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LE

VENTI COMMEDIE
DI

MARCO ACCIO PLAUTO

S*
PIERLUIGI

co/

DONINL

YOL.

IIL

CREMONH MDCCCXLVICOI

TIPI

dell erede

s a s iji

P resso C esa re S ln fje i lih r v ja .

L a presente Edizione posta sotto la pro


tezione delle veglianti Leggi e convenzioni dei
Governi d'Italias che concorrono ad assicurare
le propriet letterarie.

CAPTEIVEI

>

I PRIGIONIERI

BASILIO PUOTI
ir ^ r m a fo

ai/fe ca/e

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PIERLUIGI DOMM
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r& cco m a n c/a .

PERSONE DELLA FAVOLA

PjlOLOGVS

P rologo

E r g asi lu s
H egio

E rgasilo
E gione
L orario

orariu s

P h ilo c ra tes

il o c r a t e

TrNDARVS

T indaro

'A rist o p h o n te s

RISTOFONTE

PuER H e GIONIS

Servo

P h il o p o l e u v s
S talagmus

F ilopolemo
Stalagmo

Gr e x

Caterva

E giore

L a Scena in Calidone dJfyolia.

PROLOGUS

Hos quos videlis slarc hic captivos duos}


Illi, qui ne stanti hi stant ambo, non sedent,
IIoc vos mihi testes estis me vei'um loqui.
Senex qui hic habitat, Hegio, est hujus paler,
Sed is quo pacto serviat suo sibi patri,
Id ego hic apud vos proloquar, si operam dalis,
Seni huic fuem nt filii nati duo;
Alium qiiadrimum puerum servos surpuit,
Eumque hinc profugiens vendidk in Alide
Hujusce patri. Jam hoc tenetis? Optumum est.
Negat hercle se ille in ullimit? ( \) Abseediloi
S i 11011, ubi sedes, locus est, est, ubi ambuless
Quando histrionem cogis mendicaiier.
Ego me tua causa, ne erres, non rtipturus sum.
Vos, qui potestis vostra opi censerier,
Accipite reliquom: alieno uti nil moror.
Fugitivos ille, ut dixeram ante, hujus patri,
Domo quem profugiens dominum abstulerat, vendidit,
Hic postquant hunc emit, dedit eum huic gnato suo
Peculiarem, quia quasi una aetas erat.
Jlic nunc domi servit suo patri, nec scii paler.
Enimvero di nos quasi pilas homines habent,

PROLOGO

Questi clic vedete son due prigionieri, l non sono,


stan qua tuttaduc ritti in piedi, non seggono; c voi
siete" testimonii se questo vero. Il vecchio Che qui
abita . Egione padre a costui; e se attenderete, prima
dogni cosa v aprir perch costui sia servo di suo padre.
Nacquero da questuomo due figliuoli, ed uno cli era un
naccherino di quattro anni fu portato via da un servo, il
quale battendosela di quinci lo vendette al padre di que
st* altro nell Elide. Avete inteso? benissimo. Per Dio,
no colui l in fondo? va al diavolo! se non hai luogo da
sedere, nhai tanto da passeggiare, dacch tu vuoi che un
comico per te vada su'canti: ma non succiartelo, io per te
non vocrepare. Voi che avete tanto da esser messi nel
censo, udite il resto: n io vo' tirar cose aliene in campo.
II fuggiasco, come pur mo diss io, lasci venduto il pa
droncino, eh' egli rub in casa, al padre di costui in
Elide: il quale, posciach desso nha fatto acquisto, diedelo a cotesto igliuol suo in qualit di servo pecu
liare; perch 1 et loro era quasi una medesima: ed ora
costui serve a casa il padre, senza che il padre sap
pia chi egli sia. Aff che gli iddii giocano noi uomini

Rationem habetis, quomodo unum amiserit.


Posteaquam belligerant J e t oli cum Aliis,
Uti fit in bello, alter capitur filiusj
Medicus Menarchus emit ibidem in Alide.
Coepit captivos conmercari hic Aliosj
S i quem reperire posset, qui mutet suom
Illune captivomj hunc suom esse nescit, qui domi est.
Et quoniam heri indaudivit, de summo loco
Summoque genere captum esse equitm Alium,
Nil pretio parsit, filio dum parceret:
Reconciliare ut facilius posset domum,
Emit hosce de praeda ambo de quaestoribus.
Ilice autem inter sese hunc confinxerunt dolum,
Quo pacto hinc servos herum amittat domum:
Itaque inter se conmutant vestem et nomina:
Illic vocatur Philo crates, hic Tyndarus:
Hujus Ulic, hic illius, fert imaginem.
Et hic hodie docte expediet hanc fallaciam,
Et herum suom faciet libertatis conpotem,
Eodemque pacto fratrem servabit suom,
Reducemque faciet liberum in patriam ad patrem,
lnprudens, itidem ut saepe ja m in multis loeis
Plus insciens quis fecit, quam prudens, boni.
Sed inscientes sua sibi fallacia
Ita conpararunt et confinxerunt dolum:
Itaque hi conmenti de sua sententia,
Ut in servitute hic ad suom maneat patrem.
Ita nunc ignorans suo sibi servit patri.
Homunculi quanti sunt, quom recogito1
Haec res agetur nobis, vobis, fabulae.
Sed etiam est, paucis vos quod monitos voluerim.

come palle! Adesso v noto modo che gli sia andato perso
1 uno. Dappoich la guerra mise sottosopra gli Etoli e gli
Eliesi, cosa non rara in guerra, vien fatto prigione an
che 1' altro figlio, c il medico Menarco il comper pro
prio l n eir Elide. Diedesi tutto allora costui sul far com
pera di prigionieri Eliesi per imbattersi fra molti in uno
col quale potesse e con maggior agio cambiare il figlio
quivi captivo, e che sia suo figlio anche costui' che ha in
casa sinora non se naccorse. E siccome ud jeri essere stato
preso un cavaliere dElide nobilissimo e di grande stato,
pel figlio non volle perdonare alla borsa, affinch pi presto
e pi facilmente giugnesse a racquistarselo franco in casa
presso di s; per la qual cosa del bottino comper questi
due dai questori. Essi fabbricarono intra di loro una cotal
trappola, per la quale costui eh servo manda di quinci il
padrone a casa, elli mutano tra di loro veste e nome;
quel l chiamasi Filocrate, questi Tindaro, e costui porta
le sembianze dell uno, questi dell* altro. E costui appunto
districher limbroglio, caver di servit il padrone e nello
stesso tempo salver il suo fratello; e lo far tornar libero
in patria nelle braccia del padre. Ei senza saperlo, siccome
avvien di spesso che un ignorante giova pi d un pratico,
far pure il gran bene. Ma diffidati della loro tresca
elli convennero in questo avviso, e cos concordarono
che stia costui schiavo presso il padre; e perci ora senza
averne sentore serve a suo padre medesimo. Quando ci
penso pur la gran csa un omicciattolo! Da noi questa
faccenda sar rappresentata a voi. Ma un pochino ancora,
v ha una cosuccia cui fa duopo proprio sapere: mestieri

'Profecto expediet, fabulae huic operam dare:


Non pertractate facta est, ncque item ut ceterae:
Ncque spurcidici insunt versus immemorabilesHic nequ peijurus lenus est, nec meretrix mala,
Neque miles gloriosus. Neu vereamini,
Quia bellum dixi Aetolis esse cum Aliis:
Foris illic extra scenam fient proelia:
Nam hoc pene iniquom est Comico 'choragio,
De subito conari agere nos tragoediam.
Proin, si quis pugnam exspeclat, lilis controllai:
Valentiorem nactus advorsarium
Si erit, ego faciam, ut pugnam inspectet non bonam
Adeo ut spectare postea omnis oderit.
Abeo. Valete, judices justissumi
Domi, bellique duellatores optumi!

badare a questa favola, che non la di pasta grossolana


come le altre: qua non han luogo nausievoli sporcizie;
qua non entrano spergiuri di ruffiano, tristizie di corti
giana, smargiassate di soldato. Ma perch non abbiate pau
ra se ho detto esser in bollimento que dEtolia con quei
dElide; fuori e gi di scena scherzan gli stocchi, ch la
saria disdicevol cosa con un comico apparato lo sfor
zarci a piantar di botto una tragedia. Se poi ad alcuno
va a sangue vedere una battaglia, Appicchi lite; e se sar
avvenuto in un avversario pi ferrigno, io far eh egli
vegga una pugna non s piacevole, talch poscia tutte
gli abbiano a venire in odio. Men vado; addio giudici
equissimi in casa vostra, bravissimi guerrieri al campo.

ACTUS I.
SC ENA

I.

E h g jsil i s .

Juventus nomen indidit scorto mihi


Eo, quia invocatus soleo esse in convivium.
Scio, absurde dictum hoc derisores diceres
A t ego ajo, recte: nam sibi in convivio
Am ator, talos quom jacit, scortum invocat:
Esine invocalttm, an non? Est planissume.
Ferum hercle vero nos parasiti planius,
Qiios nunquam quisquam neque vocat nque invocatj
Quasi mures semper edimus alienum cibum.
Ubi res prolytae sunt, quom ins homines eunt,
Simul prolatae res sunt nostris dentilnis.
Quasi quom caletur, cochleae in occulto lalent,
Suo sibi succo vivontj ros si non cadit:
Item parasiti rebus prolatis lalent
In occulto, miseri victitant succo suo,
Dum l'uri rurant homines, quos ligurriant.
Prolatis rebus parasiti (2) venatici
Sumusj quando itire redierunt, molossici
Odiosicique et multum incommodistici.
Et hic quidem hercle, nisi qui colaphos perpeti
Polis parasitus, frangique aulas in caput,
Vel extra portam Trigeminam ad Saccum ilicet.
Quod mihi ne eveniat, nonnullum est -periculum:
Nam postquam meus rex est politus hostium

ATTO I.
SCENA I.
E rgaslo.

ani ni hanno posto nome di bagascia, perch senza


tanti avvisi, ho per usanza rappresentarmi ai
conviti. Oh la gran dassajezza deheffardi! Ma io
parlo con pi senno: dico che la bagascia se la chia
ma linnamorato quando giuoca a zara; e allora
invitata o no? che s che la per Dio! Ma a dirla
schietta, noi lecconi nessuno mai n chiama n in
voca, siamo come i sorci, rosicchiamo sempre di
quel d altrui. Ma quando, pubblicate le ferie, gli
uomini si ritirano in villa, allora fanno feria anche
le nostre mascelle, e come usano le.lumache nell estate che simbucano, e, se non vien rugiada, vivono
del proprio succo: cos questi miserelli, rintanatisi
ne di feriali, vivono del loro sangue, quando se la
passano in yilla quelli a cui uccellano i pasti. Nelle
ferie noi siam parasiti da caccia, ma fornita la
villeggiatura, siam parasiti da cascina, fastidiosi
e molto incomodi. Ma in questo paese l una
delle due; o un parasito ha da pigliarsi de ceffatoni c farsi fracassar la memoria dalle olle, o
andarsene fuor porla Trigemina a batter 1 a c a t
tolica: il che forse non mi si tarder molto. Per
ch da quel d che il mio re venne in mano del
Vol. 111.

P la u t.

( Ita nunc belligerant Aetoli cum Aliisj


Nam Aetolia haec est: illi est captus in Alide
Philopolemus hujus Hegionis filiusSenis, qui hic habitats quae aedes lamentariae
Mihi sunt, quas quotienscunque conspicio, fleo J:
Nunc hic occoepit quaestum hunc fili gratia
Inhonestum et maxume alienum ingenio suo:
Homines captivos conmercatur, si queat
Aliquem invenire, suom qui mutet filium.
Quod ego quidem nimis quam cupio ut inpetret:
Nam ni illum recipit, nihil est, quo me recipiam
Nulla juventutis spes est: sese omnes amant.
Ille demum antiquis est adulescens moribus,
Quojus nunquam voltum tranquillavi gratiis.
Condignis paler ejus est moratus moribus:
Nunc ad eum pergam. Sed aperitur ostium,
Unde saturitate saepe ego exivi ebrius.
S C E N /i

II.

H egio , L o rar iv s , E r g asi l v s .


IlEG .Advorte a n im u m , sis, tu. Istos captivos duos,

Heri quos de praeda emi de quaestoribus,


Ilis indito catenas singularias
Istas majores, quibus sunt vincti, demito.
Sinito ambulare, si foris, si intus volejitj
Sed uli adserventur magna diligentia.
Liber captivos avis ferae consimilis est:
Semel fugiendi si data est occasio,
Salis est; postilla nunquam possis prendere.

nemico in questa guerra degli Etoli cogli Elicsi: (c


questa Etolia, e chi fu preso in Elido Filopolemo figlio di questo vecchio Egiont*. che sta qui),
questa casa mi d ora tanti increscimcnti che ogni
volta veggola mi si fanno di lagrime gli occhi grossi.
Adesso costui fa compera di prigioni; e misesi a
questo brutto mercato in grazia del figlio, per
veder se potesse trovar alcuno col quale cam
biarlo. Sio lo desideri, sallo Iddio! Segli non pu
riaverlo, non so dove ficcarmi. Ne giovani non
vha che sperare: tutti pensano a s. Quegli
fatto all antica, per un grazie io non lho mai fatto
allegro, e suo padre la pensa Stessamente. Ora an
dr a lui: ma s apre quella porta onde le tante
volte me ne venni fuora brillo e satollo.
SCENA II.
E gione, L orario, E rgasilo.

E gl

Qua attento, tu se n hai. voglia. A questi due pri


gionieri, che ho comperi jeri da questori, porrai
catene pi semplici, e torrai via queste onde ne
vanno s carichi. Lascia che girino o fuora o den
tro come loro pi grilla, ma s abbia assai buon
occhio. Prigion disciolto uccel di bosco, se una vol
ta ti scappa, e non vuol altro, pi non Io acchiappi.

Leu. Omnes profeelo liberi lubentius


Sumus, quam servimus.
JI eg .
Non videre ita tu quidem.
Lon. S i non est, quod dem, mene vis dem ipse in pedes?
H e g . S dederis, erit extemplo mihi, quod dem libi.
boR.Avis me ferae consimilem faciam, ut praedicas.
JlEG.Ila ut dicis: nam si faxis, te in caveam dabo.
Sed salis verborum esi. Cura, quae jussi, alque abi.
Ego ibo ad fratrem ad alios captivos meos:
Fisam j ne nocte hac quidpiam turbaverintj
Inde me continuo recipiam rursus domum.
E kg. Aegre est mi, hunc facere quaestum carcerarium
Propter sui gnati miseriam miserum senem s
Sed si ullo pacto ille huc conciliari potest.
Vel carnificinam hunc facere possum perpeti.
JI eg .Q uis hic loquitur?

E rg.

Ego, qui Itio moerore maceror,


Macesco, consenesco et tabesco, miser,
Ossa atque pellis sum misera macritudine,
Neque unquam quidquam me juvat, quod edo domij
Foris aliquantillum etiam, quod gusto, id beat.
JlEG.Ergasile, salve.
E rg.
Di te bene am ent, Hcgio.
JI eg . N e fle.
E rg .
E gon illum non fleam? ego non defleam
T a lem adulescentem?
JI eg.
Sem per sensi filio

Meo te esse amicum, et illum intellexi libi.


E rg. Tum denique omnes nostra intellegimus bona,

Quom, quae in potestate habuimus, ea amisimtis.


Ego, postquam gnatus tuos poiilust hostium,
Expertus, quanti fuerit, nunc desidero.

Lon.

Polit tutti stiam meglio liberi che servi.

E gi.

T u per non* la p e n a cosi.

Lojt.

Se non ho da darvene in contanti, volete che vi


paghi di gamba?

E gi.
L or.

Pagam i, che ho altra cosa in pronto da venderti*


Far 1 uccellin di bosco come avete detto.

E gi.

Fallo, e una cava ti aspetta. Ma non pi chiacchere; obbedisci e vattene. Io andr al fratello
per vedere gli altri prigioni se stanotte avran
fatto qualche bordello; quindi mi torner a casa.

E rg.

0 quanto m ' addolora la vita carceriera di costui,


povero vecchio, pi sgraziato per la disgrazia del
figlio! Se verso non v h a a redenzione io m a spetto vederlo fare anche il bja.

E gi.
E rg.

E gi.
E rg.

Chi parla qua?


Son io che per lo tuo dolore mi distruggo, ammagro, invecchio, calo come cera: uh tapincllo! son
pelle ed ossa per questa maladetta magrezza, a
pr non mi torna la carit casalinga: solo quel
- pochino, che sbocconcello fuori, mi ringalluzza e bea.
Buon d, Ergasilo.
0 Egione, mill anni che Iddio ti dia?

Non piangere.
Non piangere? e non dovr piangere io cotal gio
vane?
Eci.
Sempre ho conosciuto che tu eri amico di mio figlio, e che quegli lo era a te.
E rg.
Proprio allora tutti noi veggiamo il ben nostro,
^ quando d.opo averlo goduto ci ha fatto 1 ale. Io,
esperimentato tuo figlio, adesso lo desidero, adesso
che incappato nel nimico.
E gi.
E rg.

JlEG.Jliemts qttom ejus incommodum tam aegre feras,


Quid me par facere palrem est, quoi ille est
unicus?
E rg . limus ego? alienus illi? A h, Hegio,
Nunquam istuc dixis,ncque animum induxis tuoml
Tibi ille unicustj m i etiam unico magis unicus.
JIeg. Laudo, malum quom amici luom ducis malum.
Nunc habe bonum animum.
E rg .
Eheu, heu, huic illud dolet,
Quia nunc remissus est edendi exercitus!
UnG.Nullumne interea nactus, qui possit libi
Remissum, quem dixli, inperare exercitum?
E rg . Quid credis? fugitant omnes hanc provinciam ,

Quoi obtigerat, postquam captust Philopolemus tuos.


I I eg .N ou pol mirandum est, fugitare hanc provinciam:

Multis et multigeneribus opus est ibi


Militibus. Primodtim (Z) opus est Pislorensibtis
('Eorum sunt aliquot genera Pistorensium) ;
Opus Paniceis est,- opus Placentinis quoque;
Opus Turdetanis- opus est Ficedulensibusj
Jam maritumi omnes milites opus sunt tibi.
Enc.Ut summa saepe ingenia in occulto latent!
Jlic qualis imperator nunc privatus est/
JI eg .H abe m odo bonum a n im u m : n a m tllum

confido

domum
In his diebus me.reconciliassere:
Nam eccum captivum hic adulescentem Alium,
Prognatum genere summo et summis divitiis:
Hoc illum me mulare confido fore.
E rg . Ita di deaeque fa x in tt

Eoi.

E rg.

E gi.
E rg.
E gi.

Se la sua disgrazia fa crcpar 1 anima a tc che gli


sci estraneo, diamin che dovrei far io, il quale gli
son padre cui egli unico?
Estraneo io? io estraneo a lui? Ah Egione non
1 avessi detto mai, e mai ci non t entri in cuo
re! a te egli unico; ma a me unico ben pi
che unicissimo.
Se cima duomo quando il danno dell amico lhai
come tuo; ora per piglia fiato.Bene! bene! viva! spiace a costui sia ito in dileguo
l esercito, de lecconi !
E dimmi, non ti se intraltanto avvenuto in chi

sapesse capitaneare quell esercito sconfitto di cui


tu hai fatto motto?
E rg.

E gi. .

E che credi? tu tti fuggono questa provincia, e


chi cui era tocca, dappoi che fu preso il tuo F ilopolemo.
Non per verit da stupirsene se tutti fuggono

questa provincia: imperciocch qui abbisognano sol


dati assai di varie sorta; anzi a tutto abbisognano
quei da Pistoja, e di questi Pistojensi ve n ha pa
recchi: fan mestieri i Panicei, fan mestieri i Pia
centini, i Torditani, i Ficedulensi; ornai a te ia
somma sono necessarii tutti i soldati di mare.
E rg.

Oh quanti ra ri ingegni stanno spesso nascosti! Co


stui che qual com andante sarebbe dem agni vedilo
qua uom privato!
>.

E gi.

E rg.

Ora sta allegro: ho fidanza racquistarlo in casa a


-questi di: imperciocch ecco qua prigione un gio
vane Elicse nobilissimo e ricchissimo col quale
spero cambiare il figlio.
Magari, Dio!

JI eg ,

Sed num quo foras


Focaius cs ad coenam ?

E rg.

Nusquam, qtiod scim.


Scd quid tu id qucris?

JI eg .

Quia m i est natalis dies:


Propterea te vocarier ad coenam volo . . .

J'.rg. Facete dictum1


JI eg .
Scd si pauxillum potes
Contentus esse.
J'.rg .
N ae perpauxillum modo:
JYam istoc m e adsiduo victu delecto domi.
Quasi fu n d u m (k ) vendam , meis m e addicam legibus.
JI eg . P rofundum vendis tu quidem, haud fu n d u m , mihi.

Age sis roga.


E rg.
JI eg .

E m in tu?
N isi qui m eliorem adferet
Quae m i atqne am icis placeat conditio magis.

Sed si venturus, tempore.


E rg .
M alis ja m otium est.
H e c . 1 m odo, venare leporem j nunc erim tenes:
Am meus seniposam victus conm etat (5J viam .
E rg. N unquam istoc vinces m e, Hegio: ne poslulesj
Cum calceatis dentibus veniam tam en.
JI eg . Asper meus vicius sane est.
E rg.
Sentisne esitas?
JI eg . Terrestris coena est . . .
E rg.
S u s terrestris bestia est.
JI eg . Multis oleribus.
E rg . '
Curato aegrotos domi.
N um quid vis?
JI eg .
Venias tem pori.
E rg.
M em orem mones.
JJeg .H o intro j atque intus subducam ratiunculam.

Quantillum argenti m i ad trapezitam siet.


A d fra trem , quo ire d ixera m , m o x ivero.

E gi.
E rg.

Ma oggi dove sarestu invitato a cena?


In niun luogo per quanto io sappia; ma perch
ci?

E gi.

Perch oggi l annuale della mia nascila: perci


vorrei cenassi meco . . .

E rg.
E gi.
E rg.

Bel scherzo!
Ma se ti farai contento del poco.

E rg.
E gi.

Vuoi farne compera?

Anzi del pochissimo; perch questo il mio vivere


casalingo. Quasi vendessi un fondo non mancher
a miei patti.
Eoi.
Una voragine ini vendi, e non un fondo. Su, do' manda.

E rg.
E gi.

E rg.

E gi.
E r6.
E gi.
E rg.
E gi.
E rg.
E gi.
E rg.
E gi ,

Ove alcun non mi profferisca patto che piaccia


meglio a me ed agli amici. Ma se vuoi venire, vie
ni per tempo.
Anche adesso i miei palmenti fanno feria.
Va, compera una lepre, ora non hai che un riccio;
imperciocch il mio pasto si conf aJ sassi che
batto io.
In questo non mi starai avanti, o Egione; non
persuadertelo: nulla di manco verr, e co borzac
chini a denti.
Il mio m angiare proprio aspro.
Mangi brocchi?
una cena di te rra . . .
Il porco bestia di terra.
Molte verdure.
Buone agli ammalati di casa. Vuoi qual cosa?
Che non ti faccia aspettare.
Avvisi la memoria.
Andr dentro, e quivi far i conti quanto argento,
che non sar m olto, abbia ancora presso il ban
chiere. Di poi andr dal fratello come avea detto.

ACTUS II.
SCENA

I.

L o r a r ii , P h il o c r a te s , T vn d aru s .
L or .D inmorlales si id voluerunt, vos hanc aerumnam

exsequi.
Decet id pati animo aequo. S i id facietis, erit le
vior labos.
Domi fuistis, credoj liberi; herili nunc imperio, servitus
S i evenit, ei vos morigerari mos bonust,
Eamque ingeniis vostris lenem reddere.
Indigna digna habenda sunt, herus quae facit.
Pai. Oh; oh, oh!
L or.
Ejulatione haud, est opus.
Mullam oculis mullam (GJ injuriarum edicitis.
In re mala animo si bono utare, adjuvat.
T rff.A t nos pudet, quia cum catenis sumus.
L or.
A t pigeat postea
Herum nostrum, si vos eximat vinclis, quos argento
em erit.

Trif.Quid a nobis metuit? Scimus nos, nostrum


Officium quod est, si sinat solutos.
L o R .A t fugam fingitis! sentio, quam rem agitis.

Trn.N os fugiamus? quo fugiamusl


In patriam.
T rif.
Apage! haud nos id deceat,
Fugitivos imitari.

L or.

L or.

Im o edepol, si erit occasio, haud dehortor.

ATTO II
SCENA I.
L orarii, F ilo crate, T indaro.
L or.

Se ha voluto domineddio darvi questo malanno,


e bisogna berselo, sebben sia un po ostico, ch ad
ogni dolore rimedia pazienza. A casa vostra sa
rete stati liberi, comJ io credo; ora se veniste ser
vi duopo addattarvisi, e far in guisa che li
basto tanto non vi stringa le reni: col padrone
bisogna trangugiar amaro e saper Sputar dolce.

F il .

Oh, oh, ohi!

L or.

Non giova il piangere: troppo vi fate m iseri, l a lessifarmaco alle disgrazie m ostrar loro buon viso.

Tm.

Ci vergognamo vedendoci ne ferri.

L or.

Bla al padrone increscer il c a v a c e n e , avendovi


pagati a suon d argento.

T ir .'

T in.

Che teme da noi? sappiam il dover nostro quando


avesse a proscioglierci.
Pensate battervela! oh me ne sono avvisto!
Noi battercela! dove battercela?

L or.

A casa vostra.

Tin.

Oh vattene! non saria de pari nostri il farla da


fuggiasco.
Ma se vi si d il colpo, non ve ne sconforto.

L or.

L or.

T y n . U num exorare eos sinite nos.


L or.
Quidnam id est?

T rtf.U t sine hisce arbitris alque vobis locum


Delis nobis loquendi.
L or. Fial. Abscedite hinc! nos concedamus huc!
Sed brevem orationem incipesse.
T rn .lle m , istuc mihi certum erat. Concede huc.
L or.
Abile ab istis.
Pai. Obnoxii ambo vobis sumus propter hanc rem, quom,
quam
Folumus nos copiam esse, ea facitis nos conpotes.
Secede huc nunc ja m , si videtur, proculj
Ne arbitri dicta nosti'a arbitrari queant,
Neve permanet palam haec nostra fallacia:
Nam doli non doli sunt, nisi astu colas,
Sed malum maxumum, si id palam provenit.
N am si herus m i es tu, alque ego me tuom esse
servom adsimulo,
Tam viso opus, cauto opus, ut hoc sobrie, adcurale
Sineque arbitris agatur docte et diligenter.
Tanta inceptu res est. Haud somniculose hoc
Agendum est.
T yn.
Ero, ut me voles esse.
Pai.
Spero.
T y n .N a m tu nunc vides, pro tuo caro capite,

Carum offerre meum me caput vililati.


P h i . Scio.

JTy n .
A t memento scire, quando id, quod voles, habebis:
Nam fere maxuma pars homines habent
Morem hunc: quod sibi volunt, dum id impe
trant.
Sunt boni; sed id ubi ja m penes se habent.
E x bonis pessumi el fraudulenlissumi
Fiunt. Nunc, ut mihi te volo, esse autumo.
Quod tibi suadeg, suadeam meo patii.

T jn.

Lasciatevi pregar d una cosa.

L or.
T in.

Cio?
Che senza voi n questi altri testimonii, ci lasciate
copia di poterci parlare.

L or.

Si faccia: voi altri l: noi tiriam ei qua! m a la can


zona sia finita presto.

Tur.

Sapevamcelo. Fatti in qua.


Tiratevi alla larga.
Ve ne abbiano obbliga tuttadue perch ne avete
concesso lagio che volevamo. Dispiccati se puoi
un po pi lontano da qusti spioni, acci non ci
possano raccorre i bioccoli, se non vuoi far la
zuppa nel paniere: i tranelli non sono tranelli se
non c entra l astuzia, e la peggio se vengono
in chiaro. Sio mi ti.devo infignere servo e tu mio
padrone fa duopo di molto accorgimento, e cau
tela acci questo si faccia con prudenza, senza
brigata, buon maneggio e disinvoltura. Di tanto
pondo la faccenda che il dormirvi sopra non
pu farci capitar che male.
Ti sar coppa e cortello.
N ho fidanza.
Ve quanto m cara la tua testa, e che getto io
fo della mia!

L or.
F il .

T in .

F il.
T in.
F il .

L o so.

T in.

E sallo ancora quando avrai il fatto tuo. Quasi tu tti


gli uomini son di questa tempera: goccie d oro al
lorch abbisognano, m a dappoi che esono satisfatti,
di buoni divengono m alandrini e traditori. Tu per
sarai quale ti voglio, e que consigli che do a te
li darei anche a mio padre medesimo^

Pai. Poi ego le, si audeam,


Nam secundum patrem
T ra . udio.
Pai. Et propterea saepius,
Non ego herus libi, sed

meum patrem nominem:


lu es paler proxumus.

uti memineris, te moneoj


senos sum. Nunc obsecro
te hoc unum:
Quoniam nobis di inmorlales animum ostenderunt
suomj
Ut qui herum me libi frisse, alque esse conservom,
velinij
Quae antehac pro jure imperitabam meo, nunc te
oro per precem,
Per fortunam incertam et per mei te erga bonita
tem patris,
Perque servilium commune, quod hostica evenit manu,
Ne me secus honore honestes, quam quom servibas
mihi;
Alque, qui fueris et qui nunc sis, meminjtse ut me
mineris.
T ra . Scio quidem, me te esse nunc, et te esse me.
P a i.
Hem, istoc si potes
Memoriter meminisse, inesl spes nobis huic astutiae.
SCENA

II.

H e GIO, PalLOCRJTES, TriiDARUS.


I I e g . Jam

ego revorlar intro, si ex his, quae volo, exquisivero.


Ubi sunt isti, quos ante aedis jussi huc produci foras?
Pai. Edepol libi ne quaestioni essemus, caulum intellego:
Ita vinclis custodiisque circummoeniti sumus.

F il .

Tm.
F il .

Anzi se lo potessi io ti chiamerei padre, impercioc


ch dopo il padre, tu mi se' il padre pi pro
pinquo.
Veggo.
E perci ribadisco questo chiavello perch ben ti
si raffermi, cio non esserti io padrone ma servo.
Ora, perciocch gl iddii cosi vollero eh io di pa
drone ti sia conservo, di questo solo ti prego, quello
che prima ordinavati pel mio diritto, adesso io te lo
dimando per la nostra incerta fortuna, per la be
nignit con che t ebbe sempre mio padre, per la
nostra comune servit venutaci danemici, che tu
non mi sii tutt altro di quando eri al mio servizio;
e che ben ti si raccordi qual fosti una volta e chi
ora tu se.

T ir .

Ricordami me ora esser te, e te me.

F il .

Benissimo: ma tiello ben fermo, tu tta la speranza


no stra in questa astuzia.

SCENA II.
E giohe, F ilocrte, T ihdaro.
E gi .

F il .

I o to rn er d entro quando avr ricerchi costoro


di quello che voglio. Ove son que eh io ho fatti
conddr fuori?
Aff che fu assai ben provvisto da voi p er non
ire a cercarci; siamo in u n castello tan ti sono
ferri e tan ti gli occhi che abbiamo addosso.

32

'

JI e s . Qui cavet, ne decipiatur, vix cavet, quom etiam cavet:

Etiam qui cavisse ratus est, saepe is cautor captus est.


A n non vero justa causa est, ut vos servem sedulo,
Quos tam grandi sim mercatus praesenti pecunia?
Pai.Neque pol tibi nos, quia nos servas, aequom est vi
tio vorterej
Neque te nobis, si abeamus hinc, si fiiat occasi.
I I eg. Ut vos hic, ilidem illi apud vos meus servatur filius.
P h i . Captus est?
J I eg .
Ita.
P h i.
Non nos igitur soli ignavi fuvimus.
H eg . Seoede huc: nam sunt, ex te quae solo scitari volfi,
Quarum rerum te falsiloquom m i esse nolo.
P h i.
'
Non ero,
Quod sciam, si quid nescibo, id nescium tradam tibi.
Trr.N uni senex est in tonstrina! Nunc jam hic cultros
allinei!

Ne id quidem, involucrum injicere, voluit, vestem ut


ne inquinet.
Sed utrum strictimne attonsurum dicam esse, an per
pectinem,
Nescioj verum si frugi est, usque admutilabit probe.
II eg. Quid lu? servosne esse an liber mavelis? memora mihi.
P h i . Proxumum quod sit bono, quodque a malo lont
gissume,
Id voloj quamquam non mullum fuit molesta servitus,
Nec mihi secus erat, quam si essem familiaris filius,.
TrN.Eugepae, Thalem talento non emam Milesium:
Namque is ad sapientiam hujus nimius nugalor fuit.
Ut facete orationem ad servitutem contulil!
JI eg . Quo de genere n alusl illic Pliilocrales?

'
E gi.

33

Non sJ mai cauto abbastanza; anche delle volpi


se ne piglia: e non questo il bel che per g u ar
darvi bene, 1 avervi comperi a prezzo si alto e
senza respir?

F il .

Noi non dobbiam darvene carico della vostra


guardia, ma nmmen voi a noi se, colta la palla
al balzo, sappiam farcela con Dio.

E gi.

Quello che qui si fa di voi, ci stesso del figliuol


mio fassi a casa vostra.

F il .
E gi.

preso?
P u r troppo.

F il.

Non fummo noi soli i dappochi.

E gi.

Mi ti p o rta pi appresso, ho cose che saper voglio


da te, e ne term ini della verit.

Fit.

E vero sar io, quello che so non sparagnerommi


a dirvelo, dell altro non ve ne fiater neppure.
Ecco, il vecchio dal barbiere! ecco, egli ha
gi approntati i rasoj! ma togli, e non ha vo
luto girargli addosso l ' accappatojo acci non
brutti il vestito: ma non. so nemmen io se voglia
spelacchiarlo sino alla cotenna, o tosarlo col pet
tine; ma s egli furbo lo raschier bene.
Vuotu esser servo o ftbero? dillomi.

Tir.

E gi.
F il .

Io? quello che mi sta meglio e che pi lontano


dal male, avvegnach il servire non siami stato
che soprasello ben lieve; perocch non fui tenuto
diversamente di un rampollo di casa.

Trn.

E gi.

Viva, evviva! non darei un talento pel Milesi '. Tnlete:


egli rispetto al senno di costui era un cai Ufavole.
Guarda tratto con che egli si fe1 servo.
Di che loco quel Filocratc?
Vol. III. PLAtr.

Ph .

Polyplusio, (1)
Quod genus illi esi unum pollens alque honoratisfurnum ,

JlEC.Quid hic ipsus? quo honore est illie?


Ph i.
Summo s alque ab summis viris.
JI eg . Tum igilur, ei quom in aliis tanta gratia est, ut praedicaSj

Quid divitiae? suntne opim ae?


P h i.
Unde excoquat sevom senex.
JIeg. Quid paler? vivilne?
P h i.
Fivom, quom inde abimus, liquimusj
Nunc vivatne, nec ne, id Orcum scire oportet scilicet.
T ra. Salva resesi: philosophatur quoque ja m , non m en
dax modo esL
JI eg . Quid erat ei nomen?
Ph i.
Thesaurochryseonicocroesides. (%)
IlEG.Videlicet propter divitias inditum id nom en quasi est.
P h i . Im o edepol propter avaritiam ipsius alque tenaciam .
JI eg . Quid tu ais? tenaxne paler ejus est?
Ph i.
Imo edepol pertenax.

Quin etiam, ut mage noscas, Genio suo ubi quan


do sacruficat,
J d rem divinam quibus opus est, Samiis vasis utitur,
Ne ipse Genius subripiat. Proinde, aliis ut creat, vide.
JJeg . Sequere hac me igitur; eadem ego ex hoc, quae volo,
exquaesivero.

Philocralcs, hic fecit, hominem frugi ut facere oportuit;


N am ego ex hoc, quo genere gnatus sis, scio: hic
fassust mihi.
Haec tu si eadem confiteri vis, luam in rem feceris,
Quae tam scito scire me ex hoc.
'

F il.

Eci.
F il.
E gi.

Di Poliplusio. La qual casa lunica che sia quivi


assai potente onoratissima.
E costui? in che riputazione si trova?
Grandissima, e da pi grandissimi gentiluomini.
Se adunque tu di esser tanto l ' onore in che tu tti
lo h an n o , dimmi quali sono le entrate? sono
grasse?

F il .
E gi.
F il,

Tir.
E gi.
F il.
E gi.
F il .
E gi.
F il .

E gi.

Tanto che il vecchio ne cava il sego.


Che il padre? ancora in vita?
Vivo era egli quando lo lasciammo; se ora lo sia
o no, l inferno e dovria saperselo.
Noi siam franchi: e fa il filosafo, e punto non dice
bugia.
E nomavasi?
Tesaurocriseonicocreside.
Cio ritrov quasi il nome dalle ricchezze.
Anzi dalla sua pidocchiosa avarizia.
Oh che mi di tu? s tegnente 1 uomo?
Scannerebbe una cimice per il sangue. Che pi vo
lete voi? quando fa sacrifizio al suo Genio,, usa in la
cirimonia i vasi di Samo, acci il Genio non glieli
tolga. Tirate argomento voi s egli pu aver fi
danza in altri.
Vienne adunque meco; vo tastar colui per risaper
quello che io voglio. 0 Filocrate, costui, comera del
debito suo, fu meco uom probo; da lui ho risaputo
chi tu eri e di qual casa: se a ci, che pur sai es
sermi conto, vorrai aprirmi il cuore, t accerto che
la pesca non la fai per il proconsolo.

T rif.

Fecit officium hic suom,


Quom tibi est confessus verumj quamquam volui sedulo
Meam nobilitatem occultare et genus et divitias meas.
Hegio, nunc, quando patriam et libertatem perdidi,
Non egOj istunc me potius quam te metuere, aequom
censeo:
Fis hostilis cum istoc fecit meas opes aequabilis.
Memini, quom dicto haud audebatj facto nunc lae
dat licet.
Sed viden'? Fortuna humana fingit artatque, ut lubet:
Me, qui liber fueram, servom fecit, e summo infimumj
Qui imperare insueram, nunc alterius imperio obse
quor;
Et quidem si proinde, ut ipse fui imperator familiae,
Habeam dominum, non verear, ne injuste aut gra
viter m i imperet.
Hegio, hoc te monitum, nisi forte ipse non vis, vo
lueram.
H eg . Loquere audacter.
T rif.
Tam ego fui ante liber, quam gnatus tuosj
Tam mihi, quam illi, libertatem hostilis eripuit manusj
Tam Ule apud nos servit, quam ego nunc hic apud
te servio.
Est profecto deus, qui, quae nos geritfius, auditque
et videtj
Is, uti tum e hic habueris, proinde illum illi curaverit:
Bene merenti bene profuerit, male merenti par erit.
Quam tu filium tuom, tam me meus pater desiderat.
II eg. Memini ego istaec. Sed fateriri eadem, quae hic
fassust mihi?
Trn.Ego patri-meo esse fateor summas divitias domi,
Meque summo genere gnatum; sed te obtestor, Hegio,

Tra.

Egli ha fatto il dover suo se vi disse, il vero;


avvegnach volessi tener chiusa la nobilt, il ca
sato, la ricchezza mia. Ma dappoich, o Egione,
io pi non ho n patria n libert, non credo giu
stizia io che costui abbia maggior rispetto di me
che di voi, avendomigli fatto eguale linimico. Ben
veggo; una volta non si sarebbe oso dirmi una
torta parola, ora gli lecito farmene di peggio. Non
vedete voi? la fortuna degli uomini fa e disfa a suo
capriccio: me, che era libero e grande, ha fatto
servo e misero; io, cui il comandare era usanza,
ora abbasso il capo e fo a mo d altri. Ma in ve
rit, se trover un padrone qual fui io a casa
mia, non avr paura dun ingiusto ed oltraggioso
signore. Queste cose ve lho volute dire, Egione,
se pure voi non le avessi anche volute.

E gi.

P arli franco.

Tm.

Ed io era libero un di conforme il figliuol vostro,


a me e a lui tolse la libert il nemico, a me e
a lui tocca servire: egli presso noi, come qui
son io a casa vostra. certamente Iddio che vede
e sente tutto che facciamo; sa* pensier suo che
sia tenuto lui come voi terrete me: chi fa bene
ha bene; chi male, male; n me il padre mio desi
dera meno di quanto voi possiate il vostro fi
gliuolo.
Sapevalo e senza predica. Ma e mi dirai tu quello
che mi disse costui?
Ve ne do la fede mia essere mio padre ricco sfon
dolato, lo stocco di mia famiglia nobilissimo: ma
in carit, o Egione, le mie ricchezze deh nou

E gi.

Tra.

Ne tuom animum avariorem faxint divitiae meae:


Ne patri,, tametsi unicus sum, decere videatur magis,
Suturum me servire apud te stimiti et vestitu tuo
Potius, quam illi, ubi minume honestum est, men
dicantem vivere.
HEG.Eqo virtute deum et majorum nostrum dives sum satis:
Non ego omnino omne lucrum esse utile homini
exislumo.
Scio ego; multosluculenloslucrumjamhominesreddidit;
Est etiam, ubi profecto damnum praestet facere, quam
lucrum.
Odi ego aurum: mulla mullis saepe suasit perperam.
Nunc animum huc advorte, ut ea, quae sentio, pari
ter scias.
Filius meus illi apud vos servit captus Alide;
Eum mihi si reddis>praeterea unum numum ne duis,
Et te et hunc amittam hinc: alio pacto abire non poles.
T y k . Optumum alque aequissumum oras, oplumusque ho
minum es homo.
Sed privatam is servitutem servit illi, an publicam?
I I eg . Privatam is medici Menarchi.
P h i.
Pol hic hujus quidem est cliens.
Tam hoc quidem tibi in proclivi, quam imber est,
quando pluit.
H eg. Facis, homo ut redimatur?
T ru .
Faciamj sed te id orod, Hegio . . .
II eg. Quidvis, dum ab re ne quid ores, faciam.
TrN.
Ausculladum: scies.
Ego me amitti, donicum ille huc redierit, non postulo;
Ferum te quaeso, aestumatum hunc mi ut des, quem
mittam ad palrem,
Ut is homo redim atur illi.

vi traggano in soperchia avarizia, acci il padre,


sebbene gli Sia unico, non giudichi meglio lasciarmi
pasciuto e vestito a vostre

Spese, che viver egli

d accatto in luogo dove gli sarebbe di grande


obbrobrio.
E

g i.

T in .

E gi.
F il.

grazie agl' iddi e a' miei antichi sono ricco ab


bastanza, n ogni guadagno do per buono agli uo
mini: ben so io che molti impinguarono per via
di ritrangoli, ma so anche talvolta pi che il gua
dagno esser utile la perdita. La mia anima non
dell* oro, troppo di leggieti a molti confortatore
di reit. Ora attendi a questo, acci anche tu co
nosca la mente mia. Mio figlio presso voi pri
gioniero in Elide, trova modo a rendermelo, e non
metterai un quattrino a riscattar te e costui: aitrameni chiosa la porta.
Non puossi domandare cosa migliore e pi equa?
voi siete la cima de dabben uomini; ma vostro fi
glio serve a privato o al pubblico.
A privato, il medico Menarco.
Io

Potenzin terra! clientolo di costui! questa fac


cenda la vi vien gi s a dirotto da disgradarne uni
acquazzone d agosto.

E gi.

Tra.
E gi.

Tra.

Farai in modo che si liberi?


Far; ma vi prego Egione . . .
Tutto che vuoi, purch non sia fuor dell attento.
Uditemi, vedrete. Io non chieggo d esser sciolto
tanto quanto e ritorna, ma vorrei voi mi nove-
rassi il prezzo da mandare al padre, acci il ricom
peri.

Imo alium politis misero


Hinc, ubi erunl induciae, illuc, tuom qui conveniat
patrem:
Qui tua, quae tu jusseris, mandata, ita ut vis, perferat.
T vn .AI nihil est, ignotum ad illum mittere: operam luseris;
Hunc mitte: hic transactum reddet omne, si illuc venerit;
Nec fideliorem quemquam, nec quoi plus credat, potes
Mittere ad eum, nec qui mage sit servos ex sententia,
Neque adeo, quoi tuom concredat filium hodie audacius.
Ne vereare: meo periculo hujus ego experiar vicem,
Ingenio ejus fretus, quod me esse scit sese erga be, nevolum.
H eg . Mittam equidem istunc aestumatum tua fide, si vis.
Tm.
Volo;

J Ieg.

Q uam citissume potest, tam huc cedere ad factum volo.


HEG.Num quae causa est, quin, si ille huc non redeat,

viginti minas
Mihi des pro illoe?
TrN.
Optuma imo.
H eg .
Solvite istum nunc jam ,
Alque utrumque.
T rif.
D i tibi omnes omnia optata adferant,
Quom me tanto honore honestas, quomque ex vin
clis eximis!
Hoc quidem h(iud molestum est, ja m quod collus
collari caret.
H eg . Quod bonis benefit beneficium, gratia ea gravida

est bonis.
Nunc tu, illune si illo es missurus, diCj demonstra,
praecipe,
Quae ad patrem vis nuntiari. Fin* vocem huc ad te?
Trif.
Volo.

E gi.

Anzi mander unaltro, quando saran composte le


armi., acci trovi tuo padre: e, siccome vuoi, gli
riferisca i tuoi ordini.

Tra.

Facciam nulla: mandandogli uno sconosciuto, voi


perdete il mosto e lacqua. Mandategli costui; non
^ar ancora l arrivato egli, che vi dar spacciata
ogni cosa: n voi potete spedir persona pi fedele di
questa in cui anche il padre meglio si riponga; n ha
egli servo pi caro, al quale con maggior sicurezza
possa commettere il figliuol vostro. A mio pericolo
io ne tento la sorte; io mi rimetto in lui, perch
ben sa egli quanto umano io gli sia.

E gi.

Se vuoi ch io lo mandi rifammene tu

il prezzo

sulla tua parola.


T ir.

Rifar di mio; ma vo' che p a r ta quanto prim a per


la cosa.

E gi.

Ti pare buon patto contarm i per lui, se non ri


to rna, venti mine?

Tra.
E gi.

Tra.

E gi.

Tra.

Buonissimo.
Sciolgasi ornai costui; anzi 1 uno e 1* altro.
Vi prosperi d ogni bene Iddio, dappoich in tanto
onore mi avete voi, togliendomi a ferri! Non ho
alcun fastidio, ora che sentomi la gola libera dal
colletto.
Il bene che si fa agli onest uomini trova sempre
bene. Ora se tu vuoi spedirlo, indettalo di quello
che dee rinunziare a tuo padre, ordina e comanda.
Vuotu che il chiami?
Voglio.

H b GIO, PniLOCRATES, TrNDARVS.


HBG.Quae res bene vortal m ih i meoque filio

Fobisque! Foli te novos herus operam dare


Tuo veleri domino, quod is velit, fideliter.
Nam ego te huic dedi aestumatum viginli minisj
Hic autem le ait mittere hinc velle ad patrem,
Meum ut illi redimat filium: mutatio
Inter me alque illum ut nostris fiat filiis.
P h i . Ulroquevorsum rectum est ingenium meum,
A d ted alque illums pro rota me uti licet:
Fel ego huc vel illuc vorlar, quo imperabitis,
HEG.Tule ttbi ea tuopte ingenio prodes plurim um ,

Qupm servitutem ita fers, ut ferri decet.


Sequere. Heni tibi hominemI
Trrf.
Cratias habeo tibif
Quom copiam istam m i et potestatem facis,
Ut ego ad parentes hinc remittam nuntium,
Qui me, quid / rerum hic agilem et quid fieri velim*
Patri meo ordine omnem rem illuc perferat.
Nunc ita convenit inter me alque hunc, Tijndare,
Ut te aestumatum in Alidem millam ad palrems
S i non rebitas hucj ut viginli minas
Dem pro te.
P h i.

Recle convenisse sentior

Nam pater expeclat aut me, aut aliquem nuntium,


Qui hinc ad se veniat.
Tya.
Ergo animum advorlas volo,
Quae nuntiare hinc le volo in patriam ad patrem.

E giohe, F ilocrate, T indaro.


E gi.

La dia bene questa cosa a me al figliuol mio e a voi!


Il padron novello vuole che al postutto tu ab
bi a servir fedelmente lantico. Io t ho assegnato
a lui per venti mine, e dice volerti di quinci man
dare al padre per riscattar quivi il figliuol mio; si
avr succedimcnto tra me e lui Io scambio deno
stri figliuoli.

F il .

Io son uom da bosco e da riviera, buono per tu ttadue: fate d i m e come d un arcolajo; o qua, o l
mi volger dove volete.

E gi.

Tra.

F il.

Ritrarrai molto da questo buon talento che tu hai,


onde tu servi come si conviene. Vienimi dietro.
Ecco l ' uomo.
Io ve ne fo grazie per l'agio e la facolt donatami
di tramettere a miei parenti costui, il quale ri
porti loro come stia, che faccia, e che vorrei
fatto, e che assegnatamente diciferi al padre la
cosa. Noi cosi restammo, o Tindaro; io ti mando
al padre mio' in Elide; ma se non torni, son yenti
mine eh* io ho da versare per te.
Voi altri avete ben provvisto a tutto: impercioc
ch il padre aspetta me o talun altro che

gnene

arrechi novelle.

Tm.

Attendi adunque a quello che in patria devi con


tare a mio padre.

Pai. Philocrates, ut adhuc locorum feci faciam sedulo,


Ut potissumum, quod in rem recte conducat tuam,
Id petam, idque persequar corde et animo atque viribus.
T rif. Facis ita, ut te facere oportet. Nunc animum advortas volo.
Omnium primum salutem dicit m atri et patri
Et cognatis, et si quem alium benevolentem videris:
Me hic valere, et servitutem servire huic hornini optumo,
Qui me honore honestiorem semper fecit et fa c it. . .
Pai. Istuc ne praecipias: facile memoria memini tamen.
T rif. Nam quidem, nisi quod custodem habeo, liberum'
me esse arbitror.
Dicito patri, quo pacto cum hoc mihi convenerit
De hujus filio . . .
P a i.
Quae memini, mora mera est monerier.
T r if. Ut eum redimat et remittat nostrum huc amborum
vicem.
P a i.Meminero.
H eg .
A t quamprimum poterit, in rem utrique esi
maxume.
P a i. Non tuam tu mage videre, quam ille suom gnatum
cupit.
H eg . Meus m ih i, suos quoique est carus.

Pui.

Numquid aliud vis patri


Nuntiari?'
Trif.
Me hic valere; et lute audacter dicito,
Tyndare, inter nos fuisse ingenio haud discordabilis
Neque te conmeruisse culpam, neque me advorsatum tibij
Beneque here gessisse morem in tantis aerumnis tamen;
Neque med unquam deseruisse te neque factis neque fide

F il.

Tra.

F il.

Far, o Filocrate, quello che sempre, affinch tutto


li venga a bene; questo sar il mio studio, e a que
sto metterrommi a pi ed a cavallo.
Sai il dover tuo: or# ti voglio a me. la prima i
miei convenevoli alla madre, al padre, a* parenti
e a quanti cadonti tra via che sai essermi amici:
li accerterai che stQ bene, e che servo a que
st ottimo uomo che m ha avuto, e m ha tuttavia
in si grande onore; e . . .
P er questa potevi risparm iare il fiato: facilmente
ricorderom m ene.

Tra.

Che mi credo libero, sebbene abbia il guardiano,


quindi annunzierai al padre le nostre convenzioni
per il figlio di costui . . .

F il.

Il dirmi questo tempo perso.

Tra.

Che }o riscatti e lo mandi in vece nostra.


Me ne sovverr.

F il .
E gi.

Ma quanto prim a, che il meglio p er luno e p er


1 altro.

F il.
E gi.
F il ,

Tra.

Sembra che voi non vogliate tanto il vostro,


quanto quegli il suo.
II mio a me, il suo caro a ciascuno.

Hai qualch altra cosa pel padre?


Chio qui sto bene: e digli pur francamente, o Tindar, chio e tu sempre fummo in buona concordia,
che tu non hai commesso fallo alcuno, che in niente
mi se ito a ritroso, che sempre se ito a versi
del padrone anche in tante angustie, e che io non
ti sono venuto peno giammai n in fatti, n in f-

Rebus in dubiis, egenis. Haec pater quando scici,


Tyndare, ut fueris animatus erga suom gnatum al
que se,
Nunquam erit tam avarus, quin te gratis emillat manu.
Et mea opera, si hinc rebitOj faciam, ut faciat facilius:
N am tua opera et comitate et virtute et sapientia
Fecisti, ut redire liceat ad parentes denuo,
Quom apud hunc confessus es et genus et divitias meas:
Quo pacto emisisti e vinclis tuom herum tua sapientia.
P m i . Feci ego ita, ut conmemoras, ut, te meminisse id, '
gra tu m est m ih i

Merito tibi ea evenerunt a me: nam nunc, Philocrales,


S i ego ilem memorem, quae me erga multa fecisli bene,
N ox diem adimat: nam ut si servos m i esses, ni
hilo secius
Obsequiosus mihi fuisti sempers
H eg .
Di, vostram fidem,
Ingenium hominum liberale! ut lacrumds excutiunt
mihi!.
Videas, corde amare inter se: quantis suum herum
laudibus

Servos eonlaudavil!
Pi med istic haud centesimam
Pariem laudat, quam ipse meritus ut laudetur laudibus.
H eg.E rgo quom optume fecisti, nunc adest occasio
P h i.

Renefacla ciemulare: ut erga hunc rem geras fideliter.


P h i -M age non fa ciu m velle possum, quam opera expe
ria r persequi.

Id ut scias, Jovem supremum testem do, et laudo,


Jleqio,

Me infidelem non fulurum Philocrali. . .

F il .

E gi.

F il .
E gi.

F il .

delt ne' pericoli e negli affanni. Quando al padre


sar cognito, o Tindaro, lanimo che hai avuto verso
il figliuolo e verso lui, sebben abbia cos del barbinOj lasceratti libero senza che tu snoccioli un
soldo. Sar opera mia, se ritorno, lindurvelo;
impereiocch per te, per la tua umanit, virt e
sapienza s fatto in modo eh io ritorni a parenti,
avendo tu appalesato a costui di chi son nato e le
mie ricchezze. Tu per questo, da valentuomo, hai
cavato il tuo padrone dai ferri.
I o le ho s fatte queste cose, e ci mi consola, che,
te narricordij ma beo n eri degno; pure, o Filocrate,
s io volessi rimembrare tutto il bene che fatto
mhai, n anderebbe la notte e il giorno, impera
ciocch, come se mi fossi tu servo, sempre mi sei
ito alla seconda.
Oh Dei, la fede vostra! oh liberal natura d uo
mini! io n ho gli occhi pieni di lagrime! v come
s amano cordialmente tra loro! con quante lodi
vennevil padrone celebrato dal servo.
Queste in f di Dio non arrivano a un centesimo
di quante gliene vanto.
E ben facesti; e^co che ed ora ti si offerisce il
cumular servigio a servigio, adoperandoli fedel
mente per lui.
Io non lo desidero spacciato questo affare perch
voglio spacciarlo io: e perch, o Egione, possiate
assicurarvene; io chiamo in testimonio e do laudi
al gran Giove, che non mancher di fede a Filo*,
crate . . .

Probus es homo.
P h i . Nc me secus unquam ei facturum quidquam, quam
memet mihi.
Trif.Istaec dicta te experiri et operit et factis voloj
- Et quod minus dixi, quam volui, de te, animum
advortas volo,
Atque horunc verborum causa cave tu m i iratus fuasj
Sed, te quaeso, cogitato, hinc mea fide mitti domum
Te aestumatum, et meam esse vitam hic pro te po
sitam pignori:
Ne tu me ignores, quom extemplo meo e conspectu
abscesseris:
Quom me servom in servitute pro ted hic reliqueriss
Tuque te pro libero esse ducas, pignus deseras,
Neque des operam, pro me ut hujus reducem facias
filium.
Scito, te minis viginti hinc aestumatum mittierl
Fac fidelis sis fideli' cave fidem flukam geras/
Nam paler, scio, faciet, quae illum facere oportet,
omnia.
Serva in perpetuom tibi amicum me, atque hunc in
ventum inveni!
Haec per dexteram tuam, te dextera relinens manu,
Obsecro, infidelior mihi ne fuas, quam ego sum tibi!
Tu hoc age! tu mihi nunc herus cs, tu patronus, tu pater:
Tibi commendo spes opesque meas.
P h i.
Mandavistin satis?
Satin' habes, mandata quae sunt, facta si refero?
T rif.
Salis.
P ai. Et tua, et tua huc'ornatus reveniam ex sententia.
JVnmqnid aliud?
H ec.

E gi.
F il .

Se uom probo.
E per lui far come per me medesimo.

T in.

Di queste buone parole votrarne sperimento dalla


industria e dall opera tua; e perch ho detto di te
assai manco di quello che io voleva, voglio ora che
stii attento: guarda di non mi ti impennar contra,
per questo che ti dico, ma pensa che tu di qui sci
mandato a casa sopra la fede mia, ch'io son tuo
mallevadore, e che qua son io statico per te della
vita. Appena ti sono fuora degli occhi non ti cac
ciar di capo, come lasciato m'hai servo, servo alla*
vece tua; talch, tenendoli libero, nessuna briga t'ab
bi a pigliar poscia n di me statico, n del figliuolo
di costui che qua devi condurre per me. Sovvengali
Tesser tu mandato colla tassa di venti mine! Sii fe
dele ad un fedele! non metterti la parola sqtto i
piedi! Gi ben mi so io che il padre far tutto il
debito suo. Conservali sempre nellamicizia tuia,
in quella di questo trovato, cui la sorte mi ha*
fatto conoscere! Per questa tua destra che io stringo
nella mia, ti scongiuro che tu venga meno a me
come io lo son venuto a te! Non dormire! Ora tu
mi sci padrone, tu avvocato, tu padre: nel grembo
tuo io colloco tutte le mie speranze e le mie for
tune.
E non se sazio? e non ti basta eh io t arrechi

F il .

compiuto quello, che altro non adesso se un ca


stello in aria?
T in.
F il .

Basta.

Sar qua che v avr contenti tultadue. Vuoi


altro?
Vol. 111. P laut.

T yn .

Ut, quamprimum possis, redeas.


P h i.
Res monet.
H eg . Sequere me: viaticum ut duim a trapezita tibi.
Eadem opera a praetore sumam syngraphum.
T yn .
Quem syngraphum?
H eg . Quem hic ferat secnm ad legionem, hinc huic ut
liceat domum.
Tu intro abi.
T yn.
Bene ambulalo.
P h i.
Bene vale.
H eg.
Edepol rem meam
Constabilivi, quom illos emi de praeda a quaestoribus!
Expedivi ex servitute filium, si dis placet.
At etiam dubitavi, hos homines emerem, an non emerem, diu.
Servate istum, stillis, inlus, servi, ne quoquam pedem
Ecferat sine custodela. Jam ego adparebo domi:
A d fratrem ego modo captivos alios inviso meos,
Eadem percontabor, ecquis adulescentem noverit.
Sequere Ui: te ut amittam, ei re primum praevorti
volo.

Tin.
F il .
E ci.
T in.
E gi.

Tra.
F il .
E gi.

Che torni presto.


La cosa mcn fa calca.
Vien meco dal banchiere che ti dar la scrta: in
una andr dal pretore a levare il passaporto.
Qual passaporto? '
Quello da portar seco all esercito, s egli dee an
dare a casa. Tu va dentro.
Buon viaggio.
Sta sano.
Grazie a Dio le; mie faccende han messo buone
barbe, allorch io ho compero dal bottino questi due
daquestori! Se piace a Dio ho cavato di servit il
figliuolo! e togli che sono stato gran pezza tenzo
nando se dovessi comprarli o no! Voi altri servi
guardate costui, che mai senza custode non spicchi
pi fuor di casa. Io sar qui a momenti: ora da
mio fratello visiter gli altri miei prigioni richie
dendoli se v abbia alcuno che conosca cotal gio
vane. Vienne meco tu, se vuoi andartene, che
anzi tutto vo' distrigarmi di questo.

J C T V S III.
SCENA

1.

E rg as iLvs.
E rg. Miser homo est, qui ipsus sibi,, quod edit, quaerit,

et id aegre invcnilj
Sed ille est miserior, qui et aegre querit et nihil in
venit;
Ille miserrumust, qui, quom cupit esse qud edit,
non habet.
Nam hercle ego huic die, si liceat, oculos etfodiam
lubens:
Ita malignitate oneravit omnis mortalis mihij
ISeque jejuniosiorem, nec magis eefertum fame,
Fidi-, nec qui minus procedat, quidquid facere occe
peris:
Ita venter gutlurque resident esuriales ferias,
llicet parasiticae arti maxumam in malam crucem:
Ita juventus jam ridiculos inopes ab se segregat.
N il morantur jam Laconas im i stibselli viros
Plagipatidas, quibus sunt verba sine penu et pecunia;
Eos requirunt, qui lubenter qiiom ederint, reddant
domi.
Ipsi obsonant, quae parasitorum ante erat provincia;
Ipsi de foro tam aperto capite ad lenones eunt,
Quam in tribu sontis aperto capite condemnant reos
Neque ridiculos jam termici faciunt; sese omnes
amant.

ATTO III.
SCENA I.
E rgasilo.

meschino colui che cercasi il mangiare e trovalo eoa


istento, ma lo dieci volte pi chi, affannandosi in
cercarlo, nulla vede., ma sopra tutti meschino colui
che vergendo la fame in aria non ha un catollo
da ficcarsi in bocca. Canchero! fossemi lecito, e
io caverei gli occhi a questo d, che m ha rovi
nata addosso tutta la cattiveria degli uomini! Non
ho mai vista faccia d uomo pi allampanata e spa
ruta dalla fame, n un tale cui dia in cenci tutto
che imprenda: e cos ventre e gola mi fanno le fila.
Oh vada al diavolo l arte parasitica! tropp>o la
giovent doggi schifa i poveri buffoni. Un minuto
non si fermano a questi sparianetli da bastone, che
altro non hanno se lingua, fame, e scusso borsello!
Yuotu sapere a chi si fa invito? A chi, stato oggi
1
invitato, domani rimerita il pasto. La spesa se la
fanno essi, mettendo cos a man bassa la provin
cia deparasiti., e',a faccia franca, quando vengono
di piazza, se la corrono a ruffiani, come usano
innanzi al tribunale in condannare i ribaldi. Fanno
quel conto de buffoni come di quel pi che'non
hanno, tatti pensano a s. Imperciocch appena ia

Nam ut dudum hinc abivi, accessi ad adulescentes


in foro,Salvete, inquam. Quo imus nam, inquam, ad pran
dium? Jlque illi tacent.
Quis ait Huc, aut qui profitetur? inquam.
Quasi muli silent,
Neque me rident. Ubi coenamus? inquam. Jtque il
lice abnuont.
Dico unum lidiculum dictum dictis.de melioribus,
Quibus solebam menstrualis epulas anle apiscier.
Nemo ridet. Scivi extemplo,. rem de conpaclo geri.
Ne canem quidem inritatam voluit quisquam im itarier.
Saltem, si non adtiderent, dentis ut restringerent.
Abeo ab illis, postquam video, me sic ludificariers
Pergo ad alios, venio ad alios, deinde ad alios:
una res,Omnes conpaclo rem agunt, quasi iit (9J Velabro
olearii.
Nunc cedeo inde, quoniam me Uti video ludificarier.
item alii parasiti frustra obambulabant in foro.
Nunc barbarica lege certum est jus meum omne
persequi:
Qui concilium iniere, qui nos victu et vila prohibeant,
His diem dicam: inrogabo multam, ut mihi coenas
decem
j|feo arbitratu dent, quom cara annona sit. Sic egero.
Nunc ibo ad portum hinc: est m i illic una spes coenaticaj
S i ea decolabit, redibo huc ad senem ad coenam
asperam.

ss
me ne sono andato via di qui, mi son stretto alle
coste di certi giovani: ohe addio, dissi loro, dove
moviamo a pranzo? e quelli? statue. Chi dice
qua chi si offre? e quelli? mutoli, nessun ride.
Dove ceniamo? dico io, e quelli mi pagano duna
scrollata di capo. Dico un motto, ma di que va
gliati, co*quali una volta trovavasi dalzar il fianco
un buon mese, nessun ghigna. Non brigai ad accor
germi eh e s erano tra loro spartito il sale, ma
neppur fuvvi alcuno che far volesse il cane, il quale,
se izzato non adula, digrigna. Veggendomi uccellare,
li pianto; affronto altri ed altri ancora, la stessa
tragedia: tutti sono in concordia come gli olian
doli di Velabro. Di l me ne traggo cos schernito.
Anche gli altri parasiti van pianeggiando; ma ora
per la legge barbara me la voglio far valere, vo
riavere i miei diritti, n porr richiamo, porr
loro una multa dalla quale mi deono venir dieci
cene a mio capriccio, quando la fame sar a buon
prezzo. Adesso vado in porto: l mi sfavilla un
po di speranza; se anche questa mi muore, ritorno
a brocchi del vecchio.

lin c io .

Quid est suaviusy quam bene rem gerere


Bono ptiblico, sicut ego feci
litr i, quom emi hosce homines?
Ubi quisque vidents eunt obviam gralulanturque eam
rem:
Ita me miserum restitando retinendoque lassum red
diderunt.
Vix et gratulando miser jam

eminebam.; tandem
abii ad prelorem;

Ibi vix requievi.


Rogo syngraphum; datur; eloco do Ttjndaro; ille
abiit domum.
Postquam id actiim j a d fra tre m

eo protinuSj m ei

ubi sunt alii captivi;


Rogo, Philocratemne ex Alide ecquis omnium 11 orit?
Jlic exclamatj eum sibi esse sodalem; dico, eum es
se apud me;
Hic extemplo orat obsecralquc, eum sibi ut liceat
videre:
Jussi eloco hunc exsolvi. Nunc tu sequere me, uti,
quod me
Oravisti^ inpetres, eum hominem uti convenias.

E gi one.

Che cosa v ha pi dolce del giovare a' proprii negozii


e alla repubblica? cosi m intravenne jeri compe
rando questi uomini. Appena oggi alcuno mi vede,
volaflji incontro., e meco allegrasi di questa ven
tura. Oh poveretto a me che dal tanto

fer

marmi e tenermi tutti son venuto s stracco! tristo


a me! in mezzo a tante allegrezze facea fatica in
raccor 1 alito! finalmente fui al pretore, ivi ripo
satomi un pochetto; domando il passaporto, tosto
il rimetto a Tindaro, e quegli via a casa sua. Ci
fatto, corro subito dal fratello dove son gli altri
miei prigioni, dimando: non v alcuno dElide
che conosca Filocrate? Rompe costui, ed accertami
essergli amico; e dettogli quello essere appo me,
costui mi fa mille istanze glielo faccia vedere; e s
l ho fatto sciogliere. Or via adunque seguimi, se
vuoi quello che mi haj detto, se vuoi salutar que
st uomo.

TrNDRVS.

Nunc tilud est, quom me fuisse, quam esse, nimio


maveliml
JVunc spes, opes auxiliaque a me segregant sper. nunlque se!
Eie ille est dies, quom nulla vitae meae salus sperabilist
Neque exilium (iQJ exitio est, neque adeo spes, qua e
/lune m i aspellat metum!
Nec sycophantiis, nec fucis, ullum mantellum ob
viam estj
Neque deprecatio perfidiis meis, nec malefactis fu
ga estj
Nec confidentiae usquam hospitium est, nec dever
ticulum dolis!
Operta quae fuere, aperta' sunt! patent praestigiae!
Omnis res palam est, neque de hac re negotium est
pol, qtiin male occi
dam oppetamque peslem ja m heri vicem meamque!
Perdidit me Arislophontes hic, qui modo intro venit:
Is me novitj is sodalis est Philocrati et cognatus;
Neque jam Salus servare, si volt, me potest, nec
copia est,
N isi si aliquam corde machinor astutiam.
Quamquam, malum, quid machiner? quid conminiscar?
Mqxumas nugas inepliasque incepissef Haereo.

T<hdaro.

Or io trovomi in termini che torrei pi volentieri lesser


mrto che vivo! Speranze, ajuti, soccorsi mi fal
liscono tatti, e mi fan le fiche; questo il d eh
peccato sperarmi salvo! La morte non si orrida,
molto pi non avendo speranza che mi tolga que
sto affanno; n so farmi un gabbano di trappole,
n le preghiere mi ponno cansare la pena delle
mie perfdie e bugie. Io non so fidanza che m ab
bia a prendere, da che lato m abbia a volgere.

Son rotti i sigilli: gli imbrogli sono scoperti! tutto


pi chiaro del d, e niente per me Vha pi certo

se non ch io muoja di mala morte, pagando il fio


defalli miei e del padrone. Mi ha assassinato questo
Aristofonte che venne non ha molto in casa: sa egli
chio sia, conosce FUocrate; gli amico e cogna
to: anche la Salute se volesse salvarmi caverebbe
sangue dal muro, purch'io non trovassi qualcTre
partito! Ma domine, che ho da pensare? che fanta
sticare? Son ciancie! son baje! io son fritto.

JLeg io , T y n d a r is > A risto ph o n tes , L o r a r ii .


H eg. Quo illum m in e hom inem proripuisse foras se d i
cam ex aedibus?
T y n . N unc enimvero occidi! eunt ad te hostes, T yndare!
Quid loquar? quid fabulabor?

quid

negabo, aut
quid fatebr?

Mihi in incerto sita res omnis est! quid rebus meis


confidam ?

Utinam te di prius perderent, quam periisti e patria tua,


A ristophontes, qui ex parata rem inparatam omnem
facis!
Occisa est haec res, nisi reperto atrocem m i ali
quam astutiam ,
H eg . Sequere. H em tibi hom inem ! adi atque adloquere.
T rN .Q u is hom o est m e hom inum m iserior?
A r i . Quid istuc est, quod meos te dicam fugitare oculosj

Tyndare,
Proque ignoto me adspernari, quasi me nunquam
noveris?

Equidem tam sum servos, quam tu, etsi egodomiliberfui,


Tu usque a puero servitutem servivisti in Alide.
II eg . Edepol miror mitiume, is si te fugitat aut oculos iuosy
Aut si te odit, qui istum adpelles Tyndarum pro
Philocratc.
T vN .H egio, hic hom o rabiosus habitus est in Alide:

Ne tu, quod istic fabuletur, auris inmtltas tuas:


Nam istic hastis insectatus est domi matrem et patrem,
Et illic isti, qui insputatur, f i i J morbus interdum venit.
Proin tu ab istoc procul recedas,

E gione, T indaro, Aristofonte, L orarii.


E gi.

Tra.

E gi.

Ti.
Ari.

E gi.

Tij(.

Doive, diacine, dovr dire egli siasi cacciato fuori


colui?
Or io son morto! levansi contro te, o Tindaro, i
nemici! che dir? che ragie trover io? che ne
gher o che cosa confesser i mai? Tutto mi ten
tenna! in che luogo riporr la mia fiducia? Ti; fossi
rotto il collo, o Aristofonte, prima di perder la
patria, imperciocch m hai ogni cosa, da fatta
eh ella era, messa a soqquadro! tutto sconfitto,
sio non mi trovo un partito da disperato.
Seguimi. Eccoti 1 uomo, fattigli avanti, e parla.
Chi pi sgraziato di me?
Che questo, o Tindaro, perch mi scansi tu?
perch fai niun conto di me quasi non m avessi
veduto mai? E si per Bacco chJ io son servo com
se tu, sebben io fossi stato libero a casa mia, laddove
tu fosti fin da fantino servo in Elide.
Poffar il mondo! non trasecolo io se teco cos
schifiltoso, o se ti ha in uggia, dappoi che lo chia
mi Tindaro invece di Filocrate,
Quest uomo, Egione, in Elide avuto maniaco;
siate cauto a non prestar fede alle sue lappole.
. Costui in casa corse dietro con una labarda in mano
al padre e alla madre, e tavolta soprapprcso da
quel male che muove gli sputi. In somma falevegli
lontano.

62
H eg .
A r i.

Ultro isinm a m e!

Ain> verbero,
Me rabiosum? atque insectatum esse hastis meum
memoras patrem,
Et eum morbum m i essef ut qui med opus sit insputarier?

H eg . Ne verere: m ullos iste m orbus hom ines m acerat,


Quibus insputari saluti fuit, atque ibus (\% ) profuit.
A r i . Quid tu autem ? etiam huic credis?
H eg .
Quid ego credam huic?

Insanum esse me.


Tri*. Viden tu hunc, quam inimico vollu intuitur? Con
cedi optumum est*
Hegio: fit, quod tibi dixi: gliscit rabies: cave tibi!
H eg . Credidi esse insanum extemplo, ubi te adpellavit
Tyndarum.
A r i.

T r if.Q u in

suom ipse interdum

ignorat nom en,

neque

scit, qui siet.


H eg . N a m etiam te suom sodalem esse aibat.

Haud vidi magis/


Et quidem Alcmaeus atque Orestes et Lycurgus postea
Una m i opera sunt sodales, qua iste.
A r i.
A t etiam, furcifer,
Male mihi loqui audes? non te ego novi!
H eg .
Pol planum id quidem est,
Non novisse, qui istum adpelles Tyndarum pro Phi T yn.

locrate.

Quem vides, ignorasj illum nominas, quem non vides.


A r i . Imo iste cum sese ait, qui non est, esses et, qui vero
est, negat.
'Ty k . Tu enim repertus, Philocratem qui superes veriverbio!

E gi.

Fatemelo pi l.

Ari.

Come, capestro, tu di eh io son maniaco? eh io


ho perseguitato mio padre con una labarda? e chio
son preso da tal m alanno d abbisognare degli spu
tacchi altrui?

E gi.

Non temere: tal morbo m acera molti; e a questi

Ari.

E voi, gli credete, voi?

E gi.
Ari.

E che gli credo io?


Ch< i sia pazzo.
Non vedete come guarda cagnesco egli? II miglior
partito cavarsela: Egione, e d ne lumi come
v ho detto, la rabbia comincia, guardatevene!
Men sono subito accorto che gli girava il filalojo,
udendolo chiamarti Tindaro,
Anzi talor talora sdimentica il proprio nome, n sa
che diamine egli si sia.

l ' aver loro sputato addosso torn assai bene.

Tra.

E gi.

T ih.
E gi.

Eppure contava test che gli eri amico.

Tin.

Amicissimo! come mel sono Almeone, Oreste e Li


curgo.

Ari.

E p u r duri, manigoldo, in dirmi villania? io non


t ho mai consciuto, io?

E gi.

Ma qual
cio che
Tindaro
conosci,

maglio pu rificcar meglio questo chiodo,


tu non lo abbi veduto mai? tu il chiami
invece di Filocrate: chi hai davanti non
e chiami chi non hai.

Ari.

Oh to ' qua 1 uomo che vuol essere chi non , e


dinega d 'essere chi prprio in carne ed ossa.

Tm.

Vedi T uomo che vuol sgarar Filocrate in dire il


vero!

'Ar i .P ol; ego ut rem video, tu inventus, vera vanitudine


Qui convincas! Sed, quaeso hercle, agedum, adspice
ad me!
TrN .
Hem!
A r i.
Dic modo:
Tyndarum, esse negas? ,
TrN .
Nego inquam.
A r i.
Turi te Pliilocralem esse ais?
TiN.Ego, inquam.
A r i.
Tune huiic credis?
H eg.
,
Plus quidem, quam tibi aut mihi:
Nam ille quidem, quem tu esse hunc memoras, hodie
hinc abiit Alidem
A d patrem hujus.
Ani.
Quem patrem, qui servos est?
TrN. :
Et tu quidem.
Servos, et liber fuistij et ego me confido fore,
Si hujus huc reconciliasso in libertatem filium.
Ani.Quid ais, furcifer? teri gnatum icte memoras liberum?
TrN .N on equidem me Liberum, (13) sed Philocratcm,
esse ajo quidem.
A r i . Ut scelestus, Hegio, nunc iste te ludos facit!
Nam is est servos ipse, neque praeter eum quisquam
eii fuit.
T r a .Quia tute ipse eges in patria, nec tibi, qui vivas,
domi est,
Orunis inveniri similis tibi vis. Non mirum facis:,
Miserorum est, ut malevolentes sint atque invideant
bonis.
A r i . Hegio, vide, sis, ne quid tu huic temere insistas
credere!
Atque, ut perspicio, profecto jam aliquid pugnae dedit:

Ani.

Anzi, se ben mi dico gli occhi, s trovato


te chi per lanterne vuol dar lucciolel

in

Ma ors,

guardami fiso.
T in.

Eccomi.

Ari .

Parla: tu non vuoi esser Tindaro?

T in,

Non voglio.

Ari .

E vuoi esser Filocrate?

T in.

Certo.

Ar i.

E la bevete voi?

E gi.

Pi a lui m affido che a te e a me: imperciocch


quello, che tu vuoi sia costui, oggi se ne andato
in Elide al padre di questo.

Ari .

Qual padre, s egli servo?

T in.

E servo se anche tu sebben sii stato libero, e tal


credo di ritornarmi anch io, se mi riesce ricuperare
a costui qua franco il figliuolo.

Ar i .

Che narri, o forca? tu vuoi spacciarli libero di

T in.

Io non voglio esser Libero, ma dico d esser Filo

nascita?
crate.
Ar i .

Come vi agguindola il ribaldo, o Egione! concissiach questi quello istesso servo, oltre H quale F i
locrate non ne ha avuto mai.

T ir .

Perch in patria tu se uno spiantatcllo e non hai


tanto da vivere, vorresti trovar in ogni paese i tuoi
simili. Non fai cosa nuova: de bindoli l esser ma
levoli, e il digrignare agli uomini dabbene.

Ari .

F ate a modo mio, Egione, se pur vi piace; non ve


ne state s bonariamente inchiodato alle parole di
costui: conciosslach, a quanto me ne pare, e non
V ha fatta piccola breccia: che costui v* abbia a re V ot. III. P laut.

Filium tuom quod se redimere ait, id ne utiquam


mihi placet.
T r N .S c io , te id n o lle j i e r i ; e c fic ia m tamen ego id , s i d i
adjuvant:

Illum restituam huic, hic autem in Alidem me meo


patri.
Propterea ad patrem hinc amisi Tyndarum.
A ri.
Quin Ulle is es,
Neque praeter te in Alide ullus servos istoc nomine
est.
Ti

n . P ergin',

servom

m e exprobra re

esse, id,

quod vi

hostili obtigit?
Ani. Enim ja m nequeo contineri.
TrN.
Heus tu, audin, quid ait? quin fugis?
Ja m illic hie nos insectabit lapidibus, nisi illune
jubes
Conprehendi,
Ani.
Crucior/
Ti n .
Ardent oculi: fune opus, Hegiol
Fider tu, illi maculari corpus tolum maculis luridis?
Atra bilis agitat hominem! '
Ani.
At pol te, si hic sapiat senex,
Atra pix agitet apud carnuficem, tuoque capiti
in luceat!
T r N .J a m deliramenta loquitur: lartiae stimulant virum.
HEG.Hercle quid, si hunc conprehendi jusserim ?

TrN.
Sapias magis.
Ani. Crucior, lapidem non habere me, ut illi mastigiaeCerebrum excutiam, qui me insanum verbis con
cinnat suisf
$ rN. Audin , lapidem quaeritare?

dmere il figlio la noil mi va

a vanga punto n

poco.
'Fin.

So bene che tu ne se avverso; ma e il far, se mel


consentono gl iddii: lui restituir io qui, e costui
me in Elide al padre mio: per questo io ho man
dato a mio padre Tindaro.

Ar i .

Che non sei tu quello: Elide non ha altro servo


fuor te di questo nome.

T is.

E perfidii ancora a

chiamarmi servo, perch cos

m* hanno fatto i nemici?


Ari.

Non posso pi tenermi.

Tra.

Uba, noi sentite voi? e che non raschiate via? co


stui ci tirer una baldoria di sassi, se non lo fate
metter ne ferri.

Ari.

Tu*.

Arrabbio.

Ila gli occhi di bragia, Egione! cortla, abbisogna,


corda; non vedete voi come allividisce tutto: que
st uomo investito dall* atra bile.

Ari.

Anzi -per Dio, se questo buon vecchio far senno,


te investir la pegola nelle mani del boja e man
derai vampe da questo tuo capaccio.

T in.

Ei farnetica! travasato dalle furie!

E gi.

E che s io lo fo legare?

Tm.

Mostrarete giudizio.

Ari.

Mi sento cuocere dalla rabbia! perche non ho un


sasso da sfracellare il cervello a questo impiccato,
che mi d tanto del pazzo in capo.

T in.

E noi sentite voi eh egli cerca un sasso?

A r i.

Solus te solum volo,

JIegio.
Istinc loquere, si quid vis: procul tamen audiam.
T rN . Namque edepol si adbites propius, os denasabit libi
Mordicus.
A r i.
Neque pol med insanum, Hegio, esse creduis,
Neque fuisse unquam, neque esse morbum, quem
istic aulumatj
Ferum si quid meluis a me, jube me vinciri. Folo,
Dum istic itidem vinciatur.

H eg .

T rN .

Im o enimvero, n eg io ,

Istic, qui volt, vinciatur.


Tace modo! ego te, Philocrates
False, faciam , ut verus hodie reperiare Tijndarusl
Quid mi obnutas?
TrN.
Tibi ego obnnto?
IIeg .
Quid agat, s i . . . ?
TrN.
Absis Jongiusl
II eg . Quid ais? quid, si adeam hunc insanum?
T i n.
Nugas, ludificabiturj
Garriet, quoi neque pes unquam neque caput conpareat.
Armenia absunt: ( i 5) Ajacem, hunc quom vides,
'
ipsum videt.
II eg . Nihili facioj tamen adibo! '
T in .
Nunc ego omnino occidi!
Nunc inter sacrum saxumque ego sto, nec, qu id .
faciam , scio!
H eg . Do tibi operam, Aiislophontes, si quid est, quod
me velis.

A r i.

Ani.

lo vorrei parlarvi da voi a voi, o Egione.

E gi.

Parla pur di l, se hai di che, io t ascolter lon


tano.

T in.

S, perch se ve gli fate pi appresso, e vi strappa


d un maladetto morso il naso.

Ar i .

Non vi succiare, Egione, chio sia pazzo, o che altre


volte stato lo sia, n che mi colga quella infer
mit che dianzi ha detto costui: ma se voi temete
di me fatemi legare; e lo voglio, purch anche a
costui si faccia la stessa cirimonia.

T in.

Egregiamente, Egione, si Leghi dach cos vuol


s

egli.
Ar i .

Taci l: far oggi, o falso Filocrate, che in te si


scopra il Vero Tindaro! a che m accenni?

T in.

A te io accenno?

E gi.

E che far se . . . ?

T in.

Tiratevi alla larga.

E gi.

Che di tu? che ne verr se mi fo pi- vicino?

T in.

Baje: vi mener

il

naso: diravvi cose

che non

han pi n gamba: mancan le pecore; ma vedete


Ajace allorch vedete costui.
E gi.

Non importa: pure me gli accoster.

Tin. . Or io son morto: or s che sto proprio tra il mar


tello e 1J incudine! che farommi adesso?
E gi.

Ora sono a te, Aristofonte, se pure mi vuoi.

J n i. Ex me audibis vera, quae mine falsa opinare, Hcgio.


Scd primum hoc med expurgare tibi voloj me in
saniam
Nequc tenere, ncque m i esse ullum

m orbum ,

nisi

quod servio.

At Ha me rex deorum alque hominum faxit patriae


conpotem, ut
Jslic Philocrates non magis est, quam aut ego, aut tu.
H eg.
Eho, dic mihi,
Quis igilur illic esi?
A r i~

Quem dudum dixi a, principio tibi.

H oc si secus reperies, nullam causam dico, quin m ihi


E t parentum et libertatis apud te deliquio siet.
H eg . Quid tu ais?
T yn.

Me tuom esse servom et te m eum herum.

H eg.

Haud istuc rogo.

Fuislin liber?
T rN .

Fui.

A r i.
T y n . Qui tu

Enim vero non fuitj nugas agit.


scis?

an 'tu fortasse

fuisti m eae

m a iri

obstetrix.

Qui id tam audacter dicere audes?


Puerum te vidi puer.
TrN.Ast ego te video m ajor majorem. Hem rursum tibi!
Meam rem ne cures, si recte facias. Num ego curo

r i.

tuam?

huic paler Thesaurochryseonicocroesides?


fuit, neque ego istuc nomen unquam audivi
ante hunc diems
Philocrali Theodoromedes fuil paler .

H E G .F u v itn e
A r i .I T o u

A r i.

Da

m e,

Egione, vero udrete quello che voi ora era-

dete falso: ma anzi gni cosa voglio farvi capace


che pazzo non sono io, n che ho altro malo ad
dosso fuor della servit nella'quale mi trovo; cosi
m avesse Giove a restituirmi la patria, come
tanto Filocrate costui come lo siamo io e Voi.
"Egi.

E dimmi adunque, chi egli?

Ari . . Lui che v ho detto pur ora. Se voi la trovassi


diversajocntc, non vi abbia misericordia per me,- te
netemi sempre appo voi casso di libert e di pa
renti.
E gi.

E tu che soggiungi?

Tiif.

Ch io son vostro servo e voi mio padrone,

E gi.

Non cerco questo: fosti libero?

Tm.

Fui.

Ar i .

No certo, egli scherza.

T in.

Guarda qua ser Tuttesalle! t ebbe in levatrice mia


madre per star si fieramente sul no?

Ari .

Eri piccin piccino, eh io piccin t ho veduto.

T in.

Ed ora che son grande io veggo te grande altret


tanto. Eccoci da capo! non ingerirti de fatti miei
eh io non mi brigo de tuoi.

E gi .

F u padre a costui Tesaurocriseonicocreside?

Ar i.

Mai no; n

in Elide ho udito nome cos fatto.

Padre di Filocrate Teodoromede.

T ra.

Perco probe!
Quiit quiescis? I dierectum, (\\) cor meum, ac su
spende tei

Tu subsultas; ego m iser vix adslo prae formidine.


H eg .S aliri istuc m ihi exquisitum est, fuisse hunc servom

in lide,
Neque esse hunc Philocralem?
A r i.

Tam satis, quam nunquam hoc invenies secus.


Sed ubi is nunc est?

Ubi ego rynume, atque ipsus se volt maxume.


Tum igitur ego deruncinatus, deartuatus, sum miser
JIujus scelesti technis, qui me, ut hibilum est, du
ctavit dolisi
Sed vide, sis!
A r i.
Quin exploratum dico et provisum hoc tibi.
I I eg . Certori?
Ani.
Quin nihil, inquam invenies magis hoc certo
certius.
Philocrates jam inde utque amicus fuit mihi a pue
ro puer.
H e g . Sed q u a facie est tuos sodalis Fhilocrafest
A r i.
Dicam tibi:
Macilento ore, naso acuto, corpore albo, oculis
nigris,
Sttbrtifus aliquantum, crispus, cincinnatus.
H eg .

I I eg .
T rN .U t

Convenit.
quidem hercle in

medium ego hodie pessume

processerim!
Vae illis virgis miseris, quae hodie in tergo mo
rientur meo!
II eg . Verba m ihi data esse video.

- Ti.

Son confitto! e che non stai fermo? va sulla forca,


cuor mio! tu batti, ed io reggomi a fatica per la
paura.

E gi.

Ho per io richiesto a pezza, essere costui stato


servo in Elide? non essere Filocrate costui?

Ari .

Cosi a pezza che per altro modo voi non 1 a vrssi potuto. Ma dov ora?

E gi.

Dove noi vorrei io, ed egli cotanto n ' marcio;


misero

a me! tutto, tutto m hanno strambcllato,

dimembrato gli inganni di questo ribaldo che nte


1

ha accoccata s bene; ma attendi un po.

Ari .

Quello, che vi dico, certo come il sole.

E gi .

Certo?

Ar i .

E si, da non ritrovar cosa pi certa. Ebbi afnico


Filocrate fin dall infanzia.

E gi.

Ma quali sono le fattezze del tuo Filocrate?

Ar i .

Dirovvelc: magro, naso aquilino, bianco

di pelle,

occhi neri, traente al rosso, capelli ricciuti e ca


denti in cincinni.
E gi.

Concorda.

T ir .

Aff di Dio che nel venir qua ho messo il pi


manco innanzi! tristo a quelle verghe che moriran
oggi sulle spalle mie!

E gi.

M accorgo che me 1' hanno apposta.

Quid cessatis, conpdes,


Currere ad mCj mcaque amplecti crura, ut vos cu
stodiam?
H e g . Saliri med illi hodie scelesti capti ceperunt dolo?
Illis. servom se adsimulabat, hic sse autem, liberum.
Nuculeum amisij reliquit pignori putamina:
Ita mihi stlido sursum vorsum os sublevere ob*
fuciis.
Hic quidem me nunquam inridebit. Colaphe, Corda lio, Corax,
Ile istinc/ ecferte lora/
L or.
Num lignatum mittimur?
Ti n.

SCENA

r.

H egio , TrN D itivs, A risto pho ntes .

Injicite actutum manicas huic mastigiae/

JIeg .

T rN .Q uid hoc est negoli? quidnam ego deliqui?


II e g .

Rogast

Sator sartorque scelerum et messor m axum e?


T y n .N ou occatorem dicere audebas prius?

Nam semper occani rustici, quam sarritintj


Prius. '
H eg .
At ut confidenter mihi contra adstitit/
TrN.Decet innocentem senom atque innoxium
Confidentem esse suom apud herum potissutnum.
H eg. Adstringile isti, suitis, vehementer manus!
T rN . Tuos sum : tu quidem has vel praecidi jube!

Sed quid hoc negoli estj quamobrem

suscenscs
m ihi7

T in.

Perch indugiate, o ferri, dal correre a me, e strin


gere le mie povere gambe, perch vi guardino?

E gi.

E non abbastanza ni infinocchiarono qile sciaurati


prigioni? quel s infingea servo., questi libero: la
scia? la noce per il mallo: me l han sonata, balordo,
ma costui non me la soner pi. Ehi Colafo, Cordalione, Corace, ite! portate le soghef

L or.

'Siam mandati per legne?


SCENA

V.

E gioKe , T indaro, Aristoponte .

E gi.

Mettete i nottolini a questo manigoldo.

T im.

Che faccenda questa? che male ho fatto io?

E gi.

Dimandasi? artefice, spargitore, ricoglitor di scelleraggini?

T in.

E non dite prima che le erpico? I villani prima


del sarchio usano 1 erpice.

E gi.

Guarda faccia che mi fa egli!

Tra.

Proprio quella del servo innocente e non colpevole


e spezialmente avanti il padrone.

E gi.

S tr ig a te g li pur bene le mani.

T in.

Son vostro: fatele anche mozzare! ma che ci?


perch tutto questo rovello contra di me?

II eg , Quia me meamque rem , quod in te uno futi,


Tuis scelestis falsidicis fallaciis
Delaceravisti, dcarluavisliqu opes.

Confecisti omnis res ac rationes meas:


Ita mi exemisti Philocratem fallaciis.
Illum esse servom credidi, te liberum:
Ita vosmet ajebatis, itaque nomina
Inter vos permutastis.
Ti n .
Fateor, omnia
Facta esse ita, ut tu dicis, et fallaciis
Abiisse eum abs te mea opera atque astutia.
An, obsecro hercle te, id nunc suscenses mihi?
H e g . Al cum cruciatu maxumo id factum est tuo.
T y n . Dum n 0 8 malefacta peream, parvi existumo.
Si ego hic peribo, atque ille, ut dixit, non redit:
At erit mi hoc facium mortuo memorabile j
Herum meum caplum ex servitute atque hostibm
Reducem fecisse liberum in patriam ad patrem,
Meumque potius me caput periculo
Praeoptavisse, quam is periret, ponere.
II eg. Fucilo ergo, ut Achemnli clueas gloria!
T y n . Qui per virtutem perbitat,

non interit,

H eg . Quando ego le exemplis excruciasso pessumis,


Alque ob sutelas tuas te m orti m iseto,

Fel te interissej vel perisse praedicent!


Dum pereas, nihil inlerduo, dicant vivere!
T y n . Pol si istuc faxis, haud sine poena feceris,
Si ille huc redibit, sicut confido adfore.

E gi.

Perch, quanto in tua malora hai potuto, colle tue


maladette tagliuole hai guasto me c ogni mia fac
cenda; in 'h a i assassinato, m ha* ogni cosa'gittata
sossopra, mhai sconvolte tutte le mie ragioni. Le
tue trancllcrie m han fatto scivolar di mano Filo
crate; lui riputava servo, te libero: di tal sorta erano
le vostre chiacchere; per questo voi altri vi siete
scambiati i nomi.

T ir .

Egli vero che tutto fu come dite voi, e che


per i miei maneggi e per le astuzie mie, quegli se
ne and: ma deh! ditemi ora per questo che mi
avete colto tutta questa ira addosso?

E gi.
T ir .

E sar col tuo malanno.


Purch non muoja colpevole non

me ne monta.

E se io lascio qua le mie ossa, e che egli non


lo ru i, siccome disse, gran lode verr al nome mio
per aver trafugato libero a casa di suo padre il
padrone, eh' era prigioniero di guerra e nell un
ghie de nemici, amando meglio porre io a ripentaglio la mia che la sua vita.
E gi.

F a in modo che questa tua gloria luca ali Ache


ronte.

T ir .

Non muore chi cade per la virt.

E gi.

Quando avr talmente cruciato

te eh altrui

ne

tragga esempio, e quando pe' tuoi inganni ti avr


tolto da vivi, dica il mondo quel che gli garba!
sii tu morto o caduto non me ne importa, purch
tu non mangi altro pane!
T ir .

In fe' mia se il farete, noi farete

senza

danno, s egli ritorna come io ho speranza.

vostro

A ri.Proli di inmortales! mine ego tcneo, nunc scio, hoc


Quid hoc sii negoti: meus sodalis Philocrales
In liberiate est ad patrem in patria. Bene est,
Neque est mihi qukquam, acque melius quoi velim.
Sed hoc mihi aegre est, me huic dedisse operam
m alam,
Qui nunc propter me meaque verba vinctus'est.
IlEG.Fetuin, te quidquam mi hodie falsum proloqui?
Tyy.Fetuisli.
H eg,
Cur es ausus mentiri mihi?
Trn.Quia vera obessent illi, quoi operam dabamj
Nunc falsu prosunt.
II eg.
At libi oberunt.
Trif.
Oplumum est!
Al herum servavi, quem senatum gaudeo,
Quoi custodem addiderat me herus m ajor meus.
Sed malene id arbitrare factum?
II e s .
Pessume.
T yn. At ego ajo Recte, qui abs te seorsum sentio:
Nam cogitato: si quis hoc gnato tuo
Tuos servos faxil, qualem haberes gratiam?
Emilleresne, necne, cum servom manu?
Esset ne apud te is servos acceptissimus?
Responde.
Heg.
Opinor.
T yn,
Cur ego iratus mihi es?
H e g . Quia illi fuisti, quam mihi, fidelior.
Tyn.Haud esse repentinas amicitias ( i l ) decet.'
Quid? tu una nocte postulavisti el die
Recens captum hominem el nuperum el novitium
Te perdocere, ut melius consulerem tibi,
Quam illi, quicum una a puero aetatem exegeram?

Ani.

Oh dei immortali! ora intendo, ora veggo che sia,


cotesto! libero Filocrate, libero 1 amico, in
patria, appresso il padre. .Me ne gode l anima
perch non ho alcuno cui meglio io voglia. Ma di
ci men sa male d essermi opposto a costui, che
ora, cagion mia, s

avvincolato dalle mie pa

role.
E gi.

E non t ho ordinato di dirmi il vero?

Tra.

Ordinato.

E gi.

E perch incalappiarmi con tante ragie?

Tra.

Perch la verit avrebbe fatto male a chi io volci


far bene. Or tornagli buono il falso.

E gi .
Tra.'

Ma colla tua peggio.


Anzi in buon pr. Salvai il padrone, ed ora che
salvo me ne allegro: a lui m avea dato custode
il padron vecchio; e voi opinate questo

un mi

sfatto?
E gi .

Capitale.

T ir .

Ed io opera m eritoria, perch la veggo diversa di


voi. Ora volgete nell animo, se alcun vostro servo
facesse la cosa istessa al figliuol vostro, a lui non
ne sapreste verun grado voi? Non lo cavereste di
servit? non vi saria egli carissimo? rispondetemi.

E gi.

F orse.

T ir .

E dunque perch tanta collera?

E gj,

Perch fosti fedele pi a lui che a me.

Tra.

L a cosa vecchia in tra gli amici nuovi. E voi?


porvi in cuore che in venti quattro ore, io'preso
di fresco, nuovo e del servire mal pratico, avessi
. ad esser pi vostro che di colui col quale vissi in
sieme sin da fanciullo?

H bg . Ergo ab eo petito gratiam islam! Ducile,

Ubi ponderosas crassas capiat compedes.


Inde ibis porro in latomias lapidarias.
Ibi quom alii octonos lapides ecfodiunt, nisi
Cotidianus sesquiopus confeceris.
Sexcentoplago nomen indetur tibi!
Ani. Per deos atque homines ego te obtestor, Hegio,
Ne tu istunc hominem perduis!
II eg .

Curabitur:

Nam noctu nervo vinctus custodibiturj


Interdiu sub terra lapides eximet.
Diu ego hunc cruciabo; non uno absolvam die.
A r i . Certumne tibi istuc?
II eg .

Non m o riri cerliust.

Abducite istum actutum ad Hippolytum fabrum:


Jubete huic crassas conpedes inpignier!
Inde extra portam ad meum libertum Cordalum
In lapicidinas facile deducius sietj
Atque hunc ita velle dicile me curarier.
Ne quid deterius huic sil, quam quoi pessume est.
T r s . Cur ego te invito salvom me esse postulem?
Periclum vitae meae tuo stat periculo.
Post mortem in morte nihil est, quod metuam,
m alij

Et si pervivo usque ad summam aetatem, tamen


Breve spatium est perferundi, quae minitas mihi.
Vale atque salvej elsi, aliter ut dicam, meres.
Tu, Arislophonles, de me ut meruisti, ita vale:
Nam mihi propter te hoc obtigit.
A ri .
Oh!
H eg .
Abducite!

E gi.

Chiedine

a lui merc. .Voi altri

traetelo ove

si

carichi di pesantissimi ferri, indi alla cava. Quivi,


quando gli, altri cavano otto massi, se tu non ne
trarrai fuori un tanto e mezzo, ti si trover un
nome che dir in buon, volgare seicento

colpi di

sferza esserti morti sulle spalle.


Ari .

Per g l iddii e per gli uomini, Egione, non per

E gi.

Oh sar guardatoi la notte custodirallo un ceppo,

dere quest uomo.


il d starassene sotterra

scavando

pietre,

buon

tempo il torm enter, n fia che dalla fatica 1 as


solva solo un di.

Ani.

E questo il pensier vostro?

E gi.

Non m si certa la

morte.

Trascinatelo subito

subito via di qua al fabbro Ippolito, ingiungetegli


ribadisca

a costui i ferri pi massicci; quindi

fuor la porta datelo nelle mani di Cordalo mio


liberto perch lo cacci nelle cave, e ditegli esser
volont mia, che costui non sia trattato meglio di
quelli che il sono malissimo.
Tm.

E io star a pregar misericordia? la mia morte


v di danno, morendo io altro male non ho a
temere; quantunque io vivessi decrepito, pure poco
ho a soffrire i minacci vostri. V assista Iddio, o
Egione, avvegnacch altramente

vi

meritiate; te

poi Aristofonte Iddio paghi della moneta che hai pa


gato me, perocch tutta questa

grandine

venuta addosso in grazia tua.


Ar i .

Uh!

E gi.

Via!
V ol. III. P la ut .

Trif. Al unum hoc quaeso', si huc rebilet Philocrales,


Ut mi ejus facias conveniundi copiam .
J I e g . Peristisj nisi jam hunc e conspectu abducilis!
T ra. Fis haec quidem hercle est, et trahi et trudi simul.
H e g . Illic est abductus recla in phtjlucam, ut dignus es.
Ego illis captivis aliis documentum daboj
Ne tale quisquam facinus incipere audeat:
Quod absque hoc esset, qui mihi hoc fecit palam,
Usque obfrenalum suis me ductarent dolis.
Nunc certum est nulli post haec quidquam credere:
Salis sum semel deceptus. Speravi miser,
Ex servitute me exemisse filium;
Ea spes elapsa est. Perdidi unum filium
Puerum quadrimum, quem mihi servos surpuit:
Neque eum servom unquam reper, neque filium;
Major potitus hostium est. Quod hoc est scelus?
Quasi in orbitatem liberos produxerim!
Sequere hac: reducam te, ubi fuisli. Neminis
Misereri certum est, quia mei miseret neminem.
A si. Exauspicavi ex vinclisj nunc intellego
Redauspioandum esse in catenas denuo.

T in.

Ma deh, siatemi cortese di questo, so ritorna F i


locrate, fatemela vedere.

E gi.

Vi dar il malanno se non me lo tirate gi degli

Tra.

Questa violenza, 1 esser tratto e percosso.

E gi.

Quegli direttamente tolto di qua per alle latomie

occhi.

come n degno: cotesto un documento agli altri


prigioni, acci di queste ribalderie pi non ne
attentino, ch, se non fosse stato costui ad aprirmi
gli occhi, i mi troverei bufalo ancora. Ora ho fermo
credere a nessuno, scottato una volta dalla calda
temo lacqua fredda. Misero a rnel era pieno di buo
na speranza d aver tratto di servit il figlio, e la
speranza m fallita. N ho perduto uno di quattro
'

anni grancitomi da un servo d ancora visto non


ho n servo n figlio; il pi grande percosse nel
nemico, qual scelleratezza questa? ridurmi come se
non avessi ingenerato figliuoli! Vienne meco che ti
ritorner dove t ho tolto: Misericordia a nessuno,
dappoich nessuno 1 ha con me.
Ar i .

Trassi auspici quand era fuori, or veggo che ho


da trarne ancora ne ferri.

ACTUS IV.
SCENA

I.

E hgasiws.
Jupiler supreme, servas me measque auges opes!
Maxumas opimilales opiparasque obfer mifrij
Laudem, lucrttm, ludum, jocum, feslivilalem, fe
rias,
Pompam, penum, potationes, saturitatem, gaudium,Sine sacris hereditatem fiS J sum aplus ecferlissumamj
Nec quoiquam homini supplicare me nunc esi cer
tum mihi:
Nam vel prodesse amico possim , vel inimicum per
dere:
Ita liic me amoenitate amoena amoenus oneravit
dies!
Nunc ad senem cursum capessam hunc Regionem,
quoi boni
Tantum adfero, quantum ipsus a dis optat, alque
etiam amplias.
Nunc certa res esi: eodem pacto, ut Comici servi
solent,
Coniciam in collum pallium: primo ex med hanc
rem ut audiatj
Speroque me ob hunc nuntium aeternum adeptuivm cibum.

ATTO IV.
SCENA

I.

E rgasilo.
Gran Giove0 tu mi vuoi salvo, tu mi vuoi ricco! tu
mi dai roba in chiocca, lode, guadagno., piacere,
giuoco, allegria, feste, pompa, tu m 'apri le cantine
le dispense per farmi torre delle buone satolle, senza
m olestia mi venne una abbondevlissima eredit, e
io ho gi fermo di non mi voler gittare alle gi
nocchia di chicchessia, perch posso e giovar l a
mico, e rovinar del mondo chi mi ha in odio. Oh
quanta gioja mi ha carico addosso questo bel d !
Or io mi caccio la via tra gambe per ire a questo
vecchio Egione, cui io apporter tanti beni, quanti/
e di pi egli non ne aspetta dagli dei immortali. L ho
fatto il mio consiglio: vo far il servo da commedia,
mi caccer il mantello sul collo: vo essere il pri
mo a consolarlo di questa novella, e spero

che

tal notizia la mi dar da macinare in eterno a


due palmenti.

H egio , E r g js il v s .
H eg . Quanto in pectore hanc meo magis rem voluto,

Tanto mi aegriludo auctior est in animo,


Ad illum modum sublitum os esse mi hodiej
Neque perspicere quivi.
Quod qnom scibitur, per urbcm inridebor;
Quom extemplo ad forum advenero, omnes loquentur:
Hic ille est senex doctus, f i 9) quoi verba data sunl!
Sed Ergnsilus esine hic, procul quem video?
Conlecto quidem est pallio. Quidnam acturust?
E rg. Move abs te moram , alque, Er'gasile, age hanc rem.
Eminor interminorque, ne qui obstiterit mi obviam ,
Nisi qui sal diu vixisse sese homo arbilrabilur:
Nam qui obstiterit, ore sistet.
- H eg.
Hic homo pugilatum incipit.
E rg. Facere certum.est. Proinde ut omnes itinera insistant
sua,
Nec quis in hanc plateam negoli conferat quidquam
s t r i:

Nam metts est balista pugnas, cubilus catapulta est mihi,


llum em s ariesj tum genu ut quemque icero, ad ter
ram daboj
Dentilegos omnis mortalis faciam , quemque obfendero.
II eg . Quae illaec eminatio est nam? nequeo m irari salis.
E rg. Qui m i in cursu obstiterit, faxo vitae is extemplo
obstiterit sael '
Faciam , ut hujus die locique meique semper memi
nerit/

E gione, E rgasilo .

E gi.

Quanto pi io vi sto sopra tanto pi mi sento tra


panare il cuore del vedermi sbottoneggiato in que
sta maniera, senza che potessi addarmene. Quando
si risapr la tresca verr io la storia della citt,
e appena metter piede in piazza, tutti bisbigli e ranno: vello l quel bel scaltrito di vecchio che fu si
bene tolto in barca. Ma Ergasilo ch io veggo
dalla lunge? egli ha raccolto il tabarro, che vorr
egli?

E rg.

tempo Ergasilo che 4:u esca di passo e badi ai


fatti tuoi: ordino e fo anche minaccie affinch al
cuno non mi venga tra piedi, se pur egli non
crede d aver abbastanza mangiato pane, imper
ciocch a chi mi si para dinanzi questo suo
grugno.

E gi.

L uomo vuol fare alla lotta.

E rg.

Io v far cos. Ognuno tenga la sua via, n ingombcri questa piazza con

qualche bazzica: imper

ciocch il mio pugno una balista, una catapulta


il gombito, un ariete la spalla: e s io col ginocchio
tocco,qualcuno, tosto lo sfracello a terra; racco
glieranno i denti quanti mi terranno il passo.
E gi.

Che spampani son questi? non so abbastanza ma


ravigliarmene.

E rg.

Chi mi impaccia la strada lo far spacciare dal


mondo! sar pensicr mio eh e si ricordi sempre
di questo d, del luogo e della persona mia.

H e g . Quid

liic homo tantum incipissit facere cum tantis


minis?
E rg . Prius edico, ne quis propter culpam capiatur suam:
Continete vos domi! prohibete a vobis vim meam!
II e g . 3Iira edepol sunt, ni hic in ventrem, sumsit confi
dentiam.
Vae misero ilii, cujus cibo iste factus est inpensior!
E rg . Tum pistores scrophipasci, furfuri qui. alunt sues,
Quarum odore praeterire nemo pistrinum potest,
Eorum si quojusquam scropham in publico con
spexero,
Ipsis ex dominis meis pugnis exculcabo furfures!
II eg . Basilicas edictiones atque imperiosas habet:
Salur homo eslj habet profecto in ventre confiden
tiam.
E r g . Tum piscatores, qui praebent populo piscis foetidos.
Qui advehuntur quadrupedanti crucianti cauterio,
Quorum odos subbasilicanos omnis abigit in forum:
Eis ego ora verberabo sirpiclis piscariis:
Ut sciant, alieno naso qua.m exhibeant molestiam.
Tum la n ii . autem, qui concinnant liberis orba
ovis,
Qui locant caedundos agnos, el duplo agninam
danunt,
Qui petroni nomen indunt verveci sed atio;
Eum ego si in via petronem publica conspexero,
Et petronem et dominum reddam mortalis miserrumos.
*rEG.Euge, edictiones aedilitias hic habet quidem;

Mirumque adeo est, ni sibi fecere hunc Je lo li {20J


Jgoranvmurn ,

E gi.

Diamine! . c che vuol imprender con tante minacce!

E rg.

Anzi ogni cosa, egli acci che niuno per sua colpa
trovi il malanno, grido: tenetevi in casa! cansatevi
dalla mia collera!

E ci.

Io ne vado, in visibilio

di tanta bravura, se pur

non gli sbuca dalla pancia. Tristo a colui, alle cui


spese costui venne s spavaldo!
E rg.

- E que fornaj che tengono

scrofe,

ingrassandole

di crusca, per la puzza delle quali niuno pu pas


sar dalla m acina; s io m incontro in qualche troja,
scam ater ben io a suoh di garontoli i padroni,
tanto che n ha da saltar fuori la forfora.
E gi.

Poh questi son comandi da re: 1 uomo ciompo!

E rg.

tanta bravura vien dalla ventroja.


que pescatori

che mettono

su banchi

i pesci

m arci: e quelli clic vengono a cavallo di certi ro zzon pieni di guidaresclii, il lezzo de quali fa scap
p ar in piazza

que che

stan sotto la basilica, io

dar loro nel muso i giunchi pescherecci, affinch


sappiano

di che puzza consolino i nasi

degli al

tri. E s i beccai che fan orfani dT figli le pecore,

. e que che danno ad ammazzare gli agnelli, e ne


fan pagare il doppio la carne, que che dan nome
di mannerino al montone, io se ne trovo qualcuno
di questi nella via, roviner

e la bestia e il pa

drone.
E gi.

Evviva! costui la fa come un Edile; ed mirabile


che

gli Etoli

uomo.

non 1 abbiamo

eletto

in

A gor-

E rg.N on ego nunc parasitus sum, sed regum rex regalior.

Tantus veniri conmealus meo adest in portu cibus.


Sed ego cesso hunc Hegionem onerare laetitia senem ,
Qui homine hominum adaeque nemo vivit fortu
natior?
H eg . Quae illaec est laetitia, quam illic laetus largitur
mihi?
E rg. Heus, ubi estis? ecquis hic esi?

ecquis hoc aperit

ostium?
H eg . Hic homo ad coenam recipit se d med.
E rg.

A perite hasce ambas foris,


Priusquam pullando assulatim foribus exilium adferot

HEG.Perlubet hunc hom inem conloqui. Ergasile/

Ergasilum qui vocat?

E rg.
H eg . Respice.

Fortuna quod tibi nec facit nec faciet,


Hoc me jubes? Sed qui est?
H eg .
Respice ad med: Hegio sum.
E r<s.
Oh,
Quantum est hominum optumorum optume, in tem
pore advenisl
E rg:

H eg . Nescio quem ad portum

natius es, ubi coenes: eo

fastidis.
E rg. Cedo manm!
H eg .

M anum ?

Manum, inquam, cedo luam actutum/


Tene.

E rg.
H eg .
E rg. Gaude!
H eg .

Quid ego gaudeam ?

Quia ego impero. Age, gaude modo/


II eg . Pol moerores mi antevortunt gaudiis.

E rg.

E ro.

Or io non' sono un parasito, ma un re e re di co


rona, cotanta vettovaglia venne nel porto per que
sta mia capanna. Ma a che pi stento io questa
letizia a Egione, di cui non ha il mondo uomo
pi fortunato?

E gi.

E che letizia quella che vuol darmi egli?

E rg.

Ohe! dove siete? chi qua? chi m apre questa


porta?

E gi.
E rg.

Quest uomo viene a cena da me.


Spalancatemi quest uscio, se no io Io fo volar in
scheggiole sino al cielo!

E gi.

Io voglio parlargli. Ergasilo!

E ro.

Chi chiama Ergasilo?

E gi.

Volgiti.

E rg.

Quello che a te n fa, n far mai la fortuna vuoi


tu da me? ma chi qua?

E gi.

Volgiti a me: sono Egione.

E rg.

Oh cima del fior de galantuomini! Iddio mi ti ha


mandato.

E gi.

Non so chi tu abbi veduto al porto che ti sgrinzi


il ventre, per farmi tanto lo schifiltoso.

E rg.

Dammi la mano.

E gl

L a mano?

E rg.

L a mano, si, la mano, dammella subito.

E gi.

Eccotela.

E rg.

Sta allegro?

E gi.

Allegro?

E r<*.

Allegro, allegro: lo voglio io.

E gl

Ma ho pi fiele che dolce.

E rg.

Nolo ila sietf

Ja m ego ex corpore exigam omnis maculas moe


rorum tibi!
Gaude audacter!
I I eg .
Gaudeo, etsi nil scio, quod gaudeam ,
E rg. Bene facis. Jube . . .
II eg .

Quid jubeam ?

Ignem ingentem fieri.

E rg.
H eg . Ignem ingentem?
E rg.

Ita dico: m agnus ut sit.

Heg.

Quid, volturi? me
Tuan causa aedis incensurum censes?
E rg.
Noli i r ascier.
Ju ben , an non jubes, adslitui aulas, patinas elui,
Laridum alque epulas foveri foviculis ferventibus,
Alium piscis praestinatum abire . * .
II eg ,
Hic vigilans somniat.
E rg. Alium porcinam,alque'agninam et pullos gallinaceos...
I I eg . Scis bene esse, si sit unde.
E rg.
Pernas alque ophlhalmiam.
Horaeum, scombrum el trugonem el celum et mol
lem caseum?
HEG.Nominandi istorum tibi erit mage quam edundi copia
H ic apud m e, Ergasile.

M eanm e causa hoc censes dicere?

E rg.

II eg . Nec nil hodie hic, nec mullo plus tu edes (ne frtislra
siesj :
P roin' tu tui quotidiani victi venirem ad m e adferas.
E rg. Quia ita faciam , ut itile cupias facere sum lum , etsi

ego velem.
Heg.E ijohc?

E rg.

Non voglio. Or io ti scppelir ogn ombra d affan


no! sfattene allegro!

E gi.

E me ne sto, sebben non mi sappia di che.

E rg.

Egregiamente. Comanda . . .

E g i.

Che?

E rg.

Un gran fuoco.

E gi.

Un gran fuoco?

E rg.

Dico cos, perch voglio sia altissimo.

E gi.

E che, o nibbiaccio, vuoi eh io mandi in fiamma


la easa?

E rq.

Non t adirare. Ordini o no che mcttansi a fuoco


le pentole, che si lavino i piatti, e che si mettano
le vivande a fornello, e che altri vada a formare il
pesce . . .

E gi.

Costui sogna ad occhi aperti.

E rg.

Altri il majale, il castrato,, i polli . . .

E gi.

Ben so denti che sono i tuoi, se hai chi te li


aguzza..

E rg.

Prosciutto, occhiate, tonno, scombro, pastinache,

E gi.

Ben tu di queste magnificaggini potrai parlarne in

E rg.

E ere tu eh io dica questo per me?

balena e cacio fresco?


casa mia, o Ergasilo, ma goderne, giammai.
Eoi.

In casa mia, o Ergasilo, affinch tu non vi cam


mini dentro a occhi come il lupo, oggi non man
gerai n nulla n molto, e perci portaci den
tro una pancia come in casa tua.

E rg.

Ed anzi far s che tu desideri scialarla sebben io


noi yoglia,

E gi.

Io?

94

Tu nae.
H eg.
Tum lu mi gilur liertis es.
E rg.
Im o bene volens.
Fin te faciam forlunalum?
H eg.
Malim; quam miserum quidem.
E rg . Cedo manumt
Hem manum!
H eg.
E rg .
Di te omnes adjuvant!
E

rg .

N il sentio

H eg.
E r g . Non

enim es in senticelo: eo non senlis. Sedjube


Vasa tibi pura adporarier ad rem divinam cita,
Atque agnum adferri propere unum pinguem.
Cur?
H eg.
E rg ,
Ut sacrufices.
H e g . Quoi deorum?
nam ego tibi sum nunc summus
E rg.
Mi /hercle:
i<
Jupiterj
Idem ego sum Salus, Fortuna, Lux, Laetitia,
Gaudium
Proin lu divom hunc saturitate facias tranquillum
tib
J I e g . Esurire mihi videre.
E rg .
Mihi quidem esurio, non tibi.
H e g . Tuo arbitratu ; facile patior.
E rg.

Credo: consuetus puer.

HEG.JupUer te dique perdantt


E rg.

Te hercle mi aequom est gratias


Agere ob nuntium: tantum ego nunc porto a portu
tibi boni

H eg .

Nunc lu mihi places!


Abi, slullus: sero post tempus venis.

E rg.

tu ,

E gi.

Dunque tu mi se padrone.

E rg.

Anzi un benevolo. Vuo che ti faccia felice?

E gi.

Piuttosto che sgraziato, certo.

E rg.

Dammi la mano!

E gi .

Eccotela!

E rg.

Iddio ti prospera.

E gi.

Non me n avveggio.

E rg.

Perch non hai pungolo che ti punge; ma spic


ciati in preparar i vasi sacri, c fatjti portar su
bito un agnello grasso.

E gi.

Perch?

E rg.

Per un sacrificio.

E gi.

A qual Dio?

E rg.

Poh! a me: imperciocch ora ti sono il gran Giove,


la Salute, la Fortuna, la Luce, la Letizia, la Gioja:
In somma con una buona satolla fatti

propizio

questo Dio.
E gi.

Parmi eh abbi appetito.

E rg.

L ho io e non tu.

E gi.

Come vuoi: non mi rifiuto.

E rg.

Tel credo: tu se cos fin da fanciullo.

E gi.

Il malan che Dio ti dia.

E rg.

Anzi io avviso che mi dovresti saper grazie

im

mortali dappoich ti arreco dal porto tanta gioja.


Tu ora mi piaci.
E gi.

Oh va Jjaciocco! tu or vien troppo' tardi.

E hg. Igitur olim si advenissem, m age tu Ium istuc diceres;


N u n c hanc laetitiam accipe a me, quam fero : n a m
filiti m
Tuom modo in portu Philopolemum vivom salvom
el sospilem

Vidi in publica celoce, ibidemqtie illum adulescen


tulum
Alium una, el tuom Slalagmum seirom, qtii aufu
git domoj
Qui tibi subripuit quadrim um puerum filiolum tuom.
J I eg . Abi in m alam rem / ludis me!
E rg.

Ila me amabit sancta Salnritasj


Hegio, ilaque suo me sem per condecoret cognomine,

Ul ego vidi . . .
I I eg .

G nalum m eum ?

E rg.

Tuom gnalum el genium meum.

H eg . Ei caplivom illum Alidensem ?


E rg.

M a top ' AjtoM .6/!

II eg .

El servolnm
Meum Slalagmum, meum qui gnalum surpuil . . ?

E rg.

N vi xav (21 ) K opav

I I eg . Jam diu?
E rg .

N?? Tav H paivegyvi

IIeg.

Venit?

E eg .

Pty r a v Z iy n a v l

H eg . Corion ?
E rg.

II r g .

N j? r a v (ppovaivarcCVide sis!

raX atdovl

E re.

I I eg . Quid tu per barbaricas urbis ju ra s?


E rg.

Quia enim item asperae


Et tuom victu m autumabas esse.

E rg.

Se io fossi venuto prima, questo ben ini potevi


dire. ra ricevi dentro
ch io

l anima questo gaudio

ti do. imperocch pur ora nel porto

vidi

il figliuol tuo Filopolemo, vivo, sano e salvo, Io


vidi in un brigantino del pubblico,- e con lui, quel
giovane Eliese, e quel fuggiticelo Stalagmo tuo ser
vo, che port via a te quel naccherino di quat
tro anni.
E gi.

11 diavolo che ti colga! tu mi pigli a gabbo!

E rg. . Cos ben mi dica santa Saturila, o Egione, e sem


pre le piaccia onorarmi del suo nome,

coni io

vidi . . .
E gi.

Mio figlio?

E rg.

Tuo figlio, e mio genio.

E gi.

E quel prigione Eliese?

E rg.

S per Apollo!

E gi.

E quel mio servo di Stalagmo, che mi rub il fan

E rg.

S, per Diana!

tino . . ?
E gi.

Finalmente?

E rg.

Certo, per Preneste!

E gi.

Venne?

E rg.

S, per Signa!

E gi.

Proprio?

E rg.

S, per Frosinoue.

E gi.

Guarda!

E rg .

Per iatri!

E gi.

E che m i giuri tu in nome delle citt barbare?

E rg.

Perch

sono

aspre, come

dicevi

essere

il tuo

cibo.
V oi. III. P laut.

Vae aelati tuae


E rg . Quippe quando mihi nil credis, quod ego dico sedulo.
Sed Salagmus quojus erat tunc nationis, quom hinc

H f. g .

abili
I I e g . Siculus.

J l nunc Siculus non esi: Bojus eslj (21J bojam Jeril:


Liberorum quaerundorum causa ei, credo,, uxor data
est.
J I e g .D c : bonari fide tu m i istaec verba d ix is ti?
E rg .
Bona.
I I e g . Di immortales! iterum gnatus videor, si vera autumas.
E rg . An lu dubium habebis, eliam sancle quom ego ju
rem libi?
Postremo, Hegio, si parva jurijurando est fides,
Vise ad portum .
J I mg.
Facere certum est. Tu intus cura, quod opust.
Sume, posce, prome quidvis: te facio cellarium.
E rg . Nam hercule, nisi manticulalus probe ero, fusti pectilo.
H e g . Aeternum tibi dapinalo victum, si vera autumas!
E rg . Unde id?
H eg.
A me meoque gnato.
E rg.
Sponderi tu istuc?
H eg.
Spondeo.
E f. g . At ego, tuom tibi advenisse filium^ respondeo.
H e g . Cura, quam oplume potes.
E rg .
Bene ambula et redambula! '
Ille hinc abiit; mihi rem summam credidit cibariam.
Di immortales, ul ego collos jam praetruncabo ter
goribus!
Quanta pernis pestis veniel! quanta labes larido!
Quanta sumini absumedo! quanta callo calamitas!
E rg .

m
E gi.

Un canchero!

E rg.

Perch non me Io eredi quando te lo dico di buon


daddovero:'ma Stalagmo quando se n and via di
che paese era?

E gi.

Siciliano.

E rg.

Ora non lo pi c di Boja, e rompe le bove; o


credo la gli sia data in moglie per andar alla bu
sca di figliuoli.

Eg i.

Dirami: queste cose me l hai tu dette in buona fede?

E rg.

Buonissima.

E gi.

Oh dei immortali! io son risuscitato se questo


vero.

E rg.

E lo metti ancora in dubbio* dopo che te n ho


fatti tanti sacramenti? in somma, Egione, se hai
niuna fede a giuri ^miei, corri al porto.

E gi.

E cos ho fermo, tu provvedi in casa a quello che


occorre, prendi, cerca, cava fuori quello che vuoi,
io ti fo cellerario.

E rg.

E se, non m insaccher bene, grattami a spranghe!

E gi.

Se questo vero avrai sempre le spese.

E rg.

Da chi?

E gi.

Da me e d mio figlio.

E rg.

E mel prometti?

E gi.

Te lo prometto.

E rg.

Ed io t assevero tornato il figlio.

E gi.

Abbi, occhio.

E rg.

Buon andata e buon ritorno. E se n and,

lasciommi la presidenza della cucina. Oh Dei im -'


mortali, quanti colli taglier dalle spalle! quanta pe
ste verr al prosciutto! che sterminio al lardo! che
disfatta alla sngna! che tempesta al callo! che stan-

Quanta laniis lassitudo! quanla porcinariis!


Nam alia si memorem, quae ad veniris vicium con
ducunt, 'mora est.
Nunc ibo ad meam praefecturam, jus ul dicam larido,
El, quaependenl indemnatae, pernis auxilium ul feram.
SCENA

III.

P u er I I e g io n is .

Diespiter le dque, Ergasile, perdoni el venirem tuom,


Parasilosque omnis, et qui posthac coenam para
sitis dabit!
Clades, calamitas, intemperies modo in nostram
advenil domum.
Quasi lupus esuriens, meluvi, ne in me faceret impetum;
Nimisque hercle ego illum male formidabam: ita
frendebat dentibus.
Adveniens deturbavit totum cum cam i carnarium;
Arripuit gladium, praelruncavit tribus tergoribus
glandiaj
Aulas calicesque omnis confregit, nisi quae modia
les erantj
Cocum percontabat, possenlne seriae fervescere;
Cellas refregit omnis intus, reclusitque armarium.
Adservate istunc, suilis, servi! ego ibo, ut conveniam
senem:
Dicam, aliud ut penum sibi adornet, siquidem sese
uti volel;
Nam in hoc, ut hic quidem adornat, aul ja m nihil
est ani jam nihil erit.

chczza a beccai, e a quelli che ammazzano porci;


imperciocch s io volessi ricordar tutto che fa ve
nir grasso il ventre ne andrebbe un anno. Ora
andr alla mia prefettura, per sentenziar intorno
al lardo, e per sollevar que prosciutti che stan
appiccati da tanto tempo.
SCENA
R

agazzo

III.
E

g io n e .

Il fistolo mangi te e la tua pancia, o Ergasilo, e tutta


la razza de lecconi, e colui che da questo d dai
loro da cena! Il flagello, la disgrazia, la tempesta
pur rao' c caduta in casa! Io mi stringea tutto
della paura, eh ei qual lupo affannato non accannasse anche me: troppo fu il mio spavento, tanto
egli dirugginava i denti. In arrivare cacci sossopra
tu tta la dispensa, prese un coltello, e port via da
tre spalle la polpa, cacci in polvere tutte le pen
tole e tutti i calici se non quelle di uno stajo, do
mandava il cuoco se le botti potessero bollire, ruppe
tutte le celle, e fracass l armario. Guardatelo voi
altri, o servi, io andr a trovare il vecchio, dir
che faccia un* altra provvista se pur vuol man
giare, imperocch

se qui sta sempre costui, o vi

pi nulla, o presto saremo a tal passo.

ACTUS
SCENA
I I e g io , P

h il o p o l e m u s ,

V.
I.

h il o c r a t e s ,

talagsvs.

I I eg . Jovi disque ago gratias merito m agnas,

Quom, tc reducem tuo patri reddiderunt,


Qmmque ex miseriis plurimis me exemerunt,
Quae adhuc, te carens dum hic fui, sustentabamj
Quomque hunc conspicio in potestate nostraj
Quomqne haec reperta est fides firma nobist
Satis (22) jam dolui ex animo, el cura me salis
et lacrumis maceravi hocj
Salis jam audivi tuas aerumnas, ad portum quas
mihi memorasti.
2Ioc agamus.
P ai.
Quid nunc, quoniam lecum servavi fidem,
Tibique hunc reducem in libertatem feci?
H eg .
Fecisti, ut libi,
Philocrates, nunquam referre gratiam possim satis,
Proinde ut lu promeritus de me et fiUod.
Pm.
Im o potes,
Pater, et poteris, et ego potero, di eam potestatem
dabuutjy
Ut beneficium benemerenti nostro merito muneres
Sicut tu huic poles, paler mi, facere meritum m axume.
I I eg . Quid opus verbis? lingua nulla est, qua negem,
quidquid roges.

ATTO V
SCENA.

I.

E gione, F ilopolemo, F ilocrate, S talacjko.


E gi.

Sicn rese da me grazie senza novero a Giove e a


tutti gl Iddii, dappoich te ritornarono al padre, e
me tolsero da quelle miserie, nelle quali mi trovava
finch fui senza te, e perch riveggio a casa mia co
stui, e trovo tanta lealt verso di noi: troppo ci ho
patito io

abbastanza, n ho

sparse delle lagrime,

abbastanza fui trafitto: e gli affanni tuoi mi son gi


ben fermi in capo dappoi che me li hai raccontati
al porto. Or attendiamo a questo.
F il .

E s ora, dappoi che ti osservai la parola, e t ho


riacquistato libero costui?

E gi.

Hai fatto in guisa, o Filocrate eh io non possa


ringraziarti tanto quanto hai meritato e di me e
del figlio. .

F il .

Lo puoi anzi, o padre, lo potrai ed io lo potr e


gl iddii ce Io concederanno di scambiargli questo
beneficio, siccome tu puoi rimunerarlo conforme
e merita.

E gi.

Vuoi tu altro? io non ho lingua che


negare quello che cerchi.

ti possa di

P h i . Postulo abs te, ut m i illune reddas servom,

quem

hic reliqueram
Pignus pro me, qui mihi nielior, quam sibi, semper fuit,
Pro benefactis ejus ut ei pretium possim reddere.
J I eg . Quod benefecisti, referetur gratia: id, quod postulas;'
Iit id et aliudj quod me orabis, impetrabis; at que te
Nolim suscensere, quod ego iratus ei feci male.
P h i . Quid fecisti?

In lapicidinas conpeditum condidi,


Ubi rescivi, mihi data esse verba.
P h ir
Vae misero m ihit
Propter meum caput labores homini evenisse optnmo
H e g . At o b eam rem m i h i libellam pro eo argenti p e duis:
Gratiis a niCj ul sil liber, abduc.
P h i.
Edepol, Ilegio,
Facis benigne! Sed quaeso hominem ul jubeas arcessi
I I eg.
Licet,
Ubi vos estis? Ile actutum: Tgndarum huc arcessite .
Vos ite intro, lnteribi ego ex hac statua verberea volo
Erogitare meo minore quid sit facium filio.
Vos lavate inleribi.
P h il o .
Sequere haCj Philocrates, me intro.
JIeg .

P h i.

Sequor.

J I e g . A ge, tu illic procede, botte v ir , lepidum m ancupium

m eum!
S ta. Quid me facere oportetj ubi tu talis vir, falsum au
tumas?
Fui ego bellus, lepidus, bonus vir, nunquam, neque
frugi bonae.
Ncque ero unquam: nae tu spem ponas, me bonae
frugi fore.

F it .

Io voglio tu mi renda quel servo che ho qua la


sciato in pegno per me. Egli sempre fu pi utile
a me che a s medesimo, ora io vo rendergli
quel premio che gli va pe suoi benefizii.

E gi.

' Del bene che fatto mi hai: ti si render il cambio


da me, e questo ed altro che mi cerchi tu avrai:
ina non ti crucciare ' s io preso dalla rabbia gli
ho fatto male.

F il .

Che hai fatto?

E g.

Carico di ferri 1 ho cacciato nella cava.

F il .

Ahi tristo a me! Quanti flagelli venuti cagion mia

Egi.

E per tanto non mi snocciolerai per lui un oncia

a quel dabben giovane!


d argento: conducitelo via, e cavalo di servo.
F il .

Quanta cortesia, Egione! ' Ma deh fammi chiamar

1 uomo.
E gi.

Subito. Dove siete voi altri, andate spicciatemi chia-


materni qua Tindaro: voi andate dentro. Intanto io
frugher da questo cuccubeon da quintana che la
voro abbia fatto del mio figliuolo pi piccolo; -voi
in trattanto lavatevi.

F ilo .

Seguimi in casa, o Filocrate.

F il .

Vengo.

E gi.

Oh vieni un po qua, valentuomo, cara la mia gioja

di servo!
S ta.

E che devo far io, quando voi che siete un gen


tiluomo ne dite di cbs grosse? Io non fui mai, n
gajo, n piacevole, n dabbene, n lavorante, n
mai lo sar: certo or vi credete voi che a me possa
piacere la fatica?

IIeg . Propemodum, ubi loci fortunae luae sint, facite in

tellegis:
Recte el vere loquere. Sed nequg vero tu, neque rec
te adhuc
Fecisti unquam.
S ta.
Quod ego fatear, crediripudeat, quom autumes?
Heg. At ego faciam ut pudeat: nam in ruborem te lo
tum dabo!
S ta . Heja, credo ego, inperilo plagas minitaris mihi!
Tandem ista aufer, dice, quid fers , ut feras hinc
quod petis.

H eg. Satis facundus/ sed jam fieri dictis volo conpendiurn.


S t a Ut vis, fiat.
H eg.
Bene morigerus fuistij puer nunc non decet.
Hoc agamus. Ja m animum advorle, ac mihi quae
dicam , edissere.

Ferax si eris, tuam rem facies, ex mala meliuscu


lam.
S ta . Nugae istaec sunt: non me censes scire, quid dignus
siemP
H eg . At ea subterfugere potis es pauca, si non omni.
S t a. P auca eefugiam , scio: nam mulla evenient, et me
nilo meo,
Quia el fugi, el tibi subripui filium et eum vendidi.
II eg . Quoi homini?
S ta .
Theodoromedi in Alide Polyplusio
S ex minis.

Proh di inmorlales! is quidem est hujus paler


Philocralis.
S ta.
Quin melius novi, quam tu et vidi saepius.
H e c . Serva, Jupiler supreme, et med et meum gnatum
mihi.
H eg.

Philocrales, per tuom te genium ego obsecro, exi!

te volo!

E gi .

Gi tu leggi in aria dove sieno le tue fortune, parli


,

bene e chiaro. Ma sinora non hai fatta

cosa n

buona n bella.
S ta.

E vorreste farmi venir rosso voi, quand io vi do


per rato quello che dite?

E gi.

Oh sar pcnsicr mio che divenga tale: imperciocch


ti far venir rossa tutta la pelle.

S ta.

Eh s che minacciate gli staffili ad un mal pratico!


ma lasciate andar questo; dite quello che volete
da me.

E gi.

Chiaccherc tu n hai! ma io voglio che n esca pre


sto.

S ta .

Si faccio.

E gi.

T u fosti una buona pasta d uomo,

ora non lo

devi pi essere. Ma veniamo a bomba: sta attento,


e dimmi quello che voglio, se mi sarai vero, cambierai in meglio la tua mala ventura.
S ta.

Ragie; credete voi eh io non sappia i miei meriti?

Ma puoi cansarne un po, se

g i.

S ta.

non

tutte.

So che schiferonne poche: imperocch moltissime


me ne vengono, perch son fuggito, v ho rubato
venduto il figlio.

E gi.

A chi? .

S ta.

A Teodoromede Poliplu^lt) in Elide per sei mine.

E gi,

Poter di Dio! questi padre d esto Filocrate.

S ta.

Lo conosco tanto come voi e pi volte l ho ve


duto.

E gi.

0 Gran Giove vogliami salvo me e il figlio! F ilo crate, deh pel tuo genio vien fuori, ten scongiuro,
io li YQglio.

P h il o c r a t e s , R e g io , S t a l a g m l s .

I/egio, adsum: si quid me vis, impera.

P h i.

H eg .

H ic gnalum m eum
Tuo patii ail se vendidisse sex minis in Alide.

P ai. Quam diu id factum est?


S ta .
Hic annus incipit vicesimus.
P ai. Falsa memorat.
S ta.
Aul egOj aut tu: nam tibi quadrimulum
Tuos pater peculiarem parvolum puero dedit.
Pai. Quod erat ei nomen, si vera dicis memorandum mihi.
S t a . Paegnium vocitatust, post vos indidistis Ttjndaro.
Pm . Cur ego te non novi?
S ta .

Quia mos oblivisci et hominibus,


Ncque novisse, quojus nihili sil faciunda gratia.

P a i.D ic m ihi isn& istic fuit, quem vendidisti meo patri,


Qui mihi peculiaris datus est, hujus filius?
HEG.Fivitne is homo?

Argentum, accepij nil curavi cetcrum

S ta.
H eg.

Quid tu ais?

P ai.

Quint isic- ipstisl Tijndarus tuos filius.


Ul quidem argumenta hic loquitur: nam is mecum
a puero puer
Bene pudiceqtie educatus Usque ad adulescentiam.

J I eg . Et m iser sum el fortunatus, si vos vera dicitis:

Eo miser sum, quia male illi feci, si gnatum meust.


Heu, heu, quom ego plus minusve feci, quamde acquom fuitl
- Quod male feci em eior modo, si infectum fleri possiet.
Scd eccum incedit huc ornatus haud ex suis virtutibus.

F ilocrate, E gione, S talagmo.


F il .

Son, qua, Egione, se vuoi qualcosa dalla fuori.

E gi.

Costui disse d aver venduto in Elide a tuo padre il


figliuol mio per sei mine.

F il .

E quando avvenne?

S ta.

Oggi siam ne vent anni.

F il .

Favole.

S ta.

0 le mie, o le vostre. Imperciocch dettevi il pa


dre un peculiare di quattro anni.

F il .

E qual n era il nome, se tu di1 il vero, dillomi.

S ta.

Pegnio chiamavasi, ma voi l avete fatto Tindaro.

E perch non t ho io conosciuto.

il .

S ta.

Perch la usanza dimenticarsi di quelli, della cui


grazia non si fa caso.

F il ,

Dimmi: quello che hai venduto a mio padre e che


mi fu dato compagno, nacque di costui?

E gi.

E vive egli?

S ta. 1 Intascati i quattrini non pensai al resto.


E gi.

E tu che aggiungi?

F il .

Che questo Tindaro, tuo figlio, ai segni che ne


d costui; imperciocch egli dall infantilit fu alle
vato meco assai dilicatamcntc.

E gi.

Or io son misero e fortunato se voi dite il vero,


son misero per questo ch gli ho fatto male segli
mio figlio; Ahim! Ehim! Ohim, perch non ho
fatto pi n meno di quello eh io. doveva? aven
dogli dato s mai, mi sento abbrucciar l anima,
-se potessi disfarlo! ma ecco viene il poveretto
concio non conforme alle sue virt.

T rN D A R v s, l i n c i o , P h il o c r a t e s , S t l a g h u s .

T r p. Fidi ego mulla saepe picta, quae Acherunti fierent,


Cruciamenlttj verum cnimvero nulla adaeque est
Acheruns,
Atque ubi ego fui in lapicidinis. Inide demum est
locus, u bi
Lassitudo omnis labore est exigunda ex corpore.
Nam ubi illo adveni, quasi patriciis pueris aul mo
nedulae,
Aul anates, aut coturnices danlur, quicum lusitent:
Ilidem haec advenienti mi upupa, qui me delectem,
data est . . .
Sed herus eccum ante oslium, et herus aller eccum
ex Alide
Rediit.
H eg.
Salve, e x o p t a t e g n a t e m i !
TrN.
Hem, quid? Gnale mi?
Aliai, scio, cur patrem adsimulesled esse, et me filium:
Quia mi, ilem ut parentes, lucis das luendae copiam.
P h i . Salve Tyndare!
T yn .
Et tu quojus causa hanc aerumnam exigo.
P h i . Al nunc liber in divitias faxo venies: nam libi
Paler hic esi; hic servos, qui te huic hinc quadri
mum surpuit,
Fendidit patri meo te sex minis,- is te mihi
Parvolum peculiarem parvolo puero dedit.
Ille indicium fecit: nam hunc ex Alide Ime reduximus.
T vn.Quid? hujus filium?
P h i.
Intus eccum fralrem germanum luoml

TiNDA.no, E gione, F ilocrate, S talagmo.


T in.

I o ho veduto le molte volte dipinti i tormenti


dell inferno; ma non vha inferno che possa pareg
giarsi alle cave. Quello proprio il luogo dove bi
sogna mandarla fuori se si ha vita in corpo! im
perocch appena io venni quivi, ome si fa a bam
bini de patrizii cui si d in mano, una taccola, un
anitroccolo, una quaglia per giucare, cos venne
dato a me questa bubbola perch mi spassassi . . .
ma

ve l

il padrone

sopra

la porta e '1' altro

padrone c^e tornato di Elide.


Eoi.
T in .

Addio, mio desideratissimo figlio.


Ohe! che questo? mio figlio? ahao! veggo perch
mi ehiam atc figliuolo voi,

perch come i parenti

mi fate voi vedere ancora il sole . . .


F il .

Viva, o Tindaro.

T in.

Viva anche a te, per cui m tocco questo regalo.

F il .

Ma ora far che sii libero

e ricco: imperciocch

questi ti padre, questi quel servo che t ha ra


pito di qua da quattro anni, e che per sei mine
a mio padre t ha venduto, esso mi ti di compa
gno quand eri tu fantino come me. Egli fu che l ha
detto, imperciocch noi l abbiam qua ricondotto
da Elide.
T in.

Come? figlio di costui?

F il .

E vedi in casa il tuo fratello germano.

T ri*.Quid ais Iule? adduxliu illuc hujus captioom fi


lium?
P ai. Quin, inquam, intus hic est.
T yn.
Fecisti edepol et recte et benel
P ai. Nunc tibi paler hic'est; hic fur est tuos qui par. vom hic te abstulit.

T rN .A t ego hunc grandis grandem natu ob furtum ad

carnuficcm dabo.
P ai. Merius est.
T yn.
Ergo edepol merito merilam mercedem dabo.
. Sed dic, oro: paler meus lun es?
H eg.
Ego sum, gnate mf.
Ti n. Edepol demum in memoriam nunc regredior, quom
cogito,
Quasi per nebulam, I/egionem patrem meum vo~
ca rier
H eg . is ego sum.

P ai.

Conpedibus quaesQ ul levior tibi sit filiuSj


Atque hic gravior servos.
H eg.
Certum est, principium id praevortier.
Eamus intro, ut arcessatur faber: ut istas conpedes.
Tibt adimam, huic dem.
S ta.
Quoi peculi nihil est, recte feceris.
Caterva.
Spectatores, ad pudicos mores facta haec fabula est:
Ncque in hac subagitaliones sunt, neque ulla amatio
Hec pueri sopposilio, neque argenti circumductio;
Neque, ubi amans adulescens scortum liberet clam
suom patrem.

iid
T in.

Dimmi un poco, l ha tu condotto il figlio prigio


niero a costui?

F il .

Ma se ti dico esser- l dentro.

T im.

Se' proprio onest uomo.

FU/.

Ora costui ti padre, questi il tuo ladro che ti


port via piccolino.

Tm.

Ed or che son grande, pel furto fattomi, darollo


al boja.

F il .

Se l ha meritato.

T is .

E pe suoi meriti gli dar la paj?a: ma dimmi in


grazia proprio mio padre costui?

g i.

T ir .

Sono, o figlip.
Or che per Bacco mi ringanghero la memoria, ri
cordami, cos di straforo, che Egione si diceva mio
padre.

E gi.
F il .

Ed io son quello.
F a adunque che di questi ferri si disimpacci

il

. tuo figliuolo, e che si carichi questo servo.


E gi.

Ci anzi ogni cosa. Andiam dentro

chiamare

il fabbro, per togliere queste pastoje a te e darle


a costui.
S ta. /- A chi non ha nulla, opera buona.
C a terva .

Spettatori, questa una commedia pe costumi onesti, qua


non vi son traffichi, n amori, n putti suppositi,
n giunterie, n bagasce fatte franche di soppiatto
al padre dall amore d un giovane. Poche connne-

V ol. III. P lalt.

Hujusmodi paucas potfae reperiunt comoedias,


Ubi boni meliores fiant. Nunc vos, si vobis placet,
ffl si placuimus, neque odio fuimus, signum hoc
minile:
Qui pudicitiae esse voltis praemium, plausum dale.

F lK lS

C jP T E I l ORVX.

die come questa sanno inventare i poeti, per la


quale i buoni si fango migliori. Or voi, se la vi
piacque, e se anche noi non vi siamo spiaciuti,
datene segno, vogliatelo premio della pudicizia,
applauditeci.

in e

be

P r ig io n ie r i.

NOTE

Di questa Fvola drammatica cinque fogli soltanto

r i-

maneano nel codice ambrosiano, e questi cos la


ceri che non si potea leggere un verso intero. Queste
sono le parole di S. E. il Cardinale Maj: Hujus F a bulae dm tantum folia supersunt in codice, eaque
piane lacera , ut nullus integer versus legi queat.
Hoc unum deprehendi, Fabulam quae est in co
dice revera esse eam quae extat in editionibus
inscripta Captivi. Id autem noto; quia nonnulli
extimasse videntur, alleram Flauti Fabulam in
tercidisse, quam inscriptam judicabant Captivi,
quum hanc editam vellent appellari C a p t i v i d u o ,
qualem reapse titulum praeferunt nonnulli recentiores codices Ambrosiani: quorum tamen auctori
tas plane infirmatur ab antiquissimo Palimpsesto,
in quo titulus apertissime legitur Captivi.

(1) Tutte le edizioni antiche e recenti meno Bothe leg


gono accedilo: Il Prof. Berlinese corresse it absce
dito; ed ognuno che abbia senno potr ben pon
derare quanto valga questa lezione in
di quella seguita sin ora

Negat hercle ille ultimus, accedilo.

confronto

(2) Botile cambi il venaticns di Plauto, nello invcnali-

cus: dicendo che male venatici eanes opponi pos


sunt molossicisj qui ilem apli ad venationem, ut
in vulgus nolum est. Perdoni 1 egregio critico se,
io

invece di starmene con lui, qui volli seguir le

volgate. Ben sar vero che i cani molssi atti sa


ranno alla caccia, ina qui, a quanto mi pare, Plauto
per una bellissima metafora e proprio tutta degna
di lui, ha voluto dimostrare la magrezza in cui
vengono i parasiti allorch i ricchi si conducono
a rusticare: e perci allora, per dirla con Ergasilo,
noi siamo si tristi delle carni

che siamo parasiti

da caccia, e in vulgus nolum est che i cani da


caccia son magrissimi. Quando si fanno i ricchi
dalla villa alla citt, allora dice Ergasilo noi siamo

parasiti da cascina fastidiosi e molto incommodi:


e i parasiti proprio lo sono. Se i cani da cascina,
detti propriamente molossi, sicno grassi, fastidiosi
ed incommodi me ne appello a

quanti pascono

cani da guardia, e a quanti passano presso le casci


ne guardate da questi cani,
(3) Osserva quanto sia arguto il vate di Sarsina! come
ha appropriato il nome di parecchi luoghi,

agli

intingoli e manicaretti che pi lusingano il palato


degli scrocconi! A te fan d uopo, dice Ergasilo,
i Pistojsi e i Pistojesi sono i Fornaj da Pistorium
che vai tanto Pistoja, come preso aggettivo da Pi

si or, cosa appartenente al forno; e non apparten


gono al forno i pani e le focaccie? Ecco perci
Ergasilo abbisognare de Panicei, abitatori di Pana,
dei Piacentini abitatori di Piacenza, ma che invece

sono 1 pani e le focacce, d Placenta.

N tutto

sta qui, i Torditaui, popoli della Spagna, che come


leggiamo da Livio abitavano la Betica, vi abbi
sognano, e i Ficedulensi

(e r a Ficedula un vico

di Roma) e tutti i soldati di mare; le quali tutte


cose a recarle in Una dicono ch fan duopo e tordi
e beccafichij e pesci.
'4) Molte e svariatissime sono a questo luogo le lezioni, dovea scegliere una, scelsi quella di Bothe che parmi
la migliore.
Volgate commeat : Camerario legge commettat.
( 6 ) Angelio, edizione di Giunti: oculis mulla misera cudi
tis il Che parmi poco Plautino.
Boxornio, edizione di Hack: oculis multam m iseriam
additis, e questo' mi par frivolo.
Sarracenio, edizione Veneta -1449. multa oculis multa
m isera editis, qui v ' ha una ripetizione inop
portuna.
Camerario, edizione Plautiniana di Rafelengio: multa
oculis

m ullam m iseriam

additis:

con

servato il primo multa ma cade nel vizio di


Boxornio.
Sambuco, propone di leggere: m ira cuditis ma non so
come possa cavarsela col verso.
Lambino, lascia il multa primo

e. segue Boxornio*

ma si mostra indeciso tra V additis e il cu


ditis.
Weise, edizione di Lipsia: oculis multam miseriae
Adicilis.
F ra tante discrepanze ho seguitato Bothe non p er/

ch la sua lezione mi garbasse

meglio, ma

perch la mi parve, sebben fredda c lambic


cata, Ip meno cattiva.
(7 } Polipluxio, un nome finto e vai quanto a mollo ricco.

(8) Ben qui si avvide Bothe; hot est, aureo thesauro Croe
sum vinceus.

(9) Velabro, tuttora un luogo di Roma presso l Aven


tino.
( 1 0 ) Molti leggono exilium.
(11) Il male che muoveva gli sputi e che per t?l modo cre
sc a n o guarirlo, era presso i Romani il mal caduco,
da loro era chiamatp anche morbo comiziale.
(12) Lezione antica invece di iis.
(43) Piacquemi seguir Pontano piuttosto che Dissaldeo.
(14) Salmasio vuole che s abbia a leggere omamenta.
Angelio, Pio, e 1 Acidalio leggono armenta.
(15) Ho seguita la correzione di Gulielmio,
(46) Cos 1q Scaligero. Mal leggevano le volgate peritai.
(17) Questo verso venne scoperto dal Chiarissimo Bolhe
nel Codice di Helmstad: se esso abbia sapore ve
ramente Plautino mi rimetto al giudizio de Filo
logi.
(48) Le volgate metteano questo verso dopo laudem,

lucrum-ecc.
(49) Le volgate Duclts, sono stato con Douza.
(20) Era 1 Agoranomo presso gli toli un magistrato il
quale presiedeva all annona.
(24) Cora, Preneste, Signa, Frosinone sono luoghi del
Contado di Roma.

(22) Era la Boja una parte della Gallia.


(23) Sono gtato con Bothe.

CURCULI O

IL CURCULIONE

i/ C
/jitr c itfio n c
PIERLUIGI DOIXINI
c/l&tipo

nom e

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accom asiclu-

^Srt^ora c/c cfcnica

mec/tca

tie& Z /cu o i tccnenje

^ av a/terc c/t e9f S^udovtcG t/t S^a-cca

GIUSEPPE DEL CHIAPPA


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C ic e ro n e
jp to v a n t

a> /taelH

c/i anttoo cr^ierv.

PERSONE DELLA FAVOLA

P a l in u r u s

P a l in u r o

PUAEDROMUS

ed rom o

L en a

V e c c h ia

P l a n e s iu m

P l a n e s io

Ca p p a d o x

C a ppa d o ce

Cocus

C uoco

C u r c u l io

C u r c u l io n e

L rco

L ic o n e

C h o r jg u s

il

T h e b jp o n t ic o n u s

T e r a p o n t ig o n o

C orago

L a Scena in Epidauro.

ACTUS I.
SCENA

I.

P aLINURVS, P haedkouvs .

P i. Quo tcd hoc noctis dicam proficisci foras


Cum istoc ornatu cumque hac pompa, Phaedrome?
P b j .Q uo Venus Cupidoque imperat suadetque Amor.
S i media nox est, sive est prima vespera;
S i status (i) condictus cum hoste intercedit diesj
Tamen est eundum, quo imperant, ingratiis.
P al . At tandem . . . tandem . . .
Pb j.
Tandem es odiosus mihi,
P a l . Istuc quidem nec bellum est nec memorabile:
Tute tibi puer es: lautus luces cereum.
PaA.Egon apicularum - congestum opera non feram,
Ex dulci oriundum, melculo dulci meo?
P al . N am quo te dicam ego ire?

Si tu me roges,

P ha . .

Dicam, ut scias.
Si rogitem, quid respondeas?
P ha. Hoc Aesculapi fanum est.
P al .

P al .

Plus ja m anno scio.

P b a .H uc proxum um illud ostium ( 2 ) oculissumum.

Salve! Valuisti usque, ostium oculissumum?


P a l . Caruitne febris te heri vel nudius tertius,

Et heri coenavistine?
P ha .

D erideste me?

ATTO I
SCENA

P alinuro, F edromo.

Ma dove, o Fedromo, dir che andate voi farne


ticando a quest ora, con queste vesti e con questi
arnesi in dosso?
F ed.
Dove Venere e Cupidine e Amore lo vuole e mi
trascina sia mezza notte,, sia prima sera: quando
siamo aggiornati col forastiero, ben sai che s ba
. da ire dove comandano anche a marcio dispetto.
P a l.
Ma finalmente . . . finalmente . . .
P al.

F ed .
P al.

F ed.

Finalm ente m hai fradicio.


Questa la u na sconcezza, u n a turpitudine: voi fare
il donzello a voi? p o rtare in m ano il cero?
E non porter io u n lavoro delle api e che vien
dal dolce, al mio dolcissimo mele?

P al.

Ma e dove andate voi?

F ed .

Me lo domandi? t accontenter.

P al.
F ed.
P al.

E se ve lo dom ando, qual risposta mi darete voi?

Questo il tempio d Esculapio.


Lo so pi da un anno.

F ed.

Qui presso v una porta che m cara quanto gli


occhi. Salve, e se sempre stata bene, o mia caris
sima porta?

Pal .

appena je ri o je r l a ltra che voi siete senza feb


bre? avete voi cenato je r sera?

F ed.

Mi dai tu un po di giambo eh?

P a l . Quid tu ergo, insane, , rogitas, valeatne ostium?


P h a . Bellssumum hercle vidi et taciturnismm um:

Nunquam ullum verbum mittit; quom aperitur, tacetj


Quomque illa noctu clanculum ad m e exit, tacet.
P a l . Num quid tu, quod te aut genere indignum sit tuo
Facis, aut inceptas facere facinus, Phaedrome?
N u m tu pudicae quoipiam insidias locas,
A u t quam pudicam oportet esse?
P ha .

Nem ini,
Nec me ille sirit Jupiter!

P al .

Egb item volo.


Ita tuom conferto am are semper, si sapis.
N e id, quod ames, populus si sciat, Ubi probro.
Sem per curato, ne sis intestabilis.

P h a . Quid istuc est verbi?


P al .

Caute ut incedas via:


Quod amas, (d) amato testibus praesentibus.

P ha . Quin leno hic habitat.


P al .

Nemo hinc prohibet nec vetat


Quin, quod palam est, venale, si argentum est, emas.
Nemo ire quemquam publica prohibet via.
D u m ne per fundum sepium facias semilam,
D um ted abstineas nupta, vidua, virgine,
Juventute et pueris liberis, am a qiiidlubet.

P h a .L enonis haec sunt aedes.


P al .

Male islis evenal!

P al.

Diamine! e voi avete il cervello cos gi degangheri


p er richiedere una p o rta se stia bene?

F ed .

I o n o n ho v ed u ta m ai la pi g a la n te e ta c itu rn a ;
ella non profferisce m ai sillaba: q u an d o la si ap re
n o n a rtico la voce, e q u an d o colei la n o tte

viene

a m e, n o n dice p aro la.

P al.

Deh, Fedrom o, volete fare, o pensate cosa che sia


indegna di voi o della vostra famiglia? volete tira r
nell ajuolo qualche onesta fanciulla, o che.dovria

F ed.

tale esser creduta?


A niUno, n Giove mel perm etterebbe.

P al.

E cosi voglio anch io, e se non volete parere un

F ed .

omaccio sempre di tal forma saranno i vostri amori, che, se essi vengono alle orecchie del popolo,
voi non ne crrete vergogna. Guardate d avere un
nome il quale sempre possa fare il testimonio.
E con ci a che vuoi inferire?

P al.

Che voi non andiate a rompicollo: e clic la per


sona colla quale fate alT am ore non la si trovi
sola con voi.

F ed .

Ma qui sta u n ruffiano,

P al.

In questo paese niun proibisce o vieta, a chi tiene


buoni q u attrini allato, dal com perare ci clic in
vendita; conforme contrasta nissuno il cammino a
chi va nella pubblica via. Purch voi non vogliate
far un passaggio pc fondi che hanno la cinta, p u r
ch non vogliate ten tar le vedove, le m aritate, le
fanciulle, i putti ingenui am oreggiate con chi me
glio vi garba.

F ed.

Questa casa d un ruffiano.

P al.

11 fistolo che la colga.


Vol . III. P l a it .

430

P tu . Qui?
P al .
Quia scelestam servitutem serviunt.
P h a . Obloquere/
Pa i.
F iat maxumed.
P u a.
Etiam taces?
P al . Nempe obloqui me jusseras.
Ph j.
A t nunc velo.
Sed (ila, ut ja m occoepi dicere) eii ancillula e s t . . .
PAL.Nempe huic lenoni', qui hic habitat?
Pii a .
Recte tenes.
PAu.Minus formidabo, ne excidat.
P ha .
Odiosus es.
E am voi meretricem, facered. Ea me depertij
Ego autem cum illa facere nolo muluom.
P al . Quid ila?
P ha.
Quia proprium facio: amo pariter simul.
PjL.M alus clandestinus est am orj dam num est merum.
PaA.Est hercle ila, ut tu dicis.
P al .
Jam ne ea fert jugum?
P ha . Tarn a me pudica est, quasi soror mea sil, nisi
S i est osculando quidpiam inpudicior.
P A L .S e m p e r ( tu sc ilo ) fiam m a fum o est p r o x m n a .
Fum o conburi nil potest, fiam m a potest.
Qui nuculeum e nuce esse volt, frangit nucem,Qui volt cubare, pandit saltum saviis.
P ha . A l illa est pudica, neque dum cubitat cum viris.
P a l . Credam, pudor si quoiquam lenoni siet.

F ed .

Perch?

P al .

Perch fa u n servizio assai trislo.


Parla male!

F ed.
P al.
F ed.
P al.
F ed .

Di tu tta voglia.
E non taci ancora?
P u r o ra m avevate detto clic parlassi.

Ed ora t ordino di tacere: si, come ti dieea, questa


fanciulla sua? . . .

P al.

Cio, del ruffiano che sta qui?

F ed.
P al.

Tiello ben ferrilo.


Temer meno, non voglio che uii caschi.

F ed .

Tu mi vuoi stracco. Egli la vuol fare donna di


bordello, ossa morta di me; ed io non voglio
averla in prestanza.

P a l.
F ed.
P al.

E che y J intendete voi?


Che la sia tu tta mia, io nc son collo.
Male, male con questo amor soppiallo. Egli unii

F ed.

rovina.
Pur troppo!

P al.

molto eh ella conosce uomini?

F ed.

I o sono cos riservato con esser lei, come se mi


fosse sorella, se pure non vha taluno clic nel ba
cio veda alcun che di disonesto.

P al.

Ricordatevi la fiamma essere presso al fumo; nulla


abbrucia il fumo, tutto la fiamma: chi vuol man
giar T arm a della noce rompe il nocciolo, chi vuoi
vincer una femmina, coi baci s apre la via.

F ed.

Ma colei donna onesta, n finora s ,in ai tro


vala con uomini.

P al.

Me la b errei se credessi avervi pudore in corpo


di ruffiano.

m
P ha .Im o ut illam censes? Ut quaeque illi occasio et '
Subripere se ad me: ubi savium oppegit, fugit.
Id eo fit, quia leno hic aegrotus incubat
In *Aesculapi fano. Is me excruciat.
P al .
Quid est?
P ha . Alias me poscit pro illa triginta minas,
Alias talentum m agnum , neque quidquam queo
Aequi bonique ab eo impetrare.
P jl.
Injurius,
Qui, quod lenoni nulli est, id ab eo petas.
P ii j . Nunc hinc parasitum in Cariam m isi meum
Petilum argentum a meo sodali m utuom j
Quod si non adfert, quo me vortam , nescio.
P j l .S i deos salutas, dextrovorsum censeo.
P h j .N uuc ara Veneris haec est ante horunc foris:
Me inferre Veneri vovi ja m jentaculum.
P j l . Quid antepones Veneti ja m jentaculo!
P ha .M e, te, atque hosce, omnis.
P jl,
Tum tu fe n e re m vomere vis?
P h a .C edoj puere, tinum .
P al .
Quid facturus?
P ha .
J a m scies.
Anus hic solet cubitare custos, janitrix.
Est nomen lenae Multibiba atque Merobiba,
P al . Quasi tu lagenam dicas, ubi vinum solet
Chium esse.
P ha .
Quid opust verbis? Vinosissumu est;
Eaque, ubi extemplo vino has conspersi forist
lDe odore adesse me scii: aperit eloco.

F e D.

P al.

In qual conto puoi tu fverla? allor che se le porge


il destro di scivolare a me, appiccatomi un bacio,
subito se ne spicca: ci perch qui dentro nel
tempio d Esculapio ammalato quel pollastriere.
Egli il tormento dell anima mia.
E che fa egli?

F ed.

Talvolta tre n ta mine, talvolta mi chiede -per lei uit


g ra n talento* n posso da lui Cavar proposta cho
sia giusta e discreta.

P al.
F ed.

Voi volete il nodd nel giunco cercando ad utt


ruffiano cosa che niun di loro ebbe mai.
O ra io ho m andato di quinci il mio parasito in
Caria da un mio sozio p er aver danaro in pre
stanza, cui segli non porta, io non so dove bat
tere il capo.

P al.
F ed .

P al.

Se salutate gli dei volgetevi a -destra.

, Anzi la porta di costoro appunto 1' altare di Ve


nere; io mi son votato a .Venere d un asciolvere*
E che volete dare a Venere p er asciolvere?

F ed .

Me, te e tu tti costoro.

P al*

Doh! volete voi far venir vomito alla dea?

F ed .

P al.

Vien qua, ragazzo, dammi quel fiasco.


Che siete per farne?

F ed.

Or il saprai. Qui usa dorm ire u n a vecchia che


custode e portinaja. Ella h a nome Trincam olto e
Trincaschietto.

P al.

Come se voi me la dicessi uria botte, ove si ripone


il vin di Chio.

F ed.

Che ho da aggiungerti? la va pazza pel vino; desso


non ho io ancora spruzzolata la prta, eh ella, dal1 odore accorgendosi che son qui, subito la mi apre.

P j l . Eine hic cum vino sinus fertur?


Ph j.
Nisi il et'is.
P j l . Nolo hercle: nam isti hunc qui fert, adflictum velim.
Nobis adferri ego censui.
P h j.
Qtiin tu laces?
S i quid super illi fuerit, id nobis sat est.
P jL.Q uisnam istic fluviust, quem non recipiat m are?
P ii j . Sequere hac, Palinure, me ad forisi fi m i obsequens!
P j l . Ila faciam.
P i .
Agite, bibite, festivae fores!
Potate! file m ihi volentes propitiae!
P jL.Voltisne olivas aut pulmentum aul capparim?
P//j.Exsuscitate vostram huc custodem m ihi!
P j l . Profundis vinum. Quae te res agitant?
P h j.
Sine.
Fide, ut aperiuntur aedes feslivissumae!
N a m muttit cardo? Est lepidus!
Pj l .
Quin das savium?
P /u . Tace! occultemus lumen el vocem.
P jl.
Licet.
SC E N A
L

enj,

II.

P hjedromus, P jlin u ru s.

L eu .F los veteris vini meis naribus est (A) objectus:


Ejus amos cupidam med huc prolicii per tenebras.
Ubiubi est, prope med est. E vax, habeo! Salve,
anime m i,
Liberi lepos! Ut veteris vetusti cupida sum!
Nam om nium unguentum odos prae tuo natilea est!

/
P al.
F ed.
P al.

44 OD

Dunque per lei questo fiaspo?


Se mel consenti.
No certo! canchero a chi lo porta: io avvisavano!
fosse per noi.

F ed.
P al.
F ed.
P al'.
F ed.

E perch non vuoi star zitto? a noi baster quello


eh' essa avr lasciato d avanzo.
Che fiume questo? diavolo, noi patirebbe il mare!
Seguimi, o Palinuro, per cost, verso la prta!
siami obbediente!
Andiam-purc.
Su bevete, o care porte, o mie giocondissime porte!
dissettatevi! siatemi cortesi e propizie!

P al.
F ed.

Volete ulive, pappardelle, capperi?


Svegliatemi la vostra custode!

P al.

Voi qui fate un lago di vino, che farnetico vi do*


mina?

F ed.

Lascia.-ve, come s apre questa galantissima portai


ganghero non cigola, com caro!
E perch non lo baciate?
Taci! ascondiamo il lume, non facciam motto.

P al.
F ed.
P al.

Si, s.

SCENA

II.

Vecchia, F edromo, P alinuro,

Vec.

Domine! che odor di vin stravecchio mi venne 1


naso! per amor suo io sbuco brancolone qua all oscuro: dovunque ei sia, egli non m' lontano. lor
lho, salve, anima mia, delizia di Bacco! Viva, ev
viva! questi vini vecchi e stravecchi sono la mia
gioj. Ogni altro odore dunguento presso il tuo

Tu m ihi stacte, tu cinnam um , tu rosa,


Tu crocum et casia, tu bdelHum es!
N am ubi tu profusus, ibi ego me pervelim sepultamf
Sed quom adhuc naso, odos, obsecutus meo,
D a vicissim mea gutturi gaudium!
Nil ago tecum: ubi est ipsus? Jpsum expelo
Tangere, invergere in me liquores tuos
Sino ductim! Sed hac abiit: hac persequar.
F u i. Sitit haec anus.
P al.
Quantillum sitit?
P ha .
Modica est: ctipit quadrantal.
P al . Pol, ut praedicas, vindemia haec huic anui non sa
tis soli est.
Canem esse hanc quidem mage par fuit: sagax na
sum habet.
L en.
Am abo,
Quoja vo x sonat procul?
P h a . Censeo hanc adpellandam anum. Adibo. Redi et
Respice ad med huc, lenat
L en . ;
Im perator quis es?
P i i a . F ini pollens, lepidus Liber, tibi q u i screanti, siccae,
Semisomnae, polionem adfert et te sedatum it.
L en . Quam longe a me abest?
Pha.
Lum en hoc vide!
L en.G randiorem gradum ergo fac ad me, obsecro! ()
P i i a . Salve.
L en .
Fgon salva sim , quae sili sicca sum?
P ha, At ja m bibes.
L en.
Diu fit.
P ha . Hem libi, anus lepida.

nausea.Tu mi sei garofano cinnamono, rosa; tu zaf


ferano e cassia, tu balsamo! Io vorrei che il mio
sepolcro fosse ove ti se' sparso. Ma se 1 odor tao
mi giunse al naso, perch non mi vieni a- ralle
grar la gola? con te io non fo nulla. Dove ? lui
io voglio toccare; lui mettermi in seno a centel
lini! Egli s vlto di qui., io non voglio la
sciarlo.
F ed.

Questa vecchia h a sete.

E che sete la -sua?


F ed. ' Discreta: la ne terrebbe uno stajo.

P al.
P al.

Poffarilmondo! s egli conforme dite yoi, a que


sta sola vecchia non basteria una vendemmia, la
pare un bracco, 1' ha u n odorato, molto fine.

Yec.
F ed.

Doh, chi parla qui lontano?


Penso che p u r la s abbia a chiam are questa vec- ^
chia: andr, volgiti a ine, ruffiana.

Y ec.

Chi m i vuole?

F ed.

Bacco potente ed am ante del vino: egli a te ca


tarro sa, arsa in gola, e piena di sonno arreca ta l

Vec.

sorso da farti m ansar la sete.


E m ' lunge di tanto?

F ed.
Vec.

Guarda a questo lume!


Deh, in carit, corri, corri a me.

F ed.
Yec.

Sta bene.
I o star bene? io, che abbrucio della sete?

F^ d.

Berrai a momenti.
JWi pare un anno.

Vec.
F id .

Eccoti, piaceYol vecchia.

438
L en.
Salve j
Ocnlissume homol
P al . Age> cito hoc ecfunde in barathrum! propeie prolue
Cloacam!
P ha .
Tace: nolo huic maledici.
P al.
F aciam igilur male polius.
L ek . Fenus, d e paulo paululum hoc tibi d abo h au d lubenler:
N am tibi amantes* (6) propitiantes, vinum danunt
potantes
Omnes: m i haut eveniunt saepe tales hereditates,
P a l . Hoc vide, m erum ul ingurgitat inpura in se avari
ter faucibus plenis!
P ha . Perii hercle! huic quid prim um dicam* nescio.
P al .
Hem istuc, quod m ihi dixtu
P ha . Quid id est?
P al.
Periisse ut te dicas.
Pba.
Male di faciant tibi!
P al.
Dic istn
L e n . Ah\
P al .
Quid est? ecquid lubet?
L en.
Lubet.
PAL.Etiam m ihi quoque stimulo, fodere lubet te.
P b a . Tace noli . . .
Pal.

Taceo. Ecce autem bibit arcusj pluet, credo*


hercule hodie.
PBA.Jamne ego huic dico . . .
P al .
Quid dices?
Pba.
Me periisse?
P al .
Age dice.
P ii a .
Anus* audi! Hoc
Te volo scire: perditus sum miser/

Vec.
P al.

I tuo p r , delizia d uomo!

F ed .
P al.

Zitto: non dir villanie a costei.


Piuttosto gliene far di peggio.
0 Venere, egli poco, ma di questo poco un micolino vo darne anche a te; sebbene di non molta
voglia: imperciocch e amanti e propinzianli e be
oni a te tu tti ne danno: laddove a me non piovon
s di spesso cotali venture.
Guarda come le gorgoglia in gola il vino a questa
strega, non ne lascia cader gocciola!

Yec.

P al.
F ed.

S u, presto sprofondalo 1 quello abbisso! affrettati,


lava quel tuo m ondezzajo!

Ahi diserto a me! non so come en tra re in parole


con costei.

P al.

Oh bella! con questo che voi m avete detto.

F ed.
P al,
F ed.

E che ?
Ditele che siete diserto.

P al.

Ditelo a costei.

Vec.
P al.

Ah!

Vec.
P al.

Che Dio t affranga!

Che hai? non ti piace egli?


Mi piace.

F d.

E a me carminarti la pelle con un pungolo.


Taci, non volere . . .
Non apro bocca: veor che l arco bee, oggi piover
di certo.
Le dir adunque io . . .

P al.
F ed.

Che?
Che io. son perduto?

P al.
F ed,

Diteglielo.

F ed.
P al.

Senti, vecchierella mia! voglio che tu sappi eh i


son disfatto!

L en.
A t pol ego oppido iervataf
Sed quid est, quod lubet perdilum dicere
Te?
P h a . Quia quid, quod am o, careo.
LEN.Phaedrome m i, ne plora, amabo! tu me curato, ne
sitiam:
Ego tibi, quod amas, ja m huc adducam.
P ha .
N ae ego, fidem si servas mecum,
Vineam pro aurea statua statuam , quae tuo gutturi
sit monum entum .
Qui med in terra aeque fortunatus erit, si illa a d
me bilet,
Palinure?
P al . Edepol, qui am at, si eget, misera adficitur aerumna.
P b a .N ou ita res est: nam confido parasitum hodie adventurum
Cum argento ad me.
'
P al . M agnum inceptas, si id expetas, quod nusquam est,
P b a .Q u, si adeam ad forem atque occentem?
Pjl .
S i lubet. Neque veto neque jubeo.1
Quando ego te video im m utatis moribus esse, here,
atque ingenio *
P ha . Pessuli, heus, pessuli, vos saluto lubens,
Vos amoj vos volo, vos peto atque obsecrot
Gerite am anti m ihi m orem , amoenissumi!
Fite causa mea (7 ) ludii barbari:
Subsilite, obsecro, et mittite istanc foras,
Quae m ihi misero am anti ccbibit sanguinem/ *
Hoc vide, ut dormiunt pessuli pessumi,
Nec mea gratia conmoveni se ocius/
Respicio, nihili m eam vos gratiam facere*
Sed tace, tace.

F ed .
Vec.
F ed.

P al.

F ed.
P al.
F ed.
P al.

F ed .

E io salva del tutto! Ma che ha tu per dire d esser


disfatto?
Perch son lontano dal mio bene.
Non piangere, o mio Fedromo, tu non farmi patir
la sete, e io ti condurr quella, onde tu se trafitto.
In f di valentuomo che se mi osservi la parola;
invece duna statua d oro vo fartene una di vino,
in monumento alla tua gola. Chi, o Palinuro, sar
di me i pi 'fortunato, s ella viene nelle mie brac
cia?
Chi innamorato,' e non trovasi due quattrini
in scarsella, alle guagnele che in mezzo a forbici
assai taglienti.
Questo non il caso mio, imperocch ho fidanza
che oggi m arrivi il parasito col denaro.
Oh! i bei castelli in aria che fate voi, nella aspet
tazione di ci che non verr mai.
E che se m avvicino alla porta e sopra vi fo una
mattinata?
Se vi piace: io n ve lo proibisco n ve lo ordino!
dappoich veggo che voi, padron mio, avere si al
peggio vlti i vostri costumi e 1 animo vostro.
0 chiavistelli, chiavistelli, con qual gioja io vi sa
luto, voi amo, voi io voglio, voi prego, voi scongiuro,
Deh, carissimi, ite a versi della donna mia, per
amor mio fate un salterello da barbaro, bal
zate in suso e mandate fuori costei che sugge il
sangue a me povero innamorato: togli come dor
mono gli sciaurati! non fanno punto cenno di muo
versi: Ben veggo che la mia grazia la tenete cica!
ma zitto, zitto.

Pal.
P ha.
Tandem

Taceo hercle. Quid est?


Setilio ionilum.
edepol m ihi morigeri pessuli fiunt.
SC EN A

IH .

L eva , P l a v e siv m , P habdromus, P a l in v r v s .


L

ek

. P la c id e eg red ere et s o n itu m p r o h ib e fo r i u m et cre


p itu m c a r d in u m ,

N e hic quod agimus, hem s percipiat fieri, mea Plan e s iu m .

F jl.

Mane, subfundam aquolam.


Videri, ul anus tremula medicinam facit?
Eapse m erum condidicit biberej foribus dat aquam ,
q u a m b ib a n t.

P L J .U b i tu es, q u i m e c o n v a d a tu s V e n e r is v a d im o n iis ?
( U b i tu es* q u i m e libello V e n e r io c ita v is ti? )
E c c e m e ! sisto ego tib i m e , et m i h i a d es c o n tr a su a d e o .
P h j . A d su m : n a m s i a b s im , h a u d

recusemquin

m ih i

male sit, mei meum.


P la .A nime m i, me procul am antem abesse, haud con
sentaneum est.
P ha . Palinure, Palinure!
P a l.
Eloquere, quid est, quod P alinurum voces?
P h a .E s I lepida?
P a l.
N im is lepida.
P ha.
P al.

S u m deus?
I m o h o m o h a u d m a g n i p r e li.

P u A .Q iiid v id is ti, a u t q u id vid eb is m a g e d is a e q u ip a r a b ile ?

P al .
F ed .

Son chiuso come una pina: che questo?


Sento romore, Dio lodato, questi chiavistelli fanno
a mio senno;
SCENA

HI.

Vecchia, P lanesio, F edromo, P alinuro.


V ec .

P al.

P la.

F ed .

P la.
F ed.
P al.
F ed .

P a i.
F ed .

P al.
F ed .

Escine cheta cheta in guisa che non s odano n il


suono delle imposte, n il cigolo degli arpioni, se
il padrone non dee sentir nulla di quanto facciam
qui fuori, o Planesio. Aspetta che sparger della
cqua.
.
Oh la gran dottoressa in medicina che questa
tremula vecchiaccia! Essa apprese a cavarsi.la sete
col vino, ed alla porta da a bere 1 acqua.
E dove se tu che m hai fatta venir qua .al giu
dizio di Venere? E dove se tu che a Venere m hai
citata? Eccomi io son qui, e ben m avviso che se
ci venni io, ci sarai capitato anche tu.
Son q u i Fossi lontano e mi torrei addosso qua
lunque male del mondo, o mel mio dolce. .
Anima mia, pur sconcio eh io tua amasia abbia
star s disgiunta.
O Palinuro, Palinuro?
Parlate; che volete voi da Palinuro?
Non ella cara?
Carissima.
Sono un Dio.
Uomo da cembali.
Clie hai lu visto, e che puoi III vedere da potersi
wcltere in confronto agli iddii?

P j l .M ale vatere /e, quod m i aegre est.


Pb j.
Male m ihi morigerus! tace!
P j l . Ipsus se excruciat, qui homo, quod arriat, videt, nec
potitur, dum licet.
P b j . Recte objurgat. Sane haud quidquam est, mage quod
cupiam, tam diu.
P u .T e n e me, amplectere ergo!
Pb j.
H oc etiam est, quamobrem cupiam vivere.
Quia te herus prohibet, clam hero polior.
Plj.
Prohibet, nec prohibere quit,
Nec prohibebit, nisi mors anim um meum abs te ab
alienaverit.
P jz.E n im vero nequeo durare, quin ego henim adcusem
m eum ;
N am bonum est pauxillum amare sane; insane non
bonum estj
Verum totum {nsanum amare, hoc est, quod meus
herus facit.
P b j . Sibi sua habeant regna reges, sibi divilias divites.
Sibi honores, sibi virtutes, sibi pugnas, sibi proelia!
D um m i abstineant invidere, sibi quisque habeant,
quod suom est!
P ji.Q u id tu? Venerili pervigilare te vovisti, Phaedrome?
N am hoc quidem edepol haud mullo post luce lucebit.
Pb j.
Tace!
P j l . Quid taceam? quin tu is dormitum?
Ph j.
Dormio: nec obclamiles!
P jl , T vl quidem vigilas.
Pb j.
J t meo more dormio: hic somnnst mihi.
PjL.Heus tu, mulier, male mereri de inmerenti inscilia esi.

P al.

I o mi senio spaccar l anima,, che voi siate a si

mal partito.
F ed .

T u m h ai ristucco! sta zitto.

P al .

E cco il m artello del b u o n uom o, e si vede l am a


sia appresso e n o n se ne fa p a d ro n e , potendolo.

F ed .

Ben m i s ta q u e sta ra n n a ta . Non ho cosa

che d s

ta n to tem po m aguzzi p i di q u esta 1 appetito.

P l.
F ed .

Tiemmi ira le tue braccia.


Q uesto ap p u n to m i fa av er c a ra la vita: perch
il p a d ro n e te lo divieta, io ne ricevo pi gusto.

F ed .

Egli noi vuole, ma non pu impedirlo, n limpedir


se non quando la morte mi avr disgiunta da
te.
Non posso pi durarla dal non rammaricarmi col
mio padrone. Essere innamorato un pochino bene,
ma troppo pazzia; e questo amore del mio pa
drone proprio un amore da pazzo.
S abbiano i loro regni i re, le loro ricchezze i si
gnori: tengasi ognuno per s gli onori, le bravure,
i combattimenti, le battaglie! Purch da me stia
lontana l invidia, abbiasi ognuno la parte sua!
E s? avete fatto volo vi forse, o Fedromo, di
consacrare questa notte a Venere? non potr tar dar molto a farsi chiaro.
Zitto.
Perch zitto? che non andate voi a dormile?
Dormo, non gridare.
S, cogli occhi aperti.
Airusaflj&a mia: questo il mio sonno.

P al .

R en d er m ale, o d o n n a, a chi vuol bene gagliof

P la.

P al.

F ed .

P al.

F ed .

P al.
F ed.
P al .

faggine assai grossa.


Y ol. III. P lalt ,

IO

P la . Irascere, si te edentem hic a cibo abigat?


P al.

Ilic e i!

Pariter os perire amando video j nterque insaniunt.


Fiden,u l misere m oliuntur, nec queunt conplecli satis?
Eliam dispartimini?
P la .
Nulli est hom ini perpeluom bonum:
J a m huic voluptati hoc adjunctum est odium.
Pal.
Quid ais, propudium?
Tun etiam cum noctuinis oculis odium me vocas,
Ebriolae' persolla, (8) nugae!
P ha .
Tun' m eam Fenerem vituperas?
Quod quidem m ihi polluctus virgis servos sermonem
serat?
j i t nae tu hercle id cum cruciatu magno dixisti luo!
Hem tibi maledictis pro> istis, dictis moderari ul
,
queas.
P al . Tuam fidem. Fenus noctuvigila!
P ha.
Pcrgin etiam, verbero?
P la . Noli amabo, verberare lapidem, ne perdas m anum .
P al . Flagilium probrumque m agnum , Phaedrome, ex
pergefacis:
Bene monstrantem pugnis caedis: hanc am as, nugas
m erus.

Hoccine fieri, ut inmodestis te hic moderere moribus?


P b a .J u r o contra cedo modestum am atorem ! a me au
rum aciipc!
P al . Cedo m ihi contra aurichalco, ( 9 i quoi ego sano
serviam!
P la . Bene vale, ocule m i, nam sonitu el crepitu claustro
rum audio
Jediluom aperire fanum .

P la.

Non tan ta muffa: qui niuno ti strappa di tavola.

P al.

Buona notte! gi veggo che l uno e laltra vuol cre


pare coll* amore in corpo; son pazzi ambedue. Ve
che faccenda hanno essi; come non finiscono dab?
bracciarsi? non vi divincolate ancora?

P la.

Non s hai il miele senza le mosche: cosi a questo


piacere va unita la noja.

P al .

P al.

Che parole son queste, sguadrinella? tu con que


gli occhi di cuccoveggia dire a me che sono una
noja? oh muso da cuschero!
T u svillaneggiar la mia Venere? E che mi fa 1 abbajar. d un servitoraccio inguidalescato dalle v er
ghe? Con tuo danno aff avrai detto questo, p e
tali ingiurie ti si insegner a tenere nei denti la
lingua.
Deh, Venere, a iu ta m i! tu che non dorm i la notte.

F ed.

E ancora, o manigoldo?

P la.

Deh, non battere un sasso, vi perderesti la m ano.

P al .

Ah Fedromo, qual ribalderia; qual vergogna, fate


voi! Chi v insegna la buona strada voi empite
di pugni:' voi amate costei ed una follia. Coy
era da fare, lasciarsi cos ire la cavezza al collo?

F ed.

L o pagher a peso d' oro un am ante pi savio,

P al.

prendi il denaro!
E voi trovatem i un padrone meno avventato, eh io

F ed.

vi snocciolo del buon oricalco!


P la.

Salve, cuor mio, dal romore e dal cigolar delle


porle sento che il custode apre il tempio.

P ha .
Q uousque...?
P lj.
Quaeso, ad hunc modum
Inler nos amore ulemur semper subrepticio?
P ha .M inume: nam yarasilum m isi nudius quarius Cariam
Pelere argenlumj is hodie hic aderit.
P la .
N im ium consultas diit.
PuA.Ita me Fenus amet, ut ego hoc .te triduom nun
quam sinam
I n domo esse istac, quin ego le liberalem liberem!
PLA.FacilOj ut memineris! Tene etiam priusquam hinc
abeo, savium!
P ha ,S i quidem m i hercle regnum detur, nunquam id
potius persequar.
Quando ego te videbo?
P la .
Ehem, isloc verbo vindiciam para!
S i amas, eme! ne rogites! facilo, ut pretio pervincas
tuo.
Bene vaie.
P h a . Jam ne ego relinquor? Pulcre, Palinure, occidi!
P al . Ego quidem, qui et vapulando el somno pereo.
P ha .
Sequere me.

F ed .

P la.
F ed.
P la.
F ed.

P la.
F ed.
P la.

E fin quando... ?
E la durerei sempre noi con questo amore fur
tivo?
Mai no; jer laltro passato ho spedito per denarp
il mio parasito in Caria; oggi egli sar qui.
Ci pensi troppo tardi.
M ami cosi Venere, come io mi non permetter
tu stia alti'i tre d in qaesto luogo, senza che io
ti rinfranchi, o mio bel fiore.
Ricordati adunque; to questo bacio anzi che me
ne vada.
Se alcuno moffrisse un regno, noi piglierci giam
mai. Quando ti vedr io?
Orb alle parole accom pagna i fatti! se m ami
comprami ! non cercar pi oltre ! fa di posseder
mi col tuo denaro! addio!

ed .

P al.
F ed.

Cos presto io son lasciato? In bel modo io


son diserto, Palinuro.
E io stracco dalle btte e dal sonno.
Seguimi,

ACTUS II.
SC E N A

1.

Cappadox , P alinuru s .
Cj p . Migrare cerlum est ja m nunc e fano foras,
Quando Aesculapi ila senlio sententiam,
Ut qui me nihili faciat nec saivom velit.
Valetudo descrescit, adcrescil labor:
N a m ja m , quasi sona, liene cinclus ambulo;
Geminos in venire habere videor 'filios.
N il mehtOj nisi, ne medius disrum par miser.
P a l . S i recte facias, Pliaedrome, auscultes m ihi,
Atque islam exturbes ex animo aegritudinem.
Paves, parasitus quia non rediit Caria?
Adferre argentum credo: nam si non ferat,7'ormeulo non retineri potuit ferreo.
Quin recipiat se huc esttm ad praesepim suam.
C ap . Quis hic est, qui loquilurl
P a i.
Quojam vocem ego audio?
C ap . Esine hic Palinurtis Phaedromi?
Paz.
Qui hic est homo
Cum conlalivo venire atque oculis herbeis?
l)e fo rm a novi} de colore non queo
Notisse. J a m ja m novi: leno est Cappadox.
Congrediar.
Cap.
Salve, Palinure.
P a i.
0 scelerum caput,
Sulvelo. Qttid agis?

ATTO II
SCENA

I.

Cappadoce, P alinuro .

Cap.

Son gi deliberato, voglio uscire da questo tempio,


veggo che Esculapio non m ha in nessun conto,
e ha fermo il chiodo di non volermi guarire. Mi si
riducon allo stremo le forze, e mi saccresce il malei
se faccio quattro passi parmi che una , fascia mi
stringa la milza; sembrami avere due figliuoli nel
ventre, e l avr per un bene se non mi veggo
scipare.
Se vorrete, o Fedromo, far bena i fatti vostri at
tenderete a me, e vi torrete questa malinconia dalL animo; voi v affannate perch il parasito non
ritorn di Caria? metterei il capo eh egli vi porta
i quattrini, imperciocch se cosi non fosse noi
terrebbe un argano di ferro dal far ritorno alle
sue stalle.
Chi parla qua?

P al.
Cap.

Qual voce questa eh io ascolto?


E non costui Palinuro servo di.Fedrom o?

P al.

C ap.

Chi quest uomo che ha nel ventre una botte?


egli ha. gli occhi color dell erba, alla forma potrei
raffigurarlo, ma al colore no: adesso 1 ho cono
sciuto, il ruffiano Cappadoc, 1 affronter.
Acldio, o Palinuro.

P al.

0 ribaldone, addio, che si fa?

Cap.

P al.

1S2

Cj p .
P i ..

Fico.

Nempe, ut dignus es.


Seti quid lib i est?

Cj p .

lie n necat, renes dolent,


Radiccs cordis pereunt, hirae omnes dolent,
Pulmones distrahuntur, cruciatur jecur.
P j l . Tum te igitur morbus agitat, hepatarius.
Cj p . Lien dierectust.
P jl.
Am bula: id lieni op tim u m est.
Cj p . Facile est miserum inridere.
Pjl.
Quin tu aliquot dies
Perdura, dum intestina exputescunt iibi,
N nc, dum salsura sal bona est. S i id. faceris,
Fenire, poteris intestinis vilius.
Cj p . Aufer istaec quaeso, atque hoc respode, quod rogo.
P otiri conjecturam facere, si narrem libi,
Hac nocte quod ego soynniavi dormiens?
P jL .F a h , solus hic homo est, qui sciat divinitus.
Quin conjectores a me consilium petunt:
Quod eis respondi, ea omnes stant sententia.
SC E N A

II.

Cocus, Cjp p jb o x , P jl in u b v s , PujEDnOMVS.


Coe.Palinure, quid stas? quin depromuntur m ihi,
Quae opus, parasito ut sit paratum prandium ,
Quom veniat?
Pa i.
Mane, sis, dum huic conjicio somnium.
Coe. Tute ipse, si quid somniasti, ad me refers.
P j l . Fateor.

C ap.

Si vive.

P al.

Conforme a tuoi meriti: ma che hai?

Cap.

L a milza che mi ammazza, mi dolgono le reni, ho


bacato il cuore fino alle radici, tu tte le viscere mi
sento lacerare a spasimo, mi si schiantano i pol
moni, e ho un picchio al fegato che mi torm enta.

P al.
Cap.

T ha incolto adunque il male epatico.


Ho la milza tu tta gonfia.

P al.

Passeggia, il moto giova alla milza.

Cap .

Gli pur facile mettere in canzona un disgraziato.


Aspetta alcuni di ancora, intanto che le tue mi
nugia se ne vanno in putredine, oggi la carne sa
lata di qualit aneor buona. Se ci farai per le
tue budella potrai esser venduto a prezzo pi basso.

P al.

Cap.

Lascia questo da p arte , rispondimi a questo che ti


cerco; saprestu indovinarm i un sogno eh ebbi sta
notte?

P al.

Vah! In questo paese un solo l ' astrolago. Gli


interpreti vengono a me per consiglio e tutti sat
tengono al mio detto.
SCENA

n.

Cuoco, Cappadoce, P alinuro* F edroho .


Cuo.

Che fai li, donzellando Palinuro? E perch non mi si


m ette fuori il necessario, se vuoi pronto il desi
n a re all arrivo del parasito?

P al.

Cuo.
P al.

Sostieni, intanto che indovino un sogno costui.


Se pur tu che se hai qualche sogno vieni a me.
Vero.

Coc.
P ai ..

Abi, deprome!
Age, tu interea huic somnium
Narra: meliorem, quam ego sum, suppono tibit
J\'am quod scio, omne ex hoc scio.
Cap .
Operam ul det.
P al.
Dabit.
Ca p .F ucI hic, quod pauci, ul sit magislrod obsequens.
Da m i igilur operam.
Coc.
Tamelsi non novi, dabo.
Ca p . Hac nocte in somnis visus sum viderier
Procul sedere longe a me Aesculapium,
Neque eum ad me adire, neque me m agni pendere
Fisum est.
Coc.
Item alios deos facturos scilicet:
Sane illi inter se congruont concorditer.
Nil est m irandum , melius si nil sil libi:
Namque incubare satius te fuerat Jovi,
Tibi qui auxilio in jurejurando fuit.
Cap . S i quidem incubare velint, qui pei juraverint,
Locus praeben non pote in Capitolio.
Coc.Nunc anim um advorte. Pacem ab Aesculapio
Pelas: ne forte tibi evenat m agnum m alum .
Quod in quiete libi portentum est.
Ca p .
Bene facis.
Ibo alque orabo.
Coc.
Quae res male vorlat tibil
Proh (iO ) di inmortalesj quem conspicio? qui illic
est?
Esine hic parasitus, missus qui est in Cariam?
Heus, Phaedrome, exi, exi, exi, exi, exi, inquam ,
ociusl
P b a . Qui istic clamorem tollis?
Coc.
Parasitum tuom
Fideo currentem, ellum, usque in plalead ultima.
Hinc auscultemus, quid agat.
Pb a.
Sane censeo.

Cro.

Ya, metti allordine.

P al.

Or via tu n a rra il sogno a costui, egli pu farmi


il m aestro, io te lo pianto in vece mia: tutto che
so io lo ebbi da costui.

Gap.
P al.

Purch mi attenda.
Attender.

Cap.

Costui uomo non come gli filtri, accondiscenda


al suo m aestro: ascoltami adunque.

Ctjo.

Sebbene questo non sia mio mestiere, ti sentir.

Cap.

Stanotte parvemi vedere Esculapio seder lontano


d me, e che non mi si facca vicino, e che dava
sembianza punto non si curasse di me.

Cuo.

E cosi pur faranno tutti gli altri Iddi: dii di


certo si hanno spartito il sale. Non far luomo ca
duto dalle nuvole se non ti vedi riavere: ben aWos'.i
fatto meglio a riporli nel tempio di Giove, il
quale ti sovenne sempre ne tuoi giuramenti.

Cap.

Se quanti spergiurano ivi volessero giacere, non li


caperebbe il Campidoglio.

Cuo.

Cap.

Cuo.

Bada intanto. Chiedi pace da Esculapio acci non


ti avvenga quel tristo pronostico di che t ha am
monito il sogno.
Ben m avvisi: andr e pregher.
Che tu sii impiccato! Potenzinterra, chi veggo
io? chi colui? e non egli il parasito che fu
mandato in Caria? chi Fedromo venite fuori, ve
nite, venite, venite, fate presto!

F ed .

Perch fai tanto fracasso?

Cuo.

il vostro parasito ch io veggo correre a ro tta;


Vello' l in fondo alla piazza: ascoltiamo che dia

F ed.

m ine si dica.
Egli lui.

CCRCVLIO, PlIADROMVS, PjLIKUSUS.


Cvn.Dale vicini, noli atque ignoti, dum ego hic officium
meum
Facio: fugite omnes, abile et de via secedite:
N e quem in cursu vapite aul cubito aut pectore obfendam aut genu:
Ita nunc subito el propere et celere objectum est
milii negotiumj
Nec sit tam opulentus quisquam, qui m i obsistat in
via,
Nec strategus nec tyrannus quisquam neque agora
nomus
Nec demarchus nec comarchus nec cum tanta gloria,
Quin cadati quin capite sislat in via de semita!
Turn isti Graeci palliati, capile operlo qui am bulant,
Qui subfarcinati incedunt cum libris, cum sportulis,
Constant, conferunt sermones inter sese drapetae,
Obstant, obsistunt3 obcedunl cum suis senlentiisj
Quos videas semper lubentes esse in thermopolium,
Ubi quid subripuere ( operio capitulo calidum
bibunt;
tristes atque ebrioli abscedunt ) : eos ego si obfeli
der,
E x unoquoque eorum ejiciam crepitum polentarium !
Tum isti, qui ludunt'dalatim , servi scurrarum in
via,
Et datores et factores omnes subdam sub solum!
Proinde sc dom i contineant, vitent infortunio!

Curculione, F edrosio, P aliauIio .


Cur.

Largo, largo; amici e non amici, ora che io vo fare


i falli miei: fuggite tulli, andate, spulezzate dalla via,
affinch nella mia furia non m 'imbatta in alcuno col
capo, col gombito, col petto, col ginocchio: ch
io ho a spacciare una cosa presto e di furia, N
siavi alcuno, perch ricco, che voglia star sulla
strada, n generale, n tiranno, n agoronomo,
tribuno, o borgomastro, perocch, s egli mi vuole
attraversarmi la carriera, con tutta lascio sua boria
gli far battere del capo in terra. Cosi pur a questi
Greci che se ne vanno imbaccucati e impappaficali, con una sofToggiata sotto di libri o con le
sporte, che si fermano su due pi ciaramellando
alla distesa; e questi novellini che oppongon sem
pre, e sempre han nuove quistioni, sempre fan dello
sputatondo, genie che tu vedresti, appena han buscato un quattrinello, colla loro testolina coperta,
bere il vin caldo nelle taverne, e poi andarsene
intronati e dondoloni, dico clic se mi trucco in essi,
vo tartassarli per modo che abbiano a trullar-tanto,
quanta la polenta che si hanno divorata. Simil
mente i servi de buffoni che giuocano alla palla
nella strada, tutti io e chi manda, e chi rimbecca
far tornare a terra, insomma stiasi pguuno in
casa sua clic si canser la mala ventura!

P h j .R ecte hic monstrat se imperare posse: nani ila nunc


ni os viget,
Ila nunc servilium esi. Profecto modus Itabcri non
polcst.
Cur. Ecquis est, qui m ihi conmonslrct Phaedrom um , ge
nium meum?
Ila res subita est: celeriter m i hoc homitie convento
est opus.
P a l . Te ille quaerit.
Pba.
Quid, si adeamus? Heus, Curculio, te volo.
Cujt.Qtiis vocat? quis nom inai me?
P ha.
Qui te conventum cupit.
Cua.IIaud mage cupis, quam ego te cupio.
Pba.
0 mea oppot'lunilas,
Curculio exoptate, salve!
Cur.
Salve!
P ha.
Salvom gaudeo
Te advenire! Cedo tuam m ihi dextram ! Ubi sunt
spes meae?
Eloquere, obsecro, hercle!
Cur.
Eloquere, te obsecro, hercle, ubi sunt meae?
P h a . Quid tibi est?
Cur.
Tenebrae oboriuntur, genua inedia succidunt.
P ha . Lassitudine hercle, credo.
Cur.
Reline reline me, obsecro!
P h a .F ide, ut expalluit! dalin isti sellam, ubi adsidut,
cilo,
\

El aqualem cum aqua? properalin' ocius?


C ur.
A nim o male est.
P h a . V in aquam?
Cur.
S i frustulenta est, da, obsecro, hercle: obiorbeam.

F ed.

lien m ostra costui che sa comandare: pur troppo


v questo vezzo, pur troppo son cos tu tti i

Cub.

servi. Non si pu tro v ar modo a teuerli.


Ehi, chi minsegna Fedrom o, il mio genio? Bisogna
far presto, io debbo accontarm i subito con que
st uomo.

P al.

Egli cerca di voi.

F ed.
Cur.
F ed.

E se noi 1 affrontiamo? 0 Cureulione, te io voglio.


Chi mi vuole? chi mi chiama?
Tale che vorrebbe parlarti.

Cur.

Tu non puoi volerlo pi di me.

F ed.

0 mia delizia, o Cureulione, mia aspettazione, ad

Cur.

dio.
Addio!

F ed.

Mi brilla T anim a veggendoti arriv ar sano! Dammi


la tua destra: dove sono le mie speranze? parla,
p er carit.

Cur.

E per carit, dove ora sono le mie?

F ed.

Che hai?

Cur.

Mi si annugolan gli occhi, mi traballan le ginoc


chia sotto.

F ed.
Cur.

Ben cred io che sarai stracco.


Tiemmi saldo, tiemmi per am or del cielo!

F ed.

Non vedi come allib l uomo? porgete a costui


una seggiola a sedere, ed un catino d acqua;
spicciatevi.

Cur.
.Fed.
Cur.

Mi sento male.
Vuoi acqua?
. Se non la del tutto liquida, ah! dammela! me
1 assorbo in un fiato.

4(iO

P h a . Vae capili Ilio!


Cur.
Obsecro hercle, facile, venlum ut gaudeam.
P h a . Maxume.
Cur.
Quid facilis, quaeso?
Pa i.

r e n iu m .

Cur.,
Nolo equidem m ihi
Fieri ventulum.
P ha.
Quid igitur?
C ur.
Esse, ut venlum gaudeam.
P/fA.Jupiler te dique perdant.
Culi.
Perii, prospicio parum ;
Osmarum habeo denlis plenos lippiunt fauces fame:
Ila cibi 'vacivitate venio laxis lactibus.
Vh a . Jani edes aliquid.
Cun.
Nolo hercle aliquid; certum quam aliquid
' mavol.
P h a . Im o si scias, reliquiae quae sint libi . . .
Cur.
. Scire nimis lubet,
Ubi scient; nam illis conventis sane opus esi meis
dentibus.
P b j . Pernam, abdomen, sumen, sueris glandium.
Cu r.

A i i r i l u o m n ia h ic?

In carnario fortasse dicis.


P ha.
Im o in lancibus;
Quae tibi sunt parata, postquam scimus venturum.
Cur.
U de,
Ne me ludas.
P ha .
Ita me amabit, quam eg am o, ut
haud ego mentior.
Sed quod te m isi nihilo sum certior.
C ur.

N i h il a ltu li.

F ed.

Il diavolo che ti porli!

Cur.

Deh,, un podi vento che mi dia ristoro.

F ed.

Subito.

Cur.

Domini che fai? '

P al.

Vento.

Cr.
F ed.

Ma non mi voglio io questo venterello.


Che vuoi dunque?

Cur.

Mangiare, acci mi diate il benvenuto.

F ed.

Dolente Giove ti faccia, e tutti gl Iddii.

Cur.

Ahim pi non ci veggo, ho pieni i denti di leppo:


p er la fame mi sflaccica la gola, e per la fame
ho le budella vuote e fiacche affatto.

F ed.

A m om enti m angerai qualcosa.

Cur.

Che qual cosa? e l ha da esser ben pi di qual


cosa.

F ed.

Eh se sapessi che rilievi ti seno! . . .


Vorrei ben saper dove, perocch avrei bisogno di
salutarli co denti.
Un prosciutto, un ventre, un saime, un ghiandaie
di porco.

Cur.
F ed.
Cur.

Proprio tu tto questo? forse t intendi nella macel


leria.

F ed.

Anzi al fuoco. E noi li abbiam messi in ordine per


ch sapevamo che oggi dovevi essere de nostri.

Cur.
F ed.

Deh, non in uccellare.


Cos la m* avesse a voler tanto bene colei quanto
gliene voglio io, come t-utto questo vero, ma e
non si pu saper cosa del m ondo intorno a ci
per cui t ' ho m andato? \

C ur.

Ilo portato nulla:


Vol. III. P laut.

il

162'

PfiA.Perdidhti me!
C vr .
Invenire possum, si m i operam dabis.
Postquam tuo jussu profecltis sum, perveni in Cariam -,
Video tuo sodalem j argenti rogo uli faciat copiam.
Scires, velle gratiam tuam: noluit frustrarier,
Utdecetvelle hominem am icum amico atque opitnlarier:
M ihi respondit paucis verbis alque adeo fidelile.
Quod libi esset, item rlbiesse m agnam argenti inopiam.
PnA. Perdis me tuis didist
Cvr, .
Im o servo et servatum volo.
Postquam m ihi responsum est, abeo ab Ulo moestus
ad forum ,
Frustra med illo advenisse. Forte adspicio mililem,
Adgredior hominem, saluto adveniens. Salve, inquit,
m ihi,
Prendit dexteram, seducit, rogat, quid veniam Ca
riam .
Dico, me illo advenisse anim i causa. Ibi me interrogat,
Ecquem in Epidauro trapezitam Lyconem noverim?
Dico me novisse, Quid lenonem Cappadocem?
Jdnuo,
Visitasse. Sed quid eum vis? Quia de illo emi
virginem
M nis triginta, vestem, aterum. Et pro his decem coac
cedunt minae.
Dedisti argentum? inquam. Im o apud trapezi
tam situm est
Illum , quem dixi, Lyconem j atque ei m andavi, qui
anulo
Meo tabellas obsignatas attuliset, ut daret.
Operam ul mulierem a lenone cum auro et veste
abduceret,
\

F ed .
CuB.

ed.

C ur.

Tu m hai dfserto!
Ma posso' trovarne, ascoltami: conforme i tuoi or
dini, io, partito di qui, sono andato in Caria, veggo
1 amico e gli domando questo danaro. Sapevi gi
eh ei voleva la tua grazia; n ti volle ingannare;
come debito 1 amico soccorre lamico: cos fa
egli, mi risponde alla ricisa, e con una lealt che
innamora, cio che in quel sottile che tu eri, n
pi n meno si trovava egli.
Le tue parole m uccidono.
Anzi ti salvano, e salvo ti voglio. Avuta questa
risposta, mi spicco da lui, con tanto di grugno
dolendomi davere spesi cos male i passi miei, e
vengo in piazza. Per avventura trovo un soldato,
gli vado incontro ed affrontandolo Io saluto. Oh
buon di quegli mi disse, mi stringe la destra, mi
tira in disparte, e mi domanda qual diamine io fac
cia in Caria. Soggiungo esservi per diporto, quindi
egli mi ricerca se in Epidauro conoscessi un cotal
banchiere di nome Licone? dico di conoscerlo. E
il pollastrier Cappadoce? Rispondo desser stato
in casa sua. Ma tu che hai con lui? Io riprese, cgli comperai da lui una fanciulla per trenta mine, e
meltivene altre dieci per le vesti e per 1*oro. E
glielhai tu snocciolato questo denaro? gli dico io.
Egli: presso quel banchiere, presso quel L iconc che t ho detto pur ora, cui io ho ordinato
operasse, acci colui, il quale gli desse una lettera
sigillata col mio anello, avesse a condur via da
quel ruffiano la donna e il corredo. Dettomi questo

Postquam hoc m ihi narravit, abeo ah illoj revocat


me elocoj
Vocat d coenam; religio fuit: denegare nolui.
Quid si abeamus, decumbamus? inquit. Consilium
placet.
Neque diem decet m orari, neque nocti nocerier.
Omnis res parata estj et nos, quibus paratum estj
adsumus.
Postquam coenati atque adpoli, talos poscit sibi iri
m anum ;
Provocai me in aleam ut ego Indam. Pono pallium;
]lle suom anulum opposivilj invocat Planesium.
Piu.M eosne amores?
Cea.
Tace parumper. Jacit volturios quatuor.
Talos arripio, invoco alm am jneam nutriculam ( H )
Herculem,
Jacto basilicum, propino m agnum poclum: ille ecbibitj
Caput deponit, condormiscit; ego ei subduco anulum;
Deduco pedes de leclo clam, ne miles sentiat;
Rogitant servi, quo eam? dico m e ire, quo saturi
solent;
Ostium ubi conspexi, exinde me eloco protinam
dedi.
P h a . Laudo.

Laudato, quando illud, quod cupis, ecfecero.


Eam us nunc intrO j ut tabellas consignem us.
P g j.
Non moror.
C ur . Jtq u e aliquid prius obtrudamus, p.ernamJ sumen,
glandium.
Haec sunt ventri stabilimenta, pane et assa bubula.
Poculum grande, aula magna, ut salis consilia
suppetant.
Tu consignato tabellas; hic ministrabit; ego edam:
' D icam j quemadmodum conscribas. Sequere me hac
inlro.
Pb j .
Sequor.
Cv b .

m
mi tolgo da lui, egli mi chiama indietro, minvita
a cena: questa religion mia: non volli rifiutarmi.
Non possiam metterci a tavola? dice egli : mi
piace il partito, imperciocch non si conviene a me
n perdere il giorno n far male alla notte. Tutto
pronto, e noi ci poniamo ciascuno al nostro de
sco. Dappoich abbiamo ben mangiato e ben bevuto,
e piglia i dadi e minvita a giuocare, io metto il
cappotto, egli 1 anello, e invoca Plancsio.
F ed .

L ? a m o r mio?

Zitto, scuote i dadi, e fa quattro avoltoj. Li piglio


io, invoco Ercole, mia buona nutrice, e fo basilico;
vuoto un buon pechero, ed egli ne vuota un altro,
indi china il capo e lega la sua giumenta. Io gli
tolgo 1 annello, e cheto cheto, perch il soldato
nulla ne risentisse, metto i pi gi dal letto: i
servi mi domandano dove io vada? loro rispondo
ove vanno i satolli; appena vista la porta, per
quella mi gettai fuori a gambe.
F ed. . Benissimo.
C ur.
Lodami quando avr compito ogni cosa: ora andiam
dentro a scrivere la lettera.
C ur.

F ed .
Cur.

F ed .

Subitb.

'Ma prima rassettiamo quel prosciutto, quella gola


di porco, quel ventre: sono questi i fondamenti alla
pancia, pane, vitello arrosto, bicchier majuscolo,
gran pentola perch danno i sottili avvisamenti.
Tu scrivi e sigilla il pistolotto: costui mi far lo
scalco. Io manger, e li metter le parole in mano,
seguimi in casa.
Ti seguo.

ACTUS
SC E N A

1 1 1

I.

L r c o , C u r c u l io , C a p p a d o x .
L y c . Beatus vid eo r: su b d u x i ra tiu n cu la m ,

Quantum aeris m ihi sit, quantunque alieni siet:


Dives sum, si non reddo eis, quibus debeo.
( S i reddo cis, quibus debeo, plus alieni est. )
Ferum hercle vero viros (12) convellere cogito,
S i mage me instabunt, ad praetorem subferam.
Habent hunc morem plerique argentarii,
Ut alius alium poscant, reddant nemini,
Pugnis rem solvant, si quis poscat durius.
lUature qui quaesivit homo pecuniam,
N is i ea m m a tu re p a r s it, m a tu re esurit.

Cupio, aliquem emere puerum, qui usuraritis


N unc m ihi quaeratur: usus est pecunia.
C ur .N U tu m e sa tu ru m m onueris: m e m in i et scio.
E go hoc ecfectum lepide lib i tr a d a m ! Tace.
E depol liae ego hic m ed intus explevi p ro b e, '

Et quidem reliqui in venire cellae uni locum,


Ubi reliquiarum reliquias reconderem.
Quis hic est, operto capile qui Aesculapium
Salutat? A ttat, quem quaerebam/ Sequere me.
Sim ulabo, quasi non noverim. Hcns tu! te volo.
L x c . Unocule, salve.
Cu r .

Q u a e so , d e rid e sn e m e?

ATTO m .
SCENA

I.

L icore, Curculione, Cappadoce.

L ic.

Cur.

Lic.
Cur.

Io sembro lieto. Ho fatti i conti di quel che ho in


cassa e di quello che ho di debito; nuoto nel lardo
se non pago i debiti, ma se li pago me ne reit
imo pi grosso. Ma io penso proprio' di raggirar
gli uomini, se vorranno pressarmi, andr al pretore,
e mi dar per fallito. Questa lusanza de pi
de Banchieri, chiedere all uno ed all altro, e non
rendere mai a nessuno, e d empiere di pugni co
lui, che troppo duramente vuol ripetere il suo.
Chi con difficolt ebbe denaro, se presto non sa
far buon uso, presta sentir anche la fame. Voglio
comprarmi un bardassone: abbisogna quattrini.
Adesso mi togliere il capo. Adesso che son io
satollo, ho buona memoria e so che si dovr fe
re, io ti dar questo negozio ben compito, taci.
Alla mia fe che in questa casa mi sono ben disteso;
eppure ho lasciato ancora in pancia un luoghetto per riporre gli avanzi degli avanzi. Ma chi
colui che col capo coperto sta avanti ad Esculapio? oh buon per Dio! egli chi voleva, viemmi
dietro eh io m infinger di non conoscerlo: ehi
ehi, te io voglio.
0 monocolo, buon d.
Deh mi burli forse?

L r c . De coclilum prosapia te esse arbitror:


N am ii sunt unoculi.
Catapulta hoc ictum est mihi
C ur.
A pud Sicyonem.
N am quid id refert mea,
L rc.
A n aula quassa cum cinere ecfossum siel?
C u r . Superstitiosus hic qmdem est: vera praedicat:
N am illaecce catapultae ad me crebro conmcant.
Adulcscens, ob rempublicam hoc ictum est m ihi
Quod insigne habeo: quaeso ne me incomities.
L rc .L ice ln e inforare, si incomitiare haud lict?
fu R .N o n inforabis me quidem, nec m ihi placens
Tuom profecto nec forum nec comitium.
Sed hunc* quem quaero, conmonstrare si potes,
Inibis a me solidam et grandem gratiam.
Trapezitam ego Lyconem quaero.
L rc.
Dic m ihi.
Quid eum nunc quaeris, aut quojatis.
Cur.
Eloquar.
A b Therapontigono Platagidoro milite.
L rc .N o v i edepol nomen: nam m ihi istoc nomine,
D um scribo, explevi totas ceras qualuor.
Sed quid Lyconem quaeris?
Cur.
M andatum est mihi,
Ul has tabellas ad eum ferrem.
L rc.
Quis tu homo es?
Cun. Liberius illius, quem omnes Sum m anum vocant.
L r c .S u m m a n e , salve. Qui Sum m anus? fac sciam.
Cun. Quia vestimenta ubi obdormivit ebrius,
Sum m ano: ob eam rem me omnes Sum m anum vov
eant.

Lic.
Cur.

Lic.
Cur.

Porto avviso che tu


essi tutti hanno un
Questo fu un colpo
Sicione.
Che ha co fatti mici
una pignatta piena

sii di casa Codili, imperocch


occhio solo.
di catapulta che toccai presso
cotesto? se anco te lha cavato
di cenere?

L uomo ha d d l ntendacchio. Ei dice il vero,


queste sono le catapulte che mi toccan sovente.
Deh, galantuom o, non fare divenir la celia de Comizj questo segno che io porto, perch mi venne
pel bene della repubblica.

Lrc.
C ur.

Lic.
Cur.

Lic.

Cur.

Lic.
Cur.

Lic.
Cur.

Se non vuoi essere la celia de'Comizj, fa ch io li


faccia quella del foro.
Non -voglio foro che m infori, questo noe m in garba, n so che farmi n del foro n de Comizj.\ se non t incresce insegnami la persona eh io
cerco, te ne avr obbligo assai, io cerco un Licone banchiere.
Dimmi, per parte di chi vuoi questo Licone?
Te lo dir: per parte del soldato Terapontigono
^Platagidoro.
Cotesto nome non mi riesce nuovo, perocch ogni
volta che ho da scriverlo m abbisognano quattro
pagine, ma perch mai cerchi tu Licone?
Ebbi ordine di risegnargli questa lettera.
Chi se tu?
Un suo liberto, da tutti detto Summano.
O Summano, che tu sii il ben venuto, ma si perch ,
ti chiamano? fammelo sapere.
Perch non ha ancora ben velato l occhio un
ciompo, eh io tosto fo un giuco di mano alle sue
vesti: ecco perch da tutti sono chiamato Summano.

L r c . Alibi te meliust quaerere hospitium tibi.


A pud me profecto nihil esi Sum m ano loci.
Sed isluiiCj quem queriSj ego sum.
Cur.
Quaeso* lune is es
Lijco trapezita?
L rc.
Ego sum.
C ur.
M ultam me libi
Salutem jussit Therapontigonus dicere.
El has tabellas me dare jossti.
L rc.
Mihin?
Cur.
Ila.
Cape, signum nosce. Noslin
L rc.
Quidni noverim
Clypeatus elephantum ubi machaera dissidi?
C u r . Quod istic scriptum est, id le orare jusseral
Profecto ul faceres, suamsi velles gratiam.
L r c . Concede inspiciam, quid sil scriptum.
C ur.
M axum e
Tuo arbili'atu, dum auferam abs te id quod peto
L r c .* Miles Lyconi in Epidaurod hospiti
. Suo Therapontigonus Platagidonis plurim am
Salutem dicit.
Cur.
Meus hic est: ham um vorat.
L r c . Tecum oro et quaesoj qui has tabellas adferet
Tibi, ut ei deturj quam istic emi virginem
( Quod te praesente istic egi alque interprete )
Et aurum et vestem. Scis, uti_convenerit.
Argentum des lenonid, huic des virginem.
Ubi ipsus? cur non venit?

Lic.

Lic.

Meglio per te se pigli albergo altrove, che ia


casa mia non ho luogo per alcun Summario: ma
quello che tu cerchi sono io;
Tu se il banchiere Licone?
Io.

C ur.

M* ha detto Terapontigono

Cur.

t avessi a salutare

col miglior cuore del mondo, e m impose di d a rti


questa lettera,

Lio.
Cur.

Lic.

C u r.

Lic.
Cur.

Lic.
Cur.

Lic.

A me?
A te: prendila: raffigurane il sigillo. Lo conosci?
E perch non devo riconoscerlo? egli qui colto
scudo imbracciato in atto di scaraventar colla spada
un Elefante.
Aggiunscmi, secondo lo scritto, avessi a pregarti
che tu facessi ci senza fallo, se pur li sente cara
la sua grazia:
Aspetta ora io guardo, che cosa m 'h a scritto.
Volentieri, tuo agio, purch io posso fregartela.
Il soldato Terapontigono Platagidoro a Licone
suo ospite in Epidauro carissima salute.
Questo pesce mio, gi egli abbocca 1 amo.
Ti prego di dar tosto alla persona che ti ar
reca questa lettera la fanciulla che comperai costi,
cosa che io ho fatta alla tua presenza e per tuo
consiglio; aggiungasi 1 oro e le vesti. Ben sai con
venzioni che noi abbiamo; tu soddisfa al ruffiano,
a costui consegna l donna. Ma perch non
venne egli?

Cvit.

Ego dicam tibi.


Quia nudius quartus venimus indu Cariam
E x India: ibi nunc statuam volt dare auream
Solidam faciundam ex auro Philippeo, quae siel
Septempedalis, factis m onum entum suis.
L r c . Quamobrem istuc?
Cur.
Dicam. Quia enim Perses, Paphlanas,
Synopeas, Arabas, Caras, Cretanos, Syros,
Rhodiam atque Lyciam , Perediam et Perbibesiam,
Centauromachiam et (\Z ) Classiam U nom am m iam ,
Libyamque totam et omnem Conterebromiam,
D im idiam pariem nationum usque om nium ,
Subegit solus intra viginti dies.
L r c . Vah!
C ur.
Quid mirare?
L rc.
Quia enim in cavea si forent
Conclusid, itidem ut pulli gallinacei,
Ita non potuere uno anno circumirier.
Credo hercle, te esse ab illo: nam ita nugas blatis.
C u r . Im o etiam porro, si vis, dicam.
L rc.
N il moror.
'Sequere hac: te absolvam, qua advenisti gratia.'
Atque eccum video. Leno, salve.
Cj p .
D i te ament.
L rc .Q u id hoc, quod ad te venio?
Cj p .

D ic a s , q u id velis.

L r c . Argentum accipias, cum illo mittas virginem.


C a p . Quid, quod juratus sum?
L rc.
Quid id refert tua,
D um argentum accipias?
Cj p .
Qui monet, quasi adjuvat.
Sequimini.
Cur.
Leno, cave m ihi sil in te mora!

Eccoti: appena l ' altro d ritornammo dall India


nella Caria; quivi egli ha in animo innalzar una
statua d oro massiccio colata da tanti filippi, alta
sette piedi, in monumento delle sue imprese.
Lic.
E perch questo?
Cur. Perch la Persia, la Paflagonia, i Sinopei, gli Arabi, i Carii, i Cretesi, i Sirii, i Rodiotti, i Licii, la
Peredia, la Perbibesia, la Centauromachia, la Classia
Unomammia, tutta la Libia, e tutta quanta la
- Conterebromia, e mezzo il mondo, egli solo sottomise in venti d.
Lic.
Punf !
Cu.
Che? ti pajon miracoli?
Lic.
Cazzica! se fossero stivati in una gabbia come i
polli, e non si potria farli passare tutti in un anno.
Ben si vede che setu creatura sua, fanfaluche s
sperticate vai tu cantando.
Cur.

Cur.

Ma, se vuoi, te ne dir delle pi grosse.

Lic.

Oib! non f, vieni che spacciar T affar tuo. Ma


eccolo appunto: buon d, ruffiano.

Cap .

Che Dio t ajuti.

Lic.

Indovina perch vengo a te?

Cap .

Escine.

Lic.
Lic.

Ricevi il denaro, e-m anda la putta con lui.


Ma, e il giuramento?
Che importa a te? non hai il denaro?

Cap.

Chi ben avvisa, ben ajuta. Andiamo.

Ci' b.

Non mi far perder tempo, ruffiano.

Cap.

ir.

ACTUS
SC E N A

I.

Ch o r a g i s .

Edepol nugatorem lepidum lepide hunc nactiut Phaedromus.


halophantam hunc an sycophantam mage dicam
esse ncscio.
Ornamenta, quae locavi, mcluo ut possim recipere.
Quamquam cum istoc milii negati nihil est: ipsi
Phaedromr
Credidi: lamen adservabo. Sed dum hic egreditu
foras
Conmonstrabo, quo in quemque hominem facile in-r
venialis loco:
N em ini opere sumat operam, si quem conventum
velit,
Vel vitiosum vel sine vitio, vel probum vel improbum.
Per/urum hominem convenire qui volt, mitto in com ilium j
Qui mendacem el gloriosum, apud Cloacinae sacrum.
Ditis damnosos maritos n:b Basilica quaerito.
Ibidem erunt scorta exoleta, quique stipulari solent.
Sym bolarum conlatores apud forum piscarium.
In foro infimo boni homines atque diles ambulant.
In medio propter Canalem, ibi ostentatores meri.
Confidentes garruliqua et malevoli supra L acum ,
Qui alteri de nihilo audacter dicunt contumeliam,

ATTO IV.
SCENA
CORGO.

I.
.

I verit che Fcdromo s* occorse in costui pur nel buon


piacevolone, non so nemmen io se debba chia
marlo piuttosto trappolatore di terra che di mare;
fatto si che io temo di non ricoverare gli at
trezzi che gli 'h o prestati; egli ben vero che
ho nulla con lui, che io gli ho dati a Fcdromo,
per ci vuol occhio. Intanto che uscir il valen
tuomo io v insegner dove possiate ritrovare chic
chessia senza che voi rovistiate il mondo, acci
non si stracchi colui che va in cerca del uom
tristo o savio, dabbene o scellerato. Chi vuol tro
vare l uomo spergiuro vada al Comizio, chi un
mentitore od un pieno di vento sen vada presso
il tempio di Cloacina. Cercate sotto le basili
che que mariti ricchi un d, ed ora ridotti al
verde dalla moglie. Ivi saranno certe sgualdrinelle
affaldate con coloro th sogliono trafficarle. Que che
stanno raccogliendo gli scotti sono in pescheria, in
fondo al foro vanno piazzeggiando i ricchi cogli uo
mini dabbene, in mezzo a quello e presso il canale
girano i zerbini: gli smargiassi i blateroni ed i male
voli sono sopra il lago, di conserto a quelli che ad ogni
fuscello che lor si volga tra piedi dicon villania, e
con coloro che se ben si volessero guardare ttovereb-

Et qui ipsi sal habent quod ipsis vere possit dicier.


Sub Veteribus, ibi sunt, qui dant quique accipiunt
foenori.
Castoris pone aedem, ibi sunt, subito quibus credat
male.
Tusco in vico, ibi sunt homines, qui ipsi sese ven
ditant.
I n Velabro vel pistorem, vel lanium , vel haruspicem,
Vel qui ipsi vortanl, vel, quae aliis stibvorsenlitr,
praebeant.
(Ditis damnosos maritos apud Leucadiam Oppiam.)
Sed inierim fores crepuere: linguae moderandum est
mihi.
SC E N A

II.

C u r c u l io , C a p p a d o x , L rc o .

Cur.I tu, prae virgo: non queo, quod pone me est, servare.
Et aurum et vestem omnem suom esse aibat, quid
quid haec haberet,
Ca p . Nemo iit inficias.
Cu$.
'
J lla m e n meliusculum est monere.
Lrc.M em ento, promisisse te, si quisquam hanc liberali
Causa m anu adsercret, m ihi omne argentum red-
ditum iri.
M inas triginta.
Ca p .
Memineroj de istoc quietus esto:
Et nunc idem dico.
C u r.
E l conmeminisse haec ego volam te.
C a p . M emini et mancupio tibi dabod.

Bero pi rogna in loro clic in altri. Gli usurieri,


e que che si fanno scorticar da loro, siati presso
le taverne:.'al tempio di Castore son quelli a cui
tu non devi fidare, nel vicolo deToscani si vedono
quelli cho vendono se stessi. Se vuoi un forajo,
un beccajo, un aruspice, un che si faccia trappo
lare o che trappoli gli altri, cercalo in Velabro. I
m ariti spelacchiali dalla mogliera son presso Leu
cadia Oppia, Ma intanto si locc la porta, bisogna
andarsene.
SCEXA

II.

ClRCUUO KE, CAPrADOCE, LICO SE.

Cur.

Y-a tu innanzi, o donna, io di dietro non ci veg


go. Ei diceami che costei dovesse avere tutte le

dorerie e le vesti.
Cap.

Nessun lo nega.

Cur.

Ma non male il fartene motto.

Lic.

E tu ricordati la promessa, che se alcuno avesse


a provare costei esser libera, tutto il denaro mi
deve ritornare in tasca. Le sono trenta mine.

Cap.

Mei ricorder; stattenc cheto: ora ti ridico lo stesso.

Cui.

Ed io voleva avvisar* anche di questp. '

Ca p,

E, ne do sicurt, me ue sovverr.
V o l . 111. P l a u t .

12

m
C ur .

Egon ab lenone quidquam


M ancupio accipiam, quibus sui nihil est, nini una
lingua,
Qui abjurant, si quid creditum esi? Alienos m a n cupalis,
Alienos mittitis manud, alienisque imperatisi
Nec vobis auctor ullus est, nec vosmel estis ulli.
>
Item genus est lenonium inter homines meo quidem
animo,
Ut muscae, culices, cimices pedesque pulicesque:
Odio et malo et molestiae, bono U sui eslis nulli,Nec quisquam vobiscum in foro frugi consistere
audet:
Qui constitit, culpant euijt, conspuitur, vituperatur;
Eum rem fidemque perdere, tametsi nil fecit, ajunt.
L rc.E depol lenones meo animo novisti, lusce, lepide.
C ur . E odem hercle vos

po n o

et p a ro : p a rissu m i eslis

hibus.
I l i sallem in occultis locis prostant: vos in foro
ip s o ; .

Fos foenore, hi malo suadendo et lustris lacerant


homines.
Rogitationes plurimas propter vos populus scivit,
Quas vos rogatas rumpitis: aliquam reperitis rim am .
Quasi aquam feruentem frigidam esse, ita vos pu~
ta lis leges.

L r c . Tacuisse mavellem.
H aud ( \h ) male meditate m aledicax es.
C u r . Indignis si male dicitur, maledictum id esse dico;
Ferum t i dignis dicitur} benediclum est meo quidem
anim o.

Ca p .

Cur.

Oh bella! ed io dovr rimettermi alla fede d ur


ruffiano, il quale altro non ha che una lingua per
dinegar ogni cosa? Voi altri or vendete, ora af
francale li schiavi altrui, volete dar legge a tutti;
niuno vuol far malleveria a voi, n voi la fate ad
alcuno. La genia de ruffiani , se ben la vedo io,
come le mosche, le zanzare, le pulci, le cimici ed
i pidocchi: odio, male, e molestia a tutti, bene a
vantaggio a nessuno. Niuno, che abbia senno iu
capo, fermasi in piazza a cambiar parola con voi;
e se taluno si vuol fermare, e' tosto, diventa reo, lo
si sputacchia, lo si svergogna; e sebbene non abbia
fatto nulla, tosto si canta eh egli vuol mandare in
malora 1 avere e 1 onore.

Lic,

fTogaggine! loschetto mio, questi ruffiani li co


nosci bene apanni!

Gun.

Lic.

Anche voi altri io metto al medesimo posto, an


che voi altri siete della stessa pannina; questi al
meno fanno al bujo i loro fatti, voi altri all in
contro nella stessa piazza. Voi colle usure, questi
co mali consigli e co bordelli dilaniano gli uomiui.
Per tenervi in dovere a pi riprese fece il popolo
delle leggi; ma appena le son date fuori, voi tosto,
le rompete, qualche gretoluccia vi trovate sempre
Voi considerate le leggi come 1 acqua, se calda
niuno la tocca, se fredda ognuno vi mette la mano.
Non avessi parlato!

C ip .
C ur.

Che lingua tagliente la tua!


Se si sparla di coloro che non

se lo m eritano

allora la maldicenza, ma se s i . taglian le


legue addosso a bricconi; questa la tengo opera

Ego mancipent te nil m oror nec lenonem alium


quemquam.
Lxjco, numquid vis?
L rc.
Bene vale.
C ur.

Vale.

Cap .
Heus tu! tibi ego dico..
Cur. Eloquerej quid vis.
Cj p .
Quaeso, ut hanc cures, bene ut sit isti
Bene ego istam eduxi meae dom i el pudice.
Cvn.
S i hujus miseret,
Ecquid das qui bene sil?
Cj p .
Malum.
Ccn.
Tibi optisi, qui te procures.
Cj p . Quid stulta, ploras? ne tim ej bene hercle vndidi
ego te.
F ac, sis, bonae frugi sies! Sequere istum , bella, belle!
L rc .S u m m a n e j nunquid nunc j m me vis?

C vb .

Vale atque salve:


N a m et operam m i et pecuniam benigne praebuisti.
L r c . Salutem m ultam dicito patrono.
Cutt.
Nuntiabo.
'
L f c . Nunquid vis, leno?
Ca p .
Istas m inas decet)i , qui tne procurem,
D um melius sit mihi, des.
L rc.
Dabuntur: cras peti jubeto.
Ca p . Quando bene gessi rem, volo hic in fano supplicare:
N a m illanc minis olim decem puellam parvolam
em ij

Sed eunt, qui m i illam vendidit, nunquam postilla


vidij

Lic.
O ur.
Cap,
Cur.
Cap.

Cur.
Cap.
Cur.
Cap.

L ic.
Cur.

L ic .
Cur.
L ic.
Cap.
L ic.
Cap.

meritoria. Della tua sicurt o di quella d alcun


altro ruffiano io me ne incaco. Vuoi tu Ufo, o
Lieo?
Che stii sano.
Addio.
Ehi l! io parlo a te.
Parla, che vuoi?
Abbiane buona cura di costei, ch la si conservi,
perocch io 1' ho trattata bene e con decoro in
casa mia.
Se te a sa male, perch non le doni qual cosa di
buono?
Il malanno.
Buon per te,, che se in cura?
Che piangi, o pazza? non temere: io di te ho fatta
buona vendita, fa daver senno! Va con lui, vattene,
bella figliuola, e con bel contegno.
Summano, che vuoi da me?
Che stii bene e che il cielo ti salvi, impercioc
ch cortesemente mi fosti largo e della tua opera
e del tuo denaro.
Riferisci i miei saluti al padrone,
Lo far.
^
E a te che abbisogna, o pollastriere?
Queste dieci mine, perch possa meglio curarmi.
Si daranno: fammele cercar domani.
Dappoich mi riusc bene la faccenda, voglio pre
gare in qusto tempio: io comprai quella fanciulla
ancor piccolina per dieci mine, e d queL d non.
vidi mai colui che me l ha venduta. Ha da esser

1S2
,
'
Periisse creilo. Quid id mea referi? ego argentum
habeo.
Quoi dei homini suut propitii, lucrum ci profecto
objiciunt.

Nunc re divinae operam dabo. Certum est bene me


curare:
SC E N A

III.

T herjpoktigonvs , L t co.
T h e . Non ego nunc mediocri incedo iratus iracundia,

Sed eapse illa, qua excidionem facere condidici op


pidis.
N unc nisi lu mihi propere properas dare ja m tri
ginta minas,
Qhas ego apud te deposivi, vitam propera ponere.
L r c .N o n edepol ego mediocri nunc te macto infortunio,
Sed eopse illo, quo mactare soleo, quoi nil debeo.
T h e . Ne te mihi facias ferocem aut supplicare censeas!
L rc .N e c tu me quidem unquam subiges, redditum ut red
dam tibi,
JVcc daturus sum/
The.
' Idem ego istuc, quom credebam, credidi,
Te nihil esse redditurum.
L yc . '
Cur nunc a me igitur petis?
T h e . Scire volo, quoi reddidisti.
Lyc.
v
Lusco liberto tuo,Is Sum m anum se vocari dixit j eii reddidi,
Qui has tabellas obsignatas attulit.
The.
Quas tu m ihi tabulas,
Quos tu m ihi luscos libertos, quos Sum m anos somnias?
Nec m ihi quidem liberius ullus est.

morto: che importa a me? Io ho in tasca largento.


Sempre ajuta Iddio chi egli guarda di buon oc
chio: andr ora a supplicar gl'Iddii, ho fisso di
curar bene la mia pelle.
SCENA

IH.

T erapontigonOj L icore.
Ter.

Lic.

E non poca la stizza che ho in corpo, anzi la


quella stessa con cui appresi a mandare in con
quasso le citt. Se tu non fai spacciatam ele a
darmi le trenta mine che tho lasciate in deposito,
preparati duscir presto dal mondo.
Ed io non voglio assasinarti poco della vita, anzi
io ti vo scofacciare in quella stessa guisa, eh io
soglio quello, a cui non ho obbligo dun quattrino.

T er.

Eh non far meco lo spaccamonti, e non credere

Lic.

Lic.

,Ma e nemmen tu puoi tanto spauracchiarmi, eh io


ti renda quello che t ho gi dato una volta: non
sono per dartelo la seconda.
Sapevalo fino dal momento eh io li numerava il
denaro, che la sarebbe ita cos.
E perch ora me lo cerchi?

T er.

Vo sapere a chi 1 hai dato.

Lic.

A Losco tuo liberto. Ei dicca chiamarsi Summano,


io lho dato a lui, il quale mi.consegn questa let
tera con questo sigillo.
Che lettera? che loschi liberti? che Summano? che
storie son queste? io non ho liberto al m ondo..

eh io m e la faccia sotto!

T er.

T er.

L rc.

Fari sapientius.

Quam pars (i) latronum, iberlos qui habent et eos


deserunt.
T h e . Q uid fecisti?

L rc.

Quod mandasti, feci honoris grafia,


Tuom qui signum ad me attulisset, nuntium ne sper
nerem.
T h e .S tultior stulto fuisti* qui iis tabellis crederes.
L ic .Q u is res publica et privala geritur, nonne iis cre
derem?
ligo abeo: tibi res soluta esi recte. Bellator, vali.
T h e . Qui valeam?
L rc.
A t tu aegrota, si vis, per med aetatem quidem.
T he . Quid ego nunc faciam l quid referi me fccisse
regibus
Ut m i obedirentj si hic me hodie umbraticus deriserit?
SC E N A

IV.

C a p p a d o x , T h e r a p o n t ig o n u s .

Ca p . Quoi h om in u m d i sunt p ro p itii,

ei non esse ira to s


puto.

Postquam rem divinam feci, venit in mentem m ihi,


Ne trapezita exulatum abierit, argentum ut petam:
Ut ego potius comedim, quam ille.
T he.
Jusseram salvere ti.
C a p . Therapontigone Platagidore, salve! Salvos quom ad
venis
In Epidaurum, hic hodie apud me nunquam de
linges salem.

Lift.
T er .

Lic.
T er.

Lic.

T er.

Lic.
T er.

Tu s che hai miglior giudizio di questi birri,


i quali vogliono i liberti, c li fanno dilefiar di (amo.
E che hai tu fatto?
I tuoi ordini ho fatto, per farti onore, per non
vituperare quel messo che mi rec la lettera,
T u fosti pi sciocco duna pecora, credendo a que
sta lettera.
E non ho da credere a coloro che hanno in mano
le cose private e de pubbliche? Io me la batto, le
partite nostre son saldate; guerriero', sta sano.
Che star sano?
Il canchero che ti colga, se il vuoi, a me non
monta.
Che far adesso? che giova averla io fatta tenere
ai re, se questo squacclierato mi fa jl beffardo?
SCENA

IV.

Cappadoce, T erapontigoho.
Cap.

T er.
.Cap.

Queir uomo a cui gli dei fanno buon viso penso


che con esso non l abbiano. Dappoich ho fatte le
mie devozioni, mi venne in pensiero di chiedere
al banchiere T argento prima eh* egli si dia per
bandito; perocch - ben meglio che me lo mangi
io, piuttosto che lui.
Addio.
Ben venuto Terapontigono Platagidoro, dappoich
sano e salvo arrivi in Epidauro, ma a casa mia non
hai sale da leccare.

T u e . B ette voc.as; v e r u m v a c a la re s est, u t m a le sit libi.

Sed quid agit meum mercim onium apud le?


N il apud me quidem
( Ne facias testis ), neque equidem debeo quidquam.
T ue.
Quid esl?
C j p . Quod fui juratus, feci.
T he.
Reddih an non, virginem,
Priusquamdehuic machaerai le meae objicio, masligia?
Cj p . Vapulare ego le vehementer jubeo. N e me territes!
Illa abducta eslj tu auferere hinc a me, si perges m ihi
Male loqui profecto, quoi ego, nisi m alum , nil debeo!
T h e . M ihiri m alum minitare?
Cj p .

Cj p .

J tq u e edepol non m in ita b o r, sed dabo,


M ihi m oleslus si esse perges/

Leno m inilatur mihi,


Meaeque pugnae proeliares plurimae oblrilae jacent?
J t ita m e machaera el clypeus bene juvent pugnan
tem in acie,
N isi m ihi virgo reddilur:
J a m ego te faciam ut hic formicae frustillalim
differant!

The.

C j p . A l ila m eae volsellae, pecten, speculum , c a la m istru m

meum
Bene me amassint, meaque axicia linleumque ex
tersumj
Ut ego lita magnifica verba neque istas tuas m a
gnas m inas
Pluris non facio, quam ancillam , m eam , quae la
trinam lavat.
Ego illam reddidi, qui argentum a te allulit.
The.
Quis is est hom o?

T er.

L invito bello, ma ti potrebbe d ar la m alora.

Che fa la roba mia in casa tua?


Cap.

Del tao io non ho niente, nc mi chiam ar testimonii,


eh io nulla li debbo al mondo.

T er.

C\p.
T er.
Cap.

T er.
Cap.

Come?
Ilo fatto conforme aveva giurato.
Vuoi darla o no questa fanciulla, o vuoi prima,
o manigoldo, chio ti scanni con questa spada?
Valli a far ben trebbiare le spalle: non m uscire
in spampani! Quella stata condotta altrov, e tu
puleggia via di qua: se duri in islraccarmi di vil
lanie, certo che altro io non tr posso dare, se non
la malaventura.
A me la malaventura?
E se la tu a seccagine pur vorr frastornarm i, non
te la dar in parola ma in fatti.

Ter.

Cap.

T er.

Ed un ruffiano chi mi spaventa? E voi, mie valenterie siete cadute in terra? Ali dica s buono
la spada e lo scudo in campo, che se non pensi
a darmi la giovane, io faccio s che le formiche
ti portino via a minuzzoli.
Ed 9 me dican buono le mollette, il pettine, lo
specchio, il calamistro, le forbici e il mio lenzuoletto di bucate. Io di questo tuo scampanare, di
queste bravate tanto conto ne fo, quanto di quella
fantesca che mi lava il cacatojo: io l ho data a
colui che me 1 ha pagata per tuo conio.
E chi costui?

Cp . Tuom iberlum tese ajebat esse Sum m anum .


Tu e .

JMeum?

A lia i, Curculio hercle verba m ih i dedit, quom cogito:


Is m ih i a n u lu m subripuit.

Cj p .

Pcrdidislin tu anulum?
Miles, pulcre centuriatus es expuncto in manipulo!
T u e .U bi nunc Curculionem inveniam?
Cj p .
In tritico facillume
Fel quingentos curculiones pro uno faxo reperies;
Ego abeo. Vale alque salve.
T ue.
Male vale! male sii lib i! .
Quid ego faciam ? m aneam an abeam? Siccine m i
os esse oblilum?
Cupio dare mercedet qui illune, ubi sil, conmonslret m ih il

Cap.

Egli dicea (Tesser Summano tuo liberto.

T er.

Mio? adesso che la m en trata, questa pania


di Cureulione; ei m ha carpito 1 annello.

Cap.

T u hai perduto

T er.
Cap.
T er.

l anello? Oh il bel centurione


d un manipol di rifiuto che tu sel
E dove trover io Cureulione?
In un granajo: ivi ne troverai bene un cinque
cento invece dun solo. Men vado, addio, sta bene.
E tu male, ed il collo che ti si rompa. Che devo far
io? andare o restare? cos doveva essere arcato?
vorrei pagarlo ben largam ente chi venisse ad in
segnarmelo!

JC T U S
SC E N A

F.
1.

C u r c u l io .

Antiquom ondivi poetarti in scripsisst tragoedia,


Mulieres duas pejores esse, quam unam. Res ita estj
Ferum mulierem pejorem, quam haec amica tf
Phaedromi,
N on vidi ncque audii, neque pol dici nec fingi potest
Pcjor, quam haec est: quae ubi me habere hune
conspicata est anulum ,
Rogat, unde habeam. Quid ttf id quaeris?
Quia m ihi quaesito est opus.
Nego, me dicere. Ut eum eriperet, mordicus arri
puit manum .
F ix foras me abripui atque eefugi. Apage istanc
caniculm!
SC E N A

Pufinsium,

li.

P h a e d r o Mus, C u r c u l i o , T h e r a p o h t i g o k u s .

P la . Phaedro me, propera . . .


P ha .
Quid properem?
P la.
Parasitum ne amiseris!
Magna res est!
P ha .
Nulla est mihi; nam . quam habuij adsumsi celeriter.
Teneo: quid negoli est?

ATTO
SCENA

V.
I.

Curculione.

Ho sentito che un antico poeta scrisse in una tragedia,


due donne esser peggiori d una sola. La c pro
prio cosi; eh io donna pi trista di questa amante
di Fedromo nn ho mai n veduta, n udita: n
pu dirsi od immaginarsi una scaltrita pi di que
sta, la quale, come la mi vide questo annello, mi
domanda donde io labbia. Che vuoi saper tu?
Perch s. Io son pur fermo a non volerglielo di
re, e dessa per tormelo mi d u i morso cos maladetto co denti, che durai fatica a scapparmela.
Alla larga di questa cagna!
SCENA

II.

P lanesio, F edromo, Curculione, T erapontigono.

P la.
F ed.

T affretta, Fedromo . . .

P la.

P er non perd er di vista il parasito, la cosa di


g ra n rilievo!

F ed.

E per me di nulla affatto, imperciocch ogni cosa


mia me la sono presto bevuta. L 'ho fermo: che hai

Perch tan ta prem ura?

tu?

Pla.

Rogla^ unde islutic hubeal anulum .

Pater istunce gestitavit meus.


Cvr .
sit mea matertera!
P l 4 . Mater en utendum dederat.
Cuj.
Pater cjns rursum (\Q>) m ihi!
PuJ.lS'ugas garris.
C ur.
Soeo: nam propter eas vivo facilius.
Quid nunc?
P la .
Obsecro, parentes ne meos m ihi prohibeas!
Cun.Quid ego? sub gemmati abstrusos habeo tuam m a
trem et patrem?
P la .L ibera ego sum nata.
Cun.
El alii multi, qui nunc serviunt.
PLA.Enimvero irascor.
Cum.
D ixi equidem tibi, unde ad me hic pervenerit.
Quotiens dicundum esi? Elusi militem, inquam, in
alea.
T/ te. Salvos sum: eccum, quem quaerebam! Quid agis,
bone vir?
Cur.
udio.
Sis iribus bolii, vel in chlamydem.
Th e.
Quin tu is m alam crucem
Cum bolis, cum bullis? (M ) lieddin etiam argentum
aut virginem?
C ur. Quod tu argentum, quas m ihi tricas narras? quam
tu virginem
Me reposcis?
T he.
Quam ab lenone abduxisti hodie, scelus viri.
Cur. N ullam abduxi.
T hk .
Certe eccistam video.
PuA.
Virgo haec libera est.

P la.

Dimandalo di onde abbia avuto questo annello,


egli lo ebbe un d il padt c mio.

Cur.

Mai no 1 ebbe mia zia.

P la .
Cur.

A lui lo aveva dato mia madre.


E tuo padre lo diede a me.

P la.

Frottole.

Cur.

Io ne sono assuefatto, ed appunto per questo fo


la miglior vita: e s?

P la.

Deh n o n

m i im pedire eh io

co n osca i m iei pa

renti.
Cur.

che? ho io rificcata nella gemma tuo padre

tu a madre?
nacqui libera.

P la .

Io

Cur.

Ed altri parecchi die ora son servi.

P la.

Arrabbio davvero.

Cur.

Non te l ho detto il modo per cui questo annello


m venuto? Quante volte te lho a dire? l ho bu
scato ad un soldato nel giuoco.

T er.

Son salvo: ecco chi voleva io , ohe! dinne, o valen


tuom o.

Cur.

Bravo! se vuoi in tre gittate il manto.

T eb.

Va alla forca co tuoi dadi e cotuoi sonagli! 1 una


delle due, o il denaro o la donna.

Cur.

Che denari? che favole son queste! che femmine


si cercano da me?

T eb .

Quella

che o g g i hai con d otta

via

al ruffiano, o

schium a di furfanti.
Cur.

I o n ho con d otta via n essuna.

T er.

S per Dio! Vedila qua.

F ed.

Questa giovane libera.


V ol. III. P lavt.

43

m
TuE.M ear ancilla libera ut sit, quam ego nunquam cm isi m anu?
P h a .Quis tibi hanc dedit mancupio, aut unde emisti? fac
sciam.
T h e . Ego quidem prod istac rem solvi ab trapesila meo,
Quam ego pecuniam quadruplicem abs te et lenone
auferam.
P ha .Q ui scias m ercari furtivas atque ingenuas virgines,
Am bula in jus.
T he .
Non.
P h a.
Licet ted antestari?
T he.
Non licet.
PHA.Jupiter te, male, male perdat! intestatus vivito!
C ur. A t ego, quem licet, te . . .
P ha .
Accede huc.
T he.
Servom antestari? vide!
Cur.Hem! ut scias me liberum esse.
T he.
Ergo ambula in jus: hem libi.
Cur . Cives, o cives!
T he.
Quid clamas?
P ha .
Quid tibi istum tactio est?
T h e . Quia m ihi lubitum est.
P ha .
Accede huc, tu/ Ego illum tibi dedam: tace.
CuR.Phaedrome, obsecro, serva me!
P ha .
Tanquam me: genium meum!
Miles, quaeso, uti m ihi dicas, unde illum habeas anulum,
Quem parasitus hic te elusit.
P la .
Per tua genua te obsecrot
Ut nos facias certiores!
The.
Quid istuc ad vos allinet?
Quaeratis chlamydem el machaeram hanc, unde ad
me pervenerit!

T er.

Libera ha da esser una mia serva che io non ho

F eo.

mai fatta franca?


E chi te lha venduta? o da chi l-hatu compera?
dillomi.

T er.

P er costei io ho dato del mio al banchiere, il qual


danaro a q u attro doppi voglio averlo dal ruffiano
e da te.

T er .

Vanne in giudizio da che fai mercato d donne ru


bate e libere.
Non ci vado.

F ed.

P osso produr testimonii?

F ed.

T er.

Mai no.

F ed.
Cur.

Che Giove t affranga! Clic-' tu possa esserne senza.


Io per posso . . .

F ed.

Vien qua.

T er.
Cur.

Un servo ha da far testimonio? guarda!

Ter.

Va a corte! To questo!

Cur.

0 cittadini, cittadini.

Ter.
F ed.

Che grida son queste?

T er.
F ed.
Cur.

Perch mi piace.
Vien qua tu! lo lascer a te; sta zitto.

F ed.

Come se fossi io, mio bel genio! 0 soldato, donde

Ohe! Io son libero.

Che diritto hai di battere costui?

Deh, Fedromo, salvami.


ti venne quell annello che questo parasito t ha
carpilo?

P la.

Per le tue ginocchia, deh, faccelo noto!

Ter.

E che m onta questo a vi? cercate iiivcce donde


m i sia venula questa scim itarra e questo mantello!

-196
C ur. Ut fastidit gloriosus!
T ue.
Mille istum: ego dicant omnia.
Cur. Nihil estj quod ille dicil.
P la .
Fac me certiorem, te obsecro!
Tu e . Ego dicam. Surge/ Hanc rem agite animum udvorlile!
Pater meus habuit Periphanes, Planesium.
Is, priusquam m orilurJ mihi dedii, tanquam tuo,
Ut aequom fuerat, filio
P la .
Proh Jupiler!
T h e .EI isti heredem me facit.
P la .
Pietas mea,
Serva me, quando ego le servavi sedulo!
Frater m i, salve!
T he .
Qui istuc ego credam? Cedo,
S i vera memorasj quae fuit mater tua?
P la . Cleobula.
T ue.
N utrix quae fuit?
P la .
Orchestrata.
Ea me spectatum tulerat per Dionysia.
Postquam illo ventum estj ja m , ut me conlocaveratj
Exoritur venlus lurboj spectacla ibi ruontj
Ego pertimesco: tum ibi me nescio qui arripit
Tim idam atque pavidam,, nec vivam nec mortuams
NeCj quo me pacto abstulerit, possum dicere.
T u e . Memini, istanc turbam fieri. Sed tum dic mihij
Ubi is est homoj qui te subripuit?
P

la.

Nescio j
Ferum hunc servavi semper mecutn una anulum.
Cum hoc olim perii.

Crii.

Oh che fradiciume questo smargiasso!

T er.

Lascia costui, e dico tutto.

Cur.

Son favole le su e ..

P la .

Parla per carit.

Ter.

Dir, alzati! bada a me, gi 1 ebbe mio padre


Perifane, o Planesio. Egli prima di morire, com era
suo debito, l ha dato a me che gli era figliuolo.

P la.

0 Giove!

T er.

E m ha fatto erede.

P la.

Custodiscimi, o piet, in quella guisa eh io ho cu


stodita te. Salve, fratei mio.

Ter.

E come crederommelo; chi fu tua madre?

P la.

Cleobula.

Ter.

E la balia?

P la.

Archestrata. Essa mi condusse a vedere le feste di


Bacco. Dappoich fummo venute, e gi la mavea
messa a sedere, levasi un vento assai turbinoso, va
, sossopra il teatro, e io, divengo fredda come terra
per la paura. Allora non so io chi si fusse, n come
ci facesse tutta spaventata e sbigottita, n viva
n morta mi sento portar via.

T er.

Ho a la memoria questo scompiglio? m a dimmi


un po dov l uomo che t ha tolta? .

P la.

Noi so: conservai sempre questo annello col quale


andai smarrita.

T he.
Cur.

Cedo, ut inspiciam.
Sanan es,
Qtiae isti conmillas?
P la .
Sine modo.
T he.
Proh Jupiler!
Hic est, quem ego libi m isi nalali die.
Tarn facile novi* quarti me. Salve, mea soror!
P la . Frater m i, salve!
P ua .
Dos volo bene vorlere
Istanc rem vobis!
Cur.
A l ego nobis omnibus:
Tu ut hodie adveniens coenam des sororiam;
Hic nuptialem cras dabit. Promittimus.
Pii A.Tace tu!
Cur.
N on taceo, quando res vorlit bene.
Tu istanc desponde huic, miles: ego dotem dabo.
T h e . Quid dabis?
Cur.
Egone? ut semper, dum vivai, me alat.
TnE.Ferum hercle dico: me lubenle feceris.
Et leno hic debel nobis triginta minas.
P ha . Quamobrem istuc?
Th e.
Quia ille ila repromisit mihi,
S i quisquam hanc liberali adseruisset m anu,
Sine controversia omne argentum reddere.
P ha . Nunc eamus ad lenonem.
T he .
Laudo.
Pha.
H oc prius volo,
Meam rem, agere.
T he.
Quid id est?
P ha .
Ut m ihi hanc despondeas.
Cur. Quid cessas, miles, hanc huic uxorem dare/

Ter.

Fammelo vedere.

Cuit.

Hai tu cervello per fidarti di costui?


Lascia.
Poter di Dio! egli quello che tho donato il di che
senata, lo conosco tanto bene come conosco me:
salve, o mia sorella.

P la .
T er.

P la.

Salve, mio fratello.

F ed .

Che Iddio, vi rivolga questa cosa in bene!


Ed io a tutti noi. Tu oggi per lo tuo arrivo darai
una sirocchievol cena, costui domani la dar da
nozze. Promettiamolo.

Cur.

F ed.

Taci una volta!

Cur.
T er .

Non taccio, quando le cose piglian buon verso; tu,


o soldato, promettila a costui, io dar la dota.
Che dota?

Cur.

I o? ch e tanto quan to ha vita addosso ab b ia a nu

Ter.

Alla .mia f, te ne sar grato. Cotesto ruffiano ci

F ed.

dee tre n ta mine.


Come?

trir me.

T er.

Perocch egli mi promise ove per alcuno la ve


nisse dichiarata Ubera, restituirmi il denaro senza
litigio.
Andiamo ora al ruffiano.
Benissimo.
Ma prima v o qui fare i fatti miei.
E quali sono?

F ed.

Che tu me 1 abbi a prom ettere in moglie.

Cr.

E che indugi tu,, o soldato, in profferirla per moglie


a costui?

T er.

F ed .
T er.
F ed.

>

200
T u e . Si haec volt.

P la .
Mi frater, cupio.
The.
Fiat.
C ur.
Bene facis.
P/iA.Spondesne, miles, m i hanc uxorem?
T he .
Spondeo.
Cur.EI ego hunc alumnum spondeo.
Th e.
Lepide facis.
Sed eccum lenonem, incedit, thesaurum meum.
SC E N A

III.

C a p p a d o x , Th e r a p o n t i g o n i 's , P h a e d r o m u s , P l a n e s i u m .

Cap . Argentariis male credi qui ajunt, nugas praedicant:


Nec bene nec male credi dico: id adeo ego hodie
expertus sum :
Non male creditur, qui nunquam reddunt, sed pror
sum perit.
Velut decem minas dum hic solvit, omnis mensas
transiit,
Postquam nil fit, clamore hominem posco; ille in.
jus me vocatj
Pessume metui, ne m i hodie apud praetorem solveret,Verum am ici conpulerunt: reddit argentum domo.
Nunc dom um properare certum est.
Th e.
Heus tu, leno, te volo.
P h a .EI ego te volo.
Cap .
A t ego vos nolo ambo.
Tb.
Sia , sis, eloco.
Atque argentum propere propera vomere1
Cj p .
Quid tccum est m ihi, aut
Tectim autem?

Ter;

P la.
T er .

Se costei lo vuole.

0 fratei mio, il desidero.

Si faccia.

Cur.

Egregiam ente.

F ed .
T er.

E me la prometti, o soldato, in mogilie?


La prom etto.

C cr.

A nch'io vi prometto questo putto.

Ter.

Bene. Ma ecco, viene il ruffiano, il mio tesoro]

SCENA

III.

Cappadoce, T erapohtigono, F edromo, P lanesio .

Cap.

Chi dice collocarsi male i denari nelle mani, dei


banchieri, mostra d aver poco sale in zucca, imper
ciocch io dico che i quattrini sono sempre bene
e m ale affidati, ed oggi io n ho fatto esperimento.
Non lo colloca male colui che lo d a tale che
mai non lo restituisce, ma questo denaro va alla
grascia. Il mio banchiere dovendomi contar dicci
mine ha gi trascorsi tutti i banchi; ma quando
vidi , che nulla si facea, gridai contro di Ini, egli
mi chiama in giudizio, ed io me la sono vista ad
un pelo ch oggi mi pagasse presso il pretore; ma
gli amici lo

costrinsero, e mi paga in casa: e

per mestieri che m affretti a ritornarmene.


T er.

Ehi! ruffiano, io ti voglio.

F ed.

Ed io ti voglio.

C ap.
T er.

Ed io n 1 uno n 1 litro.
Sta l subito. Or, su, spacciati, affrettati a trar
fuori 1 argento.

Cap.

Che ho io a far teco? o con te?

Tu e .
Hodie ex te quia faciam pilum catapultarium,
Ac quia te nervo torquebo itidem ut catapultae solent.
P ha .Deligatum te hodie faciam cum catello ut adcubesj
Ferreum ego dico.
Cap .
A t ego vos ambo in robusto carcere
Ut pereatis.
T he .
Collum obstringe! abduce istum in m alam crucem!
P b . Quidquid est, ipse ibit potius.
Cap .
Proh deum atque hominum fidem/
. Boccine pactod indem natum atque intestatum m e
abripi!
Obsecro, Planesium, et te, Phaedrome, auxilium u t
feratis!
P la .F rater* obsecro te, noli hunc indemnatum perdere!
Bene et pudice me domi habuit.
Tb e .
H aud voluntate id sua:
Aesculapio huic habeto, quom pudica es, gratiam:
N am is si valuisset, jam pridem , quoquo posset, m it
teret.
P b a . dnimrnn advortite, si potissum hoc inter vos conponere.
Mitte istunc. Accede huc, leno. D icam m eam sen
tentiam,
S i quidem voltis, quod decrero, facere.
T he .
Tibi permittimus.
Cap .D um quidem hercle ita judices, ne quisquam a m e
argentum auferat,
T h e . Quodne promisti?
Cap .
Qui promisi?
P ha .
Lingua.

Te*.

I o ti fo volare siccome un blcione, e ti vo torcere

F ed.

E io ti voglio, che tu giaccia con un cane, ma di

Cap.

Ed io far che lasciate l'o ssa in

con un nervo come si torcono le catapulte.


ferro; gi ben l intendiamo.
un dolentissimo

carcere.
Ter.

Afferralo ben forte per le gavigne! Trascinalo alla


malora!

F ed.
Cap.

P ia .

Checch sia,
In f di Dio
forma senza
Planesio, ah
Deh,

v andr piuttosto egli.


e di valentuomo! io preso a questa
essere condannato o convinto! Ah
Fedromo., per carit ajutatemil

fratello,

non

trarlo

morte

prima

che

abbia la sua condanna! egli mi tenne gentilm ente


in casa sua.
Ter.

Ma non lo ha fatto perch egli non l abbia voluto: e


se non sei spulzellata, fanne grazia a questo Escur
lapio e non a lui: im perocch s egli fosse stato
sano, e saria gi buona pezza eh egli t avrebbe
gittato dove avesse potuto.

F ed .

Attendete, se posso voglio aggiustarvi: lasciate co


stui. Ruffiano, vien qua, io dir il mio parere se
pure vorrete rimettervi a quello.

Ter.

Ti facciam paciero.

Cap.
T er.

Purch non pronunzii che alcuno mi becchi un


quattrino.
E quello che hai promesso?

Cap.

Con che ho promesso?

F ed.

Colla lingua.

"Cap .

Eadem nunc nego,


Dicundi haec, non rem perdundi, gratia naia est m ihi.
T h e . N ihil agit: collum obstringe homini!
Cap .
Jam iam faciam, ut jusseris,
T h e . Quando vir bonus es, responde, quod rogo.
Cap .
Roga, quod lubet.
T h e . Promistin' hanc lierali si quisquam adsereret m anu.
Te omne argentum redditurum?
Cap .
N o n conmemini dicere.
T h e . Quid? negas?
Cap .
Nego hercle vero. Quo praesente? quo in loco?
T h e .Me ipso praesente et trapezita Lycone.
Cap.
Non taces?
T h e . Non taceo.
Cap .
N on ego te floccifacio, ne me territes.
T h e . Me ipso praesente et Lycone facium est.
P ha .
Salis credo tibi.
Nunc adeo, ut tu scire possis, leno, meam sententiam:
Libera haec est; hic hujus frater; haec autem illius
soror;
Haec m ihi nubet: tu huic argentum redde. Tloc. ju
dicium m eum est;
Tu aulem in nervo ja m jacebis, nisi m i argentum
redditur.
Cap . Hercle islanc rem judicasti perfidiose, Phaedrome.
Et tibi oberit, et le, miles, di deaeqne perduint!
Tu me sequere!
T he .
Quo sequar ego te?
Cap .
A d trapezitam meum*
A d praetorem: nam inde rem solvo omnibus, quibus
debeo.

Cap.

E colla medesima ora il dinego, questa la mi nacque


per parlare e non per gittare il mio.

T er.

Ei viene a nulla, stringilo pel collo.

Cap.

Subito, subito far a modo tuo.

T er.

Quando vuoi fare il dabben uom o, rispondi a quello


che cerco.

Cap.

Domanda, che vuoi.

Ter.

E non hai tu promesso che se

costei la si sco

prisse libera tu m avresti reso tutto 1 argento?


T er .

Non me ne ricorda.
Che? lo neghi?

Cap.

E lo rinnego. Chi v era presente? in che luogo?

T er.

Alla mia presenza e di Licone banchiere.


Non taci?
Non taccio.
Ed io non ti curo un fiocco, non ispaventarmi.
Alla mia presenza e di Licone.
Ti credo abbastanza. Ora, ruffiano, perch saper
tu possa la mente mia, costei libera, e questi
il suo fratello, quella la sua sorella, che la di
verr mia moglie, restituisci il denaro a costui,
questo lavviso mio. Sarai ben posto nelle bujose se
non mi snocciolerai 1 argento.
Potenzinterra! pur la torta sentenza, o Fedro
mo, e che la ti soffochi; te, o soldato, il fistolo
che ti abbia! vien dietro tu!

C ap.

Cap.
T er.
Cap.
Ter.
F ed.

Cap.

T er .

E dove?

Cap.

Al mio banchiere, al pretore, perocch l sono as


suefatto pagar tutti cui io devo.

T he . Ego te in nervom, haud ad praetorem, hinc rapiam ,


ni argentum refers!
Cap . Ego te vehementer perire ctipio, ne me nescias!
T he . Itane vero?
Cap .
Ita hercle vero!
T he
N ovi ego hos pugnos meos.
Cap . Quid tum?
T he . Quid tum? rogitas? Hisce ego, si tu me inritaveris,
Placidum te hodie reddam!
Cap .
Jg e, ergo, recipe actutum.
T he .
Licet.
P ha . Tu apud me coenabis, miles: hodie fient nupliae.
T h e . Quae res bene vorlat m i et vobis! Speclatorers,
plaudite.

Finis

Cu r c u lio n is.

T er.
Cap.
T er .
Cap.
Ter.
Cap Ter.
C ap.
T er .
F ed .
Ter.

207
In carcere ti trarr io, e non al pretore se non
porti i quattrini!
Ed io senza fartene mistero mi struggo dal desi
derio che tu possa crepare.
Proprio?
Proprio!
Ma io li conosco i miei pugni.
E s?
E s? vuoi saperlo? con questi, se mi farai montar
la stizza, ti render io tranquillo.
Su adunque, su, prendi.
Lode a Dio.
A casa mia, cenerai, soldato, oggi faremo le nozze.
Il che tonni iu bene a me ed a voi. Spettatori
applaudite.

F ise del Ccrcvlioke.

NOTE

(\) Troriamo in Festo: Status dies vocatur, qui judicii


est constitutus cum hoste, id est peregrino. Ejus
enim generis ab antiquis Hostes appellabanturj
quod erant pari jure cum populo Rom ano: atque
hostire ponebatur pro aequere.
(2) Sono stato con Festo e Giunti: altri leggono occlusissumum. Lambino oculeissimum.
(3) Le volgate metteano queste parole dopo il verso sem
per curato ne sis intestabilis.
(i) Veggasi una lunga note di Bothe a questo luogo.
(5) Le volgate continuavano questo verso in bocca di
Fedromo.
(6) Molti tuttora leggono propinantes.
(7) Sono Stato con Tumebo Adv. XIX. 40 Ego modulo
versus adductus qui cretico pede canticum quod
dam saltat. L u d ii b a r b a r i lego, idest l u d i i R om a
n i .' nam in omnibus pompis ludisque Circensibus
juvenes ibant, in numerum saltajntes et subsilientes,
qui l u d ii et l u d io n e s dicebantur.
(8) Parecchi filologi opinano che questo perslla sia un comV o l . III. P l a u t .
\

posto di per e sola, e tra gli altri di questo avviso


Salmasio: Bothe all incontro giudica che questo
persolla sia un diminutivo di persona, e questo io
ritrovo assai pi giusto.
(9) Yeggasi la nota del Soldato Millantatore Voi. II. Plau
to. pag. 477.
(40) Le volgate congiungono questo verso alle parole del
cuoco; Bothe lo mise in bocca a Palinuro, n mi
so acconciare con lui; perch Palinuro era gi ito
in casa. Io opino piuttosto che il cuoco schiamaz
zando affinch uscisse Fedromo, eon esso lui u scisse anche Paliuuro: e di fatto s per 1 uno che
per l altro il sentirsi gridare che arriv il Para
sito era cosa di molto momento.
(I I) Cosi Lipsio Antiquarum Lectionum Lib. I. cap. 21.
Quis iste Hercules basilicus? ( s leggono le volgate
e Turnebo si sforza a voler buona questa lezione)
A n ut Tumebus censet, talorum species in qua
Hercules sculptus sive pictus cultu regio? Logi. JVam
quis Herculem unquam Ut regem pinxit? et non
potius cum clava et pelle leonina? Arbitror ipse
vitiatum ab interpunctione locum esse et sic di
stinguatur alm am meam nutricem. Herculem: Ja
cto basilicum. Quum enim in more esset ut qui
talis luderet, deum aliquem propitium invocaret
ut exempli causa milites M artem, Am atores Ve
nerem, aut pro Venere amicam: Plautus egregie
in Parasito ro pcpexoy servans facit ab eo Her
culem invocari. Ab hac causa: Veteribus, quum
decumas Hcrculi pollucerent, epulum publice prae
bere solemne fuit. Ad id epulum in primis Parasitos

(42)
(43)
(14)
(45)
(16)
(17)

advocari tanquam peculiares ejus dei servos leges


Grecae sanxerant. Vedi Ateneo.
Ho seguitata la lezione di Bothe.
Sono stato alla correzione di Bothe.
Sono stato collo Scaligero in quanto all haud ( auf
leggevano le volgate) nel resto fui colle volgat*.
Cos Douza, altri legge lenonum.
Male le volgate leggono tibi. Ben vide Langio.
Qui discordano i codici* io mi sono tenuto a Carlo
Langio.

AULULARIA

V AULULARIA
OVVERO

IL PENTOLINO

PIERLUIGI DONINI

recate d a f fatin o n e f term o n e i/a fc o


f fe v i a , c /e f com ico d i S /a r in a
voffe
c /te

f ' tS & u /u fizn a fa a e j e

au/ucu e /u jfro

d a f nom a

di

ANGELO PEZZANA
C
&ctVaet<e C
& o/anniano
& iSfiofecatiio ducette jfow op
t/ccadem ico d e ffa

d i $anm a
C
&?xic<z>

i f p u a fc
coffa, (/offaina, e copfi c n d i
i f fia tn m n io
d e ifa

feffi d iu ta ra fe

a m cc/U
v iv e n ti fe v c f/fe .

PERSONE DELLA FAVOLA


-------

L ab , P r o lo g u s
E uclio
S TAPnrLA
E vnomia
M egadorvs
S trobilvs
J nthrax
COKGRIO
P ythodices
LrCONIDKS
P haedra

--------

L a r e , P rologo
E uclione
S tafila
E unomia
Me&adoro
S trobilo
Antrace
Congriohe
P itodico
L iconide
F edra

La Scena in Atene.

PROLOGUS

LAR FAMILIARIS.

Ne quis m iretur qui sim , paucis eloquar.


Ego L a r sum fam iliaris ex hac fam ilia,
Unde exeuntem me adspexistis. Hanc domum
Ja m multos annos est quom possideo et colo
Patrique avoque jUm hujus, qui nunc hic habel.
Sed avos m ihi hujus obsecrans concredidit
J u r i thesaurum clam omnisj in medio foco
Defodit, venerans me, ut id servarem sibi.
Is quoniam m oritur, ita avido ingenio fuit,
Nunquam indicare id filio voluit suo,
Inopemque optavit potius eum relinquere,
Quam eum thesaurum conmonstraret. filio.
J g r i reliquit eii non magnum modum,
Qui cum labore magno et misere viveret.
Ubi is obiit mortem, qui id m ihi aurum crediditj
Coepi observare, ecqui majorem filius
M i honorem haberet, quam ejus habuisset pater.
J tq u e ille vero minus minusque inpendio
Curare, minusque me impartire honoribus,
Item a me contra factum est. N a m item obiit diem.
E x se hunc reliquit, qui hic nunc habitat, filium

PROLOGO

I L L A R E D I CASA-

Non maravigliate ehi sia io, io ve lo dico subito. Io sono


il Lare domestico di questa famiglia donde voi
m avete veduto uscire. fan gi i begli anni eh io
posseggo ed abito questa casa* vera fin da quando
viveano il padre e 1 avolo di costui che la tiene
adesso Ma 1 avo, facendomi mille sacramenti* di
celato a tutti* mi di in custodia un buon gruzzolo
d oro, e fatto un buco in mezzo il focolare*
pregommi che glielo guardassi. Stremandosi que
st uomo della vita* guarda avarizia! non volle in
segnare quel tesoro al figlio* e fu pi contento
di lasciarlo povero in canna* che mostrargli quel
marsupio: gli d soltanto un po di terra da
camparsene lavorando stentatamente. Sotterrato co
lui che avea dato loro alla fede mia* incominciai
a tener d occhio al figliuolo* se mJ avesse egli in
venerazione maggiore di quella in cui ebbemi il
padre: ma egli facea nessun conto di me* e nientissi
mo monorava: ed io l ho pagato di buona derrata;
imperciocch anchegli ingrass lorto. Quest uomo
lasci nato di s un figlio della stessa tacca che il

Pariter moratum, ut pater avosque hujus fuit.


Huic filia una est; ea m ihi cotidie
A u t ture, aut vino, aut aliqui semper supplicatj
Dat m ihi coronas. Ejus honoris gratia
Feci, thesaurum ut htc reperirei Euclio,
Quo illam* facilius nuptam , si vellet, daret:
Namque eam compressit de summo adulescens loeoj
Js scit, adulescens, quae sit, quam conpresserilj
Illa illum nescit, neque conpressam autem paler.
E am ego hodie faciam , ut hic senex de proxumo
Sibi uxorem poscat: id ea faciam gratia,
Quo ille eam facilius ducat, qui conpresserai:
Etenim, qui poscet eam sibi tu o rem , senex
Is adulescentis illius est avonculus,
Qui illanc stupravit noctu, Cereris vigiliis.
Sed hic senex ja m clamat intus, ut soletj
A n u m foras extrudit, ne sit conscia.
Credo, aurum inspicere volt, ne subreptum siet.

padre e lavo. Ha egli una fanciulla: essa ogni d o


con incenso, o con vino., o con altra cosa mi fa
supplicazioni: la moffre ghirlande. Per amor di co
stei feci in forma che questa Euclione scoprisse
il tesoro, acci s ella volesse marito, pi facil
mente glielo potesse trovare. Conciossiach un gio
vane dJ alto affare 1 ha viziata; questo giovane sa
chi sia la femmina compressa; ma ella lo ignora.,
ed il padre non sa eh ella sia gravida. Io far in
modo che il vecchio, il quale sta in queste circostanze,
la chieda in moglie, e lo far appunto per questo,
acci pi facilmente se la sposi lui che T ha stu
prata; essendo il vecchio, che la cerca in donna,
zio materno del giovane, che ha fatto questo sfre
gio alla fanciulla nelle veglie di Cerere. Ma ecco,
questo vecchio strepita al suo solito., scaccia di casa
la vecchia, acci non ne sappia fiato: io son chiaro,
egli vuol rivedere il tesoro, temendo alcuno non
gliel abbia grancito..

ACTUS 1.
SC E N A

I.

Euc n o , S t jp h y l a .
E uc.E xi inquam/ age, exi! exeundum hercle hinc libi est
foras,
Circumspectatrix cum oculis emissitiis/
S t a . Nam cur me miseram verberas?
Euc.
Ut misera sis,
Atque ut te dignam, m ala, m alam aetatem exigas.
S t a . N a m qua me nunc causa extrusisti ex aedibus?
E p e .Tibi ego rationem reddam, stimulorum seges?
Illuc regredere ab ostio/ illuc, sis! Fide ut
Incedili A t sciri, quomodo tibi res se habet?
S i hodie hercle fustem cepero aut stimulum in m anum ,
Testudineum istum tibi ego grandibo gradum!
S rj.U lin a m me divi adaxint ad suspendium
Potius quidem, quam hoc pacto apud te serviam!
E uc.A t ut scelesta sola secum m urm ural!
Oculos hercle istos, inproba, eefodiam tibi,
Ne me observare possis, quid rerum geram.
Abscede! eliam nunc! etiam nunc!
S ta.
Eliamnc?
Eae.
Ohe,
Isluc adesto! si hercle tu ex istoc loco
Digilum transvorsum aul unguem latum excesseris,
A ul si respexis, donicum ego te jussero,
Continuo hercle ego te dedam discipulam cnici.

ATTO I
SCENA ' I.
E ucuoh Ej S ta fila .

Euc.

S ta .

Euc.
S ta .

Euc.

Sta.

Vien fuori, ti dico, fuori! voglia o non voglia gi


te ne devi uscire, o spiona: con que' tuoi occhiacci
mi h^i faccia di gatta frugata dalle pertiche.
Ahi a me trista! perch mi date queste to lte voi?
Perch tu sii sempre sgraziata al mondo, come ne
se degna.
Ma che v* ho fatto per iscoparmi di casa?
A te devo render mie ragioni io? a te tocco di bue?
Fatti pi in l da quella porta! l! guarda che
passo! sai tu a che vorr riuscire? se io m attacco
ad una spranga, o a qualche pungolo t* allargher
ben io questo passo di tartaruga.
Oh mi dicesse buono Iddio dandomi una forca! Io
farei pi volentieri un dondolo che la serva a voi!

Euc.

Ma to questa ribalda che vuol far de pissi pissi!


uh mariuola! ti vo schiantare i luccianti di capo,
affinch tu non mi possa codiare in quello che
mi faccia. Vattene in l! ancora! ancora.

Sta.

Ancora?

Euc.

Ohe! ti'ferm a, li! Se ti muovi un dito di tra


verso o il largo d un ugna; se ti volgi senza che
te lo dica io, in f di valent uomo ti mando tosto
ad imparar l abbaco in Croce. Io son chiaro di

Scelestiorem me hac anu certe scio


Vidisse nunquam, nimisque ego hanc metuo male,
Ne m i ex insidiis verba inprudenti duit.
Neu persentiscat, aurum ubi est absconditum.
Quae in occipitio quoque habet oculos, pessuma.
Nunc ibo uti visam, esine ita aurum , ut condidi,
Quod me sollicitat plurimis miserum modis.
S t a . Ne nunc mecastor, quid hero ego dicam meo
Malae rei evenisse, quamne insaniam,
Queo conminisci: ita me miseram ad huc modum
Decies die uno saepe extrudit aedibus.
Nescio pol, quae illune hominem intemperiae ienent:
Pervigilat noctis totas, tum aitlem interdius
Quasi claudus sutor domi sedet totos dies.
Neque ja m , quo pacto celem herilis filiae
Probrum propinqua partitudo quam adpetit,
Queo conminiscij neque quidquam est melius m ihi,
Ut opinor, quam ex me ut unam faciam literam
Longam , ( \) meum laqueo collum quando obstrin
xero.
Euc. Nunc defecato demum animo egredior domo,
Posquam perspexi, salva esse initis omnia.
Redi nunc ja m intro, atque intus serva.
S ta.
Quippe nil
Ego intus servem! A n , ne quis aedis auferal?
Nam hic apud nos nihil est aliud quaesii furibus:
Ita inaniis sunt oppletae atque araneis.
Evc.M irum , quin tua me causa faciat Jupiter
Philippum regem aut D arium > trivenefica!
Araneas m ihi ego illas servari volo.
Pauper sum, fateor; patior. Quod di dant> fero.
Abi inlro! occlude januam ! Jam ego hic ero,

Sta.

Elie.

Sta.

non aver veduta vecchia pi indiavolala di questa;


gran male io tmo da costei: che tenendomi orbo*
la mi scocchi qualche trappola* o che labbia odore
del luogo ov riposto il mio marsupio. Ha oc
chiuta anche la coppa la briccona: andr a visitar
loro; se lo trovo conforme io l ho messo: oh quante
pene mi d egli!
Io non so che mala ventura sia incolta al mio pa
drone* o in che lumi sia egli dato. In questa forma
d sovente mi scaccia di casa dieci volte in un di.
Io non so caldi che gli bollino nella celloria. E veglia
tutta la notte; il d se lo passa intero intero in casa
come un ciabattino sciancato: io non so pi modo a
nascondere 1 onta della figlia del padrone* n so
dove dare il capo* essendo ornai il di lei parto alla
vigilia. Nulla pu* tornarmi siccome io penso* pi
di vantaggio che mettermi un canapo al collo* e
s far la figura della lettera pi lunga.
Aveva un calabrone nell orecchio e mel son ca
vato* conobbi essere ogni cosa al luogo suo. Va
dentro* e ita in guardia.
Di che volete voi stia in guardia io? forse che al
cuno non ci p orti via le pietre? I ladri la farebbero
assai m agra in casa nostra* non essendo ella piena
d altro che di vento e ragnateli.

Euc.

Egli un prodigio* o stregaccia* che per amor


tuo non mi faccia diventar Giove il re Filippo o
Dario. Mi son cari questi ragliateli. Son poverello,
io lo confesso, e s mo? stonimene rassegnato, e
godomi quel poco di bene onde che m largo
Domineddio. Va dentro! chiudi la porta! A inoineuli
V o l . III. P l a i t .

15

Cave quemquam alienum in aedis intromiseris.


Quod quispiam ignem quaerat, extingui volo,
Ne causae quid sit, quod te quisquam quaeritet.
N a m si ignis vivet, tu extinguere extemplo.
T um aquam aufugisse dicito, si quis petet.
Cultrum, securim, pistillum aut m ortarium ,
Quae utenda vasa semper vicini rogitant,
Fures venisse atque abstulisse dicito.
Profecto in aedis meas me absente neminem
Volo introm itti, atque etiam ( hoc praedico libi J
S i bona Fortuna veniat, ne intromiseris.
S t j . Pol eapse, credo, ne introm ittatur, cavet:
N am ad aedis nostras nunquam adit quaquam prope.
Euc. Tace, atque abi intro!
S ta .
Taceo, atque abeo.
E vc. .
Occlude, sis,
Foris ambobis pessulis. J a m ego hic et'o.
Discrucior anim i, quia ab domo abeundum est mihi.
Nim is hercle invitus abeo, sed, qnid agam, scio:
N am noster qostrae qui est magister curiae.
Dividere argenti dixit numos in viros: .
Jd si relinquo ac non peto, omnes eloco
Me suspicentur, credo, habere aurum domi.
N a m verisimile non est, hominem pauperem
P auxillum parvi facere quin tiumutoi petat:
N a m nunc, quom celo sedulo omnis, n sciants
Omnes videntur scire, et me benignius
Omnes salutant, quam salutabant priusj
Adeunt, consistunt copulantur dexterasj
Rogitant me, uLvaleam quid agam , quid rerum geram.
Nunc, quo profectus sum , ibos postidea domum
Me rursus, quantum potero, tantum recipiam.

torno anch io. Bada di non ricettar forasliero in


casa: e perch alcuno ti potria cercar del fuoco,
10 voglio che tu lo smorzi, acci non siavi prete
sto ad alcuno per dimandartene. Se luce qualche braeia spegnila subito. Di eh scappata 1 acqua se
alcuno te ne cerca. Il coltello, la scure, il pestatojo,
11 mortajo, bazziche che vengon sempre ricrche
da vicini, di essere venuti i ladri e averle por
tate via:' io ti parlo fuori de denti, quando non ci
sono io, niuno dee m etter piede in easa mia; pi
questo io t aggiungo che, se mai ci capitasse la buo
na ventura, io vo' che tu le dia delluscio in viso.
S ta.

Ella, io credo, guarda di non entrarvi, im per


ciocch la si mai fatta presso la nostra porta.

Euc.
Sta.

Euc.

Sta zitta, e va in casa.


Taccio e vado.
Serra l uscio a doppia bietta; io sar qui in un
attimo. Sentona venir la morte addosso allorch
devo uscir fuori: oh come vado di male gambe; ma
so io che faccia: il maestro della nostra curia disse
che daria tanti denari per capo; s io lascio dal
cercarli, verrassi tosto in sospizione che abbia in
casa il tesoro, imperciocch non da credersi che
uno spiantato sia per gettare anche un baghero.
E pare che adesso sia in cognizion di tutti quello
eh io studiomi nascondere, tutti mi salutano
con maggior cortesia di prima, mi vengono in
contro, mi fermano, mi pigliano la mano, mi di
m a n d a n o che faccia e che negozio imprenda. A
desso andr dove era diretto; e torneroinmena
di poi difilato a casa quanto prima.

v n o m ia ,

M e g ad o rvs.

E v n . V elim te a rb itra ri, m ed haec verba, fra ler,

Meae fidei tuaeque hic rei causa facere,


Ut aequom est germ anam sororem.
Quam quam haud falsa sum , nos odiosas haberi:
N a m m ultum loquaces merito omnes habemur,
N ec m utam profecto repertam ullam dicunt
Hodie mulierem 'ullo esse in seclo.
Ferum hoc, frater, unum tamen cogitato,
Tibi proxum am me, mihique esse item te:
Ita aequom est, quod in rem esse utrique arbitre
m ur,
E t m ihi te, et libi me considere et monere,
Neque occultum id haberi, neque per m elum mussari,
Quin participem pariler ego te, et tu me facias.
E o nunc ego secreto ted huc foras seduxi, Uti luam rem ego tecum hic loquerer familiarem.
M ee.D a m ihi, optuma fem ina, m anum .
E un.
Ubi est ea? quis ea est nam opluma?
JUe g . T u .

E un .
M eg .

Tutte ais?
S i negas, nego.

E vn .
Decet quidem vera proloqui.
N am opluma nulla eligi potest; alia alia pejor, fra
ter est.
JUEG.Idem ego a rbitror, nec tibi adversari
Certum est de istac re, soror, unquam. Quid vis?
E v n . Da m i operamt amabo.

E unomia, Megadoro .

Era.

Meg.
Era.

Io vorrei, fratei mio, t avessi a porre in cuore,


le parole eh io sono per aver teco, esser dette pel
tuo meglio, e per 1 amore che io ti porto di buona
sorella: avvegnacch non siami nuovo che noi
donne siamo nell odio degli uomini, perch merita
mente siam credute ciarliere, non essendosi mai da
che mondo mondo trovata donna muta. Ma questo
solo, o fratello, ti sia presente all* animo, essere io
del sangue tuo e tu del mio: per la qual cosa,
in ci che risguarda il ben nostro, giusto eh io
consigli ed ammonisca te, e tu faccia altrettanto
con me. Noi non dobbiamo aver secreti, p parlarci
a mezza bocca per la paura, anzi tu m hai da avere
a parte delle cose tue, e tu hai da essere delle
mie. Per questo, volendoti in disparte, t ho condotto
qua fuori, per conferir teco intorno a cose della
tua famiglia.
Dammi la mano, buona donna.
E dov costei? chi questa buona donna?

M eg .

T u.

Era.

E se tu che Io dice?
Se lo nieghi, niegolo anch io.
Qua occorre parlar chiaro: di buone non ve n 'h a ,
l una pi trista dell altra, o fratello.
E si penso anch io, ed in questo meglio irti all#
secondo, o sorella: ma che hai?
Ascoltami.

M eg .

Era.
Meg.
Era.

M eg .

Tua estj ulere, atque im pera, si quid vis.


E v n .Id , quod in rem tuam optum um arbitror esse, ted

admonitum advenio.
M eg. Soror, more tuo fa c f.
E un .
F acla volo.
M eg . Quid est id , soror?
E un .
Quod libi sempiternum

Salutare sit liberis procreandis!


M eg .

Ila di fa x in t!

Volo, te uxorem

E un.

D om um ducere.
M e .
E un.

E heu, occidi!
-

Quid ila ?

M eg . Quia m ihi misero cerebrum excutiunt

T ua dicta, soror: lapides loqueris.


E u N .H eja , hoc face, j/u o d te jubet soror.
M eg .
S i lubeat, faciam.
E un . In rem hoc tuam est.
M eg .
Ut em orar quidem, priusquam ducam.
Quae cras venat, perendie foras, soror, feratur:
His legibus si quam vis dare, cedo, nuptias adorna.
E un . Quam m axum a possum libi, frater, dare dote.
M e g . S ed g ra n d io r est natu?
E un .
M edia est m ulieri aetas.
E a m si jubes, fraler, libi m e poscere, poscam .
M EG .N um nunc vis m e interrogare te?
E un .
Im o , si quid vis, roga.
M eg . Post mediam aetatem qui media ducit uxorem domum ,

S i eam senex anum praegnantem fortuitu fecerit,


Quid dubitas, quin sil paratum nomen puero Po
stumus?

Meg.

Son qua tu tto tuo, comandami, se hai cosa ch


possa.

Era.

Io vengo a darti un avviso buono a casi tuoi.

Meg.
E cn.

T u se sem pre la medesima, o sorella.


E lo devi fare.

Meg.

Ma che questo?

Eun.
Meg.
E cn.

Cosa che ti sar sempre giovevole in far figliuoli.


Cos piaccia a Dio.
Vo che tu meni moglie.

Meg.
E un.
Meg.

Ahim! son morto!

E un.
Meg.
E un.
Meg.
/

Perch?
Perch queste tue parole mi scombussolan il cervel
lo: o sorella, sorella, questi tuoi detti son duri come
sassi.
Oh fa quello che t ordina la sirocchia.

Ebbene! t accontenter.
Questo pel tuo migliore.
Di crepare prim a di prenderla: eppure la to rr a
questo patto, se tu 1 hai pronta, o sorella; che
venuta domani, la sia portata fuori il giorno dopo:

E un.
Meg.
E un.
Meg.
E un.
Meg.

se
Io

Di

ci stai, va, prepara le nozze.


posso dartela con gran dota.
vecchia forse?
mezza et: se tu mordini di cercarla, la cerco.

Posso parlare io?


Parla.
Chi gi ito innanzi cogli anni tirasi in casa una
moglie di mezza et, se per avventura questa vec
chia resta grossa starestu in bilico in porre al
figliuolo il nome di Postumo? Or io ti to rr dal

N unc istum

ego, soror, laborent dem am

et dem i
n u a m tibi.

Ego virtute deum et m ajorum nostrum dives sum salis:


Ista s m agnas factiones, anim os, dolis dapsilis,
Clamores, im p eria, eburata vehicla, pallas, pu rp u ra m ,
N il m o ro r, quae in servitutem sum libus redigunt viros.

E v n .D ic m ih i, sodes, quis ea est quam vis ducere u xo re m ?


M eo .
Eloquar.
N ostin hunc senem Euclionem ex pro xu m o pau
p erculum ?
E c n .N ovi, hom inem haud m a lu m m ecaslor.
M eg .
E jus cupio filiam
V irginem m ih i desponderi. Verba ne facias, soror.
Scio, quid dictura es:

hanc

esse pauperem: H aec


pauper placet.

E v n .D i bene vo rta n tf
M eg .
E un .

Idem ego spero.


Quidni? Num quid vis?

M ec .
E v n . Et tu , frater.

Vale.

Ergo conveniam Euclionem, si domi


Est. Sed eccum nescio unde sese homo recipit domum.

M eg .

SC E N A

I II .

E v c l io j M e o a d o r v s .

Etjc.Praesagibal m i animus, frustra me ire, quom exi


bam domo:
Itaque abibam invitus: nam neque quisquam curialium
Venit, neque magister, quem dividere argentum oportuit.
N unc dom um properare propero: nam egomet sum
hic, anim us domi est.

E un.
H eg.

capo* o sorella* e ti lever questa fantasia. In


virt degli di e de* miei antichi io son ricco ab
bastanza; di queste grandezze* vanit* grasse doti
schiamazzi* ordini, cocchi dJ avorio* yestee porpore
non so che farne, perch tante spese scavezzano
il collo a poveri mariti.
E dimmi* chi colei che vorrestu prendere?
Dirottelo. Conosci tu questo povero vecchietto di
Eudione* che sta qui presso?

E un.

L o conosco p er dabben uomo.

Meg.

Io desidero sposarmi la fandulla che sua figliuola:


non darm i sulla voce* o sorella; so che vorresti

E un.

dire: che la povera: ebbene* questa povera mi piace.


Ti dica buono Iddio!

Meg.

Cos io spero.

E un.

E perch no? vuoi qualcosa altro?

Mug.
E un.
Megi

Addio.

Anche te* fratello.


F a m estieri che io parli con Euclione* se in casa:
m a eccolo non so donde capiti quest uomo.

SCENA

III.

E uclione, Megdoro.

Euc.

Mei diceva il cuore eh io pescava pel proconsole,


allorch trovavami nel punto d andarmene fuori;
per questo male mi servivano le gambe: non si vkfe
n il curiale* n quel maestro che dovea far le
parti dellargento. Adesso quanto possono i miej piedi
corro a casa* imperciocch sebben qua io sia* tutta
la mente l.

M eg. Salvos atque fortunatus, Euclio, semper ties!


Euc. D i te amentj Megadore!
M eg .,

Quid tu? recten atque ut vis, vales?

E u c.N o n tem erarium est, ubi dives blande adpellat pau


perem :

Ja m illic homo aurum scit me habere: eo me sa


lutat blandius.
MEG.Ain tu, te valere?
Euc.
Pol ego, haud perbene a pecunia.
M e g . Pol si est anim us aequos tibi, habes sat, qui bene
vitam colas.
Euc. Anus hercle huic indicium fecit de auroj perspicue
palam estj

Quoi ego ja m linguam praecidam, atque oculos ecfodiam dom it


M e g . Quid tu solus tecum loquere?
Euc.
M eam pauperiem conqueror:
Firginem habeo grandem, dole cassam tque inlocabilemj
Neque eam quo locare quoiquam . . .
M eg.
Tacej bonum habe anim um , Euclio:
Dabitur: adjuvabere a me. D ic, si quid opustj impera.
E uc.N unc petit, quom pollicetur! inhiat aurum , ut devoret/
Altera m anu fert lapidem, panem ostentat altera!
Npmini credo, qui large blandtcsl dives pauperi:
Ubi m anum injicit benigne, ibi onerat aliquam
za m ia m .
Polypos ego istos novi, qui, ubi quid tetigerunt, tenent.
M e g . D a m i operam parumper: paucis, Euclio, est quod
te volo
D e c o m m u n i re adpellare m ea et tua.

Euc.

Che tu sia sempre salvo e fortunato, Euclione.


Dio ti prosperi, Megadoro.

Meg.

E si? ti senti rubizzo conati vuoi?

Euc.

Non del caso che un ricco mostrisi amorevole


al povero: ornai quest uomo se n avvisto eh io
ho il tesoro; per cotesto e' mi fa tante caccabal
dole attorno. -

Meg.

MrG.

E s? dunque stai bene?

Euc.

Bene s a sanit, malissimo a borsa.

Meg.

Ma se n iu n rancore ti trivella, hai abbastanza di


capitale p er vivere allegro.

Euc. . In feJ di galantuomo quel tristo fascio d ossa di


mia fante ha fatta la tromba: tutto sbordelIato; le strapper la lingua, e le caccier' in terra
gli occhi.
Meg .

Che vai ram pognando adesso?

Euc.

Piango la mia disgrazia. Ho una putta gi grande,


senza dota e perci senza marito, n alcuno vorr
allogarsi. . .
Taci e dattela consolata, o Euclione; n avrai, pen
ser io a dartene: di, se qualcosa t J abbisogna;
parla.
E mi promette 1 acqua ma la tira al suo mulino!
Lha visto loro mio, e vi digrigna sopra co denti!
ha un sasso in una mano, nellaltra un pane, io
non mi fido di persona, meno poi d un ricco
quando ei palpa un povero, sei dolce dolce stende
la nqano carica sempre qualche stiva; so ben io
quanto pesano questi polipi che s aggavignano a
tutto che toccano.

Meg.

Ecc.

Meg.

S tatti un po meco, Euclione, io ho da com unicarti


alcune cosette che fanno pe casi n o stri

Euc.

H ei misero m ihi!
J u r u m m i inlus harpagatum esi: nunc hic eam
rem voli, scio

Mecum adire ad pactionem: verum intervisam do


m um .
M eg . Quo abis?

E uc.Jam jam ad te revorlar: namque est, quod visam


domum.
MEG.Credo edepol, ubi m entionem ego fecero de filia.

M i ut despondeat, sese a me derideri rebiturj


Neque illo quisquam est alter hodie ex paupertate
parcior.
Euc. D i me servant: salva res est: salvom est, si quid
nonr perit.
Nimis male tim ui, priusquam intro redii! exanim a
tus fu il
Redeo ad te, Megadore, si quid m e vis.
M eg.
Habeo gratiam.
Quaeso, quod te percontabor, ne id te pigeat proloqui.
E uc.D um quidem ne quid perconteris, quod non lubeat
proloqui.
M eg . D ic m ihtj quali me arbitrare genere prognatum?
Euc.
Bono.
M e g . Quid fide?
Euc.
Bona.
M eg.
Quid factis?
Euc.
Neque m atis, neque inprobis.
M eg . Scis m eam aetatem?
Euc.
Scio esse grandem, itidem ut pecuniam.
M e g . Certe edepol equidem te civem sine mala omni m alitia
Sem per sum arbitratus, et nunc arbitror.

Euc.

M eg .

Euc.
Meg.

. 237
Ahi a me tristo! e m ha graffignato 1 oro, io me
l avveggo, per questo vorr egli venir meco ai
patti. Intanto dar una visita in casa.
Dove vai?
Ritorno tosto, tosto: ho cosa da vedere qua den
tro.
Avvisomi, allorch gli far parola della figliuola ac
ci me la prom etta, e creder chio voglia pigliar
melo a gabbo,- imperciocch fra tanta poveraglia
niuno v h a oggid che assottigli il centesimo pi
di lui.

Euc.

Gl iddi mi fan buon viso: ogni cosa salva se


pur non ci manca qualche danajo. Oh in qual to r
chio ebbi il cuore quando misi pi dentro! Era
senza fiato! ora eccomi a te, Megadoro, se pjire
mi vuoi.

Meg.

Ti ringrazio. Deh non t J incresca risponderm i a


quello che cerco.

Euc.

Mai no, purch mi dimandi cose che non mi di


spiacciano.

Meg.

Dimmi: di qual famiglia mi ere tu venuto?

Euc.
Euc.

Buona.
Di qual fede?
Buona.

Meg.
Euc.

E d opre?
N buone, n triste.

Meg.

Meg,

Conosci 1 et mia?

Euc.

So eh ella come la borsa.

Meg.

In m ia f per Dio che t ebbi sempre nella opi


nione di buon -cittadino netto di malizie, come
tale p u r o ra ti ho.

Evo.

A urum huic olet.


Quid nune me vis?
M eg .
Quoniam tu me, et ego te qualis sit, scio:
Quae res recte vorlat mihique tibique tuaeque filiae,
Filiam tuam m i uxorem posco. Promitte^ hoc fore.
Euc. Ifejttj Megadore, haud decorum facinus luis factis facis
Ul inopem alque innoxium abs te alque abs tuis me
inrideas:
N a m de te neque re, neque verbis merui, ut face
res, quod facis.
M eg . Neque edepol ego te derisum venio neque derideo,
Neque dignum arbitror.
Euc.
Cur igitur poscis meam gnatam libi?
M e g .U I me propter tibi sil melius, mihique propter te
el tuos.
Euc. Fenit hoc m ihi, Megadore, in mentem, ted esse ho
m inem divitem,
Factiosum; me item esse hominem pauperum pauperrumum:
Nunc si filiam locassim meam libi, in mentem venit,
Te bovem esse, et med asellum: ubi tecum conjun
ctus siem,
Ubi onus nequeam fer'e pariter, jaceam ego asinus
in luto;
Tu me bos magis haud respicias, gnatus quasi nun
quam siem;
Et ted ular iniquiore, et m eut med ordo inrideat;
Neutrubi habeam stabile stabulum, si quid divorli fuat:
A sini me mordicibus scindant, cornibus. insursent
boves.
Hoc m agnum est periclum, ab asinis me ad boves
transcendcr.e

Euc.
Meg.

Euc.

Meg.

Euc.
Meg.

Euc.

E sente l dor dell oro: in che t abbisogno io?


Di poi che tu ben conosci apanni me, tanto quanto
io te, questa cosa io. voglio, e torni in bene a me,
a te, alla figliuola tua: io ti dimando in moglie la
figlia: prometti che ci starai.
Ohib, Megadoro, questa non risponde all altre tue:
perch pigliar il giambo dun poverello, che n a
te, n a tuoi ha fatto un male al mondo? Io ii
in fatti n in parole non mi sono meritate coleste
ingiurie, io.
Poffar il mondol io non sono venuto ad uccellarti,
n ti burlo, n ti credo uomo da tanto.
Ma perch mi chiedi la figlia?
Perch per lopera mia ti assetti meglio, ed io per
la tua e de tuoi.
Questo mi si affaccia alla mente, o Megadoro; per
la stessa via che tu se uomo ricco e d alto affare,
io sono tapinello e sgraziatissimo. Se ti avessi a
dar la figlia, guarda fantasia che mi gira pel capo,
tu saresti un bue, io un ciucherello: qualora io mi
ti fossi imparentato con teco, e non potessi portar
la stessa soma, io asino, resterei nel fango, e tu
bue, non mi gitteresti un occhiata addosso, quasi
non fossi mai nato al mondo: io t avrei ostico pi
che mai, ed i pari miei mi ghignerebbero dietro.
N qua n la, se accadesse qualche disparere, avrei
stallo fisso: gli asini mi strambellerebbono co denti,
ed i buoi mi darebbono colle corna. Ecco il gran
pericolo in che batterci io ogni volta che a buoi
mi tramutassi .dagli asini.

M eg . Quam ad probos propinquitate proxume te adjunxeris,

T am optumum est. Tu conditionem hanc accipe


( ausculta m ihi ) ,
Atque eam m ihi desponde.
E re.
A t nihil est dotis quod dem.
M eg.
Ne duas:
Dum modo m orata recte veniat, dotata est satis.
Euc.Eo dico, ut ne me thesauros reperisse censeas.
M e g . Novi: ne doceas. Desponde.
Evc.
Fiat. Sed proh Jupilerf
N um ego disperii?
M eg.
Quid libi est?
Euc.
Quid crepuit quasi ferrum modo?
M e g . H c apud me hortum confodere jussi. Sed ubi hinc
est homo?

A biit, neque me certiorem fecit: fastidit mei.


Quia videt me suam am icitiam velle, more homi
num facit:
N am si opulentus it petitum pauperioris gratiam ,
Pauper metuit congredirij per melum male rem geritj
Idem , quando occasio illaec periit, post sero cupit.
E u c .S i hercle ego te non elinguandam dedero usque ab
radicibus,
Imperoque auctorque sum , ut me quoivis castran
dum loces.
M eg . Video hercle ego led arbitrari m e, Euclio, hom i
nem idoneum,
Quem senecta aetate ludos facias, haud merito meo.
Euc.Neque edepol, Megadore, facio, neque, si cupiam,
copia est.
'Meg . Quid nunc? etiam m ih i despondes filiam ?

Euc.

Quanto in parentela pi t avvicini anobili tanto


meglio. Tu ricevi questo partito, fa a mio modo,
promettimela.
Ma io non ho dota a dare.

M eg.

N on darla: p u rch la ci ven ga b en costu m ata, Ila

Euc.

Te lo dico, perch non t apponessi eh io abbia tro


vato il tesoro.

Mec.

ha b a stevol dota.

Meg.

In tend o, n o n pi, prom ettila!

Euc.

Si faccia. Ma, oh Dio, son io disfatto?


Che t avvenne?
E non questo un crocchio come di ferro?
Venne da casa mia, perch fo vangar 1' orto. Sia
dove scomparso quest uomo? Ei m ha fatto Marco
sfila, n cosa mi disse, io gli fo afa. Veggendo ch'io
lo cerco dell amicizia, ei fa all usanza degli uomini:
che se il ricco cerca il favore del povero, questi
teme T accomunarsi, e per timore manda tutto a
soqquadro; e dopo, ma troppo tardi, desidera quel
buon colpo che lasci scivolarsi di mano.
Se non ti fo strappar via dalle radiche la lingua,
comando e dico io stesso la mia sentenza, che tu
mi faccia stroncar la fava da chi pi vuoi.

Meg .

E uc/
Mec .

Eie.

Mec .

V eg g o p rop rio*E u clion e, clic tu cred i d aver tro


vato in m e un b uon b ieto lo n a cc io , perch, sebben
vecch io ,

mi

fai tan te

schern e senza

un diritto

al m ondo.

Euc.

No, Megadoro, non te ne faccio, n potrei fartene


s anche lo volessi.

Meo.

che dunque? m i p rom etti la figlia?

o l

111.

la lt

Iti

Euc.

Illis legibus,
Cum illa dole, quam tibi dixi.
M eg.
Sponden' ergo?
Euc.
Spondeo.
M eg . Di bene vorlantf
Euc.
Ila di faxint! illud facito ut m em in erit
Convenisse, ut ne quid dolis m ea ad te adferret filia.
MEG.Mmini.

Euc.

A t scio, quo vos soleatis pacto perplexarier:


P actum non pactum est, non pactum pactum est,
q u o d vo b is lubet.

e g . Nulla

c o n tro v e rsia m ih i tc c u m e r it, sed n u p tia s .

Hodie quin faciamus, num quae causa?


Im o edepol optuma.
M eg .Ibo igitur j parabo. Num quid vis?
Euc.
IsUic.

Euc.

M eg.

F ia t. V a le.

Heus, Strobile, sequere propere me ad macellum strenue.


Euc.Ille hinc abiit. D i inmortales, obsecro, aurum quid
valet/
Credo ego illune ja m inaudisse, m i esse thesaurum
d o m i:

Id inhiat; ea adfinitatem hanc obstinavit gratia.


SC EN A

IV .

E u c l io , S t a p i i } ' l a .

E u c .Ubi tu es, qua deblaterasti ja m vicinis omnibus.


Meae me filiae daturum dotem? Ileus, Slaphyla, te
VOCO:

Ecquid audis? Vascula jnlus pura propere atque elue.


Filiam despondiegoj hodie nuptum huic Megadoro dabo.

Euc.

A que palli, coti quella dota eh ho dHo.

Meg. , Me la prometti adunque?

Euc.

Te la prometto. ,

Meg.

Che Dio ne ajuti!

Ecc.

Cos volesse. Ma fa d aver ben scritto in moni*


1 accordo: che non t arrechi mia figlia quattrino
in dota.
Me g .
Me n e r ic o rd a .
Euc.
Ma io so che voi scappolate come le anguille; l ac
cordo non accordo, quello che non accordo,
accordo lo fate voi se cos vi piace.
Meg. Non vi sar quistione, ma nozze. E perch non la
facciamo oggi, perch?
Euc.
Anzi, egregiamente.
M eg .
Andr adunque, far gli apparecchi; vuoi tu altro?
Euc. Questo.
M eg .
Abbialo per fatto. Addio. Ohe Strobilo, mettili la via
tra gambe, fa presto seguimi al macello.
Euc. E se n ito. 0 Doi immortali! deh qual forza non
ha 1 oro. Avviso siagli giunto alle orecchie eli io
ho il marsupio in casa: questo abbocca, quest
l ha fatto s ostinato, a volermi parente.
SCENA

IV.

E uclione , S ta fila .

Euc.

Dove se tu che ornai strombazzasti a tutto il vici


nato chio vo dar la dota a mia figlia? Ohe, Stafila, te io chiamo: se tu sorda? Fa presto, spacciati
a nettare i vasi, io ho promssa la figlia, oggi
la do sposa a- questo Megadoro.

S t j .D bene tendoni! Ve rum ecastor non potest: subitum

est nimis.
JSuc.Tace atque ahi! Curata fac tini, quom a foro re
deam dom um ,
Alque occludilo aedis: ja m ego hic adero.
S tj.
Quid ego nunc agam ?
N unc prope adest nobis exilium , m i atque herili filiae:
N a m probrum alque partitudo prope adest ut fiat
palam s
Quod celatum alque occultatum est usque adhuc,
nunc non potest.
Jbo intro, ut herus quae imperavit, facta, quom ve
niat, sient.
N a m eeastor m alum moerore meluo ne mistum bibam.

Sta.

Domine! non si pu: troppo presto!

Euc.

Taci e vattene. Fa sia ogni cosa all ordine appena


qua mi rechi di piazza: chiudi l uscio, son qui
tosto.
Che farommi adesso? oggimai siamo alla vigilia
di veder morta me e la padroncina, siamo alla vi
gilia d veder manifesta lonta ed il parto. Quauto
fu coperto e sepolto sin oggi rompe al d. Andr
dentro a far gli ordini del padrone per quando
sar egli venuto. Oh quanto fiele ho da bere misto
a un po' di dolce.

S ta .

ACTUS IL
SC E N A
S

t r o b il u s ,

1.

ntbbx,

C o n c ia o .

S tx. Poslquam obsonavit lierus et conduxit cocos


Tibicinasque hasce apud forum , edixit m ihi,
Ut disparlirem obsonium hinc bifariam.
A n t . Me tu quidem hercle ( edico palam ) non divides,S i quo tu tolum me ire vis, operam dabo.
C o n . Bellum el pudicum vero prostibulum popli!
' Post, si quis vellet, te haud non velles dividi.
S tr . A tqui ego istuc, A nthrax, aliovonum dixeram,
N on istuc, quo lu insimulas. Sed herus nuplias
Meus hodie faciet.
J nt.
Quojus ducet filiam?
S tb . F icinid E uclionis hujus e proxum o.

E i adeo obsoni hinc jussit dimidium dari,


Cocum alterum, itidemque alteram tibicinam.
A n t . Nempe huc dim idium dicis, dim idium domum?
S tb . N em pe, sicut dicis.
A

nt.

Quid? hic non poterai de su


Senex obsonari filiai in nupliis?

S tb. Faht

A nt.
Quid negoli est?
S tb .
Quid negoli sit, rogas?
Pum ex non aeQue est aridus, atque hic est senex.
A n t . A in tandem , ita esse, ut dicis?

ATTO II.
SCENA

I.

S t r o b il o , Antrace , C om griokk .

Str.

Dappoi che il padrone ha fatta la ispesa e noleg


gi in piazza i cuochi e queste suonatrici, dissemi
p artirsi in due la provvista.

Art. - Me, e ti parlo proprio schietto, non partirai tu certo,,

Con.

St r.

Ant.
Str.
Ant.

se in qualche luogo vuoi mandarmi intiero, manda


mi, son qui.
Oh del popolo bello e gentil postribolo! Se alcun
se ne sentisse sarestu quello che non vuol essere
fatto in quarti?
Ma io', Antrace, avea ci detto per tu tt altro d a
quello che tu sogni. Il padron mio oggi fa le nozze.
E la sposa di chi figlia?
Di questo vicin nostro Euclione. A lui ordin, dare
la met della provvista, un cuoco, ed una pifTerina.
Cio met qui, met a casa?

Str.

Tu 1 hai intesa.

Ant.

Perch? e non potea questo vecchio far del suo lo


sponsalizie della figliuola?

St r .

H ui!

An t.

Che hai?

Str.

Dimandasi che mi abbia io? non cos arsiccia


una pomice come questo vecchio.

Ant.

E se tu certo per dir questo?

Srn.

Tnle txj sl uma.

Qitin divom

alque hominum clamai continuo fidcnij


Suam rem periisse, seque eradicarier,
De suo tigillo fum us si qua exit foras.
Quin, quom it dorm itum , follem obstringit ob gu
lam.
A s t . Cur?
S tu.
Ne quid animae forte amittat dormiens.
A sr.E tia m n e obturat inferiorem gullurem?
Srn. Haec m ihi ted, ut tibi med, aequom est credere..
A n t . Credo imo equidem, credo.
S ts .
A t scin etiam quomodo?
A quam hercle plorat, quom lavat, profundere.
A n t . Censen'j talentum m agnum exorari potis
A b isloc sene ut del, qui fiamus liberi?
S tr . Fam em hercle utendam, si roges, nunquam dabit.
Quin ipsi pridem tonsor unguis demseral:
Conlegitj om nia abstulit, praesegmina.
A et . Edepol mortalem parce parcum predicas.
Con . Censen' vero, adeo parcum et misere vivere?
Srn. Pulmentum pridem eii eripuit miluos:
H om o ad praetorem deplorabundus venit;
Jnfit ibi postulare, plorans, ejulans
Ut sibi liceret m iluom vadarier.
Sexcenta sunt, quae memorem, si sil otium.
Sed uter vostrorum est celerior? m em ora mihi.
Con. Ego, ut multo melior.
Srn.
Cocum ego, non furem , r#go.
C on. C o a m ergb dico.

S tr .

Akt.
S tr.
Ant.
Str.
A nt.

S tr.
Axt.
S tr.

F an n e tu conto, E gli tulio ili,

non fa che
gridare alia fc di Dio e del mondo, esser rovi
nato, esser spiantato sin dall imo se fuor d una
scheggiola scappa un po di fumo. Vuoi tu altro?
quando va a letto turasi con una vescica la Bocca.
Perch?
Per non perder briciola di fiato.
Stoppasi anche il buco delle noci.
Egli giusto che a tc io abbia l istessa fede cha
tu a me.
Oh io te lo credo, te lo credo.
Vuotu saperne delle altre? e piange anche 1 acqua
che spande lavandosi.
Porti opinione tu possasi strappar da questo vec
chio un talento grande per ricomperarci?
altro

Se lo pregassi a prestarti nient altro che la fame,


egli non la darebbe mai. Quando il barbiere gli
tagli p u r ora l ugne, e' raccolse e port via i
ritagli.

Ant.

Potenziatene! Mei rappresenti ben stretto qu e


st uomo!

Con.

Giudichi tu sia egli si m isero e scarso nel vivere?

Str.

Non ha molto un nibbio gli port via un catollo


di polenta: l uomo traendo mille piagnistei viene
al pretore, e quivi piangendo e guajolando si mette
a chiedere siagli lecito chiamare in giudizio il nib
bio. Ne avrei un seicento da dirne se avessi tempo
Ma chi il pi pronto di voi altri? dillomi.
Io son quello, ed il migliore.
Voglio un cuoco e non un ladro.
Dica bene un cuoco.

Con.
S tr.

Con.

250
S tr .
Quid Iti ais?
A nt.
Sic sum , ut vidts.
'C on.C ocus ille nundinalisl: in nonum diem
Solet ire doctum .
A nt.
T u n , (2) trium lilcrarum homo,
Me vituperas?
Con.
Fur? E liam fu r trifurcifer . . .
S tb . Tace nunc ja m lu, atque agnum hinc uler est pin
guior . . .
Con . Licet . . . ?
S tr .
T u sume.
Con .
A l qui?
S tr .
,
A b i intro huc. Vos eum sequimini.
Vos ceteri illuc ad nos.
Con .
Hercle injuria
Disparlicisti: pinguiorem agnum isti habent.
S tr . A l libi nunc dabitur pinguior tibicina.
J sane cum illo, Phrygia. Tu atilem, Eleusium,
IIuc intro abidum ad nos.
Con .
O Strobile subdole,
Huccine detrusli me ad senem parcissumum,
Ubi, si quid poscam, usque ad ravim poscam prius
Quam quidquam delur?
S tr .
(Z) Stultius et sine gratia est,
Te ibi recte facere, quando, quod facias, perit.
Con. Qui vero?
S tr.
Rogitas? Ja m principio in aedibus
Turba islic nulla tibi eritj si qui u ti voles.
Domo abs te adferto, ne operam perdas poscere:
H ic autem apud nos m agna turba ac fa m ilia est,
Supellex, aurum , vestes, vasa argentea;

S tr .

Art.
Cor.
Art.
Cor.
S tr .

Cor.
S tr .

C or.
S tr.

Cor.
S tr .

Cor.

^Str.

Con.
S tr .

E tu che aggiungi?
Che son tale quale mi vedi.
Egli un potaggion di mercato: egli suol essere
in cucina ogni nove d.
Tu proverbiar me? tu, uomo di cinque lettere?
Ladro? tu ladro, e ladro, di tre forche . . .
Finiscila ornai: quale di questi due agnelli il pi
grasso . . .
Questo^. . . ?
Prendilo.
E dove?
Va qua dentro; voi altri tenetegli dietro. Quelli eh#
restano mi seguano.
Oh va in malorcia a far le parti; costoro hanno
l agnello pi grasso.
Ma ti si dar il pifaro pi grosso. Vatti con lui,
o Frigia: tu, Eleusio, vien nosco qui dentro.
Oh furbacchion d un Strobilo, tu m hai cacciato
da questa vecchia lesina, dove se qualcosa m ab
bisogna, mha da venire il rantolo prima daverla.
Pdzzo saresti e senza mercede quando qui tu la
vorassi bene, perocch tutto che facessi tu qui da
rebbe in ceci.
Perch?
Dimandi? Sopra ogni cosa in quella casa non avrai
niente che t impacci le gambe. Se t occorre chec
chessia portalo di casa tua per non gittar il fiato
in richiederla. Qui presso noi il fracasso e la ,fa
miglia grande: supellettile, oro, veste, vasi d ar-

Ibi si perierit quidpiam ( quod te scio


Facile abstinere posse, si nihil obviam est J
Dicant: Coci abstulerunt: comprehendite,
l'incile, verberate, iit puteum condite!
H ontnc tibi istic nihil evenient: quippe qui,
Ubi quid subripias, nihil est. Sequere hac me.
A ut.
Sequor.
SC E N A
S

trobilus,

11. .

tapbyla,

Coaamo.

SrB .ffeus, Staphijla, prodi atque ostium aperi/


S ta . '
Qui vocat?
S tr . Strobilus.
S ta .
Quid vis?
S tr.
Hos u t accipias cocos
Tibicinamque obsoniumque in nuptias.
Megadorus jussit Euclioni haec mittere.
S ta . Cereria facturi has, m i Strobile , nuptias?
S tr . Qui?
S ta .
Quia temeti nihil adlalum intellego.
S tr .A t ja m adferetur, s i a foro ipsus redierit.
S ta .L igna hic apud nos nulla sunt.
Con .
Sunt asseres?
S ta .S unt pol.
Coir.
Sunt igitur ligna: ne quaeras foris.
S t J. Quid, inpurete? quamquam Folcano studes,
Coenaene causa, aut tuae mercedis gratia,
Nos nostras aedis postulas conburere?

xt .

gento, se ivi andr smarrito alcun che ( sapendo


che tu se un po latino in attacarti a quel d altri )
diranno: l han raschiata i cuochi., pigliateli, legateli,
bastonateli, sotterrateli vivi: di tutto questo nulla
avverr a te, come colui che avrai nulla da torre.
Seguimi qua.
Ti seguo.
SCENA

II.

S t r o b il o , S x a f il a , C o n g r io x k .

S tb .
S ta .
S tr .
S ta .
S tb .

Sta.

Ohe, Stafla, vien fuori, ed apri 1 uscio.


Chi chiama?
Strobilo.
Che vuoi?
Che prenda questi cuochi, e la suonatrice e la spesa
pel mogliazzo. Megadoro die ordine queste cose s
tramettessero ad Euclione.
E dimmi, o Strobilo, queste nozze si fanno a Ce
rere?

S tb.

Perch?

S ta.

Perch io non ci veggo goccia di vino.

Stb .
.S ta.
C on.

Si p o rter, appena egli viene di piazza.


Noi non abbiamo tacca di legno.

S ta.
C on.
S ta.

Vi son delle assi?


Di queste s.
Legne adunque ve n ha, non cercarne.
Tanghero! sebben tu sia amico di Vulcano vorresti
forse per la cena, o per cavarne mercede man
darci in vampe la casa?

254

Con. H aud postulo.


S ta .
D uc itlos iulro.
S tj.
Sequimini.
SC E N A

III.

P r T B O D IC C S .

Curate; ego intervisam, quid faciant coci,


Quos pol ego ut hodie servem, cura m axum a est.
Nisi unum hoc faciam , in puteo uti coenam coquant
Inde coctam sursum subducemus corbulisj
Sin autem deorsum comedant, si quid coxerint,
Superi incoenati sint, et coenati inferi.
Sed verba hic facio, quasi negoli nil siet,
R apacidarum ubi lanium siel in aedibus.
SC E N A
E v c lio ,

IV.

Conexio.

Ecc.Volui anim um tandem confirmare hodie meum ,


Ut bene me haberem filiai in nupliis:
Venio ad macellum, rogito piscisj indicant
Caros, agninam caram , caram bubulam,
Vitulinam , cetum, porcinam , cara omnia,Atque eo fuerunt cariora, aes non erat.
Abeo inde iratus, quoniam nihil est, quid emam:
Ita illis in pur is omnibus adivi m anum .
Deinde cgomel mecum cogitare inter vias

Con.
S tr .

Sta.

Mai no.
Tira denteo costoro.
Seguitemi.
SCENA

III.

P ito n ic o .

Badate a fatti vostri. Io star alle velette de cuochi a cui


devo ben oggi osservare le mani: c mi vien la fantasa> se non avessi altro, di farli lavorar in cantina
donde noi tirerem su la cena colle corbe. Ma se
la gi si pappano ogni cosa, allora chi sta in allo
resta a dente secco, e cavansi di grinze quelli che
stan disotto. Canchero! quante chiacchere; quasi
nulla faccenda avessi, quasi che fosse netta la
casa di ladri.
SCENA

IV.

E u c l io n e , C o n g r io n e .

E co.

Oggi finalmente ho voluto farmi coraggio, oggi che


va a marito la mia figliuola ho voluto uscir di cac
chione: vado al macello, domando a quanto si abbia
il pesce e mi rispondono un occhio del capo. Caro
1 agnello, caro il manzo, il vitello, il pesce di mare*
il porco, cara ogni cosa; e pi ancora mi si rin
carava, per che non aveva quattrini a lato. Tutto
invelinito come la colgo, non sendovi niente cui mi
vi potessi accostare, e si la accoccai a quegli im
piccati. Tornandomi, tra un passo e T allio fo

25G .
Occepi; Festo die si quid prodegeris,
JProfesto egere liceat; nisi peperceris.
Postquam hanc rationem cordi ventriquc edidi,
Accessit animus ad meam sententiam.
Quam minumo sumtu filiam ut nuptum darem .
Nunc tusculum emi hoc et coronas floreas;
JIaec inponentur in foco nostro L a ri,
Ut fortunatas gnatae faciat nuptias.
Sed quid ego aperias aedis nostras conspicor?
Et strepitus intust! N um nam ego conpilor miser?
Con. Aulam ma j or em, si potest, viciniam
Pete: haec est parva; capere non quit.
E ie .
Hei m ihi!
P erii hercle hodie! aurum rapitur! aula quaeritur!
N im irum occidor, ni intro huc propero currerc!
Apollo, quaeso, subveni m i atque adjuva,
Quoi tu (A) in re tali ja m subvenisti antidhac!
Confige sagittis fures thesaurarios!
Sed cesso prius, quam prorsus perii, currere?
SC E N A

t .

A n th r a x .
D rom o, desquama piscis. Tu, Machaerio, (h j
Congrum, m uraenam exdorsua, quantum potest.
Ego hinc artoptam ex proxum o utendam peto
A Congrione. Tu istum gallum, si sapis,
Glabriorem reddes m ihi, quam volsus ludiust.
Sed quid hoc clamoris oritur hinc ex proxumo.*
Coci hercle, credo, faciunt officium suom.
Fugim intro, ne quid turbai hic il idem fuat.

questi pensieri, se lu esci dal manico i d di


festa, creperai ne giorni di lavoro se non stai un
po in briglia. Dappoi che ho discorse queste ragioni
al cuore e al ventre, io mi persuasi di m aritar la
figliaola colla minor spesa possibile. Ora ho com
peri questi quattro grani dincenso, e queste ghir
lande da porre al nostro lare sul fuoco, acci fortuni le nozze della figlia. Ma che veggo aperto il
nostro uscio? che fracasso v dentro? son forse
rubato io?
Con.

Cerca da qualche vicino una pentola pi grande,


questa piccola: non vi sta dentro.

Euc.

Ahi a me tristo! Oggi son proprio scassinato! mi si


grancisce 1' oro! si cerca la pentola! io casco m or
to, se non mi precipito dentro! 0 Apollo, soviemmi, ajutami, come hai fatto sino ad ora.ne miei bi
sogni: fulmina colle tue saette questi grifagni del
mio tesoro- ma e non corro dentro io, se non
quando sono assassinato affatto?
SCENA

V.

An tra ce.

Dromone, discaglia i pesci; tu Macherio spicciati, scara


venta in sul dorso il grongo e la murena. Io qui
dal vicino Congrione vo a prender una bastardella,
tu se sai 1 arte tua mi spennerai questo gallo, e
me lo darai pulito come la faccia dun ludio. Potta
del ciel, che strepito vien da questo vicino? Sa
ranno i cuochi che' faran l offizio, andr dentro
acci da me non intravvenga lo stesso bordello.
Y o l . 111. P l a u t .
47

ACTUS III.
SCENA

I.

Colf G iti 0 .
Obdal cives, populares, incolae, adcolae, advenae
omneSj
Date viam , qua fugere liceat! totae plateae pateant!
Neque ego unquam, nisi hodie, ad Bacchas veni in
B acchanal coquinatum:
Ita me miserum ut meos discipulos fustibus male
contuderunt.
Totus doleo, atque oppido perii: ita me iste habuit
senex gymnasium.
Nequeligna usquam ego gentium praeberi vidi pulcrius.
Itaque omnis exegit foras, me atque hos, onustos
fustibus.
A ttatj perii hercle ego miser! aperit, adest, sequitur!
SeiOj quam rem geram: hoc ipsus me magister docuit.
SC E N A

IL

EucliO j Cono r i o .
Euc.Redi! quo fugis nunc? tene, tene!
Con .
Quid, stolide, clamas?
Euc.Q uia a<LTrisvirosjam ego deferam tuom nomen.
Con.
Quamobrem?
Euc. Quia cultrum habes.

ATTO
SCENA

m
I.

CONGRIOXE.

Oh cittadini che incontro mi venite, popolani, abitatori,


vicini, forasticri, lasciatemi la strada perch ie
possa cavarmela! fatemi sgombere tutte le piazze!
Da che porto vita .addosso non sono mai capitato
a cucinare nel baccanal delle baccanti se non oggi:
cotal giuoco di manganelle venne sulle mie schiene,
e su quelle de miei guatteri. Mi dolgono le ossa:
son rovinato! a tal palestra questo vecchio mi
ebbe! in niun paese vidi legne pi manesche; cosi
ch carichi di sprangate scov fuori me e tutti
costoro. Ma sta: ohim! apre, vello, m 6 alle spalle!
So che farmi: s pur facca il mio maestro.
SCENA

II.

E uclione, C ongrione.

cc.

Torna, dove corri? dagli, dgli.

Con.

Che fracasso, o bestia.

Ecc.

Vo recare il tuo nome a triumviri.


Perch?
Perch hai il coltello.

Con.

Euc.

Colf.
ve.

Cocum decet!
Quia conminalus

Mihi.
Con.
Istuc malefactum arbitror, quia non latus fodi.
ve. Homo nullust te scelestior qui vivat hodie,
Neque quoi de industria ego amplius male lubent
fa xim f
C on . Pol etsi taceas, palam id quidem est: res ipsa testis:
Ita fustibus sum miser mollior mage, quam ullus
cinaedus.
Sed quid tibi nos, homo mendice, est tactio? quae res?
Evc. Eliam rogas? an quia minus, quam erat aequom,
feci?
Sine/
C on .
j i t hercte cum magno malo luo, si occiput sentit.
Euc. Pol ego haud scio; quid postfuat: tuom sinciput sentit.
Sed in aedibus quid tibi meis nam erat negoli
Me absente, nisi ego jusseram? volo scire.
Con,
Tace ergo:
Quia venimus coctum ad nuptias.
E vc.
Quid tu, m alum , curas,
t/trumque ego crudum an cocttnH edim, nisi tu m i
es tutor?
C on. V olo scire, sinas, an non sinas, nos coquere hic
coenam?
Evc.Folo scire item ego, meaen" dom i mea salva futura?
C on . tJlinam mea, quae attuli, m o d o auferam m ihi salva!
Mei haud poenilelj Inane expetam?
Evc.
Scio: ne doce, novi.
Cox,Quid est, qua nunc prohibes gralias nos coquere
hic coenam?
;Quid fecimus, quid libi dixim us, secus quam velles?

Con.
Euc.
Coi.
Euc.
CON.

Euc.
Con.

Euc.

Con.

Euc.
Con.

Euc.
Con.

Euc,
Con.

Lo portno i cuochi.
Perch m hai minacciato.
Ecco sproposito che ho fatto; non fivervelo ficcato
nelle costole.
Non v ha in terra furfantacelo come te, n per**
sona v ha che, come a te, dia meglio il mal di.
Oh ditelo nemmeno, questo gi chiaro, ed il fatto
lo canta, io sono cos sudato di tante sprangate
da disgraziarne un zanzero, ma diteci, o pidocchio!
d un uomo, perch ci tambussate voi? che vabbiarn
fatto?
E lo dimandi? non t ho fprse dato il dovere? fispelta.
Ma col vostro malanno se me ne Yiene in
coppa.
Io non so altro: venga che vuol dopo: la tua zucca
le sente! Ma che avevi tu in casa nella mia asseo*
za senza mio ordine? vo saperlo.
Zitto adunque. Veniamo pel pasto da nozze.
E che ti viene in tasca, o manigoldo, se mangio
crudo e cotto? Mi fai tu il tutore, tu?
Sentiam questa: possiam s o no preparar qui lq
cena?
E sentiam questa ancora, sar salvo il mio? di'!
Sallo Iddio se potr ritoglier il portato! ooq mi
cal del mio, ho da volere il vostro?
Sollo, non dir altro, lo so,
E perch ci proibite dal metter la cena all' ordine?,
che abbiam fatto a voi diverso del voler vostra?

v e .Eliam rogas, sceleste homo? quia anglos omnis


Mearum aedium el conclavium m ihi perviam facitis.
Id ubi tibi erat negotium, ad focum si adesses,
Non fissiled haberes caput. Merito id tibi factum est.
^4deo ut tu m eam sententiam ja m noscere possis, S i ad januam huc accesseris, nisi jusso, propius,
Ego faciam te, rniserrumus m ortalis uti sis.
Scis ja m m eam sententiam?
C on .
(6) Quo abis? redi rursum !
Ita me bene amet Laverna, te ja m , nisi si reddi
M ihi vasa jubeas, pipio differam hic ante aedisl
Quod ego nunc agam? Nae ego edepol veni huc au
spicio m alo:
Num sum conductus j plus ja m medico mercede est
opus.
SC E N A

IU .

E v e n o , Co n c r io .
E ve.H oc quidem (1) hercle, quoquod ibo, mecum erit
mecum feram,
Neque istuc in tantis periclis unquam com m ittam
ut siet.
Ile sane nunc ja m intro omnes, et coci, et tibicinae.
E liam tu introduce, si vis, vel gregem venalium.
Coquitej facite, festinate nunc ja m , quantum lubet.
C on . Tempori: postquam implevisti fusli fissorum caput.
E vc.Intro abi: opera huc est conducta vostra, non oratio.
Con . Heus j senex, pro vapulando hercle abs te ego m ercedem petam:
Coctum ego, non vapulatum> dudum conductus fui.

Euc.

C on.

E lo vuol sapere, ribaldonaccio? perch mi anna


sate tutti gli angoli della casa e delle camere. Se
t avessi trovato al fuoco dove tu hai le faccnde,
ora non porteresti il capo rotto, e ben ti st.
Ed acci tu possa oggi mai intendere mente che sia
la mia, se ti fai pi vicino a questa porta senza che
te lo dica, io ti far luomo il pi malarrivato del
mondo. M' hat -capito?
Dove andate voi? date volta! Cosi Laverna ben
mi dia, se non ordinate mi si rendano le stoviglie,
io vi dico villanie da asino sul vostro uscio. Che
far adesso/* Ahim con qual brutto augurio son
qua venuto! Io prendo uno scudox e me ne becca
di pi il medico.
SCENA

III.

E uclione, C ongrione.

Euc.

Oh questa certo non la lascer mai, la porter


dappertutto, andassi anche allinferno, n permet
ter che la si trovi tra tanti pericoli. Andate pur
dentro adesso, voi altri, o cuochi e suonatrici, e tu
conducici in casa pur anche un mercato di schiavi,
cucinate, lavorate, fate il diavolo finch volete.

Con.

La vien proprio a tempo: dopo d averci sbatac

Euc.

Va dentro: v' pagata 1 opera e non le ciancie.


Oh valentuomo, ripeter la merc anche delle bot
te; perciocch fui preso a nolito per cuoco, e noa
per far trionfar bastoni sulla mia pelle.

chiata in tal modo la testa.


Con.

Ic c .Lege agito mecum, molestus nesis: aut coenam coque,


A ut ahi in malum cruciatum ab aedibus.
Cott.
J b i tu modo.
ve. Ille hinc abiit. D i inmortales, facinus audax incipit.
Qui cum opulento pauper coepit rem habere ant
negotium!
Fcluii me Megadorus tentai omnibus miserimi
modis,
Qui simulavit, m ei honoris mittere huc causa cocos;
I s ea causa m isit, hoc qui surperent misero mihi.
Condigne etiam meus med intus gallus gallinaceus.
Qui erat anui peculiaris, perdidit penissume:
Ubi erat haec defossa, occoepit scalpturire ibi un
gulis
Circumcirca. Quid opust verbis? ita m ihi pectus pe
racuit:
Capio fustem, obtrunco gallum, furem manifestarium.
Credo edepol ego illi mercedem gallo pollicitos cocos,
S i id palam fecisset: exemi e m anu manubrium.
Quid opusl verbis? facta est pugna in gallo galli
naceo.
Sed lHegadoms,mcus ad finis, eccum incedit a foro.
Ja m hunc non ausim praeterire, quin consistam et
conloquai\
SC E N A

ir.

M egmdorvs, E vclio .
BIea . N arravi amicis mullis consilium meum
De conditione hac Eucliunis filiae.

Euc.

Chiamami a corte, non mi torre il capo: o prepara


la cena, o vattene da questa casa a scavezzacollo.

C on .

A n d ate v en e voi.

Euc.

E se n ito. 0 dei immortali! a che pericolo si


risica un povero allorch fa mischianza col ricco!
In quanti modi Megadoro tent me poveretto! Egli
facea le lustre d onorarmi cacciandomi in casa
questi cuochi* ma e mandommeli perch dessero aria a questo. Anche il gallo che era s caro alla mia
vecchia ci perdette meritamente la vita! erasi messo
a razzolar intorno la terra dovera sepolta que
st olla. Che devo aggiungere? Mi venne, uha! tal
cuccuma in corpo eh io abbranco un bastone,
ammazzo il gallo ladro manifesto: avvisomi aver
gli i cuochi promesso un beveraggio, se lo avesse
scoperto, ma io tolsi loro la volta; insomma la
piova cadde sul gallo. Ma vien di piazza Megadoro
mio genero; io non mi sento da passarlo se prima
non mi sono intrattenuto con lui.
SCENA

IV.

Megadoro, E uclione.

Meg.

Conferii a molti il negozio con questa figlia dEu


clione; approvano e diconla cosa di uomo di mondo

Laudani; sapienter factum et consilio bono.


N a m , meo quidem anim o, si idem faciant ceteri
Opulentiores, pauperiorum filias
Ut indotatas ducant uxores dom um :
El mullo fiat civitas concordior,
El invidia nos minore utam ur, quam utim ur;
Ei illae m alam rem metuant, quam metuont, fnagisj
Et nos m inore sum tu sim us, quam sumus.
In m a xu m a m illuc populi pariem est optumum;
In pauciores avidos altercatio est,
Quorum anim is invidis atque insaliatibus
Neque lex neque tutor capere est qui possit modum.
N am que hoc qui dicat: Quo illae nubent divites
Dotatae, si istud ju s pauperibus ponilur?
Quo lubeat, nubant, dum ne dos fiat comes.
Iloc si ita fial, mores meliores sibi
Parent, pro dote quos ferant, quam nunc ferunt.
Ego fa xim m uli, pretio qui superant equos,
S int viliores Gallicis cantheriis.
Euc. Ita me di amabunt, ut ego hunc ausculto lubens:
N im is lepide fecit verba ad parcim oniam .
M eg . Nulla igitur dicat: Equidem dotem ad te attuli
M aj orem multo, tibi quam erat pecunia:
E nim m ihi quidem aequom est purpuram atque au
rum dari,
Ancillas, mulos, muliones, pedisequos,
Salutigerulos pueros, vehicla, qui vehar.
E vc.U t m atronarum hic facta pernoverit probe!
Moribus praefectum mulierum hunc facium velim!
M eg . Nunc, quoquo venias, plus plaustrorum in aedibus
Videas, quam ruri, quando ad villam veneris

* dabbene. Imperciocch a parer mio se ci stesso


facessero li altri ricchi di prendersi in moglie le
figliuole de poveri senza dota, la concordia in citt
sarebbe pi grande, c ni saressimo percossi dall invidia meno che siamo, e quelle non si gette
rebbero al chiasso come fanno, e noi non saressimo cariehi di tante spese come ci troviamo. Per
questo, vantaggio grande ne avrebbe il popolo, e
soltanto alcuni avari vi borbotterebbero sopra; alT aschio ed alla rapacit de quali nulla pu farvi n
legge n tutore. Chi avesse ad abbajare: A chi si ma
riteranno le "ricche, se si pone questo egual di
ritto ne poveri? direi io si maritino con chi vo
gliono, purch vadino senza dota. Se ci fosse, si
farebbero pi costumate, ed arrecherebbero una
dota assai migliore di quella eh elle portano. F a
rei ben io che i muli, or cari pi de cavalli, co
stassero assai meno de ronzini castrati delle
Gallie.
Euc.
Cos buon mi dica Iddio, come queste parole m al
largano il cuore, con che dolcezza parla egli della
parsimonia!
Meg. Allora pi non si udirebbero questi rimbrotti: Eh
s, che per Dio t ho portata una dota dieci volte
pi grassa del tuo avere: giusto eh io m abbia
porpore, ori, fanti, muli, cocchieri, serventi e paggi,
e carrozze da scarrozzarmela.
Ecc.
Come li conosce egli i vezzi di queste dame! io
vorrei farlo il sopraci delle donne.
Meg . Dovunque ora ti volga vedrai pi cocchi in casa
che non carri in villa, ina oltre il ben di Do che

Sed hoc etiam pulcrum esi, prae quam ubi snm tut
petunt;
Slal fullo, prhyyiod, a\irifcx, lanarius,
Caupones patagiarii, indusiarii, .
Flam m earii, violarii, coriarii,
A ul m anulearii, aut murobrechariij
Propolae linteones, calceolarii,
Sedentarii sulores, diabathrarii,
Solearii adstant, adslant molochinariij
Petunt ciniflones, (8) sarcinatores petunt; .
Strophiarii stant, stant semisonarii.
J a m hosce absolutos censeas: cedunt, petunt
Treceni, constant, stant phylacistae in atriis,
Textores, lim bularii, arcularii.
Ducuntur; datur aes. J a m absolutos censeas,
Quom incedit infector crocotularius,
A u l aliqua m ala crux semper est, quae aliquid petat,
Euc. Conpellem ego illum , n i m etuam , ne desinat Memorare mores mulierum: nunc sic sinam.
M eg. Ubi nugigerulis res soluta est omnibus
Pro illis crocotis, (9 ) strophiis, sumtu uxorio,
Ib i ad postremum cedit miles, aes petit.
Ilu rj putatur ratio cum argentario;
Inpransus miles adstat, aes censet dari.
Ubi disputata est ratio cum argentario,
E liam ipsus ultro debet argentario,
Spes prorogatur m iliti in alium diem.
Haec sunt, atque aliae multae in magnis dotibus 1
Incommoditates sumtusque intolerabiles:
N am quae indotata est, ea in potestate est viri;
Dolatae maciant et malo el dam no viros.
Sed eccum adfinem ante aedis! Quid agis, Euclio?

Euc.
Meg.

ne va, bello il sentire il curandajo, il ricamatore,


l'orefice* il lanajuolo, i venditori di frangio, di
camicie, i tintori, in fiamma, in viola, i pellajuoli,
i fabbricatori di manicottoli, profumieri, rigattieri,
calzettieri, calzolaj, pianellaj; v ha chi fa i sandali,
v* ha chi tinge in monachino, chieggono i parruc
chieri, chieggono i sartori, n ci mancano i fabbricator di busti e di cingoli. Or fa conto d averli
spacciati, se ne vanno; altri trecento si fanno alla
porta, fermansi, facendoti la spia all uscio, tessitori,
fabbricatori di lembi e scarabattole. Tirinsi dentro,
si paghino alla malora, e quando te li credi iti, ec
coti chi tinse in croco il gamurrino; in somma vien
sempre qualche nuovo fistolo di croce a scannarti
la borsa.
Lo chiamerei io, se non temessi, la finisse dal dire
intorno a* costumi delle donne: per ora star cos.
Quando ti sespaniato da tante seccaggini, di gam urrej di busti, e d altre bagatelle donnesche,
ultimo viene il tavolaccino e chiede la tassa. Si va,
si fanno i conti col banchiere, ed il. soldato se ne
sta a dente secco aspettando i quattrini. Dopo i conti
col banchiere si trova alfine che il creditore an
cora in debito, e si allunga per alcuni altri dla speranza al soldato. Questi sono ed altri molti
gli impacci e le spese insopportabili che s hanno
colle larghe doti. La femmina, se non ne ha, in
podest del marito; quelle che ne hanno, lo am
mazzano di rabbia e di danni.' Oh ecco il con
giunto mio sopra la porta. Che fai Euclione?

E uc.N im ium luhenltr edi sermonem tuom.


M eg . Aiti ? audivistin?
Euc.
Usque a principio omnia.
M e g . Tam en meo quidem anim o aliquanto facias reclius.
S i nitidior sis filiai in nupliis.
Euc.P ro re nitorem, et gloriam pro copias .
Qui habent, mem inerint sese, unde oriundi sientj
Neque pol, Megadore, m ihi, nec quoiquam pauperi,
Opinione melius res structa et domi.
M e g . Im o est.
Euc.
Esi?
M eg.
Est, et divi faciant, ut siet,
Plus plusque isiucce sospitent, quod nunc nunc habes!
Euc. Illuc m ihi verbum non. placet: Quod nunc habet.
N am hic scit, me habere, quam ego met: anus fecit
palam .
M eg . Quid tu te solus e senatu sevocas ?
Euc.Pol ego, ul te adcusem, merito meditabar.
M eo.
Quid est?
Euc.Quid sil, me rogitas, qui m ihi om nis angulos
Furum inplevisli in aedibus miserrum o?
M eg . Qui?
Euc.
Introm isisti in aedis quingentos cocos
Cum senis manibus, genere Geryonaceo,
Quos si Argus servet, qui oculeus totus fuit,
Quem quondam Io n i Juno custodem addidit,
Is nunquam servet: praeterea tibicinam,
Quae m i interbibere sola, si vino scatet,
Corinthiensem fontem Pirenen potest.
Tum obsonium aulem . . .
M eg .
Pol vel legioni sal est.
Etiam agnum misi.

Euc.
M eg .

Euc.'

Mi son godute queste tue parole?


Oh bella! e hai tu raccolta ogui cosa?
Senza perderne un ette.

Meg.

Eppure a p arer mio faresti cosa proprio da uom o,


se in questi sponsali della figlia ti levassi dintorno
u n po di quella loj.

Euc.

Si misura il passo della gamba. Chi n ha, ricor


disi di qual luogo egli sia. Ma, o Megadoro, casa
mia non meglio fornita di qualunque altro povero.

Meg.

Anzi 1 .

Euc.

Meg.

: e gli Iddi operino in modo che la ti sia, e

che millanni ti si conservi quello che ora tu hai.


Euc. Ci mi d in trverso: Quello che ora tu hai. *
Tutto sa egli corno me, la vecchia 1 ha cantata
fuori.
Meg.

Euc.
M eo .

Euc.
Meg.

Euc.

Meg.

Che borbogli teco teco?

Pensava, come potea fartene carico.


Di che?
Diacine! e lo dimandi tu? tu che mhai empiuto
ogni angolo di mia casa di ladri?
Come?
Mhai cacciato in casa mia da cinquecento cuochi,
razza di Gerione con sei mani ciascuno. Che fa
rebbe Argo se anco li guardasse con tutti i suoi
occhi, Argo dato da Giunone un d per guardia
ad Io? nulla. Inoltre una suonatrice la qual sola,
se bulicasse vino, sugherebbe il Corinzio fonte Pirene. E questa" provvista . . .
Poffarilmondo! basterebbe ad
m andato anche u n agnello.

un

esercito, t ho

E uc.

Quo quidem ugno sat scio

M age (iO ) curionem m isquam esse ullam beluam.


M eg .F oIo ego ex te scirc, qui sii agntts curio.

ve. Quia ossa uc pellis totusl: ila cura macetj


Quin exla inspicere in sole eliam vivo licei:
Ila is pellucel, quasi laterna Punica.
M e g . Caedundum illum ego conduxi.
ve.
Tum tu idem ( optim um est )
Loca ecferundum: nam jnm_, credo, morltiost.
H eg . Polare ego hoc die, Euclio-, lecum volo.
Euc. Non potem ego quidem hoc die.
M eg.
A t ego [u sse ro
Cadum unum vitii veteris a me adferrier.
Ere. Nolo hercle: nam m ihi bibere decretum est aquam.
M e g . Ego te hodie reddam madidum* si vivo, probe,
Tibi quoi decretum est bibere aquam!
Euc.
Scio, quam rem agai:
Ut me deponat vino, eam adfeclat viam:
Post hoc* quod habeo, ut conmutel coloniam.
Ego id cavebo: nam alicubi abstnidam foras.
Ego faxo et operam et vinum perdiderit simul.
M e g . Ego j nisi quid me vis, eo lavatum, ut sacrufcem.
Edepol nae tu, aula, multos inimicos habes,
Atque istuc aurum , quod tibi concreditum est!
Nunc hoc m ihi factu est optumum, ut led auferam !
Aula, in Fidei fanum : ibi abstrudam probe.
Fides, novisti me et ego te: cave sis libi,
Ne lu inmutassis nom en, si hoc concreduo!
Ibo ad te, fretus tua, Fides, fiducia.

Eoe.

Di cui non vid io mai pi bel curione.

Meg.

Oh dimmi* che sia quest agnello curione?

Euc.

Perch non altro che pelle ed ossa, ed s ri


finito che par tisico: in lui ora che vivo si po
trebbero al sole noverar dentro le budella: ei
spera tutto come una lanterna punica.

Meg.

I o 1 ho compero per uccidere.

Euc.

Ed ora ben faresti a darlo a seppellire, per


ch io lo credo gi morto.'

Meg.

Voglio b er teco questo d.

Euc.

lo non bevo oggi.


Farotti di casa mia portar' un vasello di vin vec
chio.
No lascia, eh io son fermo a voler bere acqua.
Ma oggi io, se mi basta la vita, ti vo bagnar bene,
appunto perch se fermo di bevere acqua.
So ben io dove la ragna casca; e vorria vedermi
ciuschero, acci questa pignatta dopo cambi paese:
ma non far il dormi, io la porter fuori, e far
s che in una fiata egli gitti il vino e la fatica.
Se non t abbisogno, vo a lavarmi pel sacrifizio.
0 pentola mia cara, quanti nemici tu hai, e que
storo che tu rinserri. Il bene che ti posso fare,
pentola mia dolce, di portarti nel tempio della
Fede, e di nasconderli quivi. 0 Fede, tu conosci
ine, io te, abbi giudizio, non mi cambiar nome se
ti confido questa. Pieno di fiducia a te io corro, o
Fede.

Meg.

Euc.
Mr.o.
Euc.

Meg.

Euc.

Voi- III. P jlaut.

A C T U S ir.
SCESA
S

1.

t r o b il is .

Hoc est servi facinus fh ig i facere, quod ego persequorj


Nec morae molesliaeque imperium herile habeat sibi.
N a m qui hero ex sententia servire servos postulat,
I n herum m aturaj in se sera, condecet capessere.
S in dormitet, ita dormitet, servom sese ut cogitet.
N am qui am anti servitutem servit, quasi ego servio,
S i videt superare am orem , hoc servi esse ufflcium
reor:
Helinere ad salutem; non, quo incumbat, illo impellere.
Pueris quasi, qui nare discunt, scirpea induitur
ratis j

Toleret, ne pessum abeant ( i i ) , et uli facilius m o


veant manus:
Modo eodem servom ratem esse am anti hero aequom censeo;
Tamque imperium ediscat, ut, quod frons velit, oculi
sciant,Quod jubeat j citis quadrigis citius properet persequi.
Qui ea curabit, abstinebit censione bubulaj
Neque opera sua in splendorem rediget unquam
conpedes.
N unc herus meus am at hujus filiam Euclionis pau
peris,
E am hero nunc renunciatum esi nuptum huic Me
gadoro dari:
Id speculatum huc m isit me, ul, quae fierent, fie
ret pariiceps.
N unc sine om ni suspicione in ara hic adsidain sdcra:
H inc eg et huc el illuc potero, quid agant, arbilraricr.

ATTO IV
SCENA

I.

S tra bilo .

Questo esser dabben servo, fare come fo io; operar


che gii ordini del padrone sieno eseguiti spaccia
ta m e le e senza molestia: cbi vuol esser buon ser
vente prima de fatti suoi far quelli del padrone;
e se donnei dormir in guisa da ricordarsi sem
pre d esser servo. Imperciocch chi, come mi trovo
io, serve ad uno innamorato, se lo vede a mal
partito, credo uffizio di buon servo tener ritto
il padrone e non dargli la pinta dov e' pende.
Come si fa a fanciulli che imparano a nuotare,
a cui si mette intorno un graticcio di giunchi,
acci stieno a galla e non affoghino, e pi facil
mente dimenino le mani: cos il servo, a parer mio,
il graticcio all innamorato padrone; e' dee esser
cos presto a capirlo, che tosto gli occhi leggano
quello che vuole la fronte, e dee aver l ali in
dargli com piuto. quello eh e comanda. Chi far
questo, non insegner alle spalle la lezione del
bue, ne to rr la ruggine dai ceppi. Ora il mio pa
drone ama la figlia di questo povero Euclione:
pur adesso venne riferito al padrone darsi ella
in moglie a questo Megadoro, per ci egli ha man
dato me a far la specola, acci gli vcntoli ogni cosa.
Mi seder su questo aliare, che s dar niun so
spetto, c. potr 6piare di qua e di l (pianto si
facciano.

E u c lio , S t r o b il u s .

Euc. Tu modo cave quoiquam indicassis, aurum m eum


esse istic, Fides.
Non meluo, ne quisquam inveniat: ila probe in la
tebris silum est.
Edepol nae illic pucram praedam agat, si qui il
lam invenerit
A ulam onustam auri. Ferum id te quaeso, ut p ro hibessisj Fides.
N unc la vabO j ut rem divinam faciam: ne adfinem
m orer,
Quin, ubi arcessat, m eam extemplo filiam ducat
domum .
Fidej Fides, etiam atque etiam nutic, salvam ut
aulam abs te auferam /
Tuae fide concredidi aurum ; in tuo luco et domo
est silum.
S t r .D inmorlales, quod ego hunc hominem facinus
audivi loqui,
Se aulam onustam aui i abstrusisse hic intus in fa
no/ Fidesj
Cave tu illi fidelis, quaeso, potius fueris, quam mihi/
Atque pater hic, ut ego opinor, htijus est, herus
quam amat.
Ibo huc intro; perscrutabor fanum , si inveniam uspiam
A urum , dum hic est occupatus. Id si reperero, o Fides,
Mulsi congialem plenam faciam tibi fideliamj
Id adeo tibi faciam: verum ego m ihi bibm, id ubi
fecero.

E u c l io n e , S t r o b i l o .

Euc.

Guardati, o Fede, dal farmi la soffiona che qui


1 oro mio; non temo che alcuno me lo scopra, in
luogo s nascoso 1* ho

riposto! E si rifarebbe

proprio il guarnello chi la trovasse quell anfora


pregna doro: ma deh! non lo volere, o Fede. Ora
andr a lavarmi pel sacrifcio, ch io non vo tenere
il genero sulla corda, acci, quando la chiama, tosto
si meni a casa la figliuola. Bada, o Fede, e bada
bene eh io porti via da te sana e salva la ma
pentola; pieno della tua fiducia io tho consegnato
1 oro, egli nel tuo bosco, in casa tua.
S tr .

Potenzinterra! che ascolto io mai? costui qui nel


tempio ha sepolta un olla piena d oro! o Fede, non
voler esser pi fedele a lui che a me! Questi, io
penso 1 ha da essere il padre di quella putta ond incalappiato il mio padrone. Andr qua dentro,
rovister ogni bugigattolo di questo tempio, per
scoprir in qualche luogo quest oro, intanto che

costui non sfaccendato. Se lo trovo, o Fede, io


ti do u n ' olla da sei staja di mulso, e te la dar
proprio; ma dopo ogni cosa, me la sorbir io.

Eoe.Non temere est. quod corvo cantai mihi n n m ab


laeva manu.
Sim ul radebat pedibus terram j et voce crocibat sua:
Continuo meum cor occoepit artem facere ludicram,
Alque in pectus'emicare. Sed ego cesso currere?
I foras, lumbrice, qui sub terra erepsisti modoj
Modo qui nusquam conparebaSj nunc, quom conpareSj peris!
Ego pol te, praestigiator, miseris ja m accipiam
m odisl
S t a . Qttae te

m a la ci'ux agitat? quid

tibi m ccum est

commerci, senex?
Quid me adflictas? quid me rapias? qua me causa
verberas?
Euc. Verberabilissume, etiam rogitas, non fur, sed trifuri
S t r . Quid libi subripui?
Euc.
Redde huc, sis!
S tr .

Euc.

Quid tibi vis reddam?


Rogitas?

S t r . N il equidem libi abstuli.

Euc.

A t illud, tibi quod abstuleras, cedo.


Ecquid agis?
S tr .
Quid, quid agam?
Euc.
Auferre non potes.
S tr .
Quid vis libi?
Euc. Ponedt
S tr .
Equidem pol datare credb consuetum, senex.
'E( jc. Pone huc, sis! aufer cavillam: non ego n u m nugas

ago.
S t r . Quid ego ponam? Quin tu eloquere, quidquid est,
suo nomine.
No.i hercle equidem quidquam sumsi nec letigi.

Euc.

S tr.

Euc.
Str.

Euc.
Str.

Euc.

Non caso se mi canta un corvo da manca! egli


crocidando radea randa a randa la terra co piedi.
Subitamente incomincioinini il cuore a picchiarmi
in petto, come volesse balzarmi fuori. Ma sto ancor
qui piantato io? Vien fuori, lombrico maladetto,
che pur test se sbucato di terra. P u r ora non ti
si vedeva, ma addesso che se comparso, se' morto;
ti ciurmer ben io, o stregone, di maledetto senno.
Canclero! perch siete cosi incagnato voi? che a vete voi meco, vecchio squarquojo? perch mi get
tate a terra, perch mi aggavignate, perch mi
bastonate voi?
Oh pezzo d asino, domandi? o ladro, non solo; ma
ladrissimo.
Che v ho tolto?
Rendi.
Che v ho da rendere?
Ancora?

Str .

Alla mia f io v ho tolto nulla.

Euc.
Euc.

Dammi quello che avevi carpito. Che fai ora?


E che ho da fare?
Non puoi rapirmelo.

Str.

Ma che volete voi?

Str.

Eoe. . Lascialo.
Str.

La conosco, vecchio mio, la vostra usanza di re-

Euc..

Lascialo, lascialo andare! non mi pagar di giran?


dole, eh io non burlo.

galar spesso.

Str.

Che domin devo io lasciare? che non lo dite voi


. checch sia questo? In fede di galantuom o, io non
ho n tolta, n toeca cosa del mondo.

Jine.
S tr . Hem libi ostendo, eccas.

Oslende huc m anus.

uc.

Video. A ge, ostende etiam tertiam.


S tr . Larilae hunc atque intemperiae insaniaeque agitant
senem.
Facin injuriam , an non?
EvC.
Fateor, quia non pendes, m axum am .
Jtq u e id quoque ja m fiet, nisi fatere.
S tr .
Quid fatear tibi?
Evc. Quam abstulisti hinc.
S tr ?
D i me perdant, si ego tui quid
quam abstuli.
Ecc. Neve adeo abstulisse vellem. Agedum, excutcdum
pallium . . .
S tr . T uo arbitratu.

Evc.

Ne inter tunicas habeas!

S tr .
Tenta, qua lubet.
Euc. Vah, scelestus quam benignet ut ne abstulisse intel
legam.
Novi sycophantias. Age, m rsus ostende huc m anum
Dexteram.
S tr.
Hem !
Euc.
Nunc laevam ostende.
S tr .
Quin equidem am bas profero.
Euc. Jam scrutari mitto. Redde huc.
S tr .
Quid reddam?
Evc.
A u j nugas agis/
Certe habes!
S tr .
Habeo? quid ego habeo?
E vc.
Non dico: audire expeti*.
i d m eum quidquid habes, redde.

Ere.
S tr.

Ecc.

Tira fuori le mani?


Eccolo.
Veggo: su, fammi vedere quell altra.

Str.

Il fistolo lh a colto e Io fa d ar n e1 lumi. to rto

Ecc.

questo che mi fate, o no?


S e grande perch non penzoli, m a t appiccher

Str.

io, se non parli.


Che v ho da dir io?

Euc.*

Eoe,

Quello che hai rubato di qui.


La rovella mi mangi, s io ho portato via cosa del
vostro.
N vorrei che l avessi fatto, Su, scuoti il man
tello . . .
Finch volete.
Perch non 1 abbi intra le toniche.

Str.

F ru g ate dove vi garba.

Euc.

Veh! questo capestro che buon per la pace mi d


egli! acci non m addia eh' e l ha rubato! I* ho
vista la taccola. Or Via, fammi vedere la man de
stra.

Str.

Edc.
Str.

Str.

Eccola.

Euc.

Ora la . sinistra.

Str.

Anzi ve le tiro fuora tuttadue.

Euc.
Sta.
Euc.

Ornai cesso dal frugarti. Dammelo.


E dgli! che v ho da dare?
Tu mi fai il grosso! tu I hai.
L ho? m a che ho io?
Non te lo dico, no, tu vorresti udirlo. Dammi il
mio che tu hai.

Str .

Euc..

282

St/t.

Insanis: perscrutatus 's


Tuo arbitratu, neque lui me quidquam invenisti penes.
Evc. Mane, mane: quis illic est, qui hic intus alter erat
tecum sim ul?
Perii hercle! ille nunc intus turbat j hunc si am itto,
hinc abierit.
Postremo hunc ja m perscrutavi; hic nihil habet. A b i
quo lubet.
Jupiter te dique perdant!
S tr .

G ratias agis haud m ale.

Evc. Ibo intro j atque illi socienno tuo ja m interstringam


qulam.
Fugir ab oculis? abin hinc, an non?
S tr.
Abeo.
E vc.

Cave, sis, revideam !

S t r . E cm o rtu m ego m e m avelim leto m alo!

Quam non ego illi dem hodie insidias seni!


Namque hic ja m non audebit aurum abstrudere:
Credo, ecferet ja m secum et mutabit locum.
A tta t, foris crepuit! senex eccum aurum ecfert foras!
Tantisper ego hinc ob janua concessero.
Evc. Fide censebam m a xum am multo fidem
Esse: ea sublevit os m ihi penissume.
N i subvenisset corvosj periissem miser.
N im is hercle ego illum corvom, ad me veniat, velim,
Qui indicium fecit, ut ego illice aliquid boni
Dicam: nam quod edit, tam duim , quam perduim.
N unc, hoc ubi abstrudam, cogito solum locum.
Silvani lucus extra m urum est avius,
Crebro salicto oppletus: ibi sum am locum.
Certum est: Silvano potius credam, quam Fide.

Str.

Euc.

Str.

Euc.

Str.

Euc.
Str.

Euc.

Avete dato la volta: voi m avete frugato a vostro


agio, n presso me trovaste cosa del mondo che
vi, appartenesse.
St, st e chi colui eh era venuto dentro con
te? Io sono spacciato! Colui mi caccia in sbara
glio ogni cosa* se io lascio costui, e mi paga dun
canto. Alla fin fine costui l ho gi frugato, ed ha
nulla vattene dove vuoi: il morbo che ti clga!
Eh, non cattiva grazia.
Andr dentro, e a quell altro tuo buon, sozio ag
giuster a modo mio la gola. E non te ne vai
ancora via, da miei occhi? Vai s o n?
Vado.
Guarda che non ti rivegga!
Possa crepar di mala morte, sio oggi non 1 ac
cocco a questo barbogio! non si fider egli di la
sciar qui loro. Ed ornai io credo se lo porti seco
e gli cambi quartiere. Tal ta! ta! si f sentire la
porta! ecco il vecchio che porta fuori il marsupio.
Mi tirer qui un poco dopo la porta.
Io credea pi lealt nella Fede, ma la mha dato
della polvere negli occhi: se non fosse venuto quel
corvo ad ajutarmi, io starei fresco. Quanto desi
dererei mi si offrisse quel buon corvo che me ne

di l indizio, che gli direi qualche buona parola:


imperciocch il dargli da mangiare saria lo stesso
che perdere. Or io vado rivoltando in -capo un
luogo solitario dov io possa seppellire il morto. Il
bosco^ di Silvano, fuori le mura, gi di via, cd
pieno di salici. Ivi trover un luoghetto. Basta cosi
mi riprometto pi in Silvano che nella Fede.

S tr . Euge, euge, di m e savom ei servatum volunt!

Ja m illuc praecurram, alque inscendam aliquam in


arborem:
Inde observabo ego, aurum ubi abstrudat senex.
Quamquam hic manere me herus sese jusserat,
Certum est, m alam rem potius quaeram cum lucro,
SC E N A

III.

LrcoN iD ES, E o i f o x u , P u j e d i u .

L r c .D ix i tibi, mater, ju xta rem mecum tenes


Super Euclionis filia: nunc te obsecro
Resecroque, mater, quod dudum obsecraveram:
Fac mentionem cum avonculo, m ater mea!
E v n . Scis tute, fa cta velle m e, quae tu velis.

Et istuc confido a fratre me inpetrasserc,


El causa justa est: si quidem ila est, ut predicaSj
Te eam conpressisse vinolentum virginem.
L yc.E gone ut te advom im mentiar, m ater mea?
P h a .P erii, m ea n u trix ! obsecro te

L rc.

, uterum

dolet!

Juno Lucina, tuam fidem!


Hem, mater mea,
T ibi rem poliorem video: clam at, parturit.

E u s .I hac intro mecum, gnate m i, ad fratrem meum,


Ut istuc, quod me oras, inpetrattm ab eo auferam.
L r c .I ; ja m sequor te, mater. Sed servom m eum ,
Strobilum m iror, ubi sit, quem ego me jusseram
H ic opperiri. Nunc ego mecum cogito:
S i m ihi dat operam, me illi irasci injurium est.
Ibo intrOj ubi de meo capite fiunt comitia.

S tr.

Egregiamente! viva, evviva! gli iddi mi voglion sal


vo! Io gli correr innanzi e salir in qualche pianta,
e di l guarder dove questo vecchio si ficchi il
tesoro; e sebbene il padrone m avesse ordinato di
starm i qui, io son frmo di cercarm i il malanno
col buon pr.

SCENA

III.

L icohide, E unomia, F edra.

L ic.

Gi te l ho detto, o madre, tu sai ogni cosa in


torno a questa figliuola dEuclione, orio ti prego,
e ti fo ancora quelli scongiuri che pur ora t'h o
fatti; parlane, allo zio, o madre.

E un.

T u sai che la voglia tua la mia, e non son sfi


data dottenerlo dal fratello: la causa giusta, se
p u r vero quello che tu di' daver, preso* dal vino,
compressa questa fanciulla.

Lic.

E vuoi ch io ti dica il falso,* o madre?


E un. Ahim! balia, ajutami, oh che doglie all utero!
Giunon Lucina, ajutami!
Lic.
Ah madre! a te veggo pi facile il districarla, grida,
. in sul parto.
E un.

Vien meco qua dentro, o figlio, da mio fratello,

Lic.

Va pure io verr dopo, o madre. Ma io s.on


fuor del secolo di dove mai si sia cacciato Stro
bilo cui aveva detto di star qui. Or io penso meco
che, se egli pe' fatti miei, saria torto marcio l adirarmene. Andr dentro, dove si fanno gli squit
tinii -della mia testa.

p er d arti fatta questa faccenda.

t r o b il u s.

Picis ( i2 ) divitiis, qui aureos montis colunl,


Ego solus supero: nam istos reges ceteros
M emorare non volo, hom inum mendicabula:
Ego sum ille rex Philippus. 0 lepidum diem/
N am ut dudum hinc abii, multo adveni illuc prior,
Multoque prius me conlocavi in arborems
Inde especlabam, ubi aurm abstrudebat senex.
Ubi ille abiit, ego me deorsum duco de arborej
Ecfodio aulam auri plenam j iiide exeo. Eloco
Video se. recipere senemj me illic non videt:
N am ego non me declinavi paulum extra, vi/am.
A tta t, eccum ipsum! Ibo, hoc uti condam domum.
SC E N A

r.

E uclio .

Perii! interii! occidi! Quo curram ? quo non curram ?


Tene, tene! .
Quem quis? Nescio, nil video, caecus eo, atque equi
dem, quo eam
A u l ubi sim aut qui sim , nequeo cum animo certum
investigare.

Obsecro vos ego, m ihi auxilio ( oro, obtestor! ) si


tis, et hominem
Demonstretis, qui eam abstulerit!
Quid est? quid ridetis? Novi omnis: scio, fures esse
hic conpluris,
Qui veslilu et creta occultant se, alque sedent, qua
si sint frugi!

S t r o b il o .

Da me solo io supero la ricchezza de Grifi che hanno i


monti d oro: non vo parlarne di questi cacastec
chi di regoletti: io sono quel re Filippo! oh caro
d! Battutamela di qua, arrivai quivi molto
prima, e a buon ora mi sono arrampicato sur un
albero e di l sbirciava dove il vecchio riponeva
il marsupio. Andatosene quegli con Dio, io mi
sgranchio dalla pianta, scavo una pentola piena
d ' oro, e me la colgo. Veggo da l a poco invec
chio che sen tornava, ma egli non vede me, per
ch lo cansai traendomi gi di via. Oh guarda!
vello qui! andr per nasconder questo in casa.
SCEXA

V.

E u c l io n e .

Son diserto! son morto! son disfatto! dove andr? dove


non andr? Ferma! ferma! ma chi? non
so; nulla io veggo, son cieco; perch non co
nosco pi n dove cammini, n chi io mi sia.
Deh, voi altri, in carit ajutatemi ed insegnatemi
l uomo che me 1 ha tolta. Che questo?
perch sghignazzate? Lane, vi conosco. Trafurelli qui non mancano che veston bene e stan se
duti Come cime di galantuomini. Che mi di tu?

Quid ais tu? Tibi credere cerlum est: nam esse honum , e voltu cognosco.
H em , nemo habet horum? Occidisti! Dic igi
t u r quis habeat! Nescis?
Heu me miserum! misere perii!
Male perditu1j pessume ornatus, eo:
Tantum gemiti et malae moestiliai hic dies m ihi obtulit
Fam em el pauperiem! perditissim us om nium ego
sum in terra!
N a m quid m i opust vita, qui tantum perdidi auri,
Quod custodivi sedulo? Egomet me frudavi
Anim um que m eum Geniumque meum !
Nunc eo alii laetificantur, meo malo el damno! Pa
ti nequeo!
SC E N A

VI.

L rC O N ID ESj E u c l i o .

L rc.Q tiin a m homo hic ante aedis nostras ejulans con


queritur moerens?
A t hic quidem Euclio est, ut opinor. Oppido ego
interii! palam est res:
Scit peperisse ja m , ut ego opinor, filiam suam. N unc
m i incertum est,
Abeam an m aneam , an adeam an fugiam. Quid
agam, edepol nescio.
Euc. Quis homo hic loquitur?
L ic .
Ego sum miser.
Euc.
Im o ego sum et misere perditus,
Quoi mala tanta moestiludoque obtigit.
Lyc.
l... ,
A nim o bono c*.

10 voglio averli fede imperciocch ni' hai 1 aria


dell uomo onesto. Ohe! nessuno ha la pentola?
che tu agghiada! dillomi adunque chi l ab
bia! noi sai? Ahi tristo alla vita mia! Son pro
prio tristamente sconlitto, assassinato, e mal capi
tato son io! Questo- di m ha riversata addosso^
tanta grandine di guai! fame e miseria! ornai tro vomi il pi rovinatissimo uomo del mondo! che ho
da farne della vita? io che ho perduto tant oro?
dopo tanta custodia? Ho frodato me, il mio cuore,
11 mio genio! altri far baldoria in barba del mio
(danno; non me ne so dar pace.
SCENA

VI.

L i c o s i d e , E u c l io k e .

L ic.

Ecc.
Lic.
Ecc.
Lic.

Chi Io sgraziato che fa tanti rammarichi qui sopra


il nostro uscio? egli ha da essere Euclione. Io son
morto! la tresca gi scoperta: ornai, avr egli ri
saputo il parto della figliuola. Ora sto in ponte io
se devo stare o fuggirmela. Io non so che
farmi.
Chi parla qua?
Io, che son pieno di m alanni
Io si, che sono scassinato del mondo, essendomi
tocca in capo tanta miseria da morirci sotto.
Statti tranquillo!

V ol.

III. PiAirr.

19

Evc. Quo obtecroj parto esse possum?


L rc.
Quia istuc facinus, quod luam
Sollicitat anim um , id ego feci et fateor.
Bue.
Quid ego ex le audio?
L r c . Pol id, quod verum est.
E vc.
Quid ego de led, adulescens, me
n u mali,
Quamobrem ita faceres, meque meosque perditum
ires liberos?
L r c . Deus inpulsor m ihi fuilj is me ad illam inlexit.
E vc.
Quo modo?.
L ic . Fateor, me peccavisse, el me culpam conmeritum scio;
Jd adeo te oratum advenio, ut animo aequo ignos
cas mihi.
Evc. Cur id ausus facere, ut id, quod tuom non esset,
tangeres?
L r c . Quid vis fieri? Factum est illud: fieri itifeclum non
potest.
. Deos voluisse credo: nam ni vellent, non fieret, scio.
E v c .A t ego deos credo voluisse, ut apud me le in ner
vo enicemt
L r c .N e is lu c dixist
ve.
Quid tibi ergo m eam me invilo tactio est?
L r c . Quia vini vitioque amoris feci.
Evc.
Homo audacissime.
Cum istacin le oralione huc ad me adire ausum ,
inpudens?
N a m si isluc ju s est, ut tu islue excusare possies,
Luce claro deripiamus aurum matronis palam,Post id, si prehensi simus, excusemus: ebrios
Nos fccisse amoris causa. Nimis vile est vinum alqtie amoTj

Euc.
Lic.

E come lo possono?
Perch questo sfregio, oude nhai cotanto affanno,
son i che te 1 ha fatto, e confessolo.
Euc.
Che sento io da te?
Lic.
La verit.
Euc.
E che tho fatto io, o giovinastro* per accecarmene
.una si grossa, di rovinar me e la mia famiglia?
Lic.
Fu un Dio che mi v* ha spinto; questo mi f ve
nir la pruzza nelle mani.
Euc.
In che modo?
Lic.
Confesso il mio peccato, e so quanta n la colpa;
e per ci vengo a pregare il tuo .perdono.
Euc.
E perch essere cos avventato a toccar quello che
non era tuo?
Lic.
Che vuoi? quello che avvenne, avvenne; ne' pi si
pu disfare: io credo sien stati gl* iddii che 1 abbian voluto, imperciocch se non lavcssero voluto,
so che non lavrebbero permesso.
Euc. Ma pur crcd io abbian voluto gl' iddii che io ti
strozzi.
Lic.
Non dir questo.
Euc. E perch mettervi le mani addosso contro mia
voglia?
Lic.
In colpa del vinio, dell amore.
Euc.
Oh faccia di pallottola! con queste parole mi viea
tu innanzi, o spiattellato? se vi fosse questo diritto,
col quale ora tu vuoi scagionarti, di bel d ehi faccia
al mondo rubiam 1 oro alle matrone: se veniant
presi dopo scusciamoci: diciamo, averlo fatto per
amore quando era vani ciompi. 0 che spurcizia sa-

S i ebrio alque am anti inpune facere, quod lubeal,licet.


/ y c . Quin tibi ultro supplicatum venio ob stultitiam meam.
Euc. Noii m i homines placent, qui, quando male fecerunt,
p u r g ita n t.

Tu illam scibas non tuam esser non attaclum o portuil.


L rc .E rg o quia sum tangere ausus, haud causificor, quin
eam
Ego habeam potissumutn.
Eae.
Tun' habeas me invito meam?
L r c .H a u d te invito postulo; sed m eam esse oporlere
arbitror.
Quin meam invenies, inquam, illanc esse oportere,
Euclio.
E u c.Jam quidem hercle te ad praetorem rapiam , el tibi
scribam dicam ,
N is i refer?!
L yc.

Q u id tib i ego re fe ra m ?

Euc.
Quod subripuisti m eum .
L yc.Subripui ego tuom? unde? aut aut quid id est?
Euc.
Ita te amabit Jupiler,
Ul tu nescis!
L rc.
Nisi quidem tu mihi, quid quaeras, dixeris.
E uc.A ulam auri, inquam , te reposco, quam tu to n fe s. sus m iht
Te abstulisse.
L rc.
Neque edepol ego dixi, neque feci.
Euc.
Negas?
L rc .re rn e g o im m o: nam neque ego aurum , neque istaec
aula quae sit,
SelOj nec novi.

rebbe il vino e lamore, le all ubbriaco ed all amante >fosse lecito tutto che gli frulla.
Lic.

Ma se vengo io a chiederti perdono della mia


siocchezza.

Euc.

Non mi piacciano questi uomini che vengono a


scusarsi dopo il mal fatto." tu sapevi quella non
essere tua, e non dovevi toccarla.

Lic.

E adunque perch osai toccarla, io non mi canso


dal farla mia.

Euc.

Farla tua a dispetto mio?

Lic.

No, non voglio a dispetto tuo, ma credo 1 abbia


da esser mia; che anzi? tu la troverai in tal termine,
o Euclione, che giudicherai necessario il darmela.

Euc.

Ornai io tirerotti al pretore, e ti denunzio se non


me lo rendi.

Lic.
Euc.

Che t ho da rendere?
.11 mio che hai tolto.

Lic.

Io ho tolto del tuo? donde? che questo?

Ecc.

Tanto bene ti desse Iddio, come tu noi sai!

Lic.

Se tu non mi dici quello che cerchi.

Euc.

Una pentola d oro io ti dimando, che tu hai con


fessato avermi tolta.

Lic.

Io? ne te 1 ho detto, n I' ho fatto.

Ecc.

E Io neghi?

Lic.

Anzi lo rinnego: imperciocch io n oro, n pen*


tola non vidi, n conobbi mai.

ve.

Illam j e Silvani luto quam abstuleras, cedo!


I, refer/ dim idiam lecum potius pariem dividam.
Torneisi fu r m ihi es, molestus non ero furi. I . refer/
L r c . Sanus tu non es, qui furem me voces: ego te, Eucliot
A lia de re rescivisse censui quae ad me allinet,
M agna, quam ego tecum oliose, si otium est, cupio
loqui.

Evc. Dic bona fide: tu id aurum no subripuisti?

Lrc.

Bona.

' E vc. Nec scis, quis id abstulerit?


L yc .
Istuc quoque bona.
E vc.
Atque si scies.
Quis id abstulerit, m i indicassis?
L rc.
Faciam.
E ve.
Neque partem tibi
A b eo, quiqui est, indipiscesj neque furem excipies?
Ire .
Ita .
Euc. Quid, si fallis?
L rc.
Tum me faciat, quod volt, magnus Jfupiler.
E vc. Sal habeo. Age nunc, loquere, quod vis.
L rc.
S i me novisti minust
- Genere qui sim gnatus.- hic m ihi est Megadorus avonculotj
Meus fuit pater Antim achusj ego vocor L y conidesj
M ater est Eunomia.
E vc.

N ovi genus: nunc, quid vis, id volo


Noscere.

L rc.
E x te filiam tu habes.
Evc.
Im o eccillam domi.
L r c .E a m iu d esp o n d istio p in o r, avonclo meo.
Eae.
Omnem rem tenes.

Euc.

Lic.

Ecc.
Lic.
Euc.
Lic.
Euc.
Lic.
Euc.
Lic.
Euc.
Lic.
Euc.
Lic.

Euc.
Lic.
Euc.
Lic.
Euc.

Quella clic avevi tolta dal bosco di Silvano, dam


mela! va, riportala! faremo a mezzo piuttosto! e
sebben tu siami ladro, al ladro io non dar molestia.
T u non hai teco il cuore, dandomi tanto del la
dro in. capo; io, Euclione, credeami avessi risaputa
altra cosa, che la entra nei fatti mici, ed di gran
momento, cui io, se hai tempo, vodire a bellagio.
Dimmelo in buona fede; tu non hai grancito que
st oro?
No, da galantuomo.

N sai chi T abbia rubato?


Nemmen questo.
E se sapessi chi 1 ha carpito, me Io diresti?
Direi.
N tu, chiunque egli sia, da lui non cercheresti
porzione, n darai ricetto al ladro?
No.
E se m inganni?
Allora di me faccia Iddio il piacer suo.
N ho abbastanza. Omb di quello che vuoi. .
Se tu beh non conosci la mia casa: questo Megadoro mio zio da lato di madre, mio padre fu
Antimaco, io mi chiamo Liconidc, e mia madre
Eunomia.
Conosco la famiglia; or dicci quello che vuoi;
escine.
Ta hai una figliuola.
Anzi, eccola in casa.
T u l hai prom essa io credo a mio lio,
Sai dall A alla Zeta,

L r c .Is ni nunc renuntiare repudium jussit tibi.


Evc.Repudium rebus paratis exornatis nuptiis?
Ut illune di inmoriales omnes deaeque, quantum est,
p e rd u in t ,
Quem propter hodie auri tantum perdidi, infelix
miser/
L rc .B o n o anim o es/ benedicel Nunc quae res tibi el
gnatae tuae
Bene felicilerque vortat . . . Ila di faxint, inqtiito.
E v c .lla di faciant/
L re.
E t m ihi ita di faciant/ A udi nunc ja m .
Qui homo culpam admisit in se nullust tam parvi
preti,
#nom pudet j quom purgat sese: nunc te obtestor,
Euclio>
S i quid ego erga ted inprudens peccavi aut gnalam
tuarn^
l rt m i ignoscas eamque uxorem m ihi deSj ut leges
ju b e n t.

Ego me injuriam fecisse filiae fateor tuae,


Cereris vigiliis, per vinum atque inpulsu adulescentiae.
Muc.Hei mihi, quod facinus ex ted audio?
L rc.
Cur tjulasj
Quem ego avom feci ja m ut esses filiai in nuptiis?
N am tua gnata peperit decum mense post ( nume. rum cape ):
Ea re repudium remisit avonculus causa mea.
I intro: exquirej siine ita ut ego praedico.
Evr.
Perii oppido/
Ita m ihi ad malum malae res plurimae se adgluiinant.
Ibo intro j ut quid hvjtts reii sitj sciam.

Lic. ' Egli m* ordin venissi a dartene il disdetto.


Euc. II disdetto, or che tutto all ordine, e son' prepa
rate le nozze? Che tutti gli dii, quanti ve ne hanno,
sprofondino colui, pel quale io sgraziato e tapinello, ho perduto tant oro!
Lic.
Sta di buon animo, e ringrazia Dioj ora quello
che a te ed alla figliuola tua torna meglio . . .
cosi voglia Dio, dillo.
Ere.
Cos voglia Dio!
Lic.
E s avvenga anche a me! Sentimi ornai. Nun uo
mo pi vituperevole di colui che, fatto un fallo,
non se ne vergogna, e non ne chiede perdono: ora
io ti scongiuro, Euclione, che se ho fatta qualche
imprudenza verso te e la tua figliuola, me 1 ab
bi a perdonare, dandomela in moglie conforme co
mandano gli statuti. Io confesso d averti compressa
la figlia nelle veglie di Cerere, spinto dal vino
dal caldo dell et.
Euc.
Guai a me! ah! ribalderia che sento io mai!
Lic.
Piangi forse perch t ho latto nonno nelle nozze
dell figlia? Imperciocch, ( e fanne i conti ) la
figliuola tua partor dopo dieci mesi: per questo e
per amor di me lo zio ha mandata la disdetta. Va
dentro, cerca, se la come *c la canto io.
Euc. Io son sotterrato! e questa ci voleva per giunta
dalla derrata. Andr, dentro, per accertarmi dalla
faccenda.

Ire .

J a m te sequar.
Haec propemodum ja m esse in vadum salutis res
videtur.
N unc servo m esse ubi dicam m eum Strobilum , non
r e p e r to ;

N isi etiam hic opperiar tam en paulisperj postea intro


H unc stibsequar: nunc interim spacium ei dabo exquaerendi
Meum factum ex gnatae pedisequa nutrice anu; ea
rem novit.

Lic.

Ed io ti vengo dietro. Parmi che ornai la barca


navighi al lido. Dove dir io ora siasi ficcato
Strobilo, ch non lo veggo; 1 aspetter qui un
pocolino c poi andr sulle pedate di costui: intanto gli
lascer tempo per le sue ricerche, dalla vecchia ser
vente e balia della giovane: colei la sa ogni cosa.

r.

actus
SC E N A
S

t r o b il u s j

I.
y c o h id e s .

S t r . D i in m o r la le S j q u ib u s et q u a n tib u s m e d o n a tis g a u
d iis l

Quadrilibrem aulam auro onustam habeo: quis m e


est d itio r ?

Quis me Athenis nunc mage quisquam est homo,


quoi di sint propitii?
L r c . Certo enim ego vocem hic loquentis modo me audire
visus sum .
S tr.
H em ,
H erum ego adspicio meum?
L rc.
Strobilum video ego hunCj ser
vom meum?
S r R .Ip s n s estl

L rc.

H aud alius est!

Congrediar.
L rc.
Contollam gradum.
Credo ego illumj ut jussij eatnpse anu adiisse> hu
ju s nutricem virginis.
S t r . Quin ego illi m i invenisse dico hanc praedam, at
que eloquor?
Igitur orabo, ut m anu me m ittat. Ibo alque eloquar.
Reperi . . .
Lvc.
Quid reperisti?
S tr.
NoHj quod pueri clam itant
I n faba se reperisse.
S tr.

ATTO V.
SCENA

I.

S trobilo , L ic o m d e .
S tr .

Oh dei immortali, quali e quante gioje mi date


voi. Io ho un orciuoletto pieno di quattro libbre
d oro: chi pi ricco di me? Chi v ha in Atene
cui facciano miglior viso gli di?

Lic.

Certo qui parvemi udir la voce dun che parlava.

S tr .

Ahu! il p a d r o n e h ' io v eg g o ?

Lic.

Strobilo chi io trovo?

S tr .

Gli lui.

Lic,

E non altri.

S tr.

L affronter.

Lic.

Androgli incontro: avvisomi che, come gli ho detto,


sia stato egli dalla vecchia nutrice di questa fan
ciulla.

Str.

E perch non gli dico io daver trovata questa cuc


cagna? Lo pregher perch mi franchi, andr e
gliene far molto. Ho trovato . . .

Lic.

Che hai trovato?

S tr.

Non ci che gridano


fava.

i p utti aver trovato

nella

302
L rc.
Jam m e item, ut soles, deludis?
SraM ere, m ane: eloquar ja m : ausculta.
L rc.

S tr.

Age ergo, loquere.


Reperi hodie.

ffere, divitias nim ias . . .


Ubinam?
Lrc.
S tr.
Quadrilibrem, inquam,
aulam auri plenam!
L r c . Quod facinus audio ex ted?
S tr.
Euclioni huic seni subripui.
L r c .U b i id est aurum ?
I n arca apud me: nunc volo me
S tr.
emitti manu.
L rc.E gone te m anud emittam, scelerum cumulatissume?
S t r . Abi, here! scio, quam rem geras! lepide hercle ani
m um tuom tentavi!
J a m , ut eriperest adparabas: quid faceres, si reperissem?
L r c . Non potes probasse nugas. I , redde aurum.
S tr.
Reddam ego aurum ?
L rc.R edde, inquam: huiic ut reddatur.
S tr.
A t unde?
L rc.
Quomodo? fassus es
Esse in arca.
S tr .
Soleo hercle ego garrire nugas: ita loquor.
L r c . At s in , quomodol
S tr.
Vel enica hercle! hinc nunquam a me feres!

Lic.
Str.

T u se sempre sulle burle.


Fermatevi* padrone* lo dir: sentitemi.

Lic.

Parla adunque.

Str.

H o tro v ata oggi, o padrone* g ra n fortuna . . .

Lic.

Dove?
Una pignatta gravida di quattro libbre d oro.
Che sento io da te?
V ho graffignata a questo vecchio Euclione.
E dov quest oro?

Str. -

Lic.
Str.

Lic.
Str.

Nella cassa presso di me* n me lo voglio far u scir di mano.

Lic.

Lic.

Ed io* dovr farti libero* o capestro?


Via* padrone* so che mulinate voi! io l ho fatto
per assaggiarvi* gi voi vi preparavi a buscarmelo:,
che faressi voi, se proprio 1 avessi trovato.
Lucciole non me ne vendi: va, rendi 1 oro.

S tr.

Io* ren d er 1 oro?

Lic.
Lic.

Per restituirlo a costui.


Ma come?
Come? hai detto essere nella cassa.

Str.
Lic.

Voi sapete burlon che son io* adesso ne dissi una.


Ma sai perch?

Str.

Strozzatem i anche! m a da me voi non lo avrete mai.

Str.

S tr.

SEQUENTIA
S U N T S U P P O S IT A .
L rc .Q u id islic? quoniam pervictis abdis/ Non feram
unquam?
S rn .
Quod non habeo?
L rc.E fferaris cave, n i aclulum id acri est redditio seni/
S t r . Seu propensus libitinarius, sive pollinclorius
Efferar, nunquam dabo, ni noviler fodiam arru
giam.
L r c . Vae capiti tuoi
S tir.
Im o senecis et capitulo el pedori,
Qui auri tantum perdidit/
L rc.
Quis reperii?
S tr.
Quem reperisse vi.
L r c . Qui id in arca habere subreptum autumavit.
S tr.
Quam libi
Pulcre conniveant, here, oculi, si id fatear factum
tibi/
Tecum quod lusij non par est serio praevortier.
L r c . A t nunc ja m ne me inrilassis/ redde/ susque deque
haud agiles/
S t r . Here* si id reperielur; cerlum est, gemina lancea
confitenleni

Te icere?
-L rc.
S tr.

L rc.
S tr.

Redde/
A lta t, vis cassum/
Redde/
A ttat, incassum quaeris/

L r c . Redde/ Ego propero, iti comiliis quid proxumis, vi-.


deam. Senex aulam.
.
A u r i perdidit: Megadorus repudium renuntiavit,
Filiam peperisse vilio resciit.
S tr .
Hero, quantum ego video,
Nemo benignior. A lii namque,'quae inventa occulunt
vaniloqui,
D om i negant, el aliud post aliud, si qua opportu7.
nitas,
H arpagatum est sibi. Eleusina si siet, facilem
deam
Creduntj si Cotytto, non videre, quom baluat,
voluntj
Jta neque amicis neque cognatis neque dis parcunt,
dum sibi.
Iste quidem, ne miserum faciat senem aut opulentam
<jus fam iliam ,
A u ri plenam, onustam, grandem aulam jubet referrier,
Ut se faciat olim miserum ac fam iliam . Ast par
tem m i ego
Jm partirier m alim , unde redimar. Quod vorlat
bene,
Picus sinistra cantitavit, qui auri custos traditur:
Ibo et aulam referam : quod m ihi bene avis illaec
occinat.

Y o l . -111. P l a u t .

20

SU P P L E M E N T U M A U L U L A R IA E .
A n t o n . C odr U rceo ,

Italo Scholastico et Professori


Bononiensi, auctore, qui vixit sub Im pp. Sigismundo
et Friderico I I I . Aug.
--------quod non habeo.

L rC .

Feram.
Velis, nolis! quin le quadrupedem strinxero,
E t herniosos lesles ad Irabem tibi
Divellant appenso! Sed cur in fauces m oror
H ujus scelesti ruere? el an im a m protinus
Das, an non?
S tr.
Dabo.
L rc.
Des ut nunc, olim, volo.
S t r . Do ja m : sed me anim am recipere sinas, te rogo.
A h , ah! quid, ut dem, poscis, here?
L rc.
Nescis, scelus?
'Et auri plenam quadrilibrem aulam m ihi
Audes negare, quam te dixisti modo
Abripuisse? heja, ja m ubi nunc lorarii?
S t r . Here, audi pauca.
L rc.
N on audio. L orarii,
Heus, heus!
L or.
Quid est?
L rc.
P a ra ri ego catenas volo.
S t r . A u d i, quaeso! post me ligari jusseris
Q uanlum libet.
L rc, .
Audio: sed rem expedias ocius.
S t r . S i me torqueri jusseris ad necem, vide,
Quid consequarc; prim um servi exilium habesj

Dein, quod concupisces, fcrre non potes.


I si me dulcis libertatis praemio
D udum caplasses, jam dudum votis forcs
Politus. Omnes N atura parit liberos,
Et oittes libertali natura student.
Omni m alo, om ni exilio, pejor servitus:
El quem odi Jupiter, servom hunc prim um facit.
L v c .N o n slulle loqueris.
S tr.
A udi reliqua nunc jam :
Tenaces nim ium dominos nostra aetas tulit,
Quos Harpagones, H arpyias el T an ta h s
Focare soleo, in opibus magnis pauperes
Et silibundos in medio Oceani gurgile.
Nullae illis m nl satis divitiae, non Midae,
N on Croesij non omnis Persarum copia
Explere illorum tarla ream ingluviem potest.
Inique domini servis utuntur suis.
Et s e n i inique dominis nunc parent suis:
Sic nculrubi fit, fieri quod juslum foret.
Penum, popinas, cellas promptuarias
Occludunt mille clavibus parci senes, .
Quae v ix legitimis natis concedi volunt.
Servi furaces, versipelles, callidi,
Occlusa mille clavibus sibi reserant,
Furlimque raptant consumunt, ligurrim t,
Centena m n q u a m furia dicturi cruce.
Sic servilulem servi ulciscuntur m ali
Risu jocisque. S i ergo concludo, quod
Servos fideles liberalilas facit.
L r c . Recte quidem lu; sed non paucis, ut m ihi
Pollicitus. Ferum si te facio liberum,
Reddes, quod cupio?

Reddam,- sed lesles voloAdsint. Ignosces, here: parum credo libi.


L r c . Ut lubelj adsint vel centum; ja m nihil moror.
S t r . Megadore, et tu, Eunom ia, adeste, precor, si libet!
Exile! perfecta re m o x redibitis,
M eg . Qui nos vocat? hem, Lyconide.
E vc.
H em , Strobile, quid esi?
Loquimini.
L rc.
Est breve quid.
M eg .
Quid id est?
S fR .
V o s testes voco,
S i quadrilibrem aulam auri plenam huc adfero
Et trado Lyconidae, Lyconide* m anu
M ittit, jubetque juris esse me mei,
Ila n spondes?
L rc.
Spondeo.
S tr.
Jam ne audivistis hoc,
Quod dixit?
JMeo.
Audivimus.
S tr .
E nim ju ra per Jovem.
L r c .H e m , quo redactus alieno ego ja m sum malo!
N im is procax es. Quod jubet, faciam tamen.
S t r . Heus tu nostra aetas non m ullum fidei gerii;
Tabulae notanturj adsunt lesles duodecim;
Tempus locumque scribit actuarius:
Tam en invenitur rhetor, qui factum neget,
L r c , Sed me cito expedi, sis.
S tr,
ffe m silicem libi.
L f c . S i ego te sciens fallam , ita m e ejiciat Diespiter
fiorii salva urbe et arce, ut ego hunc lapidem. S a tin 1
J a m 'fe c i tibi?
S tr.

Srn.
Satis. Ut ego aurum apportem, eo,
L r c . I Pegaseo gradu, et vorans viam redi.
Grave est hom ini pudenti morologus nim is
Servus j qui, sapere se plus voli hero suo.
Abeat hic Strobilus in m alam liber crucem,
Modo m ihi apporlel aulam auro puro gravem,
Ut Euclionem socerum ex luctu retraham
A d hilaritatem, el m ihi conciliem filiam,
E x compressu meo novam puerperam.
Sed ecce redit onuslus Strobilus. Ut reor
Apportat aulam. Et cerle est aula, quam gerit,
S t b . Lyconide, porto ihvenlum promissum tibi,
A ulam auri quadrilibrem. N um serus fui?
L rc.N em pe. O di immortales, quid video, aut qui
habeo?
Plus sexcentos Philippeos ter et quater.
Sed evocemus Euclionem protinus,
O Euclio, Euclio!
M eg .
Euclio, Euclio!
Evc.
Quid est?
Lrc.Descende ad nos: n a m di te servatum volunlf
Habemus aulam,
Evc.
Habeslisne, an deluditis?
L rc.H abem us, inquam. Modo, si polis huc advola/
Evc, O magne Jupilert o L a r fam iliaris et
Regina Juno et noster thesaurarie
Alcide, tandem miserum miserali senem?
Oh, oh, quam laetis, aula, tibi amicus senex
Complector ulnis, dulci et le capio osculo/
Expleri nequeo mille vel complexibus.
O spes, o corj lucium depulverans m eum ?

L r c .A u r o carere tem per duxi pessumum


Jit pueris el viris el senibus omnibus.
Pueros prostare, mendicari ipsos senes.
A t mullo pejus est ut video nunc, supra
Quam quod necesse est nobis, auro opulescere.
Heu, quantas passus est aerumnas Euclio
Ob aulam paulo ante a sese deperditam!
Euc. Quoi meritas referam grales? an diis, qui bonos
Respectant homines? an am icis, rectis viris?
A n ulrisque? Utrisque potius et prim um libi,
Lyconide, principium et auctor lanii boni.
H ac ego te aula auri condono. Accipias libens:
Tuam hanc esse volo et filiam m eam simul,
Praesente Megadoro et sorore ejus, proba
Eunomia.
L rc.
El habetur el refertur gratia,
Ut merilus es, socer exoptatus m i, Euclio.
Euc. Relatam m ihi salis putabo gratiam .
Si
donum nostrum el me ipsum accipias nunc libent
L rc.A ccip io , et Euclionis volo mea sit domus.
S t r . Quod restat, here, memento, ul liber nunc siem.
L rc.R ecte monuisti: esto merito liber tuo,
O Strobile, et turbatam ja m intus coenam para.
S t r . Spectatores, naturam avartis Euclio
M utavit: liberalis subito factus est.
Sic liberalilate n tim ini vos quoque,
E t, si prplcuit fabula, clare plaudile.

NOTE

(i) Cosi noi leggiamo appresso Lipsio: Lillcrae I sonum


triplicem deprehendo: prim um cjns longae, et vere:
longae: quia non, l caeterae, geminatur, aut apice
insignitur: sed productior fit, et longitudine velut
dupla e. g. P iso , r lr u s . JEd I l I s . Q uI nqu ennal I s
ideo sraT 'e ^ o fflv , inter omnes litteras haec proprie
dicta longa. Plautus scivit: et in jocum captavit
in persona Staphylae. Jp a g e enim vulgus inter
pretum, qui de littera L capiunt, quia longiuscula
ea in nostra scriptione, apage et Lambinianam
facem qui ad quamvis grandiorem Htteram vult
aptari. Certo mecum Plautus cepit de ista: qua
sola inter grandes el Rom anas illas litteras ( nam
hac olim ignotae) super caeteras em inuit, et for
m a ipsa pensilem praetulit ac porrectum. H ac
eadem mente Ausonius epigr. 420 in liguritorem
E unum scripsit"
Quid imperite O putas ibi scriptum,
Ubi locari jota convenit longum?
nam suspendio censel eum dignum.

(2) I latini al un ladro dicevano uomo di tre lettere ( far );


e questo molto era cotanto usato appresso loro
eh , quanto si vede ii^questa commedia, Congrione
1J ha di subito inteso. Come far si potea a conservar
questo scherzo nella versione, non avendo noi una
voce che equivalga a ladro composta di tre lettere?
Era mestieri perch il senso corresse con egual
frizzo cambiare, e per in vece di tre jlettere io
ho detto di cinque, affinch e il motto non per
desse nulla del suo sale, e corrispondesse anche
col contesto della commedia.
(3) Ho sguta la lezione di Bothe, stultum leggono le
volgate.
( i) Questo tu venne posto da Bothe, imperocch il verso
era mozzo.
(8) Sono stato con Bothe.
(6) Queste parole le edizioni senza un proposito al mondo
le attribuivano ad Euclione.
(7) Bothe congiunge questa Scena alla precedente. Io av
visai starmene colle volgate conciossiach il vec
chio dopo aver detto scis ja n t m eam sententiam
era ito in casa, e venne fuori dopo coir orciuoletto
dell* oro.
() Tcluni ciniflones, sarcinatores petunt: le volgate
leggevano fullones: troviamo anche in Orazio
Sat. i . S.
Custodes^ lectica, cinifloncsj parasitae.
(9) Questo verso fu preso da Nonio.

(10) Festo: curionem agnum Plautus pro macro dixit s


quasi cura macruisset.
- (14) Sono stato colla correzione di Bothe.
(12) Ho seguite le lezioni di Giunti: e Camerario., Bothe
legge Picis Valla e Sarracenio Pici.

EPIDICUS

L E P I D I C O

c/c

t/cc? B/auJo
/ ^iic&'co

(/c Aaf&no

vo lp a re

PIERLUIGI DONINI

/a

c/orta,

e if tto ma&itin?

PROF. BERNARDO BELLINI


c/ p u a f
n on nc'anc/o m ac, cuf/h /la tw /a ,

c puefl c^e & /itu


(/a $ o fi/iu p n a r&

co/f ej&mfito

/e ^ i/ e d o tfp tn .a c /e f je-co/to

e/oec/e a /ifa

c9 /a ^ia

un

nom e

c/te v iv r c/icaro ne 4eco& vtnfycM.

PERSONE DELLA. FAVOLA.

E p id ic v s
T h e sp r io

E pid ico

S t r jt ip p o c l e s

T esprioke
S tratippocle

Ch j e r ib u l v s

Cheribolo

Apecide
P erifane

OECIDES

P e r ip u a n e s
P h il ip p a

S oldato
F ilippa

V ir g o

F anciulla

F id ic in a
D a n is t a

S uohatrice
UsTJRIERE
Caterva

il e s

G rex

L a Scena iti Siene.

di cetra

ACTUS I.
SC EN A

I.

E p id ic v s , T h e sp r io .

E p i . HeuSj adulescensl
T he.
Quis properantem me prehendit pallio?
E p i . Familiaris.
T he .
Fateor: nani odio es nim ium familiariter.
E p i . Respice vero, Thesprio/
T he.
Fah! Epidicumne ego conspicor?
E p i . Certe oculis utere.
T he .
Salve.
E p i.
D i dent, quae velis.
Venire salvom gaudeo.
T he.
Quid ceterum?
Ep i.
Quod coadsolet:
Coena tibi dabitur.
The.
Spondeo.
E p i.
Quid?
The.
Me accepturum, si dabis. .
E p i . Quid tu? agis* ul velis.
T h e.
Exem plum adest.
E p i.
Intellego. Eugepae,
Corpulentior videre atque habilior/
T h e.
Huic gratia.
E p i . Quam quidem te jam diu deperdidisse oportuit.
T h e . Minus ja m sum fortificus, quam antehac.
Ep i.
Quid u?

ATTO I.
SCENA

I.

E pidico, Tesprio>e .
E p i.
T es.
E p i.

T es.

Ehi, quel giovane!


E chi, quando ho tanta prescia, mi lira il mantelio?
Un tuo dimestico.
Vero, per Dio! conciossiach questa noja me la dai
troppo alla dimestica.
Volgili, Tesprione!
Vali! vedo io Epidico?
Non hai le traveggole.
Buon di.
Buon anno che Dio ti dia: godo che ci arrivi salvo
Nient altro?
.
Faremo all usanza: avrai da cena.
Ti do parola.
Di che?
D accettarla, se me la di.
E tu mo? se contento de fatli tuoi?
Squadrami bene.
Veggo. Allegramente, mi sembri molto grosso e ben
in carne!
E tutto p^r questa.
Che la ti dover, buon tempo avanti aver mandato
alle forche.
Eppure adesso so meno liafu id lo di prima.

Eri.

Perch?

T es .
E pi.
T es .
E pi.
T es.
E p i.
T es.
E pi.
T es.
E pi .
T es.
E pi .
T es.
E pi . '
T es.
E pi .

Vo l.

III.

P lact.

21

Rapio propalam.
E p i . D i inmorlales te infelicent, ut tu es gradibus gran
dibus?
N am ut apud portum te c o n sp ex icu rricu lo occoepi
sequi:
V ix apiscendi potestas modo fuit.
T he.
Scurra 4 $.
E p i.
Scio
Te esse quidem hominem militarem .
T h e.
Audacter quamvis dicito.
E p i . Quid ais? perpetnonJ valuisti?
T he .
Varie.
E p i.
Qui varie valent,
Caprigenum hom inum non placet m ihi neque pan
therinum genus.
T h e . Quid tibi vis dicam, nisi quod est?
E p i.
Utilia respondes probe.
Quid herilis noster filius? valet?
T he.
Pugilice atque athletice
E p i . Voluptabilem m ihi nuntium tuo adventu attulisti.
Sed ubi is est?
T he,
Adveni simul.
E p i.
Ubi is ergo est, nisi si in vidulo,
A u t si in melina ( i ) attulisti?
The.
D i te perdant!
E p i.
Te volo
Percontarier. Operam dato: opera reddetur tibi.
T b e .J us dicis.
E p i.
Me decet.
T h e ,.
Ja m tu autem nobis praeturam geris?
E p i . Quem dices hominem digniorem esse hodie Athenis
alterum?
The.

Te i .

Rubo a faccia fianca. .

E p i.

Il canchero che li mangi! clic berze sono le lue?


Appena io t ho visto al porto, per tenerli dietro,
mi sono cacciata la via tr a le gambe, e non t ho
raggiunto se non adesso.

T es.

Tu se uom ciltadincsco.

E pi.
T es.

So bene clic se uom di guerra.


Dimmene p ure a tua voglia.

E pi.

Or via, sempre s sialo bene?

T es.
E pi.

Variamente.
Variamente? fton mi piacciono questi uomini, che ora
han della capra o r della paniera.

T es.

Vuota eh io ti dica altro da quello clic ?


Rispondimi a questo choc meglio. Qual no\it del
padroncino? egli sano?
Come un pesce.

E pi.
T es.
Ep i .
T es.
E pi .

T u m hai data una buona novella: dov egli?

Venne con me.


E dov adunque, se pur tu non 1 hai qui pol lalo
nella valigia o nella bolgia?

T es.

Che Dio t affranga!

Epi.

Ho cosa a domandarti. Dammi ascolto, eh' io poi


Io dar a te.

T es.
E pi.
T es.

Ben parli.

E pi.

E chi pensi tu mai sia oggid uomo pi degno in


Atene.

Da par mio.
Dimmi, la fai tu da pretore fra noi?

T ue . Al unum a praelura luad, Epidice, abest.


E pi.
Quidnam?
T ue.
Scies:
Lictores duo, duo viminei fasces virgarum.
E p i.
Vae libi!
Sed quid ais?
T ue.
Quid rogas?
Epi. '
Ubi a rm a sunt Slratippocli?
T h e .P ol illa ad hoslis trafugerunt.
E p i.
Arm ane?
T he ;
Alque quidem cito.
E p i . Serione dicis itile?
Tbe.
Serio, inquam , hosles habent.
E p i . Edepol facinus inprobum!
T he.
A t jam -ante alii fecerunt ilem.
Erit illi illa res honori.
E p i.
Qui?
T he.
Quia anlea aliis fuit.
Mulciber, credo, arm a fecit, quae habuit Slralip
pocles:
Travolaverunt ad hostis.
Ep i.
Tum ille prognatus Theli: .
Sine perdat: alia adporlabunl eii Nereii filiae.
Jd modo videndum est, ul materies suppetat scu-.
taris
S i in singulis stipendiis ad hostis exuvias dabit.
T h e . Supersede istis rebus ja m .
Ep i .
T u ipse, ubi lubet, finem face.
T he . Desiste perconlarier.
Ep i.
Loquere, ipse ubi est Slralippoclcs.
T he . Esi causa qua causa simul mecum ire veritusl.

Ts.

Ma, Epidico mio, falla una cosa alla tua pretura*

E pi .
T es.

Eccola: due Littori, con due buoni fasci di vergole.

E pi .
T es .

Quale?
Tristo a te! Ma che aggiungi?

T es.
E pi .

E che domandi?
Dove sono 1 arme di StratippocJe?
Cazzica! disertarono al nemico.
Le armi?

T s.
E p i.
T es.

E han fatto* presto.


Lo di tu davero?
Da verissimo; ti dico: Sono in podest del nemic

E pi.

0 vergognosissima vergogna!
Ma ci stesso hanno fatto altri prima di lui. A lui
invece questa cosa torner in onore.
Come?
Perch di l ' esempio agli altri. Dee esser stato
Vulcano che hia fatto T armi ch ebbe Stratippocle:
elle trasvolarono al nemico.
Allora egli nacque da Teti: lascia che le perda, ed
altre gliene porteranno le figlie di Nereo. Solo si
dee far caso non manchi dopo il ferro agli scudaj>
se, ogni volta che iv a soldato., si fa spogliare dal
nemico.
Lascia queste frottole,
Lasciale tu quando ti calza.

Ep i.

T es .
E pi .
T'es.

E pi .

T es.

Err.
T es.

Non dim andarm i altro.

E pi.
T s.

Escine, dovf Stratippocle?


V ha un perche, p e r qual perch ebbe timore <H
venir meco.

E p i.
Quidnam id etl?
T h e. Pai rem videre se fievoli eliam Mime.
JI n .
Quapropter?
'Th e .
Scies:
Quia form a lepida et liberali captivam adulescen
tulam
De praeda mercahtt.
Quid ego ex ted audio?
T he.
Hoc, quod fabulor.
E p i . Cur eam emit?
T he.
A n im i cauta.
Ep i.
Quot illic homo animos habet?
N a m certo, priusquam hinc ad legionem'abiil domo,
Jptus mandavit m i, ab lenone ut fidicina,
Quam am abat, emeretur sibid. Id ei inpetratum red
E p i.

didi,
T h e . Utcunque in alto ventust, Epidice, exin velum vortitur,
E p i . Vae misero m ihil male perdidit m ei
T h e.
Qui? istuc quidnam st?
E ri. Quid? iatanCj quam emit, quanti eam emit?
T ue.
Vili.
E p i.
Haud istuc te rogo.
T h e . Redde igitur.
E p i.
Quot m nis?
T he.
Tot.
E p i.
Quadraginta m inisi
T h e . Id adeo argentum ab danista apud Thebas sumsit
foenore,
I n dies minasque argenti singulas numis.
E p i.
Papael
T h .E t is danista advenit una cum eo, qui argentum petit.

E pi .
T es.
Ep i .
T es.
E pi .
T es.
E pi .
T es .
E pi .

T es.
E pi.
T es.
E pi .
T es.
E pi .
T es.
E pi .
T es .
E pi .
T es.

E p i.
T es.

E qual ?
Per ora non vuol vedere ii padre.
Perch?
Sentilo: perch dal bottino de prigioni comper Una
bella e gentil presenza di putta.
Oh! che sento io da te?
Quello che dico.
Perch l ha compera?
Per cavarsene le voglie.
Ma quante ne ha? Imperocch, egli vero come son
qui, che, quando e se nand via di casa allesercito*
m ha ordinato, comperassi per lui da un ruffiano
una giovane ceteratrice eh egli vagheggiava: e io
l ho fatto.
Secondo soffia il vento, o Epidico, si gira la vela.
Ahi a me diserto! ei m ha assassinato dell ossa!
Che? Qual faccenda questa?
Quale eh? costei che ha compera, a qual prezza
l ebbe egli?
Per una bagattella.
Non questo ti cerco io.
Dammelo adunque in dietro.
Quante mine?
Contale.
Quaranta mine!
E tolse questa somma da un usuriere di Tebe, dan
dogli per baroccolo un denaro d argento per mina
al giorno.
Misericordia!
E questo barbino, venne con lui a farsi pagare

I p i . D i inm ortales, ul etjo interii basilice!


T he.
Quid ja m , aut quid est,

Epidice?
Ep i.
T ue.
E p i.

P erdidit m e!

Quis?
Quis? Ille, qui arm a perdidit.

T h e . N am quid ita?
E p i.

Quia Colidie ipse ad me ab legione epistolas


Mittebat . . . Sed taceam optumum est. Plus scirc
satiust quam loqui,
Servom hom inem j ea sapientia est.

T he.

N escio edepol, quid

timidus trepidas,
Epidice. Ita voltum tuom video: videre conmeruisse,
H inc me absente, in te aliquid mali.
E p i.
Potin, ut molestus ne, sis?
T h e . Abeo.
E p i.
A dstal abire hinc non sinam .
The.
Quid nunc me relines?
E p i . Am atile istam, quam emit de praeda?
T n e . Rogitas? D eperit . . .
E p i.

D egetur ( (2 ) corium de tergo m eo!

THE.Plusqiie a m a t, quam de unquam am avit.


E p i.
Jupiler te perduti!
T h e . Mitte nunc ja m ; nam illic me vetuit domum venire j

. A d Chaeribulum jussit: huc in proxum um :


Ib i m anere jussit: eo venlurust ipsus.
E p i.
T he.

Q u id ita?

Dicant.
Quia patrem prius convenire se nevoli neque conspicari
Quam id argentum, quod debetur pro illa, denu
meraverit.

E pi . '
T es.

Potenzinterra! in clic profondo son pericolato iol


E si mo, che hai di bello, Epidico?

E pi.

M ha perduto!

es.

Chi?

Ep i.

Chi? quegli che h a perdute le armi.

T es.

Come?
Ogni d egli-mi trametteva lettere dall esercito ..
Ma meglio eh io me la taccia: il servo ha pi a
saperne che a dirne: qusta vera sapienza.

Epi.

Tes.

Io non so freddo che tu abbi nell ossart o Epklicot


io vedo, che tu in faccia se come di terra., parm i
che tu nella assenza mia ti sia m eritato qualche,
malanno.

E pi .
T es.

E potrai tu mo non darm i noja?


Me la batto.

Resta! io non ti lascio.


A che mi vuoi tu adunque?

p i.

T es.
E pi .

Ed innam orato di costei che h a com pera dal bot


tino?

T es.
E pi .
T es.

Dimandi? Ne incarognito . .
Povere mie spalle! v ha da cascar la carne a tocchi!
E incarognito tanto, che s noi fu-m ai per - alcun
altra.
'

Epi .
Tes .

11 fistolo che ti colga!

E pi ..

Perch?

Tes.

Dirottelo: perch non vuol trovare, n veder suo


piadrc, prima d aver snocciolato quel denaro che
deve per colei.

Lasciami ora; egli mha ordinato che non andassi


in casa: volle che andassi da Cheribolo, e che ivi
lo aspettassi, egli verr quivi.

330

E p i . H eu edepol res turbolentas!


The.
Mitte me, u t eam nunc ja m .

E pi.ffaeccine ubi scibit settex, puppis pereunda est probe.


T h e . Quid istuc ad med attinetj quo tute intereas modo?
E p i . Quia perire solus nolo, te cupio perire mecum,
Benevolens cum benevolente.
T he. '
A b i in m alam rem m a xum am a m e
Cum istac conditione.
E p i.

1 sane, s i quid feitinas m agis.

T h e . N u n q u a m h o m in em quem quam conveni, unde abie


r im lubentius.
p i . l l k hinc abiit: solus es nunc. Quo in loco haec res

sit, vides,
Epidice. Nisi quid tibi in tete auxili estj absumius es.
Tantae in te inpendent ruinae, nisi subfulcis firmiter,
Non potes subsistere, itaque m te inruont montes
mali.
Neque ego nunc quo me modo expeditum ex inpedito faciam ,
Consilium placet. Ego m iser meis perpuli senicem
dolis.
Ut censeret, suam sese emere filiam : in suo filio
Fidicinam em it, quam ipse am abat, quam abiens
m andavit mihi.
Is nunc alteram ab legione am iculam adduxit sibi.
A n im i causa. Corium perdidi: nam ubisenex senserit,
Sibi data esse verba, virgis dorsum depoliet m eum .
A t enim tu praecavet Nihil istucf plane hoc conrupium est caput!
Nequam homo es, Epidice. Qui tibi lubido est
male loqui?

E pi .
T es.
E pi .
T es.
E pi .
T es .

Ep i .
T es.
E pi .

Poter di Dio* cbe torbidi!


Lasciami andare pe* fatti miei.
Queste cose quando le risapr il. vecchio, egli ha
proprio da tra rre i ferri all aria!
E che me ne viene in tasca* se tu crcpi per qua
lunque modo?
Perch non vorrei far gheppio io solo* vorrei tu
m avessi ad esser compagno* l'am ico coll amico.
Oh vanne in malorcia* tu e questo tuo bel patto.
Va pure se n hai tanta fregola.
Non mi sono mai accontato con altri* da cui ma
ne spiccassi di miglior voglia.
Ei se l ha fatta* e tu se'solo. Or vedi, Epidico,
termine a che ti trovi; se non sai trovar scampo*
tu se' morto; tanto flagello ti vuol rovinare addosso*
che se non ei metti sotto de puntelli e ben fermi*
tu ci resterai scofacciato sotto, s gran cumulo di
mali sta. per sconquassarti in capo. N so come da
queste panie in cui mi trovo possa spaniarmL Sgra
ziato! fui io che aggirai il vecchio in fargli bevere,
che comperava la figliuola, quando comper quella
ceteratrice, della quale diemmene l ordine il suo fi
gliuolo quando end* essendone egli innamorato fra
cido. Adesso e viensene dall esercito con un altra
per darsi bel tempo. Io son sconfitto de la mia pelle;
imperciocch non appena il vecchio avr avuto fumo
della trappola in che io l ho carrucolato* eh egli a
furia di verghe mi scamater ben bene la schiena.
Ma tu statti all erta! addio fave! io ho proprio
persa la bussola! ah* Epidico* sepure un babbuasso! perch tante villanie a tc medesimo? perch

Quia tu tele deseris. Quidnam faciam ? Mn*


tu rogas?

Tu quidem antehac aliis solebas dare consilia mutua.


Quid faciam ? aliqua (Z) reperiundum est. Sed ego
cesso ire obvidm
Adulescenti, ut, quid negoti sit scidm? Atque ipse
illic est.
Tristis est. Cum Chaeribulo incedit aequali suo.
Huc concedam, orationem unde horum placide per
sequar:
SC E N A I I .
S tr a t ip p o le s , Cb a e r ib u l u s , E p id ic u s .
S tr . Rem tibi sum elocutus, omnem,

Chaeribule, alque
admodum
M eorum moerorum alque am orum sum m am edic
tavi libi
Cb j . Praeter aetatem el virtutem stultus es, Slralippocles.
Idne pudet te, quia captivam, genere proghalam
bonoj
In praeda es mercatus? Quis erit, vitio qui id vortal tibi?

S tr .Q u vident, om nis (A) inim icos m i istoc facto reperi:


M pudicitiae ejus nunquam nec vim nec vilium at
tuli.

C/iA.Jam istoc probior meo 'quidem animo, quom in a more temperes.


S tr . Nihil agit, qui diffidentem verbis solatur j sed is
Est a m icu s, qui in re dubia re ju v a t, ubi re est opus.
Cu a . Quid tibi m e vis facere?

farti cadere il cuore? Ma che far? a me lo do


mandi? e non , solevi tu esser largo agli altri de
tuoi consigli? Che mi far io? bisogna pur ch e
ne trovi. E non vado io incontro al dabben gio
vane per saper come sia la. faccenda? 0hv vello, vello
l anima e corpo! ben riversato luomo! escn viene
a questa volta con Cheribolo suo sozip: mi tirer
in qua ad udire quanto si dipono.
SCENA

II.

S t r a t ip p o c l e , C h e r i b o l o , E p i d i c o .

S tr >
Ch e,

S tr.

I o t ho detto tutto, o Cheribolo, c t ho fatta la

somma de miei amori c de miei affanni.


Stratippocle, tu se pi timido che l et e la tua
virt il comportino: ha tu forse paura perch dal
bottino hai compera una prigioniera di buon san
gue? e chi sar che te np faccia carico?
Quelli che ci veggono, io per questo me li son tro
vati tutti nemici. Eppure io noi? le ho sinora fatto
sfregio n violenza.
0

Che .

E p er questo tu se il m aggiore valentuom o del


mondo, ben tu dappoi che sai m ettere il morso agli
appetiti dell amore.

S tr.

Ni un bene fa al disperato chi lo pasce di ciance;


m a questi amico, e amico non di starn u ti, colui,
che, quando vien 1 uopo, sa cavar 1 altro di pe
ricolo..

Che .

E che ti devo fare io?

Argenti dare quadraginta m inas,


Quod danistae detur, tutde ego illud su nisi foenore.
C a j.S i hercle haberem, non negarem.
S tr .
N am quid te igitur retulit
Beneficum esse oratione, si ad rem auxilium ecm ortuom est?
C tu.Q uin edepol egomet cldmore defatigor, differor.
S tr . M alim istius m o d i m i am icos furno mersos, quam
foro,
Sed operam Epidici nunc me emere pretio pretioso
S tr .

velim

Quem quidem ego hominem inrigatum plagis pistori


dabo!
Nisi hodie prius conparassit m ihi quadraginta m inas,
Quam argenti elocutus fuvero ei postremam syllabam.
E p i . Salva res est: bene prom ittit; spero, servabit fidem.
Sine me sumlu paratae ja m sunt scapulis symbo
lae.
Adgrediar hominem. Adoenientem peregre herum
Stratippoclem
Salvad inparlit salute servos Epidicus.
S tr .
Ubi is est?
E p i . Adest. Salvom te gaudeo huc advenisse.
S tr . Tam tibi istuc credo, quam m ihi.
Epi. Benene usque valuisti?
S tr .
A m orbo valui, ab a n im o aeger p ii.
E p i . Quod ad m e a ttinuit, ego curavi, quod m andavisti:
m ih i:

Jnpeiratum est: emta ancilla est, quod tute ad m e


Hieras
Missiculabas.

S tr.

Darmi q u aran ta mine dargento, acci le noveri a


quell usuriere, donde io le tolsi a prestito.

C he.

Se le avessi, non vorrei negartele.

Str.

E che fammi adunque Tesser tu si viv in parle,


s io ti ritro v o m orto in ajutarmi?

Che.

Buon per Diol sono stracco e strambellato tutto di


dai creditori.

S tr.

Amici di questa fatta io vorrei vfederli meglio in


un forno che nel foro. Ma io ho fermo di comprarmi
a gran prezzo 1 ajuto d Epidico, cui io dar ben
vergato di schianze al fornajo, se non mi rag
gruzzola oggi le quaranta mine, appena avr proffe
rita 1 ultima sillaba di argento.

Epi.

I o son

salvo: la promessa bella, e spero sar di

parola. Senza mia. spesa, ho gi pronto lo scotto


sulle spalle: laffronter io 1 uomo: il servo Epidico
saluta cordialmente 1 arrivato suo padrone Stra
tippocle.
S tr.

Dov quest uomo?

Eri.

Qua. Godo in vedervi arrivato sano.

S tr .

I o te lo c re d o com e a m e m e d e sim o .

E pi.

Siete sempre stato bene?

Str.

Sano di corpo, malissimo d animo.

E pi .

Quello che 4pvca far io, io l ho fatto: l ancella


compera, p er la quale si di sovente mi tram ettevate lettere.

Perdidisti omnem operam.


En.
N am qui perdidi?
S t r . Quia meo neque cara est cordi neque placet.
E ri.
Quid rettulit,
M ihi tantopere te m andare et miltere ad me epistolas?
S tr . Illam am abam olimj nunc ja m alia cura inpendet
pectori.
E ri. Hercle m iserum est, ingratum esse hom ini id, quod
tu facias bene.
Ego quod benefici, malefici: quia am or mutavit locum,
Sr/t.Desipiebam mentis, quom illas scriptus millebam tib i
E ri. Men piacularem oportet fieri ob stultitiam tuam ,
Ut m eum tergum tuae stultitiae subdas succidaneum?
S tb . Quid istic verba facimus? huic hom ini opus qua
draginta minis.
Celeriter calidis, danistae quas resolvas, et cito.
E ri. Dic modo unde auferre vis me, quo trapesila peto?
Cb a . Unde lubet. N a m ni ante- solem occasum elicies,
m eam domum ne
Inbilasj tute in pistrinum . . . t
E ri. Facile tu isluc sine periclo et cura, corde libero,
Fabularej novi ego nostros: m ihi dolet, quom ego
vapulo.
S t h. Quid tu nunc? palierin, ut ego me interimam?
En.
Ne feceris.
" Ego istuc accedam periclum potius atque audaciam.
S tr . Nunc placesj nunc ego le laudo.
En.
Paliar .ego istuc quodlubet.
S tr . Quiiljde illa fiet fidicina igitur?
E ri.
Aliqua res reperibilurj
Aliqua ope exsolvam, extricabor aliqua.
'St r .

S tr .

Hai g itta ta la fatica.

E p i.

Come gittata?

Str .

P erch n la m i c a ra al cu o re, n la mi pince.

E p i.

Perch adunque frastornarmi il capo con ordini,


con lettere?

Str .

L am ava u n a volta, o ra ad a ltra io ho volto l anim o.

Ella in fede mia pur la gran miseria, che dis. ' piaccia all* uomo il bene che tu fai: il bene che io
ho fatto ora malfatto, perch lamore ha voltato
carta.
S tr .
Era senza cervello, quando ti scriveva quelle pistole.
E p i.

E p i.

E d io della v o stra cervellinaggine b iso g n a che n e


p o rti la som a eh? e voi sacrificherete le mie spalle
alla v o stra pazzia?

Str .

A ch facciam ta n te baje? a q u e st uom o abbisogna


n o calde calde

q u a ra n ta m ine, d a scoccolare, e

pfresto, all u su rie re .

S tr .

Ditemi dove volete che le prenda. Da qual banco?


Dove vuoi. Se non me le bruchi prima di sera, non
mettere pi in casa mia; in una macina . . !
Voi ne dite di queste senza porvi sopra n pepe
n sale: li conosco bene io i nostri, e le spalle
dolgano a me, quando me le zombano.
E s m? lascerai tu eh io mi appicchi?
Questo giammai. Piuttosto vo provar se in m cv
ancora del buono.
Ora mi piaci; adesso ti lodo.

Epi.

Io

E p i.
S tr .
E p i.

Str .
E p i.

son p ro n to a tu tto .

S tr .

E di q uella suonatrice? che ne farem o?

E p i.

.Si tro v e r q ualche diam ine, ve ne caver in qualche


m an iera, tro v e r qualche s in a.
V ojl.

111. P la u t.

2 L

S tb .

Flentis consili et:


N o v i ego ie.

F r i.

Est Euboicus miles locuples, multo auro potens,


Quij ubi. Ubi islam em lam esse scibil atque hanc
adductam alleram.
Continuo te orabil ullro, ut illam tram ittas sibi.
Sed ubi illa est, quam tu adduxisti tecum?
S tb.
J a m faxo hic erit.
Cb a . Quid hic nunc agimus?
S tb .

E am u s in tro huc a d te, ut hunc hodie diem


Luculente habeam us.

E ri.

Ite intro: ego de re argentana


Ja m senatum convocabo in corde consiliarium,
Quoi polissumum indicatur bellum, unde argentum
auferam.
Epidice, vidi quid agas: ita res subito haec objecta
est tibi.
Non enim nunc tibi dorm itandum , neque cunctandi
copia est.
Adeundum est. Senem oppugnare cerlum est consi
lium.
Intro atque adulescenti dic ja m nostro herili filio,
N e hinc foras ambulet neve uspiam obviam veniat
seni.

S tr .

T u h ai del *avio da vendere: ben ti conosco io.

Qui y ha un ricco soldato dell Eubea, pien di quat


trini* il quale appena sapr che voi avete compera
questa e condotta quell altra, tosto vi far mille
istanze a ci la mandiate a lui. Ma c dov la
femmina che avete menata con voi?
S tr .
S ar qui a momenti.
C he . . E ora che facci am noi qua?
E pi .

Str .

V errcm d e n tro a te* e q u esto

g io rn o voglio

che

ce lo sguazziam o.
E p i.

Ficcatevi in casa. Ornai io far in cuore il senato


de miei consilii* a chi s ha da intimar la guerra,
a chi s ha da grancir 1' argento. Guarda che fai
Epidico* troppo improvveduta fu questa faccenda.
Non tempo di dormire* n di dondolarsela.
S i. dee muoversi: Io son chiaro, vo dare un as
salto al vecchio. Va, va, cammina dentro, e di a
questo nostro padroncino che non venga fuori, n
che alcuno venga incontro al vecchio.

ACTVS II.
SC E N A
A

p o e c id e s ,

P e r ip b j n e s .

'A po. Plerique homines, nihil quom refert, pudent;


Ubi pudendum est, ibi eos deserit pudor,
Quom usust, ut pudeant.
Is adeo tu es. Quid est, quod pudendum sit,
Genere natam bono pauperem domum
Ducere uxorem ?
Praesertim eam, qua ex iibi conmemores
H ancj quae dom i estj filiam prognatam?
Pes.R eveor filium.
A po.
A t pol ego te credidi uxoren, quam tu extulisti, pudore exsequi.
Quojus quotiens sepulcrum vides, sacruficas
Eloco Orco hostiis, neque adeo injuria,
Quia vivendo tibi licitum eam est vincere.
P er.
Oh,
Hercules ego fui, dum illa mecum fuit
Neque sexta aerum na acerbior Herculi, quam m i
Ula objecta est.
A p o . Pulcra edepol dos pecunia est.
P er .

Q uae qu idam p o l non m a r ita la est.

ATTO II.
SCENA

Ap ECIDE, P rifne.
Ape .

Molti uomini sono cosi fatti, si vergognano per


cose da nulla, e quando deggiono venir rossi, la
vergogna li pianta: e tu se di questi. che hai da
vergognartene menando in casa, per donna tua, una
figliuola povera, ma nata da buoni parenti, specialmente colei dalla quale tu di essere nata quella
figliuola che hai in casa?

P er .

Sto in d ie tro p el figlio.

Ape .

E d io cred ev a lo facessi p e r la m oglie a cui h ai


fatto il m o rto rio . A ppena tu n e v edi il sepolcro
to sto sacrifichi all o rc o ;1 n il fai se n z a p ro p o sito ,
perch ti fu perniesso Sopravviverle.

P er.

Oh! fintanto eh ella fu meco io fui Ercole: n ad


Ercole fu cos travagliosa la sesta fatica quanto
quella che intravenne a me.

Ap .

Ma il denaro p u r la bella dota.

P er.

Se non ammogliato colla donna.

E p id ic u s , A

p o e c id e s ,

P e r ip h j h e s .

E p i . Aliai, tacete! habeleanimum bonum: liquido exeo foras

Auspicio, avi sinistra.


Aculum cullrum habeo,senis qui exenterem marsupium!
Sed ecce ipsi ante aedis conspicor, qualis volo,
vetulos duos!
Ja m ego me contortam in hirudinem alque eorum
exsugebo sanguinem,
Senati qui columen cluent!
A p o . Continuo u t maritus fiat.
P er.
Laudo consilium tuom.
A po.N am illum audivi in amorem haerere apud nescio
quam fidicinam.
P e r . Id ego excrucior.
E p i.
D i hercle me omnes adjuvant, augent, amant:
Ipsi hi quidem m ihi dant viam , quo pacto ab se
argentum auferam.
Age nunc ja m orna te, Epidice, el palliolum in col
lum conjice,
Ilaquc adsimulpto, quasi per urbem tolam homi
nem quaesiveris.
Age,, si quid agis. D i immortales! ulinam con
veniam domi.
Periphanem, quem om nem , per urbem sum defessus
quaerere.
Per medicinas, per tonstrinas, in gymnasio atque
in foro,
Per myropolia el lanienas circumque argentarias!
Rogilando sum raucus faclusj pene in cursu concidi.

E pid ic o , Apecide , P e bifa h e .

E pi.

Ape .

Eh, zitto l! statevi cheti, io vengo fuori con buon


auspicio, gli augelli sono a sinistra, ho qui un
dirizzatolo ben aguto, da trivellar la borsa del vec
chio! ma guardali qua tuttadue sopra la porta,
questi barbogi eh io voleva! or io tyi cambier in
mignatta, e succhier il sangue a costoro, a costoro
che soilo i pilastri del senato.
Che si faccia subito marito.

P er .

P iac em i il tu o co n sig lio .

Ape .

Perch ho udito eh egli httbertonato d una certa


suonatrice.
E m e n e sp a sim a .
Poffar il mondo! Iddio ini vuol salvo lieto e ricco!
essi mi fan la strada per carpir I argento a costui.
Su ornai, o Epidico, spacciati, reca il mantello in
collo, e fingi d aver corsa tutta la citt cercando
l uomo. Muoviti 0 Di immortali trovassi in casa
Perifane, ch io cerco per mare e per terra tanto
che pi non ne posso: fui nelle spezierie, nelle
barbierie, nella palestra, in piazza, in tutte le profu
merie, nelle macellerie, e in tutti i banchi, pel
molto dimandare mi . venuto il rantolo, fui a un
pelo di fiaccarmi il collo.

P er.

E pi.

544
P f. h. Epidice!
E p i.

E pidicu m quis' est qui revo ca t? -

P eb.

Ego sum , Periphanes.

A p o . Et ego A poecides sum .


E p i.

El ego quidem sum E pidicus. Sed, here , oplum a


Vos video o p p o rtu n ita te am bo adven ire.

P er.

Q uid re i est?

E p i . M ane, m ane! sine resp irem , quaeso!


P er.

I m o adqu iesce.

A nim o male est:

E p i.

Recipiam anhelitum.
A po.
Clementer requiesce.
E p i.
A n im u m advorlilef
A b legione omnes missi sunt Thebis domum.
A p o . S c facium est?
E p i.
P

er.

E p i.

Ego ita esse fa ciu m dico.

S c iti tu isluc?
Scio.

Qui t u scis?
.
Quia ego ire vid i milites plenis viis.
A rm a referunt el jum enta ducunt.
P er.
Nim is factum bene!
E p i . Tum captivorum quid ducunt secuml pueros, virgines
Binos, ternos: alius quinquej fil concursus per viasj
Filios suos quisque visunt.
P er.
Hercle rem gestam bene!
E p i . Tum meretricum numerus tantus, quantum in urbe
om ni fuit,
Obviam ornatae occurebant suis quisquis- amatoribus;
Eos captabant adeo. Sciri, quii
P er .
M axum e anim um advorterim.
P

er

E p i.

P er .
E pi.

Chi chiama Epidico?

P er .

P crifan e, son io.

Ape .

Epi.

E io sono Apecide.
E io Epidico in carne cd ossa. Ah* padrone* Id
dio vi ha proprio t'ultadue mandati.

P er .

Q ual novit?

E p i.

Deh* in carit* lasciatemi raccor 1 alito.


Sta pur quieto.
Mi sento male* mi rimetter un poco.
Riposa pur a tuo grand agio.
State attenti! tutto que eh erano a Tebe nell eser
cito son mandati a casa.

P er.
E p i.
Ape .
E p i.

Epidico!

Ape .

L o d i tu davvero?

E p i.

Daddovvero

Ape .

E lo sai?

E p i.

L o so.

P er .

E come lo sai?

E p i.

P e rc h vidi u n g ra n bulicam e di soldati p e r la citt*


elli rico n d u co n o le arm i cd i gium enti.

P er.

La proprio andata a seconda!

E p i.

E che sciame di prigioni non hanno! putti* fan

ciulle! chi due* chi tre* chi cinque* son piene le


strade* ognuno corre a vedere i figliuoli.
P er .

Oh bell esito d im presa!

E p i.

Ed s grande il numero delle cortigianelle che


niuna restata a casa. Ciascuna rinfronzitasi an
dava incontro al suo. bertone* e sei prendeva* ma
sapete voi come?

P er.

Il vidi una yolta come mille.

E p i . Pleraeqe h a ec sub vestim entis secum habeant retia.


Q nom venio a d p o rtu m , atque illa m

illi ego video

praestolarier,
Et citm ea tibicinae ibant quatuor.
Quicum, Epidice?
E p i . Cum illa, quam tuos gnatus annos mullos deamat,
P er.

deperit,

Ubi pdemque remqiie seque teque properat perdere.


Ea prestolabanlur illum apud portum.
P es.
Fide veneficam!
E p i . Sed vestita, aurata, ornata, u t lepide, ut concinne,
ul novel
P e r . Q uid e ra t in d u ta ? an reg illa m

in d u cu la m , ( 5 )

an

mendiculam?
E p i . In p lu v ia la m , ut istaec fa ciu n t vestim entis nom ina.
P e r . Ut in in pluvium in d u ta e ra t?
E p i.

Q uid istuc est m ira b ile ?


Q uasi non fundis ex o rn a ta e

m u lta e incedant p er

vias.
A t tributus quom in peratu s est, n egant pen di po tessej

Illisj quibus tribulus m ajor penditur, pendi potest.


P e r . Quid ita?
Ep i.

Q uia vesti quotannis n o m in a inveniunt n ova:

caesiciiim.
Indusiatam , patagiatam , caltulam aut crocotulam,
Subparum aut subminiam, ricam , basilicum aut
T u n ica m r a lla m j tu n ic a m sp issa m , linteolum

exoticu m

Cumatile aut plumatile, cerinum aut gerrim um .


Gerrae m axum ae/
Cani quoque etiam admenlum nomen.

p i.

P er.
E pi.

P er.
E pi .
P er.
E pi .
P er.
Ep i.

Quasi tutte sotto la vesta aveano le reti. Appena


che fui io porto io vedo colei che se ne stava aspet
tando, e con essa erano quattro pifferine.
Con chi, o Epidico?
Con colei per la quale vostro figlio piscia tanti
maceroni, e ha tanta fregola di mandar ^ male
la. riputazione, 1 avere, s stesso e voi insieme.
Colei stava aspettando al porto.
To che ribalda!

Ma vestita, indorata, acconcia, di tutto punto, con


buon gusto, all ultima moda!
Dimmi, e ci hai tu ben guardata la ctta, era da
regina, o da spiantateli?
vea il piviale, e incortinato di tan,xche cos s i
chiamano questi vestiti.
Che? venne forse vestita in corte?
Che meraviglie sono le vostre? Quasi che molte
quando vanno per istrada non abbiano delle pos
sessioni addosso? Ordinisi il catasto, e questi uomini
dicono non poterlo pagare; e a coloro che se ne dee
dare dieci tanti, sanno presto sgranchiare le mani.

P er.

E s, che intendi tu?

E pi.

Che ogni anno trovano nuove ragie di nomi al


le vesti: or tonica rara, tonica spessa, or benda
azzurra, o camicia; or vesta coi fermagli color fio
rancio, color di croco, e il guarnelletto, e la gamurra
di minto, la sciarpa, la veste di gala, alla forastiera,
color verde mare, ricamata, color di cera e la versiera
che se le porti. Cacasangue! nemmeno il cane si
risparmi per cavarne un nome.

'348

'Per .

Qui?

Vocant (&) Laconicum .


Haec vocabula auctiones subigunt ut faciant viri.
P er . Quin tu, ut occepisti, eloquere.
E ri.
Ocepere aliae mulieres
Duae post me sic fabulari inter sej ego abscessi so'
lens
Paulum ab iisj dissimulabam, harum m e sermoni
operam darej
N ec satis exaudibam, nec sermonis fallebar tam en,
Quae loquerentur.
-Ep i .

Per.
E p i.

I d lubido est scire.

Ib i illarum altera
D ixit illi, quicum ipsa ibat . . .
P er .
Quid?
E p i.
Tace ergo, ul audias,
Postquam Ulanc sunt conspicatae, quam tuos gnatus
deperit:
Quam facile et quatti fortunate, obsecro, illi eve
nit mulieri,
Quam liberare vlt am ator! Quisnam is?
inquit altra.
Illa ibi nom inat Stratippoclem, Periphanae filium .
P e r . Perii hercle! quid ego ex te audio?
E p i . Hoc quod actum. Egomet post, ubi illas audivi loqui,
Coepi rursum vorsum ad illas pauxillalim accedere,
Quasi retruderet hom inum me vis invitum.
P er.
Intellego.
E p i . Ib i illa interrogavit aliam : Qui scis? qui id dixit
tibi?
Quia hodie adlatae tabellae stml ad eam a S tratippocle,

P er.
E pi .

Perch?

Hanno anche il laconico. Con queste frottole di


nomi conducono gli uomini a rompersi il collo.

P er.

E che no n tiri innanzi quello che mi volevi dire?

E pi .

Le altre due femmine eh' erano dietro di me in


cominciarono a m etter sul telajo questa trama: io.
conforme l usanza mia mi tirai un miccichin lon
tano, e facea la gatta di Masino, non raccoglieva
ogni cosa, ma non perdeva tutto di quanto esse
dicevano.

P er.

I o a b b ru c c io d i sa p e rlo .

E pi.
Per,

Tosto 1' una disse a ll'a ltra e h ' erale com pagna.. .
E che?Tacetevi se volete saperlo. Dappoich conobbero
colei a cui fa il mignone il figliuol vostro Dolit
cuccagna di fortuna che venne a quella femmina, ella
a un punto d'esser fatta libera dall amante e
chi questi? disse l'altra ; e quella sfringuella fuori
il nome di Sratippocle, figlio di Perifane.
I o sono al cimitero! Che sento io da te?

E pi .

P er.
E p i.

Il fatto. Io udito questo, incom inciai un

poco a

farm i loro alle coste, quasi che ini vi spingesse la


calca.
P er .
E pi .

Veggo.
Allora la seconda disse all' altra e come fai tu a
saperlo? chi l ' ha detto? > Perch oggi le furono
recate lettere da Stratippocle, aver egli preso da

Argentum eum sumsisse apud Thebas ab danni a foen o re j

ld p a ra tu m , et tese ob eani rem id ferre.


P er.
Cedo, egori occidi?
E p i . Haec sic aibatj sic audivisse ab sese alque ab epistola.
P e r . Quid ego faciam nunc? consilium a te expetesso,
Apoecides.
Apo.Reperiam us aliquid calidi conducibilis consili:
N am ille quidem aul ja m hic aderit credo hercle,
aut ja m adest.
ri.
S i aequom siet,
Me plus sapere quam vos, dederim vobis consilium
catum ,

Qttod laudetis, ut ego opino, ulerque . . .


Ergo ubi id est, Epidice?
E p i . Alque ad eam rem conducibile.
P er.

A po .

Quid istuc dubitas dicere?

E er.F o s priores esse oportet, nos posterius dicere,

Qui plus sapii is.


Per.

H eja vero! Age, dice!

E p i.

A t deridebitis.

A po . N o n edepol faciem us.

Im o si placebit, utitor
Consilium; si non placebit, repertole rectius.
M i istic nec seritur nec metitur j nisi ea, quae lu
vis, volo.
P e r . Gratiam habeo. Fac participes nes tuae sapientiae.
E p i . Continuo arbitretur uxor tuo gnato: alque ut fidi
cinam
Illam quam is volt liberare, quae illum conm m pil libi,
Ulciscarej alque ita curetur, usque ad mortem ut
serviat.
E p i.

un certo usurajo di Tebe del denaro prestito,


e portarlo allato per questo.
P er.
JEpi.

Oh dimmi* son m orto io?


Cos In can tav a, d'averlo saputo da lei e dalla lettera.

P er.~

Dove metter il capo adesso? dimmelo tu, Apecide.

Ape .

Bisogna, tro v ar subito subito qualche partito, im


perciocch egli o arriver a m om enti o sar gi
arrivato.

F pi .

P er.
E pi.
Ape.
E p i.
P er .
Ep i.
Ape .

E?i.

P er .
E pi .

Se pur credete eh io ne sappia pi di voi, ve lo


darei io un buon consiglio, piacer, comio credo
alluno e all' altro . . .
Dllo, dllo fuori, Epidico.
Vedrete sar una buona pezza.
E che stai tentennando p er dirlo?
Voi dovete essere i prim i ch avete studiato,
parler dopo.

io

T o' il dito, puttino! va, spicciati!

Ma mi darete la berta.
No, in f di valentuomini.

Se vi piacer dunque, fatene capitale, se non vi


piacer, trovatene un meglio; io non divento n
povero n ricco, n voglio altro se non quello che
Volete voi.
Ti ringrazio. Facci a parte del saper tuo.
Fate che tosto il figliuol vostro meni moglie: e s
vendicatevi di quella suonatrice che egli vuol libera,
e che lo mette in via per le forche, e fate in
guisa eh ella sia serva finch viene a tirare le
cuoja.

352
P e r . F ie ri oportet.

Facere cupio quidvis, dum id fiat modo.


Hem ;
N unc occasio est faciundi, priusquam in urbem ad
veneritj
S icu t cras hic aderit; hodie non veniet.
P kr .
Qui scis?
Ep i.
Scio,
Quia m ihi alius dixit, qui illinc venit, mane hic adfore.
P k r . Quin tu eloquere: quid faciemus?
E p i.
Sic faciundnm censeo.
Quasi tu cupias liberare fidicinam anim i gratia,
Quasique ames vehementer tu illam.
P er.
Quam ad rem istuc refert?
E p i.
Rogas?
Ut enim praestines argento, priusquam veniat filius,
Atque ut eam te in libertatem dicas emere . . .
P er .
Intellego.
E p i . Ubi erit em ta, ut aliquo ex urbe amoveas; nisi s i
E p i.
A po .

quid lua

Secus sententia.
Im o docte.
Quid tu te autem, Apoecides?
A po . Quid ego nam , nisi, te conmentum nim is astute,
intellego?
E ri. J a m ja m igitur am ota ei erit omnis consultatio
N uptiarum , ne gravetur, quod velis.
P er.
E p i.

A po.
E p i.

V ive, ut sapis
E t placet!
T u m tu ig itur calide, quidquid aclurtis s, age

P e r . R em hercle loquere.

P er.

E s ha da far cos.

E pi .
Ape.

I o voglio tutto che vuoi, purch si faccia questo.


Eccovi, ora tempo di trai- mani e pi prim a che
venga in citt, imperciocch sar qui domani, oggi
no.

P er .

E come lo sai?

E pi .

L o s o me lo disse un altro che torn di l, che


domani sar qui.

P er.

P arla adunque: che dobbiam fare.

E pi .

Facciam cos: voi infingetevi che volete far libera


la suonatrice per voi, quasi che per essa voi hc
foste bacalo in cuore.
E che im porta cotesto?

P eu.
E pi .

Dimandasi? Acci abbiate ad occupar il vostro de


naro prima dell arrivo del figlio: date voce ehe
volcle comprarla per farla franca.

P er .

Intendo.

E p i.

E quando 1 avrete compera m andatela fuor di citt>


se p ur voi non pensate ad allro.
Anzi ben pensata cos.
E voi che ne dite, Apecide?

P er.
Ep i .
Ape.

E che cosa t ' ho da dire io, se non che l hai pro


prio trovata da furbo?

Eri.

Quando la sar via de suoi occhi, egli non vorr


beccarsi il cervello pensando qual femmina si ha
da torre, n far lo stomacato a quello che volete
voi.
Ap e .
Oh b rav o ! oh che senno! s che la mi piace.
E pi .

Or voi, se avete qualche cosa di prem ura, fatela.

P er .

T u parli da savio.
Y o l . HI. P l a i t .

E p i.

Et reper, haec qui abscedat le su


spicio.

P e r . Sine m e scire.

E p i.
Scibis: audi.
Jpo.
Sapit hic pletur pectore.
E p i . Opus est homine, qui illo argentum deferat pro fidicina;
N a m de (7J lenone aeque opus facio est . . .
P er,
Quid ja m ?
E p i.
iYe te censeat
F ili causa facere,
P e .
Docte!
E p i.
Q uo illum ab illa prohibeas:
N e qua ob eam suspicionem difficultas evenat.
P e r . Quem hominem inveniemus ad eam rem ulilem?
E p i,
H ic erit optumus;
H ic poterit cavere recte, ju ra qui et leges tenet.
'A po . Epidice, habeas gratiam . Sed ego istuc faciam se
dulo.
Epi. Ego illune conveniam alque adducam huc ad te quoja
est fidicinas
J tq u e argentum ego cum hoc feremus.
P er ,
Quanti emi potis?
En
illane?
J d quadraginta fortasse eam josse emi m inum o
m inis j
Ferum si plus dederisj referam. Kihil in ea re cap
tio -est,
J tq u e id non decem occupatum libi erit argentum
dies.
P er . Quidum?


E pi .

5$o

E ho trovato anche* come non vi venga addosso

alcun sospetto.
P er.

Fammelo sapere.

E pi .

Eccomi* state attento.

Ape.

Costui una testa quadra.

E pi .

E fa d uopo un uomo che porti quel denaro per


la suonatrice: imperciocch m estiri che il ruf
fiano . . .

P er.

Perch?

Ep i.

Perch non creda voi abbiate per cagion del figli...

P er.

Egregiamente!

E pi .

Onde tenerlo lontano da quella: c che per questo


non si dia in qualche intoppo.

P er.

Ma chi troverei noi buono a questo?

Ep i .

Costui saria l uomo pi acconcio: e' sapr girar Iargo* ben conoscendo egli il diritto e la legge.

Ape .

Io ti ringrazio, Epidico. Lo far a tutt uomo.

E pi .

Io andr a cercarlo* e il condurr a voi, il padrone


della suonatricej e l argento glielo porterem o noi,
io e costui.

P er.

A qual prezzo si potr avere?

E pi .

Colei? forse non meno di quaranta mine; ma se


me ne darete di pi, io lo porter indietro. Non
vi sar trappola. E questo capitale uoii l avretc
molto dicci d.

P er .

Perch?

En.

Quia enim m nlierem ah'us ilam

dulescent

deperitj
J u r o opulentus magnus miles^ Rhodius, raptor ho
stium
Gloriosus j hic emet illam de te et dabit aurum lubens.
P er.

F ace m odo: st lucrum hic libi am plum .


Deos quidem orabo.

E p i.
Inpetras.
A po. Quin tu is intro, atque huic argentum promis? Ego

visam ad forum.
Epidice, eo veni,

N e abbilas, priusquam ego ad te venero.


A po . Usque opperiar.
P er.
Sequere tu intro.
E r i.
,
I , numera: nil ego te moror.

E p i.

SC E N A
E

111.

p id ic u s,

. Nullum esse opinor agrum ego indu agro Attico


Aeque feracem, quam hic est nosler Periphanes:
Quo ne ex occluso alque obsignato armario
Decutio argenti tantum , quantum m ihi lubet?
Quod pol ego metuo, si senex resciverit.
Ne ulmos parasitos faciat, quae usque attondeant.
Sed me una turbat res ratioque: Jpoecidi
Qua fidicinam ostendam aliquam conductitiam. .
Atque id quoque hapeo; m ane mc jussit senex

E p i.

Perch un altro giovane spasima di quella fanciulli:


un soldato traricco, da Rodi, borioso ladron di
nemici^ costui la comprer da voi, e ve ne soner
1 oro di tutta voglia. Strigatevene in farlo, voi vi
guadagnate il doppio.

P er.

lo pregher Dio.

E pi .
Ape.

L avete ottenuto.

E p i.

Non andarvene prim a che sia venuto io.

E che non vai dentro Ut, e non porti a costui i


quattrini? io andr in piazza, tu vien l, 6 Epi
dico.

Ap e .

T a s p e tte r .

P er.

Vien dentro.

E pi.

Andate, contate i quattrini: io non Vi fo perdet*


tempo.

SCENA li.
E pidico.
!o son chiaro: non V ha n questa terra d Attica campo

che sia fertile come questo nostro Perifane. E non


so io batossare da quello scrigno fchiso da iiiiil
argani, e sigillato, tanto denaro quanto ne voglio?
ma io ho un brivido nelle vene, che se il vecchio
viene ad avvedersene, non abbia a far degli ol
mi tanti parasiti che sflppian ben piluccarmi id
ossa. Ma solo una cosa ini d pur tanto affanno:
far vedere ad Apecidc una qualche suonatrice
presa a nolo. Ben trovata: il vecchio m ha or-

Conducere aliquam fidicinam sibi huc domunij


D um rem divinam feceret, cantaret sibij
E a conducetur, atque ei praemonstrabitur,
Quo pacto fiat subdola advorsus senem.
Ibo intro: argentum accipiam ab damnoso sene.

(libato che gii conducessi u n a suonatrice a casa,


acci gli cantasse sul liuto quand egli faceva sa
crifizio, la si noleggier, e saprem bene im buriassarla del come ella si debba infignefe col vecchio
Andr dentro: ricever i quattrini da questo po*
vero barbogio che io fo pieno di guai

ACTUS 111.
SC E N A
S

JUTIPFOCLF.S j

I.
C/l j u m b i

lui

Srn. impeciando exedor miser alque exenleror,


Quomodo m i Epidici blanda dieta evetmnl!
Nimis din maceror, siine quid necne sii!
Scire cupio!
Ch . Per illam opiam tibi copiam parare aliam licei.
Scivi equidem in principio eloco, nullam libi esse
in ilio.
Srn. Interii hercle ego!
Ch j .
Absurde facis, qui angas te animi.
S i hercle illuni ego semel prehendo, nunquam inri
dere
Nos illum inultum sinam servom hominem!
Srn. Quid illune ferre vis, qui, tibi quoi divitiae dom i
m axum ae sunt,
Is habes num um nullum, nec sodali tuo in te copia
est?
Ch . Si hercle habeam, pollicear lubensj verum aliquid
aliqua modo.
Alicunde ab aliqui aliqua tibi spest, mecum fore
fortunam .
S t r . F oc tibi, m uricida (SJ homo!
Ch j .
Qui tibi lubet m ihi male loqui?
S tr . Quippe tu m ihi aliquid aliquo modo alicunde ab a liquibus

ATTO III
SCENA

I.

S t r a t ip p o c l e , C h e r ib o l o .

Str.

Io sono in croce, e quanto pi aspetto pi mi

Che.

buoni conforti 'di Epidico? Io ho il cuore, in una


m orsa 1 abbia o no spuntato! io muojo di saperlo!
T u non devi aver tan ta fidanza in quell' ajuto da

sento stram bellar l anima! Dove vorran riuscire i

non cercarne altri. Mei vedeva in aria io fin da


principio, che tu avresti dato in un sacco rotto.
son morto!

S tr.

Io

Che.

La fai da moccicone a pigliartene affanno. Md se


arriv o io ficcargli una volta le unghie addosso,
aff aff che non lascer m&i che un servo ci abbia
in questa guisa a m andare all uccllatojo!

S tr.

Che.

A che te la pigli cos calda, tu, che essendo ricco


sfondolato di casa tua, non hai un quattrinello in
tasca, n puoi soccorrere l amico?
Se ne avessi te ne darei proprio di cuore, ma p u r
qualcosa, per qualche via, in qualche modo, da qual,cuno ho speranza d avere, perch tu abbi meco

Str.

comune la fortuna.
Uh gnoccolone!

Che.

Perch mi di villania?

Str.

Perch mi Yai tu s p a m p a n a n d o d i queste frottole

Blatis, quod nusquam estj 'nque ego id inmillo Ut


auris meas, nec
M ihi plus adjumenti ades, quam illic, qui nunquam
etiam natustf
SC E N A

II.

E p id ic v s , S trjtippocles , Ch jb r ib v l v s .
E p i .Fecisti ja m officium tuom : me meum nunc facere
oportet.
Per hanc curam quieto tibi licet esse: hoc quidem
ja m periitj
N e quid tibi hinc in spem referas: hic (9) oppido
potitust!
Crede modo tu mihi* sic ego ago* sic egere nostrit
Proh di inmortales, m i hunc diem ut dedistis lu
culentumt
Ut facilem alque inpetrabilem! Sed ego hinc m i
grare cesso*
Ut inportem coloniam hunc atispicio conmealum?
M ihi cessoj quom sto. Sed quid hoc? A nle aedis
duos sodalisj
Iteru m el Chaeribuluntj conspicor. Quid hic agilis?
Accipe hoc, sisf
S tr . Quantum hic inesl?
E p i.
'
Quantum sal est et plus salis: supersitj
Decem m inis plus attulij quam tu danistae debes.
D um tibi ego placeam atque obsequar, meum ter
g u m floccif&cio.
S tr . N a m quid ita?

qualcosa, in qualche modo, da qualcuno, io gi non


ci fo caso, e tu mi se tarilo d ajuto, come colui
che non ancora nato.
SCENA

II.

E im d ico , S t r a t ip p o c l e , C h e r ib o l o .

E pi .

Voi avete fatto il dover vostro: io adesso far il mio.


Di questo non pigliatevi altro affanno: egli gi
ito alla grascia, non pascetevi di speranze, vin
ta la terra! Abbiasi fede in me, cos faccio
io," cos han sempre fatto i nostri ! Oh Dei immor
tali! che bel giorno m avete dato voi, pien di fa
cilit, pien di fortuna! E sto ancora qui io, e non
porto nella colonia questa cuccagna? Io perdo il
tempo quando sto fermo. Ma che questo? ecco i
due sozii sopra la porta, il padrone e CheriboloI
Che fate qua voi altri? prendetela se volete!

Str.

E che abbiam dentro .qua?

E pi .

Quanto basta e d avanzo; ve n ha anche troppo;


io ho portate dieci mine di pi di quanto voi do
vevi all usuriere, mentre io studiomi d andarvi a
versi e di accontentarvi Lo curo un marcio bagattino le mie povere spalle.

St r.

Perch di tu questo?

E p i.
Quia ego tuom patrem faciam perenticidam?
S tr . Quid isluc est verbi?
E p i.
Nil m oror vclula et volgala verba.
Peratim ductate fiOJ ast ego follilim ducli l'abo.
N am leno omne argentum abstulit pro fidicina ( ego
resolvij his
Manibus denumeravi) , pater suam natum quam esse
credit.
Nunc iterum ut fallatur pater libique auxilium adparetur,
Inveni jam : ita suasi ego seni atque hanc Habui oralionem,
Ut; quom redisset, ne tibi ejus copia esset . . .
S tr .
Eugel
E p i .E liam tuam emundam pellicem esse, ( i i J
S tr .
Teneo.
Ep i .
Nunc auctorem
Dedit m ihi ad hanc rem Apoeciden ( is apud forum
manet me ) t
Quasi qui eam amet. Cavet!
S tr.
H aud male!
Ep i .
J a m ipse cautor captust>
Ipse in meo collo tuos pater crum enam conlocavit.
Is adornat* adveniens dom i extemplo ut maritus fias.
S tr. Uno persuadebit modo: si illam* quae adducta est
mecum*
M ihi ademsit Orcus.
E p i.
Nunc ego hanc astutiam inslitivi:
Deveniam ad lenonem domum egomet solusj eum
doceboj
S i quid ad eum adveniant, nt sibi datum esse ar
gentum dicat

. E pi .
S tr.
E pj.

oOO
Perch io fo di vostro padre uno scanaaborse.
E che vuoi dire?
Lasciam queste favole vecchie e, rancide. Voi la borsa,

10 gli intigner la pellccia. Il ruffiano si ha gi in


tascato l oro' per la suonatrice* imperciocch glielho dato io* gliel ho snocciolato io colle mie mani,
e vostro padre dolce dolce se la beve credendosi
colei sua figliuola. Ora per far calandrino il vec
chio e per tenere il sacco a voi* ho gi trovata la
pania: io ho fatte tante storie al vecchio acci,
quando voi tornavi, vi fosse chiuso l uscio per
fare il piacer vostro . . .
Str.
Viva.
E p i . . Comprandovi egli la concubina.
Str.
Veggo.
E pi.
Sozio in gramolar la pasta diedemi questo Apecide*
( or egli mi aspetta in piazza ), ei si finge inta
baccato di questa femmina. Vedi malizia!
Str.
E p i.

Str.
E p i.

Ben.

Ma la volpe colta. Lo stesso padro vostro posemi


11 marsupio sul collo. Egli tutto in faccende, af
finch voi* appena tornato* abbiate ad uscire di sca
polo.
A questo solo modo mi vi addatter: se il fistolo
mi toglie colei che ho condotta meco.
Or io ho ringangherata questa trappola: io andr
solo a casa il ruffiano, e Io imbecherer in modo*
che se alcuno capitasse a lui* abbia a dire essergli
stato dato il denaro per la suonatrice; di aver a-

360 .

Pro fidicinaj argenti minae se habere quinquaginta:


Quippe ego quoi nudiuslerlius meis manibus denu
meravi
P ro illa tua amica, quam pater suam filiam esse
retur.
Ib i leno sceleratum caput suom imprudens adligabit.
Quasi pro illa argentum, acceperit, quae lecum a d
ducta nunc est.
C iu. Vorsulior es, quam rota figularis.
E r i.
J a m egei parabo
Aliquam dolosam fidicinam , num o conducta quae
sit,
Quae se emlam simulet, quae senes duo docte ludi
ficeturj
Eam ducet sim ul Apoecides ad tuom patrem.
S tr.
Ut parate!
E n . E am praemeditatam meis dolis astutiisque onustam
Mittam. Sed nimis longum loquor: diu me eslis de
morati.
Haec scitis ja m ut futura sint: abeo.
S tr .
Bene ambulato.
Cu j .N imis doctus ille est ad malefaciundum.
S tr .
Me quidem ceiio
Servavit consiliis suis.
Ch j .
Abeamus intro hinc ad me.
SrR.Alqiie aliquanto lubentius, quam abs te sum egres
sus intus.
Virlute alque auspicio Epidici cum praeda in castra
redeo!

vuto cinquanta mine: avendole io snocciolate je r


l'altro per quella vostra amasia, che vostro padre s
tiene sua figliuola. Cos ii ruffiano da bestia si ap
piccher per la gola, come se avesse ricevuto i
quattrini per colei, che voi avete condotta con
voi.
Che .

T u sai girar pi d un arcolajo.

E pi.

Io trover qualche suonatrice, ma di quelle scodate,


che ci venga a nolito, che simuli d esser compra,
che aggiri bravamente que due barbogi: essa sar
insieme condotta da Apecide vostro padre.

S tr.

G uarda che ragna!

E pi .

I o la mander ben istruita anzi maestra pe miei

inganni e per le mie astuzie. Ma questo giulebbe


un po troppo lungo: voi m avete distenuto ab
bastanza: voi gi sapete fine che avr la faccenda:
io men vado.
S tr..

Buon viaggio.

Che .

Cazzica! maruiBno che quegli!

Str.

Egli aff che m ha salvo colle sue stive.

Che .

Andiamo in casa mia.

Str.

E un po pi contento di quello che sono uscito;


per virt e auspicio d Epidico io torno al quartiero
col bollino.

P e r ip h a n e Sj A p o ec id e s , S e r t o s .

P s r .N on o r causa modo homines aequom fuit


Sibi habere speculum* ubi os contemplarent iuom j
Sed qui perspicere possent cor sapientia*
Igitur perspicere ut possent cortis copiam;
Ubi id inspexissent* cogitarent postea,
Vii am ut vixissent olim in adulescentia.
Vel quasi egomet quidem: fili causa coeperam
Ego med excruciare anim i, quasi quid filius
Meus deliquisset me erga, aul quasi non plurima
Malefacta mea essent solida in adulescentia.
Profecto deliramus interdum senes.
Fuit conducibile hoc mea quidem sententia.
Sed meus sodalis it cum praeda Apoecides.
Venire salvom mercatorem gaudeo.
Quid fit?
A po.

D i deaeque le adjuvant.

P er:
~
Omen placet.
A po .Q u iri om ine amnes suppetunt res-prosperae?

Sed lute hanc intro jube, sis* abduci.


Heus, foras
Exile huc aliquis! Duce islain intro mulierem.
Atque . . . audiri?
S er.
Quid vis?
P er.
Cave, sis* hanc cum filia
Mea copulari neque conspicere! J a m tenes?
In aediculam islanc seorsum concludi volo:
Divortunt mores virgini longe uc lupae.
P er.

P er.

Ape.
P er.
Ap e .

P er.

Ser.
P er.

PERirAHE, A p e c id e , S e r t o .

cosa buona che gli uomini abbiano lo specchio,


non tnto perch se ne servano in guardar fac
cia che si hanno, quanto perch i savii 'vedano
cuore che rinchiudono dentro, acci ben ben ri
conosciutolo, pensino dappoi qual vita abbiano
vissa da giovani. Questo dovrei fare io: m era
preso tanto cordoglio pel figlio, quasi chegli avesso
fatto qualche sproposito contra di me, come se gli
spropositi miei da ragazzo, non fossero proprio
spropositi da cavallo. Noi altri vecchi diam proprio
talvolta un tuffo nello scimunito. Ma ecco il mio
compagnaccio Apecide, che si viene col bottino.
Oh ben ci venga il nostro mercante: che si fa?
Tu se in amore di tutti gl iddii.
1 / augurio bello.
E che dirassi se coll augurio tutte le cose avven
gono prospere? Ma tu fa condur dentro costei.
Ehi! venga alcuno qua fuori! conduci dentro que
sta femmina. Ma . . . guarda veli!
Che volete? Guarda che costei non la si appiccicela a far pa
role con mia figliaj o che la guardi! hatu inteso?
voglio che la si serri di sopra in qualche bugigat
tolo: queste lupe guastano 1 animo delle vergini.

Y o l. III. P l a u t .

A po . Docle ac sapinter dici*: n o n nim is filiae

Servare quisquam suae pudicitiam polest.


Edepol nee islancce temperi gnalo tuo
Sum us praemercati.
P er.
Quid ja m ?
A ro .
Quia dixit m ihi
Jam dudum se alius tuom vidisse hic filium.
PER.Hanc edepol rem adparabat.
A po .
Piane hercle hoc quidem est.
N ae tu habes servom graphicum et quanlivis p retil
P sR .N on carus auro contrai
A po .
Ut ille fidicinam
Fecit ves.cire prorsus* se esse em lam tibi:
Ila ridibundam alque hilaram huc adduxit simul.
P e r . Mirum* hoc qui potuit fieri.
A po.
Te pro filio
Facturum dixit rem esse divitiam domi,
Quia Thebis salvos redierit.
P er.
Recte inslilit.
A po . I m o ipsus illi d ixit, c o n d u c ia te esse eam*

Quae hic administret ad rem divinam libi.


Ugo illic me aulem sic adsimulabatn, quasi
Slolidum; quin bardum me faciebam.
Per.
Im o ila decet.
Apo.Res magna am ici apud forum agiturj ei volo
Ire advocatus.
P er.
Al* quaeso, ubi eril olium*
Revorlere ad me extemplo.
A po.
Continuo hic ero*
P er . K ihil h o m in i am ico est opportuno amicitis:

Sine tuo labore , quod velis* aclus esl tamen.

Tu parli da savio: ogni uomo non pu mai abbastan


za guardare 1 onest della sua figliuola: ma in f
di valentuomo che noi in comprar questa abbiamo
a tuo figlio tolto prprio 1 uovo di bocca.
P er. _ Perch questo?
Ap i .
Perch mi si disse pur ora che alcuno ha qui ve
duto il tuo figliuolo.
p i.

P er.

Alle guagnele! e s preparava a questo.

Ape.

Senza dubbio. Potenzinterra! che lervo il tuo,


e vale un mondo!
Non saria caro a peso d oro!
Con che bel modo cotnne questa ceteratrice al bujo
che tu l hai compera, e la condusse qua tutta ri
dente e scherzevole.
Emi par un miracolo che labbia fatto.
Disse che tu volevi far in casa un sacrifizio pel
figlio, essendo egli ritornato salvo da Tebe.
L ha pensata giusta.
E aggiunse., che la era presa a nolito acci la fa

P er.
Ape.

P er .
Ape .
P er .

Ape.

cesse da m inistra nella cirimonia. Io chinava la


testa pel s, e pareva proprio eh' io fossi un ar
fasatto, un decimone di tre cotte.
P er.

Va bene cos.

Ape .

Un m io am ico in p iazza h a u n a c a u sa di n o n p o co
m o m e n to : vo ir e a fa rg li 1 av v o c ato .

P er.

Ma in grazia, appena che puoi spiccartene, corri


qua tosto.

Ape .
P er.

Sar qui subito.


Non v ha cosa pi utile alluomo dell'am ico; tutto
che tu vuoi, 1' hai fatto senza fatica. Io se avessi

Ego si adlegavissem aliquem ad hoc Jiegotium


M inus hominem do cium minusque ad liane rem cal
lidum .
Os sublitum esset, itaque me albis dentibus
Meus derideret filius meritissumo.
Sed hic quis estj quem huc advenientem conspicor ,
S u am qui undantem chlamydem quassando facit?
SC E N A

1F.

M ile s , P e m p iu n f s , F id ic in a .
JSiL.Cdve praeterbitas ullas aedisj quin roges.
Senex liic ubi habitat Periphanes Plothenius.
Incertus tuom cave ad me retuleris pedem.
P e r . Adulescens, si istunc liomincm, quem tu quaeritas.
Tibi conmonstrasso, ecquam abs te inibo gratiam ?
MiL.Firtule, belli armatus promerui, ul m ihi
Omnis mortalis deceat agere gralias.
Ppn.N on rtperisli, adulescens, tmnquiUum locum,
Ubi tuas virlules explices, ut postulas:
Nam strenuiori si deterior prodicat
Suas pugnas, de illius ore fiunt sordidae.
Scd istunc, quem quaeris Periphanetn Plothenium,
Ego sum , si quid vis.
N il .
Nem pe in adulescentia
Quem apud reges m em orant armis, arte .duellica,
Divitias m agnas indeptum?
Phe.
Im o , si audias
Meas pugnas, fugias manibu&- demissis domum.
M tL.Pol ego magis unum quaero, meas quoi prediccm ,
, Quam illune, qui memoret suas m ihi.

3n
diputato a questa cosa u n ' altro nien pratico e meri
cauto, e sarebbe rim asto inzam pagnato, e mio fi
glio mi suonerebbe dietro le tabelle, e non a torto^
Ma che uomo costui che viene a q u esta volta?
e si dimena tutto, e m anda il mantello a onde.

SCENA

IV.

S o l d a t o ,, P e r if a h f ., S u o n a tr ic e .

S ol.

P er.
S ol.
P er .

Sol.

Guarda di non passar porta senza domandare ov


stia quel vecchio di Perifanc Plotcnior guarda d
farmiti innanzi senza Saperlo.
Ehi, quel giovane., s 'io t insegno 1* uomo che tu
cerchi, qual ricambio avr io da te?
Per le mie armi io ho sempre meritato che tutti
gli uomini avessero a ringraziar me.
Qua, giovanotto mio, non hai trovato bun luogo
da far pompa delle tue braccia, come vorresti: im*
perciocch se chi ha men polso vuol farla da primasso con chi ne ha pi di lui, la sua loda va in
broda. Ma questo Perifane Plotenio che cerchi, ve*
diio qua, se lo vuoi in .qualcosa.
Qual uomo raccontano a re che da giovane* e pei*
forza e per arte bellica, sia venuto in tante rie*

P er.

chezze?
Ma se avessi a udire

S ol.

fuggiresti colle mani spse a casa.


Io cerco quello a cui raccontare le mie b ra v u ra
piuttosto
le sue,

che

anche le mie battaglie, tu

un altro',

il

quale

mi

racconti

iVfl.

Hic non est locus,


Oiih tu alium quaerar* quoi ceytones sarcias.
Atqui haec stultitia est, me illi vitio vortere,
Egomet quod factitavi in adulescentia *
Quom militabam: pugnis memorandis meis
Eradicabam hominum auris, quando occoeperam.
M i l . A nim um advorte ut quod ego ad te venio, intellegas.
Meam am icam audivi te esse merctilum.
P er.
Altate
IS'uncdcmumscioego hunc, qui sit,qiicmdudumEpidicus
Mihi praedicavit militem. Adulescens, ita est,
Ut dicis: emi.
M u .:
Folo te verbis pauculis,
S i tibi molestum non est.
P er.
N on edepol scio,
Molestum, an non, est, nisi si dicis, quid velis.
M i l . Mihi illam uti tram ittas argentum accipias.
P er . Habeas.
M il .
N am quid ego apud te parcam proloqui?
Ego illam hodie volo facere libertam meant,
M ihi concubina quae sil.
PF.fi.
Te absolvam brevi,
rgenti quadraginta m i illa em la est m inisj
S i sexaginta m ihi denumerantur minae,
Tuas pol sedebit mulier faxo feriasj
Alque ita profecto, ut eam ex hoc exoneres agro.
M i l . Esine ernia haec mi?
P er.
Istis legibus habeas licet.
Pulcre conciliasti. Heus, foras educite,
Quam introduxistis, fidicinam! Atque eliam fides,
E i quae accessere, tibi addam dono graliis.
Age, accipe hanc, sis.

P er.

Non questo

il luogo: cercati

qualcuno cui tu

possa piantargliene di queste carote. Ma la c


stolt.i eh io voglia affibbiargliele a colpa, quando
io ne ho fatte tante da giovane quando era al
soldo: oh battaglie che erano le mie! sJ io -p re n
deva 1 orecchio d* un uomo, io glielo schiantava fin
Sol.

dalle radiche.
Stanimi attento: acci tu sappia a che sono io ve
nuto a te. Io ho udito elio hai compera la mia
amica.

P er .

Ah! oh!

S o l.

Epidico mi disse pur ora. Tu l'h a i detta, o


giovane, io T ho compera.
Io ti vo' dir q u a ttro parole, se non t carico.

Adesso la m entrata! il soldato che

P er .

Non li posso d ire p ro p rio se v o rram m i essere no,


finch n o n dici che vuoi.

S ol.

Mandami quella femmina e ricevine i quattrini.

P er .

L avrai.

S ol.

E perch non te la sfringueller io? io oggi v a'

P er.

farla libera perch mi sia concubina.


I o li spaccio subito. Io lho pagata quaranta mine,
tu dammene sessanta, e io far che questa fem
m ina faccia tco vacanza, e a tal patto, che tu
d essa liberi questo paese.

S ol .

E m ia adunque?

P er.

Con queste condizioni tientela: m hai fatto subito


amico: ehi! conducete fuori quella suonntrice che
avete messa dentro! io ti do p er giunta anche lacetra e tu tte le sue ta tta re in dono: su prendila,
eccola.

.176

' Quae le intemperiae tenent?


Quas tu m ihi tenebras trudis? Quin tu fidicinam
Produci intus jubes?
P es.
Haec ergo est fidicina.
Hic alia nulla est.
M u.
N on m ihi nugari poles.
M il.

Quin tu huc producis fidicinam Acropolistidem ?


P e r . Haec, inq u a m est.

N on haec, inquam , est. Non novisse me


Meam rere am icam posse?
P er.
H anc, inquam , filius ,
Meus deperibat fidicinam.
M il.

M il .

Ila ec non est ea.

P e r . Quid? non est?


M il .
N on est.
P er.
Unde hac igitur gentium est?

Equidem hei'cle argentum pro haec dedi.


JSii.
Stulte datum
Reor, et peccatum largiter.
P r.

Im o haec ea est:

N am servom misi, tneum qui sectari solet


Gnalum: ipsod hanc in articulo emit fidicinam.
M i l . fle m ! istic te hom o articulatim concidit, senex,
Tuos servos.

Ps.

Quid? concidit?
Sic suspicio est:
N a m pro illa fidicina haecce subposita est libi.
Senex, tibi os est sublitum plane el prbe.
Ego illanc requiram ja m , ubiubi est. Bellator vale.
P e r . Euge,- euge Epidice! frugi es! pugnavisti! homo es!
Qui me emunxisti mucidum, m inum i preli! >
M

il.

S ol. . Che malanno ti colse? che nigrizia mi fai tu vedere?


P er.

E che non fai condur dentro questa suonatricc?


Questa la suonatrice, io non ne ho altra.

S ol.

Tu non puoi'infinocchiarm i; e che non conduci


fuori la suonatricc cropolistide?

P er.
Sol.

lo ti dico che questa.


Ed io ti dico di no: mi credi tu zugo cos fatto da

P er.

non conoscere la mia amasia?


Questa la suonatrice alla quale faceva il vago

S ol.
P er.
S ol.

mio
Non
Non
Non

P er .

Ma e donde la ci venne adunque? io per costei ho

Sol.

suonali d e bei quattrini.


Mal suonati io credo, ed hai preso un granchio
ben grosso.

P er .

E la dessa per Dio. Imperciocch io ho m andalo

figlio.
costei.
?
.

il servo che suol sempre andare in su passi di miu


figlio, ed egli proprio in questo punto ha compera
S ol.

la suonatrice.
Ahu! e quest' uomo t ha proprio puntualm ente ta
gliato, vecchio mio.

P er.
Sol.

Come? tagliato?
Cos dubito io: imperciocch in vece di quella suonalrice t J ha soppiantata questa. Oh, vecchietto,
come te 1 han fischiata bene! La trover ben io,

P er .

a casa il diamine, guerriero, addio.


Viva, viva, Epidico! se uom di fatti! lhai vinta! oh
il valentuomo! m hai proprio tolto

il sornacchio,

Mercatus te hodie est de lenone A-poecides?


Ehodum!
.
Fm.
Isluc tiomen nunquam audivi ante hunc diem,
Ncque emere quisquam ulla quidem pecunia
Me poluii: plus ja m libera sum quinquennium.
P e r . Quid libi negoli est meae dom i igitur?

F id .

Audies:
Conducta veni, ut fidibus cantarem seni,

D um rem divinam faceret.


Per.
Fateor, me omnitim
H om inum esse Athenis Allicis m inum i preti.
Sed tu novislin ' fidicinam Acropolislidcm?
Fio.Tarn facile, quam me.
P er.
Ubi habitat?
F id .

P oslquam libera est,

" Incerto scio.


Per.
Eho, aiti quis eam liberaverit,

Volo scire, si scis.


F id .

Id quod audivi, audies:


Slralippoclem .clam, Periphanai filium ,
Absentem curavisse ut fieret libera.

P e r .P erii hercle, si istaec vera suiti, p ia n issim e!

Meum exenteravit Epidicus m arsupium !


F i d . H aec sic audivi. N um quid m e vis -Celerum?
P e r . Malo cruciatu ut pereas, alque abeas cilo!
F i d . Fides no n reddis?
P er.
F id .

Neque fides neque tibias,


Propera igitur fugere hinc, si te di am ant.
Abiero.

Flagitio cum 1 majore post reddes tamen.


P e r . Quid nunc? qui in tanlis posilus sum senlenliis,

asino che fui! Dimmi, Ajx*citle t" ha compera


oggi dal ruffiano? escine!
Suo.

Cotal nome non l ho sentito mai prim a d oggi, n


alcuno ha potuta com prarm i per denaro: chio soa
gi libera pi da cinque anni.

Suo.

E che vien tu dunque a fare in casa mia?


Dirottelo, venni condotta a nolo, p er cantar *ul

P er.

fchitarrino al vecchio quando facea sacrifizio.


Eccomi chiaro: Non vha nellAttica Atene un bie

P er.

tolone mio pari. Ma non conosei tu la ceteratrica


Suo.
P er.
Suo.
P er.

Suo.

cropolistide?
Tanto come me.
E dove sta?
Dappoich libera non lo so di certo.
Oh, che dici? io, se tu lo sai, vo sapere da tfc chi
1 ha fatta libera.
Dirottelo conforme vennemi detto: Stratippocle fi
glio di Perifane, ha fatto in guisa m entrera lon

P er.
Suo.
P er.

Suo.
P er.

tano che la venisse ricom pera.


Io son sconfitto se questo vero! Epidieo, p er Dio,
m ha proprio trivellato la borsa.
Questo ho udito io. Vuotu altro da me?
Che t u vadi alle forche, e s u b ito , s u b ito .
E non mi rendi la chitarra?
Che flauto? che chitarra? Spacciati, dlia a g a m b e ,

Suo.

se Dio t ajuta.
Vado: la darai dopo, e con tua- grassa vergo
gna.

P er.

E ora? Dopo che mi han posto in tra le tenaglie lascer

E u m n t tgo sinam inpune? Im o , etiamsi allentm


Tantum perdundum est, perdam politis quam 'sinam ,
Hodie inristt habitum, depeculatu, meis
Me! Sic data esse verba praesenti palam!
A c me minoris facio prae illo, qui omnium
Legum atque ju ru m fictor, conditor, cluet.
Is etiam sese sapere memorat! Malleum
S j p i e n t i o r e m riD I EXCUSSO m a n u b r i o ( i i / .

che colui s la passi netta? avessi a perdere altret


tanto, canchero se non ci sto pi volentieri che
vedermi cos schernito e rubato damiei! cos mhan
da sburlare in faccia! Ma io non fo tanto caso di
ine, come di quel dottorone che va tanto p er la
m aggiore in diritto e in leggi! edice pur che egli
1' uomo de pensier graniti! ma io conobbi che ha
pi giudizio un m artello senza manico.

CTVS IV.
SC E N A
Ph

i l i p p

I.

Peri phj uks .

P ai. S i quid hom ini est miseriarum, quod miserescat mi'


sere ex animo,
Jd ego experior, quoi midla unum in
Locum confluonlj que meum pectus pulsant sim uli
M ultiplex aerumna exercitam habet wie,PaupertaSj pavor territat mentem anim i;
Neque, ubi spes conlocem m eas, habeo usquam m u
nitum locum:
Ita gnata mea hostium est potila, neque, nunc ubi
sil nescio.
P e n. Quin illaec est mulier, timido pedore peregre advenienSj quae ipsa se

Miseratur?
In his dictus m ihi locis habere Periphanes,
P e r . Me nom inat haec: credo ego, illi hospitio usus eve
nit.
P ai. Pervelim mercedem d are, qui monstret eum m i ho
minem aut ubi habitet.
P e r .N oscito ego hanc: nam videor, nescio ubi, vidisse
me prius.
Esine ea annon ea est, quam anim us retur meus?
P h i . Di boni, hunc visitavi antidhact
P e r . Certo ea csl quam in Epidauro pauperculam me
m ini conprimere . , .
P ai.

ATTO IV
SCENA
F

F il .

il ip p a ,

I.

e r if a n e .

Se l uomo ha disgrazie che passano il cuore, io le


provo lutto; tu tte feriscono a un punto, tu tte mi
schiantano 1J anima! Io son m artellata da mille af
fanni! la povert e il tim ore mi toglie il senno:
non ho luogo da collocar le mie speranze: venne
la mia figliuola in mano del nemico, n so dove sia.

P er.

Che donna quella, che piena di p au ra venendo


a questa volta, fa tan ti rammarichi?

F jjl.

Mi venne detto che in questo quartiere la casa


di Perifane.

P er .

Ella mi chiama per nome: io credo che ella cerchi


alloggio.

F il .

Darei qualche m oneta; a chi mi facesse conoscer


l'u o m o e m 'in segnasse la casa sua.

P er .

La conosco io costei: imperciocch parm i, non so


dove; di averla veduta una volta; la o non la
colei che io dubito?

F il .

Buon Dio, costui io 1' ho visto anni fa!

P er .

Certo la dessa, la poveretta eh' io ricordam i aver


compressa in Epidauro . .

P ii i. Plane hic ille esi, qui in Epidauro prim us pudici


tiam m ihi pepulit!
Pus. Quae meo conpressu peperit filiam, quam domi nunc
habeo!
P h i . Quid* si a d ea m . ..

Haud scio, an congrediar...


S i hic is e s t... ?
P er.
S i haec est e a ...
P h i . Sin est is homo, sicut anni m ulli me dubiam da
nunt . . .
P u r . Longa dies meum incertat animum. Sin est* quam
incerto autumo:
Astu hanc congrediar.
Phi.
Muliebris m i adhibenda est nunc malitia.
P e r . Conpellabo.
P u i.
Orationis aciem contra conferam.
P e r . Salva sis.
P hi.
Salutem accipio m i et meis.
P er.
Quid ceterum?
P u i . Salvos sis: quod crcdidisli* reddo.
P er.
H aud adeuso fidem.
Novin ego te?
P u i.
S i ego te novi* anim um inducam, ut noveris.
P er . Ubi te visitavi?
P er.

'

Pur.

P h i.
P er.

Pur.

I n i q u e in ju r iu s .

Quid ja m ?
Quia
Memoriae tuae interpretari me aequom censes.

Per.

Fabulatu es.
P u i.
Mira memoras, Periphane.

C om m ode'

F il .

lui senza fallo, lui che mi vizi in Epidauro!

P er .
F il .

E che dalla violenza che le ho fatta, mi fe' la figli*


che ora ho in casa!
E se l'affronto?

P er .
F il .

Non so se debba farmele dinanzi . . .


Se fosse costui . . .

P er.

Se la dessa . . .

F il .

Son gi anni parecchi, ed io son incerta che sia


egli proprio 1 uomo . . .

P er.

Io sono in tra due; V ha molto spazio

di tempo

in mezzo, e per questo io son dubbio: me n an


dr col pi del piombo.
F il .
P er.
F il .

E per user ogni pi fina malizia di donna.


L ' affronter.
Gli vo' parlare.

P er.

Iddio t ajuti.

F il .

P er.
F il .
P er .
F il .

Me e i miei.
E dopo?
Ajuti anche t: io ti rendo quel che m 'h a i dato.
Non mi lagno della tua lealt ti ho conosciuta io?
Se t ho conosciuta io, creder anch io tu abbi

P er .
F il .

Dove t 'h o veduta io?


Oh ingiustizia, oh to rto che mi fai.

P er .
F il .

Perch?
Perch vuoi eh io ti legga nella memoria.

P er.
F il.

M' hai risposto bene.


T u di i gran prodigii, o Perifane.

conosciuto me.

V o l . IH. P l a i t .

23

Pea.

Hem* itine recliut!

Meministine . . .
M eminerim? quid?
I n E pidauro . . .
P h i,
A h gulltila
Peclut ardens m i adspersisli!
P er.
Virgini pauperculae
Tuaeque m airi me levare paupertatem?
Pb i.
Tun is et*
Qui luam per voluptatem in me aerum nam obsevi
sti gravem?
P e r . Ego sum. Salve?
Pm.
Salve* quia te esse salvom senlio.
P e r . Cedo marnimi
P h i.
A ccipel Aerum nosam et miseriarum conpotem
Mulierem retines.
P er .
Quid est, quod voltus conturbat tuos?
P a i .Filiam , quam ex te s u s c e p i...
P er ,
Quid eam?
P b i,
Eductam perdidi:
Hostium est potita.
Per.
Habe anim um lette el tranquillum face:
D om i meae eccam salvam el sanam. N am post
quam audivi eloco
E x meo servo, illam esse captam* continuo argen
tum dedij,
Ut emereturj eam adeo rem sobrie et frugaliter
A dcuravit ille, ut alias res est inpense inprobus,
Pui.JFac videam , siine illa.
P a i,
P er,

P er .

0 questa pi tonda! ti ricordi . . .

F il.

Ricordami?

P er .

In Epidauro . . .

F il .

T u mi risusciti.

P er.

Ch io voleva cavar di pan duro una povera ver

che?

ginella e tu a madre?
F il .

Se" tu quello che per tuo diletto in hai dalo tanto


affanno?

P er.

Son io. Dio ti guardi!

F il .

Mi guarda, dappoi che ti veggo salvo.

P er.

Dammi la mano.

F il.

Eccola: tu hai frm a una donna sgraziata e pien


di miserie.

P er.

Che hai per essere cosi contristata in faccia?

F il.

Quella figlia che ebbi da te . . .

P er.

Che ne venne?

F il.

Dopo averla allevata, io l ' ho perduta: percosse


nel nemico.

P er .

Piglia p u r animo e statti tranquilla: eccola in casa


mia sana e salva. Imperciocch appena ho inteso
dal mio servo, che la era stata presa, tosto gli ho
dato il danaro perch la riscattasse, con tanto senno
seppesi egli condurre in questa faccenda, quanto
nell altre ha la gabella di ogni tristizia.

F il .

Fammela vedere, se la sia dessa.

P tn .

Eho, Ut ine* Canlhra, i! statim jube


Acropolistidem prodire filiam ante. aedis meam
Ut suam videat matrem.
P a i.
Rem igrat animus nunc demum m ihi!
SC E N A

li.

F i d i c i x j , P e r ip h j n e s , P h il ip p j.
F i d . Quid est, pater, quod me excivisti ante atdis?

P eb.

Ut matrem tuam
Videas* adeas, advenienti des salutem alque osculum.
F id . Quam? m eant matrem?
P eb.
Quae exanim ata exsequitur adspeclum tuom.
P h i . Quae istaec est, quam tu osculum m ihi ferre jubes?
P er.
Tua filia.
P h i . Haeccine?
P er.

H aec.

P n i.
Egone osculum huic dem?
P eb.
Cur non, quae ex te nata sit?
P b i . T u homo, insanis.
Per.
Egone?
P a i.
Tu nae.
P eb.
Cur?
P h i.
Quia hanc ego, quae siet.
Neque scio neque novi, neque ego hanc oculis vidi
ante hunc diem.
P er . Scio* quid erres: quia vestitum atque ornatum in
imitabilem.
Habet haec mulier.
Pb i.

M iter catuli longe olent, aliter sues.


Nego eam me novisse, quae sit .

P er.

Ehi, C antara, vattene subito, di a mia figlia Acro-

F il .

polistitfe, che venga fuori, e vegga sua m adre.


I o torno viva.
SCENA

II.

Sdonatrice, P erifane, F ilippa .


Suo.

Che b ai, o padre, perch m ' hai


fuori?

chiamato qua

P er.

Perch tu vegga,_ e trovi tu a m adre, e la saluti, e


le dii ui) bacio.

Suo.
P er.

Quale? mia madre?


Colei che afflitta desidera vederti.

F il .

E chi costei, a cui tu mi vuoi far baciare?

P er .

T ua figlia.

F il .
P er.

Costei?
Costei.

F il .
P er.

E io b a d e r questa femmina?
Perch no, se la tua figlia?

F il.
P er.

Se gi de gangheri.
Io?

F il .
P er.
F il .

T u.
Come?
P erch io n so, n conosco chi la si sia, n la

P er.

vidi mai con questi occhi prim a d oggi.


So granchio che tu pigli, perch questa p u tta la

F il,

si cam bia veste ogni- d^


Un odore m andano i cani, u n 1 altro i porci* io te
lo dico aperto non so chi la si sia.

Proh deum alque hominum fidem/


Quid ego? lenocinium facio, qui habeum alienat domi,
Alque argentum egurgitem domo prorsum ? Quid tu,
quae patrem
Tuom vocas me alque osculare? Quid slas, stupida?
quid taces?
i d . Quid loquar vis?

P u b.

P er .

H aec negat se tuam esse m atrem .

F id .

Ne fuat ,,
S i tievolt: equidem hac invita tam ero m atris filia.
N on med istanc cogere aequom est meam esse m a
trem, si nevolt.
P mr. Cur me igitur putrem vocabas?
F id .
Tua islaec culpa est non m ea:
N on patrem ego te nominem, ubi tu tuam me adpelles filiam?
H anc quoque etiam , si me adpellet filiam, m atrem
vocer.
Negat haecj aliam me suam essej non ergo haec
m ater mea est.
Postremo haec mea culpa non est: quae didici, dixi
omnia.
Epidicus m ihi fiiit magister.
P er.
Perii, plaustrum perculi/ '
F io.N um quid ibi ego tibi peccavi?
P er .
S i hercle le unquam audivero
Patrem me vocare, vitam luam ego interim am i
F id .
Non voco.
Ubi voles paler esse, ibi esloj ubi rtoles, ne fueris
paler.

P e .

Poflar Dio e il mondo! elio m isliero il

mio? Po

10 di casa mia un postribolo con queste forastiere,


spalando fuori di continuo quattrini? e tu per*
che chiamarmi e baciarmi come padre? perch te
ne stai l come u n a statua? perch non parli?

Suo.

E che vuoi che dica io?

P r.

Costei dice d i non esser tua madre.

Suo.

Che la non sia, se la noi vuole esserne: anche a


m arcio dispetto di costei figlia d' una m adre sar
anch* io. N io posso farle forza ad essermi m adre,
dappoich la non ne vuol ella sapere.

P er .

E perch mi chiamavi tu padre?

Suo.

Questa colpa tu a e non mia: e non ti chiam er


padre io quando tu mi dici figlia? anche costei io
la chiamer m adre purch la mi dica figliuola. Nega
costei chJ io le sono figlia? Ella dunque non mia
m adre. In somma questa colpa non mia; io ho
detto quello che insegnato mi hanno; Epidico fu
11 mio m aestro.

P er.

Io son disfatto, io ho proprio dato T ultimo tuffo.

Suo.

Qual fallo il mio?

P er.

Se d ' oggi in poi io ti sento chiamarmi padre, te


lo giuro sulla vita mia, io ti fiacco dell ossa.

Suo.

Non ti chiamo altro. Quando mi vuoi esser padrd


sialo, se noi vuoi essere, buonanno.

F a i.Q u id ? o b - e a m n e ' rem h a n c emisti, quia tu uni g n a


ta m ratus?

Quibus de signis agnoscebas?


Nullis.
Quare filiam

P er .

P ur.
Credidisti nostram ?
P er .

*Servos Epidicus d ixit mihi.

P ai. Quid si servod aliter visum est? con poteras nosse ,


obsecro?
P e r . Quid ego, qui illam j ul prim um vidij nunquam vidi
postea?
P m .P e rii misera!
P es.
Ne fie, mulier! intro abi! habeto anim um bonum:
Ego illanc reperiam/
P h i.
Hinc Athenis civis eam emit Atticus
Adulescentem quidam dicebant emisse.
P er.
Inveniam / tace.
A b i modo intro atque hanc adserva Circam} S o
lis filiam.
Ego relidis rebus Epidicum operam quaerendo dabo
S i invenio, exitiabilem ego illi faciam hunc ut fiat.
diem!

F il .

E che? e perch ha Iti com pera costei credendotela


figliuola? a quali segni la conoscevi tu?

P er.
F il .
P er.

A nessuno.
Perch l hai creduta n o stra ' figlia?
Me Io disse il servo Epidico.

F il .

E se ha pigliato un granchio il servo? Deh, tu non


potevi conoscerla?

P ur.

E come poteva se dal di che la vidi la prim a volta,

F il .

Ahi trista a me!

P er.

Non piangere, o donna, va dentro, acchetati io la


trover!

F il .

L ha compera un Attico qui cittadino d Atene: di


cono esser stato un certo giovane.

P er .

La trover! sta zitta. Va dentro ora e guarda que


sta Circe figlia del Sole: io mettomi dopo le spalle

non la vidi pi dopo?

ogn altra cosa, vo' cercare Epidico: se lo trovo,


gli ha proprio questo giorno da essere l ultimo.

ACTUS V.
SC N A

I.

S t r a t i rrocL E s, E p id ic u s * D j n i s t j * V irg o .
S t r .M ale m o rig e ru s

m i est d a n ista , q u i m e

a rg e n tu m

non pelit
Neque illam adducit* quae emta ex praeda esi. Sed
eccum incedit Epidicus.
Quid illuc est, quod illi caperai frons severitudine?
E p i . S i undecim deos praeter sese secum adducat lupiler*
Ita no n omnesex cruciatu poterunt eximere Epidi
cum.
Periphanem emere lora vidi; ibi aderat una Apoecidesj
N unc homines me quaeritare credo. Senserunt; sciunt*
Sibi data esse verba.
S tr .

E p i.

Quid agis, m e a c om m oditas?

Quod miser.

S tr . Quid tibi est?


E p i.
Quin tu m ihi adornas ad fugam viaticum*

Priusquam pereo? nam per urbem duo defioccali senes.


Quaeritant m ej in manibus geslant copulas ( io )
sescuncialis.
S t r . Habe bonum anim um .
E p i.
Quippe ego, quoi libertas in mundo sila esi!
S tr . Ego te servabo.
E p i.
Edepol me illi melius* si nacli fuant.
Sed quis haec muliercula et illic ( l i ) grjtvastellus,
qui vcuil?

ATTO V
SCESA
S t r it w o c u e , . E

S tr .

p id ic o ,

I.
U s u r ie r e , F

a h c iv l l a .

E non fa tanto pe' casi miei questo usurierc, n o n


venendo a cercarm i 1' argento, n conducendo co
lei che ho com pera dal bottino. Ma ecco Epidico
a questa volta. Che diavolo si ha egli., p er aver
la faccia cos brusca?

Eh .

Se Giove conducesse seco anche gli altri undici dii,


tu tti non possono salvar d a' torm enti Epidico. Ilo
veduto Perifane a com prar le soglie, eravi anche
Apecide; o r io son chiaro questi uomini mi cer
cano, l ' han vista 1 acqua chiara; lo sanno eh' io
li ho incastagnati daddovero.

Str .

E p i.
Str.

E pi.

Che fai, piacer mio?


Quello che uno sgraziato.
Che t ' intravenne?
E che non attendete voi a prepararm i il viatico per
la fuga anzi eh io sia assassinato? Que due vecchi
sfioccati mi cercano, e hanno in mano delle nottole

S ta .

grosse u n oncia e mezza.


Piglia b u o n animo.

E pi .

S perch presto sar libero!

S tr .

T a ssic u re r io.

E pi.

L avrebber fatto meglio quelli se m avesser clto.


Ma che femmina quella e quel tangoccio che viene
a questa parte?

S t r .H c danista* haec illa est autem* quam em id e praeda.


E p i.
_
Haeccine est?
S t r . Haec est. Esine, ut libi dixi? Adspecta.
E p i.

S tr.

H a e c esi?

Contempla , Epidice,
t/sque ab unguiculo ad capillum sum m um est festivissum at
Estne? eonspicare: signum pictu m pulcre videris.

E p i . E x tuis verbis metrni futurum corium pulcrum p r a e


dicas,

Quem Apelles ac Zeuxis duo pigmentis pingent ul


meis.
S rn .E i inmorlales* otio isse adm iror pedibus! Pulmon
( i t i ) es*

Qui perhibetur? Prius venisset* quam tu advenisti


mihi.
D a n . Haec edepol remorata med est.
S tr .

Siquidem istius g r a tia


J a m rem oratus* quod ista voluit*

n im iu m advenisti

cito.
DJN.Age* age, absolve m e alque argen tu m num era: ne
comites m orer.
S tr . P e r n u m e r a tu m est.
D an.

Tene c ru m e n a m : huc inde.

S th.

Sap ienter venis!

Opperire, dum eefero ad le argentum.


D ak,

M a tu r a t
D o m i est .

S tr.
E p i .S a lin ego oculis utilitatem obtineo

sincere,

an p a
ru m ?

E Philippo matre natam abs Thebis, Epidauri satam,


Fideori ego Telestidem te, Periphanai filiam?

Str.

Chiesti T usuriere, e quella la donna che ho


compera dal bottino.

E p i.
Str.

. Costei?
Costei: e non la come te 1' ho pinta? guarda.

Ep i.
Str.

Costei?
Ma guarda, Epidico. La non ha un pelo che sia
brutto! e non vero eh? aguzza gli occhi; e vedrai
p u r la bella pittura.

E pi.

Alle parole vostre le mie spalle han da venir p u r


belle! Apelle e Zeusi mi pingeran p u r bene con due

Str.

Cacasangue! con ta n ta pace ci se venuto! Hai tu


il vermo m uro come i cavalli? ci saresti venuto pi
presto se tu avessi i pi teneri.
M ha distenuto costei.

pennelli d olmo.

Usu.
Str.

Se p ro p rio ti se fermato per servir costei, se ve


nuto anche troppo presto.

Uso.

Presto, presto, spacciami e contam i i quattrini: non

Str.
Usu.

vo farmi aspettar da compagni.


Son gi noverati.
To questa borsa: vuotali qua dentro.

Str .

T u vieni a tempo! aspetta, m entre li porto fuori

Usu.
Str .

il danaro.
F a presto.
E in casa.

E pi .

Ci veggo io bene o no? veggo in te io Telcstide fi


glia di Perifane nata in Epidauro da FHippa di
Tebe?

V i r .Q us tu hom o es, qui m eum parentum nom en m e


m oras et m eum ?
E p i .N on me nosli?
V ir .
Quod quidem nunc veniat in mentem mihi.
E p i . Non meminislij me auream ad le adferre naiali di$

Lunulam alque anellum aureolum in digitum?


V ir .
M em ini, m i homo. Tun' is?
E ri.E go sum , et islic frater tuos est, alia m aire, uno
patre.
V m . Quid pater meus? vivost?
E p i.

A n im o liquido et tranquillo es! tace!

V i r . D i m e ex perdila servalam cupiunt, si vera autum as.


E p i . N o n habeo ullam occasionem , ut apud te falsa fa
buler.
S tr . A ccipe argenlum hoc, danista: hic sunt quadraginta
. minae.

S i quid erit dubium, inmutabo.


D an.
Benefecisti. Bene vale.
S tr . Nunc enim tu mea es.
V ir .
Soror quidem edepol: ut tu aeqtte scia.
Salve, fraler
S tr .
S a n a n hac est?
E p .
S a na, si adpellat suom.
S t r . Quid? ego modo stim fraler factus huic, dum eo in
tro alque exeo?
E p i . Q uoi boni est, id tacitus taceas tute tecum et gau
deas.
STR .P erdidisti et reperisti me, sorori
E p i.
Slullus! tate:

Tibi quidem, quod ames, dom i praesto, fidicinaj est


opera mea,E t sororem in libertatem idem opera concilio mea.

F an.

cbi se' tu che dici il nome de miei parenti e

E pi .
F an.
E pi .

Non mi conosci?
P er quanto me ne venga in capo.
E non ti si raccorda che in un annuale della na

il mio?

scita, io t ho recata una picciola Iunettina d o ro


F n.

e un anello da m ettere in dito?


Mi si rico rd a, o buon uomo, e se tu quello?

E pi .

Son io, e questi tuo fratello, nato da un altra


donna, ma dallo stesso padre.

F an.
E pi .

Che? mio padre? vivo?


Metti p u r gi dell' animo ogni affanno! sta zitta!

F an.

Gl Iddi da perduta mi voglion salva, se dici il vero.

E p i.
Str.

Non ho ragione p er esser falso.


T o questo denaro, usuriere, qui son q uaranta mine:

Usu.

se vi sar qualche. m oneta men buona la cambier.


Ben fatto: addio.

Str.
F an.

Or tu sei mia.
S, m a sorella: acci anche* tu lo sappi. Iddio t ajuti,
fratello.

Str.

sa n a costei?

E pi.
Str.

Sanissima, se vuole il suo.


Ma come? in qual modo posso esser io venuto fra
tello a costei intanto che vado entro e vengo fuori?

E pi .

Quel bene che avete godetevelo in pace, e statevi


cheto.

Str.

Trovandomi tu m hai rovinato, sorella.

E p i.

Gnocco! tacetevi: voi per mezzo mio i avete p ro n ta


in casa la suonatrice con cui sp assac ela, e ad u n
tempo io vi do libera la sirocchia.

400
S tr . Epidice, fateor . . .
E p i.
Intro abi, ac jube huic aquam caltfieri.
Celera haec posterius faxo scibis, ubi erit otium
S th. Sequere haec me, soror.
E p i.
Ego ad vos Thesprionem jussero
Huc transire. Sed memento, si quid saevibunt senes,
Suppetias m ihi cum sorore ferre.
S tr .
Facile istuc erit.
E p i . Thesprio, ex i istac per hortum / adfer domum au
xilium mihil
Magna est resi M inoris multo facio quam dudum
senes.
Remeabo intro, adcurenlur advenientes hospites.
. Eadem haec intus edocebo, quae ego scio, Stratippoclem.
Non fugio: domi adesse certum esi; neque illi haud
objiciet mihi,
Pedibus sese provocatum. Abeo intro ; nimis longum
loquor.
SC E N A

11.

P e r ip h a n e s , A po ec id es , E p id ic u s .
P e b . Satin illic homo ludibrio nos vetulos decrepitos duos

Habet?
Im o edepol tu quidem miserum med habeas
miseris modis.
P e r . Tace, sis modo. Sine me hominem apisci!
A

po .

S tr .

I o ti dico, Epidico . . .

E m.

Andate dentro, c fate scaldai1 1 acqua a costei. Vi


dir ogni cosa dopo, quando vi sar tempo.

Str.

Vien qua meco, o sorella.

Eri.

Io dir a Tcsprionc che passi qua da voi. Ma ri


co rd ateti, se i vecchi mi faranno il diavolo ad
dosso, di venirmi in soccorso colla sorella.

Sin.

Questo sar facile.

Eri.

Tcsprionc, p assa.qua dall orto, vietumi in ajuto, il


pericolo grande! Adesso temo i vecchi meno
che prim a. Andr dentro, e far che si abbi cura
degli ospiti, e ad uu tempo ragguaglier S tratippoclc di quello che so io. Non mi raccom ando alle
gambe; io voglio stare in casa, n quegli mi vorr
dire che lho fatto correre. Vado dentro: io ciarlo
troppo.
SCENA

II.

P erifne , Apecide , E pidico .

P er .

E uou

ti

pare mo che

quell uomo abbia beu

tra tti in barca noi altri due vecchi decrepili?


Ape .

Anzi tu se quello proprio che me ne fa di cosi


grosse.

P er .

Oli statti zitto: lascia chio gli ficchi l ugnc addosso!


Y o l.

III.

P la .i t .

120

Dico ego libi ja m , uli scia's.


A lium libi le comitem melius quaerere, ila, dum le
sequor,
Lassiludine invaserunt misero in genua flemina. (6 )
P e r .Q uoI illic hodie med exemplis ludificalust alque le!
Ut illic autem exenteravit m ihi opes argentarias!
A po . Apage illum a me: nam ille quidem Moicani irati
est filius:
Quaqua tangit, omne amburit j si prope adstes, ca
lefacit.
E p i .D uodecim dis plus, quantum in coelo est deorum in m orlalium .
M ihi nunc auxilio adjutores sunt et mecum milii ani ! .
Quidquid ego malefici, auxilia m i et suppetiae sunt
dom i!
Apolactizo inimicos omnis!
P er.
Ubi illune quaeram gentium ?
A po . D um sine me quaeras,m ea causa quaeras vel m e
dio in mari.
E p i . Quid me quaeris? quid laborare? quid hunc sollicitas?
Ecce me!
N um te fugi? num ab domo absum? num oculis
concessi luis?
Nec tibi supplico. Vincire vis? En ostendo matius!
Tu habes lora: ego te emere vidi. Quid nunc ces
sas? Cnliga!
P e r . Ilictt! Vadim onium ultro m i hic facit.
A po .

Ep i.
Quin cohligas?
A po .E depol m a n c ip iu m scelestum !
E p i.
Te profeclo, Apoecides,

N il m oror m ihi deprecari.

Ape.

Io te Io dico spiatellalo: meglio che li cerchi un


altro

compagno, imperciocch facendoli il cane,

per la stracchezza seutomi rotte le lacche.


P er.

Quante scherne oggi colui non ci ha fatte! che tri


velle non seppe tro v ar egli per succhellarmi la borsa!

Are.

Mandamelo mille miglia lontano: egli figliuolo di


Vulcan sdegnato, dove tocca egli lutto

abbrucia,

se lu gli stai vicino, egli ti scotta.


E pi.

Io ho in mio ajuto dodici Dii pi di (pianti in cielo


ve ne hanno! se ho fatto qualche sproposito ho ia
casa tal soccorso

da rifarmene! scaccio a calci

tu tti i nemici!
P er.

Dove lo trover io?

A pe . '

Purch lo cerchi senza di me, cercalo anche in


mezzo al m are per amor mio.

E p i.

Perch mi cercate voi? perch tanto affannarvi?


perch pungolar costui? Eccomi! son fuggito io?
son forse fuori di casa? v ho schifato io? io non vi
prego. Volete legarmi? Eccovi le mani! voi avete
le soghc: vi ho visto io a comperarle: che tardate
adunque? legatemi.

P er.

Togli! T u tte 'le ragioni non sono forse le sue!

E pi .

Che non mi legate?

Ape.

Se p u r la gran forca di schiavo!

E pi .

Io non voglio, Apecide, che voi supplichiate per me.

m
'A p o .

Facile exoras, Epidice.

Ecquid agis?
Tuon arbilrqlu?
Meo hercle vero, alque haud luo,
Conligandae hacc sunt libi hodie.
A t non lubet: non conligo.
P er.
A fo . Tragulam in te injicere adornat! nescio quam fa
bricam facit!
Epi. Tibi m oram facis, quom ego solulus sio: adjiga, in
quam! conliga!
P e r .A I m ihi mage lubet, solulum te rogilare.
E p i.
A t nil scies.
P e r . Quid ago?
A po .
Quid agas? mos geratur.
E p i
Frugi es tu homo, Apoccides!
P e r . Cedo m anus igitur!
E p i,
M orantur nihil. Alque arte conliga!
Nil verere: obnoxiosus.
P er,
Facto opere arbilram ino!
E p i . Bene hoc habet. Age nunc ja m ex me exquaere! ro
gita, quod lubet!
E

p i.

P e r . Qua fiducia ausus p rim u m j p rim u m ,

quae em la

estrnudiuslerlius,
Filiam m eam dicere esse?
Lubuit: ea fiducia.
p E R . A i n lu lubuil?
E p i.
Ajo, Vel da pignus, ni ea .sit filia.
P e r . Quam negat novisse mater?
/->/.
N i ergo m atris filia est,
Jn meum nitm um , in tuom talentum, pignus da.
E p i.

Ape .

Mei persuadi presto, Epidico.

E pi .
P er.

E che fate?
Ilo da far io il modo tuo?

E pi.

Il mio s c non il vostro; queste deno essere nelle

P er.
Ape .

m anette.
Non ne ho voglia: non vo legarle.
E vuol cacciarti qualche rete addosso! non *o, ma
ei macchina qualch*: trappola.

E pi .
P er.

Voi perdete il tempo finch io sto sciolto; legatemi


vi dico, stringetemi!
Ma pi mi garba in terro g arti sciolto.

Ep i.
E non ne caverete nulla.
P er. ' Che fo io?
Che fai? gli vai a versi.
Ape.
Voi siete cima d uomo, Apecide.
E pi .
Dammi le mani adunque.
P er.
Non si fermano: legatele strette strette, non abbiate
E pi.
p au ra, siete troppo timido.

P er.

Dirailo dopo.
Oh cos va bene! su ora m ettetem i alle disamine.,
domandatemi quello che volete!
Con qual fidanza, anzi ogni cosa, quella eh si

E pi .
P er.
E pi.
P er.

Perch s mi piacque, con questa fidanza.


Che di? ti piacque?
Date un pegno se non la c figlia;
Ma se nega la m adre di conoscerla?

E pi .

Se non la ha m adre, m etteteci voi un talento*


io ci niello uno scudo.

P er.
E p |.
-

comper jeri, osasti dire essere mia figlia.

PiK.

E nim islaec capiio est.


S td quis ea est mulier?

E p i.

T tii g n a li a m ic a ut om nem rem scias.

P e r . Tibi dediti m in as triginta ob filiam?


Y .p .

Fateor datas,
Pi eo argento illanc me emisse am icam fili fidicinam
Pro Ina filia. Islam ob rem te tetigi triginta minis.

P ur . Q uom odo m e ludos fecisti de illa con du ctilia


F idicin a ?
E p i.

F aciu m hercle vero, et recle fa ctu m ju d ico .

P er . Q uid p o strem o argen to faclu tn est quod dedi?


E p i.

Dicam tibi;
l\'eque malo homini neque benignos tuo dedi S tra tippocli.

P er . Cur dare ausus?

Quia m ihi lubilum est.


P er .
Quae haer, m alum , ferocia est?
E p i . E liam in c la m ito r qu asi servos?
P er.
Quom tu es liber, gaudeo.
E p i.

E p i . M eru i, ut fierem .

Tun m entisti?

P er.
E p T.

P ise in tro : ego f a r o scies,

Hoc ita esse.


P er.

Q uid est negoli?

E p i.

J a m ip sa res dicet lib i


A b i m o d o in lro !

Ilei, ne illue temere est! Adserva


istum , Apoecides!
A po. Qtiemne hodie per urbem ulerque sumus defessi quae
rere?
P f. r .

m
Per .

Calta ci c o v a . Ma ch i quella fem m ina?

Ep i .

Senza g ira n d o le, 1 am ante d i v o stro figlio.

Per .

1" ho p u r d ate tr e n ta m ine p e r la figlia!

Epi.

Verissimo: e in vece di vostra figlia ho com pera la


suonatrice amica del figlio: p er questo io v ho

Ter .

scannato di tre n ta mine.


E perch inzam pognarm i
presa a nolo?

E pi.

Io non nego il fatto, e Io credo fatto bene.

P er.

E che ne venne del d en aro che t ho dato dopo?

E p i.

di

quella

suonatrice

D irovvelo: n o n l ho dato a uom o n b u o no, n


tristo ; io 1 ho d ato al v o stro Stratippocle.

P er.

P erch darglielo?

E p i.

Perch mi piacque cosi.

P er .

Che b ald an za q u esta, m anigoldo?

E p i.

Cos mi si d sulla voce, come se fossi servo?

P er .

O r che se libero m en ralleg ro .

E pi .

H o m e rita to di esserlo.

P er.

T u m erita to ?

E p i.

G uardate d en tro : io far che vi p ro m e ttia te e s s e r


la cosa in q u esti term in i.

P er.

Che faccenda questa?

E p i.

Dirallavi essa medesima; andiate dentro!

P er .

Hau! questa non falla a caso! Bada a c o s tu i

Apccide!
A pe .

A chi noi pel quale siam stracch i cercandolo p e r


tu tta la citt?

m
E p i . Ego sum defessus reperire, vos defessi quaerere.
A po . Q uid illue, pidic-e, est negoli?
Ep i.

M a x im a hercle in ju ric
Finclus adsto, quojus hinc hodie opera in ven ta cs.

filia
A po . A in' lu le illius invenisse filiam ?

Inveni, el domi est.


Sed ut acerbum est, pro benefactis quom m ali mes-

E p i.

sem m etas?
F e i i . Quid ista oralis opere tanto me? meruisse intellego,

Ut lubeal merito hujus facere. Cedo lu, ut extolvarn manus!


E p i . N alligas.
F

ex.

O stende ve ro !

Ep i.

N olo.

P eu .

N on aequom facis.

E p i . N unquam herele hodie, n isi supplicium

m ih i das,

m e solvi sinam !
P e r . O plum um atque a eq u issim u m

oras. Soccos, tuni


c a m , palliu m

Tibi dabo.
E p i.

Q uid deinde p o rro ?

P eu .

Libertatem.

E p i.

A t postea?

Novo liberto opus est, quod pappet.


P eu .

D a b iln r, praebebo cibum-.

E p i . N unquam hercle hodie, n isi m e o ra ssis, solves.

P f. r.

Oro te, Epidice,


M ihi ut ignoscas, si quid culpa inprudens peccavi
m ea.
A t ob eam rem liber eslo.

Kii.

Io mi son
domi.

straccato

trovandovi, e voi cercan

Ape.

E pi .

Io sto q u i c o s tr e tto a to r to m a r c io , c m e l fa c o lu i

E{3dico. che combibbia

questa?

al q u a le h o tr o v a ta la figlia.
Ap e .'

E p i.

P f.r.

Che ditu, hai trovata sua figlia?


L 'h o trovata c la in casa. Ma che indegnit non
mai esser cambialo si male il beneficio.
E perch me ne fate tan ta calca? io veggo che sei
m erita, purch gli piaccia farlo in grazia di costei.
Yien qua tu , che ti vo, disimpacciar le mani!

E pi .

Non m i toccarti!

P er .

Fammele vedere!

E p i.

N o n v o g lio .

P er .

Mi fai un to r to . ,

E p i.

Non mi lascio, come vero che son vivo, sciorrc


oggi, se voi non mi date la penitenza.
Tu parli giusto e da savio. Ti dar socchi, tonica,

P er.

mantello.
E pi .

E poi?

P er.

La lib ert .

E p i.

E dopo? Al nuovo liberto abbisogna la pappa.

P er .

Ti si dar; non m ancheralti il cibo.

E p i.

In f di valentuomo, se voi non mi pregate, io non

P er .

mi lascio disciorrc.
Deh, Epidico, perdonam i, se senza saperlo t h o
fatto male per mia colpa, e per
libero.

questo tu

sia

Ep i.

Invilus do hanc veniam lib i:


N isi necessitale cogor. Solve sane, si lubet.
G rex.

Ilic is homo est, qui liberlalcm malitia invenit sua.


Plaudite el valete! lumbos surgile alque extollite!

F i n i s F.p i d i c i .

E pi .

Duro fatica a perdonarvi ma la necessit mi co


stringe. Scioglietemi, se vi piace.
C aterva .

E cco u n u o m o ch e si f lib e r o

c o lla

su a

m a lizia .

Ap

p la u d ite e s t a le sa n i, a lz a te , e m o v e te i lom b i!

F ine d e ll ' E pid ic o .

NOTE

(1) Cos Gronovio.

In vidulo aut melina adferre. Vidulus significat sacculum


vel bulgam scorteam , in quam pcregrinantcs res suas
condebant, Menaeehm. II, 2, 42, et V, 7, 47. Et in
Rudente plus decies. De altera voce, quid sit du
b itatur. T urnebus mellinam scribit, et explicat la
genam mellinae, vel oenophorum, ex illo Persii:

J a m pueris pellem succinctus et oenophorum ap~


tas, id est jam accingis te ad navigandum , et accomodas sarcinas pueris, veluti vidulum, scortum ,
et oenophorum. Est autem mellina potio confecta
ex meile. Pseud. 11,4, 51: Habet m urrhinam , tum
passumj defrutum, mellinam , mei cujusmodi Hu
ju s deminutivum mellilla in Cas. I, 4 , 47 exstat.
Scaligeri in V arron, de R. R. pag. 229. (tqoTr?,
pellis ovilla est. Hinc melinum , et ab illo omno
scortcum vocabant melinum. Unde -apud Plaut.
mellina est scortea m antica vel coactilis e co
rio. Sic ille, sed forte optimum est m elinam dici
a meles u t a feles, felinus. Meles est catus silve
stris. V arro, lib. III. R. R. cap. i 2 . praecipit septi

leporarii macerias-tectorio induci, ne feles aul meles,


aliave quae beslia introire possit. Martial X, 37:
Venator capta mele superbus adest. Nani et hoc
animal venebantur. Unde est apud Nemesian.

Felem quae minorem


Arboris in trunco longis praefigere lelis,
Intplicilumque sinu spinosi corporis erem.
(2) Le volgate leggono detegetur. Scaligero propone la
lezione di Degetur la quale viene seguitata da Bo
the. Anche Giunti legge degetur, Sarracenio; Degi
tur.
(3) Son stato colla lezione di Carlo Langio le antiche
Quid? quid? aliquid reperiundum est, Bo lhe quid-

quid aliqua reperiundum est.


(4) Qui invident leggono le edizioni.
(5) Ho seguitata la lezione di Bothe di cui vedi una lun
ghissima nota Dg. 278. Plauto Taurinense Voi. II.
(() Cosi Lambino a questo luogo Nonnulli enim canes
Lacones, et Laconici appellantur. Horatius Od. 6.
Epod. N am qualis aut Molossus aut fulvus Lacon,
etc. sed nunc vesteis suas nonnullas appellant La
conicas. Hoc quidam Periphanes, u t m eretrices et
m ulieres libidino ac sumptuosas in invidiam vo
cet: sed etiam Horatius aliquot post seculis, ut sit
m inus m irum , has vesteis aetate Plauti in pretio
fuisse, Laconicas purpuras commemorat. Od. 48.
lib 2 .'N ec Laconicas m ihi Trahunt honestae pur

puras clientae. Alii quidam sic hune locum expli


cant cani quoque adem tum est nomen. Nam cum
cancm, canem appellare debeant, Laconicum ap
pellant. Sophocles in Ajace mastig.
K vvog A a x a w q g o a n g dvpipog a<rm

(7) La volgala lezione era Nam le ilio non aeque opus


facto est. Lo Sdoppio di questa lezione m enata
buona da Lambino dice essere pi fredda che lin
verno della Francia*, Lectione hieme gallica frigi

diorem. Carlo Langio legge nel suo codice n a n i le


lenoni atque. Gi disse Bothe che gli antichi scambia
vano facilmente il d in i quindi egli propose la
lezione seguita da me cui io trovo Plautinissima.
(8) Le volgate leggano murcide Langio Muricide.
(9) Sono stato con Bothe.
(10) Io volli piuttosto che le volgate e Langio seguitare
il Prof. Berlinese.
(11) Sono colla emendazione di Bothe.
(42) Io resto m aravigliato come il Chiarissimo Boucheron
co rretto re della edizione Torinese, avendo in sul
fine dell opera messi i fram menti Ambrosiani, pi
nel Soldato M illantatore pag. 41. y o I. III. avendo
inserito il verso:
Quid tumultuas cum nostra fam ilia occisi sumus ,
( vedi pag. 24. voi. II. della mia versione al qual
verso io ho posta u n a nota 40 ), non abbia fatto
capitale di questo, il quale Plautinissimo e pieno
di scherzo comico. Io mi rim etto al buon giudizio
de filologi se la lezione Ambrosiana

Malleum
Sapienliorem vidi excusso manubrio
non da preferirsi al

M alleum
Sapienliorem * * manubrio
delle volgate, le quali conservano la la c u n a , e della
lezione di Bothe:

Malleum
Saffienliorem scilicel manubrio
la qual lezione pi fredda dellinverao della P rus
sia.
(1<>) Laiubno legge secum duas, Boxornio e Camerario
copulas secuncias, io sono stato con Bothe del
quale vedi se ti pare una nota pag. 322-23. Voi. II.
(14) Yulg. minus expedito m etro, sed quis est haec M. et
F estus v. Ravi: S. q. haec est, ut m igrare solent
interpretam enta. P ro gravastellus Mcursius, ubi
hune locum explicat in Exercitationibus criticis,
malit ravastellus. U tram que formam agnoscit Fe
stus vv. Grttvaslellus et Ravi, videturque sp iritu s,

R . literae in G. verso ex Ravastellus factum esse


Gravaslellus. D erivatur autem hoc verbum a Gravasler sicut Macellus a Macer , Cultellus a Culter;
et ipsum Gravaster ad G ravus pertinet sicut Sur
daster ad Surdus. Vidd. iuttpp. ad h. et gramma
tici. Cacter^m Festus v. Gravastellus: grava
stellus qui advenit quod non deterius vulgato Bvthc.
(18) Pedibus pulmoneis esse, incedere, significat tardissi
m o incessu prom overi, sive propter mollitiem pul
monis, quum duri pedes ad currendum sint aptis
simi; unde equi aeripedes Graecis ^alxo-xodst;

ctspeoccodet;, et sic pedes pulmonei essent mollis


simi, et ad laborem itineris corpusque sustinendum
inepti: sive quod m otus pulmonis perpetuus sit
sine proipotione: unde est et proverbium. Pulmo

prius venisset,'in lentos ac cessatores, qui et p ro p terea K aXhuctdai dicuntur. Cic. ad Att. XIII, 12:
Bieunium praeteriitj quum ille Ka?,iJti8s<; assi
duo cursu cubitum nullum processerit. Suet Tib.

cap. 28, de ilio scmpcr m iuilaiile iter in provin


cia, neque tam en pedem porta efferente: A d extrem um vota pr ita cl rcdila tuo suscipi passus,
ut vulgo ja m per jocum callipedis vocaretur:
quem c ursilurt, ac u t tubili quidem metis*ram
progred, proverbio graecum notatum est. Vel depulmonei pedes idem qaod tumidi, inflati,
alque id e o ,a d tolerandum ite r non sufficientes,
sicuti Plinius pulmonea , quaedam p o m a -vocata
uit, hoc est, u t ipse in terp retatu r, stolide tum entia;
lib. XV, 14.
(I () Tantum currere aul ilare, iti invadant genibus flem ina.
Proprie (lemina dieunlur, u t ait Festus, quum ex
labore viae sanguinis defluit circa laios. Caper de
Orthographia: Flemina sunt , ubi abundant crura

sanguine: planino, quttm in manibus aut pedibus


callosi snnl sulci. Ita etiam volunt legi in Poen.
IH, I, 07: Qtiin cliam . . . velini, ubi jam libri
editi hbcnt flemina. Eum tam en m orbum et boa ut
tu ma in que vocabant veteres. Festus: Boa, crurum
tum or viae labore collectus, appellatur. Idem: Fama,
quum labore viae sanguinis in crura descendit el
tumorem facit. Cos Grontfvio.

K ik e

del

V o lu m e H I.

INDICE

I C aptivi o i P r i g i o n i e r i ....................................... Pii"

D ed ica dei P rig io n ieri

l i C u r e u l i o n e ....................................................................... 1 2 0
D edica del C ureu lion e

.................................................... 12,1

L Aulularia o il P e n t o l i n o .............................................. 2 1 3
D edica d ell A u l u la r ia ..................................................... . 2 1 3

Epidico

......................................................................... 3 1 3

D edica dell' Epidico

317

ELENCO
DEI SIGNORI ASSOCIATI
ALLE V E S T I COMMEDIE DI M. A. PLAUTO
TRADOTTE DA PIERLUIGI DON1NI.

CREMONA ,
Alberini Pietro
Anzil Daniele, C ontrollore Postale
Aporti Ab. Don F erran te Cav. della Corona di F erro Di
re tto re delle Scuole Elem entari ecc.
Araldi F erdinando, Poss.
Araldi Nob. de Marchesi Pietro
Arcari Luigi M aestro Elem entare
Barb Nob. M anetta
Bargoni Sac. F o rtu n ato
B arneri Francesco Librajo
Beduschi Ing. Antonio Ass. Municipale
Bellini B ernardo Prof, di Filol. e Storia Univ. nell I. R. Liceo
Bergamaschi Sac. Gio. Batt.
B ertolani Don Giovanni
Berni Giuseppe
Bianchi Cesare M aestro Calligrafo
Bianchi Sac. Gio. Batt. Prof, nel Ginn. Vescovile
Biblioteca I. R.
Bignam i Innocenzo

Binda Dolt. Antonio


Binda Dott. Luigi
Bisoni Pietro M aestro nel Collegio di Cassano dAdda
Boni Giovanni
B rutti Angela
Cabrini P ietro Studente
Cadolino Ambrogio Poss.
Carini Giulio Poss.
Castelli Giuseppe I. R. Impiegato
Cazzaniga Fulvio Dott. in Medicina
Celli Sac. Francesco
C erri Luigi
Colla Carlo Ercole I. R. Pref. Ginn., Bib. Censore
Colla Francesco Commissario di Polizia Comunale
Colombi Domenico Ragioniere
Comminetti Sac. Serafino Prof, nel Sem. Vescovile
Contesini Rag. Giuseppe
Copelotti Rodolfo
Corbari Avv. Giuseppe I. R, Consigliere
Crotti Conte Francesco
De Micheli Luigi L ibrajo, p er due copie
D ovara Dott. Giovanni
Dorleans Gio. Batt.
F crrag n i Avv. Francesco
F errario Francesco Prof, nell I. R. Ginnasio
Fezzi Maestro privato Ginn. Gio. Batt.
F iorini Paolo
F ranchi Giuseppe Rag. nell I. R. Intendenza
F rigcrio Casimiro
Gabbioneta Dott. Signorio
Gaboardi D ott..Stefano

Germani Dott. Giovanni


Geromini Felice
Medico Prim ario

Ghisolf Avv. Alessandro


Ghisolf Dott. Alessandro
Giovannini Dott. Cipriano
Giovannini Luigi Dottor Fisico
G orra Giuseppe
Grasselli D ottor Annibale
Ingiardi Giuseppe Farm acista
Leoni Stefano
Lena V incenzi Ing.
Lom bardi Rainerio Poss.
Lucchini Giovanni Poss.
Maffi Avv. Maffino, per due copie
Magio-Pallavicino Mar. Fulvia
Maini Sac. Girolamo
M algara Dott. Giuseppe
M anara Nob. Gius. Cav. Gcros. I. R. Guard. Nob. Lomb.
M anna Nob. Ruggero
M ariani Achille
Marchi Pietro
M arenghi Giovanni
Mina Camillo Bolzesi
Nasi Giuseppe Liquidatore ali I. R. Intend.
Nova Alessandro I. R. Prof, di Filos. nel Liceo
Palosclii Sac. Cesare
Pasquinoli Ing. Francesco
Passoni Luigi Poss.
Peirani Gio. Batt. Poss.
Pianforini Luigi
P ighetti Angelo

Pini Giovanni Pref. quies. dell I. R. Ginnasio


Reboani Sac. Ercole
Redaclli Francesco Poss.
Rizzardi Francesco Ricev. al Dazio di P orta Po
Robolotti Francesco Dott. Fisico
Rossi Sac. Giovanni
Sajni Dott. Giacomo
Scalvi Rag. Achille
Serafini Paolo Maestro Eleni.,,
Tnlamazzi Giovanni
Tibaldi Dott. Gaetano
Trecchi Cesare Poss.
T renta Rag. Gaetano
Uggeri Dom enico-Farm acista
Vacchelli Cav. Gius. Vice Dirett. dell* I. R. Gin., per 2 cop.
V ergani Giacomo Poss.
Vicini Giovanni
Vigorelli Pietro I. R. Prof, nel Ginnasio
Vigorelli Pietro Poss.
Vism ara Sac. Giuseppe Dirett. dell I. R. Liceo
Zam bini Antonio M aestro Elem.
Zanoncelli Ing. Giulio Cesare Prof, nell I. R. Liceo
Zezi F erdinando Medico Provinciale
PROVINCIA DI CREMONA
Aldeghi M aestro Gin. Giuseppe, Casalmaggiorc
Alessandri Pietro, Casalbuttano
Armanini Giuseppe, idem
Ralcstreri Dott. Carlo, S. Giovanni in Croce
Barili Dott. L azaro, Scandolara R avara

Beltrami Eugenio, Casalbuttano


Bertani Pietro I. R. Ricevitore, Brancer
Biancini Vicario, Piadena
Boari Sac. Annibaie, idem
Borsieri Giuseppe, Soresina
Boschi Dott. Andrea, idem
Caffi Giuseppe, Casalbuttano
Cajo Dott. Fis. Andrea, Casalmorano
Capellini Sac. Giuseppe, P arroco Gera di Pizzi ghettone
Ceroni Pietro, Soncino
Covi Conte Cesare, Calcgnano
De-Poli Carlo, Casalbuttano
Donini Giuseppe, Drizzona
Fiorini Dott. Giuseppe, Gabbionela
F iorini Antonio quondam Ambrogio, idem
Giuletti Paolo Poss., Soresina
Gozzi Morizio F erdinando, Soncino
Jacini Giovanni Battista, Casalbuttano
L andriani Rag. Francesco, -Castelleone
Maccagni Rag. Pietro, Casalmaggiore
Macchi Giovanni Battista, Piadena
Magni Dott. Giovanni, Grontardo
Mazzoli Carlo, Castelleone
M ortara Antonio Enrico, p er due copie, Casalmaggiorc
Oliva Don Giuseppe P arroco, Drizzona
Padova Giulio Cesare Ing., Casalmaggiore
Passetti Angelo Ricevitore, Bosco ex Parm igiano
Pedrazzini Sac. Giuseppe P ar., G rontorto
Ponzoni Sac. Giuseppe P arroco, S. Lorenzo Guazzone
Porcelli Ing. Pio, Casalmaggiore
Quaini Sac. Massimiliano P arroco, P orto con Sommo

c
Ravarino Girolamo I. R. Comm. Dist., di Pcsearolo
Roncaglio Antonio, Castcllcone
Saltarelli Sac. Giovanni Cur., Torricella del Pizzo
Silva Domenico, Pizzighettonc
Sissa Luciano, Casalm aggiorc
Sonzogno Dott. Antonio, Casalbuttano
Strozzi Luigi Rag., Casalbuttano
T renta Sac. Angelo P arr., Trigolo
V crtua Sac. Giovanni Batt., Sorcsina
V crtua Dott. Giuseppe, Castelleonc
Viola Giuseppe Maestro Elem., idem
Voltini Don Genesio, Gussola
BRESCIA E PROVINCIA
Aiino Giuseppe, Goltolengo
Bazzoni M. R. Sac. Francesco P arr., Gambara
Beccalossi Avv. Cesare, Brescia
B eretta R. P. Giannignazio Retti ai Gesuiti, idem.
Beltoni Conte Francesco, idem
Bocca Pietro, idem
Calino Nob. Antonio, idem
Campana Avv. Pietro, idem
Capuzzi Pietro, Bedizzole
Carini Nob. Filippo, Brescia
Cassia Giuseppe Farm acista, Pontcvic
C eruti Giacomo, Brescia
Contini Antonio C hirurgo, Gambara
Cocchetti Carlo, Rovato
Cottani Ottavio, Brescia
Cupis Dott. Paolo, Pontevico

Cupis Dott. Bortolo, Pohtevieo


David P rete Carlo, Quinzano
Fenaroli Nob. Ippolito, Brescia
Fornasini Dott. Ottavio, idem
Franzini Clateo, idem
Gaggia Sac. Giuseppe, Verola Nuova
G^ndini Francesco I. R. Isp. Post., Brescia
Gandolfi Faustino Tomaso, Montechiaro
Garaffa Faustino, Chiari
Gasp*rini Prof. Luigi, idem
Gazzo Manfredo I. R. Agg., Montcchiaro
Gcrardi Dott. Gianluigi, Lonato
Ghidini Sac. Luigi, Chiari
Gorno Antonio, Pontevico
Gramatica Marco Antonio Farm ., Gottolengo
Lechi Giuseppe, Brescia
Machina Giovanni, idem
Manengo Dott. Fis., Gambara
Malossi Avv. Giuseppe, Chiari
Marcetti Paolo Neg., idem
Mazzoldi Avv. Angelo, Montechiaro
Mazzoni Cristoforo Poss., Chiari
Mazzucchelli Conte Luigi Gen. d Artiglieria, Brescia
Merlini Giuseppe Poss., Rovato
Monti Nob. Girolamo, Brescia
Nazzari Sac. Erm inio Are., Fiesse
Niccolini Giuseppe, Brescia
Olivari, Chiari
Pici Prof. Giuseppe, Brescia
Rossa Prf. Sac. Luigi, idem
Sacelli Camillo Dott. Fis., Alti anello

8
.
Saleri Avv. Gius. Cav. di pi ord., Brescia
Savoldi Giuseppe Dott. Fis., idem
S barbori Giuseppe Rag., Chiari
Sisti Carlo Imp., idem
Tavelli Giovanni Poss., Vcrola Nuova
Tcncbini Sac. Ant. Are., Verola Vecchia
Toccagni Avv. Attilio, Brescia
T uro tti Dott. Felice, Orzi Nuovi'
Ugoni Barone Camillo, Brescia
Viani Bartolomeo, Montechiaro.
MANTOVA E PROVINCIA
Acerbi Giuseppe, Castelgoffredo
Annelli Pietro Dott. Fisico, Castiglione delle Stiviere
Aroldi Don Luigi Arcip., Viadana
B arbetta Anseimo, Mantova
Bassoni Avvocato, Revere
Bendoui Giuseppe M aestro, O spitatelo
Beffa Negrini Nob. Ascanio, Mantova
Benitcndi Nb. Francesco, idem
Bertazzoli Don Gius. Are., Beverara
Bertoli Sac. Vincenzo, Asola
B orsatti Dott. Antonio, Ostiglia
Bottesini Ing. Giovanni, Viadana
Biblioteca Imperiale, M antova
Bignotti Mons. Giacomo Can. Are. della C&tt. idem
B rera Ing. Girolamo, Ostiglia
Bugni Ing. Giuseppe, Reverc
Calvetti M aestro Giovanni, Asola
Carpi Sac. Carlo, Sabbioneta

Casapina Sac. Marco, Viadana


Cavalli Asdrubale Gaetano, CastelgofTredo
Drasmid Luigi Imp. presso l I. R. Inten., Mantova
Fezzi Cesare Maesto, Sabbioneta
F o Dott. Alessandro, Sabbioneta
Foglia Ing. Antonio, Ostglia
Falla vigna Sac. Angelo Are., S. Martino dell Argine
Gaffurri Dott. Luigi, Mantova
Genncsi Sac. Eugenio, Ostiglia
Ghinosi B ernardino, idem
Giustachini Gian Giuseppe, altre volte Guardia d Onore,
. , Castiglione delle Stiviere
Gorini Avv. Giuseppe, Mantova
Grandi Prof. Canonico Tulio, idem
Grassi Dott. Enrico Luigi, idem
Grazioli Sac. Luigi Are., Revere
L ina Luca, idem
Lanzani Dott. Erm ogene, M antovaL ingeri Ing. Latino, Revere
M anetta P ret. Luigi Prof. Viadana
M artini P ret. Luigi Are., Ostiglia
Mascoli Giuseppe, Acquanegra
M azzarrella Amilcare I. R. Prof, di Fil., Mantova
M ontani Giplio Cesare Dott. Fis., Ostiglia
Montessanti Pret. Angelo, Viadana
Monteverdi Sac. Luigi Are., Isola Dovarese
M oretti Foggia Farm ., Mantova
Negri Francesco I. R. Censore, idem
Negrisoli Conte Giuseppe, idem
Polla Prof. Don Giuseppe, idem
P u crari Avv. Teodosio, idem

P uerari Avv. Luigi, Bozzolo


Predavalle Avv. Pietro, Mantova
Pasini Sac. Ang. Prof., Viadana
Riva Bortolo Dott. Fisico, CastelgoflVedo
Sabbadini Sac. Nicola, Viadana
Sangalletti Sac. Muzio, Sabbioneta
Seardovelli Sac. Adriano, Gonzaga
Schiappadori Sac. Luigi, Ostiglia
Sicardi Ing. Giuseppe, Mantova
Solferini Carlo, idem
Stram bio Can. S. B arbara I. R. Prof, di Filos., idem.
Sacerdotii Consiglio Rabbino, Sabbioneta
Tavolotti Dott. Giuseppe, Bozzolo
Tazzoli Sac. Prof. Enrico, Mantova
Tosi Sac. Don Luigi Are., Sabbioneta
Tosi P ret. Prof. Don Antonio, Viadana
Trabucchi Alessandro I. R. Cont., Ostiglia
LODI, CREMA E PROVINCIA
Annelli Sac. Luigi I. R. Vice Dirett. del Ginnasio, Lodi
Barili Prof. Giovanni, idem
Bassi Dott. Angelo, Sant Angelo
Beduschi Ab. Gio. Prof., Codogno
B enincori Girolamo, Lodi
Bcsia Sac. Giuseppe, Casalpuslerlengo
Biancbessi Massimiliano, Crem a
Biblioteca Comunale, Lodi
Bignamini D irettore, Codogno
Belloni P ietro, idem
Casoni Giuseppe Rag., idem

Ccsaris Cassano, Casalpusterlengo


Franzini Samuele, Senna
GafTuri Ing. Gaetano, Agnadello
Gallcani Luigi Poss., S. Colombano
Gallona Sac. Luigi P arr., i<lem
Ghisalberti Prof. Ab Antonio, Lodi
G uarnieri Giuseppe I. R. Med. Prov., idem
Marconi Dott. Leone, S. Angelo
Mcrlini Giovanni Prof., Codogno
Meszaros Nob. Lazzaro Col. degli Usseri Re di Sarei., Lodi
Mola Giovanni Maria, Maleo
Monico Giuseppe, idem.
Olccdli P rete Alessandro Prof., Codogno
Pandini Raimondo Farm ., S. Angelo
Parpanesi P rete Giuseppe, Casalpusterlengo
Perab Nob. P ret. Pasquale Prof., Lodi
P ietrasan ta Pret. Prof. Giovanni, idem
Polenglii Sac. Giuseppe R ettore, idem
Riccardi Giuseppe Prof. Codogno
Rota Alessandro, S. Angelo
Soler P rete Giovanni Prof., Crema
Tensini Dott. Giovanni, idem
Yanelli P rete Giuseppe, S. Colombano
Vignati Ab. Prof. Cesare, Lodi
Volonlieri Ab. Prof. Angelo, idem
BERGAMO E PROVINCIA
ssandri Sac. Giovanni P arr., S. Maria in Campagna
Baglioni Andrea, Bergamo
Biblioteca Comunale, idem
Bidelli P rete Vincenzo, Mozzanica
Camozzi Giuseppe^ Borno

Comaschi Giuseppe I. R. Prof. F ilologi Bergamo


Dolci F rane. Maria Prof.* idem
F e rra ri Giuseppe, idem
F e rra ri Giuseppe, idem
C arbagnati Prof. Ambrogio, idem
Mangili Nob. Pietro, idem
MafFei Nob. Cavai. G io.Jatt., e Ciarab. di S.M .I.R . A. idem
Rovetta Nob. Gius., idem
Secco-Suardo Conte Bartolomeo, idem
Secco-Suardo Nob. Leonino, idem
Truffelli Giovanni, Caravaggio
Zeni Francesco, Urgnano
MILANO E PROVINCIA
Bazzi Gio. Battista, Cassano d ' Adda
BcIIoni Dott. Giuseppe, Milano
Betalli Carlo Commis., Casteno
Brambilla Dott. Emilo, Milano
Branca Carlo Librajo, idem, per 3 copie
Borroni e Scotti Tipografi Libraj, idem, per 3 copie
Caporali Filippo Prof, d incisione, idem
Cesana Alessandro, idem
Corti Angelo I. R. Ricevitore, Lonate Pozzolo
De-Lugo Nob. F erdinanda, Milano
Dupuy Alessandro Librajo, idem, p er 6 copie
F ad a Prof. Ab. Pietro, Gorla m inore
F o rti Antonio, Milano
Guicciardi Nob. Gaudenzio, idem
Guglielmini Vincenzo Tip. Librajo, idem, per 8 copie
Lancetti Vincenzo, idem
Manini F rane, di Omobono Tip., idem, p er 2 copie
Mascagni Eligio, Cassano

Messaggi Giocondo Tip. Lib., Milano,, per 2 copie


Pallavicino Clavelfo Marc. U berto, idem
P irola Luigi di Giacomo Tip., idem, p er 2 copie
P iro lta e Comp. Tip. e Lib., idem, p er 6 copie
Pogliani-Boniardi Ved., idem, p er 2 copie
P ietrasanta Giacomo, idem
Resnati Giovanni Librajo, idem, per. 2 copie
Salvoni Prof. Ab. Pietro, Mofoza
Societ Tipog. de Classici, Milano, p er 6 copie
Stella Vedova e Giac. Figlio, idem, per 3 copie
Schizzi Conte Folchino, Cav. di pi ordini, idem
Schizzi Nob. Lodovico, idem
T urati Carlo Librajo, idem, p er 6 copie
Vallardi Pietro Giuseppe, idem, per 3 copie
COMO E PROVINCIA
Barelli Giuseppe, Griante
Bram billa Ab. Giuseppe, Como
Calandri Padre Francesco, idem
Camozzi Matteo, Menagio
Castelli Ing. Giuseppe, idem
Canarisi Nob. Ab. Serafino, Como
Cimbardi P rete Antonio P arr., Figino
Comolli Ragion. Giovanni, Como
F io ra Anseimo, Varese
K leiner Tito Commis., Menagio*
L am bertcnghi Nob. B aldassarre, Como
Leva Siro Ing. in Capo, idem
Mandelli Carlo, idem
Moreschi Giovanni, Menagio
Pozzi Matteo Rag. Agg. all Intend. Como
Racheli Antonio Prf., idem

*4
Salvi Achille, Menagio
Teglio Ab. Prof. Gius., Como
SONDRIO E PROVINCIA
Ballnrdini Frane. I. R. Commis. Distret., Chiavenna
Baragiola Giuseppe Prof., idem
Bianchi Prof. Giulio, Sondrio
Biblioteca Imperiale, idem
Castellani Giovanni Battista Are., M ontagna
Crivelli Antonio Rag. d Intetid., Morbegno
Croci Giovanni Commis., Tirano
Dall Acqua Giuseppe Ing. in Capo, Sondrio
D ragoni Sanie Controllore, Morbegno
F errari Pona Giovanni, Tirano
Galli Avv. Giov. Emilio, Sondrio
Criggi Giuseppe Cancelliere alla P retu ra, Chiavenna
Gualzetti Prof. Gio. Batt., Sondrio
Nani Carlo Controllore, Tirano
Otnodei Nob. Ulderico, idem
Parravicini Nob. Bernardo, Traona
Pini Giovanni I. R. Agg., idem.
Quaiui Don Stefano Catech., Sondrio
Riva Giuseppe Dott. Fisico* Campodolcino
Sfondrini Antonio Ricevitore, Chiavenna
Torelli Nob. F rane., Tirano
Tunesi Antonio Poss., C hiafenna
Tunesi Carlo Poss., idem.
Zanetti Gio. Battista C urato, Pianazzo
PAVIA E PROVINCIA
Alovisio Elia, Pavia
Aglio Giuseppe, idem

Chiappa Gii s'p p e Prof, di Clinica Med., Pavia


F ranzoni Giacomo, idem
Garlaschelli Antonio Imp. Del., idem
JUlesi Amatore, lelgiojoso
Nicelli Avv. Carlo, Gravellone
Oliva Pacifico, Pavia
V cnturelli Francesco Ing., idem
Vitali Nob. Rizzi T rotti, idem
UDINE
Gambierasi Paolo Librajo, Udine, per 3 copie
Rota Conte Francesco, idem
VERONA
Ravignani Conte Teodoro,
STATI DI PARMA
Adorni Dott. Enrico Noi., Parm a
Adorni Prof. Giuseppe, idem
Allodi Can. Prof. Don Giovanni, idem
Beliini Filippo, idem
Belli Avv. Pietro, Caslelvetro
Biblioteca Ducale, Parm a
Biblioteca Comunale di Busscto
Bosi Dott. Domenico Vice D irettore di Polizia, Parm a
Bottioni Speciosa Zanardi, idem
Bricca Prof. Antonio, Piacenza
Demald Jacopo, Busseto
Francischelli Antonio, Piacenza
Gasparotti Tomaso Archivista Ducale, Parm a
Gioja Avv. P ietro, Piacenza
Giordani P ietro, P arm a

Ingerii Cassiani Pad. Cassineso, Parm a


Leoni Cav. Prof. Michele, idem
Mondini Luigi, idem
Olivieri Avv. Dario, idem
Pallavicino Mossi Mar. Lodovico, idem
Pallastrelli Conte E tto re, Piacenza
Pellegrini Prof. P ietro, Parm a
Piroli Prof. Andrea, idem
Ronchini Profi Amadio, idem
Scaccia Lorenzo, Castelvetro
Scletti Dott. Erm enegildo, Roccabianca
Selvatico Conte P ietro, Piacenza
Sforza-Fogliani Don Raffaele, Prof, di D iritto Can. idem
Soldati F rancesco, Crece S. Spirito
Sanvitale S. E. Conte Luigi, Parm a
Silvani Don Eugenio Prof., P arm a
Soragna Meli-Lupi Mar. Casimiro, idem
T averna Ab. Giuseppe, Piacenza
Volpini Sac. Carlo Prev., idem
Zoni Jaeopo, Parm a
LIVORNO
Emporio Italo L ibrario di Andrea Nanni p er 12 copie

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