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L'IMPERFETTA

CONTINUAZIONE DI VIRGINIO ARIOSTO


A "I STUDENTI" DI LUDOVICO ARIOSTO
(Terminata nel 1554 e con ogni probabilit rappresentata nel luglio 1556 nel caste
llo di Torchiara dinanzi a Margherita d'Austria, duchessa di Parma)
ATTO QUARTO
SCENA IV
BARTOLO:
Vieni, Accursio,
Meco, ch'io voglio che tu ponga in ordine
La camera da basso per Eurialo.
ACCURSIO:
Come ci dano or noia queste femmine!
SCENA V
Agnolo forestiero
AGNOLO:
Ch'in una tal citt non sia sommaria
Ragione, almeno nelle cose liquide,
E ci bisogni coi denari spendere
La vita e 'l tempo, oh che gran vituperio!
Diedi in Cremona a Pietro da le Maschere
Miei panni, che d'accordo fatto valsero
Ottocento cinquanta lire e tredici
Soldi; e tal somma di pagar promessomi
Avea, con un suo scritto di man propria,
Senza fallo quell'anno, al Natal prossimo.
Venuto un tempo che non si pu credere
Pi ad alcun: ch'oltra che con sue chiacchiere
M'abbia menato tre anni continuamente, mi di poi stato forz'all'ultimo
Da casa venir qui, dove stracciatomi
Ha con sue liti dui anni continovi,
Liti che si pn dir guerre atrocissime.
Il cuor del corpo ci ho speso, stentatomi
Sono la nott'e 'l giorno; or vedi ch'utile
N'ho cavato: mi stato necessario
D'accordarmi al fin seco. Era pericolo,
S'io non facea cos, che mai pi in saecula
Saeculorum io gli avessi; ma pazienzia!
Trecento lire ho tirat'ora, e fattomi
Si debitor del resto et ubligatosi,
Per instrumento fatto in forma camerae
Di pagarmelo a quest'agosto prossimo.
Almen foss'ella moneta che spendere
Potessi ancora altrove: caricatomi
Ha de tanti quatrini, che portandoli
Credo che stancariano ogni fort'asino.
Quel gargion mi ha tenuto due grossissime
Ore in istento, mentre annoveravali,
Onde seguir non potei messer Lazzaro
N fargli motto; ch'allora, trovandomi
Occupato, non mi mossi del fondaco.
Fu buona sorte la mia, che vedutolo
Abbia cos passar; ch'ito sia, pensomi,
Ad alloggiar a casa di quel Bartolo,
Come gi mi fe' intender per sue lettere.
Ma non veggo persona da cui intendere

Io possa in qual di queste case egli abiti:


Mi stato nondimen detto ch'ei stanzia
Vicino a questa chiesa di San Steffano.
SCENA VI
Bonifazio ,Eurialo., Agnolo
BONIFAZIO:
Cercate pur che le donne si lievino
Di casa, e tosto pi che sia possibile;
Che, come siano fuor, non c' pericolo.
EURIALO:
Vi dir 'l vero: quanto pi considero
La cosa, tanto pi mi perdo d'animo.
AGNOLO:
Di quel ch'io cerco, forsi che informarmene
Sappran costoro, che qui dietro parlano
Insieme. - Cerco la casa d'un Bartolo,
Ch', credo, de' Marioti: voi saprestemi
Mostrar per sorte qual fosse?
BONIFAZIO:
Sappiamola.
Per vostra fede, dite, se mi lecito
Saperlo: che vorreste da quel Bartolo?
AGNOLO:
Un dottor penso, detto messer Lazzaro,
Alloggi seco, pur oggi venutovi,
Ch'io vedrei molto volontieri, essendovi.
BONIFAZIO:
Come vi nominate?
AGNOLO:
Io mi nomo Agnolo.
BONIFAZIO:
Ste forastier?
AGNOLO:
Sono.
BONIFAZIO:
Messer Agnolo,
Quello che voi cercate, io vi certifico
Che non in questa terra, che sappressimo
Ancora noi se ci fosse; e credetelo.
AGNOLO:
Io so che ci . Ma ste messer Bartolo
Voi forsi?
BONIFAZIO:
Sono, alli vostri servizii.
AGNOLO:
Io vi ringrazio; ma perch gi scrissemi
Ch'a Ferrara venir aveva in animo
E d'alloggiar con voi, per credevomi
Che vi fosse venuto. Or, non essendovi,
Me n'andr al porto, ove forse informarmene
Potr o dai fachini, che portatogli
Han le valigie, o da quei che condottolo
Hanno in barca.
BONIFAZIO:
ben vero ch'aspettatolo
Abbiamo noi ancora, perch scrittoci
Avea di venir qui; ma poi mutatosi,
Non so per qual cagion, di proposito.
AGNOLO:
Egli venuto: con questi occhi proprii

L'ho veduto io; credetel, ch' verissimo.


Ma allora, in certo banco ritrovandomi
Occupato in alcuni miei negozii,
Non potei salutarlo e far mio debito.
EURIALO:
Tolto l'avrete in fal, senz'alcun dubbio.
AGNOLO:
Come in fallo? Ho pur tanto messer Lazzaro
E tanto tutta la fameglia in prattica,
Che pur li credo omai tutti connoscere.
Ma s'io vo al porto, spero aver notizia
Dov'egli sia. Restate in pace.
BONIFAZIO:
Andatene
Alla buon'ora.
EURIALO:
S, che 'l collo rompere
Si possa, in fumo andar il corpo e l'anima.
Che vi par di quest'altro, Bonifazio?
Guarda che gente da casa del diavolo
Oggi mi vien a dar tormento e crucio!
Saren al fin scoperti, non ci dubbio,
Dalla importunit di questo buffalo,
Perch averr che quei fachin medesimi
Che le robbe portr di messer Lazzaro,
A casa vostra il conduran: vedretelo.
BONIFAZIO:
Volete ch'io secondo il mio giudicio
Governi tutta la cosa?
EURIALO:
Di grazia!
Ma come si potr? Eh, Bonifazio,
Vi prego ad aiutarmi; in voi commettomi
Tutto, e in voi tutte queste mie miserie.
BONIFAZIO:
Lo vo' chiamar indietro. O messer Agnolo!
AGNOLO:
Chiamate me?
BONIFAZIO:
Se vi piace, fermatevi
Cost, lo vi confesso che 'l contrario
Vi ho detto di quel ch'; ma ora dicovi
Vero ch'in 'sta mia casa messer Lazzaro;
Ma perch' mal provisto, per suo commodo
Vorrebbe starci (m'intendete) incognito.
Ma perch il dir bugie non mio solito,
Vi ho ricchiamato: so ben che voi incommodo
Non gli vorrete dar.
AGNOLO:
Certo ch'incommodo
Io non gli vorrei dar; ma vi certifico
Ch'avr di veder me piacer grandissimo,
Perch di ragionar meco desidera:
E poco (a punto fu quand'aveva animo
Di trasferirsi in questa terra a leggere)
Che da Pavia mi scrisse 'l desiderio
Ch'avea di giunger qua pria che partito me
Ne fossi, per poter un suo negozio
Conferir meco di qualche importanzia.
BONIFAZIO:

L'andar e 'l star a vostro beneplacito.


AGNOLO:
Io vi ritorno a dir ch'egli desidera
Di vedermi e parlarmi, et io il medesimo:
Per il vederci ad ambi fia gratissimo;
N ch'io gli sia di noia avete a credere,
Perch tra noi una stretta amicizia.
BONIFAZIO:
Da poi che pur vi par di far tal visita,
Andin; verr con voi fino alla camera.
- Incontinenti a voi torno, aspettatemi.
AGNOLO:
Non vorrei che lasciaste sol quel giovane.
BONIFAZIO:
Non importa, ch insieme sin domestici.
Fia ben che non diciate a messer Lazzaro
Cosa alcuna che detta pria vi avamo.
Intrate.
AGNOLO:
Tocca a voi.
BONIFAZIO:
Entrate, pregovi.
AGNOLO:
Non so la stanza: andate oltre, di grazia.
SCENA VII
Eurialo solo
EURIALO:
Non credo che mai fosse in alcun secolo,
N ch'ora sia, n che gi mai poss'essere
Uno che in cosi breve e poco spazio
Sia stat'oppresso da tante disgrazie.
A che consiglio, a che partito apprendere
Mi debbo pi, se li vien tutti a rompere
Fortuna, che me sol oggi perseguita
E me solo tormenta e me sol lacera?
SCENA VIII
Bonifazio, Eurialo
BONIFAZIO:
Io non pensava che mai dovess'essere
S importuno costui, com', dicendogli
Massimamente ch'ai dottor fastidio
Si dava, a visitarlo ora, et incommodo.
Ma s'anco detto il vero non gli avessimo,
Era, come diceste voi, pericolo
Che cercandolo, come senza dubio
Faceva, non scoprisse a messer Lazzaro,
E forsi ancora a vostro padre i traffichi
Nostri, di modo ch'era necessario
Pur far cos.
EURIALO:
E come fia possibile
Da tanti e tanti lacci mai difendersi?
Aver noi dato a mio padre ad intendere
Che sia la Veronese e sia l'Ippolita
La figliuola e moglier di messer Lazzaro,
E poi voler ancor che messer Lazzaro
Creda che siate voi mio padre Bartolo:
La qual cosa, se ben era dificile
Molto e brigosa da poter nascondere,
Avria pur forse potuta riescere;

Ma or ne sopraggiunge questa bestia,


Tutt'i nostri disegni ad interrompere.
Ma questo nulla appresso gli altri incommodi.
Il servitor che dietro a queste femine
venuto, di molta pi importanzia:
Egli i nostri ripari, egli le astuzie
Far uscir vane, et al fin ser l'ultima
Ruina mia; e ci ser certissimamente, ch'io 'l veggo, e mentre ci considero,
Mi sent'ohim mancar la vita e l'anima.
BONIFAZIO:
Or sia come si voglia, ci rimedio
Se in tutto a me vi lasciarete reggere.
Statene allegro, non perdete l'animo,
Ch li nostri disegni avran buon essito.
Sapete, quando noi ci consigliassimo
Che in casa mia alloggiasse messer Lazzaro,
Che lo facemmo con pensier et animo
Di discoprirgli 'l tutto: or far pi induggio
Non mi par che si debbia; per vogliolo
Chiarir del vero, e farmeli connoscere,
E dirgli come queste cose passano.
EURIALO:
E' vero che fu detto; ma era anco ordine
Di non manifestargli queste prattiche,
Fin ch'alquanto assettate pria non fossero;
Ma pi che mai mi paiono in sgombiglio.
BONIFAZIO:
Che voglin pi aspettar, s'ognor pi crescono
Gli intrichi, e nuovi ognor pi sopraggiungono?
EURIALO:
Pur ch'a mal non s'arrechi messer Lazzaro
Di quel che gi gli abbiamo fatto credere.
BONIFAZIO:
Sarebbe forsi per pigliarne cler,
S'altri che noi gli ne desse notizia;
Ma di che debbe dolersi, vedendo la
Cosa tutta da buon fine procedere?
Forsi ch'abbin cercato fargli ingiuria
O burla? Gli dir come pigliassimo
Questo partito che, in caso s sbito,
Ch'altro far per salvarci non sapessimo.
Lasciate pur a me tutto 'sto carico,
E spero poi ancor di far che stiasi
Il servitor della Contessa tacito.
EURIALO:
E come si far?
BONIFAZIO:
Con prieghi e premii
Faremo si che ci sar propizio.
EURIALO:
Non vorr.
BONIFAZIO:
Si corrompono li giudici,
Li podest, li cardinali e vescovi,
E non volete ch'un servitor volgere
Possin, che come gli altri anco ei debb'essere
Pi ch'ai ben del patron pronto al suo utile?
EURIALO:
Il papa ancor vi dovevate aggiungere.

BONIFAZIO:
Il dir il ver de' grandi con pericolo.
Ma non bisogna pi in parole perdere
Tempo, ma di cercar che quelle femine
Si lievino di casa; e come siano
Fuori, non ci ser tanto pericolo.
Non indugiate pi, ma siate in prattica
Di ritrovar quei scolari da Bergamo
Che dite, acci che 'l servitor vi prestino.
EURIALO:
Parvi ch'egli abbia a dir che messer Lazzaro
Le aspetti a Francolin o pur a Padova?
BONIFAZIO:
A Francolin ser pi verisimile.
EURIALO:
Se a mio padre venisse desiderio
D'accompagnarle poi?
BONIFAZIO:
E no!
EURIALO:
Pur...
BONIFAZIO:
Ditegli
Dunque che dica che le aspetta a Padova.
Dica cosi...
EURIALO:
E come?
BONIFAZIO:
Messer Lazzaro
Voler che le sue donne, senza indugia
Far pi a Ferrara, a Francolin sen vadino
Incontinente, et ivi un burchio piglino
E lo seguino; e questo perch perdere
Non vuol punto di tempo pi aspettandole,
Perch, essendo egli in una nave carica
E grave, s ch'a pena si pu muovere,
Senza ch'indugi 'l potran tosto giungere.
EURIALO:
Questo sta ben, e fia con men pericolo.
Io vo.
BONIFAZIO:
Sapr trovar la vostra stanzia?
EURIALO:
No, cred'io, perch giunsero pur sabato
Quei miei amici.
BONIFAZIO:
Del tutto informatelo.
EURIALO:
Farollo, bench questo sia superfluo.
BONIFAZIO:
E perch?
EURIALO:
Avendo forestiero a fingersi,
E mandato pur or da messer Lazzaro,
La cosa avria assai pi del verisimile
Quant'ei mostrasse men aver del prattico
BONIFAZIO:
Per mia fede, che voi dite benissimo.
Or andate via tosto, e ricordatevi
Ch'abbia di viandante vista et abito,

E che di fango tutto egli sia succido.


EURIALO:
Ancor che non volesse, ser sucido,
Per questa terra andando fangosissima.
SCENA IX
Bonifazio solo
BONIFAZIO:
Un pensier mi si volge ora per l'animo,
Che senza dubbio alcun per riescermi.
Ma ecco finalmente messer Claudio;
Mal volontier di qui prima partivomi,
Ch'io parlassi con lui o con Accursio.
SCENA X
Claudio, Bonifazio
CLAUDIO:
I dispiaceri e le offese gravissime
Pi ch'esser ponno, dai nemici fatteci
Ne la robba, nel sangue e in noi medesimi,
Stimo che meglio tolerar si possano
Che non si ponno tolerar le ingiurie
Che ci fanno gli amici; et verissimo.
Che, se t'offende il nemico, non seguita
Che per tal fatto egli n'acquisti biasimo
Sempre, non sendo tal cosa contraria
Alla natura; anzi, pur vendicandosi
Dei ricevuti oltraggi, acquista gloria
Spesso. Ma se 'l tuo amico, se 'l domestico
Compagno tuo t'inganna, in lui fidandoti,
Qual ragion o qual scusa il pu difendere
Che non s'acquisti di malvaggio e perfido,
D'iniquo e traditor nota indelebile?
Ero compagno et ero amico intrinseco,
Quanto si possa dir, di quest'Eurialo:
Io l'amava, e di lui tanto fidavomi,
Quanto e pi se fratello stato fossemi;
Di ch'or mi rende il disleal tal merito.
Di esser tradito avrei potuto credere
Da ogni altro, salvo che da questo perfido,
Da questo scelerato. Or va' pi, e fidati!
BONIFAZIO:
Pu esser ch'egli ancor sia nel medesimo
Errori
CLAUDIO:
Deh, perch non posso uccidere
Ora quel tristo colle mie man proprie,
E del petto strappandoli le viscere
E quell'infido cuor, a terra spargerli,
S ch'i cani e gli augelli se n'empiessero?
Deh, vedessi ora quella casa in polvere
Andare e con lei insieme quelli perfidi,
Si che mancass'il lor seme! Oh Flamminia
Crudel, come s tosto il gi tuo Claudio,
S tosto uscito ti della memoria?
E questo il guiderdone, questo 'l merito
Che mi rendi del bene incomparabile
Ch'io ti voglio, pi ch'altri infelicissimo?
BONIFAZIO:
Vo' andargli contra, e di questa ignoranzia
Vo' trarlo.
CLAUDIO:

Cos adunque tu remuneri


La tanta servit ch'a te ingratissima
Ho usata? O fede tante volte datami!
O promesse ch'or van sparse per l'aria!
Deh, maledetto che si fida in femina
E in uomo ancor, tutti fallaci e perfidi!
BONIFAZIO:
Io vengo a voi per darvi, messer Claudio,
Nuova vera, et a voi di tanto gaudio
Quanto la falsa fu d'amaritudine.
Che direste se quella che credamo
Figliuola del dottor fosse una giovane
Fuggita da Pavia, e qui venutane
Oggi per ritrovar il nostro Eurialo,
In compagnia d'una vecchia e d'Accursio?
CLAUDIO:
Eh, questa non mi par cosa da credere.
Essendo come dite, perch fingono
Altrimente, et a me perch lo celano?
BONIFAZIO:
Vi dir. Quando queste donne giunsero,
Voi sapete che poch'era che Bartolo
Partito era di qui per ir a Napoli.
Ora, temendo di Piston Eurialo
Che sapper non facesse il tutto a Bartolo
Di queste donne, a lui dano ad intendere,
E agli altri ancor, che sian di messer Lazzaro.
CLAUDIO:
Vi debbo, o non, intieramente credere?
BONIFAZIO:
Credete voi ch'io ardisca ad affirmarlovi,
Come fo, s'io non l'avessi certissimo?
CLAUDIO:
Se la figliuola voi di messer Lazzaro
Non conoscete, n quell'altra giovane
Che dite esser venuta con Accursio,
Non so gi come possiate affermarlomi.
BONIFAZIO:
Io non conosco dunque la Flamminia?
CLAUDIO:
Or veggo ben: deh, non dite di grazia
A me pi simil baie, ch se l'essere
Mio voi sappeste non deleggiarestemi.
BONIFAZIO:
E che baie dico io? Forsi dispiacevi
Che cos bella giovine vi nomini?
CLAUDIO:
Non mi date, vi prego, pi fastidio.
BONIFAZIO:
Avete gelosia perch conoscola?
Ma che fareste voi dunque, dicendovi
Che in casa mia sia la vostra Flamminia?
Ma a por da parte quel sospetto pregovi,
Ch'avete preso fuor d'ogni proposito,
Ch'io vi sia contra e vi sia contra Eurialo;
Ch'alcun di noi non che cerchi offendervi.
CLAUDIO:
S'a dir mi avete qualche cosa, ditela,
Vi priego, e pi non mi tenete in strazio.
BONIFAZIO:

Mi crederete poi?
CLAUDIO:
E perch credere
Non vi debbo?
BONIFAZIO:
Or udite: messer Lazzaro,
La moglie, la figliuola, tutti alloggiano
In casa mia, et vero.
CLAUDIO:
Flamminia
E ora in casa vostra?
BONIFAZIO:
Evi Flamminia.
CLAUDIO:
Certo?
BONIFAZIO:
Certo.
CLAUDIO:
E certo che Flamminia
Si trova in casa vostra? e messer Lazzaro?
BONIFAZIO:
Certissimo.
CLAUDIO:
Certissimo?
BONIFAZIO:
Certissimo.
CLAUDIO:
S'io non la veggo con questi occhi proprii,
Non possibil ch'io lo possa credere,
N so pensar come vi possan essere.
BONIFAZIO:
La cagion perch il padre d'Eurialo
E ritornato, per un certo incommodo
Che gli avvenuto.
CLAUDIO:
tornato s sbito?
BONIFAZIO:
tornato; ma non punto fermatosi
Saria, se non avesse quelle femine
In casa, le quali egli si cred'essere
La figliuola e moglier di messer Lazzaro.
CLAUDIO:
O che mi dite?
BONIFAZIO:
Or qui fu l'importanzia
D'accomodar il dottor e le femine
Con la famiglia, alla sprovista giuntici
Adosso. Ora pensate che disturbo vi
Fu, che confusion; fu necessario
Che padre mi fingessi esser d'Eurialo,
E in casa mia accettassi messer Lazzaro;
E se cos io non iacea, trovavasi
Egli oggi aver nella casa di Bartolo,
In un tempo, due mogli e due Flamminie.
CLAUDIO:
E vi crede il dottor padre d'Eurialo?
BONIFAZIO:
S, crede; ma voglio ora andar a farmegli
Per quel ch'io son conoscere.
CLAUDIO:

Anch'io vogliolo
Venir a visitare.
BONIFAZIO:
Non, diavolo;
Che ci ch' fatto a terra gettaressimo.
Io non vorrei ch'ei sappesse che fostevi,
Non che in casa, ma se fosse possibile
In questa terra ancora, fin che fattogli
Non abbia bene a mio modo conoscere,
Perch detto gli avea ch'io fossi Bartolo.
E quest' la cagion per che aspettatovi
Ho qui, che, intrando come ste solito
In casa, seria occorso gran disordine.
CLAUDIO:
Non tardate pi dunque, ma espeditela
Tosto, acci tosto venghi la Flamminia,
Ch risoluto son di farla chiedere
Al padre, prima che di qui si partino.
Perder non voglio occasion s commoda.
BONIFAZIO:
Aspetteremo che prima s'addattino
Queste cose.
CLAUDIO
S'intende.
BONIFAZIO:
Di poi eccomi,
S'io sar buono.
CLAUDIO:
Sarete buonissimo,
Mi credo, e porr questo con gli altri oblighi.
BONIFAZIO:
Che oblighi? Quando gli amici si servono
In cosa ove non entrino che semplici
Parole, stimo che ci sia pochissimo.
Ma io son pronto, per farvi servizio,
Non che parole, ma del sangue spenderci
E, bisognando, questa vita propria.
Ma de la dote?
CLAUDIO:
Il parlarne superfluo,
Perch so ben io quello che profertomi
Fu quando il padre ricerc di darmela.
BONIFAZIO:
Ander in casa, con vostra licenzia.
CLAUDIO:
che far? Di qui non fia possibile
Ch'io parta.
BONIFAZIO:
Non vorrei che messer Lazzaro
Vi vedesse qui fuor: nelle camere
Da basso, che qui sopra a punto guardano.
Andate intanto a ritrovar Eurialo:
potrete trovar forse alla stanzia
Di quei scolari bergamaschi; e fattevi
Narrar queste sue tante gran disgrazie.
CLAUDIO:
Vo' andar pi tosto a trovar mastro Plinio,
Che mi scorti i capelli.
BONIFAZIO:
Farete ottima-

mente per meglio aggradir a Flamminia.


CLAUDIO:
Io me vi raccomando, Bonifazio;
Ser alla sua bottega, e ricordatevi.
BONIFAZIO:
Non dubitate, che per vostro commodo
Io son per far ci che mi fia possibile.
SCENA XI
Fromba, Agnolo
FROMBA:
Io non son punto in questa terra prattico,
E pur costoro ad ogni modo vogliono
Ch'io trovi dove un messer Bartolo abiti.
Mi vi manda il patron per far servizio
Ad un suo amico, n il danno considera
Che facilmente potrebbe avenirmene.
Insomma, il servir giovani un pericolo.
Ma s'io non veggo alcuno, da chi intendere
Potr qual sia la casa dove egli abiti?
E tutti chiusi son questi uscii. Dirmelo
Sapr forsi colui ch'a tempo veggo di
L uscire. - Ol, uomo da ben, saprestemi
Mostrar la casa ove sta messer Bartolo
Marioto?
AGNOLO:
Tu vuoi forsi dir Bartolo.
FROMBA: .
Messers, messers.
AGNOLO:
Quel l il suo uscio.
FROMBA:
Quello ch'avete chiuso?
AGNOLO:
Egli quel proprio.
FROMBA:
Siete di casa voi forse?
AGNOLO:
No, andatovi
Sono poco a far un mio servizio.
FROMBA:
E in casa?
AGNOLO:
Vi intrat'ora.
FROMBA:
Vi rengrazio.
SCENA XII
Fromba solo
FROMBA:
Bisogna aver questi nomi a memoria
Molto ben, perci che seria pericolo,
Se per mala ventura si scordassero,
Di guadagnar delle mazzate, in cambio
Della beretta e calze che quel giovane
Mi ha promesso, facendo che 'l servizio
Sortisca buon effetto. Ma vo' battere.
SCENA XIII
Fantesca, Fromba, messer Lazzaro
FANTESCA:
Chi quel che bussa?
FROMBA:

Son io.
FANTESCA:
Che domandi tu?
FROMBA:
Io son un servitor di messer Lazzaro.
MESSER LAZZARO:
(Chi questo mio servitor?) Che chiedi tu?
FROMBA:
Io son un servitor di messer Lazzaro.
MESSER LAZZARO:
Tu di errar. E di qual messer Lazzaro?
FROMBA:
Di quel dottore che va verso Padova.
MESSER LAZZARO:
Come? di quel dottore che va a Padova?
FROMBA:
Di quello da Pavia che vi va a leggere.
Questa casa non di messer Bartolo?
MESSER LAZZARO:
E ben? S ch' sua.
FROMBA:
Qui non alloggiano
Le donne di messer Lazzar?
MESSER LAZZARO:
Alloggianvi.
E ben, che vuoi?
FROMBA:
Ste voi messer Bartolo?
MESSER LAZZARO:
S ch'io son desso: e ben? (La voglio intendere.)
FROMBA:
Mi manda messer Lazzaro, e salutavi.
MESSER LAZZARO:
E quant' che tu servi messer Lazzaro?
FROMBA:
Allevato mi sono fin da picolo
In casa sua.
MESSER LAZZARO:
E bene, che concludi tu?
FROMBA:
Concludo che mi manda messer Lazzaro,
Perch'io meni le sue donne via sbito,
Acci che tosto le possano giungere,
Che sen va inanzi in barca verso Padova.
MESSER LAZZARO:
Menar via le mie donne? E con ch'audacia
Ardisce questo furbo tal tristizia?
Scelerato, ribaldo, temerario!
Vedi che tristo truffator! Lasciatemi
Scender: gli vo' del corpo cavar l'anima.
SCENA XIV
Bartolo, Fromba
BARTOLO:
Che sono questi che fan s gran strepito
Insieme?
FROMBA:
Adunque s'ha da far ingiuria
Ad un ch' servitor di messer Lazzaro,
Perch' venuto a trre di suo ordine
Le sue donne?

BARTOLO:
Tu stai con messer Lazzaro?
FROMBA:
Vi sto per certo.
BARTOLO:
Non esser in cler.
Dimmi, tu sei venuto a menar via le
Sue donne? Non rispondi? Ove va'? Fermati;
Errat'hai l'uscio, vien meco.
FROMBA:
Lasciatemi.
BARTOLO:
Vieni, che sono in casa mia: affermati.
Odi, se vuoi. Al muro! (Aver gli debbono
Fatto paura, e per questo s timido,
N si fida di me. Udii nel giungere
Ben io, ch'io feci, uno che minacciatolo
Avea. Vo' farlo ritornare.) Aspettami!
ATTO QUINTO
SCENA I
Bartolo, Accursio, Riccio
BARTOLO:
Ben sarei pazzo s'io credessi giungere
Oggi quel servitor di messer Lazzaro.
Come ebbe voltato quel canto, un barbaro
Non l'avria giunto. Com'esser de' timido!
Gli debbono aver fatto senza dubbio
Qualche paura. Che razza del diavolo
Sono questi scolari! Ma far vogliolo
Cercar di novo. Ol, dite ad Accursio
Ch'a me ne venga tosto. Vien qua, Accursio.
ACCURSIO:
(Ohim, che 'l Riccio vien.)
BARTOLO:
Ti fermi, bestia?
ACCURSIO:
(Ser scoperto.)
BARTOLO:
A chi dico io? Su, affrettati.
RICCIO:
Io non vorrei che costor mi tenessero
In tempo, ma che tosto m'espedissero.
ACCURSIO:
Deh, venite con me, patron; vi supplico
Che mi aiutate in cosa d'importanzia
Grande.
BARTOLO:
Ove vuoi ch'or venga? e che importanzia
questa?
ACCURSIO:
Andin fino alla Piazza; in grazia
Ve lo domando: vi far poi intendere
Per strada il tutto.
BARTOLO:
Non puoi ora dirmelo?
Tu mi par morto.
RICCIO:
E quando pur voglia essere
Duro, n voglia rendermi la giovane...
ACCURSIO:

Ho visto un mio nemico...


RICCIO:
... terr l'ordine
De la patrona.
ACCURSIO:
... che cerca d'uccidermi.
BARTOLO:
E' quello? C'hai da far seco?
ACCURSIO:
Vedetelo
Che viene alla mia volta. Deh, di grazia,
Venite.
BARTOLO:
Non tirar, ballordo: vmi tu
Far cader?
ACCURSIO:
Vo' andar a querellarmene,
Ch'io so che 'l traditor cerca d'uccidermi.
RICCIO:
Deh, perch non ho io potuto coglierlo
Per strada!
ACCURSIO:
Non lo vo' aspettare.
BARTOLO:
Affermati !
Sta' saldo, pusilanimo.
ACCURSIO:
Lasciatimi
Andar, patron, prima che pi s'approssimi.
BARTOLO:
Ti vorrei dar un buon consiglio, o giovine.
Sai che?
RICCIO:
Non gi, se nol dite.
BARTOLO:
Conosci tu
Costui?
RICCIO:
E ben? Si, lo conosco.
BARTOLO:
Lascialo
Star, fa' a mio seno e attendi a vivere,
Perch non passar come t'imagini
Forsi la cosa: bisogna che reputi
Non a lui, ma di far a me l'ingiuria.
Se mi dai noia, ti far conoscere
Ben io ch'io son: non ti pensar ch'io toleri
A mod'alcun che tu l'offendi.
RICCIO:
Offesi n'ha
Egli noi; ma non voglio che crediate di
Smarirmi con minacce. Non mi mancano
Uomini in questa terra, che m'aiutino
Contra colui et anco contra Eurialo.
BARTOLO:
Arrogante, anco ardisci contra Eurialo?
RICCIO:
Vedretelo.
BARTOLO:
Che audacia! Contra Eurialo!

RICCIO:
Non ho da far con voi n, perdonatemi,
So che vi siate.
BARTOLO:
Or non vedi? E che pensi tu
Di poter far? Dov'entri, temerario?
RICCIO:
Qua dentro, per parlar a messer Lazzaro
Per mio interesso.
BARTOLO:
Et a qual messer Lazzaro?
RICCIO:
A quel dottor ch' venuto.
ACCURSIO:
(Levatomi
Sono di sotto.)
BARTOLO:
Non messer Lazzaro
Ivi, n alcun dottor, e meravigliomi
Ben di te.
RICCIO:
Non vi sta messer Eurialo?
BARTOLO:
E bene?
RICCIO:
Non v' dunque messer Lazzaro?
Ma non son qui venuto per combattere
Con voi.
BARTOLO:
Se meco tu non vuoi combattere,
Non la tr con costui n con Eurialo.
RICCIO:
Adunque non ho io da far mio debito?
BARTOLO:
Che debito, capestro? Se adirare mi
Fai, io ti far porre in luoco... Accursio,
Vien meco. Ove costui?
RICCIO:
Io non lo merito,
E son uomo da ben; ma se vietatomi
Avete ch'io non parli a messer Lazzaro,
Non importa; sapr ben io procedere
Per altra via, ch'a lor pi rincrescevole
Parr assai.
BARTOLO:
Non tel vieto, ma ben dicoti
Che non venuto.
RICCIO:
Se 'l nocchier dettomi
Ha che smontato, non ancora passano
Due ore, perch debb'ora a voi credere
Che venuto non sia?
BARTOLO:
E come conosci tu
Messer Lazzaro? e dove?
RICCIO:
Conosciutolo
Ho in Pavia, e sono in quella nave propria
Venuto ov'egli e tutta la famiglia.
BARTOLO:

Fino a Ferrara?
RICCIO:
Quasi.
BARTOLO:
Pu ben essere
Ver questo, ma non sai forse che d'animo
Si mut, giunto a Ficarol, e, voltosi,
Per l'altro Po che va a Venezia gito.
RICCIO:
Pur volete aggirarmi 'l capo: dicovi
Ch'egli venuto in Ferrara.
ACCURSIO:
(Nasconderei
Pi non possin.)
BARTOLO:.
Tu pigli error grandissimo.
ben ver ch'oggi vener con Accursio
La figliuola e moglier di messer Lazzaro.
Tu squassi 'l capo; e perch non vuoi credermi?
Cos veramente.
RICCIO:
Con Accursio
So ben che son venute le due femine
Ch'io cerco, non le due di messer Lazzaro.
(Si pensa forsi ch'io sia un qualche buffolo.)
BARTOLO:
Quai donne cerchi tu?
RICCIO:
Cerco la giovane
Sol c'ha fatto sviar messer Eurialo
Dalla patrona mia, e che qua Accursio
Ha guidata. Pensate che benissimo
Sappiamo il tutto.
ACCURSIO:
(N'acconcia la cuffia
In capo, il manigoldo!)
BARTOLO:
Ah, ch'io m'imagino
(Sta' a veder) qual debb'esser questa prattica.
Era con quella giovane altra femina?
RICCIO:
Vi era una vecchia che stav'al servizio
Di mia patrona; s ch'ormai comprendere
Potete ch'io so il tutto, e che nasconderla
impossibil.
BARTOLO:
Nasconderla, eh? Gi Eurialo
Sa dunque che sian femine? O bel studio
Ch'egli avr fatto! E ser stat'Accursio
Il dottor. Come il capestro piantatomi
Ha qui! Ben chiaro or comprendo che femine
Sian queste, e per che causa non voleano
Esser vedute, e di dormir fingeano.
Ben stavo in dubbio come potesse essere
Che la moglie d'un uom di tanto credito
E la figliuola qua venute fossero
Non avendo altro in compagnia che Accursio.
Pincon ch'io son! A questo modo, Eurialo,
Cos mi burli? A suo padre, eh?
RICCIO:

(Dev'essere
Questo suo padre.)
BARTOLO:
O se indugiato quindici
O venti giorni avessi, come in ordine
Avria messo la casa? quando la empie
Il tristo di puttane, come sbito
N'ho messo fuor il piede? Ma che indugio
Io pi a cacciarmi di casa queste asine
A suon di busse?
ACCURSIO:
(Non pi da perdere
Tempo, ma di trovar messer Eurialo,
Acci venghi a difender queste misere.)
BARTOLO:
far lor quell'onore che merita
mio onesto figliuolo e 'l suo procedere.
RICCIO:
Io non avea compreso, perdonatemi,
Che foste il padre di messer Eurialo.
Non era mia intenzion di questa prattica
Parlar ora se non con messer Lazzaro.
Ma poi ch'a voi la cosa nota, pregovi
A non far dispiacer a quella giovane,
Perch fu cittadin di questa patria
Suo padre.
BARTOLO:
Un bell'onor gli d e un bel credito!
E di che casa fu?
RICCIO:
Qui ho una memoria
Di man de la patrona mia: leggetela.
BARTOLO:
De' Vernazzi costei? Com' possibile?
Sai tu il nome del padre?
RICCIO:
Non, la giovane
Lo de' sapper; da lei si potr intendere.
Da la patrona ho commissione et ordine
Di ritrovar i suoi parenti e dargliela.
BARTOLO:
Perch fa tua patrona questa instanzia
Di ritrovar una che fatto le abbia
S poc'onor?
RICCIO:
Perch tal diligenzia
Ella fa vi dir, da poi che intendere
Desiderate il tutto.
BARTOLO:
Anzi il desidero.
RICCIO:
Gi stete questa mia patrona a Napoli,
Ov'era maritata, e con lei similemente stava la madre dell'Ippolita,
Ch'Ippolita si noma questa giovane,
Che la serviva per donna da camera.
BARTOLO:
Questa giovane ha donque nome Ippolita?
(Oh fosse quella!) Ma per tua f, seguita.
RICCIO:

Mor questa sua madre, mentre a Napoli


Eravamo, e lascivi questa picciola
Fanciulla e robba di qualch'importanzia;
E la Contessa avea di maritargliela
Promesso, come fosse all'et nubile.
Ma sendo poi ella rimasta vedova,
A Pavia ritorn, ch' la sua patria,
E ne men con seco questa giovane
La quale amava molto e l'avea in grazia:
E certo che servea con diligenzia.
Ora, da poi ch occorso questo scandalo,
Avria vergogna a ritrla; e lasciandola
Andar a male, mancheria del debito
E della fede e sei terria in conscienzia.
BARTOLO:
Fa da dabene gentildonna, et essere
Deve, per quel ch'intendo, donna d'anima.
RICCIO:
una santa: l'aver promesso reputa
De non l'abbandonar troppo grand'obligo.
Vorria per questo scaricarsi l'anima,
Facendo ai suoi restituir la giovane,
Acci sian essi che la cura piglino
Di maritarla, o porla nelle monache;
Et ella le dar ci che remastole
E della madre.
BARTOLO:
Come nominavasi
La madre?
RICCIO:
Inver non so il suo nome proprio,
Ma noi per Cremonese la chiamavamo,
Perch'era da Cremona.
BARTOLO:
(Questa giovane
Era la figlia di Gentil certissimamente; ch'io so de' Vernazzi non esservi
Altri rimasto che Gentil, che l'ultimo
Fu del suo parentado; da poi veggoci
De tanti contrasegni, che stuppiscomi.
O Dio, perch non mi fai tanta grazia
Ch'ella sia quella a punto ch'io desidero?
Acci ch'io possa in parte adempir l'obligo
Che mi lasciaste, Gentil; so che amatomi
Hai molto pi che se fratello statoti
Fossi.) Deh, di venir, fratello, piacciati
Per cortesia con me in casa.
RICCIO:
Di grazia.
BARTOLO:
(Io voglio il nome di suo padre intendere.
Spero schiffar la via d'andar a Napoli.)
SCENA II
Eurialo
EURIALO:
Oggi non mi pu pi cosa succedere
Che bene stia, poi che intoppato sonomi
In quel frate; de' quai lo scontro dicesi,
Non senza causa, esser di mal augurio,
Come di gente che per immodestia

Et importunitate a ognuno in odio,


Per non dir dei lor altri tanti vizii.
E che importuni e che indiscreti siano,
Mi ha mostro adesso quel frate che predica
In Domo: il qual, aver fretta vedendomi,
Pregandol tuttavia con grande instanzia
Ch'ir mi lasciasse a far un mio servizio,
M'ha al mio dispetto fin alla sua stanzia
Tirato con un passo di testudine,
Ch grasso si ch'appena si pu muovere.
E nell'andar, quando parlar volevami,
Affermavasi prima, et indugiavasi
Tanto che fosse alentato l'anelito,
S che potesse la parola esprimere;
Poi comminciava, e mi ha con queste chiacchiare
Cos lente tenuto una grossissima
Ora, pria che sin giunti a San Domenico.
Mi ha dato al fin questa bolla, pregandomi
Ch'a mio padre la dia: penso che l'asino
Vorr con questa qualche scudo mongerli.
Volea seguir quel servitor prestatomi,
Per veder come ben sapiuto ha fingersi
Servitor del dottor; ma questo trespolo
Mi venuto tra' pi. Come portatosi
Sia non so; ma veggo Bonifazio.
SCENA III
Bonifazio, Eurialo
BONIFAZIO:
Abbin pur quasi fatto una comedia.
EURIALO:
E come?
BONIFAZIO:
Non sappete che quel buffolo
Ci ch'egli aveva a vostro padre in ordine
Da voi di dir, l'ha detto a messer Lazzaro?
E URIAL o:
E come a messer Lazzar?
BONIFAZIO:
Non so diavolo
Come venuto ei sia a trovar la bestia.
Or pensate s'entrar dovete in cler,
Dicendo che 'l mandava messer Lazzaro,
Perch gli conducesse le sue femine
Dietro in barca.
EURIALO:
O Fortuna invidiosissima,
Come ben per mandar in precipizio
Tutt'i nostri disegni, fai riescerli
Con tanto mio cordoglio vani et irriti!
BONIFAZIO:
Ci importa poco, perch rimandandolo
Di nuovo, pu ritrovar messer Bartolo
Vostro padre, e con lui far quell'ufficio
Ch'avea da far; perch con messer Lazzaro
Le cose accomodate son benissimo,
E me' di quel che dimandar sappressimo.
BORIALO:
Ve gli ste scoperto?
BONIFAZIO:
A che saressimo

Stati, se inanzi che 'l servitor giuntovi


Fosse, egli non avesse tutto l'ordine
Inteso?
EURIALO:
E ben, che dice? Ha forsi avutosi
A mal di quel che gli abbin fatto credere?
BONIFAZIO:
Anzi ne loda, e dice che benissimo
Facemmo, per rimover che non sguiti
Tra voi e vostro padre qualche scandalo.
E seco ho fatt'ancora un altr'officio,
Il qual so certo che vi fia gratissimo.
EURIALO:
E che?
BONIFAZIO:
Addimandata gli ho Flamminia
Sua figliuola pel nostro messer Claudio.
EURIALO:
Per fede vostra?
BONIFAZIO:
Et contento dargliela.
EURIALO:
ne son pi che certo. Ha messer Claudio
tutto si sapiuto dell'Ippolita?
BONIFAZIO:
Ogni cosa gli ho detto.
EURIALO:
Mi carissimo
Che messer Claudio abbia la sua Flamminia;
Ma de la cosa mia messer Lazzaro
Che ne dice egli?
BONIFAZIO:
Ragionato abbiamone
Assai, e mi par uom molto piacevole.
EURIALO:
E pur che dice?
BONIFAZIO:
Dice, non potendosi
Far altro, c'hassi de' due mali eleggere
Sempre il minore, e che per parrebbegli
Che pi tosto lasciaste voi la giovane
Che volere...
EURIALO:
Ch'io lasci la mia Ippolita?
Prima mi lasciarci estirpar l'anima
Del petto.
BONIFAZIO:
...far a vostro padre ingiuria
Di questa sorte.
EURIALO:
Di questo, di grazia,
Non mi parlate pi.
BONIFAZIO:
Messer Eurialo,
Udite: non seria peggio se a rendere
Per forza poi vi fosse necessario?
EURIALO:
Dunque perch non sia ucciso, ad uccidermi
Mi volete ensegnar da me medesimo?
Non vi pensate gi ch'io 'l faccia.

BONIFAZIO:
Uditemi.
EURIALO:
Non mai; ma ben mi par strano che fattomi
Siate cosi contrario.
BONIFAZIO:
Io contrario?
SCENA IV
Accursio, Eurialo, Bonifazio
ACCURSIO:
O mio patrone, io temo di non essere
Tardato troppo; non sappea ove volgermi
Per dirvi questa nostra altra disgrazia.
EURIALO:
Che sera questo ancor? Di', e tosto ammazzami.
ACCURSIO:
Son state or ora scoperte le astuzie
Nostre a vostro padre.
EURIALO:
E chi ha scoperteci?
ACCURSIO:
Il Riccio; e se non ci provedin sbito,
Potr far dispiacere a quelle misere,
Ch'udii che minacciava lor di batterle.
Ma che tardate voi? Perch a soccorerle
Indugiate? Volete che l'Ippolita
Vostra oggi sia con vostro vituperio
Cacciatavi di casa, et ignominia,
A guisa di una meretrice publica?
EURIALO:
Mio padre vuol farmi una tanta ingiuria?
Non sel pensi, n fia gi mai ch'io'l toleri.
Vo' che prima m'ammazzi, che mai dicasi
Ch'io sia per comportar un tant'obbrobrio.
Aprite! Ol, non udite? Ol, apritemi!
Vedi se viene alcuno!
BONIFAZIO:
Debb'io credere
Che voglia far una villania simile?
Per Dio, non saria gi cosa laudabile.
ACCURSIO:
Parvi che le sciagure oggi m'affoghino?
BONIFAZIO:
Vi siete retti, a dirvi 'l ver, da giovani.
ACCURSIO:
Deh, maledetta sia la mia disgrazia!
E chi pensat'avria mai che tornarsene
Questo vecchio dovesse oggi? Ma il solito
E questo, di far sempre gli giudicii
Secondo che si vede che riescano
Gli effetti; ma se succeduti fossero
Secondo il mio giudicio, appien lodatone
Sarei da voi e da messer Eurialo.
Ma perch i miei disegni hanno tristo essito,
Ci ch'avr fatto parr star malissimo.
SCENA V
Riccio, Accursio, Bonifazio
RICCIO:
O gran sorte ch'avuto oggi ha l'Ippolita!
ACCURSIO:

Quel tristo come se vanta, uditelo.


RICCIO:
Veramente ch' pur stata grandissima.
ACCURSIO:
Non si meritarla che gli facessimo
Un scherzo, di che fosse ricordevole
Sempre?
RICCIO:
Costui ch'in qua ne vien Accursio.
ACCURSIO:
A fede che ti sei portato da asino
Indiscreto; ma sii certo che rendere
Ti vo' 'l servizio.
RICCIO:
Perch?
ACCURSIO:
Inver che meriti
Una corona.
RICCIO:
E tu merti una mitria.
ACCURSIO:
Bella prova, accusar messer Eurialo
Al padre! Te n'acquisti una gran gloria.
RICCIO:
E di che l'ho accusato io?
ACCURSIO:
Se fattogli
Hai il tutto sapper di quelle femine!
Pensi ch'udito non ti abbi?
RICCIO:
Confessoti
D'averglil detto; ma per non dolgati
Se 'l ver gli ho detto, com'anch'io non dolgomi
Che m'abbia detto il falso: tu potissima
Cagion sei stato di quest'infortunio.
Non dicevi test che quelle femine
Non avevi vedute?
ACCURSIO:
Perci correre
Dovevi a dirlo al vecchio cosi sbito?
E cagion esser di porci in pericolo
Tutti e in romore? Ben poi t'avrei detto la
Verit.
RICCIO:
Ben condott'hai quella povera
Giovane!
ACCURSIO:
Che, la vuol forsi egli battere?
RICCIO:
E ben che la vuol battere!
ACCURSIO:
In presenzia
Sua messer Eurialo lo tolera?
RICCIO:
Come pu far di manco, non potendola
Aiutar? N'ha serrati fuor di camera
Tutti. Ben chiama ella messer Eurialo,
E al vecchio raccomandasi la misera:
Ma non le giova punto, et io fuggito me
Ne son, per non sentir i suoi ramarichi,

E ancor per non veder messer Eurialo


Che di pietate m'ha commosso a piangere.
E veramente che mi duole, Accursio,
D'avervi offeso; ma per imprudenzia
Ho errato. Mi ti raccomando.
ACCURSIO:
Vatene
Ne la malora, bestia.
BONIFAZIO:
Per Dio, Bartolo
Si porta molto male a voler battere
Per tal cagion quella povera giovane,
E farsi la ragion da se medesimo.
RICCIO:
(Io non potea tenermi di non ridere:
Come gli l'ho cacciata nella manica!
Anzi da s venuto a cacciarsela.)
ACCURSIO:
M'incresce del patron, oltra la giovane:
Ch'io so che dispiacer avr grandissimo
A vederla trattar cosi; ma increscemi
Ancora di me stesso, che dal giovane
Sono e dal vecchio per averne doppio
Castigo, s'io non ci provego sbito.
Sento che l'uscio s'apre, ritiriamoci.
BONIFAZIO:
Cos far soglion nel mal tempo i providi
Nocchieri, ch'appiatandosi, lo fuggono.
SCENA VI
Eurialo, Bonifazio, Accursio
EURIALO:
Che debb'io dir? Che far? Che suscitatomi
Sono da morte a vita tranquillissima?
Come potr sfogar tanta letizia?
Di cos addolorato e maninconico,
Che ripieno ora sii di tanto gaudio?
Sono ben sopra ogni altro felicissimo;
Or nuoto ben nel mar delle delizie.
O che contento in me sento! Che giubilo!
Oltra pi i miei desir non ponn'estendersi.
Ancor che stata tull'oggi contraria
Mi sia Fortuna, non per dolermene
Posso, poi che nel fin favorevole.
S poco ch'io non avrei voluto essere
Al mondo! Quando quella nuova Accursio
Cos trista mi die', corsi alla camera
Di mio padre con furia e, imaginandomi
Di ritrovarlo in una strema clera,
Lo ritrovai pel contrario lietissimo.
Or quando tal lo vidi, restai stupido:
Egli, per man tenendo la mia Ippolita,
Tutto allegro mi viene incontra e dicemi:
- Piglia, Eurialo, questa bella giovane,
La qual ti do per tua moglie legitima
E da me amata come figlia propria. ACCURSIO:
Avete voi sentito?
BONIFAZIO:
Non ti movere;
Stin ad udir il resto.

EURIALO:
Io stava in dubbio
Se dicesse da seno, non parendomi
Che fosse cosa punto verisimile
Ch'avesse a darmi per moglie una giovane,
E senza dote e senza pur connoscerla.
Ma quando poi soggiunse costei essere
Stata figliuola di quel che lasciataci
Avea la robba, fui da tanto gaudio
Preso, che nulla gli seppi rispondere.
Cessi 'l timor et i sospetti cessino
Omai. O lieto giorno, o felicissima
Notte, in che spero goder la mia Ippolita,
Ch'io amo tanto e che tanto desidero!
ACCURSIO:
Non mi posso tener. Patrone?
E URIAL O:
O Accursio,
O Bonifazio, non sappete?
BONIFAZIO:
Allegrami
De la grande allegrezza vostra.
EURIALO:
Detto ve
L'ha il Riccio?
BONIFAZIO:
No; test da voi abbiamolo
Inteso, ch'ivi ermo ritiratisi
Quando usciste.
ACCURSIO:
Non stimo che il mio gaudio
Sia men del vostro.
EURIALO:
Che ti par, Accursio?
ACCURSIO:
Siamo rinati, poi che da fastidii
Tanti siamo riusciti a felice essito.
BONIFAZIO:
A pena imaginar si potrian gli uomini
Le cose s compite, come accascano
Alle volte. Ma stat' pur notabile
'Sto caso: non poteva a miglior termine
Riuscir a tutti noi.
EURIALO:
Deve venirsene
Mio padre a ritrovare messer Lazzaro,
Che venga a casa nostra. Maravegliomi
Ch'induggi tanto.
BONIFAZIO:
Sa ch'a messer Claudio
Dia la figliuola?
EURIALO:
Lo sa perch dettogli
L'ho, e pregato a disporre messer Lazzaro
A contentarsi ch'ambi i sponsalizii
Nostri stasera in compagnia si facciano.
Ma ove trovar si potria messer Claudio?
ACCURSIO:
La cosa adunque vera?
BONIFAZIO:

Ell' verissima.
Vuoi ch'io t'insegni come a guadagnartene
Abbi un paro di calze? Corri sbito
Alla bottega, ov', di mastro Plinio,
A dargli questa nuova; e di' che sbito
Venga.
ACCURSIO:
Non lo sa dunque?
EURIALO:
Ancor sappiutolo
Non ha. Va' poi, e mio padre solecita
A venir tosto. Intanto messer Lazzaro
Ritrovaremo.
ACCURSIO:
S'io vo, assicuratemi
Voi il camino?
EURIALO:
Non ne aver gi dubbio,
Ch tosto offese simile si scordano:
Levata gli hai la spesa d'ir a Napoli.
Va' pur sicuro, e digli ch'aspettiamolo.
ACCURSIO:
S'a cena noi non v'invittin, scusateci,
O spettatori, perci che facendosi
Le nozze alla sprovista, non potrebbesi
Fare per tanti provision s sbita.
Or mostrate con segno di letizia
Che piacciuta vi sia questa comedia.

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