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BONIFAZIO:
Il dir il ver de' grandi con pericolo.
Ma non bisogna pi in parole perdere
Tempo, ma di cercar che quelle femine
Si lievino di casa; e come siano
Fuori, non ci ser tanto pericolo.
Non indugiate pi, ma siate in prattica
Di ritrovar quei scolari da Bergamo
Che dite, acci che 'l servitor vi prestino.
EURIALO:
Parvi ch'egli abbia a dir che messer Lazzaro
Le aspetti a Francolin o pur a Padova?
BONIFAZIO:
A Francolin ser pi verisimile.
EURIALO:
Se a mio padre venisse desiderio
D'accompagnarle poi?
BONIFAZIO:
E no!
EURIALO:
Pur...
BONIFAZIO:
Ditegli
Dunque che dica che le aspetta a Padova.
Dica cosi...
EURIALO:
E come?
BONIFAZIO:
Messer Lazzaro
Voler che le sue donne, senza indugia
Far pi a Ferrara, a Francolin sen vadino
Incontinente, et ivi un burchio piglino
E lo seguino; e questo perch perdere
Non vuol punto di tempo pi aspettandole,
Perch, essendo egli in una nave carica
E grave, s ch'a pena si pu muovere,
Senza ch'indugi 'l potran tosto giungere.
EURIALO:
Questo sta ben, e fia con men pericolo.
Io vo.
BONIFAZIO:
Sapr trovar la vostra stanzia?
EURIALO:
No, cred'io, perch giunsero pur sabato
Quei miei amici.
BONIFAZIO:
Del tutto informatelo.
EURIALO:
Farollo, bench questo sia superfluo.
BONIFAZIO:
E perch?
EURIALO:
Avendo forestiero a fingersi,
E mandato pur or da messer Lazzaro,
La cosa avria assai pi del verisimile
Quant'ei mostrasse men aver del prattico
BONIFAZIO:
Per mia fede, che voi dite benissimo.
Or andate via tosto, e ricordatevi
Ch'abbia di viandante vista et abito,
Mi crederete poi?
CLAUDIO:
E perch credere
Non vi debbo?
BONIFAZIO:
Or udite: messer Lazzaro,
La moglie, la figliuola, tutti alloggiano
In casa mia, et vero.
CLAUDIO:
Flamminia
E ora in casa vostra?
BONIFAZIO:
Evi Flamminia.
CLAUDIO:
Certo?
BONIFAZIO:
Certo.
CLAUDIO:
E certo che Flamminia
Si trova in casa vostra? e messer Lazzaro?
BONIFAZIO:
Certissimo.
CLAUDIO:
Certissimo?
BONIFAZIO:
Certissimo.
CLAUDIO:
S'io non la veggo con questi occhi proprii,
Non possibil ch'io lo possa credere,
N so pensar come vi possan essere.
BONIFAZIO:
La cagion perch il padre d'Eurialo
E ritornato, per un certo incommodo
Che gli avvenuto.
CLAUDIO:
tornato s sbito?
BONIFAZIO:
tornato; ma non punto fermatosi
Saria, se non avesse quelle femine
In casa, le quali egli si cred'essere
La figliuola e moglier di messer Lazzaro.
CLAUDIO:
O che mi dite?
BONIFAZIO:
Or qui fu l'importanzia
D'accomodar il dottor e le femine
Con la famiglia, alla sprovista giuntici
Adosso. Ora pensate che disturbo vi
Fu, che confusion; fu necessario
Che padre mi fingessi esser d'Eurialo,
E in casa mia accettassi messer Lazzaro;
E se cos io non iacea, trovavasi
Egli oggi aver nella casa di Bartolo,
In un tempo, due mogli e due Flamminie.
CLAUDIO:
E vi crede il dottor padre d'Eurialo?
BONIFAZIO:
S, crede; ma voglio ora andar a farmegli
Per quel ch'io son conoscere.
CLAUDIO:
Anch'io vogliolo
Venir a visitare.
BONIFAZIO:
Non, diavolo;
Che ci ch' fatto a terra gettaressimo.
Io non vorrei ch'ei sappesse che fostevi,
Non che in casa, ma se fosse possibile
In questa terra ancora, fin che fattogli
Non abbia bene a mio modo conoscere,
Perch detto gli avea ch'io fossi Bartolo.
E quest' la cagion per che aspettatovi
Ho qui, che, intrando come ste solito
In casa, seria occorso gran disordine.
CLAUDIO:
Non tardate pi dunque, ma espeditela
Tosto, acci tosto venghi la Flamminia,
Ch risoluto son di farla chiedere
Al padre, prima che di qui si partino.
Perder non voglio occasion s commoda.
BONIFAZIO:
Aspetteremo che prima s'addattino
Queste cose.
CLAUDIO
S'intende.
BONIFAZIO:
Di poi eccomi,
S'io sar buono.
CLAUDIO:
Sarete buonissimo,
Mi credo, e porr questo con gli altri oblighi.
BONIFAZIO:
Che oblighi? Quando gli amici si servono
In cosa ove non entrino che semplici
Parole, stimo che ci sia pochissimo.
Ma io son pronto, per farvi servizio,
Non che parole, ma del sangue spenderci
E, bisognando, questa vita propria.
Ma de la dote?
CLAUDIO:
Il parlarne superfluo,
Perch so ben io quello che profertomi
Fu quando il padre ricerc di darmela.
BONIFAZIO:
Ander in casa, con vostra licenzia.
CLAUDIO:
che far? Di qui non fia possibile
Ch'io parta.
BONIFAZIO:
Non vorrei che messer Lazzaro
Vi vedesse qui fuor: nelle camere
Da basso, che qui sopra a punto guardano.
Andate intanto a ritrovar Eurialo:
potrete trovar forse alla stanzia
Di quei scolari bergamaschi; e fattevi
Narrar queste sue tante gran disgrazie.
CLAUDIO:
Vo' andar pi tosto a trovar mastro Plinio,
Che mi scorti i capelli.
BONIFAZIO:
Farete ottima-
Son io.
FANTESCA:
Che domandi tu?
FROMBA:
Io son un servitor di messer Lazzaro.
MESSER LAZZARO:
(Chi questo mio servitor?) Che chiedi tu?
FROMBA:
Io son un servitor di messer Lazzaro.
MESSER LAZZARO:
Tu di errar. E di qual messer Lazzaro?
FROMBA:
Di quel dottore che va verso Padova.
MESSER LAZZARO:
Come? di quel dottore che va a Padova?
FROMBA:
Di quello da Pavia che vi va a leggere.
Questa casa non di messer Bartolo?
MESSER LAZZARO:
E ben? S ch' sua.
FROMBA:
Qui non alloggiano
Le donne di messer Lazzar?
MESSER LAZZARO:
Alloggianvi.
E ben, che vuoi?
FROMBA:
Ste voi messer Bartolo?
MESSER LAZZARO:
S ch'io son desso: e ben? (La voglio intendere.)
FROMBA:
Mi manda messer Lazzaro, e salutavi.
MESSER LAZZARO:
E quant' che tu servi messer Lazzaro?
FROMBA:
Allevato mi sono fin da picolo
In casa sua.
MESSER LAZZARO:
E bene, che concludi tu?
FROMBA:
Concludo che mi manda messer Lazzaro,
Perch'io meni le sue donne via sbito,
Acci che tosto le possano giungere,
Che sen va inanzi in barca verso Padova.
MESSER LAZZARO:
Menar via le mie donne? E con ch'audacia
Ardisce questo furbo tal tristizia?
Scelerato, ribaldo, temerario!
Vedi che tristo truffator! Lasciatemi
Scender: gli vo' del corpo cavar l'anima.
SCENA XIV
Bartolo, Fromba
BARTOLO:
Che sono questi che fan s gran strepito
Insieme?
FROMBA:
Adunque s'ha da far ingiuria
Ad un ch' servitor di messer Lazzaro,
Perch' venuto a trre di suo ordine
Le sue donne?
BARTOLO:
Tu stai con messer Lazzaro?
FROMBA:
Vi sto per certo.
BARTOLO:
Non esser in cler.
Dimmi, tu sei venuto a menar via le
Sue donne? Non rispondi? Ove va'? Fermati;
Errat'hai l'uscio, vien meco.
FROMBA:
Lasciatemi.
BARTOLO:
Vieni, che sono in casa mia: affermati.
Odi, se vuoi. Al muro! (Aver gli debbono
Fatto paura, e per questo s timido,
N si fida di me. Udii nel giungere
Ben io, ch'io feci, uno che minacciatolo
Avea. Vo' farlo ritornare.) Aspettami!
ATTO QUINTO
SCENA I
Bartolo, Accursio, Riccio
BARTOLO:
Ben sarei pazzo s'io credessi giungere
Oggi quel servitor di messer Lazzaro.
Come ebbe voltato quel canto, un barbaro
Non l'avria giunto. Com'esser de' timido!
Gli debbono aver fatto senza dubbio
Qualche paura. Che razza del diavolo
Sono questi scolari! Ma far vogliolo
Cercar di novo. Ol, dite ad Accursio
Ch'a me ne venga tosto. Vien qua, Accursio.
ACCURSIO:
(Ohim, che 'l Riccio vien.)
BARTOLO:
Ti fermi, bestia?
ACCURSIO:
(Ser scoperto.)
BARTOLO:
A chi dico io? Su, affrettati.
RICCIO:
Io non vorrei che costor mi tenessero
In tempo, ma che tosto m'espedissero.
ACCURSIO:
Deh, venite con me, patron; vi supplico
Che mi aiutate in cosa d'importanzia
Grande.
BARTOLO:
Ove vuoi ch'or venga? e che importanzia
questa?
ACCURSIO:
Andin fino alla Piazza; in grazia
Ve lo domando: vi far poi intendere
Per strada il tutto.
BARTOLO:
Non puoi ora dirmelo?
Tu mi par morto.
RICCIO:
E quando pur voglia essere
Duro, n voglia rendermi la giovane...
ACCURSIO:
RICCIO:
Non ho da far con voi n, perdonatemi,
So che vi siate.
BARTOLO:
Or non vedi? E che pensi tu
Di poter far? Dov'entri, temerario?
RICCIO:
Qua dentro, per parlar a messer Lazzaro
Per mio interesso.
BARTOLO:
Et a qual messer Lazzaro?
RICCIO:
A quel dottor ch' venuto.
ACCURSIO:
(Levatomi
Sono di sotto.)
BARTOLO:
Non messer Lazzaro
Ivi, n alcun dottor, e meravigliomi
Ben di te.
RICCIO:
Non vi sta messer Eurialo?
BARTOLO:
E bene?
RICCIO:
Non v' dunque messer Lazzaro?
Ma non son qui venuto per combattere
Con voi.
BARTOLO:
Se meco tu non vuoi combattere,
Non la tr con costui n con Eurialo.
RICCIO:
Adunque non ho io da far mio debito?
BARTOLO:
Che debito, capestro? Se adirare mi
Fai, io ti far porre in luoco... Accursio,
Vien meco. Ove costui?
RICCIO:
Io non lo merito,
E son uomo da ben; ma se vietatomi
Avete ch'io non parli a messer Lazzaro,
Non importa; sapr ben io procedere
Per altra via, ch'a lor pi rincrescevole
Parr assai.
BARTOLO:
Non tel vieto, ma ben dicoti
Che non venuto.
RICCIO:
Se 'l nocchier dettomi
Ha che smontato, non ancora passano
Due ore, perch debb'ora a voi credere
Che venuto non sia?
BARTOLO:
E come conosci tu
Messer Lazzaro? e dove?
RICCIO:
Conosciutolo
Ho in Pavia, e sono in quella nave propria
Venuto ov'egli e tutta la famiglia.
BARTOLO:
Fino a Ferrara?
RICCIO:
Quasi.
BARTOLO:
Pu ben essere
Ver questo, ma non sai forse che d'animo
Si mut, giunto a Ficarol, e, voltosi,
Per l'altro Po che va a Venezia gito.
RICCIO:
Pur volete aggirarmi 'l capo: dicovi
Ch'egli venuto in Ferrara.
ACCURSIO:
(Nasconderei
Pi non possin.)
BARTOLO:.
Tu pigli error grandissimo.
ben ver ch'oggi vener con Accursio
La figliuola e moglier di messer Lazzaro.
Tu squassi 'l capo; e perch non vuoi credermi?
Cos veramente.
RICCIO:
Con Accursio
So ben che son venute le due femine
Ch'io cerco, non le due di messer Lazzaro.
(Si pensa forsi ch'io sia un qualche buffolo.)
BARTOLO:
Quai donne cerchi tu?
RICCIO:
Cerco la giovane
Sol c'ha fatto sviar messer Eurialo
Dalla patrona mia, e che qua Accursio
Ha guidata. Pensate che benissimo
Sappiamo il tutto.
ACCURSIO:
(N'acconcia la cuffia
In capo, il manigoldo!)
BARTOLO:
Ah, ch'io m'imagino
(Sta' a veder) qual debb'esser questa prattica.
Era con quella giovane altra femina?
RICCIO:
Vi era una vecchia che stav'al servizio
Di mia patrona; s ch'ormai comprendere
Potete ch'io so il tutto, e che nasconderla
impossibil.
BARTOLO:
Nasconderla, eh? Gi Eurialo
Sa dunque che sian femine? O bel studio
Ch'egli avr fatto! E ser stat'Accursio
Il dottor. Come il capestro piantatomi
Ha qui! Ben chiaro or comprendo che femine
Sian queste, e per che causa non voleano
Esser vedute, e di dormir fingeano.
Ben stavo in dubbio come potesse essere
Che la moglie d'un uom di tanto credito
E la figliuola qua venute fossero
Non avendo altro in compagnia che Accursio.
Pincon ch'io son! A questo modo, Eurialo,
Cos mi burli? A suo padre, eh?
RICCIO:
(Dev'essere
Questo suo padre.)
BARTOLO:
O se indugiato quindici
O venti giorni avessi, come in ordine
Avria messo la casa? quando la empie
Il tristo di puttane, come sbito
N'ho messo fuor il piede? Ma che indugio
Io pi a cacciarmi di casa queste asine
A suon di busse?
ACCURSIO:
(Non pi da perdere
Tempo, ma di trovar messer Eurialo,
Acci venghi a difender queste misere.)
BARTOLO:
far lor quell'onore che merita
mio onesto figliuolo e 'l suo procedere.
RICCIO:
Io non avea compreso, perdonatemi,
Che foste il padre di messer Eurialo.
Non era mia intenzion di questa prattica
Parlar ora se non con messer Lazzaro.
Ma poi ch'a voi la cosa nota, pregovi
A non far dispiacer a quella giovane,
Perch fu cittadin di questa patria
Suo padre.
BARTOLO:
Un bell'onor gli d e un bel credito!
E di che casa fu?
RICCIO:
Qui ho una memoria
Di man de la patrona mia: leggetela.
BARTOLO:
De' Vernazzi costei? Com' possibile?
Sai tu il nome del padre?
RICCIO:
Non, la giovane
Lo de' sapper; da lei si potr intendere.
Da la patrona ho commissione et ordine
Di ritrovar i suoi parenti e dargliela.
BARTOLO:
Perch fa tua patrona questa instanzia
Di ritrovar una che fatto le abbia
S poc'onor?
RICCIO:
Perch tal diligenzia
Ella fa vi dir, da poi che intendere
Desiderate il tutto.
BARTOLO:
Anzi il desidero.
RICCIO:
Gi stete questa mia patrona a Napoli,
Ov'era maritata, e con lei similemente stava la madre dell'Ippolita,
Ch'Ippolita si noma questa giovane,
Che la serviva per donna da camera.
BARTOLO:
Questa giovane ha donque nome Ippolita?
(Oh fosse quella!) Ma per tua f, seguita.
RICCIO:
BONIFAZIO:
Uditemi.
EURIALO:
Non mai; ma ben mi par strano che fattomi
Siate cosi contrario.
BONIFAZIO:
Io contrario?
SCENA IV
Accursio, Eurialo, Bonifazio
ACCURSIO:
O mio patrone, io temo di non essere
Tardato troppo; non sappea ove volgermi
Per dirvi questa nostra altra disgrazia.
EURIALO:
Che sera questo ancor? Di', e tosto ammazzami.
ACCURSIO:
Son state or ora scoperte le astuzie
Nostre a vostro padre.
EURIALO:
E chi ha scoperteci?
ACCURSIO:
Il Riccio; e se non ci provedin sbito,
Potr far dispiacere a quelle misere,
Ch'udii che minacciava lor di batterle.
Ma che tardate voi? Perch a soccorerle
Indugiate? Volete che l'Ippolita
Vostra oggi sia con vostro vituperio
Cacciatavi di casa, et ignominia,
A guisa di una meretrice publica?
EURIALO:
Mio padre vuol farmi una tanta ingiuria?
Non sel pensi, n fia gi mai ch'io'l toleri.
Vo' che prima m'ammazzi, che mai dicasi
Ch'io sia per comportar un tant'obbrobrio.
Aprite! Ol, non udite? Ol, apritemi!
Vedi se viene alcuno!
BONIFAZIO:
Debb'io credere
Che voglia far una villania simile?
Per Dio, non saria gi cosa laudabile.
ACCURSIO:
Parvi che le sciagure oggi m'affoghino?
BONIFAZIO:
Vi siete retti, a dirvi 'l ver, da giovani.
ACCURSIO:
Deh, maledetta sia la mia disgrazia!
E chi pensat'avria mai che tornarsene
Questo vecchio dovesse oggi? Ma il solito
E questo, di far sempre gli giudicii
Secondo che si vede che riescano
Gli effetti; ma se succeduti fossero
Secondo il mio giudicio, appien lodatone
Sarei da voi e da messer Eurialo.
Ma perch i miei disegni hanno tristo essito,
Ci ch'avr fatto parr star malissimo.
SCENA V
Riccio, Accursio, Bonifazio
RICCIO:
O gran sorte ch'avuto oggi ha l'Ippolita!
ACCURSIO:
EURIALO:
Io stava in dubbio
Se dicesse da seno, non parendomi
Che fosse cosa punto verisimile
Ch'avesse a darmi per moglie una giovane,
E senza dote e senza pur connoscerla.
Ma quando poi soggiunse costei essere
Stata figliuola di quel che lasciataci
Avea la robba, fui da tanto gaudio
Preso, che nulla gli seppi rispondere.
Cessi 'l timor et i sospetti cessino
Omai. O lieto giorno, o felicissima
Notte, in che spero goder la mia Ippolita,
Ch'io amo tanto e che tanto desidero!
ACCURSIO:
Non mi posso tener. Patrone?
E URIAL O:
O Accursio,
O Bonifazio, non sappete?
BONIFAZIO:
Allegrami
De la grande allegrezza vostra.
EURIALO:
Detto ve
L'ha il Riccio?
BONIFAZIO:
No; test da voi abbiamolo
Inteso, ch'ivi ermo ritiratisi
Quando usciste.
ACCURSIO:
Non stimo che il mio gaudio
Sia men del vostro.
EURIALO:
Che ti par, Accursio?
ACCURSIO:
Siamo rinati, poi che da fastidii
Tanti siamo riusciti a felice essito.
BONIFAZIO:
A pena imaginar si potrian gli uomini
Le cose s compite, come accascano
Alle volte. Ma stat' pur notabile
'Sto caso: non poteva a miglior termine
Riuscir a tutti noi.
EURIALO:
Deve venirsene
Mio padre a ritrovare messer Lazzaro,
Che venga a casa nostra. Maravegliomi
Ch'induggi tanto.
BONIFAZIO:
Sa ch'a messer Claudio
Dia la figliuola?
EURIALO:
Lo sa perch dettogli
L'ho, e pregato a disporre messer Lazzaro
A contentarsi ch'ambi i sponsalizii
Nostri stasera in compagnia si facciano.
Ma ove trovar si potria messer Claudio?
ACCURSIO:
La cosa adunque vera?
BONIFAZIO:
Ell' verissima.
Vuoi ch'io t'insegni come a guadagnartene
Abbi un paro di calze? Corri sbito
Alla bottega, ov', di mastro Plinio,
A dargli questa nuova; e di' che sbito
Venga.
ACCURSIO:
Non lo sa dunque?
EURIALO:
Ancor sappiutolo
Non ha. Va' poi, e mio padre solecita
A venir tosto. Intanto messer Lazzaro
Ritrovaremo.
ACCURSIO:
S'io vo, assicuratemi
Voi il camino?
EURIALO:
Non ne aver gi dubbio,
Ch tosto offese simile si scordano:
Levata gli hai la spesa d'ir a Napoli.
Va' pur sicuro, e digli ch'aspettiamolo.
ACCURSIO:
S'a cena noi non v'invittin, scusateci,
O spettatori, perci che facendosi
Le nozze alla sprovista, non potrebbesi
Fare per tanti provision s sbita.
Or mostrate con segno di letizia
Che piacciuta vi sia questa comedia.