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COMMEDIE

DI

MARCO

ACCIO

PL A U T O

LE

V E N T I COMMEDIE
DI

MARCO ACCIO PLADTO


vcfijfapczzeife
D

PIERLUIGI
fe d o

DONINI
a, f e e n f e

VOL. I.

CREMONA MDCCCXLIV.
COI

T IF I

DELL ERED E

M A R IN I

n t l istanza di Biassi Giovanni Librajo.

La pretente Edizione poita tolto la protezione'


delle veglianti Leggi e convenzioni dei Governi d Italia,
che concorrono a garantire le propriet letterarie.

A GIOVANNI PINI
c tu

nom e

te tta , jiJ o tu a , e,n

^ipt^em ona,

tu a fu zfr& a ,
PIERLUIGI DONEYI
p u e fa itera to n e die *d& enetn,?nc6
c o ^ T a tic m o fu e n o

de, r iv e r e n z a

c o n sa cra .

PETRUS ALOYSIUS MININIUS


LECTORI

Instituenti mihi Plautinas fabulas


italo sermone referre permultae diffi
cultatum species vix, ut ita dicam,
primo limine ingresso objectae sunt,
et ab incepto me distrahere potuissent,
ni juvenilis ardor literammque latinarum studium, nunc, heu! hisce diebus

m i LUIGI DOMI
AL LETTORE

Allorch ^cconciavami a porre


nel nostro volgare le commedie di
P lau to, in sul comincio, per dir cos,
d el m io cammino, moltissime difficolt
m i apparivano, le quali frastornato
mi avrebbero dal proponimento, se
il caldo della giovinezza, e lamore
delle lettere latine, oggid pur troppo

ferme despicatui habitum, me in propo


sito confirmassent. Nam hoc opus tanti
est momenti', ut vix credibile appareat,
juvenem tale consilium fovisse, praesertirh post multorum operam, qui Sarsinatis festivitates tradere italo sermone
conati sunt; quorum labori, quamquam
ego detrahere nolim, tamen non in
totum adplaudere possum.

Scatebat

olim Plautus frequentissimis vulneri


bus, quae librariorum seu arrogantia,
seu inscitia codicibus intulerat, quibus
reparandis homines preaclarissimi acie
ingenii sunt connisi, sed mutandis, ut
Majus ait, passim lectionibus, versibusque temere metiendis, locis alienis
etiam inserendis accidit, ut Plautus
vehementissime a Plauto dissentiret.

avute quasi in niun conto, non mi


avessero raffermo nel mio assunto*
in verit questa fatica di tanto
pondo da apparire cosa appena cre
dibile, 1 avere un giovane vlto l*animo a cos fatto divisamente, spe
zialmente dappoi che altri uomini dot
tissimi si adoperarono a far Plauto
italiano, Y opera de quali, avvegnacch dispregiare non voglia, tuttavia
io non posso da tutti i lati chiamarla
ottima. Una volta Plauto sanguinava
per moltissime piaghe che in esso re
cato aveano o la arroganza de1menan
ti, o la ignoranza loro; a riparar le quali
uomini chiarissimi assottigliarono lin
gegno, ma, conforme dice Maj, qui e
col cambiando le lezioni, misurando
i versi alla buona, e ficcandovi entro
roba d* altri, avvenne che Plauto si ri
trovasse con Plauto in molta discordia.

Sed erat in fatis, ut laus restau


rationis latinae comoediae parentis, qui
et ingenii facunditate aequalium studia
tenuit, et artem aluit industnamque po
sterorum., temporibus recentioribus ser
varetur.Lambinus, Acidalius, Salmasius,
Taubmannus, Boxhornius, Lipsius, Ca
merarius, Pareus summopere sunt lau
dandi, semperque ii de posteritate bene
merebunt: sed quid de Bothio, qui editionibus antiquioribus, compluribusque etiam manuscriptis collatis, talem Plautinarum codicem edidit, quo nihil praesta
bilius optare possimus? Nam quum ille,
ut verbis dicam suis, metra saepissime
corrupta ad usitatas in eo gemre for
mulas revocasset, obtinuit, ut tantum
de illo gratularetur Plautus, quantum
de Bentlejo Terentius: nec minorem

Ma era fisso che il pregio del1 instaurare il padre della commedia


latina, il quale colla festivit dell in
gegno, si fe ben volere dai coetanei,
e die nutrimento all* arte e alla indu
stria de posteri, fosse riserbato a tempi
pi recenti. Lambino, Acidalio, Salmasio, Taubmanno, Boxornio, Lipsio, Ca
merario, Pareo assai deono essere lo
dati, e loro grazie immortali ne avranno
i posteri; ma e Bothe? che si dir di
lui, che raffrontate le edizioni pi anti
chissime, e manoscritti moltissimi, die
fuori tale un Plauto, nel quale nulla
cosa pi l possiamo desiderare? Im
perciocch egli, per dirlo colla bocca
sua, rivocando i metri guasti le soven
tissime fiate a quelle forinole che in
quel genere si costumavano, ottenne
che tanto Plauto, si rallegrasse di
lui quanto di Bentlejo fa Terenzio:

medicinam afflictae Plautinae rei attu


lit Majus, postquam in palimpsesto
Ambrosianae bibliothecae invenit co
moedias omnes editas, exceptis Amphitruone, Asinaria, Aulularia, Curculione: quare nunc merito tandem con
clamare licet: Plautum fere totum in
integro reviviscere.
Post haec inficias mihi nemo ire
poterit, oportere ut nova editio Plau
tinarum fabulatum, novaque versio in
lucem prodeat; nam Pareana lectio,
quam, aliis praetermissis, Angelius et Carteromachus et Carmelius sunt sequuti,
nunc ab illo decidit honore, quo antea
fuit, praesertim si locis designatis Am
brosiana fragmenta collocaveris, quae
in dubiis quantum afferant splendorem,
faciliter videas, si tantum MiLITEM,

n minore fu il rimedio che apport


Maj alle cancrene di Plauto, dappoi
che in un palinsesto della Biblioteca
Ambrosiana ritrov tutte le commedie
pubblicate, togline TAmfitrione, 1*Asi
naria, F Aulularia, il Cureulione: onde
che pur finalmente ne lecito escla
mare: essere Plauto oggimai quasi
ritornato a nuova vita.
Dopo queste cose alcuno dine
gare non mi vorr che una edizione
novella delle favole Plautine, ed una
nuova traduzione era duopo uscisse
alla luce, imperciocch il testo di Pareo,
cui, intralasciando altri, Angelio, Carteromaco, e Carmeli seguitarono, scad
de da quella estimazione in che era
una volta ; specialmente se collochi
a luoghi indicati i frammenti Ambro
sian i, i quali conoscerai quanto rischia
rin o , se soltanto darai un occhiata al

T r in u m u m ,

Truculentum , P ersam ,

EPIDICUM, quales ego procudere j u s s i


oculis hauseris.

Sed quid, bone lector, excogitaveris, si Plautum Pareanum, nostris ver


tentibus annis, caput demo sustollere
videas, quasi exprobrantem beneficia tot
clarissimorum hominum, qui diu noetuque Umbripoetae ad ulcera reparanda
incubuere? Mireris, irascaris; sed pax
tibi: ex hoc plurium librariorum con
suetudinem, et charitatem qua gens ista
humanas literas prosequatur, discere fas
est. Ac ne in obscuro tibi sit, causa qua
mihi haec culpa videatur maxima, scito
me etiam increpasse editoribus Berolinensi, Lipsiensi, Taurinensi; quod lec
tionem Bothii sequuti,

Ambrosiana

fragmenta in postrema voluminis parte,

S o l d a t o , al T rinumo, al T ruculento ,
al P ersiano , ali E pidico, eome io volli
c h e si pubblicassero.

Ma qual pensiero farai tu, let


tor mio, se a questi nostri anni vec(i
il Plauto di Pareo rialzare ancora
il capo, quasi rinfacciando i molti
beneficii di tanti uomini chiarissi
mi, i quali d e notte si logoraro
no per sanare gli ulceri dell Um
bro poeta? Maraviglierai, ti prender
I ira: ma dattene pace; da ci ri
trarrai la costumanza del pi delibraj,
e lamore che hanno costoro alle buo
ne lettere. Anzi perch non ti sia be
lata la cagione per la quale cotesta la
mi pare colpa grandissima, sappi aver
io alzata la voce perch gli editori
di Berlino, di Lipsia, di Torino, i quali
seguitarono la lezione di Bothe, ab
biano posti i frammenti ambrosiani in

velut iti postico condiderint, forte ambi


gentes bene utrum an male fecerint, si lo
cum istis in textu praebuissent. Mihi ali
ter visum est; literis imo grandioribus
Ambrosianos versus volui notatos, aegre
ferens necessum esse lucem longius
repetere, dum in promptu esse potest.
Nunc ut me teque, lector, paucis
exsolvam, dicam, quanam potissima ra
tione animum induxerit Veronensis ille
italorum philologorum facile princeps, ut
Afrum italicis vestimentis honestaret, et
ego ad Sarsinatem interpretandum:
quamquam alia quaedam ratio, et haud
minimi pretii, me excitasset. Per ora
hominum transvolabat Plautus, et an
tiquitatis maximo cultu venerabatur, sed
ab isto pota abhorrebant juvenes pari
ter et docentes; itaque> dum ab omni-

sul fine dell* opera, come in un luogo


ignobile, forse peritanti se avessero
fatto bene o male ad inserirli nel
testo. Io la vidi atiramenti, anzi volli
che i frammenti ambrosiani fossero
segnali da lettere majuscole, mal sop
portando quella luce che si pu avere
da vicino, abbiasi ^ torre di lontano.
Ora per ispacciar me e te, o let
tore, con poche parole, dir che la
istessa cagione grandissima che mosse
quel Veronese sommo principe degli
italiani filologi a vestir Terenzio di
adornamenti italiani, mosse anche me
allinterpretazione del Sarsinate; quan
tunque un altra cagione di pregio non
minore mi abbia commosso. Plauto andav^per le bocche di tutti, e perch
antico in molta venerazione egli era, ma
da questo poeta schifavano giovani e
maestranti, e perci mentre da tutti

bus colebatur,- negligebatur a pluribus,


et ejus dicacitates, et lepidissimi sales,
et dicta illustria in occulto latebant,
ut de margaritis est, quae in pelagi
vorticibus jacent absconditae.
De versione mea verbum non af
feram, nam de hac tua est, lector, sen
tentia; tantum obtestor, ut benignitatem
adhibeas, ac de me ne maligne cen
seas. Vale.
Dabam Cremonae pridie idus
Augusti MDCCCXLVI1.

era venerato, da pi veniva neglet


to, e s le di lui piacevolezze, i
saporitississimi sali, e i detti pi
leggiadri stavano nascosi conforme
d e lle perle, le quali stanno entro i
vortici dell oceano.
Della mia versione io non porr
parola, ch il profferirne giudicio
tutta cosa tua, o lettore; soltanto io
ti prego ad essermi benigno, e a non
giudicare malignamente di me. Sta
sano.
Cremona i2 . Agosto 4847.

ELOGIO
IH
MARGO

ACCIO

PLAUTO

DEL PROFESSORE
EU ST A C H IO

FIO C C H I

Che sar di te, o Italia, se dopo (4) un lungo volger


di secoli per legge immutabile delle mutabili umane vi
cende si oscurer la luce di quella lingua, di che tu vai
si meritamente superba, e spenta e perduta si resti, sic
come addivenne delle lingue gi si famose della Grecia
e del Lazio? Figlia qual sei primogenita dell' Idioma la
tino, tu forse altres sarai madre di nuovi linguaggi. Ma
lunga e profonda memoria, e durevole ammirazione di te
lascerai nella pi tarda posterit; e i popoli futuri,
quando che sia s infiammeranno del nobif desio di farsi
ricchi delle tante e s moltiplici e s gloriose tue spoglie.
E 1 presagio io ne traggo ricordando quanto gi
fece lItalia stessa, dacch diradate le tenebre dellignoranza,
un alba pi bella spunt foriera d un pi. bel sole. Qual
(i) 11 presente Elogio fu letto -dall egregio Professore all apertura
delle Scuole nell L R. Universit di Pavia, e venne pubblicato per cara
del Sig. Dott. Francesco Regti dal quale mi fu gentilmente permesso ristai*'
parlo colla mia traduzione.

Vili
gara, qual trasporto, qual generosit, dopo il Petrarca ecl
il Boccaccio, nei Principi, nei Grandi, nei Letterati, nelle
Citt e nei Cittadini pi illustri per trar dal, sepolcro, e
ridonare a nuova vita i tesori della latina Antichit? S
vivo e s vero crebbe negli Italici petti l impegno di co
noscere e di trasfondere in s stessi quanto gi v ebbe
di bello, di grande, e di sublime nella sapienza latina,
che parve nel decmosesto ' secolo risorgere in Italia il
secolo dei Tullii, dei Livii, dei Virgilii, degli- Orazii, dei
Cesari; parve dalla Italia diffondersi per tutta 1 Europa
i l redivivo splendor di Roma, o voglio dire di quella lin
gua, che circond di sua gloria cos gran parte dell Universo.
Ma ohim che i tempi sono cangiati, cangiati i genii
ed i gusti, come le mode! A tale siamo giunti che in
discredito, e dir volea quasi in onta e disprezzo, caduta
la bella Latinit. Pur troppo vi ha chi ama dissetarsi a
non limpidi ruscelli, e forse anche a vene straniere piut
tosto che inebbriarsi afiumi purissimi e reali, onde sgor
garono gi prima torrenti inesausti di genuino sapere.
Ma laudi sian rese all augusto nostro Sovrano; a Lui
che dianzi raggi della luce amabile e benefica di sua
maest questo inclito Ateneo; a Lui che degn di farci,
sentire in qual pregio tenga le lettere latine; a Lui sulle cui
labbra le lettere risuonano latine s dignitosamente; a Lui
stesso, che me onor fra tanti altri del non agevole in
carico di tener vivo il sacro fuoco di Vesta, e custodire
l inviolabile Palladio della latina letteratura. Deh, Giovani
umani quanto valorosi, ricuserete voi di seguirmi nel
magnanimo impegno di adempiere le mire dell ottimo
Monarca, e sostener le glorie dell antico Lazio?

- E cotale chi vuol segnalarsi nelle italiche lettere, piut


tosto ric o rre agli antiehi modelli che non ai moderni, ai mo>
delli antichi applichiamoci del Lazio ancora noi. Per io scel
go M. Accio Plauto, lui solo, per farvi vedere quanto importi
lo svolgere, sviscerare, internarsi, quasi- direi compenetrarsi
d un solo autore tra quanti han riscossa 1 ammirazione
dei posteri, e quanto da un solo si possa apprendere di
bella e varia e genuina latinit. Difficile impresa lo veg
go, e piena di sospetti, di pericoli e di spine. Ma se voi,
che avveduti siete e discreti, non isdegnate sorreggermi;
io spero trovar lode non che indulgenza, quando pur
sia che salvo io nesca ed illeso.
S, Plauto, quel non ignobile Cittadino di Sarsina
nell Umbria, quel poeta cos saporito, che primeggi
sulle scene di Roma in quei tempi che gl ingegni romani,
dopo aver imparato a vincere ed abbassare la superba
Cartagine, gi erano scossi e ingentilivansi, e sollevavansi
al pari della Romana grandezza; quel comico, cui s favorele sorrise Talia, e s poco destra nel traffico la for
tuna; che gir per vivere le . macine volubili, senza la
sciare di scriver commedie, e mai non fece sentir lamento;
quello che dopo una vita gloriosa per teatrali trionfi, ma
non fortunato, pot lasciar di s quel s famoso elogio,
che -al suo morire rimase vota la scena, in lutto e gramaglia la commedia, in pianto il giuoco, lo scherzo, il
riso, e que suoi versi cos schietti e semplici, e senza
studiata c troppo artificiosa armonia; s, Plauto quelT autore che io riguardo ed amo, e men compiaccio
cow eg li amava il suo Epidico, come compiacevasi del
suo TrU culento e del suo Pseudoio; perch mi sembra
V a u to r p i dilettevole ed istruttivo della pretta latinit.

Con brevi e solide e forti parole io posso dimostrarlo.


Egli stato mai sempre tenuto come il codice, o voglio
dir la legge, o il canone della lingua latina ne! modo
stesso che 1* Alighieri lo per noi. E troppo famoso il
bel detto di L. Elio Stilone, che se le muse volean parlar
latino, avrebbcr parlato il linguaggio di Plauto.
Or che pensar di quel moderno Aristarco, che udendo
la prima volta una si gloriosa testimonianza prorompe:
Che? dunque le Muse avrebber sovente parlato il lin
guaggio dei trebbii e dei chiassi? Ecco un bel motto, in
cui non vi ha che dello spirito, e a quanto parmi, che
spirito di frivolezza. stato detto che le attiche Grazie
si avean fabbricato un tempio nel petto d Aristofa
n e, di quel comico s libero e saporito d Atene.
Chi dicesse che dunque le Grazie sarebbonsi anni
date nel fango e nelle lordure, perch quel comico
parl cosi spesso, e con tanta verit e chiarezza di cose
vili, triviali, degne sol della feccia del volgo, moventi
lo stomaco; direbbe egli mai nulla pi che uno spiritoso
concetto?
Parla egli dunque Plauto s spesso il linguaggio dei
trebbii, che pi spesso d assai non gli escan di bocca,
come daurea vena, parole di vera filosofia, di vera poe
tica eloquenza? E quando pure egli entri in umili taverne,
gi non umile il linguaggio, con che vi parla. E che?
Se anco in quelle sue favole, che sembra pi libere o
pi lubriche e sospettose, bellissimi insegnamenti vi sin
contrano di bel costume, di gentili maniere, di onest, di
virt, di decoro? Le stesse Muse, credo io, han dettato
al Comico Sarsinate la superba scena dell Anfitrione, -in
cui quel Sosia di lui messagero va disegnando, e ritra-

eo dsi nella mente, com ci la vedesse, la battaglia e ia


vittoria di quel Capitano per farne il racconto ad Alcmena.
Io sfido il pennello di Livio, di Sallustio, di Tacito, e quasi
direi d Omero e di Virgilio a tratteggiare e colorire un
quadro pi vivo, pi animato, pi vero. Le stesse Muse
han dettato il discorso d Akmena a torto incolpata di
Tede tradita, che rea non si sente, e se lo , noi sa, n
pu p u r sospettarlo. Lo giuro, dic ella al vero suo sposo,
per Giove, per Giunone lo giuro. Niun uom giammai ardi
toccarmi fuori di te. Per dote io no, non tengo quella
che dote si chiama dai pi: ma la castit, ma il pudore,
ma il moderato sentire, ma il timor degli Dei, ma lamor dei parenti, ma la concordia dei congiunti, ma
l ubbidire a te, ma il mostrarmi benefica ai buoni, e
soccorrevole agli uomini onesti. Ahi ! qui non posso
io pi durarla: Ch io sia d onta coverta e di vi
tupero in tal guisa dallo stesso mio sposo? Staccherommene; addio; tienti il tuo, rendimi il mio. Addio.
Mi darai tu un compagno per via? Se mel ricusi, io sola
andrommene, ina verr con me compagna la pudicizia.
Magnanimi sentimenti, e degni, panni, di nobile ed alta
e irreprensibil matrona. Le stesse Muse han dettata
la scena, in cui Giove si mostra, qual c, vero padre
d Alcide. Appena sta per uscire alla luce quel prode, ec
coti e strepito e scroscio e suono c tuoni. Come d i im
provviso, come in un punto, e come forte tutto rintrona
d intorno! Cadono sbigottite, isvenute le damigelle, ed
appena han potuto riaversi, attonite miran il palagio fiam
meggiante di viva luce, qual d oro purissimo, e chiara
suona la voce del Nume, che annunzia presente l aita. Il
celebre Einsio os dar taccia al poeta di non aver saputo

sciogliere il nodo della sua favola se non per macchina.


.Ma erudito forse di troppo, e forse troppo poco filosofo
ei non vide, o non volle, o non seppe vedere, che pura
macchina era tutta quella spiritosissima tragicommedia.
E tale io nebbi sorpresa e diletto, che per poco non
caddemi in mente di tutte svolgere e conoscere e pesare
ad una ad una le favole plautine. Mi venne in prima ve
duta lAsinriaj e credei di poterla trapassare impune
mente. Quando ecco mi arresta il diverbio della prezzatrice
Gleereta e dell improvvido Argirippo. Lo credetti di dub
bia utilit, ma un critico osservatore lo giudica una le
zione efficace per contener la calda e mal accorta gio
vent pi assai che le lunghe e troppo ripetute e spesse
volte inutili dottrine dei Filosofi. dove trovar una pit
tura pi energica deHawilimento a che si riduce un uomo
appassionato, che la situazione di quel giovinetto perduto
dietro una bagascia tra due suoi schiavi, che se ne pren
dono giuoco, e costretti a carezzar luno e sostener lal
tro a cavalcione sul dosso pur per estorcerne il prezzo
di sua sconfitta?
Taccio del Gorgoglione, bench fin dal principio vi
sia dipinto lajo e lallievo, luno che d i pi savj sug
gerimenti per ritrar l altro dal precipizio, l altro che ri
calcitra, come non di rado succede, e minaccevole non che
refrattario si mostra. Vorrei anco dire una parola di quel
tratto finissimo di spirito, o piuttosto di mordacit, in cui
sono indicati e contrassegnati i varj ridotti, e contrasse
gnati e indicati i caratteri delle persone o buone o ree,
che sogliono capitarvi. Ma temo che quella scena non sia
del gusto di tutti glintelligenti, comech facilmente ap
plicabile anco ai tempi moderni.

xiir
Taccio ancor della Canna, o i tr pretendenti, ove
il poeta insinua con tanta grazia, che siccome saggi ei
crede quelli, che preferiscono al nuovo il vin vecchio, saggi
del pari son quelli che gustano pi volentieri le commedie
antiche che non le nuove- e quanto pi gustansi le
antiche opere e le parole, cosi pi piacciono le antiche
favole, perch, die egli, le moderne commedie, che or
escon fuori, son anco peggiori delle nuove monete, che
ora si battono. Ma piando altro non vi fosse in questa
favola, qual lezione nellultima scena, in cui vien dipinto
un di quei vecchi insensati, che dimentichi di s stessi
vogliono gareggiar pargoleggiando in amore coi giovani!
Qual trista figura vi fa, e come scherno e ludibrio rimane
de circostantii
N a lungo mi fermai sull altra, che prende il nome
dalla cestella, comechun letterato di finissimo discernimento
dicesse di non sapersi contener dalla maraviglia, vedendo
come in un subbietto si sterile e digiuno sapesse Plauto
tirar una vena s ricca di sali, di frizzi, di piacevoli sen
tenze. Ma semplice chio sono, aggiungeva, che am
miro nel Comico dell Umbria quel che ne forma il sin
golare e distintivo carattere!
Solo ricorder dellEpidico, che Plauto amava quanto
s stesso, quella commedia. Limiterommi nelle Bacchidi
ad osservare un nuovo esempio dell ajo zelante, e del
giovine allievo renitente e ribelle agli avvisi della ragione
ed all amorevolezza del consigliero e precettore. Esempio
ahi! troppo spesso ripetuto anco in tempi pi freschi. E
volea fermarmi qui solamente. Quando ecco cadrmi sottocchio la scena del servo Crisalo, che ordisce una trama
al vecchio Nicobulo, e riesce a smungerne largento. Ed

eccolo tutto gajo intrecciar un primo esempio di spiritosa


saporitissima parodia di tutta F Iliade di Omero. E tutti
i pi belli episodii di quel divino poema ci riduce a con
fronto con la sua trama. Egli l Ulisse frodolento, o se
gli piace, anco il grande Agamennone, anco il fallace
Sinone. Il vecchio Nicobulo si cangia nel vecchio Priamo:
Ilio il suo scrigno, ed Ilio incendiato, e lo spoglio
si di quattrocento lUippi ghermiti al vecchio mal avve
duto. Terribile era gi prima Aristofane in Atee per que
sto genere di poetici trastulli. Egli ne facca subbietto i
Socrati, gli Eschili, gli Euripidi e qualche volta anco i Sofcli e pi spesso i Clearci, e i Gleofuli e i Cleomeni. Ter
ribile emulatore sen mostra Plauto, e forse anco per qual
che lato maggior di lui. E sarebbe egli mai lontano dal
vero, che attinte o imitate da quelle di Plauto ed Aristo
fane, sian le s spiritose e saporite parodie, che risuonano
sulle scene parigine, e non ha molto dun qualche sorriso
furon degnate anco in Italia?
Che dir della Mostellaria eliio meglio chiamerei il
fantasma? E piena di movimento, e di curiosissimi episodii.
Ma io non la tengo per troppo istruttiva ed importante,
comech forse abbia data lorigine a tante altre fantasiine
architettate su quel modello.
E che dir dei due Mententi, o Gemelli, se non che
panni questa una delle pi belle e meglio intrecciate e
pi Ingegnose commedie di Plauto? I vari e tutti piace
voli incidenti, che nascono dalla somiglianza dei due fra
telli, ci fan vedere l un traviato, che vuoisi ridurre sul
buon sentiero, e laltro die gi da pi anni va in traccia
del perduto germano, e spiega il nobil carattere di quel
Proculej o3 clic Orazio chiam famoso per animo paterno

veno i decadati fratelli. Forse meglio adoperato 3 giuoco


della somiglianza bellAnfitrione; dove si ha il segnale per
distinguere il vero Anfitrione dal finto, dal finto il vero
Sosia. Qui all incontro non ben si comprende, come un
Menecmo si confonda con laltro, e non si distingua almen dal tuono della voce, dal gesto, dal portamento, dallabito. Ma bisogna pur concedere qualche cosa alla scena,
ed al naturai discernimento degli spettatori, i quali, ove
sian ben divertiti, non guardano tanto per lo sottile, e
commedia divertente oltre modo.
N ultima tra le Plautine io chiamerei il Soldato mi/tentatore. Oh! come vi colorita, ed animata la vanit di
quel frivolo Marte, e come rilevata la sua sciocchezza
dalle sorvaganti adulazioni del parassito. Ma se vuoisi
una scena veramente ammirabile, si fermi lo sguardo s
quella, ove spicca il carattere del vecchio gioviale, che
vecchio s, ma di verde e rubizza vecchiezza, ed ospite
si palesa amorevole e compiacente ( forse anche troppo )j
rii carattere del giovane onesto e liberale, che ne gode
lospitalit, ma non vuole abusarne: e quel del servo for
nito di finissima accortezza e rara vivacit, che ordisce
la trama ( non troppo umana veramente ) per disingannare
lincauto millantatore. '
Io
lascer che altri si arresti nel Mercatante, o vo
gliasi mirar il quadro del vecchio, che per torto caprc
cio al rende men che fanciullo, o il tripudio del servo,
che trionfa d aver trovati in casa da sei compagni, la vita,
lamicizia, la cittadinanza, la gioja, il giuoco, il trastullo;
c d'averne dispersi e messi al fondo dieci altri, l ira,
linimicizia, la stoltezza, k> sterminio, la caparbiet, la tri
stezza, le lagrime, l esiglio, la povert, la solitudine.

Prender parte con quanti nel 'Penulo, o voglio dire


il piccolo Africano, ammireranno il quadro della donna
galante che siede allo specchio, e studiasi di dar risalto
die attrattive del sesso, quadro, cred io, pennelleggiato
da' mano Pariniana; o il frizzante contrasto del giovane,
che vorrebbe divorate la via, e dei vecchi avvocati, che
vogliono misurarla a passo a pass. 0 gusteran nei Per
siano il bel dialogo, in cui la donzella, che fingesi
forestiera, risponde a chi le chiede, quale sembri la citt
di Atene, e come fortunata e fiorente: S veramente ben
guardata e difesa la citt, se l 'abitan cittadini ben co
stumati, se banditi ne sono la mala fede, l abuso e le
usurpazioni delle publiche rendite, l avarizia, linvidia,
lambizione, la maldicenza, lo spergiuro, linsolenza, lin
giustizia, e quel che peggio la sceleratezza. 0 vorranno
Altres prender diletto dalle allusioni di militari apparecchi,
o al modo ed all arte di allestire un giulivo banchetto.
Ma passiam poi di volo sullo Stico, se non vogliam
trattenerci a mirare un esempio di conjugal fermezza in
due sorelle, che incoraggiate dal padre a novelle nozze,
dacch nulla pi sanno, gran tempo gi, dei lontani
mariti, ad onta e colpa ed infamia si recano di rompere
il primo nodo, finch incerte pur sono delle venture dei
lor mariti; se non vogliam degnare d un guardo aneo
l apologo bizzarro del vecchio Antifne.
Ma niun si fermi a lungo a riguardar il Truculento,
tuttoch Plauto per testimonianza di Tullio se ne compiacesse
altamente; ma guardi e passi, perch vi serpeggia il ve
leno. comunque possa giovare il conoscere i veleni
per aborrirli e'schivarli; io non vorrei pormi al rischio
dimbeverne qualche gocciola inavvedutamente.

Ma niuno osi toccarmi la Pentoliera, chc cos pia


centi con termine omologo chiamar, YAulularia d Plauto.
Ed ecco, io dico, una delle commedie di tutti i tempi, di
tutti i paesi inciviliti, che sono sempre vecchie e sempre
giovani: vi dipinto lavaro con tratti da Michelangelo. qual
scena mai quella, in cui vicn situato lavaro in disparte,
e Megdoro uom gi maturo, ma nobile e ricco, che pone
gli occhi sulla figlia di quello creduto povero, ma onesto.
Comincia egli e vuol far credere, che bella sorte sarebbe
della societ; se i ricchi menasser per mogli le figlie dei
poveri, m a senza dote. Niuna, dieegli, oserebbe rinfacciar
al marito: io ti ho portata una dote pi grande assai chc
non era il tuo stato. giusto eh io m abbia e porpore
ed ori e mule e cocchi e cocchieri e staffieri e donzelle
e paggi. Ma il bello sentire le spese che pretendono.
Eccoti il tintore, il ricamatore, il cucitore, il rigattiere,
il profumiere, il tessitore, il ciabattiere, il sarto, lo stipettajo, il colorista che tinge color di fiamma, color di viola,
color di cera, color di malva, color di croco, il venditor
di gale, di veli, di fregi, di minuti abbigliamenti d ogni
qualit. Se a questa uniscasi la scena dellEpidico, in cui
son dipinte le donne galanti vestite, dorate, adornate con
grazia singolare, con eleganza e leggiadria, con raro sfog
gio e novit; che inventano ogni giorno novelli nomi,
sott abiti or trasparenti, or fitti, tele azzurine a frange
doro, colorite a fiorancio, in minio, in verdemare, in
ricami di piuma; dirassi chc Plauto ha voluto accertarci,
che la moda era di moda fin anco a tempi suoi.
E che diremo dell altra scena, in cui l 'avaro dispe
rato p er lo rapitogli tesro si trova a fronte il giovine
Liconiile, che gli ha rapito lonore della sua figlia? EsemV o l . I. P l a i t .

pio sorprendente di due che parlano, e sintendono senza


intendersi, che l'u n non pensa se non alla pentola invo
lata, e laltro allonore involato della sua figlia. Bellissimo
contrasto, che termina con l intendersi chiaramente, e
raddoppia il diletto e le risa dei circostanti, contrasto che
piacque e piacer mai sempre; e chi noi crede, ne do
mandi a Moliere e Goldoni.
Ma piaee piacer mai sempre la favola dei due
Cattivi, 0 voglio dire dei doe prigionieri e schiavi compri
di guerra. Ella la castigata, la irreprensibile, lamabile,
la sorprendente tra le Plautine. tutta io dovrei reci
tarla, se tutte volessi ritrar le scene ammirabili di che
ridonda. Quante volte, diceva un uom di gusto squisito,
io prendola tra le mani, altrettante mi fa suo prigioniero
per modo che lasciomi imprigionar di buon grado, e di
buon grado mi presto alla mia schiavit, ed anche po
tendolo, non vorrei liberarmene. Ella un di quei nodi
che quanto pi cerchi strigartene e pi ti stringe.
Niuno osi toccarmi il Pseudoio, 0 l Ingannatore,
commedia che Tullio solea chiamar locchiellino delle Plau
tine, e trarne incredibil diletto: Niuno il Trinummo, ove
spicca il bel prologo e la superba allegoria del Lusso che
entra in una casa, e nell uscirne vi lascia la Povert,
dov il modello della bellissima esposizione d una favola,
dove l esempio del vero e leale amico, dove il vivacis
simo squarcio, in cui sono dipinti i novellisti che preten
dono di saper tutto, fin quello che il re bisbiglia nell 0recchio alla regina, fin quello di che Giove favell con
Giunone.
Ma traditore, ma sprezzator sacrilego delle Muse latine,
n on che inesperto, temerario, ignorante io chiamerei chi

osasse toccarmi il Rudente, o voglio dire il canapo, o la corda.


Ohi la bella commedia eh essa ! Oh! le scene mirabili,
toccanti, veramente patetiche chc vi s'incontrano. Oh! i
bei caratteri delle due naufraghe amiche donzelle, balzate
dall* onde sul lido incognito e solitario, e smarrite e prive
d ogni soccorso; dell* umana e benefica e veneranda sa
cerdotessa di Venere che le accoglie nel tempio, le soc
corre, le torna alla vita; del pietoso vecchio romito, che
le protegge; del giovane amatore che le difende; e fin del
pescatore che ritrae dal mare la valigetta in chc son chiusi
i segnali, onde riconoscere le due donzelle; fin anco di
quel mostro, che pretende rivendicarle, perch da lui gi
prima prezzate e compre a contanti. Soffrilo in pace, o
mio Plauto; troppo tu pregiasti il tuo Pseudoio, il tuo
Truculento, c troppo 1 Epidico, che dicevi d amare pi
ancor di te stesso. Per te son io contro di tc, lo sono
contro di Cicerone, che la sentiva con tc. No, pi bella
commedia tu non immaginasti giammai. Ella la comme
dia che ripetuta le dieci volte, le dieci volte piacer. Ella
il capo d opera del teatro comico latino. E se io min
ganno, deh! lasciatemi nell inganno mio.
Quali son dunque i pregi che manchino alle favole
Plautine? Ben diresti che il genio stesso della commedia,
o voglio dire l amabile e ridente Talia si assise ai fianchi
di Plauto, e gli occhi rischiarandone li raffin singolar
mente per conoscere qual era l indole e lo stato della
rom ana societ nel secolo sesto di quella republiea, in
cui e ra n grandi uomini e grandi virt con ricchezze non
grandi. E quanto quel secolo era mai diverso dal secolo
degli O ra sii c dei Virgilii, fecondo al pari di grandi uomini
e di g r a n d i virt, ma con grandi passioni e grandi vizii,

che finirono con la rovina d ogni romana grandezza.


Ella fa che ne anim il talento discernitore, onde inter
narsi n#lla scienza degli usi,, dei costumi, delle inclinazio
ni, degli studii dei cittadini di quella et. Ella ne adde
str l ingegno a scegliere gli argomenti delle sue favole,
a immaginare azioni opportune e piacenti, a variare i
caratteri, e indovinarne a dar risalto ai tratti pi rimar
chevoli e saporiti, a idear personaggi e diversificarli an
cora nelle medesime circostanze, e conformarli col vero,
a fingere e preparare le comiche situazioni, a intrecciar
gli accidenti e derivarli 1 uno dall altro, a variar le
scene, a Spargere con larga vena i frizzi ed i sali e i
bei sentimenti, e i bei concetti, le belle verit, onde
istruire allegrando gli spettatori volgari, ed appianar le
fronti accigliate dei grandi e dei saputi. E s egli vero,
come il diceva un bello ingegno, che nelle opere di spi
rito lo stile tutto; chi meglio di. Plauto ha saputo ma
neggiar lo stile della commedia che vario e vago e coe
rente e facile e forte all uopo e rapido; o lento, e tal
volta fiero e sublime, e saporito pur sempre, tien dietro
alle cose, e mai non obbliga le cose a soggiacere e ser
vire alla parola?... Che pi? Io leggo Terenzio, 1 amico
dei Lelii e degli Scipioni, e candido e schietto e ingenuo
qual Terenzio m innamora e mi rapisce. Ma quando
m* interno nelle Plautine; io dico coi pi, che se Plauto
non era, forse non era neppure Terenzio. Plauto genio
e modello. Terenzio imitatore e seguace, ancorch vago
e grazioso, e qualche volta capace di far invidia anco
all istesso Plauto. Ma Plauto cre, Terenzio raffazzon.
Qual maraviglia fia dunque, se le commedie Plautine
levaron si alto grido, e furon sempre tenute in grandis-

simo pregio? 0 giovani magnanimi., fior dell Insubria,


speranza della patria, decoro di quest inclito Ateneo, in
cui non spento per anco il sacro fuoco delle muse
latine, debbo pur dirlo liberamente? Tempo gi fu quando
in Italia i grandi del secolo, i principi regnanti, gU stessi
pontefici nelle spendide lor corti faceano a gara nell 'in
nalzar magnifici teatri, e compiacevansi di sedere spetta
tori alla rappresentazione delle Plautine. E quindi 1 emu
lazione degli italici ingegni di farsi emulatori di Plauto.
Ma quella gara e quel trasporto dei grandi e dei letterati
a poco a poco s'infievol, venne meno, manc. Sebbene
io stesso negli anni miei giovanili, vidi gentil brigata
di costumate unanimi persone rianimare, e vive e spiranti
condur sulle scene qualcuna delle migliori Plautine, et
posso dire, senz ombra di menzogna, che grande era il
concorso ad udirle, e grande il diletto che ne ritraevano.
E quanto che corse in Italia la voce, e chi non udilla
non ha molto dai pubblici annunzii? che nella metropoli
numerosa d Inghilterra, ove suonano ancora s altamente
i famosi Dryden e gli Addisson, una schiera geniale di
giovani valorosi sonosi con raro consenso accordati di
recarsi a memoria, e di recitar sulla scena le pi casti
gate Plautine? Deh! chc sarebbe mai, se negli italici petti si
raccendesse un pari ardore, e in vece di perdersi in vani
o frivoli e mal sicuri trattenimenti, con nobil gara sim
possessassero di qualche Plautina tra le pi utili ed istrut
tive e piacenti, e a viva voce, e viva azione la facessero
gustare alle gentili ed erudite adunanze?
Ma io forse non so contenermi dentro i confini di
non riprensibile ammirazione per il Comico Sarsinate. E
chc? non ha forse i suoi difetti anche Plauto? E qual

quell opera umana, dir ancor io, la quale per quante


perfezioni eli abbia, non abbia pur qualche difetto? Non
ha pur Plauto inciampi di mal esempio o di seduzione?
E il veggio io s, che io non debbo dissimulare il giudi
zio di quel giudice sagacissimo, che dett ai Romani
lArte Poetica, di che la pi sensata non fu giammai. Egli
os dar taccia di troppo sofferenti, per non dir stolti, agli
antichi romani, poich ammiravano i numeri disarmonici
ed i sali di Plauto, e appoggiava la sua decisione al na
turai discernimento duomini ben avvezzi a distinguere i
modi gentili dai bassi e triviali, ed all orecchio ed alle
dita. Terribil giudice Orazio, io lo so; pia giudice non
men terribile Cicerone, che dilettavasi di sali e di bei
motti, e dava la palma di questa lode al Comico dellUm
bria. E i dotti dei secoli posteriori han sempre desiderato
che quella decisione mai non fosse uscita di bocca ad
Orazio: perch da lui medesimo si pu chiedere ben a
ragione, se armonizz del pari quelle odi s belle, con cui
si elev a tanta sublimit, e quelle satire cos saporite,
e quei sermoni che formano pur sempre la delizia dei fi
losofi intelligenti, quando egli stesso dichiara, che s ac
costava scrivendoli al famigliar discorso. Purgati eran dun
que soltanto gli orecchi latini ai tempi dOrazio, e rozzi
e mal temperati gli orecchi del secolo di Plauto? Eran
barbari forse i Romani dallora? 0 Plauto non dovea det
tar le sue commedie per uso e diletto ed ammaestramento
del popolo che l ascoltava? Non pi popolar poema la
commedia, o riservata soltanto a cavalieri, a senatori
e non forse con pi diritto, ai compratori di ceci e di
noci? L armonia dei giambi Plautini piaceva agli antichi.
Qual colpa di Plauto, se non gustavasi egualmente in

secoli pi recenti? poi sar egli vero che i giambi Plau


tini manchino d armonia? '
/
E vero altresi sar che sian riprensibili i sali Plau
tini? Ye ne ha, noi nego, di quelli che sembran scipiti
ancor per noi. Ma quanti pi ve ne ha di genuini, gra
nosi, piccanti, frizzanti, mordenti, piacenti: n gi seguir
10 lesempio del gi nominato Einsio, che a voler dare
la preferenza su quelli di Plauto ai sali Terenziani, quei
soli trasceglie ne suoi confronti, nei quali Plauto la cede
a Terenzio, e dissimula quelli, nei quali Terenzio rimansi
addietro per ampio intervallo; e cos crede giustificato il
giudizio del Yenosino. Ma io rifletter solamente, che Orazio frequentava la corte di Augusto, dove il fior si acco
glieva degli ingegni latini, e quindi pi raffinati e gentili.
Ma Plauto viveva in libero stato, e in tempo che lo spi
rito e il brio naturale non era per anco guasto o can
giato dall artifizio e dalla moda. 1 sali ed i bei motti di
Federico di Prussia, dei Voltaire, dei d Alembert, degli
Algarotti e dei Lucchesini erano certamente pi pungenti
e saporiti, e ben diversi e lontani d quelli die movono
dalla bocca naturalmente dun popl colto. Ma quelli eran
sali di corte, e non il mondo comune. I sali di Plauto
piacevano a chi li sentiva. Che pretender di pi?
La stessa osservazione pu farsi in generale sulla
latinit di Plauto, che Orazio giudicava rozza ed incolta.
Ma lintervallo di due secoli dovea, credo io, portar ne
cessariamente dei cambiamenti nella lingua, come ne port
grandissimi nei gusti, nei costumi e nella vita sociale. Ma
chi conosce la lingua di Plauto, si accorger che il per
fezionamento non riguardava gi la natura intrinseca, o
11 fondo del latino idioma, ma solo alcune forme pura

mente accidentali ed esterne, e per dir cosi di para


vernice.
Ma un altra eccezione e pi solida e pi vera pu
firsi alle favole Plautine. Non rare vi son le scene e le
situazioni c troppo libere e lubriche, per non dir licen
ziose, e troppo chiari eccessivi e toccanti i quadri dellumana fragilit. E come difenderne il pittore? Baster forse
il ricordare che Plauto scriveva venti e pi secoli prima
di noi. Ahi che io qui mi sento presso che smarrito c
confuso. 0 giovani magnanimi, fuggite, fuggite i mali passi,
ch la serpe si asconde tra i fiori e lerba. Lasciate solo
chio dica, che Plauto non l autore dei teneri ed ine
sperti garzoncelli; ma il poeta della maschia e matura
latinit. Pur se mai vi venga talento di svolgere e studiar
le commedie Plautine, dove mai vi incontraste in iscene
disdicevoli o mal oneste c piene di rischio e di pau
r a , come saggi che siete e ben educati, e amici
della virt, dell onore e del decoro, un ingenuo verecondo
rossore vi tinger le gote, abbasserete gli occhi, torcerete
in altra parte la faccia, compiangerete la sorte del cieco
e troppo facilmente sensuale, e spesso ancora brutale ido
latra. Cogliete la rosa, e ritirate dalle spine l mano:
vero pur troppo,
Che della serpe in seno
Il fior si fa veleno;
In sen dell ape il fiore
Dolce licor si f.

ANGELI MAH
O L I BIBLIOTECHE AMBROSIANA A I J . . OR.
NUNC S. R. E. CA R D O AXIS
AD

FRAGMENTA

Q t*

INVENIT.

B ra ^i o .

I.
Q uum in ea urbe jampridem degam, quae lauda
tiss im u m comicae artis magistrum latinae scenae olim
suppeditavit Statium Caecilium ( \) , coepi in hac mente
ac cogitatione versari, nihil me gratius facturum,, quam
si quod theatralis operae insigne et vetus monumentum
ex ipsis Mediolanensium ruderibus excitarem. Et ipsius
quidem Caecilii tenuissimam quamdam particulamt ceu
lam inam argenteolam cum Frontone f2 ) nuper doctorum
virorum octilis obtuli. Res tamen mihi longe felicius eve
nit in utroque romanae comoediae summo artifice Plauto
et Terentio, quorum alterius non paucos versus deperditos
in antiquissimo palimpsesto detexi, alterius autem codi
cem item nobilissimum offendi cum picturis partim ine-

(j) Statium Caeciliam ex quorundam traditione dicit Mediolanensem pieronimus in Chronico ad Olimpiadem CL. Is autem Plauto et Terentio
aetate interjectus fait Omnibus comicis anteponitor a Volcatio Sedigito
apud Gellium XV. 34 bis versiculis:
Multos incertos certare banc rem vidimus,
Palmam poetae comico cui deferant
Eum, me judice, errorem dissolvam tibi,
Vt contra siquis sentiat, nihil sentiat.
Caecilio palmam Statio do comico.
Meque secius de Caecilio existimat Varro (apud Noniam in voc. Poscere):
ln argum entis Caecilius poscit palmam, in ethesin Terentio*, in sermoni
bus P lautus. Argumentum autem pars dramatis praecipua est.
(a) E pist. 1. Lib. 11. ad Caesarem. '

ditis, cumque aliquot tcholiit. Vita denique ipsa mihi


occurrit Terentii ex antiquissimo libro descripta, quae lu
cem nondum aspexisse videtur.
II.
Nunc ut de priore Comico breviter dicam, quis
potest ex omni latinorum litterarum memoria sumere
aliquid illustrius quam Plautum? qui ingenio uberrimo
affluens, sententiis argutus, verbis florens, romanae ce
nae principatum diutissime tenuit. Tanta equidem Plau
tini oris suavitas visa est, ut eius eloquium non solum
plane atticum judicatum sit, sed divino musarum ser
m oni comparatum (i). Idem praeterea imbutus natura
quadam apta ad genus jocandi, habuit prorsus omnia
quae pertinent ad comicam hilaritatem. Nam et dicaci
tatis aculei acutissimi in eo sunt, et lepidissimi sales, et
infinita festivitas. Sane reconditos fontes, abjlitasque velut regiones ridiculi apud Plautum mireris. Ita ex omni
genere facetiarum totus constat, tantoque opere lascivit
ac perfluit infreni quadam ludendi licentia. Animadver
to, inquit Macrobius (2J, duos quos eloquentissimo? an
tiqua aetas tulit, comicum Plautum et oratorem Tullium,
eos ambos etiam ad jocorum venustatem ceteris praesti
tisse. Plautus quidem ea re clarus fuit, ut post mortem
eius comoediae, quae incertae ferebantur, Plautinae ta
men esse de jocorum copia noscerentur. Quamquam idem
non semper in joco, saepe etiam in gravitale versatur.
Quare Plautina comoedia est item cultura animi, quae
convellit vitia radicitus. Multa is sane dicit illustria,

(i) Apud Quintilianum Inst. X. 1. D. Hieroninmm ad Pammach. Edit.


Veron. T. I. p. 3i5.
(?) Satnrnal. II. I.

eusque scriptis non tolum ad oblectationemt sed ad vi


tam quoque agendam uti possumus. Mirus enim etholo
gus Plautus est.
III.
Sed tamen et hunc latinae linguae florem tem
porum injuria vehementer infregit. Nam primo quidem
gravissima ja m inde a priscis Latinis qtutestio manavit
de comoediarum vere Plautinarum numero. Feruntur,
inquit Gellius
sub Plauti nomine circiter centum atque triginta. Sed homo eruditissimus L. Aelius quinque
e t viginti eius esse solas existimavit. Varro praeter illas
unam et viginti., quae Varronianae vocantur; quas iccir
co a ceteris segregavit, quoniam dubiosae non erant, sed
consensu omnium Plauti esse censebantur; quasdam item
alias probavit adductus stilo atque facetia sermonis Plau
to congruentis: easque jam nominibus aliorum occupatas
Plauto vindicavit. Servius item ad jEneidem I. prce. ait:
Plautum alii dicunt xx. et unam scripsisse fabulas, alii
x l . alii c. Gellio praeterea exploratum est> veterum quo
que poetarum fabulas a Plauto fuisse retractatas atque
expolitas: unde rursus ingens dubietas in discernendi
Plauti ipsius scriptis exorta est. la m qui Plautum pro
pius nostra tempora post renatas litteras emendarunt,
cum multa bona in eam rem contulerunt, tum etiam
plurima vitia nolentes invexerunt. Quum enim mutandis
passim lectionibus, metiendis temere versibus, inserendis
etiam locis alienis multus Criticorum labor impensus sitj
Plautum quidem a Plauto vehementissime dissentire ne
cate est.

(i) L ib . 111- Cp. 3.

. XXVlYl

IV.
Sed afflictae ac perditae rei Plautinae medici
nam, si minus omnem, at saltem aliquantam et opti
mam nunc codex Ambrosiantis adhibebit. Namque is pri
mo ila antiquus est, ut ad aureum paene saeculum per
tinere videatur, quod apparet ex genere et granditate
scripturae: vix eum certe infra Antoninorum aetatem de
pellendum cetisuerim. Continet autem comoedias omnes
editas, exceptis Amphitruonej Asinaria, Aululuria, et Cur
culione: codex enim et saepe et praesertim ab initio mu
tilus est. Tam speciosum amplumque Plauti codicem dum
ego, qua par est, diligentia scrutarer, novae subito co
moediae titulum stupentibus oculis hausi.
Earum, quas Varro inter indubias recensuit, Plau
ti comoediarum extrema V idularia existimatur, eamque
solam ex eo numero Plautinae editiones desiderabant.
Et titulus quidem eius in Palatinis quoque membranis
olim apparuit, sed ipsa fabula aberat, testibus eruditis
hominibus apud Fabricium (\). Atqui eadem V idularia
in Ambrosiano palimpsesto mihi se spectandam offerebat.
Hic enimvero quum exsultarem laetitia, triumpharem gau
dio, nullum mihi diem candidiorem illuxisse diceremj
repente frontem contraxi, primum quidem quod nonnisi
duo eius fabulae folia superesse cognovi; iterum quod
haec ipsa quum versus paene octoginta continerent, ita
prae omnibus erant lacera, el a superiectc scriptura con
sumpta atque terebrata, ut Danaidum cribrum, non co
dicis folium, mihi spectare viderer. Itaque etsi ad conse
dandos litterarum, qui extabant, extremos apices' vehe-

(i) Biblioth. Ut. edit nov. T. I. p. i3. Vide etiam Pareum ad VIDYXARIAE Frammenta.

menier incubilispem que pfope conclamataih patientis im e persecutus sumj exiguas tamen V i d u l a r i a e copiolas
mihi expugnavi, versiculos videlicet aliquos cum tiium
personarum nominibus et initio scenae. Ceterorum enim
disjunctorum. verborum vix ad aliquem fructum redundat
adeptio.
V.
Reliquam Plauti materiam Sibyllinis foliis in co
dice perturbatiorem primum quidem in rectam seriem
coegi, ut quantum carminis superessetj quantum item
deesset, cognoscerem. Mox ineditos versus, quotquot mihi
occurrebant, accurate excerpebam. Etsi autem praesertim
in Cistellaria uberem incognitorum versuum segetem ess
sensij codex tamen profundissime interlitus, pinguissimisque scripturae alterius ductibus obrutus, carie etiam exe
sits, incensam legentis cupiditatem plerumque delusit. Plures etiam lectiones varias notabam, licet eam spartani
fusiori operi reservandam censuerim. Alia postremo mul
ta animadvertebam, quae ad Plauti criticem magnopere
conferunt: eaque ( ne hic omnia in antecessum dicam )
libellus noster suis locis exhibebit. Illud generatim moneo,
saepe versus in codice ad alias, quam in editionibus usuvenit, leges metricas exigi, multos de loco commoveri,
non paucos etiam praetermitti.
Denique quum plurimi olim Grammatici Plautum
doctis lucubrationibus illustraverint, ego ineditum Argu
mentum Pseudoli feliciter detexi, minoribus utique rudioribusque litteris, sed tamen antiqua manu, in eodem pa
limpsesto exaratum. Atque haec ferine erant, quae de no
vis P la u ti Fragmentis praefanda esse existimabam.
F I. AUer latinae comoediae flos, ut omnes norunt,
Terentius est, a stilo Plautino sane diversus: nam et co-

m icom m , ut apud Graecos, sic apud Latinos m nt facla


divortia. Hic quidem comoedias non salis ridentes aut
scurriles scripsit* sed arte summa elaboratas prudentiaeque plenissimas. Namque humiliores ineptias et paene fri
gida aut arcessita dicta ( quo vitio non semper caret
Plautus ) haud ferebat Terentius. Itaque eum dicacitatis
moderatio ac temperantia* et contumeliarum raritas in
primis commendant Quo fit ut moribus etiam emendan
dis longe sit aptior: quippe qui artem nullibi mintis quam
in obscenis sermonibus et turpitudine collocat. Porro et
delicatissimis versibus utitur* et politissimam doctrinam
transmarinam exprimitj egregie cultus scriptor et eieganSj cuius suavitate maxime delinita Roma est.
VII.
Huius inedita quidem opera frustra quis quae
rat. Nam praeter comoedias sex editas, nullae a Veteribus
memorantur* exceptis illis centum et octo, quas ex Me
nandro latine conversas* naufragio amisisse dicitur vi
vens Terentius. Neque tamen fortuna in hoc etiam Co
mico mihi non favit. Namque in pendere quodam mem
braneo codice* qui apud nos est, celebratoque Uli Vati
cano videtur simillimus* aliqua deprehendi nondum* ut
puto* cognita* quae ad Terentium illustrandum non me
diocriter conferunt. Terentianarum scenarum Picturas e
codice Vaticano Mainardus Vrbinatibus typis anno post
Ch. N. k d c c x x x v i . vulgavit: quas tamen haud multo an
te Commentationi suae de Personis inseruerat Christophorui Bergerus. Tum eaedem grandiore opere triginta an
nis post non sine nova recensione et notis cl. Cocquelin ii Romae recusae sunt. Denique codice Vaticano cum
innumera praeda Italica Parisios translato* Jgincurtus
ibidem Terentianas dem o Picturas exprimendas mravii

fideliter, u t ipsi quidem cordi fuit: utrum autem res ex


optimi A ntiquarii sententia cesserit, haud definite adfirmaverim.
V III.
tu m codex Ambrosianus habet plane eatdem
Picturas atque Faticanuseadem que aetate scriptus vide
tur, nempe saeculo circiter ix. quod e Picturarum scrip
turaeque natura* cuius rei utriusque specimina damus3
conjicere licebit. Ferum in hoc fere differt noster codex,
quod ornatus interdum nonnihil abludunt ab editiss ita
tam en ut Ambrosianae picturae ad antiquitatis formas
propius accedant. Gestus item aliquoties personarum ef
nonnulla parerga diversa sunt. Illud est insigne, quod
Ambrosianus ad Heautontimorumeni Actum ni. scenam
iil. v. xxxil. Picturam ineditam exhibet Chremetis et S yri
colloquenlium. Ea porro a Faticanis membranis idcirco
abestj quia unica in eis scena est} quam in duas A m
brosiani codicis scriptor distinxit. Et tamen ibidem ma
nus quaedam retentior differentiam his verbis notavit:
Multi textus hanc scenam conjunctam habent superiori,
quod melius videtur. Praeterea ante Adelphorum epigraphem personatae quaedam protomae occurrunt plane
aliae ab editis. Denique Phormioni personati item vultus
praefiguntur, quorum similes frustra in editis quaeras.
Sunt autem Ambrosianae Picturae paulo Faticanis ele
gant ior es quantum ego quidem ex collatione praesertim
Agincurtanae Editionis mihi deprehendere visus sum.
( Namque in superioribus Editionibus picturae cultiores
vero effictae putantur J. Habet denique hic antiquissimus
codex variarum lectionum praeclaram segetem et copiosis*
simas glossas, quibus ego publicandis hoc tempore super
sedeo.

xxxu

Habet et. scholia quaedam margini adjuncta, quac


neque sequioris aetatis judicamus, quam ipsum codicem,
neque multo antiquiora. Gentis eorum nec admodum ele
gans nec plane barbarum, presmrn tamen et nitidum:
quamvis ductor a rectae eruditionis tramite interdum
recedQt., Ea certe cum editis ad Terentium scholiis, quan
tum vidi, nihil congruunt: quare et eortim excerpta sal
tem potissima publici juris facimus.
IX .
Reliquum est, ut qui aliquando in libelhim no
strum inciderint, ii copiosissime bibliothecae Ambrosianae
gratiam habeant, ex qua duorum codicum lam insignium
specimina non sine litterario fructu decoramentoque pro
cudimus. Nam qui hactenus antiquissimi latinae linguae
codices innotuerunt, Romani praesertim, Florentini, et
Neapolitani, merito quidem sermonibus celebrantur, in
coelum admiratione ferutUur, typorum monumentis in
clarescunt ac propagantur. Siquis tamen aequus judex
Plautinum specimen cum Faticanis vel Mediceis Virgilii
fragmentis, aut etiam cum latina papyro Herculanii
detecta diligenter conferat, quin Ambrosianum codicem
nobilitate parem jure ac merito arbitretur, vix dubita
mus. Huc igitur, qui Plautum expolire deinceps volent,
mentem advertant, hinc emendationem hinc ordinem hinc
splendorem nobilissimo Comico comparari par est. Neque
rursus ingratum fore speramus, quod Faticanis Terentii
picturis. complementum adjungimus, et Donati praeterea
Eugraphiiqtie in eundem Poetam curas Scholiaste tertio
vetere cumulamus. Quod si nostro labori eruditortim ho
minum studia faveant, quos codices hac opella salis le
viter praelibavimus, eos largiore fortasse commentatione
deinceps explicabimus.

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MENJiCHMEI

I MENEMMII

V ol.

I- P laut.

PERSONE DELLA FAVOLA

rologu s

P rologo

e n ic u l u s

S pazzola

e n a e c h m us - s u r r e p t u s

Me KEJIMIO-RAPITO

e n a e c h m u s-s o s ic l e s

Me h e m i o - sosicle

E rozio

r o t iu k

C rL IIfD R U S

C ilin d ro

D orma

M
S

u l ie r

Messekione

e s s e n io

S ervo

e r v o s a l iu s

altro

s c il l a

Ascella

enex

Vecchio

e d ic u s

Medico

o r a r ii

L orarii

La Scena in Epidanno.

PROLOGUS

Saulem primum jam a principio propitiam


Mihi atque vobis, spectatores, nuntio.
Apporto vobis Plautum lingua, non manu:
Quaeso, ut benignis accipiatis auribus.
Nunc argumentum accipite, atque animum advortile.
Quam potero in verba conferam pancissuma.
Atque hoc poetae faciunt in comoediis:
Omneis res gestas esse Athenis autumant,
Quo vobis illud graecum videatur magis.
Ego nusquam dicam, nisi ubi facium dicitur.
Atque adeo hoc argumentum, graecissat tamen,
Ferum non atticissat, at ( \) sicilissitat.
Huic argumento (2) antelogium hoc fuit;
Nunc argumentum vobis demensum dabo,
Non modio, neque trimodio, verum ipso horreo:
Tanta ad narrandum argumentum est benignitas.
Mercator quidam fuit Syracusis senexj
Eii sunt nati filii gemini duo,
Ita forma simili pueri, uti mater sua
Non internosse posset, quae mammam dabat,
Neque adeo mater ipsa, quae illos pepereratj
Ut quidem ille dixit mihi, qui pueros viderat:
Ego illos non vidi, ne quis vostrum censeat.
\

PROLOGO

Sopra di tutto buona salute a me ed a voi, o spettatori:


vi porto Plauto colla lingua e non colla mano, siate
benigni in udirlo, sentite l argomento, state attenti,
perocch, il meglio che so, voglio uscirmene in bre
ve. Questa l usanza de' poeti, fingere nelle comme
die tutte le cose avvenute in Atene, acci abbia mag
gior apparenza di greco quanto vi si rappresenta. la p e ri
noi dir mai, se non quando lo dice il fatto. Nulla meno
1 argomento di questa favola viene di Grecia, e sebbene
non senta dell ttico, pure ha del Siciliano. Questo fu il
preambolo allargomento, chor io vi misurer non nello
stajo, n nella soma, ma nello stesso granajo, tanto voi
siete cortesi in lasciarmelo dire! Fu in Siracusa un vecthio mercante, da lui nacquero due figliuoli gemelli cos
rassoraiglianti, che la madre e la donna che gli allattava non
sapeano ben conoscere 1 uno dall altro, come appunto
mi rifer colui che li vide bamboli; perocch non vor
rei avestevi a porre in

cuore eh io gli

abbia ve

duti. Arrivati i fanciullini ai sette anni, il padre caric

Postquam jam pueri septuennes aunt, paler


Oneravit navim magnam multis mercibus.
Imponit alterum geminum in navim paler,
Tarentum (5) avexit secum ad mercatum simul
.Illum reliquit alterum apud matrem domi.
Tarenti ludi forte erant, quom Uluc venits
Mortales multi, ut ad ludos, convenerant:
Puer aberravit inter homines a patre.
Epidamniensis quidam ibi mercator fuit;
Is puerum tollit, avehitque Epidamnium.
Pater eius autem, postquam puerum perdidit,
Animum desponditj eaque is aegritudine
Paucis diebus post Tarenti emoriuust.
Postquam .Syracusas de ea re nuntius redit
A d avom puerorum, puerum subreptum alterum,
Patremque pueri Tarenti esse emortuom:
Im m utat nomen avos huic gemino alteri:
Ita illum dilexit, qui subreplust, alterum:
Illius nomen indit illi, qui domi est,
Menaechmo idem, quod alteri nomen fuit,
Et ipsus eodem avos est vocatus nomine,
Propterea illiu s nomen memini facilius,
Quia illum clamore vidi flagilarier.
Ne mox erretis, ja m nunc praedico prius:
Idem est ambobus nomen geminis fratribus.
Nunc in Epidamnum pedibus redeundum est mihi,
Ut hanc rem vobis examussim disptUem.
S i quis quid vostru,m Epidamnum curari sibi
Felit: is audacter imperato et diciloj
Sed ita ,'u t det, unde curari id possit sibi:
Nam nisi qui argentum dederit, nugas egent;

di molte merci una nare grossa, tolse uno dei due ge


melli, e lo condusse

seco al mercato

in Tarento,

lasciando l altro presso la madre a casa. Volle ven


tura, che quando egli giunse a Tarento, ivi si celebrassero
i giuochi, e come si fa agiuochi, vi convennero molti: e que
sto fanciullo si smarr dal padre infra la moltitudine.
E ra quivi un mercante Epidannese, esso raccolse il
fanciullo e lo condusse

in

Epidanno a

casa sua;

ma il padre, dappoich perdette il figliuolo, cadde


in tal malinconia che, non

potendo comportar l af

fanno, fra pochi giorni in Tarento se ne mor. Giunta cotal novella all avo de fanciulli: cio che 1 un d essi era
stato rapito, ed il padre in Tarento mancato ai vivi, cam
bia nome a questaltro gemello.- e tanto amore aveva lavo
a quellaltro che fu rubato, che al figliuolo rimasto
a casa pose il nome di Menemmio, il quale era il nomo
di quello e dellavolo stesso. Ecco come no n m fuggito
(fi memoria il nome di lui, perch io n ho sentito farsene
di grandi indagini; laonde adesso, affinch non pigliate
qualche svarione, vi dir anzi ogni cosa: esser questo ora
il nome di tuttadue i gemelli. Adesso di' d uopo
m enar le gambe fino ad Epidanno, per poter propriamente
dimostrarvi la faccenda colla squadra e col compasso; eli
vuol qual cosa per Epidanno parli liberamente, mi dia tanto
da potergliela fare, conciossiach, s ei non m unge le car-

Qui dederit, magis majores nugas egerit.


Verum illuc redeo unde abii, atque uno adsto in loco.
Epidamniensis ille, quem dudum dixeram,
Geminum illum puerum qui subripuit alterum,
Ei liberorum, nisi divitiae, nihil erat:
Adoptat illum puerum subreptitium
Sibi filiumf eique uxorem dotatam dedit,
Eumque heredem fecit, quum ipse obiit diem:
Nam rus ut ibat forte, ul multum pluverat.
Ingressus fluvium rapidum ab urbe haud longule,
Rapidus raptori pueri subduxit pedes,
Abstraxitque hominem in maxumam malam crucem.
Illi tum divitiae evenere maxumae.
Is illic habitat geminus subreptitius.
Nunc ille geminus, qui Syracusis habet,
Hodie in Epidamnum venit cum servo suo,
Hunc quaeritatum geminum germanum suom.
Haec urbs Epidamnus est, dum haec agitur fabulaj
Quando alia agetur, aliud fiet oppidumj
Sicut familiae quoque solent mutarier:
Modo hic agitat leno, ( i) modo adulescens, modo senex,
Pauper, mendicus, rex, parasitus, hariolus . . . . .

rucole, avr fatta la zuppa nel paniere, ma chi poi me le


avr unte perder 1 unguento ben pi di quell altro, pe
rocch io, senza muovermi di luogo, ritorno donde mi sono
partito. Se ben vi ricorda quell Epidannese che aveva
rapito laltro gemello, non avea in figliuoli che le sue ric
chezze- e perci egli s elegge in suo figliuolo questo fan
ciulle rubato, gli d una moglie con buona dota, ed alla
sua morte lo lascia erede di tutto. Imperocch un d an
dando egli in villa, e dovendo guadare un fiume eh
presso le mura, per la molta piova era questo s straboc
chevolmente cresciuto, che all uomo appena entrato le
sdrucciolare 1 un de piedi, e la corrente sei trascin seco
proprio conforme egli ayeva trascinato il fanciullo, ren
dendogli cos pane per focaccia. Ecco come allora quegli
divenne ricchissimo. Quivi sta questo gemello rapito.
Il gemello di Siracusa viene oggi in Epidanno con
un servo per cercar del germano. Finch dura que
sta commedia, questa citt sar Epidanno, quando se
ne reciter un altra, anch essa diverr un altro luogo,
proprio come soglionsi mutar glistrioni, eh ora lun dessi
un ruffiano, ora un giovane, ora un vecchio, un po
vero, un pezzente^ un re, un pappatore, un mago.

ACTUS I.
SCENA

I.

P bnicvlvs .

Juventas nomen fecit Peniculo mihi


Ideo, quia mensam, quando edo, detergeo.
Homines capteivos qui catenis vinciunt,
Et qui fugitivis serris indunt compedes,
Nimis fulte faciunt mea quidem sententia:
Namque homini misero, si ad malum accedit malum,
Major lubido est fugere et facere nequiter:
Nam se ex catenis etimunt aliquo modo,Tum compediti januam lima perterunt,
Aut lapide excutiunt clavom. Nugae sunt eae. ( )
Quem tu adservare recte, ne aufugiat, voles,
Esca atque potione vinciri decet:
Apud mensam plenam homini rostrum deliges,
Dum tu illi, quod edit et quod potet, praebeas
Suo arbitratu et adfatim cotidie,
Numquam edepol fugiet, tametsi capital fecerit;
Facile adservabis, dum eo vinclo vincies.
Ita istaec nimis lenta vincla sunt escaria:
Quam magis extendas, tanto adstringunt artius.
Nam ego ad Menaechmum nunc eo, quoi jam diu
Sum judicatus,' ultro eo, ut me vinciat.
Nam illic homo homines non alit, verum educat
Recreatqucj nullus melius medicinam facit:

ATTO I
SCENA

I.

Sp a z z o l a .

I giovan i mi chiamano Spazzola, perocch quando io mi


pongo ad una tavola, io la spazzo del tutto. Queche
legano i prigioni colle catene, o que che ficcano
nei ferri i servi che fuggono, ben cred io facciano
il gran sproposito, perocch quanto pi ad un
disgraziato aggiungi male a male, tanto pi gli
aumenti la voglia di fuggire e di far peggio. Gi
quei che sono ne ferri si voglion liberare in qua
lunque modo, perch o con una lima rodono le
pastoje, o scassinano il chiodo con un sasso. Elle
son baje. Ma. se vuoi osservare alcuno ih guisa
che non ti fugga,

eonvien tenerlo con buon

mangiare e buon bere, se tu leghi alcuno per


la gola ad una tavola gi preparata, ed ogni d
gli somministri roba a josa da empiersi lo Meifano
a sua voglia, certo eh egli non ti fugge, s anco
gliene dovesse andare la testa. 0 come il guarde
rai se il tieni a questi ceppi! come sono scorsoje
le catene della gola! quanto tu pi le allarghi e
tanto pi stringono. Or io vado a consegnarmi a
Menemmio, al quale gi sono aggiudicato, affinch
mi ponga in prigione, egli tal uomo, che non
bada solamente a far venir gonfio il sacco, ma

Ita est adulescens, ipsus escae maxumae:


Cerealis coenas dat: ita mensas exstruit,
Et tantas struices concinnat patinarias:
Standum est in lecto, si quid de summo petas.
Sed mi intervallum jam hos dies mullos fuit:
Domi domitus fuvi usque cum caris meis:
Nam neque edo neque emo, nisi quod est carissumum.
I i quoque jam cari qui instruuntur, deserunt.
Nunc ad eum inviso. Sed aperitur ostium.
Menaechmum eccum ipsum video: progreditur foras.

SCENA

II.

M e n je c b b u s -surreptus, P e n ic u l is .

M e n . N i mala, ni stulta sies, ni indomita imposque animi:

Quod viro esse odio videas, tute tibi odio habeas.


Praeterhac si mihi tale post hunc diem
Faxis, faxo foris vidua visas patrem.
Nam quotiens ire volo foras, relines me, rogitas,
Quo ego eam, quam rem agam, quid negoti geram,
Quid petam, quid feram, quid foris egerim.
Portitorem domum duxi: ita omnem mihi
Rem necesse est loqui, quidquid egi atque ago.
Nimium ego te habui delicatam.
Nunc adeo, ut facturus, dicam. Quando ego tibi
ancillas, penum,
Lanam, aurum, vestem, purpuram, bene praebeo,
nec quidquam eges:
Malo cavebis, si sapis: virum observare desines.

invece cerca que bocconi che proprio consolino il


corpo; nessuno in medicina ne sa pi di lui, egli
giovane di buon convito, d pasti da re, e riem
pie i tondi in guisa che bisogna mettere i pi sul
letto per prendere quello che in cima. Ma gi un
pezzo chio non vi sono stato. Son stracco de cari
miei casalinghi: (imperciocch non mangio e non
compero io se non ci che carissimo), e non
erano ancora in tavola eh e disertavano. Or io
andr a lui, ma s apre' la porta, lui stesso:
Menemmio vien fuora.
SCENA

D.

M e ken m io - r a p it o , S p a z z o l a .

M e ^.

Se non fossi cos trista, sciocca, ritrosa ed ostinata,


quello che dispiace a tuo marito dispiacerebbe an
che a te; ma afie aff, s io ne vedr ancora di
queste tue, vedova ti mander via a tuo padre.
Diavolo, eh io non possa mai metter pi fuori,
senza che tu non mi ti attacchi a panni; o non
mi chiami indietro facendomi mille domande, dove
muova, che faccia, che negozio imprenda, che cer
chi, che porti, e perch sia stato fuori? Un gabel
liere ho io condotto in casa, a cui m necessario
far vedere tutti i fatti miei. T ho avuta a troppo
bella vita, ma giuradio! ti dir a che vorr riu
scire. Finch da me tu hai, in modo da non ti poter
dolere, fanti, buon cibo, lana, oro, robe, e por
pore, se hai un po di giudizio in capo, ti guar-

Alque adeo* ne me nequidquam serves: ob eam in


dustriam
Hodie ducam scortumt atque aliquo ad cocnam
condicam foras.
P e n . Illic homo se uxori simulat male loqui, loquitur mihi:

Nam si foris coenat, profecto me, haud uxorem,


ulciscitur.
M e n . Euax, jurgio hercle tandem uxorem abegi ab ianuaf

Ubi amatores sunt mariti! dona quid cessant mihi


Conferre omnes gratulanteSj quia pugnavi fortiter?
Hanc modo ttxori intus pallam subripui; ad scor
tum fero.
Sic (6 ) decet dari facete verba custodi catae.
Hoc facinus pulcrum est, hoc probum est, hoc le
pidum, hoc factum est fabre!
Meo malo a mala abstuli,- hoc ad damnum deferetur.
Avorti praedam ab hostibus, nostrum salute socium!
P e n .Heus> adulescens, ecqua in istac pars inest praeda

mihi?
M e n .Perii! in insidias deveni.

Imo in praesidium: ne time.

P er.

M en . Quis homo est?


Ego *mw.

P es.
M en.

0 mea commoditas,

o mea opportunitas,
Salve!
P en.
M en .
P en.

Salve!
Quid agis?
Teneo dextera genium meum.

M en . Non potuisti magis per tempus mi advenire, quam


advenis.

dcrai dal malanno, cesserai- di spiare i passi dei


marito. Ed anzi, perch oggi tu non inutilmente
ini faccia la spia, andr colla ima cornacchia, a
cenare altrove.
S fa.

Costui in parole minaccia la moglie, ma nel fatto


egli minaccia me, perch se cena fuori

di

casa,

la vendetta casca addosso a me, e non addosso alla


donna sua.
M en .

Buon pr ci faccia, finalmente con una bella sbarbazzata abbiam cacciata lamogliera via dalla portai
Dove son costoro che hanno in casa la moglie, e
con altre donne fanno all amore? ch non mi
corrono in contro tutti festosi a congratularsi meco
della vittoria? Ho carpita a mia moglie questa
veste, ch ora io porto alla mia zambracca. Ecco
che far bisogna a coleste spigolistre! Oh questo
un colpo da maestro, ben dato, bello, e sottilmente
imaginato. Con mio danno l'ho tolta ad una donna
dispettosa, per darla a costei che m assassina. Ho
tolto il bottino al nemico, colla salvezza de' nostri.

Sf a .

Ehi, giovanotto, e qual parte sar la mia?

Mfw.

Hui! sono in trappola.

Sf a .

A n zi in sicuro, non temere.

Me n .

Che umo questo?

Sf a .

I o?

Me n .

mia delizia, o mio piacere, addio.

Sf a .

Addio.

Men .

Che fai?

Sf a .

Stringo la destra al mio genio.

Me n .

JNon mi potevi capitar dinanzi in momento miglior


di questo.

P e n . Ita ego soleo: commoditatis omneis articulos scio.


M en . Fin tu facinus luculentum inspicere?
P en.

Quis id coxit cocus?

Jam sciamasi quidlilubalum estj ubi reliquias videro.


M e s . Dic mihi, num qua tu vidisti tabulam pictam in
pariete,
Ubi aquila Catamitum raperet, aut ubi Fentis Ado
neum?
P e n . Saepe. Sed quid istae picturae ad me attinent?

Age, me adspice!

M en.

Ecquid adsimulo similiter?


P en.

Quis istic omatust tutu?

M e n .Dic hominem lepidissumum esse med/

Ubi esuri sumus?

P bn.

M e n . Dic modo hoc, quod ego te jubeo/


P en.

Dico: Homo lepidissume!

M e n . Ecquid audes de tuo istuc addere?


P en.
Atque hilarissume.
M e n . Perge.
P en.
Non pergo hercule egoj nisi scio., qua gratia.
Litigium est tibi cum uxore: (1 ) hoc m i abs te caveo
cautius.
M e n . Clam uxorem ubi sepulcrum habeamuss et hunc

comburamus diem.
P e n . Age sane igiturj quando aequum orasj quam mox

incendo rogum?
Dies quidemjam ad umbilicum est dimidiatus mortuus.
M e n . Te morare* mihi quom obloquere.
P en.

Oculum effodito persolum

Mihi, Menaechmes si ullum verbum faxo, nisi quod


jusseris.

Sp a .

Cos 1' usanza mia, g li articoli della opportunit


tutti mi sono a memoria.

M en.

Vuoi tu vedere una cosa rara?

Sp a .

Qual cuoco l ha cotta? fammi vedere i

rilievi ed

allora ti sapr dire se la fatta appuntino o no.

Men .

Dimmi, non hai tu veduto su qualche muro un


quadro ove l aquila rapisce Ganimede, e Venere,
Adone?

S p a . . Una volta come mille; ma che entrano queste di

pinture al fatto mio?


Men.

Alza la testa e guardami fiso: e non parti ch io


n abbia qualche somiglianza?

Sp a .

Che vestito questo?

Men.

Di che sono un valentuomo:

Sp a .

Dove mangerem noi?

M ei*.

Non mi rispondere a grado.

Sp a .

Ebbene: tu se un valentuomo.

Men.

E del tuo nulla v* aggiungi?

Sp a .

Piacevolissimo.

Men.

Va innanzi.

Sp a .

Mai no in fede mia, se non so prima che avr di


buono: tu se a denti con tua moglie, e perci me
ne voglio andar col pi di piombo.

M en .

Una tana, dove imbucati senza la mia donna, po


tremo abbruciar tutto questo d.

Sp a .

Da bravo adunque: tu voler non potevi cosa pi


onesta, ho da accender la catasta? il d gi al bel
lico mezzo morto.

M en .

T u perdi il tempo quando mi fai tante ciarle.

Sf a .

0 mio Menemmio, voglio mi cavi quest occhio, che


m c solo in capo, s io fiato ancora senza tuo ordino.
V

o l.

I. P l au t .

M e n . Concede huc a foribus.


P en.

Fiat.

Etiam concede huc.

M en.

Licei.
M e n . Etiam nunc concede audacter ab leonino cavo.
P e n . Heu edepol nae tu, ut ego opinor, esses agitator
P en.

probus.
M e n . Qui dum?

. Ne te uxor sequatur, respectas identidem.

P en.

M e n . Sed quid ais?

Egone? id enim, quod tu vis, id ajo

P en.

atque id nego.
M e n . Ecquid tu de odore possis, si quid forte olfeceris,

Facere conjecturam?
P en.

Captum sit collegium augurum.

MEN.Agedum, odorare hanc, quam ego habeo, pallam.

Quid olet? abstines?


P e n . Summum me olfactare oportet vestimentum muliebre:

Nam ex istoc loco spurcatur nasum odore (S ) il


lutibili.
M e n . Olfacta igitur hinc, Penicule lepide. Ut fastidis?
Decet.

P en.
M e n . Quid igitur? quid olet? Responde.

Furtum, scortum, prandium.

P en.

M e n .Nunc ad amicam deferetur, hanc meretricem ro

tium:
Mihi, tibi, atque illi jubebo jam adparari prandiumj
Inde usque ad diurnam stellam crastinam potabimus.
P e n .Expedite fabulatuss. Jam fores ferio?
Men.

Vel mane etiam.

Feri.

Msn.

Vien qua, via dalla porta.

Sp a .

Eccomi.

M en .

ncora un poco.

Sf a .

Subito.

M en .

Ancora, ancora, ritirati da questa spelonca di leoni.

Sp a .

Cacasangue! che cocchiere sarestu mai?

M en .

Perch?

Sf a .

Doh! non passa un minuto che non ti volga indie


tro, ha tu forse paura che la

donna ti venga a

seguitare?

Men.

Oh che dici tu?

Sp a .

Io? quello che tu vuol, si, o no. secondo meglio ti garba.

Men.

E non potresti far qualche pensiero, se pur t ve


nuto alcun odore al naso?

Sp a .

Chiama gli auguri

Me n .

Fiuta questa vesta che io ho. Di che ella sa? cosi


schifiltoso?

Sp a .

d uopo

annasarla

al

collo,

perch

s io

la

fiuto da questo lato, ella manda tal tristo odorac


cio che m appesta il naso tutta la vita.

M ei.

Fiuta, fiuta ancora, caro Spazzola, uh? perch tanta


ritrosia?

Sp a .

N ho pieno il naso.

M en .

E adunque di che ti sa ella? dimmelo.

Sp a .

Di furto, di putta, di pranzo.

M en .

Or io la porto al mio amore, alla mia Erozio, e


a lei ordiner io un desinare per te e per me, ed
ivi ce la sguazzeremo, finch appare in cielo la stella
che reca il d.

Sp a .

0 come ti sepresto sbrigato: or io picchier alluscio?

Men.

Picchia. Ma aspetta.

Mille passum commoratust cantharum.

P en.

M e n . Placide putta.

Metuis, credo, ne fores samiae sient?

P en.

Men. Mane, mane, obsecro, hercle: ab se, ecca, exit.


Oh/ solem videi.
Satin ut occoecatuss ( ) prae huius corporis candoribus?

P en.

SCENA

I I I.

E r o t iv m , P e n ic u l u s , M e n j e c h x u s - s u r r e p t u s .

E ro. Anime mi, Menaechme, salve!


P en.

Quid ego?

Extra numerum es miht

E ro.

P e n . Idem isluc aliis adscriptivis fieri ad legionem solet.


M e n .Ego istic mihi hodie adparari jussi apud te proelium.
E ro. Hodie id fet.

M en ;
In eo uterque pro Ilio potabimus.
Uler ibi melior bellator erit inventus cantharo.
Tua est legio: adjudicato, cum utro hanc noctem sies.
Ut ego uxorem, mea voluptas, ubi te adspicio, odi
male!
E ro. Interim nequis, quin eius aliquid indutus sies.

Quid hoc est?


Induviae tuae atque uxoris exuviae, rosa.
E ro. Superas facile, ut superior sis mihi, quam quisquam,
M en.

qui impetrant.
P en . Meretrix tantisper blanditur, dum illud, quod rapiat,
Nam si amabas, jam oportebat

videt.
nasum abreptum
mordicus.

S pa.

Tu mi scosti un miglio dalla tavola.

R Ie n .

Non batter forte.

Spa.

Ha tu paura che questa porta sia di terra?

Sta, ecce, la vien fuori.

en.

Spa.

Oh! vedi il sole: e Aon se abbarbagliato dalla luce


di costei?
SCENA IH.
E r o z io , S p a z z o l a , M enemmio - r a p it o ,

ro.

0 Menemmio, cuor mio, che Dio t ajuti.

Spa.

E me?

T u mi se sopranumerario.

ro.

Spa.

Suolsi dir questo anche alle reclute.

e n .:

Io

ro.

Oggi si far.

en.

In questa berremo tuttadue per Ilio, ed il bicchier#

ho ordinata in casa tua una battaglia.

decider del pi forte di noi. L esercito

tuo,

ordina dove tu vuoi essere stanotte; uh! in

qunl

fastidio mi vien la mogUe, quando ti veggo, ani


ma mia.
E ro.

Ed intanto tu non sai fare che spogliarla: che questo?

M en.

Queste sono le pompe tue, e le spoglie della m oglie,

E ro .

Oh come tu superi facilmente ogni cosa per essermi

S pa.

(Le cortigiane fon buon viso finch trovano da pi"

o mio bel fiore.


sempre carissimo fra i tanti che mi cercano!

luccare). Se tu fossi proprio innamorata di costui,


egli saria bisogno che co denti gli avessi portata
ria il naso.

M e n . Sustine hoc, Penicule: exuvias faceref quas vovi. volo.


P e n . Cedo. Sed, obsecro hercle, salta sic cum palla postea.
M n . Ego saltabo? Sanus hercle non es.

Egonet an tu magis?

P en.

Si non saltas, exue igitur.


Nimio ego hanc periculo
Subripui hodie. Meo quidem animo ab Hippolyta
subcingulum

M en.

Hercules haud aeque magno unquam abstulit periculo.


Cape tibi hanc: quando una vivis meis morigera
moribus.
Hoc animo decet animatos esse amatores probos (iOJ.
P e n . Qui ' quidem ad mendicitatem se properent detrudere.

MEN.Quatuor minis ego emi istanc anno uxori meae.


PsN.Qualuor minae perierunt plane, ut ratio redditur.
MEN.Scin, quid volo ego te adcurareP
Eno.

Scio. Curabo* quae voles.

M e n .Jube igitur nobis apud te prandium adcurarier,

Atque aliquid scitamentorum de fdfro obsonarier.


Glandionicam suillam, laridum, pemonidem, aut
Sinciputj aut polimenta porcina, ant quid ad eum
modum,
Madida quae mi adposita in mensam milvinam sug
gerant:
Atque actutum.
Eno.
Licet ecastor.
M en .
Nos prodimus ad forum.
Jam nos hie erimus: dum coquitur, interim pota
bimus.
Eno. Quando vis} veni: parata res erit.
P en .
Propera modo/

Me*.

Ticn qui, Spazzola, eh or io voglio appender le


spoglie dove ho fatto voto.

Sf a .

Eccomi. Deh poi con questa indosso fammi quattro


capriolette.

M e .

I o farle? Se tu malto?

Sfa .

Io o tu piuttosto? Se non vuoi farle, levatela di '

Men .

Con troppo pericolo io 1 ho carpita, tanto che

dosso.

avviso essersi ritrovato Ercole in minor faccenda,


quando .tolse il cinto ad Ippolita. Togli adunque,
questa tua, dappoich tu meco hai un cuore s
Sfa.
Men .

ben fatto. Cos dee pensarla un vero amante.


Che ha tanta fretta di sculacciare il lastrico.
I o quest anno 1 ho

compera

a mia moglie per

quattro mine.
Sfa -

E cos, quando saremo aeonti, quattro mine andate,


alla grascia.

Men .

Sai tu quello che io voglio?

E ro .

n so, e sar fatto.

Men .

Ordina adunque si prepari in casa tua un de


sinare per noi tre; fa comperare in piazza qualche
eotticino ehe conforti proprio lo stomaco, glandulette
di poreo, lardo, prosciutto, testina e granelli di
majale o qualcosa di s fatto, il quale cucinato e
messo in tavola risvegli un appetito da nibbio:
ma spicciati.

Ero .

E si far cos.

Men.

Noi andremo in piazza, e saremo qua a momenti,


e mentre si prepara la cena noi intanto b e ve re i.

Ero.

Vieni a tua posta ch il desinare sar pronto.

Sfa .

Presto adunque.

56

H e s .Sequere tu.
P bk .
Ego hercle vero te ei servabo, et te sequar.
Neque hodie, ut te perdam, meream deiim divitias
mihi.
ERo.Eoocate intus Cylindrum mihi cocum aclutum foras!
SCENA

IV.

E r o t iv m , C ru ifD R v s .
E r o . Sportulam cape atque argentum. Eccos his numos

habes.
C n . Habeo.
E ro . Abi atque

obsonium adfer. Tribus vide quod, sit


satis.
Neque defiat, neque supersit.

CrL.

Quojusmodi hi homines erunt?

E ro. Ego et Menaechmus et parasitus eius.


CrL.

Jam isti sunt decem: '


Nam parastitts ocio hominum munus facile fun
gitur.

E ro. Elocula sum convivasi ceterum cura tu ( i i ) .

CrL.

Licet.
Coda sunt. Jube ire adcubitum.

E ro.

CrL. Jam ego hic ero.

Redi cilo.

M eh.

S egu im i tu.

S pa .

Aff di Dio non ti lever mai occhio d addosso, ti


seguir dove che sia, ed oggi non ti lascerei per ,
un paradiso.

E ro.

Chiamatemi subito fuori il cuoco Cilindro.


SCENA IV.
E r o z io , C il in d r o .

E ro.

la sporta e questi denari: -ecco tre scudi,

C il.

Gli ho.

E ro.

V a , compera da mangiare tanto che basti a tre, in


guisa per che non ne manchi, e non ve

ne sia

d avanzo?

Ci l .

E che bocche saranno.

Ero.

I o , Menemmio, e il suo Parasito.

Ci l .

Eccoli dieci, atteso il parasito che da sei solo, senza

Ero.

I o t ho detti gli invitati, tu abbi cura del resto.

Ci l .

Tu tto fatto, tutto gi ctto, fate che si mettano

scomporsi, basta per otto.

l e tavole.
E ro.
Cil .

Torna presto.
Sar qui ora>

ACTUS II.
SCENA

I.

M enaecbmvs- sosicles, M essenio .


M e n . Nulla est voluptas navitis, Messenio,

Major meo animo, quam quando ex alio procul


Terram, conspiciunt.
M es .

M ajor, non dicam dolo,

Si adveniens terram videas, quae fuerit tua.


Sed quaeso, quamobrem nunc Epidamnum venimus1
A n, quasi mare, omnis circumimus insulas?
M e n . Fratrem quaesitum geminum germanum meum.
M es . Nam quid modi futurum est illum quaerere?

Hic annus sextus, postquam rei huic operam damus.


Istrosj Hispano, Massiliensis, Uluriosj
Mare superum omne, Graeciamque (\2) exoticam,
Orasque Italicas omnis, quas (\Z) adgreditur mare,
Sumus circumvecti. Si acum, credo, quaereres:
Acum invenisses, si adpareret, jam diu.
Hominem inter vivos quaeritamus mortuom:
Nam invenissemus jam diu, si viveret.
M en . Ergo istuc quaero certum qui faciat mihi,

Qui tese dicat scire, eum esse mortuom:


Operam praeterea nunquam sumam quaererej
Ferum aliter vivus nunquam desistam exsequi.
Ego illune scio quam cordi sU carm meo.
M es. In scirpo nodum quaeris. Quin nos hinc domum
Redimus, nisi si historiam scripturi sumus?

ATTO
SCENA

II
I.

MEHEMHIOSOSICLE, MeSSEHIOKE.

M ek.

A parer mio, Messenione, non provano i naviganti


maggior gioja di quando dallalto veggonola terra.

H e s . . Ma saria ben pi grande, e non son ragie, se quando

voi arrivate, capitassi in una terra eh vostra patria,


ma deh! a che siamnoi venuti in Epidanno? siam noi
forse, come il mare, per andare attorno a tutte le isole?
M ei,

l o eerco il mio fratello germano che nacque meco

M es .

Ma quando porrem noi fine a questa ricerca? son

ad un parto.

gi sei anni che siam fuori per queste spese, noi


abbiam fitto il capo nell Istria, nella Spagna, nei
Marsigliesi, neU Illirio, neUAdriatico, nella magna
Grecia, e in tutte le terre dell Italia che guardano
al mare. Io son chiaro che se voi cercassi d un
ago, se pur fosse in terra, 1' avreste gi trovato.
M da tanto tempo cerchiam noi d un

morto fra

v iv i, perocch oramai e si sarebbe veduto, se fosse


in tra viventi.

Meh.

Ed ben perci eh io cerco alcuno il quale diami


certe novelle della sua morte, ed in allora questo
viaggiare sarebbe finito: ma s egli vivo, finch
mi resta vita in corpo, io non rimarommi di cercar

H es.

ne, perch io solo mi so quanto siami caro.


Voi volete il nodo nel giunco, perch non ci tornia
mo a casa? vogliam noi forse scrivere un istoria?

M e n .D ictum facessat doctum* et discaveas malof


Molestus ne sis! non tuo hoc fiet modo.
M es . Hem* illoc enim verbo esse me servom scio!

Non potuit paucis plura plane proloqui.


Ferum tamen nequeo continere* quin loquar.
Audi Menaechme: quom inspicio marsupium*
Fiaticati herele admodum aestive sumus.
Nae tu herele* opinor* nisi domum revorteris*
Ubi nihil habebis* geminum dum quaeris* gemes,
Nam ita est haec hominum natio hic Epidamnia:
Foluptarii atque potatores maxumi*
Tum sycophantae et palpatores plurimi
In urbe hac habitantj tum meretrices mulieres
Nusquam perhibentur blandiores gentium.
Propterea huic urbi nomen Epidamno inditum est:
Quia nemo ferme huc sine damno devortitur.
M e n .Ego istuc cavebo. Cedo dum mi huc marsupium!
M es . Quid eo vis?
M en.

Jam abs te metuo de verbis luis.

M es . Quid metuis?

M en .
Ne mihi damnum in Epidamno duis.
Tu magnus amator mulierum es* Messenio;
Ego autem homo iracundus* animi perditiId utrumque* argentum, quando habebo, cavero:
Ne tu delinquas* neve ergo irascar tibi.
M es. Cape atque serva: me lubente feceris.

M en .

Non mi far lo sputatondo/ tienti meglio sane le


spalle,

non

mi

torre la testa, gi non la deve

camminare a modo tuo.


M es.

A queste gentilezze m' accorgo d esser servo. Non


potea parlar pi breve e pi chiaro. Eppure,
Menemmio, non posso tacermi, quand io pongo
l occhio alla borsa; che stiam male e male assai.
Io ho fermo che, se voi non tornate a casa,
quando sarete scusso e brullo, in mezzo alla ri
cerca del vostro gemello non abbiate a gemer voi.
Questi Epidannesi sono una tal generazione d uo
mini da buon tempo, beoni, e le botti lo sanno,
q u i abitano pappatori, lecconi, vi sono sgualdrine,
che le pi lusinghevoli non ha il mondo, e per
d irvi tutto in una parola, a questa citt fu posto
nome d Epidanno, perch niuno non v mai ca
pitato senza sentirne malanno.

Men.

ci provveder io, dammi la borsa.

M es .

P e rc h la volete.

Men.

L e tue parole m han fatto volpe.

M es .

C h e temete voi ?

Me n .

C h tu

in Epidanno non

m arrechi il malanno,

t u secaldissimo delle donne, o Messenione, io sono


fa c ile all ira e disperato; e per
b o rs a

io,

bader

quando

avr [la

all una ed all altra di queste

c o s e ; cio che tu non mi faccia uno sproposito e


e h io non m arrovelli teco,
M es.

Prendetela, e guardatela voi che mi fate un servigio.

SCENA

II

C r u s D n v s , M e n j e c b u v s - s o s ic l e s , M e s s e n io .

C ri. Bene obsonavi atque ex mea sententia;


Bonum anteponam prandium pransoribus

Sed eccum Menaechmum video. Vae {i A) tergo meo,


Prius jam convivae ambulant ante ostium,
Quam ego obsonatu redeof Adibo atque alloquar.
Menaechme, salve.
M en.

D i te ament! Scis, quis ego sum?

C n .N o n (i ) hercle verol Ubi convivae ceteri?


M e n . Quo* tu conviva quaeris?

C rt.

Parasitum tuom.

M e n .Meum parasitum? Certe hic insanusi homo.


M es . Dixin' tibi, esse hic sycophantas plurimos?
M e n . Quem tu parasitum quaeris, adulescens, meum?
CrL.Peniculum.
M es .

Eccum hunc in vidulo salvom fero.

CrL. Menaechme, numero huc advenis ad prandium:


Nunc obsonatu redeo.
Responde mihi,

M en.

Adulescens: quibus hic pretiis porci ventunt


Sacres, sinceri?
C ri.

Numo (\6).

M en.

Eum a me accipe:

Jube te piari de mea pecunia:


Nam ego quidem insanum^ esse te certo scio,
Qui mihi molestuss, homini ignoto, quisquis es.
C n . Cylindrus ego sum. Non nosti nomen meum?
M e n . Seu tu Cylindrus, seu Coliendrus: (17) perieris.
Ego te non novi, neque novisse adeo volo.

SCENA

n.

Cilindro , Meuembio- sosicle, Mbmeiuone.

ClL.

10 ho fatta una spesa proprio a ma voglia, da far


sguazzare i convitati. Ma ecco ob io veggo gi
Menemmio, povere le mie spalle! vengono i convi
tati all uscio prima eh io ritorni colla'spesa: me gli

Men.

far appresso e gli parler. 0 Menemmio, addio,


Che Dio t' ajuti, sai tu chi san io?

Men.

Main, dove son gli altri convitati?


E quali?

Cil .
ClL.

D vostro parasito?

Mjes.

11 mio parasito? matto costui.

Mes.

E non ve 1 ho detto io? qua enervi ciurmatori

M ei.

Qual mio parasito cerchi tu mai, o buon giovane?

Ci l .

Spazzola.

M es.

Eccoti qua salva la mia nel fardello.

Ci l .

Voi,

assai?

o Menemmio, venite a desinare troppo di

buon ora., ch io a fatica ritorno colla spesa.

C il .

O r tu rispondi a me, a quanto qui si- hanno i por


cellini spoppati e buoni al sacrificio?
Per uno scudo.

Men.

Prendilo e fatti ribenedire a mie spese, perocch io

Men .

porto avviso che ti sia andato in villa il cervello,


recando, chiunque tu sia, siffatta noja a persona
Ci L
M en .

che non conoscesti mai.


Cilindro io sono, non vi ricorda il nome mio?
O Cilindro, o Coliendro che tu sia, possa morire
a ghiado, io non sono tuo conoscente, n mi sento
alcuna voglia d esserlo

CrL. Est tibi Menaechmo nomen,, tantum quod sciam.


M e n .P ro sano loqueris, quom me appellas nomine.
Sed ubi novisti me?
CrL.

Ubi ego te noverim?


Qui amicam habeas heram meam, hanc Erolium?

M e n .N eque hercle habeo,

neque

te, quis sis

homo,
scio.

CrL.Non scis, quis ego sim, qui tibi saepissume


Cyathisso apud nos, quando potas?
M es .Hei mihi, quom nihil est, illi qui homini diminuam
caput!
M e n . Tun cyathissare mihi soles, qui ante hunc diem
Epidamnum nunquam vidi, neque veni?
C r i.

Negas?

M e s . Nego hercle vero.


CrL.

Non tu in illisce aedibus


Habitas? '

M e n .D i illos homines, qui illic habitant, perduinl!


CrL. Insanit hic quidem, qui ipse maledicit sibi.
Audin, Menaechme?
M en.

Quid vis?

CrL.

S i me consulas, ,
Numum - illu m ,

quem

mihi

dudum

pollicitus s
dare,

Jubeas, si sapias, porculum adferri tibi:


Nam tu quidem hercle certo non sanus satis,
Menaechme, qui nunc ipsus maledicas tibi.
M es. Heu hercle hominem multum et odiostim mihi!
CrL. Solet jo ca ri saepe mecum illo modo.
Quamvis ridieulus est, ubi uxor non adest.
M en . Quid ais tu?

Cil .

Ma voi vi chiamate Menemmio per quello chio sappia.

M en .

T u parli da sano, dappoich mi chiami per nome,


ma dove m hai veduto?

Cil .

Dove volete? non avete voi per amica vostra


mia padrona? questa Erozio?

Men.

Io

Ci l .

Non sapete chi sia io? io che, quando bevete in


casa nostra, non vi lascio mai asciutto il bicchiere?

Me s.

Ehim! non mi intrattiene un pelo dallo sfruttare


il capo a costui.

Msn.

Tu mi versi da bere? tu? s io prima di questo di non


ho mai n veduto n tocco Epidanno?

Cil .

N o?

non ho tale amore, e so nemmeno chi tu sia.

Me .

L o giuro.

Quella casa non la vostra?

il

M en.
C il .

Che la si sprofondi con quanti che vi stanno dentro.


Or s che a costui il fiiatojo ben sul volgere,
ve maledizione che s ha mandata! sentite,
nemmio.

Men.
C il .

la

Me

Che hai?
Se, di quella moneta che voi m avete promessa pur
ora, volete fare a modo mio, se vi resta ancora
un poco di giudizio in capo, ordinerete che vi si
compri un porco, atteso che voi, o Menemmio, non
siete ne gangheri affatto affatto, imprecandovi da
voi a voi cotanta mala ventura.

Men.

Oh che fradiciume, oh che flagello mi se' tu.

Cil .

Egli assuefatto pigliarsi tali burle di me, pe


rocch quando non ha seco la moglie, egli uomo
' giovevolissimo.

Me n .

Che dici tu?


V o l . I. Plaut.

CrL. Quid vis, inquam? Satin hoc, quod videt,


Tribut vobis obsonatum? an obsono amplius,
Tibi et parasito et mulieri?
Quas mulieres,

M en .

Quos tu parasitos loquere?


M es .

Quod te urget scelus.

Qui huic sis molestus?


Quid libi mecum est rei?

Cn.

Ego te non novi; cum hoc, quem novi, fabulor.


M e n . Non edepol tu homo sanus es, certo scio.
CrL.Jam ergo haec madebunt faxoj nihil morabitur.
P roin tu ne quo abeas longius ab aedibus.

Num^uid vis?
M en.
Ut eas maxumam in malam crucem.
CrL. Ire hercle meliust te inierim, atque accumbere,

Dum ego haec appono ad Folcani violentiam.


Ibo intro, et dicam, te hic adslare, Erotio,
Ut te hinc abducat potius, quam hic adstes foris
MEN.Jamne ille abivit? edepol haud mendacia
Tua verba experior esse.

Observato modo:

M es .

Nam istic meretricem credo habitare mulierem,


Ut quidem ille insanus dixit, qui hinc abiit modo.
M e n . Sed m iror, qui ille noverit nomen meum.
MEs.Minume hercle

m irum :

morem

hunc

meretrices
habent:

J d portum miltunt servolos, ancillulas.


Si qua peregrina navis in portum advenit,
Rogant, quojalis sit, quid ei nomen siet.
Postilla extemplo se applicant, agglutinant.
Si pellexerunt, perditum amiltunt domum.

Che volete eh io dica? E vi par bastevole per voi


altri tre questa provvista? oppur volete che pel
parasito e per la donna e per voi abbia ad allargare
un poco pi la mano?
Met.

Che mi vai tu rifriggendo di donne? che di parasiti?

M es.

Qual ribalderia la tua? perch vuoi tu dar tanta


noja a costui?

C il .

Che hai tu co fatti miei? io non so chi tu sia;


io parlo con costui il qual mi conosce.

M e it .

Sozio, tu se ben matto, e non m inganno.

Ci l .

Io andr a metter questo in pignatta, non si per


der tempo, in fine non dilungatevi molto di qui,
volete voi qualcosa?

Me s .

Che tu vada alle forche.

C il .

Meglio per voi saria che andassi dentro, e vi pre


parassi a tavola intanto ch io metto al fuoco le
vivande; io andr in casa e dir ad Erozio, die
siete qui, perch la vi faccia entrare piuttosto che
lasciarvi qui fuori a far la mula del medico.

M e i .

si m finalmente levato dinanzi. Zucche! e non


furon ragie le parole che mi dicesti.

Me s .

Accontentatevi del guardare, perocch io credo


in questa casa stia una baldracca, siccome disse
quel pazzo, che non ha guari se n andato.

HIejt.

Io son balordo, di egli abbia potuto sapere il


nome mio.

Mes.

La

non novit: Le cortigiane hanno il

bel

costume di mandare i valletti e le fantesche al


porto; e se v entra nave forestiera, domandano di
che. luogo sia ed il nome del padrone. Esse poi se
gli accostano, e se gli incollano addosso, e se riescono

Nunc in istoc portu stat navis praedatoria,


Abs qua cavendum nobis sane censeo.
M e n .Mones quidem hercle recte.

Tum demum sciam

M es.

Recte monuisse, si tu recte caveris.


M e n .T ace dum parumper: nam concrepuit ostium.

Videamus, qui hinc egreditur.


Hoc ponam interim.

M es .

Asservatote haec, suitis, navales pedes.


SCENA

I I I.

E r o t i v u , M e n m c h h v s - s o s ic l e s , M e s s e n io .
E ro . Sine fores sic: abi: nolo operiri.

Intus para, tura: vide quod opus est, fiat.


Sternite lectos, incendite odores.
Munditia inlecebra animo est amantum.
Amanti amoenitas malo est, nobis lucro est.
Sed ubi ille est, quem cocus ante aedis esse ait?
Alque eccum video,
Qui mihi est usui, et
Plurimum prodest:
Item huic ultro fit,
Ut meret, polissumus
Noslt'ae domi ut siet.
Nunc cum adibo,
Alloquar ultro.
Animule mi, mihi mira videntur,
Te hic stare foris, fores quoi pateant
Mage, quam domus tua, domus quom haec tua sit.

ad infinocchiarlo, non se lo lasciano uscir di mano,


se non spennacchiato come un uccello. Ora in
questo porto v una nave di pirati, dalla quale
dice la prudenza doversene star lontani.
es.

Tu m avvisi d amico.
Allora sapr se v'avr avvisato d amico, se voi

ept.

ve ne avrete cura.
Taci un poco, si tocc la porta: guardiamo chi

es.

n esce.
Intanto metter gi le bisaccia: le raccomando a

M eh .
M

voi, o galeotti.
SCENA

III.

E r o z io , M enemmio - sosicle , M essen io n e .

ro

Lascia cos la porta, vattene, non chiuderla, tu


prepara in casa, attendi, osserva che si appresti
1 occorrente; fate i letti, abbruciate gli odori, la
pulizia la rete degli amanti, e la pulizia quella
che vuota la borsa a questi alloccacci, e riempie
la nostra. Ma dov colui che diceami il cuoco
essere qui sopra la porta? Ah! eccolo, ora lo veggo,
quella la mia vigna, e per ben gli sta che a
lui sia sempre aperta la porta di casa mia, me gli
far pi appresso e gli parler. Cuor mio dolce,
mi par ben strano chc te ne stia qua fuori essen
doti aperta questa casa pi chc la tua, pe
rocch tua anche questa. Tutto e pronto secondo

Omne paratum est,


Ut jxissisti, atque ut voluisti:
Prandium, ut j ussisti hic curatum est:
l i t i lubet, ire accubitum licet,
Ncque tib i est u lla m o r a intus.
M E N .Q u ic u m haec m u lie r lo q u itu r?

E ro.

Equidem tecum.

Quid tnecum tibi

Men.
E ro .

Fuit umquam, aut nunc est negotii?


Quia p o l te unum ex omnibus
Fenus me voluit magnificare:atque idhaudimmerito tuo:
Nam ecastor solus benefactis tuis me florentem facis.

M e n : Certo haec mulier aut insana, aut ebria est, Messenio,

Quae hominem ignotum compellet me tam familiariter.


M bs. Dixin ego, istaec hic solere fieri? folia nunc cadunt,

Praeut si triduum hoc hic erimus, tum arbores in


te cadent.
Nam ita sunt hic meretrices omnes elecebrae argentaria.
Sed sine me dum hanc compellare: heus mulier! tibi
dico.

Quid esi?

E ro.

Mxs. Ubi tu hunc hominem novisti?


E ro.

Ibidem, ubi hic me ja m diu,


In Eptdamno.

M es .
E ro.

In Epidamno? qui huc in hanc urbem pedem,

Nisi hodie, numquam intro teiulii?


Eja, delicias facis,
M i Menaechme. Quin, amabo, is inlro? hic tibi erit
rectius.

M e n . Haec quidem edepol recte appellat meo me mulier

nomine.
Nimis miror, quid hoc sit negotii

i tuoi ordini, tu non devi aspellare, il desinari*


che tu volevi preparato, quando ti sembra, pos>
siam porci a desco.
Me i .

Eno.
Me .

Con chi parla costei?


Con te.
Che ebbi io mai con esso voi per lo passato? che
hommi adesso?

E ro .

Questo, che Venere, di tanti ch io n'ho, ha voluto


eh io divenissi grande per te solo, imperocch,
gran merc detuoi beneficii, ora io ho d ogni ben
di Dio.

Men.

Oh buono! 1 una delle due, Messenione, questa


donna o pazza o ubbriaca, perocch non aven
domi mai visto, mi chiama tanto alla dimestica.

Me s .

E non ve l dissi io? adesso son foglie ma, se la


duriam qua tre d, saranno piante che vi daranno
addosso. Imperciocch sono cos fatte le cortigiane
di cost, esse sono tante caiamite alla borsa. La
sciatemela affrontare.. ehi! quella donna, a voi io
parlo.

Ero.

Che hai?

Mes .

Dove conosceste quest' uomo?


Dov egli da tanto tempo ha conosciuta me; in

Ero.

Mes.

Epidanno.
In Epidanno? ma se oggi soltanto mise pi in que
sta terra?

E ro .

Va via che scherzi, o mio Menemmio, deh che no


vai dntro? per te saria meglio.

Men.

Io casco dalle nuvole; la dice il mio nome; dove


questa cosa la vorr riuscire?

M es .

Oboluit marsupium

Huic istuc, quod habes.

Jtque edepol tu me monuisti probe.

M en.

Accipe hoc: jam scibo, utrum haec me mage amet,


an marsupium.
Eno. Eamus intro, ut prandeamus.
Bene vocas: tam gratia est.
Eno. Cur igitur tibi me jussisti coquere dudum prandium?
M e n .Fxjoh te jussi coquere?

M en.

Certo libi et parasito luo.

E ro.

M e n . Quoi, malum, parasito? certo haec mulier non sana

est satisE ro. Peniculo.


M en.

Quis iste est Peniculus? qui extergentur baxeae (i8 )?

E ro. Scilicet qui dudum tecum venit, quom pallam mihi

Detulisti, quam ab uxore tua subripuisti.


Quid est?

M en.

Tibi pallam dedi, quamuxori meae subripui?sananes?


Certe haec mulier cantherino ritu adstans somniat.
E ro. Qui lubet ludibrio habere me, atque ire inficias mihi,

Facla quae sunt?


Dic, quid est id, quod flegcm, quod fecerim?

M en.
E ro .

Pallam te. hodie mihi dedisse uxoris.

Men.

Etiam nunc nego.

Ego quidem neque uxorem habui, neque habeo: ne


que huc.
Umquam, postquam natus sum, intra portam pene
travi pedemE ro.

Prandi in navi, inde huc egressus sum, te conveni.


Eccere,
P erii misera! quam tu nunc mihi navem narras?

M es.

Alla borsa che ella ne ha gi sentito 1 odore.

M en .

Zucche! tu m hai avvisato da valentuomo, tienla tu


eh io

sapr s ella voglia meglio

a me od alla

borsa.
E ro .

Andiamo in casa che pranzeremo?

M en .

L invito c gentile, ma io vi ringrazio.

E ro .

E perch adunque poco fa ordinarmi il pranzo?

Men.

I o ve l ho detto?

Ero.

S in fede mia, per te e pel tuo scroccone.

M en .

Un canchero! e per qual scroccone? questa donna


ha il cervello in aria.

E ro .

Spazzola.

Meh .

Che spazzola? quella ch usano i filosofi a nettarsi

Ero.

Quegli che., non ha molto, venne teco quando mhai

le scarpe?
portata quella vesta che hai tolta alla moglie.
M en .

Come? io v ho data una veste che ho tolta a mia mo


glie? io? dove avete il capo? metterei la testa che
costei in piedi sogna pi

tranquillamente

d un

^avallo castrato.
E ro .

E perch strazieggiarmi cotanto dinegandomi quelle


cose che pur sono avvenute?

Men .

Ma ditemi che nego io?

Ebo.

D avermi data la veste di tua moglie.

Men .

Ed or lo nego pi che mai; io non ebbi mai mo

glie io, n l ho, n, dacch son nato, ho messo pi


dentro in

porta di questa citt,

nave, donde essendo io qua

ho

venuto

desinato in
v ho ritro

vata.
E ro .

Domine ajutami, io son disfatta! di che nave


parli tu -mai?

mi

Ligneam..
Saepe tritam, saepe fixam, saepe excussam malleo,
Quasi supellex pellionis, palus palo proxumos est.

M en.

E ro. Jam me, amabo, desine ludos facere, atque i hac

mecum simul.
M e n . Nescio quem, mulier, alium hominem, non me, quceritas.

Eno. NonegotenoviMenoechmum,Moscho prognatumpatre?


Qui Syracusis perhibere naius esse in Sicilia,
Ubi rex Agathocles regnator fuit, et iterum Phintia:
Tertium Liparo, qui in morte regnum Hieroni tradidit.
Nunc Hiero est.
M en.

Haud falso, mulier, praedicas.

Proh. Jupiter!
Num istaec mulier illinc venit, quae te novit tam cate?1

M es .

M e n . Hercle opinor pernegari non potest.


M es .

Ne feceris.

Peristi, si intrassis intrd limen.


M en.

Quin tu tace modo:

Bene res geritur, assentabor, quidquid dicet, mulieri:


Si possim hospitium nancisci. Jamdudum, mulier, tibi
Non imprudens advorsabar: hunc metuebam, ne meae
Uxori renuntiaret de palla et de prandio.
Nunc, quando vis, eamus intro.
E ro.

Eliam parasitum manes?

M e n . Neque ego illum maneo nequefloccifacio: neque si venerit,


Eum volo intromitti.
E ro.

Ecastor haud invita fecero.

Sed scin quid te amabo ut facias?


M en.

Impera quidvis modo.

E ro. Pallam illam, quam dudum dederas,

ad phrygio-

nem ut deferas,
Ut reconcinnetur, atque ut opera addantur, quae velo-

D una nave di legno, arcitarlata, tutta bucherelli,


martellata tutto il d, e piena di tanti cavicchi,
che nc disgrazia la bottega d un pelliciajo.
E ro .

Deh, per carit, cessa dal burlarmi e vien meco.

Non so, la mia donna, ma voi cercate un altro e

en.

E ro .

non me.
Non so io che tu se Menemmio figlio di Mosco?
Non ti di nato in Siracusa in Sicilia? ivi regn
Agatocle, quindi Finzia, quindi Liparone, questi mo
rendo diede lo stato a Jerone, il quale lo tiene tuttora.

Me s .

Sin qui, o donna, dite il vero.


Potenzinterral costei la fu quivi dappoich s ap

Meu.

puntino la vi conosce.
Alle guagnele! questo non si pu negare.

Meu.

M es.
M eu.

No, per Bacco, se voi entrate siete fritto.


E che non taci? propizio il vento, le vo far buono
quanto ella dice, se posso scroccarmi 1 alloggio.
0, donna mia, non a torto ti contraddiceva, aveva
paura che costui soffiasse a mia moglie la faccenda
della vesta e del desinare: andiam pure in casa
quando ti piace.

Meh.

Resti per lo scroccone?


Mai no, e di lui fo niun conto, giunga pure egli,

E ro.

non sar mai eh io lo voglia.


Per mia f io non vorr piangere, ma sai tu, euor

E ro.

Meh .
E

ro.

mio, che dovresti fare?


Qual sarebbe il tuo desiderio, dillo?
Che quella veste, che m hai data pur ora, avessi
a portare- al sarto, affinch la racconciasse e vi
mettesse que fornimenti eh io voglio.

M e n . Hercte quin tu recte dicis: .edem ignorabitur:


Ne uxor cognoscat te habere, si in via conspexerit.
E ro. Ergo mox auferto tecum, quando abibis.
M en.

Maxume

E ro. Eamus intro.

Jam sequar ted hunc volo etiam colloqui.


Eho, Messenio, accede huc.

Men.

Quid negoti est?


Scire vis?

M es .
M en.
M es . Quid ergo?
Men.
M es .

Opust.
Quid opust?
Scio, ut me dices.

Men.

Tanto nequior.

M es .

M e n . Habeo proedam: tantum inccpi operis: i, quantum potest:

Abduc istos in tabernam actutum diversoriam.


Tum facito ante Solem occasum, ut venias advorsum mihi.
M es .Non tu istas meretrices novisti, here?

M en .

Tace, inquam, nunc jam.

Mihi dolebit, non tibi, si quid ego stulte fecero.


Mulier haec stulta atque inscita est, quantum per
spexi modo.
Est hic praeda nobis.
Peni.

M es .
M en.
M es .

Jamne abis?
Periit probe.

Ducit lembum dierectum navis praedatoria.


Sed ego inscitus, qui hero me postulem moderarier:
Dicto me emit audientem, haud imperatorem sibi.
Sequimini, ut, quod imperatum est, veniam advorstim temperi.

Men.

Oh per

Dio

che l hai

ben pensata,

cos non

la sar conosciuta, se volesse il caso che mia mo


glie la ti scontrasse per via con quella veste indosso.
E ro.

Portala adunque teco quando te ne andrai.

Men.

Egregiamente.

E ro.

Andiamo in casa.

JIIes.

Or io vengo subito, vo dire una parola a costui,


ohe Messenione, vien qua..

E ro.

Che avete?

Mes .

Vuoi tu saperlo?

Mes.

E perch?

Mes .

N ' ho bisogno.

Mes.

Bisogno?

Me .

T intendo.

Mes.

Tanto peggio.

Men.

L uccello nel carniero: gli ho fatta ben la caccia,


va pi che puoi, conduci costoro all'osteria, e vieni
mi incontro prima che il sole tramonti.

Mes.

Padron mio, voi non le

avete

ancor

conosciute

queste gioje.
Men .

Taci, ti dico ch basta; se far qualche pazzia, mio


danno; questa donna, a quanto me ne sono avvi
sto, una scimunitella ignorante; essa sar buona
starna per noi.

Mes.

Ohim!

Men .

Sci ancor qui?

Mes .

Buona notte! questa nave da

corsari

trascina

rompere questa piccola zatterella. Bestia che son


io a voler mutare il

cervello al mio padrone! ei

m ha comperato perch io lo serva, non perch gli


comandi. Seguitemi,

acci possa venirgli incontra

all ara eh egli m ha detto.

ACTUS III.
SCENA

I.

P e n icu lus .

Plus triginta natus annis sum, quom interea loci


Numquam quidquam facinus feci pejus} neque scelestius.
Quam hodie, quom in concionem mediam me immer
si miser.
Ubi ego dum hieto, f\9J Menaechmus se subterduxit
mihi,
Atque abiit ad amicam, credo, neque me voluit ducere.
Qui illum di omnes perduini, qui primus commenUts st
Concionem, hac reque homines occupatos occupat.
Non ad eam rem otiosos homines decuit deligi,
Qui nisi adsint, quom citentur, census capiant eloco?
Affatim est hominum, in dies qui singulas escas edunt:
Quibus negoti nihil est: qui esum ncque vocantur,
neque vocant.
Eos oportet concioni dare operam atque comitiis.
Si id ita esset, non ego hodie perdidissem prandium.
Quoi tam credo datum voluisse, quam me video vivere.
Ibo: etiamnum reliquiarum spes animum oblectat
meum.
Sed quid ego video Menaechmum? cum corona exit
foras.
Sublatum est

convivium: edepol venio advorsum


temperi.

ATTO
SCENA

III
I.

Sp a z z o l a .

I o sono ne* trent anni passati, e non ho mai fatta, da che


ho vita addosso, castroneria e buassaggine pi
madornale di quando, com ho fatto oggi, per mia
disgrazia son voluto andare alla ringhiera, perch
intanto che sto l colla bocca aperta, Menemmio se
la colse e se ne and dalla sua amica senza di
me. Che Dio affranga dell ossa colui che invent
le ringhiere! elle tengono occupati anche quelli che
sono pieni di faccende. E non era meglio scegliere
per questo gli scioperati, i quali, se non vengono
alla chiamata., possono essere ammoniti con una
multa? ve n un mondo d uomini che si ac
contentano d un pasto solo, che sono senza pen
sieri, che non vengono invitati da chicchessia,
n essi invitano persona. Costoro devono attende
re alle adunanze ed ai comizii. Se ci fosse, non
avrei oggi perduto un desinare, del quale era s
certo che Menemmio me lo volesse dare, come son
certo eh ora io son vivo. Nulla di manco andr,
maccheta un p la speranza di sbocconcellare qual
che rilievo. Ma che? Menemmio colui ch io veggo?
e sbocca fuori colla ghirlanda in capo. Desinar mio
se andato con Dio: aff eh io gli vengo incontro
a tempo.

SCEMA

li.

M e n e c h m u s - s o s ic l e s , P e n i c u l u s .

M e n . P o li ne

ut

quiescas,

si ego

tibi

hanc

hodie
probe

Lepideque concinnatam referam temperi?


Non faxo eam esse dices: ita ignorabitur.
P e n .Pallam ad phrtjgionem fert, confecto prandio,
Finoque expolo, parasito excluso foras.

Non hercle is sum,

qui sum,

nisi hanc

ivju -

riam,
Meque ullus pulchre fuero! observabo, quae agat.
Hinc primum: post deinde hominem adibo atque
alloquar.
M e n . P ro

dii immortales,

quoi homini umquam uno

die
Boni dedistis plus, qui minus speraverit!
Prandi, potavi, scortum accubui, abstuli
Hanc, quojus heres numquam erit post

hunc
diem.

PEN.Nequeo, quae loquitur, exaudire, clanculum:

Satin s? (20) nunc loquitur de me et de parti mea.


M en .AU hanc dedisse me sibi, atque eam meae

U xori subripuisse: quoniam sentio


Errare; extemplo, quasi res cum ea esset mihi,
Coepi assentari: mulier quidquid dixerat.
Idem ego dicebam: quid mullis verbis opust?
Minore nusquam bene fui dispendio.
P e n .A dibo ad hominem: nam turbare gestio.
M e n . Quis hic *st, qui advorsum fit mihi?

SCENA
M o e j u h o - s o s ic l e ,

II.
Spazzo la.

T ' accheterai tu, soggi presto ti riarreco ben ac


comodata questa vesta? dirai che non la pi
quella, cos non si ha pi da conoscere.
E porta la vesta al sarto, or eh egli s ha divo
rata ogni cosa, e che ha sugato tutto il vino, la
sciando fuor di casa il povero parasito. Ma io
non son pi io, se per questo sfregio non gl iene
accocco una bella. Voglio star a vedere

che

egli si faccia, quindi laffronter, e gli risciaccpier


un bucato in capo.
Oh Dei immortali! a qtial uomo in un giorno so
lo fuor d ogni sua speranza avete dato maggior
contento? Ho mangiato, ho bevuto assiso accanto
ad una bella donna, ho carpita questa a colei che
da quest oggi in poscia non 1 avr pi.
Qui Accantonato non intendo nulla. E non son
chiarito abbastanza? egli parla di me e della parte
che doveva mangiare io.
Diccami eh io gliel aveva data e che l aveva ru
bata a mia moglie; io, accortomi del granchio
eh essa pescava, quasi che da nill anni avessi
avuto a far seco, incominciai a secondarla, quanto
diceva lei, diceva io; a che servono tante parole?
io non fui meglio trattato ed alla minor spesa.
Me gli far davanti non veggo altro eh il mo
mento di rimescolarlo.
Chi costui chc difilato mi viene incontro?
OL. I. P l a l t .

Quid ais, homo

P en.

Levior quam pluma, pessume et nequismme,


Flagilium hominis, subdole, ac minimi preti?
Quid de te merui, qua me caussa perderes?
Ut subripuisti te mihi dudum de foro!
Fecisti funus, med absenlq, prandio.
Cur ausus facere, quoi ego aeque haeres eram?
M e n . Adulescens, quaeso, quid tibi mecum est rei,

Qui mihi male dicas, homini ignoto, inscietts?


An tibi malam rem vis pro maledictis dari
Postea?
P en .

Eam quidem edepol te dedisse intellego.

M e n . despondej adulescens, quaeso, quid nomen tibi est?


P en .Eliam derides, non nomen noveris?
M e n .Non edepol ego te, quod sciam, umquam ante hunc

diem
Fidi, neque novi^ verum certo, quisquis es,
Aequom si facias, mihi odiosus ne sies.
P e n . Non me novisti?
M en.

Non negem, si noverim.

P e n . Menaechme, vigila.
M en.

Figilo hercle equidem, quod sciam.

PEN.Tuom parasitum non novisti?


M ea\

Non libi

Sanum est, adulescens, sinciput, ut intellego.


P e s . Responde, subripuistin uxori luae
Pallam islanc hodie, atque dedisti Erotio?
M e n . Neque hercle ego uxorem habeo, neque ego Erotio

Dedi, nec pallam surpui.

S fa .

Che (fici tu fraschetta? traditor, scellerato, ribaldonaccio, giuntone, uom di niun conto? che t ho
fatto io per piantarmi? Come hai fatto a sgusciar
mi di piazza? approfittandoti della assenza mia
ti se sotterrato in pancia tutto il pasto. Perch
ti se ardito farmela? Non era esso cosa tanto mia
come tua?

Mes.

Oh, buon giovane,

che avete mai voi

con

esso

meco, da dirne tante senza un proposito al mondo


ad un uomo

che mai non avete veduto? volete

che v i paghi io?


Sp a .

E ben mi pare choggi m abbi pagato abbastanza.

Mept.

Deh rispondetemi, quel giovane, qual il nome


vostro?

Sf a .

Si, dammi un po di giambo per

giunta, non sai

i l nome mio?
Mek.

In f di Dio io non so chi voi siate, n prima di


questo giorno v 'h o

visto o conosciuto

alcuno, ma certo, chiunque voi siete,

in

luogo

opererete

da galantuomo a non darmi pi noja.


Sp a .

Non m| hai conosciuto?

M ei*.

Noi negherei se ci fosse.

S pa.

Menemmio, non fare il dormi.

Meh.

E noi faccio per Bacco, ch, se non isbaglio, ho gli

Spa.

Non hai conosciuto il tuo parasito?

M es.

Buon uomo, a quello che mi sembra, siete ben gi


dalle bandelle.

Spa.

Di ora, non hai tu spazzata questa veste a tua


moglie e portatala ad Erozio?

Men.

1 non ho moglie, n ad Erozio ho data cosa del

occhi sbarrati.

mondo, n alle mani mi si appiccata veste di sorta.

P en.

Satin'sanus es?

Occisa est haec les: no n ego te indutum foras


Exire vidi palla?
Vae capiti tuo!

Men.

Omnes cinaedos esse censes, tu quia es.


Turmed indutum fuisse pallam praedicas?
P e n .Ego hercle vero.
Men.

Non tu abis, quo dignus es?

Aut te piari jubes, homo insanisstime?


PEN.Numquam edepol me quisquam exorabit, 'quin tuae
U x o ri rem omnem jam , uti sit gesta, eloquar.
Omnes in te istaec recident contumeliae.

Faxo haud inultum prandium comederis.


M e n . Quid hoc negoti est? satinut quemque conspicor,

Ita me ludificant? sed concrepuit ostium.


SCENA

III.

A n c il l a , M e n .e c h b v s - s o s ic l e s .

A nc. Menaechme, amare ait te multum Erotium,


Ut hoc una opera ad aurificem feras,
Atque huic ut addas auri pondo unciam,
Jubeasque spinther novum reconcinnarier.
M e n .EA istud, et aliud, si quid curari volet,

Me curaturum dicito, quidquid volet.


A nc . Scin quod hoc sit spinther?
M en.
Nescio, nisi aureum.
A nc . IIoc est, quod olim clanculum ex armario

Te subripuisse ajebas ttxori tuae.


MEN.Numquam hercle factum est.
A nc .

Non meministi, obsecro?

Redde igitur spinther, si non meministi.

Spa.

Dove hai tu il capo? or s stiam freschi! e non tho


io veduto uscir fuori con quella veste in dosso?

Meit.

Sciagurato! creJ tu chc gli uomini sieno bardassi,


perch lo se tu, m hai visto con ima veste?

Sp a .

Io s.
E. che non vai, dove devi andare, a farti ribe

M en .

nedire, o pazzcriccio!
Sp a .

Niuno potr farmi convertire dal non contare que


ste tue belle valenterie alla moglie, tutte queste
ingiurie ricascheranno in capo a te, e che s eh io
far eh il desinare non ti conforti molto lo stomaco.

M en .

Che combibbia ha da esser questa? eh io sa giuocato da quanti mi veggono? ma s tocca la porta.


SCENA

III.

A s c e l l a , M e n e m m io - s o s ic l e .

A nc.

0 Menemmio, Erozio m ha detto, per quell amore


che la vi porta, voi abbiate a dare questo braccialetto'all orefice, e che vi mettiate un oncia d oro
del vostro, e

che diate

ordine

diventi quasi

nuovo.
M eit .

Dille pure che far questo ed altro, s ella lo vuole,


che appena ha da aprir bocca.

Anc.

Sapete voi che braccialetto sia questo?

M e i .

Nient altro se non eh egli d oro.

A nc.

Egli quello che voi dicevate aver ghermito un


.d a vostra moglie nell armario.

Mei .
Anc.

Questo non l ho mai fatto.


Se non vi ricorda, rendetemi il braccialetto.

M en .

Mane,

Imnio equidem memini, nempe hoc est, quod illi dedi.


A nc .Jsuc.

Ubi illae armillae sunt, quas una dedi?

M en.

Nc.Numquam dedisti.
Nam poi hoc una dedi.

M en

Nc.Dicam curare?
M en.

D icito: curabitur.

Et palla et spinther faxo referantur simul.


A nc . Amabo, mi Menaechme, inaureis da mihi

Faciundas pondo duum numum stalagmia,


Ut te lubenter videam, quom ad nos veneris.
MEN.Fiat. Cedo aurum, ego manu pretium dabo.
A nc . Da sodes abs te, post ego reddidero tibi.
MEN.Immo cedo abs te.
A nc .

Ego post tibi reddam duplex.

M e n .Non habeo.
A nc .

At tu, quando habebis, ium dato.


Numquid me vis?
Haec me curaturum dicito,
Ut, quantum possint, quamque liceat, veneant..

M en.

Jamne abiit intro? abiit,- operuit foris.


D i me equidem omnes adjuvant, augent, amant.
Sed quid ego cesso, dum datur mi occasio
Tempusque, abire ab his locis lenoniis?
Propera, Menaechme, fer pedem, confer gradum.
Demam coronam, atque abjiciam ad laevam manum,Ut, si qui sequantur, hac me abiisse censeant.
Jbo et conveniam, servom, si potero, meum,
Ut haec, quae bona dant di mihi, ex me sciat.

M ei.

Aspetta, me nc rammenta,, egli c quello eh io le diedi.

Ano.

Quello.

M en.

Dove son le smaniglie che le ho donate insieme?

Anc.

Smaniglie? non gliene avete mai donate voi.

M ej,

Anzi s in fede mia, e tutto in un punto.

Anc.

Ho da dirle che ne avrete cura?

M en.

Dille che si far tutto pulitamente, e che questa ve


sta e il braccialetto le si porter tutto ad una volta.

Anc.

Deh, o mio Menemmio, datemi le pietre per farmi


gli orecchini del peso di due denari, perch io non
vi faccia mai il viso dell arme, quando venite in
casa nostra.

Men.

Ci si far, dammi 1 oro, F opera la pagher io.

Anc.

Metteteglielo voi di buon cuore eh io poi ve lo


restituir.

M en.

Dammelo tu.

Anc.

I o ve nc render il doppio.

MEn.
Anc.

Non ne ho.
Ebbene quando ne avrete: ora volete voi altro?

Men.

Dille che me ne piglier cura,...

sieno ven

dute al pi presto ed al pi buon patto ch io po


tr. fila andata dentro? s, ed ha chiusa la porta.
Ben veggo che Dio m ajuta, che m ha tolto a pro
teggere, e che mi vuol bene; ma che faccio io
qui adesso? ch non me la batto intanto che ho
occasione e tempo dal nettarmela da questi po
striboli? Presto Menemmio, muoviti, dalla a gambe,
mi toglier la ghirlanda e la getter a sinistra,
affinch quelli che vorranno tenermi dietro credano
ch io mi sia voltato da questa parte. Andr a
trovare se mi sar possibile il servo, acci da me
stesso ascolti la cuccagna che mi danno gli dei.

ACTUS ir.
SCESA

1.

M v L IE R -M e X AECHMI-SURREPTI, P e NICVLUS.

M vl . Egone hic me patiar esse in matrimonio,


Ubi vir compilet clanculum quidquid domi est,
Atque ad amicam deferat?
Quin tu taces?

P e .

Manufesto faxo jam opprimes, sequere hac modo.


Pallam ad phrygionem cum corona hinc ebrius
Ferebat, hodie tibi quam subripuit domo.
Sed eccam coronam, quam habuit, num mentior?
Hem! hac abiit,- si vis persequi vestigiis.
Atque edepol eccum optume revortitur:
Sed pallam non fert.
M ul.

Quid ego nunc cum Uloc agam?


P e n . Idem quod semper, male habeas.
Sic censeo.

M v l.

Huc concedamus: ex insidiis aucupa.


SCENA

II.

M e n x c h m u s -s u r r e p t u s , M o l ie s , P e n ic u l u s .

M e n . Ut hoc utimur maxume more moro

Molestoque multum!
Atque uti quique sunt optumi, maxumi
Morem habent hunc.-

ATTO

IV

SCENA
la

M og .

Sp a .

M o g l ie

di

I.

M enemmio - r a p it o , S p a z z o l a .

Ed io dovr comportare d essere qui moglie d un


uomo che spazzi di soppiatto il bello ed il buono
di casa per portarlo ad una bagascia?
E non vorrai pi finirla? Per me tul coglierai sul
fatto; viemmi dietro: dopo aver egli rotta la ca
vezza, colla ghirlanda in capo, portava al sarto
quella vesta eh oggi ti carp di casa. Velia qui la
ghirlanda ch egli aveva, ti pajon soje le mie? si
gitt da questa mano, se ti senti voglia di seguire
le sue pedate. Ottimamente, ve lui medesimo che
ritorna, ma non ha la vesta.

Mo g .

E che dovr dirgli ora?

Sp a .

Quello che sempre, villanie.

Mog.

C os penso.

Sf a .

Ritiriam d qua: e di nascosto sta ad udirlo.

SCENA
Me n e m s io - r a p it o ,

M ei.

sua

II.
M o g lie , Sp a z z o l a .

Oh che maladettissima pazza e molesta usanza


hanno in questa terra gli uomini dabbene e ric
chi! Tutti vogliono avere un gran codazzo d di
enti, e sieno buoni, sieno tristi questo non si

Clienteli sibi omnes v&lunt esse multos:


Bonine an mali sint, id haud quaeritant.
Res magis quaeritur quam clientium fides
Quojusmodi clueat.
S i est pauper atque haud malus, nequam habetur:
Si dives malust, is cliens frugi habetur.
Qui neque leges, neque aequom (21) bonum usquam colunt
Sollicitos patronos habent.
Datum denegant, quod datum estj litium
Pleni, rapaces, viri fraudulenti:
Qui aut foenore, aut perjuriis habent rem partam.
Mens est in querelis.
Juris ubi dicitur dies,
Simul patronis dicitur:
Quippe qui pro illis loquantur, male quae fecerint:
Aut ad populum; aut in jure, apud (22) judicem res est.
Sicut me hodie nimis sollicitum cliens
Quidam habuit:
Neque quod volui
Agere quidquam licitum est: ita me attinuit, ita me
detinuit.
Apud Aedilis proelis factis plurimisque, pessumisque
D ix i caussam: conditiones M u li tortas, confragosas:
Aut plus aut minus, quam opus erat multo, contro
versiam
Dixeram, uti sponsio fieret: quid ille? quid?praedem
dedit.
Nec magis manufesto hominem umquam ullum te
neri vidi ego.
Omnibus malefactis testes tres aderant acerrumi.
D i illum omnes perdantj ( ita m i hunc hodie cor
rupit diem )

vuol sapere, si cerca come stiano a borsa, senza


cercar molto 1' onest de* clienti. Se uno po
vero

e non cattivo, lo si tiene un ribaldo; se

uno

ricco e' scellerato, cotal

cliente lo si

ha il pi sant uomo del mond. Que che graffiano


sempre il viso alle leggi, e non conoscono lealt, tro
vano sempre avvocati che s mettono a pi ed
a cavallo per proteggerli. Questa gente dinegano
tutto che loro dato, son pieni di liti rapaci, fro
dolenti, impinguatisi negli spergiuri e ne raggiri,
ed il loro animo sempre ne piati. Quand essi
sono chiamati alla ragione, pur chiamato anche
colui che li ha in protezione, perch perori in
difesa de loro misfatti, sia che si tratti la cosa
dal popolo, o nel magistrato dal giudice. Cos oggi
venne un cliente a tempestarmi in modo, ch io
non ho potuto far cosa che avessi voluta, cotanto
egli mi si serr addosso e mi distenne.

Ho

dette agli edili tante cose in pr delle sue ribal


derie, misi in campo certi appigli senza capo e
pieni di viluppi, ho fatte tante storie anche pi del
bisogno, perch gli si concedesse una malleveria:
ed egli che fece? che? trov un mallevadore. Io
non vidi mai alcun uomo pi imbrogliato di lui,
gli erano contro tre testimonii invelenatissimi. Che
sia impiccato egli che m ha guasto questo bel d!

flleque adeo, qui hodie fom iti unquam oculis inspe


x i meis!

Diem corrupi: optumum,


Jussi apparari prandium:
Amica exspectat me, scio,
libi primum licitum est, eloco
Properavi abire de foro.
Irata est, credo, nunc mihi.
Placabit palla, quam dedi.
Quam hodie uxori abstuli, atque
Huic detuli Erotio.
P e n . Quid ais?

Viro me malo male nuptam.

M u l.

P e n . Satin audis quae illic loquitur?

Satis.

M ul.

M e n . Si sapiam, hic intro abeam, ubi mihi

Bene sit.
M ul.

Mane: male potius erit.

Nae illam mecastor fceneratod abstulisti, sic datur!


Clanculum te istaec flagitia facere censebas potesse ?
'Me n . Quid illuc est, uxor, negoti?
M ul.

Men rogas?

Vin' hunc rogem?

M en.
P e n . Aufer hinc palpationes,

perge tu.
Quid tu mihi

Men.

Tristis es?
M ul.

Te scire oportet.

Scit, sed dissimulat malus.

Pen.
M e n . Quid negoti est?
M ul.
M en.

Pallam.
Pallam?

c venga il fistolo anche a me perch oggi ho vo


luto ficcar gli occhi in piazza, oh che bel d ho
consumato! aveva ordinato un buon pranzo, l amica
mi aspettava il

so, appena che mi venne fatto,

111 affrettai a togliermi di piazza, questa donna sar


ingrognata meco, ma la calmer la veste che ha
tolta alla moglie ed ho regalata a questa Erozio.

Che dici tu?

Sp a .
M

og

Che la peggio maritata son io.

Sp a .

Raccogli tu bene quello eh egli dice?

SI o g .

Pur troppo!
Se non sono del tutto baggeo, andr qua dentro,
ove potr avere un po di solazzo.
Aspetta, vi sar piuttosto il diavolo. Giuro al cielo

Me s .
Mog.

non me 1 avrai carpita se non con grande usura,


cos si d, tu credevi nascosamente farmene di
queste eh?
Me x .

Moglie mia che ha tu mai?

Mog.

Me lo domandi?

Me s .

E chi vuoi ch io ne cerchi? costui?

Sf a .

Non mi lisciar la coda, va innanzi tu.

ftlEr.

Perch se cos annuvolata meco?

M og.

Bisogneria ben che lo sapessi.

Sp a .

II sa, il traditore, ma fa il mercante.

Me :*.
M og.

Che facenda questa?


La vesta.

Me a .

Qual vesta?

M u i.

Quidam (2 3 ) pallam.

P en.

Qui paves?

M e n .N I equidem paveo, n iti unum, palla pallorem in


cutit.

P e ir. A l tu ne clam me commettit prandiumf perge


in virutn
M e n .N on tacet?

Non hercle vero taceo, nutat, ne loquar.


M e n . Non hercle ego quidem usquam quidquam nuto,

P en.

neque niclo libi.


M ui.N ae ego mecattor mulier misera!
Qui tu misera es? m i expedi.

Men.

P e n . Nihil hoc confidentius, qui, quae vides, e t pernegat.


M e n . Per Jovem deosque omnes adjuro, uxor (satin' hoc

est libi?)
Me isti non nutasse.
Pen.

Credit jam tibi de isto: illuc redi.

M e n . Quo ego redeam?


P en.

Equidem ad phrygionem, censeo, i, pallam refer.

M e n . Quae islec palla est?

M u l.

Taceo jam, quando hic rem non meminit suam.

M e n . Numquisservorumdeliquit?numancillae,aui servae tibi

Responsant? eloquere: impune non erit.


P en.

Nugas agis.
K

M e n . Tristis admodum es: non mihi istuc salis placet.

Nugas agis.

Pen.
M e n . Celerum familiarium aliquoi irata es?
Pe n .

Nugas agis.

M EN.Num mihi es irata saltem?

Nunc tu non nugas agis.


M e n . Non edepol deliqui quidquam.
Pen.

Moc.
Spa .
Meh.

Un tale la mia vesta . . . .


Ha tu paura?
Di nulla: fuorch della gonnella che di biacca mi
pennella.

Spa .

E tu desinar senza me? un altra lavata.

Men.

Non vuoi tu star zitto?

Spa .

Oib: e m accenna che non parli.

Men .

Io certo non ti faccio segno alcuno n

col

capo

n cogli occhi.
Mog .

Ahi trista a me!

M en.

E come puoi tu esserlo? contamelo.

Spa .

Non si vide pi m aggior petulanza, ei nega anche


quello che tu vedi.

Men .

In f di Giove e di tutti gl iddii ti giuro, e non ti


basta? ch io non ho fatto segno alcuno a costui.

Spa .
Men .

Di questo ella n persuasa, torna.


E dove dovr tornare?

Sp a .

Al sarto, cos io penso, va, riporta la vesta.

M en .

Qual vesta mi vuoi tu dire?

M og .

meglio che taccia, dappoich egli tanto non si


ricorda quanto dalla bocca al naso.

Men .

Ha forse fallato qualche servo? forse ti forbottano


le fantesche e le ancelle? parla, non se la passe
ranno netta.

M og .

T u scherzi.

M en .

Se pur riversata, questo non mi va troppo.

P ei.

T u scherzi.

M en .

Se tu adirata con alcuno de nostri?

P en .

T u scherzi.

M en .

L hai forse tu meco?

P en .

Ora tu parli da senno.

M en .

Ma io non so che mi abbia fatto.

Hem rursum nunc nugas agis.


M e n . Dic, mea uxor, quid tibi aegre esi?
P en.

P en.
M E N . P o t i n tU

Bellus blanditur tibil


mihi molestus ne sis? num te appello?

M ul.
P e n . Sic datur : properato

Aufer manum.
absente me comesse pran
dium:

Post ante aedis cum corona me derideto ebrius!


M e n . Neque edepol ego prandi, neque hodie huc intro te

ttili pedem.
P e n . Tun negas?

M en .

Nego hercle vero.


Nihil hoc homine amlaciusj

Pen.

Non ego te modo hic ante aedis cum corona florea


Fidi adstare, cum negabas mi esse sanum sincipiti?
Et negabas me novisse: peregrinum aibas esse te?
MEN.Quin ut dudum divorti abs te, redeo nunc demum

domum.
P e n .N o v ego te: n o n

m ih i

censebas esse, q u i te

u lc i
sceret'.

Omnia hercle uxori dixi.


Quid dixisti?

M en.

Pen.
Nescio:
Eam ipsus roga.
Men.
Quid hoc est, uxor? quidnam hic narravit libi?
Quid id est? quid taces? quin dicis, quid sit?
M u l . Men ' rogas?

M en.

Pol haud rogem te, si sciam.

Pen.

0 hominem malum!

Ut dissimulat! non potes celare: rem novi probe:


Omnia hercle ego edictavi.

Sra.

Eccoci tornati a capo.

Men .

Di su, moglie mia, che cos che ti pesa?

Spa .

Ve come falle vezzi il bell* uomo.

Men.

Possibil m che tu non taccia mai? io non voglio tc.

M og .

Gi le mani.
Chi la fa, laspetti. Su corri intanto eh io non ci

Spa .

sono a trangugiarti il desinare, e poi cotto come


una monna, colla ghirlanda in capo, viemmi a fare
manichino sopra la porta.
Me ?t.

I o certo sono tuttor digiuno,

n ho mosso piede

qua dentro.
Spa .

Tu lo neghi?

Mek .

Al corpo al sangue.

Sp a .

Oh lo sfrontataccio! e non ti vid io con una


corona di fiori in capo, quando mi svillaneggiavi
dicendomi, chio non aveva sano il cervello? quan
do rinnegavi Dio di conoscermi, e ti spacciaw
per forestiero?

M eh .

Ma se da quando sono andato via da te, appena


adesso ritorno a casa.

Sp a .

T* ho

ben conosciuto

io,

non

te la imaginavi

eh! eli io mi volessi risentire? a tua moglie io ho


spiaiellata ogni cosa.
M ei.

E die le hai detto?

Spa .

Noi so nemmen io, domandane lei medesima.

Me s .

Che ci, donna mia, e chc t ha contato costui?


che? ammutolisci? e che non dici quello che sia?

M og .

Quasi che non lo

sapessi?

M en .

Non te lo chiederci, se lo sapessi.

Sp a .

0 faccia di pallottola! come finge! non puoi nascon


derti, so ben io la trama, tutta lho scoprta a costei.
V o l . I. P la u t .

Mr.x.

Quid id est?

Quando nil pudet,


Neque vis tua voluntate ipse profiteri* audi, atque

M ul.

ades:
Et quid tristis, et quid hic mihi dixerit, faxo scias.
Palla est mihi domo subrepta.
M en.

(2 4 ) Palla subrepta est mihij

P e n . Fiden uti scelestus capiat! huic subrepta est* non libi,


Nam

profecto

tibi subrepta si

esset, salva nunc

foret.
M e n . Nihil mihi tecum est: sed quid tu ais?
M ul.
Palla, inquam* periit domo.
M e n . Quis eam subripuit?
Pol istuc ille scit* qui illam abstulit.

M ul.

M e n . Quis hic homo est?


M ul.

Menaechmus quidam.

Men.

Edcpol factum nequiter.

Quis is Menaechmusl?
M ul.

Tu istic* inquam.

Egone?

M en.
M ul.

T u!

M en.

Quis arguit?

MuL.Egomet.
Pen.

Et ego: atque huic amicae detulisti Erolio.

MEN.Egon dedi?
Pen.

Tu* tu istic, inquam: vinadferri noctuam*


Quae, Tu* Tu* usque dicat tibi? nam nos jam
defessi sumus.

M e n . Per Jovem deosque omnis adjuro* uxor j satin hoc


est tibi?

Non dedisse.

Me .

Ma che questo?

M og.

Quando tu non provi vergogna, e quando non


vuoi confessarti reo di per te stesso, m ascolta e
non ti movere un passo. Ben saprai allora e per
ch io sia tutta scorucciata e che cosa m abbia
detto costui; una vesta mi venne involata di casa.

Men .
Sp a .

Una veste mi venne involata?


Guarda come questo ribaldo ti vorrebbe cogliere?
a lei venne carpita e non a te; ch se la fosse stata
carpita a tc, ora sarebbe in luogo sicuro.

M en.

Io ho nulla teco, ma e che dici tu?

M og .

Chc una vesta manc di casa.

Men .

chi fu il ladro?

Mo g .

Oh lo sa costui.

Men .

chi quest uomo?

M og .

Un certo Menemmio.

M en .

Mal fatto. chi questo Menemmio?

M og .

Tu se quello.

Me n .

Io?

Mog .

Tu.

M en .

chi me 1 appone?

M og .

Io.

Spa .

Ed io: che l hai portata


d Erozio.

M en .

Io gliel ho data?

Sp a .

Tu, tu dico, tu, e vuoi forse chio ti porti un cu

a questa

boldriana

culo il qual ti canti in fin che se sordo il Tu, Tu?


noi finalmente siamo stracchi noi.
Men .

In le di Giove e di quanti sono Iddii nel cielo io


ti giuro, o moglie, e non ti basta questo? chc nou
gliel ho data.

]'i:y .

Im o hercle vero, non, non falsum dicere.

Mnn.Sed ego illam non condonavi, sed sic utendam dedi.


M u l .Equidem ecastor luam nec chlamydem do foras, nec
pallium
Quoiquam utendum: mulierem aequom est vestimen
tum muliebre
Dare foras, virum virile: quin refers pallam domum?
M e n . Ego faxo referetur.
M ul.

E x re tua, ut opinor, feceris.

Nam domum numquam introibis, nisi feres pallam


simul.
Ego domum.
Pen.

Quid mihi futurum est, qui libi hanc operam dedi?

M u l . Opera reddetur, quando quid tibi erit subreptum domo.


P e n . Id quidem edepol numquam erit:

nam nihil

est,

quod perdam, domi.


Quom virum, quom uxorem, di vos perdant:' pro
perabo ad forum :
Nam ex hac familia me plane excidisse intellego.
M e n . Male mihi uxor sese fecisse censet,
Quasi non habeam, quo intromittar,

quom excludit
foras,alium melio
rem locum.

S i libi displiceo, patinndum: at placuero huic Erotio,


Quae me non excludet ab se, sed aptid se occludet domi.
Nunc ibo, orabo, ut mihi pallam reddat, qttam dudum dedi.
Aliam illi redimam meliorem: heus!

ecquis hic esi


ja n itor?

A parile, alquc Erolium aliquis evocate ante oslium.

Spa.

E noi sacramentiam por rcole che non diciamo


menzogna.

M eh.

Io non gliel ho donala, ma gliel ho data cos

M og.

Io per bacco non do mai fuora n la tua clamide,

per servirsene.
n il tuo mantello, e per alle donne conve
niente prestar le cose da donna, agli uomini quelle
da uomo, perch adunque non mi riporti la ve
ste a casa?
Men.
M og.

La ti si render.
E questo a mio avviso sar in tuo vantaggio, per
ch non potrai mettere dentro piede in casa, se
non vieni insiem colla veste, io intanto me ne vado.

Sp a .

E guai guadagno sar il mio per questo servigio?

M og.

Ajuter anche te quando ti sar rubata in casa

Sp a .

Questo non accadr giammai, perocch in casa non

qual cosa.
v nulla. eh* io possa perdere. Che Dio v allranga marito e moglie. Correr in piazza, imperocch
m accorgo che questa famiglia non pi per me.
Men.

Mia moglie crede d avermi fatto gran torto

col

cacciarmi di casa, quasich non avessi miglior luo


go che m accolga.

Se a te dispiaccio, pazienza,

piacer a questa Erozio la quale non mi discac


cer da se, ma mi chiuder seco in casa. Ora an
dr e la pregher, che mi restituisca la vesta che
le ho data pur dianzi: gliene

comprer una pi

bella. Ehi, chi qua alla porta, aprite, ed alcuno


mi chiami Erozio.

E n orivM , M enjecumvs - s u r r eptv s .


E ro . Quis hic me quceril?

'M e n .

Sibi inimicus magis quam aetati tuae.

Eno. M i Menaechme, cur anle aedis adstas? sequere intro.


Men .

Mane.

Scinquid est, quod ego ad te venio?


Scio, ut tibi ex me sit volup.

E ro .
M e n . Im o

edepol pallam illam, amabo te, quam tibi


dudum dedi,

M ihi eam redde: uxor rescivit rem omnem, ut fa


ctum est ordine.
Ego tibi redimam bis tanto pluris pallam, quam voles.
Eno. Tibi dedi equidem illam,

ad phrtjgionem ut ferres,
paullo prius:

Et illud spinther, ut ad aurificem ferres, ut fieret novom.


M e n . M ihi ut tu dederis pallam,

et spinther? numquam
factum reperies.

Nam ego quidem postquam illam dudtim tibi dedi,


atque abii ad forum,
Nunc redeo, nunc te postilla video.
Video, quam rem agis.

E ro.

Quia commisi, ut me defrudes: ad eam rem adfectas


viam.
M e n . Neque edepol te defrudandi caussa posco: quin tibi

Dico, uxorem rescivisse.


E ro .

Nec te ultro oravi ut dares.


Tute ultro ad me detulisti, dedisti eam dono mihi:
Eamdem nunc rcposcis: patiar, libi habe, aufer, utere,
Vel tu, vel tua uxor* vel etiam in oculos compingite.

s ce n a

nr.

Erozio, Mehemmio- rapito.


E ro .

Chi qua che mi cerca?

M e n .

Un uomo pi nemico alla vita sua che a tc.

E ro .

Mio Menemmio, che fai tu qui nella via? vien meco


dentro.

M e n .

Aspetta, sai perch io venga a tc?

E ro.

Il so, perch io faccia il piacer tuo.

Anzi tutt altro. Deh rendimi in grazia quella vesta

en.

che t ho portata poc anzi; mia moglie ha risaputa


ogni cosa fino

al finocchio:

io te ne comprer

un altra due volte pi bella che tu possa volere.


E ro.

E non ha guari eh io te l ho data, perch la re


cassi al sarto insieme a quel braccialetto da por
tare

Me n .

all orefice, perch lo avesse a rifare.

A me tu hai data la veste ed il braccialetto? non


mai tu potrai provarmelo, imperocch dappoi che
te l ho data e che sono ito in piazza, ritorno
adesso, e adesso solamente ti veggo.

E ro.

M accorgo bene che tu faccia, dappoich io, t ho


date queste cose, tu pensi a tenertele; questo la
nimo tuo.

M en.

In le di galantuomo io

non

te la domando per

defraudarti, ma perch ti dico che mia moglie lo


ha risaputo.
Ero.

Io non t ho pregato, perch me la avessi a dare,


di tua voglia me 1 hai portata

in dono;

ora la

rivuoi, pazienza, abbitela, toglitela e servitene tu o


tua moglie, e che possiate tuttadue ficcarvela nc-

Tu huc, post hunc diem, pedem inlro non feres, n i


frustra sis,
Quando in me bene merentem tibi habes despicatui.
N isi feres argentum, frustra me ductare non potes.
A liam posthac invenito, quam tu habeas frustratui.
M e n . Nimis iracunde hercle: tandem heus tu, tibi dico, mane.
Redi.
E ro .

Etiam ne adstas? etiam audes mea revorti gratia?

M en . Abiit intro, occlusit aedeis: nunc ego sum exclu-

sissumus:
Neque domi, neque apud amicam mihi ja m quid
quam creditur.
Ibo, et consulam hanc rem amicos, quid faciundum
censeant.

gli occhi. Tu poi se non vorrai 'spendere inutil


mente i tuoi passi, non porrai piede qua dentro,
quando tu tieni in cos poco conto me che ho
fatto tanto per te: se non, porti 1 argento mi lu
singherai invano, cercatene un altra che tu possa
ingannare.
M ei.

Troppo fuoco: a te io dico, resta, ritorna.

E ro.

ncora stai

M en.

Se n and dentro e chiuse la porta. Or io sono

qui,

ancora vorresti

enti*armi in

grazia?
lo scomunicato, nessuno m ha pi fede n la mo
glie n l amante. Andr,

consiglierommi cogli a-

mici che farebbero essi se fossero ne miei piedi.

ACTUS V.
SCENA

I.

M e m j e c t im u s - s o s ic l e s , M u l i e r - M e n j e c b m i - s u r r e p t i .

M e n .N imis slulte dudum feci* quom marsupium


Messenioni cum argento concrcdidi.
Immersit aliquo sese* credo* in ganeum.
M ul . Provisam* quam mox vir meus redeat domum.
Sed eccum video: salva sum* pallam refert.
M e n .Demiror* ubi nunc ambulet Messenio.
M ul . Adibo* atque hominem accipiam* quibus dictis meret.
Non te pudet prodire in conspectum meum*
FlagUium hominis, cum istoc ornatu?
Men.

Quid esi?

Quae res agitai te* mulier?


M ul .

Etiamne* impudens*

M utlire unum verbum audes* aut mecum loqui?


M e n . Quid tandem admisi in te* ut loqui non audeam?
M ul .Rogas me? o hominis impudentem audaciam!
M e n . Non tu scis* mulier* Hecubam quapropter canem
G raji esse praedicabant?
M ul .

Non equidem scio.

M e n . Quia idem faciebat Hecuba* quod lu nunc facis:


Omnia mala ingerebat* quemquem adspexeral.
Itaque adeo jure coepla appellari est Canis.
M ul .N oii istaec ego flagilia possum perpeti.
Nam med aetatem viduam esse mavelim*
Quam istaec flagilia lua pati* quae tu facis.

ATTO
SCENA

V
I.

M oemmio-sosicxe, e Moglie di Meitemio - rapito.


M

en

Io

eh ebbi ben del matto, quando ho data la

borsa de danari a Messenione;

dove si sar fic

cato egli? in qualche taverna senza fallo.


RIo g .

I o star alla veletta per vedere quando torna a casa


mio marito, ma eccolo, il vento vien da buon lato,
egli ha la vesta.

ei * .

M og.

Io

son fuori del secolo, dove sar ito Messenione?

L affronter e tante gliene dir, quante gliene


vanno; e non ti vergogni, ribaldonaccio, venirmi
davanti con questo arnese?

en

Mog.

Che ? che diavolo avete in capo, o donna?


E ancora se tu

cos

improntuoso

da fiatare e

profferir sillaba in faccia mia.


Men .

E che vho fatto io per non aver viso da parlarvi?

Mog.

E lo dimandi? mira sfacciataggine d' uomo!

Men .

O donna, non sapete voi perch

i Greci davano

della cagna ad Ecuba?


M

og

Me n .

Mai n.
Perocch essa faceva appunto come fate voi; essa
malediceva a quanti le capitavano dinanzi, e perci

non senza ragione venne chiamata cagna.


M og.

Tali villanie io non posso patirle, ed amerei me


glio vivere vedova la vita mia che tollerare tutte
. le offese che mi fai

M e n .Quid id ad me, tu te nuptam possis perpeli,


A n sis abitura a tuo viro? an mos est ita hic,
Peregrino ut advenienti narrent fabulas?
M vl .Q uos fabulas? non, inquam, patiar praeterhac,
Quin vidua vivam, quam tuos mores perferam.
M e n .M ea quidem hercle caussa vidua vivito,
Vel usque dum regnum obtinebit Jupiter.
M ul . A t mihi negabas dudum subripuisse te,
Nunc eamdem ante oculos attines: non te pudet?
M e n .Hei hercle, mulier, mullum et audax et mala es.
Tunlibi hanc subreptam dicere audes, quam mihi
Dedit alia mulier, ut concinnandam darem!
M ul .Nae istuc mecastor ja m patrem arcessam meum,
Atque ei narrabo tua flagilia, quae facis.
I , Decio, quaere meum patrem, tecum simul
Ut veniat ad me: ila rem esse dicito.
Jam ego aperiam istaec tua flagilia.
M en.

Sanan es?

Quae mea flagilia?


M ul .

Quom pallam atque aurum meum

Dom o suppilas u xori tuae, et tuae


Degeri* amicae: satinJhaec recte fabulor?
M en . Quaeso hercle, mulier, si scis, monstra, quod bibam.
Tuam qui possim perpeti petulantiam.
Quem tute hominem me arbitrare, nescio.
Ego te simitu novi cum /25J Parthaone.
M vl .S me derides, at pol illum non potes,
Patrem meum, qui huc advenit: quin respicis?
Novistin tu illum?
Men.

N ovi cum Calcha simul:

Eodem die vidi illum, quo te ante hunc diem.

M ej.

che entra questo ne'casi miei, che non vi pos


siate veder maritata, o che vogliate scappar via
da vostro marito? v ha qui forse costume di rac
contar favole ai forestieri?

M og .

Che favole? io non ne voglio sopportar pi, voglio

Quanto a me state pur senza marito, finch Giove

viver sola, n pi tollerare la tua vita.


.

en

potr avere il regno.


M og.

Tu dinegar davermi poco fa rubata la veste? ora


che 1 hai sotto gli occhi non te ne vergogni?

M en.

Certamente voi siete un audace e maligna fem


mina pi del bisogno: voi dire esservi stata grancita questa vesta,

che mi

diede un altra donna

da far rassettare?
M

og

Or chiamer qua mio padre, e gli conter queste


tue braverie.

0 Decione,

cerca di mio padre e

digli che venga teco da me,

ch cosi vogliono i

casi miei. Io tutte gli aprir queste tue ribalderie.


Men.

Avete con voi il cuore si o no? quali sono queste


mie ribalderie?

M og.

Quelle di rubacchiarmi le vesti e l oro per ingras


sare la tua scrofa; e ti pajon belle favole coteste?

M e i .

Per carit, donna mia, ditemi, se pur lo sapete, ove


cosa siavi a bere che mi faccia soflerire la vo
stra petulanza. Io non so accomodarmi in. testa per
chi voi mi tenete, avend io tanto conosciuto voi,
come Partaone.

Mog.

Se tu ora metti in novelle me, non potrai fare Io


stesso del padre mio, che sen viene a questa volta,
guarda indietro, non lo conosci?

M es.

L ho conosciuto insieme a Calcante, e lho veduto


quel d ch io vidi voi, mille aoni fa.

M ul . Negas novisse me? negas patrem meum?


M e n . Idem hercle dicam, si avom vis adducere.
M ul . Ecastor pariter hoc, atque alias res soles.
SC EN A

II.

S e n e x * M u l ie r -M e n j e c h m i - s u r r e p t i ,
M e n je c h m u s - sosicles .
S e n . Ut aetas mea est, atque ut hoc usus facto est,
Gradum proferam, progredi properabo.
Sed id (juam m ihi facile sit, haud sum falsus.
Nam pernicitas deserit: consitus sum
Senectute: onustum gero corpusj vires
Reliquere: ut aetas mala, merx mala est tergo! (2 G)
Nam res plurimas pessumas, quom advenit, fert:
Quas si autumem omneis, nimis longus sermo sit.
Sed haec res m ihi in pectore et corde (2 7 ) curae est,
Quidnam hoc sit negoti, quod filia sic
Repente expetit me, ut ad sese irem.
Nec, quid id sit, mihi
Facit certius quid velit, qtiid me arcessat.
Verum propemodum ja m scio, quid siet rcii.
Credo cum viro litigium natum esse aliquod.
Ita istaec solent, quae viros sitbservire
Sibi postulant, dote fretae, ferocesj
Et illi quoque haud abstinent saepe culpa.
Verum est modus tamen, quoad pali uxorem oportet.
Nec pol filia umquam patrem arcessit ad se,
Nisi aut quid commissi, aut ju rg ii est caussa.
Sed quidquid id est, ja m sciam: atque eccam eattipse
Ante aedis, et eius tristem virum video.
Id est, quod suspicabar.
Appellabo hanc.

m
M og.

Non conosci me? non conosci mio padre?

M en.

E sar cos, se conduceste anche 1 avolo.

M og.

E questa sar delle tue.


SCENA
V e c c h io , M o g l i e

di

U.
M e n e m h io - r a p it o ,

M e n e m m io - s o s ic l e .

V ec.

Come comporta l et mia, e come ricerca il biso


gno di questa faccenda, m affretter c studier il
passo, ma quanto mi sia facile le mie gambe lo
sanno; imperocch la leggerezza mi abbandona, ed
or che son vecchio, son tutto languido* ed il corpo
mi pesa adosso. Oh che cattiva mercanzia la vecchiaja! quando capita quanti malanni non porta!
che se volessi tirarli fuora tutti, ci anderebbe un
anno. Ci che mi d un po di fastidio vedermi
chiamare dalla figlia con tanta fretta, senza dirmi
che voglia, e perch la mi chiami. Ma cos all in
gross m immagino che vorr essere questa fac
cenda; l avr taroccato col marito. Son cos fatte
queste donne, vogliono tenere per servi gli uomini,
e perch hanno un po di dota, sono piene dalterigia..
Gi i mariti tratto tratto fanno ancor essi qual
che scappattella; ma v un termine, a cui deve stare
anche la moglie. Una figlia per un. erroruzzo di
fava, o per quattro parole dettele in traverso, non
sa altro che chiamare il padre: ma checch sia
questo, ora lo sapr eccola in su la

porta

suo

marito con tutto malinconoso, guarda sio lindo


vinai? la chiamer.

Ibo advorsum: salve mullum, m i paler.

M ul .

S e n . Salva sis: salvenadvenio? salveu' arcessi jubes?


Quid tu tristis es? quid ille autem abs te iratus deslilil?
Nescio quid vos velitati estis inter vos duos.
Loquere, uter meruistis culpam, paucis: non longos
logos.
MuL.Nusquam equidem quidquam deliqui: hoc primum
te absolvo, paler.
Ferum vivere hic non possum, neque durare ullo modo.
P ro in tu me hinc abducas.
Se n .

Quid istuc autem est?

M ul .

Ludibrio, paler,

Habeor.
Sen.

Unde?

M ul .

A b illo, quoi me mandavisti, meo viro.

S e n . Ecce autem litigium: quotiens edixi tandem tibi,


Ut caveres,,neuter ad me irelis cum querimonia?
M ul . Qui ego istuc, m i paler, cavere possum?
Sen .

Men'interrogas?

M e n . Nisi nevis.
Se n .

Quotiens monstravi tibi, viro ut morem geras?


Quid ille faciat, ne id observes: quo eat: quid re
rum gerat.

M ul . A t enim ille hinc amat merclricem ex proxumo . . .


Sen.

Sane sapit.

Atque ob istanc

industriam, etiam

faxo amabit
amplius.

M ul . Atque ibi potat.


Se n .

Tua quidem ille caussa potabit minus,

Sive illic, sive alibi lubebit? quae haec, malum, im


pudentia est?

Mog .

State bne, mio buon padre.

Y ec.

E tu sta bene. Qual disgrazia

ci venne? eccomi,

perch m hai fatto chiamare? e tu che hai cou (


quella faccia cos brusca? perch se ne sta egli lon
tano da te cos stizzito? non so che badalucco
sia stato il vostro; parla, gi senza molto prosarla
la colpa sar di tuttadue.
H oc.

Io so che non ho il torto io, e di questo voglio


prima liberarmi, o padre, poi v accerto che non
mi basta la vista di vivere con costui, pi io non
posso patirlo in alcun modo; quindi pensate voi
a condurmi via di qui.

Vec.

Ma che questo?

Mo g .

0 padre mio, tutto il di io sono sulla gruccia.

Y ec.

E chi ti mette?

M oe.

Colui al quale voi mi avete mandata, mio marito.

Y ec .

Eccoci alle medesime, quante volte te l ho a dire


ancora che, tu avessi a. guardare nessun di voi;
altri venisse ad annojarmi con qualche rammarico?

Mog.

Ma come, padre mio, posso guardarmene?

V ec .

Me ne dimandi? sei tu che lo vuoi; quante volte


non t ho io detto che avessi a fare a modo del
marito? che non gli avessi tanto l occhio adosso
n a che faccia, ne dove vada, n a qual faccenda
abbia tra le mani?

Mo g .

Oh padre mio, egli fa all amore colla cantoniera

V ec .

Egli ha buon senno, ed io far che per questa

che sta qui vicino.


tua industria ami questa donna dieci tanti di pi.
Mog.
V ec .

Ed ivi s abbracciano.
Si ch egli vorr restarsene per te. S noi fa qui,
V o l . I. Plaut.

Una opera prohibere, ad coenam ne promittat, postules:


Neve quemquam

accipiat alienum

apud te:

terviren'tibi

Postulas viro? dare una opera pensum postulesj


Inter ancillas sedere jubeas, lanam carere.
M ul . Non equidem m ihi te advocatum,

pater,

adduxi,
ted viro.

H inc tla t, illinc camam dicis.


Sen .

S i ille quid deliquerit,

Multo tanto illum adcusabo, quam te adattavi, ampliut.


Quando te aurtam et veititam bene habet: ancillat, penum,
Recte praehibet: melius tanam est, mulier, mentem
tumere.
M ul . A t ille tuppUat mihi aurum et pallam ex arcis domoj
Me despoliat, mea ornamenta clam ad meretrices
degerit.
S e n . Male facit, si istuc facit: si non facit, tu male facis,
Quae insontem insimules.
M ul .

Quin etiam nunc habet pallam, pater,

E t spinthei, quod ad hanc detulerat: nunc, quia re


scivi, refert.
S e n . Jam ego ex hoc, ut factum est, scibo: ibo ad ho
minem, atque adloquar:
D ic

m i istuc,

Menaechme,

quod

vos dissertatis,
ut sciam.

Quid tu tristis es? quid illam autem iratam abs te


destituis?
M e n . Quisquis cs, quidquid tibi nomen est, senex, sum
mum Jovem Deosque do testis. . .

noi potr fare in qualche altro luogo? che presun


zione questa tua, o sciocca, volere ch egli non
prometta ad alcuno di cenar seco, e che non possa
ricevere persona in casa? Fai tu pensiero che i
mariti sieno servi? pensi tu di dar loro l opera,
di far loro morseggiare la lana in fra le fantesche?
Moc.

In fede mia, o padre, io v ho chiamato non per


ch voi aveste a tenere le ragioni mie: ma quelle
del marito, egli ben vero che siete qua: ma di
l parlate voi.

V ec.

Segli avr fallato ho voce in gola da dirgliene tante


tre volte pi di te. Ma avendoti egli carica d oro
e di vesti, tenendoti egli ben fornita di serve e
di cucina, sarebbe, donna mia, pur buona cosa che
tu avessi a pensar meglio.

Mog.

Ma egli mi rubacchia di soppiatto e l oro e le


vesti, e spoglia me per far belle le

sgualdrine

de miei ornamenti.
Vec.

*S egli fa questo, egli fa male, ma se non lo

fa,

tu fai peggio ad accusarlo a torto.


Mog.

Che anzi, o padre, or egli ha la veste ed il brac


cialetto che avea portato a costei, le quali cose
ora

egli

viene

riportarmele perch io 1 ho

risaputo.
V ec.

O r 'io sapr come la stia, andr a lui, e gli par


ler. Dimmi, o Menemmio, che parole

sono state

queste vostre? fa tu eh io le sappia: perch se cosi


rattristato? perch discacci da te colei eh ora
teco si in collera?
Mei*.

Chiunque voi siate, qualunque nome abbiate .voi,


vecchietto mio, io chiamo il gran Giove e tutti
g l i Dii in, testimonio, se . . .

S en.

Qua de re, atti quojus rei rerum omnium?

M e n . Me neque isti male fecisse mulieri, quae me arguit


Hanc domo ab se subripuisse, atque abstulisse dejerat.
S i ego intra aedis hujus umquam, ubi habitat, pe-r
netravi pedem
Omnium hominum exopto ut fiam miserorum m iserrumus.
qui istuc exoptes, aut neges te umquam

SEif.SanunJes,

pedem
In eas aedis intulisse, ubi habitas, insanissume?
M e n . T u ri, senex, ais habitare med in illisce aedibus?
S e n . T u negas?
M en.

Nego hercle vero.


N im io hoc ludicre negat,

M ul.

Nisi quo nocte hac emigrasti.


Concede hac sis, filia,

Se n .

Quid tu ais? num hinc emigrasti?


M en.

Quem in locum, aut ob rem, obsecro?

S e n . Non edepol scio.

M ul.

Profecto ludit te hic.


Non tute tenes?

Se n .

Jam vero, Menaechme, salis jocatus es: nunc hanc


rem age.
M e n . Quaeso, quid m ihi tecum est? unde,

aut quis tu

homo es? quid feci ego


Tibi, aut adeo isti, quae mihi molesta est quoque modo?
M uL.Videntu illi oculos virere? ut viridis exoritur colos
E x temporibus atque fronlef ut oculi scintillant! vide.
MEN.Hei mihi insanire me ajunl ultro quom ipsi insaniunt!
M u l . Ut pandiculans

oscitatur!

quid nunc faciam,

mi

paler?

V ec.

Perch vien tu fuori cos?

M en.

I o non ho fatto oltraggio alcuno a questa donna,


per quanto essa dica e per quanto essa giuri chio
abbia carpita e portata via questa a lei. S io ho
messo pi dentro in casa sua, ch io possa divenire
il pi sgraziatissimo degli sgraziati.

V ec.

Se tu sano per volerti questo, e per affermare di


non aver mai messo qua dentro piede, ove tu
abiti, o zucca di borra;

M en.

E voi, roKon d un vecchio dite che questa la

V ec.

E tu no?

M en.

Ed ora no pi che mai.

M og.

Oh come ci agguindoli con queste mentite! se pur

casa dove abito io?

tu non hai sloggiato di qui la notte passata.


V ec.

Vien qui figlia mia: che di tu? Hai cambiato casa?

M eh.

Ma dove? e a far che?

V ec.

Io noi so.

M og.

Aff che v uceella costui.

V ec.

Non se tu ne gangheri o Menemmio? lo scherzo

M en.

Di grazia che ho io co fatti vostri? di che paese?

fu anche troppo lungo, or parla da senno.


o che razza d uomo siete voi? che cosa io vi ho
fatto, e che cosa ho fatto a costei che cerca ogni
via per essermi molesta?
M og.

Non vedete,voi come gli si fanno verdi gli occhi?


come tutto allividisce in faccia? guardate chegli ha
le bragie negli occhi! guardate!

M en .

Ahim! e dicono

eh io

son pazzo,

quand essi

dovrien esser gi in catene.


M og .

Uh! come costui sbavigliando si stiracchia la pelle!


che farommi adesso, o padre?

S e n . Concede Ime, mea nata, ab ittoc quam potest longissume.


M e n . Quid m ihi melius, quam quando illi me insanire
praedicant,
Ego me adsimulem insanire, ut illas a me absteream?
Evoe, Evie, Bromie, quo me in silvam venatum vocas?
Audio: sed non abire possum ab his regionibus:
Ila Ula me ab laeva rabiosa femina adservat canisj
Post autem Ulic hircus alius, qui saepe aetate in sua
Perdidit civem innocentem falso testimonio.
SEN.Fae capiti tuo!
Men.

Ecce Apollo m i ex oraculo imperat,

Ut ego illi oculos exuram lampadibus ardentibus.


M uL.Perii, m i paler: minatur mihi oculos exurere.
S b n . Filia, heus!
M ul.

Quid est? quid agimus?

Sb n .

Quid, si ego huc servos cito?

Ibo, adducam, qui hunc hinc tollant,

et domi de
vinciant.

Priusquam turbarum quid faciat amplius.


Men.

Enimvero, nisi

Occupo aliquid m ihi consilium, hi domum me ad


se auferent.
Pugnis me vetas in hujus ore quidquam parcere,
N i ja m ex meis oculis abscedat in malam magnam
crucem?
Faciam, quod jubes, Apollo.
Se n .

Fuge domum, quantum polest,

Ne hic te obtundat.
M v i.

Fugio: amabo, adserva istunc, m i pater,


Ne quo hinc abeat; sumne ego mulier misera, quae.
illaec audio!

V ec.

0 figlia mia, vien qua, tallontana dalai pi che sai.

Meh.

E s dacch dicono che son pazzo, non meglio


che tal mi finga per sgombrarmeli dattorno? Evoe,
evoe, Bacco in qual selva mi chiami tu a cac
ciare? ti sento ben io, ma non posso andar via
di

qua, ch una cagnaccia rabbiosa di donna

la mi tiene a sinistra; da questo lato mi impaccia


un altro caprone, il quale dal d che nacque infino

a questo, testimoniando il falso, ben pi

d un cittadino innocente mand in rovina.


V ec.

Tristo alla vita tua.

M eit.

Ecco dall oracolo Apollo mi

comanda, eh io con

due fiaccole ardenti abbruci gli occhi a costei.


M og .

Ahim, padre, costui minaccia di abbruciarmi gli


occhi.

V ec .

0 figlia!

M og .

Che questo? che partito sar il nostro?

Vec.

E
gli

che? s io
condurr,

fo

venire

perch

qua i servi ? andr,

lo piglino e lo leghino

in casa, anzi che mandi a bordello tutto il vici


nata
Men .

Gi me n'avveggo, sio non trovo qualche cosa di me


glio mi portano a casa loro. E non vuoi tu eh io
dia una grandine di pugni sul naso di costei, sella
non spazza via di qua

per

andarsene colla sua

malora? sarai tosto ubbidito, o Apollo.


V ec .

Figlia mia, battila per la pi corta, prima che

M og .

Men vado, deh padre mio, guardate che costui

costui non ti rompa il collo.


di qua non se la colga, e non son io sventurata?
che cose mi devo udire!

Jtia/*.Haud male Ulane a me amovi. Anne hunc impurissumum


Barbatum, tremulum Tilhonum, Cycno qui ciuci patre,
Ila mihi imperas, ut ego hujus membra, atque os
sa., atque arlua
Comminuam illo scipione, quem ipse habet?
Sen.

Dabitur malum.

Me quidem si adtigeris,

aut si propius ad me ac
cesseris.

M e n . Faciam quodjubesj seciirim capiam ancipilem, alque hunc senem


Exossabo, dein dedolabo assulatim viscera.
SEN.Enimvero illud praecavendum esi, atque adeurandum mihi:
Sane ego illum metuo,

ut minatur, ne quid malefaxit mihi.

M e n .Multa mihi imperas, Apollo: nunc equos junctos jubes


Capere me indomitos, feroces: atque in currum in
scendere,
Ul ego hunc proteram leonem (2 8 ) Gelulum, olentem,
edentulum.
Jam adstiti in currum: ja m lora teneo: ja m stimulum
in manu esi.
Agile equi, facitote sonitus ungularum appareant
Cursu celeri: facile inflexa sit pedum pernicitas,
S e n .M ihin equis junctis minare?
M en .

E cce, Apollo, denuj

Me jubes facere impetum in eum,

qui stat, atque


occidere.

Sed quis hic est, qui me capillo hinc de curru denpil,


Imperium luom demutat, atque dictum Apolliiis?

Io T ho fatta bravamente raschiar via. Or io, siccome


tu m' ordini, a questo impurissimo, barbogio
tremulo Titone, disceso dal Sangue di Cigno, ritro
ver bene e membra ed ossa con quel bordone
ch egli stesso tiene in tra le mani.
V ec.

Ma troverai bene anche quello che non vorresti,


se tu mi tocchi o se mi vieni appresso.

Meh .

Far a modo tuo, piglier una scure a due tagli,


disosser quest uomo, e delle sue busecchie ne far
tanti piccoli minuzzoli.

V ec.

Gnaffe! alza la gamba e sta all erta: mi sento tutto


raggelare, non vorrei che m avesse a fare qual
che brutto scherzo.

M e*.

Oh quante cose vuoi da me, o Apollo! Ch io con


giunga cavalli indomiti e feroci ad un cocchio e che
vi monti sopra, e che abbatta questa getula caro
gna di leone senza denti. Eccomi or sono sul
carro, gi stringo le briglie, gi scoppia la fru
sta. Su, cavalli, scalpitate forte,' si conosca la ve
locit vostra, correte .quanto il vento.

V ec .

Tu minacciarmi a furia di cavalli ?

M en.

0 Apollo, di nuovo tu m ordini di far impeto in


colui che sta qui e di stramazzarlo; ma e chi pei
capelli mi trascina gi dal cocchio? chi muta i tuoi
cenni? chi fa contro l editto d Apolline?

S e n .U cu hercle morbum acrem ac durumf di vostram


fideml
Fel hic* qui insanit* quam valuit paulo prius!
E i derepente tanius morbus inciditf
Ibo* atque arcessam medicum jam*, quantum potest.
M sir.Jam ne isti abierunt* quaeso* ex conspectu meo*
Qui me vi cogunt* ut validus insaniam?
Quid cesso abire ad navem* dum salvo licet?
Fosque omnes quaeso* si senex revenerit*
Ne me indicetis, qua platea hinc aufugerim.
SCENA

III.

Se n e x .

Lum bi sedendo* oculi spectando dolent*


Manendo medicum* dum se ex opere recipiat.
Odiosus tandem vix ab aegrotis venit.
A it se obligasse crus fractum Aesculapio*
A pollini autem brachium: nunc cogito*
Utrum me dicam ducere medicum* an fabrum.
Atque eccum incedit* movet form icinum gradum.
SC EN A

IV .

S e n e x * M e d ic u s .

MEB.Quid esse Uli morbi* dixeras? narra* senex.


Num lariialus* aut cerritus? fac sciam.
Num eum veternus* aut aqua intercus tenet?

V ec .

Misericordia, che morbo acerbo e violento! o Dei,


in fde vostra divenne pazzo costui che in prima
era sanissimo! tanto malanno l ha colto d improv
viso! andr, e presto pi che posso, chiamer il
medico.

M ei*.

E se ne sono finalmente andati costoro che pur


mi costringono a fare il pazzo? Ma e che non vado
io al porto intanto che posso? per carit, voi altri,
se ritorna il vecchio, non gli state a insegnare
per qual piazza io me la sia colta.
SCENA

III.

V e c c h io .

Mi

dolgono
gli
se

occhi

fianchi pel sedere,


in

guardare se

dalle cure,

e mi

il medico

fan

male

ritornas

ed in fine viene questo fastidio-

setto dasuoi ammalati; assevera daver accomodata


ad Esculapio una gamba rotta, ed un braccio ad
Apolline, fa tu ragione s ho a dire d aver con
dotto un medico od un fabbro: ma vello, ei se ne
viene a passo di formica.
SCENA

IV.

M e d ic o , V e c c h io .

Me d -

Che male, o

vecchio,

hai detto

eh egli

parla, egli' spiritato o furioso? fa eh io lo

sia?
sap

pia, ti pare forse egli preso da malinconia, oppure


d# male idropico?

S e n . Quin ea te causa duco, ut id dicat mihi,


Atque illum ut sanum facias.
Perfacile id quidem est.

M ed.

Sanum futurum, mea ego id promitto fide.


S e n .M agna cum cura ego illum curari volo.
M e d . Quin suspirabit plus sexcenties in die:
Ita ego illum cum cura magna curabo tibi.
S e n .A tque eccum ipsum hominem.
M ed.

Observemus quam rem agat


SC EN A

V.

M e n a e c h m v s - s v r r e v t u s j S e n e x , M e d ic u s .

M e n .Edepol nae hic dies pervorsus atque

advorsus

mi

obtigit:
Quae me clam ratus sum facere, ea omnia fecit palam
Parasitus, qui me complevit flagitii et formidinis:
Meus Ulyxes, suo qui regi tantum concivit mali.
Quem ego hominem, si quidem vivo, vita devolvam sua.
Sed ego stultus sum, qui illius esse dico, quae mea est.
Meo cibo et sumtu educatust: anima privabo virum.,
Condigne autem haec meretrix fecit, ut mos est
meretricius.
Quia rogo pallam, ut referatur rursum ad uxorem
meam,
M ih i se ait dedisse: heu, edepol, nae ego homo vi
vo miser.
S e n . Audinquae loquitur?
M ed.
Se n .

Se miserum praedicat.
Adeas velim.

Y ec .

Io

ti conduco a lui, perch lo sappi dira

me, e

perch me lo abbi a guarire.


M ed.

Questo sar facilissimo, te lo do guarito sulla mia

Y ec.

Ma io voglio che gli si adoperi dietro tutta la cura.

parola.
M ed.

Anzi s ha egli

a dolere

seicento volte in un

d, e s te lo curer con tutta la diligenza.


Y ec.

Ma ecco lui medesimo.

Med.

Osserviamolo.
SCENA

V.

M e n e m m io - r a p i t o , V e c c h io , M e d ic o .

M e i *.

S per Dio che questo giorno m stato proprio


maladetto e pieno di guai, quanto io mi credea
secreto, tutto ha sbordellato fuori il

diavolo di

quel parasito, riempiendomi egli cos d ignominia


e di paura. Ohi quanto male ha fatto il mio Ulisse
al suo re. Ma io non sono pi io, se non gliene
tocco una da non aver pi bisogno della seconda.
Oh il dappoco ch io sono! dicendo esser suo ci
eh mio, perocch io tolgo la vita ad un uomo
che pasciuto alla mia tavola ed a mie spese. Anche
quella cortigiana l ha m'ha pagato il debito suo,
proprio com usanza di s fatta genia: le dimando
la veste per riportare a mia moglie, ed ella asse
vera d avermela data. Ahim! eh io son pure lo
sventurato degli uomini!
V ec .
M

ed

Senti ci eh egli dice?


.

V ec .

Dice d essere sventurato.


Vorrei che gli ti avessi a fare pi vicino.

M e d . Salvos iit, Menaechme: quaeso, cur apertas brachium?


N on tu scis, quantum isti morbo nunc tuo facias mali.
M e n . Quin tu te suspendis?
M ed.

Ecquid sentis?

M en.

Quid ni sentiam?

M e d .N o n potest haec res ellebori jugere obtinerier.

Sed quid ais, Menechme?


M en.
M ed.

Quid vis?

D ic mihi hoc, quod te rogo:

Album, an atrum vinum potas?


M en.

Quin tu is in malam crucem?

SEN.Jam hercle occeptai insanire primulum.

Quin tu rogas,

Men.

Purpureum panem, an puniceum soleam ego esse,


an luteum?
Soleamne esse avis squamosas, piscis pennatos?
Papae!

Se n .

Audiritu, ut deliramenta loquitur? quid cessas dare


Potionis aliquid, priusquam percitust insania?
M e d . Mane modo: etiam percontabor.
Se n .

A lia occidis fabula.

M e d . D c m ihi hoc: solent tibi umquam oculi duri fieri?


M e n . Quid? tu me locustam censes esse, homo ignavissume?
M e d . D c m ihi: an umquam tibi intestina crepant, quod
sentias?
M e n . Ubi satur sum, nulla crepitant: quando esurio, tum
crepant.
M e d . B oc quidem edepol haud pro

insano

verbum res
pondit mihi.

Perdormisciriusque ad lucem? facileritu dormis cu


bans?

Meo.

Buon di, Menemmio, perch vai tu cos di spesso


rallargando le braeda? non sai tu quanto male ti
faccia in questo modo.

M ei.

Oh! va alle forche.

M ed .

E che senti?

M eh.

E vuoi eh io non senta?

Med .

Un jugero di terra non darebbe tanto elleboro


che basti a sanarlo, ma che di tu, Menemmio?

M e i .

Che vuoi?

M ed .

Dimmi quello che ti domando; ti

par

m igliore

il vino bianco o il nero?

M eh.

Il fistolo che ti colga.

Per Dio!

ec.

M en .

eh '

ei comincia adesso a dar nel matto.

E che non mi ricerchi tu, s io mangio il pan ver


miglio, scarlatto o giallo? ovvero gli uccelli colle1
'
squame ed i pesci colle penne?

V c.

E non le senti queste pazzie? che non gli dai a


bere qualche mistura prima che la pentola si metta
a bollir daddovvero?

Med.

Aspetta, vo domandarlo ancora di qualche cosuccia.

Adesso entrerai in altra istoria.

ec.

Med.

Dimmi non ti s indurano gli occhi mai?

Meh .

Mi credi una locusta, o scimunito?

M ed .

Rispondi anche a questo: non ti gorgogliano mai


le budella, per quello che tu senta?

Men .

Mai no quand io son satollo, ma ben le mi gor


gogliano quando son vuoto.

Med.

Per verit questa non la proprio risposta da pazzo.


Dormi tu fino a giorno? Dormi facilmente rivolto
all ins?

M e . Perdormisco, si resolvi argentum, quoi debeo.


Qui te Jupiter dique omnes, percontator* perduint.
M e d .Nunc homo insanire occeptat: de illis verbis cave

tibi.
S e x . Im o modestior nunc quidem

est de verbis, praeut


dudum fuit.

Nam dudum uxorem suam esse ajebat

rabiosam
canem.

M e . Quid ego dixi?


Se x .

Insanis, inquam.

M en.

Egone?

Tu istic, qui mihi

Se n .

Etiam me junctis quadrigis minitatus prosternere.


Egomet haec te vidi facere, egomet haec ted arguo. ^
M e n .A t ego te sacram coronam subripuisse sci Jovis.

Et ob eam rem in carcerem ted esse compactum scio.


Et postquam es emissus, caesum virgis sub furca scio.
Tum patrem occidisse, et matrem vendidisse etiam
scio.
Satirihaec pro sano maledicta maledictis respondeo?
S e n . Obsecro hercle, medice, propere, quidquid facturus

face.
Non vides hominem insanire?
M ed .

S c iri quid facias optumum?

A d me face uti deferatur.


S en.

Itaricenses?
Quippini!

M ed.

Ib i meo arbitratu potero curare hominem.


Se n .

Age, ut lubet.

M e d . Elleborum potabis faxo aliquos vigiliti dies.


M e n . A t ego te pendentem fodiam stimulis triginta dies.

M en .

D om o benissimo quando ho pagato un creditore:


perch Giove e tutti gli dei non ti fiaccano il collo,
o seccatore importuno!

M ed.

L ' arcolajo ben sul volgere, io me ne accorgo


da queste sue parole, statti in guardia.

V ec.

Ora per parla pi

cheto di poo anzi, perocch

egli, non ha guari, disse cagna rabbiosa a sua moglie.


M

e i .

Che ho detto io?

Vec.

Se pazzo ti dico.

Men.

I o pazzo?

V ec .

T u, che qui hai minacciato di stritolarmi le ossa


con una quadriga;

queste cose le

vidi pur io, e

queste cose ecco eh io stesso ora te le ricanto.

Min .

Ma so ben io che avete voi a Giove fatta netta la


testa della corona, e so anche che per questo siete
stato un buon pezzo alle grate, da cui poich
v han lasciato uscire, con una sferza vhan di buona
ragione carminato sotto la forca. M noto anche
che avete ammazzato vostro padre, venduta vo
stra madre. Vi pare ora ch io, non gi come uno
scemo, abbia saputo rendere guaine per coltelli?

V ec.

Deh, maestro, per amor di Dio, quello che vuoi


fare fa presto, non vedi com egli smania?

M ed.

Sai tu che abbisogna? fallo portare a casa mia.

V ec .

Cre' tu buono cos?

M ed.

E perch no? ivi potr curarlo a mio bell agio.

V ec .

Fa come vuoi.

M ed.

E ci metter del buono eh in venti d abbi

ad

ingozzare una buona dosa d elleboro.


Men-

Ed io ti terr penzoloni un trenta di e li crivel


ler bene le spalle.
V ojl. I. P laut .

M e d . I , arcetse homines, qui illune ad me deferant.

Quot sunt salis?

Se n .

M e d .Proinde, ut insanire video, quaiuor: niliilo minu's.


S e n . Jam hic erunt: asserva tu istunc, medice.

Im o ego ibo domum,

M ed.

Ut parentur,

quibus paratis opus est:

tu

servos
jube

Hunc ad me ferant.
'

S en.

Jam ego illic faxo erit.

M ed.

Abeo.

Vale.

Se n .
M e n . Abiit

socerus:

abiit

medicus:

tiolus sum:

proh

Jupiterf
Quid illuc est, quod med hice homines insanire prae
dicant!
Nam equidem postquam gnatus sum, numquam ae
grotari unum diem..
Neque ego insanio, neque pugnas, neque ego lites
coepio:
Salvus salvos alios video: novi homines, adloquor.
A n qui perperam insanire me ajunt, ipsi insaniunt?
Quid ego nunc faciam? domum ire cupio: at u xor
non sitiit.
Huc autem nemo

introm ittit:

nimis proventum est


nequiter.

H ic ergo usque ad noctem: saltem, credo, introm it


ta r domum.

m
Med.

Va, chiama gii uomini che Io portino a me.

Vec.

Quanti ne vorranno?

M eo.

Alla pazzia eh io veggo in costui non se ne pu far


meno di quattro.

Vec.

Saran qui a momenti, o maestro, intanto osserva


lo tu.

Med.

Anzi io me ne andr a casa, affinch si appresti


il necessario;

tu ordina

ai servi che lo condu

cano a me.
V ec .

I o fa r ch e g li v en g a.

Meo.

I o vado.

Vec.

Addio.

MeiV.

S e n andato il suocero, se n andato il medico,


o r io son solo. Oh Giove, perch dicono questi uo
m ini chio sono impazzato? Ma io dal di che nac
q u i non provai malore di sorta, n son matto
adesso, n voglio avvilupparmi in liti od in contrasti.
Sano veggo gli altri sani, conosco gli uomini e parlo
c o n esso loro, e que che son pur fermi eh ia sia
g i scemo, non sono essi i matti? Che partito ha
e g li da essere il mio? vorrei andare a casa, e la
m oglie non mi vuole; qui poi impossibile. Oh
disgrazia eh mai la mia! Qua aspetter la notte,
e almeno credo che mi si dar ricovero.

SCENA ri.
M e s s e n io .

Spectamen bono servo id est, qui rem herilem


Procurat, videt, collocat, cogit atque,
Ut absente hero rem heri diligenter
Ttdetur, quam t i ipse adsit, aut rectius.
Tergum quam gulam, crura quam ventrem oportet
Potiora esse, quoi cor modeste situm est.
Recordetur id, qui nihili sunt, quid illis
P re li detur ab suis heris, improbis
Ignavis v ir i; verbera et compedes,
Molae, magna lassitudo, fames, frigus durum.
Haec pretia simt ignaviae. Id ego male malum
Metuo: propterea bonum esse certum est, potius quam
malum.
Nam magis multo patior facilius verba, verbera odi.
Nimioque edo lubentius molitum,

quam

molitum
praehibeo.

, Propterea heri imperium

exsequor bene, et sedate


servio, atque.

Id m ihi prodest.
A lii ita, ut in rem esse ducunt, sient: ego ita ero,
ut me esse oportet:
Metum ut m i adhibeam, culpam abstineam hero ut
omnibus in locis sim praesto.
Servi, qui culpa carent, et metuont,
H i solent esse heris utibiles.
N am illi, qui nihil metuont
Postquam malum promeritum est, metuont.

Messesi ohe.

V e r a prova eh un servo procura, attende, adempie, e pensa


al suo padrone pi nella sua assenza che lui pre
sente, che quegli deve adoperar la schiena pi
della gola e le gambe pi della pancia. Un servo
che ha un cuore ben fatto dee aver ben fermo nell animo la mercede che danno i padroni agli in
fingardi ed a bricconi: bastonate, ferri, macine,
trafelar da disperati, fame e freddo, ecco il bel
premio delle pigrizia. Io ho troppa paura del ma
lanno, per questo io vo starmi sullavviso dessere
buono piuttosto che tristo; le parole facilmente le
sopporto, ma alle bastonate non so addattarmi
punto n poco. Pi volontieri mangio il macinato
che prepararlo io, e per meglio che posso vado
a versi del padrone e vivo tranquillo, e questo
mi giova Altri poi faccia quello che pensa me
glio, io sar

qual devo, cio sempre

col dubbio

in cuore di far marrone; e colla voglia d ajutar


il padrone dovunque sia. Que servi che non han
colpa addosso e pure temono d averla, questi so
gliono essere i pi serviziati verso ai padroni, im
perocch gli spensierati non provano paura, se non
quando han commesso qualche sproposito, n timore

3 4
'Metuam haud mullum.
Prope esi, quando herus,
Quod strenue faciam, pretium exsolvet.
Eo exemplo servio, tergo ut in rem esse arbitror.
Postquam in tabernam vasa et servos collocavi, ut
jusserat,
Venio advorsum: nunc fores pultabo, adesse ut me
sciat.
A c virum (2 9 ) ex hoc saltu damni salvom ut eliciam
foras.
Sed metuo, ne sero veniam, depugnato proelio:
SC EN A

V II.

S e NBX, M B N ECBMVS-SVRREPTVS, L O B iR Il,


M e s s e n io .

S e n . P er ego

vobis

deos atque

homines dico,

ut impe

rium meum

Sapienter habeatis curae, quae imperavi atque impero,


Facite illic homo ja m in medicinam ablatus sublimis
siet,
Nisi quidem vos vostra crura aut latera nihili penditis.
Cave quisquam, quod illic minitetur, vostrum floccifecerit.
Quid statis? Quid dubitatis? ja m sublimem raptum
oportuit.
Ego ibo ad medicum: praesto ero illic, quom venietis.
M en.

Occidi!

Quid hoc est negoti? quid illice homines ad me cura


tim i, obsecro?

poi non magita molto, anzi sen sempre alla vigilia


di ricevere qualche buona mancia dal padrone,
je

lo servo bene. Regola

al

servir mio

di

tenermi sempre sane le spalle. Com egli m aveva


ordinato, ho lasciato all osteria il bagaglio ed i
servi, ora gli vengo incontro, picchier la porta,
acci sappia che son venuto, ma non so se luomo
verr fuori salvo da questo ajuolo, assai io temo di
portar il soccorso dopo la sconfitta.
SCENA

VII.

V e c c h io , AIe n e h m io - r a p it o , L

o r a r ii ,

M e s s e n io n e .

Tec.

Per Dio e per gli uomini io vi prego ponete ben


mente a quello che v ho detto, ed abbiate ogni
diligenza alle cose che v ho ordinate e che adesso
vi ripeto: portate quest uomo di peso alla casa del
medico, se pur vi sentono care le vostre gambe
ed i vostri fianchi. Guardi bene

ciascuno di voi

dal far poco caso di questi miei avvisi. Che state


li? che esitate?

dovevate

spalla, intanto mi porter

gi avervelo recato in
dal medico, e l sar

pronto al vostro arrivo.


M f.n .

Oh me deserto! che negozio questo? perch cor


rono a me questi uomini? che volete? che cercate

Quid voltis vos? quid quaeritatu? quid me circumsi


stitis?
Quo rapitis me? quo fertis me? perii! obsecro vo
stram fideni:
Epidamnienses subvenite cives: quin me mittitis?
M e s . P ro di immortales, obsecro, quid ego oculis cdspicio

meis?
Herum meum indignissume nescio qui sublimem fe
runt.
M e n . Ecquis suppetias mihi audet ferre?

M es .

Ego, here, audaistume.


O facinus indignum et malum,

Epidamni cives, herum


Meum hic in pacato oppido
L u c i deripier in via,
Qui liber ad vos venerit!
Mittite istunc.
M en.

Obsecro te, quisquiss, operam ut des mihi.

Neti sinas in me insignite fieri tantam injuriam.


M es . Im o

et operam dabo,

et defendam, et subvenibo
sedulo.

Numquam te patiar perire: me perire est aequius.


Eripe oculum isti, ab humevo qui te tenet, here, te
obsecro.
Hisce ego ja m sementem in ore faciam, pugnosque
obseram.
Maxumo hodie malo, hercle,

vostro istunc fertis:


mittitel

M e n . Teneo ego huic oculum.


M es.

Face, ut oculi locus in capite adpareatf


Vos scelesti, vos rapaces, vos praedones.

oi? perch mi fate siepe d attorno? dove mi tra


scinate? dove mi portate? Ahim! popolani d Epi
danno, soccorretemi: perch non volete lasciarmi?
M es.

Pollar il mondo! che veggo mai con questi occhi?


Oh ribalderia! il padrone che me lo portano via di
peso!

M ei.

A chi d 1 animo d ajutarmi?

M es.

A me, padrone, a me cuore da leofante.

Oh

assassinio! oh indegnit? Epidannesi, il mio pa


drone cos bistrattato in una citt tranquilla, nella
via, di bel d, s trattate voi un uomo che libero
vi venne? lasciate costei.
M e i.

Deh chiunque tu sia soccorrimi, non permettere


che cosi sfrontatamente mi si faccia tanta villania.

M es.

Anzi v ajuter e vi difender a pi ed a cavallo,


non patir giammai che voi abbiate a perire, ch
assai meglio che questo intravvenga a me. Deh,
padrone, cavate un occhio a costui che v ha fermo
per una spalla, intanto ch io gli do sul grugno
una tal semenza di pugni da sgangherargli le ma
scelle. Colla vostra malora fate ingiuria a costui,
lasciatelo.

M eh.

A costui io ho una mano nell occhio.

M es.

Fate che gli si vegga in testa l occhiata vuota. Ah


cani, scellerati, traditori.

Periimus!

L ob .

Obsecro hercle.
M es .

Mittite ergo.

M en.

Quid me vobis tactio est?

Pecte pugnis.
M es .

Agite* abite, fugite hinc in malam crucem.

Hem tibi eliam, quia postremus cedis, hoc praemii feres.


Nimis bene ora commentavi, atque ex mea sententia.
Edepol, here, nae tibi suppetias tempore adveni modo!
M e n . A t tibi di semper, adulescens, quisquis es, faciant

bene.
Nam absque ted esset, hodie numquam ad Solem oc
casum viverem.
M e s .Ergo edepol, si recte facias, hre, med emittas manu.
M e n .Liberem ego te?
M es .

Ferum, quandoquidem, here, te servavi.

M en.

Quid est?

Adulescens, erras.
Quid? erro?

M es .

P e r Jovem adjuro patrem,

M en.

Me herum tuom non esse.


N on taces?

M es.

Non mentior.

en.

Nec meus servos umquam tale fecit, quale tu mihi.


M e s . Sic sine igitur, si tuom negas me esse, abire liberum.
M e n .Mea quidem hercle causa liber esto, atque ito quo voles.
M es . Nempe jubes?
M en.

Jubeo hercle, si quid im perii est in te mihi.

M e s . Salve, mi patrone.
S er. j l .

Gaudeo.

Cum tu liber es, Messenio,

Lo.

Ahim, per carit.

Mes.

Lasciatelo adunque.

Meh.

Chc questo vostro toccarmi? gi co pugni.

Mr

Su fuggitevi, raschiate via, coglietevela al vostro


danno. Tu perch se l ultimo a batterla avrai que
sto in premio, io ho loro ben concia la bocca e
propriamente a mio modo. Per mia fe, padrne,
che col soccorso Dio mi ha mandato.

Mes.

Chiunque tu sia, buon giovane, Dio te ne render


merito, ch se tu oggi avessi tardato, non avrei
veduto il tramonto del sole.

Mes.

Padron mio, se vorrete rendermene bene, mi ca


verete di servit.

Meh.

I o c a v a rti di servit?

Mes.

Dappoich v ho salvato, padrone.

Meh.

Che dici tu mai ragazzo? tu sbagli.

Mes.

E in che sbaglio?

Meh.

Per Giove io ti giuro che non sei mio servo.

M es.

Non tacete voi?

Meh .

Non mento, n servo alcuno m ha fatto mai tanto


come te.

Mes.

Lasciatemi, dappoi che voi affermate, me non esser


vostro, lasciatemi andar libero.

M eh.

Sii pur libero per mio amore, va dove vuoi.

M es.

E non lo comandate?

Meh.

E lo comando^ seppur io ho qualche autorit so


pra di te.

M u.

Che il cicl vi prosperi, padrone.

a l t .S e r .

Or che se libero, Messenione, me nc consolo.

Credo hercle vobis aed, patrone, te obsecrot

M es .

Ne minus imperes mihi* quam cum tuos servos fui.


Apud ted habitabo, et quando ibis,

una tecum ibo


domum.

M EN.M inum e.
M es .

Nunc ibo in ta bern a m :. vasa et argentum

tibi
Referam: recte est obsignatum in vidulo marsupium
Cum viatico: id tibi ja m huc adferam.
M en.

Ad fer strenue.

MES.Salvom tibi ita ut mihi dedisti,

reddibo: hic

me

mane.
M EN.Nim ia m ira mihi quidem hodie exorta sunt miris

modis.
A lii me negant eum esse qui sum3 atque excludunt
foras.
Eliam hic servom esse se meum

aibat,

quem ego

emisi manu.
Is ait se mihi allaturum cum argento marsupium.
Id si attulerit, dicam ut a

me abeat liber quo


volet:

Ne tum, quando sanus factus siet, a me argentum


petat.
Socer et medietis me insanire ajebant:

quid

sil;

m ira sunt.
Haec nihilo mihi esse videntur secius, quam som
nia.
Nunc ibo intro ad hanc meretricem:

quamquam

succenset mihi,
Si, possum exorare ut pallam reddat, quam referam
domum.

- M es.

Io vel credo; ma vi prego, padrone, che n pi


n meno abbiate a comandarmi di quando io ero
al vostro servizio, abiter con voi, e quando par
tirete, verr con voi a. casa.

e i .

Mai no.

es.

Ora andr all osteria, vi porter il bagaglio e


1 argento. Il marsupio ben custodito entro la
valigia, ed ora ve la porter qui colla provvista.

M eh .

Portala subito.

Io vi recher qua tutto come me l ' avete conse

es.

gnato, aspettatemi qui.


Men.

0 quanti prodigii m'intravvennero oggi ! chi dice


che non sono quello che sono e mi d dell uscio
in viso: costui che feci libero, voleva

pur

es

sere mio servo, or dice che mi porter la valigia


col denaro: se me la porta dicogli, che vada libe
ro dove

gli

grilla,

acciocch quando

comincia

ad entrare in s,non m'abbia a ridomandar l'ar


gento. Il suocero ed il medico dicevano ch'io avea
dato volta, che saranno queste cose? prodigi. pur
tutto ci ha ben diversa sembianza dei sogni. Ora
andr dentro a questa cortigiana; sebben la s adiri
meco, vo provare se posso indurla a restituirmi la
vesta per riportare a casa.

SC EN A

FUI

M e n a e c h m u s - s o s ic l e s , M e s s e n io .

M e n . Men hodie usquam convenisse te, audax, audes.dicere,

Postquam advorsum m i imperavi ut huc venires?


Quin modo

M es.

Eripui, homines qui te ferebant sublimem quatuor,


Apud hasce aedis:

tu clamabas deum fidem

atque

hominum omnium.
Quom ego adcurro, teque eripio, vi pugnando, ingratiis.
Ob eam rem, quia le servavi, me amisisti liberum.
Quom argentum dixi me petere, et vasaj tu, quan
tum potest,
Praecurristi obviam, ut quae fecisti, inficias eas.
M en . Liberum ego te jussi abire?
M es.

Certo.

M en.

Quoi certissumumst,

Meple potius fieri senom,

quam te umquam emit


tam manu.

SC EN A

IX .

M e n Ae c h m u s - s u r r e p t u s ,

M e s s e n io ,

M e n a e c b m u s - s o s ic l e s .

M. su. S i vollis per oculos jurare, nihilo hercle ea causa magis


Facietis, ut ego hodie abstulerim pallam et spinther,
. pessumae.
M es. P ro di immortales! quid ego video?
M .so.

Quid vides?

SCENA
M e r e m m io -

Vili.

s o s ic l e ,

M e s s e n io n e .

Sfacciato che tu se, osi dire che oggi tu hai qua

eu.

parlato meco, dappoich io t ho detto di venirmi


incontro?
M

Anzi vho tolto di mano a quattro uomini che presso

es.

a questa casa a pentoline vi portavano, voi gri


davate, quanto ve ne poteva uscir dalla gola, invo
cando gli dei e gli uomini, ed io

accorrendo, a

suon di recchioni vi tolgo a dispetto dall unghie


loro, in merc del qual servigio, per avervi cio
salvato, voi m avete fatto libero. Avendovi poscia
io detto eh andava a prendere l argento ed i vasi,
di corsa voi mi siete venuto incontro, ed ora voi
volete negarmi il fatto.
M

e i .

I o t ho detto d andartene libero?

es.

E n son certo.

M en.

Ed io son certissimo che vo piuttosto esser servo


io, che lasciar libero te.
SCENA
M e k e m m io -

r a p it o ,

IX.

M e s s e iu o k e , M e k e m m io -

s o s ic l e .

M e n . r . Se voi volete anche giurare per gli occhi, non po

trete giammai fare eh io abbia portata via la ve


sta ed il braccialetto.
M

Oh dei immortali che veggio io!

es.

M en .

s.

Che vedi tu?

Speculum tuom.

M es .

M. so. Quid negoti est?


Tua est imago: tam consimilis est* quam potest.

M es .

M . so. P o i profeclo liaud est dissimilis* meam quom fo r

mam noscito.
M. su. 0 adulescens* salve* qui me servavisti* quisquis es.
M e s . Adulescens, quaeso hercle loquere tuom mihi nomen*

nisi piget.
M.su.Non edepol Ua promeruisti de me* ut pigeat* quae
velis.
M ih i est Menaechmo nomen.
M.so.

Im o edepol mihi.

M .su. Siculus sum Syracusanus.


M . so.

Ea domus et patria est mihi.

M . su. Quid ego ex te audio?


M . so.

Hoc quod res est.


N ovi equidem hunc: herus est metis.

M es .

Ego quidem hujus servos sum*

sed med esse hujus


credidi.

Ego liunc censcbam esse te* huic etiam exhibui ne


gotium.
Quaeso ignoscas* si quid stulte dixi atque imprudens tibi.
M.so.Delirare mihi videre: non commeministi simul
Te hodie mecum exire e navi?
Enimvero aequom postulas.

M es .

Tu herus es: tu servom quaere: salveto tu: tu vale.


Hunc ego esse ajo Menaechmum.
M .su.

A t ego me.

M.so.

Quae haec fabula esi!

Tu es Mcnaechmus?
M . su.

Me esse dico* Moscho prognatum patre.

Mes.

Il vostro specchio.

Meh. s. Chc faccenda questa?


Mes.

la vostra imagine e

cos somigliante chc non

perde nulla di voi.


M eh. s. Aff eh egli mi rassomiglia per quanto io mi posso
conoscere.
M eh. k. Addio, buon giovane, chiunque tu sii che in ha

salvato.
M es.

0 giovane, ditemi, di grazia se non v incresce, il


nome vostro.

Meh. r . Ben da me ti se meritato tutt altro per farmi in

crescere

a compiacerti: Menemmio

il

nome

mio.
M eh. s. E questo anche il mio.
M eh. r. I o sono siciliano di Siracusa.
M eh . s. E questa anche la patria mia.
Mten.

r.

Che sento io mai!

M eh . s. La verit.
M

es.

Conosco io bene costui: desso

il mio

padrone

ed io sono il suo servo: diadne mi credeva di


costui! io vi toglieva per questo, perdonate se v ho
data briga, se ho detta qualche pazzia, se ho fatta
qualche scempiaggine.
M eh . s. Tu oggi mi sembri d esser fuor del tondo, non
t arricordi d esser meco uscito di nave?
M es .

pur giusto quello che voi dite, voi siete il mio


padrone, voi cercatevi un altrf servo, buon d,
addio, io dico che Menemmio questo.

M en . n. Ed io dico che son io.


M en . s. Che commedia questa? tu, se Menemmio, tu?
Men.

r . Anima

e corpo3 figlio di Mosco.

Y o l . I. P l a f t .

"10

UG
M.so. Turimeo patre es prognatus?
3I.su.

Im o equidem, adulescens, meo.

Tuom tibi neque occupare, neque praeripere postulo.


M e s .D i immortales, spem

insperatam date mihi, quam


suspicor.

Nam nisi me animus fallit, hi sunt gemini germa


n i duo.
Nam et patrem et matrem commemorant pariter,
qui fuerint sibi.
Sevocabo herum: Menaechme.
A mbo

Quid vis?

M es.

Non ambos volo.

Sed uter vostrum est advectus mecum navi?


M.su.

Non ego.

M .so.A t

ego.

M es.

Te volo igitur: huc concede.

M.so.

Concessi: quid est?

M e s . Illic homo aut sycophanta,

aut geminus est frater


tuos.

Nam

ego hominem homini similiorem

numquam

vidi alterum:
Neque aqua aquae, neque lacte est lacti, crede mihi,
usquam similius,
Quam hic lui est, tuque hujus: postea autem eamdem patriam ac patrem
Memorat: melius est nos adire, atque hunc perconlarier.
M.so.Hercle

quin tu me admonuisti rectej

et habeo
gratiam.

Perge operam dare obsecro, hercle liber esto, si invenis


Hunc meum fratrem esse.

Mes. $. Tu nato da mio padre?


Mes. r . Anzi, o buon giovane, dal mio; io non voglio avere
n toglierti il tuo.
Blcs.

0 Dei immortali! mi fate oggi risplenderc una spe


ranza eh io non ebbi mai, se lanimo mio non sin
ganna, questi sono due gemelli germani: imperocch
si riscontrano

di padre, e di madre

medesimi,

ma chiamer il padrone. Menemmio.


A xbi
Mes.

Che vuoi?
Io non vi voglio tuttadue, ma quello di voi che
meco qua venne in nave.

M etc. r , Non son io.


M en . 8. Io sono.
Mes.

Appunto voleva io voi, venite qua.

Me x s. Eccomi, che hai?


Mes.

Una delle due, costui o un falso, o vostro fratello


gemello, perocch io non vidi mai persona che tanto
s assomigli a persona; e credetemi, non v ha acqua
che all acqua, o latte he a latte pi si somigli,
quanto voi e costui; infine egli ricorda la stessa
patria, lo stesso padre: saria bene chc avessimo ad
affrontarlo e ad interrogarlo.

Men. s. Tu m hai ben avvisato; te ne ringrazio: deh! va


dunque innanzi, sarai libero, se giungi a darmi in
costui il fratello.

U8
M es .

Spero-.

M. so.

Et ego idem spero fore.

M es . Quid a tu? Menaechmum, opinor, te vocari dixeras.


M. su. Ila vero.
Huic ilem Menaechmo nomen est, in Sicilia.

M es.

Te Syracusis natum esse dixisti: hic nalust ibi.


Moschum tibi patrem fuisse dixti: huic itidem fuit.
Nunc operam potestis ambo

mihi dare, et vobis


simul.

M.su. Promeruisti,

ut ne quid ores,

quod velis, quin


impetres.

Tamquam si emeris me argento, liber servibo tibi.


M e s . Spes m ihi est, vos inventuros fratres germanos duos

Geminos, una matre natos, et patre uno, uno die.


M .s u .M ira

memoras,

ulinam

efficere, quod pollicitus,


possies!

M e s . Possum:

sed nunc agite, uterque id, quod rogabo,


dicile.

M.su. Ubi lubet, roga,

respndeboj nil reticebo

quod
sciam.

M e s . Est tibi nomen Menaechmo?

M .su.

Fateor.
Est itidem lib i>

M es .
M .s o . Est.
M es.

Patrem fuisse Moschum tibi ais?

M.su.

Ita vero.

M .so.

F i mihi.

MES.Esne tu Syracusanus?
M.su.
M es .

M.so.

Certo.
Quid tu?
Quippini?

M es.

L o spero.

M en. s. L o spero anch io.


Mes.

Che dite voi? io credo che avessi pur detto

che

voi vi chiamavi Menemmio.


M en.

b.

Cos .

E Menemmio si noma anche costui: voi dicevi des-

Mes.

ser nato in Siracusa di Sicilia e

anche costui*

venne di l; aggiungeste Mosco essere vostro padre,


e costui pur figliuolo di Mosco: ora in una fiata
ambedue potete ajutar me e voi.
Men . r. T el se meritato

ch i t abbia a concedere tutto

che vuoi, e come se tu m avessi compero a suon


d'argento, sebben libero, io sar tuo servidore.
M es.

I o ho speranza di trovarvi fratelli gemelli, nati in


un punto dalla stessa madre e dallo stesso padre.

M en. r. una meraviglia questa che mi conti. Dio voglia


che tu possa ottenere quello che dici.

Il posso, attendete a me

M es.

e rispondete a quanto

vi dico.
Mbr .

r . Domanda

quello che ti piace, e nulla tacer di ci

eh io sappia.
Vi chiamate Menemmio voi? .

M es.

M ek . r . S .
M es.

E voi?

M en. s. Anch io.

Voi dite che Mose fu vostro padre, eh?

M es.
Men.

r.

Appunto.

Men . s . Anche mio.


Mes.

Siete siracusano?

Men. r . Certo.
Mes.

vai?

Meh. s . Io pure.

M E S .O p tu m e! usque adhuc conveniunt signa, p o r r o ope

ram date.
Quid longissume meministi, dic mihi* in patria tua?
M.su.Cum patre ut abii Tarentum ad mercatum, tum
poslea

Inter homines me deerrare a patre, atque inde avehi.


M.so.Jupiter supreme, serva me.
M es .

Quid clamas? quin taces?

Quot eras anno gnatus, quom te pater a patria avehil?


M . su. Septuennis: nam tum dentes m ihi cadebant p ri
mulum
Neque patrem umquam postilla vidi.
M es.

Quid? vostrum patri

Filii quot eratis?

Ut nunc maxime memini, duo.

M .s u .

M e s . Uter eratis, tu ri an ille major?

Aeque ambo pares.

M .s u .
M e s . Quid id potest?

M . su.

Gemini ambo eramus.

M , so.

D i me servatum volunt.

M es . S i interpellas, ego tacebo.


M.so.

Potius taceo.
D ic mihi.

M es.

Uno nomine ambo eratis?


M.su.

Minume: nam mihi hoc erat,

Quod nunc est, Menaechmus, illum tum vocabant


Sosiclem.
M.so.Signa agnovi: contineri, quin complectar, non queo.
M i germane, gemine frater, salve: ego sum Sosicles.
M.su.Quomodo igitur post Menaechmo nomen est fa-;
cium tibi?

M es.

Benissimo, i segni vanno d accordo, or attendete,


ditemi, che v restato in mente di quello che v'av
venne nella patria vostra?

Meh. r . Che me ne andai a mercato col padre a Tarento,

e che dpo mi smarii dal padre tra la folla, e che


fui condotto via da lui.
Meh. s . 0 gran Giove ajutamii
M es.

E che sciamate? e che non state zitto voi? quanti


anni erano i vostri, quando il padre v i men via
di casa?

Meh .

r.

Sette,

ch allora, ricordomi, per la prima volta

mi cadeano i< denti, n da quel di pi non vidi il


padre mio.
M es.

E che? quanti figli eravate voi in casa di vostro


padre?

M eh .

r. A

Men.

quanto or me ne ricorda, eramo in due.

Eri voi maggiore o 1 altro?

M es.
r.

M es.

Ambedue d un

tem po.

E come pu esser questo?

M en . r. Eramo tuttadue gemelli.


M en . s. Gli Dei mi voglion salvo.

Se m interrompete, io taccio.

M es.

M eh. s. Piuttosto non apro bocca.

Ditemi: vi chiamavate ambedue d un nome?

M es.

Meh . r . Non gi, il mio era questo, come adesso, Menem-*


mio, quell altro poi chiamavano Sosiclc.
M eh . s . Ho conosciuti i segni, io non

posso

pi tenermi

dallo abbracciarti, o mio germano, o mio gemello


desideratissimo, io son Sosicle.
Men.

r.

Ma come avvenne che ti avessi a chiamare Menemmio?

452

'

M.so. Postquam

ad nos renuntiaium est,

te et patrem
esse mortuom,

Avos noster mutavit: quod tibi nomen est, fecit mihi.


M .sa. Credo ita esse factum, ut dicis:

sed mihi hoc


responde.

M.so.

Roga.

M.sa. Quid erat nomen nostrae m atri?


M. so.

Theusimarche.

M.sa.

Convenit.

O salve, insperate, multis annis post quem conspicor.


Frater.
M.so.

E t tu, quem ego mullis miseriis, laboribus

Usque adhuc quaesivi, quemque ego esse inventum


gaudeo.
M es . H oc erat, quod haec te meretrix hujus vocabat no
mine.

Hunc censebat te esse, credo, quom vocat te ad


prandium.
M.sa.Namque edepol hic mihi hodie jussi prandium adpararier.
Clam meam uxorem, quoi pallam surpui dudum domo.
Eam dedi huiic.
M.so.

Hancne dicis, frater, pallam, quam ego habeo?

M.sa. Quomodo haec ad te pervenit?


M.so.

M eretrix haec ad prandium

Me abduxit: me sibi dedisse ajebat: prandi perbene:


Potavi,

atque adcubui scortum: pallam,

ei aurum

hoc m ihi dedit.


M.sa. Gaudeo edepol, si quid propter me tibi evenit boni.
N a m illa quom te ad se vocabat, me esse credidit.
MEs.Numquid me inorare, quin ego liber, ut jussisti, eam?

Men.

s.

Dappoich ci giunse novella che tu ed il padre eri


morto, il nostro avo mutommi il nome e mi pose
quello che tu avevi.

Men. r. Credo che sia come tu di': ma ora rispondimi a


questo.
Mei?, s . Domanda.
r.

Qual era il nome di nostra madre?

Men. s . Teusimarce.
M en. r . D accordo, salve, fratei mio, che fuor d* ogni mia
speranza dopo tant anni ti veggo.
M en . s. Salve anche a te, ch io ritrovo dopo tanti stenti:

t ho cercato sin' adesso, ora mi rallegro che fi


nalmente t abbia rinvenuto.
M es.

E cco perch quella cortigiana la vi chiamava col


nome di costui, perch avviso, la vi credeva lui,

quando la vi chiamava a pranzo.


M en .

r.

S, perch oggi aveva ordinato che la mi prepa


rasse un pranzo alla insaputa di mia moglie, a cui
io tolsi la veste e diedila a costei.

M en. s . Di' fratello, saria questa eh io ho?


M en.

r.

Come la ti giunse?

Men.

s.

Questa cortigiana la mi condusse a pranzo, c di


ceva eh io gliel aveva data: ho pranzato benissimo,
ho bevuto, ho pigliato piacere da lei, ed essa la
mi diede la vesta e quest oro.

M en .

r . Me

ne rallegro per verit, se cagion mia t ve

nuto qualche bene; imperocch colei la ti chiamava


a se pigliandoti per me.
M es .

E perch mi tenete ancora, e non mi lasciate li


bero come avevi promesso?

M.su. Optumum atque

aequissumum orat,

frater:

fac

causa med.
M .so. Liber esto.

M.su.

Tu es liber, gaudeo, Messenio.

M e s . Sed meliore est opus auspicio, liber perpetuo ut sietn.

M.so.Quoniam haec evenerunt, frater, nostra ex sententia.


In patriam redeamus ambo.
M .so.

Frater, faciam, ut tu voles.

Auctionem

hic faciam, et vendam quidquid est.


nunc inierim

Eamus intro, frater.


M .so.

Fiat.
Scitiriquid ego vos rogo?

M es.
M .s u . Quid?

Mus.

M ihi ut praeconium detis.

M.su.

Dabitur.

M es .

Ergo nunc ja m

Fis Conclamari auctionem fore? qua (50J die?

M. su.

D ie seplimi.

M e s . Auctio fiet Menaechmi mane sane seplimi.

Fenibunt servi, supellex, fundi, aedes, omnia


Fenibunt, quiqui licebunt, praesenti pecunia.
Fenibit uxor quoque etiam, si quis emtor venerit.
F ix credo tota auctione capiet quinquagesies.
Nunc, spectatores, valete, et nobis clare adplaudite.

F in is M enaech m o ru m .

IVI

1 o
M eh .

r.

Egli domanda pur cosa giusta cd onesta, o fra


tello, fallo per amor mio.

Mes. 8. Sia tu libero.

Meh. r . Ne godo della tua libert, Messenione.


Mes.

Ma egli necessario un m iglior -augurio acci io


sia libero in perpetuo.

M eh. s. Perch tutto ci avvenne conforme ai nostri desi

derii, ritorniamo amendue in patria.


Meh.

r . Far,

o fratello, come vuoi: pianter 1 asta e spaz

zer di casa ogni cosa, andiam dentro, fratello.


M eh. s. Andiam pure.
Mes.
M eh.

Sapete che voglia io da voi?


r.

Chc?

r.

Si lascer.

r.

Ai sette.

Che a me lasciate il bando dell asta.

M es.
M eh.

Volete adunque che si gridi l incanto? in qual d?

M es.
M en .
M es .

'

Alla mattina del giorno sette sar l asta di Menem


mio: si vendono i servi, le suppellettili, i fondi, le
case,

ogni

cosa si vende a chi pare e piace a

denari sonanti: si vende la moglie, se pur vi sar


alcuno chc voglia comperarla. Avviso chc da questa
vendita si trarr appena il

cinquanta.

state bene, applauditeci.

F ine

be

Mehehhii.

Spettatori

NOTE

(1 ) Alcuni e tra gli altri M. Zuerio Boxornio, seguitando


il correttor- Pabergense, leggono Sicilicissat, ma
Mureto Yar. lect. lib. III. cap. 45. ragionevolmente
sostiene s abbia a leggere Sicilissat.
(2 ) Camerario, e tutte le edizioni che seguono Camerario,
leggono ante elogiumj ma non s avvide quel chia
rissimo grammatico essere antelogium una parola
composta di latino e di Greco.

Tale pure la

voce Epidamnus. Epidamni nomen junctum esse ex


e x i et damnum:

quia illue nemo fere, nist suo

damno* divertere soleret. Quod omen fugiens poptilus romanusj antiquum oppido restituit D y rrachi nomen. Mur. Yar. lect. lib. III. cap. 43.
(3 ) Tarentum ora Taranto.
(4 ) S legge Grutero, altri leggono con Lambino modo
idem fit ecc.
(5 ) Molti leggono nugae sunt merae.
(6 ) In questo luogo ho seguita la correzione di Aldo.
( 7 ) Qui, al dire dell Acidalio, Lambino delira, e per verit
le chiose eh ei fa a questo luogo, mettendo in bocca
di Menemmio le parole: hoc mihi abs te caveo cau
tius, sono le pi stillate cose del mondo.
(8 ) Taluni scrivono con Giusto Lipsio illaetabili* ma il
lutibili parmi assai pi Plautino.
(Si) Male leggono alcune volgate occoecalust.

(10) Qui ho seguitata la lezione di Boxornio.


(14) In questo luogo son stato coll Acidalio.
(12) Cos spiega il gran Forcellini questo Graeciam exo
ticam. Magnam Graeciam exoticam ( Plautus )
vocat, quod Graeci ipsi

s ^o tu c o v q

et barbaros

vocabat Graecos Italos, tamquam a se divisos et


aliis moribus utents.
(13) Cosi Meursio.
(14) Ho anteposta questa lezione a quella di Weise: sed
ecctltn Menaechmum videonJa tergo meo?
(15) Ilo amato meglio starmene qui alle

lezioni antiche

che a quella proposta dall Acidalio novi hercle vero.


(16) Cos scrive Weise.
(17) Alcuni leggono Coriendrus, Douza all incontro C icilendrus.
(18) Cler legge buxae cio mensae, tutti gli altri leg
gono baxeae, e con questo nome dtiamavansi

le

scarpe de filosofi.
(10)-Palmerio legge inhio, le vulgate haereo.
(20) Boxornio legge satur nunc loquitur e con lui con
cordano Lambino e Camerario; Bothe e Weise: Sa
tin nunc loquitur de me et de parti mea? A me
parve meglio, e non dispregio gli

altri, leggere:

satin st? nunc loquitur de me et de parti mea.


(21) Molti leggono neque aequom, neque bonum.
(22) Hanno alcune edizioni aut in ju re aut ad judicem
il

qual

aut

ad

rettamente

vide Bothe essere

errore de copisti, invece di apud.


(23) Alcune

volgate

leggono ancora:

quidam

pallam

quidam.
(24) Assai scorretti sono que libri chc menano buona

la dizione Palla subrepta est tibi, imperciocch


vien tolta in questa forma ogni vivacit Plautina.
(25) Partaone fu padre di Eneo re d Etolia da cui venne
Dejanira.
(26) Piuttosto che con Weise e Lambino che leggono
merx mala est ergo, amai seguire Boxornio.
(2 7) Cos scrivono ragionevolmente Weise e Bothe.
(28) Alcuni de recenti leggono vetulum.
(2 9 ) Migliore dell' ulrum di Lambino, parvenu il virum
di Weise.
(30) Molti leggono quo die, Camerario quidem.

C o r r e z io n i

E rrori

x ii

-18 e costretti

49-16 Non mi rispondere

e costretto
Or voglio tu mi risponda

a grado

a grado

80-19 satins

satinst

95 27 Pen.

Spa.

id. 29 Pen.

Spa.

id. 31 Pen.
iU

24 Eccola in su la por

Spa.
Eccola in su la porta con

ta con marito suo

suo marito tutto ma-

tutto malinconoso.

liuconoso.

MOSTELLARIA

i i *

LA MOSTELLARIA

ol.

I. P laut.

li.

A FRANCESCO SOLDATI
c/ le

a,

n o $ t&

ctcf>

tn p e p n o

adoctanc/o
c/lie/fo

eintmo

fi f e / f o

cocmo
a m ia

cawcm.0

PIERLUIGI DONINE
pai<s6z

u a

rtu / a izeon e

de& z 'S^6ofc/zria-

comunque aMtat a jfuu/ocar^ne


tw/&n6tteC9tio consacra-.

PERSONE DELLA FAVOLA

Tranio

T r a n io h e

G r u m io

G r u m io n e

P h l i l b m a t iv m

F il e b a z io

P h il o l a c h b s

F il o l a c h e

S C A P II A

Scafa

Ca l l id a m a t b s

C a l l id a m a t e

D b l p h iu k

D e l f io

T h e u r o p id e s

T e u r o p id e

S in o

SlMOKE

D a n is t a

USURIERE

P b a n is c u s

F a n is c o

S bb fo s a l iv s

altro

P der

Ragazzo

L a Scena in Alene.

Se r v o

ACTUS I.
SC EN A

I.

G ru m i o , T r a n io .

G r u .Ex e culina, sis, foras, mastigia,

Qui m i inter patinas exhibes argutias:


Egredere, herilis pernicies, ex aedibus.
Ego pol te ruri, si vivam, ulciscar probe.
E x i, inquam, nidor, (\ ) e culina: quid lates?
T r a . Quid tibi, malum,

hic ante aedis clamitatio ( 2 )


est?

A n ru ri censes tc esse? abscede ab aedibus!


A b i.rus! abi dierecte! abscede ab janua/
Hem, boccine volebas?
Gnu.

P e rii! cur me verberas?

T ra . Quia vivis, (o ).
Gnu.

P a tia r: sine modo adveniat senex.


Sine modo venire salvom, quem absentem comes.

T r a . Nec verisimile loquere, nec verum, f'utex,

Comesse quemquam ut quisquam absentem possiet.


G r u . Tu urbanus vero scurra, deliciae popli,

Rus m ihi tu objectas? sane credo, Tranio,


Quod te in pistrinum scis actutum tradier.
CiSj hercle, paucas tempestates, Tranio}
Augebis ru ri numero genus ferratile.
Nunc, dum tibi lubet licetque, pota, perde rem,
Conrumpe herilem filium, adulescentem optumum:

ATTO I.
SCENA

I.

G r u m io n e , T r a z io n e .

G ru.

Vien fuori, vien fuor di cucina, manigoldo, che li


fra i tegami mi vai canzonando: via di casa, fla
gello del padrone: se avr vita addosso,

in villa

mi vendicher ben io su te, vien fuori ti dico, leppo,


di cucina, vien fuori dico, ch ti nascondi?
T

ra .

0 sciagurataccio! che fracasso questo tuo sopra


la porta? pensi forse d essere fra le tue zolle? vat
tene di casa! vanne in villa! sgombra la porta! ohe,
volevi di questo?

G r.
T

ra.

G ru.

Ahi! perch mi batti?


Perch se vivo.
Pazienza! ma lascia che ci capiti il vecchio, ma la
scia che arrivin salve quelle quattro ossa che tu
pillucchi.

ra .

Tu di cose che star non ponno n in cielo n in


terra, bacellone! insegnami tu come si possa ma
ciullar un eh lontano.

ru.

Tu buffon di citt, tu delizia del popolo a me rim


brotti la villa? ma in f mia, Tranionc, tu lo fai,
perch sai che presto sarai cacciato al inolino. Oh
non andr molto, Tranion mio bello, che farai cre
scere in villa il novero de ferrati, e per ora sbe
vazza, e trascina l avere finche ti garba, finch
lo puoi; guasta il figlio del

padrone, buonissimo

Die noetisque bibile, pergraecamini,


Am ica* emite, liberate, pascile
Parasito, obsonate pollucibiliter.
Haeccine mandavit tibi, quom peregre hinc iit, ttnex?
Boccine modo hic rem curatam offendet tuam?
Boccine boni esse officium servi exittumatj
Ut heri tu i conrumpat et rem et filium?
N am ego illum conrupium duco, quom hit factis studetj
Quo nemo adaeque juventute ex om ni Attica
Antehac est habitus parcus, nec magis continent:
I t nunc in aliam partem palmam potsidet.
Firtute id factum tua et magitterio tuo.
T b j . Quid tibi, malum, me, aut quid ego agam, curatiosi?
A n ru ri quaeso non sunt, quos cures, boves?
Lubet potare, amare, tcorta ducere.
M ei tergi facio haec, non tui, fiducia.
Gnv.Quam confidenter loquitur! fuef
T mj.

A t te Jupiter
Dique omne perdant, oboluitti allium,
Germana illuviei, rusticus, hircus, hara suis3
Cane* capro commista!

Gnu.

Quid vis fieri?.

Non omne possunt olere unguenta exotica,


S i tu oles: neque superior adcumbere,
Neque tam facetis, quam tu, vivere (k ) victibus:
Tu tibi istos habeas turtures, pisces, aves.
Sine me alliato fungi fortuna* meas.
Tu fortunatus, ego miser: patiunda sunt.
Meum bonum me, te tuom maneat malum.
T mj. Quasi invidere m ihi hoc videre, Grumio,
Quia mihi bene est, et tibi male estj dignittumum est.

giovanotto, fote tempone notte e di, ubbriacatevi,


comperate bagasce e liberatele, fate crepar la ven
traia agli scrocconi, e preparate ogni d pranzi da
festa. Questo ti comand quel buon vecchio, quando
and a suoi viaggi? Cosi, gli assesterai tu le cose sue?
6 questo chiami tu dovere di buon servo, mandargli
a traverso l avere ed il figliuolo?. Gi mel cred io
spacciato, dappoich mette mano a tutto questo. Un
d la giovent dellAttica non avea chi gli stesse so
pra in parsimonia e verecondia, ora di tutt altro
porta la palma, e di ci sien fatte grazie alla virt
ed all opera tua.
T ra .

Che hai tu meco, o balordo, o co' fatti miei ?


Non sono in villa buoi che di

te abbisognino?

a me piace imbriacarmi, amoreggiare e scorrer pae


si, e se mal verr, le spalle mie il sapranno, non
le tue.
G ru .

Come parla franco! puh!..

T ra.

Vermocan che il ciel ti mandi! che puzza d aglio


hai qui fatta! Carogna, tanghero, becco, stabio di
porci, mischianza di capro e cagna che tu se !

G ru.

E che vuoi? gli unguenti esotici non sono per tutti,


se lo sono per te: n tutti ponno stare in capo alla
mensa come tu stai, n papparsi quebocconi s ghiotti
come tu fai: tienti queste tortori, pesci, uccelletti,
a me lascia l aglio eh ogni ben mio; tu se beato,
io tapino, pazienza. A me durer la bonaccia, a te
poi quandochesia capiter la tempesta.

ra.

E sembra, o Grumione, che tu quasi m abbi invidia,


perch io ho bene, e tu male; la va di suo passo!

Decef me amare, et te bubulcitarier:


Me victitare pulchre, te miseris modis.
G r u . O camuficium cribrum ( 5 ) , quod credo fore:

Ita te forabunt patibulatum per vias


Stimulis, si huc reveniat quamprimum senex.
T r a . Qui Scis, an tibi istuc prius eveniat quam m ihi?
G r u . Quia numquam merui: tu meruisti, et nunc meres.
T r a . Orationis operam compendiface,

Nisi te mala re magna mactari cupis.


GRU.Ervom daturin'estis, bubus quod feram ?

Date aes, si ne estis: agite porro, pergite


Quo occepistis: bibite, pergraecamini.
Este, ecfercite vos, saginam caedite.
T r a . Tace, atque abi ras: ego ire in Piraeeum volo,

In vesperum parare piscatum mihi.


Ervom tibi aliquis cras faxo ad villam adferat.
Quid est? quid tu me nunc obtuere, furcifer?
G r u .P o l tibi istuc credo nomen actutum fore.
T ra . Dum interea sic sit, istuc actutum sino.
G r u . Ila est: sed unum hoc scito, nim io celerius

Venire quod molestum est, quam id quod cupide


petas.
T ra . Molestus ne sis: nunc ja m i rus, teque amove.

Ne tu

erres,

hercle praeterhac mihi non facies


moram.

G r u . Satin'abiit, neque quod dixi, flocti existumatl

Proh di immortales, obsecro vostram fidem,


Facite, huc ut redeat noster quamprimum senex,
Triennium qui ja m hinc abest: priusquam omnia
Periere, et aedis, et ager: qui nisi huc redit,
Paucorum mensum sunt relictae reliquiae.

da me far allamore, da te pungolare i buoi, mici


esser devono i manicaretti, tue le ghiande.
Gbd.

0 staccio di boja, e tal sarai; perch a spasimo ti


sforacchieranno per le vie, appena qua ritorni il
vecchio.

T ra .

E come sai tu, se ci capiter prima a te, o a me?

G ru.

Io, non mel son mai meritato io, tu poi un pezzo


che ne se degno, e ne se degno tuttora.

T ra .

Fa di finirla, se non ne vuoi di peggio.

G ru.

Favorite di grazia, se n avete, il moco

pe buoi,

se no, i quattrini: via movetevi, fate come avete


incominciato, sbevazzate, straviziate pi che apete,
e datevi corpacciate tali da divenir pi larghi che
lunghi.
T ra .

Taci l, e torna alla stiva, io vo andare nel Pireo


pel pesce di sta sera. Domani per alcuno avrai tu
in campagna il moco; e che questo? perch mi
squadri tu, o faccia da forca.

G ru.

Porto opinione che tal vezzo presto sar tuo.

T ra .

Purch oggi sia cos, di questo presto > non me

G ru.

E cos sia, ma ricordati che le disgrazie sono pi

ne brigo.
pronte delle buone venture.
T ra .

Non pi, va in villa ornai, spulezza: perch non


isbagli, questa tua mi sar l ultima noja.

G ru.

Stucco nand, e le mie parole andarono collaltrc.


Oh Del immortali! per la vostra fede, fate che quanto
prima ritorni il

nostro vecchio, che gi

anni

anzi

ci manca,

da tre

che vadano alla malora e

case e campi, perciocch s c qua non viene fra


pochi mesi, siamo al verde:

ora andr in cam- .

Nunc rus abibo: nam eccum herilem filium


Fiileo conruptum ex adulescente optumo.
SC EN A

II.

P h ilo ljch bs ( 6) .
Recordatus multum et diu cogitavi*
Argumentaque in pectus multa instilivi
Ego: atque in meo corde* si est quod mihi cor*
Eam rem volutavi, et diu disputavi,
Hominem quojus reii* quando natus est*
Similem esse arbitrare* simulacrumque habere.
Id reper ja m exemplum.
Novarum aedium esse arbitror similem ego hominem*
Quando hic natus est: ei rei argumenta dicam*
Atque hoc haud videtur verisimile vobis.
A t ego id faciam* esse ila ut credatis.
Profecto esse ita* ut praedico* vero vincam.
Atque hoc vosmetipsi'scio* proinde uti nunc
Ego esse autumo* quando dicta audietis
Mea; haud aliter id dicetis.
Auscultate* argumenta dum dico ad hanc rem.
Simul gnarures vos volo esse hanc rem mecum.
Aedis quom extemplo sunt paratae* expolitae*
Factae probe* examussim*
Laudant fabrum* atque aedis probant: sibi quisque
inde exemplum expetunt:
Sibi quisque simile, suo usque sumtu: operae non
parcunt suae.
Atque ubi illo immigrat nequam homo* indiligens

pugna, perch veggo il padroncino, d ottimo fi


gliuolo gi rotto ad ogni vizio.
SCENA

H.

F il o l a c h e .

Rivangando il

passato, mi si ferm per un buon pezzo

la mente sopra assai cose, fabbricai molti argomenti,


cd in cuore, se pure io n ho un tantino, ragionai
c maturai questa cosa a lungo, cio che ogni uo
mo, appena nato, ha un imagine cui potersi ras
somigliare, ed io 1 ho trovata. Quando venuto
al d, io veggo l uomo simile ad una casa nuova,
e ne ho buo&e ragioni, e le dir; elle non vi par
ranno lontane dalla verit, e mi ci metter tutto,
acci restiate persuasi, perch vo proprio forvi toc
car con mano la faccenda; in fin de conti poi so
ben io che, quando udrete le parole mie, voi non le
direte diversamente. Attenti adunque chio vi dicifero
la cosa, imperciocch voglio siate consapevoli anche
voi altri. La fabbrica pronta, polita, ben fotta,
livellata: lodi all architetto, lodi alla casa, e questa
trae tal partito che ne tira ciascuno gi un dise
gno per costruirsene una medesima, senza badare
n a fatica n a spesa. Ma come va ad abitarla
un cotal bighellone, sporco, e buon da nulla con

Cum pigra familia, immundus, instrenuos,


H ic ja m aedibus vilium addilur,

bonae quom cu
rantur male.

Atque illud saepe fitj tempestas venit,


Confragit tegulas, imbricesque: ibi
Dominus indiligens reddere alias nevolt.
Fentat imber, lavit parietes, perpluont
Tigna, putrefacit aer operam fabri:
Nequior factus ja m est usus aedium:
Jtque haud est fabri culpa: sed magna pars
M oram

hanc induxerunt, si quid

numo

sarciri
potest,

Usque dum mantant, neque id faciunt, donicum


Parietes ruont: aedificantur aedes totae denuo.
Haec argumenta

ego

aedificiis dixi:

nunc etiam
volo

Docere, ut homines aedium esse similes arbitremini.


Primumdum parentes fabri liberum sunt,
Et fundamentum substmont liberorum,
Extollunt, parant sedulo in firmitatem, et
Ut in usum boni sint, e/ in speciem populo:
Sibique aut materiae ne parcunt, nec sumtus
Ib i sumtui esse ducunt:
Expoliunt, docent literas, ju ra , legesj
Sumtu suo et labore
Nituntur ut alii sibi esse illorum similes expetant.
A d legionem quom itant, adminiclum eis danunt
tum ja m aliquem cognatum suom.
Eatenus abeunt a fabris. Unum ubi emeritum est sti
pendium:

una famiglia di svogliataci, eccoti alla povera casa


tutti que danni, che ricaggiono anche alle cose mi
gliori, se si trasandano. Il turbine, siccome awien
di spesso, manda a soqquadro grondaje e tegole,
e quello scorzon di padrone non si piglia fastidio
a rimetterle; vien la piova, lava le pareti, goc
ciolano i correnti e l aria, infracida la fattura del
fabbro. Lo stare in quella gi malsano, e 1 ar
chitetto non ne ha colpa. Ma ci che in questa fac
cenda trae d oggi in domani la maggior parte
degli uomini, che per la borsa non san porre da
banda il granchio, se non al rovinar delle mura,
ed allora su le tirano di nuovo. Qui basti della casa.
Ora restami il farvi adesso rassomigliare a quella
gli uomini. Dapprima architetti afigliuoli sono i pa
renti, che gettano in essi ancor teneri, ed elevano
i fondamenti validi pi che possono, acci sieno
buoni e nella apparenza e ne fatti, n a se per
donano, n alla materia, non dando nome di spesa
al denaro che va dietro ai figli. Gli digrossano, insegnan loro lettele, diritti e leggi, e i padri su
dano e spendono, affinch gli altri padri s abbian
a cuocere in cuore pel desiderio di tali figli. Quando
vanno alla milizia, vien dato loro un balio, e forse
un qualche parente. Ed ecco da quel punto il figlio
uscir dalle mani del fabbro. Come fornito uno sii-

Igitur tum tpecimen cernitur, quo eveniat aedificatio.


Nam ego ad id frugi usque et probus fui* in fabrum
potestate dum fui.
Posteaquam im migravi in ingenium meumj
Perdidi operam fabrorum eloco oppido.
Venit ignavia; ea m ihi tempestas fuit,
Ea m i adventu suo grandinem* imbrem attulit:
Haec verecundiam m i et virtutis modum
Deturbavit, detexitque a med eloco.
Postilla obtegere eam neglegens fu ij (7 )
Continuo pro imbre am or advenit in co r meum.
Is usque in pectus permanavit* permadefecit cor
meum.
Nunc simul res* fides* fama* virtus, decus
Deserunt: ego sum in usum factus nimio nequior.
Atque edepol ita tigna haec hum iie putent: non
videor m ihi
Sarcire

posse aedis meas* quin

totae perpetuae
ruant*

Quin cum fundamento perierint, nec quisquam esse


auxilio queat.
Cor dolet, quom scio* ut nunc sum* atque ut fui:
Quo neque industrior de juventute erat
Arte gymnastica* disco* hastis, pila*
Cursu* armis> equo: victitabam volup:
Parsimonia et duritia disciplinae aliis eramj
Optumi quique expetebant a me doctrinam sibi.
Nunc* postquam nihili sum, id vero meopte ingenio
reper.

m
pendio, sincomincia subito a conoscere qual

sia

pr diventar l edificio; perocch fui anch' io assen


nato e dabbene, finch mi trovai nelle mani dei
fabbri; ma dappoich m* abbandonai ai grilli

de

mio cervello, mandai alla malora l opera dell arti


sta. Venne pigrizia, e questo il turbine che mi
scrosci addsso la grandine e 1 acquazzone, che
mi fe netto della pudicizia,

che misemi

sotto

sopra ogni virt, e che me ne stonac del tutto


Dopo questo non volli metterci riparo, ed al
lora in vece dell acqua minutoiiimi in cuore l'amore,
tutto m invest il petto e in ammoll le midolle,
ed allora peculio, lealt, buon nome, voglia al bene,
riputazione andarono in fumo, e col tempo io mi
son fatto pi tristo, e s per bacco questi correnti
sanno d un tal muffaticcio, ch'io non veggo pun
telli da tener su la casa, se non quando tutta ca
duta dalle fondamenta; n so chi vi possa dare fljulo. Mi piange il cuore ripensando qual io sia oggidi;
un tempo non vi aveva fra giovani chi mi prevalesse
nella ginnastica, nel disco, nell asta, nel giavelotto,
nel correre, nell armeggiare, nello stare a cavallo;
anche senza tante baldorie viveva allegro, ed era
ad altri d esempio. Ogni buon uomo imparava da
me, ora, dappoich son buone a nulla, mi sono
accorto di ci.

V o l I. P l v u t .

P m L E M T IV M j ScJFUJj P h ILOLJCUES.

P a n . Jampridem ecastor frigida non lavi magis lubenter,


Nec quom me melius, mea Scapha, rear esse defecatam.
Sc j . Evenlus rebus omnibus, velul hom o messis magna
Fuit.
P h il .

Quid ea messis attinet ad meam lavationem?

S c j. N ihilo plus, quam lavatio tua ad messim.


P h il .

O Venus venusta!

Haec illa est tempestas mea, m ihi quae modestiam


omnem
Detexit, tectus qua fui, quam mihi A m o r et Cupido
In pectus perpluit meum, neque ja m

usquam

ob

tegere possum.
Madent ja m in corde parietes: periere haec oppido
aedis.
P h i l . Contempla amabo, mea Scapha, satin haec me ve

stis deceat:
Volo meo placere Philolachi, meo ocello,

meo papatrono.

S c j . Quin tu te exornas moribus lepidis, quom lepida ( 8 )

loia, es?
N on vestem amatores mulieris amant, sed vestis
fartum.
P m .I la me di ament,

lepida est Scapha! sapit scelesta


mullum!

Ut lepide res omnis tenet, senlenliasque amantm!


P h i l . Quid nunc?

F ilem Azio, Scafa, F ilolaciie . .

F ile .

gi buon tempo che nell* acqua fresca non mi


sono lavata di tanta voglia, proprio da credere,
o Scafa mia, che mi sia tolto dattorno ogni fastidio.

Sca.

A tutte le cose

1 esito fu sempre 1' abbondevol

ricolto dell anno.


F ile .

E che c entra qusto ricolto coll essermi lavata?

Sca .

Tanto come 1 esserti lavata al ricolto.

F ilo .

0 leggiadra Venere! ecco quel turbine che Amore,


c Cupidine mi diluviarono in petto,

esso mi lev

dattorno tutta la modestia che mi

copria, non

pi salvarmi; sudan nitro le pareti e la casa and


in rovina.
F ile .

Vorrei, o Scafa, guardassi a questa veste, se la mi


va bene attillata; vo essere piacente al mio Filclache, mia pupilla, mio sostegno.

Sca.

E perch non vuoi esser pi accorta dappoi che


se tutta si bella? gli amanti non amano tanto la
gonna quanto la donna.

F ilo .

Cosi Dio m ajuti, Scafa Airba, e nc sa pi del


diavolo, non gliene casca una,
velli degli amanti!

Fjle.

E dunque?

yc

come entr ne cer

S cj .

Quid est?

Pan.

Quin me adspice et contempla, ut haec


decet me.

S cj . Virtute formae id evenit* te nt deceat* quidquid ha


beas.
P a i. Ergo hoc ob verbum te* Scapha* donabo

ego hoc

die aliquij
Neque patiar te istanc qraliis laudasse* quae placet mi.
P h il .N oIo ego te adsentari mihi.
S c j.

Nimis tu quidem stulta es mulier.


Eho* mavis vituperarier falsot quam vero extolli?
Equidem pol vel falso tamen laudari mullo malo*
Quam vero culpari, aut alios meam speciem inridere.

PaiL.Ego. verum amo, verum volo dici m ihij mendacem


odi.
S cj . Ila tu me ames* ita PhUolaches tuos te amet} ut
venusta esi
P a i. Quid ais* scelesta? quomodo adjurasti? ila ego istam
amarim?
Quid? ita haec me

id cur non additum

est?

infecta dona facio.


Peristi! quae ja m promiseram tibi* dona perdidisti.
S cj . Equidem (9 ) pol m iror* tam cale te eductam et lam
bene do clam
Nunc stultam stulte facere.
P h il .

Quin mone quaeso* si quid erro.

S c j . Tu ecastor erras* quae quidem illum exspectes unum*


atque illi
Morem praecipue sic geras* atque alios adsperneris.

Matronae,

non meretricium

est* unum

inservire
amantem.

Sca.

Che vuoi?

Oh guarda da ogni lato come questa la mi va

il e .

bene a taglio.
Sc a .

Perch se assai ben fatta, avviene che ti compa


risce quanto tu hai indosso.

il o .

Ed io, o Scafa, per questa parola ti doner oggi


qualcosa, n permetter mai, che per nulla m ab
bi tu lodata costei che tanto mi piace.

S ca.

Non mi dare la soja.

S ca.

Oh che donna! tu mi pari scritta sul libro del


Grosse! vuoi piuttosto che di te Si faccian beffe a
torto che laudi da senno? e s per Bacco chio godo
sentirmi

lodar anche le

magagne, piuttosto che

proverbiar daddovero, o chaltri abbia a ridere alle


mie spese.
F il e .

Ma io amo il vero, il vero voglio che mi si dica,


ho in odio il bugiardo.

Sca.

Tanto bene volessi tu a me, e tanto te ne voles


se il tuo Filolache, com vero che se bella.

F ilo .

Che dici furfantona?

che giuramento

questo?

quanto bene dovrei volerle io? perch


quanto a me?

costei

perch questo tu non ve 1 hai

aggiunto? toglierotti quello che t ho dato, trista a


te! t sfumato quanto oggi ti ho promesso.
Sca.

Poffarilmondo!

io casco dalle nuvole,

ch donna

come tu se, s bene allevata, s bene istruita, ora


scioccamente dia in tante scempiaggini.
F ile .

E perch non m avvisi se sbaglio?

Sca.

Sbagli aff, se a lui solo ti appoggi, se a lui solo


vai a versi, e tieni un fico marcio gli

altri.

Le

matrone, e non le donne di mondo, deono essere


per un amante solo.

P a i. P roh Jupiler! nam quod malum vorsatur meae do


m i illud?
D i deaeque omnes me pessumis exemplis interficiant,
Nisi ego illam anum interfecero sili fameque atque
algui
P h il . Nolo ego m ihi male te. Scapha, praecipei'e.
S cj.

Stulta es plane,
Quae illum tibi aeternum putes fore amicum et be
nevolentem:
Moneo eg te: te deseret ille aetate et satietate.

P h il . N o ti spero.
S cj .

Insperata accidunt magis saepe, quam quae speres.


Postremo, si dictis nequis perduci, ut vera haec credas
Mea dtrto, ex factis nosce rem j vide, quae sim, et
quae fu i ante.
N ih ili ego, quam nunc tu, amata sum, atque uni
gessi morem,
Q ui pol me, ubi aetate hoc caput colorem commutavit.
Reliquit, deseruitque me. Tibi idem futum m credo.

P h i . V ix com prim or, quin involem illi in oculos stimu


latrici/
P h il . Solam illi me soli censeo esse oportere obsequentem.
Solam ille' me soli sibi ( 0 ) solus suo liberavit.
P h i . Proh di immortales, mulierem lepidam, et pudico
ingenio/
JBene hercle factum, et gaudeo m ihi nihil esse hujus
causa.
S cj . Inscita ecastor tu quidem es.
P h il .
S cj .

Quapropter?
Quae istuc cures,

Ut te Hle amet.

F ilo .

Per Giovcl

qual flagello

si divolge in basa mia?

possa morire di spasimo, se non fo crepare quel


fascio d ossa, di fame, di sete, di freddo.
F il e .

Non mi porre sulla brutta via, o Scafa.*

F il o .

Oh come bevi dolce che egli in eterno ti voglia


essere amico e benevolo:
gli anni t avran fatta

t accerto che quando

un po di

soma addosso,

e che di te sar sazio, ti pianter il porro.


F il e .

Non lo spero.

Sca.

Ed alla sprovveduta appunto giunge il malanno


invece del bene: infine se non ti puoi acconciare
a creder vere queste parole mie, impaira da fatti
come stia la faccenda:

guarda a quello che sia

addesso, e a quello che fui un d. Or che son io?


robaccia; ma non meno di te era vagheggiata an
chio, ed ebbi un solo bertone, il quale, appena la
testa mia f il color della brina, m abbandon, e
lasciommi al prato: la qual cosa credo avverr an
che a te.
F ilo .

Scoppio a momenti, se non isbalzo negli occhi di


quella soffiona.

F ile .

Ma io avviso eh io sola debba essere di lui solo,


perch egli solo fu quegli che col suo me sola ha
fatta libera.

F ilo.

Oh Dei immortali! oh donna festevole e non da


chiassi! quello che fatto non
anzi allegromi

fu mal fatto, ed

d essermi per lei

bene.
S ca.

Se proprio ignorante.

F il e .

Perch?

Sca .

Perch secondi costui; acci ti ami.

spelacchiato s

P h il .

Cur obsecro non curem?

S cj.

Libera cs jam .
Tu j'cfWj quod quaerebas* habes: ille* nisi amabit
ultro*
Id* pro tuo capite quod dedit* perdiderit,

tantum
argenti.

P a i. P e rii hercle* n i ego illam pessumis exemplis enicasso.


Illa

hanc

conrumpit

mulierem

malesuada nnnc
vitilena.

PBiL.Numquam ego illi possum gratiam referre* ut meritust de me.


Scapha* id tu m ihi ne suadeas* ut illum minoris
pendam.
S cj . A t hoc unum facito cogites* si illum inservibis solum*
D u m tibi nunc haec aetatula est*

in senecta male
querere.

P b i . In anginam ego nunc me velim vorti* ut veneficae illi


Faucis prehendam* atque enicem scelestam stimula
tricem.
PaiL.Eumdem animum

oportet nunc m ihi esse gratum


ut impetravi*

Atque olim* priusquam id extudi* quom illi subblan


diebar.
P a i. D ivi me faciant* qtiod volunt* nisi ob istam orationem
Te liberasso denuo* et nisi Scapham enicasso.
S c j . S i libi sat acceptum est* fore tibi victum sempiternum*
Atque illum amatorem tibi proprium futurum in
' vita*
S oli gerundum censeo morem* et capiundos crines.
P h il . Ut fama est homini* exin solet pecuniam invenire.
Ego si bonam famam m ihi servasso, sat ero dives.

Frtfe.
Sca.

E perch non dovr secondarlo?


Ora se libera, gi tu bai quello

che pi

volevi:

se costui senza cagione ti lascer, sar tutto tuo


il dat, chc non piccola moneta.
F ilo .

Son sconfitto,

se non do a tormenti

costei tanto

da ammazzarla. La mariuola me l imbechera delle


tue tristizie.
F ile .

Io

non gli posso far tante grazie, quante glie ne

vanno da me: cessa, cessa, o Scafa,

dal persua

dermi, eh io me ne distacchi.
Sca.

Ma fa di ricordarti almeno, se non vuoi essere che


sua, or che se fresca., quando verran le grinze,
lamenterai tp stessa a torto.

F il o .

Oh perch non sono

un canapo! m attortiglicrei

d ia gola di quella strega, e s manderei i fistolo


quella ribaldaccia punzellatrice.
F il e .

E fa mestieri, ora che lho ottenuto, gli serbi lani


mo medesimo d una volta, quando, per istrappargli la mia libert, me lo accoccolava

colle mie

carezze.
F ilo .

Gl* Iddi faccian di me quello chc pi vogliono,


se, per queste belle parole, te non fo libera un al
tra volta, e se non dono a cani

questa carogna

di Scafa.
Sca.

Se tu se ferma eh egli, finch, ti basta la vita, vo


glia essere eternamente
solo fa le moine,

innamorate

di te, a lui

a lui solo palpa graziosamente

la testa.
F il e .

Trova 1 uomo denaro conforme il credito eh egli


e perci, s io fo niuno smacco al mio buon
nome, sar ricca anche troppo.

P a i. Siquidem hercle vendundum est, pater venibit mul


to potius,
Quam te, me vivo, umquam sinam egere aut mendicare.
S c j . Quid illis futurum est celeiis, qui te amant?
Magis amabunt,

P h il .

Quom me videbunt gratiam referre rem ferenti


P h i . Utinam meus nunc mortuos pater ad me nuntietur,

Ut ego exhaeredem meis

bonis me faciam ,

atque

haec sil haeres.


S cj . Jam ista quidem absumta res erit: dies noctisque
estur, bibitur*
Nec quisquam parsimoniam adhibet: sagina plane est.
P h i . In te hercle cerlumsl principe, ut sim parcus, experiri:
Nam neque edes quidquam, neque bibes apud me
his decem diebus.
P n iL .S i quid tu in illum bene voles loqui, id loqui licebit:
Nec recte si illi dixeris, ja m ecastor vapulabis.
P h i . Edepol Jovi summo si vivo argento sacruficassem,
P ro

illius capite quod dedi,

numquam aeque id
bene locassem.

Ut videas, eam medullitus me amare!

oh! probus
homo sum:

Qui pro me causam diceret, patronum liberavi.


S cj . Video te nihili pendere prae Philolache omnis homines.
Nunc, ne ejns causa vapulem, tibi potius adsmtibor,
S i acceptum sal habes, tibi fore illum amicum sem
piternum.
P h il . Cedo m ihi speculum,

et cum ornamentis arculam


actutum, Scaphar

Ornata ut siem, quom huc veniat Philolaches, volu


ptas mea.

F ilo .

E se hassi a vendere qualcosa, vender piuttosto


mio padre, ma non mi supplir m ai 1 animo

di

vederti in bisogno a batter 1 accattolica.


Sca.

E che sar di quelli che vanno in succhio per l amor tuo?

F ile .

V andran di pi vedendo eh io son grata a chi


mi colma di doni.

F ilo .

Oh perch non mi si reca, che mio padre ha ti


rate le calze!

allora entrando

io erede

alle mie

fortune, v* entrerebbe anche costei.


Sca.

A momenti siamo al moccolo, notte e d si magna


e si beve senza eh alcun pensi al risparmio, la
proprio una stia.

F ilo .

Ma in te ho fissato far

prova di quanto ora las-

sottigli, per che tu n sbocconcellerai, n berrai


alcun che in casa mia per questi dieci d.
F ile .

Se tu addosso non gli vuoi tagliar le legne, parla


pure: se non dirai bene di lui, ti faran

insegnar

tosto come s usa a pettinare in qnesti paesi.


F ilo .

PofTarihnondo! SI io di quellargento sonante aves


si fatto un sacrifizio a Giove, esso npn sarebbe s
ben speso, come ho fatto, per la libert di costei.
Guarda che amore la mi portai Son cima d uomo!
ho cavato di servit il mio patrocinatore.

Sca.

Conosco che, da Filolache in fuori, tu tieni gli uo


mini tanti cocomeri; pertanto io non mi vo sen
tire tambussar le spalle, ti gratter lorecchic piut
tosto, da che

se ferma

a credere Filolache

tuo

eterno amico.
F il e .

Dammi qua subito, o Scafa, lo specchio e la sca


tola delle gioje,

perch

quando verr Filolache,

amor mio dolce, voglio essere all ordine.

S ca. Mulier* quae se suamque aetatem spernit, speculo ei


usus esi.
Quid opust speculo tibi* quae iule speculo speculum
es m axim um ?
P b i . Ob istuc verbum* ne neqtiidquam* Scapha* tam le
pide dixeris*
Dabo aliquid hodie peculi tibi Philemalium mea!
P b i l . S uo

quidque loco

vide. Capillus satis compositust


commode?

S c j . Ubi tu commoda es* capillum commodum esse credito.


P b i. Vah* quid illa pote pejus quidquam muliere m em orarier?
Nunc adsenlalrix

scelesta est* dudum advorsalrix


erat.

P a i. Cedo cerussam.
S cj .

Quid cerussa opus nam?

P b il .

Qui malas oblinam.

S c j . Uria opera ebur atramento candefacere postules.


P b i . Lepide dicium de atramento atque ebore: euge adplaudo Scaphae.
P b i l . Tum tu igitur cedo purpurissum.
S cj.

Non do: scila es tu quidem.


Nova pictura interpolare vis opus lepidissumum?
Non islanc aetatem oportet pigmentum ullum attin-'
gere*

Neque cerussam* neque melinum* neque ullam aliam


obfuciam.
Cape igitur speculum.
P b i.

Hei m ihi misero* savium speculo dedit.


Nimis velim lapidem* qui ego illi speculo diminuam
caput.

Sca.

L o specchio? lascialo

a quelle chc sanno <1 esser

n belle, n giovani:

tu

che

vuoi farne tu che

se lo specchio degli specchii.


\

F ilo .

Far che tal motto

non 1 abbi detto all aria, o

Scafa; dar qualche moneta . . . a te, mia Filemazio.


F ile .

Guarda ogni cosa a luogo suo. Son ben compsti


i capelli?

Sca.

Quando tu se affazzonata, credi, lo anche il capo.

F ilo .

Che puossi udir di peggio da quella donnaccia?


ora le va a versi, e prima guastavale contraddi
cendo 1 uovo in bocca.

F il e .

Dammi la biacca.

Sca.

E a che?

F ile .

Per strofinarmi le gote.

Sca.

T u allora vuoi imbiancar 1 avorio coll inchiostro.

F il o .

Bel confronto! l avorio coll inchiostro!

egregia

mente! evviva Scafa!


F ile .

Dammi adunque il rossetto.

Sca.

Nemmeno. Oh il bel sennino eh il tu: vuoi


porre un intonaco a questa nuova e bellissima
pittura? Non questa let d insucidarsi con cmpiastri il viso, n con gessi, n con belletti, n
con altri lisci: prendi adunque lo specchio.

F il o .

Tristo a me! baci

lo specchio:

vorrei piuttosto

un sasso per mandar quel miraglio in polvere.

S c j . Linleum cape* alqtie exterge iibi manus.


P h il .

Qui ila obsecro?

S cj . Ut speculum tenuislij

meluo, ne oleant argentum


manus:

Ne usquam argentum l i accepisse suspicetur Philolaches.


P u i. Non videor vidisse lenam callidiorem ullam alteram.
Ut lepide atque astute in mentem venit de speculo
malae.
P/HL.Eliamne unguentis unguendam censes?
S c j.

JUinume feceris.

P h il . Quapropter?
S cj.

Quia ecastor mulier recte oletj ubi nihil


old.
Nam istaec veteres, quae se unguentis unctitant, in
terpoles,
Fctuiacj edentulae, quae vitia corporis fuco obculunt,
Ubi sese sudor ciim unguentis consociavit, eloco
Itidem olent, quasi cum una mulla ju ra confundit
cocus.
Quid oleant, nescias, nisi id unum,

ut male olere
intellegas.

P a i. Ut perdocte cuncta callet! nihil hac docta doctius.


Ferum illuc

et maxuma adeo pars vostrorum in


tellegit,

Quibus anus domi sunt uxores,


PuiL.A gedum contempla aurum

quae vos dote meruertint.

et pallam, satin haec


me deceat, Scapha?

S cj . Non me curare istuc oportet.


P h il .

Quem obsecro igitur?

Sca

T o la salvietta e fregati le mani.

F ile .

Perch?

Sca.

Perch ebbero lo specchio, e temo che risentano


d argento. Potria dubitar Filolache tu avessi preso
qualche quattrino.

F ilo .

Credo di non aver veduta ruffiana pi maladetta


di questa, ve che

bel

tratto venne in mente a

quella tristaccia parlando dello specchio.


F ile .

Diresti d ungermi alquanto?

Sca.

Faresti male.

F il e .

E la cagione?
Eccotela. La donna manda buon odore quando ne

Sca.

ha addosso nessuno. Usano le manteche e si streb


biano queste segrennucciaccie che hanno in bocca
tre denti lerci e cariosi: perch son morticcie delle
carni s impiastricciano, per rinfronzirsi, con mille
empiastri il viso: ma guai se il sudore comincia
ad immelarsi col liscio!

n esce quell odore che

fa il cuoco, se spande molto brodo nc fornelli; se


non sai di che sappiano, tienti ci a mente, affinch
tu possa intendere la puzza eh elle mandano.
F il o .

E non gliene scappa una! nulla


son fandonie! buona parte

di meglio! non

di voi lo pu confer

marlo, di voi che, tirati dalla dote, avete le mogli


un po attempatene.
F il o .

Via dunque guarda alla collana cd al manto, se


mi vada bene ogni cosa, o Scafa.
A questo non ci devo pensar io.

Sca .
F

il e

Chi adunque?

Eloquar:

S ca .

Philolachem: is ne quid emat, nisi quod tibi place


re censeat.
Nam amator meretricis mores sibi emit

auro et
purpura.

Quid opus est* quod suom esse nolit, eii ultro osten
tatici'?
Purpura aelas occultanda est: aurum turpe mulieri.
Pulchra mulier nuda crii, quam purpurata* pulchrior:
Postea nequidquam exornata est bene, si morata
est male.
Pulchrum ornatum turpes mores pejus coeno col
linunt.
Nam si pulchra est* nimis ornata est.
P b i.

Nimis diu abstineo manum.


Quid ine vos duae agilis?

P u il .

Tibi me exorno ut placeam.

P b i.

Ornata es salis.
A b i hinc tu intro* atque ornamenta haec aufer. Sed,
voluptas mea,

Alea

Philematium,

potare

tecum

colltibilum

est

mihi.
P b i l .EI edepol m ihi tecum nam quod tibi lubel*
idem m ilii lubet,
Mea voluptas.
P b i.

Hem, istuc verbum vile est vigiliti minis.

P u i l . Cedo, amabo, decem* bene

emlum libi dare hoc


verbum volo.

P u i. Eliam nunc deccm minae apud te sunt: vel ratio


nem puta.
Triginta minas pro capite tuo dedi . . .

Sca .

Te lo dir: Filolache; perch esso non compereratti


mai cosa che sappia esserti sgradevole, atteso che gli
amadori coll oro e colle vesti guadagnano i vezzi
delle

loro amasie.. Perch fargli

que di ci che non

vuol

pompa

adun

conoscere per suo?

le lacche ricoprono gli anni, 1 oro il brutto, ma


una bella donna risalta pi spogliata che in abito
di gala: in somma, per non prosartela troppo, fosse
una donna speciosa per gli ornamenti, ma brutta
nei costumi,

il disonesto vivere insozzale pi del

fango tutte le dorerie. Laddove se bella, adorna


anche troppo.
F il o .

Tengo con istcnto ferme le mani.

Che fate qua

voi altre due?


F ile .

M acconcio per piacerti.

F ilo .

L o se abbastanza. Tu va dentro e porta via que

ste bazziche:. ma, tesoro mio, mia Filemazio, oggi


vorrei desinar teco.
F il e .

E teco anch io, perch quello che piace a te, piace


anche a me, o mio amore.

F il o .

Per questa parola son poche venti mine.

F il e .

Dammene dieci, io questa parola te la vendo a


buon mercato.

F ilo .

E sono ancora dieci mine presso di te, fa

i tuoi

conti, io n ho sborsato trenta per la tua testa.

P h il .

Ctir exprobras?

F u i. Egone id exprobrem, qui mihimel cupio id opprobrarier?


Nec quidquam argenti locavi ja m diu usquam aeque
bene.
P h i l . Certe ego,

quod te amo, operam nusquam melius


potui ponere,

P h i . Beni igitur ratio accepti atque expensi inter nos


convenit.
Tu me amas, ego te amo: merito id fieri uterque
exislumat.
Haec qui gaudent, gaudeant perpetuo suo semper bono:
Qui invident, ne umquam eorum quisquam invideat
prorsus commodis.
P a n . Age,

adcumbe igitur: cedo

aquam manibus,

puer, appone hic mensulam,


Vide, tali ubi sint: vin' unguenta?
P a i.

Quid opust? cum slatta adcubo.


Sed estne hie meu? sodalis,

qui huc incedit cum


amica sua?

Js esi!

Callidamates cum amica,

eccum, incedit:

euge, oculus meus:


Conveniunt manuplares:

eccasl praedam participes


petunt.

SCENA

IV .

Ca llida m a tes , D e l p h iv m , P h ilo la c b e s ,


P h il e m a t iv m .
CAL.Aduorsum venire m ihi ad Philolachetem
V o h temperi: audi: hem, tibi imperatum est.

F ile .

Perch mcl rinfacci?

F ilo .

I o ti rinfaccio di questo, onde

facciato

vorrei essere rin

io? miglior denaro non fu sinora mai

speso da me.
F ile .

Io, perch ti amo, veggo di non aver fatta cosa pi


buona alla vita mia.

F ilo .

E cco saldate le partite: tu mi

ami, io ti amo, e

l'uno e l altro di noi crede di non collocar male lo


pera sua: chi in tate felicit, vi sia' per sempre, e
chi ce l invidia, niuno possa mai avere invidia a lui.
F ile .

Su via, siedi adunque: d l*acqua alle mani,

fanciullo, qua metti le tavole: guarda ove sieno i


dadi: vuoi gli unguenti?
F

il o .

Che monta? son qui presso il cinnamomo. Ma


quegl! il mio buon compagnaccio che vien colla sua
amica? desso: Callidamatc che viene colla sua
bella, vedilo, cuor mio, son qua i commilitoni;
vorranno parte del bottino.

SCENA

rv.

Callidamate , Delfio , F ilolacue , F ilemazio .

Ca l .

Voglio mi venga incontro

di buon ora alla casa

di Filolache, ticntelo.a mente, ch ne se avvisato.

Nam illic ubi fui, inde ecfugi foras.


lia me ibi male convivii sermonisque laesum esi.
Nunc comissatum ibo ad Philolachetem*
Ubi nos hilaro ingenio el lepide accipiet.
Ecquid tibi videor, ma-ma-madet'e? (\ \ )
DEL.Semper istoc modo moratos vita. Debebas . . .
Ca l .

Fisne
Ego tej ac tute me amplectare?

D e l . S i tibi cordi est facere3 licet.


Ca l .

Lepida es.
Duce me amabo.

Del.

Cave ne cadas: adstal

Cal . Oh! ocellus es meus* tuos sum alumnus* mei meum.


D e l . Cave modo* ne prius in via adcumbas*
Quam illic, ubi lectus est stratust coimus.
Ca l . Sine* sine cadere me.
D el.

Sino.

Ca l .

Sed et hoc} quod m i in manu est?

D e l . S i cades* non cades quin cadam tecum.


Tollet jacentis postea nos ambos aliquis.
Madet homo.
Ca l .

T u rim e ais, ma-madere?

D e l . Cedo manumj nolo equidem te adfligi.


Ca l .

Hem tene.

D el.

Aqe, i simul:

Ca l . Quod ego eam* ari scis?


D e l . Scio.
Ca l .

In mentem venit modo: nempe domum eo


Comissatum

D el.
Ca l .

Im o.
Istuc quidem ja m memini.

Me la sono svignata di dove era, stanco fradicio di

convito e di xianeie.- adesso andr a far buon tempo


con Filolache che ne tratter allegramente e con
buona ciera. E che? ti sembro

un ciu-ciusche-

ro io?
Del.

Noi siam sempre alle medesime: D o v e v i. . .

C al .

Vuotu che ci abbracciamo?

Del.

Se tl piace, facciamolo.

Cal .

Se* carissima, tienimi fermo:

Del .

Guarda di non tornare, sta ritto.

C al .

Oh! tu se la mia pupilla: io sono il tuo putto, o


mio tesoro.

Del .

Alza la gamba, se non vuoi cascar qua nella via,


prima che sul letto, dove riposeremo.

C al .

Lasciami, lasciami cadere.

D el .

T i lascio.

Cal .

Ma anche questo, eh in man mia?

Del.

AHora se caschi tu,

casco anch io, e qualcuno

verr dopo a levarci di terra. cotto 1 uomo.


C al .

Tu di dunque eh io sia bri-bri-briaco?

Del .

Dammi la mano, non voglio, che tomboli.

Cal .

Eccotela.

Del.

Andiamo insieme.

Cal .

Ma sai dove io vada?

Del.

Il so.

Cal .

Mi venne il pensiero adesso: a casa ad attaccarsi


al fiasco.

Del.

Anzi.

Cal .

gi un pezzo che lo mulinava in capo.

P a i. Nura non vis obviam med his ire, anime mi?


Jlli ego ex omnibus optume volo.
Jam revortar.
P a iL .

D iu est iam id mihi.

Cal .

Ecquis hic est?

P a i.Is est. ( I Z )
Cal .

Etij PhilolacheSj
Salvej amicissume m ihi hominum omnium.

P a i. D i le ameni: adcubOj
Callidamates: ttnde agii te?
Ca l .

Unde homo ebrius.

P a i.

Probe.
Quitij amabo* adcubaSj Delphium mea.

Cal . Date illij qtiod bibat: dormiam ego jam .


P a i. Non minim aut novom quippiam facil.
Quid ego hoc faciam posteaj mea?
D el.
P a i.

Sic sine eumpse,


J g e Iti, interim da ab
Delphio cito cantharum circum.

F ilo .

Non vuoi forse, anima mia, eh' io vada loro in


contro? Egli il mio buon sozio, il mio occhio'
dritto: ritorno in un attimo.

F ile.

A me par tardo.

Ca i .

Chi qua?

F ilo.

Costui.

Cal.

Filolache,

addio, o mio dolcissimo

fra

tutti

g li

uomini.
F ilo .

Sta bene, siedi, Callidamate: donde vieni?

Ca l .

Donde viene un ciompo.

F ilo .

Benissimo: e perch non t accomodi, o mia Delfio?

Ca l .

Datele a bere; eh io intanto legher 1 asino.

F il o .

E fa cosa eh nuova come la luna: ma che dovr

D el.

Lascialo dormire.

F ilo .

Presto adunque colma

fam e io, o mia Delfio?


quella

da Delfio a mandarla in giro.

ciotola, incomincia

ACTUS II.
SC EN A

/.

T r a v io , P h ilo la cb e s , Ca l l id a m tes ,
D e l p h i v x , P b il e m a t iv u , P vex .
Tn j.J u p iler supremus summis opibus atque industrii
Me perisse et Phiiolachetem cupit, herilem filium.
Occidit spes nostra, nusquam stabulum est confidentiae.
Nec Salus nobis saluti ja m esse, si cupiat, potest:
Ita m ali moeroris montem maxumum ad portum modo
Conspicatus sum: herus advenit peregre: periit Tranio.
Ecquis homo est, qui facere argenti cupiat aliquan
tum lucri,
Qui hodie tese excruciari meam vicem possit pali?
Ubi sunt isti plagipatidae, ferritribaces viri,
Vel isti, qui trium numorum causa subeunt sub falas,
Ubi aliqui quindenis hastis corpus transfigi solent?
Ego dabo ei talentum, primus qui in crucem excucurreriii
Sed ea lege, ut obfiganlur bis pedes, bis brachia,
Ubi id erit factum, a me argentum petito praesen
tarium.
Sed ego tumne ille infelix, qui non curro curriculo
domum?
P h i . Adest, adest obsonium: eccum, Tranio a portu redit.
T ua . Philolachet. . .
"Ph i .
T * J-

Quid esi?
Et ego et tu . . .

ATTO
SCENA

II.
I.

T razione , F ilolache , F ilemazio , Callidamate ,


Delfio , R agazzo .

T ra.

Il gran Giove per quanto sta in lui vuol la rovina


mia, e del padroncino Filolache. Se n andata la
speranza, n c luogo a rimetterla, e la Salute
stessa, se ci volesse ajutare, farebbe acqua da occhi,
si madornale il cumulo delle disgrazie che ho ve
duto al porto. Il padrone ritorn da suoi viaggi,
e Tranione entrato nelle peste. Chi sentcsi voglia
oggi di guadagnar qualche moneta, e patisca di
farsi martoriare invece mia? ove sono quelli che
s avezzarono

alle

ceffate

ed

alle nottole? ove

quelli che per ghiottornia di tre quattrini cammi


nano sotto le falariche? ove quelli che son usi a
farsi bucherellare il corpo da quindici stocchi? Io
do un talento al primo, cui supplisca l animo d es
sere disteso in croce, ma a questo patto che si
faccia inchiavellar due volte i pi e due volte le
mani. Dopo, venga pure a me per la mercede, eh io
non gliela *fo penare. Ma non son io quello sgra
ziato! ch non mi caccio la via tra gambe, e me
la batto a casa?
F ilo .

Viene, vien la spesa, eccola: Tranione arriva da porto.

T ra.

Filolache!

F il o .

Qual novit?

T ra. . Io e voi . . .

P h i.

Quid et ego et tu?

Tra.

Periimus.

P h i . Quid ila?
Tra.

Pater adest.

P h i.

Quid ego ex led audio?

T ra.

A b m m ti sumus/
Paler* inquam* tuos venit.

Ubi is est* obsecro te?

P h i.

Adest.

Tra.
P h i . Adest? Quis id ait? quis vidit?

Egomet* inquam* vidi.

Tra.
P h i.

V a e m ihi!
Quid ego ago?

Tr a.

Nam quid tu, malum* me rogitas* quid agas?


adcubas.

P h i . Turi vidisti?
T ra .

Egomet* inquam.

P h i.

Certe?

Certe* inquam.

Tra.

Occidi*

P h i.

S i tu vera memoras.
Tra.

Quid mihi sit boni* si mentiar?

P h i . Quid ego nunc faciam?


Tra.

Jube haec hinc omnia amolirier.


Quis istic dormit?

P h i.
T ra.

Callidamates.
Suscita istunc* Delphium.

D e l . Callidamates* Callidamates* vigila.


Ca l.

Figilo: cedo* ut bibam.

DBL.Figila: pater advenit peregre Philolachae.


Ca l .
P h i , Palet ille quidem* at ego disperii.

Faleat paler.

F ilo . Che io e voi?


T ra.

Siam rovinati.

F ilo . Come?
T ra . qua vostro padre.
F ilo . Che mi racconti?

Siamo disfatti. Vostro padre, s vostro padre

T ra.

venuto.
F ilo . E dov egli? via dimmelo.
T ra.

qui.

F ilo . E qui? chi lo disse? chi l ha veduto?


T ra.

Io ,

con questi occhi.

F ilo . Poveretto me! e che fo io?

Uh! bacello

T ra.

chiedete che vi facciate? state

li

sul letto a donzellarvi voi.


F ilo . T u l hai veduto, tu?
T ra.
F

il o

T ra .

Io
.

s, io .

Davvero?
Daddovero.

F ilo . Se cosi, son morto!


T ra .

che m intascherei io, se v impastocchiassi con

una favola?
F ilo . Che dovr fare adesso?
T ra .

Sgomberar queste tattarc: chi dorme qua?

E ilo . Callidamate.
T ra.

Scuotilo, o Delfio.

D el .

Ehi, Callidamate, Callidamate, su.

Cal .

Veglio, dammene un sorso.

Del .

Sta desto, arriv il padre di Filolache.

Cal .

Che Dio l ajuti!

F ilo . L 'h a ajutato si, ed ha diserto me.

Cal.

Dspersti? qui potesi?

P h i . Quatto edepol exsurge: paler advenit.


Ca l .

T uos venit pater?

Jube abire rurtum : quidquid Uli redilio huc etiam fuit?


P h i . Quid ego agam? pater hic ja m me obfendet

mise

rum adveniens ebrium,


Aedis plenas convivarum, ei mulierum: miserum est
opus,
lg ilu r demum fodere puteum, ubi sitis fauces tenet.
Sicut ego adventu patris nunc quaero, quid faciam
miser.
TRA.Ecce autem hic deposivit caput, et dorm ii: suscita.
P a i. Eliam vigilas? pater, inquam, aderit ja m hic metu.
A in tu? pater?

Ca l .

Cedo soleas m ihi, ut arma

capiam: ja m

pol ego

occidam patrem.
P a i. Perdis rem, tace: amabo, abripite hunc intro actu
tum inter manut.
C a l . Jam , hercle, ego vot pro matula habebo, nisi m ih i

matulam datis.
P a i. Perii/
T ua.

Habe bonum animum: ego istum lepide medicabor


metum.

P a i. Nullut tum.
T aa .

Taceas: ego, ut itlaec tedem meditabor tibi.


Satin habes, si ego advenientem ita patrem faciam
tuom,

Non modo ne introeat, verum etiam uf fugiat lon


ge ab aedibus?
Vos modo hinc abite intro, atque haec hinc propere
am olim ini.
P a i. Ubi ego ero?

Cal .

Tu diserto! e perch?

F ilo

Levati una volta, giunto mio padre.

Ca l .

Tuo padre giunto? digli vada via di nuovo, e

F ilo .

Io sono di sasso. Mio padre trover qua me disgra

perch ritornato?
ziato cotto dal vino, la casa zeppa di mangioni e
di donne: oh che miseria mai lo scavarsi un pozzo
quando s abbruciato dalla sete, siccome avviene
a me meschinello, che cerco pure cosa mi debba
fare nell* arrivo di mio padre.
T ra .

E to costui, abbass il capo e se la dorme: sve


gliatelo.

F ilo .

Non se ancor desto? fra poco ti verr su piedi


mio padre.

Cal.

Che dici tu? il padre? dammi le scarpe, che piglio

F ilo .

Tu getti in conquasso ogni cosa, portatelo dentro

Ca l .

Io vi scompiscio tutti, se non mi date un destro.

un arma, e lo mando a trovar l altro mondo.


di peso.
F ilo .

Ahim!

T ra .

Fate cuore, ch una mia cavalletta vi liberer da


questa apprensione.

F ilo .

Son perduto.

T ra .

Componetevi, m adoprer io a tranquillar ogni cosa.


Vi basta eh io faccia tanto che, giugnendo vostro
padre, non solamente egli abbia a non entrar den
tro, ma come se gli fosse caduta la gragnuola
addosso

abbia a scappar lontano da questa'tasa

le mille miglia? Entrate intanto voi altri e portate


via questi arnesi.
F il o .

E dove sar io?

Ubi maxume esse vis* cum hac* tu cum istac eris.

Tra.

D e l. Quid igitur? abeamus hinc nos?


Non hoc longe* Delphium1

T ra.

N am metuis polare? haud tantillo hac quidem causa


minus.
P a i. Hei mihi* quam

islaec blanda dicta quo evenant,


madeo metui

T r a . P o liri* animo ut sies quieto* et facias quod jubeo?

P a i.

Potest.

T r a . Omnium prim um j

Philematium* intro abi: et tu*


Delphium.

D e l , Morigerae lib i erimus ambae.


Ita ille faxil Jupiterf

Tra.

Anim um advortito nunc tu jam* quae volo adcurarier.


Omnium primumdum aedis ja m fac obclusae sient:
Intus cave muttire quemquam siveris . . .
P a i.

Curabitur.

T r a . Tamquam si intus natus nemo in aedibus habitet

P a i.

Licet.

T r a . Neu quisquam responset* quando hasce aedis pulla-

bit ener.
Pai.N um quid aliud?
T ra.

Clavim m ihi harunc aedium Laconicam


Jam jube efferri in tu t: hasce ego aedis obcludam
hinc foris,

P a i. In tuam custodiam me et meas spes trado* Tranio.


T r a . Plum a haud interest* patronus* an cliens propior siet

Homini* quoi nulla in. pectore est audacia.


Nam quoivis homini* vel optumo* vel pessumo*
Quamvis desubito facile est facere nequiter*
Verum id videndumst* id viri d od i est opust
Quae designata sint et facta nequitiat

T ra .

Dove pi lo volete, con questa, con costei saret.o


voi.

D el.

che? ce la facciam con Dio noi?

T ra .

Oh, non lontano di qu, o Delfio. Ha tu paura di


bere? per questo non ne devi trincar un sorso di
meno.

F il o .

Ohim! son tutto molle per la paura; chi sa dove


vorr riuscire questo che mi dai buon per la pace!

T ra .

Farete voi quello che vi dico?

F ilo .

Far.

T ra .

Anzi ogni cosa, va dentro tu, o Filemazio, e tu, o


Delfio.

Del .

Noi .faremo a modo tuo.

T ra

Cos Giove volesse! ora udite voi quello chc voglio


io: sopra tutto si serri la porta, e nessuno apra
bocca senza vostro ordine . . .

F il o .

Sar

fa tto .

T ra .

Come se non fosse dentro anima v iv a . . .

F ilo .

Bene.

T ra.

N risponda alcuno al picchiare del vecchio.

F ilo .

Nient altro?

T ra,

Fatemi portare la chiave spartana di questa porta,


ch io la chiuder qui al di fuori.

F ilo .

Tranione, a

te lascio

me stesso e

le mie spe

ranze.
T ra .

E non v un pelo in mezzo, se l avvocato o il


cliente ha in corpo il coraggio

del coniglio. Im

perciocch per quanto facilmente corra luomo, o


buono o tristo, eh egli sia, al malfare, dee ben por
mente, e questo non degli allocchi, che l intrico
vada liscio a quello ches pensato, se non vuol poscia

Ne quid patiatur, quamobrem pigeat vivere:


Tranquille cuncta, et ut proveniant tine malo.
Sicut ego ecficiam, quae facta hic turbabimus,
Profecto ut liqueant omnia et tranquilla sint.
Nec quidquam nobis pariant ex se incommodi.
Sed quid tu egrederis? perii/ Oh jam jam optume
Praeceptis pa'uitli! (4 5 )
P ve .

Jussit maxumo
Opere orare, ut patrem aliquo absterreres modo,
Ne introiret aedeis.

T m.

Quin etiam illi hoc dicito,


Facturum, ut ne etiam adspicere aedis audeat;
Capile obvolulo ut fugiat cum summo metu.
Clavim cedo, atque abi hinc intro,

atque obclude
ostium:

Et ego hinc obcludam: jube venire nunc jam .


Ludos ego hodie vivo praesenti hic seni
Faciam , quod credo mortuo numquam fore.
Concedam a foribus huc, hinc speculabor procul,
Unde advenienti sarcinam imponam seni.
SCENA
T h evro pides ,

II.
T r a n io .

T u e . Habeo, Neptune, gratiam magnam libi,


Quom me amisisti a te vix vivom modo/
Ferum si posthac me pedem latum modo
Scies imposisse in undam, haud causa eloco est,
Quod nunc voluisti facere, quin facias mihi.
Apage, apage te a me: nunc ja m post hunc diem,
Quod ciediturus tibi fui, omne credidi.

mangiare il pan pentito. Cosi vorr fare anch'io; tutto


questo scompiglio ha da finir cheto, se non vo
gliamo che ci colga qualche malanno. Ma perch
vien fuori tu? misero me! evviva ben cominciasti,
o valentuomo, ad obbedirmi!
R ag .

M'ha ordinato ti raccomandassi, che dia tu a suo padre


ima battisoflola e delle buone, acci non entri in casa.

T ra .

tu digli, far s, eh egli ardisca nemmeno guatar


la, e che, infeltrandosi il capo, si raccomandi poscia
a piedi per la paura. Dammi la chiave e va dentro,
di l chiudi la porta, eh io di qua far lo stesso,
di ora che venga: sar pensier mio che al vecchio
si celebrino tali giuochi, che morto non ne avr al
trettanti; m allontaner dalla porta, e qua accan
tonato sbircier dalla lunge per istringere un buon
basto al nostro vecchio.
SCENA.
T

T ec .

e u r o p id e ,

II.

Tram o se.

Ho teco, Nettuno, assai obbligo, perch in hai la


sciato scappar via da te per miracolo; ma se ti
giugnesse, che mi sono imbarcato un altra volta,
non

saresti

per

risparmiarmi

quel

s brutto

giuoco, che m hai tentato pur ora. Dopo questo


d lontano lontano da me: quello che voleva met
tere alla tua ventura, l ho messo.
Voi,. I. P la it.

44

'

T r a . Edepol, Neptune, peccavisti largUer,

Qui occasionem hanc amisisti tam bonam.


T h e . Triennio post Aegypto advenio domum,
Credo, exspectatus veniam familiaribus.
T r a . N im io edepol Ule potuti, exspectatior

Venire, qui te nuntiaret mortuom.


T h e . Sed quid hoc? Qbchtsa janua est interdius?
Pullabo: heus, ecquis istas aperit m i foris?
T r j . Quis homo est, qui nostras aedis accessit prope?

The. Metis servos hic quidem est Tranio.


O Theuropides,

Tra.

lle re l salve: salvom te advenisse gaudeo.


Usquen valuisti?
Usque, ut vides.

The.

Factum oplume.

Tr j .

T h e . Quid vos? insaniti estis?


Quidum?

Trj.

T h e.

S icj quia
Fotis ambulatisj natus nemo in aedibus

Servat, neque qui recludat, neque respondeat.


Pultando pedibus pene confregi assulas.
Eho,

Trj.

J n tu tetigisti has aedis?


Cur non tangerem?

Tu e .

Quin pultando, inquam, pene confregi foris.


T r a . Tetigistin?
The.

Tetigi, inquam, et pultavi.


Vah!

Tra.

Th e .

Quid est?

T ra . Male hercle facium.


Th e .

Quid est negoti?

T ra.

Anzi, Nettuno, hai fatto un gran sproposito lascian


doti scivolar di mano colpo s bello.

T eu.

Eccomi dopo tre anni di ritorno dall Egitto a casa


mia, in mia f che a miei sar il benvenuto.

T ra.

Ma il benvenutissimo saria chi ci portasse la tua


morte.

T eu.

Che questo? di giorno chiusa la porta? picchier


chi, chi m apre?

T ra .

Chi s appress a casa nostra?

T eu.

Questi certamente Tranione mio servo.

T ra .

Oh Teuropide, o padrone, evviva! godo vedervi sal


vo, siete sempre stato bene?

T eu.

Sinora.

T ra .

Ottimamente.

T eu.

Ma e voi altri? v ha forse dato di balta il cervello?

T ra .

Perch?

T eu.

Eccolo: perch ve n andate piazzeggiando, e non


lasciate nemmeno un putto in casa che apra, o che
risponda. Io col dar dentro i pi nell ascie le ho
quasi rotte.

T ra .

Ahi! la toccaste voi questa casa.

T eu.

E perch non l'h o a toccare? se anzi, come t ho


detto, poco manc che
porta.

T ra .

L ' avete toccata?

T eu.

Toccata e battuta.

T ra .

Ahim!

T eu.

Che hai?

T ra .

Avete fatto male.

T eu.

Che faccenda questa?

col pontare sfasciai la

T hj .

Non potest
D ici, quam indignum fadhus fecisti et malum.

T h e . Quid jam ?
Fuge, obsecro, atque abscede ab aedibus.

T ra.

Fuge huc, fuge ad me propius: tetigistiri f orcis?


T h e . Quomodo pultare potui, si non tangerem?
T r a . Occidisti h ercle___

T he.

Quem mortalem?

T rj.

Omnis tues.

T h e . D i te deaeque omnis perduint cum istoc ominef


T r a .Metuo, te atque istos expiare ut possies.
T h e . Quamobrem?

aut quam

subito rem mihi adportas

n o v a ?
Trj. R

heus, jube illos illinc, amabo, abscedere.

T h e . Abscedite.
Tr j.

Aedis ne attigatist tangite ( i i )


Vos quoque terram/
Obsecro hercle, quin eloquere jam .

Th e .

T r j . Quia septem menses sunt, quom in hasce aedit pedem

Nemo intro tetulit, semel ut emigravimus,


T h e , Eloquere, quid Ua?

Tr j .

Circumspicedum, numquis est


Sermonem nostrum qui aucupet.

T m e.

Tutum probe est.

T r j . Circumspice etiam.
Th e .

Nemo est, loquere~nunc jam .

T r a . Capitale factum est.


Th e .

Quid esi? non intellego.

T r j . Scelus inquam, factumst jam diu antiquom et vetus.


THE.Antiquom?
Tra.

Id adeo nos nune factum invenimus.

T u e . Quid istuc scelesti est? aut qttis id fecit? ecdo.

Tra.

Non si pu

dire

Y indegnit

che avete fatta

voi.

Teu.

Che ci?

T ra .

Fuggite per amor di Dio, scostatevi dalla caia,


venite qua, venite presso a mej avete toccata la
porta?

T e l -.

come battere senza toccarla?

T ra.

Avete ucciso? . .

T eu.

Chi?

T ra .

Tutti i vostri.

T eu.

Che Dio t affranga con questo augurio!

T ra .

Temo, che non arriviate ad espiar voi e costoro.

T eu.

Come? qual novella mi conti?

T ra .

Ma ohe! fate allontanar coloro dalla porta.

T eu.

Ritiratevi.

T ra .

Non mettete mano sulla casa! anche voi toccate


la terra.

T eu.

E che non ne esci una volta?

T ra.

Son sette mesi da che usciti un d noi da queste


mura, niuno V ha messo dentro il pi.

T eu.

Parla, e perch questo?

T ra.

Guardate intorno, se alcuno ci ascolti.

T eu.

Siam sicuri.

T ra .

Guardate ancora.

T eu.

Y nessuno, spacciati.

T ra .

Si commise un delitto da forca.

T eu.

Non intendo.
Una tal enormeiza

T ra.

qua

si

consum da

gran

tem po. . .
T eu.

Da gran tempo?

T ra.

E noi non l abbiamo scoperta che test.

T eu.

E qual questa ribalderia? chi l ha fatta? dimmelo.

T r j . H ospes necavit hospitem captum manu:

Iste, ul ego opinor, qui has libi aedis vendidit.


T h e . Necavit?
Trj.

Aurtimque eii ademil hospiti,


Eumque hic defodit hospitem ibidem in aedibus.

T h e . Quapropter id vos factum suspicamini?


T r j . Ego dicam, ausculta. Ut fo r i coenaverat

Tuos gnatus, postquam rediit a coena donum ,


Abimus omnes cubitum, condormivimus.
Lucernam forte oblitus fueram extinguei'ej
Atque iUe exclamat derepente maxumum.
T h e . Quis homo? an gnatus meus?

St, tace, ausculta m odo.

T rj.

A ii, venisse illum in somnis ad se mortuom.


T h e . Nempe ergo in somnis?

Ita : sed ausculta modo

Trj.

AU illum hoc pacto sibi dixisse mortuom . . .


T u e . In somnis?

M irum quin vigilanti diceret,

Tr j.

Qui abhinc sexaginta annis occisus foret.


Interdum inepte stultus"s. (4 5 ) Sed ecce que ille ait
Ego transmarinus hospes sum Diapontius.
H ic habito: haec m ihi dedita est habitatio.
Nam me Acheruntem recipere Orcus noluit,
Quia praemature vita careo: per fidem
Deceptus sum, hospes hic me necavit, isque me
Defodit inseptiltum clam ibidem in hisce aedibus,
Scclcstus, auri causa: nunc tu hinc emigra:
Scelestae haec aedis, impia est habitatio.
Quae hic monstra fiunt, anno vix possum eloqui.
St, stl
Tu e .

Quid, obsecro, hercle farctum est?

T ra.

Un ospite, preso per le gavigne l altro ospite


l uccise, ed ha da esser costui, io credo, che v ha
venduta la casa.
Teu. L uccise?
T ra. gli raschi i quattrini, indi lo sotterr in questa
casa.
Teu. doride lo sospettate voi?
Tra.
Ve lo dir, uditemi. Aveva il figliuol vostro una
sera cenato fuori, e dappoich Se' ritorno a noi,
noi tutti n' andammo sotto le coltrici, e dormimmo
in su la buona: per sorte sommi dimenticato spegnere
il lume; e quegli di repente manda un gran strido.
T eu.
Chi era costui? forse mio figlio?
Tra.
St, state zitto ed ascoltatemi: dice essergli venuto
quel morto in sogno.
Teu. P roprio in sogno?
T ra.
Proprio: ma attendete: dice che il morto cosi parl
a lu i
T eu.
In sogno?
T ra. * E saria un miracolo, se, ad un desto parlasse chi
basito da sessant anni fa. Io non so, ma talora mi
pizzicate un po dello scimunito. Or ecco che disse
quegli: io son Diaponzio uomo doltremare, qui sto io,
questa casa devota a me: Plutone non mha voluto
ricovrare all Acheronte, perch son morto prima del
mio tempo; fui tradito sulla buona fede: qui lospite
niuccise, in questa casa acchiocciolommi, il ribaldo,
ghiotto dell oro mio. Ora tu sgombra, scellerati son
questi muri, empia questa casa. Un anno non
basterebbe a raccontarvi tutti i portenti, che av
vengono qui. St, st!
Teu. Deh che avVenne?

T ra .

Concrepuit foris.

Hinc m e percnssil.
Gultam haud habeo sanguinisl
U vom me arcessunt ad Acheruntem mortui.
T r j . Perii/ illice hodie hanc conturbabunt fabulam.
Nimis quam formido, ne manufesto hic me opprimat.
T h e . Quid lute tecum loquere?
T ra .
Abscede ab janua.
Fuge, obsecro hercle/
T he.
Q uo fugiam? etiam tu fuge.
T ra . Nihil ego formido: pax mihi est cum mortuis.
T h e . Heus, Tranio/ . . .
Tra.
Non me adpellabis, si sapis.
Nihil ego commerui, neque istas percussi foreis.
T h e . Quaeso* quid segrex? (16) quae res te agitat, Tranio ,
Qtticum istaec loquere?
Tr j .
A n quaeso tu adpellaveras?
lia me di amabunt, mortuom illum credidi
Expostulare, quia percussissem foreis.
Sed tu etiam adstas, nec, quae dico, obtemperas?
T b e . Quid faciam?
T ra .
Cave respexit: fuge, atque operi caput.
T h e . Cur non fugis tu?
T ra.
P ax mtin est cum mortuis.
T he . Scio: quid modo igitur? cur tantopere extimuerat?
Tmj, Nil me curastis, inquam: ego mihi providero:
Tu, ut occepisti, tantum quanium quis, fuge,
Atque Herculem invocabis.
The.
Hercules, te invoco.
T k j .EI ego, tibi hodie nt det, -tenex, magnum malum.
Proh di immortales, obsecro vottram fidem,
Quid ego hodie negoti confeci, malum!
T he .

T ra.
T eu.
T ea.

T eu.
T ra.
Teu.
T ra.
T eu.
T ra.
Teu.
T ra.

Teu.
T ra.
Teu.
T ra.
T eu.
Tra

Teu.
T ra.

Crocc la porta. Di qua mi venne un colpo.


Non ho gocciola di sanguel i morti mi vogliono
vivo all'inferno.
Buona notte! oggi per costoro andr in fascio la
ragna, e costui conosciutala mi dar male pi che
penso.
Che borbogli teco?
Via dalla porta, via per carit.
dove dovr andare? fuggi anche tu.
Io non ho paura, io ho pace co morti.
Tranione . . .
Savete capo, non mi chiamerete voi: io non c en
tro, io non ho bussato a questa porla.
Deh! perch serandagio? che cosa hai nellossa, o
Tranione, quando mi conti questo?
E m avevi chiamato voi? sempre mi 'dican buono
gllddii, come credeami quel m orto cercasse me;
perch avevo percossa la porta; e ancora ve ne
state? e ancora non fate quello che vi dico?
Che devo fare?
Non vi volgere; imbaccuccatevi bene, poscia datela
a gambe.
E tu perch non te la di?
Perch ho nulla co morti.
Il so, e dianzi perch tanto capriccio?
Non vi pigliate briga de fatti miei, ci provvidero
io: come avete incominciato, menate le calcagna
pi che sapete, raccomandatevi ad Ercole.
Ercole, a te mi raccomando.
Anch io, e vecchio, perch ti dia il malanno. Oh
Dei per la fede vostra, chc ho fatto mai oggi?
sgraziato!

ACTUS III.
SCENA

I.

D j m s t J j T r a m o 3 T h e u r o p id e s .

D a n . Scelestiorem ego annum argento foenor


Numquam ullum vidi, quam hic mihi annui obtigit.
A mane ad noctem usque in foro dego diem,

Locare argenti nemini numum queo.


T ra . Nunc poi ego perii piane in perpetuom modum.

Danista adest, (17) qui amica est ernia, qui dedit.


3Ianufesla res est> nisi quid occurro prius3
Ne hoc senex resciscat: ibo huic obviam. Sed quidnam hic sese tam cito recipit domum?
Metuoj ne de hac re quidpiam indaudiverit.
Accedam, atque adpellabo: hei quam timeo miser!
Nihil est miserius, quam animus hominis consciuss
Sicut me habet: verum uluti res haec sese habet.
Pergam turbare porro: ita haec res postulat.
Unde is?
T he .
Conveni illum , unde hasce aedis e m e r a m .
TRA.Numquid dixisti de illo, quod dixi tibi?
T h e . Dixi hercle vero illi omnia.
T r j.
Vae misero mihi/
Metuo, ne technae meae perpetuo perierint.
T u e . Quid lute tecum?
Tr i.
Nthil enim: sed dic mihi,
Dixline quaeso?
T he.
D ixi, i n q u a m , ordine omnia.
T r j . E t i a m f a l c i a r d e h o spile?

ATTO III
SCENA

I.

U si'M E R E ; TEUROPIDE, T r AHIONE.

Use.

T ra.

T ec.
T ra.
T eu.
T ra.
T eu.
T ra.
T eu.
T ra.

Non ho veduto per iscrocchiar sul denaro andazzo


come questo, a che sono avvenuto io: da mattina
a sera frusto i mattoni di piazza, senza mai poter
dar via un quattrino a prestito.
Ora si che sto proprio a pollo pesto: e questa ci
mancava: l usuriere che snocciol il denaro, onde
fu compra lamica. Si scopre la ragia, sio non metto
il pi innanzi, acci il padre si resti al bujo: gli andr
incontro. Ma a che vien egli a casa cosi presto?
Ah dubito abbia sentito buccinarsi alcun che del
fatto nostro; mappresser e lo chiamer: io tremo
a verga! Nulla vha di pi misero dun animo pieno
di rimorsi, conforme il mio: ma sia come si voglia
la faccenda, io durer ad intorbidarla, perch vha
tuttora necessit: donde venite?
Da chi ho compera la casa.
E che gli avete detto di quanto v ho contalo?
Tutto.
Ahi tristo a me! ho paura che il mio paretajo uc
celli al vento.
Che vai borbogliando?
Nulla, ma ditemi gliel avete proprio dello?
Per filo e per segno.
E il fatto dell ospite?

T u r.
Imo pei'negal.
T ra . Negai?
T he .
Quam . rogitas/ dicam, ti confestus sit.
Quid nunc faciundum censes?
T ua.
Egori quid censeam?
Cape, obsecro hercule, una cum eo judicem:
Sed eum videlo ut capias, qui credat mihi.
Tam facile vinces, quam pirum vopes comesi.
D a n . Scd Philolachelis eccum servom Tranium,
Qui mihi neque foenus, neque sortem argenti danunt.
T h e . Quo te agis?
T ra .
Nec quoquam abeo. Nae ego sum mser,
Scelestus, natus dis inimicis omnibus/
Jam Ulo praesente adibit: nae ego homo sum m iser/
Ita et hinc et illinc m i exhibent negotium.
. Sed occupabo adire.
Dan.
Hic ad me it, salvos sum:
Spes est de argento. Hilarus esi. (\%)
T ra .
Frustra esi homo.
Salvere jubeo te, Misargyrides, bene.
D j n . Salve et tu: quid de argento?
T ra .
Abi, sis, belua!
Continuo adveniens pilum injecisti mihi.
D j n .H ic homo est inanis.
Tr j.
Hic homo est certe hariolus.
D a n . Quin tu istas m ittis tricas?
T ra .
Quin, quid vis cedo.
D jn . Ubi Philolaches est?
T ra .
Num quam potuisti 'mihi
Magis opportunus advenire, quam advenis.
'D a n . Quid est?

Teu.
Tra.
T eu.

L o nega.
L o nega?
E lo domandi ancora? lo direi, se 1 avesse dette:
che pensi tu fare?
Tra.
Io che pensi? fatevegli dinanzi con un giudice; ma
guardate di trovarne uno,' che metta piena fede
in me sta certo che allora vi casca egli come
la volpe alle pere.
Usu.
Oh ecco Tranione servo di Filolache, dequali due
n lun, n laltro mi sonano n frutto, n capitale.
Teu. Dove vai?
Tra. Non vado via. E non son io diserto, maledetto,
nato all ira di tutti gli dei? costui per parlarmi
se ne incacher anche del vecchio, ahi meschinello
alla vita mia! sono un ferro fra due martelli; gli
andr subito innanzi.
Usu.
E viene alla volta mia, son salvo: v ancor spe
ranza delle monete; allegro 1 uomo.
Tra. Luom succia giuggiole, ma sapran di tossico: che
ti venga- ogni bene, o Misargiride.
Usu. E ogni bene venga anche a te: e quanto al de naro? . . .
Tea. Vaitene, o bestia, non se ancor qua che m hai
sparato il cuore d una stoccata.
Usu.
arsiccio 1 uomo!
Tra. In mia f questuomo uno strolago.
Usu.
Perch tanti riboboli?
Tra. Anzi di tu quello che vuoi.
Usu.
Dov* Filolache?
T ra. Non potevi trovarmi in ora pi bella.
Usu.
Perche?

222
Concede huc.
T ra .
Quin m ihi argentum redditur?
Dan.
T ra. Scio te bona esse voce, ne clama nimis.
D a n . Ego hercle vero clamo.
Ali, gere morem mihi.
T ra .
D a n . Quid tibi ego morem vis gerani?
T ra .
Abi quaeso hinc domum ,
D a n . Abeam?
T ra .
Redilo huc circiter meridiem
DAN.Reddeturne igitur foenus?
T ra .
, Reddetur. (19) Abi.
D a n . Quid ego huc recursent, aut operam sumam, aut
conteram?
Quid, si hic manebo potius ad meridiem?
T ra . Im o abi domum: verum hercle dico: abi modo.
D an . Quin vos mihi foenus danite: quid nugamini?
T ra . Eh hercle. Nae tu abi modo: ausculta mihi.
DAN.Jam, hercle, ego illune nominabo.
T ra .
Euge strenue!
Beatus vero es nunc, quom clamas.
D an.
Mcum peto.
Multos me hoc pacto ja m dies frustramini.
Molestus si sum, reddite argentum; abiero.
Responsiones omnes hoc verbo eripit.
T ra . Sortem accipe.
D an.
Im o foenus: id primum volo.
T r i . Quid? tu ted, homo hominum omnium teterrume,
Venisti huc te extentatum? agas, quod in manu
est?
Non dat, non debet.
Da s.
Non debet?

Tea.
Usu.
Tra.
Usu.
Tra.
Usu.
T ra.
Usu.
T ra.
Usu.
Tra.
Usu.

Tra.
Usu.
Tra.
Usu.
Tra.
Usu.

Tra.
Usu.
T ra

Usu.

Vien qua.
Perch non mi si contano i quattrini?
Il so che se forte nella voce, non alzarla.
Anzi a bella posta vo gridare.
Ah! fa a modo mio.
che vuoi eh io faccia a modo tuo?
Vattene a casa.
Andarmene?
Torna a mezzod.
vi saranno i frutti?
Saranno. Vattene.
E perch dovr tornar di nuovo, o bene o mal che
ne venga? e perch non aspetter qua piuttosto il
mezzod?
Va anzi a casa; te Io dico proprio di tutto senno,
vattene.
perch mi si stenta 1 usura? perch mi tenete
cos a loggia voi?
Oh per Dio! vattene, fa una volta a modo mio*
Or io lo strombetto qui in piazza.
Evviva, tu gongoli, quando ti sbrachi gridando.
Chiedo il mio, gi un pezzo che eon queste baje
mi mandate d oggi in domani voi: se vi son di
carico, qua 1 argento, e vado via a rotta: con
questa parola egli fa il becco all oca.
Prendi il capitale.
Anzi i (rutti, questi voglio prima.
E che? se qua forse, o mariuolaccio, venuto per
distender la pelle? va, fa valere le tue ragioni: ci
non te li d^, non te ne deve.
Non me ne deve?

224
T ra.

'

Ne grtj quidcm.

D . Ferri hoc polest? (20)


Polest.
Tr j . '
A in? A n quo abiil foras?
Dan.
TRJ.Urbem exsul iquil aclus hinc causa tui*
Quin sortem pothis reddebil.
Quin non peto.
Dj s .
Cedo foetius/ redde f oenus! f oenus reddite/
Daturiri estis foentis actutum mihi!
Date mihi foenus!
Foenus illic, foentis hic/
T mj.
Nescii quidem nisi foenus fabulatier
Veterator: neque ego tetriorem beluam
Fidisse me umquam quemquam* quam te* censeo.
D j n . Non edepol nunc me tu istis verbis territas.
T mj. Molestus ne sis* nemo dat* age quid lubet.
Tu sohisj credo* foenore argentum datas.
T he . Calidum hoc est: etsi procul obesi* urii male. (2 iJ
Quod Ulud est foenus* obsecro* quod illic pelil?
T mj. Paler* eccum* advenit peregre non mullo prius
Illius* is tibi et foenus et sortem dabit.
Ne inconciliare quid nos porro postules.
Fide num moratur* quin feras.
Djn .
S i quid dalur.
T he . Quid ais tu?
T mj.
Quid vis?
Tu e .
Qtiis illic est? quid illic petii?
Quid Philolachelem gnatum compellat (22) meum
Sic* et presenti libi facit convicium?
Quid illi debetur?
Tr j .
Obsecro* jube objici
Argentum huic ob os impurae beluae.

T ra.
Usu.
Tra.
Usu.
T ua.
Usu.

Tra.

Usu.
Tra.

Teu.

Tra.

Usu.
Teu.
Tra.
Tec.

T ra.

Nf un fuscelloMa se ne pu sentire?
Se ne pu.
Che di? Se 1 ha forse cavata egli?
Per cagion tua ha dato un piantone alla citt. Sta
certo eh ci ti pagher il capitale.
Ma se questo non voglio io. Qua l usura, dammi
l ' usura, datemi l usura, volete darmi questa m aladetta usura? datemela adunque.
Usura qua, usura l, altro questa volpaccia non
ha in bocca che usura; non ho mai veduta, dap
poich ho vita addosso, carogna pi schifosa di te.
Oh! non mi spaventano queste spampanate.
Perch non ci arrechi altra noja, qua nort v
cassiere: fa come ti grilla: avvis che tu sia il
solo che d il denaro a ritrangolo.
Q^a v fuoco, e sebben sia lontano, pure mi
scotta. Che usura cerca colui ?
Ecco, non guari, eh arriv suo padre: egli ti
dar frutto e capitale; non incaponire, se non ci
vuoi avversi: vedi? egli si ferma, per non U*
sciarti ire a. mani vuote.
Se pur me ne dar.
Che hai tu?
Che volete?
Chi colui? che cerca? perch 1 ha cotanto con
mio figlio Filolachp, per dirgli in faccia tua tante
villanie, quante ad un asino? che gli si deve?
Deh fatemi un favore, comandate che a questo-corbacchionc si butti il denaro sul grugno.
Yoi. I. Plau.

22G
T he .J ubeant?
T ra .
Jube hom ini argento os verberarier.
D a n . Perfacile ego ictus perpetior argenteos.
T h e . Quod illud argentum est?
T ra .
JIuiic debet Philolaches . . .
D a n . Paullum.
T h e.
Quantillum?
T ra . Quasi quadraginta minas.
D a h . Ne sane id multum censeas: paullum id quidem
est.
T r a . A udiri? videtume, obsecro hercle, idoneus,
Danista qui sit? genus quod improbissumum est?
T h e .N on nunc ego istuc curo, qui sit, unde sit:
Id volo mihi dici, id me scire expeto.
Adeo etiam argenti foenus creditum audio.
TxA.Quatuor quadraginta illi debentur minae.
Dic te daturum, ut abeat.
T he.
Egori dicam dare?
T mj. Dic.
T he .
Egone?
T ra .
T u ipsus dic modo, ausculta m ihi.
. Promitte.' age, inquam, ego jubeo.
The.
Responde mihi;
Quid eo est argento factum?
T ra .
Salvom est.
The.
*- S o kito
Vosm tl igitur, si salvom est.
T ra . ,
_
Aedis filius
Tuos emit.
Th e .
Aedis?
T mj ,
Aedis.

Teu.
Tra.
Usu.
Teu.
Tra.
Usu.
Teu.
Tra.
Usu.
Tra.
Usu.

Tra.

Teu.
Tra.
Teu.
Tra.
Tec.
Tra.
T eu.
Tra.
Teu.
Tra.

I o?
Si: voi fategli dar sul muso l'argento.
E gli sopporto volentieri questi sgrugnoni.
Che denaro questo?
A costui deve Filolache . . .
Poco.
Quanto?
Quasi quaranta mine.
E perch voi non v' appigliate male, questa pro
prio una miseria.
Il sentite voi? e non vi pare un santone questo
capestro di barattiere?
Ci non cerco io, n chi, n donde sia, voglio che
mi sia detto questo, e questo voglio sapere., dap
poich sento io tanto, eh egli vJja prestato ad
usura.
Gli si devono quarantaquattro inine, dategli parola
gliele darete voi, acci se ne vada col suo ma
lanno.
I o dir dargliele?
Voi.
I o?
Voi, voi diteglielo, voi: ubbiditemi, prometteteglie
le, fate presto, lo voglio io.
Rispondimi: e che n avete fatto voi altri di quel
denaro?
salvo.
Sborsateglielo voi, se salvo.
Vostro figlio comper una casa.
Una casa?
Una casa. ,

228
Euge, Pliilolaehet
Patrissat: jam homo in mercatura vortilurf
Ain' tu, aedis?
Tr j.
Aedis, inquam: sed sctn' quojusmodi?
T u e . Qui scire possum?
T ra .
Vah/
T u e.
Quid est?
T ra .
Ne me roga.
TuE.Nam quid ita?
T ra .
Speculo claras, clarorem mertim.
T ue .Bene hercle factum: quid? eas quanti destinai?
T ra . Talentis magnis tolidem, quol ego et tu sumus.
Sed arrhaboni illas quadraginta minas
Hinc sumsit, quas debemus. Satin intellegis?
Nam postqugm haece aedes ita erant, ut dixi libiM
Continuo est alias aedis mercalus sibi.
T u e . Bene hercle facium.
D jy .
Heus, ja m adpetit meridies.
T ra . Absolve hunc, quaeso, vomitu, ne hic nos enicet.
Quatuor quadraginta illi debentur minae,
Et sors et foenus.
T)Ait.
Tantum est: nihilo plus peto.
T r j . Velim quidem hercle, ut uno numo plus petas.
T h e . Adulescens, mecum rem habe.
D js.
Nempe abs te petam.
T ue . Pelilo cras.
D jif.
Abeoj sat habeo, si cras fero.
T ba . Malum quod isti di deaeqtie omnes duint.
lia mea consilia perturbat pentssume.
Nullum edepol hodie genus est hominum tetrius,
Nec minus bono cum jure, quam danisticum.
Tue.

T ed.
T ra.
Teu.
T ra.
T eu.
Tra.
Teu.
T ra.
Teu.
Tra.

Evviva, Filolache padreggia, gi comincia a mer


canteggiar 1 uomo! che mi racconti? una casa?
Ujaa casa vi ripeto, ma sapete come sia?
Come posso saperlo?
Vah!
Che cos hai?
Non domandatemelo.
E che vuoi dirmi?
E un vero specchio di casa, piena di luce.
Benissimo! a quanto?
Per tanti talenti grossi, quanti siamo io e voi in
novero: ma tolse in caparra quelle quaranta mine,
di che noi siamo debitori. Avete inteso? perch
quando questa casa venne, come vho detto,tosto
egli fe mercato dun altra.

T eu.

Benone.

Usu.
Tra.

Ohe, gi mezzod
Liberatelo una volta dal vomito Costui, acci non
ci ammorbi davvantaggio: gli si deggiono qua
rantaquattro mine in tutto, baroccolo e capitale.
E tanto, e non voglio altro.
Eppur vorrei, che tu cercassi uno scudo d pi.
Buon uomo, avrai a far meco.
Cio, il mio credito con te?
Torna domani.
Vado, e m aceontento, se la riescir al solo do
mani.
O Giove, fallo tristo dell ossa e delle carni: cosi
costui guasta le mie tagliuole; oggi giorno non
v ha razza pi sordida e m isleale.dell usuriera.
*

Usu.
Tra.
Tra.
Usu.
Teu.
Usu.
T ra.

The. Qua in regione istat aedit emit filitis?


T ra . Ecce autem periil
Th e. .
Dicisne hoc* quod te rogo?
T ra .D icam: sed nomen dom ini quaero quid siet.
T h e . Age* comminiscere ergo.
Tr j .
Quid ego nunc agam*
Nisi* ut in vicinum hunc proxumum mendacium?
Eas emisse aedis hujus dicam filiumr
Calidum hercle audivi esse oplumum mendacium.
Quidquid dei dicunt* id decretum est dicere.
T h e . Quid igitur? ja m commentus?
Trj.
D i istum perduintl
Imo istunc potius: de vicino hoc proxumo
Tuos emit aedis filius.
T he.
Bonari fide?
T r j . Siquidem es argentum redditurus* tum bona:
S i redditurus non es* non em t bona.
T h e . Non in loco emit perbono has.
Tr j .
Imo optumo.
T h e . Cupio hercle inspicere has aedis: pultadum foris*
Atque evocato aliquem intus ad te* Tranio.
TRJ.Ecce autem iterum nunc quid ego dicam* nescios
Iterum ja m ad unum saxum me fluctus ferunt.
Quid nunc? non hercle* quid nunc faciam * reperio:
Manufcsto teneor.
Tme.
Evocandum aliquem f o r a s :
Roga* circumducat. Heus tu/
Tr j .
A t hic sunt mulieres:
Videndum est primum* utrum epe velintne* an non
velint.
T he . Bonum aequomque oras: percontaredum et roga.
Ego hic tantisper* dum exis, te opperiar foris.

T ec.

T ra.
T eu.
Tra.
Teu.
T ra.

T ec.

Tra.

Teu.
Tra.
Teu.
Tra.
Teu.
Tra.

Teu.
Tra.
Teu.

In qual contrada comper questa casa mio figliot


Eccomi di nuovo nell embrice.
Mi rispondi adunque?
Ve lo dir; sto ringangherando il nome del vcn
dilore.
Fattelo risovvenire.
Dove far cader la mia trappola, se non addosso
a questo nostro vicino? dir eh il figlio ha com
perata la casa di costui. E proverbio vecchio, ch'il
pi caldo partito sempre il migliore: io son gi
chiaro di dir quello, che mi dicono gli Dei.
E che? non te lo seancora rammemorato?
Venga il fistolo all usuriere, anzi piuttosto a
questo vecchio. Vostro figlio ha comperata la
casa di questo vicino.
Sulla buona fede?
Sulla buona, se voi gli date il resto, se no, al contrario.
La posizione non delle migliori.
Anzi bellissima.
Voglio vederla questa casa: bussa la porta, chia
ma alcuno a te che vcftga fuori, o Tranione.
Eccoci ritornati nel pecoreccio di non saper che
soggiungere, eccoci- di nuovo fra luscio e il muroi
che far ora? per quanto stia abbacando, non
ritrovo nulla, e son colto sul fatto,
E -s ha pur da chiamar fuori qualcuno, chc ce la
faccia vedere. Ohe sesordo?
Qua dentro v ha femmine, e n prima d uopo
vedere, se loro garba o no.
Oh gran dassajzza eh la tua! va, chiedi, prega,
io sto qua fuori finch tu n esca.

T r j .D i te deaeque otnnei funditus perdant ,

te n e r:

Ita mea consiiia undique oppugnas mala.


Euge, optume, eccum dominus aedium foras
Simo progreditur ipsus: Uve concessero,
Dum mihi senatum consilii in cor convoco,
lgilur tum accedam hunc, quando quid agam in~
venero
SCENA

II.

S ib o , T i i e v r o p i d e s , T r a n i o .
S ia . Melius anno hoc mihi non fuit domi,
Nec quidem esca una me juverit (23) magit.
. Prandium uxor mihi perbonum dedit.
Nunc dormitum jubet me ire: minumel
Non mihi forte visum eloco fuit,
Jlielius quom prandium, quam solum, dedil:~(2i)
Voluit in cubiculum abducere med anus.
Non bonus somnus est de prandio: apage/
Clanculum ex aedibus me edidi foras.
Tota turget mihi uxor nunc, scio, domi.
T r a . R es p a r a t a est m a l a i n v e s p e n t m h u ic seni.

Nam et coenandum et cubandum intus est male.


S im . Quom magis cogito cum meo animo (2S)j
S i quis dotatam habet, neminem sopor
Sollicitat. Ire dormitum mihi odio est:
Exsequi certa res est, ut ego abeam
Potius hinc ad forum, quam domi cubem.
Atque pol nescio, ut moribus sient
Vostraej haec, sat scio, quam me^habeat male:
Pejus posthac fore, quam fuit mihi.

Dio ti mandi un canchero e tutti i malanni, o


vecchio, che da ogni lato disfai i miei gom itoli Va
bene, ecco il padron di casa lo stesso Simone
vien fuori: mi tirer da questa banda, alchimieronimi il petto, e quando avr distillata qual cosa,
me gli far davanti.
SCENA

II.

SlMOJiE, T e GROPIDK, TRAS IONE.

S im.

T ra.
S im.

Meglio di quest anno non sono mai stato in casa


mia, n mai il mangiare m and pi in sangue:
oggi mia moglie m ha dato un desinar da prin
cipe; ma ora la vuole che vada a coricarmi, oib!
Nulla mi parve pi giocondo del pranzo che mha
fatto. Volle la vecchia condurmi ella stessa in ca
mera: ma vattene, le dissi: il dormir sopra pasto
non sano; e cheto cheto me la sono svignata:
or per so bene che in casa mia moglie la sar
tutta in gote.
Stasera avrai pur la cattiva tresca, o vecchio mio:
cena e letto sar tutto dispetto.
Allorchio mi fo a pensare al fatto di colui, che ha
la moglie ben fornita della dote, veggo sempre
pi che la casa di quel povero uomo la casa della
veglia; quivi il sonno tenuto una disonest. Ma io
l Iio gi fatto il mio conto, vo andarmene piutto
sto in piazza, che a dormire nelle coltrici di casa
mia. Io non conosco le vostre donne, ma questo so
ben io, che se la mia addesso mi d un diavolo,
nello avvenire me ne dar cento.

T r j .S i abUus tuo tibi* tener* fecerit male*

Nihil erit, quod deorum ullum adcusites:


Te ipse jure optumo merito incuses licet.
Tempus nunc est* senem hunc adloqui* mihi.
Ifoc habet! reper* qui senem ducercm:
Quo dolo a me dolorem procul pellerem.
Accedam: di te ament plurimum* Simo.
S i m . Salvos sis* Tranio.
Tr j.
Ut vales?
S im .
Non male.
Quid agis?
Tr j.
Hominem optimum teneo.
S im .
Amice facis*
Quom me laudas.
Tr j .
Decet certe.
S im .
Hercle at ted ego
Haud bonum teneo senom.
The.
Heja* mastigia* ad
Me redi (26)
Tr j .
Jam isti ero.
T h e.
Quin nunc? quam mox?
S im .
Quid est?
T r j . Quod solet fieri.
S im .
Dic quid est* sed loquar:
Sic decet: ut homines sunl* ita morem geras:
Vita quam sit brevis* cogitans simitu.
T r j . Quid? ehem* vix tandem
Percepi super his rebus nostris te loqui.
S im . Musice* hercle agilis aetatem* ita ut vos decet:
Vino* victu* piscatu probo* electili
Vitam colitis.

Tea.

Sin.
T ra.

Sin.
T ra.

Sm.
T ra.

Sin.

Se questa tua andata, vecchietto mio, ti sapr


d' amaro, male affibberesti a Dio la ^colpa; tutto
tuo il fallo. Ma tempo eh io gli parli, c ,
lho colta, lho trovato il modo di girar questo vec
chio per levarmi il malanno di dosso; mi far pi
vicino, o Simone, che via sia largo Iddio di ogni
bene.
E sia largo anche a te, Tranione,
Come va?
Non male: che fai.
Che fo? ora stringo la mano alla cima degli
uomini.
Mi fai cosa d amico lodandomi.
Egli giusto.
E giusto sia: ma io non stringo la cima dei
servi.

T ec.

0 l manigoldo, to rn a a me.

T ra.

A momenti.

T ec.

Sm.

Perch non adesso? perch dopo?


Chc questo?

T ra.

Il solito.

Sin.

Ma dimmi una volta che diamine sia questo solito:


ma te lo dir io: e sha da far cosi: come son
fatti gli uomini, tu va loro a versi; pensando ad
un tempo che la nostra vita un vento.
Ah! ah! una volta che mi sono accorto! voi legge
te sul nostro libro.
Voi siete in mezzo a* suoni, come da voi; buon
vino, buona- carne, buon pesce, i boccon migliori

T ra.

Sim.

sono sempre i vostri.

Tra.

Im o vita antidhac ei'af:

Nunc nobis omnia haec exciderunt simul


Sur. Quidum?
Tra.
Ila oppido occidimus omnis, Simo.
S in . Non taces? prospere vobis cuncta usque adhuc
Processertinl.
Tra.
Ila ut dicis, facta haud nego:
Nos profecto probe, ut voluimus, viximus:
Sed, Simo, ita nunc ventus navem
Desemit . . .
S im .
Quid est? quomodo?
Tr a .
Pessumo.
S is . Quae ne subducta erat in terra?
T r a . Hei/
S im .
Quid est?
Tra.
Me miserum , occidi/
Sur.
Qui?
T ra.
Quia
Fenit navis, nostrae navi quae frangat ratem.
S im . Fellem (27J ut velles, Tranio, sed quid est negoti9
Eloquere.
Tra.
Eloquar: herus peregre venit.
S im .
Tum tibi.
Chorda tenditur: inde in ferriterium,
Postea recta in crucem.
Tr a .
Nunc te ego per genua
Obsecroj ne hero indicium facias meo.
S im .N e metuas, nihil sciet e me
T ra .
Patrone,
Salve.
S im . Nil moror mihi isliusmodi clientis.
T ra . Nunc hoc quod ad te noster me misit senex . . .

Tra.

Cos la fu proprio una volta: m a adesso la cuc


cagna finita.

Si.

Come?
Siam tutti rovinati* Simone!

T ra.
Sin.

non taci? e non v sinora


dalle calcagna?

T ra.

la fu come dite

voi;

colato gi 1 unto

noi ce la siam proprio

sguazzata* finch abbiamo voluto: ma* o Simone*


quel vento* che s ben soffiavaci in poppa* cambi
faccia.

Sm.
Tra.

Che di mai? in che modo?


Bruttissimo.

Sm.

Quella nave c h 'e ra si ben ferm a a terra?

T ra.

Ahim!

Sm.

Che t avvenne?

T ra.

T risto a me! son disfatto!

Sm.

Come?

T ra.

Perch viene u n a nave* che conquassa tu tta la


nostra.

Sul

Vorrei quello che tu pi vuoi* o Tranione: ma


qual faccenda questa? parla.

T ra.
Sul

Parler: arrivato il padrone.


Or ti si fila la corda; quindi dopo eh avrai lo g o re

Tra.

le bove* il caso tuo finir in croce.


Deh per le vostre ginocchia* mi vi raccomando*
non fatene m otto al padrone.

Sm.
Tra.

Sm.
Tra.

Per me* sta pur tranquillo* non sapr nulla.


Salve* mio protettore.
Mi cal poco di questi clienti.
Ora intorno a quello per cui mi mand a voi il
nostro vecchio . .

S im . Hoc mihi responde primum, quod ego te rogo:

Jam de istis rebus voster quid sensit senex?


T r j . Nihil quidquam.
S im .
Numquid increpavit filium?
T r j . Tam liquidus est, quam liquida esse tempestas

solet.
Nunc te hoc orare jussit opere m axum o,
Ut sibi liceret inspicere has aedis luas.
S im . Non sunt venales.
Trj.
Scio equidem isluc: sed senex
Gynaeceum aedificare volt hic in suis,
Et balineas et ambulacrum et porticum.
S im . Quid consomniavit?
Tr j.
Ego dicam tibi.
Dare volt uxorem filio, quantum potest:
A d eam rem facere volt ginaeceum novom.
Nam sibi laudasse hasce ait architectonem
Nescio quem, esse aedificatas has sane bene.
Nunc hinc exemplum . . . capere volt: nisi tu nevis.
S im . Nae ille malo quidem ab opere exemplum petit.
T r j . Quia hic audivit esse aestatem perbonam:
Subdiu coli absque sole (28) perpetuom diem.
S im . Imo edepol vero, cum usquequaque umhra est,
tamen
Sol semper hic est usque a m ani ad vesperum,
Quasi flagitator adstat usque ad ostium.
Nec mihi umbra usquam est, nisi si in puteo quae
piam est.
T r j . Quid, Sarsinatis ecqua est? si Umbram non habes?
S ia . Molestus ne sis: haec sunt sicut praedico.
T r j . A ttam en inspicere volt.

Rispondimi prima a quello che ti cerco: non ha.


per anco il vecchio avuto alcun sentore del fatto
vostro?
T ra.
Niente affatto.
Sin.
Non di alcun rabuffo al figlio?
T ra.
Egli ha la calma della tempesta in corpo. Or quegli
mi ordin avessivi a far le pi grandi preghiere,
acci gli concediate lagio, veder questa casa vostra.
Non da vendere.
Sm.
Sapevalo: ma il mio vecchio vuol nella sua fab
T ra.
bricare gineceo, bagno, loggia, e portico.
Si .
Che gli venne in capo?
T ra.
Ve lo dir: ha una voglia marcia in corpo di dar
moglie di figlio pi presto che pu, e per questo vuol
far egli un nuovo gineceo: ma siccome dice che
un architetto, chio non conosco, gli ha vantata
questa casa, come fatta assai bene, cosi egli da essa,
ove voi non gliene siate contrario, vuol trarre U
disegno per la sua . . .
Ei viene a prender disegno da una stamberga.
Si
Avendo udito chc qui l estate si passa assai bene,
T ra.
stando sempre allaperta tutto il giorno senza mo
lestia di sole.
Anzi al contrario, ch quando v ombra dapper
Si.
tutto qua v sole, e ci sta da mane a sera,
come st un, creditore sopra la porta: n io ho
altra ombra fuorch quel micolino, che posso avere
nel pozzo.
E forse saria ella di Sarsina, se non dell Umbra?
T ra.
Si.
Non mi seccare; la come t ho detto.
Tr i . Ma pure vuol vederla.

240
S im .

Inspiciat, si lubet.
S i quid erit, quod illi placeat, de exempto meo
Ipse aedificalo.
Eon? voco huc hominem?
T ra .
Voca.
S im .
T r j . A lexandrum m agnum , atqne Agathoclem ajnnt ma*
xumas
Duo res gessisse: quid mihi fiet tertio,
Qui solus facio facinora immortalia?
Vehit hic clitellaSj vehit hic autem alter senex.
Nv&ium mihi quaestum institui non malum!
Nam muliones mulos clitellarios
Habent, ego habeo homines clitellarios.
Magni sunt oneris: quidquid imponas, vehunt.
Nunc hunc haud scio an colloquar: congredibor.
Heus, Theuropides.
Tb e .
Hem, quis me nominat?
T r j . Hero servos multum fidelis suo.
Quo me miseras, adfero omne impetratum.
T h e . Quid Mie, obsecro, tam diu restitisti?
T r j . Seni non otium erat, id sum opperitus.
Tsu-Anliquom hoc obtines tuom, tardus ut sis.
T r j . Heus tu, si voles verbum hoc cogitare,
Simut flare sorbereque haud facile factu est.
Ego hic esse et illic simul haud potui.
T b e . Quid nunc?
Tr j.
Vise: speda tuo arbitratu.
T he . Age, duc me.
Tr j.
Non moror.
T be.
Subsequor te.
T r j . Senex ipse te ante ostium eccum opperitur.
Sed is moesiut est, se hoste vendidisse . . .

Si*.
T ra.

Si M.
T ra:

T ec.
T ra.

Che la vegga: se gli garba, e se v avr del mio


qualcosa che gli piaccia, se ne serva a modello..
Ho dunque da chiamarlo?
Chiamalo.
Raccontano che il grande Alessandro ed Agatocle
sieno i due, che abbiano operate gran cose: ma
che si far di me, che sono il terzo, e che do me
solo faccio miracoli! someggia questo vecchio, e
someggia pure quest altro; cagna! non ho trovato
il brutt mestiere! perch se i mulattieri usano i
muli per someggiare, io a questo scrvomi degli
uomini, e, Tranione mio, pesa non poco quello che
tu carichi, eppure lo portano: adesso non so se
gli debba parlare: mi far innanzi, ehi, Tcuropide.
Chi mi vuole?

Un servo tutto fedelt pel padrone: v arreco com


piuto quello per cui voi m avevi mandalo.

T eu.

E perch hai tardato cotanto?

T ra.

Il vecchio non avea tempo, ed ho aspettato.


Hai sempre nell ossa quel mal vezzo d essere
bergolo.

T eu.
T ra.

T eu.
T ra.
T eu.
T ra.
T eu.
T ra.

Non sapete voi quel proverbio: cantare e bere iu


u n sol tratto , ad alcun non esser fatto? per que sto stesso io non poteva esser qui e la io.
E che hai conchiuso?

Guardate, contemplate a vostro agio.


Orbe dunque conducimi.
Subito.
Ti vengo dietro.
Lo stesso vecchio v aspetta sopra la porta, ma
tu tto oprucciato p er aver venduta questa c a s a . .
V ol\ I. Pl.vt.
46

242
T h e . Quid tandem?
T ra .
Orai ut m adeam Philolachi,
Ut istas remittat sibi,

T he .
Haud opinor.
Sibi quisque ru ri metit: si male emtae
Forent* nobis istas redhibere haud liceret.
L u cri quidquid est, id domum trahere oportet,
T ra .M isericordias tamen habere hominem oportet.
T h e .M orare hercle* dum facis verba.
T a .
Sequere,
TBE.Fiat.
T ra .
Do tibi ego operam,
Senex illic est: hem! adduxi libi hominem.
S im . Salvom te advenisse peregre gaudeo, Theuropides,
T h e .D i te ament.
S im .
Inspicere hic aedts te has velle ajebal m ihi,
T h e .N isi tibi est incom modum .
S im .
Im o commodum: i intro, alque inspice,
T ra . A t entm mulieres . . .
S im .
Cave tu ullam jloccifaxis mulierem,
Qualibet perambula aedis oppido tamquam tuas.
T he . Tamquam?
T ra .
A h! cave tu illi objectes nunc in aegritudine,
Te has emisse: non tu vides hunc, voUu ut tristi
est senex?
TBE.Video.
T ra .
Ergo inridere ne videare, et gestire admodum .
Noli facere mentionem te has emisse.
The.
Intellego,
Et bene m onitum duco: atque te existumo hum ani
ingeni.
Quid nunc?

Teo.
Tra.

E che si vuole?
Mi si stringe sem pre a fianchi, acci faccia in
modo io, che Filolache annulli la compera.

Teu.

Io

sto pel no: ognuno miete nel suo: se fosse il


contralto in iscapito nostro, non vi sarebbe diavolo,

T ra.
T eu.

sempre bene far masserizia in casa.


Ma p u r bisogna aver compassione all uomo.
T u m annoi con queste chiacchere.

T ra.
T eu.
Tra.

Seguitemi.
Andiamo.
I o v ajuto: il vecchio l: ohe ecco 1 uomo.

Sin.

Addio, Teuropide, mi rallegro del tuo ritorno.


Viva.

che ce Io facesse disfare: qualunque sia il lucro,

Teu.
Sin.
Teu.

Costui diceami che avevi voglia veder questa casa.


Se non t incom noda.

Sul

Niente affatto: va p u r dentro, e guarda.

T ra.

Ma le donne .

Sin.

GuarJa dallo stimarlo un bioccolo: del resto poi


girala come tua.

Teu.
Tra.

Come mia?
Ohe! badate dal ricordargli in tal suo cordoglio,
che voi avete com pera questa casa.- non vedete
come aggrottato egli?

Teu.
T ra.

Me ne accorgo.
Non m ostratevi adunque n burlevole di troppo,
n troppo contento, e molto meno poi fategli
m enzione del vostro acquisto:

Teu.

H o inteso, e ne far capitale: vedo proprio che tu


se il pi trincato uomo del mondo: chc facciam
noi dunque?

S ia .
Quin tu is intro, atque otiose perspectas, ut lubet?
T u e . Bene benigneque arbitror te facere.
S ia .
Factum edepol volo.
T ra . Fiden' vestibulum ante aedis hoc? et ambulacrum
qxiojttsmodi?
T h e . Luculentum edepol profecto.
T ra .
Age specta, postis quojusmodi!
. Quanta firmitate facti, et quanta crassitudine!
T h e . Non videor vidisse postis pulchriores
S ia .
Pol mihi
Eo pretio emti fuerant olim.
T ra .
Audiri Fuerant dicere?
Fix videtur continere lacrumas.
T he.
Quanti hosce emeras?
S ia . Tris m inas pro istis duobus, praeter vecturam, dedi.
T h e .H ercle quin multum improbiores sunt quam a pri
mo credidi.
T r a . Quapropter?
The.
Quia edepol ambo ab infumo tarmes secat.
T ra .Intempestivos excisos, credo, id eis vilium nocet.
Atque etiam nunc salis boni sunt, ,si sint inducti pice.
Non enim haec pultiphagus opifex opera fecit barbarus.
Fiden coagmenta in forjbus?
The.
Fideo.
T ra .
Specta, quam arcte dormiunt!
T h e . Dormiunt?
T ra .
Illud quidem, ut connivent, volui dicere.
S atin habes?
T h e.
Ut quidquid magis contemplor, tanto magis placet.
T ra . Fidenpiclum, ubi ludificatur cornix una volturios duo?
Cornix adstatj ea volturios duo vicissim vellicat.

T ra.
Tec.
Sui.
T ra.
T eu.

E che tu non vai de A ro c non guardi a tuo


beli agio?
I o credo m i faccia tu la gran cortesia.
E voglio ti sia fatta.
Ve, come son quest andito e questo cortile?
Proprio bellissimo.

T ra.

Venite qua, guardate queste imposte, come son


ben commesse, come son m ateriali.

T eu.

Parmi non averne vedute di meglio.


E si per Dio, mi costarono una volta . . .
Il sentite voi? e mi costarono fa forza alle
lagrime !
Per quanto l hai avute?

Sm.
T ra.
T eu.
S in.
Teu.

P er tre mine,- oltre il nolito.


Potenzintcrra! son m agagnate pi che non credea
a prim a vista.

T ra.

Perch?
Per Dio! son tutte cariose al fondo.
Sar pel lgno tagliato anzi stagione, e questo nuoce;
ma si ristabiliranno impegolandole: chi le ha fatte
non fu un barbaro polentone: badate a questa
commessure nelle imposte.
Le veggo.
Guardate come dormon forte.
Dormono!
Cio come combaciano, Voleva dire: vi basta?
E a te? quanto pi guardo questa casa pel sottile,
tanto pi la mi piace?
Vedete voi l quel dipinto? vedete voi, come una
cornacchia d 1 erba trastulla a due avoltoi? v
una cornacchia, e questa becca or luno or laltro

Teu.
T ra.

Te .
T ra.
T eu.

T ra.
Teu.
T ra.

Quaeso huc ad me tpecla, cornicem ut conspicere


possies.
Jam vides?
The.
. Profecto nullam equidem illic cornicem
intuor.
T ra . A i tu isto ad vos obtuere* quoniam cornicem nequis
Conspicari* si volturios forte possis contui
Jam vides?
Th e.
N on edepol video.
T ea .
At ego volturios duos.
T he . Omnino ut te absolvam, nullam pictam conspicio
hic avem.
T r a . Age jam mitto* ignosco: aetate non quis obtuerier.
T h e . Haec quae possum* ea mihi profecto cuncta vehe
menter placent.
S im . Latius demum est operae pretium ivisse.
Tre.
Recte edepol mones.
S im . Eho istum* puer* circumduce hasce aedis, et conclavia.
Nam egomet ductarem* nisi mihi esset ad forum
negotium.
T he . Apage istum a me perductorem* nihil moror ductarier.
Quidquid est errabo potius* quam perductet quispiam.
S im . Aedis dico.
T h %.
Ergo intro eo sine perductore.
S im .
I, licet.
T h e . Ibo intro igitur.
T ra .
Mane3 sis: videam ne canis . . . (S9J
T h e.
Agedumt vide.
T ra . Est.
T ax.

U bi u t ?

degli avoltoj. Deh venite qua, se volete vederla, 1A


comprendeste voi?
T eu.

Ade che non iscerno cornacchia di sorta.

T ra.

Ma -venite da questa banda, guardatevi in facct


tuttadue, che se non la cornacchia, vedrete almend
gli avoltoj. Non li vedete?

Teu.

I o non veggo nulla.

T ra.

Ed io due avoltoj.

T eu.

Per isbrigarti, qua io non veggo pinto alcun uc


cello.

T ra.

Or bene, io vi lascio e vi perdono: le molte pri


mavere v hanno accortata la vista.
Ma per quello che posso vedere, tutto mi* piace 8
ad assai.
Ma per veder meglio, saria mestieri, che tu an*
dassi dentro.
Egregiamente, afle di Dio che assai buon Consiglia
il tuo.
Ehi, putto, conduci in casa e per le camere co
stui: verrei io, se non dovessi andare in piazza.

T ec.

Si.
T eu.

Sui.
T eu.

Fallo andar via, non so che farne di guidajuola:


sia che si voglia, perder la tram ontana piuttosto!
che alcuno mi meni.

Sin.

Ma io mintendo in casa.

T eu.

V o-adunque senza guida7

Si.
T eu.

Va pure.
Andr adunque.

T ra.
T ec.

Aspettate, vedr se la cagna . . .


Presto adunque, guarda.

T ra.
T ec.

qua.
E dote?

Abi dierecta: st! abirihinc in malam crucem?


A t etiam restas? st! abi istinc.
S im .
Nihil pericli est* age modo.
Tam placida est* quam foeta: (30) quavis, ire intro
audacter licet.
Eo ego hinc ad forum.
Th e.
Fecisti commode* bene ambula.
Tranio agecanem istam <t foribus initis abducas face.
Etsi non metuenda est.
Tr j.
Quin tu illam adspice* ut placide adcubal!
Nisi molestum vis videri te, atque ignavom . . .
T he .
Jam ut lubet.
T r j . Sequere hac igitur.
T h e.
Equidem haud usquam a pedibus abscedam tuis.
Tra.

Vanne al diavolo: st, e non vai ancora a fiaccacollo? e non ti vuoi muovere? st, va via.
Sim.
Non v pericolo: va pur dentro: ella quieta chc
par gravida: va pur dentro, dove tu vuoi, senza
- paura: io me la corro in piazza.
T eu.
Grazie, buon* andata: Tranione, fa andar via la
cagna dalla porta, sebbene non faccia timore.
T ra.

T ra.

Non vedete, come se la dorme? se non volete p arere


un seccatore, u n baggeo . . .

T eu.
T ra.

Come vuoi.

T eu.

Non mi ti spiccher mai da piedi.

Seguitemi adunque.

ACTUS
SCENA

I.

1F.
(Z\).

p B J I fI S C V S , S e r i o s - j l i u s .

P b j . Servi* qui* quom culpa caruit*

tamen malunt
meluont* hi
Esse heris solent utibiles: nam illi, nihil qui metuonl*
Postquam sunt malum meriti* strilla sibi expetunt
consilia:
Exercent sese ad cursuram; sed enim si sunt reprehensi*
Faciunt malo* peculio quod nequeunt: augent ex
pauxillo.
Disparant .mihi pectora et consilia
malam rem
prius
Quam ut meum
Ut adhuc fuit* mihi corium esse oportet
Sincerum* atque uli vetem verberari.
S i huic imperabo* probe teclum habebo: .
Malum cum impluit ceteros* ne impluat mihi.
Nam ul servi volunt esse herum* ita solet:
Soni bonis sunt, improbi sunt maleficis.
Nam nunc domi nostrae tot vivont pessumi
Peculi sui prodigi* plagigeruli.
Ubi advorsum ut eant* vocantur* hero: non eo/
molestus ne sis/
Scio* quo properas/ gestis ja m / aliquo hercle ire
foras vis* mula* paslum/
Bene merens hoc pretium inde abstuli. Abii foras:
Solus nunc eo hero advorsum ex servis plurimis.

ATTO IV
SCENA
F anisco,

F ak.

I.

altro-S ervo.

Un servo che, sebbene non sia in fallo, teme


il castigo, suol essere il pi utile al padrone: im
perciocch quelli che hanno paura di nulla, dap
poich si meritarono il male, si gettano a matti
consigli, e lavorano di gamba; ma se son colti,
hanno un tal guadagno dal male, che non farebbero
mai col loro peculio; arricchiscono a poco a poco.
A me per garba meglio guardarmi dal male,
prima che mi vengano scuojate le spalle: per la
qual cosa per conservarmi sana la pelle, come
ho fatto fin adesso, mi fa duopo chio ponga di
vieto di mazzicarmi. Se alla mia schiena coman
der io, sar ben difesa, e cos non roviner ad
dosso a me il malanno, quando rovina sugli altri.
Il padrone qual lo vogliono i servi, buono
co buoni, diavolo co diavoli. In casa nostra ecci
tanti mariuoli, larghi del loro peculio, veri sacchi
da btte, i quali quando vengono chiamati dal pa
drone, acci vadano ad incontrarlo, rispondono: non
vengo: non mi seccare! so che prescia la tuaf
tu gi vai in frega! o mula, vuoi ire a pascolo..
Ecco la mercede, che s ha a far bene, e fra
queste chiacchere me ne sono uscito. Io solo
di tanto servidorame eh in casa vado incontro

Hoc dic crastini quom herus resciverit,


Nac castigabit eos bubulis exuvii.
Postremo ego minoris pendo tergum illorum, quant
meum.
Illi erunt bucaedae mullo polius, quam ego sim restio.
S er . Mane tu, atque adsisle illico: Phanisce! etiam respice.
PaA.Mihi molestus ne sis.
S eu .
Fide ut fastidit scim iaf
PaA.M ihi sum: lubet esse: quid id tu curas?
SER.Manesne illico, impure parasite?
P ha . Qui parasitus sum?
S er.
Ego enim dicam
Cibo perduci poteris quovis.
Ferocem facis: quia te herus tam amat?
P ha .
Fah!
Oculi dolent.
S er .
Cur?
P ha .
Quia fum us molestus.
S er . Tace sis, faber, qui cudere
Plumbeos numos soles
P ha.
Non potes tu cogere me, ut tibi maledicam
Novit herus me.
S er . Suam quidem pol culcitullam oportet (52).
P ha.
Si sis sobrius,
Male non dicas.
S er.
Tibi obtemperem, quom m ihi tu nequeas
P h a .A t tu mecum, pessume, ito advorstis.
S e r . Quaeso hercle, Phanisce, abstine
Jam sermonem de istis rebus.
P ha %
Faciam, et pultabo foris.
Heus, ecquis hic est qui m axumam

al padrone, ma all indomani, quando saprallo,


scamater loro i panni con un buon staffile: alla
fin fine non faccio tanto caso delle loro spalle come
delle mie: andran piuttosto essi in filacce, chio in
corda.
Ser.
Resta e aspetta, o Finisco; volgiti indietro.
F an. Non mi dar noja.
Ser.
Ih! la scimia com stizzosa!
F an. Se il sono, il sono per me, e ci ho gusto: a te che
viene in tasca, a te?
Ser.
Non puoi aspettarmi, o brutto treccone?
F an. .Treccone a me?
Ser.
S, e ti dir il perch: tu puoi trovar dappertutto
d empierti il sacco: se forse enfiato cos, perch
se il cucco del padrone?
F an. Vah! forse ti fan male gli occhi?
Ser.
Perche?
F an. Perch t molesto il fumo.
Ser
Sta zitto maruftino, che se solito far anche monete
false.
F an. Gi tu non puoi fare, eh io mi riduca a bestem
miare al nome tuo. Il padrone mi conosce.
Ser.
E de ben conoscere la sua coltrice.
F an.
Se fossi dabben uomo, parleresti meglio.
Ser.
Io ho da obbedire a te, quando tu lo stesso non
fai con me?
F an. Ma tu, mariuolo, vien dunque meco incontro al
padrone.
Ser.
Deh, Fanisco, finiscila una volta.
F an. Il far e picchier la porta. Ohe chi v dentro?
chi difende questa casa dagli insulti? chi vien

254
His injuriam foribus defendat?
Ecquis huc exii, 'atque
Aperit? nemo hinc quidem foras exilj
Ut esse addecet nequam homines, ita sunt:
Sed eo magis cauto esi opus, ne huc exeat qui
male me mulcet.
SCENA
T ju m O j

II.

T h e u r o p i d e s . ( 55)

T r j . Quid tibi visttm est hoc mercimoni?

T he.
Totus gaudeo.
T ra . N um nimio emtae libi videntur?
T ue.
Numquam edepol ego me scio

Vidisse usquam abjectas aedisj nisi modo liasce.


Tra.
Ecquid placent?
T h e . Ecquid placeant, me rogas? imo hercle vero per

placent.
T r a . Quojusmodi gynaeceum? quid porticum?

Insanum bonam.
Non equidem ullam in publico esse majorem hac
exislumo.
T ra . Quin ego ipse et Philolaclies in publico omnis porticus
Sumus commensi.
T he .
Quid igitur?
Tra .
Longe omnium longissuma est.
T h e . D i immortales mercimoni lepidi! si hercle nunc ferat
Sex talenta magna argenti pro islis praesentaria,
Numquam accipiam.
T ra.
S i hercle accipere cupias, ego numquam sinam.
The.

fuori, chi apre? nessun si vede; ma gi la cosa


vecchia, ogni botte d del suo vino; ma qui si dee
guardar che alcuno non venga fuori a raggiu
starmi per le feste,
SCENA

II,

T r a n io s e , T e u r o p id e ,

T ra.
T eu.
T ra.
T eu.
T ra.

T eu.
T ra.
T eu.
T ra.
T eu.
T ra.
T eu.

T ra.

Come v parso questo negozio?


Son contentissimo.
Vi sembra avuta questa casa ad un prezzo troppo
alto?
Anzi credo non aver veduta mai casa pi gittata
di questa.
E vi piace?
A che mi d ii nel capo se mi piace? placemi mol
lissimo.
E il gineceo? e il portico?
Bellissimo. Son d opinone che un pi bello non
sia in Alene.
Io e Filolache abbianv misurati tutti i portici della
citt.
E dunque?
Questo si stende pi di tutti.
Oh dei immortali! buon contratto! se alcun qua
venisse ad offrirmi sei grossi talenti alla mano, non
sarei per'riceverli.
E s anche voi li volessi ricevere, in mia f non
ve lo permetterei.

T h e :Bene res nostra conlocala est isloc mercimonio.


T r j . Me s naso re atque impulsore id factum audacter
dicilo:

Qui subegi, foenore argentum db danisla ut sumeret,


Quod isti dedimus arrhaboni.
T h e.
Servavisti omnem ratem.
Nempe octoginta debentur huic minae?
Tr j.
JIaud numo amplius.
T h e . Hodie accipiat.
Tr j.
Ila enimvero: ne qua causa subsiet,
Vel mihi denumerato: ego illi porro denumera
vero.
T h e . A t enim, ne quid capiioni m ihi sit, si dederim libi?
TRJ.Egone te joculo modo ausim , dicto aut facio fallere?
TuE.Egoriabs te ausim non cavere, ne quid comm ittam
tibi?
T r j . Quian libi umquam quidquam, poslqiiam tuos sum ,
verborum dedi?
T he .Ego enim cavi recte.
Tr j.
Enim debes gratiam.
The.
Alqui animo meo.
Sat sapiOj si abs te modo uno caveo.
Tr j.
Tecum senlio.
T h e .N unc abi rus: dic, me advenisse filio.
Tr j.
Faciam, ut voles.
T h e . Curricido jube in urbem veniat jam simul Iccum.
Tr j.
Licet.
Nunc ego me illa per podicum ad congerrones con
feram.
Dicant, ul hic res sint quielae, atque ut hunc hinc
amoverim.

T eu.
Tra.

In questa compera fu ben speso il nostro.


Ditelo pur franco: di questo fui io consigliero
e stimolo, avendo finalmente spuntato, chc si to
gliesse a prestanza .dall usuriere quel denaro, che
abbiam dato in arra a costui.
Teu. Hai tenuta la barca dritta: a costui adunque si
deono ottanta mine?
T ra. N un quattrino di pi.
T eu.
Le avr oggi.
T ra.
Ottimamente, ma perch non vi sia piato, contatele
a ine, eh io le conter a lu.
Teu.
Mai no, tu me le accocchi se le lascio in tu e'
mani.
T ra.
Sono io mai stato-si sfrontato, per trappolarvi. in
parole o in fatti?
Teu. E non dovrei tener io gli occhi aperti, per non affi
darti qualcosa?
Tra. che dubitate voi di me, se da chc sono al
vostro servigio, non v ho mai fatto uno sfregio?
Teu. Ma non a torto sono stato cauto io.
T ra. Ma voi dovete ringraziar me.
T eu.
me: son abbastanza savio, se tho occhio alle mani.
T ra.
Siam daccordo.
T eu. Vanne ora, va in villa, ed annunzia il mio arrivo
al figlio.
Tra.
Far a modo vostro,
T eu. Digli, che in citt venga teco in diligenza.
T ra. Subito: ora per la porta del rustico fili condurr
_in casa a compagnacci, e loro dir, come qua sia
tutto cheto, e come abbia di quiuci vlto- via il
vecchio.
Vol. I. Plalt.
17

TtEUROriDES, PuAKISCUSj S e RFOS-JLIVS

P b j .H c quidem neque convivarum

( i).

sonitus, item

ut

antehac fuit, .
Neque tibicinam cantantem , neque alium quemquam
audio.
T b e . Que illacc res est? quid illice homines quaerunt apud
aedis m eas?
Quid volunt? quid introspectant?
Pb j.

Pergam pullare ostium.


Ileus, reclude: heus, Tranio, etiamne aperis?

Tb e .

Quae haec est fabula?

P a j.E lia m n e aperis? Callidam ati nostro advorsum ve


nimus.

T he . Heus vos, p uen, quid istic agilis? quid istas aedis


frangitis?

P h j . Uerus hic noster potat.


T he .
Herus hic voster potat?
P h j.

Ita loquor.

T he . Puere, nim ium es delicatus.


P b j.
E i advorsum venimus.
T h e .Q uo homini?
P h j.
Hero nostro: quaeso, quotiens dicundum est tibi?
TuE.Puer, hic nemo habitat: nam te esse a rb itro r pue
rum probum.
P h j . Non hic Philolaches adulescens habitat hisce in aedibus?

S e r . Senex hic cerebrosus est certe.


Pb j.
E rras pervorse, paler.
N am nisi hinc hodie em igravit, aut heri, certo scio
Hic habitare.

F a h is c o ,

F ah.

a ltro - S erv o ,

T e u r o p id z .

Qua non s ode n il bagordare de convitati co


me prima, n il canto della suonalrice, n alcuna
altra voce.
T eu. Diamine! che cosa quella mai? che cercano coloro
presso la mia easa? che vogliono? a che sbirciano
dentro?
F ah. Durer a battere: chi apri, ehi Tranione! non apri
ancora?
T eu.
Che combibbia questa?
F ah.
Non apri ancora? veniamo incontro al nostro
Callidamate.
Teu. Ehi servi, che fate col? ch fracassate quella
porta?
F ah. 11 padron nostro qua attende al buon tempo.
Teu.
11 padron vostro qua attende al buon tempo?
F a.
Certo.
Teu. - Figliuol mio, se troppo dolce.
F ar.
Veniamo incontro a lui.
Teu. A chi?
F ah.
Al padron nostro: quante volle ve l'ho a dire?
Teu.
Figlio mio, qua abita nessuno, e tu in viso m 'hai
aria di buon giovane.
F ah.
Non ist in questa casa Filolache?
Ser.
Questo vecchio ha del cervellotico.
Fah.
0 padre mio, voi siete di pelo tondo tondo aflfatlo,
ch s egli non sloggi via oggi o jeri, io son
certo certissimo che sta qui.

260
Quin sex menses jam hic nemo habitat.
T he.
Somnias.
S er.
TuE.Egone?
S er.
T u.
T h e.
T u ne molestus: sine me cum puero loqui,
P h j . Nemo habitat? hem!
T he.
Ita.
P h j.
Profecto, nam heri et nudiusteriius
Quartus, quintus, sextus usque, postquam hinc pe
regre ejus pater
Abiit, numquam hic triduom unum desitum est
esse et bibi
T h e . Quid ais?
P h j.
Triduom unum esi haud intermissum hic
esse et bibi,
Scorta duci, pergraecari, fidicinas, tibicinas
Ducere.
The.
Quis istaec faciebat?
P h j.
Philolaches.
T he .
Qui Philolaches?.
P h j . Quoi patrem Theuropidem esse opinor.
Tu e.
Hei hei! occidi.
S i haec hic vera memorat: pergam porro percontarier.
A iri tu istic potare solitum Philolachem istum , quisquis est,
Cum hero vostro ?
P h j.
Hic, inquam.
Th e .
Puere, praeter speciem stultus es.
Vide, sis, ne forte ad merendam quopiam devorteris,
Atque tbi melittscule, quam satis fuerit, biberis.
Pm.
Quid est?

Teu.
Ser.
T eu.
Ser.
T eu.

Ma se son gi sci mesi buoni, che questa casa 6


diserta.
Favole!
Le mie?
Le vostre.
Le tue si, le tue, o fastidio: lasciami a. qu esto
ragazzo.

F an.

Teu.
F ati.

T eu.
F ah.

T eu.

F a.
T eu.

F ar.
T eu.

F ai.

Teu.

F ar.

Questa casa deserta?


Deserta.
La abitata per Dio; ch jeri, jer laltro, il quarto,
il quinto^ il sesto, insomma da quel d che and
via suo padre, tre giorni non iscorsero mai senza
sguazzarsela.
Che mi racconti?
Non passarono tre di, senza che si avesse a far1
la pi bella vita del mondo, sempre in mezzo a
donne, a fiaschi, a cantatrici, a suonatrici.
E chi facevaio/*
Filolache.
Qual Filolache?
Quello cui credo sia padre Tcuropide.
Ahi ahi a me! son morto, se son vere le parole di
costui, ma il frugher ancora. Tu masseveri chiun
que sia questo Filolache esser solito egli far buona
vita col vostro padrone?
S, qua dentro.
Figliuol mio, tu hai bevuto grosso pi che non
sembri; guarda di non esserti per avventura rin
cantucciato in qualche osteria a far merenda, ove
tu abbi alzato il gomito pi del bisogno.
Ch dite questo voi?

T ije . Ita dico, ne ad alias aedis perperam deveneris.

P /jj.Scio, qua me ire oportet: et quo venerim, novi


loci (35).
Philolaches hc habitat, quojus est pater Theuropides.
Qui, postquam pater ad mercatum abivit hinc, ti
bicinam
Liberavit.
T ue .
Philolaches ergo?
Pn t.
Itaj Philematium quidem.
T h e . Quanti?
S eu.
Triginta talentis.
P h j.
M a to v K itoX ko! sed minis.
T he . A iri j minis triginta am icam destinatam Philolachi?
PHA.AjO.
'T h e .
Atque eam manu emisisse?
P iu .
Ajo.
T ue .
.Et, postquam ejus hinc pater
Sil profectus peregre, perpotasse adsiduo
Tuo cum domino?
P ha.
Ajo.
T he.
Quid, is aedis emit hic proxumas?
P h a .N on ajo.
T h e . Quadraginta etiam dedit huic, quae essent pignori?
P h a . Ncque istud ajo.
T he.
Hei! perdis.
PnJT he . Fera cantas?

Imo suom patrem illic perdidit.

Pud.
V ana vellem! (5 6 ) patris am icus videlicet.
T h e . Heu, edepol patrem eum m iserum praedicas!

PnNihil hc quidem est,


Triginta minae, prae quam alios dapsilis sumtus facit.

Tec.
F an.

Tec.
F an.
Teu.
Ser.
F ar.
T eu.
F ar.
Teu.
F ar.
Teu.

F ar.
Teu.
F ar.
Teu.
F an.
Teu.
F ar.
Teu.
F ar.
Teu.
F ar.

S ti parlo, acci tu non abbi sbagliata la porta.


Mei so ben io dove m ettere il capo, e so ben io
.ove sia venuto: qua abita Filolache figlio di Teuropide, il quale dopo che fu andato a m ercatantare
pel mondo, quegli liber una suonatrice.
Filolache?
S, proprio Filemazio,
Per quanto?
Per trenta talenti.
No per Apollo, son mine.
T u duncjue mi diche Filolache ha comperata l a
mica per trenta mine?
Si.
E che 1 ha fatta libera?
Si.
E che, dappoich suo padre and a cercare il mon
do, qua col tuo padrone altro non s fatto che
attendere al buon tempo?
S.
E che? ha egli comperata questa casa?
Noi so.
E ha date a costui quaranta mine in deposito?
Noi so..
Ahim tu mi rovini,
Anzi quegli rovin suo padre.
Canti il vero?
Fosse il falso! voi mi sembrate assai amico del
padre.
Poter di Dio! lo fai ben sgraziato quest uomo.
Le trenta mine sono una baja rispetto alle a lt^
spese defla buccolica: rovin suo padre, e v ha

Peididit patrem: uni istic servos est saverrumus


Tranio: is vel Herculi conterere quaestum possiet.
Edepol me ejus patris miseret, qui quom istaec sciet
Facta ita, amburet ei misero corculum carbunculus.
T b e . Siquidem istaec vera sunt.
Pb j .
Quid merear, quamobrem mentiar?
Heus vos, ecquis hasce aperit?
S er.
Quid ita pultas, ubi nemo intus est?
P b j . Alio credo comissa.tum abisse: abeamus nunc jam .
T h e . Puere, jamne abis? libertas paenula est tergo tuo.
P b j . Mihi? nisi herum ut metuam et curem, nihil est, qui
tergum tegam.
SCENA

ir.

T b e u r o p id e s , S im o .

T iie . Perii hercle, quid opmt verbis? ut verba audio,


Non equidem in Aegyptum hinc modo vectus fui,
Sed etiam in terrs solas, orasque ultimas
Sum circumvectus: ita ubi nunc sim nescio.
Verum jam scibo: nam eccum, unde aedis filius
Meus emit: quid agis tu?
S u i.
A foro incedo domum.
TBE.Numquid processit ad fortftn tibi hodie novi?
Sur. Eliam.
Tbe.

Q uid ta n d em ?

Sur.
T he.

Fidi ecferri mortuom.


Hem,

Novum!
Sm .

Unum vidi mortuom ecferri^foras.


Modo eum vixisse ajebant.

T eu.
F an.
Ser.
F an.
T eu.
F an.

qui ho ribaldacelo di servo, Tramone, che da se


solo basterebbe a scacazzare il tesoro d Ercole.
Men sa male del padre, al quale, coale giungeranno
queste care novelle, poveretto! sentirassi ardere
un carbonchio in cuore.
Si per Dio, se questo vero.
E che avrei, se dicessi il falso? ehi! chi apre?
Perch batti cos, se nessuno c dentro?
Saran andati altrove i buontemponi, andiameene.
Figliuol mio, s tosto ten vai? Saria la libert il
miglior gabbano alle tue spalle.
Alle mie! se non ho rispetto e paura del padrone
non v* ha cosa che basti a coprirmele.
SCENA

V.

T huropide, S imone.

T eu.

Sin.
T eu.
Sm.
T eu.
S im.
T eu.
Sa.

Son rovinato! che abbisognan parole? conforme


ascolto di qui, non m han condotto soltanto in
Egitto, ma benanco in capo al mondo, sicch non
trovi nemmeno in che terra or* io tenga i piedi: ma
sapr il vero: ecco colui dal quale mio figlio ha
comperata la casa: che fai?
Di piazza ritorno a casa.
E in piazza non t avvenuto oggi nulla di nuovo?
Mai s.
E che?
Ho veduto portar fuori un morto.
Che novit!
Ho veduto po rtar fuori un m orto,'che dicevano vivo
poco fa.

T ue.
Vae capiti luo.
S m . Quid tu otiosus res novas requiritas?
T h e . Quia hodie adveni peregre.
S im .
Promisi foras,

A d coenam ne me tu evocare censeas.


T h e . H a u d postulo edepol.

S im .

Verum cras, nisi quis prius


Vocaverit me, vel apud te coenavero.

T h e Ne istuc quidem edepol postulo: nisi quid magis

Es occupatus, operam mihi da.


S u r.

M axume.

T h e .M inas quadraginta accepisti, quas sciam,


A Philolachele.
S im .
Num quam num um , quod sciam.
T u e . Quid, a Tranione servo meo?
S im .
Multo id minus.
TaE.Quas arrhaboni libi dedit?
S im .
Quid somnias?
Tas.Egone? at quidem tu, qui istoc te speras modo
Potesse dissimulando infectum hoc reddere.
S im . Quid autem?
T ue.
Quod me absente tecum hic filius
Negoli gessit.
S im .
Mecum ut ille hic gesserit,
Dum tu hic abes, negotia? quidnam? aut quo die?
T h e . M inas tibi octoginta argenti debeo.
S i m . Non mihi quidem hercle: verum, si debes, cedo:
Fides servanda est, ne ire inficias postules.
T h e . Profecto non negabo debere, et dabo.
Tu cave quadraginta accepisse hinc ne neges.

Teu.
Sia.
Teu.
Sia.
Teu.
Sm.
Teu.
Sin.
Teu.
Sin.
Teu.
Sih.
Teu.
Sih.
Teu.
Sin.
Teu.
Sin.
Teu.
Sih.

T eu.

Che ti colga il fistolo.


E tu, o badalone, perch mi domandi delle no
vit?
Perch sono arrivato oggi.
Ho promesso altrove, acci tu metta gi l animo
dinvitarmi a cena.
Questo certo non cerco io.
1
Ma domani, se alcuno non mi far invito prima
cener, se vuoi, appresso te.
E neppur questo io cerco; ma se non hai altra
maggior faccenda pel capo, bada a me.
Finch vuoi.
Hai avute quaranta mine da Filolache, per quello
eh io mi sappia.
Per quello eh io mi sappia, nemmeno un cen
tesimo.
Dunque da Tranione mio servo?
Molto meno.
Non te le diede egli in caparra?
Sogni?
Io? tu s, che diffingendo speri mandare a monte
il negozio.
E quale?
Quello che in mia assenza strinse teco mio figlio.
Tu di, eh egli ha con me combinato un negozio?
ma di che? in qual d?
Ti devo ottanta mine d argento.
A me no certo; ma se me lo devi, dammele: sai
leale, non trafugarmele.
Non cerco trafugartele, e te le dar: ma dalla parte
tua guardati dal negarmi, che hai le quaranta.

S m . Quaeso edepol huc me adspecta, et responde mihi.


Te velle uxorem ajebat tuo nato dare,
Ideo aedificare hic velle ajebat in tuis.
T b e . Hic aedificare volui?
S im .
Sic dixit mihi.
T b e . Hei mihi, disperii! vocis non habeo salis!
Vicinej (37) interii, perii.
S im .
Num quid Tranio
Turbavit?
The.
Im o m i exturbavit omnia.
Deludificatust me hodie indignis modis.
S i m . Quid tu ais?
Tbe.
Haec res sic est, ut narro tibi.
Deludificatust me hodie in perpetuom modum.
Nunc te obsecro, ut me bene juves, operamque deeS i m . Quid vis?
Tbe.
I mecum, obsecro te, una sim u l. . .
S i m . Fiat.
Tbe.
Servorumque operam et lora mihi cedo.
S im . Sume.
Tb e.
Eademque opera haec libi narravero,
Quis med exemplis hodie ille ludificatus est.

Sim.

T eU.
Sin.
Teu.
Sih.
Teu.
Sim.
T eu.

Sia.
Teu.
Sia.
Teu.
Sin.
Teu.

Di grazia guardami in viso, e rispondimi. Un tale


diceva, voler tu dar moglie al figlio, e per questo
voler tu qui fabbricare sul tuo.
Io fabbricare?
Cos mi disse.
Ahim! son disperato, non ho pi vocej o mio
vicino, son diserto, son sconfitto.
matassa di Tranione?
che matassa! in indegnissima guisa m ha levato
in barca oggi.
Che mi conti?
La faccenda ne suoi termini: mha fatta oggi una
tal pedina, che non mi cadr pi di memoria: ora
ti prego, m ajuta, mi soccorri.
Che vuoi?
Vien meco, e insieme . . .
Eccomi.
Prestami i servi e le soghe.
Toglile.
E in una ti racconter, con che reti m abbia quegli
uccellato.

ACTUS
SCENA

r.
I.

T r a n io , T u e v r Op l d e s .

T a . Qui homo timidus erit in rebus dubiis, nauci non eritj


(Atque equidem quid id esse dicam verbum nauci
nescinJ
Nam herus me postquam rus misit, ut filium suom
arcesserem,
' Abii illa per angiportum ad hortum nostrum clan
culum:
Ostium quod in angiportu est horti, patefeci foris;
Eaque eduxi omnem legionem, et maris et feminas.
Postquam ex obsidione in tutum eduxi manuplares
meo s
Capio consilium, ut senatum congerronum convocem.
Quem quom convocavi, atque illi me e senatu se
gregant.
Ubi egomet video rem vorti in meo foro, quantum
potest,
Facio idem, quod plurimi alii, quibus res timida
aut turbida est:
Pergunt turbare usque, ut ne quid possit conquiescere.
Nam scio equidem nullo pacto ja m esse posse clam
senem.
Sed quid hoc est, quod foris concrepuit proxuma
vicinia?
Herus meus hic quidem est, gustare ego ejus ser
monem volo.

ATTO
SCENA

V
I.

T ranione, T europide.
T ra.

Chi nelle cose dubbie non sa come cavarsela, vai


meno d un gheriglio di noce: ed io non so in fede
mia che possa valere questa parola gheriglio. Dap
poich il padrone mi mand in villa a chiamare
il .figlio, quatto quatto me ne andai l per un
chiassuolo al nostro orto, e perch una porticina
dell orto risponde a quel viottolo, lho aperta, e ho
tratta fuori la mia masnada maschi e femmine. Con
dotti quindi dall assedio i miei soldati in salvo,
prendo avviso raccogliere i compagnoni in consi
glio, ed essi appena furono ristretti insieme, tosto
mi disgregano di senato. Io veggendomi solo in
questa imbrentina, quanto posso faccio anch io
quello che fanno altri molti, che si trovano fra mille
viluppi e pericoli: seguono a rimestare il torbido,
acci non mai possa posare. So ben io, che per
niuna guisa questo negozio pu esser nascosto al
vecchio. Ma che ci? che vuol dire lo scricchiar
della porta di questo vicino? poter di Giove!
il padrone, vo consolarmi in udirlo.

T u e .Eloco in tra

limen adstate illij ut, cum 'extemplo

vocera,
Continuo exsiliatis: manicas celeriter connectite.

Ego illum ante aedis praestolabor ludificatorem meum:


Quoius ego hic ludificabo corium, si vivo, probe.
Tiu.Respalam est: nunc te videre meliusl, quid agas, Tranio.
Tus.Docte atque astu mihi captandum est cum illo,
ubi huc advenerit.
Non ego illi extemplo meum ostendam sensum: m it
tam lineam.
DissimulabOj me hortim quidquam scire.
T mj.
O mortalem malum!
AUer hoc Athenis nemo doctior dici potest.
Verba dare illi non magis hodie quisquam quam
lapidij potest.

Adgrediar hominem: adpellabo.


Tbe .

Nunc ego illuc (3 8 ) veniat velim.

T mj. Siquidem pol me quaeris, adsum praesens praesenti libi.


T u e . Eugej TraniOj quid agitur?

Veniunt ruri rustici.


Philolachesque etiam aderit.
Tb e .
Edepol mihi opportune advenit.
Nostrum ego hunc vicinum opinor esse hominem au
dacem et malum.
T m j . Quidum?
T m j.

T he .

Quia negat novisse vos.

Negat?
T he .
Nec vos sibi
Numum umquam argenti dedisse.
Tr j.
Abi, ludis me, credo: haud negat.
T u e . Quid jam?

T m j.

Teu.

State pronti qui dentro, acci tosto che vi chiamo,


abbiate a sbalzar fuori: preparate i nottolini. Laspet
ter qua sopra la porta, l aspetter s quel mio
mincstrello, sulle cui spalle se sar vivo, minestrer
ben io di santa ragione.
Tra. Cadde la ragna, o Tranione: ora meglio che tu
guardi quello, che abbi a fare.
Teu. Ho da usar tutta la furberia ed astuzia chc so per
tira r in trappola, appena che ci capita, quella cara
gioja; non devo levar la maschera s presto; caler
la lenza, e mi finger a queste cose come caduto
dalla luna.
T ra. 0 sciagurataccio! niuno pu dirsi in Atene pi scal
trito di lui; e non oggi s facile affibbiargliene
come ad un sasso; 1 affronter, il chiamer.
T eu. Or vorra che venisse egli.
T ra. 0 se mi volete, eccomi qua anima e corpo innanzi
a voi.
Teu. Viva, Tranione, e chc si fa?
Tra. Vengon di villa i villanzoni: anche Filolache sar
qui fra poco.
Teu. Non potevi trovarmi in miglior tempo: questo no
stro vicino dee pur esser il gran sfacciato e tristo.
Tra.
Perch?
Teu.
Perch dic non conoscervi.
T ra.
Cos parla?
Teu. E aggiunge, che da voi altri non ha ricevuto
quattrino.
T ra.
Oh andate, voi volete darmi un po di berta: son
persuaso che non lo nega.
Teu. E che ora?
Vol. I. P laut.
18

Tr j.
Scio, jocaris nunc tu: nam ill quidem haud negat.
T h e . Im o edepol negat profecto: neque se has aedis P hilolachi
Vendidisse.
Tr j.
Eho, an negavit sibi datum argentum, obsecro?
T h e . Quin, jusjurandum pollicitus est dare, si vellem, mihi,Neque se hasce aedis vendidisse, neque sibi argentum
datum .'
D ix i ego istuc idem illi.
Tr j.
Quid ait?
T he.
Servos pojlicitust dare
Suos m ihi omnis quaestioni.
Trj.
Nngas: numquam edepol dabit.
T h e . Dat profecto.
Trj.
Quin cita illum in ius.
The.
S i veniat. v
Tr j.
T u mane.
T h e .Experiar, ut opinor. Certum est, Tranio. (39)
Tr j.
M ihi hominem cedo/.
Vel hominem jube mancupio aedis posci.
T he.
Im o hoc prim um volo,
Quaestioni accipere servos.
Tr j.
Faciundum edepol censeo.
T h e . Quid, si igitur ego arcessam homines?
Tr j. .
Factum ja m esse oportuit.
Ego inierim hanc aram occupabo.
Th e.
Quid ita?
Tr j.
Nullam rem sapts.
Ne enim illi huc confugere possint, quaestioni qtios
dabit.
Hic ego tibi praesidebo, ne interbitat quaestio.

Tra.
Teu.
Tra.
Teu.

T ra.
Teu.
Tra.
Teu.
T ra.
Teu.
T ra.
Teu.
Tra.
Teu.
T ra.
T eu.
T ra.
Teu.
Tra.

L o s o , ora volete un po.di burla voi: aff chegli


non vi nega una cala.
E nega per Dio, nega d aver venduta questa
casa a Filolache.
E ditemi, rinneg anche il deposito?
E ve nha di pi, se lo volessi, si profferse dar
giuramento -e eh egli non ha venduta la casa, e
che da voi non ha ricevuto un soldo: queste stesse
parole le ho fatte anch io con lui.
E che rispose?
Mi di copia, eh io gli collassi per riprova tutti i
servi.
Favole! non li dar mai.
Li d certo.
Chiamatelo a corte.
Se vorr venire.
E voi restatevi.
Far quello che penso, ho gi fissato, o T ranione.
Oh lasciatelo a me il dabben uomo! e poi ditegli
eh ei ricatti la casa dopo che 1 ha venduta.
Ma io voglio prima, mettere alla colla i servi.
E s c r e d o b e n e a n c h io .
E che adunque sio chiamo questi uomini?
E dovea gi esser fatto: io intanto mi terr a
questo altare.
Perch?
Yoi non ne sapete cica; acci niuno di quei che
volete mettere in disamina qua possa fuggire, se
pur volete che tutta non vi dia in ciancia la fac
cenda.

T h e . Surge.
Tr j.
Minume.
Ne occupassi*, obsecro, aram .
The.
Cur?
Tr j.
Scies.
The.
Quia id enim m axum e volo, tU illi istoc confugiant.
Sine.
Tanto apud judicem hunc argenti condemnabo fa
cilius.
T r j . Quod agis, id agas: quid tu porro serere vis nego
tium?
Nescis lu, quam meticulosa res sit ire ad judicem.
TffE.Surgedum hinc: est consulere igitur quiddam quod
fecum volo.
T r j .S ic tamen hinc consilium dedero: nim io plus sapio
sedens.
Tum consilia firm iora sunt de divinis locis.
TaE.Surge! ne nugare! adspicedum contra me.
Tr j .
Jdspexi.
T he.
rides?
T r j .Video: huc si quis intercedat tertius, pereat fame.
T he . Quidum?
Tr j.
Quia nihil quaesii siet: m ali hercle ambo sumus.
T h e . Perii!
Tr j.
Quid tibi est?
T he .
Dedisti verba.
Tr j .
Qui tandem?
Th e .
Probe
Med emunxti.
T rj.
Vide sis, satine recte? num m ucci fluoni?
T h e . Im o etiam cerebrum quoque omnem e capite em unexti mo

T eu.
T ra.
Teu.
T ra.
Teu.

Tra.

Teu.
T ra.

Teu.
T ra.
Teu.
Tra.
T eu.
T ra.
Teu.
Tra.
Teu.
T ra.
Teu.
T ra.
T eu.

Alzati.
Mai no.
Non occupar 1 altare:
Perch?
Il saprai. Anzi voglio piuttosto, che qua essi ripa
rino. Lascia. Avr pi forza per colparlo di questo
argento appresso il giudice.
Voi attendete a fatti vostri: e perch volete porvi
in mezzo altra briga? non sapete quanto sia fasti
dioso l ire atribunali?
Alzati, ho da conferir teco.
Cosi vi consiglier io: per consigli seduto io valgo
un mondo, e i consigli che partono da luoghi di
vini, sono i pi migliori.
Sorgi, non pi giammengole, guarda a me.
Ho veduto.
E che hai veduto?
Ho veduto che se alcuno si pone fra noi viene a
basir di fame.
E perch?
Perch avr nulla: siam due volpi, siam due volpi,
padrone.
Son disfatto.
Che v'avvenne?
M hai ingannato.
Come?
M hai smocciato da senno.
Guardate, se sia abbastanza cosi: claci il sornacchio forse?
Anzi m 'hai dicervellato del tutto: le ho scoperte
le vostre matasse, e non solo le ho scoperte, ma

Nam omnia malefacta vostra reperi radicitus,


Non radicitus quidem hercle, verum etiam eradicitus.
Num quam edepol hodie inultus designaveris. Tibi
. Ja m jubebo ignem et sarmenta, carmi fe r, circumdari.
T r j .N c faxis: nam elixus esse, quam assus, soleo suavior.
T h e .Exempla edepol faciam ego in te.
T ra .
Quia placeo, exemplum expetis?
T u e . Loquere, quojusmodi reliqui, quom hinc abibam,
filium?
T ra . Cum pedibus, manibusj cum digitis, auribusj oculiSj labris.
T he . Aliud te rogo. '
T ra .
A liud ergo nunc tibi respondeo.
. Sed eccum tui gnati sodalem videod huc incedere
Callidamatem: illo praesente mecum agito, si quid
voles.
SC E N A . II.
Callidam ates , T uevropides , T ranio .
Ca l . Ubi somnum sepelivi omnem, atque edormivi cra
pulam:
Philolaches venisse m ihi narravit suom peregre huc
patrem .
Quoque modo hominem advenientem servos ludifica
tus sil:
A it sese metuere in conspectum illius occedere:
Nunc ego de sodalilate solus sum orator datus:
Qui a palre ejus conciliarcm paccm: atque eccum
oplumc.
Jubeo te salvere et salvos quom advenis, Theuropides,
Peregre, gaudeo: hic apud nos hodie coenes. Sic fhee.

T ra.
Teu.
T ra.

T ed.
Tra.
T eu.
T ra.

ne ho sgrammaticato anche il bandolo. Oggi non


tc la passerai netta; ti far intorno un fal di
sarmenti,, e avrai proprio a far la natta a vermini,
o manigoldo.
No per carit; ch m iglior boccon son io allessato
che arrosto.
Dar un bell esempio in te.
Perch vi piaccio, volete da me anche un esempio?
Dimmi, com era mio figlio, quando me ne sono
andato?
Colle mani, coi pi, colle dita, colle orecchie, co
gli occhi, colle labbra.
Cerco tu ttaltro.
E tu tt altro vi rispondo. Ma ecco avvicinarsi Callidamate, lamico di vostro figlio: alla sua presenza
fate di me quello che vi garba.
SCENA

II.

Callidamate, T europide, T raniqne.


Cal.

Dappoich ho sepolto il sonno, e smaltito tutto


quel vino, che m avea s ben cotticcio, Filolache
mi raccont, eh arrivato suo padre, ed il modo,
onde glielha fischiata il servo, appena che que
gli mise piede cost. Dice per, che ha gran paura
di presentarsi a lui. Orio per l amicizia son dato
oratore a concigliargli pace dal padre suo; ma ec
colo opportuno: addio, Teuropide, rallegromi ve
derti arrivato sano, oggi cenerai con noi, non
rifiutarmelo.

THE.Callidamates di te ament: de coena faeio gratiam.


Cal . Quin venis?
T ua.
Promitte: ego ibo pr te, si tibi non ubet.
T h e . Verbero, eliam inrdes?
T ua.
Quiari me pr te Tre ad coenam autumo?
T h e .Non enim ibis: ego ferare fa xo , ut m entisti, in
crucem:
Cal . Age, mille istaec,- ito ad coenam.
T ua.
Dic venturum: quid taces?
Cal . Sed tu istuc quid confugisti in aram inscitissumtis?
T ra . Adveniens perterruit me: loquere nunc, quid fecerim:
Nunc uhHusque disceptator, eccum , adest: age,
disputa.
T h e . Filium conmpuisse ajo te meum.
i
T ra .
Ausculta modo.
Fateor potavisse, (AO) am icam liberasse, absente tc,
Foenori argentum sumsisse, id esse absumtum praedico.
Ntimquid fecit, nisi quod faciunt summ is gnati ge
neribus?
T h e . Hercle m ihi tecum cavendum est: nim is quam es
orator catus.
Cal . Sine me dum istuc judicare: surge, ego isti dsedero.
7 uE.M axtime: accipito hanc ad te litem.
T ra .
Enim istaec cautio est.
Fac, ego ne metuam igitur, et ut tu m eam timeas
vicem.
T h e . J a m m inoris omnia facio, prae quam quibus modis
Me ludificatus est.
T ra .
Bene hercle factum , et factum gaudeo.
Sapere istac aetate oportet, qui sunt capite can
dido.

T eu.
Cal.

T ra.
T eu.

T ra.
T eu.

T ra.
Cal.
Tra. .

T ec.
T ra.

T ec.
Cal.
Teu.
T ra.

T eu.
Tra.

Diati mille beni Iddio., o Callidamate: in quanto


alla cena ti ringrazio.
Perch non vuoi venire?
Prometteteglielo: andr io se non volete andar voi.
Ancora hai celie, o pezzo d asino?
Perch dico d andar a cena per voi?
Oh non ci andrai per Dio: ti far inalberare in
croce come meriti.
Lasciate andar questo, dite che ci andr io: state
zitto?
E tu gaglioffaccio, perch seriparato a questo altare?
M ha spaventato arrivando: smascherategli pure
adesso il fatto mi: l arbitro nostro qui, eccolo,
parlategli ora.
Dico, che mhai guasto il figlio.
Uditemi: non vo pormi al niego daver 'sbevazzato,
daver liberata lamica, e nella assenza vostra daver preso ad usura quel denaro, che ha gi fatte
le ali: in fine poi che cosa ha fatto quegli, se non
ci che fanno i figli de gentiluomini ?
Devo per. bacco star ben collarco teso, quando tu
apri bocca.
Lascialo alla mia sentenza, alzati, massidcr qua.
S : prendi tutto il pondo della lite.
Questa cautela della pi cimata: liberatemi della
paura, e fate, voi non possiate temere della mia
pelle.
Tanto non mi cale del danno in confronto delle mariuolerie, onde costui me lha sonata pur dianzi.
Benissimo, e u godo: a questa et si dovria pur
aver senno, molto pi poi; quando sha la neve
in capo.

T h e . Quid ego nunc faciam , si amicus (M ) Demipho, aut


Philonides . . .
Tu*. Dicito iis, quo pacto tuos te servos ludificaverit:
Optumas frustrationes dederis in Comoediis.
Cal .Tace parumperj sine vicissim me loqui: asculta.
T he.
Licet.
Ca l . Omnium prim um sodalem me esse scis gnato tuo.
Is adiit me: nam illum prodire pudet in cospecium
tuom,
Propterea, quae fecit quia te scire scit: nunc te ob
secro,
Stultitiae adulescentiaique ejus ignoscas: tuost,
Scis, solere illanc aetatem tali ludo luderej
Quidquid fecit nobiscum una fecit: 11os deliquimus,
Foenus, sortem, sumtumque om nem , quid amica emta
est, omnia
Nos dabimus: nos conferemus, nostro sumtu, non tuo.
T he . Non potuit venire orator magis ad me impetrabilis
Quam tu: neque illi sum iratus, neque quidquam
succenseoj
Im o , me praesente, am ato, bibito, facito quodlubet.
S i hoc pudet, fecisse sum tum j supplici habeo satis.
Cal . Dispudet.
T ua.
Dat istam veniam: quid me fiet nunc ja m ?
T h e . Verberibus, lutum , caedere pendens.
T ua.
Tamenetsi pudet?
T h e . Interim am hercle te ego, si vivo.
Cal .
Fac istam cunctam gratiam:
Tranioni remitte, quaeso, hanc noxiam causa mea.
T he . Aliud quidvis im petrari a me facilius perferam,
Quam ut non ego istum pro suis factis pessumis
pessum prem am .

Tec.
Tra.

Cal.
Teu.
Cal.

Tec.

Cal.
Tra.
Teu.
T ra.
T eu.
Cal.
T ec.

E che. farommi ora, se 1 amico Demifonc, o


Filonide? . . .
Dite loro il bel modo, chebbe un servo nello ac
coccacela, e bllissimi tranelli suggerirete per le
commedie.
Taei, lascia adesso parlar me., ascolta.
Ebbene?
Innanzi tutto sai, me essere amico a tuo figlio; egli
venne a me ora, ch non ha faccia di venire alla pre
senza tua, perch sa, che tu sai ogni cosa'. Pregoti
adunque, che tutto perdoni alla follia ed alla
giovanezza di lui: tuo; sai essere di questa et il ba
loccarsi di tali giuochi; quello che ha fatto, abbiam
fatto insieme: noi due siamo i rei: usura, capitale,
e spesa, tutto chc and per l amica, tutto insom
ma sar a carico nostro e non a tuo.
Non potea farmisi davanti oratore pi persuadente
di te: io non sono adirato con lui, n mi sdegno
per cosa del mondo: anzi amoreggi, sbevazzi, faccia
alto e basso, come gli aggrada, alla presenza mia,
ch segli si vergogna del tanto scialo che ha fatto,
io n ho abbastanza.
Si seppellirebbe.
Lha dato questo perdono: e di me che ne verr?
A te, fangaccio, il bastone, e la forca.
E se me ne vergogno? .
T ammazzer, se avr vita.
Fammi questa grazia, perdona a Tranione per amor
mio:
Ti lascerei tuttaltro, piuttosto che non faccia pa
gare a costui i suoi malefzii di cara moneta.

284
Cal . Mille istunc quaeso.
Te e .
Hem, viden ut restai furcifer?
Ca l . Tranio, quiesce, si sapis.
Tue.
T u quiesce hanc remmodo
Petere: ego illum verberibus, ni sil quietus, subegero.
Cal . Nihil opus est profecto: age ja m , sine ted exorarier.
T u e . Nolo ores.
Ca l .
Quaeso hercle.
T be.
Nolo, inquam , ores.
Ca l .
Nequidquam nevis.
H anc modo unam noxae veniam , quaeso, fac causa
mea.
T ra . Quid gravaris? quasi non cras j a m conmeream
aliam noxiam :
Ib i ulrumque, et hoc el illud poteris ulcisci probe.
C al . Sine te exorem. .
T he.
Age, abi, abi impunet hem , huic habeto gratiam.
Spectatores, Fabula haec est acia: vos plausum date.

F i n i s M o stellariae .

Cal.
Teu.
Cal .
T eu.

Lascialo ti prego.
E non vedi come si sta il briccone?
St cheto, Tranione, se hai testa.
E tu sta cheto dal domandarmi tal cosa: l acche
ter ben io a furia di sprangate.
Cal. Non necessario, lasciati commuovere.
T eu. Non pi preci.
Cal. Oh per bacco . . .
Teu. Non te 1 ho detto, che non voglio preci?
Cal.
II non volerle inutile. Per questa volta anche
le colpe di costui perdona in grazia mia.
T ra. .E a che fate tanto lo stomacato voi ? Domani non
far io altro fallo perch abbiale a pigliar voi le
vostre vendette daddovcro si dell uno come del1 altro?
Cal. Lasciati placare.
T eu.
Su via, vaitene pur franco, e sia obbligato a costui.
Spettatori, la favola finita: date segno dapplauso.

F in e d e lla M o s t e l l a r ia .

NOTE

(1) Taluni, intra i quali Bothe, leggono nidorem excipis.


Cos poi spiegasi questa voce nidor dall Einsio:
excrementum m erum ac sordes.
(2) LAcidalio legge clamitas, Lambino, Camerario clamatio.
(3) Quia tu vis lessero gli antichi commentatori, Lam
bino, Camerario, Boxornio, Pareo ecc. ma le anti
chissime edizioni ed i manoscritti leggono quia
vivis, e pur quia vivis scrisse anche Bothe nel
suo Plauto, giudicando, e non a torto, questo motto
assai pi frizzante del quia tu vis.
(4) Cosi meglio di Weise, quam tu vivis, victibus, legge
Bothe.
(5) Scaligero leggeva carnificinum.
(6) Fra le venti commedie Plautine alcuna non v' ha che
sia m altrattata pi di questa dalla ingiuria del
tempo, e perci i commentatori afTacendarsi a ri-*
, mettere i luoghi perduti o col loro giudizio, o con
qualche parola nuova, che facess la ventura sco
prir loro ne codici. Che far dunque si doveva in
tanto viluppo? ingolfar Plauto in altre note, e in
altre varie lezioni: a me di questo non bastava n
la voglia, n la pazienza, epper intra le tante
edizioni trascelsi quella di Weise, perch delle pi
recenti, e delle pi giudiziose di quante sinora
furono pubblicate.

288
(7) Leggono alcuni Posi illam.
(8) Molti leggono tuie es, tota parmi pi Plautino.
(9) Qui sono stato colla lezione di Bothe.
(10) Cosi meglio di tutti legge Bothe.
(11) Cos legge Bothe: e la sua lezione parmi dassai pi
preferibile che quella di Scaligero m am m a , madere;
e di Lambino m am m am adire.
(12) Lambino, Camerario, Boxornio adest.
(13) Amai meglio starmene alle volgale, chc al praeceptis
optume p a n d i iste prescelto da Bothe, perciocch
non intendesi a mio avviso Tranione rim proverare
il ragazzo, perch sia uscito di casa, ma sibbene
Filolache che 1 aveva mandato.
(14) S scrive Turnebo Adver. XII. 40. intorno a questo
terram tangere. genus quoddam venerationis
e^at et ceremoniae, superstitionisque lerram tan
gere. Varrone de Re Rus. I. 2. hoc ter novies
cantare jubet, terram langercj despuere, jejunum
cantare. Macrobio Satur. III. 9. quum tellurem dicit,
manibus terram tangit.
(15) Qui volli piuttosto starmene con Wei^e che con al
cun altro s degli antichi come de recenti.
(16) Weise e le volgale, quaeso quid aegre est? ma Grutero e Cler leggono quaeso quid segrex? la qual
lezione venne seguitata da Pareo e da Bothe.
(17) Cos Weise. Questo verso ed il seguente fu in varie
guise rappezzato da tulli quelli, chc emendarono
Plauto.
\18) Taluni aggiungono I'hilarus est, alle parole d i'T ra
nione frustra iste homo.
(19) Bothe vuole si legga: reddeturfte igitur foenus, red-

(20)

(21)

(22)
(23)

(24)
(25)

deiurne? le volgete all incontro di Lambino, Ca


merario, Sambuco, Boxornio scrivono reddetur, nune
abi nel qual nunc Bothe vede un errore de copisti
invece di ne. Io per credo questo nune una
scappata della troppo facil sdrucciolevol penna degli
amanuensi; e per lodo Weise, ch l abbia levato.
Somma in questo luogo la discrepanza fra le edi
zioni: a me non dispiacque la correzione di Bothe,
e perci volli seguirla.
Ecco un verso clic fu un grande scoglio a commen
tatori. Lambino lo mette in bocca all usuriere
dopo le parole N on edepol nunc me luis verbis
lerrilas, e con Lambino concordano Camerario, e
Boxornio. Giunti, ed Aldo seguiti da Bothe lo col
locano in bocca a Tranione. Taubmanno in vece
lo attribuisce a Teuropidc, e con Taubmanno doncorda 1 edizione di Plauto stampata a Parigi da
Didot. Avviso poi che in questa guisa Taubmanno
abbia tolto ogni dubbio, e per verit dovea assai
scottare al cuore di Teuropidc il litigio, che
bolliva fra Tranione e l usurajo pel denaro
che quest^ ultimo aveva prestato con usura a
Filolache.
Molti leggono fcrox.
Mal leggono le volgate nec quando esca una bene
meruerit magis. Lambino, e Boxornio dislillansi il
cervello inutilmente volendo far creder buona que
sta dizione.
Cos Bothe.
Qui volli seguire la lezione di Weise; perch mi parve
buona sopra ogn altra.
Vol. I. P lait .
19

(26) Meglio che da Weise venne questo luogo districato


da Bothe.
(27) Vedi Mureto Var. Lect. IX. 8. pag. 235. Aniuetyiae
apud Chrislophorum Plantinum 4586.
(28) Cosi volle ragionevolmente Bothe.
(29) S legge-Weise.
(30) Mal leggono le volgate tam placida est quam aqua:
Foeta legge il MSS. decurtato di Bothe, e le anti
chissime edizioni in tra le quali la Milanese.del \ 500.
di G. B. Pio; io per nell ordine degli interlocutori
sono stato con Weise.
(31) Alcune volgate non cominciano qui l* atto, ma pon
gono invece la scena Quid tibi visum etc., ma que
sto abbench grande sconcio non venne veduto
dal Prof. Berlinese.
(32) Venne questo verso trovato da Giusto Lipsio ne Co
dici Vaticani.
(33) Veniva cotesta scena dietro laltra Melius anno eie.
(34) Molti uniscono questa scena, a quella che incomincia,
Servi, quom eie.
(35) Lambino legge novi loqui.
(3G) Cos Weise.
(37) S scrive Bothe, e bene: le volgate leggono F idai.
(38) Leggono alcuni ille hucs Bothe illum, a me parve,
s abbia a leggere ti/uc, congiungendo cos l ille
e F bue.
(39) Cos Bothe.
(40) Cos Bothe.
(41) Diphilus legge Bothe, Demipho allincontro leggono
tutte le volgale anche le pi antiche.

R prim o numero indic* la pagina il secondo la linea.

E rrori

6 5
-177
479
486
186
-187
-198
205
245

4
44
25
26
46
6
9
\

Phlilematium
ai grilli de
non pi salvarmi
ejns
habcs
qnesti
Nota (13)
E*
Tra.

Correzioni
Philenaalium
ai grilli del
non so pi salvarmi
cjus
habes
questi
( 12)
E
Sim.

RUDENS
><

LA

GOMENA

BARTOLOMEO SECCO-SURDO
(/a-

amo

jcr& tfore' c/c /ec/a /e teiere


ove

a $ T a cu tezza

agputnjte ^ t* za
/a

c /e f fietitetfo
c /i/cndorc

c/u ptii/a, c/e$e& fia r-e /tz


PIERLUIGI DOMINI

recate
/a

tu zff t/aJcco
*fycukn/e
/a

cocome

/tom a

$Jauna

vofle

va&cfinzo /uz/w no

raccom andata.

PERSONE DELLA FAVOLA

jictiuiiv -P rologus

Arturo- P

j io l o g

SCEPARNIO

SCEPARNIONE

P l e v s id ip p d s

P l e u s id ip p o

D akones

D em o ne

P alestra

P alestra

j m p e l is c a

A m p e l is c a

S ac ek d o s

S a cerd o tessa

P is c a t o r e s

P esca to ri

T r a c b a l io

T r a c a l io n e

L abuax
Cr jrm id k s

L abrace

Gnipvs

G r ip o

L o r a r ii

L o r a r ii

C a r m id e

L a Scena nelle vicinanze di Cirene.

PROLOGUS
ARCTU RU S

Qui gentis omnis, mariaque et terras movet,


Ejus sum civis civitate coelitum.
Ita sum, ut videtis, splendens stella candida j
Signum quod semper tempore exoritur suo,
Hic atque in coelo: nomen Arcturo est mihi.
Noctu sum in coelo clarus, atque inter deos:
In te r mortalis ambulod interdius.
E t alia signa de coelo ad terram accidunt.
Qui est imperator divom atque hom inum Jupiter,
Is nos per gentis alium alia disparat.
H om inum qui facta, mores, pietatem et fidem
Noscamus,- ut quemque adjuvet opulentia:
Qui falsas litis falsis testimoniis
P etuntj quique in ju re abjurant pecuniam,Eorum referimus nom ina exscripta ad Jovem.
Cotidie Ule scit, quis hic quaerat m alum .
Qui hic litem adipisci postulant perjurio,
M ali res falsas qui impetrant apud judicem:
Iterum ille eam rem judicatam judicat,
Majore m ulta multat, quam litem auferunt.
Bonos in aliis tabulis exscriptos habet.

PROLOGO

ARTURO

Io
sono abitator del cielo, cittadino di colui che muove
tutte le genti, il mare e le terre; tal son io qual voi mi
vedete una stella risplendente e candida, una costellazione
che qui ed in cielo si leva sempre a suo tempo; mio nome
Arturo. La notte me ne sto in cielo rilucente fra gli dei,
il giorno lo converso fra i mortali; ed io non sono il solo
astro che dal cielo discende in terra. Quegli che signore
degli dei e degli uomini, Giove insomma ci disgiunge lun
l altro fra i popoli, affinch possiam conoscere i fatti, i
costumi, la piet, e la fede degli uomini, e per qual modo
ciascheduno si fa ricco. Que che si vanno cercando
false liti con falsi testimonii, que Che avanti al magistrato
sacramentano di non aver ricevuto quello, che venne loro
dato; noi per nome riferiamo a Giove, e d non passa
chegli, chi saguzzi quaggi il palo sulle ginocchia, non sap
pia. Oh come egli castiga coloro che con uno spergiuro si
vanno accattando false liti, e que tristi che hanno tirato
il giudice dalla loro! Dio sottopone a rigoroso esame
quanto si giudic qui in terra, e lasciando amalvagi
cadere assai grave il suo braccio addosso, toglie assai
pi di quello ch essi trassero dalle liti. Egli ha i buoni

Alque hoc scelesti in animum, inducunt suoni,


Jovem se placare posse donis, hostiis.
E t operam et sum tum perdunt: id eo fil, quia
Nihil et acceptum est a perjuris supplici.
Facilius, si qui pius est, a dis supplicansj
Q uam qui scelestust, inveniet veniam sibi.
Jdcirco moneo vos ego haec, qui estis bonij
Quique aetatem agitis cum pielate et cum fide.
Retinete porros post factum ut laetemini.
N unc, huc qua causa venij argumentum eloquar.
P rim um dum huic esse nomen urbi Diphilus
Cyrenas voluit: illic habitat Daemones
In agro atque villa proxum a propter mare,
Senex, qui huc Athenis exsul venit, haud malus.
Neque is adeo propter m alitiam p a ln a carel:
Sed, dum a los servat, se impedivit interim:
Item bene paratam comitate perdidit.
Huiic filiola virgo periit parvola.
E am de praedone vir mercatur pessumus.
Is eam huc Cyrenas leno advexit virginem.
Adulescens quidam civis hujus Allicns
E am vidit ire e ludo fidicino domum.
A m a re occoepit: ad lenonem devenit.
M inis triginta sibi puellam destinat,
Dalque arrhabonem , et jurejurando adligat.
Is leno, ut se aequom est, flocci non fecit fidem:
Neque, quod juratus adulescenti, dixerat.
E i erat hospes, par illius, Sictilus, senex
Scelestus, Agrigentinus, urbis proditor:
Is illius laudare infit form am virginis.
E t aliarum itidem, quae ejus erant mulierculae.

scritti (opra un* altra tavola. Eppure questi ribaldour


ti fanno a credere potersi rappattumare con Giove
donandolo, e facendogli desacrificii: ma loro ne va la fac
cenda pel buco dell acquajo, per questo appunto chc a
lui nulla supplicazione accettvole, se viene dagU sper
giuri. L uomo dabbene ben pi facilmente del briccone
trova aperte le orecchie di Dio, queste cose le dico a voi
che siete buoni, che vivete una vita santissima e leale;
conservatevi tali, e ricordatevi, che ride bene chi ride in
ultimo. Or vi dir io largomento, ed il perch qua mi sia
venuto. Anzi ogni cosa Diflo volle questa citt fosse Cirene:
in que campi e nella villa, che qua presso il mare, sta
Demone. Vecchio arriv qui esule da Atene, egli dabben uomo anzi che no, e s ha perduta la patria, non per
sua tristizia l ha egli perduta, ma invece perch mentre
il poveretto volle stralciare gli altri, avvilupp s stesso,
perdendo pel suo buon cuore quel bene, che onestamente
erasi acquistato. A costui si smarr una figlia ancor pic
colina, ed un uomo tristo pi di quanti ve n abbia, la
comper dal ladro. Il ruffiano la trasse qui in Cirene. Un
giovane Attico concittadino di costui la vide un d, chc
dalla scuola del ceterista ritornavasi a casa: incomincia a
vagheggiarla, viene al ruffiano,, ed accordasi seco lui da
verla per trenta mine: gli d la caparra, e lo costringe
a giurare. Il pollastriere, coni proprio de pari suoi,
messasi sotto i piedi la promessa, non s attenne a quanto
aveva giurato al giovane. Alloggiava in casa sua un uomo
dello stesso pelo, agrigentino, traditor della patria: questi
prese a lodare la bellezza della giovane, e dell altre fcin-

Infil lenoni suadere, ut secum simul


Eat in Siciliam : ibi esse homines voluptariot
Dicit: potesse ibi eum fieri divitem:
Ib i esse quaestum m axum um meretricibus,
Persuadet: navis clanculum conducitur.
Quidquid crai, noctu in navem comportat domo
Leno: adulescenti, qui puellam ab eo emerat.
A it sese Veneri velle votum solvere.
I d hic est fanum Veneris, et eo ad prandium
Vocavit adulescentem huc: ipse hinc eloco
Conscendit navem, avehit meretriculas.
Adulescenti alii narrant, ut res gesta sit:
Lenonem abivisse: ad portum adulescens venit:
Illorum navis longe in altum abscesserat.
Ego, quoniam video virginem asportarier,
Tetuli ei auxilium et lenoni exilium simul:
Increpui hibernum, et fluctus m ovi maritumos.
N am A rcturus signum sum om nium acerrumum:
Vehemens sum exoriens: quom occido, vchemenlior.
Nunc ambo in saxo, leno atque hospes, simul
Sedent ejecti: navis confracta est ibus.
Illa autem virgo, atque altera itidem ancillula,
De navi timidae desiluerunt in scapham.
Nunc eas ab saxo fluctus ad terram ferunt,
A d villam illius, exsul ubi habitat senex,
Quojus deturbavit ventus tectum et tegulas.
Et servos illic est ejus, qui egreditur foras.
Adulescens huc ja m adveniet, quem videbitis,
Qui illam mercatust de lenone virginem.
Valete, ut hostes vostri diffidant sibi.

mine, ed a lusingare il ruffiano d andarsene seco in Si


cilia; quivi esser gli uomini di buon tempo, quello essere
il luogo di trasricchire, aggiungendo esser quivi le donne
ad altissimo prezzo. Lo fa risolvere: di soppiatto pigliasi a
noi ito una nave, il ruffiano notte tempo tutto che avea
in casa trasporta nel naviglio, e bisticcia al giovane com
pratore della fanciulla, <Ji voler sciogliersi da un voto, onde
s era legato con Venere. Questo il tempio di Venere, e
qui chiama egli il giovane a desinare: quindi egli monta
subito in nave colla donna, e via. Altri giovani raccontano,
come sia il fatto di quel buon pollastriere che se l ha colta.
Viene al porto il giovane; ma gi la nave avea preso l alto.
Io veduto portarsi via la fanciulla, feci s che un colpo
solo recasse soccorso alla giovane, la malaventura al
ruffiano: pi che seppi ho dato negli aquiloni, dall imo
al sommo ho sconvolte tutte le onde, conciossiach Arturo
son io, costcllazion procellosa nel sorgere, procellosissima
nel cadere. Il ruffiano col suo ospite se ne stanno in
tanto amcndue naufraghi ad uno scoglio, perocch la nave
loro ita in conquasso: la fanciulla poi e l ancella si
gittarono spaventate nel palischermo; or londe le traspor
tano dalle secche a lido verso la villa, dove abita quel vecchio
esule, alla casa del quale il vento ha fracassato e tetto e
tegole. Egli un suo servo colui che vien fuori, il gio
vane che vedrete capitar qui fra poco, gli quello che
comper la fanciulla dal ruffiano. State sani, ed i vostri
nemici diffidino di provarsi con esso voi.

ACTU S
SC E N A

I.
I.

ScEPARIflO.

Proh di immortalest tempestatem quojusmodi


Neptunus nobis nocte hac misit proxum at
Detexit ventus villam! Quid verbis opust?
Non ventus fuit, verum Alcum ena Euripidi,
Ita omnis de tecto deturbavit tegulas:
Illustrioris fecit, fenestrasque indidit.
SC E N A

II.

P l EVSIDIPPVS, D a EKONBS, S c e p a r n i o .

P l e . Et vos a vostris abduxi negotiis,


Neque id processit, qua vos duxi graliu,
Neque quivi lenonem ad portum prehendere.
Sed mea desidia spem deserere nolui:
Eo vos, am ici, detinui diutius.
Nunc huc ad Veneris fanum venio viserej
Ubi rem divinam se facturum dixerat.
S c e . S sapiam, hoc quod m e m actat, concinnem lutum.
P l e . Prope me hinc nescio quis loquitur
D ae.
Heus! Sceparnio.
S c e . Qui nominat me?
D ae .
Qui pro te argentum dedit.

ATTO
SCENA

I
I.

ScEPRIUOHE.

Zucche! che tempesta ci regal stanotte Nettano! il vento


ha mandato a soqquadro tutto il tetto della vil
la: che sha da dir di pi? Non fu un vento ma
1 Alcmena di Euripide: non v restata sana una
tegola, non v luogo che non sia forato, tutto
pieno di finestre.
SCENA

IL

P l e u s i d i p p o , D e m o r e , S c e p h h io h e .

P le .

V ho tolti, ben vero, dalle vostre faccende, ma


non m intravvenne ci, per cui io vho mossi; non
arrivai al porto in tempo di cogliere quel ruffiano:
ma non ho voluto lasciarmi da minchione scappar
la speranza. Per questo non vho per tantora lasciati
andare, o amici. Adesso qui vengo in questo tempio
di Venere, in cui egli dicea voler fare un sacrifcio.

S ce.

Se n o n

m affatto scappato di capo il g iudzio,

rim e ste r p e r

anco q u e sta m o ta che m am m azza.

P le .

Diacine! chi p a rla q u i p resso me?

D ejl

0 Sceparnione!

S ce .

Chi m i vuole?

D eh .

Chi t ' h a com prato?


V ol . I. P lut.

20

S ce. Quoti me tuom ette tervom dicas. Daemones.


D a e .Luto titutl mullo j m ultam terram confode:
Filiam integundam intellego totam mihi:
N am nunc perlucet ea, quam 'cribrum , crebriut.
P l e . Paler, salveto, amboque adeo.
D ae .
Salvos sis.
S ce. Sed utrum tu m as an fem ina es, qui illune patrem
Focet?
P le.
F ir sum equidem.
D ae.
Quaere, vir, porro patrem.
Filiolam ego unam habui, eam unam perdidi.
Firile sexus num quam ullum habui.
P le.
A t di dabunt.
S ce. Tibi quidem hercle, quisquis es, m agnum m alum ,
Qui oratione hic occupatos occupes.
PiE.Isticcine vos habitatis?
S ce.
Quid tu id quaeritas?
A n quo furatum nox venas, ( i) vestigas loca?
P l e .P eculiosum eum esse decet servom et probum,
Quem hero praesente praetereat oratios
A u t qui inclementer dicat hom ini libero.
S ce, Et impudicum et impudentem hominem addecet,
Molestum ultro advenire ad alienam domum,
Quoi debeatur nihil.
D ae .
Tace, Sceparnio.
Quid opus, adulescens?
P le.

Isti infortunium ,
Qui praefestinet, ubi herus adsit, praeloqui.
Sed nisi molestumstj paucis percontarier
Vola ego ex te.

Sex.
D eh .

P le .
D e .
Sce.
P le .
Dem.

P le.
S ce.
P le .
Sce.

P le .

S ce.

D em.
P le .

Con ci voi dite, o Demone, chio son vostro servo.


Eh questa mota ancor poca, scava pur terra al
legramente: veggo che ho da rincappellarmi tutta la
villa: diavolo, la manda adesso luce per tanti buchi
da disgradarne un vaglio.
Che Dio t aiuti, o padre, e tuttadue.
Addio.
Siete uomo o donna voi per chiamar padre,
costui?
Uomo se non m inganno.
Se volete un padre, quel giovane, cercatevelo. Io
ebbi una figliuoletta sola, e questa ola lho smar
rita, maschi poi non ne ebbi mai.
Dio ve ne mander.
A voi mander il malanno, perch fate perdere il
tempo a chi ha le mani piene di lavoro.
Abitate voi qui?
E perch volete saperlo voi? venite forse annasando
qui per impazzarci sta notte quel poco ben di Dio
che abbiamo?
Egli fa ben duopo che costui abbia tirata la borsa,
o che sia un dabben uomo per parlare tanto fran
camente, e per istraccare colle sue villanie un uomo
libero alla presenza del padrone.
Ma deve per ben essere un tristo ed nn petu
lante colui, che, non d o v e n d o g li nulla, viene ad
arrecar molestia in casa d altri.
Zitto, Sceparnione, che t abbisogna, o giovane?
Il flagello per costui; che in faccia del padrone,
vuol m ettere il becco in molle. Se non vi pesa
vorrei domandarvi alcune cose.

D je .
Dabitur opera, alque in -negotio.
S ce. Quin tu in paludem is, exsecasque arundines, .
Qui pertegamus villam, dum sudumst?
Dj e .
Tace.
Tu, si quid opus est, dice.
P le .
D ic, quod te rogo.
Ecquem tu hic hominem crispum, incanum videris,
M alum j perjurum, palpatorem? . . .
Dje .
Plurimos.
N am ego propter ejusmodi viros vivo miser.
P l e .H ic, dico in fanum Feneris qui mulierculas
D uas secum adduxit: quique adornaret sibi,
Ut rem divinam faciat aut hodie aut heri.
D j e . Non hercle, adulescens, ja m hos dies complusculos
Quemquam istic vidi sacruficare: neque potest
Clam me esse, si qui sacruficant: semper petunt
A quam hinc, aut ignem, aut vascula, aut cultrum,
aut veru,
A u t aulam extarem, aut aliquid: quid verbis opust?
Feneri paravi vasa et puteum , non mihi.
Nunc intervallum ja m hos dies multos fuit.
P le . Ut verba praehibes, me periisse praedicas.
D j e . Mea quidem hercle causa salvos sis licet.
S ce .H eus tu! qui fana ventris causa circumis,
Jubere m diust prandium ornari domi;
Fortasse tu huc vocatus es ad prandium :
Illej qui vocavit, nullus venit (2).
P le.
Adm odum .
S ce . Est nullum periclum, te hinc ire im pransum dom um .
Cererem te melius quam Fenerem seclarierj
A m o ri haec curat, tritico curat Ceres.

S ce.

T* ascolter, sebben non mi sia tempo da far getto.


E che non andate nella palude voi a segar, le canne
ppr coprir la villa, intanto che fa bello.

D eb .

Taci: tu di quello che ti bisogna.

P le.

R ispondi

D e *.

uom o

alle dom ande m ie: n o n h a i v eduto

crespo, c a n u to ,

un

rib a ld o , s p e rg iu ro , ad ula

to r e ? . .
D e *.

Molti, e cagion lo ro v en n io d isg raziato della vita.

P le . '

De*.

Ma qui, m intend io, nel tempio di Venere, costui


avea seco due donne, e tutti gli apparecchi per
un sacrificio, che avr falto oggi o jeri.
In f di galantuomo, giovanotto mio, son gi pa
recchi e disparer.chi di, che qui non veggo persona
a far sacrificio di sorta, e s che a me ci non pu
restar occulto, imperciocch i divoti vengono sem
pre a domandarmi acqua, fuoco, o vasetto, o col
tello, o schidione, o pentola delle interiora. Che
devo aggiungerti? Per Venere, e non per me ho pre
parato pozzo e vasi: ora son gi trascorsi molti d.
A queste parole io son morto affatto.
Ma se ti piace, sta vivo per amor mio.

S ce.

Ol voi, che p e r in g ra s s a r la p an cia ficcate il capo

D eh .

P le .

in

tu tti i tem pli, sa ria b e n m eglio che o rd in assi

in casa v o stra il d esinare. F o rse siete qui in v itato


a p ra n z o voi: m a chi vh a chiam ato n o n s a n c o r
fa tto v edere.
P le .

Pur tro p p o .

S ce .

E perci senza pericolo potete andarvene a casa


colla pancia vuota. Meglio per voi se v avessi a dare
a . Cerere che a Ciprigna, perciocch questa pasce
gli uomini damore e quella invece d pagnotte.

P l e . Deludificavit me ille homo indigni* modi*.


DJE.Proh di immortales, quid illue est, Sceparnio ,
H om inum tecundum litus?
S ce.
. - Ut mea est opinio.
Propter viam illi sunt vocati (3) ad prandium .
D j e . Qui?
S ce.
Quia post coenam, credo, laverunt heri.
Confracta navis in m a ri est illis.
Dje .
Ita est. '
S ce . A t hercle nobis villa in terra et tegulae.
D je .
H ui/
H om unculi, quanti estis/ ejecti ut natant/
P l e . Ubi sunt ii homines, obsecro?
D je.
H ac ad dexteram,
Videri secundum lilus?
P le. ;
Video: sequimini.
Ulinam sit is, quem ego quaero, vir sacerrumus/
Valete.
S ce.
S i n o n moneas, nosmet meminimus.
Sed, o Palaem on, sancte Neptuni comes,
Quique Herculis sociennus esse diceris (4)
Quod facinus video/
D je.
Quid vides?
S ce .
Mulierculas
Video sedentis in scapha solas duas.
Ut adflictantur miserae! euge euge/ perbene/
A b saxo avortit fluctus ad litus scapham.
Neque gubernator um quam potuit rectius.
N on vidisse unda* me- majoris censeo.
Salvae sunt, si illos fluctus devitaverint.
Nunc, nunc periculum est/ ejecit alleram,

su
P le .

. Colui m ha schernito assai indegnamente.

Deh.

Affogatine! Doh! che mai,Sceparnione,gentesullido?

Sce.

EUi deon, a parer mio, esser di quelli che son


chiamati a far sacrificio sulla strada.

De e .

P erch?

S ce.

Perch si son lavati dopo la cena di jeri, e s ha


loro da essere sfracellata in mare la nave.
cosi

D eh .
\

S ce.

E la n o s tra villa, sebben in te r r a , n o n h a p i u n a tegola.

D eh .

Oh poveri disgraziati! in che termine siete m ai?


guarda come nuotano i naufraghi.

P le .

Ma deh ove. son questi uomini?

D eh .

Qua a d e stra , li vedi lunghesso il lido?

P le .

Veggo. Seguitemi, potesse esservi lo scellerato che


cerco! state sani.

S ce.

Sapevamcelo senza ricordi. 0 Palemone! 0 santo


compagno di Nettuno, 0 tu che se finche detto
compagno d Ercole, che veggo io mai?

D eh.

E che?

S ce.

Due povere donnicciuole sole solette in un palischer


mo. Poverette come sono flagellate dallonde! evviva,
evviva, oh buono! il flutto tolse dal sasso il battello
e lo manda a lido. Niun piloto potea far'.o meglio! Che
cavalloni non mi ricorda d averne veduti di pi
grossi! son

salve, se la cansano quell ondata.

Ora, ora il pericolo: n ha gettata fuori una,

A l in vado est: ja m facile enabit: eugepaef


V ideri, alteram illam ut fluctus ejecit forasi
Surrexit: horsum se capessit: salva resi
Desiluit haec autem altera in terram e scapha.
Ut prae tim ore in genua in undas conciditt
Salva est! evasit ex aquaj ja m in litore est.
Sed dextrovorsum avorsa it in m alam crucem.
H em t errabit illaec hodie.
Dj e .
Quid id refert tua?
S ce .S ad saxum quo capessit, ea deorsum cadit.
Errationis fecerit compendium.
D j e . S i tu de illarum coenaturus vesperi es,
Illis curandum censeo, Scepam io:
S i apud me esurus es, m ihi dari operam volo.
S ce . Bonum aequomque oras.
Dje .
Sequere me hac ergo.
S ce .'
Sequor.
SC E N A
P jlje str j

III.
(5).

N im io hom inum fortunae m inus misere memoran


tur, quam experiundis
D atur acerbum: hoc Deo complacitum est: m e hoc
ornatu ornatam , ejectamt
Tim idam in incertas regionest Hanccine ego ad rem
natam m iseram
Me memorabo? hanccine ego pariem capio ob pieta
tem praecipuam?
N am m i hoc haud labori est laborem hunc potiri.

Deh.
Sce.
Dem.

Sce.
Deh.
Sce.

ma in guado, e nuoter facilmente; benissimo !


Oh ve' come il flutto ha spinta fuori anche quell altra? s alzata, la viene a questa volta. Il pe
ricolo passato. L una salta in terra dal pali
schermo: caduta in ginocchio per la paura.
salva, se n uscita dall acqua, gi a terra: ma
se voltasi a destra capiter male: afT che an
dranno alla peggio i passi suol
Che importa a te?
Se fa un tomo dal sasso cui ella va, non fa pi
il secondo.
Se stasera tu alzerai il fianco al loro desco, o
Sceparnione, farai bene ire ad ajutarle; ma se fai
conto di scufliar del mio, dovrai tu lavorare per
me.
giusto quello che dite.
Seguimi adunque.
Eccomi pronto.

SCENA

m.

P alestra.

In confronto di quello che sono, si dice ben poco delle


sventure degli uomini. Cosi oggi piacque a Dio
cacciarmi malconcia e piena di spavento in paesi
ignoti. Ed io dovr dirmi nata a tanta sventura?
questo il guiderdone che si rende alla piet mia?
Questo travaglio mel comporterei in pace, savessi

S i erga parentem aut deos me impiavi;


Sed id si parate curavi ut caveremj
Tum hoc m ihi indecore, inique, inmodeste, di,
datis.
N am quid sibi igitur im pii posthac habebunt.
S i ad hunc modum est innoxiis honor apud vos?
N am me, si sciam fecisse, aut parentis
Sceleste, minus me miserer; sed herile
Scelus me sollicitat.
Ejus me impietas male habet: is navem atque om
nia perdidit in m ari.
Haec bonorum ejus sunt reliquiae: etiam,
Cuae simul vecta mecum in scaphast, excidit.
Nunc ego sola sum. Quae si m ihi foret
Salva, saltem labor lenior esset hic
Ejus opera mihi: nunc quam spem, aut opem, aut
consilii quid capessam?
Jta hic sola solis locis compotita.
Hic saxa suntj hic mare sonat, nec quisquam ho
mo m i obviam venit.
Hoc, quod induta sum, summ ae opes oppido,
Nec cibo, nec loco, tecta quo sim , scio.
Quae m ihi est spes, qua me vivere velim?
.Nec loci gnara sum, nec diu hic fui.
Saltem aliquem velim, qui m ihi ex his locis
A u t viam aut semitam monstret:
Ita nunc hac an illae eam, incerta sum consili:
Nec prope usquam hic quidem cultum agrum con
spicor.
Algorj error, pavor mem bra omnia (6 )' tenent.
Haec parentis m ei haud scitis miseri, me nunc es
se ita, ut sum.
Libera ego prognata fuvi m axum ej nequidquam
fuvi.
Nunc quid m inus servio, quam si forem serva
nata?
Neque quidqam um quam iis profui, qui m e sibi
eduxerunt.

mancato di riverenza al parenti od agli dei: ma se


me ne son sempre andata guardinga, questa ricom
pensa che voi mi date, ben poco da voi, iniqua
ed ingiusta. E che si avranno i sacrileghi se cos
voi adoperate cogli uomini dabbene? Non mi dorrei
cotanto, se mi sentissi mordere nella coscienza, o se
conoscessi empiet nemici parenti. Ma la ribalderia
del padrone quella che mi d tanti affanni: la fel
lonia di lui quella che mi d tanto strazio; egli
in m are perdette ogni cosa Questi sono gli avanzi
d ogni aver suo: anche colei peri, che era meco
nel palischermo, ed ora io sono derelitta. Almeno
la mi restasse! cosuoi conforti la mi farebbe venir
meno incresciosa questa disgrazia. Qual speranza
deggio prendere, qual soccorso, qual consiglio?
Qui son io diserta in questi diserti, di qua gli
scogli, di qui freme il mare, n mi vien incontro
anima vivente. Questi che ho indosso sono tutti i
miei beni, non so chc mettermi in bocca, non so
dove ricoverarmi. Qual fiducia mi resta che mi lusin
ghi a vivere? io non sono pratica del luogo, perch
qua io non fui mai. Venisse almeno alcuno che mi
cavasse da questi luoghi, insegnandomi o una
strada o una callaja, imperciocch adesso non so se
debba volgermi piuttosto a destra od a sinistra. Io
non veggo qua intorno un campo che dia segno
di coltura; il freddo, l incertezza, lo spavento mi
mi tolgon l anima. Poveri parenti miei, voi non sa
pete in che mala fortuna mi trovi, ah! ben s vero
che nacqui libera, ma nulla mi giova, eh ora io servo
non meno che se fossi serva dalla nascita, senza
poter dar niun sollievo a coloro che mallevarono.

P jljb sth j.

m ihi meliust, quid magis in rem est, quam


corpore vitam secludam?
Ita male vivo/ atque ita m ihi mullae in pectore sunt
curae exanimales.
Dein (7) vitai haud parco/ perdidi spem, qua med
oblectabam.
Omnia ja m circumcursavi, atque omnibus in late
bris perreptavit
Quaerere conservam voce, oculist auribusj ut per
vestigarem.
Neque eam usquam invenio, neque quo eam, neque
qua quaeram, consultum est,
Neque quem rogilem responsorem, quemquam inte
rea invenio.
Neque magis solae terrae sunt, quam haec loca at
que hae regiones.
Neque si vivit, eam vivam um quam quin inveniam,
desistam.
P jL.Q uaenam vox m ihi prope hic sonat?
A m p.
P ertim ui
Quis hic loquitur prope?
P jL .S p es bona, obsecro, subventa m ih i
A m p . Mulier est: muliebris vox m ihi ad aures
Venit: an eximes ex hoc m iseram metu?
P j l . Certo vox muliebris auris tetigit meas.
Num Ampelisca obsecro est?
A m p.
Ten, Palaestra, audio?
A

m p . Quid

m P BLISC J,

Ampelisca, P alestra.
Ahp.

Che mi pu far maggior bene, che pi mi torna


meglio che levarmi questa vita di dosso? vivo fra
tante miserie e con tanti affanni in cuore che una
morte. S.on deliberata di morire, ho perduta quella
poca speranza, su cui mi fondavo. Ho corsi tutti
i luoghi qua intorno, sono andata tapinando per
tutte le ascosaglie, chiamai, guardai, stetti in orec
chio per cercare la mia conserva, ma non ci fu
modo chio la potessi vedere. Ora dove andarmene?
dove trovarla? ed intanto non v persona che mi
risponda. Non ha il mondo solitudini pi solitarie
di questi paesi e questi luoghi, ma ho fermo di non
ristarm i dal cercarla tanto, quanto ella viva, n
maccontento, se non la trovo.

P al.

Qual voce io odo presso a me?

Amp.

Io tremo come verga, chi parla qua?

P al.

0 mia buona Speranza, deh dammi ajuto.

Amp.

una donna costei, imperocch quella che mi feri


1 orecchio una voce di donna. Vien forse tu a
m
liberarmi dalla paura?

P al.

proprio una donna costei. Che sia Ampelisca?

Amp.

Se tu Palestra ch io ascolto?

P j l . Quin voco, ut me audiat, nomine illam suo.


Ampelisca!
A tp .
Hem quis est?
P jl .
Ego Palaestra sum.
A mp . Die, ubi es?
Pjl.
Pol ego nunc in malis plurimis.
A sp .S o c ia sum j nec m inor pars mea est quam tua.
Sed videre expeto te.
Pjl.
M ihi es aemula.
A mp . Consequamur gradu vocem: ubi es?
Pj l .
Ecce me!
Accede ad me, atque adi contro.
A m p.
F it sedulo.
P j l . Cedo manum .
A mp.
Accipe.
P jl.
D ie, vivisne'obsccro?
A mp . Tu facis me quidem ut vivere nunc velim.
Quando m ihi te licei tangere: ut vix m ihi
Credo ego hoc, tc tenere! obsecro, amplectere,
Spes mea! ut me omnium ja m laborum levas!
P j l . Occupas praeloqui, quae mea est oratio.
Nunc abire hinc decet nos.
A mp .
Quo, amabo, ibimus?
P j l . Litus hoc persequamur.'
J up.
Sequor, quo lubet.
PjL.Siccine hic cum uvida veste grassabimur?
A mp .E oe quod est, id necessarium est perpeti.
Sed quid hoc, obsecro, est?
Pjl.
Quid?
A mp .
Fiden'?
Pjl.
Quid vides
Amabo!

P al.
Amp.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
Pal.
Amp.

P al.
Amp'.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
P al.
Amp.
Pal.

E perch non la chiamo pel, suo nome dicendo


ella il mio? mpelisca!
Ah! chi ?
Palestra.
Dove sei?
Nella massima delle sventure.
Ed io ti son campagna, n i miei casi sono mi
gliori de tuoi; ma vorrei pur vederti.
Questo vorrei anch io.
Seguitiam la voce, dove sei?
Eccomi; mi t accosta, viemmi incntro.
Subito.
Dammi la mano.
Eccotela.
Di, se tu viva, dimmelo in carit.
T u ora mi risusciti, quando posso toccarti! non
posso farmi capace chio tabbia stretta: deh tiemmi,
abbracciami, o mia speranza, tu sola sei il sollievo
demiei travagli!
T u di quello che voleva dir io: or dobbiamo an
darcene.
Ma dove noi? . . .
Lunghesso questo lido.
Vengo dove tu vuoi.
E dovremo andarcene con indosso questa veste
cos floscia?
E* far bisogna della necessit virt: Ma deh che
cosa questo?
Che?
Vedi?
Che vedi di grazia!

320
A mf .F anum viden' ho c?
P jl .
Ubi ett?
A mp .
A d dexteram.
PAL.Video decorum dis locum viderier.
A mp .H aud longe abesse oportet homines hinc: ita hic
lepidust locus.
Est deus: veneror,
uti nos ex hac aerumnas
exim at,
Miseras, inopes, aerumnosas aliquo ttl auxilio adjuvet.

SCENA r.
S ac erd o s, P a l a e s t r a , A

m p e l is c a .

S ac. Qui (9 ) sunt, qui a patrona preces mea expetessunt?


N am vox precantum me huc foras excitavit.
B onam atque obsequentem deam, atque haud gra
vatam
P atronam exsequontur, benignamque mullum.
P al . Jubemus te salvere, mater.
S ac .
Salvete,
Puellae: sed unde vos ire cum uvida
Feste dicam, obsecro, tam moestiter vestitas,
P al .E loco hinc im us, haud longule ex hoc loco.
F erum longe hinc abest, unde huc vectae sumus.
S ac. Nempe equo ligneo per vias coerulas
Estis vectae.
P al .
Adm odum .
S ac.

Ergo aequius vos erat


Candidatas venire hostiatasque: ad hoc
F anum ad islunc m odum non veniri solet.

A .
P al.
Amp.
P al.
Amp.

Vedi tu questo tempio?


Dove?
A destra.
Parmi vedere un luogo sacro agli Iddii.
Non lunge di qui deono abitar uomini; questoluogo
mi rallegra. V un Dio: l adoro, acci ci liberi
de tutte queste miserie, acci sia presto d ajuto
a noi poverette disgraziate.
SCENA

V.

Sacerdotessa, P alestra, Ampelisca.

Sac.

P al.
Sac.

P al.
Sac.
P al.
Sac.

Chi invoca la dea mia signora? io mi son sentita


chiamar qua fuori da voci di supplichevoli: essi
vengono ad una Dea buona arrendevole, ed ac
condiscendente; ad una avvocata cortese cd assai
benigna.
Che Dio v ajuti, o madre.
E anche voi, o fanciulle, ma dove dovr dire che
andate con la vesta cosi bagnata, e con un volto
cosi sconfitto?
Noi andiamo ad un luogo non lungi di qui, ma da

ben pi lontano noi siamo partite.


Certo cavalcaste il mare sopra un cavallo di
legno.
Proprio.
Era adunque ben meglio che voi aveste a venire
velate di bianco e fornite di vittime, a questo
tempio in s fatto modo non s mai usato
voire.
Voi. I. P lact.

21

P jL .Q u a tn t ejeclae e m a ri sum ut ambae, obsecro,


Unde nos hostiat agere voluisti huc?
Nunc tibi amplectimur genua eijentes oputn,
Quae in locis nesciis nescia spe s u m u s /
Ut tuo recipias tecto, servcsque nos,
Miserarumque te am barum uti misereat,
Quibus nec locut ullus, nec spes parata est
Neque hoc amplius, quod vides, nobis quidquam est.
S a c . Manus m ihi date,- exsurgite a genibus ambae:
Misericordior nulla me est feminarum .
Sed pauperes res sunt inopesque haec: puellae:
Egomet vix vitam colo: Veneri cibo meo servio
A mp . Veneris fanum , obsecro, hoc est?
S ac .
Fateor-,
Ego hujut fa n i tacerdos clueo: verum, quidquid est
Comiter fiet a me, quo valebit copia.
Ite hac mecum.
P jl.
A m ice benigneque honorem
Habet nostrum, mater.
S ac.
Oportet.

Sac.

mp.

Sac.

P al.
Sac.

Deh! e donde vorreste noi due avessimo a trovar le


vittime se qui ci ha gittate il mare? Noi or siamo
bisognose di' lutto, noi vi stringiamo le ginocchia,
in questi luoghi perduti perdute siam pur di spe
ranza: dateci ricovero in casa vostra, salvateci, vi
tocchino il cuore le nostre disavventure, non ab
biane pertugio che ci accolga, non abbiam speranza
che ci rallevi, ed ogni aver nostro, lo vedete voi,
son questi cenci sgraziati che abbiamo attorno.
Datemi la inano, e svincolatevi amendue dalle mie
ginocchia; non v ha femmina pi compassionevole
di me, ma qui, figliuole mie, tutto povert e
miseria: anchio a fatica traggo la vita, e fo onore
a Venere colle mie spese.
Oh! egli questo tempio di Venere?
Si, ed io ne sono la Sacerdotessa: tutto che po
tr farvi di bene, son presta a farlovi: venite
dentro.
Oh con che carit, o madre hai cura dell ono
nostro.
S ha da far cosi.

ACTUS 11
SC E N A

1.

P is c a t o r e s .

Omnibus modis qui pauperes sunt hom ines,

m iseri
vivont,
Praesertim quibus nec quaestus est, nec didicere ar
tem uflam.
Necessitate, quidquid est dom i, id sal est habendum.
Nos ja m de ornatu propemodum ut locupletes simus,
scitis,
Bice ham i, atque haec harundines sunt nobis quaestu
et cultu.
Cotidie ex urbe ad m are huc prodimus pabulatum:
P ro exercitu gymnastico et palaestrico, hoc habemus.
Echinos, lepadas, ostreas, balanos capiamus, con' chas,
M arinam urticam , musculos placusias striatas. (10)
Post -id piscatum hamatilem et saxatilem adgredimur.
Cibum capiamus e m ari: si eventus non evenit,
Ncque quidquam captum est piscium, salsi laulique
pure
D om um redimus clanculumj dormimus incoenati.
Atque ut nunc valide fluctuat m are, nulla nobis
spes est.
Nisi quid concharum capsimus, coenati sumus pro
fecto.
Nunc Fenerem hanc veneremur bonam , ut nos le
pide adjurit hodie.

ATTO II
SCENA I.
P escatori.
Per ogni ragione i poveri stentano la vita, e spezialmente
quelli che non han modo a guadagnarsene, e non
impararono alcun mestiere; bisogna che stieno a
quella poca carit che hanno in casa. Dalle vest
che abbiamo voi ben comprendete la nostra ric
chezza. In questi ami e queste canne sta tutto
il nostro traffico ed il nostro avere. Ogni giorno
dalla citt veniam qua fuori al mare per cercarci
il vitto, e questo nostro esercizio 1 abbiamo in
luogo di palestra e di ginnastica. Noi prendiara
ricci, lepadi, ostriche, balani, conchiglie, ortiche di
mare, topi e placusie striate: dopo ci facciamo a
pescar coll amo, o dagli scogli: ed il mare ci d
da vivere. Ma se la fortuna non ci ajuta, e non
prendiam pesce, aspersi di salamoja e ben lavati,
mogi mogi ce ne andiamo a casa, cd a teffano
vuoto ci poniamo a dormire. Quando, come ora la
marina grossa, non abbiamo speranza, e se non
pigliamo qualche conchiglia, possiam dire d aver
cenato. Preghiamo adesso questa buona Venera,
affinch oggi la ci mandi buona pesca.

T r a c a l io , P is c a t o r e s .

T ra . A nim o advorsavi sedulo, ne herum usquam praetaerirem.


N am quom modo exibat foras, ad portum se aibai
ire, Me. hvc obviam jussit sibi venire ad Veneris fanum.
Sed, quos perconter, commode eccos video adstare:
adibo.
Salvete, fures m aritum i, conchitae, atque hamiotae,
Famelica hom inum natio/ quid agilis? ut peritis?
P is .U t piscatorem aequom estj fam e, sili, spe.
Trj.
Ecquem adulescentem huc,
D um hic adttatis, strenua facie, rubicundum, for
tem,
Vidistis, qui tris duceret chlamydatos cum machaeris.
P is.N ullum istac facie, ut praedicas, venisse huc scimus.
T ua.
Ecquem
Recalvom ac silonem (U J senem, statutum , ventrio
sum .
Torti* superciliis, contracta fronte, fraudulentum,
Deorum odium atque hominum m alum , viti probrique plenum,
Qui duceret mulierculas duas secum salis venustas?
P is.C um isliusmodi virtutibus operisque natus qui sit,
E um quidem ad camuficem est aequius, quam ad
Venerem commeare.
T ra . A t si vidistis, dicite.
P is.
Huc profecto nullus venit.
Valet

T r a c a l io k e , P e s c a t o r i .

T ra.

P es.
T ra.

P es.
Tra.

Pes.

T ra.
P es.

Posi ben mente di non trapassar oltre il padrone:


imperciocch in sull uscire diceva che andava al
la volta del porto. Ordinommi gli venissi in
contro al tempio di Venere: ma oh ve che Dio
me li manda coloro cui posso domandare: gli af
fronter: buona fortuna, ladroncelli di m a re / p i
scatori di conchiglie e dall amo, gente la pi affa
matissima di quante ve ne sono, che fate? qual
morte v aspettate y o altri?
Quella d e 'pescatori, di fame, di sete, di spe
ranza.
Da che siete qui, non avete voi altri veduto un gio
vane di bell aspetto, rosso in faccia, ben comples
so, con tre uomini coperti di mantello ed arm ati
di spada?
Per quanto ricordiamo, non abbiam visto alcuna
conforme tu ci di.
E nemmeno un uomo pi rimondo duna zucca, vec
chio, rincagnato, alto, pantiulo, cigliuto, raggrinza-,
to, fraudolento, odio di Dio, e flagello degli uomini,
pieno di peccati e d obbrobrio condur seco due
femminelle avvenevoli anzi che no?
Se v ha alcuno che nacque con virt cos belle,
meglio saria che andasse al boja piuttosto che a
Venere.
Ma ditemi se 1 avete veduto.
Qui no certamente, addio.

Tr j.

Valete/ credidi: factum est, quod suspicabar.


Data verba hero suntj leno abiit scelestus exsulatum,
I n navem ascendit, mulieres avexitj hariolus sum.
Is huc herum etiam ad prandium vocavit, sceleris
semen.
Numquid m ihi m elim i, quam eloco hic opperiar
herum, dum veniat?
Eadem hanc sacerdotem Veneriam, si quid amplius scit,
S i videro, exquisivero: faciet me certiorem.
SC E N A

I II.

A MPELI SCJ, T r JCJLIO.

A mp .I ntellego; hanc quae proxum a est villam Veneris fano


Pulsare jussisti, atque aquam rogare.
Tr j.
Quoja ad auris
V ox m ihi advolavit?
A mp .
Obsecro! quis hic loquitur? quem ego video?
T r j . Esine Ampelisca haec, quae foras e fano egreditur?
A mp . Esine hic Tracalio, quem conspicor, calator Pleusidippi?
T r j . Ea est.
A mp .
I s est. Tracalio, salve/
Tr j.
Salve Am pelisca/
Quid agis tu?
A mp .
Aetatem haud m ala male.
Tr j.
' lelius s m in a r ti
A mp . Verum omnis sapientis decet conferre et fabulari.
Sed Pleusidippus tuos herus u b ia m a b o , est?
Tr j .
Heja vero/
Quasi non sit intus.

T ra.

Addio, Te n ho piena fede: il mio dubbio ha preso


carne: l inzarapogaato il mio padrone: quello
scellerato d un ruffiano se lba fatta, sali in nave,
condusse via le donne; me Vavveggio. Ebbe anche
faccia di chiamar qui a desinare il padrone; ribaldonaccio! che ho da far io se non piantarmi qui
finch il padrone ritorni? dimander di questo anche
la Sacerdotessa di Venere; se ne sapr pi di me,
ella non rester di dirmelo.
SCENA

III.

Ab PEMSCAj T rcauoice .

Amp.

Ho capito, e non m avete detto voi di battere a


questa villa vicina al tempio di Venere, e farmi
dare dell acqua?
Che voce ho udita Io mai?
Deh! chi p arla qui? chi vegg io?
E non Ampelisca colei che vien fuori del
tempio?
E non forse Tracalione chio veggo, il servo di
Pleusidippo?
Ella dessa.
Egli lui; buon di, Tracalione.

T ra.

Buon anno/A m pelisca, che hai tu qui?

Amp.

Pi male di quel che m erito.

T ra.

Spera meglio.
L uom saggio dice le cose quali sono e non le
pallia, m a e raccontami Pleusidippo tuo padrone
dov* ?
Oh buono! quasi che non fosse l dentro.

Amp.

T ra.
mp.

T ra.
Ahp.

T ra.

Amp.,

T ra .

A mp .
Neque poi estj neque ullus quidem huc venii.
T ra . Non venit?
A mp .
Vera praedicas.
T ra .
Non est meurn, Am pelisca:
Sed quam m ox coclum est prandium ?
A mp .
Quod prandium obsecro te?
T ra . Nempe rem divinam facitis hic.
A mp .
Quid somnias, amabo f
T ra . Certe huc L abrax Pleusidippum ad prandium vo
cavit
Herum meum hew s voster.
A mp.
Pol haud miranda facta dicis.
S i deos decepit et homines, lenonum more fecit.
T r j .N on rem divinam facilis hic vos, neque herus?
A mp .
Hariolare.
T ra . Quid tu agis hic igitur?
A mp .
E x malis multis, meluque summo,
Capitalique ex periculo, ortas auxiliique opumque huc
Recepit ad se Veneria haec sacerdos, me, et Palae
stram .
T ra .A n hic Palaestrasl, obsecro! heri mei amica?
A mp .
Certo, TRA.Inest lepos in nuntio luo magnus, mea Ampelisca.
Sed istuc periculum perlubet quod fuerit vobis scire
A mp .Confracta est, m i Trachalio, hac nocte navis nobis.
T ra . Quid, navis? quae istaec fabula est!
A mp .
Non audivisti, amabo,
Quo pacto leno clanculum nos hinc auferre voluit
In Siciliam , et quidquid dom i fuil, in navem im
postiti?
Ea nunc perierunt omnia.

m p.

Non v per Bacco, nc qua venne persona.

T ra .

Non venne?

Amp.

Ora tu di la verit.

T ra .

Non

da me o Ampelisca: ma da un pezzo

eh cotto il desinare?
A mp.

Qual desinare? parla.

T ra.

Non siete qui per un sacrifizio?

A mp.

Di: sogni tu?

T ra .

In fd i onesl uomo t accerto che Labrace, padron


vostro, chiam a pranzo qui Pleusidippo signor mio.

Amp.

In verit non mi racconti cose da cacciar la mente


fuor de gangheri: se questi si piglia

a gabbo e

dei e uomini, egli la fa da ruffiano.


T ra .

Voi non fate qui sacrificio? qui non v il padrone?

Asip.

Tu giuochi a coglierla.

T ra.

Ma adunque tu che fai qui?

A mp.

Dopo tanti affanni, dopo uno spavento da morire,


dopo esser state un dito *di traverso lontane dalla
morte, prive di soccorso e di lutto, questa Sacerdo
tessa di Venere qui dentro ci raccolse mie Palestra.

T ra .

Di tu davvero che sia qui Palestra 1 amica del


mio padrone?

A mp.

Davvero.

T ra.

0 mia Ampelisca, questa tua novella m accresce dun


palmo il cuore: mi sento bollire il sangue dalla vo
glia di sapere qual sia stato questo vostro pericolo.

A m p.

Mio Tracalionc, stanotte ci si sdruc la nave.

T ra.

Come? la nave? che storia e questa?

A m p.

Doh! e non hai sentito per qual modo il ruffiano


volcaci sordamente condurre in Sicilia? e che quanto
aveva in casa pose in nave insino all ultimo va
setto? ebbene tutta questa roba and al diavolo.

T rj.

Oh! Neptune lepide* salve'


Nec te aleator ullus est sapienlior: profecto
Nimis lepide jecisti bolum: perjurum perdidisti.
Sed nunc ubi est leno Labrax?

A m p.

P e rii potando, opinor

Neptunus magnis poculis hac nocte eum invitavit.


T b j . Credo, hercle, anancaeo datum, quod biberet: ut ego

amo te,
Mea Ampelisca! ut dulcis es! ut mulsa dicta dicisl
Sed tu et Palaestra quomodo salvae estis?
A

mp

Scibis faxo.

E navi timidae ambae in scapham insiluimus: quia


videmus
A d ja x a navem ferrier, properans exsolvi restim:
Dum illi liment, nos cum scapha tempestas dextrovorsnm
Differt ab illis: ilquz nos ventisque fluctibusque
Jactatae exemplis plurimis miserae perpetuam n o
dem.
V ix hodie ad lilus pertulit nos ventus exanimatas.
T r j . Novi, Neptunus ita solet: quamvis fastidiosus

Aedilis est: si quae improbae sunt merces, jaciat


omnes.
A m p . Vae capili atque aetati tuae!
Tr j.

T uo! mea Ampelisca,

Scivi lenonem facere hoc, quod fecit: saepe dixi.


Capillum prom ittam oplumum est, occipiamque ha
riolari.
A m p . Cavistis ergo tu atque herus, ne abiret,

quom s c ibati?

Oh viva Nettuno! non v' biscazziere che sappi*


giuocar meglio di te! oh che dado hai tu gittatol
hai sconfitto lo spergiuro: ma dove trovasi adesso
quel briccon di Labroce?
A mp.

Ei mor trincando,

io credo. Nettuno sta notte

invitollo a bere in un anguistara un pochettin


grandetta.
T ra .

Anzi

avviso

che

gli abbia dato bere

in

una

brenta. 0 qual bene io ti voglio, Ampelisca! come


sei graziosa! che care paroline tu mi scoccoli! ma
tu e Palestra come riusciste a scamparvela?
A mp.

Eccotelo: fredde come ghiaccio per la paura dalla


nave ci gitkimmo dentro una barchetta, perocch
vedevamo che quella andava difilatamente a rom
pere nelle scogliere: presto presto sciolsi il canapo,
e ipentre tutti gli altri tremavano della pelle, la tem
pesta trae a destra il nostro palischermo, e cosi
noi povere mescliinelle tutta la notte sempre con
mille spasimi addosso fummo in balia della buffa c
dell onde, ed appena oggi che il vento mezze
morte ci ha gettate a lido.

T ra .

Ho inteso. Nettuno suol far cosi, e sebben abbia


del lunatico, pure egli Edile,

se v marame,

egli lo rigetta alla malora.


A mp.

Cattivo a te ed alla vita tua.

T ra .

Piuttosto alla tua, o mia Ampelisca: sapeva bene che


il ruffiano avrebbe fatto cosi, e l'ho detto unavolta
come mille. Mi lascer crescere i capelli e mi porr
a far I astrolog.

A mp.

Cazzica! bella cautela fu la tua e quella del tuo


padrone per impedire che quegli andasse, voi che
lo sapevate!

334
Tju.Q uid faceret?

A m p.
S i amabat, rogasj quid facerei? adservaret
Dies noctisque: in custodia esset semper: verum ecaslor
Ut multi, fccit: ita probe curavit Pleusidippus.
T r j .Cur tu istuc dicis?
A m p.

Res palam est.

T r j.

Sciritu? etiam qui it lavatum


Jn balineas, ibi quom sedulo sua vestimenta servat.
Tamen subripiuntur: quippe qui, quem illorum obsenet, falsus est:
F u r facile, quem observet, videt: custos, qui fu r sit, nescit.
Sed duce me ad illam: ubi est?

A m p.

J sane in Veneris fanum huc intro,

Sedentem flentemque opprimes.


Tr j.

Ut ja m istuc mihi molestum est/


Sed quid flet:

A m p.

Ego dicam tibi: hoc sese excruciat animi,


Quia leno ademit cistulam ei,

quam habebatj ubi


que habebat,

Qui suos parentes noscere potesset: eam veretur


iVe perierit.
T rj.

Ubinam ea fuit cistellula?

A m p.

Ibidem in navi
Conclusit ipse in vidulum, nc copia esset ejus,

Qui suos parentes noscerct.


T rj.

0 facinus inpudicum,
Quam liberam esse oporteat, servire postulare/

A m p .N unc eam cum navi scilicet abiisse pessum in altum.


Et aurum et argentum fuit lenonis omne ibidem.
Credo aliquem inmersisse,

atque eum excepisse: id


misera moesta est,

Sibi eorum evenisse inopiam.

T ra.

Che si doveva fare?

A mp.

Che si doveva fare? e se'tu che me lo domanda? se


l amava daddovero, lavrebbe guardata d e notte,
non le avrebbe mai tlti gli occhi di dosso, ma si
per Dio che questo tuo Pleusidippo un parabo
lano come sono gli altri.

T ra .

Perch dici tu questo?

A mp.

Il fatto lo canta.

T ra .

E noi sai tu? anche chi va a lavarsi al -bagno


si fa netto di panni, sebbene non
l occhio

rimuova mai

da quelli; perocch non sa a chi deb

ba guardar le mani: laddove il ladro

oh bea

sa egli a chi debba aver locchio, mentre il padron


non conosce chi sia il truffatore: ma via conducimi
da lei, dove si trova?
A mp.

Nel tempio di Venere, va dentro, e la troverai se


duta e tutta sciolta in lagrime.

T ra.

Mi ci mancava questa noja: ma di che piange ella?

A mp.

Tel dico subito: la non sa consolarsi perch il


ruffiano le carp una non

so che sua cestellina,

dovella aveva: onde poter conoscere i suoi parenti,


questa ella teme non sia andata perduta.
T ra.

E dov era quella cesta?

A mp.

Ivi in nave, egli stesso la rinchiuse in una valigia


per impedirle di poter conoscere i suoi pai-enti.

T ra.

Oh! birbanteria da cane, voler a^dispetto del diavolo


serva una donna che duopo* sia libera.

A m p.

Or questa cesta sar andata al bordello colla nave,


colloro, coll argento del ruffiano. Porto opinione,
alcuno si sia calato a fondo ed abbia pescata que
sta valigia: ecco perch la poveretta non sa tran
quillarsi, perch ora la si vede senza dii quella.

T rj.

Jam itloc magis tu tu faciosi,


Ut eam intro,

consolerque eam, ne se sic excru


ciet animi:

N am multa praeter spem scia multis bona evenisse.


A m p . A l ego etiam* qui speraverint, spem decepisse mullos.
TR j.E rgo animus aequos oplumum est aerumnae condi
mentum.
Ego eo intro, nisi quid vis.
A m p.

Eas: ego, quod mihi imperavit

Sacerdos, id faciam j atque aquam hinc de proxumo rogabo.


N am extemplo*. si verbis suis peterem* daturos dixit.
Neque digniorem censeo vidisse anum me quemquam,
Quoi deos alque homines censeam benefacere magis
decere.
Ut lepide* ut liberaliter* ul honeste* atque haud gravate
Timidas* egenlis* uvidas* ejectas* exanimatas
Accepit ad sese! haud secus* quam si ex se simus nalae!
U ti subcincla eapse aquam calefactat* ut lavemus!
Nunc ne morae illi sim, petam hinc aquam* unde
mihi imperavit.
H a u ! ecquis in villa est? ecquis hoc recludit? ecquis
prodii?
SC E N A

IF .

S c e p j r n io * A m p e l is c a .

S ce .Q uis est, qui nostris tam proterve foribus facit in


ju ria m ?
A m p . Ego sum.
S ce.

Hem! quid hoc boni esi? heu! edepol spe*


cie lepida mulierem!

T ra .

E molto pi adunque incalza il bisogno che vada


a

consolarla

non

la

si

pigli

tanto

cordoglio,

imperciocch io so che talvolta a molti avviene il


bene, senza ohe se lo aspettino.
A mp.

Ma io so pur anche che parecchi, dop tante .spe


ran ze, s ritrovarono le mani piene di vento.

T ra .

E perci l animo quieto il m iglior sollievo della


sventura: io vado dentro, se pur tu non vuoi qual
cosa.

A m p.

Va. Io far quello che m ha ordinato la Sacerdo


tessa, andr a chieder l acqua dal vicino, impe
rocch la mi disse che cercandola a suo nome, su
bito mi sarebbe data, Non ricordo aver conosciuta
vecchia degna pi di questa de benefizii degli dii e
degli uomini; con che giocondit, con che piacere,
con che grazia, con che buona ciera la ci ricevette,
spaventate, bisognose, bagnate, naufraghe, semivive!
non ci avrebbe trattate meglio se le fossimo fi
gliuole! Come ella stessa succintasi ci riscalda 1 ac
qua per lavarci! ma non voglio farle perder pi
tempo, conforme la mi disse andr qui a prender
l acqua, ehi! della villa! chi apre? chi vien fuori?
SCENA

IV.

Sceparkioke , A m pelisca .

Sce.

Chi batte con tanta furia alla nostra porta?

A jip .

I o.

Sce.

Hui! che buona fortuna questa! oh il bel vi'cino di donna!


Y o l . I. P la u t.

22

338
A m p . Salve, adulescens.
S cb.

Et tu multum salveto, adulescentula,

A m p . Ad vos venio . . .
S cb .

Accipiam hospilio, (\ 2 ) si nox venis,


Jta ut adfecta: nam

nunc nihil

est quidem in
manum.

Sed quid ais, mea lepida, hilara?


A m p.
A h i nimium familiariter
Me attrectas.
S ce . P roh di immortales/ Veneris eefigia haec quidem est.
Ut in ocellis hilaritudo est! heja, corpus quojusmodi!
Subvollurium! illud quidem, subaquilum, volui di
cere.
Vel papillae quojusmodi/ tum quae indoles in savio
estl
A m p .N on ego sum pollucta pago: p otiri ut me abstineas
manum?
ScE.Non licet te sic sic (1 3 ) placide bellam belle tangere?
A m p . Otium ubi erit, tum tibi operam ludo et deliciae
dabo:
Nunc, quamobrem huc tum missa, amabo, vel tu
m ihi ajas, vel neges.
S ce. Quid nunc vis?
A m p.

Sapienti ornatus, quid velim, indicium facit.

S ce .M eus quoque hic sapienti ornatus,

quid velim, in
dicium facit.

A m p .Haec sacerdos hinc me petere jussit a vobis aquam.


ScE.At ego basilicus sum: quem nisi oras, guttam non
feres.
Nostro illum puteum periclo et ferramentis fodimus:
Nisi multis blanditiis, a me gutta non fe rri potest.

A mp.

Che Dio t ajuli, buon giovane.

Sce.

Sia .la ben venuta, o bella ragazza.

A m p.

Io vengo a v o i . . .

Sce.

Ed io t accoglier a buon ospizio, se verrai sta


notte cosi come ti trovi, in modo da trattarli be-ne, imperciocch ora ho nulla di pronto: ina e
che novella mi porti, mio bel musino, mio pia
cere?

A m p.

Troppe troppe smancerie, o caro, troppe smancerie.

S ce.

Giuraddio! costei il ritratto di Venere! veche fuoco


ha negli occhi! ve chc corpicciuolo ben fatto, svelto*
come un avoltoio, uh bestia! volea dire come una
quila! Ah che petto! chc baci verranno da quel*
bocchino!

A m p.

E che non tieni le mani sul tuo? non son io putta

Sce.

Oh fanciulla mia! non ti pu far carezze

da villaggio.
cos

belle e garbate un galantuomo?


A m p.

Quando sar disoccupata, potrai allora scherzare e


sollazzarti meco, ora senti quello per cui sono
mandata, e s vuoi farlo dimmi s o no.

Sce.

Che vuoi tu dunque?

A hp.

L uomo avveduto da quesli cenci miei ben pu


comprendere che io voglia.

Sce.

Eh per certo questo dimostrano anche i miei.

A mp.

Questa Sacerdotessa la mi mand a voi a prendere

Sce.

acqua.
Io sono un cortigiano, cui se non preghi, non ne
porti via gocciola; quel pozzo 1 abbiamo scavato
noi colle nostre braccia e coi nostri fehi: se hoS
mi fai quattro caccabaldole, non arrivi a portarne
via una stilla.

A m p . Cur tu aquam gravare , amabo,

quam hostis hosti


commodat?

Sce. Cur tu operam gravare m ihij quam civis civi com


modat,?
A m p . I mo etiam

tibi,

mea voluptas, quae voles, faciam


omnia.

S ce. Eugepae! salvos sum! haec ja m me suam volupta


tem vocat!
lia b itu r tibi aqua, ne nequidquam me ames: cedo
m i urnam.
A m p.

Cape,

Propera, amabo, ecfeire.


S cb.

Manta. Jam h ic eroj voluptas mea.

J m p . Quid sacerdoti me dicam hic demoratam tam diu?


Ut etiam nunc misera limeo,

ubi oculis intueor


mare!

Sed quid ego misera video procul in litore?


Meum herum lenonem Sicilienscmque hospitem,
Quos periisse ambos misera censebam in m ari!
Jam illuc m ali plus nobis vivil, quam ratae.
Sed quid ego cesso fugere in fanum, ac dicere haec
Palaestrae; in aram uti confugiamus prius,
Quamde huc scelestus veniat, (\ 4 ) nosque hic opprimat
Leno? Confugiam hinc, ita res suppetit subito.
SCENA

ScEPJRNIO,

P roh di immortales! in aqua numquam credidi


Foluptatem inesse tantam! ut itane tra xi lubent!

Jir.

Perch mai tu se tanto schifiltoso a dar dell acqua,

Sce.

E tu perch fai tanto la stomacata con me dine

cosa che neppur il nemico nega all* inimico?


gandomi

quello

che

cittadini l un l altro

si

danno?

Axp .

Ma io, cuor mio dolce, tutto far che tu possa

Sce.

Benissimo! sono a porto! la mi ha gi detto cuor

cercare.
suo! avrai l acqua, amandomi, tu non fai la barba
all asino; qua la secchia.
As p .

Eccola, fa presto.

Sce.

Aspettami: torno in un attimo, o mio tesoro!

A mp.

Che scuse dovr recare alla mia Sacerdotessa di


tanto indugio? oh trista a me! mi sento venire il
gelo della morte, quando guardo il mare! Ahim
chi veggio da lontano sopra il lido? il ruffiano mio
padrone col siciliano suo ospite, ahi poveretta me,
li giudicava afTogati nell onde! Ci sovrasta peggio
di

quanto

imaginava! ma che non fuggo io nel

tempio a dar questa grata novella, a Palestra, acci


abbiamei a riparare sull ara prima che quel ma
ledetto cane ci colga, e ci ficchi gli artigli addos
so? mi ricoverer qui: cos vuole questo improv
viso malanno.
SCENA

SCEPARHIOKE.

Oh Dei immortali! non mi sono mai creduto che nell' at


tinger acqua fosse tanto piacere come nel cavar qoe--

N im io m in iis a llu i p u leu i vistisi* quam p iiu s.

Ut sine labore hanc extraxi! praefiscine*


Satis nequam sum: nipote qui hodie inceperim
Am are: hem tibi aquam* mea tu bella: hem! sic volo
Te ferre honeste* iit ego fero: ut placeas mihi.
Sed ubi tu s* delicata? cape aquam hanc sis: ubi es? A m a i hercle me* ut ego opinor: delituit mala.
Ubi tu es? etimne hanc urnam acceptura es? - ubi es? Commodule melius: tandem vero serio.
Eliam acceptura es uniam hanc? ubi tu es gentium?
Nusquam hercle equidem illam video: ludos me facit.
Adponam liercle urnam ja m ego hanc in media via.
Sed autem* quid si hanc hinc absluleril quispiam
Sacram urnam Veneris? mihi exhibeat negotium.
Meluo hercle* ne illa millier m i insidias locet*
Ut comprehendar cum sacra unta Veneria.
Nempe oplumo me jure in vinclis enicet
Magistratus : si quis me hanc habere viderit.
Nam haec lUlerata est: ab se cantal quoja sil.
Jam hercle evocabo hinc hanc sacerdotem foras*
Ut hanc accipiat urnam: accedam huc ad foris.
Heus sis* Ptolemocratia! cape hanc urnam libi:
3fuliercula hanc nescio quae huc ad me detulit.
Jntroferunda est. - Reperi negotium:
Siquidem his mihi ultro adgenmda etiam est aqua.
SC E N A
L

abrjx*

VI.

Ca.iRMlDES.

L mb: Qui homo hominem sese misenim menet dicum volet*

sta. Mi sembr il pozzo meno alto di prima, e tolga


Iddio che ci io dica per boria, come l ho cavata
senza provare una fatica al mondo! Talpa che fuit
appena oggi ho pensato ad innamorarmi. Eccoti
l acqua, o mia bella, tu hai da portarla con garbo
come faccio io, perch tu mi possa meglio piacere*
Ma dove sci, o carina? pigliala se la vuoi, dov
sei? Ah non m inganno, ella morta di me, s*
nascosta la furbacchiuola. Dove se tu? non lo vuoi
questo secchio? dove sei? a miglior tempo potrai
scherzare, ora fa senno. La vuoi questa brocca o
no? dove sei tu? gnaffe! non la veggo in niun
luogo; ellami giuoca. Mctterolla ben io questurna
in mezzo la strada, ma se alcuno l avesse a portar
via questurna sacra a Venere? chi sar ne viluppi
sar io? Io temo questa donna non la mi voglia
tirar qualche rete, perch venga colto con questo
vaso di Venere in mano, cos avr giusta cagione
il magistrato di strozzarmi in prigione, se alcuno
mi vede con questo arnese il quale sa di lettere
e canta di chi sia. Ma io chiamer fuori la Sacer
dotessa, perch la si abbia questo negozio. M ac
coster alla porta, ehi! Ptolemocrazia, prendete
quest urna, non so che feminella me la diede: in
forza portarla dentro. Ho trovato il bel da farei
se debbo cavar 1 acqua a tutti costoro.
SCEM

VL

L abrace , C armide .
L ab .

Colui che vuol essere mendico c misero affidi

Neptuno credat tese atque aetatem tuam :


Nam t i quit quid cum eo rei conmiscuti,
A d hoc exemplum amittit ornatum, domum.
Edepol, Libertas, lepida es, quae numquam pedem
Voluisti in navem cum Hercule una inponere.
Sed ubi ille meus est hospes, qui me perdidit?
Atque eccum inceditf
Cb j .

Quo, malum, properas, Labrax?

Nam equidem te nequeo consequi tam strenue.


liAB.

Ulinam te prius quam oculis vidissem meis,


M alo cruciatu in Siciliam perbiteres;
Quem propter hoc m ihi obtigit misero m alil

C ai. Ulinam, quom in aedis me ad te adduxisti tuast


In carcere illo potius cubuissem die!
Deosque immortalis qmcso, dum vivas, uti
Omnis tui similis hospites habeas tibi.
L ab . Malam Fortunam in aedis te adduxi meas.
Quid m ihi scelesto tibi erat auscultatio?
Quidve hinc abitio? quidve in navem inscensio?
Ubi perdidi etiam plus boni quam m ihi fuit.
Cb a .P oI minume m iror, n&vis si fracta est tibi;
Scelus te, et sceleste parta quae vexit bona.:
L ab. Pessumdedisti me blandimentis tuis.
Cb j .Scelestiorem coenam coenavi tuam,
. Quam quae Thyestae anteposita est, et Tereo.
L ab. P erii, animo male fit, contine, quaeso, caput.
Cb j . Pulmoneum edepol nimis velim vomitum vomat.
L ab. Eheu, Palaestra atque Ampeliscal ubi estis nunc?
Cb j . Piscibus in alto, credo, praebent pabulum.
L

j b . Mendicitatem

mihi obtulisti opera tua,

Bum tuit ausculto -magnidicis mendaciis.

Nettuno ogni aver suo e 1 sua vita. Imperocch


se alcuno vuol avere che fare con lui, te lo manda
concio, come son io, a casa. Oh Libert! se pur
furba. Non ti venne mai la voglia di entrar con
Ercole in nave. Ma do v l ospite che m ha rovi
nato? eccolo che sen viene.
Car .

La rovella che ti venga, dove ten corri, o Labra-

L ab.

Oh fossi tu crepato in Sicilia prima di capitarmi

ce? a tenerti dietro non bastano le mie gambe.


dinanzi, imperciocch per te solo mi venne tutta
questa disgrazia.
Car .

Foss io stato in carcere quel di che m hai tirato


in casa tua. Ma prego Dio che tanto

quanto ti

resta la vita in corpo, abbi sempre ad avere ospiti


che ti rassomiglino.
L a&

Nel condur te in casa mia, v ho condotta la mala


ventura: ah birbone, perch ho fatto a modo tuo?
perch ho fatta io questa andata? perch

son io

montato in nave? in essa ho perduto ogni avere


che possedeva al -mondo.
Car.

Capperi! non trasecolo io se ti si infranse la nave:


tu se uno scellerato, e la roba che ti sei fatta
tutta farina del diavolo.

L ab.
Car .

T u m hai disfatto colle tue lusinghe.


I o ebbi in casa tua una cena assai pi nefanda
di quella che venne porta a Tieste ed a Tereo.

L ab .

Ahi! comincio a star male, deh sosticnmi il capo.

Car .

Oh il vomito ti schiantasse anche la coratella!

L ab.

Ahi! Palestra ed Ampelisca dove siete voi?

Car .

In mare, io credo, pascolo ai pesci.

L ab.

T u mi riducesti ornai al lastrico da quel di che mi


lasciai involgere dalle tue magnifiche tappezzerie.

Cha . Bonam est quod habeas, gratiam merito mihi.


Qui te ex insulso salsum feci opera ma.
L ab . Quin tu hince (\ ) is a me in maxumam malam
cm ccm ?
Cnj.Eas! easque res agebam commodum.
L jb . Eheu! quis vivit me mortalis miserior!
Cha .Ego multo tanto miserior* quam tu* Labrax.
L jb . Qui?
Cha .

Quia ego indignus sum* tu dignux* qui sies.

L ab. 0 scirpe* scirpe/ laudo fortunas luas*


Qui semper servas gloriam aritudinis.
Cha . Equidem me ad velitationem exerceo:
Nam omnia corrusca prae tremore fabulor.
L jb .Edepol* Neptune* es balneator frigidus:
Quom (1 6 ) vestimentis posteaquam abs te abii* algeo.
Ne thermipolium quidem ullum instruit:
Jta salsam (17) praehibet potionem et frigidam.
Cba . Ut fortunati sunt fabri ferrarii*
Qui apud carbones adsidenl/ semper calent.
LAB.Utinam fortuna nunc analina uterer*
Uti quom exivissem ex aqua* arerem tamen!"
Cha . Quid, si aliquo ad ludos me pro manduco locem?
L j b . Quapropter?
Cha .

Quia pol clare crepilo dentibus.


Jure optumo modo me lavisse arbitror.

Car.

Oh il bel merito che tu m hai, per averli da sciapito, come tu eri, reso s ben salalo.

L ab.

Perch non

vai sulla forca mille miglia lontano

da me?
Car.

Vattene, qua ti voleva io,

questo pensava che

dovessi fare.
L ab.

Ahi qual uomo pi sgraziato di me!

Car.

Io, o Labrace, e il sono dicci volte di pi.

L ab.

Come?

Car.

Perch

sono indegno di tanta sventura, laddove

tu ne se meritevolissimo.
L ab.

0 silfio, silfio! invidio alla tua sorte, che

anche

nell acqua sei sempre asciutto.


Car.

Cacasangue!

che

badalucchi

sono

mici!

pel

tricm ito non m esce intera una parola di bocca.


L ab .

Cazzica! Nettuno che freddo bagnajuolo se tu! dap


poich da te me ne venni via colle vesti tutto
mi sento intirizzire, n qui v ha persona che
prepari una stufa. Oh che bevanda salata e fresca
d mai egli.

Car .

Fortunati i fabbri ferrai, essi stan sempre al fuoco


e non sanno che dir si voglia il freddo.

Lxt.

Oh perch non ho anch io la fortuna dell anitre,


imperocch appena uscito

dall acqua tosto tosto

mi vedrei asciutto.
Car .

Che cosa diresti se in qualche spettacolo avessi a


rappresentar 1 orco?

L ab .
Car .

Perch?

Perch digrigno i denti per modo che la una


meraviglia. Or si m accorgo che mi son proprio
ben lavato.

548
L.4B. Qui?
C iu.

Qui (8 J

auderem

lecum in

narem

ascen
dere.

Qui a fundamento m i usque movisti mare.


L ab . Tibi auscultavi, tu promittebas mihi
Illic esse quaestum maxumum meretricibuss
Ib i me conruere posse ajebas divitias.
Cb j .Jam postulabas te, inpurata belua,
Totam Siciliam devoraturum insulam.
L jb . Quaenam balaena meum voravit vidulum,
Aurum atque argentum ubi omne conpactum fuit?
Cb j . Eadem illa, credo, quae meum marsupium,
Quod plenum argenti fuit in sacciperio.
L ab. Eheu! redactus sum usque ad unam hanc tuniculam,
Et ad hoc misellum pallium: perii oppido!
'Cb j . Vae (\ ) consociare m ilii quidem tecum licet':
Aequas habemus partis.
L jb .

Saltem si m ihi
Mulierculae essent salvae! spes aliquae forent.
Nunc si me adulescens Pleusidippus viderit,
A quo arrhabonem pro Palaestra acceperam,
Jam se exhibebit hic mihi negotium.

Cb j . Quid, stulte, ploras? tibi quidem edepol copia est,


Dum lingua vivet, qui rem solvas omnibiu.
SCENA

V II.

S CEPAU N I 0, Ch Alt M ID E S , LJBRJX.


S ce . Quid illuc, obsecro est nogoti, quod duae mulierculae
H ic in fano Veneris signum flentes amplexae tenent,

L ab .

E a che dici tu questo?

C ut.

Perch osai venir teco in nave? tu m hai scombujato il mare, fin- dalle fondamenta.

L ab.

T ho creduto, mio danno! tu mi promettevi che


colle meretrici col si potea fare mari e monti,
dicendomi eh io avrei finito a nuotare nelle delizie.

C ab.

tu, impurissima bestiaccia, avevi gi fatte tue


ragioni di divorarti tutta quanta l isola di Sicilia?

L ab.

Qual balena inghiott la mia valigia, in cui avea


riposto il mio oro e il mio argento?

Car.

La stessa, credo, che si mangi lam ia borsa che


piena d argento misi nel sacco.

L ab.

Tristo a me! le mie vesti son tutte in questa gonelluccia, ed in questo

miserabile mantelloccio:

son proprio diserto.


Car .

Ahi! possiam far lega insieme noi due, che siam


ricchi ad una frma.

L ab.

Se almeno fossero salve le donne, mi lucerebbe


un po di speranza. Ora se viene quel giovane di
Pleusidippo, da cui avevo per Palestra avuta la
caparra, aff che mha proprio da far trarre i ferri
all aria.

C ar .

Che piangi, o matto? finch hai lingua in bocca


ti resta una via da poterti salvare, e di pagar
tutti d ima moneta.
SCENA

MI.

Sceprsione , Carbide , L abrace.


Sce.

Che cosa questa? qui due femminelle piangenti


nel tempio strette alla statua di Venere? Poverettr-

Nescio quem metuentes miserae? nocte hac vero proxuma


Se jactatas atque ejectas hodie esse ajunt e mari.
L jb . Obsecro hercle, adulescens, ubi istaec sunt, quas me
moras, mulieres?
S ce . Hic in fano Veneris.
L jb .

Quot sunt?

Sce.

Totidem quot ego et tu sumus.

L jb . Nempe meae.
S ce.

Nempe nescio isluc.

L jb .

Qua sunt facie?

S ce .

Scitula.
Vel ego amare utramvis possim, si probe adpotus
siem.

L jb . Nempe puellae?
S ce .

Nempe molestus es: I , vise si Jubet.

L jb . Meas oportet

intus

esse hic

mulieres, m i Charmides.

Cru.Jupiter te perdat* et si sunt et si non sunt tamen.


L jb . Introrum pam ja m huc in Veneris fanum.
Ch j .

In barathntm mavelim.
Obsecro, hospes, da mihi aliquid, ubi condormiscam,
loci.

S ce . Istic ubi vis condormisce: nemo prohibet, publicum

est.
Ch j .A t vides me, ornatus ut sim vestimentis uvidis:
Recipe me in tectum,

da mihi vestimenti aliquid


aridi,

Dum arescunt mea: (2 0 ) in aliquo tibi gratiam re


feram loco.

di chi temono esse mai? Esse dicono che stanotte


passata furono in balia dell onde, e che oggi
finalmente vennero gittate a lido.
L ab.

Deh contaci,

quel giovane, e dove sono

queste

donne, che tu di ?
Sce.

Qui nel tempio di Venere?

L ab.

Quante sono?

Sce/

Altrettante che siamo io e te.

L ab.

Son proprio le mie?

Sce.

Non te lo so proprio dire.

L ab.

Di che presenza son esse?

Sce.

Gajetta anzi che no; e s io fossi un po alticcio,


non farei torto all una per amore dell' altra.

L ab.

Sono zitelle?

Sce.

Oh che seccaggine! Valle tu a vedere, se ti garba.

L ab.

0 mio Carmide! dovrebbero pur esser le mie donne


quelle che sono l dentro.

Cab .

Sieno o non sieno, Dio ti faccia tristo dell ossa e


delle carni.

L ab.

Mi

vo subito

gittar

dentro

questo

tempio

di

Venere.
Car .

Nell inferno piuttosto. 0

galantuomo, dammi un

po di luogo per dormire.


Sce.

puoi

ben

dormir

qua alla distesa, dove vuoi

Car .

E non vdi tu quali umidi

niuno te lo proibisce, il luogo pubblico.


panni mi slieno alle

reni? raccoglimi in casa, e prestami qualche vesta


asciutta, intanto che s asciuga la mia: in qualun
que luogo ti ritrovi te ne render merito.

S ce . Tegillum eccillum fS iJ mihi unum aretcit: id, t i vis,


dabo:
Eodem amictus, eodem teclut ette soleo, t i pluvit.
Tu istaec mihi dato, exarescent faxo.
C aj.

Eho/ an te poenitet,
In m a ri quod elavi, n iti hic in terra ilerum eluam?

Scs.Eluas tu an exungare, ciccum non interduim.


T ibi ego numquam quidquam credam, nisi accepto
pignore.
Tu vel suda, vel peri algu, vel tu aegrota, vel vale:
Barbarum hotpilem mihi in aedit nil m oror: tat
litium est.
Cuj.Jamne abis? venalis illic ductitavit, quisquis est.
Non est misericors: sed qui ego hic adsto infelix
uvidus?
Quin abeo hinc in Veneris fanum, ut edormiscam
hanc crapulam,
Quam potavi praeter animi, quam lubuit, sententiam.
Quasi vinis Graecis Neptunus nobit tubfudil mare:
Itaque alvom prodi speravit nobis salsis poculis.
Quid oputt verbis? t i invitare nos paulisper pergeret,
Ibidem obdormissemus: nunc vix vivos amisit do
mum.
Nunc lenonem, quid agii intus, -visam,

convivam
meum.

Sce.

Ecco- l, io ho ana gonnellina che s asciuga al sole,


se la volete prendetela. Egli questo il mio ve
stito, d esso io vado coperto al sole ed allacqua:
voi datemi questa eh io ve la far asciugare.

Car .

Ahi! spiaccti forse mi sia lavato in mare per la


varmi un altra volta in terra?

Sce.

Q li la v i, o ti u gn i, n on m e ne m on ta un fru llo ;
da m e n on a v ra i cosa del m on d o,
p egn o.

Tu fa q u ello chc

y u o :

se n on m i dai un

o suda, o crep a d i

fred d o ; o t in ferm a, o statti sano. In casa m ia n on


v o g lio fo re s tie ri: abbiam p ia tito abbastanza.
Ca r .

Cos mi pianti? Chiunque ei siasi fe il mercante


di schiavi,, non

ha

misericordia. Ahi a ine tri

sto! che faccio qua cos molliccio? perch non vado


nel tempio di Venere a digerir nel sonno questa
crapul?, nella quale contro mia voglia ho troppo
bevuto? Quasi che Nettuno

avesse

mischialo

il

mare con Yin greco, ci ha purgalo il ventre coll acqua salata. Che dir di pi s egli volea farci
ber d avvantaggio, noi avremmo quivi riposate le
-ossa: ora ci ha mandati a casa appena vivi. Andr
a veder dentro che si faccia quel ruffiano che mi
fu compagnone nel bere.

V ol . I. P laut .

23

C tzjs
SC E N A

iii.
I.

D aem ones.

M iris modis D i ludos faciunt hominibus,


Mirisque exemplis somnia in somnis danunt.
Ne dormientis quidem sinunt quiescere.
Velut ego hac nocte* quae praecessit* proxuma
M irum atque inscitum somniavi somnium.
A d 'hirundininum nidum visa est simia
Ascensionem ut faceret adm oliricr:
Neque eas eripere quibat inde: postibi
Videbatur ad me simia adgredirier*
Rogare* scalas ut darem utendas sibi.
Ego ad hoc exemplum simiae respondeo:
Natas ex Philomela atque ex Procne esse hirun
dines.
Ago cum illa, nc quid noceat meis popularibus.
Atque illa animo ja m fieri ferocior,
Videtur ultro mihi malum minitarier.
In jus vocat me: ibi ego nescio quomodo
Iratus videor mediam arripere simiam:
Concludo in vincla bestiam nequissumam.
Nunc

quam

ad

rem

dicam

hoc

attinere

som
nium*

Numquam hodie quivi ad conjecturam evadere.


Sed quid hic in Veneris fano oritur clamoris? ani
mus mirat.

ATTO
SCENA

III
I.

D emone.

llnn sempre gli Dei qualche nuovo tratto alle mani per
giuocarsi di noi poveri uomini. Elli ci mandano la
notte cos pazzi sogni, che pajon fatti per non lasciarci
riposare neppure in letto, come intravenne a me
la passata notte, in cui ebbi un sogno mirabile e
stravagante. Parvcmi che una scimia perfidiasse in
voler salire ad un nido di rondini, ma che a ghermirle
la non vi potesse riuscire in niun modo. Indi sembravami la venisse a me, pregandomi le prestassi
a tal uopo la scala; ma io rispondo alla scimia
esser le rondini nate da Filomela, e da Progne, e
m adopero seco lei affinch non la voglia nuo
cere alle mie concittadine. Ma quella imbizzarir
di pi, minacciarmi, chiamarmi alla ragione. Ivi non
so per qual modo parmi uscir degangheri, affer
ro la trista della scimia, e la metto in gabbia. Che
si

voglia dire questo sogno io non lo so, v ho

fatte sopra mille fantasie senza costrutto. Ma che


strepito si risveglia qua presso nel tempio di Ve
nere? io son stordito.

T r jc j lio , D aemones .
T ra . P roli, Cyrenoiscs popularesl vostram ego implora

fidem,
Agricolae, adcolae, propinqui qui eslis his regiojiibus,
Ferte opem inopiae,

alque

exemplum

pessumum
pessumdale,

Vindicate: ne im piorum polior sit pollentia,


Quam innocentium, qui se scclere fieri nolunt nobiles.
Statuite exemplum impudenti, date pudori praemium.
Facile hic lege potius liceat, quam vi, vitam vivere.
Currile huc in Veneris fanum: voslram ilerum im
ploro fidem,
Qui prope hic adestis, quique auditis clamorem meum,
Ferte suppetias, qui Veneri, Veneriaeque antistitae
M ore antiquo in custodelam suom conmisemnt caput!
Praetorquete injuriaQ prius collum,

quam ad vos
pervenatf

D ae . Quid istuc est negoti?


T ra .

P e r ego te haec genua obtestor, senex,


Quisquis es . . .

J) ae .

Quin tu ergo omitte genua, et quid sit, m i expedi,


Quid tumultues?

T ra .

Tcque oro et quaeso, si speras tibi


H oc anno mullum futurum sirpe et laserpilium,
Eamque eventuram exagogam

Capuam salvam et
sospitem,

Alque ab lippitudine usque siccitas vl sil t ib i . , ,


PjE tS a n u n es?

T racaliohe , D emone,
T ra.

0 popolo di Cirene,
abitanti

aiutatemi,

de contorni, soccorrete

agricoli,
alla

vicini

povert *

date allo sterminio questo sacrilego, vendicatevi: n


permettete mai che i malvagi la vincano sopra gli
innocenti, perch questi nn vogliono farsi chiari
Coi delitti: punite il ribaldo premiate- il verecondo

e fate che qui si viva piuttosto coile leggi che colla


forza. Qui accorrete

nel tempio di Venere! Quanti

siete qua presso chc udite le mie grida per la fede


vostra deh, io vi prego soccorrete coloro che com-
misero, secondo lusanzb antica, la vita loro nelle
mani di Venere c della Sacerdotssa di lei, stronj
cale lingiuria prima che col suo collo arrivi a voi.
D em.

Che faccenda c questi?

T ra.

Oh buon vecchio, chiunqile voi siate, deh pdr le


vostre ginocchia! . ;

D em.

E chc non mi ti stacchi dattorno, mi diciferi


in poche parole che strepito sia questo tuo?

T ra.

Deh vi prego e vi supplico, se sperate quest anno


raccoglier molto silfio e laserpizioj che vi
vighi felicemente a Capu, e se

anco

vi stien luugi le caccole dagli occhi * .


Dem.

Se tu matt?

na-

desiderata

T rj.

Seu tibi confidis fore multam magudarim.


Ut te ne pigeat dare operam mihi, quod te orabo,
senex.

D j e . A t ego te per crura et talos,

tergumque obtestor
tuom,

Ut tibi ulmeam uberem esse speras virgidemiam.


Et lib i esse eventuram hoc anno

uberem messem
mali,

Ut

mi

istuc

dicas

negoti

quid s i l ,

quod

tu

multues.
T r j . Qui

lubet

maledicere?

equidem tibi bona optavi


omnia.

D j e . Bene equidem tibi dico, qui, te digna ut eveniant,


precor.
T r j . Obsecro, hc praevortere ergo.
Dje.

Quid negoti est?

T ra .

Mulieres
Duae innocentes

intus

hic

sunt,

tui

indigentes
auxilii,

'Quibus advorsum jus, legesque insignite injuria hic


Facta

est, filque in

Veneris fano: tum sacerdos


Veneria

Indigne adfiktatur.
D je.

Quis homo est tanta confidentia,


Qui sacerdotem audeat violare? sed eae mulieres
Quae sunt? aut quid iis iniqui fit?

T r j.

S i das operam, eloquar.


Veneris signum sunl amplexae: (2 2 ) nunc deripere volt
eas.
Ambas . . .

D je.

Quis istic est, qui tam parvi deos pendit?

Esse oportet . . .

Oppure se sperate che ve ne prosperi la semente,


per carit, buon vecchio, non

fatevi

rincrescere

quell ajuto eh io vi cerco.


D em.

Ed io ti prego per le tue gambe, per le tue cal


cagna, per le tue spalle, affinch sopr esse venga
una abbondante vindemmia di vergate dolmo, e
perch ti sia fecondo quest anno d una messe di
guai, ti prego dirmi

una volta che faccenda sia

questa, e perch tu faccia cotanto fracasso?


T ra.

A me perch tanto male? mentr io v ho pregato


ogni sorta di bene?

D eh .

E non parlo bene io, augurandoti cose le pi degne


di te?

T ra.

Deh adunque fate che ci non mi avvenga.

D eh.

Che cosa questa tua?

T ra.

Qui entro vha due donnicciuole innocenti, bisognose


del vostro ajuto, a cui contro ogni diritto, contro
ogni legge fatta e si fa tuttavia la pi sfacciata
delle ingiurie nel tempio di Venere, e la medesima
la Sacerdotessa indegnamente bistrattata.

D eh .

E chi 1 uomo che ha tanta audacia nell ossa


di far violenza alla Sacerdotessa? ma e chi

son

queste donne? che oltraggio si fa loro?


T ra.

Se volete aiutarci, io ve lo dir: esse si sono av-v


vinghiate

al simulacro di Venere: per filo vuol

strapparle di l . . .
D eh .

Fa d uopo eh esse sieno . . . ma chi

costui

che ha cosi in tasca gli dei? e dev essere . . .

T ra.

Fraudis, sceleris, patricidii, perjurii pleiius, (2 5 )


Legirupa, impudens, impurus, inverecundissumus:

. Uno verbo absolvam, Leno esi, quid illum porro prae


dicem?
D ae . Edepol infortunio hominem praedicas donabilem.
T ua . Quine sacerdoti scelestus fauces interpresserit?
D ae . A l malo cum magno suo fecil hercle: ile istinc foras,
Turbalio, Sparax! ubi eslis?
T ra.

I , obsecro, intro, subveni


Illis.

D ae .

Ileriim haud imperabo: sequimini hac.

T ra .

Age nunc jam .


Jube oculos elidere, itidem ut sepiis faciunt coqui.

D ae . Proripite hominem pedibus huc, itidem quasi occi


sam suem.
T ra.Audio tumultum: opinor, leno pugnis pectitur.
Nimis velim improbissumo homini malas edentaverint.
Sed eccas ipsae huc egrediuntur timidae e fano mulieres
SC E N A

III.

P alaestra , A m pelisc a , T r j c a u o .
P al .N uuc id est, quom omnium copiarum atque opum,
A u xilii, praesidii viduitas nos tenet,
Nec ulla specula est, quae salutem adferat:
Nec scimus, quam in partem ingredi persequamur.
Maxumo miserae in melu mmc sumus ambae,
Tanta inporlunilas, tantaque injuria
Facta in nos esi modo liic inlus ab nostro heroj
Qui scelestus sacerdotem anum praecipem

T ra.

Un cotal fastellonaccio pieno di frodi di scelleraggini di spergiuri e parricidii, un impudente graffiator di leggi,

un impuro, un manigoldo, uno

svergognato: insomma, per isbrigarmi in una pa


rola, egli un ruffiano: con che colori ve lo posso
pi vivamente dipingere?
D eh .

Poffare il mondo! questo c un uomo da mandarsi


all inferno.

T ra .

II ribaldo che prese per la gola anche la Sacer


dotessa?

D em.

S, ma pel suo peggio. Su presto cacciatevi fuori.


Turbalione, Sparace, dove siete?

T ra.

Deh andate dentro, soccorretele.

D em.

Ho da dirlo un altra volta? seguitemi.

T ra.

Bene! fategli

schizzar

gli occh i

dal capo, com e

fanno i cuochi alle seppie.


D em.

Trascinatelo qua fuori pei piedi, come

un

porco

sgozzato.
T ra.

Sento romore; or al ruffiano viene addosso una


gragnola di pugni: io vorrei che a quell indegno
si schiantassero tutti i denti. Ma ecco che le donne
vengono dal tempio tutte spaventate.
SCENA

III.

P alestra , T racalioke , A mpelisca .


P al.

Or s che noi siamo proprio diserte, abbandonate


e disfatte! n abbiamo la pi fievole speranzuccia che
ci ricrei, n sappiamo da che lato ci dobbiam mettere,
in tanto timore ci ritroviamo, c .cotanto oltraggio
e s gran torto ci venne da quel nostro padrone!
Ah cane! indegnamente egli percosse e stramazz
in terra quella povera Sacerdotessa, e noi violent

Repulit, propulitj perquam indignis modis,


Nosque ab signo intumo vi deripuit sua.
Sed nunc, sese ut ferunt res fortunaeque nostrae.
P a r est m o riri: ncque est melius morte in malis
Rebus, miseris.
T ra .

Quid est? quae illaec oratio est?


Cesso ego has consolari? heus, Palaestra!

'P al . ,

Qui vocat?

T ra. Heus, Ampelisca!


A m p.

Obsecro, quis est, qui vocat?

P a l . Quis is est, qui nominat?


T ra .

S i respexis, scies.

P al .O salutis meae spes!


T ra .

Tace, ac bono animo es.


Me vide.

P al .

S i modo id liceat, vis ne opprimat,


Quae vis, vim m ihi adferam ipsa, adigit.

T ra .

Ah desine! nimis inepta es.

A m p .Desiste dictis nunc ja m miseram me consolari.


P a l . N isi quid re praesidium adparas,

Trachalio, acta
haec res est:

Certumst

m o riri,

quam

hunc pati lenonem

in

me! . . .
Sed muliebri animo sum tamen: miserae ubi venii
in mentem
M ih i mortis, metus membra occupat edepol.
T ra .

Etsi hoc acerbum,


Bonum animo habete.

P al.

Nam , obsecro, unde animus m ihi invenitur?

T ra .Ne, inquam, timete: adsidite hic in ara.


A m p.

Jstaec quid ara

per m odo sino a strapparci dal simulacro! tant c,


in s mal partito sono o g g i i casi nostri
m eglio la

m orte, la .quale finalmente

che

il m iglior

sollievo dei miseri.


T ra .

Che ci? che parole

son coleste? ed io non

corro a consolarle? o Palestra!


P al.

Chi chiama?

T ra .

0 Ampelisca!

A mp.

Deh! e chi chiama?

Pal.

Chi costui che ci nomina?

T ra.

Volgiti ed allora il saprai.

P al.

0 speranza di m ia salvezza!

T ra .

Zitto: fa cuore, confida in me.

P al.

Se pur posso

sperare

che

non

violenza, la quale m i stimola

mi

opprima

la

ad esser fiera con

t r o me medesima.
T ra .

Ah cessa! se troppo debole.

A mp.

Lascia ornai, lascia dal consolarci con parole.

Pa l.

Se tu non hai altro presidio, o

Tracalione, noi

possiam darci per perdute. Io ho fermo di morire


anzi che questo ruffian traditore. . .

Ma ahim

che ho cuore di donna, oh! meschina alla vita mia!


io tremo come foglia.
T ra.

Avvegnacch

sia boccone

assai ostico, pure fate

coraggio.
P al.

E dove vu oi eh io lo trovi?

T ra.

Sbandite, vi ripeto, dallanimo ogni paura, sedetevi

A mp.

E questa pu forse aiutarci di pi di quello che

su quest ara.

Prodesse nobis plus poleSl, quam signum-m fano


hic intus
Veneiis, quod amplexae modo, unde abreptae per
vim miserae?
T ra . Sedete hic modo: ego hinc vos tamen lutabor: arant
habete hanc
Vobis pro castris: moenia hunc: ego vos (2 4 )

de-

fensabo
Praesidio

Veneris

malitiae

lenonis

contra

ince
dami

A u p .T ib i auscultamus: etj Veiuts alma, ambae te obse


cramus,
A ra m

amplexantes hanc tuam lacrtnnantes, geni


bus nixaej

Nos in custodelam luam ut recipias, et tulere:


Illos scelestos, qui luom fecerunt fanum parvi,
Ut ulciscare, nosque ut hanc lua pace aram ob->
sidere
Patiare, quae elaulae ambae sumus opera Neptuni
noctu:
Ne invisas habeas, neve idcirco nobis vilio vorlas,
S i quippiamsl, minus quod bene esse lautum a rbilrere.
TRA.Aequom has petere intellego: decet abs te id impe-*
trarier:
Ignoscere his te convenit: metus has, ut facianlj
subigit.
Te ex concha natam esse autumant: cave tu harum
conchas spernas.
Sed oplume eccum exit senex,

patronus mihique et
vobis,

abbia qua nel tempio potuto la statua di Venere,


a cui eravamo abbracciale, e da cui siamo stale
divelte?
T r a . - Sedete qui vi dico, qui vi protegger io, tenetevi

strette a quest ara, ed abbiatela per vostro ca


stello, per mura abbiate costui, io vi difender:
coll' aiuto di Venere andr io incontro alla malvagit del ruffiano.
A mp.

Facciamo a tuo senno. Oli alma Venere, ambedue


piegate sulle ginocchia, lagrimose, abbracciate a
questo altare ti

scongiuriamo ci voglia ricevere

nella tua protezione e ci difenda, e ti vendichi di


quegli scellerati che tennero in niun conto il tuo
tempio: lasciaci in tua buona pace a questo altare,
come quelle che la notte ci purgammo per opera
di Nettuno. Dh non.averci in odio, n imporci
a colpa, se tu in noi vedi cosa chc la non ti paja
ben monda.
T ra.

E ben veggo chiedere esse il giusto, e tu lo devi


dar loro e perdonarle, imperocch esse cosi fanno
astrette dalla paura. Credono gli uomini che tu
sia nata da una conchiglia, non rigettare adun
que le conchiglie di queste fanciulle. Ma ceco vien
fuori a tempo quel vecchio mio buon padrone e
YQStJ'O. -

D emore Sj T racalio , L o r a r ii * L abrax , M u lie r e s .


D ae .E x e fano* nalum quanlum est hominum sacriegissume.
Kos in aram abile sessum: sed ubi sunt?
T ra .

Huc respice.

D a e . Oplume.
Los.

Istuc volueramus: jubc modo accedat prope


Legirupionem hunc. (2 5 )

D ae .

H ic nobis cum Dis facere postulas?

Pugnum in os impinge.
L ab .

Iniqua haec patior cum pretio tuo.

D a e . A t etiam m inilalur audax!


L ab .

J us meum ereptum est mihi*


Meas mihi ancillas invilo me eripis.

T ra .

Ergo dato
De senalu Cyrenensi quemvis opulentum arbitrumj
S i luas esse oportet, nive eas esse oportet liberas*

Nive le in carcerem compingi esi aequomj aetalemque ibi


Tc usque habitare> donec totum carcerem contriveris.
L a a. Non hodie isti rei auspicavij ut cum furcifero fabuler.
Te ego adpello.
D ae .

Cum istoc prim um> qui te novitj disputa.

L ab . Tecum ago.
T ra .

A tqui mecum agendumsl: suntne ille ancillae tuae?

L ab. Sunt.
T ra.

Agedum ergo> tange ulramvis dig:tulo minumo


modo.

LAB.Qtiidj si attigero?

Demone, T racalione, L orarii , L abrace,


D em.

Esci dal Tempio,

le

esci o schiuma di

D onne.
ribaldi: voi

altre andatevi a porre sull ara: ma dove adesso


elle sono?
T ra .

Voltatevi da questa banda.

D em.

Ottimamente.

L or.

Questo volevamo

anche noi: dite

ora

a questo

marrano che si faccia pi dappresso.


D em.

Tu, voler far sacrificio con noi? gi un pugno.

L ab.

Queste son villanie, ma ricascheranno tutte addosso


a te.

D em.
L ab.

E vuol ancor minacciar il ribaldone!


M rubato il mio, tu a mio dispetto mi togli le
serve.

T ra .

Scegli adunque nel senato di Cirene un arbitro ricco


pi che ti piace, affinch giudichi se le deono es
ser libere o tue: seppur non pi giusto che tu
sia sprofondato in una prigione, e tanto vi stii
dentro quanto tu l abbia tutta logora.

L ab.

Mai pi m andava pel pensiero di aver oggi parole


con una simil cavezza, io parlo a te.

D em.

Finiscila prima con lui, ei ti conosce.

L ab .

A te io parlo.

T ra .

Ma prima dovi intendertela meco: quelle son tue


serve?

L ab .

Certo.

T ra .

Animo adunque: toccale col dito mignolo.

L ab .

E se le toccassi?

Extemplo hercle ego tc follem pugilatorium

Trj.

Faciam,

et pendentem incursabo pugnis, perjurissume.

j b . M H

non liceat meas ancillas V eneris de ara abducerc?

D j e .N ou licet: ita est lex apud nos.

L j B'

Jflihi cum vostris legibus


N ihil est conmerci: equidem istas ja m ambas edu
cam foras.
Tu, senex, si istas amas, huic (2 6 ) arido argento est
opus.

D j e .Hae autem Veneri conplacuerunl.


L

jb

Habeat, si argentum dabit.

DAE.Eho, tibi argentum? (2 7 ) nunc adeo ut scias meam


sententiam,
Occipito modo illis adferre vim joculo pauxillulum,
Ita hinc ego te ornatum amittam, tu ipsus te ut
non noveris.
Vos adeo, ubi ego innuero vobis, si
Quasi murteta juncis,

ne ei caput
cxoculassitisj

item ego vos virgis ( ircumvinciam!

L jb . V i agis mecum.
Trj.
Eliam vim opprobras, flagitii flagrantia?
L j b . T u ri, trifurcifer, m ihi audes inclementer dicere?

T r j , Fateor,

ego trifurcifer sum: tu es homo

adprime
probus.

Num qui minus hasce esse oportet liberas?


J j 3.

Quid, liberas?

T r j . Al^ue heras luas quidem hercle, atque ex germana


Graecia:
Nam altera hacc esi nata Athenis ingenuis parentibus.

T ra .

In un batter d occhio d'um o io ti faccio un pal


lone e contro te, penzoloni all aria, scarico una
tempesta di pugni, o assassino.
con questo adunque non mi sar lecito condur via

L ar.

dall altare di Venere le mie serve?


Deh.
L ar.

Mai no, cos vogliono le nostre leggi.


E colle vostre leggi io ho nulla a che fare, e si
ch io le trarr via tuttadue: tu poi, vecchierellino
mio, se loro hai posto lanimo, dovrai sprizzar dar
gento quest uomo asciutto.

Dem.

Queste piacquero a Venere.

L ar.

Le faccia sue, purch la mi paghi.

Deh.

Oh bella! pagarti?
sier

mio,

-ora perch tu conosca il pen-

sappi che

se anche

un pelo, io

da

burla

vor

rai

torcere loro

ti mander via di

qui

carminato per modo, che tu non potrai pi

ravvisare te stesso; voi altri poi, se non gli ca


verete gli occhi, quando ve ne far cenno, io vi
cinger in quella stessa forma che si stringe con
verghe di giunco un fascio di mirto.
L ab.

Questa violenza.

T ra.

E te ne lagni, o ceffo da forca?

L ab .

E tu che se degno di mille forche, se s ardito


, per oltraggiarmi?

T ra .

Io son degno di mille forche, lo confesso, tu sei


la gemma de galantuomini. Perch adunque que
ste donne non dcono esser libere?

L ab .

Libere?

T ra .

Anzi tue padrone, ch sono di puro sangue greco,


ed una d esse nacque in Atene da parenti cittadi
nissimi.
Voi,. I. P lact .

24

370

D a r . Quid ego ex te audio?


T ua.

Hanc Athenis esse natam liberam.

DJE.Mea popularis, obsecro, haec est?


T ua.

Non tu Cyrenensis es?

D j e . Im o Athenis naius allusque educalusque Allicis.


T ra . Obsecro* defende civis luas, senex.
Dje.

O filia,

Quom ego hanc video, mearum me absens miseriarum conmonet


Trim a quae periti mihi, ja m tanta est, si viviti scio.
L ab .Argentum ego pro islisce ambabus, quojae erani, do
mino dedi:
Quid mea refert, haec Athenis natae, an Thebis sient.
D um m ihi recte servitutem serviant?
T ra .

Itane impudens,
Tune hic feles virginalis liberos parentibus

Sublectos habebis, atque indigno quaestu conteres?


Nam huic alterae patria quae sit, profecto, nescio:
N isi scio probiorem hanc esse, quam te im puratissume.
L ab . Tua sunt istaec? (28J
T ra.

Contende ergo, uler s it 'tergo verior.

N i obferumentas habebis pluris in tergo tuo,


Quam ulla navis longa clavos, tum ego ero mendacissumus:
Postea adspicilo meum, quando ego tuom inspectavero,
N isi erit tam sincerum, ut quivis dicat ampullarius,
Optumum esse opere faciundo corium ,

et sincerissumumj

Quid causae est, quin virgis te usque ad saturita


tem sauciem?
Quid illas spectas? quas si attigeris, oculos eripiam tibi.

Deh.

Che ascolto io la le?

T ra .

Cbe costei nacque libera iu Atene.

D e*.

Oh mia concittadina costei?

T ra .

Non siete voi di Cirene?

De*.

Mai no, io nacqui, fui nutrito, ed allevato nell* at


t i c a Atene.

T ra .
D eh .

S u adunque prendetevela per la vo stre com patriota

Oh figlia! quando metto gli occhi su costei,, an


che nella tua assenza mi ricordi le mie sventure.
L ho perduta da tre anni, ed a questi d, se la
viva, 1 ha da esser grande quanto costei.

L ab .

I o, di che nazione esse pur sieno, per queste due

donne ho snocciolati al padrone buoni contanti. Che


giova al fatto mio Tesser queste piuttosto dAtene,
o di Tebe, purch a buon diritto mi sieno serve?
T ra.

Cos impudentaccio, cos? e non ruberesti tu qui, o


gatto di donne, anche i figliuoli ai parenti per
manometterli poscia a qualche indegno mestiere?
di queslaltra non so di certo la patria, ma so bene
ch ella pi onesta di te, o fetida cloaca.

L ab.

Cloaca se tu?

Tra.

Animo dunque: dican le nostre spalle chi sia il


pi veritiero, e se tu non avrai

sulla schiena

tante pesche che meno ha chiodi una galea, al


lora il bugiardo sar

io.

Tu,

dopo

che avr

viste le tue spalle, guarda le mie. se il mio cuojo


sar sano in guisa che qualunque ampollajo lo
trovi

buonissimo al suo mestiere;

chi si porr

in mezzo, perch io non ti crivelli tanto quanto


tu non lo vorresti? A che le guati tu? pon loro
addosso le mani, ed io ti cavo gli occhi.

L j b .A tquin, quia vetas, ulramque ja m mecum abducam


simul.

D a e . Quin facies?
L jb .

Folcanum adducam, is Feneris est advorsarius.

D j e . Quo illic it?


L jb .

Heus ecquis hic est? heus.

D je. '

S i attigeris ostium,

Jam , hercle, tibi messis in ore fiet mergis pugneis.


L ob.Nullum habemus ignem, ficis victitamus aridis.
D j e .Eqo dabo ignem, siquidem in capite luo conflandi
copia'st.
L j b . Ibo j hercle, aliquo quaeritatum ignem.
Dje.

Quid, quom inveneris?

L j b . Ignem magnum hic faciam.


D je.

Quin ut humanum exuras libi.

L j b . I mo hasce ambas hic in ara ut vivas comburam.


D je.
Nam , hercle,

Id volo:
ego te barba continuo adrpiam,

et

in ignem conjiciam,
Teque ambustulatum objiciam magnis avibus pabu
lum.Quom conjecturam egomel mecum facio, haec illa
est simia.
Quae has hirundines ex nido volt eripere ingratiis,
Quod ego in somnis somniavi.
Tr j.

Sciriquid? tecum oro, senex,


Ut illas serves, vim defendas, dum ego herum ad
duco meum

D j e . Quaere herum, alque adduce.


T r j.
D je.
S i attigerit, sive occentassit,

J t hic ne . .
Maxtimo malo suo,

Lab.

Ed appunto perche noi vuoi, condurr via e l una


e 1 altra.

D em .

Come farai tu?

L ab.

Chiamer Vulcano: egli nemico di Venere.

D em.

Dove sen va colui?

L ab .

Ehi! della casa! ehi!

Deh. . Se tu batterai la'porta, in.f mia ti casca sul muso


una forcata di pugni.

Lon.

Fuoco non ne abbiam noi, non mangiamo altro


che fichi secchi.

D eh.

Te lo

dar io il fuoco, se pur vuoi mandare.in

vampe quel tuo capaccio.


L ab.

Andr bene a chiederne altrove.

Deh.

E se lo trovi?

L ab.

Far un gran fal.

D eh .

Per far di te stesso un sacrificio umano.

L ab.

Anzi per abbrucciar

.Deh.

Questo vorrei vedere. Rinnego Dio, se non t arraffo

vive costoro tuttadue sopra

1 altare.

subito per la barba e non ti getto nel fuoco per


darti poscia ben arrostito in pascolo agli uccelli
grifagni.

Quando recomi sopra pensiero, veggo

questa essere la scimia che a marcio dispetto vuol


levare queste rondinelle del nido, conforme mi son
io sognato.
T ra.

La vi entra? voi, buon vecchio tenete queste pul


zelle con voi, difendetele intanto eh io

vado pel

padrone.
D eh .

Cercalo e conducilo qui.

T ra .

Ma non vorrei che costui . .

D em.

Suo danno se le tocca, o se alza la voce.

Trj.

Cura.

D ae .

Curatum a l, abi.

Tbj.H uhc quoque adscva ipsnm, ne quo abbitat, nam


promisimus
Carnuflci aut talentum magnum, aut hunc hodie
sistere.
D ae . Utrum tu, leno, cum malo lubentius
Quiescis, an sic sine melo, si copia est?
L ab .Ego, quae tu loquere, flocci non facio, senex.
Meas

quidem

ted invito,

el

Venere,

et Summo
Jovej

De ara capillo ja m deripiam.


D ae .

Tangedum.

L ab. Tangam hercte vero.


Dje.

Jgedum ergo! accede huc modo.

LAB.Jubedum recedere istos ambos (2 9 ) illuc modo.


D j e . Im o ad te accedent.
L ab .

Non hercle equidem (3 0 ) censeo.

D j e . Quid ages, si accedent propius?


L jb .

Ego recessero.
Ferum, senex, si te umquam in urbe obfendero,
Numquam hercle quisquam me lenonem dixerit,
S i te non (3 \ ) ludos pessumos dimisero.

D j e .Facito istut, quod minitaris; sed nunc interim


S i illas alligeris, dabitur tibi magnum malum.
L jb . Quam magnum vero?
D je.

Quantum lenoni sat est.

L jb . Minacias istas flocci non facio tuas.


- Equidem tc invito ja m ambas rapiam.
D je.
L jb . Tangam hercle vero.

Tangedum.

T ra.

Le lascio a voi.

Dem.

Son ben lasciate, vattene.

T ra.

State bene coll arco teso, questi non se la faccia


con Dio, conciossiacch noi abbiam promesso al
boja o un talento, o costui.

Dem.

L una delle due,

ruffiano,

o cheto colle amore

voli, oppure, e tu guarda se meglio questo ti piac


cia, colla forza.
L ab .

Queste tue ciancie, vecchio mio, io le stimo cica:


alla barba di te, e di Venere, e di Giove, trarr
ben io pe capegli le mie donne gi dall altare.

Dem.

Toccale adunque.

L ab.

L e toccher si.

D em.

Su presto, fatti pi appresso.

L ar.

E tu fammi allontanar ambidue costoro.

Dem.

Anzi ti si stringeranno pi addosso.

L ab.

Io penso che noi faranno.

D em.

E qual sar il caso tuo se ti si metteranno pi


alle costole?

L ab.

I o mi tirer pi in l. Ah prega Dio, o vecchio,

che in citt non m abbatta mai in te: non mi la


scio in fede mia chiamar ruffiano, se non ti man
do via concio dalle feste.
Dem.

Su via mettiti alla prova, ma intanto se tu le toc

L ab.

E quanto sar?

cherai quel tanto avrai che non cerchi.

Dem.

Tanto onde un ruffiano possa dirsi contento.

L ab.

lo ho in tasca te e le tue bravate,

Dem.

Toccale adunque.

L a&

Le toccher per Dio.

tuo dispetto vo trarle meco.

s che

376

Tanget sed scin, quomodo?

D ae.

I dum, Turbalio, curriculo adfer huc foras


Duas clavas.
L ab .
D ae.

Clavas?
Sed probas: propera cito.
Ego te hodie faxo recle acceptum^ ut dignus es.

LAB.Eheu/ scelestus galeam in navi perdidi:


Nunc m ihi opportuna hic esset, salva si foret.
Licei saltem istas m ihi adpellare?
Non licet.

D ae.

Ehem/ oplume edepol, eccum, clavator advenit/


L ab . Illud quidem, edepol, tinnimentum est auribus.
D a e .Age, accipe illanc alleram clavam, Sparax:
Age, alter istinc, alter hinc adsistile.
Adsistile ambo: sic! audite nunc ja m :
S i hercle illic illas hodie digito tetigerit
Invitas, n i istunc istis invilassitis
Usque adeo, donec, qua domum abeat, nesciat,
Peristis ambo: si adpellabit quempiam,
Vos respondetote islinc istarunc vicem:
Sin ipse abire hinc volet, quantum potest,
Extemplo ampectilole ( 32') crura fustibus.
L ab . Etiam me abire hinc non sinent?
D ae.

D ix i salis.

Et ille ubi servos cum hero huc advenerit,


Qtd herum arcessivit, itote extemplo domum.
Curate, haec, suitis, magna diligentia.
L a b .Heu hercle! nae istic fana mutantur cito/
Jam hoc Herculis est, Veneris fanum quod fuit.
Ita duo destituit signa hic cum clavis senex.
Non hercle quo hinc nunc gentium aufugiam, scio.

Toccale:

ma

sai che ne verr?

Va, Turbalionc,

corri quanto te ne danno i piedi, porta qui fuori


due clave.
L ab.

Clave?

De*.

E ben forti. Fa presto, oggi ti vo pagare secondo


son le derrate che vendi.

L ab.

Ahim tristo, ho perduta in nave la gorgiera! se


l avessi, quanto buono or la mi direbbe: e non le
posso nemmen chiamare?

D e .

Nemmeno. Oh benissimo,

vello,

il mazziere, ei

'viene. '
L ab .

Sar

pur questo il

bel tintinno

nelle

orec

chie.
D em.

Su, Sparace, prendi quest altra clava: tu vien di


qua; tu di l, state cos: ora uditemi, tristi a voi
se mettendo egli

le mani addosso a costoro,

noi

mazzichiate per modo che non trovi pi la via da


condursi a casa. Sei ne chiama alcuna, voi risponde
tegli con queste; se vuol fuggirsene, con tutta quel
la forza che avete nelle braccia scardassategli ben
bene le ginocchia con queste spranghe. '
L ab.
D eh .

E non mi lasceranno nemmeno andar via di qui?


Ho detto abbastanza. Appena quel servo arriva qua
col suo padrone eh' egli

and a chiamare,

voi

altri subito recatevi a casa: a voi mi raccomando,


state bene all erta.
L ab.

Poflardiot in un attimo qui si


pli!

Gi

fatto tempio

cambiano

d Ercole

questo

tem
che

prima era di Venere, due statue armate di clava


piant qui il vecchio. In fede mia non so

dove

Ita nunc m ihi utrumque saevit et terra et mare.


Palaestrat
L or.

Quid vis?

L jb.

Apage/ controversia est.


Haec equidem Palaestra, quae respondit, non mea est.
Heus Ampelisca/

L ob.

Cavesis infortunio.

L j b . Ut potis est, ignavi homines satis recte monent.


Sed vobis dico, heus vos/ num molestia est,
M e adire ad illas propius?
L ob.

N il nobis quidem.

Ljs.N um qu id molestum m ihi eril?


L or.

N il, si caveris.

L j b . Quid est, quod caveam?


L or.

Hem^ a crasso infortunio.

L j b . Quaeso, hercle, adire ut liceat.


L or.

Adeas, si velis.

Ljs.B ene hercle factum/ vobis habeo gratiam.


Nunc potius abscedam (33,1.
L or.

Hlic adstalo eloco.

L jb . Edepol proveni nequiter mullis modis.


Ceiium est hasce hodie usque obsidione vincere.
SCENA
P lE U S ID IP P U S ,

v.

T r ACU A L IO , M V L IE R E S ,

L j b r j x , L o r j b ii , Ch jb m id e s .
PLB.Meamne Me amicam leno vi, violentia
De ara deripere Veneris voluit?
Tr j .

Admodum.

volgermi, or mi si leva contro 3 mare la terra:


oh Palestra!
L or.

L ab.

Q ie vuoi?

Va via, qui c un granchio: La Palestra che ri


sponde non la mia. Ampelisca!

L or.

Se

hai ancor giudizio

in capo

ti guarderai dal

mal d.
L ab.

Oh! il bell avviso che pur mi danno questi tam


belloni! Ora io parlo a voi: v incresce forse ch io
mi faccia loro appressa

L or.

A noi niente afTatto..

L ab.

Increscer forse a me?

L or.

Mai no, se ti vorrai guardare.

L ab.

E da che!

L or.

Dal pi grande dei mali.

L ab.

Deh! lasciate ch io vada a loro.

L or.

Vattene, se ne hai voglia.

L ab.

Ottimamente! io vi ringrazio. No piuttosto me la fo


con Dio.

L or.

Ol; fermati subito.

L ab.

In mia f tutto m andato alla peggio, ma son


deliberato, oggi vo vincerla per assedio.
SCENA

V.

P lecsidippo , T racalione , A mpelisca , P alestr a


L abrace , L o r a r ii , Carmide .

P le .

Quel ruffiano fare all amor mio forza, violenza, e


strapparla dall altare di Venere?

T ra.

Proprio.

. P l e .Q uh occidisti extemplo?

Gladius non erat.

Tr j.

P l e . Caperes aut fustem, aut lapidem.


Tr j.

Quid ego, quasi canem,


Hominem insectarer lapidibus nequissumum?

LjB^Nunc pol ego periit Pleusidippns eccum adest:


Converret ja m hic me totum cum pulvisculo.

PLE.Etiamne in ara tunc sedebant mulieres,


Quom ad me profectus ire?
T rj.

Ibidem nunc sedent.

P l e . Quis illas nunc illic servat?


T rj.

Nescio qui senex,


Vicinus Veneris: is dedit operam optumam.
Is nunc cum servis servat: ego mandaveram.

P l e . Duc me ad lenonem rectas tibi illic est homo?


Lab. Salve.
P le.

N ihil salutem m oror: opta ocyusj


Rapi te obtorto collo mavis, an trahi?
Utrumvis opta, dum licet!

L ab.

Neutrum volo.

P l e . Abi sane ad litus curriculo Trachalio:


Jube illos in urbem ire obviam ad portum mihi.
Quos mecum duxi, hunc qui ad carnuficem traderent:
Post huc redito, atque agitato hic custodiam:
Ego huc scelestum in jus rapiam exsulem.
Agej ambula in jus.
L jb.

Quid ego deliqui?

P le.

Rogas?
Quia arrhabonem a. me accepisti eb mulierem,
Et eam hinc avexti.

P le .

E perch non l hai morto?

T ra.

Se avessi avuto uno stocco.

P le .

Dovevi prendere un bastone o un sasso.

T ra.

Diacine! e dovea io pigliarlo a sassi come un ca

L ab.

Buona notte!

P le .

Sedevano ancor sull altare le donne quando tu

ne? questo ribaldonaccio?

Ve Pleusidippo: s ch egli di male

detto senno mi scuoter la polvere di dosso.


se venuto a me?
T ra .

Elle vi seggono tuttavia.

P le .

E chi le guarda ora?

T ra .

Non so qual vecchio che sta vicino al tempio di


Venere, egli ci diede braccio, ora

coi servi le

difende, io gliel aveva detto.


P le .

Conducimi di filo al ruffiano; e dov colui?

L ab.

Iddio ti prosperi.

P le .

Non voglio prosperit, sbrigati presto, vuoi tu che


pel collo pei piedi ti tragga d avanti al giudi
ce? fa le tue ragioni, intanto che hai tempo.

L ab .
P le .

N 1 uno, n 1 altro.

Va, Tracalione, corri al lido: di, a quelli che addus


si meco, vengano fuor della citt ad incontrarmi
verso

il porto acci diano costui al manigoldo;

tu poscia qui ritorna, e ponti qui di


trasciner

questo can

bandito

al

guardia. Io
pretore;

su

vieni in Tribunale.
L ab.
P le.

Qual fallo il mio?


E lo domandi? tu che

per la

donna ricevesti da

me la caparra, e poi 1 hai condotta via?

382
L

Non averi.

ab.

P le .
L

Cur negas?

a b . Quia

pol provexi; avehere non quivi miser.

Equidem libi me dixeram praeslo fore


Apud Veneri fanum: numquid mulo? tumne ib i?
P

l e . In

ab.

ju re cautam dicito: hic verbum sat est:

Sequere.
Obsecro te, s u b v e n im i Charmides.
Rapior obtorto collo.
Qui me nominai?

Cb a .
L

a b . Viden

me, ut rapior?
Video, atque inspecto lubens.

Cb a .
L

a b . Non

subvenire m ihi audes?

Quis homo le rapii?

Cb a .
a b . Adulescens

Pleusidippus.
Ut nactus s, habe

Cb j .

Bono animo: melius est te in nervom conrepere.


Tibi obtigit, quod plurim i exoptant sibi.
L

a b . Quid

id est?
Ut id quod quaerant, inveniant sibi.

Cb a .
L

a b . Sequere,

obsecro, me.
P a riter suades, qualis es.

Ch a .

Tu in nervom rapere: eo me obsecras, ut te sequar.


Eliam retentas?
L

P e r ii

ab.

P le.

Verum sil velim!


Tu, mea Palaestra et Ampelisca, ibidem eloco

Manete, dum huc ego redeo.


L

ob.

Equidem suadeo
Ut ad nos abeant potius, dum recipis.

L ab .
P le .
L ab.

Non l ho condotta via.


E lo nieghi?

Perch l ho s bene tratta lungi ma non l ho con


dotta via, perch, per mia disgrazia, non l ho
potuto. E non t ho detto io che m avresti veduto
al tempio di Venere? Che ho d aggiugnere, non vi
sono io forse?

P le.

Difenditi alla ragione: qui di ciance se n fatto


nn buon dato; seguimi.

L ab.

Per carit, o mio Carmide, majuta: io son tratto


pel collo.

Cab.

Chi mi chiama?

L ab .

Non vedi che si fa di me?

Cab.

L o veggo e ne ho un gusto matto.

L ab.

Non ti d il cuore di soccorrerm i

C ab.

E chi ti maltratta?

L ab.

Il giovine Pleusidippo.

Cab .

Piglia il panno pel suo verso; saria meglio che da


te

andassi in prigione;

imperciocch t avvenne

quello che non pochi desiderano.


L ab.

Che vuol dir questo?

Cab .

Che qual Asino d in parete, tal riceve.

L ab .

Deh seguimi.

Cab.

Ogni botte d del suo vino,

perch tu se tratto

in carcere t ingegni a persuadermi che ti venga


dietro: cerca altro zimbello che non questo.
L ab.

Son disfatto.

P le .

Dio volesse. Tu mia Palestra, e tu Ampelisca as


pettatemi qui, finch

L or.

Eppure penserei io, le si ricoverassero in casa


nostra^ infino a tanto che voi torniate.

384
P

Placet:

le.

Bene facilis.
Fures mihi eslis.
L jb.
Quid? fures?
Lon.
Rape.

le.

j b . Oro,

le.

j b . Hospes!

Cb j .

obsecro, Palaestra.
Sequere, camufcx.
N o n sum hospes: repudio hospitium luom.

L jB .S ic c in e m e spem is?

Sic ago: semel bibo.

Cb j .
L

j b .D

Cb j .

i te infelicitent.
Isti capili dicito.

Credo alium in aliam belluam hominem vorlier.


Illic in columbum, credo, leno vortilur:
Nam in columbari collum haud multo post erit:
In nervom ille hodie nidamenta congeret,
yerumtamen ibo, ei advocatus ut siem.
S i qui mea opera citius addici potest.

P le.

Benissimo. Voi siete a me cortesi. .

L ab.

a me ladri.

L or.

Come? ladri?

P le.

Trascinalo via.

L ab.

Deh per carit, Palestra.

P le.

Vien meco, manigoldo.

L ab.

Ospite!

Ca r .

Ospite non ti son io. Rifiuto la tua ospitalit.

L ab.

Cosi mi sprezzi?

C ar .

Cosi faccio io, non mi farai bere.la seconda.

L ar.

Che Dio t affranga.

Car.

Te piuttosto^ Scommetterei che un di costoro si


cambia in bestia; ed il ruffiano in colombo; pe
rocch non andr molto eh ei

sar nella colom-

baja, ed oggi egli raccoglier tatto da .poter nidiare in carcere. Nullameno andr a pigliarla per
lui, e forse, cagion mia, potr essere condannato
pi presto.

V o l . I. P l a u t .

25

ACTUS
SCENA
D

ir.
I.

aemones.

Bene factum, et volupe est, hodie me his mulierculis


fetulisse auxilium: ja m clientas reperis
Atque ambas form a scitula atque aelattila.
Sed u xor scelesta me, omnibus servat modis,
Ne qui significem quidpiam mulierculis.
Sedj Gripus servos noster, quid rerum gerat,
M iro rj de nocte qui abiit piscatum ad mare.
P o l mage sapisset, si dormivisset domi.
Nam nunc et operam ludos danil, et retiam. (Z h )
U t tempestas est nunc, atque ut noctu fuit,
In digitis hodie percoquam, quod ceperitj
Ita fluctuare video vehementer'mare.
Sed ad prandium u xor me vocatj redeo domum3
Jam meas opplebit auris sua vaniloquentia.
SCENA

II.

G r ip u s .

Neptuno has ago meo patrono gratias.


Qui salsis locis incolit pisculentis,
Quom med ex suis pulchre ornatum expedivit
Templis reducem, plurima praeda onustumf
Salute horiaej quae in m a ri fluctuoso

ATTO

IV

SCENA

I.

Demone.

Ilo fatto bene, e ine ne consolo, perch oggi ajutai queste


povere fanciulle. Finalmente ho trovate anch io
due clientole belle

e giovani;

ledetta di mia moglie

ma

quella

ma

m ha sempre i bracchi

alla coda, perch non mi fermi a cicalar con fem


mine. Diamine! Che fa Gripo nostro servo? io tra
secolo

eh egli stanotte

abbia voluto ire a pe

scare. Ah! se avesse avuto il cervello


se ne sarebbe rimasto in

sano,

casa a dormire: imper

ciocch egli or logora e tempo e reti.


do tuttavia le onde

pi

come

stanotte,

Giostran
veggo

che

potr cuocermi fra le dila la pesca eh egli avr


fatta oggi. Ma la moglie mi

chiama

a pranzo;

entriamo; gi m aspetto dal suo anfanare un moli


nello in capo.
SCENA

II.

Gripo .

Sian fatte grazie a quel mio buon protettor Nettuno che


abita questi luoghi salati e pescosi. Egli mi man
d dal suo tempio ben concio e stracarico di bot
tino, colla mia navicella salva, la qual pur final-

588
Piscatu novo me uberi conpotipit.
Miroque modo atque incredibili

hic piscatus m ihi


lepide evenit:

Neque piscium ullam unciam hodie pondo


Cepi, nisi hoc quod fero hic in rete.
N am ut de nocte multa impigreque exsurrexi.
Lucrum praeposivi sopori et quieti:
Tempestate saeva experiri expetivi, ]
Paupertatem heri

qui et meam servitutem

Tolerarem. Opera haud fui parcus mea.


Nimis homo nihili est, qui piger est: nimisque id
genus odi ego malej
Vigilare decet hominem, qui volt sua temperi con
ficere officia.
Non enim illum expectare oportet,

dum herus se

ad suom suscitet officium.


Nam qui dormiunt lubenter, sine lucro et cum ma
lo quiescunt.'
Nam ego nunc mihi,

qui inpiger fui,

reperi,

ut

piger, si velim, siem.


Hoc ego in m ari, quidquid inest, reperi: quidquid
inest, grave quidem est: aurum
H ic ego inesse reor: nec m ihi conscius est ullus ho
m o: haec tibi nunc
Occasio, Gripe, obtigit, ut Uberet ex poplo praetor te.
Nunc sic faciam,

sic consilium est

ad henim

ut

veniam docte atque astu.


Pauxillatim

pollicitabor pro

capite argentum, ut
sim liber.

Jam ubi liber eroj igitur demum instruam agrum,


aedis, mancipia:

m
mente la mi ha consolato d una pescagione n u o -,
va ed abbondante. In guisa assai maravigliosa ed
incredibile mi accadde questa pesca; di pesci non
ne presi nemmeno unoncia, salvo questo che por
to nella rete. Mi sono alzato eh era ancor molto
oscuro in cielo: al sonno ed al riposo misi innan
zi 1 utile, e mentre la tempesta pi bolliva volli
phu vanni d alleviare al padrone la povert, ed a
me la servit. Non volli stare colle mani a
cintola. L uom pigro non vale un fiocco, cotal
genia mi fa afa. Luomo che vuol presto spacciare
ogni sua faccenda, deve star cogli occhi aper
ti n aspettare che il padrone' lo svegli al
suo ufficio. Chi volentieri sta in letto, ci sta sen
za guadagno e con suo scapito; ma io, che non
fui mai tanto sonnacchioso, ho trovato da poter
darmi buon tempo ad ogni mia voglia. Questo ar
nese, quantunque esso rinchiuda, trovai nel mare;
quel che v d entro assai pesante in fede mia;
metterei la vita che qui c oro: fuor di me noi
sa persona. Ora eccoti dato, o Gripo, il colpo di
farti dal pretore cavar dal fango: cos far. Que
st 1 avviso mio, andr al padrone, e con ma
niere assai astute e sottili, aggiungendo poco per
volta, prometter ungergli le mani con buoni con
tanti, purch mi faccia libero; e quando sar pa
dron di me medesimo fabbricher un palazzo, com
prer case, fondi e servi, e con gran navi mi da-

Navibus magnis mercaturam faciam: apud reges


rex perhibebor.
Post animi causa mihi navem faciam, atque im i
tabor Stratonicum:
Oppida circumvectabor: vbi nobilitas mea erit clara.
Oppidum magnum conmunibo: ei ego urbi Gripo
indam nomen,
Mollimentum meae famae et factis: ibique regnum
magnum instituam.
Magnas res hic agito in mentem instruere: nunc
hunc vidulum condam.
Sed hic rex cum aceto pransurust ei sale, sine bo
no pulmento .
SCENA

III.

T r a c h a l io , G r i p u s .
T r a . Heus, mane.

Gr i.

Quid maneam?
T ra.
Dum hanc tibi, quam trahis, rudentem complico.
G r i . Mitte modo.
Tr a .

A t pol ego te adjuvabo: bonis quod


bene fit, haud perit.

G r i . Tempestas turbida heri fuit,

Adulescens, nihil habeo, piscium:


Ne tu m ihi esse postules.
Non vides referre me uvidum
Retem, sine squamoso pecu?
T ra.Non edepol piscis expeto, quam tui sermonis sum
indigens.

r a mercatantare, e fra i re me la scialer da re


anchio. Poscia per mio diporto metter in assetta
una nave assai beila, e siccome prima fece Stratonico,
cercher il mondo anch io, e quando ben cono
sciuta sar la nobilt mia, mi porr alle fondamenta duna gran citt e la chiamer Gripo, per
far perpetua ai posteri la fama del mio nome e
delle mie imprese: ed ivi stabilir un gran regno.
Oh quante cose mi girano pel capo! ora nascon
der questa bolgia. Ma ahi, che questo re far un
desinare assai magro con sale ed aceto senza
buona minestra!
SCENA

m.

Tracauohe, Grifo.
T ra.

Ehi, aspetta.

Gri.
T ra.

E a che?
Che t avviluppi questa gomina che ti tiri die
tro.
Lasciala andare.
Io voglio ajutarti, perciocch quel bene che si fa
ai galantuomini, non d mai in un -sacco rotto.
Jeri avemmo una burrasca assai terribile, giovanot
to mio, pesce non presi e tu non me ne cerca,
e non vedi come son io tutto bagnalo colla rete
in spalla senza uno sgraziato pesciolino?
In f donestuomo pesce non ti domando io, ma
in vece ho bisogno di parlar teco.

Gri.
Tra.
Gri.

T ra.

G r i .E nicas ja m m e odio, quisquis es.

Non sinam ego abire bine te.


Mane.
Gr i.
Cavesis malo: quid tu, malum, nam me retrahis?
T ra .
Audi.
G r i . Non audio.
Tra.
A t pol quin audies.
Gr i.
Quin post loquere, quidvis?
T r a . Eho, modo est operae pretium, quod tibi ego nar
rare volo.
G r i . Eloquere, quid id est?
T ra .
Fide num quispiam consequitur prope nos.
G r i . Ecquid est, quod mea referat?
T ra .
Scilicet!
Sed boni consilii ecquid in te mihi est?
G r i . Quid negotii est? modo dice.
T ra.
Dicam, tace.
S i fidem modo das mihi, te non fore infidum.
Tr j.

G r i .D o fidem libi, fidus ero, quisquis es.


Tra.

A udi.

Furtum ego vidi qui faciebatj noram dominum, id


quoi fiebat:
Post ad furem egomet devenio, feroque ei conditio
nem hoc pacto:
Ego istuc furtum scio quoi factum est: nunc mihi
si vis dare dimidium,
Indicium domino non faciam: is mihi nihil etiam
respondit.
Gr i.

Quid? id aequom est dari mihi? volo uti dicas.


Imo hercle amplius etiam:
Nam nisi dat, domino dicundum censeo.

T ra.
Gri.

' 3 9 3
Mi ammazzi di noja chiunque tu se.
PJon ti lascier andare: resta..
Guarda che non incontri quello che non vorresti,
perch o farfantaccio, mi tieni tu indietro?
Ascolta.
Son sprdo.

T ua .

E si ch e m i u d ira i.

Gri.
T ra.

E non potrai dirmi dopo quello che vuoi?


Egli di troppo grave pondo, ci che ti vo dire
addesso.
Escine, che ?
Guarda un po, se non vedi alcuno venire a que
sta volta.
E che importa a me?
Importa s, ma qual avviso mi daresti?
Che faccenda questa? dillomi.
Te lo dir, ma non far motto, prometti che mi
terrai il secreto.
Te lo prometto, chiunque tu sia, sar serrato co
me una pina.
Senti adunque. Io vidi chi faceva il furto, e cono
sco la persona a cui veniva fatto, quindi vengo io
stesso al ladro e gli propongo questo partito. Io
so che tu hai rubato e so anche a chi abbi
rubato: se tu vuoi far meco a met, non ne
dico parola al padrone. E quegli mutolo come
una colonna: e s? ti pare adunque eh' egli ab
bia ad acconciarvisi? rispondi.
Si per Dio e te ne deve dar di pi: se vuol fare
il bell umore, strombettalo al padrone, fa a modo
mio.

Coi.
Tra.
C r i.

Gri.
T ra.
Gri.
T ra.
Gri.
T ra\
Gai.
T ra.

Gri.

T uo consilio faciam:

T ra.

Nunc advorle animumj namque ad ted hoc omne


allinet.
Gr i.
T R j.V id u lu m istunc,

Quid est factum ?


quojusnam est, novi hom inem ego

jampridem . . .
Gr i .

Quid est?

T r a . Et quo pado periil.


Gr i .
J t ego quo paclo inventust, scio.

Et qui inventi, hominem novi: et dominus qui nunc


est, scio.
Nihilo pol pluris tua hoc, quatn quanti illuc refert
m ea.

Ego illune novi, quojus nunc eslj tu illum,

quojus

antehac futi.
H unc hom o feret a m e nem o: ne tuie speres politis.
T ra .N ou fera t si dom inus venial?
Gr i.

Dominus huic nemo, ne frustra siesj


Nisi ego, nemo huic natustj hunc qui cepi in ve
natu meo.

T ra . Ita ne vero?
Gr i.
Ecquem esse dices in m ari piscem meum?

Quos quom capio, siquidem cepi, mei suntj habeo


t
pro meis:
Nec manu adserunturj neque illinc pariem quisquam
postulat
In foro palam omnis vendo pro meis venalibus.
Mare quidem commune cerlost omnibus.
T ra.

J d se n tio .

Qui minus hunc communem quaeso m ihi esse opor


tet vidulum?
I n m a r i invntusl, com m unist.

T ra.

For come tu di, ora sla attento, imperciocch


tutto questo appartiene a te.
Gri.
Che cosa avvenne?
T ra. I o so di chi sia questa valigia, gi buon tempo
eh io conosco l uomo . . .
Gri.
Che mai questo?
Tra. so anche come la sia andata perduta.
Gri.
Ed io so come la sia stata trovata, e conosco
colui chc trovata 1 ha, ed ora so pure chi ne sia
padrone. Questa cosa non tanto dee montare a te
quanto a me: ora io conosco di chi sia, tu colili
che prima la possedeva: e per adesso a nessun
verr dato cavarmi di mano questo arnese, e tu
d averlo non facci sopra conto veruno,
T ra. Niuno 1 avr? e se capitasse il padrone?
Gri.
A cotesta valigia, perch tu mal non tapponga, altro
padrone non nacque fuor di me: io lho presa nel
la mia caccia.
T ra.
Cos davvero?
Gri.
E qual dirai tu pesce in mare che non sia mio?
que che pescai, se pur ne pescai sono miei e per
tali li tengo, n si possono mettere in libert come
i se rv i, n parte alcuno me ne cerca : come
cosa mia li metto pubblicamente sul mercato, im
perciocch non v ha uomo cos soro il quale non
sappia il mare essere cosa comune di tutti.
T ra. Fin qui siamo d- accordo. Dimmi di grazia e per
ch adunque non sar comune la valigia? non
fu ella ritrovata in mare? dunque cosa comune.

Nae inpudenter inpudensf


Nam si isluc jus sil* quod memoras, piscatores pe
rierint:
Quippe quom extemplo in macellum pisces prolati sient,
Nemo emat: suam quisque partem piscium poscat sibi:
Dicat* in m ari communi captos.
Tr j.
Quid ais inpttdens?
Ausus etiam comparare vidulum cum piscibus?
Eadem tandem res videtur?
Gr i .
In, manu non est mea?
Ubi demisi retem atque hamum, quidquid haesit,
extraho.
Meum* quod rele atque hami nacti sunt, meum potissumum est.
T r j . Imo hercle haud estj siquidem quod vas excepisti.
Gr i.
Philosophe!
T r j . Sed tu en umquam piscatorem vidisti, venefice,
Vidulum piscem cepisse aut protulisse ullum in forum?
Non enim tu hic quidem occupabis omnis quaestus
quos voles:
Et vietorem et piscatorem te esse* i n p u r e postulas.
Vel te mihi monstrare oportet, piscis qui sil vidulus,
Vel, quod in m ari non natum est, neque habet
squamas, ne feras.
G r i . Quid fu, numquam audivisti esse antehac vidulum
piscem?
Tr j.
Scelus.
Nullus est.
Gr i .
Im o esi profecto: ego, qui sum piscator} scio!
Vero raro capilur: nullus minus saepe ad terram venit.
T ra .NU agis: dare verba speras mihi te posse, furcifer.
Quo colore est?
Gr i .

Gri.

Tra .

G iti.

T ra.
G r i.

T ;i a .

C ri.
T rav
Gm.

T ra.

0 faccia di pallottola! se fosse questo diritto


che tu vai cantando, poveri pescatori! portati i
pcsci al macello non vi sarebbe anima vivente che
li comperasse, ma ognuno per se ne cercherebbe
una porzione adducendo esser presi nel mare com
mune.
E queste bnje vien tu a dirmi, o sfacciato? e vuoi
istituir- confronto fra una valigia coi pcsci? cosi tu
la vedi?
Non in mia mano? Quando io calo la rete e
lamo, traggo fuori tutto che vi si attacca; e tutto
che sa.vvien alla mia rete ed all amo, proprio
mio di me.
No per Dio; e se mo t avvenissi in qualche vase?
Uh il filosofo!
Vedestu mai, o maliardo, pescatore prendere un pe
sce valigia o metterne alcuno su banchi? in fede mia
che tu non iscrocchcrai tutto che vuoi: vorrestu
eh, carogna, essere insieme e ferravecchio e pesca
tore? bramerei pur che mi facessi vedere qual sia
questo pesce valigia. Quello che non nacque in
mare e che non ha squame, non porterai ora, o
manigoldo.
E da che mangi pane non hai udito esservi il pe
sce valigia?
Ribaldo! no certo.
E v per Bacco, ed io che sono pescatore, lo so.
Ma se ne prende di raro, perocch non di sovente
viene a terra.
T u dai in ccci: vorresti tirarm i 1' ajuolo, o cape
stro neh? di qual colore ?

Gr i .

H oc colore capiuntur pauxilluli.


S u n t alii puniceo corio, m agni item atque atri.

Tra.

Scio.
T u liercle, opinor, in vidulum te piscem convortes,
nisi cavcs:

Fiet tibi puniceum corium, postea atrum denuo.


G r i . Quod scelus hodie hoc inveni!
T ra.
Ferba facimus: il dies.
Fide sis, quojus arbitratu nos facere vis?
Gr i .

Fidttli
A rb itra tu .

T ra.
Gr i.

Ita n? enim vero stultus es.

Salve, Thales!
T r a . T u istunc hodie non feres, nisi das sequestrum aut
arbitrum ,
Quojus haec res arbitratu fiat.
G r i.
T r a .Elleborosus sum .
Gr i.

Quaeso sanus es?

A t ego cerritus, hunc non a m illa m lam en.

TRA.Ferbum adde etiam u n u m , ja m in cerebro colaphos

abstrudam tuo.
Ego jam hic te itidem, quasi peniculus novos exur
geri solet,
N i hunc a m ittis, exurgebo quidquid hum oris libist.
G r i . Tange! adfligam ad terram te itidem , ut piscem so
leo p o lypum !

F is pugnare?
T ra.
Quid opust? quin tu potius praedam divide.
G r i . Hinc tu, nisi malum, frunisci nihil potes, ne postules.

Abeo ego hinc.


T ra .

A t ego hinc obfleclam navent j ite quo abeas: m ane!

Q r i.

Tra.

Gri. .
Tra.
Gri.
T ra.
Gri.
T ra.

Gri.
T ra.
Gri.
I

ra.

Gri.
T ra.
Gri.
T ra.

Di questo colore se ne pigliano pochissimi, ve ne


ha di color scarlatto, altri sono pi grossi e scuri.
l so, e se nop ti vorrai guardare, aff che te
stesso cangi in pesce valigia: la tua pelle diverr
color rosso di fuoco, e poscia si far come un
carbone.
In che ribaldaccio percossi io oggi!
Noi cianciamo e il tempo se ne va: pensa a qual
arbitro ti vuoi commettere?
Alla valigia.
Proprio neh? che tu sia si bestia?
Oh viva Talete!
Non te la porti via mai pi se non dai o un
sequestro od un arbitro, dal quale possa essere
sbrogliata questa faccenda.
Ma dimmi se tu sano?
Pieno d elleboro.Ed io pieno di stizza; ma questa non mi si busca
di mano.
Mettici ancora una parola, e con un pugno io li
sfracello le tempie: e come suol sorbire un pennello
nuovo, cos io, se non la lasci andare, ti succhio
tutto il midollo.
Toccami, ed io ti stramazzo, come un polipo.
Yorrestu forse far meco le pugna?
Qual uopo ci ha? e che tu piuttosto non dividi la
preda?
Qui tu non avresti altro chc danno: io di qua me
ne vado.
Ed io, perch non te la possa svignare, da questa
p a rte volger la nave; resta.

G r i . S i tu prorela isti navi es, ego gubernator ero.

Milte rudentem, sceleste!


T r j.
M ittam : om itte vidulum .
G r i . Numquam, hercle, hinc hodie ramenta fies fortu

natior.
T r j .N on

probare

pernegando

m ih i

potes,

nisi pars

datur,
Aut ad arbitrum reditur, aut sequestro ponitur.
G r i . Quemne ego excepi in mari? . . .
Tr j.
A t ego inspectavi e litore.
G r i . Mea opera, laborej et rete, et horia ? . . .
Tr j .
Numqui minus,
S i veniat nunc domintis, quojus est, ego qui inspe
ctavi procul,
Te hunc habere, fu r sum , quam tu?
Gr i .
Tr j.

Nihilo.
M ane, m astigia!
Quo argum ento socius non su m , et fu r sum ? fac

dum ex te sciam.
G r i . Nescio: neque ego istas vostras leges urbanas scio,
Nisi quia, Hunc meum esse, dico.
Tr j.
Et ego item esse ajo meum.
Gni.Mane: jam reperi rem, quo pacto nec fur, nec so
cius sies.
T r j . Quo pacto?

Sine me hinc abire: tu abi tacitus tuam viam,Nec tu me quoiquam indicassis, neque ego tibi quid
quam dabo.
Tu t acetos ego mussitabo: hoc optumum atque aequissumum est.
T r j . Ecquid conditionis atides ferre?

Gr i.

Ori.
Tr i .
(ni.
T ra.

Se ti vuoi metter* da prua, io mi far teinouiere


da poppa: lascia la corda, m ario lo .
Subito, e tu la valigia.
lu f mia tu non avrai tanta fortuna da portarne
via un bioccolo.
Le tue negative per nulla mi vincono, se pur non
pensi o a darmene parte, o a diputare un arbi
tro, o lasciarla presso alcuno in deposito.

G r i.

I o clic la p r e s i in m a re ?

T ra .

J Ia io 1 h o v is ta d al lido.

Gri.

Colle mie braccia, colla mia fatica, con la barca


c con le reti mie?

T ra.

N on fa: se v en isse

il p a d r n e , io che la vidi d a

lo n ta n o q u e s ta v a lig ia ch e tu h a i, n o n s a re i fo rse
a v u to la d ro io ta n to q u a n to se tu ?
Gr i.

T ra.
Gri.

T ra.
Gri.
T ra.
Gri.

T ra.

N p i n m eno.,
Senti, o forca, e come non sendoti io sozio, pur
son ladro istessamente? sciframelo.
I o noi so, e qufcste vostre leggi cittadine io non
le conosco: so dir per questo solo, che la vali
gia mia. v
Ed io rispondo che mia.
Attendi, lho trovato il bandolo per cui tu non sia
n ladro n complice.
E qual ?
Lasciami andare pefatti miei e tu chctichelli chetichelli vattene pe fatti tuoi; tu non insegnarmi
a persona, ed io a persona non t insegner, tu
sta zitto, io zitto, ecco il migliore, ecco il partito
pi bello.
E queste condizioni tu osi profferirmi?
V o l . I. P la lt.
26

Jamdudum fero:

C r i.

Ut abeas, indentem amittas, mihi molestus ne sies.


T R i.M a n e , dum refero conditionem.

Te, obsecro hercle, aufer modo.

Gr i.

T r a . Ecquem in his locis novisti?

Oportet vicinos meos.

Gr i.
T ra . Ubi tu hic habitas?
Gr i.

P o rro illic longe usque in cam pis ultim is.

T ra . Fin j qui in hac villa habitat, ejus arbitratu fieri?


G r i . Paulisper remitte restim , dum concedo, et consulo.
T r a . Fiat.

Gr i .

Euge! salva res est: praeda haec perpetua est mea.


A d meum herum arbitrum vocat me hic intra praesepis meas.
Numquam, hercle3 hodie abjudicabit ab suo trio
bolum.
Nae iste haud scit, quam conditionem tetulit: ibo
ad arbitrum.

T r a . Quid igitur?
Gr i.

Quamquam istuc esse jus meum certo scio,


Fiat istuc potius, quam nunc pugnem tecum.
Nunc places.

Tra.
G r i . Quamquam

ad ignotum arbitrum me adpellis; si ad


hibebit fidemj

Et si ignotus; notust: si non; notus, ignotissumust.

Gri.

da u a pezzo che te n ho fatta profferta, che

T ra.

tu vada, che lasci la corda, e che non mi tolga pi


oltre il capo.
Sostieni, intanto eh io ti ridico i patti.

Gri.
T ra.
Gri.

Vanne una volta.


E chi conosci tu in questi luoghi?
0 corna! i mici vicini.

T ra.

Qual casa tua?

Grl

Oho! assai lunge di qui, fino in quello ultime


campagne.'

T ra.

Vuoi tu che sia paciere nelle nostre differenze


colui che abita in questa villa?

Gri.

Allenta un pochin la fune, m cntr io mi tiro un

T ra .

po' pi in qua c faccio i miei conti.


Vo contentarti.
Lode al cielo. La cosa salva, questa preda mia,

Gri.

mia per sempre: emi chiama nella mia m augiatoja


farne arb itro il mio padrone, egli certam ente non
v o rr g iu n tare il suo servo nemmeno d un quat
trinello! non sa questo allocco qual grasso patto
T ra.
G ri.

m abbia posto fra le mani, andr all arbitro.


E dunque?
Sebben sappia questa valigia esser p er diritto mia,

T ra.

p u r son contento si faccia eost piuttosto che ve


n ir teco alle pugna.
O ra mi p iaci

G ri.

Q uantunque mi tiri ad un arbitro eh io non co


nosco, p u r egli, se te rr p er me, sebbene ignoto
allora mi v err conoscentissimo,. se no, e mi si fa
stran iero , fossemi fratello.

D aemones , P alaestr a , A m pe lisc a ,


G r ip u s , T rachalio .
D a e . Serio, edepol,

quamquam volo vobis quae voltis,

mulieres,
Metuo, propter vos, ne uxor mea me extrudat ae
dibus:
Quae me pellices adduxe dicet ante oculos suos.
Vos confugite in aram potius, quam ego . . . (oi>)
3I v l.
Miserae periimus.
D a e . Ego vos salvas sislam, ne timete: sed quid vos foras
Prosequimini? quoniam ego adsum, faciei nemo in
juriam.
Ite, inquam, domum ambo nunc jam ex praesidio,
praesides.
G r i . O here . .

(06)

T ra . Salve
D ae.

Salve, quid fit?

T ra .

Titosne hic servosl?

Haud pudet.

G r i.
T ra . Nihil ago lecum.
G r i.
T ra .

Ergo abi hinc, sis.


Quaeso responde, senex.

Tuos hic servosl?


D ae.
Meus est.
Hem! istuc opiume, quando tuost.
Item m te saluto.
D ae .
El ego te: tunc es, qui haud mullo prius
Abiisti hinc herum arcessitum?
T ua .

Tr j.

J<jjo is sum.

D emone, P alestra, Ampelisca,


Gripo, T racalione.
Deh. A p arlar proprio sul serio, sebben, donne mie, vi de
sideri ogni bene, pur io temo chej cagion vostra,
la mia moglie mi discacci fuori di casa a calci,
gridandom i chio le ho condotte le mie sgualdrine
in sugli occhi: e per voi altre ricoveratevi all al
tare piuttosto eh io . . .
P al. Amp. Ahim siam disfatte!
Dem.

I o vi voglio salve, rincuoratevi: ma perch ve


nite voi qua fuori? fin tanto che vi son io, niuno
vi to rcer un capello, andate a casa tu ttaduc,
o guardiani, la vostra guardia finita.

Gri.

0 padrone . . .

T ra.
D eh.

Buon d.
Buon anno, che si fa?

T ra.
Gri .

E vostro servo costui!


E non mi fo rosso in viso.

T ra.
Gri.

I o non ho pi nulla a far tcco.


Sgombra il paese adunque.

T ra.

Deh ditemi, buon vecchio, proprio vostro servo


costui?
Mio.
Egregiamente, s egli vostro, di nuovo io vi prego
il buon d.

Dem.
T ra.
Dem.

Ed io a te. E tu non se quello che non ha guari


and pel padrone?

T ra.

Proprio quello.

Dje.

Quid nunc vis libi?

T r j . Nempe hie luos eu?


D je.

ile u s est.

Istuc optume, quando tuost.

Tr j.
D j e . Quid negoti est?
Tr j.

Vir scelestus illic est.

Dje .
F ir scelestus? .

Quid fecit tibi

Homini ego isti talos subfringi volo.


D j e . Quid est? qua de re litigatis nunc inter vos?
T r j.
Eloquar.
G r i . Imo ego eloquar.
Tr j.
Ego, opinor, enim facesse!
G r i.
Siquidem
Sis pudicusj hinc facessas.
D je.
Gripe, animum advorte, ac tace.
G r i . Iftiriistic prius dicat?
D je.
Audi. Loquere tu.
G r i.
Alienori prius,
Quam tuo dabis orationem?
Tr j.
Ut nequitur comprimi!
Ita ut occepi dicerej illum, quem dudum extrusisti.
Lenonem, hic ejus vidulum, eccillum. ( l)
Tr j.

G r i .N on habeo.

Negas, quod oculis video?


Gr i.
A t ne videas, velim.
Habeo; non habeo: quid tu me curas, quid' r e r u m
geram?
T r j . Quomodo habeas, illud referi: jurene an injuria.

Tr j.

D em.
T ra.

Ed ora che vuoi?


E proprio vostro costui?

D e.

Proprio mio.

T ra'.
Dem.
T ra.

Oh buono! dappoich egli vostro.


Che faccenda questa?
Costui uomo da gogna.

D em.
Tra.

E che t ha fatto questo gognolino?

Dem.
T ra.

Che mai questo? di che taroccate voi altri?

Voglio he a costui si fracassino i piedi.


Ve lo dir.

Gri.

Anzi ve lo dir io.

T ra.
Gri.

Io sar prim o, oh vattene!

T ra.

Attendi, o Gripo, e sta zitto.

Gri.
Dem.
Gri.

Perch prima di me costui pigli la parola?

T ra.

Che non gli si possa inchiodar la lngua? come avevo


incom inciato, colui, quel ruffiano, che p u r ora avete
trascinato fuori, vedete . . . eccola questa la sua

Gri.

T u dovresti andare, seppur fossi dabben uomo,

T u ascolta. P arla tu.

E voi lascicrete parlar un forestiero prima d un


vostro servo?

valigia.
Io non 1 ho.

T ra.

E vuoi m entire anche quello che veggo con que


sti occhi?

Gri.

Vorrei chc fossi orbo. L ho e non l'ho, e perch


vuol tu por la falce nella mia messe?

T ra.

Ma il come tu 1 abbia, questo si dee guardare, s


a diritto o a torto.

Cini. Ai i slum cepij nulla causa est* quin m condo


nes ciuci:
S i in m ari reti adprehendij qui tuom polius est,
quam meum?
T/u.Ferba dal: hoc modo res gesta est, iti ego dico.
G r i.
Quid tu ais?
TRj.Quoad primarius tir dical, conprime hunc sis* si
tuosl?
G r i . Quid? tu idem m ilii vis fieri,

quod herus consue


vit tibi?

S i ille te comprimere solitus, hic noster nos non


solet.
D j e . Verbo illo modo ille vicit: quid nunc tu vis? dic

mihi.
T ra .E quidem neque ego partem posco m i istinc de isloc

viduloj
Neque meum esse hodie umquam dixi: sed istic
inest cistellula
Jlujtis mitlierisj quam dtidiim dixi fuisse liberam.
D j e .N empe tu hanc dicis* quam esse ajebas dudum po
pularem meam?
T r j . Admodum:

el ea* quae olim parva gestavit, cre


pundia
Jslic in ista cistula insunt* quae istic inest in vidulo.
Jfoc neque isti must* et illi miserae suppetias feret
S i id d ederit* qui suos parentes queerat.
D je.
Faciam ut det: tace.
G ri Nihil, herclej ego sum isti daturus.
Tr j.
Nihil pelo, nisi cistulam*
Fi crcptuulia.
C mi.
Quid si ea sunt aurea?

409
C ri .
Se non la avessi pescata, pur tanto trovar si po
trebbe una ragione per mandarmi in croce: ma
se 1' ho presa in mare colle mie reti, perch mo
essa 1 ha da esser piuttosto tua che mia?
Ei ci d il giambo: il fatto qual io lo conto.
T ra .
Gri.
Che dite voi?
Lascia che vada a fine il primo. E non cosa
T ra.
vostra costui? fatelo tacer per filo.
Gri.
E che? vorresti eh il padron mio facesse a me
quello che il tuo usa fare a te? se il tuo as
suefatto strozzarti, questo nostro di diversa
tempera.
Deh. A parole egli te l ha fatta tenere, che vuoi tu
ora? dillo.
In verit eh io cerco parte nessuna di questa va
T ra.
ligia, n in tu tt oggi m usc mai di bocca chella
fosse mia; ma qua dentro v ha una ccsteliina di
questa donna, che poco fa dissi esser stata li
bera.
D em. Parli tu ora di colei che test dichiaravi del mio
paese?
T ra.
Appunto. I ninnoli che port al collo quand era
ancor fantina, son riposti in questa cesta che den
tro qui nella valigia. Cotesti non fan nulla a costui,
e per avverso egli d buon aiuto a questa dis
graziata se li rende; perocch per tal via ella ar
riva a trovare i suoi parenti.
D em. Far che glieli dia: basta.
Gri.
Oh per Dio non mi si busca nulla.
T ra.
Salvi la cesta e i ninnoli, io non cerco altro.
Gri.
E se sono d oro?

Tr j.

Quid isluc .tua?


Aurum auro expendetur; argentum argento exae
quabitur.

G r i . F a c , sis, aurum ut videam j post, ego faciam ut vi


deas cistulam,
D j e . Cave malo, ac taee tui tu perge, ut occepisti, dicere.
TftJ. Unum te obsecro, ut ted hujus commiserescat mu

lieris,
Siquidem hic lenonis ejus est vidulus, quem suspicor.
Hinc nisi de opinione cerlum nil dico tibi.
G r i . Videri scelestus ut aucupatur!
Trj.
Sine me ut occepi, loqui.
S i scelesti illius est hic, quojus dico, vidulus,
Haec poterunt novisse: ostendere his jube.
G r i.
A iri ostendere?
D j e . Haud iniquom dicit, Gripe, ut ostendatur vidulus.
G r i . Im o hercle insignite inique.
D jm .
Qui dum?
Gr i.
Quia si ostender,
Continuo huc novisse dicent scilicet.
'
Tr j.

Scelerum capiti!

Ut tute es, item omnis censes esse, perjuri caput?


G r i . Omnia istaec ego facile patior, dum hic hinc a me
sentiat.
T r j . Atqui nunc abs te stat: (38) verum hinc cibit testi
monium.
D jE .G rip e, advorte animum,

tu paucis expedi, quid


postulas.

T r j .D ix i equidem: sed si parum inlellexti, dicam denuo:


Hasce ambas, ut dudum d ixi, ita esse oportet libe-

beras.
Haec Athenis parva fuit subrepta virgo.

T ra.
Gri.

E che ci perdi? avrai oro per oro, argento per


argento. ,
Fammelo lampar sagli occhi quest oro, ed io ti
far vedere la cesta.

D esi.

G uardati dal m alanno, e sta zittol tu


conforme avevi incominciato.

v a innanzi

T ra.

Di ci solo vi prego abbiate m isericordia di que


sta donna. mio sospetto questa sia la valigia del
ruffiano, di certo altro io non vi dico, se non che
questa 1 opinion mia.

Gri.
T ra.

Gri.
D em.
Gri.
Dem.

Doh che trappole ha egli mai questa mozzinal


Lasciami condurre il discorso innanzi. Se cotesta
valigia sar di quello scellerato di cui io parlo,
costoro sapranno ben discernerla: fateli loro vedere.
Vedere?
E non dice male, o Gripo, di m ostrar loro la valigia.
Anzi male malissimo.
Perch.

Gri.

Perch se gliela faccio vedere, tosto sfringuelle


ranno di conoscerla.

T ra.

Oh sacco di tristizie! ere ta che sieno tu tti della


tu a pasta, o fastellaccio di spergiuri?

Gri .

Tutto ci di' ingollo come una zuccherina, finch


questi la vede diversamente di me.

T ra.

Ora ci la vede diversamente: di qui certo chia


m er egli il vero testimonio.
Bada qua, o Gripo, e tu sbrigati presto, clic vuoi?

D em.

T ra.

E non ve lho detto? ma se non avete inteso bene


ve Io ripeter: queste due femmine, conforme alle
parole che dissi prima, deono esser libere: questa
fanciulla era piccolina, quando la fu rubata in Atene.

G r i.

D ic mihi*

Quid isla ad vidulum perlinent* servae sint istaec an


liberae?
Tra. Omnia iterum vis memorari* scelus* ul defiat dies.
D a e . Abstine maledictis*, et mihi* quod rogavi* dilue.
Tra. Cistellam istic inisse oportet caudeam in isto vidulo,
Ubi sunt signa* qui parentes noscere haec possit
suos*
Quibuscum parva Jtlienis periit* siculi dixi prius.
Gjti.Jupiler te dique perdant! quid ais* vir venefice?
Quid? istae mulae sunt* quae pro se fabulari non
queant?
T ua. Eo tacent* quia tacita bona est mulier semper* quam
loquens.
G r i . Tum pol lu pro oratione ncc vir nec mulier mihi es.
T ra . Quidm?
G r i.

Quia enim neque loquens es* ncque tacens

umquam bonus.
Quaeso* en umquam hodie licebit mihi loqui?
D ae.

S i praeter hac
Unum verbum faxis hodie*

ego

tibi conmihuam

caput.
T r a . Ut it occepi dicere* senex* eam tc quaeso cistulam.
Ut jubeas hunc reddere illis: ob eam* si quid po
stulat
Sibi mercedis* dabitur: aliud quidquid ibi est* ha
beat sibi.
G r i . Nunc demum istuc dicis* quoniam jus meum esse
intellegis:
Dudum dimidiam petebas pariem.

Cri.

Ma dimmi uu po che entra nello affar della vali


gia, sieno costoro piuttosto serve che libere.
T ra. E vuoi, o bestia, c h 'i la pigli ancor daccapo, acci
fugga il d.
Deh. Da banda le villanie, e spiattella fuori ci eh io ti
cerco.
Tua. In questa valigia ha da esser una cestellina for
mata a coda, in cui trovansi i contrassegni, pei
quali la pu costei ricoverare i suoi parenti, e per
rifarti in capo la stessa tragedia, essa in Atene
and perduta con questi arnesi.
Cui.
Giove e gli Dei ti faccian scavezzar il collo!. che
novelle son queste, o stregone? e che?'N on han
lingua in bocca costoro, per non saperla adope
rare in loro vantaggio?
T ra. Per questo esse tacciono, perch una donna di po
che parole vai pi assai d una cianciera.
Gri.
Cazzica! per la parte tua tu non mi sci buono n
uomo n donna.
T ra. Come?
Gri.
Perch tu , o parli o taccia, se sempre un tristo.
Ma deh e quando oggi mi sar Concesso aprir
bocca?
De . Se tu ci metti ancora una parola, iot ti spezzo la
testa.
T ra. E per come v ho detto, buon vecchio, date or
dine che si renda loro la cesta: se costui cerca qual
che ricompensa, la gli sar data: tutto ci che fuor
di questo v dentro, se lo tenga.
Gw.
Tu ora ti seaccomodato a questo, perch cono
sci ci essere di mio diritto, dianzi per ne vo
levi la met.

Im o etiam nune peto.


G r i . Fidi petere mililom, etiam quom nihil auferret tamen.
D ae . Non ego te conprimere possum sine malo?
Ga i.
S i istic tacet.
Ego lacebo: si istic loquitur, sine me (59 J meam
partem loqui.
D a e . Cedo modo istum vidulum mihi, Gripe.
Tra.

G r i.

Concredam tibi.

A t si istorum nihil sit, ut mihi reddas.


Reddetur.
G r i.
Tene_
D ae . Audi n unc ja m . Palaestra atque Ampelisca, hoc
quod loquor.
D ae .

E stne hic vidulus, u b i cistellam lu a m inesse ajebas?


I s est.

P al.

G r i .P erii, hercle, ego m iser! u t, p riu sq u a m p la n e aspe


x it, eloco

Eum esse dixit!


P al.

Faciam ego hanc rem planam tibi:


Cistellam istic inesse oportet caudeam in isto vidulo.
Ibi, ego dicam, quidquid inerit, nominatimj tu m ihi
Nullum ostenderis: si falsa dicam, frustra dixero.
Fos tamen istaec, quidquid illic inerit, vobis habebitis.
Sed si erunt vera, tum, obsecro te, ut mea m ihi
reddan tu r.

Placet.
Jus merum oras, meo quidem animo.
Gr i.
A c meo, meram hercle injuriam.
Quid si ista aut superstitiosa, aut hariola est, atque

D ae.

o m n ia ,

Quidquid insit, vera dicet? anne habebit hariola?

T ra.
Gri.
Deh.
Gri.

Deh.
Gii.

Deh.
Gri.
Deh.
P al.
Gri.

P al.

Deh.
Gri.

Anzi la voglio pur adesso.


Anche un nibbio io ho veduto voler far preda, e
restarsene infine a becco secco.
Ch io non ti possa acchetare senza tuo danno?
Taccia costui e taccio anchio; ma se parla costui,
lasciatemi parlare anche a me.
Dlia a me, o Gripo, questa valigia.
Mi fido di voi. Ma se v nulla di costoro, resti
tuitemela.
Ti si render.
Prendetevela.
Palestra, Ampelisca, ascoltatemi. Gli questa la
valigia in cui dicevi essere la tua cesta?
Proprio.
Poveretto me! Io son sotterrato; non la le di an
cora nellocchio, che disse esser quella.
Io vi aprir questa faccenda: dentro la valigia esser
dee una cotal cesta foggiata a coda; capo per
capo vi nominer quello che ci ha da esser den
tro, senza chc voi abbiate a farmi vedere cosa al
mondo: se dar in falso, sieno al vento le mie
parole, e vostro sar tutto quello che sar ivi rin
chiuso: ma se dico il vero, per carit, allora ren
detemi il mio.
Ottimamente, questa giustizia, a quanto mi
sembra.
per quanto pare a me, ingiustizia marchiana.
Mettiamo sia costei una maga, una indovina, e per
ci di quanto v ha dentro ogni cosa la dicesse
appuntino, dovrasselo mo allora beccar via la
maliarda?

D j e .N on feret* n isi vera dicet: nequidquam h a riolabitu r.


Solve vidulum ergo* ut* quid sil verum * q u am p r i
m u m sciam .
T r j . Bene hoc habet/

Solulumsl:
Aperi.
D je .
Vjideo cistellam.
P jl.
JIaeccine est?
D je .
PjL.Istaec est: o mei parentes! hic vos conclusos ijcro.
Huc opesque spesquc vostrum cognoscendum condidi.
G r i . Tum tibi* hercle* deos iratos esse oportet, quisquis
G r i.

es*

Quae parentes in tam angustum tuos loctun com


pegeris.
D JE .G ripe* accede huc: tu a res agitu r: tu puella* istin c

procul
Dicito* quid insit* et qua facie* memorato omnia.
S i hercle tantillum peccassis* quod posterius postules
Te ad verum convorlij nugas* mulier* magnas egeris.
G r i . Jus bonum oras.
Tr j.
Edepol haud orat te: nam tu injurius.
D j e . Loquere nunc ja m * puella: Gripe* animum advorte* ac tace.
P j l . Sunt crepundia.
D je .
Ecca video.
G r i.
Perii iti primo proelio!
M ane! ne ostenderis!
D je .

Qua facie sunl? responde ex ordine.

P jL .E n sicu lu st aureolus p rim u m lileralus.


D je ,
Dicedum:

In eo ensiculo literamm quid sil?

Deh.

Baie., se non dir il vero, abbacher invano: sciogli,


sciogli la valigia, acci quanto prima io sappia clic
vi sia dentro.
T ra. Ben pensata!
G r i.
sciolta.
Dem. Apri.
P al. Ecco veggo la cesta.
Dem. questa?
P al.
Questa: o miei genitori! qua vi porto io! qua ri
posi le mie ricchezze e le speranze di conoscervi.
CrRi.
Ben fa d uopo sien tcco adirati gl Iddii, dappoi
ch in luogo cosi ristretto hai stivali i tuoi pa
renti.
Dem. Fatti in qua, o Gripo: ch questa faccenda tutta
tua: e tu, fanciulla mia, qui da lontano di su quello
che ivi si contenga, e di qual forma sia: di tutto a
memoria. Se sbagli dun tantino, e cerchi poscia di
raccapezzare la verit, tu dai in ciampanellc, ra
gazza mia.
C ri.
Chiedete i l giusto.
T ra. Noi chiede gi da te, uom senza fede.
Dem. Parla adunque, figliuola mia, e tu, Gripo, sta at
tento c taci.
P al. Vi son bagatelle.
Dem. Ecco le veggo.
Gri. Ahim! son isconfitto al primo badalucco: cheto, 11011
mostrargliele.
Dem. E qual forma esse hanno? dimmelo con ordine.
P al. V prima di tutto una spadina d oro con sopra
delle lettere.
Dem. Rispondimi: e che v c scritto?
Yol. I. P lait .
27

- p JL

Mei nomen patrii.


Post altrinsecus est securicula ancipes, item aurea
Literata; ibi matris nomn in' securicula est.

D je.

M ane.

Die, in ensiculo quod nomen est paternum?


p AL
Daemones.
D j e .D in m o rta les! u b i loci sunt spes meae?

Imo edepol, meae?

q ri
D j e . Perge,

te obsecro, continuo. (40)


Placide! aut ite in malam crMem.
D j e . Loquere, matris nomen hic in securicula quod siet
PjL.Daedalis.
G r i.

D je .
G r i.

D i m e serva tu m cupiunt!

me perditum.
D j e . Filiam meam esse hanc oportet,. Gripe.
G r i.
S it per me quidem.
Qui te di omnes perdant, qui me hodie oculis vidi
sti tuis,
Meque adeo scelestum, qui non circumspexi centies
Prius , me ne quis inspectaret, quam rete extraxi
ex aqua.
PjL.Post est sicilicula argenteola, et duae connexae ma
niculae, et
'Sticula . . .
G r i.
Quin tu i dierecta cum sucla, et cum porculis!
P j l .EI bulla aurea est, pater quam dedit mihi natali die.
D j e . Ea est profecto! contineri quin compledar, non que.
Filia mea, salve! ego is sum, qui te produxi, pater!
Ego sum Daemones, et mater tua, ecca, hic intus
Daedalis.
P jc . Salve, m i paler insperate!

P al.

Deh.
P al.
Dem.
Gri.
Dem.
Gri.
Dem.
P al.
Dem;
Gri.
D em .

Gri.

P al.
Gri.
P al.
Deh.

P al.

Il nome di mio padre. Dallaltra parte vha una


scuricciuola a ' due tagli pur doro, e su questa scurieciuola v scolpito il nome della madre.
Un momento: di e sulla spadina qual il nome
del padre?
Demone.
Oh Dei immortali! ove sono le mie speranze!
Anzi le mie?
Va, deh va innanzi.
Un po pi di flemma: oh il fistolo chc vi colga.
sopra la scuricciuola qual il nome della
madre?
Dedali.
Gli Dei mi voglion salvo.
E me perduto.
0

G ripO j c o s te i d e e e s s e r l a m ia fig lia .

La lo sia pure per opera mia. Che Dio mandi un


canchero a te, i cui occhi oggi mhan fatta la spia,
e a me, asinaccio, chc non gli ho rivolti intorno
cento volte, osservando se alcuno mi guardasse
quando traeva questo fastidio dallacqua.
Poi vi un piccolo stiletto d argento e due ma
nine insiem congiunte, ed una porcellctta.
Va, impicca te, la tua scrofa, e i tuoi porci.
Pi, una medaglia d oro datami dal padre il d
eh io nacqui.
Ella dessa! non posso star pi dallabbracciarti:
o figlia mia, Iddio tajuti! io son quegli che t ha
ingenerata; io son Demone, e la tua madre Dedali,
vedila l dentro.
Salve, o padre mio, che pur vi ritrovo!

Salve: ut te amplector lubens!


TitJ. Folupe est, quom istuc ex pielate vostra vobis contigit.
D a e . Capedum hunc, si potes, fer intro vidulum, age,
Trad alio.
T r a . Ecce Gripi scelera! Quom islacc res male evenit libi,
Gripe, gratulor.
Dje.
Age, eamus, mea guata, ad malrem tuam,
Quae ex le poterii argumentis hanc rem magis ex
quirere,
D ae.

. Q uia le m a g is tr a c ta v it, m agisque sig n a pern ovit tua.


T r a .E am u s in tro om nes, om nes quando o p era m p ro m i
sc a m dam us.

P a l . Sequere me, Ampelisca.


A mp.
Quom te di amant, voluptati est mihi.
G r i . Sumite ego scelestus, qui illune hodie excepi vidulum!
Aut quom excepi, qui non alicubi in solo abstrusi
loco!
Credebam edepol turbulentam praedam eventuram
m ih i,

Quia illa mihi lam turbulenta tempestate evenerat.


Credo edepol ego illic inesse a u ri et argenti largiter.
Quid meliust quam ut hinc intro abeam, et me su
spendam clanculum?
Saltem tanlispcr^dum abscedat haec a me aegrimonia.
SCENA

F.

D aemones.

Proh di immortales, quis me est fortunatior.


Qui ex improviso filiam inveni meam?

Deb.
T ra.
Dem.
T ra.
Dem.

T ra.
P al.
A m p.

Gri.

Salve! con qual piacere io ti abbraccio.


Oh qual contentezza ne ricevo anch io, avve
nendovi questo per la vostra piet.
Su adunque, o Tracalionc, prendi questa valigia,
e sa puoi, recala in casa.
Fortunate le ribalderie di Gripo! Che questo male
ti sia successo ne ho, o Gripo, un piacer matto.
nimo, o mia figlia, andiamo a tua madre; da tc
essa potr aver prove pi convincenti, ella pi
che non io ti tenne appresso di se, e meglio nc
conosce i contrassegni.
Andiam dentro tutti e adopcriamci insieme.
Seguimi, Ampelisca,
Dacch i l cielo ti fa buon viso, io son contentissima.
E non presi io oggi ad essere sgraziato da quel
punto chc pescai quella valigia? quando lho tratta
fuori perch non la rimbucai in qualche tana? l\fc
l immaginava ben io eliessa sarebbe stata pien;*
di corucci avendola pescata quando si coruccioso
era il mare: e v ha da esser dentro oro ed ar
gento in chiocca. Ma che devo far di me? e non
meglio chc men vada in casa, e senza esser
visto, chio mappicchi per la gola, e che dondoli
tanto, finch da me si parta questo affanno?
SCENA
D

em one

V.
.

Pollar Iddio? qual uomo pi fortunato di me, clic ho trovata


osidimprowisolafiglia? Gi si sa, quando il cielo vuoi

Satiri * si quoi homini dei esse benefactum volunt,


A liquo illud p a cto obtingit opta tu m p iisf

Ego hodie, qui neque speravi, neque credidi,


Is inproviso filiam inveni tamen:
Et eam de genere summo adulescenti dabo
Ingenuo, Atheniensi, et cognato meo.
Ego eum adeo arcessi huc ad me quamprimum volo,
Jussique exire huc ejus servom, ut ad forum
Iret: nondum egressum esse eum, id miror tamen.
Accedam opinor ad fores: quid conspicor?
Uxor complexa collo retinet filiam.
Nimis pene inepta atque odiosa ejus amatio est. (K\).
Aliquando osculando melius est, uxor, pausam fieri.
Atque adorna, ut rem divinam faciam quom intro
advenero,
Laribus familiaribus: quom auxerunt nostram fa
miliam.
Sunt domi agni et porci sacres, sed quid istum re
moramini,
Mulieres, Trachalionem? atque optume, eccum, exit
foras .
SCENA

n.

D jfm oxes, T r a c u jlio .


T ra . U biubi

e r it,

ta m

in vestigpbo,

et

m ecum

a d te

adducam simul
Pleusidippum:
Eloquere, ut haec res obtigit de filia:
Eum rogato, ut relinquat alias res, et huc veniat.
Trj.
LiceU

Dje.

far bene a persona, gli uomini onesti non sono


d ii sempre preferiti? Oggi, cosa che io non ho mai
sperata, n creduta, dimproviso ricoverai la figlia,
e la dar in moglie ad un gentiluomo Ateniese mio
parente. Pi presto che puossi, voglio eh ei sia
chiamato, a me e gi diedi -ordine al suo servo
che venisse fuori acci ne andasse in piazza. Io
son balordo perch non sia egli giunto ancora.
Stimo buono appressarmi alla porta. Oh che veggio?
la moglie avvinghiata al collo della figlia: m'han
quasi fradicio tante smorfie. Oh saria meglio, donna
mia, che tu cessassi dai baci e ti acconciassi in
vece pel sacrificio, che far io voglio al mio ritorno
ai lari domestici, perch accrebbero la nostra famiglia. Abbiamo in casa agnelli e porci sacri. Per
ch, o donne, mi tardate questo Tracalione? Ma
ecco, vien fuori a tempo.
SCENA

VI.

D emoke, T racalione .

T ra.

Si si: andr a cercarlo dappertutto, e ve lo con


durr questo Pleusidippo.

D eh .

Digli tutto che avvenne della figlia, pregalo che


lasci indietro ogni altra cosa per venir qua.

T ra .

Si far.

D a e . Dicito d a ltm im m cam illi filiam u xo re m .

Licei.

T ra .

D a e .E t pai rem cjns m e novisse* et m ih i esse cognatum .


Tr i.
L ic e i ,
D j e . S c, propera.

T ra.
D ae.

Licei.
J a m hic fa c sii* coena u t curelur.

Licei.

T ra.

D a e . Omnian3licei?
T ra .
Licei: sed scili* quid esl quod le volo?

Quod promisisti* ut memineris* hodie ut liber sim.


D ae.
Licet.
T ra . Fac* ut uxores 'Pleusidippum* ut nte emittat manu.
D ae.
Licet.
T ra . 12 lua filia facilo oret: facile exorabit.
D ae .
Licet.
T ra . Atque nl mihi Ampelisca nubat* ubi ego sim liber.
D ae.
Licet.
T r a . Atque ut gratum mihi beneficium factis experiar.
D ae .
Licei.
T ra . Omnianlicel?
D ae.
Licci: tibi ru rsu m refero gratiam .
Sed propera ire in urbem aclutum* et recipe te huc
rursum . .
T ra .
Licet.
Jam hic ero: tu inleribi adorna eelerum* quo(t
opust.
D ae.
T ra . Hercules islum infelicet cum sua licentia!

Licet~

Ita meas replevit aures: quidquid memorabam* licet.

Deh.
T ra .

Deh.
T ra .

De.
T ra .

De.
T ra .

De.
T ra .

De.
T ra .

De.
Tra.
Dem.
T ra .

Dem.
T ra.
Dem.
T ra .

Dem.
Tra.
Dem.
T ra.

Aggiungigli ch io vo dargli mia figlia in moglie.


Si fa r .
E chio conosco suo padre e quello essermi cognato.
Si fa r .
>
Ma presto.
Si fa r .
Per esser poi qui subito a mettere in ordine la cena.
Si fa r .
E tu puoi far tutto?
Tutto. Ma sapete che voglio io da voi? che quella
promessa, che m avete fatta della libert, non
la vi scappi nel dimenticatojo.
Si far.
Fate di vincer Pleusidippo, mi tragga di sua servit.
Si far.
Fatelo pregare anche da vostra figlia, in due mi
nuti egli vinto.
Si far.
E che, quando son riscosso, mi dia Ampelisca in
moglie.
Si far.
E eh io provi dai fatti questo beneficio.
Si far.
E potete voi far tutto?
Tutto. Di nuovo io ti ringrazio: va corri in citt,
e ritorna qui tosto.
Si far. In un fiato io son qui: voi intrattant go
vernate il resto.
Si far.
Dolente lo faccia Iddio col suo s i far : e i m ha
empite le orecchie. Diamine! altro che si far non
sapea rispondermi.

G e ip v s , D je m o n e s .

G si.Q uam m ox licet te compellare. Daemones?


D j e . Quid est negoti, Gripe?
Ge i .

D e illo vidulo

S i sapias, sapias: habeas quod di dant boni.


D JE .A equom videtur tib i, u t ego, alienum quod esi,
M eum esse d ica m ?
G e i.
Quodne ego inveni in m ari?
D j e . T anto melius illi obtigit, qui perdidit:

Tuom esse nihilo magis oportet vidulum.


G e i . Isto tu pauper es, quom n im is sancte pius.
D j e .O Gripe Gripe, in aetatg hominum plurimae,

Fiunt transennae, ubi decipiuntur dolis; ~


Atque edepol in eas plerumque esca inponitur:
Quam si quis avidus poscit escam avariter,
J)ecipitur in transenna avaritia stia..
Ille qui consulle, docte, atque astule cavet,
Diutine uti bene licet parium bene:
Mihi istaec videtur praeda praedatum irier,
Ut cum majore dote abeat, quam advenerit.
Egone ut quod ad me adlatum esse alienum sciam ,
Celem? minume istuc faciet noster Daemones.
Semper cavere hoc sapientes aequissumum est,
Ne conscii sint ipsi maleficiis suis.
Ego nisi quom lusi, nihil moror ullum lucrum.
G e i . Spectavi ego pridem Comicos ad istum modum
Sapienter dicta dicere, atque iis plaudier,

G r ipo , D emone.
G r i.

Deh.
Gri.

Deh.
G r i.

Deh.
G r i.

Deh.

Gri.

E quando v i s i potr parlare, o Demone?


Che hai, o Gripo.
Dico di quella valigia, se voi non siete persona
fatta a gangheri, vi terrete quanto vi dona la Pre
videnza.
E sembrati dicevol cosa, giudicar mio ci che
d altrui?
D altrui quello chc io ho colto nel mare?
Tanto meglio a chi lha perduto; per questo, tua
non diviene la valigia.
Voi non vi caverete mai di pan duro, troppi scru
poli avete nell anima.
Gripo, Gripo! quanti lacciuoli non si fanno al
mondo per avviluppar gli uomini! Spessissime
volte vi si pone il cacio, cui se taluno ingordo
vuol dar di morso, ne resta accalappiato colla sua
stessa avarizia. Luomo saggio per converso sem
pre destro ed accorto, e gode assai di que beni che
gli vennero per retta via. A imo giudizio questa
preda va a farne un altra, per andarsene poscia
pi ricca di quello che ci venne. Ed io nasconder
ci che venne dato a me, sapendo esser d altri?
Mai il vostro Demone non ne far di queste,- c
dell uomo assennato 1 andar sempre cauto, e nel
mal fare non tenere il sacco a suoi. Io se noi mi
viene dalle braccia me ne importa un fico daltro
civanzo.
Anche a commedianti udii uscire queste belle mas
sime, e farsi loro applauso, quando mostravano al

Quom illos sapientis mores monstrabant poplo:


Sed quom jnde suam quisque ibant divorsi domuntj
Nullus erat illo pacto, ut illi jusserant.
D ae .A U intro, ne molestus: linguae tempera.
Ego daturus tibi nihil sumj ne tu frustra sis.
G r i . A t ego deos quaesoy ut quidquid in illo vidulost
S i aurum, si argentum e s t o m n e id ut fiat cinis.
D j e .HI uc est, quod nos nequam servis utimur.
' Nam illic cum servo si quo congressus foret.
Et ipsum sese et illum furti adstringret.
Dum praedam habere se censeret, interim
Praeda ipsus esset: praeda praedam duceret.
Nunc hinc intro ibo, et sacmficabo: postibi
Jubebo nobis coenam continuo coqui.
SCENA

FU I.

P l e u s id ip p v s , T rac h alio .
P l e . Iterum mihi istaec omnia itera, m i anime, m i Tra

chalioj
M i liberte, m i patrone, imo potiuSj m i paler.
Reperti patrem Palaestra suom atque matrem?
Tra.
Reperti.
P l e . Et popularis est?
T ra.
Opinor.
P le.
Et nuptura est mihi?
Tra.
Sttspicor.
P l e . Censerihodie despondebit eam mihi, quaeso?
T ra.
Censeo.

Deh.

Gri.
Dem.

popolo cotali illibati costumi; ma poscia che uno


per una strada, un altro per un altra se ne anrdavano a casa, non v era n uno solo che facesse
conforme a ci che avevano udito.
Ya in casa, non seccarmi pi e non esser s linguardo, e perch tu non resti mollo a cavallo
del fosso, sappi che non ti vo dar cosa al mondo.
Ed io prego Dio, che quanto in quella valigia,
oro od argento che sia, tutto si faccia cenere.
Ecco perch abbiam noi queste perle di servi:
s egli si fosse accontato con qualch altro servitore,
1 avria indotto a farsi reo del furto, e cos, cre
dendo aver fatto buon bottino, ne saria bottino
egli stesso, ch un rubamento tira l altro. Ora
andr dentro, sacrificher, poscia dar ordine si
m etta fuoco alla cena.
SCENA

Vili.

PleCsidippo, T racali ohe.


P le.

T ra.
P le .
T ra.
P le.
T ra.
P le .
T ra.

Mio Tracalione, cuor mio, mio liberto, mo padrone,


anzi mio padre, deh mi ripetere tutte queste cose;
ritrov proprio Palestra suo padre e sua madre?
Ritrov.
Ed mia cittadina?
L o credo.
E la mi si vuol dare in isposa?
Lo sospetto.
Credi tu la si mi conceder quando la domando?
L o credo.

P l e . Quid? patri eliam gratulabor, quom illam invenit?

Censeo.

Tr j.
P l e . Quid? m airi ejus?
Tr j.
Censeo.
P le.
Q uid ergo censes?

Quod rogas.

T r j.

P le.
Tr j.

Censeo.
Die ergo spianti censes?

Egono? censeo.
P l e . A t sume quidem* ne censionem semper facias.
T r j.

Censeo.

P l e . Quid si curram ?
Tr j.
Censeo.
P le.
A n sic potius placide?
Tr j.

Censeo.

P LE .E liam ne eam adveniens salutem ?


Tr j.
Censeo.
P le.
Etiamne ejus patrem?
T r j . Censeo.
P le.
Post ejus matrem?
Tr j.
Censeo.
P le.
Quid postea?

Etiamne adveniens complectar ejus patrem?


Tr j.

N on cem eo.

P l e . Quid* m atrem ?
Tr j.
P le.
Tr j.

Non censeo.
Quid eampse illanc?
N o n censeo.

PLE .P erii! delectum dim isit: nunc non censet, quom volo.
T r j . S a n u s no n es: sequere.
P le.
D uc me* m i patrone* quo Jubet.

m
P le.
T ra.
P le.
T ra.
P le.
T ra.
P le.
T ra.
P le.
Tra.
P le.
T ra.
P le.
Tra.
P le.
Tra.
P le.
T ra.
P le.
T ra.
P le.
Tra.
P le.
T ra.
P le.
Tra.
Ple.
Tra.
Ple.

he? ho da rallegrarmi con suo padre, perch


1 ha trovata?
Lo credo.
E colla madre?
Lo c red a
E he credi tu?
Tutto ci che mi domandate voi io credo.
E credi tu eh ei sia di gran momento?
Io h? lo credo.
Sbrigati dunque, che il ritardo ptl darti danno.
Lo credo.
Ho da correre?
Lo credo.
0 piuttosto andar piano?
Lo credo.
in sull arrivo mio devo salutarla?
Lo credo.
Anche il padre?
Lo credo.
Indi la madre.
Lo credo.
E quando sar in casa ho da gettar le braccia
al collo di suo padre?
Ohib.
Alla madre?
Ohib.
A lei medesima?
Ohih.
Ahim! egli fini, e non approva la volont mia.
Siete in delirio: seguitemi.
Conducimi, padrone, dove ti piace.

ACTUS
SCENA

F.
I.

L jb r jx .

Quis me esi mortalis miserior, qui vivai aller hodie,


Quem ad recuperatores modo damnavit Plcusidippus?
Abjudicata a me modo est Palaestra: perditus sum!
Nam lenones ex gaudio credo esse procreatos:
Ita omnes mortalesj si quid est mali lenoni, gaudent.
Nunc alleram illam, quae mea est, visam huc in
Veneris [anum,
Saltem iit eam abducam, de bonis quod restat re
liquiarum.
SCENA

II.

G r i pus , L j b r j x .
G r i .N um q u a m

edepol hodie ad vesperam G ripum in


spicietis vivom ,

Nisi vidulus mihi redditur.


L jb .
Perii, quom mentionem
Fieri audio usquam viduli, quasi palo pectus tun
dor. (42)
G r i . Istic scelestus liber est: ego qui in m ari prehendi
Retej atque excepi vidulum , dare ei negatis quid
quam?
L j b . Proh di immortalesf suo mihi hic sermone a tre x it
auris.

ATTO
SCENA

V
1.

L abrace .

Qual uomo vive a questi d sotto il sole pi sgraziato


di me, cui davanti il commissario Pleusidippo ha
condannato a perder Palestra? Ornai io sono sfi
nito. I ruffiani, io penso, sono procreati dalla
gioja: imperocch non v ha persona che non goda
quando loro incoglie qualche sinistro. Adesso an
dr in questo tempio di Venere, a veder se trovo
l altra chc mi resta: almeno condurr via costei che
1 avanzo di ogni mio avere.

SCENA

li.

G r ifo , L abrace .

Gri.

Quest' oggi non mi vedrete vivo insino a sera,


se non mi si rende la valigia.
L ab. Ahi a me! un palo mi si conficca in cuore, quando
sento profferir la parola valigia.
Gri.
Quel manigoldo libero: ed a me poveretto che lho
pescata col mio giacchio, e che 1 ho raccolta colle
mie reti volete dar nulla.
L ab. Affogaggine! costui mi fa rizzare gli orecchi.
VOL. I. PliACT.
28

C r i . Cubitum hercle longis lileris signabo ja m usquequaque,


S i quis perdiderit vidulum cum auro atque argento
multo,
A d Gripum ul veniat: non feretis istum, rii postulatis.
L jb .M eum, hercle, illic homo vidulum scit, qui habet,
ut ego opinor.
Adeundus mihi illic est homo: di, quaeso, subvenite.
G r i . Quid me intro revocas? hoc volo hic ante ostium
extergere.
Nam hoc quidem pol e robigine, non est e ferro
facium
Ila quanto magis extergeo, rutilum atque tenuius fit:
Nam quidem hoc venenatum (AZ) est verum: ita in
manibus consenescit.
L j b . Adulescens, salve!
Gr i.

D i te am ent cum inraso capite.

L jb .

Quid fit?

G r i . Ferum extergetur.
L jb .
G r i.

Ut vales?

Quid tu? num medicus, quaeso, es?


L jB .Im o edepol una litera plus sum, quam medicus.
Gr i.
T u m tu
'Mendicus es?
L jb .
Tetigisti acu.
Gr i.
Fidetur digna forma.
Sed quid libi est?
L jb .

H ac p ro xu m a nocte in m a rid elavi.

Confracta est navis: perdidi, quidquid erat, miser


ibi omne.
G r i . Quid perdidisti?
L jb .
Fidulum cum auro atque argento multo.

Gai.

Lab.

Ga i .

L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gei.
L ab.

Gri.
L ab.

Scriver su canti a lettere cubitali: se alcuno ha


perduta iuta valigia con molto oro ed argento, fac
cia capo a Gripo. Oh non ye la beccherete no,
come sarebbe il vostro capriccio.
Sa di certo quest uomo in che mani sia la mia
valigia, come io penso. Bisogna che io l'affronti:
oh dei! misericordia.
Perch mi chiami dentro? lasciamelo qui pulire que
sto schidione, qui sopra la porta. Diamine ei sem
bra fatto di ruggine e non di ferro, quanto pi lo
frego tanto pi si fa rosso e sottile: per mia f
questo spiedo fu avvelenato, esso mi si liquefa in
tra le mani.
0 quel giovane, viva.
Iddio t ' aiuti colla tua zucca rasa.
Che si fa?
Netto uno spiedo.
Come stai.
E clic? se tu forse -un medico?
Anzi son io una lettera pi di medico.
Vorrestu forse dir mendico?
L hai colta.
E tal proprio mi sembri daddovvero: ma e che ti
avvenne?
Stanotte passata mi son lavato in mare: mi si
ruppe la nave, e tristo alla vita mia tu tto che
quella capiva, andato al bordello.
Che hai perduto?
Una valigia piena zeppa d oro e d argento.

Tamen, (44) si non . . .


L jb .
Aliud fabulemur.
G r i . Quid si ego sciam qui invenerit? volo ex te scire
signa.
L j b . Numi octingenti aurei in marsupio infuerunt.
Praeterea centum Philippeae minae in pasceolo
seorsus.
G r i . Magna hercle praeda est! largiter mercedis indipiscar.
D i homines respiciunt: bene bene bene (45) ego hinc
praedatus ibo.
Profecto hujus est vidulus: perge alia tu expedire.
L j b . Talentum argenti commodum magnum inerat in cru
m ina,
Praeterea sinus, cantharusj epichysis, gaulus, cyathus.
G r i . Papae! divitias tu quidem habuisti luculentas!
L j b . Miserum istu^c verbum et pessumum est, Habuisse,
et nihil habere.
G r i . Quid dare velis, qui istaec tibi investiget indicetque?
Eloquere propere celeriter.
L jb .
Numos trecentos.
Gr i.
Tricas!
L j b . Quadringentos.
G r i.
Tramas putridas!
L jb .
Quingentos.
Gr i.
' Cassam glandem!
L j b . Sexcentos.
G r i.
Curculiunculos minutos fabulare.
L j b . Dabo septingentos.
Gr i.
Os calet libi! nunc id frigefactas?
.G r i .

Cri .
L ab.
G ri.
L ab.
Gri .
LAb.

Gri.

L ab.

Gri.
L ab.
G ri.

L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
Lab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.

Oh che di tu mai? e che ritrovavasi nella valigia?


Che giova?. . la andata?
Eppure se . . .
Parliam d altro.
Ma e sio sapessi chi l ha trovata? dammene i con
trassegni.
Erano in una borsa ottocento monete d oro, pi
cento mine di Filippi in un altro borsello di
cuojo, eh era di sopra.
Potenzinterra! che preda! rifarommi con una buona
mancia: gl iddi guardan gli uomini: oh buono! oh
che cuccagna! oh che bottino, sar il mio! aff che
la valigia di costui, va pure innanzi col resto.
Trovavasi in una tasca un grosso talento di buon
argento, pi una tazza, un vaso, una fiala, un
bicchiere ed una navicella.
Doh ti cascavano i fegatei dalle calcagna!
Oh la mala parola questa, mi cascavano, ed ora
non ho nulla da mettermi in bocca.
E che saresti parato a dare ove alcuno ti cercasse
questa valgia e te la insegnasse? escine, sbrigati,
spicciati.
Trecento denari.
Favole!
Quattrocento.
Ciancie da nonna!
Cinquecento.
Ghiande secche I
Seicento.
Vermini!
Te ne dar settecento.
In bocca n hai una calda! e vuoi darmene una
fredda?

438
L j b . Mille dabo nunios.
G r i.
Somnias.
j jJB'

Nihil addo: abif


Gr i.
Igitur audi.
Si, hercle, abiero hinc, hic non ero.
V ir i centum et mille?

Dormis.

G r i.
L j b . Eloquere quantum postules.
Gr i.

Quo nihil invitus addasj

Talentum magnum. Non potest triobolum hinc abesse.


Proin tu vel ajas, vel neges.
L jb .
Quid istic? necessum est, video:
D a b itu r talentum .
Gr i.
Jcced ed u m huc: Fenus haec volo arroget te.
L j b . Quod tibi lubetj id m ih i inpera.
Ge i.
Tange a ra m hanc Veneris.
L jb .

Tango

G n i.P e r V enerem hanc ju ra n d u m est libi.


L jb .
Quid ju rem ?
Gr i.
Quod jubebo.
L j b . P ra ei verbis quid vis: quod

d o m i est, n u m q u a m

ulli supplicabo.
G r i . Tene a r a m hanc.
L jb .
Gr i.

Teneo.
Dejera, te mihi argentum daturum ,
Eodem die, viduli ubi sis potitus.

L jb .
FiaL
*
G r i . Venus Cyrenensis, testem te testor m ih i . . .
L j b . Venus Cyrenensis, testem te testor mihi . - .
G r i . S I vidulum illum, quem ego in navi perdidi . . .
L j b . S i vidulum Ulum, quem ego in navi perdidi . . .
G r i . Cum auro atque argento salvom investigavero . . .

L ab.

Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.

Lab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gai.
L ab.
Gri.
Lab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gni.
L ab.
Gri.

Ebbene, mille denari.


Sogni.
Non vado pi su, vattene.
Andato una volta, non mi vedi la seconda.
Ne vuoi mille e cento?
Dormi grosso.
Che vuoi adunque?
Tanto chc nulla pi avrai da aggiungervi; un buon
talento io voglio: per tre quattrini non si move
la valigia: rispondi s o no.
E sicch? veggo a che fiasco ho da bere: avrai il
talento.
Fatti un po pi in qua: voglio che anche Venere
ti obblighi a ci.
Comandami quello chc vuoi.
Tocca questo altare di Venere.
L o tocco.
Per questa Venere ora tu devi giurare.
E in che formola?
In quella che ti dir io.
Principia tu, non cercher fuori quello che ho nella
mia bottega.
Metti la tua mano sopra 1 altare.
Eccola.
Giura, il d chc avrai la valigia, tu snocciolerai la
pecunia.
Andiamo.
0 Venere Cirenese, io ti chiamo in testimonio . . .
0 Venere Cirenese, io ti chiamo in testimonio . . .
Se la valigia che ho perduta in nave . . .
Se la valigia che ho perduta in nave . . .
Trover salva col suo oro e col suo argento . . .

L j b . Cum auro alque argento salvom investigavero, . .

Gni.Isque in potestatem meam


LjB.Isque in potestatem meam
G r i . Tum ego huic Gripo dico,
L j b . Tum ego huic Gripo dico,
G r i . Talentum argenti magnum

pervenerit . . .
pervenerit . . .
inquito, et me tangito.
Fenus, ut tu audias.
continuo dabo.

L j b . T alentum argenti m a g n u m continuo dabo.


G r i . Sed si fraudassisj dic, ut in quaestu tuo

Fenus eradicet caput atque aetatem luam.


Tecum hoc habeto tamen, ubi juraveris.
L j b .E I illum ego advorsum, si quid peccasso. Fenus,
Feneror te, ut omnes miseri lenones sient.
G r i . T a m en fiet, etsi tu fidem servaveris.
T u hic opperire, ja m ego fa x o exibit senex:

Eum tu continuo vidulum reposcito.


L j b . S i m a xtim e mihi illum reddiderit vidulum.
Non illi ego hodie debeo triobolum.
Meus arbitratus est, lingua quod juret mea.
Sed conticescam: eccum exii, et ducit senem.
SCEN A

III.

G r ip u s , D aem o nes , L j b r j x .
G r i . Sequere hac: ubi istic leno est? heus tu , h em tibi,
hic habet vidulum .
D j e .H abeo, et fateor esse apud m e: et, si tuos est, ha
beas libi.

Omnia, ut quidquid infuere, ita salva sistentur tibi.


Tene, si tuos est.
L jb .
D j e . Tjiosne est?
L jb .

d i im m ortales m eus est: salve vidule.

Rogitas? siquidem hercle Jovis fuit, meus


est ta m e n .

Lab.
Gri.
L ab.
Gri .

L ab.
Gri.
L ab.
Gri.

L ab.
Gri.

L ab.

Trover salva col suo oro e col suo a rg e n to ,. .


che ritorni ancora in mio potere . . .
che ritorni ancora in mio potere . . .
Allora io dico, a questo Gripo, parla e toccam i. . .
Allora io dico che a questo Gripo, e tu, Venere,
ascoltami
Dar subito un gran talento d argento.
Dar subito un gran talento d argento.
Ma se farai fango della promessa tua, di che Venere
mandi a rompicollo te ed ogni faccenda: quando avrai
giurato abbi ben mente a questo,
Ed io, dico di rincontro, o Venere, se mancher
in qual cosa, fa, ten prego, sciagurati tutti i ruffiani.
Ci avverr, se anche terrai la parola. Aspettami qui, ed io far che esca il vecchio; tu poi tosto
richiedilo della valigia.
Me la dia pur egli quella maladetta valigia, eh io
non gli do oggi un quattrino. Giuri la lingua: ma
io faccio a modo mio. Zitto, ecco vien fuori, e con
duce il vecchio.
SCENA

III.

Gripo, Demoke, L abrace.


Gri.
Deh.

L ab.
Deh.
L ab.

Seguitemi qui, dov questo ruffiano? ehi voi! septi


tu! ecco 1 uomo che ha la valigia.
L ho io, e t accerto che la presso di me e se la
tua, -lavrai intatta, salvo ti sar restituito tutto
che v* era dentro: prendila se tua.
0 Dei immortali, ella mia, ben trovata la mia valigia.
tua?
E si domanda? fosse pur una volta stala anche di
Giove, pur ora mia.

D a e O m nia insunt salva: una istinc cistella excepta est


modo
Cuni crepundiis, quibuscum hodie filiam inveni m eam .
L jb . Q uam ?
Dje .
Tua quae fuit Palaestras ea filia inventa est mea.
LJB.Bene mehercle factum ests qilom istaec res libi ex

sententia
Pulchre evenit, gaudeo.
Jstuc facile non credo libi.

Dje .

L j b . Im o, hercle, ut scias gaudere m e, niihi triobolum


Ob eam ne duis: condono te.

Benigne edepol facis.

Dje .

L j b . Imo tu quidem hercle vero.


Gb i.
Heus tufjamne habes vidulum?
L jb . Habeo.

Gb i .

Propera . . .

L jb .

Quid properabo?
Reddere argentum mihi.

Gb i.

LjB.N eque edepol tib i do, neque quidquam debeo.

Gb i .

Quae haec factio est?


Non debes?

L jb.
G b i.

Non hercle vero.


Non tu ju ratu s m ihi es?

LJB.Juratus sum: et nunc ju ra b o , si quid voluptati est


m ihi:
Jusjurandum rei servandae, non perdundae, condi
tum est.
G b i . Cedo, sis, mihi talentum magnum argenti, perjurissume.
D j e . Gripe! quod tu istum talentum poscis?
G r i.
'
Juratust m ih i
D are.

D e*.

L ab.
Dem.

Lab.
Deh.

L ab.

Deh.
L ab.
Gri.
Lab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
L ab.
Gri.
Lab.

Gri.
Deh.
Gri.

Tutto v* dentro intatto, meno una piccola cestellina che era ivi con alcune bazziche, per le quali
oggi ho ritrovata la figlia.
Quale?
Quella Palestra che fu tua, fu scoperta mia figli
uola.
Oh benone! essendovi questa cosa avvenuta con
forme ai vostri desiderii, io me ne rallegro.
Non la bevo cosi grossa.
Anzi perch si possa meglio comprendere la mia
gioja, non voglio che per lei ci mettiate un quat
trino: ve la dono.
Viva la tua cortefia.
Anzi la vostra.
Ohe! 1 hai questa valigia?
L ho.
Avcciati.
A che?
A pagarmi,
In f mia eh io non ti do n ti debbo cosa al mondo.
Che storia questa? non me ne devi?
Mai no.
E non m hai giurato?
Ho giurato e giurer anche adesso, se me ne frulla:
il giuramento fatto per salvar la roba e non
per perderla.
Dammi, rinnegatacelo, quel talento d argento.
0 Gripo, che talento quello che tu chiedi da
costui?
Egli giur di darmelo.

L jb .

Lubet ju ra re: tu ri meo P ontifex perjurio es?

D'Je . Qua p ro re argentum prom isit hic tibi?


G a i.
S i vidulum
Hunc redegissem in potestatem ejus, ju ratu s dare
L jb.

M ihi talentum m agnum argenti.


Cedo, quicum habeam judicem ,
N i dolo m alo instipulatus sis, nive etiam dum siem

Quinque et viginti an n ot natus.


Gni
Habe cum hoc.
L jb .
jilio st opus.
D j e . J am abis? (4 6 ) Te auferre haud sinam , nisi istum
condemnavero.
P rom isisti huic argentum ?
L jb .
Fateor.
D je .
Quod servo meo
P rom isisti, m eum esse oportet: ne tu leno postules
Gb i.

Te hic fide lenonia uti. Non poles.


Ja m te ratus
Nactum hom inem , quem defrudares? dandum huic
argentum est probum:
Jd ego continuo huic dabo adeo, m e ut hic em ittat
m anu.

D j e . Quando ergo erga te benignus fuvi, atque opera


m ea
H aec tibi sunt servata . . .
Gb i.
Im o hercle m ea, ne tu dicas tua.
D j e .S sapies, tacebis. Tum te m ihi benigne itidem
addecel
L jb .

Benem erenti bene referre gratiam .


Nempe pro meo.
Jure oras?

L ab.

Giurar mi piace: vuota farla da pontefice al m io


spergiuro?
D e.
A qual patto t ha promesso 1* argento costui?
Gri.
A questo: che se gli avessi resa in suo potere la
valigia, egli m avria dato un talento grande d ar
gento.
Lab. Deh e qual giudice vorrammi condannare, se il
contratto fatto in dolo malo, perch io non sono
ancora ne venticinque anni?
Gri.
Accordati con costui.
L ab. E saria mestieri un altro.
Dem. E gi tc la cogli? oh! non ti lascio andar via se
prima non ho condannato costui: gli ha tu pro
messo 1 argento?
L ab. L o confesso.
Dem. Ebbene, ci che hai promesso ad un mio servo,
dee esser mio, e tu, mal erba, non porti in
cuore d usar qui della lealt ruffianesca: noi puoi.
Gri.
T avvisavi eh d aver trovato un sonaglio' da sba
tacchiare a tuo senno? ve a questuomo deesi sonar
del buon argento, e di peso: io lo dar subito a
costui acci mi faccia franco.
Dem. Quando, e il sai, eh io t ho sempre voluto bene e
che per me queste monete ti verranno' in tasca . . .
Gri.
Anzi per me acci voi non 1 apponiate a voi.
Dem. Se hai senno starai zitto, fra noi due passano gli
stessi conti, perocch egli buona cosa dar bene
a chi fa bene. .
L ab.
E non parlate voi ora pel mio vantaggio?

D j e . Mirum quin tuom jus ~meo periclo abs te expetam.


G r i . Salvos sum: leno labascit: liberlas portenditur.
D j e . Vidulum

istic

ille

invenit: illud

m ancipium

at

meum.
Ego tibi hunc porro servavi cum magna pecunia.
L j b . Gratiam habeo, et de talento nulla cauta estj quin
feras,
Quod itti tu m ju ralu t.
G r i.

H eut tu/ m ihi dato ergo, t i sapis.

D j e . Tacen an non?

Tu meam rem timulas agerej tibi (47) . . .


D je.
Muli modo
G r i . Non hercle istoc me intervortes, ti aliam praedam
perdidi.
G r i.

D j e . V apulabit, verbum t i addet itlu c unum.


G ri .

V d hercle enica/
Non tacebo umquam alio pacto, nisi talento conprim or.

L j b . Tibi operam hic quidem dat; taceto.


D je.
Concede huc leno.
L jb .

Licet.

G r i . P a la m age/ nolo, m urm ur ullum neque susurrum

fieri.
D j e . D ic m ihi, quanti illam em isti luam alteram m ulier
culam
J m peliscam ?
L jb.

Mille num os denumeravi.

Dje.

Conditionem luculentam ferre me?


L jb .
Sane volo.
DjE.Dividuom talentum faciam.

Vin tibi

Deh .

E ' saria

da gettar via il capo, eh io assistendoti

volessi darmi della scure sul pi.

Gai.

Io son salvo, il ruffiano sui trampoli, veggo in

Deh.

Questi il ritrovatore della valigia, e questi mio

aria la libert.
servo; io poi te 1 ho conservata pon tutta quella
somma.
E ve n ho obbligo: ma finora io non v i veggo ra

Lab.

gione di raschiar voi quel talento che ho giurato


- . a costui.

G i. .

OhiI dallo a .me, se hai cervello.

Deh.

Vuoi tacere o no?

Gri.

In parole par che m ajutate; ma co fatti . . .

Deh .

Sta zitto.

Gai.

Se ho perduto l altro bottino per JDio non mi pap

D eh.

Ne toccherai delle buone, se aggiungerai ancora

Gr i .

Ammazzatemi, se volete, ma tacer non mi facete

perete questo.
una parola.
mai, se non mi cacciate quel talento in gola.
Lab.

Costui pensa proprio per te. Taci. '

Deh.

Vien qua, o ruffiano.

Lab.

Eecomi.

Gri.

Parlate pur forte, non voglio bisbigli, non voglio


pissi pi ssi.

Deh.

Dimmi, a qual prezzo hai avuta quell altra donna,


Ampelisca?

L ab.

P er mille denari.

Deh;

Vuoi tu un buon partito?

L ab.

S che il voglio.

Deh.

Dimezzer il talento.

L jb.

Bene facit.

D as.

P r o illa altera,

Libera ut iit, dimidium tibi tume, dimidium huic cedo.


LJB.Maxume.
D ae.

P r o illo dimidio ego Gripum emiltam manu,


Quem propter tu vidulum, et e>jo natam inveni.

L jb.

Bene facis:
Gratiam habeo magnam.

Gb i.

Quam m ox mihi argentum ergo redditur?

D a e . Res soluta est, Gripe, ego habeo.


Gb i.

Hercle, at ego me mavolo.

D a e . N ihil hercle hic tibi est, ne tu speres, jurisjurondi volo


Gratitim facias.
Gb i.

P e r ii hercle: nisi me suspendo, occid i

Numquam hercle iterum defrudabis me quidem post


Hunc diem.
D ae.
L jb .

H ic hodie canato, leno.


Fiat, conditio placet.

D a e . Sequimini intro. - Spectatores, vos quoque ad cenam


vocem,
N i daturus nihil sim, neque sit quidquam pollucti
domi,
Nive adeo vocatot credam vot ette ad coenam forat.
Ferum t i voletis plausum fabulae huic clarum dare,
Commissatum omnes venitote ad me ad annos sedecim.
Fos hodie hic coenalote ambo.
L ab .

Fiat.

D ae.

Jam plausum date.

F i n i s R u b e a t is .

Benissimo,

L ab .

V una met terrai tu, perch aia libera 1* altra

D eh.

donna, il resto vada costui.


L ab.

Egregiamente.

D em.

Per questa met io liberer Gripo, perocch per suo


mezzo tu"hai riavuta la valigia ed io la figliuola.

L ab .

Ottimamente, ve ne fo mille grazie.

Gr i .

E quando mi si dar 1' argento?

De i .

La cosa accomodata, o Gripo, vello qui in mia


mano.

Gr i .

Ma lo vorrei nella mia.

De i .

Qui'hai nulla del tuo, n stare a loggia colla spe


ranza, ed anzi voglio che tu ringrazii il giura
mento.

Gr i .

Ahim! se non m appicco, io son diserto!

dopo

questo di non me n' accoccherete pi mai.


Deh.

Tu, o ruffiano, oggi cenerai con noi.

L ab .

Si faccia, piacemi 1 offerta.

Deh.

Seguitemi dentro. Anche voi altri, o spettatori, io


chiamerei a cena, se non ve la dessi magra in casa
mia, dove non rilievo, o se non credessi chc voi
siate invitati altrove. Ma se volete far plauso a
questa commedia, venite a cenar meco quanti an
date ne sedici anni. Voi due per oggi restale con
me.

L ab.

Si faccia pure.

De i .

Ornai applauditeci.
F in e

V ol. I. P la ct.

d e l ia

G omena .

29

NOTE

(4) Molti* scrivono mox.


(2) Amai meglio starmene colle volgate le qaali in qaesto
luogo tutte concordano, che alla lezione di Bothe
la quale ad

avviso

mio parai

un po* troppo

sottile.
(3 ) Cosi scrive Macrobio riportato da Turnebo Adv. lib. IX.
cap. 4. Sacrificium apud veteret futi, quod voca
batur protrvia. In eo m ot erat ut t i quid ex epulis superfuistet, igne eontumeretur: hino Calonit
jocus est: namque J Ibidium quemdam qui sua
bona comedisset, et novitsume domum,

quae ei

reliqua erat, incendio perdidisset, proterviam fe


cisse dicebat, quod cornette non potueritt id com butsisse. Intorno poi a questa voce protervia si ra
giona lo stesso Turnebo: in nomine proterviae ne
scio quid maculae videtur esse conceptum, quod
eluetur si propter viam legatur. Anche Festo paria
di questo sacrificio propter viam lib. 45. De Ycrb.
Significat. Propter viam fit sacrificium, quod est
proficiscendi gratia, Herculi aut Sanco qui scilicet
idem est Deus.
(4) In questa guisa venne cotesto luogo

emendalo da

Bothe.
(5) Cos scrive questa scena Bothe.
(6) Volli restituir questo verso delle volgate. Inculca Bothe

doversi leggere A lgor, error, pavor, m i omina


allinent, ed asserisce aver lo stesso senso le voci
omnia ed omina. Ma Servio nelle sue annotazioni
a Virgilio lib. II. verso 482.
Jmprovisit aderunl: ila digerii omina Calchat asse
vera che omina non potr mai esser scambiato per
omnia. L Ascensio

al verso. Omina

n i repetant

Argis numenque riducant per porta opinione che


omnia talvolta valga quanto omina. Omnia scilicet
auspicia et alia ad bellum facentia, nisi reducant:
ma io giudico queste parole, piuttosto chc buone
ragioni, una solenne distillata di chiosante.
(7) Cos Bothe seguitando la correzione di Reizio.
(8) Bothe.
(9) Bothe.
(40) Placusias striatas vuol che si legga Salmasio a lati
tudine qualis est placentarum.
(11) Lambino legge Silenum.
(12) Questa seguita da me la lezione del

Palmerio e

di Boxornio: Reizio mena buona la lezione di Lani


no si m ox venies vesperi, Weise legge si nox ve
nies.
(-13) Cos Bothe.
(44) Cos corresse Bothe.
(45) Lezione Ambrosiana scoperta da S. E. il
Maj.
(46) Idem.
(47) Idem.
(18) Idem.
(49) Idem.
(20) Cosi Bothe meglio d ogn' altro.

Cardinale

(2-1) Lezione Ambrosiana.


(22) Lezione di Bothe.
(23) S legge Bothe.
(24) Meglio di ogni volgala lezione piacquemi la presente
di Bothe.
(25) Cos Bothe.
(26) Cos Bothe.
(27) Si piacque a Weise.
(28) Meglio di tutti cos legge Bothe.'
(29) Lezione Ambrosiana.
(30) Tdem.
(31) Idem.
(32) Ben legge Bothe coll Acidalio (impeditole; pessima
mente le volgate ampleditotej nella qual voce io
non ci veggo alcun buon senso.
(33) Reizio

Accedam propius, le volgate Lamb. Cam.

Box. Non accedam polius.


(34) Cos Bothe.
(35) Assai pi mi piacque questa reticenza chc il verso
che hanno tutte le edizioni antiche, e moderne. Fus
confugite in aram potilis, quam ego.
(36) Questo luogo pieno com era di viluppi venne assai
bene districato dal critico Berlinese. Diasi un oc
chiata alle volgate di tutti i tempi e poi dir an
ch io con Orazio.
Spedalum admissi risum teneatis amici?
(37) Cos corresse Bothe.
(38) Piuttosto che alle lezioni di Bothe, di Weise, di Reizio, di Taubmanno, Camerario, e Lambino volli se
guitar quella dell Acidalio.
(39) Cos legge Bothe.

454
(40) Molti leggono continua.
(A i) Bothe.
(42) Cos Reizio e Bothe, Douza minoro iundar, le vol
gate lundat.
(43) Le volgate leggono Fere natum.
(44) Cos Reizio.
(45) Bene cos legge Bothe.
(46) Bothe.
(47) Idem.

I l prim o numero indica la pagina il secondo la linea.

Correzioni

E rrori

3-19

7 campagna

342 26 menet dicam

compagna
et mendicum

348 25 nogoti

negoti

352 20 prodi speravit

prodisperavit

353 24 se la volete prendetela

se la vuoi prenditela

23 voi datemi questa chio

tu dammi questa eh' io


te la far asciugare

ve la far asciugare
374

7 la

le

442 23 it

id

424 43 uxores

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POENULUS

IL PENULO

FRANCESCO R O B O L O T T I
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PERSONE DELLA FAVOLA

P ro logus

P roloco

A gokastoclh

g o r jsto c lb s

M il p h io

M ilfiore

A d e l p h a s iv m

A delfasio

A n t e r a s t il is

Ahterastile

L rcu s

Lieo

A it t h b m o n id e s

Ahte* ohide

A d fo c jti

A vvocati

CoLLTMISCUS

COLLIBISCO

SrircEXJSTUS

SlNCERASTO

H anno

Ajoioue

G id d e m e n e

Giddemehe

PfJER

F anciullo

La Scena in Caidone.

PROLOGUS

Achilem (\ ) Aristarchi m ihi conmentari lubet.


Inde m ihi principium capiam ex ea Tragoedia.
Sileteque et tacete, atque animum advortitej
Audire jubet vos imperator histricus
Bonoque ut animo sedeant in subselliis,
Et qui esurientes, et qui saturi venerint.
Qui edislis, multo fecislis sapientius:
Qui non edistis, saturi file fabulis.
N am quoi paratumst, quod edit; nostra gratia,
N im ia est stultitia, sessum inpransum incedere.
Exsurge, praeco, fac populo audientiam.
Jamdudum exspecto, si tuom officium scias.
Exerce vocem, quam pervivisque et colis.
Nam nisi clamabis, tacitum le obrepet 'fames.
Age nunc reside, duplicem ut mercedem feras.
Bonum factum estl edicta ut servetis mea.
Scortum exoletum ne quis in proscenio
Sedeat, neu liclo r verbum, aut virgae muttiant.
Neu dissignator praeter os obambulet,
Neu sessum ducat, dum histrio in scena siet.
D iu qui domi oliosi dormierunt, decet
A n im o aequo nunc slenlj vel dormire temperent.

PROLOGO

Piacemi contraffare 1 Achille di Aristarco, e da quella


tragedia vo trarre il mio principio. Fate zitto, ta
cete, state attenti; il capo comico riordin a d es
sere in orecchi, perch seggano di buon animo
ne panchi e quelli che vennero a pancia vuota,
come quelli che l hanno piena.- Voi die lavoraste di
mascelle, siete stati cime d uomini, : voi altri poi
eh avete il ventre vuoto, rimpinzatelo colla com
media, ch la pur da gran gaglioffo il piantare un
desinar gi pronto per venire a sentirci e sedersi
qua a pancia vuota. Lievati, o banditore, fa star
cheto il popolo: se sapessi il tuo mestiere non m a
vresti fatto aspettare un anno, tieni in esercizio la
voce per la qual tu mangi e vesti panni, ch se non
vtioi gridare, quatto quatto ti becca

Yia-

la fame.

Su, siedi adesso, se prezzo doppio tu /vuoi. Egli


bene voi facriate il modo mio. Niuna buldriana
randda e sopraffatta si metta a sedere in proscenio,
n voce s oda di littore, n verga; n ci ronzi
davanti come una farfalla l ammonitore designando
il posto a qesto o a quello finch il commediante
sta sulla scena. Que* poltroni che-russano in casa
tutto il di, facciano qua il debito loro o non si
muovano o non dormano. Ed affinch non ci sti-

m
Servi ne obsideant, Uberis ut sii .locus,
Fel aes pro capite dent: si id facere non queunt.
D om um abeant, vitent ancipiti infortunio,Ne et hic varientur virgis, et loris domi,
S i minus curassint, quom veniant heri domum.
Nutrices pueros infanteis minutulos
D o m i ut procurent, neu quae spectatum adferant,
Ne et ipsae sitiant, et pueri pereant fame:
Neve esurientes hic quasi haedi obvagiant.
Matronae tacitae spectent, tacitae rideant.
Canora hic voce sua tinnire temperent.
Dom um sermones fabulandi conferant,
N e et hic viris sint et domi molestiae.
Quodque ad ludorum curatores attinet,
Ne palma detur quoiquam artifici injuria,
Neve ambitionis causa extrudantur foras,
Quo deteriores anteponantur bonis.
E t hoc quoque etiam, quod paene oblitus fui,
D um ludi fiunt, in popinam, pedisequi,
Jnruptionem facile; nunc dum occasio est,
Nunc dum scribilitae aestuant, accurrite.
Hec imperata quae sunt pro imperio histrico,
Bonum hercle facium, pro se quisque ut meminerit.
A d argumentum nune vicissitlim v o h
Remigrare, aeque ut mecum sitis gnarures.
Ejus nunc regiones, limites, confinia
Determinabo: ei rei ego sum faetus finitor.
Sed nisi molestum est, nomen dare vobis volo
Comoediai: sin odio est, dicam tamen:

Siquidem licebit per illos, quibut esi in manu.

eno i servi tra piedi, lascino il luogo aJ liberi,


0 si ricomperino, se ci non possono, spulezzino
tosto

a casa;

friggano

un doppio malanno

d ' essere qui trebbiati colle verghe, e

a casa

colle striglie, se non avran senno quando tor


neranno

i padroni. Abbiano cura

in

casa le

balie de teneri bamboletti, n gli portino

allo

spettacolo, acci esse non crcpino dalla sete ed


1 putti dalla fame,

e perch questi non ci as

sordino gagnolando come capretti scannati dall ap


petito. Le matrone guardino chetamente e chete
sorridano ed attemperino la lor voce di campa
nello,

il novellare sei risparmino per casa, per

non seccar gli uomini e l e qui. Ci poi che s ap


partiene a commissari!, che a niun attore si dia
la palma a torto, e che per ambizione non si sop
piantino i pi degni per mettere innanzi i pi
tristi. Anche questo m'era quasi fuggito di capo:
intanto che si recita, o servitori,. cacciatevi dentro
qualche taverna a precipizio; 1 ora venuta,

berlingozzi sono a fornello, avvacciatevi. Ci vi diss io per diritto comico, buono afledidio, se ognun
lo ricorda. Per cambiare vo adesso ritornare al-*
l argomento, affinch lo sappiate anche voi altri
come lo so io; d esso vi diffinjr le regioni, i limiti
i confini, di questa cosa son io il regolo. Se non v'
molesto voJ dirvi il titolo della commedia, e s'an
che troppo a sangu non vi andasse, ve lo voglio
contare istessamente, se pure

Vox,. I. PuiT-

ce lo permettono

30

Ca r c h e d o n iu s

vocatur haec Comoedia:

Latine Plautus, P a t r u o s P

u l t ip h a g o n id e s .

Nomen ja m habetis: nunc rationes ceteras


Accipite: nam argumentum hoc hic censebitur.
Locus argumento'st suom sibi proscenium.
Vos juratores estis: quaesOj operam date.
Carthaginienses fratres patrueles duo
Fuerej summo genere et summis divitiis:
Eorum alter vivit, alter est mortuos.
Propterea apud vos dico confidentiusj
Quia m ihi pollinctor dixit* qui eum pollinxerat.
Sed illi seni qui mortuos estj ei filius
Unicus qui fuerat, abditivos a patre,
Pu er septuennis subripitur Carthagine*
Sexennio prius quidem, quam m oritur paler.
Quoniam perisse sibi videt gnatum unicum,
Conjicitur ipse in morbum ex aegritudine.
Facit illum haeredem fratrem patruelem suom;
Ipse abiit ad Acheruntem sine viatico.
Ille qui subripuit puerum, Calydonem avehit.
Vendit eum domino hic diviti quoidam seni,
Cupienti liberorum* osori mulierum.
Em it hospitalem is filium imprudens senex
Puerum illum , eumque adoptat sibi p ro filio:
Eumque haeredem fecit, quom ipse obiit diem.
Is illic adolescens habet in illisce aedibus.
Revortor rursus denuo Carthaginem:
S i quid mandare voltis aut curaiier*
Argentum nisi qui dederitt nugas egeritj
Verum qui dederit, magis majores egerit.
Sed illi patruo hujus, qui vivit senex.

quelli che lo possono. Carchedonio chiamasi questa


commedia, e Plauto in latino: Lo zio mangia polenta
Sapete il titolo, ora udite il resto, imperciocch si
giudicher dell argomento: Suo tribunale lo stesso
proscenio: voi altri siete i giudici, attenti adunque.
Furono in Cartagine due fratelli cugini ambedue
nobilissimi e di gran stato, l uno dessi vivo, l al
tro morto, e ci vi dico con viso pi aperto, per
ch me lo rifer quel becchino chc I' aveva bec
cato. Ma a quel vecchio che mor, 1 unico figlio
che aveva, un d condotto via dal padre, ancor
fanciullino di sette anni vien rapito di Cartagine,
e proprio sei anni prima che andasse al cassone
suo padre, il quale come si vede perduto 1 unico
figlio, per malinconia inferma. Lascia erede quel
suo fratello cugino, e poscia naviga 1 Acheronte
senza biscotto. Quegli che port via il fanciullo,
trasselo i i f Calidone, e qui lo vende ad un certo
padron vecchio, ricco, desideroso di figli, nemico
delle donne. Questo vecchio senza averne sentore,
compra il putto dell ospite, e quel ragazzo si adotta in figlio, lui erede istituisce allor chc fu sul
chiudere gli occhi al d. Questo giovane sta col in
quella casa. Or torno a Cartagine di nuovo. Se volete
mandar qual cosa, o spacciare qualche interesse, se
non mi sugne le mani, si fa nulla, chi poi me le avr
utite, avr asciugato il pozzo col crivello. Ma a quel
Cartaginese, vecchio che vive ancora, zio di costui

468
Carlhaginensi duae fuere filiae;
Altera quinquennis, altera quadrimula.
Cum nutrice una periere. Magalibus
pas qui subripuit, in Anactorium devehit,,
Fenditque has omnis, et nutricem, et virgines^
Praesenti argenlod homini, si leno est homo,
Quantum hominum terra sustinet, sacerrumo.
Vosmet nunc facile conjecturam ceterun\,
Quid id sit hominis, quoi Lyco nonjen siet.
Is ex Anactorio, ubi prius habitaverat^
Huc conmigravit in Calydonem haud diu,
Sui quaesti causa: is in illis habitat aedibus.
Earum hic adulescens alteram effliclim perit
Suam sibi cognatam imprudens, neque scit, quae ea vU
Neque eam umquam tetigit: ita eum leno macerat.
Neque quidquam cum ea fecit etiamnum stupri,
Neque duxit umquamj neque ille voluit mittere.
Quia aita re cernit, tangere hominem volt bolo.
Illa m minorem in concubinatum sibi
Folt emere miles quidam, qui illam deperit.
Sed pater illarum Poenus, postquam eas perdidit
Marique terraque usquequaque quaeritat.
Ubi quamque in urbem est ingressus, eloco
Omnis merclrices, ubi quisque habitant, inveniti
Dat aurum, ducit noctem: rogitat postibi,
Unde sii, qtijalisj captane an subrepta sit,
Quo genere gnata, qui parentes fuerint.
Ila docte atque aslu filias quaerit suas.
E t is omnis linguas scit: sed dissimulat sciens
Sc scire: Poenus plane estj quid verbis opu'st$

furono duo figlie 1 una di cinque, l altra di quat


tro anni, e si smarrirono insieme alta balia. Lui
che le rap da casolari, le trasport in naltorio, ed a
danaro sonante tutto e balia e donzelle vendette ad
un uomo, se umo un ruffiano, il pi esecrabile d
quanti sostiene la terra. Adesso pensate voi qual
possa essere cotal uomo che chiamasi Lieo. Da
Anattorio, dove

prima abitava, capit

ha molto in Galidone
quella casa ha la

qui

non

pel suo mestiere, ed in

sua dimora. Questo giovane

ha donaito il cuor suo ad tina di quelle, mai pi


avvisando

sia sua cognata, n

sa chi ella sia;

n mai le ha messo dito addosso, cotanto il ruf


fiano lo strazia che sin oggi non pot cavarse
ne una voglia, n la ha mai
h quegli
gne,

condotta via, per-

non volle lasciarsela uscire

dappoich vede

dall u-

s incarognito l uomo,

vuol toccarlo d* una bolzonata e delle buone. Uri


soldato vuol la minore per sua concubina di cui
n cotto issino all osso. Ma il Cartaginese padre
di quelle, dappoich le ha perdute, mette' sotto so
pra terra e mare per trovarle. Non ancora en
trato in una citt che di botto corre a tutte fe
Cortigiane in qualunqne chiasso se ne trovi; paga,
fe noleggia, le chiede, domanda poscia di chi sieno,
di qual paese, se schiave rapite, di qual casato
di quali parenti: s destro ed astuto nel cercare
le' figlie. Egli conosce tutte le lingue, ma furbo s infigne di non saperle. E un vero Cartaginese: che s ha'

Is heri huc in portum navi venit vespere.


Pa ter harunc idem huic patruos adolescentulo est.
Jamne hoc tenetis? si tenetis* ducite.
Cave dirumpatis: quaeso, sinite transigi.
Ehem! paene oblitus sum reliquom dicere.
Ille qui adoptavit hunc pro filio sibi*
Is illi Poeno hujusce patri hospes fuit.
Is hodie huc veniet* reperietque hic filiasj
E t hunc sui fratris f i liu m u t quidem didici egoEgo ibo* ornabor: vos aequo animo noscite.
Valete} adeste: ibo: alius nunc fleri volo.
Quod restat, restant alii, qui faciant palamFalete, atque a d ju v a te u t vos servet Salus.

m
da aggiungere? Arriv in porto

costai colla sua

nave ier sera. Il padre di queste i anche zio del


giovane. L avete afferrato? se 1' avete

afferrato,

allegri, non gli fate forza, lasciatelo uscir di per


se. Uh! quasi dnnenticavami il resto. L uomo che
addott costui per suo figlio, fu ospite di

quel

Cartaginese padre di costui. Quell' altro oggi verr


qui, e qui trover le figlie, e questo figliuolo d
suo fratello, come proprio ho inteso io. Intanto
andr l a vestirmi; voi siate indulgenti state bene
e fate attenzione: io me la batto, vo farmi un al
tro: di quel che rimane, altri rimangano a darvene novella. State sani, ajutatevi, acci la Salute
vi conservi.

ACTUS

g o . Saepe

1.

SCNA

gobastocles,

il p h io

ego res mullas lib i mandavi, M ilphioy

Dubias, egenas, inopiosas consilii,


Quas iu sapienter, do cie* et cordate, et cate
M ih i reddidistid opiparas oper tua.
Quibus pro benefactis fateor deberi libi
Et libertatem, et mullas gratas gralias.
M i l . Scitum est, per tempus si obviam it, verbum vetus.'
Nam tuae blanditiae m ihi sunt, quod diei solet.
Gerrae germanae, atque ctedepol (2 ) aXvpcn X vp a t
Nunc m ihi blandidicus esj heri in tergo meo
Tris facile corios contrivisti bubulos.
A go. A t amans per amorem si quid feci, M ilphio,
Ignoscere id te m i aequom est.
M il .

Haud vidi magis.

Et nunc ego amore pereo: sine te verberem,


Item ut tu m ihi fecisti, ob nullam noxiam:
Posi id locorum tu mihi amanti ignoscito.
4co. S i lib i lubido est mt voluptati, sino.
Suspende, vinci, verbera, anclor sum, sino.

ATTO
SCENA

I
I,

GOUASTeCLE, M il f io n e .

Ago.

Ben

di sovente

t ho

ordinate,

6 Milfione, assai

cose dubbie, povere, scarse di consiglio, e tu sa


viamente, con sommo accorgim ento, attenzione ed.
astuzia me le hai rese co ll opera tua felicissime,
pe quali beneficii, lo confesso, ti si deve fa libert
e moltissime grazie.

SliL.

S un proverbi vecchio vien fuori a tempo, egli


sempre bello: imperciocch queste vostre carezze
altro non sono per me, come s usa dire, che vere
fandonie e sonagliene belle e buone. Oggi mi fate
attorno uh mondo di feste, e jeri cor tutta la pia
cevolezza nv avete rotti sulle spalle tre staffili di
cuoio.

A go .

Se t ho fatt male, o Milfione, l ho fatto perch


son cieco 4 amore, e tu giusto che me lo per
doni.

Mil .

Non nc vidi di pi grosse. Anch io di presente


sono innamorato fradicio; lasciate chc vi rompa
un legno addosso, conforme jeri

avete voi fatto

meco e senza niuna colpa, e dopo tutto questo


perdonate voi all amor mio.
Ago.

Se n' hai

voglia, o se ti piace, fallo: tirami su,

legami, trovami tutte le ossa, io tei consiglio c


tei permetto.

M il.S } auctoritatem postea defugeris,


Ubi dissolutus tu sies, ego pendeam.
A G O .E gone istuc ausim facere praesertim tibi?

Quin si fe riri video te, extemplo dolet.


M

il

. M ih i quidkm hercle.

A go.

Im o mihi.

M il .

Istuc mavelim.
Sed^quid mtnc tibi vis?

A go.

Cur ego apud te mentiar ?

A m o inmodeste.
M il .

Meae istuc scapulae sentiunt.

A go. A t ego hanc vicinam dico Adelphasium meam/


Lenonis hujus meretricem majusculam.
M iL.Iam pridem equidem istuc ex te audivi.
A go.

Differor

\ Cupidine eius. Sed lenone istoc I ajco,


Illius domino, non lutum est lutulentius.
M i l .F in t * illi nequam dare nunc?
A go.

Cupio.

M il .

En, me dato.

A go.A bi dierectus f
M il ,

D ic m ihi vero serio:


F m dare malum illi?

A go.

Cupio.

M tL.

Hem, eundem me dato:


Utrumque faxo habebit3 et nequam et malum.

A co . locare.
M il .

f i n tu illam hodie sine damno luo (3 )


Tuam libertam facere?

A go.

Cupio, Milphio.

M il .

E se di questa permission vostra v o i poscia vi pen

A go .

Ed io sar ardito a tanto, e soprattutto verso te?

tite, s o n sarete ancora gi, d ie l'appeso sar io.

che anzi se ti vCggo

battere, tosto me De sento

m ille spasimi addosso.


I o si per D io .

M il .

A go. ~ Anzi io.


M il .
A go.

Questo desidererei bene io, ma che vo lete v o i ora?


E perch sar io bugiardo eo a te? sono innam o~
rato sopra m odo.

M il .

D i d s 'a c c o r g o n o anche le m ie spalle.

A go.

Ma io m intendo di questa nostra vicina, di delfasio, la giovane pi grande ch abbia questo ruf
fiano.

Mil .
A go.

Eh la m ' gi vecchia questa canzone.


Io

mi scoppio dal desiderio, ma di questo ruffian

Lieo di lei padrone non v* fango pi sozzo.


M il .

Vorreste accoccargliele una buona voi?

A go .

S certo.

Mil .

Eccola, datemi a lui.

A go .

Vattene impiccatacrio.

Mi l .

Ditemelo daddovero, volete proprio dargli qualche


malaventura?

A go .

Proprio.

M il .

Benissimo,

me

c h 'e g li abbia

date

lui,

che .sar opera m ia

e l'u n a e l altra cosa, il diavolo e

l croce.
A go.

T u burli.

Mil .

Volete voi oggi senza danno farla vostra?

A go.

Me ne sento m orire, o Milfione.

iU
M i l .Ego faciam ut facias. Sunt tibi initu aurei
Trecenti num i Philippei?
A go.

Seicenti quoque;

M i l . Satis sunt trecenti.


A go.

Quid iis facturus?

M il .

Tace.
Totum lenonem tibi cum tota familia
Dabo hdie dono.

A go.

Qnid facturus?

M il .

Jam scies.
Tuos Collybiscus nunc in urbe est villicus;
Eum hic non novit leno. S a tiri intellegis?

Aco.Intellego herclej sed quo evadas> nescio.


M i l .N on scis?
Ag

M il .

N on hercule.
A t ego iam faxo scies.

E i dabitur aurum, ut ad lenonem deferat


Dicatquej se peregrinum esse ex alio oppido/
Am are velle atque obsequi se aninio suo;
Locum sibi velie liberttfn praeberiery
lib i nequam faciat clam, ne quis sit arbiter;
Leno ad se accipiet, auri cupidus* eloco;
Celabit hominem et aurum.
A go.

Consilium placet.

M i l . Rogato * servos veueritne ad eum tuos.


Ille me censebit quaeri: continuo tibi
Negabit. Quid tum dubilas, quin extcmpulo
D npli tibi, auri et hominis, fu r Ipno siet?
Neque, id unde ecficiat, habet: ubi in ius venerUj
Addicet praetor familiam totam libi.
Ita decipiemus fovea lenonem Lycum.

Mil .

Ed io m i ci m etter

tutto per contentarvi: avete

v o i in casa un trecento filippi d ofo?


A go .

Anche seicento.

M il .

Bastan trecento.

A go .

E che vu oi farne?

AIil .

State zitto: o g g i v i do nell' ugno quel pollastriere

A go .

E che farai?

M il .

A momenti lo saprete. Adesso in citt il vostro

e tutta la sua famiglia.

castaido

Collibisco: il ruffiano non lo conosce:

m avete inteso?
A go .

Intendo si, ma non so dove tu vada a m etter p-


scia il capo.

Mil .

Non la v entrata ancora?

A go.

No certo.

Mil .

Ed io ve la for entrare. A lui si snoccioler T o ro ,


affinch lo porti al ruffiano, e si dia per forestiero
d altra

terra: dica

che vu ol far

all amore,

che

se la vuol godere, e che vuole si lasci a lui libera


la campagna per fare chiusamente i fatti suoi, senzq
che

persona

g li sia di testimonio:

il ruffianq

si

bene lo ricetter per ghiottornia dell oro, e subito


metter al coverto uomo e quattrini.

Aco.

M attaglia questo consiglio.

M il .

Domandatelo: se gli sia capitato un vostro servo: egli


ficcherassi tosto in capo si cerchi di me, e caldo
caldo scoccheravvi un no largo e tondo: dubiterete
voi allora che doppio ladro e dell uomo e dei
quattrini non sia il ruffiano? ei non avr tanto da cam.~>
parsene. Quando sar in tribunale il pretore lascer
in balia vostra tutta la famiglia, e per tal via cogliefem nel trabocchello

questo

ruffianaccio di Licq

478
A co. Placet consilium,.
M il .

Im o etiam ubi expolivero


Magis, hoc tum demum dicesj

nunc

etiam rude
esL

A co. Ego in aedem Veneris eo* nisi quid vis, Milphio.


Aphrodisia hoc die sunt.
M

il

go.

il

Scio.

Oculos volo
Meos delectare munditiis meretriciis.
prim um agamus* quod consilium cepimus.

. H oc

Abeamus intro* ut Collybiscum villicum


Hanc perdoceamus ut serat fallaciam.
A go. Quamquam Cupido in corde vorsalur, tamen
Tibi auscultabo.
M

il

Faciam, ut facto gaudeas.

Jnest amoris macula huic homini in pectore,


Sine damno magno quae elui ncutiquam potest:
Itaque hic scelestus est homo leno Lyciis*
Quoi iam infortuni intenta ballista est probe* '
Quam ego haud mullo post m illam e ballistario.
Sed Adelphasium exit* eccam, atque Anlerashjlis.
Haec

est prior,

quae

metim

herum

dementem
facit.

Sed evocabo. Heus, i foras* Agoraslocles,


S i vis videre ludos iucundissumns !
A go.Q uid istuc tumulti est* Milphio?
M il .

Hem amores tuos*

S i vis spectare.
A co .

O mulla libi di deni bona*


Quom m i oblulisti hoc lam lepidum spectaculumf

A go.

Mi piaee l avviso.

M il .

Quando vi avr adoperata il pialletto, dite allora:


mi piace: ora cosi fatto all ingrosso.

A go.

Io eorro al tempio di Venere, se pure qualcosa tu


non vuoi, o Milfione: oggi si fanno l Afrodisie.

M il .

Lo so.

A go.

Vo rallegrarmi

gli occhi

colle

attillature

delle

landre.

M il .

Ma ci di che ci consigliammo, si faccia imprima:


andiamo in casa ad insegnar Collabisco com ha
da condurre questo tranello.

A go.

Sebbepe in euore mi diguazzi l amore, nullameno


voglio quello che tu vuoi.

M il .

Far che del fatto siate allegro. V ha una chiazzelta d amore nel petto di quest uomo e in guisa
niuna la si lava senza gran danno. Per ci que
sto ruffianacelo di Lieo un ribaldon majuscolo;
ma sta per lui sulla corda tal bolzone che lascer
fra breve andare dalla balestra. Ma ecco vien
fuori Adelfasio ed Anterastile, questa prima colei
che fa dare il mio padrone nelle.girelle. Lo chia
mer, ehi, Agorastocle, fuori, se volete vedere un
un giuoco bellissimo.

A go.

Che fracasso questo, Milfione?

M il .

.Eccolo, s il volete vedere 1' amor vostro.

' A go.

O h'ti venga un mondo di beni, dappoi che m hai


fatto vedere si bello spettacolo.

J d ELPBJSIUMj AlfTEHJSTrtlS, MlLPHIOj


A gorjstocles , A n c il l a .
^

d e .Negoti

sibi qui volet vim parare,

Navem et mulierem, istaec duo conparato>


Nam nullae magis res duae plus negoti
Habent, forte si occeperis exom arej
Neque unquam sai istae duae res ornantur3
Neque eis ulla ornandi salis satietas est.
Atque haec ut loquor, nunc modo docta dico:
Nam nos usqne ab aurora ad hoc quod diet est
E x industria ambae concessamus nunquam
L a va ri aut frica ri aut tergeri aut ornarij
P o lir i, expoliri, pingi, fingij et una
Binae singulis quae datae ancillae nobis.
Eae nos lavando, eluendo, operam dederuntj
Adgerundaque aqua sunt viri duo defessi.
Apagesis, negoti quantum in muliere una est!
Sed vero duaej sai scio, maxumo uni
Poplo quoilubel plus satis dare polissunl,
Quae noctis diesque om ni in aetate sefnper
Ornantur, lavantur, terg en te, poliuntur.
Postremo modus muliebris nnllust, neque unquam
Lavando et fricando sumus saturae, ( i )
Nam quae latita est, nisi perculta est, mea quidem
animo quasi inlauta est,
A n t .M iro r quidem, soror, te istaec sic fabulari3
Quae tam callida et docta sis et faceta:

A d e lf a sio , A r terastile , M ilf io h e ,


A g ORASTOCLE, Alt CELLA..

A de.

Chi vuole aver sempre faccenda, queste due cose


si procacci una nave ed una donna: imperciocch
v ha nulla che dia maggior briga di queste due
cose. Se ti poni per avventura in sull ornarle, nulla
pu essere ornato pi di queste, atteso che loro
gli ornamenti non sono mai troppi. Quello che
dico adesso, lo dico perch n ebbi l esperienza poco
fa, imperciocch dall alba in sino a quest ora, am
bedue per farci belle non rifinimmo n cessammo
mai di lavarci, frcgacciolarci, forbirci, allindarci, pu
lirci, strebbiarci, dipingerei e stuccarci. Due fanti aveva ognuna di noi, e ben si dimenarono in lavarci
e rilavarci, tantoch.pel cavar l ' acqua n' andarono
istracchi due uomini. Vada il diavolol quante ce
ne vuole dietro ad una donnal se sono due, certo
faticherebbero anche un gran popolo assai pi di
quello che gli piacesse. Elle giorno e notte, di
qualunque et sieno, altro non fanno se non li
sciarsi, lavarsi, stropicciarsi e pulirsi; in somma la
discrezione bandita dalle donne; noi

di lavarci

e fregarci non siamo mai satolle. Imperciocch


la donna ben netta, se non anche razzimata bene,
secondo la

penso io, come non avesse tocca

1' acqua.
A ut.

In fede mia, o sorella, io resto balorda a queste


tue parole, e che tu sii tanto scaltra dotta, e piaV o l . I. P l a u t .

31

N am quom sedulo munditer nos habemus.


V ix aegreque amatorculos invenimus.
A d e . Ita estj ve ru m hoc u n u m ta m en cogitato:
Modus omnibus in rebus, soror, optumum habitu estj
N im ia omnia nim ium exhibent negotium hominibus
ex se.
A n t . S oro r j cogita, amabodj item nos perhiberi
Quasi salsa muriatica esse autumantur
Sine om ni lepore et sine suavitate:
N isi multa aqua usque et diu macerantur,
Olent, (% ) tangere ut non velis. Sumus item nos
Fjus seminis: mulieres sunt insulsae ad
modum atque invenustae sine munditia et sumtu.
M i l . Coqua est haec quidem, Agorastocles, ut ego opinor:
Scit muriatica ut macerent.
A go.

Quid molestus?'

A d e . Soror, parce, amabo. Sat est, istuc alios


Dicere nobis,

ne

nostra etiam nosmet loquamur


vilia.

A n t . Quiesco ergo.
A de.

A m o te. Sed hoc nutit responde

M ih i: sunt hic om nia, quae ad deum pacem oportet


Adesse?
A nt.

Adcuravi.

A co. Diem pulchrum et celebrem et venustatis plenum,


Dignum Veneri pol, yuoi sunt Aphrodisia hodie!
M i l . Ecquid gratiae, quom huc foras te evocavi?
Jam non me donari cado vini veleris
Decel? dic darit N il respondes?
Lingua huic excidit,

ut ego opinor. Quid hic,


malum, adstans obstipuisli?

cevole; con ci sia che, avendoci noi in tanta pulizia,


noi a gran pena ritrovammo un misero innamoratello.
A de.

Ci vero: poni per mente a questo solo, che di


tutte le cose la discrezione la pi bella, il so
verchio d troppa briga agli uomini.

Aut .

E tu pensa, o sorella, che il caso nostro come


quello de pesci salati, i quali sono senza gusto e
nauseanti: se non vengono buon tratto macerati
in molt' acqua, putono s che non t'arrisichi toccarli.
Anche noi siam di questa semenza: le femmine sono
insipide e

a&atto disavvenenti senza nettezza e

spesa.
M il .

Certo, Agorastocle, una cuoca costei: e tal la

mi

pare, ch la sa bene come si maceri lo stocchefsso.


Aso.

E perch m annoi?

A de.

Deh, cessa, o sorella, basta che intorno

al fatto

nostro dican questo gli altri, senza che da noi me


desime ci facciamo mettere in piazza le nostre ma-

gagtie.
A ut.
Ade.

Non parlo pi.


Bravissima. Ora rispondimi su ci: v ha qua den
tro tutto il bisognevole per calmare gli dei?

A rt .
A go.

H o pensato a tutto.

0 caro giorno e celebre, e pieno di bellezza, degno


proprio di Venere, di cui sono oggi le Afrodisie!

M a.

E che voleva io in merc quando v ho chiamato


fuori? e non fa mestieri chio sia presentato d'un botticello di vin vecchio? date ordine che me lo si
dia; dite nulla voi? Casc la lingua a costui in
fede mia: diacine che v avvenne per star vene
cosi come di sasso.

J co. Sine amem! Nc obturba j ac tace!


M i l . Tacco.
Ago.
S i tacuisses, ja m istuc Taceo non natum foret.
A

n t . Eamus>

de.

mea soror.
Eho, amabo, quid illo nunc properas?

A nt.

Rogas?

Quia hei'tis nos apud aedem Veneris mantat.


A de.

Maneat pol. Siane:

Turba est nunc apud aram. A n te ibi vis inter istas


vorsarier
Prosedas, pistorum amicas, reliquias alicarias,
Miserasj schoeno delibutas, servolicolas sordidas,
Quae libi olant stabulum slalumque sellam et sessi
bulum merum,
Quas adeo haud quisquam unquam liber tetigit neque
duxil domum,
Servolorum sordidulorum scoria diobolaria?
M i l .1 in malam crucem! turi audes etiam servos spernere,
Propudium? Quasi bella sit, quasi eampse reges ducti
tent!
Monstrum mulieris! tantilla lanta verba, funditat,
Quojus ego nebulai (6 ) c y a t h o septem noctis non emam.
A c o .D i inmortales omnipotentes, quid est apud vos pul
chrius?
Quid habetis, mage qui inmortalis v(ts credam esse,
quam ego .siem,
Qui haec tanta oculis bona

concipio? nam Venus


non est Venusj

Hanc equidem Venerem venerabor, me ut amet post


hac propilia.
Milphio, heus, ubi es?
M

il

Assum apud le, eccum.

Ago.

Lasciami far allamore, non mi sturbare, c st zitto.

Mil .

Non apro bocca. .

Ago.

Se tu non l avessi aperta, questo non Apro non


sarebbe scappato fuori.

Axr.

Andiamo, sorella mia.

A de.

Oh per carit, che fretta hai tu d andartene?

Aut .

E me l domandi? perch il nostro padrone ci aspetta presso il tempio di Venere.

A de.

E vi stia fino domani: aspetta. Adesso v troppa calca


allaltare. Ti supplisce forse l animo confonderti fra
queste sgualdrine, amiche de fornai, morchia di
barili, spiantate, immelacciate di giunco, manze di
schiavi, che t appestano il naso d odor di stalla,
di calcagna, di trespolo, di seggetta, cui sinora
niun libero mise dito addosso, n condusse a casa
sua, mandracchie in somma che acciuffano i cue
oboli da pi schifosi scrvitoracci?

M il .

Va sulla forca! tu o sfacciateli, metterti i servi


sotto i piedi? vergogna, quasi che fosse un sole,
piasi che i re la pigliassero a nolo! ve questo
ragno di donna alta un pugno che improperii vo
mita! io non lascerei un bicchicro per aver sette
notti le sue glorie. '

A go.

0 Dei immortali onnipotenti! che avete voi di pi


bello? che avete per

credervi immortali pi di

quello chc son io? oh quanti beni mi piovono per


gli occhi! Venere non pi Venere; io s mi pro
strer dinanzi a questa Venere; acci da questo di
la mi ami e siami propizia. Milfione, o Milfione,
dove sci?
M il .

Qua eccomi arrosto presso di voi.

A go.

A l ego elixiu sis volo.

MiL'.Enimvero, here, facis delicias.


A go.

De te quidem haec didici om nia.

MiL.Etiamne ut ames eartij quam nunquam tetigeris? N ih il


id quidem est.
A go.D eos quoque edepol et amo et metuo, quis ego tam
abslineo manus.
AifT.EcastoTj quom ornatum adspicio nostrum ambarum,
poenittl,
Exornatae ut simus.
A de.

Im o vero sane commode:

N am pro herili et nostro quaestu satis bene ornatae


sumus.
N on enim quaestus consistet, sumtus si (1 ) im su
perat, soror:
Eo illud satius est, quod satis est, (S ) habilUj quam
quod plus sat est..
A go. Ita me di ament, illa ut me amet, m alim quam di,
Milphio s
N am illa mulier lapidem silicem subigere, ut se amet,
potest.
M i l . P o l id quidem haud mentire: nam t* es lapide si
lice stultior,
Qui hanc ames.
A go.

A c vide, sis: cum illae nunquam limavi caput.

M i l . Curram igitur ftliquo ad piscinam aut ad lacum:


limum petam.
A co . Quid eo opnst?
M il .

Ego dicam: ut illice et tibi limem caput.

A go. I in malam rem!


Mil .

Ib i sum equidem.

Ago.

Ma io voglio che tu sia lesso.

M il .

Aff, padron mio, voi sapete pigliar bene la bariti.

Ago.

Ho imparato tutto, da te.

M il .

E anche d inciprignir per colei che non avete tocca


mai? questo no in fede mia.

A go.

Anche gli dei per verit io amo e temo, sebbene

Aut.

Ahim! quando metto gli occhi su questi orna

Ade.

Anzi siam concie benissimo: pel guadagno che fac

non gli tocchi mai.

menti, assai me ne duole, vedendoci si concie.


ciata noi e il padrone siamo anche troppo ben vestite:
l utile va in capperuccia se l'uscita m aggior
dell entrata, o sorella: Q per questo dobbiam noi
rimaner contente, perch di vesti siam ben for
nite senza averne di soperchio.
A go.

S mi dica buono Iddio, come ho maggior piacere,


o Milfione, che la mi ami questa donna pi degli
dei: imperciocch quella femmina sapria farsi amare
anche da un sasso.

Mil .

Viva, questa volta non 1 avete data in fallo, voi


siete un capassone pi duro d una selce nell amore di costei.

Ago.

Ma che vnoi? non sono anco arrivato a limarle la


testa.

Mil .

Correr di galoppo a qualche peschiera o lago a


torre del limo.

A go.

E a che?

M il .

Vel dir: per impiastricciare di limo la testa a voi


e a lei.

Ago.

Vattene alla malora.

Mi l .

Vi son dentro fino agli occhi.

A go.

Pergis?

MIi l .

Taceo.

A go.

A l perpetuo volo.

M i l . Enimvero, here, meo me lacessis ludo, et delicias facis.

A n t . Salis nunc lepide om alam credo , soror, le libi viderierj


Sed ubi exempla conferenlur meretricum aliarum, ibi
tibi
Cordolium erit, si quam ornatam melius forte adspexeris.
A d e . Invidia in me nunquam innata est neque malitia,
mea soror,Bono med ingenio esse ornatam quam auro, mullo
tnavolo.
Aurum fortuna inventine natura ingenium bonum:
Bonam ego, quam beatam, me esse nimio dici mavolo.
Meretricem pudorem gerere mage decet quam pur
puram,
Magisque meretricem pudorem, quam aurum, gere
re condecet:
Pulchrum ornatum turpes (9 ) mores pejus coeno conlinuntj
Lepidi mores turpem ornatum facile factis conprobant.
A co.Eho tu, viri tu facinus facere lepidum et feslivom?
M il .

Volo.

A co. P ote ri m ihi auscultare?


M il .

Possum.

A go.

A b i domum, ac suspende te.

M i l . Quamobrem?
A go.

Quia ja m nunquam audibis verba tam suavia.


Quid libi opust vixisse? Ausculta m ihi modo,

ac

suspende te.

Ago.

E ancora?

Mi l .

Son muto.

Ago .

Vorrei per sempre.

M il .

In verit, o padron mio, voi mi date ripicco, c mi


tenete assai bene sulla gruccia.

Ant .

Io mi credo, o sorella, chc tu ti veda abbastanza


ben vestita; ma se mettere in confronto ti vorrai
all altre cortigiane, allora ti creper il cuore

per avventura ti dar nell' occhio alcuna chc sia


meglio adorna di tc.
Ade.

Non nacque giammai in me, sorella mia, n invidia


n malizia, e metto innanzi lessere ricca pi della
nimo

chc

dell oro:

la

fortuna

d l oro,

natura il buon cure; io amo meglio

la

esser detta

dabben donna pi assai che fortunata, e ad una


meretrice pi s avviene 1 onest che la porpora,
e d onest dee ondar pi

carica una meretrice

che di ciondoli: le belle vesti sono insozzate, assai


pi che del fango, da rei costumi, laddove i buoni
scusano facilmente eo fatti anche i brutti vestiti.
A go.

Ehi l, vuotu fare cosa da valentuomo?

Mil .

Voglio.

A go.

Puoi tu fare a modo mio?

Mi l .

Posso.

A go.

Va a casa e fa un dondolo.

M il .

Perch?

Ago.

Perch pi non ti verranno nelle orecchie si belle


parole: che fai qui al mondo?
casa e fa un dondolo.

bada a me,

va a

M i l . S i quidem tu et mecum futuru pr uva paua pentilit.


Aoo^At ego amo hanc.
M

il

A i ego ette et bibere.

Elio tu, quid ai?

A de.

Quid rogai?

A nt.

A d e . Fiden' tu? pleni tordium oculi qui erantj ja m tplen-

dent mihi?
A n t . Im o etiam in medio oculo paulum tordet.
Cedo, tit, dexteram.

A de.

A co .U t tu quidem hujut oculot inlu tii manibut iraclet


ac terat?
A N T .N m ia n oi tocordia hodie tenuti.

Qua de re, obtecro?

A de.

A n t . Quia ja m non dudum ante lucem ad aedem Fene-

r i t venimus.
Prim ulum ut inferremu ignem in aram.

A de .

Ahj non facto ett opus.


Quae habent nocturna ora3 noclu tacruficatum ire
occupantj

Priutquam Fenu* expergitcatur;

priut deproperant
tedulo

Sacruficare: nam vigilante Fener'e t i veniant eae3


Ita tunt lurpetj

credo ecattor

Fenerem iptam e

l 'ano fugent.
A co.M ilp h iof
M il .

Edepol Milphionem m iterum l quid nunc vi libi?

A go . Obtecro hercle3 ut multa loquitur 1

I f il n iti laierculot3

M il .

Seiamumj papaveremquej triticum el fricia t nuce.


A go . Ecquid amare videor?

M il .

Se per anche voi vorrete a m duva passa pen

A go .
M il .
A de .

zolar meco.
Ma io amo costei.
Io il m angiare il bere.
Ol tu, che dici?

A ut .

Che vuoi?

Ad e.

E non t accorgi? gli occhi eh* erano si cispicosi


ve come mi sfavillano.

Airr.

Eppure in mezzo all occhio vha ancora un po' di


cacca.

Ad e.
A go .

Dammi la destra.
Perch tu con queste manaccic abbia toccare e lo
gorare gli occhi di costei?

Au t .
A de .
A rt.

Oh! che poltronaccie fummo noi o g g i


Perch dici tu questo?
Perch prima dell alba non siamo venute al tem
pio di Venere, acci porre per le prime il fuoco
sull* altare.

A de .

Doh! non fu d uopo: quelle, eh hanno faccia di cu


culo, di notte vanno per le prime al sacrificio anzi
che Venere si svegli; per le prime esse aiTrettano a
sacrificare, imperciocch se costoro cl vanno quando
Venere desta, sono cos scontrafatte che in veriti
sarei presso a credere eh elle farieno sbrattare
Venere dal tempio.

A go .
M il .
A go .
M il .
A go .

0 Milfione!
Si Milfione,

e Milfione sgraziato! che volete ora?

Deh senti come parla dolce?


Nient altro che sassolini, sisamo, papavero, orzo e
noci peste.
E che ti pare d i io ami?

m
M il .

Damnunij quod Mercurius minume amat.

A co. Nam quidem edepol lucrum amare nullum amato


rem addecet.
A a t . Eamusj mea germana.
A de.

Age} sis} uti lubet. Sequere hac.

A at.

Sequor.

A co. Eunt hae. Quid si adeamus?


Adeas.

M il .

A co .

P rim u m pnnia salva sis:


Et secunda tu secundo salve in pretioj terlia
Salve extra pretium.

A ac .

Tum pol ego et oleum et operam perdidi.

A go. Quo te agis?


Egone? In aedem Veneris.

A de.

A go.

Quid eo?

A de.

Ut Fenerem propitiem.

A go. Eho j an irata est? (10) Propitia hercle est. Fel ego
pro illa spondeo.
A d e . Quid tu agis? quid mihi molestusj obsecro?
A co.
A hj tam saeviter?
A d e . Mitte, amabo!
/
A go.
Quid festinas? Turba nunc illi est.
A de.

Scio.

Sunt illi aliae, quas spectare ego et me spectari volo.


A go . Qui lubet

spectare turpis,

A d e . Quia mercatus hodie

pulchram

spectandam
dare?

apud aedem Feneris est m erelriciusi

Eo conveniunt mercatores: ibi ego me ostendi volo.


A go.Invendibili merci oportet ultro emtorem adducere:

M il .

La

mala

ventura,

cui

Mercurio

non

ama

punto.

A go .

Certo:

A nt .
A de .
A ht .
A go .
M il .
A go .

Andiamo, sorella mia.

perch chi ama non dee vagheggiar la

borsa.

Anc.
A go .
A de.
A g .
A de .
Aco.

Fa come ti piace, seguimi da questo lato.

Ti seguo.
Elle se la fanno, e che, se le affrontiamo?
Affrontatele.
Dapprima prosperi il cielo te che sei la pi bella;
indi te che in bellezza vieni dopo lei, st^ bene
anche tu che per terza non vali un grillo.
Io allora ho fatta la mia zuppa nel paniere.
Dove vai tu?

I o? nel tempio di Venere.


Perch l?
A placar Venere.
Oh bella! forse sdegnata? certamente propizia.

10 mi metto mallevadore per lei.


A de.

Che fai tu? perch m aunoi?

A go .
Ad e.
Ago.
A de .

Ah cos fiera?
Lasciami una volta.
Che prescia la tua? ora v gran folla.
L o so; ma ivi sono altre eh' io voglio vedere, e da
queste essere veduta.
Perch ti piace veder le brutte? perch far vedere
una bella?
Perch oggi v il mercato delle meretrici presso

A go .
A de .

11 tempio di Venere, ivi si raccolgono i mercanti,


ed ivi voglio mettermi anch io in mostra.
A go.

Se egli marame, allora s che cosa necessaria

Proba m erx facile emtorem reperti, tametsi in a b -'


struso sita est.
Quid ais tu? quando illi mecum caput et corpus
copulas?
A d e .Q uo die Orcus ab Acherunte mortuos amiserit.
A co.S un l m ihi inlus nescio quot nummi aurei lymphatici.
ADE.Defe.rto ad me: faxo actutum constiterit lympha
ticum.
M i l . Bellula hercle est!
A go.

I dierecte in maxumam malam crucem!

M iL.Q uam magis adspecto, tam magis est nimbata, et


nugae merae.
Aco.Segrega sermonem: taedet. Age, sustolle hoc ami
culum.
A d e .P ura sum: conperce, amabo, me adtreclare, A g o rastocles.
A go. Quid agam nunc?
A de.

S i sapias, curam hanc facere conpendi poles.

A go. Quid? ego non te curem? Quid ais, Milphio?


M il .

' Ecce odium meum!


Quid me vis?

A go.

Cur m i haec irata esi?

M il .

Cup haec irata est tibi?


Cur ego id curem nam? qui istaec mage mea est
curatio?

A co.Ja m hercle tu peristi, ni illam mihi tam tranquil


lam facis,
Quam mare olim est, quom ibi alcedo pullos educit suos.
M i l . Quid faciam?
A go.
M i l .

Exora, blandire, expalpa!


Faciam sedulo;
Sed vide, sis, ne tu oratgrem hunc pugnis pectas postea.

tirarvi alcun che lo comperi, ma il buon vino si ven


de senza metter fuori la frasca. Che mi soggiungi?
quando l dentro
A de.

potrcm trovarci insieme noi?

Il d che Plutone lascier fuggire i morti dall Ache


ronte.

A go .
Ad e .
M il .

Son dentro me non so quante monete doro eh han


no il demonio addosso.
Portale a me che glielo faccio andar via di botto.
bclluccia per Dio!

A go .

Vattene, sciagurato, va sulla forca.

M il .

Quanto pi la guato, tanto pi le trovo addosso


qualche cincinno: una vera fraschetta.
Finiscila, tu m hai fradicio; deh tira in su
questo velo.

A go .
A de.

Son pura, per carit non istazzonarmi, Agorastode.

A go .
A de .

Che farommi adesso?


Se avessi senno in capo, troveresti fine a questo
travaglio.
Come? per te non dovr travagliarmi io? che

A go.

dici, o Milfione?

M il .
A go .
M il .
A go .

M il .

A go .
M il .

Ecco la mia croce: perch mi volete voi?


Perch 1 ha meco costei?

Perch 1 ha con voi? perch 1 ho da saper io?


perch l ho da pigliarlo io tale affanno?
Datti ornai per ispacciato, se non me la rab
bonacci in quella guisa eh il mare, allora ch
1 alcione trae fuori i suoi pulciui.
. Che dovr fare?

Prega, accarezza, lisciala.


Mi ci metto subito: m a e voi badate bene di non
carminar poscia con maladetti recchioni questo
vostro avvocato.

490
A co. Non faciam j non.
M il .

A equius in mesii. ( i l )

A go.

Morare.

A de.

I/ male facis:

Bene prom illis multa ex multisj omnia incassum


cadunt.
Liberare juravisti me haud semel3 sed centies.
Dum te exspectOj neque aliam usquam mihi paravi
copiamj
Neque istuc usquam adparet! Ita nunc senio nihilo
minus.
I j soror. Abscede tu a me.
A co.

P erii! Ecquid agis Milphio?

M iL.M ea voluptas3 mea delicia ; mea vita, meo amoenitas3


Meus ocellus3 meum labellum> mea salus3 meum saviumj
Meum mei,

meum cor, mea colostra m eu s m olli


culus caseus . . . .

A c o .Mene ego illaec patiar praesente dici? Discrucior


miser,
N isi ego illum jubeo quadrigis cursim ad carnuficem rapi!
M iL .N olij amabo j suscensere hero meo causa mea!
Ego faxo, si non irata es3 ( i 2 ) numulum pro le dabit
A t te faciet ut sis civis A llita atque libera.
A d e . Quin abire sinis? quid vis libi? Qui bene volt3 (1 3 )
bene visilem.
M i l . S i ante quidem mentitusl3 nunc ja m dehinc erit ve
ra x tibi.
A d e .Abige te hinc3 sis3 sycophanta.
M il .
A go.

Parco.
A t scin3 quomodo?

A go.

-Noi far, no.

Mil .

E sarebbe pi giusto.

A go.

Fermati.

Ape.

Non tenermi la via, clic male tu fai. Tu, pi dogna'tro, prometti mari e monti che collaria se ne vanno:
non una volta ma cento hai giurato liberarmi. Men
tre li aspetto, non nii son procurata mai altra sporta
da cavarmene, e questo benedetto momento

non

capita mai: cos ora sono schiava istessamente. Va


va, o sorella,

e tu spiccali da me.

Ago.

Son morto: ehi che fai, o Milfione.

Mi l .

Mio piacere, mia delizia, mia vita, mia gioja, mia


pupilla, labbruzzo mio, mia salute, mio bacio, mio
mele, mio cuore, mio fior di latte, mio dolcissimo
cacio . . .

A go.

Io fa s c e r

dir queste cose in faccia mia? tristo a

me! io crepo se non lo faccio tirare a furia sopra un


carro nelle mani del boja.
M il .

Per

amor del cielo fammi merc, non t adirare

col mio padrone. Io far se tu non se in collera . . .


sgrancher, per te metter fuori qualche quattrinel
lo, e far s che tu sii cittadina Ateniese e libera.
Ade.

E perch m attraversi la strada? che vuoi tu? A chi,

Mil .

Se prima t infinocchi con menzogne, ora sar tutto

vuol bene io fo buon viso.

verit.
A de.

Vattene, o fastidio.

M il .

Ti ubbidisco.

A go.

Ma sai in che modo?

V ol. I. P l alt .

32

M i l .Sine te exorem, sine te prendam auriculis, sine dem


savium!
Jam hercle ego faciam plorantem illum, nisi te fa
cio propitiam;
Atque hic me ne verberullum faciat, ( i A) nisi te
propitio,
Male form ido: novi ego hujus mores morosi malos.
Quamobrem, amabo, mea voluptas, sine ted exorarier.
A co.N on ego homo trioboli sum, nisi ego illi mastigiae
Exturbo oculos atque dentis! Hem voluptatem tibi/
Hem meli hem cor/ hem colostram/ hem salutem/
hem saviuml
M i l . Inpiasj here, te: oratorem verberas.

A co.

Jam istoc magis!


Etiam ocellum addam et labellum et linguam!
Ecquid facies modi?

M il .

A co.Siccine ego te orares jussi?


M il .

Quomodo ergo orem?

A go .

Rogas?

Sic enim diceres, sceleste: Hujus voluptas, te obsecro.


Hujus melj hujus cor, hujus labellum, hujus lingua,
hujus savium,
Hujus colostra, hujus salus amoena, hujus festivitast
Hujus cura,- hujus studium, hujus dulciculus caseus,
mastigia;
Omnia illa, quae dicebas tua esse, ea memorares mea
M i l . Obsecro hercle te, voluptas hujus atque odium meum,

H ujm amica mammeata, mea inim ica et malevola,


Oculus hujus, lippitudo mea, mei hujus, fel meum,
Ut tute huic irata ne sisj atUj si id fieri non poteste

Mil .

Lasciati svolgere, lascia che ti prenda per quelle


orecchiette, lascia che t appicchi uu bacio. In f
mia eh io gli fo piovere lagrime a ciocche, se
non arrivo a calmarti: costui a sprangate mi far
frollo dell ossa, se non ti faccio pi mansueta. Ho
una maladetta paura; so ben io i bei vezzi di
questo lunatico: perci, amor mio, deh lasciati
muovere.

A go.

Non valgo tre quattrini, se a quel tambellone non


ischianto di capo gli occhi ed i denti! to il pia
cere, to il mele, to il cuore, to il fior di latte,
to la salute, to il bacio.

M il .

Voi vi scelerate, padrone; battere l oratore!

A go.

E tene toccher di pi: darotti d avvantaggio l oc


chio, kil labbro, la lingua.

M il .

E quando la finirete voi?

A go.

Cos t ho detto di pregare io?

Mi l .

E come dovr fare?

Ago. E mcl domandi? cos dovevi dire furfantaccio: deh


piacer di costui, di

costui mele, cuor di costui,

labbro di costui, lingua di costui, bacio di costui,


fiore di latte di costui, gioja di costui, delizia di
costui, cura di costui, amor di costui, cacio dol
cissimo di costui, o manigoldo. Quanto dicevi per
te, per me lo dovevi dire.
M il .

Deh adunque ti prego, delizia di costui e mia di


sgrazia, popputa amante di costui e mia nemica
e malevola, occhio di costui, cispa mia, mel a co
stui, e fiele a me, non essergli s burbera, o se
questo non si pu fare, togli un capestro, e tira

Capias restim (1 5 ) ac te suspendas cum hero et vostra


familia:
Nam mihi ja m video propter te victitandum sorbilo,
Itaque ja m quasi ostreatum tergum ulceribus gestito
Propter amorem vostrum.
Amabo, m eri prohibere postulas,

A de.

Ne te verberetj mage quam ne mendax me advorsum


siel?
A n t . Aliquid huic responde, amabo, commode, ne incom
modus

Nobis sit: nam delinet nos nostro de negotio.


A d e . Ferum. Eliam libi hanc amittam noxiam unam,
Agoraslocles.
N o n sum irala.
A go .
A de.

Non es?
Non sum.

A co.

D a ergo, ut credam, savium.

A d e .M ox dabo, quom ab re divina rediero.


A co .

I ergo strenue.

A d e . Sequere me, soror.


A co.

Atque (a u d ir i? ) etiam Feneri dicilo


M ullam meis verbis salutem.

A de

A co .
A de.

Dicam .

Atque hoc audi.


Quid esi?

Aco.Paucis verbis rem divinam facito. Atque ( audin? )


respice.
M i l . Respexit. Ilid em p ol ( i 6 ) Fenerem credo facluram tibi.

calci

ali' aria

stra famiglia;

tu, il tuo padrone e tutta la vo


che io gi me n avveggio, per

te

dovr tirar la vita a sorsi: ho piena d'ostriche la


schiena, tanti sono i guidaleschi che

porto

ad

dosso: e tutto in grazia dell amor vostro.


A de.

Oh bella! e vuoi tu eh io gli proibisca di batterti,


piuttosto che non sia meco pi bugiardo

d un

gallo?
A ut.

D una volta qualche buona risposta a costui, acci


non ci secchi pi l, imperciocch egli ci tien via
dalle nostre faccende.

Ade.

Hai ragione: io ti perdono anche questa, Agorastocle,

Ago.

Non sci?

non sono in collera.


A de.

No.

Ago.

Dammi un baco adunque, perch t abbia fede.

A de.

Tel dar tornata dal sacrifizio.

A go.

Corri adunque.

Ade.

Seguimi, o sorella.

A go.

E ( senti? ) fa a Venere molti saluti da parte mia.

Ade.

Glieli far.

Ago.

Senti anche questo.

A de.

E che?

Ago.

Sbrigati con poche parole dal sacrificio: ( senti? )


voltati indietro.

M il .

La si volt; credo che Venere vi far lo stesso.

A go rstocles , M i l p b i o .

A go . Quid nunc m i es auclor, Milphio?

M il .

Ut me verberes
Atque auctionem facias: nam inpunissume
Tibi quidem hercle vendere hasce aedis licet.

A go . Quid ja m ?
M il .

M ajorem partem in ore ( M ) habitas m eo.

A go. Supersede istis verbis.


M il .

Quid nunc vis tibi?

A go . Trecentos Philippos Collybisco villico

Dudum dedi, priusquam evocasti me foras.


Nune obsecro te, Milphio, hanc per dexteram,
Perque hanc sororem laevam, perque oculos tuos,
P e r meos amores, perque Adelphasium mearh,
Perque tuam libertatem . . .
Hem, nunc nihil obsecras.

M il .

A go . M i Milphidisce, mea commoditas, mea salus,

Fac, quod facturum te esse promisti mihi,


U t ego hunc lenonem perdam.
Perfacile id quidem est,

M il .

I , adduce testis tecumj ego initis interim

Jam et ornamentis meis et sycophantiis


Tuom exornabo villicum. Propera atque abi!
A go. Fugio.
M il .

M eu m est istuc magis officium, quam tuom .

Aco.Egone, si istuc lepide eefexis . . . .


M il .

A co. Ut non ego te hodie . . . .

I modo.

A gouastocle., M ilfione .
A go.
Mil .

Qual consiglio mi dai ora, o Milfione.


Che abbiate a bastonarmi, e che pubblichiate uu
incanto, imperciocch impunemente voi potete ven
dere questa casa.

Ago.

E perch ci?

M il .

Quasi tutto il di voi siete in bocca mia.

A go.

Lascia andar queste frottole.

M il .

Che volete voi adesso?

A go.

lo

ho dati pur ora, anzi che mi chiamassi fuori,

i trecento filippi al fattor Collibisco: or io ti scon


giuro, o Milfione, per questa destra, per questa
sinistra sua sorella, pe tuoi occhi, pe miei amori,
per la mia Adelfasio, per la tua libert . . .
M il .

Eh sinora questi scongiuri vostri donno in cenci.

Ago.

0 mio Milfioncino, mio 'piacere, mia salute, fa


quello che m hai promesso, eh io possa disertare
questo ruffiano.

Mil .

Questo facilissimo: conducete i testimonii con voi;


intrattanto in casa co miei ornamenti e colle mie
ragie preparer il vostro fattore. Mettetevi la via
tra gambe, andatevene.

A go.

Fuggo.

Mi l .

Questo pi mestier mio che vostro.

A go.

I o forse io? se tu questo mi renderai com pilo. . .

M il .

Andatevene.

A go.

E come oggi nou ti . . .

M il .
jc o .

4 b i modo/
Emittam m a n u . . . .

M i l . I modo!

Jco.
M i,

Non hercle meream ah!


Vah, abi modo!

A go.Quantum Acherunte est mortuorum . . . .


M il .
Etiamne abis?
A go.Neque quantum aquai esi in m a ri . . . .
Ne abiturus es?
Aco.Neque nubis omnis quantum est. . . .
M il .
P e rg iri pergere?
A go . Neque stellae in coelo . . . .
M il .

P erg iri auris tundere?

A g o . Neque hoc, neque illuc, neque enimvero serio

Nequehercle vero quid opust verbis? quippini?


Quod uno verbo dicere hic quidvis licet
Neque hercle vero serio * sciri j quomodo?
Ita me di amabunt v ir i bona dicam fide?
Quod hic inter nos liceat ita me Jupiter
Scirijquam ? ride fu crediri, quod ego fabuler?
M i l . S i nequeo facere, ut abeas, egomet abiero:

Nam isti quidem hercle orationi est Oedipo


Opus conjectore, Sphingi qui interpres fuit.
A go . Ilis hinc iratus abiit: nunc m ihi cautio est,

Ne meamet culpa meo am ori objexim moram.


Ibo atque arcessam teslis: quando amor jubet
Obedientem me esse servo liberum.

Mil .

Andato.

A go.

Caver di servit . . .

Mil .

Ma correte.

Ago.

N o certo non vorrei ah.

Mil .

Deh! e non vi muovete ancora?

A go.

Per quanti morti ha l Acheronte . . '.

Mil .

E non ve ne ite?

A go.

N per tutta 1 acqua del mare . . . .

M il .

E non volete andarvene?

Ag o .

N per tutte le nuvole . . .

Mil .

E ancora?

A go.

N per tutte le stelle del cielo.

Mil .

E la durate a rompermi gli orecchi?

Ago.

N questo, n quello, proprio davvero, no,


no, no; che occorron parole? e perch no?
in un fiato qui puoi dire quello che vuoi
No, no in fede mia ma sai tu come? cosi
Dio m^ijuti; vuoi che tei dica in buona fede?
ci che si pu fare qui tra noi; cosi Giove me
sai chi? pensaci, credi tu quello che dico io?

M il .

Se non posso ottenere che di qua sloggiate voi,


slogger io. Questo parlare abbisogna che lo in
dovini Edipo il quale fu interprete della Sfinge.

A go.

Ei se ne and tutto scorubbiato: ora degg io ben


stare coll arco teso, acci, cagion mia, non dia
indugio al mio amore. Andr e chiamer i testi
monii. Amore lo vuole, io libero obbedir al mio
servo.

ACTUS
SCENA
L rcvs ,

IL
I.

n t b e m o s id k s .

L rc .D i illum infelicent omnes, qui post hunc diem


Leno ullam Veneri unquam intitolarti hostiam,
Quive ullum thuris granum sacruficavertit
Nam ego hodie infelix dis meis iratissumis
Sex inmolavi agonas, nec potui tamen
Propitiam Fenerem facere utid esset mihi.
Quoniam litare nequeo, abii illinc eloco
Iratusj exta vetui prosicarier,
Neque illa adspicere vlui. Quoniam non bona
Haruspex dixit, deam esse indignam credidi.
Eo pacto avarae Feneri pulchre adii manum.
Quando id, quod sal erat, salis habere noluit.
Ego pausam feci. Sic ago: sic me decet.
Ego faxo posthac di deaeque ceteri
Contentiores mage erunt atque avidi minus,
Quom scibunt, Feneri ut adierit leno manum.
Condigne haruspex, non homo trioboli,
Omnibus in extis aibat portendi mihi
Malum damnumque el deos esse iratos mihi.
Quid ei divini aut humani aequom est credere?
Mina mihi argenti dono postilla est data.
Sed, quaeso, ubinam illic reslilit miles modo,
Qui hanc mihi donavit, quem ego vocavi ad prandium?
Sed eccum inctdti.

ATTO
SCENA

II
I.

Lieo, Antemonide.
Faccian tristo gli dei alla vita sua quel ruffiano
che da questo d immoler a Venere ed arder
per lei un granello d incenso; imperciocch oggi
a miei sdegnatissimi numi, sgraziato, sacrificai sei
vittime; e nullameno non mi fu possibile far s che
Venere la mi venisse propizia. Dappoich non posso
placarla, pieno di stizza mi son tolto di l, n volli
si tagliassero le minugia; nemmeno mi piacque ve
derle: e perch 1' aruspice diceami che quelle non
davano i troppo lieti pronostici, m accorsi che Ve
nere pur m era iniqua. In questa guisa io 1 ac
coccai all avara Venere: non essendosi ella accon
tentata di quello eh era abbastanza, io ho fatto
punto; questa l usanza mia, cos mi conviene.
D indi in poi gli altri dei e le altre dee saranno,
pi contenti e meno avidi, allorch verr loro sa
puto il bel tratto onde un ruffiano raffibbi a Venere.
Furbescamente l aruspice, uomo non affatto zotico,
in tutte le interiora dicea, che mi si presagiva'
lina disgrazia, un flagello e'che gli dei erano adi
rati meco. E che s ha da eredere a lui di divino
o (l umano? Dopo tutto questo mi venne donata
una mina d argento: ma e dove si ferm quel
soldato che me la diede? io l ho invitato a desinar
meco, ma eccolo eh egli viene.

A nt.

Ita , ut occepi dicere,

Lenitile, de illae p\tgna pentethronica,


Qua sexaginta millia homim&n uno die
Volaticorum manibus occidi meis . . . .
Lrc.E n volaticorum hominum?
A ut.

Jta dico quidem.

L rc.A n , obsecro, usquam homines sunt volatici?


A ut . Fuere; verum ego interfeci.
L rc .
Quomodo
Potuisti?
A nt.

D ica m . Viscum legioni dedi '

Fundasquej eo praesternebant folia farferi.


L rc . Quoi reii?
A nt.
Ad fundas viscus ne adhaeresceret.
L rc . Perge: optume hercle pejeras. Quid postea?
A nt . In fundas visci indebant grandiculos globoss
Eo illos volantes jussi funditarier.
Quid multa verba? quemquem visco obfenderant,
Tam crebri ad terram accidebant quam pira.
Ut quisque acciderat, eum necabant eloco
Per cerebrum pinna sua sibi, quasi turturem.
L rc . Si hercle istuc unquam factum est, tum me Jupiter
Faciat, ut semper sacruficem, nunquam litem.
A nt .An mi haec non credis?
L rc .
Credo, ut mi aequom est credier.
Age, eamus intro, dum exta referuntur.
A nt .
Volo
Narrare tibi etiam unam pugnam.
L rc .
Nil moror.
A nt .Ausatila.

Ast.

Cosi come t ho comincialo a contare, o ruffianello


mio., intorno a quella battaglia d Orinci, iu
essa in un sol di colle mie mani feci la festa a
sessanta mila uomini alati. . . .

Lic.
A st.

Poffare il mondol uomini colle ali!


E cos t accerto io.

Lic.
Afit.
Lic.

Ma e dove sono questi uomini chc volano?


Furono: ma io gli ammazzai.
E come hatu potuto?

A st .

Tel dir. Distribuii alla legione vischio e lionde,


ad esse vi frapponeano foglie d farfaro.
E a che?

Lic.
A

nt.

Lic.
A ut.

Perch il vischio non s appigliasse alle frombole.


Va innanzi: potenzinterra! che baje! e poscia che
se venia?
Metteano nelle fionde certe palle di vischio un po grossette ed ordinai che fossero frombolati quegli uccellacci. Come ho da dicifrartelo meglio? quanti davano
nel vischio altrettanti fioccavano in terra come
pere, e secondo eh eglino cadeano', forandoli nel
capo con una loro penna, li accoppavano come

Lic.

tortore.
Cagna! se questo vero, Giove allora faccia s

Ajct.

eh io sacrifichi sempre e non plachi mai.


Non mel credi forse tu questo?
Tel credo com giusto eh io sia creduto dagli
altri.
Andiam dentro adunque, mentre si riportano le

Lic.
Ajt .

interiora. Voglio raccontarti ancora una battaglia.


Non importa.
Ascolta.

Aut.
Lic.

s ia

L rc .

Non, non hercle!


A n t.
Jam eldam caput
Tuomj nisi auscultas aut is in malam crucem/
Lrc.Malam crucem ibo potius.
A n t.
Certumne est tibi?
L rc . Certum.
A n t.
Tum tu itjilur die'bono, Aphrodisiis,
Meretricem addice tuam mihi minusculam.
L r c .Ila res divina mihi fuit: res serias
Omnis extollo ex hoc dic in alium diem.
ANT.Profeslos festos habeam decretum est mihi.
Lrc.Nunc hinc eamus inlro. Sequere hac me.
A n t.
Sequor.
In hunc diem jam tuos sum mercenarius.

Lic.
A ht.

No, no per Dio.


Ti sbacceller la testa, se non mi stai ad udire,
o se non vai alla malora.

Lic.

Vo piuttosto alla malora.

Ant .
A nt .

Se, cosi fermo?


Cosi.
Allora in questo buon d, in queste afrodisie, la

Lic.

sciami quella tua putta pi giovane.


Feci il mio sacrificio. Le faccende serie le differisco

Lic.

d oggi ad altro d.
'Aht.

sorte mia eh io faccia festa quando non festa.

Lic.

Ora andiamo in casa: vienimi dietro da questa


banda.

A ut.

Vengo: per tutt oggi sono al tuo soldo.

ACTUS
SCENA

111
1.

ACORSTOCLES, A d I v v .. i I.

A g o A la me d i am eni, lardo am ico nihil est quidquam

inaeqmus,
' Praeserlim homini amanti, qui, quidquid agii, pro

perat omnia:
Sicul ego hos duco advocatos, homines spissigradissumos:
Tardiores quam corbitae sunt in tranquillo mari.
Atque equidem hercle dedita opera amicos fugitavi
senes:
Scibam aetale tardiores: melui meo amori moram.
Nequidquam hos procos mi elegi loripedes, tardissumos.
Quin si ituri hodie estis, ile, aut ile hinc in malam
civcem!
Siccine oportet ire amicos homini amanti operam
datum?
Nam iste quidem gradus subcrelnsl cribro pollinario,
Nisi cum pedicis condidicistis isloc grassari gradu.
AorMeus tu, quamquam nos videmur tibi plebeji et pau
peres,
Si nec recte dicis nobis, dives de summo loco,
Divitem audacter solemus maciare inforlunij
Nec tibi nos obnoxii istuc, quod lu ames aul oderis.
Quom pro capite argentum dedimus, nostrum dedi
mus, non tuom:

ATTO
SCENA

III
I.

A gorastocle , A vvo c a ti .

A go.

C os Dio m ajuti, nulla v ha di pi tristo d un

lento amico, e principalmente ad uno innamorato,il quale in tutto che faccia, sentesi abbruciare
della fretta; siccome ora s ' avviene a me che
conduco questi avvocati, uomini che hanno un
passo da grillo, che son pi tardi d una caracca
in bonaccia. E si che posi ben mente di star
mene lontano da tutti gli amici rantolosi: sapeva
ch'erano pigri per l et, ogni ritardo ho temuto allamor mio. Che mi valgono questi dottori che han
le pastoje a piedi e son lentissimi? E che? se volete
andare oggi, andate, se no battctevela via di qu
sulla forca. Questo l ha da essere il passo degli
amici per ajutare uno innamorato? Voi, in fede
mia, stacciate i passi col crivello della farina, e
per imparar questo modo di andare avete prima
Avv.

avuti i geti ai piedi.


Ehi l: avvegnacch noi ti sembriamo gente bas
sa e povera, se non parli pi diritto con noi,
o
gentiluomo, a faccia franca siam soliti met
tere ne guai anche i pi nobili. N ti vogliamo
essere pi obbligati noi perch tu se gentiluomo e
ricco, o perch tu sia preso d amore o d odio,
atteso ch quando noi pagammo per la nostra
V ojl. I. P la u t .

33

Liberos nos esse oportet: Nos te nihili pendimus:


Ne tu nos amori servos tuo esse addictos censeas.
Liberos homines per urbem modico mage par est
gradu
Jrej servile esse duco festinantem currere.
Praesertim in re populi placida atque interfectis
hostibus
Non decet tumultuari. Sed si properabas magis,
Pridie nos te advocatos huc duxisse oportuit.
Ne tu opinere, haud quisquam hodie nostrum curret
per vias,
Neque nos populus pro cerritis insectabit lapidibus.
Aco. At si ad prandium me in aedem vos dixissem ducerej
Vinceretis cervom cursu ( i 8) vel clavatorem gradu.
Nunc vos quia mihi advocatos dixi et testis ducere.
Podagrosi estis ac vicistis cochleam tarditudine.
A df .A h vero non justa causa est, quo curratur celeriter,
Ubi bibas, edas de alieno, qtiam velis, usque adfatim,
Quod tu invttus nunquam reddas domino, de quid
ederis?
Sed tam quomodocunque, inquam, quamquam su
mus pauperculi,
Est domi, quod edimus: nc nos tam contemtim con
teras.
Quidquid est pauxillulum illuc, nostrum id omncd
intus est,
Neque nos quemquam flagitamus neque nos quisquam
flagitat.
Tua causa nemo nostrorum est suos rupturus
ramices.

testa, tirammo fuori dalla nostra borsa, non dalla


tua. Noi dobbiamo esser liberi: noi di te facciam
l istesso conto come di quel pi che non ab
biamo, acci non ti abbi
per servi diputati al tuo
passo da uom libero,
servo; n spezialmente si

a porre in capo daverci


amore. L andare passa
il correre a furia da
dee far tumulto quando

quieta la citt, e souo messi sotterra i ne


mici. Ma se tu avevi maggior fretta, t era mestieri
chiamarci qua tuoi avvocati un giorno prima. E
perch tu non tei ficchi in cuore, niuno di uoi
vorr darla a gambe per istrada, n il popolo ci
correr dietro co sassi come a gente spiritata.
A go.

Io per

se avessi detto che vavrei dato un buon

desinare a casa mia, a'vreste nella prcscia disgradati


i cervi, e nella gamba i mazzieri. Ma invece per
ch vi dissi desser voi mici avvocati e testimonii,
avete i piedi pieni

di gotta, e vi siete mossi pi

pigri che la lumaca.

Aw.

Ma non forse giusta cagione questa dir di buon


passo in luogo dove tu possa bevere e mangiare iu
tuo grado dell' altrui tanto da cavartene la voglia,
perch non avverr, che tu '1 ricambi a colui alle
cui spalle lavorasti ben di ganasce? Ma nullameno
pur noi, sebbene siamo poverelli, abbastanza ab*
biamo da rosicchiare a casa nostra, perch tu non
abbi in questa forma a metterci sotto i piedi. Chec
ch sia quel nostro pochino, tutto l den
tro, n noi la battiamo ad alcuno, nc alcuno la
batte a noi. Cagion tua, niuno di noi vorr
scoppiar la vescica.

A go. Nimis iracundi estis: equidem haec vobis dixi per


jocum.
A o r.P cr jocum itidem dictum habeto, quae nos tibi re
spondimus.
A

go. Obsecro

hercle, operam celocem hanc m ih i, np co r


bitam date/

Adtrepidate saltem: nam vos adproperare haud po


stulo.
A d?. Si quid tu placide otioseque agere vis, operam damus;
S i properas, cursores meliust te advocatos ducere.
A g o . Scitis ( rem narravi vobis), quod vostra opera mi
opus siet
De lenone hoc, qui me amantem ludificatur tam diu,
Ei paratae ut sint insidiae de auro et de servo meo.
A dt . Omnia istaec scimus jam nos, si hi spectatores sciant.
Ilorunc hic nunc causa haec agitur spectatorum fabula,
Hos te satius est docere, ut, quando agas, quid agas
sciantj
Nos tu ne curassis: scimus rem omnem: quippe omnes
simul
Didicimus tecum una, ut nspondere possimus tibi.
A co. Ita profecto estj sed agite, igitur ut sciam vos sci
re, rem
Expedite, et 'milti, quae vobis dudum dixi, dicite.
A dt .I tane tentas, an sciamus? non meminisse nos ratus.
Quomodo trecentos Philippos Collybisco villico
Dederis, quos deferret huc ad lenonem, inimicum
tuom,
Isque se ut adsimularet peregrinum aliunde ex alio
oppido?
Is ubi tetulerit, tu eo servom quaesitum advenies tuom
Cum pecunia.

Ago.

Vi vien troppo presto la muffa al naso:

io v a-

veva detto queste cose per celia.

Avv.

E per celia fa tu conto sia detto quello che ti


mandammo in risposta.

A go .

Deh, in buonora, ne fatti vostri siate brigantini,


e non caracche;

saltellate almeno, perch io non

voglio pungolarvi davvantaggio.

Avv.

Ago.

Se tu vuoi cosa placidamente e con quiete, noi


siamo tuoi servidori; se hai fretta, meglio saria per
te che ti procacciassi avvocati di gamba lunga.
Lo sapete: (gi ve l ho detto) in che per questo
ruffiano mabbisognate voi, e come egli tanto tem
po ha tolto a balloccare me povero innamorato,

Avv.

e come a lui sieno tese le trappole dell' oro e


del mio servo.
Le sappiamo gi noi queste cose, se anco gli
spettatori le sanno. Per questi spettatori ora si
fa questa commedia, meglio saria dir loro ci che
tu faccia e che imprenda a fare. Tu non pensare
a noi, sappiam tutto, perch noi altri insieme a

Aco.

te abbiamo imparato il modo da poterti rispondere.


Cos la . Su adunque fatemi certo che voi la
sapete, snocciolatemela, e ditemi quelle cose che

Avv.

pur ora vho dette io.


Cos ci tasti eh se la'sappiamo? avvisi tu forse siaci
fuggito di memoria; e come tu abbi dato i tre
cento Filippi al tuo castaido Collibisco da portare
qui a questo ruffiano tuo nemico, e come s infinga
egli d esser forestiero e d altra terra? appena glieli
avr portati, tu andrai col a cercare il tuo servo,
cd il tuo denaro.

Aco.
Meministis memoriter: servastis me.
A dt . Ille negabit: Milphionem quaeri censebit tuom.
Id duplicabit (\) hmini furtum: leno addicetur tibi.
Ad eam rem nos esse testis vis libi.
A go.
,
Tenetis rem.
Anr.Vix quidem hercle ( ita pauxilla est ) digitulis pri
moribus.
Aco.Hoc cito et cursim est agendum. Propera jam , quan
tum potvstf
Anr.Bene vale igitur. Te advocatos melius celeris ducere:
Tardi sumus nos.
A go.
Optume ilisj pessume hercle dicitis.'
Quin etiam deciderint vobis femina in talos velim.
A nr.A l edepol tibi nos in lumbos linguam atque oculos
in solum.
AGO.Hejaj haud vostrum esl3 iracundos esse, quod dixi
joco.
Anr.Nec tuom quidem est, amicis per jocum injuste
loqui.
A go. Mittite istaec. Quid velim vos^ scitis.
Anr.
Callemus probe:
Lenonem ut perjurtim perdas, id studes.
Aco.
Tenetis rem.
Erre opportune egrediuntur Milphio una et villicus.
Basilice exornatus cedit et fabre ad fallaciam.
SCENA
M

il p b io ,

C o h ira is c v s } A

II.

gorjstoclrs >

MiL.Jam tenes praecepta in corde?

A o r o c J T i.

A go.

Non vi siete dimentichi una virgola, voi m avete


risuscitato.

Avv.

Egli porrassi al niego; porter avviso chc si


cerchi il tuo Milfione. Questa cosa addoppier
a quest uomo il furto: il ruffiano sar lasciato in
tue mani: a ci tu ci vuoi testimonii.

A go.

L avete afferrata benissimo.


Appena appena ( la si piccola ) che la portiamo

Avv.
A go.

Avv.

colle punta delle dita.


E per questo abbisogna d avacciare e di correre:
va lesto pi che pupi.
Buon d, trovati avvocati di miglior passo, noi
siam testuggini.

A go.

Andate benissimo, parlate malissimo; anzi vorrei

Avv.

E noi che la lingua ti cascasse ne lombi, c gli oc


chi in terra.

A go.

Cazzicat

Avv.

N da te bistrattare gli amici per ischerzo.

A go.

Finiam le cancie; voi sapete che voglia io.

Avv.

Lo sappiam benissimo: tu desideri la rovina di

che vi crollassero i lombi nelle calcagna.

non

da voi farvcla montar si presto,

p erci che ho detto da burla.

questo marran ruffiano.


A go.

Egregiamente: ecco
Milfione e il

a buon tempo vengon fuori

castaido:

vello vestito come un re,

proprio acconciamente all inganno.

SCENA

II.

M ilfio h e , C ollibisco , A goiistocle , A v vo c a ti .

M il .

Ornai t tutto entrato in zucca?

Co l .

P ulchre.
Vide, stt, calleat.

M il.
CoL.Quid opust verbis? callum

aprugnum callere aeque

non sinamM i l .F oc m odoj ut condocta tibi sivi dicta ad hanc fal


laciam .
C o l . Quin

edepol condoctior tumj quam Tragoedi aut Co


mici.

M i l . Probus homo es.

Adeamus propius. Adsunt testes.


M il.
Tot quidem
Non potuisti adducere homines magis ad hanc rem
idoneos:
Nam istorum nullut nefastustj comitiales sunt merij
Ibi habitantj ibi eos consptciasj quam praetorem,
saepius.
Hodie juris coctiores non sunt, qui litis creent,
Quam sunt hice, qui, si nihil est litis emunt.
A dv.D te perdant!
A go.

il

.'

Vos quidem hercle!

A or.
Quomodo?
Quin* quiqui, tamen
Mil .
Et bene et benigne facitis* quom hero amanti operam
datis.
Sed isti jam sciunt, negoti quid sit?
A go.
Omnem rem ordine.
M i l . Tum vos animum advortile igitur. Hunc vos lenonem
Lycum
Novistis?
A dt.
C ol.

Facile.

A t ego pol eum, qua sit facie, nescio:


Enim volo mihi demonstretis hominem.

Col .

Benissimo.

M il .

Tiello ben fermo in capo.

Col .

Che t ho a dire?

to '

che mi venga duro in testa

pi d un callo di verro.
M il .

Bada che ogni tua parola sia la ben addatlata alla

Col.

So la parte mia meglio che un tragico o un co

tresca.
mico.
Mil .

Tu se un valentuomo.

A go .

Facciamci pi vicino. Qua sono i testimonii.

M il .

Non potevate a questo affare menar

uomini pi

acconci: imperciocch non v ha per costoro giorno


interdetto; essi sono i veri accattabrighe; ne comi
zi^ hanno la casa loro., e li vedrai bazzicar per
col assai pi spesso che il pretore. Oggi non vi son
brodajuoli che creino liti pi di costoro, i quali, se
non v ha liti, le comperano a buoni contanti.

Avv.

Che Dio ti perda

Mil ,

Voi piuttosto

Avv.

Perch?

Mil .

Anzi no, perch qualunque siate voi, pure fate buona


cosa e da valentuomini,

avendo preso a spalleg

giare l innamorato mio padrone. Ma la combibbi a


gi la sanno costoro?
A go.

Tutto appuntino.

M il .

Dunque voi altri volgetevi a me; avete voi cono


sciuto qusto ruflan Lieo?

Avv.

E senza fatica.

Col.

Io per non so che muso egli si abbia, voi me lo


dovete insegnare.

Not curabimus.
Salis praeceptum.
A go.
Hic trecentos numos numeratos habet.
Aor.Ergo nos inspicere oportet istuc aurum, Agorastoclcs,
Ut sciamus, quid dicamus mox pro testimonio.
A go. dgilCj inspicite.
Col.
Aurum est profecto, spectatores, comicum:
Macerato hoc pingues fiunt auro in Barbaria boves;
Ferum ad hanc rem agundam Philippum est.
A dt.

A dv

Ita nos adsimulabimus.

Col . Sed ita adsimuiatote, quasi ego sim pere_. ,Hnus.

Aqy.
Scilicet;
Et quidem, quasi tu nobiscum adveniens hodie ora
veris,
Liberum ut eonmonstraremus libi locum et volup
tarium,
Ubi ames, potei, pergraecere.
M il .
Heu edepol mortalis malosf
A go. Ego enim docui.
M il .

Quis te porro?

Agile, intro abite, Agorastocles:


Ne hic vos mecum conspicetur /eno, neu fallaciae
Praepedimentum obicialur.
M il .
Hic homo sapienter sapii:
Facile quod jubet.
A go.
Abeamus. Sed vos, satis dictum est?
Col .
Abi.
A go. Abeo. Quaeso . . . .
Col.
D i inmortales, quin abis?
A go.
Abeo.
Col.
Sapis.
Sed /ace.
Col .

Avr.

Ci penserem noi. La ci marcia in testa.

A go.

Avv.

A costui furono contate trecento monete.


Ma mestieri, o Agorastocle, che noi lo abbiamo a

A go.

vedere quest oro, affinch possiamo sapere che


cosa dobbiam poscia arrecare in testimonio.
Spicciatevi, guardate.

Col .

Certamente, o spettatori, questo oro comico: con


quest oro macerato si fanno grassi buoi ne paesi
barbari; ma per questa faccenda oro di Filippi.

Avv.

E cosi diremo noi.

Col.

Ma date colore eh io sia forestiero.

Aw.

S; e quasi che oggi in sull arrivo tuo fossi venuto


a pregarci t avessimo a mostrare un luogo libero
e di piacere, ove tu potessi fare all amore, bevere, straviziare.

Mil .

Domin, che schiume!

A go.

Cos ho loro insegnato io.

M il .

E a voi chi?
Su va dentro, e anche voi, Agorastocle, perch
non vi scopra qui il ruffiano, e non si ponga un
contrattempo a questo tranello.

Col .

M il .

L a vede molto avanti quest uomo: state agli o r


dini suoi.

A go.

Andiamo, ma yoi . . . s detto a pezza?

Col.
A go.

Andate.
Vado. Ti prego . . .

Col.

Oh Dei immortali, ehe state ancor qui?

A go.

Yado.

Col.

E ben farete: state zitto.

554

Anr.

Quid est?
Col .
Fora hae fecerunt magnum fiagilium
modo.
A D r . Quid id est flagiti?
Col .

Crepuerunt clare.

Anr.
D i te perduint!
Pone nos recede.
Col.
Fiat.
A dt .
Nos priores ibimus.
Col . Faciuntj scurrae quod consuerunt: pone sese homines
locant.
A go. Illic homo est, qui egreditur, leno.
Col .
Bonus est: nam similis malo est.
Jam ego nunc illi egredienti sanguinem exsugam
procul.
SCENA

III.

L r c v s , A d vo c ati , Co l lf b is c v s .

L rc . Jam ego istuc revortar, miles: convivas volo


Reperire nobis commodos, qui una sient.
Interibi attulerint exta, atque eadem mulieres
Jam ab re divina, credo, adparebunt domi.
Sed quid huc tantum hominum incedunt? ecquidnam
adferunt?
Et illic chlamydatus quisnam est, qui sequitur procul?
A df . Aetoli cives te salutamus, Lyce,
Quamquam salutem ferimus inviti tibi.

L rc . Fortunati omnes sitis, quom certe scio


Nec fore nec Fortunam id situram fieri.

Avv.

Che ?

C ol .

Gran ribaldera ha fatta questa porta.

Avv.

Qual ribalderia?
Brontol forte.
Che Dio t uccida, mettiti dopo noi.

C ol.

Avv.
Avv.

Si faccia.
Noi andremo davanti.

Col.

s costumano anche i buffoni, si Secano gli uo

C ol.

mini di dietro.

Avv.

Quegli che vien fuori il ruffiano.

Col.

Oh buono! che come dir tristo: oggimai a quel


signor che se n esce <jua dalla lunge metterommi
a succiare il sangue.

SCENA
Lieo,
L ic .

III.

A v v o c a t i , C o l l ib is c o .

Fra poco torner qui io, o soldato: voglio che ci


troviamo insieme ad una compagnia che a tavola
ci faccia stare allegri; frattanto porteranno le bu
della, ed avviso che presto si faranno vedere dal
sacrificio anche le donne. Ma perch vengono a

Avv.

questa volta tanti uomini? che novit ci arrecano?


chi colui che vien loro dietro da lungi con
quella soprasberga indosso?
Noi siam cittadini d Etolia, e ti salutiamo, o Lieo,

Lic.

sebbene di non troppo buon cuore, t auguriamo


prosperi d.
Siate voi tutti i bene avventurati, perch so di
certo che voi non lo sarete giammai, e che la for
tuna non sar mai per permetterlo.

A o rjs tic est thesaurus stultis in lngua situs,


Ut quaestui habeant male loqui melioribus.
L rc . Fiam qui nescit, qua deveniat a i mare*
Enm oportet amnem quaerere comi(em sibij
Ego male loquendi vobis nescivi viam:
Nunc vos mihi amnes estis: vos certum est sequi.
Si benedicetis3 vostra vos ripa sequar;
Si maledicetis* vostro gradiar limite.
Anr.Malo benefacere tantumdem est periculum,
Quantum bono malefacere.
L rc .
Qui vero?
A nr.
Scies.
Malo si quid benefacias, beneficium interitj
Bono si quid malefacias* aetatem expetit.
Lrc.Facete dictum! Sed quid istuc ad me attinet?
Jor.Quia nos honoris causa huc ad te venimus,
Quamquam bene volumus leniter lenonibus.
L rc . Si quid boni adportatis* habeo gratiam.
A d t . Bonum de nostro libi nec ferimus ncc damus*
Neque pollicemur, ncque ades volumus datum.
L rc . Credo hercle vobis: ita vostra est benignitas.
Sed quid nunc voltis?
A dk.
Hunc chlamydatum quem vides*
Ei 3Jars iratust.
Col.
Capiti vostro istuc quidem!
Dr. Hunc nunc, Lyce* ad tc diripiendum adducimus.
C ol. Cum praeda hic hodie incedei venator domum:
Canes conpellunt in plagas lepide Lycum.

Ecco il tesoro degli stolti, la lingua: d essa nc


fan guadagno svillaneggiando i galantuomini.
Lic.

Avv.
L ic .

Avv.

Chi non conosce la via che mena al mare, si cerchi


un fiume che lo accompagni. Io non sapeva inse
gnarvi la via del parlar male, e voi adesso mi
siete i fiumi; e voglio seguirvi. Se parlerete bene
verr lunghesso la vostra riva, se male, metter i
piedi dove li mettete voi.
V ha lo stesso rischio s nel far bene ad. un tri
sto che male ad un dabbene.
E come questo?
Lo saprai. Se fai bene ad un tristo nc va per
duto il benefcio; se fai male ad un dabbene, ed egli

Lic.
Avv.

se nc ricorda tanto quanto tira fiato.


Oh le belle parole! e come ponno inferire a me?
Perch vegnamo a farti onore, sebbene ai ruffiani

Lic.

tutto non abbiam dato il cuore.


Se voi m arrecate qualche vantaggio, io ve ne

Avv.

fo grazia.
Noi del nostro n ti portiamo n ti doniamo cosa

Lic.

del mondo, n te ne offeriamo nemmeno, n tanta


voglia sentiamo in corpo di dartene.
Potenzinterral e quanto ve lo erodo: questa la

Avv.

vostra cortesia: ma che volete ora?


Vedi tu costui^ con quella clamide addosso? Marte
in ira con esso lui.

Col.

Questa la piombi sul vostro capo!

Avv.

Noi lo. conduciamo a te, o Lieo, acci 1 abbi a

Col .

piluccare sino alle midolle.


Toma il cacciatore a casa col bottino, i cani bra
vamente fonno balzar Lieo nelle r^ti.

528

L rc . Quis hic est?


Avr.
Nescimus nos istunc quidem, qui siti;
Nisi dudum a mane ad portum uti processimus*
Atque istunc e navi exeuntem oneraria
Fidemus. Adiit ad nos extemplo exiens;
Salutat; respondemus.
Co l .
'
Mortalis malosf
Ut ingrediuntur docte in sycophantiam!
L rc . Quid deinde?
Aor.
Sermonem ibi nobiscum copulat:
Ait, se peregrinum esse, hujus ignarum oppidi;
Locum sibi velle liberum praeberier,
Ubi nequam faciat. Nos hominem ad te ad
duximus
Tu, si te di amant, agere luam rem occasio est.
L rc . Itane ille est cupiens?
A dt .
Aurum habet.
L rc .
Praeda haec mea estt
A dt . Potare, amare volt.
L rc .
Locum lepidum dabo.
A or.A t enim hic clam, furtim, esse volt: ne qui sciant,
Neve arbiter sit: nam hic latro in Sparta fuit,
Ut quidem ipse nobis dixit, apud regem Attalum;
Inde nunc aufugit, quoniam capitur oppidum.
Col . Nimis lepide de latrone, de Sparta optume/
L rc . Di deaeque vobis mulla bona dent, quom mihi
Et bene praecipitis et bonam praedam datis!
ADF.lmo, ipse Ut nobis dixit, quo adeures magis,
Trecentos tiumos Philippos portat praesidi.

m
Lic.
Avv.

Chi costui?
Per verit noi non sappiamo chi egli sia se non
dalla mattina doggi, ch andati al porto, vediamo
costui uscire da una galea. Tosto ci s para di
nanzi, ci saluta, noi rispondiamo a lui.

Col.

Ve che ribaldi t con che furberia san tessere la

Lic.

ragna!
E che ne avvenne?

Avv.

Ivi egli s acconta con esso noi; dice d esser fore


stiero, non pratico di questa terra, ch voleva un
luogo libero per fare alto e basso come meglio gli
frullasse. Noi labbiamo condotto quest uomo a te.
Tu, se non se' in odio agli dei, puoi fare buon
colpo ora che in mano t balzata la palla.

Lic.
Avv.

E se nc sente cos affamato?


Ed ha quattrini.

Lic.
Avv.

Quest uccello nel carnicro.


Vuol bere, vuol amoreggiare.

Lic.
Avv.

L o allogher bene.

Ma qui vuol starsene appiattato, acci niuno lo


sappia gli o faccia il soffione; conciossiacch egli fu
ladro in

Sparta; e cotne egli stesso ci disse,

presso il re Attalo, e di l ei ripar qui, perch


Col.

la citt in sull esser presa.


Non nc voleva tanto del ladro, di Sparta ottima

Lic.

mente.
Gli dei e le dee vi ricolmino di fortuna, indettan
domi voi cosi bene e portandomi s buon pippione,

Avv.

Anzi conforme ci cont egli stesso, perch tu abbi


a pigliare di lui maggior cura, tiene allato un tre
cento Filippi.
V o l.

I. P lai 't ,

34

L i c.Jlex sinn* si ego illune hodie ad me hominem


adlexerof
J o r. Quin hic quidem tuos est.
L rc.
Obsecro hercle} horiamini,
Ut devortalur ad me in hospitium oplumum.
JDr.Neque nos hortari neque dehortari decet
Hominem peregrinum: tuam rem tu ages* ti sapis..
Nos tibi palumbem ad aream usque adduximus:
Nunc te illum melius capere, si captum esse vis.
L rc . Jamne ilis?
Col .
Quid* quod vobis mandavi hospites?
Aor.Cum ilfoc te meliut rem luam, adulescens* loqui:
Illic est ad istas res probusy quas quaeritas.
Co l . Fidere equidem vos vellem, quom huic aurum
darem.
Dr. Illinc procul nos istuc inspectabimus.
Coh.Bonam dedistis operam mihi.
L rc.
It ad me lucrum.
Col . Illuc quidem, quorsum asinus caedit calcibus.
L rc . Blande conpellabo hominem. Hospes hospitem.
Salutat. Salvom te advenire gaudeo.
Col. Multa libi di dent bona, quom me salvom esse
vis.
L rc . Hospitium te ajunt quaeritare.
Col .

Quatrito.

L rc . Ita illi dixerunt, qui hinc a me abierunt modo*


Te quaeritare a muscis.
Col.

L rc . Quid ita?

Minume gentium.

Lic.

Sono nn re, se arrivo oggi a carrucolarlo in casa


mia.

Avv.

Diamine egli gi tuo.

L ic.

Deh fategli animo in vostra buon ora a venire in


casa mia, ove sar il ben servito.

Avv.

Non punto da noi confortare o sconfortare uno


straniero: tu se hai capo d ricapito alle te fac
cende: noi t abbiam condotto il colombo nel paretajo: or piglialo tu quest uccellacelo, se poscia
T uccellato vuoi esser tu.

C ol .

Lia

E gi ve ne andate?
E che, di quel che v' ho detto, o ospiti ?

Avv.

Meglio saria, quel giovane, voi vi accordassi con

Go l .

cercate voi
Vorrei che m aveste a vedere, quando metto l oro

colui: egli l ' uomo acconcio a

que' fatti ehe

in sue mani.
Avv.

Guatercm da lungi

Gol.

Voi mi teneste assai bene il sacco.

Lic.

Il guadagno viene alla volta mia.

Col.

Da che parte e tira calci questo ciuco?


Lo chiamer amorevolmente quest uomo. Un o-

Lia

spRc saluta laltro; mi rallegro che ci siate capitato


sano.
Col.

Dio t avvautaggi di mille beni, volendomi tu salvo.

Lia

Dicono che andate cercando alloggio.

Col .

Cerco.

Lic.

E dissero quelli, che andarono test, ch il volevate


lungi dalle mosche.

Col .

N o certo.

Lia

Pereh?

Col.

Quia a muscis si m i hospitium quaererem,


Adveniens irem in carcerem recta via.

Ego id quaero hospitium, ubi ego curer mollius,


Quam regi Aniiochod oculi curari solent.
L rc . Edepol nae tibi possum illum festivom dare.
Siquidem pali poles esse in lepido loco,
In lecto lepide strato lepidam mulierem
Conplexum contractared . . . .
Col.
Is, leno, viam.
L rc . Ubi lu Leucadio, Coo, Thasio, Ijesbio,
Veluslate vino edentulo aetatem inriges:
Ibi te replebo usque unguentum echeumatis. (18)
Quid multa verba? Faciam, ubi tu laveris,
Ibi balneator faciat unguentariam.
Sed haec latrocinantur, quae ego dixi, omnia.
C o l . Quid ita?

L rc .

Quia aurum poscunt praesentarium.


C o l . Quin hercle accipere tu non tnavis, quam ego dare.
A d i . Quid, si evocemus huc foras Agorastoclem,
Ut ipse testis sit sibi certissumus?
Heus tu, qui furem captas, egredere ocntSj
Ut tute inspectes aurum lenoni dare.
SCENA

ir.

A goxastoclk s , A n r oc ATI, CoLLrjtiscvSj L r c v s .

Acn.Quid'esi? quid voltis, testes?


A or.
Specta ad dexteram.
Tuos servos aurum ipsi lenoni datat.

C ol .

Perch se il volessi lungi dalle mosche, appena


messo pi in terra correrei ditilatamente in carcere:
ma io mi cerco un alloggio, dove possa curar me
glio la pelle mia di quello che si curino gli occhi

Lic.

del re Antioco.
Potenzinterra! s eh io posso darvelo assai buono,
se pure pu bastarvi la vista di stare in piacevol
luogo, in un letto ben spiumacciato, presso un

C ol .
Lic.

gentil musino . . .
Se g i in via, ruffiano.
Dove .rinverdirete gli anni nel vin di Leucade, di
Lesbo, di Tasio, di Coo che per la vecchiezza ha
gi persi i denti: io vi riempir fin sopra il capo
di mille essenze; che volete voi altro? far chc
lo stufajuolo cambi il bagno in una profumeria,
ma tutta la cuccagna che vi ito detto non sf gode
a macca.

C ol .
Lic.

E chc vuoi dire?


Che ci voglion denari sonanti.

C ol .

Se tu che non mostri tanta voglia


quanta io di darteli.

d averli

Avv.

E chc, se noi chiamiamo fuori Agorastocle acci


egU stesso sia testimonio co suoi occhi? Ehi, Agorastoclc, se vuoi cogliere il ladro, vien subito fuori,
vedilo tu stesso gittar l oro al rUffiauo.
SCENA

IV/

A g o r a s j o c l e , A v v o c a t i , C o l l ib is c o ,

A go .
Avv.

Lieo.

Che questo? che volete, o testimonii?


Volgili a destra. Ve, ci di il tuo servo 1 oro al
ruffiano.

C o l . Age,

accipe hoc, sis. Hic tutti numerali aurei


Trecenti numi, qui vocantur Philippei.
JBinc me procura. Prepere hotce absumi voto*
Lrc.Edepol fecisti prodigum promum tibi.
Age, eamus intro.
C ol.
Te sequor.
L rc .
Age, age, ambula;
Ibi, quae reliqua, alta fabulabimur.
C o l . Eadem narrabo tibi re Spartiaticas.
L rc . Quin sequere me ergo.
C ol.
Abduc intro: addictum tette.
A go . Quid nunc mi audore esti?
A or.
Ut frugi sies.
Aco. Quid, si animus esse non sinit?
A dt .
Esto, ut sinit.
A go . Fidistis, iene quom aurum accepit?
. A o r.
Fidimus.
A go.Eum vos meurtt esse servom scitis?
Ad t .
,
Scivimus.
AGO.Rem advorsus populi semper leges?
A dt.
Scivimus.
A go.Hem, istaec volo ergo vos conmeminisse omnia
Mox, quom ad praetorem usus veniet.
A dt .
Meminimus.
A go. Quid, si recenti re aedis pultem?
A dt .
Censeo.
A go. Si pultem, non recludet.
A dt.
Panem frangito.
A go.Si exierit leno, censen'hominem interrogem. .
Meus servos si ad eum venit, necne
.

Col.

Su adunque prendili, se li vuoi. Qua vi son nove


rate trecento monete d' oro che si chiamano Filip
pi: trattami secondo lo scotto, ch dessi vospazzarmcne in fretta.

Lic.

Canovajo ben spendente m avete fatto voi: su andiam dentro.

C ol .

Ti seguo.

Lic.

Presto, presto spicciatevi, ivi palleremo del resto.

C ol .
Lic.

E ti racconter le mie valenterie di Sparta.


Dentro adunque.

Col.
Ago.
Avv.

Conducimi in casa: oggi mi ti son venduto.


Adesso che avviso mi date voi?
Che tu faccia senno.

A go .

E se 1 animo non mi supplisce?


Fa che ti supplisca.

Avv.
Ago.

Vedeste il ruffiano a ricever 1 oro?

AVv.

Vedemmo.
Sapete che colui e mio servo?

A go .
Avv.

A go .

Sappiamo.
E sempre la repubblica contro le leggi

del po

polo?
Avv.

A go .

Sappiamo.
Ma voglio che lo abbiate ben fermo, quando sar

mestieri parlare al pretore.


Avv.
Ago.

Avv.

Lo avremo.
E che se intanto eh' fresca la cosa batto la porta?
Cos penso anch' io.

A go.

Se picchio, io fo polenta.

Avv.
Ago.

Rompi un pane.
E se vien fuori quel porta polli, avete per buono
voi eh io lo interroghi, se venne a lui un mio
servo, o se . . . .

A o r.
Quippini?
A go. Cum auri ducentit nutnis Philippis?
A dv .
Quippini?
A go. Ibi extemplo leno errabit.
A dv .
Qmo de re?
J co .
Rogas?
Quia centum numis minus dicetur.
A dv.
Bene putas.
A go. Alium censebit quaeritari.
A dv.
Scilicet,
A go. Extemplo denegabit.
A dv .
Juratus quidem.
Aco. Horna, furti tese adstringet. . . .
A dv.
Haud dubium id quidem.
A g o . Quantumquantum

A dv.

ad eum erit delatum.


Quippini?

A go . Diespiter

vos perduitt ,
A dy .
Te. Quippini.
A go. Ibo et pultabo januam hanc.
A dv.
Ita- Quippini.
A go . Tacendi tempus est: nam crepuerunt fores.
Foras egredier video lenonem Lijcum.
Adeste, quaeso!
A dt .
Quippini? Sed, si voles,
Operire capita, ne nos leno noverit,
Qui illi malae re tantae fuimus inlices.

SCENA

r.

L r c v s , A g o u j s t o c l e Sj A d v o c a t i .

L rc . Suspendant omnes nun jam te harutpicesl

Avr.

Perch no?

A go .

Con ducento Filippi d oro?


Perch no?

Avv.

A go .

Ed ivi il ruffiano intopper nel primo legno.

Avv.

Come?

A go .
Avv.
A go .

Dimandasi? perch si diranno cento monete meno.


Ben trovata.
Creder che si parli d un altro.

A va.

Vero.

Ago.

Negher subito.

Avv.

E giurer se occorre.
E appiccherassi il furto al collo.
E tutti lo vedranno.

A go .
Avv.

A go .

E tutto quanto sar passato sue mani.

Avv.

E perch no?

A go .

Grami che Dio vi faccia.


Te piuttosto.

Avv.

A go .

Andr e picchicr questa porta.

Avv.

Cosi: certo.

A go .

ornai tempo di finirla: s tocca la porta: veggo


venir fuori questo ruffian di Lieo.
state attenti.

Avv.

Deh adesso

Staremo. Ma, se vuoi, imbavagliaci il

capo af

finch il ruffian.o non abbia a conoscerci, sendogli


stali pungolo a tanta disgrazia.
SCENA

V.

Lieo, A corstocle , A vvocati .


L ic.

Vadano ornai ad impiccarsi tutti gli aruspici! e

Quid ego illis posthac, quod loquantur, creditam,


Qui in re divina dudrnn dicebant mihi
Malum damtiumque marumum portendier?
Is explicavi meam rem postilla lucro,
deo.Salvos sis, lena.
L rc.

D i tc ament, Agorastocles.

deo. Magis me benigne nunc salutas, quam antidhac.


L rc . Tranquillitas evenit, quasi navi in mari.
Utcunque est ventus, exiii velum vortitur.
u4co.Vah.ant apud te, quos volo, atque haud te volo.
Lrc.Valent, ut postulatum est, verum non tibi.
Aoo.Mille ad me, si audes, hodie Adelphasium tuam.
Dic festo celebn nobilique, Aphrodisiis.
L rc . Calidum prandisti prandium hodie? dic mihi.
Aco. Quid jam?
L rc.

Quia os nunc frigefactas, quom rogas.

Aco. Hoc age, sis, ieno: servom esse audivi meum


Apud te.
L rc .

Apud me? nunquam factum reperiet.

AGo.Mentire: nam ad te venit aurumque attulit.


Ita mihi renunciatum est, quibus credo salis.
L rc . Malus es: captatum me advenis 'cum testibus.
Tuorum apud me nemo est nec quidquam lui.
Aco.Mementote illuc, Advocati.
A dt .

Meminimus.

L r c .U i ha 'he, jam teneo, quid sitj perspexi modo.

cbe deggio io creder loro da oggi in poi? essi, non


ha molto, mentre io sacrificava, mi diceano pur
le triste cose, una rovina, un flagello: e dopo ci
mi son tratto d imbroglio con un buon guadagno.
A go.

Buon d, ruffiano.

Lic.

Che Dio t aiuti, Agorastocle.

Ago.

Or tu mi saluti con m aggior cortesia di prima.

Lic.

Venne la bonaccia come ad una nave in mare,


qualunque vento soffii, si sa cambiar la vela.

A go.

Ben venga in casa tua a quelli eh* io voglio, a te


non altrettanto.

L ic.

E ben loro ci venne come bai detto, ma non per


te.

A go .

Oggi, se non se'sordo, manda atne la tua Adelfasio,

Lic.

in questo solenne e bel giorno delle Afrodisic.


Fu caldo il tuo pranzo d oggi? dillomi.

A go .
Lic.

Perch?
Perch sofli freddo quando tu parli.

A go.

Attendi qua, o ruffiano, ho sentito essere un mio


servo in casa tua.

Lic.

In casa mia? ci non sar mai.

A go.

Favole, imperciocch ei venne a

te

e ti port

dell oro: 'cosi mi venne riferito da coloro, a cui


ho bastevol fede.

Lic.

Tu se un ribaldo, tu vieni co* testimonii per iscoc-


carmi qualche rete addosso, niuno de tuoi presso
di me, n alcuna cosa tua.

A go .

Avvocati il ricordate voi?

Aw.

Ricordaci.

Lk .

Ah! ah, eh! l'ho capita la taccola, lho veduta. Co-

Hi, qui illue dudum tonciliaverunt mihi


Peregrinum Spartanum, id nunc his cerebrum
uritur,
Me esse hos trecentos Philippos faclurtim lucri:
Nunc hunc inimicum quia esse sciverunt mihi,
Eum adlegarunt, suom qui servom diceret
Cum auro esse apud me. Conposita est fallacia,
Ut eo me privent atque iifler se dividant.
Lupo agnum eripere postulant. Nugas agunt.
Aco.Negasne, apud te esse aurum nec servom meum?
L rc. Negoj et negando, si quid refert, ravio.
/tDr.Peristi, leno, nam iste est hujus villicus.
Quem tibi nos esse Spartiatem diximtis.
Qui ad te trecentos modo Philippos detultij
Idque adeo in istoc aurum inest marsupio.
Lyc.Fae vostrae aetatidl
A dt .
Id quidem in, mundo est tuae.
A go.-Age, omitte actutum, furcifer, marsupium!
3Ianufesto fur es mihi. Quaeso hercle, operam
date,
Dum me videatis sen'om ab hoc abducere.
Lrc.Nunc pol ego perii cerio, haud arbitrario!
Consulto hoc factum est,.mihi ut insidiae fierent.
Sed quid ego dubito fugere hinc in malam crucem,
Priusquam obtorto collo ad praetorem trahor?
Eheu! quamde ego habui hariolos haruspices,
Qui si quid bene promittunt, pro spisso evenit;
Id quod mali promittunt, praesentarium est.
Nunc ibo: amicos consulam, qtto me modo
Suspendere aequom censeant polissumtim.

storo che non ha guari mamicarono quel forestie


ro spartano, or sentono dolersi il capo perch sanno
che ci vado a guadagnare un trecento grassi Fi
lippi. Veadesso perch seppero tutto il male che mi
vuoi questo corbo, l hanno imbecherato a cantare
eh io avessi in casa mia un suo servo con dell oro.
La ragna fatta d inteso per magnarmelo e par
tirselo tra loro: cavar la pecora dall ugne dei
lupo; sogni.
Aco.

E tu dici che non in casa tua il denaro col

Lic.

mio servo?
Il nego, e se bisogna il negher finch ho fiato.

Avv.

Tu sefritto, o ruffiano, imperciocch questi che noi


ti davamo per spartano il fattore di costui. Egli
ti port pur ora trecento Filippi e le monete lhai

Lic.

qui raggruzzolate in questo borsotto.


Tristo alla vita tua.

Avv.

Alla tua chc la pi trista del mondo.

Ago.

Presto, o manigoldo, lascia questa borsa: tu se la


dro manifesto: deh aiutatemi voi intanto che mi
vedrete

Lic.

snidar via il servo dalla casa di costui.

Or si per Dio che son sconfitto e senza rimedio. Que


sto fatto a posta per tirarmi in trappola. Ma che,
sto in ponte io di scapparmene alla malora, anzi
chc venga tratto pel collo davanti il pretore? Ahi
m come ogni cosa m hanno indovinata gli aru
spici, i quali se danno qualche buona novella, la
si avvera si di rarol ma togli, perch m han pro
fetato il male m subito .caduto fra capo e collo.
Ora andr c piglier consiglio dagli amici del mo
do come possa meglio fare un penzolo.

AgOXJSTOCLES, CoLLY B1SCVS, A v ro c jn .

A go. 4ge tu, progredere: ut testes videanl te ire istinc foras,


Esine servos hic meus?
Col.
Sum mehercle vero, Agoraslocles.
A go. Quid nunc, sceleste leno?
A dv .
Quicum litigas,
Abscessit.
A go.
Utinam hinc abierit malam crucem/
ADr.Ita nos velle aequom est.
Ago.
Cras subscribam homini dicam .
CoL.Numquid me . . . ?

A go.
Abscedas; sumas ornatum tuom.
CoL.Non sum nequidquam miles factus: paululum
Praedae intus feci, dum lenonis familia
Dormitat: extis sum satur factui probe.
Abscedam hinc intro. .
A go.
Factum a vobis comiter.
Bonam dedistis, advocati, operam mihi.
Cras mane, quaeso, in comitio estote obviam.
Tu sequere me intro, ros valete.
A dt .
Et tu vale.
Injuriam illic insignite postulat:
Nostro servire nos sibi censet cibo.
Ferum ita sunt omnes isti nostri divites:
Si quid bene facias, levior pluma est gratias
Si quid peccatum est, plumbeas iras gerunt.
Domos abeamus nostras, suitis, nunc tam:
Quando M, quoi re operam dedimus, inpetravimus,
Ut perderemus conruptorem civium.

Agobastocle , C ollibisco , A v vo cati .

A go.

Animo, escine

di qui, perch ti veggano i testi

monii, e non questo il mio servo?


C ol.

Aff di Dio che tal mi sono, o Agoraslocle.

A go.

Che di tu, assassin ruffiano?

Avv.

Colui, col quale tu se* a capelli, se 1 ha fatta.

Ago.

Piacesse a Dio ei fosse ito sulla forca.


Cos vorremmo anche noi.

Avv.
Ago.

Domani porr causa contro di lui.

Col.

E di me . . . ?
Vattene, e vestiti de tuoi panni.

Ago.

Col.

Non fui soldato da burla: ho fatto l dentro un


po di bottino, mentre la famiglia del ruffiano se
la sonnecchia, io mi cavai la voglia di busecchie.
Andr qua dentro.

Ago.

Voi vi siete condotti da valentuomini, o avvocati:


m avete proprio dato assai buona spalla. Ddthan
mattina venitemi incontro ne comizii: tu seguimi
in casa: addio voi altri.

Aw.

Addio. Ei vuole proprio da noi unaperta ingiusti


ziar e vuol servitori noi che mangiamo del nostro.
Ma questi nostri ricchi sono tutti cos: fa loro del
bene che tosto se ne dimenticano, torci loro un
capello ette se ne ricordano tutta la vita. Andi'anne
ornai, se vi garba, a casa nostra: dappoich abbiamo
spuntato il chiodo, di mandare al diavolo questa
peste de cittadini.

ir.

ACTUS
SCENA

I.

M il p h io .

Expecto, quo paclo meae technae processurae sient.


Slttdeo hunc lenonem perdere: vel meum herum miscrum macerai;Is me aulem porro verberat , incursat pugnis
calcibus.
Servire amanti miseria est, praesertim qui, quod
amat, caret.
Attat, e fano recipere video se Syncerastum
Lenonis servom. Quid habeat sermonis, auscultabo.
SCENA

II.

S y n c e iu s t u s , M il p h io .
S y n . Salis spectatum est, deos atque homines ejus negle
gere gratiam ,

Quoi homini est herus consimilis, velut ego habeo


hunc hujusmodi.
Neque perjurior neque pejor alter usquam est gentium,
Quam herus meus est, neque tam luteus neque tam
coeno conlitus.
Ita me di ament, vel in lautumiis, vel in pistrino
velim aeta
tem agere, praepeditus latera forti ferro, quamde apud

ATTO
SCENA

IV
I.

M ilf io n e .

Aspetto come vadano a finire le mie ragie, mi sento


morire dalla voglia d assassinare questo ruffiano,
conforme egli assassina quello sgraziato di mio
padrone, il quale mi mazzica di maladctto senuo,
e m sempre addosso con pugna e calci. Il ser
vire ad uno innamoralo una miseria, principal
mente s ei non ha 1 oggetto dell amor suo, Oh
ve qui Sincerasto servo del ruffiano che ritorna
dal tempio! star in orecchi ad udire di che egli
si parli.
SCENA

II.

S incerasto , M ilf io n e .

Sin.

cosa gi vecchia che gli dei e gli uomini si met


tono dopo le spalle ogni favore che loro si faccia
da un uomo il quale abbia un padrone simigliatile
a quello in cui sono imbattuto io. In niun paese
v un marrano o un ribaldo pi del mio padro
ne, ne v ha persona che sia cosi sozzq e cos im
brattata di fango. Piacesse a Dio! come m accon
cerei meglio in una latomia, o in qualche macina
v

stretto i fianchi di grossissimi ferri, piuttosto chesV o l. I. P la .l t .

35

Hunc lenonem servitutem colere. Quod illuc est genus/


Quae illic hominum conruptclae fiunt! Di vostram
fidem/
Quodvis gemis ibi hominum videas, quasi Achcruntem veneris;
Equitem, peditem, libertinum, furem an fugitivom
velis.
Verberatum, vinctum, addictum. Qtii habet, quod
det, utut homo est,
Omnia genera recipiuntur: itaque in totis aedibus
Tenebrae, latebrae; bibitur, estur, quasi in popina,
haud secus.
Ibi tu videas literatas fictilis epistolas,
Pice signatasj nomina insunt cubitum longis literis:
Ita vinariorum habemus nostrae delectum domi.
i l . Omnia edepol mira sunt, nisiherus hunc heredem facit:
Nam is quidem illi, uti meditatur, verba facit ecmortuo.
Et adire lubet hominem, et autem nimis eum au
sculto lubens.

SrN.Haec quom hic

video fieri,

crucior: pretiis emtos

maxumis
Apud nos expeculiatos servos fieri suis heris.
Sed ad postremum nihil adparet: male parium male
disperit.
M i l . Proinde orationem habet, quasi ipse sit frugi bonae,
Qui ipsus hercle ignaviorem polis est facere ignaviam.
Sy?r.Nunc domum haec ab aede Veneris refero vasa,
ubi hostiis
Herus nequivit propitiare Venerem suo festo die.
MrL. Lepidam Venerem!
Srrr.
Nam meretrices nostrae primis hostiis
Venerem placavere extemplo.

-sere servo a questo ruffiano. Che tregenda in


casa nostra! Che
le di Dio! tu l,
vedresti di tutte
ria, scavezzacolli,

postriboli vi si fanno! Oh per la


come se fossi all Acheronte, nc
le generazioni., cavalleria, fante
ladri, fuggiaschi, dogni feccia che

tu voglia, frustati, guidoni, fallili. Chi n ha da vie


tarne lo si ricoglie, qualunque faccia egli si abbia;
e cos tutta la casa altro non chc tenebre e
buchi; si trinca e si magna non altramenti chc se
fosse una taverna: ivi tu vedresti pistolotti di terra
cotta scritti, sigillati colla pece, e che hanno sopra
il nome a lettere cubitali: noi abbiamo in casa no
stra il fior d ogni cantina.
Mil.

Casco proprio gi danugoli, se il padrone non lo


fa crede; perciocch queste cose ch egli ora va
mulinando,- e proprio le conta ad un morto. Piaccmi affrontarlo quest'uomo, eppur anche assai ine la

Si*.

godo in raccatarne i bioccoli.


Queste cose quando qui le veggo, ine ne sento pas
sare il cuore; che i servi comperi a s gran prezzo
in questo paese sieno cos scorticati dai padroni.
Ma alla fine egli fa il civanzo di mona Ciondoline,
la farina del diavolo va tutta in crusca.

M il .

Diaciue costui ha il cervello

nella lingua e pare

un valent uomo; ma e non sa uscir di bufalo ed


s lento da disgraziarne la stessa pigrizia.

Sin.

Ora porto a casa questi vasi dal tempio di Vene


re, dove, sebben fosse il d della sua festa, il pa
drone non ha potuto placarla.

Mil .

Sis.

Ben fatto, o Venere!


E quelle nostre sgualdrinelle sul principiar del sa
crifizio, subito subito se la fecero propizia.

O lepidam Fenerem dentio!

M il .

Srif. Nunc domum ibo.


Heus, Synceraste!
Srif.
Syncerastum qui vocat?
M i l . Tuos amicus.
M yl.

S rif.

Haud amice facis, qui cum onere obfers moratn.

M i l . At ob hdnc rem

libi reddam operam ,

ubi voles,

ubi jusseris.

Habe rem paclam.


Srif.
Si futurum est, do libi operam hanc.
M il .
Quo modo?
Srif. Ut enim3 ubi mihi vapulandum est, tuie corium subferas.
M i l . Apage.

S yn .
M il .

Nescio, quid viri sis.


Malus sum.

Srif.
Tibi sis.
M il .
Te volo.
Srif. At onus urget.
M il .
At tu adpoite, et respice ad me.
Srif.
FecerOj
Quamquam haud otium est.
M il .
Salvos #t, Sinceraste.
Srif.
0 Milphioj
D i omnes deaeque ament. ..
M il .
Quemnam hominem?
Srif.
Nec le nec me, Milphio,
Neque herum meum adeo.
M il .
Quem ament igitur, Synceraste?
S yn.
Alium quidem:
Nam nostrorum nemo dignusl.

M il .

Viva, e viva Venere!

Sin .

Ora andr a casa.

M il.

Ehi Sincerasto!

Sin .

Chi vuol Sincerasto?

M il .

Un tuo amico.

S in.

Tuttaltro tu mi se che amico, occupandomi la via


con questo peso sulle spalle.

Mil .

Ma te ne dar merito dove tu il vuoi,

dove me-

l ordini. Restiam cos daccordo.


Sin . '

Se ti verr d uopo, io ti do questo ajuto.

M il .

In che modo?

Sin.

Che quando dovr essere bastonato io, tu ci met

Mi l .

Vattene.

ta sotto le reni.
Sin .

I o non so bene razza d* uomo che tu sia.

Mil .

Sono un tristo.

Sin .

Peggio per te.

M il .

Tu m abbisogni.

Sin .

Il carico mi ammazza.

M il .

Mettilo m terra e bada a me.

Sin .

L o far, sebben non abbia tempo

M il.

D ciel ti prosperi, o Sincerasto.

Sin.

0 Milfione, Dio aiuti . . .


Chi?

da pigliarmela

consolata.

M il.

Sin.

N te, n me, nemmeno il mio padrone, o Milfione.

M il.

Chi adunque?

Sm.

Quello che pi gli piace, imperciocch sei merita


niua di noi.

Lepide loquere.
Me decel.

M il .

iVj v.
M iL .Q u id agis?

iSyn .

Facioj quod manufesto macchi hic haud


ferme solent.
M il . Quid id. esi?
Syx.
Refero vasa salva.
M

il

D i te el tuom herum perduint/

S y x .M e non perdent,

illum ut perdantj facere possim,

si velim,
Meum herum ut perdant, ni mihi metuam, Milphio.
M il .
Quid id est? cedo.
S rx. Malus es?
M

il

Malus sum.

Syx.
M il .

Male mihid est.


Memoradutn: esse aliter decet.
Quid id est, quod male sil, quoi domi sit, quod edis,
quod ames adfalim?
Ncque triobolum ullum amicae das, sed ductas gratiis,
S y x . Diespiter me sic amabit . . .
M il .

U t quidem edepol dignus es.

S v iv .U l ego hanc fam ilia m interire cupio/


il .
Adde operam, si cupis.
S y x . Sine pennis volare haud facile est: meae alae pen
nas non habent.
Mi-r,. Nolito edepol devellisse: jam his duobus mensibus
Volucres alae tibi erunt hircinae.
Srif.
I in malam rem/
M il .
J tu atque herusr
SrN.Fcrtim enim qui bene cum novit,, cito homo per-

v o rli potest.

M il .

Parii allegro.

Sin .

S mi conviene.

M il .

Clic fai?

Sin .

Ci clic corampopolo non usano i fornicatorelli di


questa citl.

Sin.

E clic questo?
Vengo coi vasi salvi.

M il .

Dio faccia diserto tc ed il tuo padrone!

M il .

Sin .

Me no certo, che lo facciano lui, lo potrei a mia


posta, e clic lo sconfiggano

daddovvero:

proprio

lo potrei, o Milfione, se non temessi per me.


Mil .

Come? sciframelo.

Sin .

Se un tristo tu?

M il .

Sono un tristo.

Sin .

Ed io sto male assai.

M il .

Dillomi: ma la sar altramente

che hai per

istar

male tu? tu mangi e trinchi del migliore, e tutto


' a

crepapelle, tu non iscoccoli un centesimo per

1 amica, ma tutto godi a ufo.


Sin .

Tanto bene mi desse Giove . . .

M il .

Come proprio ne se degno.

Su.

Coni io vorrei spiantare questa famiglia!

M il .

Su dunque, mano a ferri.

Sin .

Senza penne non si vola: soiio spennate le mie ali.

M il .

Non fartele per strappare, da qui a due mesi le


avrai di becco e ben forti.

Sin .

Va sulla forca.

M il .

Va tu od il tuo padrone.

S in .

Ma chi ben lo

avesse a

conoscere

trebbe scassinarlo ad un tratto.

a panni, po

552
M

il

. Quid jam?

Srn.
M il .

Quasi In tacere quidqnam polis sis.


Reclius
Tacilas tibi res sistam, quam quod dietimi est mu
tae
mulieri.

Srif.Animum inducam facile, ut credam istuc tibij ni


te noverim.
M il . Crede audacter meo periclo.
Srir.
Male credam et credam tamen.
MiL.Sciri tu, herum tuom meo hero esse inimicum ca
pitalem . . . .
S r if .

S c io .

M iL .P ro p te r am orem ?

Srif.

Omnem operam perdis.

M il .

Quid ja m ?

SrN.

Quia doctum doces.

M i l . Quid ergo dubitas, quin lubenter tuo hero meus, quod

possiet
Facere, faciat male, ejus merito? Tum autem, si
quid tu adjuvas.
Eo facilius facere poterit.
A t ego hoc metuoj M ilp h io . . . .

S r if .

M i l . Quid est, quod metuas?

S rif.

Dum hero insidias paritem, ne ante perduar.


Si herus meus med esse loculum quoiquam mortali
sciat,
Contiuuo is me ex Syncerasto Crurifragium fecerit.
M i l . Nunquam edepol mortalis quisquam fiet e me certior,
Nisi hero uni meo indicassoj atque ei quoque, ut
ne enuntiet
Esse id facinus ex ted ortum.

M il .

E come?

Sin .

Quasi tu potessi serbar secreto.

M il /

E serrata in me la terr questa faccenda ben pi


che se 1 avessi a dire ad una donna muta.

Sin.

Me la beverei a tutt agio se non ti conoscessi


mal erba.

M il .

Dillo a sicurt, ci va la mia pelle.

Sin .

Nella tua sicurt ho poca credenza, tuttavia

cl

creder.
M il .

Saprai che il tuo padrone mortai

nemico

del

mio...
Sin .

Lo so.

Mil .

Per amore?

Sin .

Perdi il tempo.

M il .

Perch?

Sin .

Perch vuoi menare a ber 1' oche;

M il .

E che? ti tentenna forse in capo che di buon cuore

al tuo padrone non faccia il mio tutto il peggio


che possa, e che non glielo faccia meritamente?
Se tu ci dai punto di spalla allora pi facilmente
si far la pasta.
Sin .

Ma io ho paura di questo, o Milfione.

Mil .

Di che?

Sol

Di dare in trappola senza assaporare il- cacio. Se


il mio padrone arriva ad aver fumo eh Lo n ho
fatta parola ad anima viva, e' mi cambia da Sin
cerasto in Gamberotte.

M il .

Anima viva, e te ne do la fede mia, tranne il pa


dron mio, da me ne sapr nulla: ed anche a lui
dir, che non isbordelli come questa cosa la sia
venuta da te.

Si n .
Male credam et credam tamen.
Sed tu fecum hoc tacitum habelo.
Mil .
Fide non melius creditur.
Loquere ( locus occasioque est) libere: hic soli sumus.
SrN. Herus si tuos volet facere frugi, meum herum perdet.
M il.
Quid id polest?
SrN.Facile.
M il .
Fac ergo id facile noscam, ut ille possit noscere.
SrN. Quia Adelphasium, quam herus deamat tuos, inge
ntia est.
M il .
Q uo modo?
SrN. Eodem, quo soror illius altera Anterastylis.
M i l . Sed qui id credam?
SrN.
Quia illas emit in Anactorio parvolas
De predone Siculo.
M il .
Quanti?
Srif.
Duodeviginti minis.
M i l . Duas illasne, Synceraste?
SrN.
Et nutricem earum tertiam
Et illic, qui eas vendebat, dixit, se furtivas vendere:
Ingenuas Carthagine aibat esse.
Mil .
D i vostram fidem!
Nimium lepidum memoras facinus: nam herus metis
Agorastocles
Ibidem gnatusj inde subreptus fere sexennisj postibi.
Qui eum subripuit, huc devexit, meoque hero hic
eum vendidit;
Is in divitias homo adoptavit hunc, diem quom obiit
suom.
SrN. Omnia memoras, quo id facilius fiat: manu eas
adserat,
Suas popularis, liberali causa.

Sm.

Pongo in cattivo luogo la fede mia, nullameno ve la


porr, ma tu questa cosa ticn rinchiusa in te.

Mil .

Non s certi meglio della Fede: escine pur franco:


luogo e tempo opportuno, vedici qua spli soletti.

Sin .

S il tuo padrone vuol farla da valentuomo; caccia

M il .

E come lo pu?

Sin .

Facilmente.

AIi l .

Fammela conoscere adunque questa facilit, acci


la possa conoscere anch egli.

in malora il mio.

Sin .

Prch Adelfasio, onde n s cotto il padron tuo,


di buon casato.

M il .

Per che modo?

Sin .

Per quello che 1 Anterastile sorella di lei'.

Mil .

E come ho da crederlo?

Sin .

Perch le comper in Anattorio piccoline da un


corsaro di Sicilia.

M il .

Per quanto?

Sin .

Per diciotto mine.

Mij,.
Sin .

Quelle due sole, o Sincerasto?


V era per terza la balia di quell#

chi le vendea

disse d averle grancite, e narrava eh erano citta


dine di Cartagine.
Mil .

Poffare Iddio! oh che care cosuccie tu racconti! quivi


c nato Agorastocle padron mio, e di quivi, putto
di sci anni, venne portato via: il ladro lo port
qui, e qui lo vendette al mio padrone, il quale,
allorch mor, lo addott e lasciollo possessore
delle sue ricchezze.

Sin .

Tu mi raggiusti la cappellina in capo: egli dichiari


libere queste sue popolane e per tali le difenda.

M il .
Tacilus tace modo.
Sri*.Profedo ad incitas lenonem rediget* si eas abdu
xerit.
M i l . Quin prius disperibil fa x o t quam unam calcem c i
verit:

Ita paratum est.


Srif. Jta di faxint, ne apud lenonem hunc serviam!
MiL.Quin meus hercle conlibertus faxo eris, si di volent.
S rif.Ita di faxintl Numquid aliud me morare, Mil
phio?
M il . Valeas beneque ut tibi sil.
Srif.
Istuc pol tibi et hero est in manu
Vale* et haec cura clanculum ut sint dicta.
M il .
Non dictum est. Vale.
Srif.A t enim nihil estj nisi, dum calet, hoc agitur.
Miu.
Lepidus, quom mones.
Et ila hoc fiet.
Srif.
Proba materiest data, si probum adhibes
fabrum.
M i l . Potiri * ut taceas?
Srif.
Taceo atque abeo.
M il .
Mihi ,commoditatem creas.
Ille hinc abiit. D i inmorlales meum herum servatum
volunt.
Et disperditum hunc lenonem: tantum eum instat
exili
Satine, priusquam unum est injectum telum, jam
instat allerum?t
Ibo intrOj haec ut meo hero memorem: nam hue
si ante aedis evocem,

M a.

SlH.
M il .

St zitto, e non fiatare.


T accerto eh egli se arriva a buscargliele, conduce'
il ruffiano al pentolino.
Che pi? far in guisa che questi si dia per di
sperato, prima che mova un passo: cos fatla

M il .

la rete.
E questa sia anche la volont d iddio, ch io non
mi trovi pi servo di questo ruffiano.
Anzi operer chc nella libert tu mi sia compa

Sm.

g n o , se Dio l vuole.
Dio lo voglia, e che cosa hai d altro a dirmi,

Su.

M il .
Siit.

M il .

Sm.

o Milfione?
Che stii sono e che ti venga ogni fortuna.
Ci nelle tue mani ed in quelle del tuo padro
ne. Addio, pon mente che queste parole stien cliiuse tra noi.
Nulla si disse, addio.
llor s che s detto nulla, se non si mette mano
a martelli quando caldo il ferro.

M il .

Sm.
M il .

Sm.
Mil .

O 1 uom gajo ne consigli! si far cosi.


Il legno di buon ceppo, tu mettivi le buone
braccia.
Puoi tacertene?
Taccio e vado.
Mi fai un gran servigio. E raschi via. Gli Dei im
mortali vogliono salvo il mio padrone e rovinato
questo ruffiano, si fiera tempesta vuolsigli scatenare
in capo. Non basta forse? non s ancora sbale
strato un bolzone che ne abbiam subito un altro
nella cocca. Andr dentro per ragguagliar il mio
padrone, imperciocch se lo chiamassi fuori e gli

Quaeque audivistis modo, nunc eadem hic iterem,


inscitia est.
Uni potius intus ero odio, quam hic sim vobis omnibus.
D i immortales, quanta, quanta, quanta advenit
calamitas
Hodie ad hunc lenonem! Sed ego nunc est, quom memet moror.
Id negotium institutum est, non datur cessatio:
Nam et hoc docte consulendum, quod modo con
creditum est.
Et illud autem inserviendum consilium est vernaculum.
Remora si sit, quimalam rem mihi det, merito fecerit.
Nunc intro iboj dum herus adveniat a foro, opperiar
domi.

dicessi] quanto or ora avete sentito voi, la farei


pur da buasso. Piuttosto annojer in casa un solo
chc qui tutti voi. Oh dei immortali! che flagello, che
rovina, che fracasso piomba oggi su questo ruf
fiano. Ma io ho nulla che mi fermi, la tresca fat
ta, n tempo vi si perda. Deesi pensar ben bene
a quello che mi venne detto test, e s' ha da far
capitale anche del consiglio de servi: se si tarde
r, chi mi dar la mala ventura, far cos a da sa
pient uomo. Ali ritirer dentro ed aspetter tanto
quanto il padrone di piazza ritorni a casa.

ACTUS
SCENA

V.
I.

H a n so . (2 0 )

T lh elonim vetonoth siccoralhi, isemecon solh,


Chi mlachai jilhamu mashjah midabariim ischi,
Laplio canoth ylh byn achi iadaedi ubynolhai
Byruah rob syl elonim ubymisyrthohom.
Byterym mothou hanoth olhi helcch Anlidamarchoti,
Js seda lij brim lilfel ylh chyl schichnalham liphah.
T lh byn amys dibru Iham noculh nu Agoraslocles.
Htjlhajn hanethi hy chir saelau hokj silh nose.
flanni ed chy lo ibi gebulin lasibit tham.
Bo dy aly thtrayn hynna, uysal ym manchid li
sem.
Fth elonim velonolh siccoralhij molsim alticym
meese.
Cancu bili mabol loculim beanut li, lacam tchona
enus is.
Hoi elisi, lec pol anasse alliar mas, cotiu elonim
deberi.lefclo na belh imi.
Col tam con itero, lu anu et eni mcab hoso ubere
ben haae bagoraslocles.
Hatte leanech oni solh, eli iaeli, cosalim dubar termicon: psu spatai
Ha od aanec lictor bedes assam limno mkilus!

ATTO
SCENA

V
I.

A nnone .

Ytli clonim vclonoth siccorathi, isemccon soth,


Chi mlachai jithamu maslyah midabariim ischi,
Laplio canoth ytb byn achi iadacdi ubynothai
Byruah rob syl clonim uhymisyrthom.
Bytcrym mothou hanolh ,othi belcch Antidamarchon,
Is seda li; brm tiifcl ytb chyl schicbnatham liphah.
Ytb byn amys dibrum tham noculh nu Agorastoclcs.
Hytham hanelhi hy chir saclau hok; silh nosc.
Banni ed chy lo gebulin lasibit iham.
Bo dy aly therayn hynna, hysal ym manchiti li sera.
Ytb clonim vclonoth siccoralhi, motsim ' atticym mccsc.
Cancu biti raabcl locutim bcanut li, Iacam tchona cmis is
Hoi chsi, lec po! anassc athar mas, conu clonim deberi tcfc!o na belli imi.
Col tameom ucro, lu anu et cui rneab hoso ubere ben
hanc bagorastoclcs.
llatle lcancch oni soth, eli iacli, cosalim dubar tcrmicom:
psum spalai.
Ila od aaucc lictor bedes assam limino mkilus!
Y o l.

I.

P la u t.

5G

Deos deasque veneror, qui hanc urbem colunt,


Ut, quod de mea re huc venij rile venerim,
Measque hic ut gnalas et mei fratris filium
Reperire me sirilisj di vostram fidem!
Quae mihi subreptae sunt et fratris filius.
Sed hic mihi antehac hospes Anlidamas fuit.
Eum fecisse ajunt, sibi quod faciundum fuit.
Ejus filium esse hic praedicant Agorastoclem.
Deum hospitalem'hanc tesseram mecum fero.
In hisce habitare monstratum est regionibus.
Hos percontabor, qui huc egrediuntur foras.
SCENA

II.

A g o r a s to c le s , M ilp h io ,

H jhno.

Aco.Ain tu tibi dixe Synceraslum, Milphio,


Has esse ingenuas ambas subreptitias
Carthaginiensis?
M il.
. '
Ajo, et, si frugi esse vis,
Eas liberali jam adseres causa manu.
Nam tuom fiagitium est, luas le popularis pati
Servire ante oculos, domi quae fuerint liberae.
Hjff.Proh d inmortales, obsecro vostram fidem,
Quam orationem hanc aures dulcem devorant?
Creta profecto est /tortine hominum oratio,
Ul mi absterserunt omnem sorditudinem!
Aco. Si ad eam rem testis habeam, faciam quod
jubes.

Prego gli dei e le dee che tengono questa citt,


che, essendo qui venuto per le mie faccende, non
vi sia venuto indarno.

Per la fede vostra, o

dei,

fatemi ritrovare le figlie ed il figlio di mio fra


tello!

elle mi

vennero rapile;

come pur venne

rapito il figlio del fratello. Ma tempo fa io alloggiai


in

casa Anlidamarco: raccontano eh egli abbia

fatto quello che era debito suo; pi dicono qui sia


suo figliuolo Agorastocle: qual dio ospitale ho qui
allato la tessera:

mi venne insegnato abitar egli

in queste contrade; lo domander a costoro che


vengono qua fuori.
SCENA

II.

A gorastocle , M ilfioje , A itcione.

A go.

Che mi di' tu mai, o Milfione, averti asseveralo Slnccrast essere stale

tuttadue costoro rapite fan-

ciulliue in Cartagine?
Mil .

E lo ripeto: se non volete parere un uomo fatto a


cembali, le dichiarerete libere, e per tali voi pigilerete le armi a difenderle. Imperciocch la saria ver
gogna grassa il permettere che sotto gli occhi vo- stri abbiano a servire quelle che a casa loro erano
libere.

A nn.

Oh Dei immortali! per la fede vostra! le parole di co


storo sono fatte a posta per me, oh come ghiottamente se le divorano le mie orecchie! esse m hnune
spazzata via tutta la sordaggine:

A go.

Se

avessi i

dini.

testimoni, farei quello che l a m or

M i l . Quid tu mihi teslis? quin tu insistis forliler?


Aliqua Fortuna fuerit adjuhix tibi.
Aoo.Incipere multo est, qttam mpetrare, facilius.
M i l . Sed quaenam illa avis est, quae huc cum tunicis
advenit?
Numnam a balineist circumductus pallio?
A co. Facies

quidem

edepol Punica

est.

Gugga

est

homo.
M i l . Servos quidem edepol veteres antiqnosque habet.
J c o . Qui scis?
M il .

Fideri homines sarcinatos consequi?


Atque digitos* ut opino* in manibus non habent.

A c o .Quid ja m ?
M il .

Quia incedunt cum anulatis auribus.


Adibo ad hosce atque adpellabo Punice.
S i respondebunt* Punice pergam loqui;
S i non, tum ad horum mores linguam vortero.
Quid ais tu? ecquid adhuc conmeministi Punice?

Aco.IS il edepol: nam quin scire potui ( dic mihi J ,


Qui illim sexennis perierim Carthagine?
IIa n .P roh inmortaes, plurimid ad hunc modum
Periere pueri liberi Carthaginef
M i l . Quid ais tu?
A co .
Mil .

Quid vis?
V i r i adpellem hunc Punice?

A co. A n tu scis?
M4l .

Nullus me hodie est Poenus Poenior.

Aco. A d i atque adpella, quid velit* venerit*


Qui sit, quojatisj unde sit. Ne parseris.

Mil .

E chc mi seccate voi

di testimoni ? c

che non

istate voi ben fermo al chiodo? Verr bene qualcho


fortuna in vostro ajuto.
Aco.

assai pi facile mettersi in ballo chc uscirne.

M il .

Ma e che uccellacelo quello che viene a questa


volta vestito della tonica? L hanno forse al bagno
fatto netto del mantello?

Ago.

In mia le chc la faccia di

Cartaginese.

M il .

I suoi servi son ben vecchi c fatti all antica.

Ago.

E come lo sai?

M il .

E- non vedete voi

un

mammon d Affrica costui.

fargli coda

quegli uomini con

cenci incinfrignati? aff di Dio, cli io

credo,

essi

abbiano le mani senza dita.


A go.

E come questo?

M il .

Perch vanno cogli

anelli

fronter e li chiamer

nelle orecchie. Gli af

in Cartaginese; se mi da-

ran risposta, seguiter a parlar Punico, se no vol


ter carta conforme essi faranno. Chc dite voi v
restata in memoria qualche parola di Cartaginese?
Ago.

Niente affatto: e come potea restarmene, se tantino


non ancor di sei anni venni portato via da Cartagine?

Ann.

Per Dio! e quanti fanciulli in questa forma n an


darono perduti in Cartagine.

M il .

E voi che dite?

Ago.

Che vuoi?

M il .

Volete ch io Io chiami in Cartaginese?

Ago.

Ma se buono?

M il .

Oggi niun Punico sapr impuntarsi pi di me.

A go.

Fattigli dinanzi <5 digli chc voglia, a chc sia ve


nuto, chi sia, di

qual paese,

avere i pedignoni nella lingua.

d onde venga: non

M i l . Avo. Qiinjates eslis aut quo ex oppido?


H a n . Hanno mulhim bale. Bechaedreanech. (2 \ )
A go. Quid ait?
M il .

Hannonem sese ait Carthagine,


Carthaginiensem, Muthumballis filium.

H a n . Avo . . .
M il .

Salutat.

H an.

Donni. (2 2 )

M il .

D on i volt tibi
Dare hic nescio quid. Audin potlicerier?

A go. Saluta hunc rursus Punice verbis meis.


M i l . Avo donni (2 3 ) hicce item inquit tibi verbis suis.
H jN .M e bar boccal ( 2 i )
M il .

Istuc tibi sil potius, quam mihi/

A go. Quid ait?


M il ,

Miseram esse praedicat buccam sibi.


Fortasse medicos nos esse arbilrarier.

A go .S i ita est, nega esse, nolo ego errare hospitem.


M i l . A u d i tu. (2 5 ) Rufen nuco istam.

A go.

S ic volo
Profecto vera cuncta huic expedirier.
Roga, numquid opus sit.

M il .

T u , qui sonam non habes.


Quid in hanc venistis urbem aut qtiid quaeritis?

HAN.Muphursa. (2 6 )

'A go.
HANr

Quid ait?
Mure lech tanna. (2 7 )

A co.

Quid venit?

M i l .N on audis? muris Africanos praedicat


In pompam ludis dare se velle aedilibus.
H a n . L ech lachnanim/ liminichot! (2 8 )

M il.

A vo:

di qual paese siete voi altri o di qual citt?

Arm.

Hanno muthim balle. Bechaedrcanech.

A go.

Che disse?

M il .

Disse d essere Annone di Cartagine, figlio di Muthuniballis Cartaginese.

A nn.

A vo . . .

Mil .

Saluta.

A ni.

Donni.

M il .

E ' vuol darvi qual cosa in dono, ma non so neramcn io che sia: siete franco voi a fargli una pro
messa?

A go.

Salutalo di ricapo in Cartaginese a nome mio.

Mil .

A vo donni, questi ve lo dice in nome suo.

A nn.

Me bar bocca!

M iu

Questo avvenga piuttosto a voi che a me.

A go.

Che borbotta?

M il .

D aver lo scorbuto in bocca: volete vedere ch 'egli


ci ha presi per medici?

A go.

Se cos, disingannalo, non voglio ch'un ospite vada


errato.

Mil .

M udite voi? Rufen nuco istam.

A go.

Cos voglio. Tutto gli si dee dire assegnatamente,


domandalo ora di che abbisogni.

Mil .

Eh voi che non avete cintola, perch siete venuti


in questa citt, che volete?

A nn.

Mufursa.

Ago.

Che disse?

Ann .

Mure lech ianna.

A go.

E a che venne?

M il.

E non ludite voi? dice daver de sorci affricani, e


che vuol darli agli Edili come una meraviglia negiuochi,

Ann.

Lech lachnanim! liminichol!

Aco.
M

il

Quid nane ait?

. Ligulas, panals ail se advexisse et nuces:

Pinne orat, operam ut des sibi, ut eo veneant.


A co .M cr calor, credoj est.
JIan .

Js amar biiiam. (2 9 )

A co.

Quid est?

JfsN.Palu, mer, gad tcthal (30)


Aco.

Milphio, quid nutic ail?

iHiL.Palas tiendundas sibi ail et mergas dalas,


Ut horlum fodial alque ut frumentum melai.
A co. Quid istuc ad me?
Certiorem te esse volt,

M il .

Ne quid clam furtive accepisse censeas.


A d messim, credo, missus hic quidem tuam.
JI an . Muphone um sncorahim. (3 \ )
Hem, cave, sis, feceris,

M il .

Quod hic orat.


A co.
M

Quid, ait, aut quid orn i? expedi.

i l . Sub

cralim uti jubeas se supponis atque eo

Lapides inponi mullos, ut sese neces.


H

n.

go.

Gun nebel balsamen ierasan! (3 2 )


N a r r a , quid est,

Quod ait.
Mu..

Non hercle nunc quidem quidquam scio.

H a n . A t ut scias, nunc dehinc Laline ja m loquar.


Servom hercle te esse oportet et nequam et m a h im ,
Hominem peregrinum alque advenam qui inrideas.
M * l .A i hercle le hominem et sycophantam et subdolum
Qui huc advenisti nos captatum, migdihjbs,
Bhulcilingua, quasi proserpens bestia.

Aco.
M il .

Che borbogli ora?


Il vostro

turcimanno

dice che costui ha portate

lcgacce e noci, ora vi prega egli che voi lo aju-tiate a venderle.


A go.

Egli, credo7 un mercante.

Ann.

Is amar binai.

Aco.

Che ha?

Ans.

Palu, mer, gad ectha.

Ago.

0 Milfione, e adesso che disse?

M l.

Che gli furono dati pale e sarchii da vendere, buone


per vangar 1 orto e mietere il frumento.

A go.

Che entra questo ne fatti mici?

Mil .

Vuol farvelo assapere, acci non vi ficchiate in cap,


daver avuta cosa di soppiatto: avviso, costui siavi
mandato per mietitore.

Ann.

Muphonc um sucorahim.

Mil .

State bene all erta di non far voi quanto vi su ggerisce costui.

Ago.

Clic disse? che vuole? sbrigati.

Mil .

Ch abbiate

ad

ordinare eh egli

venga

cacciato

sotto un graticcio, e ch indi lo carichiate tanto,


di sassi da farlo restare come una foraccia.
Ann.

Gun nebel halsamen ierasan!

A go.

Contami, che questo? che disse?

M il .

Io non ne capisco un acca. -

Ann.

Acci tu m abbi a comprendere d ora in poi, par-f


ler volgare. Fa ben d uopo per Dio

che tu! sia

un servo ribaldo e malvagio, per mettere cotanto


in canzone un viandante e forestiero.
M il .

E fa per Dio ben mestieri .che siate uno scaltro


.e fino, voi che siete, o mezzo libico, venuto in q u e
sti paesi a sbottoncggiarci con quella lin gu i a duo
solchi come (fucila del serpente.

J c o . Maledicta hinc aufert linguam conpescos facet


Maledicere huic tu temperabit* si tapit:
M ei cQntanguinei nolo te.injuste loqui.
Carthagini ego sum natus* ut tu tit scient.
H an .O m i popularis* salve/
Et tu edepol* quitquis et;

A go .

Et si quid opus est* quaeso* dic atque impera*


Popularitatis causad.
H ak.

Habeo gratiam;

Ferum hic hospitium ego habeo. Antidamae filium,


Quaeso, conmonstra* si novitti* Agorastoclem.
Ecquem adulescentem tu hic novisti Agorastoclem?
A go. S i quidm Antidamarchi quaeris adoptatitium*,
Ego sum ipsus* quem tu quaeris.
H an.

Hem* quid ego audio?

A co. Antidamae gnatum me esse.


S i ita est* tesseram

H as.

Conferre si vis hospitalem* eccam attuli.


Aco.Agedum , huc ostende. Est par probe: nam habeo
domi.
H a n .O m i hospes, salve multum! nam m ihi tuos paler,
Pa ler tuos ergod hospes Anlidamas fuit.
Haec m i hospitalis cum illo fuvit tessera.
A go. Ergo hic apud me hospitium tibi praebebitur:
Namque haud repudio

hospitium

neque

Cartha
ginem*

Unde sum oriundus.


H an.

D i dent Ubi omnes* quae velis.


Quid ais? qui potuit fieri* ut Carthagini
Gnatus sis: si hic

autem

Aetolum

habuisti pa
trem?

Finisci di lavarti la bocca, tien la lingua ne denti,


e st zitto. Tu se, hai capo cesserai di svillaneg
giare costui senza cagione: non voglio che bistratti
i miei confratelli, io son nato in Cartagine come
tu ben sai.
A rr .

0 mio popolano, che Dio ti prosperi.

Aco.

E te qualunque sii: se qualcosa

abbisogna

dalla

fuori pur franco per amore della cittadinanza.


Arr .

Te

ne fo grazia. Ma qui io ho un

ospite: cerco

il figlio di Antidamarco, insegnamelo se il cono


sci un tal Agorastocle: conosci tu qui un giovane
nome Agorastocle?
A go.

Se pur cerchi il figliuolo adottivo di Antidamarco


io son quello desso.

Arr .

Poffare il mondo! che sento io!

A go.

C h 'io son figlio di Antidamarco.

A siu

Se la cosi, vuotu vedere? vuotu confrontare la


tessera ospitale? eccola l ho portata meco.

A go.

Su via,

A rr.

0 mio ospite, diati ogni bene Iddio! imperciocch

fammela vedere: la

concorda benissimo,

imperciocch ho l altra a casa.


tao padre Antidamarco fu mio ospite, questa la
tessera ospitale, questa ch io ebbi da lui.
A&o.

E perci in questo paese, la casa mia sar la casa


tua, attesoch non rifiuto l ospitalit, n Carta
gine da cui discesi io.

Ar i .

Dio ti dia tutto il meglio che vuoi: ma che di tu


mai? e come ha potuto addivenire

che

il

nasci

mento tu avessi in Cartagine e che qui ti fosse


padre un um o <f Etolia?

J c o . Subrepitis sum illim j hic hospks Antidamas tuos


Em it me et is me sibi adoptavit filium.
H a n . Demarcho item ipse fuit adoptalitins.
Sed nrilto de illo et ad te redeo. D ic m ihi:
Ecquid meministi tuum parentum nomina?
A co . Patris atque m alris memini.
H an.

Memoradum m ih i,

S i novi forte aut si sunt cognati mihi.


Aco.Am psagura mater m ihi fnil, Jachon paler.
H an . P atrem atque matrem viverent vellem lib i!
A go. A n m ortui sunt?
Hjn . .

Factum, quod ego aegre tuli:

Nam mihi sobrina 'Ampsagura tua mater fu it,


Pa ler tuos erat fraler patruelis meus,
Et is me heredem fecit, quom suom obiit diem ,
Quo me privatum aegre patior mortuo.
Sed si ita est, ut tu sis Jachonis filius.
Signum esse oportet in manu laeva libi,
Ludenti puero quod momordit simia.
Ostende: inspiciam aperte. Age!
A go.

Audio.

H an.

Alqtie. adest.

A go. M i patrue, salve!


Hjn .

Et tu salveto, Agorasloclesl

Jlerum m ihi gnatus videor, quod te reperi!


M i l . P o l islanc rem vobis bene evenisse gaudeo,
Et te mpneri tium tievis?
H an.

Sane volo.

A go.

Io

sono stato rapito

tuo

ospite

mi

di l. Questo

comper

Antidamarco

e mi adott in suo fi

gliuolo.
A sm.

F u anrli egli adottivo di Demarco, ma lascio quello


e torno a te: contami, hntu ancora alla memoria
i nomi de parenti?

A go. ,

Mi ricorda quelli del padre e della madre.

Ann.

E dimmeli; se li ho per avventura conosciuti, ov


vero se mi furono parenti.

A go.

Ampsagura fu la madre, Jachon il padre.

Ann.

Vorrei ebe tuttavia padre e madre it fossero vivi.

A go.

Son morti forso?

A nn.

Appunto: del che io rimasi dolentissimo. Ampsagura


tua madre fu mia cugina, tuo padre era mio fra
tello cugino, quando

mor egli lasciommi

crede

Della cui perdita io mi sento addolorato all estre


mo ma se la in questi termini che tu sia fi-,
gliuolo di Jachon, mestieri chc siavi un segno
nella mano sinistra dove, quando bambolavi ancor
fantolino, tirotti un morso una scimia: mostrame
la, apri: la mano, appressati.
Ago.

Vero.

Ann.

Eccolo.

A go.

Che Dio vi salvi, Q zio.

A nn.

salvi anche te; Agorastocle: mi pare d esser nato

M il.

In mia le tutto mi sento racconsolare per questo

la seconda volta dappoich t ho ritrovato.

bene che v intravenne,


consiglila voi?
A nn.

Anzi.

ma c

yo

non volete un

M i l . Paterna oportet filio reddi bona:


Aequom est, habert hunc bona, quae possedit pater.
H an . Haud postulo aliter: restituentur omnia.
Suam, rem sibi salvam sistam, si illo advenerit. "
M i l .F acito* sis; reddas, et si hic hic habitat; tamen.
H a n .Quin mea quoque iste habebit, si quid me fuat.
M iL.Feslivom facinus venit m i in mentem modo.
H a n . Quid id est?

M it.

Tua opus est opera.

Han.

D ic m ilii, qufd lubet?

Profecto uteris, ut voles, operam meam.


Quid est negoti?
M il .

P o tir i tu fieri subdolus?

H a n . I nimico possum; amico est insipientia.


M i l . Inimicus hercle est hujus.
H an.

Male faxim Inbens.

M i l Am at a lenone hic.
H an .

Facere sapienter puto.

M i l . Leno hic habitat vicinus.


Han.

Male faxim lubens.

M i l .E duae puellae sm t meretrices servolae


Sorores: earum hic alteram ecflictim peritt
Neque eam incestavit unquam.
Han.

Acerba amatio est.

M i l . Nunc leno ludificatur.


Han.

Suom quaesfum colit.

Mil .

E fa adunque mestieri che si rendane al figlinolo


i beni paterni, imperciocch dovere che abbi co
stui quelle cose che possedette il padre.

Ann.

Io non la penso diversamente

io: tutto -gli sar

restituito, gli salver sino 1* ultimo spillo s egli


verr quivi. ,
M il .

Se avete questa voglia rendetegli ogni cosa, avve


gnach egli abiti qui.

A nn.

Che anzi avr

egli tutto il mio, se pare io ne

avr.
M il .

Adesso adesso m ' venuta in capo una bella fan

A nn.

E quale?

Mil .

H o bisogno di voi.

Ann .

Dimmi, che vuoi? adoperami come ti piace e per-

tasia.

coppa e per coltello; che faccenda questa?


M il .

Sapete voi fare la gatta mortai

Ann .

So farla con un nemico; con un amico poi sarebbe

M il .

E proprio nemico di costui.

Ann .

Gli far quel peggio che posso.

M il .

Costui ama una donna di questo ruffiano.

Ann.

Egli cima d'uomo.

M il .

Il ruffiano st qui presso.

Ann.

Gli far quel peggio chc posso.

M il .

Egli ha due meretrici.,

buassaggine.

fanciulle, serve e sorelle

tuttaduc, di una desse costui ne va abbandonata


mente perduto, ne arriv mai a poterla toccare.
A nn.

Ohim! quest'amore sa d agresto.

Mil .

Ora il ruffiano lo tiea sulla corda.

Asa.

Fa il suo mestiere.

57G

XIi l . Hic M i malam rem dare volt.


Han.

F r g i, ti id fa ct:

M i l .N uhc

hoc

contilium

capio

et

hanc

fabricam
adparoj
/

Ut te adlegemus: filiat dicas iuat


Subreptasque esse parvolat Carthagine*
Manuqne liberali cauta ambo adseras>
Quasi filiae tuae sint ambae. Intellegis?

Hsrr.Intellego hercle: nam m ihi item gnatae duae


Cum nutrice una sunt subreptae parvolae.
MiL.Lcpide hercle adsimulas. Jam principium id m ihi
placet.

H a n . P o l mage* quam vellemf


Heu* Itercle mortalem catum

M il .

M alum crtidumque et callidum atque subdolum!


Ut adfletj qvo illud gestu faciat facilius f
Me quoque dolit ja m tuperat architectonem.
H a n . Sed carum nutrix qua sit facie* m i expedi.
M i l . Statura haud magna* corpore aquilo est . . .
H an.

Ipsa ea est.

M i l .Specie venusta* os patra atque oculis pernigris.


H an . Form am quidem hercle verbis depinxli probe.
M i l . F in eam videre?
H an.

Filias malo meas.

Sed i* atque illam evoca. S i cae sunt filiae*


S i illarum est nutrix* me continuo noverit.
MiL.Heus* ecquis hic est? Nuntiate* ut prodeat
-

. Foras

Giddeneme: est*

qui iHam

eonveiflum esse
volt.

M il .

Costui vuol dargli la malora.

Aiffl:

Bravissimo se v i arriva.

M a.

Or io prendo questo avviso c preparo questa stiva


cio mandarvi al ruffiano, acci abbiate ad allega

re

che le vostre figliuole vennero rapite piccoline

da Cartagine, che le dichiariate libere, e. che ve


la facciate

valere, quasi chc ambedue sieno nate

di voi: avete iqteso?


Am .

come ho inteso! imperciocch similmente ven

nero piccoline rapite a me due figliuole

insieme

alla nutrice.
Mil .

Cagna! come sapete voi fingere! la mi comincia a


piacere gi da principio.

Ann.

S per Bacco, e pi che v o rre i

M il .

Puh! che volpe! com tristo, scaltro,

astuto

ed

infinto; ve come tira giuso le lagrime per far bcver meglio

quanto e vuole! ne* tranelli

d scacco

matto anche a me che ne sono f architetto.


Am

Ma e dicci che presenza ha la balia di quelle?

Mil .

Statura non grande, color d acquila . . .

Ann.

dessa.

Mil .

Bella persona, bocca piccina, occhi nerissimi.

Ann.

Me l'h ai proprio dipinta.

Mil .

Volete vederla?

Ann.

Amerei meglio le figlie. Ma va, chiamala fuori: se


quello sono ime figliuole, se quella la balia loro,
tosto mi riconoscer.

Mil .

Ehi! chi

qui? dite che venga fuori Giddenemc;

v qui chi vuol parlarle.

V o l . I. P l a u t .

37

G id d e n e m e , M il p h io , H a n n o ,
A g OBJSTOCLESj P u e r .

G i d . Quis pultat?
M il .

Qui te. proxumusl.

Gid .

Quid vis?

M il .

E ho*

Novisliti' tu illune tunicatum hominem, qui siel?


G iD.Nam quem ego adspicio? P ro li supreme Jupiler!
Hems hic quidem est meus mearum a lum narum
p a te r ,

Hanno Carthaginiensis l
Mil .

Ecce autem malat

Praestigiator hic quidem Poenus probust:


Perduxit omnis ad suam sententiam.
G i d .O m i here, salve, salve, insperatissume,
M ih i tuisque filiisj Hannol atque ehol
M ira ri noli neque me contemplarier.
Cognoslin Giddenemen, ancillam luam?
n a n . Novi. Sed ubi sunt gnalae meae? id scire expeto.
G i d . Apud aedem Feneris.

H an.

Quid ibi faciunt? dic m ihi.

G i d . Aphrodisia hodie Feneris est festus dies:

Oralum ierunt deam, ut sibi esset propitia.


M i l . Pot salisj scio, inpclraru.nl, quando hic hic adcsl.
deo. Eho, an cujus sunt illaec {iliaci
Gi d .

H aj

praedicas.

Tua pietas plane nobis auxilio fuit,


Quando huc advenisti hodie in ipso tempore:

Giddeneme, Milfione , A nnone, Agorastocle,


F anciullo .
G id .

Chi batte?

M il .

Un tuo vicino.

Gid .

Che vuoi?

Mil .

Conosci tu 1 uomo che ha quella tonaca?

Gid .

Oh chi trovo mai!

Gran Giove!

in

f mia que

sti il mio padrone, il padre delle mie fanciulle,


Annone di Cartagine.
M il .

T o ' qui un altra mariuola! Come sa gittar 1 arte

Gid .

Che Dio vi prosperi dogiii pi gran bene, o An

questo Cartaginese: egli

tir

tutti nella sua.

none padron mio, or voi capitate fur d ogni spe


ranza a

me d alle

vostre figliuole! vva evviva!

Non fate le maraviglie, n squadratemi tanto: non


conoscete voi Giddcnemc la vostra serva?
Ann .

T i conosco. Ma dove sono le mie figliuole? questo


struggomi di sapere.

Gu>.

Presso il tempio di Venere.

Ann.

Che fan quivi? dimmelo.

Gid .

Oggi sono le Afrodisie, giorno festivo a Venere: elle


andarono a prega? la Dea acci fosse loro propizia.

M il .

E ben so che l avranno

ottenuto, dappoich

qui arrivato costui.


A go.

Elii, c son costoro le sue figlie?

Gid .

Elle sono. La vostra piet compiutamente ci soc


corse, in buon punto oggi siete venuto, impercioc-

Namque hodie earum mutarentur nomina,


Facerentque indignum genere quaestum corpore.
P u s.H a n done, siili hanon benes iilli, in mus tine. (3 3 )
G i d .M e ipsi et? enes ledumj et alam naves lim im . (3 4 )
A go. Quid illi locuti sunt inter se? dic mihi.
M i l .M atrem hic salulat suam hanc,

haec aulem hunc


filium .

H a n .T ace atque parce muliebri'supellectili.


M i l . Quae ea est supellex?
H an.

Clarus clam or sine modo.


Tu abduci hos intro et una nutricem simul

Jube ad ted hanc abire.


A go.

F a cj quod impertU.

G i d . Sed quis iUas tibi monstrabit?


A go.

Ego doctissume.

G i d . Abeo igitur.
A go.

Facias modo, quam memores, mavelim.

M i l . Opino hercle hodie, quod ego dixi per jocum ,


Jd eventurum esse et severum et serium: ut
Haec inveniantur hodie esse hujus filiae.
A c o .P o l istuc quidem ja m certum est. Tu istos, M ilphio,
Abduce in troj hasce nos hic praestolabimur.
P a tro advenienti coena curetur volo.
M ic.Lachanam vos, quos ego ja m detrudam ad molas,
Inde porro ad puteum atque ad robustum codicem/
Ego faxo hospitium hoc leniter laudabitis.
A go. Audin tu, patrue? D ico, ne dictum neges:
Tuam m ihi majorem filiam despondeas.

H a n .Pactam rem habeto.


A co .
H an.

Spondesne igitur?
Spondeo.

ch i loro nomi oggi

si sarebbero scambiati ed

avrebbero messo i corpi loro a mercato assai dis


onorevole per la famiglia.
R ag.

Han done siili hanon benes iilli in mus

line.

Gid .

Me ipsi et? enes tedum; et alam naves timim.

A go.

Che borbottarono essi intra

di

loro?

sciframelo.

M il .

Costui saluta sua madre ed essa il figliuolo.

Anu.

Taci e lascia alle donne la loro mercanzia.

M il .

E che mercanzia questa?

Ami.

Il garrire e non finirla

mai.

Tu va

dentro con

costoro, e d ordine venga in casa tua anche que


sta baliA.
A go.

Fa quello che ti comanda.

Gid .

Ma e chi ve le far conoscere?

A go.

lo da maestri.

Gid .

Vado adunque.

A go.

Io vorrei pi fatti che ciancie.

Mil .

Per Dio avviso eh' oggi

di buon

venga quello che ho detto

daddovero av

da burla, cio chc si

scopra queste donne figliuole di costui.


A go.

E non da porla altro sul liuto:

tu, o Milfione,

tira dentro costoro, noi ci fermcrem qui ad aspet


tarle. In tanto voglio si prepari la cena allo zio.
M il .

Lachanam a voi; ornai vi spinger in una mola,


indi

ad un pozzo, poscia ad un buon

tronco di

rovere, e sar opera mia chc d un s gentile al


loggio abbiate a gloriarvcnc.
A go.

Mascolti, o zio? L o dico, perch non me lo rifiuti,


dammi promessa della tua figliuola maggiore.

A ni.

Sfattene certo.

A go.

Me la prometti adunque?

A nk .

Tc la prometto.

A go.M i patine, salve, nam mine es piane incus:


Nunc demum ego cum illa fabulabor libere:
Nnnc, palme, si vis tuas videre filias,
Me sequeie.
H an.

Jamdudtim eqnidem cupio et te sequor.

Aco.Quid, si eamus illis 'obviam?


A l, ne inter vias

H an.

Praeterbitamus, meluo. Magne Jupiter,


Restiine certas m i ex incertis nunc opes!
A go.Ego quidem Amores mecum confido fore.
Sed eccas video ipsas.
H an.

Haecine sunt mea filiae?


Quantae e quantillis ja m sunt faclae!

A co .

Scin, quid est


Tricarum ? (3 5 ) Sunl columnae: sustQlli solent.
SCENA

d e l p h a s iu m ,

III.

A N T R R A srru s , A

A d e .F uv U hodie operae pretium

gorastocles ,

ejus,

Hanno.

qui amabilitati

animum adjiceret,
Oculis epulas dare,

delubrum

qui hodie ornatum


invisere venit.

Deamavi ecastor illi ego lepidissuma munera me


retricum,
Digna dea Venere venuslissuma, neque contemsi ejus
opus hodie:
Tanta ibi copia venuslalum aderat, in suo quaeque
loco sila munde.
Arabus murrhinusque omne

odor conplebat. Haud


sordere visust

Feslus dies, Venus,

nec tuom fanum: tanlus clien


tarum ibi erat numerus,

Quae Calydoniam venerant Venerem.

Aco.

Salve,

o mio zio: tu ora se tutto

mio miissimo:

or io converser liberamente con esso lei: se vuoi,


o

zio,

vedere

adesso le

tue

figliuole,

vicinrai

dietro.
A nr.

' son mill anni che lo desidero, ti seguo.

A go.

E che, se andiamo loro incontro?

A nn.

Temo che non le abbiamo a trapassare tra via: o


gran Giove, da incerta chJ ella era fammi, stabile
questa fortuna!

A go.

Io ho fidanza che gli Amori mi verranno in ajuto:


ma eccole che le veggo.

Anr.

Queste son mie figlie?

ve come da bambole

son

fatte grandi.
Aco.

Vuo che ti cavi da questo intrico?

elle

son co

lonne: suolsi portarle.


SCEi\A

III.

A d e l f a Sio , A r t e r a s t il e , A g o r a s t o c l e , A n n o s e .

A de.

Ila ben potuto oggi chi venne al tempio di Venere


collanimo di vagheggiare dar pascolo agli occhi, tan
to era quello ben gucrnito e adorno. Col me la sono
proprio goduta con queleggiadrissimi doni delle me
retrici, degni della bellissima Venere, n io oggi ho
fatto

poco conto dell opera sua.

Oh quanti bei

visi vi si trovavano, e ciascuno ben azzimato stava


al luogo suo: profumi dArabia e di mirra riempi
vano ogni cosa: e mi parve che questo d, o Ve
nere, s e proprio allargata la mano nel tuo tem
pio: tante cliente erano
la Venere Celidonia.

in esso che veneravano

A ut.

Cerio enim, quod quidem ad noi duas at

tinuit, praepotentes pulchrae pacisque fuimus, soror,


potentes,
Neque ab juvenia

ibi inridiclo

habitaej quod pol

ceteris omnibus facium est.


A d e . M alim istuc alii* tia videatur, quam ut tu te, soror,
conlaudes.
A n t . Spero equidem.
A de.

Et pol ego, qttom, ingeniis quibus sumus a lque aliae, cognosco.

Eo sumus gnatae genere, ut esse deceat nos a culpa


castas.
B j n .Q u genus colis elisque hominum, per quem vivimus

vitalem aevom,
Quem

penes

spes

vitae, da

sospitem

hunc diem,

quaeso, rebus agundis,


Meis! Quibus annos mullos carui, quasque e patria
perdidi parvas,
Redde his libertatem: invidae praemium ut esse sciam
pielali.
A go. Omnia faciet Jupiter faxoj

nam

mi

obnoxius et
me meluit.

HAN.Tace, quaeso.
A go .

Ne lacruma, patrue.

A n t . Ut volupe est homini,

mea soror,

si,

quod agit,

cluet vicloria,
Sicut hodie nos inter alias praestitimus pulchritudine.
ADE.Stulla, soror, es mage, quam volo.
A nt.
A de.

A iin

vero?

P u lc ra n , obsecro,

Fidere, si tibi Uli non os oblitum esi fuligine?

Quanto poi appartiene a noi due, o sorella, noi ri


portammo solenne vittoria, fummo le avvenenti, fum
mo le arbitre della pace, n i siam state la beffa dezerbini, come per verit, o sorella, furono tutte le altre.
A de.

Sarei contenta, queste lodi s avessero a fare dagli


altri; ben pi assai che tu t abbi mettere in cielo
da te medesima.

A ut.
A de.

L o spero.
So ben io, come le altre sanno, con che cervelli ab
biamo a fare. Noi veniamo di tal famiglia per la
quale fa d uopo conservarci intatte da ogni pecca.

Ann.

tu, che nutr e conservi il genere umano, tu,

onde

abbiamo

quest' aura

sono le speranze della vita

vitale,
di

ni, deh concedimi questo giorno

tu

appo

tutti

cui

gli uomi

desiderato, per

mandare a compimento le cose mie, delle quali tanti


anni ne rimasi privo, fammi trovar le figliuole che
piccine perdetti dalla patria, dona loro la libert,
acci pur giunga ad accertarmi essere questo

il

guiderdone delT invincibile amor paterno.


A go.

Far si ebe Giove ti secondi in tutto; impercioc


ch egli m 'bu on vassallo, e mi teme.

Ann.

Taci per carit.

A go.

Non piangere, o zio.

A ht.

Che delizia prova l'uomo, o

sorella,

se

imprende, vede coronato della vittoria,

quanto
siccome

oggi intravenne a noi che abbiamo tutte le altre


soperchiate in bellezza.
A de.

sorella, tu se un cervellino

soro

pi eh io

vorrei.
A ut .

L o di davvero?

A de.

T hai la bella cosa tu perch non ti venne q u ivi


lorda la faccia di fuliggine?

586
A

go . 0

an.

palme* palme!
Quid est* mei fratris gnate? quid vis? expedi.

A q o .A t cnim volo hoc agas.


H jn .

A l enim ago istuc.


Patme* m i patruissumef

Ago.

H a n . Quid est?
A go .

Esl lepida et lauta! ut sapilf

H an .

Ingenium habet palris* quod sapii.

A go.Quae res? Jam diu edepol tuam sapientiam haec


quidem abusa eslj
Nunc hinc sapii* quidquid sapii; hinc sentii, e meo
amore.
A d e .N on eo sumus prognatae

genere* tametsi sumus


servae* soror*

Ut deceal nos facere quidquam* quod homo quisquam


inridcat.
Mulla mulierum sunt vilia;

sed hoc e mullis

ma

x im u m est*
Quom sibi nimis placent

nimisque operantur*

ut

placeant viris.
A n t .nim iae voluptali est*.quod in extis nostris portentum
est* soror*
Quod haruspex de ambabus dixil . . . .
Velim de me aliquid d ixcril!

go.

n t . Nos

fore domino invilo nostro diebus paucis liberas.

Id ego* nisi quid di aut parentes faxinl* qui spe


rem* haud scio.
A co . Mea fiducia hercle haruspex, palme* his promisit* scio*
Liberlalem: quia me amare hanc scii.
A

de.

nt.

Soror* sequere hac.


Sequor.

A go.

0 zio, zio.

Ann.

Chc hai figlio di mio fratello, chc vuoi? dimmelo.

A go.

I o voglio chc tu faccia questo.

A ri.

L o fo appunto.

Ago.

0 zio, o mio ziissimo.

A nn.

Che ?

A go.

piacevole, pulita, che senno!

A nn.

Ella padreggia in tutto chc sa.

Ago.

Che? gi buon tempo chc questa tua sapienza,


scappata cogli anni; ora da qui ella sa, da qui
ella tolse i bnoni sentimenti, tutto ella tolse dal
mio amore.

A de.

Noi sebben serve, non siam di tal casato, o so


rella,

che siaci lecito far cosa

omiciattolo ci venga dietro colle


i difetti

onde

qualunque

pive. Molti sono

delle donne, ma questo il pi gros

so, che piacendo fuor misura a se medesime, fuor


misura s arrabattino per piacere agli uomini.
Art .

Gran consolazione ci venne per quello che 1 aru


spice profet nelle nostre vittime,

e per

quello

chc disse di noi due che . . .


A go.

Vorrei che avesse detta qualcosa anche di me!

Art .

In dispetto del padron nostro noi di qui a po


chi giorni

sarem libere:

io poi

se gl Iddi

o i

parenti non ci metton mano, non so qual fidanza


m abbia a prendere.
A go.

Certamente, o zio, l aruspice assicurandosi di me,


ha promessa a costoro la libert, perch sa l amore
che io ho per costei.

A de.

Seguimi, o sorella, da questo Iato.

A rt .

T i seguo.

H j n . Priusquam abiti, voi voto amba*. N isi piget, con

sistile.
A

d e . Qui

revocai?
Qui bene voli vobis facere .

A go .

Facere occasio esi.

db.

Sed qui hmo esi?


d eo .

A m ictu vobis.
Qui quidem non inimicus esi.

dd e .

A go. Bonus et hic homo, mea voluplas. .


A de.

P o l ittunc m alim , quam malum.

A co . S i quidem amicitia est habenda, cum hoc haben


da est.
Haud precor.

A de.

A co . Mulla volt bona vobis facere.


4

Bottu bonis benefeceris.

db.

H j k . Gaudio ero vobi . . . .


A t edepol nos voluptati libi.

A de.
H a n . Libertaiique.

A de.

Isio pretio tuas nos facile feceris.

Ago. Patrue m i, ita me di amabunt, ut ego, si sim Jupiter,


Jam hercle illanc uxorem

ducam et Junonem ex
trudam foras!

Ut pudice verba fecitj cogitate et commodetUt modeste orationem praebuit! Certo haec mea est/
H a n . Sed ut astu sum adgrettu ad ea!

deo.
Lepide hercle atque commode.
H a n .P ergo etiam tentare?
deo.

In pauca confer: sitiunt, qui sedetti.

H a n . Quid? istuc, quod faciundum est, cur non agimus?


In jus vos voco.
A go. Nunc tene!

A xn.

Prima che sbarattate di qui, io vi voglio tuttaduc;


e non v* incrcsce fermatevi.

A de.

Chi ci chiama indietro?

A go .

Chi vuol farvi del bene.

A de.

L occasione non manca; dia chi costui?

A go.

Un vostro benevolo.

A de.

Il quale non ci proprio nemico.

Ago.

Questi un dabben uomo, piacer mio dolce.

A de.

Meglio cosi che tristo.

Ago.

Se s ha da fare amicizia, la

Ade.

Non vo farmi pregare.

Ago.

Vuol colmarvi di beneficii.

si

dee

fare con

costui -

A de.

Buon uomo beneficherete i buoni

Am .

Vi far contente.

A de.

noi saremo di gioja a voi.

Am

Vi far libere.

A de.

A questo prezzo ci farete prontamente vostre.

A go.

0 mio zio, cos mi dican buono g l Iddi, e o m 'io


se fossi Giove, piglierei quella in moglie e mi sga
bellerei di Giunone: con che onesti ella parl? con
che senno?

con

che garbo? con che

modestia?

questa non la mi scappa.


Ann.

Ma con che sottigliezza mi son fatto loro innanzi?

A go.

Egregiamente degna d un par tuo?

A nn.

H o da assaggiarle ancora?

A go.

Reca tutte le parole in una: quelli che qua seggono,

Ann.

E che? perch non attendiamo ai fatti nostri? io

han sete.
vi chiamo a corte.
A go.

Togli questa, o zio.

590

H an .

'{Hi, frugi si bonae es!

A go.

F in Itane ego aprendovi?

H an.

Tene!

A d e . A n patruos est* Agorastocles* tuos hic?


A go.

Jam faxo scibis


Nunc poi

ego le ulciscar probe:

nani

faxo mea
eris spoma.

H a n . Ile in just ne moremini!


A ut.

Antestare me atque duce.

A go.Ugo te antestaborj postea hanc amabo atque am


plexabo.
Sed illuc* quod volui. . .
A de.

Dice.

A co.

Im o hercle dixi* quod volebam.

H a n . Moramini. In jus vos voco* nisi honestiust prehendi.


A d e . Quid in jus vocas nos? quid tibi debemus?
A go.

Dice tu illi.

A d e . Eliam me meae latrant caves?


A go.

A t tu hercle adludialo*

Dato milti pro offa savium* prod osse linguam obicilo:


Ita hanc tibi faciam canem oleo tranquilliorem.
11a n . Ite* si itis.
A de.

Quid nos fecimus tibi?

H an .

Fures estis ambae.

A d e . Nos tibi?
Han.
A go.

F os* inquam.
Atque ego scio.

A de.

Quid id est furti?

A co.
H

an

. Quia

Hunc rogato.
annos multos filias meas

celavistis clam me*

Atque quidem ingemas liberas summoque genere


gnatas.

A nn.

T u , se non se un gaglioffo!

A go .

Vuotu clic prenda questa?

ANn.

Prendila.

A de.

0 Agorastocle, questi tuo zio?

A go.

Lo

Ara.

Andate in giudizio, non stentate pi l.

A nt.

Pigliami per 1 orecchie e conducimi.

saprai fra breve;

a misura di carboni vendi-

chcrommi io di tc, a momenti sarai mia sposa.

A go.

Ti

piglicr, poscia amer

ed abbraccer costei.

Ma quello chc voleva io . . .


A de.

Dillo.

Ago.

Ho detto tutto.

Ann.

Oh se me la prosate: io vi citiamo in giudizio, se


pure non vi garba meglio

ch io vi tiri pel collo.

A de.

Perch ci chiamate in giudizio voi? chc vi dobbiamo?

A go.

Diglielo tu.

A de.

Anche i mici cani m abbajano alle costole?

A go.

tu per

bacco

facci un po di carezze, invece

d una pagnotta dammi un bacio, invece dun osso


dammi la lingua, cd allora questo canc tc lo ren
do io tranquillo pi dell olio.
Ann .

Spacciatevi, se avete gambe.

Ade.

Che v abbiam fatto noi?

A nn.

Siete ladre tuttadue.

A de.

Noi?

A nn.

Voi ripeto.

A go.

Ma io Io so.

A de.

Che furto il nostro?

A go.

Domandalo a costui.

Ahi.

Perch senza chc ne avessi fumo

per

tanti

anni

m avete soppialtatc le figliuole, e s eh erano inge


nuo, libere, di gran famiglia.

A d e .N unquam mecastor

reperiti tu istuc probrum pe


nes nos.

A c o . Da pignus, n i nunc pejeres, in savium, uter utri det.


A d e .NU tecum ago: abscede, obsecro te.
A go.

Atque hercle mecum agendum est:

N am hic patruos meus est: pro hqc mihi palrontis


sim necesse est.
E i praedicaboj quomodo dos furta facitis multa ,

Quoque modo hujusce filias apud vos habetis servas,


Quas vos ex patria liberas subreptas esse scilis.
A d e . Ubi sunt eae aut quast obsecro?
A co .

Satis sunt maceratae.

H jit.Q u in eloquar.
A co .

A ge:

censeo hercle, patrue.

A db.
Quid hoc sit

Misera timeoj
negotij

mea

sororj ita stupida sine


animo adsto.

U.4K. Advortite animum, mulieres.

P rim u m , si id fieri
possetj

Ne indigna indignis di darent, id ego evenire vellem:


Nunc quod born mihi di danunt vobis vostraeque
m atrij
Eo dis est aequom gratias nos agere sempiternas,
Quom nostram pietatem

adprobant decorantque di
inmortales.

Vos meae estis ambae filiae, et hic est cognatus


vosterj
Hujusce fratris filius, Agorastoclcs.
A de.

Amabo,

Num hic falso oblectat gaudio nos?

Ade.

Poffar il mondo! mai pi

ci

troverete

addosso

questo delitto. Ago.

D un pegno, c questo sia un bacio se tu dici il

A de .

Io n on p a rlo c o n te, vatten e p e r carit.

Ago.

falso, e se lo dia l un 1 altro.

che proprio mestieri

parlare con me: im

perciocch egli questi mio zio, e caglon di co


stui necessario eh' io la pigli per me. A lui sgram
maticher io il come voi gli facciate

molti la

dronecci, in che modo gli tcniate voi serve le fi


gliuole, le quali sapete voi essere state rubate li
bere dalla patria.
A de.

Dove sono esse? chi sono?

A go.

Si tennero abbastanza sulla corda.

Am.

Parler chiaro?

Ago.

A de.

0 poveretta me! temo dove, o sorella mia, la vo

cos

la penso,anch io.

glia riuscire questa faccenda, son io cos stupida


che non m restato sangue addosso.
Ann.

Attendete adunque, o donne; anzi tutto se si potea far questo voli io provvedere che gli dii non
facessero soffrire cose indegne a chi non le merita;
ora per ci che la bont degli dii

dona a me, a

voi, a vostra madre, giusto che abbiate al cielo


grazie sempiterne, essendo accetta ed onorando la
piet nostra gli dei immortali. Tultadue voi altre
siete mie figliuole, questi

vostro cognato, A go-

rastoclc figlio del fratello di quella.


A de.

DehI vien forse costui per inuzzolirci con qualche


giuggiola?
VOL. I. PtAlIT.

38

A go.

A t me ila di servent*
Ut hic pater est voster! Date manus.

A de.

Salve* insperate nobis

Pater! le conplecti sine! '


A nt.

Cupite atque exspectate

Pater* salve! Ambae filiae sumus:

amplectamur
ambae.

'A go. Quis me amplectetur postea?


JlAif.

Nunc ego sum fortunatus!

M ullorum annorum miserias nunc hac voluptate sedo!


A d e .V x hoc videmur credere.
H an.

Mage qui credatis* dicam:

Nam nutrix primum vostra me cognovit.


A de.

Ubi ea* amabo* est?

H a n . Apud hunc est.


A co .

Quaeso* qui lubet tam diu tenere collum*


Priusquam te m ihi desponderit?

A d E.

Mitto.

A go.

Sperata* salve . . .

A d e . Omitte salutem.
A co.

Et tu altera.

A nt.

Nolo istuc: enicas met

H an . Condamus alter alterum ergo in nervom brachialemf


Quibus nunc in terra melius est?
A co .

Eveniunt digna dignis.


Tandem huic cupitum contigitf 0 Apella* o Zeuxis
pictor*
Cur numerod estis mortui? hinc exemplum ut p in geretisf

Nam alios pictores nil m oror

htijusmodi tractare
exempla.

A go.

Cosi mi conservi Iddio, come vostro padre costui!

A de.

Salve, o nostro padre insperato! lasciatevi abbrac

A nt.

Addio, desideralo ed aspettato padre! noi vi siam

dategli la mano.
ciare da noi.
figliuole ambedue, ambedue vi abbracciamo.
Aco.

E chi' me abbraccer dopo?

A isri.

Ora son proprio in ciclo! questo contento

mi fa

dimenticare le miserie di tanti anni.


Ade.
Ann.

Ci pare appena di crederlo.


E per farvelo creder meglio sentitemi: la

vostra

balia mi conobbe appena veduto.


A de.

E dove, dove adesso colei?

Ann.

Appresso costui.

Aco.

Deh? e

perch

stargli cos aggavignata al collo

anzi che mi ti abbia promessa?


A de.

L o lascio.

Ago.

Salve, o mia speranza.

A de.

Dallato i convenevoli.

A go.

Ed anche tu.

Ant .

Io

A nn.

L un l altro adunque facciam delle braccia catena,

non so chc farne, tu mi ammazzi.

chi ha
Ago.

Son

presentemente miglior bene in terra?

de buoni le

buone

venture!

Alla per

fine

costui fu satisfatto nesuoi desiderii. O Apelle, o Zcusi pittori, perch siete andati s presto sotterra?
qui vi sarebbe un bel quadro a pingere! non pos
sono altri pittori trattar simili quadri.

l i an .D i deaeque omnes* vobis habeo mento magnas gra


tias*
Quom hac laetitia tanta et laniis me adferisti# gaudiis*
Ut meae gnatae ad me redirent in potestatem meam/
A d e .M i paler* tua pietas plane nobis auxilio fuit.
A co.Palm e* facito in memoriam habeas* tuam majoretti
filiam
M ihi te despondisse . . .
H an .
A

Memini.
jEt dolis quid promiseris.

go .

scena

A n t u e m o n id e s * A

ir .

d e l p h a s iv s *

H anno* A

A n t e r a s t y l is *

corasto cles .

A n t . S i ego minam non ullus fuero probe, quam lenoni

dedi,
Tum profecto me sibi habento scurrae ludificatui/
Is etiam me ad prandium ad se abduxit ignavissumus*
Ipse abiit foras* me reliquit pro atriensi in aedibus.
U bi nec letio ncque illae redeunt* nec* quod edim*
quidquam datur:
P ro minore parie prandi pignus cepi* abii foras.
Sic dedero/ aere m ilita ri tetigero lenunculum/
Nactus est hominem* mina quem argenti circum
duceret/
Sed mea amica nunc m ihi irato obviam veniat velim.
Jam pol ego illam pugnis totam faciam ttli sit me
rulea/
Ita replebod atritatis* a trior mullo ut siet
Quamde Aegyptii*

aut qui cortinam ludis per cir


cum fuerunt!

0 Dei, c voi tutte o Dee, ve ne so


mente grazie immortali,
tanta letizia,,

di

io e m e r ito

avendomi ricolmo voi di

tante giojc; dappoich m avete

fatte tornare le figliuole nelle mie braccia.


Ade.

0 padre

mio, la

tua piet ci

ha

tratte

d ogni

Aco.

0 zio, fa di ricordarti, chc m hai promessa la tua

impaccio.
figliuola maggiore . . .
A nn.

Mei ricordo.

Aco.

E la dote che m hai profferta.


SCENA

IV.

A n t e m o n id e , A d e l f a s io , A n t e r a s t il e ., A jnone ,
A g o rasto cle.

A nt.

Se non mi ricatter io bene di quella mina clic ho


data al ruffiano, mi tolgano allora tutti i buffoni
a scornacchiare pi che sanno; to mo, questo moc
cicone e m invita a pranzar seco, e poi mi pianta
come un zugo a pinolo, quasi fossi un frusta mattoni
di

casal

Quivi n il ruffiano nc quelle

si fanno

vedere, n mi si d alcun che a sbocconcellare. Per


lo manco il desinare me lo ingaggiai, io me la son
svignata. Ma lascia fare a me, pagher ben io eoa
paga da soldato questo pollastrierc! s' proprio av
venuto in un uomo che si lascia scarapchinrc per una
mina d argento! Vorrei chc la mi venisse davanti
adesso, che ho tanta rabbia in corpo, quella manza,
ch a suon di pugni la farci venir bianca co n una
merla: tanto vo caricarla di lividure clic hanno da
essere men neri

gli Egizii, o coloro chc ne giuo

chi portano pel circo gli abbevoratoj.

A d e . Tene* sis* vie arie* mea voluptas: viale ego metuo


miltos:
Mala iliaco bestia est: ne forte me auferat, pullum
tuom .

A n t . Ut nequto te satis con plecti* m i pater!


A n t.

Ego me m oror.

Propemodum istoc obsonare prandium polei'o mihi.


Sed quid hoc est? quid hoc? quid hoc esl? quid ego
video? quomodo?
Quid hoc est conduplicationis? quae haec est con
geminatio?
Quis hic homo est cum tunicis

longis* quasi puer


cauponius?

Satin ego oculis cerno? esine illic mea amica A n terastylis?


Et ea certo est. Jampridem ego me sensi nihili pendier.
Aon pudet puellam amplexari alliolum

in media
via?

Jam hercle ego illune excruciandum totum ca m u fici dabo/


Sane genus hoc muliebrosum est tunicis demissitiis.
Sed adire certum est hanc ad amatricem A frica m .
Heus tu* libi dico* mulier* ecquid te pudet?
Quid tibi negoti autem est cum istacce? dic m ihi.
H a n . Adulescens* salve.

A n t.

N olo: nihil ad te allinet.


Quid hanc tibi digito tactio est?
Quia mihi lubet.

JI a k .

k t . Lubet?

H as.

Ha dico.

A de.

Tiemmi

ben stretta, o

paurft de nibbii: quella


che non mi ti

piacer mio:

ho

troppa

l mala bestia, c temo

abbia a ghermire or chc

soa tuo

pulcino.
A nt.
A nt.

Non posso saziarmi dabbracciarti, o padre mio.


Io perdo il tempo. Ora potr rifarmi cosi allingrosso
di questo pranzo; ma chc c ci? che e? che questo?
chc veggo io? come? chc vuol dire questo accop
piarsi, questo abbracciarsi? chi colui con quella
tonaca lunga, come fosse un bidello d osteria? Ho
io le traveggole? e non colei l amasia mia Anterastile? Ella dessa. Oh
pezza prima,

chc ella

me

ne

avvidi

buona

mi stimava men che cica:

non si vergogna la verginella di gittarc le brac


cia in collo a quel agliettino in mezzo della via?
ma aff di Dio lo far ben io strambellare al boja.
Questi tonaconi son pure i grau bordellieri: ma ho
fermo di farmele dinanzi a questa sgualdrinella affricana. Ehi, a te io dico, o donna, dov hai la ver
gogna? E tu che negozio hai con costei? sbrigati.
A nn.

Giovane, addio.

A rt .

Non

vo saluti: non roba tua; chc hai

metterle le mani addosso.


A nn.

Perch n ho voglia.

Ant .

N hai voglia?

Ann.

Certo,

tu

per

A nt.

Ligula, i in malam crucem!

Tune /lic amator audes esse, hallex viri,


Aut contrectare, quom mares homines amant,
Deglupla maena, sarapis, semicinctium,
Mastruga, halagoras, hama, tum aulem plenior
A lii ulpicique quam Rom ani remiges?
AGO.Num tibi, adulescens, malae aut dentes pruriunt,
Qui huic es molestus, an malam rem quaeritas?
A NT.Cur ne
Nam
A co . Sciti",

adhibuisti,

dum istaec loquere, tympa


num ?

te cinaedum -esse arbitror


quam

cinaedus sum?

mage, quam vi
ru m .
Ile

istinc ,

servi,
fora sl

Ecferte fustis/
A nt.
Heus Iu, si quid per jocum
D ix i, nolito iti serium convortere.
A n t . Quid tibi lubido est, obsecro Anthemonides,
Loqu i inclementer nostro cognato et patii?
Nam hic noster pater est, hic nos cognovit m odo
Et hunc sui fratris filium.
A nt.

Ita me Jupiter

Bene amet, bene facium/ gaudeo et volupe est m ih i.


S i quid lenonid obtigit magni m ali,
Quomque e virtute vobis fortuna obtigit/
A n t . Credibile ecaslor dicit: crede huic, m i paler.
I I j n . Credo.
A co .
Et ego credo. Sed eccum lenonem L y ctim ,
Bonum virum, eccum, video; se recipit domum.
I I 4n . Quis hic est?

Ant .

Vatt impicca, o tanghero, tu mezz uomo vuoi far


lo spasimante c toccar femmine amate da qoe che
son uomini daddovvero, menola scorticata, concio di
Persia, cingolino, bordelliere;, bindolo, muso da pen
tola di salamoia, che puzzi daglio e dupiglio pi
d un galeotto romano?

A go.

Dimmi,

garzone,

mascelle o

ti senti

forse

la pruzza

alle

a denti per molestar costui? ti cerchi

forse il malanno?
Ant.

E perch quando tu nc sbajaflavi di queste non hai


sonato il timpano, imperciocch porto opinione che
tu sii piuttosto un zanzero che un uomo.

A go.

Sai tu che zanzero son io?

fate presto, o servi,

Ant .

Ehi tu, se t ho detta qualcosa per ischcrzo, non

Ant.

portate fuori le stanghe.


volerla mettere sul serio.
Antemonide,

che

grillo

tu

hai

per

dir

tante villanie al nostro cognato e padre? peroc


ch questi il padre nostro, e riconobbe pur ora
noi e questo figlio di suo fratello.
A nt .

Cos Giove mJ ajuti, ne godo del ben fatto, e mi


sento andar tutto sottosopra per la gioja, se pure
vero che avvenne qualche malanno al ruffiano avendovi per la vostra virt ajutato la fortuna.

Ant .

In mia le ci dice cosa che gli si pu credere, abbi


fede pur a costui, o padre mio.

Ann.

Gli credo.

A go.

E gli credo anch io: ma ecco il ruffian Lieo, ecco


quella buona perla che torna a casa.

Ann.

Chi costui?

602
A go.

Utrumvis est* et leno et Lycus.

In servitute hic filias habuit tuas*


Et m i auri hic fu r est.
Bellum hominem* quem noveris

Han.
A go.R apiamus in jus.

JHinume.

H an.

Quapropter?

A go.

Quia

H an.
Injuriarum mullam indici talius est.

Air.

SCENA

L ycjs , A gorastocies * H a n n o * A n t h e b o n id e s .
L r c . Decipitur nemo mea quidem sententia*
Quis suis amicis narrat recte res suas:
Nam omnibus amicis meis idem unum convenit*
Ut me suspendam* ne addicar Agorastocli.
A go.Leno * eamus in jus.
L rc.

Obsecro te* Agorastocles*


Suspendere ut me liceat.

Han.

In jus te voco.

L r c . Quid libi mecum autem?


H an.

Quia enim hasce ajo liberas

Ingenuasque esse filias ambas meas.


Eae sunt subreptae cum nutrice parvulae.
Lrc.Jam pridem equidem istuc scivi* et miratus fui,
Venire neminem* istas qui adsereret manu.
Meae quidem profecto non sunt.
A nt.

Leno* in jus eas.

L r c .D e prandio tu dicis: debetur* dabo.


Aco.D uplum pro furto mihi opus est.
L rc.

Sume hinc quidem.

A go.

E l'u n o e laltro, quello clic vuoi, c il ruffiano e


Lieo. Costui ebbe schiave le

tue due figliuole, e

fu ladro dell oro mio.


Ann.

Oh luom santo chc avevi conosciuto!

Ago.

Trasciniamolo in giudizio.

A nn .

Mai n.

A go.

Perch?

Am

Perch assai meglio finirla con una bravata.


SCENA

VI.

L ie o , A c o r a s to c le , A n n o n e , A n te m o n id e .

L ic .

A parer mio niun singanna che dicifcra per punto e


per segno agli amici i casi suoi, perciocch tutti gli
amici miei diedero in questa

voce: m appiccassi

piuttosto chc lasciarmi in bala d Agorastocle.


A go .

0 ruffiano, andiam o a corte.

Lic.

Per carit, Agorastoclc, lasciami fare un penzolo.

Ann.

Vieni in giudizio.

Lic.

Chc avete voi con me?

Ann.

Perch dichiaro che costoro son libere,

nobili,

mie figlie tultaduc: esse piccoline furono

rubate

colla nutrice.
Lic.

Questo me lo vedeva in aria buon tempo prima, eil


andai fuor di me, come non ci capitasse

persontf

a dischiavarle : esse certamente non son mie.


A n t.

Va in giudizio, o ruffiano.

Lic.

Tu parli del pranzo: ti si deve, te lo dar.

A go.

F a d uopo chc

Lic.

Prendilo di qui.

pel

la d ro n eccio

mi

dia il doppio.

604

H a n . Et mihi suppliciis multis.


L rc.
A

Sume hinc quidlubet.

n t . Et

m ilii quidem mna argenti.

L rc.

Suine hinc quidlubet.


Collo rem solvam ja m omnibus, quasi bajolus.

Aco.Num quid recusas contra me?


L rc.

Advorsum quidem.

A co .Ite igitur intro, mulieres. Sed, patnie m i,


Tuam, ut dixisti, m ihi desponde filiam.
H a n . Haud aliter arnim.

Bene vale.

A nt.

A go.

E t tu bene vale.

ANT.Leno, arrhabonem hoc pro mina mecum fero.


L r c . P e rii hercle/
A go.

Im o haud multo post, quom in jus veneris.

L rc .Q u in egomet tibi me addico: quid praetore opust?


Verum obsecro te, ut liceat simplum solvere,
Trecentos Philippos. Credo, conradi polest.
Cras auctionem faciam.
A go.

Tantisper quidem
Ut sis apud me lignea in custodia.

L r c . Fiat.
A go.

Sequere intro, patrue m i , ut festum hunc diem


Habeamus hilare, hujus malo et nostro bono.
M ullum valete. 3Iulta verba fecimusj
Malum postremo hoc omne ad lenonem redit.
Nunc, quod postremum est condimentum fabulae,

S i placuit, plausum postulat comoedia.

F i n i s P o e n u l i.

Asn .

Ed a me la tua pcllq.

Lic.

Prendine di qui a piacer tuo.

Ant.

E a me per una mina d' argento.

Lic.

Di qui prendine finch ne vuoi: io vi paghfcr tutti


di collo come un facchino.

Ago.

E vorrestu ricusarmi qualcosa in faccia?

Lic.

Sul viso si.

A go.

Andate in casa, o donne: ma, o zio mio, prometti -

Akn.

Non vo far diversamente.

mi conforme hai detto la tua figliuola.


A nt.

Addio.

A go.

Addio.

A nt.

0 ruffiano, per la mina d argento

prendo

meco

questa caparra.
Lic.

Son rovinato.

A go.

Fra poco anzi, quando verrai in giudizio.

Lic.

Io mi lascio

tutto

discrezion

ci ha di pretore? ma io

tua:

che uopo

ti prego che mi faccia

sborsare soltanto lo scempio, trecento filippi: avviso


si potranno rastrellare: domani porr Tasta.
Ago.

A patto per che intanto

tu stii

presso

me

in

una gabbia di legno.


Lic.

Si faccia.

A go.

Vieni in casa, o zio, e passiamo allegramente questo


giorno di festa colla sconfitta di

cstui e nostra

vittoria. Voi state sani pi che potete; di ciarle ne


abbiam noi fatte anche troppo, tutta la peggio
del ruffiano: ora quello chc l ultimo condimento
alla favola, se la vi piacque, fate plauso alla com
media.
F ise

del

P enulo.

Le antiche edizioni aggiungono inseguenti versi.


A corjstocles , Lrcvs, H a n n o , A d e l p t ia s iv u s
ANTERASTTLIS, A n TBEKONIDES.
Aco.Q uam rem agitas, miles? qui lubet patino m co
Loqu i inclementer? Ne mirere, mulieres
Quod eum sequuntur: modo cognovit filias
Suas esse hasce ambas.
L rc.

Hem} quod verbum auris meas


Tetigit? Nunc periif Fnde haece perierunt dom o?

A co . Carthaginienses sunt.
L rc.

A t ego sum perditus!


Illud ego melui semper, e cognosceret
Eas aliquisj qod nunc facium est. Fae misero m ih it
Periere, opinor, duodeviginti minae,
Qui hasce emeram.

A co .

Et lute ipse periisli, Lyce.


( Carthaginienses sunt.

L rc.

A t ego sum perditus. J

H a n .Q uis hic est? utrum is est novelle novellicus?


A go. In servitute hic filias habuit tuas.
Et m i auri fu r est.
H an.

Bellum hominem , quem noveris!

A co. Leno rapacem te esse semper credidi;


Ferum et furacem norunt, qui norunt magis.
L r c . Accedam. P e r ego te tua genua obsecroj
Et hunc, cognatum quem tuum esse inleUigo,
Quando boni estis, ut bonos facere addecet,
Facitote et vostro subveniatis supplici.
Jampridem equidem istas esse scivi liberas,

Et expeclabam* si qttis adsereret manu


Eas: nam meae prorsus non sunt. Tum aulem aurum
tnum
Reddam* quod apud me ed, et jusjurandum dabo*
Me malitiose nil fecisse* Agorastocles.
A go. Quod mihi par facere est* commode egomet consulam.
Omitte genua.
L rc.

Mitto* si ita sententia est.

A go . Heus tu* leno.

Quid lenonem vis inter negotium?

L yc.

A go . Ut nunc argenlum m ihi reddas, priusquam in ner-

vom abducere
L r c . D i meliora faxinlf
4 go.

Sic est: video* coenabis foris.


A u rum * argentum* collumt leno* tria tu nunc de
bes simul.

Il

a n . Quid

med hac re facere deceat* egomet mecum


cogito.

S i volo hunc ulcisci* lites sequar in alieno oppido.


Quantum audivi* ingenium et mores tjus quo paclo
tieni . . . .
A

db.M i

p a ter *

ne quid tibi cum istoc re sii*

maxume
obsecro.

A n t . Ausculta sorori. Abi* disjunge inimicitias cum im


probo.
I I a n . I I oc age* sis* leno. Quamquam ego te meruisse* ut
pereas* scio*
Non experias tecum.
Aco.

Ncque ego, si aurum m ihi 1'eddes meum*


Leno* quando, ex nervo emissus, compingare in
carcerem.

L r c . Jam autem, uti toles? Ego, pene, me tibi pur


gatum volo.
S i quid dixi iratus advorsum animi tui sententiam,
Id ut ignoscas, quaesos et quom istas invenisti filias,
Ita me di ament, mihi voluptast.
IIan.

Ignosco et credo tibi,

A u t . Leno, tu aut amicam reddas facito aut auri m ihi


minam.
L r c . F in ' tibicinam meam hbere?
A nt.

N il m oror :ibicinam:

Nescias, utrae ei majorest buccaene an mammae sient.


Ijrc .D a b o quod placeat.
A nt.

Curato.

L rc.

A urum cras ad te referam tuum.

A eo. Facito in memoria habeas. Miles, sequere me.


Ego vero sequor.

A nt.

A go. Quid ais, patrue? quando hinc ire cogitas Cartha


ginem?
Nam tecum una me ire certum est.
H an.

Ubi primum potero, illico.

A go. Dum auctionem facio, hic opus est aliquot ut maneas


dies.
I I a n . Faciam ita* ut vis.
A go .

Age, sis, eamw; nos curetqus. Plaudite.

NOTE

(1) Ho seguitata la lezione elei Parco.

liroe liroe,

(2) Cos meglio delle lezioni volgate

legge

Bothe.
(3 ) Volli seguire la correzione dell Acidalio.

( i ) Osservisi quanto sia pi bello il sumus saturae di Giun


ti, che il tcimtis facere delle volgate.
(5) Seguitai G. Ermanno il quale

cancell il salsa sunt

eh era in questo verso.


( 6) Cos Gronovio a questo luogo Nebulae cyatho emere

vel condicere

idest re

aliquem posse,

vilissima

levissimaque el nihili. Nebulae ponuntur pro nu


gis, rebus nugacibus et inanibus. Unde Aristo
phanes traducturus in scena Socratem, tamquam
ineptiis meris operam dantem, facit illum pro ve
nerandis

deabus

adorare N stpeXag nubes,

seu

nebulas, Pers. Sat. I.


G rande

l o c u t u r is

ne bu las

H e l ic o n e

leg u nto .

hoc est vana poetaram commenta fumis et nebu


lis similia,

ex Helicone illorum adsciscunlo.

Eo

autem magis apposite vilissimae meretricis no


ctem dicit Plautus cyatho nebulae emi, quod hu
jusmodi mercede muneribusque, quae eyatho aut
mensuris similibus poterant

expendi,

liquidorum sed pretiosorum, infames


ces

ab

hominibus

V ol. I. P l a u t .

luxuriosis

hoc

est,

illae mer

comparabantur.
59

Ah ri la

intendono

diversamente.

Vedi Turnebo.

Lambino, Bothe.
(7 ) Cos Bothe.
( 8) Idem.
(!)) Questi stessi bei sentimenti si riscontrano anche nella
Mostellaria.
(10) Pi d ogni altra lezione questa mi parve bellissima.
(11) Vedi Bothe, Plaut, Taur, Voi. III. 410.
( 12) Idem.
(13) Idem.
(14) Ferbernllum joci causa finxisse mihi videtur Com icus,
quod similiter a Verbero derivatur atque H om ul

lus ab homo, Lenullus a Leno, Catullus a Cato.


Eothe.
(15 ) Alili

collocavano le volgale io

bocca

di Adclfasio

queste parole.
(16) Bothe mette questo verso in bocca di Agorastocle, io
amai meglio seguir le volgate.
(4 7 ) Pessimamente leggono alcuni

e tra questi Lam bino

e Camerario majorem parie minore habitas mea.


(18) Pro, e Lambino leggono grallatorem.
osserva Turnebo:

qui

clava

Adv. lib. XV.

Ma bene cos

Sunt clavatores

utuntur, qui ftopiqvyzr^

est vocatus

sed et calones militum , ligneas clavas ferentes: quod


gentis hominum el laboriosum et velox est,

cu r-

sorumque inlerdum officio fungilur.


(1 9 ) Mal leggono

le edizioni Larnb., Cam., Box,,

omue

furlum.
(20)

Unguenlorum eflnsionibus~Ciancraro.

(19) Pag. 552. Molli leggono malae mulieri.


(20) Il

Prof.

Bcllcrman di Berlino interpret

in

latino

questi versi Cartaginesi nella seguente maniera:

H jkk)

M em or ero deomm dearumque, urbcm Itane tutan


tium,
S i negotia mea conficiuntur ex eorum edictis,
Ut filium mei fratris dilectissimum et meas gnatas
redimam
Numine ipsorum providentiae.
Ante obitum suum hospitii jus mecum exercere so
lebat ille bonus Anlidamarchottj
V ir, qui noverat mej sed nunc in alto congregatus
est cum iis, quorum habitatio in splendore.
F ilium illius viri probi huc habitatum iisse dicunt,
dgorasloclem.
Tessera mea hospitalis rotunda est cum signoj eam
mecum fero.
D ix it m ihi quidam, in hac regione illum, habitare.
Ulinam aliquis hisce ex foribus exeat, qnem rogem,
an de eo certiorem facere me possit.
M em or ero deorumque, ut pote polentissimorum hac
de re consiliariorum,
Liberate meos a luctu! eripite ex miseria me mea,
siquidem propitii vos estis aegro!
O Spes,

huc

venias! Haud inviltis ego perferam

molestias, modo vos, dii, negotium meum adju


tetis curetisque, id quod precor,

maternalem

domum.
Quisque probus
exaudiant

exsurgat

et precetur: Ulinam dii

lamentationem

patris

innocentiae,

dignoscantque nepotem ope sfgorastoclis.


Inclinam ini ad

querelatu

miseriae hujus, dii mei

auxilii,

cumulantes beneficium vestrum!

Tunc

a lamentando abstinebunt labra mea.


Euge*

larga tunc

afferam sacrificia

de frum ento

horrei in laudemt
(21) Salvcle silis gratiosi,

v iri dom ini mei. In

in tim a

meo est a n g or .
( 2 2 ) Salve . . . .
(23) Domine mi.
(24) Salve* m i domine.
(25) Misellum, hominem!
(26) Medici nuco istam.
(27) Hospitium. Socius tibi explicabit.
(28) J b i ad daemones! quiesce!
(29) F ir dixit prudenter.
(30) Ridete, cives, rem m irificam !
(31) Involvitur insanus mendaciis.
(32) Petulantiam stolidi dominus coelorum frenet!
(35) Laetatus est dominus meus, quod deus benigne r e -

didit has filias* non m orti tradidit.


(34) Quis me beatior?

D o lo r silebit! in aeternum gau


debimus beatissimi!

(35) Lachanam ad Daemones. - B o t h e : - est? Grae

cae sunt hae columnae: sustolli solentj quasi scilicet


graecas tantum columnas sustollere soliti fuissent; id
quod in columnas omnes cadit. Missis virorum docto
rum de hoc loco conjecturis, quarum nulla est pro
babilis, age veterum codicum excutiamus lectiones.
Vetus igitur codex Camerar.

sustollis oleni; Dccurt.

Thraece sut coetu ne

Ihreoe sunt columne sustol

lis olenij MSS. Scaligeri in Conjectaneis, ubi hec ex


pendit: Trecae sunt celonnae etc. edd. primaee: th ro -

eae sunt caelum ne sustoli solem. Scquiomm librorum nugas referre piget, quorum tamen nullus istud

Graecae habet, sed excogitavit id Turnebus Adversa


X, 24; neque mirum, in tanta eruditorum trepida
tione lectionem, quae certe sensum habere videretur,
exceptam esse tanquam margaritam.

Nos secundum

MSS., in primis Scaligeri, qui praeferebat Threcae stmt3


reposuimus Tricaru m sunt,

r o rum in Tricarum

a sequente sunt interceptum rati, quum constet r et

s litcras tam similes saepe esse in manu scriptis, ut


aegre dignosci

possint;

qua de re dictum ad Men.

590. Nam quod Trecae codex, non Treca, vide, sis,


quae monemus

Mere. -143. Quum igitur,

conspectis

filiabus suis, mirabundus exclamasset Hanno Quantae

e quantHlis ja m sunt factae/ Agorastoclcs per jocum,


tanquam illo rem mirante ut novam et d ifficile in
tellectu: Scin' quid est, inquit, tvicarum l (h. c. Scin'
quid hoc sit negotii intricati?

vin aenigma tibi sol

vam? Columnae sunt, quae sustolli solent. Filios co


lumnas domuum dici, neno nescit;

quorum loeo fi

liae erant Hannoni, quia

prole caruit. C

mascula

Erasmi Adagg. I, 3, 42.

F ike del V olume I.

H primo ttumei'o indica la pagina il secondo la linea.

E rro ri

C or rezioni

468 -14 r it

sit

472

dici

476

480

8 dici

9 qnid

quid

28 dnpli

dupli

8 diet

dici

529 20 gli o

o gli

536 27 non

nunc

569 21 foraccia

focaccia

593

9 in alcuni pochi fogli


come modo

002 Scena XIV.

come
V I.

INDICE

Dediea de M e n e m m i................................... Pag.

IIL

Elogio dei Professore F io c c h i.......................... *

V.

Angeli Mai P n e f a t i o ........................................

XXV.

I M e n e m m i....................................................... ......
M o s t e l l a r i a .......................................................
Dedica della M o stella ria ......................... .

33

4G1

464

L a G o m e n a .......................................................

293

Dedica della G o m e n a .........................................

295

II P e n u l o .............................................................

451

Dedica del Penulo ...............................................

453

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