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/i P E N E R O

GRECO

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AUGUSTO ROSTAGNI

GIULIANO L'APOSTATA
SAGGIO CRITICO
CON LE

OPERETTE POLITICHE E SATIRICHE


T R A D O T T E E C O M M EN TATE

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FRATELLI BOCCA, EDITORI


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(1) Un anteriore votgarizzamento dei CMnr;, dei CoMPACNONt, pubblicato a Mitano datto Stetla net 1820, mi stato irreperibite. Un ancora pi antico votgarizzamento dei mede simi Cisor/, di GtROLAMO ZANETTt (Trevigi, per Trento, 1765) era irreperibite al Petrettini stesso. Entrambi sono citati in F. FtOERtc] D%'/i Sfy/^or/ r ^//' //< ^ v^<owz (Pa dova 1828) p. 330. (2) Di uno sperimentato conoscitore di Giutiano sono /Parser _/ /< 3 /M<no/A<sf/M Qbers. u. erkt. v. R. A snus (Leipzig 1908, " Phitos. Bibtioth. ^ n 6 . Bd ), ma non s'incon trano con ta mia versione se non per ta a 7*i!)Ms/!0, e non recano che un commento assai etementare.

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Torino, dicembre 1919. A u G . ROSTAGNI.

PARTE PRIMA

L'UOMO E LO SCRITTORE
S A G G IO C R IT IC O

CAPITOLO

I.

Preliminari.
Sulla soglia, quasi, dell'Et bizantina, mentre i bar bari battevano ai confini del!' Impero e, ne)]' interno, guadagnavano ogni giorno potenza i fedeli di Cristo, un uomo tent di sollevare, per l ' ultima volta, la bandiera dell'^Y/^MWf (i). Quest'uomo Flavio Claudio Giuliano, imperatore e nipote di Costantino il Grande. Nell' impresa portava la convinzione di un apostolo non meno che l'energia e la risolutezza di un condottiero di eserciti. Era guidato non pure da una assillante idealit letteraria, si anche da concetti politici e religiosi. Congiungeva, con profondit ragio natrice di filosofo, al disegno di restaurazione intel lettuale che, per riuscire efficace, doveva essere restaurazione dell'arte e del sapere antico nel loro contenuto mitico e ideologico quello di una com() Questo stesso vocabolo, se non inventato (come afferma G. BotsstER i n y{w / .PagwMswi I p. 111), certo da Giuliano divulgato, ad esprimere il complesso della antica civilt e, particolarmente, l'aspetto religioso, ch'egli intende restaurare e che, secondo il suo pensiero, inscin dibile dagli altri aspetti della vita classica. V. X L IX Cfr. X L , X L I, LX X III (t epistole della cui autenticit, per, si dubita.

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piet restaurazione civile e religiosa, che doveva es sere ripristinamento dell' Impero nelle sue basi e nelle sue istituzioni originarie. Basta enunciare questi pochi termini fondamentali per comprendere quale enorme complessit di pro blemi si affacci allo studioso di Giuliano. La perso nalit del dotto imperatore non di quelle che pos sano afferrarsi con uno solo sguardo ; ha molti lati e, come tu ti sposti, sembra cambiare aspetto e propor zioni: , diciamo cos, assai facilmente deformabile. L a deformazione cominci infatti, sotto gli occhi dei contemporanei, per opera di fautori Ellenisti nell'un campo, di avversarti Cristiani nell' altro, di retori e filosofi da questa parte, di soldati e di statisti dal l'altra. Culmin, lui vivo ancora, nel marchio, che gli fu durevolmente impresso, dell'apostasia (). C era
(i) P er la prima volta, ch 'io sappia, l'appellativo atatqs gli pubblicamente applicato da G R E G O R . NAz. Ora/. IV 1) i e ^assM; ma da supporre che con quel nome i Cristiani abbiano 6n dalle prime designato il loro nemico. Giuliano stesso mostra di accorgersene, quando, nei libri Cow/ro : Ch'i/MH! p. 207 Neumann, scrive di s : :!$ Da SOZOMEMO poi /As/. fff/. V 4 p. l8g A si ricava che lo chiam il famoso vescovo Maris, incontrandolo in Costantinopoli. un termine desunto dall'Antico testamento, versione del Settanta: v. ad es. X IV g, /so'. X X X I. Diventa (tanto djtofuanyy quanto napa/Mtss) epiteto abituale nei glossografi Fozio, Suida ecc. L a lettera famosa del fratello Gallo a Giuliano p. 454 C, D (p. 613 Hertlein), ove ricorre la frase ae At ' &)#:;, per lo meno di dubbia autenticit, sebbene recentemente il SEECK t&s ow IV (Berlin 1911) pp. 124, 440 la abbia proclamata genuina.

Ca^. 7. -

chi, come Libanio (]o splendido e vacuo declamatore, esperto ad avvincere col lusso della parola l'attenzione del pubblico), vedeva in lui prevalentemente il innamorato della sapienza e_ della bellezza ellenica, restauratore del ct)!to politeista ; chi invece, come Ammiano Marcellino (lo storico e guerriero dall'animo retto, dal pensiero acuto ma non molto incline agli slanci e alle comprensioni sublimi), poneva in pi vivo risalto il soldato, l'uomo di governo, il campione della giustizia e della virt patria. C erano Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo, che, nella foga d condannare il rprobo, dimenticavano o, deliberatamente, oscuravano le reali innegabili doti del citta dino, del pensatore, dell'uomo. Non c era nessuno, forse, che intero e senza offese raccogliesse il segreto della sua anima : non, forse, i filosofi e asceti Massimo e Prisco, coi quali ancora morente egli s'intratteneva a ragionare della sublimit e dell'immortalit dello spirito (i), e che solo si curarono di interpretarne e assecondarne le pi ardite aspirazioni mistiche. N le discrepanze e le passioni, allora accese, sono oggi spente. Chi esalta, chi denigra ; chi esagera il si gnificato della riforma religiosa, chi lo attenua fino ad assegnargli un valore del tutto secondario e fortuito. Non qui mio proposito di indagare gli atti e gli intendimenti tutti dell'Apostata, e neanche le svariate concezioni e i molteplici dibattiti cui il suo nome ha dato occasione. Io ho davanti a me lo scrittore. Senonch, nello scrittore appunto viene fuori l'uomo; non si menoma, anzi si concreta la personalit sua intera: e non come altri ha creduto che fosse, a
(i) AMMAN. X X V 3, 28.

6 giudicare da] suo operato, ma come egti stesso riuscito ad affermarsi, per virt d'arte sua, v ita lm e n te . Poich sebbene paia a tutta prima esagerato oso dire che qui principalmente ha vita l'imperatore Giuliano. L a solenne impresa che nel rapido corso della sua esistenza poco pi che trentenne egli tent, e che lo rende cos attraente ai suoi moderni storio grafi : quella celebre impresa che sopra abbiamo pro spettata, e che fu la principale e culminante manife stazione della sua attivit pratica, miseramente fallita. A giudizio di tutti essa non ha avuto, e non poteva avere, nello svolgimento della storia alcun effetto. Risuscitare l'EHenismo, come Giuliano inten deva, era andare contro la naturale evoluzione dei tempi ; era tanto assurdo quanto pretendere, ad es., che l'albero tornasse germe. Terch, in realt, t'EHenismo non era morto: viveva nella civilt cristiana, come il fanciullo ch' stato, vive nell'uomo che . L'Apostata insomma, nei suoi cinque anni di governo delle Gallie in qualit di cesare e nei due anni di impero in qualit di augusto, passato per dirla con le parole di un critico insigne come una me teora luminosa che, appena accesa, si spenta: ha sprecato in un disegno ineffettuabile le sue magni fiche virt di mente e d'animo (). Afa non ha sprecato interamente. Perch nel falli mento dell'imperatore ha le sue radici (non paia un'ironia!) l'originalit dello scrittore. Nella sua tra gedia di uomo, nel suo conflitto coi tempi, noi siamo per ravvisare le intime ragioni della sua arte.
li) G. NEcm, Z/MM/frn/or; PP- 485-6, 3 ' 7-8 . (Milano 1902)

CAPITOLO II.

Vita, attiva e vita contemplativa. Il pr Rio dell'uomo.


L'anno 355 delt'ra volgare, a' d 6 di novembre, Flavio Claudio Giuliano, figlio di Giulio Costanzo e di Basilina, ventiquattrenne, era chiamato a prendere parte al governo de))'Impero, con titoio e dignit di cesare : che voleva dire, nella gerarchia istituita da Diocleziano, vice-imperatore, ossia la principale figura detto Stato accanto a quetta dett'augusto (1). Chi to chiamava, dividendo cos con tui gti onori detta por pora imperiate, era it cugino Costanzo II : quello stesso che, net 338, per disfarsi di possibiti preten denti, gti aveva fatto uccidere (o era stato nel fargti uccidere it principate responsabile) it padre e un fratetto maggiore, nonch varii attri parenti : quetto stesso che, fino attora, aveva circondato di sospetti e

() . X V 8, 1 sgg. (per ta data dett'etezione ibid. 17); fi*. 176 gTW f. MHer IV p. 605). Circa il computo dett'et di Giuliano sebbene non abbia al nostro scopo alcuna importanza per amore di esattezza, mi attengo a S E E C K Gisc/. i / af. an/^ IV, pp. 391-2, il quale conferma, come data di nascita, il 331, contro RADtNGER " Philologus L (1891) p. 76! e NEUMANN ibid.
lOHANN. A NTIO CH .

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di paure )a sua giovinezza orfana e straziata, e ancora recentemente, ne! 3 5 1, aveva etevato aia medesima dignit di cesare t'attro fratet!o superstite, Gatto, per farto morire poco appresso (1). Tragedie di Corte cui ta storia de! tardo impero aveva purtroppo avvez zato gti animi : ma che uguatmente dovettero gettare nei festeggiamenti de) nuovo cesare, anche attraverso atta cristiana piet e atta pacata mettiHua unzione di Costanzo, un sinistro bagtiore (2). Cos descrive, con rara sensibitit artistica, Ammiano Marcetino ta scena in cui si decide t'avvenire det nostro eroe (3):
It giorno hssato, convocate tutte e truppe ch'eran presenti in Mitano, eretta pi atta det solito ta tribuna, cui circondarono (r) Questi fatti sono abbastanza noti e da Giuliano stesso denunziati nel M fig a ^ g w a/ SfMa/o i a/ .Po/c/o 270 C, 281 B, dove pi particolarmente ne tratteremo, nonch in Oro/. VII 228 B, 230 A ; I 17 A . Difese di Costanzo furono tentate, per ragione di partito, dai nemici di Giuliano, ma non riuscirono a cancellare la sua responsabilit. (2) Sulle affettazioni di Costanzo e sulle strane maniere con cui posava a sapiente e a filosofo, vedi, oltre alla splendida descrizione di AMMtANo X V I io, 9-12, X X I 16, ci che si de duce dai panegirici di LtBANto (particolarmente Ora/. L IX 122), di TEMtsTto (particol. I e II) e di GtuuANO stesso )I e II). Circa la speciale sua passione per l'eloquenza, dice Am m iaao (X X I 16, 4) : aW$w;5 a^ ff/a/or, Sfa' fM TM a rAi/or/ra / i r ^?:? <&s;r?rf/r a<? i'^r.S[/ffaM C?M ?M /raMi^rciSMS o^cray ^rt/n<w yi?c<7. Ottima caratteristica in SnECK GMf/:. a*. IV pp. 31-2. (3) X V 8, 4-17. Questa descrizione di Amm iano deriva pro babilmente come dimostra soprattutto la chiusa (vedi nota ivi) da relazioni scritte od orali di Giuliano stesso o di suoi intimi. Il discorso di Costanzo da considerarsi, in massima, autentico : come dimostrano io credo le tracce di stile greco che traspaiono nel latino di Amm iano (e i di-

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]e aquile e gti stendardi, l'augusto, salito, e tenendo per la destra mano Giuliano, a questo modo con pacata favella peror: " Noi siamo davanti a voi, ottimi difensori dello Stato, per tutelare, quasi con un'anima sola, la causa di tutti. A voi io riferir, come a giudici imparziali, quel che sono per fare. Dopo l'uccisione dei tiranni ribellatisi (1), cui rabbia e furore a ve va condotto a tentare ci che tentarono, i Barbari, quasi per offrire agli empii Mani di costoro un sacrifizio di sangue romano (3), invadono la Gallia, rompendo la quiete dei con fini (3): imbaldanziti si vede da questa fiducia, che noi ardue necessit ci tengono legati a lontanissime regioni. S e dunque a questo male, che gi oltre il dovere si espande, andr incontro mentre a tempo il suffragio di una

scorsi di Costanzo, se anche tenuti in latino, dovevano essere stati raccolti e pubblicati in greco : prova ne sia il discorso per la nomina di Temistio a senatore, pp. 21-7 dell'edizione Dindorf): cito ad es. l'uso di in posizione attribu tiva (13) = ^ ytpy ; ^rosfr^fM/;' (7) = ^novtt (raro in latino). Cito soprattutto un parallelo di concetto e di espressione : /M S < r:ort /o/f .s/a/ <-

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SMM'MMS (iz) con TEmsTto (il quale non doveva ignorare il discorso di Costanzo riferentesi a quel fatto stesso che inten deva esaltare): Ora/. 11 40A : o#nu yp t y yt^<hmqpt!y

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e v. qui 11. (1) Magnenzio e, pi particolarmente, Silvano: su cui vedi la nota a / & . i a/ Po/. a"^4 /. 273 D. (2) Prende abbaglio P. ALLARD //' /'y4/cs/a / 1 (Paris 1900) P- 35 5 - " comme pour offrir de leurs MMMS impies un sacri fice expiatoire arros de sang romain Il testo : M/M/

orM w waHiiws rowa^o saMg'KMi /arcw/aM/fs.


(3) Era forse arrivata o stava per arrivare la notizia della caduta di Colonia : che a Giuliano fu nascosta fino a che non si trov in viaggio per la Gallia : AwMtAN. ibid. 18-9.

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P a r/? /. - Z.'owo i /o scr/Z/orc.

nostra comune deliberazione, i colti di quelte genti superbe si Baccheranno, e i confini deH'impero saranno intatti. Resta che ta speranza ch'io nutro, voi corroboriate con prosperi effetti. Qui Giutiano, mio cugino paterno che, come sapete, giustamente apprezzato per ta sua modestia, e per essa a noi attrettanto caro che per ta parenteta : giovane di brittanti attitudini che io desidero etevare a) grado di cesare, purch a questo mio disegno, se utite vi pare, anche voi diate con ferma col vostro consenso Attro voteva aggiungere : ma t'uditorio, interrompendo, con favorevoti mormorii, to impedisce : " Questo it votere di Dio, non di un uomo dicevano, quasi presaghi det futuro. Senza fare un movimento, [Im p eratore (t), quando furono tornati in sitenzio, continu, pi sicuro: " Poich dunque detta vostra approvazione mi fa fede it tieto sussurro, ors, questo giovane di forza tranquitta, i cui modesti costumi sono pi da imitare che da descrivere, salga all'auspicato vertice degli onori. La prectara sua indole, cottivata dai buoni studii, credo di averta con ci solo pienamente dimostrata : che su tui ho diretto la mia scelta. Ordunque, in presenza di Dio celeste, io lo vesto del manto imperiate Disse, e tosto, indossata a Giutiano ta porpora degti avi e proctamatoto cesare fra gti applausi delt'esercito, a lui che tiene il votto un po' contratto e quasi mesto, soggiunge: " Hai ricevuto, cos giovane, lo splendido fiore dell'origine tua, o fratello a me fra tutti amatissimo! La mia gloria con fesso se n' accresciuta: poich net deferire, con giustizia, parte detta mia potenza atla Nobilt tua che m' parente (at, mi par d'essere pi subtime che per ta potenza stessa. Siimi dunque compagno nette fatiche e nei pericoli : assumi la tutela e it governo delta Gallia: porta sottievo coi tuoi benefizi a quelle aiHitte contrade. E se i nemici sar necessario affron tare. aspettali di pi fermo, tra i portabandiera stessi: giusto (1) Ci nelte abitudini affettate di Costanzo: AMmAN. X V I io, io : </ os waSMn: /fr^fns v?//rtfaws,

mawMWW agi/nws r/sMg < rs/ wwyKaw.


(2) Questo detto in doppio senso : parentela di nobilt, di virt, di filosofia: v. sopra p. 8 n. 3.

Co^. 7/. -

istigatore di coraggio in tempo opportuno, cauto esempio di ardire ai combattenti, sostegno dei caduti e degti oppressi, testimonio di verit e di giustizia sia ai vatorosi, sia agii ignavi. Avanti dunque, dove i'urgenza dett'impresa ti chiama, avanti, uomo forte, aita testa di uomini parimente forti ! Noi ci saremo accanto, con 'incroHabite costanza di un vicendevote amore; mititeremo insieme; insieme (se a Dio piaccia di esaudire te nostre preghiere) governerem o con eguate m ode razione e piet eguate it mondo finatmente pacificato. Tu mi sarai sempre presente, n io ti mancher, quatunque cosa tu faccia. Insomma, va, va ! corri, accompagnato dai voti di tutti, a difendere con cura assidua it posto che ta Repubbtica, quasi, ti aiBda t . Nessuno, dopo questa chiusa, si pot tenere: anzi, im ititari con orrendo frastuono, battendosi gti scudi contro te ginocchia (che manifestazione riboccante di giubito; mentre, quando contro te tance urtano gti scudi, attora segno di rabbia e di dotore), mostrarono con quate e quanto piacere tutti, ad eccezione di pochi, approvassero it giudizio det!'augusto. Accogtievano, in atto di degna ammirazione, it cesare, tutto fiammante net futgore detta porpora imperiate. E contemptandone gti occhi, di una bettezza terribite, contemptandone it votto, di una grazia pi forte netta insotita commozione, cer cavano di presagire quate egti sarebbe in futuro: come se avessero studiato quei vecchi tibri che insegnano a scoprire dai tineamenti esteriori te interne disposizioni degti animi. P er m aggiore rispetto atta sua dignit, non to todavano ottre it dovere, n meno : di modo che pi di censori furono stimate quette voci, che di sotdati. Ma, ammesso poi net medesimo cocchio dett'Imperatore (i) e ricevuto netta reggia, egti sus surrava quet verso d'Omero: Z o co/si /a Mor/i f (2).

(il Degnazione veramente eccezionate. AMMANO stesso X V I 10, 12 : u ff ;* M cowxMiMW //** (a) ///ai/. V 83. Questo particotare dovette essere de sunto da quatche scritto di Giutiano stesso, forse da uno dei

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DiHcimente g]i spettatori che contemptavano quel giovine dai corpo esiguo (i) sotto ta porpora impe riate, scrutando nei suoi occhi d una bettezza terribite, ne) vo!to pattido e contratto, nette maniere convuse (2) i segni de) futuro, poterono comprendere quate uomo appunto egti fosse. DifHcitmente io poteva compren dere Costanzo, che pure !o eteggeva (sia che ci facesse per urgente necessit di Stato, sia anche per procurarsi !a soddisfazione, cara ai pi perversi, di beneficare, di fare un bet gesto, di rappresentare !e parti detta saviezza e detta bont) (3) e lodava !

perduti M essaggi ai Corinzi, agti Spartani, in cui narrava !a sua etezione, e dei quati quatche traccia ci dato scoprire anche altrove: come in Z o s iM . IH 3 (v. M issag gio 277 D, in n.). ALLARD yw/MM I p. 337 Io attribuisce a confi denze det ciambettano Euterio. () . XX II z, 3 : cor/ori; 1 4 ,3 : Aowo irir<s (r<</iAa/r i/n'/M M / C irfo/s... ^wwiros M/tw/aMs ags/os... ^raMf/Za^Mi/nii^iwi); X X V 4,22: ?Mi<'ofr:'s ira/ s/a/wrai. (2' V . per tutti questi tratti ta caricatura che ne fece GREGOR. NAZ. Ora/. V (S/fMfK/tfa I]) Z3. Sutta quate cfr. AsMus in * Phitotogus , L X V (1906) pp. 410-5. (3 ) Anche questa una questione sottite e appassionata mente dibattuta, non dai moderni sottanto, ma gi dagti an tichi. Mentre infatti G regorio Nazianzeno non vede in Costanzo attro che una santa intenzione di beneficare it cugino, questi net /issagg/o a/ -Siwa/o i a / Po/. a*< ^4 /. Z 7 3 C, giunge ad attribuirgti l'intenzione opposta. Probabitmente vero ci che si deduce da Ann] ANO V ili 2 , da Z 0 SIM 0 III 1-3 e, in sostanza, da G tu n A .N O stesso M i s s a g g i o 2 7 7 D, che a Costanzo it gio vane cesare dovesse servire come strumento per tener vivo it prestigio imperiate nette Gattie pericotanti, mentre ['auto rit effettiva restava nette mani dei generati. P e r non avere t[spettato questi generati ed essersi rivetato uomo d'armi tui stesso, Giutiano cadde in disgrazia.

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suoi * moderati costumi *, te sue briganti attitudini *, ta sua * forza tranquitta *, i * buoni studii *. Cono scevano di )ui atcune cose esteriori. L o avevano visto arrivare di recente dalla Grecia, con ta barba tunga e it mantetletto di Htosofo ; avevano riso dette sue maniere timide e impacciate ; to avevano costretto ad assumere vesti mititari, componendo di tui un assai buffo sotdato (1). Avevano appreso, forse, quatcuna dette sue passate vicende : che, orfano, era stato te nuto tontano da ogni fasto regate (2) ; aveva conce pito per gli studii una immensa passione, cui non sempre era tibero di soddisfare; a Nicomedia prima, e a Costantinopoli, con maestri assegnatigti da C o stanzo (3); poi a Macelto, in un sotitario podere delta
(1) V . pi avanti i! JM?ssa^g-:'o 274 C, D. Cfr. AMMtAN. X V 8, 1: /'!... (z) Che, dopo l'assassinio dei parenti. Giuliano sia stato allontanato da Costantinopoli si deduce dal .MMsaggw 270 D Frepop xrftvat [Af'fnrdftioy], <!i e che a Nicomedia abbia fatto i suoi primi studii, sotto la direzione del vescovo Eusebio (v. oltre cap. HI), si conferma da AtuMtAKO X X II Q, Ci con traddice a NEGRt G<K/. p. 23 e ad ALLARD / ' I p. 267, secondo i quali il fanciullo dimor addirit tura a Costantinopoli, o vi torn dopo una brevissima assenza p er seguire Eusebio, nominato allora (338) vescovo della ca pitale. L a venuta a Costantinopoli invece del 342 circa (se condo dimostra S E E C K G f S f A . IV p. 458); dopo di che, svegliatisi i sospetti di Costanzo, il ragazzo sar riman dato a Nicomedia e, tosto, nel 343, relegato a Macello <!<!<;.%' <%7rayctydyrty 271 C). Su tutto ci cfr. I. (3) V . qui il Mso/o^oHe 354 A , B, e cfr. Or. VII (CcM?f*o ;7 f!*M <co J 5raf/i*o) 229 C, dove di se stesso, a quei tempi, dice : 7M XnM ov 2 d iff/.?,'f fO f ; 231 C : *

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P a r /; V. - I/MOMO i /o

S fr < / / o r ;.

Cappadocia, dove (con grande sua pena) era rimasto per sei anni privo di ogni libera conversazione; poi ancora a Costantinopoli e nei principali centri del l'Asia Minore, presso i filosofi e i retori pi rinomati; da ultimo in Atene, che gli era stata scelta come luogo di esilio e che era divenuta per lui vera sede di delizie spirituali (i). Correvano voci, ma varie e indistinte, che dalla sua condotta non volgare, dai suoi rapporti con filosofi e asceti d'Oriente, stimavano indurre alcunch circa la missione e i propositi del nuovo cesare. Tanto che (se ha qualche senso la leg genda), non appena egli fu giunto in Gallia, dove Costanzo lo inviava ad esercitare l'ufficio di re, ed entr in Vienna fra le acclamazioni della folla, una vecchia cieca, chiesto chi arrivava e rispostole : * Giuliano cesare *, Questo *, grid, colui che ristabilir gli altari degli Dei * (2).

* *

Difatti, Giuliano si elevava assai al disopra degli uomini comuni : vz'r

ouyytvv o/x/p Che Giutiano fosse desti nato a vita privata si deduce poi anche da questo, che non gli fu insegnato il latino n impartita alcuna educazione mi litare (AMMtAN. X V I 5, io). (t) P er tutto ci v. di nuovo 271 C, D, 375 B, con le annotazioni relative, e Zi//ira a 7 < W <s/< o, particolar mente 260 A . Cfr. inoltre Ora/. a^? (3) AMMAN. X V 8, 21-2. V . le considerazioni di Au-ARD ,// /*^ 4/os/a/ I p. 393 e di GEFFCKEN Afa/sir _/M /<3H M S (D a : ; ^ 4//iw VIII, Leipzig 1914) p. 31.

per servirci delta scultoria espressione di Ammiano (1). Egli aveva legato la sua vita, in ma niera indissolubile, a una legge superiore, che non era solo la legge del bene morale, per cui amava la giustizia e rifuggiva dall'iniquit, ma la coscienza di una missione che l'uomo riceva da Dio e di cui a Dio debba, anzitutto, rispondere (2). Poco importa qui stabilire da quali influssi, fuori delle sue conge nite virt, egli attingesse questo verbo, e fino a qual punto i neoplatonici Edesio e Crisanzio o il tauma turgo Massimo dessero concretezza d ' intenti politici e religiosi alle mistiche aspirazioni dell' imperiale alunno; poco importa ancora determinare per quali ragioni, dipendenti dalla sua educazione, dalle simpatie letterarie, dalle speciali contingenze familiari, oltrech da qualcosa di pi profondo che poi vedremo, e non certo da perversione d'animo, egli approdasse al Po liteismo anzich al Cristianesimo. Il fatto sostanziale che, dal giorno in cui aveva cominciato a p e n s a r e , lo spirito del giovane si era agitato nella sfera dell'Assoluto, e in questa aveva elaborato e raccolto una tale concezione della vita che doveva assisterlo in tutti i suoi atti ed essere il simbolo della sua eleva tezza d uomo. L'apostasia sua stessa, ossia la ricon sacrazione ufficiale del Politeismo, il quale quaranta anni prima Costantino aveva abbandonato come re ligione di Stato: questa famosa riforma, ch'era il grande segreto cui gi il nuovo cesare albergava nel-

(1) X X V 4, 1. (z) . X V I j , 4 : HWi/Mr /ax

a '' fMw's

cofMi/a/a

i6

.Par/; /. - Z.'wowo ; /o cr<?/o^.

t'animo (:), non fu se non una manifestazione este riore, e, in certo senso, secondaria e occasionale, di quei fondamentae fenomeno che costituisce il valore intimo di Giuliano e che tanto to nobilita ai nostri occhi imparziali. Questo valore non fu da lui conseguito che per mezzo di aspre lotte combattutesi nel chiuso della sua anima, e le cui risonanze sono avvertibili, quasi, in tutti gl' istanti e in tutte le manifestazioni della sua vita. Giuliano non era di quelle anime candide e tranquille che nulla conoscono all'infuori del bene, e passano pel mondo senza vedere, senza raccogliere le offese recate alla loro ingenua purezza. Anime nate per effettuare l ' idea della perfetta bont non incontrano ostacoli, non sospettano dubbii : raggiun gono la virt con l'ignoranza, quasi, del vizio (2). Giuliano non rassomigliava, quindi, a Marco Aurelio; sebbene questo si fosse prefisso a modello, non pure di imperatore ma di uomo, e cercasse imitarne e ri(1) Si deduce, non so]o datt'aneddoto che abbiamo sopra riferito detta sua entrata in Vienna, ma da ci che dice ne) M essaggio 277 C intorno att'amico Evem ero che to segu in Gattia, t nrpAy o fvttg *. $ (7:. In Gattia egti fece poi venire it ierofante di Eteusi; v. E u X A P . H 7. Maxim, p. 476 Boissonade*. (2) Di una certa indomabitit di carattere e dette fatiche che gti cost ['esercizio detta virt, speciatmente durante i primi anni detta sua educazione, parta pi votte Giutiano net particotarmente 331 C (^vepyaopcvoy [ yaydy] 2 ' * 'X

353

rpioxovra

dygivai

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e,

tt xn! jMttn iOOKt'r^g pi ancora, in Ora/. VII 235 B, C : cfr. qui appresso.

Ca/. //. - /a aZ/wo i !/:7a coM^iw/Za^fa.

farne < ta perfetta virt * (i). A veva dentro di su n rigogtio passionate da cui Marco era immune. Pur atte cose bette e sante si abbandonava con un impeto che t'otimpico suo predecessore aveva ignorato. Era una natura infinitamente pi comptessa e pi ricca. Dotato di una istintiva avversione per it turpe e it disonesto, era portato a perseguitarti con un ardore che sapeva d'odio e d'ira (2). Doveva vincere se stesso,

(1) i . i / / i r a a 7?5/) 253 B-C ( c f r . p u r e i Cisar< 317 B, 328C, 3 33B, 335C). . X V I 1 , 4 : r i f / a i / i r / c r -

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foxg-rMfMS .Marco, aa? CM KS

SM OS e/ w o ris ; XXII, 4; X X V 4, 17. EuiROP. X 16, 3: M erco v4H/0M!M0... i/;aw aiWM/ a r / /%?? ( 2 ) Cos*]

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ca ric a tu ra c h e

d e h 'in d o t e im 21: ;9 xct

p u ts iv a di G iu tia n o fa

GREGOR. N A z. O r a / . V

i;l' ^yt/^ arry d rvpaw o^ C 'oy ravra ^ ; e ancora pi avanti. Egli stesso, G i u t i a n o , cono sceva i proprii impulsi e mirava a correggersi: v. AmntANo X X II !0. 3 : / </' fM !?M /iOf f.-i/ o//a<^M7M r i i /, ^ / i r y arw H^o^or:<H: i^ram/xa <KW s/MW .- a y;<o //A' a^irrari/ /^ sco/M/os ca:iAo/ ar//os. / aM/iw /iz/;7 a /i?K a ^ w o s c i K S c o M M o / i'o r i i ; ; s ;</, /rai/if/<ls/rojr:'<K/iyMi /irw<7/i&a/ M ? yi</iM/ir w / i / ;<s s M0 i a//orsw a^
yw ai (/ ir iA a / '/ o//cr/M M O y r i x a r i ! ; / .w O M s / r a ia / y M i

s i aW iri r/fAr//.s' f/ ^a^r/rrr forrif^'oMi; X X V 4, 16:

i.iK;'or;'s Mg'i!;;; /frai^y wrww< /;of /'/< / rif/:'ss;?M O


/iw /iraia/, iMini/ar/ sr, f;<w c?i&:*ari/ a ^OMa, /irX V I 7 ,6 ; edEuNAPtofr. 24: ^ tv Opi/?<ytov cfytdvra o ^ p ^ ry dt d/4-

tu tto t 'o p p o s t o d i q u e tta ip o c r it a im p a s s ib itit d i c u i a n d a v a s u p e r b o C o s ta n z o e d etta q u a te p a rta m m o s o p ra .

/ /. - ^ / scr<7/ori.

ricorrere a! ragionamento, rifugiarsi netta contemplazione de)]'astratto e deH'assoluto, per purificare i suoi sentimenti. A veva ta forza di tentarlo, di riuscirvi spesso, ma non senza che gti restasse a fior di labbra uno spasimo amaro, come ricordo della lotta (j). Freddo nelle cose della carne, poco incline agli af fetti terreni, rovesciava l'impeto della passione sulle cose spirituali e su tutto ci cui annettesse valore spirituale (2). Non soffriva tanto per la rinuncia, in

(1) V . per tutto ci it A%so/og. passim e ta tetter v 4 //o s/o G<w/Mwo, scoperta non motto tempo addietro e pubbticata in * R iv. di Fitot. X V II (:888) pp. 291-3. dove bene descrive i suoi sentimenti : /re. R icorda inottre Ora/. VII 335 A -C : < ! de' (Mardonio credo io : v. I)
<$per/]v xai d o x e tv ... ^/^ ... ro u r i xm! t # p a o t!, ycottiv ^MCturoS

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* roig f x f ''' qpi<% ot$ xt/?. (2) 348 D ( y^voy /fii... (ivaypddttov), 343 D (xa^i!?dcty $ ^rii'.Tc:r 367 B, e v. te note ivi; LtBAN. Ora/. XVIII 179: ytictt duvn/ttvoy aMypovtty. Se detta vita intima di Giutiano, e particolarmente detta moglie Etena (ta soretta di Costanzo, a tui unita nett'occasione detta nomina a cesare e morta quatche anno dopo in Gattia), nutta saputo, ci non tanto per mancanza di notizie este riori (['imperatore parta di ]ei soto in quatche frase sbiadita, nett'Ora/. HI 123 D e ne) M assaggio 284 C), quanto perch tate affetto non era radicato ne))a natura dett'imperatore. Di qui forse riceve tuce anche quet discusso brano, contenuto in una tetter scoperta non motto tempo addietro (" Rivista di Fitotogia , sopra cit. p. 293), che, ottre atte due frasi test ci tate, ['unica testimonianza diretta dette retazioni di Giutiano con Etena: ^aptupay % tos #co&s ?tcvtay tt xcti
J z t f?OK MOt ?rpy ^ y a i i f t ^ v , f ny

Ca/. 7/. - / // i

coM/iw/Za/wa.

19

s stessa, quanto per lo sdegno di non vedersi se guito, approvato, riconosciuto. Tendeva ad isolarsi: a ripagare con un gesto d'orgoglio l'abbandono in cui gli sembrava di essere lasciato. Sentiva altamente di s, troppo diverso dagli altri ( i) ; amava, irrefrenabil mente, la gloria (2): e ci lo spauriva, poi, se si fa

Si noti che it brano completamente frainteso da ALLARD _// A^/os/a/II p. 30, it quale, traviato dalla falsa traduzione e commento di PARtsto e LARGAtoLLt, . c. detta " R iv. di Fi!. , vi v ed e un senso " anodino : " je n'aurais pas support que quelqu'un fit connaitre au pubtic quets taient mes rapports avec ma femme ; mentre it senso chiaro ed tutto it contrario di q u esto, cio : " non mi sdegnerei che qual cuno ecc.: perch tutto era temperanza e sa gg ezza,,. R i mane quindi anche escluso t'accenno atte dicerie e atte caiunnie secondo cui t'Apostata avrebbe avuto parte netta morte di Etena. Ricorda poi Ora/. VI 198 C : od ,^// Ji' ^< . xai t' xcc dp/viy

4%/6?- 8$ /Ji' ^^

odx n/taf 7t^0i 3v dA !! AMMt ANO X X V 4, 7 : :W/ r a ^ 'c a ia / is s i f ??: / aw<WMw, ca/Zar? /^ cor/ori. (1) Jt/issagy/o 276 C (*^$... ' Ryc^a/ ? , ^^ ^CTp/), e gOMi passim. Questo sentimento gti viene anche da un con cetto mistico, che divide t'iniziato dai profani (Ora/. V 173: dfyv&K7fa , #fovpyo?y ^axap/otg V ed i inottre Ora/. VI 196 C, z o o C ; VII 211 B. (2) AM M t ANO X X V 4, 18: //aMSKS &M /M S, /aM ^M W eAaw MMMtwfS riiM i M /iw/iraws a^<?/:7or ; X X II 7, 3-4 : wm'KS ca//a/or ^ g'/or/ai /raic/ar/yw? M'ws /'' w w i w o r 7 //' <, ?M0 /a/;.s wo/aM</o //a ri/a/MW .- " V^s: '/ /:7^(, i/<aw :' ^ cow/iwwiwi/a ^/or<a scr<&Mw/,

ao

/*ar/; /. - Z.'<(owo ? /o ^fr<7/ori.

ceva a considerare di essere un semptice strumento nette mani di Dio. Come ta mitezza e t'indutgenza, cos 'umitt suggerita datta ragione gti costava fa tica. Ma rendeva pi meritevote, poi, ta vittoria. A d acquistare questo temperamento, a satdarsi in torno at petto una cos rigida corazza spirituate, do vevano averto assai aiutato te condizioni in cui venne a svotgersi ta sua prima giovinezza: che non soto era offesa e privata dei pi puri affetti famitiari (prima dett'assassinio det padre, det fratetto e degti attri congiunti, gi gti era morta ta madre Basitina) (t), ossia di quegti affetti dai quati avrebbe imparato ta confidenza e ta tetizia: ma anche era esposta atto ambiguo spettacoto di una societ, di una ctasse, di una Corte in cui si faceva di tati affetti it pi mo struoso tudibrio (2 ). Minacciato egti stesso, oscura mente, netta vita, aveva presto dovuto imparare a riporre te sue speranze' at di t detta vita (3). Sospeso

MOMMM SMHM <*mfr<&<;/, !</ ' M

!^SO, y <(0

^/'/, ^ r a ^ r a r / ay s i MowtMar/ / / X X tI, p, 1 : ^ r o ^ r / i //^ i/aV/or VtcT. ^/. 43, 8: g/or/a^ y7a^raw/<or. I Cristiani non mancavano di accusarlo di vanit, e speciatmente G R E G O R . N.\z. V 20, in ogni buon gesto cercando una cattiva intenzione: di che mostra adontarsi Giutiano stesso net Miso^ogOMi 363 D : v. ta nota ivi. Inoltre : IunAK. Ora/.

vm 251B, c.
(1) Pochi mesi dopo averto dato atta uce: 352B. (2) L a descrizione di questa crisi interiore si ricava, prindpatmente, datta favota attegorica che Giutiano ha inserito netta diatriba Con/ro *7 nn/co frafA 'o (Ora/. VH 227 C-234D), d ove ha in forma di mito rappresentata ta propria giovinezza. (3) Netta favota attegorica, citata atta nota precedente (Or. VH 230 A) to scrittore riferisce che quando per ta prima

77. -

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ai

netta viziosa contraddizione di un mondo dove l'una mano uccideva i] fratelto mentre l'altra benediceva all'Onnipotente, aveva dovuto ]' equilibrio cercare in una sempre pi intensa contemplazione* dell' essere puro (i). Oh, rara virt, oh, attitudine veramente magnanima che gli aveva permesso non pure di te nersi incontaminato dagli esempii del male, ma di trarne maggiore incitamento e furore a ribellarsi e a combattere contro di quello ! Racconta egli stesso che, quando, negli anni deci sivi per la sua formazione intellettuale cio dai quattordici ai venti , era stato confinato col fra teHo Gallo nel podere di Macello in Cappadocia, ed ivi privato di ogni libera conversazione, di ogni seria facolt di studii, sarebbe facilmente caduto nelle vie dell'errore e del vizio, * se gli Dei non lo avessero preservato per mezzo deit filosoa 9 (2). Senza questa

vo!ta eg]i aveva appreso ]a sciagura della propria famiglia yfvcfy roy era stato per darsi ta morte, dalia disperazione. Nella 259C parla di ^ che minacciavano il suo capo per opera di parenti ed amici quando " cominciava i suoi studii presso Temistio : che si riferisce probabilmente al soggiorno in Costantinopoli dopo ta retegazione di Macelto. (1) Ora/. VII 230 B : (il fanciullo che ha acquistato coscienza degti orrori in cui era caduta la sua fam iglia)... ^ y p a r ? xa/v ( O'J;i' '&^' (2) .MMMgg'/o 271 D, 272 A . Qui per filosofia non si deve ancora intendere la retigione pagana, n per salvazione l'apo stasia, perch Giuliano stesso nella LI 434 D, composta alla fine del 362, dichiara di avere abbandonato il Cristiane simo in et di venti anni e di trovarsi allora, mentre scrive,

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/Tsr/i /. - A*M0W0 i /o sfr<7/ori.

Htosofia (soggiunge) l'infeiice Gatto, saito at trono in qualit di cesare ne) $, si rivet crudeie e fo!ie tiranno. Con questa ftosofia, dovr ora tui net 355, nomi nato a sua volta cesare, ritentare ]a prova, e correre t'arringo poitico.

* * *

Ma, prima di tutto: qua! era in quetta contingenza l'animo suo? Sebbene, certo, non si facesse iHusioni circa te intenzioni di Costanzo () e mormorasse quei verso di Orner^:
Lo cotse ta morte purpurea e t'onnipotente Destino;

e sebbene, attres, fosse iontano da] nutrire ambizioni di regno; tuttavia Giutiano non credette di potersi

at dodicesimo anno de) suo cuto per gti Dei : i) che ci porta at 351, ossia at momento in cui, uscito da Macetto, it giovane compare a Nicomedia, a Pergam o, ad Efeso presso Libanio, Massimo ecc. A nche net mito di Ora/. VH 22$ D it dio Soie afBda ['educazione det giovanetto e ta sua satvazione atta dea detta Sapienza, Atena, mentre ancora 1231 D). L a permanenza a Macetto si estende dat 345 ai primi mesi de) 351, essendo terminata con ta nomina di Gatto a cesare it 15 marzo 351 (v. SEECK < 7. t/x/irg. tV pp. 108, 457), e avendo durato sei anni (M issaggio 2 7 1C).
(1) M is s a g g io 275: ... 7 tA y rt-

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33

sottrarre, per comodit od ignavia, a] d o v e r e nuovo che Iddio gti imponeva (1).
Gridi se qualcuna delle cose che hai in possesso si sottrae at tuo servizio; se ti scappa, per quanto chiamato, un cavallo o una pecora o un giovenco, e tu c h e v u o i e s s e r e u o m o n g i u n o d e l g r e g g e , n d e l t a f e c c i a , m a d e g l i a s s e n n a t i e a m m o d o , sottrai te stesso agli Dei, n lasci che, come a loro talenta, dispongan di te?... E il tuo famoso coraggio d o v'? che ? Buffonata! S ei subito pronto a stri sciare e ad adulare p e r p a u r a d e l l a m o r t e , mentre in tua facolt di gittare tutto dietro le spalle e lasciare che gti Dei facciano come vogliono, dividendo convenientemente con Essi la cura della tua persona, proprio come anche Socrate suggeriva: ossia fare da te ci solo che t'appartiene; ma la somma di tutto rimetterla a Loro ; non cercare di possedere nulla; non dare di piglio a nulla; a c c e t t a r e s e m p lic e m e n te il d a to d a L o r o .

Questa confessione contenuta nel a/ ^ a/ i' che Giuliano scrisse circa sei anni dopo in Hliria (2) per rendere conto della sua condotta verso Costanzo, quando, non pi cesare, ma augusto, non pi MWKJ, ma condottiero di eser citi vittoriosi e savio amministratore di province, si vide nella necessit di marciare contro l'imperiale cu gino, alla conquista pi, forse, della sua sicurt perso nale, che non di quel potere supremo che le truppe gli avevano conferito e che Costanzo negava di rico noscergli (3). E vera (non ostanti le intenzioni apo(1) TtMMgg-O 276B-277. (2) V. la nota al principio del m essaggio stesso. (3) V . XHI, citata in nota a JtMiagyO 286, e partico larmente: ti* o iv ' ; ... Te Frt, d/ro-

34

logetiche, suggerite dallo sviluppo dei fatti), perch ha tutta l'esuberante spontaneit dell'anima di Giuliano; perch risponde a quella legge superiore di vita cui abbiam detto avere egli indissolubilmente legato (in da giovane tutti i suoi atti. Ma anche nutrita da quel nuovo enorme travaglio che si agit nella co scienza dei ribelle l'anno 360, durante e dopo la ri voluzione di Parigi ove era eletto augusto: per cui ripetevasi in lui, solo irta di maggiori difficolt, la situazione psicologica del 355. Nel 355 era l'adole scente modesto, allevato nella filosofa e venuto su * dalle quiete ombre dell'Academia * (:), cui rende vano arduo quel passo l'educazione ricevuta, l'amore degli studii, il disprezzo delle pompe vane, i timori seminati sul suo cammino, l'esempio del fratello Gallo, chiamato al trono e poi ucciso. Nel 360 gli allori rac colti sul campo di battaglia, l'esperienza fatta nell'am ministrazione della giustizia e della pubblica economia, il favore incontrato presso le genti non hanno dimi nuito n la passione degli studii sereni, n la mode razione dei costumi, n la tendenza alla contemplazione: hanno invece inasprito la coscienza del dovere e resa pi urgente la sottomissione alla volont di Dio (2).
lo intendevo deporre ogni apparato e tasto regale per ritrarmi a vita quieta, n pi ingerirmi d'afiari... Niente sapevo di quel che le truppe avevano a mio riguardo deliberato. Oh, Zeus, o Elio, o A res, o Atena, o Dei tutti, siatemi voi testimoni se di ci io avevo il pi lontano sospetto prima di quella sera fatale ! Gi tardi, sull'ora del tramonto, mi venne

(1 ) AMMtAN. X V ] 1 , 5 .

(2) iVM iogy/o 283 A , 264 C-285, e v. le nostre note a questi luoghi.

C/t. 77. -

a///^a i ;7< coM/iW^/a/i*va.

25

!a notizia, quand'ecco di repente il paiazzo circondato e tutti acclamano " Augusto ! , : mentre io non sapevo che fare n mi sentivo soverchia fiducia. Ero in quel momento salito a coricarmi al piano superiore... Ivi, da una finestra, feci a Dio le mie preghiere. Ma fattesi pi alte le grida, e tutti agi tandosi per entro al palazzo, pregai Dio che mi desse un segnale...: ed Egli mi confort a cedere, a non contrariare la volont dell'esercito. Per, anche allora, non fui pronto a ce dere; ma tenni fermo quanto potei, e n l'appellazione di augusto, n la corona la volevo affatto accettare. Ma poich non potevo io solo spuntarla coi molti, e d'altra parte gli Dei che ci volevano far accadere tanto infiammavano la risoluzione dei soldati, quanto andavano invece estinguendo la mia; alla fine, verso t'ora terza, presentatami da non so qual soldato la sua collana militare, me ne cinsi il capo e rientrai nella reggia, sospirando (come Dio sa) dal profondo del cuore. Certo, affidandomi nel Dio, che mi aveva mandato l'auspicio, era d'uopo fare coraggio ; ma ero terribilmente v er gognato, e mi sarei nascosto sotterra al pensiero di non sem brare fedele a Costanzo sino alla fine.

Quest'ordine che viene da Dio e presiede i due pi fortunati eventi della vita di Giuliano la nomina a cesare e l'acclamazione ad augusto non , come molti dnno ad intendere, una finzione con la quale lo scrittore cerchi di illudere gli altri o, primo di tutti, s stesso, coprendo meno nobili intenzioni e cupidigie che lo abbiano tratto al governo (1). E ben vero che

(1) Cos N EG R] Ci/iaHO pp. 70 S g g . ; A L L A R O _ / ;< / < * < ? ? ; /'^ os/a/ I pp. 490 sgg. (" On remarquera que toutes les fois que Julien demanda conseil aux dieux, la rponse qu'il crut ou prtendit en avoir re^ue tait conforme au voeu secret de son ambition ) ; e, in forma un po' pi attenuata, anche G tB B O N 7 %c Fa// 0/ /%i 7?o?):aM chap. XX II, a non dire di tanti altri. I moventi mistici che io attribuisco alla elevazione di Giuliano, e che non si ha di-

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/. - Z/wome ; /o

!'animo umano ha tati oscurit nette quati bravo chi fa to scandagtio. L'animo di Giutiano (abbiamo visto), arduo e complesso, era capace di una grande variet

ritto di accogtiere con tanta incredutit e scetticismo (che si risolve in una incomprensione storica), trovano una speciate conferma in ci che Maxim, p. 476 ri ferisce circa fa parte avuta negti eventi di Parigi da atcuni iniziati, confidenti dette pratiche retigiose di Giutiano, ossiano: it medico Oribasio, it bibtiotecario Evem ero, it ierofante di Eteusi. Naturatmente Eunapio d atta cosa un'espressione troppo m arcata; e si capisce: perch egti attingeva a dichia razioni d Oribasio stesso ( E u K A P . f r . 8 ; v. S E E C K " H e r m e s , X H p. 530: GEFFCKEN '3< _/</'< p. ), e Oribasio te neva ad affermarsi principate autore detta nomina di Giutiano a imperatore (<?rt xai rv '/ou-itavdv Ma ci va inteso net senso che intorno a Giutiano si era creato un tate ambiente di preparazione mistica, dat quate, in accordo cot precipitare degti eventi pofitici, doveva uscire ta sua mis sione di augusto : di che indizio anche ta tetter, a noi conservata XV tt) e scritta a Oribasio net 358, ossia due anni prima det pronunciamento di Parigi ( S c H W A R z D i //'! Bonn 1888, p. 7), in cui questione di sogni che preannunciano quet fatto. Di pi, it cutto per gti Dei subitamente professato come effetto det nuovo uHcio di au gusto (v. X X X V Itl ^4 Mtss/fwo) t'esito di quetta mi stica preparazione. Attre dichiarazioni di Giutiano intorno atta propria rituttanza e att' intervento divino si trovano : 1, per ta nomina a cesare: in /M*so^ogo?M 332 D ; Ore?. VII 332 C (favota attegorica), oltrech net stesso 28 1D e netta ZfM fra a 71w;<s/!0 di cui appresso; 2, per t'etevazione ad augusto : in XUt (v4 //o 3< *o e X X X V ttt (/4 M rssM O ). Fonti v a rie : A stM tA N . X X 4 , 1 - 5 ; 3, 10; io ; 8 , 2-10; X X I! 2 ,3 ; X X V 2, 3; L tB A N . X tt 62 sgg.; X tt3 8 sg g.; X V I t tg o s g g .; Z o s t M . 111$; Z o N A R . X tH io s g g .; SocR A T. IH i ; M A M ERT. Cro/Mr. nf/. 6 sg g.; IoH A N N . A n T t o c H . fr. t77 Mtter.

Ca%. 7/. - %'Za aZZ/va f/Za fOwZcw^ZaZZva.

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d'impressioni, non esclusa ta vanit e ['amore della gloria. Ma non men vero che con ansia suprema egli sapeva reprimere e castigare queste passioni, e non trovava riposo se non sulle vette del sentimento puro. Il quale sentimento non gli permetteva di vedere che Dio e il Prossimo. * T i giuro *, egli scrive dalla Gallia nel 358 al filosofo Prisco, * ti giuro, per l'A u tore e il Conservatore di tutti i miei beni che, se de sidero vivere, solo per essere utile a te e a tutti i veri filosofi * (1). Non l'astuzia, n l'ambizione : la fede parla in Giu liano e lo trascina sul trono. La fede, norma di tutti i suoi atti. La fede, ch'egli ha concepita nel dolore della sua adolescenza, e che lo ha < salvato * dal ca dere vittima agli influssi del vizio ; ch'egli ha cemen tata non appena ha potuto iniziandosi ai sacri Misteri (2), i cui adepti sono chiamati, non all'inerte spettacolo del mondo, ma a ll'a zio n e (3). Egli appar tiene, per vocazione e per mistica iniziazione, alla sacra milizia del dio Mitra: deve armarsi, scendere in campo, sostenere, nella lotta che lacera l'universo, il principio del Bene contro le oscure potenze del Male.

(1) ^ZsZ. L X X I. P er la data, non esattamente precisabile, ma oscillante fra il 356 e il 359, v. ScHWARZ D i fi/a p. 39. (2) V . appresso, cap. IH. (3) Su questo lato del Misticismo, specialmente mitriaco, opposto alla tendenza del Cristianesimo che allontana dalla vita politica, v. F. CuMONT i c s wysZ^rcs /c /Z^ra (Bruxelles 1902) p. 149. In altra fondamentale opera del medesimo Cumont_ 7 Vx/cs c/ TMOHKW fMZs yigwrc's rcZaZ(/s ?MysZ. * (Bruxelles 1899) I p. 357 si trovano raccolti e illustrati principali indizii della iniziazione di Giuliano ai misteri mitriaci.

28

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Strana sorte, ad ogni modo, che due volte condusse t'appassionato cultore della sapienza all'acquisto di onori mondani cui dichiarava di non volere < dare di piglio *, e che, certo, gli erano apprezzabili solo in quanto gli permettessero di adempiere il bene co mune (i). Strana sorte che lui, scrupoloso (in una so ciet punto scrupolosa) di tutti i doveri, lui accanito a cercare e condannare dentro di s ogni istinto men puro, espose alla taccia di ambizioso, di ribelle, di ingrato! Non mancava pi altro, per rendere pieno i! contrasto, se non che all'estatico adoratore del Divino, al religioso araldo della Giustizia e della Bont, ve nisse applicata l'efHgie del tiranno, del mostro, del l'apostata. Questa veramente la nota pi acuta che intona e rende enigmatica la storia di Giuliano : la beffa dolorosa che contorse quel suo volto di mistica elevazione, di forza tranquilla (2) : l'ironia (per chia marla col suo proprio nome), di cui vedremo illumi nata e nutrita l'arte sua di scrittore. Ma veniamo al punto capitale. Non possibile che una mente onesta e riflessiva come quella di Giuliano, al momento di salire su!

(1) il/essogg/o 287 : ix2p / xctt .r/ ^ ^ e#7rpay/ag xct Dopo ta morte di Cost diamento a Costantinopoli scrive al confidente Euterio L X 1X : /ttv t< 5v #t<3v ^ ^ c!? atofg %apt(7riypta. p dvjp<f$, < i^ ' 2
(3 ) GREGOR. N A Z.

Or. V

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trono di cesare e far guerra in Gatlia; oltre ai timori e atte rituttanze che abbiamo test descritto, non av vertisse anche it contrasto, togico, fra te abitudini di studio e di meditazione, che aveva fino attora tenuto, e per te quati reputava di essere nato, e te attre abi tudini, di azione, che gti erano novamente imposte e che richiedevano un diverso temperamento e diverse disposizioni, sia d'animo, sia di mente. Non possibite dico che a tui sfuggisse it dibattito fra cui ve niva ad essere presa ta sua vita, e da cui doveva uscire, in un modo o in un attro, ta sua posizione netta storia. Certo a me pare che questa sia final mente ta via che ci permetta di raggiungere, fuori di ogni astrattezza e di ogni indeterminazione, it prcfHto vero de! nostro eroe. Pochi mesi, infatti, erano trascorsi datta giornata de! 6 novembre, quando Giutiano i suoi dubbii espo neva in una corrispondenza epistolare at filosofo Temistio di Costantinopoli, uno dei maestri coi quati era stato in pi frequente consuetudine durante i suoi studii in Oriente, e coi quati gti era caro conservare retazioni di amicizia e comunanza di propositi (i). Temistio era a questo scambio di idee ta persona meglio indicata. Uomo serio e sinceramente virtuoso, accoppiava alfinteltigenza dei pi ardui problemi fi losofici un senso del reale e detl'utile, onde era tratto ad occuparsi, con particolare cura, di tutte te cose aiti

ti) Sutta cronoogia detta -- a che assai discussa, poich motti, anzich ai tempi detta nomina a cesare, come noi facciamo (ed un caposaldo detta nostra costru zione), ta riferiscono at momento detta etevazione ad augusto, v. II.

Par/? /. - i'Mowo i /o so-Mori.

nenti alla vita civile. Professava, specialmente, una certa forma di : che, se a noi sembra poggiare sopra l'assurdo, in quanto suppone che al governo degli Stati e al giudizio sui medesimi pos sano applicarsi norme astratte, era per, allora, l'unico mezzo che avesse virt di temperare le asprezze del governo dispotico. La clemenza, la piet, l ' imparzia lit del Sovrano, l'amore di pace, il bene universale degli uomini, il culto del dovere, il rispetto alle li bert altrui, tutte le doti che rendono felice uno Stato: questi i nobili oggetti che, mediante il corredo dot trinario di Platone e di Aristotele, Temistio traeva nella sua eloquenza. Egli era diventato l'oratore uffi ciale di Costantinopoli; visitava la Corte; ma, fregan dosi ai Sovrani, non dimenticava la dignit sua d uomo e di cittadino (i). Compose parecchi panegirici per Costanzo (2), come pi tardi ne comporr per i suoi successori. !1 Panegirico era la forma imposta dai tempi. Solo attraverso alla lode riusciva a farsi strada allra il consiglio e come no ? la disapprovazione (3).

(t) Questi aspetti della figura di Temistio la quale, per essere una dette principati e pi degne della sua et, meri terebbe di essere appositamente studiata sono bene ittustrati da M E L C H to R R E C E S A R o m in un saggio inserito in Corso /.f%cra?!<ra g ' w a [Firenze 1806] pp. 182 sgg., cui poco hanno aggiunto di nuovo o d'acuto i pi recenti filologi. Mate trattato Temistio da SEECK C fifA . < ?. i/n/. !V pp. 192-3, ? Br/g/f af. p. 291. (2) Ora/. M V . V . inot tre il D e co rso < & ' Cos/anso s 7<wM'sM?, per ta nomina di quest'ultimo a senatore di Costantinopoli, riportato nella edizione di Temistio del D indorf a p. 21 sgg. e tradotto dal Cesarotti o. c. p. 201-11. (3) V . p a r t i c o t . T H E M tsT . Or. I 7-8.

Ca^. //. -

i ut/a cox/iw^/a/iva.

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Temistio fu, in quest'arte, finissimo, insinuante. Anche Giuliano, sull'esempio dei maestro, ebbe a scrivere, in lode de) medesimo Costanzo, due discorsi ufHciai (uno nell'occasione stessa in cui il cugino lo eleggeva cesare, a Milano ; l'altro pi tardi, durante il soggiorno in Gallia) : compito che a lui era reso particolarmente difHcile e delicato dalle ambigue sue relazioni con l'imperatore e dalla conoscenza che aveva delle colpe di cui questi era macchiato (1). Si sono voluti i due panegirici considerare come poco onorevoli per la morale di Giuliano e bisognosi di scusa (2). Ma, non solo essi erano un atto di ne cessit politica (che sarebbe magra giustificazione) ; non solo erano una prova di deferenza, di sottomis sione, di buona propensione all'accordo, tale che pi

(1) Ora/. 1, II. A ll'im itazione di Temistio si aggiunge quella di un altro venerato maestro, Libanio, il quale pure scrisse un discorso in lode di Costanzo (Ora/. LIX), e fu di non poco incitamento, o conforto, a Giuliano perch facesse altrettanto. V . C. G t-A D ts D i ., / ;* w CoMs/aM/:'M)M ora/<OH!'MS (Breslau 1907). P er la cronologia, ammissibile che l'Ora/. I, sebbene pronunziata, come g e neralmente si ritiene (A L L A R D _/</ /'^ os/a/ I pp. 361 sg g.; S E E C K GfSf%. < ?. i/x/irg. IV p. 236), in cospetto di Costanzo durante le feste per l'elezione, sia per stata rimaneggiata in seguito : v. G E F FC K E N A^a;sfr ./ p. 26. Dell'Ora/. II la data non esattamente precisabile; n importa gran che: v. la discussione in Geffcken stesso p. 133. (2) Particolarmente dal NEGRt Z/wi/wa/. G:M/iaMopp.4i8sgg. Invece E. T A L B O T , nello studio preposto alla traduzione delle (ZMWfS ,/M'fM (Paris 1863) p. x xx n e, pi ancora, R . D 'A L F O N S O 7 ri/or: Mi/ S if o / o /- CwAawo (Imola 1900) pp. 37 sgg. hanno tentato una interpretazione ironica, che non accettabile se non nei termini che esporr appresso.

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P a r/ ; /. -

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tardi Giuliano potr onestamente vantarsene (i): ma erano, pi che tutto, ['unico espediente di /%<? wcTYj. Quando infatti egli faceva balenare, come impersonato in Costanzo, ['ideate tipo det Re secondo ta visione platonica, e ne perseguiva una ad una le angetiche virt: [a piet verso Dio, it coraggio, l'avversione atte inutili guerre e ale sedizioni civili, la purgazione delle passioni, [a giustizia imparziate, ['orrore pe[ sangue e per i soprusi fino att'astenersi dal comminare in persona propria pene di morte e * dalle leggi toglier via ogni insutto o durezza o crude[t * (2): evidentemente voteva dire che, se tali virt in Costanzo non erano, avrebbero dovuto esserci. Certo erano nel cuore e netta mente di [ui, Giuliano. Ma torniamo atta corrispondenza epistoare con Temistio. Pare che il nuovo cesare, in seguito agli incita menti e atte lodi inviategli dal filosofo potitico, avesse scritto, con tono piuttosto dimesso, cos : di essersi proposto dei grandi ideali, Marco Auretio nella virt, Alessandro Magno nel valore; ma di dubitare delle proprie attitudini e rivolgere con nostalgia lo sguardo agti studii e ai compagni test abbandonati in Atene (3).

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Ora/. II 86-92 D. Questa rappresentazione, essenzial mente ptatonica, coincide coi concetti di Temistio. (3) Di questa prima tetter, perduta, si ricavano [e tracce datt'altra tetter conservata pp. 253 B, 266 D. Pi in <Rc; !I.

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Temistio rispose, dando mano aita sferza con cui si percuotono gti ignavi; accusandolo di debolezza, quasi non attro desiderasse se non < t'oziosit epi curea, i giardini e it sobborgo di Atene, i mirteti e ta stanzetta di Socrate *. Poi, ricorrendo at suo sotito ar mamentario storico e dottrinate, to esortava ad imitare i sapienti Sotone, Pittaco, Licurgo; gti proponeva t'esempio di filosofi come Musonio, Trasitto, Ario che, in et pi recente, avevano fatto intervenire ta virt net governo dettlmpero (1). L a tezione era aspra. Ma non stette pago Giutiano, e ribatt con una seconda tetter, che ci conser vata per intero, e che !a pi chiara espressione dei suoi sentimenti (2).
Ben io di confermarti, come tu mi scrivi, nette tue speranze mi auguro con tutto il cuore, ma temo di non vi riuscire, troppo grande essendo i'aspettazione che di me negli aitri, e ancor pi in te stesso, tu crei. E, per vero, essendomi gi l'altra votta immaginato di dover emutare e Atessandro e Marco Aureiio e qua) attro stato eccelso in virt, mi prese come un brivido e un timore straordinario di restare troppo ontano da] coraggio del primo e di non raggiungere, neanche in piccolo, la perfetta bont del secondo. Ci appunto consi derando, mi indussi a lodare allora la vita contemplativa, e con desiderio ripensavo alle conversazioni di A ten e e mi auguravo di ancora " cantare insieme con voi, miei amici, come chi portando gravi pesi allevia nei canto la sua soffe renza. Ma tu ora, con ta tua ultima lettera, mi hai accresciuto il timore e di gran lunga pi difficile mi hai fatta apparire

(1) Anche qui gli elementi dell'epistola di Temistio si de sumono dallo scritto di Giuliano; con quei modi e quelle ri serve, di cui in 11. (2) ifM ir a n 775? 253 sgg. !

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i /o SfW/Zori.

) 'impresa, con dire che Iddio mi ha ordinato quella stessa missione per ta quate attra votta com parvero Eracte e Dioniso a far da filosofi insieme e da re, purgando quasi tutto, e mare e terra, da) mate che ti infestava. E, quasi ci non bastasse, mi rammenti i tegisatori, Sotone, Pittaco, Licurgo, e aggiungi che cose m aggiori di queite da tutti toro compiute g)i uomini attendono oggi, a buon diritto, da me. A vederm i innanzi queste parole, per poco io non sono trasecotato. Poich sa pevo che mai tu ti saresti permesso di adulare o di mentire e, d'altra parte, ero, quanto a me. consapevote di non avere affatto, n ricevuta da natura n acquisita in sguito, atcuna facolt eminente, fuori di questa so)a : ['amore detta filosofia. E qui taccio " te infrapposte vicende che questo mio amore condannarono fino ad oggi a essere stente.

Che cosa fosse questa filosofia che l'imperiale alunno poneva cos alta nel suo cuore, non difHcile inten dere : poich in essa si compendia, non solo ogni mistica aspirazione dell'anima sua contemplativa, ma tutto quanto di bello, di grande, di buono aveva pro dotto l'Ellade e nella sapienza e nell'arte: quanto gli Ellenisti del secolo IV, con scarsa efHcacia forse, ma con molto studio cercavano di far vivere ancora. E questa era la filosofia a cui doveva in quel momento dare l'addio per lanciarsi net campo dell'azione. Non che rifuggisse dalle fatiche o paventasse le avversit: no, a quest'accusa Giuliano reagisce con grande fie rezza, e accenna i pericoli (che Temistio doveva bene conoscere, e che umano rispetto a lui vieta di am piamente descrivere) onde senza un lamento aveva visto minacciare la sua desotata adotescenza < le paure sul suo capo sospese da parenti ed amici, a' tempi della sua educazione in Costantinopoli * ; ri corda inoltre gli atti di abnegazione e di reale energia (che pure Temistio conosceva, e che egli non pu,

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per modestia, maggiormente i)!ustrare) con cui aveva test inframmezzata )a sua vita di studio in Oriente (i). Piuttosto, eg!i * conosce s stesso *, e pretende di essere pi esattamente giudicato, avendo riguardo non att'essere attivo o inattivo, bens at precetto " conosci te stesso ,, e
Faccia ognuno it mestiere che sa.

E poi, vale veramente ]a pena (si chiede infine, affrontando i] nodo detta questione) di preferire * agii studii di Atene ta pompa che ora A ? attornia * ? (2). Ed esctama, con evidente commozione, apostrofando Temistio (g):
O caro capo, per me degno di ogni stima ! T u dici che pi de] filosofo apprezzi !'uomo d'azione, e chiami a testimonio Aristotele... !o ti dico che il figlio di Sofronisco ha fatto pi gran cose di Alessandro, perch da lui dipendono la sapienza di Platone, la strategia di Senofonte, il coraggio di Antistene, la filosofa Eretrica, la Megarica, e Cebete e Simmia e Fedone e altri cento e cento. E ancora non ho contato le colonie ve nuteci pure da lui, il Liceo, la Stoa, le Academ ie. P o i: chi mai fu salvo per le vittorie di Alessandro? Quale citt meglio govern ata? quale privato cittadino fatto m igliore? Molti ne troveresti diventati pi ricchi, pi saggio o pi assennato nessuno, se non anzi taluno pi vano e pi arrogante. Invece, quanti oggi it' sa/pano con la filosofia, debbono la loro sal vezza a Socrate.

Qui una critica senza cuore potrebbe di teggieri immaginare che it ragionamento sia nutta pi di una simutazione intesa a coprire te ambizioni de! cesare,

(1) Pp. 259B-260B. V . le note alla versione, (a) P. 260 C. (3) Pp. 263 C, 264 C sgg.

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,' i /o s f r M o r f .

ovvero anche giuoco di retore o di sofista che goda a muovere in maniera impreveduta ]e pedine dele idee. Ma chi ha tanta profondit di pensiero da di stinguere nei corso detta storia quet che veramente sostanziate e umanamente utite da quetto che non , chi, essendo principe e guerriero, ha un tate concetto dell'uomo e detta sua missione net mondo da anteporre Socrate ad Alessandro, e tate concetto attamente pro fessa (:), chi, ancora, a ci aggiunge una cos entu siastica fede nell'esercizio detta virt, da attribuirle it mistico effetto di .M/pdW te anime : costui, dico, me rita di essere creduto nette sue parote (2). Qui non n tibetto politico, n cicalata d Arcadia. Se anche, nel rivotgersi a Temistio, lo scrittore aveva t'occhio a una pi targa cerchia di tettori; se anche discus sioni come questa miravano a informare la pubblica opinione del tempo: ugualmente chiaro che Giuliano pensava ad acquistare i lettori alta nobitt dei suoi principii e dette sue esortazioni, pi che alt'elegnza delte parole o alla avvocatesca disinvoltura dei concetti. Poich egli era, prima di tutto, un convinto: con vinto (fino alta religione) della purezza dei proprii in tenti; convinto della supremazia del sapere sutta forza.

(1) Ci dov fare buona impressione su Tem istio, che questo passo dell'antico discepolo imit pi tardi in una ora zione composta, sotto Teodosio, dopoch egli era stato no minato prefetto di Costantinopoli (384) : Ora/. X X X I 354 A-B. (zi Che rendere gli Uomini w<g//or< sia lo scopo della vera politica pensiero di PLATONE C org. 515 C: 0/ 7rov!?rctt < 3^*ev... roto rdv dippa. Ma Giuliano interpreta, naturalmente, in sensa mistico, come tendenza generale del neoplatonismo, cui egli appartiene. V . in seguito.

/ 7. - 7

37

Egti ha fatto quatche votta, motte votte anzi, dopo ta sua nomina a Imperatore, l'apotogia dette proprie azioni; ha cercato di dimostrare che i suoi diporta menti verso it cugino Costanzo, it quate prima to aveva etetto cesare poi to asti in tutti i modi, non erano punto determinati da smania di regno o da sete di vendetta; che fin da fanciutto suo sogno era stata ta vita tranquitta fra i tibri; che soto ta forza dette cir costanze, ta necessit dett'esistenza, ta persuasione di adempiere at bene comune e, soprattutto (si ricordi!), t'indec!inabi!e votere di Dio to avevano portato a quet grado a cui era pervenuto. Ma, se ci ha fatto, quando nessuno gti chiedeva ragione det suo operato, e det tava tegge at mondo, possiamo essere certi che non to ha fatto per catcoto po!itico e per ipocrisia, bens per scrupolo di coscienza morate. E ta morate di Giutiano confermiamolo, perch in essa risiede )a sua forza d'uomo e di scrittore incontaminata. G!i odii e le passioni partigiane non sono riuscite ad offuscarla. L'Apostata si tiene atto sopra !e brutture del suo secolo, tutto inteso at migtioramento detlo spirito che reputava eterno , sprezzante di ogni cosa mortale: Mcr/aZz'a come mirabitmente to ritrasse, ancora una votta, il suo generate Ammiano MarceHino, che gti viveva a fianco e ne subiva it prestigio ideate; e, se pure non ebbe ati per seguirlo fino in cima at regno detto spirito, non pot tuttavia non scorgere in quetl'atteggiamento it lato scultorio detta sua personalit (i).

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H cutto de) sapere stato ta grande passione detta vita di Giutiano ; ha fatto di tui giovane, e disturbato da tanti impedimenti prima, da tante cure poi, uno dei pi dotti uomini det tempo: <$7?;% <7W K ;*K 77f (!). In tutti i suoi scritti tu senti gemere it medesimo rimpianto dette ore sottratte atto studio; come in tutti i frangenti detta sua attivit burrascosa vedi disegnarsi sut principe ta posa det tetterato. Ri chiamato datte scuote di Atene per assumere ta porpora di cesare, votge supptici te mani verso t'Acropoti in vocando di rimanere. Da attora non cess mai di considerare suoi giorni migtiori quetti vissuti netta patria di Socrate, in mezzo a uno stuoto di giovani assetati di conoscenza, con ta barba intonsa e it mantetto det fitosofo (2). Preposto in tempi difHciti at governo detta Gattia, se riusc da! mantetto det fito sofo a trar fuori un grande sotdato, pure continu ad atternare atte cure detta mitizia e dett'amministrazione te elucubrazioni specutative ed erudite: riconoscente atta sua protettrice, ta buona imperatrice Eusebia. ta quate. bene sapendo te sue inctinazioni e it suo rin crescimento per gti interrotti studii, avevagti forniti tanti tibri, di fitosofi, di storici, di reton, di poeti, da < saziare (usiamo te sue stesse parote) ta insaziabite sua brama e da trasformare ta Gattia in un Museo di tibri greci * (3). Occupato durante it giorno, sacrifi cava a questa santa brama una buona parte detta notte. Preparato it piano detta battagtia, si riposava netta

( t ) AMMAN. ib id .

(2) (3)

275 A , B ; Ore/. Ut n 8 C , D. [24 A .

tettura di Ptatone e di Omero (i). L a vigite tensione detta mente, ['austera astinenza carnate, ta sobriet estrema dei cibi gti permettevano di decurtare it sonno e t di prevenire it canto dei gatti cot suo can tare gti antichi scrittori * (2).
A m ezza notte sempre levandosi, non da un ietto di piume o da seriche coitri di cangiante sptendore, ma da un semptice tappeto o da una pette di capra, faceva prima, in segreto una preghiera a Mercurio, che te teotogiche dottrine insegnano essere it senso di ceterit che anima it mondo e fornisce pure it movimento agli intettetti (3). E, in tanta urgenza di cose, curava ponderatamente gti affari di Stato. Poi si votgeva a nutrire e perfezionare ta mente, ed incredibite con quate e quanto ardore, investigando ]a subtime idea dette cause prime, e quasi cercando at suo spirito un pascoto per poggiare pi in atto, tutte te parti detta ftosofa con acute disamine percorresse. Ma se, datt'un tato, a queste disciptine con piena efHcacia attendeva, non disprezzo, datt'attro, pi umiti studii : )a poesia discretamente, e pi cottivi) ta retorica (come di mostra dette sue orazioni e dette sue epistote t'incorrotta grazia non disgiunta da seriet) e ogni forma di storia sia nostra sia straniera. A ci si aggiungeva una discreta cono scenza det partare tatino. S e quindi vero ci che varii scrit tori raccontano, che i) re Ciro e it tirico Simonide e Ippia d'Etide, it pi gagtiardo dei sohsti, ebbero una memoria po tentissima per avere bevuto non so che droghe ; da credere che Giutiano, ancor giovane, abbia dato fondo a tutto it de

fi) AMMtAN. X X V 4,5: rirria ssi/ /a&orMs /wi/Mra/MW, ifPg'/MrMH fris f? ar/M fow/MgWHS abr/rwafWM. Le opere di Omero e di Pia tone, in particotar modo, non to abbandonavano mai nei suoi viagg i: v. " R iv . di Fitotogia XVH (1889) p. 291.
(2) L tB A N . X t t 9 4 .

(3) Dottrine neoplatoniche : v. ,.

ttt 6, 19.

.P a r / ; / . -

. ' 0 ; 0 ? /o s c r M o r t .

posito detta memoria. E questi sono i segni notturni detta sua castit e detta sua virt (i).

Betto vederto nei primi tempi det suo regno impa rare faticosamente, at suono dei flauti, i pi umiti esercizii militari, che nessuno per to innanzi si era curato di insegnargli, ed esclamare : < Platone ! Pla tone ! quale occupazione per un ftosofo ! ' (2). Suo cruccio era che nessuno degli antichi maestri o condiscepoti lo avesse potuto seguire in Gattia, ad ecce zione det soto Sattustio, it quate pure, per ta sua virt, non tard a cader in sospetto di Costanzo e ad es sere richiamato (3). Piena di dotce mestizia e di un senso infinito di solitudine ta lettera di commiato che in forma di Consolazione egli diresse allora at filosofo partente. A quate attro amico benevolo potr egli rivolgersi? In chi trover una libera e leate fran chezza ? Chi sapr fornirgti prudenti consigti, ripren derlo con bont, fortificarlo nelte vie del bene senza insolenz e senza orgoglio ? Chi nei peggiori rischi detta vita ispirargti sentimenti che gti facciano con coraggio sopportare tutte te prove che gti impone ta Divinit ? (4). Di ritorno datl'ultima campagna in Gattia, quando gi proctamato Augusto ed esposto atte vendette di Costanzo, it cuore gti batza di gioia ne! vedere

(1) AM M tAX. X V I 5,3-8. (2) AMSMAN. X V I 3, 10. (3) M rsia^ gio 277 B, C ; 28] D; 282 C. In Orn/. VII 223 D partato de] cinico Eraciio che venne in Itatia presso Co stanzo, ma non cred mai di recarsi fino in Gattia presso Giutiano, che pure aveva fama di filosofo. (4) Ora?. VII! 243.

Ca^. //. - H7a

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arrivare in lontananza nei pressi di Besangon un filosofo con mantello e bastone, in cui crede rav visare il maestro suo venerato, Massimo! (1). Imperatore, dopo la morte di Costanzo, cerc che il suo impero fosse retto dalla sapienza, e la conces sione degli onori fece dipendere dall'acquisto della coltura (2). Suoi cortigiani, collaboratori ed amici non furono barbieri, buffoni, ruffiani, ma dotti, filosofi, poeti. Tenne ad affermare, contro ogni pregiudizio mondano, la sua affinit con gli uomini di lettere (come anche aveva fatto Marco Aurelio) (3). Un giorno, mentre, secondo il suo costume, nella curia di Co stantinopoli era personalmente occupato all'esercizio della giustizia (di quella giustizia di cui, a detta di contemporanei, pareva avere ricondotto il regno di cielo in terra) (4), gli annunciano l'arrivo di Massimo dall'Asia. Ed ecco lo vedono atzarsi d'un balzo, nulla trattenuto dalla sua dignit di monarca, lanciarsi fuori del palazzo all' incontro del filosofo, condurlo dentro con baci ed abbracci in presenza di tutti (5). Molti,

( 1) (2 )

XXVIH . Cfr. ALLARD _// / ' ^ o s / a / II pp. LtBAN. Ora?. XVHI 1 6 0 : '' 7co/!&y
tyoyt'ay. . '

3 3 -4 .

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I 2 ; C A S S . D lO N . L X X I 3 5 . AmHAN. X X V 4 , 1$. Giutiano stesso usava questa frase, per indicare i proprii propositi di giustizia : ibid. X X II 10 , 6. Cfr. ancora: X V ! 5 , X V !!! 1 ; L tB A N . Ora/. X V II! 2 8 4 . Anche GREGORO !V 75 non pu cetare det tutto questa virt di Giutiano. (5) Anche in ci (e sia detto senza voler tog!iere nulta atta sua spontaneit) Giutiano aveva in mente t'esempio di Marco Auretio, il quate at proprio maestro Giunio Rustico dava
(3 ) H ERO D tA N . (4 )

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fa r / /. - Z*owo i /o sfr<7/orf.

offesi nel loro sentimento aristocratico, disapprova rono, come il buono Ammiano Marcellino, il quale in quel gesto non vide altro che una ostentazione dis dicevole ( i ) ; altri, come Libanio, se ne compiacquero, come di un ammaestramento che il principe avesse voluto dare ai suoi sudditi della reverenza dovuta al sapere cui anche la podest regia s'inchina (2). Pro babilmente il gesto non era n ostentazione, n ammae stramento : era uno dei tanti segni di ci che stiamo dimostrando: che la vera posizione di Giuliano, avuto riguardo al complessivo valore della sua persona e all'esito dei suoi atti, sarebbe stata pi nei sereni templi del filosofo e del dotto (3) che non sul trono dei Cesari. Poich, a totale differenza da altri prin cipi, i quali per speciali contingenze di civilt e ambi zione di indole abbiano pure creduto di immortalarsi mediante gli scritti, in Giuliano filosofa e letteratura non erano una moda : ma un bisogno originale e ine stinguibile del suo essere. Natura lo aveva plasmato con la sostanza di cui si plasmano i campioni dello

sempre l'abbraccio prima che al Prefetto del Pretorio: v. Iu L . CAPTOL. . ^ 4 w/on. 3. Uguale origine e analoga corrispon denza con abitudini di Marco Aurelio hanno altri atti di Giu liano, pur riprovati da molti contemporanei, di rispetto e di ossequio verso le superstiti autorit della Repubblica: A.MMtAK. X X I! 7, 1-3; M A M ERT. Cra/. a<r/. 28 sg g.; L tB A N . Ora/. XVIII 154; XII 70; S o c R A T . IH i in fine. (i) XX II 7, 3: / i r 05/fM /a/;*0 ?M M ! ! * 3 ca^/a/or t'uan/s gVorM M'sws ?s/. Questo stesso giudizio ri petuto per la condotta in genere di Giuliano a X X V 4, 18. ) L tB A N . Ora/. XVIH 15 5 -6 . (3) L'immagine, di empedoclea e di lucreziana memoria, adoperata da Giuliano stesso, Ora/. VII 226 B-C.

spirito. H dio Soie (com'egli immagina), assistendolo ai suoi inizii, gli ha prto, traendola dal proprio seno, la fiaccola della luce e dell' intelligenza, con le pa role : * Sappi che la spoglia carnale ti stata data a servizio della tua missione spirituale... Ricordati che hai un'anima i m m o r t a l e * (1). Parole che lo hanno sempre accompagnato, pur attraverso aberrazioni e illusioni molteplici, in tutti gli atti del suo regno: gli erano presenti quando, finita a trentadue anni la favola del suo vivere breve, agonizzava sul campo di battaglia, il giugno del 363 (2). Queste considerazioni abbiamo fatto per dimostrare che il dissidio che la lettera a Temistio ci svela fra vita contemplativa e vita d azione, fra prassi e filo sofia, nonch essere artifizio retorico, ha radici lontane e profonde nella natura e nell'educazione dell' impe ratore. Non la crisi di un istante; il dramma della vita intiera che giunge alla sua principale rive lazione proprio nell'ora in cui il protagonista ascende sul trono di cesare. Dalla quale rivelazione potremo noi dedurre il carattere del personaggio, perch questo a mio modo di vedere it punto primo ed essenziale da cui deve muovere chi voglia rettamente interpretare Giutiano. E i problemi son questi : L a possente antitesi che costituisce l'origine o, per

(1) Ord/. VII 234 A-C.


(2) AMMtAN. X X V 3, : /... riaW/MrMS MCH, K/

.' ... Si/ ?/^ / .


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M ie/tor n aMf/'/ore .'/.'//',

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44

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cos dire, il perno del dramma, ha trovato la sua so luzione ? ha raggiunto l'unit a cui aspirava ? Oppure si protratta sino a trascinare netto spasimo t'anima che dentro di essa si dibatteva? La maggior parte degti storici e dei critici, per non essersi posti questi probtemi, tendono (sia che approvino sia che disapprovino i singoti atti dett'imperatore Giutiano) a ravvisare in tui come eguatmente cospicue tutte te pi varie doti di generate, di am ministratore, di giudice, di tetterato e, dopo gridato a) miracoto che in una sota persona aveva accumuati tanti favori, ossiano < tutte te forze necessarie ad esercitare sugti eventi una azione duratura *, si stu piscono che queste forze non abbiano di fatto eserci tato azione atcuna e )' impero deH'Apostata sia svanito net nutta (). Ala facite per noi obiettare che ap punto datt'incontro di facott cos disparate e difficil mente armonizzabiti trasse origine quetta che si chiama ta sorte infetice det nostro imperatore. E, prima di tutto, conflitti interiori come quello rappresentato datta tetter a Temistio non avvengono

(t) Particotarmente NEGRt CwAaMO p. 471. Ricorda LtB A X . Orr?/. XVH! 1 7 6 : t y tta /* d Pi intettigente EuTROPfo X 16: /ro/i/or. Utimamente C. B A R B A G A L L o net suo profito C;M/. /4/ . (Genova 19:2) cerc di dimostrare Giu tiano essere stato fondamentatmente un grande guerriero e ogni attro aspetto detta sua figura avere un carattere con tingente e suppositizio. Ma questa tesi potrebbe appena essere sostenuta se dett'imperatore non ci restassero gti scritti, che sono ta fonte precipua e ta pi genuina manifestazione detta sua personatit, dat Barbagatto trascurati.

Ca^. 77. - M/a

i v;7a <rOM /ew^/a/<'i/a.

45

agli uomini d'azione. Alessandro, Cesare, Napoleone non hanno conosciuto queste battaglie fra spirito con templativo e spirito pratico. Chi le conosce ha del dottor Faust pi che dell'Alessandro, del Cesare o del Napoleone. Non appena esse sorgono in una co scienza assai diffcile, per non dire impossibile, che l'antitesi si risolva nella perfetta unit, trascendente l'una e l'altra forza in conflitto. L a quale difficolt aveva, in certo senso, intuita Giu liano stesso, allorch, facendo suo il pensiero di Platone e di Aristotele, affermava che solo in esseri divini quali Eracle e Dioniso, cio diremmo noi solo in fantasmi creati a modello di una perfezione ultraterrena da cui gli uomini siano scaduti, pu il filo sofo trovarsi immedesimato col re (1). Ma in quest'altro punto egli errava, nel non essersi avveduto che il tipo platonico di un uomo il quale, essendo re, < deve diventare a forza di volont un Dmone, gittando via tutto quanto ha di mortale e di bestiale nell'a nima * (2), era un puro sforzo speculativo : e che questo stesso sforzo speculativo, ossia questa filosofia, era la condanna preventiva di qualunque sua attitu dine ad effettuare jaZZa 77*7* un mandato politico. 11 che tanto pi notevole in quanto egli per primo * conosceva s stesso *, e, creato cesare e governa tore delle Gallie, dichiarava di ravvisare in s, come dote precipua, la filosofa: etg xai

(i) Z.i//cra 233 C. (a) Ibid. 239 A , 238-62. Anche in Ora/. I (Pamg'. 7 < /;'

46

far/^ /. - '0<0 f /

^ ' , /t ^ o y df tfg ^ (). Dove era pi chiaro e pi acuto giudice che non i suoi mo derni biografi. Senonch, !a voce dei Misteri, queia voce pi forte di ogni ragionamento e, certo, di ogni ambizione, gti ordinava : * Armati, entra netta sacra Milizia, sii it nuovo Eracte che scenda in campo a difendere it bene contro te oscure potenze det mate ! * (2) E it filosofo, persuaso di essere comandato e assistito da Dio, per suaso che un atito dett'essere divino fosse passato net suo spirito, si armava e scendeva netta totta. Certo, in questo stesso movente, che sta, per cos dire, atta base det suo ingresso net mondo potitico, comprovato, una votta di pi, come ta natura di Giutiano fosse essenziatmente e preferibitmente specutativa. Con dire ci intendiamoci non si nega ch'egti abbia posseduto nett'azione virt singotari : forza d'animo, prontezza d'intuito e di detiberazione, audacia (grandissima!), sagacit netta scetta dei mezzi: tutto ci che effettivamente e inaspettatamente to rese, lui filosofo, insigne nella milizia e netl'amministrazione. Non si nega, ma si chiarisce: si distingue meglio lui

(1) a 260 C. (2) Ora?. VII 234 A , C :f% M v o iv t^ v . . . o v xo<^<t?#t!s :a!}tp <! n d o y g / t iv f^titaxu-^tats toy vd^o*s... n f y (sono parote del dio Sote == Mitra a Giuliano). A d Eracte, come gi Temistio, cos anche LtBAMO torassom igtiava: Ora/. X tt 27 ; XII ^% TF (il nuovo Eracte sottoposto a Costanzo come ['antico ad Euristeo); XVIII 32, 39 (anche qui si tratta det comando in Gattia) ; XIII 27, 48.

Ca/. 7/. -

47

da!!a infinita variet dei caratteri umani. V i chi, [asciandosi conquistare dai soffio di spirituatit e di misticismo che nett'opera di Giutiano spira ad ogni punto, non si peritato di definirlo un altucinato, ignaro di quasiasi contatto con a reatt. Nutta di men vero. Prendiamo questo contemptatore in uno o in attro momento detta sua vita, poniamolo di fronte a una questione urgente: egti sa andare diritto at suo (ine, studiare mezzi ed espedienti opportuni con tate accortezza, che difHcitmente comprendi come mai, netta somma dei fatti, abbia errato (). L'errore atte origini : netta provenienza ideotogica det suo operare. Votendo definire con una parota comprensiva Giutiano come Imperatore, diremo ch'egti , eminentemente, un teorico. In un Atessandro o in un Napoteone fazione tutto, spirito e corpo: nasce a quet modo che netta mente det poeta nasce t'opera d'arte. In Giutiano invece dipende da mere astrazioni che si vogtiono imporre atta reatt: come l'opera d'arte che fosse formata per principii estrinseci da una testa di critico. It critico fissa it suo piano, giusto, razionate, prende te misure esatte : tutto bene di sposto, ma la vita non c' , perch ta vita non viene dat di fuori, y/wzK.: ZM /KJ Invece di prendere dat mondo effettuate (direbbe it Machiavetti) te sue leggi, e con queste procedere, Giutiano cerca di so vrapporre at mondo effettuate i cogitati det suo spi rito. Invece di calcolare te reati possibitit de! suo

(t) Questa singolare attitudine ora resa ben manifesta in un importante studio di J. BiDEz .'<0/0 /a a*? _ /;< /. " BuH. de t'Acad. roy. de Betg. , Ctasse d. tettr. 1914, pp. 406-61.

48

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regno nei suoi tempi, e a queste coordinare e diri gere fazione, eg)i persegue un programma di signi ficato e di dimensioni a s s o ] u t e . Non affatto mu nito di s e n s o s t o r i c o . A suo modo di vedere, i] principe modetto non chi legifera avendo riguardo * agii attuali disordini e alte circostanze pendenti *, ma < atta posterit *, agii * stranieri *, agii < ignoti *, agli uomini di tutti i tempi : < chi insomma abbia ap preso ta vera natura det governo e contemptato che cosa sia, in sua natura, giustizia, e che cosa, in sua natura, detitto ; poi quante cose pu datta teoria netta pratica trasporta e fa teggi eguati per tutti, non guar dando ad amicizia o ad inimicizia, a vicini e a parenti : megtio se neppure per i proprii contemporanei, ma per i posteri o per Tester scrive e manda te sue teggi, dove non abbia n speri mai di avere atcun privato commercio * (i). Cosi avviene che i suoi grandi ispiratori e amici politici, quelli a cui sottopone, ogniqualvolta possa, te principati direttive det suo impero, Massimo e Prisco, sono uomini che, a detta di un antico osservatore im-

(i; a 7 <w:<.s/<o 262 A-C. Chi osservasse che questa tetter appartiene (secondo me) agti inizii detta vita potitica di Giutiano, e che in seguito t'esperienza possa averto indotto a modificare ta sua opinione, ricordi t'Ora/. Vtt (CbM?ro t/ <r"H <ro ira fA ? ), composta negti uttimi tempi di regno, netta quate a Costantino per t'appunto rim proverato di non co noscere ta scienza potitica per ma per /ra/ra : pp. 227D -228A: a%r3y 0# //

aft)v,

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parziate, * malgrado tutta ta toro scienza, non hanno ta menoma nozione degti affari di questo mondo * (i). Egti stesso, Giuliano, negti affari di questo mondo, irresistibitmente tratto a domandarsi < che cosa da vanti a tate o tat attra evenienza farebbe un disce polo zetante di Piatone e di Aristotete (2). Tanto che un attro antico osservatore di buon senso ha, a proposito di tui, un appunto giustissimo : < Un impe ratore pu essere filosofo *, dice, * in tutto ci che riguarda moderazione e coscienza ; ma, se dovesse un ftosofo applicare tutto ci che conviene ad un im peratore, frequentemente dovrebbe dipartirsi dai suoi principii * (3). Certo : ta buona fibra dett' ingegno di cui Giutiano dotato, l ' accortezza det!' intuito, t'appassionante brama det successo hanno sovente ragione di tutte te assurdit teoriche. Ma sono anche dei principii ai quati egti non rinuncia per nutta al mondo, e che pone, anzi, al vertice di ogni sua aspirazione. N s'avvede attora che ta filosofia pu trascinare a rigori ed errori potitici, i quali sono tutto l'opposto di quella saviezza e moderazione da cui mai vorrebbe attontanarsi. Platone stesso, nella sua Repubblica, non forse condotto a patrocinar mezzi e provvedimenti che, appticati, sarebbero documenti di tirannide o di ser vit inteltettuale?

(1) EuNAPM fr. 19 (A rag w . Ms?. grccc. MtHer IV p. 22):


J Z p fx o g ! / d / o ;; flit' tiyg (cfr. G tu U A N O i c M i r a a 7 <??K<s?:'o 2 6 3 A )

(2)

X V II (4 Or;'Aaiio).
III I.

(3) S o C R A T .

/. - .'<0?0 /

Tate origine appunto hanno i provvedimenti e te teggi dett' impero di Giutiano, che pi fecero scatpore e pi diedero motivo ai suoi critici e ai suoi avver sari] di rappresentarto in cattiva tuce morate ; cos, particotarmente, it famoso decreto con cui eran esctusi datt'insegnamento pubbtico i maestri cristiani (it quate a! temperato giudizio di Ammiano parve sbito ( t); cos te varie ordinanze onde ai medesimi cristiani era resa diHcite ta permanenza nette atte cariche detto Stato e it servizio nett'esercito (2) (per cui comptessivamente it giudizio detta storia si riassunse in quette parote di Eutropio che non negano at savio Giutiano ta taccia di persecutore, pur riconoscendo che si astenne dat sangue : Ed egti non comprese come, movendo datta pi pura sapienza, potesse sut proprio cammino ritrovare ['odioso spettro det tiranno e det matvagio. Quindi rinasceva netta sua anima quett' ineffabile spasimo. Quindi batzava, pieno di sarcasmi, it suo capotavoro artistico, it .* non ta voce det disinganno (4), ma it grido di un'anima incompresa.

(1) X X I! io, 7: X X V 4, zo. Sui decreto stesso v. pi avanti, cap. seg. (2) Una v era legge per t'esctusione dei Cristiani dagti im pieghi civiti e mititari non fu emanata, per quanto ALLARD _//<? II pp. 3 1 0 sgg. cerchi di aggravare in tat senso l'intoteranza dett'Apostata. Cfr. S s E C K G ? s f% . IV pp. 323, 500-1. (3) B rw . X 16. (4) Contro i! NEGRI G</<f;MC pp. 349 sgg., 356, che tende a considerare it M'sc/ogOfM come " ta confessione det

51

* *

Vogliamo concludere ? Finche Giuliano fu governatore nella Gallia, la sog gezione a Costanzo, la necessit di non esporre tutto s stesso, lo tennero a freno e gli permisero di svol gere, in quei limiti, una proficua attivit (1). Astenen dosi dall'applicazione dei fini supremi, chiudendosi nella cerchia delle necessit e degli ordini imminenti, seppe sfruttare la naturale prontezza del suo ingegno e la superiorit dei mezzi civili sui barbari ; seppe affiatarsi coi soldati, preparare il piano delle battaglie, rimediare alle dissestate condizioni del governo e della pubblica economia: seppe arrivare in buon punto, vedere, vincere. Creato imperatore, si abbandon totalmente, schiet tamente alla sua natura. L e Leggi di Platone diventa rono, in certo modo, il suo codice. Suo programma, non retorico, ma suggerito e avvivato dalla f e d e :

disinganno di Giutiano e ritiene ch'egti, " quando moriva, avesse perduto ogni ittusione neH'efBcacia de] suo tentativo (p. 115). V . avanti, cap. IV. (1) Di ci ha sentore AMMtANO XX II, 5 ,2 : K i t vero aio/tWs, yxac iwcAa/Mr, ai&ss; s<!* (nA/irM, SMi arccKa. Da Costanzo it nuovo cesare s'era fatto dare dette McroM / gga -TOMEiftf ij 282 B. V . pure L tB A N . Ora/. XVIII 43. A L L A R D // ! p. 447: " Beaucoup de parties, dans te Csar, sont dignes d'admiration; peu d'actes de ['Auguste paraitront exempts de blame .

5=

* purgare a terra dalle brutture che ta contaminano *. Suo sistema, non apparente, ma reate: < portare ta filosofia fuori datle pareti domestiche netta vita pub blica * (t). Form, questo sistema, ta sua condanna. Da attora non ci fu esperienza di studii, abitit di organizzatore, coraggio di uomo che valesse a salvare ci che in germe t ' ideotogo aveva viziato. Ogni suo passo fu un errore, perch non ebbe ta necessaria base netla reatt. Tent grandi cose : Convinto che it Cristianesimo, riconosciuto ed esal tato da Costantino, non aveva per nulta migliorato i costumi detta societ (n di quetta stessa dinastia im periate che to riconosceva ed esaltava), anzi aveva minato ta potenza dell'impero e il progresso civile, tent di abbatterlo, sostituendogti it Potiteismo a cui Socrate, Platone e tutti i grandi detl'antichit si erano attenuti ; da cui una filosofia, una tetteratura, un'arte subtime erano derivate ; at quate infine te visioni dei Misteri e te dottrine teologiche del Neoplatonismo riattaccavano seduzione retigiosa e dignit di costrutto razionale. A questo scopo mise in atto mezzi sapienti e astuti: preg, predic, eman leggi e regolamenti, propose ricompense. Arriv ad essere persecutore, come possono essere persecutori i filosofi: astenen dosi dat sangue. Non raccotse alcun frutto, perch

(i) a 262 D. Assolutamente derivato da Platone 723 B. 854 A) t'uso che Giutiano ha di pre porre atte sue le g g i un proemio fitosofco, come, ad es., nett'editto per ta riduzione dett'oMrww roroMar/MM recentemente scoperto: v. D E S S A U 'R e v .d e phitot. X X V ( 1 9 0 1 ) pp. 285 sgg. Cfr. GE FFC KE N . p . 14 2 .

//. -

//^ ; f<7 a fOM/fMi/'/a/M.

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non si chiese se un rivolgimento interiore il quale aveva avuto ragione in lui stesso, vale a dire nella sua propria coscienza e nelle sue particolari condizioni di vita, avrebbe ragione nell'universo; n se argomenti di pochi pensatori valessero a modificare e ad arre stare il sentimento travolgente delle folle. Persuaso che nella vita quotidiana il p overo non dell'ingordigia del ricco, tent una dovesse soffrire

serie di riforme econom iche fondate sui concetti as soluti del giusto e dell'onesto. P rovoc danni gravi alla pubblica legge morale, economia, perch non si chiese se la cos intesa, corrispondesse alle reali

possibilit del m om ento (:). G iudicando che l'im p ero dovesse, prima di tutto, assorgere di nuovo alla potenza di T raian o e alla una grande impresa in gloria di A lessandro, tent

Oriente da cui i prudenti lo dissuadevano. Mor sulla v ia del disastro. Cos il dramma fra i due ideali della vita contem plativa e della vita d azione si chiudeva, com 'era ine vitabile, col sacrifizio dell'uomo.

(1) V. particolarmente i casi discussi nel note relative. Ricorda la critica di AtHMtANo X X I!

14, 1 :

con !'w/;r

;/ ser<'(i f/ca/Mr, f/M O i/, //f/ SKSf;^/a,^o^K/ar!/a/:s g?Mor; '/ s/M<^a/ wwa/iMM! rffMW, i;<T!<s < ?< ! C0M W H% /, </:? so/;/ ;/
EUTROPIO R r w . X 1 6 :

(per: ^oss;/,

^rovtHc/a/M ;/ /r/M/orMW, yMa/;KMS GtuuANO stesso FragTM. ;^!'s/. 290 C.

C A P I T O L O HI.

La coltura intellettuale.
Segu ia m o l'imperatore in quetto che abbiam o d im o strato essere it suo vero regn o: it regno delio spirito. L 'e t in cui to cca di vivere a Giutiano non et di scarsa cottura intettettuate. Cessata per opera di D iocteziano e, poi, principatmente, di Costantino, l'anarchia mititare che per circa un secoto aveva ditaniato l ' Impero soffocando ogni targa manifestazione d'arte e di pensiero, si assiste adesso a un moto g e nerate di rinascenza tetteraria. L e scuote di retorica, di fitosoHa, d'arte poetica puttutano in motte province e, speciatm ente, in O riente. A ten e, che, p er opera di M arco A uretio, era diventata ta principate universit dett'Impero, risuona ancora una votta di discussioni e di conferenze (]). L a nuova capitate, Costantinopoti, non tarda ad essere arricchita di musei e di bibtioteche : per cui si vedo n o in essa risorgere (a detta di T em istio) non pure gti antichi grandi scrittori, ma

(t) V . F.
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M . C^r. in " [\'eue Jah rb b. f. ktass. A tte ri. , X X H (1908)

p p . 494 sg g .

Ca/. 7/7. - Aa co//ra

55

^ tutti, in una parola, i rappresentanti dell'antica non volgare, s recondita e squisita sapienza, dopo lungo oblio dissotterrati ed esposti alla luce e alla venera zione del pubblico * (i). L 'A s ia Minore percorsa dalla gioven t studiosa: N icom edia, Pergam o, Efeso, Berito, A ntiochia. Professori di grido, retori e p ubbli cisti sono disputati dall'una all'altra citt; tutte am bi scono ornare con la persona e con la parola di illustri letterati eventi municipali piccoli e grandi. E d essi, Imerio, T em istio, L ibanio, em piono il m ondo di centinaia di discorsi, parlati o scritti. Con la loro arte ammirata la sofstica dnno il tono alla so ciet: governano la pubblica opinione del tempo. Ma questa che abbiam o travaglio della coltura. Non l'istruzione del secolo IV un prodotto che nasca dalle forze vive della societ; che incarni, sia nelle fogge, sia negli ingredienti spirituali, l'idea dell'uom o e del m ondo a cui arrivata la coscienza contem poranea. E, invece, em inentemente archeolo gica, ossia irretita nel culto di vecchi idoli, di tipi, di esemplari, di im magini che si sono vuotate del loro contenuto. Si risolve, in fondo, in una lotta fra spirito e form a: vale a dire, lo spirito, soffocato e travestito, non consente con le forme, che si insegnano, che si applaudono, che costituiscono la t r a d i z i o n e , ma descritto non che la vernice, l'apparato elegante in cui si cela l'interno

(i) Ora/. tV 60 A-C. Sutte scuote di Costantinopoti: ScHEMMEL t. c. pp. 147 sgg. In generate: A. MiLLER S/Mi&x. (7 /fr. " Phitotogus LXIX (1910) pp. 392 sgg. ; StEVERS Das Mam'Hi (Bertin 1868) pp. 16 sgg.

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/*ar/; /. - ' ; / ifr M o r y .

d'altra parte non ha esso stesso la maturit, l'audacia, la forza consapevole e indipendente da crearne di nuove. Per com prendere ci basta considerare che fonda mento di tutta questa coltura, sostrato di ogni specie d'educazion e intellettuale, rimangono i modelli dell ' Eliad e antica, di cinque, di dieci secoli innanzi: per un Om ero, Esiodo, Pindaro, Eschilo, Platone, Aristotele e via di seguito (). F uori dei quali non letterato che tenebre, ignoranza, (2). E ppure i secoli hanno scavato un abisso fra 1 antico m ondo e il nuovo. A i grandi dell'EHenismo si guarda co m e a rappresentanti, quasi, di una diversa civilt, cui sia am bizioso e degn o ricollegarsi. Si ha coscienza di una m odificazione, che agli occhi di molti appare decadim ento, e nel cuore di tutti significa: disagio (3). L e ragioni o i caratteri di questa modificazione non sono davvero reconditi. Om ero, E siodo, Pindaro ave-

(1) A d es., Libanio, uno dei maestri pi in voga, si imita quasi esclusivamente ai classici antichi; prescinde, in massima, dagli Alessandrini e da quanti appartengono all'et romana : v. StEVERS D a s a*. i./Aaw. p. n . (a) V . il superbo disprezzo di LiBAKto pe r ogni studio che non sia puramente grammaticale e retorico: Ora/. I 214; ! 1, 44; LX H 2t ; ^:'s/. H23. (3! V. il concetto del decadimento in G]uuANo C?sar<' 324 B, C (t contrapposto al tempo antico, J}v/xa r 7*^?'%') e nota a q. 1 . ; Ora/. VH 205 A (touroui otdtypop 236 B (oi yra^ctto v#v); VIH248C f^/ yeyovy yCv contrapposto a Pericle tpayt!g 250 B ; Z.;//;ra a 7 if?s/? 266 D. Gi in FLORO / / . Proem. 8 : s;w;c/Mi / w /fr.

Cr/. 77/. - Z.f?

57

vano avuto in passato un valore non estetico solam ente, s anche pratico e teorico, in quanto, oltre a susci tare l'impressione del bello, servivano a produrre atti e concetti conformi alla civilt che allora era in fiore. Costituivano per gli spiriti un nutrimento Giuliano la loro funzione letteraria e adatto nulla e veram ente com pleto. Nel secolo di Costantino e di pi. Ouindi, costruire su di essi l'educazione intellettuale del m ondo significa dare a questa educazione, e alla letteratura, alla filosofia, all'arte che ne con segu on o, un carattere falso, artificiale, retorico. Significa in augu rare il regno della declam azione : che contrasto fra le pretensioni della forma e l'assenza dei concetti: la parola vuotata di contenuto e messa avanti com e o ggetto di lenocinio e di imitazione. Infatti, il re gn o della declam azione stato l'avvenim ento principale che ha contraddistinto la letteratura greco-rom ana per tutta quasi la durata dell'im pero: gran lusso di scritti con p o ca o nulla originalit di sentimenti e di pensieri. S o lo integrandosi con elementi tratti dalla vita nuova p oteva quella letteratura rinfrancarsi e prosperare. Ma in ci a me pare di avere indicato, non pi soltanto un fenom eno particolare, proprio del se colo I V d. Cr., ma l'intima ragione che spiega e determina la crisi stessa del mondo antico. Non sar quindi vano spendervi sopra altre parole. L a crisi culturale e letteraria del m ondo antico ha origine da una mancata distinzione fra arte e scienza. I grandi progressi compiuti dall'intellettualismo greco , specialmente nel periodo che va da Pericle ad A le s sandro, a vevano fatto si che i modelli dell'evo classico

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/. - /.'owo f / o

espressioni di una civilt sorpassata non rispon dessero pi atte esigenze dei tempi e dovessero ridursi at vatore di semptice arte. L 'a v v is o di ci to aveva gi dato Ptatone netta totta famosa da tui impegnata contro O m ero e contro i poeti in genere, i quati propo neva di sbandire datta sua Repubbtica (:). It probtema, certam ente, non era bene impostato ; ma esatta era ta visione di quetta necessit: di timitare t'influenza assotuta da O m ero esercitata netl'educazione e netta creazion e di ogni n uova opera tetteraria, per infor mare e scuota e tetteratura a una pi diretta com p ren sione detta vita presente. L 'a v v is o non fu purtroppo ascottato. Si continu a considerare ta poesia antica non com e pura poesia, ma com e ftosofia, e, se non com e atmeno com e ftosofia propedeutica od iniziate (2). ! tetterati non si rassegnavano a sot trarre ai toro testi it carattere di utilit e di vatore incondizionato; e i filosofi non si astenevano dal ri collegare a quei testi i progressi det proprio pensiero. Si prosegui per tunga serie di secoli a giocare con l'e q u ivo co (3). T utta ta p roduzione dell'et alessan drina e romana ne usc pi o m eno viziata. It guasto

(1) HI 398 a ,b. Cfr. VU 801 d. (2) DtON. CHRYs. X X X V I 26 sg g . P e r questo a tteg g iam en to ,
in g e n e r e , v. l'o p u sco lo di PLUTARCO pHfMiOi/o iab/iSf?MS

/Of/ns i7 K<'rf
(3) A ci non contraddice, anzi reca conferma il dibattito che di tanto in tanto si manifesta, specialmente nei primi tempi dell*Impero, fra certi letterati e certi filosofi: questi sprezzanti della forma e dei lenocinii detlo stite, quetli vani tosi e rimproveranti ai filosofi la rudezza dello scrivere. V . CHRYstpp. ap. PnjrARCH. D? -S/o/f. 28 ( = fr. 297-8

Cz^. /7/. - Z.a co//M ra

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era nette fonti stesse detta cottura : vate a dire negti insegnamenti e nei metodi detta scuota. Si scindeva ta scuota datta vita; gti esempii detto scrivere dai progressi detta coscienza e det sapere. T rio n fa v a ['imi tazione. T en tativ i erano fatti di tanto in tanto, speciatmente netta tetteratura giudaico-atessandrina, di dare sfog o atte ispirazioni dei tempi nuovi ( ) ; ma anche queste ven ivano impigtiate negti abiti dett'antico glorioso repertorio; non creavano intorno a s ta toro forma propria, originate. S e un tate pervertim ento gi da tem p o co va v a in seno atta civitt greco-rom ana e ne determ inava, irremissibitmente, t'intima crisi, si pu bene im m agi nare quati caratteri rivestisse ai tempi di Costantino e di Giutiano quet nuovo erom pente fervore d'attivit tetteraria, tutta tesa at cutto e at rifacimento degti antichi scrittori. A grandi tratti, invero, si pu dichiarare scienza, che, retifinch era fiorito t'Ettenismo, morate,

gione a vevano avuto i toro cardini, o atmeno i toro

Arnim); CtCERON. Di? tV 3, 7; . . CoMM. I 7. A nche in TEMtsTto, in apposite orazioni (XXI, XXIII, XXIX), e in GtuuANO stesso (Ora/. II 77 A , B ; VH 236 A , B ; 268 B ; XLII) s'incontra un esplicito disdegno per i retori e i sofisti ^, distinti dai : ma in pratica entrambi, sebbene siano o vogliano es sere ftosof, seguono le arti delta sofstica. D'attra parte, it Neoptatonismo cerca di rinnovare se mai era mancata ta stretta cotleganza fra letteratura, religione e filosofia. (r) Su ci vedi particotarmente un articolo det GEFFCKEN in " Neue Jahrbb. f. kl. At. X X IX (1912) pp. 600 sgg.

6o

/. - Z .'w ow o e /o ifr;7 / o ri.

termini di riferimento, in quei m odelli degii studii liberati che si insegnavano nette scuote, si imitavano e riproducevano negti scritti. Man mano che l'Ettenism o tramutavasi, anche it distacco fra quei modetti e ta morate, ta retigione, ta scienza divenne sensibile, t'insegnamento vacuo, ta riproduzione ittusoria. A n co ra nei primi tem pi dett Impero era tecito vivere dette antiche m em orie: te quati propagandosi, insieme con ta civitt universa, atte nazioni conquistate, ricevevano impulso atl'esercizio di s stesse e atta propria m olti plicazione. Nelt'et di Costantino ci non pi possibite. L'im patcatura vecch ia : te forze della vita si sono troppo staccate dal paradimma che la tradizione nazionale, ellenica prima ave va tracciato, t'Alessandrinismo poi mirabilmente diramato, l'im p e r o da ultimo, con te sue istituzioni e con te sue abitudini, riconsacrato. E b b e n e : che cosa questa vita che rimane esclusa datta cottura ufficiale o in essa non entra se non per gettarvi i sensi detta contraddizione, det turbamento, det disagio ? E perch non si scioglie essa da soggezion e, non si impadronisce ristabitisce l ' unit, la coerenza, della scuola, l ' equilibrio ogni non degli

spiriti ? L a nuova vita lo si intende subito ha ta sua essenza e te sue origini, principatmente, nel Cristia nesimo. Il che non vuol dire che i varii suoi elementi sieno proprio e soltanto cristiani e che netta sota societ cristiana debbano i suoi patpiti e te sue promesse verificarsi, mentre ancora una notevote parte del civile consorzio estranea atta nuova retigione. S e nelt'et di Giutiano it m ondo appare diviso in due campi, pagani e cristiani, che contano press a p o co un eguale

Ca/. //7 . - Z a fo#Mfa *?// /. numero di seguaci ( i ) e partecipano entrambi

6 al

vivere politico: in realt la distinzione per molti aspetti formale, poich, non ostante l'odio fanatico che spsso gli uni spinge contro gli altri, le pi profonde correnti di pensiero e di sentimento si identificano in entrambi e risultano da una lenta e tacita co o p e razione. E noto che il Cristianesimo ha dato, ma anche ha ricevuto dalla civilt preesistente: ha m odi ficato, ma anche ha subito modificazioni ; e in seno alla civilt pagana si svolgevan o da tem po tendenze analoghe a quelle di cui esso da fuori procurava il trionfo. Se, in altre parole, la civilt ha spostato le sue basi, non fu tanto per influenze esteriori, quanto per necessit inerenti alla sua propria evoluzione e al suo intimo funzionamento. E a noi ci che importa questo : che le basi sono spostate; vecch io * contro cui S. Paolo aveva strali (2), non esiste pi o, m eglio, si quand'anche i contem poranei non ne chiara coscienza e, ingannati dalle che < l'uom o diretto i suoi trasformato ; abbiano avuto formalit, non

abbiano scorto la sostanziale concordia dei loro principii, applicando nomi diversi a ci che era uno in ispirito. L o spirito, sinteticamente osservato, si risolveva nel deprezzare i sensi, la natura, il reale, il terreno, tutto ci su cui aveva poggiato telligibile. E ra uno sforzo di l'antica grandezza, dal m ondo per tendere verso il cielo, il soprannaturale, il soprain staccarsi

(1) Cos, almeno, in Oriente. In Occidente il Paganesimo era ancora pi radicato. (2) ^ 4 a* IV 22.

/^/ /. - ^ / scr<7/or;.

Hnito per commisurare l'uom o con l'inHnito. Quindi, !a cerchia del naturalismo razionale, nella quale * l'uom o vecchio ' si era rinchiuso, dimostrandosi poco sensibile alle ingiustizie del m ondo e poco propenso alla gioia e al rispetto degli umili, cadeva infranta per lasciare l'accesso al sentim ento e all'idea di una realt pi vera, di una patria celeste, di una forza superiore da cui sieno volute e dipendano la giustizia, la verit, il bene. Q uesta tendenza che guida la religione cristiana e ne giustifica il buon successo nella storia, pervade a cui anche per mille pori la filosofia del tem po,

tutte le menti si inspirano e che, eretta a sistema, prende il nome di N eoplatonism o. Non importa ora dare una apposita descrizione di tale sistema n dei varii stadii che esso attravers nell'intento di rico struire la fisica e la metafisica dell' Universo : qui ci basta aver colto il principio vitale, per tosto renderci ragione degli ostacoli dai quali fu impedito di svolgere, allora, le conseguenze di cui era gravido. Poich non v 'h a dubbio era quello un principio il quale, liberamente operando, avrebbe creato intorno a s una educazione, una morale, una letteratura, una scienza originali, certo diverse da quelle a cui, con principii antitetici, G recia e R o m a a vevan o dato la vita. G recia e R o m a erano state possenti nella rappre sentazione artistica e nella esplorazione filosofica del l'uom o e della natura: ma la civilt cristiana e n eo platonica veniva ad aprire sia natura profondit inesplorate. S e n o n c h , s 'in te n d e questi effetti una bene che p er giungere a n ell'uom o, sia nella

condizione, prima di tutto, biso-

Cu/. 7 /7 . - Z a fc#ra

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gn ava soddisfare: che le menti guardassero davvero in avanti, ribellandosi alla superstizione del passato. Pur senza abdicare ai beni acquisiti dal passato, biso gnava affermarsi sopra e contro di esso : avere coscienza dei proprii avanzamenti. Non c' rivoluzione che introduca un ordine nuovo senza aperta violenza contro l'antico, se anche di questo tacitam ente sugga le migliori virt. Questa violenza non la esercit il secolo di C ostan tino e di G iuliano: non la esercit in esso la co l tura ufficiale, non la esercitarono n il cristianesimo n il neoplatonismo. S e dell'uom o vecchio era cam biato lo spirito, rim aneva ancora, circondato dalla superstizione universale, il corpo: gran cosa morta a e bastava questa distrarre e a corrom pere tutte

quante le manifestazioni di giovinezza a cui si so vrapponeva. Della coltura ufficiale ho gi detto : due parole adesso del neoplatonismo e del cristianesimo, che, in fondo, sono parti di essa. Caratteristica del neoplatonismo di ritorcersi contro s stesso. Mentre nel suo principio vitale (come abbiam visto) esso superam ento del natura lismo ellenico, in pratica si presenta com e un co m mento o una giustificazione del naturalismo stesso. Invece di creare dal proprio seno la nuova dottrina che si applichi a tutti i problem i della natura e del mondo, esso nel proprio seno trascina il bagaglio delle antiche svariate dottrine filosofiche per co o rdi narle e interpretarle. L a sua forza creatrice, che d o vrebbe prendere possesso im mediato della verit e proiettarsi, intera, sull'U niverso, si strema in u n 'o pera di riordinamento e di interpretazione anacroni

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P itr / /. -

i'M o w o /o

s t i c a ( i ) . O pera vacua ed infeconda, perch non solo lo obbliga ad assorbire elementi che gii sarebbero estranei, ma a violarne il significato p er poterseli ap propriare. Difatti, nessun naturale accordo po teva mai intercedere fra le antiche filosofie, le quali avevano riposato sulla fiducia assoluta nella ragione, e la nuova dottrina che ricorreva alla contem plazione estatica deli'U niverso. dicono vino nuovo in otri vecchi. Ma

av e v a osservato il V a n g e lo : * Nessuno metta il vino nuo vo in otri vecchi ; altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa, e gli otri vanno in malora ; ma si m etta il vino nuovo in otri nuovi, e l'uno e gli altri si conservano * (2). Caratteristica della dottrina cristiana parimente di soffocare la sua nativa virt, costituita dall'ossequio ad una santa legge morale e dalla concezione di un rigoroso m onoteismo, in forme prese a imprestito dalla civilt e dalla religione avversaria. Non appena ha ottenuto il suo riconoscimento ufHciale ed ha avuto adito nel tem pio della scienza, la nuova fede si a v viluppa nel cerchio m agico e capzioso dell'intellettua lismo pagano. Il sistema di idee teologich e alla cui costruzione essa disperde la propria attivit, si con fonde co) sistema neoplatonico. I suoi G regorii, i suoi Basilii escono dalla m edesima scuola, col m edesimo stampo nello spirito, di Giuliano, di Tem istio, di L iban io. ! suoi propagandisti sono tanto sottoposti al

(1) Di ci vedremo esempi frequenti in Giutiano stesso, a cominciare datfe pagg. 77 sgg. Ma si pensi a Fifone, a Giambfico, a Procfo. (2) MATTH. fX 17.

Ca^.

777.

Z a <ro//Mra

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miraggio degti scrittori pagani quanto i suoi pi fieri avversarti. C o m e Giutiano ritiene indispensabile ad una sana istituzione ricercare nette fonti antiche ta rinascita det sentimento e det pensiero, cos Basitio e G regorio sostengono ta necessit e ['opportunit per toro stessi di abbeverarsi atte fonti pagane a fine di ben ragionare e di ben dire (:). S o n o t'uno e gti attri vittime di un gran pregiudizio. Q uando Giutiano, traendo te rigide conseguenze dei suoi principii, sban disce datta scuota, con un famoso decreto, gti inse gnanti cristiani e pretende che questi si timitino a com m entare Matteo e L u ca , non gi O m ero (2), due maestri cristiani, gti Apottinari, padre e figtio, pensano di tosto dotare ta scuota di opere tetterarie a soggetto cristiano : ma sentono ta necessit di votgere te storie det V e c ch io e det N uo vo T estam en to in tanti drammi di perfetto stampo attico, in poemi epici, in odi, in diatoghi ptatonici. * A betta posta impiegarono ogni specie di verso, perch nessuna forma d ' espressione propria detta greca tetteratura dovesse restar ignota o inaudita ai Cristiani *. O pera anche questa vacua ed infeconda, di cui t'intuito storico detto scrittore ecclesiastico Socrate riconobbe fin d'allora ta futitit(3).

(1) BAstL. 7/?7. .* yMOM:o<?o ^ossw/ Air/s /rMtVMM! ca^r^); GREGOR. NAZ. Ori?/. IV 102-8, XLIII ( 7n 7?asMi 11. In genere, sutt'affnit fra tetteratura pagana e cristiana di quei tempi, v ., ottre a BotsstER Z.a TTrgWHsWf, GEFFCKEN art. cit. in " Neue Jahrbb. f. kt. Alt. X X IX (1912) p. 607; J. DEFERRARt 714e r/ass/cs a. g ' r ^ a<r<^ri 0/ Mi TTar/y C^Mrr^.- 5 . : 7 , in " T h e Ctass. Journ. XIII (1918) pp. 579 sgg. (z) V . appresso pp. 69 sgg.
(3) S o c R A T .I II 16 . M e n o a v v e d u t o it g iu d iz io d i S o zo M E N .V 18.

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7. - Z.'(W<o ^ / o E qui, per concludere, una osservazione. Si afferma

di solito che il cristianesimo ha troppo distrutto della civilt classica, snaturando l'uom o e il mondo e che, per risorgere, la coltura ha dovuto ritemprarsi alle fonti del classicismo. In realt il cristianesimo, nel l'ora del suo trionfo, stato impotente a distruggere cos com e a creare ; proprio perch si lasciato op primere dalla schiacciante eredit del passato e atti rare in quella sfera di soggezioni, di compromessi, di servilismi intellettuali che erano proprii dei tempi. di P er rinnovarsi la civilt europea ha avuto bisogno uscire dalla soggezione e dal com prom esso. Ha bisogno di un letargo in cui dimenticare le

avuto

proprie venerabili tradizioni : ha avuto bisogno di un M edioevo in cui il classicismo restasse sepolto. L a perdita di tanti monumenti gloriosi, che amaramente piangiamo, stata lo scotto dolorosissimo, ma non inadeguato con cui il mondo ha pagato la sua rinascita. E quel ch'era salvo dell'antico sem e, gettato sopra un terreno vergine, in un ambiente fatto d 'id ee e di esperienze nuove, formato a una pi profonda coscienza dell' uom o e dei suoi destini, ha potuto produrre frutti degni di vita.

* * * Q uale , in queste condizioni generali della coltura, l'atteggiam ento di Giuliano ? N ei suoi tratti pi apparenti, nei gusti e nelle abi tudini di studio e di pensiero, Giuliano non si di stingue dalla maggioranza dei contemporanei : si lega anzi, direttamente, a quei retori, a quei sofisti, a quei

Co/. ///. - Z a co//wra

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dotti che cristiani o pagani costituiscono ta parte briHante e decorata detta societ. Fondam ente de' suoi studii sono Om ero, Esiodo, Pindaro, Bacchitide, Isocrate (i). Atte radici det)a sua educazione si ravvisa quella stessa contraddizione che contraddi zione generale del secolo. Infatti, suo primo educatore era stato il vescovo Eusebio di N icom edia, di setta ariana, lontano parente della sua famiglia (2). Ma l'influenza del prete cristiano, che mirava, anzich al cuore, alle forme convenzio nati del sapere e della religione, fu affatto superfi ciale (g) : certo non imped che un m odesto pedagogo, Mardonio, guidasse il giovinetto (come il costume voleva) nella lettura dei testi classici, e gli aprisse l'a n im o a tutte quelle impressioni che i testi classici seppero fin d'allora esercitare in lui (4). L a m aggior

(1) P er Bacchitide v. AMMtAN. X X V 4, 3. (2) AMMtAN. X X II 9, 4 : '&!


6<?Kfa?KS ^ < sco^ o,

.C x se M )

g-fMcre /ong:*Ms foM/MigeAa?; ZoN A R . t/ft/erg. I V p . 456); SozoM EN.

XIII 10 p. 2 o b ( d o v e v a p e r e lim in a ta u n a f a ls a in d ic a z io n e
c r o n o lo g ic a , c o n SEECK C f s c A .

V 2, 7 : ',,' ^^ drdoaati' (3) Inoltre Ia parte di Eusebio nell'educazione del fanciullo doveva essere puramente direttiva. Infatti, l'anno stesso in cui Giuliano era afBdato alle sue cure (338), egli fu nominato vescovo di Costantinopoli, senza che perci, come motti, di loro arbitrio, argomentano (NEGRt G/n/. p. 23, ecc.), Giuliano to seguisse di Nicomedia a Costantinopoti. (4) Di Mardonio parla diffusamente t'A . nel M'so^ogotM, particolarmente 352 B, C ; inoltre in M essaggio 274 D, Ora/. VI 198 A , V ili 241 C. Cfr. pure L tB A N . X V I I I 11; S o c R A T . IH 1, 9. Sulla questione se il pedagogo fosse pagano o cristiano e sulta m aggiore o minore importanza dett'opera sua netl'educazione di Giutiano v. I.

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far/i /. - Z .^ M 0M <0 : / scriY/ori.

parte dei giovani non ponevano in questo studio alcun serio interesse: ne ricavavano una educazione artifi ciosa, fatta di semplici abitudini formali. Eusebio stesso, naturalmente, considerava l'an tica letteratura profana un ornamento necessario, indispensabile degli spiriti, nel quale la fede non era coinvolta e col quale nessun serio proposito andava congiunto. Ma la mente profonda e impressionabile di Giuliano non poteva restare inattiva nell'esercizio della lettura e dell'imita zione, vuota di contenuto teorico ed etico. P rec o c e m ente il fanciullo tirava alla meditazione; il suo spi rito si aggirava, curioso, intorno alla ragion d'essere delle cose. Non si tenne dunque all'esterno: cerc, oltre la parvenza del bello, il vero, il santo, il buono. V o lle com prendere l'idea. Piene di sincerit e di passione sono le pagine

nelle quali Giuliano, divenuto imperatore, ha descritto questi primi suoi passi sulla via del sapere. No, per lui la scuola non era un va cu o esercizio di retorica. Mentre la fantasia si popolava di divinit e di eroi, anche it cuore e la intettigenza lavoravano, tendendo a considerare com e suprema reatt, com e norma di vita e di pensiero te cose tette in Om ero. 11 carattere rigido, austero, speculativo del moratista si ven iva foggiando sui versi delta vetusta epopea. E il buon Mardonio era ti ad assistevo, a confccargti con pi dura disciptina nelt'animo i suggerim enti e i precetti che emanano dalla lettura.
Non ti trascini la mottitudine de' tuoi coetanei che frequen tano i teatri a bram are quegti spettacoti l. Hai vagh ezza di corse? C e n ' una in Omero composta con incomparabite abitit. Prendi it tibro e teggi. Odi partare di mimi danza to ri? Lasciati stare. Ben pi nobitmente danzano presso it

Ca/S. ///. -

eo//Mra

6g

popo!o dei Feaci t fanciu!)i. T u hai per citaredo Fem io e per cantore Demodoco... E leggerai detta arborata isota di Catipso e dette grotte di C irce e de! giardino di Atcinoo... (i).

Un passo pi in t, e i] fanciutto, che negti antichi poeti e pensatori ha ta virt di procacciarsi un nutri mento morate, vi cercher anche ta retigione e ta teologia (2). Perch, d o ve ha attinto it sentimento e ta norma det bene, non dovr prendere ta concezione detta vita intera ? E chi ha it diritto di dirgti : fin qui it vero, pi in t it fatso ? In questa prima e istintiva facott det giovane di trarre datta tettura dei ctassici non soto un ditetto artistico, ma un contenuto per ta sua coscienza, ha origine it concetto cot quate t ' adutto e t'im peratore proceder atta restaurazione dett'Ettenismo potiteista. Q uando infatti, satito at trono, Giutiano si propose, a difesa (egti pensava) dett Impero e detta Civitt, di soffocare ta Chiesa cristiana, sbito vide che ta ri forma d o ve va iniziarsi datta scuota, perch netta scuota era it cancro. E prom utg it fam oso editto de! 362, net quate, affermata ta necessit di mettere d'accordo te p a r o t e c o n g t i a t t i e c o i p e n s i e r i , vietava ai Cristiani [ insegnam ento degti autori ctassici (3) :
Noi riteniamo che un buon insegnamento non stia netta pomposa armonia dette parote e dett'etoquio, ma netta sana

(1) Mio/cgOHi 35tD-352A.


(2) LtBANto cos appunto descrive questa evotuzione detto spirito di Giutiano: Ora/. X!I! t : r ';1' T t^ v

'

(3) L'editto, che qui in parte riportiamo, va sotto it nome di XLH. Fu preceduto da un atto di tegge, in data

70

/Tar/f /. - i^Mowo i / o

disposizione detta mente, che abbia un concetto esatto det bene e det mate, dett'onesto e det turpe. Chi dunque una cosa pensa e insegna t'opposta, tanto [ontano datt'essere un buon isti tutore, quanto to datt'essere un uomo onesto. Nette cose di poca importanza it disaccordo fra ta mente e ta tingua pu essere totterabite, sebbene sia un mate. Ma nette cose di im portanza suprema chi ad un modo pensa e insegna it con trario, imita it fare dei mercanti, non dico degti onesti, ma dei ribatdi : perch pi insegnano ci che pi ritengono errato, ingannando e adescando con te tusinghe cotoro ai quati v o gliono comunicare credo io quet che hanno di guasto.

Q uesta ia premessa: cui segue t'appticazione:


d'uopo perci che tutti cotoro che si danno att'insegna mento, abbiano una buona condotta n professino in pubbtico opinioni diverse da quette che recano in cuore (i): segnata mente tati dovranno essere cotoro che ammaestrano i giovani ed hanno t'ufEcio di interpretare te opere degti antichi : siano essi retori o grammatici, o, pi di tutti, i sofisti, giacch questi

17 giugno (Co;/. 714io^os. Xtt 3,5), dove gi trovavasi espresso it concetto fondamentate, che ['editto non fa che commentare : Mag/s/ros 5 /Mi'orfti aruMcr o/orM twortim % * < /afKMiA'a. Che Giutiano promutgasse poi una seconda tegge per vietare addirittura atta giovent cri stiana di frequentare te scuote ctassiche, come motti da am bigue espressioni di antichi storiografi pretendono indurre, anch'io non credo, con GEFFCKEN ATa/sir p. 164. (1) Leggo, con BtDEZ ap. GEFFCKEN ./;</:HMsp. 164, ^,. L a tezione tradizionate manifesta mente corrotta e porta a un controsenso, che pure si trova accotto datta maggior parte degti storici: v . ALLARD P- 357 (" avoir t'me imbue des seutes doctrines qui sont conformes t'esprit pubtique ^). Non cosi per BARBAGALLo Z.o S/a/o i rowaMC (Catania i g n ) p. 264.

C a ^ S . /77. - Z.a
ultimi pi degii attri intendono essere maestri non netta soia etoquenza, ma anche netta morate, e dicono che a toro appartiene ta f i t o s o f i a ci v i t e . S e ci sia vero o fatso, lasciamo per ora... Io ti todo di questa aspirazione a inse gnamenti etevati; ma pi ti toderei se non si smentissero e non si condannassero da s stessi, una cosa pensando e in segnandone un'attra. Ma come ? Per Omero, per Esiodo, per Demostene, per Erodoto, per Tucidide, per Isocrate, per Lisia gti Dei sono guida e norma di tutta educazione... A me pare assurdo che chi spiega te toro opere non onori gii Dei che essi onoravano... S e credono netta saggezza di quegti autori di cui seggono interpreti, gareggino con quetti netta piet verso gti Dei. S e invece sono convinti che quegti autori e r rarono circa it concetto di divinit, attora entrino nette chiese dei Gatitei, a spiegarvi Matteo e Luca...

L 'in te n z io n e

di

questo

discorso , naturatmente,

potemica. It principio detta tibert d'insegnam ento vi sattato a pi pari : in nome di una necessit supe riore (i). Ma it concetto, da cui Giutiano prende te

(i) Buon giuoco, quindi, hanno tutti cotoro (n io star a citarti: v. uttimamente G. PtcvANO GwA'aMO ? ;7 ? 0 0^0/) SfKoA: Monza 1916) i quati imprecano att'atto di Giuliano, ponendolo in contrasto con ta libert che l'inse gnamento aveva sempre goduto in Roma repubblicana e im periate. Sarebbe come chi, in nome di anatoghi principii pra tici, imprecasse al tale o tat altro provvedimento contenuto netta Repubblica platonica, senza rendersi conto dette pre messe assolute da cui simiti provvedimenti sono determinati, e che sono tali da non lasciare neanche sussistere l'idea di libert o di arbitrio in quatsivogtia esplicazione dell'attivit umana. Piuttosto da ripetere ci che abbiamo prima osser vato : l'errore di Giuliano di voler trasportare netta pratica principii asso/n/:'. D'altronde la migtiore risposta a cotoro che inveiscono contro Giuliano su questo punto l d uno scrittore cristiano, TERTULHANO, il quale (in tempi in cui an-

72

/. - ,' / scr<7/or?.

mosse, dett'accordo che urge ristabitire fra ta parota e ]a coscienza, co m e abile ai fini de] potemista, cos profondo netta visione dei tempi : cotpisce in pieno ta matattia det secoto. E vatga it v e ro : m ai si era udita una condanna cos espticita dett'educazione e dett'istruzione attora in voga, tutte occupate netta pomposa armonia de)]' etoquio, trascuranti det senti mento e det concetto ; mai si era osata una cos p e netrante censura detta sofistica, ta quate, se ostentava di innatzarsi a intendimenti pi etevati, e insegnare in reatt si esauriva negti infecondi attettamenti di una pura * etoquenza Ma com e ? dicono atcuni . Non ammiriamo anche noi oggi, con frutto, i poem i di O m ero e di Virgitio, p er to stite e per t'arte toro, pur stimandone morto it contenuto? E non d o veva n o i maestri di Giutiano fare altrettanto ? ([) Una tate obiezione destituita di senso storico. Noi abbiam o sopra spie gato che, non essendo nett' antichit intervenuta una chiara distinzione fra arte e scienza, anzi essendo stata in origine ta poesia una sota e comptessiva m a nifestazione dei bisogni morati, retigiosi, estetici, scientifici, e mai essendo pervenuta a specificare e individuare it proprio com pito in corrispondenza coi

cora te necessit pratiche non hanno preso it sopravvento negti intenti detta Chiesa) ha giudicato che it Cristiano non possa fare it professore, per ragioni anatoghe a quette addotte da Giutiano ( ?c/a/r<n).
(t) NEGRt Z.Vw^<?ra/. C/M/, p . 341 ; A LLARD _/[</;'?)<

4/5 .

p. 358. Non basta osservare, cot Negri stesso, che ai tempi di Giutiano nette divinit di Omero si poteva ancora effetti vam ente credere.

/S . ///. -

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progressi detta ragione, non poteva ora questa stessa poesia venir considerata pura poesia, senza che im m ediatam ente gti spiriti cadessero nette deficienze e negti errori de! vanitoquio e detta d e c im a z io n e . E di ci davano ta prova, ne! rispondere a)!' esecrato decreto di Giutiano, i Cristiani stessi (e particotarmente i due ApoHinari), quando te storie detta Bibbia rive stivano coi brandetti totti ad O m ero e a Virgitio. Purtroppo it rim edio che Giutiano, co m e togica conseguenza, suggerisce, di rifare i! passato richia mando dentro atte form e e atte parote abusate it g e nuino spirito dett'antichit (1), si dimostra inappticabite. Segno evidente che quest'uom o, cos sagace, cos acuto, cos preciso investigatore det vero, traviava nette supreme direttive dette sue azioni. Non a v e v a it genio dett'uomo potitico. Un Machiavetti che avesse Atto to sguardo netta malattia dett' Impero avrebbe preso it cammino opposto ; avrebbe detto : tiberiamoci dagti ingom bri de) passato ; it nostro cancro di tener vivo ne]!e forme e nette istituzioni ci che morto negti spiriti ; diamo sfogo atte forze creatrici dett'avvenire. Giutiano, ne) dettare )a sua )egge, non si chiesto se i Pagani possedessero, pi o megtio dei Cristiani da tui esctusi, i) sentimento vero dett'Antico, n se it sentimento ch'egti stesso ne p ossedeva corrispon desse proprio atta tetter degti antichi testi, o non fosse in vecchie pastoie un animo nuovo. Ma ci chiediam o ora noi, se vogtiam o detta sua formazione spiritute farci un 'idea compteta.

(1 ) LtBAN. Ora/. X V I H

157 :

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Z*ar/; /. - /.'OMO ; / o scr<//or;.

L o sforzo che si manifesta gi ne] giovinetto sotto t'impulso di famitiari contingenze disgraziate, neH'attrito di una bugiarda educazione espressa co! labbro, smentita coi fatti di mettersi in comunione con gli antichi creandosi per m ezzo di essi un con tenuto attivo e operoso nella coscienza, costituisce il cardine della vita di Giuliano, o, per cos dire, l asse gen eratore della sua coltura. L a storia di questo sforzo storia dello spirito stesso di Giuliano. C i posto, la prima condizione a cui il giovane d o ve va naturalmente soddisfare nell'adem pim ento del suo disegno, era di possedere una targa conoscenza, materiate e oggettiva, det passato, quetta conoscenza che si acquista con cure assidue, con ricerche laboriose e pazienti. D i queste cure e di queste ricerche G iuliano non ha certo fatto risparmio. C ' stato in tui (sia detto senza offendere ta tuce detta sua intettigenza) quatche cosa dett'erudito, del bibtiofilo, dett'archeotogo. Fin da fanciutlo i libri, d 'o g n i specie, sono stati ta sua passione. * Attri ha la passione dei eavatti, attri degli uccelti, attri di attri animati; a me fin da fanciullo ", egti scrive, * fu radicata una enorme passione di tibri * (:). E ancora: < Io credo che fra i miei coetanei nessuno ha svolto pi libri di me * (2). R etori, storici, gram matici, poeti, tutti entravano netta Bua cottura. A v e v a dato fondo *, a detta di Am m iano,

(1) IX if/Tg'Mo). Cfr. XXXVI (pet ricupero detta biblioteca det vescovo Giorgio). Inoltre : V ; L X X II; L tB A N . Ora/. XH 32 7tctvta -

tayM fv
(z) .%'5^^? 347 A . Cfr. Ora/. VI 203 B.

Ca^. /77. - Z a co//M?*a

yg

< t at deposito com pleto detta memoria * (i). E, tuttavia, ta sorte gti era stata avversa: aveva frapposto, per mano di Costanzo, timitazioni ed inciampi atta tibert de' suoi studii; to aveva tanciato, ventiquattrenne, fra te guerre e i tumutti civiti, in un'attivit prodigiosa; to faceva morire a trentadue anni. Ma aveva ta facott rarissima di sdoppiarsi, di attendere con tem po raneamente a diverse occupazioni; memoria ten ace; grande velocit di pensiero (2). S 'in ten de per agevotm ente che questa erudizione, da tui tanto pi accuratam ente estesa quanto pi to assittava it desiderio di rifare t ' A n tico , non doveva rimanere tetter morta, materiate grezzo e disgregato ; anzi, da tutti i rami detto scibite con vergen do, si raccogtieva intorno a un'idea fondamentate, att' idea, AtosoHca, detta vita, dett'essere, di Dio. A t centro detta m acchina stava, ad animarta, una questione schiettamente morate e retigiosa. T ate era abbiam o gi detto ta questione capitatissima det secoto, com e quetta sutta quate si venivano determ inando gti urti,

(1) AMMtAN. X V I 5, 8. L'estensione di siffatta cottura risulta poi daffo studio intrinseco degti scritti di Giutiano e dafta copia di citazioni e di reminiscenze, non tutte ancora messe in ri lievo. Superficialmente ne giudica l'A LLAR D // I pp. 270-1. Ricerche particolari, ma con metodo un po' pedan tesco, sono fatte da ScH W ARZ " Phitofogus LI pp. 624-52 e da BRAMBs -S/wai;'i? 3!< (Eichstatt 1897). P a recchio aggiunge GEFFCKEN An'sfr passim. (2) LtBA*N. XVIII 174 : ,!<ovoy <!i F x tfv o y tpi<3v (7 ''!'. yy

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7. - /M ofno i /o scrt'//ort.

inevitabiti ma di rado confessati, dette m oderne c o scienze con ta tradizione. E tate era, per natura, ta questione capitatissima di Giutiano. Conoscere it bene, scoprire te ragioni dett'universo, avvicinarsi com e fine uttimo a Dio, * raggiungere ta verit (sono sue pa rote) netta scienza d ivin a * (t): queste te cure do m i nanti, fsse, assorbitrici detta sua vita. * Filosofa * egti chiamava ta sua inclinazione (2) ; che era, in gran parte, com e i tempi volevano, teo lo gia : fondamento a ogni m odo e corona di tutto il sap ere: < Non di sprezzate gli esercizi! di logica (cos in una tetter scritta dalla Gattia a due suoi am ici: tetter do ve, in sostanza, fa un quadro det proprio organam ento spi rituale), e neanche trascurate la retorica e ta lettura dei poeti. Ma le cure maggiori sieno per ta filosofia e ogni vostro sforzo sia diretto alta conoscenza di Piatone e di Aristotele. Q uesto il vostro lavoro : questa la base, la fondazione, ta struttura, it tetto. It resto non che accessorio... * (3). Difatti, co m e tui stesso in Gatlia occupasse le sue notti laboriose; e, cio, prima di scendere * ai pi umili studii *, < investi gasse con incredibile ardore ta subtime idea detle cause prime, e, quasi cercando at suo spirito un pascoto onde p oggiare pi in alto, tutte le parti detta htosoia con acute disamine percorresse *. questo ci stato descritto, magnificamente, da A m m ian o Marcettino (4).

( t) Ortt/. V (/uno D?<) 180 B. (2) a 7i?M H *s?to 254 B ; Ora/. !!! 120 B, C. (3) L V (^4 ZHfHfm'o i ZnWnMO), scritta forse net 359
(V. A LLARD _// /'^ / . ! p . 441).

(4) Sopra p. 39.

Ca/. ///. -

co//Mra '/////3/

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Considerata nei suoi tratti pi apparenti, ta filosofia di Giuliano un agglom erato che com prende, co m bina e giustifica tutti i grandi sistemi dell'antichit (i). O bbedisce, nella forma, a quella stessa tendenza, fra erudita ed eclettica, da cui governata la sua lette ratura, che tutto il passato accoglie nel proprio seno con l'am m irazione incondizionata e livellatrice d e l l'epigono. Cerca e interpreta in tutte le scuole i germi del vero, del vero. A ssai significativo per questo rispetto i! seguente brano, nel quale l'autore si studia di definire intesa (2): i compiti della filosofia, genericam ente

Che ta filosofa debba essere, come alcuni ritengono, l'arte delle arti, la scienza delle scienze, o l ' imitazione, fin dove possibile, degli D ei; 0, come disse l'oracolo di Delfi, il " C o nosci te stesso ci non fa differenza. Poich tutte queste definizioni si accordano agevolm ente l'una con l'altra. Cominciamo dal " Conosci te stesso dato che questa la definizione divina. Orbene : chi conosce s stesso sapr del l'anima e sapr anche del corpo. N gli baster avere appreso ci solo, che l 'uomo anima facente uso d'un corpo (3) ; s affronter l'essenza stessa dell'anima, poi ne indagher le virt. Neanche si ferm er a questo punto, ma dir se vi in noi qualcosa di pi eletto e pi divino dell'anima, ossia ci che tutti, senza averlo appreso, per intuizione, riteniamo essere

(1) Superficiale, per quanto ricco di notizie esteriori, e su questo punto i) pregiato libro di H. NAVtLLE /'^ os/a/ i/ sa < A < (Paris 1877): intende rico struire il SS/^wa di Giutiano, ma non ne penetra affatto il carattere fondamentale. Pi acuto, per alcune parti, MAU Di? /?g/^i'oHS/sAiVoso^%;f A*a;'ser /x/mns (Leipzig 1907). (z) Ora/. V I (CM/ro Cime; <gMoraM/i) 183 sgg. (3) Definizione di PLATONE ^ 4/. I 129 e 130.

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J^ar/f /. - Z/wo<o ^ / o srrMor?.

cosa divina, e tutti unanimemente ammettiamo avere patria in cieto (i). Poi, esaminando gti etementi det corpo, considerer se sia composto o semptice. Poi, proseguendo questo cam mino, tratter de! suo ordinamento e det senso e detta po tenza e di tutto, in una parota, ci che ad esso occorre per ta sua assisten za. Dar anche, dopo ci, un'occhiata ai prin cipii di talune arti dette quati it corpo si giova per ta sua conservazione, come ta medicina, t'agricottura e attrettati. Neanche vorr det tutto ignorare te cognizioni meno utiti e pi minuziose... Vedi dunque se it conoscere s stesso non a capo di ogni scienza, di ogni arte e non abbraccia tutto quanto it sapere : te cose divine per ta parte che in noi di essenza divina, te cose mortati per ta parte mortale... Che poi anche t'imitare, 6n dove possibile, gti Dei, attro non se non procacciarsi ta conoscenza degti enti accessibile agti uomini, s'intende di qui: c he t a feticitdelt'essere divino non ta facciamo consistere netta ricchezza materiale n in alcun attro dei cosiddetti beni di fortuna, ma in ci che Omero designa con questo verso, che: ... /// sanno e, parlando di Zeus, .ZiMS ir a wa/o e < ? < /n//< s a liv a (3). (2),

Infatti, proprio pet sapere gti Dei si distinguon da noi. E pu ben darsi che anche presso di Loro it conoscere s stessi sia it pregio m aggiore. Quanto, invero, sono migtiori di noi netl'essenza, tanto, conoscendo s stessi, posseggono nozione di cose migtiori. N e s s u n o d u n q u e v e n g a a d i v i d e r e , n e s s u n o v e n g a a t a g t i a r e ta f i l o s o f i a in m o t t e p a r t i , e s e g n a t a m e n t e n o n n e f a c c i a m o t t e di u n a s o t a . C o m e u n a ta v e r i t , c o s u n a t a f i l o s o f i a . Nutta di strano se ad essa arriviamo per attri

M Cfr. Ora/. VII 209 C ; 2 ^ D. (2) 0 <. IV 379. (3) XHI 355.

Co/. 7 //. - . CO#M fH

79

e poi altri cammini... N alcuno mi dica che vi furono di quetti che, pur essendosi incamminati per una medesima strada, si smarrirono in non so quali deviamenti, e sedotti quasi da Circe o dai Lotofagi, vate a dire dai piacere o da))a gloria o da quaisivogiia altra lusinga, si rimasero daH'andare pi avanti e dai raggiungere it fine. M a g u a r d i a c o t o r o c h e p e r c i a s c u n s i s t e m a f u r o n o i p r i m i , e ti t r o v e r tutti con cor di . Dunque i! Dio di Delfi prdica it " Conosci te stesso Eractito to " Indagai me stesso Pitagora e quetti che to han seguito, Hno a Teofrasto, t'" Imitare fin dove possibile gti Dei Cos pure Aristotele...

A tutti questi to scrittore, mediante un'apposita e lunga dimostrazione, aggiunge ]e stte degli Stoici e dei Cinici, per con cludere:
Una la verit e una la filosofia, e di questa sono tutti quanti seguaci quelli che ho ricordato.

Per poco che si consideri, sbito si ved e co m e questa conclusione, a cui lo scrittore d tanto rilievo e lega cos entusiastica fiducia, fondata sopra un sofisma: che spiega quale, al di l delle apparenze conciliative ed eclettiche, sia la vera natura della sua filosofa. G li antichi sistemi, che G iuliano pretende ri vivere, eransi esclusi l'un l'altro : erano stati degli sforzi, magnifici certo, ma contradditorii, inefficaci, di spiegare mediante ragione '^ dell'universo: tanto contradditorii ed inefHcaci, che, com e la storia c'insegna, avevano finito per gettare, do p o prove di secoli, lo spirito umano nelle incerte om bre dello scet ticismo. O ra lo scetticism o dissipato : sottentrata nel m ondo greco-rom an o la luce della fede. P er effetto della quale a G iuliano pare esserci un punto in cui le diverse z w tenute dagli antichi nella

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.Par/i 7 . - ,' i /O SffM orf.

cosa divina, e tutti unanimemente ammettiamo avere patria in cielo (1). Poi, esaminando gli elementi del corpo, considerer se sia composto o semplice. Poi, proseguendo questo cam mino, tratter de] suo ordinamento e del senso e della po tenza e di tutto, in una parola, ci che ad esso occorre per la sua sussistenza. Dar anche, dopo ci, un'occhiata ai prin cipii di talune arti delle quali il corpo si giova per la sua conservazione, come la medicina, l'agricoltura e altrettali. Neanche vorr del tutto ignorare le cognizioni meno utili e pi minuziose... V edi dunque se il conoscere s stesso non a capo di ogni scienza, di ogni arte e non abbraccia tutto quanto il sapere : le cose divine p er la parte che in noi di essenza divina, le cose mortali per la parte mortale... Che poi anche ['imitare, fin dove possibile, gli Dei, altro non se non procacciarsi la conoscenza degli enti accessibile agli uomini, s'intende di qui : che la felicit dell'essere divino non la facciamo consistere nella ricchezza materiale n in alcun altro dei cosiddetti beni di fortuna, ma in ci che Omero designa con questo verso, che:

... /M / / 0 SO M M O gV/' (2),


e, parlando di Zeus, Pr/w o Z i s fra a/o c /< <# /w//t s a liv a (3). Infatti, proprio pel sapere gli Dei si distinguon da noi. E pu ben darsi che anche presso di Loro il conoscere s stessi sia i! pregio maggiore. Quanto, invero, sono migliori di noi nel l'essenza, tanto, conoscendo s stessi, posseggono nozione di cose migliori. N e s s u n o d u n q u e v e n g a a d i v i d e r e , n e s s u n o v e n g a a t a g l i a r e la f i l o s o f i a in m o l t e p a r t i , e s e g n a t a m e n t e n o n n e f a c c i a m o l t e di una sola. C o m e una la v e r i t , c os una la f i l o s o f i a . Nulla di strano se ad essa arriviamo per altri

(1) Cfr. Ora/. VII 209 C; 217 D. (2) 0 <%yss. !V 379.


( 3) //:<?. X I I I

355-

Ca/. 7//. - i a < ro / / M )*a

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e poi altri cammini... N alcuno mi dica che vi furono di quelli che, pur essendosi incamminati per una medesima strada, si smarrirono in non so quali deviamenti, e sedotti quasi da Circe o dai Lotofagi, vate a dire dai piacere o daHa gloria o da qualsivoglia altra lusinga, si rimasero dall'andare pi avanti e da) raggiun gere il fine. M a g u a r d i a c o l o r o c h e p e r c i a s c u n s i s t e m a f u r o n o i p r i m i , e li t r o v e r tutti co nco rd i. Dunque il Dio di Delfi prdica il " Conosci te stesso Eraclito lo " Indagai me stesso Pitagora e quelli che lo han seguito, Uno a Teofrasto, 1'" Imitare Hn dove possibile gli Dei . Cos pure Aristotele...

A tutti questi )o scrittore, mediante un'apposita e [unga dimostrazione, aggiunge te stte deg)i Stoici e dei Cinici, per con cludere:
Una la verit e una la filosofa, e di questa -sono tutti quanti seguaci quelli che ho ricordato.

Per poco che si consideri, sbito si ved e co m e questa conclusione, a cui lo scrittore d tanto rilievo e lega cos entusiastica fiducia, fondata sopra un sofisma: che spiega quale, al di l delle apparenze conciliative ed eclettiche, sia la vera natura della sua filosofa. Gli antichi sistemi, che Giuliano pretende ri vivere, eransi esclusi l'un l'altro: erano stati degli sforzi, magnifici certo, ma contradditorii, inefHcaci, dell'universo: di spiegare mediante ragione

tanto contradditorii ed inefHcaci, che, com e la storia c'insegna, avevano finito per gettare, do p o prove di secoli, lo spirito umano nelte incerte ombre dello scet ticismo. O ra lo scetticismo dissipato : sottentrata nel m ondo greco-rom an o )a )uce della fede. Per effetto della quale a Giuliano pare esserci un punto in cui )e diverse z w tenute dag)i antichi nella

8o

Por/: /. - 'MOWO ? /o icr<7/ort.

ricerca det vero si incontrino, e ta variet dei metodi non impedire a quei vero di essere uno soto: ossia it soprannaturate, ossia Dio, da riconoscere, non per mezzo detta ragione, ma in virt dett'intuizione di retta (i). Rispettosa netta forma, e studiosissima dette antiche dottrine, questa HtosoAa era netto spirito nettamente ribette. H fondo di verit da Giutiano introdotto in quei vecchi sistemi era di una significazione n uova e ad esse contraria o impropria : it comunicare per im mediato intuito, anzi p er estasi (2), cot vero era di chiarare fattiti tutti quanti gti argomenti razionati da cui quei sistemi a vevano preso te mosse. Ma di ci Giutiano non poteva avvedersi. Tati erano te inctinazioni detta sua mente e gt'inftussi detta sua cottura ch e sempre e ad ogni probtema to portavano a fra stornare it suo pensiero nette pastoie detta adorata tradizione. D i ci un esem pio tipico to abbiam o in tutta quetta

(1) In questo tentativo d unificazione e satvazione dette antiche dottrine come avvertirem o anche in seguito Giu tiano non fa che ripetere it pensiero dei maestri det Neoptatonismo e, particolarmente, det suo fondatore Amm onio Sacca: v . PoR PH YR . W/ IV. Cos anche MASsmo Tm to D*'ss. VIII in fine. Net modo poi, non socratico, ma pieno d! un vator nuovo e fecondo, onde interpreta it " Conosci te stesso immedesimando ta conoscenza cot conosciuto, ta verit cot fatto, egti deriva da PLOTtHO V 3, 1; it quate di ci aveva costituito it suo canone fondamentate, come ottimamente descrive G. DE RuGGtERO S/orta -: f/Yoso/ia P . I (Z.a yi/os. g 'w a ) vot. II (Bari 1918) pp. 166 sgg. (2) Ricorda ta frase stessa di Giutiano in Ora/. VII 221 D .

rtiri

x< x2 ty

Ca/. // - Z a co//Mra <w/c//i//Ma/c.

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polem ica da tui condotta CbM/ro z

ossia

contro i degenerati Cinici det suo tempo, ai quati voteva dimostrare quate fosse it genuino spirito di D io gen e e di Antistene ( i) ; e, pi specialmente, netta diatriba 6*0%/ro z7 cz'Mz'io netta quate trattato a fondo it probtema detta mitotogia pagana (2). Rite nevano i Cinici, a cui Eractio apparteneva, che te an tiche favote de! Potiteismo, consacrate datt'arte greca e romana, avessero un vatore sempticemente fanta stico. Per quanto non si rendessero conto dette con dizioni di spirito e dette tendenze n a t u r i s t i c h e che te avevano determinate, oscuramente sentivano quette ormai attro non essere se non meri racconti, atti a stimotare e interessare te facott inventive. Di ci at tamente si sdegna Giutiano, e, affannandosi intorno atte creazioni di O m ero e di Esiodo, cerca di provare che hanno significati profondi : sono simboti di verit astratte : dette sue verit. It pensiero che abbiam o fatto scaturire datte di chiarazioni di Giutiano , in tutte te sue principati quatit tanto netta apparente adozione e concilia zione degti antichi sistemi esctusi gti Scettici e gti Epicurei, quanto netta reate sostituzione det misticismo at razionatismo, quanto infine netta particotare inter

ni) Ora/. V I.

(2) Ora/. VII. G E F F C K E N ,/M/;*aMKS pp. 94-3, 155 cerca di ricostruire it discorso di Eractio e te invenzioni mi tiche, contro cui inveisce Giutiano. V . L t B A N . Ora/. X V H 16. in genere, t'opposizione degti pseudocinici contro Giutiano bene ittustrata da ASMUS in " A r c h iv f. Gesch. d. P N os. X V (1902) pp. 425-41.

8a

/*ar/? /. -

/o ifr<*//ori.

pretazione sim bolica di O m ero , schiettamente neoplatonico. Nel neoplatonismo il nostro autore ha tro vato la base della sua filosofia. G iam blico lo aveva iniziato. ^ g . . . (). Q uesto si capisce assai bene. Prima di tutto, la sua anima era (in armonia coi tempi) naturalmente mistica: anima di asceta, che, pur essendo dotata di una ra gione sottile ed esperta, amava sprofondarsi * ad occhi chiusi * nella estatica contem plazione delle cose, in tutte avvertendo gli echi arcani dell'essere divino. * F in da fanciullo (cos egli scrive nella preghiera ^ 4/

7*F -SbZf) fu insito in me un im m enso amore pei raggi


del Dio, e alla luce eterea drizzavo il pensiero, tanto che, non stanco di guardar sempre al Sole, se uscivo di notte con un cielo senza nubi e puro, sbito, di mentico d'ogni altra cosa, mi vo lg ev o alle bellezze celesti, non com prendendo pi ci che altri mi dicesse e neanche sapendo ci che facessi io stesso. Parevo iessere a queste cose soverchiamente attaccato e farne studio speciale: e fu chi me, quasi im berbe, tenne per astrologo. Eppure, in fe' di Dio, nessun libro di tal gen ere era caduto nelle mie mani, e neanche sapevo ^:he cosa fosse quella materia * (2). Secondariam ente il neoplatonismo gli dava agio, anzi, gli suggeriva di tenere in piedi quelle forme e quelle istituzioni antiche in cui egli fin da ragazzo ave va fissato il contenuto etico della sua coscienza. A b b ia m o sopra descritto l'importanza dello sforzo che, dietro l'iniziale impulso di Mardonio, egli aveva com piuto onde sopperire alla falsit e alla vacuit della
(1) Ora/. IV 146 A . (2) Ora/. IV 130 C.

C ^. /7/. - fc#Mra

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educazione ufficiate. Questo sforzo era provenuto datte sue originati virt. Ma senza )'intervento di aiuti este riori esso non avrebbe cos presto creato un sistema di rinascita de) Paganesim o: si sarebbe contenuto nei timiti vaghi detta morate, senza dar fondo a una teotogia che fosse di quetta morate it term ine: non sarebbe uscito datt'infingimento di una religione po sitiva, accettata nette forme, non vissuta nett'anim o (!). risaputo, per sua propria dichiarazione, che sino ai vent anni, ossia sino atta fine detta rectusione di Macetto, egti aveva seguito te pratiche det Cristiane simo (2), com e gti erano venute in eredit datta sua famigtia: mentre gi it suo sentimento, it suo m odo di pensare, ta sua moratit si fissavano in O m ero e in Esiodo. Q uando it giovane comincia ad acquistare coscienza di questa contraddizione e ad essere tibero di s, noi to vediam o comparire atte scuote ftosofche di N icomedia, di Costantinopoli, di A ten e : non per ap prendervi, com e i suoi com pagni G regorio Nazianzeno e Basitio di Cesarea, te semplici arti de) discutere, s per soddisfare a))e esigenze teoriche ed etiche de) suo spirito, per m ettere ordine ne))e sue idee e ne))a sua coscienza. L o vediam o diventare scotaro appassionato

(1) LtBANio Ora/. XVIII 18 cos descrive avvenuta per in flusso dei Neopiatonici 'apostasia di Giutiano: x a t t o t g

to

dxodaag

re

(2)

#^3 .' ... Cfr. ibid. 13. LI (^4^/ V . dietro p. z i , n. z.

84

/Tzr/; /. - ' /

dei neoplatonici E desio, Crisanzio, Massimo (:): co r rere dall'uno all'altro atta ricerca dell'ultima parola de! vero. A v e v a bisogno di qualcosa di grande, di certo, di definitivo che risolvesse in ui it dissidio lasciato dallo spettacolo torbido della vita e dalla crisi della coltura, e gti desse, con la fede, la pace. L ' ha egli trovata questa pace ? Raccontano che quando p er la prima volta, verso il 351, Giuliano venne a conoscenza del fitosofo Massimo (uno di quei filosofi che pi specialmente si applica vano alla teurgia e alla pratica dei Misteri: magnifico incantatore di anime; uom o dall'aspetto maestoso, dal l'occhio penetrante, dallo spirito sublime : a lui pare vano ubbidire gli elementi ed essere in comunione gli Dei), preso d'entusiasmo, esclam asse: * A d d io , amici, tenetevi i vostri libri: io ho trovato l'uom o che ce r c a v o ! * (2). S e anche queste parole non sieno proprio uscite dalle labbra del fervido gio van e (3), ugualmente esse attestano un fatto verissimo : che tutto il sapere di Giuliano, tutto il contenuto del suo spirito, tutta la sua febbre di cognizione si risolvettero a un certo istante nel gesto estatico dell'uom o che d ice : Io credo. C redo in una potenza soprannaturale che, scioglien doci dai bisogni della carne, ci fa spirito puro, ci av vicina ed assomiglia all'origine nostra, che Dio, ci pone innanzi, chiaro com e cristallo, rispondente al

ti) EuNAP. H/iM


( 2) EuNAP. ]. c.

Maxim, p. 474 s g g .

(3) Eccessivamente razionatista per t'osservazione di NAVLLE _//< 4/. e/ M / M o s. p. 53, che queste parote non si accordano con ci che sappiamo dett'Imperatore A/M'o//o!

C a^. /7/. - i a

fo//Mra <N%Mf//Ma/c.

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l ' a z i o n e non m eno ['Universo (i).

che

a t l ' i n t e t t i g e n z a nostra,

Cos . Per una occutta evoluzione, assistita, non dalt'ipocrisia o datt'impostura, ma datta fede, t bisogno di conoscere ta natura diventa sforzo di operare sutta m edesim a; ta scienza si traduce in potenza; it pensiero si confonde con fa tto , it f i t o s o f o cot m a g o . Hai strappato i segreti detta vita ; sei padrone detta vita. Hai scoperto te teggi delt'Universo; sei signore del t'Universo. H pom o detta Scienza, che hai raccotto, ti fa simite a D io : * sarai D io * (2). Sutta dottrina det giovane studente si innesta dunque ta missione, potitica, attiva, delt'imperatore. It tauma turgo Massimo che, con infiammate rivelazioni, to inizia ai misteri, t'aratdo det nuovo regno (3). L u i * it

(1) Dichiara LtBAmo Ora/. XHt n che furon ta magia e t'arte divinatoria a decidere detta conversione di Giutiano, scoprendogti it segreto dette cose occutte : yp tt

t cyodpdv t( 7 0 ^ & r/ t< 3v Non a dire che l'inter pretazione di questi fatti, come data dai pi e, particolar mente, datt'ALLARD _//. pp. 309 sgg., nonch dai fau tori stessi di Giutiano, i quati suppongono astuzie e raggiri di Pagani, non soto irriverente, ma antistorica. Assai bene invece ne giudica in un recente studio J. BiD E z _//. / '^ . " R ev. de t'tnstr. pubt. en Betg. LVH (1914) pp. 97 sgg., dove di tutto ci che con ta conversione si connette fatta a grandi tratti una acuta esposizione. (2) Ora/. V ti 234 C: ! ^!' .*

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nuovo Eracte che purgher ta terra datte brutture che ta contaminano ^ (t). Una scienza, com e quetia dei nostri tempi, che ha dovuto rinunciare a conoscere l ' e s s e n z a dette cose per studiare sempticemente cause ed effetti di feno meni, deve per io m eno rispettare cotoro che, in attri tempi, osarono it probtema dell'essere cosm ico. Una scienza, di quatsivogtia tem po, che riconosca gti o c culti meandri d e lla n im a umana, non pu deridere te mistiche persuasioni a cui quegli ardimentosi si sono lanciati ne! mare detl'infnito. T a le l'apostasia di Giuliano: un fatto essenzial mente mistico, determinatosi net corso di uno slancio superbo verso i segreti dett'essere cosm ico. Per questo va trattata con estrema deticatezza, e sottratta ai lu dibrii, alle provocazioni, ai mezzi giudizi) dei profani di qualsiasi partito. Motti studii e molte osservazioni sono state avanzate su questo tema, che ncora bru cia: unilaterati. innegabite che it sentimento morale, l'aspi razione retigiosa, la tendenza inteltettuatistica di G iu liano avrebbero potuto contemptarsi parte nei Vangeli, parte nelle disquisizioni teologiche detla pi recente dottrina cristiana. A b b ia m o visto che lo studio, storico, delt'antichit greca, l'orrore p er innaturali immistioni, it bisogno di coerenza, congiunto a circostanze o c c a sionati di famiglia e di educazione, to hanno spinto att'opposto cammino. Ma ci non bastato. Ci v o luta una sete pi grande, una am bizione pi forte, di gettare te mani su quet frutto delta Scienza di cui it Cristianesimo gti proibiva t'acquisto. Ci voluto l'af( i) n

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253 C .

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co//Mra '<{/c//c//Ka/y.

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flato divino che si impadronisse de] suo essere e gii segnasse ta via, suHa quale egti d o veva passare, senza possibilit di dubbii, senza luogo a tergiversazioni. Per cui egli passato sicuro, eretto, fidente. L a passione non lo ha abbandonato, sino alia fine. Chi osa dubi tare di lui? * Gii D ei io ti amo, ti rispetto, ti adoro; per dir tutto in una sota frase, io nutro verso L oro gli stessi sentimenti che si nutrono verso i benigni padroni, verso i maestri, verso i padri, verso i p ro tettori, verso ogni pi cara persona (). Per ta con o scenza di D io votentieri io darei e llm p e r o romano e quetto dei barbari (2). Io contem pto intorno a me te divinit, ne distinguo te forme, le con osco cos fa miliarmente co m e it votto degti amici, per averte avute presenti in tutte te grandi occasioni detla vita (3). Non vedi? It m ondo com e una tira che risponde divinam ente at to cco deH'artista inspirato. Una molti tudine di genti, di demiurghi, di dmoni ti uniscono att'Altissimo, intercedendo fra la materia e il Dio unico ch' in cieto. L 'an im a tua che, datt'origine di vina, caduta netta materia, serba net suo fondo puro t'immagine delta vita superiore. Essa deve riprendere it suo posto fra gti D e i e gti Eroi. T u cerca net cutto del Bene, nett'amore divino, 1 ' * ncora delta salvezza , che ti restituisca alta tua patria ceteste * (4). C o m e tutti gti iniziati, Giutiano non ha visto che it proprio i w a ; ha esctuso quetlo degti altri. L ui sospeso
(1) Ora/. VI! 212 B. (2) Ora/. VII 222 C. (3) L t B A N . Ora/. XVIII 172; Z o s t M . Ili 9. (4) Ora/. IV passim; VI 183, 198, 192, 194; V 169; Cesar! 336 C. Cfr. po! particolarmente VII 226C : dei
^( ^ ' x c d F r i

*,

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A t r / 7. - /.'M ow o /o

ne! pi arduo misticismo, ]ui perduto in quetla sfera in cui i] razionate arcanamente sfum a nett'irrazionate, tornava di botto a immergersi net pi freddo razio nam m o , anzi net criticismo pi stretto, quando si trat tava di im pugnare ta dottrina cristiana. Attora te facott togiche de) suo spirito, so rd a m en te nutrito, prendevano i) sopravvento e )o portavano sia a co struire teorie e giustificazioni astratte det Potiteismo che non sono certo it prodotto pi fetice di G iu tiano , sia a formutare obiezioni storiche e fitotogiche atta Bibbia, che sono parse precorrere ta critica degti Encictopedisti det secoto X V tt t , cio hanno in contrato grande favore fra uomini niente affatto pre parati a com prendere it vero carattere det nostro autore. L e teorie e te giustificazioni astratte det P o liteismo com paiono qua e t in tutti g!i scritti retigiosi e filosofici (specia)mente negti inni y V 7^ -Sb/f o yj/ZiZ Afizr/ri' Z??;, e netta diatriba e stranamente svariano (oM/w ;Y con ta toro

secchezza sut tono mistico detta passione. Sono cose caduche. L e critiche contro ta Bibbia si com pendiano in un'opera apposita CoM/ ; (che ci co n servata soto a frammenti) e prendono tuce, non tanto da un vatore intrinseco, quanto dat guizzo d'ironia e di sarcasmo che te avvampa. Organato in sistema it pensiero di Giutiano non ha dunque nutta di speciatmente originate. V i Pitagora,

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Ca/. 77/. - 7 fo # r a '/%<^.

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D atone, Posidonio, PorHrio,

Giam blico. Di Giutiano

c ' t'anima, it pathos: manifestazione di una perso nalit veram ente superiore. Di pi c ' i! concetto dett'apostotato, che to spinge a seminare, com e un buon tavoratore, i semi det Neoptatonismo, per t'eifettiva utitit, anzi, per ta s a t v a z i o n e degti uomini. Q uesto iniziato, assorto netta contemptazione mistica de) cosm os, in pari tem po un imperatore, che ha cura effettiva di popoti. Sua forza it sentimento e ta per suasione det bene. S u o avviam ento, proprio: svituppare it fattore morate, che megtio influisce sul ca m mino gen erale dett'umanit, pi detta cosm ogonia e detta metafsica, che predom inavano netta gnosi. Si com p rend e di qui com e it suo vatore, fatto non tanto di pensieri puri, quanto di fedi e di passioni, sia destinato a rispecchiarsi, principalmente, nelt'arte.

C A P I T O L O IV.

L'arte.
D a quanto abbiam o fino a qui esposto si deduce a g e volm ente che la letteratura del secolo I V d. Cr. non poteva in alcun m odo nutrirsi di ispirazioni abbondanti e vigorose, n poteva perci la sua forma artistica essere, ad onta delle apparenze, sana e vitale. Caratteri di sanit e di floridezza l ' arte ha solo quando poggi sopra una coltura compatta, sopra un'ar monia sincera fra parole, atti e pensieri, sopra una coscienza coerente d ell'u o m o e dei suoi destini. N e ll'et di G iuliano nulla di tutto ci. u n 'e t di faticosa elaborazione e di crisi profonda : in cui la coltura cos p o co solida che mira pi alle facolt auditive e mnem oniche che non all'intelligenza e al cuore ; le idee cos p oco sviluppate che si vestono di panni a loro del tutto inadatti. L a qualit sua d i stintiva di prendere sul serio, coltivare e venerare forme, che risultano false, perch sono in contrasto col loro reale contenuto. L a sua strada selciata di illusioni e di inganni. C ', bens, in vista un mondo nuovo, che germina dalle forze unite del Neoplatonism o e del Cristiane sim o: ma non abbastanza formato nelle coscienze,

91 non abbastanza pronto ad uscire, daHo stato dette

teorie e dei pensieri puri, net cam p o

dette votont,

dove, ottre a com prendere, si crei. Nonostante it dif fondersi sia di una nuova retigione rivetata, sia di una nuova, e nobitissima, dottrina fitosofca, te co n dizioni morati detta societ possono dirsi, praticamente, immutate (:). Si vedono pretati cristiani avvotgersi nette mottezze det tusso orientate ; seguaci di D io gen e e di Ptatone smentire spudoratamente coi fatti i santi insegnam enti che hanno sut tabbro. Par rebbe che, net punto stesso in cui te menti sono assurte ai principii di un m ondo migliore, t'antico m ondo corrotto eserciti una sua vendetta, spandendo su quei principii ta propria tebbra, dando tuogo a una corruzione anche peggiore : che ta fatsit : t'ideate, sonoramente proctamato datta cattedra o dat pergamo, smentito netta pratica detta vita (2).

(1) Ci bene illustrato da! NEGRt Z/A):/^r. //. pp. 145 sgg., 1 5 2 -3
( 3) Perci GtuLiANO, a principio detta sua opera Cow/ro -'/'! (p. 164 Neumann), pot affermare senza sospetto o apparenza di scrivere una enormit che i Cristiani dei suoi tempi avevano dai Greci ereditato ta vita scostumata e teggera: yaS^ov /Mov ' [^/tevot]. Cfr. inoltre quel che scrive in Or. VI 224 B di certi monaci, detti ^, dei quati ^'$, Mtxp rrox 7 .fi

^^ #gpan:fiic<7#ai. Egli stesso poi non si dissimutava affatto i vizii che andavano coperti sotto it manto di motti ftosoH pagani, speciatmente Cinici, contro ta cui scostumatezza e ipocrisia scagliava anzi, nelle due gi citate diatribe (Ora/. VI, VII', atcune pagine fierissime, prote stando che non datta barba, ma dat senno e datta virt si

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.Pftr/ 7. - / / Invano pochi zelanti hanno cercato di elevare ar

gini di rigorismo contro la marea che sale. Dottrina e fede sono prese in astratto, com e oggetti di studio e di discussione pi che com e etementi di vita: non sentono ta necessit di catarsi nette opere. P er dar dietro a idee e definizioni teoriche ecco dimenticati quei sentimenti e quette norm e di virt e di bene a cui tati idee e definizioni d o vrebbero subordinarsi. Per dar dietro a puri concetti teotogati, t'amore det prossimo, cos ardente nette primitive stte cristiane, si trasforma in un odio che a detta di Giutiano pi feroce non nette betve contro gti uomini (:). Con una recitazione di moratit stoiche, o con una bene dizione att'O nnipotente, e cco eseguiti gti atti pi ne fandi. N on c ' t'unit, non ta coerenza intima detta vita; non il suo catore. L 'atten zion e tutta att'esterno: atte bette apparenze, ai bei gesti, atte bette parote. Che cosa ancora !a parota ? Co m e ta teoria disgiunta datta pratica, cos ta parota avusa da!

conosce it filosofo: Sony xfv^t<v

tt* pinture

/f t ?r ^^' Riti

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xvytx^y ''7 0 ;(?'/ ///fKrct (V! 201 A ; cfr. Vtt 223 C, D). E neanche si celava i difetti e te falsit dei suoi sacerdoti det Politeismo, contro i quali scrisse t'i/S/s/. X L tX (.A ^ rsact'o) e at cui ravvedim ento dett te norme morali contenute in /ragTM. 288-305 D. Ben diverso anche in questo (cfr. sopra, passim) da Marco Aurelio, it quate nei suoi A w s/fr /1 16 si era segnato: " Onore ai htosoH veri; indutgenza senza punta di biasimo ai fatsi, pur non Asciandosi ingannare da loro (l) A p . AMMtAN. XX H 5. 4: tn/<;s/<TS^C?MA<!AMsi%s/"!5

Ca/.

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com e un vaso di argilla

suo contenuto: un involucro, qualcosa di vacuo e di sonoro che rim bom ba fesso. H a un valore decorativo; studiata nelle sue qualit retoriche di arm onico e di disarmonico, di adorno e di disadorno; riprodotta, sugli esempii degli antichi artificialmente, tutta una scrittori. C '

tecnica, minuziosa, che insegna a scrivere, con in fallibile eleganza, di ogni argomento che non viene dall'animo. In una et che non ha nulla di eroico, si vedono ancora uscire poem i sulla falsariga di O m ero ; com e a iosa escon o le orazioni sul modello esatto di G orgia o di Isocrate. Ma questa, di cui sono pieni i volumi, la parte morta della letteratura (i). L a parte viva, se c ' , d eve ricercarsi altrove, in quelle rare affermazioni in cui si interpretino non gi si nascondano o si eludano le vere condizioni della societ. Interpretare le condizioni della societ vuole dire, in tal caso, calarsi con lo spirito nella contraddizione che abbiam o test descritto: cogliere il significato di quel contrasto fra la teoria e la pra tica, fra la forma e il contenuto; non fermarsi alla superfcie, ma fare di quella superficialit stessa, onde sono guasti gli aspetti tutti della vita, l'id e a o il tema dell'opera d'arte. Il risultato estetico di questa operazione non pu essere (a prescindere dalle varie tonalit) altro che

(i) Non a dire che quind'innanzi mi discosto compietamente dai giudizii della maggior parte dei trattatisti della letteratura greca e romana.

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f a r / /. - /

'. ossa un'espressione nutrita di malcontento, di biasimo, di disgusto. E ironia , in ultima analisi, ta vera forma d'arte che i tempi consentono. Di essa i sintomi si intravvedono in questo o in quett'altro scrittore in cui m eno annebbiata !a c o scienza, pi schietta l'in tuizion e delia realt; parti colarmente si fanno notare negli apologisti e nei Padri della chiesa. H o gi detto che la letteratura cristiana non , in sostanza, diversa dalla contem poranea tet teratura profana: inviluppata nei medesimi pregiu dizi! di forma, poggiata sutta m edesima falsit di educazione, ha davanti a s i medesimi ostacoli alla creazione. Ci sono in essa promesse di vita, forse m aggiori, forse pi coscienti: ma sono prom esse; la vita, che si trasfonda nelle manifestazioni tutte di un ordine nuovo, non c' . Ci sono dei principii fecondi ; ma sono in gran parte astrazioni, non volont. Ora, da questa sua condizione, pienamente consona con la crisi det secolo, traggono origine quei particotari caratteri di vitatit artistica che sopra le ascrivevo. Infatti, ta sua tendenza predominante p o lem ica; ta sua fiamma pi t'odio che t'amore (oh, irascibili anime di Tertulliano, di A rnobio, di A ta n a s io )): pi che nella contem plazione det bene, it quate ancora motto lontano e sospeso net regno dette teorie, si esercita e si riscalda nella condanna del male, il quale purtroppo presente ed effettivo : i suoi tratti migliori sono quelli nei quali non tanto brilta it lirismo, quanto sogghigna la satira e t'astio partigiano. A cceso si da tunga pezza, in m ezzo ai travagli delt Impero, questo spirito divampa, naturalmente, a' tem pi di Costantino, di Costanzo, di Giutiano, perch trova nei dibattiti religiosi che tormentano te coscienze, nette totte che

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dilaniano lo Stato, negli scismi che dividono le reli gioni, l'elem ento pi adatto in cui prosperare. L a colonna luminosa di questa letteratura nel se colo I V quella specie di Colonna infame ! e H) che G rego rio di Nazianzo erige, coi m a teriali infiammabili del sarcasmo, contro l'A postata appena defunto. I pi feroci profeti ebrei si trasfon dono nell'anima del santo Padre : ma il grido amaro ch'egli lancia sulla tom ba dell'eroe caduto, lascia pas sare, co m e lampo, l'ironia della Storia che deride i giudizii umani ( ):
Udite, o popoli ! date orecchio, o voi, quanti siete, che abi tate la terra ] Tutti io vi chiamo, quasi fossi in m ezzo situato, sopra una altissima specola; e grande e sublime l'annunzio. Udite, popoli, trib, nazioni, uomini d'ogni gente e d'ogni et, quanti oggi siete e quanti poi sarete ! E a Sinch pi grande spazii il mio annunzio, tutta mi oda la possanza dei Cieli, tutti gli A ngeli, m erc dei quali fu estinto il tiranno, non Sion re degli Amorei, non O g re di Bashan, esigui principi che esigua parte della terra, Israele, afHissero : ma il dragone, l'Apostata, il Grande Intelletto, l'A ssiro , il comune nemico e abominio dell'universo, la furia che molto ga va zz e minacci sulla terra, molto contro il Cielo oper con la lingua e con la mano.

* * Ma lo scrittore che con m aggiore efficacia, con schianto di spirito pi preciso e profondo, seppe espri mere l'ironia del secolo, fu l'avversario, in religione, di G regorio, l'infamato Giuliano. T u tto nella sua vita, nella sua educazione, nella sua anima poteva dirsi predisposto a quel (ine. C 'era in

(i) Oro/. IV (5 //*7. I), i.

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e /o

lui una coscienza morale eletta, energica, operosa, che lo teneva atto sopra le equivoche inclinazioni dei co n tem poranei; ch 'e g li si era formata e laboriosamente nutrita, col dolore dei suoi giovani anni, solitario, per congenite virt. C 'era poi la fede ; la facolt di pren dere molto sul serio le proprie idee; c era insom m a (come lo abbiam o definito) il teorico, convinto e ap passionato, che costruiva tutto un m ondo di perfezione e di calma paradisiaca, senza previo consulto con la realt. E b b e n e : in questa calma, in questa ideologia, in questa sublimit morale, com e (ci si passi l'im m a gine) in un terreno incantevole, segretam ente minato, eran deposte le polveri che a vrebbero scoppiato al primo urto delle circostanze. L 'urto , infatti, avven ne, quando il giovane filosofo sal al trono imperiale. G i si veduto (dalla L ettera a Tem istio) com e la nom ina a cesare avesse d e te r minato in lui una crisi profonda e insanabile: la lotta che non e b b e requie fra l'ideale della vita con templativa e l'ideale della vita d'azione. Q uesta lotta non che un aspetto, o un sintomo, o un preludio di quel pi largo e decisivo contrasto che sta per aprirsi agli occhi del nuovo augusto, quando vorr tradurre e rendere operanti nella realt gli idoli della sua mente e del suo cuore. Da quel m om ento ha principio l'opera a r t i s t i c a dello scrittore, che si riassume, particolarmente, nel *, nei e, fino ad un certo punto, nella polem ica CoM/n? ; Cr/MMi : libelli co m posti con intento riformatore e satirico nella foga di quei due brevi anni d'im pero, 362-3 : il aM/a per protestare contro la corruzione del popol d'A n tioch ia e l'indifferenza con cui vi accolta la stta

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politica; i CfFar; p er contrapporre antecedenti l'opera qui, il

agli imperatori

il proprio program ma morale e civile ; 2 ' per scalzare, a lume di cri / F / af; ch'era

tica, la religione avversaria. N bisogna dimenticare, stato com e la prima avvisaglia della lotta: voglio dire il primo evidente annunzio di questa specie di rive lazione onde messa a nudo, m erc dell'arte, l'anima del nostro eroe. Il ./Mw.Mggw / ^ / /f;* lanciato da Giuliano nell' atto stesso in cui, sottrae acclam ato augusto nella rivolta di Parigi, si

alla soggezion e e alla dipendenza di Costanzo per seguire il suo proprio destino (:). E un'invettiva e un'apologia nello stesso tem po: di argom ento troppo ristretto ed egoistico per raggiungere le profondit di tono del M isopogone e dei Cesari; ma ha una chia rezza squillante che sem bra tromba di guerra. Si com prende agevolm en te com e, se non fosse di venuto imperatore, Giuliano sarebbe stato, quello che fu nelle sue opere anteriori e quello che eran o la m aggior parte dei contem poranei: un retore forbito ed elegante. Si sarebbe limitato alla imitazione passiva e atona di modelli antichi: avrebbe com posto, al pi, docili e oneste predicazioni, a m odo della le quali, pur rispondendo, infine, a moti di sentim ento sincero, lascerebbero freddi noi, com e freddi lasciavano i contemporanei (2): avrebbe elabo-

(1) V . sopra pp. 23 sgg. (2) Soverchie lodi tributa a questa Consolazione it TALBOT nello studio su Giuliano premesso alla sua traduzione delle (& c o w ^ // _// (Paris 1863) p. xL . Meglio giudica GEFFCKEN ./w/MHs p. 47.

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T^ar/e 7. - / / irr/Z/ore.

rato nuovi Panegirici, in cui t'amore detta verit, pur strappando atta sua indote qualche guizzo ironico, tosto si sarebbe irrigidito netta maschera dette co n venienze ufficiati (]). Certo, it suo mondo interiore p er quanto pi attivo che netta m aggior parte dei retori e dei sofisti senza gti incitamenti det con trasto e detta negazione non a vrebbe mai dato n fiamma n tuce. Uscendo, per grazia di eventi, dat dominio det con venzionate e det m ediocre, Giutiano si trovato sutt'unica via che atta tetteratura greco-romana, dopo i tempi detta floridezza, fosse rimasta aperta, per non morire. E gli si tega direttamente a Luciano, a Seneca, a Persio, a G iovenale (2). L 'ele m en to satirico e gro t tesco, in cui sopra ho ravvisato ta forza esteticamente

(1) V . sopra pp. 31-2. (2) Quando parto di Luciano, non pregiudico naturatmente ta questione se it Nostro ne avesse diretta conoscenza e to imitasse, speciatmente nei Cesar), come in generate si ammette senza discussione ed invece negato da GEFFCKEN " Neue Jahrbb. f. kt. Att. X X V tt (1911) p. 477, n. 6. Certo it Nostro non poteva per ragioni retigiose e morati approvare t'opera di Luciano (giusta i principii esposti netta ben nota pastorate, /ragTM. 300 C sgg.), ma conoscere to doveva, e subirne anche, netta forma, gt'influssi. Sono nei Cesar/ atcuni punti, che a suo tuogo citeremo, nei quati ! 'ispirazione tucianea sembra indubitabile. Neanche dobbiamo dimenticare che netta cerchia di Giutiano e proprio nett'ambiente da cui uscirono i Cesar; e it Af/so^ogOwe, si trov uno schietto imitatore di Luciano: Acacio. It quate, pagano ardente, fu forse ad Antiochia attratto dat nome dett'Imperatore : certo, ad Antiochia dimo rava durante it soggiorno di quet!o, e ivi scrisse i'Oey^Ms: v. SE E C K D i i B r/ ^ / e <?. / .M am 'M S p. 4 4 .

/. / -

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creativa det secolo, operante cos negti scrittori sacri com e nei profani, non era una novit di quegti anni: era it (itone d'oro in cui da tempo, in corrispondenza con te mutate condizioni detta civitt, l'A rte faceva brittare i suoi pi genuini miracoli. S e diam o un'occhiata sintetica atta enorm e produ zione tetteraria che si stende per tutta quasi ta durata dett'Impero, e appena ne interroghiamo gti spiriti, tro viam o che ta gran massa costituita di materia inerte, ta quate continua ad esemplarsi sul passato, senza pi avere de! passato n la fede, n l'armonia interiore. questa !a parte pi appariscente, pi nota e pi accreditata: si potrebbe chiamare il tato positivo della coltura, perch seria, e afferma: m a la sua afferma zione pi apparente che reale : supino accoglim ento delta tradizione materiato di vuoto. , insomma, orto dossia convenzionale. Ci che vive ed destinato a vivere, l'altro lato : it lato negativo, d o ve si dubita o si ride di quella fede, di quetta armonia, di quella seriet : lato n egativo nel quate, com e in ogni fondata contraddizione, sta, pi o meno potenzialmente, de posta ta futura affermazione. Sono, com e si vede, due facce : l'una, che seria, faccia di cadavere, rigida, risecati quasi i nervi della vita; l'altra, che vive, la faccia di Mefistofete : sogghigna di ironia e di scherzo, con spasimi che ora sanno di volutt ora di dolore. G i a' tempi di A lessandro il Grande, quando per ta prima volta venne a rompersi que) felice equilibrio di sentimenti e di ragioni su cui ave va a lungo p o g giato il pensiero classico, te correnti dell'ironia e dello scetticismo avevano cominciato a trapelare nel mondo. Era incapacit di conservare fede o dignit razionale agli oggetti det cutto, del mito, detla storia; era molle

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f b r / 7. - Z/M0 fM0 /o icr<//ory.

ritassatezza di costumi: ritiro det'Individuo dagli o b blighi dei dovere sociale e religioso negti arbitrii de) suo piacere privato. T eo crito e Callimaco, Bione e Cratete, T im o n e ed A sclep iad e gettarono tu tti, qual pi qual meno, nel concerto della tradizione le note dell'umorismo e del riso : che non era it franco e g io viate riso di Aristofane, scoppio di un essere sano nel suo fiorire: ma qualcosa di indicibilmente penoso, com e it segno di una malattia tatente (:). Senonch ancora questi contrasti, sprizzanti dal l'oscuro fondo delle coscienze, erano attenuati o so f focati datta necessit di diffondere e applicare sopra un'estensione mai raggiunta i prodotti delt'Ettenismo: e l'Ettenismo, nello slancio della propagazione, traeva impulso di vita e di fede. A n ch e it combinarsi detta coltura greca con ta romana e ta fondazione delt' Im pero contribu a m antenere l'unit e la coesione degli spiriti. I Virgitii e gli Orazii poterono per alcuni aspetti essere pi vicini a Sofocte e a Pindaro che non a T eocrito e a Caltimaco. Pot Ptutarco nel suo immenso disegno di conservazione morale, filosofica e storica assimitare e armonizzare in s le manifestazioni tutte detta vita antica; quantunque neanche la visione otti mistica det filosofo di Cheronea sia sgom bra di pre occupazioni, e vi trapelino, sintomo delt'intem o affanno, te intenzioni apotogetiche (2). Poich ormai all'affermazione viene a m ancare ogni vig o re ; restano l'erudizione e la retorica. Invece,

(1) V . i miei Poi?/ <!/55* (Torino 1916), specialmente cap. I. (3) Mi richiamo specialmente ai suoi trattati teologici e, primo fra tutti, al D i

guadagna importanza e rilievo t'etemento negativo e satirico, nette sue forme svariate. V i sono i castigatori dei costumi, com e Persio e G iovenale, che colpiscono in pieno, con ta sferza detta indignazione, ta fiacchezza morate dei tempi. V i chi, com e Petronio, di questa stessa fiacchezza si fa un trastutto, da uom o esperto e corrotto; e si com piace detta nessuna seriet detta v ita ; e mette in gioconda evidenza it guasto detta societ: ta lordura dei bassifondi verniciata di appa renze civiti e di morate stoica: ta canaglia ignobite declamante, dal piedistallo dei risaliti, te pi belle tirate di Zenone e di Crisippo. V i Aputeio, che te fonti det ridicolo fa sgorgare dalla pi strana m escolanza di misticismo e di oscenit, di bordello e di sagrestia. V i L uciano, che, con buffa impertinenza di incre dulo, chiama a giudizio, davanti at pubblico, le pi venerate creazioni delta religione e della civilt antica, e dimostra che non sono se non fantocci, spauracchi da ragazzo. L e forme dicevo sono svariate. Q ui it riso arma intesa a redim ere ; tt conforto di spiriti am areg giati dalle contraddizioni delta vita, e di ogni cosa d e lusi ; l puro ditetto d'artista. Ma in fondo a tutte te forme e a tutte te attitudini scorgi una stessa ragione preliminare che tutte, virtualmente, le segna di m e lanconia e di patimento : cio il erotto detta civitt ctassica nette sue basi morati, retigiose, politiche e letterarie; to sfacim ento dell'unit, della coerenza, delta fede: C o m e avviene ai tempi delt'Um anesim o e del Rinascimento nostro, che it sorriso fine e quasi contem plativo dett'Ariosto, ta beffa grassoccia del B occaccio, it ghigno sonoro e bruiate det F oten go, to spirito crudo e com battivo det Machiavelli, non sono

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/. - /.'OMO

/ o Sfr<7/or:.

se non espressioni, infinitamente varie e colorite, del movim ento con cui si rinnega il M edioevo e si forma 'Et moderna; cos in tutte le note degli scrittori sa tirici, polemici e burleschi dat 1 al I V secolo dopo Cristo domina un m otivo unico: la rivoluzione del m ondo antico. Non sono voci solitarie ; non prodotti di sentimenti individuali o di passioni ristrette; non Archilochi, non Ipponatti: hanno nel loro spirito di negazione e di dissolvimento un significato che involge l'enorme problem a dei tempi. Pi ancora : nella negazione implicita una affer mazione ; ossia germ ina il contenuto della coscienza nuova, che lotta coi limiti dell'antica e mira all'infinito, all'assoluto, al soprannaturale. Ho gi avuto occasione di osservare che, nei rispetti delt'Arte, questa nuova coscienza che si elabora, apre profondit non esplorate dai classici (i). Ora facile aggiu ngere com e appunto nella forma del riso che si manifesta durante la crisi del mondo antico, e che non il riso dei classici, ma l'?'?UMM! moderna, si ha il primo lineamento dell'arte di Dante, di Shakespeare, di Cervantes : un lineamento dico degli uomini moderni, cui l'esperienza fati cosa dei secoli ha insegnato a guardare nell'infinito, 9 considerare l'umilt di questa aiuola che ci fa tanto feroci *, a commisurare la piccolezza t^ei nostri sforzi e delle nostre aspirazioni con l'immensit dell'Universo. T utto questo ci fa sbito intendere di quale colore e di quate intonazione storica sia segnata l'ironia di Giutiano. Ma, per venire al concreto, aggiu ngiam o: che

(i) Sopra, cap. [[[. pp. 62 sgg.

103 it senso di patimento, it quate in motti scrittori non appare se non potenziatmente, e quasi daH'indifferenza e datta leggerezza d'anim o relegato disotto ai limiti del consapevole, si trova invece in Giuliano vivamente e marcatamente espresso. V ed i, ad esem pio ! L 'u m o rista di Sam osata rinnega l'antico mondo corrotto, perch lo tro va ridicolo, perch non gli cred e : ma non ha un sistema, una religione, una morale da opporgli; soffrir qualche poco nel vuoto detta sua coscienza, ma infine si consota, conchiudendo che nutla vero, che nutla certo. Quindi la sua ironia mitigata e, quasi, rasserenata dallo scetticismo. It romanziere delt'Asino d'oro non ha neanche bisogno di consolarsi ; mistico e asceta, volentieri va al braccio detta corruzione, perch cos gti piace, perch tate il suo elemento. L a sua ironia ratlegrata dal cinismo. Entram bi, insomma, sono gti esponenti i n c o n s c i della reazione. L 'au to re del TlMo/'igvMi', al contrario, ne la voce c o s c i e n t e . D mano agti strali dett'ironia perch si sente urtato net vivo dei suoi ideati. L a sua ironia esasperata daila fede. Q uesta ta sua originalit, e la sua posizione netla storia. V e d ia m o infatti, pi da vicino, in che cosa consista it concetto a cui egti lavora. Non affatto costituito dalle motteplici e minute contraddizioni detta vita: da quelle svariate contraddizioni e assurdit che una na tura am bigua, ondeggiante fra diversi sistemi, si co m p iacerebbe di far scattare senz'ordine, senza profonde ragioni, all'infinito. E costituito invece da un solo e grande contrasto, i cui termini non mutano mai : il contrasto fra la sua persona morale, tetragona ad ogni debolezza, e il m ondo della realt. Quanto pi questo

T b r/ 7. - /.'nom o i / sfrM or?. contrasto implica ['integrit detta sua persona, e non si perde in pure divagazioni umoristiche ossia, non fa, com e si suo) dire, to spirito, pet gusto di fare detto spirito , tanto pi raggiunta ta perfezione deH'arte. C i appunto accade ne! suo capotavoro, it . questo uno scritto occasionate, buttato gi in pochi giorni, con foga, sotto ['impeto dette cir costanze. Non tecnicamente finito, non timato (l'antico autore dei Panegirici a Costanzo e ad Eusebia, se pur gi affettava fitosofco disdegno per t'< artifcio * dei retori (t), vi avrebbe trovato parecchio a ridire): ma senti che c ' l dentro una forza; te idee, te immagini affluiscono tumultuarie con precisa nettezza al cervello del poeta. L 'im p erato re era allora totalmente ingolfato netta sua impresa di rinnovamento morate, retigioso e politico del m o n d o : rinnovamento che era convinto non potersi effettuare se non con la restaurazione del Politeismo, ossia risatendo a quelle condizioni di fede nette quati aveva grandeggiato ta virt ellenica. I pochi mesi di regno, che gti sono trascorsi fra una attivit febbrite (2), non hanno fatto che m eglio fissarlo nel l'idea delta necessit e detta santit di questo pro gramma, ch 'eg li ave va in silenzio alimentato con la fede e col travagtio detla sua giovinezza: che prendeva adesso ai suoi occhi di augusto it vatore imperativo

(1) Ora/. H 77 A-B. Cfr. sopra p. 38, n. 3. (2) H scritto net settimo m ese di permanenza ad Antiochia, come risuta da p. 344 A . A d Antiochia )' Im peratore entrato durante le feste di Adoni del 362 (AMMiAN. XX1 11 2, 6), ossia ne! giugno (v. SEECK GiscA. < /. i/w/i/y. IV P- 495)' sette mesi dopo la morte di Costanzo. Sono dunque quattordici mesi di regno.

C a / S . /. - Z.'ar^.

di una missione. Non gtiete ave va forse ianciate T e mistio (fin da!la sua nomina a cesare) queste grandi parote ? e non ie aveva egi ripetute, con segreta co m piacenza, a s stesso, pur sentendosi suite prime tre mare te ven e e i potsi alt'opera sopraumana ? : < T u dici che iddio mi ha ordinato quetta stessa missione per ta quate attra votta com parvero Eracte e Dioniso a far da fitosofi insieme e da re, purgando quasi tutto, e mare e terra, dat mate che ti infestava *. Certo, a purgare t'im pero da ogni bruttura egti aveva, fin dai primi giorni det suo insediamento a Costantinopoti, dedicata ta m aggiore attenzione, quando, con zeto che a motti parve precipitoso e pet quate, anche, gti av venne di cadere in quatche eccesso (i), cacci datta Corte det cristiano Costanzo te turbe ignobiti dei pa rassiti che prosperavano netta corruzione com e vermi net turid um e: * i mitte cuochi, i barbieri in numero non minore, i coppieri anche pi numerosi; gti sciami degti scatchi, degti eunuchi, pi ftti che te m osche su! bestiame durante ta state ' (2). C o n tate animo e con tati principii Giutiano ha Hs-

(1) V . ['e s p o s iz io n e e it g iu d izio di AMMiAN. X X II 3-4. Cfr. LtBA N io Ora?. XVIII 152-3; XIII 42; G tuu AN o stesso XX IIt (^4 L e esagerazioni dei denigra tori di Giutiano, i quali, a proposito detta epurazione detta Corte e detta condanna di cotpevoi detto gKfi'iM rigWM, si fanno portavoce non tanto detta Giustizia, quanto di antichi egoistici interessi cui ['Imperatore aveva co) suo radicate provvedimento urtato, sono bene ribattute dat NEGRI ra/ori Gi/, pp. 90-1, nonch dat SEECK < ?. i/w/frg\ IV pp. 304 sgg. (2) L tB A N . Ora/. XVIII 130. Cfr. A M M tA N . X X II 4, 9-10; S o c R A T . Ili 1, 171 B.

io 6

/. - ,' t /o s f r / o r f .

sato it suo soggiorno ad A ntiochia (ta terza citt deillm p e r o , dopo R om a e CostantinopoH, ta patria di Libanio, di A m m ian o Marceltino, di G iovanni Criso stomo), durante ta state e t'inverno det 362-3. Mentre preparava ta grandiosa sua spedizione contro ta Persia datta quate non d o ve va pi fare ritorno ! , egti intende netta splendida metropoli d 'A s ia dare un saggio compteto detle sue riform e: amministrare personal mente, con platonico spirito di equit e di amore, la giustizia; riparare i torti degti oppressi; provvedere ad una savia e con om ia; ridurre gti spettacoli, te spese di lusso, lo sfarzo vano; riconsacrare tempti; propa gare il sentimento detta fede (t). Ma la sptendida metropoti d 'A sia gli riserba la pi atroce detusione. Quei cittadini, in buona parte cristiani (2), ai quati t'imperatore immagina di portare ta tuce detta civitt, a c colgon o lui, l'austero moratista, com e un barbato; e, approfittando detta sua moderazione e detla sua inno cuit d'uom savio, ai suoi tentativi rispondono con le beffe e con la viotenza. A vedersi comparire sul trono quelta strana figura di pensatore e di asceta, < che non sapeva con vivere con gli uomini ; non imitava, a detta di T eo g n id e, il potipo, ad ogni convenienza adattan dosi; non era matleabite; n o n t o t te r a v a n ingiustizie,

(1) AMMtAK. XXt i IO, I : i'it

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(2) 337 D.

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107

n raccomandazioni, n inganni * (t): c'era veramente da restare sorpresi, tanto pi in quanto ta singolare apparizione era stata preceduta daHa nom ea di gu er riero e di condottiero d'eserciti (2). < Udite me >, d o ve va egti pi votte gridare, net rumore sordo degti increduti e dei d is d e n t i, * udite me, cui gti Atemanni udirono e i Franchi ! * (3). * Ma com e sopporterai tu *, gti chiedevano gti Antiocheni beffando, < i dardi dei Persiani, se tremi atte nostre frecciate ? * (4). Una gn te rafHnata, tibertina e teggerm ente cinica, com 'era, sopra tutte, ta popotazione di Antiochia, non poteva certo com prendere a che cosa mirassero i ra gionam enti e te predicazioni de! nuovo arrivato, n perch, m onarca assotuto, rifuggisse datta violenza adoperando te sote arti detta persuasione e detta sa viezza. un fatto che chi, possedendo ta forza, non se ne vate, anzi, vuot essere sensato e mite, rischia per ci appunto di coprirsi di ridicoto, e agti occhi di cotoro che detta sua forza a vrebbero primi a soffrire (5). Questo fu it caso di Giutiano. F recciate amare in-

349 D, B. 360 C: t/y .'/ r ovo/ta ; 339D : Mcyay. (3) Questo motto riferito da AmuAK. XX II 5, 4, ad ana logo proposito, dove cio Giutiano stenta a farsi ascot tare net fragore dei vescovi cristiani dissidenti. Ammiano aggiunge che con esso l'im peratore -intendeva imitare un altro motto famoso di Marco Auretio (imitazione che a torto it GEFFCKEN ATa/sir p. 162 non crede di riconoscere). (4) JMtso/'. 344 B. (5) 364 C : ^/^ ^ '/' / 1 ^ ^ ^*. Cfr. LtBAN. Ora/. XVIII 195*7-

(1) (2)

.Pur/i /. - .'<0< 0< ; / vestirono ta barba incotta de) fitosofo : che divenne co m e il simboto esteriore e tangibite detta sua personatit eccedente, ossia detta sua morate superiore, dette sue abitudini di moderazione e di astinenza, dette astratte sue aspirazioni verso una vita pi ittuminata e pi p u r a ( ] ) . P a z zo ! che arrivando in una citt, Ubera, ma che non^toltera disordine di capetti, vi pre cipitai senza farmi tosare e con la barba tunga, com e i selvaggi che non hanno barbieri. U om o in ogni cosa m otesto! essere sgraziato ! Non era megtio pro fumare di mirra, a! mio passaggio, la piazza, traendomi dietro un codazzo di bei ragazzetti, su cui gettassero to sguardo a volont i cittadini, e cori di donne, quali si usano ogni giorno presso di voi ? Oh, il mio ca rattere tutto ispido, asciutto, intrattabile, insensibile ai piaceri di A frodite, irremovibitmente fermo nelle sue deliberazioni! Perch ho chiuso l'anim o ad ogni dol cezza ? L e notti insonni sul pagtiericcio e il cibo in sudiciente mi hanno fatto un temperamento acerbo e n em ico a questa citt amante dei piaceri. Il peggio che di vivere una vita siffatta io go d o e mi faccio un piacere delte antipatie generati. D o p o mi monta ta stizza, se me to sento dire da atcuno : mentre dovrei ringraziarli, coloro che per buon cuore, premurosamente, nette toro satire mi esortano a pelarmi te guance e quindi a dare, incominciando dalia mia persona, sempre beiti spettacoli a questo popolo amante di feste: mimi, balterini, donne senza tanto pudore, ragazzetti che gareggino con le femmine, uomini rasati non solo nette guance, ma in tutto it corpo, da presentarsi agli av-

(:) V. per tutto ci le note al j%'so/. 338 C e passim.

Cia/, / ^ -

ventori pi tisci dette donne stesse ; feste, processioni, non per di quette sacre... * ([). Ma te beffe non bastavano. Mani pi ardite, mosse dat fanatismo religioso, si gettarono sutt'opera stessa dell'im peratore, frutto det suo lavoro: vate a dire sui templi pagani a cui egti am orosamente ridava splen dore. Scop p iava in quei mesi un incendio famoso, che distrusse il magnifico tempio di A potlo, net sobborgo di D afne : ta pi bella gloria di A ntiochia (2). Una natura meno fanatica e meno energica di G iu liano, sentendo cos radicalmente respinte le proprie idee, e chiamato barbaro quel ch'egli chiam ava civile e m alvagio quel ch'egli professava per buono, a vrebbe finito p er essere preso dat capogiro e sarebbe caduto, in un m odo o in un attro, netto scetticismo. C i a Giutiano non era possibite. Sotto i cotpi insorge, tutto intero, l'uo m o , e pone s a confronto con gli altri. Cerca bens di mettersi, dapprima, dalla parte degli avversarti; copre s di ludibrii e di scherni, mentre d lode a quegti altri. Ma questa ta burla, l'e s p e diente artistico che prende cotore appunto e significato dalia forza di convinzione di lui che vi ricorso. T an to ha fede nella sua verit e nette sue ragioni che d u bitarne gti pare una atroce ironia. E rrerebbe di gran lunga chi, seguendo fa u to re netta com ica caricatura che fa di s stesso, immaginasse un qualche profondo accorgim ento o quasi un senso istintivo che lo abbia tratto a riconoscere, tatvotta, le assurdit delta sua posizione e a riderne lui per primo. V i sono nelt'opu-

(1) JM 's<% . 349 C, 350 D, 340 B, 345 D-346. (2) V . te note at 346 B, 361 C.

no

/Tnr/i /. - Z.'owo t / < ? icri?/or;.

scolo pitture in cui it com piacim ento dell'artista intorno att'oggetto detta contemptazione cos vivace, obtioso ed intenso che Giutiano pare, veram ente, it burlato. Ma in fondo a quel com piacim ento estetico non manca mai una punta di amarezza, um anam ente crudele, che squarcia l'in can to e si rivotta contro gti insultatori. L'ironia, di apparenze giocon de, d fuori in dardi avvelenati (]). E com e poteva essere altrimenti ? L'ind ulgenza con cui altri considerano i casi dolorosi della vita, non era una dote di Giuliano. Egti era uom o di principii ardui e severi, non di placide rassegnazioni. < cosa regale *, aveva scritto con im peccabile catma M arco A urelio, quando si fatto il bene, sentirsi dire del male * (2). Ala Giutiano (abbiam o gi visto) (3), quantunque ogni studio ponesse p er avvicinarsi a Marco Auretio, era assai diverso dal suo predecessore : non aveva di questo < la perfetta bont *: ossia ta facolt assoluta di per dono, ['attitudine quasi ingenua di chi, messo davanti agli inconvenienti delta vita nella quale i sani prin cipii trovano spesso trista appticazione , non si irrita, ma dissimula ; guarda, ma non si rassegna a vedere

(1) Ci bene compreso da AMMtAN. X X H 14 ,2 : / tu


s i / a c e / f tR cia tra s M / / / a ia ? M r H /irw a .

Il giudizio per che Ammiano fa, comptessivamente, det Afi'in senso poco favorevole all'imperatore, dettato da carit di patria, perch Ammiano era nativo di Antiochia : V O /M M M MC O M /S O S M ]'/ ff/ M'so^Oa%^f//a&<7 , ^ ro ira f< *p < 7 a/t's M ^ima / acfafimyMi iw<7a/< fo;M^/Kra. Anche Libanio, antiocheno non pot mai compiacersi di questo libetlo. (2) Cbw?M. VII 36. Il pensiero risate ad Antistene. (3) Particolarmente cap. Il, pp. 14 sg g .

/ 7K - Z^ar/^.

il m ate; piange nelt'intimo, ma non ascia sentire n it pianto n )a rampogna. L a differenza fra i due ap partiene, in sostanza, ai contrarii sistemi da cui i'uno e l'altro prendono [e mosse. L 'id ea le stoico, che Marco costruisce in s, essenzialmente negativo; si rinchiude net soggetto senza ripercuotersi sutta reatt; t'ultimo rifugio di un m ondo detuso che, per attuare la virt, astrae dat vizio : finisce con togtiere ogni efficacia alt'azione e alla bont. L 'id e a le di Giutiano invece, che ha radice net mitriacismo, rappresenta, senza dubbio, un progresso; perch fattivo: consiglia ad operare sutta reatt, snidando e com battendo te potenze de) mate. in questa impresa il giovane rampollo costantiniano porta una impetuosit di carattere che cozza, non di rado, coi precetti mai obliati detta ragione e con la fondamentate mitezza del cu o re: tanto pi cozza, talvotta, coi residui di idealit stoiche ed evangeliche che ta tradizione gti fa pur sempre trovare sul suo cammino. Ci determina in tui una tensione penosa, una irrequietudine perenne, una incerta definizione di vatori morati, quasi una implacata contesa di angelico e di diabolico, che contrista te manifestazioni tutte det suo spirito e, particolarmente, d un senso profondo at suo riso d'artista. L a giocondit gti vietata. Il puro scherzo non gti riesce. S e tenta, in quatche episodio (ne! M isopogone racconta, ad esem pio, com e non gli sia mai avvenuto di rcere it pranzo, secondo t'uso dei contemporanei, per soverchio di cibo, ma soto una volta a Parigi, per disturbo casuale) (i), ha mosse sgar-

(i) It cattivo gusto di questo episodio a Giutiano rim pro; verato da GREGOR. NAZ. Ora/. V 41.

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bate, com e chi male si adatti atte convenienze ciali.

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I] m edesim o concetto su! qua!e impostato i! M?w<7 serve anche di base ai A n ch e qui, insomm a, hai !a personalit morate, retigiosa e potitica dett'autore che urta con un m ondo avverso, e daH'attrito sprigiona !a !uce. Senon ch, questo mondo avverso ch e si potrebbe chiamare !'a!tro termine de! paragone non pi costituito dat m ondo detta reatt con tem poranea, ossia dagti eventi e datte contingenze nette qua!i 'imperatore s'im batte dando pratico svotgimento a! suo program m a: invece costituito da!!a storia de! passato. G iudicare, a!!a stregua de!!a ragione o, meglio, dei proprii intendimenti, !e azioni e le persone dei C esari, che si sono susseguiti ne! governo de!!'Impero rom ano; passare in rassegna, con occhio di satirico e di umorista, tutti, !'uno dopo l'altro, i suoi predeces sori : questo, in breve, t'argomento del libello. Da! m ondo della vita contem poranea, infervorato di pas sione, i! conflitto dell'iron ia e de! riso vuote essere trasportato nel pacato m ondo detla storia. !1 giudice non Radam anto, n la Nem esi inflessibile e serena : Sileno, che !e ragioni det moratista perfetto nasconde sotto la m aschera derisoria di un seguace di Bacco. C ' in questa tesi qualcosa di inevitabilm ente arti ficioso, freddo e infelice. D ice bene it votgo che i morti vanno lasciati in pace. Coi morti male giuoca l'ironia dei vivi. Giuliano non riuscito, e non poteva riuscire, a introdurre in buona parte de!!a sua tragicom m edia imperiate quel tono appassionato che !a giustificazione e quasi il senso profondo del riso ; e c h e segna la superiorit del M isopogone su questo

Ca^. /. - Z.'ar/i.

ib e llo (t). Q ui si nota sforzo; ta mancanza di con tinuit, i'ineguaglianza di tono. L'originaiit si afferma soto di tratto in tratto, ogniquatvotta spettacoo det vizio, rappresentato quasi com e un mostro immane che travagli ] Impero, strappa att'anima de) poeta grida di sentimento sincero.
(i) Ci detto contro il giudizio tradizionate che considera i CMar/ come il capolavoro di Giuliano. V . ad es. TALBOT (Exuris p. XLV-Vt : " l'antiquit grecque, en y comprenant Lucien lui-mime, ne fournit aucune pice qui soit comparable pour le sujet et trs-peu qui soient prfrables pour l'excution Meglio giudica GEFFCKEN A*a<s?r pp.81-2. Quanto all'esecuzic: gi alcuni critici ne constatarono la debolezza, che si ri\ela principalmente nell'espediente della duplice rassegna degli imperatori: espediente che porta a non poche ripetizioni e a un certo raffreddamento dell'inte resse artistico. Noi passiamo sui particolari deH'iSifK.a;*o?M, che non il nostro metodo. E badiamo allo spirito da cui l'opera d'arte animata. Di qui il giudizio sopra espresso. Solo aggiungiamo che GtACOMO LEOFAROt, il quale se ne in tendeva, cosi fece il confronto fra i due opuscoli dell'Apostata (in MOra//; voi. 1, p. 349 delle Opere, Firenze, Lemonnier): "D egli scritti di Giuliano imperatore... il pi giu dizioso e pi lodevole la diceria che s'intitola Misopogone, cio Contro alla barba; dove risponde ai motti e alle maldi cenze di quelli di Antiochia contro di lui. Nella quale operetta, lasciando degli altri pregi, egli non motto inferiore a L u ciano n di grazia comica, n di copia, acutezza e vivacit di sali : laddove in quella dei Cesari, pure imitativa di Luciano, sgraziato, povero di facezie ed oltre alla povert, debole e quasi insulso . Questa differenza fra i due scritti (che un pochino esagerata) il Leopardi la spiegava con una semplice osservazione: v ale a dire, che nel Giuliano ra giona motto di s medesimo : e in questo gli scrittori sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti e hanno per l'ordinario lo stile buono e convenevole, eziandio contro il consueto o del tempo, o della nazione, o proprio loro .
8

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Net rimanente fa u to r e ricorre atta pura celia, a! buon motto, alla facezia. Ma qui si com prova che Giutiano non era niente affatto tagtiato per la celia (i). C i va d etto a suo onore. Chi ha t abitudine di scherzare co n tinuamente, su tutto e su tutti, potr essere un soggetto piacevole: non certo un grande carattere. Dimostra di a vere qualcosa di m onco e di stonato netta sua na tura, che to porta a prendere te co se per un verso che non quelto della verit e delta morate, neanche, spesso, det gen io : i suoi frizzi sono graziosi, ma non raggiungono le sommit vere detl'arte. In Giutiano invece se vero quanto abbiam o detto fin qui vibra, tutto intero, l'uomo.

(i) Ci riconosceva egti stesso, di s, su) principio detta satira: p. 30 6A : (M oddi oMa

PAR TE

SECONDA

OPERETTE POLITICHE E SATIRICHE


T R A D O TT E E COMMENTATE

I.

Lettera al filosofo Temistio (').


Ben io di confermarti, com e tu mi scrivi, nelle t u e P 3 53 speranze mi auguro con tutto il cuore, m a temo di non vi riuscire, troppo grande essendo l'aspetta zione che di me negli altri, ed ancor pi in te stesso, tu crei. E per vero, essendom i gi l'altra volta (2) im m aginato di do ver emulare e A lessandro e M arco A urelio e qualunque altro stato eccelso in virt, B mi prese com e un brivido e un timore straordinario di restare troppo lontano dal coraggio del primo e di non raggiungere, neanche in piccolo, la perfetta

() Scritta a mio modo di ved ere nei dicembre de] 355 o nei primi mesi de! 356, subito dopo che fautore era stato eletto cesare e messo at governo detta Gatlia. Di essa e di tutto ci che si riferisce atta persona di Temistio ra gionato ne! nostro S a g a to pp. 29 sgg. L a crono)ogia pi spedatmente trattata in tl. (2) Tradat. Attude atta prima tetter, per noi perduta, che aveva scritto a Temistio qualche tempo prima, dove si la gnava dette incombenze potitiche ; e per ta quate Temistio gti moveva rimprovero. Questa interpretazione, che si scosta dat comune, risutta dat confronto con ta chiusa detta presente epistota, 266 D, ed dimostrata in II.

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bont del secondo (i). Ci appunto considerando, mi indussi allora a odare ta vita contemplativa, e con desiderio ripensavo atte conversazioni di A ten e, e mi auguravo di ancora M M w insieme con voi, miei amici, com e chi portando gravi pesi allevia nei canto la sua sofferenza (2). Ma tu ora, con la tua ultima C lettera, mi hai accresciuto il timore e di gran lunga pi difHcile mi hai fatta apparire l'im presa, con dire che Iddio mi ha ordinato quella stessa missione per la quale altra volta com parvero E racle e D ioniso a far da filosofi insieme e da re, purgando quasi tutto 354 e mare e terra dal male che li infestava (3). V u o i che, scotendom i di dosso ogni pensiero di vita con-

(1) Queste parole rispondono a un programma ben fsso, nella mente di Giutiano, che trover !a sua compieta espres sione alcuni anni pi tardi nella satira dei Cisart. Vero che ad Alessandro si riconoscono alcuni difetti (C<;sar< 316 B, C, 330 B ; Or. 1 45 D sgg.; V I ] 211 D ; V [H 250D ; LIX 446; e in questa stessa epistola, 257 A), ma non men vero che ii perfetto Imperatore deve, nella mente del Nostro, unire, alla virt di Marco, il coraggio militare di Aessandro. Vedi GEFFCKEN " Neue Jahrbb. f. kt. Alt. X X I (1905) p. 164, male contraddetto da SEECK a*. IV p. 472. Di fatto, che Giuliano si sia pi tardi proposto di imitare Alessandro con )a conquista de)]'Impero Persiano, dice LtBAMO Or. XVIII 260; e SocRATE III 2! aggiunge che Massimo gti per suase t'anima di Atessandro per virt detta metempsicosi essere passata in tui. (2) Can/ar? dicevano spesso gti antichi in tuogo di /<gyiri o siMiA'arf, per ['abitudine che avevano di dectamare, speciatmente i poeti, con misura. Cfr. LtBAK. Or. XII 94 (qui sopra p. 39). Anche qui ['interpretazione dei pi fa difetto. (3) Concetto ed esempii di derivazione stoica (SENEC. D i I 13, i). ma con aggiunta una tinta di quet pi recente misticismo a cui Giutiano iniziato, e di cui interprete anche

/. - Z-eMera a/ y!/oso/^o 7*<?w<'i//o.

119

temptativa e di riposo, io guardi di cimentarmi in m odo degno di cos aito destino. Poi, ottre a ci, mi rammenti i legislatori Soione, Pittaco, L icu rg o , e ag giungi che cose maggiori di quelle da tutti loro compiute, gli uomini attendono oggi, a buon diritto, da me (i). A vederm i innanzi queste parole per p oco io non B sono trasecolato. Poich sapevo che mai tu ti saresti permesso di adulare o di mentire, e d'altra parte ero, quanto a me, con sapevole di non avere affatto, n ricevuta da natura, n acquisita in seguito, alcuna qualit eminente, fuori di questa sola: l'am ore della filosofa. E qui taccio le * infrapposte vicen de (2) che questo m io am ore condannarono fino ad o ggi a essere sterile. Piuttosto, io non sapevo dei tuoi ra gionam enti che cosa pensare, quando D io mi sugger che forse tu volevi incoraggiarm i con le lodi, e mo- C strarmi la grandiosit dei cimenti a cui giocoforza che l'uom o politico sia esposto, tutta la vita. Senonch ci pi fatto per distogliere che per

LtBANto : it quate ad Eracte (proprio netto stesso modo) pa ragona it nuovo cesare operante nette Gattie sotto gti ordini di Costanzo: v. S a g g io p. 46 n. 2, e cfr. II. (1) Brano frainteso dat NEGRt C:M/. p. 434. (2) Adopera parote di EuRtPtDE Orcs/ v. 16. Abitmente: perch si tegano ad un brano in cui questione di nefandi detitti famitiari. Dat quate, infatti, Giutiano stesso ricaver pi tardi, ne) .Messaggio 270 D, un attro verso, pi esplicito (v. 14: rappiyta ;l, per indicare gti orrori di cui fu vittima ta sua famigtia a cagione di Costanzo. Perci, oltrech per attre ragioni, esctuso che con queste parote t'A. attuda atte proprie imprese gattiche, come vuote ad es. it Geffcken: v. II.

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/Trr/i 7/. -

O /friM i

stimoare a un ta) genere di vita. Supponi che uno, abituato sotanto a navigare i] vostro Stretto (i), e non senza diHcolt e stenti neppur questo, si udisse da persona professante )'arte divinatoria annunziare, che D gii bisogner attraversare ]'E geo e it Ionio, e di l avventurarsi neH'Oceano, e : < Ora vedi *, gii dicesse it profeta, * mura e porti ; ma l arrivato non vedrai pi n un faro n uno scoglio: sarai contento se, avvistato quatche bastimento da tungi, ne potrai sa lutare t'equipaggio, e spesse votte pregherai Iddio perch, toccata finalmente ta terra, ti sia aperto un porto, fosse pure a) termine detta tua vita, cos da
3 55 consegnare satva !a nave, ricondurre incotumi da mali

atte toro famiglie i naviganti, rendere infine it tuo corpo atta m adre terra (2). Ma questo, se anche debba avvenire, sar oscuro per te fino a quei fatale ultimo giorno ' . O ra: credi tu che quett'uomo, dopo un tate discorso, si adatterebbe ancora ad abitare citt m a rittime? o non piuttosto, dato l'addio alte ricchezze e ai proventi del com m ercio, sprezzate le motte coB noscenze, le straniere amicizie, la veduta di popoli e

(r) L o stretto di Costantinopoi. Difatti in questa citt T e mistio aveva la sua abituate dimora, e certamente vi si tro v av a net 355 o a principio de] 356, quando ricevette da Giu liano questo scritto. S e ne attontanava sutta fine de) 356 per un viaggio ad Antiochia. Ci risulta e dadiscprsi di Temistio stesso e datta corrispondenza di Libanio; come puoi ved ere in S E E C K O if < /. pp. 295-6. (2) L'interpretazione o, megtio, )a lezione di questo periodo non esente da dubbii, specialmente a causa di una tacuna cui si provvede mediante supptemento de) Petau: t y

7. - Z-eMera a/

71cw<i/<o.

121

d citt, darebbe

ragione at figlio di N eocie (i), che

insegna : V iv e te oscuri ! Pare, anzi, che, ci antivedendo tu stesso, abbia vo]uto coi tuoi attacchi ad E p icuro prevenirmi e sradi care senz' altro una ta)e opinione. Dici infatti che lodare )a vita inattiva e e dispute nei passeggi degno di un filosofo com e lui (2). Io, che non stia bene ['opinione di Epicuro, da tem po e di gran cuore C credo. Ma che ogni qualunque debba essere indi rizzato aita vita natura o it non soggetto mi dice che anche pubblica, anche it meno chiamato da ancora com pletam ente atto : ci va pare ai pi legittimi dubbii. Si Socrate molti non abbastanza bene

dotati li abbia distolti dalla tribuna : cos quel famoso G laucone, che descritto da Senofonte (3), e il figlio di Clinia : cui tent bens di trattenere, m a non pot D avere il sopravvento sull'am biziosa foga del g io

ii) Epicuro. L'antonomasia molto frequente in Giuliano e negli scrittori della sua et. (z) L a Hlosofa epicurea, unitamente con la scettica, ab bandonata e condannata in questa et, in cui si ammettono invece, si giustificano e si combinano tutti gli altri sistemi filosofici. V . S a g g io p. 77 sgg. GtuHANo, nella sua " Pastorale ,, ossia in 301 C, mette i testi epicurei fra i libri proibiti o sconsigliati ai sacerdoti. (3) CoMWfM?. IH 6. Piace ved ere citato questo luogo (seb bene non sia in perfetto accordo con la mente di Giuliano), in cui Socrate brevemente espone, in diverbio con Glaucone, le sue idee politiche ispirate alla massima praticit. A Socrate, cio, non sfugge, ci di cui poco si cureranno i suoi succes sori, che l'uomo politico dev'essere, prima di tutto, fornito di serie conoscenze tecniche, economiche, sociali, militari, ecc. V. i rilievi di P. JANET //t's/o/ri /a ^'^* I PP 93- 4-

122

.Par/; //. -

^fr^//t /o/M'fAi i

vane (r). E

noi sforzerem o i nolenti ed i coscien

ziosi, ordinando toro di avere coraggio in materia tate in cui non tanto padrona virt o retto inten dimento, quanto invece ta Fortuna, che tutto governa, e costringe a piegarsi, c o m 'e s s a vuote, gti even ti? Crisippo, che in attro acuto filosofo e, com e tate, m eritam ente apprezzato, mi pare che in questo, avendo 356 ignorato ta fortuna e it caso e attre tati cause este riori intervenienti netta vita pratica, esprima giudizii non certo consoni con ci che ta storia p er mitte esempii chiaramente ne insegna (2). Com e, infatti, potremo chiamare fortunato un Catone (3) ? com e fe bee un Dione di Sicitia (4) ? A i quati, forse, det morire

fi) Atcibiade (Cb?MWfM/. t 2). (2) qui toccato uno dei punti pi deboti e pi discussi detto Stoicismo: ta parte che spetta atta fortuna (n!%<;) e at caso (f 4 a d t^ a to v), dopo ammessa ta sovranit e finetuttabitit de! Fato (') ^ ^ ) . Giutiano non vuote qui tanto significare che Crisippo e gti Stoici abbiano ['esistenza detta fortuna, ta qua) cosa sarebbe vera solo in parte (per Crisippo v. PniTARCH. f/f 5 /o<f. 23 = fr. 973 Arnim: r dpai'uov Oyiaiy dv^ctpxroy cfvat 2 r per cfr. A E i. PLACtD. t 29, 7 = f r . 966), ma che att'influsso detta fortuna essi hanno sottratto come ben noto it concetto di felicit, net senso detta massima, ap. DtoG. LAERi. VI 127 : )'() cfvat riofr^r 7rpy e di CiCEROM. !t. L'importanza detta nS%)? e com'essa vada distinta datta virt concetto svotto da Giuliano stesso in Or. t 25. Anche per questo probtema egli si attiene, in sostanza, agti intendimenti di Piotino: sui quati v. ZELLER D/? i/. GrMc/. ttt 2' pp. 6t8 sg. (3) Catone Uticense, che com' noto si diede ta morte quando vide di non essere riuscito a sventare ta tirannide di Giulio Cesare. (4) L amico di Ptatone, che, tiberata Siracusa datta tirannide

/. -

a/yi/osq/o

123

non importava proprio niente, m a assai importava di non [asciare incompiute )e imprese a cui da principio B si erano applicati e pel cui adem pim ento tutto avreb bero tolto a sopportare. Delusi in ci, sebb en e dignito sam ente com e appunto si racconta tollerassero la propria sorte, ed avessero dalla virt consolazione non piccola, tuttavia, per avere mancato a quelle no bilissime imprese, non potrebbero chiamarsi felici, tranne forse secondo la concezione stoica. Contro la quale da dire che non il medesimo ed e, se per natura ogni ani male aspira alla felicit (1), preferibile ottenere p e r C via di questa nom e di beato, che non lode per via della virt. Certo, poggiare nem m eno sulla vivono in pubblico respirare re e del generale non non ama un durevole saprebbero, benessere fortuna. Nondimeno, gli uomini che com e si dice,

senza di essa. T rann e che del taluno osi affermare (2) ci che

di Dionisio II, fu ucciso (354 a. C.) prima di aver potuto ri dare ai concittadini il benessere e te pubbtiche libert che prometteva. Naturalmente Giuliano, tanto per ]ui, quanto per Catone, ha in mente i giudizii di P n j T A R c o , autore a tui carissimo (v. speciamente 359 A ; cfr. S oN N E V iL LE "R e v u e de 1 'lnstr. pubi, en Belgique,, X H 1 (1899) pp. 97 sgg.), nelle biografie che scrisse di entrambi.
( 1 ) A R A T O T E L E .E M . M 'fO W . I 10 9 9 *, t o , 6 .

(2) !n questo brano segnata da Hertlein (e ancora da W . C. W right) una lacuna. Infatti nei Mss. trovasi qui inserito il cosiddetto 288 sgg. Ma J. BtDEz " R e v . de lln str. pubi, en Belg. X H V (1901) pp. 177-81 ha dimostrato come, estraendo con miglior cautela questo fram mento, si ottenga un senso compiuto e dopo r J^ il testo continui cos: - r ^ n y fAv /

xcd

x r.

124

Par/f //. - O^cr?//;

i sa/<wAi.

dette

dicono cotoro che

sia esatta contem

plazione de! vero, o sia immaginazione fallace (i) le ripongono nel mondo degli Incorporei e degli in telligibili : avere cio la loro sede al di sopra di tutte te accidentalit (2) ; oppure anche adduca l'uom o dt Diogene,
D Senza tetto e citt, di patria privo,

il quale non ha niente in che possa dalla fortuna es sere favorito e, per essere fraudato (3). p er primo (4),
L'uom o at quate affidati son popoti e cure cotante,

converso,

anche

niente di cui

Ma colui invece che la tradizione designa, e O m ero

(1) Pare che questo inciso non sia stato fin qui compreso dai traduttori. evidente che t'A., netto scrivere a Temistio, seguace di Aristotete (v. pi avanti), non vuote dare senz'attro come vera ta dottrina ptatonica secondo cui te apparten gono a) mondo incorporeo ed intettigibite, ma ammette anche ta possibitit detta critica aristotetica, secondo ta quate t'/;a non esiste che netta cosa. (2) un concetto che a ve va it suo fondamento net cutto e netta deificazione degti imperatori, a cui Giutiano si dimostr anche pi tardi contrario : v. i C*Mar< 332 D e n. ivi. Oppor tunamente it BtDEz t. c. ricorda AMMtAN. X X V Itl 4,24: o^<waw/Mr ya/ww ^o/es/a/; tv/ y?o-:* ; e FtRMC. MAT. Afa/^. tt 30, 5. (3) Anche attrove Giutiano parta, con ammirazione, di questo ideate di Diogene: Ora/. V I 195 B, dove cita it medesimo verso seguito da un secondo: od oM ' ohtAqv. Di chi fossero i versi, ignoto. Dtoc. LAERT. V I 38 afferma che spesso Diogene ti adoperava, a proposito di s stesso. In forma un poco diversa ap. AEHAN. ^ar. ^n/. Ili 29. (4) //<af/. ti 25. Questo verso pure citato da TEMtsuo

/. - , a/ ^/oso/b 7 1 ? M M 's / < o .

125

com e farai, sottrattolo alta sfera detta Fortuna, a so stenerne ta posizione ? E se di nuovo a quetta to 257 sottoponi, di quanta preparazione e di quate prudenza pensi che avr bisogno, perch degnam ente ne sop porti gti atterni sbitanciamenti, com e pitota te varia zioni det vento? Ma atta fortuna non sottanto difficile resistere quando ci dichiara ta gu erra: motto pi difficite it mostrarsi degn o dei favori da essa impartiti. D a questi it pi grande dei re si tasci vincere ed asservire : it con quistatore stesso dett'Asia, dimostratosi pi viotento e pi vano di D ario e di Serse non appena det costoro B impero fu fatto signore (1). V ittim e di questi m ede simi cotpi andarono senza scam po in rovina Persiani, M acedoni, Siracusani ; to stato popolare d 'A ten e, t'aristocrazia Spartana, tanti condottieri Rom ani, e, dipoi, imperatori infiniti. G rande tungheria sarebbe chi votesse tutti contare i caduti per causa di ricchezze, di vittorie, di tussuria. Q uanto agti attri poi, che, travotti dai flutti dette avversit, di liberi si videro fatti schiavi, C di potenti meschini, abietti di onorati che erano da tutti (2): a che pr dovrei qui stenderne, com e da

nett'Ora/. II (34 C), dove trovansi esposte te medesime dot trine sut Re-Fitosofo e su] Re-Dio. L'Ora/. II (,^ -K^Mvytdvttov) fu composta subito dopo t'etezione di Giutiano a cesare, e contiene targhi riflessi detta discussione che contempora-, neamente si svotgeva fra i due uomini netta presente corri spondenza. V . anche II. (1) V. sopra p. 118, n. 1. (2) det testo va naturatmente riferito a (dvti tiv fjfMrtr gnaoty), non ad come inter pretano attri, ad es. W . CAVE WtUGHT netta recente versione ingtese a/ Me _/' London 1913, "Loeb classic. L ibrary ).

] 2

/^ar/i /V. - O/^r^/Z;

un inventario, t'etenco? V otesse i! cieio che ['uma nit non offrisse di ta!i esempii ! Ma, purtroppo, d essi non e non sar mai penuria, finch duri ]a razza deg!i uomini. D Ala poich non sono io i! solo ad attribuire alla Fortuna i] sopravvento netta vita pratica, vorrei c i tarti ci che dice Piatone, in quei meravigtioso suo tibro dette T u to conosci, e anzi to insegnasti tu stesso a m e; pure, per provarti che non sono poi affatto indotente, ho pensato di trascrivere te sue p a rote : che sono press'a p o co cos : < Dio governa [ universo e, insieme con D io, ta Fortuna o it caso reggono te cose umane tutte quante. Pur conviene con cedere che un terzo principio a quetti S58tien dietro, com p agno: t 'a r t e * (i). Poi, indicando quate debb a essere t'artiere, autore di nobiti imprese e re-dio (2) : * Ricon oscen do attora Crono, com e sopra abbiam o esposto, che niuna umana natura in atcun m odo capace di amministrare, investita di suprem a autorit, te cose degti uomini, senza che tutte essa riempia di viotenza e di ingiustizia ci, B dico, riconoscendo, prepose com e re e governatori atte nostre Citt non uomini, m a di razza pi divina e migtiore : dei dm oni ; com e noi per te greg ge e per gti attri di attre capre, ma te governiam o facciam o animati noi anche ora domestici,

che non buoi poniam o a capo di attri buoi, n capre stessi : razza

(i) iV 709 B. Questo brano pure adoperato da TEMtsuo Ora/. X X X H I 365 C. (3) Coi Ms.: [asciando [a correzione de! Hertiein, #trov.

7. - AiMcra a/ /i/osq/b 7eMMS/!0. superiore atta toro. M edesim am ente Dio, ch e amico degli uomini, una razza a noi superiore ci mise a capo, quetta dei dm oni, ta quate, con motto sottievo C sia toro sia nostro, prendendosi cura di noi, p ro ca c ciando pace, rispetto e, particolarmente, ittimitata giu stizia, rese imperturbate e fetici te generazioni degti uomini. Q uesto un mitor, ma ci dice, anche oggi, cose piene di senso : che in quante citt non com anda un dio, m a un mortate, ivi da mati e da travagti non pu darsi respiro. Con segue, che atmeno dobbiam o con ogni sforzo imitare ta proverbiate vita dei tempi di Crono, e, per quanta parte di divino in noi, a D questa ubbidire, quando amministriamo e te cose pubbtiche e te private, te case nostre e te citt, ta tegge considerando non attro che una appticazione dett'Intettigenza (i). Ma dove o un uom o soto o un'otigarchia o una dem ocrazia, con anima inctine at piacere e agti appetiti e bram a di soddisfarti, tiene it governo di 239 citt o di privati, catpestandovi te teggi : ivi non via possibite di scam po * (2). Q uesto brano a betta posta ho trascritto per intero, affinch non dicessi che io frodo od opero con m a- tizia a riferire vecchi miti, composti con verisimigtianza, forse, non per con assotuta zwz'Az (3). Ma

(1) H testo ha un giuoco di parote fra tegge, e v o i distribuzione di ragione. (a) IV 713-4, con lievi atterazioni, o meglio, omissione di atcune frasi nette ultime righe. (3) Vuot dire, cio, che non si [imitato a riferire it mito di Crono, it quate ha un vatore parabotico,ma i concetti stessi di Ptatone, come espressioni di verit assolute. Ci fra inteso dalta maggior parte dei traduttori, come pure non poco di quei che segue.

138

f a r / i //. -

/o/<7rA; i

it vero toro concetto che cosa significa ? L o hai udito ? : che se anche uno per natura uom o, d eve essere divino per eiezione, e dem one, tutta affatto sbandenB dosi dai)'anim a ia parte mortaie e ferina, eccetto quei p o co che necessit vuote gti resti per ['esistenza stessa det corpo (i). Ora, se uno, riflettendo queste cose, tem e di la sciarsi trascinare a quel genere di vita, dirai tu che < ammira binazione epicurea, i giardini e il sobborgo di A ten e, i mirti e la stanzetta d Socrate ? ' (2). Ma me non c' caso che mai mi abbiano veduto preferire ci alle fatiche. A vrei ben caro di raccon tare a te le mie sofferenze, e i pericoli fatti pendere sul mio capo da amici e da parenti nel tem po in cui C com inciai la mia istruzione presso di voi, se gi non li conoscessi tu stesso a puntino (3). Neanche ignori ta parte da m e avuta, tempo addietro, in ionia, contro persona a me legata dal sangue e, pi, dat

il i Cfr. Ora/. IH83 sg g., 87 D. (2) daytarfov dice i! greco : che significa Non il caso di supporre col C oB E T " Mnemos. , XI (1883) p. 363 che MA. abbia peccato di propriet nei vocaboi, adoperando <SiK/4tttfov nel senso di * piccola casa come tutti traducono. Anche negli altri luoghi di Giuliano, in cui il vocabolo ricorre, pu benissimo prendersi nel suo senso proprio. (3) Allude alta dimora che aveva fatto in Costantinopoli, non la prima volta, nel 342-4, quando ancora era ragazzetto e frequentava le scuole dei grammatici Proeresio ed Ecebolio (v. .Saggw p. 13 n. a); ma, per la seconda volta, nel 331. dopo uscito da Macello, allorquando Costanzo, ingelosito pel favore che il cugino vi incontrava, non tard come narrano LtBAN. XIII io -i e SocRAT. 111 1 a farlo allontanare dalla capitale.

7. - Z.eMera a/ yS/oso/o

139

l'affetto, in difesa di uno straniero, quel tale sofista, che quasi non con oscevo nem m eno ([). E viaggi non me ne sono io assunti in pr degli amici ? T u sai di Carterio, com e lo assistetti recandomi, non solle citato, dall'am ico nostro Arassio a pregare per lui (2). D E per le propriet di A rete, quella donna m eravi gliosa, e per i torti che aveva sofferto dai suoi vi cini, non mi recai una seconda volta, in m eno di due mesi, in Frigia, pur essendo gi molto male in forze a causa di una indisposizione procuratami co! p rece dente strapazzo (3) ? D a ultimo, quando, innanzi alta mia venuta in G recia, mi trovavo a Corte, esposto a ci che la gen te potrebbe chiamare l'estrem o peri

ti) Questo fatto e i successivi si riferiscono atta dimora di Giutiano in A sia e, specialmente, in Ionia negli anni 351-4, durante il cesarato de] fratello Gatto. Sebbene di ci che qui scrittore accenna nulta sia atrimenti saputo, e sebbene nel M issagy/o 273 B egi dichiari di non avere avuto con GaHo, durante i] costui governo, se non reazioni superficiali (cfr. AMMtAN. X V 2), per ecito congetturare che )a p er sona a lui egata da! sangue e, pi, dalt'affetto, e da!!a quale egti difese un sofista, sia appunto i] frateo, che esercitava non senza arbitrii e crudet i) suo potere in Oriente. (2) Arassio, suocero di Agitone, menzionato da AwmANO X X V I 7, 6, e tenuto pure per amico da LtBAmo, che gti indi rizza te tettere 11. 417, 430, 438, 1273, 1274, era net 353-4 :war<'MS o M caris Aw/Zcae (LiBAN. ii). Si pu inferire che durante questo ufBcio Giutiano to abbia due votte visitato in Frigia, regione appartenente atta Diocesi asiatica. V. SEECK 7?<e pp. 82-3. Di Carterio nutla saputo. (3) Anche questa " donna meravigtiosa naturatmente un portento di j?/oso^a ci altrimenti ignota. All'indispo sizione di cui to scrittore era allora malato si interessava LtBANO E/iS/. [3 (SEECK O. C. p.467).
9

130

.Par/ //. -

/<0<WfA; i

260 co!o (:), quati tettere, ricordati un po', ti scrivevo : mai una votta piene di pianto, n contenenti atcunch di basso, di meschino, di indecoroso. Ripartito (2) atta votta detta G recia, mentre tutti mi guardavano com e un esute, non ben edicevo io forse quasi fosse ta festa di mia vita it destino, dichiarando che it cam bio era proprio di mio gusto e che a vevo guaB dagnato, secondo it proverbio,
Oro per bronzo, cento buoi per nove (3)?

A questo m odo, di a vere ottenuto in tuogo det d o m e stico focotare ta G recia (4) io trasativo di gioia, pur non possedendo t n terra, n giardino, n eanche una soia stanzetta. Senonch, forse, di fronte atte avversit io vi paio fornito di sufficiente coraggio, ma gretto e meschino mi dimostro davanti ai favori detta fortuna, io che amo A te n e pi detta pompa che ora mi attornia e certo rimpiango i quieti studii d'attora, cos come, C p er te troppe faccende, matedico ta vita attuate ? O

(t) A Mitano, net 354-5, dove era stato chiamato da Costanzo dopo l'uccisione di Gatto e tenuto, per sei mesi, in- sospeso detta vita: v. M fs s a g g w 274 A , 272 D, (2) ... : che non da intendere tornasse Ma ! !<o#a, e quindi avesse fatto un primo soggiorno in Grecia precedentemente, come mate suppone MCKE / 7. C7. _//t'aM M S (Gotha 1869) pp. 27-30. (3) V ! 236, dov' descritto Diomede che prende in cambio detta propria armatura di bronzo t'armatura d'oro di Gtauco. (4) Infatti, a tutta prima, prosciotto datte accuse, si recava alta casa materna, in Bitinta, quando per via ricevette l'or dine di ritirarsi in Atene : v. jMisscgg't'o 273 B, C e note ivi.

7. -

/yi/oso/b 7ew<*s/t'o.

131

che non mi si deb ba invece giudicare un po' megtio, avendo riguardo, non all'essere attivo o inattivo, s piuttosto al precetto * Conosci te stesso * e
Ciascun faccia it mestiere che sa (1)?

S, il regnare a me sem bra pi che da uom o, e il re avere d 'u o po di natura assai pi divina: appunto com e diceva Platone. Ma anche da Aristotele ti trascriver D adesso un passo che tende alla m edesim a conclusione : non per portar nottole ad A ten e, bens per dim o strare che i suoi libri non li ho poi del tutto in non cale (2). D ice nell'opera delta : * S e uno so stiene che it megtio governarsi a monarchia, che cosa far dei figli del re? O dovr anche la prote succedere at trono? Ma, accettarli senza sapere di che sorta sono, un danno. Attora: il re, che pa drone, non tascier eredi i figliuoli ? diffcile a ere- a6i d ere; perch arduo e di virt superiore atl'umana natura * (3). In seguito, trattando det re cosiddetto ZigM/f, che ministro e guardiano dette teggi, e soggiunto che questo non va n em m eno chiam ato re n considerato

( 1 ) ARtSTO PH .

Mes/t. 1 4 3 : .

(a) Ci detto per comptimento a Temistio, autore dette note Parafrasi di Aristotete, e, diversamente datta maggior parte dei contemporanei, pi propenso at cutto di questo filo sofo che non di Platone: v. Ora/. II 2 6 D :
M i! 0 re

(3) Ili 15, 1286 B. L a condanna det diritto eredi tario nei concetti di Giutiano stesso: v. Ci?say-< 334 C-D e n. ivi.

133

P a r/ //. -

di ta!e classe (j), continua: * Q uanto aita monarchia B cosiddetta assoluta, vale a dire quella in cui su tutti comanda, giusta il proprio arbitrio, il re : pare a taluni che ci non sia nem m eno conform e a natura, che un solo cittadino faccia da padrone a tutti gli altri. Poich, se tutti sono p er natura eguali, a tutti spettano, di necessit, pari diritti * (2). Poi, poco appresso, aggiunge: * Chi pone al governo la Ragione, pone a! governo D io e le leggi. Chi pone al governo un uom o, pone insieme con esso una bestia feroce. Poich non altro C che questo sono l'appetito e l'ira, che traviano anche i migliori. Per cui la legge r a g i o n e esente da p a s s i o n e *. V e d i! Qui i! nostro filosofo ha ben l'aria di difHdare e fare espressa condanna dell'um ana natura. Poich questo in altre parole egli viene a concludere, niuna umana natura essere sufficiente a un tale e c cesso di fortuna. Infatti, n am m ette che, essendo D uom o, sia facile preferire ai figli l'interesse com une dei cittadini ; n trova giusto che chi uom o comandi ai proprii eguali : infine, quasi per porre la cornice alle precedenti argomentazioni, afferma la legge essere ragione esente da appetizioni : alla quale soltanto d o vreb b ero essere affidati i governi, a nessuno degli uom ini. Poich la ragione ch' in questi ultimi, quan d'an che sieno buoni, si trova implicata con l ira e con l'appetito: bestie fierissime.

(1) Non mi pare necessaria la correzione det Herttein; perci seguo it Ms. (3) ' IH 16, t28y A . Anche ta condanna detta ^ rientra nett'ordine di idee proprie di Giutiano, e soto mitigata da influssi mistici. V . it suo ostentato rispetto per te autorit repubblicane, .Saggio p. 41-a, e ['ossequio verso te leggi, Mso^ogow 337 B.

/. -

/y!/oso/o 71cm:'sA'o.

133

Q ueste opinioni a me paiono concordare perfetta mente con quelte di Piatone: primo: che migliore dei 362 governati d eve essere il governan te; poi, che supe riore deve essere non solo per studio, s anche per natura ci che, a trovarlo fra gli uomini, non sar facile (!) ; terzo : che con ogni mezzo, quanto pi pu, d eve porre attenzione alle leggi ; non (s'intende) a quelle create all'im provviso o proprio ora introdotte da uomini che nem m eno hanno sempre vissuto se co n d o ragione, ma da chi, m eglio essendosi purificato l'intelletto e il cuore, legifera non tanto per riguardo B agli attuali disordini o alle circostanze pendenti, quanto dopo avere appreso la vera natura de) governo e co n templato che cosa sia, in sua natura, giustizia, e che cosa, in sua natura, delitto: indi, quante c o s e * p u nella pratica trasferisce, e fa leggi eguali per tutti, non guardando ad amicizia o ad inimicizia, a vicini o a pa- C renti. Meglio se neppure per i proprii contemporanei, ma p er i posteri o per l'estero scrive e manda !e sue leggi, d o v e non abbia n speri mai di avere alcun pri vato com m ercio (2). H o letto che persino il savio S o lone, essendosi con gli amici consultato circa l'estin zione di debiti, procur a loro una buona occasione di fare denaro, ma su di s trasse una disonorevole taccia : egli che col suo statuto era stato il liberatore del popolo (3). A tal punto non facile evitare in-

(1) Non ammetto la lacuna supposta dal Hertlein e dal Wright. (2) V. Saggio p. 48. 3) Infatti, prima che il decreto fosse pubblicato, amici di Solone si dice tolsero a prestito grandi somme, sapendo d! non doverle poi restituire : v. P LU TA R CH . So/cx. 25 sgg.

134

R w & //. -

sa/trtfAi.

D cresciosi incidenti, se anche uno porti a! go verno il pi spassionato intelletto. D a ci io intimorito, non senza ragione, forse, mi faccio spesse volte a lodare la vita d 'u n tem po, e tanto m eglio mi vado in tale pensiero conferm ando, quanto pi porgo orecchio a te ( : ) : che non solo dici la mia emulazione do ver essere rivolta verso quei grandi, Solone, L icu rg o , Pittaco, ma affermi che dalla filosofia entro le pareti dom estiche sono passato alla =63 filosofia a cielo scoperto. Dunque, sarebbe com e se ad uno che a malincuore e stentatam ente fa, per salute, un po' di ginnastica in casa, tu dicessi : * O ra sei giunto ad Olim pia e passi dalla palestra della tua ca mera allo stadio di Zeus, d o ve spettatori avrai non solo i G reci d'ogni parte convenuti e, primi fra tutti, i tuoi concittadini per i quali dovrai farti onore , m a anche non pochi stranieri, a cui sar d'uopo in cutere m eraviglia, per rendere ad essi, quanto in te, pi temuta la tua patria Certo, lo metteresti gi sbito e lo faresti tremare, prima che entrasse nella B lotta. F a ' conto di averm i ridotto cos anche me con le tue parole. Ma su tutto ci se io abbia giudicato rettamente, o se manchi in parte al mio dovere, o se com pletam ente anche mi sbagli, me lo dirai tu stesso fra breve. in vece, quali dubbii la tua lettera mi ha lasciato, C caro capo, degn o di tutta la mia stima, permetti che io ti esponga? D esidero anche su questi avere pi chiara nozione. T u dici che pi del filosofo apprezzi

(1) .Luogo generalmente frainteso: v. ad es. WRtGHT.

/. - LiZ/fra a/yi/osq/b 7cw<i/<o.

135

'uomo d azione ; e chiami a testimonio Aristotete, it quale ]a feticit fa risiedere net e, discu tendo ta differenza fra vita potitica e vita di contemptazione, si mostra un p oco esitante fra te due, e, se attrove preferisce ta contemptazione, qui invece d ta patma < agti architetti dei nobiti Questi tu dici D essere i re. Ma Aristotete stesso non ha mai partato net senso di codesta parota aggiunta da te. Piuttosto, dai brani che citi, tatuno potrebbe indurre it contrario. Infatti quet passo : < A r ? diciam o propriamente anche di cotoro che dette pubbtiche azioni sono gti archi tetti in ispirito * ( ) : questo va appticato ai tegistatori, ai fitosot detta potitica, a quanti insomma di cervetto tavorano e di parota, non a cotoro che operano di propria m ano e te civiti imprese pongono ad esecu- 364 zione. Questi, infatti, non si [imitano a concepire e predisporre e dire agti attri it da fare: deb bo n o toro stessi por mano ad ogni impresa, e far ci che te teggi comandano, e te circostanze, spesse votte, esigono. T rann e che architetto chiamiamo, at m odo che O m ero chiama Eracte net suo poem a: * it conoscitore dette grandi gesta * (2) : che pure fu di tutti gti uomini il pi esperto ad agire di propria mano. Ma se ci ammettiam o per vero, oppure anche sti- B miamo fetice soto chi, ai pubbtici negozii attendendo, abbia autorit e dom inio su motti (3), che cosa di

ti) ZbM. VI 3, 1325 B. P er quanto risulta anche ano!, l'in terpretazione di Temistio era infondata. Cfr. GEFFCKEN Ali/sfr p. 148. (2) (Myss. X X I 26. (3) Seguo la lezione manoscritta: toy t xotvc!
ya/iev Fv m y ^,

jg 6

ib r / i

7/. -

remo di Socrate? Poich Pitagora, D em ocrito, A n a s sagora di Clazom ene forse, in grazia atie toro specutazioni, ti dirai in attro senso fetici. Ma Socrate che atta vita specutativa aveva rinunciato e prescetto ta vita attiva, Socrate non era padrone neanche detta propria C m o g tie e det figlio (): tanto m eno di due o tre cit tadini su cui com andare. Attora, non era egti uom o fattivo, perch non com andava ad atcuno? E ppure, io dico che it figlio di Sofronisco ha fatto pi gran cose di Atessandro, perch da tui dipendono ta sapienza di Ptatone, ta strategia di Senofonte, it coraggio di A ntistene, ta filosofia Eretrica, ta M egarica (2), e C eD bete e Sim m ia e F ed on e e [attri cento e cento. E ancora non ho contato te cotonie venuteci pure da tui, it L ic e o , ta Stoa, te A ca d e m ie (3). Poi: chi mai fu satvo per te vittorie di Atessandro? Quate citt fu m eglio governata? Quate privato cittadino fatto mi gliore? Molti ne troveresti divenuti pi ricchi, pi savio o pi assennato nessuno, se non, anzi, tatuno pi vano e pi arrogante. Invece, quanti o gg i si satvano con ta ftosofia, debbono ta toro salvezza a Socrate (4). 265 Ci non solo io, ma A ristotele per primo pare

non essendo necessario ricorrere alte correzioni de) Herttein, che procurano, anzi, un senso, a mio avviso, meno sod disfacente.
( [ ) XENOPH. CciMMlfM/. I I 2 .

(2) L a scuota Eretrica fu fondata da Menedemo. L a M ega rica, 0 eristica, da Euctide e da Stitpone. I rimanenti, sopra menzionati, sono pure noti per via dei diatoghi ptatonici. (3) Vate a dire ['Antica e ta Nuova. (4) Sut concetto mistico detta sa/vcg/oMf v. -Saggio p. 36. E notevote che questo brano dett'imperiate discepoto imit Temistio motti anni appresso: cfr. Sngg<*o ibid. n. 1.

/. -

n/y!/osq/o 7l!M M S/<o.

137

averto pensato, quando disse che de) proprio scritto sutta natura divina egti poteva andare non meno su perbo che it vincitore dett'impero Persiano (:). A me sem bra che avesse pienamente ragione. Perch vincere opera in massima parte di coraggio e di fortuna, o anche, se vuoi, di quet comune buon senso ch' d'uso corrente; ma concepire esatte nozioni su D io non soto frutto di consumata virt, ma si potrebbe persino B dubitare se quet tate vada chiamato uom o o vv ero Dio. Infatti, se giusto quet detto : che per natura ciascun essere conosce it proprio simite (2) ; chi giunto a conoscere ['essenza di D io, andrebbe considerato, na turalmente. divino. Ma poich di nuovo, a quet che pare, siam o cascati net paragone detta vita attiva con ta vita contemptativa, paragone che tu a principio hai detto di voter evitare, parter ora di quegti esempii sottanto che mi hai citato: A rio, Nicotao, Trasitto, Musonio. D i questi C nessuno che sia stato at governo detta propria citt: invece, A rio t'amministrazione dett'Egitto, pur offertagli, ta dectin (3); Trasitto, che fu confidente di quet tristo

(1) PLUTARCH. ?0 0?0 ?MS SM OS M ! Pt'r/. 78 D : < S ' * ] jrpdg ! i'z;';7txrpoi'

6,

ypoveiv, iXX'

e? rty

Pare che Giutiano abbia qui frainteso Plutarco attri buendo ad Aristotele un vero e proprio scritto ^ di cui certo noi non abbiamoti menomo indizio. Cfr. fr. 664 Rose. (2) Cfr. PLATON. !V 401 E, 402 A (cfr. GEFFCKEN //. p. 149). 3) A rio Didimo, filosofo, nativo di Atessandria d'Egitto; amico e protetto di Ottaviano Augusto. Di tui parlato pure

138

T-br/f //. -

^ a/ZwAi.

ed efferato tiranno di T ib erio , se, mediante gti scritti che ha [asciati, non si purificava ai nostri occhi, di mostrando chi realm ente egti era, si sarebbe guadaD gnato un marchio a mai sempre indelebite (cos poco g io v a !ui a potitica!) (1); Nicotao grandi fatti v e ramente non ne com p, ed noto piuttosto p er te storie che scrisse in to m o ai medesimi (2); infine, Musonio si reso insigne per t'eroico stoicismo con cui sopport proprio, per D io! te persecuzioni dei tiranni, eppure visse, forse, non m eno fetice cos, di attri che ebb ero it go verno di grandi Stati (3).

nei Ctsar/326 B. Cfr. PLUTARCH. 80, 207 B ; SuETON. 89 : SENEC. Como/. ai/ M w f . tV ; MARC. AuR.

CtM M W . VH 31.
(1) Filosofo neopitagorico, matematico ed astrologo, istru Tiberio, atta cui crudelt pot sfuggire nel modo che rac contato da T A C H . ^4wMa/. V t 21. V. inoltre SuETON. 7YA. 1 4 ; CASS. Dtox. LVHt 27. A suoi scritti, che non ci sono v e ramente noti, accenna D10G. L A E R T . IX 38. Si crede che sia il medesimo Trasillo cui dovuta la ripartizione delle opere platoniche in tetralogie. (2! Nicolao di Damasco, letterato e filosofo peripatetico; amico det re Erode, di M. Agrippa e di Augusto; autore di una ictropa e di altre opere minori di soggetto svariato, fra cui una Vita di Augusto, e una Autobiografa roC W ou p/ot? , a cui qui particotarmente accenna Giuliano : onde c falsa l'interpretazione dei pi che, abbre viando il testo, ci trascurano (ad es. Tatbot: " i! s'est illustre par ses ouvrages ,). Si conservano frammenti. V. SusEMtHL i/. /.///er. 11 pp. 309-21. (2 G. Musonio Rufo, di Volsinii, filosofo stoico, visse a Roma sotto Nerone, dal quale fu per invidia mandato in esilio in un'isola (Gyaros). A Roma torn sotto Tito e sotto Vespasiano. Sulle complicate questioni inerenti alta sua persona, e se sia da identificare col Musonio condannato, secondo Filostrato e

139

O rbene : A rio , che rinunci a! governo de!) E gitto, 266 si sarebbe di buona voglia privato det pi atto scopo netta vita, se questo avesse davvero stimato at disopra di tutti? E tu stesso di' un po' sei ozioso ed inutite, perch non guidi eserciti, non tieni concioni, non com andi genti o citt? L asciam oto dire questo a chi abbia dato comptetam ente di votta at cervetto! Perch, cot formare, non motti, m a anche soto tre o quattro HtosoH, tu hai m odo di recare at genere umano m aggiori beneHzii che non parecchi imperatori assieme. A h ! di non tieve missione incaricato at m ondo it B filosofo, n di soto consigtio (com e tu vorresti) ta sua opera nei pubbtici affari, n !a sua attivit si ri solve sotamente in mere parote: anzi, in quanto coi fatti egti reca conferm a ai discorsi, e tate si mostra quati vuote che siano gti attri, in tanto riuscir pi persuasivo ed efficace att'azione che non chi ai bei gesti sospinge cot soto com ando. Ma ora di ritornare at mio principio, e con clu dere questa tetter, gi troppo pi tunga di quanto C

Ps.-Luciano, ai lavori dell'istmo di Corinto, v. Z E L L E R , tH 1 ' pp. 755 sgg. Giutiano stesso ne parlava altrove, particotarmente presso SutDA = fr. 3 , p. 608 Hertt. Circa ]a tesi generale che 1 . prospetta in obiezione a Temistio, non da intendere con GEFFCKEN ATa/i. _//. p. 148-9 ch'egli travisi il pensiero det suo intertocutore e gli attribuisca ['assurdit di avere considerato i quattro citati come veri e proprii uomini potitici: nega soltanto che essi quattro in po litica abbiano avuto fortuna, ossia abbiano /tM? & ?<<?. P er Temistio poi quei quattro esempii costituivano un luogo co mune: cfr. Or. VI 72 D ; V H I 108 B -C ; 73 B -C: X X X tV p. 451 Dind.

140

.Par/; 77. -

/ ? sa/tr/cAi.

do ve va . Essa si riduce, in sostanza, a questo : che non per schivare ]a fatica, n per correre dietro ai pia cere, n per am ore de) dotce far niente, io mate mi acconcio atta vita potitica. Invece, io so di non avere (com e dissi a principio) n educazione da tanto, n D s u c c ie n t e eccedenza d 'in gegn o : e inottre ho timore che a filosofia (a cui, pur amandoa tanto, non sono arrivato) (i), gi abbastanza ma) riputata netta nostra generazione, ven ga per me ancor pi com prom essa (2). Perci ti scrivevo t'attra votta quette tati cose, ed oggi datte accuse che m e ne sono venute mi tavo, quanto megtio posso. Mi con ceda Iddio ta buona fortuna, e una sapienza degn a di questa fortuna! Perch io sento di avere 267 bisogno d'essere con ogni sforzo aiutato: datt'Onnipotente prima, poi da voi, cuttori detta ftosofia, ora che mi vi han messo davanti e per voi faccio ta prova. C h e se quatche bene pi grande detta mia prepa-

(1) Uguate dichiarazione in Or. IH iz o B - C ; Miso/. 359 A . (2) MAMERUNO Ora/, ac/. 23, 4 scrive dette condizioni detta CtosoHa prima dett'avvento di Giutiano attempero (come augusto): ^a/o aw/c ss/fc/aMi a f so/MW s/c/:'a/a?M /iOHOMits, sc</aresa/am ac rca?M. Ci naturatmente si riferisce atta persecuzione cui t'astrotogia e ta magia che, anche per Giutiano, erano inseparabiti datta htosoHa furono sottoposte da Costanzo. Cfr. LtBAMo X V H Ii6 i. Finch fu cesare, Giutiano stesso non pot sottrarsi at dovere di partecipare con Costanzo a quest'opera di persecuzione: perci abbiamo un decreto di condanna dette pratiche augu rati, firmato da entrambi (Cod. Theod. X t6, 4-5). In tutt'attro senso da intendere TEMtsuo, it quate in Ora/. IV 54 D, adutando, attribuisce a Costanzo stesso it merito di risottevare, diffondere, rendere stimata ta flt 0s 0fi a ^,-

/. -

/^/oso/o 7fW!t's?to.

razione e detta stima che faccio io stesso di me, Iddio procurer per m ezzo mio agti uomini, non dovrete irritarvi dette mie parote. Io, consapevote di nessuna mia speciate virt fuori di questa sota, che non credo di avere te pi bette quatit non avendone atcuna com e vedi tu stesso, grido e testifico di non aspettare grandi cose da me, ma di tutto rimettere B nette mani di D io. Cos, e dette m ancanze sar scu sato, e, se tutto vada a seconda, apparir discreto ed onesto, non attribuendo it mio nom e att'opere attrui; poich a D io a cui, com ' giusto, tutto ho fatto risalire mostrer ta mia gratitudine, com e a voi consigtio di mostrare ta vostra.

M essaggio al S enato e a! Popolo di Atene M .


Motte gesta hanno com piuto i vostri antenati, p e r p . s68 !e quati non ad essi solo era lecito aHora, m a lecito anche a voi o ggi di andare superbi; molti trofei hanno elevato, sia a nom e di tutta t'EHade unita, sia della toro citt separatamente, quando questa entr da sota in agone or contro gti attri G reci, ora contro lo straniero. T uttavia non v'ha nessuna cos grande azione, nessuna prova di vatore cos insigne, netta B quate anche alle altre citt non sia dato rivaleggiare con voi. Perch quei fatti esse pure, parte con voi, parte da sole, li hanno compiuti. E siccom e io non

(i) Scritto durante i quartieri invernali de) 361-2 a Naisso in Illiria, insieme con altri simili indirizzati a Sparta e a C o rinto (MAMERT. Gra?. ac?. 9; . X X I 12; LiBAN. X V III115; ZostM. Ili 10 ; qui 287 C). L'autore, proclamato augusto nel pronunciamento militare di Parigi, in guerra con Costanzo (v. -Saggio pp. 24 sgg.). Si portato con incredibile velocit nel cuore dell'im pero (269D), a non molta distanza da C o stantinopoli. Qui, attendendo, rende conto dei proprii atti e rifa ta sua storia passata.

1^4

fa r/ i //. - GpfrfMi

vo g lio

menzionato

ogni punto, poi fatto il co n

fronto anteporre questa a quella in ci ch' m a teria di dubbio, e neanche, per cagione di convenienza (come fanno i retori) (t), impicciolire talune onde poterle poi pi scarsam ente lodare : cos ad onor vostro C dir quella sola cosa, nella quale nulla di eguale p o trebbe trovarsi presso gli altri G reci, e che antica fama ci ha intorno a voi tram andato: la giustizia. T e n e v a n o il primato gli Spartani, quando voi ad essi il primato toglieste: non con la forza, ma con la ri putazione della giustizia. A ristide il G iusto lo form a rono non altre leggi che le vostre leggi. Ma queste 239 che gi sono splendide testimonianze, con ancora pi splendidi fatti a me pare le confermaste. Perch, a v e r fama di giusto pu anche avvenire talora a chi non lo merita; n forse gran cosa che fra molti spregevoli uno sorga di onesto. Non celebre, infatti, anche un D eio ce fra i Medi, un A b ari fra gli Iper borei, un A nacarsi fra gli Sciti ? Nei quali la m era viglia era questa, che, nati fra genti som m am ente in colte, la giustizia e bb ero ugualm ente in on o re: gli ultimi due sinceramente, il primo, per utile suo, HnB gen do (2).

(1) Cfr. pel disdegno verso i retori pp. 59,104. S'intende per che tutta questa introduzione, sebbene a vv i vata da uno speciale affetto di Giuliano per Atene e im per niata intorno ad una idea di interesse immediato la giustizia della propria causa , condotta secondo i criterii formali della Sofstica. (2) Deioce, fondatore del regno dei Medi (708-656 a. C.), i quali per merito suo si liberarono dal giogo assiro. Era giu dice in un cantone delia Media, quando la sua popolarit e il suo amore del giusto lo portarono al trono (H ERODOT. t

/7. - .M issaggio a/ -S^na/ i a/ A^o/o (* ^ /.

145

Ma

un

popolo

intero, uno Stato mitte esempii

dedito, e

nei

fatti e nei discorsi, at culto detta giustizia, fuori di voi dove trovarlo? Dei che potreste soto. agevotm ente fornirmi, non citer qui che uno

D o p o te guerre persiane, avendo T em istocle in animo di fare una proposta: che gti arsenali marittimi dei G re ci di soppiatto venissero incendiati ; m a non sen tendosi di esporla al popolo ; disse che volentieri C a vrebbe confidato il segreto a quel tale che it popolo, per votazione, avesse designato. E it popolo elesse Aristide. Questi, udita ta proposta, tacqu e del con te nuto: solo rifer al popolo che niente poteva darsi pi vantaggioso, ma, nel tempo stesso, pi ingiusto di quet consiglio. E il popolo, immantinente, vot contro e rigett ta proposta : atto, per D io ! davvero magnanimo, e quale d o ve va attendersi da uomini ere- D sciuti sotto gli occhi delta pi savia fra le D ee (1). O rdunque. S e questa era la vostra condotta in an tico, e se ancora conservasi in voi delte avite virt la pi piccola fiamma, naturale che non a ci soto poniate attenzione, quanto sien grandi le imprese da

96-101). Abari, sacerdote di ApoHo, che ha lasciato traccia di s in varie leggende e luoghi della Grecia. Anacarsi, il noto filosofo scita, uno dei Sette savii, che fu parecchio tempo ad Atene: cfr. THEMtsi. Ora/. X X X V II 334C. evidente che il rimprovero di egoismo, dallo scrittore indirizzato a uno dei tre, va riferito a Deioce; [sebbene dal testo, in s, non risulti chiaro ; ma tale rappresentato il re dei Medi in Erodoto 1. c. tvpavvtJog, etc ), da cui Giuliano desume. Altri invece, ad es. il TAt.Hor. senza giustificazione alcuna, intendono di Anacarsi. (1) Atena. L'aneddoto desunto da PLUIARCH. 714iw<s/. 20;

.< 4 r<'s/M ?. 22.

146

/TgfVi /7. -

^ ia/<r<i^c.

uno compiute, o se attraverso atta terra costui marci, quasi pet cieio votando, con insuperabite vetocit e indefessa energia ( ) : bens vi conviene guardare se tati cose ha com piuto conform e a giustizia; e, se 270 proprio vi pare che abbia giustam ente operato, to ono rerete con tutte te todi e pubbtiche e private ; mentre, se ta giustizia ha avuta in non cate, sar da voi na turalmente infamato. Nutta cos afhne com e it sapere atta giustizia. O n d e chi questa vitupera, meritamente voi da! vostro seno to espettereste, com e em pio e sacritego verso ta tutetare vostra divinit. Per questo at vostro giudizio io intendo qui sotto porre, sebbene non ti ignoriate, i miei atti: afHnch, B se quatche particotare in essi rimasto cetato (ed presumibite tatuni to siano, specie quetti che pi im porta vengano da tutti risaputi), a voi e, per mezzo vostro, agti attri G re ci rendasi manifesto. Ma nessuno intanto mi accusi di tenere vuote ed mutiti ciance,

ti) evidente che qui lo scrittore allude a s stesso e alta velocit detta propria marcia datta G atliain lttiria: tanto pi se si confronti con AMMtAN. X X II 2 ,5 : so?M M <o

v/t/fia/My,
^ ra iS / a n /

fo r / o rf, /"03/ frM/OS fJM/wi rfgH M ! f/

/af/ts

:*n rii??; p c / o c t/ a / c / r a w g r i i M W , ^Maywa afiMi/ow i/ y7a w w a i <W5/ar fMWi/a yac<7<M i offM^assf. dunque fuori del semi
nato il TALBOT (che pure l'unico a tentare un'esegesi di q. 1.) quando vi ved e un'allusione alt'indovino Abari, percor rente la terra sur una freccia misteriosa: tanto pi che questa leggenda di A bari fondata sopra una fatsa interpretazione di HERODOT. IV 36, bene contraddetta dal Bahr e da altri a q. t. erodoteo. Anche MAMERT. Gra/. ac/. 6 rappresenta con analoghi, vivi colori il vo/o di Giuliano (5M/frfo/an3).

77. - M?siagg<'o a/ Senato i a/ 7^// * < ^/.

147

se di cose avvenute, si pu dire, sotto gii occhi di tutti e neanche motto tempo addietro, ma poco fa, mi appresto a tessere ragionamenti. In reatt io non voglio che atcuno ignori atcunch dei miei atti, mentre da supporre dico che di pi cose t ' uno o t'attro sia att'oscuro. E com incer, prima di tutto, dai miei progenitori. C Che per via di padre io e Costanzo traessimo i natati datto stesso ceppo, un fatto notorio, t nostri padri erano fratetti, figli det m edesim o genitore (1). Pure, cos stretti parenti, e cco com e ci tratt questo imperatore (2) ! Sei cugini suoi proprii e miei (3), it padre mio che era anche zio di tui, in pi un attro zio paterno (4), com une ad entrambi, e D it mio fratetto m aggiore (5): tutti ti uccise senza pro cesso : me e t'attro fratetto voteva ucciderci pure: atta

(1) Giulio Costanzo, padre di Giuliano, e Costantino I il Grande, padre di Costanzo (I!), erano figli da diverse madri di Costanzo (I) Cloro, imperatore morto nel 306. (2) %t<%av#pam(Tatoi : era epiteto cui estremamente ambiva Costanzo, preteso filosofo, come si arguisce dai Panegirici di Temistio e da quelli stessi di Giuliano, nonch da G re gorio N azianzeno, ^assMM : v. -Saggio p. 8. Temistio a ve va persino intitolato il suo primo elogio di Costanzo (Or. 1), da Giuliano in altri tempi imitato. (3) Di questi alcuni soltanto sono noti: Dalmazio e Annibaliano, figli di (Dalmazio, fratello di Costantino il Grande (v. ZostM. II 40 : cfr., per altro, S a g g io p. 7-8). JK4) Dalmazio, fratello di Giulio Costanzo; o secondo a l cuni un altro fratello di nome Costantino. (5) Di questo non si ha nessun'altra notizia. L e fonti, numerose, sono raccolte da SEECK GfsrA. < ?. i/w^rg. IV p. 391 ; in pi va aggiunto un passo di IoH . CHRYSOSI. :n ai/ 77. 5, citato da GEFFCKEN Tfars. _//. p. 128.

148

7*ar/i //. - O/irc//^

a/tr/fAi.

fine ci mand in esilio ( ) : dal quale esilio me mi ha poi liberato..... co m e liber anche queUo, nominan dolo cesare, m a p er farlo massacrare poco appresso (2). Ma perch dovrei ora co m e dice la tragedia * ad una ad una annoverar queste nefande cose * (3) ? Si pentito dicono ed lacerato dai rimorsi: 271 anzi, crede che da ci gli provenga la sventura di non avere figliuoli, n altra causa attribuisce ai suoi sfor tunati successi contro i Persiani (4). S : queste sono

(1) Gallo fu mandato ad Efeso (SocRAT. HI 1; cfr. appresso 271 B in nota); Giutiano a Nicomedia (cfr. S a g g io p. 13). (2) Questo brano richiede, prima di tutto, quatche osserva zione critica de) testo. L e gg o co! Ms. : ^< <3a<!t3v dy'
% ' i' % tyqpay%

^ppvaato r tot! ./ Jvo^a. Respingo cio te correzioni proposte da varii editori a ^pptioato, sia 0^^ del Cobet, sia del Herttein, che provengono da mancata inteltigenza del testo. Il quale, se non facitissimo, corri sponde tuttavia atto stile un po' concettoso e spesso ettittico del Nostro. Infatti r to Tfa/ Jvo^a . per trastato, so g getto di ^pgvoato, il qual verbo -si collega ad d y ' nelto stesso modo, e press'a poco con lo stesso significato, che vi si cottega tiy^xc. In italiano ho dovuto rinunciare at traslato, e diluire un pochino t'espressione. Quanto at concetto, l'esitio si considera per entrambi durato fino att'uscita da Ma cello di cui sar detto in seguito , quando Gallo fu no minato cesare per essere, dopo tre anni, suppliziato a Pola, verso la fine del 354 (v. SEECK " Hermes , X L I (1908) pp. 498-$). (3) A dopera parole di EuRtUDE Or;s/. 14: appropriatamente, perch in Euripide si riferiscono agti orrendi delitti familiari della casa di Atreo, cui la casa di Costantino viene ad essere assimilata. V. pure a TlrfH. 254 B e la nota ivi, nonch

11. (4) Cfr. GREG. NAZ. Ora/. XXI 26; ZoNAR. XHI 11 22 D. Pi avanti: 275 C: ! %p^aato x/<?pov%/toty.

7/. - M issaggio a/ Si?<a/o i a/ .Po^o/o

149

te chiacchiere che facevano in quei tempi a Corte e net seguito det mio fratetto Gatto, b u o n a n im a ; che si sente ora per ta prima votta chiamare cos. Perch, ammazzatoto in dispregio di tutte te teggi, neanche detta p atem a sepottura [asci che godesse, n che e, pi che B benedetta fosse ta sua memoria. C om e dissi, queste cose raccontavano

tutto, cercavano di persuaderci che in parte egti aveva agito p er errore, in parte aveva ceduto atta viotenza e atte pressioni di una insubordinata e tumuttuante sotdatesca (). Q uesta ta canzone che ci ripetevano, a noi rinchiusi in quet certo podere detta Cap padocia (2), d o ve a nessuno perm ettevano di avvicinarci, poi che lui eb b ero richiamato dal contine di T ralles (3) e me, ancora ragazzetto, totto atte scuole (4). Che cosa dovrei C dire dei sei anni passati in quet podere altrui, com e coloro che i Persiani tengono sotto guardia nelle for tezze (5), senza che nessun estraneo ci si avvicinasse, n fosse dato ad alcuno degli antichi conoscenti di farci

(1) Questa era infatti )a versione autorizzata, se Giutiano stesso non aveva esitato a esprimerta net Panegirico di Co stanzo: Ora/. I 1 7 A : ?cd t v xntpdiv # ;!: < !( -. V . p u r e G REG OR. N A Z . O r a / . tV 22; Eum op. X 9, 1 ; SoCRAi. H 25, 3. (2) Macetlo (.FMMaSis Afac'eM), presso a Cesarea. (3) Traduco secondo ta congettura det Herttein. Infatti da SocRAT. IH 1 apprendiamo che, dopo ta strage detta famigtia, Gatto era stato mandato in quet di Efeso. A poca distanza da Efeso Trattes, it cui nome pare di poter teggere ancora net corrotto testo di Giutiano. (4) A v e v a attora (345) quattordici anni. V. S a g g io p. 13 n. 2. (5) V . ci che dice dei condannati nette fortezze persiane PRocop. De &//o ^??*s. I 5 p. 21 Haury, citato a questo pro posito da C o B E T " Mnemos. 1883 p. 364.

ISO

TTzr/ 77. -

visita? V iv e v a m o esclusi da ogni serio insegnamento, da ogni libera conversazione, allevati in m ezzo a uno splendido servidoram e, e coi nostri proprii schiavi D esercitandoci com e con colleghi. Poich nessuno dico dei nostri com pagni p oteva venirci a trovare (t). D i l io alla fine, con l'aiuto degli D ei, felicemente mi trassi; ma non cos felicem ente che disgraziato quant' altri mai il fratello mio, fu di nuovo

rinchiuso... a Corte ! (2). E certo, se un che di scabro e selvaggio fu osservato nelle sue maniere, ci gli era cresciuto con quella villana educazione fra i monti. Per cui a ragione io penso che anche di questa colpa vada fatto carico a colui che violentem ente c'im pose una tal sorta di educazione: dalla quale me soltanto 373 gli Dei, per mezzo della filosofia, serbarono puro ed esente (3): ma a lui nessuno provvide. Sbalzatolo d'un

(1) GREGOR. NAZ. Or. tV 22 e SOZOMEX. V 2 descrivono it soggiorno di Macetto come un tuogo di detizie e di agi. Ma evidentemente a Giutiano non importava to sptendido servi dorame di cui Costanzo to aveva circondato. Sappiamo da AMMtAN. X V 2, 7 che una dette accuse per cui net 354 fu chiamato a Mitano era yo</ a M af fM' < Ca/^aafocM

^os<7o

MMgrnrn/ MfraZ/MW

< fof/r< M <7rMW.

Pure a Macetto si faceva mandare tibri datta biblioteca det vescovo Giorgio, per copiarli: IX 378C. V . pure EuNAP. Mi/. so/M. p. 473. (3) Cio, fu etetto cesare (15 marzo 331: SEECK CfSf/t. < /. //. IV p. 108). Detta quate etezione non era che una conse guenza ta tibert accordata a Giutiano (GREG. KAZ. tV 31): tibert di cui it giovane si serv altrimenti e pi che Costanzo intendeva, onde t'accusa riferita da Ammiano, nella nota pre cedente contro cu! non vatgono quindi te osservazioni di GEFFCKEN Aat'sfr _//. p. T31). (3) V . S<!gg-* 0 p.21-2.

/A -

a/ S^Ma/o c a/ Po/o/o c / < ^4/fWi.

131

tratto

datta cam pagna

atta reggia,

non appena gti

aveva gettata attorno ta porpora di cesare che sbito com inciava ad astiarto, e non ristava finch non t'ebbe totto tutt'affatto di mezzo, non bastandogti, naturatmente, di avergti ripreso it manto purpureo. Eppure, di vivere era ben degno, se anche non pareva atto & regnare. Ma... era d'uopo privarto attres detta vita? Sia : per non senza essersi prima difeso, com e anche B un quatunque matfattore. Non vieta forse ta tegge, a chi arresta un tadro, di ucciderto? o in vece prescrive che, quando uno spogtiato degti onori che prima a veva, e di governante divenuto semptice cittadino, debba senza processo esser totto di m ezzo? Ma se, per caso, egti ave va di che confondere gti autori de' suoi traviamenti ? Poich ben vero, per Dio, che gti s'eran fatte pervenire dette tettere con assai gravi accuse C contro di tui; per te quati egti sdegnato, smodatamente, pi che ad un re conveniva, cedette att'imputso detta cottera: nutta per com m ise che to rendesse a dirittura degno di morte (t). E co m e? Non questa una tegge a tutti comune, e G reci e barbari : che ci si difenda contro chi ottraggia per primo? Ma forse si difese con troppa viotenza ? Non per in m odo det tutto contrario att'aspettazione: poich, che contro it nem ico si possa cedere quatche poco atta cottera, cosa

(t) A v e v a fatto imprigionare e mettere a morte it prefetto det pretorio Domiziano, it questore Monzio e attri funzionarti : AMMANO X tV 7 ,9 sgg.; Z O X A R . 9, p. 19 A : PH ILOSTORG. HI 28. Quanto atte tettere di cui parta Giutiano, si ricordi ci che AMMtANo stesso X IV i, 6 dice det sistema di spio naggio da Gatto organizzato. A d esse accenna anche L tB A N . XVIII 24, ma desumendo, naturatmente, da questo tuogo di Giutiano.

ig z

fa r/ c 7/. -

C pfr;//;

; sa/tr^c.

D anche prima riconosciuta (i). Ma per com piacere ad un eunuco di ciambettano (2) nonch capo dei cuochi, i! cugino, it cesare, i! marito detta propria soretta, it padre detta sua nipote, it fratetto di cotei che egti stesso per prima aveva menato in isposa e cot quate tanti sacri tegami di parentela to univano (3): questo ei diede ad uccidere a' suoi pi fieri nemici (4). Ale a gran fatica mi tasci andare, dopo averm i per sette mesi interi trascinato or qua or t, sotto buona guardia (5): cosicch, se quatche dio, che mi

(1) Secondo it CoBE T " M nem os., 1883 p. 364, t'A. attude con questa frase a un passo di DEMOSTH. /< * AM . 41. Ma probabite che sia da intendere in senso generico. (2) Eusebio, cA)rA. principale favorito di Co stanzo, ebbe gran parte net'uccisione di Gatto, come appare da AMMJANo X !V 11; X X tt 3; X V 3; LtBAN. X V ttt 152. Fu condannato a morte dat tribunate di Catcedonia subito dopo t'entrata di Giutiano in Costantinopoti. Che t'epiteto suc cessivo, * capo dei cuochi si riferisca at medesimo perso naggio e non g i ad un attro it quate sia stato, come Eusebio, diretto ispiratore det detitto, non appare chiaramente dat testo, ma generatmente ammesso, supponendosi che con esso Giutiano abbia votuto rendere pi vite Eusebio stesso, a i <wa sor/? f/a// (AMMtAN. I. c.l, in quanto ['amministrazione detta tavota imperiate dipendeva pure dat prefetto det cu biculo. (3) Costanzo aveva dato in isposa a Gatto t propria soretta Costantina, vedova di Annibatiano, donna crudetissima (AMMtAN. X tV 1, 1). Egti stesso, prima di Eusebia, aveva sposato una soretta di Gatto, detta quate si ignora it nome. (4) Che furono: Scuditone, /r/AM M M S SfM/ar/orwMi; Barbazione, i/oMMsfrorMMt cowMs; Apodemio, a.g'fMS tn r f i i ; Pen tadio, Mo/ar/Ms; Eusebio, gi citato. Da AMMtAN. X tV t i , n-24. (5) A Milano e a Como: AMMtAN. X V 2, 8; LtB A N . Or. Xtt 35. Cfr. Z.f?/fra a 7 ?;. 25$ D.

7/. - M essaggio a/ &?<a/o ? a/ ^/

^4/iMi.

153

volle salvare, non m 'avesse allora prestato it soccorso 273 detta betta e virtuosa Eusebia, nem m eno io, certo, mi sarei datte sue mani sottratto (1). E ppure ne attesto gti D ei ! neanche in sogno a vevo io visto it mio fratetto quando com m ise quei fatti. N on ero con tui, non to frequentavo, non mi recavo presso di tui : di rado gli scrivevo e su cose di piccolo conto (2). B Sfuggito dunque a quel pericolo, presi di buon animo il cam m ino della casa materna (3). Del padre non mi restava nulla: nulla dette cospicue sostanze

(1) La seconda moglie di Costanzo, atta quate Giuliano espresse la sua gratitudine con un Panegirico: Ora/. IH: v. specialmente n 8 sgg. (a) Questa dichiarazione non in contrasto con ci che gii storici riferiscono di un suo incontro con Gatto: perch t'in contro, che secondo A m m A N . X V 2, 7 avrebbe avuto tuogo a Costantinopoti e secondo L tB A N . O r a / . X V ttI 1 7 e S o c R A i . Ili 1 a Nicomedia, si riferisce agti inizii det regno, quando Gatto si recava atta sua residenza di Antiochia. It che non toghe che anche da ci i suoi accusatori prendessero pretesto per denigrarlo agti occhi di Costanzo, come risulta dat cit. t. di Ammiano. Cadono per te critiche di SEECK Gisc%. /. //. IV p. 464, che nega it cottoquio. Di quatche attra retazione cot fratello si ha indizio netla 7.^//. a 71???:. 259 C : v. nota ivi. L a famosa lettera di Gatto a Giutiano di dubbia autenticit. (3) u ;^ iort'av. Una propriet che aveva in Bitinia e di cui partato in ^<s/. X L V I (^-M TTuagr/o). A torto it G E F FC K E N /&MSfr p. 131 interpreta questa frase (e to stesso pi avanti, 273 C) in senso atlegorico, come se it focolare materno fosse ta Grecia. " ta vera patria (Ora/. IH n 8 D ). Ma (a prescindere datte diScott intrinseche det testo, per ci che si riferisce att'eredit patem a e ma terna) si sa d'altronde, ossia da Ora/. HI 118 B ,C , che effet tivamente Giutiano dapprima si mise in viaggio otxadt, e poi, durante it viaggio, (Sat'^ovoy... 7; nvoy ouvru/t'ay d^oxdto!?

ch'egti d o veva aver posseduto ; non ta pi piccota zotta di terra, non uno schiavo, non una abitazione. L 'o n esto Costanzo aveva ereditato tui in vece mia it comptesso dei miei beni paterni. Quatche piccota cosa ne aveva ceduta at mio fratetto, ma spogtiandoto, in com penso, di tutte te sostanze di sua madre (:).

E c c o dunque che, se non tutte, atmeno ta massima parte avete udito dette nequizie da tui com m esse verso di me prima di targirmi it titoto di Cesare, ossia, di fatto, impormi ta pi odiosa e dura forma di schiavit. O ra: essendo io sutta strada per recarmi a casa (2), contento di averta a mata pena scampata, vien fuori

in Sirm io un delatore che ordisce ai m aggiorenti di D quetta piazza accuse di ribettione. C onoscete, atmeno p er udita dire, quei due A fricano e Marino, n ign o rate chi sia F etice n che cosa si sia fatto di quetta gente (3). A p p e n a gti denunziato questo affare, che gi datta Gattia un attro catunniatore, Dinamio, gti

Mv tauttyv ricevette ['ordine di ritirarsi ad Atene. Quindi sono net vero ALLARD y/. /\ 4^. I p. 321 ; SEECK CfSfA. i/ tY p. 221. (1) Anche di queste confische gti amici di Costanzo avevano dato un'atra versione, usciate, cui accenna Giutiano stesso, Orai. !t! n 8 A. (2) ^ ; : che mate si interpreta da motti " essendo andato ; tanto pi che per ragioni cronotogiche non ebbe certo it tempo Giutiano di arrivare in Asia, prima di essere mandato ad Atene. (3) tt detatore Gaudenzio, / rfAns, che prendendo motivo da atcune frasi inconsulte pronunziate nell'ebbrezza di un convito, a Sirmio, da Africano, fw /or , da Marino, tribuno, e da quatche attro, ti denunzia di

//. - .Missaggio a/ &wa/o i a/ ^/

^/^.

155

scrve : anche l Silvano essere per dichiararsi aperto nem ico (1). T u tto spaventato e timoroso manda sbito a me e, fattomi dapprima ritirare qualche tem po in G recia (2), mi richiama poi presso di s ; sebbene per 374 lo innanzi non avesse voluto vederm i, tranne una volta sola in Cap padocia (3) ed una in Italia, e questa per premura di Eusebia, che voleva farmi acquistare fiducia nella mia personale salvezza. E ppure, a vevo abitato per sei mesi la stessa citt di lui e, persino, egli ave va promesso di volermi rivedere (4). Ma que!l'esecrabile eunuco il suo fido ciam bellano (5) inconsciam ente e involontariamente si era fatto mio benefattore. N on ave va lasciato che mi incontrassi pi volte con lui : che gi, forse, per parte sua non ne B aveva gran voglia. M a la cagione principalissima fu

aspirare alla tirannide. Arrestati, Marino si uccide con un coltello; gli attri sono sottoposti a tortura e a tungo processo* V . AMMiAN. X V 3,7-9; X V I 8,3. Di Felice non sappiamo: forse quetto di cui AMMtAN. X X 10. (1) Attude att'attra famosa congiura, di Sitvano, rcc/or <&sMs '/ in Gattia, accusato, mediante fatsi documenti, da Dinamio, ar/Mar/ns sarc/MaZ/Mw /KMMM/orMW ^r/nf^/s. Fu poi ucciso a tradimento, quando cerc ta sua salvezza nette arm i: v. AmitAN. X V GtunANo Ora/. 143; II 38-9. - It nome di Sitvano corrotto net Ms., dove si le gge N tM of ; che ha portato in passato a bizzarre traduzioni. (2) Non pi di due o tre mesi, datt'agosto (data detta ribeltione di Sitvano) aH'ottobre 335 (richiamo a Mitano) : v. S E E C K GiSf^. f/. i/n/. IV pp. 466-7. (3) A Macetto, durante it viaggio che Costanzo fece in quegti anni da Antiochia a Costantinopoti : v. SEECK GgSfA. a i/n/. IV P- 457(4) V . sopra pp. 130 n. t; 152 n. 5. (5) Eusebio, di nuovo.

ig 6

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desso, l'eun uco : cui turbava it pensiero non fosse per sorgere una qualche dim estichezza fra noi due, per la quale, dimostratasi la mia lealt, finissi p er essere b envoluto e ricevessi qualche incarico. A rriv a to io, dunque, allora dalla G recia, sbito Eusebia, di pia m em oria (i), per m ezzo dei suoi guar diani di cam era mi fornisce le pi grandi p rove di benevolenza. Di H a poco, essendo giunto anche lui C (poich l'affare di Silvano era concluso), mi vien dato a ccesso alla Corte, e mi si applica com e nel pro verbio la T essatica persuasione della forza (2). Rifiutavo io, s, fermamente, ogni com m ercio con la reggia ; ma quelli, datosi intorno a me convegno, com e in una bottega di barbiere, mi tosano la barba, mi m ettono addosso un mantelletto elegante, com pongono di me (cos essi allora credevano !) un assai buffo D soldato. Difatti, nessuno degli acconciam enti di quei viltani mi si poteva in alcun m odo adattare, lo non cam m inavo com e loro, guardando intorno, e d'alto in basso, ma con gli occhi a terra, co m e a vevo impa rato dal mio p ed ago go (3). Per allora li facevo ridere ; poi com inciarono a sospettare; alla fine divam p quella enorm e invidia. Ala questo d ' uopo non om ettere qui : co m e io mi sia sottomesso, com e abbia accettato di abitare

(ij Quando Giuliano scrive, l'imperatrice morta (dal prin cipio del 360: SEECK < /. /. IV p. 489!. (2) L'origine di questo proverbio, che Giuliano adopera altra volta (Ora/. 1 32 A), non ci nota; ma il significato s'intuisce. (3) Mardonio. V. ,'/^. 35! A e cfr. I. L o stesso contrasto di abitudini e la stessa scena de scritta, con tono un po' pi temperato, in Ora/. 11! 121 C, D.

7 /. - Massaggio a/ 5 cKa/o i a/ Po^o/o < / <A iK i.

157

sotto uno stesso tetto con cotoro che pur sapevo es sere stati i carnefici di tutta intera la mia famiglia, non solo, ma che sospettavo dovere fra non motto 275 tramare insidie anche a me. Quati torrenti di lacrime, quati pianti io attora versassi quando mi sentii chiamare presso ta Corte , atzando verso ta vostra acropoti te mani ed implorando A tena di salvare it suo supplicante, di non abbandonarlo alla m erc dei nem ici: ci motti di voi, che hanno visto, possono bene attestare : lo pu, prima di tutti, ta vostra D ea, cui anche di morire io chiesi, in A ten e, piuttosto che B fare quet viaggio (i) . E co m e la D ea non ab b ia tra dito il suo supplicante, n l'abbia abbandonato, Ella mQstr con gli eventi. F u dappertutto mia guida, dappertutto pose al mio Ranco gti angeti custodi di E lio e di Selen e (2). E c c o che avvenne. G iunto a Mitano, io stanziavo in un sobborgo. Q ui E useb ia mandava a me di fre quente, a salutarmi, ad esortarmi che scrivessi, senza timore, di tutto ci che avessi bisogno. Io, preparata per tei una lettera (o, meglio, una supplica, dov'erano C voti co m e questi : * Possa tu aver fgti che ereditino it trono (3): possa D io ci ed altro accordarti: ma ri m andam i a casa, at pi presto! *), mi nacque il s o spetto che fosse poco sicuro inviare lettere a patazzo
() Cfr. Ora/. HI 121 A ; Le/Zeraa 71??M.26oB; LiBAN. X V II I 31, XIII z i , XII 38. (2) A ngeli che tengono un posto speciale nel sistema teo logico di Giutiano, come ipostasi contenenti netta loro sostanza te idee intettigibili e aventi pi diretto rapporto cot mondo creato: v. Ora/. IV a/ re 141 B, 14 2 B. Sulle rela zioni d Atena con Etio e Selene : 149 B -igo A . (3) V. sopra p. 148.

p er ta consorte dett'imperatore. Pregai gti D ei mi in dicassero in sogno, ta notte, se mandare o no it bigtietto att'im peratrice. E d essi mi avvisarono che, mandandoto, sarei incorso in una morte ignominiosa. D Sanno essi gti Dei, quanto vero questo che dico i Per ci soto mi tenni dat recapitare to scritto. Poi, da quetta notte, si fece strada in me un ragionam ento che troverete degno, credo, anche voi, detta vostra attenzione: E c c o *, dicevo, * io gi m edito di tener testa agti Dei, e m 'im m agino di megtio provvedere a m e stesso che non Chi tutto conosce. E ppure fu m a n a 276 sapienza, che ved e soto it presente, a mata pena riesce a tenersi, in cosi p oco spazio, esente da errori. Quindi che nessuno detibera n su ci che avverr fra trecen t'a n n i (!) n su ci che avvenuto t'una co sa essendo superftua, t'attra impossibite , ma su ci soto che ha a portata di mano e di cui gi sono, in certo modo, i principii ed i germi. L a sapienza degti D ei invece, che mira motto tontano, anzi mira su tutto, insegna i) retto cam m ino ed opera pet nostro megtio. Son o Essi gti autori, com e di quet che , cos B di quet che sar. Non vuoi dunque che abbiano det presente intera nozione ? * F in qui, gi soto per questo mi pareva ta mia seconda d e a e r a z i o n e pi savia detta precedente. Ma, guardando poi at tato detta giustizia, sbito dissi: * Gridi, se quatcuna dette co se che hai in possesso si sottrae at tuo servizio (2), se ti scappa, per quanto chiamato, un cavatto o una pecora o un C g io v en co ; e tu, che vuoi essere uom o, n gi uno det g reg g e n detta feccia, ma degti assennati ed

(1) Secondo ta tezione de! Ms. (3) Reminiscenza di PLATONE

VI 62 C.

7/. - Mi;sMgg;'o / -Scwa/o / /*^/ / <

159

am m odo, sottrai te stesso agli D ei, n lasci che, com e a L oro tatenta, dispongati di te? B ada che, oltre a com m ettere una foUia, tu non ponga p er avventura anche troppo in non cate i doveri verso gii D ei. E il tuo famoso coraggio do v' ? che ? Buffonata ! Sei subito pronto a strisciare e ad adulare per paura della morte, mentre in tua facolt di gittarti tutto D dietro le spalle e lasciare che gli D ei facciano com e vogliono, dividendoti con Essi la cura della tua p er sona, proprio com e anche Socrate suggerisce: ossia fare da te ci solo che t'appartiene; ma la somma di tutto rimetterla a L o r o ; non cercare di possedere nulla; non dare di piglio a nulla: accettare semplicemente il dato da L o r o (1). Cosi, la seconda deliberazione avendo io stimata non solo pi sicura, m a pi conform e ad uom o as- 277 sennato, in quanto anche i segnali divini ne facevano cenno (e, per paura di future insidie, gettarsi in un rischio ignom inioso e palese mi pareva il colm o della temerit), ascoltai e cedetti. E d e cco che, in seguito a ci, subito mi applicato e titolo e veste di Cesare (2). Ma, sotto questa veste (3), quale e quanta schia vit, oh D io ! quali trepidazioni per la vita m ia stessa ogni giorno in sospeso ! Chiavistelli alle porte, guar- B diani alle porte, esaminate le mani dei servi non per caso alcuno mi rechi un biglietto di am ici; servito rame straniero! A fatica potei quattro dei miei proprii

(1) Leggo 1883 p. 365, in luogo di (2) V. -Seggio p. 23 sgg. (3) ! :ot!:p riferito a interpretano altri.

proposto da] C oB E T " Mnemos.

; non " dopo ci come

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famigtiari due affatto giovinetti e due anziani trarli m eco a Corte pel mio pi personale servizio: di essi un solo che fosse anche consapevole del mio C culto verso gli D ei e di soppiatto, com e si poteva, mi vi aiutasse ( i ) ; lo avevano incaricato della custodia de' miei libri (2), com e unico di tanti miei com pagni e amici devoti; l'altro era un m edico il quale, perch non lo sapevano esserm i am ico, perci solo mi aveva potuto seguire (3). A tal punto, per, di queste cose io ero spaventato e pigliavo p er esse sospetto che, volendo molti amici venirmi a trovare, li pro ib ivo : assai contro voglia, naturalmente, perch di vederli bram avo : m a tem evo esser causa di sciagura a loro non meno che a me. D Ma con ci siamo usciti d'argom ento. Rientriamo nei fatti. Datim i trecento e sessanta soldati mi sped, nel m ezzo gi della cattiva stagione (4), alla volta della

(1) Evemero,

v. EuNAP. HV. so^A/s/. Maxim.

P- 476. (2) L a biblioteca che gli donava appunto in quei giorni Eusebia. (3) Oribasio, di Pergam o: v. EuNAP. e cfr. Sagy/o p. 26. Il WtuGHT, punteggiando altrimenti il periodo, riferisce al secondo, cio ad Oribasio, l'incarico di bibliotecario e la qua lit di essere l'unico amico. Ma ci corre assai male. (4) 1 1 1 dicembre 355: AMMtAN. X V 8, t8. Cfr. LmAN. Ora/. XII 44; XVIII 40. L a lagnanza per l'esiguo numero dei soldati di scorta non da intendere nel senso che quelli non fossero su ccien ti al viaggio; nel qual caso avrebbero ragione gti storici moderni, come An.ARD _//'* I pp. 374-3 a ritenerla ingiustificata e malevola : ma nel senso che erano i soli soldati su cui al cesare fosse data autorit effettiva,

//. - JMiscggO e/ SwH/o ? c/ fq^o/o *:' ^/<? .

Gattia, che allora era tutta sollevata e sconvolta: n gi tanto co m e com andante di quegli eserciti, quanto per essere ai generali di quegli eserciti soggetto (:). Perch to si era scritto ad essi, e glielo si era espres sam ente ordinato, che non tanto dovessero guardarsi dai nemici, quanto da me : non macchinassi per caso qualcosa di nuovo. Ci essendosi fatto nel modo che ho detto, verso i) solstizio d'estate mi permette di raggiungere le 278 truppe (2), naturalmente per portarvi in giro la veste e il ritratto di lui. Poich anche questo si era e detto e scritto, che non un imperatore ei dava ai Galli, ma un portatore in m ezzo a loro della sua propria effigie (3). Com battuta quella prima cam pagna non male

mentre sugli eserciti di Gattia comandavano oi ctttft otpatsyot' (Ursicino e MarceUo). ZostMO ttt 3, 2 cita pure un motto di Giutiano sui suoi trecento soldati " i quali non sape vano che far preghiere (1) Conservo ta tezione ms. : ^. Che te inten zioni di Costanzo fossero effettivamente tati, non dubbio: cfr. SEECK GcscA. i?. /w?. tV pp. 234, 468, 475. (2) ry tponttzy ty Attude cio att'inizio detta sua prima cam pagna (sotto te dipendenze de] generate in capo MarceUo), e precisamente aH'entrata in Augustodunum (Autun) it 24 giugno 336: v. AMMtAN. X V I 2, 2. In generate it passo frainteso, ritenendosi che to scrittore ripeta it gi detto net capoverso precedente circa ['ordine di raggiungere !a Gattia: tanto che it PETAU propone di correggere in tpong tg e it TALBOT ricorre a uno strano ten tativo di concitiazione. Si badi anche at /tot) che Giutiano ottiene di t che it contrario dett'ortw e concorda con te frasi di AMMtANO t. c. (3) Cfr. AMM IAN. X X 5, 4: S/ifM L lB A N . Or. X V Itl 42; S o c R A T . HI 1 , 27; Z o s tM . III 2,2.

I2

7/. -

com e avrete udito n senza effetto (i), a] ritorno

B nei quartieri d'inverno, mi trovai esposto ai frangenti pi gravi. Perch neppure era in mia facot di radunare !e tru pp e: attri aveva di ci i'assotuto diritto; ed io, rinchiuso con pochi, essendo chiesto di aiuto dalie citt d intorno, e ad esse aven d o mandato i pi dei miei soldati, mi riduco ad essere isotato (2). Cos dunque andarono le cose allora. Q uando poi il c o m andante in capo, caduto finalmente in sospetto, fu rimosso ed esonerato dal grado, a cui era parso det C tutto insudiciente (3), io, a mia volta, non fui giudi cato abbastanza bravo e valoroso stratega, soto perch a vevo dato prova di mitezza e di m oderazione. In fatti, non a vevo creduto mio dovere di scuotere it giogo, n di ingerirmi negti affari det comandante, tranne quando, nei rischi pi gravi, o vedessi tralasciata cosa da doversi tentare, o tentata una da doversi assolutamente tralasciare. Aia, dopo che una o due volte mi D ebbero certuni trattato con p o co rispetto, stimai bene la mia dignit tutetare cot silenzio, e quind' innanzi portavo solo pi a passeggio il manto e l'effigie (4). D i ci alm eno ritenevo essermi stato riconosciuto gi allora il pieno diritto.

() Ricupero di Colonia, che dieci mesi prima era caduta nette mani dei Barbari : v. oitre, 279 B. (2) Assedio di Sens ( 5 ;wonfi : AMMtAN. X V I 3. (3) Marcetio fu giustamente accusato di non avere soccorso Sens assediata: AMMtAN. X V I 4. (4) In realt, sin quasi atta (ine come tascia intuire egti stesso net suo gesto di offeso Giutiano ebbe l'effettiva condotta e il merito detta campagna: v. SEECnC(5f%. < /. Ho/. IV p. 254.

/7. -

a/ Sing/o /

i^ < '^ 4/iWi.

163

Ma qui Costanzo, stimando che per opera mia avrebb ero s un quatche p oco migtiorato, m a mai sa rebbero giunte a tanta trasformazione te condizioni detta Gattia, d a me, a principio detta primavera, it supremo com ando degti eserciti (i). Io entro in cam pagna at maturare dette messi, mentre grande mottitudine di G erm ani indisturbati stanziavano intorno 279 atte distrutte citt detta Gattia. It num ero di queste citt, datte mura com pletam ente smantellate, sativa a quarantacinque, non contando te rocche e i castetli minori. L 'esten sione di terreno che di qua dal Reno i barbari interamente occupavano era quanta il fiume ne abbraccia a com inciare dalle sue sorgenti fino alt'O ceano. T recen to stadii (2) distavano datta riva i pi avanzati verso di noi; ma tre volte e pi era lo spazio lasciato deserto coi saccheggi, d o ve ai Gatti non re- B stava neppure di che pascolare le greg ge e dove, per quanto pi non accam passero i barbari, ugualm ente erano citt dai loro abitanti abbandonate. D o p o avere in siffatte condizioni ricevuta la Gattia, io ricuperai ta citt di A grippina su) R eno, perduta dieci mesi in nanzi (3), nonch il castello di A rgen torato (4), presso
(1) Anche questo per benevola intercessione di Eusebia, cui il cesare aveva altora indirizzato il suo Panegirico: vedi ZostM. !II 3, 1. Come generale, non pi supremo, a Mar cello era sostituito Severo. (2) Circa 50 km. (3) Colonia. L a notizia della cui caduta era giunta a Milano prima della partenza del nuovo cesare, che l'aveva per ap presa in viaggio, a Torino: AMMtAN. X V 8, 18-9. (4) Strasburgo. L a battaglia per di cui parla, e che fu la principale del 357 (agosto), si combatt a 15 km. da questa citt. V . SEECK G iSf/. < ?. i/w/. IV pp. 262, 479 e gli studii ivi citati.

te radici stesse dei V o sg i, d o ve sbaragtiai, non senza C gtoria, it nem ico. F o rse anche a voi arrivata ia fama di queUa battagiia. Qui, avendom i gti D ei posto fra mano, prigioniero, it re dei nemici (:), non dubitai di cedere a Costanzo t'onore di tate evento. Eppure, se a me non era tecito avere it trionfo (2), ero per sempre padrone di trucidare io it mio nemico, o anche di trarmeto dietro per tutta ta Gattia e atte varie citt farne m o stra: ossia sottazzarmi, direi, suite disgrazie D det p overo Cnodom ario (3). M a di tutte queste cose nessuna stimai degna di me, e to spedii im m ediata mente a Costanzo, it quate rientrava attora dat paese dei Q uad i e dei Sarmati. Cost avvenne che, mentre io a ve vo reatmente com battuto, e tui sottanto via g giato e avuti amichevoti incontri con te trib situate suttlstro : non io, m a tui eb b e t'onor det trionfo (4).

(1) Cnodomario. V. ta descrizione di . X V I 12, che, come noto, ricavata dalt'opuscoto che intorno a questa battaglia Giutiano stesso aveva composto, a quanto ne informa EuNAP. fr. 9. (2) Costanzo si era fatto attribuire it trionfo, durante ta sua visita a Roma, quatche mese prima detta battagtia di Stras burgo, cio nett'aprile-maggio 357: v. S E E C K " Hermes , X H (1908) p. 503. (3) Una frecciata un po' matevota at trattamento cui Cno domario fu sottoposto da Costanzo: ch, se non fu ucciso (per rispetto atta parota data a Giutiano), mor tuttavia poco appresso nette carceri di monte Cetio w o r A o AM M tAN. X V t 12,66. (4) Che per aveva avuto tuogo prima det viaggio presso i Quadi e i Sarmati ; sut quale v. AMMtAN. XV I 10, 20. Si sa ad ogni modo che, secondo it costume imperiate, negti editti l'onore detta vittoria era tutto assegnato atl'augusto. Di tale intendimento portavoce ed esempio TEMtsuo, quando net-

/ 7. - M fssagy/o a/ SfMa/o ? a/ /b/o/o ^

165

D o p o ci, un seco n do e un terzo anno di guerra: ed ecco tutti spazzati i barbari dalia Gallia, moltis sime c it t restaurate, gran numero di navi arrivate dalla Britannia. Una fiotta di seicento battelli a vevo 380 raccolto (di cui quattrocento costruiti in meno di dieci mesi), e con essi io entro nel R e n o . impresa non lieve a causa dei barbari l presso stanziati e sovra stanti. F lorenzio (1) credeva ci talmente impossibile che duemila libre d'argen to aveva offerto di pagare ai barbari pur di ottenere il passaggio, e Costanzo informato poich a lui era stata com unicata la pro posta m and ordine a me di pagare, tranne che B ci mi paresse troppo disonorevole. E com e poteva non essere disonorevole, se tale sem brava a Costanzo, gi tanto abituato a carezzare i barbari (2)? N on fu dunque pagato niente. Invece, spinto avanti l'esercito con la protezione e l'assistenza divina, ricevetti in sudditanza una parte dei Salii, disperdetti i Camavi, conquistai molto bottino di buoi e donne e fanciulli. T an to sbigottim ento poi misi in tutti, e cos feci te mere il mio arrivo, che subito mi consegnarono ostaggi C

['Oro?. IV 57 A (composta nel 357, mentre l'im peratore sverna in Italia), dimenticando l'amico Giuliano, scrive che Costanzo . () Prefetto del pretorio, creatura di Costanzo. L a somma oBerta corrisponde a circa 1 4 0 . 0 0 0 lire: SEECK G fS f% . r/. IV 268, 481. (2) A llu de alle trattative con gli Alamanni, perch irrom pessero in Gallia contro Magnenzio e Silvano (L tB A N . Ora/. X V III 33; SocRAT. Ili 1, 26, 38; SozoMEN. V 1, 2); nonch, pi recentemente, contro lui stesso, Giuliano: v. appresso.

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//. -

^ i

e mi apersero pe! rifornimento delie vettovagiie libero transito (i). S arebbe assai lungo tutte annoverare e ad una ad una descrivere te azioni da me nei quattro anni co m piute. Ma i sommi capi son questi : T r e voite transitai, ancor cesare, it Reno. Ventim ila dei nostri, prigionieri oltre Reno, ]i riconquistai dai barbari ; in due battaglie e un assedio presi vivi miUe dei loro, e non di et improduttiva, ma uomini sul fior D degli anni. Quattro drappelli ne mandai a Costanzo, di eccellente fanteria : tre altri un po' m eno pre stanti ; due squadroni di cavalieri, sceltissimi (2). Citt, adesso, col favore degli D ei, le ho ripristinate tutte: allora ne a vevo riprese p oco meno di quaranta (). Q uanto alla condotta e alla lealt mia verso di lui, ne facciano fede Zeus e tutti gli D ei protettori dello Stato e della Fam iglia: che tale io sono stato verso di lui, quale bene vorrei che fosse un figlio verso di 281 m e. S o n o stato a lui cos deferente co m e nessuno dei C esari a nessuno m ai dei precedenti imperatori (4). E , certo, di ci fino ad o gg i non m i m uove la mi nima accusa, sebbene con franchezza io lo abbia in terpellato ; bens inventa assurdi pretesti di rancore.

(1) L a descrizione di queste campagne de) 358 e det 359 in . X V I I 8 , 1 , $ ; XVIII 2: LtBAN. XVIII 75; 87-9; ZostM. IH 6-8; EuNAP. frr. 10, 13. (2) Secondo it computo det SiECK GiSf/. < 2 * . //. IV p. 267 (cfr. p. 282) questi sette awxMa barbarici dovrebbero ascen dere a circa 5000 uomini; net quat caso sarebbe da ritenere corrotta ta cifra di mitte det testo. (3) Cio, prima detta proclamazione ad augusto, de) gennaiofebbraio 360. (4) V. S a g g io p. 31-2.

77. - Massaggio a/

i a/ fo^o/o < ^/:.

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< Facesti arrestare *, egti dice, * Lupicino e tre attri *(i). Ma, se anche ti mettevo a morte, poich, senza atcun dubbio, congiuravano contro di me, non doveva egti detta toro sorte disinteressarsi, in nome detta concordia e detta pace? invece, senza torcere toro un capetto, come uomini pericotosi e istigatori di rivotta, ti tenni B sotto custodia, non spogtiandoti di atcuna parte dette toro sostanze, anzi, per essi non poco spendendo det pubbtico erario (2). Considerate voi, quati supptizii avrei potuto a costoro appticare stando atte teggi che sancisce Costanzo (3)! Ma tui, che s'arrovetta per gente atta quate da nutta tegato, non si beffer forse di me e non derider ta mia batordaggine, se io t'uccisore di mio padre, dei fratetti, dei cugini, it carnefice insomma di tutta intera ta nostra casa e detta comune nostra parentela, se costui io ho cos fedetmente servito? Nondimeno, guardate voi, datte tettere che gti ho C

(1) Lupicino era successo a Severo, dopo ta costui morte, atta fine det 358. S trovava in Britannia quando avvenne it pronunciamento di Parigi (che descritto in seguito). Giutiano to fece aspettare a Boutogne e, non appena ebbe messo piede a terra, arrestare con tre attri (forse suoi ufEciati SEECK *. / IV pp. 288 intende invece di arrestati nel tumutto di cui qui, 285 C), perch Io sapeva disposto a /wrAas contro di lui: v. AMMtANO X X 9, 9. Sutte tettere scambiate con Costanzo e che dovevano essere di pubblica ragione : :/. X X 8. II SEECK G iscA < ?. //. IV pp. 489-90, mate intendendo it del testo, identifica questa * franca tetter con te o^/Mfya/orM worafiMM di cui Ammiano. (2) Cfr. ^<s/. X X X V III (^4 Mrsst'TMo). (3) L'espressione det testo molto concisa e mi pare che generalmente non sia compresa. V a messa in stretta retazione con la feroce ironia de) periodo seguente.

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P a r/ 77. -

scritto, come, anche dopo divenuto imperatore, ho continuato ad usare riverentemente con tui! E prima di quel tate evento in quate maniera io to abbia trattato, potrete giudicare di qui: che, avendo presentito come d'ogni fatto mio sarebbe stato to scorno e it pericoto, quand'anche ad attri appartenesse D !e pi cose operare, sin dat!e prime to imptoravo che, se proprio aveva cos deciso, ed assotutamente voteva nominarmi cesare (]), almeno mi desse a ministri uo mini bravi e giudiziosi. Ed egti mi diede, sbito, i pi ribatdi. E poich di questi uno soto, it peggiore, di gran vogtia accett (2), e gti attri rifiutarono, fnatmente, a matincuore, me ne concesse uno di gran vatore, Sattustio : it quate poi non tard, per ta sua virt, a cadergti in sospetto (3). Ma non contento io di ci, osservando ta disparit dette sue maniere, e vedendo che att'uno 382 mostrava anche troppa fiducia, att'attro non poneva neanche attenzione, abbracciatagti ta destra e te gi nocchia: < Di costoro *, dissi, < nessuno mio famigtiare, n to stato in passato. Li conosco soto di fama, e, se tu to comandi, ti considero compagni e amici miei proprii, atta pari onorandoti con i conosciuti di tunga data. Per, non giusto che o ta mia fortuna sia affidata a costoro o ta fortuna di essi corra peri colo con la mia. Quate dunque ta preghiera che H io ti rivolgo] Dammi dette norme scritte: sia su ci che bisogna evitare, sia su ci che mi permetti di fare. Poich evidente che chi ubbidisce to potrai

(1) V. S a g g io p. i2 sgg. (2) Da quanto segue, 282 B, pare che vogtia attudere a Pen tadio, di cui diremo ivi. 3) V. S a g g to p. 40.

77. - JtfMsaggio a/ SiMc/o ? a / A /o /o

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lodare, chi disubbidisce lo punirai: sebbene, io sono pienamente convinto che nessuno ti disobbedir * (1). Quali propositi subito mi macchinasse Pentadio, non occorre qui dire (2). Io a tutti mi opponevo: per ci egli mi divenne ostile. Allora, procacciatosi il concorso di un altro dello stesso stampo (3), subor natine un secondo e un terzo voglio dire Paolo e Gaudenzio, quei famosi delatori prezzolati ai miei C danni (4), dispone di allontanare da me, poich mi era amico, Sallustio, per dargli tosto un successore in Luciliano ($). Di l a poco anche Florenzio mi era contro, per le ruberie a cui io non accondiscendevo (6). Costoro quindi persuadono Costanzo a togliermi il co mando degli eserciti. E lui, probabilmente gi morso

(1) Cfr. AMMtAN. X V I 5, 3. (2) Questo i) Pentadio MO/ar/ws che aveva avuto parte netta uccisione di Gatto, secondo AMMtAN. X IV 11, 21-3. Credo che a torto to si identifichi cot Mag/s/iy che Giu tiano, gi augusto, invi insieme con Euterio come ambascia tore a Costanzo, e di cui AMMtAN. X X 8, 19. Quati fossero le sue macchinazioni si ignora; se pure non furono essen zialmente quette che Giutiano riferisce circa it richiamo di Sattustio. (3) Non sappiamo a chi voglia attudere. {4) Paoto, soprannominato Catena, notaio ; uno dei pi infami consigtieri di Costanzo. Gaudenzio, gi sopra ricordato p. 154. Naturatmente essi non erano in Gattia, bens intriga vano atta Corte di Costanzo. Entrambi furono poi, sotto Giu tiano, condannati a morte. V . AMMtAN. X IV 5; X X II 3, n ; , i. (5) Questi infatti prese it posto di Sattustio, come ^Haas/or, probabitmente net 359. (6) Attude speciatmente att'esazione dette imposte supptementari che Ftorenzio, prefetto det pretorio, votte appticare in Gattia e Giutiano non permise : AMMtAN. X V II 3 ; IuuAN. XVII. Cfr. AsMus " Phitotogus L X I pp. 530 sgg.

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/7. -

D da gelosia dette mie vittorie, scrive tettere piene di vitipendio per me e minacce di rovina atta Gattia (t). Tutta, si pu dire, senza eccezione ta pi vatida parte dett'esercito ordina di ritirarta datta Gattia (2), affidandone i! cmpito a Lupicino e a Gintonio (3): a me comanda di non fare ad essi atcuna opposizione. Qui, in quati termini posso io descrivere a voi t'ope383 rato degti Dei? Intendevo (mi sieno essi testimoni!) deporre ogni appannaggio e fasto regate, per ritrarmi a vita quieta n pi ingerirmi d affari (4). Soto aspet tavo it ritorno di Ftorenzio e di Lupicino. It primo era a Vienna, it secondo in Britannia (5). Senonch, frattanto, grande agitazione si diffonde dappertutto sia B fra i cittadini che fra i sotdati, e quatcuno scrive per sino un tibetto anonimo, e to indirizza ai Petutanti e ai Celti (cos si chiamavano i due reggimenti) netta citt presso a cui io mi trovavo (6), con motte in vettive contro Costanzo, e grandi tagnanze pet modo com'egti tradiva ta Gattia. Anche det disonore ch'era fatto a me menava fautore det tibetto aspri tamenti (7).

(i) AMMtAN. X X 4 ,3 . () L e migliori truppe ausitiarie Eruti, Batavi, Petulanti, Celti al completo, e, in pi, trecento uomini di ogni legione. (3) Lupicino il Gintonio forse prenome det Sintula di Ammiano, sfaM/t /r<'Ans. (4) Cfr. AMMtAN. X X 4, 8. (5) V . sopra p. 167 n. t. () Parigi. (7) H racconto di ci e di quanto segue sulla rivoluzione di Parigi corrisponde in massima con AMMtAN. X X 4, 1-5 e con qualche altra fonte minore, che tutte derivano da Giu rano stesso (da questo YMasscgy/o e da altri perduti), e, forse, da Oribasio. Su tati questioni GEFFCKEN .Kmsir p. 137.

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; a/ Po/o/o

17:

L'arrivo di questo scritto mise in ansia tutti cotoro che pi favorivano te parti di Costanzo, e ti indusse C a fare su di me te massime premure perch tosto spedissi via te truppe, prima che anche negti attri re parti avessero a spargersi situiti fogti. Nessuno era presente di quetti che si consideravano a me affezio nati : ma soto Nebridio (i), Pentadio, Decenzio: quest'uttimo inviato a quetto stesso scopo da Costanzo medesimo. A me, che osservavo esser d'uopo aspet tare ancora Lupicino e Ftorenzio, nessuno diede retta ; tutti dicevano di dover proprio fare t'opposto, se non votevo ai sospetti gi di me concepiti recare ora ta D prova e ta conferma. Ed aggiungevano : < Se spedisci ora, it merito tuo ; arrivati quetti, non a te, ma a toro sapr grado Costanzo, e tu sarai tenuto in cotpa *. E mi persuadono anche a scrivergti : dir megtio, mi costringono. Poich, certo, cotui si persuade che ha anche it mezzo di non [asciarsi persuadere, ma inutite persuadere uno che pu essere costretto ; quindi, chi costretto non obbedisce atta persuasione: soggiace atta necessit. Qui si discuteva per quate strada far partire te 284 truppe, di due che c erano. !o consigliavo dovessero passare per t'attra : ma tosto essi mi costringono a prendere quetta [di Parigi], per timore che it fatto stesso di cambiare itinerario non offrisse ai sotdati quatche pretesto di disordine (2), e diventasse causa di una sottevazione : poi, cominciato a sottevarsi, tutto

(1) Questore, che fu poi nominato prefetto dopo ta fuga di Ftorenzio. (2) Parigi doveva essere it tuogo di concentramento dette truppe. Giutiano consigtia di evitare ta citt: non ascottato.

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T^ar/f /7. -

avrebbero messo a soqquadro. N forse la paura di questi messeri era dei tutto infondata. Arrivano te legioni. Io vo incontro, come il mio soB [ito; li esorto a continuare ta marcia. Si fermano un giorno solo, durante il quale niente ancora conosco di quel che avevano deliberato. Oh Zeus, o Elio, o Ares, o Atena, o Dei tutti, siatemi voi testimoni se di ci io avevo it pi lontano sospetto prima di quella sera stessa! Gi tardi, sull'ora del tramonto, mi por tata la notizia, quand'ecco di repente il palazzo (i) si C trova circondato e tutti acclamano (2); mentre ancora io non sapevo che fare, n mi sentivo soverchia fi ducia. Ero in quel momento salito (ancora essendo in vita mia moglie) a coricarmi da solo al piano su periore (3). Di l, da una finestra aperta, rivolsi a Zeus le mie preghiere. Ma, fattesi pi alte le grida e tutti agitandosi per entro al palazzo,
P regai Dio che dssemi un segno. Ed Ei tosto me! diede (4),

(1) Dalla m aggior parte degti archeologi, nonch dalla tra dizione popolare, identificato col palazzo delle T erm e; da altri posto nell'attuale Palazzo di giustizia, antica dimora dei re di Francia. V . anche p. sg., n. 2. (2) Acclam ano: A ugusto! (3) Etena mor alcuni mesi dopo, alla fine di queHo stesso anno 360: v. AMMtAN. X X I 1, 3. Cfr. S a g g io p. 18, n. 2. (4) CMyss. Ili 173. AMMtAN. !. c. narra che a Giuliano ap p arve allora it genio del'Impero : a/ZyMiw //orm ar:' gWMMS M S io/f/, /KMf oM<rgaw<%) .* " 0//), /M /M M M ,

MS/MK/KW
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/M orM tM OSirfO /<?/w/fr, OMgW / gi/ * /a/;yKO/<fHS /aMyWiMM r^Mi?!g/MS aAsfiSS! .*

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roncori/an/i ?/-

/or?M, <Ao ?/ wHis/xs. /</ rf/MM/o <wo rori/i, </ M O M //' Cfr. S agg /o p. 25 sgg.

77. - M is s a g g io a/ & / i a/ 7*o/o/o if/ ? .

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e mi confort a cedere, a non contrariare )a voont dell'esercito. Per, anche dopo questi segni, non fui D pronto a cedere, ma tenni fermo quanto potei, e n l'appellazione di Augusto, n la corona la volevo affatto accettare. Ma poich non potevo io solo spuntarla contro molti e, d'altra parte, gli Dei che ci vo levano far accadere tanto accendevano la risolu zione dei soldati quanto invece andavano estinguendo la mia, alla fine, verso l'ora terza, presentatami da non so qual soldato la sua collana militare, me ne cinsi il capo (t) e rientrai nella reggia (2), sospirando (come gli Dei sanno!) dal profondo del cuore. Certo, afH-285 dandomi nel Dio che mi aveva mandato l'augurio, era d'uopo fare coraggio : ma ero terribilmente vergognato e mi sarei nascosto sotterra al pensiero di non sem brare fedele a Costanzo sino alla fine (3).

() . t. c. diffusamente descrive il curioso dibattito ch'ebbe luogo a proposito dell'incoronazione : Giuliano non possedeva alcuna corona e non credeva conveniente e di " buon augurio , n un monile della moglie, n le /Aa/^ra^ del cavallo; finalmente un centurione dei Petulanti gli port il suo collare d'oro, decorazione militare. (3) L o scrittore si , naturalmente, dimenticato di dire che ne era uscito. Supplisce Z o stM o lllg: oi ocpetiTat... xKtyotn rv '. L a dimenticanza ha dato modo a L u e DE V o s " R ev. d. et. gr. X X I (1908) pp. 436-33 di supporre che al momento della rivoluzione Giuliano si trovasse in un palazzo provvisorio (delle Terme) e che dopo la rivoluzione sia stato ricondotto al Palazzo della Citt, da cui lo aveva cacciato (secondo )a sua ipotesi) il prefetto Florenzio. Ma questa ipotesi ingegnosa fondata sopra una interpretazione e una emendazione per me inammissibili di un passo di LtBANio Or. XVIII 84. (3) Cfr. LtBAN. Ora/. XII 58; ZostM. Ili 5, 4; 8, 4; 9, 5.

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.Par/; 7/. -

; sa/<r*fAf.

Cos, mentre grande abbattimento e stupore incom beva su) patazzo, gii amici di Costanzo, accordatisi di tosto afferrare quei destro, immediatamente mi tra mano insidie e distribuiscono denaro ai sotdati, di due cose t'una, certo, ripromettendosi: o che si staccassero da me semplicemente, o anche, addirittura, mi si avB ventassero contro atta scoperta. Senonch, avuto di ci sentore, un uiHciate de! seguito di mia moglie ne riferisce, prima di tutto, a me; ma poich vede che io non gii bado menomamente, dando fuori di s, come un invasato, corre sul!a pubblica piazza e comincia a gri dare: Militari, forestieri, cittadini: non tradite il vostro imperatore) *. Atlora )o sdegno s'impossessa dei soldati, C e tutti si precipitano con farmi a))a reggia. Trovatomi vivo, pieni di gioia, come chi rivede t'amico che pianse perduto, g)i uni di qua, gti attri di l mi si strin gono attorno, mi abbracciano, mi portano sulle loro spalle. Era uno spettacoto meravigtioso, perch rassomigtiava veramente a entusiasmo ispirato da Dio. Quando mi ebbero ben cinto da ogni parte, rectamarono !a consegna degli amici tutti di Costanzo per D trame vendetta. Sa Dio quate dura )otta io ebbi a sostenere per vo)er)i savare (i)t Ma, dopo questi fatti, come mi sono io comportato verso Costanzo? Mai, fino ad oggi, nelte tettere a tui, ho adoperato it titolo dagli Dei conferitomi, ma M.M7T soltanto, mi sono sottoscritto ; ed ho persuaso i sol dati a farmi giuramento che nutla pi domanderebbero, se solo egli ci lasciasse abitare pacificamente la Gallia

(i) Press'a poco [e medesime cose in AMMtAN. X X 4,30-3; LtBAN. Or. XVHI 98-9.

/7. - & ^ ' a/ S?Ma/c c a/ A ^ o / o a *<

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ratificando i fatti compiuti (). Tutte quante )e tegioni 286 t presso di me gti mandarono istanze suppticandoto per it nostro reciproco accordo. Egti, in tutta risposta, ci sotteva contro i barbari ; proctama me presso toro suo aperto nemico (2) ; sborsa danari perch ta nazione gattica sia distrutta; scrivendo ai suoi in Itatia ordina di guardarsi contro chi viene di Gattia; atte frontiere B gattiche, in varie citt, tre mitioni di medimni di fru mento (3) fa raccogtiere, tavorato a Briganzia (4), e attrettanto nei dintomi dette Atpi Cozie, con t'intento di marciare contro di me. E queste non sono parote: son fatti scoperti. L e tettere che aveva scritto, io te ebbi, recatemi dai barbari; come pure sorpresi te vettovagtie gi bett e apparecchiate e ta corrispondenza con Tauro (5). Ottre a ci, anche adesso mi scrive C " ,, e promette di mai voter venire a patti con me (6). Invece mi manda un Epitteto, vescovo Gat
ti) Su queste trattative v. specialmente AMMtAN. X X 8, 3-17;
LlBAN. Or. X V II! 106; ZONAR. XIII 10.

(2) Cfr. XIII: (3) L a cifra probabilmente errata, nel testo, perch equi varrebbe a circa un milione e m ezzo di ettolitri: provvista enorme e troppo superiore allo scopo. (4) Bregentz, su) Iago di Costanza ; secondo altri, Brianqon, sulla Durenza (v. P A U L Y - W is s o w A Ili col. 846). (5) tts ^/ 2 !. Tauro era prefetto del pretorio in Italia (AMMtAN. X X I I 3). Si deve quindi interpretare " lettere a Tauro avendo riguardo a ci che Io scrittore ha detto poco sopra degli ordini dati da Costanzo " ai suoi in Italia , , e di cui esse lettere fornirono ta prova. Quanto all'insieme dei fatti, atcuni storici moderni mettono in dubbio ta veridicit di Giutiano. A torto, perch ta politica di atleanza coi barbari non era nuova per Costanzo : v. sopra p. 165. (6) Attude particotarmente atte lettere inviategli per mezzo det questore Leona: AMMiAN. X X 9, 4-5.

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i sa/<Wc^^.

tico (i), a darmi assicurazioni circa ta mia personate satvezza; ed ci che rifischia da un capo att'attro dette sue tettere: che non mi priver detta vita. Ma detta dignit, dett'onor mio neanche una parota. I suoi giuramenti io so che van scritti come dice it proD verbio sutta cenere : tanto son fidi. At mio onore poi, non soto per sentimento di giustizia e di decoro, ma anche per ta satvezza dei miei amici, io ci tengo. N parto qui detta sua crudett che mette tutto it mondo a prova. Queste te ragioni che mi fecero agire; questa ta condotta che mi parve onesta. E, in primo tuogo, pe! giudizio me ne rimisi agti Dei, che tutto vedono ed odono. Poi, dopo offerti sacrifizii per ta partenza, dopo raccotti prosperi auspicii (2); in quetto stesso giorno, 2E7 in cui dovevo di questa nostra spedizione partare atte truppe, pensai (3) : * per ta satvezza mia propria, ma, assai pi, pe! benessere pubbtico, per ta tibert di tutto it mondo e, in particotare, det popoto gattico, che due votte egti trad ai nemici, neanche perdonando atte

(1) n 3v fa/^ttr , che it Petau propone di cor reggere in x. i. (2) SacriBzii segreti cui a!!ude X X I 5, 1: SiC7*i?<*ori 5 ?//cna, e cui segu, infatti, it discorso alle truppe : M <</. 2-7. (3) L'interpretazione di tutto questo brano, con ci che segue, astrusa. Mi scosto dai pi. Basandomi sut'ultimo capoverso (p. 178), intendo che Io scrittore riferisca non il discorso tenuto alle truppe, ma i concetti su cui si propose di discorrere. Faccio dipendere re <??pi'ay x. r. da )#!?!' ...

V/. -

a/ -Sina/ i a/ 7^// ^4/^

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tombe degli avi (1), egli che cos bene serve agli in teressi degli stranieri (2) : per tutto ci, dico dover mio procacciarmi il concorso di genti fra le pi guerriere (3), nonch provvisioni di denaro giustificatissime in argento e in oro (4). E se lui ancora adesso gradir l'accordo con me, io sapr tenermi B pago di ci che attualmente posseggo; se invece de cide di fare la guerra, e nulla allenta della sua pri stina risoluzione, sapr anche, quel che Dio voglia, operare e soffrire (5). Maggior vergogna, in ogni caso, dimostrarsi a lui inferiore per mancanza di coraggio o d'intelligenza che non per numero di combattenti! Che se lui ora col numero vincesse, il merito non sarebbe suo, bens delle molte braccia di cui dispone. E se, indu giandomi io in Gallia e declinando, per amore del quieto vivere, il pericolo, egli frattanto arrivasse e mi investisse C da tutte le parti, coi barbari ai fianchi ed alle spalle, le sue legioni di fronte (6), mi toccherebbe bene, credo, patire l'estrema rovina, non solo, ma anche l ' igno minia che, all'occhio degli onesti, non da meno di alcun altro supplizio *.

(1) L a famiglia di Costanzo e di Giuliano poteva ritenersi indigena in Gallia, da quando Costanzo Cloro, padre di Co stantino il Grande, vi era stato mandato da Diocleziano in qualit di cesare nel 292. (2) A llude agli accordi coi barbari: v. sopra pp. 175, 165. (3) A u x tu A barbarici. (4) Nel 360 C dice che il popolo gallico mise a sua disposizione molto pi denaro di quanto egli chiedeva. Qui forse allude anche a prelevamenti fatti sulle nazioni vinte. (5) Questo stesso intendimento ricorda in XIII, scritta cubito dopo la morte di Costanzo, all'omonimo zio Giuliano. (6) Cfr. AMMtAN. X X I 7, 1.

-?8

77. -

Queste cose, cittadini di Atene, fra me ragionate, !e venni attora ai miei compagni d'arme esponendo, ed ora a!!e citt di tutta Grecia ]e scrivo (i). G!i D Dei, d'ogni cosa padroni, concedano a me sino alla fine come promisero ]a loro assistenza: ad Atene consentano di godere, per mezzo mio, i pi gran favori, nonch avere in perpetuo imperatori tali che lei sommamente ed egregiamente sappiano e co noscere e venerare)

(i) Cfr. sopra p. 143, n. 1.

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IH.

I Cesari
o
L a f e s t a d e i S a t u r n a li ( ') .

GtULtANO. tir c i (so n o

P o ic h il D io

(2) c o n c e d e di d iv e r - p .g o cose sc h e r se m b ra , a m ic o

in fa tti i S a tu rn a li), e p o ic h

z e v o li e g a r b a te io n o n n e c o n o s c o ,

(1) Nei Mss. si dnno varii titoli: ifa?ap:y, Tfpdvta, ,2 v/*. Non bisogna confondere quest'opera con un'altra intitolata pure Jfpdvta, di natura teologica, dedicata a Sallustio (alla quale Giuliano accenna in Ora/. IV 157 B), e di cui conservasi un solo frammento (6 Hertl.). per probabile che, anche nel dialogo che abbiamo innanzi, l'amico cui Giuliano si rivolge sia il filosofo Sallustio (v. sopra p. 40), da lui no minato prefetto d'Oriente subito dopo l'insediamento a Co stantinopoli, 11 dicembre 361 (AMMtAN. X X I I 3, 1). probabile inoltre che il dialogo sia scrtto in quello stesso dicembre, durante la festa dei Saturnali (sebbene MQcKE 77. C7. _//. pp. 182-3 e qualche altro propendano per il dicembre del l'anno successivo, durante il soggiorno in Antiochia), e costi tuisca come un atto con cui il nuovo imperatore, appena salito al trono, affermi il proprio programma in contrasto coi predecessori. H disprezzo, quasi universale, per i " Cesari ,

caro, che mio primo pensiero debba essere di non dire scempiaggini. AMico. E che ? C' alcuno cos pedante e an tiquario, o Cesare, da pensare perfin nello scherzo ? Io credevo che lo scherzo fosse sollievo dell'animo e liberazione da tutti i pensieri (i). B GtuLiANo. Bene in ci ti apponevi ; ma a me di tentare per questa via la prova non si conviene. Io non sono nato n per scherzare, n per far la parodia, n per dir barzellette (2). Per, dacch al comanda mento di Dio bisogna ubbidire, vuoi che in luogo di scherzo ti racconti una favola in cui troverai, spero, molte cose degne della tua attenzione P C Anteo. Di', che ti ascolto di tutto cuore; poich le favole non le dispregio neppur io, n le condanno ad ogni costo, quando siano istruttive : d'accordo con te e con l'amico tuo, o meglio, amico nostro comune,

egli lo attinge al suo diletto Marco Aurelio, il quale li aveva rafBgurati come tanti Sardanapali : CoyMW. V I 30. L e carat teristiche dei varii Cesari sono fondate sopra una solida co noscenza storica, ma non si scostano dalle comunemente note. Spesso adoperato Cassio Dione. A meglio comprendere la concezione satirica del libello giulianeo, si ricordi il tipico modo in cui si svolgevano i funerali degli imperatori: l'im peratore defunto era impersonato da un mimo, il quale par lava alla folla secondo il carattere e le maniere del morto, e dalla folla riceveva lazzi, beffe e rimbrotti sulle sue passate azioni: il che costituiva una specie di giustizia postuma. (2) Crono = Saturno. (1) Questo concetto derivato da Musonio (v. sopra p. 138), il quale, a proposito degli scherzi d'obbligo nei Saturnali, osservava, ap. GELL. JVocA a#. X V III2 ,1 , che

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(2) V. -Scgy/o pp. 109, 114.

///. - / C?sar< o /a /M/a

Sa/Mrwa/<*.

181

Platone, il quale molte serie questioni ha trattato in forma di mito (i). GmnANO. Verissimo quel che tu dici. AMtco. Ma quale e come questa favola ? GiuLiANo. Non di quelle vecchie, del genere di 307 Esopo: ma, se sia un'invenzione di Ermete, dal quale io l'ho imparata (2), o sia la verit stessa, o una me scolanza di entrambi, vero e fittizio, vedrai poi tu dal fatto stesso (3). AMico. Ecco un preambolo in piena regola, se condo l'uso dei favolisti insieme e degli oratori (4). Ora per, come sia il fatto stesso, questo comincia. GiunANo. Senti dunque. Romolo, volendo festeggiare i Saturnali, invit a B banchetto tutti gli Dei, non solo, ma anche gli Im peratori. I seggi per gli Dei si trovavano disposti pi in alto, sulla vetta stessa per cos dire de) cielo,
Su nell'Olimpo, ch' sede agli Dei incrollabile, eterna (5).

(1) S i ricordi che il problema del mito Giuliano ha appo sitamente trattato in Ora/. VII. P e r Platone p. 215. (2) Ermete era p er i neoplatonici il dio promotore dell'in telligenza e della contemplazione mistica. A lui Giuliano soleva ricorrere nell'assurgere alla visione delle cause prime : v . S a g g io p. 39. (3) L o scrittore preoccupato dal suo concetto: che il mito non sia verit assoluta, vale a dire realt, ma simbolo. Pone quindi sull'avviso i lettori afSnch intendano ftMMgvaMO sa/<s le immaginazioni che sta per esporre. Cfr. Ora/. IV 137V 170; VII 206,217, 222-3; CoM/ro t' Cr;'s//aM<' p. 169 Neum. (4) Una puntata contro la retorica. V. sopra p. 58 n. 3, p. 104. (5) Oa"ys3. VI 42.

Poich voce che ivi, dopo Eracte, s!a asceso pure Quirino: per chiamarlo con questo nome, rendendo omaggio aita sua fama divina (t). Dunque : agli Dei C it banchetto era apparecchiato lass. Sotto la luna, nella prima regione dell'aria (2), dovevano pranzare gli Imperatori. Serviva a sostenerli la leggerezza dei corpi di cui erano vestiti, nonch la rotazione stessa delta luna (3). Quattro seggi stavan disposti per gli Dei maggiori. Quello di Crono era di ebano risplen dente, con racchiusa net nero una tuce cos grande e divina che nessuno era in grado di reggerne la vista. D Gli occhi pativano davanti ad esso io penso , pel troppo fulgore, la stessa pena che davanti al disco solare, chi to fissi troppo intensamente. Quelto di Zeus era di materia pi fiammante che t'argento, ma pi bianca che t oro. Fosse elettro o qual altro metatto naturale (4) Ermete non mi seppe precisamente

(t) Romoto, deificato, ebbe nome di Quirino. Sutta sua as sunzione in cieto e sul significato mistico detta m edesima: Ora/. IV 154 C-D. (2) questa, secondo ta cosmogonia neoplatonica, ta parte det cieto dove dimorano gti Dei inferiori, i Genii, i Dmoni. X rt. Fino at cerchio V . PoRPHYR. ap. AuGUsnx. Z )< ? 0 '. delta Luna arriva ancora it potere detta %%<?: SALLUST. D i <R<s IX. (3) Anche questo conforme atte dottrine platoniche, se condo cui te anime vengono tratte alta sede degli D ei datta rivotuzione stessa degti astri. (4) L'etettro una composizione di argento e di oro. It testo nei Mss. : roOro f/ff ffte

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/*< < i qppttMM, che Spanheim, L a Btterie, Tatbot e altri traducono in questo senso : " tait-ce de t'tectre ou tout autre mta), Mercure ne put me te dire au juste, quoiqu'it

///. - / C nar/ o /a

183

dire. Da un iato e daii'aitro sedevano, su troni d'oro, ia madre e ia figlia, Era a fianco di Zeus, Rea a 308 fianco di Crono. L a bettezza delte divinit neanche Ermete tent di esprimere con paroie, dichiarandoia troppo eievata e visibile soto att' intettetto : per suoni e per discorsi cos difficile ad essere proferita, come impossibile ad essere intesa. Niuno sar mai dotato di cos gran voce da dire ta sublime bellezza che si aduna nel volto dei Numi. Anche atte altre divinit era preparato un trono B sedile per ciascuno, secondo i gradi. Nessuno litigava; perch, come rettamente dice Omero avendolo ap preso, si vede, dalla bocca stessa delle Muse (i) , ciascuno degli Dei ha it suo seggio, sul quale assoluta giustizia che posi, stabilmente e irremovibil mente : ond' che, anche alt'arrivo del Padre, levan-

et consult Hertlein si cava d'impiccio espun gendo Io invece ritengo che queste parole abbiano subito uno spostamento e vadano inserite poco pi sopra, cos: effe df^o rt (^x) Vuoi dire che to scrittore non sa se questa materia pi bionda dett'argento e pi bianca dett'oro, sia elettro, cio una com posizione, oppure un quatche altro non pi visto metatto na turate = di quelti che si ricavano direttamente dalte miniere. Tutta questa teoria poi dei diversi metatti ha certamente un valore simbolico netta dottrina dei misti che non riusciamo a specificare. Si ricordi, ad es., che di sette diversi metatti erano figurate dai mitriasti te porte onde t'anima torna att'Empireo. (1) Non questa una espressione vacua ed enfatica, ma un canone di fede. I poemi omerici sono, per Giuliano e i heoptatonici, cetesti ispirazioni di Apotlo e dette Muse, e come tati si contrappongono ai tibri Sacri degti Ebrei e dei Cristiani.

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^ sa/<r/cAi.

dosi in piedi, non scompigliano !e sedie, n !e scavalC cano, n se te rubano l'un l'altro, ma conosce ciascuno quel che gti spetta (i). Qui, sedutisi tutti gli Dei in giro, Sitenp, che, a quanto mi parve, era appassionato del giovane Dio niso giovane, e bello, e somigliante a suo Padre, Zeus (2) , gli si pose daccanto, in qualit di balio D o di pedagogo (3). E poich Dioniso per sua na tura amante de' giuochi e del riso, nonch datore di grazie, cos quegli divertiva con le continue facezie e con te buffonate it dio. Quando anche il banchetto dei Cesari fu imban dito, entr, per primo, Giulio Cesare, con l'aria di volere ambizioso com'era disputare a Zeus il dominio det mondo. Sileno, squadratolo un poco : < Bada *, disse, * o Zeus, che quest'uomo, per amor di comando, non pensi davvero a sbalzarti dal trono. Non vedi come grande e betto? A me, se non

(1) Un brano di ta! fatta non si trova ne) nostro Omero, tranne che )o scrittore raccolga espressioni e concetti da varii punti dei poemi. V. '<?. I 605 sgg., X I 76-7: e cfr. BRAMBs _//. p. 15. Probabilmente la citazione si riferisce soto atta stabilit dei seggi ; mentre la scena detl'arrivo del Padre appartiene in proprio a Giutiano e rientra neH'ordine dei fatti da lui descritti. (3) Qua)e idea Giutiano si faccia di Dioniso v. in Ora/. IV 148 D; VII z z i C sgg. (3) questo t'ufBcio che )a tradizione assegna a Sieno. Quanto all'amore di lui per il giovane dio (^ ^), ci detto forse per influsso de! Sw<^os<o di Piatone. Alcuni mitograS e storici razionalisti dnno a Siteno l'attributo di filosofo, in quanto, come filosofo, assistette Dioniso nella sua opera di miglioramento del'umanit.

//7. - / Cesar;' o /a /is/a

Sa/Mrwa/.

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in attro, assomigtia meravigliosamente qui sopra ta 309 testa * (1). Mentre ancora Sileno scherzava, n gli Dei gli po nevano grande attenzione, entra, secondo, Ottaviano, cambiando molte volte colore, come i camaleonti: se dapprima era pallido, tosto facevasi rubicondo ; se era fosco, tenebroso, rannuvolato, non tardava a metter su il sorriso di Afrodite e delle Grazie (2). B Pretendeva, fra l'altro, di avere occhi cos sfolgoranti da eguagliare il re Sole. Non tollerava che alcuno al mondo reggesse il suo sguardo (3). E Sileno : * Cp-

(1) Si ricordi che Siieno veniva rappresentato di forma piuttosto tozza, con grandi orecchie e ventre enfiato. Cesare invece descritto (SuETON. Caes. 45-6) di eccesa statura, di bette forme, nonch di eteganti costumi. Ma era catvo come Sileno: e ci faceva it suo cruccio, come dice SuETON. t. c.: fa/uM ' w/yM/ss/me / w n / , sae^e oi/rcf/a/orwMZ <'oc<s /^ ex/er/Ms. Si ricordi pure quet verso det carme trionfate, /?. 51 : CMam*, serva/c Mjrorcs, ca/ (2) Ci simboteggia te variazioni a cui, per opportunismo, and soggetta ta potitica di Augusto: feroce spesso ed equi voca, finche non fu Imperatore, nelte proscrizioni e netta totta coi cotteghi triumviri ; mite e temperata, quando si trov soto padrone de! mondo. A n ch e netta vita privata osservavano it medesimo cambiamento (SuETON. 68). P e r tui [avita era stata una farsa (</. 99). Pu darsi che aH'assimitazione co) camaleonte contribuisca anche ci che Svetonio dice del suo co^MS MMfM/osMW (8o). notevote che GREGomo NAztANZENO Ora/. IV 62, ricordandosi probabitmente di questo passo dei Cesar/, paragona Giutiano stesso ad un camateonte. (3) SuETON. ^ 4 ;<y. 79 : ocw/os 7 c/aros ac ;n//i/os, yw/i^s

e/;am ax/s/M nar:* vo/^Aa/ /M esse yw/i/</aw

!Mgw<s, ya-

^eia/yMe s< 5 arr<MS coM /M eM /< y</as< a<^/M ^orew so//s f//KW SMWW!*//erc/. Cfr. PuN. JVa/. A<s/. XI 37,143.

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.Par/i // . - 0/^r^//^ /o/M'fAf ? MA'wAi.

per!! *, esctama, 'C h e animate variabite questo? E chiss che brutto tiro medita contro di noi ! * * Tregua agii scherzi ! * gti fa Apotlo. * Io io metto qui nette mani di Zenone, che d'un tratto ve to trasC forma in oro cotato (i). Qua, Zenone, prenditi cura det mio pupiito Zenone ubbid, e, dopo avergli recitato att'orecchio quatche briciolo di dottrina, come fanno cotoro che mormorano )e formute magiche di Zamotxide (2), to rese uomo sensato e prudente. Terzo si aggiunse a toro Tiberio, con aria mae stosa e fiera, promettente saviezza non meno che bettico ardire (3). Ma, vottatosi a sedere, si scoper

ti) Zenone di Cizio rappresenta taftosoHa stoica, atta quate Augusto fu avviato dat maestro Atenodoro e da Ario (vedi sopra p. 137 e qui appresso, 326 B); ondeebbe, forse, quatche migtioramento it suo carattere. Certo, per, ta persona di Zenone (anteriore di ottre due secoti ad Augusto) qui in trodotta a causa e in ricordo di uno speciate aneddoto, rife rito, ad es., da T E M is n o Ora/. VII! to8 B-D; XHt 173 C. R a c c o n t a n o infatti che Augusto un giorno fece grazia agti Atessandrini soto perch it itosofo Ario ne to consigtiava e gti citava un giudizio di Zenone esattante quei principi i quati si sottopongono atte direttive dei filosofi. Certo Giu tiano conosce questo aneddoto e vi attude, in breve, netta sua H (-4gV< ^/^iaMar<W). Cfr. pure P m i . ^o^/</. rig*.

/ '? ^ . 207 B.
(2) Mitico tegistatore degti Sciti, dei cui incantamenti parta, in tate senso, PLATONE CAarw/. 156 D sgg. da cui Giutiano deriva. In Ora/. V ili 244, dove altude at medesimo argomento, cita, espressamente, ta fonte. (3) Attude ai quindici anni che Tiberio aveva passato, prima detta n!orte di Augusto, nette dure guerre d'Ittiria e di G er mania, sottoposto a tutti i rigori detta vita mititare; e, inottre, at non breve periodo in cui era vissuto, quasi in esitio, a Rodi, immerso negti studii di grammatica e di retorica.

///. - / C nar/ o /a /M/a

5a/Mrwa/<.

187

sero sutta sua schiena cicatrici innumerevoti : scot tature, abrasioni, piaghe spaventose, tividure, nonch D ricordo di tussuria e di crudett ! utceri e pustote, quasi marchiate cot fuoco ([). Attora Siteno:
Tutto diverso, o straniero, m'appari, da quetto di pria (z),

disse, pi serio det sotito. Tanto che Dioniso: < Che fai, pappatuccio? * gti dice. * Metti cipiglio anche tu? * Ed egti : * Quet vecchio Satiro * (3), risponde, * mi ha sconcertato tanto, da farmi buttar fuori, senza voterto, te omeriche muse *. * Sta' attento *, ripigtia l'altro, * che non ti tiri te orecchie, come dicono te 310 abbia tirate un giorno a un professore * (4). * Vada piuttosto, it disgraziato ! netta sua isotetta (e attudeva a Capri) a tacerare it viso di quatche attro pescatore ' (5).

(1) noto, da TACtTO (^HH. speciatmente VI 6) e da SvE7 . 42 sgg.), it ritratto sia fisico che mo rate di questo imperatore. (3) (Myss. X V I 181. Sono parole che pronunzia Tetem aco net rivedere it padre Utisse, cui Atena ingrandisce l'aspetto. (3) Con questo epiteto non solo morde ta tibidine cui T i berio diede pi scandatoso sfogo in vecchiaia; ma attude al nomignoto Ca^/*<nfMS, che gli fu applicato sia per la dimora nell'isola di Capri (a cui allude qui appresso), teatro delle sue turpitudini, sia per t'uso di travestire i suoi amasii in divinit campestri, detta caprina foggia dei Satiri (SuEioN.
TONIO (speciatmente

7 M- 43 . 45).
(4) Questo fatto, precisamente, non ci noto. Sappiamo per che a ve va il vezzo di sorprendere con domande imba razzanti i grammatici convitati alla sua tavola e che uno di essi, Senone, per futili motivi, releg a Cinaria, un altro, S e leuco, mand a dirittura a morte (SuETON. 7 M. 70, 56). (5) Nei primi giorni detta dimora a Capri, in un angoto re moto, un pescatore venne ad offrirgli una grande triglia. Ti-

i88

/*ar^i // . -

i sa/)r<*rAi.

In mezzo a queste facezie, ecco avanzarsi un mostro crudele (i). G!i Dei, tutti, si voltarono via. L a Giu li stizia lo prende e to consegna atte Pene : queste lo buttano nel Tartaro. Sileno non ebbe che dire di lui. Succede Claudio (2); e Sileno a cantare di Aristofane, piaggiando, in luogo di Popolo, Claudio in persona (3). Poi, dato d'occhio a Quirino : * Fai male, Quirino, chiamando questo tuo successore a banchetto senza i suoi liberti Narciso e Pailante *. * V ia ; falli chiamare, se vuoi, e anche la moglie sua Messalina. Senza di loro questo qui una comparsa da tragedia, anzi si pu dire un corpo senz'a nima * (4).
b e r io , ir r ita to c h e lo a v e s s e s o r p r e s o in q u e lla s o litu d in e , g ti fe c e s t r o p ic c ia r e it v is o co ] p e s c e ; e r a lt e g r a n d o s i q u e llo , d u r a n t e la p e n a , d i n o n a v e r e o ffe r to u n g r a n c h io m a r in o , lo f e c e p u r e la c e r a r e c o l g r a n c h io (SuETON.

7% . 60).

(1) L o scrittore ha disgusto di farne il nome ; Caligola (37-41). (3) Tiberio G audio, zio e successore di Catigola (41-34). (3) A torto Spanheim ed attri correggono <iv: tot! in d ft! toc 4 %too#AOuy, rimandando atta prima scena dei Capa//??*/, che non s'adatta per it concetto. Invece i versi che Sileno canta a Claudio in tono di ironica lode sono questi del Coro a Popolo, vv. i m sg g.: "Sicuram ente, o Popolo, Ben grande il tuo potere, Poi che ciascun temere, T i d eve come un re t P er pel naso facile Menarti e troppo godi Di chi ti tiscia e abbindota; E chi discorre t'odi A bocca aperta; ed esule V a il senno tuo da te! (trad. Romagnoli). Cio: viene cos annunziato il carattere del regno di Claudio su cui si insister in seguito , che fu regno di favoriti (i liberti Narciso e Pattante) e di donne (la terza consorte, ta famige; rata Messalina). (4I SuETON. C/aM O*. 29: ^t*S non Sii/ M<m's/rMM fgi'A Da tati accuse detta tradizione cerca di difen dere it regno di Claudio H. ScHtLLER GfSfA. a*. r<S?M . ^fa/sfy(Gotha 1883) I pp. 329-30.

77/. - / Cisar! o /a /?s/a i/o* Sa/xrMa/.

189

A questo punto fa ta sua entrata Nerone, con ta cetra e con t'attoro (1). E Siteno ad Apollo: * Costui si prepara a gareggiare con te ' (2). E it sire Apotto di rimando: < Ma io gti strappo immediatamente ta corona, perch n mi imita in tutto, n, dove mi imita, affatto un buon imitatore ' (3). E , scoronato, il fiume Cocito to ingoia d'un subito. Q ui accorrono in frotta motti e di tutte le razze : D Vindici, Gatbi, Otoni, ViteHii (4). E Siteno : * Uh ! questa ptebe d'imperatori di dove t'avete pescata, o

(1) In tale abito, non soto si offriva sutte scene, ma si faceva rappresentare nelle statue: SuETON. 2 5 ; CAss. D10K. L X I 20 ; L X II 18. (2) Net culto si trattava di una vera e propria assimitazione di Nerone ad Apollo. V . SuEioN. 1. c .;c fr. EcKHEL Doc/rwa M M M M i. Vi/. VI pp. 275-6. (3) Di questo brano (come di attri ancora det suo discepoto) mostra ricordarsi TEMtsTto netl'Ora/. X IX , composta dopota morte di Graziano, det 383, dove, con parote desunte da Giu liano, rappresentato Apolto in atto di tagnarsi dett'impudenza di Nerone: p. 2 2 6 C : .. dy/xeto ^

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tg tatfi'p. Ci poteva anche considerarsi vendetta del Nume per it poco rispetto che Nerone ave va avuto verso di Lui, distruggendone t'oracoto e distribuendo ai soldati la sacra pianura di Cirra : v. CASS. DtoN. LXIII 14. (4) Giutio Vindice, propretore detta Gattia Lugdunense negti ultimi anni di Nerone, non fu im peratore; ma in odio a Ne rone si ribell e offerse t'impero a Servio Sulpicio Galba, attora generale in Ispagna. Galba, Otone, Vitetlio regnarono pochi mesi ciascuno durante le guerre civiti che intercedono fra ta morte di Nerone e ['avvento di Vespasiano (68-9).

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7*ar/i 7/. -

^oM/fA; i ^a//r/c/M .

Dei? Qui soffochiamo dat fumo. Neanche han rispetto atta casa di Dio questi animati! ' (:). Attora Zeus, vol gendosi a) suo fratello Serapide (2) e additandogli 311 Vespasiano : * F a' venire su, presto, queUo spitorcio l daH'Egitto, a smorzare t'incendio (3). D e' suoi figli, it pi vecchio fatto trastuttare con t'Afrodite pub blica (4); il pi giovane legato, come it mostro di Sicilia, ad un coltare di ferro * (5). Entra dopo costoro un bel vecchio (6) poich, ben vero, la bellezza brilla talvolta anche in vecchiaia ,
(1) AHusione att'incendio dai Vitelliani appiccato a) Campi doglio, sede di G iove Ottimo Massimo; da 77/s/. 71-2 descritto e deplorato come/ac/MMi ^os/ comMam M riwt /Mc/MOi/ss/wMw tempio fu restaurato da Vespasiano (CASS. DtoN. L X V I 10). (2) D i questa divinit egiziana parta Giutiano pi votte, assimitandota a Ptutone-Ade : Ora/. V 136. (3) Tito Ftavio Vespasiano (69-79) era at comando dette le gioni in Egitto quando fu satutato imperatore. A v e v a invo cato ta protezione det dio Serapide (TACrr. 77//. IV 8 i , 84). * Spitorcio . (cr^txp/v^y) detto perch ['avarizia, e sp e cialmente t'asprezza con ta quate grav di tributi te province, consideravasi it suo unico peccato: SuETON. % $ / a i . 1 6 : s c/ a
M/, y w a M ir//o fH/^/M r, ^cwM/a^ cw ^ tiA /a i; CASS. DtON.

L X V I 8 , io , 14 . E non era peccato su cui Giuliano fosse disposto a transigere : v. sopra M?.Siayy/o 282 C , con ta nota a q. t., e cfr. TrayfM. Z^/i/. 2 9 0 C ; LtBAN. O r. XVIII 202. (4) Tito (79-8 1), chiamato per ta sua bont a m o r ;/ <&//c/ai gwMr/s /tKwan/. Ma si riprendevano te sue tascivie, gli MO/i/orMM f/ i/a</0MMW yrig-M, gli amori con ta regina Bere nice e con ta mogtie det frateHo (SuETON. 7*//. 7 ; CASS. DtON. L X V I 1 8 , 26). (g) Domiziano (81-96) qui paragonato a Falaride, it famoso tiranno di A grigento. (6) Marco Cocceio N erva (96-8) che sat al trono in et di circa sessantanni e non vi rimase che sedici mesi.

7/ 7.

CiM ar/ o /a /M /a i&< Sa/MrMa//.

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affabilissimo ne! conversare, giustissimo ne! trattare. Di !ui ebbe rispetto Si!eno, ed osserv i! sitenzio. Ma B Erm ete: ' E su questo *,g)i fa, ' non hai niente da dire? * < E come no, per Dio? Con voi io ho pa recchio da dire ; per ]a vostra ingiustizia. Dopo avere accordato a que! mostro omicida ben quindici anni di regno, uno appena ne concedeste a costui *. C * Via, non ti irritare ! * interviene Zeus. < Ne intro durr mo!tri a!tri, dopo questo, pur buoni * (i). Ed ecco arrivare Traiano con suoi trofei su!)e spa!!e, que!!o Getico e que!!o Partico (2). E disse a! veder!o Siteno, con !'aria di chi vuo! essere udito senza pa rere: * Adesso s, per i! signor nostro Zeus i! momento di fare attenzione che Ganimede g!i sia ben custodito ! ' (3). Dopo Traiano entra uno datta !unga barba, di aspetto D scuro e severo, appassionato, fra t'attre cose, dei versi e de!!a musica, scrutante con gti occhi spesse vo!te i! cieto e tutto ingolfato nei Misteri (4). Siteno !o

(1) P ar qui di sentire quello stesso respiro di soltievo che trae T A crro ^ r< co/. 3, vedendo " dopo quindici anni di omi cid i!, sorgere l'aurora di Nerva e di Traiano. (2) Memoria delle due principali campagne di Traiano. (3) Del vizio che Giuliano trova modo di rim proverare aM'oM*;wo principe non abbiamo che un breve cenno in C A ss . DiON. L X VIM 7 (! * T ttp i jii f p x

? &?7 !0 2).
(4) Pubtio Elio Adriano (117-38) fu il primo imperatore a portare la barba / vw/Mira ywa? y a o c Ma/Mra/<a iraw/ /i(Sp A R iiA N . /?a<%r. 26; C A s s . DtoN. L X V 1 H 15). Questo par ticolare interessava Giuliano, come si pu vedere dal M'soAnche lo interessavano e lo facevano simile a lui altri aspetti della Sgura di Adriano, cio l'amore della poesia e delle scienze; lo studio dell'astrotogia e della m agia; laten-

guarda e : * Che ne dite di questo sofista ? Non vi pare che cerchi, qui intorno, i) suo Antinoo ? (i). Avvertiamolo che il ganzo non da queste parti, e che la smetta di smaniare e di borbottare *. Qui la volta di un uomo savio (2): savio, dico, 313 non nei piaceri di Afrodite, ma negli affari di Stato (3). Quando Sileno lo ebbe adocchiato : * Uh, che gret tezza! Mi sembra di quelli che sminuzzano il cente simo (4), codesto vecchio 1 * Gli succede la coppia dei fratelli V ero e Lucio (5). E Sileno aggrotta le ciglia. Non aveva modo di scher-

denza al misticismo. Sappiamo, per es., che ad Atene si era fatto iniziare ai misteri Eleusini (SpARTtAN. /%!<&-. 13; cfr. CASS. Dion. L X I X ii) . (1) Ceebre amasio di Adriano, che, mortogli durante un viaggio in Egitto, egti pianse WM/Mrt'/fr. Inoltre lo pose nel numero degli Dei, istitu giuochi in suo onore, dedic a! suo nome una citt in Egitto. V . SPARTiAN. 14 ; CASS. DioN. L X I X 11. Naturalmente Giuliano intende burlare la deifica zione del giovinetto. (2) Antonino Pio (138-61). (3) Una frecciata alle debolezze amorose di questo virtuo sissimo imperatore, delle quati noi siamo per scarsamente informati (CAPITOLINO .^ /. 8 parta di una sua fO M fw ita), e soprattutto alte soverchie condiscendenze verso ta mogtie Faustina, donna di pessimi costumi. (4) Il greco ha un'altra frase proverbiate: tfva/ ^ot J o x f t<Bv tA (cfr. THEOCR. X 50). L 'a p punto, netta sua stessa forma, derivato da CASS. D ioN . L X X 3. Riguarda, non tanto ta tendenza a moderare le spese (egti era tiberate con gli amici : v. CASS. DiON. L X X 7), quanto la cura meticolosa che portava in ogni questione. (5) I due fratetti che Giutiano chiama V ero e Lucio sono: it primo, Marco Auretio V ero Antonino, noto cot semptice nome di Marco Auretio o di Marco Antonino (161-80); it se-

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aW Sa/MrKa/.

193

zare, n di canzonarti, specialmente Vero: sebbene anche in quest'uttimo scovasse te debotezze ond'era colpevole nei riguardi del figlio e delta moglie: della moglie, perch B la pianse oltre il dovere, tutto che non fosse neanche onesta (:); del figlio, perch gli lasci rovinare ['Im pero, pur avendo un genero meritevoe, it quate ta cosa pubblica avrebbe assai megtio governata, non solo, ma del figlio di lui si sarebbe curato forse pi che di s stesso (2). Sebbene, dico, queste pecche in lui riprendesse, ebbe tuttavia rispetto per la sua grande virt. Quanto at figlio, to tasci passare, perch non gli parve neanche degno de' suoi motteggi. Infatti C

condo Lucio V ero (161-9). Non erano fratelti che d'adozione, per essere stati entrambi adottati da Antonino Pio. It secondo fu chiamato a cotega det'Impero dat troppo buono Marco A urelio, sebbene non ne fosse veramente degno. Giutiano pare rendere om aggio atta perfetta bont di Marco, rappresentandoto in unione cot fratetto, com'egti aveva desiderato. (1) Faustina, fgtia di quett'attra Faustina che fu mogtie di Antonino Pio (v. sopra). Anch'essa era donna di non irreprensibiti costumi, tate da offrire materia di satira e di ca lunnia ai Comici contemporanei. It marito, per esercizio di bont, non si rassegn mai a dubitare di tei, che rimase, a suo modo di vedere, " ta sua ottima e fedelissima sposa Morta, ta pianse amaramente e ta divinizz. Giutiano pare accogtiere incondizionatamente te voci detta dissolutezza di Faustina, sebbene esse non abbiano poi grande consistenza: V. RENAN / ' pp. 169 sgg. (2) Commodo (180-92), fu t'attra croce di Marco Auretio; it quate non ebbe it coraggio di togtiergti ta successione, per mettendo che dopo un regno di onest e di virt, se ne ini ziasse uno di ferocia e d'insipienza. It genero era Ctaudio Pompeiano, marito delta prima fgtia di Marcaurelio, gi v e dova di Lucio Vero, Lucitta. Era uno dei pi autorevoti sena tori. Sutta sua saviezza v. speciatmente HERODtAN. I 6.

eg]i tosto a terra cascava, di per s, non essendo in grado di reggersi (:) e procedere a paro con g!i Eroi. Sussegue Pertinace, che piange in mezzo a! convito !a propria uccisione. La Giustizia, impietosita: * Non rideranno, no *, dice, < g!i autori di questo misfatto. Ma anche tu, Pertinace, non eri innocente, parteci pando, atmeno co] pensiero, alia congiura che fece perire il fgtio di Marco * (2). D Ed ecco Severo, uomo pieno di acredine, pronto a punire (3). Con questo qui *, fa Sieno, < io non mi fido. Mi spaventa que) suo umore nero ed intrat tabile ' E poich, intanto, cercavano di introdursi in sieme con ]ui anche i suoi due figtiuoli (4), Minosse di iontano ti imped. Quindi, avendoti megtio distinti t'uno datt'attro, tasci passare it minore: it pi vecchio to mand a pagare it Ho de' suoi misfatti.
(1) L e g g o f<?tan#at c o l CoBET " M n e m o s . , 1883 p . 365. (a) Publio Etvio Pertinace (193), chiamato att'Impero dagi uccisori di Commodo, fu trucidato dai pretoriani ribeHi in capo a tre mesi di regno. Nessuna dette fonti, che noi posse diamo, conferma ta voce da Giutiano raccotta, ch'egti fosse consapevote dett'uccisione di Commodo. L a morte di P e r tinace fu vendicata in questo senso: che gti autori di essa parte furono uccisi sotto Didio Giutiano (Leto e Marcia), parte (i pretoriani) furono cassati datt'esercito sotto S evero (Cxss. D10N. L X X I I I 16; L X X t V 1 ; HERootAN. H 13). (3) Lucio Settimio S evero (193 211), ta cui caratteristica in CAss. D:oN. L X X V t 16*7. A betta posta to scrittore satta Didio Giutiano, che comper t'impero dai pretoriani e non dur che un paio di m esi; come pure non fa it nome n di Clodio Albino, n di Pescennio Nigro, che ebbero potere e6mero. (4) Caracalla (211-7), soprannome di Bassiano, e Pubtio S et timio G eta; it quale uttimo, associato at trono, fu per ordine del fratello pugnalato nelte braccia stesse detta m adre (212).

/7/. - 7 Cesar)' /o

Sa/wr^aA.

195

E qu i,ecco Macrino,fuggiasco,macchiato di strage(i), 313 e it ragazzo di Emesa (2) : che sbito sono sfrattati dat sacro recinto. Poi it sirio Atessandro, che siede negti uttimi posti, in atto di deptorare ta propria sven tura (3). E Siteno to canzona e gti grida: * Oh, sciocco, oh, grande imbecitte ! Atta tua et non saper gover-

(1) Marco Opettio Macrino (217-8): " macchiato di s t r a g e ,, perch prese parte atta uccisione di Caracatta; "fuggiasco ,, sia perch, abbandonato dai soldati mentre m oveva contro it rivale Etiogabalo, si diede, travestito, alla fuga, e fu rag giunto e trucidato dai sicarii (HERODiAN. V 4), sia anche perch era stato sotto S evero rimosso da ogni ufficio e re legato in A frica (CAPtTOUN. *<. 4). Ma delle due spiega zioni ta prim a pi probabile, perch meglio risponde alla caratteristica di questo principe, tracciata in C A ss . DtON. LX X V IH 27 e /asMfM. (2) Eliogabalo (218-22), originario di Em esa in Siria, sacer dote del dio Baal. A v e v a quattordici anni quando sal al trono : HBROMAN. V 3 ; CASS. DlON. L X V IIl 36; L X 1 X 20. (3) Atessandro Severo (222-35), d'origine siriaca, imperatore assai migtiore dei precedenti, fu ucciso in una sotlevazione di soldati a Magonza in et di 29 anni dopo 13 di regno. L a colpa che Giutiano gli attribuisce di essersi lasciato gover nare dalla madre Mammea ; infatti, non solo egli fu per i primi anni sotto ta tuteta di essa, ma, anche in seguito, a lei sot topose la direzione del suo regno : per consiglio di lei compr dai Germani la pace ; it che irrit i soldati e provoc quel tumulto in cui madre e Sglio lasciarono ta vita. A ttra colpa: l'avarizia di Mammea, nelle cui mani erano tutti gli averi (HERODtAN. V I i, 9). It giudizio per degli storici sul regno di Alessandro discorde: v a dal Panegirico di Lampridio alla requisitoria di Erodiano. L'antipatia del nostro autore verso questo principe dipende forse anche da odio per i Cri stiani, a cui Alessandro tu favorevole. Giuliano si compiace di denominarlo S-o, non tanto perch con questo n om e si chiamavano talvolta i Cristiani, quanto perch dell'origine si-

B nare da te le cose tue, e affidare gli averi alla mamma, non persuaso ch' meglio regalarli agli amici che metterli in serbo * (i). Non importa -, dichiara la Giustizia : < tutti quelli che furono complici nel l'uccisione di costui, io li faccio punire * (2). Cos il ragazzo fu lasciato al suo posto. Allora viene dentro Gallieno in compagnia del padre: questo con le catene della prigionia (3) ; quello con C abbigliamento e mossa lasciva, come una donna (4). E Sileno al padre: Chi questo dat bianco cimiero Che t'esercito in campo conduce ? (5),

riaca segno di effeminatezza Alessandro aveva v e r gogn a: Syrw w s i < ?< c< M o/M tV, sii/ c mit/or/Mi (LAMPRtD. -Sfu. 44). (1) Com'era principio ed abitudine di Giutiano stesso : vedi 290 C, e cfr. sopra p. 190 n. 3. (2) Gaio Giutio Massimino, principate autore di questa ucci sione, dopo avere tenuto quatche tempo it trono, fu ucciso col proprio fgtio dai suoi stessi sotdati (238). P er disprezzo, forse, Giutiano trascura quetta ptebe di imperatori, che, com preso Massimino, si succedettero, in mezzo a contrasti e totte infinite, datta morte di Atessandro S ev ero (235) alt'avvento di Vateriano, padre di Gattieno (236), vate a dire : i tre G or diani, Pupieno Massimo e Batbino, Filippo Arabo, Decio, Treboniano Gatto, Ostitiano. (3) Vateriano (256-60), combattendo contro i Persiani, cadde prigioniero det re Sapore. Fu it primo imperatore cui toc casse questa sorte. La cattivit gti dur sino atta fine detta vita, tormentata con ogni sorta di ottraggi. (4) Gattieno (260-8) era giovane tibertino ed effeminato (TREB. PoLL. 9, (/ /. ty). Sileno gti rivotgeta pa rota in versi, volendo forse attudere atta passione di tuiper la poesia (TREB. PoLL. CaMiH. ri).
(5 ) E U R tP . 1 2 0 -1 .

///. - 7 Cfsar/ o /a /is/a

Sa/Mrna/.

197

canta, e a Galieno :
Tutto egli d'ori coperto, a) par di fanciulta tripudia (1).

Entrambi Zeus ti fece sgombrare da) banchetto. Sopraggiunge Ctaudio, e g!i Dei, non appena ve- D dono, son presi d'affetto per fatta e generosa anima sua, e garantiscono atta sua schiatta t'impero, tro vando giusto che i discendenti di un cos fervido amatore detta patria sieno conservati quanto pi possibite at governo (2). A tui tien dietro, di corsa, Auretiano, quasi scap pando a cotoro che to spingevano verso Minosse. Infatti, motti aggravii gti erano mossi di ingiuste uccisioni, ed atte accuse sfuggiva con magre giustificazioni (3).

(1) Parodia di ///< ?< ?. II 872. (2) Marco Aurelio Claudio, il Gotico (268-70), ritenuto pro genitore per tinea femminite di Costanzo I Ctoro e dei Costan tiniani. Giuliano stesso to celebra altrove: Ora/. 16 D, II 51 C. Certo, Claudio diede prova nel suo breve regno di note voli virt civili e militari, e si segnal per una grande vit toria sui Goti, a Naisso. " Amante detta patria detto, in particolar modo, per essere morto di pestilenza contratta al campo. L a promessa degli Dei di accordare alla sua discen denza t'Impero, ha fondamento in leggende e oracoli a cui accenna TREBELL. P o L L . Z?<v. C/a;/. 10. ( 3 ) Lucio Domizio Aureliano ( 2 7 0 - 5 ) govern con molta fermezza, forse pi, con crudelt. Lo scrittore allude atl'esecuzione capitale del retore Longino, ministro delta regina Zenobia, nonch di numerosi senatori e personaggi cospicui, i quali furono in varie occasioni messi a morte dal sospettoso imperatore. Si dice che tra i condannati fosse pure un suo nipote, o una nipote. V . Voptsc. 3 0 , 3 9 ; E u T R O P . IX 1 4 ; ZosiM. I 5 6 .

$8

/br/; //. - 0^ri//c

i M/<r<^.

314 Ma i) signore mio Soie, che sempre assisteva (), non gti fu meno favorevole in questa occasione, di chiarando apertamente davanti agti Dei : * E che ? Egti ha pagato it suo conto (2). O pi non vi sovviene t'oracoto da noi reso in Detfi :
Soffra it ma] ch'egti ha fatto : cosi ta giustizia si adempia ? (3)

Insieme con Auretiano arriva Probo, che, ricostrutte


B in meno di sette anni settanta citt, compiute motte

savie riforme, era caduto vittima di iniquo tratta mento (4). Ma gti Dei gti resero ogni sorta di onori e, particotarmente, chiesero it castigo dei suoi assas-

(1) L a madre di Auretiano era sacerdotessa det dio Soie (Voptsc. t. c. 4); e Auretiano stesso innatz at So/ /wv:*f/KS, che gti a ve va dato ta vittoria in Siria, un gran tempio presso ta viaFtam in ia(H O L SE N -JoR D A N pp.454 sgg.)Egti fu, anzi, ['istitutore de! cutto ufBciate di questa divinit, che si identifica con Mitra. Ci spiega ancor meg!io !a sim patia di Giutiano per tui. (2) Cadde vittima egti stesso di una congiura, mentre con duceva una spedizione contro ta Persia. (3) V erso attribuito a Radatnanto da A R ts T o i. . A 7<r. V 5, H 3 2 b; considerato come frammento di Esiodo (fr. 217 G.); .P arooM . g*r. i p. 396. A Giutiano probabitmente ispirato da
SENECA < 4^ 0 f 0 / 0f. 14.

(4) Marco Auretio Probo (276-82), vinse i Germani, restaur te fortificazioni dat Reno at Danubio; fu ucciso in Pannonia dai sotdati ammutinati a causa detta sev era disciptina che egti imponeva. L a cifra dette settanta citt ricostrutte si trova in una tetter di Probo stesso, riferita da Voptsc. .Proi. 15. Giutiano confrontava naturatmente t'operato di Probo con te proprie gesta in Gattia (v. sopra p. 66). Sono tratasciati, prima di Probo, due imperatori di poco conto, Tacito e F!oriano, che regnarono t'uno sei, t'attro due mesi (373-6).

///. - / C ciar) o /a /cs/a <^ Sa/Mrwa/;'.

199

sini (). Solo Sileno si provava a motteggiarlo, per quanto molti gli gridassero di tacere. Ma: * Lasciate *, egli dice, * che almeno, dall'esempio di lui, imparino a far senno i suoi successori. Non sapevi, o Probo, che nel mescere farmachi amari i medici adoperano C l'acqua di miele ? T u eri severo all'eccesso, sempre rigido, malleabile mai. L a tua sorte fu iniqua, eppur... naturale. Non la maniera, questa, di gover nare n cavalli, n buoi, n muli, tanto meno gli uomini : non concedere nulla mai di quel che a loro talenta; mentre persino i medici fanno qualche pic cola concessione ai malati, per averli poi, nelle cose D essenziali, meglio ubbidienti (2). < Che fai, babbuccio? * interrompe Dioniso. * Sei diventato filosofo ? * * E perch no, figlio mio ? * risponde. * Non lo sei diventato tu pure filosofo, sotto di me? (3). O ignori che Socrate, quegli che tanto mi assomigliava (4), fu il primo filosofo de' suoi tempi,

(1) Questi furono puniti dal successore suo, Caro, come narra Voptsco Crr. 6. per possibile anche che, secondo una versione riferita dal medesimo Vopisco /A?. 8, Giuliano ritenesse Caro complice deH'uccisione di Probo, e conside rasse quest'ultimo vendicato con la morte di Caro, avvenuta, secondo alcuni, per colpo di folgore (secondo attri per tradi mento o per improvviso morbo). Quanto at testo, respingo la tezione adottata dat Herttein : (com pim en to di <Mtxa 77#), e ritengo preferibite t'attra, suggerita datta vulgata, r< 5v (come comptemento di At^to). (2) D a PLATON. 659E-660A. Luogo comune nella retorica di quei tempi: v. THEMtST. Ora/. V 63 B. Cfr. HoRAT. Sa/. I 1, 25 sg. (3) Attusione atte teorie di cui sopra p. 184, n. 3. (4) XENOPH. Cowv. 5, 7 ; PLATON. CoMP. 32 p. 21$ ; IuLIAN. Ora/. V I 187 A .

200

f b r / 7/. -

/oA/fcAi e

se almeno credi nell'oracolo di tuo fratetto, che non mente ? (i). Sia ecito dunque anche a noi partare quatche votta su) serio, e non sempre in tono di scherzo * 3!5 Cost stavano fra toro diatogando, altorch Caro, che voteva insieme coi Agti infitare t'entrata det banchetto, fu cacciato via datta Giustizia (2) ; e quindi in bett'ordine si avanz Diocleziano, con seco i due Massimiani e mio nonno Costanzo (3). Si tenevano tutti e quattro per mano, quantunque non marciassero di pari passo ; perch intomo a Diocteziano gti attri forma vano come un coro, ossia cercavano di corrergti B innanzi e fargti da guardia di onore ; ma egti a ci si opponeva, non volendo nessuna prerogativa. Quando poi si accorse di essere stanco, ced a loro tutto intero it fardello che recava sutte spatte, e cam min da s, pi spedito (4). Gti Dei furono pieni di ammirazione pel buon accordo di questi principi, ed assegnarono a toro un posto ono-

(:) L'oracoto di Apotto delfico, che dichiar Socrate it pi savio degti uomini. L e g g o non (2) M. Aurelio Caro (282-3) si associ, come Cesari, i due Cgti, Carino e Numeriano, che per breve gti successero dopo ta sua morte. It regno di Caro non fu veramente riprovevote, ma forse Giutiano credeva atta compticit di tui nett'assassinio di Probo: v. sopra p. 199, n. 1. (3) Tetrarchia costituita da Aur. Val Diocteziano (284-305) e M. Vat. Massimiano detto Ercutio, augusti, e da Massimiano Gaterio e Ftav. Costanzo detto Ctoro, Cesari. Costanzo Ctoro, che divenne poi imperatore augusto (305-6), fu padre di Costantino it Grande. (4) Attude att'abdicazione di Diocteziano e at suo ritiro in Datmazia. L a motivazione che di questo fatto d to scrittore, non ammessa da tutti gti storici.

777. - 7 Cesar/ o /a /<rs/a <^ Sa/MrMa/'.

revole, sopra mo)ti dei convitati : eccettuato uno dei Massimiani, incorreggibie peccatore, cui la mensa dei re non pot accogtiere ; n Sileno )o stim pur degno C de' suoi motteggi (i). Poich, non soto egti era nei piaceri di Afrodite rotto ad ogni tibidine, ma anche turbotento e steate, e non comptetamente intonato att'armonia del nostro quartetto. L a Giustizia quindi si affretta a metterto atta porta; ed egli va, da qua! parte non so, perch dimenticai di chiederne pi pre cisa informazione ad Ermete. Dopo questo cos invidiabite quartetto, vien fuori un terribile, aspro e indiavotato sistema (2). Ai primi D due (3) ta Giustizia non lasci neanche toccare it ve stibolo detta sata destinata agti eroi ; Licinio, giunto fin su) vestibolo, poich faceva ogni sorta di scom pigli, to cacci via, senza indugio, Minosse. Costan tino invece entr dentro, e vi pot restare, atquanto

(1) Probabilmente Massimiano Erculio: sebbene anche l'altro non fosse immune dai vizii ivi descritti. Ma v. che cosa det primo dice EuTRono B r w . X 2-3: vt'r oWMCW (<&tt<ftos di Giutiano), M !o<?M S, ctWMafts fx^ irs; e it quadro che detta sua '/ fa LATTANzto D i wor/e /vrsefM/. VHI. In particotare, Giutiano considera riprovevole e " stonato ^ il tentativo da lui fatto di riprendere ta porpora dopo che aveva abdicato insieme con Diocleziano net 305. (2) Gti imperatori, augusti e Cesari, che si conso ciaro no e alternarono dopo ['abdicazione di Diocleziano; particotarmente: Massenzio, fgtio di Massimiano Erculio (306-12); Massimino Daza, nipote di Massimiano Erculio (307-13) ; Licinio (307-24); Costantino il Grande (306-37). (3) Massenzio e Massimino Daza.

302

.Par/; /7. - 0/;//

e iaAWcAi.

tempo,seduto (i); poi,appresso a tui, i suoi fgtiuoti (2). 316 A Magnenzio (3) era vietato ]' ingresso, perch nutta aveva mai fatto di veramente ragionato ; e, sebbene motte dette sue azioni paressero non prive di sptendore, tuttavia gti Dei, conoscendo che anche queste non erano frutto di una sana disposizione di mente, to mandarono a piangere, fuori detta porta, ta sua disgrazia. * * Tate adunque era ['imbandigione det convito, net quate gti Dei non mancavano veramente di nutta; perch tutto Essi hanno in toro potere. Soto, Ermete propose di fare una specie di esame agti imperatori ; n ci era contrario atte intenzioni di Zeus: tanto pi che Quirino gi era a pregarto che gti permettesse di B far satire quatcuno dei suoi successori t, presso di s. Senonch Eracte, a questo punto : * Non to totterer io, no, o Quirino t Perch anche it mio Atessandro

(1) Ci indica (orse, attegoricamente, it periodo di tempo in cui Costantino rimase ancora tegato at Potiteismo ed onor di speciate cutto it Sote (di che fa cenno Giutiano stesso Ora/. VI! 228). V. PRAEGER " Herm es , X X X V I (1903) p.457. (2) Costanzo II (337-61), t 'immediato predecessore di Giu liano, e i frateHi: Costantino H (Ano at 340) e Costante (fino at 35)(3) Era ufHciate nett'esercito di Gattia, quando fece uccdere t'imperatore Costante e assunse ta porpora. Fu poi sconftto da Costanzo II netta battagtia di Mursa e costretto, dopo attre vicende, a darsi ta morte (353). Giutiano ne aveva trat tato, in tono un poco diverso, nei Panegirici di Costanzo.

///. - / C iiar: o /a /is/a aM Sa/wrMa/i.

203

non !o hai invitato a banchetto (t)? A te, oZ eu s, io mi appetto: se tatuno di questi eroi hai stabitito di chiamare atta nostra mensa, fa' venire Atessandro. Sarebbe forse giusto che, mentre stiamo per esami nare, comptessivamente, i vatorosi, tasciassimo da parte it pi degno tra essi ? * A Zeus parvero giuste te parote det fgtio di Atc- C mena. Ed arrivato, in mezzo agti eroi, Atessandro, n Giutio Cesare, n attri si tev da sedere. Egti, tro vata una sedia vuota quetta che it figlio di Severo (2) aveva presa per s, ma era poi stato cacciato perch fratricida , vi si assise. E Siteno, dando ta baia a Quirino : * Attenzione *, dice, * che i tuoi, tutti assieme, non perdano di fronte a questo Greco da soto! * * Perdio *, risponde Quirino, * io penso invece che motti de' miei non sono punto punto a tui inferiori. ben vero che a ta] segno questi miei discendenti hanno ammirato Atessandro, che tui soto, fra quanti D furono generati forestieri, nominano e considerano Grande. Non intendono per giudicarto superiore ai toro stessi compaesani : sia per amor proprio, sia..... perch reatmente cos. Ma ci sapremo a momenti, dopo fatto t'esame Net proferire quest'uttime parote,

(1) Circa i rapporti che ta leggenda istituiva fra Eracte e Atessandro ricorda TEocRtTo X V II 18 sgg. (a) Caracatta: v. sopra p. 194. Che A lessandro occupi proprio i! posto [asciato Ubero da Caracalta non senza ra gione. Infatti, serve a significare immaginosamente il cutto che quett'imperatore ebbe per il Macedone e l'imitazione che ne fece in tutti i suoi aiti. Vestiva alla macedone, si faceva ritrarre nette medaglie con l'effgie di Alessandro, riempiva i suoi palazzi e te citt di statue d i questo eroe. V. HERODtAN.

IV 8.

904

fa r/ ? 77. -

Quirino arrossiva. Evidentemente eg!i aveva timore per i suoi, che potessero riuscire secondi nella gara (i). 317 Qui Zeus pose agli Dei il quesito, se tutti quanti convenisse sottoporre alla lotta, ovvero seguire il co stume degli agoni ginnici, dove il vincitore di un altro che molte palme abbia riportato, sebbene vinca questo solo, si considera ugualmente superiore a coloro che non lottarono punto con lui, ma furono da meno del vinto. A tutti, questa seconda maniera di giudicare parve B la pi acconcia. Quindi E rm ete, da araldo che era, chiam Giulio Cesare, e, dopo di questo, Otta viano, poi Traiano per terzo, come i pi guerrieri. Senonch, fatto silenzio, re Crono, volgendosi a Zeus, si dichiar meravigliato che soltanto imperatori guer rieri fossero scelti alla prova, e nessun filosofo. A me *, soggiungeva, * questi qui piacciono non meno C degli altri (2). Ors, chiamatemi anche Marco Aurelio! * Cos anche Marco Aurelio, chiamato, si present, tutto grave di aspetto, con gli occhi e il viso un poco avvizziti, ma in ci appunto manifestando una insu-

(1) L'opinione che Atessandro potesse vincertasuquatsias Romano profondamente radicata net nostro autore, che pure era Imperatore romano. V . LI (^/< ^ 4/^<-<):

!? x3 v '.Pa^a/oty tiy

? /

Notevote poi che questa, che qui opinione, diventa reatt di fatto nette biografe medievati e romanzesche deU'eroe, dove i Romani sono da tui vinti. Contraddice a L tvio V ili 17-8. (2) Conforme at suo carattere di dio pacifico e padre del secoto d'oro, secondo interpretazioni ptatoniche. Particotarmente T-cg*. IV 713 C sgg.

77/. - 7 C?sar< o /a /es/a <^<

205

perabite bellezza, nell'offrirsi senza sfarzo, senza or namenti. A veva ia barba densa e prolissa; abiti mo desti e serii; il corpo, per penuria di nutrimento, trasparentissimo e perlucidissimo, come direi D ta pi pura, la pi immacolata delle luci (i). Quando anche lui fu entrato nel sacro recinto, prese la parola Dioniso : * V i pare, o re Crono e Zeus padre, che possano ammettersi dagli Dei cose men che complete ? * E quelli avendo detto di no : 'D u n q u e * , riprese, * perch non ne faremo venire anche uno allegro, amante del lieto vivere ? * E Zeus : < Ah, no ! non dato di mettere il piede qui dentro a chi non segua i nostri principii *. ' S e solo per questo *, ribatte Dioniso, * lo si faccia venire all'entrata, e l lo si giudichi. Dunque, se siete d'ac cordo, io ne conosco uno che, non inesperto nelle 318 cose di guerra, per assai pi approfondito nei piaceri e nei godimenti (2). Venga, non oltre il vesti bolo, Costantino ! * Ci approvato, rimaneva ancora da deliberare la forma del dibattito. Ermete proponeva che ciascuno a turno parlasse delle proprie azioni, e poi gli Dei dessero il voto. Ma non pareva ad Apollo che questo

(1) Ben nota ]a sobriet e l'astinenza di Marco Aurelio che dall'et di 12 anni si era sottoposto alla pi rigida disci plina stoica con pregiudizio della sua stessa salute (v- sp e cialmente Co;;:??!. I 3; CAss. DtoN. L X X I 1, 6, 34, 36; CAPtioL. Ji. 4; e qui avanti p. 230-1). Il " corpo trasparentis simo e perlucidissimo ricorda le parole di M. Aurelio stesso CowMt. X j ; "... o anima pi diafana del corpo materiale che t avvolge (2) P e r tale giudizio su Costantino v. alla 6ne, p. 232-3.

ac6

fa r/ ? 77. -

B modo garbasse, perch diceva di verit, non di arte suasoria o di astuzia si fa questione da parte dei Numi. Senonch Zeus, che voleva compiacere ad entrambi e, in pari tempo, proungare di pi in pi Radu nanza : * Nu)]a vieta -, dice, * che si tascino arringare, misurando a ciascuno una piccota razione d'acqua (:), e poi si interroghino ammodo e si saggino i profondi C pensieri d'ognuno *. E Siteno, scherzando: <Purch Traiano ed Atessandro, prendendola per nettare, non si tracannino tutta quett'acqua, e non tascino g!i attri att'asciutto ! * Ma Posidone : < Non detta mia acqua, s de! tuo liquore andavano pazzi quei due signori (2). D M pericolo dunque pi per te tue proprie viti, che non per te mie fontane Siteno, scottato, non fiat pi, e rivotse, da questo punto, tutta ta sua attenzione ai contendenti. Ermete faceva da banditore (3):
S 'ap re una gara Che a) vincitore Gioia prepara D'ambiti onor. E tempo, via! Che ormai si ascotti La voce mia Di banditor. (1) Allusione atta ctessidra, con cui fissavano it tempo agti oratori. fa) Una prim a frecciata contro it vizio det bere comune a quei due imperatori; su cui torner, pi particolarmente, appresso. (3) Che i bandi negti agoni ginnici si facessero di sotito in versi indica LuctANO 7^. e DimoM. 65 p. 395. Questa che segue una parodia o un centone in sistema anapesdco

77/. - 7 CfSaW o /a

*< Sa/MrKa/t.

Voi che una volta, Imperatori, Osaste motta G ente asservir, E, guerreggiando, H fine ingegno AI par del brando Crudele acuir, Ora ad eguate Lotta sorgete. O r quet che vate Dimostri ognun t Che ta sapienza Fosse to scopo Dett'esistenza P a rv e a tatun. Attri i nemici Di motti mah, Di ben gti amici A m cotmar. Tate in conviti G oder ta vita, D'oro e vestiti Gran sfoggio far, At braccio in cima Cinger moniti Stim ta prima Feticit. Ma dett'agone A chi pi spetti It guiderdone G iove dir. con versi in parte desunti datte proctamazioni dei giuochi olimpici (i primi e gli ultimi), in parte da poeti varii che ora possediamo, ora no : it tutto cucito con intonazione burlesca. I primi tre versi ricorrono pure in LuctANO I. c. (da cui forse erano al nostro autore direttamente suggeriti); vediti in C arw . i? Hitter-Crusius.

319

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f a r /; / / . - 0^o*;//i /o/McAi i sa/<r<fAi.

Mentre Ermete faceva questa sua proclamazione. i chiamati venivano tratti a sorte. Ora: come avvenne che it caso meravigtiosamente cospir con la smania di Cesare d'essere il primo? Ci finiva per renderlo sempre pi tronfio ed altezzoso, mentre Alessandro stava per fuggire a dirittura il giudizio, se Eracle, confor tandolo, non io avesse trattenuto. Cos ad Alessandro tocc di parlare secondo. Per gli altri le sorti com330 binarono, ordinatamente, coi tempi d'ognuno. Cominci dunque Cesare cos: * A me, o Zeus e iddii (i), in cotale citt avvenne di nascere e in mezzo a cos grandi uomini (2), che niuna ebbe mai eguale potere sutla terra, e tutte si appagherebbero di tenere, dopo di essa, il secondo posto (3). E, per vero, quale citt, da un principio di B tremila abitanti, in meno di seicento anni giunse con t armi ai confini delta terra ? Quat popoto diede tanti uomini insigni, vuoi netta guerra, vuoi netta tegistazione? Quale onor a tat segno gti Dei?

() Con questa invocazione cominciano, nessuno eccettuato, i discorsi dei varii imperatori che si succedono atta tribuna, proprio come con ta formuta < S dMpty !4#<7vatot le orazioni di Demostene. It tono atquanto sostenuto, secondo te teggi detta retorica e con scopo tievemente parodico. Ci ho cercato di conservare pur netta versione. (2) L egg o ; drJ(ii<7i in luo^o dijM^t <?v(!pa$ dei Mss. e dette edd. (/0$/ /a/ f/aros v/ros) che non d senso soddisfacente. Cfr. poco appresso, dove fautore ripete, con diverse parote, it medesimo concetto: to<rat!ty xai ny^xavtp /. (3) Cfr. Ora/, t 8 C, dove quest'onore, di essere seconda, Giutiano to ascrive atta sua propria patria, Costantinopoti.

77/. - 7 G?saf

o /a / is fa ? Sa/MrwaA.

209

Ordunque io, nato in una tate e cos popotosa citt, non soto i miei contemporanei, ma gti uomini di tutti i tempi sorpassai con ta gtoria dei fatti. E de' miei concittadini ben sono sicuro che nessuno viene a disputarmi it primato. Ma, poich c' t Ates- C sandro che ne mostra t ' ardire, oh, quate dette sue imprese io domando pretende egti paragonare atte m ie ( i) ? Forse ta spedizione di Persia, non pen sando atte tante vittorie da me riportate su Pompeo ? E poi, quate era pi vatente stratega, Dario o Pompeo? E quate dei due era scortato da pi poderoso eser cito? I pi betticosi fra i popoti che avevano servito Dario, ti traeva anche Pompeo a) proprio sguito, D ma come it rifiuto dett'esercito (2); perch egti gui dava, inottre, i sotdati d 'Europa, quetti che spesse votte rintuzzarono gti attacchi dett'Asia, e, fra essi, i pi prodi : gti ttatiani, gti Htirii, i Gatti. E poich ho fatto menzione di questi uttimi, dovremo dunque atta guerra Getica di Atessandro paragonare ta nostra

(1) It paratteto che qui comincia fra Cesare ed Atessandro e gti attri successivi sono particotarmente ispirati da PLUTARCO, nette rispettive biografe; v. pure it trattato 72%^ 4/axaKi/r. A7. /or/MMa aw? v<r?w/i. A nche ApptAN. 7?W /. trt'u. II 149 sg g. ha un confronto fra i due predetti. Mi pare poi abbastanza evidente non ostanti te denegazioni di GEFFCKEN ATa<ser _ / # . p. 149 che il nostro autore avesse presente per l'intonazione generate, nonch per l'imitazione di quatche singoto punto (v. p. 217, 226), LuctA N O Dt'a/. mor/. XII-XIV. (2) . /iot'pjt dice it testo ; perch i Carii, essendo stati i primi a prestarsi in servizio mercenario, erano caduti in tanto dispregio da diventare, proverbiatmente, sinonimo di sotdati viti e dappoco. Cfr. Ora/. II 56 C ; T m m s i. Ora/. II 27 A .
14

aio

V/. -

/o/MfAt ; io/<r<c^.

conquista detta Gattia ? Egti una votta pass it Danubio, io due votte it Reno. E di qui te mie guerre Ger maniche. A tui neppur uno and contro: io ebbi a 321 giostrare con Ariovisto (). Primo fra i Romani osai spiegare te vele fuori de! mare Nostro: e se quella guerra, comecch ammirevole per !' ardimento, non ebbe in realt nulla di straordinario, rivel tuttavia, in me, un gran fatto: l'essere io balzato per primo gi datta nave (2). Taccio degli Etvezii e degli beri; n m'indugio a raccontare ci che feci in Ga!!ia, dove soggiogai pi di trecento citt, uomini non meno di due milioni. Dir invece che, dopo essere state ta!i e tante )e mie gesta, quelta che ancora segu fu pi B grande e pi audace: che, dovendo lottare coi miei proprii concittadini, ti domai, questi indomiti e invitti Romani. * Sia dunque che vogtiate giudicare datla moltitu dine dette battagtie, io tre volte pi ne combattei di quante vanno per Atessandro boriando i magnificatoti dette sue gesta; sia datta moltitudine delle citt sog giogate, io, non solo !a maggior parte di quette de!C !'Asia, ma attres deH'Europa ho sottomesse. Alessandro

(1) Sutta spedizione di Atessandro contro i Geti e sut pas saggio de! Danubio (335 a. C.), che ebbe veram ente poca im portanza, V. ARRfAN. ! 1,4-5; Pt-UT. -4 /. I i ; STRAB. V I! 301. Cfr. BELOCH Gr<ef%. G;sfA. !I pp. 617-8. (2) Attude atta spedizione in Britannia. Per come fu osservato datto Spanheim ta memoria tradisce questa votta t'A., perch it fatto di essere batzato per primo datta nave CESARE D i gw//. IV 25 non to attribuisce a s stesso, bens a! signifero detta X tegione. Invece una tate pro dezza aveva compiuta proprio Atessandro nett'attraversare t'Ettesponto: v . ARRiAN. I n , 7.

/77. - 7 Cisar< o /a

211

l'Egitto lo attravers da viaggiatore; io, mentre attestivo banchetti, )o debettai (:). O volete ancora esa minare chi dei due us pi clemenza dopo ta vittoria ? Io perdonai perfino ai nemici ; e ne fui ripagato in quet modo di cui ta Giustizia divina sapete ebbe a trarre vendetta (2). Egti, nonch ai nemici, non us grazia neppure agti amici (3). Dunque, ancora D sarai capace di disputarmi it primo posto? E non sgombrerai tu pure di qua, insieme con gti attri? E mi costringerai a ricordare come aspramente tu trat tasti i Tebani, umanamente io gti Etvezii? T u te citt dei Tebant te desti atte Camme (4) ; io te citt, dai toro stessi abitatori incendiate, ricostrussi. Inoltre: era proprio ta stessa cosa battere dieci migliaia di Greci, e vincere l'urto di centocinquantamila ribetli? * Motte cose mi rimarrebbero a dire, e di me e di 333 costui ; ma, poich non ebbi it tempo di preparare abbastanza it mio discorso (5), necessario che por-, tiate pazienza, e, dalle cose dette ricavando un corri-

M Sono noti g'intrighi mediante i quati, dimorando presso Cteopatra, Cesare riusc a rendere pi che mai effettivo it dominio romano in Egitto. (z) Cio con ta congiura di cui cadde vittima. Ricorda forse quet verso di Pacuvio che fu cantato ai suoi funerati:
M r v a i M M? MSiM/ yw) SuETON. CiMS. 84.

(3) Vuot dire speciatmente dett'amico Cito, che Alessandro uccise nett'ebbrezza. Su che insister pi avanti. (4) Avvenim ento infatti che produsse sui contemporanei fortissima im pressione: T eb e distrutta, e i suoi abitanti, pi di 30000, deportati in Macedonia e venduti schiavi (335 a. C.). (5) Giutiano non vuote affatto signiBcare che C esare non fosse esperto oratore, poich anzi di ci to todano e Cicerone 252) e Quintiliano (X 1, 114); ma soto rileva ta sua

312

V/. -

spondente ed equo giudizio anche intomo atte non dette, mi assegniate it primo posto *. Mentre cos Cesare partava e ancora era su! punto di proseguire, Atessandro, che a stento erasi fino attora frenato, non ne pot pi e, quasi scoppiando, con B ansia e precipitazione : < Ma fino a quando *, grid, o Zeus e Iddii, debbo io totterare in sitenzio ta tracotanza di costui ? Non ha timite voi to vedete ! n nette todi a s stesso, n nette bestemmie verso di me. Eppure, sarebbe stato, forse, suo dovere aste nersi con ogni cura tanto datte une quanto datte attre : poich entrambe penso sono simitmente odiose, ma pi che tutto, quet denigrare te mie gesta, tui C che ne stato imitatore. S, egti giunto a tate di impudenza da sputare sui modetti dette sue stesse azioni. Ah, tu dovevi ricordarti, o Cesare, quette tati tacrime che hai versate un giorno, nett'udir partare degti infiniti monumenti consacrati atte mie gesta gtoriose (i). Ma a tanto ti ha fatto satire, dopo d'attora, Pompeo : Pompeo che, vantato dai suoi conD cittadini, non fu in reatt mai niente di niente, infatti at suo trionfo Africano, impresa non grande davvero, diede tustro e risatto nutt'attro che finettitudine dei

abitudine di non partare att'improvviso. Netta battagtia di Munda, ad es., non aveva avuto tempo cw </)f<<zfR aa* *M tM%s: Su E T . 55 .

(i) Trovandosi questore in fspagna e vedendo a Cadice una statua di Atessandro pianse : y tia s t <^M avw ! sa*w, /;// M MMMoraMi ac/M W issi? tw yn<! MW o rirm fe rra m m (SuETON. 7). Vedi anche P u rrA R C H . <w /. 4, 206 B.

/7/. - 7 Cesar: o A: /es/a

5a/MrKaA'.

213

consoli allora in ufficio (1). La guerra Servile poi, quella famosa guerra neanche fatta contro uomini, bens contro gl'infimi strati della schiavit, attri la condussero, i Crassi ed i Luci : il nome e il grido l'ebbe Pompeo (2). L'Arm enia e i territorii limitrofi ti debell Lucutto : ma chi trionf ? Pompeo (3). Per questo lo 323 incensarono tanto i suoi concittadini e lo denomina rono Grande... sebbene, di quale dei suoi predeces sori pi grande ? Che cosa oper egti di paragonante a Mario, o ai due Scipioni, oppure a Furio che, per avere risotlevato l'Urbe gi quasi abbattuta (4), merit di sedere qui presso a Quirino? Costoro non gi ad opere attrui come degti edifici pubblici che, da altri progettati ed attuati, arriva poi ad iscrivervi il B

(1) Pom peo era semplice cavatiere quando fu mandato in A frica, nett'8i-o a. C., contro it partito di Mario ivi alleatosi con Iarba, re di Numidia. Consoli erano M. Tutlio Decuta e Cn. Cornelio Dotabetta. In breve tempo it giovane ufBciate riusc a sconfggere gti avversarli. L'onore det trionfo gti fu accordato, non senza contrasti, it marzo det 79. (2) Infatti a domare la sottevazione di Spartaco (73-1 a. C.) furono mandati speciatmente Lucio Gettio, consote det 72, e Marco Crasso, pretore, it quate ultimo distrusse in Lucania e in Aputia quasi tutte le forze avversarie: dove anche S p ar taco mor. Coi superstiti ebbe a combattere Pompeo. (3) Su questo trionfo ( 6 i a. C.) v.: PLUT. 45; A ppiA N . M 7. H6-7. Effettivamente ta guerra contro Mitridate e l'A r menia era stata da Licinio Lucutto condotta a buon punto, quando per odio di parte egti fu richiamato e privato det frutto dette sue vittorie. Gti sostituirono Pompeo. (4) Furio Camitto, it vincitore dei Galli (390 a C.). Cfr. Ora/. I 29 D. Giutiano aveva presente un brano di TEMtsno Ora/. (composta net 357) 43 C : ^<</.0' oi
o/xMynyv, /.ft't'.'iirti yjyy fi yi-

214

//. -

^oM'f/ % sa/<'wAi.

suo nome un nuovo magistrato che spesso ha so)o dato un po' d'intonaco ai muri non cos, dico, ad opere altrui questi hanno dato it toro nome (t). Fu rono architetti e operai essi stessi, e mostraronsi delia loro fama interamente degni. < Nessuna meraviglia dunque che tu abbia superato Pompeo, uomo tutto intento a curarsi la chioma (2) e, nel rimanente, volpe assai pi che leone. Difatti, quando la Fortuna, che per l'innanzi gli era stata ai fianchi, lo disert, facilmente tu avesti vittoria su lui C solo. Ma che non per alcuna virt tua sii rimasto vincitore, chiaro. Pensa che, lasciatoti sorprendere in penuria di provvigioni errore non piccolo, tu sai, per uno stratega! , e impegnata battaglia, fosti sopraffatto (3). Che se Pompeo, per imprudenza o in sensatezza o perch non poteva tener a bada i suoi concittadini, non differ la battaglia, quando era d'uopo tirare in lungo la guerra, n, vincendo, incalz la vittoria, vuol dire che cadde per i suoi proprii sproD positi, non certo per i tuoi stratagemmi (4).

(1) Cfr. a 267 B. (2) < 5 :<! ^- dice it testo, ricavando da Pt-. 7 *ow^. 48. Cfr. anche T*raff. re#.' 4, 800 E ; SENEC. CoM/rov. VH 4 ,7 ; X 1,8 . L'espressione era proverbiale per significare effem inatezza: v. IuvENAL. fX 133: SM/^MH/ M M O fa//, e SCHOL. '?.; LuCtAN. T?/M/Or. II A questo luogo dell'im peratore pensava AMMtAN. X VII 1 1 ,4 : :M oMrfc7a/or?s... <6aff ois??ra:wMM/ /a'/ir/osa < r/ A-r/ZayKO<?gYMKt'MO ^Mot/aw! w o ri f a^/ ^<y<7o co apiAa/.(3) A Dirrachio (48 a. C.). Sulle circostanze della battaglia : PLUT. CaM. 39. (4) Vale a dire, che fu condotto a!!a sconfitta di Farsalo p er non avere saputo sfruttare la favorevole situazione crea-

/7i. - / Cinar; / / ii/ a i/f:

21g

< invece i Persiani, come quelli che con saggezza e perfezione eransi in ogni cosa apparecchiati, piega rono per effetto de] mio solo valore. E poich non di riuscire semplicemente, ma di riuscire secondo il Diritto dev'essere la cura di un prode e di un re, io le guerre persiane le impresi soltanto per difesa e rivendicazione degli Etteni, e se contro ad Elleni ebbi pure a muovere guerra, non fu per offendere l'Eltade, s per fiaccare coloro che al mio proposito di rivendicazione sul nemico persiano attraversavano il passo. Tu, al con trario, mentre combattevi in Germania ed in Gallia, ti 324 preparavi ad assalire la tua propria patria : del che, io domando, c' nulla al mondo pi scellerato ed in fame ? < Ma poich con aria di scherno hai menzionato le " dieci migliaia di Greci ,, io non star ora dirti, quantunque bene lo sappia, che voi stessi, o Romani, siete originarii di qui, e che il pi della vostra Italia la colonizzarono i Greci (i). V i chieder invece : perch di quegli stessi Greci un piccolo gruppo, gli Etoli, a voi confinanti, faceste gran conto -di averli amici ed B

tasi a Dirrachio. Questa critica desunta da Ptutarco stesso . c. e p. 206 D. A nche in CtcERONE Pompeo , a un certo tempo, (aa* ,4//. VII 13 a, 1 e (1) Questo concetto, che i Romani derivino dai Greci sia p er razza sia per costituzione, profondamente radicato netta mente di Giutiano. V . Ora/. IV 152-3: particolarmente,

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tt/af. D'attronde era un concetto abbastanza diffuso, e costi tuiva ta tesi fondamentate dette S/or di Dionisio d'Aticarnasso, fatta per concitiare ['ammirazione detta Grecia con la necessit di esaltare l'impero di Roma.

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.Par/ /7. -

/o/M fA; sa/<r<fA;.

alleati? e perch, lottando con essi, solo dopo gravi difficolt giungeste ad assoggettarli (:)? V oi che, mentre l'Ellade gi declinava per cosi dire verso la vecchiaia (2), stentatamente resisteste, non gi alla nazione intera, ma ad una sua piccola parte quasi ignota sul Horire dell'Ellenismo : quale figura avreste C fatto se vi fosse toccato di combattere contro gli Elleni fiorenti e concordi? Anche per Pirro, allorch sbarc contro di voi, sapete bene il terrore che pro vaste! Che se la mia vittoria sui Persiani tu la stimi un'inezia e strapazzi un'impresa cos grandiosa : quella certa regione piccola piccola a! di l del fiume Tigri e tenuta dai Parti, di' un po', per quale motivo, in pi di trecento anni di lotta non siete riusciti a doD maria (3)? Vuoi che te lo dica io? V i respinsero le frecce persiane. Delle quali qualche notizia potr darti Antonio, l'alunno tuo in strategia (4). Io, in meno di dieci anni, oltrech dei Persiani mi resi signore degli Indi. Dopo di ci, osi contendere con me, che fin da ragazzo, alla testa degli eserciti, compii tali gesta la
(1) A lleati in varie guerre, specialmente nella H Punica e netta guerra contro Fitippo; vinti e assoggettati da M. Futvio Nobitiore net 189 a. C. (a) V. -Sagy/o p. 56 n. 3. (3) Cot computo dei trecento e pi anni di totta Giutiano intende riportarsi sino ai proprii tempi. Egti ha in animo gi ta spedizione contro ta Persia, con ta quate orM<WMM/ts < 7/-

gVortarMM /nsfrifi far/Atti

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(. X X II 12, a). E si propone di imitare A tessandro:

v . sopra a 7 <rw. p. !i8 n. 1. (4) Antonio era stato tuogotenente di Cesare in Gattia e comand a Farsato fata sinistra dett'esercito. Ne! 36 a. C. fu sconftto dai Parti, perdendovi gran parte det suo esercito.

777. - 7 Ccsart* / /cs/a <&:' Sa/Mrwa/.

217

cui memoria, quantunque non adeguatamente iHustrata dagli scrittori, vivr tuttavia immortale a) pari di quetta d'Eracte invitto, mio re, det quate fui cos fervido 325 seguace e ammiratore? Poich, mentre non ero infe riore ad Achitte, dat quate trassi t'origine (1), Eracte veneravo e seguivo da presso, come pu un uomo naturatmente sull'orme di un Dio. < O Dei, quanto doveva dirsi in mia difesa contro costui (sebbene megtio era neanche curarsi di tui) detto (2). Che se quatche atto di rigore fu da me B tatvotta compiuto, non fu mai contro innocenti, s contro persone che spesso e in motte cose mi ave vano offeso, o che non avevano saputo n scegliere it toro tempo f) agire convenevolmente. Quanto a questi ultimi (3), gi il mio fallo fu seguito dal Pen timento, spirito veramente divino che redime il pec catore ; quanto agli altri, che a moltiplicare odii ed of- C fese quasi presero gusto, non credo di aver fatto cosa ingiusta punendoli *. Quando Alessandro ebbe anche lui pronunziato, in vero tono guerresco, questo suo discorso, it famiglio di Posidone port ad Ottaviano la clessidra, versan dogli acqua un po' meno che agti altri, non solo per ragioni di tempo, ma pi specialmente perch gli serbava rancore dell'arroganza sua verso il Dio (4). E

(1) Secondo la mitica genealogia degli Eacidi, cui egli ap parteneva per parte di madre : PLUT. 2. (2) Imitazione, forse, di LuctANO 7)<a/. Mior/. XII 4. <3) A llude specialmente a Clito da lui ucciso e poi amara mente rimpianto. (4) Narra SvETomo t6 che avendo Ottaviano perduto,

D Ottaviano, che, scaltro com'era, aveva perfettamente compreso, rinunziando a fare parola delle altrui azioni: * to *, disse, * o Zeus e Iddi, mi asterr dal denigrare e dal rimpicciolire le cose degli altri, e tutto il mio discorso consacrer all'opere mie (:). Ragazzo, mi trovai a capo della mia citt, a! pari che l ' egregio nostro Alessandro ; analogamente guerreggiai con fe326 lice esito contro i Germani, come mio padre Cesare (2). Implicato poi nelle guerre civili, debellai l'E gitto in battaglia navale ad Azio ; Bruto e Cassio in battaglia terrestre a Filippi; e la disfatta di Sesto Pompeo la aggiunsi a semplice corollario di questa campagna. Alla filosofia mi dimostrai talmente docile ed osse quioso da tollerare la libert di parola di Atenodoro senza irritarmi, anzi, di essa godendo e quell' uomo riB spettando come un maestro, o meglio, come un padre (3). Anche Ario lo tenevo in conto di amico e di stretto compagno (4) : sicch, in una parola, non c' nulla di cui la filosofia possa muover lamento contro di me. Vedendo io poi che Roma dalle sedizioni civili era

durante la guerra con Sesto Pompeo, la propria flotta in una burrasca, giur che avrebbe vinto anche a dispetto di Posidone, e fece alontanare dai giuochi del circo la statua di questo dio. (1) Pu utilmente confrontarsi con quanto segue il Afomi(2) Padre adottivo, s'intende : in realt prozio. Ottaviano ave va 19 anni quando ne raccolse l'eredit. L e guerre germaniche furono condotte da Druso e da Tiberio. (3) Atenodoro da Tarso, filosofo stoico, fu maestro e consigtiere d'Augusto: v. Suto. 5. f . [LuctAM.] AfairroA. 21; Pt-. ,< 4/ o / M . <?n/. 207 C ; D toN . CHRYS. XX X III 48. (4) V. qui addietro p. 186 n. 1, e a 7*?. 265 C.

///. - / Cnar< o /a /in/a

5a/MrMa/<.

319

non di rado condotta sull'orlo dett'abisso, cos bene assettai te cose sue da renderla per l'avvenire ta merc Vostra (i), o N u m i, adamantina (2). N gi, C cedendo att'imputso di smodati appetiti, pensai di estenderne ad ogni costo i possessi (3) ; anzi un duptice confine te posi, che sembra datta stessa natura indi cato : i fiumi Danubio ed Eufrate. Poi, soggiogati gti Sciti ed i Traci, protungandomi V o i ta durata det regno, non cercai di far nascere guerre da guerre, bens gti ozi occupai netta tegistazione e netta riparazione dei D danni datta guerra lasciati, persuaso di avere cos alta pubblica utilit provveduto non meno di alcuno de' miei predecessori, anzi se tecito parlare franca mente pi e meglio di quanti mai furono investiti di tali poteri (4). Infatti, gti uni sono morti nel mezzo dette loro spedizioni mititari; mentre avrebbero potuto. vivere in pace il resto dei lor giorni, invece di pro cacciarsi guerra da guerra come i faccendieri le titi. Altri, per quanto fossero dai nemici assatiti, si sono 327 tuffati nella lussuria, questo ignobile vizio anteponendo non solo atta gloria che dat combattere deriva, ma atta toro stessa personate salvezza.

(1) L e g g o ' sempticemente, coi Mss. ; respingendo t'aggiunta de) Reiske, adottata dat Herttein : i i ^ <h' (a) Sono cos parafrasate te parote che Augusto avrebbe pronunciate sut tetto di morte, secondo C ASS. D10N. L V t 30 : e netta parafrasi Evidente t'interpretazione che dette parote stesse a v e v a dato questo storico, (3) Moderazione nette conquiste e orrore per te inutili guerre sono virt da Giutiano spesso esattate come speciat mente regati : v. Ora/. H 88 C, 94 D. (4) L'autore ha in mente PLUT. 207 D.

230

.Par/; //. - 0^?r(//

i M/t*rtcAi.

< Quando queste cose io considero, non del posto pi basso mi reputo degno. Per altro, checch a voi paia, o Dei, di ci giusto che anch'io mi contenti *. Qui la parola data a Traiano. Questi, sebbene avesse stoffa da oratore, tuttavia, infingardo com'era, B aveva preso l'abitudine di far scrivere la maggior parte de' suoi discorsi da Sura (i). Perci, strillando ora pi che parlando, additava agli Dei il trofeo Getico e quello Partico e, nello stesso tempo, accusava la vecchiaia che alle guerre partiche non gli avesse lasciato dar fondo (2). Allora Sileno: * Ma se, imbecille, hai regnato vent'anni, e Alessandro, che tu vedi qui, soltanto do dici Perch, anzich dar carico alla tua propria mol lezza, te la prendi con )a brevit del tempo ? * Inve ii lenito dallo scherno, Traiano (che non era, ripeto, sprovvisto di attitudini oratorie: solo le soverchie libazioni gli avevano un poco ottuso il cervello) (3) incominci : < O Zeus e voi altri iddii, io, pur avendo ricevuto l'impero illanguidito, per cos dire, e dissoluto sia dalla tirannide che lungo tempo aveva spadroneggiato al

ti) Si dice che Traiaho avesse scritto ta storia delle sue guerre daciche. Favor i letterati. Licinio Sura fu segretario dell'imperatore, da lui due votte innalzato al consolato. V ed i SpARTiAN. //aaWaM. 3 : '?/ yMtafiwt .Stira, 7 ra ta m it (scii. /fadrtaw o) y a w M a r t/ a s frw t/ , fa t u a / ra iftp H i ora/towMW y t ia : / r e MM/fra/ori aYf/a&fra/. Cfr. ScmLLER < /. r#*M. #a<s.-.M </ ! pp. 544 5, 583. (a) Mori di 64 anni in Cilicia. Combattendo contro i Parti egli si era infatti lamentato di non avere la giovinezza di A le s sandro: v. CAss. DtoN. LX VIH 29. (3) V . SPARHAN. /%M?rM7 H. 3.

7//. - / C iscr/

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l'interno, sia dalle incursioni dei Geti, unico ebbi l'ar dire di avventarmi su trib situate oltre il Danubio D ed estirpare quella stessa razza dei Geti, ch'erano di tutti i tempi i pi bellicosi, non solo per la vigoria del corpo, s anche per le opinioni ad essi persuase dal loro venerato Zamolxide (i). Infatti, credendo di non morire, ma di trasmigrare soltanto, alla morte corrono con pi sveltezza che non imprendano un viaggio (2). Eppure quest'impresa la condussi a termine in suppergi cinque anni (3). Che poi di quanti impe ratori mi hanno preceduto fossi io riguardato come 328 il pi clemente dai sudditi, ci ovvio m'imma gino , n Cesare vorr disputarmelo, n altri nes suno. Contro i Parti, prima di essere da loro offeso, non pensai di dovere far uso dell'armi. Offeso, li at taccai a fondo, niente impedito dall'et avanzata, quantunque le leggi mi facessero lecito di non pi guerreggiare. * Tali essendo i miei meriti, non sono io forse in B diritto di essere onorato al disopra degli altri ? Som mamente mansueto coi sudditi, terribile coi nemici, e di pi rispettoso sempre della Vostra figliuola, la Filosofia '. Cos parla Traiano, e gli Dei sono d'avviso ch'egli meriti il premio della clemenza, mostrando con ci quale precipuo affetto Essi pongano a questa virt. Ma intanto prendeva a favellare Marco Aurelio : e Sileno, sottovoce, a Dioniso : * Stiamo a sentire *, C (1) V. sopra p. 186 n. 2. (a) Da HERODOT. IV 94. (3) Conquista della Dacia : 101-6 d. C.

223

fo r/ ; //. - OjSfrf//; /o///<cAi ; i<i//r<f/ii.

dice, codesto Stoico, quati paradossi e quati miraco lose dottrine ci verr a spacciare *. Ma tui, atzati gti occhi a Zeus e agti Dei: * Per me * ,disse, * o Zeus e voi attri Iddii, non fa bisogno di discorsi n di com petizioni. Se V oi ignoraste te cose mie, starebbe a me di istruirvene. Ma poich te conoscete e nutta affatto D si sottrae at vostro sapere, datemi V oi it posto che merito *. Cos Marco dimostr che, ammirabite in tutte te cose, era poi savio ottre ogni dire, perch, natural mente, sapeva
Quando it partar, quando i] tacer sia belto (i).

Dopo di tui tocc ta parota a Costantino. Questi sutte prime era venuto atta pugna con animo fidente : ma, quando ebbe guardato atte gesta degli attri, trov 329 piccole piccole te proprie. A veva ucciso, s, due tiranni, ma l'uno inetto alla guerra ed effeminato (2), l ' altro infiacchito dall'et e dalla sventura (3): entrambi spia centi agli uomini e a Dio. Ottre a ci, le sue campagne contro i Barbari non gti fruttavano pi che il riso e !e beffe ; poich ad essi egti aveva, in certo modo, pagato tributi, pur di volgere tutta ta sua attenzione alla Lussuria (4). Questa stava alquanto lontano dagli

(1) E u R tP. fr. 413 v. 2 Nauck*, ievem ente modificato. Giu tiano ricavava da PLUT. D i ^orrM#/. 9 p. 506 C. (2) Massenzio, morto al ponte Mitvio net 312 d. C. (3) Licinio: a ve va ottre sessantanni quando fu sconftto* netta battagtia di Cri so poti, e di t a poco ucciso per ordine d Costantino (324). f / pur detto in Oro/. ! 37 B. (4) C ' senza dubbio dell'esagerazione e detta m alevolenza in questa pittura di Costantino, che sar pi avanti ancora

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Dei, presso a) [imitare delta Luna (i). Costantino ne era talmente invaghito che, tutto fissandosi in essa, B niente si curava delia vittoria. Senonch, quatche cosa dovendo dire anche lui: * E cco perch, o Numi, io sono superiore agti altri : al Macedone, perch contro i Romani combattei, contro i Germani e gli Sciti, e non contro i barbari d'Asia (2) ; a Cesare e ad Ottaviano, per non avere, com'essi, promosso rivoluzioni fra onesti cittadini, s dato l'assalto a crudeli e scellerati tiranni. Quanto a Traiano, io penso che queste stesse C prodezze da me compiute contro i tiranni mi pongano sopra di lui : come d'altra parte credo che, per avere ripreso le terre da lui una volta conquistate (3), potrei essergli messo alla pari, se l'avere riconqnistato non fosse anche pi che il semplice conquistare. Marco, che non parla di s, lascia la precedenza a tutti * .

aggravata. vero che la m aggior parte degti scrittori che esattano le im prese di tui contro i Germani e i Goti, sono panegiristi cristiani. L e parote di Giutiano trovano eco spe cialmente in ZOSMO II. L'accusa di a ver pagato tributo ai barbari non si spiega secondo GEFFCKEN 7&M*s;r p. 150 se non riferita alta cooperazione, di cui Costantino ancor cesare si servi, di un principe alemanno (VtCTOR. 41, 3), e ai riguardi che verso i barbari us in varie occasioni (EusEB. H 7. Cons/. II 13). V . anche ZostM. I I 34. (1) Naturalmente la Lussuria non oltrepassava la soglia della Luna, perch questa era riservata, come abbiamo visto, ai dmoni e agli eroi. P er errore di interpretazione molti fanno Costantino innamorato, anzich della Lussuria, delta Luna; e tentano di questo fatto te pi strambe spiegazioni. (a) Veram ente si preparava a combattere contro i Persiani quando mor (3) L a Dacia, che era stata abbandonata sotto Aureliano e dalla quale Costantino ricacci in parte i Goti.

334

/*ar/i 7/. - C^iriZ/i /o/M'fAi i M/<r<rAi.

' Ma ' , interrompe Sileno, < - non sono giardini di Adoni, o Costantino, questi che ci porti come tue imprese ? * * Che cosa intendi per giardini di Adoni? * D * Quelli che !e donne piantano in onore de'amante di Afrodite con un po' di terra da orto ammucchiata in piccoli cocci. Verdeggiano poco tempo : poi subito si corrompono ( : ) * . Costantino arross, avendo di colpo riconosciuto che proprio tale era il suo operato. * * * Fatto silenzio, i contendenti avevano l'aria di aspet tare a quale di loro gti Dei aggiudicherebbero il primo posto. Ma gli Dei pensarono di prima mettere in chiaro 330 gli intendimenti di ognuno, e non stare alle semplici gesta ; perch di queste la maggior parte la rivendicava a s la Fortuna (2), che, ivi appunto, essendo presente, li sgridava tutti, tranne il solo Ottaviano. Questo si diceva le era riconoscente (3). Stabilirono dunque gli Dei che anche questo fosse incarico da affidare ad Ermete, e primo gli diedero

(i) V . THEOCR. X V 112-5. Cfr. FRAZER ,< 4M s, .AftMMS, Os<r/s p. 194. Questo brano imitato da A . FRANCE 7% afsp. 206. (3) per via d'im m agine espresso il medesimo concetto che informa la AiM ira a 7 i?n. 355 D sg g.: i successi militari e politici dipendere essenzialmente datla fortuna. PLUTARCO D i /br/Mmr atta Fortuna attribuisce it pi detta grandezza di Rom a. L 'A . osserva ch'essa * era presente perch appunto it potere detta Fortuna giunge Ano a) limitare delta Luna: cfr. p. 182 n. 2. (3) V. PLUT. D i /or/. /?ow. 7 p. 3 19 D , E. Attude ad un aneddoto citato pi avanti p. 228.

77/. - 7 C?sar< o /a /is/a ^* Sa/Mrwa/<'.

zag

ad interrogare Alessandro : quale fosse per lui !a pi B betta cosa, e per quale scopo operasse e soffrisse tutto ci che aveva operato e sofferto. Ed egli rispose : < Per vincere il mondo intero *. Allora Ermete: ' E a questo credi di esserci arrivato? * < Certo! * replic A les sandro. Per Sileno, con terribile ghigno inter venendo : * Ma se molte volte vincevano te le mie figliuole ! * e voleva dire le viti e mettere in gogna Alessandro come uomo sregolato e dedito al bere (t). Ma C Alessandro, pieno ancora di lezioni peripatetiche mal digerite (2): * Vincere, intendo, non le cose inanimate. Con queste nemmeno il caso di battersi. Ma " tutta degli uomini, tutta delle belve la stirpe , *. E Sileno con l'aria della pi ironica meraviglia: * Oh, guarda, che scappatoie dialettiche ! E tu stesso, di' un po', in D quale categoria ti poni, delle cose inanimate o delle animate e viven ti?* Allora lui, quasi offeso: * Sta' zitto, ch, grande ed elevato com'ero, mi figuravo di poter diventare, o meglio, di gi essere un Dio * (3). < Dunque, fosti vinto molte volte da te stesso, vale a dire dalla collera, da! dolore, e da altre tali passioni cui asservisti lo spirito e il cuore *. < Ma vincersi od essere da s stesso vinto non poi la medesima cosa? Io parlavo di vittorie sugli altri *. * Cpperi, 231

(1) Cfr. sopra p. 206. come motti intendono, " cavitti peripatetici cosi da colpire A ristotele; ma mette in dubbio, piuttosto, it profitto che datta dottrina aristotelica trasse Atessandro. (3) Specialmente quando si fece dichiarare figlio di Zeus A m m one. Ci insopportabile a Giutiano: cfr. Ora/. 1 45 D, 46 A .

aa6

far/? 7/. -

che dialettica ! Ribatti troppo bene i nostri sofismi t Ma quando fosti ferito in india, e anche Peuceste giaceva accanto a te, ed esanime ti portavano fuori deit citt (i), attora eri, s o no, da meno det tuo feritore ? oppure vincevi tu quetto ? * * E non tui soto *, rispose, < perch gti sterminai anche fin ter citt - Non tu, bonuomo) T u giacevi a somiBgtianza de!!'omerico Ettore ' privo di forze, l'anima rendendo , (2). Gli altri combattevano e vincevano *. < S, ma comandati da me *, corresse Alessandro. < Come ? da te che ti portavano via mezzo cada vere? ' , e si mise a cantare que! passo di Euripide, che comincia:
Ohim, nett'Ettade che ingiusta usanza! Quando ['esercito vinto ha sul campo... (3)

Ma qui Dioniso: * Smettila, pap, di parlare cos; C altrimenti costui giocher anche a te il bel tiro che gioc a Clito ' . Atessandro arross, e, gti occhi inon dati di tacrime (4), non fiat pi. Cos ebbe fine il toro diverbio.
(t) All'investimento dela citt dei Matti: v. PLUT. yi/or. 63; AttRIAN. V I 9; CURT. RuF. IX g ; LuCAN. D<o/. Mori. X IV p. 398 (che forse it Nostro ha presente). Peuceste fu ferito net p roteggere A lessandro: PuN. A'c/. /s?. X X X I V 8. (2) /Raaf. X V 246. (3) < 4n<AO?M. 693 sgg. It brano, che rimane sospeso, cos prosegue: " Non tocca a toro, che sudr, ta gtoria; T utte s'usurpa il generat te todi ,. P er comprendere to spirito delta descrizione di Giuliano, bisogna ricordarsi che quei versr appunto pronunci Ctito davanti ad Atessandro, e causarono la sua morte : v. PLUT. 51; CuR i. RuF. VIIL 1, 29. Onde l'osservazione, che segue, di Dioniso a Siteno. (4) Cos dopo ucciso Clito : P u rr. t. c. 52, etc.

777. - 7 Grsart o /a /ii/a < ?

Ermete allora si rivolse a Cesare : * E tu, Cesare *, disse, * quale fu lo scopo della tua vita ? * < Pri meggiare nella mia patria, e non essere n parere ad D alcuno secondo * ( i ) . * Questo indeterminato *, riprese Ermete. < Primeggiare nel sapere, o nell'elo quenza, o nell'arte militare, o nell'autorit politica ? * ^Veramente *, rispose C esa re ,' mio sogno sarebbe stato di essere primo di tutti in tutto. Ma a ci non potendo arrivare, ambii almeno di rendermi il pi potente de' miei concittadini *. ' E avesti davvero una grande potenza ? * chiese Sileno. E quegli : ' Come 333 no? se giunsi a farmi loro signore J * ' S : questo hai potuto *, ribatt l'altro, ' ma a farti amare dai sud diti non sei riuscito, per quanto, da buon attore, rap presentassi la parte del filantropo, vergognosamente piaggiandoli tutti *. ' Com e? T u non credi che io fossi amato da quel popolo che poi castig Bruto e B Cassio ? * ' Ma non li castig mica perch ti aves sero ucciso (che per questo, piuttosto, il popolo li avrebbe eletti consoli) (2), s per amore del danaro,

(i) Cfr. PLUT.

206 B, 5.

(a) Introduco un lievissim o supplemento nel testo:


y/<?ato per ovviare alle seguenti difEcolt storiche : 1, M. G. Bruto e C. Cassio Longino ne) 44 a. C. erano pretori, non consoli (cfr. DRUMANN-GROBE C w A . TV p. 33; II p. 103); 2?, entrambi nell'anno successivo ricevet tero ufBcio di proconsoli nelle rispettive province, ma non dal popolo, bens dal Senato (<%/.). Ora risulta invece che en trambi, prima della congiura, aspiravano al consolato; e P m TARCO C<MS. 62 (cfr. anche VELL. . II 56, 3) racconta che questa loro aspirazione, e il diverso favore ond'era accolta da Cesare, fu motivo della loro partecipazione alla* congiura

quando, letto il testamento, seppero con quale rispeftabile somma era pagata la loro indignazione * (i). Esaurito anche questo interrogatorio, sbito Ermete abborda Ottaviano: * E tu *, gli fa, < ci dirai quale stimavi il pi bel fine della vita? * * Regnare bene *, rispose. * Ma che cosa questo ^MF? Spiegati, o Augusto, poich dirlo lo pu anche la peggior ca naglia. Anche Dionisio credeva di regnare bene, e Agatocle pi infame di lui * (2). * Ma voi lo sapete, D o Numi *, rispose, * che, nel congedare mio nipote, V i pregavo di accordargli: l'audacia di Cesare, l'abilit di Pompeo, la fortuna mia * (3). * Mica poco ! * osserv Sileno. * C era bisogno di Numi davvero onni potenti per accontentare questo fabbricante di pupat tole! - (4). * E perch ' , chiese Ottaviano, < mi poni anche questo titolo canzonatorio? * * O non C

stessa. improbabile che Giuliano abbia preso abbaglio in tale materia; probabile invece che siasi servito dell'accenno di Plutarco per significare l'ambizione dei due congiurati. SuHe vendette esercitate dal popolo v. ApptAN. G v. Ili 2. (1) Nel testamento erano al popolo assegnati i giardini di T rastevere e 300 sesterzii per testa: SuzTON. Gws. 83; CAss. Dtow. X L IV 35. (2) Dionisio II (405-367 a. C.) e A gatocle (317-289), entrambi tiranni di Siracusa. (3) Da P m T . rig\ 207 E e (un po' diversamente) D i /or/. 7, 319 D, E. Il nipote Gaio Cesare, figlio di A grip p a e di Giulia, inviato a combattere in Arm enia. Plu tarco ha di Pompeo, anzich che si legge in Giuiano e che poco determinato. GEFFCKiw Aa/s. _//. p. 150 propone di correggere senz'altro. (4) Traduco un po' liberamente per rendere lo spirito di questo passo, che mi pare non sia stato compreso.

///. - 7 C*Mar< /o /ii/a aW Sa/MrMoA.

229

^ forse vero che, come attri fabbrica i pupazzi, tu Augusto ci fabbricavi degti Dei, di cui uno e i) primo stato questo Cesare qui? ' (i). Ottaviano, confuso, 333 non part pi. Qui Ermete, dirigendosi a Traiano: * E tu *, dice, < da quate intendimento eri guidato a fare tutto ci che facesti ? * * Ebbi te stesse ambizioni *, rispose, < di Atessandro, ma con pi saviezza E Siteno: < Attora dir che tu soccombesti a passioni ancora pi basse. Lui era vinto, generatmente, datt'ira, tu datta vergognosa e sconcia tibidine *. * V a in matorat ' B gti grida Dioniso. * L i canzoni tutti, tanto che pi non aprono bocca in toro difesa. Ancora, su quetti te tue beffe trovavano posto. Ma guarda adesso se saprai da che parte prendere Marco. A me sembra proprio uomo, come dice Simonide,
Tetragono, costrutto senza inganno * (2).

Ed Ermete a Marco: it pi bet fine detta vita? * Imitare *, rispose, * gti che questa era risposta,

* A te, o Vero, quate pareva * Ed egti, catmo e prudente: Dei ' (3). Ognun vide, sbito, C non soto nobitissima, ma tate

(1) Giutio Cesare fu it primo imperatore divinizzato, e tate onore ebbe da Augusto. Come abbiamo gi visto, Giutiano contrario atta deificazione degti imperatori, non attrimenti che it suo storico, it quate tante votte ne rispecchia te idee, . X V I, 2-4. (2) Fr. 5 B ergk, ricavato da P LAT. .Pro/ag'. 339 B. (3) Secondo ta definizione ptatonica detta virt, in 714iiM/. 176: xat r Jw atdv. L a quate come aggiunge Giutiano tutti) comprende, perch nel sistema ptatonico it

930

A r / i //. - 0^iri//i /o/M'cAi i ia/<r<f^i.

da tutto comprendere. Ermete stesso non intendeva insistere, convinto che ogni parola deH'interrogato sarebbe stata conseguente con queHa. Cos la pensa vano anche gli altri ; solo Sileno : < io no, per Dioniso, non lo lascio passare cosi questo vostro sofista ! Che cosa mangiavi, di' un po', che cosa bevevi, amD brosia e nttare come noi, o non piuttosto pane e vino ? * < Ma non gi, perch io credessi di imi tare gli Dei *, rispose, * per questo prendevo cibi e bevande. H corpo lo nutrivo, s, essendo persuaso (forse a torto) che anche i Vostri avessero bisogno di nutrirsi col fumo dei sacrifizii (i). D'altronde, non in queste cose giudicavo di dovervi imitare, ma nello spirito *. Sileno 334 rimase un momento perplesso, quasi colpito dal pugno di un abile atleta (2); poi: * Forse, questo che hai detto non ma! studiato. Ma spiegami: che cosa intendevi per imitazione degli Dei ? * * Avere bi sogni il meno possibile; beneficare il pi possibile *. * E tu dunque *, ribatte, * non avevi bisogno di

principio dell'ordine morale, ossia it bene, uguale a Dio. Questa dottrina pure svolta in TEMtsno Or. II 33 D sgg-, che il Nostro ben conosceva. (1) Gli Stoici attribuivano agli astri e agli Dei una natura corporate, quindi anche it bisogno det nutrimento. V . Frag^t. .S/Oi'f. I I 690 ^ to&y 4x ^7t y /o u 1028 sgg.; PLUT.Di -S/O M !. ri/ . 39, ioga B. Cfr. anche A m s T O P H . .dvis 1515 sgg. Non si pu dire con GtBBON a. Fa// chap. XXIII (vot. II p. 365 Smeaton) che questa dottrina sia proprio adottata da Giu liano; it quate, at contrario, seguace di IAMBL. D i tMys/. 29, e afferma espticitamente in Arag*m. i^t's/. 293 A-B :

(?/*

i/< M V [o/ #io/].

(2) Da PLATONE /*ro/a^. 339 E.

///. - 7 CiMr< o /a /M/a

5a/MrMaA.

231

niente ? * E Marco : * Io di niente ; il mio corpicciuolo, se mai, di qualche poco * (i). Anche questa risposta essendo riuscita calzante, B Sileno, alla (ine, sconcertato, si appiglia a quei fatti nei quali gli pareva che Marco non avesse n bene n ragionevolmente operato, in riguardo del Aglio e della consorte : questa, cio, aveva osato iscriverla nel novero delle eroine; a quello aveva consegnato l'im pero (2). < Anche qui *, rispose, * io imitavo gli Dei. Mi attenni ad Omero il quale della consorte dice che C
Chi bravo e da senno, ama ed onora ta sua (3).

Quanto al figlio, cito la confessione stessa di Zeus, che, rampognando Ares: " Da tempo ,, gli dice, " sa resti colpito dal fulmine, se non ti amassi, perch mi sei figlio , (4). Oltre a ci, mai pi sospettavo che quel ragazzo potesse diventare cos malvagio. Se la giovent, che suol fare di grandi oscillamenti dall'una e dall'altra banda, fin con inclinare al peggio, non per che a lui gi perverso afHdassi l'impero : perverso egli di venne in seguito, dopo di averlo ricevuto (5). Dunque, per mia moglie, ho seguito il consiglio del divino D Achille ; per il figlio, ho imitato l'esempio del signor nostro Zeus : senza che in ci nulla (badate !) io abbia

(1) Cfr. MARC. AuR. CowM. VI 32: " Io sono composto di un corpicciuolo e di un'anima. A l corpicciuolo tutte le cose sono indifferenti ,. (2) V. gi prima p. 193. (3) Cosi Achille parlando di Briseide, /AW. IX 341-2. (4) Parafrasi di V 896 sgg. (5) Queste giustificazioni sono fondate sur un fatto, consta tato da CAss. DtON. L X X H 1.

creato di nuovo. Infatti, lasciare la successione ai figli conforme a]]a egge ed nei voti di tutti ; gli onori 335 che io ho reso alla sposa, altri li usarono prima di me. Non sar forse bene aver dato principio a tali costu manze : ma negare in presente ai pi stretti congiunti ci che da lunga pezza istituito, rasenterebbe l'in giustizia (i). Senonch, qui io mi dimentico che da troppo tempo sto facendo la mia apologia davanti a V oi che tutto sapete, o Zeus e Iddi). Per cui, di questa mia temerit V i chiedo scusa Quando anche Marco ebbe finito il suo parlare, B Ermete interrog Costantino : < E tu che cosa ti pro ponevi di bello? ' 'P ossed ere molti tesori, per molto spendere e soddisfare i desiderii miei proprii e quelli degli amici *. E Sileno, scoppiando dal ri dere : < V olevi fare il banchiere, e non ti sei accorto che conducevi piuttosto una vita da cuoco e da pet tinatrice (2). Ci in te denotavano gi allora * la chioma

(i) Giuliano , per principio, contrario at diritto ereditario nett'Impero, come puoi vedere datta / 7 <W H *i/iO 361 A e da quanto racconta L tB A N . Or. X V !! 1 181 circa it rifiuto da ]ui opposto a chi gti consigtiava di prendere mogtie dopo ta morte di Etena, onde avere eredi a] trono, tn pratica, tut tavia, riconosce ta difficolt che un principe, secondo it si stema di Diocteziano, diseredi it proprio fgtio. Anche dopo Nerva, it sistema dett'adozione non era stato usato se non da chi non aveva Hgti proprii. (a) In questa caricatura si condensano gti uttimi e pi aspri appunti contro Costantino. Un apposito tibetto potemico contro di tui aveva scritto it Nostro durante ta guerra contro Co stanzo, come ci informa AMMtAN. X X I 10, 8. Detta smodata iiberatit che MA. gti rinfaccia, partano pure EusEB.

/7/. - 7 Cesar! o /a

Sa/Mrna/<.

333

ed it viso , (i); ma guarda che adesso anche i! cervello ti accusa *. Cos fu che Sileno trafisse, pi acerbamente ancora che gli altri, Costantino. Fattosi alla fine silenzio, gli Dei tennero scrutinio C segreto. I pi dei voti toccavano a Marco. Per Zeus, consultatosi un poco in disparte col padre, ordin ad Ermete di far questo bando : * Signori qui convenuti a codesta gara, vi sono da noi tali leggi, e per tal modo si dnno i giudizii che e gioisca il vincitore e il vinto non pianga. Ebbene ', grida, < venite, dove pi vi aggrada, a vivere d'ora innanzi sotto la guida e la tutela degli Dei ! Scelga D ciascuno il suo protettore e il suo duca ! * Udito ci, Alessandro corre da Eracle ; Ottaviano da Apollo ; a due insieme, Zeus e Crono, si aggrappa Marco. Cesare che va errando su e gi, presi da com passione Ares e Afrodite (2) lo chiamano a s. Traiano si tiene sulle peste di Alessandro, per prendere posto insieme con lui (3). Costantino invece, non rinvenendo in mezzo agli Dei il modello della propria vita, ve- 336

Cbws/. i, 9; 4, i ; V:cT. D i C<MS. 40, 15. Circa le accuse di moHezza v. quate fondamento possano avere in S c m L L E R GiicA. < ?. rfM. /&MS.-3# HI p. 333. (1) A dopera un emistichio dett'/AW. Ili 55. (a) noto it culto che Cesare ebbe per V en ere Genitrice, atta quate, per m ezzo di Anchise, cottegava ta propria origine. (3) Cos interpreto, chiarendo un poco, ta frase totta t'incoerenza che GEFFCKEN y^/. p. 150 osserva in questo punto ; poich veram ente assurdo che Traiano segg a (come generatmente s'interpreta) /ra sio Alessandro, il quate non affatto un Dio, ma un eroe sotto posto, lui stesso, a giudizio.

334

Par/; /. -

/o/tAcAi i /-^.

dutasi presso ia Lussuria, corre incontro a queiia. Ed essa, accoitoio teneramente, gettategli ie braccia at coito, omatoio di vesti femminiii a varii coiori, isciatoio tutto, io porta aiia Empiet ([): dove, avendo egli trovato Ges, che pure si aggirava da quelle parti (2) e predicava : < Chi corruttore, chi assassino, chi maB led etto e ributtato da tutti, venga qui fiducioso; con quest'acqua lavandolo lo render in un attimo puro. E quand'anche ricada nelle medesime colpe, purch si batta il petto e percuotasi il capo, gli conceder di ridivenire puro * (3), gli and incontro con giubilo,

(1) 'XtMDt/av. Significa propriamente Dissotutezza; ma non pu confondersi con ta Lussuria sopra menzionata, bens indica quetto spirito di perdizione che, net concetto di Giutiano, porta Costantino a staccarsi datta retigione dei padri. (3) Non nett'Otimpo, come a torto intende GEFFCKEN Aa;'s. /in/, p. 150, it quate in ci trova modo di riprendere un'attra incoerenza o assurdit di descrizione. Infatti ta Lussuria stessa ha detto to scrittore si trova sut vestiboto detta Luna, n pu accedere ottre, per te ragioni sovra esposte (p. 223 n. 1). In sostanza, Ges non pu aggirarsi, secondo it tinguaggio attegorico, che datte parti det'Empiet, ossia in quetta sfera dove gti Dei sono rinnegati. (3) Imitazione di CELso : ap. OmGEN. Con/ra Cip/s. Iti 59: *0<Fns &7tt$ dvtivtroi, f f;7 E iO ./ ityrty ^, io f to f ^ tot) Che, a sua votta, parodia di PAOLO ^ Cor<M/A. V ! 9 -n , cui Giutiano stesso contraddice nett'opera CoM/ro < CrM/Mw/ p. 209 Neum. P er comprendere ta satira che Giu tiano fa det battesimo, bisogna ricordarsi che Costantino a questo sacramento ricorse soto in punto di morte e che tate era ['abitudine di motti a quet tempo, interessati a godere ta vita, con ta certezza di trovare poi net battesimo una facite e pronta assotuzione. Questa certezza era alimentata dai

///. - 7 Cisar/ o /a /ifs/n afi/ 5a/<vrwa//.

235

traendo via da! consesso degli Dei, insieme con s, anche proprii figli (1). Ma, e a lui e ai figli inflissero nondimeno giusto castigo per il loro ateismo (2) i Dmoni ultori, re clamanti vendetta di consanguinee stragi (3), finch Zeus, in considerazione di Claudio e di Costanzo (4), concesse loro un po' di respiro. Quanto a te mi disse infine Ermete conchiu- C dendo , io ti ho fatto conoscere il padre Mitra (5).

Padri detta Chiesa, a fine di esaltare ta virt det Vangelo. evidente dunque che Giuliano (per quanto dispiaccia di v e dere da lui cosi irriverentemente misconosciuta ta sublime figura de! Cristo) cotpisce l'immoralit di un tate costume, davanti a cui tutti i pi nobili intendimenti cadevano infranti. Inottre egti d credito alte voci difusesi subito dopo la morte di Costantino, secondo cui at Cristianesimo quegti si sarebbe definitivamente convertito quando seppe che Cristo assolve da ogni colpa: e doveva essere assolto da colpe tremende, l'uccisione del figlio Crispo e della moglie Fausta. (1) Costante, Costantino II, Costanzo II. Attegoria per esprim ere l'abbandono del politeismo. Cfr. pure la favola allegorica di Ora/. VII 228 B sgg. (2) la parola propria che 1 . suole adoperare (vedremo pi volte nei frammenti Cbn/ro < Cri's/t'am) p er significare il Cristianesimo come negazione degli Dei. E vicendevolmente i Cristiani ta applicavano ai Pagani. Cfr. HARNACK D ir H)rH -'M r/* i/. i?ri! irs/. ./aAr%MHi/. " T ex t. u. Unt. , N. F. XIII 4 pp. i - io . (3) A llude ai delitti famitiari non solo di Costantino, ma di Costanzo, che toccano cosi direttamente l'A . (4) Claudio II e Costanzo Ctoro, progenitori di Costantino: v . prima. (5) Giuliano come si detto in Sagg-M? pp. 27, 84 sgg. era iniziato ai misteri mitriaci.

336

f b r / -

T u tienti ai Suoi comandamenti (i), e avrai, durante la vita, una sicura ncora di salvezza, e, quando tu debba partire di qui, troverai, con buona speranza, un benevolo iddio a tuo duca.

(i) Comandamenti cui i misti dovevano sottostare p er otte nere le ricompense deH'a!tro mondo. V . CuMONT MOMMMMHis < /. mysMyYS I p. 319 sgg.

IV .

Misopogone
H n em ico d elia b a rb a (').

AI poeta Anacreonte avvenne di comporre molte p.337 gaie canzoni : poich era nato per godere. Ma non cos ad A lceo n ad Archiloco di Paro Iddio con cesse di volgere la Musa a cose gioconde e dilette voli. Imperocch, condannati, ora per questa ora per quella cagione, a soffrire, deit poesia servivansi ai solo scopo di rendere pi lievi a s stessi, mediante B l ' invettive contro gii avversarli, i mali che i) cieto a loro impartiva (2).

(1) Nei Mss. e nelle fonti storiche s'incontra pure un nitro titolo: 4 vno%tx<fy. Sulla data della composizione, sulle sue circostanze e su tutte le questioni inerenti v. S a g g io pp. M4 sgg. (2) A llude specialmente, per A lceo, atte poesie contro Pit taco, per A rchiioco, a quelle contro Licambe. L'esem pio di Archiloco citato, ad anatogo proposito, nella lettera 370 '/ pubblicata in " Riv. di Fil. 1888 pp. 291-5, o ve sono ampiamente esposti i concetti dell'autore e i suoi doveri t'w co^Minafa <ra. Archiloco stesso poi e i poeti di questa maniera figurano fra gli scrittori proibiti nella pasto rale ai sacerdoti, / r a g w . 300D.

338

Par/i //. -

/o/McAt t

A me invece ia tegge proibisce come, credo, ad ogni aitro (i) di accusare per nome co!oro che, in nuHa da me maltrattati, tentano recarmi de! ma!e (2): e di usare !a forma poetica me !o disdice i! sistema di educazione che ora prevale fra gli uomini liberi. Infatti, coltivar la poesia sembra oggi pi turpe di quel che paresse, una volta, !' arricchirsi disonestaC mente (3). Ma non per questo vorr io rinunciare, per quanto in me, all'aiuto delle Muse. Ben io ho visto anche i barbari d'o!tre Reno cantare canzoni selvagge com poste in una tingua che somiglia a! gracchiare di certi striduli uccelli, eppur compiacersi di tali canzoni : 338 poich si d sempre il caso che i cattivi musicisti sieno per il pubblico una tortura: a s stessi sono

(1) Inciso eliminato a torto da! Cobet e da! Hertlein. Esso pieno de!!a amara ironia di Giutiano, i] quale si fa forte de!Ia propria morate, che uguaglia !ui, Imperatore, ag!i a!tri cittadini ne! rispetto de)!e leggi. Rispetto che ha tenuto a mostrare in tutta la sua condotta, specia!mente nei rapporti co! Senato. (a) L e teggi romane erano severe contro i !ibri diffamatorii. G i una le g g e de)!e XII T avo!e proibiva !a satira personale (Tab. VII, D i cfr. H oR A T. Sa/A*. I 1, 83-3: ?S< (3) A cerb a ironia con cui !o scrittore intende rilevare come ai suoi tempi i giovani fossero piuttosto avviati a! disonesto acquisto delle ricchezze che non a coltivare !a poesia. Fino a qual punto quest'ultima fosse disertata non sappiamo dire. Certo, sebbene i modeHi delt'antica poesia avessero gran parte nell'educazione contemporanea, !a creazione originale non era in voga. Giutiano tanto pi se ne rammarica in quanto, dal suo punto di vista religioso, considera una tale creazione dono di A pollo e delle Muse.

7 . - Mso/ogWM < 7

</i//a ia r ia .

239

gradevolissimi. H che io appunto considerando, ho preso l'abitudine di ripetere a me stesso, non co! me desimo fondamento, ma ne sono persuaso con somigliante fierezza, quet che diceva Ismenia (:): che, se non altro, canto per te Muse e per me. It mio canto, veramente, in forma prosastica. E contiene motte e grosse invettive: non contro terze persone, per Dio ! e come, se ta tegge to vieta ? B bens contro it poeta e fautore stesso. Infatti, scrivere di s vuoi todi vuoi biasimi non c' tegge che to interdica. Ora io, di todarmi, anche votendo ad ogni costo, non avrei atcun motivo, di vituperarmi mitte. E, prima di tutto, cominciando datfaspetto. At quale, sebbene gi da natura non fosse nient'affatto betto n leggiadro n seducente (2), ho io, per rusticit e dispetto, appticato questo fotto bar- C bone (3), quasi votendoto punire, non d'attra cotpa certo che det non essere nato betto. Mangiare avi damente e bere d'un fiato non mi permesso, perch debbo guardarmi di non inghiottire, per inavvertenza, insieme coi cibi anche i peti. Quanto a baciare e ad essere baciato, di ci ancora meno io mi curo ; seb- D

(1) Fam oso flautista tebano su! quale parecchi aneddoti ha Plutarco. Cfr. DtoN. CHRYs. Ore/. L X X V 1I1 430; THEMiST. Or. 366 B-C. (2) V edine il ritratto in Ammiano e in G regorio (S a g g io p. 12). (3) A lla barba, ch'era insegna di studioso e di filosofo, Giu liano aveva dovuto rinunciare quando fu nominato cesare: v. M assaggio 274 C. Torn ad ornarsene dopo l'assunzione ad imperatore, come si pu anche vedere dalle sue medaglie : cfr. AtLARD _ /t< /. I p p . 359,471.

aio

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bene, dicono che la barba abbia fra gli altri anche questo incomodo, che non permetta di mescere a labbra lisce labbra monde, che sono perci, forse, * pi dolci *, come scrisse colui che ha composto col favore di Pane e di Calliope poesie su'Dafni (i). Ma voi dite che di questa mia barba si dovrebbero in trecciare cordami (2). Ed io sono disposto, purch abbiate la forza di strapparla e la sua durezza non faccia male alle vostre <inusate e morbidette mani * (3). Ma qui non creda gi alcuno che a me faccia rabbia 339 la beffa. Sono io a porgerne l'occasione, portando come i caproni il mento, mentre, credo, potrei ren derlo liscio e nudo come l ' hanno i pi avvenenti ragazzi e le femmine tutte, nelle quali l'amabilit dono di natura. V oi, anche in vecchiaia, emulando i figliuoli e le donzelle vostre, per raffinatezza di vita o, chiss, per gentilezza di costumi, lo fate liscio liscio B con cura, dissimulando la vostra virilit o, forse, dimostrandola dal fronte e non, come noi, dalle ma scelle. Senonch, a me non basta la lunghezza della barba ; anche al capo s'estende il disordine, e raramente mi taglio i capelli e le unghie, e le dita per lo pi ho nere d ' inchiostro. Volete anche sentire qualcosa di

(1) Indica (con perifrasi che fondata sul sentimento reli gioso di Giuliano, secondo cui come abbiamo altra volta accennato ta poesia diretta ispirazione delta divinit)
TtO C R T O

32.

(2) questa una dette frasi contenute negli anapesti o sa tire che i belli spiriti d! Antiochia diffusero contro l'im pera tore e cui sar accennato anche pi avanti.

(3) /yss. XXII 151.

/K - Mfsc^cgWM < 7 KCMifO < & /& : ia ria .

341

pi intimo? Ho ii petto irto e vitioso, come i teoni, che pure sono re delle belve, n mai t'ho tisciato, per rusticit e per grettezza, n tiscia e morbida ho C resa alcuna altra parte det corpo. Se infine avessi anche qualche porro od escrescenza, come Cicerone (1), vi esporrei anche quetta. Ma per ora non c'. E passer, se permettete, ad attro punto. Non con tento di avere it corpo cos fatto, io seguo un tenore di vita veramente odioso. Mi astengo dai teatri, per cotmo di stoltezza; n dentro alta Corte ammetto rappresentazione se non una volta at primo giorno dett'anno (2), e senza atcun gusto, come uomo di poche D risorse, il quate sgarbatamente paghi una tassa o renda un tributo a non benigno padrone. Anche attora, en trandovi, somiglio ad un condannato. Non tengo at mio servizio nessuno (eppure sono in fama di gran re) che, con titoto di prefetto o di pretore, sovraintenda ai mimi ed ai cocchieri di tutta quanta ta terra. V oi, che ci vedeste fare fino a poco tempo addietro,
Ora quegli anni rim piangete e il senno C h'egli ebbe e il core..... (3).

(1) < 3<y?ctp * leggono i Mss. Corressero il NABER " Mnemos. X I (1883) p. 408, e it CuMONT " R ev. de l'instr. pubi, en Belg. , X X X II (1889) pp. 83-4, ricordando ci che PLUTARCO O w . 1 espone circa it nome delt'oratore e t'origine di esso. Invece, nutta di simite ci tramandato retativamente a Cimone. (a) Giorno in cui si festeggiava it consotato degli impera tori. In quetla sua specie di pastorale, 304 B-D, t'imperatore manifesta il proposito di sopprimere gti spetta coli immorali e di ricondurre it teatro alla purezza det culto di Dioniso: intanto vieta ai sacerdoti di assistervi. (3) un frammento di CRATINO (fr. ), che fu rico16

340

Sarebbe gi questa una cosa abbastanza grave, e, certo, una splendida prova di perversit nei costumi. Per, sempre io vi aggiungo qualcosa di nuovo. Odio le corse dei cavalli, come i debitori il mercato. Ra ramente ci vado, nelle feste degli Dei, n vi trascorro [ intera giornata come era l'abitudine di mio cu gino (i) e detto zio (2) e de) frateHo germano (). Viste sei corse a) pi (4), e anche quelle non come uomo appassionato a] giuoco o, megtio, non come B chi non to odii e non ne rifugga, votentieri mi al lontano (5). Ma fin qui ta mia vita esteriore. E qua! piccota parte vi con ci enunciata dei miei torti verso di voi) Perch, venendo atte cose private, le notti in sonni sopra una semplice stuoia (6), e il nutrimento parco e non sazievole mi fanno un carattere acerbo,

nosciuto da BRAMBS an a". W;r^. _//. p. 31, mentre ancora in Hertlein era scritto come prosa. Giutiano attude naturatmente a! suo predecessore Costanzo, che i) popolo di Antiochia mostra di preferirgti. (1) Costanzo stesso. (2) L'omonimo dell'imperatore, conte Giutiano, zio per parte di madre, che era stato nominato governatore di Antiochia e da poco era morto quando t'A. scriveva. V . appresso, 366 C e n. a q. 1. (3) Gatto. Anche questo aveva risieduto ad Antiochia, in qualit di cesare. (4) Ordinariamente spettacolo si componeva di ventiquattro corse. (5) Cfr. LtBAN. Or. XVIH 170-!. In questa indifferenza per l'ippodromo Giutiano ricordava Marco Aurelio, sul quale CAPtToL. /%#. 23; CAss. DtoN. L X X ! 29. (6) Cfr. AMMtAN. X V ! 5 ,5 ; sopra, S a g g io p. 39.

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243

nemico a codesta citt amante dei piaceri. Non che cos io adoperi per gusto di mettermi in contrasto con voi I Ma fin da ragazzetto una perversa e stolida illusione s'impossess di me e m'indusse a muover guerra al ventre; n adesso mi fido ad empierlo di C molti cibi (t). Cosi, di rcere il pranzo a me avvenne pi raramente che a qualsiasi altro: anzi, ricordo, una sola volta da che fui nominato cesare, e per di sturbo casuale, non per intemperanza. Bisogna che vi faccia questo racconto : non perch mi paia molto garbato, ma perch appunto, qual , quadra alla mia persona mirabilmente (2). Mi trovavo io allora ai quartieri d'inverno presso la mia diletta Lutezia (3). Cos chiamano i Galli la D capitale dei Parisii. un'isola non grande in mezzo al fiume ; a cerchio la chiude tutta quanta un muro, e d'ambo i lati vi conducono ponti di legno. Di rado il fiume scema o s'ingrossa: per lo pi tale d 'e state quale d ' inverno e porge, a chiunque voglia, un'acqua gradevolissima, non solo a vedersi, ma anche a bere. Certo, essendo in un'isola, forza che gli abi tanti facciano uso, principalmente, di questa. Anche l'inverno vi abbastanza mite, in grazia dicono del calore dell'Oceano, che dista non pi di novecento 341

(1) A nche per questo cfr. LtBAN. XVIH 175. (a) Ci sembra p reved ere le critiche di G regorio da Nazianzo Or. V 41 e le nostre stesse, p. 111. (3) A Parigi Giuliano fiss i quartieri invernali per la prima volta nel gennaio del 358, dopo la battaglia di Strasburgo. Divenne da allora ta sua residenza abituale. Evidentemente la descrizione della citt ha notevole interesse archeologico e storico.

344

Par/i //. -

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stadii (i), e dalie cui onde pu darsi che spirino pi temperati vapori: certo che ta marina si considera generatmente pi catda dett'acqua dotce. Sia dunque per questa, sia per attra causa a me ignota, it fatto tate, che abbastanza tepido hanno gti abitanti detta regione ]'inverno; e vi cresce una buona vite; e gi sono di quetti che con un po' d'arte vi hanno atteB vato i fichi, proteggendoti t ' inverno, come di ve stimenti, con te cannucce det frumento e con attrettaH mezzi che si adoperano a difendere gti atberi datte offese dett'aria (2). Ma era quetta votta t'inverno pi forte det solito, e it Rume trasportava come dei gran tastroni di marmo. V o i conoscete credo it marmo bianco di Frigia: tati e quati erano quei ghiacci che scendevano in grossi pezzi t'uno dopo t'attro; anzi, gi stavano per formare un passaggio ininterrotto e C gettare quasi un ponte sutta corrente. Cos dunque, mentre faceva pi freddo det sotito, non affatto scal data era (atta maniera almeno che sogtiono intiepi dirsi t, mediante i camini, ta maggior parte dette abitazioni) ta stanza dov'io dormivo, quantunque si trovasse acconciamente preparata a ricevere it catore de) fuoco. Ma ci dipendeva gi attora credo datta mia scemenza e da una certa inumanit di cui ero io, evidentemente, ta prima vittima. Infatti votevo avvezzarmi a sopportare it ctima de) paese, senza ricorrere a quet conforto. N, per quanto t'in verno crescesse e diventasse ogni giorno assai pi

(1) Circa 150 km. (3) Giuliano era appassionato della campagna e della co)tivazione. Egti stesso aveva lavorato un suo fondo in A sia Minore: v. X L V I (v4 EvagT*<o).

/ K - .M'so%gOHi < 7 fMMMfo

Acria.

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rigido, permisi ai famigli di riscaldarmi la casa, per D timore che il caldo cacciasse fuori l'umidit conte nuta nei muri. Solo, alla fine, feci recar dentro un focherello e dei carboni attizzati, in piccolissima quan tit. Senonch questi, che pur erano cos pochi, sprigio narono dai muri gran copia di vapori, nei quali io mi addormentai. Empitamisi la testa, fui per rimanere soffocato; e, portato fuori, ordinandomi i medici d i 342 emettere il cibo che avevo preso poc'anzi e che, aff di Dio, non era certo abbondante, lo emisi, e mi trovai subito meglio, cos da passare una notte abbastanza tranquilla e, il giorno appresso, occuparmi di ci che volessi. Cos dunque gi presso i Galli, alla maniera del di Menandro, io * creavo a me stesso dei guai * (i). Ma ci la gallica salvatichezza tollerava agevolmente : una citt opulenta, allegra, popolosa B giusto se ne risenta, una citt in cui sono molti i ballerini, molti i flautisti, mimi pi che cittadini, ma rispetto nessuno per chi governa. Gi: il rispetto con viene ai deboli ; ai coraggiosi, come voi, si addice fare baldoria fin dal mattino, gozzovigliare la notte ; perch le leggi voi trascurate non tanto di impararle a pa role quanto di applicarle nei fatti. E, veramente, le leggi non temonsi che a causa dei governanti e dei prin cipi. Laonde, chi al principe fe' ingiuria, quegli a maggior ragione si pose sotto i piedi le leggi. C

(i) Frammenti di questa commedia in KocK CcMM f. a#;*c. /ragVM. Ili pp. 36 sgg. H medesimo brano da Giuliano citato anche in Oro/. 1 113 C.

346

P a r/ 7/. - O ^r?//? /o/M 'c Ai i ia/<r/c^i.

Che voi di ci siate fieri, chiaro venite dimo strando in molte occasioni, ma, pi che tutto, nelle piazze e negli spettacoli: il popolo con gli applausi e con le grida; i magistrati con la nomea che dalle spese profuse in siffatti festeggiamenti ricavano, pi grande che non ricavasse Solone ateniese dal suo col loquio con Creso re dei Lidii (i). Siete tutti belli, e imponenti, e lisci, e sbarbati, tanto giovani quanto vecchi egualmente imitatori del beato vivere dei D Feaci,
A biti nuovi e lavacri tepenti e molti giacigti (3)

scegliendo in cambio delta virt. E tu credevi che ta tua rusticit e ta misantropia e ta goffaggine potessero andare d'accordo con questi nostri costumi? Oh, it pi idiota e it pi scontroso uomo det mondo, proprio cosi insensata e cos fatua codesta tua animuzza cui i poveri di spirito appticano titolo di sapiente, che tu sut serio creda di doverla con ta saviezza adornare ed abbellire ? A torto : perch, in primo luogo, ta saviezza che cosa sia noi 343 Antiocheni non sappiamo : ne udiamo it nome unica mente, ['opere non vediamo. Ch se consiste net vi vere come tu ora vivi, vate a dire, se bisogna servire gti Dei e le teggi, essere eguate con gti eguati, detta superiorit che sopra gti attri uno avesse usare con

(i) Non a caso sceglie t'esempio di Sotone, per te assennate parote che questi ebbe circa t'oputenza e ta prosperit del monarca di Sardi. V. HtRODOT. 1 29; P u rr. -So/on. 27; LuetAN. GAarOM. 9. (3) /yss. V!!! 349: citato pure, a scopo morale, da PLUTARCO jpMOMi. a i/o/. ^Of/aS <!M</. & .

30.

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dolcezza, vegliare e provvedere afHnch i poveri non patiscano soprusi dai ricchi, e per questo prendersi brighe, come da credere sia avvenuto spesse volte a te, inimicizie, ire, contumelie, e anche ci ingoiare B viriimente e non offendersi n cedere att ira, ma contenerla, quanto pi si pu, e castigarla; se infine si aggiungesse fra gli atti della saviezza anche questo, di astenersi da ogni piacere che pur non paresse, in pubblico, eccessivamente obbrobrioso e disonesto, nella convinzione che non sia possibile essere savii in privato e fra le pareti domestiche, quando in pub blico e allo scoperto si vuol fare i licenziosi e ci si C diverte agli spettacoli : se dunque realmente la sa viezza una cosa siffatta, tu sei rovinato e rovini nel contempo noi pure, che non ,tolleriamo di udire di servit neanche il nome, n verso gli Dei n verso le leggi. Evviva, dappertutto, la libert! Ma via, quale ironia codesta? T u dici di non essere e non tolleri di essere chiamato cosi, anzi a ta! punto ti infurii che i moltissimi i quali ne avevano antica abitudine li hai indotti a smettere D come odioso quel titolo di podest (i) ; e dopo c costringi ad essere schiavi dei governanti e delle

(1) A llude ai titolo di DowwM i, che Ottaviano e i primi imperatori avevano ricusato, ma che pi tardi era diventato di prescrizione. A d ogni modo Giuliano non lo abol propria mente con un atto pubblico, perch ancora esso compare nelle sue monete. V . GtBBON Dff/. a . 7^// chap. X X H . II p. 354 Smeaton. LtB A N . XVHI 191-2 descrive anche il nessun conto che Giuliano faceva della porpora e l'intenzione sua di sm ettere il diadema (che era stato introdotto da Costantino) : intenzione da cui non altro lo avrebbe distotto se non il sug gerim ento divino.

2^8

V/. -

leggi ! Non era meglio farti chiamare Signore di nome, e, nei fatto, fasciarci liberi, o uomo nei nomi mitis simo, acerrimo nei fatti? Oltre a ci, tu ci ammazzi col pretendere che i ricchi sieno giusti e moderati nei tribunali, e che i poveri non esercitino il me stiere della calunnia (i)! Poi, col metter gi le scene, 344 co) licenziare i mimi e i ballerini, tu ci hai rovinata la citt; e tutto il bene che ci procuri di schiac ciarci sotto il peso della tua severit, tanto che, per essere da questa peste una buona volta liberati, siamo, dopo sette mesi (2), ricorsi alle preghiere delle vecchie che girano per i sepolcri (3); e, per parte nostra, il medesimo effetto abbiamo ottenuto con l'umore fa ceto, bersagliandoti con motteggi come con dardi. E B tu, o valoroso, come sosterrai i colpi dei Persiani se tremi alle nostre frecciate? Ma no, mi voglio vituperare di bel nuovo, da un altro punto. T u ti rechi nei templi, o bizzarro e screanzato e odioso in tutto. E accorrono, per cagion tua, ai sacri
(1) Su ci v. appresso pp. 265 sgg. (2) Questo indica la data di composizione det M'so/ogOM: cio it gennaio o febbraio de) 363, essendo ) 'imperatore en trato in Antiochia ne! giugno dell'anno precedente. V . S a g g io p. 104, n. 2. Cfr. per pi avanti, p. 262 n. 4. (3) Sepotcri sono dette, per disprezzo, te chiese dei Cri stiani, che si edificavano comunemente sopra )e tombe dei martiri. Bene ALLARD _//. 4/ . IH p. 174, n. 2 suppone trat tarsi di preghiere che i Cristiani facessero per ta mata riu scita detta guerra persiana a cui Giuliano proprio attora si accingeva, e datta quale tornando, temevano ch'egti avrebbe mosso guerra a fondo a))a toro religione, come si diceva aveva promesso (v. particolarmente GREGOR. . V g, 25).

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ia r ia .

249

recinti )e turbe e perfino imagistrati in gran numero, e ti accolgono, nei templi, come nei teatri, con grida e con applausi, splendidamente. Perch non sei con- C tento e non lodi, anzi ti pretendi pi savio, in tale materia, che il dio di Pito? e predichi alla folla e rimbecchi aspramente i festanti di quello che fanno (1), dicendo, testualmente : < Di rado voi entrate nei templi per amore degli Dei : accorrete per me ed empite i luoghi sacri di molto disordine. A d uomini savii con viene pregare composti, in silenzio invocando dagli D Dei le grazie. Non avete mai udito quella prescri zione di Omero :
Taciti e in voi m edesimi.... (2)?

n in qual modo Ulisse trattenne Euriclea stupefatta dalla felicit dell'evento:


Godi nell'animo, o vecchia, e contienti : non spandere grida (3) ?

Certo, anche i Troiani Omero non li rappresent in atto di preghiera n verso Priamo n verso alcuna delle mogli o delie (glie o dei figli di lui, neanche verso Ettore stesso (sebbene dica che questo i Troiani 345

(1) L e parote r TEOtoti/itvov ' , che nei Mss., anzich precedere, seguono t'inciso cdtA < !^ toSto Xf'/jr, non credo che vadano etiminate, come te elimina it Herttein, ma sempticemente spostate. (2) 77:af. VH 195-6: tdyp' TCpof ttuvt divmxtt I fva ^ y 7'^. Sono parote di A iace che, essendo datta sorte designato a duettare con Ettore, cos invita i compagni a pregare ta divinit. (3) /yss. X X II 411. Eurictea prorompe in grida di stupore e di gioia dopo l'uccisione, fatta da Utisse, dei Proci.

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Par/i V/. - O/frfZ/

veneravano siccome un Dio): non ti rappresent ripeto in atto di preghiera, te donne non meno degti uomini ( i); ma ad Atena dice tutte d'un grido tevavano te mani (2); costume barbarico anche questo e dicevote a femmine, non per empio in ri guardo agti Dei come quetto che usate voi. V oi invece degti Dei todate gti uomini, o, piuttosto, invece degti B Dei adutate noi uomini. Laddove ottima cosa, a mio avviso, sarebbe, non adutare neanche quetti, bens servirti, modestamente (3) *.
(1) P er questo brano assai contestato adotto ta tezione pro posta dai CuMONT in " R evu e de l'Instr. pubi. en Belg. , X X X II (188$), soto conservando ta frase fra parentesi (cita zione di /Am/. XX II 434 s g ), che it C. considera come una glossa e che a me invece pare a Giutiano dettata da rispetto verso it cutto di Ettore, che ancora ai suoi tempi era prati cato, netta T roade, e a cui egti stesso aveva assistito, come descrive in L X X V III p. 603 Hertl. (cfr. GEFFCKEN Za^t* grMc/t. ^ o / o g . pp. n o , 160). It concetto generate det brano si risolve nelta disapprovazione, da parte di Giutiano, det cutto divino tributato a tt'Im p erato reeattasu a fam igtia;cfr. i Cisart* 333 A e n. ivi. (2) Mai/. VI 301. (3) I concetti contenuti in questa parlata Giutiano ti a ve va effettivamente espressi in un editto a) popoto d'Antiochia, affsso per ta citt e occasionato da una visita at tempio detta Fortuna: esso corrisponde ad f/S/s/. L X IV : t/y tA p dytre, xci idy eiy roy di of Anatoghi pensieri to scrittore svotge in X X V II Z.<iaw:*o), dove, descrivendo it suo passaggio per Batne durante ta spe dizione di Persia, si tagna che te dimostrazioni a lui fatte nei templi abbiano dett'esagerato. Simitmente in X L IX (< 4/ sa w i/o /i < / < 7/a prescrive che nei tempti i governanti si tengano come privati.

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351

Ma ecco : di nuovo io vado tessendo te mie solite frasi, n ho il coraggio di parlare, come si dovrebbe, intemeratamente e liberamente; anzi dalla congenita mia goffaggine mi trovo portato a calunniare me stesso. A d uomini che, non pure coi governanti, ma con gli Dei intendono essere liberi, parlare a quel modo pu C solo chi desideri parer loro benevolo * come un padre clemente * (i), ma di natura sia perverso come sono io. Tollera dunque di essere odiato e vituperato, non solo in segreto ma in pubblico, se consideri adula zione quella di chi, vedendoti nei templi, ti acclama. Certo, tu non ci hai mai pensato ad adattarti n alla vita, n ai costumi, n al carattere della gente. E sta bene. Ala chi, intanto, tollerer quest'altra da te? Dormi quasi tutte le notti da solo (2), e non c' nulla D che ammollisca l'animo tuo selvaggio ed intrattabile. Hai chiuso d'ogni lato la porta a qualunque dolcezza. !1 peggio che di vivere una vita siffatta ci godi, e ti fai un piacere delle antipatie generali. Poi ti monta

(1) A do p era espressioni di /yss. V 12. (3) L a discussa e ambigua espressione del testo $ /idvog) ha sutta bocca degti Antiocheni un sapore ironico, poich (per quanto ingenuo possa parere t giurare sutta assouta castit di un uomo vissuto pi di miUecinquecento anni or sono) certo che Giutiano intendeva dormire e dorm iva dopo ta morte detta mogtie non quasi tutte, ma tutte te notti soto. Ci affermato con estrema deter minazione da tutti i contemporanei : AMMtAX. X X V 4 ,2; LtBAN. XVIII 179; MAMERT. Cra/. ari. 13. D'attra parte, queUa frase trova it suo riscontro in Ora/. VI 198 C, dove in senso opposto dato come ideate dei fatsi fi toso fi i) vMttMp /tdvov. Ed desunta da [PLATONE] VII 326 B (cfr. CoBEi in " Mnemosyne X ! [1883] p. 354).

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!a stizza se queste magagne te le senti osservare da alcuno ; mentre dovresti ringraziarti ^cotoro che per buon cuore e co! massimo garbo, in anapesti, ti am moniscono a depilarti !e guance (!) e, quindi, a dare, 346 cominciando da!!a tua persona, sempre belli spetta coli a questo caro popolo, amante di feste: mimi, ballerini, donne senza tanto pudore, ragazzi non meno avvenenti dette donne, uomini rasi non solo nelle guance ma in tutto i) corpo, per presentarsi, a chi capita, pi lisci delie donne stesse (2); feste, proces sioni, non per di quelte sacre intendiamoci , in B cui bisogna star serii. Di queste ce n' abbondanza, come di ghiande (3); proprio ne abbiamo Un sopra i capetti. L ' imperatore sacrific una prima volta nel tempio di Zeus ; poi in quello della Fortuna ; tre volte di seguito si rec in quello di Demetra; non ram mento pi quante nel santuario di Dafne, il quale, tradito dalia criminosa noncuranza dei custodi, fu poi devastato daita ribalderia dei miscredenti (4). Giunge il Capodanno siriaco (5), e l'imperatore sbito, di nuovo,
(1) Su queste satire composte in forma poetica v. LtBAN. X V I 28-9. (3) L a pederastia era aHora motto diffusa, nonostante l'a v vento de! Cristianesimo: v. LtBAN. X 29; X X X V H 3, 12, 14; X X X V tll 8; X L I 6; X L 1I 28; e ( r a g li stessi Cristiani, come si vede, ad es., da IoHANN. CHRYs. < 4</ /a/s. 111 8. (3! H testo dice veram ente " come della quercia riferen dosi at proverbio , che ricorre, ad es., in HESiOD.

35
(4) Celebre tempio di Apolto net sobborgo antiocheno di Dafne, il cui incendio sar descritto pi avanti, p. 277. (5) Corrispondente pare at 1 novem bre: v. DtTTENBERGER in PA U L Y -W tSS O W A /?. V Io8l; iDELER MwKMMfA . C^roxo/. 1 pp. 430 sgg.

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253

ne! tempio di Zeus Fitto; poi i! Capodanno univer sale (t), e im p era tore at tempio deit Fortuna; lascia C appena passare un giorno nefasto, e di nuovo ripiglia le sue preghiere al tempio di Zeus Filio secondo i patrii costumi (2). E chi soffrir ancora un imperatore che bazzica sempre nei templi, mentre gli Dei ti po trebbe seccare una o due volte al massimo, e cele brare, invece, quelte feste e quei convegni che sono di ragione di tutto il popolo, e cui potrebbero parte cipare non coloro sottanto che riconoscono i suoi Dei, ma anche gli altri, di cui la citt ribocca? Cos si avrebbero gran gioia e grandi diletti, quali ciascuno potrebbe a suo agio gustare contemplando uomini D danzanti e ragazzetti, nonch donnine in abbondanza. Ogniqualvolta queste cose io considero, mi con gratulo con voi della vostra beatitudine ; ma di me stesso non ho fastidio, perch, in fondo, te mie abi tudini, grazie a qualche iddio, mi sono care uguatmente. Ond e che niun rancore io nutro siate tranquilli contro quelli che mordono ta mia vita e i miei principii. Anzi ai loro motteggi io stesso ne aggiungo quanti altri posso, rovesciando su di me questa satira : su di me che, ignorante ! non compresi 347

(1) nayxotvos evidentem ente il 1 gennaio del calen dario romano, festeggiato in tutto l'im pero. Cfr. A . MOLLER ' .Mw/aArs/iHir < M r< 5w . " Phit. 1909 p. 464 sgg. (a) Di queste varie visite ai templi di Antiochia si ha, in* parte, ricordo anche dalle fonti storiche: AMMtAN. X X II 14, 4 (tempio di Zeus Casio); LtBAN. X V 79; ! 122; XVIII 162 (templi di Zeus Filio e della Fortuna, cui l'im peratore si reca per festeggiare l'inizio det suo IV consolato, il 1" gennaio 363).

quate, datt'origine, si fosse t'indote detta vostra citt. Eppure se ta fiducia non m'inganna fra i miei coetanei nessuno ha svotto pi tibri di me (). Orbene, guardate che cosa raccontano det re (2) che diede it nome a questa citt, o megtio, cot cui nome questa citt fu costituita (perch !a fond Seteuco, sebbene it nome to abbia dat Hgtio diSeteuco)(3). Dicono dunque che costui, per eccesso di mottezza e B di tussuria sempre amando e sempre essendo amato, atta fine giungesse anche ad ardere di ittecito amore per ta propria matrigna (4). Quantunque egti votesse nascondere !a sua passione, non poteva: venivagti meno, a poco a poco estenuandosi, it corpo ; gti si esaurivano te forze ; anche it respiro era divenuto pi debote che non soteva. Avevan dett'enigma io credo quette sue condizioni: poich n patese era !a causa dett'infermit, n, at tutto, che cosa essa fosse C vedevasi: soto manifesto era net giovane t'indebotimento (5). Qui ta gran questione fu posta a) me-

(1) Cfr. S a g g io p. 74. (a) Antioco Sotere (281-63 a. C.), Hgtio e successore di S e leuco Nicatore. L a storia qui raccontata s'incontra pure in
PLU TA RC H .

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[L u C A N .] D i - S y r .

17;

A R S TA N E T.

I Tipn/. 13; VALER. . V 7; SYNCELL. p. 520 Bonn. (3) Veram ente, Seteuco Nicatore, fondando ta citt (net 301 a. C.), te pose nome Antiochia in onore non gi det Hgtio, ma det padre, che pure chiamavasi Antioco: v. BELOCH GrMfA. GiSfA. HI 1 p. 264. (4) Stratonice, fgtia di Demetrio, spos Seteuco Nicatore dopo ta battagtia di Ipso (30:); quatche anno appresso (294) pass a nuove nozze con Antioco Sotere. V . BELOCH GfSfA. III I pp. 231, 226; 3 pp. 150-1. (5) CIr. su tutta questa descrizione te osservazioni di A sn u s in "Phitologus , L X V (1906) pp. 4t5 sgg.

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dico di Samo (), di scoprire quate fosse ta malattia. E quegli, ponendo mente al detto di Omero, che ci sono certi * affanni roditori detle membra ' (2), e che spesso non la debolezza fisica, bens il languore del!' anima causa di struggimento al corpo, e d 'altra parte vedendo il giovinetto e per et e per consue tudine propenso ai piaceri di Afrodite, segui nella caccia del morbo questa via. Si pose a sedere presso D al letto del giovane, e, fissandogli in viso lo sguardo, fece entrare alla sua presenza di bei ragazzetti e belte donne, a cominciare dalta regina. Appena questa fu entrata, come per fargli visita, subito il giovanetto diede tutti i sintomi del suo male : mandava un re spiro affannoso come chi si senta soffocare; n, per quanto facesse, era in grado di reprimere l'agitazione: gran turbamento nella voce, molto rossore sut viso. Ci vedendo, il medico gli porta la mano al petto : 348 balzava fortemente il cuore, quasi tirando a divellersi. Queste le sue condizioni, presente la regina. Ma quando elta fu andata, ed entrarono altri, rimaneva impassi bile n aveva sembianza di persona che soffre. Avendo cos Erasistrato capito il male, to disse al re, il quale, per l'affetto che portava al figlinolo, propose di ce dergli la sposa. Quegli per allora rifiut ; ma, mortogli di l a poco il padre, quel favore che, prima, essen dogli offerto, generosamente aveva rifiutato, tosto assai avidamente ricerc (3). B
(1) Erasistrato. Ci solleva per diiHcolt cronologiche esposte dal BELOCH CrcA . 2 p. 475. (a) Citazione errata, poich la frase ricorre non in Omero, ma in Estono /. / t'M 66 : ! ! ymo/M(3) Plutarco racconta invece che Antioco spos Stratonice

Questa essendo stata !a condotta di Antioco, no, certo, non hanno torto i suoi discendenti se emulano il fondatore o, pi esattamente, l'omonimo (i): poich, come nelte piante vediamo trasmettersi (ino alia lon tana le originarie qualit e anzi, in generale, i nuovi arbusti venir su somigliantissimi al ceppo onde ger minarono, cos negli uomini pur naturale che i co stumi dei posteri ritraggano dai progenitori. Peresempio, io ho in persona conosciuto gli Ateniesi come il poC polo pi nobile e pi umano della Grecia e, sebbene tati doti le ravvisi in massima presso tutti i Greci, e di tutti possa dire che sono, in confronto delle altre nazioni, maggiormente rispettosi degli Dei e cordiali verso gli stranieri, tuttavia ci debbo attestare, soprat tutto, degli Ateniesi (2). Se dunque questi conservano nei loro costumi l'impronta dell'antica virt, giusto che il medesimo accada ai Siri, agli Arabi, ai Galli, ai Traci, ai Peoni, e anche a quelli che stanno framD mezzo a Traci e Peoni, proprio sulle sponde del D a nubio, i Mesii, dai quali deriva la mia schiatta (), conseguentemente il mio carattere tutto ispido, asciutto, intrattabile, insensibile al piacere, irremovibilmente
quando ancora era vivo it padre. Ci pi conforme atta cronotogia, perch Seteuco mor net 281; mentre te nozze dovettero a v e r luogo verso il 294, aHorch Antioco divenne coreggente del padre. (1) ^t<Avty*ov leggono i Mss., e non it caso di correggere con Herttein ^!*, tanto pi che (come abbiamo visto) Antioco S otere non fu affatto fondatore eponimo della citt, ma ebbe con questa una semplice omonimia. (2) In ricordo detta dimora che Giutiano aveva fatto ad Atene. (3) Eutropio, padre di Costanzo Ctoro (v. sopra p. 200 n. 3), era nativo detta Mesia.

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fermo nelle sue deliberazioni: che sono tutte prove di una terribile satvatichezza. Quindi, io chiedo primieramente scusa per me ; poi la concedo in ricambio anche a voi, che emulate i patrii costumi. N ad obbrobrio vi ascrivo di essere, secondo il verso di OtYiero,
M enzogneri e nell'arte dei pie' danzatori maestri (i); 349

anzi dico che ad onore vi ridonda l imitazione delle patrie consuetudini. Infatti, anche Omero per lodare Autolico disse che a tutti sovrastava
In ladreria e spergiuro.... (a).

Ed io pure la mia ruvidezza, la mia stupidit, il mio fare burbero, il mio non essere facilmente mal- B leabile, il non subordinare gli affari miei n a racco mandazioni n ad inganni (3), il non cedere alle pro teste, questi ed altrettali miei difetti, io li adoro. Se sieno pi lievi o pi gravi dei vostri, ci sapranno forse gli D ei: degli uomini niuno sarebbe in grado di dare il verdetto. E noi non gli crederemmo, per egoismo : poich nella natura umana che ciascuno ammiri le cose proprie, disprezzi le altrui. Tant' che chi con te persone di opposti principii usa indulgenza, quegli a me pare fra tutti il pi discreto. Ma qui, a pensarci, io trovo di avere perpetrato C ancor altri delitti. Infatti, arrivando in una citt libera,

(1) 7< X X IV 26i. (a) /yss. X IX 396. (3) Adotto l'emendamento del P L ATT " Class. R e v . pp. 21-2 di 7tottRy#at (sc:7. t ^tctuTo) in Ttpo/f

1904

17-

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A r / 7/. -

ma che non ammette libert nei capetti, vi precipitai senza farmi tosare e con ta barba unga, come i sel vaggi che non hanno barbieri. Pareva proprio di ve dere Spilorcio o C uordileone(i), un vecchio barbogio o un incolto soldato : mentre, stribbiandomi un poco, avrei potuto fare ta figura di leggiadro garzone e D diventare giovincello, se non di et, almeno di ma niere e di morbidezza nel votto. Insomma, tu non sai convivere con gti uomini; non sei seguace di Teognide, non imiti il polipo che cambia colore con la pietra su cui si annida (2). In vece, con tutti tu adoperi ta salvatichezza, la sgarberia, ta stupidit degli abitanti di Micono (3). Non ti ac corgi che siamo ben lontani dalt'essere Galli, Traci, 350 Itlirii ? Non vedi quante botteghe in questa citt ? Ma, ecco, tu ti inimichi i bottegai, non permettendo che le derrate si vendano a cittadini e a forestieri pel prezzo che toro talenta (4). Essi riversano la cotpa sui proprietarii di terre. E tu ti rendi ostiti anche questi, costringendoli a stare nei limiti de! giusto. Attora, i magistrati della citt che subiscono entrambe

(1) Personaggi della Commedia Nuova. " C uordiieon e, ( era titolo di una commedia di Menandro : KocK C on . a//./r. Ili pp. 69-70. [' (2 ) THEOGN. 215-9: f<%e 7toc! , ] t?? to!os Mtfv x.t.^. Cfr. CoM/ro ! Crts/i'am' p. 177 Neum. (3) Isola delle Cicladi celebre per la sua povert e per la grettezza dei suoi abitatori: v. . I 7 F. Pare che la frase risalga ad Archiloco: clr. fr. 78 B ergk ', in nota. (4) Allusione al calmiere che Giuliano aveva introdotto per rimediare alle tristi condizioni economiche di Antiochia: di cui sar parlato diffusamente pi innanzi.

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le restrizioni, se prima scialavano mietendo profitti dall'uno e dall'altro lato, e come proprietarii e come B bottegai, oggi, naturalmente, strillano vedendosi sot tratti da ambo i lati gli eccessivi guadagni. E il po polo, questo popolo di Siri (t), che non ha pi da avvinazzarsi n da ballare il crdace (2), va in furia. E tu credi, provvedendogli grano in abbondanza, di nutrirlo pi che convenientemente ! Bont tua ; ma non t'accorgi che ben presto non avremo in citt neppure un'ostrica (3). L'altro giorno, ad uno che si lagnava di non aver trovato ne! mercato n uccelli n pesci, tu, con grasse risa beffandolo, osservasti C che ad una citt savia bastano pane, vino ed olio; le carni sono gi di una citt lussuriosa (4) : il parlare di uccelli e di pesci poi, pi che lusso, intempe ranza quale non praticarono neanche, in Itaca, i Proci (5). Chi dicesti non trova gusto alle carni di maiale e di agnello, far bene ad attenersi ai legumi. Con questo credevi di legiferare in mezzo ai tuoi concittadini Traci, o in mezzo a quegli insensibili Galli che ti allevarono, per disgrazia nostra, cos D * cuor-d'elce *, cos * d'acero *, e se non < Maratono-

(1) Sul significato spregiativo di questa denominazione v . CMart 313 A e n. ivi. (9) D anza comica di carattere osceno. (3) Il calmiere sui p rezzi a ve va prodotto la rarefazione e la scomparsa dei generi alimentari. Sulle distribuzioni di grano v. pi avanti pp. 288-9. (4) PLATON. 372 E. (5) Sono note le abitudini di astinenza di Giuliano, che di pendevano, spesso, da motivi mistici, come si pu ved ere in Ora/. V . Vedi come LiBAmo Or. I 123-5 descrive i banchetti dell'imperatore, ai quali era frequentemente invitato.

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sa/<r<ir^i.

maco *, almeno Acam ese * per met (i), uomo in ogni cosa molesto, essere sgraziato. Non era megii profumare di mirra, a! tuo passaggio, ta piazza, traendoti dietro un codazzo di bei ragazzetti, sui quati pascessero t'occhio i cittadini, e cori di donne come si incontrano ogni giorno presso di voi (2) ? 351 Ma a me di tanciare d'ogni intomo tenere occhiate per sembrarvi betto ne! viso anzich nett' anima, l'educazione ricevuta non !o consente. Per voi vera bellezza dell'animo un vivere molle (3). A me il pedagogo insegn a guardare per terra mentre an davo a scuota (4). A teatro non ci fui se prima non ebbi la barba pi tunga che i capetti, e, pure a quetta et, mai da soto o di mio tatento, s tre o quattro

(1) AHude ai v v . 180-! degti ^fartMst di Aristofane, dove sono con quegti epiteti qualificati gti uomini dett'antica genera zione attica. (3) ' Mss., Hertt. Corresse P t- art. cit. (3) P L A T T art. cit. rende probabile che qui sieno adoperate (rasi di Euripide, messe in ridicolo datta Commedia. (4) Mardonio, che era stato it primo educatore e maestro di Giuliano, e sut quale v. S a g g io p. 67 sgg. e I. A Co stantinopoli infatti egti dovette accompagnare il giovinetto alte scuole dei principali retori, Nicocle, Ecebolio ecc. ; come dicono anche SocRAT. Ili 1,10 3 e LtBAN. Or. XVIII 11. Era costume che gli allievi fossero accompagnati da! pedagogo o da uno schiavo * guardiano de!!a loro educazione , : vedi LtBAN. Or. LV III 6 - n ; LI 4; 173,355, 139. Giuliano tiene qui a distinguersi dalla m aggior parte dei compagni di scuola, i quali gi a quei tempi erano mo!to dediti ag!i spassi e a!te monetterie, come racconta pi volte lo stesso LtBAN. L X II 31-5; 376.

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votte quando (come bene saprete) !' imperatore, mio famiiiare ed affine, ordinava, B
Gratificando a Patroclo.... (i).

Ancora io ero privato cittadino. Siate dunque indutgenti con me. V i do uno da odiare, in vece mia, a pi forte ragione : il mio rab bioso pedagogo, i) quate atlora torturavami coi suoi precetti di battere sempre una stessa strada, ora causa det mio contrasto con voi: perch mi ha instiUato e quasi stampato neH' anima cose di cui, in C quet tempo, proprio avrei fatto a meno ; ma egti tanto pi votonterosamente, con a sembianza di fare it bene mio, me te cacciava dentro, chiamando dignit ia rozzezza, sapienza t'insensibitit, forza d'animo i) non cedere atte passioni e it non rendersi fetice con esse. Quante votte (sapeste !), per Dio e per te Muse, quei pedagogo a me ancor piccotino diceva : < Non ti tra scini ia turba de' tuoi coetanei, che frequentano i D teatri, a bramare quegti spettacoti t. Hai vaghezza di corse? Ce n' una in Omero composta con incomparabite abitit (2). Prendi it tibro e studia. Odi partare

(1) L'im peratore il cugino Costanzo. L'emistichio parodia di Om ero (7//. ! 572, 578: M fp ' il cui spirito ci sfugge, perch non sappiamo che cosa i'A . voglia dire con quei Patroclo ; tranne che, come spesso gli accade, ia memoria io abbia tradito, ed egii creda di desumere taie e quate l'emistichio dal XXIII deli'IIiade, dove descritta ta corsa di Achille in onore di Patrocto, di cui sar fatta me moria pi avanti. V . n. sg. (2) L a corsa dei carri che Achitte diede per celebrare i funerati di Patroclo, in //< < !< ?. XXIII.

di pantomimi danzanti ? Lasciati andare Ben pi viritmente danzano, presso it popo!o dei Feaci, i fanciutti (i). Tu hai per citaredo Femio e per cantore Demodoco. Periino aberi ci sono in Omero pi detiziosi di quanti si vedono netta reatt:
T ate in Deio una volta vicino all'altare d'ApoHo Vidi un palmizio at cieto elevare suoi freschi virgutti (3),

353

e l'arborata isola di Catipso e le grotte di Circe e il giardino di Atcinoo. Ricordati bene che nutla vedrai pi delizioso di questo * Ma volete forse che io vi dica anche il nome del pedagogo, e di quale razza egli era per aver proferito tali cose ? S, era barbaro, per gli Dei e per te D ee t Scita d'origine, omonimo di colui che diede a Serse B i! consigtio di muover guerra contro la Grecia (3). Di pi era quatit questa fino a venti mesi ad dietro molto apprezzata e riverita, ora adoprata per offesa ed ischemo (4) voglio dire, era eunuco, al-

(1) (% -ss. V ili. VI 162-3. (3) Mardonio, fgtio di G obria: v. H ERO D i. VII 5-6. Era un vezzo detta sofistica questo di non dire i nomi se non mediante perifrasi. Scita era ta denominazione greca dei Goti. (4) Giutiano cacci datta Corte gti eunuchi che sotto Costanzo v i avevano avuto grande potenza (cfr. GtBBON Dw/. a. II p. 176 Smeaton), e particotarmente it prefetto de! sacro cubicuto, Eusebio. L'indicazione dei venti mesi d tuogo a una questione cronotogica circa ta data di composizione det M so/ogwM. Costanzo mor it 3 novem bre 361. L'epurazione detta Corte per opera di Giutiano det decem bre successivo. Contando i venti mesi da questo punto si arriverebbe al
(3)

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363

levato da mio nonno (1) perch fosse guida a mia madre (2) netto studio di Omero e di Esiodo. Ma quando mia madre, dopo avermi partorito, suo primo ed unico figlio, in capo a pochi mesi mor (sottratta, in et giovanite, a una vita di tribotazioni (3) per grazia detta dea Vergine e Senza-madre (4)), allora, C a sette anni, gli fui consegnato io. E tui da quet momento mi apprese tati abitudini, conducendomi a scuota sempre per ta stessa strada. E poich attra n lui, per s, voleva conoscerne, n a me ne lasciava prendere, fu causa che diventassi uggioso a tutti voi. Per, se non vi spiace, riconcitiamoci con lui, ed io e voi di buon accordo deponiamo l'inimicizia. Poich, certo, egli non sapeva che sarei venuto nella vostra citt, e, anche supponendolo, non s'aspettava che vi sarei venuto come imperatore, e di un cosif- D fatto impero che gli Dei mi accordarono a dispetto, credeteto, tanto di cotui che lo cedeva (5) quanto di

giugno det 363, ossia atta data detla morte stessa di Giuliano (26 giugno). It che non possibile, perch t'imperatore tasci Antiochia 6n dat 5 marzo. O ra nel M'io/ogOM? stesso c' (sopra, 344 B) un'attra indicazione cronotogica, datta quate il libetto appare composto verso il gennaio o febbraio di que)l'anno. dunque da ritenere che i venti mesi siano compu tati dal tempo in cui Giuliano era entrato in guerra contro Costanzo, come gi suppose it DE LA BLTERtE <&
I I p . 121.

(1) Ceionio Giutiano Camenio, prefetto del pretorio e consote net 325. (2) Basitina: v. -Sngg*:*o p. 20. (3) L e disgrazie familiari e te consanguinee stragi che a dissero ta giovinezza di Giutiano. (4) Atena. Cfr. Cow?ro < Cr<s/. p. 206 Neum. (5) Costanzo. Parta detta nomina a cesare.

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me che to ricevevo. Infatti, di noi due n l'u n o n t'attro pareva votesse saperne : non i) datore, che pure questo onore offerse onore o favore o come altri menti vi piace chiam arto ; non il ricevente, il quate come agti Dei ben noto con sincerit lo ri fiutava (i). Ma adesso, (nch piaccia agli Dei, to tiene e lo terr. 353 Forse, se il pedagogo avesse previsto anche questo, mi si sarebbe posto d'attorno a tutt'uomo, perch vi riuscissi, quanto pi si poteva, gradito. Ma, non dunque pi possibile ora cambiare e disimparare, se mi sono stati inoculati cos barbari costumi? Abitu dine dicono : seconda natura) Combattere con la natura un'impresa; deporre abitudini di trent'anni ancora pi grave, specie se furono istillate con tanta B ostinazione ! E per me gti anni sono perfino di pi (2). Sta bene. Ma questa chi te l'ha insegnata, di inge rirti nei nostri contratti e far da giudice ? Questa non te t'ha insegnata it pedagogo, se neanche sapeva che dovessi regnare. Si proprio, anche a ci mi ha con dotto quel terribite vecchio (3) : onde non a torto potete insieme con me svillaneggiarlo come il princi palissimo autore delle abitudini mie. Solo, ricordatevi che era egli stesso tratto in errore da altri. V i sa ranno giunti credo atte orecchie i nomi, messi

(1) V. S g g io pp. 23 8. Cfr. GREGOR. NAZ. IV 40. (2) Era net trentatreesimo anno di et. (3) A torto it NEGRt C<"w /. p. 26 n. 1 interpreta come se questo vecchio fosse un attro, non Mardonio. It testo per non tascia dubbio at riguardo, e ci importa p e rle con seguenze storiche esposte in I.

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pi volte in commedia, di Platone, Socrate, Aristotele, C Teofrasto. Da costoro it vecchio, imbecille com'era, . essendo stato sedotto, seduceva poi anche me, che ero giovane e appassionato del sapere, dicendomi che, se in tutto avessi emulato quei grandi, sarei riuscito migliore, non forse degli altri uomini (perch non con gli altri dovevo competere), ma di me stesso certa mente. Ed io (che cosa potevo fare?) mi lasciai per suadere; cosicch adesso, per quanto desiderio molte D volte ne abbia, non posso pi cambiare, e contro me stesso inveisco, che non concedo a tutti totale im punit di tutti quanti i delitti. Senonch allora mi sovvengono le parole di Platone nel discorso dell'ospite ateniese : <Degno di onore chi non commette in giustizia; ma chi agli ingiusti impedisce di far ingiu stizia degno di onor pi che doppio. Poich quello vale per uno, questo per molti di pi, denunziando ai magistrati anche l'ingiuria degli altri. Quantq a colui che coi magistrati si allea per punire, secondo le proprie forze, i malfattori : quegli sia tenuto, nella citt, per uomo veramente grande e perfetto, e lo si 354 proclami vincitore nell'arringo della virt. E il mede simo elogio si applichi alla sapienza e alla tempe ranza e a quant'altre buone qualit uno possiede, che non tenga per s solo ma comunichi agli altri (t) *. Questo egli m'insegnava, credendo che dovessi re starmi privato cittadino. No certo, egli non s'imma ginava che da Zeus mi sarebbe venuto questo avven- B turoso stato nel quale al dio piacque ora di collocarmi. Senonch io, vergognandomi di dover essere da impe ratore meno virtuoso che da privato cittadino, ecco che,
(i) PLAT. V 730 D.

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senza avvedermene, e mate a proposito, vi ho fatto it dono detta mia barbarie. Ma anche un attro dei precetti di Piatone, tornatomi a mente, contribu a rendermivi odioso: che dice do vere i governanti e gti anziani praticare pudore e saC viezza, onde te turbe, ad essi guardando, sieno edifi cate (i). Ora, essendo io soto, o at pi io con pochi amici, ad appticarto, it precetto andato a ritroso detta mia aspettazione e mi riuscito, non senza ragione, di obbrobrio. Non siamo appunto che sette, forestieri e nuovi venuti (2), pi uno, che vostro concittadino, caro ad Ermete e a me, grande artefice di discorsi (3): e non abbiamo commercio con alcuno, n attra strada facciamo che non sia ai templi degti Dei o, di rado D e non tutti, agti spettacoti ; perch ci siam posto a scopo detta nostra vita it compito pi infame e pi vergognoso. I Savii detta Grecia mi permettano qui di riferire taluno dei precetti che hanno maggior voga presso di voi; giacch ad illustrare quet nostro scopo non avrei modo migliore (4). Dunque : noi ci siamo piantati sul vostro cammino ; tanto c'importa di urtarvi e di appa rirvi odiosi piuttosto che di piacervi e di tusingarvi ! Il tate ha fatto ingiustizia al tat altro diciamo . E che ne importa, o stupido, a te ? T u puoi, favorendo
(1) PLAT. V 729 B, C. (2) Essi erano, oltre Giuliano: i filosofi Massimo e Prisco, il sofista tmerio, it medico Oribasio di Pergam o, il prefetto del pretorio Sallustio, il maestro degli ufHzii Anatolio. (3) Libanio, nativo di Antiochia Caro ad Ermete, ossia at dio che, nella concezione neoplatonica, non pure presiedeva alt'eloquenza, ma dava imputso agti intetletti : v. sopra p. 39. (4) L'interpretazione di questo passo estremamente dubbia.

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i] misfatto, guadagnarti t'attrui benevolenza; invece, perdi it profitto, e ti accaparri un'inimicizia : e, in ci 335 fare, credi di far bene e di bene provvedere ai casi tuoi. Ragionare dovevi: che nessuno, per torti che gti siano fatti, accagiona i magistrati, bens t'ottraggiatore: mentre quest'uttimo, se sia punito, tascia di accusare ta propria vittima, e contro i magistrati rivotta tutto it suo rancore. Dunque, potendo con questo po' di ragionamento astenerti da) fare osservare a forza ta giustzia, tascia che ciascuno faccia quet che vuote e quet che pu. B L'indote detta citt, a me pare, fatta cos : tibera, comptetamente tibera ! T u non to intendi, e credi che si tascino comandare datta sapienza. Uh, non hai ancora osservato ta tibert che godono qui perfino gti asini ed i cammetti ? Anche questi ti menano sotto i portici, come tante spose. I vicoti scoperti, te strade spaziose non sono mica fatte per essere percorse dai somari : ci stanno per ornamento, per un di pi. t somari vo gliono, in omaggio* atta t i b e r t , servirsi dei portici, C e nessuno si arrischia ad impedirti, per non viotare ta l i b e r t . Cos ta citt veramente tibera! T u pretendi che in essa i ragazzi tengano un tran quitto contegno, pensino come a te piace, o atmeno non partino se non di ci che a te garba di udire. Invece, ta tibert ti ha avvezzati a far chiasso e batdoria: tutti i giorni se ne cavano t'uzzoto, ma nette feste ancor pi. Ben vero che una votta di simiti ottraggi i T a rantini pagarono it fio ai Romani, per avere, ebbri, D nette feste Dionisie, insuttati i toro ambasciatori (i).
(1) Questi insutti furono pretesto aHa guerra che port aH'occupazione romana di Taranto, ne! 272 a. C.

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Ma voi siete in tutto pi progrediti dei Tarantini, spassandoveia non pochi giorni, ma l'anno intero; insultando non ambasciatori forestieri, ma il vostro stesso Sovrano, e questo per i peli che ha sul mento (i) e per i simboli che reca impressi sulle monete (2). 356 Bene ! o savii cittadini, e voi che queste farse com ponete, e voi che le accogliete e le applaudite. Si vede proprio che agli uni d gioia il dire, agli altri l'ascoltare tali motteggi. Ed io di cos ammirevole vostra concordia mi congratulo con voi, e dico che ben fate a costituire, anche in ci, una sola e unica citt: poich non sarebbe davvero n decoroso n bello castigare ed infrenare la sfacciataggine dei gio ii vani. Sarebbe un portar via, un recidere la testa della

(1) Circa le beffe di cui lo investivano gli Antiocheni vedi, oltre ci che gi stato detto sopra, AMMtAN. X X I I 14, dove troverai una bella caricatura dei caratteri 6sici di Giuliano. Confronta anche gti epiteti ingiuriosi che gi i cortigiani di Costanzo gli avevano applicato mentre era cesare, ap. AMMtAN. X V II n , 1 : fi?/?//?!, /oyMajr /a/pa, /r/Mrg/a stMa, /Mirto gr<Mfs... /?5, MM<ira/tY<s. It cinico Eraclio lo pa ragonava a Pane : v. Ora/. VII. (a) I pi e, fra e s s i , A u . A R D _//./ * .< 4/ . Ili p. 161, intendono i l profilo irsuto rappresentato sulle monete. Ma S o c R A T E III 17 e S ozo M E N o V 19 informano che gti Antiocheni beffavano il rovescio dette monete, dov*era rappresentato un toro, e pre tendevano che Giutiano rovesciasse il mondo (d v a tp a ^ v a t: jM'so/". 360 D) come si rovesciano i tori immolandoti. Non si capisce come t'Attard, che pure cita questa notizia, non creda di doverla connettere con te parote di Giuliano. Certo, l'in terpretazione che d e l simbolo impresso sutle monete dnno i Cristiani non esatta, perch il toro era l'efEgie detta divi nit egizia A pis : su che v. MMtAN. X X I I 14, 6-7. Cfr. GEFFCKEN * Neue Jahrbb. f. kt. Att. , XX II (1908) p. 176 ; WEBB " Numismatic Chronicte , X (1910) pp. 938 sgg.

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libert, se si togliesse agli uomini il diritto di dire e fare quanto a loro talenta. E di ci, infatti, voi bene essendo convinti che la libert debba dominare in tutti i punti , avete cominciato con lasciare alle vostre donne il governo di s medesime, allo scopo di averle libere d'ogni pudore e dissolute; poi ad esse avete affidata l'edu cazione dei vostri figliuoli, per timore che, sottoposti a disciplina pi rigida, riuscissero come schiavi e, C adulti, imparassero a rispettare i vecchi: quindi, guasti dalla perfida usanza, troppo ossequio adoperassero verso i governanti; da ultimo, diventati non uomini, ma mancipii, e dimostrandosi savii, ragionevoli, onesti, finissero con l'essere rovinati sotto tutti gli aspetti. Orbene : che fanno le vostre donne ? Esse attirano i figliuoli alla loro retigione, mediante il piacere: che il sommo bene e il pi universalmente apprezzato non D solo dagli uomini, ma anche dalle bestie. Ora, io vedo di dove proviene la vostra grande fe licit: dal rinnegare ogni servaggio, primo quello degli Dei, poi quello delle leggi, terzo quello dei custodi delle leggi, che siam noi. E noi saremmo pazzi se, mentre gli Dei tollerano tutta questa libert n puni scono, noi ci lasciassimo andare allo sdegno e alla vendetta. Poich questo lo sapete: che gli Dei ci sono 357 compagni, nel subire maltrattamenti dalla vostra citt. Il X dite non fece alcun male a questa citt, e neanche il K. Che cosa sia questo enigma della vostra sapienza^ ci era diffcile intendere ; ma, avvenutici in taluni in? terpreti vostri concittadini, apprendemmo che quelle lettere sono iniziali di due nomi, e vogliono dire l'una

270

'/ // - 0 /iri//i ^oM tf^i ^ ia//r/r/M.

Cristo, l ' altra Costanzo. Ebbene: [asciate che questa B volta vi parli proprio col cuore aperto. Un male vi ha fatto Costanzo, quando, nominatomi cesare, non mi ammazz (). Per altro, possano gli Dei accordarvi (e a voi soli di tutti i Romani !) che ne proviate molti di Costanzi e, particolarmente, la rapacit degli amici di lui (2). Quanto a me, io lo ebbi cugino ed amico. Sulle prime all'amicizia egli aveva preferito l'ostilit: ma, non appena gli Dei ebbero con infinita benevoC lenza appianata la nostra contesa (3), sbito me gli mostrai cos devoto, come neppure poteva immaginare di avermi prima di quella rottura. Perch dunque dovrei io dolermi delle lodi a lui tributate, se invece mi sdegno di chi lo vitupera?

(1) Cfr. M u s a g y to 270 D. P are che Giuliano faccia suo, p er ironia, it giudizio dei Cristiani, ad es. di GRECOR. Nxz. IV 3, 48, it quate rim provera Costanzo di a ver risparmiata a vita al giovane cugino. (2) L 'A . non si lascia mai sfuggire l'occasione di colpire gli amici e i consiglieri di C ostanzo, a cui attribuiva il massimo della colpa (cfr. l'allegoria di O ra/.VII 233 B-C), e contro i quali egti esercit infatti a principio det regno la sua severit. V . come parla di essi in X X V (epistola la cui autenticit a torto contestata dallo S cH W A R Z D i p. 27: cfr. CuMONT -Sur p. 20), e in ^<s/. XXIII. (3) L a morte a Costanzo sopravvenuta it 3 novem bre 361 aveva fatto si che i due cugini non venissero a battaglia l'uno con l'altro e che Giuliano, veduta in quet fatto come una &M?vo/a ro/ow/ degti Dei, inclinasse al rispetto e alta ' piet verso il defunto. Gti avevano narrato che Costanzo morendo avesse designato lui a suo successore (v. AMMLAN. X X I 15, X X II a). Perci egli si mostr <&vo/o, s'intende, alla memoria di Costanzo (cfr. L tB A N . Or. XVIII 117 sgg.), e non permise che alcuno contro di quello imprecasse, come puoi vedere anche dalle i^ 's/. X , , X X V .

/ - M'so^ogoMi <7 Miwt'co i&//a ia r ia .

271

Ma Cristo voi amate, facendolo nume tutelare della vostra citt in cambio di Zeus, di Apollo Dafneo, e di Calliope, che mise a nudo la vostra perfdia (t). Amavano Cristo gli Emiseni che buttarono fuoco nelle tombe dei Galilei (2) ? Ed ho io fatto de! ma!e ad D alcuno degli Emiseni ? S, certo, ne ho fatto a molti di voi, per non dire a tutti : al senato, ai ricchi, al popolo. Infatti mi ha in odio la maggioranza, per non dire la totalit del popolo, che professa l'incredulit negli Dei e vede me attaccato ai dettami della patria religione; mi hanno in odio i facoltosi, a cui io im pedisco di vendere ogni cosa ad alto prezzo ; tutti poi, a motivo dei ballerini e dei teatri, non perch'io li privi di queste delizie, ma perch di queste delizie a me 358 importa meno che dei ranocchi delle paludi. E poi si potr dire che non ho ragione di accusarmi io stesso, se vi ho prto tante occasioni di odio P Il romano Catone (3) (il quale come stesse di barba non so (4), certo era degno di lode fra quanti altamente

(i) L'interpretazione di queste parole non chiara. A me pare che attuda a ci che segue, ossia al brutto tiro giuocato da quelli di Antiochia agli Emiseni. A Cattiop^ era afEdata in Antiochia ta protezione dette scuote, unitamente con Erm ete: v. L iB A N . Ora/. I 102. (a) Gti Antiocheni attribuirono agti abitanti di Em esa e di altre vicine citt, pi devote at politeismo, ta composizione dette satire ch'essi invece avevano [andate contro l'im pera tore. Em esa e quett'attre citt dimostrarono it toro zeio e it toro ossequio verso Giutiano incendiando le chiese cristiane e i sepotcri dei martiri : cfr. GREG. NAZ. V 29. (3) Catone Uticense. Questo aneddoto raccontato in
PLU TA RC H . Ca/. MM.

13;

Pow /.

40.

(4) Evidentemente non ta portava; poich net costume ro mano non era ammessa.

sentono detta sapienza, detta magnanimit e soprattutto de! vatore), essendosi un giorno accostato a questa vostra popotosa, ricca e sottazzevote citt, e avendo B trovato net suburbio, insieme coi magistrati, gti efebi, inviati t come ad una parata, pens che i padri vostri tutti questi preparativi avessero fatti per cagion sua. E tosto, balzando da cavatto, si avvi a piedi, non senza accusare in pari tempo gti amici che, precor rendolo, avessero tanciato ta voce : * Catone arriva *, e avessero indotto i cittadini ad uscirgti incontro. Standosi egti in questi pensieri un poco impacciato e C rosso in votto, spiccasi atta sua votta it ginnasiarco, e: * Straniero, * gti chiede, * dov dunque Demetrio ? *. Era questi un tiberto di Pompeo che aveva accumutato un patrimonio immenso. Det quate se a voi piace conoscere t'ammontare (poich suppongo che di tutti i ragionamenti a questo, pi che ad attro, stiate in orecchi), vi dir chi ne ha scritto: Damofito Bitino (:), in certi suoi commentarii, nei quati, da motti autori D spigolando, mise assieme aneddoti piacevolissimi per chiunque ha vaghezza di udire, sia giovane o vecchio: imperocch, anche questo proprio detta vecchiaia, di ricondurre i pi avanzati negti anni atta curiosit fanciuttesca, onde avviene io penso che i vecchi non meno dei giovani sieno appassionati ai racconti. E tasciamo andare. Ma Catone votete voi sapere come rispose at ginnasiarco ? Oh... non dite per che sia io ad insuttare ta vostra citt. L a storia non mia. Pu

(i) Compitatore vissuto sotto M. Auretio. F ra te sue opere se ne ricorda una intitotata iftp i /Mov dpya/Mv, che proba bilmente quetta a cui t'A . attude. V . S cH W A R Z in P A U L Y W tssow A 7?. IV 3076.

/! - M so/ogoM i <7 *MW<fo &# AarAa.

373

darsi che )a fama abbia portato fino a voi it nome di un certo *da Cheronea, appartenente a quetta mi- 359 serabite razza che dagti impostori denominasi dei filosofi, e alia quate io stesso, se non sono pervenuto, ho per cercato, per cotmo d'ignoranza, di partecipare e di ascrivermi (1). Orbene, questo tate afferma cos, che Catone non rispose propriamente nutta, ma gri dando come uno spiritato o un demente queste sote parote: * Oh, ta sciagurata citt! *, scomparve. Non stupitevi dunque se anch'io provo oggi i me- B desimi sentimenti per voi, uomo tanto pi setvaggio di cotui, e pi sfacciato e pi audace, quanto i Gatti dei Romani. Poich cotui era nato, era vissuto, era giunto a vecchiaia t, presso i suoi concittadini. Io in vece coi Gatti, coi Germani, con ta foresta Ercinia (2) ebbi a trattare, non appena raggiunta t'et viri!e; e motto tempo ivi trascorsi, come un cacciatore che vive fra te bestie feroci e seco toro si azzuffa, conversando con indoi ignare di convenevoH e di adu!azioni, so!o C use a trattare con tutti tiberamente, da pari a pari. Ordunque, appena uscito da!!a educazione infantite, gi io ero stato indirizzato, ragazzo, atto studio dette opere di Ptatone e di Aristotete, te quati non sono niente affatto capaci di affiatare con popoti da cui it sommo bene sia posto netta tussuria. Poi venne, da uomo, ta personate mia operosit in mezzo atte pi battagtiere e animose genti det mondo, dove Afrodite coniugate e Dioniso datore di ebbrezza non sono co nosciuti che at soto scopo det matrimonio e detta pro
fi) Cfr. Ora/. HI 120 B-C. (a) CAESAR. D i g a / V I 24 ; GtunANO stesso fr. 4 Hertf.

374

.Par/ //. -

liHcazione, o d quella quantit di vino che a ciascuno D possibile bere in un sorso. Non lascivia, non inso lenza nei loro teatri, nessuno che balli sulla scena il crdace (:). fama che, non ha guari, in mezzo a quelle genti arrivasse, di qui, un fuoruscito della Cappadocia, edu cato e cresciuto nella vostra citt in casa dell'orefice... voi gi sapete chi voglio dire (2). Ora, avendo costui imparato (e dove, se non qui ?) che non bisogna usare con le donne bens coi ragazzetti, avendo fatto e patito 360 non so quali altre cose leggiadre, come fu pervenuto presso il re di quelle contrade (3), sbito, per memoria delle cose vostre, cominci a introdurre gran quantit di ballerini e parecchie altre di queste vostre delizie, finch, mancando ancora un (4) (a voi non ignota n la cosa n il nome), si fece mandare di qui anche questo : per desiderio ed affezione del viver B vostro costumato ! ! Galli che cosa fosse il ignoravano, perch la reggia riceveva per la prima volta un tale campione: ma quando essi videro i bal lerini far mostra della loro arte in teatro, sbito li piantarono l, trovando che avevan l'aria di mentecatti. Invero a loro non meno che a me il teatro sembrava

(1) V . sopra p. 359 n. 3. No! invece non sappiamo affatto chi fossero n il fuoru scito n l'orefice. (3) Che re ? Si suppone, generalm ente, un quatche re franco o atemanno. A me pare probabile si tratti di Giutiano stesso, mentre era cesare. Ci d carattere argutamente autobiogra fico at racconto. (4) Giocotiere o mimo o batterino che prendeva nome datta un piccolo nappo. In che precisamente consistesse noi ignoriamo at pari dei Gatti.
(3)

/ - M'so/ogo?<i / MiMMfo

AarAa.

275

!a pi ridicola cosa del mondo. Senonch, l i pochi ridevano dei motti : qui io, con pochi, sono la beffa di tutti, e per tutti gli aspetti ! Ma di ci non mi lagno. E, infatti, bene ingiusto C sarei se del presente andassi scontento, dopo avere del passato egregiamente goduto. In realt i Galli a tal punto per afHnit di costumi mi amavano, che non pure non esitarono a prendere le armi per me (1), ma anche pii fornirono grosse somme di denaro (2), e, ricusandole io, quasi mi forzarono ad accettarle, e in ogni cosa prontamente mi obbedirono. Quel che pi, di l grande e belo giungeva Hno a voi il mio nome, e tutti mi acclamavano valoroso, intelligente, giusto, non solo formidabile ad essere affrontato in D guerra, s anche buono ad usar della pace, affabile, mite (3). Ma voi, di qui, avete a loro risposto che: primie ramente, le cose del mondo sono messe sossopra da me (4) (ed io ho coscienza di non mettere sossopra nulla, n volente n nolente); poi: che della mia barba si dovrebbero intrecciare cordami, e che muovo guerra al X, onde a voi sopravviene desiderio del K. Ma s,

(1) Contro Costanzo.

(a) Cf*. M issag gio 287 A e n. ivi.


(3) Di queste parole, probabilmente, si ricorda A n n i ANO X X I 5, g, nel discorso che attribuisce a Giuliano stesso : axfraOMM ?M O<?ira?KS V:'SKS s w w t ? ?y-anyM <7/HS, i / <n c r i i r ! -

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cow/ra fOns/:*ra?as giMAtMM fo^i'as fOMSM&ra/MS

fax/M S. Cfr. anche X X II, 7, 9 . (4) Su che cosa fosse fondato questo spunto satirico v. sopra p. 268 n. a. A d esso allude anche GREGOR. NAZ. IV 74, 76, dove dice che l'opera di Giuliano si risolveva in un scptw /wMn/o dell'im pero romano.

a?6

77. -

/o/ZAcAi i

questo K gli Dei tutelari de] paese ve Io diano anche 361 doppio, se non attro, perch calunniaste !e circostanti citt, citt pie e seguaci det mio stesso Culto, facendo credere che da loro movessero quelle tati satire contro di me (i). Mentre io so che mi vogliono bene pi che ai toro proprii figli: esse, che non soto fecero at pi presto risorgere i templi degli Dei, ma anche rove sciarono i sepolcri degli empii al primo segnale dato recentemente da me, cos erette di spirito ed esaltate di animo da scatenarsi sui profanatori degli Iddii con B pi zelo che io non volessi. Quali furono invece le opere vostre ? Molti di voi, non abbastanza dalla mia mitezza ammaestrati a rimanersi tranquilli, gli altari poco prima risorti atterrarono di nuovo (2) ; altri, aventi le cose degli Dei in orrore, allorch io feci sloggiare da Dafne (3) il celebre morto (4),- abbando(1) V . sopra p. 271 n. 3. (a) Di ci si tagna anche in Cow/ro <Chs/KWM p. t9Q Neum. Ottre at tempio di Dafne (det quate sta per trattare specifi catamente), i Cristiani avevano distrutto attari ed immagini sacre a M ero e a Cesarea M azaca (v. SocRAT. Ut i5;SozoM . V 4; 11). (3) tt famoso santuario di Apolto, sut quate gi prim a p. 353. Di esso Giutiano erasi interessato anche mentre stava a Costantinopoti come si pu vedere datta tetter v 4//o a<o Cm/tatto in * R iv. di Fitot. , 1888. (4) Vate a dire te reliquie di S. Babita, vescovo di Antiochia, che it fratetto di Giutiano, it cesare Gatto, durante it suo go verno in quetta citt, a ve va fatto seppettire, costruendovi un'apposita chiesa, net bosco sacro di P afn e : v. SozoM. V 19. Giutiano te fa stoggiare per ridar voce att'oracoto det tempio, it quate dicevano dopo quetta profanazione a veva ta ciuto: V. AMMtAN. 3 ;. CHRYS. P f S . B a i. Ig; LtBAN. Mbwo^. SM/. Da/Aw. (Or. L X ); PmLOSTORG. A7r<r^Mg w A . Bidez pp. 88 sgg., 331 sgg.

/. - Mio/wgwM t7 KiM fo

ia r ia .

377

narono it tempio d'Apotlo atte vendette di cotoro che per it trasporto dette reliquie avevano concepito ran- C core; e qui ceftuni, d'accordo o no con i primi, appic carono at santuario quet famoso incendio: spettacoto orribile ad ogni straniero qui di passaggio, ma at popolo vostro giocondissimo, e indifferente at senato, che chiuse e chiuder quind'innanzi gti occhi. Quanto a me, io ero certo che gi prima delt'incendio it Dio aveva ab bandonato it tempio (:); poich, al mio primo entrare (siami testimonio, per chi non crede, il Gran Sole !), ta sua santa immagine me ne aveva dato sentore. Ma qui io voglio rammentarvi un'altra dette mie D odiosit, per poi naturalmente, secondo la mia abitu dine, anche di questa incolparmi, oltraggiarmi, matedirmi. Orbene, net decimo mese del vostro calen dario (2) che Loos, se non erro, da voi chiamato cade la festa nazionale di questo Dio. E d costume di accorrere tutti at tempio di Dafne. Io dunque, spic candomi dat tempio di Zeus Casio (3), vi accorro su bito, persuaso in cuor mio che in tate occasione pi che in altra mai avrei goduto uno spettacoto degno detta ricchezza e delta magnificenza vostra. E mi figu ravo fra me e me, come in sogno, processione e vittime

(1) Giuliano era naturalmente preoccupato degli schem i onde i Cristiani perseguivano il dio incendiato. D 'altra parte, da buon discepolo di Giamblico ( D i JMys?. HI 39), egli capiva che le statue e le immagini non sono Dei: v.

293 A-B.
(3) Secondo il calendario siro-macedonico; corrisponde ad agosto. V. IDELER /. CAroKo/. I pp. 430 sgg. (3) Prendeva nome dal monte Casio, vicino ad Antiochia' dove era il tempio. V. AM M tAN. X X I I 14 , 4 ;L t B A N . 651.

38

363 e libagioni e cori per it Dio e incensi e gli efebi l * intorno al tempio, raccolti nel pi religioso contegno, adorni di bianca e magnifica veste. Ma, come fui entrato nel tempio, n incensi trovai, n focaccia, n vittima. Sbito rimasi stupito, e credetti che voi foste fuori del sacro recnto, ad aspettare per farmi onore B come a sommo pontefice ch'io dessi il segnale. Ma quando chiesi : * Che cosa intende la citt sacrificare neH'anniversaria festa del Dio? * il sacerdote rispose: Io vengo portando da casa mia, a! Dio, come vittima un'oca. La citt in questi tempi non prepara pi nulla * . Qui io oh, nemico della pace ! indirizzai al S e nato una fiera sgridata, il cui contenuto non sar forse inopportuno ripetervi ancora: * terribile *, dicevo, * che una tanta citt cos poco si curi degli Dei, come C neanche il pi umil villaggio agli estremi del Ponto (). Con innumerevoli terre di sua speciale propriet, ri correndo ora per la prima volta, da che gli Dei dissi parono !e tenebre dell'ateismo, la festa annua del patrio iddio (2), nemmeno un uccello essa viene ad offrire: essa che dovrebbe sacrificare un bue intero per ogni trib, o almeno, se ci diffcile, dovrebbe ta citt tutta insieme, pel bene suo, fare l'offerta di un toro. D Eppure, ciascuno di voi gode spendere, privatamente, in pranzi e festini; e conosco parecchi che interi pa trimoni buttarono nei conviti di Maiuma (3) : ma per it

(1) L a p overt e )a poca cottura dette regioni det PQnto erano proverbiati: cfr. THEmsT. O r. X X V II 333 D. (3) Infatti, nett'agosto dett'anno precedente ancora regnava Costanzo. (3) Maiuma era it nome di una festa romana, di carattere agreste ed osceno, che si cetebrava a'prim i di maggio. Fu

- '/ogOKi / MiWMfo

ia r ia .

279

bene suo proprio o per a salvezza della citt nessuno sacrifica, n i cittadini in privato, n la citt in pub blico, bens il solo sacerdote, il quale a me pare avrebbe piuttosto il diritto di portarsi a casa qualche parte delle molte cose da voi offerte al Dio. Imperocch dagli Dei non s'impone ai sacerdoti altro cmpito se non che L i onorino con l'onest e col culto della virt, e rendano Loro gli omaggi di rito : ma spetta alla citt 363 offrir sacrifizii e privati e pubblici. Ora, ciascuno di voi lascia che la propria moglie porti fuori ai Galilei ogni cosa. Quindi esse, mantenendo con le vostre sostanze i poveri, inspirano grande ammirazione per l'ateismo in tutti coloro che vivono nel bisogno (1). I quali sono se non erro la grande maggioranza degli uomini. V oi, per parte vostra, trascurando il culto degli Dei, credete di non far niente di male. E intanto nessun bisognoso si presenta nei templi, perch, naturalmente, B non troverebbe di che sfamarsi. Per festeggiare il proprio giorno natalizio tutti preparano conveniente mente pranzo e cena, a sontuosa mensa convitando gli amici. Invece, quando viene l ' anniversaria festa del Dio, nessuno porta olio alla Sua lampada, non libagioni, non vittime, non incenso. Io non so che cosa

proibita verso la fine del regno di Teodosio e nuovamente tollerata sotto Arcadio. Contro le indecenze che in essa si commettevano si scaglia IoHANN. CHRYS. VII 5, 6. V . SutD. 6. r. (1) A Giuliano non era sfuggito che l'elemosina, dai Cristiani insegnata e praticata, costituiva una delle forze pi vitali della nuova religione. Perci egli cercava di introdurne e diffon derne l'uso anche presso i Pagani. Ci si collega col programma esposto in X L IX ^ 4rsact*o, aW/a Ga/aaVa). V . anche L X II ; ^ ra g w . 305 C D .

a8o

/zrM 7/. -

un uomo dabbene, a] veder queste cose, ne possa C pensare : ma, s, son certo che anche agii Dei non garbano punto Cos io ricordo di avere allora pariato ; e il Dio diede conferma ai miei detti, abbandonando (oh, non l'avesse Egti fatto!) i! vostro sobborgo (!) sui quate per tanto tempo aveva vegliato, volgendo altrove, in quel momento di follia, le menti dei magistrati e for zandone le mani (2). Ma io fui sciocco ad irritarmi con voi. Avrei do vuto tacere, come fecero tanti altri che erano entrati D insieme con me, e non brigare n lanciare rimbrotti, invece, trasportato da un impeto di temerit e di ri dicola ostentazione (poich no, non ammissibile che quelle cose io vi dicessi per spirito di benevolenza, ma solo per accattar fama di devozione verso gli Dei e di sincero amore per voi. che come dire la pi sfacciata forma di vanit) (3), rovesciai sul vostro capo, fuor di proposito, tante parole. E voi avete ragione 364 a vendicarvi ora di quei rimbrotti, cambiando anche il luogo della scena. Io accusai voi sotto la statua del Dio, presso l'altare, ai piedi della santa immagine e in presenza di pochi testimoni. V oi sulla piazza, in mezzo al popolo, e per bocca dei cittadini pi rotti a queste belle imprese. Ora, sappiatelo bene: tutti

(1) Dafne era a un paio d'ore datta citt. (a) Questo passo di dubbia interpretazione. (3) Con ci lo scrittore mi sembra ironicamente rispondere a una maligna voce, raccota da GREGOR. NAZ. V 20, che a vanit attribuiva i) suo amore pe! popoto e !a sua cura delia giustizia.

- M'sopogotM o / / HMWO

io r ia .

281

quetti che partano rendono comptici dette toro parote gti ascoltatori; e chi ad ascottare gt'insutti ci gode, come prende, con minor pericoto, eguae parte di B gioia, cos ha pure ta sua parte di cotpa. Da voi, per finter citt, si sono dette e udite te satire contro questa mia povera barba : contro cotui che non vi ha mai mostrato, n mai vi mostrer atcuna eteganza di costumi. No, io non ta condurr questa vita che voi senza tregua conducete, e che desiderate persino di vedere nei vostri governanti! Quanto atte insotenze che in pubbtico e in privato rovesciaste su di me canzonandomi in versi anapesti, C io, che gi mi sono da me stesso canzonato ta mia parte, tascio che ne usiate con anche maggior ba!danza: perch mai vi far a cagione di questo alcun mate : non vi trucider, non vi batter, non vi inca tener, non vi chiuder, non vi punir in atcun modo. E perch dovrei farto ? Visto che ta saviezza mia e dei miei amici a voi parsa !a pi vigliacca e antipa tica cosa det mondo ; visto che non abbiamo saputo offrirvi, mai, atcun gradito spettacoto : ho deciso di D sgombrare ta vostra citt, e andarmene: non gi che io speri di riuscire davvero simpatico a cotoro presso i quati rivolger i miei passi (i); ma giudico preferibite, quando anche ad essi io non possa riuscire n betto n buono, regatare detta mia bruttezza a tutti un po', e non finire questa cos tieta e beata citt

(i) Abbandonando Antiochia, Giutiano dichiar che non vi sarebbe pi tornato e che, dopo !a spedizione di Persia, avrebbe fissato !a sua residenza a Tarso, in Cilicia: nel qua! senso aveva gi dato ordini al prefetto Memorio, /' Mi/em Mf*Ai S<3< fOMg7-Mn V . AMMtAN. X X II! 2.

a8a

Par/ / - 0/?// ^o/</<cAi M/<r/cAi.

co! puzzo dir cos detta sapienza e detta so briet mia e dei miei amici. 365 Nessuno di noi comper qui n campo n giardino ; nessuno fond casa, nessuno prese n diede a voi mogtie; non ci innamorammo dei vostri bei giovani: non invidiammo ta vostra oputenza assira; non ci spar timmo i privitegi; non totterammo che atcun magi strato abusasse detta sua autorit presso di noi ; non invitammo a imbandigioni di pranzi e di spettacoti it B popoto : anzi, gti rendemmo ta vita cos detiziosa che, non sapendo che fare, esso compose contro gti autori di questa sua prosperit i famosi anapesti; non requisimmo oro, non chiedemmo denaro, non aumentammo te tasse: anzi, ottre at condono degti arretrati, abbiamo diminuito* di un quinto a tutti te abituati imposte. Di pi; non ho creduto che bastasse di essere savio io; e mi son preso un introduttore (1) anch'esso, per Dio! (ne sono persuaso), pieno di mo derazione, e ben bene da voi berteggiato, perch, es sendo vecchio e un po' catvo in fronte, ha it coraggio, C netta rusticit sua, di andare chiomato addietro *, come sono gti Abanti in Omero (2). N da meno di tui sono gti attri due, tre, o quattro che ho attorno a me, a Corte: anzi cinque, se votete aggiungerne, adesso, ancora uno (3).

(1) dice it greco: che doveva essere una specie di ai/MH's3i'0Ma//s /a/or, incaricato di condurre atta presenza de! [Im peratore i postutanti. V . . X V 5, 18 e cfr*. BOcKtNG JVoM'a <%M</a/. ! p. 337, H p. 305. (2) ////. II 542 : d' < 3 ^ ** Firovfo #00/, 1* (3) V . sopra p. 266 n. 2.

/ K - M'so/ogOHi <7 <MW!fo aM/ ia r i a .

283

Quanto atto zo ed omonimo mio (i), non vi govern egli con assoluta giustizia, fintantoch gti Dei gti ac cordarono di vivere e di cooperare insieme con noi (2)? Non affront egti con massima prudenza tutti gti af fari detta citt ? Per parte nostra, ci pareva che queste fossero bette virt: mitezza e sapienza in chi governa; D e per esse pensavamo di potervi piacere abbastanza. Ma poich a voi dispiace ta tunghezza detta nostra barba, e ['incuria dei capetti, e it nostro non frequen tare i teatri, e it pretendere rispetto e devozione nei tempti, e pi di tutto ta vigitanza a far osservare ta giustizia e a reprimere ne! mercato gti abusi: spon taneamente sgombriamo datta vostra citt. Difatti, 366 non sarebbe facite, cambiando costume da vecchio, evitare ta sorte det nibbio detta favota (3). Dicono che it nibbio, it quate aveva ta voce simite agti attri uccetti, abbia votuto nitrire come un cavatto di razza : senonch presto, dimenticatosi det suo verso natu rate e t'attro non riuscendo ad imparare bene, rimase privo di entrambi, e si trov con ta voce pi brutta di tutti gti uccetti. Cos io mi guardo di non per- B dere e ta rusticit e ta finezza ad un tempo. Poich gi (e to vedete voi stessi) io sono prossimo, come Dio vuote, att'et

(1) Giuliano, conte d'Oriente e governatore di Antiochia, su! quate v. sopra p. 243 n. 2. (2) Egti era morto poco prima che Giutiano scrivesse queste pagine, ossia nette prim e settimane dei 363: v. AMMtAN. 1. L a sua fine fu dagii scrittori cristiani interpretata come opera detta vendetta divina : v. PmLosiORG. VH 10 ; SozoMEN. V 8; THEODOR ET. Iti Q. (3) BABR . F a i. LX X H I.

3 8 4

P n r / / 7. -

Quando saranno i bianchi Crini commisti ai neri,

come disse it poeta di T eo (1). Ma basta di ci. E, invece, rendetemi conto detta vostra ingratitudine, in nome di Zeus, dio det foro, e protettore detta citt ! Riceveste voi mai quatche torto da me, o in privato o in pubbtico, che, non potendo C apertamente vendicarvi, cos come i commedianti ma!menano e strapazzano Eracte e Dioniso sutte scene (2), voi mi matmeniate me a furia di anapesti su per te piazze? O, forse, mi sono s astenuto dat farvi det mate, ma non mi sono astenuto da! dirvene, perch voi ora con queste stesse armi vi vendichiate? O qua!e, in somma, !a causa detl'avversione e dell'antipatia D vostra per me? Io so che nessun terribile o irrepara bile ma!e ho mai fatto ad alcuno di voi, n ai citta dini individuahnente, n atta citt in comune, e nem meno una parota ho pronunziata men che dicevole: anzi, vi ho perfino fatto te todi, per quanto mi pareva onesto; e quatche po' di bene vi ho pure impartito, per quanto era lecito ad uomo che s'industriava di be neficare, netta misura det possibile, motte persone, im possibile per era voi !o capite sia condonare 367 ai contribuenti tutte quante !e imposte, sia tutto con cedere a cotoro che ogni cosa sono avvezzi a pigtiare. Tuttavia, quando fui visto nutta affatto scemare delle pubbliche elargizioni che il tesoro regio suole pagare, e nondimeno atteviarvi non poco te imposte, allora dite non vi sembr questo un vero enigma ?

(1) ANACR. fr. 77 Bergk. (2) Cfr. Ora/. VII 204 B.

t/ fMWMfo

Aaria.

385

Senonch, quante cose io ho fatte a pro di tutti in comune i miei sudditi sar opportuno tacerle, af finch non paia che a disegno io canti per mia bocca B le mie lodi, soprattutto dopo avere promesso di vo lermi rovesciare sul capo un diluvio di insolentissime villanie. L e cose invece che individualmente ho fatte per voi, e che, sebbene avventate e stupide, non me ritavano di essere ripagate con tanta ingratitudine: queste converr credo metterle in chiaro, come motivi di condanna per me, motivi tanto pi gravi dei sovraesposti vale a dire dello squallore nel volto e dell'avversione ad Afrodite quanto pi sono C veri e pi si riferiscono all'anima. Orbene: primieramente io cominciai a lodarvi, nei termini pi onorifici che potevo, senza aspettare di avervi conosciuti alla prova, e senza domandarmi quali sarebbero stati i nostri reciproci sentimenti: solo, sapendo che voi siete figli di Greci ed io, seb bene Tracio di origine, Greco di costumi, m 'im m a ginavo che ci saremmo voluto un gran bene. E questa la prima colpa, imputabile alla mia avventatezza. Secondariamente, sebbene voi foste ultimi ad inviarmi un'ambasceria, e questa giungesse perfino pi tardi di D quella d'Alessandria d'Egitto (1), vi condonai molto oro e molto argento (2), nonch gran numero d' im-

(1) A llude atte ambascerie che d'ogni parte egti aveva ri cevute, non appena satito at trono, in Costantinopoti. Gti Alessandrini non erano andati motto a genio att'imperatore, come risutta da AMMtAN. XX II 6. (2) Vuot dire forse detta riduzione dett'ais forowartKfM. Sugli abbettimenti che intendeva portare atta citt e su attri favori, in genere, v. LtBAN. Or. XVI53.

Par/ 7/. - 0^fr;//i /c/Mf/M 5a/<w^i.

poste, pi che alle altre citt. N basta: poich ac crebbi di duecento membri la lista del vostro Senato (t), non risparmiando alcuno, pur di rendere la citt vostra pi grande e pi potente. A questo scopo vi concessi anche di sceglierli tra i pi ricchi amministratori 368 de] mio tesoro e tra gli incaricati del conio delle monete (2). Ma voi non sceglieste affatto i pi va lenti: anzi, ne prendeste occasione per far cose proprie

(1) A nche questo fu un favore da Giutiano accordato atl'ambasceria che secondo t'uso gti portava da Antiochia ta corona votata dai cittadini : v. ALLARD _//. /* t ip . 138. Circa it significato dei provvedimento, si noti che era costante preoccupazione di Giutiano, in ogni citt, quetta di accrescere it numero dei curiali, specialmente con persone ricche, su cui pesassero la m aggior parte dette prestazioni pubbliche, a soltievo del popolo. A nche ad Ancira, durante il viaggio da Costantinopoli ad Antiochia, Giuliano a ve va dovuto occuparsi della faccenda e udire le tagnanze di motti che protestavano di essere iscritti fra i curiali. Non escluso che con tali provvedim enti egli urtasse gti interessi del clero cristiano. Senato Curia di Antiochia era, come ogni altro, in grande decadenza. Da 1200 membri che contava prima del IV sec., era ridotto a 12 quando LtBAmo net 388 circa scriveva . (Ora/. XLLX), a 60 quando it medesimo, qualche tempo dopo, scriveva Tfp: .Bou-itjv. (Ora/. X LVIH le cifre naturalmente sono approssim ative: v. FORSTER voi. m p. 450 n. 2). (2) Giuliano dovette cassare le nomine di curiali fatte dal popolo, perch com' detto in sguito comprendevano uomini poveri, i quali di nessun sollievo potevano essere alla citt. Un rescritto imperiale det 18 settembre 362 al prefetto i<M /. XH 1,53), ricorda appunto del pretorio, Sallustio (Coi/. 7 % di avere annullato le recenti nomine, e aggiunge di avere designato te corporazioni da cui i curiali dovranno preferi bilmente essere scelti. Fra tali corporazioni era quella dei MCMi/arw, sulla cui importanza cfr. WALTZ1NG ./<& /ortyM*

/ K - M'so/ogwM :7

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387

di male ordinata citt, degne per dei vostri costumi. Volete che vi rammenti qualche singolo caso? Uno lo nominate senatore, e, non ancora iscritto nella lista e tuttora essendo pendente lo scrutinio della sua ele zione, lo sottoponete ad una prestazione pubblica. Un B altro lo raccogliete mendico dalla piazza, fra quelli che per tutto altrove si considerano i rifiuti della so ciet : ma per voi che, nella finezza del vostro cervello, lasciate anche l'oro in cambio del pattume (1), egli col suo scarso avere nuotava nell'abbondanza (2), e ne faceste un collega. Molti altri spropositi di questo genere voi avete commesso, e poich non a tutto io diedi il mio con senso (3), ecco che non solo mi avete defraudato del ringraziamento dovuto ai beneiizii che vi ho recato, ma anche mi avete vilipeso per tutto ci che giusta mente mi sono astenuto dal farvi. C Ma queste non erano ancora che quisquilie inca paci di inferocire contro di me la citt. Il pi grave, da cui trasse origine quel tanto odio, fu questo : che, al mio arrivo in mezzo a voi, il popolo, affogato dai

SMf /is cor/ora/i'oMS II p. 228. L'aver permesso, anzi indicato, che i proprii impiegati non fossero esenti dalia nomina a curiati era da parte dett'imperatore una singolare prova di imparzialit e di giustizia, in tempi in cui di siffatte esenzioni si faceva grande abuso. (1) Leggo: '*?!*... trupqperJi'. II aupyitdv suggerito da quatche codice in luogo di < ?vpyftv adottato dal Herttein. (a) V. per l'interpretazione di questa frase ta nota del Herttein. (3) Con I'annuttamento di cui sopra p. 286 n. 2.

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ricchi, fe' sentire sbito ne) teatro questo grido: <Tutto abbondante, ma tutto caro * (i). Io, it giorno ap presso, venni a trattative coi vostri maggiorenti, ten tando di persuaderti essere mitte votte megtio rinunD ciare ad ingiusti guadagni pur di provvedere at bene dei cittadini e degti stranieri. Essi promisero che avrebbero posto mente all'affare, ma in capo a tre mesi (mentre io non vi facevo pi attenzione, ed aspettavo) ecco che tanto se ne erano dimenticati quanto nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Perci, visto che era vero it grido det popoto e che te diffcott det mercato provenivano non da scarsezza di vettovagtie, ma datta cupidigia dei ricchi, fissai per 369 ogni merce un prezzo onesto e moderato, e to feci per bando pubbticare (2). E poich d'ogni attro genere avevano in citt abbondanza vino, otio e tutto it resto , ma scarseggiava it grano, a cagione det rac colto rovinato dalla siccit dell'anno precedente, io pensai di mandare a Calcide, a Ierapoli e atle citt d intorno, e infatti di t ne importai quattrocentomita misure (3). E quando anche questo fu consumato, ne B fornii detl'attro: prima cinquemila, poi settemila, e adesso diecimita moggia (per dirla col termine proprio

(:) A nche LtBANto Ora/. XVIII 195 riferisce questo subitaneo grido lanciato datta popotazione di Antiochia netllppodrom o. (2) Giutiano non era it primo imperatore a fissare un ca/sui generi alimentari. A nche il fratetto suo, Gatto, ne ave va fatto esperienza in Antiochia stessa nel 354. Gli effetti erano sem pre stati disastrosi. Bene e serenamente giudica di questo provvedimento S o c R A T . IH 17. (3) Intende, come dir appresso, misure corrispondenti a un moggio romano, ossia a!la sesta parte del medimno greco = litri 8,75.

- Mso/ogW M / ?

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289

dei Romani): tutto di mia propriet privata. Cos it grano venuto a me dall'Egitto lo cedetti alla citt, prendendo per ogni quindici misure il prezzo che prima si prendeva per dieci (i). Non solo: ma se cos piccota quantit di grano si aveva qui per una mo neta d'oro durante l'estate, che cosa sarebbe dovuto attendersi in quella stagione in cui, come dice il p o eta , di Beozia,
Sutta casa ta fame incrudetisce (2)? C

O non vi sarebbero forse toccate, a stento e di cendo grazie, cinque sole misure, specialmente con un inverno come questo? Orbene: quale fu allora il giuoco dei vostri ricchi? Il grano che avevano alla campagna essi lo vendevano

(1) It prezzo, come risutta dat periodo seguente, fu da Giu ran o fissato in una monc/a ifo ro per ogni 15 moggia, mentre quetto anteriormente praticato era detta medesima moneta per sole 10 m oggia. L a mone/a (/'oro e, pi avanti, 369 D, ) non attro che it cosiddetto so/A*s, unit monetaria d'oro dett'Impero Romano a partire da Costantino it Grande. It quate, net 312, ne (iss it peso a di libra romana 4 gr. 55. Quindici m oggia per so/?KS corrisponde, per Antiochia nett'et di Giutiano, at prezzo di L. 11,50 t'ht-, identico at p rezzo stabilito nett'editto di Diocleziano r;rK?M (C. 7. A HI Suppt. p. 2328 ss) e a quetto cor rente in Rom a durante l'et imperiate : secondo i catcoti di C. BARBAGALLO // / r a a a c aW // : Vs/ag?!a, ^/W'ca ^ as<a/MO i/KraM/f /'i/ " Viertetjahrschrift f. Sociat- und W irtschaft-Geschichte IV (1906) pp. 668*9. (2) Questa citazione non trova riscontro in ci che a noi si conserva sia di Pindaro, sia di Esiodo. Per ta tezione, nonostante i tentativi di BuRY " Class. R ev. 1896 p. 158 e di PLATT t. c., mi attengo ancora atta vutgata.
19

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gaA 'r^ i.

di soppiatto a pi alto prezzo, e pei toro privati gua dagni opprimevano it popoto. Ci non pertanto, ora D ta citt, non soto, ma anche ta fotta dette campagne si riversa qui a noi, a comperare it pane, che t'unica cosa che si trovi in abbondanza e a buon mercato. Infatti, chi ricorda di avere mai visto vendere qui, anche in anni di prosperit, quindici misure per mo neta d'oro? Ecco per quate mia azione io vi sono diventato odioso: perch non ho lasciato che it vino, la ver dura e ta frutta vi fossero vendute a peso d'oro, n che it grano dai ricchi rinchiuso nei toro magazzini 370 si trasformasse di cotpo, ^ spese vostre, in tanto ar gento e oro. Essi, infatti, bettamente to spacciavano fuori di citt, ai cittadini procurando * una fame che strema i mortati ' (i), come disse it Dio net bottare chi opera a questa maniera. Senonch... ta citt si trova in abbondanza non d'attro che di soto pane! Io comprendevo gi attora, mentre cos facevo, che B non sarei piaciuto a tutti quanti : per non me ne im portava niente, perch mio dovere riputavo aiutare il popoto oppresso e i forestieri, i quati arrivavano per cagione di me, e dei magistrati che sono meco. Ma poich ora avviene, se non erro, che questi se ne sono andati, e che ta citt tutta intorno a me di un soto parere e gti uni mi odiano e gti attri, che ho sfamato, mi sono ingrati : ogni cosa io rimetto nette mani di Adrastea (2) e me ne vado in attro paese, presso

*.

(1) Frammento di oracolo a noi ignoto: cfr. BRAMBS S/Mi'cM < /. _ /*< /. p. 26. (2) Appeltativo di Nemesi, molto in voga ai tempi de! nostro scrittore. Cfr. AMMtAN. X IV 11,2 5 ; THEMtsr. Or. X X X I 354 C ;

/ - M so^ogwM < 7 MiMMfo ///

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un attro popoto. E non star neanche a rammentarvi in qua) modo vi siate trattati gti uni gti attri nove C anni addietro, quando, per fare giustizia, ta ptebagtia con feroci grida diede fuoco atte case dei ricchi e trucid it governatore : di che pag poi it fio, perch, pur essendo it suo rancore giustificato, aveva ecceduto i timiti (t). Insomma, ditemi voi, in nome di Dio, per quate ragione io sono ripagato con tanta ingratitudine. Perch vi sfamo cot denaro di tasca mia ci che prima d'ora non toccato ad atcun' attra citt , e vi sfamo cos generosamente? Perch ho accresciuto ta D vostra tista senatoria? Perch, prsivi a rubare, non ho proceduto contro di voi ? Votete che uno o due fatti io vi rammenti, affinch non si dica che ci artifizio e retorica e pura invenzione ? Ecco. V oi ave vate detto mi pare esservi tremila [otti di ter reno non cottivato, e chiedeste di prenderti : ottenutiti, ve ti siete spartiti fra voi, tutta gente che non ne aveva bisogno. Ci, fatta t'inchiesta, fu scoperto con piena

X X X IV p. 455 Dind.; L!BAN. I 158; II 52; 286. A m miano ne d una precisa definizione in termini neoplatonici. (1) Allude ai famosi avvenimenti del 354, allorch il fratello suo, il cesare Gallo, aveva tentato, p er rimediare alla caresta di Antiochia, misure analoghe a quelle adottate da Giuliano. Opponendovisi i magistrati municipali, Gallo pronunzi contro essi sentenza di morte, che solo l'intervento del conte di Oriente, Onorato, imped di eseguire. Ma la popolazione ec citata, intanto, mise fuoco alla casa d'uno dei principali pro prietarii e assassin il governatore di Siria, segnalato dal cesare stesso. Ci fu origine della disgrazia di Gallo e della sua condanna. V . AMMtAN. X IV 7.

evidenza. Io allora, spogliati gli illegittimi detentori, pur senza occuparmi delle terre che essi gi prima posse devano e per le quali non pagavano imposta essi, che 371 avrebbero dovuto essere fortemente tassati , li sotto posi ai pi gravi servizii pubblici. E i tremila lotti, circa, di terreno li hanno ora, esenti da imposte, coloro che allevano i cavalli per le vostre corse annuali (i), e ci grazie alta prudente amministrazione dello zio ed omonimo mio, non meno che alla mia propria libe ralit: di me, che, in tal modo punendo i malfattori ed i ladri, ho agli occhi vostri sembianza di capovolgere B i! mondo (:). Naturalmente: perch con tale gena l'indulgenza non fa che favorire ed accrescere la in nata loro malvagit. E cco che col mio discorso sono ritornato l dove volevo arrivare. S, di tutti i miei mali sono io stesso l'autore, per avere benefzi! e favori collocato in animi ingrati. L a colpa della mia propria asinaggine, non della vostra libert. Il perch io cercher d'essere d'ora innanzi pi intelligente con voi. Intanto dell'afC fetto e della stima che pubblicamente mi dimostraste vi dieno gli Dei il meritato premio.

(t) Vate a dire che quei terreni servivano pel mantenimento dei cavalli dell'ippodromo. (a) Cfr. sopra pp. 368 n. 3, 375.

V.

Contro i Cristiani.
FRAMMENTI ( i ) .

Opportuno mi pare di esporre qui a tutti ]e ragioni p. 163 per te quati io venni net convincimento che ta set- N"""taria dottrina dei Gatitei un'invenzione messa insieme

(i) Quest'opera fu da Giutiano composta negti uttimi mesi di sua vita (363), ad Antiochia e durante ta spedizione contro ta Persia: v . LiBAN. Or. XVHI 178; HtERONYM. LXX 427 E. Ittitoto originate doveva essere Jfa t ^dyot, poich con apposita tegge ['Apostata ave va ordinato che i Cristiani fossero per disprezzo chiamati, com'egti sem pre usa nei suoi scritti, Gatitei (GREGOR. NAz. Or. !V 76). Infatti in un

M 0 M M K //0 rM ?M /i'irorMM
pubbticato da GRAUX / g -rifi < 7% /'fse!<r<a/ (1880) p. 383 (su cui NEUMANN " Theot. Lit.-zeit. 1899 cot. 299), si tegge: //. roK/ra Ca/<7^os. E ra, come ormai convengono ta m aggior parte degti studiosi, in 3 tibri. Non si conserva che a frammenti, contenuti per ta massima parte netta confutazione di Giutiano scritta net V sec. da Ciritto di Atessandria, e anch'essa, purtroppo, incompteta: pochissime cose in Teodoro da Mopsuestia, in A reta, ecc. Tutto che c' di considerevote appartiene at I tibro: dei tibri successivi non restano che brandetti insignificanti, da noi citati quatche votta in nota, per utite riscontro, ma non trascritti a parte, giacch non ce ne

dalla maizia umana (:). Nulla avendo essa d! divino, e sfruttando ia parte irragionevole dell'anima nostra, ch' proclive a) favoloso ed al puerile, riusc a far tenere per verit un costrutto di finzioni mostruose. Dovendo io dunque i loro pretesi trattarli tutti quanti paratamente, un avvertimento voglio pre mettere: che i lettori, se intendono contraddire, fac ciano come in Tribunale, ossia non frughino argo164 menti estranei alla causa, n recriminino fintanto che non abbiano distrutta l'accusa. Con maggior ordine e con maggiore chiarezza, potranno essi pure intentare la loro lite, quando vorranno procedere contro di noi :

parve i) caso in una traduzione, tanto pi che non conservano quasi mai neanche l'espressione stessa di Giutiano. L a rico struzione fu fatta da C. I. NEUMAKX Vw/. ZiAror. cow/ra C%r<3/MMOS .SM/Mrs. (Lipsiae 1880). Sfoggiare originalit nel l'ordinamento dei frammenti sarebbe lavoro tanto facile quanto infecondo. C e ne asteniamo^ rimandando per simili tentativi a T*H. GoLLWTZER OAs. < //. < r. Diss. Erang. (1886). F ra parentesi quadre e in carattere pi minuto ab biamo riportate ]e parole di Cirillo che indicano il contenuto di alcuni dei pi considerevoli brani perduti. (:) chiaro che Giuliano intende spiegare le cause della /ro/rtc apostasia ed i conflitti d'ordine razionale che si erano in fui combattuti durante )a sua giovinezza. A torto l'ALLARD y/. 4/ . HI p. t i6 nega questo carattere autobiografico a'opera dello scrittore. V . invece SEECK < /. < !V p. 460. Uguali od analoghe parole di disprezzo aveva ado perate per definire la dottrina cristiana anche PoRFtRto nei suoi 15 libri CoM/ro < Cr<s/<a)', come si pu vedere dai fram menti recentemente ordinati ed illustrati da A . HARNACK in * Abhandl. d. Preuss. Akad. d. W is s ., . Phil.-Hist. Kl. 1916, che qua e l citeremo. V . particolarmente i frr. 3, 7, 15-6,18. In genere per, pi direttamente che da Porfirio, Giuliano dipende da Celso.

- CtM/ro < Cr/!.

=95

ma qui, difendendosi datte accuse nostre, non facciano recriminazioni (i). Bisogner risatire un po' addietro e dire donde e come ci sia venuta t'idea di Dio: poi, paragonare ci che dett'Essere divino si dice sia presso i Greci, sia presso gti Ebrei; infine chiedere a quetti che non sono n Greci n Ebrei, ma appartengono alt'eresia Gatitea, per quate ragione preferirono ['opinione di quegti uttimi atta nostra e, in seguito, perch mai neanche a questa rimangono fermi, ma, apostatando (2), han presa una via tor propria. Nutta accettando di quante cose bette e buone sono sia presso noi Greci, sia pressa gti Ebrei seguaci di Mos, raccotsero invece da entrambi i vizii che a questi popoti furono, per cos dire, tegati datta matedizione di un dmone; ta negazione degti Dei datt'intotteranza ebrea, ta vita teggera e corrotta datt'indotenza e datta votgarit no stra (3) : e ci osarono chiamare ta retigione perfetta. Che ta nozione di Dio non s'insegni, ma ci venga 165 da natura (4), questo dimostrato datta comune inctinazione che per t'Essere divino sentono tutti quanti

(1) Queste parole hanno fatto supporre ai NEUMANN pp. 101-2 che l'opera portasse addirittura it titolo X a t XptPttaviSv xan?yoginf, conforme atta definizione che ne data net codice Corsiniano dei frammenti di Teodoro da Mopsuestia. (a) Credo che non senza ironia to scrittore adoperi qui ta parota dycofytftytcg. Certo, pi innanzi, 307 N., egti mostra di risentirsi dett'appeUativo " apostata , onde i Cristiani a ve vano cominciato a bottarto : cfr. -Saggio p. 4 n. 1. Pet con cetto cfr. PoRPHYR. fr. 1. (3) V . S a g g io p. 91. (4) V . S a g g io p. 77-8.

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gti uomini, privatamente e pubblicamente, individui e popoli. Tutti quanti, infatti, crediamo in qualcosa di divino, a cui esatta nozione n facile a raggiun gersi da ognuno, n, raggiunta, pu ad ognuno comu nicarsi (i). A questa comune intuizione di tutti quanti gli uomini, anche un'altra si aggiunge. Tutti infatti dal cielo, e dag!i di che nei cielo appaiono, cos naturalmente pendiamo, che, quand'anche uno suppone oltre a questi quatche altro iddio, egualmente gli assegna come domicilio il cielo, non gi per stac carlo dalla terra, ma perch, insediatolo, come Re dell'Universo, in quel luogo su tutti pi degno, ritiene che di t Egli sorvegli le cose nostre quaggi. A che dovrei ora chiamare a testimoni e Greci ed Ebrei ? Non c' nessuno che non tenda verso il cielo le marii quando prega o quando scongiura sia il Dio unico, siano gli Dei, n che, al solo concepire l'idea divina, non si senta col trasportato. E ci non av viene gi a caso. Vedendo che nulla in cielo aumenta o diminuisce (2), nulla si altera o soffre scompiglio, 166 ma armonico ne il moto, simmetrico l'ordinamento, regolari !e fasi della luna, regolari le levate ed i tra monti del sole in tempi essi pure regolari, ovviamente vi videro un dio e il trono di un dio. Certo: un essere come questo, che non subisce n aumenti n diminuzioni, che fuori di ogni alterazione, sia per cambiamento, sia per rivolgimento, non pu avere n principio n fine. Quindi, essendo immortale e impe rituro, non pu neanche avere n imperfezione n

(l Cfr. PLATON. 7* < M < . 28C. (2) Traduco co) supplemento suggerito da KuMEK * H erm es , X X I (1886) p. 484.

! - Con/rc !

macchia di sorta. Sempiterno e sempre mobile, esso portato in movimento circolare attorno al Gran Fattore, quasi da un'anima pi possente e divina che in lui risieda, come i nostri corpi io credo sono portati daH'anima ch' dentro di noi; oppure, da) Dio stesso ricevendo il moto, svolge l'infinito suo ciclo con impulso incessante ed eterno. Orbene, i Greci io ne convengo inventarono 167 sugli Dei miti incredibili e mostruosi (1). Dicono che Crono divorasse i proprii figli e poi li rivomitasse. Poi vi sono le nozze incestuose. Zeus si un con la madre e ne ebbe dei figli ; spos quindi la propria figlia, o, meglio, non la spos neanche, ma, unitosi semplicemente con essa, la diede tosto ad un altro (2). Poi vi lo smembramento di Dioniso e la riappiccicatura delle membra. Cos sono i miti dei Greci. Con questi paragona adesso la dottrina giudaica, e il paradiso piantato da Dio, e Adamo da lui plasmato, poi la donna creata per Adamo (3). Dice Iddio: * Non bello che l'uomo sia solo. Diamogli un aiuto, simite a lui * (4) : un aiuto che non solo non lo aiuta in nulla, ma lo tradisce e diventa la causa per lui e

(1) Ci era ammesso generalm ente dai filosofi greci e, particolarmente, da PLATONE, a cui il Nostro si ispira: cfr. II 379-80, 389-90. GtunANO stesso F r a g w . 301 A-B. (2) AHude agfi amori (che alcuni poeti avevano cantati, e di cui gti apofogeti cristiani facevano gran rumore) con Persefone (Proserpina), oppure con Afrodite, entrambe fgtie det dio. (3) II 7,8 , 21, 22. (4) GfM. II 18.

998

P a r/ 77. -

per s dett'esputsione dalle detizie det paradiso (i). E cco una storia veramente favotosa! Poteva iddio ragionevolmente ignorare che quell'essere, da lui asset68 gnato come aiuto, sarebbe stato fonte non tanto di bene, quanto piuttosto di male atl'uomo? E it ser pente che discorre con va, di quate lingua diremo che fece uso (2)? Di quella umana? In che cosa dunque differiscono queste cose datte fantasie dei Greci? E it divieto che Dio impone agli esseri umani, da lui creati, di distinguere il bene dat mate (3), non it colmo delt'assurdit? Pu darsi un essere pi stupido di quello che non sappia distinguere it bene dal mate? evi dente che, cos essendo, non fuggir l'uno, vate a dire it mate, n seguir l'altro, vale a dire il bene. In sostanza Iddio proib, in questo modo, agli uomini di gustare ta scienza, che cosa detta quate nessuna pu trovarsi a toro pi cara. Difatti, che distinguere il buono dat cattivo sia ta funzione propria delta scienza, questo lo capiscono anche gt'imbecilti. Quindi il serpente fu piuttosto il benefattore, che non it ne mico det genere umano. E a Dio potrebbe darsi, perci, nome di getoso (4). Quando, infatti, Egli vide l'uomo partecipe delta scienza, affinch non gustasse (dice) delt'albero detta vita,to scacci dal paradiso, con queste precise parole : * ' Ecco che Adamo, col conoscere il
(1) C;w. IH 23. (2) Gin. 2 5. T ate critica gi esposta in FtLONE 0/^. I 38. (3) Cfw. I I 17. (4) AM'emendamento det Neumann, it? qui da preferire quello de) K u M E K t. c. p. 484, ^^yott* gv, graBcamente pi vicino ai Mss. : L e m edesime osservazioni, circa il divieto di distinguere il bene dat mate, in PoRPH YR. fr. 42.

H - Cow/ro !

^99

bene ed il mate, divenuto come uno di noi. Purch adesso non tenda )a mano alt'albero detta vita, e non 169 ne mangi, n viva in etern o, (). E io esputse, il Si gnore Iddio, dal paradiso detta deiizia * (2). Se ciascuna di queste parote non , come io penso (), attegoria avente un significato riposto, certo tutto it racconto ridonda di bestemmie nei riguardi di Dio. Ignorare che t'aiuto assegnato att'uomo sar causa detta sua caduta, interdirgti la conoscenza det bene e det mate che pur ci pare ta sota ragione e norma detta vita umana (4) , e ottre a ci temere che, prendendo parte atta vita, t'uomo diventi di mor tale immortate: questo segno di uno spirito anche troppo invidioso e maligno. Ma vediamo ora che cosa di vero intorno a Dio essi pensino, e che cosa, per contro, i nostri padri ci

(1) G^M. IH 22. (2) Gin. III23. It Neumann espunge questo versetto : credo senza ragione. (3) Un po' forzatamente it Neumann riferisce questo inciso, Tttp vevd/Mxa, alla proposizione principale : 0! vMyot x rA Invece a me pare che Giuliano tenga ad affermare it proprio convincimento su ci che detto netta proposizione condizionate: che, come nei miti ettenici, cosi negti ebraici (pei quati a ve va presenti te interpretazioni di Fitone) sia da am mettere un significato attegorico riposto. Questo suo pen siero esposto speciatmente in Ora/. VII 217 D. Invece P o R F tm o condanna ['interpretazione attegorica detta Bibbia: v. fr. 39. (4) Non accetto ta correzione det Neumann di tv in tv voBv, che mi sembra (come parecchie attre del dotto filo logo) arbitraria e non da altro determinata che da smania di mettere te mani net testo.

3oo

P a r/ //. - 0/fr?//; / 5a//r<fA.

abbiano aw/m? insegnato. L a dottrina nostra com prende un Creatore che causa diretta di questo mondo (i). Mos, invece, dette cose a questo mondo superiori (2) non dice neanche una parola, come niente os proferire circa ta natura degti angeti, pur avendo spesso e in motti modi ripetuto che sono i 170 ministri di Dio. Ma se siano creati od increati, se datt'uno abbiano nascimento e ad un attro servano come ministri, o in quate attro m odo: nutta di preciso a questo riguardo. Tratta invece, in particotare, det qieto

(1)

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:< ?8 '

tottoM Espungo ta voce < , che considero una glossa e che, infatti, omessa nella versione latina di Oecolampadius : versione basata suH'antico codice Capnioneo, ora perduto. H Neumann pp. 169, 108 corregge in o<W : non vedo con qual senso, perch agti Ebrei che Giutiano rim provera di non dare una adeguata spiegazione detta genesi det mondo, mentre toda i Greci, e precisamente Ptatone, che questa spie gazione forniscono, ed un creatore, causa determinante di questo mondo. Ci risutta bene dat testo stesso di CRtLLO 97 A , B. da insistere sul vatore pregnante dett'aggettivo che esprime in breve tutto il concetto platonico di Dio come causa immediata dett'universo. un termine in uso presso i filosofi, specialmente neoplatonici, det HI e det TV sec. d. C. : v. THEMtsT. Prrrn ^ r. ^ 4r/i/. I ! (vot. I pp. 106-7 Spenge]); lAMBUCH. Pro/r?//. p. t23Piste)ti. In Pta tone stesso per ta parota, come tate, non si trova, contra riamente a ci che farebbe intendere CmJLLo 96 B (8v [tv
Jr/itOi'Cyi'] t y xJiTM y ^ [7/'^]).

Si trova invece in ARtsToi. /for. I 3 p. 340^, 12. (2) In connessione con quanto detto netta nota p rece dente, ritengo inutite o dannoso il supptemento del Neumann: () rj]' / ro^tor^; supptemento che, come parecchie altre votte, egti crede di dover ricavare dal testo di Ciritto.

H - Con/ro < *
e

detta terra e dette cose che in questa si trovano e det modo come furono ordinate. E te une dice che Iddio ordin fossero fatte, come it giorno e la tuce e it firmamento (:), altre te fece Egti stesso, come it cielo e la terra, it sote e ta tuna (2), attre che gi esistevano, sebbene nascoste, le scever, come t'acqua io penso e t'asciutto (3). Inoltre, neanche detta genesi e detta creazione dello spirito os dire niente, tranne questo soto : * E to spirito di Dio si moveva al di sopra dett'acqua * (4). Ma era increato o creato ? Egti non fa distinzione. Confrontiamo ora, se vi aggrada, ta dottrina di Piatone. Osservate che cosa egti dice det Creatore e quali parote gti attribuisce netta creazione det mondo, a fine di bene paragonare l'una con l'altra ta cosmo gonia platonica e quetta di Mos. Cos si parr chi sia stato migliore e pi degno di Dio, o Platone che adorava gti idoli, o quello del quale la Scrittura dice che Iddio parl a bocca a bocca con lui ($). * A principio Iddio fece il cielo e la terra. Era la terra invisibile e senza forma, e tenebre erano sopra l'abisso, e lo spirito di Dio si moveva al di sopra dell'acque. E Dio disse: " Sia ta luce , , e la tuce fu. E Dio vide la tuce, quanto bella. E Dio separ a mezzo la luce e le tenebre. E Dio chiam la luce 171 giorno, e le tenebre notte. Cos fu la sera, e fu il mattino: e formarono un solo giorno. E Dio disse:

(r) (a) (3) (4) (5)

G in. I 3, 5, 6. GiK. I 1,16. G in. I 9. G in. I i . M w i r . X I I 8.

* Sia il firmamento in mezzo alle acque E il fir mamento Dio lo chiam cielo. E Dio disse: ' Rac colgasi ['acqua, che al disotto del cielo, in una sola massa, e l'asciutto compaia .. E cos fu. E Dio disse: * Germogli la terra erba di pascolo e legno da frutti E Dio disse : * Sieno gli astri nel firmamento del cielo, che servano ad illuminare la terra E Dio li pose ne! firmamento del cielo a regolare il giorno e la notte * (i). In questi termini Mos non dice n dell'abisso, n delle tenebre, n dell'acqua che siano fatti da Dio. E p pure; come aveva detto della luce, che y*K per comando di Dio, cos avrebbe dovuto dire anche della notte e dell'abisso e dell'acqua. Invece non ne disse niente, come di cose gi esistite, sebbene di esse abbia fatto pi volte menzione. Oltre a ci, non tratta neanche della nascita n delta creazione degli angeli n di quel qualunque modo in cui furono introdotti, bens so!o dei corpi che si trovano sulla terra e nel cielo; di guisa che il Dio di Mos non risulta creatore di cosa alcuna incorporea, ma solo ordinatore della sottostante materia. Quella stessa frase: * Era la terra invisibile e senza forma ' , non se non di uno che suppone 173 l'umidit essenza della materia (2) e fa Dio semplice ordinatore di essa. Ascoltate adesso che cosa intorno al mondo dice

(1) G?M. ! 1-6 ,8 -9 ,11 ,14 ,17 . (2) da respingere la congettura aubertiana (xai ^ ) /, che, dopo un pi accurato studio della tradizione manoscritta, risulta infondata anche al NEUMANN ('T h eo)og. Literaturzeitung , 1899 col. 304), il quate pure t'aveva accotta netta propria edizione.

- CoM/ro < CrM/MM:.

33

Piatone : < II cielo tutto o il mondo o se c' altro nome che meglio gli convenga, con questo chiamia molo fu esso sempre, senza aver avuto alcun prin cipio di creazione ? oppure fu creato, traendo origine da qualche principio? Fu creato. Infatti, visibile e tangibile ed ha corpo : e tali cose sono tutte sensibili ; e le cose sensibili, che si comprendono dall'opinione per mezzo della sensazione, abbiamo visto che appar tengono al divenire ed al nascere... Cos dunque, se condo il ragionamento della probabilit, conviene dire che questo mondo proprio un animale vivente, intelligente, creato dalla provvidenza di Dio * (1). Portiamo il paragone su un punto solo: quale di scorso tiene Dio presso Mos, e quale presso Platone. E Dio disse: " Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra. E domini sui pesci del mare e sui volatili del cielo e sulle bestie e su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sopra la terra ,. E Dio fece l'uomo; lo fece ad immagine e somiglianza di D io: li fece maschio e femmina, dicendo: " C r e - ^ scete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e rende tevi padroni di essa. Comandate ai pesci del mare e ai volatili del cielo e a tutte le bestie e a tutta la terra , * (2). Ed ecco ora il discorso che al Creatore dell'Universo attribuisce Platone : O Dei Hgli di Dei (3), le opere di cui io sono

(1) PLATON. 7*<m . 38 B, C ; 30 B, trascritto con qualche breve omissione e con lievi alterazioni. (2) Gin. 1 26-8. (3) Di questa frase, il cui signiScato fu molto discusso, io d l'interpretazione che credo ne desse, naturai-

304

F ar/i //. -

^ i

creatore e padre, rimarranno, per volont mia, indisso lubili. ben vero che ogni cosa legata pu sciogliersi, ma ci che stato ben congegnato e bene si regge, volerlo disfare da malvagio. Poich dunque voi siete stati creati, non siete immortali n indissolubili del tutto : tuttavia, non sarete disciolti n vi toccher fato di morte, perocch vi aiuti la volont mia che le game anche pi grande e pi saldo di quetti onde foste tegati quando nasceste. Ora, udite che cosa io vi scopro. Ancora tre specie di schiatte mortati riman gono da generare, e, finch queste non sieno gene rate, it mondo sar incompiuto : cio, non avr in se stesso tutte quante le specie di animati. Ma se queste da me fossero create e da me ricevessero ta vita, sarebbero senz'altro eguati agti Dei. AfHnch invece esse sieno mortali e, netto stesso tempo, il Tutto sia effettivamente un tutto, adopratevi voi, secondo ta vostra natura, alta produzione di questi animati, imi174 tando l'attivit mia quando generai voi. In quanto a quella parte di toro che merita di essere assimitata agti immortati, e che infatti chiamata divina, e do mina in chi, fra essi, sempre segua ta via tracciata datta giustizia e da voi: questa ta seminer io, e ve ta dar, per versarla in essi. Pet rimanente, voi, atta parte im mortale combinando la mortate, preparate questi ani mati, generateli, date toro it nutrimento perch ere-

mente, Giuliano (da quanto risutta pi avanti): e che poi la medesima di Cicerone, fra gli antichi, e di non pochi m o derni. V . anche FRACCARou // /%/<??<? (" H Pen siero greco vot. I) pp. 215-6. Dat Fraccaroti invece mi discosto per ta frase successiva, pure motto controversa, < 5v

- CoM/ro < Cr/s/MW!.

35

'S can o, e, q u a n d o p e ris co n o , di n u o v o a c c o g lie te ti in v o i * (1).

Ma questo un sogno? Pensateci e vedrete. Platone nomina g!i Dei visibili, il Sole e la Luna, gli astri e il cielo ; ma questi non sono che immagini degli Dei invisibili. Il sole che vediamo coi nostri occhi l'im magine di un sole intelligibile che non vediamo ; cos la luna che vediamo coi nostri occhi, e ciascuno degli astri, sono immagine degli Dei intelligibili. Questi Dei intelligibili e invisibili, coesistenti con lo stesso Crea tore che ti ha generati e prodotti, Platone appunto li conosce. Non senza ragione egli fa dire al Creatore < Dei alludendo agli invisibili, ' degli Dei *, allu dendo ai visibili. Comune fattore di entrambi questo iddio che elabor cielo e terra e mare, e gener anche, nel mondo degli Intelligibili, i costoro archetipi. E guarda come giusto anche ci che segue ! : < Riman gono *, dice, * tre specie di schiatte mortali *, vale a 175 dire gli uomini, gli animali, i vegetali, di cui ciascuna distinta da sue proprie leggi. < Se infatti *, dichiara, < anche ciascuna di queste fosse creata da me, riu scirebbe, di necessit, immortale *. E, per vero, tanto gli Dei intelligibili quanto il mondo visibile non hanno dell'immortalit alcun'altra cagione se non l'essere nati dal Creatore. Quando poi egli dice: * Ci che vi d'immortale, deve essere a loro assegnato dal Crea tore ' , qui allude all'anima ragionevole. * Pel rima nente *, aggiunge, * combinate voi alla parte immor-

(1) PLAT. TifM. 4 1 A-D. Luogo frequentemente adoperato anche dai Padri delta Chiesa: v. GEFFCKEN ^0(Leipzig 1907) p. 175.

3 0 6

. P a r / / / .-

tate )a mortate *. evidente che gii Dei creatori, ricevuta dat toro Padre ta potenza creatrice, ne gene rarono, sutta terra, gti esseri mortati. Di fatti, se nes suna differenza avesse dovuto esserci fra it cieto e t'uomo, non soto, ma fra it cieto e te betve, e i ret titi stessi, e i pesci che nuotano in mare, bisognava che ci fosse un soto e medesimo creatore per tutti. Ma poich invece t'intervatto fra immortati e mortati grande, n pu per aggiunta o per diminuzione atcuna cotmarsi, convien credere che ta causa degti uni diversa datta causa degti attri ([). Essendo ormai manifesto che neanche sut Creatore 176 che causa di questo mondo Mos ha dato sufHcienti spiegazioni, confrontiamo it pensiero degti Ebrei e quetto dei nostri padri circa i popoti det mondo stesso. Mos dice che it Creatore det mondo ha etetto it popoto ebreo, vegtia esctusivamente su di esso, di esso si preoccupa, ad esso rivotge tutta intera ta sua attenzione. Quanto agti attri popoti, come e da quati Dei sieno governati, di ci Mos non fa nessuna que stione: troppo, forse, gti sembra di [asciare che anche essi godano i) sote e !a [una (2). Ma su questo punto torneremo, di nuovo, pi avanti. Per ora mi [imiter

() Cfr. PoRPHYR. frr. 89, 94. tV 19-20 : * Guarda che tatvotta, atzando gti occhi a! cieto e vedendo it sote, e ta tuna, e te stette, e tutto it corredo det cieto, tu non sia tratto ad adorare quette cose e servire a toro : perocch di quette cose it Signore Iddio tuo abbia fatto partecipi anche tutti i popoti sotto it cieto. Ma it Signore ha preso voi, e vi ha tratti fuori datta fornace di ferro in Egitto, affinch gti siate it popoto ereditario ... , . Queste critiche erano gi in CELSO ap. ORtGEN. IV 36, V 50.
( 3)

- CoM/ro < * Crt's/''.

307

a mostrare che Dio to dichiarano dio esclusivamente di Israele e della Giudea, e i Giudei popolo eletto : cos, non soto Mos, ma i profeti dopo di lui, e Ges Nazareno, e anche quegli che sorpassa tutti quanti i ciarlatani e gli impostori d'ogni tempo e d'ogni paese, Paolo (i). Ma sentite le loro stesse parole, cominciando da quelle di Mos. < Tu dirai al Faraone: " Figlio mio primogenito Israele ,. Or io t'ho detto : " Lascia andare il mio popolo, affinch esso mi serva E tu non volevi lasciarlo andare - (2). E un poco pi avanti : 177 * E dicono a lui : * Il Dio degli Ebrei ci ha chiamati. Noi dunque andremo nel deserto, facendo un cam mino di tre giorni, per sacrificare al Signor nostro Iddio , * (3). E di l a poco, di nuovo : * Il Signore Iddio degli Ebrei mi ha mandato a te, dicendo: " Lascia andare il mio popolo, affinch esso mi serva nel de serto , * (4).
[Mancano )e citazioni dei Profeti e di Ges].

Ma che fin dal principio Dio siasi esclusivamente curato degli Ebrei e che questo sia stato il suo popoto prediletto, par dirlo, non soto Mos o Ges, ma anche Paoto; sebbene ci debba in Paolo un poco stupire, perch, avvezzo a cambiare, a seconda delle circo stanze, opinione intorno a Dio, come i polipi che cambiano colore a seconda degti scogli (5), ora ha

(1)

Analoga descrizione di questo apostolo fatta in PoR

PHYR. frr. 2 7 , 38, 30. V . anche pi avanti.

(a) RtKM?. IV 22-3. (3) V 3. (4) VII 16. (5) Cfr. M s< % . 34 9 D. Da PoRPH YR. frr. 27-8.

308

A r / i //. -

preteso che sono i Giudei i) so!o retaggio di Dio, ora invece per indurre i Greci ad aggregarsi a lu predica: * Dio non solo degli Ebrei, ma di tutte le genti, s, di tutte le genti * (t). Senonch qui sarebbe i) caso di domandare a Paolo come mai, se Dio non solo dei Giudei ma di tutte le genti, ai ^6 soli Giudei larg il dono profetico, e Mos, e it crisma, e i profeti, e la tegge, e le stravaganze e i miracoli della favola. Tu li odi che gridano: * L'uomo mangi del pan degli angeli * (2). E alla fine mand a loro anche Ges. A noi nessun profeta, nessun crisma, nessun maestro, nessun messo di questa sua tardiva benevolenza, che doveva un giorno estendersi anche a noi! Egti lascia per miriadi, o, se volete, anche solo per migliaia di anni, in una tale ignoranza, schiavi, come voi dite, degli idoli, tutti i popoli dal'Oriente aU'Occidente, dal Settentrione al Mezzogiorno, ad ecce zione di una piccola schiatta stabilitasi da neanche due mila anni in un solo angolo della Palestina (3). Se Dio di noi tutti, e di tutti egualmente creatore, perch ci ha trascurati? Convien dunque ritenere che il Dio degli Ebrei non sia affatto il generatore d tutto il mondo, n abbia affatto il dominio dell'Uni179 verso, ma sia circoscritto, come dicevo, e, avendo un potere limitato, vada messo insieme con gli altri Dei. E potremo ancora menarvi per buono che del Dio dell'Universo voi, o qualcuno della vostra razza, sia

(1) at? IH 39. Cfr. ?. X iz sgg.; a<? 6; <x? Ca/a/. Ili 38. (2) Psa/M. LX X V I 1125. (3) V . il supplemento di Gou.wrrzER cr#. cit. Cfr. PoRPHYR. fr. 8i-a, 87.

. - Cbw/ro :

39

riuscito ad avere esatta nozione? Non sono tutti con cetti parziaii codesti? * Geioso Iddio ' (1). Perch geioso? e perch fa pagare ai Hgli ie coipe dei padri (2)? Guardate invece, di nuovo, ie dottrine che han corso presso di noi. Dicono i nostri che it Creatore comun padre e re di tutti, ma che, pel rimanente, ha distribuito ie nazioni a Dei nazionati e cittadini, ciascuno dei quali governa ia propria parte confor memente aila sua natura (3). Come, infatti, ne! Padre tutto perfetto e tutto unitario, cos invece negii Dei particolari dominano facolt diverse a seconda dei casi: Ares governa i popoli bellicosi; Atena i beliicosi e sapienti insieme; Ermete gii astuti piuttosto che audaci: insomma, aita tendenza essenziale di e ia - 180 scuno degli Dei nazionali corrispondono anche le nazioni ad Essi affidate. Ora, se l'esperienza non con ferma ci che ho detto, siano tutta impostura le nostre dottrine e credulit assurda, e si dia plauso alte vostre. Ma se, tutto al contrario, l'esperienza conferma, da che mondo mondo, i nostri discorsi, e mai in alcun modo s'accorda coi vostri, che ragione avete ancora di resistere con tanta caparbiet? Ditemi: quale la causa per cui i Galli e i Germani sono coraggiosi; i Greci e i Romani prevatentemente civili ed umanitarii,

(1) F*o<7. XX 5. (a) /?. (3) Anche questa dottrina e questa specificazione degli dpxovitj xc! 7to/ito3%ot che ha tanta parte nella teologia di Giuliano, derivata da Platone, specialmente da IV 7:3-4: luogo citato e discusso gi in a 258Fonte intermedia CELSO ap. OmG. V 25; Vili 35.

3 !

A ir / //. - O/iri/Zi

ma non senza )o spirito fiero e guerresco; gii E gi ziani piuttosto astuti ed industriosi ; imbeHi e tussuriosi i Siri, ma non senza un che di inteltigente, di caldo, di teggero, di pronto neH'imparare ([)? Se di questa diversit fra i popoti non si vuote vedere causa atcuna e si pretende che venga dat caso, oh, come potr ancora credere che it mondo sia guidato datta Provvidenza? E se si ammette che cause ci siano, me te si dica, me te si insegni, in nome de! Creatore stesso ! chiaro che te teggi ta natura umana se te create a s stessa conformi : civiti ed umanitarie dove pi era insita !a benevotenza; setvaggie e dis umane, dove preesisteva t'opposta natura di costumi. Poco i tegistatori con t'educazione aggiunsero atte di sposizioni e agti usi naturati. Per questo gti Sciti accot8 sero Anacarsi come un insensato (2). Cos, difficile sarebbe trovare fra i popoti d'Occidente, tranne po chissime eccezioni, chi sia in grado di cottivare ta ftosofia, ta geometria o attro studio siffatto, sebbene gi tanta radice vi abbia messo t'impero Romano, t pi privitegiati gustano soto ta diatetica e ta retorica, ma non fanno presa suite a!tre scienze (3). Tanta ta forza detta natura! Che cosa dunque questa differenza fra i popoti nei costumi e nette teggi?

(1) Su queste caratteristiche dei varii popoli v. A sn u s in * Phitotogus , L X V (1906) pp. 423 sgg. (2) Cfr. sopra p. t44 n. 2. (3) questa un'osservazione giustissima cui !a storia det'antichit reca conferma, speciatmente se si considerino gti scrittori detta Gattia e detta Spagna.

. - Cbn/ro : Cr<^/<aK<.

311

Mos ha dato della differenza delie lingue una ra gione superiativamente favolosa. Dice che i figli degii -uomini, riunitisi, voievano fabbricare una citt e, in essa, una gran torre ; ma Dio dichiar : qui bisogna scendere e confondere ie !oro lingue. E, perch nes suno creda che io vogiia darla ad intendere, leggiamo nei testo stesso di Mos, quei che segue : < E dis sero: " Ors; fabbrichiamoci una citt ed una torre, ia cui cupola giunga fino al cieio; e facciamoci un nome prima di essere dispersi su tutta ia faccia della terra ,. E scese i! Signore a vedere la citt e la torre, che i figli degli uomini edificavano. E disse il Signore: " Ecco, essi sono un medesimo popoio, e una medesima lingua hanno tutti; e questo comin ciarono a fare; ed ora non resteranno dal compiere tutto ci che hanno cominciato. Dunque: discendiamo !, e confondiamo ia loro lingua, affinch non capisca l'uno la parota de)i'a!tro ,. E li disperse ii Signore i8a Iddio su tutta ia faccia de!!a terra, ed essi cessarono di fabbricare la citt e la torre * (i). Poi volete che a questo crediamo ; ma voi non cre dete a ci che dice Omero degli loadi (2), che tre montagne meditavano di porre l una sull'altra, * onde fosse ascendibiie il cielo *. Per me io dico che questo racconto ugualmente favoloso che quello. Ma voi, che il primo accogliete, per qual ragione, in nome

(1) X I 4-8. (z) Oto ed Esatte, Agli putativi de] gigante Aoeo, in realt generati da'unione delia costui consorte ISmedea con Posidone. V . 0 <%yss. X I 307 e sgg. Cfr. THEMisT. Or. II 36 B ; V I 79 A .

312

fb r / ; 77. -

/o/McAf i

di Do, respingete la favola di Omero? Poich questo credo uomini ignoranti non to capiscono : che, se anche tutte te genti che popolano ta terra avessero ta medesima voce e ta medesima lingua, fabbricare una torre che arrivi (ino al cielo non potrebbero af fatto, quand'anche facessero mattoni di tutta quanta ta terra. Mattoni ce ne vorrebbero infiniti di gran dezza pari a tutta intera la terra per arrivare al soto cerchio delta luna. Ammettiamo pure che tutte le genti si siano riunite parlando una stessa tingua ed abbiano ridotto in mattoni e cavato le pietre di tutta ta terra; come potranno arrivare fino al cieto, se 183 anche la loro opera dovesse stendersi pi sottile di un (ito allungato (1)? In conclusione: voi che stimate vera una favola cos evidentemente falsa, e pretendete che Dio abbia avuto paura detta unit di voce (2) degti uomini e p e r questo sia disceso a confonderne te lingue, ose rete ancora menare vanto detta vostra conoscenza di Dio? Ritomo at punto di prima : come fece Dio la con fusione delle lingue. La causa fu, secondo Mos, ch'Egli temeva gti uomini operassero qualcosa contro di Lui dopo avere scalato il cielo, - uni di lingua e

(1) Questa critica atta costruzione detta torre di Babete e it paragone con ta teggenda degti Atoadi si trovano esposti e combattuti da FtLONE <& cow/ /<M ^. ! 405, donde gi ti aveva attinti CELSO ap. OmGEN. IV 21. Cfr. GEFFCKEN ZaMt pp. m x e 305. It testo presenta quatche difhcott, cui ha creduto di ovviare GoLLwrrzER !. c. (2) Adotto ta tezione d/toyttv/av, (ornita dat codice V e confermata da Oecotampadius, piuttosto che quetta di M, fMatyov/av, cui s'attiene it Neumann.

313
d'animo; e il modo come fece fu questo (i): che di scese dai cieio (forse perch dall'alto nop avrebbe potuto fare ii medesimo, ed era obbiigato a scendere suiia terra!). Quanto alla differenza nei costumi e neiie ieggi n Mos n aicun aitro si cur di trattaria. E p pure, c' molto maggiore variet negii usi e nei 184 costumi politici deite nazioni, che non neiie ioro iingue. Quaie quei greco che considera iecito di avere commercio con ia soreiia, con ia figlia, con la madre ? Ebbene, ci buono presso i Persiani. E debbo io indugiarmi a dimostrare, caso per caso, che i Germani sono amanti della libert e insofferenti di giogo, mentre i Siri, i Persiani, i Parti sono pi alla mano e docili, al pari degli altri barbari ad Oriente e a Mezzogiorno, che tutti, senza distinzione, si sotto mettono volentieri anche ai governi pi dispotici? Se dunque tutte queste cose, che sono le pi im portanti ed apprezzabili, si son fatte senza una prov videnza superiore e veramente divina, a che scopo onorare e venerare un Dio che non provvede niente? Se non si cur n della vita, n dei caratteri, n dei costumi, n delle buone leggi, n della costituzione civile, ha forse diritto di reclamare onori dagli uomini? Neanche per sogno ! V edete a quale assurdit porta la vostra dottrina. Fra tutti i beni che si osservano nella vita umana, primi vengono quelli dell'anima, poi quelli del corpo. Se dunque Dio non si cur dei beni della nostra anima, e tanto meno provvide at nostro benessere fsico, se non ci mand n dottori n legis-

*{i) Respingo it supptemento det Neumann: tA di

(oMa^t<Sg, d^/ ^ in U t/?.

314

Par/i //. -

i MAWcAi.

tatori, come agti Ebrei, giusta i) detto di Mos e dei profeti dopo di tui, di che cosa potremo con sin cerit ringrazialo? Ma vediamo se per caso Iddio non diede anche a noi i nostri proprii Dei, che voi ignorate, i nostri 185 bravi protettori, per niente inferiori at dio degti Ebrei venerato in Giudea, sutta quate esclusiva mente egti estese ta sua Provvidenza, a detta di Mos e di quetti che to hanno seguito infino a noi. Se poi creatore e reggitore det mondo fosse proprio it dio venerato presso gti Ebrei, anche migtiore sarebbe it concetto che noi ne abbiamo: perch ci ha dato beni maggiori che a toro, tanto dett'anima quanto det corpo, di cui tratteremo un poco pi avanti, e ci ha man dato tegistatori che vatgono Mos, se pure non to sorpassano di gran tunga. Come dunque dicevamo, se !a differenza nette teggi e nei costumi non t'ha posta un dio nazionate pre posto ad ogni nazione, con un angeto sotto di s o un dmone o una speciate razza di anime pronte a servire e aiutare gti spiriti superiori, dimostratemi voi in quate attro modo ci ha potuto avvenire. Poich non basta dire: * Iddio disse, e avvenne *. Bisogna che con te disposizioni di Dio si accordi ta natura di ci che avviene. E mi spiego pi chiaramente. Ordin Iddio, per esempio, che it fuoco andasse in atto, ta 186 terra in basso. Ma non bisognava anche, perch quest'ordine di Dio si compisse, che it fuoco fosse teggero, ta terra pesante? Cos si dica per it resto (t). E cos anche per te cose divine. un fatto che it

(1) Una breve tacuna indicata da Ciritto con )e parote: a!

H- C o w / r O C r i / M K ! .

3 1 5

genere umano corruttibile e mortale. Quindi anche e opere sue sono corruttibiti, soggette a mutazioni e ad ogni sorta di rivolgimenti. Dio invece essendo eterno, eterni pure debbono essere i suoi ordini. Tali essendo i suoi ordini, sono una soia e stessa cosa con !a natura degli esseri, o, aita natura degli esseri, conformi. Come potrebbe la natura trovarsi in con trasto con lordine di Dio? Come potrebbe cader fuori dall'accordo? Se quindi, allo stesso modo in cui ordin la con fusione delle lingue, e la loro dissonanza, Dio ha anche voluto una differenza nella costituzione politica delle nazioni, ci non ha fatto con un puro ordine, ma ci ha creati in vista di questa differenza (i). Biso gnava cio che, prima di tutto, diverse nature fos sero insite in chi diversamente si sarebbe comportato fra i popoli (2). E questo lo si osserva persino nei corpi, se consideriamo quanto anche per tale rispetto diffe riscono i Germani e gli Sciti dai Libii e dagli Etiopi. O anche questo puro e semplice ordine di Dio, e niente influiscono sul colore del corpo l'aria ed il paese? A bella posta Mos abbui tutta questa faccenda, e la stessa confusione delle lingue non l'attribu al suo dio solo. Dice infatti che non da solo discese, 187 n un solo altro insieme con lui, s parecchi, e questi chi fossero non spiega. certo per che intendeva

(1) Anche qui reputo errata e contraria al senso generate, qua!e risulta specialmente dai periodo che segue, ia corre zione dei Neumann : xa 7tiyuxt'vat () 7tpdy cavciyv
(z) Analogo ragionamento in PoRPH YR. fr. 35 per contrad dire aiia teratoiogia di Paoio.

simili a lui quetti che insieme con tui discesero. Se pertanto a confondere !e tingue non it Signore soto, ma attri discesero insieme con tui, pu ovviamente concedersi che, anche per !a confusione dei costumi, non it Signore soto, ma anche cotoro che to aiutarono ne! confondere !e tingue, furono autori di questa diversit. Perch dunque mi sono io, senza voterto, cos a tungo diffuso? Per questo: che, se Creatore e reggi tore det mondo i! Dio da Mos predicato, noi ab biamo su di Lui concetti migliori in quanto )o con sideriamo universate signore di tutte le cose, e attri poniamo atta testa dette singote nazioni, a Lui subor dinati come ministri ad un re, ed assotventi ciascuno in diversa maniera ta sua particotare funzione. Noi i88 non facciamo Lui subattemo degti Dei che gti sono soggetti. Che se, per onorare quatcuno de' suoi par ticolari ministri, Egli gli affida (:) il governo del Tutto, meglio , seguendo ta nostra dottrina, riconoscere it Dio dell'Universo, senza perci misconoscere quell'attro, anzich onorare il dio cui toccato il governo di una piccolissima parte de! mondo, in luogo del Creatore stesso detl'Universo. Una vera meraviglia sarebbe la legge di Mos, il famoso Decalogo. * Non rubare. Non ammazzare. Non dir fatso testimonio * Ma trascriviamo con te sue stesse parole ciascuno dei comandamenti ch'egli dice dettati da Dio medesimo.

(i) Con ta lezione manoscritta det Neumann.

in tuogo dett'dvn-

PI - Cow/ro : Cr/s^'aM.

317

' Io sono il Signore iddio tuo, che ti trasse a sal vamento dalla terra d'Egitto *. E il secondo: * Non avrai altri di all'infuori di me. Non ti farai alcun idolo *. E di ci aggiunge la ragione: < Poich io sono it Signore Iddio tuo, il Dio geloso, che fa pagare ai figli le colpe dei padri fino alla terza generazione *. < Non nominare il nome del Dio tuo invano ' . < Ri cordati il giorno dei Sabbati *. * Onora il padre e la madre tua < Non fornicare *. * Non ammazzare *. * Non rubare *. * Non dir falso testimonio . ' Non desiderare le cose d'altri * (i). Quale nazione io lo chiedo in nome degli Del all'infuori del < Non adorare altri Dei * e del < Ricordati il giorno dei Sabbati *, non ritiene di dovere gli altri comandamenti osservare, al punto che 189 persino sono ai trasgressori fissate delle pene, qui pi severe, l simili a quelle stabilite da Mos, altrove anche pi umane? Ma il ' Non adorare altri Dei * : questa una gran bestemmia verso Dio. * Poich Dio geloso *, ag giunge. E altrove di nuovo: * H Dio nostro fuoco che strugge * (2). Un uomo invidioso e maligno ti par degno di biasimo. E fai cosa pia a chiamar invidioso Iddio? E come pu sembrarti ragionevole una cos sfacciata menzogna sul conto di Dio ? Difatti^ se geloso, vuol dire che suo malgrado vengono tutti gli altri Dei venerati, e suo malgrado tutte le altre genti venerano gli Dei. E come mai non li ha impediti, lui, cos geloso, che non vuole si venerino gli altri, ma s solo? Una delle due, dunque: o non
(1) (2) X X 2-5, 7-8,12-7. V 24. Cfr.

/ A ir . 29.

3^8

A ir/ f 7/. -

era capace, o, addirittura, non volte neanche vietare il culto degli altri Dei. Ma la prima conseguenza empia: dire che non pot. La seconda concorda con la pratica della nostra religione. Smettetela quindi con codeste ciance e non traetevi addosso da voi stessi una cos grossa infamia. Se infatti Egli non vuole che alcun altro si adori, perch mai adorate quel suo figlio spurio, che Egli non ricoi$o nobbe n credette mai suo (e c i .io vi dimostrer agevolmente), ma che voi, non so come, ad arte gli avete supposto? .....[negli scritti di Platone] mai Iddio appare in atto di sgridare, di arrabbiarsi, di giurare, di passare improvvisamente dall'uno all'altro proposito, come invece descritto da Mos nel brano di Fines (i). Se qualcuno di voi ha letto i sa a che cosa io alludo. Quando Fines ebbe all'iniziato di Beelfegor e alla donna che lo aveva sedotto data di propria mano la morte, mediante orrenda e oscena ferita attraverso alla matrice (cos egli racconta) avendo colpito la donna(2) ,D io fatto cos parlare: Fines, figlio di Eleazar, figlio del Gran sacerdote Aaron, distorn dai figli di Israele la mia collera, con l'in furiare egli stesso del mio furore in mezzo a loro. Perci io non li distrussi i figli d'Israele, nel furor 191 mio proprio ' (3). Che cosa di pi futile che il motivo per il quale bugiardamente lo scrittore pretende che Iddio si lasci trasportare dallo sdegno ? Che cosa pi assurdo di questo: che per dieci, quindici, magari

(1) I medesimi appunti in CELso ap. OtuG. IV 71 sg.; V 53,58. (a) M m . X X V 7-8. (3) M w . X X V : i .

K - CoM/ro : CrM/<aK!.

319

cento poich non diranno miHe , ma mettiamo anche mille uomini, i quali abbiano osato trasgredire le leggi di Dio, debbano, per i mille, esserne distrutti seicentomila? A me pare infinitamente pi saggio salvare con mille buoni un malvagio, piuttostoch perdere per un malvagio mille buoni.
[Qui to scrittore accumuta ancora parote su paro!e per dimostrare che non deve it Creatore det cieto e detta terra nutrire cos selvagge passioni, come quando vuote pi votte annientare ta razza dei Giudei].

Se gi a citt ed a paesi interi cos funesta l'ira di un semplice eroe o di un dmone oscuro, che avverr quando un cos grande iddio vada in collera contro dmoni od angeli ovvero anche contro gli uo mini? Bisognerebbe un po' confrontarlo, questo iddio, con la mitezza di Licurgo, con la longanimit di S o - 192 Ione, con la bont e la moderazione dei Romani verso i nemici. Quanto infatti i nostri costumi sieno superiori ai vostri, giudicatelo anche di qui. A noi i nostri filosofi ordinano di imitare, fin dove possi bile, gli Dei, e questa imitazione fanno consistere nella contemplazione degli enti(t). Che ci supponga il distacco e l'assenza delle passioni, chiaro senza che io to dica. In quanto dunque, liberi dalle pas sioni, ci troviamo disposti alla contemplazione degli enti, in tanto ci assimiliamo a Dio. Quale invece la strombazzata imitazione di Dio presso gli Ebrei? Rabbia, passione, furore selvaggio. < Fines *, dice infatti, * distorn la mia collera, con l'infuriare egli stesso del mio furore in mezzo di loro *.

(1) Cfr. C isa fi 333 C.

320

P ar/ //. - Cp;r;//6

^ sa/<r<rAi.

Vuo dire che quando Iddio trova uno che condivida it suo sdegno e ta sua passione, rinuncia allora a sdegnarsi. Queste ed altre simii cose Mos ha fantasticato, parlando di Dio, in non pochi passi della scrittura. t<8 Ed ora: che Dio non siasi esctusivamente occupato degti Ebrei, anzi, su tutti i popoti vegtiando, nutta agii Ebrei abbia dato di buono o di grande, mentre noi, piuttosto, ha colmato di migtiori e pi insigni doni: ci potrete vedere da quanto io sono per dire. Infatti, persino gti Egizii, se si fanno ad annoverare i nomi dei toro Sapienti, possono dire di averne avuti motti, tutti quetti, cio, che seguirono Ermete ( f E r mete, dico, che terzo visit t'Egitto) ( t) ; attrettanti ne hanno avuti i Catdei e gti Assiri dopo Oan e Beto(2); migtiaia i Greci dopo Chirone. Dopo d'at-

(1) Attude a) famoso Ermete Trism egisto: denominazione greca dell'antico dio egiziano Thoth, considerato come rap presentante detta sapienza, inventore dette tettere, ecc. Netta teologia* e netta mistica atessandrina questo dio si presenta in varie ipostasi umane ; e vengono distinti un primo, un secondo, un terzo Ermete, che abitarono in diversi tempi ['Egitto, e a cui si riconducono t'origine dei tibri sacri e gti insegnamenti detta filosofa. D ei primi due partano AUGUSTIN. D i o r . XV H t 39 e SYNCELL. 40 B. Cfr. RE]TZENSTE[N PoMMCMifrS (Lipsia 1904) pp. 174-5; KROLL in PAULY-WissowA . . V ili cott. 792 sgg. (2) V . E u s E B . C%ron. t pp. 14-6 Schoene, citato dal Neumann per corroborare ta lezione da tui proposta ' '.Sdwou in luogo di ,-tA N/vou dei precedenti editori. Infatti, Oan una interessante figura detta mitotogia caldea, un Htosofo in forma di mostro, che inventa te tettere, ta costruzione dette case e dei tempti, ecc.

H - Condro ! Crn/ . !ora appunto sono comparsi ogni sorta di grandi ini ziati e di interpreti delle cose divine: privilegio di cui solo gli Ebrei, a sentirli, dovrebbero andare superbi.
[Qui, appresso, Giuliano canzona D avide e Sansone, affer mando che non furono affatto cos vatentissimi nette battaglie, anzi di molto inferiori ai Greci ed agli Egiziani, e che a stento raggiunsero con fa loro sovranit i confini soli della Giudea].

Ma Dio a noi diede i principii delta scienza, ossia l'insegnamento filosofico (). E quale! La cognizione 194 dei fenomeni celesti la perfezionarono i Greci, pur servendosi delle prime osservazioni fatte presso i bar bari a Babilonia. Lo studio della geometria, nato dalla geodesia in Egitto, prese qui il suo grande svi luppo. L'aritmetica, inventata dai mercanti Fenici, solo presso i Greci giunse al-grado di scienza. 1 Greci stessi, infine, combinarono in una, mediante l'armonia dei numeri (2), le tre scienze, l'astronomia annet tendo alla geometria, poi ad entrambe applicando l'aritmetica e meditando l'armonico vincolo che in sieme le unisce. Di qui nacque presso loro la musica, per avere trovato la definizione delle leggi dell'ar monia nella corrispondenza perfetta o quasi perfetta del suono con la facolt del percepire (3).

(1) L egg o !: con V e con la versione di Oecolampadius, anzich /ttv. Conseguentemente non accetto il punto interrogativo posto dal Neumann in fine at periodo. (2) V . su lla q uestione d el testo GoLLwiTZER 1 . c. (3) A nche qui mi scosto dal Neumann, attenendomi atta vulgata: jttouvtx^v, toipaM ytipdvfty

d^ovtxtBv

...

3aa

Par/ 7/. - 0/iri//i /oMtfAi MAr/cAi.

Debbo dunque citare per persona o per categoria? Uomini come Piatone, Socrate, Aristide, Cimone, Ta]ete, Licurgo, Agesiao, Archidamo, o, piuttosto, separa tamente, ia categoria dei filosofi, quetta dei condottieri, quella degii artisti, quela dei iegisiatori? Si trover subito che, fra i condottieri, i pi crudeii e perversi hanno usato contro gii autori dette pi gravi ingiurie maggior ctemenza che non Mos contro chi non aveva ipg alcun torto. E quate regno dovr citarvi? Quetto di Perseo o di Eaco o di Minosse Cretese? Di Minosse, it quate, purificato it mare dai pirati, respinti e cac ciati i barbari fino atta Siria e atta Sicilia, estesi da entrambi i tati i confini, stabitt ta sua dominazione non soto sulle isote, ma anche su tutto il titorate ; poi, spartita col fratetto Radamanto non gi ta terra, ma ta cura dei popoli, diede teggi che riceveva da Zeus, mentre atl'altro afRdava il compito di rendere ta giu stizia^ ).
[Dopo ta storia di Minosse, Giutiano si addentra in un ampio pelago di narrazioni, desunte dalte storie elleniche, e dice che Dardano, nato da Zeus e da Elettra figlia di Atlante, fond la Dardania e, morto, regn insieme con Zeus. Finita la storia di Dardano, che pare a lui stesso una vuota rapsodia, sbito passa alla fuga di Enea ; diffusamente espone l'arrivo dei Troiani in Italia; fa inoltre menzione di Rom o e di R o molo e del modo come Roma fu fondata].

Ma, dopo avere trionfato di tutte le guerre onde fin dagli inizi) essa era circondata, dopo essersi nei travagli stessi ognor pi svituppata, avendo essa ormai bisogno di maggiore stabilit, Zeus te invi it pi

(i) Ci ispirato dal dialogo [platonico] A/t'ucs, particolar mente 12 p. 319 A sgg.

P*. - Cow/ro < CWs/i'aw.

333

filosofo dei re, Numa. Era questo un esempio di virt, che viveva nei boschi solitarii, e sempre aveva com mercio con gti Dei per via dette sante sue medita zioni. A tui si debbono ta maggior parte dette teggi che riguardano a retigione. Questi benefzii Zeus pare averti a Roma comuni cati per via di suggestione e d'ispirazione divina, o mediante ta voce detta Sibitta e di quegti attri cresmo- 196 ioghi (chiamiamoti con nome greco), che attora vive vano. Quanto atto scudo caduto dat cieto e at capo trovato sutta cottina (donde prese nome io credo ta sede stessa det gran Giove) (1), dovremo anno verarti come favori di primo o di second'ordine ? Voi, disgraziati! questo arnese caduto dat cieto, che presso noi si conserva, e che il grande Zeus o it padre Ares ci mandarono (2) per darci un'arra, non di parole ma di fatti, detta ferma toro volont di far scudo () a Roma, in eterno : questo arnese voi vi rifiutate di ado rare e di venerare; mentre adorate il tegno della croce e perfino l'immagine ve ne tracciate sulla fronte
(1) Ca^tYoA'wfM, to splendido tempio in onore di G iove Ot timo Massimo. (2) II famoso anet'/?, che sarebbe caduto dal cieto nell'ottavo anno det regno di Numa e aiBdato atta custodia dei -S a/< *< .Pa/a?w<! nel sa<rrat*<KM! Marfts, insieme con altri undici da Numa fatti fabbricare sut medesimo tipo. Secondo la tradi zione pi comune, esso sarebbe stato mandato da Marte (vedi P u rr. 3; DtoNYS. HAL. H 72); da G iove invece lo fa venire OviD. Tasi. Ili 346 sgg. Cfr. PAULY-WtssowA t co!. 2113. (3) i n 7tpoK7H7ft. L 'A . intende parafrasare te parole del dio ebreo ad Abram o, Giwfs. X V 1: < yoM , citato pi avanti. Cfr. anche OviDto L e .: '^<grxw a ffr/a < 7 aM .

3 3 4

P u r / ; / / . - O / f r f M i

e davanti atte case (t). Non so se pi si debbano odiare i furbi de)!a vostra setta o pi compatire gii igno ranti che, iasciandosi da voi condurre, giunsero a tanta disgrazia da abbandonare gii Dei immortati per il morto della Giudea. Tralascio i misteri detta Madre degli Dei ed esalto Mario (2)... Difatti l'ispirazione che gli Dei inviano 197 agli uomini, rara e di pochi : non ognuno pu pren dervi parte, n in ogni momento. Perci venne meno presso gli Ebrei il dono profetico, n pi si conserva, oggi, presso gli Egizii. Anche i pi genuini oracoli si vedono, ridotti al silenzio, cedere alle vicende de! tempo (). Senonch appunto, ne!!a sua benevolenza, il signore e padre nostro Zeus, volendo che non fos simo privati di ogni -comunicazione con gli Dei, ci ha dato ['osservazione delle arti sacre perch vi tro vassimo la necessaria assistenza ai nostri bisogni (4).
(1) Cfr. L X X V n i p. 604 Hertl. L a medesima potemica contro l'adorazione delta croce in PoRPHYR. fr. 84. (2) Qui, sebbene il Neumann non se ne dia per inteso, do veva ne) testo esserci qualcosa di pi ampio, che andato perduto. It senso generale, come si ricava da Cirillo p. 197 C Tofy ^e<M<y#a* AfdpOv), che, oltre ai misteri detta ma/ir, t'A . considera come uno dei principati favori, dagti Dei impar titi ai Romani, ta nascita di Mario, it famoso rivate di Sutta: det quate si dimostra ammiratore anche nei CMart 323 A. (3) L 'A . a v e v a in m en te it trattato di PtUTARCo D i orarM/orMMt. Era questione, nei primi secoti di Cristo assai di battuta, questa detta decadenza dei vaticinii. V . pure pi avanti p. 333. (4) Mentre per i Cristiani ta profezia era riservata soto ai pi gran santi, i Pagani avevano, per tradizione, ogni sorta di auguri e di maghi. A questa tradizione poi it Neoptatonismo recava novetto vigore.

K - CM/ro ! 0*''3.

335

Stavo gi quasi per dimenticare it pi grande dei benefizi) recatici da! Sote e da Zeus. Non senza ra gione per to ho serbato per ta fine : poich esso non appartiene in proprio a noi soti, ma in comune coi Greci, i nostri fratetti d'origine (i). Zeus dunque gener, fra gti di intettigibiti da Lui emanati, Asctepio ; e atta terra to rese visibite per mezzo dett' attivit generatrice det Sote. Cos Asctepio, disceso di cieto in terra, comparve ad Epidauro sotto specie unica e in forma umana ; di t poi, progredendo, su tutta ta terra distese ta sua mano satutare. Venne a Pergamo, 198 in Ionia, a Taranto, infine anche a Roma ;. pass a Cos e di qui ad Ege. Insomma, egti dappertutto, per terra e per mare ; senza visitare, singotarmente, ciascuno di noi, pur guarisce te anime bacate e i corpi malfermi (2). Che cosa di somigtiante possono gti Ebrei vantarsi di aver ricevuto da Dio, essi per i quati voi avete disertato te nostre fite? E ancora, se teneste fermo atta toro dottrina, non sareste cos pienamente spregevoti, e ta vostra sorte, sebbene peggiore di quetta di prima, quando eravate con noi, sarebbe tuttavia passabite e sopportante. In tuogo di motti Dei, ne adorereste uno soto, ma atmeno non un uomo, o, megtio, non motti spregevoti uomini (3). Adottando una tegge dura e crudete, piena di satvatichezza e di

(1) Greci e Romani derivati datto stesso ceppo: cfr. C?sart 324 A e n. ivi. (2) Asctepio per ]'A. it contrapposto deit figura det Cristo. L a sua nascita, da Zeus, descritta secondo i concetti neoptatonici e cristiani det /oy. (3) AHusione at cu)to dei santi e dei martiri.

336

Pur/i 7/. -

barbarie, in luogo dette teggi nostre dotci ed umane, stareste senza dubbio peggio ; ma atmeno sareste pi santi e pi puri nette cose det cutto. Ora, voi avete fatto come te sanguisughe : avete 199 succhiato di t it sangue pi infetto e [asciato it puro. Ges, che sedusse ta parte pi infetta di voi, non nominato che da poco pi di trecento anni, e senza che in vita sua abbia fatto alcunch di memorabile, tranne che grandi imprese si considerino t'avere gua rito zoppi e ciechi ed esorcizzato indemoniati nei paesucoti di Betsaide e di Betania (i). Detta santit non sapete neanche s'egti abbia fatto it nome. Emtate dei Giudei te cottere e ta ferocia; rovesciate tempti ed altari (2), trucidate non soto quetti di noi che rimangono fedeli at culto dei padri, ma anche cotoro che, pur professando i vostri errori, sono chia mati perch non piangono it morto netta stessa identica maniera di voi (3). E tutte queste, anzi, sono innovazioni vostre ; perch mai n Ges n Paoto ve te hanno comandate. La ragione si che mai essi osarono sperare che doveste arrivare a tanta potenza. Erano gi contenti se riuscivano ad ingannare serve e schiavi e, per mezzo di questi, donne ed uomini tiaoo beri detta tevatura di Cornelio e di Sergio (4), dei quali se uno solo si trova ricordato fra gli ittustri del

(1) Cristo ridotto atte apparenze di un mago pure in CELSO ap. OtMG. ! 6 ; 38 ; 46. " Sem plice uomo , in PoRPH YR.

fr. 53
(3) Cfr. 361 B-C e note ivi. L 'A . ha ancor viva nell'animo l'impressione dell'incendio appiccato al santuario di Dafne. (3) Cfr. p. 93. A nche CELSO ap. ORtG. 10-2; V 6 i . (4) Cornelio, centurione romano in Cesarea, p er comando

y. - C O K / ^ O<

tempo queste cose avvenivano sotto Tiberio e sotto Gaudio , dite pure che anche pe! resto io sono impostore. Ma (e non so pi di dove fossi mosso n che cosa mi ispirasse) io vi avevo-fatto una domanda: Perch siete passati nelle file dei Giudei? perch vi siete mostrati ingrati verso i nostri Iddii? Forse perch a Roma i Numi accordarono l'impero, ai Giudei qualche tempo d libert, poi schiavit perpetua e vassallaggio presso straniere genti? Guardate Abramo! Non vive egli soggetto in terra forestiera? E Gia cobbe ! Non successivamente schiavo in Siria, in Palestina, infine, da 'vecchio, in Egitto ? ( t). E non dice Mos stesso di averli tratti, col suo braccio ec celso, dalla casa della schiavit in Egitto ? (2). Stabi litisi poi nella Palestina, forsech non cambiaron di fortuna pi spesso di quel che non cambii di colore (stando a chi lo ha visto) il camaleonte, ora obbe dendo ai Giudici, ora servendo gli stranieri? Quando infatti cominciarono a governarsi coi Re (n star a dire come : basti che Dio stesso non li accord a loro di buon grado, per quanto narra la Scrittura, anzi da loro costretto e avvertendoli che sarebbero mal go vernati) (3), abitarono almeno e coltivarono la loro aot propria terra per poco pi di trecento anni ; ma da allora furono schiavi : degli Assiri prima, poi dei Medi, in seguito dei Persiani, ed ora, infine, di noi stessi.
di un angelo fa chiamare a s Pietro : a^os/. X ; Sergio, pretore in Cipro, si converte al Cristianesimo davanti ad un miracolo di Paoo: XIII 4-12. (1) V ! 6. (2) V 6. (3) Cfr. / 7? ^ . VII! 6-22.

3aS

//. -

^/''^ i

Anche i! Ges che voi predicate era un suddito di Cesare. Se non ci credete, ve dimostrer un poco pi avanti, o megtio sbrighiamota sbito. Non dite infatti che fu compreso, insieme co) padre e con ia madre, nei censimento sotto Quirinio ? (). Una votta nato, poi, di quali benefzi) si rese egli au tore verso i suoi connazionali? Ma si osserva essi non voliero ascoltare Ges. Come? Hanno bene ascoltato Mos, questa gente da! cuor duro e da! co!!o di pietra (2). E Ges che comandava agli spi riti e camminava su! mare e scacciava i diavo!) (3), e che ha fatto, come voi dite, i! cie!o e la terra (seb bene ci nessuno dei suoi discepo!) ha osato attribuirgti, tranne i! so!o Giovanni e neppur motto chia ramente n espHcitamente (4): ma ammettiamo che !'abbia detto), questo Ges non pot mai, per !a !oro propria salvazione, mutare gli intendimenti de' suoi am a amici e connaziona!) ? Ma di ci pi avanti, quando deH'impostura e degti artifzii dei Vangeti prenderemo a trattare appositamente (5). Per ora rispondetemi a que!!a questione : megtio essere continuamente !ibero e comandare per ['intera durata di due mi!a anni a!!a maggior parte de!!a terra e de! mare, o essere schiavo e vi-

(:) Lue. !! 2. Attri, in luogo di dnno Jfvp/vou Quirino. (z) E piteti attinti d a D iw /ir. ]X 13 e da EzECH. Iti 7. (3) MARC. ! 37; Lue. IV 36; MATTH. VHI 27, X IV 35 ; MARC. VI 49; IoH. V I 19. (4) Allude probabitmente a quet passo de) Vangelo di Gio vanni, gi pi votte discusso (I 3), ne! quate det M irio detto che x a v t a < !< ' g# to3 ^. Cfr. PoRPH YR. frr. 68, 86. (5) Ne! II libro. V . anche qui, pi avanti, p. 349 sgg.

. - Con/re / Crts/MMM.

vere sotto gti ordini attrui? Nessuno cos) sfrontato da preferire ii secondo caso. Parimente, pu alcuno pensare che sia megiio, in guerra, essere vinto che vincere? C ' gente cosi insensata? Ora, se questo che diciamo vero, mostratemi presso gii Ebrei un soio generate come Atessandro, uno soio come Cesare. Non ce n'. E s che, in nome degii Dei ! io so di far torto a quei grandi : ma ii ho citati come i pi noti. Attri a toro inferiori sono ignorati dai votgo, e ciononostante ciascuno di essi vaie assai pi di tutti insieme quetti che si trovano presso gli Ebrei. L a costituzione civiie, ia forma dei giudizii, i'amministrazione e io spiendore detie citt, ii progresso netie scienze, ia coitura dette arti iiberati non era, presso gti Ebrei, meschina e barbarica ? ben vero 203 che queiio sciagurato di Eusebio vuole che anche presso di toro ci sieno stati specie di poemi in esa metri (1), e pretende che gii Ebrei abbiano avuto una scienza iogica (2), ii cui nome ha udito per ia prima voita dai Greci. D ove trovare presso gii Ebrei una forma di medicina paragonabite a queiia di Ippocrate presso i Greci e di taiune aitre scuote dopo di iui? It sapientissimo Satomone (3) pu essere messo vi cino ai greci Fociiide, Teognide o Isocrate ? In che

(1) Vuoi dire Eusebio di Cesarea, ftWMg-. X I 5, 7, p. 514 B. I) disprezzo per lui pu anche dipendere, secondo GEFFCKEN " Neue Jahrbb. , X X ! (1908) p. 169, dall'ammirazione che it medesimo aveva per Enomao di Gadara V 19-36), a Giutiano tanto odioso (cfr. p. 333 n. 1). Analoghe osservazioni circa ta scarsa civiit degti Ebrei in AEL. A m s T . Op. pp. 402 sgg. Dindorf.

(2)

XI 5, 5, p. 514 A.

(3) Anche qui ha presente E u s E B .

wcMg*. X I 5,4,

33

.Par/; 77. -

i gaArtcAi.

cosa ? Se confronti le Esortazioni di Isocrate ai Pro verbii di quetio, ti facile riconoscere ne sono certo che il figlio di Teodoro ha il vantaggio sul re sapientissimo. Ma si dir Salomone era anche esercitato nelle pratiche sacre. Che significa ? Non sacrific forse questo medesimo Salomone anche ai nostri Dei, tratto in inganno a quanto raccon204tano da una donna? (t). Oh, esempio di virt) Oh, tesoro di sapienza ! Non riusc a trionfare del piacere, e parole di donna lo pervertirono ! Ma almeno, se da una donna si lasci ingannare, non chiamatelo sapiente. O se lo credete sapiente, non dite che fu ingannato da una donna, ma che di testa sua, per meditato proposito e per suggerimento di Dio che gli apparve, ha sacrificato anche agli altri Dei. L'odio e la gelosia non intaccano neanche i pi elevati fra gli uomini : tanto pi sono cose lontane dagli angeli e dagli Dei. Ma voi vi legate a potenze particolari, che non sbaglieremmo a chiamare semplici dmoni. In questi l'ambizione e la vanagloria : nulla di simile negli Dei. Per quale ragione gustate voi te scienze dei Greci, se sufficiente vi pare lo studio delle vostre Scrit ture? (2). Eppure: varrebbe meglio proibire alla gente

p. 5 13 C , come mette in ritievo il Neumann p. 303. TE Mtsuo Or. X IX 339 A non sdegna di citare i Proverbii di Salomone : oi toS (i) /77 /?<y. X I 4. ( 3) V. per questa argomentazione it famoso decreto con cui ['imperatore vietava ['insegnamento dei ctassici ai maestri cristiani : S a g g io pp. 69 sgg.

H - Condro :

331

di gustare queiie, che non di mangiare ie carni dei sacrifzii. Infatti, Paoio stesso dice che daiie cami, chi ne mangia, non riceve aicun detrimento : soio ia co- 205 scienza dei frateiio che guarda potrebbe essere scandaiizzata (1). Cos voi dite, o sapientissimi (2). Invece, per via di queiie scienze, tutto ci che ia natura ha messo in voi di generoso si stacca dati' empiet. Se c' uno che abbia un soio bricioio di cerveiio, questo si sente sbito daiia vostra empiet distaccare. Dunque, pi importerebbe proibire ie scienze che non ie carni dei sacriHzii. Ma anche voi, a quei che pare, com prendete che ia differenza fra ie vostre e ie nostre scritture, per riguardo aii' inteiietto, torna a vostro danno, e che daiie vostre nessuno potrebbe mai es sere reso vaiente od anche soio onesto, mentre con ie nostre ciascuno pu rendersi migliore, se anche sia moito mate favorito daiia natura. Che se uno poi ha buona natura e in pi vi aggiunge ia nostra istru zione, ecco che questi diventa come un dono degii Dei agii uomini, sia che accenda ia Haccoia dei sa pere, sia che presceiga (3) ia carriera poiitica, o tra-

(1)

(/ Cor. V ili 7, 13 ;

X IV 20. Cfr. PoR-

PHYR. fr. 32.

(2) xc# ' < S aoyiStatot, yttyat. A iia tetter : " per dira a modo vostro, o sapientissim i, (si riferisce aita frase It N eum ann, suti'esem pio d ei codici, re g is tr a una b r e v e tacuna dopo M ynitacot: m a non n e ce ssaria, e probab iim ente fu su p p o sta d a chi prim o non co m p re se ii costrutto deil'infinito [imitativo. V. anch e GoLLW tizER . c.

(3) Il verbo manca nei testo, che probabitmente difettoso. Lo suggerisce ii Neumann in nota, ricavandolo daiia versione di Oecoiampadius.

332

.Par/; 7/. - C ^ ri//i /o/M rAi i M/<*r<fAi.

volga molti nenici in campo, e () molta terra per corra e molto mare, come una vera apparizione di eroe.
206 [Qui to scrittore canzona la Sacra Scrittura; poi, di B a poco, q. s.].

L a prova ne evidente. V o i stessi, fra i vostri ragazzi, ne scegliete taluni per applicarli alto studio delle Scritture. Ora se, giunti ad et matura, si mo strano migliori di tanti schiavi (2), dite pure che io sono un mentecatto e un maniaco. Del resto, siete cos meschini, cos scervellati da reputar divine delle opere la cui lettura non ha mai reso nessuno n pi savio, n pi coraggioso, n pi buono! E quelle altre, che dnno modo di conseguire coraggio, sag gezza, giustizia, queste le abbandonate a Satana ed agli adoratori di Satana! Guarisce i nostri corpi Asclepio; han cura delle nostre anime le Muse con Asclepio stesso e Apollo ed Ermete, protettore dell'eloquenza ; Ares ed E n io . ci assistono nelle guerre; ci che s'attiene alle arti attribuzione e cura di Efesto: e sul tutto presiede, insieme con Zeus, Atena Vergine e Senza-madre (3). Guardate adesso in quante cose noi siamo superiori, vale a dire nelle arti, nella sapienza, nell'intelletto ; e questo, sia che si considerino le arti che servono al-

(1) Non accetto t'% disgiuntivo introdotto di suo arbitrio da! Neumann. (z) Cfr. JM/so/. 356 C. (3) Cfr. M io / . 352 B, C. questa, neUa concezione neo platonica, A tena JTpdMMa, che emana intera da!!'essere intero di Z e u s: v. Ora/. VI! zzo A ; IV 149 B.

H - Con/re

333

l'utile, sia quelle che si propongono l'imitazione del bello, cio tanto la scultura, la pittura, quanto l'eco- 207 nomia e la medicina : la medicina ricevuta da Asclepio, di cui per tutta la terra sussistono gli oracoli, ai quali il Dio permette di accedere, continuamente (1). Me infatti pi volte, malato, mi guar Asclepio, sugge rendomi i farmachi : siami Zeus testimonio! Se pertanto noi, che non ci siamo abbandonati allo spirito dell'apostasia (2), stiamo meglio e per l'anima e per il corpo e per tutti i beni esteriori, perch mai voi lasciate questi e correte agli attri? E perch neanche alla dottrina degli Ebrei tenete fermo, n vi contentate della legge che Iddio ha data a loro ; anzi, disertando le credenze dei padri ed affidandovi a ci che annunziarono i profeti, pi da loro vi scostate che da noi ? Se qualcuno volesse vedere ben a fondo dentro di voi, troverebbe che la vostra empiet composta, in parte, dell'audacia dei Giudei e, in parte,

(1) A nche questo appartiene al program m a religioso di Giuliano : tener viva la fede negti oracoli, di cui motti erano decaduti. Soprattutto egti era urtato datt'opera che contro gli oracoti a ve va scritto it cinico Enomao di Gadara, co] titolo : at quate m oveva i suoi rim proveri in Or. V ! 199 A ; VII 209B-210D. (2) A ccetto la correzione, tievissima per ta grafa, impor tante pel concetto, di oi dei Mss. in xr<!., proposta dat KuMEK art. cit. p. 485, e suffragata datta versione tatina di Oecolampadius. evidente che l'A . ritorce l'accusa di apostasia, di cui i Cristiani comin ciavano a perseguirlo (cfr. S a g g io p. 4 n. 1), sui Cristiani stessi, ! quali com'egti frequentemente osserva hanno aposta tato sia dai Greci sia dagti Ebrei. Ci corrisponde anche megtio, per nesso logico, atta chiusa det periodo stesso.

334

Par/i //. -

/o/M fAi i

dell'indifferenza e de!la corrutteta dei Gentili (i). Da entrambi prendendo non it buono ma it peggio, vi siete intessuta una betta guamacca di mati. Gti Ebrei hanno buone norme pertinenti at cutto, e cerimonie ao8 e prescrizioni infinite che esigono vita e condotta retigiosissima. Avendo it toro tegistatore proibito di venerare attri Dei all'infuori di un soto, < ta cui por zione Giacobbe e parte di eredit Israete * (2), n ci sottanto, ma avendo soggiunto, mi pare: * non maledirai gti Dei * (3), ta impudenza e ['audacia dei successori, che vollero ogni rispetto toglier di mezzo ne] popoio, da! divieto di venerare conctuse lordine di matedire. E qui tutto ci che voi avete rica vato dagti Ebrei. Quanto at resto, non vi rimane pi nutta di comune con toro. In c o n c isio n e : da un capriccio degti Ebrei voi prendeste t'odio contro te divinit da noi venerate; detta retigione nostra tutto ci che piet verso ta Natura Suprema, complessivamente intesa (4), e af fetto atte patrie istituzioni, to lasciaste da parte : rite neste soto i! permesso di mangiare di tutto come dei egumi di un orto. A dire i! vero, perfino vi siete compiaciuti di esagerare la nostra sregotatezza. Questa star bene, io penso, per noi Gentiti. Ma anche ai costumi di altra gente voi avete creduto di dovere
(1) Cfr. il principio, 164 N.
(a) X X X II 9. (3) .Eroi/. X X II 28. (4) i'tiora y<!<nv: espressione generica e ambigua, creata per celare !e differenze fra religione e re ligione, fra monoteismo e politeismo ; a somiglianza di quelle che i filosofi contemporanei e Giuliano stesso adoper finch dovette tenere nascosta !a sua apostasia: cfr. .

- Condro < Cr<s//aw<.

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conformare la vostra vita: ai bottegai, agli esattori, ai ballerini, ai ruffiani. E che tali sieno non quelli d'oggi soltanto, ma gi, in origine, coloro che primi ricevettero il verbo di 309 Paolo, dimostrato da ci che Paolo medesimo at testa quando ad essi scrive. Infatti, non sarebbe stato cos sfacciato da accusarli direttamente di tanti dis ordini di cui non li avesse saputi colpevoli : tanto pi che, anche a scriverne lodi, e veritiere, avrebbe avuto di che arrossire ; a scriverne di false e simu late, doveva nascondersi mille miglia sotterra per sfuggire la taccia di inonesta e vile adulazione. Ma ecco che cosa dice Paolo de' suoi discepoli, scri vendo a loro stessi : * Badate di non ingannarvi ! N idolatri, n adulteri, n effeminati, n pederasti, n ladri, n avari, n ubbriachi, n maledici, n rapinatori pos sederanno il regno dei Cieli. E non dimenticatevi, fratelli, che tali eravate anche voi; ma foste lavati ; ma foste santificati nel nome di Ges Cristo * (1). V edi : dice che tali erano anche loro ; ma furono santificati e lavati, merc un'acqua che ha la virt di pu rificare da ogni bruttura e di penetrare nel fondo dell'anima. Allora: il battesimo non guarisce, no, la lebbra, n la serpigine, n i porri, n la podagra, n 310 la disenteria, n l'idropisia, n il panericcio, nessuna infermit, grande o piccola, del corpo : guarir gli adulterii e le rapine e tutti, in una parola, i vizii del l'anima ? (2).

(1) / ai? Cor. V I 9-11. (2) Cfr. la satira che del battesimo fatta anche nei Cisart' 336 A-B. V . pure PoRPHYR. frr. 71, 88, il quale cita quet medesimo passo dell'epistola di Paolo ai Corinzii.

336

//. -

i MAWcAi.

[Qui scrittore prosegue dicendo che i Cristiani som i gliano a quegti schiavi i quati, abbandonando ta casa det padrone, dove mate sopportano it giogo detta servit, pensano di trovare netta fuga !a toro felicit, ma, detusi, si avvedono che nulta fu peggio delt'essere usciti datte condizioni in cui si trovavano].

Poich pretendono di differenziarsi dagti Ebrei d'oggi, e di essere i veri Israeliti secondo it concetto dei Profeti, ed i soti a credere precisamente sia in Mos sia negli attri profeti che seguirono dopo di tui in Giudea, vediamo in che cosa con questi pi particotarmente concordino. Conviene cominciare da Mos, it quate essi dicono abbia perfino annunziata la fu tura nascita di Ges. Mos pertanto non una votta, n due, n tre, ma mogissime votte comanda di ado211 rare un unico Dio che nmina anche sopra tutti e attro dio nessuno. Nomina bens e angeti e si gnori e perfino parecchi di. Ma accanto a quet Dio Supremo non ne ammette mai un secondo, n si mite n dissimite (i), come voi to avete inventato. Se trovate una sota parota di Mos in questo senso, voi siete in diritto di citarta. Ch quetta frase : * Un pro feta vi far sorgere it Signore Iddio di tra i vostri

(i) 3/totov o#n dvdpotov. Atlusione ironica atta famosa controversia fra ortodossi (Atanasiani) e Ariani circa ta so miglianza det Figlio al Padre. Com' noto, gti Ariani nega vano che it Figlio fosse delta medesima natura det Padre (t^foodcfoy). Soto un partito pi moderato, i cosiddetti semiariani, favoriti da Costanzo in diversi concilii, ammettevano che fosse di natura simile Intorno a queste due parote si combatterono battaglie feroci.

- C<?M ?ro <

337

frateHi, simile a me: e voi to ascotterete * (t), non detta in nessun modo per it figlio di Maria. E se ci, per amor vostro, si voglia anche concedere, Mos dice che sar simite a tui e non a Dio : un profeta come tui, nato dagti uomini, non da Dio. E quett'attro brano: * Non mancher un principe di scendente di Giuda, n un duce detto stesso sangue di questo ' (2), non certo detto di tui, ma det reame zia di D avid; it quate mi par bene essere cessato cot re Sedecia (3). Peraltro ta Scrittura ha qui due versioni : < finch sia venuto ci che a tui riservato *, o, come voi avete contraffatto: < finch sia venuto quegti a cui ci riservato * (4). Ma evidente che di tutte queste cose nessuna corrisponde a Ges. Infatti egli non neanche delta discendenza di Giuda. E come potrebb'esserlo chi, secondo voi, non nato da Giu seppe, ma dallo Spirito santo ? E con Giuseppe stesso, per quanto to facciate risalire alla stirpe di Giuda, non riuscite per a combinar bene neppure questa impostura, perch si tradiscono Matteo e Luca, con-

(1) DiK/ir. XVIH 18 sgg-, citato per netta forma di .< 4c/. 3^.

Ili 22.
(2) Gin. X L I X 10.
(3) x a t a < i^ a t y a ^ v t ta t, che it Neumann cor re gg e in x at^ i^ ev . Di tati correzioni it{N. abusa. Sedecia iu infatti t'uttimo re di Giuda; con tui cade, conquistata da Nabuchodonosor, Gerusatemme e comincia ta cattivit di Babi lonia (587 a. C.): v. T V X X IV -V . (4) L a tradizione ebraica e cristiana considera questa come una profezia messianica. 0 Kt wtMiHafMS M/, tegge ta Vutgata. I Settanta hanno te due tezioni. Cfr. per esse, nei varii Padri detta Chiesa, NEUMANN a q. t.

338

.Pnr/f 7/. -

traddicendosi nelta genealogia l'uno con l'altro (:). Ma su ci dovendo fare rigorosa indagine nel secondo libro (2), soprassediamo. Si ammetta intanto che sia un principe disceso da Giuda : non per un < dio disceso da dio * (3), come voi pretendete, n tale che * tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente senza di lui . (4). Ma anche detto nei <Sorger un astro da Giacobbe e un uomo da Jesse * (5). Senonch

(i) Cfr. MATTH. ! 1-17 ; Lue. HI 33-38. L e due genealogie degli antenati di Giuseppe diversificano, infatti, sia pel numero sia pel nome dei componenti. Questa considerata anche oggi una delle pi gravi contraddizioni esistenti nei vangeli sinottici. Padri della Chiesa cercano di superarla, facendola dipendere da speciali condizioni del matrimonio ebraico e, conseguentemente, congetturando che Matteo registri i geni tori wa/Krw/t, Luca i (v. particolarmente EusEB. owMg. VII 360-1 : M s?. 7). (z) Infatti, che dei singoli punti di questa controversia abbia trattato nel II libro appare da HtERONYM. C o w w . <n I 3 = fr. i Neum. (3) lOHANN. V ili 42, 47. (4) loHANN. I 3. (5) M iw . X X IV 17. I Mss. leggono, veramente, conforme a! testo dei Settanta : 3#$ Il Neumann per primo, osservando il nesso logico di questa citazione col pe riodo successivo, tot) yp Y t tniy < } 4 ^ 9, sospett che Giuliano avesse scritto ^ '/tova/. Io sono indotto a in trodurre senz'altro l'emendamento, in grazie alla seguente constatazione : che Giuliano, tradito dalla memoria, ha, secondo ogni verisimiglianza, contaminato questa profezia contenuta nei M iM fr: con un'altra analoga profezia messianica di IsAtA X I 1-10: A a i ^x 'Jtvam/, xai

dtv#oi

xai dvaTtatSwtat

# io t) xt<!. Sulla quale EusEB. D??M. w . VII 355-6, 360.

. - CoM/ro <

339

queste parole ben evidente che si riferiscono a Da- 313 vide ed ai suoi successori. Poich era Davide Aglio di Jesse (:). Se dunque voi volete venire ad una conclusione, trovatemi fuori una sola frase che si presti, di l di dove io ne ho prese tante. Quanto a credere che sia un solo il Dio d'Israele, Mos dice nel : <Affinch tu sappia che signore il tuo Dio, e questo Dio unico, e non ce n' altro fuori di lui * (2). E ancora, pi avanti : < E vlgiti bene nell' animo che il Signore Iddio tuo questo dio nel cielo lass e sulla terra in basso, e* non ce n' altro fuori di lui * (3). E nuovamente : * Ascolta, o Israele, il Signre Iddio nostro l'unico signore * (4). E ancora : < V edete che sono io e non altro Dio fuori di me * (5). Cos Mos, sostenendo non esservi che un solo Dio. Ma questi, forse, mi risponderanno: < Neppur noi ne ammettiamo n due n tre *. Ed io dimo strer invece che li ammettono, richiamandomi alla testimonianza di Giovanni : * Nel principio era il V erbo, e il V erbo era presso di Dio, e il V erbo era Dio * (6). V edi che d ice : e r a p r e s s o d i D i o (7). Fosse il figlio di Maria o fosse qualunque altro (per

(1) Cos nelle genealogie di MATTH. 16 e d Lu e. 31-2. Di versam ente in V 7? ^ . X V I. (2) IV 35. (3) IV 39. (4) V I 4. (5) X X X II 39.
(6) IoHANN. I I .

(7)

tv #e<b'.

3^0

.Par/? //. - 0p?r;M ;

rispondere netto stesso tempo anche a Fotino) (t), ci non fa differenza, per ora : io tascio a voi di sbri gare ta questione; e che Giovanni dica t presso di Dio ' e * nett'origine *, tanto mi basta per ta mia attestazione. Ora: come si concitiano queste parote con quette di Mos ? Ma, si concitiano diranno con quette di Isaia. Poich Isaia dice: * Ecco: ta vergine concepir e par314 torir un figtiuoto * (2). Supponiamo che anche ci si riferisca a Ges (3), sebbene non sia detto neanche per ombra. Difatti, non era vergine chi s'era sposata e chi, prima di ingravidare, aveva giaciuto con to sposo. Ma ammettiamo anche che si parti di tei. Dice per che datta vergine nascer un dio ? Eppure, voi Maria non cessate di chiamarta * madre di D io*. O dice egti in quatche punto che it figtiuoto nato datta vergine sar < t'unigenito fgtio di Dio ' e < it primogenito di

(1) Fotino, vescovo di Sirmio, discepoto di MarceHo, autore di un'eresia, secondo la quate Cristo sarebbe un uomo nato miracolosamente e giunto pei suo perfezionamento morale a dignit di Dio. Egli riduceva il Padre e il Figlio ad una sola e medesima persona. Era personalmente noto a Giuliano, che gl'indirizz l'^ i's/. L X X tX Hertl., dove accenna appunto a queste dottrine: < 3 yaiv p mtoy ro t i 9y (secondo il testo congetturale di NEUMANN

PP s-6. 134).
(2 ) ISA!. V H 1 4 .

(3) Ho corretto #Mt) del testo in ^, come mi pare ri chiedere il seguito del ragionamento. Lasciando non solo non si spiega l'inciso riguardante Maria vergine, ma non ha pi senso l'interrogazione: V . anche G o u .w tT Z E R 1 . c.

! - Con/re

341

tutta ta creazione * ? (1). E quet detto di Giovanni: < -Tutto fu fatto per mezzo di tui, e niente senza di tui ' (2), pu quatcuno mostrarmeto nette espressioni dei Profeti ? Ci che invece vi mostro io, uditelo qui appresso datta toro bocca stessa: * Signore Iddio nostro, prendici : attro dio non conosciamo fuori di te * (3). Anche it re Ezechia cos da essi fatto pregare: < Signore, Dio d'Israete, che siedi sui Che rubini, tu sei it Dio soto ! * (4). Lascia egti it posto per un secondo ? Ma se, secondo voi, it V erbo Dio disceso da Dio e fu prodotto datta sostanza det Padre, perch chia mate voi ta vergine madre di Dio? Come pot e!ta partorire un Dio essendo creatura umana come noi ? E, ottre a ci, se Dio dice espressamente : * Sono io e non nessun attro salvatore, fuori di me * (5), perch mai avete it coraggio di chiamare salvatore it figlio di tei ? Che Mos consideri come di gti angeli, potete Big apprenderlo dalle sue stesse parole : * Avendo i gli di Dio osservato le figlie degti uomini quanto sono belle, presero per s delle spose fra tutte quette che avevano scelte * (6). E un poco pi avanti : * E dopo

(t) loHANN. I 18, III 16, 18; 7 ^<s/. /0/1. IV 9; aaf Co/oss. I 15. Cfr. per tali crtiche PoRPHYR. frr. 53, 77. (2) loHANN. I 3. (3) IsAt. X X V I 13. (4) IsA i. X X X V II 16. (5) X X X II 39, in forma lievem ente atterata. (6) CiM. V I a. Qualche codice della Versione dei Settanta d, in luogo di 0! v M top la lezione oi toC : la quale, secondo CtRiLLO 296 C, meno vera e meno fondata. Ma evidentemente Giuliano stesso si attiene al testo

343

fe r/ ? 77. -

/oAAcAi ; sa/tr/cA;.

d ci, come i figli di Dio si furono congiunti con te figlie degli uomini, generarono a s stessi dei figli. Questi erano i giganti, rinomati da! principio dei tempi * (:). Che pertanto egti indichi gti angeti, chiaro: e non gi una appiccicatura esterna (2), ma risutta datte sue stesse parote, dove dice che da essi nacquero non u o m i n i ma g i g a n t i . evidente che, se i padri di questi uttimi ti avesse conside rati semptici uomini, non avrebbe detto che da essi nacquero quei g i g a n t i . Ed io credo, anzi, ch'egti abbia votuto far comprendere come ta schiatta dei giganti risutti appunto datt'unione det mortate con t'immortate.
E b b e n e , questo Mos che nom ina motti fgti di Dio, n gi com e uomini, ma com e angeti, se avesse altres conosciuto l'unigenito V erb o -D io , o F igtio di D io, o 216 con qualunque attro nom e voi to chiamiate, non lo avreb be fatto conoscere agti uom ini? O forse, perch di ci non faceva grave co n to , disse di Israele: F iglio mio prim ogenito Israete * (3)? O co m e mai non disse ci anche di Ges?

o! uio/: soto si propone di dimostrare che questi 'f i g l i , sono gli angeli, e che una tate interpretazione non ha bisogno di essere ottenuta con una correzione del testo, ovvero, com'egli dice, " con una appiccicatura esterna ,, ma risulta dall'evi denza intrinseca del racconto. L o scopo ultimo dell'A . poi di attribuire agli Ebrei, nella persona di angeli, i m ede simi di nazionali, o #to! /8%<, dei Greci. V . anche su questo argomento PoRPHYR. fr. 78. (1) Gtw. VI 4. (2) Ossia la v a n a di cui sopra, n. 6. Non necessario perci il supplemento di KuMEtc art. cit. pp. 485*6. (3) IV 22.

H - Cbn?re CrfS/MM!*.

343

G!i che Mos insegnava un solo ed unico Dio, i) quate ha motti Hg!i a cui ha distribuito ie nazioni. Ma que! primogenito Hgtio di Dio, o Dio -Verbo, e tutte ]e fandonie che su] suo conto voi avete in seguito composte : ci egti non aveva mai n pensato n predicato. Asco!tate]i invece una buona volta Mos e g!i attri profeti! Quanto a Mos, non cessa di ripetere parote come queste: < Tu temerai it Signore Iddio tuo, e adorerai tui soto * (i). Come mai, adunque, Ges nei Vangeti rappresentato in atto di ordinare ai suoi discepoti: < Andate, istruite tutte te genti, battezzandote ne! nome det Padre e det Figtio e detto Spirito Santo (2) ? Quasi che essi avessero dovuto adorare anche tui ! E, in conseguenza di questo, ecco che anche voi teotogate it Figtio insieme cot Padre.
[O sserva to scrittore che !e istituzioni cristiane non si conciliano con !e le g g i di Mos, e che non vog!iono i Cristiani vivere secondo i costumi dei Giudei, sebbene questi si accor dino coi G reci stessi. Dice infatti che entrambi, Greci e Giudei, seguono abitudini e leggi, non soto somigiianti, ma eguali, eccezion fatta di due o tre casi, che sono: il non conoscere altri Dei, e quella lor forma di sacrifizio chiamata ispezione delle viscere (3). E che importa, se per il rimanente egli so- 317 stiene che tutto hanno, e senza differenza, in comune ? Prin cipalissima cosa per i Giudei la circoncisione. Ma afferma che anche i pi santi fra i tempieri egiziani e, oltre a questi, i Caldei e i Saraceni non la ricusano affatto. Afferm a che in eguale onore vi sono tenute le stesse forme di sacrifizii, come !e primizie, gli olocausti, le confessioni, i rendimenti di grazie,

(1) V I 13. (a) MATTH. X X V 1H 19. (3)

3 4 4

7/ .

- C p f f / Z t

e a suo modo di vedere i riti espiatorii e e purifica zioni. Egti pensa che Mos, come ministro del culto, abbia fatto sacriHzii a dmoni abominevoti e fugatori di mali (i), e ci che ancora pi intollerabile dice che i] legislatore stesso permise ai sacerdoti di fare altrettanto : a fine di mo s tr a lo ai nostri occhi in contraddizione con le sue stesse teggi. Infatti Mos aveva detto : * Chi sacrifica ad altri Dei, fuori del Signor nostro, sar sterminato , (2). P e r cui, secondo Giuliano : s'egti si lascia sorprendere a ordinare onori divini anche a dmoni fugatori di mali, in qual modo pu ancora noi trattenere dal m ale? o non ci sospinge eg!i, piuttosto, espressamente sutla via di questo?].

Ma sui sacrifzii espiatorii ascolta di nuovo che cosa egli dice: < E prender dal gregge due capri in sacri fizio per il peccato, e un montone in olocausto. E offrir ancora, Aaron, un vitello per il peccato suo proprio, e pregher per s e per la sua casa. E pren der i due capri, e li porr in cospetto del Signore, all'entrata del Tabernacolo della testimonianza. E Aaron tirer a sorte i due capri, l'uno per il Signore, .l'altro per l'Emissario ' (3) il quale sar mandato,

(1) xa! < 7 n)tp07ra/o<y H primo epiteto deve essere detto da CiriMo con animo di Cristiano (cfr. M ARC.V 2; L ue. V ili 2), sebbene anche i G reci ammettessero Dei xaxoAti/fOMg. H secondo indica quella speciale categoria di divi nit (if< < awrrMMf: dei Romani) che avevano ia propriet di allontanare i mali e che venivano propiziate con appositi riti espiatorii. (2) X X I! 20. (3) ifM /. X V I 5-8. Emissario epiteto equivalente ad (inotpdnafos, cio indica il dmone che sban disce i mali (IsocR. 7%V. 106 B, P o n - On. V 131, HESYCH. s. v.). Col medesimo nome si designa pure il capro (e cos intende la Vulgata a q. 1. : fn/rtis fMH'ssarn), il quate in tanto cac ciato via, in quanto la gente immagina ch'esso porti con s

^ - Cow/ro < Cr!i/<aw!.

345

eg!i dice, c in emissione nel deserto *. H capro adunque, che spetta all'Emissario, cos viene emesso ( i) . Quanto 2:8 all'altro capro, dice: < E sgozzer il capro, destinato a purgare il peccato del popolo, davanti al Signore; e metter del sangue di esso dentro alla Cortina, e sparger il sangue sulla base dell'ara sacrificale, e pregher per la purgazione dalle macchie dei figli d'Israele e dalle ingiustizie di essi, e per tutti i loro peccati * (2). Che Mos dunque conoscesse i riti dei sacrifizi) appare manifesto da quanto si ora riferito. Che poi non li ritenesse, come a voi paiono, impuri, potete ap prenderlo di nuovo dalle sue dichiarazioni: < L'anima che abbia mangiato alle carni del sacrifizio del Salva tore, cio del Signore, e ne porti l'immondizia su di s: sar recisa, quell'anima, dal suo popolo * (3). A tal punto Mos stesso scrupoloso circa il man giare le cami delle vittime. Ma qui conviene ripetere una domanda fatta gi precedentemente, che spiega lo scopo di questo di- 219 scorso. Perch, infatti, apostatando da noi, neanche della legge dei Giudei vi mostrate contenti, n vi atte nete alle prescrizioni dettate da Mos ? Risponder qualcuno di pi acuta vista : * Ma se neanche i Giudei

i peccati o le malattie della comunit, sul suo capo confessate o imprecate. V . FRAZER VI ( 7*^ -Sca/<fgoa/) [London 1914J p p .3 1 ,190 sgg., 210. Il testo ebraico " A z a z e l, da alcuni interpretato come un luogo del deserto, da altri come nome proprio del demone. (1) X V I 10; 21-2. (2) AwiV. X V I 15-6. Il testo un poco modificato con espres sioni desunte da altri versetti. (3) , VII 20. Cfr. XVII.

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fa r/ ; //. -

sacrificano ! * Senonch io g!i prover che ci vede assai poco: primieramente perch neppur attro fra i riti e i costumi degli Ebrei da voi conservato ; secon dariamente perch anche oggi, atmeno nette toro case, gti Ebrei sacrificano, e mangiano d'ogni vittima, e pregano prima di sacrificare, ed offrono ta destra Spatta come primizia ai sacerdoti: soto, essendo pri vati det Tempio, o com'essi han costume di dire detta prescritta santificazione, non possono pi pre sentare a Dio te primizie dette vittime (i). Ma voi che avete inventato ta nuova forma di sacrifizio (2), e che non avete bisogno di Gerusalemme, perch non sacrificate? Senonch, mi pare, su questo punto, di avervene detto abbastanza, tanto pi che ad esso avevo accen nato gi in principio, proponendomi di dimostrare che i Giudei concordano coi Gentili, salvo nel credere in 320 un Dio unico. Questo un dogma tor proprio, estraneo a noi. It resto comune con noi: templi, recinti sacri, are sacrificali, purificazioni, osservanze di vario genere, nelle quali niente o pochissimo differiamo gti uni dagti attri.
[Lo scrittore osserva che datta dottrina di entrambi hanno aberrato i Cristiani, in quanto n ammettono motti Dei, n ne consentono uno soto come vuote ta L e g g e, bens tre in luogo di uno].

(1) Questa la risposta che gli Ebrei diedero all'A . stesso, quando li invitava a riprendere le loro pratiche sacrificali ; ond'egli eman ordini per la ricostruzione del tempio di G e rusalemme. V . SoCRAT. I!I, 30 e qui appresso p. 356 n. 1,358. ia) L ' Eucaristia : t 3 af/ta x<Mv% <ha#^x]yy MATTH. X X V I z6; MARc. X IV 22; Lue. X X I I 19.

- CoK/ro < Cr/i/Mw/.

347

Perch net vitto non siete voi cos scrupolosi come i G iu d ei, anzi affermate di tutto poter mangiare come dei tegumi di un orto, sulla fede di Pietro che a quanto dicono ordin : Ci che Dio ha purificato, tu non credere immondo * (!)? Ma questo significa forse che una volta Iddio considerava certe cose come immonde, ed ora le ha fatte pure? Mos, facendo la distinzione dei quadrupedi, disse tutti quetti che hanno t'unghia fessa e che ruminano essere puri; quetti che non sono cos, essere immondi (2). Se dopo ta visione di Pietro (3) it porco diventato un ruminante, crediamogli: davvero un gran miracoto che to sia diventato proprio dopo ta visione di Pietro. Ma s'egti ha mentito dicendo di aver avuto questa visione, o, per adoperare te vostre parote, questa in casa det conciatore di petti (4), come potremo dargti fede cos presto in materia di tate importanza? Difatti, vi avrebbe Mos imposto quatcosa di troppo arduo se avesse proibito di mangiare, ottre atte cami suine, anche i votatiti e i pesci (5), dichia- 221 rando che pur questi sono respinti e riguardati im mondi da Dio? Ma perch mi vado io ditungando, invece di guar dare se quatche forza sia in ci ch'essi dicono? Dicono dunque che Dio, dopo ta prima L egge, ne

(1) /. X 15. Cfr. PoRPHYR. fr. 69. (2) X I 3. (3) Vedita esposta in a/. X. (4) Simone. (5) Questa ironia richiama atta mente itM'so/ogOMi 350 B-C.

348

P a r/ 77. - O yiri//i

^ io/fr/fAi.

ha stabilita una seconda: che quella, scritta per l'oc casione, era riserbata ad un tempo limitato : la seconda comparve appunto perch quella di Mos era circoscritta nel tempo e nel luogo. Tutto ci falso, come io chiaramente dimostrer, citando di Mos non dieci ma diecimila testimonianze dov'egli dice che la L egge eterna. E cco qui un passo d e ll'^ j^ c : * E questo giorno sar per voi come un monumento ; e lo festeg gerete come una festa del Signore per tutte le vostre ge nerazioni. Solennemente lo festeggerete, eternamente. Fin dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case * (i).
[Giuliano accumula altri passi per dimostrare che la L e g g e fu detta eterna].

Lasciati da parte molti altri luoghi nei quali la legge di Mos dichiarata eterna e che io non volli citare per la loro stessa abbondanza, a voi toccher ora di mostrarmi dove sia detto ci che poi Paolo os spac ciare: che < complemento della legge Cristo ' (2). Dove mai Iddio promise agli Ebrei una seconda legge dopo quella gi stabilita? In nessun luogo: neanche 222 una correzione a quella gi stabilita. Senti, ancora, Mos : * Non aggiungerete a ci che io vi comando, n toglierete alcunch. Conserverete i Comandamenti del Signor vostro Iddio, quali io li comando a voi oggi *, e : Maledetto chi non vi si atterr a tutti * (3).

(1) .Exoi?. XI! 14-5. (2) ^<s/. 7?ow. X 4. (3) DfK/;r. IV 2; XXVH 26.

H - CoM/ro < &*/<*.

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Per voi t'aggiungere o il togliere al dettato della L egg e era cosa troppo dappoco : pi coraggioso, pi magnanimo vi parve trasgredirla completamente, diri gendovi non alla verit, s alla credulit del volgo.
[Lo scrittore fa anche menzione della lettera degli Apostoli ch'essi avevano scritta, in concilio, ai Gentili di mente ancor tenera. " Imperocch parve dicevano, * allo Spirito Santo e a noi di non im porvi m aggior peso fuori di questo indispensa bile : che vi asteniate dalle cose immolate agli idoli e dalla for nicazione e dal soffocato e dal sangue , (i). Giuliano rileva e scrive che con ci non parve allo Spirito Santo di dovere dissolvere la L e g g e di Mos. Oltre a questo, attacca Pietro, dicendo che era ipocrita, e che fu accusato e ripreso da Paolo di voler v ivere ora secondo i costumi dei G reci, ora dei Giudei] (2).

Ma voi siete cos disperati da non ten er fermo 223 neanche alla tradizione degli Apostoli. Un tale travia m ento verso il peggio e verso il m aggiorm ente empio fu opera dei successori di quelli. Infatti, che G es fosse D io non os dirlo n Paolo, n M atteo, n L u ca , n Marco. Ma solo l'ineffabile G iovanni, quando vide che gi molta gente in molte citt di G re cia e d'Italia era presa da questo contagio, e ud (credo io) che perfino le tom be di Pietro e di Paolo, sebbene di nascosto, pure erano gi adorate, os dirlo per primo. D o p o alcune parole su G iovanni Battista, ritornando al famoso V e r b o da colui predicato : < Il V e r b o ", dice, < divenne carne e abit in m ezzo a noi * (3). Il 224

(1) a/i. X V 28-9. (2) Di q u esti appunti possiam o farci u n 'id e a d a PoRPHYR.
frr. 21-6.

(3) lo H A N N . I 14. V . sulla critica che 1 . qui fa del pro logo di Giovanni: HARNACK in " Zeitschr. f. Theol. u. Kirche ,

35

Par/? //. - O/fr;//?

come per non ha i] coraggio di dirlo. E, anche, in nessun tuogo nomina n Ges n Cristo, finch parta chiaramente di Dio e det V erbo: soto di soppiatto, quasi dolcemente ingannando te nostre orecchie, dice avere Giovanni Battista resa intorno a Ges Cristo questa testimonianza: vate a dire, che tui quetto it quate bisogna credere essere D io-Verbo. E che ci Giovanni to affermi di Ges Cristo, neanch'io to nego: sebbene a tatuni degti empii (i) paia attro essere Ges Cristo ed attro it V erbo da Giovanni predicato. Ma non cos. Quetto stesso ch'egti chiama Dio Verbo, dice egti pure essere it Ges Cristo cono sciuto da Giovanni Battista. Ma guardate con quanta cauteta e con che arte di dissimutazione introduce net suo dramma questo epitogo dett'empiet ! cos furbo ed impostore che sbito se ta svigna aggiungendo queste parote: * Dio nessuno mai to ha visto. L'uni genito Figtio, quetto che net seno de) Padre: questo soto to ha rivetato * (2). Vuote intendere con questo it Dio Verbo, divenuto carne, t'unigenito Figtio, cotui che net seno de) Padre? Se cos, come io credo, 223 ecco che Dio to avete contemptato anche voi. Impe rocch * abit in mezzo a voi, e voi contemptaste ta Sua gtoria * (3). E perch, attora, aggiunge che < Dio

V (1895) pp. 92-100. D tale questione Giutiano si occupava specialmente ne) II libro, del quale un breve frammento, a ci pertinente, fu in certo modo ricostruito ed illustrato dal NEUMANN in " Theol. Litt.-Zeit. , 1899 coll. 398-304, nonch dal CmAPPELH M io v i SM/ Cr<i/<aMM<mo gn/[fo (Fi renze 1903) p. 335 sgg. () Cio, a diverse stte cristiane. (2) IOHANN. I 18. (3) IOHANN. I 14.

- Cox/ro < Cr<s/<3M<.

351

nessuno mai io ha visto *? Infatti avete visto voi, se non i) Dio Padre, ameno it Dio Verbo. Ma se altro l'unigenito Figio e altro it Dio Verbo, come io ho udito da taluni della vostra setta (i), Giovanni stesso non pare che ancora avesse osato sostenerlo. Ordunque, questo male prese da Giovanni il prin cipio. Ma ci che voi avete inventato in seguito, aggiungendo a quel primo morto tutti gli altri recenti morti, chi potrebbe detestarlo abbastanza? V oi il mondo avete riempito di tombe e di sepolcri (2), sebbene in nessun luogo vi sia detto di rotolarvi sulle tombe e adorarle. Ma siete giunti a tal punto di per vertimento che neppure credete di dover dare ascolto su ci alle parole di Ges Nazareno: * Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, che somigliate a sepolcri im biancati! Di fuori il sepolcro par bello, ma dentro pieno di ossa di morti e d'ogni impurit * (3). Se dunque i sepolcri Ges li diceva pieni di ogni impu 226 rit, come mai voi sopra di essi invocate Iddio?

(1) Allude, probabilm ente, al diacono antiocheno Aezio, seguace di A rio e fondatore della dottrina degli Eunomiani : da lui personalmente conosciuto. Era consigliere del cesare Gallo, il quale, per quanto risulta da una lettera del m ede simo Co//. 454 D), ebbe a mandarlo presso il fratello Giuliano a fine di ricondurre questo al Cristianesimo, da cui correva voce si fosse staccato. L'autenticit di questa lettera dai pi messa in dubbio, forse a torto (v. sopra p. 4 n. 1). Rimane, ad ogni modo, una lettera di Giuliano stesso, gi im peratore, ad A ezio (f^<s/. XX X I), rammemorante l'antica loro conoscenza. Sulle dottrine qui signiBcate v. il trattato di GREGORm NtssENo CoK/ra ?. Migne X L V pp. 245 sgg. (2) L e tombe dei santi e dei martiri. Cfr. sopra p. 248 n- 3. (3) . XX III 27.

35^

Par/? /7. - O/Mrf//?

[Aggiunge che, anche un discepolo avendo detto: * Signore, lascia che prima io vada e seppellisca mio padre ,, it Signore rispose: * Seguim i, e lascia i morti seppellire i loro m o rti, (i)].

Cosi stando le cose, perch mai vi rotolate sui sepolcri? Volete udirne la cagione? Non sar io a dirla, ma il profeta Isaia: Dormono sulle tombe e nelle spelonche a causa dei sogni * (2). Guardate dunque come era questa un'antica pratica di magia presso i Giudei, it dormire sulle tombe in grazia dei sogni. Questa probabile che abbiano usata anche i vostri apostoli dopo la morte de! maestro, e l'abbiano trasmessa ai primi credenti, i quali se ne servirono meglio di voi: poi i loro successori (3) portarono in pubblico queste ofHcine di magia e di abominio.
V o i, quelle cose che D io dal principio viet per m ezzo di Mos e dei Profeti, le praticate: e, invece, di condurre vittime all'altare e di sacrificare non ne volete sapere. Perch dite i] fuoco non discende 327 pi da! cielo, com e al tem po di Mos, a consumare le vittime (4). Ma ci avven ne una volta sola a Mos, e una secon da volta, motto tem po appresso, a E lia di T e s b e (5). E poi Mos stesso credeva di dovere

() MATTH. V ili 21-2 . (2) IsAt. L X V 4. T ale il testo dei Settanta. L a Vulgata d un tutt'altro significato: y<n* / tu s^M/crts < ti

fo/orKM!
(3) Con lievissima alterazione correggo tofy < !2 < i ; T o J c i n toAy <!i xt^., facendo l'articolo soggetto anzich complemento di termine di <!^< : il che procura un senso pi soddisfacente. (4) 7 .. IX 24. (5) 777 7?<y. XVIII 38; 7 M 7?<y. I io.

! - Cow/ro ! CWi/Mw<.

353

portare da attro tuogo it fuoco, e it patriarca Abramo ancora prima di tui: come dimostrer in breve.
[Menzionata ta storia di Isacco, prosegue:]

E non questo soto, ma, anche quando i fgti di Adam o recano offerte a Dio, dice: * Iddio pose to sguardo su Abete e sui doni di tui. Ma a Caino e ai suoi sacrifzii non fece attenzione. Ci attrist for temente Caino, e it suo votto fu abbattuto. E disse it Signore Iddio a Caino : " Perch sei diventato cos triste e perch it tuo votto si abbattuto? Non forse tua cotpa, se giustamente hai offerto ma non giustamente hai scetto? , * (i). Ora, desiderate voi 228 sapere quati erano te toro offerte? < E avvenne dopo atcuni giorni che Caino port frutti detta terra in sacri fizio at Signore. E Abete offerse, per parte sua, i primi nati dette pecore ed i toro grassi * (2). S dicono , non it sacrifizio Dio biasim, ma ta scetta, quando disse a Caino : * Non forse tua cotpa, se giustamente hai offerto ma non giustamente hai scetto?* Questo, appunto, mi diceva uno dei pi dotti vescovi. Ma ingannava s stesso, per primo, e, dopo di s, gti attri. infatti, in qua! modo ta scetta fosse biasimevote, non aveva modo di spiegare, per quanto richiesto, e nean che sapeva farmi tacere. Io, vedendoto imbarazzato, soggiunsi: < Questo che tu dici, Iddio giustamente ha biasimato. Infatti ta votont era eguate in entrambi, in quanto entrambi pensavano di dover offrire doni e sacrifzii a Dio. Ma netta scetta t'uno azzecc, t'attro fatti

(1) IV 4-7. Il testo deH'uttimo versetto, essendo con forme ai Settanta, non corrisponde per con la Vutgata. (2) Gfw. IV 3. 3;

354

. F b r / f / / . - C ^ r i / / ^

s a / f r / c A i .

a)]o scopo. Come e per che modo? E cco : fra le cose terrestri le une sono animate, le altre inanimate : ora le cose animate sono, agli occhi del Dio vivente ed autore della Vita, pi pregevoli, in quanto e parteci pano della vita, e sono pi vicine all'anima (:). Perci Iddio favor) colui che gli offriva un sacrifizio perfetto *. Qui io vi debbo fare un'altra domanda: Perch non vi circoncidete ? * Paolo * si risponde * disse che la circoncisione del cuore, non della carne, e che questa stata prescritta ad Abramo * (2). Ebbene : se vero che non quella della carne stata prescritta, & pure alle prediche poco pie di Paolo e di Pietro (3). Ma ecco, invece, che cosa

(1) Teorie di taf fatta 'A . espone diffusamente ne] suo inno M n/r? (Or. IV). Cfr. poi, per questa parte, PoRPHYR. frr. 76, 79. (a) m? H 38-9, IV n -3. H testo di Giutiano ha in q. . un guasto : xa to ito tfvat : I] Neumann propone di correggere xai toCto tfvat in 7n<rnt!cavtt. Invece, basta trasportare tfvat un poco pi indietro, e it senso corre Uscio liscio: 77a^o$ cf7tc xaptMay, 03 t % $ ifvat, xtit rovro L 4^pad/*. Resta quindi eliminata anche la correzione del GoLLWtTZER 1. c.: xa! to ito Sullo stesso argom ento: CELSO ap. ORGEN. I 32 ; V 4!. (3) Questo periodo non stato fin qui giustamente inter pretato: od r f xa^d Fyty, jr^yrivaa* toy

' ^ xa 7%rpou X TypvTro/4/voty

Il Neumann ricorso a correzioni e supplementi del. testo : 7r<(fff Cpat e edx ^< (meglio, se mai, il GoLLWtTZER : ox L'interpretazione ironica che noi ne diamo di scende senz'altro dalla lezione manoscritta, con imperativo. L e " prediche di PAOLO sono quelle del 1. c.; di PtETRO in X V 5-11.

- CbH?ro <

355

sta scrtto: che D io diede i a c i r c o n c i s i o n e d e l i a c a r n e com e patto d 'a lle a n za e com e segno ad A b ra m o : * Q uesto il patto d'alleanza che tu con serverai fra me e voi e fra tutta la tua discendenza di generazione carne del in generazione. E circonciderete la vostro prepuzio, e sar segno d'alleanza

fra me e te, e fra me e la tua discendenza * ().


[L'A . aggiunge che Cristo stesso diceva di doversi osser vare ta tegge, ora affermando : " Io non venni ad annuttare ta L e g g e n i Profeti, s a compierti (2), ed ora anche : " Chi avr infranto it minimo di questi comandamenti, e avr cos insegnati gii uomini, sar chiamato i) minimo net regno dei cieli (3)].

Se dunque, che si debba osservare la Legge, lo ordin indubitabilmente Cristo stesso, e commin pene a chi abbia trasgredito un soto comandamento, voi, che li avete trasgrediti tutti in una volta, quale mezzo di difesa potrete mai trovare? Infatti, o un mentitore Ges, o voi non siete in niente e per niente dei buoni osservatori delta Legge. * La circon cisione sar fatta sulla tua carne * (4), dice Mos. Voi, contraffacendo questo precetto: * Circoncidiamoci <, dite, < il cuore ' . Benissimo! Infatti non c' presso di voi nessun truffatore, nessun ribaldo. Cos bene vi 230 circoncidete il cuore! < Osservare gti azimi e fare ta Pasqua noi non possiamo *, voi dite, * poich Cristo si immolato una volta per noi *. Gi: e dopo vi proib di mangiare gti azimi! Certo ne attesto gli

(1) (2) (3) (4)

G<w. X V II 10-1 MATIH. V 17. MATTH. V 19. G in. X V II 13.

356

A tr / //. -

Dei ! , io sono di quetti che vi dissuadono da] pren dere parte a queste feste dei Giudei, ma nondimeno io venero i! Dio di Abramo e di Isacco e di Gia cobbe (i), i quati, essendo Catdei, di stirpe santa e sacerdotate, appresero ta circoncisione viaggiando in Egitto, e adorarono un Dio che a me, e a chiunque to adora come to adorava Abramo, fu propizio: un Dio veramente grande e potente, ma che non ha nulla di comune con voi: perch voi non seguite {'esempio di Abramo, innatzandogti attari, costruendogti are per i sacriftzii, servendoto, come quegti fa ceva, con cerimonie sacre. S, Abramo sacrificava, come noi, sempre e assiduamente; ricorreva atta divi nazione fondata su) corso degti astri che mi par pure un uso greco , ed ancor pi adoperava gti 331 auspicii. A veva persino it servitore di casa esperto netta scienza augurate (2). Se quatcuno di voi non mi crede, gti far vedere espressamente te parote stesse di Mos : < Dopo queste parote vi fu un discorso det Signore ad Abramo, dicentegti in sogno durante ta notte : " Abramo, io faccio scudo sopra di te. La ricompensa tua sar infinitamente grande ,. Ma dice

(t) nota ta benevolenza che t'A . dimostr durante it suo impero ai Giudei, ai quai diretta X X V . Cfr. SozoMEN. V 33, 1. Egti atevi di motti tributi e angherie questo p er seguitato popoto e cominci la ricostruzione del tempio di Gerusalemme toS 4* ad tp V edi 3 9 5 C-D; AMMtAN. XX III 1 , 3 -3 (altre fonti nu merosissime in SEECK < ?. t/w/. IV p. 500). (3) Questo , evidentemente, ' il pi vecchio servitore di casa, che aveva it governo di tutte te cose sue ,, a cui Abram o alEda t'incarico di cercare una sposa per Isacco. V . con quate arte infatti egli si adoperi nella ricerca: C?n. X X IV .

Co /rc t Cr<i/<'aw<*.

357

Abramo : * O Signore, che cosa mi darai ? Io mi spengo senza prole, e i] figlio di Masec, ia schiava nata neila mia casa ([), sar mio erede ,. E subito la voce dei Signore si fece verso di tui, dicendogli: " Non questo sar il tuo erede, ma chi da te uscir sar il tuo erede E lo condusse fuori, e gli disse: " Alza gli occhi a! cielo e conta le stelle, se potrai contarle E soggiunse: " Cos sar la tua posterit E credette Abramo a Dio, e ci gli fu reputato a giustizia * (2). Ditemi ora voi per quale ragione colui che parlava, angelo o dio, lo condusse fuori e gli indic le stelle. Forse perch, stando dentro, non poteva sapere quanto grande la moltitudine degli astri che ogni notte appaiono e risplendono in cielo? No certo; ma perch, indicandogli gli astri che tra versano lo spazio, intendeva la promessa delle sue parole confermare coi decreti del cielo, che tutto do 232 minano e sanciscono. Che se alcuno suppone essere sforzata una tale interpretazione, io glie la compro ver con ci che segue immediatamente. Sta scritto, in continuazione : < E disse a lui : " Io sono il Dio che ti trasse dal paese dei Caldei, per darti questa terra in tuo retaggio ,. E Abramo : " O Signore, pa drone mio, da che conoscer io di averla in mio re ta g g io ? , E gli rispose: " Prendi una giovenca di tre anni, e una capra di tre anni, e un montone di tre anni, e una tortora e una colomba ,. Egli prese tutte queste cose e le spart per lo mezzo, e mise ogni met

(1) Il testo dei Settanta aggiunge: oitoy Ja^tapxy cio il nome del servo. Che per lezione (anche nell'origi nale ebraico) assai discussa. (2) CfM. X V -6.

358

Par/? /A - O/fr;//?

? sa/;'r<rA?.

dirimpetto att'attra. Ma gli uccetti non t spart. E attora discesero certi uccetti sopra i brani, e Abramo vi si sed sopra insieme con toro * (i). E cco qui ta promessa, detl'angeto apparso o det dio, convatidata, non come fate voi, atta teggera, ma con t'arte augurate, ossia con ta divinazione effettuata mediante i sacriHzii. Vuot dire infatti che cot voto degti uccetti it Dio mostr vatida ta sua promessa. E approva ta fede di Abramo, sog giungendo che fede senza verit sarebbe una specie di scemenza e una fottia. Ora ta verit non pu risut333 tare da una semptice parota, ma bisogna che ai detti si accompagni un segno evidente, it quate, avvenendo, dia fede atta predizione fatta per t'avvenire.
[L A . aggiunge che anche a !ui stesso furon dati responsi d uccetti, dai quati apprese che avrebbe seduto sut seggio imperiate].

L'unico pretesto che vi rimane per scusare it vostro fatto in questa materia, che non vi sia permesso di sacrificare fuori di Gerusatemme : sebbene Etia abbia sacrificato su! Carmeto e non gi netta citt santa (2).

() G;n. X V 7 -n . T agtiare a brani te vittime e passare in m ezzo ad esse, oppure sedervisi sopra, un rito che s'in contra non soto presso gti Ebrei e i G reci antichi, ma anche presso moderne popotazioni barbariche. Ha significato di pu rificazione e di protezione, o di patto di sangue che t'uomo stringe con ta divinit. V . FRAZER /b/^/or? <n /A? OA? 7 ?s/amfw/ (London 1918) I pp. 408 sg g. Si noti per che ta fine deU'uttimo versetto assai diversa netta Vutgata: -

^ 4Araw.

(3) ///

XVIH 19 sgg.

APPENDICE

I.

Il pedagogo Mardonio e l'educazione di Giuliano.

Della prima educazione e istruzione a Giuliano im partita dal suo famoso pedagogo, Mardonio, gli sto riografi fecero fino a qualche tempo addietro una pittura convenzionale. Dissero che il brav'uomo, inca ricato di guidar Giuliano nella lettura di Omero e di Esiodo, era un fervente cultore del Politeismo, il quale non manc di gettare nell'animo dell'adolescente i semi dell'apostasia. Contro questa concezione, che veramente tien conto di un solo fra i molteplici elementi che influirono sull'atteggiamento religioso del nostro autore, e che non abbastanza si interessa alle reali condizioni e usi del tempo, reagirono i pi moderni critici, e partico larmente il Seeck df. IV pp. 206, 457, e il Geffcken pp. 6, 129, i quali, non solo attenuarono l'importanza che Mardonio avrebbe avuta negli studii del giovane, ma spinsero la loro acribia fino a negare contro le apparenze e contro l'opinione tradizionale ch'egli fosse pagano.

362

/.

Ora, che Mardonio fosse pagano o cristiano pu essere in certo senso una questione formate (bene to fa intendere l'Allard i p. 269), in quanto t'uso dei tempi permetteva che l'educazione ellenica com'era, in ogni caso, quella d& Mardonio insegnata venisse indifferentemente impartita da maestri dell'uno o dell'altro culto, i quali, non d'altro occupandosi che della forma e del bello retorico, sa pevano quasi sempre disinteressarsi della religione. V ero che, se i maestri pagani erano ammessi a leggere nella societ cristiana perch abdicavano ad ogni velleit di proselitismo, i loro colleglli cristiani amavano pi spesso accompagnare la lettura dei clas sici con tali avvertenze e precauzioni e antidoti che se Mardonio ne avesse usato avrebbero reso tutt'altro che simpatico all'autore dell'Editto contro gli insegnanti cristiani il nome e il ricordo del suo pedagogo : sarebbero, anzi, bastati a perdere per sempre nella memoria dell' imperatore la gratitudine verso l'antico maestro. Concesso dunque che Mardonio fosse cristiano, bi sognerebbe, in pari tempo, ammettere ch'egli avesse rinunciato a qualsiasi zelo di propaganda. E torne remmo a dire che la questione della religione a cui egli apparteneva puramente formale. Ma cessa di essere formale quando, col negare il paganesimo del pedagogo, si voglia inferire che Giu liano sia stato sicuramente premunito contro le sedu zioni dell'antico culto, ovvero che le seduzioni da lui provate e descritte (massimamente nel sieno state una specie di visione //'*;'. quindi opportuno assodare cos questo, come altri punti che complessivamente interessano la educazione giovanile

363

de! nostro autore ; tanto pi che su essi mi pare pos sibile conseguire, con metodo abbastanza semplice, non pure una probabile opinione, ma una sicura no zione. E il metodo consiste nel non perdere di vista i testi, e nel mettere a contribuzione e a confronto i varii luoghi in cui Giuliano stesso parla di s e di Mardonio. Particolarmente esplicito e diffuso su questo ar gomento il nostro scrittore nel T/c/igVMf, dove in dica anche (3 52 A), per l'unica volta, il nome stesso di Mardonio (altrove lo chiama sempre per antono masia: - O r V I 198 A ; ^/' VIU 24) C; /it 7t<M&zy<Mydg 274 D), e l'origine scita, e la condizione di eunuco, e varii altri dati di fatto. Il pedagogo era cresciuto nella casa de! nonno materno di Giuliano e destinato a < guidare nello studio di Omero e di Esiodo * la madre del nostro imperatore, Basilina. Morta questa, Giuliano stesso, in et di otto anni, fu affidato alle cure del vecchio (352 A-C). Ci dimostra che l'insegnamento di Mardonio aveva un carattere molto elementare, e consisteva in quella forma propedeutica di istruzione che i Greci chiamavano generalmente ?tatdiVa, e che Giuliano stesso indica altrove (Ora/. VII 33 S C) col preciso vocabolo di (!)!. Difatti il nostro autore, nel corso della descrizione, aggiunge (e Socrate Ecclesiastico e altri cronisti commentano) che Mardonio ebbe pure il compito di accompagnare l'alunno alle scuole dei principali maestri di retorica (351 A ; cfr. Ora;. V I 98 A -C ): come appunto era uso che i giovani delle migliori famiglie alla scuola fos sero accompagnati dai rispettivi pedagoghi (cfr. sopra

3& t

7.

p. 260). Noi sappiamo che a Costantinpoti, negli anni circa 342-4, ossia poco prima detta rectusione di Ma cetto, it giovinetto frequentava te tezioni de) gram matico Nicocte e det retore Ecebotio. In pratica per gti ammonimenti morati e )e istru zioni che, sia durante )a tettura, sia durante it pas seggio, Mardonio con sincera ed austera sottecitudine gti andava impartendo, e che sono cos bene ritratte nel dovettero lasciare nett'animo dell'ascoltante un'impressione assai pi forte, ed esercitare sutta sua formazione spirituale un'influenza assai pi targa e decisiva che non tutte le lezioni degti insegnanti ufficiati di grammatica e di retorica. Non questo il primo caso che un giovane trovi i suoi veri maestri, non in quelti che la sorte e ta posizione ufficiale gli assegna come tali e mette in pi chiara evidenza, ma in cotoro a cui egli si senta unito da uno spontaneo legame di affinit e di simpatia spirituale. A ci si aggiunga un fatto del quale la maggior parte dei biografi non paiono finora essersi curati. risaputo che, quando, per sospetti nati nell'animo di Costanzo, il giovane Giuliano fu allontanato dalle scuole di Costantinopoli, prima, e poi anche da quelte di Nicomedia (/*... !' dytayaydpwg, 27! B), e rinchiuso per sei anni (345 *5 ') nel podere di Macetlo, ta principale tortufa per lui fu di trovarsi privato d'ogni libert di studii : dyioxfx^f / ^&^$ , dt (Mf.MdgyM 271 C). Ora, se certo che la reclusione gli impediva di se guire quelle lezioni e di mantenere o stringere quelle relazioni, quetle conoscenze, quelle amicizie che la sua curiosit e ta sua sete di sapere avrebbero desi

7.

derate, non si pu tuttavia in alcun caso supporre che Costanzo lo avesse privato della compagnia di Mardonio (:). da credere, anzi, che questi abbia avuto in quei sei anni il campo libero, e vieppi si sia impossessato dell'animo del discepolo. Non dimen tichiamoci, infatti, che quelli furono gli anni in cui < gli Dei lo salvarono lui, Giuliano per mezzo della filosofia * 272 A). Per tutte queste ragioni, l'opera del pedagogo ma nifestamente si estese oltre i limiti che il suo semplice titolo avrebbe lasciato supporre. Risulta d'altra parte, in maniera esplicita, che l'insegnamento suo non ebbe soltanto per oggetto la lettura e il commento dei poeti nazionali che formavano il primo fondo della ^/ / , ma si rivolse anche all'esame dei maggiori filosofi, Socrate, Platone, Aristotele, Teofrasto. ' ^xet ?tpg scrive Giuliano agli Antiocheni jro^^xtg x at -^ xat / xat @fypct<yrog. 'Exetvoig (2) yrmr^ftg ' ^ ^ AdyMV , ti ^ ^ ^

(t) Infatti, anche ALLARD 7 /. /'y^. I . sebbene, per una falsa interpretazione di IuuAN. V III241 C (v. qui appresso P- 370), intenda che a tutta prima Mardonio sia staccato da Giuliano, suppone che di l a poco lo raggiunga di nuovo nel ritiro di Macello. (2) P e r un evidente errore di interpretazione il NEGRt /.'<fn/S?r. Gi/, p. 26 n. 1 intende che questo vecchio sia altra persona dal Mardonio, di cui lo scrittore ha fin qui discorso. V . sopra p. 264 n. 3. Il KocH _//: (Leipzig 1899) P- 359 ritiene persino che sia Massimo.

366

7.

<$ o^Jeydg * ) yp / ?rpg ^ ^ J: . E seguono alcuni brani di Platone, mediante i quali il vecchio stampava nell'animo di Giuliano l'amore del giusto e dell'onesto (353B-3S5). evidente da tutto il contesto che Mardonio, pur senza affrontare i veri e proprii problemi teoretici (ci era impari, ancora, all'et del discepolo, nonch, forse, alle attitudini e alle conoscenze stesse dell'istitutore : difatti, fu il cmpito di cui s'incaricarono, pi tardi, i maestri del Neoplatonismo e, particolarmente, il teurgo Massimo), condusse non di meno il giovi netto al limitare della filosofia, svolgendo di quest'ultima le parti che hanno maggior attinenza con la vita pratica e con !a formazione del carattere. E il giovi netto, diventato imperatore, riconosce in quel modesto lettore di Platone, di Aristotele, di Teofrasto il suo vero maestro della vita morale e civile. Tutto ci nel Ora, in un'altra opera, composta nel medesimo giro di tempo e sotto alle medesime impressioni, voglio dire nel discorso z 7 ZTfur/?, lo scrittore ha ancora un brano, dove, senza far nomi (procedendo per antonomasia), definisce per con speciale nettezza i periodi e i ca ratteri della propria educazione. Ho detto che questo discorso fu scritto contemporaneamente al A/zfa/'ce ci ha la sua importanza perch spiega e mette nel dovuto rilievo certe notevoli coincidenze verbali fra i due componimenti. y<zp <!(^&;$ <$ dice Giuliano ad Eraclio o jt &v%eg xa&^ye/tidiOg, / ytepi
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368

prire che i! primo personaggio Massimo d'Efeso, it secondo Giamblico (t). Ma facile convincersi che questa scoperta non se non una specie di prevenzione ad uso e consumo di quetta speciate dottrina per ]a quale si vuole negare i! paganesimo di Mardonio ed attenuare l'importanza sua nell'educazione dell'Apostata. Di fatti, il taumaturgo Massimo non pu assolutamente ravvisarsi nel pi modesto filosofo il cui inse gnamento si svolge nei limiti della <7 ed ha per argomento precipuo i poeti e per scopo l'eser cizio della virt: giacch, a prescindere da ogni altra considerazione, Massimo non fu da Giuliano conosciuto che nel 351 (v. sopra .Saggio p. 84), ossia quando, raggiunti i vent anni, il giovane aveva ormai superata ogni 7< e s'ingolfava nella filosofa, nella teo logia e nella mistica. Egli s'identifica invece, preci samente, col secondo pi elevato personaggio, col ^, col quale il Giamblico supposto dai suddetti filologi non ha proprio nulla che fare : per la semplice ragione che, fiorito mezzo secolo circa prima di Giuliano (2), non poteva da quest'ultimo essere detto: * colui che io stimo superiore a tutti gli altri della mia et *. Collocato al suo giusto posto Massimo, rimane ancora il primo personaggio. Orbene: questo proprio,

() V . ad es. WmGHT _/M/<an's W o ris 11 p. 151. Di tate opinione pare essere anche SEECK < ?. t/w/. IV p. 463. (2) Sulla cronologia di Giambtico, che questione connessa con l'autenticit o meno di certe lettere di Giuliano (dirette probabilmente a un Giamblico Iuniore), v. ZELLER / % 7os. G rw A . Ili 3* pp. 736 sg g .; GEFFCKEN /&M S. _//. p. 145.

369

in tutti i suoi tratti, il Mardonio del colui che con tanta pervicacia s'industriava di istillare nel l'animo del ragazzo sentimenti di onest e di temperanza (351 C, 353 B); colui che cercava di renderlo, a detta di Giuliano stesso, * migliore, non degli altri uomini, forse, ma di ^ certamente * ... tdw ( &7< M g oJevdg... / < % , 353 C)- Questa frase che ricorre nei due com ponimenti veramente un segno distintivo: ossia un ricordo originale del formulario di Mardonio stampato nella mente dello scolaro. Se, oltre agli atteggiamenti e ai tratti qui raffron tati, risulta poi anche, per caso, affermato, con pi determinazione e certezza che il non lasciasse intendere, il paganesimo del pedagogo e meglio definita la sua parte nell'educazione complessiva dell'Apostata, non resta di ci che a prendere atto. A mo' di conclusione raccogliamo ora qualche dato cronologico. Mardonio inizia l'opera sua quando Giu liano appena entrato nell'ottavo anno di et e di mora a Nicomedia. Segue a Costantinopoli il suo alunno, che vi trasferito, circa il 342, per frequen tare le lezioni dei principali maestri di grammatica e di retorica. Nel 345 Giuliano, dopo un primo richiamo a Nicomedia, allontanato dalle pubbliche scuole e rinchiuso a Macello, dove Mardonio ha occasione di agire, senza concorrenza, sull'animo del discepolo. Nel 351, uscito da Macello, conosce Edesio, Crisanzio, Massimo e s'addentra nel ftto della filosofia. Mardonio non dimenticato dall'imperiale allievo, che solo nel 355, forzatamente e non senza angoscia, si separa da lui, quando parte per la Gallia. In questa contin
34

37

genza Costanzo non permette che altre persone se guano it nuovo cesare se non quelle poche da lui stesso scelte e non sospette di amicizia per il partente (AfM.M.gyK7 277 B-C). scrive Giuliano nel 359 a Sallustio (VHI 24! C), quando anche da quest'ultimo, {scopertosi suo amico, deve staccarsi & # ^ xabyyf^dpa ^ ().

() Malaccortamente alcuni (come ad es. ALLARD .//. /* I p. 379) intendono che questa separazione da Mardonio abbia avuto luogo allorquando Giuliano (u con6nato a Macello (v. sopra p/365). Si osservi, tra l'altro, che la lettera scritta in Gallia e che dice x a t^ tx o v ofxot, ossia : * lasciai in patria

II.

Quando fu scrtta la " Lettera al filosofo Temistio , ?

La a/ ^/ che noi appositamente abbiamo messa alta testa di queste Operette politiche e satiriche, un documento storico e autobiografico di decisiva importanza. Certo, esso servito di base atla concezione che del carattere e dello svolgimento intettettuate di Giutiano abbiamo creduto di esporre. Per: non da tutti ammesso che questa tetter sia scritta come io ho tenuto per fermo net 355-6, ossia subito dopo ta nomina dett'autore a cesare (6 no vembre 355), quando questi aveva da poco abbando nato te scuote di Atene e deposto it mantettetto det filosofo per recarsi in Gattia ad affrontare it compito, novissimo, di uomo d armi e di governatore. I pi anzi (cito, ad esempio, it Negri pp. 430-9, t'Attard II pp. 139 sgg., it Geffcken .Afafr pp. 147 sgg.) seguono un'opinione affatto diversa: attribuiscono ta tetter atta fine det 361, ossia at mo mento in cui Giutiano, gi acctamato augusto datte truppe di Parigi, gi lanciatosi att'acquisto dett Impero,

372

/ 7.

gi insediatosi, per l'inopinata morte di Costanzo, in Costantinopoli e riconosciuto unico dominatore, si appresta a svolgere ne! mondo i! proprio programma potitico e religioso. Ognun vede che !a questione cronologica ha bisogno di essere sviscerata: sia perch non ha (come a!tre sogiiono avere) conseguenze super ficiali ; sia perch ci importa dimostrare di non avere costruito suHa sabbia, ma di possedere gti e!ementi che permettano di far pieno assegnamento sulta nostra

CQstruzione.
Dir prima di tutto che, a prescindere da ogni par ticolare dimostrazione, !'attribuire ta tetter a! 36] non risponde a quetto che, secondo verisimigtianza e se condo ['evidenza di tutti gti a!tri documenti, doveva' essere attora to stato d'animo deH'imperatore. Egti era bens ancora, fondamentatmente (non ne dubito), ;! yz/oia/b, innamorato detta vita contemptativa, pieno di rimpianto per dovere in occupazioni pratiche oc cupare it tempo che volentieri avrebbe dedicato atte pi atte funzioni detto spirito. Ma te circostanze e te esigenze detta vita to avevano ormai conquistato, e pi che egti amava rappresentarsi io/ifaA?, cui i rudi doveri de! campo impedissero di approfondire sui libri )e questioni astratte dettafitosofia: xai o<%v #/ dM pa ^ ^^ , dax^WMg, di wptxrtv^o^c^g ^ f^eaig ^)<(Or^/. VII 2 : 6 A). L'evoluzione si era com piuta attraverso sei anni di esperienze, di azioni, di vittorie militari e civili: che non potevano essere cancellate, che lusingavano anzi altamente l'autore, facendogli parere in !ui effettuata !'idea esposta nei &.M7 de! perfetto Imperatore, che a!ta virt

.< 4^ < ? 77.

373

gu erresca. di Atessandro congiunge ta ftosofia di Marco Aurelio. Netta a 7<??% 7'<7 questa idea sogno, speranza, , soprattutto, teoria astratta di pensatore. Nei scritti per t'inaugurazione det proprio Impero autoritratto, riftettentesi in una critica degti antecessori. Da tempo l'eco dette sue gesta in Gattia aveva diffuso per t'Oriente < grande e betto it -fH < ? nome ; e tutti /a proctamavano valo roso, intetligente, giusto, non soto atto a fare la guerra, s anche ad usar della pace, affabile, umano * 360 C-D). In sostanza, egli aveva troppo bene accet tato it suo posto, con tutto ci che da questo seguiva, per ancora potersi abbandonare a recriminazioni e a dubbii circa te proprie attitudini (a non dire poi dei risultati che aveva conseguiti, e di cui non sarebbe neanche parota): lo aveva accettato con la precisa convinzione (ed argomento decisivo) di essere etetto dagli Dei. Recitare un atto di falsa modestia o di poca fede net momento stesso in cui dava di piglio at timone delto Stato ed aveva bisogno di tutta la sua autorit e ta sua energia, era uno sminuirsi senza ragione agli occhi dei proprii sudditi. Ma si osserva per scrupoli morali assai im portava a Giutiano purgarsi dall'accusa di avidit di dominio, e di tradimento e malafede verso Costanzo. S, certo : questi scrupoli hanno sempre avuto gran voce nell'animo del nostro autore : ma non si sono risotti, e non potevano decentemente risolversi, in una negazione di s stesso e det proprio valore, bens neti'affermazione religiosa: che gti Dei cos avevano comandato, e che ta perfidia di Costanzo non aveva permesso altra condotta. It preciso linguaggio di Giu tiano in quei momenti lo abbiamo, infatti, net

374 a/ -&K3&? ^ a/ -d&w: dove sono bens ogni sorta di proteste e di giustificazioni, ne! senso che ['autore mai avrebbe deposto i[ mantello de! filosofo per indossare la ctamide purpurea e, indossatata, ['avrebbe poi nuovamente svestita per ri trarsi a vita privata se non fossero intervenuti gti ordini divini (pp. 275-77, 282 D-283 sgg.) ; ma c' anche t'uomo consapevote dette proprie azioni, t'uomo che sa ci che ha voluto e che, con atto deciso di votont e di fede, si [anciato, a suo rischio e pericoto, dalle GaUie (in presso Costantinopoti, ne! cuore del l'impero. L insomma c' una coscienza e una vo lont forte ed eretta (seppure misticamente questa votont si faccia dipendere datl'ispirazione divina) ; netta Lettera a Temistio invece ta volont non an cora formata. Ma pensiamo poi quate era t'intento e quale ta pas sione, dominante, con cui Giuliano dava l'assalto all'impero. G!i Dei lo avevano eletto : e il culto degli Dei egli era destinato a ristabilire nel mondo. Poteva, in vista di ci, il giovane entusiasta vaciltare un solo istante? O non piuttosto sentiva confermata dai fatti !a mistica persuasione che preponeva tui alta salva zione degli uomini ? Non appena ribettatosi a C o stanzo e raggiunta Naisso, eg!i chiamava a raccolta i compagni di fede, i filosofi, gli iniziati, ed annunziava a loro il Nuovo regno. La lettera a Massimo XXXVMI) , per questo rispetto, uno squitlo di gioia. Non manca neanche qui affermazione di essere diventato augusto a suo malgrado (p. 4 1 4 6 ) : ma dopo ci erompe il soddisfacimento del)' ideate raggiunto : #p*?(yxf!!opw
tog #cog d p a y a v d d v , xat y t A ^ o g ^ -

^ / ' //.

375

/ ^toct^ig (^. ^ i t g vcptSg ^ ov^fTO ^fy. ^ ^ ^fog %aptVT^pta xaTdjMjiag /Aag. xf^e^otwtv oi ^eot dyM^etv tig . xai ^/ ye xat 7 rpo^i)jM <M g a^Totg. /ifyAofg xap 7tog ^ ^ * , ^ (p. 4! 5 C-D) (t). Morto Costanzo (3 novembre 361), i! primo atto det nuovo regno un editto che ristabitisce it cutto pagano e ordina ta restituzione e it funzionamento degti antichi tempti (2). Di questo ideate, che costituisce ta ragion d'essere di Giutiano come imperatore, non netta Lettera a Temistio it minimo cenno, per quanto essa proprio verta sui doveri e sui cmpiti det Re e sia diretta a un ftosofo pagano, ad uno, tutto nutrito di Aristotete, di Ptatone, di Omero. L a difHcott, per i sostenitori detta data 361, non tieve. Da essa tatuni hanno tentato sfuggire os servando che Temistio, sebbene nominatmente pa gano, seguiva per nette lotte fra Pagani e Cristiani una tendenza conciliatrice e non parteggiava affatto per la politica religiosa di Giutiano (3). Ora : vero che, sotto it cristiano Costanzo, Temistio non aveva mai

(1) Cfr. SozoMEN. V 2, 2 ; ZostM. IH 1 1 , 1 . V . poi ancora l'^ 's / . LXIX 4 F lirto ). (2) Cfr. SEECK GiscA. / IV pp. 304, 493. (3) Analogam ente R . AsMus A^/s. ^/. /%:7oso^A.

(Leipzig 1908) pp. 24 sgg. considera perfino ta Lettera come espressione di una neutratit tollerante in materia retigiosa, neutralit di cui Giutiano avrebbe dato prova ne' suoi pri mordii. A questa opinione si attiene pure J. BiDEZ, altro so stenitore detta data 3 6 1 , in / // /a ^o/#. .// cit. p. 409.

376

dimostrato particotar zelo per i! Politeismo, cercando anzi, come la maggior parte dei dotti contemporanei, di stringere accordi col nuovo culto; vero che sotto Gioviano e sotto Valente, succeduti al tentativo di Giuliano, e minaccianti la reazione contro i Pagani, egli predic in apposite orazioni (V e XH) la libert di credenza e di culto; vero che, per sue proprie attitudini d'animo e di mente, egli era alieno come da ogni intolleranza, cos da ogni mistico fervore. Ma non si pu per questo presumere che sotto Giu liano egli abbia sdegnosamente fatto parte per s stesso e abbia veduto di mal occhio que! nuovo erom pente entusiasmo col quate il principe richiamava a vita la retigione dei loro comuni antenati; e tanto meno da ammettere che Giuliano non abbia cercato di attrarre, fin dalle prime, l amico ed insigne filosofo nella cerchia dette sue pi care aspirazioni. O se queste cose qualcuno presume od ammette, vi indotto da una prevenzione: vale a dire dal credere constatato che, sotto l'impero di Giutiano, Temistio sia rimasto nelt'ombra e non abbia seguitato (quate che fosse di ci la cagione) te sue relazioni col principe. Invece i pi accurati studii, e speciatmente le ricerche com piute dal Seeck netl'epistolario di Libanio (?? *:'/? pp. 29$ sgg., 301), dimostrano proprio il contrario: che Temistio dat giorno deU'entrata di Giutiano in Costantinopoti (dicembre 36 1) fu uno dei personaggi pi onorati ed influenti presso l'imperatore, tanto da risvegliare la getosia di Libanio; e che ancora a principio del 363, quando ['imperatore era ad A n tiochia, anzi in viaggio per la spedizione contro la Persia, Temistio scriveva di lui un encomio, da! titolo (.$: del quale encomio a noi non perve-

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nuto che l'argomento, in grazia ad una recente sco perta (v. Seeck u. Schenkl in < Rhein. Mus. * L X I [1906] pp. 554-6) (t). Ma, ci posto, veniamo ad una constatazione ancora pi grave. Non solo dico netta Lettera a T e mistio non cenno deila restaurazione de! Politeismo, ma de!!a divinit parlato con quelle cautele, con quei termini vaghi e indeterminati eppur cos ca ratteristici con cui parlavano a quel tempo coloro i quali volevano nascondere il conflitto fra paganit e cristianesimo, e che Giuliano ha costantemente ado perato finch rimasto sotto la soggezione di C o stanzo, n ha potuto manifestare la sua vera reli gione (2) : mentre dopo d'allora, in tutte le sue opere posteriori, non si lasci mai sfuggire l'occasione di far chiare affermazioni di politeismo : pxwepaig, yavJdi' come dice egli stesso a Massimo. In tutta !a lettera neanche una volta ricorre il nome degli Dei: ma spesso Dio, #cdg, e l'Essere supremo, t xpetTToy, che son formule cristiane, accettabili, solo
(1) Nette orazioni superstiti non mancano atcuni cenni alta posizione privitegiata datt'imperatore fatta a Tem istio: Or. X X X I 354 D, e speciatmente X X X IV p. 459 Dind. P are che da Giutiano, come gi da Costanzo, gti fosse decretata una statua di bronzo : v. SEECK Z)<6 < ?. i t i . p. 296. (2) S i veda particolarm ente Or. V ili Sa//Ks/;'o) 249 A , che pure fu scritta in Gattia e oHr*e motta anatogia cot brano detla lettera a Tem istio: xai < i tt ' yp ry xpe^FFOvt yravrd

E cfr. su tati espressioni am bigue sMus ./

CoMMrsfAr<yy
(Progr. Freiburg i. Br. 1904) pp. 40 sgg.; StEVERS D a i p. 56.

378 per via d equivoco, da una coscienza pagana. Par ticolarmente dimostrativa la chiusa dell'epistola, dove dice: < 5 ^eg ^ dp/cmyv ^ xat ^ d^/ % T^x^g * i&g / v v v /TTOvag Td ye ^ xa ' / y ^ o o o !? ^ i"% a vn j9o!y^!yT^og efvai ^ot Jox<3, ^ xat <!^. ^ <% *

^^ dya 9 f ' ^ ^ *, ^< % ?? ^^og ^dyovg.... )<^ ^^, ^ 3 ^i^Tptog ^, d^<oTpiotg ^ avT y ^pyotg ^^, ^ d^, ^ &'<, ^^ /iat ^$ ^ *

(. 266 D-267 ). Oh, dunque nell'accingersi a governare l'im pero Giuliano non prega, no, gli Dei, suoi salvatori, ma l'Ente supremo, il Do astratto ed incoloro! Quanto pi reale e coerente , invece, che il giovane principe, chiamato nel 355 al posto di cesare e mandato in Gallia, sfoghi in quella formula equivoca la segreta sua passione religiosa, da cui sente che sta per essere guidata la sua vita!

Basterebbero le prove teste esposte per scartare, senz'altro, la data generalmente ammessa, del 361, e conseguentemente convalidare quella del 355. Ma poich quest'ultima pu anche dimostrarsi per argo menti diretti, e ta dimostrazione porta ad illustrare e rivedere una serie di questioni storiche ed esege tiche degne di attenzione, per questo io proseguo. Datta tetter, netta sua ampiezza, risultano natu ralmente non poche indicazioni cronologiche, sia per

77.

379

riguardo alta persona del destinatario, sia per quella del mittente. Il destinatario, Temistio, appare un semplice filosofo, alla cui scuola Giuliano aveva avuto, tempo addietro, occasione di istruirsi, in Costantinopoli (p. 2 $9 C): un filosofo tutto occupato nell'insegna mento e nella professione degli studii, estraneo alla attivit politica: diy/tiyyop&y & i) (266 A). Ci rende evi dente che ancora egli non era nominato Proconsole di Costantinopoli carica a cui Costanzo lo elev nel 358-9 , n ancora si era adoperato in quelle molteplici opere pubbliche che a lui furono dopo quella data affidate, e che avrebbero reso per lo meno malaccorte le parole di Giuliano. Egli era appena allora nominato membro del Senato di Costantinopoli (t settembre 355, come si ricava dall'Orazione di Costanzo al Senato, p. xm Dindorf, e Seeck D? p. 294 n. :): il che costituiva un primo riconoscimento de' suoi meriti letterarii, onde comin ciavano a stringersi i suoi legami con la corte di C o stanzo, non senza forse l'intervento e i suggerimenti di Giuliano stesso, novello cesare. Del resto, Temistio stesso in una orazione (X XX IV, <%$%%' P- 4 5 ^ Dind.), che una specie di autobiografia, ovvero di esposizione del AoMarwM da lui seguito, pone espressamente l'inizio della propria carriera politica nella primavera del 357, quando era venuto a Roma, a capo dell'ambasceria di Costantinopoli recante a Costanzo la corona d'oro per le feste dei vicennali. Quanto a Giuliano, era anche lui alle sue prime armi. Si sentiva, ed era considerato, un semplice cul tore di filosofa (^ p. 254B),

38

assorto fino allora negli studii teoretici (della CTtyog ^, p. 262 D): uno studioso a cui * tristi vicende * avevano impedito di raggiungere il (ine e l'eccellenza del sapere: che non erano le vicende guer resche delle Gallie (come molti suppongono, per so stenere la data del 361 : v. ad es. il Geffcken 1. c ), ma semplicemente erano i fatti della sua disgraziata giovinezza, i (/ a cui allude anche in altro punto dell'epistola (p. 259 C), la reclusione di Macello e ogni altro impedimento che Costanzo aveva frap posto alla libert de' suoi studii: per cui appunto egli non poteva pi chiaramente specificarli, ma si serviva, ad arte, di un mezzo verso d e l l O w ^ euripideo, il quale richiamava alla mente dei buoni intenditori gli orrori della famiglia di Atreo : yp / T!%ag, a? / * TAug (2 54 B). ! ricordi che si affollano alla mente del giovane, le impressioni che sono vive nel suo animo, proven gono tutte dalla scuola. Egli ha, proprio ora, abban donato il soggiorno di Atene; il suo pensiero tutto rivolto * alle conversazioni attiche " (253 C), <ai giar dini e al sobborgo di Atene, ai mirteti e alla stanzetta di S o c ra te* (2596 ); il suo cuore gli fa preferire * la sua diletta Atene alla pompa di cui ora attor niato * (260 B). N vale qui obiettare che questi soli ricordi Giu liano ponesse in rilievo per riguardo o, quasi, per lu singa a Temistio e al suo ufHcio di filosofo e di inse gnante: poich Temistio non dimorava affatto ad Atene, ma a Costantinopoli, e non Temistio, ma altri erano i filosofi con cui il giovane vi aveva avute quelle recenti e geniali conversazioni. Perch dunque

381

indugerebbe egli tanto la sua attenzione e il suo affetto, piuttostoch su Costantinopoli e su Nico media, su Atene, se questa non fosse la citt da cui in quel momento veniva strappato per cambiar genere di vita ed essere spinto nel campo dell'azione? Ma, pi che tutto, lo scrivente non ha ancora un passato politico. Se Temistio, per stimolarlo, lo rim provera di inerzia e di indolenza, egli non trova altre prove da citare della propria forza d'animo e della buona volont all'azione, se non * i pericoli corsi per causa di amici e di parenti * (che sono le suddette persecuzioni a cui lo sottoposero Costanzo e la sua corte), ed i varii viaggi compiuti con qualche disagio in Ionia e in-Frigia per portare soccorso a compagni di studio o di fede durante gli anni 351-4 (p. 2 5gC,D ). Veramente goffo sarebbe che il vincitore dei Ger mani, il restauratore della Gallia, colui che aveva marciato * quasi pel cielo volando * 269 D) fino a Naisso, dovesse gli attestati della propria energia e resistenza ricercare negli aiuti prti al so fista Carterio e alla filosofessa Arete! In ogni caso, l'ultima prova ch'egli aveva sostenuto ^ era il soggiorno fatto nel 354-5 alla corte di Milano, dopo l'uccisione del fratello Gallo, quando per sei mesi era stato tenuto in sospeso della vita e poi finalmente, per l'intervento dell'imperatrice Eusebia, mandato a confino in Atene : di dove adesso aveva fatto ritomo per assumere la clamide di cesare (259D-260C). Questi i fatti che formano la sua re cente vita. Eppure fa notare testualmente il Geffcken 1. c. lo scrivente aveva un passato politico, perch gi in passato ytcMat si era preoccupato di

3Sa

imitare, nella virt, Alessandro e Marco (253 A) : < Dieses Bangen vor seiner PHicht als Krieger und Philosoph liegt also hinter ihm. Wann empfand er so? Als er studierte? Oder nicht vielmehr, als er nach Gallien ging! Da musste er ein Alexander sein und hoffte auch noch Philosoph sein zu durfen, aber ihm bangta davor. Dies Gefuh] gehrt demnach der ferneren Vergangenheit an *. Questo argomento posa sopra una falsa interpretazione del testo di Giuliano. Infatti il ^ non si riferisce ad un lontano passato, bens, semplicemente, alla prima lettera che Giuliano, appena eletto cesare, aveva indirizzato a Temistio, nella quale, riconoscendo di dover prendere a mo delli Alessandro e Marco Aurelio, ma nello stesso tempo sentendosi a ci tremare le vene e i polsi, aveva provocato le rampogne di Temistio: dalle quali adesso si difende, con la presente epistola. Ci dimostrato, senza lasciar adito a dubbio, dalla chiusa dell'epistola stessa, dove detto: dAA' !' / a w e id g ^^ % ?$ Jedtg /ijy ^g < ^ y tx d ^ v , /g Tovg vtiv d ^ pyrovg

d^Mg cJoxf/iowai' &^, *< t y a xat w y tg tig /!; (266 C, D). Ma non , in qualche modo, specificato 1'ufHcio a cui Giuliano deve novellamente dedicarsi? l' 3yxog di cui si trova suo malgrado investito? S : Temistio gli ha scritto che egli sta ora ad un posto simile a quello di Dioniso ed Eracle, i quali in altri tempi purificarono la terra dal male, e che sua cura dovr essere di imitare l'opera di Solone, di Pittaco, di L i curgo (2 5 3 C - 2 S 4 A ; 262 D). Dunque conchiude

77.

383

i! Geffcken t. c. , questo non poteva essere i! cmpito, modesto, di Giuliano nelle Gallie, ma era it cmpito dell'augusto, capo det)'Impero e autore di una speciate sua legislazione. Ragionare cosi significa dare troppo preciso vatore ai luoghi comuni della retorica antica. Giutiano veniva fuori datta ctasse dei filosofi, ed naturate che, creato re, sia pure in sott ordine, nelte Gattie, si vestisse, agti occhi dei suoi compari, di quei caratteri e di quelle attribuzioni che Aristotele e Platone avevano at Re astratto e ideate tipicamente assegnato. D'attra parte, Temistio non ha fissazioni, e non manca di affasteltare per uso di Giuliano un attro, pi umile, genere di esempli: Ario, Nicotao, Musonio, i quali non furono essi stessi autori di grandi atti politici, ma semplici consiglieri di principi (26$ B sgg.). Infine, noi non abbiamo atcun diritto di pensare che esortazioni e comparazioni come queste ultime, o come te precedenti, potessero urtare ta su scettibilit di Costanzo, e dovesse quindi Temistio astenersene: tanto pi che corrispondono co) senti mento che il medesimo filosofo professava in aperto, in quegli stessi tempi, in orazioni rivotte direttamente a Costanzo. NeH'Ora?. It, eig -'', composta sbito dopo l'elezione del cesare, egti aveva queste parote (p. 4 0 A ): ovv (jypaytda Tofg eipiy^ v o tg , aTg ^vay%og &^ xai Moupydv * # yp yi^ooydg yfvvaibg xat ^, y^yog, ^ * dy^twe^et (che poi sono, probabilmente, frasi pronunziate da Costanzo stesso : v. sopra p. 8 n. 3). E seguono, con citazioni di Piatone, atcuni concetti sull'unione finalmente raggiunta, a

3&4

totale felicit del genere umano, di regalit e filo sofia : i quali sono il pi chiaro e congruo commento alle lettere scambiatesi fra Giuliano e Temistio. !n un attro discorso, Ora/. IV, che pure un panegirico di Costanzo, composto un poco pi tardi, net gennaio del 357, quando Giutiano gi aveva fatto le sue prove, Temistio non trascura di ricordare ancora il cesare, df^iov xoifMyv ^/, ypo, < 7!JiO7tAo<popoi)fTc:, ^^, ,

o yv^ax^g Jfd/iirov,

* qpMaxa Jyta xa!

/ (58 D-59). Qui sul era spuntato ci che ancora netta Lettera a Temistio non ci era dato di vedere: it guerriero. Non basta. L'assimitazione di Giuliano a Dioniso e ad Eracte non soto non contraddice alla mia tesi, ma, giustamente interpretata e messa a raffronto con altri testi finora inosservati, diventa della mia tesi un argomento probante. Infatti, lecito supporre ch'essa non fosse lanciata l a caso, soto per scopo retorico, ma avesse un contenuto mistico e partisse, direttamente, datta coscienza degli iniziati. Con quel nome, cio, e sotto quelle sembianze videro it cesare entrare nella vita politica e partire alta volta della Gattia i compagni di fede e di iniziazione ch'egti aveva in Oriente. Certo che uno dei pi fidi, Libanio, in parecchi brani delle sue orazioni, paragona ad Eracle uccisore di mostri e purificatore di mati Giuliano c e sare, nuovamente eletto e operante in Gattia : sempre con to stesso nome, sempre per to stesso evento: v. XII 27, 44; XIII 27, 48; XVIII 32, 39.* S e questa assimilazione Libanio non ha raccolta datta voce stessa degti iniziati come mi sembra probabite , atmeno la ha raccolta datta Lettera a

385

Temistio: e ta nostra conclusione per ta cronologia di quest'uttima toma ad essere ta medesima. Era uso dell'elegante sofista t'infiorare i suoi discorsi elogiastici per Giutiano con immagini e concetti desunti dagli scritti dett'imperatore stesso. E ne abbiamo una nuova prova, che fa proprio at nostro caso. Infatti, anche H paragone che ['Apostata fa (254 C-255 B) det proprio passaggio alla vita pratica col caso det navigatore, il quale, non essendo mai uscito dalto stretto di C o stantinopoli, debba d'un tratto affrontare i pi peri gliosi mari e addentrarsi netl'Oceano (paragone che dal Geffcken t. c. si cita perfino a sostegno della sua datazione), da Libanio sfruttato nel)'Ora?. XIII 22; dove dice che Giuliano non attraverso a fatiche lievi e meno portentose si avvi al regno, ma sbito d'un balzo, come it navigatore che dovesse fin datte prime affrontare to stretto di Sicilia. Anche qui si tratta di Giuliano cesare, nel 355, partente per le Galtie.

INDICI

NDICE DEI NOMI

A aron 312, 344. A banti 282. A b ari 144, 146 . . A b e le 353*4 A bram o 353. 354* 8 A cacio 98 . 2. A cadem ie 35, 136. A chille 217, 231, 261 n. 1, a. A dam o 297-9, 353A doni 224; feste di 104. A drastea 290 e n. 2. Adriano 191-2. coroHartMM! 285. A e zio 351 n. 1. A frican o, rw/. /7 faMMOM M M 154. A frod ite 185, 190, 192, 273, 297 n. 2 ; = V en ere Geni trice 233. A gato cle 228. A gesilao 322. A gitone 129 n. 2. A grippina, v. Colonia. A lceo 237. A lcibiade 121. A lcinoo 262.

A lessandria 186 n. 1, 285. Alessandro il Gr. 32, 33, 35,

45 - 47 . 53 . 117 , 118 n. 1, 125, 136, 137, 202-4, 306,


208 s g g ., 212 s g g ., aao, 225-6, 229, 233, 329. Alessandro S evero 195-6. A loadi 311. Ammiano Marcellino 5, 8, 37 . 42 , 5 . 74, 76, 106, 110 . i. Am m one (Zeus) 225. Ammonio Sacca 80 n. 1. Anacarsi 144, 310. Anacreonte 237, 284. A nassagora 136. Anatolio, Magi's/. ^/??!, 266 n. 3. 323. A ncira 286 n. 1. angeli 157, 300, 341-2. Annibaliano 147, 152 n. 3. Antinoo, amasio di Adriano, 192. Antiochia 54,96,106,237 sgg. passim.

39
Antioco Sotere 354,355 . 3,

% / . Asclepio 335, 332-3. A ssiri 330. Atanasio 94. A ten a z i n. z, 145, 157, ago, a63. 3 9 . 333 A tene 33-3, 35, 38, 54, 83, 118 ,135,128,130 ,143 sgg., 155*7' 178. 38: ateniesi 356. Atenodoro 86 n. 1, 318. Aureliano 197. Autolico, in Om ero, 357. A zio (battaglia di) 218. Babele (torre di) 3H -2. Babila (S.) 276 e n. 4. Babilonia 331. Babrio 283. Balbino, imperat., 196 n. a. B arbazione, coMMS, 152, n. 4. Basilina 7, ao, 263, 363. Basilio di Cesarea 5, 64-3, 83. B atavi 170. Batne 250 n. 3. battesimo 234 e n. 3, 335. B eelfegor 318. Belo 320. Berito 54. Betania 326. Betsaide 336. Bione 100. Bitinia 130 n. 4, 153 n. 3. Boccaccio . Boulogne 167 n. 1. Briganzia 175 e n. Britannia 165, 167 n. 1, 170, 310 n. z. Bruto 218, 227.

356Antistene 35, 81, 136. Antonino Pio 193. Antonio 216. A p is a68 n. 2. Apodem io, /w 153 n. 4. Apollinari di Laodicea (pa dre e figlio) 65, 73. A pollo 186 sgg. passim, 377, 332; Dafneo 271. V . pure Elio. apostata, epiteto, 4 n. i, 395. Apostoti 349. Aputeio 101, 103. Arassio, VMMrtMS ,< 4sKM, 139. Archidam o 333. Architoco ioz, 237, 358 n. 3. A re s 23!, 233, 309, 333, 332. A reta 393 n. 1. A rete 139, 381. A rgentorato 163. V. Stras burgo. A rio Didimo 33, 137-9, 186 n. 1, 2:8. A rio, fondatore dett'arianesimo, 351 n. 1. A riosto 101. A riovisto 310. A ristide 144, 322. Aristofane 100, 13 1, 188, 259-60. A ristotele 30, 35, 45, 49, 56, 76 , 79.12 3.12 4 n 1 ,13 1 sg. ( A M . HI 15-6), 135 (PoM. V II 3). 137 r. 664 R.), 225, 365, 273. A m obio 94. A sclepiade 100.

. Caino 353*4 Calcide 288. C aldei 320, 343, 356-7. Caligola 188. Calipso 262. Callimaco 100. Calliope 240, 271 e n. 1. 288-90. C am avi 165. Cam pidoglio 323. Cappadocia 149, 155, 274. Capri (isola di) 187. Caracalla 194, 203. Cari! 209 n. 2. Carino, imperat., aoo n. a. Carm elo 358. Caro 199-200. Carterio 129, 381. Casio (Zeus) 253 n. 2 , 277 e n. 3. Cassio 218, 227. Catone Uticense 122-3,271*3 Cebete 35, 136. Ceionio Giuliano Camenio 263' n. t. Celso 234 n. 3, 294 n. 1 sgg. passim. C elti 170. Cervantes 102. C esare (Gaio) 228 n. 3. Cesare (Giulio) 45, 184-5, 203-4, 208 sgg., 218, 331, 223, 327-3, 229, 233, 329. chiese 271 n. 2, 276. Cicerone 241. Cimone 322. Cinici 79, 8 t, 91 n. 2. Circe 262. circoncisione 343, 354-5. Cirillo Alessandr. 293 n. i sg.

391

Ciro 39. Claudio 188, 327. Claudio II, il Gotico, 197,235. Cleopatra 211 n. 1. Clinia (figlio di) v. Alcibiade. Clito 217, 226. Clodio Albino 194 n. 3. Cnodomario 164. Cocito 189. Colonia (Agrippina) 9 n. 3, 162 n. 1, 163. Commodo 193-4, 231-2. Como 152 n. 5. Cornelio, centurione, 326. Cos 325. Costante 202, 235. Costantina, moglie del ce sare Gallo, 152. Costantino I il Gr. 48 n. 1, 52,147 n. 1,200 n. 3, 201-2, 205, 222-4, 232-3, 234, 247 n. 1. Costantino I! 202, 235. Costantinopoli 54, 83, 105, 128 n. 3. Costanzo I Cloro 147 n. 1, 177 n. 1 , 197 n. 2, 300, 235- 256 n. 3. Costanzo II 7 s g g ., 22-3, 30-1, 40,46 n. 2, 51, 104-5, 119 n. 2, 128 n. 3, 130 n. 1, 140 n. 3, 147 sgg. passim, 202, 235, 241-3, 262 n. 4, 263, 370, 278 n. 2, 364, 365. 37. 375 . 377 - 379Costanzo (Giulio) 7, 30, 147,

153-4- 167cotylistes 274. Cozie (alpi) 175. Crasso 313.

39 a

/mA'ff

. Diocteziano 7, 54, 177 . , zoo, 232 . , 289 n. 1. Diogene 81, 91, 134, 130 n. 3. Dione di Sicilia 122-3. Dionisio d'Aticam asso 215 n. 1. Dionisio H di Siracusa 238. Dioniso 34, 45, 105, n S , 184 sgg. passim, 273, 284, 297,

Cratete 100. Cratino 341. Creso 246. Crisanzio 15, 84, 369. Crisippo , 122. Crispo 334 n. 3. cristianesimo 60 sgg.,6gsgg., 86, 90, 293 sgg. passim. Cristo 270-1, 355. V . pure Ges, croce 323-4. Crono 126-7, 180, 182 sgg. passim, 297. curie e curiati 286. D afne (tempio di) 109, 253, 276-7, 280. Dafni 240. D atmazio 147. Dantofilo Bitino 272 e . . Dante 102. Dardano 322. D ario 125, 209. D avide 32:, 339. decalogo (di Mos) 316-7,

384.
Domiziano 190. Domiziano, prefetto det p re torio, 151 n. 1. Druso 218 n. 2. Eaco 322; Eacidi 217. Ebrei 295 sgg. passim. Ecebotio 128 n. 3, 260 n. 4,

364.
Edesio 15, 84, 369. Efeso 83, 148 n. 1, 149 n. 3. E ge 325. Egiziani 310, 321, 324. Eteazar 318. etemosina 279. Etena, m oglie di Giutiano, 18 n. 2, 172, 174, 232 . , 251 n. 2. Eteusi (ierofante di) 16 . , 25 n. 1. Etia 352. Etio 157, 202 n. 1. Etiogabato 195. ettenismo 3 n. i, 6, 60 sgg., 69, . Elvez! 210-1. Em esa 195; Emiseni 271. Enea 322. Enio 332.

349 D ecenzio 171. Decio, imperat., 196 n. 2. Deioce 144. Detfi (oracoto di) 198, 200. Deto 262. Dem etra (tempio di) 252. Demetrio, tiberto di Pompeo, 272. D emocrito 136. Demodoco 263. dim oni 127, 182 n. 2, 235;
D em ostene 61. Didio Giutiano 194 n. 3.

393
Enomao di G adara 333 n. 1. Epicuro 131 ; epicurei MA?, n. a, 81, 128. Epidauro 335. Epitteto, vescovo, 175. Era 83. Eracie 34, 45, 46 n. a , 86, 105, 118, 135, i8 a, 202-3, 308, 315, 384, 384. Eraclio, cinico, 40 n. 3 , 81, 268 n. i. E rad ito 79. Erasistrato 355. Erdn ia (selva) 373. eretici 336. eretrica (filosofia) 35, 136. Ermete 181, 182-3, 201,^03 sgg., 366, 309; T rism e gisto 320. Erodoto 61. Eruii 170. Eschilo 56. Esiodo 56, 61, 81, 363, 389 n. 1. Eto!i 315-6. Ettore 326, 249. eucaristia 346. Euciide 136 n. 2. Eunomiani 351. Eurictea 249. Euripide H 9 n. 3, 196, 333, 326, 260 n. 3, 380. Eusebia, im peratrice,38,104, 152 n. 3, !53 , 155-7, t6o n. 2, 163 n. 1, 381. Eusebio di Cesarea 329. Eusebio di Nicomedia 13 n. 3. 67. Eusebio fMtc. 152, 155-6, 262 n. 4. Euterio n n. a, 38 . i, 169 n. 2. Eutropio 50. Eutropio, padre di Costanzo I, 256 n. 3. va 398. Evem ero, iibico, 16 n. 1, 35 n. !, 160. Ezechia 341. Faiaride 190. Faraone 307. Farisei 351. Fausta, mogiie di Costan tino I, 334 n. 3. Faustina, di M. Auretio, 193,

193 n. 1, 33- 3 .
Fedone 35, 136. Felice 154. Femio 362. Fenici 321. Filippi (battaglia di) 218. Filippo arabo, imperatore, 196 n. 3. Filone 298 n. 2, 299 n. 3, 312 n. 1. Fines 318-9. Florenzio, prefetto del pre torio, 165, 169, 170-:, 173 n. 2. Floriano, imperat., 198 n. 4. Focitide 329. Folengo 101. Fortuna 214, 224; nelle dot trine stoiche 122,182 n. a; (tempio) 250 n. 3, 352-3. Fotino 340. Frigia 139, 344. Fulvio Nobiliore 3t6. Furio Camillo 313.

394

/mAf* < & < Mow/. G orgia 93. Goti 363 n. 3. V. Sciti. G regorio Nazianzeno 5,64-5,
83

Galba 189. Ga)i!ei 71, 371, 279, 393 sgg. passim. GaUia 154, 161 sgg., 210, 243- 5 . 259, 273. 274; Gaiii

. 95-

309
GaHieno 196-7. GaHo 8, a i, aa, 34,139 n. 1, 130 . 1, 147-53, 169 n. a, 342, 376 n. 4, 388 n. 2, 391 n. 1, 351 n. 1, 381 ; tetter a Giutiano 4 n. 1. Ganimede 191. Gaudenzio.

154. 169 Gentili 334, 346. Germani 163, aio, 318, 333, 238, 273, 309, 313, 315. Gerusatemme 346, 358. Ges 334, 307-8, 334, 325-6,
328.336-40. 342- 3 . 349 - 51 . 355. V . pure Cristo. G eta (Settimio) 194. Geti 221. V . Goti. Giacobbe 356. Giamblico 82, 89, 277 n. 1, 368. Gintonio, tribuno, 170. Giorgio, vescovo, 150 . i. Giovanni Battista, 349-50. Giovanni Crisostomo 105. Giovanni, Evangetista, 328,

Iberi aio. Ierapoti 288. lesse 338-9. imperatori (cutto degti) 194 n. a, 329, 350. Ionia 128-9, 325. Iperborei 144. Ippia d'Etide 39 Ippocrate 329. Ipponatte 102. Isacco 356. Isaia 340, 352, passim. Ismenia 239. Isocrate 61, 93, 329-30. Istro 164. Italia 215. Leona, questore, 175 n. 6. Leopardi 113 n. 1. Libanio 5 , 31 n. 1, 43, 64, 106, n o n 1, 266 n. 3, 376,

384-5 '
Liceo 35, 136. Licinio aoi, 322. Licurgo 33* 4' n & 134, 319*

322.
Lisia 61. Longino 197 n. 3. Loos 277. Luca 65, 71, 337-8. 349. Luciano 98, 103. Lucitiano, questore, 169. Luciiia, figlia di M. Auretio, 193 n. 3. Lucio Gettio 213.

339 - 41 . 349-51-Gio venate 98, 101. Gioviano 376. Giuliano, conte d 'Oriente, 177 n. 5, 342, 283 e n. 3 . G iuseppe 337. Gtaucone 131. Gordiani (i tre) 196 n. 2.

?< MOW). Lucuiio 213. Luna 182 n. 2, 223, 234 n. 2. Lupicino 167, 170, 171. Lutezia 243. V . pure Parigi.

395

MaceHo (/ 13, 21, 128 n. 3, 148-50, 155, .

364- 5 <369

Machiaveiti 47, 73, 101. Macrino 195. yMqywa 324. Magnenzio 9 n. 1, 165 n. 2, 202. Maiuma 278 e n. 3. Mammea 195 n. 3, 196. Marceiio, generate, 160 n. 4, 161-2. Marco (S.) 349. Marco Auretio 16-7, 32, 33, 41- 54- 91 n. 2, 107 n. 3, 110, 117, 118 n. 1, 179 n. 1, 192-4, 204-5, 221 sgg., 229-32, 242 n. 5. Mardonio 18 n. 1 , 67 sgg., - 82, 156, 260-6, 361 sgg. passim. Maria V ergine 337, 339,

Massimo 5, 15, 41, 48, 84-5, 118 n. 1, 266, 368-9, 374. Matteo 65, 71, 337-8, 349. Medi 144. medioevo 66, 102. m egarica (ftosofia) 35, 136. Memorio, prefetto, 281 n. 1. Menandro 245, 259 n. 1. Menedemo 136 n. 2. Mercurio, nei neop)atonici, 39. V. Ermete. Mesii 256. Messatina 188. Micono 258. Mitano 130 n. 1, 152, 155,

157. 163 - 3. Minosse 197, 201, 322. . misteri 27, 46, 52, 84-5, 183 n. 4, 191. Mitra 27, 46 n. 2 , 1 1 1 , 198
n- 1 ,
235

fHOMf/ar;: 286 e n. 2. Monzio, questore, 151 n. 1. Mos 295 sgg. passim. Mursa (battagtia di) 202 n. 3. Muse 183, 238, 332 Musonio 33, 137-8. Naisso 143 n. 1, 197 n. 2. Narciso, tiberto, 188. Nebridio 171. Neocte (fgtio di) v . Epicuro, neoptatonismo 53, 61 sgg-, 80 n. 1, 82 sgg., 90; neoptatonici 181 n. 2, 182 n. 2, 366. Nerone 138 n. 3, 189. N erva 190, 232 n. i. Nicocte, grammatico, 364. Nicoiao Damasceno 137-8.

340-1. Marino 154. Mario 213, 324. Maris, vescovo, 4 n. 1. martiri 248, 271 n. 2, 325,
351Masec 357. Massenzio 201-22. Massimiano Ercuiio, e Mass. Gaierio 200-1. Massimino 196. Massimino D aza 201.

396

/-

KOW). Persio 98, 101. Pertinace 194. Pescennio Nigro 194 . 3. Petulanti 170, 173 . i. Peuceste aa6. Pietro 336 n. 4,347,349,354. Pindaro 56, 100, 389 n. a. Pirro ai6. Pitagora 79, 89, 136. Pito (dio di) 349. Pittaco 33-4, 119, 134, 237 n. 3. Platone 30, 33, 35, 39, 45, 49, 5 1-2 , 56, 58, 71 n. t, 76, 84, 91, 132 n. 4, 134 n. 1, ia6 sgg. (Z.<g-. IV 709, 713-4), 131,13 3,136-7,18 1, 365 (Lfg-. V 730), a66 (Z.<g-. V 339), 373, 301, 303-6 ( 7 ". 28,30, 4i), 318,323. Plotino 80 n. 1, ia a n. 3. Plutarco 100, 122 n. 4, 273. Pola 148 n. 2. 309-16. Pompeiano 193. Pom peo Magno 309, 213-4, 228, 373. Pom peo (Sesto) 318. Ponto 378. Porfirio 89, 394 n. 1 sgg. passim. Posidone 306, 217. Posidonio 89. Priam o 349. Prisco 5, 37, 48, a66. Probo 198-aoo. Proci 359. Proeresio ia8 n. 3. profeti 307-8, 314, 333, 336,

Nicomedia 54, 148 . , 364. Numa 323. Numeriano, imper., aoo n. a. Oan 320 e n. a. Olimpia (giuochi di) 134, ao6 n. 3. Om ero 11, aa, 39, 56, 58, 65, 68, 71. 73- 78,81, 134, 130, 135-172, i8 t, 183, 187,197, 226,331,346, 249, 355- 257, 261-3, a8a, 311-2. Onorato, conte d 'Oriente, a gi n. 1. oracoti 324. 333. Orazio 100. Oribasio 25 n. 1 , 160, 170 n. 7, a66 n. a. Ostiliano, imperat., 196 n. a. Otone 189. Ottaviano Augusto 137 n. 3, 138 n. a, 185, ao4, 317 sgg. 223-4, 338-9, 233, 247 . . Palestina 308, 327. Pailante, liberto, 188. Pane 340. Paolo (S.) 6 t, 307-8, 326 n. 4, 331- 335. 349, 354 *5 Paolo Catena 169. paradiso 297-8. Parigi 24, 97, m , 143 n. 1, 167 n. i , 170-4, 343 sgg. Parti 191, ai6, aao-i, 313. Patroclo a6i. Pentadio 153 n. 4, 169, 171. Pergam o 54, 335. Persefone 397 n. 2. Perseo 333. Persiani 148-9, 315,348,313.

341, 352, 355 -

/nafte* < & < WOW. Provvidenza 310, 314. Pupieno 196 n. 2. Quadi 164. Quirinio 328. Quirino 182 sgg. Radamanto 322. R e a 183. Reno 163, 165-6, 210. retorica 59, 104; rtori 144, 181. Rom a 213, 218, 322-4, 337. R om o 322. Rom oio 181 sgg., 322. Rustico (Giunio) 40 n. 5. Sabbati 317. Satii 165. Salii (Palatini) 323 n. 2. SaUustio 40, 9 7 ,16 8 ,179 . i , 266 n. 2, 286 n. 2. 370. Salomone 329-30. Sansone 321. santi 325, 351. Saraceni 343. Sarm ati 164. Satana 332. Saturnali 179, 181. Scettici 8i. Scipioni 213. Sciti 144, 186 n. 2, 223, a6a, 310, 315. V . Goti. S cudilone, frMMHKS sm/#MorKW, 152 n. 4. Sedecia 337. Selene 157. V . Luna. S ele u co , gram m atico, 187 n. 4.

397

SeteucoNicatore 254,255 . 3. Seneca 98. Senofonte 35, 121, 136. Senone, grammatico, 187 n.4. Sens (assedio di) 162 n. 2. Serapide 190. Sergio, pretore, 326. Serse 125, 262. S e v e ro , generate, 163 n. 1, 167 n. 1. S evero (L. Settimio) 194. Shakespeare 102. Siteno 184 sgg. passim. Sitvano 9 n. 1,155-6,165 n. 3. Simmia 35, 136. Simonide 39, 229. Sintuta 170 n. 3. Siri 195, 259, 310, 313. Sirm io 154. Socrate 33, 35, 52, 131, 128, 136, 199-300, 365, 333. Socrate ecctesiastico 65 e passim, sofistica 59. Sofocle 100. Sofronisco (figlio di) v. S o crate. Sole 43, 46 n. 3, 83, 185, 335. V . Etio. S 0 /ti?MS 389. Soone 33-4, 119, ! 33' 4 < 346, 319. Sparta 125, 143 n. 1, 144. Spartaco 213. Spirito santo 337, 349. Stilpone 136. Stoa 35; stoici m , n 8 n. 3, t33-3, 136, 186, 330 n. 1. Strasburgo (battagtia di) 163, 343 n. 1.

398
Stratonice 254Sura (Licinio) 220.

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Tacito, imperatore, 198 n. 4. T alete 322. Taranto 325; Tarantini 267-8. T arso 281 n. 1. Tauro, prefetto, 175. Tebani 211. Tem istio 8 n. 3 , ao n. 3, 29
sgg-, 54-5,
6 4

Trattes 149. Trasitto 33, 137-8. Treboniano Gatto, imperat., 196 n. 2. Troiani 249, 322. Tucidide 61. Utisse 249. Ursicino, generate, 160 n. 4. Vaiente 376. Vatenano 196. Vangeti 86,326 sgg. passim. V erbo 339-40, 343, 3 4 9 - 5 1 V ero (Lucio) 192. Vespasiano 190. Vienna 170. Vindice (Giutio) 189. Virgitio 72-3, 100. Viteltio 189-90. V o sg i 164. Zam otxide 186, 231. Zenobia 197 n. 3. Zenone 101, 186. Z eus 172, 82 sg g. passim, 2 7 1 . 297- 323-5,332; Fitio

, H 7 sgg.

passim, 371 sgg. Tem istocie 145. Teocrito 100, 240. T eodoro da Mopsuestia 293 n. i . Teofrasto 79, 265. T eognide 106, 358, 329. TertuHiano 71 n. 1, 94, 320 n. 1. Thoth 320 n. 1. Tiberio 138,186-7, 28 n. a,

327.
Timone 100. T ito 190. Torino 163 n. 3. Traiano 53, 191, 204, ao6, 220-23, 229, 233.

253.

INDICE

A V V E R T E N Z A .............................................................. Y PARTE PRIMA

L'U O M O E L O S C R IT T O R E CAP. 1. P r e lim in a ri....................................................... . 11. Vita attiva e vita contemplativa. Il profilo dei l ' u o m o ....................................................... , . L a cottura inteHettuale , IV. L ' a r t e ................................................................
PARTE SECONDA

3 7 54
90

O P E R E T T E PO LITICH E E S A T IR IC H E

I. . . TV. V.

Lettera at filosofo Temistio M essaggio al Senato e al Popoto di Atene I Cesari o L a festa dei Saturnali Misopogone o It nemico detta barba Contro i Cristiani. Frammenti . APPEN DICE

117 * 143 - 179


,

=37

* 293

I. Il pedagogo Mardonio e t'educazione di Giutiano II. Quando fu scritta ta " Lettera al filosofo Tem istio , ?
IN M CE D E! NOMI .

361 371

389

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