l’importanza della Rivelazione che Dio fa di sé al popolo, miticamente rappresentato da Mosè, sul Sinai: la
Torah. La religiosità ebraica si sviluppa intorno a questo nucleo centrale, allo studio intenso e creativo della
Torah.
Il pio israelita è colui che studia la Torah, che medita su di essa giorno e notte, che la insegna ai suoi
discepoli, ai suoi figli, la trasmette, scoprendone sempre nuovi significati, in una costante e continua opera di
attualizzazione. Questo studio costante della Torah è stato nei secoli l’elemento catalizzatore della presenza
ebraica e ha permesso a questo popolo, pur disperso tra i popoli, di sopravvivere a reiterati tentativi di
assimilazione forzata e a ritornanti persecuzioni.
Distrutto il Tempio di Gerusalemme, il complesso dei riti e dei sacrifici scomparve dalla vita religiosa del
popolo, lasciando allo studio della Torah ed alla preghiera nella Sinagoga, insieme alle tradizioni
domestiche, il compito di mantenere viva l’identità religiosa
Una religiosità basata sullo studio e sulla conoscenza, oltre che sulla preghiera, in cui la conoscenza
dettagliata degli, oltre seicento, precetti, positivi e negativi, può condurre alla salvezza. Chi non si cura di
conoscere i precetti della Torah è considerato ateo, anche se dovesse sostenere di credere nell’esistenza di
Dio, sul presupposto che non ha senso credere in Dio e non cercare di compierne la volontà
Una religiosità molto intellettuale, che non ammette l’ignoranza, la sua mistica non potrà che essere, quindi,
di tipo gnostico. E infatti la Qabbalah si caratterizza come una trasmissione (la parola Qabbalah ha il
significato di tradizione) di sapere esoterico, che ha come esito il contatto diretto con le energie divine, con il
mondo di Dio e con i suoi abitanti, angeli e uomini già giunti alla loro meta.
Lo stesso Paradiso, immaginato dai musulmani come un giardino di delizie, è immaginato dai mistici ebrei
come un’immensa distesa di scuole rabbiniche in cui si scoprono i misteri della Torah, ossia di Dio, e si
avanza nella conoscenza, si discute con i più grandi maestri in un eterno svelamento del mistero infinito di
Dio.
Dio è amore, anche per i mistici ebrei, come per tutti gli altri, ma a questo amore si giunge, non tanto
abbandonandosi alla contemplazione del mistero stesso di questo amore, quanto attraverso metodi di
concentrazione, combinati con la respirazione, con la posizione del corpo, con lo studio delle combinazioni
delle lettere del Nome di Dio, (quello di settantadue lettere), con lo studio e la meditazione delle stesse
grandi opere cabalistiche, come lo Zohar o il Sefer ha Temunah.
Ma non è certo un caso che i libri della Bibbia maggiormente meditati e commentati dai mistici ebrei siano
proprio la Genesi e il Cantico dei Cantici, due testi fortemente simbolici.
Lo Zohar, o in modo più completo, il Sefer ha Zohar (libro dello splendore), è di gran lunga il testo più
importante della produzione letteraria cabalistica. Non è un libro nel senso accettato del termine, ma
piuttosto un Corpus, ossia un insieme di più libri, che includono brevi affermazioni midrashiche, lunghe
omelie e discussioni su vari argomenti. Secondo la suddivisione più comunemente accettata, è composto da
cinque libri, di cui il secondo si presenta come un midrash al Cantico dei Cantici
Dieci grandi studiosi, chiamati “compagni”: Simeon b. Yohai, suo figlio Eleazar, Abba, Judah, Yose, Isaac,
Hezekiah, Hiyya, Yeisa e Aha, si incontrano per meditare le Sacre Scritture, alcuni di essi sono amoraim, che
vengono fittiziamente spostati al periodo dei tannaim.
L’autore usa quindi fonti talmudiche, ma i personaggi sono evanescenti, si riscontrano anche errori circa i
loro legami di parentela, nello Zohar stesso.
È un’opera scritta in pieno Medioevo, intorno alla fine del tredicesimo, inizi del quattordicesimo secolo, da
autore ignoto, forse Moshe de Leon (Leon in Castiglia 1240 – Arèvalo 1305). Scritto in un aramaico
ricostruito a tavolino, lo Zohar è fittiziamente collocato nella Palestina dei tempi della mishnah (I – II sec. d.
C.)
La Mistica ebraica e il Commento al Cantico dei Cantici (di R.Simini). http://simmetria.org/sezione-articoli/articoli-alfabetico/56-spiritualita-e-m...
Il suo contenuto è quanto mai vario e complesso, ma si riallaccia, ripensandole ad antiche tradizioni
precedenti, dal Sefer Yetzirah, al Targum Onqelos, come nel caso del midrash al Cantico dei Cantici.
Il primo, più importante commento al Cantico dei Cantici, dal quale tutti i successivi hanno attinto, è
quello contenuto nel Targum Onqelos, la cui redazione si può datare tra i secoli V e VII dell’era comune.
L’autore è ignoto e gli studiosi che hanno tentato di approfondire le questioni relative alla sua stesura e
alla sua datazione, come E. Z. Melamed, affermano che, se pur la redazione è piuttosto tarda, i materiali
utilizzati sono molto antichi, Le Déaut R., Introduction à la littérature targumique I, Roma 1966 (ad
usum privatum) sostiene che risalgano a epoca precristiana.
Il nome Onqelos non ci aiuta a capire chi fosse l’autore, perché Onqelos è una deformazione del nome
Aquila, che con Teodozione, fu uno dei traduttori della Bibbia dall’ebraico all’aramaico e al greco.
Ma i Tagumim non sono semplici traduzioni, anzi non sono affatto delle traduzioni, ma piuttosto degli
elementi sussidiari al testo biblico, strumenti per comprendere la parola di Dio, che viene proclamata ad
alta voce durante la lettura del Targum. Tutti gli ebrei devono conoscere la lingua sacra in cui è scritta la
Torah, perché possano studiarla e meditarla sempre, secondo le parole del Deuteronomio (11, 19-21).
Il targumista è quindi, non tanto un traduttore, quanto un interprete, un omileta, un rivelatore di misteri.Il
targumista gode di un’ampia libertà, che non sconfina però mai nell’arbitrio e neppure nell’invenzione.
La sua è una libertà teologicamente fondata, radicata nella convinzione dell’infinita ricchezza del testo
biblico e della polisemia delle sue parole.
Per l’antico esegeta di scuola rabbinica, è chiaro che quanto una parola può significare, nel contesto
globale della rivelazione, questo effettivamente lo significa, senza dubbio, anzi, essa significa anche
infinitamente di più, innumerevoli altre cose che nel futuro saranno forse tratte dall’oblio, o che Dio si
riserva di rivelare al suo popolo nel grande giorno della redenzione
I margini di libertà erano comunque molto ampi e consentivano agli autori di scegliere fra diverse
traduzioni e quindi diverse interpretazioni dei medesimi brani.
L’esegesi ebraica è fondata su un principio irrinunciabile: la Scrittura è storia della salvezza. Quindi
anche quando il testo non sembra riferirsi ad eventi storici precisi, gli interpreti “cercano” la vicenda, il
fatto storico e non si danno pace finché non riescono a ricostruirlo, con un’esigenza di concretezza che
rasenta il parossismo.
La speranza messianica si fa sempre più presente nei testi del Targum e fornisce un altro importante
criterio ermenteutico: il testo biblico è interpretato in chiave di attesa, promessa messianica.
Il Cantico dei Cantici che è di Salomone, titolo completo del libro della Bibbia, viene parafrasato nel
Targum con:
Cantici e lodi che Salomone profeta, re d’Israele, disse in spirito di profezia davanti al Sovrano di tutto il
mondo, il Signore”.
Questo a significare che è opera di profeta e l’essere opera di profezia è ribadito in tutto il prologo.In tutta
la tradizione ebraica, dai tempi più remoti, è proclamata la santità del Cantico dei Cantici e la sua
appartenenza di diritto alla Sacra Scrittura. Disse Rabbi Aqiba:
In Israele mai nessuno ha negato, riguardo al Cantico dei Cantici, che esso rende impure le mani (che
esso sia scrittura sacra): poiché il mondo intero non vale il giorno in cui fu dato il Cantico dei Cantici.
Tutte le Scritture infatti sono sante: ma il Cantico dei Cantici è santo dei santi. I
l Cantico dei Cantici è quindi considerato il vertice della rivelazione.
Il Cantico dei Cantici lo dissero gli angeli del servizio: è il cantico dei principi (in ebraico sirim per
La Mistica ebraica e il Commento al Cantico dei Cantici (di R.Simini). http://simmetria.org/sezione-articoli/articoli-alfabetico/56-spiritualita-e-m...
assonanza con shirim ossia cantici), il cantico che dissero i principi all’eccelso
Esso è:
Il libro glorioso e tutto delizie, e fra tutti i mille e cinque cantici del re Salomone, non ce n’è nessuno
al pari di questo. Perciò sta scritto: Cantico dei Cantici che è di Salomone: questo cantico, infatti, fra
tutti i cantici di Salomone è il più sublime.
La lode più sublime, però, è proprio nello Zohar:
Questo cantico lo proferì il re Salomone quando fu costruito il tempio, e quando tutti i mondi – il
superiore e l’inferiore – furono definitivamente compiuti… Esso non fu pronunciato finché non giunse
tale compimento, …finché cioè il tempio non fu costruito, a immagine del tempio celeste. E quando il
tempio inferiore fu costruito, vi fu tale gioia davanti al Santo – benedetto Egli sia – quale non c’era
mai stata dal giorno che fu creato il mondo fino a quel giorno. (…)
Allora il mondo fu posto sul suo fondamento, e tutte le finestre del cielo si spalancarono per irradiare
la luce, e in tutti i mondi mai vi fu tanta gioia come in quel giorno; fu allora che tutti gli esseri del
cielo e della terra intonarono un canto: il Cantico dei Cantici. (…)
Questo inno di lode è più sublime di tutte le lodi che l’hanno preceduto, e il giorno in cui questo inno
fu rivelato sulla terra è il giorno più perfetto di tutti: perciò è “santo dei santi”. (…)
Questo è il canto che comprende tutta la Torah, il canto al quale partecipano gli esseri del cielo e
quelli della terra, il canto immagine del mondo celeste che è superno sabato, il canto col quale il
santo nome celeste è coronato: perciò è “santo dei santi”. (…)
Nel giorno in cui questo canto fu rivelato, la Dimora scese sulla terra; come sta scritto: I sacerdoti
non potevano reggere il servizio a causa della nube (1Re 8, 11). Per quale motivo? Perché la gloria
del Signore riempì la casa del Signore (ibidem). Fu quello il giorno in cui fu rivelato questo inno di
lode, e Salomone in Spirito Santo disse la lode di questo cantico. (…)
Esso è il canto di lode dell’Assemblea d’Israele quando è coronata nel cielo: perciò di nessun inno
del mondo il Santo – benedetto Egli sia – si compiace quanto di quest’inno.
È assolutamente vietato ed empio interpretare il Cantico in modo profano. La sua lettura fu vietata
severamente nelle taverne e durante le feste.
Colui che dice un versetto del Cantico dei Cantici facendone una canzone, e colui che ne dice un
versetto fuori tempo, in un festino, porta sventura nel mondo. Poiché la Torah si veste di sacco e si
presenta davanti al Santo – benedetto Egli sia – e dice davanti a lui: Sovrano del mondo! I tuoi figli
hanno fatto di me una cetra sulla quale suonano beffardi!.
Non vi è nulla d’erotico, quindi nel Cantico, in questa visione. L’Assemblea d’Israele è qui
rappresentata come una sposa e il Santo come il suo diletto, così come si esprimono i profeti. Isaia,
infatti, dice:
Canto del mio diletto alla sua vigna (Is 5, 1),
Come la gioia dello sposo per la sposa (Is 62, 5).
Ezechiele
Ti si formarono i seni e il pelo ti spuntò, ma eri nuda e scoperta (Ez 16, 7) e io coprii la tua nudità e
feci un patto con te (Ez 8)
Osea dice continuamente:
La Mistica ebraica e il Commento al Cantico dei Cantici (di R.Simini). http://simmetria.org/sezione-articoli/articoli-alfabetico/56-spiritualita-e-m...
Ti sposerò a me per sempre (Os 2, 21). Va’, ama la donna (Os 3, 1)..
E' il Cantico dei Cantici un’allegoria, dicono i commentatori ebrei, che se così non fosse non
sarebbe annoverato tra i libri sacri.
Il Cantico dei Cantici, quindi, come parola di Dio, deve avere come argomento la storia della
salvezza. Dio rivela al suo popolo le meraviglie del suo amore. È un Dio che ama, che raduna il suo
popolo e lo conduce sulla via della salvezza.
Recita ancora lo Zohar:
Questo cantico comprende tutta la Torah; comprende tutta l’opera della creazione, comprende il
mistero dei Padri; comprende l’esilio in Egitto e l’uscita d’Israele dall’Egitto e il canto del mare;
comprende l’essenza del decalogo e il patto del monte Sinai e il pellegrinare d’Israele nel deserto,
fino all’ingresso nella terra e alla costruzione del tempio; comprende l’incoronazione del santo
nome celeste nel’amore e nella gioia; comprende l’esilio d’Israele fra le nazioni e la sua
redenzione; comprende la resurrezione dei morti, fino al giorno che è sabato del Signore.
Il Targum al Cantico dei Cantici, infatti, riprende tutta la storia d’Israele passata e futura, dall’esodo
alla resurrezione dei morti, celebrandone la gloria e confessandone i peccati, passando dalla
nostalgia del Paradiso perduto alla redenzione messianica.Come si vede, è un ruolo
importantissimo, nella tradizione mistica, quello ricoperto da questo piccolo libro, il ruolo cioè di
rivelare Dio come amante: non solo come creatore o legislatore, ma come trepidante innamorato
della sua creatura: la comunità d'Israele e, attraverso di essa, nella visione più ampia evocata da
Profeti come Isaia e Zaccaria, l'umanità intera. L'esegesi cristiana introdurrà, nel IV secolo, con
Origene, un elemento nuovo, che influenzerà a sua volta la successiva esegesi mistica del
giudaismo, ossia il rapporto tra lo sposo-Dio e la sposa-anima del mistico, in una ricchezza di
contenuti sempre nuova.