Silvia La Regina
UFBA
Pubblicato, tradotto in portoghese, come Memrias do Coronel Pietro Fumel: um Garibaldino na Calbria. in Nncia
Santoro de Constantino e Cludia Musa Fay (orgs.). Garibaldi, Histria e Literatura: Perspectivas Internacionais.
Porto Alegre: EDIPUCRS, 2011. pp.315-324. ISBN 978-85-397-0063-9
Il garibaldino del mio titolo non il colonnello Fumel, che apparteneva allesercito sabaudo e che
nel 1861 fu mandato a reprimere il brigantaggio in Calabria; invece un non meglio identificato
Vincenzo La Regina, notabile calabrese di Sammarco Argentano e probabilmente mio parente in
lontanissimo grado, che ci ha lasciato un manoscritto inedito (reperito nel classico baule) di 22
pagine, dal titolo Memorie del Colonnello Pietro Fumel, raccontatemi da lui stesso nella Trattoria
Garibaldi in Milano vicino a Porta Nuova nei giorni 20, 21, 22, 23 e 24 marzo 1865.
Approfitto ora per scusarmi, perch non sono una storica, n unesperta di questioni garibaldine, e
quindi mi sento un po unintrusa in questambito cos qualificato; da letterata, per, e in un periodo
in cui mi interesso particolarmente di biografia, mi sembrato irresistibile coniugare il reperimento
del testo inedito alle commemorazioni garibaldine, inserendo il tutto in una di quelle tante
contraddizioni che rendono godibile e ancor oggi sorprendente il nostro mestiere, le nostre letture,
le nostre ricerche e le nostre eventuali scoperte. Innanzitutto, devo premettere che le critiche alla
repressione sabauda in Calabria non hanno assolutamente il secondo fine di sminuire la figura e
anzi il mito di Garibaldi, che noi qui celebriamo in un rito laico ma non per questo meno ricco di
significati e simbologie; al contrario, mai come oggi lidea della missione garibaldina acquisisce
valore e rilevanza in un contesto sventurato di frammentazione identitaria e politica che rinnega
lItalia come entit e come nazione in ognuno di quei valori civili che, mi sembra, costituiscono la
base dellidentit non solo nazionale ma anche, e principalmente, personale. Come si visto in varie
occasioni in questo congresso, e ricordo specialmente quanto detto dalla prof. Gasparro e dal prof.
Croci nelle loro comunicazioni, il livello delle invettive ringhiose contro Garibaldi scende
precipitosamente, ma paradossalmente ci acquisisce per noi un valore positivo, perch riporta alla
ribalta un Garibaldi non pi iconicamente ingessato nel ruolo di simbolo politico di vecchi poteri,
ma al contrario nuovamente vitale nella stimolante condizione di icona democratica e di difesa di
quellunit che tanto ha contribuito a realizzare.
Detto questo, impossibile negare che le modalit di conquista del meridione italiano da parte
dellesercito della neonata Italia, e dunque della vecchia Savoia, pi che contribuire a riavvicinare le
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due parti gi cos diverse della nuova nazione, per innumerevoli motivi spesso le allontanarono
ancora di pi, in una spaccatura le cui cause e le cui forme sono state analizzate superbamente da
autorevoli studiosi, almeno fin dagli anni 70 del XIX secolo: Pasquale Villari con le sue Lettere
meridionali, pubblicate sulla rivista Lopinione di Roma nel 1875, Leopoldo Franchetti e Sidney
Sonnino con la loro inchiesta La Sicilia nel 1876, Giustino Fortunato con La questione demaniale
nellItalia meridionale (1879) sono solo alcuni fra i primi ad occuparsi di quella che pi avanti
verr chiamata Questione meridionale e che attir lattenzione critica di Gramsci, inizialmente con
Alcuni temi della questione meridionale (1926) e poi in vari punti dei Quaderni del carcere. Non
questo il luogo per dilungarsi sulla questione meridionale, ma evidentemente, comunque, esiste un
rapporto diretto fra le precarie condizioni di vita nel Meridione (cos come di altre aree italiane,
come il Veneto), la violentissima repressione contro il brigantaggio e il fenomeno dellemigrazione
verso le Americhe, iniziato anchesso subito dopo lunit e proseguito nei decenni successivi in
modo sempre pi massiccio.
Fra gli stessi Garibaldini troviamo una frequente dicotomia in rapporto al Sud da essi conosciuto
nella missione dei Mille, e dunque in una missione che si pu interpretare come di liberazione, di
empito ideale corrispondente alla figura mitica, di fascino travolgente, di Garibaldi eroe
romantico, eroe nazionale italiano, eroe esotico (ISNENGHI, 2007, p.14) e di conquista di un
territorio che era sentito storicamente e ideologicamente parte di quellItalia che si voleva costruire,
o inventare. Cos, se da una parte il giovane Ismaele Boga, ventenne milanese, riporta nel suo diario
di patriota garibaldino acculturato i monumenti via via visti in Sicilia e osservazioni
sullatteggiamento della popolazione, con la quale cerca costantemente un dialogo (apud
ISNENGHI, 2007, pp.33-34), Ippolito Nievo nelle lettere dichiara di sentirsi diverso e lontano
(apud ISNENGHI, 2007, p.35), e certi, fra i piemontesi, rivelano impietosi e sprezzanti luoghi
comuni e pregiudizi che ci ricordano tristemente le notizie dei giorni attuali: qui lAfrica
(ISNENGHI, 2007, p.35). Dualismo, quindi, spesso imbevuto di sensi di superiorit; e ambiguit
che riproduce quella dellesitante e capziosa politica piemontese, che fa scegliere al governo la via
della non adesione allimpresa, della quale coglier i frutti, se ve ne saranno, ma non gli oneri,
senza correre il rischio di opporsi allenorme popolarit di Garibaldi, riconosciuta, per esempio, da
Cavour in due lettere, una a Costantino Nigra a Parigi e una a Ricasoli: il ministero non aveva le
condizioni di affrontare limmensa impopolarit che lavrebbe spezzato se avesse voluto far fermare
Garibaldi e Garibaldi sbarcato in Sicilia [] Che faccia guerra al Re di Napoli non si pu
impedire. [] Il secondarlo apertamente non si pu, il comprimere gli sforzi individuali, nemmeno
(apud ISNENGHI, 2007, pp.39-40).
La stessa dicotomia di cui parlavo si pu vedere al Sud dopo lUnit e qui arrivo finalmente al
mio tema da parte dei locali: divisi cos in quelli che osteggiano il nuovo governo e lesercito dei
piemontesi nel modo pi deciso, a parole, politicamente o con azioni militari che vengono
racchiuse collettivamente sotto lepiteto di brigantaggio; e in quelli che invece, con entusiasmo
maggiore o minore, quasi sottinteso o fragorosamente esplicito, approvano e appoggiano il governo
dellItalia unita e le sue azioni tese anche a sradicare il fenomeno del brigantaggio.
Fenomeno, questo, che ha suscitato molteplici interpretazioni fra i contemporanei dei briganti e fra
gli studiosi posteriori; la storia del brigantaggio e degli uomini che appartenevano ai due
schieramenti opposti ha conosciuto radicali cambiamenti di prospettiva, e, se ancora oggi alcuni
considerano il brigantaggio alla stregua della delinquenza comune, per lo pi, per, diffusa la
nozione del carattere politico delle azioni intraprese dalle bande di briganti, cos come si ha maggior
chiarezza sulle gravissime responsabilit del governo sabaudo per quel che riguarda il divario via
via crescente fra nord e sud e il conseguente abbandono dellItalia, fra gli altri (penso naturalmente
ai veneti) da parte di tanti meridionali e cito qui Francesco Saverio Nitti, che scriveva come il
destino del contadino meridionale si delineasse in ununica alternativa, o brigante o emigrante
(apud DE JACO, 2005, p.26).
I briganti esistevano da secoli, nel basso Lazio, nelle montagne dellAppennino meridionale, in
Puglia, in Aspromonte: fuorilegge la cui fama di grande ferocia (unita ad una rigorosissima
religiosit) spaventava i benestanti pi che i pastori o i contadini, che spesso li spalleggiavano. Fin
dal 1799 i briganti della Calabria si erano alleati ai Borboni, in un esercito contadino riunito dal
cardinale Ruffo per abbattere la repubblica partenopea, esercito al quale aderirono appunto vari
briganti, nella speranza di ottenere indulto e pensioni. Secondo Croce lantecedente del brigantaggio
post unitario era da vedersi in quella spedizione, della quale abbiamo fra laltro il ricordo di
Vincenzo Cuoco, che racconta del brigante Mammone macellaio, poi brigante e infine generale in
capo dellinsurrezione borbonica che allorch pranzava aveva sempre sulla tavola una testa
tagliata di fresco e beveva sempre in un cranio umano (apud DE JACO, 2005, p.16). Il topos della
crudelt sanguinaria, da orco, ci suscita suggestioni di un intertesto di leggende vichinghe, Barbabl
e, in un salto in avanti, un irresistibile paragone nordestino con Lampio e i suoi cangaceiros
noto anche il caso di un brigante borbonico, il silano Murraca, che diventa garibaldino per poi
ritornare borbonico vedendosi deluso dalla mancata conquista della libert attraverso le camicie
rosse.
Giustino Fortunato, al momento di un primo tentativo di tirare le somme dellepoca post-unitaria,
dopo il cinquantenario dellunificazione, criticava il paragone che alcuni allepoca facevano tra il
brigantaggio e la Vandea, e davvero questo nonostante la facile attrazione creata dalle somiglianze
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apparenti fra i due movimenti, entrambi di reazione monarchica e cattolica pare poco calzante, se
si considera la diversa estrazione sociale dei partecipanti e la mancanza, fra i briganti, di veri capi
organizzati, in presenza invece di un movimento quindi frammentato in bande per molti versi
isolate. La guerra fra lesercito sabaudo e i briganti, nel vasto territorio compreso fra le Marche e
lestremo sud, si consum con gravissime perdite (specie fra briganti e civili) almeno fino al 1870,
quando il brigante Cozzolino fu ucciso a Napoli e il brigante Cotugno fucilato a Lagonegro, in
Basilicata (MOLFESE, 1972, p.376 e 381); si calcola che fossero impegnati non meno di 120.000
uomini del neonato stato italiano, oltre ai soldati della guardia nazionale dei vari comuni (cfr. DE
JACO, 2005, p.25). La repressione fu violentissima, com attestato dai vari proclami e dalle
testimonianze di ufficiali come quella del tenente Gaetano Negri, in una lettera da Napoli al padre,
nellagosto 1861:
Gli abitanti di questo villaggio [Pontelandolfo] commisero il pi nero tradimento e degli atti di
mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per
questo meno barbara. Un battaglione di bersaglieri entr nel paese, uccise quanti vi erano
rimasti, saccheggi tutte le case e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completanente
distrutto. Stessa sorte tocc a Casaldone [] Sembra che gli aizzatori dellinsurrezione di questi
due paesi fossero i preti [che] spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta ( apud DE
JACO, 2005, p.161).
Fra i proclami di cui dicevo, uno dei pi severi, promulgato nel 1862, fu quello dellallora
maggiore, poi colonnello, Pietro Fumel:
Avviso al pubblico: Il sottoscritto incaricato della distruzione del brigantaggio
promette una mangia [sic] di franchi cento per ogni brigante vivo, o morto,
che si prender, tale mangia sar data pure a quel brigante che uccider un
suo compagno, oltre di aver salva la vita. Diffida che sar immediatamente
fucilato chiunque dar ricovero o mezzo qualunque di sussistenza o di difesa
ai briganti, o vedendoli o sapendone il luogo ove sono rifugiati, non ne dia
tosto avviso alla forza ed allautorit civile e militare. [] Tutte le pagliaie
dovranno essere abbruciate, le torri, le case di campagna che non sono in
intonico a forza devono tra lo spazio di tre giorni venire scoverte e le
aperture murate. Scaduto il termine saranno abbruciate come saranno
uccisi gli animali senza la necessaria custodia. Resta proibito di portar pane
e viveri qualunque fuori labitato e sar tenuto complice dei briganti il
contravventore [...] Lesercizio della caccia pure provvisoriamente vietato.
Il sottoscritto non intende vedere in questa circostanza che due partiti:
Briganti e controbriganti, perci tra i primi terr chi voglia tenersi
indifferente e contro questi prender misure energiche [] Segnato il
maggiore Fumel.
Di Pietro Fumel, nato a Ivrea nel 1801, un sito internet della sua citt natale recita: Patriota
ardente, organizz nel 1859, la difesa armata di Ivrea in previsione di un attacco austriaco. Nel 1860
fu nominato maggiore della Milizia Mobile della citt ed inviato a Bologna. Poi scese per due volte
in Calabria per combattere il brigantaggio. Per il suo grande coraggio fu decorato con la medaglia
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dargento al valore militare. Noi per sappiamo che Fumel fu uno dei pi feroci repressori del
brigantaggio; scrive Molfese (1972, p.152):
Il protagonista della repressione nel Cosentino fu, dal settembre 1861, il colonnello della
guardia nazionale mobile Pietro Fumel, piemontese, il quale, adottando il metodo del terrore e
delle torture, prescindendo dallosservanza di qualsiasi garanzia legale, fucilando
indistintamente briganti e manutengoli, veri o supposti, e colpendo anche favoreggiatori
altolocati, quali il barone Luigi Campagna di San Marco, distrusse non poche bande [...].
Sempre Molfese ricorda che Nino Bixio, che certo non era stato tenero con i contadini di Bronte,
stigmatizz alla camera dei deputati, nel 1863, le crudelt della repressione del Fumel e disse che
Si inaugurato nel Mezzogiorno dItalia un sistema di sangue (p.412 e 429).
Nel citato paese di San Marco (allora ancora Sammarco) Argentano, oggi circa 8000 abitanti in
provincia di Cosenza, allepoca 50001 fra cui 106 elettori, era stato fervido lentusiasmo per la
missione garibaldina, e al generale, in occasione del suo passaggio, erano stati consegnati per
decreto dei decurioni2 tremila razioni di pane di ottima qualit, non che due cantase di formaggio
ed un cantaso di lardo e prosciutto; sempre nel 1860, Sammarco, o meglio i suoi 106 votanti, al
plebiscito per lannessione al regno di Savoia dietro il grido unanime di viva lItalia una con
Vittorio Emmanuele (apud CHIASELOTTI) aderirono entusiasticamente al nuovo governo.
Nonostante la crudelt di Fumel, i cui metodi scandalizzavano lItalia e lEuropa, nel 1863
Sammarco gli concesse la cittadinanza onoraria, con un decreto di cui riporto ampi stralci per
mostrare al meglio la surreale pomposit della prosa:
Riunito il Consiglio Comunale [...] il consigliere Luigi Conti propone che il Municipio accordi
la cittadinanza di Sammarco Argentano al colonnello Fumel dichiarando Benemerito della
Patria in vista dei tanti servigi, che [...] ha prestato alla distruzione delle comitive che insorte per
indole prava a stampare misfatti e delitti rendevano mal sicura la propriet e la vita dei cittadini.
Il Consiglio, considerando che i Geni tutelari della pubblica salute vengono spediti da Dio ad
emancipare dalle gravi tribolazioni alle quali non di rado van soggette le nazioni per ismorbarne
dalla infestazione dei molesti rapinatori che si assidono qual flagello di Dio alla cena delle
Eumenidi, ed inferendo fino alla effusione del sangue fraterno, coprire di stragi, di squallore la
terra bruttata dalle forme di incessanti nequizie, considerando che nella esecuzione del proprio
mandato l'abilit dello egregio colonnello Fumel tale da procurarsi con una logica
trascendentale la evidenza delle pruove dell'altrui malfatto, traendo a spontanea confessione i
delinquenti istessi, non senza le meraviglie degli assistenti e quindi condannando nel capo con
pieno Convincimento morale, nel respingere da s la qualifica di giudice severo, viene ad
assicurarsi anzi dallo universale lo encomio di albero della Vita. Considerando che questi angeli
sterminatori [...] onorano di troppo la umanit, accendono il cuor cittadino di nobile orgoglio in
partecipare ad alcuna gloria di essi, onde stima fortuna di stringere con tale Celebrit vincolo di
obbligata dilizione a monumento imperituro, perlocch investendosi di cittadina prerogativa,
blandirsi qual nostra predilettissima prole e come a generata nell'interno del proprio seno, A voti
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Da notare come la popolazione sia cresciuta assai poco in questi quasi 160 anni: gli abitanti di San Marco, come tanti
altri calabresi e meridionali, sono emigrati in Brasile, Argentina e numerosi altri paesi.
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Il termine decurione, in evidente nostalgia di romanit, designava i membri dellamministrazione
comunale, principalmente nelle aree di dominazione spagnola.
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unanimi delibera Dichiararsi Benemerito della Patria il S(ig) Colonnello D(on) Pietro Fumel,
con accordargli la cittadinanza di questo municipio di Sammarco Argentano.
Nello stesso anno, pochi mesi dopo, Sammarco avrebbe concesso la cittadinanza onoraria anche ad
Alexandre Dumas padre (1803-1870), che aveva abitato a Napoli dal 1860 al 1864 ed era amico di
Garibaldi, del quale nel 1860 aveva raccolto le memorie a Parigi, poi pubblicandole col titolo
Memoires de Garibaldi.
Proprio le Memoires de Garibaldi devono aver ispirato Vincenzo La Regina: fu decurione di
Sammarco, amico di Dumas, che aveva ospitato, e appassionato sostenitore di Garibaldi, ma anche
amico ed ammiratore di Fumel (il salvatore delle Calabrie). Il testo del quale desidero parlare
comprende poco pi di venti pagine manoscritte, Memorie del colonnelle Pietro Fumel,
raccontatemi da lui stesso nella Trattoria Garibaldi in Milano vicino a Porta Nuova nei giorni 20,
21, 22, 23 e 24 marzo 1865, nelle quali Fumel presentato come il prototipo delluomo virtuoso
(lunico blando difetto, assai perdonabile, che le donne furono sempre la passione del
colonnello ma non potremo vedere qui un tentativo di paragone con leroe Garibaldi?),
coraggioso, astuto, giusto e galantuomo, che fa fucilare i briganti (anche se su questo si sorvola) ma
soprattutto li arresta a dozzine (quarantatr in un unico agguato!); che pacifica famiglie in lotta per
questioni donore; che si traveste da monaco per arrestare un brigante; che dice ad un marito che
cornuto per fargli uccidere il presunto amante della moglie, il brigante Ferrigno, e questi [il
cornuto] lo ferma [Fumel] e gli mostra la testa di Ferrigno, ed in ci digrignava i denti come una
jena, girando attorno occhi infiammati; che fa arrestare due fratelli di Montalto che, per vendicarsi
delluomo che aveva disonorato la sorella, rubano gioielli al padre per pagare un brigante che
uccida il seduttore una volta arrestati, ordina di farli fucilare, ma poi, quando uno dei due lo
supplica di fucilarlo ma di risparmiare laltro, per non orbare troppo il vecchio genitore, il Fumel
si commuove fino alle lacrime a tanta abnegazione e risparmia entrambi i fratelli. Troviamo,
quindi, il ritratto di un vero eroe, astuto come Ulisse e giusto e a volte tenero come il pio Enea, del
quale per non condivide la religiosit, poich , al contrario, violentemente anticlericale. Nella
narrazione i preti sono infingardi, sensuali, fiancheggiatori dei briganti (del resto che fossero
fiancheggiatori era risaputo: la chiesa era alleata dei Borboni, che erano sostenuti dai briganti e che
a loro volta li sostenevano, in un estremo tentativo di recuperare il potere), e Fumel non li tratta
certo coi guanti, come nellepisodio nel quale il prete si rifuta di unire in matrimonio una ragazza
incinta al seduttore ferito a morte: il prete incomincia a parlare latino al Colonnello, e questi
fremente di rabbia disse a me razza di canaglia parli latino, io ti rispondo con la sciabola, e l per l
cominci a scaricargli una tempesta di schiaffi. Il rimedio riusc efficacissimo [...]. Gustoso
lepisodio del monastero di Cosenza, dove Fumel va ad arrestare un monaco e trova i frati che
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disperatamente si disfano di lettere e ricordi amorosi insieme a una signora, evidentemente discinta
visto che la fa coprire con un mantello da carabiniere che lo supplica di non rovinarla, e il
Colonnello la fa riportare a casa, dal marito e dai figli; con un sapore nitidamente boccaccesco
quello del milite che, ospitato con un commilitone da un prete, va a coricarsi con la serva del
prete, che si alza, va al letto della serva e inizia a toccarla, ma in realt tocca il milite, il quale,
vistosi a mal partito, gli tira un calcio e fugge nel suo letto; il prete denuncia il soldato come
brigante al colonnello, che per, invece di punire il soldato, rimprovera aspramente il prete e lo
accusa di aver voluto sedurre il Milite, e lo dice sodomita.
Infine, un piccolo racconto aneddotico, che ricorda innumerevoli testi del genere biografico, fra
omissioni ed esaltazioni, a confermare lesistenza non solo di topoi ma quasi di funzioni biografiche
proppiane che ricorrono in testi del tutto autonomi e certamente ignari luno dellaltro: vita
encomiastica, celebrativa, svolta per aneddoti e senza grandi preoccupazioni cronologiche.
Lo stile di Vincenzo abbastanza sciatto; il racconto si svolge nella prima parte in prima persona,
con Fumel come io narrante, e nella seconda, meno elaborata ed apparentemente rimasta quasi alla
stregua di appunti da riscrivere, Vincenzo parla di Fumel in terza persona.
A giudicare dalla lettera a Fumel preposta al testo, il colonnello era caduto in disgrazia, e quindi il
racconto di Vincenzo ha propriamente carattere di apologia e difesa di un granduomo
ingiustamente danneggiato:
Ero suo ammiratore allorch compieva qui la sua ardua missione, ma la mia ammirazione arriv
al colmo, allorch cercando il salvatore delle Calabrie lo rinvenni in un locale indecente accanto
al naviglio, attendere al nojoso impiego di distribuire sali e Tabacchi, senza per pronunziare
una parola, unallusione contro coloro che sconoscendo i grando servigi da lei resi alla patria,
ingratamente ne lo rimeritava; per deve consolarsi al pensiero che fu sempre questo il destino
degluomini virtuosi; ma verr giorno che la storia scevra di passioni le far quella giustizia che
ora gli si niega tramandando ai posteri quei fatti, che lhan reso tanto benemerito cittadino di pi
paesi.
Nella lettera a Fumel Vincenzo parla del suo viaggio di ritorno da Milano, descrive laccoglienza
festosa a Sammarco alla notizia del suo incontro e racconta di aver mostrato a tutti una foto del
colonnello, e dice Sto ordinando tutti i racconti che che ella mi ha fatto in materia di brigantaggio,
per rimetterli al Sig.r Dumas, al quale ne ho scritto; prima di mandarglieli ne spedir a lei una copia
per darvi unocchiata, e rettificare qualche cosa che mi sar sfuggita dalla memoria. Fumel per
mor nel 1866; apparentemente Vincenzo non fin di rielaborare il testo, anche se era ancora vivo
nel 1875.
curioso constatare come un personaggio quale il Fumel suscitasse a sua volta, cos come il
brigantaggio, reazioni cos controverse; in ogni modo preferibile considerare il testo di Vincenzo
come un piccolo romanzo biografico, deformato dallammirazione cos romantica per leroe e
dallidea tutta risorgimentale di unItalia finalmente riunita e da difendere ad ogni costo.
BIBLIOGRAFIA
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CANDELORO, Giorgio. Storia dellItalia moderna. 11 voll. Volume quinto: La costruzione dello
stato unitario, 1860-1871. Milano: Feltrinelli 1978-1986.
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MOLFESE, Franco. Storia del brigantaggio dopo lUnit. 2a ed. Milano: Feltrinelli, 1972.