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Roland Barthes
Il brusio della lingua
EINAUDI
G li struzzi 344
Titolo originale Le bruissement de la langue
Essais critiques IV
ISBN 88-06-59898-8
Roland Barthes
Il brusio della lingua
Saggi critici IV
E in au d i
Indice
I
Dalla scienza alla letteratura
3 Dalla scienza alla letteratura
13 Scrivere, verbo intransitivo?
23 Scrivere la lettura
27 Sulla lettura
Allegato
39 Riflessioni su un manuale
47 Concediamo la libertà di grafia
π
Dall’opera al testo
31 La morte dell’autore
37 Dall’opera al testo
63 La mitologia oggi
69 Digressioni
79 II brusio della lingua
Allegato
83 Giovani ricercatori
VI INDICE
ΠΙ
D ei linguaggi e dello stile
p. 93 La pace culturale
99 La divisione dei linguaggi
113 La guerra dei linguaggi
119 L'analisi rettorica
125 Lo stile e la sua immagine
IV
Allegato
161 La scrittura dell’evento
vi
L ettu re
Letture I
193 La cancellatura
203 Bloy
INDICE νπ
Tre riletture
p. 209 Michelet, oggi
221 Modernit à di Michelet
225 Brecht e il discorso: contributo allo studio
della discorsività
Letture II
237 F. B.
247 La faccia barocca
251 Quel che accade al significante
233 Le uscite dal testo
265 Lettura di Brillat-Savarin
285 Un’idea di Ricerca
291 « Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera »
303 Prefazione a Tricks di Renaud Camus
309 Non si riesce mai a parlare di ciò che si ama
VII
2 Nel lavoro di ricerca che attraversa questi Essais critiques - una vera «co
stellazione», seppure necessariamente progressiva, e di cui si è tentato di conser
vare in ogni nervatura la cronologia - , la terza e la quinta parte della raccolta se
gnano una pausa: la terza, in una direzione rimasta piu marginale; la quinta, piu
tecnica, ma (oppure: proprio per questo) essenziale [Nota dell’editore francese].
Il brusio della lingua
I
i . Letteratura e linguistica.
2. Il linguaggio.
3. La temporalità.
4. La persona.
5. La diatesi.
i. Pertinenza.
2. Rimozione.
3. Desiderio.
avanti lungo il libro da una forza che è sempre piu o meno ce
lata, e che appartiene all’ordine della suspense: il libro si can
cella a poco a poco, ed è in tale usura impaziente, appassiona
ta che consiste il godimento; evidentemente, si tratta soprat
tutto del piacere metonimico di ogni narrazione, senza di
menticare che il sapere stesso o l’idea possono essere raccon
tati, sottoposti a un meccanismo di suspense. Ed è proprio
perché questo piacere è manifestamente legato alla vigile at
tenzione di ciò che si svolge, e al disvelamento di ciò che è na
scosto, che è possibile supporre un qualche rapporto con l’a
scolto della scena originaria. Voglio sorprendere, mi consumo
nell’attesa: pura immagine del godimento, proprio in quanto
non attiene all’ordine del soddisfacimento. Bisognerebbe del
resto interrogarsi, per converso, sui blocchi e sui rifiuti di leg
gere: perché non continuiamo un libro? Perché Bouvard, de
cidendo di dedicarsi alla Filosofia della Storia, non può «ter
minare il celebre Discours di Bossuet » 2? È colpa di Bouvard
oppure di Bossuet? Esistono meccanismi d ’attrazione univer
sali? Esiste una logica erotica della Narrazione? L’Analisi
strutturale del racconto dovrebbe porsi, a questo punto, il
problema del Piacere: mi pare che ormai ne abbiai mezzi. Vi
è infine una terza avventura della lettura (chiamo avventura il
modo in cui il piacere perviene al lettore): è quella, per cosi di
re, della Scrittura. La lettura è l’elemento conduttore del De
siderio di scrivere (ora sappiamo con certezza che esiste un
godimento della scrittura, anche se ci appare ancora molto
enigmatico); non che desideriamo necessariamente scrivere
come l’autore che ci piace leggere; quel che desideriamo è uni
camente il desiderio che l’autore ha avuto di scrivere, ovvero:
desideriamo il desiderio che l’autore ha avuto del lettore men
tre scriveva, desideriamo Xamatemi implicito in ogni scrittura.
Lo scrittore Roger Laporte l’ha detto molto chiaramente:
«Una pura lettura che non faccia sorgere un’altra scrittura è
per me una cosa incomprensibile... La lettura di Proust, di
Blanchot, di Kafka, di Artaud non mi ha dato voglia di scrive
re su questi autori (e nemmeno, voglio aggiungere, come loro),
ma di scrìvere». In tale prospettiva la lettura è una vera e pro
pria produzione: non piu di immagini interiori, di proiezioni,
di fantasmi, ma, alla lettera, di lavoro: il prodotto (consuma
to) è restituito in produzione, in promessa, in desiderio di
4. Soggetto.
Dall’opera al testo
La morte dell’autore
1968, « M an teia».
Dall’opera al testo
Quindici anni f a 1fu proposta una certa idea del mito con
temporaneo. Quell’idea, all’inizio per la verità, poco elabora
ta (il termine conservava un valore apertamente metaforico),
comportava tuttavia alcune articolazioni teoriche, i. Il mito,
vicino a quella che nella sociologia durkhemiana è detta «rap
presentazione collettiva», può essere letto negli enunciati
anonimi della stampa, della pubblicità, dell’oggetto di grande
consumo: è un fatto determinato socialmente, un «riflesso».
2. Il riflesso in questione è tuttavia invertito, secondo una ce
lebre immagine di Marx: il mito consiste nel riversare la cul
tura in natura, o almeno il sociale, il culturale, l’ideologico, lo
storico in «naturale»: ciò che non è altro che un prodotto del
la divisione di classe e delle sue conseguenze morali, culturali,
estetiche, è presentato (enunciato) come «scontato»; i fonda
menti del tutto contingenti dell’enunciato diventano, per ef
fetto dell’inversione mitica, il Buon Senso, il Buon Diritto, la
Norma, l’Opinione Corrente, insomma YEndoxa (figura laica
dell’Origine). 3. Il mito contemporaneo è discontinuo: non è
piu enunciato in grandi racconti saldamente costituiti, ma so
lo in «discorsi»: si tratta al massimo di una fraseologia, un cor
pus di frasi (di stereotipi); il mito scompare, ma rimane, ancor
piu insidioso, il mitico. 4. In quanto discorso (era questo, do
po tutto, il senso di mythos), il mito contemporaneo appartie
ne al campo di una semiologia: essa consente di «raddrizzare»
l’inversione mitica, scomponendo il messaggio in due sistemi
semantici: un sistema connotato, il cui significato è ideologico
(e di conseguenza «diritto», «non-invertito», o, per essere
piu chiari, a costo di utilizzare un linguaggio morale, cinico),
1 I testi delle Mythologies sono stati scritti dal 1954^11956; il libro, uscito nel
1:957, ^stato da poco ristampato in formato tascabile, Ed. du Seuil 1970 [trad. it.
Milano 1962].
LA MITOLOGIA OGGI
1971, «Esprit».
Digressioni
i . Formalismo.
2. Vuoto.
3. Leggibile.
4. Lingua.
5. Sessualità.
6. Significante.
7. A n n i.
1972, in «Communications».
I ll
1 Essais de linguistique générale, Minuit, Paris 1963, cap. xi (trad. it. Milano
1966).
senti sempre in un certo modo come una tautologia, dal mo
mento che le funzioni referenziali del messaggio rimangono in
definitiva dipendenti dalla funzione strutturale. La coesione
e la dichiarazione della funzione poetica possono tuttavia va
riare con la Storia; e d ’altra parte, sincronicamente, questa
stessa funzione può essere assorbita da altre funzioni, feno
meno che attenua, in un certo qual modo, il tasso di specifici
tà letteraria dell’opera. La definizione di Jakobson comporta
dunque una prospettiva sociologica, dato che può consentire
di valutare sia il divenire del linguaggio letterario sia la sua si
tuazione rispetto ai linguaggi non letterari.
È possibile un’altra esplorazione del messaggio letterario,
questa volta di tipo distribuzionalista. Com’è noto, tutta una
parte della linguistica contemporanea cerca di definire le pa
role non tanto per il loro senso quanto per le associazioni sin
tagmatiche in cui possono essere collocate; in termini appros
simativi, le parole sono concatenate le une alle altre secondo
una certa scala di probabilità: cane è spesso associato ad ab
baiare, ma difficilmente a miagolare, anche se dal punto di vi
sta sintattico nulla vieta l’associazione di un verbo e di un
soggetto; a questo «riempire» sintagmaticamente il segno si
dà talora il nome di catalisi. La catalisi ha, di fatto, uno stretto
rapporto con la specificità del linguaggio letterario; entro certi
limiti, quelli appunto da studiare, piu la catalisi è aberrante
piu la letteratura è evidente. Naturalmente, se ci si limita alle
unità letterali, la letteratura non è affatto incompatibile con
una catalisi normale; in: il cielo è blu come un'arancia, nessuna
associazione letterale è deviante; se però ci si pone a un livello
superiore di unità, quello per l’appunto dei connotatori, si ri
trova facilmente lo scarto catalitico, dal momento che è stati
sticamente aberrante associare l’essere del blu con l’essere
dell’arancia. Il messaggio letterario può dunque essere defini
to come uno scarto nell’associazione dei segni (P. Guiraud);
operativamente, per esempio, di fronte ai compiti normativi
della traduzione automatica, la letteratura potrebbe definirsi
come l’insieme dei casi insolubili proposti alla macchina. Det
to in un altro modo, la letteratura è essenzialmente un sistema
costoso di informazione. Se è vero però che la letteratura è
sempre un lusso, esistono varie economie di lusso, che posso
no mutare con le epoche e le società; nella letteratura classica,
almeno in quella appartenente alla generazione anti-preziosa,
le associazioni sintagmatiche rimangono entro margini nor
mali, a livello denotativo, ed è esplicitamente il livello retto-
L’ANALISI RETTORICA 123
i . Enunciazione.
2. Enunciato.
3. Significazione.
6
L’EFFETTO DI REALE
1968, in «Communications».
Allegato
La scrittura dell’evento
i . La parola.
1 Bisogna ricordare quelle strade piene di uomini immobili, che non vedono
nulla, non guardano nulla, gli occhi bassi, ma con l’orecchio incollato al transistor
che tengono all’altezza del viso, raffiguranti cosi una nuova anatomia umana.
IÓ2 LA SCRITTURA DELL,EVENTO
2 L’insistenza con cui si è ripetuto, in ogni dove, che qualunque cosa accada
dopo non potrà essere come prima, traduce indubbiamente, in modo denegatorio,
il timore (o la speranza) che per l’appunto dopo ridivenga prima: dal momento che
l’evento è parola, può, miticamente, annullarsi.
LA SCRITTURA DELL’EVENTO 163
ce: Presa della Bastiglia). Retrospettivamente, sembra che lo
studente sia stato un essere defraudato di parola; defraudato,
ma non privo: per provenienza di classe, per vaga pratica cul
turale, lo studente dispone del linguaggio; il linguaggio non gli
è sconosciuto, egli non ne ha (o non ne ha piu) paura; il pro
blema era di conquistarne il potere, Fuso attivo. Cosi, per un
paradosso solo apparente, nel momento stesso in cui la parola
studentesca rivendicava unicamente in nome dei contenuti,
essa comportava in realtà un aspetto profondamente ludico;
lo studente ha cominciato a maneggiare la parola come attivi
tà, come lavoro libero, e non, nonostante le apparenze, come
semplice strumento. Tale attività ha assunto forme diverse,
che corrispondono forse ad altrettante fasi del movimento
studentesco nel corso della crisi.
a) Una parola «selvaggia», fondata sull’«invenzione», che
perciò, naturalmente, incontra sulla sua strada le « trovate »
della forma, le sintesi rettoriche, i piaceri dello slogan, insom
ma la felicità espressiva (« Vietato vietare», ecc.); molto simile
alla scrittura, la parola in questione (che ha colpito vivamente
l’opinione pubblica) ha assunto logicamente la forma dellΊ-
scrizione; la sua dimensione naturale è stata il muro, luogo
fondamentale della scrittura collettiva.
b) Una parola «missionaria», concepita in modo puramente
strumentale, destinata a trapiantare altrove (alle porte delle
fabbriche, sulle spiagge, per la strada, ecc.) gli stereotipi della
cultura politica.
c) Una parola «funzionalista», veicolo dei progetti di rifor
ma, che assegnava all'Università una funzione sociale, a volte
politica a volte economica, e recuperava cosi certe parole d ’or
dine della tecnocrazia precedente («adattare l’insegnamento
ai bisogni della società», «collettivizzazione della ricerca»,
primato del «risultato», prestigio dell’«interdisciplinarità»,
«autonomia», «partecipazione», ecc.3).
La parola «selvaggia» è stata ben presto eliminata, imbal
samata nelle pieghe inoffensive della «letteratura» (surreali
sta) e nelle illusioni della «spontaneità»; in quanto scrittura,
poteva solo essere inutile (in attesa di diventare intollerabile)
per qualsiasi forma di potere, posseduto o rivendicato; le altre
due parole sono spesso mescolate: miscuglio che riproduce ef-
2. Il simbolo.
3. La violenza.
1968, in «Communications».
V
19 7 1, in « Le Monde ».
Un bellissimo regalo
1971, in « Le Monde ».
Perché amo Benveniste
i.
2.
Prima ancora che si alzi il sipario sul libro, Metz ci dice del
suo « specifico », di tutto ciò che vi è di inimitabile nella sua
voce. Ascoltiamo l’ouverture della sua ultima opera: «Il tomo
I di questa racccolta, elaborato nel 1967 e apparso nel 1968
(2a ed. 1971) raggruppava articoli scritti tra il 1964 e il 1967,
pubblicati tra il 1964 e il 1968. Questo tomo II è formato da
testi successivi (scritti tra il 1967 e il 1971, pubblicati tra il
1968 e il 1972), insieme a due inediti scritti nel 1971 (i testi
nn. 8 e 9) S>.
Queste precisazioni numeriche sono indubbiamente richie
ste dal codice scientifico - o per lo meno erudito - dell’esat
tezza; ma chi non sente che qui, in questa funzione di insi
stenza e di eleganza che ne contraddistingue l’enunciato, c’è
qualcosa di piu? Che cosa? Appunto la voce stessa del sogget
to. Di fronte a qualsiasi messaggio, Metz, per cosi dire, ag
giunge eccedendo; ma ciò che mette in piu non è né futile, né
vago, né disgressivo, né verboso: è un supplemento opaco, l’o
stinazione dell’idea a dirsi completamente. Chi conosce Metz
sotto il triplice aspetto dello scrittore, dell’insegnante e dell’a
mico è sempre colpito da un paradosso, in realtà solo apparen
te: da un’esigenza radicale di precisione e di chiarezza nasce
un tono libero, come sognante, e direi quasi come drogato
(Baudelaire non faceva forse dell’haschish la fonte di un’inau
dita precisione?): qui regna un’esattezza da anabbiato. Da que
sto punto in poi siamo nel Dispendio - e non nel solo sapere:
quando Metz enuncia cifre e riferimenti, quando riassume,
classifica, chiarisce, quanto inventa e propone (e in tutte que
ste operazioni il suo lavoro è attivo, instancabile, efficace),
non si limita a comunicare, ma dà nel senso pieno del termine:
vi è un vero e proprio dono, di sapere, di linguaggio, dono del1
tri termini, descrive quel che non vede, non come se lo vedesse
(sarebbe una veggenza poetica piuttosto banale), ma come se
la realtà della tempesta fosse una materia inaudita, venuta da
un altro mondo, percepibile a tutti i nostri organi, eccetto a
quello della vista. È una percezione veramente drogata, poi
ché reconomia dei cinque sensi ne risulta sconvolta. Michelet
conosceva d'altra parte la posta in gioco fisiologica della sua
descrizione: la tempesta lo spinge a fare un esperimento sul
propno corpo, come un qualsiasi consumatore di hascisch o di
mescalina: «Perseveravo nel lavoro, curioso di vedere se
quella forza selvaggia sarebbe riuscita ad opprimere, ad osta
colare uno spirito libero. Mantenni attivo il mio pensiero, e
padrone di sé. Scrivevo e mi osservavo. Solo alla lunga, la
stanchezza e la privazione di sonno colpivano in me una facol
tà - la piu delicata, credo, per uno scrittore -, ossia il senso
del ritmo. La mia frase diventava disarmonica. Nel mio stru
mento, questa corda fu la prima a spezzarsi». L'allucinazione
non tarda a venire: «[Le onde]... mi facevano l’effetto di uno
spaventoso mob, di un'orribile orda, non di uomini, ma di ca
ni che abbaiavano, un milione, un miliardo di mastini infero
citi, anzi, pazzi... Ma che dico? cani, mastini? non era neppu
re questo. Erano apparizioni esecrabili e innominabili, bestie
senza occhi né orecchie, che avevano soltanto musi schiuman
ti di rabbia». Quando si dice che tutta la Storia di Michelet è
allucinata in questo modo, non si svaluta in lui il senso stori
co, ma si esalta un linguaggio moderno: la sua intuizione, o il
suo coraggio, di fare come se il nostro discorso attraversasse il
mondo, il tempo, da parte a parte, all’infinito, come se le allu
cinazioni di ieri fossero le verità di domani, e cosi via.
2 Se qui metto una maiuscola alla Storia non è per divinizzarla, ma per distin
guere la Storia come scienza e materia di questa scienza dalla storia come aneddoto.
MICHELET, OGGI
1972, in «L’Arc».
Modernità di Michelet
l’istanza del corpo a unificare tutta la sua opera, dal corpo me
dievale - quel corpo che aveva il gusto delle lacrime - al cor
po gracile della Strega: la Natura stessa, mare, montagna, ani
malità, non è mai altro che il corpo umano in espansione e,
per cosi dire, in contatto. La sua opera corrisponde a un ine
dito livello di percezione che rimane ancora ampiamente oc
cultato dalle scienze cosiddette umane. Quel modo di sposta
re l’asse dell’intelligibile storico rimane particolarissimo, poi
ché contraddice la credenza, tuttora attuale, secondo la quale
per capire bisogna astrarre e, in un certo senso, scorporare la
conoscenza.
La seconda modernità di Michelet riguarda l’epistemolo
gia. Tutta l’opera di Michelet postula - e spesso mette in at
to - una scienza autenticamente nuova, per la quale tuttora
si combatte. Non chiamiamola ancora scienza dell’Inconscio,
e neppure, in senso piu lato, Simbolico; chiamiamola con il
nome molto generico che Freud le ha dato nel suo Mosè, os
sia scienza dello spostamento: Entstellungswissenschaft. Come
potremmo dire (senza cadere nel neologismo)? Metabologiaì
Poco importa. È indubbio che operazioni di spostamento, di
sostituzione, metaforiche o metonimiche, hanno contrasse
gnato in ogni epoca il logos umano, anche quando tale logos è
divenuto scienza positiva. Ma ciò che assegna a Michelet un
posto già grandioso in questo nuovo discorso della Scienza è
che in tutta la sua opera - forse sotto l’influenza di Vico,
che, non dobbiamo dimenticarlo, molto prima dello struttu
ralismo contemporaneo ha indicato quali cifre della Storia
umana le grandi figure della Rettorica - la sostituzione, l’e
quivalenza simbolica costituisce una via sistematica di cono
scenza, o, se si vuole, la conoscenza non può essere separata
dagli strumenti, dalla struttura stessa del linguaggio. Quan
do Michelet ci dice, per esempio e alla lettera, che « il caffè è
Γalibi del sesso », è come se formulasse sotto banco una logi
ca nuova che oggi si afferma in tutto il sapere: il freudiano, lo
strutturalista, e, non esito a dirlo, lo stesso marxista, tutti de
bitori di questa scienza delle sostituzioni, dovrebbero sentirsi
a loro agio nell’opera di Michelet.
La terza modernità di Michelet è quella piu difficile da co
gliere e forse anche da ammettere, perché si presenta in una
veste ridicola: quella del partito preso. Michelet è l’uomo del
partito preso - quanti critici, quanti storici, insediati super
bamente negli agi della scienza oggettiva, gliel’hanno rimpro
verato! Per scrivere, diciamo cosi, deve prendere partito: tut-
MODERNITÀ DI MICHELET 223
to il suo discorso è apertamente derivato da una scelta, da una
valutazione del mondo, delle sostanze, dei corpi; non vi è
fatto che non sia preceduto dal suo valore intrinseco: il sen
so e il fatto sono dati nello stesso tempo, metodo inaudito agli
occhi della Scienza. Un filosofo lo fece proprio: Nietzsche.
Nietzsche e Michelet sono separati dalla piu incolmabile delle
distanze, quella dello stile. Eppure, si osservi come Michelet
valuta il suo secolo, l’Ottocento: con un volto ben noto a
Nietzsche e in seguito a Bataille (attento lettore di Michelet,
non lo si dimentichi), cioè quello della Noia, dell’appiattimen
to dei valori. La vigorosa reazione di Michelet nei confronti
del suo secolo, che giudicava in un certo qual senso «spento»,
è consistita nell’aver brandito ostinatamente il Valore come
una sorta di fiamma apocalittica; la sua idea piu moderna, in
fatti - quella che condivide, per l’appunto, con Nietzsche e
Bataille -, è che ci troviamo alla fine della Storia: idea che
probabilmente nessuna avanguardia oserebbe ancora rivendi
care. Troppo scottante, troppo pericoloso.
Eppure, come si è detto, la modernità di Michelet non
«passa». Perché? In Michelet, un certo linguaggio costituisce
un ostacolo, pesa come una pelle morta sulla sua opera, le im
pedisce di propagarsi. Nella lotta della modernità, la forza
storica di un autore si misura in base alla diffusione delle sue
citazioni. E Michelet si diffonde poco, non è citato.
Tale linguaggio corrisponde a ciò che non si può non chia
mare il pathos, l’enfasi di Michelet. Tale enfasi non è costan
te, dal momento che lo stile di Michelet è per fortuna etero
clito, fino a diventare barocco (la modernità avrebbe qui un
motivo in piu per recuperare l’opera di Michelet), ma ritoma
incessantemente, rinchiude Michelet nella ripetizione, nello
scacco. Ora, che cosa si ripete in un linguaggio? La firma. E
vero che Michelet folgora in continuazione, che è costante-
mente nuovo, ma la grandissima ed inesauribile forza della
sua scrittura è altresì incessantemente segnata da un marchio
ideologico, ed è proprio tale marchio, tale firma, che la mo
dernità rifiuta. Michelet scrive candidamente la propria ideo
logia, ed è questo a perderlo. Laddove Michelet crede di es
sere autentico, sincero, ardente, ispirato, appare oggi morto,
imbalsamato: démodé fino alla nausea.
La forza attuale di uno scrittore del passato si misura in ba
se alle deviazioni che ha saputo imporre all’ideologia della sua
classe. Lo scrittore non può mai distruggere la propria ideo
logia originaria, può solo barare con essa. Michelet non ha sa-
MODERNITÀ DI MICHELET
Il terzo discorso.
1 Penso qui - e sempre, nel corso di questo testo - a Ecrits sur la politique et
la société, L’Arche, Paris 1970, opera di fondamentale importanza e passata, mi
pare, quasi inosservata.
22Ó BRECHT E IL DISCORSO
La scossa.
Ripetere sottovoce.
La concatenazione.
La massima.
La metonimia.
Il segno.
Il piacere.
i . Schegge di linguaggio.
2. Incidenti.
3. La descrizione.
4. Sublimazione.
5. Eros.
7. Tecnica.
8. Signum facere.
chi scrive sia da chi legge - atto che non ha alcun rapporto
con ciò che la rimozione classica, con un disconoscimento in
teressato, chiama «verbalismo» o piu nobilmente «poesia» -,
non sopprime nessuno dei «piaceri» della lettura, purché si
sia minimamente disposti a individuarne il giusto ritmo. Il te
sto di Severo Sarduy merita tutti gli aggettivi che costituisco
no il lessico del valore letterario: è un testo brillante, allegro,
sensibile, divertente, inventivo, inatteso e tuttavia chiaro,
persino culturale, continuamente affettuoso. Temo tuttavia
che, per essere accolto senza difficoltà nella buona società del
le lettere, gli manchi quella venatura di rimorso, quel minimo
di colpa, quell’ombra di significato che trasforma la scrittura
in lezione e cosi facendo la recupera, sotto il nome di «opera
buona», come merce utile all’economia dell’«umano». Forse
questo testo ha anche una cosa di troppo, che infastidirà: l’e
nergia del discorso, che basta allo scrittore per rassicurarsi.
1 Georges Bataille, Documents, Mercure de France, Paris 1968, pp. 75-82 [ri
prodotto nel tomo I delle Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1970].
2 [Nella traduzione italiana Γordine alfabetico, ovviamente, «salta»; si è rite
nuto opportuno, comunque, mantenere inalterata la sequenza originale, conservan
do ai «frammenti» i titoli francesi e fornendo la relativa traduzione tra parentesi
quadre].
25 4 LE USCITE DAL TESTO
Commencement [Incipit].
Déjouer [Eludere].
Habillé [Vestito].
Idiomatique [Idiomatica].
Paradigme [Paradigma].
tre termini (gli esempi sono attinti dal testo di cui ci stiamo
occupando e dall·articolo sulla nozione di Dépense Ο
ι . Polo «Nobile»: «forme sociali grandi e libere»; «gene
roso, orgiastico, smisurato»; «luce troppo forte, splendore piu
grande»; «la generosità»; «la nobiltà».
2. Polo «Ignobile»: «malattia, logorio. Vergogna di sé. Ipo
crisia meschina. Oscurità. Eruzioni vergognose. Incedere
guardingo. Dietro i muri. Convenzioni cariche di noia e de
primenti. Avvilire. Rancori fastidiosi. Piccole «sceneggiate».
Società ammuffita. Meschini esibizionismi. Un sinistro indu
striale con la vecchia moglie, ancor piu sinistra. Servigi incon
fessabili. Coppia di bottegai. Ebetudine e bassa idiozia. Puro
e superficiale. La “cucina” poetica».
3. Polo «Basso»: «Sputo. Fango. Il sangue scorre a rivoli.
La rabbia. Gioco di capricci e di sgomenti. I flussi rumorosi
delle viscere. Orrendamente cadaverico. Orgoglioso e volgar
mente esibizionista. La violenta discordia degli organi».
L’eterologia di Bataille consiste in questo: vi è contraddi
zione, paradigma semplice, canonico, tra i primi due termini:
nobile e ignobile («la divisione fondamentale tra le classi uma
ne in nobili e ignobili»); ma il terzo termine non è regolare:
basso non è termine neutro (né nobile né ignobile) e neppure
termine misto (nobile e ignobile insieme). E un termine in
dipendente, pieno, eccentrico, irriducibile: il termine della se
duzione fuorilegge (strutturale).
Il basso è infatti valore per due motivi: da una parte, è ciò
che è senza scimmiottare F autorità56; dall’altra, rientra nel
paradigma alto/basso, cioè nella simulazione di un senso, di
una forma, e in tal modo elude Vin-sédella materia: «... il ma
terialismo presente, voglio dire un materialismo che non im
plichi che la materia sia la cosa in sé » 7. Insomma, il vero pa
radigma è quello che mette di fronte due valori positivi (il no
bile / il basso) nel campo stesso del materialismo; è il termine
normalmente contraddittorio (Fignobile) a diventare il neutro,
Vocables [Vocaboli].
8 Documents , p. 45.
263
1. Contrariamente a un diffuso pregiudizio modernista at
tento soltanto alla sintassi, come se la lingua potesse emanci
parsi (entrare nell’avanguardia) soltanto a quel livello, bisogna
riconoscere una certa erraticità delle parole: alcune sono, nella
frase, come blocchi erratici; il ruolo della parola (nella scrittu
ra) può consistere nel tagliare la frase, con il suo bagliore, la
sua diversità, la sua potenza di fissione, di separazione, per la
sua situazione di feticcio. Lo «stile» è piu palpabile di quanto
non si creda.
2. Bataille diceva: «Un dizionario potrebbe cominciare dal
momento in cui non desse piu il senso ma i compiti [les beso
gnes] delle p aro le»9. E u n ’idea decisamente linguistica
(Bloomfield, Wittgenstein); ma besogne va oltre (del resto, è
una parola-valore); passiamo dall’i o , dall9impiego (nozioni
funzionali) al lavoro della parola, al suo godimento: come la
parola «balbetta», nell’in ter-tes to, nella connotazione, agisce
lavorando se stessa; è, in sostanza, il per me nietzschiano della
parola.
3. Il tessuto delle parole-valore costituisce un apparato ter
minologico, un po’ alla materia dell’«apparato di potere»: la
parola ha una sua forza di rapimento, fa parte di una guerra
dei linguaggi.
4. Perché non concepire (un giorno) una «linguistica» del
valore - non piu nel senso saussuriano {che ha valore per, ele
mento di un sistema di scambi), ma nel senso quasi morale,
guerriero - oppure erotico? Le parole-valore (i vocaboli) in
troducono il desiderio nel testo (nel tessuto dell’enunciazione)
- e da esso lo fanno uscire: il desiderio non è nel testo attra
verso le parole che lo «rappresentano», che lo raccontano, ma
grazie a parole abbastanza rilevate, abbastanza brillanti,
trionfanti, per farsi amare come feticci.
9Ibid., p. 177.
IO
Lettura di Brillat-Savarin
Gradi.
Bisogno/desiderio.
L 'antidroga.
Cosmogonie.
La ricerca dell'essenza.
Etica.
La lingua.
Morte.
Vobesità.
V osmazoma.
Piacere.
Ecco che cosa scrive B.-S. del piacere: «Pochi mesi fa,
mentre dormivo, ho provato una sensazione di piacere assolu
tamente straordinaria. Consisteva in una specie di fremito de
lizioso di tutte le particelle che compongono il mio essere. Era
una sorta di formicolio pieno di fascino che, partendo dall’e
pidermide, dai piedi alla testa, mi prendeva fino al midollo
delle ossa. Mi sembrava di vedere una fiamma violetta che mi
tremolava intorno alla fronte».
Questa descrizione lirica è abbastanza rivelatrice dell’am
biguità della nozione di piacere. Il piacere gastronomico è
quasi sempre descritto da B.-S. come un benessere raffinato e
ragionevole; certo, dà al corpo uno splendore (la lucentezza),
LETTURA DI BRILLAT-SAVARIN 277
ma non lo spersonalizza: né il cibo né il vino hanno il potere
della droga. Al contrario, qui si descrive una sorta di limite
del piacere; il piacere è sul punto di scivolare nel godimento:
trasforma il corpo, che si sente in stato di dispersione elettri
ca. Tale eccesso è probabilmente attribuibile al sogno; indica
tuttavia una cosa molto importante: il carattere incommensu
rabile del piacere. Basta quindi socializzare Yignoto del piace
re per produrre un’utopia (ritroviamo ancora Foùrier). Come
dice benissimo B.-S.: «I limiti del piacere non sono ancora né
conosciuti né posti, e non sappiamo fino a che punto il nostro
corpo possa essere reso felice». Parole sorprendenti in un vec
chio autore, il cui stile di pensiero è in genere epicureo: parole
che introducono in tale pensiero il sentimento di una sorta di
infinito storico della sensazione, di plasticità insospettata del
corpo umano, che si trova solo nelle filosofie molto marginali,
e che significa postulare una sorta di misticismo del piacere.
Domande.
La prìma ora.
Il sogno.
Scienza.
Sesso.
I sensi sono cinque, si dice. Sin dalle prime righe del suo li
bro, B.-S. ne postula un sesto: il genesico, o amore fisico. Tale
senso non può essere ridotto al tatto; implica un apparato
completo di sensazioni. «Diamo al genesico, - dice B.-S., - il
posto sensuale che non gli può essere rifiutato, e lasciamo ai
nostri nipoti Γonere di assegnargli il rango » (e noi, suoi nipo
ti, non siamo venuti meno al nostro compito, com’è noto). Il
progetto di B.-S. è evidentemente quello di suggerire una spe
cie di scambio metonimico tra la prima delle voluttà (anche se
è censurata) e il senso di cui egli intraprende la difesa e Γillu
strazione, cioè il gusto; dal punto di vista della sensualità, il
gusto assume un particolare significato se lo si assimila al pia
cere amoroso. B.-S. insiste quindi, quando può, sulle virtù
afrodisiache di certi alimenti: i tartufi, ad esempio, o il pesce,
di cui si stupisce (piccola ironia anticlericale) che sia Γalimen
to della quaresima dei monaci, votati alla castità. Eppure,
checché lui ne dica, esistono ben poche analogie tra la lussuria
e la gastronomia; tra i due piaceri corre una differenza fonda-
mentale: l’orgasmo, cioè il ritmo stesso dell’eccitazione e del
suo placarsi. Il piacere della tavola non comporta né rapimen
ti, né trasporti, né estasi - e neppure aggressioni; il suo godi
mento, se esiste, non è parossistico: nessun crescendo del pia
cere, nessun culmine, nessuna crisi; solo una durata; si direb
be che Tunico elemento critico della gioia gastronomica sia la
sua attesa; non appena comincia la soddisfazione, il corpo en
tra nell’insignificanza della replezione (anche se essa assume
un atteggiamento di ghiotta compunzione).
281
Socialità.
Classi sociali.
lizza il cibo. Cosi, quando passa dai redditi alle classi profes
sionali (a ciò che egli chiama gli «stati» o le «condizioni»),
stabilendo che i grandi gourmands della società sono principal
mente i finanzieri, i medici, gli uomini di lettere e i devoti, ciò
che egli prende in considerazione è un certo insieme di abitu
dini, insomma: una psicologia sociale. Il gusto gastronomico
sembra ai suoi occhi prerogativa legata sia a un certo positivi
smo della professione (finanzieri, medici) sia a un’attitudine
particolare a dislocare, sublimare o introiettare il godimento
(uomini di lettere, devoti).
In questa sociologia culinaria, per quanto pudica, è tuttavia
presente il sociale puro: e precisamente là dove esso è assente
dal discorso. Proprio in ciò che non dice (in ciò che occulta)
B.-S. mette in luce con maggiore sicurezza la condizione so
ciale, nella sua nudità: e ciò che è rimosso, inesorabilmente, è
il cibo popolare. Da che cosa è costituito, fondamentalmente,
tale cibo? Da pane e, in campagna, da una sorta di polenta che
la cuoca preparava con un grano che pestava lei stessa nel
mortaio, evitando cosi di sottostare al monopolio dei mulini e
dei forni comunali; niente zucchero, bensì miele. Il cibo es
senziale del povero erano le patate; si vendevano, bollite, per
la strada (come accade ancora oggi in Marocco), insieme alle
castagne; snobbata per molto tempo dalle persone di «un cer
to ceto», che ne lasciavano il consumo «agli animali e ai pove
ri», la patata non deve certo la sua ascesa sociale a Parman-
tier, farmacista dell’esercito, il quale voleva soprattutto che la
sua fecola sostituisse la farina per il pane. Anche al tempo di
B.-S. la patata, pure essendo in via di «redenzione», rimane
segnata dal discredito che accompagnava socialmente ogni co
sa bollita. Si considerino i menu dell’epoca: vi sono solo piatti
separati, ben distinti: il legato appartiene solo alle salse.
Topica.
I.
Due costrizioni.
Il riassunto.
1 [Gli jivaro sono amerindi del Peru settentrinale e dell’Equador, noti come
cacciatori di teste, che mummificano riducendole alle dimensioni di un pugno].
SCRITTORI, INTELLETTUALI, PROFESSORI
Il rapporto di docenza.
Il contratto.
La ricerca.
Il metodo.
Alcuni parlano del metodo con gusto, con avidità; nel lavo
ro, ciò che desiderano è il metodo; esso non sembra mai loro
abbastanza rigoroso, abbastanza formale. Il metodo diventa
una Legge; ma è una Legge priva di qualsiasi effetto ad essa
eterogeneo (nessuno può dire che cosa sia, nelle «scienze
SCRITTORI, INTELLETTUALI, PROFESSORI
Le domande.
Stare in piedi.
Un odore di parola.
Il nostro posto.
Due critiche.
Due discorsi.
Il campo assiomatico.
Il nostro inconscio.
La parola pacifica.
1 971, in « T el Q uel».
Al seminario
I tre spazi.
La differenza.
La delusione.
Moralità.
La conversazione.
La «note étourdie».
Pratiche.
La catena.
Il sapere, la morte.
Insegnare.
Insegnare ciò che ha avuto luogo una sola volta: che con
traddizioni in termini! Insegnare non è forse, sempre, ripe
tere?
È proprio quanto il vecchio Michelet credeva di aver fatto:
351
GuelfojGhibellino.
Giardino sospeso.
A l seminario.
Il soggetto che parla qui deve riconoscere una cosa: gli pia
ce uscire da una sala cinematografica. Ritrovandosi nella stra
da illuminata e quasi deserta (ci va sempre di sera e lungo la
settimana) e dirigendosi mollemente verso qualche caffè,
cammina in silenzio (non gli piace parlare subito del film che
ha appena visto), un po’ intorpidito, goffo, infreddolito - in
somma, assonnato: ha sonno, ecco a che cosa pensa; nel suo
corpo si è diffuso un senso di sopore, di dolcezza, di calma:
languido come un gatto addormentato, si sente un po’ disar
ticolato, o meglio (perché per un’organizzazione morale il ri
poso non può consistere che in questo) irresponsabile. In bre
ve, è evidente, esce da uno stato di ipnosi. E dell’ipnosi (vec
chia arma psicanalitica che la psicanalisi sembra ormai tratta
re con condiscendenza1) ciò che percepisce è il piu antico dei
poteri: quello di guarire. Pensa allora alla musica: non ci sono
forse delle musiche ipnotiche? Il castrato Farinelli, la cui mes
sa di voce12 fu incredibile « sia per durata sia per emissione »,
leni la malinconia morbosa di Filippo V di Spagna cantandogli
la stessa romanza ogni sera per quattordici anni.
1 Cfr. «Ornicar?», n. i, p. n .
2 [In italiano nel testo].
USCENDO DAL CINEMA
Che cosa vuol dire il «nero» del cinema (non posso mai,
parlando di cinema, impedirmi di pensare «sala», piu che
«film»)? Il nero non è solo la sostanza stessa della fantastiche
ria (nel senso pre-ipnotico del termine); è anche il colore di un
erotismo diffuso; grazie alla sua condensazione umana, alla
sua assenza di mondanità (contraria all’«apparire» culturale
di ogni sala di teatro), all’affossamento delle posizioni (quanti
spettatori, al cinema, si lasciano scivolare nella loro poltrona
come in un letto, con il cappotto o i piedi sul sedile anteriore),
la sala cinematografica (di tipo comune) è un luogo di disponi
bilità, ed è la disponibilità (ancor piu della drague), l’ozio dei
corpi, a definire meglio l’erotismo moderno, non quello della
pubblicità o degli strip-teases, ma quello della grande città. È
in questo nero urbano che si esercita la libertà del corpo; quel
lavorio invisibile degli affetti possibili trae origine da quello
che si può considerare un vero e proprio bozzolo cinematogra
fico; lo spettatore di cinema potrebbe far suo il motto del ba
co da seta: Inclusum labor illustrat; è perché sono rinchiuso
che lavoro e risplendo di tutto il mio desiderio.
In questo nero del cinema (nero anonimo, popolato, nume
roso: oh, la noia, la frustrazione delle proiezioni cosiddette
private!) risiede il fascino stesso del film (qualunque esso sia).
Ricordate l’esperienza opposta: alla televisione, che proietta
anch’essa dei film, quel fascino ipnotico è del tutto assente; il
nero è cancellato, l’anonimato rimosso; lo spazio è familiare,
articolato (dai mòbili, dagli oggetti ben noti), addomesticato:
l’erotismo - diciamo meglio, per farne comprendere la levità,
l’incompiutezza: Verotizzazione - del luogo è precluso: dalla
televisione, siamo condannati alla Famiglia, di cui essa è dive
nuta lo strumento domestico, come un tempo il focolare, con
la sua grande pentola comune.
357
1975, in «Communications».
13
L’immagine
All’origine del tutto, la Paura. (Di che cosa? Dei colpi, delle
umiliazioni?) Parodia del Cogito, come istante fittizio in cui,
dopo che tutto è stato spazzato via, questa tabula rasa possa es
sere rioccupata: «Ho paura, dunque vivo». Un’osservazione:
secondo i costumi odierni (sarebbe necessaria un’etologia degli
intellettuali), non si parla mai della paura: è preclusa al discor
so, e anche alla scrittura (potrebbe esistere una scrittura della
paura?) Situata all’origine, ha un valore di metodo; da essa
prende avvio un cammino iniziatico.
14 luglio 1977
16 luglio 1977
Di nuovo, dopo giorni di cielo coperto, una mattina di bel
tempo: l'atmosfera è tersa, sottile: una seta fresca e luminosa.
Questo momento vuoto (privo di senso) produce la pienezza di
un'evidenza: che vale la pena vivere. Non rìnuncerei per nulla al
mondo alle commissioni del mattino (dal droghiere, dal panettie
re, mentre il villaggio è ancora quasi deserto).
17 luglio 1977
Si direbbe che la domenica mattina accresce il bel tempo. Due
intensità eteroclite si rafforzano reciprocamente.
18 luglio 1977
Compleanno di mam. Posso offnrle soltanto un bocciolo di ro
sa del giardino; se non altro, è il solo e il pnmo da quando siamo
qui. Stasera Myr. viene a cena e cucina: minestra e un 'omelette
1 [Sono detti coopérants coloro che svolgono (anche in sostituzine del servizio
di leva) attività professionali o tecniche in un altro paese, sulla base di accordi bi
laterali].
375
alle spezie; porta dello champagne e dei dolci alle mandorle di
Peyrehorade. Mme L. ha fatto mandare dei fioH del suo giardino
da una delle figlie.
19 luglio 1977
A l mattino, presto, dopo essere andato a comprare il latte, en
tro in chiesa, per vedere. È stata nfatta secondo il new-look con
ciliare: è in tutto e per tutto un tempio protestante (solo le gailene
in legno rivelano una tradizione basca); nessuna immagine, l'al
tare è diventato una semplice tavola. Nessun cero, naturalmente:
peccato, no?
21 luglio 1977
Stanno facendo saltare in padella lardo, cipolle, timo, ecc.
Crepitano, l'odore è meraviglioso. Ma questo odore non è quello
del cibo che si porterà in tavola. Esiste un odore di ciò che si
mangia e un odore di ciò che si prepara (osservazioni per la
«scienza delle Vanazioni» o «diaforalogia»).2
22 luglio 1977
5 agosto 197-J
13 agosto 19 j 7
Stamattina verso le otto, il tempo è superbo. Mi viene voglia di
prendere la bicicletta di Myr per andare dal panettiere. Non sono
più andato in bicicletta da quando ero bambino. Il mio corpo
trova questa operazione stranissima, molto difficile, e ho paura
(di salira, di scendere). Dico tutto questo alla panettiera - e
uscendo dal negozio, mentre cerco di nsalire sulla bicicletta, na
turalmente, cado. Per istinto, mi lascio andare e cado eccessiva
mente, gambe alVarìa, nella posizione più ndicola che esista. E
capisco che è proprio questo ndicolo a salvarmi (dalfarmi troppo
male): ho accompagnato la mia caduta, e cosifacendo ho dato
spettacolo, mi sono reso ndicolo; con questo, però, ne ho anche,
diminuito Veffetto.
C.L. 59898
Ristampa Anno
0 1 2 3 4 5 6 7 8 88 89 90 91 92 93 94
Gli struzzi 231 Brecht, Drammi didattici.
232 Dostoevskij, L'idiota.
Ultimi volumi pubblicati 233 Volponi, Memoriale.
234 Broch, G li incolpevoli.
235 Thomas, Poesie.
236 Schulz, Le botteghe color cannella.
237 Dostoevskij, D elitto e castigo.
238 Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
239 Dostoevskij, I fratelli Karamazov
(due volumi).
240 Levi (Primo), La ricerca delle radi
ci. Antologia personale.
241 Lewis, Il Monaco.
242 Eluard, Poesie.
243 Pasolini, La nuova gioventù. Poesie
204 Sciascia, Nero su nero. friulane 1941-1974.
205 Revelli, La guena dei poveri. 244 Mark Twain, Le avventure di Tom
206 Fiabe africane. Sawyer.
207 Roncaglia, Il jazz e Usuo mondo. 245-46 Il teatro italiano.
208-10Il teatro italiano. V: La tragedia dell'O ttocento
V: La commedia e il dramma (due tomi).
borghese d e ll'O tto c e n to (tre 247 Fabre, Ricordi di un entomologo.
tomi). Studi sull'istinto e i costumi degli
Ponchiroli, Le avventure di Barza- insetti.
mino. 248 Mark Twain, Le avventure di
212 Bruzzone, Ci chiamavano matti. Huckleberry Finn.
213 Reed, Il Messico insorge. 249 Casula, Tra vedere e non vedere.
214 Gallo Barbisio, Ifigli piu amati. Una guida ai problem i della per
215 Un processo per stupro. cezione visiva.
216 Pasolini, Lettere luterane. 250 Pasolini, L'usignolo della Chiesa
217 Belyj, Pietroburgo. Cattolica.
218 Michelet, La strega. 251 Salvatorelli, Vita di san Francesco
219 Calvino, Una pietra sopra. Discorsi d ’Assisi.
di letteratura e società. 252 Flaubert, Bouvard e Pécuchet.
220 Barthes di Roland Barthes. 253 Casula, Il libro dei segni.
221 Butler, C osi muore la carne. 254 Puskin, Romanzi e racconti.
222 Opere di Elio Vittorini: 2 5 5 Hawthorne, La lettera scarlatta.
1. Piccola borghesia. 256 Kipling, Capitani coraggiosi.
2. Sardegna come un ’infanzia. Döblin, Novembre 1918. Una rivo
3. Il garofano rosso. 57 luzione tedesca.
4. Conversazione in Sicilia. (257) Borghesi e soldati.
5. Uomini e no. (258) Il popolo tradito (in pre
6. Il Sempione strizza l'occhio parazione).
al Frejus.
7. Le donne di Messina. (259) Ritorno dalfronte (in pre
8. Erica e i suoi fratelli - La parazione).
garibaldina. (260) Karl e Rosa (in prepara
9. Diario in pubblico, zione).
io . Le città del mondo. 261 Marin, La vita xe fìama e altri versi
223 Rodari, Il gioco dei quattro cantoni. 1978-1981.
224 Signoret, La nostalgia non è più 262 Volponi, Sipario ducale.
quella d'un tempo. 263 Lawrence, Donne innamorate.
223 Malerba, Legaliine pensierose. 264 Dickinson, Lettere 1845-1886.
226 Einstein, Il Ulto umano. Nuovi 265 Sciascia, La corda pazza. Scrittori e
spunti per un ritratto. cose della Sicilia.
227 Revelli, La strada del davai. 266 Dostoevskij, Umiliati e offesi.
228 Beauvoir, Lo spirituale un tempo. 267 Persio Fiacco, Le Satire.
229 Fellini, Fare un film . 268 Tolstoj, Resurrezione.
230 Barthes, La camera chiara. Nota 269 Pasolini, La religione d el m io
sulla fotografia. tempo.
270 Beauvoir, Q uando tu tte le don n e 307 Ginzburg (Natalia), Lessico fami
d e l m o n d o ... gliare.
271 Wu Ch’êng-ên, L o S cim m io tto . 308 Barthes, La grana della voce. Inter
272 Dostoevskij, V a d o lescen te. viste 1962-1980.
273 Dickens, II nostro com u n e am ico. 309 Vassalli, L'alcova elettrica.
274 De Sanctis, Saggio crìtico s u l Pe- 310 Szymusiak, Il romanzo di Peuw,
trarca. bambina cambogiana (1975-1980).
275 Conrad, Vittoria. Un racconto delle 311 Saba, Antologia d e l «C anzoniere».
isole. 312 Einaudi, Le prediche della dome
276 De Sanctis, M an zon i. nica.
277 Rodari, Storie d i re M id a . 313 Leandri, Scusa i m an cati giorni.
278 Brecht, D iari 1920-1922. A p p u n ti 314 L iriche cinesi. A cura di Giorgia
autobiografici 1920-1954. Valensin.
279 Frank, R a cco n ti dell'alloggio se- 315 Fo, Manuale minimo dell'attore.
greto. 316 Ara-Magris, Trieste. Un'identità di
280De Sanctis, Leopardi. frontiera.
281Sciascia, C ruciverba. 317 Balzac, Fisiologìa d e l m atrim onio.
282Queneau, E sercizi di stile. 318 Storici arabi delle Crociate. A cura
283Giovenale, L e satire. di Francesco Gabrieli.
284Hugo, I m ise ra b ili (tre tomi). 319 A cton, G li u ltim i M ed ici.
285-87II teatro italiano. 320 James, D aisy M iller.
V: I l lib retto d e l m elodram m a 321 Stevenson, Emigrante per diletto
d e ll'O tto c e n to (tre tomi). seguito da Attraverso le pianure.
288 Barthes, L 'im pero dei segni. 322 Cummings, Poesie.
289 Le commedie di Dario Fo. 323-24 Il teatro italiano.
VI: La Marcolfa - G li imbian IV: La commedia del Settecento
chini non hanno ricordi - I tre (due tomi).
bravi - Non tutti i ladri vengono 325 Breton, M anifesti d e l Surrealism o.
per nuocere - Un morto da ven- 326 London, L a crociera d ello Snark.
dere - 1 cadaveri si spediscono e ^ 2 7 Rodari, G li esam i d i A rlecch in o .
le donne si spogliano - L'uomo . 2g Gadda, La cognizione del dolore.
nudo e l'uomo in frak - Canzo Edizione critica a cura di E m i
ni e ballate.
lio M anzotti.
290 Rodari, Giochi nell'Urss. Appunti
di viaggio. 329 Levi (Primo) - Regge, Dialogo.
291 Revelli, L'anello forte. La donna: 33° Le commedie di Dario Fo.
storie di vita contadina. VII: Morte accidentale di un a-
292 Levi (Primo), L 'altrui mestiere . narchico - La signora è da but
293 Morante, Lo scialle andaluso. tare.
294 'O penziero e altre poesie di 331 Eça de Queiroz, Il Mandarino se
Eduardo. guito da La buonanima.
295 Asor Rosa, L'ultim o paradosso. 332 Lastrego-Testa, Dalla televisione al
296 Comandante ad Auschwitz. Memo libro.
riale autobiografico di R u dolf
Dostoevskij, Le notti bianche.
tìo ss. 333
297 Fiori, Il cavaliere dei Rossomori. 33<* Baroni-Fubini-Petazzi-Santi-
Vita di Em ilio Lussu. Vinay, Storia della musica.
298 Barthes, L 'ovvio e l'ottuso. Saggi 335 Zamponi-Piumini, Calicanto. La
critici III. poesia in gioco.
299 Rodari, Il secondo libro delle fila- 336 Dostoevskij, Memorie del sotto
strocche. suolo.
300 Vassalli, Sangue e suolo. Viaggio fra 33-7 Asor Rosa, Scrittori e popolo. Il po
gli italiani trasparenti. pulismo nella letteratura italiana
301 Lévi-Strauss, La via delle maschere. contemporanea.
302 Kipling, Qualcosa di me. g Queneau, Piccola cosm ogonia p o r
303 Zamponi, I Draghi locopei. ”
tatile seguita da Piccola guida al
304 De Filippo, Lezioni di teatro.
305 Levi (Primo), Isommersi e i salvati. la Piccola cosm ogon ia di Italo
306 Thiess, Tsushima. Calvino.
339 Grimmelshausen, Vita dell'arcitruf-
fatrìce e vagabonda Coraggio.
340 Yourcenar, Memorie di Adriano se
guite dai Taccuini di appunti.
341 Teatro Dada. A cura di Gian Ren
zo Morteo e Ippolito Simonis.
342 Frank, Diario.
343 Tozzi, Con gli occhi chiusi.
344 Barthes, Il brusio della lingua.
Dal catalogo Einaudi
Letteratura francese
SAGGISTICA E CRITICA
ISBN 8 8 - 0 6 - 5 9 8 9 8 - 8