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Anno
Anno
XXXVIII
XL
28.09.2016
05.04.2018
SPECIALE
674
Numero
Il Tornado
PERIODICO DI ATTUALITÀ DEI COMUNI DI ALANO DI PIAVE, QUERO VAS, SEGUSINO
LA RACCOLTA
DEGLI ARTICOLI DEDICATI A
EGIDIO FORCELLINI
http://digilander.libero.it/tornado
Tassa Pagata/Taxe Perçue/Ordinario Autorizzazione Tribunale BL n. 8 del 18/11/80 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 – (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BL
4 ATTUALITÀ
Il buon vecchio Forcellini s’era preoccupato soprattutto di un’esatta descrizione delle forme dei vocaboli, dei signi-
ficati e degli usi; di fornire uno strumento retorico nel solco degli artisti sommi delle età “aurea” e “argentea” della
latinità, le uniche che si sentisse davvero di raccomandare, e annotando cursoriamente, come coprendo una devia-
zione morale, le espressioni delle età “ferrea” e poi “lutea”, quella fangosa della latinità che perisce. Ora sulle sue
tracce rimescolate si delineava filologicamente e logicamente, a grappoli, la storia di ogni parola, e dall’insieme
delle parole la storia di una lingua.
Cosicché nel 1857 uscivano quasi contemporaneamente, a Padova ancora e a Prato, i primi fascicoli di due nuovi
Forcellini, suscitando con la loro coincidenza e concorrenza lo scandalo e lo sdegno di Niccolò Tommaseo, come
ennesima prova dell’inguaribile divisione e rivalità degli italiani. Il lessico primitivo passava da quattro a dieci tomi
nella nuova edizione De-Vit, la più mastodontica, e da 35 milioni di lettere a 87.
C’è, all’inizio della premessa di quest’ultimo lessico, che da sola occupa un volume di 260 pagine in folio su due co-
lonne, la citazione di un carme di Giuseppe Giusto Scaligero, altro intenditore di linguistica già in pieno Cinque-
cento. «Se - cantava lo Scaligero in una delle sue Sylvae - se c’è da condannare qualcuno alle galere, meglio le-
garlo alla compilazione di un lessico: quest’unica pena ha tutti i tormenti delle altre messi insieme». Ma addetto a
quella galera, Egidio Forcellini morì a ottant’anni, Ambrogio da Calepio a più di 70, Iacopo Facciolati a 87 e
Vincenzo De-Vit a 81, un mese dopo aver licenziato le bozze del quarto e ultimo volume a cui si arrestò la sua
opera.
Il ritratto di Egidio Forcellini, una cui stampa venne riprodotta sulla prima
edizione del Lexicon Totius Latinitatis, è ora conservato nel Seminario di
Padova (nella foto a destra). Così ne scriveva lo stesso Egidio nelle sue
lettere:
«Il mio ritratto…è fatto con diligenza, e ha costato a me quasi nove ore.
Egidio è sedente al suo tavolino calepinario, e colla sinistra accenna i suoi
scritti posti in scansia e contrassegnati coi loro titoli. Sopra di essi nella
cornice della scansia sta scritto: Expertus disces, quam gravis iste labor.
In fianco alla sedia l’arma di casa, poi MDCCLI, Aegidius Forcellini Sem.
Pat. alumn., λεξιхογράφος a.n. LXIII»
L’illustre latinista nacque a Fener, in località Faveri, il 26 agosto 1688 e vi morì il 5 aprile 1768
Dunque, oltre a essere dotato di grande umiltà, umanità e bontà, era un ve-
ro e proprio “gigante della lingua latina”, non a caso unanimemente definito
“il principe dei lessicografi”, di cui il prossimo 5 aprile ricorre il 250° anniver-
sario della morte. Egidio Forcellini era nato a Fener in località Faveri (allora
appartenente alla Parrocchia di Campo) il 26 agosto 1688 e vi era morto il 5
aprile 1768, tre anni dopo aver ultimato la sua titanica opera e aver lasciato il seminario patavino per far ritorno a
casa. Fu Jacopo Bernardi (autore, con Francesco Corradini, di Lettere di Egidio Forcellini al fratello Marco con bio-
grafia di Egidio ed altre aggiunte, Padova 1876) a raccontare di aver rintracciato gli atti di battesimo e di morte del
Forcellini nell’archivio parrocchiale di Campo S. Ulderico in occasione di una visita fatta il 6 maggio 1850. Tali do-
cumenti andarono poi distrutti insieme con l’archivio parrocchiale durante l’invasione austriaca degli anni 1917-
1918. Nella stessa circostanza il Bernardi rinvenne anche il sepolcro di Egidio. «Ci recammo - scrive - alla chiesa, e
il parroco ed il cooperatore aiutandoci a smuovere da questo e quel sito alcuni banchi sovrapposti, a sinistra rimpet-
to l’altar maggiore apparve la lapide sepolcrale ove l’iscrizione: Sepulchrum Sacerdotum». Dopo le distruzioni del
1917-1918, il parroco don Angelo Maddalon, riedificata la chiesa, raccolse le poche ossa rimaste e le compose
piamente in una nuova tomba nel mezzo della navata riproducendo, sopra una lastra a losanga sul pavimento,
l’iscrizione fatta precedentemente apporre: Hic requiescit / Aegidius sacerdos Forcellini / obiit anno MDCCLXVIII die
V Aprilis / annos natus LXXIX.M.VIII.
Ecco l’atto di battesimo come fu trascritto dal Bernardi nella citata visita del 6 maggio 1850: «1688, 27 agosto: Egi-
dio figlio del sig. Bernardino Forcellino e di Maddalena Elisabetta Forcellino quondam Girolamo, sua consorte, fu
battezzato da me Vito Kinzpergher rettore; compadre fu il signor Sebastian Trieste di Fenero e Maddalena Maria
moglie di messer Marco Morrò pur di Fenero: nato li 26 detto la sera». Vito Kinzpergher, nativo del Primiero, Dioce-
si allora di Feltre, era stato parroco di Fener dal 1662 al 1679, quando passò alla limitrofa Parrocchia di Campo.
Parrocchia di Campo di cui la contrada dei Faveri, pur vicinissima alla chiesa parrocchiale di Fener S. Michele, fece
parte fino al 1920. Il vicino oratorio di S. Cecilia invece, decorosamente restaurato in occasione del bicentenario
della morte di Egidio (ed anche successivamente), era sotto il giuspatronato della famiglia Forcellini. Ne fu devota e
vigile custode a suo tempo la madre di Egidio ed Egidio stesso durante le ferie estive del ‘53 provvide ad alcuni la-
vori di restauro: «Ho riparato i giorni scorsi il tetto affatto rovinoso di questa chiesetta» (come scrisse nella lettera
inviata da Fener al fratello Marco in data 25 agosto 1753).
Dell’atto di morte, invece, ne dà notizie anche mons. Alvise Dal Zotto in apertura del suo Umanità e spiritualità di
Egidio Forcellini lessicografo, Istituto per la storia ecclesiastica padovana 1969, libro preziosissimo ristampato dal
Circolo Culturale dei Quattro Comuni (Alano di Piave-Quero-Vas-Segusino) in occasione del tricentenario della na-
scita in concomitanza con le “celebrazioni forcelliniane” promosse dall’Amministrazione Piccolotto nel 1988 ad Ala-
no, Padova e Vittorio Veneto con la partecipazioni di studiosi di tutto il mondo e precedute, il 28 agosto 1988, da un
ricordo proposto dalla Parrocchia di Campo alla presenza, tra gli altri, del vescovo di Padova Filippo Franceschi. Da
Umanità e spiritualità di Egidio Forcellini lessicografo proponiamo di seguito alcuni brani che danno appieno l’idea
della grandezza del nostro illustre conterraneo.
Sotto la data 6 aprile 1768, nel Libro dei morti della parrocchia di Campo S. Ulderico si leggeva un tempo questa
notizia: «Il Rev.do Sig. don Egidio Forcellini, d’anni settantanove e mesi otto, di febbre infiammatoria, munito de’ ss.
2 ATTUALITÀ
Sacramenti... passò da questa a miglior vita ier sera. Il suo corpo fu sepellito in questa chiesa nel sepolcro de’ sa-
cerdoti... ». Due giorni dopo il trapasso così il nipote Bernardino ne dava notizia allo zio Marco: «Piacque al Signore
Iddio levar di questo mondo il mio fratello e mio zio e padre d. Egidio... Si ammalò il giovedì santo di sera dopo es-
sere stato alle funzioni della chiesa parrocchiale, di mal di petto; ed il martedì alle ventidue circa, terza festa di Ri-
surrezione, spirò con sentimenti cristiani, terminando la vita con le orazioni. L’abbiamo sepolto da povero, non
avendogli trovato potere maggiore». Tanto “da povero”, che non ebbe nemmeno l’onore, né allora né poi,
dell’iscrizione da lui stesso preparata per la sua tomba: «Aegidii Forcellini Bernardini f[ilii] Sem[inarii] Patavini]
alumni sacerdotis et λεξιхογράφου ossa sub hoc lapide expectant dum Christus ab astris extremo veniat reddere
iura die. V[ixit] a[nnos] …. Abiit ad plures a[nno] .... Eppure intorno al suo feretro tanti sacerdoti e fedeli avevano
pregato e pianto in quei giorni. Il dott. Antonio Corà, già alunno del Seminario di Padova, ne aveva tessuto l’elogio.
E il vecchio Facciolati, ottantaseienne, esordiva nella sua lettera di condoglianze da Padova: «Scrivo piangendo,
perché non posso pensare alla mancanza di persona da me tanto amata, senza piangere...». Passava cosi da que-
sto mondo a Dio un uomo umile e grande, che tanto aveva amato il suo Seminario e di tanta gloria l’aveva insignito.
Era un dovere per l’Istituto, a due secoli dalla morte, rievocarne «la cara e buona imagine paterna», che con gli
ideali della cultura e della cristiana saggezza anche alla nostra generazione può ancora insegnare «come l’uom
s’eterna». Bernardini filius, Seminarli Patavini alumnus, sacerdos et λεξιхογράφος. Proprio cosi, com’egli scrisse
nella sua epigrafe tombale, nelle notizie premesse al Lessico e poi ancora in testa al Breviario, giunto fino a noi, sul
quale, vox totius Ecclesiae pregò negli ultimi quindici anni di vita. Il lessicografo, perché come tale nel suo Semina-
rio egli visse e operò per i posteri; ma insieme anche il figlio di Bernardino, che dalla sua famiglia trasse e alla sua
famiglia e a quanti incontrò nella vita partecipò i doni d’una umanità in sommo grado soave ed amabile; e insieme
ancora il sacerdote, che seppe armonizzare in sé e per gli altri il perfetto ideale umanistico di virtù cristiana e di ro-
mana cultura. […]
Era nato il 26 agosto 1688 a Fener, un paesino coronato dai monti al primo aprirsi della valle feltrina, nel breve pia-
no tra la riva destra del Piave e l’estreme pendici orientali del Grappa. La sua contrada dei Faveri - poche case me-
schine raccolte, allora come oggi, intorno all’oratorio di S. Cecilia - dipendeva a quell’epoca dalla parrocchia di
Campo, situata su in alto. La famiglia era povera, ma poteva vantare una certa origine aulica. Aveva la propria tom-
ba, anche se ristretta, nel cimitero attorno alla chiesa, e si fregiava d’uno stemma, “l’arme di casa”, come lo chia-
mava Egidio non senza un sorriso d’innocente ironia. Il padre suo, spartita l’eredità con altri sei fratelli e una sorella,
aveva sposato Elisabetta, una “Forcellini” anch’essa, e questa gli aveva dato tre figliuole ed altri tre maschi: Fortu-
nato, che l’avrebbe seguito nel lavoro dei campi, e Marco, destinato come il primo agli studi. L’onesto agricoltore,
tutto preso dal lavoro e dai problemi economici della famiglia, non dovette influire profondamente nell’educazione di
Egidio, come invece influirono la madre e lo zio Uberto, un ottimo sacerdote, che S. Gregorio Barbarigo aveva ac-
colto un giorno, adolescente, nel suo Seminario, e poi fra gli Oblati per mandarlo ben presto a reggere, proprio di
fronte a Fener sull’altra riva del Piave, la parrocchia di Segusino, dove rimase per quasi mezzo secolo venerato
come un santo. Il giovanetto, forse dopo qualche esperienza sui campi, passò presso di lui per apprendervi i primi
rudimenti insieme al gusto per le cose di Dio e della Chiesa. Fatto maturo, amerà ripetere che solo a quel sacerdote,
dopo Dio, doveva la sua riconoscenza quod non pessimus hominum esset.
Entrò in Seminario a 16 anni compiuti, il 22 ottobre 1704. Gli fu fissata la retta dei poveri, 25 ducati e, in vista della
preparazione precedente, venne iscritto nella terza scuola, di Grammatica superiore. Completò in tre anni le cinque
classi successive di studi umanistici, e poi in altri tre i corsi di filosofia e teologia, frequentando parallelamente nel
pomeriggio le Scuole d’Accademia e di Lingua greca. […] Sui suoi professori siamo scarsamente informati. Alla
scuola di Umanità ebbe Andrea Brigenti di Agna, insigne latinista, passato poi a Roma. Gli insegnò filosofia Dome-
nico Basso dal Dolo, divenuto poi rettore e riformatore del Seminario di Vicenza. Ma il suo grande maestro fu Jaco-
po Facciolati, un uomo così diverso per indole e finalità culturali e tuttavia così vicino all’animo suo riconoscente. Lo
incontrò alla Scuola d'Accademia e da lui appena venticinquenne e prefetto degli studi, non senza forse un intimo
dissidio, poté ascoltare le prolusioni, che facevano andare in visibilio gli uditori per la smagliante magniloquenza e
la virtuosità dialettica, con cui quegli riusciva a dimostrare, o meglio a colorire, le tesi più disparate. Come quando,
dopo aver provato nel 1707 l’assunto: Iuvenes ad eloquentiam aptiores esse quam senes, l’anno successivo prova-
va l’opposto: Senes ad eloquentiam aptiores esse quam iuvenes. Ma il gusto del latino gliel’aveva infuso lui e fatto
adulto il discepolo amava ripetere che a lui unicamente era debitore quod non stultissimus esset et illiteratus.
Allo studio delle lettere il Forcellini non mancò di affiancare, allora e in seguito, un accurato approfondimento delle
discipline teologiche. […] Sui 23 anni fu ordinato sacerdote e celebrò la prima Messa a Segusino presso lo zio
Uberto, mentre qualche mese prima era stato chiamato dal Vescovo Giorgio Cornaro a insegnare i primi elementi di
latino e di greco nella Classe Infima del Seminario. Tenne la cattedra per un quadriennio, dopo di che gli venne af-
fidato un genere di studi e ricerche, che lo occupò, possiamo dire, eroicamente per quasi tutta la vita. […]
Si cominciò con dei lavori preliminari, nei quali è difficile distinguere la parte avuta dall’uno e dall’altro, ma non si va
forse lungi dal vero, se si restringe, in qualcuno almeno, l’opera del maestro, che aveva una gran voglia di compari-
re e dell’altrui fama «ladro non era, ma usurpatore un po’» (come dirà il Tommaseo) e si allarga invece quella del
discepolo, che faceva di tutto per scomparire agli altri e perfino a se stesso. Il Forcellini contribuì dunque alquanto
alla rifusione del Lessico Greco dello Schrevelius. Non pare invece che si sia adoperato, come vorrebbe qualcuno,
per migliorare quello Ciceroniano del Nizolius e il manuale sulle Particelle della Lingua latina, malamente raffazzo-
nato dal Tursellino e da altri. Anche per quanto riguarda l'Ortografia moderna italiana, una vasta raccolta di voci
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ricavata dai migliori scrittori d’Italia, con a fianco i vari modi di tradurle in latino, ridotti all’essenziale e senza fraseo-
logia, solo nelle ultime edizioni prestò la sua collaborazione accanto al Facciolati.
Ma urgeva ormai affrontare a fondo l’idea di un nuovo lessico latino, da sostituire a quelli correnti. Su tutti aveva
avuto larghissima fama per due secoli il Calepino, così detto dal luogo d’origine del suo compilatore frate Ambrogio
da Calepio, che il Tiraboschi paragonava ad Amerigo Vespucci, per aver indebitamente oscurato con il suo nome la
fama dei lessicografi precedenti Giuliano Maggi e frate Nestore Dionigi novarese. Successivamente rimanipolato il
Calepino n’era uscito malconcio: Bonus Me Calepinus toties coctus et recoctus parum sapit, diceva un epi-
gramma corrente. I maestri del Seminario fin dai tempi di S. Gregorio avevano recato notevoli contributi agli studi
lessicografici con i commenti del Ferrazzi a Cicerone e le dichiarazioni del Giacometti a Tito Livio. Il Coppo aveva
poi raccolto in un manoscritto tuttora esistente una notevole messe di giunte e Giacomo Sartori aveva ricevuto un
po’ dalle mani di tutti la materia per sue 392 fittissime pagine a due colonne, pubblicate in appendice alla nostra
prima edizione del Calepino nel 1708. Sette anni dopo il Facciolati pensò a una rifusione radicale e ne incaricò il
Forcellini. Il quale portò a termine l’immane fatica in poco meno di quattro anni, quasi da solo, anche se il maestro
non mancherà di vantarsi nella prefazione, del proprio titanico lavoro, declassando l’opera dell’anonimo discepolo a
quella d’un manovale robusto o poco più. […]
Uscito nel ‘18 il Calepino, si pensò tosto a un rifacimento totale su scala assai più vasta. […] Molto più semplice-
mente il Forcellini in una nota rimasta tra i manoscritti del Lessico: «Si terminò di correggere e di stampare (il Cale-
pino)... e poco dopo si cominciò di nuovo a rifarlo, ma di proposito avendo spesi tre anni e mezzo per la lettera A».
Si lavorò per sei anni alacremente. Scrive ancora il Facciolati: «Sei volumi (in realtà due e mezzo) furono scritti in
mia camera e sotto gli occhi miei da quello stesso mio prediletto scolare... Il resto egli fece quasi da solo». L'esame
dei manoscritti del Lessico rivela che l’intervento diretto del maestro si limitò, con note autografe, a una sessantina
di voci, con qualche breve passo segnato accanto ad esse. Con la morte del Card. Cornaro e l’avvento del succes-
sore Gianfrancesco Barbarigo, nipote del Santo, il lavoro rimase a poco a poco bloccato. Non si riteneva forse op-
portuno continuare un’opera così colossale e dispendiosa. Facciolati finì per lasciare nel ‘22 il Seminario e con lui fu
travolto due anni dopo anche il suo collaboratore. «S’interruppe il rifacimento - continua il Forcellini nella sua nota
manoscritta - il mese d’agosto di quell’istesso anno 1724, quando s’era pervenuto alla voce comitor e ciò per esse-
re stato licenziato a forza (malo fato dirà altrove) l’Autore». Passò allora per sette anni al Seminario di Ceneda ove
fu Prefetto degli Studi e Rettore e insegnò pure Retorica, commentando, tra l’altro, la Divina Commedia. Contempo-
ranei e posteri lo considerarono come secondo fondatore di quel Seminario, che egli «ridusse a una esattezza sin-
golare secondo il metodo di quel di Padova». Richiamato a Padova dal nuovo vescovo Giovanni Minotto, riprese il
lavoro, strenue progrediens fino al 1742, allorché, giunto alla voce pone, annotava nel manoscritto: Deinceps
tarde admodum procedet hic labor, quod mihi praeterea gravissimum confessarii onus impositum est. Di-
venne dunque Padre Spirituale (Confessore, come allora si diceva) e per nove anni poté dedicare al Lessico solo
brevi ritagli di tempo avanzando come a pié zoppo e con soste continue. […] Ne era rammaricato e scriveva al fra-
tello: «Il mio Calepino sta male, al solito interrotto, impedito quasi ogni dì, costretto a camminare colle tartarughe».
Ma finalmente nel ‘51 il Vescovo Rezzonico lo liberò dal gravissimo impegno. […] Sedici mesi dopo, giunto alla fine,
annotava: Θεϖ χάρις, Deo gratias. - Ad qualemcumque finem Deo favente perveni. In due anni lo rilesse e
poi man mano il testo fu trascritto calligraficamente con otto anni di lavoro da Lodovico Violato in sedici volumi, tut-
tora superstiti. Su di essi il Forcellini tornò fino all’ultimo con qualche aggiunta marginale e con qualche altra nota
stesa a parte negli ultimi anni a Fener, «incapace - com’egli scriveva - di deporre i pensieri calepinarii».
E il titolo? Facciolati aveva pensato a un pomposo composto grecanico e l’aveva vergato di suo pugno a grandi ca-
ratteri sulla prima pagina del manoscritto: Grammatophylacium. Il Violato nella copia calligrafica scriverà sempli-
cemente Nuovo Calepino, mentre Egidio, accanto al titolo proposto dal maestro, che lo faceva forse benevolmen-
te sorridere, ne segnava per suo conto altri due simili tra loro e assai più modesti: Lingua Latina - suis elementis -
digesta et illustrata - ad usum Seminarii - Patavini. Oppur e : Elementa - Linguae Latinae - per ordinatam
litterarum seriem - digesta et exposita - ad usum etc. Gli editori adottarono quello che poi rimase per sempre e
che il Forcellini non avrebbe certo accolto, perché pretenzioso: Totius Latinitatis Lexicon. L’opera era finita e
l’autore - che non ebbe la sorte di vederne stampata nemmeno una riga - la dedicherà commosso ai suoi seminari-
sti desiderosi di acquistare familiarità con la lingua di Roma: Clericis - Seminarii Patavini - Latinae Consuetudinis
adsequendae cupidis. Ci pare ancora di sentirlo, alla fine della sua prefazione, parlare a loro raccolti intorno, piano
e soave nel suo terso latino: In hoc unum industriam, vires, tempus collocavi: adolescens manus admovi, senex,
dum perficerem, factus sum, ut videtis. Utrum nihil aliud, quam ab aliis descripserim, conferendo cum aliis intellige-
tis. Presentati al Seminario i frutti del suo lungo fedele servizio e considerata ormai compiuta l’opera sua, a ses-
sant’anni dacché vi era entrato, chiese e ottenne di tornare tra i suoi, «per avere un poco di quiete» - scrisse al fra-
tello - anche se quel che in casa finora «appena bastava a cinque persone, dovrà bastare a sei». La sua partenza
suscitò un generale compianto. […] E così gli altri amici di Padova, il Morgagni sopra tutti, «quell’aureo vecchio»
(come lo chiamava il Forcellini), «il quale se lo strinse tra le braccia prima della partenza e non riuscì a trattenere le
lagrime». «Fu accompagnato - scrive il suo fedele copista - da me Lodovico Violato alla casa dei signori Panighetti,
dove era atteso dalli sig. Franzoja dovendo partire insieme con essi. Mi separai da esso con vero sentimento di te-
nerezza e non senza lagrime per il gran compatimento ch’ebbe sempre per me nella copia della sua opera, e molto
più per averlo sempre trovato affettuoso ed eguale». Lassù, in quel «meschino paese della miseria, quasi fuori dal
mondo» (sono parole sue), umile tra gli umili, visse ancora tre anni serenamente, tutto dedito a opere sante. Poi
mosse incontro al Signore.
4 LETTERE AL TORNADO
Alano di Piave onora il grande latinista a 250 anni dalla sua morte
Ringraziamenti
a cura del Comitato dei Genitori della Scuola dell’Infanzia di Quero
Ciao a tutti! Ci presentiamo: siamo i rappresentanti del Comitato dei Genitori della Scuola dell’Infanzia M. Vergerio
Casamatta di Quero. Vogliamo approfittare delle pagine del Tornado per ringraziare gli organizzatori della
Desmontegada 2017, della Festa di Halloween e della Befana in Valle di Schievenin 2018 che hanno pensato di
donare al nostro Comitato il ricavato delle loro manifestazioni. In questi appuntamenti numerosi genitori si sono resi
disponibili e si sono rimboccati le maniche quando c’era da lavorare e per questo, e per tutte le altre occasioni in cui
non esitano a farsi avanti, noi vogliamo ringraziarli! Siamo proprio una bella squadra! Molte saranno le attività che
riusciremo a finanziare con queste donazioni, come ad esempio l’uscita didattica prevista per la settimana dello
sport (in particolare una bellissima avventura alla scoperta dell’arrampicata sportiva), e sicuramente le maestre ci
indicheranno di quali nuovi strumenti didattici avranno bisogno i nostri bimbi. Ancora un enorme grazie a chi ci ha
aiutato, siamo molto orgogliosi di far parte di una comunità che ha a cuore il futuro dei nostri bambini.
ore 10.30
Chiesa parrocchiale di Campo di Alano
1
Era passato oltre un secolo dalla morte del “principe dei lessicografi” e la terra natìa non aveva ancora pensato a un
modo consono per celebrarlo. Va detto che furono più i queresi che gli alanesi a spingere affinché questa “gloria” del
nostro territorio fosse adeguatamente ricordata. In particolare, fu Jacopo Bernardi - di origini queresi e curatore, as-
sieme a Francesco Corradini, di Lettere di Egidio Forcellini al fratello Marco con biografia di Egidio ed altre aggiunte -
a lamentare l’oblio nel quale il Forcellini era caduto e a proporre di onorare la sua figura con un busto marmoreo pres-
so il Seminario di Padova e una lapide nelle vicinanze della sua casa natale ai Faveri.
Fu quindi formato un comitato ristretto di tre persone - di cui faceva parte, oltre al Bernardi e al Corradini, anche il que-
rese Antonio Carniello - che, il 1° maggio 1876, pubblicò un manifesto per rendere partecipi dell’iniziativa più persone
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possibile e per lanciare una sottoscrizione, alla quale rispose poi tutta Italia, per raccogliere fondi per la costruzione.
L’articolo 5 di detto manifesto così recitava: “Ottenuti 400 soci, detratte le spese per la stampa delle lettere, il resto sa-
rà devoluto prima per la lapide presso Quero. L’adesione è fissata in lire 3 (italiane)”. E di seguito: “Fu scelto il luogo
presso il superbo Ponte sul Tegorzo a lato della strada nazionale…dove avrebbe potuto parlare allo sguardo dei pae-
sani e dei passanti”.
Come faceva giustamente notare il maestro Cristiano Codemo Menoli in un suo scritto del 1988, “Si nota come non ci
siano esponenti del Comune di Alano, della frazione di Campo e di Fener, che in quel tempo avevano medici e avvo-
cati laureati a Vienna. La risposta ce la danno i giornali dell’epoca: “…la gentile e storica Quero è il punto di convegno
di letterati e patriotti”.
Su una facciata si legge l’iscrizione in latino redatta dal Corradini: Aegidio For-
cellini / lexicographum principi / maximo patavini seminarii / ornamento / hoc
monumentum / quo loci ortum sepulcrumque / habuit / anno ab ejus morte CXI
/ ad tanti nominis / gloriam instaurandam / positum est. Tradotta in italiano: “A
Egidio Forcellini, principe dei lessicografi, massima gloria del seminario patavi-
no, fu collocato questo monumento nel luogo dove egli ebbe i natali e morì,
nell’anno 111° dalla sua morte, per rinnovare la fama di un nome così grande”.
Sulla terza facciata, infine, si legge: Col concorso d’Italia / promotori Jacopo
Bernardi / Francesco Corradini / Antonio Carniello / il XXVIII settembre
MDCCCLXXIX.
La mattina del 28 settembre 1879, giorno dell’inaugurazione, nella casa del querese Antonio Carniello (uno dei tre
promotori) si dettero appuntamento personalità politiche, religiose e della cultura provenienti da ogni parte d’Italia.
Successivamente il corteo, con alla testa la banda cittadina di Feltre, partì da Quero in direzione Ponte Tegorzo.
Essendo il monumento in territorio alanese, prese la parola l’allora sindaco di Alano Fortunato Parteli (dei Parteli di
Colmirano) che, tra le altre cose, disse: «…mi è dato d’annunziare che la lunga dimenticanza in che giacque il nome
del “principe dei lessicografi” Egidio Forcellini è degnamente e solennemente riparata…».
Il discorso ufficiale, invece, fu pronunciato da Jacopo Bernardi che disse, tra l’altro: «La vita di Egidio Forcellini fu vita
di semplicità immacolata, di impreteribile osservanza ai doveri sacerdotali fino allo scrupolo adempiuti, ma senza intol-
leranti irritazioni, senza malignità partigiane; fu vita di tranquilli purissimi affetti domestici e di esemplare affetto mater-
no. […] La sua è una vita di quarant’anni assidua, laboriosissima, intorno all’opera veramente monumentale di racco-
gliere in un corpo solo le disgregate membra di parole e cose, di credenze e di avvenimenti significati dalla lingua di
un gran popolo che, per la forza ineluttabile dei secoli, disparve, ma lasciò di sé tali vestigia da rendere disperata ogni
altra generazione ventura di raggiungere pari altezza: e questo popolo era formato dai nostri padri. […] L’opera e il
nome dell’insigne conterraneo vostro immortalmente staranno; cioè fino a tanto che la lingua e le imprese di un gran
popolo, del più grande che i secoli abbiano veduto, finché le arti, le lettere e i commerci e la sua civiltà si ricorderanno;
tanto la memoria di Egidio Forcellini, senza che nella sua modesta semplicità movesse egli in cerca di così alto fine,
seppe collegarsi, connaturarsi quasi, alla vita e alla storia del popolo latino. […] Lui che, consacrando tutti i suoi giorni
alla virtù, alla carità, alla scienza, visse e morì poveramente, inconscio della gloria di cui la posterità meritatamente
avrebbe onorato il suo nome».
Tra i molti oratori che via via si succedettero, merita di essere ricordato il giovane Antonio Carelle (dei Carelle di Cam-
po, ramo Moreno), studente diciannovenne (e futuro professore) che, definito “giovane di ricchezza d’ingegno e pro-
fondità di sentire” e incoraggiato dagli applausi dei presenti, ebbe così - grazie al Forcellini - il suo giorno di gloria.
Durante la Grande Guerra, la piramide triangolare eretta in ricordo del Forcellini subì dei danneggiamenti sulle tre fac-
ciate; delle dodici gradinate originarie, le prime quattro rimasero intatte, ma le restanti otto cedettero. Il monumento fu
ripristinato nel 1921 grazie al contributo dei signori Dalla Favera, Lomboni e Merlo.
Nel redigere questi sintetici cenni storici, ci sono stati molto utili sia le note redatte sull’argomento dal maestro Cristia-
no Codemo Menoli sia l’interessantissimo e documentato libretto Egidio Forcellini, un grande uomo di un piccolo pae-
se scritto nel 1968 dalla maestra Maria Prest, che molti nostri lettori certo ricorderanno e della cui opera consigliamo
vivamente la lettura.
4 ATTUALITÀ
In questi giorni - il 26 agosto - ricorre il terzo centenario della nascita di don Egidio Forcellini, e ben a ragione lo si ri-
corda. Il suo nome è infatti noto non solo fra i cultori di lingua latina per il Lexicon Totius Latinitatis, ma anche fra le
persone di cultura; ed immagino più ancora la sua memoria è viva tra voi e fedelmente tramandata alle nuove genera-
zioni. La lingua latina non è più studiata e conosciuta come ai tempi del Forcellini e come lo era ancora negli anni dei
miei studi, ma il suo nome e la sua fama vanno al di là dell’opera che ci ha lasciato. Nato in una contrada di Fener che
allora apparteneva spiritualmente alla parrocchia di Campo, da modesti genitori, entrò a 16 anni nel Seminario di Pa-
dova, dove completò i suoi studi umanistici prima, filosofici e teologici poi, rivelando fin dagli inizi grandi doti di intelli-
genza e di bontà. Fra i suoi professori più celebri figura Jacopo Facciolati, tanto da lui diverso per indole e finalità cul-
turali e tuttavia tanto vicino all’animo suo riconoscente. Famoso per la sua eloquenza, il Facciolati doveva divenirlo
anche nell’attribuirsi meriti che erano invece dell’alunno Forcellini, il quale seppe sempre unire allo studio e all’amore
per le lettere altrettanta cura per le discipline teologiche. A 23 anni fu ordinato sacerdote e celebrò la sua prima Messa
a Segusino, dove era parroco lo zio Uberto. Chiamato in Seminario, attese per qualche tempo (4 anni)
all’insegnamento del latino e del greco e poi gli fu affidato un genere di studi e di ricerche che dovevano tenerlo occu-
pato per tutta la vita, salvo brevi e poche interruzioni. Si trattava di affrontare l’idea di un NUOVO lessico latino da sosti-
tuire a quelli correnti. Fra tutti il lessico che per due secoli aveva avuto larghissima fama era il Calepino, così detto dal
luogo di origine del suo compilatore fra Ambrogio da Calepio. L’opera fu dedicata “ai chierici del Seminario di Padova
desiderosi di acquistare familiarità con la lingua latina”. Don Egidio Forcellini, finita l’opera, se ne tornò fra i suoi “per
avere un po’ di quiete” e visse ancora tre anni. I posteri in don Egidio Forcellini esaltarono con voce quasi unanime il
filologo colto e paziente che tanto ha contribuito a far conoscere la lingua di Roma. Ma troppo spesso hanno dimenti-
cato e disatteso le sue doti umane, le sue virtù illuminate da un senso religioso della vita e da una fede intensa e pro-
fonda. Vorrei ricordarne alcune con voi perché, anche se non possiamo seguirlo sulla via della cultura e della cono-
scenza del latino, possiamo almeno seguirlo su quella di una sincera umanità e di elette virtù. La prima qualità umana
che voglio ricordare è la sua grande umiltà: una qualità, questa dell’umiltà, che spesso rischia di essere dissimulata; si
ama dichiarare la propria pochezza perché altri esalti i nostri pregi e meriti. In don Forcellini fu sincera e traeva ali-
mento dal desiderio di essere ignorato, cercando di stornare da sé l’attenzione dei dotti e di celare la propria cultura,
pronto ad attribuire ad altri il merito di averlo avviato allo studio e alla ricerca. Umiltà e modestia furono due atteggia-
menti spirituali che accompagnarono sempre la vita di don Egidio, attento invece ad impiegare con scrupolo tutto il
tempo che il Signore gli concedeva. Per 40 anni attese al suo lavoro. Chi guarda i volumi del Lexicon non può non ri-
petere col prof. Amaducci «Come ha fatto? Da solo! Sembra un prodigio!». E lo sarebbe per chi non avesse avuto la
sua eroica cristiana tenacia. Rifulsero in don Forcellini anche i sentimenti più semplici e familiari, quelli che talora si
preferisce nascondere e che invece più di altri rivelano l’umanità e la nobiltà delle persone. Mi riferisco, pensando al
Forcellini, al suo amore per il Seminario: anche il Lessico nasconde tracce di tale affetto. Del Seminario amava i colle-
ghi e i maestri, i discepoli piccoli e grandi; per loro aveva lavorato, desideroso di dare un contributo alla formazione dei
futuri ministri della parola nel servizio di Dio e della Chiesa. Fu anche per qualche tempo padre spirituale e confesso-
re. Per noi è più facile seguire don Egidio nell’amore ai familiari e, prima fra tutti, alla mamma, ma non dobbiamo di-
menticare l’amore al Seminario. Non si manifesta in tutti allo stesso modo, ma deve esser sentito da tutti: il Seminario
è la prima e fondamentale comunità della Diocesi, è lì che si preparano i futuri pastori per le comunità parrocchiali; ed
esercitano meglio il loro ministero se seguiti, aiutati, amati dai fedeli della stessa comunità. Parlando di uno studioso
celebre per la sua opera può apparire superfluo soffermarsi un attimo a riflettere sulla sua vita spirituale. Non lo è,
perché Forcellini fu sacerdote e perché nei suoi studi mai si affievolì il suo riferimento a Dio. La pietà e l’amore che ri-
servava ai suoi familiari possono essere considerati come un riflesso del suo amore e della sua pietà verso Dio. Dio e
la sua Provvidenza erano i cardini della sua fede, mentre sentiva in modo perfino eccessivo il suo limite ed il bisogno
della pietà di Dio. Il suo rigore si sarebbe detto un po’ giansenista, tanto era severo, se non fosse stato sempre ac-
compagnato da un sereno abbandono nel Signore. La sua devozione ai Santi e specialmente alla Madonna fu esem-
plare. Ci piace ricordarlo mentre in Diocesi si sta ormai concludendo l’Anno Mariano. Fu per qualche tempo, negli ul-
timi anni, in attesa del nuovo parroco, vicario economo di Campo e fino alla fine - la Settimana Santa del 1768 - conti-
nuò a salire la lunga via che separava la contrada dei Faveri dalla parrocchia. Sono passati tre secoli dalla nascita di
don Egidio Forcellini, ma la sua memoria vive consegnata all’opera Lexicon Totius Latinitatis, che resta ancora insu-
perata. Voglio sperare che buona memoria, come di un figlio eletto, conservi il Seminario e non sia dimenticato in
questa comunità che forse è nota nel più vasto mondo perché la patria del Forcellini. Conservare la memoria di coloro
che ci hanno preceduto nel cammino della vita ed hanno concorso a promuovere la nostra condizione umana e il no-
stro sapere aiuta a mantenere vivo il legame con la storia, a capire meglio il senso dei nostri giorni, a sentirci sospinti
a fare per quanto sta in noi che il cammino dell’umanità prosegua e che nel suo itinerario ogni uomo si avvicini sempre
più alla verità, meglio se anche alla fede nel Signore, che è verità e vita. La memoria di don Egidio Forcellini che oggi
qui abbiamo evocato, l’onore che intendiamo tributargli e la sua opera e il suo esempio siano per ognuno di noi
un’occasione e un invito a pensare la nostra vita in termini di un servizio e di un atto di amore verso i nostri fratelli. Ciò
che rimarrà è il bene che avremo saputo fare e la testimonianza che del bene avremo saputo dare.
1 CRONACA
e la spesa. “Licenziato a forza”, l’artefice fu rispedito alle sue montagne, dove tenne sette anni la direzione del
seminario di Ceneda. All’arrivo di un altro vescovo, tornò a Padova, e si rimise al “tavolo calepinario”, come
modestamente chiamava la sua industriosa officina. Nel 1742 era giunto a “pone”, ma la nomina a confessore del
grosso seminario gli sottrasse praticamente il tempo per andare avanti. «Il mio Calepino sta male, al solito
interrotto, impedito quasi ogni dì, costretto a camminare colle tartarughe», scriveva, con umorismo non recriminante
né commiserante. Dopo nove anni, nel ‘51, liberato dall’ufficio, con una tirata finale di sedici mesi, riuscì a portarlo a
termine. Altri due anni richiese la rilettura, e otto la trascrizione fatta da copista in sedici volumi. Ma l’opera, di quasi
intera una vita, non andò ancora alla stampa. Né si sa che l’autore dimostrasse impazienze e risentimenti. A
settantasette anni, nel gennaio 1765, domandò di tornare dove era nato, in quel «meschino paese della miseria,
quasi fuori del mondo» (parole sue), e l’ottenne per grazia, con annui ducati cento. Visse tre anni, ancora, umile tra
umili, conforme al suo “costume aureo e puro”, elogiato da uno dei suoi vescovi. Si dilettava in lavori di artigianato,
e tra casa e campi, dove andava a “piccar” l’uva. Del suo sapere, il grande vocabolarista diceva che, se pur c’era,
era “scienza di parole”, nel senso inferiore che “l’imitazione di Cristo” le assegna in paragone al primato delle opere.
E protestava: «Io non intendo di fare al mondo comparsa di letterato, ma d’ignorante quale sono: anzi desidero di
non comparire per nulla». Con l’usata reverenza ricordò quel suo troppo esigente maestro, il Facciolati, nella
prefazione lasciata per il lessico, e vietava che altri lo pungessero in sua presenza, perché sentiva che «ciò punge
l’anima». Non mancava, per sua natura, di spirito. Sotto il ritratto alquanto florido dell’autore di un “Direttorio
mistico”, scrisse il versetto di Giovanni “non giudicate dalle apparenze”, in greco. D’un piovano, un omonimo
Forzellini, notò con esatti termini “la ventraia smoderata fuori di piombo”. Un nipote che vestiva con qualche
eleganza temeva che avesse a diventare “nepos”, che latinamente vale anche scialacquatore. Ma il suo gusto era
nella fede e carità, espresse con semplici sentenze, come “spes mea certa Deus”, “donar bisogna tutto a Dio”. Della
sua latinità non si serviva più che a effondere la contrizione, in distici. Morì il 5 aprile 1768, martedì dopo Pasqua,
alla vigilia degli ottanta, e fu sepolto da povero, «non avendogli trovato potere maggiore». Questo principe dei
lessicografi non vide la stampa del suo grande dizionario, che andò in tipografia solo dopo la sua morte, e si
pubblicò con la data del 1771. Il titolo, dato da altri, sarebbe apparso a lui certo troppo ampio. Non si sa per
determinazione di chi, il nome del reale autore venne preceduto, ancora, da quello dell’iniziale maestro, con
qualche incongrua ambiguità sulle parti: Totius latinitatis lexicon, consilio et cura Jacobi Facciolati, opera et studio
Aegidii Forcellini. Sbaglierebbe, tuttavia, chi volesse ascrivere la bonomia, l’umiltà, l’assoluta mancanza di
ambizione del Forcellini a semplice mitezza di carattere, a naturale ripugnanza della celebrità, a dolcezza e
tolleranza nei confronti dell’ambizione del maestro e dell’amico. No: nella sua modestia, nella sua serena
accettazione di un ruolo marginale, anzi, del mancato riconoscimento pubblico del suo enorme lavoro filologico -
perché, almeno in privato, vogliamo credere, e quasi sperare, che il Facciolati non sarà stato altrettanto avaro - vi è
qualche cosa di più e di diverso. Qualcosa, crediamo, che non ha tanto a che fare con la naturale predisposizione
del suo carattere, o, almeno, non solo con essa, ma con un afflato di autentica spiritualità, di autentica religiosità, di
autentico abbandono in Dio: perché chi possiede un tale spirito - come lo possedettero generazioni e generazioni di
studiosi, di artisti, di scienziati del Medioevo - non persegue la propria gloria, né si cura dell’ammirazione del
mondo, ma persegue soltanto e unicamente la gloria di Dio, di cui si ritiene un modesto, e fors’anche indegno,
strumento. Un servo inutile, secondo la definizione del Vangelo, si riteneva Egidio Forcellini: aveva risposto con
umiltà e dedizione totale al richiamo divino, ma sapeva di non aver fatto nulla con le proprie forze e di essere stato
nient’altro che un operaio al servizio d’un disegno più grande: da ciò la sua mansueta disponibilità a ritornare
nell’ombra, la sua aspirazione alla quiete del paese natìo, lontano dagli onori e dalla fama del mondo; da ciò la sua
serenità interiore, il suo equilibrio, la sua assoluta mancanza d’invidia o di amarezza. Da ciò, ancora, la sua
inclinazione alla vita semplice, la naturalezza con cui seppe passare dallo scrittoio dell’erudito ai lavori della vigna e
dell’orto, dal seminario della città famosa, ove era pur qualcuno, all’anonimato di un villaggio ai piedi delle Prealpi,
in cui non c’era un’anima che potesse comprendere e apprezzare il suo valore di latinista; e da ciò, per ultimo - ma
non da ultimo - la sua assoluta dirittura e benevolenza, per cui non tollerava che, in sua presenza, si dicesse
alcunché contro il suo invadente e non troppo scrupoloso maestro, perché il suo cuore era troppo limpido per
contenere la mala pianta del risentimento e troppo grande per albergare i germi dell’invidia o della gelosia. Era,
insomma, un vero cristiano, come ne ha prodotti tanti, nel corso del tempo, la società contadina pre-moderna,
particolarmente nel Nord-Est d’Italia: galantuomini dello spirito, umili membri di una “civica Dei” che viveva accanto
alla città degli uomini, dominata dall’ambizione e dalla malizia, anzi intrecciata ad essa, e tuttavia radicalmente
diversa da essa, quanto sono diverse le spighe di grano dalle ortiche e dalle erbacce che si mescolano in mezzo a
quelle: uomini e donne che, probabilmente, sono ancora fra di noi, accanto a noi, che incrociano i loro passi con i
nostri, ma che noi, il più delle volte, non sappiamo vedere, né riconoscere, proprio perché non fanno rumore, si
muovono in punta di piedi e fanno del bene con estrema semplicità, con pudore, quasi con ritrosia, e intanto
contribuiscono a rendere più lieta e amabile anche la nostra vita, senza che noi ce ne accorgiamo. L’albero buono
non può dare frutti cattivi, e viceversa. Vi sono ideologie che promettono la pace, la giustizia, la libertà, ma intanto
camminano sulle gambe di uomini e donne meschini, prepotenti, ambiziosi, che seminano dolore e amarezza
intorno a sé; e vi sono ideologie che non promettono il Paradiso in terra, perché vedono l’uomo così com’è, ossia
incapace di trasformarsi, da solo, in un angelo, ma che indicano, nondimeno, la via del Bene, perché lo vedono
anche come può diventare, se si lascia guidare da un Amore più grande: e sono queste ultime che producono una
messe copiosa di uomini e donne di pace, portatori di autentica comprensione fraterna e messaggeri di perdono e
riconciliazione. Rendiamo omaggio, pertanto, in Egidio Forcellini, non solo allo studioso esimio e disinteressato; non
solo all’uomo buono e mite, lieto di qualunque sorte venga da Dio; ma anche a quella religione e a quella cultura
che hanno saputo produrre, nel corso della storia, tanti uomini e donne di tal fatta.
2 ATTUALITÀ
LA CASA NATALE AI FAVERI Nella foto a sinistra, l’abitazione di Fener, ai Faveri, costruita dove, più o meno,
sorgeva la casa natale di Egidio Forcellini, che qui nacque il 26 agosto 1688 e qui morì il 5 aprile 1768. Sulla faccia-
ta è stata apposta una lapide (nella foto a destra) recante la scritta: QUI ERA LA CASA / DOVE NACQUE E MORI’
/ EGIDIO FORCELLINI / CHE COL SUO LESSICO / IMPRESSE / DINANZI AL MONDO / IL PROPRIO NOME /
SIGILLO IMPERITURO DI GLORIA / N. 26.8.1688 M. 6.4.1768 (la data di morte riportata sulla lapide è sbagliata).
L’ORATORIO DI SANTA CECILIA AI FAVERI Adiacente alla casa natale, vi era allora (come vi è ancor oggi)
l’oratorio di Santa Cecilia (nella foto a sinistra), che all’epoca era sotto il giuspatronato della famiglia Forcellini. Ne
fu devota e vigile custode la madre di Egidio ed Egidio stesso durante le ferie estive del ‘53 provvide ad alcuni lavori
di restauro: «Ho riparato i giorni scorsi il tetto affatto rovinoso di questa chiesetta» (come scrisse nella lettera inviata
da Fener al fratello Marco, a Venezia, in data 25 agosto 1753).
LA CHIESA PARROCCHIALE A CAMPO Nella foto a destra, la chiesa di Campo, dove sono custoditi i resti mortali
del “principe dei lessicografi” e alla quale si recavano all’epoca gli abitanti dei Faveri, facendo parte, la borgata, del-
3 ATTUALITÀ
la Parrocchia di Campo (e questo fino al 1920). La piazza dove sorge la chiesa è da tempo intitolata al Forcellini,
così come la via che dai Faveri sale verso Campo.
E proprio a Campo furono ritrovati gli atti di nascita e di morte del Forcellini (e all’interno della chiesa le sue ossa).
Fu Jacopo Bernardi (autore, con Francesco Corradini, di Lettere di Egidio Forcellini al fratello Marco con biografia di
Egidio ed altre aggiunte, Padova, 1876) a raccontare di aver rintracciato gli atti di battesimo e di morte del Forcellini
nell’archivio parrocchiale di Campo S. Ulderico in occasione di una visita fatta il 6 maggio 1850. Tali documenti an-
darono poi distrutti insieme con l’archivio parrocchiale durante l’invasione austriaca degli anni 1917-1918. Nella
stessa circostanza il Bernardi rinvenne anche il sepolcro di Egidio. «Ci recammo - scrive - alla chiesa, e il parroco
ed il cooperatore aiutandoci a smuovere da questo e quel sito alcuni banchi sovrapposti, a sinistra rimpetto l’altar
maggiore apparve la lapide sepolcrale ove l’iscrizione: Sepulchrum Sacerdotum».
Dopo le distruzioni del 1917-1918, il parroco don Angelo Maddalon, riedificata la chiesa, raccolse le poche ossa ri-
maste e le compose piamente in una nuova tomba nel mezzo della navata riproducendo, sopra una lastra a losan-
ga sul pavimento, l’iscrizione fatta precedentemente apporre: HIC REQUIESCIT / AEGIDIUS SACERDOS FOR-
CELLINI / OBIIT ANNO MDCCLXVIII DIE V APRILIS / ANNOS NATUS LXXIX M VIII. Tradotta in italiano: “Qui ripo-
sa Egidio Forcellini, sacerdote. Morì nell’anno 1768, il giorno 5 aprile. Aveva 79 anni e 8 mesi”. L’iscrizione che
possiamo leggere ora, invece, è esattamente quella voluta da Egidio Forcellini (nella foto a sinistra): AEGIDII FOR-
CELLINI BERNARDINI F[ILII] / SEM[INARII] PAT[AVINI] ALUMNI SACERDOTIS ET / λεξιхογράφου / OSSA SUB
HOC LAPIDE EXPECTANT DUM CHRISTUS AB ASTRIS / EXTREMO VENIAT REDDERE IURA DIE / VIXIT AN-
NOS LXXIX / ABIIT AD PLURES / DIES V APRILIS ANNO MDCCLXVIII. Tradotta in italiano: “Sotto questa lapide i
resti mortali di Egidio Forcellini, figlio di Bernardino, sacerdote e lessicografo, aspettano finché Cristo dal cielo non
venga a giudicare nell’ultimo giorno. Visse 79 anni. Passò nel mondo dei più nell’anno 1768, il 5 aprile”.
All’esterno della chiesa, su un lato, campeggia inoltre una lapide con le parole di Niccolò Tommaseo (nella foto a
destra): EGIDIO FORCELLINI / ONORE DEL CLERO E DEL SAPERE ITALIANO / QUI PREGO’ NEGLI ULTIMI
ANNI DELLA PURA SUA VITA / COSPICUO DI SACRA AUTORITA’ / PERCHE’ SENTI’ LA GRANDEZZA / NON
DELLE PROPRIE BENEMERENZE MA DEL DOVERE / FU GRANDE. Cui segue, da parte dei promotori delle ce-
lebrazioni del 1968: Nel 2° centenario dalla morte la patria venerante, che si gloria di conservare in questa chiesa le
sue spoglie mortali. Nella chiesa di Campo, infatti, si celebrò in più occasioni il nostro illustre conterraneo, autore
del Lexicon Totius Latinitatis: il 6 ottobre 1968 (per il secondo centenario della morte), il 28 agosto 1988 (per il terzo
centenario della nascita) e, recentemente, l’8 aprile 2018 (per il 250° dalla morte).
IL MONUMENTO AL TEGORZO E IL BUSTO IN MUNICIPIO All’imbocco del ponte sul Tegorzo fa bella mostra di
sé il monumento a ricordo di Egidio Forcellini (nelle foto nella pagina seguente), inaugurato il 28 settembre 1879 e
della cui costruzione ci siamo occupati diffusamente sul n. 701. E’ una piramide triangolare, realizzata su progetto
dell’ingegner Giovanni Faccinetto e sotto la direzione dell’architetto Sebastiano De Boni. Su una facciata si legge
l’iscrizione in latino redatta dal Corradini: AEGIDIO FORCELLINI / LEXICOGRAPHUM PRINCIPI / MAXIMO PATA-
VINI SEMINARII / ORNAMENTO / HOC MONUMENTUM / QUO LOCI ORTUM SEPULCRUMQUE / HABUIT / AN-
NO AB EJUS MORTE CXI / AD TANTI NOMINIS / GLORIAM INSTAURANDAM / POSITUM EST. Tradotta in italia-
no: “A Egidio Forcellini, principe dei lessicografi, massima gloria del seminario patavino, fu collocato questo monu-
mento nel luogo dove egli ebbe i natali e morì, nell’anno 111° dalla sua morte, per rinnovare la fama di un nome co-
sì grande”. Su un’altra facciata si legge l’iscrizione in italiano redatta dal Bernardi: DOPO UN SECOLO DI SILEN-
ZIO / SU LE OBLIATE CENERI / DI EGIDIO FORCELLINI / PERCHE’ QUI A GLORIA / DE LA SUA TERRA NATA-
LE / E D’ITALIA / FOSSE IL NOME / DEL SOMMO LESSICOGRAFO RIDESTO / UN RICORDO MODESTISSIMO
/ SI ERESSE. Sulla terza facciata, infine, si legge: COL CONCORSO D’ITALIA / PROMOTORI JACOPO BER-
NARDI / FRANCESCO CORRADINI / ANTONIO CARNIELLO / IL XXVIII SETTEMBRE MDCCCLXXIX. Durante la
Grande Guerra, la piramide triangolare eretta in ricordo del Forcellini subì dei danneggiamenti sulle tre facciate; del-
le dodici gradinate originarie, le prime quattro rimasero intatte, ma le restanti otto cedettero. Il monumento fu restau-
rato nel 1921 grazie al contributo dei signori Dalla Favera, Lomboni e Merlo.
4 ATTUALITÀ
Molto più recente, ovviamente, è il busto di Egidio Forcellini che possiamo ammirare all’ingresso del municipio di
Alano (nella foto centrale, tra quelle del monumento). E’ opera dell’artista alanese Elvio Meneghetti, commissionato
dall’Amministrazione Piccolotto in occasione del terzo centenario della nascita del Forcellini. E l’Amministrazione
Piccolotto promosse, dall’11 dicembre 1988 al 1° agosto 1990, anche una serie di interessantissimi appuntamenti -
ad Alano, Padova e Vittorio Veneto - volti a ricordare degnamente il nostro illustre conterraneo. Vi presero parte in-
signi studiosi, scrittori e poeti, italiani e stranieri, secondo un programma formulato da un Comitato scientifico com-
posto dai professori Gerardo Bianco, Francesco Dalla Corte, Massimiliano Pavan ed Emilio Pianezzola., sotto l’Alto
Patronato del Presidente della Repubblica, con il Patrocinio dell’Università di Padova, dell’Accademia Patavina di
Scienze Lettere ed Arti e del Comune di Padova e con l’adesione e la partecipazione del Comitato per la Difesa del-
la Cultura Italiana presieduto da Giuseppe Montalenti, Accademico dei Lincei. I temi trattati durante i vari incontri
furono: “Il latino nella cultura moderna (sec. XVI-XVII)”, “Il latino nella cultura moderna (sec. XVIII-XX)”, “Il latino nel-
la nuova scienza linguistica”, “Il latino nelle scuole e la diffusione delle collane dei classici”, “Evoluzione della lin-
gua”.
Circa un mese fa, infine, l’Amministrazione Bogana ha posto, in prossimità della borgata dei Faveri, il cartello (nella
foto a sinistra) che rimanda alla chiesa di Sant’Ulderico di Campo, dove riposano le spoglie mortali del Forcellini,
come recita anche la lapide che si può ammirare all’interno della chiesa stessa (nella foto a destra) e che è stata
apposta nel 1988 in occasione del terzo centenario della nascita.
(tratte dal libro Lettere di Egidio Forcellini al fratello Marco con la biografia di Egidio ed altre aggiunte edito nel
1876, a cura di Jacopo Bernardi e Francesco Corradini)
Oltre allo stesso Forcellini, anche coloro che gli vissero accanto si rifecero a Fener come paese di nascita: tra i tan-
ti, cito un suo discepolo, il Ferrari, che visse molti anni nel Seminario di Padova con il celebre maestro e che nella
sua opera Vitae illustrium virorum Seminarii Patavini (stampata nel 1815 e assai considerata da tutti gli autori suc-
cessivi) così scrive del Forcellini:
«Aegidius Forcellinius honesto genere natus est Phaenerii…»
Ricordo inoltre che nella rassegna di scritti e oggetti del Forcellini, allestita nel Seminario di Padova in occasione
del II centenario della morte (1968), spiccava il suo breviario sul cui frontespizio è scritto in bella calligrafia:
«Aegidius Forcellini filius Bernardini et Elisabeth de Fenero»
Addirittura il Museo Correr di Venezia contiene testimonianze in tal senso: vi sono custodite, infatti, ventiquattro let-
tere di Egidio al fratello Marco, istitutore presso la nobile famiglia dei Dolfin, diciannove inviate da Padova e cinque
da Fenero, oltre a nove lettere inviate invece da Marco a Egidio. Ecco qualche frammento degli scritti di Egidio:
Padova, 16 marzo 1739 (pag.428 - volume secondo)
«Che non abbia lettere da Fenero non mi meraviglio tanto, quanto di non averne da voi…»
Fenero, 4 settembre 1741 (pag.429 - volume secondo)
«Sono finalmente giunto qua il primo di questo e ho trovato la Madre in ottimo stato di salute, grazie a Dio»
Fenero, 18 agosto 1750 (pag.433 - volume secondo)
«Alli 14 sono giunto sano e salvo in questo paese della miseria, dove per carestia delle biade i poveri fan compas-
sione: specialmente la sorella Zuanna, che era stata ier l’altro a pranzo meco, ha raccontato le piaghe dei Benati
assai profonde e sanguinose»
(tratte dall’opera Alano, la memoria e l’immagine di una Comunità edita nel 1993, a cura di Giancarlo Follador)
Tutte le lettere custodite al Correr di Venezia sono riportate nella ponderosa e documentatissima opera in quattro
volumi Alano, la memoria e l’immagine di una Comunità voluta dall’Amministrazione Piccolotto. A pagina 422 del
secondo volume, nella parte dedicata a Egidio Forcellini, si legge:
«Anche da Fener, dal paese natale dove trascorre abitualmente la fine estate, non dimentica di esortarlo ad uno
studio assiduo e di stimolarlo ad assumere una dieta alimentare più igienica. Nella lettera del 28.9.1937, in seguito
al proposito manifestato di far una capatina a Fener, Egidio dice che è sì contento di vederlo, ma che si accerti del
pieno consenso di Ca’ Dolfin…»
Potrei continuare all’infinito, ma credo che quanto proposto sia già sufficiente per far chiarezza in modo definitivo su
un equivoco la cui causa «va ricercata forse nel solito errore in cui cadono facilmente storici e giornalisti che con-
fondono le parrocchie con i paesi» (da La difesa del popolo dell’8 settembre 1968).
Bailley nel 1826. a Lipsia a cura dello Scheller nel 1828, a Prato a cura di Francesco De Vitt dal 1860 al 1878, per-
ché non prodotte dalla tradizione del Seminario di Padova.
«Egidio Forcellini nacque il 26 agosto 1688. Completati gli studi presso il Seminario di Padova e divenuto sacerdo-
te, affiancò Iacopo Facciolati (1682-1769), allora Prefetto degli studi, nella revisione del Calepinus septem lin-
guarum (un dizionario compilato dal bergamasco Ambrogio da Calepio, stampato a Reggio Emilia nel 1502, del
quale si ebbero ben 12 edizioni nella Tipografia del Seminario). Più che di una revisione, però, il Calepino aveva bi-
sogno di un vero e proprio rifacimento. Nel 1718 il Forcellini si accinse, sempre su indicazione del Facciolati, a “ma-
nipolare” il cotto e ricotto dizionario, con lo scopo di presentare le forme dei classici a chi volesse «latina intelligere
et latina scribere», ben lontano probabilmente dall’immaginare l’esito dell’impresa. L’opera procedette lentamente a
causa della difficoltà e della mole del lavoro e a causa di altri incarichi nel frattempo affidati al Forcellini (per un cer-
to periodo fu anche direttore spirituale dei chierici). Finalmente il 24 marzo 1753 giunse alla conclusione del suo la-
voro. Il Forcellini rilesse pazientemente e corresse per intero i volumi autografi e, dal 3 dicembre 1753 al 13 novem-
bre 1761, ne sorvegliò la copiatura, diligentemente eseguita da un impiegato della Tipografia che conosceva il lati-
no, Ludovico Violato. Sperava che i superiori decidessero la stampa del suo Lessico, ma allora il Seminario era tut-
to un cantiere per la ricostruzione voluta dal cardinale Rezzonico. Stanco di attendere, nel 1765 si ritirò al suo pae-
se natale distribuendo il suo tempo tra lo studio, il lavoro manuale e
l’esercizio del ministero pastorale. Egidio Forcellini muore il 5 aprile 1768
ma il suo nome rimane inseparabilmente unito al Lexicon totius latinitatis,
detto comunemente Il Forcellini. Il 1° gennaio 1769 si decide di affidare a
Gaetano Cognolato (1728-1802) la stampa del Lexicon totius latinitatis, che
comparve in quattro volumi nella primavera del 1772, anche se con la data
del 1771. La monumentale opera si guadagnò ben presto l’ammirazione de-
gli studiosi. «Il Lessico della lingua latina - scriverà Nicolò Tommaseo - è ti-
tolo di fama, anzi di gloria e al Forcellini e al Seminario di Padova..., che nu-
trì tanti uomini dotti e buoni». Nel 1805 uscì la seconda edizione, nella quale
si tenne conto degli studi e delle osservazioni annotate dal Cognolato, che
aveva raccolto un buon numero di correzioni e di voci nuove, come pure delle postille che Clemente Sibiliato (1719-
1795) aveva apposte a una copia del Lessico. Nel 1816 Giuseppe Furlanetto (1775-1848), professore e Rettore del
Seminario, considerato il fondatore del Museo Civico di Padova, pubblica una Appendix ad totius latinitatis Lexicon,
nella quale raccoglie le aggiunte del Cognolato non inserite nell’edizione del 1805 e voci “nuove” messe a disposi-
zione degli studiosi dalle nuove scoperte archeologiche e manoscritte. Nel 1827 si intraprende la terza edizione del
Lexicon con l’aggiunta di cinquemila vocaboli e la correzione di diecimila errori. Ormai il Lexicon era un dizionario
universale della lingua latina che accoglieva voci del periodo anteriore ai classici e dei periodi successivi fino a quel-
lo della media latinità. All’inizio del 1834 l’edizione era pronta. Alla sua morte il Furlanetto lasciò al Seminario una
copia piena di postille, note, osservazioni raccolte dopo l’edizione da lui curata. Nacque l’idea di una quarta revisio-
ne del Lessico. L’impresa fu affidata a Francesco Corradini (1820-1888),
Prefetto degli studi, poi Rettore del Seminario e insegnante all’Università.
Iniziò il lavoro nel 1854 seguendo una nuova più logica distribuzione della
materia e dei significati: espunse parecchie false edizioni, corresse passi
con lezioni erronee, aggiunse nuovi termini e parecchi significati alle parole
note, dispose più ragionevolmente articoli e voci, ecc. Nel 1888 il Corradini
muore: era arrivato solo alla voce repuerasco. L’incarico di continuare la re-
visione fu affidato al professore di studi biblici e di lingue orientali Giuseppe
Perin (1845-1925), il quale arrivò velocemente alla conclusione del lavoro
nel 1898. In quest’ultima edizione del Lexicon tutti i nomi propri furono
espunti e raccolti in un Onomasticon, che vide la stampa nel 1926. Dal bre-
ve percorso appena tracciato emerge chiaramente come la storia e il senso del Lexicon totius latinitatis, non siano
legati solo al genio e all’opera di Egidio Forcellini, che pure vi lavorò instancabilmente per quasi quarant'anni. Gene-
razioni di maestri han proseguito sul solco da lui aperto, continuamente aggiornando e migliorando un’opera che
non voleva essere solo un omaggio al glorioso ma datato mondo classico, bensì strumento aggiornato e prezioso
per la formazione letteraria e culturale di futuri pastori. Il Barbarigo voleva che la preparazione dei suoi preti fosse
piantata su una robusta formazione di carattere umanistico-letterario. «Non mi curo tanto - diceva - che i miei semi-
naristi diventino bravi matematici, bravi filosofi, né anche bravi teologi, quanto desidero che siano bravi rettorici».
Stupisce forse questa importanza data agli studi letterari. In realtà, lo studio del latino e del greco, come di lingue
vive, e la lettura dei classici altro fine non aveva che l’acquisto dell’arte di scrivere e di spiegare correttamente il
proprio pensiero. Il Barbarigo voleva dei preti capaci di esprimere nel modo più chiaro i pensieri più alti. Diremmo
oggi, voleva dei maestri di comunicazione. Il Lexicon totius latinitatis si inscrive entro questa sensibilità e questo
clima culturale. In quest’opera non solo il Forcellini risplende ma una certa tradizione del Seminario si esprime e si
riconosce».
Per chi volesse visitarla: BIBLIOTECA DEL SEMINARIO VESCOVILE DI PADOVA - Via del Seminario, 7 - SEZIO-
NE ANTICA - Orario di apertura: dal martedì al giovedì 9.30-14.00 - Tel. 049.2950811 (portineria) o 049.2950835
(diretto) - Mail: info@bibliotecaseminariopda.it - Sito: www.bibliotecaseminario.it - SEZIONE MODERNA - Orario di
apertura: dal lunedì al giovedì 9.30-17.00 venerdì 9.30-12.30 - Tel. 049.8230013 - Mail: biblioteca@fttr.it - Sito:
www.bibliotecafttr.it
6 ATTUALITÀ
La “voce” sul nostro illustre conterraneo è stata curata dal professor Gerardo Bianco
Nacque a Fener, oggi frazione di Alano di Piave (Belluno), il 26 agosto 1688 da Bernardino e da Maddalena Elisa-
betta, agricoltori di modeste, ma dignitose condizioni. Avviato agli studi dallo zio paterno, Uberto, parroco di Segu-
sino, a sedici anni, nell’ottobre 1704, entrò nel seminario di Padova, in quel periodo attivissimo centro di cultura
umanistica; nel marzo 1705 appare già tra gli iscritti al corso di grammatica superiore. Di ingegno pronto e perspi-
cace, di memoria eccellente, robusta e fresca, come recitavano i giudizi sul profitto scolastico del 1706, il Forcellini
si distinse subito nella composizione latina, valutata “supra grammaticum”. Più cauto, invece, risultava il giudizio
conclusivo del curriculum, nell’agosto 1710: gli esaminatori, infatti, definirono il Forcellini “ingenii multi sed adhuc
maturescentis”. La riserva riguardava, probabilmente, l’esame di teologia scolastica, che completava il corso degli
studi, ma non certo la preparazione linguistica nel latino.
Il Forcellini, infatti, divenuto sacerdote a ventitre anni, fu presto coinvolto nelle molteplici iniziative di I. Facciolati,
prefetto degli studi del seminario, già autorevole latinista e immerso in accese discussioni, dalle problematiche stili-
stiche a quelle sulla “emendatio, ope ingenii” di lezioni dubbie, trasmesse dai codici. Ma il tema centrale, oggetto di
dibattito nei circoli umanistici di Europa da quasi due secoli, restava quello della completa ricognizione del lessico
latino, per stabilirne l’esattezza. La questione era particolarmente avvertita in Padova, sia nell’antico studio universi-
tario, sia nel nuovo seminario fondato da Gregorio Barbarigo, essendo la composizione latina ritenuta strumento in-
dispensabile per l’azione pastorale. Il Facciolati, consapevole della insufficienza e spesso inattendibilità dei tradi-
zionali repertori lessicali, a cominciare dal più celebre e diffuso “Calepino”, Dictionarium Latinum di Ambrogio Cale-
pio (Regii 1502), ne andava progettando una più ampia e corretta riedizione. Il Forcellini ne assunse, a partire dal
1715, l’onere maggiore, come dimostrano le annotazioni sulle copie del Calepino, usate da ambedue e ancora in
possesso del seminario di Padova. Nella nuova edizione del Calepino, rivista e accresciuta, pubblicata a Padova
nel 1718 (con il titolo Calepinus septem linguarum), il Facciolati non rese il giusto merito al contributo del Forcellini,
che venne solo genericamente indicato nella prefazione, senza neppure la citazione del nome. E non risulta che il
Forcellini rimanesse turbato dall’ingiusta omissione della sua collaborazione all’edizione dell’Ortografia italia-
na apparsa con il solo nome del Facciolati, sempre a Padova, nel 1721. Bisognerà attendere l’ottava edizione (Pa-
dova 1741) perché il Facciolati desse atto del contributo del Forcellini, che aveva anche collaborato alla revisione
del vocabolario greco-latino di Cornelius Schrevel edita a Padova a cura del Facciolati nel 1715. Il Forcellini fu,
quindi, pronto allorché il Facciolati lo invitò a intraprendere, insieme, l’opera che avrebbe segnato la sua vita, la rie-
laborazione, appunto, dell’intera lessicografia latina.
L’esperienza maturata nella riedizione del Calepino, pubblicata con la singolare dicitura “editio postrema”, quasi
l’annuncio di una necessaria svolta nella lessicografia latina (ma ne seguirono altre nove edizioni fino al 1779), ave-
va convinto sia il Facciolati sia il Forcellini dell’esigenza di una radicale reimpostazione metodologica che abbando-
nasse il vecchio modello di Ambrogio Calepio. L’impresa non era di facile attuazione: i tentativi precedenti, a co-
minciare da quello di Robert Estienne due secoli prima (Dictionarium seu Latinae linguae thesaurus, Parisiis 1531),
avevano avuto esiti soltanto parziali, per cui il Calepino, pur insoddisfacente e criticato, continuava a mantenere in-
tatta la sua fortuna editoriale. Ma l’entusiasmo del Facciolati e la ferma volontà del nuovo vescovo di Padova, il car-
dinale Giorgio Corner, di approntare, finalmente, un nuovo strumento linguistico del latino per la corrispondenza an-
che pastorale, indussero il Forcellini, appena conclusa la revisione del vecchio Calepino, a immergersi
nell’immensa ricerca per la redazione di un nuovo lessico. Il Forcellini aveva trent’anni quando iniziò l’opera. Il pri-
mo fascicolo del lessico indica la data del 5 novembre 1718.
7 ATTUALITÀ
Il Forcellini lavorò intensamente al progetto, senza interruzioni, per sei anni, elaborando, nei primi tre anni e mezzo,
la lettera A, giungendo, quindi, alla voce “comitor”, allorché, per ordine del nuovo vescovo di Padova, Giovanni
Francesco Barbarigo, dovette trasferirsi, nel 1724, come prefetto degli studi, nel seminario di Ceneda. L’interruzione
dell’opera durò circa un settennio. Non furono, forse, estranee alle decisioni del vescovo incomprensioni con il Fac-
ciolati, come può desumersi da una lettera da questo indirizzata a Nicola Andrisio e, probabilmente, anche una vi-
sione pastorale rivolta più alla formazione religiosa dei seminaristi che alla raffinatezza umanistica, sia pure conce-
pita come veicolo culturale per l’attività dei sacerdoti. In questo periodo l’attività del Forcellini si concentrò sulla
educazione dei chierici, maturando un’approfondita esperienza pedagogica, che chiaramente traspare da alcune
lettere al fratello Marco.
Nel 1731, richiamato nel seminario, anche per le sollecitazioni del Facciolati, dal nuovo vescovo di Padova Minotto
Ottoboni, il Forcellini poté, finalmente, riprendere l’opera interrotta che continuò, “strenue”, fino al 1742. In
quell’anno, infatti, venne incaricato delle funzioni di confessore dei chierici, un compito vissuto dal Forcellini, anche
per lo scrupolo che poneva in ogni sua azione, come particolarmente gravoso. Il lavoro lessicografico richiedeva
grande concentrazione e continuità di studi che il compito di confessore non permetteva. Il Forcellini annotò, il 10
febbraio 1742, sul manoscritto, al lemma “pone”, la sua preoccupazione di dover procedere molto lentamente. Così
accadde per circa nove anni.
Nel 1751 il nuovo vescovo di Padova, il cardinale Carlo Rezzonico, futuro papa Clemente XIII, decise di sollevare
dal compito di confessore il Forcellini, per consentirgli di dedicarsi pienamente al completamento dell’opera, essen-
do poco più che formale, e comunque compatibile, il compito di custode della Biblioteca del seminario. La gioia di
poter riprendere, con continuità, il lavoro lessicografico fu espressa, come al solito, dal Forcellini con una nota ap-
posta il 25 ottobbre 1751, alla voce “Thesaurus”, nell'undicesimo volume del suo manoscritto: “erit ... si vita viresque
suppetent, expeditior hic labor”. Bastarono, appunto, solo due anni alla conclusione dell’opera. Il 21 febbraio 1753,
ponendo il sigillo alla sua impresa, il Forcellini scriveva: “ad qualunicuinque finem, Deo favente, perveni. Reliquurn
est ut relegam”.
Restava la rilettura, che durò due anni e si concluse nell’aprile 1755. Il Forcellini aveva compilato 102 fascicoli per
un totale di dodici volumi, in circa trentacinque anni, ma l’impegno lessicografico, comprendendovi anche il rifaci-
mento del Calepino, era durato circa quaranta anni. Con una evidente vena malinconica, scrivendo ai chierici del
seminario, per esortarli alla cura dell’eloquenza romana considerata di grande giovamento a chi vuole servire la
Chiesa, il Forcellini ricordò la sua vita tutta trascorsa nell’immensa fatica di sistemare la latinità: “adulescens manus
admovi, senex, dum pefficerem, factus sum, ut videtis”.
Completata l’opera e la rilettura, il Forcellini ritenne necessaria la trascrizione del testo in una più accurata e chiara
grafia, essendo il suo manoscritto pieno di correzioni e di aggiunte, anche con foglietti laterali e stilato su carta piut-
tosto scadente. L’incarico venne affidato a Lodovico Violato, un impiegato della tipografia del seminario, esperto
della lingua latina. La trascrizione richiese molti anni di lavoro e fu completata nel novembre 1765 con grande accu-
ratezza ed eleganza di scrittura, in sedici tomi, ancora conservati nel seminario di Padova.
Ormai tutto era pronto per la stampa ma, probabilmente, difficoltà finanziarie o anche il calcolo di non lasciare in-
venduto il Calepino, ritardarono i tempi della pubblicazione. Il poderoso manoscritto rimase a lungo negli archivi, né
il Forcellini poté vedere la sua opera avviata in tipografia. Nel maggio del 1765 egli si era ritirato nella casa natia, ai
Faveri, nella contrada Fener, con una piccola pensione di 100 ducati annui. Si dedicò, quindi, all’educazione dei
giovani e alle confessioni, svolgendo, nella parrocchia di Campo, una discreta azione pastorale. Il Forcellini morì il 5
aprile 1768, nel martedì di Pasqua.
La morte del Forcellini fu, probabilmente, uno stimolo alla pubblicazione dell’opera. Fu, infatti, nello stesso anno che
il manoscritto, per ordine del cardinale Antonio Marino Priuli, da pochi mesi vescovo di Padova, venne mandato in
tipografia. Secondo la testimonianza del Violato nel gennaio 1769 la stampa era già ormai avviata. Fu Gaetano Co-
gnolato, che scrisse anche un’ampia prefazione alla prima edizione, a sovrintendere alla pubblicazione. La compo-
sizione richiese più anni di lavoro e il lessico del Forcellini vide la luce, forse, nei primi mesi del 1772, anche se
nell’intestazione fu indicata la data del 1771. Fu scelto il titolo di Totius latinitatis Lexicon consilio et cura Iacobi
Facciolati, opera et studio Aegidii Forcellini, alumni Seminarii Patavini lucubratum, essendo stata scartata l’ipotesi
bizzarra, suggerita, in un primo momento, dal Facciolati di titolare l’opera Grammatophylacium. In questa edizione,
accanto al nome del Forcellini appariva anche quello del Facciolati, quasi ne fosse coautore, ma V. De Vit chiarì
che in un primo momento l’intestazione era stata concepita come Latinitatis totius Lexicon in Patavino Seminario
cura et opera Aegidii Forcellini lucubratum, iussu et auspiciis Antonii Marini Cardinalis Prioli ep. editum. Il Forcellini,
che amava autoridimensionarsi, definendosi, scherzosamente “Calepinante”, secondo il suo stile misurato, aveva
suggerito titolazioni più modeste per la sua opera come, appunto, Latina lingua suis elementis digesta et illustrata
ad usum Seminarii Patavini oppure Elementa latinae linguae per ordinatam litterarum seriern digesta et exposita ad
usum Seminarii Patavini. La pubblicazione del Lexicon suscitò l’ammirazione degli ambienti culturali italiani ed eu-
ropei. L’opera fu studiata e ripresa da tutti i lessicografi successivi, da I.G. Sheller a K.E. Georges, a W. Freud, dal
quale poi attinsero N. Theil e E.A. Andrew per i dizionari latini, francese e americano.
8 ATTUALITÀ
La rielaborazione lessicografica della latinità, ebbe, nella concezione del Forcellini, come scopo primario quello di
fornire uno strumento più adeguato, semplice, preciso e ricco per l’eloquenza, innanzitutto religiosa, di cui il latino
era, all’epoca, veicolo essenziale. Si concretizzava, così, quella “via docta” alla “pietas” religiosa, che aveva avuto
nel fondatore del seminario di Padova, Gregorio Barbarigo, un grande ispiratore.
Per rendere più agevole la consultazione, l’ordine delle voci fu disposto dal Forcellini secondo un rigoroso criterio
alfabetico, con una chiara e precisa spiegazione dei termini latini, usando, talvolta, parole tratte perfino da idiomati-
smi veneti. Il Forcellini, per controllare l’esattezza dei vocaboli, esaminò le più accurate edizioni dei classici, i
grammatici e le raccolte epigrafiche e numismatiche, ricavandone nuove voci. Eliminò termini di dubbia provenienza
e introdusse i vocaboli dei mestieri, delle arti, dell’agricoltura, della medicina e altro attingendo ad autori come Vi-
truvio, Frontino, Vegezio. A tal fine risultò prezioso l’amichevole sodalizio culturale con gli scienziati dello studio pa-
tavino: G.B. Morgagni, G. Pontedera e G. Poleni, che fornirono chiarimenti tecnici al Forcellini, ricevendone spiega-
zioni lessicali per le loro ricerche su antichi autori latini di tecniche, agricoltura, medicina. Il Forcellini è attento alla
corretta ortografia delle parole, e di ciascuna fornisce informazioni sul genere, caso, flessione, sull’uso, frequenza,
arcaicità. Dei termini è indicata la quantità sillabica e l’etimologia, suggerita con cautela. Il primo significato indicato,
soprattutto in italiano e in greco, è quello corrente e più usuale, seguono poi i sensi figurati e anche le particolari
accezioni. Solo per alcuni termini vi sono spiegazioni nelle altre lingue europee. Il Forcellini omise, per una precisa
scelta, i nomi geografici e prosopografici, inserendo soltanto circa seicento voci aggettivali da essi derivanti. Dei vo-
caboli vengono indicate prima le citazioni degli autori di età “aurea” e “argentea”, seguono poi le testimonianze più
antiche e, quindi, quelle del periodo ritenuto della decadenza. Le citazioni degli scrittori in prosa sono accuratamen-
te indicate per libri, capitoli, sezioni; dei poeti secondo l’opera con il numero del verso. Non essendo tutte le edizioni
degli autori distribuite allo stesso modo il Forcellini, al fine di facilitare la consultazione dei testi, indicò il catalogo
delle edizioni da lui adoperate.
L’opera del Forcellini rimane esemplare per l’impianto e per la chiarezza del disegno, anche se contiene ancora fal-
se lezioni, inesattezze e lacune che furono poi corrette e integrate dalle successive edizioni curate da G. Furlanetto,
da V. De Vit e, più incisivamente, da F. Corradini. Ogni edizione del Lexicon ha una sua interessante storia: quasi
un monumento intorno al quale si adoperarono in molti a perfezionarlo. Il Furlanetto in un “Avviso letterario”, pubbli-
cato nel 1814 sul Giornale dell’Italia letteratia, aveva invitato gli studiosi di ogni parte d’Europa a segnalare aggiun-
te, a fare osservazioni in preparazione di un’appendice al Lexicon. L’aggiunta fu, poi, pubblicata a Padova nel 1816
e conteneva oltre 3-500 voci e nuovi vocaboli ricavati soprattutto dalle scoperte codicologiche di Angelo Mai. Conti-
nuarono l’opera del Forcellini, indipendentemente l’uno dall’altro, V. De Vit e F. Corradini. Quest’ultimo si era a lun-
go preparato, elaborando, sulla base anche degli esiti della filologia tedesca, nuovi e più scientifici criteri lessicogra-
fici. Una edizione anastatica della quarta edizione patavina a cura del Corradini fu poi pubblicata, nel 1940, dal se-
minario di Padova. L’opera forcelliniana era stata, intanto, integrata e completata con varie aggiunte e con
l’Onomasticon anche da G. Perin. Una ulteriore riproduzione anastatica dell’edizione del 1940 fu realizzata nel
1955.
A distanza di oltre due secoli il Lexicon forcelliniano risulta, ancora oggi, fonte preziosa di consultazione per le voci
non pubblicate dal Thesaurus linguae latinae, opera collettiva avviata all’inizio del XX secolo. Il confronto dà la mi-
sura della grande impresa compiuta dall’umile sacerdote che da solo schedò l’intera latinità.
4 CRONACA
grafo di fama mondiale, di cui ricorre il 250° anniversario della morte. Assieme all’opera
di Egidio, ben esposta e del pari spiegata da don Riccardo Battocchio, direttore della
sezione antica della biblioteca del seminario, assistito dalla bibliotecaria dr.ssa Giovan-
na Bergantino, i partecipanti hanno potuto ammirare la quantità davvero considerevole
di libri custoditi sugli scaffali della biblioteca. Libri antichi, che tramandano gli interessi
intellettuali dei secoli passati e che spaziano, per argomento, su ogni ramo della scien-
za, cultura, letteratura, senza preclusioni. E’ stato emozionante potersi avvicinare alle
carte di Egidio Forcellini, nella sala che porta il suo nome, osservare i suoi appunti, la
sua grafia minuta, fitta, fitta a riempire ogni spazio del foglio, quasi toccare le prime edi-
zioni del Totius Latinitatis Lexicon, il suo monumentale capolavoro, diventato riferimento
per gli studiosi della latinità e nuovo punto di partenza per i tanti che hanno poi contri-
buito a farlo crescere con i necessari aggiornamenti, dovuti agli studi ed approfondimen-
ti sulla lingua latina. Don Riccardo ha sottolineato la caratteristica principale di Egidio
Forcellini: essere grande nella semplicità. Costanza, applicazione, passione hanno reso
possibile l’esplicitazione del suo genio e la compilazione di un’opera come il Lexicon,
ancor oggi apprezzato dagli studiosi del settore e che sarebbe riduttivo definire come un
dizionario, un vocabolario, almeno nella concezione che ne abbiamo oggi, essendo
strumento utile per meglio capire la lingua latina. Grazie a internet è possibile consultare
le pagine del Lexicon. Accedendo al sito della biblioteca del seminario, che illustra storia
e peculiarità dell’istituzione fondata nel 1670 dal vescovo Gregorio Barbarigo e che è
stata nel Settecento e nell’Ottocento «un centro di cultura di livello superiore, in grado di
competere con gli stessi istituti delle facoltà universitarie», si trovano rimandi anche
all’opera di Egidio Forcellini e consigliamo vivamente la navigazione in questo tesoro,
reso disponibile dalla attuale tecnologia moderna (http://www.bibliotecaseminariopda.it).
Il rettore del seminario, don Giampaolo Dianin, ha poi completato l’accoglienza del
gruppo, accompagnandolo nella visita al refettorio, alla cappella interna, ricca di prege-
voli opere pittoriche e di un antico crocefisso ligneo. Il viaggio studio è terminato con la
visita all’adiacente chiesa di Santa Maria del Pianto, antico santuario conosciuto come
chiesa di Santa Maria del Torresino (http://www.parrocchiadeltorresino.it), accolti dal
parroco don Luca Fanton, cicerone per l’occasione nell’illustrare la storia di questo edifi-
cio, del 1718, una delle più alte espressioni del tardobarocco veneto settecentesco,
progettato da Gerolamo Frigimelica, al cui interno c’è anche un moderno altare realizzato su disegno dell’architetto
Carlo Scarpa, frequentatore del Basso Feltrino e oggetto di studio in un recente convegno organizzato al Centro Cultu-
rale di Quero. Una piacevole sorpresa a Padova è stato l’incontro con la conterranea Antonella Meneghin, figlia di
Marcello e Anita di Fener, che ha introdotto la comitiva al seminario, assistendola poi al ricco buffet preparato per rifo-
cillare i visitatori in una gradita pausa nel corso della visita. (La foto di gruppo è di Settimo Rizzotto)
6 ATTUALITÀ
Info: Biblioteche di Alano di Piave e Quero Vas - Il bando è scaricabile dal sito: www.comune.alanodipiave.bl.it
e dal sito http://www.unionesetteville.bl.it/
LETTERE AL TORNADO
I vincitori sono stati premiati con un box viaggio di due giorni in una città d'arte la sera
del 10 novembre in municipio, alla presenza delle Amministrazioni di Alano di Piave,
Quero Vas e Segusino e degli insegnanti che hanno curato il concorso. Complimenti!
Questo l’elenco dei ragazzi che hanno partecipato al concorso: Laura Curto, Giovanni
Mattia Codemo, Giovanni Guartieri. Anna Dal Canton, Elisabetta Geronazzo, Andrea
Zanella, Manuel De Rui, Chofang Wang, Ancarani Maria, Laura Babaian, Manuel
Carrer. Le manifestazioni sono state ricche di proposte interessanti e partecipate che
hanno coinvolto i bambini, i ragazzi e gli adulti. Il progetto è stato realizzato grazie
alla collaborazione tra i Comuni di Alano di Piave, Quero Vas e Segusino che si sono
uniti per mantenere viva la memoria di "un grande uomo", come fecero nel 1879 con
la costruzione del monumento presso il ponte sul Tegorzo a Fener.
Si ringraziano tutte le persone che hanno collaborato mettendo a disposizione tempo,
conoscenze e competenze affinchè il percorso della memoria potesse essere
condiviso dal maggior numero di persone della nostra comunità.
PERSONAGGI
ASTERISCO
La foto di copertina
(M.M.) Scatto fotografico di Roberto Sudiero, datato 13 settembre 2013, che ritrae il “ponte romano” che si può ammi-
rare nel territorio di Alano di Piave, poco distante dal campo sportivo che si trova fra Campo e Alano di Piave. L’opera
è di datazione incerta, ma il nome già indica la sua storicità che si fa risalire ad epoca romana. La foto è stata scattata
con una Sony SLT-A77V, 1/60 di secondo, ISO 250, Numero F=8 per proporre un angolo suggestivo del nostro territo-
rio, ricco di tesori che molte volte sfuggono alla nostra attenzione per esserci troppo vicini.