1S05
oes
1910
e. 1
ROBA
VERSIFICAZIONE ITALIANA
E
VERSIFICAZIONE ITALIANA
ULRICO HOEPLI
EDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
1910
PKOrUIF.TA LKTTKRAP.IA
dar alla luce tutti gli spogli da lui fatti sui nostri
classici, così da fornire a sé e ai contradittori co-
I.
II.
2
18 DIERESI E SINERESI
III.
1) Per il filone delle voci in -aeia -acio -ecia e così via, non
troviamo nulla di simile, poiché giammai Dante, e nel can-
zoniere e nel poema, non usò in rima parole cosiifatte, né
del tipo bacio né del tipo fallacia; come neppur le usarono
il Petrarca e il Tasso (dico della Liberata, che di tutti gli
altri suoi versi non so) e, in fondo, l' Ariosto, che nel Fu-
rioso non ci lìresenta se non sette rime in -icio. È un fatto
negativo, degno però di nota. Anzi Dante e il Petrarca non
adoperano mai in rima nemmeno il plurale baci : che xjotrebbe
non esser caso.
30 DIERESI E SINERESI
IV.
Dante scrisse :
ed a
Sillogizzò invidiosi veri,
mise accanto:
Da fastidiosi vermi era ricolto :
e con
mise insieme:
Alla passion da che ciascun si spicca ;
E da Virgilio :
E così Ovidio :
VI.
reputi dura.
I guai ricominciano quando si passa da beato a
Beatrice, da paura a pauroso, da soave a soavità,
da aita ad aitare, ovvero da Paolo a paolotto, da
reo Dio a reità deità, da laido a laidezza, da Ocèano
od Oceano ad oceanino; quando insomma gli stessi
nessi vocalici non più hanno l'accento o sulla
prima vocale, dove tutti i grammatici ammettono
la sineresi, oppur sulla seconda, dove tutti la vie-
tano, bensì capitano tutt' interi, quei nessi, prima
della sillaba accentata. In tal caso l'Imbriani pre-
tendeva assolutamente la dieresi: p. es. Beatrice do-
56 DIERESI E SINERESl
egli rinfaccia:
VII.
Pare impossibile,
La croce è offesa
Perfin sugli abiti
(Pazienza in chiesa !)....
padrone così :
dicono
Che '1 barro è in casa tua, e di tua scienzia
Questo giunto ordinò.
— Di mia scienzia?
POSCRITTA
Hirzel, 1903), ma
n'ha una traduzione francese {Le
se
vere frangais ancien et moderne; Paris, Vieweg, 1885)
fatta sulla seconda edizione tedesca e preceduta da un
bel proemio di G. Paris. La dieresi vi è trattata da p. 72
a p. 91 nell'originale, da p. 78 a 104 nella traduzione; e le
i
NELLA POESIA ITALIANA 65
altri sono d' uso più corrente, o di più o nien lunga tradi-
^
UN CUEIOSO PARTICOLARE
NELLA STORIA DELLA NOSTRA RIMA*)
vere. Poi, che mezzo sia altra cosa che mezo il testo
ce lo mostra chiaro:
II.
come quelli
e se gli espedienti grafici del Trissino,
del due diversi suoni
Tolomei, per distinguere i
III.
IV.
VI.
VII.
7
98 UN CURIOSO PARTICOLARE
perchè si tratta di consonanti doppie, e sì perchè,
anche in quanto sono scempie, esse risultano in
fondo da una specie di composizione, l' una di d
con s sonoro, l'altra di t con s sordo. Per meglio,
spiegarci, chi rima rozzo con jìozzo, fa come chi
rimasse non solo rosa con cosa, ma nello stesso
attimo ridda con ritta. Gli sforzi poi fatti per at-
testare il divario anche nella scrittura, special-
mente quello abbastanza vittorioso di scriver rozo
e pozzo, ribadivano l'osservanza alla legge stabi-
lita dall'orecchio e dal buon gusto; tanto più che
quegli sforzi traevan lena e lume dalle buone in-
tuizioni etimologiche di quell'erudito secolo. Che
nel valutare il suon di rozzo e mezzo o quel ài pozzo
e vezzo, ognun pensava a rudis e medius, puteus
e vitium; come pure, bene accorgendosi della pro-
venienza greca di zelo battezzo e tante altre parole
VITI.
èra morto »
i
ANCORA DELLO ZETA IN EIMA *)
I.
II.
III.
a fondo.
Nel secolo xviii il buon B ima rio del Eosasco
aboliva la separazione materiale delle due serie,
IV.
mili cose.
124 ANCORA DELLO ZETA IN RIMA
è, verbi gTa;^ia, Gnigno, Luglio, Agosto, Donna min
non ti conosco, e quell' altro in ispapiuolo (^>uan{1o
aze riento, aze mal tiempo ». Altrove (Tavola Set-
tima) gli rimprovera d'avere scritto ruzzare, oltre-
ché Uzzo ])er lezo.
APPENDICE
L'ETIMOLOGIA DI ^OZZO
suizo.
¥^
SULL* ORIGINE DEI VEESI ITALIANI*)
II.
10
146 sull'origine dei veksi italiani
III.
lY
VI.
parti del verso, 1' accento della parola con l' arsi
del piede. Ma s'intende che questo non è tiitt'uno
sull'origine dei tersi italiani 163
tribuire il da attribuire
proposito a tutti i jioeti, e
al proposito stesso una consapevolezza piena o una
esecuzione costante. Ci pare bensì, come al Eamo-
rino e ad altri, che tra i varii tipi classici d'uno
stesso verso avvenisse una selezione, suppergiù pro-
gressiva, a favore del tipo più comune o più atto
a dare una spiccata cadenza rituiica. Per esempio,
tra i versi giambici, o tra i versi trocaici cata-
lettici, poiché spessissimo venivano a finire classi-
camente con una parola sdrucciola, venne sempre
più prevalendo il tipo appunto con lo sdrucciolo
in fine, a danno di quello con in fine il bisillabo
o il monosillabo. Anche in fine dell'emistichio sono
VII.
è suppergiù come
ovvero
•xai zL-fog à::£a[iY)-^£g àXXà v.a.1 -/.pavo^.
Vili.
ovvero :
nirsi un ueogoliardo.
IX.
211; III, 30, 93-4, 283-4. Pel tetrametro sviluppato, cfr. Mone,
III, 44 sg., 395 ; e dal Daniel, II, 348 sg., riferiamo que-
sto saggio, che fa bel riscontro al tipo dello Stahat :
Studi sui dial. greci d. T. dWtr., 85 sg., e Arch. glott., IV, 78-9;
Ronca, Cultura medioevale e poesia latina ecc., 356. Diamo un
siiggio del tetrametro bizantino, detto verso politico, cioè po-
polare :
dispari tentata dal Bertola e dal Foscolo (ib. 309), o l' in-
X.
13
194 sull'origine dei versi italiani
nages ».
sull'origine dei versi italiani 195
xr.
verso nostro non sia che un' eco del francese, donde
che fosse questo derivato, non sarebbe egli vero-
simile che almeno gli endecasillabi latini contri-
buissero a produrre le trasformazioni che il ritmo
francese avrebbe qui subite, e che consi.stono, si badi,
appunto in una maggior conformità ai tipi latini?
Ed è anzi notevole che l' italiano abbia finito col farne uso
piuttosto parco, possibilmente risers'ato alle armonie imitative.
i
sull'origine dei versi italiani 201
e in Bertran de Boru:
s'eu antra donipna ilenian ni enquier. ...
e ja l'uà l'autre nona poscani amar (111)
tro la demanda que fai a conqueza (115).
XII .
bella coiisurmint |
])nli piaesentis sub fine.
mico esser più breve del secondo, non men che ne'
saffici, negli alcaici e nei trimetri giambici, contri-
buisse esso pure a insinuare negl' inventori del
decasillabo l'abitudine di considerar come normale
e come acconcia alla narrazione l'alternanza clau-
dicante tra un emistichio più breve e uno più
lungo ^). Nella quale alternanza dunque, in cui il
XIII.
È
una credenza che sta quasi inconsapevole in
fondo all' animo di molti, che la strofe saffica fosse
uno strascico di pretto classicismo, e nella sola li-
turgia; il che è peggio che un' esagerazione. Quella
strofe, che corse pure tutte le vicende della dege-
nerazione ritmica ^), nell' innologia fu ben frequente,
e, che pili monta, in canti epicolirici. Tanto più
chiara apparisce la cosa se si considera che il tri-
nulli parcentem.
XXII, 399 sgg., e il Vandelli, nella Hans. Uhi. d. lett. it., II,
Ad flendos tùos |
Aqiiileja cinéres.
tu qui sérvas |
armis ista moenia,
Noli dormire |
ruouéo, sed vigila.
Littré non ci dà esempii pifi sii del secolo xiv, uè più sii del
XIII di cathoUque e di idole. Non parliamo dell' are. tempoire,
XIV.
studiare.
2) Al Eajna s' allacciò il dubbio che al ritornello accenni
VAoi che ricorre ad ogni l'Henry lo ap-
serie del Roland; e
metro oraziano:
iubet e terra |
virum exulare i),
liiuo ooepit ipse |
Mauros debellare.
rare alla misura d' uno dei suoi membri eguali ^).
])iinii:
Li eniperédre |
se fait e balz e liéz....
due tii)i :
1) Rajna, 504.
232 sull'origine dei versi italiani
efletti di (jnesto fenoineiio l Gli emisticliii come Li
emperédre torna vauo equipolleuti a quelli come Rod-
lanz est proz, e la quinta sillaba atona cominciava
ad api)arire uno strascico soprannumerario, simile
all' atona finale dei secondi emisticliii a chiusa fem-
minile; e i secondi emisticliii rispettivi, come re-
Li emperédre |
s'en repaidret en France.
Lo jorii passerent |
Franceis a grani dolor.
XV.
piantò, e l' inverso sospetto del Rajna che 1' alessandrino po-
tesse derivar dal decasillabo, significano un andare a tastoni,
in pena dell' aver abbandonata la via maestra.
236 sull'origine dei versi italiani
dalla rima appunto. Anche le Leys d'amore (I, 140 sgg.) de-
finiscono il rim come verso ritmico ', avvertendo che sba-
'
gliano quei che non chiaman piìi rim un verso se non ha no-
natisa o consonansa o alcuna leonismetat con un altro verso,
sicché la colla estrampa (cioè composta di versi sciolti) nou la
direbbero più rimada. E rimare poi e rimatore, come dire pei'
rima o in rima, e dicitore in rima, si fondano piue sopra il
4) Cfr. quello che, i)ur mirando altrove, dice Henry, op. cit.,
23 e 37.
sull'origine dei versi italiani 241
XVI.
In Lyciae provincia |
fuit quidam Chrlsticola
post transitiim sanctissimi |
Nicholai pontificis 3)....
parta da un:
Pange lingua gloriosi [ corporls mysteriniu,
e che dal secondo emistichio la Gallia abbia quel eh' essa chiama
un settenario e noi diremmo un ottonario tronco, mentre
l' Italia ne ebbe un senario sdrucciolo {Ci levò V incomodo). —
A proposito, poiché il trovatore mescola con codesti versi
lunghi anche di quelli in cui il secondo emistichio è ridotto
a quattro sillabe con la quarta accentata, o a tre con la terza
accentata, sembra al Paris molto naturale, e ben a ragione,
che tali versi sian semplici scorciamenti del verso lungo. Né
al Rajna (516) fa specie che nei trovatori il primo emistichio
del decasillabo sia talvolta ridotto a quattro sillabe con 1' ac-
cento sulla terza {A las Prendo atto di codesta loro
auiì-as).
Un chapelet fait en a
De rose florie j
e qui la Gallia ebbe dal primo emisticbio quel che essa chiama
un ottonario e noi diremmo un novenario tronco, mentre Cielo
n' ebbe un settenario sdrucciolo (Rosa fresca aulentissima).
3) Paris, Lettre ecc., p. 12-13.
sull'origine dei versi italiani 24:5
XVIT.
Ricchi aunoiati....
quam gloriflcum,
solum sedere,
corque paciflciim
seenni habere,
sponsum per speculum
mente videre,
ncque contrarium
quid quam timere !
Damigella
Tutta bella
Versa, versa quel bel vino,
su le carte
te persegue il trovadore.
XVIII.
rica, nel terzo versicolo della strofetta del Giusti, di cui ab-
biamo ripetutamente parlato Ci levò V incomodo e sim. :
Torrente cresciuto
Per torbida piena,
Se perde il tributo
Del gel che si scioglie,
Fra r aride sponde
Piìi r onde non ha.
Fuego el corazon.
Dexóme mi padre
Lleuo de auiargura,
Niùo delicado,
Pobre y sin ventura;
Rondinella pellegrina
Che ti posi sul verone,
XIX.
POSCEITTA
Tra quelli sui quali più ebbe presa codesto mio lavoro
fu il dr. John Schmitt, dell'Università di Lipsia, che
in due dissertazioni - Sul verso de arte mai/or, nei JRen-
diconti dei Lincei del 1905, e La metrica di Fra Jaco-
pone, nel voi. I degli Studi Medievali di Novati e Re-
nier - si diede a fondare sul luio sistema qualche sua
tesi accessoria. Rapito com'ei fu da morte crudelmente
immatura, io non giunsi a ringraziarlo né a conoscerlo,
e son ridotto a sdebitarmi con lui richiamando le sue
indagini, laboriose e promettenti. Prima però di far un
cenno delle tesi sue, m' ho a scagionare del dolce rim-
provero eh' egli mi volse, che cioè avrei dovuto esser
più energico nell' asseverar 1' origine parallela dell' en-
decasillabo italiano e del decasillabo francese dal saffico
latino. Lo Schmitt non considerò abbastanza che lui
rigliosa e traviatrice ;
pronti a reputar illusoria ogni ve-
rosimiglianza intuitiva, e a cercare la verità come qualcosa
che dovesse per forza star rimpiattata in occulte latebre.
In ogni ramo del sapere v' è casi in cui l'evidenza è solo
apparente e torna fallace: la glottologia, mettiamo, cono-
sce parole che paiono identiche e son di diversa origine.
La cautela è perciò indispensabile. Ma non ancora io
De cela de France |
1 at quinze miliers.
Bianche at la barbe | e tot florit lo chief.
Bon sont li comte |
e lor paroles haltes.
18
274 sull'origine dei versi italiani
con qualuu(iue teorica sulla genesi dell'epopea, poicliè
l' iutiusso geriDaiiico sulla versificazioue e su altro di si-
mile non c'è nessuno che l'affermi.
potrà certo dire una gran bizzarria; tanto più che in ispa-
gnuolo talvolta si trova davvero sdrucciolo (come però
talvolta si trova anche tronco) il primo emistichio del
verso de arte mayor. Sennonché, si noti, la lingua spa-
gnuola sarebbe stata in grado di rimaner fedele allo
ferenza che, nel preferire la stanza slegata dalle altre del me-
desimo componimento, ebbero di fronte ai provenzali i poeti
italiani e portoghesi; e mostrò come, all' inverso di quel che
si soleva affermare, nella scuola sicula la conformità in ciò
e in altro con la lirica provenzale fu scarsa, e crebbe anzi
dipoi con Guittone. Molte belle ragioni additò, compiendo il
^H-
;mm;T;TT;;;;»«;;iti
LA VEKSIFICAZIOXE
DELLE ODI BAEBARE
I.
nostri.
DELLE ODI BARBARE 1^9,")
saldata, come nel discorso di continuo accade (p. es. amò ffor-
temente), con la parola successiva. Ma di tutto ciò avremo a
riparlare pili oltre.
DELLE ODI lìARBARE 2!HI
consonanti {j, w
non meno che in juta qnafù
inglese),
(listi )i(iuo tacqui (/verrà, epperò, come tutte le con-
l'accento italiano.
DELLE UDÌ BARBARE 303
IL
ib. 46 8gg.
20
30(; LA VERSIFICAZIONE
sperare clie si potesse seguirle appuntino, senza
distrarsi, né, quel clie è più, che con una tal bi-
lancina alle mani si f-iungesse a fare vera poesia.
Una casistica a quel modo \mb rallegrare, se mai,
l'acume del filologo, non già incanalare la vena del
poeta: il (luale ha bisogno d'una norma istintiva,
pur se ha l'arte di rifarcisi all'occorrenza per ri-
flessione, e se pur bada altresì a norme secondarie
piti consapevoli e compassate. Difatto, tra i seguaci
del Tolomei fallirono dal più al meno anche coloro
che possedevano un tantino più di sentimento lue-
tico. E fallarono tutti, non di rado, nel praticar
le pretese norme, come fallò talvolta lui nel ra-
gionarne gli esempii ^). Eimaneva impigliato nella
ragna da sé medesimo fabbricata ^).
tra le ecc., come dalle traile ecc.; sicché il poeta potesse sce-
gliere. Pronunziavan vola con o stretto ; e zoccolo con la zeta
sorda. Inesplicabile mi riuscì ch'egli attribuisse all'articolo nei
gruppi l'alma, Vorc, la capacità di allungare o no per posizione
la sillaba precedente, come se in qualche luogo di Toscana l'ar-
ticolo suonasse da sé Ilo Ila com' a Napoli; ma me lo sono
DELLE ODI BARBAEE 307
III.
« che nel Latino, onde elle vengono, sono pur lunghe: et ogni
« syllaba innanzi all' ultima, s' havrà l' accento, sarà da noi
« nelle voci dì piìi syllabe lunga reputata qual' è in queste :
l' infinito !
IV.
sime, non hanno qui nna diretta importanza, poiché qui non
tacciamo che rappresentare le cose nel modo che si sono pen-
sate in Germania, il qua! modo ha avuto una speciale effi-
sforzo, eroico per noi e d' incerto effetto, di dare con tono piti
FALECIO
ADONIO
Terruit urbem.
Te duce Caesar.
Pandite vota.
330 LA VERSIFICAZIONE
Ch' aver solea.
Furia indigesta.
Smari'irsi il mondo.
Fior di limone.
Fiorin di menta.
SAFFICO
VI.
per la natura dei versi, tra i quali anzi preferì le più volte
il solito alessandrino. Quindi non potè dar alcun' ispirazione
al Carducci in quella che è la parte più essenziale della sua
riforma.]
342 LA VERSIFICAZIONE
VII.
che 1' usata poesia non soleva combinare insieme, e col pre-
346 LA VERSIFICAZIONE
duro è (laro, e per apprezzare del)itaniente una
forma in generale, fuor d' un singolo comi)onimento
o brano, bisogna astrarre dalla sostanza. Pigliamo
un' alcaica del Ohiabrera:
temente nei due primi versi, e uno sdrucciolo nel quarto riesce
inaspettato. Nessuno però consiglierebbe il poeta a rimediare,
poiché il verso per ragioni intrinseche è efficace. [^E salutari
vanendo fra 'l nero, aveva scritto dapprima, come c'informa
G. Albini nel Corriere della Sera del 19 marzo 1909.]
348 LA VERSIFICAZIONE
(lei poeta, in cui cozzarono Ti per lì le passioni
l)oliticbe, cbe gli aveau per tant'auni ruggito in
petto, con la ribollente gratitudine giovanile alla
dinastia liberatrice, col subitaneo fascino della so-
vrana gentile, con l' attrattiva irresistibile cbe sul-
l'immaginazione dello storico e del poeta ba una
istituzione antica come il monarcato, e una stirpe
secolare come la sabauda stirpe mezzo leggendaria
:
Vili.
daino, uno dei tanti gallicismi che dobbiamo alla liugua della
caccia, la dieresi non è che una licenza, ma ben comportabile,
ed ha buoni esempii classici. —
Per adamantina (859) l' Im-
briani ebbe torto, che è un giusto latinismo al più poteva :
notare che urta con 1' abitudine della lingua e della poesia per
adamantina. — Presago h dell'uso andante, ma fuor delle strette
della lingua sdrucciola il Carducci medesimo preferisce dir
presago, secondo la buona tradizione del nostro linguaggio
poetico, e secondo la pronunzia latina, piìi che mai rispetta-
bile in una voce come questa, che non è dello strato popo-
lare. — Pèltasti (798) non è uè dell' accento greco uè del la-
tino, e neppur del comun tipo accentuale italiano; e può
correre alla meglio sol perchè voce esotica (meno insolito è
peltàto ^= peltatusj.
DELLE ODI BARBARE 353
ducei ha rintracciato un sentiero, e lo ha reso pra-
ticabile, e vi ha segnato alcune orme indelebili;
ina la via maestra della poesia italiana resterà sem-
pre quella sulla quale s'incontrano la Commedia,
il Canzoniere, il Furioso, la Liberata, l'Attilio Ee-
golo, il Mattino, il Saul, l'Iliade, i Sepolcri, l'Adelchi,
la Ginestra, il Sant'Ambrogio, e,può ben dirlo senza
lusinga chi di mille voci al sonito non ha mai mi-
sta la sua, l'Idillio Maremmano, il sonetto al bove,
Versaglia, il Canto dell'amore, e ogni altra cosa
simigliante *),
Qudle la |
può cer | c&t \
quiUe la |
d<^ve vo |
lér.
lon I
tiino, lon |
tiino, lon ]
tàno,
•^
IL DOiS^ATO PROVENZALE *)
') Questo lavoro che, con titolo meuo geuorico, diedi nel 1884
al Giornale siorico d. leti. Hai. (voi. II), fu subito seguito da
altre pubblicazioni : del Grober, del Merlo, del Biadene. Ne
riparlerò in una Poscritta, e intanto accenno che da esse non
mi deriva alcun obbligo di mutare il mio vecchio discorso,
eccettochè in un punto. Credei col Galvani che la coniposi-
zion del Donato s'avesse a porro nella seconda metà del s. xiii,
ma i ragguagli cronologici messi poi in campo, circa duo i
1) GUESSARD, Grammaires
P. es. j}rovenQales, Paris 1858.
2) Stengel, 1. e.
3) Salvo oggi 1' attenuazione, accennata nella nota preli-
minare, circa la tesi cronologica.
4) Vi accennerò con le sigle con cui gì' indica lo Stengel
nella pregevolissima edizione, testé citata in nota, delle due
grammatiche ; alla quale anche mi riferirò per ogni altra cosa,
citandola con la semplice indicazione del nome di lui e della
pagina.
5) S' intende quella parte (terza) del codice, la qnal con-
tiene le grammatiche; giacché le due prime parti, contenenti
poesie e biografie provenzali, sono bensì dello stesso posses-
sore (Piero), ma di mano d'un Jaques Tessier de Tarascon.
Ed esse due prime parti, e il residuo (tolte le grammatiche)
IL DONATO PROVENZALE 361
dellii parte terza, nou sono che estratti e copie dal lil)ro di
Lione Strozzi, il quale poi altro non era se non la raccolta
di Bernardo Amoros. Le due grammatiche rappresentano in
questo codice tripartito come una parentesi infissa nel prin-
cipio della parte terza, e di certo non provengono dal libro
dello Strozzi. Lo Stengel, da me interrogato, scorge di ciò
una prova anche in questo, che il proemio di Bernardo Amoros
alla sua raccolta sta bensì nella parte terza del codice, ma dopo
i fogli contenenti le grammatiche.
1) Nel corso di questo scritto diremo per brevità il Rasos.
2) Forse Bezaudii{n) o Bcsalù è il Bisuldinum di Catalogna:
II.
<i nir.... Et si hom voi dire quez eu Lemozi no ditz hom tenir....
« trencatz e mal pauzatz que ges per aquo quar son dig en
;
(XXV). —
[S'aggiunga che il codice del Biadene ha retromas.]
1) Gramm., V; sez. 3^; Quantità provenzale.
ni.
24
370 IL DO>ATO PROVENZALE
soii relativi a città provenzali {Caercis, Lemozis),
e di tre nomi generici ma pur di Provenza o al-
grandi nomi, come Jerusaìems (47), Tirs (52), Nih (51), Grecs
(45), Tiircs (59), Marrocs, Mairoca (53), abbiamo nomi della
Francia meridionale, quali Acs o Eìs (7 e 45), Bezers (8 e 48),
Lnmbers (ib.), BordeU (46), o della settentrionale, come Pana
(8), Rems (8 e 47), Cavibrais (41). E Burcs (59) sarà lo spagli.
Burgos o il frane. Bourges? Dei nomi di fiumi: Trons (55),
Moutz (57); di città: Roiaia (41), Surs (59); di borghi: Bautz
Batz {7 e 41), Faìariz (43), Cardoìhz (54), Vaura (44); di Pro-
vincie : non saprei che mi dire. Beirius « idest
Solha (64) :
IV.
cujas, aon altrove (I, 72), non m'occupo, che là si parla di latino.
3) Lo Stengel stampa Corani ; ma il prof. Cesare Paoli,
alla cui pronta cortesia son debitore di piìl riscontri fatti sul
nome dell' autore e' è quello d' uno dei due amici : sia poi che
ciò provenga da ondeggiamenti dell' autore stesso o dai copisti,
il che non si ha modo di decidere.
1) Vedasi la pubblicazione fattane dal Rajna (Giornale di
fiìoì. romanza, n" 7, p. 34 sgg.), e le ottime osservazioni con
*
cui 1' ha accompagnata.
spary (op. cit., p. 16), cioè con la lezione è iono, che daA'Ji
liano ^).
flusso del titolo del libro del Vidal, che è nel medesimo ms.
2) Veramente, quanto al titolo, e all' incipit etc. e all' ex-
jylicif etc, ed anche a un curioso attacco in latino che c'è
tra il paragrafo della 1^ coniugazione e quello delle altre,
explicit .1. declinano (non dice ooniugatio, o per distrazione, o
servendosi d' una promiscuità di termini che risalo fin al-
l' età classica), son cose che potrebbero non rimontare all'au-
tore. Non è che debbano però ; anzi qui par proprio il contrario.
3) Buoni richiami dal Donato (Ars minor etc.) ha fatto
Paul Meyer a proposito delle primissime pagine del Donato
Provenzale da lui inserite nel Eecueil de textes has-latins, pro-
ven^aux etc, a p. 149 sgg. Naturalmente si potrebbero essi
estendere a tutta l' opera. Io mi contenterò di aggiungere a
quelli del Meyer un altro confronto solo. La grammatica la-
tina trattava il participio dopo 1' avverbio, per fare che que-
st' ultimo, che è come l' aggettivo del verbo, venisse subito
dopo il verbo, come l'aggettivo vien subito dopo il sostan-
tivo. Ebbene, questa sequela che a noi oggi riesce strana,
di '
verbo, avverbio, participio, congiunzione ecc. ', la ritro-
viamo tal quale nel nostro Donato Provenzale ;
come pure
nelle Leys, sulle quali ritorneremo. Il Vidal invece fa più a
suo modo: nel nominare le parti del discorso dice, nell'or-
dine tradizionale, ' verb, averbi, particip.... '
(p. 71), ma
382 IL DONATO PROVENZALE
Dell'appartenenza della cliiusa latina all'autor
provenzale si avrebbe una certa conferma — della
quale però, lo ripeto con insistenza, non v'è ne-
cessità — , dove fosse certo che da lui stesso pro-
venga la traduzion latina. Il Guessard prima in-
se l'A è un apografo ?
tuire con 1' altra mo volges deus etc. Ma codesto «io, che, nella
glossa, dipronome possessivo che era nel testo, diventa un
avverbio, e che, come avverbio, è bensì italo-valacco (v.
DiEZ, Gramm., II, Formazione degli avverbii Zes«., 11^,8. v.), ;
VI.
VII.