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Ecuba
Talbitio
Pirro
Agamennone
Calcante
Andromaca
Un vecchio
Astianatte
Ulisse
Elena
Un messaggero
Polissena (muta)
Coro delle Troiane
La tragedia si apre con un'ipotetico dialogo di Ecuba con la citt di Troia; si rivolge a tutti
potenti che credono di stare al sicuro nella propria reggia e non temono il volere degli dei,
perch notino il caso della sua citt, prima pilastro della potenza asiatica, ora crollata nonostante
l'accorrere di potenti alleati, come Reso, Mnenome e l'amazzone Pentesilea. Ora la rocca di
Troia collassata su s stessa, in preda alle fiamme; e mentre brucia viene saccheggiata! E ci
nonostante il vincitore, dopo 10 anni d'assedio, ha ancora paura della citt che sta razziando.
Eppure Ecuba si sente responsabile di questa distruzione; vero che fu predetta da Cassandra
che non venne ascoltata, ma lei stessa, mentre aspettava Paride, sogn di partorire una fiaccola
che avrebbe incendiato la citt. La colpa non dunque di Ulisse, n di Diomede; la causa del
fuoco che divora Troia solo sua.
Poi si rivolge a s stessa; che non pensi al crollo di Troia, cose ben peggiori l'attendono! Lei
ormai vecchia, ha assistito alla terribile ed empia morte del marito Priamo, ad opera di Pirro,
sull'altare di Zeus, una fine terribile anche se lui sembrava sereno. Ma adesso in corso il
sorteggio, come se si trattassero di premi da spartire, delle donne Troiane, che verranno vendute
come schiave e concubine, persino la sacerdotessa Cassandra; e lei, anziana, proprio quella
che nessun greco vorr. Entrano le donne troiane; che piangano e si lamentino!
Le donne troiane del coro (che poi danno il titolo alla tragedia) rispondono che ormai sono
abituate a piangere tanto, che lo hanno fatto per lunghi anni. Infatti sono passati dieci anni dal
rapimento di Elena da parte di Paride, dieci anni in cui ogni giorno c' stato un lutto. Il coro
riprende quindi il proprio lamento, incitando Ecuba a fare altrettanto. E la regina risponde loro
di conservare gelosamente le ceneri di Troia che hanno addosso, l'unica cosa che potranno
tenere della propria citt; di scogliere i capelli e scoprire le spalle ed il seno, pronte a
percuotersi. Ormai sono umiliate alla condizione di schiave, quindi che senso ha mantenere il
pudore? E che tutte assieme piangano per Ettore.
Le donne abbassano le vesti e sciolgono i capelli, intonando il lamento per Ettore; e che tutti i
luoghi attorno a Troia sentano il loro pianto e ne restituiscano l'eco, perch stanno appunto
piangendo per Ettore ed il loro dolore eccezionale.
Ecuba piange e si ferisce a sangue, parla come rivolgendosi al figlio morto; lui era il pilastro su
cui si reggeva la citt, ed il giorno della sua morte stato l'ultimo per tutti loro. Ora invece il
momento di piangere per Priamo; le donne del coro si lamentano per il loro defunto signore,
sotto il suo sfortunato regno ogni sventura si ripetuta due volte, egli ha dato alla vita una stirpe
di re ed anche stato quello che ha concluso la serie dei lutti. Il suo corpo sacrificato sull'altare
di Giove ora giace martoriato sulla spiaggia.
Ma Ecuba le interrompe: che versino le loro lacrime per altri dolori, Priamo ora morto ed
libero, non dovr portare il giogo della schiavit, non subir l'umiliazione di vedere la citt
distrutta, gli Atridi signori ed il perfido Ulisse, non sfiler in catene per il divertimento di
Micene. E le donne del coro gridano tutte "fortunato Priamo", che morendo si portato via il
regno, ed ora alla ricerca di Ettore negli inferi.
Entra in scena il messaggero Taltibio; i greci non hanno fortuna con le navi. Il coro chiede il
perch di questa affermazione; Taltibio racconta emozionato il prodigio a cui ha appena
assistito. La terra ha tremato ed il mare divenuto improvvisamente calmo avvertendo la
straordinaria presenza del proprio signore; si aperto un crepaccio fino al mondo degli Inferi e
ne uscito Achille, bello e splendete come all'epoca delle sue imprese pi gloriose. La sua
ombra infuriata con i Greci, che intendono partire senza dargli ci che gli spetta; ovvero la sua
donna amata, Polissena, egli pretende sia sacrificata alle sue ceneri dal figlio Pirro. Quindi il
giorno si oscurato e lui tornato negli Inferi. Ed ora il mare immobile ed i tritoni cantano il
loro canto nuziale.
(La scena cambia e si sposta all'accampamento dei greci, in scena Pirro e Agamennone) Pirro
rimprovera Agamennone per il suo comportamento; possibile tanta irriverenza nei confronti di
Achille, l'uomo a cui devono la vittoria? Anche se adesso dovessero soddisfare la sua richiesta,
comunque troppo tardi, tutti i soldati hanno avuto una ricompensa e lui stato lasciato per
ultimo! E pensare che era ancora tanto giovane ed avrebbe potuto vivere a lungo e felice,
anzich venire a combattere. Eppure ha collezionato una serie incredibile di vittorie, ciascuna
delle quali sarebbe stata gloria eterna per chiunque, ma per lui furono solo preparazione alla
battaglia finale; e anche se non si citassero quelle, basterebbe pronunciare il solo nome di Ettore
per illustrare tutta la gloria di suo padre. Eppure egli caduto, pur essendo per met figlio di
una dea. Ed Agamennone ha nei suoi confronti un grandissimo debito; e poi, non ha forse
sacrificato sua figlia Ifigenia per Elena? E non sarebbe coerente smettere di avere piet per la
figlia di Priamo e soddisfare i desideri del defunto eroe?
Agamennone risponde: Pirro impulsivo, non solo per la giovane et, ma perch ha ereditato il
temperamento del padre. Il suo discorso calmo e misurato; i regni portati avanti nel sangue
non durano mai a lungo, ed egli non vuole macchiarsi le mani di un altro delitto, offuscando per
di pi l'ombra di un grande eroe. Inoltre vero, sono vincitori; ma l'eccessivo favore degli dei
deve essere sempre un incitamento alla cautela, e la loro situazione ora appare quanto mai
precaria. Pirro incute timore ad Agamennone; non lo rende superbo. Egli avrebbe voluto evitare
la terribile strage che seguita alla vittoria, ma non riuscito a contenere il furore dei propri
soldati; ma adesso non vuole celebrare il crudele "matrimonio" che comporti la morte della
fanciulla sposa. Pirro chiede quindi se il padre rimarr senza ricompensa: Agamennone risponde
che la sua memoria avr gloria eterna, e se il defunto desidera sangue, sulla sua tomba verranno
sgozzate tutte le greggi della Frigia, ma nessuna madre dovr piangere per il sangue versato. Si
chiede poi in base a quale tradizione per un uomo morto ci debba essere un'altra morte; una
cosa del genere renderebbe solo odiosa la figura di Achille. Pirro lo accusa di essere un
codardo; o si forse invaghito della fanciulla? Pirro non avrebbe problemi a spargere il suo
sangue, mandandolo a far compagnia a Priamo. Agamennone lo schernisce, in effetti il vecchio
debole Priamo, per di pi supplice di suo padre, stata la sua vittima pi illustre... Pirro ribatte
che lui invece non ha avuto nemmeno il coraggio di andare di persona a supplicare Achille!
Segue un botta e risposta, in cui Pirro insiste per il sacrificio dicendo che nessuna legge lo
impedisce, e Agamennone ribatte che non c' bisogno di legge se si ha moderatezza, Pirro
rinfaccia ancora il sacrificio di Ifigenia e Agamennone spiega che in quel caso si trattava di
salvare la patria; i due poi passano a mettere in dubbio la nobilt delle rispettive stirpi, citando
avvenimenti come l'uccisione di Tieste, la relazione illecita di Achille con Deidamia.
Agamennone infine decide di chiudere la vicenda e manda a chiamare l'indovino Calcante, che
gi una volta ha dato importanti rivelazioni (quando le navi dei greci non riuscivano a salpare e
non si sapeva perch). E il responso di Calcante quanto mai amaro; non solo Polissena deve
essere sacrificata in abito da sposa, ma anche il figlioletto di Ettore, Astianatte, deve essere
gettato gi da una torre e trovare cos la sua morte, prima che i Greci possano ripartire.
Il coro si domanda infine se allora, una volta morti, la fine definitiva, o se si continua ad
esistere e a soffrire; il tempo passa veloce, e tutte le cose prima o poi hanno una fine. E non
esistono Inferi, divinit infernali o luoghi misteriosi da raggiungere dopo la morte; il posto in
cui si va dopo la fine lo stesso dove si stava prima di nascere.
stiano tranquilli per non destare sospetti. E che Ettore possa sorgere dagli Inferi e portare al
sicuro il bambino..!
Entra in scena Ulisse: esordisce scusandosi con una captatio benevolentiae per il terribile
responso che deve annunciare. Qui comincia l'agone Andromaca/Ulisse sulla salvezza di
Astianatte, parallelo a quello Pirro/Agamennone su Polissena: i Danai temono il successore di
Ettore, e l'indovino Calcante manda a dire che deve essere eliminato. La vittoria non sar
completa finch esister un seme in grado di far rinascere la potenza di Troia, e tra dieci anni i
soldati saranno vecchi, ed Astianatte nel pieno delle forze. A lei tocca liberare i Greci dai loro
timori, e conclude dicendo che lui solo un ambasciatore e non ha colpa del triste annuncio che
gli stato affidato. Andromaca ostenta disperazione: non ha idea di dove si trovi il figlio, stato
smarrito nella battaglia. Ma Ulisse le dice chiaramente di smettere di fingere, riconosce gli
inganni di una madre, dov' Astianatte? E dove sono Ettore e Priamo, risponde Andromaca, lui
ne cerca uno lei li cerca tutti! Ulisse ribatte che se non parla sar torturata, ed il dolore avr la
meglio sull'amore. Ed Ulisse che proprio l'ostinazione tipica di lei e del marito a far temere i
Greci per Astianatte, che non sar nemico loro ma dei figli. Andromaca allora cerca di chiudere
la questione dando un annuncio triste ed ufficiale; Astianatte morto e giace in una tomba.
Ulisse se ne rallegra; ma poi parla tra s, pu credere al giuramento di Andromaca? Ella pi che
addolorata sembra nervosa. Deve trovare un modo per testare le sue parole. Si rivolge
nuovamente ad Andromaca, dicendole che ad Astianatte in fondo andata bene, perch
altrimenti sarebbe stato gettato da una torre, e non gli sfugge il tremito ed il pallore improvviso
della donna! La spaventa ancora, mandando i soldati a cercare il bimbo, e poi le chiede di cosa
ha paura se Astianatte morto: ed ella ribatte che ormai ha costantemente paura, non riesce a
liberarsene. Ulisse continua dicendo che visto che Astianatte sfuggito al sacrificio, ora il
sepolcro di Ettore dovr essere raso al suolo e le sue ceneri sparse sul mare per placarlo;
Andromaca parla fra s, potrebbe tollerare lo scempio delle spoglie del suo amato sposo? Ella
vuole che il figlio sopravviva solo per poter cogliere la somiglianza col padre! A questo punto
meglio che muoia il bimbo, e lei dovr avere il coraggio di assistere. Ma il bambino vivo e
sensibile, e forse un giorno li vendicher tutti, mentre Ettore ormai una salma; che fare?
Ulisse sta per dare l'ordine di riesumare la salma; ed Andromaca cerca di fermarlo dicendo che
gi stata riscattata da Priamo! Ulisse non si ferma, e lei ribatte che i Greci non hanno rispetto
nemmeno per gli dei e le tombe, e lei combatter disarmata contro i soldati come un'amazzone o
una menade, e morir difendendo il sepolcro. Ulisse persiste nel dare ordine ai soldati che non
si fermino; ed Andromaca implorante crede di vedere Ettore in armi che sorga dal sepolcro.
Allora sembra ritrovare un minimo la ragione, al pensiero che Astianatte morir in quel modo
terribile schiacciato dal sepolcro, e si butta ai piedi di Ulisse per supplicarlo; che possa tornare a
casa, rivedere il padre, la moglie ed il figlio, che abbia una vita felice, se esaudir la sua
richiesta. Ulisse pretende di vedere il bambino, e Andromaca lo chiama fuori dal sepolcro. Che
si prostri anche lui ai piedi del padrone e pianga per chiedere la salvezza, dimenticandosi dei
propri illustri antenati: anche Priamo fanciullo pianse ai piedi di Ercole. E l'eroe divino fu
gentile, nonostante li avesse sconfitti, e permise a Priamo di regnare; che prendano esempio da
Ercole, ed imparino ad apprezzarne l'animo e non solo le armi! Il piccolo Astianatte chiede solo
di avere salva la vita, e non importa che fine far il regno di Ilio. Ulisse ribatte che teme per i
figli dei Danai; e la donna disperata gli mostra le piccole mani del figlio e le sconfinate macerie
della citt, come potrebbe lui rimetterla in piedi? Non ha un padre a sostenerlo, chiede solo di
vivere, chiner il capo sotto il gioco e diventer schiavo, un destino forse anche peggiore della
morte, ma per lei, madre, la morte del figlio deve essere evitata ad ogni costo. Ulisse ribatte che
non lui a decidere, ma Calcante. Andromaca inveisce contro di lui, che ha sempre vinto in
modo disonesto, ha sempre compiuto le sue imprese di notte e con la compagnia di Diomede, e
da solo e di giorno riesce ad essere coraggioso solo massacrando bambini? Ulisse risponde che
il suo valore noto ai Danai, e anche ai Troiani. Non c' pi tempo: che Andromaca consegni il
bambino. La donna chiede un po' di tempo per abbracciare il figlio per l'ultima volta: ed Ulisse
glielo concede.
Andromaca piange: tutte le sue speranze di vedere il figlio regnare in pace e vendicare il padre
le sono state strappate via. Non diventer adulto, non andr a caccia, non potr celebrare riti
religiosi o partecipare a gare sportive; far una morte orribile. Ulisse la interrompe, tempo di
andare. E la madre chiude gli occhi al figlio come se fosse morto in vita, che vada libero a
riunirsi al padre e a tutti gli altri troiani liberi! Astianatte parla per la prima ed ultima volta,
chiede piet alla madre; ma lei non pu difenderlo! Ulisse si affretta a portarlo via.
Le troiane prigioniere si chiedono dove andranno ad abitare, ed elencano una lunga serie di
luoghi; i monti della Tessaglia, la valle di Tempe, a Trachine, Iolco, Girtone, Tricca, o Motone?
A Oleno, a Pleurone, a Trezene, nel Plelio, o a Caristo? O forse a Salamina? A Pilo? O a Fari, o
a Pisa ed Elide? Qualsiasi luogo, basta che rimangano lontane da Sparta, da Argo e Micene e da
Itaca. Ed Ecuba, dove finir a scontare la sua pena?
ceneri sono assetate del loro sangue! E adesso si vedr strappare l'ultima figlia rimastale della
sua folta schiera, che fino al giorno prima la circondava. Ma che Polissena, improvvisamente
piangente, si rallegri! Molte troiane vorrebbero essere al suo posto, ed essere cos libere.
Andromaca commenta che non Polissena da compiangere, ma sono loro: lei almeno verr
sepolta a casa. Ed Elena aggiunge "La invidierai di pi quando conoscerai la tua sorte". Infatti
le schiave hanno finalmente avuto i loro padroni; Andromaca stata assegnata a Pirro,
Agamennone ha preteso Cassandra, e ad Ecuba, finita tra le mani di Ulisse, resta poco da
vivere. Ecuba indignata e reagisce con un'invettiva contro Ulisse; chi ha assegnato le regine ai
re in questo modo spietato? Chi ha "messo assieme la madre di Ettore e le armi di Achille"?
Ecuba non si vergogna della schiavit, ma del padrone! Ulisse ingannatore che vive in un'isola
piccola ed inospitale. Ecuba profetizza sventure per il suo ritorno a casa; e conosce il suo
scontento per non aver avuto in premio una fanciulla pi giovane. Ecco che arriva Pirro,
"l'uccisore di anziani"; Ecuba lo prega di ucciderla, ma lui senza una parola afferra Polissena e
la porta (probabilmente un'esigenza scenica). Ecuba profetizza ancora sventure per tutta la flotta
greca.
Il coro intona un altro lamento; il dolore meno acuto se si in tanti a patire. E le sventure, la
povert appaiono meno gravi se non ci sono elementi di comparazione. Non vedere volti felici
un sollievo per chi si trova in mezzo al mare, e chi da solo o rimane solo si dispera, mentre
anche solo due persone unite riescono a farsi forza. Il dolore delle Troiane non nascer tanto
dall'incognita del futuro, quanto dal rimpianto del passato; e tutte le generazioni future potranno
individuare dove sorgeva la citt grazie alla colonna di fumo che si alza dalle macerie.
di Polissena, e soprattutto il suo coraggio nell'affrontare la morte. Pirro viene avanti, Polissena
lo raggiunge sul sepolcro di Achille, e il guerriero addirittura incredibilmente esita davanti al
contegno della ragazza, ma poi la colpisce, e Polissena cade con violenza, quasi a voler pesare
sulle spoglie di Achille. Entrambi i popoli piangono, pi forti i vincitori; ed i sangue non
ristagna nemmeno un istante al suolo, viene subito "bevuto" dalla tomba di Achille definita
"crudele".
Ecuba rivolge un ultimo appello ai Danai; che tornino alle loro case, hanno avuto ci che
volevano, la guerra finita. Lei non sa pi per chi piangere. Invoca la morte, l'ha tanto cercata,
perch la sua vecchiaia non finisce mai? Perch nemmeno nel momento della presa della citt
riuscita a togliersi la vita? Il messaggero la interrompe: le navi stanno salpando, e per le donne
troiane ormai schiave tempo di andare.
Per molto tempo, questa tragedia di Seneca stata considerata una pallida imitazione delle
tragedie euripidee del ciclo troiano, dell'Ecuba e delle omonime Troiane, e giudicata in maniera
molto negativa anche a causa dell'andamento irregolare delle scene; infatti Seneca si distacca
molto dai moduli della tragedia Aristotelica, abbandonando la fondamentale unit di azione. Le
vicende che si intrecciano sono due se non tre, la tragica fine di Polissena e di Astianatte, pi la
storia delle donne Troiane. Inoltre nella tragedia sono state individuate anche incongruenze e
contraddizioni che hanno fatto supporre che non fosse compiuta; ma ad un esame pi attento si
capisce che la complessa struttura cronologica in realt studiata ad arte, gravita attorno alle
vicende dei personaggi, organizzata in modo che solo lo spettatore sappia chiaramente cosa
attende i protagonisti, mentre loro vivono in un angoscioso clima di rivelazioni e paure.
Questa irregolarit rende difficile appunto anche l'individuazione di un protagonista principale,
che seguendo lo schema euripideo dovrebbe essere Ecuba, ma che in realt rimane difficilmente
identificabile, e non si riscontra nemmeno in Agamennone o in Andromaca. La violazione del
canone tradizionale della tragedia evidente, ma comunque voluta; e sembra una sorta di
sperimentazione teatrale da parte di Seneca.
Ad una pi attenta analisi, comunque, ci si rende conto che in realt l'opera di Euripide e quella
di Seneca sono profondamente diverse: infatti Seneca esaspera la crudezza e l'orrore della
vicenda del poeta greco, portandola all'estreme conseguenze. E se le tragedie di Euripide sono
tragedie del dopoguerra, che narrano situazioni di assestamento e di ricostruzione dei rapporti
interpersonali dopo le battaglie, in quelle di Seneca non c' fine del conflitto, i suoi protagonisti
sono ancora in guerra fra loro, combattono l'ultima fase della guerra. Non c' solidariet fra
vincitori e vinti, ed il tema delle Troiane proprio la guerra, vista non tanto come un evento
globale, ma come opposizione fra vincitori e vinti.
Nell'opera l'autore, per quanto si dimostri vicino alla filosofia stoica, non assume un tono
didattico; e non sembra esserci un personaggio portatore delle istanze filosofiche di Seneca.
Per ci sono dei motivi che caratterizzano l'andamento della tragedia; il destino, la morte, la
distruzione, il dolore, la disperazione, lo scatenarsi dell'emozioni, ed il loro crescendo. E tra
questi elementi, principalmente appunto il tema della guerra, che quello che emerge su tutti,
rappresentando l'orrore e la disperazione suprema.
La figura di Pirro, pi di tutti i protagonisti della vicenda, sembra invasata dalla violenza, quasi
avesse ereditato la proverbiale ira del padre, e impersona la guerra proprio come conseguenza
del furore puro; non ha riguardi per Polissena, uccide spietatamente Priamo sull'altare di Giove,
oppone alla ragione politica di Agamennone il codice della guerra, chiede sangue e non si mette
riguardi per versarne. Seneca parla addirittura di miracolo quando per un istante il guerriero
esita di fronte allo straordinario coraggio e alla bellezza di Polissena. Ma solo un istante; e
Pirro non si fa scrupolo di immolare la fanciulla al padre morto, cos come non ha nessun
riguardo per Agamennone, che minaccia addirittura di morte, e come entra in scena torvo nel
volto trascinando via Polissena, apparendo invasato da un'impulsivit sanguinaria.
Ma la guerra non solo violenza, anche razionalit e strategia; ed in questo contesto che si
inserisce la figura di Agamennone. un personaggio ricco di humanitas, sicuramente anche
debole (si nota dal suo modo di rispondere a Pirro, dal suo dire di averlo voluto risparmiare che
appare solo ridicolo dopo tutte le minacce che gli ha fatto il figlio di Achille), che si
immedesima coi vinti, che non vuole spargere altro sangue. Manca, vero, in lui la crisi
individuale che lo caratterizza in Euripide; Seneca lo presenta come un personaggio politico,
che riflette sulla guerra e sulla precariet del potere. E si pu dire che Agamennone rappresenti
il buon governo, e che Pirro sia espressione il regime tirannico. Ci nonostante, questo non
sufficiente per fare di Agamennone un modello positivo in senso assoluto: egli esce sconfitto
dall'agone con Pirro, perch le sue argomentazioni sono pi deboli, e quando l'avversario arriva
a minacciarlo apertamente, prima ribatte soltanto con battute, poi lascia cadere su Calcante la
colpa della propria resa.
Se Pirro e Agamennone rappresentano due aspetti diversi (e complementari) della politica della
guerra, Ulisse il prototipo dello stratega. Non l'Ulisse euripideo bugiardo e ingannatore; un
politico della guerra, un uomo di cultura, decisamente un oppressore. Tra lui ed Andromaca
avviene l'ultimo vero scontro tra Greci e Troiani; Ulisse si comporta da sadico con la donna, di
cui sfrutta la disperazione e la paura, agisce come un inquisitore, che vuole spezzare la
resistenza del nemico vinto in guerra: adduce ragioni spietatamente politiche alla morte di
Astianatte, che dovr servire per proteggere le nuove generazioni greche. vero, meno
spietato di Pirro, si commuove e prega alla morte del piccolo Astianatte; ma il suo
comportamento con Andromaca da aguzzino, nonostante egli dica di essere esecutore di
decisioni altrui, ma anche la citazione del nome di Calcante non gli serve per discolparsi, ma
per fare maggiori pressioni su Andromaca.
La personalit di quest'ultima decisamente conflittuale; la donna appare infatti tormentata
dall'apprensione e dall'incertezza, si appella di tanto in tanto a esili speranze che poi fallendo la
fanno cadere in una disperazione pi grande di quella iniziale. tormentata dai dubbi: ha senso
mettere in salvo Astianatte, come le ha detto l'ombra di Ettore (che per tutta la tragedia viene
messa in contrasto con quella di Achille, comparendo al contrario di quella del nemico come
sconfitta e sconvolta, e denunciando evidente debolezza ed inferiorit anche nella morte, cosa
che Andromaca le rimprovera), non sarebbe tanto pi semplice arrendersi e rassegnarsi? Nel
parlare con Ulisse alterna risposte evasive, simulazioni di innocenza, propositi di resistenza e
false confessioni, ma per tutto il tempo tradisce paura e nervosismo, tanto che Ulisse se ne
accorge e riesce a smascherarla. La sua caratteristica dominante dunque senza ombra di
dubbio l'insicurezza, anche se ha una reazione quasi folle gettandosi contro i soldati come una
Baccante, o si lascia andare ad una stoica accettazione nel dare l'addio al figlio.
invece impregnata di una dolorosa rassegnazione la figura di Ecuba, che contrariamente a
quella euripidea, che vive la tragedia del suo popolo con dignitosa sofferenza, in uno stato di
cupa depressione, che peggiora sempre di pi, fino ad arrivare ad un vero e proprio collasso
quando scopre che cosa attende la figlia. Ecuba lacerata anche dal senso di colpa per aver
messo al mondo Paride, la causa di tutta la terribile vicenda; dice che il fuoco che brucia la citt
opera sua. Ma l'atteggiamento dominante appunto quello di resa, di passiva accettazione,
unita comunque ad un desiderio estremo di morte.
Diverse interpretazioni ci sono sulla figura di Elena: se in Euripide una donna svogliata e
capricciosa, Seneca l'assimila alle vittime, la dipinge come una sorta di collaboratrice dei
vincitori, a cui vengono assegnati i compiti pi ingrati, in fondo odiata da entrambe le parti.
Elena cosciente del ruolo terribile che le assegnato, e cerca di difendersi affermando di
seguire solo degli ordini; si difende davanti alle donne troiane, cercando di far capire che in
realt gli vicina. Ma rimane odiata e malvista nonostante tutti suoi sforzi, ed anche il suo
pietoso tentativo di ingannare Polissena per non spaventarla fallisce e viene identificato come
un inganno.
Vi sono poi ancora le due vittime della tragedia, Polissena e Astianatte; entrambi sono muti
(Astianatte pronuncia solo una breve frase, Polissena non parla mai), ma hanno comunque
personalit ben delineata. Entrambi muoiono da eroi stoici, con quella morte/suicidio che
Seneca ritiene degna del saggio. Ed anche se tutti e due hanno un momento di crollo (Astianatte
implora la madre di aiutarlo, Polissena piange), questi aspetti servono soltanto ad esaltarne
l'umanit, a renderli personaggi pi reali anche nel prepararsi alla loro morte eroica.
L'altro aspetto importante della tragedia il Coro, che poi da il titolo all'intera opera; il suo
ruolo sembra essere essenzialmente quello di dare voce ed evidenziare gli stati d'animo delle
Troiane, ma ha collegamenti lucreziani, fa disquisizioni filosofiche sulla morte, sulla mortalit
dell'anima in terra. Partecipa al dolore di Ecuba e di Andromaca; importante e protagonista
dell'intera vicenda, non ha un ruolo affatto marginale, anche se molti critici hanno avuto da
ridire sul ruolo filosofico che a tratti assume.
Tra gli altri personaggi, nessuno ha molto rilevo; Calcante parla per pochi istanti, e sembra
giusto rendere definitive, se ce n'era bisogno, la fine di Polissena e Astianatte; Talbitio ed il
messaggero non hanno chiss quale personalit, se non un evidente senso di piet per le donne,
e il vecchio ha giusto il ruolo di spingere Andromaca al ragionamento.
Infine, sembra che Seneca nelle sue Troiane abbia voluto condannare quegli spettacoli indegni
che avvenivano nella sua citt; quando i troiani ed i greci si riuniscono per assistere alle morti di
Polissena ed Astianatte, sembrano sistemati in un teatro, e questo sicuramente allusivo alla
moda romana di andare a vedere gli spettacoli nell'arena, dove il protagonista nudo e disarmato
faceva sistematicamente una fine terribile. E la sua critica quella che l'uomo, che dovrebbe
essere sacro per gli altri uomini, viene invece ucciso per gioco e divertimento, e la morte
diventa spettacolo.