatta egli spaccia; la quale condotta di Timeo con qual nome e vocabolo dovr appellarsi ? ch il suo genere di scrittura merite vole mi sembra de pi amari rimproveri eh egli stesso usa verso daltrui. Ch egli adunque fosse accattabrighe e menzognero, e ardito, dimostrato sufficientemente pelle cose anzidette. Ma eh egli fosse privo di filosofia e scrittore del tutto indotto, da ci che sono per dire sar manifesto. Imperciocch nel libro vigesimo primo verso la fine die egli nell esortazione di Timoleonte queste parole: Essendo la terra che giace sotto la voi-, ta del cielo divisa in tre p a rti , e F una chiamandosi A sia, Valtra A fric a , la terza Europa. ( i 5 j) Ch avere ci detto, non che Tim eo, neppure quel decantato ( i58) Margite, alcuno crederebbe. E chi cotanto igna ro , non dico fra quelli che occuparonsi di scriver sto rie, . . . Riprender altrui facile ; ma prestare s stesso sce vro d errori difficile. XXVI. ( i5g) In primo luogo stimava doversi rammen- Estn tare a coloro che sedevan in consiglio, come la mattina

destali i dormienti in guerra le trombe, ed in pace i galli. Poscia, dice, aver Ercole iustituiti i giuochi olimpici ed il riposo dalla guerra, a dimostrazione del suo animo ; ma tutti quelli con cui guerreggi aver offesi per neces sit, e perch ci gli fu imposto, e spontaneamente non esser lui stato a nessuno cagione di mali. Indi soggiugue, aver il Poeta introdotto Giove corrucciato con Marte, e dicente:
( 1 6 0 ) Fra quanti Dei dimoran nelV Olimpo I I pi odioso m i sei, cu i piaccion sempre Contese , guerre, pugne .

Eguale discorso fa il pi prudente degli eroi:


( 1 6 1 ) u N on ha trib, non legge, non albergo Ospitale eolui, che ama la cruda Popolar guerra .

Ed accordasi col Poeta ancor Euripide ove dice :


( i 6 a) O pace (i63) d i tesori carca, Bellissima f r a i Dei beali l A ssa i t'agogno. Come tardi! lo temo gi , non pria V ecchietta m i sorprenda, (i64) Che fia m i concesso d i vedere V amabil o r a , E d i bei cori d i cantanti, E d i conviti di ghirlande amici .

Oltre a'ci dice esser la guerra somigliantissima alla malattia, e la pace alla salute : ch per questa risto ratisi gl infermi, e per quella periscon i sani. Ed in tempo di pace i vecchi seppelliti sono da giovani, se condo lordine di natura, laddove nella guerra accade il contrario. Ma ci che pi monta, non avervi in guerra

3i
sicurezza neppur dentro alle mura : quando in pace A. di tutto sicuro sino a confini del paese. Queste cose ^49 (i 65) dice, ed altre simili.

XXVII. Aveudo noi dalla natura due quasi strumen- Estr. ti per cui tutto scorgiamo ed investighiamo, l udito cio e la v ista , ed essendo di gran lunga pi veritiera la vi sta (166) secondo Eraclito ( c h , a detta di lui, g li oc chi sono testim onii p i esatti d eg li orecchi); Timeo per giugner alla cognizione delle cose calc la strada pi pia cevole, ma (167) meno apprezzata ; ch da (168) ci che si conosce pella vista al tutto si astenne, a coll udito solo procacciossi notizie. Il (169) quale essendo di due mo di, l uno per (170) via della lettura, 1 altro per mezzo delle proprie ricerche ; egli nelle ricerche aggirossi con negligenza, conforme di sopra abbiam esposto. E qual motivo a questo stile Io inducesse, facile a cono scersi ; perciocch da libri si possono cavare notizie senza pericolo e stento, ove facciasi questo solo prov vedimento, d i'(171) stabilirsi in una citt, che ha scrit ture in buon dato, 0 davere una biblioteca vicina. Cos adoperando potrassi (172) seggendoin piuma rintraccia te tutto ci che si desidera, e confrontare gli errori degli scrittori precedenti senza alcun disturbo. Le investiga zioni pertanto che da noi facciamo, abbisognano di molta fatica e spendio ; ma grandemente contribuiscono (173) alla storia, e ne sono la parte maggiore. La qual cos fia manifesta per quelli stessi che le storie hanno compo ste. Imperciocch Eforo dice : se possibil fosse che gli (174) scrittori fossero presenti a tutti i fatti, cotesto mo-

3a
di R. do d apparare molto ogni altro supererebbe. E Teo-

549

pompo asserisce, nelle guerresche imprese essere il pi eccellente colui, che intervenne a maggior numero di battaglie, ed il pi valente oratore chi ha avuto pi par te nelle cause politiche. Lo stesso accade nella medi cina e nella nautica. Ma con maggior chiarezza parl il Poeta in questo particolare. Imperciocch mostrarci volendo qual debba essere l uomo d affari, rec iu mezzo la persona d Ulisse con queste parole : ( 1 7 5 ) O M usa, Fuom astuto nfi rammenta Che p er molti paesi and vagando .

E proseguendo :
E molte citt vide, e m olti ingegni Conobbe, e molte ebbe nel m ar sciagure A sofferir .

Ed ancora :
( 1 7 6 ) Guerre speriment, e le onde tristi .

XXVIII. A me sembra che la dignit eziandio della storia richieda un tal uomo. Platone dice, che (177) le
fa c c e n d e d egli uomini a llo r a bene procederanno quan do i filo so fi regneranno o filosoferanno i regnanti. Ed io direi che allora la storia proceder bene, quando gli uomini che aggiransi ne pubblici affari imprenderanno a scrivere le storie (n on , come ora, sbadatamente; ma, persuasi che siffatto lavoro sia per essi de pi necessarii e pi belli, assiduamente (178) vi si applicheranno per tutta la vita): ovveramente, quando coloro che a scri vere si accingono , stimeranno necessarie le cognizioni che traggonsi dalla pratica stessa degli affari. Pria che ci avvenga non vi sar posa agli errori de compositori

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di storia. Alle quali cose Timeo non fece il bench mi* A . di nimo provvedimento, ma essendo vissuto (179) ospite ^4s in un luogo solo, e quasi come di proposito rinunziando alla (180) vita attiva che richieggono le faccende civili e militari, ed alle fatiche inseparabili da viaggi e dalla propria ispezione, non so come riport fama di scrit tore che (181) sostiene la dignit della storia. E che (i8a) questa sia cosa da tanto, facil citarne la con fessione dello stesso Timeo. Imperciocch nella prefa zione del libro sesto egli dice, supporre taluno che il (i83) genere di discorsi pomposi abbia mestieri di mag gior ingegno ed industria ed apparecchio che non la storia, ed aggiugne essere cotal opinione in addietro stata opposta ad ( 184) Eforo. Il quale non potendo adegua tamente rispondere a quelli che ci asseriscono, stu diasi di confrontare la storia co discorsi di pompa, ( 185) mettendoli a paragone.

F I N E D E G L I AVAN ZI

DE L L I B R O DU OD ECI MO.

p o m b io

, to m . r .

SOMMARIO
DEGLI AVANZI DEL LIBRO DUODECIMO.

F m m iiexti geografici ( 1.) - Loto albero ( II.) - F ertilit dell Africa - Anim ali che vi si trovano - Leggerezza di T i meo - Anim ali dell isola di Corsica ( III.) - Le gregge ragunansi in orsica a suono di tromba - 1 pastori d i porci in Italia usano la cornetta - Maravigliosa quantit d i porci in Italia ( IV.) A ffari
de

L ocresi.

Polibio benemerito deLocresi - Origine d eLocresi - Cento fam iglie - Portasecchia ( V.) - Trattato doloso coSiciliani I Greci anticamente non usavano servi ( VI.) - Perita lume della storia - Due generi di menzogna ( VII.) - Timeo par ziale - Eccessivo n el vituperare - Inveisce contra Aristotile ( V ili.) - A sserzioni d i Timeo circa i Locresi ( IX.) - Sono esaminate ( X.) - Timeo ostenta grande diligenza - Vanta cognizione di pubblici monumenti ( XI.) - Polibio a bello studio tratta distesamente d i Timeo ( XII.) - Timeo dice male d i Democare - Polibio difende Democare - Archedico comico Democare rimprover Demetrio Falereo - Autom a a chiocciola in processione - A sini in teatro ( XIII.) - In ogni cosa ri spettarsi dee il decoro - Non merita fe d e chi si lascia tra s portare dalle passioni ( XIV.) - Invettive di Timeo contra Agatocle - Agalocle difeso - Lo storico tacer non dee le ge-

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ile lodevoli ( XV.) - Contesa per uno schiavo - Legge di Za leuco circa il rcuperamento diun effetto - Cosmopoli, magistrato superiore de Locresi - Altra legge d i Zaleuco : discutere la causa col laccio a l collo ( XVI.) - Imperiiia d i Callistene Pinaro fium e ( XVII.) - Callistene imperito nelle cose mili ta ri ( X V IIl-X X Il.) - Timeo acerbamente tratta E/or e Callistene - JLoda a cielo Timoleonte (jj XXIII.) - Omero ghiotto p er avviso d i Timeo - A ristotile leccone Ingegno fa stid io so di Timeo - Presente ed assente , vede e non vede ( XXIV.) - Toro d Falaride - trasportato a Cartagine Timeo nega eh' esso era in Agrigento - Timeo senza filosofia e dottrina ( XXV.) - Tromba e canto di galli - Ercole non offese nessuno gratuitamente Omero Euripide La guerra simile alla malattia, la pace alla salute ( XXVI.) - Gli occhi iestimonii pi sicuri delle orecchie - Detto d Eraclito D a'li bri si appara con maggiore comodit - M a con pi. sicurezza dalla propria esperienza Eforo Teopompo Omero ( XXVII.) - Detto di Platone applicato alla storia - Fama non meritata di Timeo (Jj XXVIII.)

ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO DUODECIMO.

L a parte storica di questo lib ro , che lepitomatore di Polibio al tutto omise , trattava principalmente de fatti d armi che fra i Romani ed i Cartaginesi ebbero luogo in Africa, dove nell an no 549 di R. era stata trasportata la guerra, secondoch scor sesi dai Livio x xviu, 4 5 , e x x ix, 3. Mei medesimo anno fu espugnata L ocri, che sola era rimasa a Cartaginesi nellultimo angolo d Italia (L iv ., xx ix , 8 ) ; dalla narrazione del quale av venimento prese il Nostro occasione di confutar le menzogne spacciate da Timeo circa 1 anzidetta citt , e di lacerare questo acerbissimo scrittore per tutto ci che di falso e di maligno sparse per entro alla sua opera. Ed entrato a discorrer delle fole che il medesimo scrittore divulg intorno all Africa, sulla fede d im postori'e d uomini creduli, si fa strada a ragionare distesamente delle belve, degli alberi e degli altri prodotti di quella contrada, del quale trattato abbiamo notevoli frammenti ne cap. 3 e 3. pertanto famigliare a Polibio il riferir non solo le geste guerresche, ma di rammentar eziandio al luogo conveniente tutto ci che appartiene all uso della vita , a co stumi , die arti ed alla natura delle cose. ( 1) Ippone. Che C. Lelio, legato di Scipione , 1 anno di R . 549 approdasse con un armata ad Ippone regio, ed incutesse a Cartaginesi grande terro re, ce lo dice L ivio, xx ix , 3 . Schw tigh. D Ippone D iarrito, che corrisponde a Biserta d og-

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gidi fece menzione il Nostro nel lib. i , 7 0 , 8 a (vedi col la nostra nota s3o), denominandola pel gentilizio (Hippacritas). 1n zrix*p* (Hippuacra) Cappella Stef. Biz., e Pinedo , interprete di lu i , non crede che la medesima citt denotata ven ga sotto questi due nomi. Ma siccome dIppuacra non parla nes sun altro geografo pi antico , e che lIppone mentovata nel lib. 1 ivi nominata presso Ctica, tra la quale e Tabraca era situata la Diarrito; cos da supporsi che Stefano abbia preso un bel granchio , stimando nome di citt l espressione di '-a-ats a.Kfx, promontorio d Ippone ( 'la-zsx per isbaglio in luogo di " iv z r its ) . Ed infatti poco lungi da Ippone re^ia (Bona moder na) , a mano sinistra, sporge in mare un capo , cui gli antichi non apposero verun nome proprio , e che sembra essere il Sebda Raz d oggi d. (3 ) Tabatra. Lo Schweigh, vuole che questo nome sia scritto viziosamente presso Stefano, ed attenendosi all.autorit del Bochart, e dell Itinerario dAntonino cangiollo in Tabraca. lo per. tanto non ho mutata la scrittnra Volgata, considerando in quante varie fogge certi nomi di luoghi trovansi scritti presso gli au tori. La qual cosa , cred i o , indusse il dottissimo Olstenio ad approvare la lezione che abbiamo qui adottata. Pello stesso mo tivo ho convertito in Tabatreno (non Tabadreno, conforme han no le edizioni di Stef.) il Tabarceno dello Schweigh. (3) Singa. Questa verisimilmente la citt che Siga chiamano Plinio (v, 2 ) e Strabone (xvii , p. 8 2 9 ) ; capitale un d del re gno di Siface. Sigapolis l appella Tolemeo (iv, 2 }, secondo il quale era colonia de Romani. F ra le varie opinioni proposte dallo Schweigh. circa questo nom e, mi piace maggiormente quella, che in due modi, Siga e Singa sar esso stalo scritta Se dimostrar si potesse che degli affari dell Asia toccato avesse Polibio alcuna cosa nel presente lib ro , improbabile non sareb be , che accennata qui fosse la Singa, posta da Tolemeo (v , i4) fra le citt della Siria. (4) I l Poliiitore. Alessandro Poliistore, che visse atempi di

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Siila . Schweigh. Pi estese notizie circa questo scrittore trovansi in Gio. Gherardo Yossio (De hisloricis graecis, lib. 1, c. m ), donde scorgesi esser lui stato in grandissimo credito presso lan tichit , ed aver composti quarantadue libri di svariatissima ma teria , che gli procacciarono il distintivo aggiunto al suo nome, l^u egli eziandio cognominato Cornelio da Cornelio Lentulo , il quale com prollo, e poscia donogli la libert. (5) Demostene. Compose questi, secondoch abbiamo da Ste fano all artic. un opera intitolata K' l / n i t , fabb rica zio n i (delle citt). 11 Vossio (De hist. graec . , lib. m, p. 1 7 0 ) pre* tende esser costui il medesimo che scrisse in versi parecchi libri sulle cose della Bitinia. Lo Schweigh. dubita che sieno due autori, dappoich il Demostene qui citato , per q (tanto apparisce dalle parole di Stef., fu prosatore. Ma nulla impedisce che lo stesso scrittore abbia celebrate con un poema le cose patrie (ch bitiaio era cotesto geografo) , ed in istile sciolto abbia composta un o pera pi universale. (6 ) Officine di brom o. A detta di Strabone (x v n , p. 83o) v avea nella Mauritania delle miniere di rame , XAxf;g < t . e giusta Tolemeo (v , a) abitavano gli Erpeditani, popolazione della Mauritania Cesariense, presso 7 K*\p.trtt le cos dette Calcoriche ; donde puossi arguire, che i monti dov erano le anzidette miniere da queste abbian tratto il nome. Ma officine di rame o di bronzo (ch X aA n c amendue espri me) s o d o una cosa ben diversa da miniere e da montagne , e pi facilmente che non queste scambiarsi possono con una citt; quindi non v ha versimiglianza, siccome sospetta lo Schweigh., che le XttXttvpyuit di Polibio sieno le stesse che le XsA x v f i %ict di Strabone e di Tolemeo. (7 ) Bissatide. Ber*xAJx (Bisalade) l appella Stefano, che il Saltpasio nelle esercitazioni Pliniane corregge in Bizacide. Osser vando pertanto che il Nostro nel lib. ni, a3 Bissatide denomina questa contrada , e che la lezione di Bizacicfo non ha in suo favore nessuna autorit , io non ho adottala siffatta correzione.

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(8 ) Di propria vista. Questa circostanza acquista molta fede a quanto qui dice il Nostro intorno al loto , e che contiene assai pi particolarit che non la relazione lasciataci su questa pianta da Erodoto (11 , 9 6 ; iv , 1 7 7 ). Vedi ci che scrivemmo nella nota i s 5 al lib. 1 , cui debbo soltanto aggiugnere , che non va questa specie confusa colla nymphaea lotus : pianta acquatica che cresce ne campi d Egitto, dopo che sono state inondate dal Nilo , e della quale ragiona Erodoto nel lib. 11 , 9 2 . Quella che rammentano Dioscoride, Galeno e Plinio legiziana, che tanto figurava nella mitologia di questa nazione, e che proviene ancora nelle acque dell India (dove chiamasi Nenuphar), e dellUnghe ria (V. Persoon , Synops plant., t. 1 1 , p. 63 j Hist. nat. des plant. par Mirbel et lolyclerc, t. x v m , p. a i ; Nouv. Dict. dh ist nat., t. x v , p. 5ag). (9 ) I l fru tto . Da tutta questa descrizione si comprende, che il frutto di questo lotus rassomiglia alla giuggiola , addomesticata eziandio ne nostri climi. Quindi furon amendue coleste specie (lolus e jujuba) comprese da botanici sotto la divisione ziz y ph u s del genere rhamnus. Le tre specie di rhamnus descritte da Dioscoride ( 1 , io?) non hanno che fare col presente, e quella che secondo Polibio ha la foglia somigliante alla foglia dell arbuscello del loto sembra essere (la terza. ( 1 0 ) Timeo. Circa la maldicenza di questo storico e le frivo lezze da lui spacciate vedi la nota 1 0 al primo libro. Tuttavia il loda Diod. Sic. (v , 1 ) per conto della sua esattezza nell additar i tempi , e della molta erudizione di cui sparse le sue opere. ( 1 1 ) Per via della coltura ingentiliti. 'Hft'tptic ha il testo, eh quanto am m ansati, e quasi addimesticati. Fruges cultura hominum provenientes scrssero i traduttori latini, male, credo, apponendosi alla mente di Polibio, il quale significar non volle che cotesti prodotti debbansi soltanto alla coltura della terra ; sibbene , che salvatici essendo per loro natura e poco saporiti, acquistano n o b ilt^ e squisitezza dalle cure del coltivatore. Quindi dissero i Greci i /tiftv r 7 t y r all operazione di dissodare i

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terreni, non altrimenti che per siffatto modo la terra dallo stato di salvatichezza passasse a quello d incivilimento e di mansue tudine. Vedi Esicfaio a questa voce, ed Appiano (hist. p u n ., c. to 6 ) , dove i traduttori latini voltarono goffamente le parole i f t i f S m ytt : Magnum terrarum iractum ad mitiorem cultum redegit. (!>) Bubali. Non buffali , i quali, siccom n o to , sono una specie di buoi ; laddove il bubalo ha qualche somiglianza colla capra e colla gazzella, ed animai timido. 1 buffali erano sco nosciuti presso gli antichi Greci e Romani. V. Buffon, Hist. n a t, t. x x ix , p. 6 8 e segg.; t. x x x i, p. 65 e segg. Quindi lat tributo di bellezza che il Nostro appone a cotesto anim ale, quando al buffalo conveniva piuttosto la qualificazione di robu stezza. (13) Cirno. K i f i t t . Questo nom e, secondo gli scrittori di mitologia, diedero i Greci all isola che pria chiamavasi Terapne, per onorare la memoria del re C irno, figlio di Giove, e giusta alcuni dErcole. I L iguri, condottivi da una femmina denomi nata Corsa, la denominarono Corsica. In tempi remoti i Focei vi piantarono la colonia di Calar!, e gli Etrusci quella di Nicea, impossessandosi del paese vicino (Diod. Sic., v , p. ao5). Conquistata da Romani vi fu da Mario fondata la colonia di Mariana, e da Siila dittatore quella dAleria (P lin., m , i a). (14) N on che capra ecc. Anzi , se ascoltiamo Diodoro (1. c.) abbondavan in quell isola ogni sorta di carni, quantunque gli abitanti vivessero ancora di latte e miele. (15) I l coniglio. Di questo animale fece gi menzione Aristo tile (Hist. anirn. , , i ) , mettendolo col cervo e colla lepre fra i quadrupedi ingegnosi e timidi. Ateneo, che cita il presente luogo di Polibio ( ix , p. 4 oo), dice d averne veduti m olti, navigando da Pozzuolo a Napoli in un isola poco abitata vicina al conti nente. Ei si pare adunque che gli antichi non avessero il costu me d allevarli domesticamente, siccome oggid si pratica, sovrattulto ne paesi del N ord, dove abbandonati alla campagna peri-

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rebbono. Anaan essi , al dire di Buffon (Hist. nat., t. xx iv , p. a38) , il calor eccessivo, e trovansi nelle contrade meridionali dellAsia e dellAfrica. I Homani denominarono questa bestiuola da condotti sotterranei che fannosi per espugnare le fortezze, alludendo alla sua abitudine di scavarsi l abitazione nella terra (V ./V arr., de re rusl., 1. iii , c. ia; Plin. H. N., 1. v m , c. 55). Polibio pertanto ha grecizzato il nome latino , facendone in *Acc (cuniclos) , quando i Greci lappellavano Sirvw ttt (dasipus), per cagione della densit de peli a suoi piedi. ( 1 6 ) Usano la stessa guisa di pascolare. I manoscritti colla prima edizione hanno o %up/<*isti (non usano), esprimendo af fatto il contrario di quanto volle inferir Polibio dalle cose ante cedenti. Il Casaub., assentendo dapprima alla lezione t/7 %ttfi'gurt (cos usano), che avea gi prescelto il Xilandro nella ver sione germanica, lesse poscia di sua fantasia ci figuri , cos interpretando questo passo : loca non separant , quo illa p a stura abigunt (non separano i luoghi , dove li mandan a pasco lare). Il Reiske non disapprova questa scrittura , ma amerebbe meglio che si leggesse 7 gS* in luogo di 7* *7c ro/uxi; cio, non separano gli animali; o semplicemente xla , che verrebbe a significare : non distribuiscono (gli animali) a' re spettivi pascoli. Io confesso che difficile mi riesce il dare ad una lezione la preferenza sovra 1 altra. Sta per quella del Casaub. la maggior probabilit che i copisti preso abbiano un ti in iscambio d un fceiffgiirf per figuri ) , anzich omesse abbiano nella parola antecedente (u7/) le lettere r a ; ma il senso che risulta dalla lezione che adottammo pi conforme a ci che prima avea detto il Nostro. ( 1 7 ) Cornelia. Bvxm nel testo: vocabolo tolto a L atini, che i Greci propriamente traXwiy { appellano cotesto strumento, il quale la tromba con cui dassi il segno a soldati, ed ezian dio quella con cui i pastori chiaman le loro gregge ; onde Ieggesi in Varrone, de re rusl : Subulcus debel porcos consuefacere ul omnia Jaciant ad bticinam (Il pastore debbe assuefar i porci

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a far tallo a suon di tromba). Io pertanto ho preferito di chia marla cornetta, perciocch di corno la'sua materia. V. la Crusca a questa Voce. ( 1 8 ) Pella moltitudine delle braccia. Leggo collo Schweigh., e co pi autorevoli codici e non trAv%tp/a> (moltitudine di porci) siccome piace a) Casaub., donde risulte^ rebbe questa sconcia ripetizione : P /la moltitudine da porci sono molli porci. Del resto era tan la copia di questi animali nella Gallia Cisalpina, c h e , a dftta di Strabone (v , p. 2 1 8 ) Roma quasi ne traeva il nutrimert. Quindi non solo ne cam* pavano i Galli medesimi, che (into abbondavan di braccia pella coltivazione de terren i, conforme riferisce Polibio nel lib. 11, 1 5 (e questo significa qui il vocaJolo , non gi la mol titudine delle braccia necessarie a pascere od a curar i p o rc i, siccome l interpetra lo So^weigh.) ; non solo, dissi, i Galli ne campavano , ma ne forni*an essi ancora a Romani. ( 1 9 ) Somministrazioni.'Queste erano di due sorti, secondoch ne insegna il Nostro (l. c.) per essere mangiati, e per riporsi ad uso degli eserciti. ( 2 0 ) Una troia alleva mille porci. Circa questa prodigiosa fecondit delle troie scrisse il celebre matematico Vauban (Tess ie r , annales dagriculture, t. v ili), che nel corso di dieci anni il numero de porci nati da una femmina tanto ragguardevole, che basterebbe per tutta la Francia. Pervenendo alla seconda generazione , prosegu eg li, se ne otterrebbono tanti, che tutta 1 Europa potrebbe nutrirsene, ed ove si giugnesse alla decimasesta , ve n avrebbe da popolar abbondevolmente la terra. Tut tavia se If'uptti (od , siccom nel testo) avesse qui il senso d allevare , nutrire , il numero di porcelli che nascer possono da una troia non sarebbono di gran lunga mille. Ma U mentovato verbo significa talvolta semplicemente avere , confor me h? notato Esichio , ed il Casaub., che nelle annotazioni ad Ateneo (v ii, 1 8 ) ha raccolti parecchi testi di Sofocle, dove Tf'tiptit non differisce da !<>. Laonde dice qui Polibio, che una

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troia ha , vede nati da s (non nutrisce, od alleva) mille porci, e tal fiata pi. Lo Schweigh., non considerando questa partico larit grammaticale, propone diverse spiegazioni di questo luogo, delle quali egli medesimo si dichiara poco soddisfatto. (1 1 ) Per fam iglie t per et. E sembra che i pastori ciasche duna famiglia, vale a dire, tutti i porci nati in parecchie gene razioni dalla medesima generazione, chiudessero in un recinto o gruppo di stalle u n ite, e che in ciascheduna di queste stalle ponessero gli animali della medesima et ; e ci per evitare i danni che, ove grandi e piccoli fossero mescolati, nascerebbono dall impetuosit di questi voraci e libidinosi animali. Lo Schweigh. confessa di non comprender tioppo siffatta divisione, n la difficolt di distinguer le diverse amiglie. Ma tutto , cred i o , farassi piano adottando il ripiego (he ho test accennato, e sup ponendo che ad ogni famiglia era ut solo pastore assegnato , il quale, dando fiato alla cornetta, tutti intorno a s la ragunava. (aa) Suonando ecc. V ha qui nel teso una discordanza. E ticfJm , leggesi, *r' Ititi Tc pitpcs w p tiy ti (wpt&yy nel sog giuntivo corresse lo Schweigh., cos ricredendo il precedente i wttStt) Q m S t t i cT's- tlfpor izrtx'/Jttts \ dove corrisponderebbe al v p c iy y. Quantuaque 1* si potrebbe far pas sare per una negligenza di stile, quali ne abbiamo gi in pa recchi luoghi di questa storia riscontrati ; tuttavia non disdirebbesi di toglierla, se con piccola alterazione del testo ci riu scisse. Tip cavar <p*rri (progredendo suonasse) propose lo Schweighauser lasciando , ma io ho amato meglio di mo dificare con leggiera variazione 1 ultima sola di queste parole in' lasciando intatte le due antecedenti. (a3) Chi ha pi mani. X t/ptvr lessero lUrsino ed il Casaub., e tradussero: Is qui plures porcos habuerit (colui che ha pi porci) ; non perch pi ricco (sentimento attribuito dallo Schweigh. a mentovati commentatori), sibbene perch otesti animali, quanto sono in maggior num ero, tanto pi facilmente traggonsi dietro gli altri. Comech assurda non sia cotal lezio

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n e , io preferisco di leggere co codici e collo Schweigh. X(tic, intendendo pella frase : chi ha pi mani, colui che ha pi gente, pi servi a sua disposizione. Ma non parmi che taltvx* ip i~ t sia quanto esser pi ricco, prevaler in s o sta m i : ch sebbene Polibio sovente nsa cvic<pi7 in questo senso, nel presente passo 1* aver pi mani presuppone gi maggior ricchezza, e l occa sione favorevole $ , all uopo dell impossessarsi dell a ltru i, una circostanza abbastanza essenziale per non essere trascurata. Non credo pertanto che xxltvx.*ifi<r*s esprima (siccome il voltarono rCrsino ed il Casaub.) qui occasionem in rem suam vertere sciverit (chi sa profittarsi delloccasione), e la preposizione se non oziosa, ha probabilmente forza comparativa , per mo do clie 1 anzidetto vocabolo suona : Chi ha pi occasione, mag gior opportunit. (ti) Locresi. Intorno a questi popoli da vedersi la nota i ^5 al lib. , e quanto ne scrisse 1 eruditissimo Heyne nel .voi. 11 degli opuscoli accademici. (5) Spedizione della Spagna. F o rse , dice lo Schweigh., era questa la guerra celliberica , della quale ragionasi negli avanzi del libro xxxv. Vedi ci che ne abbiam accennato nella nota l 4 l del libro x. (3 6 ) Da quella della Dalmazia. I Rom ani, a detta di Vellejo Palercolo (11, 9 0 , 1 1 0 e seg.), durarono dugeotovent anni a soggiogare questa nazione, computando dalla prima invasione che avvenne l anno di R. 5?g (V. Polib., 11, 8 e seg.), atempi della regina Teuta , sino alla loro debellazione pelle armi di Tiberio col mandato da Augusto l anno 7 4 3 . La spedizione della quale parla qui il Nostro fu fatta- 1 anno 5 9 6 , allorquando i Dalmati , sottrattisi dall ubbidienza del re Genzio, molestarono gl Illirii , socii del popolo romano. Due consoli successivi, C. Marcio Filippo e L. Cornelio Nasica condussero questa guerra, (V. Polib., xxxii, 1 8 ; Liv., epit., lib. xlvu ; Fior. v , a). Am mutinatisi circa treni anni appresso, furono di bel nuovo sog giogali da L. Cecilio Metello, che da questa vittoria ebbe il cognome di Dalmatico. V. Liv., epit., lib. lxii.

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(a 7 ) La storia lasciataci da Aristotile. Che da Aristotile fsposti fossero i costumi, le usanze e le discipline di pressoch tutti gli stati della Grecia non solo , ma eziandio de barbari, riferisce Cicerone (De fnib. v , 4). Il titolo di quell opera era nA<7e7i 1 (i governi delle citt). V. Diog. Laerc., v , 7 2 . Fra questi trovavasi il governo de Locresi, lodato seggalamente da Clem. Aless., Strom. lib. i, p. a58. Fu pertanto avviso d Aristotile , che la colonia de Locresi Epizefirii fosse raccoz zata di servi fuggitivi, di fornicatori e tagliaborse ; lo che as serisce pure Dionigi Perieg. v ..365 e segg., e col Eustazic .

Schweigh. (28) Di quella che riferisce Timeo. TJV izro Tiptcti* teyaftim t nel testo, che il Reiske mutar vorrebbe in 7 v. T. X iy tft t itit, pi naturale essendo la frase Irriptct wxpxJiJtfiiiti
(istoria consegnata, lasciata), che non. \ t y t f t t n i . Ma io amerei meglio d annoverare questa impropria espressione fra le irre golarit non aliene dallo stile del Nostro , siccome vi compren derei ancora l ts T tfta its (non Timeo) nella fine del seguente periodo in luogo di *i% T t'ftm ct (non quale Timeo). (ag) loro derivato. L assurda lezione de'codici, t h Te, fu felicemente mutata dall Ursino , seguito dallo Schweigh.,, in tr n r (). E rr contro la grammatica e dilungossi dalle tracce de manoscritti il Casaub., scrivendo t in , ottativo non richiesto dall 7i che precede. S t t i f t t m (fu reputato) che propone il Reiske forma una sconcordanza di tempi ed una ingrata ripeti zione ( t i t i f t i m , icpti^svB'Ki). (3o) Le vergini che mandavansi in Ilio. Avendo Aiaee di O ileo, il quale condusse i Locresi all assedio di T ro ia, dopo l espugnazione di questa citt violila Cassandra nel tempio di Minerva , la Dea vendic tal offesa col farlo perir in mare. I suoi com patrioti mandavano, per placare il Nume , ciaschedun anno in Ilio due vergini delle pi nobili famiglie, le quali scal ze , senza vestito e senza bende sacerdotali, siccome serve, spazzavan il sacro pavimento sino all ultima vecchiaia. Questa

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usanza, incominciala dal tempo dell invasione de Persiani du rava tuttavia nell et di Polibio, e non cess che pochi anni innanzi Plutarco. Yedi Slrab., x m , p. 6 0 0 ; Plut. De sera num. vindicta opp., 1. 11 , p. 55']. Tzetze, Comment. in Lycophr., rap porta le parole stesse di Timeo, dalle quali scorgesi , che due erano le vergini c h e , per comando dell oracolo, i Locresi spedivan ogni anno in Ilio, non cento, siccome espresse il Ca saub., male traducendo il presente luogo. (3 i) Portasecchjia. QiatipopiS il vocabolo usato da Poli bio ; propriamente chi porta una boccia. Ma sappiam da Ate neo (xi,p. 5oi) che tptcLXx non denota soltanto un vaso di vetro ad uso di bere , ma eziandio un recipiente di rame , o d oro , o d argento con larga apertura qual hanno le caldaie. N la materia sola rendea talvlta preziosi cotesti vasi ; ch leleganza ancora del lavoro li facea ricercare, e famosi erano per questo conto quelli che fabbricavansi nell Etruria (Y. Ateneo, 1, p. 3 8 ). Dall altro canto noto che tra gli Ateniesi nelle pompe di Ce rere le pi nobili vergini portavano sul capo de canestri, dondesse chiamavansi xuitippai (Cicer., in V err., iv , 3); quindi da supporsi che i Siciliani, la di cui isola era tutta sacra a Cerere ed a Proserpina (*) , al canestro in simili occasioni sosti tuissero un vaso che avea la forma , di secchia , non per avven tura d ignobile materia e. di rozzo lavoro , sibbene di prezioso metallo e di maestrevai opera. (3a) Allorquando ecc. Narra Strabone (v i, p. ?5g), che i Locresi abitanti del seno Crisseo (cio gli Ozolii) mandarono la (tflonia che fabbric la citt di Locri in Italia poco tempo dopo che furon edificate Crotona e Siracusa ; ma che tre o qu attrin ai appresso, assistiti daSiracusani, trasportarono la loro citt in altro sito. E sembra qpindi, che i Siciliani, i quali secondo il Mostro occupavan il territorio eletto da Locresi a loro dimora , fcssero della colonia che avea fabbricata Siracusa.
( * ) q u e s ta anc-ora ave an i L o c r e s i dedicato un tu a g ai6 c o te m pio con u a c h e p a re c c h ie volt e fosse

te so ro , ch e gia ceva col no n cus to d ito , a m a lg rad o

s ta to spogliato. L i v . x x i l , 8 ; V a le r. M ax . 1. I , a i .

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(33) Fermarono con essi accordo. La (tessa cosa ripete Polieno (Stratag. v i , aa). Laonde pass in proverbio 1 espres sione A*pSt r i > 9-tpc* , patto de L ocresi , per denotare genie astuta e rompi Lori di patii . Schweigh. (34) N on visibili. Cio a dir introdotta nascostamente sotto i vestili, lo che espresse Polieno (L c.) scrivendo s 7*7; <?1laicali. (35) Che non fo sse anticamente ecc. Se Timeo forse trop po assolutamente ha ci pronunciato, egli vero tuttavia che i Greci nell antica semplicit della vita facevano molto maggior uso d operai mercenarii Heyne , opusc. acad., t. u , p. 54. (36) Hanno per legge ecc. Probabilmente era questa una delle leggi che Zaleuco , discepolo di Pitagora , con tanta sa viezza dett a suoi concittadini, buona parte delle quali ci ha serbale Diodoro (x n , p. 3 9 9 ). Qual distanza dallo spergiuro , col quale tradirono gli antichi abitatori della loro contrada, alle massime di scrupolosa moralit cui ne tempi appresso assoggettaronsi ! (3 7 ) Dice Timeo. Quest aggiunta tolta dal Casaub., non tro vandosi nel testo nominato Timeo, al quale pertanto non dub bio che abbiasi ad attribuire il discorso qui riferito ; dappoich in tulli i frammenti relativi a Locresi, che in serie continuata contengonsi nel presente lib ro , difesi sono gli scrittori che di loro parlarono dalle imputazioni di questo storico. Secondo Io Schweigh., diresse Timeo queste parole contrAristotile ; ma cOtal asserzione senz appoggio. (38) Meno lunga e pi bassa del giusto. Il testo ha : EAitl*

7i piix.tt - - 7S wXalu la,trti>otp(, minore in lunghez za - pi basso in larghezza : espressione alquanto oscura * che
gl interpetri latini, aquali mi sono attenuto, hanno sufficiente mente chiarita. Se non che io non credo che il I x v m iltp ts sia relativo alla grossezza del regolo, siccom opinione dellp Schweigh.; perciocch, quantunque nel testo di Diod. Sic. da lui addotto (dove parlasi di certe canue che assoltigliansi allo

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scemare della luna) I te r in e orSai quanto gracilescere (divenir pi gracile) ; essendo qui la larghezza e non la sottigliezza , op posta alla lunghezza , 7S w x ili t 'la x u ttlsp tc molto pi accon ciamente renderassi per minore (pi basso) iu larghezza ; a nulla dire, che umile , significato proprio di I c ttn /ttr , ha molto mag gior analogia con basso , che non gracile. (3g) Siccome un corpo animato ecc. Lo stesso paragone tro vasi nel lib. 1 , i 4 * (4o) Dicemmo. Non era necessario d alterare la scrittura de codici, che hanno tutti i (dicemmo), cangiandola in tfx ft it (diciam o), siccome fece il Casaub. Lo Schweigh., comechfe nel testo abbia adottata siffatta correzione, dice nelle n o te, che, ove ritengasi li ' d e manoscritti * convien credere che il le sto riferiscasi a qualche libro perduto di Polibio. (4*) Falsit. Cio l opposto di verit^ e comprende cos l in g a n n o , eh enunciato con parole k menzogna , bugia, come 1 errore ; non altrimenti che il del testo ha amendue i significati. Cos leggesi in Platone (De repub., u, p. 38q) definito questo vocabolo : i i 7^ i 7av i^iva-ftiteu , V ignoranza neW anima d i chi ingannato , e nel Teeteto ( , p. 1 9 ! ) , spiegato il m entire: leu m&zrov Kxt ft p lu t, aberrare dallo scopo e fa lla re. E nel latino eziandio , secondo JNigidio in A. Gellio, mendacium dicere in gannare s stesso. (4a) Ci sia ecc. Vale a dire: Quanto abbiam qui riferito in torno al malizioso mentire di Timeo spetta al biasimar eh egli fece Aristotile oltre ogni convenienza , non per amore della ve rit , ma per sostenere le falsit proprie nello stesso argomento. (43) Prender quindi ecc. T c tu tS iltta i t r itlt ir tt scrisse Polibio, ed il Valesi, copiato dallo Schweigh., tradusse: Occasionem hinc opportune nactus (presa quindi opportuna occa sione). Il Reiske trov oscure le parole del Nostro ; e sarebbon esse ta li, se co mentovati iuterpetri si desse ad iir ittir tr lo strano significalo d occasione. Ma prendendo questo vocabolo
POLIBIO , to m .

r.

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nel senso che ha talvolta d &zrtSo%, onorifica accoglienza , autorevole considerazione (V. Ernesti , Lexic. ad izrx tltirtf ed zrttfe^i) ne nasce questa sentenza che io credo d aver espressa nel volgarizzamento: Ci che tosto dir particolarmente intorno alla storia d i T im eo, ed in generale circa il dovere dello storico, avr il suo appoggio nella maldicenza di Ti meo contr' Aristotile , e ne trarr quasi autorit e conferma zione. (44) Scernea. A ix rrn tx i in tutti i lib ri, chelErnesti molto avvedutamente cangi in J ix rr X x t, da tf/arriAAa : verbo usato dal Nostro sovente nel medio per distinguere, siccom egli usa J ixttc Xi per distinzione (V. Esichio, Suida , Rom., i n , ai). Se non che la forma attiva, nella quale qui lo riscontriamo , potrebbe indurci a credere eh esso abbia il senso di dissentire , siccome in altro luogo ladopera Polibio: T fcv f i *-p*t Tt rv ttS p itt ix n tth x iT ts ; dissentendo Tito dal senato ( r v iu , 3o). In tal caso non sarebbe inopportuna la emendazione, quan tunque ard ita , del Reiske : AAoSW f t t t l t i y t *< xx9-awa A lp in a * , trrs ptt) J iix J tx r r ita i (perch non fia a ru k x t? ) ws pi h te t, tufi t n t t it I t i l u f . Di vero e fe rm o , p er modo che nessuno possa dissentirne , non v ha in queste cose. (45) La loro colonia ecc. La sentenza d Aristotile circa la repubblica de Locresi fu seguita da Dionigi afro (De sit. o rb ., v. 365 e segg.) T j tf' i v i txirii arci wptVtpue fittavi* iar A tr ti/t , rQ ilipis p t i ^ t / l i t it i r r y s ' Sotto costoro que di Locri sono, Quanti ne vennero in Ausonia, colle Reine lor congiuntisi in amore. Vale sio. Le quali reine erano , secondo Eustazio, le padrone di coloro che fondarono la colonia de Locresi epizefirii. (46) Porte della Cilicio. Cosi erano denominate le strette fra la Cilicia e la Siria , presso alle quali era la citt d Isso, ce

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lebre pella vittoria che col riport Alessandro sopra Dario. V. il Nostro ( n i , 1 7 ) e gli storici che scrissero le geste d Ales sandro. (4 7 ) Un sofista. Avanti Timeo aveva Epicuro detto d Ari stotile nella lettera intorno alle ragioni della vita, citata da Ate neo (vili, p. 354) > che avendo egli divorato il suo patrimonio, gittoss alla milizia, e male riuscito in questa, si ridusse a ven der droghe , poscia essendosi aperta la scuola di P latone, col trasse , e , non inetto parlatore qual egli era , prese il posto a lai pi vicino, e fra poco divenne un profondo meditatore . Valesio. Tuttavia non impossibile eh Epicuro per rivalit di setta abbia spacciate contro lo Stagirita solenni calunnie , delle quali il malizioso T im eo, senza esaminarne il fondamento L sa rassi impossessato, facendovi eziandio, siccome vedesi, delle notabili aggiunte. La dichiarazione di Polibio, che indegni sono cotesti discorsi d uno storico che professa veracit, inspirarci dee contra siffatte imputazioni una giusta diffidenza. (48) Immodesti. Giudiziosamente sospett il Valesio , che pt'i7 fot, (sottintendi wptyptctltt) abbiasi qui a leggere, in luogo del volgalo fiilpi! difeso dal Reiske. Infatti dopo aver detto che u n ciarlatano ( a i t a v i ; iyvpltn) colui che tiene cotali di scorsi ,'F aggiugnervi che lo stesso non un uomo modesto sa rebbe una stucchevole superfluit. (49) Nello stesso libro. Cio nel libro nono; imperciocch in questo Timeo ragionato avea della repubblica de Locresi contro lopinione d Aristotile, conforme insegna Ateneo nel lib. v i , il quale riferisce le parole di T im eo, che appartengono a questa discussione. Valesio. Vedi queste parole alla fine del cap. vi del presente libro. (50) Abbia rintracciate. Qui cadde Polibio in una delle sue solite negligenze di stile, scrivendo tw iftu k iit . . . l|7g,u , quando , siccome riflette il Reiske, l infinito passato (aoristo 1) *|7 *r*t concordato avrebbe col passalo (aoristo 2 ) iirifa ktr. Non pertanto da ascoltarsi lo Schweigh., secondo il quale

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i i | s 7 * ^ s < sarebbe equivalente ad t lig i < (recandosi ricerca) ; oltrech il tempo presente starebbe qui af fatto a sproposito. (5i) Premesso. Ho considerato col Reiske ) va-a'ysyficpB-ttt (sottoscritto) , che qui riscontrasi, come sinonimo di w fty ty /A (scritto innanzi), mosso dall autorit di Demostene eh egli a d d u c e in difesa della sua interpretazione. Il Valesio, seguito dall Heyne (Opusc. acad., t. u , p. 4 7 ) > vorrebbe cangiarlo in zr ty ty fi^S - ! (inscritto), non solo senza necessit , ma eziandio con impropriet d espressione , dappoich la proposizione s ? 0 meglio confassi al principio d una inscrizione , che non quella
d

(5a) Siccome conviensi ecc. Quanto le colonie greche diverse fossero dalle romane il dinota la loro denominazione nelle ri spettive lingue. Coloni erano propriamente presso i Romani (conforme lo sono ancora presso gl Italiani) i coltivatori decampi ; e siccome i veterani che spedivansi nelle provincie conqui state per edificarvi delle citt murate a guardia del paese , o per accrescerne la popolazione, ricevean in premio deservigi da loro prestati le terre de nem ici, cosi fu ad essi trasferito il nome de primitivi lavoratori delle medesime. I Greci all opposito prece duti da Fenicii, e per {sgravarsi del soverchio degli abitanti, in tempi ne quali la scarsa industria veniva meno a bisogni di questi, e colla mira d. estender il loro commercio , staccavano dalle loro citt le famiglie pi indigenti, e sotto uno o pi capi le mandavano a cercar ventura in altre regioni. Quindi chiamaron essi i loro coloni iw t/ic tv s , eh quanto gente partitasi d i casa. Cosi fu Cartagine colonia di T ir o , Corcira di Corinto, Marsiglia di Focea nell Eolide. Roma stessa non fu in altro modo colonia d Alba ; onde Mezio Fufezio , duce degli Albani, dopo aver fatto conoscere al re Tullio Ostilio , com era contra rio all interesse d amendue le nazioni il farsi la guerra , disse, eh egli erasi il primo fatto innanzi a domandarla, a malgrado che ci toccava a R om ani, come a quelli che, coloni ( A w itt i)

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essendo degli A lbani, onorarli doveano non altrimenti che i fi gli onoran i genitori (V. Dionigi Alicarn., lib. in , p. 1 43). Cotesti onori erano, secondo Diod. Sic., x u , 3o ; Tucid., i, c. o 4 , a5 ; Polib., xxxi, ao , il mandar ciaschedun anno nella madre patria un ambasceria affine di celebrar un sacrificio, il ricevere da lei i sacerdoti, lasciarle il primo luogo ne congressi, ripeter da essa i condottieri per fondare altre colonie. Le quali cose tutte erano bens dimostrazioni di gratitudine verso gli autori della loro esistenza, ma non ne seguiva la dipendenza e sommissione che legavan a Roma le sue colonie, cui non dissimili sono quelle che gli Europei dopo la scoperta dellAmerica e del Capo di Buona Speranza stabilirono nelle due Indie. (53) Passato. Sostiene lo Schweigh. che qui non si gnifichi passar colla persona, ma col discorso, siccome nel cap. 13 alle parole: M e i v i U t ir 'i7a/ A xp tvt : Passato a Locresi d Italia (dice). Ma in questo luogo riferisce Timeo d aver visitate le citt & amendue i Locresi , e parla delle cose che vi avea trovate , comprovanti la nobil origine di quelle d Italia ; laddove nel cap. la non toccato il particolare di cotesti suoi viaggi. (54) D ue nazioni Locresi. Havvi in Grecia due nazioni di Locresi, 1 una degli Epicnemidii, I altra degli O zoli, secondochfe attesta Strabone nel lib. x e Plinio. Imperciocch L o cro , figlio di Locro e di Caffia , corrucciato col padre per certe ca gioni , partitosi con un grande numero di cittadini fabbric F iscea ed Ianzia , conforme narra Plutarco nel cap. i5 delle Quistioni greche, ed Ateneo nella fine del lib. n. Vedi Eustazio al Catalogo dO m ero, pag. l f ] 'j . Valesio. (55) Ostentazione d'esattezza. jr{<p*vn 7 ir tcpiBuas, pro priamente apparenza , aspetto di diligenza, che i traduttori la tini male voltarono studium ac diligentiam, iuterpetrando in buona parte ci che realmente era vizio , o almeno simulazione di virt. Cotesta diligenza nel notare i tempi vanta in lui Diod. Sic. nel lib. xn , oltre ,ad una vn9 ta erudizione ed esperienza ; e, a giudicare dal presente luogo, e si parrebbe, che allora

soltanto ne deviasse , quando, strascinato dalla sua maldicenza , egli volea dar la taccia di bugiardo a qualche autorevole scrit tore. (56) I l luogo. Cio il sito della citt, o l edifizio in cui serbavasi 1 accordo. Il Reiske spiega 1 (fu scrit to) che qui leggesi, l**t7 r&cci tayiypaptft'n** (giaceva scritto).. E d infatti, essendo costume degli antichi d incidere cotali con venzioni in marino od in bronzo, e d esporle ne luoghi pi frequentati , ovveramente di custodirli ne templi od in altri pub blici edifizj, non interessava punto il conoscere dove il monu mento , del quale parla qui il N ostro, fosse stato formato, sibbene dovesso giacesse. La quale particolarit io mi sono inge gnato d esprimere nel volgarizzamento. (5y) Tenacemente ecc. Osservisi la forza dell iwiipu (da w<Q vftai, esser fortemente attaccato ad alcuna cosa e quasi sovr essa cresciuto) , che io ho procurato di rendere nel nostro idioma pi fedelmente che per me si potuto. L ambabus ulnis amplexurum de traduttori latini non giugne di gran lunga al1 evidenza del testo. (6 8 ) A bel compimento. Hprt(tipy*<rfti>tr scrisse Polibio, che latinamente fu male renduto per tiam studiose adjunxit. 11 Reiske pi esattamente spiega questo vocabolo: A ddito h o c , tanquam amplificatione et exornaiione; ma aelVi%tpyigtr&in vha ancor pi da amplificare ed ornare , non se ne potendo sepa rare l idea d elaborazione , perfezionamento deir opera. (5g) Efori. Siccome in Atene eleggevansi ciaschedun anno nove arconti, il primo de quali chiamavasi eponimo, perciocch dava il nome all anno del suo governo , cosi cinque efori creavansi annualmente in Lacedemone, ed i rispettivi anni distinguevansi col nome del primo. V. Tucid., Senof., Plut., Pausan., Suida. (6 o) Le sacerdotesse in Argo. Erano queste le sacerdotesse di G iunone, protettrice di quelle contrade. Tucidide (il, p. 9 9 ), stabilendo il principio della guerra peloponnesiaca, riferisce le medesime Ire ere che qui si rammentano, e dice che Criside

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era allora in Argo nell anno quarantottesimo del suo sacerdo zio ; donde apprendesi che la carica di prima sacerdotessa in Argo era a vita. Ma oltre alle mentovate tre ere particolari ve n avea in Grecia una generale, colla quale ne calcoli cronolo gici tutte le altre confrontavansi, cio le Olimpiadi. (6 .) Colonne de7 trattati. Il testo ha semplicemente' n iX ttt (colonne , cippi), che poco adeguatamente voltarono il Valesio e 10 Schweigh., foederum tabulas (tavole de patti) ; dappoich m nA tti sono secondo Esichio e lo scoliaste dOmero (ad Iliad. M, v. ?5 g ) le pietre fondamentali che sostengono un edifizio, e Stanno r itte , da ir r ititi , sta r e , non altrimenti che ritte stanno le colonne , dette columnae latinamente, giusta Vitruvio (1. v , c. a ) , e Festo, perciocch sostengono il columen (la cima) della fabbrica. Io ho stimato pertanto che in italiano ancora coteste pietre su cui eran incisi i trattati chiamarsi dovessero colo n n e, p er esprimre la loro posizione verticale, n mi so persuadere che la forma cilindrica sia ad esse essenziale, siccome vuole la Crusca. In fatti Leon Batt. Alberti definisce la colonna , senza alcun rispetto alla sua forma cilindrica o quadrata : Una certa ferm a e perpetua parte di muro ritto a piombo dal piano del terreno all a lto , atto a reggere le coperture. (6 a) N ederetani luoghi. Non gi in adjrtis (ne siti pi se g reti, negl intimi recessi, conforme piacque agl interpetri latini di voltare il vocabolo im rB -iitftH s, coavertendolo in .a ltro greco, composto dell privativo e di </v, entrare, e che quiadi significa luogo nel quale vietato V ingresso , siccom era la stanza del sacerdote o della sacerdotessa che rendeva gli oracoli. 11 vero senso dnirS-iJopcts ce lo insegna Varrone (de ling. lat., v) con queste parole : In aedibus sacris ante cellam , ubi sedes D ei s u n t , Graeci dicunt w f i j t f t t i ; quod post itrirSaSopitt. (Nelle sacre case innanzi alla cella , dov la sede del Dio , i Greci chiamano prodomo ; ci eh di dietro opistodomo). Lo stesso dice Polluce , segm. 6 . (63) Pubblici ospkii. Presso i Greci i particolari cos tra di

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loro come colle citt , e le citt stesse l una coll altra stabilito aveano un certo diritto d ospitalit, merc del quale salvi erau eziandio in tempo di guerra. Cotesti diritti erano nelle et eroi che della Grecia ben pi sacri che nei tempi posteriori, quando i progressi della civilt rendute avean meno necessarie le pre cauzioni contro la barbarie de vincitori. Diod. Sic. esalta 1 ospitalit de G alli, de Celtiberi, degl Indiani, ed a nostri giorni ancora dessa insigne fra le rapaci trib degli A rabi, erranti nel deserto. Tanto ha la natura, o a dir meglio il suo Facito r e , eziandio fra le pi rozze popolazioni provveduto alla con servazione di quel germe di sociali affetti che fecondar debbono la religione, le scienze e le instituzioni civili ! (64) Hanno falsam ente attribuito ecc. Intralciatissimo e gua sto senza dubbio questo periodo nel testo, e non poco affaticaronsi per emendarlo gl interpetri ed i commentatori. Io non ripeter quanto da loro fu suggerito, ma porr qui le parole di Polibio co supplimenti , chiusi fra parentesi, che credo neces sari! perch ne risulti il senso da me espresso , e che mi sem bra il pi ragionevole: Ti 7 -A<7t/<x *x\ 7<e X ttzr* tyiXxtS pairx l7f Atxpats (**7i 7 "EAatf) XfMpJ'tptit (itrxp* %! , aggiunta proposta dallo Schweigh.) 'A f im ita ti x x &tt<Pfxrrti KxltipiZrSxi 7jr (x x x 7it I u Xx i ) z r ix im . Il Reiske interpetr questo passo nello stesso senso, ma non rav vis difetto alcuno nel testo. L Heyne non comprese al certo la mente di Polibio volendo che si legga iftQ tltp c v t, e riferendo questa parola ad Aristotile e Teofrasto. (65) M a io non ignoro. Si scusa qui in certo modo il Nostro delle digressioni ond piena la sua sto ria, ma ch egli seppe render meno inopportune raccogliendo , per quanto il permette 1 argomento, in un luogo solo tutto ci che vi relativo. Seb bene la correzione degli errori e la riprensione della mala fede degli storici che lhan preceduto non possono considerarsi qual materia affatto aliena dal suo assunto, come quella che non poco contribuisce a far risplendere la verit, massimo pregio della storia.

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(6 6 ) Democare. Scrisse questi, secondochfe riferisce Ateneo (vi, p. a5a e segg.) e Cicerone (Brut., c. 83) la storia de suoi tempi, ma in istile oratorio anzich istorico. V. Voss., de histor. graec., lib. i , c. 1 1 . (6 7 ) Soffiare il fu o c o sacro. Proverbio col quale, secondo Suida , indicatasi un uomo impudico ed impuro. (6 8 ) Di Bolrio e Filenide. Botrio fu siciliano da Messina, e scrisse il primo V* x a X tifttt* mmtyna. (i cos detti carmi scher zevoli) , conforme attesta Alcimo nel trattato delle Cose siciliane presso Ateneo (v ii, p. 3aa). - Filenide scrisse wtp iQ p tS iriiii (delle maniere libidinose) ; la quale opera pertanto, al dire d Escrione, scritta fu da Policrate sofista ateniese e pub blicata sotto il nome di Filenide, onestissima matrona che co stui volle svergognare , siccome riferisce Ateneo (vm , p. 335) . Vale sio. (6 9 ) Senza nome. Cio senza fama, vile ed a pochi noto ; non gii precisamente ignoto di nom e, dappoich Archedico, scrittore di commedie , l ' appella poscia il Nostro. Io non ho per tanto creduto di offendere la propriet dell idioma italiano, re cando fedelmente nel medesimo l itm tv p ttt del testo. ( 7 0 ) M a di altri onori ancora. Risguarda ci lo sperimento di costumi, cui assoggettarsi doveano in Atene i magistrati scelti a sorte , innanzi che fosse loro permesso d en trare in carica ; del quale sperimento fa menzione Socrate presso Senofonte (Memorab. i i , 2 ) e Demoslene in diversi luoghi che raccolse il Reiske nell Indice alla parola S m ip tig u t. Schweighauser. (7 1 ) Tris te n e . a7 nel testo, cui non conviene al certo il senso di disgrazia , sciagura ; comech trovisi sciagu rato- per scellerato. Nel prossimo cap. i4 leggesi nello stesso significato, e csi nel lib. v , 6 7 7 pit ip l) y ty ttc e 74, che amerei d aver tradotto : L a mala azione , scellera tezza e la manifesta ingiuria test fa tta a Tolemeo , e non il danno . . . test sofferto. Voltando quel lu o g o 'in tal guisa,

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espressione di Polibio non mi sarebbe parata tanto dura ed Impropria , siccome scrissi nella nota i83 del mentovato libro. ( jl) Archedico. Democlide (AnfteuXe/Sitt) chiama costui Suida , dove cita le parole di Timeo addotte da Polibio nel prin cipio del presente capitolo. (7 3 ) Antipatro. Essendosi gli Ateniesi , dopo la morte dAles sandro Magno , ribellati da Macedoni, ed avendo dapprincipio ottenuto contra di loro qualche vantaggio, furono alla fine sog giogati da A ntipatro, generale dAlessandro, il quale tratt uma namente i v in ti, ma ridusse il loro governo a forma pi stretta. V. Diod. S ic., xvm , p. 65^. ( 7 4 ) Demetrio F alereo , cio dal Fater ; uno de' porti d Atene. Fu questi celebre oratore e scrittore, discepolo di Teofrasto , e tenne per dieci anni il principato d Atene a tempi di Cassandra, figlio d Antipatro, il quale, siccome altrove abbiamo accennato, stermin la famiglia d Alessandro , e sal sul trono della Macedonia. Meritossi Demetrio , mentrech resse lo stato, la benevolenza de suoi concittadini a tale, che questi gli eressero trecento statue. Ma morto essendo Cassandra, e temendo egli di Antigono , generale d Alessandro cui era toccato il regno della Siria e della maggior parte dell Asia, e che liberate avea le citt della G recia, fuggi e recossi presso Tolemeo di L ago, re d Egitto. L ingrato popolo ateniese rovesci dopo la sua parten za e distrusse i monumenti di gloria eh egli stesso gli avea riz zati. V. Diod. S ic., x ix , p. 7 1 4 ; Diog. Laerz. ; Demetrio nel principio ; Iustin. xv , 4* (7 5 ) Imperciocch vantatasi ecc. Riferisce Diogene Laerzio (1. c.) eh egli accrebbe le entrate d Atene e l arricch d edifizii. (7 6 ) P er fo r z a di certi ingegni. i u l i / t a l t t , mac china a chiocciola s movente in tutti i libri ; ma Suida scrive anicfilttc , da s , spontaneamente , citando due volte questo passo, ed a lui mi sono attenuto nel volgarizzamento , perch egl> pi vicino essendo a Polibio, dovea aver tratta questa
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lezione da codici pi sani che non sono quelli eh' ebbero sotto gli occhi i copiatori moderni. Siccome pertanto il moto spon taneo suolsi attribuire ad un ente di volont dotato , cos ho amato meglio d esprimere cotal apparente spontaneit coll indi carne la causa meccanica. (77) Saliva. Cio , secondoch spiega il Reiske , dell acqua spumante che gettava cotesta macchina per via d un tubo, nel quale salir la faceano gli stessi ordigni interni che innanzi la spngeano. (78) A sin i. Era scritto ne codici a t& puvi (uomini) , dopo il qual vocabolo il Valfesio suppose smarrito .it il i! (cantanti), ed il Reiske credette che S ttw ip tw ttl (mandati furono) avesse ad esser convertito in cf<wi77 , quasi che uomini volati fossero col mezzo di qualche ingegno per il teatro. Ma nessuna di que ste cose sarebbe stata turpe al pari della macchina sputante sa liva ; quindi con ragione sospett il Toupio , seguito dallo Schweigh., che chi il primo scrisse HtB-puzrti trov nel suo esemplare ><, corrotto da < (asini), ed emend imperitamente siffatto errore. (79) Im perciocch ecc. T em o, dice il Reiske, che Polibio talvolta non abbia con sufficiente esattezza osservati i -precetti che leggiamo in questo frammento ; siccome allorquando egl in veisce contra Eraclide nel lib. x m , c. 4 * (80) D i tu tto sar sospetto ecc. Leggendosi questo . passo.m tutti i codici cos : n 9 h w tw (w lu t i t t i , x<c< v a r i m n i t irctpct le u i ' t t t r t f parve al Reiske che Ltra it i w lt tt , avesse ad esser cangialo in rs7iv ii> , <T<a/ar7i<r in <fitv i m w , e weep in m p , donde risulterebbe il senso che se gue , espresso anche dallo Schweigh. : (Necesse est) in cunctis su >
spectos habere; e t diffidendum om nibus quae ultra m odum dicuntu r (R eiske); q u i in dicendo m odum tenere nesciunt (Schweigh.)

(Egli necessario d aver sospetti (chi ?) in ogni cosa ; ed bassi a diffidare di tutto ci che vien detto con eccesso , o , secondo lo Schweigh., di tutti coloro che nel parlare non sanno ma-

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derarsi). Ma tacile a conoscer quanto siffatta traduzione ha dt tronco e d incoerente ; locch essa non avrebbe , se i mento vati commentatori non avessero avuta la vaghezza di correggere ci che non avea mestieri di correzione. To-o w/W7t< non poteva qui stare in nessuno de suoi significati, e dal Casaub., che in tatto lasci tutto il luogo, fu male renduto per effu tire (gittar fu o ri, scagliare); quindi venn esso felicemente mutato in z f l t v t u . Ma v i t f f u n i r t v n t omnia suspecta habere, non gi in cunctis suspectos habere, eh storpiatura anzich n. Aev l x r n i - - X iy t ft 'u tK poi non da rigettarsi in senso di labi verbis (lasciarsi cadere, sfuggir delle parole), n n c tf* in quello di p ra eler (oltre) ; frequentissimi essendone gli esempli presso gli autori. Per le quali cose io ho ricevuta la prima sola delle aozidette modificazioni, acconciandomi nel resto alla versione del Casaubono. (81) C ontraddetto. Mi piace la supposizione del Gronovio che 7u*-7 (contrastare) e non U h 77 (negar fede) abbia scritto P olibio; in primo luogo perch & 7t7r costruir suolsi coll ac cusativo, mentre qui legato col dativo 7t 7f X t y t f t t t t t f : osser vazione fatta eziandio dal Reiske, e cui lo Schweigh. troppo debole ripiego oppone sottintendendo 7 v l r r u (la fede) ; se condariamente perch il Nostro non si contentato di non ade rire alle asserzioni di Timeo, ma lo ha ampiamente e di proposito confutato. 1 (82) jtgatocle. La vita e le geste di questo re di Siracusa leggonsi esattamente descritte nella biblioteca di Diodoro Siculo, il quale non meno che Polibio riprende il matto odio di Timeo contra il medesimo. Di lui fa menzione il Nostro in parecchi altri luoghi della sua storia , nel lib. 1, 7 , 82 ; v m , 12; x , 23 ; xv , 35. (83) Putta. Uccello del genere de co rv i, della classe di quelli che ammaestrare si lasciano a profferir alcune parole, e che di cesi ancora gazzera. G raculus il suo nome latino, e t il greco. Se crediam ad Aldrovaodo (Hist. anim., t. u , p. 761)

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fu Agatocle da Timeo cos chiamato pella sua grande rapacit, e perch egli era loquace (conforme sono cotali uccelli) anzich eloquente. Ma siccomb in tutto questo passo il test mentovato storico parla della sua lascivia, cos probabile che con questa denominazione ancora egli abbia voluto alludere alla medesima bruttura , forse dietro qualche credenza antica della libidine di siffatto auiinale. In italiano p u tta per avventura ammette amendue i sensi. (8 4 ) B ozzagro. T , cio fornito di tre testicoli, quanti secondo Aristotile (Hist. anim., i x , 36) Plinio (H. N ., x , 8) ed Aldrovandi (H. A ., t u , p. 366) ne ha 1 uccello di rapina chiamato da Romani buteo, appartenente al genere degli spar vieri, a n z i, al dire dello Stagirita, la principale tra le specie in quello comprese. Checch sia della verit di cotest asserzione (sebbene il Naturalista di Bologna succitato assicura dessersene convinto co propri! occhi), fatto sta che v ha fra gli uomini ancora detriorchidi, siccome attestano il Buffon (Hist. de lhomme , H. N., t. xvm, p. 336 e segg.) e Virey (Dict dhist. n a t, t. xxii , art. testicule) ; e cotesti uomini sono , giusta gli anzidetti au to ri, pi vigorosi e pi caldi in amore , non altrimenti c h e , per relazione degli antichi, 1 accipiter buteo. Un altra qua lit di questo uccello, riferita da m oderni, 1 estrema sua pol troneria , la quale perUnlo non credo che Timeo , parlando di Agatocle , abbia accennato con questo nom e, pella ragione che addussi nella nota antecedente. (85) A posta d i chiunque il volea. Non piacque al Reiske la lezione w itlzr * I S t /SxX cfittu che hanno tutti i libri , e pro pose di mutarla in triTi 7 fi u X e f t t t f . Ora quantunque y fy n r & a t, ove riferiscasi ad un obbietto che venga in acquisto , debba costruirsi col dativo e non col genitivo della persona che acquista, onde dicesi y i y n r * t 7< 7<i, e non 7ic ; tuttavia quando cotesto obbietto, siccome q u i, pur una persona (Aga tocle) , il senso di siffatto verbo non diverso da quello di t t x i (essere , appartenere), che regge benissimo il genitivo , e y i y t i t l * in questo luogo quanto >7.

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(86) N on f e c i io a te ? Nel greco omesso il verbo , e , stando alla traduzione latina : Q uid non ego tibi ? Q uid non tu m ih i ? dovrebbesi arguire eh esso fosse 1 esse , solito in questa lingua a tralasciarsi nelle brevi sentenze , p. e. H omo hom ini lupus , ove si sottintende est. Ma 1 accusativo del secondo pro nome i v i r i, r i fa chiaramente conoscere che ir * a lt (fare) il verbo mancante , come quello che frequentemente trovasi costruito presso i migliori autori col doppio accusativo della cosa e della persona. Cos leggesi in Senofonte, Cyrop. n i , a , i 5 : IIoAA* acacie n ftx s v e i c o l i t i , e V , 3 , 9 : Q f\ v t h e v t i t i m i t . . . vXrrcc y x & x . N avrebbe qui il f u espressa 1' oscenit contemplata dallo storico , quanto il fe c e . (87) Fuggito dalla ruota. A detta di Diodoro ( n x , pag. 670) avea Agatocle nella sua prima giovent per istrettezza delle cose domestiche esercitata 1 arte di pentolaio. V. il Nostro, x v , 35. (88) I n et d i circa diciotto anni. Con ragione disapprova lo Schweigh. nelle note appi del testo la lezione volgala v tp lti Xixi'cct c x l* x x /S tx .x tifi y t y tf tc , eh una storpiatura, e propone di scrivere 7v ijAuc/ai wip) . >. y. (89) D isposizioni. T tx r k t ha il testo, che non sono le magnae dotes degli spositori latini ; sibbene ci che fa inclinar 1 animo a qualche impresa o genere di vita , tolta la metafora dall in clinazione della bilancia ad un lato anzich all altro. (90) M a colui offuscato. L assurdissima scrittura de codici efi w x s (ma il fanciullo) ir x t h r f t t t i fu dallUrsino e dal Casaubono felicemente cangiata in v x f i r x c h r f c i t c f . Se non che il Valesio trov nel codice Peiresciano zrat ine ( tutto offuscato ) , la qual lezione, comech non dispiacesse allo Schweigh., e fosse innanzi alla scoperta del Valesio gi congetturata dallo Scaligero, parmi tuttavia che contenga una determinazione affatto oziosa. Ingegnosa finalmente, non meno che probabile, quella che propone il Reiske, secondo il quale x 7e una viziata ripetizione del susseguente tr, onde, cancellatala, rimane J" tt n r x c l ir /t tt c t da 'u ritx J tg trB -x t, che meglio di v x fx rx lig ir $ -m affassi al co

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prirsi di tenebre che volle qui esprimer Polibio , e eh egli ado per in questo stesso libro al principio del cap. v m , parlando pure di Timeo. (g ) Come chi cela ecc. Qui pure mi son attenuto allopinione del Reiske in ricevendo il supplimento eh egli fece alle parole che manifestamente mancano nel testo , dove leggesi : tfo 7i 7 iptSct iT it m m f ) lvs 72 y t y t i e l * . . . ypi< pilat < 7* 7 STtptctK. 11 Casaub. spacciossi premettendo di suo rbitrio la particella negativa io a Tu y ty tte lc t, e soppresse per tal modo tutta la lacuna. Lo Schweigh. frappose alle parole y i y t a l ' e y p i $ 6il* s le seguenti: K p iv le ile if, m p) l e u s , 7 e iv y . , d onde hassi questo senso: N o n essere (nelle storie)
m inor m enzogna cela r V accaduto , che sc riv e r ci che n o n avvenne. Ma trovandosi nell edizione Ervagiana 7ot> if,ivJ*ve

(della menzogna), e duro riuscendo quel 7 ij/i /es v i f i 7t i r % plnil n i u t . . . yf&<ptl{, adoperando 1 accusativo in luogo del genitivo, siccome mi sonerebbe in italiano ancora : L a m enzogna non m inore d i ch i cela ; e dall* altro canto molto pi naturalmente costruendosi siffatto caso col nominativo d un vocabolo esprimente qualit, per fig. i v i p ! I n i p i l i , la virili d alcuno , od affetto, qual qui itu 'S e s -, io amai meglio di leggere col Reiske: leu tpiuJevr iv% qTler tiiS is i m
trtp leu s 1 y i y e t l * %pu^/*lxs t t I x l s itrrepfxic.

(92) N o i pertanto ecc. Imbrogliatissimo questo passo , in torno al quale molto si affaticato il Valesio che 1 ha recato nel testo dal suo codice. Ma allo Schweigh. non piacque la tra duzione del Valesio, e due altre ne espose, lo produrr il testo colle mentovate versioni, affinch il leggitore possa portar giu dizio sulla scelta da me fatta. *Hf t t l f , dice Polibio, Te ft t 1 ta i fi li fo u i 7Ut ij tt % 5 l7itt iv le u % iptr lt tf" t i x x l s w pe& riur i v i S i ir w ttp u \tty x p ttt. T rad. d e l V alesio :
N o s vero id , quod nim ium videbatur, odii illius causa reiecim us ; q u o d autem ejus in sti luto conveniebat n o n pra eterm isimus. Trad. dello Schweigh. : N o s vero odio hom inis p lu ra

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cum ulare noluim us ; quae vero a d propositum p ertin eb a nt n o strum n o n praeterm isim us. E nelle note : S e d nos quidem p lu ribus haec p ersequi noluim us , quia id odiosum (invidiosum ) est : a t q uae ad institutum n o stru m pertinebant ea non p ra eterm ittenda duxim us. A me sembra che le difficolt nelle quali inciam

parono i traduttori derivarono dallaver fatto dipendere le parole i v i tu dal verbo * Q i* * ftit che tosto segue ; quasich 1 odio col quale Timeo scagliossi nella sua sto ria contro certe persone spingesse Polibio ad omettere le esage razioni di lui in tale proposito. Ma allora molto pi acconcia sarebbe la congiunzione causale >(*, che abbraccia indistinta mente ci che fassi per fav.ore e per necessit, quando sempre relativo ad azione fatta per gratificare , la quale al certo d o q ebbe i n animo Polibio desercitare verso Timeo, omettendo le cose per odio da lui esagerate. 11 perch io ho creduto di dover riferire le mentovate parole al 7i iw iftilf v r ( lesagerato) che le precede, e cui si applica bene il venendosi ad esprim ere, che Timeo esager i difetti d alcuni iti grazia del1 odio che loro portava. (g3) P rim a. Cio a dire innanzich il servo fosse ripreso dal1 altro e condotto alla giustizia. - A n d a sse in cam pagna dov era lo schiavo , nella villa dell altro ; lo che abbastanza si conosce da ci che segue . Schw eigh. (g4) Zaleuco. Fu questi discepolo di Pitagora, e venne presso i suoi in tanta autorit , che fu eletto dal popolo a legislatore. Le principali leggi da lui dettale circa il culto degli Dei, le nimicizie , i doveri de maestrali contro il lusso degli uorrlini e delle donne trovansi raccolti in Diod. Sic. (xn, pag. 299). (g5) Cosmopoli. Sembra questo essere stalo il nome del magistrato supremo , da nessun altro scrittore, che 10 sappia , rammentato. Da Aristotile ( Polit., 11, 8 ) siamo informati, che i primi magistrati presso i Cretesi, eguali in potest agli efori dei Lacedemoni , furono chiamati cosmi ( t i r f i n ) . Schw eigh. (96) P resso cui ecc. Cio presso il primo padrone che pos

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sedeva il servo legittimamente; chfe ci indicano le parole te n ta contrasto. Non posso pertanto .negare, che sospetta mi riesce la voce tr a iti et (estremo), sendoch il giovine presso cui era r imaso lo sohiavo ultim am ente , non lo riteneva senza contrasto. (97) Se volesse. A malgrado di tutti i libri che hanno 1! I t i (se alcuno volesse), il Reiske lesse ti 7# fi x tl i (se qualche cosa volesse ) quel giovine. Imperciocch ( sono sue parole ) non provoca egli chicchessia , ma quel giovine soltanto che dubitava dellinterpretazione del cosmopoli. Lo Schweigh. al contrario crede che debbasi restituire la scrittura Volgata ; perciocch, a detta sua, poteva chiunque patrocinasse il giovine, o fosse di parere diverso dal cosmopoli, alzarsi e disputare. Ma non sarebbesi il giovine , se ad altri ancora fosse stato diretto l invito , lagnato nella risposta della ineguaglianza del patto , il quale non riguardava a lui esclusivamente. Quindi io ho ritenuta la correzione del Reiske. (98) Secondo la legge d i Zaleuco. Nelle leggi di Zaleuco, conforme insegnano Demostene e Stobeo , era prescritto che chi volea che una legge vecchia fosse abolita , od una nuova dettata, ne facesse la proposizione al popolo col capestro al collo; col quale capestro , ove il popolo co suoi suffragii disapprovata avesse cotal innovazione, incontanente doveasi strangolare colui che l avea proposta. La stessa cosa pi diffusamente espone Diod. Sic., lib. z i , ma la riferisce a Caronda che dett leggi a quelli di Turio. Cotesto, costume ci dice Polibio che avesse una maggior estensione* e comprendesse eziandio tale che chiamasse
in controversia l intendim ento e la sen ten ta d i qualche legge che sembrava d i p e r s abbastanza chiara , e s ingegnasse d interpretarla p e r altro verso. Costui pertanto era costretto a

disputar intorno a quella legge col laccio al collo innanzi al se nato de mille . Schw eigh. (99) E col laccio ecc. Il testo ha fi f i o t t i coi lacci pendenti ; ardita elissi , nella quale soppresse sonp le pa role i * 7fiAv (dalla gola). E sembra pertabto, che nellusare
POLIBIO , to n i. F.

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il plurale, anzich il laccio tulio, abbia il Nostro voluto indicar i due capi della fuue ond era formato il laccio, e che spenzolar doveano dalla gola. (100) A ffinch ecc. Polibio , severissimo gastigator* della par zialit e prosunzione degli autori che innanzi a lui trattarono la storia , riveduto il pelo a Timeo , si volge a Callistene , il quale , sebbene per essere stato compagno d Alessandro in ogni spedizione scriver potea una storia veritiera delle sue geste, tutto guast col suo stile ampolloso e retorico, ed a bello studio da lui usato per coprire la sua imperizia nelle cose di guerra , sic come scorgesi dalla censura che fa qui il Nostro duna battaglia da lui descritta. Intorno agli altri molti suoi scritti , ed alla morte eh egli procacciossi da Alessandro coll insolente sua con dotta da vedersi Vossio ( De h ist graec., lib. i , cap. g ). (101) Rammenteremo. Qui incominciava il presente estratto in tutti i manoscritti e le edizioni. Se non che avendo lo Schweigh. trovalo in Suida alla voce tc*l*% nvtrnvi< rdxi (derogare all au torit) le altre parole che precedono, egli con savio divisamente volle inserirlo nel suo testo , per non lasciare tronco il periodo. Forse noa piacque al compilatore di far rimanere sospeso il leggitore circa gli uomini autorevoli, che non vedesi chi fossero; ma ad ogni modo guadagna la dicitura per siffatta opportuna aggiunta. (io 1) Insiem e nobilissim a. Con ragione cass il Casaub. la voce f t / t t ripetuta in tutti i libri innanzi ad (nobilissima); checch sentano io contrario il Reiske 'e lo Schw. Al certo n latinamente direbbesi con eleganza : M entionem f a ~ cemus u n iu f dum taxat pugnae . . . quae e t uba nobilissim a f u i t ; n la propriet dell' idioma italiano sofferirebbe che scrvesse: L a quale f u insiem e oka nobilissim a; e molto meno b acconcerebbe cotal modo di dire alla favella greca. (io3) A m ano. Di videa questo m onte, le cui estremiti s o d o il Tauro ed il m a re, la Siria dalla Cilicia ; onde D ario, che veuiva dalle regioni interne dell'Asia, dovea passarlo per farsi in contro ad Alessandro che, dopo la battaglia del Granico (fiume

della Misia), attraversato avea senza impedimento tutta 1 Asia minore. Due strette pertanto menavano dall una all altra delle provincie mentovate. Le porte cos dette dell Amano erano pi vicine al T au ro , stando alla descrizione di Plinio (v , aa , 37), ma da Strabone (xn, pag. 537), a detta del quale questo pas saggio era il pi facil e comune, sono esse chiamate porte della Cilicia; laddove quelle che Tolemeo (v, i{) appella porte dellAmano sono da Plinio (L c.) e qui dal Mostro qualificate porte della Cilicia. Checch sia della vera denominazione di queste strette, da quanto riferisce Polibio dietro Callistene i chiaro che Dario , varcato avendo 1 Amano nel sito pi accessibile , non erasi incontrato con Alessandro , il quale passato era in Siria pelle altre strette pi difficili presso ad Isso, non lungi dal mare. S accorda con questa relazione quella di Q. Curzio (111, 19), il quale narra che la stessa notte in cui Dario pass pelle porte dell Amano, Alessandro super le strette per' cui vassi in Siria. Da Amano (De expedit. Alex., lib. 11, pag. 33 e seg. edit. Henr. Steph.) ; a dir vero, non si comprende che per diversi siti fos sero que re passati, 1 uno alla volta della Siria, laltro a quella della Cilicifi ; dappoich racconta 1 anzidetto storico, che Ales sandro avea non solo passate le porte, ma erasi eziandio innoltrato sino a Miriandro (posta da Tolemeo nella Seleucia, prefet tu ra della Siria), quando Dario pel monte ch presso alle porte amaniche cal nella Cilicia , e recatosi sopra Isso se ne impos sess , lasciandosi dietro 1 esercito nemico. Ora essendo Isso si tuata non lungi dallo sbocco delle strette, ragion vuole che, se condo Arriano, e l uno e 1 altro per di col sieno passati , vie tando la distanza in che erano d incontrarsi. (io 4) P inato . Piro e Piranio ( n i p a t , U vp*ft*p) hanno i co dici ; ma Curzio ed Arriano il denominano P inaro. Tuttavia trovasi presso i geografi antichi nella medesima provincia un fiume Piramo ancora, il quale, giusta la descrizione di Strabone (xiv, pag. 675 e seg.) che ne ha seguito il corso, nato in mezzo a campi della Cataonia (prefettura meridionale della Cappadocia) e divenuto tosto profondissimo e larghissimo, fassi strada pel

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monte Tauro , d onde per un angusta sqnarcialura con acque copiosissime si precipita nel piano della Cilicia. Col , rendutosi navigabile , travolve al mare una grande quantit d arena che sempre pi innanzi ne spinge la foce , non altrimenti che fa il Nilo in Egitto. 11 Pinaro al contrario , presso al quale accadde la battaglia d Isso, fiume di minor conto, di corso pi breve, meno largo e profondo (dappoich , al riferire d Arriano , erasi in mezzo all acqua combattuto), ed ha le sue sorgenti, non gi oltre al Tauro, ma ipoito al di qua desso su gioghi deUAmano. (105) Ha laceri i fia n c h i. Cio a dire , le sue sponde sono assai scavate, e fanno molti avvolgimenti. Con insigne storpiatura leggest qui ne codici ti tpnyftu, donde lUrsino fece (Ir f i y f i * ed il Casaub. t i i \ k fiy /ta c t, senz apportare al testo grande chiarezza. Meglio sappose lo Schweigh. scrivend^ semplicemente K fty/tctl* ; vocabolo usato da Polibio nel cap. 20 di questo li bro , parlando di torrenti che sboccano dalla montagna. Se non che 10 non veggo qui la lacuna supposta dal medesimo, e chegli crede di poter supplire colle parole: nAA z r t it v il s | i f i <p/ltp#i Q u i w X i if ti t ) , f a molte (squarciature) da amendue i fianchi ; potendosi acconciamente ad t x f i y fitti* ed insieme a riferire lt^ o ia , eh nella fine del periodo ; sebbene siffatto ripiego poco piaccia all anzidetto commentatore. (106) Colli scoscesi. Altra esagerazione di Callistene. 11 Nostro ( s i i , 22) chiama coleste sponde itp fu t, ciglione , ed Arriano le qualifica v t AAb^J ripe in m olti siti scoscese. * (107) A v e r egli schierata. Nello stesso modo narra Curzio che fosse schierata 1 ala destra di Dario. Secondo Arriano era la falange de mercenarii persiani fiancheggiata ne due lati da sessanta mila Cardiaci armati alla leggera, e la cavalleria fu po scia trasportata alla sponda del mare. (108) Trentam ila cavalieri. A detta d Arriano mandati avea Dario di l del fiume trentamila cavalli e ventimila fanti leggeri, per trattenere la gente d Alessandro, mentre ch egli, schierava il suo esercito ; ma , schierato che 1 ebbe, richiainolli.

(log) Degli squadroni. T S t i \ S t nel testo , dove io trovo necessario d osservare , che 1 7xn presso i Greci non avea ua numero determinato di cavalieri , siccome T avea 1 io X x ftc s , conforme hassi da Eliano (Tact., cap. a i), il quale dice che cia scheduno ad arbitrio far potea cotesti squadroni maggiori o mi nori. Cosi nel lib. x , 3q, chiama il Nostro due squadroni (Yxxe (fi) lo stesso numero di cavalieri che Livio (xxvn , 26), fa ascendere a dugentoventi, e j3a n X n i 't\ 1 fe da lui denominato tutto il corpo di cavalleria eh era col re Filippo ( ala regia ). Quindi non fe da confondersi la turm a de Rom ani, che dap principio avea trenta e poscia trentadue cavalli (V. lib. x , 21 , nota 109) coll Xn de G reci, la quale, se l uso della lingua noi vietasse , potrebbe rendersi in italiano per ciurma, m ano , deri vando questo vocabolo dal verbo ti X ti t, congregare, am m assare. ( n o ) Eguale alle fr o n ti. ragionevole il sospetto dello Schw., che in luogo del volgato (esservi insieme) abbiasi a leggere ? (esservi eguale). Infatti perch la fronte dello squadrone potesse voltarsi in fianco , egli era necessario che la linea orizzontale da lei occupata egual fosse alla perpen dicolare eh essa era per occupare. ( i n ) A ffinch possano. Circa le evoluzioni della cavalleria negli eserciti greci vedi il N ostro, x, 21, e le nostre annotazioni a quel capitolo. (112) U na triplice fa la n g e . Non capendo nello spazio di quat tordici stadi! che , secondo Callistene , erano dal mare a monti pi di 11200 cavalli, avrebbe dovuto spezzarsi in tre parti la falange di trenta mila- cavalieri, e queste parti porsi l una dietro l altra ; la quale operazione io ho espressa qui ed altrove (11, 69) col verbo addossare. . ( i t 3) Q ual profondit, ec. Nell ipotesi che da monti al mare fossero quattordici stadii , la profondit de cavalli, ove questi empiuto avessero tutto il mentovato spazio, sarebbe stata di ventiquattro uomini, dovendosi in tal caso dividere la falange in tre p a rti, e l una allaltra addossarsi. Concedendo poi a merce-

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narii la met di cotesto spazio, era d uopo raddoppiare la pro fondit della falange , e recarla a quarantotto uomini. Ma non potendo, siccome afferma il N ostro, esser la medesima nell atto della battaglia maggiore d otto uom ini, egli necessario che lo spazio occupato allora dalla cavalleria e da mercenari] fosse sei Tolte maggiore , cio d ottantaquattro stadii, e la distanza degli alloggiamenti dal fiume proporzionata a questa differenza. ( i l 4) E ssendo gi f r a i mercenarii. Dario ritrovavasi, siccomfc detto poc an z i, nel mezzo della schiera. Quindi peli appuato i mercenarii doveaq essere a contatto co cavalli, dappoich cia scheduno di questi corpi, secondoch vedemmo nel principio del capitolo, sommavano trentamila uomini. Arriano pure (u, p. 56), riferisce che Dario occupava il centro di tutta la schiera. ( n 5) Fosse un fiu m e . Ci non pertanto Arriano dice che i primi eh erano intorno Alessandro ed Alessandro stesso lanciaronsi a corsa nel fiume per ispaventar i Persiaui coll impeto dell attacco , ed essere meno offesi da dardi venendo tosto alle mani. Ma Curzio non fa motto di questo stratagemma; quindi da predersi che a diversi fonti attignessero questo fatto gli storici anzidetti, e che Arriano seguisse Callistene, secondo il quale scorreva il Pinaro fra amendue gli eserciti. ( n 6 ) D i q u elli eh' erano assenti. Polibio qui si espresse in un modo strano anzich n o , scrivendo: Ew 7 wAia r r tiS t lti i v t v r l x t , letteralmente; F acendo a l p i l assenza , dove lastratto posto in luogo del concreto. Il Casaub. rimediar vo lendo a siffatta incongruenza pose dopo i m t l n t , quasich peli aggiunta di cotesto articolo il sostantivo della cosa (assenza) si cangiasse in quello delle persone ( degli assenti ) , ma ne fu con ragione ripreso dal Reiske, cui non dispiacque questo quan tunque bizzarro modo del Nostro. (117) E cinquem ila cavalli. Erasi gi accorto il Casaub. che nel testo mancava il numero de cavalli, ma , non bene calco- lan d , il fece ascendere a quattromila. Il Gronovio scrisse nelle note che avrebbon ad essere cinquemila , ed a lui attenendosi

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il Reiske e poscia lo Schweigh. aggiunsero le parole I v m l s Si (118) Im perocch ricevendo lo stadio ecc. Abbiamo di sopra al cap. xviii veduto , che ottocento uomini di cavalleria , co ri spettivi vani fra gli squacjroni in che eran essi divisi, occupavan uno stadio. Ora veggiamo che di fanti un doppio num ero, cio i6 o o , entravano pure in uno stadio , senza per che questi sud divisi fossero, siccome i cavalli , in corpi minori , fra i quali corressero de proporzionati interstizj. Q uindi, essendo nella ca valleria questi interstizj eguali agli spazj pieni , ne segue che i sei piedi assegnati a ciaschedun fante , quando era in marcia , doveansi assegnar pure ad ogni cavallo, quando era in battaglia, e sapendo noi da Eliano (Taci., cap. n ) e dal Nostro (xvni, 12) che in battagli^ ogni faDte occupava tre p ied i, ne viene che in circostanz eguali la cavalleria si distendeva per uno spazio due volte maggiore che non facea la fanteria. (119) Dove trovansi ec. Nella falange marciavano tutti i fanti uniti , senza esser divisi in ischiere , e senza giammai spezzarsi ; onde dovea supporsi .che la fronte, la quale, secondoch vedem mo nella fine del capo antecedente, occupava venti stadii, non avrebbe potuto proseguire se non se per un piano che , oltre alla mentovata larghezza, avesse avuto una ragionevole lunghez za , e fosse stato sgombro da qualsivoglia impedimento, conforme sono non solo le eminenze, ma eziandio le fosse , i ciglioni, gli alvei defiumi e perfino gli alberi, siccome osserva il Nostro nel lib. x v m , 14. O ra diffidi essendo di trovar un siffatto piano in qualunque paese ; come lo si avrebbe riscontrato nella Cilicia , la di cui parte piana era intersecata da grossi fium i, e 1 altra tutt aspra d altissimi monti ? (120) Quanto riferisce. Congettur il Reiske che smarrita si fosse dal testo la voce (uno) innanzi ad ix a te t (sufficiente)., per modo che avrebbe detto Polibio , bastar vk a delle cose ri ferite da Callistene. E piacque allo Schweigh. siffatta congettura. Ma io credo che anche senza quest aggiunta il senso corra be-

riissimo , e per s intenda generalmente quanto basta , non gi la cosa determinata che giudicasi bastevole. ( n i ) Che havvi di pili m al pronto. Loda il Casaubono il proverbio a cui sembra aver qui mirato Polibio : H i a i n et 7e l l d f i * A i t r i i i i i l o i f t * Siax.li. Stolto che lascia ci eh p ronto , e dietro A ci che non pronto corre . Schweigh. ( m ) Spezzata. i n p * ftftt* v s leggesi in tutti i libri, ma lUrsino amerebbe che si leggesse S u r r a /u in f (da S ii m i ft ) , quasi rotta da intervalli, loccb non sarebbe che una ripetizione inu tile del cTjaAsAvfcf>9; (sciolta) che precede. Ma forse scrisse Po libio , siccome nel periodo seguente $u<rzT*vftims, eh fe espres sione pi adattata a significare il disordine <della falange cagionato dagli ostacoli del terreno, che non il ifurTfXftft'tins da cT > < ecT fizrl* , che propriamente significa distorta. ( ia 3) A quanto si p ra tica nelle marce. In queste spezzavasi la linea troppo estesa in parecchie, che collocavansi luna dietro 1 altra ; la quale operazione chiamavasi periclasi , rompimento. A ci accenna il Nostro suggerendo tosto appresso di divider in siffatti incontri la falange. ( ia 4) Che se im possibil non era. L ti tea) che leggesi nel testo fu altre volte usato da Polibio per indicare : Se p u r a ltri, f r a qua nti mai. Nel lib. in , 9 5 , scritto i v y t f a t y*p fi < I u t e t 7i pai . . M am *X.iS7*i ( i Marsigliesi fra tutte le nazioni pi generosamente ecc. ) , e nel vi , a5 , nella nostra versione a3, ci <c*< 7i t t t tlspai . . . xa ) 'V a fta lo i (i Romani sono fra tutte le nazioni i pi atti ecc.). Siffatto senso pertanto non saccorda con quanto volle qui esprimer lautore; il perch io ho creduto che al < debba sostituirsi yhp , d onde risultommi un nuovo senso, della cui ragionevolezza giudicher il leggitore. L % k * che riscontrasi ne codici , e l | *<*< ( colla quale, 'cio falange divisa in due o quattro parti) proposto dallo Schweigh. non posson al certo approvarsi. (ia 5) D quaranta stadii. Occupando, siccome vedemmo nel

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cap. antecedente , cent uomini una linea d uno stadio , ed es sendo l altezza della schiera d otto uomini, corrispondevan allo stesso spazio nella mentovata profondit ottocento soldati; quindi, componendosi la falange di trentadue mila uom ini, a quaranta stadii ascender dovea tutto il terreno riempiuto dalla falange. Gi sinteode che qui era schierata la gente ad uopo di marciare e non di combattere. (126) S i toccassero cogli scudi. L espressione rvUrtrurat tanto evidente, che io ho creduto di doverne conservare il ca rattere nella traduzione. Distinguon , a dir vero , i tattici la u h cru rti (condensazione) dal m m tn tm ftc s (combaciamento degli scudi), fissando per quella lo spazio di tre piedi, e per questo d un piede e mezzo ; ma giustamente riflette Io Schweigh., che Polibio n q u i, n nel lib. z v m , 12 , riconosce questa distin zione, e ne trova la ragione nella larghezza dello scudo che presso i Romani era di due piedi e mezzo , conforme asserisce il Mostro nel lib. v i , a i ; n pare eh essa minor fosse presso i Macedoni. (127) U na picciola parte d i questo. Manca nell antecedente periodo il sostantivo a cui si riferisce il pronome qui espresso. Quindi certo che la lacuna subito dopo le parole : M inore d i quattordici , e non dopo le susseguenti : Presso a l m are , dove 1a pongono tutti gli editori di Polibio. Lo Schweigh. I ha sospettato, ed ha creduto che dopo il punto fossero andate per dute alcune parole , che facessero menzione della. cavalleria ( 7 t v n i i ) , la quale infatti nell esercito d Alessandro, che dalla Siria innoltravasi verso la Cilicia, dovea esser collocata nelle ale della falange , per modo che quella parte che guardava il mare occupava l ala sinistra , e l altra la destra. A questa opinione mi sono attenuto nel volgarizzamento, premettendo eziandio alle parole : la met la copula e , corrispondente al (f greco , che per compier il senso vi debb essere aggiunto. (128) E la m et n e lt ala destra. : Qui era Alessandro stesso , e perci vi colloc egli la miglior parte della sua cavalleria, cio

i Tessali ed i Macedoni, mentrech nell ala sinistra erano i ca valli peloponnesi ( V. Arrian., 11, pag. 30 ; Curt., in , a3 ). Del resto quel pt'tpas f t t t h del testo farebbe supporre che una qual che parte soltanto e non la met di quest armatura fosse nellala sinistra , e forse era cos , dovendosi credere che il nerbo ed anche il numero maggiore della cavalleria dAlessandro costituita fosse da suoi. Allora 1 espressione f t l n a s sarebbe inesatta , e non significherebbe che l altra p arte, senza riguardo al numero de soldati che la componeva. (129) V erso d i questi 'voltata ecc. Cio verso quelli di Dario che occupavan il m onte, il quale sovrastava alla schiera destra d Alessandro. Questa circostanza essenziale che Polibio espose colle parole : zrp'at I t l i l u f , i traduttori latini omisero del tutto, ed in luogo dessa aggiunsero delle particolarit che non trovansi nel testo , cio tutte le parole : Parte della schiera d A le ssa n dro. Il Casaub. volt : Partem aciei A le x a n d r i in fo r c ip is f o r m am fu is s e reflexam ( essere parte della schiera d Alessandro stata voltata. indietro in forma di forbice ). Lo Schweigh. , ac colte avendo nella sua versione le parole del Casaub. ; propone nelle nqte la seguente modificazione : p. a. A l. retrorsum a d latus fu i s s e inflexam ( p. d. sch. d AL essere stata voltata in fianco deretanam ente), riflettendo che l tir tx ip tir ia r del testo non significa sempre in fo r m a d i fo r b ic e , risultante da due triangoli che toccansi colla punta , ma che sovente questo -voca bolo denota presso i tattici una schiera piegata ad angolo quasi sempre retto , o innanzi, o indietro, siccome qui erasi praticato. A me non sembrato di recar alcuna oscurit al volgarizza mento , omettendo 1 aggiunta fatta dagli anzidetti traduttori. Arriano dice che Alessandro schier questa truppa in forma inflessa (1e tw tx a ftw it) verso il monte che avean a tergo, per modo che dalla parte eh era per lui la destra schierata fu la falange divisa in due corna ; 1 uno verso Dario e tutti Persiani eh erano di l del fiume, laltra verso coloro cherano S c h ie r a ti dietro di loro sul monte.

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(i3o) / diecim ila fa n ti. Quelli che disse essersi trovati nel!' esercito d Alessandro oltre i trcntadue mila . Schw eigh. A detta d Arriano eran essi cavalieri e saettatori. ( t 3 i) Pi d i quanti ee. Ventimila uomini sommavan , a dir vero, secondo Arriano, quelli che Dario avea collocati sul monte a tergo dell ala destra d Alessandro ; ma eran essi milizia di poco conto, ed armati alla leggera, n vavea mestieri di grande sforzo per tenerli a freno. ( i3a) U n' altezza di quindici. Zzr\ 1p i a t a t i <*, d i trenta , in tutti i libri > numero del doppio esagerato , e che non pu essere sfuggito dalla penna dell esatto nostro storico , confrme suppone lo Schweigh. , per quanto gli calesse di far comparire Callistene assurdo e menzognero. Quindici per 2200 (ch tanti occupavan undici stadii, a dugento nomini serrati per istadio ) danno , a dir vero , trentatr e non trentadue mila ; ma il cal colo dee qui farsi a un dipresso , non essendo certamente stato preciso il numero di quelli che componevano la falange. (133) Toglie a s stesso la fe d e . Essendo la lezione Volgata t% n 7 w fr tit (ha, acquista fede), il Casaub., avvedutosi del l assurdit della proposizione, tolse da i J t t c l t r 1 a negativo; per modo che secondo lui avrebbe scritto Polibio : Ci eh possibile acquista tosto fe d e . I l Gronovio disapprova questa correzione, e lascia il testo intatto, ma non dice com egli lab bia inteso. Lo Schweigh. mette una lacuna dopo t v p i y f t u n t (ne fatti), e nelle note propone una spiegazione che renderebbe il senso alquanto duro e l espressione contorta, cio : V im pos sibile f a tosto f e d e d i s , si dim ostra tale. Nel vocabolario pertanto, alla parola suggeriscagli di cangiare Y t% tt in A $ tl e1 o iQ u tp n , la qual emendazione la pi ragionevole e fu da me adottata. Allora A v W h t non significherebbe sta tim , e x ipso .tempore (tosto, nel momento), sibbene p e r se ipsum , da s , e ia sentenza sonerebbe in latino: Im p o ssib ile fid em p e r
se ipsum sibi demit., (134) Pochissime ram menterem o. IT A f v 7 ia i t t t i x l y t t t ha il

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testo , tranne , se non che p o c h issim e , dove sottDtendcrsi dee ftiS-* od altro simile verbo. ( i35) M a come questi ecc, Alessandro potea di leggeri cono

scere D ario, il quale, a detta di Curzio (m , 26) stava sopra un carro elevato, curru sublim is em inebat ; non cosi poteva egli , che non occupava fra i suoi un posto distinto , essere ravvisato dal re nemico. (t56) I n qual parte d e l proprio esercito. Riferisce Arriano ( u , 36) , che Dario era nel mezzo della schiera , secondo il co stume antico de re di Persia , i quali, al dire di Senofonte (Cyrop., v ili, cap. 5), ci faceano, perch riputavan quel posto il pi forte, massimamente che circondavansi de soldati pi fidi. Laonde per questa cagione ancora non si comprende come Alessandro, cui tal costume non era certamente ignoto , non iscernesse Dario. (157) A vendo noi appreso ec. Io ho seguito il Reiske nella sintassi di questo periodo, riferendo I f i i X t y tv fit tt i, non sicome fece lo Schweigh. ad x l t w f x t , (assurdit) sibbene ad \ p i r l i f U t x x t If/fin t (esperienza e pratica d Alessandro), le quali erano conosciute e confessate da tutti i suoi contemporanei. (138) Conira E foro. Egli da supporsi che molto pi esteso fosse nel nostro autore l articolo risguardante E foro, e che quanto qui leggesi fosse da lui detto occasionalmente, mentrech la censura d Eforo precedeva a quella di Callisteue , conforme scorgesi dalle ultime parole dell antecedente capitolo. . ( i3g) Colali sentenze. Cio a dire ingiuste e dettate da spirito di calunnia. - E cotali opinioni intorno allonest ed alla scienza degli altri storici. ( i 4o) Che C allistene m eritam ente ecc. A tanto giunse l o r goglio e la sfacciataggine di costui, eh egli diceva esser le geste d Alessandro inferiori de suoi scritti ; n essersi lui recato ad Alessandro per trarne gloria, ma sibbene per render^ Alessandro glorioso ed illustre. Ed allorquando Anassarco adoperavasi per far' conferire ad Alessandro onori divini, Callistene vi si oppose fortemente, e venne per tal conto in odio al re ; onde essendo

egli poscia stato accusato daver incitati alcuni contro la vita di Alessandro, questi di buon grado accolse l accusa ed il fece p u nir colla morte. . ' ( i 4 1) M a Tim eo f a T im oleonte ecc. Cicerone pertanto non sentiva tanto bassamente di Timeo, al di cui ingegno egli attri buisce gran parte' della gloria di Timoleonte (Epist. ad fam., lib. v, cp. 13). N quanto a Polibio sembraron a Cornelio Nepote ed a Plutarco di poco conto le geste dello stesso eroe. A nzi, ove si riguardi a virtuosi molivi che le ingenerarono, piuttosto che allampiezza del teatro su cui apparvero, non dubiterassi di dare al capitano di Corinto il vanto sopra il re di Macedonia. ( 4a) Ricus (Tadorare. Le parole corrispondenti al senso qui espresso non sono nel testo , ma con oscura elissi vi sottintese Polibio quelle d egual significato che leggonsi nel periodo ante cedente ; cio : N o n volle divinizzare. ( 43) I n un bicchiere. 11 testo ha i ( v / c h e propria mente significa in un recipiente d aceto, locch espressero pure i traduttori latini, scrivendo in acetabulo. Ma Ateneo (xi, p. 494) c insegna, che colesto vocabolo eziandio il nome d un vaso da bere, i<rr < T 1 cupe* irtltip ftv, anzi d una specie di picciolo calice di terra cotta, tJ ts x Lx i k k ftixp a c *1p a p a ti-, al quale senso io credo che mirasse Polibio in questo luogo, per denotare la picciolezza non meno che la spregevolezza delle imprese di Timoleonte appetto a quelle d Alessandro. ( 44) Teofrasto. E ra stato Teofrasto ripreso da Timeo per aver detto che Zaleuco dett le leggi a Locresi. Ma Timeo ne gava aver giammai esistito cotesto Zaleuco, siccome scrive C i cerone nel secondo libro delle leggi ( cap. 6 ) , e nel sesto libro ad Attico (Epist. 1) . Valesio. ( i 45) Bonariam ente p ersu a d e rsi A tJ n X t/fm s v t z r iir ftito u t And-tvfit nel testo , dove il Reiske rifer 1 Q tX o lifm i, alI X n S tv iit, e lo Schweigh. al m w itr /t'tttv s , traducendo cos queste parole : A bsque am binone veritatem p ro fe rre persuasum habent (persuadousi chegli abbia profferita la verit senz ambi-

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zone). Io ho seguita l interpetrazioue del Reiske, c perch ine* glio'conviene alla sintassi greca, e perch il dire la verit se n z' am bizione (locch , perdonimi lo,Schweigh. , non lo stesso che sine ira et studio) , meno propria espressione che il cre der alcuna cosa senza badare pi in l, pellappuoto come fanno coloro che non recansi ad onta di negliger l investigazione dei particolari, a cui appoggiata 1 esposizione d un fatto, i quali per tal cagione possono molto adeguatamente appellarsi m ancanti
d ' am bizione. (i 46) Genio. Cos ho creduto doversi render italianamente 1 ai perir del testo , col quale vocabolo viensi qui ad indicare

quella tendenza eh nell animo d uno scrittore a rappresentare gli oggetti ed i fatti sotto un punto di vista corrispondente alle proprie massime. (147) P elle soverchie ripetizioni. Suppongo col Kustero a questo passo citato da Suida , che i t r t f i y u t abbia qui scritto Polibio, e non altrimenti i m p i l a , che non significa m oltissimo, soverchio, siccome quello, sibbene d i so p ra , antecedentem ente n parrai necessaria 1 emendazione Ix tp I S t iu lm t, sulle m e desime cose proposta dal Reiske. Lungi poi al certo dalla vera lezione la scrittura del Salmasio , veduta da Ruhnkenio, wtp iid - p a v tn , alla quale non saprei neppur attribuire un senso ragionevole. (148) Omero ecc. a Cos Orazio nel primo libro , 1 9 , 6 , delle epistole:)
L audibus arg u itu r vin i vinosus H om erus, D el vino am ante convincon Omero Le lodi a l vino date . Schweigh. (149) D el tiranno Dionigi. Avea costui, a delta di Suida ,

scritte tragedie e commedie , e composti alcuni libri di storie , dove secondo Timeo campeggiava 1 amore del lusso e della preziosit nelle suppellettili eh egli nella vita professava. (150) Tessuti. Ho voltato letteralmente il greco vf& rpta l* , senza badare al vela (cortine) del Valesio , n al vestes (vestiti)

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del Salmasio. Lo Schweigb. ebbe qualche sentore del vero senso di questo vocabolo , scrivendo nelle note (ch nel testo ricevette egli la versione del Valesio): P ortasse hoc loco latiori no tio n e om ne textilium genus , vestes , aulaea , tapetes , intelligem us. (Forse intenderemo in questo luogo ,' in significato pi esteso, ogni genere di cose tessute , v e stiti , co rtin e , tapeti). ( i 5 i) D onde necessariam ente ecc. Difficil passo questo, e ch'esercit l ingegno de commentatori. 'A tx y m i, sono le parole del testo, 7 IxoAot/Sa v t n i & x t xx'i S v r x p tn tir $ x i x7 In i v p t a / f t e t t , dove manifestamente manca il sostantivo a cui si riferisce il verbo SuntpurrrS-xi. Ora il Valesio Io pose dopo A iciX tvS t t , aggiagnendo le parole T*/u wtp) T i f tx i tu , per modo che ne risulta questo senso : Circa Tim eo , p e r ci che spetta a Tim eo ne segue necessariam ente ecc. Ma imbarazza tuttavia la particella congiuntiva x x ), conforme giustamente os serva lo Schweigh., la quale presuppone qualche altro difetto di Timeo espresso da Polibio, ed il test mentovato spositore vi Suppl scrivendo : E t levi et moroso ingenio illum fu isse. Ma perch non tradurre il **7< c l t tr p o x ip tn t, ch tanto caratte ristico , e denota la malignit di Timeo , il quale meno per in dole d ingegno che per rea volont ed a bello studio accus altrui ? Io non volli omettere siffatta particolarit. ( i5?) E d i fem m in esch i prodigii. Cio di prodigi! tali che fa cilmente credonsi dalle femminucce. Il tsto ha i n u S x t ( t t t ( a t i y t t t t v t x x ) I t p x lt /x s y v t x i x i i t v s , che i traduttori lattai ma lamente troncarono in degeneri (?) ac m uliebri superstitione. ( i53) A ci che han dinanzi. Il Valesio , leggendo nel suo codice sic Tot v x f i t l x , espressione difettiva che non d senso, sospett che Polibio scritto avesse x x /trtp z r x p h lx t, q u antunque p resenti (non sieno presenti). Il Vetsteno (a d Matth. i 3 , i 3 ) sugger di scrivere xx& xw tp l i t 7*r w x p itlx s , n o n a ltrim en ti che se p resen ti fossero n e l luogo. Lo Schweigh. propose di cangiare il I p i v t t l u x (in certo modo) che segue in 7w*t l u x , donde si caverebbe questo senso : Come se non fo s s e r o in un

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luogo presente. Io ho stimato che la lezione pi probabile fosse con piccinissima mutazione del testo : E h 7* va p ri frase eh Esichio definisce 7<t v p o x i i f t t t x , vale a dire : L e cose che abbiamo innanzi agli occhi , ch e ci stanno davanti. (154) U nanime voce coire. 11 periodo incomincia cos: TIip) leu Ix ip o v , circa il toro , senso manifestamente tronco , che il

Reiske giudiziosamente suppl , premettendo le parole : AtatfaB tt'm t, ovveramente v ix p * l eim it xa iilit tpipws v ip ) le u 7* 1pov, essendosi divulgata , od essendo invalsa la comun voce.

Quest' aggiunta, comech lo Schweigh. non la reputi necessaria, io ho accolta nel mio volgarizzamento, cangiando soltanto il participio nell indicativo , affine di render la costruzione meno intralciata. (155) Cotesto toro ecc. Il terzo anno dell olimpiade g3 ,.co r rispondente all anno di Roma 347 > ' Cartaginesi capitanati da lmilcare disertaron Agrigento, e condussero nella propria capi tale il famoso toro di Falaride, dov esso rimase, finch dugento sessant anni appresso Scipione Emiliano , distrutta Cartagine, lo restitu agli Agrigentini, i quali lo possedevan ancora quando Diodoro Siculo , che fior sotto Augusto , scrivea la sua storia (Diod., xiu , pag. 38o). Quindi dice lo stesso autore, che le vi cende di questa statua arguivano Timeo di falsit. Ora sebbene la mentovata restituzione accaduta fosse vivente Polibio , egli non ne fa qui menzione, scritto avendo questa parte della sua storia avanti l eccidio di Cartagine. (i 56) E m olte novelle ecc. Intricatissimo passo questo , che i commentatori non hanno abbastanza spacciatogli Valesio volle che con la terza persona (egli) fosse qui Polibio stesso citato dall'abbreviatore, ma tosto abbandonato per ritornare a Timeo, ed in quel tronco x*T* lUs T tp ixi'tv ( contro la - di Timeo ) suppose nascosto vp e tu p tn t* f (proponimento) ovvero iw t Q a n t t s (sen tenza ). 11 Reiske, movendo dallo stesso sospetto di due terze persone , sottintese tvyyp u Q n t (composizione, storia), e propose eziandio di scrivere *7 7a T ifittia v (contra Tiaieo). Lo Schw.

8i non dichiarandosi sul particolare dell? epitomatore, tfim che dopo A*}** abbia a porsi ua segno di lacuna^ Io porto lo stesso parere per ci che spetta a coleste mancanze nel testo, ma non posso credere che la prima parte delperiodo non sieuo parole del N ostro, ed il- *7 I to T tf u t/ tv io lo riferirei, non all an tecedente Ji<*7/3t 7ttt \ l y t v s , voltando cogl interpetri latini.: M ulta dicit adversus illam T im aei (m olto'egli (P o lib io ) dice eontro quella di T im e o ), sibbene a ci che segue : T< wa7 , T. A., per modo che verbalmente tale sarebbe la traduzione:
C antra q uella d i Tim eo , q u a l nom e o vocabolo avrebbe a p ro n u n zia rsi? Noi>. potendomi tuttavia persuadere dell integrit' della frase tetti 7jt, oppure 75 T ift* l v , io mi sono ingegnato

di racconciar il periodo in modo che . n* emerga u plausibile senso; ( i 58) Che avere ci detto ecc. Crede il Yalesio, che l igno ranza d i Timeo nel rtietter in-bocca a Timoleonte il qui citato passa consista nel non aver fotta distinzione dalla terra abitata e conosciuta (tt* * v ftitt ) , nella quale sola , secondo Straberne , Mela , Gemino e Polibio ( iti, $7); cade la mentovata divistone , a tutta la terra eh sotto la cappa del eieIo(> l K tr ftm ). Ma soverchia sottigliezza .sarebbe questa; e forse non fu intendimento di Polibio di riprender Timeo per questo particolare , ma pipresto avr egli trovata cosa ridicola e pedantesca il cacciar una lezione di geografia nell esortazione dun capitano. Un appoggio a questa nia supposizione trovasi be frammenti del presente li bro'pubblicati da mons. Mai f che saranno da ioi , insieme con quelli de libri antecedenti, rapportati alla fine di questo vo lume. imperciocch nel cap. 23-de medesimi , che annodasi col principio del cap. a6 nell edizione dello Schweigh. da noi se guita , rinfaccia il Nostro a Timeo i lunghi e d a ffitto p u erili ragionam enti eh egli tiene sopra 'cse g i onosciute , qual qtrf appunto quello sulla divisione dell orbe in tre parti. ( i5g) M argit. Sciocchissimo personaggio, deriso io un poema che attribuito viene ad Omero. p o lib io , lom. r . 6t

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(160) I n .primo luogo.. Coleste superfluit sono dello stesso calibro delle parole introdotte da Timeo nell esortazione di T i moleonte che leggemmo nel cap. antecedente e da frammenti del Mai scorgesi, eh esse da quello storico ampolloso ascrivonsi ad rm ocrste , il quale aiut i Lacedemoni nella battaglia d E gopotamo. Laonde s appose al vero lo Schweigh. dicendo , che le cose contenute in questo capitolo non sono altrimenti di Po libio, ma daltro autore da lui.citato, comech egli non potesse indovinare che questo autore fosse Timeo. N sfugg al perspi cace ingegno del, Reiske l inezia de discorsi che compongono questo frammento, ma dispiace il vedete eh gli al Nostro r a f fibbia , il quale secondo lui (vedi calunnia! ) usa Rovente modi ta li, che non disconverrebbonsi' ad un pedagogo. (161) F ra q u a n ti D ei ecc. lliad. lib. v , ver. 890 e seg ( 1 63 ) N o n ha tribiu lliad. lib. x , vers* 63 e s6g. , (r65) O paoe ecc. Da Stobeo , Serra, u iu n e l principio , ap prendiamo (he questi versi tolti sono dal Cresfonte (tragedia perduta) d Ifuripide . Schw eigh (164) D i tesori carca. B ttS iw h tu lij propriamente, p ro fo n d a d i ricchezze , 0 come si-direbbe con frase pi italiana , , ni# frappo discordante dalla severit Jtragica, ricca sfondata. J1 d atr ix opum (donatrice di ricchezze) detraduttori latini non espri me la mente del poeta. . (165) Che fiatiti concesso. Questo v erso , che potrebbe 'setrtbrar troppo lungo rispetto agli altri , n ;l gttep pure endeca sillaba. T uttavia, per non lasciarlo scompagnato*, i o data l stessa misura all ultimo verso.' (166) Dice Tim eo. Mere cianciafruscol, per avviso del Rostro, e trivialissime sentenze , d onde apparisce povert d ibgegno e superficialit sedlastica. (167) Secondo E raclito. Confronta il Nostro, iv, 4; aggiugni Sesto Etopirico, vii contro i matem., sez. 136, e col FakrtOo. V ha ancora quello d Oraz. ; Art. poet., v- 180: Segnitis irritant anim os dem issa p e r aurem ; ,

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ma allorquando egli prosegue : '. . * Quam quae su n t oculis subjecta fid e lih u s ,

sembrano cotesti occhi fedeli riferirsi piiral detto d Eradito che qui leggesi . Schw eigh. * (168) M eno a p p re tta ta . '/ HT* nel testo, che vale inferiore % p ik vile , e fu poco esattamente renduto in latino : in ferio r usu (dr minor utilit). - (169) D a ci che si conose , ecc. Non necessario , siccome pia<;que alla SchwJigh., n o n se u z * durezza del coocelto (ed gli stesso il confessa) , di sottintendere al 'U t il participio wAv(le cwerioercate), o n e r o wXpwf*ypnA<r9a i Sw*p 1**1 (cose che posSon essere subbietti di ricerche) , n i fa d uopo convertir il 75 in 7Ut, riferendolo ad /, secoudoch suggerisce il Reiske con approvazione dello Schweigh.; chi, poco bene suonano l frasi: l i * 1<it i f i r t f x , e efi*'-7?-**Jr, la, Strada y e r via dqllk- vista f e p e r via dlF'udito. Ben pi naturale e consentaneo all indole della lingua greca sembrami H significato neutro di questo articolo, per c u i, non* meno cjie nell idioma latto per haec ( plur: neutro- ) vietisi facilmnte ad intendere w f i y f i a l i } e cosi ho'O volgarizzato 'questo pasio. (170) I l quale , cio "1.udito. 'Molto giudiziosamente suppose fl Reiske che dopo 77j# v n tt fosse andata smarrita la parola I t p t f t u s (di due parti) ; u dee rigettarsi 1 * opinione del Casaub. che il h t t t , che segue le mentovata parole, sia da Con vertirsi io S iO S t (doppiamente) , -cancellando 4 segno di lacuna. Ma non mi Soddisfa plinto lo Schweigh., il quale vuol che >7*f si scriva in luogo di W i e suppone elitticainente omesso f* tf* o t, per modo che Polibio abbia inteso di d ire: E d essendo p a rte d i questa ( i t i t i t , dell udito). (171) P er via della lttoni. Presso i Greci il vocabolo <*** denota- non meno il senso dell udito , che 1 * auditio da Latini , che noi diremmo a u d ie n ta ; ma prendesi ancora per lettura di lib ri, quasich- chi legge uno scritto ascoltasse la persona stessa che 1 ha composto.

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(i D i stabilirsi in una citt ecc. Nella stessa sentenza scrisse.Plutarcp nella vita di Demostene, in sul principio: Chi si fa a comporre una storia . . . debbe innanzi ogni cosa pro cacciare una citt illustre, ed amante di buoni gtudj, e popolosa, per a v e re abbondane di varie sorte di libri, e per raccapezzare coll udito e colle, ricerche ci che sfuggi agli altri scrittori, ma acquist solenne fede dall essersi serbato nella memoria . * ( 1^3) Seggendo in p iu m a- In fama n o asiv ie n n sotto col' ire , cant il divino Alighieri (Inf. c. a 4-, *v. 47 e seg.) ed il leggitore mi perdoner, s e , avendo pelle (nani un autore chfe nonrifugge dalle sentenze de poeti io h * colle anzidette parole renduto il , che verbalmente suona: Giacendo in
letto.

( 174) M ia storia.,A . queste parole null corrisponde nel te sto , ma al Reiske .]Mrve giustamente ctye vi manchi 7j 'ifro p ttypaQt* (alla scrittura della storia); checch dioa in contrario lo Schweigh. * , (175) Gli. sc ritto ri Polibio scrisse u ltv t, qu elli; ma chiaro che cotesto pronom e riferir debbasi i w p u y p ta ltw p tttti (che compongono, o hanno composto) del period antecdente, con forme osserva lo Schweigh., ed il Reiske questa volta l ha sba gliata, sottintendendovi I t v t i i S - f i w t v s i,a y n tK tiItts 7 (gli uomini che leggono,le storie). . . (176) O Afusa ecc. Odiss. lib. 1 , nel principio. (77) Guerre speriment, Odiss., vm , v. i 83; llid.^xxiv, 8. (<78) ]Le fa c cen d e degli uomini. Famosa sentenza, eh stata d? molti citata , e che trovasi* nfel quipto libro della repubblica di Platone ( T .'it , p. 473 , ediz. d Enr. Stef.) espressa con que ste voci: Se 1filo s o fi non tig n era n n o n elle citt, o quelli che
diconsi ora re e potentati non filo s o fe ra n n o . con altezza eT a nirno e d i sufficienti cognizioni f m i t i , e quindi la virt po li tica e la filo so fia non s' immedesimino , e- le m olte indoli che adesso vanno le une dalle altre separate d i necessit n o n s includano , le citt non avranno posa d a mali.

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si applicheranno. Leggendosi ne codici v x p x tr x " 'I x i . . . xulct 7 f i t t i il Casaubono s avvide della mancanza dell accusativo che dovea esser retto dal verbo, e scrisse I x x. 7. f i . , di maniera che il senso sarebbe : A pplicheranno a que sto particolare le occupazioni della vita. Ma. colai frase , per

( !79)

quanto piaccia dllo Schw eigh., ha dello stentato , per non dire dellassurdo, *ed da preferirsi l congettura del Reiske, secondo il quale scrisse il Nostro : A tt tp tr v x r r tv f (ovVro izriptrzrxv r lx i 7T*f a n d i t i u t T tfts 7*#7 l i f i i f t t 7S i x x l x 7r film ,
se le altre fa c c e n d e d ella vita li la stera n n disoccupati (o concederan a d essi ozio ) p e r questa parte. A me pertanto

sembrato , che correrebbe meglio il senso, n farebbe mestieri d altra correzione , sottintendendo al verbo ix y le v f, s stessi. (180) Ospite. NeFrammenti Vaticani appartenenti a questo li b r , c. i8 , addotta la confessione dello stesso Timeo d essere vissuto c in q u a n f a n n i ospite in A te n e , inesprto d elle cose d i guerra. Erasi egli col stabilito, poich Agatocle, tiranno di Sira6usa , lebbe cacciato Jn esilio. V. Plut. D e e x ilio , p. 6o5 , T . n ed. W echel., e la nota io al lib. i del presnte nostro volgarizzamento. (181) V ita attiva. 'E ttp y ix f i v i c t r i S u x t la chrama Polibio con molta propriet, significar volendo con siffatta espressione i patimenti e le fatiche alle quali s assoggetta chi interviene alle azioni da' s descritte , visita in person i luoghi, ed ha parte nell amministrazione degli affari ; loochfe, se non m inganno , comprendesi nella frase italiana da me prescelta. (182) Che sostiene. ha il testo, ch quanto tale che trae a s , non solo in senso 'proprio e materiale , siccome lo spiega Esichio (iA u , x t x y i t , r ip ti) ma eziandio figuratamente; onde 1 Ernesti nel dizion. manuale fa equivalere queslp verbo ancora a vigdico m i h i , dig yu s sum p ra e caeteris, e cosi lr ab biamo noi qui considerato. 11 perch la bilancia dello Schweigh., nella quale da una parte hassi a porre Timeo -, e dall altra i meriti e la dignit della storia, paragone troppo sottile , del quale nou fa mestieri per comprendere questo passo. ,

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( i 83) Q uesto. Area qui il pasaub., arbitrariamente inserite'le parole 7* 7J r rd f/ttt (ci che appartiene alla storia) ; ma il Rsiske,. applaudito dallo Schweigh., vide la superfluit di cotale aggiunta, e ni pure-1 abbiam omessa. (i8.i) I l genere d i discorsi pom posi. Scrive Quintiliano (Inst. orat., lib. in, c. 4) che il genere di discorsi, nel quale conlieosi la lode ed il biasimo, da alcuni s denomina dalla pSrte migliore, lodativo (ly x u fttx r r iK s t), da altri dim ostrativo (iir tJ iix T ix c iy , sebbene qaest ultimo vocabolo , secondo lo V esso, non ha tanto forza di d im o s tm io n e che d ostentazione. Nel medesimo senso B prende qui il Nostro. (185) A d . E foro. Queti pertanto, conforme vedremo 'neFrammenti Vaticani (xn 3o ) , fu in ci calunniato da Timeo. (186) M ettendoli a paragone. Cio a dire, recando in mezzo delle dicerie fatte ad ostentazione, affinch paragonate colla storia stessa, si conosca qual genere richieda maggior ingegno ecc.

F IN B

DELL

A N N O TA ZIO N I

A L . LIB R O

M lO B B C IM O *

DELLE STORIE
DI POLIBIO DI MEGALOPOLI.

AVANZI DEL LIBRO* DECIMOTERZO

i. (.) U h Etoli, pella frequenza delle guerre , e pella Olimp. sfarzo nel vivere, andarono caricandosi di dfebiti, senza ch non slo gli a ltri, ma essi medesimi se ne accorgesser. Quindi seriamente intesi a riformare il loro go- Estr. v ern o , elessero (a) Dorimaco e Scopa a dettatori di leggi : psservando che costoro aveano lo spirito inquie to, e le sostanzi impegnate in (3) molte obbligazioni di pagamenti pelle spese domestiche. I quali ricevuta que sta facolt, dettarono leggi. II. S co p a, pretore degli Etoli, (4) essendo stat in felice nfclla spedizione, in ^grazia della quale egli avea osato di -dettar le leggi, era coir aspettazione rivolto in Alesjandra; credendo che cogli aiuti che .di col spe rava riempiuto avrebbe (5) il vacuo delle sue sostanze, e saziata P'immensa cupidit (6) del suo animo. Ma era egli insaziabile. (7) Imperciocch, venuto in Ales-

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4. d R.

55o

sandria, oltre (8) avvantaggi che traeva dalla milizia, di cui era arbitro, dappoich tutta a lui era affidata, il re ciaschedun giorno gli esborsava (g) dieci mine di sala* rio, ed a (io) quelli che' sotto di lui comandavano una mina, (i i) Delle quali coe non contentavasi, ma in defesso come prima'sempre qiaggiori agognava , -finch invidiato da coloro medesimi che gli davano, (ia) lasci la vita insieme colloro. ( i 3) Siccome negli idropici non sazia la sete pellamministrazione desterni liquri, chi nel corpo stesso non sana la morbosa disposizione } cos non pu sa ziarsi la sete di possedere, senza correggere colla ra gione il vizio jch nellanima. O re questa (i 4) pianta presso, alcuna alligni, no rifi nisce prima che avvolti abbia in grandi mali coloro che ne usarono. (Margine del Codice urbinate). III.. Tale ( i 5) mala pratica-(16) ord: la quale nes suno dir che a re in alcun modo convengasi $ sebbene alcuni vogliono dire che necessaria sia ne pubblici af fari, per cagione delle (17) male arti che oggid inval sero. Imperciocch (18) gli antichi .molto erano lungi da .siffatta massima, schivando essi tanto il malizioso macchinare contro gli amici, affine d accrescete in que sta guisa le Jora signorie, che neppur i nemici amavano di vincere colla frode, persuasi nessuna vittoria esser .n illustre, n stabile, se in battaglia aperta (19) non sab bassino gli animi degli avversarli. Qqjpdi pattuivano di

str.A n i.

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non usare l1 uno contro l altro (20) armi nascose, n A . i R ohe (20) tiransi da lontano, e stimavano che le sole pu- ^* gne davvicino e a piede fermo potessero legittimamente deciderle contese. Pella stessa cagione^ quando proponevansi di venir a un finale cim ento, annunziavansi le< battaglie, ed i luoghi t>v erano per. recarsi schierati. Ma. ora dicono esser da capitano vile loperar pubblicamen te alcuna cosa che alla, guerra appartiene. Un qualche vestigio pertanto dellantica maniera di guerreggiare ri mane ancora presso i dom ani. Imperciocch, e (22) an nunziano le guerre, e d i rado usan agguati, e pugnano davvicino e a piede fermo. Ci detto si* contra lEmula zione oggid oltre i dovere invalsa fra d u c i. di usati male pratiche nell amministrazione degli afm civili e militari. IV. (23) Filippo, come per ditte ad Eraclide (a 4) ma teria desercitarsi, gli ordin di porre ogn industria a (a 5) maltrattar e distruggere le-navi dei Rodii, (a6) ed a Cretesi sped oratori, che glirritassero e spingessero alla guerracontro i Rodii. Eraclide, eh era uomo nato fatto pel n lale, recandosi a guadagn il comandamento, e (27) voki avendo un tratto nellanimo .gli stessi pensieri, dopo qualche tem pori "part e giunse coll navi in Rodo. Coteato Eraclide pertanto' era dorigine tarebtifioj e di scendeva da uomini eh esercitavano vili mestieri ed arti manuali^ e molto valeva nelle opere che richieggono av ventataggine ed improbit. Dapprincipio prostitu il cor po nella prima giovent; awea poi grande. sagacit e m em ria, era.terribilissimo ed audacissimo vetso i pi umili, ed adulatore abbiettissimo depotenti. Costui dap-

tCdi IL prima fu cacciato dalla p a tria , venuto in sospetto di 5o a trattare per Taranto co Romani, sebbene non avea au torit civile, ma, essendo architetto, per certe riparazioni che facea nelle mora trovavasi arbitro- delle chiavi di quella porta, che menar (a8) nell interno del paese. Ri fuggitosi presso i Romani, e scritto avendo di l a T a ranto e ad Annibale, poich fu scoperto , preveggendo l avvenire, ricover da Filippo, presso il qaale acquistossi tanta fede potare, che divenne quasi la causa principale (29) della rovina di cotanto rgno.
V. (So) I pritabi diffidando di Filippo per cagiona delle sue male pratiche negli affari di G reta, sospetta vano ehEraclide ancora'fosse da Jui introdotto. (Arpocrazione e Suida alla voce Tifvliint, Prtani.
< . . . .

- ]V ]!a egli entrato annover le cause per (3 i) cui fug-i gito avea Filippo (Suida). ( 3a) Che. Filippo per cosa al mondo non avrebbe vo luto che si rendesse manifesta la sua intenzione '. . . , (33) locch&liber eziandio Eraclide dal sospetto (Suida).
j1 >

str. Ani.

(34) A aie sembra aver Natura costituita la verit iu> maggior* Nume degli uomini, d averle la maggior forza attribuita. Qoindi per quanto tutti la combattano, e tal volta tutte le probabilit (35) schkriosi al fianco dell menzogna, essa, non. so carne, da si sinsinua negli animi de* mortali. E quando mostra subito la sua forza,:

9V quando' pfer molto tempo offuscata, vince finalmente da A. di & s Stessa, ed abbatte la menzogna. ^5o

(36) Damocle mandato con Pitione qual esploratore Bst presso i Romani, era un (Jy) mobile atto a colai mini- fr*lesstero , e di molta abilit fornito al biauegg'r depubblici affari. VI. (38) Nabide tiranno deLacedemonii regnava gi Eslr.Jn il terzo anno, e non imprendeta alcun affare, e uod tentava nulla, perciocch era ancor fresca la (3g) rotta che Macanida toccata avea dagli Achei ; ma (4o) metteva la prima pietra e gitlava le fondan^enta cPuna lunga e? grave tirannide. Imperciocch distrusse al tutto i Veri Spartani .che rimanevano, cacci in esilio quelli ehe pri meggiavano per ricchezza o per gloria de maggiori*, ti le loro; sostanze e donne distribu a 1pi' cospicui fra gli altri ed a mercenarii. (4 1) Questi pertanto eran omi cidi, (4) scassipatori d uscii, (4^) spogliatoli, scavatori di m ura: ch tal gena accozzava egli diligentemente da tutte le parti della te r r a , cui era interdetta l patria peti empiet e scelleratezza. Di costoro creatosi ap e r e , e valendosi dessi "per l&elliti e guardie del corpo, egli era manifesto che foss per avere ' durevole fama signora sull empiet fondata. C ostui, oltre alle cose anzidetto, non contentassi di bandire i cittadini ; ma gli sbanditi non aveano per liii alcun luogo di salvezza, n rifogi sicuro: cronciossiacli ad alcuni Inandasse addosso sicarii pelle strade, altri riohiamati daloro ricoveri uc cidesse. Alla fine prendend nelle c itt , per mezzo di

9a
hdR. persone non sospette, a pigione le case vicine a quelle dove abitavano i fuorusciti, vi spediva soldati cretesi, i qua)i facevano rotture nemuri, e per quelle, o (44) pelle finestre che col erano, saettavan i miseri, e gl( uccide vano parte ritti, parte sdraiati ; per modo che gl1infelici Lacedem oni non avCfeno alcun luogo di rifugio, ed in nessun tempo erano sicuri. In tal guisa fece sparire la maggior.parte di loro. VII. Costru .eziandio certa m acchina, se pur mac china conviensi denominarla. Era dessa un simulacro di donna coperta di preziosi vestiti, egregiamente lavorato e di forma somigliantissima alla moglie di JMabide. Quan do chiamava a s alcun cittadino, volendo da lui mugnere danaro, dapprincipio gl Indirizzava ' lungo e be nigno discorso, mostrando il pericolo che al paese ed alla citt sovrastava dagli Achei, e significando comegli pella loro sicurezza manteneva glande quantit di mer cenarii , e quanto spendio faceva pel culto degli .Dei e pe bisogni della citt. Se moveansi a questi discorsi, ci gli bastava pe suoi disegni. Ma se felcuno (45) in sistendo, nel negare ributtava il suo comandamento, egli cotali detti proferiva: u Forse io non valgo a persuader ti ; cotesta (46) Apega pertanto credo ti far capace , (ed era questo* il nome della moglie di Nabide). Non s tosto aveva egli finite queste parole, che compariva il simulacro poc anzi mentovato. (47 ) Allra il- tiranno prendea la donna dolcemente pella destra > e poich aveala fatta alzar*dall^ seggiola, facea l uomo da lei ab bracciare, ed a poco a poqp al suo petto lavvicyiaip. Avea costei le braccia le mani pieni di chiodi di ferro

93
sotto i vestiti, e ne avea egualmente nelje mammelle. Quando egli adunque appoggiava le mani sulla schie na della do n n a, e poscia per mezzo di certi ingegni attirava (48) linfelice e tendealo, ed accostavalo insen sibilmente alle manjmelle^ questi compresso era costretto di gridar a gola. Per tal modo uccise meriti di quelli che ricusato aveano di dargli danari, VIIL Le altre cose erano simili a queste, e conformi a principii del suo governo. Imperciocch fece societ di prede marittime co Cretesi ; ebBe per tutto il Pelo ponneso spogliatori di tem pli, (4g) assassini di strada, sicarii , co quali facea parte delle utilit che dagli. (5 o) attentati loro traevano, e cui prestava Sparta a ri covero e luogo di rifugio. Del resto intorno a^qtae tempi alcuni forestieri che, venuti dall Beozia, soggiornavano in Lacedemone, sedussero uno de cavallerizzi di Nabide ad andarsene con essi, recando seca il cavai bianco, che reputavasi il pi bobile della stalla regia. (5 i) Lasciatosi colui a ei in d u rre, ed eseguito avndo quanto test dicemmo, la'gente di Nabide si mise ad inseguirlo, ed avendplo preso in Megalopoli, il cavallo ed il cavallerizzo tosto condussero via, senza che alcuno s opponesse, ed indi posero a forestieri ancora le mani addosso. I Beo3$ dapprincipio chiesero d esser condotti al maestrato della citt : ma non dando nessuno ad essi re tta , uno de forestieri grid : Accorruomo. Traendo al rumore i paesani ed insistndo che si conducessero al maestrato, fu la gente di ffabide costretta a lasciare-gli, uomini in libert ad andarsene. Quegli pertanto da luogo tempo
A . di R

55 o

Esir. VaUs.

A . d i R.

55

cercaudo occasioni di lagnanze e specioso pretesto di discordia, Appigliatosi allora a questo, rap incontanente il bestiame di Proagora dalcuni altri. Donde ncque .principio di guerra. , ( 5a) IX. (53) Canonia , terza regione de (54) Gerre Polibio nel decimoterzo. del resto la Catteuia sterile, ma trovasi tutta fornita di villaggi e di (55) tor ri peli opulenza de Gerrei. Giace essa sul mar rosso. .(Stef. Bizant. ) (56) Laba itt della Cttenia, non meno che (5 7) Sa ba. Polibio nel decimoterzo Il nome gentilizio Labo, siccome- Sabo. -Amendue appartengono alla stessa r e gione;. perciocch Cattenia regione de Gerrei. (Ste Bizant.) I Gerrei pregano i l re di non distruggere ci che gli Dei avean loro d ato, cio a dire 4a pace perpetua e la libert. Egli* essendogli stata interpretata la ietter, dis se che accordava -loro cotali richieste.* (Suida alla vocc. , pregano) Egli comand di risparmiare la contrada dei Catteni. (Stef. Bizant.) Confermata essendo la libert a G errei, (5.8) onora*-' jo n essi tosto il re ASntiooo, dandogli cinquecento ta lenti d argento, mille d incenso, e dugento deUa cos detta (58) lagrima di mirra. Egli, navig alla volta deir

l isola di Tilo ,<e quindi ritorn colle tavi in Seleucia Erano pertanto quegli aromi* nelle contrade del mar rosso. (Suida alla voce 27**7i, lagrima) X. (6 o) Badiza citt de Bruzii. Polibio nel decimoterzo. Il nome gentilizio Badizii (61) Lampezia , citt de? Bruzii. Polibio nel decimoterzo. Il gentilzio Lampeziate , o veramente Lampeviario.
(62) M elitu ssa , citt dell.lllira . Polibio nel deci* moterz. if gentilizio Melftusso, ossia Melitussio.

A . di R.

55

Slef-

(63) Ilazia citt di Creta. Polibio nel decimoterzo.il gentilizio llazio. (64) Sibirto, citt di Creta. Il gentilizio Sibirzio, con* forme ha Polibio nel decimoterzo. (65) A ir a n e , citt tracica. Polibio nel decimoterzo pronunzia l vocale di mezzo per (66 ) e Adrene. Il gen tilizio Adrenete.

Campo Marzio'. Havvi in Tracia ancora un campo de serto di questo nome con alberi poco dal suolo elevati, siccome riferisce Polibio nel decimoterzo.
(67) Diger, nazione della Tracia. Polibio xm. (68) Cabile, citt della Tracia , non lungi dalla pro vincia degli Asti. Polibio nel decimoterzo. Il gentilizio (69) Cabileno.

96 SOMMARIO
DEGLI AVANZI DEL LIBRO DECIMOTERZO.

A t TAI1/ DEGLI E ro LI. G li E toli indebitati - Dorimaco e 'S c o p a dettano, leggi agli E to li (J I,). - Scopa recasi in A lessandria - L a su a cupi digia 'in sa zia b ile (J-II.) - Idropici ($ ivi.) A t t m i di F ilippo. F rode <f un re indegna - A nticam ente n o n . c o l i in g a n n o , ma apertam ente fa c e a n si le guerre - Vestigio d i ci presso i R om ani (5 IH .) - Filippo instiga Erclide contro i Rodfi V ita e costum i d E r a q jid e E r a c lid e inganna i R odii ( IV.) - L a verit trionfa della m enzogna ( V.) - Damocle ( ivi.) N a BIDE TIRARHO DI S pABTA. N abide succede a M acanida. - In fu ria in Lacedem one ( VI.) N uovo genere d i torm ento - A pega moglie d i Ifabide (J VII.) - Latrocini! d i N abide - O rigine d i guerra cogli A ch ei

v in .)
A f f a r i d A n t io c o b e l l A m b i a .

A ntioco accorda la Sberti t i G errei ($' TX.) F raMh e s t i geografici. L u o g h i delT Ita lia - D ell' Illiria - D i Creta > - D ella Tracia

e x .)

97

ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO DECIM OTERZO.

L e pocbe cose che rimangono di questo libro appartengono agii affari interni della Grecia, quindi non ve ne ha traccia nelle storie di Livio. (1) Gli Etoli. Nel trattato di pace che questi fermato veano coRomani era stato pattuito, che gli Etoli non avrebbon fatta la pace con Filippo ; ma non si tosto furon essi abbandonati da Romani che, disperando di potersi difendere, rappattumaronsi col Macedone, alle condizioni che questi toro prescrisse, secondochfe narra Livio (xxxix, 12). Ci avvenne l anno di R. 549 (g'sta il calcolo di Polibio 1 anno 55o ), essendo consoli M. Cornelio Cetego, e P. Sempronio Tuditano ; e l anno appresso, trovandosi liberi da nem iei, diedero mano alla riforma che dovea rimetter in assetto le sbilanciate loro fortune. Del resto nota il Valesio, che Ateneo cita questo luogo nel lib. xii, riferendolo al xm del Nostro. - Intorno alP indole bellicosa, alla rapacit, ed allo sciupio degli Etoli nello spendere, veggasi quanto scrive Polibio net lib. iv , ai 3 16. (2) Dorimaco e Scopa. 1 medesimi che sei anni prima (l anno di R. 544) stipularono la pace con Filippo (L iv., xxvi, 34), e che sino dal 533 governavano -quasi dispotieamente gli affari degli Etoli, conforme riferisce il Nostro nel lib. i v , 5 . (3) In molte obbligazioni d i pagam ento , ec. Il testo h a \ts 7 B itlutZ-t n ta X X e f y fi a ltt i, che letteralmente sonnerebbe : in m olti contratti pe bisogni della v ita , tal essendo il senso di /i it ln t c t, siccome pu vedersi nel tv , ^3 e nel n t, 17. Ma qui dee questo vocabolo aver un significato pi largo, cd esprimere P o l i b i o , torn. v. < j

f)8 non tanto i bisogni cbe i piaceri della vita, nequali gli anzidetto rettori degli Etoli spendevano grosse somme. Lo Schweigh. non panni cbe cogliesse appuntino la mente dell autore, interpretando questo passo : contractus a d rem fa m ilia rem pertinente] , contraclas pecuniarii. (4) Essendo stato infelice ec. A . ' r a l l s * f% f , non avendo conseguito il suprem o potere; leggesi nel Nostro, lo che non pu

stare, quando la pretura della quale era investito Scopa era gi siffatto potere. Lo Schweigh. suppone cbe altra e forse nuova ma gistratura fosse quella a cui Scopa aspirava ; ma non comprendesi come costituito nella maggior dignit potesse agognar la mino* re. lo credo che da Suida, il quale alla voce i t x u f t t a l t t rapporta questo passo , debbasene ripetere la correzione, per quanto allo Schweigh. sembrino parole del lessicografo e non di Polibio quelle che col riscontransi. Scrissegli: A'*r7ti;gS 7? c v f ltia t, che io ho renduto nel mio volgarizzamento, potendosi ragione volmente congetturare che quel capo degli Etoli abbia per saziare la propria avidit , impegnata la sua nazione in un impresa cbe ebbe esito infelice ; anzi non improbabile che il Nostro ne abbia parlato nel testo che precedette a questo frammento. (5) I l vacuo delle sue sostanze. T i Ai/srt u r a l i 0 is , le quali parole non equivalgon ad in fo ia , conforme le voltarono i tradut tori latini ; sibbene denotan esse ci cbe mancava a Scopa per poter menare una vita lauta e dissipata ; lo che era un# povert relativa. (6) D el suo animo. Qui soggiugne Suida: o k tm p y t I t lt w x p tv r , non contentavasi d elle cose p r e s e n ti; alle quali pa role, dred io, che mirasse il Gronovio suggerendo d interpolare y*p al 1*11 (imperciocch cogli (aiuti) di col) eh nel testo. (7) Im perciocch venuto in A lessandria. Le parole greche a questa corrispondenti non trovansi in Suida, il quale non altri* menti che il Nostro epitomatore ha in compilando i suoi estratti omesse qua e l parecchie circostanze.

99
(8) Olir* avantaggi che traeva dalla milizia. Cotesti vantaggi erano le prede fatte al nemico, ch tal forza h a , trattandosi di profitti militari, il vocabolo fiA ii* che qui ed altrove ( i, ao ; x i, 3, 8) usa Polibio. Quindi sembrami superflua 1 aggiunta di >x 7S i iw a f fttr (dalle fazioni di campagna) fatta al testo dal Valesio, ed accettata dallo Scbweig. ;m a che non trovasi in Suida. In qual tempo Scopa fosse andato in Egitto non ci noto : delle cose da lui operate nella Celesiria lanno di R. 5 5 5 , quando fu capitano generale delle truppe di Tolemeo Epifane, resta qualche cenno negli avanzi del libro xvi . Schw eigh. (g) D ieci mine, Adunque riceveva egli ogni sei giorni un ta lento, ed in tutto 1 anno pressoch sessanta talenti. Qual immensa ed incredibile quantit d oro ammassala in un solo forestiero ! . Reiske. Ragguagliato il talento secondo il Barthlmy (Voy. d. j. Anach., t. v i i ) a 54oo lire tornesi, sommava l annuo salario di costui oltre trecento mila franchi. (io) A quelli che sotto d i lu i com andavano. l~s S"\irt 7t*t iytpi*t(*c fttlt la v i* I tltty p e u tn , verbalmente : a quelli che preposti erano dopo d i ci a qualche co m a n d o , dove il Reiske suppone che Polibio scritto abbia p u lt dopo d i lui, cio Scopa. Ma .Suida allarticolo Scopa ha 7*S7 , la qual lettura non sembrami irragionevole, se il pronome si riferisca al comando ed agli emolumenti del supremo generale, come chi di cesse : coloro che hanno un com ando e degli em olum enti in
fe rio ri a test descritti. ( n ) Delle quali c o s e , ec. Mi son attenuto alla scrittura di Suida Tir ifK tr& i, siccome alla pi naturale, e non bisogne

vole di correzione qual quella del codice valesiano, in cui i t (corrotto da *Ts) si dovuto cangiare in ed i f t t i l t (storpiatura djfxir& i) in ip x tr S i'if. (a) Lasci la vita. Non mi dispiace la congettura del Reiske, che w ftn w a Q iitt sia la vera lezione, composto lascio e wf o f , innoltre. Scrivendo w perxw t$n*t , che riscontrasi in Suida ancora, potrebbesi tradurre : f u spogliato della vita ed in
sieme deir oro.

IO O ( i3) Siccome nelle idropisie. Neframmenti vaticani questo pezzo, che il Reiske e lo Schweigh. aveano gi sospettato esser parte dell antecedente} attaccasi realmente al medesimo dopo le parole w p tt 7 r A i n r immensa cupidit d ell a nim o, e ne formano la congiunzione le voci: >c tS e s 'in , non sapendo (Scopa) che. - Per ci che spetta al senso del primo membro del periodo, io non posso aderire allo Schweigh., il quale cos linterpreta: Quemdmodum in eis qui aqua intercute laborant, num quam nec fin is nec m odus est copiae kum orum , qui in exterioribus corporis pa rtibu s colliguntur, che italianamente cos sonerebbe : Siccome in coloro che patiscono d acqua f r a la pelle la copia d um ori che nellesterno raccolgonsi non ha posa n fin e . Ecco le ragioni del mio dissentire. i. Non in tutti

glidropici lacqua raccogliesi tra pelle e carne, ma sovente ne ri dondano le sole maggiori cavit del corpo, cio il capo, od il petto, od il ventre.tJ.o Non vero, conforme asserisce lo Schweigh., che una sete insaziabile non iscorgesi costantemente negl idropici, e male si riferisc egli a - questo proposito alle osservazioni de medici, i quali anzi tutto il contrario insegnano. Laonde molto bene s accorda Orazio colla mente del Nostro in questi versi : (Od. lib. 11, ad. a , v. i 3 , e seg.) : . Crescit. indulgens sibi nim is h y d ro p s N ec sitim. p e llit , n isi causa m orbi . V en is fu g e rii. Ed Ovidio, (Fast i , v . s i i e seg.)
Creverunt e t opes, et opum fu r io s a cupido : E t cum possideant plurim af p lu ra volunt, Sic quibus intum uit su ffh sa venter ab unda Quo, p lu s su n i po ta e, p lu s sitiuntur aquae.

3.o Togliendo l insaziabilit del bere che tormenta gl idropici, viensi a torre il mezzo termine del paragone, eh appunto cotesta sete, dall un canto dell acqua, dall altro delle ricchezze. - Que ste riflessioni indotto m hanno a preferire la versione del Ca saubono.

101 ( 4) Questa pianta. Probabilmente l avarizia, dappoich la presente sentenza trovasi, siccome osserva il Casaubono nel mar gine del cod. urbin., al bel principio degli estratti del lib. xui. (15) M ala pratica. Non m sembrato disconvenire alla pro priet della nostra lingua la traduzione letterale della voce w fa y p rv tn qui usata da Polibio, che non so con quanta esattezza siasi latinamente voltata dolus malus. (16) Ord. Chi? Filippo, la cui frode , dopo la digressione morale che riempie questo capitolo, descritta nel susseguente. (17) M ale arti. Qui abbiamo di bel nuovo il tta ttttffm y ftifv tn che riscontrammo poc1 anzi, ma non pi in senso concreto, sib bene astrattamente pel vizio che risiede nell anima : ed abbiam gi altrove osservato che la desinenza in ttrvtti d comunemente . al nome cui annessa il significato deccellenza e raffinamento in alcuna qualit morale od intellettuale, buona o rea che sia. (18) G ii antichi. In tutti i libri leggesi l i A%*ti gli Achei, in luogo di t i gli a n tic h i, ma giustamente fa qui lo Schweigh. la seguente riflessione. P o ti Livio , a dir vero , chiamare la gente achea fidatissima e semplice; ma ora Polibio non trattava degli Achei, sibbene in generale della fede e sem plicit degli' antichi ; quindi leggesi poscia in questo stesso capi tolo: Un qualche vestigio dellantica maniera , ec. . (19) N on s'abbassino gli animi. Chi vinto colla frode non perde il coraggio; anzi viemmaggiormente s' accende nel desiderio di venire col nemico al paragone delle armi, spinto dalla vergo gna e dal sentimento del proprio valore , che in una fazione di sorpresa non ha avuto occasione di spiegarsi. AUopposito chi in campo aperto ha fatto contro lavversario le estreme prove di pro dezza ed succumbuto, conoscendosi esaurito di forze e di mezzi per risorgere, s avvilisce, n ad ulteriori cimenti s espone. (aio) A rm i nascose , come srebbono i pugnali, ed oggid i terzeruoli, o dir vogliamo pistole corte. (a i) Che tiransi da lontano. Narra Strabone (ix, p. 448) che Calcide ed Eretria, citt dell Eubea , di grande estimazione un

102 giorno, cos in pace pella vita tranquilla che offerivano 'filosofi, come in guerra pe modi onesti con cui la conducevano, venute una volta a contesa per un luogo chiamato T elante, pattuirono che non avrebbon usate armi che gittansi da lungi ; la qual cosa a tempi del mentovato autore leggevasi scolpita in una co lonna sull Amarinzio. Siffatte armi erano frecce, frombole, lance; a nulla dire delle macchine che buttavano pietre nelle fortezze, e de fuochi lavorati che gittavansi nelle navi per accenderle. A che sarebbe ai nostri giorni ridotta l arte di far la guerra, se cotali arme se ne escludessero ? Meno pertanto ne abbisognavano gli antichi, i quali sempre, dopo aver vuotate le faretre ed esaurite le lance, venivan al combattimento di corpo a corpo. Laonde 1' esito della pugna dipendeva presso di loro e dall accidente, e dal valor personale; quando il secondo nelle nostre guerre quasi nullo , e gli stratagemmi vi hanno la parte pi decisiva. (aa) A nnunziano le guerre. Faceau^essi ci per mezzo de sa cerdoti feciali, che coronati di verbene e col capo velato recavansi a confini di quel popolo dond era proceduta 1 offesa, e ri chiedevano le xobe o le persone tolte, prefiggendo trentalr giorni alla restituzione. Che se questa entro allo stabilito termine non seguiva, i feciali vi ritornavano e gittavano nel territorio, nemico una lancia ferrata od abbronzata nell estremit, ed accompagna vano quest atto con una solenne dichiarazione di guerra. Di cotesta cerimonia fu institutore il re Numa, e trovasi essa distesamente descritta in Livio i, a{, 3a insieme colla formola della dichiara zione, che pi concisa leggesi in A. Gellio tratta da libri militari di Ciucio (xvi, 4). Si consulti ancora su questo particolare Dio nigi Alicar., lib. v; Plutarco, nella Vita di Numa; Ammian. Marcellin., Hist. lib. xix; Varrone, D e ling. lai., lib. v. E siffatto lo devole costume pare che si conservasse presso i Romani sino agli ultimi tempi della repubblica, dappoich Cicerone, di ben- cen tanni posteriore a Polibio, nel lib. i degli uffici, c. n , cosi s espr me circa il diritto della guerra : A c belli quidem aequitas sa n d issim e fe c ia li p o p u li romani ju r e perscripta est. E x quo in -

io3
telligi potest, nullttm belum esse ju itu m , nisi quad atti rebus repetitis geratur, aut denuntiatum ante sit et indctum . (a5) F ilippo ec. < t 11 Casaub. senza ragione separ questo ca

pitolo dall antecedente, quasich incominciasse qui un nuovo estratto. I codici non hanno alcun segno d separazione, e sem bra infatti che nellOpera intiera di Polibio questo capitolo fosse unito con quello che prossimamente lo precede . Schweig. (li) M ateria d esercitarsi. l ' w i B t n t ha il testo che il Ca saub. , a cui mi sono attenuto, molto acconciamente volt argum entum exercendi ingenti. Lo Schweigh. scrisse semplicemente
argumentum. (s5) M altrattare. Qui pure ho seguito il Casaub., il quale ren dette x x x tw tin n p per laederet, laddove lo Schweigh., ne fece p ossel dolo circumvenire .{potesse con inganno aggirar) : -senso

che non certamente contenuto nel vocabolo greeo. Mei lib. iv, 6 riscontrasi la stessa frase che abbiamo qui : x a x t w t i i i t s x a J i v / t t t / t t t l t t j ma col pi ragionevole la traduzione dello Schweigh. : populabundi atque omnia vastantes. (26) E d a Cretesi. Z i l K ffliir, in Creta , scrsse Polibio e lasci senz accusativo i verbi \fid - ttv ih tt *< w * ftffin r a > l* f , ch e irritassero e spingessero : elissi troppo ardita, che i tra duttori latini tolsero coll aggiunta del mancante Cretenses. Sic come pertanto recano mal suono quel Creta e Cretenses collo cati in poca distanza, cosi ho creduto pi conveniente di sosti tuire al nome del paese quello degli abitanti, e d accennar questi col pronome personale. - (37) E volgendo, ec. Qui leggesi in tutti i libri i v i * / < t ; ma lo Schweigh. considerando che Polibio due altre volte nel corso della sua storia scrisse *77* S i w * T tv t congiunto collo stesso verbo che abbiano dinanzi, corresse il testo tras portandovi la mentovata frase, chegli negli altri luoghi volt: N escio q u id cogitatis (non so qua pensieri volgendo nell animo), ma qui rendette per varia consilia versasset. 11 Casaub. al con trario , lasciando la scrittura volgala, tradusse la v i come se

i 4
scrtto fosse' oTI*, e pose: Nescio quae constila (non so qua consigli). A me Sembra pertanto che amendue vadan errati : Schweig. per avere fatta una superflua emendazione, ed il Casaub. per avere mal tradotto il testo da lui trovato. Io mi sono per messo di trarre un nuovo senso dalle parole de codici, facendo ad vTd significare gli stessi, ed uuendo in una voce il S i ed il irT, pella qual unione vien esso a denotare liquando, unquam (quando che fosse , in alcun tempo). Ed infatti molto pi ra gionevole il supporre eh Eraclide , astuto e malefico qual era , anche innanzi al comandamento ricevuto da Filippo covasse gli stessi sinistri disegni contra i Rodii, di quello che far dire al No stro che cotesto malvagio capitano, dopo il preciso ordine datogli dal re, non avesse seco medesimo stabilito ci che dovesse fare. (a8) N ell1interno d e l paese. Eis le p ttriy * , propriamente nella p a rte m editerranea. Eran allora i Cartaginesi padroni di Taranto e del mare, ed i Romani efan accampati nelle parti pi interne; quindi poteva Eraclide avere seco loro facile comunica zione per via della porta che col conduceva. (ag) D ella ruina. Qui hassi a riferire quanto scrive Ateneo pel lib. vi, p. a5 t : Polibio, sono parole di questo autore, narra
nel libro decim oterzo delle storie che Eraclide tarentino fu . adulatore del re F ilippo debellato da'R om ani, il d i cui regno egli m ise tutto a soqquadro. Lo stesso Eraclide rammentato da Livio

in diversi luoghi (xxxi, i6 e 33; xxxn, 5), qual comandante del larmata navale di Filippo . Schweigh. (30) I Pritani. Erano questi i supremi maestrati di Rodo , i quali, conoscendo le pratiche che Filippo teneva co Cretesi loro nemici, ebbero sospetto dEraclide. Ma costui, affine di persuader a Rodii eh egli era avverso a Filippo, mostr loro la lettera scritta dal re a Cretesi per eccitarli alla guerra contro i Rodii. V. Polieno, Stratagem., v, 17, 2. (3 1) Fuggito avea Filippo. Finse Eraclide dessere stato offeso da Filippo ; quindi abbracciata lara e chiamato il popolo a soc corso, gittossi in una navicella ed andossene a Rodo.

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(Sa) Che F ilippo , ec. ci relativo alla' lettera scritta dal re a Cretesi, della quale parlammo nella nota 3o. (33) L o che, ec. L aver comunicato Eraclide a Rodii la summentovata lettera fece si che questi gli prestarono piena fede. Ne codici di Polibio e di Suida leggesi **) (l iquale eziandio), e ci fece suppor allo Schweigh., che questo pronome sia rela tivo alla lettera prefata , e che innato! ad esso manchino alcune parole. Ma per quanto probabile sia siffatta congettura , peli in telligenza del testo cosi mutilato conviensi meglio il neutro i k m ) (lo che), conforme tradussero anche il Valesio ed il Kustero. (34) A me sembra. Dop lesposizione della frode e delle menzogne dEraclide, e si pare che non stia fuori di luogo la lode della verit, che sgue negli estratti antichi . Schw eigh. (35) Schicrinsi a l fia n co dlia m enzogna. Qui ha potuto la frase italiana accostarsi all evidenzi della greca : Ms7 7*3 ipti* cfvt la T ltp t'n m . Chi renduto avesse il latino : A mendacio stent, scritto avrebbe con minor vivacit : Parteggino colla menzogna. (36) Damocle. In varie congetture aggiransi i commentatori di Polibio circa la persona di costui. Il Valesio, secondo il quale desso il medesimo giovine argivo che nel 55g di Roma volendo liberare- la patria fu ucciso, ed il Reiske, che vorrebbe trasfor marlo in quel Damocle il quale molto tempo appresso secondo il Nostro (xxii,'8 ) fu mandato a Roma dagli E to li, sono stati confutati dallo Schweigh., che confessa di non poter chiarire que sto punto storico. Non . pertanto impossibile eh egli fosse Dam o crito , pretore degli E toli, il quale, a delta di Livio (xxxi, 5, 3 a) precisamente lanno 55o di Rom a, i di cui avvenimenti narransi in questo libro, corrotto da Filippo, segretamente il fa voriva contro i Romani. Laonde molto verisimile che sotto specie della pace che pochi anni prima la sua nazine avea con clusa co Romani, quest uomo malvagio insieme con cerio Pi gione , il quale non si sa chi foss, sia stato da torbidi ed inco stanti suoi concittadini mandato ad esplorare gli andamenti de* loro alleati, contro a quali meditavano gi una rottura.

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(37) M obile M io a c o la i ministero. T ? w n ftriu tt {1 rxiv sc i vtfivtf ha il testo, che il Valesio tradusse: In d u striu s e rat m initter. Ma siccome m v t , propriamente' vaso, ove riferito ven ga a persone, prendesi comunemente in senso peggiorativo, con forme l adoper il Nostro nel lib. x v , a5 ; cosi ho stimato che meglio gli si convenisse il nostro mobile. (38) N abide. Le geste e le scelleratezze di costui narransi di stesamente da Livio in parecchi libri delle sue storie (xxix a xxxv). Ricomparisc egli presso il Nostro in alcuni frammenti de libri xvi e xvii. Intorno ad esso basti qui sapere, che i Romani ad istanza de Greci test liberali dal timore di Filippo, ma mi nacciati dalla sua tirannide, gli dichiararono la guerra ; che ri dotto alle strette da T. Quinzio che assediava Sparta impetr non pertanto la pace per mezzo d ambasciador mandati a Roma; che finalmente instigato dagli Etoli alla guerra contro i Rom ani, poich ebbe guastato il territorio degli A chei, e vinti questi io una battaglia navale, fu da loro tuttavia sconfitto, e dagli Etoli medesimi tradito ed ucciso. (3g) L a rolla che M a c a n id a , ec. Questa leggesi descritta da Polibio lib. xi, 10-18. (4o) M etteva la prim a pietra. Se non v errato questa frase rende lidea espressa nel testo colle parole T 'iw n tT lt, la prima delle quali derivata da *7/S*AAn, mandar g i , si gnifica qui 1 azione del calar i materiali per costruire le fondamenta d una fabbrica. (4 0 Q u e sti, cio coloro che in fine del periodo antecedente sono qualificati per altri. (4>) Scassinatori. Il verbo scassinare ed i suoi derivati ap plicassi particolarmente agli usci ed alle porte, che vengono scon nessi e guasti affine d aprirli con violenza (V. il vocab. della Crusca). Lo stesso, se non m inganno, esprme il greco w * f* rg/i<r, che confondersi non dee col xa7*^/n usato da Demo stene (adv. M idam ) , e da Arriano (De exped. A le x ., 11, et vi), dappoich questo ha forza di fin d e r e con istrumenlo tagliente,

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supponiamo con ispada od ascia, conforme si pratica negli assalti (ch tetti* ne composti significa spesso .intensit e rapidit d a zione) ; laddove quello (per cagione del w p, cbe suona talvolta nelle composizioni approssimamento e tacito operare) ha pi pre sto il senso di lenta e non rumorosa rottura, quale nel silenzio della notte fanno i malandrini di citi parla qui Polibio. Coteste osservazioni io faccio, perciocch i commentatori, non bene av vertendo alla test esposta differenza de mentovati verb i, han detto intorno ad essi di molte strane cose. (43) Spogliatori. Non praedones n o ctu rn i, conforme hanno i traduttori latini, l equivalente della voce X uw tSvlcit, che cotnponesi di A spogliare e S i i vestire , e quindi significa pro priamente, spogliatori d i vestiti. (44) O p e r le fin estre. Ha ragione lo Schweigh. che il >< del testo non dee prendersi in senso di congiunzione, sibbene in significato distributivo (parte, o); "perciocch inutile sarebbe stato il far rotture l dove gi esistevano finestre per cui la solda tesca del tiranno potea lanciar i dardi. (45) Insistendo nel negare. Non compresero il Casaub., e lo Schweigh. in voltando questo passo: N egantes esse sib i o p es, delrectarenl ju s s a , la forza dell che qui scrisse Polibio, e che non esprime semplice negazione, ma perseveranza ostinata nella medesima. Copi leggesi in Erodoto (iii , 66) : n ^ { n ( t a p n t ijr fii f i i t i w t ! t n ti X ft'tp Jn , Prasaspe
negava con fe rm ezza d a ver ucciso Smerdi. (46) A p eg a , Dell avarizia, e della crudelt che di per s an

cora esercitava questa femmina veggasi il Mostro xvm, 17, e Livio xxxii, 4o . Schw eigh. (47) A llo ra il tiranno. Ed il Casaub., e lo Scaligero , ed il Reiske e lo Schweigh., varie emendazioni recarona questo luogo eh uno de pi intricati ed alterati che trovansi in Polibio. Tut tavia confessan essi medesimi di non aver tolto di mezzo ogni inciampo. Io ho profittato delle loro fatiche nella mia versione ; ma bo creduto che qualche legger tocco aggiuntovi potesse ren

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der il testo pi spedito. Io lessi adunque : **< S t^ tu r if u tc c , ttlttS tt ix Itit K*SiSftcs it'tm iT t 7lt yvta /tcu , n tft'ttr v ^ t lu.lt % tfn , *< w p triy tlc x. 7. A. H* Si l t wn%ns x. 7. A. di conformit con questa lettura ho eseguito il mio volgariz zamento. (48) V infelice. Non nel testo il vocabolo corrispondente a questo sostantivo, ma io l ho aggiunto per maggior chiarezza. (49) A ssassini d i strada. O' SctScxcvs, cio a dire uomini che aspettano i viandanti sulle strad per derubarli, secondoch spiega Saida questa voce.(50) Dagli attentati. Nel testo tu 7y* f e J m p y ix i, il qual so stantivo suona propriamnte prontezza, fa c ilit n e ll1operare , ma vi si applica ancora il senso di scleratezza convertita in natura, e fenduta ageVole per via d una prava abitudine. Nel vocabolo italiano mi son ingegnato d includer almeno l idea di franchezza ed ardimento, procedente appunto da assuefazioOe al male. (5 1) Lasciatosi colui a ci indurre. Accettai la lezione del Reiske, il quale rigettando il I t i l a v Si in che il Gronovio can giato avea il 7S7 tf* del Valesio, ritenne questa scrittura, ma vi aggiunse I t o w paeiptiftinv, per modo che verbalmente vol garizzata cos sarbbe la proposizione: Essendosi V anzidetto a ci persuaso. ' (5a) ix. Da questi frammenti tra di loro paragonati comprendesi, che Polibio espose in questo libro la spedizione fatta da Antioco Magno due anni poich, pacificate le provincie dellAsia superiore, egli ritorn a casa vincitore (Polib., xi, 34), e quella an cora che due anni avanti la societ stabilita con Filippo contra Tolemeo Epifane (xv , 20), re pupillo d Egitto , imprese nella parte dell Arabia-che contigua al glfo Persico ; nella qual oc casione egli sembra che!il nostro autore abbia di quel paese pure diffusamente trattato. Cotesta spedizione d Antioco nell Arabia tanto pi da notarti,: quantoch la memoria della medesima, per quanto sappiamo, non trovasi conservata presso nessun altro scrit tore . Schweigh.

I0<)
(53) Cattena. Questa parola con quelle cbe seguono sin al punto sono di Stefano : le altre appartengon a Polibio. (54) Gerrei. ' Gerra, citt dell Arabia felice, situata non lungi dal golfo Persico , intorno alla quale sovra gli altri da cot*sultarsi Strabone , x v i, p. 766 e 778. I suoi ciltadidi, dorigine caldei, fuggiti anticamente dalla Babilonia , esercitavano princi palmente la mercatura, recando- gli aromi e le altre merci del l Arabia in Siria ed in altri paesi, parte per terra parte in Sulle navi contro la corrente dell Eufrate. Poscia cresciuti di popola zione e di ricchezze, assoggettaronsi gran parte del paese che li circondava, ed il terreno di natura sterile riempierono di villaggi e di torri, nelle quali occorrendo potessero metter al sicuro i loro tesori . Schw eigh. Tolemeo (vi, 8), oltre a Cern attribuisce loro due citt , Mangida.na.ta e B ilana , ma non rammenta punto i Cattenii, che non sono omessi da Plinio (v i, 3a , a 8 ), sebbene non apparisca dalla sua descrizione eh essi soggetti fossero a Gerrei. (55) E d i torri. A detta di Plinio (1. c.) avea Gerra delle torri formate di pezzi quadrati di sale. Strabone pure (1. c.) racconta, che i Gerrei, abitando luoghi pieni di sale, fanno le loro case di questa sostanza, e siccome pellardor del sole se ne staccano delle squamme, cos impediscon essi il disfacimento delle mura spruz zandovi spesso sopra dellacqua. Ricordano queste costruzioni sa line quelle delle famose miniere di Vieliczka in Polonia, (V. Buffon, hist. n at., t. x, p. 11 a e seg.), e probabilmente erano della stessa fossile natura i massi de quali servivansi i Gerrei peli erezione de loro edifizii. (56) Laba. Secondo Tolemeo (v i, 8) dessa citt mediterra nea dell' Arabia felice nella parte settentrionale tra i monti ed il mar rosso. (57) Saba. Male confonde lo Schweigh., questa citt con unal tra della stessa Arabia felice che nomavasi Sabae, e che a detta di Strabone (xvi, p. 771) e di Stef. Biz. era una grande citt presso al mar rosso ; laddove l altra, rammentata pure da Stra bono (p. 770), era un semplice porto. Tolemeo (l. c.), pone Saba

I IO io qualche distanza dal mare, ma nella regione de Sabei, i quali sembra che avessero degli stabilimenti sulle sponde d amendua i mari. Quelli di Tolemeo erano verso il mar rosso, e gli altri di gran lunga pi estesi occupavano, secondoch riferisce Mela (iii, 8), la regione tra il golfo Persico e la Carmania. M ajorem (Arabiae Eudaemonis) Sabati tenent p a rte m , ostio pro xim am et C armanis . Quindi deriva forse la distinzione che nel salmo 72 v. io , ifassi tra il regno di Scheba e quello di Seba. - Se Ma~ riaba o M e ria b a , sola citt de Sabei nominata da Strabone (p. 778), e giusta Plinio (vi, 38) metropoli di questa nazione, fosse la medesima cbe Sabae , conforme sostiene il Bochart. (Geogr. sacr., lib. n , c. 26) non oso decidere. La situazione sopra un monte assegnatale da Strabone la farebbe creder diversa. (58) Onorri i. Il testo ha .verbo che propria mente significa coronare, ma che talvolta trovasi ancora nel senso d onorare, decorare , siccome in quel verso dOmero (Odiss., vm, v. 170).
AAA*

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Ma un Dio gli orna la forma di parole. (5g) Lagrim a d i mirra. 27**7* il suo nome greco, che suona g occiola , da gocciolare, ma che gli antichi applicavano per eccellenza alla mirra, cut davano il vanto tra i profumi. Quin di leggesi in Esichio : X7<e7 7 r i rpthfms y i y i i f t i n t , ci che proviene dalla m irra, vale a dire la gocciola che stilla dall arboscello che fornisce la mirra, ove se ne incida profonda mente la corteccia. questa sostanza balsamico-resinosa una pro duzione dellArabia felice conforme hassi da Dioscoride (Mathiol., lib. r, c. 67), e fu gi in grandissimo pregio presso gli antichi, per modo che l ottima qualit chiamata W t r r i r t t t pagavasi a peso doro. (V. Salmas. in Vopisc., p. 3g i, e Plin., E x e rc it., p. 700). - La nostra favella non rifiuta il termine di lagrima nel medesimo senso in cui l adoperaron i Greci ed i Romani, conforme pu vedersi negli esempli citati dal vocabolario al $ della voce lagrima. - Lo Schweigh., non sembra aver bene compresa la mente di Polibio scrivendo : G ultae, quam Staclen voeanL

I H (60) B adila. La Itessa citt ch Livio (xxx, tg) chiama io plu rale Besidiae, e della quale per avviso del Cluverio (Ital. antiq . , lib. v, p. 1317) rimane un vestigio in Bisognano. (61) Lam petia. Livio al luogo citato l appella Clampezia. Fu essa eziandio denominata Lam etia (oggid Cetrano), dal fiume Lam eto (oggid lAmato) che le scorte dappresso. 11 Cluverio prende un abbaglio attribuendo i mentovati nomi a due diffe renti citt. (62) M tlilussa Citt ignota a tutti gli altri autori fuorch al Nostro ed a Stefano. (63) Ilazia. < r Degli affari di Creta veggiam fatta menzione nel cap. 5 di questo libro xni . Schw eigh. (64) Sibirto. Questa, siccome lantecedente, debbessere stata una delle sessanta citt meno cospicue dell isola di Creta, dappoich non riscontransi fra le quaranta mentovate da Plinio (v, 12, 30). N tampoco ne parlano gli altri geografi antichi a noi pervenuti. (65) A drane. Cos, a detta di Stefano, scrivea questa citt Teopom po, le di cui opere sono perdute. La pone il citato geografo poco sopra Berenice, citt la qual egualmente che Adrane invano cercherebbesi presso altri autori. - Da questi frammenti si co nosce aver Filippo quest anno guerreggiato in T racia, la me mria della qual guerra insieme con questa parte delle storie di Polibio si affatto perduta . Schw eigh. (66) P er e Ai 75 nel testo di Stefano : vocale la di cui pronunziasene stata presso i moderni oggetto d gravissime di spute, pretendendo gli uni che debba profferirsi come 1, conforme fanno i Greci odierni, altri che abbia il valore d e largo, lo non riferir qui le opinioni discordi del Reuchlino e d Erasmo da Rotterdam a questo proposito, n le contese che su tal par ticolare insursero tra le universit dOxford e di Cambridge ai tempi del protettorato di Crom w ell, n quanto in difesa della pronunziazione in e addusse pi recentemente l inglese Leake. Solo osserver, che ove ragione avessero i Greci d oggid, l i rappresentato sarebbe nel loro alfabeto da tre vocali, cio da due dubbie < ed *, e da una lunga n, quando l e contentarsi

I T2 dovrebbe della sola breve <: mostruosit troppo grande per ssere ammessa. Oltracci grandi imbarazzi nascerebbono da siffatta ipotesi nella intelligenza di certe parole, le di cui lettere tutte sono le medesime, tranne l e l s p. e. del plurale de pro nomi i f t t l t , noi ed I f ii lt , voi , segnatamente allorquando occor rono sovente nel medesimo discorso, siccome nel; seguente, tratto dall orazine di Demostene w ifi 7i r m cpxW ptrfii/at (circa la falsa ambascera): E< 7/ ptSt iS / x ti p tiS ic , iv%
itpttf % ip tt ftit iv S t t e c 3 A A i f t l t S u i* lu t t n t i l i H J ttt' vA Xus ykp vptt pt*XXt * \ t t v s lip tir S a i v e tp ith s i / t i l t i f t i s 'in p iiL tftir. iSe a d unque nessuno d i voi in nulla h a mancato-, non dobbiamo noi a- voi averne grado , sibbene voi a n o i; perciocch avendo noi trascurato d onorare m olli eh erano p i degni d i voi, n o i vi abbiamo sovra il vostro me rito distinto. Al certo il popolo dAtene raccapezzato non avreb

be il senso di queste parole, se l oratore in recitandole non avesse fatta distinzione dall i f t i 7c all i f t t e dall ip tlt all tifi! che vi si riscontrano. Per la qual cosa io m induco a credere che gli antichi la intendessero per riguardo all anzidetta vocale non altrimenti che la intendono le scuole dell Italia, della Francia e di gran parte della Germania ; quantunque ammaestrato da uu dotto Greco moderno, io mi sia assuefatto a proferirla diversa mente , siccome narrasi che accadesse ad Erasmo, propugnator principale della pronunziazione opposta. V. la grammatica greca di Halle in lingua alemanna, ediz. i8"**, del 1767, pag. 3; Gil, racines grecques, a Part. (67) Diger. Sono costoro posti da Plinio (v, 19 , 3) alla si nistra del fiume Striatone. Gli altri geografi a noi pervenuti non ne parlano. (68) Cabile. rammentata da Tolemeo (111, 11) fra le citt mediterranee della Tracia. (69) Cabileni. Plinio (1 . c.) li chiama Cabileti, e dice che abi tavano' presso P Ebro.

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DELLE STORIE
DI POLIBIO

Di MEGALOPOLI*

AVANZI DEL LIBRO DECIMOQUARTO

I. (i) J Lconsoli adunque erano in questi affari occupati. Olimp. Scipione, udito avendo mentre svernava in Africa, che c x l i v , i Cartaginesi allestivano un arm ata, attese pure sif A . d i fatto apparecchio, non meno che all assedio d Utica. 55 1 Tuttavia non rinunziava egli affatto alla speranza di gadagnare Siface, e mandava a lui sovente, perciocch gli eserciti non eran molto fra loro distanti , persuaso che 1 avrebbe richiamato dalla societ deCartaginesi. Non disperava ancora che gli fosse gi venuta noia la (2) fanciulletta,per cui aveva presoli partito deCar taginesi , e che al tutto infastidito fosse dell amicizia di questi, per cagione della natura (3) facilmente sazie vole de Numidi, e della loro perfdia verso gli' Dei e gli uomini. Avendo il pensiero a molte cose rivolto, e dub bie essendo le sue lusinghe circa 1 avvenire, mentrech temeva di cimentarsi allaperto, perciocch gli avversa rli eran di molti doppii pi numerosi, afferr siffatta occasione. Alcuni di coloro eh erano stati mandati aS ifo lib io j

tom . v .

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t. di R. face gli annunziarono, che i Cartaginesi con ogni sorta 551 di legna e di frondi senza terra costruite ave ano le .tende ne quartieri, ed i Numidi che dapprincipio col eran venati di canne, e quelli che pur ora dalle citt eransi raccolti di sole frondi le aveano fatte, alcuni dentro , ma la maggior > parte di loro fuori del fosso e dello steccato. Stimando adunque Scipione, nulla* poter giugnere a nemici di pi inaspettato, ed a suoi di pi efficace che un assalto col fuoco, si accinse a cotesta impresa. (4) Siface nelle ambasciate che mandava a Pu blio ritornava sempre alla stessa sentenza, che i Carta ginesi dovessero sgomberare l Italia, e d i Romani simil mente lAfrica, e che i paesi di mezzo savessero amendue come allora li occupavano. Le quali cose udendo Scipione, in addietro punto non vi dava ascolto $ ma allora faceva apparir i Numida per mezzo de suoi in viati una lieve speranza che impossibile non era di ef fettuar cotesto disegno. Donde avvenne che Siface, leg gero comera, fu incoraggiato a permettere pi frequenti comunicazioni. Quindi in maggior numero e pi sovente mandaronsi messi, e talvolta rimatic&no parecchi giorni gli uni presso gli altri senza ssere custoditi. Co quali Scipione inviava sempre alcuni (5) uomini accorti, non meno che nellarte militare egregi, travestiti da sordidi e vili schiavi, affinch impunemente investigassero ed esplorassero gli (6) accessi e glingressi In ambedue gli alloggiamenti. Imperciocch due erano i campi, uno de quali avea Asdrubale con trenta mila fanti e tte mila cavalli, e l altro dieci stadii circa da questo distante occupavan i Numidi con dieci mila cavalli, e da ci-

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quanta mila fanti. Questo era di pi facile accesso , e J. di 1 le sue tende eran opportunissime a pigliar fuoco , sen- 5 5 1 doch i Num idi, conforme test dissi, non usano le* g n i, n te rra , ma semplicemente canne e giunchi per formar le tende. II. Poich la primavera comparve, e Scipione ebbe presso i nemici investigata ogni cosa che gli era uopo di sapere peli anzidetta impresa, trasse le navi in acqua, e (7) formile di macchine, facendo mostra d assediar Utica dalla parte del mare. Cofanti eh erano due mila occup nuovamente il colle che sovrasta alla c itt , ed afforzollo e tiragli dinanzi un fosso con (8) molta spesa. Agli avversarii apparir fece che eseguiva ci per cagione dell assedio d 'U tica , ma in realt era suo animo di preparare sussidii a (9) suoi nel tempo dell azione, af finch, uscendo le legioni del campo, i soldati che pre sidiavano Utica non osassero di far sortite dalla c itt , d assaltare lo steccato eh era vicino, e d assediare c o - , loro che facevano la guardia. Mentrech eseguiva que sti apparecchi, mandava gente a Siface per informarsi, se accordandogli le sue richieste , a Cartaginesi ancora ci attalenterebbe, e se non direbbono di bel nuovo che delibereranno circa le condizioni proposte. Ad un tempo impose agli ambasciadori di non ritornare a lui prima d aver ottenuta su ci una risposta. I quali come ven n ero , il Numida, uditili, si persuase che Scipione min rav a alla pace dall osservare che gli oratori non; volean o andarsene innanzi di ricevere la sua risposta, e dal* 1 essere quegli in timore circa lassenso deCartaginesi. 11 perch mand tostamente ad Asdrubale, facendogli

116 t. d R. a sapere 1 accaduto, ed esortandolo ad accettare la 551 pace. Egli pertanto stavasi neghittoso, ed i Numidi che a mano a mano sopraggiugnevano lasciava attendare fuori del compreso. Publio in apparenza facea lo stesso, ma in effetto adoperavasi principalmente nel fare i ne cessari! apparecchi. Poich da parte de Cartaginesi fu fatto conoscer a Siface (io) che fermasse i trattati, il Numida-oltremodo lieto comunic la cosa agli amba* sciadorij i quali incontanente recaronsial proprio cam* po per indicar a Publio quanto aveano presso il re ope rato. Sentito ci il capitano de Rom ani, rimand nellistante ambasciadori a Siface per significargli, che Sci pione bens approvava la pace, ed ogni studio vi pone va, ma che il consiglio da lui dissentiva, e diceva che le cose rimanessero nello stato presente. Giunti costoro , esposero 1 affare al Numida. Fece Scipione questo in* vio, affinch egli non sembrasse romper la fed e, se continuando dalluna parte e dallaltra i messaggi pella pace, praticasse qualche atto ostile. Ma fatta questa di chiarazione , stimava che qualsivoglia avvenimento non gli sarebbe ascritto a colpa. IH. Siface , sentite queste cose , n ebbe dispiacere, perciocch avea gi preconceputa la speranza che sarebbesi fatta la pace. Venne pertanto a colloquio con Asdrubale, e gli espose quanto eragli stato annunziato da Romani. Buona pezza su cotal argomento delibera rono, avvolgendosi in dubbii, come in appresso avessero a diportarsi, ben lungi essendo dall immaginarsi l av venire e dal dirigervi i loro consigli. Imperciocch in torno alla necessit di guardarsi ed a qualche sciagura

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che loro sovrastasse non ebbero il bench minimo so* . r; di R. spetto ; sibbene avean essi grande brama e volont di 551 qualche fazione, e di provocar i nemici in un luogo eguale e (i i) piano. Frattanto Scipione facea creder alla moltitudine per via de^li apparecchi e de Coman damenti , che avesse qualche intelligenza con Utica ; e chiamati i tribuni pi sufficienti e fidati circa il mezzo d , espose loro il suo disegno, ed ordin pranzassero per tempo e'conducessero le legioni fuori dello steccato; poich secondo il consueto tutti i trombatori uniti avrebbon dato il segnale. (12) Imperocch costume presso i Romani che tutti i cornatori e trombatori suo nino presso la tenda del capitano, affinch in quel tempo collocate vengano le guardie notturne a luoghi destinati. Poscia fece venire gli esploratori, che mandati avea ne campi nemici, ed esamin e confront le loro relazioni (i 3) circa le ambascerie e circa gli ingressi che mettevano agli alloggiamenti, giovandosi del giu dizio e del consiglio di Massanissa, pella pratica che avea de luoghi. IV. Poich fu pronta ogni cosa all imminente biso gna, lasciata nel campo una sufficiente guernigione, an d innanzi coll esercito , passata appena la prima vi gilia : ch i nemici erano circa (i4) sessanta stadii da lui distanti. Avvicinatosi a questi intorno la fine della terza vigilia, diede a Gaio Lelio ed a Massanissa la met de soldati e tutti i Numidi, ed ordin loro che dessero 1 assalto al campo di Siface ; esortandoli ad esser uo mini valorosi, ed a non operar nulla temerariamente, bene sapendo che, in quanto le tenebre sono dimpedi-

118 f. di R. mento e d ostacolo alla vista -nelle imprese nottur n i n e , intanto bassi a supplire coll ingegno e coll au dacia. Egli, preso seco il rimanente dell esercito, and addosso ad Asdrubale. Area pertanto determinato di non attaccare, se prima Lelio co suoi non aressero git tata il fuoco fra i nemici. Con siffatti dirisamenti mar ciava egli a bell agio. Quelli di Lelio si divisero in due parti, ed insieme assaltarono i nemici. Essendo le tende di tal natura, che parevano fatte a posta perch il fuoco vi si apprendesse, conforme dissi di sopra, come prima quelli che andavan innanzi vi lanciaron il fuoco che consunse le prime te n d e , divenne il male irrimediabile pella continuanza de padiglioni, e pella quantit della materia al fuoco sottoposta. Lelio adunque si stette alle riscosse, e Massanissa conoscendo i luoghi, per cui quelli che fuggivano dalle fiamme erano per fare la ri tirata, in essi colloc i suoi soldati. Nessuno de Numidi ebbe il pi picciolo sospetto di ci eh era, neppure lo stesso Siface, ma immaginaronsi che il campo ardesse per qualche fortuito caso. Laonde di nulla sospettando, chi dal sonno, chi (i 5) immersi nell ubbriachezza ed ancor bevendo balzarono fuori delle tende. E molti calpestati furono da compagni nelle uscite dello stec cato 5 molti (16) tutt all intorno soprappresi dalla fiam ma furon abbruciati : quelli che il fuoco scamparono , abbatteronsi tutti ne nem ici, e perirono non sapendo n che sofferissero, n che si facessero. V. Frattanto i Cartaginesi, reggendo il molto fuoco e la grande fiamma che s alzava, supponendo che il campo de Numidi si fosse da s incendiato, alcuni an-

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daron incontanente a recar aiuto ; gli altri tu tti , corsi A. di R foori di chiuso, senz armi fermaronsi dinanzi al pr* ^ 5 i prio campo, attoniti di ci che accadeva. Scipione, cui le cose riUscivan (17) non altrimenti chegli desiderava, lanciatosi sugli usciti, chi uccideva, chi inseguiva, ed in sieme gittava fuoco nelle loro tende. Ci fatto ebbero i Cartaginesi a sofferir dal fuoco la stessa sciagura, che test dicemmo aver sofferta i Numidi. Asdrubale desi stette (18) subito dall opporsi all incendio, perciocch conobbe dal fatto, come la calamit non era tampoco presso i Numidi avvenuta per caso, conforme avea cre duto, ma procedeva dalle insidie e dall audacia de ne mici; quindi occupossi della propria salvezza, essendogli a questa ancora rimasa poca speranza. Imperciocch il fuoco rapidamente dilatavasi, ed a tutti i luoghi d in torno apprendevasi ; i passaggi erauo pieni (19) di ca valli , di giumenti, d uomini, quali semivivi e periti dal fuoco, quali spaventati e fuori di senno; per modo che a quelli ancora che far voleano prove di valore coteste cose riuscivano d impedimento, e pel tumulto e pella confusione toglievan ogni lusinga di salvezza. Lo stesso era di Siface e degli altri duci. Se (20) non che amendue i capitani salvaronsi con pochi cavalli: le altre (21) molte migliaia d uomini, di cavalli, di giumenti ebbero sciagurata e compassionevol morte nelle fiam me. Alcuni uomini fuggendo con vergogna ed ignominia la violenza del fuoco, caddero per mano de nemici, da' quali non solo senz arm i, ma eziandio senza vestiti, ignudi eran uccisi. In somma ogni luogo era pieno d ur li, di strida confus, di terrore , di strepito immenso,

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'. di R. ed insieme di fuoco divoratore e di fiamme strabocclie551 voli ; delle quali cose una sola basterebbe per isbigoltire l umana n a tu ra , non che tutte inaspettatamente con* corse. Il perch siffatto avvenimento non pu neppure per esagerazione esser paragonato a checchessia : tanto superava esso in orrore tu tte le gesta anzidette. Laonde quantunque Scipione molte cose ed illustri abbia ope rate, questo fatto mi sembra, il pi bello ed il pi maraviglioso di quanti egli ha eseguiti. VI. (32) Del resto sopraggiunto il giorno, ed i nemici essendo parte periti, parte fuggiti a precipizio, aringati i tribuni, si mise incontanente ad inseguir coloro che la davaa a gambe. Dapprincipio il Cartaginese (22) attendevalo, quantunque giunta gli fosse la nuova del suo ar rivo i) e ci fece affidato nella fortezza della citt. Ma poscia osservando che gli abitanti ammutinavansi, spa ventato della venuta di Scipione , fugg con quelli che eransi col ricoverati, i (24) quali sommavano cinque cento cavalli, e circa duemila fanti. Gli abitanti di co mune accordo si diedero alla discrezione de Romani. Scipione questi risparm i, ma due citt vicine conce dette in preda alle legioni ; ed eseguito ci si ridusse agli alloggiamenti di prima. I Cartaginesi cui l impresa era riuscita contraria alla. speranza che dapprincipio ne aveano,furono molto dolenti del caso. Imperciocch lad dove speravano dassediar i Romani, rinchiudendoli nella rocca eh ad oriente dUtica, (25) nella quale aveano. le stanze, per terra cgli eserciti, per mare colle: forze* navali, ed. avendo a quell uopo fatti .tutti .gli apparec chi : laver ora non solo conira ogni aspettazione ed

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attesa ceduta la campagna agli avversarli, ma l aspettar !. <fi R eziandio fra poco di veDr in percolo essi stessi e la 55 1 patria, al tutto li atterriva e scoraggiava. Tuttavia costretti dalle circostanze a far qualche provvedimento ed a prendere consiglio sull avvenire, era il loro se nato pieno di dubbiezze, e varii e confusi partiti propo neva. Conciossiach alcuni dicessero doversi mandar ad Annibaie e chiamarlo dall Italia, non restando altra speranza se non se in quel capitano e nelle forze eh egli aveva seco. Alcuni voleano che si inviassero a Sci pione oratori pella tregua, e per parlare di pace e di trattati. Altri confortavano alle armi, ed avvisavano che si accozzassero forze, e si mandassero ambasciadori a Siface, il quale erasi l (26) presso in Abba ritirato , e raccoglieva quelli che aveano scampata la strage. Que sta sentenza finalmente prevalse. Ragunaron adunque forze, e fecero uscir Asdrubale. Mandaron ancora a Siface, pregandolo li soccorresse, e perseverasse nel divi samente di prim a, dovendo il lor capitano ben presto unirsi a lui collesercito. VII. Il capitano de Romani era, a dir vero, occupato nell assedio d Utica $ ma udendo che Siface erasi fer mato , e che i Cartaginesi ragunavan di bel nuovo un esercito, pi sollecito usciva (27) de quartieri colle forze ed attelavale innanzi ad Utica. Distribuiva ad un tempo (28) parte delle spoglie, e (29) licenziava i mercatanti con lucro : perciocch promettendo il conseguito pro spero successo un ottimo esito di tutta la guerra, i soldati in poco pregio tenendo la preda che possedeva no, di buon grado la vendevano amercatanti. Al re de

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t. di R. Numidi ed a* suoi amici parve dapprincipio di conti55 * nuare a far la ritirata verso casa $ ma essendosi abbat tuti a Celtiberi intorno ad Abba, i quali erano di fresco stati condotti da Cartaginesi in numero d oltre quat tromila , affidati in queste braccia, fermaronsi e ripre sero alquanto d animo. T ra per costoro, e pella giovi netta, eh era figlia del duce Asdrubale, e moglie di Siface, conforme dissi di sopra, e lo pregava ed assidua mente supplicava di (3o) rimanere e di non abbandonar in cotal frangente i Cartaginesi, il Numida si persuase, e diede retta alle richieste che venivangli fatte. N poca speranza procacciaron eziandio i Celtiberi a Cartagi nesi; sendoch (3 i) annunziavasi esserne diecimila in luogo di quattro, e predicavansi irresistibili nelle batta glie, e per valentia, e per armadura. I Cartaginesi adun que inanimiti da questa voce e dal discorso eh erasi sparso pel volgo, rinfrancaronsi doppiamente a mettersi di bel nuovo in campagna. Finalmente dentro trenta giorni eressero uno steccato ne cos detti (3a) Campi grandi, ed attendaronsi insieme co Numidi e co Celtiberi, sommando tutti non meno di trentamila uomini. V ili. Le quali cose come prima si riseppero negli alloggiamenti de Romani, Scipione s accinse ad uscire co suoi, ed ordinato a quelli che assediavaa U tica, ed a comandanti dellarmata navale ci ohe avean a fare, mosse di l con tutto lesercito spedito. Giunto il quinto giorno aCampi grandi, ed avvicinatosi la nemici, il pri mo d alloggi sovra un colle, da trenta stadi! distante dagli avversarli ; il (33) susseguente, disceso al piano, e collocatisi dinanzi i cavalli, alloggi l esercito (34) den-

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tro allo spazio di sette stadii. I due d appresso resta* A. di R rono col, tentandosi alcun poco con reciprochi bada* 55 1 lacchi $ ma il quarto usciron ainendue con proponi* mento di combattere ed ischieraronsi. Publio pertanto mise semplicemente, secondo il costume de suoi, nelle prime file le insegne degli astati, dietro ad esse quelle de principi, e nell ultimo luogo alle spalle colloc quel le de triarii. I cavalli italiani pose nell ala destra, i Numidi e Massanissa nella sinistra. Siface ed Asdrubale schierarono i Celtiberi nel centro di rincontro (35) alle coorti rom ane, i Numidi nell ala sinistra, ed i Carta ginesi nella destra. Nel primo incontro la cavalleria ita liana fece piegar i Numidi, e la gente di Massanissa i Cartaginesi, come quelli eh eran gi avviliti pelle fre quenti rotte toccate. I Celtiberi pugnarono valorosamen te , entrati in mischia co Romani $ perciocch n fug gendo aveano speranza di salvezza , attesa l imperizia de luoghi, n cadendo vivi in potere de nemici per ca gione della loro dislealt verso Scipione, dal quale non avendo sofferto trattamento ostile negli affari di Spa gna, riputavausi venire contro la giustizia e la fede ad unir le loro armi co Cartaginesi a danno de Romani. Nell atto pertanto che le ale piegavano furon essi da principi e da triarii circondati, e tutti col tagliati , tranne pochissimi. (36) Per tal modo perron i Celtiberi, avendo prestati grandi servigi in (3?) tutto il fatto a Cartaginesi, non solo nella battaglia, ma eziandio nella fuga. Imperciocch se i Romani non incontravano que sto impedimento, ed inseguivan immantinente i fug genti , pochissimi degli avversarli sarebbono scampati.

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Ora peli indugio che questi frapposero Siface co cavai* li fece salvo la ritirata a casa, ed Asdrubale con quelli eh erangli rimasi in Cartagine. IX. Il capitano de Romani, poich ebbe fatte le ac conce disposizioni intorno alle spoglie ed a prigioni, convoc il consiglio, e deliber circa la condotta da te nersi in appresso. F u adunque deciso che (38) Scipione con una parte dell esercito girasse pelle citt ; e Lelio e Massanissa, presi seco i Numidi ed una parte delle legioni romane , tenessero dietro a Siface, e non gli dessero tempo di pensare a casi suoi e di far apparec chi. Fatta questa deliberazione i duci separaronsi ; gli uni inseguirono Siface colle anzidette milizie, ed il capitano and a prendere le citt. Delle quali alcune sarrendettero spontaneamente aRomani per (g) paura, le altre furono prese colla forza, per assedio (4<>) o d as* salto. Era tutto il paese preparato ad un cangiamento, come quello che (4>) immerso trovavasi in continue ves sazioni e tributi pelle lunghe guerre di Spagna. Ed in Cartagine, ove gi prima era grande trambusto, crebbe allora viemmaggiormente la confusione, avendo essi pella seconda volta toccata una tanta rotta, e rinunzia to oramai ad ogni speranza. Tuttavia quelli fra i con sultori che mostravansi pi animosi avvisarono, che colle navi si'andasse addosso a coloro che assediavan Utica, (42) si tentasse di scioglier 1 assedio, e si com battesse per mare cogli avversarli, che preparati non erano da questa parte. Stimaron eziandio che si man dassero ambasciadori ad Annibaie, e che senza por tem po in mezzo di questa speranza ancora si facesse prova.

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Conciossiach ragionevolmente amendue le imprese po- A. di R tessero fornir grande opportunit alla salvezza. (43) Di- 55 x cevan alcuni le circostanze non ammettere cotesti di visamenti, ma doversi afforzare la c itt , ed apparec chiarsi ad un assedio : ch molte favorevoli occasioni spontaneamente offerirebbonsi, ove fossero unanimi. (44) Esortavan ad un tempo a deliberare circa la pace e quelle condizioni, per cui liberarsi potessero da pre senti mali. Essendosi fatti molti discorsi su questi parti colari, vinsero tutte le sentenze. X. Ci stabilito, quelli che navigare doveano in Italia dalla curia recaronsi tosto al m are, ed il capitano del1 armata alle navi. Gli altri provvedevano alla sicurezza della citt, ed assiduamente occupavansi delle cure par ziali. Scipione , essendo gi 1 esercito pieno di p red a , attesoch nessuno resisteva, ma tutti cedevano alle sue im prese, risolvette di mandare la maggior parte delle spoglie l, ove dapprincipio lasciate avea le bagaglie, di occupare coll esercito spedito gli alloggiamenti di Tunesi, e daccamparsi al cospetto di Cartagine; supponen do che per tal guisa sovrattutto li avrebbe riempiuti di terrore. I Cartaginesi adunque dopo pochi giorni ebbe ro pronte nelle navi le ciurme e le vettovaglie, ed acconciaronsi a metter i vascelli in m are, e (45) ad eseguire ci che in cotal frangente richiedeasi. Scipione venne a Tunesi, e fuggendo al suo arrivo la guernigione, occup il luogo. (46) E Tunesi distante da Cartagine da centoventi stadii, e vedesi da pressoch tutta la citt. Eccel lenti sono le sue fortificazioni, e per natura, e per arte, conforme abbiam detto di sopra. Appena ebbero i Ro-

126 !. di R. mani piantato il loro cam po, che i Cartaginesi salpa551 rono, (47) navigando alla volta dUtica. Publio veggendo l appressarsi degli avversari!, e temendo non alla sua armata ne accadesse qualche sinistro, turbossi, es sendo quella senza sospetto e non preparata ad un im minente attacco. Il perch , ritornato a suoi alloggia menti , affrettassi a soccorrer i suoi. E trovate le navi coperte, per rizzar ed accostare le macchine e per ogui altruopo d assedio bene e convenientemente allestite, ma non punto apparecchiate ad una battaglia; laddove 1 armata degli avversarii nel corso di tutto l inverno era stata a questo effetto provveduta : rinunzi al di* segno duscir in alto mare e di combattere, ed (48) ac costati a terra i vascelli coperti, vi pose intorno le navi da carico in tre e quattro file \ (49) poscia tolti gli al beri e le antenne, leg a queste i primi fortemente.
XI. Polibio nel libro decimoquarto scrive, che (So) Fi lone fu adulatore di Agatocle figlio d Enante, sozio del re Filopatore. (Ateneo, vr, i 3). Polibio nel libro decimoquarto delle Storie dice, che a Clinunte, la quale prestava a lui (a Tolomeo Filadelfo) ufficio di coppiere, erano consecrate molte imagini in Alessandria d una sola tonaca coperte , e con nn nappo in mano. E le pi belle fra quelle di sua ca s a , proseguisce lo stesso, non (5 i) appellans conmi di Mirtione, di Mneside e di Potina ? sebbene Mneside e Potina furono snatrici di flauto, e Mirtione (5a) una delle pubbliche bagasce. E (53) Agatoclea amica del re

127 Tolemeo Filopatore noi tenne forse in suo potere e !. di R sconvolse tutta quanta la reggia ? (Lo stesso, lib. xm , 551 c. 5). (54) XII. Io (55) veggo alcuni cbe dubbiosi ricer Eslr. cano , perch noi scrivendo gli avvenimenti tutti anno Vales. per anno di (56) confronto, intorno a quelli dellEgitto soltanto deduciam (5 j) ora la narrazione da tempi co tanto remoti. Ma noi labbiam fatto per coteste cagioni. Il re Tolemeo Filopatore, sul quale al presente aggirasi il nostro discorso, poich ebbe terminata la (58) guerra circa la Gelesiria, toltosi da tutto ci eh onesto, si volse ad una vita lussuriosa, e tale, quale abbiamo test esposta. Tardi pertanto costretto dagli avvenimenti, cadde (5g) nella guerra che or abbiamo riferita; la quale oltre alle crudelt e scelleratezze che mutuamente vi furon esercitate, non ebbe nulla che degno fosse di men zione, o alle battaglie campali, o alle navali, o agli as sedii si riguardi. Il perch mi corse alla m ente, che cos a me scrittore riuscirebbe pi facile, come aieggitori pi istruttiva la narrazione, ove non facessi la spo sizione toccando ciaschedun anno le gesta minute e non meritevoli dattenzione, ma tutto in ima volta e quasi iu un corpo riducendo la condotta di questo re, la re lazione componessi. (6o) (Il rimanente da cercarsi, perciocch mancavano quarant otto fogli, nequali contenevansi le cose di Tolemeo e dArsinoe.)

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SOMMARIO
DEGLI AVANZI DEL LIBRO DECIMOQUARTO.

Scinoas

ij t

Arm cj.

d s s im A Vtica - Spera di riconciliarsi con Si/ace - Esplora campi de nemici Tiene a. bada Siface con ambascerie - Accampamenti d Asdrubale e di Siface (jj I.) - Scipione simula una evoluzione contro Viica - E tratta ad un tempo con Siface per via d ambasciadori Tronca le ambascerie ( li.) - Siface delibera con Asdrubale - Scipione prepara un inganno La sera si danno presso i Romani i segni cogli strumenti da fiato ($ 111.) - Scipione arde gli accam pamenti de nemici ( IV.) - Siface ed Asdrubale scampano con pochi. - Scipione ritorna vincitore nel campo ( V.) Costernazione de Cartaginesi nella citt - I Cartaginesi a consiglio - Abba luogo fo rte ( VI.) - / Cartaginesi ri storano le loro fo rze - I Celtiberi giungon opportunamen te. - Campi grandi ( VII.) - Scipione va incontro et nemici E li rompe in battaglia ne Campi grandi - Tutti i Celtiberi periscono (J V ili.) - Lelio e Massanissa inseguono Siface Scipione soggioga le citt - Ultimi consigli de Cartaginesi ( IX.) - Scipione occupa Tunesi - l Cartaginesi assalgono l armala di Seipione ( X.)
T o le m e o

F ilopjtobe, te d'Ebitto.'

Agatocle adulatore di Tolemeo Filopatore ($ XI.) - Clinunte amica di Tolemeo Filopatore - Agatoclea ( ivi.) - Lautore abbraccia in questo libro gli affari dell Egitto di molti anni ( XII.)

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ANNOTAZIONI
AGLI AVANZI DEL LIBRO DECIMOQUARTO.

A b b ra cc ia v a questo libro gli avvenimenti della seconda guerra punica contenuti nella prima met del lib. xxx delle storie di L ir io , cio a dire sino al cap. 26 ; quindi trarsi debbono da questo autore le notizie circa i fatti alla mentovata guerra appar tenenti, che per ingiuria de tempi mancano nel Nostro. Ma irreparabil il danno che deriva alla storia dalla perdita quasi to tale di quella parte del presente lib ro , nella quale narravansi i casi dell Egitto sotto Tolemeo Filadelfo pel corso di ben quat tordici anni : che tanti passarono dalla battaglia di Raffia acca duta l anno di R. e descritta da Polibio nel lib. v sin al tempo a cui giungono le relazioni di Polibio in questo libro. Nes sun altro scrittore a noi pervenuto ne parla, se si eccettuino i pochi cenni che ne d Giustino (xxx, 1, 2). (1) I Consoli. Erano questi Gn. Servilio Cepione e C. Servilio Gemino, secondoch riferisce Livio (xxx, 1). Il primo com-' batteva ne Bruzii cogli avanzi dell esercito d Annibaie ; l altro trovavasi colla sua gente in Etruria, dove non vavea guerra, ma dal quale paese erano pi vicini a passare nella Liguria che Ma gone cartaginese, approdato col con una flotta, tratui avea nel suo partito (Livio xxix, 5, 38). (2) La Jnciulletta. Sofonisba, figlia dAsdrubale figlio di Gescone, la quale era stata data in isposa a Siface, pazzamente di lei innamorato, affinch questo re Numida si unisse alla causade Cartaginesi. Per instigazione del padre indusse costei il marito,
P o l ib io ,

tom. v.

i3o
eh era alleato deRoinani, a mandar ambasciadori a Scipione che il distogliessero da passar in Africa ; ma il duce romano astata mente fece creder a suoi, che Siface lo incoraggiasse al tragitto, e deluse cosi le trame debarbari (Liv. z x ix , a3 e seg.) (5) Natura facilmente sazievole, fleti la chiama Polibio con evidentissimo sostantivo eh Esichio spiega uptal uiparSte* > C 6pitivftitoy Saziato presto, appena, toccata la cosa. Nella nostra favella non v ha modo di render esatta mente siffatta idea. (4) Siface nelle ambasciate. Costui non avea per anche calata visiera, ed infngendosi mediatore tra i Romani ed i Cartaginesi non mirava che a guadagnar tempo ed a mendicare pretesti per venire ad un aperta rottura; ma Scipione con rigiri vieppi astuti gli guast il disegno. (5) Uomini accorti, ec. Livio (xxx, 4) cos racconta la faccenda Cum legatis, quos mitteret ad Syphacem, calonum loco primos

ordines spectatae virtutis atque prudentiae servili habitu mittebat (cogli ambasciadori che mandava a Siface spediva egli in
luogo di bagaglioni soldati deprimi ordini di specchiato valore e di prudenza). Ora erano i bagaglioni (calones) realmente di con dizione servile, conforme osserva il Forcellini (Lexic. tot. latin it), e poteano, senza dar ombra, fingersi addetti pe ministeri pi bassi al servigio degli ambasciadori. Polibio pertanto, stando al senso apparente del testo: T n i t fkt Tir irpctypict , evc J x< fflfmholncSf, sembra che di coleste spie faccia due classi di per sone, le une militari pelle cognizioni alla milizia spettanti che per mezzo di loro Volea procacciarsi, le altre non tali, ma avvedute affine di penetrare ne consigli de nemici. L ivio, vero , attri buisce loro due qualit, luna militare, virtus, l altra civile pru denza , ed in ci saccorderebbe col Nostro ; ma egli le unisce amendue in uomini tolti da' primi ordini della milizia, lo che ha molta probabilit, non comprendendosi chi potessero essere co lesti esploratori non militari versali in pubblici affari (che tal la forza di apctypi!ik ' i presso il'Nostro). Egli perci che io

i3 i
non approvo la traduzione lalin di questo passo : Partirti spectatae prudentiae viros , partim etiam milites (parte domini di specchiata prudenza, parte eziandio soldati), e spiego il testo per modo , che cosi il trpxvpitt m S t (uomini accorti) come lo ripxIm ltx S t sieno relativi alle stesse persone, fecondo significare al secondo di questi vocaboli, non gi semplicemente nomini mili tari ; ch per esprimer ci ri px t i l u t avrebbe scritto Polibio; sibbene dando alla desinenza in tx ts lo stesso valore eh essa ha nel trpxypiuixSt, persone d singolare perizia nellarte mili tare, quali esser doveano peli appunto i primi ordines, che chiamavansi ancora ordinum du ctores conduttori delle file : officio che non affidavasi se ndn se a soldati di sperimentato valore e prudenza. E adunque da rigettarsi la correzione dellUrsino in rpxh lui (soldati gregarj), e quella dello Schweigh. in rTpxrtiyixS (soldati d ordine superiore) , e da ritenrsi la lezione de codici. (6) Gli accessi. Tlpxiflts la scrittura volgala, che lo Schweigh. nelle note appi di pagina e nel vocabolario fu tentato di can giare in wptriSvt , comech ne comentarj egli approvi la lezione del testo nel senso di exitus (uscite). Ma sebbene Livio (1. c.) scrisse aditus exitusque omnes, non doveasi perci lasciar correre un vo cabolo cui male conviensi il significato dell exitus liviano, espri mendo esso pi presto avanzamento , progresso. Il perch io adotto l emendazione v p tr ilx t, e credo ehessa corrisponda alV aditus di L ivio, il quale per iiriStst, ingressiones (entrale) pose exitus, lo che al postutto si riferisce alle medesime strade, pelle quali non meno s entra che si esce. Oltrech non era la maggior o minore difficolt dell accesso a campi circostanza da tacersi ; e difiatti veggiamo poc appresso che pi agevol era l av vicinarsi al campo di Siface. (7) Formile. Non piacque al Reiske ed allo Schweigh. il da tivo Ixhlxts riferito a ti ; (navi); ma se questi commentatori avessero avuti innanzi agli occhi due testi della Ciropedia (v m , 5 i) : los S 'i t r w t %xXx.t7f trpt^xiptxro xxsrxivirx , e vu, 1, 46: i t A m i ri K Zpts 7 *7s ia m u n , xxh rxiu xrtt,

i3a
avrebbon essi conosciuto che il verbo *alt<rxtvgtit qui usato da Polibio si costruisce mollo bene collaccusativo del subbietto, ar mato o fornito, e col dativo dellarmamento o fornitura, e vice versa ancora j n avrebbono suggerito, il primo di scrivere i t lu i!*ie wtkifniirttt, e l altro di dar a K*irxtv*%t il senso di preparare, mettendo tm) innanzi al 7v7<r, e facendo dire a Po libio : Prepar sopra queste. * (8) Con molta spesa. Non v ha ragione d alterare la scrittura del testo, quando le si pu dare un significato plausibile. Quindi 10 ho lasciato il vtX v l/fittt volgato, adottando la spiegazione che ne fa lErnesti, ed ho rigettato il w t\ v lt\ S t proposto dal Reiske, che spiega questo vocabolo studiose, diligenter, operose , mirificey ed il QikMfittt dello Schweigh., che lo interpetra impensiore studio (con grande impegno). (9) A? suoi. Leggendosi nel testo il solo segnacaso I t 7t senza 1 1 correlativo nom e, sospett il Gronovio a buon dritto che vi mancasse qualche cosa, ed io non sarei alieno dal credere che il sostantivo omesso sia S v ti/ttn , od altro simile. Se non che consi derando che Polibio altrove (xvin , 3 i , x x x , 7) us la frase l 7t x*if 7e per star in osservazione, cogliere Fop portunit de' tempi , non improbabile che molto pi corrotta di quanto credesi sia la lezione de codici, e che in lnogo di iQiSf'tvtti Kult Tti 7? vpifcitti *ipt> abbiasi a leggere: i* 7o<r x* 7 7f ttm/pn, stare attento, in guardia delle opportunit che presenterebbe f azione. Ma riflettendo dall ai tilo canto che nella prima emendazione non fa d uopo che din terpolare una sola voce, e che il senso il quale ne risulta meglio adattasi a quanto segue, che ricevendo 1 altra lezione , mi sono nel volgarizzamento attenuto alla prima. (10) Che fermasse i trattati. A detta di Livio (xxx, 4) avean i Cartaginesi, osservando che i Romani manifestavano grande de siderio pella pace, aggiunto al lor assenso alcune ingiuste condi zioni ; la qual circostanza scuserebbe maggiormente Scipione delle ricominciate ostilit che non il pretesto della disapprovazione del consiglio fattogli addurre dal Nostro.

i33
(il) Eguale e piano. I libri hanno parte , parte : voce che non trovasi presso altro autore, e che nes sun lessicografo conosce. Tuttavia riscontrandosi essa in tutti i codici, convien credere che sia storpiatura di qualche altro ter mine , ed a me sembra, aver il Casaub. colto nel segno facen done rr x x \ che io ho renduto verbalmente senza ti more dintrodurre una inutile ripetizione ; eguale essendo un ter reno che non ha intoppi, e piano quello che non devia dalla linea orizzontale. (11) Imperocch, ec. Questa incumbenza aveano i centurioni della prima insegna de tria rii, conforme riferisce il Nostro nel lib. vi, 34, 35. (13) Circa le ambascerie. Io non so dar torto all Ursino il quale conserv le parole v t f 7Sr w ftr fiu it che recano tinti i codici coll edizione Ervagiana, chiaro essendo che Scipione informossi dagli esploratori di quelle cose eh erano state vedute presso Siface ed i Cartaginesi nelle ambascere cui erano stati dati per compagni. Quindi ho rigettato il w tfu S r (strade) del Casaub., il v f t r f i i t w i (accessi) del R eiske, ed il w frfitX S* (luoghi di fcile avvicinamento) dello Schweigh. Ma in adottando la lezione de libri convien emendare coll Ursino le parole che seguono, e scrivere: *) 7 u t fi TSt u r iftii. (14) Sessanta stadii. Sette miglia dice Livio (xxx, 5), equiva lenti a cinquantasei stadii. Del resto ha lo storico romano pres soch copiata dal Nostro tutta la relazione di questo assalto; se non che questi, seguendo il suo instituto, molto pi esatto nel descrivere le disposizioni militari, e quelli che volgarmente chia matisi dettagli dell azione. (15) Immersi neir ubbriachezza. Non pu negarsi che lespres sione ixftit th , usata qui dal Nostro, non abbia dello strano. Significa essa verbalmente, massimamente ancora, lo che sembra involger contraddizione, non potendo al massimo grado convenir una modificazione che denota progressione ed aggiunta. Il perch vollero alcuni togliere la particella th , opponendosi loro per

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tanto lo Schweigh., il quale in difesa di lei adduce altro testo simile di Polibio nel lib. x v , c. 6. Ma io noo credo che simili sieno ainendue i testi, dappoich nel secondo dove leggesi, **ptt ili tcx) tt, Vili non allac/uvr, sibbene al < >v> hassi a r i ferire , ed il senso cbe ne risulta si : adesso ancora massi mamente (siamo in pericolo). Per la qual cosa io ho qui negletta la particella aggiuntiva, e par mi che coll iic fit pitSvrxcptitct Polibio significar volesse, che parte de Numidi i quali saltarono' fuori delle tende, nellatto che vi si appales il fuoco, erano nel sommo dell ubbriachezxa. E forse trovasi li 7 fuori di luogo, dovendosi trasportare accanto al w h ttlts , ove figura molto me glio, ed ove noi pure nel volgarizzamento 1 abbiam collocato. (16) Tuli'aW intorno soprappresi. Ho ritenuto il wtpixiJ < *Xt)Q$itln dello Schweigh., che oltre all autorit d alcuni buoni codici ha in suo favore la ragionevolezza del senso che n emerge, a fronte del poco garbo che ha l emendazione del Gronovio con servata dall E rnesti, i quali avendo trovato nella edizione del Casaub. l i ttvfi K*l*\ttQ&ttlts (relieti non correpti conforme tradusse questo autore) contentaronsi di scrvere * 7sApii>7ir (da sopraggiugnere), per modo che avrebbe scritto Polibio molto goffamente: Sorpresi dal fuoco perirono dalla fiamma. (17) Non altrimenti. Mole, per mio avviso, rendettero i tra duttori latini l i n m i che qui scrsse Polibio per quasi ; dap poich non quasi, ma al tutto procedevano gli affari siccome Sci pione bramava. Il perch meglio s addice al mentovato voca bolo il senso di r x i f, quemadmodum, haud secus, ed 10 lho adottato. (18) Subito. In tutti i manoscritti e nelle prime edizioni leggonsi le parole iv liS it, Sv9 i r separate da una virgola, ma l Ernesti avvertito dal Reiske soppresse la interpunzione , facendo significar ad amendue le voci statim e vestigio, e fu egli seguito dallo Schweigh. Dura, a dir v ero , cotesta ripetizione, anzi in con traddizione col fatto , dappoich Asdrubale non nel primo mo-

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meato in cui s avvide dell incendio, ma sibbene dopo aver co nosciuto eh fesso era prodotto dalle insidie e dall audacia de nemici, ordin a suoi che non vi si opponessero. Laonde io non torrei ad iv i Uhi il significato suo pi comune, da quel luogo, indi, o meglio per tal cagione, siccome appunto lo spieg lo stesso Schweigh. nel lib. x i , 9 , scrivendo ex eo ipso statim ; della quale interpretazione dimenticatosi egli addusse poscia lo stesso passo in difesa della nuova opinione da lui sostenuta. (19) Cavalli. Bene osserva il Reiske, che questi non erano gi i soldati a cavallo compresi negli uomini appresso mentovati, ma i cavalli da guerra (fuggiti probabilmente senza i loro pa droni); laddove i giumenti erano cavalli da soma e da carro. (10) Se non che, ec. Livio (xxx, 6) qui molto esatto nel ri ferire il numero degli uomini e degli animali periti e presi. Il Nostro ha amato meglio d estendersi nella descrizione di s or rida scena, eh egli infatti, secondo il suo costume , pone colla maggior evidenza sotto gli occhi a suoi leggitori, dandone al duce romano quel merito che derivargli dovea da azione tanto segnalata. (ai) Molte migliaia. Nel testo (tv(f* Jtt, decine di migliaia, le quali secondo Livio (l. c.) sommavano quattro, eguali a qua ranta migliaia. (aa) Del resto, ec. Avanti questo capitolo abbiamo posti de segni di lacuna, seguendo Guglielmo Xilandro, il quale! nel mar gine della versione tedesca avvert chiaramente che manca in questo luogo una particella della narrazione, che debb essere sup plita da Livio. Lo che bassi ad intendere del numero degli uc cisi e di poche altre cose che riscontransi in Livio (xxx, 6) ed io Appiano (Puuic., c. a 3 e seg.), e che lepitomatore ha omes se . Schweigh. Non pertanto impossibile che Livio abbia tratte le notizie che qui non leggonsi da qualche altro storico. Infatti se Polibio in alcuna parte perduta dei presente capitolo avesse annoverati i morti ed i prigioni, non avrebb egli detto sommariamente che amendue i capitani salvaronsi con molli

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cavalli, e che le altre miriadi d uomini, di cavalli e di giu menti ebbero miserevol morte nelle fiamme. Il perch io non ho
interposto fra questo capitolo e l antecedente nessun indizio di testo difettoso. (2 3) Altendevalo. Dove? Ce lo dice Livio (xxx, 7 ): Hasdru-

bal ex fuga cum paucis Afrorum urbem proximam petierat.


(Asdrubale erasi dalla fuga con pochi recato nella citt pi vicina degli Africani). E da Appiano (Punic. 24) sappiamo che questa citt chiamavasi Anda. Quindi non possono mancare nel testo molte parole conforme suppone il R eiske; forse soltanto ir
Jl i Sx .

(24) I quali sommavano, ec. Erano questi, secondoch ne in segna Livio (1 . c .) , tutti quelli che sopravanzarono alla strage. (25) Nella quale aveano le stanze. Coleste stanze acqui starono celebrit presso i posteri, ed ebbero il nome di Castra Cornelia e Comeliana, le quali, conforme apparisce dalle testi monianze degli antichi scrittori che Cellario raccolse nella Geogr. antic., lib. v, c. 4> erano all'oriente d Utica. Con essa non dee confondersi quel colle del quale Polibio fece menzione di sopra al cap. 2, e che sembra essere stato situato pi verso il mezzod d Utica . Schweigh. (26) I presso in Abba. Secondo Livio (1 . c.) erasi Siface fer mato in un luogo afforzato distante otto miglia dal campo. Il qual silenzio dell anzidetto storico circa il nome di cotesto luogo, ed il non trovarsi quello di Abba presso nessun geografo antico fanno supporre eh esso fosse di poca considerazione. Del resto dovea questa citt giacere fra Castra Cornelia e Cartagine, dappoich non v ha dubbio che Siface in ritirandosi non siasi avvicinato alla capitale, cos per difenderla come per trame aiuti. Per la qual cosa io approvo la scrittura dell Ursino, ricevuta dal Casaub., che al trXt7tr> delibri (ritenuto dallo Scaligero, e male spiegato non longius, non pi lungi) sostitu netti, dappresso. (27) Usciva de?quartieri colle forze. Il testo ha semplicemente f 1t J v tifttis , conduceva fuori le fo rze ; ma io mi son

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attenuto alla spiegazione cbe di questo luogo d i lo Schweigh., il quale riflette benissimo che gli avvenimenti qui narrati-ebbero luogo in primavera. (28) Parte delle spoglie. F a arbitrio del Casaub., adottato dallo Schweigh., lo scrivere 72 IS i x<pvp* , quando nessuno de codici ha l articolo 7it. Al Reiske pertanto non dispiacque la scrittura Volgata, in cui egli ravvis una dissi. Ed infatti Appiano (Punic. a 5) narra che Scipione non tutta la preda dispens ai soldati, ma che la roba pi preziosa mand a Roma. Ora, quan tunque la costruzione dell articolo neutro col genitivo della cosa in luogo del nominativo sia molto famigliare a Polibio, non fe impossibile chequi fosse omesso il vocabolo f t t f t t , o veramente, se pur vogliasi introdurre il Tu, il superlativo vXtlrl*-, denotan do con tal frase il Nostro che la maggior parte della preda fu concessa a soldati. Pi sotto al cap. x leggesi nello stesso senso 7 7S i Xtipipttt s-Ai/e. (29) E licenziava } ec. Qui ancora pretese il Casaub. d emen dare il testo omettendo il fin che in tutti i libri fra 7t l t ed tfiw iftv i. Ma il Reiske, che conservata volle questa particella, suppose cbe mancasse quella parte del discorso in cui entrar dorea il A che sempre sussegue al ftti, p. e. Itu t ftti rlpxhilxt jrAv7<i * . 7. A., 1 soldati arricch ed i mercatanti, ec. Ma a mio credere non v ha bisogno di cotesta aggiunta, quand an che lasciar si voglia il (ttt, trovandosi talvolta questa congiun-' rione assoluta presso i migliori autori. (30) Di rimanere. Per quanto il Reiske s affatichi in difendere 1 oTpi*i (credo, stimo) che hanno qui tutti i codici in luogo del fititn sostituitovi dall O rsin i, e dal Casaub. in poi da tutti gli editori di Polibio adottato ; il senso che risulta dalla scrittura volgala non lascia d esser oltremodo strano, esprimendo esso che l instante supplicare della moglie di Siface non era cosa avverata dalla tradizione, ma congettura dello storico. Le parole di Livio (xxx, 7) sono un amplificazione di quanto dice il N ostro, ed' il X iw x ftU t k reso per piena lacrymarum obtestoni, senz clausola di dubitazione.

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(3 i) AnnumiavacL II testo'ha triy y tX X tt, annunziavano, dove, a detta dello Schweigh., sottintendonsi i duci de Cartagi nesi o la fama. Ma per mio avviso , cotale supposizione non punto necessaria, dappoich propriet della lingua greca 1 esprimer l impersonalit col plurale delle persone ; il quale modo non eziandio alieno dall uso della nostra favella. (3 a) Campi grandi. Questi erano secondo Livio (xxx, 8) si tuati appi d una collina distante quattro miglia circa dall ac campamento del r e , dove Scipione erasi fermato col nerbo del1 esercito il giorno innanzi alla sua calata negli anzidetti Campi. V. il Nostro al principio del cap. seguente. (33) Il susseguente. Stando alla relazione di Livio (L c.) era Scipione in quel giorno disceso soltanto colla cavalleria, e lavea consumato in avvisaglie, avvicinandosi tratto tratto all accampa mento de nemici. (34) Dentro allo spazio d i sette stadii, cio a dire nella di stanza di sette stadii da nemici, lo che fa chiaramente conoscere labbaglio di L ivio, essendo il colle dov egli fa fermare 1 ' eser cito, mentrech la cavalleria combatteva nel piano, ben trenta, e non sette, stadii discosto dagli alloggiamenti degli avversarli. Ella poi un altra quistione, se colla maggior parte de codici e colla prima edizione abbiasi qui a leggere: lw 7t cletSt'ut I tlc itruiitf witfiiifiuXXt, e postasi sette stadii dinanzi la ca valleria, attel, od accamp 1 esercito, o veramente col cod. urbi nate , con un parigino, e collo Schweigh., debbasi scrivere sic come noi abbiamo tradotto. O la cavalleria, od il campo carta ginese fosse sette stadii lungi dall esercito rom aoo, e questo o schierato fosse od accampato, ne risulta sempre una disposizione diversa da quella che Livio accenna. (35) Alle coorti romane. Lo Schweigh. correggendo s stesso nelle note vuole che al cohortium romanarum da lui scritto nella traduzione si sostituisca manipulrum romanorum, essendo, dic egli, rvi"f* che qui usa Polibio lo stesso che nm */u. Ma va egli errato, dappoich sebbene, conforme osservammo nella no

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ta 83 al lib. vi, <rwtip* e */**/* sovente dal Nostro si confon dano, nel lib. xi, c. 23 k da lui equiparata la nrtp* alla coor te. V. la nota 106 allo stesso libro. (36) Per tal modo. Livio che ha pressoch colle parole del Nostro espressa la battglia qui narrata, omise quella importan tissima osservazione, che pur era una conseguenza naturale della disperazione colla quale i Celtiberi, consci! del loro tradimento e certi di non trovar perdono, avean combattuto. (3 y) In tutto il fatto. Non ho creduto di dover trascurare il trp che leggesi in tutti i codici dopo per quanto da cotesle parole senza emendazione ed aggiunta non si cavi sen so alcuno. Lo Schweigh., che non le ricevette nella sua tradu zione, suppone che Polibio scritto abbia ) eXti, e spiega a %ptA* maximi momenti opera, opera quae ad ipsam rei summant plurimum contulit (opera di grandissima im portanza, che moltissimo contribu alla somma dell affare) ; ma a me sembr pi verisimile la congettura del R eiske, che vi si debba sottin tendere o suppor omesso 7? trp*(if (il fatto). (38) Scipione con una parte dell esercito. Erronea al certo la scrittura volgala S v tifiittt, Tot flit iw tw p tv/tm t, ma non bene, seicondoch io stimo, emendolla.il Reiske, al 7 fttt sostituendo ptittm (rimanere): circostanza affatto superflua dm notarsi, anzi contraria a quanto dicesi tosto, che Scipione bea lungi dal restare col, girar dovea pelle citt con parte dell e sercito. Pi presto crederei che Tt fin sia ne codici una viziosa ripetizione delle stesse parole che leggonsi poco prima (7r piti Jlpultiyat narPuo (se pur non una di quelle singolarit di stile in cui talvolta cade il nostro Autore), e che vadan al tutto cassate, senza che necessario sia di porre altro vocabolo in loro ' luogo. (3g) Per paura. Livio (xxx, 9) dice partim spe, partirti metu, ma V iS tX ttl (spontaneamente) di Polibio non corrisponde alla spe dello storico romano, siccome stima lo Schweigh. ; che colui

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ancora che per paura si rende il fa di propria volont, non al trimenti che chi per speranza vi s induce. (40) Per assedio , o per assalto. Ho accettata la correzione del Reiske, il quale scrive wAitpxSt * i e | i p oSv, laddove i libri omettono 1 *. Invano si affatica lo Schweigh; di difendere la lezione; perciocch falso che r*Xitpx i"> (derivato da w \it citt, ed tfxti cignere) non significhi assediare, ma oppugnare; donde quel commentatore arguisce che x 7 xpiltc (colla forza) h relativo cosi all oppugnazione come alla presa di primo im peto che fa ss i sent assedio, ma senza oppugnazione non gi. Dovea pertanto quell ili. interpetre considerare, che w tkttp xr non prendesi nel senso di bloccare, cio chiuder una citt per ta gliarne le comunicazioni col paese dintorno, sibbene di batterla nell atto di tenerla circondata, ed in tal caso vi si adatta benis simo la determinazione di fo n a . (4 1) Immerso era, ec. Molto evidente fe la frase qui usata dal Nostro : Hit (lc x* 7e 7* %ptti) \y * i(fttix Icclf xKtwm&t/xis,

come quelle (le cose del paese) che aucErjno nelle vessazioni,
ed io mi son ingegnato d avvicinarmi alla forza del testo. Lo Schweigh. cerca il pelo nell uovo, e crede che un altro verbo sia nascosto sotto la voce \yx%{ptn preceduta dalla particella 7 , eh egli credette d omettere, quantunque l abbiano tutti i libri, e sovente ne migliori autori riscontrisi oziosa. (4a) Si tentasse, ec. Con due forze navali stringevan i Romani Utica. L una chiamata da Livio (xxx, 9) statio navium, e della quale egli dice che usava poca cautela, siccome asserisce il-No stro che non era preparata. Questa teneva il largo, e con essa proponevansi i Cartaginesi di combattere. L altra, che Livio ap pella castra navalia, guardava la citt pi dappresso, ed era sempre in attitudine di pugnare ; se non che allora, al dire dello storico romano, aveva essa un lieve presidio, non attendendosi di essere assaltata da un nemico oramai esausto di forze. Formava questa seconda propriamente 1 assedio, ed a lei mira Polibio colle parole 7> lii lrv x t w*Xttpxtvt7*t (coloro che assediavan Utica).

*4 * (43) Dicevan alcuni, ec. Questa riflessione mollo ragionevole omette Livio in parlando delle disposizioni che facevan i Carta ginesi per afforzare la citt. (44) Esortavan ad un tempo, ec. Rara mentio pacis, dice Livio, n riferisce che fossero state proposte delle condizioni per ottenerla ; sibbene e sembra secondo lai che i pi collocassero lei maggiori speranze nella venuta d Annibaie. (45) E ad eseguire ci, ec. T*7t nel testo che il Casaub. e lo Schweigh. rendettero per quae modo dicebamus i male per mio avviso, 7 srftKt/fitttt essendo secondo Esichio quanto 7# cio una cosa che sta dappresso, in nanzi agli occhi, e qui equivale agli oggetti pi essenziali alluopo della difesa, e che per conseguente dovean essere i pi vicini. Forse pensaron i mentovati interpetri al significato di tempo passato, che ha il wapxtf(itrt presso i Grammatici, ma che non pu trasferirsi al wpoxtfpcttar. (46) Tunesi. Dell opportunit che dall occupazione di que sto luogo ritrae una forza nemica che prende a stringer Cartagine veggasi quanto scrve il Nostro nel lib. i, 3 o , , a quali passi accenna egli colle parole che finiscono questo periodo. (47) Navigando alla volta d? Utica. Con cento vascelli dice Ap piano (Punic., c. a 4) che usc Amilcare, comandante dell armata navale, contro i Romani. ( 48) Ed accostati a terra, ec. Nelle battaglie navali i vascelli coperti e rostrati mttevansi nelle prime file, e le navi da carico collocavansi dietro ad esse. Ma qui era la disposizione contraria, perciocch doveasi cansare la battaglia. V. Liv. xxx, io. ( 4g) Poscia. Con questa parola (*ari<7 nel testo) finivano tutte le edizioni ed i manoscritti avanti il Gronovio, il quale tolse ci che segue da Suida alla voce *.i(xtx. Altro frammento che qui appartiene trov lo Schweigh., nel medesimo Snida cosi espresso flpcc%u SittJtiptx v a t i i , ttrlt lwtpti)nto~s <*3tA(7i> e frrar&iti <! iTmvAi).' Facendo un breve intervfdlo, per mo do che le navi Ravviso (verbalmente servienti) potessero uscir

e passare. Ma cotesto frammento nn pu esser itninedilamnte appiccato al Gronoviano, siccome stima Io Schweigh., lo che scorgesi dal testo di Livio ( 1 . c.) , dove questa operazione de scritta Malis antennisque (sono parole dello storico romano) de nave in navem trajectis , ac validis funibus velai una inter se rinculo inligatis , comprehendit, tabulasque superinstravit, ut pervium ordinem faceret, et sub ipsis pontibus intervalla fecity qua procurrere speculatoriae naves in hostem , ac luto recipi possent. N nel primo frammento, n nel secondo leggesi alcuna
cosa delle tavole che messe furono su vascelli insieme legati, af finch passar si potesse dall uno nell altro. (5 0) Filone. Circa questo Filone confronta gli avanzi del lib. x v , c. 33 , al qual luogo sembra che mirasse Ateneo; ma nulla impedisce di cred er, che Polibio abbia gi nel presente libro parlato di quest uomo, dove al certo era il sito di parlare dAgatocle, compagno e supremo amministratore del regno di To lemeo Filopatore, che inori in quest anno 55 1 di R. Di Agatocle e della sua madre Enante confr. xv, s 5 e seg ., e Giustino xxx , a .

Schweigh. ( 5 1) Non appellatisi. Questi nomi tolti erano da nobili oggetti: ch Mvplitii (Mirtione) significa bosco di m irti; (Po tine) amabile, M tirtr (Mneside) ricordazione; ma quel re, per
duto nelle libidini, applicolli a vili donnacce di mal costume. (5 a) Una delle pubbliche bagasce. Il Casaub. mut la voce da lui rinvenuta in tutti i libri, ia cfs* sembrandogli forse meglio esprimere la vituperosa professione di queste femmine un vocabolo legittimamente derivato da iih ttv ftt (io mostro), e pi prossimamente da S u t l i f * , pulpito donde si mostra una cosa. Ma accordandosi i codici unanimemente nel1 altra lezione, egli forza credere che nel dialetto alessandrino, di cui non conosciamo le propriet, avr questa voce cos suonato ( 53) Agatoclea. Sorella di quell Agatocle, del quale si par lalo nel principio di questo frammento . (54) Qui nota il Valesio, che comprendevi aver appartenuto

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questo estratto al lib. xiv daframmenti raccolti dal lib. xiv di Ateneo, ne quali trattasi della condotta e de costumi di Tolemeo Filopatore, l istoria del quale interrotta sino dal lib. v, ora ri presa da Polibio. (55) Io veggo alcuni. Qui nel cod. peiresciano il testo cor rotto , leggendosi nel medesimo erti tf 7it ttra-m-tfttiilts, cbe non ha alcun senso. I commentatori si sono in varii mdi ingegnati di emendare questo difetto, ma la correzione pi ra gionevole e che pi si approssima alla lezione Volgata fece , per quanto io credo, il Reiske scrivendo: O'pi St 7utts iintrep ivrla t, ed a lui mi sono attenuto. (56) Di confronto. Cio a dire collocando insieme gli avveni menti accaduti nello stesso tempo presso diverse nazioni, lo cbe qui esprime il Nostro per l*c v p i^ n t w apaxxixtvs, ed altrove (xxviti, i4) per 7)tt xa.Tttxxnxut wpAtit. ( 5 y) Ora. Nella V o l g a t a leggesi ir **ip 1 S rr} lo che non significa nulla. Quindi molto giudiziosamente cangi lo Schweigh. il * in rvr, sebbene egli stesso non creda con questa mutazione intieramente sanato il testo. Meno, per mio avviso, appigliossi al vero il Valesio scrivendo 7ni 7ir \\iy w tr , tale narrazione, non esprimendo ir x x tp i adesso, ora, ma a tempo, opportu

namente. (58) La guerra circa la Celesiria. Cio la guerra che si


fecero Antioco Magno re di Siria e Tolemeo Filopatore re d E gitto pella Celesiria, nella quale guerra Tolemeo sconfisse Antioco presso la citt di Raffia 1' anno 3 dell Olimpiade c x l , conforme narr Polibio nel lib. v. Nel prologo del lib. xxx di Trogo Pom peo cos leggo : Ma morto Tolemeo Trifone, il figlio di lui Fi

lopatore vinse il re Antioco presso Raffia. Egli poi guasto dalV amore d Agatoclea se ne mor . lesto. (5g) Nella guerra che or abbiamo riferita. Quella cio che
gli recarono gli Egizj, stracchi della sua dappocaggine e lussuria. Imperciocch insuperbiti del felice esito della battaglia di Raffia, sdegnarono in appresso d ubbidire al r e , e non cercavano che

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un dace ed nn capo, credendo d aver forze sufficienti a resistere. Cos proruppero fra poco in una ribellione aperta, siccome scrive Polibio nella fine del lib. quinto . Valesio. (60) I l rimanente. Al Reiske sembra impossibile che tanto numero di fogli si fossero consumati nel ragionare d un argo mento cos sordido quali erano le libidini di Tolemeo, e suppone che abbiasi a leggere non p i , sibbene 0?, , y , due o tre. Ma non a queste accenna il codice, sibbene a tutte le gesta di Tolemeo e di sua moglie ed insieme sorella Arsinoe, donna di maschio senno e valore, che, siccome narra il Nostro nel lib. v, pi assai che il marito contribuito avea alla vittoria di Raffia.

FINE

D E L L E AN NO TAZIO NI

A G L I AV ANZI D E L LIBRO DBGIM OQD AA TO.

i 45

DELLE STORIE
DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

AVANZI DEL LIBRO DECIMOQUINTO.

I. tJcipione era molto dolente che non solo a Romani A. di R tolte furono le .vettovaglie, ma che i nemici ancora eransi forniti in abbondanza delle cose necessarie ; e CXLIT ;j maggiormente gl incresceva che i Cartaginesi violati Estrani aveano i giuramenti ed i tra tta ti, donde sorgeva tm nypvo principio di guerra. Il perch eletti tosto ad am< basciadori (i) Lucio Sergio, L. Bebio, e L. Fabio, spedilli affinch discorressero co Cartaginesi sullaccadu to , ed insieme indicassero loro che il popolo romano avea ratificata la convenzione. Imperciocch aveva egli test ricevute lettere che ci gli significavano. I quali, giunti a Cartagine, furono dapprima condotti io sena to, poscia innanzi al popolo, e con franchezza ragiona* rono su presenti affari. Dapprincipio richiamaron loro alla memoria, come gli oratori da essi mandati vennero a s in T unisi, e presentatisi al consiglio, non solo POLIBIO , tom. v. io

46

4 . di R.

55a

(a) stesero le braccia agli Dei, e (3) buttaronsi ginocchio* ne, conforme costume degli altri uomini, ma, prostra* tisi eziandio vilmente a te rra , baciaron i piedi a quelli cherano ragunati in consiglio, indi come, rialzatisi, ac cusarono s stessi davere violati i primi trattati eh erano stati stabiliti fra i Romani ed i Cartaginesi. Per la qual cosa dicevano non ignorare, cbe ben meritamente ogni gastigo patirebbono da Romani. Tuttavia prega* vano pella fortuna a tutti gli uomini comune, di non far loro sofFerire gli estremi mali \ ch la loro sconsi gliatezza abbastanza farebbe nota al mondo lonest de Romani. Di ci rammentandosi, continuarono gli ora*to ri, il capitano stesso e quelli che allora seco lui sedevan a consiglio forte si maravigliavano in che affida ti, dimentichi delle cose allor dette, osassero di violare i giuramenti ed i trattati. E gi essere pressoch manife sto, come pella fiducia in Annibaie e nelle forze secolui venute, arrischiati siensi di ci fare con pessimo avvedi mento. Imperciocch saper tutti bene come coloro , fug gendo gi il secondo anno da tutta lItalia ne dintorni del Lacinio, e col rinchiusi, e per poco non assediati, ora vengono scampati a stento. E quandanche, sog giunsero, (4) arrivati fossero vittoriosi, dovendosi esporre con noi allultimo cim ento, che in due battaglie, suc cessive vi abbiamo gi vinti, in forse avrebbon ad essere tuttavia le vostre speranze nellavvenire, n immaginar vi dovreste solo di vincere, ma s ancora di poter es sere di bel nuovo sconfitti. Lo che ove fosse per avve nire, (5) quali Dei invochereste? quali ragioni addurre ste per attirare la compassione de vincitori sulle vostre

sciagure? Meritamente sareste esclusi da ogni lusinga A. diX. d ottenere soccorsi , e dagli D e i, e dagli uom ini, per cagione della vostra perfidia e sconsigliatezza. II. Gli oratori, dopo questi d e tti, ritiraronsf. Ma fra i Cartaginesi pochi erano quelli che non confortavano a trasgredire.gli accordi. La maggior p a rte , cos de1 (6) principali dello Stato come de consultori, soppor tavano a malincuore le leggi imposte da trattati, ed in* gozzare non poteano la franchezza degli ambasciadori, ed oltre a ci non sapeano privarsi de vascelli che avean raccolti, e delle vettovaglie per quelli procacciate. Ma ci che pi montava, nudrivan essi grande speranza di vincere per mezzo dAnnibale. Parve adunque al popolo di licenziare gli oratori senza risposta, ma i principali cittadini eh eransi proposti di rimestare ad ogni modo la guerra, ragunatisi macchinarono cotal rigir. Dissero doversi fare provvedimento affinch gli ambasciadori fossero recati con sicurezza a proprii alloggiamenti. Ed incontanente apprestarono due triremi pei* accom pagnarli , ed al capitano darmata Asdrubale mandaron avvertendo, che tenesse pronti alcuni vascelli non lungi dal campo de Romani, affinch, come le navi di scorta abbandonati avrebbono gli oratori, ( 7 ) quelli andassero lor addosso e li sommergessero; perciocch il naviglio de Cartaginesi era stanziato ne luoghi che giacciono davanti ad Utica. Costoro adanque, dati avendo siffatti ordini ad Asdrubale, accommiatarono i Romani, impo nendo a quelli che dirigevano le triremi di lasciare gli oratori in sul confine e di ritornare , come oltrepassato avrebbono il fiume (8) Bacra ; sendoch (9) da quel sito

148 4 . diR. potessi vedere il campo degli avversarli. Le scorte ad un552 q u e , poich secondo 1 ordine avuto oltrepassarono IT
fiume, salutarono i Romani e navigarono indietro. Gli ambasciatori di nessun male ebbero sospetto, ma sti mando cbe coloro che li accompagnavano per poco ri guardo innanzi tempo li avessero lasciati, nebbero al quanto dispiacere. Appena questi navigavano soli, ed ecco i Cartaginesi spuntare (io) dal passo con tre navi da tre palchi, ed affrontarsi col vascello romano da cin que ordini, che non poterono forare, per la sua sfuggevolezia,.n saltare sol coperto, perciocch gli uomini valorosamente si difendevano $ ma combattendo (ri) d ironie ed in giro, ferivano i soldati, e molti ne ucc devano: finattantoch i Romani, veggendo i suoi, che, usciti'fuori del proprio campo per foraggiare presso alla m arina, venivano in loro soccorso sull estremo lido, spinsero la nave a terra. De soldati per la maggior parte, ma gli ambasciadori inaspettatamente furono tratti in secco. III. Dopo questi avvenimenti la guerra ricominci pi fiera di prima, e pi accanita. (12) Imperocch i Romani, tenendosi traditi, con ogn impegno adoperavansi per superare i Cartaginesi: ed i Cartaginesi, conscii di quanto avean commesso, a tutto erano apparecchiati per non ri dursi nelle mani de nemici. Tal essendo il fervore datnendue, egli era chiaro che decidersi dovea lo stato presente con una battaglia. Donde avvenne che non solo tutti gli abitanti dellItalia e dell1 Africa, ma ezian dio ( i 3) quelli della Spagna, della Sicilia e della Sarde gna aveano gli animi sospesi, e , da varii pensieri agi*

4a

ia ti, erano in aspettazione dell avvenire, ( i 4) Frat- A. d i R. tanto Annibaie, che difettava di cavalleria , mand a 55a ( i 5 ) certo numida Ticheo, chera famigliare di Siface ed avea fama di possedere i cavalli pi bellicosi dellAfri ca, esortandolo ad inviargli soccorsi, ed a valersi delP occasione, dappoich bene sapea come , restando su periori i Cartaginesi, egli serbar potrebbe il suo reame, ina , vincendo i Romani, verrebb eziandio in pericolo della vita pellambizione di Massanissa. Costui adunque persuaso da queste esortazioni venne ad Annibaie con due mila cavalli. IV. (i6) Publio, assicurate chebbe le frze navali, e lasciato Bebio suo luogotenente, girava pelle citt, n pi ricevea in fede quelle che volontarie a lui si dava no , ma le prendeva colla forza e ne facea schiavi gli abitanti, manifestando l ira che l incitava contro i ne mici pel tradimento de Cartaginesi. Massanissa solleci tava con frequenti messi, significandogli in qual guisa la gente punica avea trasgrediti i t r a tta tie d esortandolo a levare il maggior esercito che potesse, e ad unirsi con lu quanto prima. Imperciocch Massanissa, quando fu fermata la convenzione, conforme detto di sopra, erasi tosto partito col proprio esercito, ed inoltre rice vute avea dal capitano dieci insegne romane di fanti e di cavalli , ed oratori ; affinch coll aiuto de Romani non solo ricoverasse il patrio regno, ma conquistasse ancora quello di Siface: lo ehe eziandio avvenne* In torno a quel tempo approdarono (17) gli ambasciadori venuti da Roma nel (18) campo navale de Romani. Be bio pertanto sped subitamente quelli cherano presso di

i5o
4. di R. lai a Scipione, ma quelli de' Cartaginesi trattenne, i 55a quali senzaltro erano avviliti, ed ora credevansi nel
maggior pericolo. Conciossiacli, sentita lempiet com messa da Cartaginesi verso gli ambasciadori rom ani, manifesta vendetta stimavan a s sovrastare. Scipione, udito da quelli eh erano giunti che il senato ed il po polo approvarono il trattato eh egli avea fermato co* Cartaginesi, e che pronti erauo a tutto ci ebe da loro cbiedevasi, nebbe grande piacere, ed ordin a Bebio che gli ambasciadori cartaginesi fossero mandati a casa con ogni cortesia : ottim o, secondocb a me p a re , e. prudente consiglio Imperciocch , osservando egli che la propria patria teneva nel maggior conto la fede verso gli ambasciadori, (19) diresse il pensiero n O n tanto alla piena che giustamente sofferta avrebbono i Cartaginesi, quanto a ci che convengasi che facessero i Romani. Quindi frenando la propria collera , e lacerbo dolore che provava peli accaduto , ingegnossi di (ao) serbare, conforme dice il proverbio, le opere ben proposte de Maggiori. Laonde scoraggi tutti quelli cherano in Car tagine, ed Annibaie stesso, superando col suo (ai) onorato procedere la loro demenza. V. (2?) I Cartaginesi, veggendo guastare le loro cit t , mandaron ad Annibaie pregandolo >di non inda* giare, ma dappressarsi a nemici, e di porsi al cimento dnna battaglia. Q uesti, udita I ambasciata , rispose a quelli cherano venuti, badassero alle altre cose, n di questa si prendessero c u ra , ch stabilirebb egli gi ij tempo opportuno alla pugna. Dopo alcuni giorni mosse da diutorni dAdrumelo, and innanzi, ed accampossi

li

presso Jamg , citt distante il cammino di cinque giorni ji. di B, da Cartagine vrso occidente. Di li mand tre (a 3) espio- 55 a ratori con nimo di conoscere ove (a 4) > nemici eran a campo, ed in qual modo il supremo duce de1Romani ( i 5 ) maneggiava le faccende negli alloggiamenti. Publio, essendo gli esploratori a lui recati, tanto fu lungi dal punire i catturati conforme gli altri hanno per costume, che al contrario diede loro un tribuno, cui ordin di mostrare (26) con sincerit quanto era negli alloggiamenti. Ci fa tto , domand loro se la persona a tal uf ficio deputata avea loro mostrato tatto accuratamente, ed affermandol essi, diede loro viatico e scorta e licenziolli, comandando che riferissero esattamente ad An nibale quanto era loro avvenuto. Ritornati costoro , (7) Annibie ammirata la generosit e l'ardire di Sci* pione, venne, non so come, nel desiderio di seco lu abboccarsi, ed avendo ci risoluto, mand un araldo che gli disse, com'egli bramava davere con lui un collo* quio circa la somma degli affari. Publio, udite le parole dli arald o , accett P invito, e disse che (28) mande rebbe a lui per significargli il luogo ed il tempo in cui avessero a convenire. L araldo con questa risposta ri torn al proprio campo. Il d appresso venne Massanissa con circa sei mila fanti e (39) quattro mila cavalli. Sci pione laccolse amichevolmente., ed essendosi seco lui rallegrato per aver egli ridotti in suo potere tutti i po poli di Siface, mosse collesercito, e giunto alia citt di (3o) Naragara, vi pose il campo, occupando un luogo opportuno per ogni rispetto, e singolarmente pellacqua ch'-era dentro un tiro di freccia.

i5 a
J . di R.

55a

VI. DI l mand al capitano de' Cartaginesi dicendo chera pronto di venire seco lai a colloquio. Annibaie, ci udito, lev le tende, ed appressatosi per modo che non erano distanti pi di trenta stadii, accampossi so vra un colle, che in tutto confaceasi alla presente biso gna , se non che l acqua n era alcun poco lungi ; nel qual particolare i soldati molto ebbero a penare. Il giorno appresso usciron amendue del proprio chiuso, con pochi cavalli ; poscia separatisi da questi, (3 i) innoltraronsi, avendo seco un interprete. Annibaie fu il pri mo a dare {3 a) il saluto colla destra, e cos incominci: Io avrei voluto che i Romani non avessero giammai estesi i loro desiderii fuori dell Ita lia , n i Cartaginesi faori dellAfrica ; perciocch convenienti sono ad amendue e bellissimi cotesti imperi!, e , (33) per dir tutto, dalla natura come circoscritti. Ma poich venuti dap prima a contesa pella Sicilia ci siamo fatta la guerra,. poscia nuovamente pel dominio della Spagna, ed alla fine, {34) sebbene dissuasi dalla fortuna, tanto progredim mo, (35) che laddove voi foste in pericolo di perdere il patrio suolo, ora lo sian (36) costoro massimamente : nulla ci resta e non se di chiedere merc agli Dei, che cessino la presente gara. Io pertanto pronto sono a cotal partito, dappoich ho sperimentato co fatti quanto sia mutabile la fortuna, e come una minuta circostanza pender la faccia a favore dell una parte o della ltra, trattandoci (3j) da scipiti fanciulli. VII. Ma per t e , o Publio, forte pavento, e perch sei molto giovine, e perch ogni cosa ti va a seconda, cos in Ispagna come in Africa, e non t abbattesti

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finra alla -retrocessione della fortuna , pavento , dissi, che per queste cagioni non presti fede alle mie parole, sebbene sieno (38) sincere. Tu pertanto fa ragione (39) d una cosa che ti dir qual sia il corso delle umane vicende; n ti rammenter avvenimenti de tempi andat i , sihbene de nostri giorni. (4 o) Io sono quell Anni* baie, che dopo la battaglia di Canne divenni padrone di quasi tutta l Italia, e dopo breve tempo maccostai a Roma stessa, e posto il campo in distanza di qua* ranta stadii dalla citt, deliberai che cosa io dovea fare di voi e del vostro patrio suolo ; (4 ) eccomi ora in Africa ridotto a parlar te c o , che sei Romano, della mia salvezza e di quella de Cartaginesi. Alle quali cose ri guardando io ti esorto a non insuperbire, ma a gover narti nelle presenti circostanze (4>) con umani rispetti : cio a d ire , a preferir sempre fra i beni il maggiore, e fra i mali il minore. Ora qnal uomo prudente precipi tarsi vorrebbe in un pericolo siccome quello che ti sta davanti ? in cui vincendo non accrescerai gran fatto la tua gloria, n quella della patria, e vinto, tutte le ante riori nobili ed onorande geste (43) al tutto vane rende rai. Ma quale scopo prefiggo io a questo mio discorso? Abbiansi , dico, i Romani, tutto ci per cui in addietro contendemmo: la Sicilia, la Sardegna, le province della Spagna; ed i Cartaginesi non muovano guerra a Ro mani per qiytti possedimenti. Abbiansi pure i Romani le altre isole, quante giacciono fra l Italia e l Africa. Conciossiach io creda che queste condizioni sieno per dar a Cartaginesi la maggior sicurezza in avvenire, ed

&n 55 a

i54
J. d in a te , ed a tntti i Romani ridondar debbano in grandis*' 552 si ma gloria. V ili. Cos parl Annibaie. (44) Cui Scipione replic, a Non furono gi i Romani autori n della guerra di Sicilia, n di quella di Spagna; sibbene manifestamente iCartaginesi: lo che conosceva benissimo lo stesso An nibaie, e gli Dei ancora ne furono testimoni, dando la vittoria non a coloro che incominciarono le ingiuste ostilit, ma a quelli cbe le respinsero. (45) Riguardo io quanto alcun altro alla mobilit della fortuna, ed ho rispetto quanto possibile alla condizione umana. Ch se avanti la passata de Romani in Africa tu, sgombe rata lItalia, proposti avesti cotali p a tti, io non credo che fallito ti avrebbe la speranza. Mai poich lasciata hai l Italia a tuo malgrado, e noi, passati in Africa ,.ci siamo renduti padroni della campagna, egli chiaro che gli affari hanno sofferta una grande mutazione. Ci per tanto che pi monta si , (46) cheravamo gi venuti a partito. Vinti i tuoi concittadini pregavano pella pace, quando fermammo per iscritto le condizioni, fra le quali era, oltre a ci che tu ora offri, che i Cartaginesi resti tuiscano i prigioni senza riscatto, che consegnino le navi coperte, che paghino cinquemila talenti, ed in guaren tigia di queste cose dieno statichi. Questa convenzione avevamo fra noi stabilita ; per questa mandati abbiamo amendue oratori al senato ed al popol nostro : noi per significare il nostro assenso al trattato, i Cartaginesi per implorarne la ratificazione. Vi acconsent il senato, ed il popolo-pure accordollo. I Cartaginesi, conseguito chebbero ci che avean chiesto, mancaron a patti e

i 55
ci tradirono. Che cosa resta a farsi ? Mttiti nel mio j , di A. luogo, e dimmi. Sono da togliersi le pi gravi condizioni 55a che furon loro imposte, (4 ?) non affinch premiati della loro perfidia, insegnino a chi verr appresso a violar la fede a1benefattori; ma sibbene perch conseguendo ci che domandano, ce ne abbiano grado? Ma ora, che umil mente supplicando ottennero le loro richieste, (48) come prima per cagione di te concepirono una lieVe speran za , ci trattarono da nemici. (49) In tale frangente potr riferirsi di pace al popolo collaggiunta di nuove gravezze a quelle che gi furono comandate; ma ove ab biasi a fare qualche detrazione da patti stabiliti, il partito non ammette neppur relazione. Qual termine adun que avr il nostro discorso? Che rimettiate voi e la vostra patria alla nostra discrezione, o che vinciate combat tendo. IX. (5o) Cos avendo insieme parlato Annibaie e Pu blio separaronsi, non essendo dal loro colloquio risul tato nessun accordo. Il d vegnente in sul far del gior no usciron amendue co loro eserciti ed acconciaronsi alla battaglia: i Cartaginesi pella propria salvezza epegli affari d Africa, i Romani pel dominio e la signoria, universale. Le quali cose chi voglia considerare, (5 1) co me non iscuoterassi alla loro narrazione? Che non eser citi pi agguerriti,'non duci pi avventurati, e maggior mente fattisi atleti nelle opere di guerra trover alcuno, de premii maggiori proposti dalla fortuna a combattenti, di quelli cheran allora recati innanzi. Imperciocch i vincitori non lAfrica sola o 1 Europa erano per signo reggiare; ma sibbene tutte le parti della terra abitata,

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A. di R. quante formati ora- snbbielto di storia: lo che avvcrossi

5 ia

fra poco. Scipione pertanto dispose le schiere del suo esercito in questo modo. Primieramente gli astati e le loro insegne per intervalli; dietro a questi i principi, (5 a) mettendo i drappelli non negli spazi! corrispon denti agl intervalli delle prime insegne, conforme co stume de Romani, (53) ma luno dopo laltro in qual che distanza, (54) pella moltitudine degli elefanti che aveano i nemici. Da ultimo colloc i tiiarii. Nell ala si nistra schier Caio Lelio colla cavalleria italiana , e nella destra Massanissa con tutti i Numidi a lui sogget ti. (55) Gl interstizii delle prime insegue riempi colle coorti de veliti, ordinando a questi che appiccassero la zuffa, e dovendo ceder alla forza, (56) e non potendo resistere all impeto degli elefanti, si ritirassero, quali accelerando il passo pegl intervalli eh estendevansi in linea retta alle spalle di tutto lesercito; quali (57), so prappresi da parecchie p a rti, applicandosi a fianchi (53) presso le insegne. X. Preparate le cse in questo modo, gir aringando 1 esercito con brevi detti, ma acconci al presente ci mento. (5 g) Chiese si rammentassero de combatti menti passati, e si dimostrassero uomini valorosi, degni di loro e della patria. Si mettessero innanzi agli occhi, che superando gli avversari! non solo avrebbono sta bile signoria in Africa, ma procaccerebbon ancora a s ed alla patria lincontrastabile principato e dominio di tutta la terra. Che se la battaglia altro esito fosse per avere, quelli che da magnanimi morissero pugnan d o, nella morte pella patria avrebbon il pi bel fregio

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sepolcrale, ma coloro cbe colla fuga si salvassero, in j , di S. somma vergogna e miseria trarrebbon il resto della vita} 55a 'perciocch nessun luogo dell Africa atto sarebbe a re care salvezza a fuggenti, e quelli che fossero per cadere nelle mani deCartagiuesi oscuro non essere a chi diritto estima ci che di loro avverrebbe. Delle quali cose, dis se , nessuno di voi faccia sperienza giammai. Avendo adunque la fortuna a noi proposti grandissimi premii in amendue le parti, come non saremmo i pi vili, ed insieme i pi stolti di tutti gli uomini, s e , lasciando i maggiori beni, scegliamo i maggiori mali per amor della vita? Il perch chiedeva egli, due cose si prefgessero mentrech moveano contro i nemici : vincer o morire. Imperciocch coloro soltanto che partonsi da siffatte ri soluzioni , (60) superare sempre di necessit gli avversarii, quando disperando della vita vanno in battaglia. Cotale fu lesortazione che fece Publio. XI. Annibaie colloc (61) gli elefanti, eh erano me glio dottanta, avanti tutto lesercito, poscia i mercena r ii, che sommavano da dodici mila, ed erano Liguri, Galli, Baleari e Mauritani. Dietro a questi attel glin digeni (62) africani e cartaginesi ; ed in ultimo luogo quelli cherano seco lui venuti dallItalia, mettendoli iu distanza doltre uno stadio dalle schiere che aveano di nanzi. Le ale assicur co cavalli, ponendo nella sini stra i Numidi alleati, e nella destra la cavalleria carta ginese. Ordin poi che (63) ciascheduno aringasse i pro pri soldati, riferendo la speranza della vittoria a s ed alle forze che seco lui erano venute. A duci de Carta ginesi comand di annoverare e rappresentar a suoi le

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A. di fi. sciagure che avverrebbono a figli ed alle mogli, ore la

542

battaglia fosse per avere un esito infausto. Costoro eseguiron il ricevuto comandamento, ed Annibaie . scor-> rendo pelle file de'soldati seco lui giunti, con molte parole li chiedeva ed ammoniva, si ricordassero come per diciassettanni vissuti erano insieme famigliarmente, si ricordassero dei molli combattimenti gi avuti co Ro mani , ne quali essendo stati invitti, nessuna speranza era rimasa a Romani di vincere giammai. Ma sovrattutto chiedeva, si recassero innanzi gli occhi, oltre alle parziali pugne ed innumerevoli vittorie, la battaglia presso al (64) fiume Trebbia col padre di colui che al* lora era duce supremo de Romani, egualmente che la battaglia in Etruria con Flam inio, e la cos detta di Canne con Emilio; le.quali n pella moltitudine n pel valore della gente degne erano da paragonarsi col ci mento in cui erano per entrare. Ed in ci dicendo im pose loro di guardar (65) e scorrere coll occhio la schiera degli avversarii, la quale non che fosse minore, non era neppur una picciola parte di quelli con cui al lora pugnarono, e nel valore non poteano con loro es sere confrontati. Imperciocch quelli, mentrerano invit ti combatterono seco, avendo le forze intatte: ma que sti essese parte discendenti di loro, parte avanzi di quelli che sconfitti furono in Italia, e sovente da essi fugati. Quindi non dover essi distruggere la gloria ed (66) il no me di s medesimi e del capitano, ma pugnando ani mosamente confermare la fama d insuperabile valore eh erasi di loro divulgata. Siffatte eose esposero amendue ne respettivi aringhi.

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XII. Poich da ciaschedun lato tutto era preparato J. di al cimento, avendo i Numidi da molto tempo insieme 55a scaramucciato, ordin Annibale a condottieri degli eie fanti di assaltare i nemici. Come prima sonarono d tutte le parti le trombe ed i corni, (67) alcuni elefanti spaventati di repente indietreggiarono e furon addosso a Numidi ausiliarii de Cartaginesi ; il perch la gente di Massanissa nud tosto l'ala sinistra di questi. Le al tre belve investirono i veliti de' Romani nello spazio di mezzo fra le schiere, e molto sofferirono, facendo non poco mal governo degli avversari! ; sino a che impau r it i , parte sbucarono pegl'intervalli, ricevendoli i Ro mani impunemente, (68) merc del provvedimento del capitano^ parte fuggendo verso la destra parte, (69) saet tati da cavalieri, riuscirono finalmente ad un luogo fuori dello schieramento. Lelio attaccava, mentre che gli ele fanti spargevano la confusione, e costringeva a precipi tosa'fuga la cavalleria de' Cartaginesi. Incalzava egli con grande impeto i fuggenti, e lo stesso faceva Massanissa. In quello amendue le falangi avanzavansi a passo lento e grave, tranne quelli cbe con Annibaie venuti erano dall' Ita lia , i quali rimasero (70) nel primo luogo che occuparono. Poich si furono vicini, i Romani secondo l'uso patrio mettendo alte strida e battendo gli scudi colle spade, assalirono gli avversarli. I mercenarii de Cartaginesi mandavano fuori urli indistinti e discordi, come quelli che secondo il poeta non erano della stessa gena, n parlavano la stessa favella ;
(7 1 )

Ma avean lingue diverse, e vani nom i,

conforme test li abjiiam annoverati.

i6o
A. di R.

55a

XIII. Facendosi la pugna colle mani e a corpo a cor* p o , perciocch i combattenti non adoperavano (72) n lance n spade, i mercenarii dapprincipio prevalsero in (73) agilit ed audacia, e ferirono molti Romani; ma questi affidati nella perfezione del Ipro schieramento e nellarmadura, andavano progredendo. E siccome i Ro mani erano seguiti ed esortati da quelli di dietro, lad dove i Cartaginesi non avvicinavansi a mercenarii, n li soccorrevano, ma stavansi sbattuti danimo ; cosi alta fine piegarono i barbari, e reputandosi manifestamente abbandonati da suoi , nella ritirata gittavansi addosso a quelli che avean da tergo, e li uccidevano. L a qual cosa costrinse molti Cartaginesi a morir da forti; per ciocch tagliati da mercenarii combattevano contro la loro volont co suoi ed insieme co Romani, ed in me* uando (74) colpi d forsennati ed in guisa strana, noa pochi ammazzavano cos della propria gente come de Romani. (75) Per tal guisa (76) scombuiaron alquanto le ' insegne degli astati. Ma i conduttori de principi, reg gendo ci che accadeva, opposero le loro file. La mag gior parte de mercenarii e de Cartaginesi fu col tru cidata , parte da suoi, parte dagli astati. Quelli che salvaronsi e fuggirono non lasci Annibaie mescolar colle sue forze, ma ordin alle seconde file di stender loro incontro le lance, ed imped che avvicinatisi fos sero ricevuti. Laonde furono costro obbligati a fare la ritirata verso le ale, e laperto fuori di queste. XIV. Essendo il luogo fra gli eserciti rimaso pieno di sangue , duccisione , di cadaveri, grande imbarazzo dava al capitano de Romani (77) lingombro della s t r a *

i6i
ge; perciocch il terreno renduto sdruccioloso da1 morti j , ,u fl. insanguinati e nel cadere ammonticchiati, e le armi git- 55 a tate confusamente, e sparpagliate insieme co cadaveri, (78) erano per difficoltare il passaggio alla gente cbe marciava schierata. Tuttavia, mandati feriti alla coda della battaglia, e richiamati colla tromba (79) gli astati che inseguivano, collocolli ivi (80) innanzi al sito della pugna dirimpetto al centro de nemici, ed i principi ed i triarii addens in amendue le a le , e fece progredir (81) lungo i morti. Poich, superati gli ostacoli, quasi furono pari cogli astati, le falangi affrontaronsi con grandissimo impeto. E siccome amendue (82) eguali erano di numero, dardimento, di valore, e darmadura; cos rimase lungo tempo la battaglia indecisa, mo rendo gli uomini ostinati nello stesso luogo in cui com battevano : finattantoch Lelio e Massanissa ritornati dall inseguire i cavalli , (83) e qaasi da un Dio man dati , unironsi co suoi a debito tempo. Q uesti, attac cando Annibaie alle spalle, ne uccisero la maggior parte nelle file, e di quelli che si diedero a fuggire pochis simi scamparono, essendo i cavalli loro addosso, ed i luoghi piani. Caddero de Romani (84) oltre millecin quecento, e deCartaginesi oltre ventimila, e poco meno daltrettanti ne furono fatti prigioni. XV. Tal fine adunque ebbe 1 ultima battaglia, che per mezzo degli anzidetti duci aggiudic a Romani il dominio universale. Dopo la pugna Scipione, inseguiti i nemici e saccheggiato il campo de Cartaginesi, si ri dusse a proprii alloggiamenti. Annibaie con pochi ca-t valli, ritirandosi continuamente, salvassi in Adrumeto, f o u b i o j tom. r. 11

i6a
A. di X. dopo aver fatto (tarante il cimento tutto il possibile che 55a far debbe un buon capitano e di grande sperienza. ltnpercioceb primieramente venendo a colloquio adope rassi con tutto P ingegno in procurare un accordo; e ci (85) non da chi tradisce le vittorie, ma da chi dif fida della fortuna, e prevede gli esiti straordinari! delle battaglie. Poscia entrato nel cimento, in tal modo si condusse, che posstbil non era di combattere meglio co Romani, usando la stessa armadura, di quello che allora fece Annibaie. Conciossiacb, (86) diffidi essendo a -rompersi le file de Romani, ogni uomo non pertanto ed in massa e parzialmente da ogni lato combatta, schierati come sono duna sola ragione, e voltinsi sem pre le insegne pi vicine col (87) dove minaccia il maggior pericolo. Oltre a ci procacciando l armadura sicurezza ed audacia, cos pella grandezza dello scudo, come pella resistenza che la spada offre a colpi, non agevol cosa il combattere con loro e vincerli in batta* glia pelle cagioni anzidette. XVI. (88) tuttavia Annibaie a ciascheduna di que ste cose, per quanto fu possibile con tanta ragionevo lezza e cos a tempo adatt le sue disposizioni, che nulla restava da aggiugnersi. Imperciocch prepar to sto grande quantit d elefanti, e li pose diuanzi, per sbaragliar e sfondare le file degli avversarli; i mercena rii colloc nella fronte, ed i Cartaginesi dietro di loro, per infievolire prima colla fatica i corpi de nemici, rintuzzare i tagli delle armi colla moltitudine degli uccisi, e costringer i Cartaginesi ch erano nel mezzo, a star saldi e combattere, conforme dice il poeta:
(8 9 )

Perch a malgrado suo ciascun guerreggi.

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La gente pi bellicosa e ferma attel in distanza, affiu- A. di R. ch da lungi guardando ci che accadeva , e restando 55a illesi di corpo e d animo, nell occasione adoperassero il loro valore. Che se dopo aver fatto ogni sforzo per vincere, gli fall il disegno, posciach invitto fu in ad dietro, meritossi perdono. Imperciocch il caso talvolta contraria alle imprese degli uomini valorosi*, e talvolta ancora giusta il proverbio
iS" abbatte

il buono ad altro eh migliore

Locch convien dirsi che allora a lui accadesse.

XVII. (90) Le cose che sorpassano la comune con- Estr.an suetudine, e non si confanno co costumi ricevuti, quando appariscono derivare da vero dolore cagionato dalla grandezza delle sciagure, eccitano misericordia in chi vede ed ode, e non v ha fra noi alcuno che in qualche modo la stranezza dell avvenimento non com muova. Ma quando scorgesi accader siffatta cosa per impostura e con simulazione, non misricordia, sibbene ira ed odio n 1 effetto. Ci avvenne allora agli am basciadori de Cartaginesi. (91) Scipione breve discorso incominci a diriger lo ro , dicendo : come in grazia dessi i Romani di nessun atto di cortesia eran loro debitori, dappoich confes$avan essi medesimi, che sin dapprincipio rotta aveano la guerra contro i trattati, riducendo in servaggio la (92) citt di Sagunto, e di recente aveanli traditi, violando i giuramenti e gli ac cordi scritti. T uttavi, disse, avere i Romani (g3) per

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A. diR. amore di s stessi, e della fortuua, e delle umaue vi-

55 a

ceade deciso di trattarli con clemenza e magnanimit} lo che sarebbe 1stato chiaro a loro medesimi, ove si fossero fatti a giustamente considerare la situazione presente. Imperciocch qualsivoglia cosa loro s impo nesse di so ffrire , o di fare, o di dare, non doversi ri putar grave, ma aversi pi presto a stimare evento in aspettato, ove si concedesse loro qualche benigna con* dizione, posciach la fortuna, togliendo loro ogni speranza di misericordia e di perdono per cagione della loro iniquit, li avea dati in potere de' nemici. Ci detto espose le beneficenze che concedeva, e le gravezze che doveano tollerare. XVIII. I cap principali delle proposizioni etano que sti. Avessero le citt d'Africa che aveano pria di muover a Romani Vultima guerra, e la campagna che anticamente aveano, gli animali, e gli schiavi^ e gli al

tri effetti. Da quel giorno innanzi non fossero oltrag giati i Cartaginesi, e vivessero co costumi e colle leggi proprie , senza essere presidiati. (g4) Queste erano te condizioni benigne: le contrarie ad esse quelle che se guono : Le cose tutte mal tolte durante la tregua resti tuissero i Cartaginesi a Romani; rendessero i prigioni ed i fuggiaschi d'ogni tempo ; consegnassero tutte le navi lunghe , tranne dieci triremi, (g5) e csi tutti gti elefanti. Non facessero guerra a chicchessia fuori delr Africa n dentro alV Africa , senza lassenso de' Romani. Le case , le campagne, e le citt , e qualsivo glia altra cosa appartenente al re Massanissa , o che gi f u de suoi maggiori, entro a confini che sarebbona

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loro mostrai/, restituissero tulle a Massaniisa. Feltova- A. di K. aliassero l'esercito per tre m esi, e gli pagassero i sa- 55 a fariit jialtanlo che giagnesse qualche risposta da Ro ma circa la convenzione. Pagassero i Cartaginesi dieci mila talenti dargento in cinquantanni ^ recando ogni anno dugento talenti Euboici. Dessero per istatichi in pegno della loro fede cento giovani, che sceglierebbe il capitano de Romani, non minori di quattordici anni , n maggiori di trenta. XIX. Queste cose disse il supremo duce romano agli ambasciadori, i quali avendole udite affrettaronsi a farle conoscer alla patria. Allora dicesi cbe (96) uno del se nato, volendo contraddir.alle proposizioni, ed avendo gi incominciato a parlare, Annibale fattosi innanzi il traesse gi dalla tribuna , ed essendosene gli altri sde gnati per essere cotal atto contro ogni civil costume 5. Annibaie si rizzasse, (97) dicendo cbe avea fallato, ma cbe meritava 'perdono se in qualche cosa peccato avesse contra i costum i, dappoich sapevano che es sendo uscito della patria quando avea Dove a n n i, egli vi era ritornato in et (98) doltre quaranta cinque. H perch chiedeva non badassero s deviato avesse in alcuna parte contro la consuetudine ; ma molto pi se dolevasi sinceramente de casi della patria, essendo per cagione di questi ora incappato in cotal imprudenza. Imperciocch maraviglioso gli sembrava ed al tutto stra no , come vavesse Cartaginese, il quale sapendo le de liberazioni prse csi in comune dalla patria, come in privato da ciascheduno di noi contra i Romani, non si prostri draanzi alla fortuna, se essendo in potere di

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A. di R. quelli, patti cotanto benigni gli sieno offerti. A quali

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se pochi giorni prima alcuno domandato avesse, che cosa stimavano che soffrirebbe la patria ove vincessero i Romani, non avrebbono neppure potuto parlare, pella grandezza e l eccesso de mali che alla loro mente si sarebbono presentati. Il perch credeva egli non dover essi per ora (99) discutere, m a accettando unanimamente le proposizioni fatte sacrificar agli D ei, e tatti pregarli che il popolo romano le confermi. Parve savio il consiglio ed adattato alle circostanze $ quindi fu ri solto di stabilire il trattato alle condizioni anzidette. Ed il senato sped tosto oratori a significare cothe esso a tutto acconsentiva.

Estr. anu

XX. Chi non si maraviglier, come Antioco e Filip po, (100) mentre vivea Tolemeo e non abbisognava del loro aiu to , pronti eran a soccorrerlo, e quando mor, lasciando un fanciulletto tenero, coi (r 01) per diritto di natura salvar dovean (101) il regno, incitatisi recipro camente si fecero a dividere il retaggio del fanciullo ; non addncendo neppure, conforme praticano i tiranni, un lieve pretesto per coprire il vituperio, ma di repente surgendo con tanta (io 3) impudenza e ferocia, che (io4) pu applicarsi loro il dettato della vita de pesci, fra cui vuoisi che, nella stessa specie ancora, la morte del minore divenga alimento e vita del maggiore. Laonde chi, guardando come iownospecchio nella convenzione di costoro, non creder di vedere co proprii occhi lem piet verso gli D ei, e i a crudelt verso gli uom ini, e

167 Pimmensa avarzia eie* mentovali r? Tuttavia, chi dopo j . di& aver (io 5) meritamente biasimata la fortuna della sua 55 a condotta negli affari um ani, seco lei non riconcilierassi pella conveniente pena che a coloro fece pagare, e pel bellissimo esempio che nella punizione de re anzidetti diede a posteri per loro correzione? Imperciocch mentressi con (106) mutui -tradimenti laceravano il rea* me del fanciullo, quella mand lor addosso i Romani, ci chessi danno d altri macchinavano scellerata* mente, determin a buon dritto contra di loro; sendoch tosto (107) vinti amendue colle arm i, non solo fa loro impedito dagognare laltrui, ma si ridussero a pa* gare tributi, ed a far i comandamenti de Romani. F i nalmente fra poco la fortuna ristor il reame di Tole meo , (108) e le signorie di costoro ed i loro successori parte al tutto disert e mand in perdizione, parte av volse in sciagure poco minori.

XXI. Vebbe (109) presso i Ciani certo Molpagora, Estr.V uomo valente di lingua e di fatti, e quanto al tenore di vita ( n o ) agitatore della plebe ed ambizioso. Costui procacciandosi colPaffabilit la grazia della moltitudine, e mettendo in potere del volgo i pi doviziosi, ed ucci dendo alcuni, altri esiliando, e le loro facolt vendendo pubblicamente e distribuendo al popolo , ben presto in colai guisa (111) acquistassi una potest regia.

I Ciani adunque caddero in siffatte sventure non Estr. ani.

i6 8 A. di R. tanto per colpa della sorte , o per offese altrui recate , 55a quanto priucipalmente pella loro sconsigliatezza, e pel loro mal governo, promovendo essi sempre i pi tristi, e castigando quelli che a costoro si opponevano, affin ch dividessero reciprocamente le loro sostanze. Incor sero quindi come spontaneamente in cotali disgrazie, a cui non s per qual modo gli (i la) uomini tutti mani festamente abbattendosi, desistere non possano dalla loro pazzia, e non diffidino neppur alcun poco, (i 13) co* mech ci facil loro riuscirebbe, conforme osservasi in certi animali irragionevoli. Imperciocch questi, non solo ov1essi medesimi siensi (114) talvolta con gran pena spacciati dallesca e da lacci, ma eziandio se ve duto abbian un altro in pericolo, non che si lascino agevolmente nulla di simile indurre, sospettano per fino del luogo medesimo, e diffidano di tutto ci che loro si para dinanzi. Ma gli uomini, per quanto sentano essere alcuni nellanzidetta guisa affatto periti, (115) ed altri veggano attualmente perire, quando alcuno con lusinghiero discorso propone loro qualche guadagno dallo scapito altrui, traggon all esca sconsideratamen te ; quantunque sappiano bene, che nessuno di quelli che colaiesca ingoiarono siasi salvato giammai, e che siffatte amministrazioni hanno a tutti infallibilmente re cala lestrema ruina. XXII. Filippo pertanto, insignoritosi della citt de Ciani, era lieto oltremodo, come se una bella e nobil azione eseguila avesse, e soccorso avendo prontamente (i 16) il suo cognato e spaventati tutti coloro che abban donato avcano la sua amicizia, procacciossi senza diritto

169 grande copia di schiavi e di robe. Ma il contrario di di R. queste cose non vedca, quantunque fosse manifesto ; 55a primieramente com'egli soccorreva il cognato (117) che non era offeso, ma altrui rompeva la fede; in secondo luogo, come avvolgendo una citt greca nelle maggiori sciagure , egli era per confermare la fama intorno a lui divulgatasi, d'essere crudele verso gli amici: dalle quali due cose egli meritamente (118) sortir dovea lopinione d'empiet presso tutti i Greci ; per ultimo come insul tati avea gli ambasciadori (1(9) delle anzidette citt, i quali erano venuti per liberare i Ciani da' mali che loro sovrastavano, e da lui lusingati e da un giorno allaltro (120) rimandati, (ia i) costretti furono ad essere spetta tori di ci che non volean punto vedere. Oltrech tal mente (iaa) inferoc allora controdi s i Rdii, che non poterono pi dar ascolto a nessun discorso intorno a Filippo. XXIII. Nella qual parte la fortuna lo assistette ma nifestamente. Imperciocch allorquando l oratore ren deva conto in teatro a Rodii de' suoi fatti, additando la magnanimit di Filippo, e come impossessatosi gi in certo modo ( ia 3) della citt, egli concedeva ( ia 4) al popolo questa grazia, e faceaci con animo di confutar le accuse della fazione a s contraria e per appalesare (ia 5) alla citt il suo buon intendimento: ecco appro dar alcuno e recarsi nel pritaneo, annunziando come i Ciani ridotti furon in servaggio, (i6) e la crudelt di Filippo verso di loro 5 a tale che i Rodii, mentrech 1' oratore diceva ancra le anzidette cose, fattosi in nanzi il pritanide per esporre ci che gli fu narrato,

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4. diR. (127) non poterono prestargli fede peli enormit della 552 scelleratezza. Filippo adunque, ingannando col suo tra
dimento meno i Ciani che s stesso, giunse a tanto di demenza e (128) tanto dilungossi dal decoro, che di quelle cose ondegli doveasi al sommo vergognare, quasi di belle azioni teneasi pago e si gloriava. Il popolo ro dio pertanto ebbe da quel giorno innanzi Filippo in conto di nemico, ed a questo scopo mirava in facendo gli apparecchi di guerra. Simil odio saccese pure negli Etoli pello stesso fatto contra di lui. Imperciocch, ri conciliatosi test con quella nazione, e stendendo a lei le m ani, senza che alcun pretesto nascesse, es sendo suoi amici ed alleati gli Etoli, i Lisimachii, i Cal cedoni! , ed i Ciani poco tempo prima : primieramente guadagn i Lisimachii staccandoli dall alleanza degli Etoli, poscia i Calcedoni!, ed in terzo luogo ridusse in servaggio i C iani, soggiornando in essa e presiedendo alia repubblica un pretore mandato dagli Etoli. Prusia, in quanto ottenne il compimento del suo disegno, fu assai lieto: ma in quanto (129) un altro riport il pre mio della sua impresa, mentre che a lui tocc in sorte il suolo deserto della c itt , fu dolente, ma non pot nulla fare.

E str.V al. Suida

XXIV. Filippo, rompendo alluno dopo laltro la fede ( |3 0) ne| suo ritorno, approd (1 Si) a Taso intorno al mezzod, ( i 32) e questa che gli era amica ridusse in schiavit . . . I Tasi! dissero a Metrodoro generale di Filippo, che consegnerebbono la citt se li consertasse

>7*
liberi di guernigione; di tributi, di quartieri, e lasciasse A . di R. che si reggessero colle proprie leggi. Rispose Metrodo- ^ 5 a fo , accordare il re che i Tasii sieno esenti da guernigione, da tributi, (i 33) da quartieri, (i 34) e che si reg gano colle proprie leggi. Ed avendo tutti alzate grida d approvazione introdussero Filippo nella citt.

XXV. ( i 35) Sosibio, falso tutore di Tolemeo, fama Estr.ral che fosse un ( i 36) ministro scaltro, e negli affari del regno invecchiato e malefico. Primieramente procacci egli la morte ( i 3y) a Lisimaco, chera figlio di Tolemeo e dArsinoe, figlia di Lisimaco; poscia ( i 38) a Maga fi glio di Tolemeo e Berenice, figlia di Maga; in terzo luogo ( i 3g) a Berenice, madre di Tolemeo Filopatore; in quarto luogo (i4o) a Gleomene spartano; per ulti mo (14 1) ad Arsinoe figlia di Berenice.

(142) Agatocle, falso tutore di Tolemeo, poich si lev dinanzi gli uomini pi illustri, e la maggior ira della soldatesca attut cl pagamento desalarii, ritorn immantinente alla consuetudine di prima. (143) I mi gliori posti empi de suoi amici, introducendovi da miisterii pi vili le persone pi maneggevoli ed audaci. Egli poi il giorno e la notte passava nellubbriachezza, e nelle lascivie che allubbriacbezza tengono dietro, non risparmiando n la donna avvenente, n la sposa, n la vergine ; e tutto ci facea colla pi odiosa apparenza. Donde molta essendo ed universale la scontentezza, e

J.

di R. 55 a

17 2 non venendo arrecato rimedio o soccorso alcuno , anzi al contrario aggiungendovisi sempre maggior insolenza, superbia ed infingardaggine ; si riaccese nella moltitudine lodio antico, e tutti rinnovavano la memoria delle anteriori calamit del regno, da questi uomini cagiona te. Ma perciocch non v avea persona degna d essere fatta capo, e per mezzo della quale si fosse potata ( i 44) sfogare lira sovr Agatocle ed (i 4^) Agatoclea , stette ciaschedun cheto, collocando ogni speranza nel solo Tlepolemo , e sa questa riposando.

Estr. ant

XXVI. Dapprima ragun Agatocle ( 146) i Macedoni, ed entr fra loro col re e con Agatoclea. G da principio s infinse di non poter parlare ci che volea, pella quan tit delle lagrime che gli sgorgavano ; ma poich ebbe sovente (i 47) rasciutti gli occhi col vestito, e frenato il pianto, ( i 48) preso il fanciullo in collo disse: To glietevi questo che il padre morendo diede a costei nelle braccia (accennando la sorella), e consegn, o Macedoni, alla vostra fede. P u , a dir vero, eziandio la benevolenza (i4g)*di questa donna contribuir al quanto alla sua salvezza, ma in voi e nelle vostre mani stan ora le sue cose. Imperciocch&Tlepolemo da lungo tempo manifesta, a chi diritto estima,, daspirar a cose maggiori di quelle che a lui si convengono ; ed ora ha egli destinato il giorno e lo ra , in cui per cignersi il diadema. N vogliate, prosegu, creder a me intorno a ci che vi espongo, ma sibbene a coloro che conoscono la verit, e vengon adesso dalla faccenda stessa. Dopo

I?3 questi detti introdusse Critolo, il quale disse d aver j.d iR . egli medesimo veduti gli altari e r e ttile le vittime pre- 55a parate dalla moltitudine (f 5o) pella solennit dellinco ronazione. Lo che udendo i Macedoni, non che sentis sero di lui piet , non badaron a nulla di quanto egli dicea, ma beffeggiandolo e fra s bisbigliando andarono talmente fuori del seminato, che Agatocle stesso non seppe com egli ( i 5 1) alla fin fine si fosse spacciato da quella ragunanza. Lo stesso avvenne ( i 5a) negli altri congressi ancora presso gli altri corpi. In quel mezzo ( 153) molti approdavano dagli eserciti delle province superiori, ed esortavano chi i parenti, chi gli amici a* soccorrerli ne loro frangenti, ed a non permettere cbe uomini cotanto indegni gl insultassero ( i 54) sfacciata mente. Ma sovrattutto incitava la plebe a punire i capi il conoscere, cbe indugiando nuocerebbe a s stessa, perciocch Tlepolemo avea in suo potere tutte le cose necessarie che recavansi in Alessandria. XXVII. Avvenne pertanto un fatto chebbe origine da Agatocle , per cui viemmaggiormente crebbe l ira della moltitudine e di Tlepolemo. Imperciocch prese Danae, chera suocera dell anzidetto, fuori del tempio di Cere re, e strascinatala per il mezzo della citt ( i 55) colldfaccia svelata, la mise ia carcere, volendo per tal guisa rendere manifesta la sua discordia con Tlepolemo. Di che il popolo irritato, non privatamente n in secreto parlava, ma alcuni di notte in ogni luogo i loro senti menti scriveano, altri di giorno pubblicamente ne eroechii esponevano il lor odio contro i capi. Agatocle veggendo ci che accadeva, e le speranze sue ridotte al

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i. d R. verde, quando meditava la fuga ; ma non avendo egli 55 2 nulla pella sua sconsigliatezza a tal uopo apparecchia to , desistette dall impresa: quando arrolava congiurati e compagni daudacia, quasich fosse incontanente per uccider i suoi nemici, o per prenderli, ed usurparsi po scia il supremo potere. Volgeva egli nella mente questi pensieri, quando venne unaccusa contro certo Mirage* n e , una delle guardie del eorpo, il quale diceasi indi car tutto a Tlepolemo ed operare con lui di concerto, per mezzo d Ado suo amicissimo e prefetto allora di Bubasto. Agatocle ordin tosto a Nicostrato suo segre tario che arrestasse Miragene, e con tutto l impegno lo inquisisse, non risparmiando a tormenti. Costui adun que preso subito da Nicostrato, e condotto in una parte remota del palazzo, dappriucipio fu ( 156) in posizione ritta interrogato sugli argomenti della denunzia. Ma non confessando egli nulla di ci che dicevasi, fu spogliato, ed alcuni preparavano gli strumenti di tortura, altri clle fruste in mano gli levavano i vestili. In quello viene alcuno degli sgherri correndo a Nicostrato, e bis bigliatogli (157) non so che nell orecchio , se ne va in fretta. Nicostrato di botto seguitollo non dicendo nulla, ma continuamente (158) battendosi lanca. XXVIII. A Miragene pertanto avvenne cosa indici bile e maravigliosa. Imperciocch coloro che test gli stavano dappresso cogli scudisci alzati, e quelli che di nanzi a lui apprestavano le macchine (159) per marto riarlo, come se ne and Nicostrato, stettero tutti stupefat ti, guardandosi lun laltro, ed aspettandolo sempre, (160) se ritornasse. Ma passato alquanto di tempo dilegua-

l'jS

ronsi a poco a poco gli astanti, ed alla fine Miragene fu J. dR. lasciato (161) solo yed attraversato poscia il palazzo, ina- 55 spettatam ele riusc ignudo ad una tenda di Macedoni, vicina alla regia. Trovatili per avventura che pranzavano raccolti, narr ci che gli era accaduto , ed il maraviglioso suo salvamento. Costoro parte non gli credevano, parte veggendolo ignudo costretti erano a prestargli fe de. Uscito da questa sciagura Miragene pregava con la grime i Macedoni, che prendessero cura non solo della sua salvezza, ma di quella del re ancora, e singolar mente della propria ; perciocch manifestamente a tutti sovrastava la m orte, ove non cogliessero il tempo, in cui maggiormente bolliva lodio del popolo, e ciasche duno era pronto alla punizione dAgatocle. Il qual odio, disse, arder ora pi che mai e non abbisognare che di chi lo diriga. XXIX. I M acedoni, in udendo queste cose (i6a) ir ri taronsi, e finalmente lasciaronsi persuadere da Miragene. Dapprima giraron tosto pelle tende de Macedo ni , poscia per quelle degli altri soldati. Sono coleste tutte unite, e voltate verso una sola parte della citt. Essendo pertanto da lnngo tempo matura 1 indegna zione del popolo, e facendo soltanto mestieri di chi P eccitasse e mostrasse ardimento, come prima la cosa ebbe principio, divamp tosto quasi un incendio \ per ciocch non passarono quattr o re , che tutte le classi militari e civili accordaronsi (i 63) allinsorrezione. Con tribu pur molto in quel momento un caso fortuito al compimento dell impresa. Fu ad Agatocle recata una lettera, ed insieme gli vennero condotte delle spie. La

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A. di B. lettera era scritta da Tlepolemo all'esercito, cui signiG55a cava che presto arriverebbe, e le spie annunziavano che gi arrivava. Onde Agatocle (i 64 ) talmente usci di senno, che lasciando di far- e di divisare ci che occor reva allemergente, al solito tempo and al convito, e col secondo lusato gozzovigli co suoi compagni. Ma Enante abbattuta dalle sue sciagure Tenue nel (i 65) Tesmoforio, essendo il tempio aperto pe/ una festa anni versaria. E dapprima inginocchiatasi con molte blande preci accarezzava (i66) le D ee; poscia sedutasi sullal tare si stette cheta. La maggior parte delle donne, veggendo con piacere la disperazione e lavvilimento di lei, si tacque; ma le parenti di (167) Policrate, ed alcune altre fra le nobili, che al tutto ignoravano la sciagurata sua situazione, le furon attorno per consolarla. Essa gridava ad alta voce: non vaccostate, (168) vi dico 0 fiere, che bene vi conosco, come ci avete lanimo av verso , e pregate le Dee che ne mandino le maggiori disgrazie. Ma io (169) confido che gl Iddii vorranno in durvi a mangiare i vostri proprii figliuoli. Ed avendo ci detto ordin allefmmiue che la seguivan (170) co fasci di allontanarle, e di batter quelle he non ubbidissero. Le donne, colta questa occasione, se ne andarono tut te, alzando le mani aglIddii, ed imprecando a lei que* mali, eh essa minacciati avea di far alje altre. XXX. Avendo gli uomini gi risoluto di tentare no vit, sopraggiunta in ogni casa l ira delle donue.anco ra , con doppia forza saccese l odio. (171) Come la nott^succedette i giorno,Jtutta la citt fu piena di tu multo, di lumi e di scorrimenti; perciocch alcuni ragli-

177 navansi con grida nello stadio, altri mutuamente esor- j . d i. tavansi, altri sottraevansi colla fuga ed appiattavansl in 55 a case ed in luoghi non sospetti. Erano gi lo spianato intorno al palazzo, e lo stadio e la piazza ed (173) il cir condario (173) del teatro scenico pieni dogni maniera di gente : quando Agatocle, udito laccaduto , destossi avvinazzato, avendo poco prima finito di banchettare ; e presi seco tutti i parenti, eccettuato (17^) Filammone, venne al re. E commiseratosi alquanto presso di lui, e presa la sua mano, sal (175) nella loggia che giace fra 1 (176) Meandro e la palestra, e 'mena allaccesso del teatro. Poscia, assicurate le due prime p o rte , ritirossi d e n tro alla terza con due o tre guardie del corpo, col r e , e co suoi congiunti. Erano le porte (177) fatte a rete , trasparenti, e chiuse con due leve. Frattanto si raccolse il popolo da tutta la citt, per modo che non solo i luoghi piani, ma eziandio i gradini ed i tetti erano zeppi di gente, ed alzossi un clamore e strepito confuso, come quello che venia da donne miste ad uo mini ed a fanciulli. Imperciocch cos in Cartagine co m e in Alessandria i ragazzi- non meno che gli uomini prendono parte a siffatti tumulti. XXXI. (178) In sullalbeggiare del nuovo giorno erano le strida (179) immense, fra cui pertanto chiaro spiccava il nome del re. Dapprincipio i Macedoni insorti occupa rono la porta della regia che mette nella (1 So) stanza delle consulte. Dopo alcun tempo, risaputo in qual parte del palazzo (181) era il re , circondaronla, ed abbatte rono la prima porta della prima loggia, ed appressatisi alla seconda chiesero il fanciullo con grida. Agatocle FOLiBio, tom. r. 1%

4 . di

A.

55 a

178 vedendo gi a qual termine le cose sue erano ridotte, preg le guardie del corpo che andassero ambasciadori a Macedoni, significando loro ch egli rinunzia va alla tutela del re, e ad ogni altro potere, ed onore, ed alle rendite che avea, (i8 a )in somma a tutto; e solo supplicavali che gli concedessero ( 183) 1 cara vita col nu trimento) necessario, affinch, ritornato allo stato di pri-, m a, non potesse anche volendo offender chicchessia. Non ubbid a lui nessuna delle guardie; (184) Aristoxneue solo iucaricossi della bisogna, quegli cbe in ap presso ebbe il maneggio de pubblici affari. Era egli dorigine Acarnane, ed in et ( i 85) alquanto inoltrata divenuto arbitro dogni cosa, acquistossi la fama daver ottimamente e con somma integrit diretto il re ed il reame, e con tanto impegno, con quanto egli avea adu lata la prosperit dAgatocle. Imperocch fu egli il primo che invitato Agatocle a pranzo in casa sua, il (186) cinse solo fra i couvitati d una corona doro, che a re sol tanto hanno essi costume di concedere; ed os egli il primo di portare nell anello l immagine dellanzidet to ; ed essendogli nata una figlia, chiamolla Agatoclea. Ma di ci basti quanto oe abbiam detto. Costui adun que, accettata la summentovata incumbenza, ed uscito per una porticciuola recossi a Macedoni. Avendo eoa brevi detti esposta la volont del suo signore, i Mace doni tosto accingevansi a trafiggerlo colle lance ; ma stendendo alcuni sovra di lui le mani , e pregando la moltitudine in suo favore, ritorn col comandamento, o di condurre a loro il re , o di non uscire neppur egli. Con qi^este parole adunque i Macedoni rimandarono

179

Aristomene, ed avvicinatisi alla secouda porta, questa A. di R, ancora atterrarono. Agatocle, scorgendo la violenza de 55 a Macedoni e da' fatti e dalla risposta, dapprineipio porse le mani fuori della porta, ed Agatoclea eziandio le mammelle, colle quali avea nudrito il re , e pregavan i Macedoni (187) gridando a gola, che serbassero loro soltanto la vita. XXXU. Poich lamentatisi molto della loro sorte nulla fecero , mandarono finalmente fuori il fanciullo colle guardie del corpo. 1 M acedoni, ricevuto il re, il posero subito a cavallo ed il condussero nello stadio. Come apparve ne andarono le grida ed^il plauso al eie* I o , ed arrestato il cavallo, fecero scender il fanciullo, e.d accostatolo ladagiaron (188) sopra il seggio reale. Nella moltitudine nacque insieme gioia e dolore ; dap poich alcuni esultavano daver.ricuperato il fanciullo, ad altri dispiaceva che i colpevoli uon fossero presi, e convenientemente puniti. II perch gridava di conti n u o , conducessero gli autori di tutti i mali, e ne sta tuissero un esempio, (189) Progrediva gi il giorno, ed il popolo non potendo (190) alla fine sovra nessuno sfo-> gar la sua ira , (191) Sosibio figlio di Sosibio, che era allora guardia del corpo , volse il pensiero precipua' m ente al re ed agl interessi dello stato. (192) Conciossiach osservando che l impeto del volgo era indoma bile, ed il fanciullo in affanno, pev non avere famigliarit con alcuno di quelli che gli stavano dappresso, e per il tumulto del volgo, domand al re, se consegnerebbe al volgo (193) coloro che qualche delitto commesso aves sero coutro di lui o contro sua madrt>. Facendo questi

i8o
A. d i R.

55 a

ceuno cbe s, disse ad alcune delle guardie, che palesassero la sentenza del re; ed alzato il fanciullo il men per ristorarlo nella sua casa, cbera vicina. Come quelli manifestarono loftline avuto dal re, tutto il luogo scop piava dal plauso e dal rumore. Frattanto Agatocle ed Agatoclea separatisi andarono ciascheduno al loro al bergo. Tosto alcuni soldati, quali spontaneamente, quali spinti dalla moltitqdine, trassero a rintracciarli. XXXIII. Ma di spargimento di sangue e duccisioni questo fu laccideutale principio. Un famiglio ed adu latre dAgatocle, per nome (ig 4) Filone, usc briaco nello stadio. Costui, reggendo la furia del popolo, disse agli astanti che se ne pentirebbeno, siccome in addie tro, quando Agatocle Venisse fuori. Quelli che ludiro n o , chi (ig 5) gli diceva le maggiori villanie, chi lurta va. Accingendosi egli alla difesa, subito chi gli strappava il vestito, chi appoggiando a lui le lance il trafiggevano. Come costui fu trascinalo nel mezzo, ed ancor palpi tante m altrattato, e la plebe incominci a gustar san gue , tutti aspettavano la venuta degli altri. Poco stante fu condotto il primo Agatocle legato, cui appena entra to, corsero alcuni addosso e il (196) dardeggiarono, fa cendo opera non da nemici, ma da persone a lui ben affezionate ; perciocch furono cagione che non sortisse la fine che a lui conveniva. Poscia fu recato (197) b i cone , ed Agatoclea ignuda colle sorelle, e dopo di questi tutti i parenti. Per ultimo trassero Enante dal Tesmoforio, e vennero nello stadio, conducendota ignu da sopra un cavallo. Consegnati tutti insieme al volgo, chi li morsccchiara, chi li pungeva, chi strappava loro

18 1 gli occhi; e come alcuno di loro cadeva g)i laceravano di R le membra, sino a che tutti li mutilarono. Impercioc 55 a ch terribil la crudelt degli uomini d Egitto quando sono d ira accesi. Frattanto alcune fanciulle cherano state allevate con Arsinoe, informate che (198) da tre giorni era giunto Filammone da Cirene, incaricato duc cidere la regina, corsero alla casa sua \ ed entratevi per forza ammazzarono lui a furia di sassi e di legni, il figlio appena uscito di fanciullezza strozzarono, e la moglie trassero ignuda sulla strada e trucidarono. Cotal fine ebbero Agatocle, Agatoclea ed i loro parenti. XXXIV, Io non ignoro i miracoli e la pompa di pa role che sciorinarono alcuni scrittori di questi fatti per recare stupore aieggitori, (199)diffondendosi pi suglin cidenti che non sulla cosa principale. Taluni riferiscono 1 accaduto alla fortuna, e pongono innanzi agli occhi la sua incostanza e la difficolt di guardarsene } altri (aoo) prendendo a considerare il maraviglioso degli av venimenti, ingegnansi di additarne le cause pi. proba bili. Ma io non volli adoperar in questa guisa narrando le cose anzidetto, perciocch in Agatocle non era ar dir bellicoso n virt insigne, n felice maneggio degli affari e degno d esser imitato, n finalmente sagacit d a cortigiano, e (aoi) sottile malizia nella quale vissero Sosibio e molti altri, governando parecchi re successi vamente : anzi il contrario avvenne in cotesto uomo. Imperciocch fu egli contra ogni aspettazione promosso p e r essere stato Filopatore impotente di regnare. Salito a tantonore, ed ottenuta dopo la morte di quello (aoa) la miglior opportunit di conservar il suo potere,

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A.

di R. perdette lfcmministrazione degli affari ed insieme la vita,' 55a rendendosi in brevissimo tempo spregevole ad ognuno pella propria vilt ed infingardaggine* XXXV. 1 1 perch non necessario di (a 3) diffon dersi soverchiamente in parlando di siffatte persone, conforme ((a 4) Per esempio) fassi di Agatocle o Dio nigi siciliani, o daltri che pelle loro geste vennero in grido. Conciossiach luno di costoro movesse da plebei ed umili principii, ed Agatocle, siccome deridendolo dice Timeo, essendo pentolaio, (ao5) lasci la ruota, il fango, ed il fummo, e venne giovine irt Siracusa. E dapprincipio furon amendue a respettivi tempi tiranni di Siracusa, citt eherasi allora acquistata grandissima riputazione e somme dovizie; poscia vennero considerati re di tutta la Sicilia, e iignoreggiaron eziandio alcun tratto dIta lia. Agatocle poi non solo tent di far conquisti in Africa, ma mor ancor finalmente in cotal grandezza. Quindi narrasi che Publio Scipione , (ao6) il primo cbe soggiog i Cartaginesi, interrogato, chi egli stimava es sere stali di maggior attivit ne pubblici affari, e con accorgimento i pi audaci, rispondesse, i Siciliani Aga tocle e Dionigi. In tali uomini (aoy) bassi a fermare lat tenzione de leggitori, facendo eziandio menzione della fortuna e dlie umane vicende, ed aggiugnendovi un ragionamento istruttivo; ma quando parlasi (ao8) di per sone come le anzidette, ci punto non si conviene. XXXVI. Per le quali Cose noi abbiamo (309) rifiu tata ogni esagerazione nel ragionare dAgatocle; massi mamente che tutti i casi stupendi hanno un sol aspetto, pi cui si meritano la prima nostra attenzione, e del

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rimanente non soltanto inutile diviene la loro amplifica l d i . zione ed il loro spettacolo, ma la (210) Vivace sposi 5 5 a zione de medesimi congiunta an9ora cn qualche mo lestia. Imperciocch, due essendo i fini , I utile ed il dilettevole, a cui mirar debbe (ai 1) chi di proposito si occupa in esporre alcuna cosa alludito ed alla vdu(a, ed appartenendo ci sovrattutto al genere della sto r ia ; (aia) il soverchio circa gli accidenti maravigliosi cade fuori de confini d amendue queste cose. E chi (a 13) amer di tenere dietro ad avventure contrarie alla ragione ? Anzi a nessuno reca piacere, n di veder, n d udire avvenimenti contro natura e contro le comuni nozioni degli uomini. Sibbene una sola e prima volta bramiamo di scorgere o di sentir siffatte cose, affine di conoscere , che possibi! ci che credevamo impossi bile. Ma quando ce ne siamo persuasi, nessuno sar contento d intertenersi molto sopra oggetti che ripu gnano alla natura ; e labbattersi sovente alla stessa cosa non vorrebbe al certo chicchessia. Il perch ci che narrasi esser debbe meritevole d imitazione, o recar d ile tto , e la| prolissit nell esporre i casi ch escono fuori di questi limili ( a i4) pi proprio della tragedia che della storia. Ma forse da perdonar a coloro (a 15) che preso non hanno a considerar le opere della na tu ra , n i fatti che generalmente (216) sulla terra acca dono. Imperciocch credoo essi che quelli in cui s av vengono , o che , raccontati da alcuni, a s chiamano l loro m ente, sieno i pi grandi ed i pi maravigliosi di quanti sino a loro tempi accaddero. Quindi che senz accorgersi spendono molte parole intorno a cose

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A. di R. cbe non sono nuove, essendo gi state dette da a ltri, 55 a n tali che valgano a giovare od a dilettare.

Estr. VaL

XXXVII. Il re Antioco sembrava dapprincipio esser (217) atto a grandi imprese, ed audace, ed instancabile in condurre ad effetto il suo proponimento. Ma venuto in et apparve molto inferiore a s stesso^ ed allaspet tazione delle genti esterne.

f in e

be

6 l i Av a n z i d e l l i b r o d e c i m o q u i n t o .

SOMMARIO
DEGLI AVANZI DEL LIBRO DECIMOQUINTO.

S c in o m i t x A m i c a .

I Cartaginesi tolgono aRomani le vettovaglie - Ambasciadori di Scipione t i Cartaginesi ( I.) - Sono violali nel ritorno ( $ II. ) - Nuovo principio di guerra Annibaie in Africa Ticheo numida ( 111.) - Scipione soggioga le citt - Richiama Massanissa - Ritornano da .Roma gli ambasciadori - Scipione licntia salvi gli ambasciadori de Cartaginesi ( IV.) - Anni baie va a Zama - Scipione rimanda gli esploratori ad Anni baie - Annibaie desidera tT abboccarsi con Scipione - Campo presso Naragaru ( V.) - Colloquio d? Annibaie con ScipioneOrazione d Annibaie ( 5 V l-V H . ) - Orazione di Scipione ( $ V ili. ) - Tornato vanq il colloquio vengono a battaglia Schieramento di Scip Urne (J IX.) Aringa di Scipione asuoi soldati (5 X.) - Schieramento d?Annibaie - Aringa d Annibaie asuoi (S XI.) - Pugna di Scipione con Annibaie ( X H -X III) Scipione vince ( 5 XIV. ) - Annibaie vinto non per sua colpa ( X V -X V 1. ) - Scipione risponde agli ambasciadori de Car taginesi ( J XY 1I. ) - Condizioni della pace ( X V III.) - An nibaie consiglia la pace - I Cartaginesi ne accettano le con dizioni ( $ XIX. ) -

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A
ffari

ai

ilippo

Filippo ed Antioco congiurano contro Tolemeo - I l danno ridonda sopra di loro ( XX. ) - Molpagora agitatore della plebe de Ciani - Filippo s impossessa d Ci per inganno Gli uomini sono pi incauti degli animali irragionevoli ( XXI.) Filippo si rende odioso colla sua perfidia (fj XXII.) - Amba scera dolosa aRodii - La fro d e scopert - Filippo offende gli Etoli, con cui erasi test riconciliato - Prusia ( XXIII.) Filippo accetta Taso che gli s i arrende ( XXIV. ) -

A ffasi d Egitto. Snsibio , fa lso tutore di Tolemeo Epifane - Agalode fa lso tutore , e ministro rotto ad ogni scelleratezza Agatoclea Tlepolemo ( XXV. ) - Agatocle raccomanda s ed il re pu pillo a Macedoni Diceria d? Agatocle a' Macedoni - Questi lo deridono - Tlepolemo padrone delle vettovaglie X X V I .) Suocera di Tlepolemo trattata indegnamente - Agatocle non sa che si fare ~ Meragene , amico di Tlepolemo - Sta per essere nerbato ( X X V II.) -Scampa in un rhodo maravigliosofnstiga i Macedoni contro Agatocle ( $ XXVHI. ) - l soldati accingonsi alla ribellione - Enante, madre di Agatocle ($ XXIX.) Tumulto in Alessandria - Agatocle si ricovera nella Siringe Uomini, donne e fanciulli fanno scorrerie notturne ( XXX.) I Macedoni chieggono da Agatocle il re pupillo - Agatocle prega pella vita - Aristomene , vii adulatore, poscia diligente amministratore del regno - Intercede -per Agatocle Agatoclea iporge fuori le mammelle ( XXXI.) - I l re fanciullo t con segnato al popolo - Sosibo provvede al re ed al regno - Agaocle ed Agatoclea sono cercati al supplizio ( XXXII.) - Fi lone ucciso - Trascinano al supplizio Agatocle , Nicone , Agatoclea , Enante , Filammone ( XXXIII. ) - Nel caso . di Agatocle nulla havvi di straordinrio - Non f u egli per nes suna virt insigne ( XXXIV. ) - Alla narrazione hassi a

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soggiungere una particolar discussione , riferendo la storia duomini grandi - Quali furono i siciliani Agatocle e Dionigi ( XXXV. ) - Intertenersi troppo sull espositione di sciagure non n utile n dilettevole - Esagerar le cose da uomini ignoranti ( XXXVI. ) A ffasi d A btioco. Antioco inferiore aWespettatione degli uomini ( XXXVI 1.) -

ANNOTAZIONI
AFRAMMENTI DEL LIBRO DECIMOQUINTO.

V Ji che innanzi a questa narrazione lepitomatore tralasci di riferire pu supplirsi da L ivio, lib. xxx, cap. u - a i , e dalle storie puniche dAppiano, cap. a 6- 34- Secondo essi i Cartaginesi, nentrechfe, dopo aver richiamato Annibaie dall Italia, trattavano la pace per mezzo d ambasciadori mandati a Roma , presero e menaron a Cartagine dugento navi da carico, le quali, dovendo recar vettovaglie a Scipione, furono dalla burrasca portate sovra una spiaggia nemica . Schweigh. - 11 dignitoso discorso pertanto che il nostro mette in bocca agli oratori romani non leggesi nelle sto rie di L ivio, il quale si spaccia molto brevemente delle cose qui narrate nel primo e secondo capitolo. - Le lacune negli av venimenti che appartengono al re Filippo ed allEgitto sono tanto pi da dolersi, quanto che da nessun altro storico a noi perve nuto riempier si possono. (i) Lucio Sergio - Lucio Bebio. Qui emendaronsi a vicenda p e r opera de commentatori i testi di Livio e di Polibio. Aveva il Sigonio , seguendo un suo codice, scritto Marco 3 ebio , ma il Drakenborchio dagli altri manoscritti e dal Nostro restitu il prenome di Lucio. Dallaltro canto recano le edizioni di Polibio co Manoscritti in luogo di Sergio, Servi/io, Serucio, Servio,, ed in vece di Bebio, S a io , Sitino , Sazio , eh* il Grouovio sospett

essere Semio. Il Casaub. lesse Lucio Servio e Lucio Sio , ma interpose io amendue un asterisco fra il pronome ed il cognome. Il Gronovio fu il primo che da Livio adott L. Sergio , e lo Schweigh. a Semio sostitu Bebio , togliendolo da Livio pure. 10 ho seguito quest ultimo, ed insieme tolsi, dietro il suo sug gerimento , sebbene da lui stesso non eseguito nel testo , la co pula x), e , che il terzo nome congiugneva col primo , e che da parecchi autorevoli codici non riconosciuta. (a) Slesero le braccia agli Dei. Leggendosi nella prima edi zione ed in tutti i manoscritti lovt 0 ia v r nrtfrail, lOrsini ed 1 1 Casaub. credettero di levare siffatta sconcordanza ponendo il sostantivo nel terzo caso, d ond emergerebbe il senso espresso nella traduzione latina del Casaub. non meno che dello Schweigh.: Diis libassent. Ma ove riflettasi che le libazioni facevansi nei trattati, onde invocare su d essi la proiezione degli Dei, quando non per trattare, sibbene per iscusarsi e chieder mercede erano venuti i Cartaginesi presso i Romani in Tunisi ; molto pi ac concia alla circostanza qui espressa sembrer la lezione proposta dal Reiske, Itas Qia'ui irtru ra itlt, cbe noi abbiamo adottata. (3) Buttaronsi ginocchione. Dal presente luogp apprendiamo, che il verbo wp*r*vttit qui usato da Polibio non significa pit tarsi a terra con tutta la persona, dappoich lo veggiam opposto al vZirlili \m\ 7jr >?, che denota appunto cotesta prostrazione. Nella Ciropedia di Senofonte riscontrasi ilmedesimo di frequente adoperato nel senso d adorazione , quale in Persia usavasi non solo dal volgo, ma eziandio da maggiorenti verso il re ; ed Esichio il fa sinonimo di wfrw /irlnt, eh gittarsl innanzi ad al cuno in atto di supplicarlo , alla qual cosa basta il premer la terra coll ginocchia , alzando le mani -, ed Abbracciando le gi nocchia ed i piedi di colui che supplichiamo. In questo signifi calo adoperansi eziandio i verbi yxgtr&*i e > m i . (4) Arrivali fossero vittoriosi. Lo Schweigh., appoggiato a!1 autorit del Reiske e di tre codici , scrisse nel testo* li x >fn xtixtii Tvt i*i< wuprttt, quand' anche coloro eh eran9

J9

col ( cio Anuibale ed il suo esercita eh erano pria in Italia ) fissero arrivati vincitori. Meglio tuttavia souerebbe la seutenzs, se coll Orsini e col Casaub. si omettessero le parole lavi i t i
al tutto superflue , e che non so persuadermi essere di Polibio. Qualunque sia pertanto l vera lezione, io ho creduto di meglio rendere il testo volgarizzando nel.modo che si legge, che di re star attaccato alla traduzione latina del Casaub. , copiata dallo Schweigh. : Eliamsi victor ex Italia Hannibal excessisset. (5 ) Quali Dei. Dopo le parole greche a queste corrispondenti Iggesi nel testo tQ>i, disse, circa la qual espressione annot il Reiske , eh essa si riferisce all ainbasciadore , il quale parl in quell occasione a nome di tutti. Ma siccome di sopra in questo stesso Capitolo scrisse il N ostro, Stiwip tp xrttt, per la qual cosa dicevano , cosi da supporsi che qui atticamente stia il siugolaie pel plurale, o che vabbia qualche negligenza di stile, anzich la tacita relazione supposta dal Reiske. Io ho stimato di omettere nel mio volgarizzamento cotesto superfluo intercalare. (6) Deprincipali dello stato. Questi chiamati sono da Polibio w c X iltv iftitti, ed erano propriamente coloro che avean nelle inani la somma degli affari e governavano la repubblica. - Dei consultori che il Nostro appella gttX tviptttn, e che suggerivauo bens de p artiti, e discutevano su quelli che venivano proposti, ma non aveano voto nelle deliberazioni. (7) Quelli andassero lor addosso. Ear>i*g$f>7* la vi* lessero qui il Casaub. e lo Schweigh. sull autorit demigliori codici, e tradussero invadant ; ma al Reiske non piacque siffatta lezione, e suffragato dalla prima edizione e da alcuni manoscritti vi so stitu 'iwxta%$iii7ui, redeuntes , per modo che la sentenza sa rebbe : Menlrech ritornavano li sommergessero. Riflettendo pertanto eh Esichio iuterpeira tzt*ta% Sitx, i*titK furB itl*, eh quanto redeuntia, io non posso affatto rifiutare la scrittura ed il senso adottati dall ultimo de mentovali commentatori, coinech nel significato d invasione navale leggasi iti* i n i ut nel lib. 1 , cap. 20.

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1 Q1
(8) Baer. Lo stesso che i Romani chiamavano Bagrados , ed il Nostro nel lib. i, j 5, appell Bacara , o , secondo alcuni co dici , Macara. Veggasi la nota ?43 al lib. i. (9) Da quel sito. Giacendo Utica sulla sponda sinistra del Baer , ed essendo il campo de Rom ani, siccome poc anzi ve demmo , davanti a quella citt , chiaro che la scorta cartagi nese , oltrepassato il mentovato fiume alla sua foce , aver dovea in cospetto 1 accampamento de nemici. (10) Dal passoT In tutti i codici scritto' t{ i*tpp\if, il qual sostantivo potendo significar il tragitto o passo del fiume, dove, siccome leggesi nel principio di questo capitolo, Asdrubale avea avuto ordine di tener pronti aleuui vascelli per assaltare gli ambasciadori romani ; io non comprendo perch lo Schweigh. abbia voluto alterare il testo e scrivere i | iw tfi Al/, dallagguato. Ed us il Nostro la voce iwtppxi nel senso di tragitto da un lido all altro D el lib.. x , cap. 1. (11) Di fronte. Ha creduto lo Schweigh. che t* irxpxfitXtit qui significasse, pugnato avendo davvicino ( cominus commissa pugna ) , ed a conferma della sua sentenza cita egli un passo di Diod. Sic. , xiv , 6 0 , nel quale riscontrasi la stessa frase , e che fu cos voltato dall interpetre latino. Se condo il Casaub. ed il Reiske equivarrebbe la mentovata espres sione ad attaccare da fianchi. Ma io non so appagarmi n dell'una n dellaltra spiegazione, e tengo, che * irxpx.ptAf nelle battaglie navali sia quanto t * w x fa i^itis, nelle terrestri, cio, in ischiera , di fronte. Il perch non disapprovo la traduzioni dell E rnesti, comech rifiutata dallo Schweigh. : impela directo et adverto (con impeto diretto e di facciata). ( 1 3 ) Imperocch ec. Adunque desiderio di vendetta accendeva gli animi deRomani, e disperazione incitava i Cartaginesi: amendue fierissime passioni, ma la prima meuo cieca , perch dalla coscienza del proprio diritto guidata; laddove il sentimento della culpa nell altra cagione d avvilimento e di titubanza. Quindi non da maravigliarsi se vinsero i Romani.

(iS) Quelli delle Spagne, dell Sicilia, della Sardegna. Tulli questi paesi erano stati avviluppati nelle guerre che si fecero i Romani ed i Cartaginesi ; onde ragion volea che i loro abitanti avessero gli aniuii intenti all esito della presente battaglia, dalla quale crti erano che dipender dovesse la loro sorte politica. (ib)'Frattanto Annibale ec.- Del ritorno d Annibale in Africa sembra aver gii il Nostro fatta menzione di sopra, confor tile apparisce dal cap. i, alle parole: ed esser gi pressoch ma nifesto . Schweigh. (15) Certo numida Ticheo. Pare costui essere stalo quel so vrano deNumidi Areacidi, cb rammeutato da Appiano (Punic,, 33). T. Livio l sorpassa del tutto. (16) Publio e c Secondo il Reiske vi sarebbe tra il terzo e quarto capitolo una ragguardevole lacuna. Lo Schweigh. all op posta) assicura c h e , confrontata avendo la narrazione di Livio ( o ^ quella di Polibio, egli non trov mancar in questa nulla di quanto leggesi nello storico romano, lo pertanto osservo , che L ivio, dopo aver esposta la violazione fatta da Cartaginesi agli ambasciadori romani (xxxi , i 5 ) , racconta d una legazione che mand il senato al re Filippo per certi soprusi cbe questi erasi permesso contralcune citt greche alleate deRomani, e fa motto ancora d alcuni avvenimenti accaduti in Roma , e dell elezione denuovi consoli e comandanti militari delle provincie, tra i quali per unanime volont del popolo fu Scipione confermato nel co mando dell esercito contro Cartagine. Di queste cose niente qui trovasi presso il Nostro. Al contrario tace Livio della spedizione fetta da Publio contro le -citt deCartaginesi, della sollecitazione diretta a Massanissa, e dell approdo degli ambasciadori romani e cartaginesi. (17) Gli ambasciadori ec.- Cio quelli de Cartaginesi , in addietro mandati a Romani , ed ora rimandati a casa insieme cogli ambasciadori -de Romani a Cartaginesi . Reiske - Livio fi. c.) dice soltanto che Soipione, non volendo*, a malgrado del diritto delle genti violato, far nulla contro d essi che iudegp

Por.iBiO , tom, r.

li

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fosse degl* istituti de maggiori e de propi j coitami , licenziali;, iPolibio avvisassi di porre ooa una pi ampia ed energica descri zione in maggior luce la generosit de Romani in siffatti ia>codtri i e la 'Vittoria di Scipione sul proprio risentimento. (r S) N ei eampo navata. 'Sut 7<> t mi/liuti %ap**a, nello .(leccato navale , leggasi inel testo , con eh* si denota lo spazio -di'terra-presso al imire dove , a maggior sicurezza da nemici , -trovatosi le navi. Vedi il Nostro, lib. i , cap. ag. Lo steccato comunemente estendevasi da una parte del mare allaltra, e co;) -guafentivansi dagli assalti d i terra , ma talvolta ficcavaqsi i pali .a n e h n e lOKire ,.ed< innanzi a questi mettevausi le navi (U ca rico , affine dassicurare gli alloggiamenti dagli attacchi di mare. Vedi Scheferus , D e militia' navali, lib. in , cap. 4(19) Diresse ec. Nel testo ttu tw u , mp i v l f rv AA ytminava, f n s,stesso ragionando, cbe fu latinamente voltato : S tm eam apud se reputans., cogitavit ( ponderando la cosa seco medesimo, pens). Ma ponderar e pensar la stessa osa ,' e Polibio volle qui esprimere l intensione della mente (<t**w ult, mirava) qual risultato della riflessione, o dellinterno rrtgionameoto ; quindi, tenendo conto damendue queste idee, io credetti di non essermi troppo dilungato, in volgarizzando il presente' passo, dalla mente dellAntore. fao) .S triare ec. di Focillide o di qualche altro antico scrittore di'sentenze . .Casaub. nel marg. dell edit. di Basii. Del-resto sembrami cbe la traduzione letterale delle parole *Ki/fittif t fy , che-io ho preferita al praeclara exempla (esem pi! illustri) degl interpetri latiai, non disdicasi al geni dell itsMana {livellale con molta propriet rappresenti non ntea lec cellenza che la pubblicit delle opere che hanno ad imitarsi. > <at) Onorato procedere. KakKMydM* h il vocabolo del te sto, cui stimai avvicinarsi antichi corrispondere litaliano da me osato, e col quale i Greci esprimevano la perfezione morale, riultuote ttsiruBtone della decenza'txfle azioni bellezza morale) colla bont' del cuore ( myaA/u). Firtnlc et probilatc

ig5
Voltarono il Casaub, e lo Schweigh.; ma non cplsero, per quanto a me sembra, nel segno, significando amepdue questi termini la spia bont interna, senza quel decoro che traluce dagli atteggia menti , e ch. ,.a. cos dire , il riverbero. e.L immagine de vir tuosi affelli. (as) I Cartaginesi ec. Di questa istanza de'Cartaginesi, ad Annibale, perch affrettasse la, battaglia, e della sua risposta non leggesi nulla presso Livio , siccome vi manca la menzione d el, motivo che a ci gl indusse, cio il guasto delle loro citt. Nel resto della narrazione poco differisce lo Storico greco (Jal romano. (a3) Tre esploratori. Livio (xxx, 39) dice semplicemente spe culatore! , .senza determinarne il numero. . (34) I nemici. Aggiunta fatta, ragionevolmente dallo Schweig{>. nelle note appi di pagina al wtv r lp tltw tftiu u (doveran ac campati) , mancante del nominativo. (a5) Maneggiava. Io non avrei tentata la lezione di tutti i libriache danno siccome fece il Casaub. che scrisse m i , e secondo il quale dovrebbesi tradurre : Come maneg-, giovanti gli affari ec. Distaccando dal principio del periodo sus seguente le parole,.* 7 i 'fu fta lm lfitlvyts ( il, supremo duce. de Romapi), ed appiccandolo alla fine .del precedente, cop forme, giudicato avea lo Schweigh. che si dovesse fare ritenendo il ./ft u , tuttp accomodato seni alterazione del tfstp , anzi, con grandissima convenienza , riuscendo altramente ,superflua la den terminazione di capitano de R om ani, che sii verrebbe dando Publio.. (36) Con sincerit, ( puramente ) ha ilte $ to ; . cipfc, con pur e retta intensione , senza inganno , e nop: nascondendo, Dulia. Mi piace il b?na y!&d$Vti!*dttttari,latipi,, ma c^edoche. la fcass, italiana da. rpe usata .renda , veggio, la for*a dei greco., (37) Annibaie qqmtfat* ec. Livpo ( 1 . c. ) ,pon d .pos^ nobile, pentimento, sibbene,da amtjiziqne ed. insieige da actinia fa muo^. vere la proposta efee fece Apqibale a Scipione (fi y eairp seco lu ij

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a collquio, quasich, chiedendo la pace colle forze intatte, avesse potuto'ottenere migliori condizioni , che se vinto fosse. (38) Manderebbe. 1 1 Reiske mut il v i f t f t i t , che hanno tutti i lib ri, nel futuro perciocch, dice questo commenta to re, ritenendo il presente .ne risulterebbe un senso -affatto con trario all esito della cosa , cio , volere Scipione che Annibaie mandasse a lui chi gli significasse il luogo ed il tempo dell ab boccamento; lo che opposto a quanto leggesi nel principio del seguente capitolo. (29) Quattro mila cavalli. Siccome il nerbo della milizia numidica consisteva nella cavalleria, cosi non da maravigliarsi se quella che Massanissa condusse in aiuto di Scipione tanto nume-' ro#a fosse in comparazione della fanteria che ri andava unita, e per tal conto non sarebbono stati soverch] eziandio i seimila ca valieri che leggonsi nemanoscritti e nelleedizioni. Se non che io non ho potuto a meno dallenermi collo Schweigh. all autorit di Livio, il quale, avendo qui copiato esattamente il Mostro, scrive quatuor millia equitum ; oltrech osserva giudi ziosamente lo stesso commentatore che Polibio , ov egual fosse stato il numero de cavalieri e quello de fan ti, scritto avrebbe'secondo il suo stile : iw trif Ji Jisvt I tr ilm ( ed altrettanti cavalli ) , od altra simile frase. (5o) Naragara. PresSo Tolemeo ( iv , 3 ) la trovo chiamata Narangara , citt mediterranea, da questo geografo co-tlcata tra. il fiume Ampsaga ed il porto di Tabraca nella Numidia. Quindi non lungi era Zama , distante trecento miglia da Adrumeto se condo Cornelio Nepote ( H annib., 6 ) , ed a detta del Nostro il cammino di cinque giornate da Cartagine, ch a venti miglia il girno ( cammino all incirca d un pedone in qusto spazio di tempo ) formano cento miglia. Vedi il mio ragionamento sulladiscesa dAnnibale in Italia nel voi. 11 di questo volgarizzamento, pag. 278. - Laonde Zama trovarsi dovea molto pi vicina aCartagine che non ad Adrumeto ; e ^tuttavia Annibaie , sconfitto' dal duce rom ano, la diede tanto gambe cogli avanzi de suoi

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snidali, <be, mirabile dctu Scrive Nepote ( i. c. ) , vi per venne io due giorni e due notti. (3 i) Inno/travasi. Livio ( m , 3o) qui aggiugae, che il luogo scelto d abboccamento uvea la vista aperta da tutte le parti , eflfinch non vi fossero insidie. ( 5a) / / saluto -eolia destra. 1 trad attori latini hanno sempli cem ente post salutationetn, lo cbe D o n rende il senso del greco chfe propriamente quel saluto cbe fassi anche oggwl , porgendo la destra in testimonio d i . cordialit. - Per ci .c h e spetta al discorso cbe mette qui Polibio in bocca ad An ni bai e , ove lo si confronti con quello che gli fa pronunziare I.ivio, troverassi, cred o , confermato il giudizio che nella prefazioneella alle note d d secondo libro portai sulle dicerie di questi due storici. (33) Ver-Air tutto. Cio per. esprimer con poche parole tanta r0&. Questa almeno sembrami la forza del rvAA'/3<fiir che ha qui il testo. (34) Dissuasi. Lo Schweigh. , dopo aver accolta l interpetra. sione : bonam nobis mentem fortuna corrun.pente , che il Ca. saubono d a questo luogo , la disapprova nelle n o te, e spiega , 1 i w t t v S t l t che ha qui il Nostro come noi l abbiamo trat dotto. (35) Che laddove voi foste ec. Qui hanno i libri i f ti i, noi, , per modo che avrebbe detto Annibaie: Essendo noi (cio anien. d o c, Cartaginesi e Romani) stati in pericolo ec. Ma siccome , incominciando dalle parole : Ed alla fin e ec. , il punico duce ..parla della seconda g u erra, in cui dapprima corse Roma dopo .la battaglia di Canne il maggior pericolo d essere presa , e po..scia.,.allorquando appunto tenevausi questi discorsi, eran i Car taginesi venuti a siffatto repentaglio; cosi volt bene il Cajsaub.: F os antea sitis periclitati (comech nel testo egli abbia ritenuto . iiftis), e male tradusse questo passo lo Schweigh.: Ut de patrio . etiam solo smos btuquk periclitati, quasich un altra volta in questa medesima- guerra i Cartaginesi corso avessero lo stesso

rischio. Seinen che in compilando le note savvidegli della ra gionevolezza del senso espresso dal Casaub. (36) Costoro. Cio i Cartaginesi , mostrali do Annibie quasi a dito , conforme bene avverte lo Schweigh. ;-tal eaerido il si gnificato del 7tv f T i per I ti! to t iA che 'qui leggesi. Quindi -ihale il Cssab.: Nane ipsi quiam maxime pericltiemur, peg gio lo Stesso Schweigh. : Et alteri etam nunc ckm m. p. ( e d - no di noi ancor adesso siamo nel maggior pericolo). . (37) Ba scipiti fanciulli. L estrema - volubilit delia fortuna , per cui ad ogni umana previdenza e ad ogni calcolo ai sottrae , fa s), che per rispetto ad essa siamo sempre fanciulli, privi del l'uso della ragione. Laoude non vuoto queUepiteto di tnwStit aggiunto a wmit), siccome sembr al Gasaub., il quale lomise, lo 1 ho restituito uel volgarizzamento , seguendo lo Schweigh. (38) Sincere. B irlttt scrisse Polibio, aggettivo che corrisponde all italiano fido , fid a to , ma che ho rifiutato per evitare mal suono, e perch la fedelt meglio sapplica alle persone che alle ' cose. (3g) Da una tota che-ti dir. Aqt t t t t Alym t, da una delle ragioni, hanno i manoscritti e la prima edizione ; che lo Scbwigh. cos interpetra: Considera le'cose ttmeno secondo una di quelle ragioni , sotto le quali possono considerarsi ; considera le tose almeno da una parte. '11 Casaubtmo corresse -questo luogo scrivendo, *p' t r i t i kiy u , e 1tradosse : Ex uno tjuod jam dicam , per modo che il senso sarebbe da un solo discorso : traduzione e senso ritenuti dllo Shwrgh., e per Brilla 'corrispondenti alk spiegazione d lui data nelle n o te , e Ae'test -citammo. Io non ho dubitato (faccettare l emendazione del Casaub., cme quella d onde risulta al testo maggior chia rezza e semplicit. (40) Io sono quell'Annibale ec. Sublime confronto fra la for tuna passata di quel grande capitano, ed il sommo abbassamento di lui al presente , e coki quali efficaci parole esposto ! Invano

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(forcasi nella diceria, dettala da L iv io u n.tratto eguale,di.cqncisa vibrata eloquenza. - (41) Encomi o ra . . . ridotto ec. 'O t >> reoanb tutti i cmUs: scrittura cbe non piacque al Casaubj., il quale- cangioll io i t v> : giustamente e con . tiwedutesei secendeeh pudica lo. Schweigh. Io pertanto la tengo col'R eiske, che ristabilita vuole, la lezione volgala , e parmi cbe il senso espresso dal 'Nostre sia questo: Io quell Annibaie ec.- . . . . . cosi (facendo i t la veci d ' *!*t) mi ritrovo ora in -Africa, da dover parlar teco ec. - . cd a tale sentenza ho acconciato il mio volgarizzamento.: - (4'a) Con umani' rispetti. A umanamente ba il ter sto. Humanae sortis menwrem ne fecero i traduttori.ratini , e Livio ( 1 . c.) scrisia-' Ba habcnda fortuna erit, quam Dii daderial. Se non v errato, l idea cbe qni volle enonziar Polibio diversa dalle test esposte. B eiorrS / itt fttw h tt h la frase che egli usa , alla lettera , deliberar umanamente, vale? a d ire , ri guardar nelle deliberazioni che si prendono.alla condizione uma a ; dal qual (riguardo nasce la necessit d appigliarsi tempre a l partito pi vantaggioso . conforme leggiamo - nella seconda .parte d questo periodo. (43) A l tutto vane renderai. Irritas reddes superiores vietorias spieg 1 Ernesti questo passo, e meglio, secondo m e , s appose alla mente-di Polibio cbe non gli altri interpelli , i quali ItpSni ita tfi'itis tradussero funditus everte s verbo; che male s adatta al praeoiara facta che precede , non si potendo spiantare le geste siccome le cose. (44) Cui Scipione replic La principale differenza tra Polibio e. Livio in questo discorso in ci consiste, che il primo sestende sulle condizioni di pace proposte g ii da Cartaginesi ed tyra da Annibaie; laddove l altro, di queste tacendo, rammenta *le cause dlie guerre anteriori, riferendole nemici. Chi pi consentanea mente alle circostanze ragionar faccia il duce romano fadl a conoscersi.

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- ( 45) Riguardo io ec Ba#i<> tf *} 7c 7Ut l&xm D o n al certo: Foriunae vim jam sibi esse nolani, conforme rollarono questo passo il Casaubouo e lo Schweigh. ; ch i da riguardare {/IXiwtu) ad esser noto passa qualche differenza , ed avendo Annibale (cap. vi, verso la fine) rivolta .1 attenzione di Scipione rila v o lu b ilit della fortuna, rigion vuole che questi,' in rispon dendo, alla stessa mutabilit e non alla f o n a della fortuna acenoasse colle parole Va 7nt 7i%nt. . 446) Ch.' eravamo g ii ec Non era d nopo, per quanto io credo , che lo Schweigh. desse un altro senso alle parole del, testo, ponendo tra segno d interrogazione dopo le parole iv i 71 N oscura l interpetrazione del Casaub., che con rende questo lnogo: Quod maximum omnium est, civibut luis dtviclis et pacem petentibus , jam in ter noi jliqoo modo cos fEUSi^r. Che se al Reiske sembr non proceder il discorso abbastanza bene e mancarvi forse qualche cosa , ci derivai se mal nou mi appongo, dall aver egli credoto che ptiptt qui significasse parte delle cose che i Cartaginesi'avean domandate, quando cotesto vocabolo vuoisi qui prendere nel senso di particolare, relativo a patti gi stabiliti tra i belligeranti, e poscia rotti da Cartagi nesi imbaldanziti pella venuta d Annibaie. (47) Non affinch premiali. Col togliere la particella negativa pii, siccome fece il Casaub., il discorso, a dir v ero , rendevasi pi piano e vestiva la forma d una efficace ironia. Che. s i , avrebbe detto Scipione, che dovremo alleviare i pesi addossa tivi per insegnare aposteri V ingratitudine e la perfidia? Ma non permette ci l AA' '/>* (ma affinch) che segue, ed a mal grado del miglior senso, e, parmi anche, della maggior chiarezza dell esposizione, non ho potuto a meno di ristabilire collo Schweig'h. il pii de codici. (48) Come prima. Accetto l'emendazione d 71 (perciocch) ia ? (allorquando) proposta dal Reiske, sebbene da lui stesso non riconosciuta necessaria. Lo Schweigh. crede 1 7i contrario al genio della lingua greca ed all uso di Polibio; ma n 1 mio n

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l nitro esclude 1 * idea determinativa del tempo che eoo tale vo cabolo acconciamente si esprime; ({g) In tale frangente. 'E t eie k nel testo: frase eh sem brata tfonca al Casaub., il quale vi premise un segno di lacuna.; I l Reiske vlto che si cancellasse la preposizione ,. e che si rife risse l eie a Cartaginesi, d onde risulterebbe questa sentenza :

Atggagnendo adunque' a quelli nuove gravezze oltre le g ii imposte ec. lo ho seguito lo Schw eigh,, .essendo cotal modo eliltico famigliare al Nostro. V. lib. v , i o , dove leggesi i i per i t i nel qual tempo. (5 0) Cosi avendo. Qui Livio adduce ima breve aringa, ehegli
suppone avere amendue i duci fatta a loro eserciti dopo il collo* qtiio eh ebbero insieme, il tener della 'quale Polibio espone co me sua propria riflssine. (51) Come non iecuotermssi ec. T /t * > rv/tro & ; (chi non si far sensibile}, il qual modo di dire richiede accerto il dativo, che non -riscontrasi nel testo, del sostantivo cbe segue, locch mosse il Reiske a proporre che aggiungasi 7 a k* 7 7> (JuVnfiT, o che si scriva JuJ'dVk. Se non che trovasi alcune volte presso il Nostro la stessa frase isolata senza dativo, v m , 2 , x ,' 18. Per la qual cosa da- reputarsi sottigliezza 1 osser vazione dell anzidetto commentatore. (5 a) Mettendo i drappelli. ammirabile la chiarezza con cui il Nostro espone questo sentimento in confronto della confusione ch e Livia (x x x , 3 3 ) reca nella sua-descrizione, della quale gi s avvide Lipsio (D e milit. r m ., v , p- nu g j). n Non ischiera ro n o , die egli, le coorti dnse innanzi alle respettive insegne; sibbene i drappelli in qualche distanza tra di loro. c. . Donde n o n comprendesi che questi drappelli , siocome manifesta mente dice Polibio , eran 1 ano.dietro l altro in linea retta. ( (53 ) Ma V uno dopo V altre. K7 ,aaa*, avveramento in u n a parola vuole lo Schweigh. cbe qui si legga , n o n appagandosi del *T ixxm t che scrisse Lipsio ( 1 . c. ). Ha ebbene SifuXm yy/* e IpifmX*iyyt* ( 11, 6 6; xir,

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t 8 , ao ) significhi due o tre falangi Luna dietro laltra, U senso di queste successioni di luogo deriva dall lari che suona addos samento; laddove *1* semplice segno di distribuzione, e non pu cangiar H senso d AX(Am che vie, vicendevole, Sterno. Io preferirei IaV Za x * s, **? i xx r, conforme sembr gi' allo stesso 8ehwetgH che potess essere scritto. (54) Pella moltitudine degli elefanti* I quali pegl interstizi, he ima linea retta formavano, correr poteano liberamente sen a scompigliar le file. (55) Gl interstitj. Frontino ( Stratagem. > n > 16 ) riferisce , ebe Scipione cosi disponendo ebbe in mira che la schiera non traluoesee, (56) E non potendo, A torto volle il Reiske che nel testo si cancellasse la copula **), stimandola intrusa avanti U parole *7 7* 7 fini. ip*tftt (Bell impeto delle bestia). Imper ciocch doe eraa i casi ne* quali ra comandato a veliti di riti, rarsi j ove sopraffatti fossero da nem ici, ed ove gli elefanti an dassero lor addosso ; i quali casi imo solo sembrerebbe senza l e che li unisce ad un tempo e 11 distingue. . (57) Sopntppresi da parecchie parti. Questo il vero senso del fid a tiftm i, che male fu rendato in latino; Qui vero occuparentur a belluis ( coloro ebe veprehUin iatercettati dalle belve ) , quasich ) combattenti non potessero assaltarli da varie parti per mode che fosse loro tolta la ritirata. : (58) Presso le insegne, E* 7 wkmyi wtftrl&rSnt Stmrlifuil* k7 7 r*ft**s (applicandosi agl intervalli di fianco presso le insegne) scrisse lo Schweigh. nel suo testo, restituendo la lezione de codici. Il Casaabono, omesso avendo Jt**!*/*!*, volt tuttavia questo passo come se cotti vocabolo vi fosse : In

dextram sinistramve iis sete applicarono intervallit quae es sent inter tigna, e lo Schweigh. fedelmente copiollo. Ma non
questo lo stile di Polibio , preciso anzich esuberante nelle sue descrizioni. L'aggettivo w liy t , ohe bastava rendere per lateru, potea reggersi da s senza un sostantivo che il determinasse. Il

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Reiske pure non disapprov qnd.Sm*lnft*}*i ma non cemprendo il 7t da lai premesso umit lk t nt/m jat, il senso di mptelurS-m essendo collocarsi , mettersi , che im ito acconfcia* mente si costruisce cdl semplice 72. (5g) Chiese. da u&tarsi la somiglianza de* motivi di* qui ad duce Scipione peritrcoraggtar I suoi alla pugna con quelli recati in mezzo da Annibale Ha sua prima calata in Italia ( V. lib. n , cap? 63 ) : grandezza de beni proposti al vincitore 3 irreparabile perdita, congiunta con disonore, riservati al viDtoehe eoa umore combattendo. (60) Superare 'Smpre. La lezione Volgata p ilu t Sii U t iv i 1i i t 1f l*T ltfittiti certamente viziosa, n basta per emen-. darla il cangiare S ii n Sili (dover superare), siccome propone il Gronovio. Il Reiske e lo Schweigh. preferiscono Ai) che calza molto meglio al resto della sentenza, e lo preferisco io pure eoa tanto maggior fiducia quaotoch veggo ( di che pare che non siensi accorti gli anzidetti commentatori ) come il Casaub. avea g ii fatta questa correzione. (61) Gli elefanti. Livio (I. c.) aggiugne che Annibaie assegni loro questa posizione a maggior te rro re, e che nelle battaglie anteriori non ne avea mai avuti tanti. (63) Africani e Cartaginesi. Livio vi unisce una legione di Macedoni. Crede lo Schweigh. cbe Polibio pure possa qui averli nominati. Ma siccome nemmen Appiano oe & motto , cos d i stimarsi che da altro fonte Livio traesse cotal notizia. (63) Ciascheduno. 1 traduttori latini posero qui tte iiu s , 'V omisero dove parlasi de Cartaginesi, lo non volli abbandonar le tracce del Nostro, perciocch considerai ohe <?* (ciaaeheduno) non potea riferirsi che a* rispettivi duci delle varie nazioni straniere he formavano parte del suo esercito, i piali duci jurin* g ar doveano i propri! soldati. II secondo membro di questo pe* riodo cosi incomincia nel testo : A' Cartaginesi coaaand che i duci annoverassero ec. . Qui, non sarebbe convenuto meno pella noieaa ripetizione ohe ne risulterebbe^ quanto parchi

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quel ciascheduno s addice acapitani di cadauna di quelle miste genti, ma non gi aduci deCartaginesi, ch eran un popol sol. Il Reiske esce qui fuor del seminato, facendo dir a Polibio nel principio del periodo : T h tfiy y u i IS t ptt ptivS-t${p*i I tti

iy v p itttit, comand a duci de' mercenarj. (6<) A l fiume. Trebbia. Il Reiske amerebbe ebe vi fosse sosti*
tuito il P d il Ticino , siccome que fiumi fra i quali , secondo Polibio stesso ( in , 6 e seg. ), Scipione, padre del presente* fu sconfitto da Annibale. Ma riflette opportunamente lo Schweigh. che, quantunque nella battaglia alla Trebbia comandasse-Tiberio Sempronio, collega di Scipione, questi ci non pertanto era nel campo, comech, per essere gravonente ferito , non potesse in tervenir alla pugna. Laonde , essendo questo fatto d armi stalo malto pi funesto a Romani chy non quello al Ticino , ragion volea che Annibaie ponesse sotto gli occhi a suoi la battaglia della Trebbia , affinch non temessero il figlio di quello Scipioue che- una cosi grande rotta avea da lui toccala. (65) E scorrere colf occhio. Siccome ne manoscritti e nella prima edizione manca il *, cqsl volle' V Orsini che tolto fosse anche il verbo A dir vero, senza queste due voci correrebbe il senso ottimamente j ma pur meglio aggiugner al discorso la p rim a, siccome fece il Casaub., che non levare lal tr a , sovrattutto ove la si spieghi collo Schweigh. lustrare ocuUs , conforme noi pure 1 abbiamo rendula : -frase pi espressiva del conspicari in che il Casaub. 1 ebbe voltata. * (66) I l nome. ITf*ny>fla propriamente denominazione, o dir vogliamo quel nome con cui si denota la qualit distinti ver di qualche persona , da *-ptrmytptvitt, chiamar per nome, sa lutare: Lo Schweigh. crede eh Annibaie qui alludesse al titolo di Magno che gli era stalo d ato , secondo certo autore di cui egli non pi si rammentava, (67) Alcuni elefanti. Appiano (Punic., cap. a 3 e seg.), nella descrizione di questa battaglia men attaccato a Polibio che noi fu L ivio, nulla dice dell*indietreggiar che fecero gli eli-fami so

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vra i Numidi eh eranfc nell' esercito d Annibale , n che 1 ala sinistra dCartagmesi fu quella che in tal iooontro sofferse mag giormente. (68)' Merc del provvedimento ec. Vedi sopra al -cap. ix. (6g) Saettati da,'cavalieri. Saranno questi forse stati glitaliani arm ati alla leggera e schierati dai dietro, che, a detta dAppiano, Scipione fece scendere dacavalli spaventati e saettare gli elefanti, avea do egli dato il primo esempio di smontar e ferirne uno-che s avventava. Il Reiske avverte che questi erano i cavalieri di Lelio , e quivi era appunto la cavalleria italiana ( v , cap. ix ) , ciob- nell ala sinistra comandata da Lelio. (70) Nel primo luogo che occupavano. Cio nel retroguardo,come in riserva , essendo questi i soldati pi agguerriti di tuttol esercito. Ed infatti. fecero costoro 1 ultima disperata prova per sostenere la battaglia. (71) Ma vean. Verso dOmero nellIliade, v, vers. 4$7> 38. Polibio lo cita un poco diversamente da quello che oggid si lgge nel poeta. Polibio : *0 . ivTi 3-pcZt v(T 1* y fv t Non . . . eadem turba . . . *A \X i / mXXttt yX Sm i, itifpit

Alia aliorum lingua ec.


Om ero : O i . . . i f t t t f y i t f , u. 1. .

Non . . . aequais ec. 'AAf y x i t r ifttfn xl , w. f . i. . Ast linguae miscebantar ec. Dove mi rimane d osservare che B-ptts, contratto Spie, significa
tanto turba di gente quanto schiamazzo; ma che siccome in realt lo schiamazzo era uno solo, e le turbe diverse , cosi ho amalo meglio di rendere nel volgarizzamento 1 ltima di queste idee. (73) N lance n spade. Livio , che nella relazione di questa battaglia si rigorosamente attenuto al Nostro, dice (xxxm, 34) che i Romani, facendo forza colle spalle e cobellichi degli scudi,

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spostarono i mercenarii e I! spinsero buona pezza indietro. Ecco in qual guisa era possibile che combattessero senza lance n spa d e , e che i Romani tutti gli avvantaggi ottenessero , conforme asserisce (osto Polibio , dalla perfezione dal loro schieramento e dalla loro armadura. Sono adunque inopportune le correzioni proposte a questo luogo dallOmini, -dal Grronovio e dal Reiske,, e bene s appose lo Schweigh. a non riceverle. Che. se Appiano (Punic., 45) dica eherano senza cavalli, e. che non aveano pi dardi , ma combattevano colt spade c i , con buona licenza, dette Schweigk. (dal quale non dovea aspettarsi chegli opponesse l autorit dAppiauo a quella di Polibio), non bassi ad intendere, di questo primo scontro, sibbene dun posteriore che i Romani ebbero a sostenere co soldati venuti dall Italia, poich i merce narii erano 'gi andati in volta. Ila a proposito dell anzidetto) storico alessandrino non posso a meno d osservar*, come nella descrizione d i egli lasci di questa famosa pugna alcune- memo rande particolarit si riscontrano, che invano cercberebbonsi in Livio ed in Polibio; per figura, il replicato assalta che nel fer vore della mischia si diedero Scipione ed Annibaie, e 1 urto di Massanissa col supremo duce de Cartagiuesi, Q r chi non terr pi conto del silenzio duno storico qual il nostro, descrivente fatti all et sua accaduti, che dell asperzmq d un compilatore d oltre due secoli ( visse Appiano sotto l imperador Adriano ) remoto dal tempo di quella battaglia ? (73) Agilit. ivz'ipiiM nel testo, propriqtnente facilit e,leg gerezza nel muoversi, che gl interpetri latini bene rendettero per agilitas. Velocita* illinc, dice Livio, major qm m vis, meno esprimendo del Nostro. (74) Colpi da forsennati ec. Grand , conforme gi altrove, abbiam veduto, levidenza di Polibio nel mettere sotto gli occhi 1 azione delle battaglici Non potea con peqnellata. pi ardita d i pingersi 1 estrema disperazione de soldati costretti q combattere eoa pernici ed amici. Perculsgj iratosque ( abbattuti, ed irati ^ 1

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rappresento Livio , pi esponendo lo stato del lr anim o, ebe non la disperazione che reggeva il loro braccio. / j 5) Per tal guisa. Questa sconfitta degli astati nel principio dello scontro, ed ilraddrizzamento della pagia per sopraggiunta de principi s o d o afflitto omesse da Livio. Non dice n u l l a d Ap piano , il quale troppo differisce dal Nostro in tutta la sua re-; lazione. (76) Scombuiami alquanto. Mi piace assai la modificazione proposta dallo Schweigh. al presente lesto. 'o n s in i^ w , leggesi ne libri, V n tlit i r ilttt mptaimi. i l it 7S{ wjtyrUw*

tfyffiattf x. l. x . Lanciatisi sulle insegne degli astati le seom* Lutarono; ma i duci deprincipi ee. Ora cotesti meroenarii che
difendersi doveano, e da Romani che - colla sola forza dell ar madura e de corpi li aveano >i<espinti , e da suoi che non vo leano riceverli, probabil non che' tanto Valessero da scompi gliar affatto gli astati che gl inseguivano ; comech non sia dif fidi a credersi c h e , cresciuto a dismisura il lor forare pella dir sperazione oad eran anim ati, gragner potessero a recar nelle -file di quelH un poco di confusipne. Avendo quindi l anzidetto commeDtatore nelle note appi di pagina sostituito iw iraVo ad im u rtrn ltt.-o l ho seguito. Ma l ! (tu ytp che hanno tutti i lib r i, e che il Reiske approva , peli *i < T i in che cangiollo il ' Casaob., non parmi che possa stare in alcun modo, n so com prendere come p er difenderlo lo Schweigh. immaginata abbia l altra emendazione d a noi adottata, che di per ragionevole abbastanza. (77) V ingombro della strage. T* l i t IftW iit iptmr*S*t, ver balmente, Y impedimento della sconfitta , che poco esattamente fu vojtato : E parta jam victoria orieos impedimeotum ;- 7ptw non essendo altrimenti ima compiuta vittoria, sibbene il vantag gio colto dalla precipitosa ' retrocessione denemiet, quale vtggiati qui aver conseguito i Romani. Oltrech l ostacelo allavanzamento nasceva dalla strage stessa, cio a'dice dalla grande quantit dei

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motti ammucchiati , e non dalla vittoria, che ottenersi poter anche senza questa particolarit. (78) Erano per difficollre. Ho voluto qui esprimere quel mi sto di passalo e di futuro che risolta dalle- parole del testo < iftxXXt v o tim i, e che al certo significante. Viam diffcilem praebebant scrissero i traduttori latini, ma meglio sarebbe stalo

praebitura erant. (79) Gli astati che inseguivano. Qui sembrami cbe le Schweigh.
cerchi il pelo nell* uovo. La qualificazione degli astati che'inse guono fa sppporre che Polibio li distinguesse da a ltr iastati, i quali non si sa cosa facessero. Ma questi altri astati eran i feriti cbe Scipione mand alla coda dell esercito , e che al certo non potean essere fra quelli che incalzavano il nemico. Sicch non fa qui mestieri d i. correzione , n, and smarrito alcun membro di questo discorso, conforme crede lanzidetto interpelre. - Secondo Livio non solo gli astati eransi fatta strada pecumuli de' morti, confondendo le insegne e le file, ma eziandio: le insegne deprincipi incominciavan a tentennare, veggendo innanzi a s tanto disordine. Ei fu allora che Scipione richiam gli astati e fece le altre disposizioni qui narrate. (80) Innanzi al sito della pugna. Aveano gi gli astati varcati i monti di cadaveri e traevan .dietro a nemici .che fuggivano, quando il duce da Romani li fece tornar addietro e schierale nel sito dove colesti monti finivano , e dietro al quale era stalo il combattimento* Lirio non dice, dove collocalo fsse questo corpo d armati. (81) Lungo i morti. Che il Casaub. abbia errato in 'Voltando <fii 7Hi MipZi, per strages mortuorum (attraverso de m orti), non a dubitarsi ; dappoich come avrebbe Scipione per tal guisa schivato rostacolo che gli era pur d uopo di causare? Quindi lo Schweigh., sebbene nulla mutasse nella -versione, nelle noie aderisce aU opinione del Reiske , il quale a cftt d qui il significato di praeter (presso) , che in italiano, ov esprimasi uu muto davanti, od al fianco d un oggetto, dicesi lungo. V. P~

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libi , ir , 6 8 , e col la nostra nota a i o , 1 1 1 , 7 7 , nta a 83. (8a) Eguali erano di numero. A detta di Livio era superiore il numero' deRoinani, oltrech questi avean gi mandali in rotta gli elefanti ed i cavalli, e , sconfitta la prima schiera, combat tevano colla seconda. (83) E quasi.'Hoa era necessario di cancellar il } cHe hanno tu tti'i manoscritti i siccome fece il Casaub., ma non occorre -neppur intenderlo nel senso di *) lavi (e ci), n di supporr* smarrita qualche cosa innanzi a queste parole, siccome avvis il Reiske ; n bassi questa- particella ad avere per un pleonasmo , saoondo ohe stima lo Schweigh. (84)- Olire mille cinquecento. Da due mila dice Livio (zzzvi, 35) , dal quale sappiano ancora cbe i Romani presero utrentatr bandiere-*d undici elefanti. . (85) No*1 da ohi tradiste ec. Checch arrechino i manoscritti pi accreditati, ia tengo fermamente che la buona critica pre valer debba alla laro autorit. Il Casaub. che bou lasci di ptofittare pella sua traduzione, dell antichissimo codice Urbinate (*). (V. il nostra tratta delle edU. e traduz. di Polibio, voi. 1 , pag. 39) , vi avea certamente rinvenuta la lezione T5 (di chi prevede) preferita dallo Schweigh. , e la rigett tuttavia ponendovi di suo. ingegno t i n p iitl s, che abbiam espresso sella nostra versione. Infatti, quand anche render vorremmo (olio Schweigh. quel 7*5 T# tei ben
* (*) Ecco le proprie parole dfel Casaub. circa l* tuo da lui fitto dei cd. Urbinate nella sua tradusione di Polibio, tratte dalla sua prefazione: N am cum essem admonittt* pene* *erenis4imum principe** t f'nmci^CHm . Marion* I I , . U rbini dutttm v i j eximiae vetnstaUs codicem P clybii extare^ tgissem que per lite^as cum am*, plissimae dignitatis PhiUppo Cuaajo Fraxineo t tuae m ajestatis (Ludovici x m ) tunc Umporis apud sereniss. Vcnetorum rempub. oratori, u t ejus codicis usuram MIH4, M F R I A M T y adao non gravate princeps sapfentrssimus . . . q u o d aOABATUB s i y i t x Ss cfejuv* Ebbe 4&nque il Casaub. cotal codice tra le mani e ne pot, usar % suo bell agio.: fortuna che non toccata allo Schweigh. , il quale divette incaricar altrui del suo esame : Y. nell* edix. polibrna dello Schweigh. la prefax. al toni. i t
pag. 46. '

roLiBio, tom, r

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gerendae occasiones providit, prospexil (sformata interpretazione
jn grazia del senso immaginato ) ; che cosa ha che fare cotal pr* videnza col divisamente d indar il duce avversario all accordo ? Dovea siffatta sagacit rassicurar anzi Annibaie del buon esito della pugna , che ispirargli diffidenza. - Non avr il Reiske co nosciuto il manoscritto dUrbino divenuto in appresso Vaticano, e gli sar quindi sembrato ragionevole di mntar il w ftJ itltt. del Casaubono in w p tiix tln praetermillentis ( di chi tralascia), o w t fiS itltt, praelervidentis, non animadvertentis, non scien ti! ( di chi non vede , non s accorge , non conosce). Queste lezioni non sono punto inferiori alla caeauboniana ; -ma il commentator alemanno non disapprova per ci quella dal suo pre decessore , sibbene la stima egli migliore del suo vp ttu tfltc , che in tal cosa, dieegli, pi .s usa oppure wptipt'tt*: (86) Diffidi essendo a rompersi. Ecco una prova del retto discernimento del Casaub. nell apprezzar le sane lezioni de co* dici di cui si valse. A v d ta rw irltv ha qoi lUrbinate, mentrech in tin titi* (facile a disunirsi) hanno parecchi cdici d ottimo conio , l autorit da quali strascin il Lipsio, 1 Orsini ed il Reiske. Il Salmasio ed il Gronovio, osservando ch la facile se parazione della schiera romana non corrispondeva allo Stratagem ma usato da Annibaie di romperla cogli elefanti, proposero di leggere SmriT, accennando agl interstizi in he qaella -schiera era divisa. Ma lo Schweigh. questa volta s'accorda col Casaub., e la ragion n tanto palmare, che grandemente dobbiamo maTavigliarci come tanti sommi illustratori dellanticbit abbini po tuta sostenere lezioni cos assurde. v (87) Dove minacciava ec. Novel argomento k questo del van taggio che il Casaub. seppe trar da confronti fatti col cod. Ur binate. Negli altri manoscritti e nella prima edizione qui leggesi iy y tt* 7> iitn ftt/ ii, che. non avendo .senso fu dall Orsini f seguito dal Li paio e dal Reiske, convertito in Jt mpit/mt. Ma il Casaub. cav dal suminentovato codice lavera lezione, 7 effo*. e lo Schweigh, adottolla, osservando molto giudiziosamente, co

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me nella (olita schiera deRomani, dove i drappelli disponevansi in ordine alterno ( in quiucuncem ) , non due ma tre drappelli voltavansi contro la massa de nemici che penetrata fosse nella loro schiera , dne da due la ti, ed uno di fronte, collocato nella fila di dietro di facciata all interstizio de due anteriori. (88) E tuttavia Annibk ec. Livio copi dal Mostro la parte del ragionamento contenuta in questo capitolo, ma omise 1 altra che leggesi nell* antecedente, e che comprende i motivi per cui il duce de Cartaginesi fece cotali provvedimentr.> Avean cotesti molivi il loro fondamento nella singolarit dellarmadura e dello schieramento d*Romani, i di cui vantaggi Polibio al certo me glio conosceta che nan lo storico patavino. (89) Perch ec. Nestore , schierando i suoi a combattimento contro l esercito d alcuni principi ausiliarj de T rojani, colloc nella vanguardia la cavalleria , nel retrguardo i fanti , e nel mezzo caeci i vili ( Iliad,, v , v. 297-300). Cosi fece Annibalo in questa battaglia. La milizia della qual egli tenea il minor conto era la ciurmaglia mercenaria composta di tante nazioni, ma po derosa pel suo num ero, impetuosa e manesca, quindi altissima ad aprire la pugna. Quella in cui maggiormente affidavasi, e della quale molto gli ealea , eran i veterani venuti seco lui dallItalia, ed a costoro assegn egli il posto pi sicuro e serbolli aUullimo colpo. Ma i Cartaginesi di fresco assoldati, imperiti della guerra, e timidi pelle sciagure in ehe.vedean avvolta la patria eran i pi sospetti , e perci li posagli nel mezzo. Cosi narra Frontino ( fttratagem., . u , 3 ) . che P irro , seguendo il consiglio dO m ero, nella battaglia dt Ascoli pose i Tarentini, cheran i suoi peggiori soldati., nel ine*zo della schiera., aveudo*riempiute lale di gente pi valorosa; ed Ammiano Marcellino (lib. xxiy) riferisce che Giuliano, secondo l omerica disposizione, stabil i pi deboli nel mezzo della schiera , affinch, messi dinanzi e turpemente ceden d o , non strascinassero tulli seco, o nel|e' ultime insegne rigettati, non resistendo loro nessuoo, non andassero pi liberamente io volta.

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(90) L t cose cht sorpassano. Le cose che Vabbreviatore omise fra questo capitolo e l antecedente possono ripetersi da Livio (x x c , 36 ) e da Appiano (P u n ic., 48-53 ). A ci cbe qui narra Polibio appartengono quelle parole di Livio al luogo citato : Ed essi ( gli ambasciadori dei Cartaginesi ) aileggiaronsi a miseria

mollo maggiormente di p rim a , quanto pi li costringe la fortuna ; ma pella memoria della recente perfidia furpn essi ascoltati con alquanto minor piet . Schweigh. E coleste cose che sorpassano la comune consuetudine , eran appunto gli atti d estrema vilt, siccome il buttarsi in te rra , baciar i piedi degli
offesi , ed bltre bassezze di tal fatta che , a delta del N ostro, ove sieno il linguaggio deUimpostura, non soltanto poco inuovon a p iet, conforme dice Livio, ma eccilan eziandio sdegno ed dio. (91) Scipione breve discorso ec. Da Livio non iscorgesi che Scipione rivolgesse la parola agli ambasciadori, ni# narra egli soltanto che questi, ricordati con molti rimbrotti delia loro per fdia , onde da tante sconfitte ammaestrati credessero finalmente cbe vi fossero Dei e giuramenti:, ascoltarono le condizioni di pace che foron loro dettate (cap.. 37). (gl) La citt di Sagunto. T Zaucrd/vi w i \u (la citt dei Zacantii) hanno i manoscritti e l edizione prim a, ed il-Casaub. vedette di conservar questa lezione.5 ma essa non- piacque allo Schweigh., il quale ne fece Zait*tdu/mi (de Zacantei). Stefano bizantino la scrive Zn*<4*3v (Zacanta).e gli abitanti Zacantei, (Zacynthos) ancora, d onde Zxv?d<< (Zacynthii) il nome decittadini. Quindi facile a conoscersi che lo Schweigh. s apposto al v ero , dappoich Z*md/w non Za**i dveano, secondo Stefano , porre il Casanb. ed i libri da lui seguiti. (93) Per amore di s stessi. Cio in grazia della propria virt, per cui non infierivano contro i vinti ; m a, considerando la mutabilit della fortuna, inclinali erano al compatimento ed

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<1 perdono , per quanto gravi fossero le colpe di chi li avea
oltraggiati. (94) Queste erano. N in Livio n in Appiano trovasi cotesta non inutile distinzione. (95) E cos tutti gli elefanti. La lezione Volgata di tutti i manoscritti e di tutte le edizioni i f t t l i f '< *-1pi Itus Ai$ > 7* ; ( lo stesso dicasi degli elefanti ) , quasich , siccome fu concesso a Cartaginesi tenere dieci navi lun g h e, cosi fosse lor accordato di serbare dieci elefanti. Ma a detta di Livio ( xxx , 3 7) dovettero essi dare tutti gli elefanti d o m a tile non domarn altri; e presso Appiano (cap. 54) dic loro Scipione: Voi darete gli elefanti quanti ne avete. Egli perci che io leggo col Rei ske : Oftt/ttt ku) w itx t iXtpxtMt. (96) Uno del senato. Da Livio sappiamo che costui nomavasi Gisgone. Appiano (cap. 35) dice che la plebe non era contenta d i questa pace, e che minacciati avea il senato ed Annibaie; talch i pi m oderati, temendo di peggio , ricoverarono presso Massa nissa ed i Romani. (97) Dicendo che avea fallato. Poco monta che decidasi la quistione , se Polibio scritto abbia; T> 'A tt/fi* t tipm cir , dicono che Annibaie dicesse , come volle il Casaubono , ovve r mente se ricevasi il Qurtt (dicono) che hanno tutti i libri , o finalmente se collo Schweigh. pongasi il solo *<*/ (dicesse). P i importa correggere il rvyytmpint t%tn che segue e che, si gnificando dar perdono , avere per iscusato, non pu esser re lativo ad Annibale, siccome 1 aver fallato; sibbene aCartaginesi. I l Reiske sugger un emendazione molto acconcia , introducendo fra le anzidelte parole { t, meritare , e* noi di siamo a lui attenuti. (98) Doltre quarantacinque. 11 calcolo giusto. Disse ci Annibaie alla fine dell anno di Roma 55a , ed aveva egli nove anni completi al principio dell anno 517, allorquando co l> padre Amilcare and in Ispagna . V. lib. 11, cap. 1. Schweigh. (99) Discutere. Ew'< verbalmente recare a di

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scorso. H Casaub. tradusse : A d conciones rem deducere ; lo Schweigh. : In disceptationem. Io ho espressa tutta la frase io
una sola parola , che significa il minuto esame degli argomenti in favore e contro un opinione quale qui si accenna. (100) Mentre vivea Tolemeo. Polibio, percorrendo sommaria mente i fatti principali eh esser doveano subbietto della sua sto ria ( n i , a ) , ramment eziandio quest alleanza d Antioco e Filippo a danno del re pupillo d Egitto , dicendo che il primo tent di rapirgli Samo e la Caria , l altro la Celesiria e la Fenicia. - Il Tolemeo del quale qui trattasi era sovrannotnalo Epifane (1 illustre), e 1 Anlidco il terzo di questo nome, intito lato il Grande. (101) Per diritto di natura. La quale insegna di proteggere i deboli , e di non trar profitto dal difetto de mezzi che hanno per difendersi. (102) Il regno. Forse non tanto assurdo il f i ( la regia ) che hanno i manoscritti colla prima edizione , mutato in /3tenXn'a> (regno) dallo Scaligero e dal Casaub., dappoich per metonimia pu la regia potest esser figurata dall edilizio in cui abita il sovrano , non altrimenti che pu la stessa esser rappre sentata da vocaboli trono , corona, scettro, che sono i distintivi e le insegne reali. (103) Impudenza. Qui pure non occorreva che lo Schweigh, contro l autorit de codici cangiasse (impudentemente) in & > iJ ( licenziosamente ) , esprimepdo licenza pi sfrenatezza di costum i, che non quel disprezzo d una onorata riputazione , eh proprio dell usurpatore. E beo qualifica cotesta impudenza il non aver essi adddtlo il pi lieve pretesto per coprire il loro delitto , siccome poc anzi disse il Nostro. I luoghi dellA utore, citali dall anzidetto interpetre in sostegno del suo arbitrio , non fanno punto al caso. Nel lib. u , 5 , usa Polibio *//*>, dove parla della libert colla quale i soldati epiroti godevansi il paese da loro ricuperalo, e nel x , 2 6 , riscontrasi lo stesso avverbio,

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dove ragionasi de licenziosi costami di Filippo , mentrech, de posto il regio fasto, soggiornava in Argo. (104) Pu applicarsiloro. Dicesi in greco ipXnrxajii, wftrl<pxtt> yixttl , ttn ic t, verbalmente dover rso, vitu perio di chi diportasi per modo, che ne conseguisca necessaria mente derisione, vergogna. Qui abbiamo : 7 X tytfii> dover la cos detta vita depesci, ch fe quanto dire : Dall avidit di cotesti principi risultava ad essi la riputa zione d una vita simile a quella de pesci. Giudichi il lettore se nel mio volgarizzamento avvicinato mi sono a questa idea. lptn ip i/a u J era ne lib ri, ed il Casaub. con ragioue ne fece rQXut, comecbfe lo Schweigh. sostenga che questi verbi abbian ltf stesso senso. (105) Meritamente. Lo Schweigh. omise nella traduzione il non vuoto ii ( 7 r, che il Casaub. rendette per quod merito potuisset, chiudendo queste parole tra parentesi. Se non che pi approssimossi al testo lo Schweigh. dando al periodo la forma interrogatoria, condizionatamente avendolo costruito il Casaub. : Si quis . fortunam accusaverit ec. (106) Con mutui tradimenti. Cio , mentrech spogliavan del suo reame il misero pupillo , ingannavansi tra di loro , procac ciando l uno di rapir all altro i beni occupati. Gli Alessandrini pertanto, veggendosi venir addosso tanta tempesta, mandaron ambasciadori a Romani , supplicandoli d assumere la tutela del pupillo. Essi che da lungo tempo cercavan occasione d abbassar Filippo e di vendicarsi dell alleanza eh egli contro di loro avea. fermata con A nnibaie, mandaron M. Lepido in Egitto per an nunziare a re di Siria e di Macedonia di nulla tentare contra quel regno ( Y. lustit. , Hist. , m , cap. a e 3 ). - Del resto Tolemeo , fattosi adulto, riconciliossi bens con Antioco , la di cui figlia spos , ma non depose gi l odio verso F ilippo, dap poich , richiesto avendolo gli Ateniesi daiuti contro questo re , egli di buon grado era per soddisfarli, ove i Romani lavessero concesso (L iv ., x xxi, 9 ; xxxv , i 3).

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(107). Vinti amendue. Filippo, venato a giornata campale eoi. Romani e cogli Etoli alle Cinocefale in Tessaglia, tocc una, grande rotta da T. Quinzio , e non molto appresso Antioco , chiamato in Europa dagli Eloli , malcontenti della pace che > Romani ebbero accordata a F ilip p o , fu sconfitto dapprima in una battaglia navale da Emilio Regillo, poscia in Asie dagli Scipioni. V. P o lib., xvm , 4- i o ; x x i, 9 , 10 ; x x i i , 8 Livio , xXxm , 7-10 ; xx x v ii, 3o ? 43(108) le signorie ec. 11 regno di Macedonia peri del tutto sotto Perseo, figlio di Filippo, trentanni circa dopo la congiura qui rammentata , e la potenza de re di Siria , dopo le due bat taglie perdute da Anlioco Magno in Europa ed in Asia; laddove la casa de Tolemei fior da un secolo e mezzo dopo questi av venimenti. (109) Presso i Ciani. Chiamavasi la citt di costoro K itt. Cis , ed era nella Bitinia sulla sponda del mare , sebbene Se nofonte ( Hellen. , 1, 10 ) 1 attribuisca alla Msia. Di lei narra Strabone ( x u , pag. 563 ) che F ilippo, padre di Perseo la di strusse , e ne diede 1 ' area a Prusia , figlio di Zela , che aiutato avealo a smantellarla, e che poscia vi fabbric sopra un altra ' citt cui impose il proprio nome. pertanto da sapersi che vi ebbe due re di Bitinia di questo nome. Il primo era appunto colui , del quale in questo luogo si tratta, soprannomato il zop-' po, e parente di Filippo, la cui sorella avea per moglie. Lhanno alcuni confuso Con Prusia l i , suo figlio, detto il cacciatore, ma rito, a detta di Livio (xlii, ta) e dAppiano (Mitrid., a ) , duna sorella di Perseo, figlio di Filippo, ed il Valesio e lo Schweigh., tennero questa fatta sentenza, voltando KiiJ<r7i!f, gener. V. Eckhel D octr/num ., tom. n, pag. 442 , uot., e Visconti lconogr. grec.,1 voi. u , pag. 9 4 6 , nota 3 , ediz. di Milano. (110) Agitatore della plebe. La voce Sfifiuyitync'cs, che non era ne codici Polibiani, ma fu tratta da Suida, secondo il Va lesio sarebbe quanto familiaris. Lo Schweigh. il tradusse orator popularis, aringa iore accetto al popolo; ma, se non erro, vha

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qualche com.di pi forte in que*ta espressione. Anpiuytiytr de riva, giusta Esichio - 75 Jiftm i y n t , 1 J in x tlt, da con dor a governar il popolo; onde nelle repubbliche dirassi tale che colle parole e corigiri reca in suo potere la vo lont della plebe. Lo che quanto ben sapesse far Molpagora veggiamo da ci cbe segue. ( u t ) Acquistassi una potest regia. Male pertanto gliene in colse , giacch secondo Suida fu egli finalmente ucciso. (113) Gli uomini tutti ec. La sentenza questa. Sogliono gli uomini mal governandosi, ed ingiustamente verso gli altri pro cedendo, cadere nelle maggiori sciagure; e ci accadendo tuttod in sugli occhi di tutti nessuno a vita pi temperala si conduce , e non sospetta neppure che mali frutti coglier dalla sua pazzia; laddove gli animali, guidati dal loro istinto, difficil che cadano nel laccio , dal qual ebbero, una volta la sorte di scampare. ( i i 3) Comechfaci! loro sarebbe. Accetto l emendazione del Reiske che scrive /<. , fa cil essendo; dappoich AA*'fu S u t eh la lezione volgala una co struzione tronca, non altrimenti che in italiano mal sonerebbe, ove si dicesse : Ma n diffidar alcun poco facile. ( n i ) Talvolta. Qui pure m andata aversi la mutazione che, fece il Reiske di A (molto) in wt (alcun luogo), significando gi il Jur%fnrlntif che segue , sofferir grande sciagura , senza che d uopo sia dell accrescitivo molto ; sibbene assai a pro posito l indicazione di cotesta sciagura , per cui richiamatisi alla memoria dell animale le offese ricevute. ( n 5) Ed altri. Ben fecero 1' Orsini ed il Casaub. a cangiar* il V*t che qui danno pressoch tutti i libri in 7* ; n so per-; guaderai che siasi smarrita la parola -<A>7i/< (governi) .a cui, sospetta lo Schweigh. che possa riferirsi quellarticolo femminile. Polibio parla cogli uomini in generale, considerali eziandio nella vita privata, e la forza del suo discorso consiste nel far cono scere , che per quanto colesti sciaurati non solo odano parlare

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delle altrui disgrazie, ma eziandio co propri occhi le veggano, non depongono le prave lor voglie. (116) I l suo cognato. V. sopra la nota 109. > (117) Non offeso. Nella parte perduta di questa narrazione Polibio avr esposte le particolarit qui leggermente adombrate , e che trasmesse non ci furono da nessun altro storico. (118) Sortir dovea. ObtenturuS tradussero gl interpetri latini il del testo, che corrisponde propriamente al verbo italiano da noi usato , e che gli anzidetti ancora voltar poteaao sortlurus. Ebbe le traveggole lo Schweigh. leggendo nel Casaub. il bratto solecismo *Xtpctcftnrtu, neppure da lui disapprovato. (119) Delle antidette citt. Quali fossero coleste citt Polibio il disse certamente nella parte del testo smarrita. Dal Seguente capitolo scorgesi che fra quelle eran anche i Rodii. (tao) Rimandati. Il codice del Valesio d Sntytxi/*i'tt> derisi , che , a dir vero , potrebbe stare , ma con ragione osserva lo Schweigh. che fi*ypttti (mandati), o S ttkxlp ttin (strasci nati) meglio confassi col ' i p i piti (ciaschedun giorno < , di giorno in giorno) che segue. Il Reiske preferisce im y u y iftttti, chegli spiega: Menati con vana speranza e bugiarde promesse da un tempo alV altro. L ia X tyip itin ha il Casaub. e traduce: Quotidianis sermonibus deliniti ; ma io dubito forte che quel participio greco possa ricevere il significato passivo, e dubito al tres che JtaXtyttr o tfix'iytr$-*t possa usarsi nel senso qui at* tribnitogli dal Casaub. (121) Costretti furono. ' HtMyitir&iiTm suppose lo Schweigh. qui omesso nel testo , e vi mise segno di lacuna. Al Casaubono non parve he mancasse cotal parola , od una simile , e scrisse nella versione fuerant spectatores. Ha secondo lui non ytA rSui, sibbene tyt tirati avrebbe dovuto'leggersi nel greco , siccome prima vi si lesse tr*pSr*i, erano venuti. (iaa) Inferoc. Ha ragione lo Schweigh. che il passato pi che perfetto i-a-tltSipiJxet (avea inasprito, inferocito) sostituito dal Casaubono al volgato iwcltS-npiautt mal conviene ad unazione

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che allor appunto accadeva, non qualche tempo fa era acca duta. Quindi da accettarsi la sua emendazione nel passato per fetto iw iliS iffu'ltti. ( i? 3) Della citt de Ciani. ( n 4) A l popolo di Rodo che per quella avea interceduto. ( ia 5 ) Alla citt de Rodj. (tifi) E la crudelt. Con questa indica forse Polibio la demo lizione di Ci, eh egli in nessun luogo rammenta espressamente. (137) Non poterono prestargli fede. da maravigliarsi co me dopo le prove di perfidia che pochi anni addietro Filippoavea date a Rodj> (xm , 3), questi appena s inducessero a creder al messo che recava (oro cotal nuova perfidia . Schweigh. (138) Tanto dilungossi. La frase v t f i t r l u n t 75 che qui riscontrasi equivale ad aberrazione dal decoro, con che viene il Nostro ad indicare che Filippo cos adoperando sbagli la via segnala dalle convenienze sociali, ed appales, senza vo lerlo , la propria scelleratezza. (139) Un altro riport. Veduto abbiamo nel principio del cap. antecedente, come Filippo trasse dalla diroccata Ci grande co pia di schiavi e di robe. A Prusia tocc bens il suolo deserto soltanto , ma ne profitt egli tuttavia fabbricandovi sopra , con form e abbiamo gi accennato, la citt di Prusia al mare (V , la nota 109 ). ( i 3 o) N el suo ritorno. Cio dalla Propontide , e da C i , citt della Bitinia , di cui nel cap. antecedente . Schweigh. ( i 3 t) A Taso. T ra le citt che menavano querela .presso i Rom ani delle ingiurie loro fatte da Filippo Livio ( x x x i, 3 i ) annovera anche Taso, isola del mar Egeo sulla costa della Tra cia , celebre pe suoi vini. (>33) E questa. opinione dello Schweigh. che il compilatore degli estratti rislrignesse la presente narrazione , scorgendosi dai fram m enti conservati da Suida , che Polibio espose questo fatto p i diffusamente. - E non potrebbe darsi che le poche parole

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dell estratto Valesiano fossero come l introduzione al circostan ziato racconto di questo tradimento ? (133) Da quartieri. Cio daUobbligo di dar alloggio alle per sone civili o militari che dimorassero per alcun tempo odia citt; non gi , siccome crede lo Schweigh., il quale per conseguente non conobbe la forza del vocabolo iwtrlttS-fiita, a soldati che vi stanziassero ; dappoich fu test detto eh esser dovean liberi da guernigione. (134) E che si reggano. La correzione al testo di in xpnncft'tttvs, proposta dallo Schweigh-, non parmi punto neces saria; ch siccome piano il senso della frase 7 t itati cosi non v ha nulla dirregolare in p7 (135) Sosibio falso tutore ec. Cio tale che di suo arbitrio erasi ertto in tutore del re fanciullo. Del resto, comech non meno costui che Agatocle sotto il pretesto di siffatta tutela recato si fossero nelle mani il supremo p o tere, e mille malvagit ope rassero , non da negarsi che , vivendo Tolemeo Filopatore , grandemente meritarono dello stato co prudenti loro maneggi, e Sosibio ancora combattendo, allorquando Antioco' il G ra n d e, insignoritosi della Celesiria, era in sul punto di conquistare lE gitto. V. Polib., v , 63. - Del resto sembra che cotesto Sosibio fosse nel numero di coloro che Agatocle, conforme tosto vedre mo , fece morire per impossessarsi solo del sovrano potere. (136) Ministro. Nel testo <r*tatt, vaso, strumento, cosi dello per isprezzo. Nel lib. xm , 5 , noi voltammo questa voce, presa in egual senso, mobile. Qui non ne trovammo nell italiano una che al tutto rendesse il valore della greca. ( i 38)- A Lisimaco. Era costui figlio di Tolemeo Filadelfo e d Arsinoe , figlia di-Lisimaco re di Tracia , e fratello di T ole meo Evergete ; del quale, oltre a Polibio in questo luogo , ra giona lo Scoliaste di Teocrito all Idil. xvii , con queste parole :

Con Tolemeo Filadelfo f u primieramente accusata Arsinoe di Lisimaco , dalla quale gli nacquero Tolemeo , e Lisimaco Berenice . Valesio.

ani
( i 38) A Maga figlio di Tolemeo. Cotesto Maga era figlio di Tolemeo Evergete , il di cui avo m aterno, - denominalo pur Maga , fu fratello uterino di Tolemeo Filadelfo , ed occupato il regno di Cirene fece con lui molte guerre, conforme scrive Pausania nelle Attiche (lib. i , cap. 7 ). Per costui soffocato dalla grassezza , poich ebbe regnato cinquant anni, secondoch attesta Agatarchide presso Ateneo, lib. su ; ma innanzi l infermiti, per finir le,.contese col fratello Tolemeo* spos , a detta di Giustino (xxvi, 3 ), 1 unica figlia Berenice al figlio di lui. Da questa Be renice adunque figlia di Maga e da Tolemeo Epifone nacque il Maga pi giovine, che Filopatore nel principio del 'regno uccise colla madre di Berenice, per opera di Sosibio, siccome riferisce Polibio , v , cap; 34 e 36, e Plutarco in Cleomene, pag. 8ao .

Valesio. ( i 3g). A Berenice. V. P olib., v , 36. ( 4o) A Cleomene. V. P o lib ., v , 38. ( 4 r) A d Arsinoe. Fu questa sorella e moglie di Tolemeo Filopatore, rammentata ancora da Polibio , v , 83 ; e x v , 33. Confronta Giustino, xxx, 1, presso cui male chiamasi Euridice. Livio , x x v ii, 4 l appella Cleopatra. Ma nel nome d Arsinoe s accorda l autore del lib. n i de Maccabei . Schweigh. ( i 4a) Agatocle^ Confronta il N ostro, xiv, n ; Giustino, xxx, a; ed il commentario di S. Girolamo sovra Daniele . Schweigh. pertanto da notarsi , che gli avvenimenti qui narrati sino al
cap. xxxvn, posteriori sono alla congiura dAulioco e di Filippo contro il fanciullo Tolemeo Epifane, accennata qui sopra dal Nostro al cap. xx , conforme scorgesi da quanto ne scrive Giu stino poc auzi citato. ( t 43) l migliori posti ec. Giustino (1 . c.) dice, che Agatocle, al fianco del re , reggeva lo S tato, e che le donne (Enanle sua madre, ed Agatoclea sua sorella e concubina dei re) dispensavano tribunali, prefetture e capitarne. ( 144) Sfogare. La correzione d m w n fc ttl* t in iw tft/r ttlin fatta dal Gronpvio ed accettata dallo Schweigh. non parrai ne-

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cessarla , essendo A tn ftr$ * t quanto xcutere , lanciare da s ( V. Senofonte , Ciroped. , v ii, i , 37 , dove questo verbo usato per significare 1 atto del cavallo nel gittarsi da dosso il cavaliere). Laonde metaforicamente sar iw n /ir 3v t 7j* Ifyi*

ih lu*. Lanciare l collera so vi, alcuno , sfogarla sopra di lui. (145) Agatoclea. V. xiv , 11. (146) I Macedoni. Siccome 1 ' armadura , lo schieramento e 1 esercizio militare de Macedoni erano dopo Alessandro Magno
nel pi alto pregio presso i popoli d oriente, cosi i sovrani di quelle regioni, singolarmente quelli d Egitto avean un corpo di milizia scelta, montata ed esercitata alla macedonica. Sembr anzi che fosse questa ( e notollo il Gronovio ) la guardia del r e , da quanto leggesi in Suida all artic. (regii) : Seimila gio vani, sono sue parole, t quali secondo la dispositione cPAles

sandro esercitavansi alla guerra in Egitto. (147) liasciutti. L Orsini ed il Casaub. trassero dal >cod.Ur binate in tftiT u t per sostituirlo all assurdo wtptiTltv che
hanno gli altri codici colla prima edizione.' Le lezioni proposte dal Reiske iwtptTI i p t t t t , essendosi asciugato, e iw tptiTltl*, rasciugassi, per quanto non sieno spregevoli, non sono da pre ferirsi a quella del manoscritto Urbinate. ( 48) Preso il fanciullo in collo. -aniStty che io cos tradussi , Volt lo Schweigh. nelle n o te, sublimem tollens puerum (alzando il fanciullo in aria), lo che non il valore di che propriamente significa portar sulle spalle;laddove zrxifiit esprime cotal alzamento. Puerum manibus gestans (portando il fanciullo colle mani) scrisse il Casaub., ed aVvicinossi meglio alla mente di Polibio. Se non che io credo che Agatocle , portato avendo e non alzato il fanciullino , se lo sar recato in collo , siccome fassi comunemente con ragazzetti di te nera .et , e tal atto bastato sar per mostrarlo alle guardie e consegnarglielo. ( 149) Di questa donna. Non mi dispiace l aggiunta di i itti

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che amerebbe di far ilRttiske al x 7* 47r (la benevolenza mia e di questa donna) ; dappoich Agatocle, siccome tutore del fan ciullo ed '-statico servitore della caia reg ia, dovea pur mettere in qualche conto la sua benevolenza'pel pupillo. (i 5o) Pella solennit del? incoronazione. Ha ragione il Reiske di mutare il volgalo in perciocch oltre il riscontrarsi poco prima 7 StmSupM im X a ftS in it (assumere la corona), significando creazione, inaugurazione , non pu convenire se non se alla persona da incoronarsi, non gi alla corona. (i 5 r) AUa fin fine. Queste parole mi sembrano corrispondere al del testo, che i traduttori latini neglessero. Il (tilt innanzi al vm t ( come) andrebbe cancellato, conforme sug gerisce lo Schweigh., anzich lasciandolo supporre una lacuna, coin piace al Reiske. ( i 5a) Negli altri congressi. Non era da tentarsi il *7i Iti* X t/w tnt ticxXnriarfitht, siccome fece il Reiske , omettendo il e convertendo il **7* in *<. Gi sappiamo che Poli bio sacrificava talvolta la bellezza dello stile alla chiarezza , ed amava meglio desser inelegante che oscuro. Laonde non ischiv egli sovente delle ripetizioni, per non lasciar le pi minute cir costanze. Noi abbiamo conservato questo pleonasmo ( altri con gressi - altri corpi ) , n ci pare che la propriet del discorso ne abbia scapitato. (i 53) Molli approdavano. Dura frase a dir vero wtXvt > 1 i Ka7irA i luogo di s-gAAc ( atticamente) i x<*7* w \t t7ir, molti erano gli approdanti, e, checch ne dica lo Schweigh. non pu disapprovarsi il divisamenlo del Reiske d aggiugnervi il sostantivo turba. Che se il Nstro al cap. a8 di questo libro Scrive arar *7ti/ilt irli, ci nulla deroga alla nostra os servazione ; giacch vSe sta col in luogo di t natine, cia

scheduno. (\ 5b) Sfaciiatamente. Pella ragione addotta alta nota io 3 io

2^4
ho restituito lAta/Sm di tutti i libri alla ii/in (Kcenaidtfamente) che preferiscono il Reiske e lo Schweigh* (55) Colla 'fccia svelai. Varie sono le lezioni che danno i codici del vocabolo greco , che io con queste parole tradussi, e varie le correzioni che vi fecero i commentatori. Considerando pertanto che xAxvwrf il velo con oui presso i G re c i, e presso i Romani ancora (che il chiamavano flammeus) le doone per decenza coprivano la faccia, io leggo col cod. di Tubinga e col sesto parigino con tuttoch lo Schweigh. difettosa dichiari siffatta scrittura. (156) In posizione ritta. Colse, a mio parere , nel segno il Casaub., iterpetrando i | ific, vestigli* suis insistetti, stando sulle sue piante , cio a dire , ritto , e forse vi sottintesa vi in m t-, dappoich innanzi di porre i rei a sedere sull ecaleo per tormentarli, interrogavansi in piedi. Il Reiske (aroetica supv ponendo che il sostantivo taciuto sia Sv, via, strada, e che la firase che abbiam per mani significhi interrogar-brevemente pella via pi facil e spedita; tutto al contrario, essendo i tormenti la strada pi breve per ottenere la voluta confessione, laddove l inquisizione tranquilla appena, dopo lunghi avvolgimenti, e ci di rad o , conduce allo stesso scopq. (157) Non so che: Singolarissima la frase greca che io cosi voltai : 77 tfr7 qualunque cosa ella fosse. L us gi il Nostro nel lib. xm , 4* - ' ( 58) Battendosi V anca. Quest atto, esprimente maraviglia e dolore per qualche improvvisa sciagura, io italiano rappresen tato con una frase affatto simile alla greca , e forse tolta da lei,V- il vocabolario alla voce anca. (i 5 g) Per martoriarlo. La voce equivalente a marforo nel testo, iiu ytii ) , propriamente necessiti , permutandosi 1 effetto colla causa. Riscontrasi eziandio iu Erodoto, t, 116, dove n il Valla , suo iuterpetre latino, n il Silburgio , suo correttore, la compresero, voltando il primo y lu titf a; 7* t tyxas ad necessitates redactus, e 1 altro rendendo it iiu y x t p ty iX tn

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i v m t u r 9-t in maximas angustias sese dare, che il Valla tra dusse : A d ingentes devenire necessitates. Ottimamente il eh. Mustoxidi : Ridursi a gran tormenti - mentre a tormenti si conduceva. (160) Se ritornasse. proposto
dallo Schweigh., affine d omettere l ti che manca ne codici, mi sembra assai d u ro , ed io ho preferita la lezione 1i eh egl introdusse nel testo, esprimente lo stato di sospensione e di duhbiezza in cui trovavansi coloro che apprestar doveano i tormenti a Miragene. (161) Solo. Questa voce, sebbene non contenuta nel testo, ho creduto necessario d aggiugnere per non lasciare tronco il senso. E sospett gii lo Schweigh. che scritto avesse Polibio ovverameote (162) Irritaronsi. Le inesattezze grammaticali, di che talvolta il Nostro si renduto colpevole, possono scusare la sconcordanza che qui presentasi in tutti i libri, dove leggesi nel presente , mentrech i verbi ehe seguono sono nel passato. quindi giusta la correzione del Reiske in 9rcpwgi>*i7, ma pel1 anzidetto ragione non necessaria. ( 63) AlP insurrezione. Ilpet ir /S m , propriamente alF as salto cbe darsi dovea ad Agatocle. (164) Talmente usc di senno. Parecchi esempli ne fornisce la storia d uomini che , giunti al colmo dell ambizione e della scelleratezza, perdettero la ragione, e cechi corsero nel precipi zio eh essi medesimi, noi sapendo , eransi scavati. Chi negar pu in cotali avvenimenti la disposizione delleterna Provvidenza, intenta sempre alla salute del genere umano ed alla punizione di chi abusa del potere sovra i suoi simili ottenuto ! (165) Tesmoforio. Tempio di Cerere, la qual ebbe il titolo di &irpt0<ptpit, legislatrice, dall aver colla coltura de campi intro dotto nella societ maggior incivilimento, e quindi posto il fon damento delle leggi. Avanti V invenzione del frum ento , dice Macrobio (Salumai., lib. xn, cap. 1a) giravano gli uomini senza p o lib io , tom. y. t5

226
leggi ec. - quindi dalla divistone de campi nacquero i diritti Tesmoforie , e Cerealia presso i Romani chiamavansi i giorni
festivi a lei consecrati. ( 1 6 6 ) Le Dee. Cerere e Proserpina sua figlia che sovente avean culto com une, siccome a Megalopoli ( Pausan. , Arcad. , 3 i ) ed a Roma nelluodecima regione (Dionigi dAlicarn., vi, pag. 4 1 4;, ed. WecbeL e Tacit., Annal., 11 , 49)( 1 6 7 ) Policrate. a Era questi stato uno de'capitani di Tolemeo nella battaglia di Rafia ( Polib., v , 83 ). Allora era egli prefetto li Cipro (xvitr, 38). Schweigh. ( 1 6 8 ) V i dico. Male cangi il Casaub. il quipi) che han tutti i manoscritti e la prima edizione in fu ri, disse: u per conservare la lezione de libri dovea , siccome pretende lo Schw eigh., pre ceder Ritiri ( disse io dico ) ; dappoich *1 ufi tira r* ne fa abba stanza le veci. ( 1 6 9 ) Confido. Ragionevol lemendazione wt w ttS, fatta dal Casaub. e da noi espressa , a codici che recano w iirttrSt, sap piate; ch sebbene cotal enfatico annunzio non disdicesse a quella donna infuriata, tuttavia il 7 li finX tfttttn (volendo gl id di ) che segue rende 1 altro significato pi naturale. ( 1 7 0 ) Co'fasci. Non altrimenti che presso i Romani le prin cipali dignit faceansi precedere da una specie di sgherri ( lictores) armati di verghe e scure, costei insolito spettacolo offeriva al popolo di donne armate che la seguivano. Polibio le appella collo stesso nome che presso i Greci avean i litto ri, e scrive 7*7e ( 1 7 1 ) Come la notte succedette al giorno* Singolarissima la frase cbe qui osa il Nostro, ed esercit alquanto l ingegno dei commentatori. In primo luogo vuole il Reiske convertire fui*-. mutare, susseguire in xctlttXctfit, sopravvenire , ed a 7 7j> tixlcs sottintese fy i, opera, od la tranquillit , per modo che secoudo lui la sentenza sarebbe : Soprag giunta V opera (?) o la tranquilliti della notte. Ma tosto veggiaino che in quella v avea tutt altro che tranquillit in Ales-

undria, e l i p y n farebbe qui manifestamente a pigione. Quindi mi sono appigliato all opinione dello Schweigh. he lascia il e suppone omesso dopo il 7 la voce p * tp t (parte); sicch ne risulti il senso da lui espresso latinamente nelle note: Nocte vice* cum die mutatile. ( 1 7 3 ) II c i r c o n d a r i o . Leggo col Gronovio w t p i r l i n a i . non parendomi che w p t r l a r t * 7*3 S i i l p * significar possa larea, lo spazio piano innanzi al teatro , siccome sostiene lo Schweigh. Nel lib. v i , cap. 3 i, voltato abbiamo m t p i c l i t r n 7w r p a n y t u , circonferenza del teatro. ( 1 7 3 ) Del teatro scenico. da sapersi che presso i Greci trattavaosi gli affari di StatO) e facevansi le aringhe ne teatri, con forme abbiam vedpto qualchesempio in queste storie ancora. Le rappresentazioni sceniche pertanto eran eseguite in teatri appo siti , che Dionisiaci chiamavansi, perciocch nelle feste di Bacco faceansi cote&le rappresentazioni con grandissima pompa. Quindi tradusse bene lo Schweigh. 7 r i7 p tt, theatrum scencum ; non cos il Casaub. , Liberi patris theatrum. ( 1 7 4 ) Filammone. Lo Schweigh., comech nel testo abbia ri cevuto il volgalo di Filone , osserv nelle note che costui da Polibio ( cap. 33 ) qualificato ministro ed adulatore d Agatocle; laddove Filammone (cap. cit. in fine) dallo stess? annoverato fra i suoi parenti. Questa ragione validissima ni in dusse al cambiamento di nome che feci. ( 1 7 5 ) Loggia, x ip ty i, Siringe la chiama Polibio. Il Casaub. definisce questo vocabolo : Ea est transitoria quaedam ambula n o (camminata di passaggio). V. lo stesso autore nelle osserva zioni sopra Ateneo, lib. v, cap. 6 , pag. 3 1 7 . Nel nostro idioma direbbesi opportunamente anche portico ; ma siccome questo esprime piuttosto una passeggiata coperta a pianterreno , e che laltra s applica ancor a quella eh in un piano superiore, cos h o preferito loggia, trattandosi qui appunto dun luogo al quale doveasi salire. ( 1 7 6 ) Meandro, Sembra essere stato 'il giardino reale, cosi detto da viali che mirabilmente l intersecavano . Reiske.

aa 8
('77) Fotte a rete, trasparenti. Queste circostanze notate fu rono da Polibio per indicare, che coleste porte eran costruite in maniera che chi era rinchiuso potea pe fori lasciati dalle liste incrocicchiate veder ci che di fuori faceasi ; lo che nel attuale pericolo d Agatocle era di somma importanza. Quiudi non da reputarsi superflua laggiunta di trasparenti, siccome reputolla il Reiske. ( 1 7 8 ) In suiralbeggiare del giorno. ftipai ti tirtis la scrittura concorde delibri, ricevuta dal Casaub. e da lui cos tradotta : Dies jam piane illucescebat (era gi chiaro il giorno). Ma tio-d-xi sublucere , incominciar a fa rsi giorno , e cozza con tv, bene , quindi felicemente mutollo lo Schweigh. in mi, iterum, (di nuovo), e noi lo abbiamo seguito. ( 1 7 9 ) Immense. Non incertus significa qui x ftltij che indi stinte e confuse erano le grida anche avanti che ritornasse la luce; sibbene eran esse allora giunte 1 loro colmo. vA x(tl*t, WXi, molto . Esichio. ( 1 8 0 ) Stanta delle consulte. Xfvftal tri wvAix la chiama Polibio, propriamente dove trattavansi gli affari di Stato. In quo reges soliti erant convenire. Casaub., Schweigh. ( 1 8 1 ) Era. Questa parola manca nel testo, e lo Schweigh. propone di supplirla con l7j ma la concordanza co verbi che seguono esige che pongasi J. ( 1 8 3 ) In somma a tutto. Ila r i t sarebbe- qui scrtto , e nou m itili, se questo pronome a % tpnyiit, rendile (d a fem.) si riferisse; sebbene il Reiske crda che per enallage (per mutazione) il mascolino sia in luogo del femminino. pertanto pi giudiziosa l altra sua supposizione che tr itiv i possa essere isolato , e significare ci che abbiamo espresso. (183) La cara vita. T w ttv ftih tt, l animuccia , in modo vezzeggiativo. Quanto vivo questo esprimersi dun vile che inette un po di vita, quandanche fosse stentata , in cima a tutti gli altri beni ! ( 1 8 4 ) Aristomene. Di eostui veggasi xvm , 36 e seg.

229
( 185) Alquanto inoltrata. KxSit? cfi w ftfia in tt, che io ho esattamente qui rendalo, hanno i libri tutti; n comprendo perch il Casaub. abbia di suo arbitrio omesse le due prime parole , e non capisco neppure perch xm ^irtt abbia ad essere pi strano che non xccB-rtr v fv fix t'n (era alquanto inoltrato), siccome stima lo Schweigh. Ma forse scrisse Polibio x) , e ci tanto pi probabile, t] U a n l o c h secondo Esichio a n i lo stesse; che xaS-irti, e segue tosto nello stesso x*t9r m i *x i A a x i v x i u t i (con quanto egli avea adulata). - Ad ogni modo io et assolutamente provetta non sarassi quarto ministro ad dossata tanta soma. Sei anni dopo questo fatto il veggiam atti vissimo alla corte dello stesso re mandar a morte Scopa e Dicearco. ( 1 8 6 ) Cinse. Sospetto che la vera lezione sia / da *Sta, coronare, cignere di corona, e non altrimenti ittS u x i da atm ilSufii, distribuire, con cui secondo lo Schweigh. avrebbe significato il Nostro , che Aristomene , mentrech distribuiva le corone , ne diede una d oro ad Agatocle. ( 1 8 7 ) Gridando a gola. Nullo non genere vocis edito (avendo mandato fuori ogni genere di voce) voltato fu questo luogo: bur lesca immagine, e molto lungi dal vero ; dappoich wirn p* non ogni maniera di voce, sibbene la voce tutta, quanta uno ne ha in gola. E comech siasi detto w in t ftu n x , iftli p er ogni specie di musica, di virt, qui siffatto senso non pu essere ammesso. ( 1 8 8 ) Sopra il seggio reale. Ci sul sedile d onde i re go devano gli spettacoli. La vooe greca ( che significa ancor lo spettacolo stesso ) esprime siffatta idea , che noi non abbiamo potuto render esattamente. ( 1 8 9 ) Progrediva. Quantunque (essendo chiaro) diano lutti i lib ri, io m accordo col Reiske in che meglio dell altro ne mette sotto gli. occhi il lento trapassar del tempo. Oltrech di leggeri possono i copiatori avere sba gliato il fi per f .

2.3o
( 1 9 0 ) Alla fin e sovra nessuno. Ho ristabilito nel volgarizza mento il wtpmt chera stato omesso datraduttori, e /ukA, nes suna cosa, che ha dello strano, ho cangiato in fendine, nessuno. ( 1 9 1 ) Sosibio figlio di Sosibio. Le lodi di costui leggonsi nel lib. x v i, cap. 2 3 . ( 1 9 2 ) Conciossiachi. Il ripiego dello Schweigh. per cancellare col Reiske da questo periodo il yu f che vintrodusse il Casaub., ini sembra gentato anzich no. Imperciocch volendo dopo wpuypiutru metter il punto minore (ponto e virgola), e far dipen dere da 2*r//3<af it, converrebbe far precedere al ptuXirl* la congiunzione ku). Xttc/jiit, ir piti . . .7*7i < f1 . . . ivp% m , ai fiuX itla Ttt wpn~%t . . . I t l t vpuy/iun t S i * p i 7i x . 7. ><

( 1 9 3 ) Coloro che qualche delitto ec. Fra questi pertanto era il padre di Sosibio , che non senza somma scelleratezza il figlio proposto avrebbe al re di dar nelle mani al popolo, se non fossegli gi stato ucciso per opera dAgatocle insieme cogli uomini pi illustri del regno. Vedi sopra al cap. x x v , e la nota i35. ( 1 9 4 ) Filone. Lo stesso eh nominato nel lib. xiv , 11 , ma non gi il medesimo che riscontrasi nel cap. 3o di questo libr. Vedi sopra la nota 1 7 4 * (ig5) Gli diceva ec. Stando alla lezione iwtXtiScpcv preferita dal Reiske e dallo Schweigh., e eh quella delibri, arbitraria mente cangiata dal Casaub. in i v i X tiSiptvi, io ho creduto cbe conveniva recarla in volgare siccome feci, affine d esprimere quella finitezza e perfezione della cosa che risulta dall -tri en trante nella composizione di siffatto verbo. (1 9 6 ) E il dardeggiarono. Riflette lo Schweigh. che trafigger uno con armi da getto in una folla d nomini cosa troppo pe ricolosa , e chi ci volea fare non avea mestieri di correr tanto alla vita. Quindi amerebb* egli che si leggesse n u x tiln tm i. il trafissero , in luoga-di n r n /i7 ira i. il dardeggiarono, siccome hanno pressoch tutti i libri. Ha io non veggo difficolt eh eziandio coll i n i che secondo Esichio J tp h n , piixpu

not

hiy%*i, dardo, piccola lancia, si posta ferir dappresso. Quindi


non ho accettata la sua emendazione. ( 1 9 7 ) Nicone. Parente d Agatocle , del quate non si hanno altre notizie. ( 1 9 8 ) Da tre giorni. T p a dir vero, significa chi viene in tre giorni ; ma siccome questa circostanza era qui affatto in differente , cosi spieg il Casaub. siffatto vocabolo nel modo che noi l abbiamo tradotto, e converr che i lessicografi vi aggiun gano questo nuovo senso. ( 1 9 9 ) Diffondendosi. Con frase tutta sua e gi da lui adope rata nel lib. vii, 7 ; e xv , 35 e 36, dice qui Polibio: T* iw ipcilptotl X ty ti esponendo un esuberante di-* scorso , ci}i credo perfettamente equivalere il verbo italiano da me usato. (300) Prendendo a considerare. Mei cap. 1 9 , vedemmo \v \ i y t r a y u t nel senso di discutere. Qui troviamo tr X ty tt a y n t, non siccome col , pella ponderazione delle ragioni con trarie e favorevoli ad alcuna opinione ; sibbene peli assoggetta mento dun fatto alla riflessione, affine dj rintracciarne la causa. E rr dunque lo Schweigh. nella nota al luogo del succitato ca pitolo in asserendo che queste due frasi poco tra di loro diffe rissero. (301) Sottile malizia. Kxxtwpxypiirvin JtxQtpvmt scrisse il Nostro , quasi arte squisita di fa r male. Eximia in dolis consuendis (Casaub.), construendis (Schweigh.) , versutia (raffina tezza esimia in cdmporre , fabbricar inganni). Consiste siffatta malizia di un cortigiano nellallontanare gli emuli ed indur sem p re il regnante nel proprio volere. (303) La miglior opportunit. Non potendogli pi nuocer al cun rivale , e superflua essendo ogni astuzia per non perdere il maneggio degli affari. (ao3) Diffondersi soverchiamente. Non conforme tradusse il Casaub. , oratione uti quae documenti causa solet adiici, u accessoriam disputationem adiicere , siccome piacque allo

232
Schweigh., hannosi ad intendere le parole di Polibio: T> /fttlf cvil* x i y tt aptetfzriti. Fedeli a quanto abbiam di sopra esposto nella nota 1 9 9 , usammo qui pure lo stesso verbo. (aoi) Per esempio. Ho seguilo il Reiske, che mette tra pa rentesi le voci u w t/ 7i r , direbbe taluno, e d loro il signifi cato da noi espresso. Quasi voltolle il Casaub., e lo Schweigh.

Ut hoc ular. (?o5) Lasci la ruota ec. Gli stessi term ini, tolti da Timeo,
riscontratisi gi usati dal Mostro nel lib. zi , i5 ; se non che qui aggiugne esser lui stalo pentolaio , onde comprendesi meglio il basso stato dal quale cotesto avventuriere sur se a tanta altezza. (ao6 ) I l primo ec. L Africano maggiore, affine di distinguerlo da Scipione Em iliano, il quale per conseguente sembra che avesse gi distrutta Cartagine quando Polibio scrisse questa parte delle sue storie. (3 0 7 ) Bassi a ferm are ec. Sospett il Reiske che dopo tir im iti t t i t tynr sia andato smarrito m (m (sottintendendovi iti)), degno che si ferm i, lo supposi che mancasse Ji7, e cosi ho tradotto. L ip pti^n , conviene, col quale finisce il periodo, non pu esservi riferito , siccome dubita lo Schweigh . , conciossiacb questo verbo, che propriamente suona accordarsi, richieda sem-> pre il confronto dell oggetto con cui fassi 1 accordo, e male congiugne coll infinito d un altro verbo. (3 0 8 ) Di persone ec. Nulla monta che dell Agatocle egiziano solo qui si tratti , n fa d uopo .sostituir il singolare al plurale, come volle il Reiske ; sibbene da credersi , conforme parve allo Schweigh., che parlasse Polibio di tutti coloro, i quali u c cisi furono con Agatocle. (3 0 9 ) Rifiutata ogni esagerazione. Al contrario di quanto fe cero gli altri scrittori , siccome disse Polibio al principio del cap. 34* (aio) Vivace sposizione. "Biipyn* nel testo, p e r virt pro pria , della quale, secondo Quintiliano ( In st., Orat. , lib. vili , cap. 4 > verso la fine) ci che dicesi non i ozioso , cio senza

a33
efficacia. Dionigi d Alicarnasso (Indie, de Lysia, cap. 7 ) la de finisce una facolt che pone le cose dette sotto i sensi. A questi maestri mi son attenuto nel volgarizzare siffatto vocabolo. Il Casaub. , copiato dallo Schweigb. , il circoscrisse con soverchie parole. A ut prolixius ii narrentur , aut diutius spectentur. Il Reiske vorrebbe che si leggesse tict/yn*, evidenza , ma senza bisogno. ( a ti ) Chi di proposito si occupa. B nXtfi'ttxt v a X w fa y /ttt t nel testo; frase difficile a rendersi esattamente nellidioma italiano, che manca d un verbo corrispondente a quellindefesso affaticarsi intorno, a particolari d una cosa , he i Greci felice mente esprimono con irtX vw payfitit. (aia) I l soverchio ec. Cio a dire la minuziosa descrizione delle contingenze stravaganti non riesce n d istruzione n di diletto. (ai~3) Amer di tener dietro. Male fu qui AS tradotto imitari; dappoich le avventure non posson essere oggetto dimi tazione umana. Quindi io ho creduto di dar a questo verbo il senso di fitlaiTitittit (V. Csichio alla voce 4*tv), ch quanto:

Seguitar una persona od una cosa con assiduit e fervore.


L O rsin i, che vide 1 assurdo dell imitazione , cadde in vienimaggior assurdit volendo che si leggesse esporre, ma

nifestare. ( a i4) Pi proprio della tragedia. 11 carattere di questa se


condo il Nostro la favolosa esagerazione , contraria del tutto alufficio della storia , e tuttavia comunissimo difetto di chi la scrive. In varii luoghi della presente opera troviam allusioni a cotesto argomento. V. il , 1 6 ; v , a 6 ; v i , 55 ; v ii , 7 . ( a i5) Che preso non hanno a considerare ec. Gli errori, in c h e incappano gli uomini nella vita comune, da due fonti deri vano: dallignoranza delle cose naturali, e dalle scarse .cognizioni e poca pratica negli affari civili. Quindi la credulit , 1 ammira zione degli avvenimenti pi volgari e delle qualit morali meno straordinarie.
1

234
(? i 6 ) Sulla terra. Corresse lo Schweigh. in x72i 7 jt il xc 7 7 jf de manoscritti. K7 col genitivo trovasi di frequente applicato ad estensione di luoghi. K7 7?; >nrtv, d e lt itola , scrisse il Mostro , in , 1 9 . (2 1 7 ) Atto a grandi imprese. Distinguono il Wesselingio, ad Diodor., 1 , 1 9 ; e 11, 7 ; e lo Schweigh. iwifiXtc da tn'/3Att. il primo , secondo lo ro , chi con alacrit ed impeto s accigne a qualche impresa ; l altro tale eh gi venuto a capo del suo disegno. I lessicografi pertanto non sembra che ammet tano questa distinzione. 'Em-ipiXtf, spiega Esichio iw iltvxhxtt. coloro che conseguiscono , ed in ifitX tt presso lui lo stesso che iwifitXnt *%*t. Lo Scoliaste d Apoll. Bod. , 1 , 6 9 4 > interpetra itrifiiX ts, iwilv%is, che conseguisce ; all opposto nel less. MS. di Cirillo trovasi t tfim tp ti, cio tali che pel grandesercizio che hanno in una cosa di leggeri vi pervengono. P er la qual cosa falso il senso che gli anzidetti commentatori attribuiscono ad ivt'fitXtc, e non era da correggersi il testo di Suida , il quale citando questo luogo ha ftty ttX iin fitX tt, e da sostituire 1 t all . M vale la ragione che il conseguimento di grandi imprese esprime poco appresso il Nostra colle parole 7S w ftltB itltt x a ltfy x r h x tt. giacch siffatta attivit pi presto relativa all instancabilit , coufortne abbiam noi tradotto, in condurre ad effetto il suo prdponimento, mentrechi laggettivo summentovato, o coll una o coll altra vocale si scriva, accenna maggiormente la fortuna d Antioco nell ottenere i suoi intenti.

F1HB DE LLE

A N N O T A Z IO N I

AGLI

AVANZI DEL LIBRO DE C1 M OQ OIN TO .

DELLE STORIE
DI POLIBIO DA MEGALOPOLI.

AVANZI DEL LIBRO DECIMOSESTO.

I. (i) I l re Filippo, venuto a Pergamo, e stimando aver quasi Attalo nelle m ani, spieg ogni genere di (a) sevizia. Imperciocch secondando il suo animo pressocb rabbioso, la maggior parte della sua stizza non sugli uomini, ma sugli Dei sfog. Nelle avvisaglie per tanto di leggeri il respingevano, pella fortezza de luo ghi, quelli che custodivano Pergamo; e dalla campagna non raccogliea preda, avendo Attalo su ci fatto diligente provvedimento. Laonde nulla gli restava che di versar l ira su (3) seggi e su' templi degli D e i, insultando, non Attalo, siccome a me sembra, ma molto pi s stesso. Imperciocch non solo arse i sacrarli, e rove sci gli altari, ma infranse eziandio le pietre, affinch non si rizzasse unaltra volta ci chegli avea abbattuto.

Olimp. cxliv. ^'553^

Estr.^aL

236
A. di R. E poich distrusse il (4) Niccforio , tagliando la selva ,

553

e dissipando il muro che lo cingea, e scav i (5) sacrarii dalle fondamenta, che molti erano col e preziosi ; mosse dapprincipio verso (6) Tiatira ; ma levatosi di l invase (7) il campo di T e b e , credendo che abbondevole preda egli avrebbe fatta in que dintorni. Fallita essendogli questa speranza ancora, e venuto a (8) Geracoma mand invitando Zeusi a fornirgli grano, e ad eseguir le altre cose secondo i trattati. (9) Zeusi ri spose che i trattati atterrebbe ; ma realmente non volea egli accrescer le forze di Filippo. II. (io) Filippo, andandogli male (11) l'assed io, ed assaltandolo i nemici con molte navi coperte, era im barazzato , e non sapeva a qual partito appigliarsi pell avvenire. E non permettendogli le cose presenti d eseguire la sua volont, partissi contra laspettazione de nemici. Imperciocch Attalo credeva eh egli fosse an cora per (12) insistere nel lavoro delle mine; e Filippo aifrettavasi sovrattutto a prontamente navigare, per suaso che colla celerit preverrebbe gli avversari! , ed indi condurrebbesi a salvamento, radendo la spiaggia, in ( i 3) Samo. Ma ne and egli di gran lunga errato; perciocch Attalo e Teofilisco, come prima ( i 4) > 1 vi dero salpare, si diedero ad eseguire il loro proponi mento. Erano pertanto le loro navi ( i 5) divise, sti mando essi, conforme dissi, che Filippo perseverasse ancora nella prima impresa. Tuttavia dando con forza de remi nell acqua, attaccarono , Attalo (16) la destra de nemici che precedeva, e Teofilisco la sinistra. F i-

Estr.ant.

237 lippo sorpreso in ristrettezza di tempo, diede il segno a A . d i R. quelli della destra, e comand che volgessero le prore, 553 e combattessero co nemici valorosamente- Egli ritirossi con (17) alcune barche (18) sotto le isolette, che sono in mezzo allo stretto, aspettando Pesilo della pugna. Il numero delle navi di Filippo , eh entrarono nel com battimento, furono cinquantatr coperte, altre scoperte, e barche (ig) fra maggiori e minori cencinqnanta : cli i vascelli eh erpno a Samo non pot tutti allestire. Le navi de nemici erano sessantacinque coperte con quelle de Bizantini, ed insieme nove (20) triplici fuste, e tre da tre palchi. III. Incominciata la battaglia dalla nave d Attalo , tosto tutte le altre vicine senza comandamento affrontaronsi. Attalo lanciatosi sulla nave d otto ordi n i , e portatole un colpo fatale e (ai) sottomarino, quantunque buona pezza combattessero quelli eh erano sulla coperta, alla fine la sommerse. La nave capitana di Filippo, che dieci ordini avea, per un ac cidente singolare venne nelle mani de nemici. Anda tale sotto una triplice fa sta , diede a questa un forte colpo in mezzo al ventre (aa) sotto il remeggio del banco superiore, (a3) e vi rest attaccata, non potendo il nocchiero 'frenare limpeto della nave. Quindi restando a lei appeso il naviglio, era essa molto impacciata, e non potea muoversi in nessuna parte. In quello due cinqueremi le andaron addosso, e feritala da amendue le parli 1 affndarono con tutta la gente che vi era so pra , ira cui trovavasi Democrate capitano navale di Filippo. Frattanto Dionisodoro e Diuocrate, fratelli,

238
i . d i R. e comandanti dell armata d Aitalo,-azzuffaronsi l ano

553

C O n una nave nemica da sette palchi, l altro-con una da o tto , ed ebbero a provare singolari vicende. Dinocrate, assaltato il vascello d otto ordini, ricevette il colpo fuori del mare, (a4) essendo la prora nemica al zata; ma la nave nemica fer (a5) sotto la carena, e dapprincipio non pot separarsi, sebbene spesso ten tava di far retrocedere la nave. Q uindi, combattendo i Macedoni animosamente, venne nel) estremo peri col. Attalo and in suo soccorso e facendo impressio ne nella nave nemica, sciolse l impaccio de vascelli; onde Dinocrate maravigliosamente fu liberato. Ma la ciurma tutta della nave nemica, combattendo- valorosa mente p er, ed il vascello rimaso vuoto cadde nelle mani d Attalo. Dionisodoro, gittatosi con impeto per ferire col rostro, sbagli il colpo ; ma scorrendo al fianco de nem ici, perdette il remeggio destro, ed in sieme gli si fracassarono (a6) le travi che portavano le torri. Ci accaduto gli furon i nemici attorno da tutte le parti. Elevatosi grande il rumore ed il trambusto, la gente tutta in un colla nave p eri, tranne Dioniso doro con altri due che salvaronsi a nuoto in una tri plice fusta che gli era andata in soccorso. IV. Le rimanenti navi combattevano con fortuna eguale; perciocch quanto era maggiore il numero delle barche di Filippo , tanto lo avanzava Attalo (-xj) nelle navi coperte. L ala destra di Filippo avea tal disposi zione, che indecisa restando la somma delle cose, molto maggiori speranze erano dalla parte d Attalo. 1 Rodii dapprincipio nel salpare distaccati erano da nem ici,

a39
(28) conforme tesl dissi} ma essendo di molto superiori A- di R agli avversari! nella celerit del navigare, raggiunsero la 553 coda de Macedoni. E dapprima assaltate alla poppa le navi che ritiravausi, (39) rompevano loro i remi} ma come quelle di Filippo incominciaron a voltarsi per soccorrer le altre eh eran in pericolo, ed i Rodii che pi tardi aveano salpato raggiunsero i vascelli di Teofilisco : sebieraron amen due le navi colle prore di fac ciata ed affrontaronsi animosamente, provocandosi colle trombe e colle grida. Che se i Macedoni fra le navi coperte schierale non avessero le barche, la battaglia preso avrebbe (3 o) un esito facile e sollecito : ora na cquero da ci impedimenti per molti versi alla bisogna de Rodii. Imperocch dopo essersi mossa la schiera in conseguenza del primo assalto, (3 1) tutte erano insieme mescolate. Donde avvenne che le navi non pteano agevolmente scorrer attraverso de nem ici, n voltarsi, n punto usare i proprii vantaggi, andando lor ad dosso le barche, quando su banchi, per modo che difficoltavasi 1 uso de1 rem i, quando sulle prore, e tal volta sulle poppe ; a tale eh erano impediti i lavori de nocchieri e de rematori. Ed allorquando altaccavansi colle prore , il faceano con cert arte \ dappoich met tendo le navi (3 a) in sulle prore, riceveano gli urti fuori del mare $ e ferendo i nemici sotto acqua, asse stavano loro colpi irrimediabili. Ma di raflo a ci riducevansi ; perciocch al tutto schivavano gli scontri, difendendosi i Macedoni valorosamente dalle coperte, quando la pugna era stazionaria ; e scorrendo molto fra le navi avversarie, e strappando ad esse i banchi le

a4o
f. d R. rendevano inutili $ indi uscendo e qua e l girando , e 553 quali assaltando alla poppa, quali mentrech eran obli* que e voltavansi, le une ferivano, alle altre guasta vano sempre qualche parte necessaria. E per tal guisa combattendo grande numero di navi nemiche distrug gevano. V. Ma il pi nobile cimento fu di tre cinqueremi de Rodii : la nave capitana , su cui era Teofilisco } po scia quella che comandava Filostrato , e la terza che a nocchiero avea Autolico, e (33) su cui veleggiava Ni costrato. Questa fatto avendo impressione in una nave nemica, e lasciato in essa il rostro, avvenne che la colpita affond colla gen te, e quella d Autolico, en trandovi il mare pella prora, accerchiata da' nemici dapprincipio combattea valorosamente, ma finalmente caduto Autolico ferito colle armi in mare, gli altri sol dati morirono pugnando da forti. Allora Teofilisco, ve nuto in suo soccorso con tre cinqueremi , la nave non pot salvare, essendo piena d'acqua; ma buc due navi nem iche, e ne gitt fuori la gente. Essendo per^ tanto subito circondato da molte barche e da alcune navi coperte, perdette la maggior parte de soldati, combattendo egregiamente, ed egli ricevute tre ferite, e cimentatosi con temeraria audacia^ a stento salv la propria nave, soccorso da Filostrato, il quale animo samente seco lui saddoss il presente pericolo. Unitosi a vascelli di lu i, riprese la zuffa co nem ici, snervato del corpo pelle ferite, ma nel valore dell animo pi ardente e terribile di prima. Ed avvenne, che due bat taglie si facessero molto fra loro distanti. Conciossia-

ch (34) l ala destra di Filippo, giusta il prima divi- A. di A samento tenendosi sempre vicina a terra, non fosse **^3 lungi dall Asia ; e la sinistra, essendosi voltata per soccorrere la eo d a, combattesse co Rodii non molto distante da Ghio. VI. Avea Attalo per poco non soggiogata 1 ala de stra de nemici, ed (35) avvicinavasi gi alle isolette, sotto le quali Filippo stanziava aspettando l evento della pugna ; quando veggendo una cinquereme delle sue fuori della mischia forata ed in sull essere som mersa da una nave nem ica, vol in aiuto di lei con due quadriremi. E siccome il vascello avversario pie gava , e facea la ritirata verso, terra, (36) cos egli con pi fervore l incalzava, ingegnandosi di prenderlo. Fi lippo osservando Attalo molto staccato da su oi, con quattro cinqueremi , tre fuste, e le barche pi vicine andogli addosso, ed intercluso Attalo dalle proprie navi, il costrinse a gettar le navi in terra con grande ango scia. Ci fatto il re colle ciurme se ne and in Eritra;e Filippo s impossess delle navi e della suppellettile re gia. Imperciocch Attalo avea allora usata l arte d e sporre la pi splendida regia suppellettile sulla coperta (3y) della nave, d onde avvenne che i primi Macedoni, i quali nelle barche ad essa abbatteronsi, come videro (38) il manto di porpora, e la quantit delle tazze e delle altre robe che a queste accorapagnansi, lasciato (39) l inseguire, torsero dal cammino per rubarle. Quindi pot Attalo a salvamento ritirarsi in Eritra. Fi* lippo molto inferiore nella somma del combattimento y ma insuperbitosi pel caso fortunoso d Attalo, si trasse rouBio, fora. r. 16

a42
f. di R. fuori ^ e tulio adoperavasi in raccozzar le sue navi, ed 553 eSortar la gente a darsi animo, dappoich vinta aveano la battaglia. E spargevasi gi il sospetto e l probabilit che Attalo fosse morto, (4o) conduceodo Filippo le* gata la nave regia. Dionisodoro, conghietturaudo ci eh era al re accaduto, raccolse le oasi della sua na zione, alzando un segnale} le quali come a lui si strin sero , egli navig salvo nelle 'stazioni d Asia. Frattanto i Macedoni che combattevano co* R odii, da molto tempo mal co n ci, sbrigaronsi dalla pugna ritirandosi partitamente sotto pretesto d affrettarsi a soccorrere le proprie uavi. I Rodii rimurchiarono alcnoe delle navi prese, altre gi danneggiate co rostri lasciarono e se u andaron a Chio. VII. Perirono delle navi di Filippo nella battaglia con Attalo il vascello da dieci plchi, quelli da n o ve, da sette, da sei} delle altre, coperte dieci, triplici fuste tre, barche venticinque, e le loro ciurme. (4 >) Nel combattimento co1 Rodii perirono dieci navi coperte , e da quaranta barche} prese furono due quadriremi, e sette barche colle ciurme. Delle navi d Attalo af fondarono una triplice fusta e due cinqueremi, (4a) e prese furono due quadriremi ed il vascello regio. Di quella de Rodii perirono due cinqueremi, (43 ) ed una trireme ; ma non ne fu presa nessuna. Uomini mori rono de Rodii sessauta, di quelli dAttalo settanta } di quelli di Filippo, (44) Macedoni da tremila, delle ciur me da seimila. Vivi furono presi fra alleati e Macedoni da duemila, ( 45) Egizii da settecento. V ili. Tale fu la fine della battaglia navale presso

a 43

CImo. La vittoria arrogassi Filippo con due pretesti : A. di H 1 uno eh egli aveva gittato Attalo in terra , imposseS553 sandosi della sua nave : 1 altro, che avendo afferrato presso il (46) promontorio Argenno, sembr essersi stanziato al (47) cospetto della strage. In conformit di ci adoper egli pure il giorno susseguente, raccogliendo i rottami delie navi, e facendo levar i morti - che conoscevansi, affine d accrescere 1 anzidetta apparenza. Ma eh egli stesso persuaso non fosse daver vinto, fra poco dimostraron i Rodii e Dionisodoro, sendoch il d vegnente , mentre il re era in questa faccenda oc cupalo , indettatisi con reciproci avvisi, navigaroti ad dosso a lu i, e collocate in fronte le navi, non facen dosi loro nessun incontro , ritornaron a Chio. Filippo clie non avea giammai perduta tauta gente in un tempo, (48) n per terra , n per mare , forte dolevasi dell av venuto , e gran parte del suo impeto (49) erasi scema ta; ma verso quelli di fuori tentava in ogni modo di na scondere il suo sentimento, sebbene le cose stesse non glielo permettevano. Imperocch senza ci che dicemmo, quanto accadde dopo la battaglia riempi di terrore quelli che nerano testimoni. Ch perita essendo tanta gente, ad un tratto lo (5o) stretto tutto colmossi di morti, di sangue, d armi, di frantumi di navi; ed i giorni ap presso i lidi eran a vedersi ingombri di tutti i mento vati oggetti confusamente accumulati. Donde avvenne che non solo eg li, ma tutti i Macedoni ancora cad dero in una costernazione non comune. IX. Teofilisco , sopravvissuto una sola giornata, e scritto avendo alla patria su particolari della battaglia,

244
A. di R. e preposto Cleotieo in luogo di s (5 i) alle forze, mor
dalle ferite : uomo che diportassi con valore nel ci mento, e degno di memoria (5 a) pel suo divisamente. Imperciocch se egli non avesse osato il primo d at taccare Filippo, tutti sarebbonsi lasciati sfuggire 1 oc casione , temendo di Filippo l audacia. Ora avendo egli incominciata la guerra, costrinse la sua patria ad insorger opportunamente, e costrinse altres Attalo a non indugiare, (53) e non che a far apparecchi di guerra, a combattere valorosamente e cimentarsi. Il perch meritamente i Rodii eziandio morto lesaltarono con onori tali, che valessero ad eccitare non solo i vi venti , ma i posteri ancora perch soccorrano la patria ne suoi (54) tempi fortunosi. X. Che cosa dunque rattenne il lor impeto? nuli al tro che la natura delle cose. Conciossiach m olti, da lungi veggendo, desiderino talvolta (55) l impossibile pella grandezza delle appariscenti speranze, vincendo la cupidit in ciascheduno la ragione ; ma quando! av v icin a ci agli oggetti, senza motivo ancora si ristanno da loro proponimenti, offuscati e tolti di senno dalle difficolt e dagli ostacoli che incontrano. XI. Poscia avendo Filippo dati alcuni assalti (56) cbc inutili riuscirono pella fortezza della piccola citt , se ne and di bel nuovo, guastando le castella, e gli abi tati della campagna. Di l partitosi pose il campo d i nanzi a (5 j) Prinasso; e preparati prestamente (58 ) gra ticci e siffatta materia, (59) incominci 1 assedio colle

145

mine. Ma tornandogli vana P impresa per essere il A. di ii luogo sassoso, immagin cotal ripiego. Di giorno fa* 53 cea scalpore sotterra, come se. si lavorassero le mi ne , e di notte recava terriccio d altronde, e gittvalo pre sso alla bocca degli scavi ; per frodo ebe (60) ar gomentando dalla quantit delia terra accumulata i cittadini rimanevano sbigottiti. Dapprincipio adun que i (61) Prinassesi resistettero valorosamente; ma poich mand loro Filippo significando, che il loro muro era (62) puntellato nell estensione di circa due jugeri, e vi aggiunse la domanda, qual delle due amas sero meglio, o uscire prendendo sicurt, o perir tutti insieme colla citt, arsi che fossero i puntelli, prestan do fede a questi detti arrendettero la citt. XII. La citt di (63 ) lasso giace sulla costa d Asia n el golfo situato fra il tempio di Nettuno nel territo rio di M ileto, e la citt di M indio, (64 ) chiamato golfo Iassio, e pi comunemente ancora Bargilietico, da nomi delle citt fabbricate nell ultimo suo seno. Gloriansi i suoi abitanti d essere stati in origine coloni degli Argivi, poscia de Milesii, avendo i loro maggiori fatto venire (65 ) uno de figli di N e le o , che fabbric M ileto , per cagione della sconfitta che toccarono nella guerra Carica. La (66) grandezza della citt di dieci stagli. Corre voce e credesi fra i Bargilieti, che la sta tua di (67) Diana Cindiade, quantunque trovisi a cielo scoperto, n da neve, n da pioggia sia tocca giammai; siccome presso i Iassesi (68) quella di Vesta : e ci hau riferito'eziandio alcuni storici. Ma io a siffatte as-

346
A. di M . serzion degli scriltori di memorie in tutto il corso 553 della mia opera non posso a meno di contraddire , e
d esserne intollerante; perciocch mi sembrano cose (69) al tutto puerili e non solo aliene da ogni ragione di probabilit , ma eziandio dalla possibilit remote. Conciossiach dire che alcuni corpi situati nella luce non danno ombra , da mente perduta ; lo che fece (70) Teopompo dicendo, che chi entra nel tempio di Gio ve in Arcadia , ove non permesso d entrare , privo d mbra diviene. Simile a questo ci che ora rife riamo. (71) Nelle cose pertanto che tendono a con servare la venerazione del volgo verso la Divinit, da perdonarsi a certi storici, se cotali miracoli e fole inventano, ma il soverchio non da compatirsi. Dif fidi, a dir vero, in tutte le cose il determinare la mi sura ; ma non impossibile. Il perch a mio parere, ler rare o lopinar falsamente, purch fia con moderazione^ abbiasi indulgenza ; ma l eccesso (72) si detesti.

Estr. Val.

XIII. Nel Peloponneso quali massime dapprincipio stabilisse Nabide , tiranno de Lacedemoni!, e come , espulsi i cittadini, liberasse i servi ed accasasse con essi le mogli e le figlie de padroni ; egualmente in qual modo offerisse la sua potest come un sacro asilo a coloro che per empiet o scellerata condotta erano fuggiti dalla propria patria, esposto abbiamo (73) ne libri anteriori. Ma come ed in qual guisa negli anzidetti tempi, (74) essendo alleaLo degli Etoli, degli Elei, d e Me ssenii, e dovendo a tutti questi in forza de giura menti e de trattati recare soccorso, ove da alcuno

247

assalii! fossero, non tenendo conto alcuno de mento- A. di il vali pegni di fede , (^5) s accinse a tradire la eitt de Messenii, ora diremo ................ . XIV. Dappoich alcuni scrittori di storie particolari scrissero di quest! tempi ancora, ne quali avvennero le vicende de Messenii, (76) e le anzidette battaglie navali, ho in animo di ragionar alcun poco circa i me desimi. Noi far pertanto di tu tti, ma di quelli che reputo degui di memoria e distinzione ; e sono dessi (77) Zenone ed (78) Antistene da Rodi. Cotesti io giu dico di vaglia per molte cause; perciocch vissero in que tem pi, (79) e diedero opera $lla patria, e fi nalmente fecero quel lavoro non per loro utilit, ma per trarue gloria e per far cosa dicevole ad uomini che maneggiano i pubblici affari. E siccome scrivon essi gli stessi avvenimenti che scriviamo n o i, egli necessario di non passarli sotto silenzio, affinch i leg gitori curiosi, indotti dal nome della patria e dall opi nione che le gloriose gesta marittime sieno famigliarissime a Rodii , quando discordiamo dal loro parere, non seguano pi quelli che noi. Asseriscono dunque primieramente amendue, che la battaglia navale presso a (80) Lade non era minore di quella presso a C h io, anzi pi fiera ed avventata; e che (81) nel maneggio e nella consumazione de particolari della pugna, e nel su o risultamento la vittoria fu de Rodii. Io accordo bens che gli storici inclinar debbano in favore della loro patria; non gi che abbiano ad asserire d essa il contrario di ci eh avvenuto. Imperciocch har er-

3^8
d. Hi Jt. rori in buon dato in cui inciampano gli storici, cbe 553 dittici! di schivare all umana natura. Ma se a bello
studio scriviamo falsit , o per cagione della patria , o degli amici, o per far cosa grata ad alcuno, qual dif ferenza sar fra noi e quelli cbe con ci procacciansi il vitto ? Chi siccome costoro, (82) tutto misurando col lucro, tolgon ogni autorit alle ,loro composizioni ; cos gli uomini di stato lasciatisi trascinare dall odio < y dall amicizia, cadono sovente nello stesso estremo. (83) Quindi debbon i lettori diligentemente a cotesta parte badare, e gli scrittori stessi prendersene guardia. XV. ci manifesto pelle cose che abbiamo per ma ni. Imperciocch confessano gli anzidetti nella sposi zione de particolari, che nella battaglia navale presso Lad due cinqueremi de Rodii colle ciurme vennero nel potere de nemici ; che in mezzo alla pugna avendo nna nave (84) alzato il trinchetto, perciocch essendo bucata sommergevasi, molte altre eh erano a lei viciue facendo lo stesso se ne andarono nellalto mare; final mente che il comandante dell armata rimaso con po chi fu costretto ad eseguire quanto fecero i summentovati; e che allora (85 ) spinti da vento contrario afferraron in (86) M indo, e il d appresso avendo salpato (87) tragittaron a C oo; che i nemici arsero le ciqqnerem i, e preso terra a L adc, stanziaronsi negli allog giamenti de Rodii, ed inoltre i Milesii, attoniti dell accaduto , non solo Filippo ma Eraclide pure coro narono (88), perciocch apparecchiavansi questi a dar loro 1 assalto. Dopo aver queste cose narrale, che m a-

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nifestamente qualificano una sconfitta, tuttavia cos b e ' A- d i R. particolari come nella somma asseriscono i Rodii vinci- 553 tori ; e ci meutrech esiste ancor la lettera nel pritan o , mandata circa que tempi dal capitano dell ar mata su cotesto affare al senato ed a pritani, la quale non colle asserzioni (89) d Antistene e di Zenone, ma colle nostre, si accorda. XVI. Dietro gli avvenimenti anzidetti scrivon essi (90) intorno al tradimento fatto a Messenii. Ove dice Zenone , che Nabide partitosi da Lacedemone , e pas sato il fiume Eurota, marciasse lungo il cos detto (91) Oplite (campo darme) pella strada angusta presso Poliasio, finch giunse ne dintorni di (92) Sellasia ; di col recatosi a (g 3) Talama, per (g 4) Fera giugnesse al fiume (g 5) Pamiso. Intorno alle quali cose non so che mi debba dire. Imperocch tutto ci * quanto asse rire, che alcuno partitosi da Corinto, e passato lIstuior e toccate le (96) balze Scironie, subitamente andasse sulla (97) via chiamata Contoporia, e dinanzi a Micene proseguisse il cammino verso Argo. (98) Cotesti siti non che sieno tra di loro poco distanti, hanno posizione affatto contraria. Conciossiach listmo e le balze Scironie trovinsi a levante di Corinto , e la Contoporia e Micene (99) prossime all occidente estivo, per modo che al tutto impossibile di (100) giugner pelle summentovate strade a luoghi anzidetti. Lo stesso avviene ancora circa que siti della Laconia. Imperocch 1 Eu rota ed i dintorni di Sellasia giacciono alloriente estimo di Sparta; e Talama, Fera ed il Pamiso all occidente invernale. Laonde non solo non pu perveuire a Sei-

25o
i. di R

553

lasia, ma non ha neppur bisogno di passar PEurota chi si proporle di viaggiare per Talama nella Messenia. XVII. Oltre a ci d ic e, che Nabide ritorn dalla Messenia pella porta che conduce a Tegea. Lo che & assurdo ; sendoch giace Megalopoli innanzi a Tegea verso la Messenia, (101) per modo che egli impossi bile , che presso i Messenii alcuna porla chiamisi per Tegea. Hanno essi, a dir vero, una porta che appel lasi Tegeate, pella quale Nabide ritorn; onde Zenone tratto^in errore credette Tegea pi vicina a Messene. Ma la faccenda non sta cos; sibbene giace il territorio della Lacouia e di Megalopoli fra la Messenia e la Tegeatide. Per ultimo dice egli, che ( 102) PAlfeo nascososi subito dopo ch uscito della fonte, scorrendo molto spazio sotterra, ritorni alla luce presso (io 3) Lieoa citt dell'Arcadia. Ma cotesto fiume, in picciola disianza dalla sua sorgente celatosi pello spazio di dieci S ta d ii , ribalza fuori, e poscia passando pella campagna di Megalopoli, dapprincipio ristretto, indi crescendo, e valicato maestosamente P anzidetto territorio pel corso di dugento stadii, giugne a Licoa, avendo gi ricevuto per giunta la corrente del (1 0 $ Lusio, ( i o 5) pieno es sendo, e non punto (106) guazzabile. Tutte coteste as serzioni mi sembrano 1 certo errori, tali tuttavia ebe ammettono pretesto e scusa ; perciocch nascon esse da ignoranza, e quello che spetta alla battaglia navale trae origine da naturale amor di patria. (107) Chi per tanto non rinfaccer meritamente a Z enone, d aver posto il maggior studio , non nella investigazione delle

a5r

cose n nel maneggio del suo argomento, ma nellador A. di A. namento dello stile, del quale spesso manifestamente si 5 5 3 pompeggia, conforme fanno la maggior parte degli altri storici illustri ? Ma io dico , che collocar si debbe cura ed industria nel narrare convenientemente i fatti ; dap poich chiaro che ci moltissimo contribuisce^ all uti lit della storia. Non pertanto non hassi tal cosa a riporre nel pi eminente e primo luogo da uomini moderati ; ch n dessa ben lungi, avendo la storia tiltre parti pi belle, delle quali meglio far mostra , (108) chi uelle civili faccende s aggira. XVIII. Ci che dir voglio rendesi sovrattutto pa-* Olimp. lese per quanto segue. Il suddetto scrittore sponendo CXLY.ii A . di n. (i 09). P assedio di G aza, e la- battaglia fra Antioco e 556 Scopa nella Celesiria presso al Panio , tanta diligenza pose ne fregi dello stile , che avanz di gran lunga le esagerazioni stesse di coloro, i quali fanno le loro com posizioni per isciorinare la propria scienza e stupefar il volgo. Le cose pertanto trascur egli di maniera , che non v ha maggior leggerezza ed imperizia della sua. Imperocch propostosi di narrare pria lo schiera mento dell esercito di Scopa, dice che nell ala destra la falange teneasi alla falda del monte con pochi ca valli , e la sua ala sinistra e la cavalleria tutta eh era presso d essa attelata , stava ne luoghi piani. Avere poi Antioco in sul far del giorno mandato il suo figlio maggiore Antioco con parte delle forze, affinch preoc cupasse i luoghi montuosi che sovrastavano a nemici, e col resto dellesercito, essendo gi d chiaro, aver lui tragittato (110) il fiume eh era tra i due campi, ed es-

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A. di R. sersi schierato nel piano, ponendo la falange in una 556 seia linea di rimpetto al centro della schiera nemica,
ed i cavalli parte nell ala sinistra della falange, parte nella destra, fra cui erano pure i cavalli coperti di co razza , a quali comandava Antioco il pi giovane de figli. Poscia, dice, che gli elefanti ed i ( n i ) Tarentini cherano con (112) Antipatro distese in certi intervalli, e gli spazii fra gli elefanti riempii di saettatori e frotnbolieri, ed egli colla ( 13) cavalleria de compagni e co (11 4) satelliti stava dietro alle belve. Ci avendo pre m esso, soggiugne, che il giovine Antioco, ch'egli avea. messo nel piano di rincontro all ala sinistra de1 nemici con seco la cavalleria in corazza, surto da luoghi montuosi pose in fuga i cavalli di Tolemeo figlio dAero p o , ed inseguilli, il qual Tolemeo comandava gli Etoli nel piano dalla parte dell ala manca ; e che le falangi, poich affrontaronsi, fecero aspra battaglia. N comprese egli cotn era impossibile l ' affrontarsi , mentre che gli elefanti, e la cavalleria e 1 armadura leggera occupavano le prime file. XIX. In appresso dice, che la falange superchiata ( 115) da' luoghi difficili ed oppressa dagli Etoli, ritirossi in buon ordine : e gli elefanti, ricevendo quelli che pie gavano, e cadendo addosso a nemici, prestarono grande servigio. Ma come questi vennero dietro la falange non facile a capirsi, o co m e, venutivi, prestarono co tanto servigio. Imperocch, affrontatesi una volta le falangi, possibil non era che gli elefanti distinguessero quale fra coloro che capitavano fosse amico o nemico. Oltre a ci prosegue, che la cavalleria degli EtoM era

a53
imbarazzata nella battaglia per non essere avvezza alla f. d i R . spetto degli elefanti. M a , a detta su a , quelli eh erano 556 schierati nellala destra dapprincipio rimasero intatti ; e la rimanente moltitudine de cavalli, distribuita nellala sinistra, fugg tutta superata da quelli d Antioco. Qual parte adunque de cavalli fu nel centro della falange, che gli elefanti spaventarono ? Dove trovossi il re ? e qual servigio prest nella battaglia il pi bel corpo di fanti e di cavalli che aveano ? Nulla di tutto ci si parla. Dov era il figlio Antioco pi vecchio, il quale con una parte dell esercito occupati avea i luoghi pi alti ? Ch costai non erasi, a detta sua , dopo la pugna ritirato nel campo. E giustamente; dappoich egli pose due (116) Antiochi, figli del r e , (117) quando allora uno solo sotto il padre militava. Come poi Scopa, se condo lu i, e primo ed ultimo usc della battaglia ? Conciossiach egli dica, c h e , vedendo il giovane An tioco, ritornato dallinseguire, sovrastar alle spalle della falange , e disperando per tal cagione della vittoria , fece la ritirata, che poscia venne nel maggior pericolo, circondata essendo la falange dalle belve e da cavalli, e che alla fine ritirossi Scopa dal cimento. XX. Coteste, ed in generale siffatte assurdit mi sembrano recare agli scrittori grande vergogna. 11 per ch ingegnarci dobbiamo sovrattutto di renderci pa droni d ogni parte della storia: ( n 8 ) ci essendo egregia cosa. E se questo non possibile, hassi a Jporre la maggior industria nelle parti di lei che sono e pi necessarie e principali. Ci pertanto fui indotto a dire in veggendo, che oggid, siccome nelle altre

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, di R. arti e studj r cos nella storia ancora, negletto viene 556 cbe spetta all essenziale ragione ed alluopo di cia scheduna ; e quanto appartiene all ostentazione ed all apparenza lodato ed iufitato, come cosa grande ed ammirabile, quantunque pi facile ne riesca il lavoro , e meno richicgga per piacere, che non (119) le altre scritture. Del resto intorno all ignoranza de luoghi nella Laconia, perciocch grande lo sbaglio, non esitai di scrivere allo stesso Zenone; (120) giudicando esser cosa onesta non istiinare gli errori altrui proprii vantaggi, conforme alcuni sogliono; ma curar e correg gere cos le nostre memorie, come quelle degli altri, per quanto in n o i, in grazia della pubblica utilit. E g li, ricevuta la lettera, e conoscendo che impossibil era l emendazione per essere gi dati fuori gli esem plari, ne fu (121) oltre ogni credere dolente, ma non pot far nulla : tuttavia accolse il nostro divisamento con auimo benigno. La qual cosa io pure raccomando circa me a coetanei ed a posteri. Se in qualche luogo della mia opera rinvenuto sono d aver a bello studio mentito, e trascurata la verit, rimproverato io sia senza piet ; ma se fatto l avr per ignoranza, ini si perdoni, e pi di tutti a m e , pella grandezza del lavoro, e peli estensione degli oggetti che ho ab bracciati. XXI. (122) Tlepolemo, colui che amministrava gli af fari del regno d Egitto, era giovine det, e brill sem pre nella vita militare ; ma superbo com egli era per natura , ed avido di gloria, molte buone qualit, e

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molte ree ancora rec al governo dello stato. Im- A. di R, perocch era egli atto bens a comandare un esercito 556 in campagna, ed a diriger imprese guerresche, e di natura robusto, ed acconcio alle militari allocuzioni ; ma al maneggio di affari ( ia 3) avviluppati, che richieg* gono attenzione e (ia4) svegliatezza, e alla custodia di danari, ed in generale all amministrazione degl inte ressi, era inettissimo. Onde iu breve tempo (1 u5) non solo trasse in pericolo, ma pregiudic ancora il re? gno ; dappoich avuti i danari in suo potere , la mag* gior parte del giorno consumava in giuocar alla palla, ed esercitarsi con giovinotti nelle arm i, e finito ci attendeva tosto a banchettare, passando quasi tutta la vita in siffatte cose e con tali compagni. Ch se alcune ore del giorno destinava alle udienze, distribuiva, o pi presto, a dir ci che me ne pare, sprecava egli i danari regii agli ambasciadori che venivauo dalla Grecia, ed agli artisti della scen a , e sovratlutto a duci ed a sol dati che dimoravano nella corte : ch non poteva egli nulla negare, ed a chi con dolci parole gli si accostava tutto ci che aveva in pronto donava (126). Crebbe poi il m ale, (127) da s aggrandendosi; perciocch chiun que era stalo inaspettatamente da lui beneficato, cos per cagione del passato, come dell avvenire, con esu beranza il ringraziava. Ed egli sentite da tutti le sue lo d i, (>28) e gli evviva che a lui faceansi nel vuotar i bicchieri, e le inscrizioni, e le canzoni che i musici in onor suo pella citt cantavano, divenne finalmente pettoruto e tronfio, e sal sempre maggiormente in su-

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. iti R. perbia, e pi proclive si fece a gratificarsi gli stranieri ^*>6 e(j j soldati. XXII. Delle quali cose sdegnati i cortigiani, tutto notavano, e la temerit di lui a (>29) malincuore of ferivano, ma ( i 3 o) Sosibio al confronto ammiravano. Imperciocch questi sembrava governar il re con mag gior senno che all1 et sua non competeva, e nel con versare cogli estranei diportavasi condegnamente all'autorit che gli era affidata, la quale consisteva io custodire il sigillo e la persona reale. Circa quel tempo ritorn da Filippo ( i 3 1) Tolemeo figlio di Sosibio. Co stui priach lasciasse Alessandria era pieno di superbia, per propria indole, e pelle dovizie del- padre. Ma come audato in Macedonia pratic co1 giovani della corte , credendo che il valore de Macedoni fosse nella ( i 3 a) differenza de calzari e de vestiti, comparve tutto dan dosi a siffatte c o s e , e persuaso eh egli era uomo di vaglia per essere stato fuori di p a ese, ed aver conver sato co Macedoni, e che gli Alessandrini eran uomini servili e da nulla. Il perch si pose tosto a parlar male di Tlepolemo e ad offenderlo. Abbracciata avendo la sua parte tutti quelli della corte, perciocch Tlepolemo i negozii ed i danari non come curatore, ma come erede amministrava, presto crebbe la ( 133) materia della discordia. Allora Tlepolemo, essendo a lui riferiti i discorsi nimichevoli che dall osservazione e dalla ma lignit de cortigiani derivavano , dapprincipio neglesse e disprezz cotesti detti ; ma com e, ragunatisi a con siglio , osarono di vituperarlo.in pubblico, pella mala ua ammmistrazioue del reguo, mentre eh egli era as-

sente -, esacerbato racclse il suo consiglio, e fattosi A . di i innanzi disse, che coloro di nascosto e privatamente ^56 contro di lui deliberavao, ma ch'egli avea deciso daccusarli pnbblicameule ed in faccia. ( i 34) Dopo 1 aringo prese Tlepolemo il sigillo anco ra da Sosibio ; ricevuto il quale fece ogni cosa a suo talento.

XXIII. ( i 35) Publio Scipione venne d Africa non Estr, m o lto dopo il mentovato tempo. Essendo laspettazione della moltitudine conforme alla grandezza de fa tti, grande fu altres la pompa che il circondava, e la b e nevolenza del volgo verso di lui ; lo che meritamente avvenne , e per giusti molivi. Imperciocch non ispera u d o giammai di cacciar Annibaie fuori d Italia, n di allontanare da s e da suoi cotanto pericolo -, vedevansi allora gi stabilmente non solo scevri da ogni ti m o re e sciagura , ma giunti eziandio al colmo della gioia per avere soggiogati i nemici. Ed allorquando fe ce ( i 36) lingresso trionfale, ( i 3^) vieppi ancora pella vista delle cose che portavansi attorno ricordatisi delle passate avversit erano impazienti di ringraziare gli D e i, e di spiegar la lor affezione verso lautore di tanto cambiamento. F u allora ( 13 8) Siface p u r e , re de Massesili condotto in trionfo pella citt insieme co prigioni ; il quale dopo alcun tempo mor in carce r e . Compiute queste cose i Romani per molti giorni successivi (139) fecero giuochi e diedero solenni spot-

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A. d i R . ta co li, fornendo a ci le spese la magnanimit di 556 Scipione.
W r. Val. XXIV. Il re Filippo, essendo l inverno gi comin ciato, nel quale (t$o) Publio Sulpicio fu creato con sole iu Roma , soggiornando in Bargila, ed osservando che i Rodii ed Attalo, non che licenziassero le forze navali altre navi allestivano, e con maggior impegno alle guardie attendevano , era in difficile situazione, e molti e varii pensieri volgea nella mente circa lavvenire. Imperciocch temeva egli luscita fuori del porto d* Bar gila, e prevedeva il cimento marittimo; qd insieme difr fidando degli affari di Maqedouia noq volea per nessun conto svernare in Asia , temendo, e gli Eic(li ed i Ro mani. E. non ignorava, egli le ( i 4 1) ambascerie che con-, tro di lui erano sUte spedite a Roma, (r 4 a),'perciocch era finita la guerra in Africa, Per le quali cose egli - sommamente agitato , fu frattanto costretto 9 rimanere co l , facendo , come si suol d ire, la vita del lupo. 0 4 .3) Cnciossiach da alcuni clandestinamente, od a viva forza rubando, altri costringendo a dargli, altri contro la sua natura lusingando, perch l esercito suo pativa fam e, quando carni, quando fichi, quando po chissimo frumento era il cibo da lui provveduto. Delle quali cose parte gli forniva ( i 44 ) ZeUsi, parte i.(i-45 ) Milasesi, gli Alabandesi ed i ( 146 ) Magneti; ch egli quando davano accarezzava, qupndo non davano (i 47) abbaiava e tendeva loro insidie. Finalmente introdotte pratiche con Milasia per via di F ilocle, gli falli l impresa per essersi mal governato, La campagna degli Alabandesi

guast come nemica, dicendo, eh era necessario di A. dt R. procacciare all esercito il nutrimento. Da ( i 48) quelli 556 di Magnesia , dappoich non aveano frumento , prete fichi. Quindi impossessatosi di Miunte , cedette il ca stello a Magneti in pagamento de fichi.

XXV. 11 popolo d Atene sped ambasciadori al re1 Qlim Attalo, parte per ( i 49) congratularsi de suoi successi, Cxuv,iii parte per invitarlo a venir in A tene, a fine di delibe--^- di l, rar insieme circa le cose presenti. 11 re septito dopo pochi giorni che gli ( i 5 o) ambasciadori romani erano entrati nel P ireo, e stimando1 esser necessario' di seco loro abboccar, vi ( i 5 r) navig in fretta. Il popolo d A tene, risaputo il suo arrivo, decret di fargli ma gnifico incontro e pomposa accoglienza. Attalo, appro dato nel P ireo, il primo giorno tratt cogli mbascia1 dori venuti da Roma , e veggendo'che rammentavano' 1 antica loro societ, ed erano pronti a far gurra a Filippo, fu oltremodo lieto. 11 d vegnente sal co Ro mani e co maestrat Ateniesi nella citt , ed ebbe grande accompagnamento: ch non solo i maestrali ed i (c 5 ^) cavalieri, ma eziandio tutti i cittadini co figli e colle mogli andaron loro incontro. Come furon uniti, tanti contrassegni'di benevolenza diede la moltitudine a Romni, d andor maggiormente ad -A ttalo, che nalla pi; Poich entr nel ( t 53) D ipilo, collocarono da amendue le parti le sacerdotsse ed-i sacerdoti; po scia apriron tutti i templi, e psero vittime presso tutti gli-altari, e vollero chegli sagrificasse. Per ultimo gli'decretarono tanti onori, guatali a nessun altro, che

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i. di R. in addietro era stato loro benefattore^ perciocch fra 5^4 le altre cose diedero ad una trib il ( i 54 ) nome d At talo , e lo inserirono tra gli ( i 55) er o i, donde le loro
trib appellarono. XXVI. Poscia, convocato il popolo a parlamento, vi chiamaron il re; ma essendosi egli scusato, e ( i 56) dicendo che grave gli sarebbe di presentarsi ad esporre loro in faccia i benefizii cbe aveano ricevuti, ( i 5 j) desistettero dal chiedere eh entrasse. II pregaron adunque che ma nifestasse per iscritto ci eh egli giudicava utile ne presenti tempi. V acconsent e scrisse , ed i principali dello stato recarono la sua lettera alla ragunanza. Erano i capi dello scritto: una commemorazione de beni cb egli in addietro avea fatti al popolo ; una enumera zione delle cose che in que tempi fatte avea contro Fi lippo; e finalmente una esortazione alla guerra contra il medesimo, ed un giuramento, c h e , ove ora non ( i 58) togliessero ad entrar animosamente co Rodii, co Romani, e con esso lui nell anzidetla inimicizia, e poscia, preterita 1 occasione, volessero aver parte nella pace procurata dagli altri, non riuscirebbe loro di fare il vantaggio della patria.( 159)Bast laver recitata quella lettera, perch pronta si dimostrasse la moltitudine a decretar la guerra, e pelle cose che > vi eran espresse e pella benevolenza verso d Attalo. Ma poich entraron i Rodii, e fecero molte parole nella stessa sentnza, parve agli Ateniesi di romper la guerra a Filippo. Accolsero i Rodii ancora magnificamente, e donaron al popolo la corona per il valore, ed a tutti i Rodii decretarono la cittadinanza; perciocchr a tacere del resto, avean

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essr restituite le navi prese in guerra colla gente. Gli A. d i Jt< ambasciadori pertanto de Rodii, avendo ci eseguilo, ^^4 (160) andafon a Geo coll* armata verso le isole. XXVII. Allorquando gli ambasciadori Romani sog- ^ giornavano in A tene, mentrech (161) Nicnore gnerale di Filippo correva l Attica sino all Accademia , i Romani, premessi a lui a r a l d i c o n esso abboccaronsi, e 1 avvertirono annunziasse a Filippo , come i Romani esortavano il re a non guerreggiare con nes sun G reco, ed a render conto ad Attalo (i6a) dinanzi a un tribunale competente degli oltraggi a lui fatti. Che ci eseguendo gli era concesso di viver in pace co Romani; ma non volendo ubbidire gli seguirebbe il contrario. Nicnore ci udito se ne and. Lo stesso di scorso che tennero i Romani circa Filippo , fecero eziandio agli Epiroti passando colle navi davanti a F e nice e ad Aminandro salendo nell Atamania ; egual mente agli Etoli in INaupatto, ed agli Achei in Egio. Significate poi queste cose a Filippo per mezzo di Ni cnore, (i 63 ) recaronsi presso Antioco e Tolemeo af fine di riconciliarli. XXVIII. A me sembra pertanto che l incominciai* ^ttr. bene e mantener vigoroso 1 impeto, finch gli affari prendano incremento, a molti sia gi avvenuto ; ma condur a fine H proponimento, e dove la fortuna contraria supplire col raziocinio (i64) al difetto del siio favore accaduto sia a pochi. Il perch giustamente biasimer taluno la ( i 65 ) negligeuza dAttalo e de Rodii

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. di R. in quella congiuntura , e plauso far a sentimenti regii. ***> 4 e magnanimi di Filippo ed alla sua costanza nel divisato consiglio, non gi lodando tutta la sua copdolta, ma esaltando il fervore di lui nel presente caso. Faccio io pertanto questa distinzione , affinch non istimi al cuno che io dica cose tra loro coq trarie, avendo test lodati Aitalo ed i Rodii, e biasimato Filippo, ed ora facen do l opposto. Per la qualcosa io ho gi (166) nel prin cipio dell opera espressamente avvertito , esser neces sario di dir talvolta b e n e , talvolta male de medesimi ; dappoich sovente le mutazioni degli affari in peggio e le sciagure cangiano 1? volont degli uomiui, e sovente ci fanno ancora le variazioni in meglio. quando per propria natura gli uomini portati sono a] loro dovere, quando al contrario : una delle quali cose sembra al lora esser succeduta a Filippo. Imperocch, fremendo delle sconfitte sofferte, e facendo quasi tutto pep.i&deguo e mal talento, (167) con animo risoluto e maravigliosa perseveranza acconciossi a difficili tem pi, e per tal guisa insorto contro i Rodii ed il re A italo, (168) consegui il suo intento. A ci dire fui indotto, perch alcuni presso alla m eta, siccome i cattivi cor ridori, abbandonano la loro impresa, ed altri in questa fiarte precipuamente vincono i competitori. XXIX. (169) Filippo volea in questi luoghi furar le -mosse a Romani e preoccupar i (170) passaggi. Affin ch , ove divisasse di ripassai' ia Asia, Abido gli fosse scala. ( Suida ).

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Esporre eoa molte parole la posizione d? Abido e Se- A. di R. Sio ed il favorevole sito delle loro citt , lavoro saper- 554 fluo mi sembra, perciocch ognuno, per quanto sia di poco-cnto, n informato, a cagione della particolar natura di que luoghi. Ma rinfrescar con una sommaria descrizione la memoria de leggitori, affinch pngan attenzione, stimo non essere al presente inutil cosa. E potrannosi conoscere i comodi delle anzidette citt , non tanto da luoghi medesimi, quanto per via del confronto e paragone con quelli di cui siamo per ragionare. Imperocch, siccome non possibile dentrar dal mare (171) che alcuni chiaman Oceano, altri Atlantico nel nostro, se non se pello stretto eh presso alle co lonne d Ercole ; cos non puossi dal nostro mare per venire nella Propontide e nel P o n to , se non se navi gando peli intervallo eh fra Sesto ed Abido. E non Altrimenti che se il caso serbata avesse qualche norma nel formar amendue i passi, quello presso alle colonne drcole in molti doppii maggiore di quello dell El lesponto : cb il primo ha (172) sessanta stadii, e (173) quello d Abido ne ha d u e, per modo che se ne pu argomentare essere il mar esterno di molti doppii maggiore del nostro. E pertanto lo stretto dAbido pi comodo che non quello alle colonne d rcole; per ciocch il primo essrendo da amendue i lati abitato fa le veci d una porta, per cagione della comunicazione reciproca fra le due sponde, e (174) f*1 *sso g' coperto d un ponte da chi am meglio di passar a piedi da un continente all altro , ma il pi delle volte lo si tragitta in nave. Lo stretto pertanto alle colonne d rcole ha

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! i R. poca utilit, e per pochi ; sendoch le nazioni che ahi5^4 tano all estremit dellAfrica e dell Europa noa hanno fra di loro comunicazione, ed il mar esterno ignoto. {t? 5) La citt d Abido da amendue le parti circon data da' promontorii d Europa, ed ha un porto che pu da ogni vento proteggere chi vi approda; ma fuori della stazione del porto non (176) per alcun modo possibile d ancorare in qualsivoglia luogo presso alla citt , pella rapidit e violenza della corrente nello stretto. XXX. Filippo , piantando palizzate e scavando fossi, assediava gli Abideni per terra e per mare. Ma colai {177) fazione sebbene pella grandezza degli apparecchi! e la variet de ritrovamenti nella costruzione delle ope re-, con cui gli assedianti e gli assediati sogliono fra loro cou ogn industria gareggiare, non fosse ammira bile ; tuttavia pel valore degli assediati, e 1' estremo loro coraggio, oltre ogni altra degna di memoria e d esser conta a posteri. Dapprincipio gli abitanti dAbido, affidati nelle loro forze, sostenevano con fermezza le aggressioni di Filippo, e le (178) macchine che accostavansi per mare, parte percuotendo colle (179) ba liste conquassavano, parte guastavano col fuoco per m od o, che i nemici a stento sottraevano (180) le navi stesse dal pericolo. Alle opere di terra resistettero pure alquanto tempo animosmeute, non disperando di ren dersi superiori a nemici. Ma poich cadde il moro di fuori pelle m ine, i Macedoni avvicinaroasi per queste al muro che quelli di dentro fabbricarono di rincontro al caduta Allora mandarono Ilade e (181) Panlagnoto

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offerendo a Filippo la citt, a condizione che licen- A . di R. ziasse sulla parola i soldati che ave ano (183) da Rodii, ^54 da A ttalo, e, le persone libere lasciasse che si salvas sero, secondo la lor possa, ovunque a ciaschedun pia* cesse, co vestiti che aveano sul corpo. Ma imponendo Filippo che si dessero a discrezione, o pugnassero va* lonzamente , gli ambasciadori se. ne ritornarono. XXXI. Gli Abideni, sentita questa risposta, ragunaronsi a parlamento e deliberaron intorno al frangente, al tutto disperati. Presero adunque primiramente di ( i 83 ) francare gli schiavi, per averli cooperatori (184 ) vo lonterosi ; poscia di raccoglier tutte le donne nel tem pio di Diana, ed i figli colle nutrici nel Ginnasio; indi d accumulare l argento e Poro in piazza, e le preziose vesti nella quadrireme de Rodii e nella trireme de Ciziceni. Avendo ci proposto ed eseguito d unanime consenso secondo il decreto, ragunaronsj di bel nuovo a parlamento, ed elessero (185) cinquanta uomini de pi vecchi e pi accreditati, ed abbastanza ancor forti della persona per poter eseguire quanto avrebbon riso luto. Da questi presero il giuramento innanzi a tutti i cittadini, che se vedessero il muro interno occupato da nemici, sgozzassero i fanciulli e le donne, accen dessero le anzidette navi, e gittassero con imprecazioni argento e 1 oro in mare. Poscia , prodotti in mezzo i sacerdoti, giurarono tutti, o di vincerei nemici, o di morire pugnando pella patria. Per ultimo, immolate le vittime, costrinsero i sacerdoti e le sacerdotesse, men tre quelle ardeano, ad imprecar (186) sulle cose anzidette. Cora ebbero ci fermato, cessarono dallo sca-

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i. di R. var contrammine, e tatti accordaronsi nella risoluzione ^*4 di (187) combatter accanitamente, rotta che fosse la
muraglia interna, sulle raine, e di versarvi l ultima stilla di sangue. XXXII. Quindi pu dirsi che l audacia degli Abideni avanzasse la (188) forsennatezza che narrasi de F o ce si, ed il (189) coraggio degli Acarnani. Imperoc ch i Focesi fama che facessero la stessa delibera* zione intorno a loro propinqui, avendo non affatto perduta ogni speranza di vincere, dappoich erano in procinto di venire coTessali a battaglia campale. Cos la nazione Acarnana , (190) allorquando solo prevedea lin vasione degli Etoli, prese nella sua emergenza la stessa risoluzione ; de quali avvenimenti abbiamo partita* mente trattato ne libri antecedenti. Ma gli Abideni rinchiusi e pressoch disperati di salvezza, preferirono in comune d incontrare 1 estremo caso co figli e colle m ogli, anzich vivi anticipar il pensiero che i figli e le mogli loro fossero per cader nel potere de nemici. Laonde chi non sar grandemente sdegnato colla for tuna pella sciagura degli Abideni, che mossasi quasi a piet delle disgrazie degli altri, tosto corresse il suo errore, arrecando insieme vittoria e salvezza a chi ne disperava; laddove circa gli Abideni ebbe un di visamente contrario? Imperciocch gli uomini mori rono , la citt fu presa, ed i figli colle madri vennero nelle mani .de nemici. XXXIII. Conciossiach , caduto il muro interno, sa lissero sulle ruine giusta il giuramento, e pugnassero co nemici tanto arditamente, che Filippo, sebbene

mandava successivamente innanzi i Macedoni sino alla A. i n o tte, finalmente si ristette dalla pugna, disperando di ^ 4 tutta l impresa. Imperocch le prime file degli Abideni combattevano ferocemente, non (191) solo montando su nemici morienti, n furiosi avventavano soltanto le spade e le lance; ma eziandio ove alcuna di queste renduta inutile nonpotea adoperarsi, o con forza laveano dalle mani gittata, (192) avvinghiatisi aMacedoni, alcuni ro vesciavano con tutte le armi, ad altri spezzavano le aste, (193) e cogli stessi loro frammenti (194) spingendo e colle punte percuotevan a quelli la faccia e i luoghi ignudi, per modo che al tutto li disertavano. Sopraggiunta la notte, e cessata la pugna, essendo la maggior parte morti sulle ruine, e gli altri fatti inabili dalla fatica e dalle ferite (19?), Glaucide e Teogneto , ragunati pochi de pi vecchi, avvilirono la generosa ed ammirabile riso* luzione de loro concittadini , per procacciare a s sal vezza. Imperciocch deliberarono di conservare la vita a fanciulli e alle d onn e, e di mandare in sul mat tino i sacerdoti e le sacerdotesse velati a Filippo , per chiedergli merc e consegnargli la citt. XXXIV. Frattanto il re Attalo, sentito che gli Abi deni eran assediati (196) navig peli Egeo a Tenedo, e similmente (197) Marco Emilio il pi giovane degli am basciadori romani venne approdando in Abido stessa. Imperocch i Romani, risaputo in Rodi lassedio degli Abideni, e volendo abboccarsi con Filippo medesimo, conforme erano stati incaricati, arrestatisi nell andata a1 re (198) (Tolemeo ed A n tio co ), spedirono 1 anzi detto. U guale parlato avendo con Filippo circa Abido,

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t. di R. gli signific^ come piaciuto era al senato <T esortarla 554 a non guerreggiare con nessun G reco, a non mescolarsi negli affari di Tolemeo, ed a sottomettersi ad un giudizio per le ingiurie fatte ad Attalo ed a Rodii. Ove ci eseguisse gli sarebbe conceduto di viver in p ace, ma se non volesse ubbidire pronta avrebbe la guerra co Romani. Ingegnandosi Filippo di fargli conoscere, che i Rodii laveano con offese provocato, Marco inter* rompendolo domand : ed in che ti offesero gli Ate niesi ? in (199) che i Ciani ? in che ora gli Abideni? e di questi, disse, chi fu il primo ad oltraggiarti ? Il re imbarazzato rispose che per tre capi gli perdonava, se trattava con lui superbamente: primieramente perch era giovine, ed inesperto negli affari : in secondo luo go , perch era (300) il pi bello fra quelli delia sua et; (e difalli era c o s): (201) poscia perch era Ro mano. Io pertanto, disse, chieggo precipuamente a Ro mani di non trasgredire i trattati, e di non farci guer ra. Che se non di meno ne la faranno ,-noi invocando gli Dei ci difenderemo valorosamente. Dopo questi discorsi separaronsi. Filippo , insignoritosi della citt , trovate tutte le sostanze unite dagli Abideni, comoda mente le pigli. Ma veggendo l impeto di tanti nomini che s stessi ed i figli e le mogli (202) sgozzavano, ( 2o 3) abbruciavano , strozzavano , gittavano ne p o zzi, precipitavano da tetti, rimase stordito ; e (ao 4) do lente dell avvenuto, (ao5) pubblic, eh* egli dava tre giorni di tempo a chi volea impiccarsi e scannarsi. Gli Abideni, avendo gi (206) nell impeto di prima stabi lito ci che doveano fare di s stessi, e stimando che

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diverrebbono come traditori, di quelli che avean com A . d i R battuto ed erano morti pella patria, non tollerarono 554 in alcun modo la vita , da quelli in fuori eh erano gi stati messi in cepp i, 0 in altra guisa detenevansi. Gli altri tutti corsero senza indugio alla m orte, famiglia per famiglia.

Amb. V XXXV. Dopo la presa d Abido vennero ambasciadori dalla nazione degli Achei in Rodo, per confortare il popolo alla pace con Filippo. Dopo i qnali sopraggianti essendo (207) gli ambasciadori di R om a, i quali ragionavano che non s avesse a far la pace con Filip po senza i Romani, piacque al popolo di dar retta a Romani, e di rispettare la loro amicizia.

XXXVT. (108) Filopemene comput le distanze di Estr. ani tutte le citt Achee, e da quali pervenir si potea in T egea pella stessa strada. Indi scrisse lettere a tutte le citt , e dispensolle alle citt pi rem ote, comparten dole per m od o, che ciascheduna non solo avesse la propria, ma quelle delie altre citt ancora che riu scivano alla stessa strada. Nelle prime era scritto a (209) governatori quanto segue: *Quando vi sar re cata la lettera, armerete incontanente la giovent , le darete viatico per cinque giorni, (aio) ed il bisogno d'argen to, e tosto ragunerete tutti nel foro. Poich saranno raccolti, (311) voi presenti riceveteli e recateli nella prossima citt ; e col giunti consegnate la let tera indiritta al governatore di quel luogo , ed ubbi dite a ci che vi scritto . Grano scritte in quella le

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di R: stesse cose che nella prima, se non che non vi avea il 554 (a 12) nome proprio della citt pi vicina, verso la quale
doveasi continuare. Ed essendosi di mano in mano lo stesso tenore osservato, dapprima nessuno conosceva per qual fatto o per qual impresa servisse cotal appa recchio; n dove si andasse alcuno sapea, fuorch nella prossima citt ; ma tutti dubbiosi, e 1 un 1 altro rice vendo progredivano innanzi. Ora siccome non erano egualmente distanti da Tegea le citt pi lontariej cosi non furon a tutte nello stesso tempo-coitsegaal-e le^ let tere, ma a ciascheduna in ragione dell? intervallo. Don de avvenne che non sapendo i Tegea ti y n quelli che arrivavano ci eh era per succedere, tutti gli Acheiinsieme e per tutte le porte entraron armati in Tegea. XXXVII. Cotesto stratagemma volse egli nella mente ed us pella qdantit delle spie, che avea il'tiran no, intente ad ogni novit colle orecchie e'cogli occhi; 11 giorno in cui era per ragunarsi in Tegea la gente de gli Achei, spedi un drappello duomini scelti, affinch, pernottato che avessero, in Sellasia, il d appresso in sul mattino corressero la Laconia. Che se i ( a i 3) mer cenarii venuti in soccorso li disturbassero^ impose loro che facessero la ritirata ( a i 4 ) verso lo Scolila, e quanto al resto ubbidissero a.Didascalonda cretese: ch a qu sto affidata avea l impresa, e date circa essa le oppor tune disposizioni. Costoro adunque si misero coraggiosamenle ad eseguire gli ordini ricevuti; e Filopetnene avendo sfatti pranzare per tempo gli A ch ei , condusse 1 esercito fuori di Tegea ; e poich ebbe marcialo sol-

271
lecitamente tutta la n otte, pose i suoi verso l alba in A . di l agguato (a i 5/ ne villaggi intorno allo Scotita, eh ^54 fra Tegea e Lacedemone. 11 di vegnente i mercenarii eh erano in (416) Pellene , come le yedette significa rono lincursione de nemici, accorsero, subito in aiuto, conforme lor costume, e furon addosso agli avversari!. Ritirandosi gli A c h e i, secondoch era st^to lor ordi nato , quelli fieri ed audaci li inseguirono \ ma come giunsero ne siti ov era 1 agguato , insorsero gli Achei, e parte ne tagliarono, partek ne presero. XXXVIII. (217) Filippo r veggendo cbe gli Achei Olimp molto :si guardavano dalla guerra contro i Romani, in- cxlvj' geguavasi per ogni verso di farli entrare con questi in '555 nimist (Snida ), XXXIX, (218) Scopa generale di Tolemeo , re catosi nelle province superiori, soggiog nell inver no la nazione de Giudei. ( Gius. Flav., Antich. giud.
x ii

, 3 ).

(a19) Imperciocch, andando l assedio a rilente, Scopa era in mal grido , e fortemente accusato. ;

(Suida).
(aao) Vinto che fu Scopa da Antioco, questi prese la Batanea e la Smaria e Abila e Gadra. N and guari che unironsi a lui i>Giudei ancora che abitan in torno al tempio chiamato Gerosolima ; sul quale aven do noi molto da dire, e singolarmente pella nobilt

37 2
I. di R. del tempio, ad altra occasione ne trasferiamo il rac-

555 iitr. Val.

conio. ( Gius., Antich. xzz, 3 ). XL. (aai) Del guasto ebe fece Antioco della citt di G aza, cos scrive Polibio. A me sembra giusto insieme e convenevole di render a Gazei la meritata testim o nianza. Imperciocch quantunque nelle gesta belliche non sieno pi valorosi degli altri abitanti della Celesiria , molto pertanto li avanzano net coltivare le so ciet e nel serbare la fe d e, ed al tutto irresistibil la loro audacia, (aaa) Allorquando i Persiani invasero la Siria , essendo gli altri spaventati pella grandezza della loro potenza , ed arrendendo tutti a quelli s stessi e le loro patrie, essi soli sostennero il pericolo, e si sot tomisero all assedio, (aa 3) Ed allorquando venne Ales sandro , essendosi non solo gli altri arresi, ma Tiro ancora ridotta essendo in ischiavit colla forza delle armi, e non avendo pressoch Speranza di salvezza co loro che opponevansi all' impeto ed alla violenza d Alessandro, soli fra tutti i Sirii resistettero, (aa 4) e fe cero 1 estremo della lor possa. Lo stesso fecero in quell emergente , ch nulla lasciarono di quanto potea farsi, nell impegno di serbar la fede a Tolemeo. II perch, siccome in particolare lodiamo nelle nostre Memorie gli uomini virtuosi, cos nostro dovere di far in complesso onorevole menzioue delle citt , le quali sogliono far qualche opera bella per imitazione de loro maggiori, o per proprio divisamente.

ti'J

XLI. (215) In subri, nazione italiana. (Polibio X ri).


_____

</*

555

Sufi Bis.

(226) Mantua, citt de' Romani. ( I l gentilizio Man to ano. Polib. x r i) . (227) Brabanzio, luogo presso Chio. (Polib. x r i) . (228) Gitta, citt della Palestina. ( Polibio nel decimosesto. I l gentilizio Gitleo). (229) Eia castello d Asia ; emporio del re Attalo. (Polibio nel decimo sesto. Il gentilizio Elo). (230) Candasa, fortezza della Caria. (Polibio nel decimosesto). (2 3 1) C a rte a , una delle quattro citt nell isola di Ceo. Gli abitanti Carlei. (Polib. x r i) .

FIN E D EGLI AVANZI* DEL LIBRO DEC1MOSESTO.

SOMMARIO
DEGLI AVANZI DEL LIBRO DECIMOSESTG.

Fi l i ero

presso

PzrtQAMo.

G uasta la campagna di Pergamo - Sfoga la tua ira con tro i templi degli Dei - Niceforo - Piano di Tebe - Zeuai, governatore della Lidia per Antioco ( I.)
B
a t t a g l ia

i r j r j L E d i F i l i p p o con i co Roau p&xsso Caio.

ttalo

Aitalo ed Rodii inseguono V armata di Filippo - Teofili sco , capilano del? armata de Rodii - Filippo d il segnale della pugna ( li.) Descrizione dlia battaglia navale ( 111, I V e Yj) - Aitalo vincitore - separato da suoi - A stento t i salva in Eritra Filippo vinto prende la nave regia del vincitore - / Rodii ritornano a Chio ( VI.) - Esito della pu gna ( VII.) - Filippo vinto si attribuisce la vittoria - Gran~ dissima rotta di Filippo ( V ili ) - Lode del rodio Teofilisco ( IX ) - Gli uomini sovente senza riflessione s i mettono alle imprese , e ne desistono ( X.) F ilip p o t u r
ad

la

C a ria .

Prinasso , assediata da Filippo ( X I.) - lasso citt, su

276

silo ed origine - Diana Cindiade \giammai tocca dalla pioggia Leggerezza di Teopompo - Moderazione necessaria nel narrar cose maraviglibse ( XII.) A rr n
bel

P eloponneso.

Nabide., tiranno de Lacedemoni - Prende Messene a tra dimento ( X III.) D


ig r e ssio n e in to rn o a

enone

ed

n t ist e h k

st o r ic i

ro d ii.

Zenone ed Antistene , storici rodii illustri ( XIV .) - Non saccordano con Polibio circa la battaglia navale presso Lade ( XV.) - Della spedizione di Nabide contro Messene ( XVI, XVII.) - Della battaglia dAntioco e di Scopa al Panio - Ze none troppo coltivando lo stile neglesse le cose ( X V llI , XIX. ) - Polibio scrisse a Zknone ( XX. ) A
ttari d

E g it t o ?

Tlepolemo amministratore dell! Egitto - prodigo del da naro regio E gonfio di superbia ( X X I.) - Sosibio, figlio di Sosibio custode del sigillo regio - Tolomeo , suo fratello
( XXII. ) S C IP IO K B TRIONFA DE CARTAGINESI.

Roma lieta dopo finita la guerra punica - Siface condotto in trionfo ( XXIII. ) F iu p r o s rs n x A
nella

C a r ia .

P. Sulpicio console, - Filippo a Bargila Vive di rapina


<S XXIV .) -

A AD

ttalo

ed

o d ii

in c it a n o

oli

t e n ie si

ASSOCIARSI

AL IA

GUERRA

CONTRO

F lL I P P O .

Alialo invilato in Atene - Vengono col gli ambasciadori romani - Ed Aitalo - Onori fa tti ad Aitalo in Atene - Trib attalica ( XXV. ) - Audio parla per lettera alla ragunanza
( X X V I.) P R I X C IP 1 0 DELLA GUERRA DE R o jH A Ifl CO*

F lU P T O .

I Romani dichiarano la guerra a Filippo ut grazia d?Attalo e de Greci - Ambasciadori romani ad Antioco ed a Tolemeo ( $ XXVII. ) - Filippo coraggiosamente s addossa la guerra Costanza di Filippo ( XXVIII. ) E
sp u g n a z io n e

o A rid o .

Filippo recasi ad Abido - Sito d Abido - Confronto dello stretto drcole con quello dCAbido - Porto dAbido ( XXIX.) Filippo oppugna Abido - Rigetta le condizioni della resa ( XXX.) - Consigli disperati degli Abideni ( XXXI.) - Di sperazione de Focesi e degli Acarnani paragonata a quella degli Abideni ( XXXII.) - Ambasciadore romano a Filippo Filippo s'impossessa d Abido - Gli Abideni tra loro s ucci dono ( X X X III, XXXIV.)

. Ambasceria degli Achei e de' Romani a Rodii circa la pace con Filippo ( XXXV. ) S
tratagem m a di

il o p e m e n e

contro

a r id e .

Lettera alle citt achee - Gli Achei subitamente suniscono

278
in Tegea ( XXXVI.) r Successo dello stratagemma - Scolila Pellene ( XXXVII- ) -

Filippo instiga gli Achei contro i Romani ( X XX V ilL ) A rro ti


della

S ir ia

d il l a

P a l e s t in a .

Scopa generale di Tolemeo conquista la Giudea ~ Vinto Scopa , Antioco s impossessa della Palestina - Gerosolima ( XXXIX ) - Fde degli abitanti di Gasa terso TiAetnto
<$x
m

ANNOTAZIONI
A FRAMMENTI DEL LIQRO DECIMOSE8TO.

P o c m mesi dopo fatta la pace coCartaginesi, gli Ateniesi issediaii da Filippo chiesero aiuto da Romani. Questi mandarmi in Macedonia un esercito capitanato dal console P. Sulpicio, il qaal ebbe con Filippo diversi scontri felici. Di cotesti avveni menti, narrati per esteso da Livio nel lib. xxxi dal cap. 5 sino al 4 , pochi cenni (cap. 2 7 , 3 8 ) riscontransi ne frammenti del presente libio che ci sono rimasi. Li riferisce lo storico ro mano (cap. 5) all anno 55o di Roma; dond manifesto chegti segu il calcolo varroniano, giusta il quale fu fabbricata Roma il terzo anno dli olimpiade sesta,, eio quattr anni avanti l era stabilita da Polibio* che edificata volle qnella citt, conforme ab biamo da Dionigi d Alicarnasso , 1 * anno secondo dell olimpiade settima. V. la nota a5g al lib. 111 del nostro volgarizzamento. (t) II re Filippo. L inimicizia d Attalo verso Filippa traeva origine dalle sue gare eoo Prusia re di Bitinia, vicino di lui e cognato ed alleato del Macedone. Erasi e g li, a sua difesa , coli legato cogli Etoli e co Rom ani, nemici di Filippo, e, venuto in Europa felicemente guerreggiava, quando gli giunse la nuova che Prusia entrato era ostilmente nel suo regno. Il perch tosto ritorn in Asia , dove Filippo (cui i Romani, lutti intenti alla guerra co Cartaginesi davano tregua) non tard di raggiugnerlo. ( V. L iv ., lib. xxv 111 e xxix ). Osserva bene lo Schvreigh. che questa inva-

a8o

sione del regno di. Pergamo fu anteriore alla battaglia navale di Chio , giacch mentre quella pugna faceasi, Filippo venne dalla parte della costa ionica eh volta a settentrione , ed inoltratosi verso mezzogiorno and a Samo (cap. a ) , e , poscia pi verso mezzodi ancora nella Caria , e consum qualche tempo nell op pugnazione di Prinasso , di lasso e delle citt della C aria, con forme scorgesi dalla serie degli estratti antichi di questo stesso libro (cap. n e seg.) (a) Sevizia. Questa voce , quantunque di latinismo la noti il vocabolario , sembrami pi clie non crudelt , e nullum non crudclitats specimen de traduttori latini corrisponder all</, in che il, Gronovio giudiziosamente cangi l insignificante iti/* che retava il T/sAesio-Saevitia, secondo Seneca ^de Clem., c. a 5) exqfdit Jines, primum solitos, deinde humanos, e di'ci si ren dette appuqto colpevole filip po in quell* octpsioue , per modo cbe Polibio, alle distrazioni straordin^ie da lai operate molto acwncamente applic una espressione che propriameute significa offesa periata con forile,, lacerazioni e distruzioni di -cowpi di cose. Nel lib. i, cap. 38, sta la stessa frase che qoi abbiamo, miriti Mtxfor mcittJt/ZtHj nel feato <ti dare ogni sorla di

'~ r %

tormenti. ( 3) Seggi.. Nel lesto leggasi fSn, che k> Scbweigb. tradusse smulacrum , appoggiato .all autorit- di -Suida , il quale, definisce ' t.S tflt iyaK/tm, ami H v c t * l i firmi, la statua ed il luogo mel-tjual rizzata. Io ho amata meglio di conservar
questo vocabolo la significazione .propria che non si limita sol tanto al simulacro , ma comprende questa xon lutto il recinta che la -chiudeva-, e che sar stato cine uila celietta cappella. (4) Il Niceforio. k Fu questo u sacro bosco 'presso Pergamo, piantato-da Eumene, secondochfe riferisce Strabone ( n , p . 6 a 4). Filippo tagliollo, cpnfome nanra Polibio qui nel principio del 1%. x v i i . Rammenta l sua distraibile .'eziandio Livio , x x j u i , 34 . Valesio. .... (5) I sacrami. Questi erano rinchiusi nel Niceforio < proba-

28 I b il mente a diverse divinit consecrati. 11 perch io ho -ricevuto 1 ibidem (col) della versione latina. (6) Tiatira. A detta di Strabone ( u n , pag. 6 a5 ) era questa citt situata a mezzod di Pergamo per alla volta df Sardi, e fu gi colonia de Macedoni. (7) Il campo di Tebe. Da Stefano raccogliesi'chera questa Te be presso Troia, nella Cilicia Ipoplacia, che rammenta Omero (Iliad. 1 , v. 366) , ed a tempi di Strabone (x u t, pag. 611) oc cupata era dagli Adramiteni, A tarnei, e Pitanei sino alla foce del Caico , lo stesso fiume ch passava dinanzi Pergamo. Chia ma vasi cotesta citt , secondo lo stesso geografo (pag. 588), Tebe e campo di Tebe ; ma qui io non dubito che della sola campa gna si tratti, fertilissima a detta di Livio (xxxvn, 19), e che gi per cagione della sua eccellenza disputaronsi, per quanto assicura Strabone (pag. 612), dapprima i Libii ed i Misii, poscia i Greci che vennero col da Lesbo e dall Eolide. N fa ostacolo all as serzione di Livio, siccome crede il Valesio, ci che dice l anzi detto geografo (pag. 6 1 3 ) , aver quel campo dopo i tempi d O mero ottenuto il nome di Tebe ; dappoich la citt , conforme apparisce daversi di questo poeta da lui citati, anche prima cos appellavasi, e lasci probabilmente la sua denominazione, ezian dio dopo esser distrutta , alla campagna che la circondava. (8) Geracoma. Villaggio sacro. Male fu essa da Stefano, che cita questo luogo del Nostro , collocata nella Caria eh paese pi meridionale. Dopo Plinio, il quale (v, 3o) Geracomete chia ma i suoi abitanti, fu il suo some mutato in Gerocesarea (Hierocaesarea), e cos trovasi in Tolemeo <v, a), che la pone nella Lidia. (g) Zeusi rispose. Queste ultime parole ho io aggiunte da Snida alla voce e parmi che nessuno negher esser quelle, dove le p o si, ben collocate. Era pertanto cotesto Zeusi salrapa della Lidia per Antioco , col quale erasi collega! F ilip p o , conforme riferisce Polibio ( x x i, i 3 ). Di lui ia ancor menzione Livio (xxxvn, 4 > e 45) e GioseiTo, xu, 3 . Valesio.

3&1
(io) Filippo ec. Non Ito trovato questo frammento in nessuno de tre codici polibiani che serbansi nella Marciana ; sibbene ho sospetto che lo cavasse il Ba'if (V. il nostro discorso sulle dizioni e traduzioni di Polibio, tom. i, pag. ao) da un altro codice, il quale giusta mons. Tommasini (Bibliot. venet. manuscripL pubL et priv., Utini i 65o) esisteva nella libreria G rimani Calergi, n a che ora invano si cercherebbe, perciocch tutta, quella raccolta rimase preda delle fiamme. Lottenne egli, a sua confessione (De re navali, pag. 48 , edit Basii.) da Vettore Fausto , sommo let terato veneziano e grecista di que' tempi. (i i) L assedio. Varie sono le congetture decownentatori circa il nome della citt che allora Filippo assediava. Che fosse nelle vicinanze di Pergamo non v ha dubbio, dappoich in que din torni aggravasi Filippo ; e doveva essa altres essere citt ma rittima, veggendosi che Filippo era di col partito colle sue navi per sottrarsi dalla flotta nemica. Oltracci conveniva che situata fosse a settentrione dello stretto di Cbio , d onde il Macedone veniva, e che ubbidisse ad Aitalo , o fosse almeno sua alleata. Tutte queste condizioni ritrovansi nelle citt di Cuma e Smirne nell Ionia , e di Focea nell Eolide, le quali, a detta di Polibio (v , 77), spontaneamente eransi date , parecchi anni addietro, al re di Pergamo ; lo che non noto d Elea , che tra altre citt venne ia mente allo Schweigh. Eritra egualmente, da lui recata in mezzo, era troppo addentro nel seno di Ghio. (12) Fosse ancora per insistere. Mi soq ingegnato appros simarmi alla forza ed alla concisione del testo, wptTxctpltpint 7 i 7 jKi7AAr w *fm tvn, che poco adeguatamente espressero i traduttori latini colle parole : In cuniculis agendis et operai

t t temporis plus adhuc esse impensurum. Plus adhuc esse duraturum non avrebbe rifiutato la propriet della lingua romana. (13) In Santo. Avea col Filippo delle navi che, siccome leg
giamo nella fine di questo capitolo , egli non fu in tempo d al lestire. Del resto sappiamo dal Nostro (in, a) che Filippo, raetitrechfe Tolemeo ra pupillo, erasi impossessato di Samo, la quale

a83
ricuper la ma libert per open de Rodii dopo la rotta di Fi* lippo alle Cinocefala Y. Liv. , xxxm , s o , Terso la fine. ( i 4) Il videro. A me p u re, siccome allo Schweigh., sembra ebe col Baif e col Casaub. abbiasi qui a leggere w u S th , a mal. grado del rvniAdiT (unirsi , venir a contatto) che hanno i ma noscritti e l Ervagio , e ch il Reiske infelicemente difende ; ri sultando' da cotal lezione un senso assurdo, quasich non prima di scontrarsi col nemico, Aitale e Teofilisco si fossero accinti ad assaltarlo. ( 5) Divisi. Non iscrolte le une dalle altre ed in disordine, sic come apparir potrebbe dal Al>p/tir che qui us Polibio, e siccome la intese realmente il Casaub. che tradusse : Slulo itaviam ordine; giustamente riflettendo lo Schweigh., come Attalo dapprincipio era Solo uscito cntro l armata nemica, perciocch non rdev che Filippo salpato fosse con tutl le navi, sibbene chegli avesse ritenuta parte delle medsime nel porto della citt che assediava. V. il cap. 4 di questo libro. (6) La destra. Lo Schweigh. volle che a si sottinten desse a ife 7io p p u r ed il Meibomio innanzi a lui suggerito avea d aggiugner al testo uba di queste voci ; ma a me pare , che in ci che spetta a ut pai 4 (ala ) amendue andassero errati , giacch Filippo, che avea in animo di fuggire, taon erasi messo iu ordine di battaglia. (17) Con alcune barche. In tutti i manoscritti leggesi t7 7Si a i pt/3 t ( colle barche ) , non altrimenti che se nesstma di queste fosse rimasa nella battaglia ; quando nel cap. 4 veggiamo che i Macedoni avean collocate le barche tra le navi coperte. P er la qual cosa ho accettata la correzione del Meibmib, seguita dallo Schweigh. , mutando. 7* in 711S1, (18) Sotto le isolette ec. Eran queste, giusti* Strabone ( xiv , pag. 644) quattro , dirimpetto ad Eritra nello stretto di Chio, c ehiamavausi tppL (9) Tra maggiori e minori. Le minori esprimonsi . nel testa p er h'tftftt, le maggiori per w p/rlm ( pristes ). Sono le ultime

284
una sorta 'd navi longhe poco larghe, quindi inolio veloci. Secondo Nonio (cap. i 3) han esse questo nome, perch rassomi gliano ad una belva -marina che ha il corpo lungo e stretto, cio ad un cetaceo prossimo alla balena, con cui Plinio la unisce (St. N ., lib. i x , 4> (30) Triplici, fu tte. Nella nota 3ao al terzo libro ( cap. 101 ) abbiam veduto come n ftU kttt tZs, secondo l-Etimologo era un legno sottile da corso, che avea una.parte e mezza vaota di re* matori, affinch da quella si combattesse, ed in volgare la ren demmo per futta , siccome quella che la Crusca spiega .: tpetie di navlo da.remo da, corteggiare. Ora facile a comprendersi che Ifm fttlx n t esser dovea una nave da tre palchi, in cui la quarta parte soltanto di ciascun ordine era provveduta di remi ; cotal Bave era senza dubbio molto comoda per ricever u n g ran numero di combattenti. Apparteneva essa quindi alle triremi , e moko b e n e la definisce il Ssdmasro ( Obs. ad jus att. t ro m ., pag. 707 ) ifttXi IfnHfns. Laonde chiamarsi dovrebbe 1fmfnftiihiit. e. cosi scrive costantemente il Baif; se non che per evitare il mal suono si contratta ;ia 'IfinpilKitt. Esichio molto imperfettamente. (Jefinilla t u ii fcux-ftt anv x a lu tf /ta ltc . nave grande senza coperta, ed il Wesseliqgio : e lo Schweigh., cbe si attennero a questo Lessicografo,.non bene compresero che cosa fosse. (81). Sottomarino. Ho volate rendere con un vocabolo acconcio lvfaKi del testo, assai pi espressivo che non la circoscrizione <le traduttori latini : Infra eam partem quae ex agita exftabat (sotto quella parte he sporgeva fuori dell acqua). (a?) Sotto il remeggio del banco superiore. 11 testo tr ,7 S-paiflnt rxiXfttp certamente viziato non. si potendo reggere due sostantivi nello,stesso caso,col medesimo articolo. Syati3**. un rematore dellordine. superiore, e <rf.ihft.ts significa la caviglia alla quale legasi il rem o, affinch abbia un saldo .punto d appoggio nel vogare : vocabolo accollo da Latini .ohe dicono scolm ai, e dagl Italiani ancora che scarmo u fecero, ina che

a85
talvolta per trasporto della parte alf intiero si applica a tutto il remeggio , o banco , transtrum , ed anche alla nave stessa (Y . force liini Lexc. alla voce sealmus). Ora leggendo Spaiti m per 5-pa.t/7* risulterebbe dalle succitate parole greche questo senso : Sotto il banco de' rematori superiori, o per inversione siccome le abbiamo noi tradotte. Il Reske confessa di non comprendere questo luogo. H Meibomio, lasciando il testo intatto, molto s af fatica per ispiegarlo. Lo Scheder traduce : Sub versu thranitarum ( sotto il tratto de rematori superiori ), lo ebe non so come possa stare senz alterare la lezine Volgata a meno che non convertasi 5-pxiflit in aggettivo contro l uso della lingua.

(a 3) E vi rest attaccata. Un caso simile accadde alle navi achee affrontatesi colle illiriche della regina Teuta , secondoch narra il Nostro nel lib. n , cap. io. (a 4) Essendo la prora aitata. Non ripeter le varie conget ture de commentatori sul significalo della voce &t<flttps che qui leggesi. La pi probabile quella dello Schweigh., il quale, riflettendo eh" Gsichio spiega : t ftip x 7 '% '% > 7JV wp*p*s fiA ar xxlcc 7i i Ipitrn, il legno della prora che spunta in fu o ri lungo la carena , cio la parte della carena che sorge dal mare sotto la prora , concluse che iix r n p ts ia ii esser debba una nave , la cui parte anteriore ( o per forza d onda, o per arte de rematori ) era alzata e spuntava fuori dell acqua. Contro la sua opinione pertanto ho preso dal Meibomio il woXifcltts, della nemica, senza la qual aggiunta il discorso sarebbe anzi oscuro che n. (q5) Fer sotto la carena. Questi due colpi dovettero essere simultanei, per modo c h e , mentre il vascello d otto ordini er gendosi sulla prora percuoteva quello di Dionisodoro, questo ab bassando all opposito la propria urtava 1 altro sott acqua : cosa difficile a comprendersi; dappoich le direzioni contrarie damendue le navi nellassaltarsi dovea far si, che quella che abbassava la prora di leggeri causar potesse il colpo che le recava 1 altra nell alzare la medesima parte, non essendo viceversa tanto facile

286
che questa si sottrasse dallimpulso della prima. Ma chiaro dal testo che la nave di Dionisodoro fu colpita fuori dell acqua ; quindi non verisimile ehessa, nell atto di ricever il colpo, farisse sottacqua il vascello nemico, ed in tal supposizione il cor* rotto fi(%* non potr mutarsi col Reiske io iw/3f n in i*rippu%* collo Schweigh. Meglio leggerassi col Meibotnio tri 7 o col Gronovio iwo /3 sotto il ven tre. Io ho seguita la lezione del Meibomio che m sembrata la ineoo distante dal probabile. (a6) Le travi che portavano le navi. nupyi%itt le chiama il Nostro, ed erano secondo Polluce (i , g?) i sostegni e quasi le basi delle torricelle nelle navi coperte. (97) Nelle navi coperte. L eguaglianza di forze che nasceva dalla superiorit di numero, dall una parte delle barche, e dall altra de navigli coperti, fa supporre che amendue fossero a un di presso dello stesso calibro. Se non che i vascelli coperti aveano probabilmente 1 esterna superficie munita di lamine me talliche , affinch essendo pella loro piccolezza adoperati ad in vestire davvicino i legni maggiori, questi non potessero recar loro molta offesa. Non altrimenti chiamavansi collo stesso nome di i cavalieri parti, tutti coperti di ferro in un coi loro cavalli. V. Lips., de mil. rom. , lib. i n , pag. 85. (28) Conforme test dissi. Nel cap. a, V. col la nota i 5. (29) Rompevano loro i remi Fuggivano le navi di Filippo , e nell inseguirle quelle de Rodii, essendo pi veloci, scorrevano col rostro della prora pe fianchi delle prim e, e quindi tagliavan loro di netto le estremit inferiori de remi, (30) Un esito facile ec. Sintende a favore deRodii, cui rec varii impedimenti, siccome veggiam tosto , la disposizione che diedero i Macedoni alle loro navi. (3 1) Tutte erano insieme mescolate. Non aveano i Rodii avuta la previdenza di separare, conforme fatto avean i Macedoni, le varie specie delle loro n av i, affine di poter conseguire i van taggi proprii a ciascheduna di siffatte specie. Avrebbon ssi do

2 87
vuto opporre le navi coperte , di cui abbondavano , alle barche degli avversarli, onde coll armadura metallica , di che eran for nite, romper l impeto di quelle, e valersi poscia delle altre navi maggiori per assaltare le coperte. (3 a) In sulla prora. Cio abbassando la p ro ra, perch ferir potesse sott acqua le nave nemica. Non so perch al Baifio ed allo Schweigh. dispiacque 1 vpuptc demanoscritti, di cui per nulla migliore l t ftw p u f da loro sostituito. Forse suon loro ' male il w tttv ttt che meglio s adatta all aggettivo che prescel sero. Ma uno de molti sensi che ammette porre, col locare, onde 1 vpapu w ttutltt quanto . x. hS-ttti. Diod. Sic., xni , 10, narra, che i Siracnsani, per consiglio dAristone da Corinto , usarono lo stesso artificio contro gli Ateniesi. (33) Su cui veleggiava Nicostrato. Ho ricevuta la traduzione del Casaub. a preferenza di quella dello Schweigh. , il quale ad 1 d il senso di comandare, mancante in tutti i lessici; indotto forse a ci dall avere poco prima riscontrato mvapx'it, ip rit HwMi @ ttpiXintt, dovfe manifesto bens che Teofitisco era il comandante, perciocch la nave da lui montata era la ca pitana. Ma appunto perci significa p J* tzrkti semplicemente conforme 1 abbiam voltato, su cui era. Cosi dall aver qui lAutore distinto il nocchiero ( probabilment^ per cagione del singo iar accidente a lui in combattendo avvenuto ) da Nicostrato, si conosce ebe questi era il comandante, ma non perci lecito di torcer l anzidetto verbo ad un significato che la propriet della lingua non ammette. (34) L ala destra di Filippo. Veduto abbiamo di sopra (c. 1) come Filippo, navigar volendo per alla volta di Samo , avea mandata innanzi la parte destra della sua arm ata, tenendosi quanto pi potea vicino alla costa dell Asia ; dalla qual disposi zione nasceva che la sinistra , fatta avendo una giravolta , senza che la destra cangiato avesse di sito, approssimarsi dovev*a Chio, rimanendo la destra pi presso al continente. (35) Ed avvicinavasi. Aveva egli, per quanto sembra, in ani

a88

mo d assaltare Filippo stesso, appiattato con parte della su ar mata presso a quelle isolette, quando 1 accidente cbe qui narrasi il distolse da cotale divisamente. (36) Cos egli ec. Granderrore commise al certo Attalo, espo nendo s stesso al maggior pericolo per salvare una nave , n comprendesi come tanto laccecasse il suo fervore da non accor gersi ch e , inseguendo il vascello avversario, egli mettevasi in bala delle forze molto maggiori eh erano con Filippo. Quante volte la smania di conseguir un picciolo vantaggio non ci rapisce il frutto de disegni meglio calcolati ! (37) Della nave. Cio di quella in cui non trovavasi A ttalo, il quale verisimilmente, allorquando esponevansi sul coperto della nave regia gli oggetti preziosi qui ramm entati, pass nell altro vascello. Siffatta circostanza non so persuadermi che abbia omessa Polibio , e quasi sarei tentato a credere che manchino nel testo le parole: Ep J * *srAee a ficiriXiut (su cui nOta navigava il re), od altre simili. (38) Ed il manto di porpora. Essendo questo il principale distintivo della regia persona, pub esso benissimo, stare in singo lare e nell accusativo vtfipvf iftilitt, ove lo si ponga dap principio, conforme ho io fatto. Allora il wA&cs (quantit) non guasta nulla, riferendosi a due genitivi v tln fiv t e n i t i i che senza interruzione si seguono. (3g) Linseguire. Sintende la nave nella quale fuggiva Alialo. Sebbene, disceso che fu in terra, caddero amendue i vascelli in potere di Filippo. (4o) Conducendo. Ho esclusa 1 aggiunta in porto fatta dal Casaub., e ricevuta bens dallo Schweigh. nel testo, ma disap provata nelle noje. Ed infatti, oltrech x x lx y tn , che qui ha Polibio, conforme con esempi da questo tratti dimostra il secondo de mentovati interpetri, significa anche semplicemente menar prigione , qual porto avea Filippo in quelle spiagge nel. quale condur potesse la nave catturata ? . (40 Nel combattimento co Rbdii. Siccome i Rodii rimasero

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durante tutta la pugna diri*! da Attalo , osi ebbero i Macedoni a sostenere due cimenti , e questa fu forse la loro maggior scia gura. V. sopra il cap. 5 verso la fine. (4a) E prese furono ec. Nel testo soltanto *<t 7 7'o $*nX itif rxxQ tt, quasich il vascello regio fosse pur stato tra 1* navi sommerse. Ma fatto sta , siccome osserva lo Scbweigh. , eh esso fu preso da A ttalo, e che iosieme furono catturate le due quadriremi eh erano in sua compagnia. Quindi ho accolta nel mio volgarizzamento 1 aggiunta del Meibomio tolta dal cap. antecedente: rtXuntt S i S i i h lp ip tt. Dalla versione del Ca saubono , che lo Schweigh. ha copiata , apparirebbe che le due quadriremi sole fossero state cacciale iu fondo, restando indeciso in qual modo Attalo perdesse la nave regia. Altalus vero, scriv egli , desideravit , . . duas quadrireme! quae sunt submersae,

et regiam ipsam navem. (43) Ed una trireme. Il Casaub. ricevette la scrittura volgala Iptnpiif (triremi in plurale!, che di per s senza determinazione del numero non pu stare. Il Reiske propose di scrivere Ipiipiit
in singolare, lezione che reca il cod. Augustano , ovveramente Ifin fttt n (trirem i cinque), levando 1 f dalla parola A*. Ma quest ultimo ripiego assurdo, dappoich tre sole triremi erano nell armata colta quale pugnava Filippo. V. cap. a in fine. ( 44) Macedoni. La distinzione de Macedoni dalle ciurme fa conoscere che quelli erano soldati, queste marinai. Nellannoverar i morti dAttalo e deRodii non fu fatta questa differenza, e par quasi impossibile, eh essi cosi poca gente perdessero, periti es sendo (V. cap. 5 ) nella cinquereme dAutolico tutti i combattenti, e pressoch tutti in quella di Teofilisco ; a nulla dire degli altri vascelli eh entrarono nella pugna. 11 perch io credo che non poche alterazioni sofferte -abbia il testo in questo capitolo per negligenza de copisti, anzi pi probabilmente per arbitrio del1 inetto compilatore. (45) Egitti da settecento. Ha ragion* lo Schweigh. che quatti
p o lib io

lo m .

r.

19

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appartener doveano alla flotta dAttalo, dappoich. nelle navi che a lui prese Filippo vi sar stata della gente, quandanche molti di loro scesi fossero in terra con Attalo. Come poi questi si pro cacciasse soldati dall Egitto non facile a sapersi. Forse , come gi sospett lo Schweigh. , la scrittura non sana. (46) I l promontorio Argenno. Forma questo la punta meri dionale della costa asiatica eh rimpetto a Chio, conforme ap parisce da Tolemeo (v , a ) , il quale la pone tra Clazotnene ed Eritra. Secondo Strabone ( xiv , pag. 644 ) desso il punto che maggiormente s avvicina all isola anzidetta. Oggid chiamasi il

Capo bianco. ' (47) A l cospetto della strage. E tri IS t ra.va.yiKt scrisse Po
libio, che fu reuduto in latino con qualche oscurit ( stationem occupasset quae naufragiis immineret). Volle propriamente signi ficare il Nostro che Filippo dopo la battaglia, ben lungi dall es sere costretto a fuggire e ad abbandonar il luogo della pugna , erasi collocato in un sito d onde avea sotto - gli occhi tutto lo spettacolo de vascelli rotti ed affondati. La qual idea io ini sono ingegnalo d esprimere il pi chiaramente che mi fu possibile. Ci che segue immediatamente giustifica , se non m inganno, la mia traduzione. (48) N per terra. Lo Schweigh. aggiunse queste parole al testo , che il Casaub. sospettato avea che mancassero, esprimen dole nella versione e mettendo nel greco un segno di lacuna. (49) Erasi scemata. Disputano i commentatori qual sia qui la vera lezione. I manoscritti e lErvagio hanno v * ( flt 71o che non. pu stare in senso di diminuirsi , rilasciarsi , nel quale non comprendo come il Casaub. 1 abbia ritenuto. Resta che ci deci diamo fra w n fiffu lt, ablatum est (fu tolto), proposto dal G roaovio e dal Reiske, e wttftTt da w *phfu, rila sciarsi , fiaccarsi, che preferirebbe lo Schweigh. A ine sembra pi acconcio lultimo di questi verbi per esprimere il grande av vilimento in che cadde Filippo peHa rotta ch ebbe toccata. (5a) Lo stretto tutto. Tlifts, come abbiala gi altrove avver

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tilo ( V. U noi* 136 al libro. 1 ), tragitto di mare , stretto , frelum , e non tractus maris , conforme il tradusse il Casaub. (5 i) Alle fo rte . Copiis avrebbe meglio rendulo il valore di Jvtipttn che non 1 exercitui de traduttori Ialini , il quale per ignificar forte di mare richiede 1 aggiunta di navali. La pro priet dell idioma greco uniformasi qui al geoio della nostra lingua. (Si) Pel suo divisamento. Cio pel consiglio da lui preso , e pella sua risolutezza in attaccare Filippo ; cb tal la forza della voce wp*(firtt che s spessQ riscontrasi nel Nostro, e che non so quanto bene siasi latteamente convertila in genus institulorum et consiliorum (genere di massime e di consigli); trattandosi qui non del tenore di, sua vita , ma sibbene del coraggio eh egli spieg in quella grande impresi. (53) Non che a fa r apparecchi ec. Ha dello strano il modo con cui Polibio qui si esprime , dicendo egli letteralmente : A non indugiare ad apparecchiarsi alla guerra , non altrimenti che se Teofilisco costretto avesse Aitalo a non perdere tutto il tempo negli apparecchi di guerra , ma a combatter ancora. Cos infatti l intesero il Casaub. e lo Schweigh., non gii il Reiske, il quale propose di leggere: M juiAAti, iv * f e K i v * g i r $ < n 7 w fit 7 v ix tfto , w X tp iin , non indugiare, non ap parecchiar le cose necessarie alla guerra, e guerreggiare, vo lendo dire che Teofilisco obblig Aitalo eziandio a fare gli ap parecchi di guerra. Che se consideriamo che gli apparecchi per parte d Attalo erano belli e fatti, e che 1 indugio non poteva esser relativo se non se all attaccare il nemico, meno probabile si render il primo senso da noi riportato , e converr credere c h e , o il Nostro abbia imperfettamente esposto il suo pensiero, o che gl interpetri 1 abbiano male compreso. 11 perch io ho volgarizzato questo passo in' guisa , che amendue i censi qui ri feriti (e ne possano cavare. (54) Tempi fortunosi. K aifiie, tempi, semplicemente ha il testo , che 1 Ernesti spieg : Necessit, incomodi della patria

292 d'onde risulta qui il senso d opportunit di giovar alla patria. Secondo lo Schweigh. equivalgoo ' cotesti tempi a cimenti im presi pella patria. Ma non pi ragionevole il credere che k<f) sia in questo luogo per sciagure, tempi infelici? nel qual si gnificato trovasi , secondo l osservazione di Suida , siffatta voce parecchie volte nfella Scrittura (Psalm. , i r , i o ; xxxt, 16; l x x x , i 5). L frase volgare da me scelta corrisponde a questo senso. (55) V impossibile. Male s avvisa lo Schweigh. nlle note di porre il coma (punto e virgola) d o po,il verbo ipii7* i,vper modo che nel volgarizzamento l avremmo dovuto collocare dopo il nome qui citato, e continuare cos : Ma vincendo pella gran dezza delle appariscenti speranze ec. Imperciocch la grandezza appunto di cotali speranze cagion che da lungi sia tal fiata desiderato l impossibile, e l avvicinarsi ad esso, dileguando l il lusione , nuoce al suo conseguimento. Del resto dire non saprei a proposito di qual avvenimento abbia Polibio enunciata questa sentenza, n trovo cbe i commentatori esponessero su ci alcuna congettura. (56) Piccola citt. Lo Schweigh. suppone che questa fosse Candasa , annoverata da Stefano tra i castelli della Caria ( V. cap. 4 1 ) Ma siccome il Nostro seguita a dire che Filippo , non potendola avere , mosse di l guastando le castella ; cosi non k probabile eh egli distinto abbia il luogo forte inutilmente oppu gnato col nome di wc*ir/i (piccola citt). (5y) Prinasso. Ella cosa singolare , che dal Nostro in fuori nessuno storico e geografo dell antichit rammenti questa citt della Caria. Plinio stesso , che non omette le citt a suoi tempi distrutte, e nella stessa* Caria ( v, 29 ) fa menzione di Meandropoli , che allorquando egli scrivea pi non era , Plinio, dissi, la sorpassa. Stefano l ha tratta da Polibio. Forse fu dessa peli im perizia di qualche amanuense scambiata per M ilassa , ricordata da Plinio , che 1 appella Mjrlasa , e da Tolemeo, citt secondo Strabone ( xiv , pag. 658 ) delle principali della Caria, piena di bellissimi templi portici, e fabbricata, conforme poco appresso

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dice il Nostro ancora , io un terreno sassoso. Polieno che ( v , 17 , 1 ) riferisce lo stratagemma di Filippo qui da Polibio nar rato, appella questa citt Parnasso ; la qual lezione, che non si trova presso nessuno, rifiutata dal Casaub., che amerebbe di sostituirvi Kpvinrtc. Criasso; ma questa pure nou nominata che da Stefano tra le citt della Caria , e per conseguente so spetta. (58) Graticci. Servivano questi ( vineas dalla loro similitudine colle pergolate delle viti chiainavanli i Romani) per costruire le gallerie , sotto le quali lavoravan al coperto i minatori 1 ma soli a tal uopo non bastavano , dappoich siccome scorgesi da Vegezio ( i r , i 5 ) , affinch le sostanze projettili non potessero of fenderli , n il fuoco loro si appiccasse , coprivasi il tetto delle gallerie di tavole e terriccio , ed i fianchi munivansi di cuoio fresco o di schiavine, e ci era 1 altra materia c h e , a detta del Nostro , preparavasi per eseguire 1 assedio colle mine (Y. Lips., Poli ore., lib. 1, dial. 7). Quindi non esatta la versione latina : Et reliqtto urbium obsidendarum apparato ( e col rimanente apparecchio per assediare le citt ), comprendendo essa mollo pi di quello che accennasi nel testo. Per ci che riguarda al senso della voce yipp* che qui ha il testo , da sapersi come per sentenza d tsichio, secondo la lezione del Vulcanio al Glossario antico , con essa denotavansi tutti i ripari , o di vimini o di cuoio , w itila )7ai io-vita fi Sipptihi* m w irp titl , ed in Strabone ( v , pag. 197 ) leggesi che i Galli costruivano le loro case di tavole e di vimini , i* r*itS*i **) ytpjZti ma forse coprivan essi il legno di cuoio , del quale per avveulura abbon davano, e cos sarannosi meglio riparati dallumidit. Presso Se nofonte significa y'tppet costantemente lo scudo persiano, il quale probabile non che fosse un mero tessuto di vim ini, ma sib bene da credersi che per maggiormente guarentirlo da colpi delle armi nemiche coperto fosse , siccome lo era il rom ano, di dura pelle. Le quali cose considerando io non reputo inverisiinile

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die per yipptt lT un c l altra materia si comprenda, non meno presso il Nostro cbe presso gli altri autori. (59) Incominci l assedio. Con calzantissimi esempj tratti da Senofonte dimostra lo Schweigh. che male corressero 1 Orsini ed il Casaub. la lezione de manoscritti 0 delledizione Ervsgiana, convertendo tip%al ir*\itpx.Zi in !). wtXipxi. (60) Argomentando. Cio cosa si facesse , vale a dire , che le mine molto progredissero . Schweigh. Non credo pertanto che manchi qualche parola nel testo , conferme stima quel com mentatore , dappoich lo rl%*gtptittvr greco, noti meno che V argomentando lasciano di per s 'quasi elitticamente sottinten dere la spiegazione di sopra recata. (61) Prinassei. Siccome alla nota proposi di mutare Prinasso in Ufilasso, cosi amerei che qui s leggesse Milassei, MvX utnlf, tal essendo, secondo Stefano, il' gentilizio di quella citt, che facilmente sarassi scambiato pr'TJpirxrrtlf. (62) Puntellato. 'Z^cxipnirltti scrisse qui il Casaub., seguitando la lezione dell Amaseo. Lo Schweigh. , sebbene non disapprova questa scrittura , crede che leggersi possa I v i pinti* 1, ovvero \%vwipit<rl*t, d onde imperiti copisti fecero i%iinipnrl*i, can giando v v in iv . Io preferirei vzripitrlitt, come quel verbo d ie pi evidentemente degli altri esprime la collocazione de puntelli sotto il muro , le di cui fondamenta furono scavate , affine di sorreggerlo per qualche tempo. N parmi che t* i[iipnJui usato da Polibio nel lib. Viir, cap. 6, nel senso di sostenere con pun telli indurci debba a trasferire qui la stssa lezioue, conforme non dispiacerebbe allo Schweigh.; dappoich col puntellavasi la sam buca , non per tenerla ferma siccome nel caso presente, sibbene per alzarla verso il muro da oppugnarsi, lo che vivamente di pinge la proposizione | . Cbe se vi si aggiugnesse 1 lire, ver rebbe a deuotarsi violenza o velocit di moto , come ne' verbi ivvaXU*ii, sfuggire , f t>tr*\(rf*t*i, balzar s u ; significato che non conviene n al testo che abbiamo per mani, n allaltro che fu da noi citato.

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(63) latto. Con un l scrive Plinio, Tolemeo Con due. Sinu.t Jasiut , golfo lasio, trovasi in Plinio e Pomponio Mela. La po sizione de luoghi qui rammentati vedi nella carta geografica del1 Asia m inore, inserita nel tom. ni di questo volgarizzamento a pag. 66. (64) Chiamato golfo Iassio. Male aVvisossi al certo il Casaub. a scrivere ir a pie Jt 7tir w u f f l i i f wptr&'y pitiafiiim BttpyvXtnltxS, chiamalo da pressoch tutti Batgilietko, supponendo il testo intiero; giacchi ove escludasi l altra denominazione di lasio , o lassio , non poteva il Nostro proseguir dicendo, che il summentovato golfo traeva il nome dalle citt (lasso e Bargilia) fabbricate nellultimo suo seno. Egli quindi manifesto che qual che cosa tnanca nelloriginale; non pertanto queste parole (trpt*?cp(vcpiitm) fi\t wpi Tiri *1*mta (chiamato) da alcuni las sio , ma semplicemente 7S 'lanvim. (65) I Ino defigli di Jfeeo. Giustamente il Casaub. ripreso dallo Schweigh. per avere cangiato il 75 t i l t (defigli) deMSS. in 7o vio i (il figlio); perciocch non un figlio solo, siccome da tal lezione seguirebbe, ma ben dodici n ebbe Neleo, secondoch riferiscono Apollodoro , lib. i, cap. 8, 9, e lo Scoliaste d Apol lonio al lib. 1 , v. 156 , tra i quali pertanto non trovasi il laso che secondo il Reiske mancherebbe nel testo. Io leggo quindi collo Schweigh. 7Si iitt . Che Neleo , figlio di Nettuno e padre di Nstore, fabbricasse Mileto il narra Strabone ( xiv , pag. 635 ) ed Erodoto ( t x , 96 ) , che il fa figlio di Codro , ul timo re d Atene. (66) La grandetta della citt. Non gi la sua circonferenza , come quella che il Nostro nel lib. ix , cap. 91 , distingue dalla grandezza ; sibbene la- quadratura , o dir vogliamo 1 estensione in piano. (67) Diana Cindiade. Era Cindia , al dir di Strabone ( x rv , pag. 656 ) un picciol paese a tempi suoi gi distrutto , poco di stante da Bargilia , d' onde trasse il nome la Diatta della quale ragiona qui Polibio. Se non che, a dispetto demanoscrilti e del-

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lantico interpetre dellanzidetto geografo, che recano la succitata lezione , la scrittura volgala Mindiade , e Mindia. Alla quale allenendosi Tommaso Pinedo nel commentare la voce Bargilia di Stefano bizantino, sostenne che da Mindo, citt vicina a Bargilia, ebbe la Diana de Bargiliati siffatta denominazione. (68) Quella di Festa. I manoscritti tutti recano 'B riiftc , che ha la forma d un appellativo , siccome KvrSt onde il Reiske giudic che fosse il nome della Diana de Iassesi, e che corrispondesse a vestale o focolare. Io pertanto leugo col Casaubono che abbiasi a corregger il testo e scriver E7/*(, di Vesta , non trovandosi giammai presso gli antichi confusi gli attributi di queste D ee, le quali, sebbene amendue vergini, pre siedevano ad ufficj tra di loro disparatissimi. (69) Cose . . . puerili. H*iSixZf 1<< 7J* senza pi hanno i lib ri, la qual lezione non pu ritenersi che supponendo dopo il 7jfr una lacuna. Ed infatti la pose il Casaubono ed adotlolla Io Schweigh. , congetturando smarrito il sostantivo im-iif/uc, ine sperienza. Io pertanto aderisco allo Scaligero che lesse sempli cemente wtttfiM* th a t, esser cose puerili, e cancello l impor tuno 7r, che , quand anche si accettasse la proposta .aggiunta , superfluo riuscirebbe, indeterminato essendo qui larticolo <f va a

puerile inesperienza. (70) Tepompo. Questo storico fu gi descritto dal Nostro nel
lib. v ili, cap. t i , 19 , assurdo , mendace e svergognato nelle cose da lui narrate intorno a F ilip p o , padre d Alessandro Magno. (71 ) Nelle cose ec. Le sane massime di Polibio in questo par ticolare riscontrate abbiamo nel cap. 55 del sesto libro, dov egli mette a paragone la poca onest e religione de Greci appetto alla lealt e scrupolosa coscienza de Romani. Qui pure spicca singolarmente la sua veracit , e l odio eh egli portava implaca bile all impostura. Chi meno d un Teopompo ( V. la nota an tecedente ) asserir dovea un prodigio , quale nelle prestati carte lo leggiamo ?

I^l\ Si detesti Male fu qui daglinterpetr i latini renduto *&*Vi /o\9w per repudiando, censetur , quasich le cose dettate per
ignoranza, sebbene non crassa, non fossero da rifiutarsi. Ma fatto s ta , che &tle7r non semplicemente ricusare , non ricevere ; sibbene rigettare con disprezzo , con oltraggio ( Y. Esichio in S-e7t 7, Cos corre bene l opposizione : Chi spaccia

a? 7

un lieve errore ed una falsa opinione non esagerala merita perdona ; ma abbonito e con indegnazione respinto esser dee colui che pretende di dar credito a palmari assurdit. (73) Ne libri anteriori. Vedi gli avauzi del lib. xm , c. 6- 8.
Schweigh. (74) Essendo alleato degli Etoli. La Messenia e 1 Elide erano fuori della lega achei e tenevano cogli Etoli , conforme scrive L ivio, xxxvi, 3 i. Le cause pertanto che mossero i Mes semi a separarsi dalla congregazione degli Achei riferisce Pausa nia nelle Messeniache, v , 3 9 . Ma fra gli Etoli e quelli d Elide v avea parentado, siccome scrive lo stesso Pausania (Arcad., 49). Imperciocch O silo, uno de,discendenti d Etolo che fu autore della nazione etolica, aiutata avendo gli Eraelidi nelloccupazione del Peloponneso , ebbe da loro l Elide , secondoch narra Stra bone , v iu , pag. 354 e 357. Valesio. . (75) <y accinse a tradir la citt de Messenii. Ne primi tre anni della sua tirannia non fece Nabide nessuna impresa, secondoch narra il Nostro nel lib. xm , 6 ; ma impieg egli quel tempo in rassodare il suo potere ed in raccozzare i mezzi e le persone atte alle operazioni che meditava. Incominci egli le sue conquiste , conforme da questo luogo apparisce , col tradimento di Messene , il quale adunque cader dee nel terzo anno del suo reguo, cio nel 553 di R. dell era polibiana. L essere stato Lisippo e non Filopemene allora pretore degli Achei non d nes suna luce sull epoca di cotesto fatto, conforme stima il Valesio, ch lo pone nell aqno secondo o terzo dell olimp. i 44* a, ed il Dacier che preferisce l anno quarto dell olimp. 143.*, od il pri mo dell olimp. 144* * i dappoich non certo se Lisippo succe-

298 lesse immediatamente a Filopemene, siccome osserva ancora il Casaub. nella cronologia di Polibio. (76) Le anzidette battaglie navali. Quella diC hio e quella di Lade tra Filippo ed i Rodii. La descrizione dell ultima , che debb essere , stata posteriore all altra , tra le cose perdute del Nostro. (77) Zenone. Scrifse costui la storia deRodii, conforme attesta Diodoro Siculo ( v, 5 6 ). Anche Diogene Laerzio fa di lui men zione nella vita dello stoico Zenone ( v ii, 35 )j ma non credo, siccome parve al Valesio ed allo Schweigh. , che questo autore citi la sua storia , sibbene sembrami che un altra opera accenni dov egli descrisse in un sol libro i luoghi pi notevoli della sua patria, < 7v t t liu itr (sono parole di Diogene) y iy p tfia t !rtf/at >;*/<*; e cos la intese il Vossio (De hist. graec., lib. 1, c. 16) che tradusse questo luogo: Singularem lib rum d i hlstria locorum (sottintendi patriorum) non gi locali', secondochfc volta rono gli altri interpetri, che non, significa nulla. Alla qaal ver sione ciascheduno vede che non s adatterebbe 1 emendazione di in ttaom/* (atta dal Valesio, dando alla voce ch'egli introdusse il senso di distribuita per anni, che corrisponde piut tosto a lt tm tirttit. (78) AntiStene. Di questo storico pure da Vedersi Diogene Laerzio, v t , 19. A lui attribuisce il Vossio (Op. cit., lib. 1 1 1 ) il trattato delle successioni de filosofi rammentato dallo stesso Dio gene in varj luoghi ; ma pi presto mi persuaderei che cotat la voro uscito fosse della penna del peripatetic Antistene , citato da Flegone Tralliano nel' cap. m Mirabil. ; chfe del Cinico di questo nome non si conosce alcuna opera istorica. (79) E diedero opera alla patria. Considerando che irXi7im\9'*i significa presso gli autori non men governarsi (Xenoph. C yrop., 1, 1) che ubbidir alle leggi (Id. Agesil., verso la fine), e che-A7ivit-9-ilir), conforme osserva Enrico Stefano, presso Aristotile fe quanto 'amministrar il governo presso qualche po polo ; io he scelto'peli anzidetto verbo frase tale che conoscer

ftcrsse la parte attiva che i qui mentovati storici ebbero nel l'amministrazione del loro paese, senza ebe perci condotti aves sero gli affari in qualit di capi , lo che se fosse stato, in altro modo espresso 1 avrebbe Polibio. Laonde panni che troppo abbian detto i traduttori latini in voltando questo passo : Et rem-

publicam in patria sua admnistrnrunt.


(80) Lade. Picciola isola dell Ionia situata dinanzi o presso a Mileto (Erod. , v< , 7; Strab. , xiv , pag. 635) che anticamente , a detta di Plinio (v, 37), chiamavasi Late. Stefano bizantino erra grandemente attribuendola allEolide, dalla quale Mileto, che gia ceva a confini della Caria, era molto distante. Disputano i com mentatori , se la battaglia di Lade tra Filippo ed i Bodi anterior fosse o posteriore a quella di Cbio. Posteriore la sostiene lo Schweigh. , riflettendo che i Rodii provocato avean Filippo , quantunque inutilmente il giortio dopo la pugna di Chio (c. 8); onde credibile gli sembra che 1 abbian attaccato pochi d ap presso, quando navigava in Caria, oppure nel ' principio dellanno susseguente , recandosi egli dalla C aria, dove avea svernato , in Macedonia. 11 Valesio di parere contrario , appoggiandosi alla circostanza che Attalo dopo amendue le pugne, secondoch scorgesi da Livio (xxxi, 14) che le accenna , pass in Atene. Chec ch sia pertanto del tempo in cui avvenne quello scontro , male fu Livio citato dal Valesio , non essendo vero , siccome chiara mente nel prossimo capitolo afferma Polibio , che la battaglia di Lade avesse per Filippo un esito egualmente infelice che quella di Chio, nella quale relazione lo storico romano sarassi per avventura attenuto a quanto falbamente asserirono Zenone ed Antistene. N piiossi credere che cotal rotta toccassero i Rodii , mentrecb tenevan dietro a Filippo che se ne ritornava a casa , dappoich dallo stesso Livio ( 1 . c. ) veggiaino che vennero iti Egina senz averlo raggiunto. Che se riguardiamo, alla situazione de luoghi dove, giusta il Nostro, ripararono i Rodii dopo la loro scoufitta, i qualuoghi erano Mindo nella Caria e l isola di Coo da Mindo non lungi , con grande probabilit collocheremo l e poca di cotesta battaglia nell andata di Filippo in Caria, dove i

3oo
Rodii, poich tenta fratto lebbero sfidato, mancato non avranno d inseguirlo. Non adunque in sull iucominciar del 554 di R. , sibbene nel 553 ' da porsi questo avvenimento , nello stesso anno in cui Nabide trad Messene, conforme apparisce da quanto nel cap. >6 osserviamo che scrissero su ci gli storici qui dal Nostro ceosurati. (81) Nel maneggio e nella consumazione. Cos ho creduto dover volgarizzare le parole '< rvitXu'a, che latina mente con poca precisione, anzi non senza imbarazzo, panni che fossero, voltate : In singulls pugnae momenlis et rebus gestis. I fatti particolari donde risulta la somma di unazione hanno me stieri di destrezza nel trattamento e di perseveranza nell esecu zione , affinch riescano a buon termine , e ci volle qui espri mere Polibio. (82) Tutto misurando col lucro. Il Reiske sospett che qni scritto fosse 1S Xvr/1 s i t i T ix iS k t ftilptoiltc, mtsarando il vero col lucro > assurda supposizione , verit e lucro essendo cose tanto disparate che non possono vicendevolmente misurarsi. A me sembra che nulla manchi nel testo, il di cui senso : Siccome costoro , non avendo altra misura per ogni cosa che il guadagno tc. Quindi nulla dovrassi sottintendere al 7S Xvn'h x pttl ptutit se non se l v i ila (tutto). (83) Quindi ec. Merita qui d essere trascritta una nota del Reiske , al quale nella versione de verbi che reggon questo pe riodo mi sono attenuto. npali!pnt, badare, dice questo com mentatore , quanto aguzzare gli occhi per vedere se gli scrit tori di storie trattino i leggitori di buona fede, ovveramente macchinino qualche frode , e tendan ad essi insidie. Tlapafv-

X ilh tt, prendersi guardia, star attenti a s stessi, vegliar e provvedere , ebe non deroghino alla verit storica , n diano
luogo ad accusamenti . (84) A liato il trinchetto. Cio il minor albero della nave, secondoch Esichio e Polluce , t , 91 , interpetrano il vocabolo Siim i che qui riscontrasi. pertanto da sapersi che gli antichi

3oi
nell alto della pugna narale abbassavano per maggior comodo gli alberi ; onde qualora il vascello per qualche repentino caso darsi dovea alla fuga , n gli restava tempo di rizzare tutti gli alberi, alzava esso il minore soltanto, e spiegava la sua vela. V. L iv., zx x v i, 44 > 45 ; x x x v it, 3o. Nelle navi odierne 1 albero pi. piccolo piantato sul davanti, e chiamasi trinchetto, il qual nome ha ancora la vela quadra inferiore portata dallo stesso al bero. V. Strafico, vocabolario di marina. (85) Spinti da vento contrario. Questo il senso dell iw tjfir*wltts che ha qui Polibio, e che Suida citandolo spiega: M

Xft/p'uovs iv fi trttifta.lt, sprovveduti- di vento favorevole. Quindi male tradusse il Valesio, copiato dallo Schweigh. ( 1 ul
timo de quali perla'nto s avvide dell errore suo nelle note ) : l empestate ejeclos (gittati dalla burrasca). (86) Mindo. Mindia lcggesi nel testo , che io credo sbagliato , dappoich Mindo chiaman tutti gli autori questo porto. (87) Tragiltaron a Coo. I Rodii , sconfitti dal re Filippo, abbandonarono la stazione di> Lade , affrettandosi a ritornar a casa , e con questo intendimento navigavan essi verso mezzo giorno e ponente alla volta di Coo , d onde girando a levante avean un breve tragitto per giugnere a Rodo. Ma un vento da scilocco (sud-est) non avendo loro permesso dafferrare la prima di queste isole , presero porto a Mindo situato al nord-est di Coo , dove giunsero il d appresso con aura favorevole ( V . la carta dell Asia minore alla pag. 66 del tom. ni ). Da siffatte considerazioni movendo io rifiutai la lezione del Valesio seguita dal Gronovio, e quella del Reiske accolta dall Ernesti, e m at tenni allo Schweigh. , il quale , comech noi dica , certo sono che fondata avr la sua opinione nelle posizioni geografiche qui sopra enunciate. (88) Perciocch ec. <<e lit tipstfo essendo la scrittura vol gala , il Valesio ne fece urbem ingressis , quasich scritto fosse wxft 1i conforme osserva il Reiske , la di cui inter pretazione io ho seguita. Tuttavia non sembrami intiero il testo,

302
che lo Schweigh. confessa di non capire abbastanza, e fone potrebbesi supplirlo nel seguente mode: A< * 7J* ttpti T 7tiltp r ptn%a*Ztr-*i, lo che io ho espresso nel volgarizzamento. (8q) Si accorda. Queste parole ho aggiunto al testo per sug gerimento dello Schweigh. Ci non pertanto non le credo ne cessarie , potendosi comodamente sottintendere ytypapiptiiait, cio : scritte ( non colle asserzioni di Zenone ed Autistene , ma colle nostre ). (go) Intorno al tradimento ec. V. il cap. i 3 di questo libro. (91) Oplite. Se teniam dietro alletimologia di questo nome, eh i w ts , arma, potrebbe il Reiske aver ragione in asseren do , essere cotesto stato un campo presso 1 Eurota dove la gio vent spartana esercitavasi nelle armi. Ed aggiugne probabilit a questa supposizione il vpttraytptupttttr (cosi detto) che gli va unito , 6 con cui il Nostro non meno che col x a Jitifttitr di stingue comunemente i luoghi, la denominazione de quali hanno qualche significato. (93) Sellasia. Terra di Lacedemonia poco lungi da Sparta , sulla via che mena in Arcadia , e rammentata dal Nostro ne li bri 1 1 , 65 , e v , 69. I geografi non ne parlano , e Pausatiia ( n i , 10), atempi del quale non si vedevano che i suoi avanzi , narra di lei che gli Achei ridussero in ischiavit i suoi abitanti, poich ebbero vinti in battaglia i Lacedemoni ed il re Cleomene figlio di Leonida ( lo stesso del quale ragiona Polibio ne libri summentovati ). (93) Talama. Circa questo luogo vedasi la nota 309 al lib. v. Convien pertanto credere che due fossero le Talame laconiche; 1 una mediterranea ( &*Xapta, Thalama sing. ) rammentata da Tolemeo ( i n , 16) e da lui posta ne confini dell Arcadia; l altra marittima (&*Xptmi, Thalamae plur.) toccala da Pausania ( n i , 26 ). Qui trattasi della seconda , e perch in plorale la mette Polibio., iv i i*ctpixc, e perch prendendo da lei le mosse in ver Messene passar doveasi per Fertf, altra citt di quella costa qui subito nominata.

3o3
(gi) Fere, tonfai e 4>tp< (Pherae) trovasi questa citt scritta presso Strabone, Plinio e Tolemeo, ed Omero ancora ( 11. x , v. i 5 i ) 4>vf*s (Feras) la denomina. Pheras egualmente ba Li vio , xxxv, 3o. Il Nostro pertanto e Pausania ( Messeniac., 3 o ) e Stefano bizantino recano <bapn. Checch sia la vera lezione ,
io volli seguire le maggiori autorit , eziandio per distinguere questa citt della Mssenia dalla Fara achaica. (g 5) Pamiso. Due fiumi di questo nome vavea, secondo Stra bone, nella Messenia. Qui parla il Nostro senza dubbio di quello che, poco lungi dalla capitale di cotesta provincia, searicavasi nel mare , ed a cui si giugnea passando per Fera. (96) Le balze Scironie. Erano queste la continuazione , anzi 1 orientai estremit de monti O nci, che dividono la Megaride dalla Corinzia attraversando l istmo. Barbi du Bocage nell Atlante aviaggi del giovane Anacarsi cangia Geranea, citt situata secondo Plinio (v, 11) tra le rocce Scironie e Megara, in monti Geranii eh esser dovrebbero Onei. V. la nota' 173 al lib. 11, dove bassi a leggere rocce Scironie in luogo di rocce di Sicione. (97) Sulla via chiamala Contoporia. Era questa una strada scorciatoia che pe monti conduceva da Corinto a Cleone , e quindi per Micene ad Argo. Forse avea dessa questo nome dalla sua ristrettezza, come chi dicesse: Cammino angusto quanto una pertica. V. Ateneo, lib. 1 1 , pag. 4 3 ; Pausania, Corint., i 5. (98) Cotesti giri. Per dare aieggitori una idea distinta di que ste posizioni , noi gliele mettiamo dinanzi tolte dalle carte di Barbi du Bocage. (99) Prossime all occidnte estivo. Cio quasi al sud-ouest , od al sud-ouest verso sud. il sud-ouest quella plaga del cielo dove il sole tramonta nella state, siccome loriente estivo e loc cidente invernale che riscontriamo qui sotto sono, il primo nordest, punto dove il sole sorge la state, ed il secondo sud-est, dove lo stesso astro tramonta nell inverno. V. la carta rappresentante le regioni dell orbe terrestre secondo la mente di Polibio alla pag. 183 del voi. 11.

3o4
(100) Pelle summentovale strade ec. Alquanto oscuro qui iT testo , e variamente lo spiegarono i commentatori, lo mi sodo in gegnato di esprimere il seuso a cui mirava lautore, anzich re stare attaccato alla materialit della costruzione.' impossibile , volea dire Polibio , che dirgendosi da Sparla alla volta di

Sellasia si giunga per Talama a Messene, e passando da Co rinto alte batte Scironic si pervenga per Micene in Argo. Laonde 1 *- 7S i v fttiy u ft'u tt del testo ha forza di cfit 7Si wfny*ft'nmi liw u i, pe* surriferiti luoghi , cio Sellasia e le
balze Scironie , o pelle strade che Vi conducono. (101) Per modo che ec. Pub Polibio sembrare alcun poco ingiusto verso Zenone. Ebbe forse qualche porta di Messene il nome dalla citt di Tegea, avanti che fabbricata fosse Megalopoli, e cotesto nome le sar rimaso anche dopo. Che se Zenone scrisse espressameDte essere Tegea pi vicina a Messene che non a Me galopoli , err egli al certo . Schweigh. Da quanto qai ap presso riferisce il Nostro appare essere stata realmente in Mes sene una porta che trasse il nome da Tegea, e la falsa credenza di Zenone circa le distanze di Tegea e di Megalopoli da Messene deriv appunto da questo nome , quasich a Tegea lv T tyi* i innaozih a Megalopoli si andasse per siffatta porta. (i 02) L Alfeo. Intorno agli amori di questo fiume e della fonte Aretusa in Sicilia, ed al mescolamento delle loro acque at traverso del mare, da vedersi Pausania (Eliac., prior., cap. 7) ed Ovidio ( Melainorpb. , v . , v. 5 ? e seg. ). Da questo passo di Polibio veggiamo a che piccola cosa riducasi quella Unto de cantata favola, alla quale prest fede lo stesso Plinio (11, c. io 3), che pur avea sott occhi le storie del Nostro , asserendo che la roba gittata nell Alfeo ricompariva nell anzidetta fonte ; quando egli , ove attenuto si fosse alla verit storica, annoverarli) dovea tra i fium i, che vanno sotterra , e dopo alcun tratto col per corso ritornano alla luce, siccome fanno il Lieo in Asia, lErasino nell Argolide , il Timavo nell agro d Aquileia , da lui subito

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dopo 1 Alfeo rammentati. Suida estrasse dal Nostro tutto questo luogo. (103) Lieoa. Citt dell Arcadia appi del monte Menalio , secondoch riferisce Pausania ( v i l i , 36 ) , a tempi del quale non esistevano che le stie ruine. (104) Lasio. In questo fiume , a detta di Pausania (vm , 28), fu lavato Giove come prima usci dell utero m aterno, dalla qual credenza trasse il nome. (105) Pieno. Il testo ha fipve, grave , senza dubbio pella massa e pienezza delle acque; n vha d uopo, siccome vorrebbe il Reiske di cangiarlo in fi*Bvt, profondo. (106) Guazzante. Gli editori di questo frammento pongono qui un segno di lacuna; non gi perch il participio t (essendo) indichi troncamento di discorso , che anzi forine esso la conclu sione del gi incominciato, siccome manifesto dalla nostra ver sione , nella quale 1 abbiamo conservato ; ma perch nel codice e h ebbe per le inani il Valesio sono le parole : Zi n i ix ly * SttXtfw t, cerca; poche cose mancano. Lo ch e , conforme os serva il Reiske, sar relativo alle altre immersioni e ricomparse dell Alfeo riferite da Pausania (vili, 54) ed ignorate da Zenone. (107) Chi pertanto ec. L erro re , ove sia involontario, quali furono gli sbagli di Zenone nelle cose geografiche , od auche volontario , purch da lodevole motivo proceda , siccome fu il caldo amor di patria che animava lo stesso storico, degno se condo il Nostro di compatimento; ma non la perdona egli a chi p e r mera ambizione orna soverchiamente le cose da s narrate , p e r quanto gli storici pi illustri siensi renduti colpevoli di cotesta mancanza , e per quanto essenzialmente rechi minor danno alla verit chi nel narrare politici avvenimenti ricorre a prestigi d una fiorita eloquenza, che non colui il quale spaccia- per realt i proprii erro ri, e le visioni di una fantasia riscaldata da forti fletti. (108) Chi nelle civili faccende s aggira. ITAi7mec irnp eh POLIBIO , tom . r . so

3o6
qui leggesi non. il rertun civilium gnarus de traduttori ialini, sibbene 1 uomo ebe ha parte ne pubblici affari e nell ammini strazione dello stato, quale vedemmo di sopra nel cap. i 4 , che fu lo storico Zenone. (log) V assedio di Gaza. Narra Giuseppe Flavio ( Antiq. lu daic., xii , 3 ) che Scopa capitano di Tolemeo Epifane erasi impossessato della Celesiria e della Giudea , tolte da Antioco Magno a Tolemeo Filopatore padre dell anzidetto; ma nulla egli dice dell assedio di G aza, neppure citando quanto su questi av venimenti scrisse il Nostro nel presente lib ro , e che leggerassi nel cap. 39 ; forse perch Gaza era citt della Celesiria. Ram menta lo stesso storico bens ( 1 . c. ) la battaglia tra Antioco e Scopa alla sorgente del Giordano , ebe secondo lui pure ( Op. cit., 111, 18 ) era il monte Panio , di - cui il Valesio fece una citt , avendo forse in mente Patita citt della Fenicia, che non dovea essere molto lungi dal Panio (V. Lue. Holsten. not. et Castig. in Steph. Bizant., pag. 340 ). (110) I l fiume. Era questo senza dubbio il Giordano che, sic come vedemmo nelle note antecedenti, poco discoste di l avea le sorgenti, Nel volgarizzare questo passo non ho seguita la le zione del Valesio e dello Schweigh., dalla quale risulterebbe che Antioco schierato avesse il suo esercito fra due campi. Quali campi erano cotesti ? 1 nemici al certo non ne avean che uno , conforme scorgesi da quanto precede & questa narrazione. Sib bene ragionevol il supporre che 1 esercito siro per attaccare legizio varcalo abbia il fiume che da questo lo separava. Il per ch io leggo col Reiske: Ter ir tla /ta T*i (sottintendi 7 ) ft i7|> . 7, A. (111) Tarantini. V. v , 7 7 , e col la nota 3 18. (112) Antipatro. Era costui figlio del. fratello dAntioco Ma* gno, secondoch attesta Polibio, v> 79 ; e Livio, xxxvu , 45

Valesio. (1 13) Cavalleria de compagni. Circa .questo corpo di milizia leggasi la nota <47 al libro quinto. Ve ne avea anche a p ied i ,

307
e chiamavansi wigtl*tpn ( fanti compagni ) , conforme riferisce Arpocrazione a questo vocabolo. Al dire di Demostene (Olint, a) erano questi ultimi stali istituiti da Filippo padre d Alessandro Magno, il quale nelle fazioni di guerra pel loro grande valore li teneva intorno alla sua persona. Potrebbe pertanto darsi che co storo non differissero <V compagni cavallo, se sana la scrit tura w tg tltftt senza dittongo che riscontrasi in Polluce : nome , secondo Eustazio ( ad lliad. , A ) ed O ptano (Sposizione dell olintiaca seconda ) derivato dall avere cotesti soldati portato un piede calzato e 1 altro ignudo , v't* essendo la parte inferiore del piede. Il Valesio osserva eh eran essi diversi dall ala degli amici rammentata dal Nostro nel lib. x x x i, 3. (( 14) Co satelliti. ftiDt . , . IS t iva rw irS t ha il testo, che male fu latinamente voltato cum . . . corporis custodibus (colle guardie del corpo) ; dappoich iwarwttlne era propriamente colui che portava lo scudo e le altre armi del combattente, so prattutto se era di grave armadura; onde chiama vasi ancora /fvQ tptt ( portalancia ). Vedi Esichio in vwarwiclis, ed Elian. v a r., Hist. , x i , 9 , nota 11 del Perizonio. ( i i 5) Da luoghi difficili, lo ho creduto di dover restituire la lezione del Valesio cui lo Schweigh. prefer iv%tptfxis, traducendo cos questo passo : Phalangem , agilitali cedentem incumbentium Aetolorum (che la falange, cedente all' agilit degli Etoli che la incalzavano). A nulla dire della stranezza di quell plurale , risulta dall introduzione di questo vocabolo la sentenza la pi stravolta che si possa immaginare. L a falange , avrebbe in tal supposizione scritto Polibio, superchiata dall agilit , ed oppressa dagli Etoli. Della qual cosa non pot non avvedersi lo Schweigh. ; ond egli am meglio di voltare con infedelt il testo da lui sostenuto , di quello che re standovi attaccato esprimere una ridicolezza. Che poi la falange d i Scopa avesse realmente contro di lei lo svantaggio della po sizione, il veggiamo nel cap. antecedente, dove leggesi chessa era

3o8
anelata alla falda del monte, c che il figlio maggiore d Antioco avea preoccupati i sili montuosi che sovrastavano a nemici. (116) Due Antiochi. Aveva Antioco Magno che fece questa guerra due figli. Seleuco era il maggiore, e regn dopo il padre col cognome di Filopatore ; il mhiore succedette a questo , e fu fregiato del distintivo dEpifane (l illustre). Zenone adunque non ; accrebbe il numero de figli d Antioco M. , ma sbagli il nome d uno di loro , ed altro errore commise scrivendo che amndue combattevano col padre, mentre che questi lasciava Seleuco in' Antiochia al governo de suoi stati, allorquando egli andava in qualche spedizione. (117) Quando allora. Essendo nel testo 7*3 ^ x n X tie i'iite itine, iref It Iclt rvrlfM.ltHft.ttu, il Reiske, applaudito dallo Schweigh., propose di leggere 7. fi. v. 'etite, 1. 7. 7. r, sosti tuendo ad una ragionevole costruzione unaltra di pessimo conio. (118) Ci essendo egregia cosa. K x\'tt ytp reca il testo, ch quanto : perciocch tal cosa buona, commendevole, e conviensi a chi prende a scrivere la storia. Non h possibile di rendere sif fatto senso in italiano perfettamente colla concisione del greco.' (119) Le alte scritture. Siccome i poem i, le orazioni, le discussioni sopr argomenti filosofici; i quali tutti niettonsi a con fronto colla storia . Reiske. (120) Giudicando ec. Bella lezione d qui Polibio agli scrittori non solo di storia , ma di qualsivoglia altro argomento , i quali pi sembran occuparsi io esporre alla derisione ed al disprezzo de leggitori, i falli in che altri sono incappati, di quello che faccian ammirare i proprii meriti. Ragionevole sovrattutto il mo tivo pel quale hassi a disapprovare siffatta condotta riducendo egli alla comune utilit lo scopo d ogni scrittura che rendesi di pubblico diritto. (121) Oltre ogni credere dolente. 1 commentatori hanno senz alcun bisogno tentato .questo passo , e pare che compresa non abbiano tutta la forza della frase ite i n ftxXtrla, che suona % quanto maggiormente pot , quantum licuit maxime. Il Valesio

3o 9 convrtll in c tfi'i ftaXirla <p!tiai, siccome a me sembra, massimamente , od amerebbe che si leggesse XvwnSitai i s tj
ftik irl* Q attilai, sembra essere slato quanto f a possibile do lente. N puossi approvare la sentenza del Reiske , il quale la sciar vorrebbe Asiw5 ?h vveramenle p a /ttla ii che n 1 uno
n 1 altro qui conviene. (la i) Tlepolemo. Di costui fece gi menzione il Nostro nel lib. x v , cap. a 5 e seg. Un grande squarcio di questo estratto stato inserito da Suida nel suo dizionario alla voce Tlepolemo. (ia 5) Avviluppati. Questo, se non erro , nel presente luogo il senso deUaggettivo che propriamente applicasi alla diversit de colori, ma che figaratamente dicesi eziandio della moltiplicit e variet delle parti che compongono un oggetto , e richieggono singolare abilit in chi prende a dilucidarlo od isvilupparlo; la quale abilit fu per questa ragione chiamata irtixiXla. (ia 4) Svegliatezza. Il greco ha ritpif. eh quanto sobriet, o dir vogliamo lo stato della mente libera dagl influssi della ri pienezza , la quale era abituale in Tlepolemo, dato, siccome ve dremo tosto, alle gozzoviglie. La vigilantia. de traduttori laliui non esprime siffatta idea ; pi credo che vi si avvicini la voce italiana svegliatezza , eh 1 effetto immediato della volont. (iq 5) Non solo trasse in pericolo. Con ragione disapprova lo Schweigh. la versione del Valesio ; che rendette VpiiAs per concidit (cadette, rovin), lo che non verifcossi di' Tlepolemo , conforme osservasi nel cap. seguente; a nulla dire che porsi doirpiiM in senso neutro. Io ho quindi vea teQxXis od avTet adottato la spiegazione da lui proposta nelle note, siccome quella che qui s addice alla veiit storica ed all aggiustatezza gramma ticale. (126) Crebbe. opportuna la correzione che qui fece lo Schweigh., convertendo {> attivo in passivo. Non occorre dire che crebbe sta nel mio volgarizzamento per s ac crebbe. (137) Da s aggrandendosi. Qui pure lo Schwcigh. s appose

3io
iv i tv ia /S ttit non gi, da lui (Tlepolemo) prese (il male) incremento , conforme parve ai Valesio che cos volt questo passo : Jpsomet Sovente et au ge te. Ed infatti , dato che fu da Tlepolemo il primo' impulso
al v ero ; giacch |

al disordine, colla dilapidazione del tesoro a benefizio di persone indegne, seguire doveano gli altri maggiori mali anche senza es sere da lui fomentati. Oltrech tx t/m avrebbe meglio espressa la mente di Polibio , se il Valesio l avesse colpita. (178) E gli evviva. Disputano i commentatori qual parola ab bia qui scritta il Nostro. Certo che Yiw ikiwtit del codice eh ebbe dinanzi il Valesio non conviene a questo luogo; oh so per suadermi , conforme piacque a costui , che si possano con ci indicare gli scioglimemi delle quislioai proposte e disputate nei conviti circa il nome e la persona di Tlepolemo ; che pi am piamente si sarebbe lAutore spiegato intorno a questo particolare Meglio vi si confarebbe 1 tiroiAn'irtir (acclamazioni) sospettato dallo Schweigh., corrispondente 'nostri brindisi ed evviva. Non hassi pertanto a rigettare 1 libazioni, che realmente eran uso solenne presso gli antichi ne conviti, onde onorare i personaggi che aveansi in altissima stima , e per questa lezione sono i suffragi di tutti glinterpetri. Se non che per essere meglio compreso anche da leggitori meno eruditi, senza escludere il senso di venerazione e d applauso racchiuso nel vocabolo greco, io ho preferita 1 esclamazione che in simili occasioni pi adoperata a nostri tempi. (129) A mal in cuore. Pessimamente difendono il Reiske e 1 Ernesti la lezione vwtQtp> recata dal cod. Peiresciano , inlerpetrando queste parole : Parimi ferebant. Della qual cosa s avvide gi il Valesio, che tradusse: jEgre ferebant, seb bene non os d alterar il testo. Con pi felice ardimento scris sero il Gronovi e lo Schweigh. /3ap'tf, voce che unita a <pif 11 forma frase d ottimo conio. V. Xenoph. Cyrop. , lib. 11, cap. n , 5 ; locch non 1 * altra , /p*%'tvc (ptpitt, (130) Sosibio. Cio Sosibio il figlio, dappoich il padre e ra

n allora gii morto. V. x v , a 5 , il qnal luogo certamente una particella di quello che indici la morte del vecchio Sosibio . Reiske. Circa il giovine da confrontarsi il cap. 3a dello stesso libro. ( i 3 i) Tolemeo figlio di Sosibio. Quindi , secondoch bene giudica lo Schweigh., fratello del Sosibio eh era allora ministro del re. Se costui soggiornato abbia in Macedonia per trattarvi un qualche affare di stato, non si conosce ; ma da supporsi che fosse coli per suo diporto, scappatello com egli era, e gio vine di poca levatura. La guerra pertanto che in questo medesi mo anno Filippo ed Antioco fecero al pupillo che regnava in Egitto il costrinse a ritornarsene a casa. ( 3a) Nella differenza. Zi 7ii StaQ tp ha il testo che poco propriamente tradotto fu in proprietale : senso che non trovasi negli autori apposto a questa voce, lo ho un tratto creduto che, siccome SiaQ'tpiir Itti 7><r significa superar alcuno, essere pi eccellente di lu in alcuna cosa , cosi potrebbe Jiaiptp avere in certi casi il valore d eccellenza, squisitezza , e qui de notare la magnificenza degli abbigliamenti macedonici, che tanto era andata a sangue a quel pazzerello. Ma pensai poscia che , a malgrado della convenienza del senso , troppa licenza sarebbe stata l introdurre una interpretazione contraria all uso della lin gua , e m immaginai che volesse qui il Nostro significare sem^ plicemente la diversit delle fogge di vestire de Macedoni da quelle degli Alessandrini, in che il fratello di Sosibio consister facea tutto il loro pregio ; non altrimenti che a d nostri ancora veggonsi tanti giovinastri spensierati avere in gran conto gli usi e le mode straniere , soltanto perch differiscono da quelle det proprio paese. ( 33) La materia della discordia. T Ine i m p t fi e , le cose della discordia , cio a dire la massa degli oggetti, d onde la discordia nasceva ; lo che ha maggior estensione della schietta dissensio de traduttori latini. Altri esempli di questo modo di dire assai significante riscontransi presso il Nostro : Te 7Ut Ti-

3ii
i i , <9 ; 7* 't* fi. iti 5, dove leggasi la nostra nota 48} 7 7S vtX tft* , VII , 5 . ( 134) Dopo l'aringo. Da questo frammento scorgesi che Tle polemo usc vittorioso dalle sue gare con Sosibio; n dee ci' re car maraviglia, dappoich egli disponeva della forza armata, colla quale non a dubitarsi che avr imposto al popolo 'regimato per ascoltare la sua diceria. ( 35) Publio Scipione ec. Secondo Livio (xxxi, i) qualtrocent' ottantasei anni passarono dalla fabbricazione di Roma sino al1 incominciamento della prima guerra punica , e da questo sino alla fine della seconda guerra punica trascorsero sessantatr anni; quindi dovette il trionfo di Scipione essere seguito verso la fine dell auno di Roma 54g , ovveramente nel principi del 55o, se collo Schweigh. adottiamo che nell apparecchio di cotal trionfo si foss consumato qualche spazio di tempo. Giusta il calcolo dello stesso Schweigh. sarebbesso avvenuto in sul finire del 553, od in sull incominciare, del 554 di R. ; ma noi vedemmo gi nell ingresso di questo libro, come Livio attenevasi nesuoi com puti cronologici all era varoniana, che mette l origine di Roma quattro anni avanti quella- che lo assegna Polibio. (136) V ingresso trionfale. Non hassi a dubitare che questa pompa trionfale di Scipione, la pi splendida e famosa tra quelle che vedute furono a Roma innanzi a quel tempo, non fosse stata da Polibio distesamente e copiosamente esposta. Alcune cose ne tocca Livio, xxx, 45; pi diffusamente ne tratt Appiano, Pimic., 66 . Schweigh. (137) Vieppi ancora. Non assurda la congettura dello Sca ligero che in 'luogo di un i 71 cfi debbasi leggere *. ft. t Js in primo luogo perch tutti i libri hanno il pleonastico J e con St, ch dovuto al Casaub.; poscia perch pi espres siva la particella i* per denotare la memoria de passati peri coli nata dalla vista degli oggetti che portavansi in trionfo. (*38) Siface. A detta di Livio (xxx, 45) mor costui avanti il

3i3
trionfo a Tivoli; ma ebbe pubblici funerali. Rammenta pertanto l ' anzidetto storico la relazione di Polibio su tal particolare. ( i 3g) Fecero giuochi. Furono questi secondo Livio (xxx>, 49) celebrati poco prima ebe uscissero del consolato P. Sulpicio Gulba e C. Aurelio Colta , cio l anno 554 dell era polibiana. ( i 4o) Publio Sulpicio. 11 nome del console Sulpicio determina F epoca deUavvenimento che qui narrasi. Cadde il principio del suo magistrato in marzo dellanno 55o varoniano (Liv., xxxi, 5) ossia 553 polibiano ; quindi stanziava Filippo in Bargila nellin verno tra lo stesso anno ed il susseguente. questa la continua zione dell impresa di Filippo contro la Caria , incominciata a narrarsi dal Nostro nel cap. xi dal presente libro. ( i 4 >) Le ambascerie. Queste furono, couforme racconta Livio (xxxi, a ) , mandate da Aitalo e da Rodj , i quali significavano a Romani , come Filippo attaccava le citt dell Asia. Ed erano stale ben accolte dal senato siffatte ambascerie , per il desiderio chesso avea di punire il Macedone degli aiuti e dedanari chegli avea spediti a Cartaginesi nell ultima guerra allora cessata. ( 4 a) Perciocch. E il Reiske e Io Schweigh. disapprovano il Silw tf del testo , e varie correzioni propongono. A me sembra < T < 7< maggiormente confarsi al senso che qui volle esprimere lAutore,che pon iuJi J ttlt. n (ignorava egli) ch'era finita ec. Aitalo ed i Rodii dice Polibio , mandate aveano ambascerie a Roma contro Filippo , per la ragione che finita era la guerra punica r e quindi i Romani attender poteano ad una nuova guerra a danno di chi li avea altamente oifesi. 043 ) Conciossiach. In quattro modi F ilippo, a delta del Nostro, procacciava il vitto al suo esercito: rubando , togliendo a viva forza , ipw igttt obbligando, con minacce , ed inducendo colla persuasione a 'm ixxtti. Nella traduzione latina manca 1' che non h vi rapiens, e latrocinium non rende 1 ( i 44) Zeusi. Di costui veggasi la nota g al cap. i di questo libro.

3i4
(i< 5) i Milasesiec. Era dunque Filippo penetrato nellinterna della Caria , dove trovavansi le tre citt qui mentovate. Intorno aprimi vedi la nota 56. Il riscontrarli qui nominati conferma la mia congettura col esternata circa la viziosa scrittura di Prinasso. (146) Magneti. Abitanti di Magnesia, citt dell Ionia sul Meandro. (147) Abbaiava. Singolarissima metafora, che ho creduto di conservare, niente rappresentando meglio il rabbioso minacciare di Filippo a chi ricusava di dargli da mangiare , non altrimenti che fanno i cani affamati. (148) Da quelli di Magnesia. Tutto ci che segue sino alla (ine del capitolo tolto da Ateneo ( u t , pag.- 78 ) , il quale ci tando Polibio sbagli il cap. xu per il xvi. (149) Per congratularsi. Ho ricevuta la interpretazione del Reiske per cagione dell w 77j y i y lttr t, che succede all 10ir7<Vt7f; assurdo essendo il dire , siccome vorrebbe lo Schweigh., che gli Ateniesi ringraziarono Aitalo di quanto era

accaduto. (150) Gli ambasciadori romani. Nulla dice Livio dell arrivo
di costoro nel Pireo , e dell abboccamento eh ebbe Attalo seco loro ; sibbene riferisc egli , che gli Ateniesi mandaron oratori al console Sulpicio eh era arrivato in Macedonia , onde richiederlo di soccorsi contro Filippo , il quale assediava la loro citt ; ma che giunti gli aiuti non vi trovarono il re, che occupato era nel1 assedio d Abido (Liv., x x x i, i 4). Lo Schweigh. crede che gli ambasciadori di Roma fossero quelli che a detta di Livio (xxxi, a, 18) il senato spediva in Egitto a Tolemeo; ma non occorreva al certo che questi per andare in Alessandria approdassero in nn porto della Macedonia. Il perch convien dire , che .di due am basciate incaricati fossero que tr legati nominati da Livio, 1 una pegli Ateniesi taciuta dallo storico romaBo, e qui rammentata dal N ostro, 1 altra posteriore a questa per Tolemeo. (t 5 i) Navig dallisola Egina , dove, secondo Livio (xxxr, i 5 ), Attalo giunse inseguendo co Rodii Filippo che ritiravasi in M a cedonia.

3 15
(r 5i ) Cavalieri. Erano i cavalieri in Atene un ordine distinto, giacch la scarsezza deforaggi in un paese sterile qual era l At tica faceva s, che i pi ricchi soltanto mantenere poteano cavalli. V. lo scoliaste d Aristofane ne cavalieri al v. 6 s 4 , e Voy. du jeune Anacb., voi. n, c. io. Quindi ba con ragione lo Schweigh. ristabilita la lezione larari**? ch era nel codice di Fulvio Orsini, e che questi, seguito dal Casaub. e dal Reische mut in tf'imt, sacerdoti. Fatto sta che i sacerdoti non faceano parte della co mitiva che andava ad incontrare Attalo ; sibbene aspettavan essi il re alla porta d Atene. ( 53) Dipilo. Questa porta, per relazione di Livio (zxxi, 34', era pi grande ed aperta delle altre d Atene , e larghe strade vi mettevano s al di dentro che al di fuori ; per modo che dal foro alla porta , e da questa al ginnasio dell Accademia dirigersi poteva una grossa schiera armata. Laonde molto a proposito la destinarono allora gli Ateniesi all ingresso solenne d Attalo. (154) I l nome dAitalo. Cio appellarono questa trib atlalide. In dieci trib era diviso il popolo ateniese , che dapprincipio varii nomi aveano, ma sotto Alcmeone, ultimo arconte perpetuo che regn tra la quattordicesima e diciassettesima olimpiade, ap pellate furono Erettide , Cecropide , Egide , Pandionide , Acamantide, Antiochide, Leontide ,. Enide, Ippotoorjtide , Eantide. A queste aggiunte furono 1 Antigonide e la Demetri.ide, che po scia nominaronsi Attalide e Tolemaide. V. Stef. bizant. in ttp t!*//*(, lui. Polluc., Onomast., lib. vm, cap. g; Petav. rationar. tem p., tom. n i , successio a8. (155) Eroi. Aveano questi presso gli Ateniesi il nome proprio di A fztrytti, che secondo la sua etimologia significa condutlor principale, e denotavansi con questo gli eroi benefattori della patria, donde le trib trassero le loro denominazioni; pella qual particolarit chiamavansi ancora iw tv /tti, cio impositori di nomi. V. Esichio alle voci i7 i ed tu t t iv / t t i , e Suida all ultima di queste voci. La prima pertanto sembrami che non

3i6
fosse troppo bene intesa da traduttori la tin i, che ne fecero ge

neris sui auetores. ( i 56) E dicendo. Livio (1 . c.) toglie ad Attalo lonore di que
lito rifiuto, e riferisce che agli Ateniesi, poich lavean invitato ad aringare innanzi al popola, parve poscia di chiedere che scrivesse ci che gli aggradiva , affinch non avesse ad arrossire in anno verando a voce i beni recati alla loro citt. ( i 5 ^) Desistettero dal chieder eh entrasse. Il testo ** 7?f u riS, verbalmente lasciaron, omisero ringresso, o d i t tico , o difettoso , dappoich deesi sottintendervi un verbo nell infinito , cui ho supplito coll introdurre il chieder. ( 58) Togliessero ad entrare. Certo egli che il consenserinl del Casaub. non rende adeguatamente V isitim i cv/ifiit/ttit de codici, cui mi sono ingegnato d avvicinarmi, adottando anche la lezione n n / t j 3 /i ( i r proposta dal Reiske ; ben diverso essendo il consentire in una nimicizia , od in una guerra , e 1 entrarvi. ( i 5g) Bast d aver recitata quella lettera. In questo modo mmi paruto di dover rendere le parole 7H e A v tr ltX it iv i tic iia y iie b iltu t, dando collo Schweigh. ad i v li f il senso di sola, senza che col Reiske necessrio sia di sostituirvi In vi: (questa) 0 la v i tic (ad ssi). Infatti non facea mestieri di maggior imputso agli Ateniesi per disporre i loro animi in favore (TAttalo contro F ilippo; ma, parlato ch ebbero i R odii, il mal talento a danno di costui pass nella pi ferma risoluzione di fargli la guerra. (160) Andaron a Ceo ec. Salpati erano i Rodii da Egina per ritornare a casa, e la via pi breve per a quella volta conduceva attraverso le Cicladi. O ra la prima di queste isole che incontrar doveano, dopo aver passato il prom ontorio Sunio, era quella ap punto che a detta di Plinio ( v, ao ) i Greci chiamavano Ceos ( K i w r trovasi scritto il suo noine in S trabone, x , pag. 486), ed 1 Romani Cea ( V. la carta della Grecia inserita nel prim o vo lume di quest opera ). Ma quantunque Ki tt 1 appelli Tolem ed (111, i 5) , e Cia leggasi in Livio jcxxi , i 5 (non p er altro col1 autorit de manoscritti , alcuni de quali hanno Ceia , gli altri

arrecano lezioni corrotte), io attenuto mi sono alla scrittura greca pi comune, che suppongo essere stata aneora quella di Polibio, il q u a le , checch ne dica lo Schweigh., persuadermi non posso che abbia scritto K/, Ci. Del resto non comprendo come il Reiske pot pensar allisola di Chio per giugnere alla quale tanto fuori di strada sarebbonsi condotti ; a tacere della cavillazone mossa da lui contra il C asaub., d avere scambiata questa isola p er la citt di Ci, porlo continentale della Bitinia, eh era gi stato distrutto da F ilip p o , siccome leggesi nel lib. xv, a1 ; dappoich altrimenti che Cius non avrebb egli potuto rendere il volgalo K./of. Fulvio O rsini non so come in Livio leggesse Cea, e meno uii piace la correzione chegli pretende di trarre dal Nostro scri vendo nellaozidetto storico Cia, che i codici di Polibio nou pre sentano. Non tanto inverisimile 1 altra sua congettura , che la chiusa imperfetta di questo capitolo abbia a supplirsi dallo slesso passo di Livio , che suona : Rhodii Cam ab M gina , inde per insula* Romam navigarunl. Onde queslo cornmnlatore molto ingegnosamente suppoue che il testo greco cos fosse: nnlx&nrcct i if 7t K /fi (K(> secondo n o i), iv i il* l* t (in luogo di tw ltt) tiravi fili* lev (t7Ab trapxirX 'ftln lit l t tiS t. Na-

3,7

vigaron a Ceo , poscia a Rodo , passando colla fiotta dinanzi alle isole. (161) Nicnore. Nel lib. x v m , cap. 7 rammentato un Ni
cnore col cognome di Elefanto, chebbe un comando nella bat- taglia alle Cinocefale. Se quello che qui comparisce fosse il me desimo diffidi a sapersi. Senonch il trovarlo qui senza distin tivo fa Supprre eh egli diverso fosse dal posteriore. (162) Dinanzi ad un tribunale competente. Non colsero, per quanto io credo , i traduttori latini la mente di Polibio in vol tando i> IV* xpvltip/m, apud aequos judiccs (presso giudici equi, imparziali), ch aequus in cotal senso corrisponde a justus ed a iwiniciif deGreci, non gi ad tris, che significa piut tosto eguale; n xfnliipiet giudice, sibbene giuditio, tribunale, cbe i Romani proponevano a Filippo costituito di giudici suoi

3i8
p a r i, non altrimenti che a di nostri portensi in alcuni paesi i processi departicolari innanzi acosi detti giur. Siffatto tribunale competente alla dignit di Filippo esser poteva il senato di R o ma , o qualche altro potentato non vincolato a lui. n a suoi av versari! di parentela o d interesse. ( 63) Recaronsi presso Antioco e Tolemeo. Cosi ancora scrive il Nostro nel cap. 34 , essere stati mandati questi amba sciadori w fts I tts fiartXtar (a re), cio ad Antioco e Tolemeo. Al contrario Giustino , x x x , 3 , scrive della stessa ambasceria con queste parole: Mandanti oratori che annunzino ad Antioco ed a Filippo <fastenersi dal regno dEgitto. Confronta lo stesso al lib. x x x i, i . Schweigh. (164) A l difetto del suo favore. Se ben veggo n il Casaub. n lo Schweigh. compresero questo passo. Supplire col razioci nio all ingiusta volont della form a , conforme tradusse il p ri mo , presenta una idea non meno confusa che , parlandosi della contrariet della fo rtu n a , supplire colla prudenza a quatti V ardor di animo non pot eseguire , siccome spiega il secondo le parole di Polibio. Se non erro il 7< 7Ss wpeSwpt/ac A Ximtc si riferisce alla fortuna , e vptfhpti* non qui altrimenti vo lont, n alacrit d animo, sibbene il favore di'quella incostante reggitrice degli umani eventi. (1 65) La negligenza cCAitalo e de' Rodii. Questi, secondoch bassi da Livio (x x x i, i 5) badarono in E g ina, e trascurarono di liberare la Grecia inseguendo Filippo, il quale-trasse profitto da cotale circostanzi, e, non punto smarritosi d animo per le ro tte toccate , and all assedio d Abido, d onde gli anzidetti 1 avreb bono facilmente potuto distorre. (166) Nel principio dell opera. V . il cap. 14 del lib. 1 , dov censurata la parzialit d i Filino pe Cartaginesi e d i Fabio pe Romani. (167) Con animo risoluto ec. I migliori codici recano itip ptcnt, lezione che io ho accettata , persuaso delle ragioni che adduce lo Schweigh. Non piacque dessa pertanto all O rs in i, i l

3ig
quale stim ebe accanto agli avverbi! ir*p*rlxlntf e Jm ptttfttt, indicanti secondo Ini con grande impeto e ferocia convenisse meglio \>ppinnt, gittossi , corse con violenza ( ne soprastanti pericoli ) , e lo stesso sembr al C asaub ., che accolse questa scrittura. Io non citer qui i passi d altri a u to ri, io cui gli an zidetti avverbii prendonsi nel senso che dietro lo S chw eigh.'ho loro dato, ed osserver soltanto, che poteano bens la risolutezza e la costanza far venire Filippo a capo della sua impresa contro Attalo ed i R o d ii, non gi il gittarsi da forsennato ne pericoli. (168) I l suo intento. Di espugnar molte citt della Grecia ap partenenti a T o lem eo , singolarmente nella T racia e nel Chersoneso. V . L iv io , x x x i, 16. (169) Filippo. Suppone lo Schweigh. c h e , siccome il secondo de piccoli frammenti qui riportati fa manifestamente parte della narrazione dell eccidio d Abido , cosi il prim o ancora vi possa esser relativo. (170) I passaggi. Il testo ha qui i wiia&p*, che non mi sem brano portus ubi adpellere possent, conforme pare al traduttore latino; sibbene i tragitti marittimi, che dall Europa, dove, allora guerreggiava Filippo, menan in Asia. V. i lessicografi. - 'A w tchiamavasi secondo Strabone ( xm , pag. 5g i ) il luogo presso Sesto dove sbarcavasi, e col era il fodero a cui fu at taccato il celebre ponte sul quale Serse fece il tragitto. Non impossibile che cotesto sito volesse qui indicar il Nostro. (171) Che alcuni chiaman Oceano , altri Atlantico. Con due nomi ancora il distingue Polibio nel lib. 111, cap. 37, mar esterno e grande , i x*< fii-yaXn SnXiTm esterno , perch bagna la costa esteriore dell antico mondo ; grande perch era il mag giore de mari a quel tempo conosciuti. La prima denominazione riscontrasi qui pure poco appresso , ed alla seconda eziandio fatta allusione. (17?) Sessanta stadii. Diverse erano le opinioni degli antichi circa la larghezza di questo passaggio. Plinio ( m , 1 ) riferisce che lo stretto delle colonne d Ercole secondo certo T urriano

320
Gracile, nativa di quella parte della Spagna, largo cinque m i glia , corrispondenti a quaranta stadii, ma che giusta T . Livio Cornelio Nepote ha esso nella m inor larghezza sette miglia ,(cinquantasei stadii), e nella maggiore dieci (ottanta st.). 1 moderni. ( V. Kant, geografia fisica, voi. 11, pag. ao6 ) ascender fanno la sua larghezza maggiore a tre miglia geografiche, che equivalgono a dodici miglia italiane od a novantasei stadii, e nel sito del suo maggior ristrignimenfo vogliono che abbia due miglia geografiche, cio otto miglia italiane , o sessantaquattro stadii. chiaro che Polibio qui addita la dimensione pi stretta. (173) E quello d Abido ne ha due. Qui incorso al certo un errore nel testo, non osservata da nessun commentatore; dap poich non due, sibbene sette stadii secondo Erodoto (iv , 85); Strabone ( x m , pag. 591) e Plinio {v, 18) la strettezza dell E l lesponto , ed i geografi recenti ( V. il Dizion. geogr. di MalteBrun all artic. Dardanelli ) danno ad esso mezza lega francese , eguale a dodici stadii. (174) Fu esso gi coperto. Alludesi al passaggio di Serae in Europa. Il perch io amerei di leggere col Reiske ytytQvpm/tt* nel participio passato, conforme I ho anche tra d o tto , che non il volgato y t Qv f t i f i i f t , participio presente. Minor lunghezza ebbe il ponte che avanti Serse costru Dario sul Bosporo in ud sito , dove a detta di Erodoto (1 . c.) e di Polibio (iv, 43) l E u ropa era quattro stadii distante dall Asia. (176) La citt d Abido. Q uesta, a d ir vero , era situata in Asia , n bene si comprende come i promontorii d Europa la ciguessero. Se non che hassi a credere cbe cotesti promontorii dirimpetto ad Abido, sporgendo, molto nel1mare, venissero quasi incontro al suo porto ed in certa guisa 1 abbracciassero. (176) Per alcun modo . . . in qualsivoglia luogo. Il R eiske, corregger volendo 1 /' i t che hanno tutti i codici, e che qui senza senso alcuno, propose di sostituirvi iSmptSti ina pi vicino al testo andrebbe chi scrivesse i ! ' i m i t che significa lo stesso. Che V i'Sttftj sia qui pleonastico, ed indichi soltanto maggior in -

3ai
tensit della negazione, siccome parve allo S ch w eig h ., io noi credo ; giacch, sebbene nel- lib. i v , cap. 27 , dove non entra l idea di localit , Polibio cos 1 adoperasse, nel presente passo, dov la condizione co n tra ria , siffatto avverbio noa riesce su perfluo. ( ' 77) Fattone. Siccome questa voce si applica a qualsivoglia fatto d arme ( V. Grassi , Dizion. milit. ) , cos ho creduto che usandola e non avrei tradita la propriet della lingua italiana, e mi sarei accostato allo spirito dell espressione greca. I traduttori la tin i, non potendo valersi di factio in questo senso , vi hanno ragionevolmente sostituito obsidio. (178) Le macchine che accostavansi per m are. Di questa fatta erano le torri con solaio, turres contabulatae ricordate da Livio (xxxiv, 54) , e le sambuche descritte dal Mostro nella sposizione dell assedio di Siracusa ( vili, 6 ). (179) Baliste. Ingegni con cui lanciavansi pietre, e che quindi oXt t e r a n o da Greci denominati , a distinzione delle ca tapulte, con cui gittavansi frecce , e S o m ig lia v a n o alle balestre del m edioevo. Io ho conservata la voce latiua come quella che ha avuta la cittadinanza italiana. V. il vocabol. della Crusca, e Lips. Poliorc. , lib. 111, dial. 111. (180) Le navi stesse. Cio non solo le macchine contro eui erano dirette le pietre ed il fuoco lanciati dagli Abideni , ma le navi medesime che quelle portavano pcnaron a salvarsi. (181) Pantgnoto. Cos io scrivo questo nom e.col R e isk e , e non altrimenti , conform ne li b r i , Pantacnoto, che non di conio greco. (182 ) Da Rodii e da Aitalo. Secondo Livio (xxxi, 17) avean essi da prim i una quadrireme con soldati di m arina, cum sociis navalihus ; 1 altro avea loro dato un presidio. (1 83) Di francare gli schiavi. Circa questa deliberazione nulla dice Livio. (184) Volonterosi. Il testo ha itrpttp*r/<r!*t, ch quanto senta
P o lib io ,

tom.

V .;

21

322
poter addurre scuse e recar in m etto pretesti. Fideles et promtos scrissero i traduttori la tin i , forse con esagerazione. (1 85) Cinquanta uomini depik vecchi. Livio riferisce soltanto
eh erano de p rin cip ali, ma tce intorno alle altre loro partico larit narrate dal Nostro. (186) Nelle cose antidette. Cio o di vincere o di morire p e r la patria. (187) Di combatter accanitamente . . . e di versarvi r ultima stilla di sangue. *1 cf<**rS->r*io wft 7 sono le parole di P olibio, espressive al sommo ed egregiamente illustrate dallo Schweigh., secondo il quale la pro posizione cfit congiunta coi due verbi /**%icS-ai ed nrxtit d ad essi una forza singolare , che 10 mi lusingo d aver ra p presentata colle frasi cbe ho scelte. 11 v p t le i* fiittfyfitn vr (contro coloro che facean fo rza , adversus irrompenteft hostem voltaron il Casaub. e lo Schweigh. ) credetti pertanto di poter omettere, essendo tal cosa sottin tesa, ed avendo quindi la intro duzione di siffatta circostanza scemata la robustezza dell espres sione. (188) La forsennatezza che narrasi de' Focesi. G uerra impla cabile erasi per reciproche gravi ingiurie accesa tra i Focesi ed i Tessali. Questi con tutte le loro forze invasero la Focide, e la minacciarono dell ultimo eccidio ; onde t suoi miseri abitanti a tanta disperazione si ridussero , che tutte le loro donne al terri bile partito consenzienti insieme co figli in un solo luogo radu narono , vi misero attorno delle legna , ed a custodi appostivi ordinarono d appiccar a queste il fuoco , come prim a vedessero i's u o i succumbenti in battaglia. Per buona sorte rimasero vinci tori i Focesi. V. Paus. , P h o c ic ., 1; P lu ta rc ., de virt. m ulier., tom. 11, edit. X ylandr. , pag. a 44- A cotal risoluzione , dice il citalo filosof di Cheronea, diedero i Greci il nome di i i r i che secondo Esichio equivale ad iw tb o y /r/ttf, alienazione di mente, di tagionamento ; al qual senso , che poco esattamente

3a3
esprime la despcraiio do traduttori la tin i, ingegnato mi sono di approssimarmi. (189) I l coraggio degli Acamani. Di questo fatto d i il Nostro un cenno nel lib. x , cap. 40 , e Livio il narra con maggiori particolarit nel lib. x x v i, cap. 35. (190) Allorquando solo prevedea. Leggo collo Schweigh. 7i w p t Sn p iifu , in luogo di alt (particella gratuitamente intro dotta dall E mesti ) irpttiStp tun (sconcordanza col seguente

tpuXtirati, ed insieme solecismo, non convenendo qui il par ticipio. Se non che io ho amato meglio serbare ne verbi il nu mero singolare, nel quale posto il sostantivo nazione,
(191) Non solo montando. Notisi tutta questa vivissima de scrizione della rabbiosa difesa fatta dagli Abideni, laddove Livio spacciasi col dire : Memores Deorum adea pertinaciler pugnaveruni , u t , cum nox praelium diremptura essel , rex prior terrilus rabie eorum, pugna abstiteril. ( Costoro, memori degli D e i, con tanta ostinazione p u guarono, c h e , avendo la notte separala la battaglia, il re prim o, spaventato della loro rabbia, si astenne dalla pugna ). (193) Avvinghiatisi. Freddo quel cominus congredientes (at taccatisi davviciuo) hi che voltato fu il pittoresco del Nostro , eh propriam ente l intrecciarsi delle m em b ri che fanno i lottatori ed i combattenti , che a corpo a corpo rabbio samente s attaccano. Ptdes conserenles sarebbe stata frase clas sica insime e pi espressiva. Lo Schw eigh., appoggiato all au torit di alcuni codici, propone qui di cancellare la virgola dop x % ttfSi e di porla dopo xrp7t, per modo che ne risulti questo senso : O con f o n a V aveano gittata, avvinghiatisi colle mani a Macedoni. Ma oltrech in tal ipotesi la sintassi richie derebbe che si scrivesse > gli Abideni riusciti non sarebbono a rovesciare i nemici, se per le mani sole e non per tutto il corpo li avessero presi. (ig 3) E cogli stessi frammenti e colle punte. Suppongo nel testo smarrita la congiunzione *a), donde pasce confusione Ir-

3a4
vandosi due dativi isolati retti da un verbo. Superfluo pertanto il zam petti che oltre all anzidetta particella lo Schweigh. v i crede omesso. Molto meno pu difendersi , siccome tenta di fare lo stesso com m entatore, la scrittura Volgata; quasich 7ir tw tJepctl/n fosse la spiegazione di 77r xX irfittm , potendosi be nissimo ferire con frammenti di lance che non abbiano punta. (194) Spingendo. Cosi ho interpetrato l i* che ha qni Polibio, attenendomi a quanto ho su questa frase osservato nella nota 117 del lib. 11. (ig 5) Glaucide e Teognelo. Livio non nomina questi d u e , e dice in generale, che i maggiorenti ( principes ) cui era affidata la parte pi atroce del fatto, mandaron i sacerdoti a Filippo p er consegnargli la citt. (196) Navig peltEgeo a Tenedo. Questa isola, dirimpetto alla costa della T ro a d e, era la pi vicina all Ellesponto. V. la carta della Grecia nel tom . 1. (197) Marco Emilio. Il cognome di costui era Lepido , con forme scorgesi da Livio ( x x x i, a ) , il quale ne fa sapere, che gli altri ambasciadori erano P. Sempronio Tudilano e C. Clau dio Nerone. L oggetto della loro ' missione era d annunziar a Tolemeo la vittoria ottenuta sopra Annibaie ed i C artaginesi, e di ringraziarlo della fede sempre serbata aRomani. Di lro tro vasi menzione di sopra ne cap. a 5 e V]. A detta di Giustino ( xxx , 3 ) e di V aler. Mass. ( v i , 6 , 1 ) era cotesto M. Emil/o stato mandato in Alessandria p e r assumere la tutela del fanciullo Tolemeo. (198) Antioco e Tolemeo. Di mio arbitrio ho aggiunti al testo i nom i di questi re, a quali, conforme leggesi nel cap. 37 verso la fine , era diretta 1 ambasceria. (199) In che. Amerei io pure collo Schweigh. cbe collautorit de migliori codici 7/ imi fosse qui riposto in luogo del volgalo 7/ (fi, avendo Esichio dimostrato negli articoli A< tf*} e Sm\, siccome chiaramente prova il Kustero , esser efe talvolta lo stesso eh* Ti, siogolarmenle nell interrogazione 7/ / ,

3a5
(aoo) I l pit bello. Aets , inquit, et form a , et super omnia romanum nomen fcrociorem le facit, dice L ivio, ma fion l et semplicemente , sibbene l inesperienza negli affari che n era la. conseguenza , siccome leggesi nel Nostro , render potea superbo quel giovine romano. Oltracci osservisi in Livio quell asciutta espressione di form a per bellezza , in confronto delle particola-, ril nelle quali circa questo pregio si diffonde Polibio : pregio che presso i Greci era in maggior conto teuuto che non tra i R o m a n i, allorquando , siccome negli Ateuiesi Alcibiade e Seno* fon te, avea il corredo d 'a ltre lodevoli qualit, segnatamente del valore. (201) Poscia perch'era romano. Queste parole mancano nel testo , e furono nella traduzione supplite dal Casaub. , il quale suppose che le smarrite cos suonassero : T Si I f / l t i t li 'Vufta.7ts, in terzo luogo p. e. R. Allo Schweigh. piacque meglio n iX tri Si eli, sovrattutto perch. Ma siccome segue tosto : 'liyt St ptixtfl*, cos parm i che sia da preferirsi la lezione, del Casaub., ovveramentc l St ItXtvlctltt, finalmente, senz at tenersi con tanta scrupolosit a L iv io , cui meglio che al Nostro addicevasi il porre in cima a tutti i vantaggi che ispiravan o r goglio all ambasciadore quello d esser romano. (101) Sgozzavano ec. T erribil effetto fa questa descrizione de siugoli generi di morte , con che gli Abideni uccisero s ed i su o i, freddamente da Livio compresi nella universal indicazione

per omnes vias lethi. (ao 3) Abbruciavano. Ottimamente restitu lo Schweigh. al te sto il *tttt*i>l*t de codici (tro v an d o si ne composti *&* e
) , che il Casaub. con manifesta assurdit cangiato avea in

x* l * * iil i termine generale che conviene a tutte le vie di


m orte qui riferite.

(204) E dolente. Ha bene divisato il Casaub. di cassare 1 n. che in tutti i libri precede al k*\ i X y i t , ed io non sono del parere del Reiske, approvato dallo Schweigh., che quella particella suderebbe scritta i dandole il significalo di quifid i , il

3a6
perch ; determinazione affatto superflua per cagione dell <V 7 tlc y iy tt ftn ttt che segue. Ad ogni modo Dascerebbe bru tta cacofonia dall accozzamento di quell X od J coll ? (VsarAmynt i?) antecedente. (20 5 ) Pubblic. Crudele nella sua piet, fngeva Filippo d ap
plaudire a generosi sentimenti degli Abideni in accordando loro -di sottrarsi con volontaria morte dalla schiavit in cui egli p er (firitto di guerra li avrebbe ridotti. Non meritava tanta virt d essere da lui scambiata col proclamare il perdono e la libert di quegl infelici ? Eppure credette 1 inumano di usare magnani mit sacrificando il lucro eh egli avrebbe tratto dalla vendetta delle loro persone ; del qual sacrificio , e non della miseranda strage di tanti innocenti , egli era , conforme dice il Nostro , dolente. (206) NelP impeto. Non posso convenire collo Schw eigh., che r i i n t qui valga ferm a risoluzione, non trovandosi che a quest sia giammai stato attribuito cotal senso, neppure dal nostro Au tore, per quanto certi aggettivi e verbi suoi affini, siccome r li-

n ftts , partecipino talvolta di cotesto significato. Ma non tampoco necessario di sostituirvi col Reiske w&pxflitrii, consiglio disperalo e fu rio so , avendo Polibio usato altrove (x, 33) il semplice f l i n t per im peto: senso che non disconviene al prsente luogo. (207) Gli ambasciadori di Soma. II Casaub. traduce: Frat tanto venuti essendo ambasciadori da Roma , quasich all o r appena fossero venuti da Roma ambasciadori , de quali non si parl prima. Ma gli oratori rom ani erano gi in R odi avanti lespugoazione d Abido, e di 1 1 aveano in Abido m andato uno d i loro a Filippo , il di cui ritorno aspettavano, siccome vedem m o al cap. 34- Quindi sembra che in questo fram m ento degli am ba sciadori stessi si ragioni. Che se la bisogna sta cosi, ggiugnersi dovea l articolo t tarixHiiTtt 1 3 r u 7j f Ptipitif vptr/ivl u t ;
il quale o fu assorto dalla desinenza della voce antecdente , od a bello studio omesso dal compilatore delle am bascerie, dappoi-

32^
ih* egli stacc le cose qui esposte dal filo della rim anente narra zione. Ma allora le parole tic tn X S i /lm non significano: Dopo

i quali venati essendo a Rodi; sibbene : Dopo i quali, o con ira i quali fa tliii innanzi nella radunanza del popolo di Rodi, e potr forse da ci che precede soltintendersi I v i Vtt Jpttt, conforme leggesi nel lib. x v i i , 4 > twtxB-tUtc tir) Vtt input. Sckweigh. (308) Filopemene ec. Di cotesto fatto non trovasi menzione n
in Plutarco che descrisse la vita di quest inclito arcade , n in Pausania che sommariamente ne rifer le gesta, n in Livio che le' principali tra queste esattamente espone. Tuttavia , ove si co n sid eri, che nella liberazione di Messene ram mentata al c. l 3 del presente libro, Filopemene, a detta di Plutarco, era privato, e che per relazione di Livio ( xxxi, 33 ) nell anno di R. varo*' niano 55o , in cui avvenne la liberazione summentovata , la su* prem a magistratura passata era da Filopemene a Cicliade , con viene arguire che anteriorm ente alla fazione di Messene eseguito fosse lo stratagemma qui esposto ; giacch allora non a dubi tarsi che Filopemene non esercitasse la prima p re tu ra , nella quale pieno di sospetto circa le arti di Nabide, novel tiranno da lui non p e t anche in guerra cimentato, egli colla frode ingegna vasi di deludere i suoi rigiri. Nella seconda pretura , che sette anni appresso gli conferirono gli Achei dopo il suo ritorno da Creta (V. Liv., xxxv, 35 e seg.; Plut., tom. 1, pag. 364), segnalossi in nna battaglia pi decisiva contro lo stesso N abide, ma non prendendo altrimenti la strada di Tegea, sibbene rimontando in senso opposto dalla costa m arittim a, dov egli avea prima so stenuto col tiranno un infelice scontro navale. (309) A governatori. A trttX tlttt. Nel lib. x , cap. 31, li bo chiamati comandanti de luoghi principali, sulla qua! dignit veggasi col la nota 114. (310) Ed il bisogno d'argento. Io amo meglio di leggere qui coll O rsini e col Casaub. rritT ip y ip ttt, tutto (V occorrente) argento in luogo del volgalo insignificante wtrT py&pitt, che non collo Schweigh. wtt& ipyopitv sottintendendo J

3a8
(cinque dramme d argento) ; non sembrandomi putito duro, sic come parve a questo commentatore di supporvi omesso ?' >ytcaln ( il necessario ) che io ho espresso. Non credo pertanto col Reiske che 1 elissi sia di tal fatta : To *i*yMU1 tic 7* ( necessario alla spedizione ). Il Casaub.. non rendette tutto traducendo ( militaris aetas ) pecunia instrucla, fornita di danaro. ( s i i ) Voi presenti riceveteli. Lo Schweigh. , seguendo l edi zione prima ed i codici manoscritti , lesse questo, passo cos:
s-fic / F f *< naf i t i t i , intXaf iitl ts, i v l i c .

7 . x ., e p er tal modo il tradusse: Quo ut convenerint quolquot'domi aderunt, sumile eos ec. Ma oscuro quel domiader u n t , ed anche scrivendo semplicemente aderunt1superflua a f
fatto si rende lesposizione di siffatta circostanza; non potendo a meno d essere presenti coloro che sono raccolti. P er la qual cosa ho preferita la lezione del C asau b ., che pone la virgola dopo rvXM z& irtt, e 1 i v a fitlts riferisce a governatori : parte bea essenziale: di questa operazione , la di cui esattezza dipendeva al certo dalla personale assistenza de comandanti. (a ia ) Il nome proprio. O leggiamo v lavici col Reiske e collo S chw eigh., riferendolo ad tttpt* { nome ) , o conserviamo col Casaub. la lezione Volgata * la v iti rapportandola a m A u con iscohcordanza cbe non senza esempio ; non potr app ro varsi l idem nomen ( lo stesso nome ) d i e , arrecano amendue i mentovati tra d u tto ri, d onde nasce la falsa idea che altra volta eia stata rammentata la citt che ora si tace. Io credo d aver colta la m ente dell A u to re, comechfe reputi 1 espressione stessa un inutile pleonasmo. (215) 1 mercenarii. V enuti in soccorso a Nabide. Co testa mi lizia era sempre il maggior nerbo de tira n n i, i quali poco p o teano fidarsi della truppa indigena. ( a i 4) Verso lo Scolila. Osserva egregiamente il Ciampi (P a u sania, nella L aconia, cap. i o , not. 92) che cotesto Scolila n o n era altrimenti nome di villaggio , conforme han creduto a l e n a i,

3^9
e Io Schweigh. flesso in commentando il presente luogo , ma che il nel passo citato di Pausania significa tratto di luogo campestre. Ed infatti quell articolo 7 che presso il No stro lo precede saccorda con siffatta qualificazione. Tenebroso il significato di questo vocabolo, da n t l t t , tenebre, e quindi fu Giove sovrannomato Scolila t il quale in distanza di circa dieci stadii da quel terreno denso di querce avea un lempio. ( a i 5) N e villaggi intorno allo Scotita. Al Gronovio ed allo Schweigh. ha recato imbarazzo il w pn -a yp ivp iitetf che qui leggesi riferito a 7Iw ttt tript 7 # S**7/7, quando siffatto epi teto meglio assai sarebbe convenuto a Scotita , n q u i, sibbene alla prima menzione dello tesso luogo. Ove pertanto si consideri quanto abbiam detto nella nota antecedente circa la natura di <juel paese , non recher maraviglia cotale trasposizione di ter mine , non indicandosi per Scotita paese abitato , laddove tali erano i villaggi che il circondavano. (a i6) Pellene. Intorno a questa citt della Laconia veggasi la nota 33a al lib. v , cui restami d aggiugnere che Pausania , (Lacon., a i) la chiama Pellana. (a in) Filippo ee. Cotali pratiche del Macedone per far entrare gli Achei in guerra co Romani erano sostenute dal pretore Cicliade, che a quel re era favorevole, ma che sopraffatto dal par tito contrario fu cacciato in esilio (V. Liv., m n , 19). Il perch non impossibile che questo frammento, ove pur sia del Nostro, il di cui nome citandolo Suida tace , appartenga ancor all anno d. R. polibiano 554> nel quale ( V. la nota ao8 ) Cicltade occu pava il supremo maestrato , anzich al 555 , conforme crede lo Schweigh. (a 18) Scopa. Due anni prima di questo avvenimento erasi co stai posto al soldo del re dEgitto, ed avea col danaro da questo ricevuto arrotati sei mila Etoli a piedi ed un corpo di cavalleria e condottili in Alessandria, d ond egli insieme colle milizie dE gitto mosse verso la Celesiria , che dopo la battaglia di Raffia era dal dominio d Antioco passata in potere di Tolemeo Filo-

33o
pstore , ma nell infanzia di Tolemeo Epifane incominciava ad occupare dal re di Siria. V. Liv. , xxxi , 43 ; Polib. , v , 86 e seg. , xm , a ; G iusi., x x x i, i. (319) Imperciocch ec. Altro frammento citato da Suida senza nome dell autore , ma che con somma probabilit il Valesio ri ferisce al Nostro. Qual fosse 'fa citt che allora assediavasi noti possibile d indicare. Fors era questo 1 incomihciamento della mala fortuna di Scopa nella presente guerra, che poscia conver ........... tissi in piena rotta. (aao) Finto che f u ec. Narra S. Girolamo (Gomment. in c. xi Danielis) che Scopa dopo questa .battaglia inseguito da Autioco si ridusse in Sidone con diecimila armati, e toller ivi lassedio, fiuch dalla fame costretto s arrese. (sai) Del guasto ec. Circa la cronologia de fatti di cui in questo capitolo e nell antecedente ue sono rimasi alcuni ce n n i, dobbiam fare le seguenti riflessioni. Scopa, conforme abbiam gi osservato nella nota a i8 , venoe in Egitto-cogli Etoli da lui as soldati sotto consoli Galba e Cotta l'anno d. R. polibiano 555. Nel verno del 554 soggiog questo generale la Giudea ; ma la state susseguente ( 553 ) sotto i consoli Flaminino e Peto fu egli vinto al Panio da Antioco, il quale poscia ricuper tutta la Ce lesiria. Il perch fu con ragione il Casaub. ripreso dal Valesio per avere posta la vittoria dAntioco nell anno 556, in cui eran consoli Cetego e Rufo ; ma non s appose al vero lo Schweigh. recando al 555 l occupazione della Giudea fatta da Scopa. P er ci che spetta a quelli di Gaza , e sembra , secondoch. dice il Valesio, eh essi fossero socj e coftfederati del re Tolemeo sino da tempi di Filopatore (V. il Nostro, v , 68), che vinse Antioco iti Raffia. (aaa) Allorquando i Persiani ec. Avvenne questa invasione a tempi d Artaserse I , il quale mattd un esercito contro gli Egizi eh eransi da lui ribellati, conforme narra Diod. Sic. ( i r , pag. 281-82). Vero egli che questo storico non fa io tal occasiue motto alcuno di Gaza ; ina non perci da c re d ersi, siccome parve allo Schweigh., che 1 assedio del quale parla qui

331
il Rostro non appartenga 11' anzidetla spedizione, possibil cssendo che Diodoro, intento a combattimenti d Egitto, l abbia sor passato. (? 23) Ed allorquando venne Alessandro ee. Ostinata oltremodo fu la resistenza che a questo conquistatore oppose Gaza. Egli condusse in persona l assedio impiegandovi tutte le sue forze, vi perdette molti de suoi, e riport due ferite. V. Curt., v , 3 5 , 2 6 ; Arrian., t , 35 e seg. (324) E fecero T estremo della lor possa. Kit) w*r*t iinXtyx> V*{ iXwfSitci verbalmente: tentarono tutte le sperante, frase usata altrove dal Nostro (xxx, 7 ) nel significalo di fare ogoi sforzo per provare la propria iunocenza. Ad omne discrimen parati, nil intentatum reliquere parafrasi anzich tradu zione. (325) Insubri. Fra gli avvenimenti dell anno d. R. 554 , che furono subbietto del lib. xvi di Polibio, narra Livio (xxxi, 10), un tumulto gallico eccitato dagl Insubri , Cenomani e Boii. Qui trovasi scritto ltr tfift, Insobri, e nel 11, 17, e 111, 4, leggesi

'lrtftfifit, Isombres. (226) Man tua. E da Tolemeo collocata ne Cenomani. (237) Bah ronzio. Luogo dell Eolide di rimpetto all isola di
Chio, dove combatt Filippo con Attalo e co Rodii. Soggiugne Stefano che questo nome il diminutivo di Babras, che segue; per modo che sembra , che v avesse un Babras minore ed un maggiore , non gi che amendue i nomi appartenessero ad un luogo solo, siccome tiene lo Schweigh. (228) Gitta. Nella Scrittura questa citt chiamata Gat , m . Getta 1 appella Plinio ( v,, 17 ). Per quanto scorgesi dal lib. 1 de R egi, cap. 2 7 , fu dessa la residenza de re di Palestina. (22g) Eia. , Hella con doppia consonante scrisse per errore lo Schweigh., e cosi 'EAA7f, Hellaeus. Io ho seguita la lezione di Stefano nell edizione d Amsterdam (fol. 1678), che pi s avvicina ad EAalte, Elea, citt marittima dellEolide, sog getta a re di Pergamo, e rammentata da Plinio e da Tolemeo.

33a
O v e il Nostro non la qualificasse (p 'cc 'l luogo) potrebbe supporsi ch egli a lei accennasse. Se non che diffidi a c o m prendersi come un em porio essere potesse un paesuccio. (a 3 o) Candasia. V. la nota 56 di questo libro. ( 23 1) Cartea. Circa le quattro citt eh erauo in quest isola da vedersi Strabone, x, pag. 486 , e Plinio, tv, 12. Sullisola di Ceo confrontisi ci che abbiam o scritto nella nota 160 di questo libro. O sserva lo Schweigh. che nelle antiche edizioni di Stefano leggevasi t* K, il qual errore avea seguito il Casaub. e gli edi tori a lui posteriori. Ma secoudo Stefano stesso sono b e n distinte le isole di Ceo e di Coo, n v'ha qui luogo ad opinione alcun.

F IN E D E L L E ANNOTAZIONI

FRAMMENTI D E L LIBRO D I C l M O I t t T O

K D E L QUINTO TOMO.

I NDICE
DELLE COSE CONTENUTE IN QUESTO QUINTO TOMO

Volgarizzamento degli avanzi del libro duodecimo Sommario degli avanti del libro duodecimo Annotazioni agli acanti del libro duodecimo . Volgarizzamento degli avanti del libro decimo terzo Sommario degli avanzi del libro decimo terzo . Annotazioni agli avanti el libro decimo terzo . Volgarizzamento degli avanti del libro decimo quarto Sommario degli avanti del libro decimo quarto . Annotazioni agli avanti del libro decimo quarto Volgarizzamento degli avanti del libro decimo quinto Sommario degli avanzi del libro decimo quinto . Annotazioni ai frammenti del libro decimo quinto Volgarizzamento degli avanzi del libro decimo testo Sommario degli avanzi del libro decimo sesto . Annotazioni ai frammenti del libro decimo sesto .

p. *

5 35 3j
87 96 97 n 3 138 isg 1^5 i 85 189 3 35 275 276

INDICE
DELLE TAVOLE

Ritratto di Scipione Africano Piano della battaglia di Zama


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. .

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Pag.

45
1

56 35

Carla geografica dello Stalo cartaginese Ritratto di Filippo re di Macedonia Medaglia rappresentante Attalo re di Pergamo
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166

a44 3o3

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