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FILOSOFI ANTICHI

ARISTOTELE

L'ANIMA
TRADUZIONE INTRODUZIONE E COMMENTO
A CURA DI GIANCARLO MOVIA

LOFFREOO EDITORE - NAPOLI

Baruch_in_libris
con una tesi s.
GIANCAilLO MovxA, riato a Tolmino (Jugoslavia)
1'11 luglio 19)7 li ~ laureato in filosofia a Padova,
'tema via' di Tommaso d'Aquino.
Nell'Università di Padova è incaricato stabilizzato
ed assistente ordinariv d! Storia della filoeo6a; ~
pure libero docente di Storia della filosofia antica.
Tra i suoi lavori principali ricordiamo: Anima e in-
telletto. Ricerche sulla psicologia peripatetu:a da
Teofrasto a Cratippo (Padova 1968); Alessandro di
Afrodisia tra naturalim~o e misticismo (ivi 1970);
Due studi sul «De Anima,. di Aristotele (ivi 1974).

La pubblicazione di questa nuova traduzione del


De Anima, accompagnata da un'ampia introduzione,
un commentario continuo e analitico, una ricca bi-
bliografia e vari indici (tra i quali va segnalato
quello dei termini greci, il primo completo finora
elaborato), intende colmare una lacuna nella cul-
tura filosofica non solo italiana. Infatti la recente,
degna versione di questo scritto ad opera di Lau-
renti (1970; 19732) ~ forzatatnente unita, date le
caratteristiche della collana in cui ha visto la luce,
ad una annotazione sui punti essenziali, mentre or-
mai inutilizzabili sono le pur benemerite versioni
di Giorgiantonio (1928-34) ed Eusebietti (1931), e
non sufficientemente rurata risulta quella della Bar-
bieri (1957). Senza dubbio migliore, ma non del
tutto soddisfacente, ~ n quadro offerto dai contri-
buti stranieri. Fra essi fa spicco l'opera di Hicks
(1907) - fondamentale sotto ogni rispetto - , che
assume e perfeziona l'esegesi ottocent~ (culmi-
nante nei lavori di Toratrik, Trendelenburg e Ro-
dier), ma che ovviamente in più punti risulta anti-
quata. D'altro canto n commento di Ross (1961)
non è purtroppo all'altezza degli altri, ben noti la-
vori di quest'autore, e n commentario 'platonizzan-
te' di Theller (19,9; 19662) e quello 'oxoniense'
di Hamlyn (1968) si presentano bensl con i tratti
di maggiore originalitA fra i commenti apparsi in
questi anni, ma generalmente si soffermano solo sui
temi principali del testo aristotelico, ed anche con
eccessiva sobrietl.

Alcuni giudizi della critica specializzata sui prece-


denti lavori dell'Autore:

«Ce livre, au titre s&luisant pour l'érudit et


l'humaniste, &=~aire un moment curieuz de l'biatoi-
re du péripat~tisme ... ; ce livre, parfaitement infor-
mé de l'état des rccherches relatives A cette p&iode
de l'histoire du p&ipatétisme ... Le livre de G. Mo-

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«M. G. Movia, ~ partir cles textes qu'ii colltialt
parfaitement et des travaux de ses prédécesseurs,
en particulier ceux de Ph. Merlan et P. Moraux,
explique avec beaucoup de clW quelle fut la doc-
trine d'Alexandre d'Aphrodise sur l'intellect. Un
index cles pasaages ~diés et cités, ainsi qu'un in-
da dea DODl8 propres anciens et modemes com-
pateDt utilement cet intéressant petit volume ».
P. Louis, « Revue de philologie », 1971
« In a convenient compact form this study (the
size of a substantial artide) presents the essential
information on the concept of the 'active' (or, as
M. prefers to translate, the 'productive') intelli-
gence in Alexander ».
L. G. Westerink, « Mnemosyne », 1973
«L'A. [nel terzo volume] a examin~ a fond
ces deux problèmes bien spécifiques, en passant
chaque fois par la tradition des interp~tions an-
tiques, m~évales et modernes. On remarque la
bonne structuration de ses arguments, pour les-
quels il a utilisé toute la bibliographie, considm-
ble (pp. 8.5-90), concemant les problmtes discutés.
L'intellect éduqu~ recherche l'exactitude propre au
sujet et pas davantage, nous dit Aristate (NE 1094
b 24). Les conclusions de l'A. sont d'autant plus
solides et scientifiques qu'elles sont restreintes et
mod~~».
J. Dudley, « Revue philos. de Louvain », 1978

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FILOSOFI ANTICHI
7

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ARISTOTELE

L'ANIMA

w 5!t ~'l)'tltv &t lv -1) ~i) x~t -tò CTWil~, Wa'~ap oùSl ~~v
X11P~" mL ~~ axfi~-t« (De an. B l, 412 b 6-7)

xa.L ~oU'to ~-t6vov Utiv~~ov x~l citSt.O" (De an. r ,,


430 a 23)

«L'empiria di Aristotele è totale, perché riconduce


sempre di nuovo alla speculazione ,. (Hegel, Lezioni
di storia della filosofia, sez. l, c. 3, B)

Alla memoria di mio padre

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CENTRO DI STUDI FILOSOFICI DI GALLARATE
COMITATO DIRETTIVO

Gusta~·o Bontadini
Sergio Cotta
Giuseppe Flores d'Arcais
Carlo Giacon
Peter Henrici
Vittorio Mathieu
Virgilio Melchiorre
Luigi Pareyson
Pietro Prini
Armando Rigobello
Giovanni Santinello

COLLANA DI FILOSOFI ANTICHI


Domenico Pesce e Giovanni Reale, direttori
Mario Mignucci, segretario

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ARISTOTELE

L'ANIMA
TRADUZIONE INTRODUZIONE E COMMENTO
DI
GIANCARLO MOVIA

LOFFREDO EDITORE - NAPOLI

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Prima edi%ione 1979
Seconda edizione 1991

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA


CAsA EDITRICE LUIGI LoFFREDO
80138 - NAPOLI, S. Biagio dei Librai~ 2

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PREFAZIONE

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In un tempo di esplosione d}interesse per le tematiche psi-
cologiche, presentare una nuova traduzione italiana di quella
che, per ampiezza di visione e taglio sistematico, è indubbia-
mente « die erste Psychologie Europas » 1, vuol costituzre qual-
cosa di più che un semplice invito alla lettura, si potrebbe dire,
patetica e 'divertente' di un venerando testo dell}antichità
classica. Diciamo sùbito che questo lavoro nasce da un}esigenza
prevalentemente, se non esclusivamente, storico-filosofica, vale
a dire ha come suo intento qualificante quello di addivenire alla
comprensione storica meno inadeguata possibile di un testo
molto fortunato e molto studiato, e che tuttavia conserva ancora
in sé parecchi lati oscuri e difficili. Cionondimeno io credo che
la lettura (o rilettura) di questa prima opera 'sistematica' della
cultura occidentale su L'Anima possa interessare non soltanto
gli specialisti di filosofia antica (o i 'filosofi' in generale), ma, in
qualche misura, anche i cultori di scienza (dalla biologia alla
psicologia e alle discipline antropologiche di più ampio respiro)
più sensibili alla ricerca dei fattori storici del loro sapere. Tra le
molte ragioni di interesse per quest}opera da parte di lettori di
questo tipo, che non disdegnino illuministicamente « il passato
come semplice momento d}ignoranza o d} errore» 2, vorrei segna-
lare, per esprimermi in termini assolutamente generici, il ten-
tativo di Aristotele di pervenire ad un}adeguata fondazione cott-
cettuale della biopsicologia generale; il suo sforzo di contempe-
rare metodo deduttivo e metodo induttivo; l'impegno teorico,
che frutta « grandi analisi concettuali, come quelle sui rapporti
fra organo e funzione, fra corporeità e psichicità, fra percezione
e funzioni psicologiche superiori», e «potenti sintesi compara-
tive che abbracciano a volte l}intera natura vivente» 3; l'appello
continuo all}esperienza (quantunque a tutti sia noto che in Ari-
stotele non si ritrova alcun metodo empirico-sperimentale vero
e proprio); l}individuazione dello specifico 'umano' in un}entità
(l} intelligenza), che ha una radice trascendente (e sta qui il nucleo
propriamente metafisica dell}opera - la sua, diremmo} 'verità
eterna' - , che, per il resto, si svolge tutta in ambito 'fisico') e
cionondimeno è legata alle funzioni psichiche inferiori ed alla

l Dirlmeier, Aristoteles, 1.54.


2 Mignucci, Teoria, 209.
3 Lanza-Vegetti, Opere, 22.

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lO PREFAZIONE

corporeità; e infine - ma non ultima - , nonostante l'unità


teorica di fondo, la stessa 'problematicità' del discorso aristo-
telico, ossia la presenza in esso di alcune difficoltà e incongruenze
sia di metodo come di contenuto.
Per la comprensione storica del testo su L'Anima cui prima
si accennava, la traduzione ha ovviamente una parte fondamen-
tale. Come hanno egregiamente rilevato i collaboratori di questa
collana che mi hanno preceduto 4, i problemi di una traduzione
aristotelica sono connessi essenzialmente a due stati di fatto:
l'estrema sinteticità della lingua greca antica rispetto all'anali-
ticità di quella italiana e la non corrispondenza semantica di
molti termini delle due lingue. Questa situazione - che rende
impraticabile la regola dei traduttori medievali: verbum e verbo
reddere - impone al traduttore moderno di essere al tempo
stesso 'interprete', sia svolgendo - pur con il più scrupoloso
senso della misura ed evitando ogni esagerazione parafrastica-
il discorso brachilogico dell'originale, sia rendendo non di rado
il medesimo termine greco - e specialmente i termini e le
espressioni-chiave, di interesse filosofico, aventi una polivoca
carica concettuale - con diverse parole italiane, a seconda del
contesto linguistico e di pensiero in cui quello si trova inserito.
A questi criteri generali di chiarezza, e insieme di resa del com-
plesso argomentare aristotelico, ho cercato di attenermi nella
mia versione; con quanta fortuna e con quanta 'fedeltà' all'ori-
ginale, giudicherà il lettore. Il testo seguìto è quello oxoniense
di Ross (1961); ogni allontanamento da questa edizione è stato
segnalato in sede di commento. Aggiungo ancora che al rileva-
mento della polivalenza di significato delle parole greche (in
ispecie di quelle filosofiche) serve anche l'indice di tutti i termini
che compaiono nel De Anima, posto in fondo al volume.
E veniamo ora al commento. Esso costituisce la parte ana-
litica dell'interpretazione del testo, di cui l'introduzione rap-
presenta la parte sintetica. Voglio dire che introduzione e com-
mento sono due momenti di uno stesso discorso critico e vanno
letti e valutati come un tutt'uno: il secondo tenta di provvedere
all'esegesi e al chiarimento del testo più puntuali possibile,
mentre la prima da un lato anticipa i risultati principali di
quella illustrazione, e dall'altro, volgendo uno sguardo d'insieme
,sul testo stesso e cogliendone le varie connessioni e articolazioni,

4 Cfr. in particolare Reale, in Metaph., I, IX-D; Mignucci, in APr., 9-10.

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PREFAZIONE 11

consente un apprezzamento complessivo del discorso aristotelico,


impossibile a farsi nella inevitabilmente frammentaria annota-
zione. Quest'annotazione segue una divisione del testo in peri-
copi relativamente estese; il lettore quindi, dopo una prima
visitazione del brano, può passare alla lettura della nota corri-
spondente, che gli offre innanzitutto un compendio dell'argo-
mentazione aristotelica, e poi l'analisi esegetica dei singoli pas-
saggi di cui essa si compone. Aggiungo inoltre che ho preferito
concentrare nel primo capitolo dell'introduzione la discussione
sui problemi della cronologia e della genesi del De Anima, anzi-
ché disperderla nelle note del commentario.
Si è parlato più sopra della 'comprensione storica' del
De Anima. Per esprimersi in termini volutamente ingenui, si
tratta di 'capire ciò che Aristotele ha detto'; meglio, di avvici-
narlo a noi prendendo la massima distanza (storica) possibile
da lui. Per tentare dunque una chiarificazione di quel che resta
di oscuro, difficile e complesso nel testo dello Stagirita, mi sono
avvalso innanzitutto dell'antico, ma sempre valido criterio di
'interpretare Aristotele con Aristotele'; nel caso nostro il
De Anima con il De Anima, e, parallelamente, con le altre opere
di argomento biologico e psicologico, e con quegli scritti del
corpus Aristotelicum - particolarmente la Metafisica - , che
del nostro trattato formano lo sfondo, anzi l'autentico supporto
concettuale. Una seconda via alla comprensione del De Anima
che qui si è percorsa, è quella della sua 'storicizzazione', ossia
dell'analisi del contesto storico-culturale, specialmente filosofico-
scientifico,.· in cui il trattato venne alla luce, com'è del resto
suggerito dallo stesso Aristotele nelle parti critico-dossografiche
dell'opera. T ale sforzo di storicizzazione ha, fra l'altro, il non
indifferente vantaggio di fornire una delle chiavi forse più idonee
a spiegare l'esistenza di punti critici, di oscillazioni e di incon-
gruente nel discorso aristotelico, sottoposto alle più varie e
diverse sollecitazioni culturali e scientifiche. Infine ho fatto largo
uso, per l'intelligenza del De Anima, delle esegesi effettuate dai
commentatori greci, da Averroè, dagli interpreti latint (soprat-
tutto Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Pacius e Zabarella),
come pure dagli autori moderni e contemporanei (dalle tradu-
zioni e commenti alla imponente letteratura critica).
Dall'insieme di questi strumenti e direzioni della ricerca
è risultata una rappresentazione dell'opera aristotelica, che per
un verso ne individua il punto di vista 'sistematico' e uni-
tario - cui co"isponde anche una fondamentale unità sul
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12 PREFAZIONE

piano letterario - nell'integrazione della noetica nell'ilemor-


fismo psicologico, per il tramite della dottrina del rapporto
1
di Successione'; e che, per l'altro verso, coglie in essa taluni
momenti di tensione e di inconsistenza, cercando (nei limiti del
possibile) di darsene ragione. Da un'angolatura più particolare,
questo lavoro propone un certo numero di soluzioni esegetiche
personali, talora reca nuovi argomenti od approfondimenti a
favore di soluzioni raggiunte da altri autori, e comunque mette
molto spesso a disposizione del lettore le principali ipotesi inter-
pretative dei singoli passi avanzate dai critici.
Sono lieto di ringraziare cordialmente i professori Domenico
Pesce e Giovanni Reale, che hanno voluto ospitare questo lavoro
nella collana da loro diretta e hanno riveduto e approvato
l'introduzione. Rivolgo un grazie particolare al pro/. Reale, che
ha letto anche parte della traduzione e del commento, fornen-
domi preziosi suggerimenti. Esprimo inoltre la mia viva grati-
tudine, di discepolo a maestro, al pro/. Carlo Giacon, che mi ha
proposto il tema della ricerca e mi ha seguìto e incoraggiato per
tutto il tempo della sua realizzazione. Rivolgo poi l'espressione
della mia riconoscenza al prof. Enrico Berti, che ha rivisto
l'introduzione ed altre, estese parti del manoscritto, suggeren-
domi importanti modifiche e aggiunte, nonché ai professori e
colleghi Mario Mignucci, Giovanni Santinello e Antonio Tognolo,
con i quali ho discusso alcuni punti cruciali. del commento.
Mi sia anche consentito di manifestare pubblicamente la mia
affettuosa gratitudine a mia madre, Carla Colaussi Movia, e a
mio fratello, Padre Luigi Movia S.]., che hanno letto l'intera
traduzione, contribuendo in larga misura a renderla più ele-
gante e perspicua possibile. Rivolgo ancora un pensiero amo-
revole a mia moglie, Maria Teresa Garau, ch.e nei non pochi
anni di ininterrotto e faticoso lavoro, mi ha sostenuto con la
sua generosa dedizione e confortato col suo animo ìlare e festivo.
Infine, ma non ultimo, vada il mio grazie all'Editore Lolfredo,
che con umanissima cordialità e sicura competenza mi ha dato
tutto il suo aiuto per la migliore riuscita tipografica dell'opera.

* * *
Ristampo il volume in forma immutata, aggiungendovi sol-
tanto una nuova appendice bibliografica. Auguro a questa se-
conda edizione la favorevole accoglienza avuta dalla prima.
Cagliari, settembre 1991

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INTRODUZIONE

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I

CRONOLOGIA E GENESI DEL « DE ANIMA »

l. TITOLO ED AUTENTICITÀ DELL'OPERA.

Com'è noto, di solito gli autori greci non premettevano ai


loro scritti un titolo, che invece era obbligatorio nei lavori tea-
trali 1• È quindi molto dubbio che il titolo del nostro trattato
sia stato coniato dallo stesso Aristotele. D'altra parte la frequenza
con cui il nostro scritto viene citato nel corpus Aristotelicunt,
e sempre nella forma È'V 'toi:<; 1tEPL ~uxii~ 2 , induce a ritenere come
non inverosimile che la paternità del titolo risalga allo Stagirita 3 •
In ogni caso la denominazione Perì psyches è molto antica, perché
con questo titolo, e con la relativa divisione in tre libri, la
nostra opera è registrata nel catalogo degli scritti aristotelici
redatto da Tolomeo 4 e risalente ad Andronico di Rodi (sec. I
a. C.), e, prima ancora, anche nella lista di Esichio 5, la cui
fonte fu la stessa del catalogo di Diogene Laerzio (dove peraltro
il titolo del nostro. scritto non compare) 6 , vale a dire lo scolarca
peripatetico Aristone di Ceo (secc. III-II a. C.) 7, oppure l'ales-
sandrino Ermippo (sec. III a. C.) 8 • La denominazione Perì
psyches ed il raggruppamento del trattato in tre libri sono poi

1 Nachmanson, Der griechische Buchtitel, .5-6; Moraux, Les listes, 7 n. 17.


2 lnt. l, 16 a 8; Sens. l, 436 b 10; 14, ecc.; Mem. 1, 449 b 31; Somn. Vig.
2, 4.5.5 a 8; 25; lnsomn. 1, 459 a 15; Resp. 14, 474 b 11-2; GA E 7, 786 b 25;
788 b 2; MA 6, 700 b .5-6.
3 S. Mansion, Soul, 16 n. l.
4 No 44 ed. Diiring, Aristotle, 225.
S No 152 cd. Diiring, Aristotle, 87.
6 Cfr. ed. Diiring, Aristotle, 41 sgg. Spiegazioni diverse di quest'assenza in
Diiring, Notes, 56-61; 69-70; c Moraux, Les listes, 320. Cfr. anche Movia~
Anima, 177 sgg.
7 Cosl Moraux, Les listes, 312-3; 320.
s Cosl Diiring, Notes, 3.5 sgg.; Ariston, 13 sgg.; Aristotle, 464.

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16 INTRODUZIONE

attestati dai commentatori greci (secc. II-VI d. C.) 9 e dai più


antichi manoscritti del De Anima (sec. X e sgg.) 10, e successiva-
mente sono stati conservati sia nella prima edizione a stampa
(cui poi seguì la suddivisione in capitoli) 11 , sia nella prima edi-
zione cri tica degli seri tti di Aristotele 12 •
L'autenticità del Perì psyches è provata dall'omogeneità di
fondo (sia dottrinale che terminologica) con le altre opere del
corpus, e trova un'esplicita conferma in Andronico, che non
esitò ad atetizzare il De Interpreta/ione a vantaggio del
De Anima 13 • Del resto nessuno ha mai dubitato dell'autenti-
cità del nostro scritto sino a J. Ziircher, il quale attribuì la
maggior parte del corpus a Teofrasto 14 • Sennonché, per quanto
concerne particolarmente il De Anima, è interessante rilevare
come proprio Teofrasto, nei suoi frammenti relativi all'intel-
letto 15 , s'impegna a chiarire e a discutere De an. r 4-.5 come
l'opera di un altro autore, che non può essere che lo Stagirita 16 •
Comunque sia, pur se si attribuisse la paternità del corpus
Aristotelicum a Teofrasto, come è stato sostenuto da Zi.ircher,
o più in generale ai Peripatetici posteriori allo Stagirita, come
è stato ipotizzato da altri studiosi 17, tutto ciò ovviamente non
costituirebbe un considerevole aiuto alla comprensione delle
dottrine del corpus stesso.

2. IL PROBLEMA DELLA CRONOLOGIA.

Il problema della formazione e della cronologia del De Anima


non è certo complicato, ed anzi aggrovigliato, come quello ben
9 Alessandro, De an. 66, 4; Temistio, in De an. 28, 34; 105, 16-7; Simplicio,
in De an. 5, 23 sgg.; Filopono, in De an. 10, 31 sgg.; 20, 23 sgg.
10 Moraux, Le Parisinus, 18. Secondo Gohlke (in De an., 11) la divisione
del trattato in tre libri risale allo stesso Stagirita: « Das Manuskript des Ari-
stoteles bestand aus drei Rollen ». Cfr. anche Diiring, Aristoteles, 32-3.
n L'editio princeps del De Anima si trova in Aristotelis Opera, graece, III,
Venetiis, Aldi Manucii, 1497. La divisione in capitoli compare per la prima
volta nella 3• ed. basileense (1550) delle opere di Aristotele (cfr. M. Schwab,
Bibliographie d'Aristate, Paris 1896, 54).
12 Aristotelis Opera, ex recensione lmmanuelis Bekkeri, edidit Academia
Regia Borussica, editio altera quam curavit O. Gigon, I, Berolini 1960, 402 sgg.
(l• ed. 1831).
13 Cfr. infra 209.
14 Ziircher, Aristoteles' Werk, passim. Per una rassegna dei giudizi (in
gran parte negativi) sul lavoro di Ziircher, cfr. Schacher, Ist das Corpus, passim.
15 Barbotin, La théorie, 245 sgg.; Movia, Anima, 35 sgg.
16 Barbotin, La théorie, 58; Movia, Anima, 67 n. 2 (e 93 nota).
1' Grayeff, The Problem, 105 sgg. e Aristotle, passim; Chroust, Aristotle,
l, XI-V. Cfr. in questo senso già Rose, De Aristotelis, 104-7.

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CRONOLOGIA B GENESI DEL DB ANIMA 17

noto della genesi e dell'unità (teoretica e letteraria) della Meta-


fisica, e tuttavia non si è presentato agli studiosi con caratte-
ristiche tali da rendere impossibile qualunque controversia.
Seguiamo brevemente le vicende principali di questo dibattito,
prendendo in considerazione non soltanto il De Anima, ma anche
quegli scritti che interessano più da vicino la psicologia ari-
stotelica.
Dei termini essenziali della questione fu consapevole già la
storiografia ottocentesca. Così, se C. A. Brandis distingue le
opere perdute di Aristotele da quelle conservate, e ritiene che
queste ultime furono composte tutte durante il periodo del suo
insegnamento nel Liceo 1, ed E. Zeller assegna i frammenti
delle opere perdute, e in particolare i dialoghi Eudemo (con la
concezione platonica- derivata dal Pedone- dell'anima eidos
come affine alle idee) e De Philosophia, nonché il Protrettico,
al periodo accademico, cui contrappone i trattati scolastici, scritti
nel secondo periodo ateniese 2, da un lato J. Bernays 3 dimostra
la coerenza dottrinale dei dialoghi con i trattati (così, ad esempio,
la tesi dell'Eudemo dell'immortalità dell'anima va riferita al solo
intelletto, una dottrina che verrà ripresa in De an. r 5, mentre
la concezione dell'anima, proposta sempre nell'Eudemo, come
EL06ç '"t't - « ein begriffliches Wesen » - , anticipa l'afferma-
zione di De an. r 4, secondo cui l'intelletto è ricettivo della
'forma'), e dall'altro lato A. Torstrik 4 e H. Bonitz 5 avanzano
l'ipotesi che l'attuale testo del De Anima sia la combinazione
di due diverse redazioni dello scritto, mentre A. Gercke ammette
la possibilità che alcuni dei trattati dello Stagirita risalgano al
periodo accademico 6 •
Quest'ultima ipotesi è stata ripresa e sviluppata, agli inizi
del Novecento, da T. Case 7, secondo cui Aristotele avrebbe
intrapreso la stesura ·di alcuni trattati già nel periodo accademico
e in quello successivo alla morte di Platone. Case ritorna inoltre
a contrapporre la psicologia spiritualistica dell'Eudemo e dua-

l Brandis, Handbuch, Il, 2, l, 116. Brandis (Handbuch, Il, 2, 2, 1192-4)


ritiene inoltre che la composizione del De Anima (con il De Sensu, il De Me-
moria e il De Somno) precedette quella degli scritti biologici (cui si riconnet·
tono il De Longitudine et Brevitate Vitae e il De Respiratione).
2 Zeller, II, 2, '7-63; 1,4-60. Cfr. anche Rose, Aristoteles, 26, che però
nega l'autenticità dei dialoghi .
.! Bemays, Die Dialoge, 25.
4 Torstrik, in De an., ad 425 a 13-30, 163.
s Bonitz, Zur Erklarung, 430-2.
6 Gercke, Aristoteles, 1034-9.
i Case, Aristotle, 502-B.

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18 INTRODUZIONE

listica del Protrettico a quella del De Anima. Ma chi condusse


alla perfezione il metodo storico-genetico nell'esegesi di Ari-
stotele fu, com'è noto, W. Jaeger. Nel corso di una ricerca
speciale Jaeger individua negli scritti dello Stagirita la program-
mazione di due diversi corsi di lezioni di argomento biologico
e psicologico: il primo comprendeva il De Partibus Animalium
e il De Generatione Animalium, il secondo introduceva fra
queste due opere il De Incessu Animalium, il De Anima, i primi
cinque Parva Naturalia (gli ultimi due sono di composizione
più tarda) e il De Motu Animalium 8 • In séguito, nel suo celebre
Aristoteles, Jaeger delinea le tappe dell'intera evoluzione spiri-
tuale dello Stagirita, presupponendo che essa si fosse svolta
come un progressivo allontanamento dalle posizioni di Platone.
Così, da una iniziale fase platonica (implicante l'adesione alla
teoria delle idee), lo Stagirita sarebbe passato ad una conce-
zione metafisica intesa dapprima come scienza (teologica) della
realtà immateriale (la Urmetaphysik, rappresentata emblemati-
camente dal libro A) e successivamente come scienza della so-
stanza sensibile e dell'entelechia immanente (la Spatmetaphysik,
con i libri Z, H e 8), e infine si sarebbe dedicato prevalente-
mente all'indagine scientifica ed empirica. In questo quadro evo-
lutivo Jaeger può far risalire al periodo accademico sia l'Eudemo,
con la dottrina (conforme a quella del Pedone) dell'immortalità
dell'intera anima (in quanto ousia ed eidos), sia il Protrettico,
con il dualismo tra anima e corpo. Mentre gli anni dei viaggi si
aprono con il De Philosophia (che contiene già la dottrina del
Motore immobile), al periodo dell'insegnamento ateniese appar-
tengono invece (oltre che Physica e e Metaph. A 8 e M) gli
scritti biologici e il De Anima (con i Parva Naturalia), ad ecce-
zione del libro r, che professa la dottrina platonizzante dell'in-
telletto separato e immortale, e che quindi potrebbe bensl essere
stato redatto contemporaneamente ai primi due libri (caratteriz-
zati da una psicologia ilemorfica ed empiristica), ma in ogni
caso deve la sua origine speculativa allo stesso periodo (i primi
anni dei viaggi) in cui fu scritta la Urmetaphysik 9•
La pubblicazione dell'Aristoteles di Jaeger dette l'avvio a
tutta una serie di discussioni e di nuove ricerche, che in parte ne
accolsero i risultati e in parte li modificarono anche profonda-

8 Jaeger, Das Pneuma, 65-70. La programmazione di una terza serie, di


scritti è stata individuata da A. Mansion (lntroduction, 28 sgg.) nel proemio
al De Sensu (1, 436 a l sgg.).
9 Jaeger, Aristotele, 49-68; 129-32; 161 sgg.; 447-65.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 19

mente. H. von Arnim, in diretta polemica con Jaeger, ritiene che


nel periodo dell'insegnamento ateniese rientra tutta la Metafisica
dello Stagirita. Un primo nucleo di essa è costituito dai libri K, N
e A (eccetto il cap. 8), ed un secondo, cronologicamente poste-
riore, dagli altri libri; in una fase intermedia tra questi due gruppi
furono composti l'Etica Eudemia, De an. r, il De Motu Anima-
lium, i Parva Naturalia e Metaph. A 8 10 • Mutando parzialmente,
in un secondo momento, tale punto di vista, von Arnim afferma
che Metaph. K, N e A furono composti nel periodo dei viaggi,
che il libro A, contenente la dottrina del Motore immobile,
mette a frutto la teoria dell'anima come motore per se immo-
bile di De an. A-B, e che l'ultimo stadio dell'evoluzione della
teologia aristotelica è rappresentato da Metaph. A 8 con la teoria
della pluralità dei motori immobili, la quale parallelamente com-
portò l'introduzione nel Perì psyches di De an. r 5, ossia della
dottrina dell'intelletto 'produttivo', separato ed eterno 11 • Su
posizioni analoghe (anche se meno caute ed equilibrate) si trova
anche P. Gohlke. Quest'autore, distinguendo due serie di scritti
fisici, fa risalire al periodo accademico, tra le altre opere, la
Historia Animalium, ed al secondo periodo ateniese, fra gli
altri trattati, il De Partibus Animalium, il De Generatione
Animalium, il De Motu Animalium, il De Ani1na ed i Parva
Naturalia, tutte opere caratterizzate, a differenza degli scritti
fisici della fase accademica, dalla dottrina dell'atto e della po-
tenza, dalla teoria delle quattro cause e dall'identificazione della
sostanza non più con l'individuo, ma con la forma o specie 12 •
Più recentemente Gohlke ha attribuito la composizione delle
opere biologiche (eccettuata la Historia Animalium, che appar-
tiene al periodo accademico) a quello che egli considera il quarto
ed ultimo stadio dell'evoluzione dello Stagirita, durante il quale
fu scoperta la dottrina del Motore immobile e lo eidos fu fatto
coincidere col telos 13 • Per quanto riguarda in particolare il
De Anima, Gohlke pensa che la stesura originaria di questo
scritto fu integrata da numerose aggiunte e correzioni. Questa
seconda redazione conservò bensl la teoria dell'atto e della po-
tenza presente nella prima stesura, ma utilizzò in campo psico-
logico la nuova teoria del Motore immobile (esposta in Ph. a,
Metaph. A e nel De Motu Animalium, che è uno degli ultimi

10 Von Arnim, Eudemische Ethik, 40.


11 Von Arnim, Die Entstehung, 24 sgg.; 49 sgg.; 63 sgg.; 734.
u Gohlke, Die Entstehungsgeschichte, 274 sgg.
13 Gohlke, Die Entstehung der arist. Prinzipienlehre, 46-76.

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20 INTRODUZIONE

scritti dello Stagirita), com'è provato da De an. r 10, dove


l'orektikon, come 'motore' semovente dell'azione (analogo al-
l'etere semovente), venne sostituito dall'orekton, ossia dal fine
o bene pratico come motore immobile. Di origine tarda è pure
la dottrina dell'immaginazione e dell'intelletto separato. Quasi
del tutto assente nel nostro scritto è invece, secondo Gohlke,
il concetto di sostanza. In conclusione Gohlke sostiene che il
nucleo originario del De Anima risale al tempo della compo-
sizione di Metaph. 9 (che introdusse la dottrina dell'atto e della
potenza) e quindi al periodo dell'insegnamento ateniese, che
De an. B 1-2 furono inseriti successivamente, e che il primo libro
è più tardo del secondo e dello strato originario del terzo 14 •
Quest'impostazione viene ribadita da Gohlke nell'introduzione
e nel commento alla sua traduzione del De Anima. Qui tuttavia
egli corregge, tra l'altro, una sua precedente opinione, affermando
non più che De an. B 1-2, ma De an. B l va considerato un
Nachtrag, e ritiene tarda anche la teoria del Zentralsinn 15 • In
favore dell'unità di composizione del nostro trattato e della
sua omogeneità filosofica si dichiara invece A. de Ivanka, il quale
dimostra, contro Jaeger, che De an. r contiene la soluzione di
un problema posto in De an. A, quello dell'anima come prin-
cipio di conoscenza e di movimento; e inoltre rileva che la
dottrina dell'intelletto è trattata non solo nel terzo, ma anche
nei primi due libri 16 •
Una vera e propria svolta nell'interpretazione del corpus
Aristotelicum (e degli scritti biologici in particolare), dal punto
di vista storico-genetico, fu segnata da L'evoluzione della psi-
cologia di Aristotele di F. Nuyens. Quest'autore accoglie il me-
todo genetico di Jaeger e la sua ipotesi del passaggio dello
Stagirita da uno stadio iniziale ancora platonico a posizioni
sempre pii1 autonome, ma per stabilire la cronologia delle opere
di Aristotele si serve di un criterio unico, quello psicologico-
noetico, ossia della determinazione del modo in cui ciascuno
scritto intende per un verso il rapporto tra anima e corpo e per
l'altro lo statuto antologico del nous. Da questo angolo visuale
Nuyens distingue tre periodi nell'evoluzione della psicologia e,
in generale, della filosofia aristotelica. Il primo periodo è quello
accademico, ed è caratterizzato da una concezione platonica
(assunta dal Pedone) e dualistica dei rapporti tra anima e corpo.

14 Gohlke, Die Entstehung der arist. Prinzipienlehre, 57-63; 87-91.


15 Gohlke, in De an., 9 sgg.; 14; 133 sgg.; 136 n. 10.
16 De Ivanka, Sur la composition, 7' sgg.; cfr. anche Zur Problematik, 245-7.

Baruch_in_libris
CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 21

L'anima tutt'intera (di cui l'intelletto è la parte principale) è


sostanza e idea, e quindi è immortale; il corpo mortale è una
sostanza da lei indipendente e a lei contrapposta. Questa con-
cezione è presente soprattutto nell'Eudemo, e in forma più
attenuata - tra gli altri scritti - nel De Philosophia e nel
Protrettico. Il secondo è un periodo di transizione, e corri-
sponde agli anni dei viaggi. Esso è contrassegn.ato da una psi-
cologia che Nuyens definisce « strumentalismo meccanicistico
o vitalistico »,una scoperta cui lo Stagirita giunse in conseguenza
delle sue ricerche biologiche. L'anima e il corpo sono ancora
due sostanze distinte, ma tra loro vige una stretta collaborazione,
nel senso che l'anima (la cui parte intellettiva - immateriale
e immortale- viene differenziata da quella irrazionale) si serve
del corpo (e particolarmente. di un organo speciale, il cuor~,
in cui si trova localizzata) come di un suo strumento, per pro-
durre ogni tipo di movimento dell'animale. A questa dottrina,
anticipata per qualche aspetto già dal Protrettico, fanno capo,
fra gli altri trattati, la Historia Animalium, De Partibus Anima-
lium B-~, il De Motu Animalium, il De lncessu Animalium e
il De Respiratione. Il terzo ed ultimo periodo, quello dell'inse-
gnamento ateniese, è caratterizzato dalla psicologia ilemorfica,
che si applica ad ogni· specie di vivente e concepisce l'anima e
il corpo come la forma e la materia di un'unica sostanza, cioè
appunto del vivente. Per questa via viene superato il dualisn1o
tra anima e corpo professato nelle due fasi precedenti, ma ad
esso si sostituisce un nuovo tipo di dualismo, quello dell'anima
(forma immanente e corruttibile del corpo) e dell'intelletto
('separato', eterno e unico per tutti gli uomini). Tale dottrina~
annunciata già in De Partibus Animalium A e nel De Longi-
tudine et Brevitate Vitae, viene espressa nella sua forma più
compiuta nel De Anima (di cui Nuyens rivendica, contro Jaeger
e con de Ivanka, la rigorosa unità speculativa e letteraria) e,
tra gli altri scritti, in Metaph.- Z, H, a e A, nei primi cinque
Parva Naturalia e nel De Gen·eratione Animalium, tutti posteriori
al De Anima 17 •
Le successive discussioni degli studiosi hanno avuto come
principali punti di riferimento le opere di Jaeger e Nuyens. Così
A. Mansion condivide l'opinione di Nuyens che la noetica del
De Anima sia stata la conseguenza dell'applicazione dell'ilemor-
fismo ai rapporti tra l'anima e il corpo 18 , ma, in polemica ancl1e
17 Nuyens, L'~volution, passim.
18 A. Mansion, Introduction, 30 n. 64.

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22 INTRODUZIONE

con G. Soleri 19 , ritiene inammissibile che nell'Eudemo Aristo-


tele abbia identificato l'anima-eidos con un'idea platonica 20 •
Favorevole alla tesi dell'unità teoretica del De Anima si dimostra
anche G. Verbeke 21 , che inoltre riconduce lo eidos ti dell'Eudemo
alla somiglianza tra l'anima umana e le idee asserita nel Pedone,
ed avvicina la noetica dell'Etica Nicomachea non già, come
Nuyens 22 , a quella del periodo di transizione (rappresentata
specialmente dagli Analitici secondi), ma a quella del Protret-
tico 23 • Mentre H. J. Drossaart Lulofs distingue nei Parva Natu-
ralia, e particolarmente nel De Somno e nel De Insomniis, uno
strato (di carattere fisiologico; cfr. Somn. Vig. 2, 455 h 13-3,
458 a 25; Insomn. 2, 459 a 23-fine) risalente alla fase di tran-
sizione, ed uno (di argomento psicologico) facente capo all'ul-
timo periodo 24 , H. D. Lee e P. Louis confermano l'attribuzione
di alcune opere biologiche, e in particolare della Historia Ani-
malium, al periodo dei viaggi 25 • Basandosi invece (ma con ecces-
siva fiducia) sulle citazioni interne di Aristotele, P. Thielscher
è giunto a determinare il seguente ordinamento cronologico
degli scritti biologici: Historia Animalium A-B l, De Partibus.
Animalium A, De Incessu Animalium, Historia Animalium B
2-~, De Anima, primi tre Parva Naturalia, De Partibus Anima-
lium B-r 4, il resto dei Parva Naturalia, De Partibus Animalium
r 6-~, De Generatione Animalium, Historia Animalium E sgg. 26 •
Da parte sua P. Moraux è dell'avviso che l'Eudemo contenga la
dottrina delle idee, e che il Protrettico non sia stato composto,
come aveva ipotizzato Nuyens 27 , verso la fine del periodo acca-
demico, ma sia di poco posteriore all'Eudemo 28 • Moraux con-
corda invece con Nuyens 29 circa la posteriorità del De Gene-
ratione Animalium rispetto al De Anima, sulle cui dottrine psi-

19 Soleri, L'immortalità, 53-7.


20 A. Mansion, L 1immortalité, 446-7.
21 Verbeke, Comment Aristate, 209 sgg.
22 Nuyens, L 1évolution, 207-9.
23 Verbeke, L 1idéal, 86 sgg.
24 Drossaart Lulofs, in Insomn., l, IX-XLIV. Critica di questa posizione
in Wiesner, The Unity, 241 sgg., che difende l'unità del De Somno, ma insieme
avanza l'ipotesi che in Somn. Vig. 3, 456 b 20458 a 25 Aristotele utilizzi una sua
precedente trattazione dell'argomento.
25 Lee, Place-Names, 61 sgg.; Louis, Sur la chronologie, 91 sgg.
26 Thielscher, Die relative Chronologie, 243 sgg.
rr Nuyens, L évolution, 90 sgg.
1
,
28 Moraux, Les listes, 324-5. Cfr. anche Gauthier-Jolif, in EN, l, l, 25
e n. 66.
29 Nuyens, L'évolution, 261.

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CRONOLOGIA B GENESI DEL DE ANIMA 23

cologiche esso si basa 30 • In una ricerca dedicata espressamente


all'evoluzione di Aristotele, ~Ioraux rileva la presenza di una
concezione 'strumentalistica' già negli ultimi dialoghi di Platone,
e inoltre si chiede se il dualismo professato nell'Eudemo non
costituisse un'imitazione del Pedone, piuttosto che una personale
convinzione dello Stagirita 31 • Alla cronologia proposta da Nuyens
aderiscono sostanzialmente G. Soleri 32 e R. A. Gauthier, il quale
tuttavia modifica in alcuni punti notevoli la ricostruzione di
Nuyens. Cosi egli afferma che l'anima dell'Eudemo (che non
coincide con l'intera anima, come avevano sostenuto Jaeger e
Nuvens, ma con la sola anima razionale) non è un'idea, ma è
affifle alle idee; che alla fase strumentalistica (la quale include
anche i primi cinque anni dell'insegnamento ateniese) appar-
tengono pure (come ha mostrato Drossaart Lulofs) Somn. Vig.
2, 455 h 13 sgg. e Insomn. 2-3; e che in questo periodo Aristo-
tele abbandona la dottrina della trascendenza e dell'immortalità
dell'anima, com'è dimostrato dall'Etica Nicomachea 33 • La tesi
generale di Nuyens è stata accolta anche da D. Ross. Quest'au-
tore sostiene peraltro che in· tutti i Parva Naturalia i rapporti
tra l'anima e il corpo sono ancora concepiti in senso strumen-
talistico, e che la teoria dell'anima-entelecheia non si trova in
tutto il De Anima, ma (a parte un cenno in A l, 402 a 26) sol-
tanto nel libro B (che è probabilmente l'ultimo scritto psico-
logico dello Stagirita) ed in r 1-8, mentre gli ultimi capitoli
di r (e particolarmente r 9-11, che contengono la stessa dottrina
del De Motu Animalium) appartengono al secondo periodo 34 •
Importanti osservazioni sull'evoluzione della psicologia ari-
stotelica e la genesi del De Anima si leggono nelle introduzioni
di O. Gigon e W. Theiler alle loro rispettive traduzioni del
nostro trattato. Gigon si pronuncia a favore della tesi della
continuità della psicologia aristotelica dai dialoghi ai trattati.
Cosi, rispetto all'Eudemo (che dimostra l'immortalità dell"anima
e indaga sulla sua natura, e che affronta anche il problema della
sua divisibilità in parti e quello della sua funzione motrice),
il De Anima si situa come un completamento e un'integrazione,
specialmente sul piano della psicologia empirica. Le divergenze

30 Moraux, A propos, 267 e n. 38; 282; 287.


31 Moraux, L'évolution, 87. Su questo secondo punto dr. già A. Mansion,
L immortalité, 446.
1

32 Soleri, L immortalità, 45 sgg.


1

33 Gauthier-Jolif, in EN, l, l, 25-6; 36; 43; 47-50.


34 Ross, in PN, 3-18; The Development, 4-5; in De an., 7-12.

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24 INTRODUZIONE

dottrinali (tipico è il caso dell'immortalità dell'anima) che si


riscontrano fra il dialogo ed il trattato non sono imputabili ad
un preteso mutamento di opinione dello Stagirita, ma - so-
stiene Gigon, anticipando la posizione di Ziircher - a po-
steriori rielaborazioni del testo compiute dai suoi discepoli, il
cui naturalismo psicologico è ben noto 35 • In uno studio succes-
sivo Gigon osserva che è improbabile che l'Eudemo costituisse
semplicemente una nuova versione del Pedone, che la dottrina
della preesistenza dell'anima (professata dal Pedone ed accolta
nell'Eudemo) viene ripresa nel De Generatione Animalium me-
diante la teoria del nous thyrathen, e che la definizione di
anima come eidos, proposta dall'Eudemo, è bensl incompatibile
con il concetto di entelecheia di De an. B l, ma non con la
dottrina dell'intero trattato 36 • Ancor più articolata è la posizione
di Theiler. Per questo studioso l'anima dell'Eudemo (similmente
a quella del Pedone) è una certa 'forma' e una sostanza autonoma,
e non già la forma del corpo come sarà nel De Anima. Questo
trattato, che rappresenta il necessario fondamento delle opere bio-
logiche, fu composto da Aristotele all'inizio del secondo periodo
ateniese. Ad esso seguirono (come dimostrano le autocitazioni),
intorno al 330, i Parva Naturalia, il De Motu Animalium e il
De Partibus Animalium, e verso il 325 il De Generatione Ani-
malium, tutte opere che non fanno uso del concetto filosofico
di entelecheia, ma sviluppano il tema del cuore come 'organo
centrale', dipendentemente dalla loro finalità scientifico-biologica.
Il nostro trattato fu però sottoposto ad una revisione. Se la
prima redazione dello scritto era incentrata su un concetto di
psicologia come parte integrante della fisica, ed accordava il più
ampio spazio alla dottrina della percezione, successivamente lo
Stagirita vi introdusse una 'metapsicologia', costituita dalla teoria
(di origine platonica) del nous, esposta specialmente in De an.
A 4, 408 b 18-29 ed in r 5. Alla seconda redazione del trattato
appartengono anche lo schema tripartito di De an. A 2, in cui
vengono incluse le opinioni dei predecessori, la definizione gene-
rale di anima di B l (e B 2, 414 a 4-3, 414 h 19), la cui possi-
bilità Aristotele aveva in un primo tempo negata, e la dottrina
della triplice causalità dell'anima di B 4 37 •
Per la continuità dottrinale tra opere giovanili e quelle
mature, e per la costante presenza in ambedue le serie di scritti

35Gigon, in De an., 8; 194-5; 207; 217-9; 2.5.5-6.


36Gigon, Prolegomena, 21; 25; 27.
n Theiler, in De an., 73-80; 109.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 25

di 'platonismo' ed 'empirismo' si è risolutamente dichiarato, in


polemica con Jaeger, F. Dirlmeier. Per quanto concerne gli
scritti psicologici, nell'Eudemo, alla metafisica del Pedone, ai
concetti platonici di anima e di sostanza e alla dottrina del-
l'anamnesi si unisce strettamente l'osservazione empirica, e spe-
cialmente medica. Inoltre, durante gli anni dei viaggi, alla
ricerca propriamente filosofica si accompagna in Aristotele la
redazione di almeno alcune delle opere biologiche. E infine nel
De Anima, composto negli ultimi anni della vita dello Stagirita,
la 'psicofisica' dei primi due libri trova il suo coronamento
nella noetica platonizzante del terzo. Il nostro trattato costituisce
pertanto un'unità inscindibile; alla dottrina del nous separato
e immortale, esposta nel terzo libro, ma fondata nei primi due,
Io Stagirita rimase sempre fedele 38 • Dal canto suo D. A. Rees
insiste più che su una evoluzione cronologica di Aristotele in
psicologia, sull'intento e la funzione che presiedettero alle diverse
trattazioni psicologiche dello Stagirita. Da questo punto di vista
Rees rileva che l'Eudemo adotta una psicologia di tipo 'religioso'
e 'mistico', ispirata al Pedone e professante la teoria della tra-
scendenza, immaterialità ed immortalità dell'anima razionale,
mentre nel Protrettico (come nelle Etiche) è presente una psico-
logia 'morale', basata sulla divisione dell'anima (anch'essa di
origine platonica) in parte razionale e in quella irrazionale, e
nel De Philosophia (sulle tracce degli ultimi dialoghi di Platone)
prevale una psicologia 'cosmologica'. Alla psicologia ' scientifica'
sono invece consacrati gli scritti biologici del periodo di transi-
zione (con la loro teoria vitalistica) ed il successivo De Anima 3 Q.

All'ordinamento cronologico degli scritti psicologici proposto


da Theiler aderisce .1. Block. Per quest'autore la composizione
del De Anima precedette quella dei Parva Naturalia e l'ultima
redazione del De Partibus Animalium, del De Generatione Ani-
malium e della Historia Animalium. Se nei Parva Naturalia e
nelle opere zoologiche compare la dottrina della localizzazione
dell'anima nel cuore, principio ed organo di tutte le funzioni
vitali, ed è invece assente la dottrina dell'anima-entelecheia,
ciò non prova, come sostengono Nuyens e Ross, l'incompatibilità
delle due teorie (di cui la prima sarebbe 'dualistica' e pertanto
anteriore, e la seconda 'unitaria' e quindi posteriore), ma si
spiega col fatto che queste opere, di carattere settoriale, non

38 Dirlmeier, Aristoteles, 150-5.


39 Rees, Theories, 191 sgg. Cfr. anche infra, 27-8.

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26 INTRODUZIONE

hanno a tema l'anima in generale. Del resto da Metaph. Il. 27 e


Z l O risulta come lo Stagirita combina agevolmente l'ilemorfismo
psicologico con la localizzazione dell'anima in un organo cor-
poreo privilegiato. Ma la priorità cronologica del De Anima ri-
spetto ai Parva Naturalia ed alle opere biologiche è dimostrata
positivamente, secondo Block, dalle dottrine del senso comune
e del cuore come centro delle funzioni vitali, ben più elaborate
in questi scritti che non nel De Anima. Block respinge infine
l'ipotesi di Ross, che il secondo libro del nostro trattato è stato
composto dopo gli altri due. Il De Anima è un'opera stretta-
mente unitaria, e le dottrine sulla sensibilità e l'intelletto con-
tenute nel terzo libro costituiscono l'approfondimento e la solu-
zione dei problemi posti nei primi due. Per ciò che riguarda
particolarmente la teoria del nous, Block afferma che la dottrina
dell'intelletto separato ed eterno rappresenta un aspetto per-
manente della filosofia aristotelica 40 • Come Theiler anche H.
Dorrie, benché ammetta che il De Anima sia stato scritto di
getto, ritiene che le riflessioni sull'anima in generale che si leg-
gono in B l e in alcuni passi di B 2-4 furono inserite più tardi,
quando Aristotele volle dare una connessione a questo libro.
Un inserto posteriore· è pure De an. r 5 41 •
Sulla linea di una conciliazione di strumentalismo ed ilemor-
fismo si colloca, come Block, anche W. F. R. Hardie. Egli rileva
che il De Generatione Animaliunz, che Nuyens e Ross assegnano
alla fase ilemorfica, contiene diversi riferimenti al cuore come
organo centrale dell'anima. Pure in Metaph. Z 10 la dottrina
ilemorfica è congiunta col riconoscimento della funzione speciale
dell'organo centrale. Inoltre l'applicazione dei concetti di forma
(entelecheia) e materia ai pathe dell'anima in De an. A l, come
pure la tesi, di De an. A l, del De Sensu e del De Memoria, che
i fenomeni psicologici sono essenzialmente psicofìsici, mostrano
che anche in questi scritti (che Ross attribuisce al periodo di
transizione) è presente la dottrina dell'anima-entelecheia, come
del resto lo stesso Ross aveva ammesso nel suo Aristotle 42 • Né
la localizzazione dell'anima nel cuore, sancita dal De Sensu e dal
De Memoria, contrasta con questa dottrina, poiché il supporto
fisico dei fenomeni psichici che implicano l'anima sensitiva ed
.appetitiva non può essere che centrale. Infine Hardie, pur rico-
scendo l'insanabile divergenza tra la noetica del De Anima e

40 Block, T be Order, 50 sgg.


41 DOrrie, Gedanken, 225; 227; 233-4.
42 Ross, Aristotle, 131; tr. it., 129.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 27

qu~lla dell'Etica Nicomachea, individua in quest'ultima opera,


diversamente da Nuyens, notevoli spunti ilemorfici 43 •
Una radicale opposizione alla tesi di Jaeger, nonostante l'ado-
zione del medesimo metodo storico-genetico, è rappresentata,
com'è noto, dalle ricerche di I. Diiring. Nel suo imponente ed
ormai celebre Aristoteles, in cui mette a frutto e largamente
integra i risultati dei suoi precedenti lavori 44 , l'autore sostiene,
in accordo con Dirlmeier, che nell'attività dello Stagirita l'in-
dagine empirica e l'interesse speculativo non andarono mai
disgiunti, ed avanza l'ipo~esi che l'opposizione di Aristotele a
Platone, e particolarmente il rifiuto della dottrina delle idee,
avvenne sin dall'inizio della produzione letteraria dello Stagi-
rita. L'originalità delle proprie concezioni non impedì tuttavia
ad Aristotele di muoversi costantemente in un ambito di pro-
blemi essenzialmente platonico. Nel quadro di una fondamentale
unità interna del pensiero dello Stagirita, Diiring distingue tre
periodi evolutivi, e conseguentemente determina (sempre in via
d'ipotesi) la cronologia relativa di tutti gli scritti aristotelici. Cosl,
intorno alla metà del periodo accademico, furono composti, tra
gli altri scritti, il dialogo De Philosophia e Metaph. A, e verso
la fine di questo stesso periodo il dialogo Eudemo ed il Pro-
trettico. Nell'Eudemo Aristotele concorda con Platone circa la
tesi che soltanto il nous è immortale, ma non accetta la teoria
delle idee e della reminiscenza del Pedone. L'anima è ousia ed
eidos qui come in De an. B 4 e in Metaph. Z lO e M 2. Cionon-
dimeno è verosimile che, nella trattazione della psychè, il punto
di vista dell'Eudemo fosse ben diverso da quello del De Anima:
il dialogo doveva discutere i problemi dell'anima umana e le
connesse credenze religiose (che il De Anima tocca solo di sfug-
gita), mentre il nostro trattato risponde ad interessi naturalistici
e biologici. In ogni caso l'Eudemo non è una mera imitazione
del Pedone. Neppure nel Protrettico Aristotele professa la dot-
trina delle idee. Il dualismo di anima e corpo stabilito in que-
st'opera .è ispirato al Pedone, senza peraltro ·costituirne una
semplice imitazione. Agli anni dei viaggi appartengono invece,
fra le altre opere, Historia Animalium A-Z e 9 (i libri H, I e K
non sono autentici), De Partibus Animalium B-a, il De Incessu
Animalium, il primo abbozzo dei Parva Naturalia e la prima
redazione (prevalentemente biologica) del De Anima, e forse

43 Hardie, Aristotle's Treatment, 60-l; 66 sgg.


44 Cfr. specialmente Diiring, ;, PA; Aristotle; Aristotle's Protrepticus.

Baruch_in_libris
28 INTRODUZIONE

anche la rielaborazione definitiva di questi due ultimi scrtttt


(se non avvenne nell'ultimo periodo), con le aggiunte di carat-
tere non biologico apposte al De Anima. Infine il terzo periodo
comprende, tra l'altro, Metaph. r, E, Z, H, .8, De Partibus Ani-
malium A, il De Generatione Animalium e il De Motu Ani-
malium.
Di.iring distingue dunque nel De Anima due strati: uno, che
risponde ad un punto di vista strettamente biologico, e un se-
condo di carattere più filosofico, che quindi elabora una defi-
nizione universale di anima, determina i tipi di causalità che le
sono propri, ed estende la ricerca alla natura del nous. Come
Theiler, anche Di.iring ritiene pertanto inserti posteriori De an.
A 4, 408 h 18-29; B l; 2, 414 a 4-28; 4, 415 h 8-416 a 18; r 5.
In queste aggiunte non si ha un cambiamento delle concezioni
aristoteliche sull'anima (e ancor meno un approdo ad opinioni
contraddittorie rispetto a quelle della prima stesura), ma piut-
tosto un completamento, in conseguenza dell'adozione di una
diversa prospettiva metodologica. A parte questi inserti (ed altri
di minore importanza), l'opera risulta unitaria e compatta: le
aporie formulate nel primo libro sono discusse sistematicamente
negli altri due. Diverso è il caso dei Parva Naturalia, dapprima
scritti separatamente l'uno dopo l'altro, e poi collegati in unità.
A Diiring questi trattatelli sembrano contenere, in generale, con-
cetti più elementari di quelli del De Anima, che è l'opera psi-
cologica più matura e più tarda. Se il nostro trattato accenna
appena al cuore come organo centrale della sensibilità, ciò
dipende dal fatto che non se ne offriva l'occasione. In defini-
tiva Di.iring esclude cambiamenti di fondo e serie contraddizioni
negli scritti psicologici dello Stagirita, pur riconoscendo l'emer-
genza di sempre nuovi angoli visuali (etico, gnoseologico, bio-
logico, filosofico) nell'approccio dei problemi, ed anche l'esistenza
di numerose, piccole contraddizioni all'interno e tra le diverse
opere. Egli ammette comunque che, rispetto alla primitiva divi-
sione dell'anima in parte razionale e parte irrazionale adottata
nei primi scritti, la dottrina dei due livelli del nous, contenuta
in De an. r 5, costituisce l'ultimo esito della psicologia di Ari-
stotele, nella forma di una sintesi fra il proprio 'sensismo' e la
concezione platonica del carattere speciale ~el nous 45 •
Un riesame globale del problema dell'evoluzione di Aristo-

45 Diiring, Aristoteles, 48-.52; 416-8; 429; .506; .554 sgg.

Baruch_in_libris
CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 29

tele in psicologia è stato effettuato da Ch. Lefèvre 46 • Quest'autore


concorda con Nuyens circa l'esistenza di un periodo iniziale,
contrassegnato da un'antropologia dualistica e platonizzante, e
di un periodo finale, in cui la dottrina ilemorfica consente il
recupero dell'unità del vivente, ma insieme rende impossibile
una completa integrazione dell'intelletto nell'uomo. Egli invece
non ammette l'esistenza di un'intermedia ed autonoma fase
strumentalistica (a parte alcune circoscritte eccezioni), incom-
patibile con le altre due, e sostiene (approfondendo il punto di
vista di Block e Hardie) che schemi strumentalistici vengono
utilizzati dallo Stagirita dapprima nell'ambito della concezione
dualistica e successivamente in quello della dottrina· ilemorfìca 47 •
La tesi dell'immortalità personale dell'anima umana (che non
implica l'adesione del giovane Aristotele alla dottrina delle idee),
sostanza divina dualisticamente contrapposta al corpo, è profes-
sata nell'Eudemo; nel contemporaneo Protrettico, dove l'anima
è divisa in una parte razionale ed in una irrazionale (una dottrina .
che trova eco nello stesso De Anima) e l'uomo è identificato,
unicamente o principalmente, con l'intelletto, ma dove pure si
affaccia (come già aveva rilevato Nuyens) la prospettiva stru-
mentalistica; e nel successivo De Philosophia, la cui dottrina
dell'anima-endelecheia anticipa peraltro la matura concezione
dell'anima-forma come principio di movimento 48 • La possibilità
di una conciliazione di ilemorfismo e strumentalismo è ottenuta
da Lefèvre sulla base del riconoscimento che Aristotele non
fonda l'ilemorfismo psicologico (come risulta dalla posizione di
Nuyens) esclusivamente sulla causalità formale dell'anima-atto,
ma anche su quella efficiente-motrice e finale. Pur essendo
'forma' dell'intero corpo, l'anima risiede principalmente nel
cuore, e mediante· quest'organo centrale e tutta una serie di
intermediari corporei (pneuma, calore, ecc.) assicura dinamismo

46 Lefèvre: Sur l'évolt1tion, pllSsim (cfr. anche Sur le statut, 21 sgg.).


47 Cfr. anche Verbeke, Doctrine, 203 sgg.
48 In una precedente ricerca (« Quinta natura », 5 sgg.) Lefèvre aveva
anzitutto rimesso in questione lo spiritualismo (in senso stretto, come dottrina
dell'assoluta immaterialità della psychè umana) dell'Eudemo e del Protrettico.
L'Eudemo chiama l'anima eidos ti, attribuendole tutt'al più un contenuto intelli-
gibile stabile, in opposizione al sostrato indeterminato da cui essa emerge, mentre
la definizione dell'anima come sostanza semplice, proposta sempre nell'Eudemo,
potrebbe far pensare ad un' identificazione dell'anima con un corpo etereo.
In quella stessa occasione Lefèvre aveva inoltre difeso la validità delle testimo-
nianze ciceroniane (contro la loro svalutazione da parte degli studiosi che le
ritengono frutto di una contaminazione stoica) che attribuiscono al De Philo-
sophia la tesi della natura astrale ed eterea dell'anima. Sul problema dr. anche
Movia, Anima, l.S9 sgg.

Baruch_in_libris
30 INTRODUZIONE

ed efficienza al vivente. La confluenza delle prospettive ilemor-


fica e strumentalistica viene documentata ed analizzata da Le-
fèvre, fra gli altri trattati, nel De Generatione Animalium, in
Metaph. Z 7-10, in De an. B l, 4 e 8; e inoltre nel De Motu
Animalium, nell'intero De Partibus Animalium e nei Parva
Naturalia (eccetto il De Respiratione, caratterizzato da uno stru-
mentalismo dualistico e insieme 'materialistico'). S'aggiunga che
Lefèvre non trova - diversamente da Block - differenze note-
voli tra il De Anima ed i Parva Naturalia riguardo alla dottrina
del senso comune 49 ; e che egli è propenso a ritenere il De Anima
cronologicamente posteriore a diversi altri scritti di Aristotele,
compreso il De Generatione Animalium, la cui dottrina psico-
logica e noetica è meno articolata di quella del nostro trattato.
Concludiamo questa breve rassegna con un cenno ad un
recente articolo di E. Berti 50 , il quale, riprendendo i risultati
di un suo precedente volume sulla filosofia del primo Aristo-
tele 51 , si colloca nella visuale interpretativa, indicata da Dirlmeier
e Diiring, di una sostanziale continuità dottrinale tra le opere
perdute e quelle conservate. Cosl, per quanto concerne il pro-
blema psicologico, Berti è dell'avviso che l'Eudemo afferma la
tesi dell'immortalità della sola anima razionale, tesi con cui con-
corda perfettamente l'affermazione dell'immortalità del solo in-
telletto professata in De an. r 5. Ma se questo dialogo concepisce
l'anima intellettiva come una sostanza 52 eterna, esso la concepisce
pure come eidos, ossia per un verso (in termini già ilemorfici)
come forma del corpo (il quale funge da materia), e per l'altro
come capacità di apprendere gli eide delle cose 53 • L'applicazione
della dottrina ilemorfica ai rapporti tra l'anima e il corpo è
riscontrabile anche nel Protrettico. Questo scritto, infatti, che
suppone la concezione della natura contenuta nella Fisica e la
dottrina dell'atto e della potenza, presenta l'anima come causa
della vita e l'atto del vivere come l'essere dei viventi, e quindi
(sembra legittimo concludere) l'anima come causa dell'essere o
causa formale del vivente 54 • Per Berti l'accentuato dualismo tra

49 Per l'interpretazione complessiva dei Parva N aturalia come supplementi


ed integrazioni del De Anima, non in contraddizione con questo trattato (special-
mente per quanto concerne la teoria del sensus communis), dr. anche Kahn,
Sensation, 43 sgg.; Sorabji, in Mem., 63; ad 450 a 10-1, 76; Body, 72 n. 32.
so Berti, Aristate, 97 sgg.
s1 Berti, La filosofitl, passim.
S2 Riserve al riguardo in Owen, The Platonism, 130-1.
53 Su quest'ultimo punto dr. Berti, La filosofia, 432; 434; 556.
54 Per una diversa impostazione metodologica dr. S. Mansion, Deux défi-

Baruch_in_libris
CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 31

anima e corpo rilevabile in quest'opera è dovuto al suo intento


esortativo, e del resto l'espressione con cui il Protrettico raffi-
gura l'anima come << distesa e fatta aderire a tutte le membra
sensitive del corpo » 55 sembra indicare l'unione ilemorfica. Pure
l'identificazione dell'uomo soprattutto con la parte razionale del-
l'anima, ovvero col suo intelletto, designa la funzione di ~forma
dell'uomo' adempiuta dall'intelletto stesso, una dottrina che
verrà conservata nel De Anima e che si basa sul principio, enun-
ciato in Metaph. H 3, che l'intera sostanza viene denominata
dalla sua forma. Infine la divinità ed immortalità del solo
intelletto, asserite nel Protrettico, saranno ribadite anche nel
De Anima. Berti concorda poi con Lefèvre nel rifiuto di una
pretesa fase strumentalistica della psicologia aristotelica, e, per
quanto riguarda il nostro trattato, ne individua l'unità speculativa
nel rapporto di successione tra le anime-facoltà stabilito in De an.
B 3, in virtù del quale l'intelletto produttivo, nel tempo in cui
è unito al composto umano, costituisce la vera 'forma' o anima
(razionale) dell'uomo, e ne esercita le funzioni intellettive, sensi-
rive e vegetative. Ancor più recentemente Berti ha comunque
ammesso la possibilità, suggerita specialmente da Diiring, che
Aristotele, nel quadro di un'autonoma posizione filosofica, rag-
giunta già nell'Accademia (pur nell'adesione ad un fondamen-
tale platonismo), abbia redatto i trattati scolastici in varie fasi
successive, a partire dallo stesso periodo accademico 56 •

Sulla base dei dati testuali messi in luce in questo dibattito


ed in riferimento alle ipotesi interpretative (spesso molto diver-
genti) che sono state avanzate dagli studiosi, si possono ora
fissare almeno alcuni punti orientativi concernenti l'evoluzione
della psicologia aristotelica e la genesi del De Anima.
(i) Per quanto riguarda i frammenti psicologici delle opere
perdute è d'obbligo molta cautela onde evitare l'attribuzione ad
Aristotele di affermazioni troppo rigide ed univoche. T aie cau-
tela si impone sia perché la fedeltà delle testimonianze non
sempre è sicura, sia perché il genere letterario impiegato da
Aristotele - il dialogo, come ad esempio per l'Eudemo -·-
consentiva di far sostenere ad un personaggio una tesi (magari
ripetitiva o comunque ispirata ad un altro pensatore, ad esempio

nitions, 425 sgg.: il Protrettico parte dall'assimilazione dell'anima alla coscienza>


mentre il De Anima muove dall'idea di psyche come principio di vita.
ss Fr. 10 b Ross; 107 Diiring.
56 Berti, Aristotele, 93-4.

Baruch_in_libris
32 INTRODUZIONE

a Platone) che poteva non corrispondere al punto di vista dello


Stagirita, sia perché queste opere non sempre (o non in ogni
loro parte) avevano un intento rigorosamente filosofico e scien-
tifico. Ma se un tale atteggiamento di prudenza è doveroso e
non consente di proporre in questo campo niente di più di qual-
che verosimile ipotesi, cionondimeno una lettura storico-@osofica
delle parti psicologiche di questi scritti rimane pur sempre pos-
sibile, ovvero è possibile esaminare il grado di coerenza interna
dei frammenti psicologici di un'opera perduta e la loro consi-
stenza sia coi frammenti delle altre opere perdute sia con i trat-
tati, e particolarmente col De Anima.
(ii) Data come sicura l'anteriorità cronologica dell'Eudemo,
del Protrettico e del De Philosophia rispetto al De Anima, com'è
del resto confermato dai rimandi del nostro trattato alla prima
ed alla terza di queste opere 57 , e dato come dimostrato (special-
mente per merito dei lavori di Diiring) che nell'Eudemo e nel
Protrettico (oltre che nel De Philosophia, come era stato rico-
nosciuto dallo stesso Jaeger) non è riscontrabile l'adesione di
Aristotele alla dottrina delle idee, viene di conseguenza a cadere
sia l'interpretazione di coloro (come Jaeger e Nuyens) che sen-
z'altro identificano l'anima-eidos dell'Eudemo con un'idea (una
tesi che comunque lo stesso Platone non ha mai ammesso), come
pure l'esegesi più sfumata e circospetta di coloro (come Zeller,
Verbeke, Gauthier e Theiler) che ne affermano l'affinità e somi-
glianza con le idee sulle orme del Pedone platonico. Se allora
quest'anima non è un'idea e neppure è affine al mondo delle
idee, sarà un eidos (come risulta dai frammenti) anzitutto in
quanto entità o struttura capace di 'intuire' gli eide (immateriali
ed intelligibili, ossia le forme) degli enti materiali, una dottrina
che precorre la tesi della ricettività degli eide da parte del nous
affermata in De an. r 4, come fu sostenuto già da Bernays. Ma
la concezione dell'anima (intellettiva)-eidos è davvero incom-
patibile con la teoria dell'anima 'entelecheia del corpo' di De an.
B l e 4, come sostengono, fra gli altri, Jaeger e Nuyens? In
verità non si vede (come giustamente rileva Berti sulle tracce
di Di.iring) perché un Elo6~ ~" non possa essere anche un Eloo~
~t:v6c; 58 • Anche Lefèvre, che attribuisce all'anima-eidos dell'Eu-
demo nulla più di uno 'stabile contenuto intelligibile' (contrap-
posto alla 'privazione' costituita dal corpo), le riconosce lo

57 De an. A 2, 404 b 19; 4, 407 b 29.


58 Diiring, Aristoteles, 557; Berti, Aristote, 108.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 33

statuto di 'forma' e rinvia a De an. B 2, 414 a 8-14 59 • Il rapporto


tra anima e corpo stabilito nell'Eudemo corrisponde dunque a
quello tra forma e materia, conformemente alla dottrina ile-
morfica, anche se (per la ragione che sùbito vedremo) tale
dottrina non sembra combinata con ogni coerenza con quella
dello statuto antologico del nous, come invece nel De Anima.
Ma nell'Eudemo, oltre che eidos, l'anima viene definita pure
ousia. Infatti quest'anima (intellettiva) è dotata di un'esistenza
autonoma ed eterna, e come tale preesiste al corpo; essa poi
funge da eidos o forma di quest'ultimo (e quindi è sostanza
anche in quanto forma, come si dirà in De an. B l e 4 ), e gli
sopravvive. L'Eudemo ha dunque a tema l'immortalità non già
dell'intera anima (comprese cioè le parti irrazionali, come pen-
sano Jaeger e Nuyens), ma (come il Pedone) di quella intellet-
tiva, per la quale soltanto, del resto, ha senso parlare di immor-
talità. In definitiva la dottrina della sostanzialità, preesistenza e
immortalità dell'anima razionale affermata nell'Eudemo si pone
in stretta continuità con la teoria del nous di De Generatione
Animalium B 3 e del De Anima, salvo un'eccezione molto im-
portante, che getta un'ombra considerevole sul grado di matu-
razione cui erano giunte le dottrine metafisiche dello Stagirita
che stavano a monte del dialogo. L'eccezione concerne il pro-
blema decisivo dell'immortalità, la quale nell'Eudemo, come nei
frammenti delle altre opere perdute, è personale, mentre nel
De Anima concerne il solo intelletto produttivo, separato e
sostanziale. Come infatti ha mostrato Jaeger e come molto
opportunamente ha ribadito Lefèvre, l'Eudemo, il Protrettico
e il De Philosophia professano la dottrina dell'immortalità indi-
viduale, senza la quale l'insistenza di questi scritti sulla feli-
cità escatologica della contemplazione non avrebbe senso 60 • 1\Ia
se così stanno le cose, mentre il giovane Aristotele ha ammesso
l'individualità delle anime (intellettive) umane anche nel loro
stato di separazione dal corpo (prima della nascita e dopo la
morte dell'uomo), nel maturo De Anima lo Stagirita lascia invece
capire che l'intelletto, nel periodo in cui preesiste o soprav-
vive al corpo, ossia quando è privo di ogni legame con la
materia, non può essere che unico (conformemente alla dottrina

59 Lefèvre, « Quinta natura», 11 e n. 2.5.


60 Jaeger, Aristotele, 4.53; Lefèvre, Sur l'évolution, 21.5; 28.5; « Quinta
natura», 9 n. 18; 13. Invece Owen, The Platonism, 131, attenua la portata
filosofica del tema dell'immortalità dell'anima presente nei dialoghi, consideran-
dolo un semplice dato della tradizione.

Baruch_in_libris
34 INTRODUZIONE

classica di Aristotele dell'unicità dell'essenza immateriale). Se ne


può concludere che lo Stagirita nelle opere perdute (soprattutto
nell'Eudemo e nel Protrettico) è già consapevole che l'anima-
intelletto è 'forma' del corpo (con la conseguenza che l'uomo è
un essere unitario e individuale), ma quest'impostazione ile-
morfica non appare ancora abbastanza scaltrita se parallelamente
non riconosce la mutua implicazione tra immaterialità e sopra-
individualità. Da questo punto di vista, tra l'altro, diventa piut-
tosto difficile accogliere la datazione assai alta di Metaph. A
(che addirittura sarebbe anteriore all'Eudemo ed al Protrettico)
proposta da Diiring.
(ili) Con le limitazioni e le precisazioni di cui sopra, la ri-
costruzione della psicologia del Protrettico operata da Berti mi
sembra persuasiva, mentre, nonostante la serietà del suo ten-
tativo, non riesco a condividere la posizione di Lefèvre, favo-
revole alla validità delle notizie dossografiche che attribuiscono
al De Philosophia la teoria dell'anima 'quinta essenza', oltretutto
perché, all'atteggiamento 'concordistico' di coloro che rifiutano
l'attendibilità di tali testimonianze anche per la ragione che esse
contrastano con lo spiritualismo dell'Eudemo e del Protrettico
(nonché con quello del De Anima), si sostituisce un concordismo
forse ancora più ardito, che, a conforto di una lettura 'mate-
rialistica' della psicologia del De Philosophia, tenta di individuare
spunti 'materialistici' (o spiritualistici in senso largo, come Le-
fèvre preferisce chiamarli) nell'Eudemo, se non anche nel
Protrettico.
(iv) Per quanto riguarda il De Anima, mi limiterò qui a
proporre alcune considerazioni di carattere generale, rinviando
al paragrafo seguente la discussione dettagliata del problema della
genesi dei singoli libri e capitoli. Va innanzitutto rilevato che,
nell'ordinamento del corso biologico di Aristotele, il nostro
trattato occupa un posto centrale 61 , e che, da un punto di vista
logico, esso ne costituisce la « prefazione generale » 62 • Si può
inoltre ammettere che la redazione del De Anima abbia avuto
inizio negli anni dei viaggi, e che sia proseguita e terminata
durante il periodo dell'insegnamento ateniese. Ben più incerte,
perché legate a criteri molto soggettivi, sono invece le varie
(e spesso contrapposte) ipotesi storico-genetiche circa l'esistenza
di due strati all'interno del nostro scritto. Se è vero che, dato

61 Cfr. supra 18 e n. 8.
62 Allan, La filosofia, 53. Cfr. anche Lanza-Vegetti, Opere, 485-7.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 35

il carattere particolare dei trattati aristotelici, destinati ad essere


letti ed usati nella scuola, e quindi suscettibili di essere continua-
mente riveduti e corretti dall'autore 63 , l'ipotesi di una duplice
redazione del De Anima in linea di principio non è escludibile,
di fatto non è facilmente accertabile, tranne per alcuni, circo-
scritti casi di aggiunte o ripetizioni. Del resto tale ipotesi sovente
sembra dipendere troppo meccanicamente da un'assunzione più
generale circa l'intero arco evolutivo del pensiero dello Stagirita,
e comunque non sempre è preceduta da un'indagine severa, ma
al tempo stesso senza pregiudizi, sulla struttura e coerenza
interna del testo, la quale eviti di esasperare e di contrapporre
i diversi livelli in cui si situa la ricerca aristotelica, e di tro-
vare contraddizioni anche dove non ce ne sono. In realtà la
supposizione che la dottrina filosofica e 'platonizzante' del nous
di De an. r sia anteriore ed incompatibile con la psicofisica
di De an. A-B (Jaeger), e, all'inverso, quella che individua nel
De Anima uno strato biologico ed analitico, precedente quello
filosofico e sintetico (Theiler, Dorrie e Diiring), o che comunque
attribuisce ad un~ seconda stesura dello scritto la teoria del
nous (von Arnim e Gohlke), vengono ad elidersi a vicenda.
In effetti l'ipotesi di una sostanziale unità speculativa del nostro
trattato ed insieme di una sua fondamentale unità letteraria è
sufficientemente difendibile. Difatti il problema del rapporto
tra anima e intelletto e quello della natura del nous non com-
paiono appena in De an. r (come afferma Jaeger), ma, almeno
nei loro tratti essenziali, sono presenti già nei primi due libri.
Cosi pure la dottrina del motore immobile non poté originare
la seconda stesura del libro r (come pensa Gohlke), perché è
contenuta già in A e B. Né vale la soluzione di comodo di consi-
derare inserti posteriori i passi che non si accordano con l'ipo-
tesi evolutiva mediante la quale si analizza il testo. Neppure la
presupposizione che Aristotele avrebbe ammesso la possibilità
di una definizione universale di anima, dopo averla in un primo
tempo negata (Theiler), trova conferma nei testi 64 , mentre non
più proponibile è la discriminazione, operata da Ross, tra una
parte strumentalistica e biologica ed una parte (cronologicamente
posteriore) ilemorfica del nostro trattato. In verità l'impianto
speculativo del De Anima è sufficientemente compatto. L'appli-
cazione della dottrina ilemorfica al vivente, in concordanza con

63 Jaeger, Studien, 131 sgg.


64 Cfr. in fra 42.

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36 INTRODUZIONE

l'ontologia dei libri centrali della Metafisica, frutta la defini-


zione universale di anima come forma del corpo, una definizione
che non pregiudica l'esistenza di un'anima, la quale, oltre che
forma, sia sostanza alla maniera dei motori immobili di Me-
taph. A. Quest'anima è precisamente il nous 'produttivo', il
quale nell'uomo, oltre che esercitare le funzioni dell'intelletto
'passivo' (corruttibile, perché legato alla sensibilità), è capace,
in virtù del rapporto di successione esistente tra le anime-facoltà,
di assolvere anche le funzioni sensitive e vegetative. :E: proprio
in questo punto che. il livello filosofico e quello empirico-
scientifico dell'opera si saldano indisgiungibilmente, talché la
loro separazione e contrapposizione e la loro collocazione in
tempi successivi da un lato mostrano che forse troppo precipi-
tosamente si sono trascurati quegli elementi dottrinali che con-
sentivano. una lettura unitaria del nostro scritto, e dall'altro
costringono a pesanti interventi sul testo. In conclusione l'unità
speculativa del De Anima riposa sull'integrazione della noetica
nell'ilemorfìsmo psicologico. Aristotele non assume il nous sem-
plicemente come un elemento della 'tradizione platonica' (Jaeger),
cui giustappone la propria originale psicofisica, né si trova dinanzi
ad un reale 'dilemma' (Nuyens) tra anima ed intelletto. In virtù
della distinzione dei due intelletti (che indubbiamente rappre-
senta il punto più avanzato ed elaborato della noetica dello
Stagirita), il nous produttivo è sostanza e insieme forma, e
adempie le funzioni dell'intelletto 'passivo', un intelletto intrin-
secamente dipendente dalla sensibilità. Ciò consente di parlare
di una effettiva 'sintesi' (Diiring) nell'uomo - e non di una
mera giustapposizione o di una tensione antinomica - di anima
e intelletto e di razionalità e sensibilità. A quest'unità teoretica
di fondo del nostro scritto corrisponde un'unità letteraria, al-
meno nelle linee essenziali. Ad essa peraltro non sempre s'ac-
compagna un'organica e compatta sistemazione e distribuzione
del materiale, né essa sempre impedisce l'insorgere nel testo
di lacune, aggiunte, ripetizioni e ritocchi: tutti fatti imputa-
bili in gran parte allo stesso autore, ma anche, in certa misura,
a qualche discepolo, e, più in generale, alle travagliate e ben
note vicende cui i trattati aristotelici andarono incontro 65 , e
quindi agli interventi e rimaneggiamenti degli editori. Cionon-

65 Diiring, Notes, 3.5 sgg.; Ariston, 13 sgg.; Aristotle, 393 sgg.; Aristoteles,
36 sgg.; Moraux, Les listes, 311 sgg.; Movia, Anima, 174 sgg.; Berti, Arzsto-
tele, .51 sgg.

Baruch_in_libris
CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 37

dimeno, se la nostra opera si presenta in un tutt'altro che


perfetto assetto letterario, essa non manifesta al suo interno
cambiamenti radicali nelle concezioni del suo autore. Con ciò
evidentemente non ci si vuoi nascondere le difficoltà teoriche
e metodologiche in cui talvolta la psicologia aristotelica si dibatte,
come pure la presenza nel discorso dello Stagirita di nodi proble-
matici irrisolti, di intuizioni a volte discordanti e di incon-
gruenze 66 • Tuttavia queste difficoltà e inconsistenze per un verso
non si spiegano (o si spiegano molto raramente) col ricorso al
metodo storico-genetico (il quale tra l'altro, di fronte ad esse,
nel suo sforzo di coerentizzare - fase per fase - il pensiero
aristotelico, di fatto si pone come un nuovo tipo di concor-
dismo), ma piuttosto con l'analisi della contestualità storica e
culturale in cui lo Stagirita si trovò ad operare 67 , e per l'altro,
a mio avviso, non attentano alla fondamentale unità speculativa
del nostro tratta to.

3. GENESI DEI SINGOLI LIBRI E CAPITOLI.

Dopo le considerazioni di carattere generale del precedente


paragrafo, affrontiamo ora il problema della cronologia e della
genesi del De Anima relativamente ai singoli libri e capitoli.
Il primo libro si presenta sistemato in maniera sufficiente-
mente organica. Dopo un'introduzione, in cui sono messi in
luce il valore e l'utilità della psicologia, e ne viene discusso
il metodo e individuata la problematica (c. 1), tutto il resto
del libro è occupato da un'analisi storico-critica delle dottrine
dei predecessori, che. vengono innanzitutto esposte (c. 2), e
successivamente confutate (cc. 3-5). Si inizia con la critica delle
teorie cinetiche e del Timeo, e della modalità con cui i filosofi
anteriori hanno considerato la relazione tra l'anima e il corpo
(c. 3). Aristotele confuta quindi la dottrina dell'anima-armonia
e rivolge le prime sei obiezioni alla teoria senocratea dell'anima
come numero semovente (c. 4). Chiudono il libro il séguito della
critica di Senocrate, le obiezioni alle dottrine elementaristiche,
altre critiche dei predecessori e, sulla scia di queste ultime, un
excursus sull'unità e la divisibilità dell'anima (c. 5).
Come si è già accennato, Jaeger sostiene la posteriorità spe-

66 ar. infra 102 sgg.


67 Mignucci, Teoria, 208.

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38 INTRODUZIONE

culativa (se non cronologica) dei libri A e B rispetto a r, che


professa la dottrina platonica del nous 'separato' 1, mentre
Gohlke afferma che il primo libro è più tardo del secondo e
della prima stesura del terzo 2 • Sennonché anche nei primi due
libri, e non solo nel terzo, è contenuta la teoria dell'intelletto,
e inoltre le dottrine del motore immobile, dell'intelletto e
dell'immaginazione - con cui Gohlke documenta la (relativa-
mente) tarda datazione di A- sono indizi favorevoli all'omo-
geneità teoretica del trattato, piuttosto che all'aprioristica ipotesi
genetica di Gohlke. Del resto Gohlke stesso, in altra occasione,
adotta al riguardo una posizione più prudente, considerando
inserti posteriori gli elementi dottrinali che egli ritiene più
evoluti e maturi, ma astenendosi dal pronunciarsi sulla crono-
logia dell'intero libro A. Gohlke ammette inoltre l'unità di
composizione del primo libro, consacrato alla critica dei prede-
cessori 3 • E in realtà il carattere introduttivo di A risulta proprio
dalla discussione delle altrui doxai, in conformità al costante
metodo di Aristotele di far precedere all'esposizione delle pro-
prie teorie, oltre che la discussione dei problemi da affrontare,
quella delle opinioni altrui.
Per quanto concerne A l, Gigon è dell'avviso che il pro-
gramma di lavoro ivi contenuto non fu formulato per il testo
del De Anima che abbiamo a disposizione 4 • Si tratta di una
tesi inaccettabile, poiché i problemi elencati e gli spunti meto-
dologici accennati nel c. l trovano· un sostanziale, e spesso anche
puntuale riscontro nel corso del trattato 5 • Del resto ciò è am-
messo anche da Dorrie, il quale sottolinea opportunamente che
questo proemio funge come da guida alla lettura dell'intera
opera, per ciò che riguarda i punti tematicamente e metodica-
mente più importanti, anche se egli cade nell'eccesso uguale e
contrario a quello di Gigon, di considerare cioè la redazione
del c. l posteriore almeno a quella dei primi due libri 6 •
Lo stretto legame che unisce il c. l ai capitoli seguenti è
indicato dallo stesso Aristotele all'inizio del c. 2, dove si af-
ferma che l'esplorazione dei problemi e l'esame delle doxai
costituiscono le parti di una medesima ricerca 7 • Interessante

1 Jaeger, Aristotele, 452.


2 Gohlke, Die Entstehung der arist. Prinzipienlehre, 63.
3 Gohlke, in De an., 11; 133 n. 1.
4 Gigon, in De an., 222.
s Cfr. in fra 49 sgg.
6 DOrrie, Gedanken, 225-6; 231-2.
7 De an. A 2, 403 h 20-2.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 39

è pure osservare come nel c. 2 vi sia un implicito riferimento


alla dottrina del motore immobile 8 - una dottrina che per
Gohlke appartiene alla seconda stesura del nostro scritto 9 - ,
in un contesto che non offre alcun appiglio per essere conside-
rato un inserto posteriore. Nel c. 2 lo Stagirita espone le teorie
dei predecessori facendole rientrare in tre schemi. Al riguardo
poco convincente appare l'ipotesi di Gigon, il quale, ritenendo
che la successione dei tre schemi non sia convenientemente
motivata, e rilevando che l'esposizione è tutt'altro che accurata
e contiene diversi excursus ed aggiunte, suppone che un editore
abbia conservato di tutto il testo soltanto le parti che erano
proprie di ciascuno schema, ed abbia inserito nuovo materiale
che serviva a connettere i tre schemi 10 • Poco persuasiva è anche
l'opinione di Theiler, il quale contrappone al più antico schema
bipartito dell'anima come principio cinetico e gnoseologico, uno
schema più recente, che alle due prime funzioni psichiche
aggiunge quella dell'incorporeità, e che viene impiegato da
Aristotele in 404 h 27-405 h 29 11 • Che però gli schemi usati
dallo Stagirita non siano mutualmente esclusivi, ma volta a volta
(a seconda del punto di vista adottato) accentuino ora l'una
ora l'altra delle funzioni o aspetti dell'anima, senza trascurare
le rimanenti (il che comporta alcune ripetizioni), e quindi non
appartengano a diversi periodi cronologici, è dimostrato dal fatto
che già nell'esposizione delle teorie cinetiche si fa strada il
riferimento alla funzione conoscitiva e all'aspetto dell' 'incor-
poreità' u. Cosi pure lo schema delle archai si pone in continuità
con l'aspetto gnoseologico evidenziato nello schema precedente,
e insieme sottolinea la funzione cinetica e il dato dell'incor-
poreità 13 •
Riguardo al c. 3, Gohlke 14 considera 406 a 3-12 un'aggiunta
posteriore 15 , anzitutto per la citazione di Ph. a mediante l'im-
provviso 7tp6-rEpo'V ( 406 a 3), poi per la comparsa di una dottrina

8 De an. A 2, 403 h 29-30. Cfr. anche 404 a 24-5; inoltre Gigon, in De


an., 223.
9 ar. supra 19.
10 Gigon, in De an., 226.
11 Theiler, in De an., 10-2; ad 404 h 21, 94-.5.
u De an. A 2, 403 h 31-404 h 6. Or. anche Moraux, recens. a Theiler,
in De an., 103-4.
13 De an. A 2, 404 h 30-40.5 h 10.
14 Gohlke, in De an., 3.5; 134-5 n . .5.
15 Secondo Busse (in De an., 98 n. 39), l'intero brano corrispondente a
406 a 3-16, per i numerosi intoppi che presenta (come il conteggio di quattro,
e non di tre movimenti), va ritenuto una tarda interpolazione.

Baruch_in_libris
40 INTRODUZIONE

personale (quella del motore immobile) nel corso dell'esposi-


zione di teorie altrui, inoltre perché il concetto di movimento
xa.D' E"tEpov di 406 a 4-5 (caratteristico della tematica del motore
immobile) è del tutto diverso da quello di movimento xa"tà.
CTVJ.L~E~T)x6~ di 406 a 18, e infine per la dipendenza del numero
(quattro; dr. 406 a 12) dei movimenti da Ph. a, dove la quarta
forma di movimento è considerata la yÉ'VEO"L~- cpDopri. A mio
avviso non si tratta però di argomentazioni decisive. Innanzi-
tutto 1tp6'tEpov può essere riferito a De an. A 2, 403 h 29-31.
Inoltre con l'inizio della discussione critica delle teorie dei pre-
decessori, i richiami alle dottrine personali diventano sempre
più frequenti. La diversità, poi, del movimento kath' heteron
rispetto a quello katà symbebekos non autorizza a contrapporre
i due rispettivi brani. Il primo tipo di movimento e il connesso
paragone del navigante sono infatti impiegati dallo Stagirita per
illustrare in via introduttiva e nella maniera più plastica ed
evidente la natura del moto accidentale 16 • Infine va ricordato
che in P h. 9 7, 260 a 26 sgg. Aristotele enumera tre specie di
movimenti, con esclusione, come nel nostro testo, di yÉvEaL~ -
cpaopa 17 •
Il c. 4 è forse il meno compatto del libro. Anzitutto, benché
alla fine di A 2 Aristotele avesse dato per conclusa l'esposizione
delle doxai, viene brevemente riferita una nuova dottrina, quella
dell'anima-armonia, una dottrina che non rientra negli schemi
impiegati nella rassegna storica di A 2 18 , ma che comunque da
un lato si presenta come un'attenuazione ed un perfe_zionamento
delle teorie elementaristiche e materialistiche di tipo empedo-
cleo 19 , e dall'altro mette a nudo nodi problematici già in prece-
denza toccati dallo Stagirita. Cosi, tra le obiezioni rivolte a
questa dottrina, una è che essa non può dar conto della funzione
motrice dell'anima, una caratteristica riconosciuta pressoché da
tutti i pensatori, ed un'altra è che essa non consente la deduzione
delle facoltà o funzioni psichiche, non ottemperando in tal modo
ai requisiti della definizione scientifica precedentemente stabi-
liti 20 • Gohlke 21 vede nell'intero brano 407 h 27-408 a 28 dedi-
cato all'anima-armonia un inserto posteriore, come proverebbe

16 ar. anche Hicks, ad 406 a 4-5, 241-2.


17 Cfr. anche Ph. E l, 225 a 26 sgg.
18 Gigon, in De an., 228-9.
19 ar. infra 57.
20 De an. A 4, 407 b 34408 a 5. Cfr. A 2, 403 b 25 sgg.; l, 402 b 26 sgg.
21 Gohlke, in De an., 135 n. 9.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 41

lo stile, che ricorda quello degli scritti pubblicati di Aristotele.


Ma su questa presunta differenza di stile Gohlke non offre ul-
teriori ragguagli. Alla dottrina dell'anima-armonia vengono mosse
cinque obiezioni. La prima (407 h 32-4) consiste nella semplice
enunciazione di una difficoltà, e questa stessa difficoltà viene
ripresa ed ampiamente motivata nella quinta (408 a 5-18).
L'esistenza di tale doppione non è sfuggita agli studiosi. Così
Bonitz 22 considera 407 h 32-4 un abbozzo di prova e 408 a 5-18
la sua effettiva elaborazione. Egli però fa osservare che è impos-
sibile ammettere che un autore avveduto abbia presentato due
forme dello stesso argomento come due argomenti distinti.
D'altra parte- prosegue Bonitz - non si può collocare 408 a
5-18 immediatamente dopo 407 h 32-4, giacché 408 a 5-18 è
strettamente collegato con 408 a 18-23, mentre l'atetesi di 407 h
32-4 o di 408 a 5-18 lascerebbe una manifesta lacuna. L'incon-
veniente lamentato, secondo Bonitz, va imputato ad un editore,
che avrebbe malamente riprodotto i due testi dello Stagirita
(407 h 32-4 e 408 a 5-18) isolandoli. Invece secondo Theiler
Aristotele inserl in un secondo tempo 408 a 5-28, e non eliminò,
come avrebbe dovuto fare, 407 h 32-4 23 • Dopo un breve excursus,
che coinvolge nella critica dell'armonismo psicologico anche Em-
pedocle (il quale viene posto dinanzi a tre dilemmi), Aristotele,
conformemente al metodo antinomico impiegato in Metaph. B,
propone due argomentazioni a favore della teoria dell'anima-
armonia. Segue un nuovo passo polemico contro le dottrine
cinetiche, che culmina in alcune riflessioni sul nous (408 a
29-b 29). Gohlke 24 lo ritiene un Nachtrag, che avrebbe trovato
una migliore collocazione alla fine della trattazione dell'anima
come causa di movimento. Un'aggiunta è considerato il brano
408 h 18-29 da Theiler e Diiring 25 , ma non è ipotesi sostenibile,
giacché il passo 408 a 34-b 29 è strutturato precisamente sulla
distinzione tra i 'movimenti' o funzioni dell'anima che hanno
per soggetto il composto e l'intelletto sostanziale ed eterno 26 •
Anche il secondo libro presenta una struttura abbastanza
omogenea, benché la sua distinzione dal terzo sia piuttosto arti-
ficiosa. Una prima sezione riguarda il problema della definizione
dell'anima e della sua ripartizione in facoltà (cc. 1-3). Viene
22 Bonitz, Zur Erleliirung, 430-2.
23 Theiler, in De an. 1 16; ad 408 a 4, 99.
24 Gohlke, in De an., 13.5 n. 9.
25 Theiler, in De an., ad 408 b 18-29, 100; Diiring, Aristoteles, .5.59.
26 Cfr. anche Gigon, in De an., 229-30: l'anima e poi il nous 'motori im-
mobili' rispetto agli organi corporei 'mossi'.

Baruch_in_libris
42 INTRODUZIONE

anzitutto proposta la definizione generale di anima come forma


del corpo (c. 1), segue la dimostrazione di questa prima defini-
zione mediante una seconda (c. 2), e quindi si sottolinea la
necessità di stabilire, oltre la definizione comune e universale,
definizioni particolari e proprie delle diverse anime e facoltà
(c. 3). Dopo la trattazione della facoltà nutritiva (c. 4), comincia
la lunga ricerca sulle facoltà 'critiche'· o conoscitive (B 5-r 8),
a partire dalla aisthesis. La terza sezione del libro B, che rag-
gruppa i rimanenti cc. 5-12, è infatti dedicata allo studio della
facoltà sensitiva (studio che proseguirà sino a r 2). Ad una
serie di osservazioni generali al riguardo (c. 5) ed alla distinzione
-dei vari tipi di oggetti sensibili (c. 6), fanno séguito la trattazione
dei cinque sensi speciali, quelli a distanza (cc. 7-9: vista, udito
e olfatto) e quelli per contatto (cc. 10-1: gusto e tatto), ed altre
considerazioni sulla sensibilità in generale (c. 12).
Theiler 27 pensa che B l, 412 a 4-413 a lO e B 2, 414 a 4-3,
414 h 19 appartengano alla seconda redazione del nostro scritto
e che in questi passi Aristotele abbia ammesso la possibilità
di una definizione generale di anima che in un primo tempo
aveva negata, e ciò in conseguenza di un'impostazione più filo-
sofica ed unitaria della psicologia, ben diversa dall'analisi empi-
rica dei singoli fenomeni psichici rappresentata dalla prima re-
dazione 28 • Questo punto di vista, secondo Theiler, trova con-
ferma nell'esordio di B 2, che annuncia una nuova ricerca, la
quale non sembra presupporre i risultati di B l 29 • Sennonché
la posizione di Theiler non è difendibile, sia perché ripropone,
sia pure in termini rovesciati, la aprioristica contrapposizione
jaegeriana di teoria ed empiria, sia perché di fatto le argomen-
tazioni messe in opera dallo Stagirita in B 1-3 sono sufficien-
temente limpide e coerenti. La definizione universale di anima
come forma e principio di animazione del corpo in sé è vera,
ma cionondimeno è provvisoria ed approssimativa (B l), da un
lato perché dev'essere adeguatamente fondata e dimostrata me-
diante una seconda definizione, ·basata, quest'ultima, sulla poli-
vocità del concetto di vita (B 2), e dall'altro perché ad essa
devono accompagnarsi le definizioni particolari e proprie dei
singoli tipi di anima (B 3).
Per quanto riguarda il c. 4, il brano 415 h 8-27, avente a

27 Theiler, in De an., 24-30; 73 sgg.; 109.


28 Cfr. anche Gigon, in De an., 237; DOrrie, Gedanken, 227; Diiring,
Aristoteles, .559.
29 Cfr. anche Gohlke, in De an., 13.5 n. 10.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 43

tema la triplice causalità dell'anima, è uno « Stiick allgemeiner


Seelenlehre » 30 , che sembra interrompere il discorso sulla facoltà
nutritiva. Hicks 31 è dell'avviso che l'intero passo 415 b 8-416 a
18 avrebbe trovato una migliore collocazione accanto alla defi-
nizione di anima come atto 32 , mentre Theiler 33 , daccapo, lo ri-
tiene un'aggiunta posteriore, dettata da preoccupazioni filoso-
fiche 34 • Ma, se la stretta connessione di 415 h 28-416 a 18
(critica delle teorie dei predecessori sulla nutrizione e la crescita)
con il resto del capitolo balza agli occhi, pure il brano 415 h
8-27 non è privo di legami con il contesto. Cosl, mentre in
415 a 19-b 7 si afferma che il fine dei viventi in generale è
l'eternità della specie, il nostro passo mostra che il fine di ciascun
\"'ivente in partic_olare è la sua anima. Inoltre il nostro brano
stabilisce che l'anima è causa di mutamento anche e proprio
in quanto è principio dei fenomeni vegetativi del vivente 35 •
Molto disarticolato e sconnesso è invece il c. 5, che passa alter-
nativamente da osservazioni generali sulla facoltà sensitiva a
riflessioni su concetti teorici (fisici e metafisici) atti ad illu-
strarla 36 •
Gohlke 37 avanza l'ipotesi che B 12 sia un Zusatz, il quale,
mutuando la nuova dottrina del Zentralsinn dai Parva Nbturalia,
avrebbe dovuto sostituire il testo corrispondente ai due ultimi
capitoli di r, che invece furono conservati e collocati alla fine
dell'opera. Parallelamente, secondo Gohlke, vanno considerati
inserti posteriori tutti gli accenni che si leggono in B 11 sulla
carne come 'mezzo' del tatto e sul proton aisthet;erion 38 • Ora la
teoria della carne come mezzo del tatto, anticipata del resto già
in B l Oe non in contraddizione - con buona pace di Gohlke 39 -
con B 7, 419 a 30-1 né con r 12-3, e quella del cuore come
suo organo 'interno' professate in B 11, si inserivano agevol-
mente nella discussione aristotelica sugli 'intermediari' e gli

30 Gigon, in De an., 239.


31 Hicks, in De an., ad 415 b 8-416 a 18, 341.
32 Cfr. anche Forster, in De an., ad 415 b 7-416 a 18, 163; Busse, in De an.,
103 n. 26.
33 Theiler, in De an., 30-1; ad 415 b 8, 114.
34 Cfr. anche DOrrie, Gedanken, 233; Diiring, Aristoteles, 559.
35 Cfr. anche Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere 1243; Lefèvre, Sur l'évo-
1

lution, 57 n. 3; Berti, Aristotele, 378.


36 Cfr. anche Gigon, in De an., 242-4.
37 Gohlke, in De an., 8; 11-12; 138 n. 19.
38 Cfr. gli analoghi rilievi di Gohlke, in De an., 140 note 25-6, a proposito
di temi simili emergenti in De an. r 2 (al riguardo cfr. anche Theiler, in De an.,
ad 426 b 16, 134).
39 Gohlke, in De an., 137 n. 17•.

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44 INTRODUZIONE

organi dei cinque .sensi speciali, e fondano la distinzione tra i


sensi a distanza e quelli per contatto. Inoltre con B 12 (e sino
a r 2) si ritorna abbastanza naturalmente ad una considerazione
globale della sensibilità, riprendendo alcuni temi affrontati in
De an. B 5-6, mettendo a frutto i risultati ottenuti nella ricerca
sui sensi speciali (particolarmente la nozione del senso come
facoltà di 'giudizio', e quella del senso come mesotes e logos,
guadagnata mediante l'analisi del tatto), ed allargando la visuale
su nuovi e più complessi aspetti della conoscenza sensitiva.
Data la (relativa) compattezza tematica di B 11-r 2, l'arti-
ficiosità dell'inizio del terzo libro a 424 h 22, del resto comu-
nemente rilevata dagli studiosi 40 , balza sùbito agli occhi. D'altro
canto esso trova forse una giustificazione plausibile nel fatto che
dall'analisi della percezione elementare propria di ciascun senso
compiuta nel libro precedente, in r 1-2 si passa ad affrontare
il problema della composizione delle percezioni, il quale intro-
duce allo studio dei processi psichici superiori (immaginazione
e pensiero) che inizia in r 3 41 • Una prima sezione di r può
dunque essere individuata nei cc. 1-2. Dopo la dimostrazione
della finitezza di numero dei sensi speciali ed una puntualizza-
zione sul 'senso comune' e su altre associazioni percettive (c. 1),
viene affrontato il problema della coscienza della sensazione
e quello della discriminazione percettiva, intervallati - alquanto
disorganicamente 42 - da una ripresa della dottrina dell'attua-
lizzazione del senso e di quella della aisthesis come 'proporzione'
(c. 2). Segue poi l'indagine sulla phantasia (c. 3 ), e quindi la
terza sezione del libro che comprende la trattazione dell'intel-
letto (cc. 4-6), di cui si possono considerare appendici il c. 7,
che inizia già il discorso sull'attività pratica, ed il c. 8, che fa
il punto sulle facoltà conoscitive. Una quarta sezione abbraccia
il problema della facoltà appetitiva e locomotoria (cc. 9-11),
mentre la quinta ed ultima tratta la questione del finalismo
delle facoltà e dei sensi (cc. 12-3 ).
La mancanza nel c. 3 di un disegno unitario è stata lamen-
tata da diversi autori. Cosi Gohlke 43 è del parere che in questo
capitolo si giustappongono una concezione più antica della phan-
tasia, che lo Stagirita intendeva ancora come libero 'gioco' del

40 Or., ad es., Gigon, in De an., 246; Gohlke, in De an., 12; 138 n. 19.
Cfr. anche infra 346 n. 2.
41 Wallace, in De an., 258; Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1243-4.
42 Gigon, in De an., 248; Hamlyn, in De an., 121.
43 Gohlke, in De an., 11; 133 n. l; 140 n. 28.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 45

soggetto, ed una, più recente, di essa come 'facoltà di rappre-


sentazione' e conditio sine qua non del pensiero. Pur muoven-
dosi da tutt'altro punto di vista, anche Hamlyn 44 ritiene che
il principio di unità del capitolo sia molto vago, e ciò in quanto
per lo Stagirita la phantasia ha per oggetto le « appearances in
generai » 45 • Un brillante tentativo di reinterpretazione della
dottrina aristotelica della phantasia, che per un verso scalza
l'ipotesi genetica di Gohlke e per l'altro guadagna la specificità
e (relativa) unitarietà di questo processo psichico, è stato com-
piuto da Schofield 46 , il quale mostra che per lo Stagirita il campo
dei phainomena costituisce il termine di apprensione di due
facoltà specificamente distinte e coordinate: la percezione (o
esperienza sensibile ordinaria) e la phantasia o immaginazione
(o esperienza sensibile non ordinaria), quest'ultima distinguibile
a sua volta in 'normale' (dalle immagini mentali alle percezioni
indistinte ed alle illusioni sensorie) ed 'anormale' (come le allu-
cinazioni ed i sogni). Questa (relativamente) chiara impostazione
non evita peraltro al capitolo una certa frammentarietà ed alcune
ripetizioni, interpretabili anche come aggiunte posteriori. Si pensi
particolarmente a 428 a 18-24, dove si dimostra la differenza
tra phantasia e doxa senz'alcun riferimento a 427 h 16-24, che
discute il medesimo problema e che quindi molto probabilmente
è una tarda inserzione, se tale non è addirittura l'intero brano
427 h 6-26 47 •
Il c. 4 pone il problema della sua collocazione entro l'or-
dinamento del trattato. In base al metodo fin qui seguìto, che è
stato quello di procedere dalle facoltà inferiori alle superiori,
e dalle più comuni alle meno comuni, Aristotele avrebbe dovuto
iniziare la ricerca non già sul nous, ma sulla facoltà cinetica.
Hicks 48 spiega questo fatto adducendo due motivi: l'intenzione
dello Stagirita di trattare di séguito le due facoltà 'critiche',
il senso e l'intelletto, e inoltre l'opportunità di considerare in
primo luogo l'intelletto, poiché è una delle cause della loco-
mozione. Non diversa è la spiegazione di Ross 49 , secondo cui
c'è maggiore affinità tra percezione, phantasia e ragione, tutt'e

44 Hamlyn, in De an., 129.


45 Cfr. anche Gigon, in De an., 248.
46 Schofield, Aristotle, 108; 111; 123; 129; 136 n. 58; 138 n. 84.
47 Schofield, Aristotle, 103; 132 n. 20. Cfr. anche Busse, in De an., 110
n. 20; Gohlke,_ in De an., 140 n. 28; Gigon, in De an., 249 (su 428 a 22-b 9).
48 Hicks, in De an., 474.
49 Ross, in De an., 291.

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46 INTRODUZIONE

tre facoltà « cogruttve or quasi-cogmttve », che non tra perce-


zione, phantasia e movimento. Infine Theiler 50 rileva come, con
questo capitolo, Aristotele realizzi il proposito avanzato in r 3,
427 b 29, di far seguire allo studio della phantasia quello della
hypolepsis o nous.
Al celebre c. 5 - come si è già accennato in precedenza-
i sostenitori del metodo storico-genetico hanno assegnato una
datazione alta o più recente, a seconda della loro interpretazione
globale dello 'sviluppo' speculativo di Aristotele. Cosl, per l'ori-
gine antica (periodo dei viaggi) dei 'platonizzanti' cc. 4-5 si
dichiara Jaeger 51 , mentre, al contrario, von Arnim pensa che
la redazione del c. 5 segul alla assai tarda scoperta della teoria
della pluralità dei motori immobili di Metaph. A 8 52 , e cosl
pure Gohlke difende la datazione recente della dottrina del-
l'intelletto, che segnò il recupero, da parte dello Stagirita, dello
spiritualismo platonico - al polo opposto del suo iniziale em-
pirismo - , e che si accompagnò alla scoperta del motore immo-
bile 53 • Alla seconda redazione del De Anima, caratterizzata da
una prospettiva 'filosofica' e metempirica, fanno risalire il c. 5
anche Theiler, Dorrie e Diiring 54 • Ma che la cesura tra plato-
nismo ed empirismo, o tra spiritualismo e naturalismo, sia un
falso problema è dimostrato dallo stesso, interno assetto teorico
dir 4-5 (a parte l'indubbio influsso del nous platonico): la radi-
cale potenzialità del nous pathetikos (e delle altre dynameis
psichiche) richiede necessariamente 55 un principio attivo, il nous
poietikos 56 •
Che il c. 7 sia una raccolta di pensieri frammentari intorno
a quattro o cinque argomenti risulta dalla semplice lettura del
suo sommario ~... Riguardo al c. 8, Dorrie 58 esprime la convin-
so Theiler, in De an., 139.
st Jaeger, Aristotele, 447 sgg.
52 Von Arnim, Die Entstehung, 73-4 .
.53 Gohlke, Die Entstehung der arist. Prin%ipienlehre, 57-63; in De an., 16-8.
54 Theiler, in De an., 142; DOrrie, Gedanleen, 233; 238; Diiring, Aristo-
teles, .559; 581 sgg. Cfr. anche Gigon, in De an., 251.
ss De an. r 5, 430 a 13: ananke.
56 Cfr. anche Hamlyn, Aristotle's Account, 6; Sensation, 17-8; in De an.,
ad 430 a 10, 140.
sr Cfr. infra 388 n. l; inoltre Torstrik, in De an., 199 sgg.; Gigon, in
De an., 2.51-2; Theiler, in De an., 146; Ross, in De an., .5; 49; 303; Hamlyn,
in De an., 145. Invece per Gohlke (in De an., 143-6 note 3.5-6) il c. 7 - che
apparterrebbe alla seconda redazione del De Anima- troverebbe la sua unid
nel concetto di oreleton come motore immobile, mentle il brano 431 a 17-b l,
dedicato alla dottrina - pur essa tarda - del Zentralsinn, sarebbe una di-
gressione.
58 DOrrie, Gedanleen, 239-41.

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CRONOLOGIA E GENESI DEL DE ANIMA 47

zione che si tratta di un Ansatz, il quale introduce un punto


di vista metodologico (metafisica e gnoseologico: concezione
unitaria dell'anima, diairesis degli enti, problema della verità
e dell'errore) divergente dalla ricerca fisico-biologica fin qui
perseguita. Da parte sua Hamlyn 59 giunge sino a dubitare del-
l'autenticità di questo capitolo, o almeno della sua originaria
appartenenza al libro r. Ma in realtà il c. 8, che si presenta
come un'opportuna ricapitolazione generale sulle facoltà cono-
scitive prima dell'inizio di una nuova sezione del trattato, non
fa che ribadire, precisare e in qualche caso integrare (si veda
soprattutto la distinzione tra immagini da una parte e con-
cetti e giudizi dall'altra) le principali asserzioni al riguardo
enunciate e discusse nei capitoli precedenti.
Per quanto concerne i cc. 10-1, Gohlke 60 sostiene la recen-
ziorità dei brani r 10, 433 a 10-2; 18; 24-30; 433 h 11-2; 10,
433 h 13-11, 434 a 12, che contengono la nuova concezione
della phantasia e come principio propulsivo dell'azione non
considerano più la facoltà appetitiva, ma l'orekton in quanto
motore immobile, com'è confermato - secondo Gohlke -
dalle oscillazioni della tradizione manoscritta tra orekton ed
orektikon in r 10, 433 a 18, 20 e 21. Ma come è assolutamente
aprioristica ed arbitraria l'opinione di Gohlke che la dottrina del
Motore immobile sarebbe una tarda scoperta di Metaph. A (oltre
che di Ph. a e del De Motu Animalium), talché la sua presenza
in altri passi del corpus Aristotelicum sarebbe dovuta ad aggiunte
posteriori 61 , così è del tutto artificiosa la contrapposizione che
Gohlke opera tra orektikon ed orekton. Al riguardo, il punto
di vista teorico dello Stagirita è infatti abbastanza chiaro e
coerente: il moto ed il comportamento dell'animale trova fon-
damento nell'anima in quanto causa motrice e, più precisamente,
in una specifica facoltà (l'orektikon), il funzionamento della
quale (orexis) - afferma Aristotele in conformità alla costante
dottrina del De Anima 62 - non può tuttavia essere attivato che
dall'oggetto corrispondente (l'orekton). Pertanto il discorso su
quest'ultimo non è per nulla un locus insiticius, ma è legato
strutturalmente all'analisi sulla facoltà appetitiva e locomotoria.

59 Hamlyn, in De an., 149.


60 Goblke, in De an., 13; 147-9 note 3941.
61 Reale, Paul Gohlke, 461 sgg.; Il concetto, 123 n. 78.
62 Cfr. De an. B 4, 41' a 20-2; 6, 418 a 7-8; inoltre Sorabji, Body, 82.
Cfr. anche De an. r 2, 426 a ,-6, dove il sensibile in atto è considerato motore
immobile, un passo che Gohlke (in De an., 139 n. 2') naturalmente ritiene
un Zusatz (vedi anche Theiler, in De an., ad 426 a 2, 133).

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48 INTRODUZIONE

Alcuni autori rilevano infine che i cc. 12-3 risultano spiazzati


rispetto al discorso precedente, e pensano che dovevano trovar
posto alla fine del secondo libro 63 , oppure che furono aggiunti
successivamente 64 • Comunque sia, la trattazione del finalismo
delle facoltà in essi contenuta risponde perfettamente al piano
dell'opera, giacché l'analisi aitiologica delle funzioni biopsichiche
non può omettere la causalità finale 65 •

63 Gohlke, in De an., 8; 12; 138 n. 19; 149 n. 43; Gigon, in De an., 2.54.
64 Theiler, in De an., 1.54; Hamlyn, in De an., 1.56.
6S Or. De an. A l, 403 a 26 sgg.

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II

LA TEMATICA DEL «DE ANIMA»

l. LE APORIE DEL TRATTATO.

Data l'inevitabile frammentarietà delle note del commento,


è quanto mai necessario, a questo punto, dare una visione
d'insieme dei principali orientamenti dottrinali contenuti nel
De Anima.
Il primo capitolo presenta l'elenco delle aporie che costi-
tuiscono l'ambito problematico in cui si colloca l'intera tematica
del trattato. Quest'elenco è preceduto da alcune considerazioni
introduttive, ed anzitutto da un 'pezzo d'obbligo': l'elogio della
scienza che Aristotele si appresta ad esporre. La psicologia
occupa uno dei primi posti nella scala delle scienze teoretiche,
e ciò a motivo dell'esattezza del suo metodo e del valore anto-
logico del suo oggetto. Quale preciso significato lo Stagirita
attribuisca all'akribeia della ricerca sull'anima non è immedia-
tamente chiaro, data la sobrietà di questo accenno. Possiamo
tuttavia supporre - alla luce della dottrina aristotelica della
akribeia, e quindi dell'equazione, di ascendenza platonica 1,
'esattezza-semplicità' - che il rigore della psicologia è conse-
guenza del fatto che il suo oggetto - l'anima, appunto - è
immateriale e 'semplice', e quindi permette una conoscenza più
astratta e generale di quella delle scienze biologiche speciali
(zoologia e botanica), che sono più direttamente coinvolte con
la materialità dei loro oggetti. In effetti la psicologia, avendo a
tema l'anima e le sue proprietà, comprese quelle che, in virtù sua,
appartengono al vivente 2, si occupa del vivente in generale e

I Platone, Ti. 29 b 2-d 3.


2 De an. A l, 402 a 9-10.

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.50 INTRODUZIONE

del senziente in generale, e delle caratteristiche che loro com-


petono, mentre le scienze biologiche particolari si occupano di
determinate classi e specie di viventi. Da questo punto di vista
è legittimo pensare che lo Stagirita teorizzi il rapporto tra la
prima e le seconde come quello tra una scienza sopraordinata
e scienze subordinate, nel senso che la psicologia (o biologia) ge-
nerale conosce la causa o ragione prima -l'anima, appunto -
dei fenomeni e dei fatti studiati dalle biologie speciali. La me-
desima immaterialità ed incorporeità dell'anima garantisce poi
alla psicologia una posizione di rilievo anche dal punto di vista
della qualità antologica dell'oggetto.
Lo Stagirita rileva quindi l'utilità della scienza dell'anima
in ogni campo del sapere, e particolarmente, in quanto scienza
biologica, in quello fisico; determina poi l'oggetto di questa
scienza (che consiste appunto nell'anima e nelle sue proprietà,
sia quelle da lei possedute in esclusiva, sia quelle ascrivibili al
composto vivente); ed infine discute il problema del reperi-
mento di un suo proprio metodo. La posizione di Aristotele
riguardo a quest'ultimo punto cruciale è tutt'altro che esplicita
e definita, ma in ogni caso sembra orientata verso le seguenti
conclusioni. Innanzitutto il riferimento alla diairesis lascia capire
che lo Stagirita è favorevole all'utilizzazione del metodo diaire-
tico per ottenere la definizione di anima, ed in effetti in De an.
B l tale definizione sarà reperita precisamente attraverso l'ap-
plicazione di questo metodo. In secondo luogo il richiamo al-
I'apodeixis sembra presupporre la possibilità per un verso di
una deduzione (o dimostrazione) dalla definizione dell'anima dei
suoi-'accidenti per sé' (o facoltà e funzioni), e per l'altro verso
di una certa qual 'dimostrazione' della stessa definizione di
anima, che in realtà verrà esibita in De an. B 2. Infine, in linea
con la caratteristica concezione aristotelica del dipartimenta-
lismo delle scienze 3, viene chiaramente posta l'esigenza di stabi-
lire i principi 'propri' della psicologia in quanto scienza autonoma,
ossia l'affermazione dell'esistenza dell'anima, nonché la sua defi-
nizione 4 , fungendo tali principi da premesse delle dimostrazioni
- o, meglio, degli argomenti deduttivi 5 - messe in opera da
questa scienza.
Ed ecco la tavola delle aporie.
(i) L'anima è sostanza o accidente?
(ii) È un ente in potenza o un atto?

3 Solmsen, Aristotle's System, 99 sgg.; Berti, L'unità, 31 sgg.; Mignucci,


Teoria, 218.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 51

(iii) h divisibile in parti o è priva di parti?


(iv) La sua definizione è univoca od equivoca?
(v) Deve precedere la trattazione dell'anima o quella delle-
sue parti?
(vi) Quali sono le parti distinte tra loro per natura?
(vii) Deve avere la precedenza lo studio delle parti o quello
delle funzioni?
(viii) Deve precedere l'esame delle funzioni o quello degli
oggetti?
Le aporie (i) e (ii) - a quale genere o categoria l'anima
appartenga, e se vi appartenga come potenza o come atto -
verranno risolte in B l con l'affermazione che l'anima è sostanza
in quanto forma e atto 'primo'. La (iii) ha una risposta in A 5,
B 1-3, r .4 e 9: lo Stagirita sostiene il punto di vista teorico
dell'unità dell'anima, e insieme ammette, sulla base dell'espe-
rienza 6, la distinzione funzionale delle sue 'parti' o facoltà,
respingendo invece nettamente la dottrina platonica della loro
distinzione spaziale, ossia della loro localizzazione in diverse
parti (corporee. La (iv) non trova una soluzione esplicita in
B 3, dove viene soltanto esclusa (in polemica con i Platonici)
l'esistenza dell'anima intesa come genere trascendente. Mentre
la (vi) comanda la stessa struttura ed ordinamento del trattato,
e la (v) trova risposta in B 1-2 con il reperimento della defini-
zione di anima previo allo studio delle facoltà - benché tale
definizione abbia a monte l'esperienza dei corpi viventi e delle
loro caratteristiche biopsichiche 7 - , i problemi (vii) e (viii)
hanno una risposta in B 4, mediante la tesi 8 della priorità
gnoseologica dell'atto (e quindi, nel nostro caso, delle funzioni
e degli oggetti) rispetto alla potenza (ossia alle facoltà), sebbene
quest'affermazione programmatica, posta all'inizio della tratta-
zione delle facoltà, non trovi nel séguito dell'opera un'applica-
zione costante e rigorosa.
Dopo una digressione metodologica, in cui Aristotele da
un lato rileva che la psicologia (come ogni scienza fisica) fa uso
di procedimenti induttivi (intesi come processi che conducono
dagli 'accidenti' all'essenza e alla causa) e dall'altro presume che

4 Cfr. anche Berti, Physique, 20-1 (sui principi della fisica e della geometria).
s Or. anche Mignucci, Teoria, 217 e 234 (sulla mancata applicazione del
sillogismo dimostrativo nel corpus Aristotelicum).
6 Gigon, in De an., 253.
7 De an. B l, 412 a 11 sgg.
8 Di origine platonica; cfr. Platone, R. V, 477 c l sgg.; inoltre Sorabji,
Aristotle on Demtl1'cating, 56; 58.

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52 INTRODUZIONB

essa (secondo il modello matematico) sia in grado di elaborare


delle definizioni (a cominciare da quella di anima) da cui sono
rigorosamente deducibili le proprietà della cosa - una presun-
zione rivolta contro le dottrine dei predecessori 9, ma che i
libri B e r dimostreranno impraticabile anche per lo stesso
Stagirita - , viene formulata e discussa la seguente, ultima
aporta.
(ix) Tutte le affezioni dell'anima appartengono anche al
vivente, o ce n'è qualcuna che sia peculiare della sola anima,
e quindi sia totalmente indipendente dal corpo? È questo il caso
dell'intelletto? Se cosi fosse, l'anima (intellettiva) sarebbe sepa-
rabile dal corpo, ossia avrebbe un'esistenza indipendente e so-
stanziale e sarebbe immortale. Ma se l'intelletto è riducibile
all'immaginazione o non opera senza l'immaginazione, l'anima
(intellettiva) non sarà separabile né immortale. Come si vede,
a proposito della separabilità del nous, Aristotele si esprime
ancora in maniera molto problematica e dubitativa 10 • La solu-
zione di questa decisiva aporia si farà strada lungo l'intero
trattato, ma diverrà definitiva soltanto in De an. r 5.
Dopo la tavola dei problemi lo Stagirita precisa anzitutto
che, nella misura in cui le affezioni dell'anima implicano un
legame necessario con il corpo, le loro definizioni devono esibire
non soltanto la forma (come avviene nelle definizioni di carat-
tere dialettico) e neppure soltanto la materia (secondo le vedute
dei fisiologi), ma (in conformità con l'assetto scientifico proprio
della fisica) la forma e la materia insieme, oltre che la causa
efficiente e quella finale. Rimangono con ciò stabilite da un lato
la struttura aitiologica su cui si regge tutta la tematica del
trattato, e dall'altro l'appartenenza di una parte della psicologia
(ossia della psicofisica) alla scienza naturale. In secondo luogo,
nell'ambito di una classificazione delle discipline che realizzano
diversi tipi di approccio dei pathe e delle forme, Aristotele fa
riferimento alla 'filosofia prima' come scienza delle forme sepa-
rate: un accenno di estremo interesse e importanza, che lascia
capire come la scienza dell'anima non. si esaurisce al solo livello
epistemologico fisico, ma, con la dottrina dell'intelletto separato,
si apre alla problematica della metafisica.

9 De an. A 4, 408 a 3-5; 5, 409 h 11-8.


to Verbeke, Comment Aristate, 209 sgg.; Berti, Aristate, 101.

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LA ~TICA DEL DE ANDMA 53

2. ARISTOTELE E I SUOI PREDECESSORI.

Nel capitolo introduttivo del trattato Aristotele rimprovera


i suoi predecessori (e specialmente Platone) di aver costruito
una psicologia antropocentrica, con ciò rivendicando a sé il
merito di aver gettato le basi della psicologia generale, ossia
di una teoria dell'anima (come principio di vita) appropriata
a tutti gli esseri viventi 1• Certo, i Presocratici si occuparono delle
funzioni biologiche della nutrizione (nelle piante, negli animali
e nell'uomo), della riproduzione, della respirazione e della per-
cezione, ma non le considerarono ancora come 'funzioni del-
l'anima'. Inoltre alcuni di essi (come Empedocle) attribuirono
a tutti i viventi la percezione, la sensazione del piacere e del
dolore ed il pensiero, e Democrito ascrisse alle piante specifiche
funzioni sensitive. La stretta unità di vita vegetale e animale
fu affermata anche da Anassagora, e ancor prima dai Pitagorici,
e poi dal Timeo di Platone, il quale riconobbe alle piante il
possesso di sensazioni piacevoli e dolorose e di desideri, anche
se in lui si trovano i primi accenni alla funzione biologica
(nutritiva) della parte inferiore dell'anima, l'epithymetikon 2•
Lo Stagirita fa, invece, dell'anima il principio di animazione
del corpo vivente (biologia generale), ossia la causa della sola
vita vegetativa (nutritiva e riproduttiva) nelle piante (botanica),
anche di quella sensitiva (e appetitiva) negli animali (zoologia),
e, in aggiunta alle prime due, pure di quella razionale nell'uomo
(antropologia). La coscienza dell'originalità del proprio contributo
(ossia di una concezione unitaria della psicobiologia, e insieme
della sua rigorosa suddivisione in specifiche aree dipartimentali)
non impedisce tuttavia ad Aristotele di impegnarsi nel nostro
trattato (e precisamente in A 2) in una lunga ed articolata espo-
sizione delle fondamentali dottrine (psicologiche) dei filosofi
precedenti, col dichiarato scopo di meglio impostare e risolvere
i problemi emersi nel primo capitolo, di assumere quanto di
positivo le altrui doxai possono contenere, e infine di evitare
di ricadere nei loro medesimi errori 3 • Naturalmente lo Stagirita
non si limita ad esporre e a discutere le teorie dei predecessori
nel solo primo libro, ma si misura con essi si può dire in ogni
argomento specifico trattato nel corso dell'opera.
1 De an. A l, 402 a 6-7; 402 b 3-7; r 9, 432 a 24 sgg.; 10, 433 b 1-4.
2 Solmsen, Antecedents, 591 sgg.; S. Mansion, Soul, 4; Isnardi Parente,
Platone, in Zeller-Mondolfo, II, III, l, 485-6. Cfr. anche De an. A 2, 404 a
27 sgg.
3 De an. A 2, 403 b 20-4.

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54 INTRODUZIONE

Aristotele riconosce la giustezza di una fondamentale intui-


zione dei pensatori anteriori: la considerazione dell'anima come
principio sia di movimento che di sensazione e conoscenza 4 •
Per questa via lo Stagirita dispone già di un primo schema logico
che gli consente di catalogare le teorie precedenti e di contrap-
porle dialetticamente l'una all'altra in vista di una sintesi supe-
riore; come pure di alcune nozioni di base, che costituiscono
il fondamento per tutte le distinzioni ulteriori 5 • A questo primo
schema fanno séguito, sempre in A 2, un secondo, che riordina
le dottrine psicologiche degli antichi in base alle concezioni dei
principi del mondo fisico che essi hanno professato, e un terzo,
che, alle caratteristiche del movimento e della percezione, ag-
giunge quella dell'incorporeità 6 •
Anche nell'esposizione 'storica' di De an. A 2 si manifestano
i ben noti difetti che si riscontrano nei passi dossografici degli
altri trattati di Aristotele. Così lo Stagirita inserisce a forza
n~i suoi schemi le concise e frammentarie affermazioni degli
antichi, opera generalizzazioni affrettate ed inferenze e deduzioni
arbitrarie, muove ai suoi predecessori accuse infondate - e di
tutto ciò si farà menzione nel commento. D'altra parte egli
dimostra - pur se sporadicamente - di procedere, in questo
campo insicuro delle doxai, con qualche cautela 7 , come pure è
consapevole della distinzione tra l'effettivamente detto e ciò che
si può inferire dal detto 8 • In ogni caso, quello che qui soprat-
tutto mette conto di evidenziare è che sin da quest'indagine
'storica' cominciano a profilarsi alcuni risultati positivi in ordine
alla stessa ricerca teorica di Aristotele. Vogliamo citarne almeno
due. Innanzitutto - vi abbiamo appena accennato - egli lascia
intendere come le istanze del 'movimento', della 'conoscenza' e
dell' 'incorporeità', fatte valere dai filosofi anteriori, non vanno
contrapposte, ma sintetizzate in un quadro unitario 9 • Natural-
mente si tratta di un esito del tutto provvisorio, sia perché le
due prime istanze conseguono ad un'impostazione ancora antro-
pocentrica della psicologia e trascurano le forme inferiori di
vita 10 , sia perché l' 'incorporeità' dell'anima non può essere in-
tesa, come fecero Democrito e i Pitagorici, semplicemente nei

4 De an. A 2, 403 b 27-8.


s DOrrie, Gedanleen, 232.
6 Gigon, in De an., 223-6.
7 De an. A 2, 40' a 19.
8 De an. A 2, 404 b 1-3; 40' b 22-3.
9 De an. A 2, 404 b 27-9; 40' b 11-2.
lO De an. A ,, 410 b 16-27.

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LA TEMA TICA DEL DE ANIMA 55

termini di una materialità più raffinata di quella del corpo, ma,


sulle orme di Platone, dev'essere ricondotta all'immaterialità
propria della forma 11 • Un secondo risultato positivo che lo
Stagirita ottiene dall'esposizione dossografìca emerge dalla sua
stessa insistenza sul tema dell'identificazione di anima e intel-
letto 12 , identificazione che egli evidentemente rifiuta per l'ap-
punto in vista della fondazione di una psicologia generale.
Alla rassegna 'storica' segue in A 3-5 la critica dettagliata
delle doxai dei predecessori. Pure qui, come in altre parti del
corpus Aristotelicum, le obiezioni alle dottrine considerate sono
condotte più spesso dall'esterno, ossia si basano su teorie soste-
nute dallo Stagirita, e non concesse dall'avversario; ma talvolta
vengono condotte anche dall'interno, nella misura in cui non
presuppongono nulla che l'avversario non possa concedere, e
quindi portano la dottrina in questione a contraddire se stessa 13 •
Inoltre, per rendere più agevole la sua critica, Aristotele non
si perita di assumere sovente in senso letterale le dottrine degli
avversari. Comunque sia, il suo approccio critico alle altrui
doxai- come, del resto, pure la sua ricostruzione espositiva-
non ha un'intenzione storiografìca, ma propriamente teoretica.
In tale ambito teoretico, poi, l'evidenziazione delle difficoltà
in cui si dibattono le dottrine dei predecessori non ha una
finalità puramente demolitrice e negativa, ma è funzionale ad
una migliore messa a punto dei problemi e all'individuazione
di alcune possibili linee di soluzione 14 • Soffermiamoci breve-
mente sui punti essenziali della critica aristotelica, rimandando
il lettore alle note del commento per un'analisi più particola-
reggiata.
(i) Per quanto concerne le teorie cinetiche, lo Stagirita,
benché in precedenza avesse chiaramente distinto la posizione
'spiritualistica' di Platone e dei Platonici da quelle degli altri
pensatori 15 , ora tende a coinvolgere nella medesima critica sia
la dottrina psicologica (materialistica e meccanicistica) di Demo-
crito (per il quale l'anima, composta di atomi sferici in movi-
mento, è causa meccanica dei moti del corpo) sia quella plato-
nica. È noto che per Platone i movitpenti dell'anima, assoluta-

n De an. B l, 412 a 17 sgg.


u De an. A 2, 404 a 27 sgg.; 405 a 9 sgg. Cfr. anche von Ivanka, Zur Pro-
blematik, 251 n. 5.
13 Or. Berti, Le problème, 188 (sulla critica di Aristotele alla dottrina
platonica dell'ente e dell'uno).
t4 S. Mansion, Le role, 42 sgg.
13 De an. A 2, 404 h 30-1.

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56 INTRODUZIONE

mente incorporea, erano del pari immateriali, ed inoltre avevano


una giustificazione teleologica. Aristotele invece, interpretando
alla lettera il discorso 'mitico' ed allegorico del Timeo, rimpro-
vera Platone di aver dato una spiegazione fisica e naturalistica
del moto impresso dall'anima cosmica all'universo, e di aver
concepito quest'ultima come una grandezza spaziale 16 • In ogni
caso, le obiezioni rivolte dallo Stagirita alle teorie cinetiche
rilevano le assurdità che conseguono alla supposizione che
l'anima, per poter essere causa motrice del corpo vivente, debba
essere essa stessa in movimento (fisico), una supposizione che
manifesta un'accettazione acritica dell'esperienza sensibile 17 , in
quanto non riesce ad elevarsi al concetto di motore immobile.
Ed è proprio il riconoscimento della possibilità di assumere
l'anima come motore immobile, e quindi come la vera causa
prima e metempirica del movimento dell'essere vivente, il gua-
dagno essenziale della critica aristotelica delle dottrine cinetiche,
una concezione che peraltro non esclude movimenti 'accidentali'
dell'anima, come il suo spostamento tramite il movimento locale
del corpo da lei stessa prodotto, o la sensazione in quanto
'movimento' impresso nell'anima dagli oggetti esterni 18 • Viene
inoltre precisato che l'anima non muove l'animale, e in ispecie
l'uomo, con un'azione meccanica, ma con una decisione e un
atto di pensiero; che i cosiddetti 'movimenti' dell'anima sono
le funzioni psichiche che hanno per soggetto immediato non già
l'anima stessa, ma il composto di anima e di corpo: l'anima non
è mossa, ma è origine e termine dei movimenti corporei; e che
da queste funzioni psichiche si distingue il nous, il quale bensl
assolve il suo ruolo di forma del corpo, ma in se stesso è sostan-
ziale, preesistente ed incorruttibile 19 • Infine lo Stagirita, pren-
dendo lo spunto dalla connessione dell'anima col corpo del
cos~o asserita nel Timeo, polemizza con i suoi predecessori
(e specialmente con Platone e i Pitagorici, i quali ultimi parla-
vano di « folle di anime volteggianti per l'aria » ~ ed inspirate
dai viventi), che ritenevano che l'anima, avente una sua esi-
stenza e struttura indipendente ed autonoma, entrasse in qual-
sivoglia corpo. Invece Aristotele afferma che un determinato
corpo vivente dev'essere associato ad un determinato tipo di

16 De an. A 3, 406 b 26-7; 407 a 2 sgg.


11 De an. A 2, 403 b 29-30; 404 a 24-.5.
18 De an. A 3, 406 h .5-11; 4, 408 a 30-4. Cfr. infra 103-4.
19 De an. A 3, 406 b 24-.5; 4, 408 a 34-b 29.
20 Timpanaro Cardini, Pitagorici, III, 21.5 nota; cfr. De an. A 2, 404 a 16-20.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 57

anima, lasciando con ciò intuire sin da qui come la relazione tra
psyche e soma vada intesa, in termini ilemorfici, come un rap-
porto tra forma-funzione e materia-organo 21 •
(ii) Al di fuori degli schemi con cui lo Stagirita aveva clas-
sificato in A 2 le teorie dei predecessori, ma non priva di punti
di contatto con la problematica agitata da quelle stesse teorie 22 ,
è la dottrina dell'anima-armonia. Questa teoria si presenta con
delle caratteristiche più raffinate e scaltrite delle dottrine 'ele-
mentaristiche' di stampo empedocleo, le quali, definendo l'anima
come principio di conoscenza e avvalendosi dell'idea che il simile
è conosciuto dal simile, pensavano che l'anima fosse composta
dagli stessi elementi materiali di cui erano costituiti gli oggetti
da apprendere 23 • Invece la dottrina dell'anima-armonia identifica
l'anima con la proporzione degli elementi o qualità elementari
che formano il corpo. Di conseguenza Aristotele, pur criticandola
aspramente, non nasconde gli spunti di estremo interesse che
contiene, proprio perché essa da un lato evidenzia, meglio delle
altre teorie, la stretta unità che lega l'anima al corpo, e dall'altro
la loro reciproca distinzione: spunti dottrinali in direzione del-
l'immanenza e, insieme, della 'trascendenza' dell'anima, che la
teoria ilemorfica dello Stagirita non mancherà di sviluppare 24 •
Tra le obiezioni rivolte all'armonismo psicologico, di particolare
importanza è la quarta, con la quale si mostra che dalla defini-
zione di anima come armonia non sono deducibili le sue facoltà
e funzioni, un problema che si dimostrerà di difficile soluzione
- come già si è accennato 25 - per lo stesso Aristotele.
(iii) Quest'ultima difficoltà è rivolta anche alla dottrina del-
l'anima come numero che muove se stesso proposta da Seno-
crate 26 , condiscepolo e collega dello Stagirita nell'Accademia di
Platone, e successivamente, come scolarca dell'Accademia, rivale
dello stesso Aristotele quando questi reggeva il Liceo. Ed alla
teoria dell'anima come numero semovente lo Stagirita indirizza
il suo giudizio più severo n.
(iv) Riguardo alle dottrine elementaristiche e specialmente
a quella empedoclea, Aristotele contesta che esse diano una valida

21 De an. A 3, 407 h 13 sgg.


22 Cfr. supra 40.
23 De an. A 2, 404 h 8 sgg.
24 De an. A 4, 407 h 27-408 a 28. ar. anche De an. B 2, 414 a 19-20;
inoltre S. Mansion, Le r6le, 46 n. 16.
25 Cfr. supra 52.
26 De an. A 5, 409 h 11-8.
rr De an. A 5, 408 h 32-3.

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58 INTRODUZIONE

spiegazione della conoscenza, e soprattutto rileva che esse omet-


tono di parlare di un principio unificatore degli elementi costi-
tutivi dell'anima. In realtà per lo Stagirita gli elementi materiali
non possono da sé soli dar ragione dell'unità del vivente, la quale
postula invece l'esistenza dell'anima e la sua causalità formale
e finale~.
(v) Da un punto di vista più generale lo Stagirita rimpro-
vera i suoi predecessori di non trattare né di tutte le specie di
anima, poiché il movimento, la conoscenza e la respirazione
che rispettivamente le teorie cinetiche, elementaristiche ed orfiche
assumono come elementi definitori della vita in realtà non appar-
tengono a tutti i viventi, né di una data specie di anima nella
totalità dei suoi aspetti, poiché tali teorie ignorano la funzione
nutritiva, che è condizione di tutte le altre funzioni e facoltà 29 •
(vi) Un'ultima obiezione viene infine indirizzata alla dot-
trina platonica della divisione dell'anima in parti realmente e
spazialmente distinte, dottrina che pregiudica il ruolo dell'anima
come principio di unità del corpo 30 •

3. LA DEFINIZIONE DI ANIMA.

Dopo l'individuazione dei problemi a tema del trattato e


la discussione delle doxai dei filosofi anteriori, Aristotele procede
ormai ad esporre la propria dottrina, a cominciare dalla defini-
zione dell'oggetto della sua indagine, che è appunto l'anima.
Il metodo che egli adotta nella sua ricerca della definizione di
anima 1 è, conformemente ad alcune indicazioni di A l 2 , da un
lato quello diairetico, che introduce alcune distinzioni prelimi-
nari, le quali verranno poi riprese nella formulazione della defini-
zione stessa (sostanza: materia = potenza, forma = atto, com-
posto di materia e forma; atto primo o secondo; corpo: naturale
o artificiale; corpo naturale: vivente o non vivente), e dall'altro
quello induttivo o a posteriori, che parte dalla realtà in cui è
immediatamente constatabile la presenza dell'anima, ossia il
corpo vivente. Per questa via lo Stagirita è in grado di proporre
quattro formule della definizione di anima, che si possono com-

28 De an. A 5, 409 b 23-410 b 15.


29 De an. A 5, 410 b 16-411 a 2.
30 De an. A 5, 411 b 5-14.
1 De an. B l per totum.
2 De an. A l, 402 a 20; 402 b 16 sgg.

Baruch_in_libris
LA TEMATICA DEL DE ANIMA 59

pendiare nel seguente enunciato: l'anima è sostanza in quanto


forma o atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza,
ossia dotato di organi. Si tratta di una definizione che può dar
origine ad interpretazioni fuorvianti, nel senso che può indurre
ad immaginare l'esistenza anteriore e indipendente di un corpo
potenzialmente vivente e fornito di organi, nel quale l'anima
sopraggiungerebbe in un secondo momento 3 • Ma è ovvio che
non è questo il caso: Aristotele ha sempre e solo in vista il
\ 1 ivente in atto, soltanto che distingue l'anima come forma dal

corpo capace di vita, ossia giunto - in forza dell'azione del-


l'anima stessa- ad un certo livello di elaborazione della materia
e quindi dotato degli organi che il possesso della vita richiede.
Il corpo organico non sussiste dunque anteriormente e indipen-
dentemente dall'anima, benché rimanga ugualmente reale la di-
stinzione tra l'anima, come principio formale, efficiente e finale,
ed il corpo organico, come entità materiale e strumentale 4•
Il vivente è pertanto un essere ed una sostanza unitaria, e
l'anima è la sua forma o principio vivificatore, ovvero è il prin-
cipio dell'organizzazione e del funzionamento del corpo 5 • Nella
misura in cui è forma del composto vivente, l'anima è insepara-
bile dal corpo (come ogni forma di un composto è inseparabile
dalla materia) e cessa di esistere con la dissoluzione di que-
st'ultimo: ogni tipo di dualismo (pitagorico o platonico) tra
anima e corpo viene in tal modo superato.
Questa definizione dell'anima come forma del corpo, che
esprime un aspetto comune ad ogni specie di anima (ovvero la
sua funzione animatrice riguardo al composto vivente, sia esso
pianta, animale o uomo), e che quindi ha un valore generale e
universale (in quanto appunto denota una caratteristica presente
in tutte le anime), pur essendo in sé esatta, e costituendo anzi
la struttura portante della biologia generale creata da Aristotele,
è ritenuta dallo stesso Stagirita una definizione sommaria ed
approssimativa, tutt'altro che esaustiva della natura dell'anima 6,
e ciò per due ordini di ragioni. lnnanzitutto perché quella defi-
nizione esibisce soltanto il 'che' o il 'fatto' che l'anima è forma.
Di questo fatto bisogna pertanto ricercare il 'perché' o la causa,
la quale viene manifestata da una seconda definizione, che, in
accordo con un suggerimento di A l 7, funge da principio della
3 Per questa difficoltà cfr. Ackrill, Aristotle's Definitions, 127 sgg.
4 Su questo punto cfr. S.. Mansion, Soul, 12.
s Cfr. anche Verbeke, Doctrine, 204-'.
6 De an. B l, 412 a 5-6; 412 h 4-'; 10; 413 a 9-10.
7 De an. A l, 402 a 19.

Baruch_in_libris
60 INTRODUZIONE

dimostrazione della prima 8 • Tale dimostrazione viene condotta


da Aristotele in maniera non del tutto lineare, ma può tuttavia
essere rigorizzata col seguente sillogismo: la causa principale
dell'appartenenza ad un ente di una data caratteristica è la
forma, ma l'anima è la causa primaria delle nostre funzioni vitali
e psichiche (seconda definizione), dunque l'anima è forma di
un corpo a lei appropriato (prima definizione) 9•
Ma la definizione generale di anima come forma del corpo
non è del tutto soddisfacente anche per un altro motivo, preci-
samente perché essa, come tale, non può designare che l'aspetto
comune a tutte le specie di anima (quello, appunto, di essere
'f<;>rme' di un corpo loro appropriato), trascurando invece ciò
che esse hanno di specifico e che viene indicato dalle loro defi-
nizioni particolari e proprie. In effetti 10 , l'osservazione e l'analisi
delle funzioni vitali e psichiche riscontrabili nei diversi viventi
conduce Aristotele ad ammettere l'esistenza di tre distinte specie
di anima, che restano definite dalle loro rispettive e peculiari
facoltà: l'anima nutritiva (propria delle piante), la sensitiva
(propria degli animali) e l'intellettiva (propria degli uomini).
Il rapporto che vige fra questi tre tipi di anima è quello di suc-
cessione o consecuzione, secondo il quale l'anima inferiore è
contenuta in potenza in quella superiore, perché quest'ultima,
oltre ad essere in grado di svolgere le funzioni che le sono proprie,
è capace di adempiere anche quelle dell'anima inferiore. Questa
dottrina del rapporto di successione tra le anime è stata sovente
interpretata nel senso che, mediante essa, lo Stagirita intende-
rebbe affermare l' 'equivocità' od 'analogicità' della nozione di
anima. Ed in effetti è noto che, per Aristotele, il genere (ed il
concetto univoco che lo esprime) contiene potenzialmente le sue
specie, viene quindi determinato e specificato da esse, e in tal
modo costituisce il loro elemento comune 11 • La situazione de-
scritta dallo Stagirita in B 3 riguardo ai tre tipi di anime è
indubbiamente del tutto diversa. Infatti nel caso delle anime,
l'elemento comune a tutte, ciò che quindi ne assicura la conti-
nuità, non è un genere, ma una 'specie indivisibile', ossia la
funzione vegetativa, e quest'ultima non contiene in potenza le
funzioni superiori, ma anzi è contenuta in esse, ossia non viene
specificata da queste, ma viene in esse assorbita come in un

s De an. B 2, 413 a 11-20.


9 De an. B 2, 413 a 20-b 13; 414 a 4-28.
1o De an. B 3 per totum.
11 Metaph. t:. 28, 1024 h 4-6.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 61

principio superiore e più ampio 12 • Abbandonandoci alle conget-


ture, potremmo anche supporre, ad mentem Aristotelis, che il
rapporto fra i vari tipi di anima vada interpretato alla luce della
dottrina della omonimia 1tpò~ ~v (o analogia di attribuzione),
nel senso che la definizione di anima come forma o principio
di animazione del corpo si applicherebbe direttamente e principal-
mente all'anima vegetativa 13 , e soltanto per analogia alle anime
superiori 14 • Sennonché, a mio avviso, non pare che B 3 risponda
alla preoccupazione di determinare positivamente ed esplicita-
mente lo statuto logico della definizione di anima. Il ricorso
al rapporto di successione che vige tra le anime (per cui quella
inferiore è condizione ontologica e 'materiale' di quella superiore)
sembra invece funzionale all'esclusione dell'esistenza di una
(platonica) anima in sé e per sé (separata dalle anime partico-
lari), ed alla necessità di stabilire (oltre la definizione comune
e universale di anima, cp_e ·non è 'propria', ossia. .esclusiva, di
nessuna anima, neppure di un'anima in sé, che non esiste) defi-
nizioni particolari e proprie delle diverse anime e facoltà, che
è ciò in cui lo Stagirita si impegnerà nel resto del trattato.
V a infine segnalato che neppure la definizione di Aristotele
dell'anima come forma del corpo riesce a conseguire il risultato
che è mancato ai suoi predecessori, ossia quello di formulare
un horismos di anima che consenta, secondo il modello mate-
matizzante emerso in A l, di dedurre i suoi 'accidenti per sé',
ovvero le varie facoltà e funzioni. Queste ultime rimangono
conoscibili soltanto a posteriori, sulla base dell'esperienza interna
ed esterna 15 •

4. LE FACOLTÀ DELL'ANIMA.

Dall'esame del rapporto fra i tre tipi di anima condotto da


Aristotele in B 3 - secondo cui l'anima 'anteriore' o inferiore
viene come inglobata in quella 'posteriore' o superiore, e per-
tanto quella è la condizione ontologica e 'materiale' di questa,
e questa, oltre ad essere· capace di svolgere le funzioni che le
sono proprie, è pure in grado di assolvere le funzioni di quella
- risulta una conseguenza molto importante, ossia che in ogni
essere vivente non esistono (come pensava Platone) due o tre
12 A. C. Lloyd, Genus, 72 sgg.; Berti, Logical, 265-6 e Aristotele, 377.
13 Cfr. De an. B l, 412 a 14-5; 2, 413 h 1-2; 4, 415 a 23-5.
14 Cfr. già Alessandro, De an. 16, 18-17, 8 ecc.; Si.mplicio, in De an. 12, 25-8.
15 Cfr. Owens, Aristotle's Definition, 141-5.

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62 INTRODUZIONE

anime diverse, oppure due o tre parti diverse di una stessa


anima, localizzate in distinte parti del corpo, ma un'anima unica,
come unica è la forma sostanziale di ciascun corpo. Quest'unica
anima resta definita dalla facoltà che le è propria e caratteri-
stica, e che svolge anche le funzioni inferiori: la pianta ha la
sola anima vegetativa, l'animale la sola anima sensitiva (che
assolve anche le funzioni vegetative) e l'uomo la sola anima
intellettiva (che adempie anche le funzioni vegetative e sensitive).
In B 3, ma anche precedentemente 1, vengono elencate e disposte
in ordine gerarchico tutte le facoltà vitali e psichiche: la vege-
tativa, la sensitiva, l'immaginativa, l'intellettiva, l'appetitiva e
locomotoria. Resta così tracciato l'intero piano dell'opera, che
ora ripercorreremo nei suoi punti essenziali.

a) La facoltà vegetativa.
L'anima o facoltà vegetativa 2 è definita da Aristotele come
il principio primario e fondamentale della vita, coestensivo a
tutti i tipi di viventi: piante, animali e uomini. Funzioni pre-
cipue di tale facoltà sono la nutrizione e la riproàuzione, la
prima :finalizzata alla conservazione del vivente in quanto indi-
viduo, la seconda alla sua conservazione non in se stesso, ma
nella specie. A questa dottrina, che l'eternità della specie è
il :fine dei viventi, si accompagna la dottrina della triplice cau-
salità dell'anima, una delle meglio riuscite applicazioni dell'aitio-
logia aristotelica. Anzitutto l'anima è causa formale o essenza
del vivente, sia perché è causa del suo essere-tale, vale a dire
del suo essere 'vivente' piuttosto che 'non vivente', sia perché
essa costituisce il suo 'atto'. Inoltre, se il :fine dei viventi è di
contribuire all'eternità della specie, la causa :finale di ciascun
vivente, considerato individualmente, è la sua anima, la quale
si serve del corpo come del suo strumento. Ciò significa che, in
ciascun vivente, l'intero corpo e i suoi organi sono :finalizzati
alle attività dell'anima: nelle piante alle sole attività biologiche,
negli animali anche all'attività sensitiva, nell'uomo pure a quella
razionale. Infine l'anima è causa motrice del vivente, in quanto
è principio dello spostamento locale (assente però nelle piante
e negli animali stazionari), dell'alterazione (alla quale si può
ricondurre la sensazione) e dell'accrescimento e deperimento
(mediante la nutrizione) del vivente stesso.
l De an. A ,, 411 a 26-b 30; B 2, 413 a 22 sgg.
2 De an. B 4 per totum. Or. anche De an. r 12, 434 a 22-6; inoltre Berti,
Aristotele, 377-9.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 63

Dopo aver mostrato che la crescita delle piante non è dovuta


- come credeva Empedocle - ai moti contrapposti degli ele-
menti di cui sono formate, ma al funzionamento di organi appro-
priati e, in ultima istanza, all'anima come principio unitario di
sviluppo, e che il fuoco o il calore vitale non è - come pensa-
vano i sostenitori della teoria dell'anima ignea - la vera causa,
ma soltanto la condizione materiale e strumentale della nutrizione
e della crescita, le quali trovano la loro spiegazione adeguata
nell'anima 'forma', lo Stagirita prende in esame l' 'oggetto' che
specifica la facoltà nutritiva, ossia l'alimento. A proposito della
natura dell'alimento egli anzitutto sintetizza la tesi (di origine
empedoclea) che simile sim~li alitur e l'antitesi che contrarium
contrario alitur: in quanto l'alimento è stato già elaborato dal
vivente, è vera la tesi; in quanto invece l'alimento si trova an-
cora nella sua condizione originaria, è vera l'antitesi. Ricono-
sciuta poi una relazione necessaria ed essenziale dell'alimento
con l'essere vivente, Aristotele distingue le funzioni che l'ali-
mento stesso svolge nell'organismo, come nutrimento (in rap-
porto alla sostanza del vivente), come fattore di crescita (in
rapporto alla sua 'quantità' o dimensione ed al suo sviluppo)
e come principio di riproduzione. La dottrina dell'anima o fa-
coltà nutritiva viene infine reinterpretata e riassunta alla luce
della teoria del motore immobile. La facoltà nutritiva è il motore
immobile della nutrizione del vivente. Tale motore si· serve di
due strumenti: uno interno, il calore vitale (o motore mosso),
che produce la cozione dell'alimento; ed uno esterno, che è
l'alimento stesso (soltanto 'mosso').

h) La facoltà sensitiva.
L'anima o facoltà sensitiva appartiene - almeno nella sua
forma tattile - a tutti gli animali 3, e la sua funzione caratte-
ristica - non più soltanto biologica, ma conoscitiva - è la
sensazione 4 • Aristotele accoglie, in prima istanza, la dottrina
presocratica della sensazione come una specie di mutamento o
alterazione 5 - dato che essa implica necessariamente una forma
di ricettività, dipendenza o contatto con l'oggetto - , ma sù-
bito dopo la riformula sulla base della propria teoria dell'atto
e della potenza: la facoltà sensitiva si attualizza per l'azione

3 De an. B 2, 413 b 1-9; 3, 414 a 33-b l; 414 b 3; r 2, 427 a 14-5; 3,


427 b 7-8; 12-3; 428 a 8; 12, 434 a 30-30•; 13, 435 a 12-4; 435 b 5-7; 16-7; 19.
4 De an. B 5 per totum.
s Ham.lyn, Aristotle's Account, 7-8 e Sensation, 20.

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64 INTRODUZIONE

di un oggetto sensibile in atto. Da questo angolo visuale la


sensazione (in quanto realizzazione del soggetto, e non 'distru-
zione' ad opera del 'contrario'), non è un'alterazione in senso
stretto, ma piuttosto una alteratio perfectiva, ossia appunto
l'attuazione di una possibilità. Sin da qui risulta chiaro come,
per lo Stagirita, nel processo percettivo la necessità dello stimolo
e del contatto esterno si accompagni all'attività del soggetto.
Riguardo all'oggetto sensibile, Aristotele propone la seguente
tesi epistemologica: mentre la conoscenza intellettiva e scientifica
termina agli universali (i quali sono potenzialmente presenti nel-
l'anima in quanto contenuti nelle immagini), la sensazione in
atto termina agli individui singolari sensibili del mondo esterno.
Sempre a proposito della natura dell'oggetto sensibile, lo Stagi-
rita, di fronte alle contrapposte teorie degli antichi (simile simili
sentitur, oppure contrarium contrario), assume, daccapo, una
posizione mediana: l'oggetto che dev'essere ancora percepito è
dissimile dallo aisthetikon, ma nell'atto in cui viene percepito
gli è 'simile', ovvero è intenzionalmente identico ad esso.
Riguardo ancora agli oggetti sensibili, Aristotele ne offre una
sistemazione generale distinguendo vari tipi di aisthetà 6 : i sen-
sibili per sé, che sono percepibili in se stessi (in quanto hanno
in sé la causa della loro percepibilità), direttamente e imme-
diatamente, e che a loro volta si distinguono in 'propri' e
'comuni', ed i sensibili per accidente, che vengono percepiti in
concomitanza con i sensibili per sé. I sensibili propri sono sen-
sibili per sé striet o sensu, perché è principalmente alla loro per-
cezione che i cinque sensi speciali sono finalizzati. Si chiamano
'propri' perché non possono essere colti da sensi diversi da
quelli corrispondenti (il colore è il percepibile proprio della
vista, il suono dell'udito, l'odore dell'olfatto, il sapore del gusto,
mentre il tatto ha per oggetto diversi generi di sensibili), e per
tale motivo la percezione di essi è infallibile, giacché ciascun
senso è capace di discriminare e 'giudicare' (krinein) il proprio
sensibile, ossia non può confonderlo con l'oggetto di un altro
senso 7 • Anche e soprattutto da questo punto di vista, ossia dal
riconoscimento dei sensi come facoltà di 'giudizio', emerge il
loro potere attivo (e non soltanto ricettivo) nel processo della
conoscenza. I sensibili comuni, poi, come il movimento, il nu-
mero, la :figura ecc., sono appunto 'comuni' a tutti i sensi, e

6 De an. B 6 per totum.


7 Cfr. anche De an. r 3, 427 b 12; 428 a 11.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 65

specialmente alla vista e al tatto, perché tutti· i senst, m di-


versa misura, contribuiscono alla loro percezione. Infine i sensi-
bili per accidente sono gli stessi enti materiali sensibili in quanto
tali. Così, ad esempio, a 'bianco' avviene di essere il 'figlio di
Diare': percependo il 'bianco' (sensibile proprio e per sé) si
percepisce (accidentalmente) anche il 'figlio di Diare'. Successi-
vamente 8 lo Stagirita precisa meglio il valore veritativo della
percezione dei tre tipi di sensibili. La percezione dei sensibili
propri è sempre vera 9 , in quanto ciascun senso non può scam-
biare i propri oggetti per quelli di un altro senso, quantunque
talvolta possa confonderli tra loro. Cosi, ad esempio, la vista
non confonde mai il colore col suono, ma può scambiare un
colore per un altro. Ancor più soggetta all'errore è la perce-
zione dei sensibili per accidente: non ci si inganna nella perce-
zione del bianco, ma piuttosto nell'identificazione del bianco
con un dato oggetto 10 • L'occasione più frequente di errore è
tuttavia procurata dalla percezione dei sensibili comuni. In que-
st'ultima affermazione di Aristotele gioca probabilmente l'idea
che i sensi sono finalizzati' non già alla percezione dei koinà, ma
degli idia, mentre d'altra parte i sensibili per accidente non pos-
sono considerarsi oggetti di percezione se non in quanto sono
(esternamente) associati agli idia 11 •
A queste considerazioni di carattere generale fa séguito la
trattazione particolareggiata dei cinque sensi speciali, a comin-
ciare dai sensi 'a distanza' - che entrano in contatto con gli
oggetti sensibili tramite un 'mezzo' esterno al percipiente 12 - ,
ed anzitutto dalla vista, che è il senso per eccellenza ed a noi
il più noto. La vista 13 è definibile come la capacità di percepire
il visibile, e particolarmente il colore, che di essa è il sensibile
'proprio'. Aristotele delinea il processo visivo standard nei ter-
mini seguenti. Una sorgente luminosa (ad esempio il fuoco),
attiva, ossia illumina, il 'mezzo' esterno 'trasparente' (ad esem-
pio l'aria). Allora il colore dell'oggetto impressiona l'aria illu-
minata e, trasmesso da questa, agisce sull'organo della vista 14 •

s De an. r 3, 428 b 18-25.


9 Or. anche De an. r 6, 430 b 29.
1o Cfr. anche De an. r 6, 430 b 29-30.
11 Graeser, On Aristotle's, 88-9.
12 Or. De an. r 13, 435 a 18-9.
13 De an. B 7 per totum. Or. anche De an. r 12, 435 a 5-10.
14 De an. r l, 425 a 4. Sorabji (Aristotle on Demarcating, 59 e n. 20;
Body, 72 e n. 30) fa osservare che, nell'atto della visione, non sono l'intero
occhio e la pupilla (kore) a diventare colorati, ma « the eye-jelly inside the eye »

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66 INTRODUZIONE

I commentatori non hanno mancato di segnalare i punti critici


di questa teoria. In particolare, il criterio· del riferimento agli
oggetti - colore, fosforescenza, luce, buio, ecc. - impiegato
dallo Stagirita per la definizione della vista - come di ogni
altra facoltà 15 - , pur essendo utile e necessario (in quanto assi-
cura un concetto sostanzialmente unitario della vista stessa), non
è sufficiente, ma va integrato da altri criteri, a cominciare da
quello dell'esperienza interna 16 • Inoltre la dottrina aristotelica
della luce come 'atto' istantaneo del diafano segna obiettiva-
mente un arretramento (per eccesso di interpretazione 'filosofica',
che si risolve in una mera tautologia) rispetto alla dottrina cor-
puscolare ed emanazionistica dei suoi predecessori 17 •
Riguardo alla sensazione uditiva 18 , lo Stagirita spiega che
essa ha origine dalla percussione di un corpo solido contro un
altro in un 'mezzo', ad esempio l'aria. Tale percussione produce
infatti l'emissione di un suono, e quest'ultimo determina lo
spostamento dell'aria esterna, la quale a sua volta trasmette il
suono all'orecchio muovendo l'aria contenuta in esso.
Anche il funzionamento dell'olfatto 19, come quello della
vista e dell'udito, presuppone l'esistenza di un 'mezzo' esterno
al soggetto, mezzo che per gli animali che respirano è l'aria, e per
quelli che non respirano è l'acqua. La relazione tra olfatto e
respirazione non è pertanto necessaria, ma accidentale. Il mecca-
nismo standard della sensazione olfattiva è il seguente. L'oggetto
emana l'odore - che è un'esalazione secca - , e quest'ultimo,
trasmesso dall'aria, perviene all'organo dell'olfatto - le na-
rici - , U quale, da umido qual era, per l'azione dell'odore
diventa attualmente secco.
Quanto ai sensi 'per contatto', essi sono il tatto e il gusto,
che, secondo Aristotele, è una sua forma o specie 20 • Il loro
mezzo non è esterno al corpo del percipiente, come nel caso dei
sensi a distanza, ma è la sua stessa carne, mentre il loro organo
sensorio è il cuore o, meglio, la carne prossima al cuore 21 •

(cfr. GA E l, 779 b 20 sgg.; 780 b 23). Cfr. anche G. E. R. Lloyd, The Empi-
rical, 220 (sull'umor vitreo).
15 De an. B 4, 415 a 16-22. Cfr. Sorabji, Aristotle on Demarcating, .56; 58.
Cfr. anche supra .51.
16 Sorabji, Aristotle on Demarcating, 60-8.
17 Cfr. Hamlyn, in De an., ad 418 a 26 sgg., 108; Diiring, Aristoteles, 563.
18 De an. B 8 p~ totum.
19 De an. B 9 p~ totum.
20 De an. B 9, 421 a 18-9.
21 De an. B 11, 423 b 22-3 (cfr. anche Wiesner, The Unity, 247). Sulla

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LA TEMATICA DEL DE ANDMA 67

Intermediario del gusto 22 è precisamente la lingua, la quale,


attivata dal sapore (umido in atto), diventa essa stessa umida
e trasmette la percezione del sapore all'organo gustativo. Inter-
mediario del tatto 23 è invece la carne del percipiente, mentre
l'organo tattile è localizzato nella regione cardiaca e, nell'atto
della percezione, si assimila alle qualità tangibili dei corpi.
Il senso del tatto pone però allo Stagirita un non facile pro-
blema. Mentre egli aveva definito gli altri sensi in relazione ai
loro oggetti (ossia come capacità di percepire i sensibili 'propri'),
questo medesimo criterio sembra non valere nel caso del tatto,
perché gli oggetti di questo senso- fondamentalmente il caldo
e il freddo da una parte, l'umido-liquido e il secco-solido dal-
l'altra - non sono riducibili ad un unico genere 24 • In effetti
Aristotele tende ad introdurre un altro criterio, che egli reputa
idoneo ad assicurare la peculiarità ed insieme l'unitarietà di
questo senso: quello del diretto 'contatto' del corpo del perci-
piente con l'oggetto percepito 25 • Per questa via lo Stagirita da
un lato può sostenere che il gusto è una forma di tatto, e dal-
l'altro è persuaso di aver confutato la riduzione democritea di
tutti i sensi al tatto stesso 26 • Siflatta impostazione non resta
però immune da difficoltà, tali da rendere meno netta e assoluta
la stessa distinzione aristotelica tra sensi a distanza e sensi per
contatto 27 • Infatti si dà il caso di sensazioni tattili e gustative,
che avvengono nello stesso modo - ossia previa attivazione
dell'aria o del liquido 28 -in cui, ad esempio, si producono le
sensazioni olfattive, cosl come si dà il caso che l'udito e l'olfatto
operino anche mediante un diretto contatto con gli oggetti.
Oltre a ciò, l'inclusione del gusto tra le funzioni tattili è tutt'altro
che persuasiva.
Lo Stagirita mostra anche che non ci possono essere altri
sensi specifici oltre a questi cinque, in quanto ciascuno dei loro
organi sensori è riferibile ad uno dei quattro elementi del mondo
sublunare: l'organo della vista è formato d'acqua, quello del-
l'udito d'aria, quello dell'olfatto d'aria o d'acqua, quello del

&agilità della dottrina che il tatto e il gusto si estendono fino al cuore cfr.
G. E. R. Lloyd, The Empirical, 223.
22 De a. B 10 per totum.·
23 De an. B 11 per totum.
24 Hamlyn, in De an., ad 418 a 11, 106; Diiring, Aristoteles, 576; Sorabji,
Aristotle on DemtWcating, 68-9.
25 De an. B 10, 422 a 8-16; r l, 424 b 27-8; 12, 434 h 11-9; 13, 435 a 17-8.
26 De an. B 10, 422 a 8-16; 11, 423 b 20-6.
rr Cfr. Sorabji, Aristotle on Demtll'cating, 71-3.
28 GC A 9, 327 8 3-6; De an. B 10, 422 8 8-16.

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68 INTRODUZIONE

tatto-gusto di terra, mentre in tutti i sensori è presente il fuoco


sotto forma di calore vitale 29 • La dimostrazione 30 di quello che
per Aristotele era un ovvio fatto empirico rivela forse un in-
tento polemico riguardo alla dottrina attribuita a Democrito
dell'esistenza di più di cinque sensi, ma, più probabilmente,
manifesta soprattutto, con la limitazione del numero dei sensi,
la preoccupazione di salvaguardare la compiutezza e 'perfezione'
della conoscenza intellettiva e scientifica, la quale - per lo
Stagirita -implica sempre previe conoscenze sensibili.
Ma Aristotele si impegna in ulteriori approfondimenti della
problematica attinente alla facoltà sensitiva in generale. lnnan-
zitutto egli ribadisce che la sensazione è una specie di 'passione',
in quanto consiste in un'attualizzazione del senso da parte del-
l'oggetto, ovvero in un'assimilazione del primo al secondo. Tutto
ciò, se da un lato trova il suo presupposto nella (relativa)
priorità dell'oggetto sensibile rispetto alla sensazione 31 , dali' altro
si accompagna al riconoscimento dell'attiva funzione mediatrice
e di 'giudizio' del senso stesso. Infatti il senso - e primaria-
mente l'organo sensorio - è la 'medietà' tra i sensibili opposti
e, come tale, è capace di cliscernerli (krinein), precisamente in
quanto costituiscono una disparità (per eccesso o per difetto)
rispetto al suo stato o misura. Cosl l'organo tattile è capace di
percepire ciò che è più caldo o più freddo, o più duro o più
molle di lui, ossia del suo stato naturale e normale, che è quello
intermedio 32 • La teoria del senso come meclietà dei sensibili
deve certamente la sua origine alla giusta osservazione che la
percezione della temperatura esterna è relativa a quella interna,
e risponde al proposito dello Stagirita di distanziarsi dalla con-
cezione materialistica e 'passivistica' della sensibilità propria dei
fisiologici 33 , il che - si aggiunga per inciso - già per parte
sua rende molto problematico ogni tentativo d'interpretare in
senso materialistico la dottrina aristotelica della aisthesis 34 •
29 De an. r l, 424 h 22-425 a 13.
30 Cfr. Ross, in De an., 268-9 ed infra 349 n. 2.
31 De an. r 2, 426 a 15-26.
32 De an. B 11, 423 h 30-424 a 7; 12, 424 h l; r 2, 425 h 26-426 a 26;
12, 434 h 27-435 a 10; 13, 435 a 21-4. Or. anche Sorahji, Body, 75-6.
33 Cfr. anche Metaph. r 5, 1009 h 13.
34 Per un tentativo di questo genere dr. Slakey, Aristotle, 470 sgg. (la
percezione è semplicemente un mutamento che avviene nell'organo sensorio)
e i giusti rilievi al riguardo di Sorahji, in Mem., 17 e n. 2 e Body, 75 sgg.
(il processo fisiologico - ad esempio la colorazione dell'organo della vista - ,
è soltanto la causa materiale della percezione, che formalmente è sempre uno
stato di coscienza; dr. De an. A l, 403 a 3-h 19; B 4, 415 h 15-21: finalizzazione
dei processi corporei agli stati psichici; 12, 424 h 3-18; r 2, 425 h 12-25).

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 69

Tuttavia la tesi secondo cui l'organo sensorio percepisce solo


le qualità estreme, o comunque aventi un grado diverso da quello
delle qualità che egli possiede, non tiene conto di altre, elemen-
tari osservazioni - in effetti noi percepiamo anche ciò che è
duro o molle allo stesso nostro grado, come avviene quando
premiamo le une contro le altre le estremità delle dita delle
mani-, ed inoltre opera arbitrarie generalizzazioni, assimilando
al tatto gli altri sensi, ad esempio la vista e l'udito, che in
realtà, nella zona media della percezione, sono invece quanto mai
acuti 35 • Del resto lo stesso Stagirita si dimostra consapevole in
qualche misura di tali difficoltà sia nel momento in cui sembra
riportare la teoria del senso come 'giusto mezzo' a quella più
consolidata ed efficace dell'atto e della potenza - il senso non
è in atto, ma in potenza le qualità che deve percepire - sia
quando la reinterpreta ricorrendo al concetto di aisthesis come
'proporzione' (logos). Il senso è proporzione, in quanto è atto
ad essere sollecitato non già da sensibili in eccesso (che lo dan-
neggerebbero), ma da quelli adeguati alla sua struttura e capacità,
sia semplici che 'mescolati' o 'proporzionati' 36 •
Un'altra formula di cui Aristotele si avvale per determinare
la natura della funzione sensitiva è quella che definisce il senso,
ed anzitutto l'organo sensorio (di cui la facoltà sensitiva costi-
tuisce la forma o essenza inestesa ed 'immateriale'), come la
capacità di assumere le forme sensibili senza la materia del-
l'oggetto concreto in cui si trovano calate 37 , benché rimanga
sempre vero che la sensazione non considera le forme in quanto
separate dalla materia- ché ciò è specifico dell'intellezione 38 - ,
e quindi termina ai singolari 39 • Evidentemente anche con questa
formula lo Stagirita intende prendere le distanze dalla dottrina
dei suoi predecessori (specialmente da Empedocle e Democrito),
i quali avevano considerato la percezione come un'assunzione da
parte degli organi sensori di particelle materiali staccatesi dagli
oggetti. Cionondimeno, pure questa teoria aristotelica realizza
in qualche misura un'indebita generalizzazione, perché se essa

3S Diiring, Aristoteles, 576-7; Hamlyn, in De an., ad 423 h 27 sgg., 112-3.


36 De an. B 11, 424 a 7-10; 14-.5; 12, 424 a 28-32; r 2, 426 a 27-b 7;
4, 429 a 31-b 3; 13, 43.5 h 7-19.
37 De an. B 12, 424 a 17-h 3; r 2, 42.5 h 22-.5. Cfr. anche De an. r 8,
431 b 28432 a 3; 12, 434 a 29-30; inoltre Sorahji, Body, 74.
38 De an. r 4, 429 b 10-8.
39 De an. B .5, 417 b 22-3. Cfr. anche supra 64. Com'è noto, in APo.
B 19, l 00 a 16-b l Aristotele sottolinea l'orientamento e la determinazione
universale dei sensi in quanto facoltà (mentre la sensazione in atto termina
al singolare): la vista ha per oggetto i colori, l'udito i suoni, e cosi via.

Baruch_in_libris
70 INTRODUZIONE

è applicabile alla vista 40 ·e all'udito, lo è molto di meno agli


altri sensi. In qual modo infatti sia possibile la percezione del
calore 41 , o di un sapore, o di un odore senza che avvenga una
trasmissione della materia, rimane· oscuro.
All'analisi della natura della sensibilità in generale e delle
percezioni elementari proprie di ciascun senso segue un'indagine
dedicata ai processi percettivi più complessi, a cominciare dal
cosiddetto 'senso (o percezione) comune' 42 •
(i) Questa 'percezione comune' (koine aisthesis) è tale per-
ché ha per oggetto i sensibili 'comuni' (come il movimento, la
figura, ecc.), ossia quelli che possono essere percepiti da due
o più sensi speciali, e particolarmente dalla vista e dal tatto 43 •
Rispetto a tale percezione comune (ossia all'orientamento e de-
terminazione - comuni alla vista e al tatto - alla percezione
dei koinà) siffatti sensibili vengono percepiti per se, mentre in
rapporto a ciascun senso speciale in quanto tale - aggiunge
Aristotele - sono percepiti 'accidentalmente'. Cosl ad esempio
la vista, cogliendo un colore, percepisce 'accidentalmente' anche
la sua dimensione, che - come si esprime Aristotele - 'si
accompagna' ed 'inerisce' (necessariamente) al colore stesso. Lo
Stagirita precisa con molta chiarezza che tale percezione 'acci-
dentale' non è in alcun modo identificabile con due altri tipi
di percezione che egli pure definisce accidentale: né con la
percezione, da parte di un senso speciale, del sensibile proprio
di un altro, né con la percezione dei sensibili per accidente
(ovvero degli oggetti in se stessi). In definitiva la 'percezione
comune' è pur sempre per se, ed è 'accidentale' solo in quanto
i suoi oggetti si distinguono dai sensibili 'propri'.
(ii) Nel corso di quest'analisi, Aristotele individua pertanto
un'altra, complessa funzione percettiva oltre a quella del senso
comune, ossia la percezione (accidentale), da parte di un dato
senso speciale, del sensibile proprio di un altro senso. Cosl ad
esempio la vista, percependo il bianco dello zucchero, 'vede'
e riconosce accidentalmente anche il dolce, precedentemente per-
cepito dal gusto.
(iii) Tutto ciò per un verso è reso possibile da un previo,
fondamentale processo percettivo, ossia dal fatto che i sensi ope-
rano congiuntamente e simultaneamente, e quindi sono atti a

40 Sorabji, Aristotle on Demarcating, 72-.3; Body, 74.


41 Or. De an. B 12, 424 a 32-b 3 e Hamlyn, in De an., ad 424 a 28, 114-5.
42 De an. r l, 425 a 14-b 11.
43 Cfr. supra 64-5.

Baruch_in_libris
LA ~TICA DBL DB ANDMA 71

riconoscere !.'appartenenza di determinate qualità sensibili al


medesimo oggetto, e per l'altro verso comporta inevitabilmente
un margine di errore nell'identificazione degli oggetti.
(iv) Un quarto processo percettivo superiore è dato dalla
'sensazione della sensazione', ovvero dalla coscienza della per-
cezibne. Per Aristotele ciascun senso speciale coglie direttamente
ed in primo luogo il sensibile a lui proprio, ma, concomitante
a quest'atto, vi è pure la consapevolezza che il senso ha di
esercitarlo 44 •
(v) E veniamo ad un'ultima funzione percettiva, che si col-
loca allo stesso livello - distinzione e unificazione delle perce-
zioni - di quelle menzionate ai punti (ii) e (iii). Aristotele
riconosce anzitutto a ciascun senso speciale la capacità, nell'atto
di percepire i propri oggetti sensibili, di discriminarne le diffe-
renze 43 • Ma vi è un meccanismo ancora più complesso, ossia la
discriminazione tra sensibili di genere diverso, vale a dire facenti
capo a sensi diversi: ad esempio la distinzione, nello zucchero,
del bianco dal dolce. Tale discriminazione consiste, anche qui,
in un atto percettivo unitario, ed avviene tramite la collabora-
zione simultanea e l'unità dei due sensi in questione. Tutto ciò
sembra implicare l'unità del soggetto percipiente, il quale, in
quanto numericamente ed essenzialmente uno, percepisce i sen-
sibili simultaneamente, in quanto 'diviso' nella sua funzione, ne
coglie la differenza 46 •

c)L}immaginazione.
L'immaginazione (phantasia) è una facoltà 'critica' e cono-
scitiva intermedia tra il senso e l'intelletto, e cioè per un verso
implica il senso, in quanto il suo prodotto o phantasma presup-
pone una precedente e specificamente simile sensazione in atto,
benché per formarsi non richieda la presenza attuale della sensa-
zione né dell'oggetto materiale percepibile; e per l'altro è a sua
volta implicata dall'intelletto, in quanto quest'ultimo non può
cogliere l'intelligibile che nelle immagini sensibili 47 •
44 De an. r 2, 425 b 12-25. Cfr. anche Mondolfo, La comprensione, 358-61;
Diiring, Aristoteles, 578; Cosenza, Sensibilità, 87-8; Sorabji, Body, 71-2; Owens,
A Note, 114.
45 De an. r 2, 426 b 8-12 (cfr. anche Sens. 7, 447 a 12 sgg.; 449 a 2 sgg.;
inoltre Alessandro, Quaest. III, IX, 94, 26 sgg.; MondoHo, La comprensione,
353-4). Cfr. però De an. r 2, 427 a 5-9 e Ham.lyn, ad 426 h 29, 127-8.
46 De an. r 2, 426 h 12-427 a 14. Cfr. anche De an. r 7, 431 a 20-h l.
47 De an. r 3, 427 h 14 sgg. Cfr. anche De an. A l, 403 a 9; 4, 408 b 18;
B 2, 413 h 22; 8, 420 h 32; r 2, 425 h 24-5; 7, 431 a 14-7; 431 h 2; 8,
432 a 8-14; 9, 432 a 31-h 3.

Baruch_in_libris
72 INTRODUZIONE

Aristotele distingue inoltre due tipi di phantasia: una sensi-


riva, di cui sono dotati tutti gli animali (ma quelli inferiori la
possiedono soltanto in forma vaga e indefinita), e quella
'razionale' (ossia congiunta alla ragione ed alla deliberazione
come ricerca dei mezzi atti a raggiungere il fine dell'azione),
che è peculiare dell'uomo 48 •

d) L}intelletto.
E veniamo all'intelletto, che rappresenta la aporia pleisté 4 Q

del nostro trattato. Soffermiamoci innanzitutto sul livello 'teo-


retico' del nous 50 , rinviando l'esame del cosiddetto intelletto
'pratico' al paragrafo seguente. Sin dal capitolo introduttivo e
diaporematico del De Anima Aristotele pone il problema dell'esi-
stenza di una 'affezione' della psyche che le sia propria ed esclu-
siva, e pertanto distinta dalle funzioni psicofisiche inerenti al
composto vivente in quanto tale 51 • Questo pathos sembra essere
il nous} che se però è una forma di phantasia o trova nella
phantasia la condicio sine qua non della propria attività, rende
impossibile la sostanzialità, separabilità ed immortalità dell'anima
(intellettiva) umana 52 • Quasi a bilanciare questa posizione dubi-
tativa nei confronti della natura speciale dell'anima razionale e
dell'intelletto dell'uomo, lo Stagirita suggerisce poi l'idea che
il nous sfugge al dominio della psicologia in quanto scienza
fisica 53 , ed appartiene invece a quello della 'filosofia prima',
avente per oggetto gli enti immateriali 54 •
Precisazioni molto importanti sullo statuto antologico del-
l'intelletto si leggono in A 4, nel corso di una ripresa della
confutazione delle dottrine cinetiche dell'anima. Da un lato lo
Stagirita afferma - ed è questa una tesi assolutamente centrale
della sua teoria psicologica 55 - che il soggetto immediato delle
attività psichiche - comprendendovi anche il pensiero - non
è l'anima stessa, ma il composto di anima e di corpo, l'uomo
insomma, che le esercita per mezzo della sua anima. Ciò rende
comprensibile la descrizione del pensiero come attività connessa

48 De an. r 10, 433 b 29-30; 11, 433 b 31-434 a 12. Cfr. anche De an.
B 3, 415 a 10-1; r 3, 428 a 9-11; 22-4.
49 GA B 3, 736 b 6-7.
so Cfr. De an. B 2, 413 b 24-5; 3, 415 a 11-2.
51 De an. A l, 402 a 9-10 .
.52 De an. A l, 403 a 3-16.
53 De an. A l, 403 a 27-S.
54 De an. A l, 403 b 15-6.
ss Hamlyn, Sensation, 28.

Baruch_in_libris
LA TEMATICA DEL DE ANIMA 73

col 'mutamento' degli organi corporei, in quanto collegata con


la phantasia, e quindi con la funzione percettiva e gli organi
sensori del soggetto 56 • Ma d'altro lato Aristotele sancisce la
preesistenza 57 , sostanzialità, impassibilità ed incorruttibilità del-
l'intelletto in quanto tale, che peraltro, una volta che sia giunto
nell'uomo, assume le funzioni di forma e di anima, e quindi
è soggetto a tutti i limiti e subisce tutti i condizionamenti della
corporeità. Il nous nella sua vera essenza è dunque immortale,
mentre corruttibili sono gli uomini singoli e le loro funzioni
psicofisiche 58 •
Ulteriori chiarimenti in proposito vengono apportati da B l,
mettendo a frutto la definizione di anima come forma e atto del
corpo ivi formulata. Le 'parti' o facoltà dell'anima che sono
'atti' o 'forme' (o principi vivifica tori e strutturanti) di corri-
spondenti organi del corpo- come la facoltà nutritiva e quella
sensitiva- sono inseparabili da esso, giacché la forma è sempre
ed in ogni caso inseparabile dalla materia. Di conseguenza
l'anima che, in quanto forma del corpo, costituisce il principio
di tali facoltà 59 , è essa pure inseparabile da questo. Invece
l'intelletto, che non 'informa' nessun organo corporeo 60 , è sepa-
rabile 61 • Nell'ambito poi di una discussione sulla 'separabilità'
delle 'parti' dell'anima- discussione che a sua volta si inquadra
nella ricerca di una seconda definizione di psyche- lo Stagirita
per un verso riconosce che l'intelletto presuppone nell'uomo il
possesso delle funzioni inferiori, ma per l'altro sostiene che esso
è di per sé capace di un'esistenza 'separata' (e quindi indipen-
dente ed autonoma dalle altre facoltà psichiche e dal corpo)
ed eterna 62 •
Il discorso aristotelico sul nous si apre ad altri approfondi-
menti in B 3, con la messa in luce del rapporto di successione
che lega le diverse: anime o facoltà. Da questo punto di vista,
l'intelletto o anima intellettiva, 'successivo' e superiore alle altre
facoltà, risulta essere l'ultima forma o atto dell'uomo, rispetto
alla quale le funzioni inferiori sono soltanto 'potenze' o capacità.
In altri termini il nous è la vera anima umana, che ingloba e
assorbe in sé le facoltà inferiori. Tutto ciò rappresenta peraltro

56De an. A 4, 408 h 1-1.5.


57Cfr. anche De an. A .5, 410 b 14.
sa De an. A 4, 408 h 18-29.
59 De an. B 2, 413 h 11-3.
60 Sulla inorganicità del nous dr. anche De an. A .5, 411 h 18-9.
61 De tm. B l, 413 a 3-7.
62 De an. B 2, 413 a 31-2; 413 b 2~7.

Baruch_in_libris
74 INTRODUZIONE

soltanto la situazione di fatto in cui il nous viene a trovarsi


durante il periodo della sua unione con il composto umano,
giacché la sua esistenza non presuppone di per sé quella delle
altre anime o facoltà 63 • Un'osservazione di estremo interesse sui
-condizionamenti del nous da parte degli stati corporei del sog-
getto si legge poi in B 9 64 • Aristotele vi sostiene - sulle orme
di una tradizione medica e filosofica 65 - che la superiorità
intellettuale dell'uomo sugli animali," e di certi uomini su altri 66 ,
è dovuta al tatto e, più precisamente, al suo 'mezzo' (la carne)
ed al suo organo sensorio (la regione cardiaca). La carne infatti,
in condizioni ottimali di morbidezza, favorisce il possesso delle
migliori percezioni tattili, e queste ultime, a motivo dell'impor-
tanza e varietà dei loro oggetti (sia specifici sia comuni anche
alla vista), consentono la fruizione di una migliore phronesis
e dianoia 61 •
Ma la dottrina del nous teoretico giunge al punto massimo
.di elaborazione soltanto nel libro r (cc. 4-5), con la distinzione
tra i due intelletti, quello 'in potenza' e quello 'produttivo'.
Lo Stagirita asserisce anzitutto che l'intelletto, che è una 'parte'
o facoltà dell'anima, o, meglio, che s'identifica con la stessa
anima intellettiva dell'uomo, ha come sua funzione specifica il
pensiero 68 • Vengono quindi riconosciuti un certo parallelismo
ed una certa affinità tra nous ed aisthesis: entrambi 'passivi'
(o ricettivi) delle forme 69 e insieme 'impassibili', in quanto il
loro paschein non comporta un'alterazione fisica, ma la loro
attivazione 70 ; entrambi 'non mescolati' con alcun oggetto mate-
riale da conoscere (con buona pace dei fisiologi, e specialmente
di Empedocle); entrambi radicalmente 'in potenza' rispetto ai
loro oggetti 71 • È stato fatto osservare 72 che la tesi della rice-
zione delle forme (senza la materia) e quella della potenzialità

63 De an. B 3, 414 b 20-415 a 12.


64 Cfr. anche De an. A 4, 408 b 18 sgg.; r 3, 429 a 7-8.
65 Cfr. infra 329-30.
66 Cfr. anche De an. A 2, 404 b .5-6.
. 67 De an. B 9, 421 a 19-26. Cfr. anche Verbeke, Doctrine, 202: gli oggetti
di pensiero dipendono dalla qualità dei dati sensibili.
68 De an. r 4, 429 a 10-1; 22-3; 28. Sul nous come facoltà dell'anima e
sulla sua integrazione nell'uomo cfr. anche De an. A l, 402 b 12-3; 2, 404 b 5-6;
3, 407 b 4-.5; 4, 408 b 3 sgg.; 5, 411 a 27; 411 b l; B l, 413 a 6-7; B 2, 413 a
23; 413 b 13; 24-6; 414 a 13; 3, 414 b 18; 415 a 8-9; 5, 417 b 23-4; r 3,
427 b 8; 13-4; 428 a 3-5; 23; 429 a 7-8.
69 Cfr. anche De an. r 2, 427 a 8-9.
70 Cfr. anche De an. r 7, 431 a 4-7.
71 De an. r 4, 429 a 13-24. Cfr. anche De an. r 8, 431 b 20-8.
72 Hamlyn, in De an., ad 429 a 13 e ad 429 a 18, 136; ad 429 b 29, 139; 140.

Baruch_in_libris
LA TEMATICA DEL DE ANIMA 75

delle facoltà, comprensibili nel caso dei sensi (in quanto questi
hanno come loro supporto materiale gli organi sensori), riman-
gono inesplicate nel caso dell'intelletto, che non ha un proprio
organo corporeo 73 • Ma la teoria aristotelica della natura speciale
(immateriale e 'spirituale') del nous e delle sue funzioni e atti-
vità (fatte salve le distinzioni e precisazioni di De an. r 5), è
precisamente la più cospicua parte dell'eredità platonica accolta
dallo Stagirita nel suo De Anima 14 •
Comunque sia, Aristotele mostra che le analogie tra l'intel-
letto ed il senso non annullano le loro reciproche differenze 75 ,
in quanto il primo non possiede un organo corporeo, ed è anzi
'separato' dal corpo e immateriale, e pertanto non è affetto dai
noetà, mentre il secondo è strettamente legato ad un supporto
corporeo e quindi è danneggiato da stimoli eccessivi 76 • Inoltre
la differenza tra aisthesis e nous si fonda sulla diversità dei loro
rispettivi oggetti, poiché, mentre il senso conosce le qualità
sensibili delle cose - e quindi le forme nella loro connessione
con la materia-, l'intelletto apprende invece le essenze (fisiche,
matematiche e metafisiche) degli oggetti, ossia coglie le forme
in quanto separate dalla materia, ovvero le forme intelligibili n.
Si aggiunge poi che la conoscenza intellettiva è resa possibile
dalla comunanza dell'intelletto con il suo oggetto, ovvero dal-
l'identità potenziale 78 di nous (tabula rasa) e noeton; e che al-
l'apprensione, da parte del nous, degli intelligibili in atto con-
segue, in maniera concomitante e indiretta, la coscienza di sé 79 •
Il problema delle condizioni di possibilità della conoscenza
intellettiva 80 non trova però un'adeguata soluzione nella teoria
del nous dynamei, ma, proprio a motivo della radicale poten-
zialità di quest'ultimo, soltanto in un principio attivo, che è
precisamente il nous poietikos 81 • Com'è noto, il capitolo quinto
del libro r è - per usare un'espressione impiegata da G. Reale
a proposito di Metaph. A 8 82 - come il capo delle tempeste
del De Aninza, e ha dato luogo ad una quantità innumerevole di

73 De an. r 4, 429 a 24-7.


74 ar. anche Diiring, Aristoteles, 580 sgg.
75 Cfr. anche De an. A 2, 404 a 30-1; 3, 407 a 5-6; r 3, 427 a 19-b 14.
76 De an. r 4, 429 a 24-b 5. Cfr. anche De an. r 3, 427 a 26-7.
77 De an. r 4, 429 b 10-22. Cfr. anche De an. r 6 per totum; 7, 431 b 12-9;
8, 431 b 28-432 a 6.
78 Cfr. anche De an. B 5, 417 b 23.
79 De an. r 4, 429 b 5-9; 429 b 22430 a 9.
so Cfr. De an. r 4, 429 a 13.
st De an. r 5 per totum.
82 Reale, in Metapb., II, 292 n. 2.

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76 INTRODUZIONE

interpretazioni, spesso radicalmente contrastanti fra loro. La si-


tuazione diventa tuttavia meno drammatica se si mettono a frutto
due preziose indicazioni della tradizione. La prima, di cui si fece
assertore Tommaso d'Aquino 83 , stabilisce che l'intelletto (o
l'anima intellettiva umana) è la 'forma' dell'uomo. Tale assun-
zione è suffragata dall'esplicita affermazione dello Stagirita che
entrambi gli intelletti costituiscono delle 'differenze' intrinseche
all'anima. La seconda indicazione proviene invece da Temistio 84
- in linea con una ben nota dottrina antologica aristotelica 85 - ,
il quale afferma che l'intelletto produttivo, nella misura in cui
non ha alcun legame con la materia, è unico per tutti gli uomini.
Sulla base di tali considerazioni, e inoltre applicando anche ai
due intelletti il rapporto di successione che vige fra i tre tipi
di anime, l'interpretazione complessivamente più plausibile della
teoria aristotelica del nous sembra poter essere la seguente.
L'intelletto preesistente e sostanziale è quello produttivo. Esso,
entrando nel composto umano, gli conferisce la propria sostan-
zialità e adempie il ruolo di forma, diventando la vera e unica
anima (intellettiva) dell'uomo 86 , ed esercitando sia le funzioni
dell'intelletto conoscitivo ('possibile' e 'passivo') sia quelle infe-
riori (la sensitiva e la nutritiva). Il nous pathetikos è quindi una
potenzialità o facoltà del poietikos; questo è 'atto', forma e prin-
cipio efficiente rispetto a quello, che è 'materia' e 'potenza' 87 •
Più precisamente l'efficienza dell'intelletto produttivo consiste
in un'azione illuminatrice e smaterializzatrice delle immagini
sensibili, ossia nella produzione degli intelligibili e degli uni-
versali, che vengono quindi accolti e 'subiti', vale a dire cono-
sciuti, dall'intelletto 'passivo', che in tal modo si attualizza.
Di conseguenza il nous pathetikos - pur non avendo un organo
corporeo (di cui, a fortiori} è privo pure il poietikos)- dipende
nel suo processo conoscitivo dalle immagini sensibili 88 e quindi
(indirettamente) dalla corporeità, e pertanto è corruttibile e
mortale come il composto e qualsivoglia affezione del composto,

83 Tommaso, in De an. III, 10, no 728, 173; De unit. int. I, 11.


84 Temistio, in De an. 103, 26-30.
ss Cfr., ad es., Metaph. A 8, 1074 a 33-5; inoltre Elders, Aristotle's Theology,
236-8.
86 Pace von lv&nka, Zur Problematik, 247 sgg., che scorge nel De Antma,
ma specialmente in EN K 7-8, un'antinomia tra l'uomo come 'composto' e l'uomo
come nous.
Pl1 Diiring, Aristoteles, 583 n. 135; Berti, Aristate, 106.
88 De an. r 2, 426 b 22; 426 h 31-427 a l; 3, 427 b 16; 7, 431 a 16-7;
431 b 2; 8, 432 a 3-14.

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LA TEMATICA DEL DE ANIMA 77

mentre l'intelletto produttivo, che è atto per essenza e che per


sua natura coincide col pensiero sempre in atto, sopravvive
invece al composto ed è immortale ed eterno come le sostanze
separate e i motori immobili.
Aristotele conclude la sua trattazione dell'intelletto cono-
scitivo con un discorso ricco di implicazioni epistemologiche.
Egli mostra che il nous compie due operazioni fondamentali 89 •
La prima è l'intellezione degli 'indivisibili', cioè dei singoli con-
cetti o termini (presi separatamente l'uno dall'altro), vale a dire
degli universali e delle essenze (immateriali) delle sostanze e
degli accidenti. A tale proposito lo Stagirita distingue cinque
tipi di indivisibili: quelli 'secondo la quantità' (ovvero le essenze
matematiche: 'incommensurabile', 'diagonale', ecc.), quelli 'per la
specie' (ovvero qualunque tipo di universale, sia matematico
- 'lunghezza,' ecc. - , sta . fi stco
. - 'h"tanco,' uomo, ecc. - ,
l '

sia metafisica - 'essere', 'uno', 'sostanza', ecc. -), i limi ti


('punto', 'linea', ecc.), le privazioni ('nero', 'male', ecc.) e gli
universali che non hanno contrario (la sostanza e la quan-
tità: 'Socrate', 'uomo',· 'animale', e 'lunghezza di due cubiti',
'dieci', ecc.) 90 • Riguardo all'intellezione degli indivisibili Aristo-
tele spiega che il coglimento di essi - e in particolare delle
essenze immateriali o forme sostanziali - è sempre vero (nel
senso che la sua alternativa non è l'errore, ma unicamente l'igno-
ranza) ed è istantaneo 91 , lasciando peraltro capire che tale cogli-
mento delle essenze non consiste in una loro intuizione diretta e
immediata, ma anzi presuppone la mediazione temporale del-
l'esperienza sensibile. La seconda operazione dell'intelletto è
l'unione di due o più 'indivisibili' in una proposizione o giudizio
('la diagonale è incommensurabile col lato del quadrato'; 'Socrate
è bianco'), il quale è vero o falso a seconda che si adegui o meno
ad una connessione che si verifica nella realtà 92 •

e) La facoltà appetitiva e locomotoria.


Aristotele prende quindi in considerazione sia i processi di
tendenza e quelli locomotori degli animali sia l'attività volitiva
ed il comportamento morale dell'uomo, e insieme evidenzia, nei

89 De an. r 6 per totum. Cfr. Berti, The Intellection, 141 sgg.; inoltre
Harvey, Aristotle, 219-20.
90 Cfr. anche Owen, The Platonism, 130.
91 Cfr. anche De an. A 3, 407 a 15; 31-2; 32-3.
92 Cfr. anche De an. r 8, 432 a 3-14.

Baruch_in_libris
78 INTRODUZIONE

vari tipi di attività pratica, il ruolo delle facoltà conoscitive 93 •


Se da un punto di vista generale si può dire che la causa
(efficiente) della locomozione dell'animale sia l'anima stessa 9\
in particolare tale causalità viene esercitata da una sua facoltà,
l'appetitiva. Tuttavia l'orektikon, benché - in quanto coesten-
sivo alle capacità sensitive e immaginative ed alla sensazione
del piacere e del dolore - appartenga a tutti gli animali, ovvia-
mente produce lo spostamento locale soltanto in quelli capaci
di locomozione 95 • Ora la facoltà appetitiva, causa efficiente del-
l'azione, possiede un'unità specifica e insieme una molteplicità
numerica 96, ovvero si situa a due diversi livelli: quello razionale
della volontà e quello irrazionale dell'impulso e del desiderio 97 •
Ma l'azione ha pure una sua causa finale, che è precisamente
l'oggetto e il bene cui l'orexis tende 98 • Quest'oggetto della ten-
denza - l' orekton - , percepito o immaginato o pensato dal
soggetto 99 , viene presentato dallo Stagirita come il vero 'motore
immobile' dell'azione, rispetto al quale la facoltà appetitiva opera
come 'motore mosso', in quanto, mossa dal fine o bene da conse-
guire e servendosi dello strumento corporeo costituito dal
'pneuma innato', a sua volta muove l'animale all'azione 100 •
Nell'ambito di questo discorso lo Stagirita propone la seguente
distinzione. Nel caso degli uomini virtuosi l'oggetto conosciuto
dal nous 'pratico' - pur attraverso la mediazione della sensi-
bilità e della phantasia- ed appetito dalla volontà (nihil volitum
quin praecognitum) è il vero bene (pratico), ossia conforme a
natura e ragione, e questo bene funge da principio del ragio-
namento o calcolo (sylloghismos praktikos) - come pure della
ricerca dei mezzi atti a conseguirlo - , la cui conclusione è il
principio dell'azione. Nel caso invece degli incontinenti (come
dei bruti) il comportamento è determinato dalla sola immagina-
zione e dall'impulso o desiderio del bene apparente e imme-
diato 101 •

93 De an. r 9-11.
94 De an. A 5, 411 a 29-30; B 4, 415 b 10; 21-2; r 3, 427 a 18.
95 De an. A 5, 410 b 18-20; B 2, 413 b 21-4; 3, 414 a 32-b 17; r 7, 431 a
8-14; 9, 432 b 19-26; 11, 433 b 31-434 a 7.
96 De an. r 10, 433 b 10-3.
VI Cfr. anche De an. A 5, 411 a 28; B 3, 414 b 2.
98 Sorabji, Body, 81 n. 52.
99 De an. r 3, 429 a 4-6; 10, 433 b 12.
1oo De an. r 10, 433 b 13-27.
1o1 De an. r 9, 432 b 16; 432 b 26433 a 8; r 10-1. Cfr. anche De an. A 3,
406 b 24-5; 407 a 23-4; B 4, 415 b 16; r 2, 426 b 24-5; 3, 429 a 4-8; 7,
431 a 8-17; 431 b 2-12; inoltre infra 87; 95; 101; 105-6.

Baruch_in_libris
LA TEMATICA DEL DE ANIMA 79

f) Il finalismo delle facoltà e dei sensi.


Nei due ultimi, conclusivi capitoli dell'opera Aristotele ab-
bozza una concezione teleologica delle facoltà, con particolare
riguardo a quella nutritiva ed a quella sensitiva 102 • Rispetto alla
prima, egli mette in rilievo - riprendendo una tesi già asserita
in B 2-4- come l'assunzione del nutrimento sia finalizzata allo
sviluppo del vivente 103 •
Più articolato è il discorso dello Stagirita sulla facoltà sensi-
tiva 104 • L'animale e l'uomo possiedono i sensi per una finalità
biologica ed operativa (e non soltanto conoscitiva, in funzione
dell'attività noetica): privi di sensibilità, essi (particolarmente
quelli capaci di locomozione) non riuscirebbero infatti a procu-
rarsi l'alimento, e quindi a conservarsi in vita e giungere alloro
pieno sviluppo. Ma Aristotele specifica sùbito il ruolo adempiuto
dai diversi sensi in ordine alla sopravvivenza dell'animale. Mentre
il tatto è assolutamente necessario per la sua conservazione, i
sensi a distanza (di cui sono forniti soltanto gli animali capaci
di locomozione) sono 'in vista dd meglio', ovvero rendono più
agevole la sopravvivenza dell'animale e gli consentono una più
complessa ed articolata forma di vita 105 •

102 De an. r 12-.3.


103 De tm. r 12, 434 8 22-6.
104 De tm. r 12, 4.34 8 27 sgg.
105 De an. r 12, 434 8 .31-b 27; 1.3, 43' h 4-24.

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Baruch_in_libris
III

IL METODO DEL TRATTATO

l. L'ASSETTO TEORICO.

Al termine di quest'introduzione sarà opportuno soffermarsi


brevemente sul metodo impiegato da Aristotele nella costru-
zione della psicologia del De Anima 1, avendo di mira da un lato
l'evidenziazione del sistema concettuale di cui la ricerca aristo-
telica si avvale, e dei dati di esperienza (intesi nell'accezione più
ampia) che tale impianto teorico è chiamato ad interpretare, e,
dall'altro, un'ulteriore (sia pur sommaria) verifica del grado di
coerenza interna raggiunta dal trattato in quest'impatto della
theoria con i phainomena. Cominciamo dunque dal primo punto,
concentrando la nostra attenzione specialmente sugli schemi dot-
trinali di tipo metafisico-ontologico 2 •
Una prima fondamentale struttura teorica messa in opera
nel De Anima è costituita dalla dottrina della polivocità o poli-
semia di molti termini e concetti, ad iniziare da quello del-
l'essere. In realtà lo Stagirita fa appello nel nostro trattato al
principio metafisica della multivocità del concetto di essere e
di uno, e particolarmente al significato dell'essere e dell'uno
come potenza e come atto; al fine di stabilire una tesi di fondo:
il vero essere in atto ed uno in atto è il vivente concreto, e non
già la sua anima e il suo corpo separatamente ed astrattamente
considerati 3• Inoltre la molteplicità dei significati dell'essere,
questa volta secondo la tavola delle categorie, è fatta valere
nella polemica contro le dottrine elementaristiche, che, in base

l Cfr. anche DOrrie, Gedanleen, 223 sgg.


2 Cfr. anche Boas, Some Assumptions, 275 sgg.; 277 n. 2.
3 De an. B l, 412 b 6-9. Cfr. anche Adorno, La filosofia, I, 336.

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82 INTRODUZIONE

al principio che il simile conosce il simile, dovrebbero ammet-


tere che l'anima s'identifica con gli elementi comuni a tutte
le categorie, i quali invece, per Aristotele, non esistono 4 • Infine
viene riconosciuta la polivocità dei termini 'causa' e 'principio',
come necessaria premessa all'analisi della triplice causalità del-
l'anima 5 • Ma da questo livello 'metafisica' - sia pure sempre
funzionale alla concreta ricerca psicologica in atto -della teoria
della polivocità si passa talvolta ad un livello più settoriale e
'scientifico', che coinvolge nella teoria stessa termini e concetti
di diretta pertinenza della psicologia. In effetti multivoco risulta
essere lo stesso concetto di 'vita', in dipendenza dall'analisi delle
funzioni biopsichiche caratteristiche dei diversi viventi 6 •
Accanto all'impiego della tipica espressione pollachos le-
ghesthai va poi registrato quello delle espressioni associate 7, del
tipo dichos, trichos, ouch haplos leghesthai, usate, daccapo, sia
a livello antologico come a quello scientifico-empirico. Cosl la
duplicità di significato di 'movimento' (per sé e per accidente)
- come pure la sua quadripartizione - diventa preliminare
alla critica delle teorie cinetiche dell'anima 8, e quella del ter-
mine 'armonia' (come 'composizione' e come 'proporzione') pone
l'armonismo psicologico dinanzi ad un'alternativa impercorribile
in entrambi i suoi membri 9 • Inoltre il riferimento ai tre signi-
ficati di sostanza e ai due sensi di atto consentono allo Stagirita
di definire l'anima come sostanza in quanto forma e atto primo 10,
mentre la distinzione tra la causa principale e quella secondaria
delle caratteristiche dei viventi gli permette di definire l'anima
come causa primaria delle funzioni vitali e psichiche 11 • Ancora,
la diversità di significato dell'atto e della potenza coinvolge sia
la facoltà sensitiva sia la sensazione e l'oggetto percepibile 12 ,
atto e potenza, poi, che possono essere 'primi' o 'secondi', in
rapporto rispettivamente all'habitus e all'esercizio di esso 13 • Ora,
proprio perché i fisiologi usavano in senso assoluto il termine
'percepire', non distinguendo la percezione in potenza da quella

4 De an. A 5, 410 a 13-21.


s De an. B 4, 415 b 8-27 (cfr. anche 415 b 2-3).
6 De an. B 2, 413 a 22-5.
7 Leszl, Logic, 105.
8 De an. A 3, 406 a 10; 12-3.
9 De an. A 4, 408 a 5-6.
to De an. B l, 412 a 6-11; 19 sgg. Cfr. anche De an. B 2, 414 a 14 sgg.
11 De an. B 2, 414 a 4-13.
u De an. B 5, 417 a 10-4.
13 De an. B '~ 417 a 21-b 2; 417 b 29-418 a 3. Cfr. anche Sorabji, Body, 64.

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IL METODO DEL TRATTATO 83

in atto, ritenevano che l'oggetto sensibile non avesse un'esistenza


autonoma, indipendentemente dalla percezione 14 • Ma - si pre-
cisa - neppure 'patire' ha un'unica accezione, giacché può de-
notare l'alteratio corruptiva oppure la perfectiva, quest'ultima
caratteristica dell'attività conoscitiva 15 • Infine Aristotele adotta_
l'espressione trichos leghesthai per distinguere le tre specie di
sensibili 16, e, nel corso della discussione sulla coscienza percet-
tiva, fa uso della polivocità dell'espressione 'percepire con la
vista' 17 •
Ma in aggiunta alla dottrina della polivocità è presente nel
De Anima pure quella dell'omonimia (od equivocità). Aristotele
vi fa riferimento per mostrare la stretta unità di anima e corpo,
cosicché il vivente privo di anima è tale solo di nome, e non
per la definizione e l'essenza 18 • Quanto alla dottrina dell'ana-
logia, dato che il suo impiego nel De Anima per la spiegazione
dei fenomeni psichici 19 utilizza a sua volta, e molto spesso,
una grande varietà di dati empirici, è preferibile rimandarne
l'esame al paragrafo seguente.
Oltre a ciò vi è tutta una serie di altri concetti e principi
che lo Stagirita utilizza come strumenti euristici ed ermeneutici 10 ,
per la comprensione della complessa realtà del mondo vivente.
Vediamone i principali. Lo schema delle categorie compare già
all'inizio del nostro trattato, con l'alternativa fra la sostanzialità
e l'accidentalizzazione dell'anima 21 • Sulla coppia, poi, 'sostanza
(essenza)-accidenti' Aristotele fa leva per delimitare il campo
d'indagine della psicologia, che ha a tema la definizione dell'es-
senza dell'anima e l'individuazione dei suoi 'accidenti per sé' o
facoltà 22 ; per distinguere, a sua volta, la definizione dell'essenza
delle varie facoltà dall'analisi delle loro funzioni 23 ; ed altresl
per differenziare la funzione dell'alimento come principio di con-

14 De an. r 2, 426 a 15-26.


15 De an. B 5, 417 b 2-16.
16 De an. B 6, 418 a 8.
17 De an. r 2, 425 b 20. Cfr. anche, nell'Indice dei termini greci, i vocaboli
St.n~, St.~~, St.x~ e ~PE!t;. Cfr. inoltre De an. A l, 402 b 5-6: El; o ). éyo~ e
Myoc ~~EPoc; B 3, 414 b 20.
ts De an. B l, 412 b. 10-22.
19 G. E. R. Lloyd, Polarity, 372: « the ... analogies served Aristode as the
source of provisional or tentative suggestions in bis discussions of obscure
phenomena ,..
20 Wieland, Die aristotelische Physik, 206 sgg.; Diiring, Aristoteles, 297.
21 De an. A l, 402 a 23-5. Cfr. anche De an. A 5, 410 a 13-21.
22 De an. A l, 402 a 7-8. Cfr. anche De an. A l, 402 a 11 sgg.; 402 b 16 sgg.;
5, 409 b 13-4.
23 De an. B 4, 415 a 14-6.

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84 INTRODUZIONE

servazione della sostanza del viv~nte da quella di assicurare la


sua crescita rispetto alla quantità ed alle dimensioni 24 • Anche
la contrapposizione kath' hautò-katà symbebekos trova diverse
ed importanti applicazioni. Cosi l'anima si muove per accidens,
e non per se 25 ; l'alimento ha una relazione essenziale, e non
accidentale, con il vivente 26 ; gli oggetti percepibili sono tali o
per sé o accidentalmente 27 ; il fattore tempo (l' 'ora') è essenziale
alla discriminazione dei sensibili di genere diverso 28 ; nella mi-
sura in cui l'intelletto considera un intero in quanto indiviso,
quest'intero risulta divisibile soltanto per accidens 29 ; i sensibili
a distanza solo accidentalmente sono nocivi all'animale 30 •
La dottrina delle quattro cause - né poteva essere diversa-
mente 31 - gioca nel De Anima- insieme con quella dell'atto
e della potenza -. un ruolo fondamentale. Fin dal suo esordio
il nostro scritto individua nell'anima la arche o principio interno
degli animali 32 , e, da un punto di vista più generale, asserisce
che la psicologia, in quanto scienza fisica, deve indagare tutte e
quattro le cause - materiale, formale, efficiente e finale - dei
fenomeni che essa ha a tema 33 • Quest'impianto aitiologico costi-
tuisce effettivamente una delle strutture portanti del trattato.
Innanzitutto l'analisi della sostanza vivente porta a individuare,
come suoi principi intrinseci costitutivi, l'anima e il corpo, che
rappresentano precisamente la sua forma e la sua materia 34 , e
del 'fatto' (tò hoti) di questa definizione di anima come forma
del corpo viene poi esibita la 'causa' (aitia = dio ti) 35 • Però
l'anima non soltanto è causa formale o essenziale del corpo, ma
è pure la sua causa efficiente e il suo 'motore immobile'- mobile
solo pe1· accidens - , ovvero è principio dello spostamento locale
e di ogni altro mutamento dell'animale, e insieme è causa finale,
sia come finis qui intenditur, in quanto termine cui tende il

24De an. B 4, 416 b 12-.5.


2SDe an. A 3, 40.5 b 31 sgg.; 4, 408 a 30 sgg.
26De an. B 4, 416 b 9-11.
27 De an. B 6, 418 a 8 sgg.; r l, 42.5 a 1.5 sgg.; 3, 428 b 19 sgg. Cfr. anche
De an. B 3, 414 b 9-10; 5, 417 a 5-6; 7, 418 a 30-1; 418 b .5.
28 De an. r 2, 426 b 26-7.
29De an. r 6, 430 b 16-7.
30De an. r 13, 43.5 b 9-11.
31 Cfr. APo. B 2: ogni ricerca consiste nella ricerca della causa.
32 De an. A l, 402 a 6-7. Cfr. anche De an. A .5, 411 b 28; 30; B 2,
413 a 27; 413 b l; 12; 4, 416 b 18; 12, 424 b 2; r 2, 427 a 1.5.
33 De an. A l, 403 a 24-b 9. ar. anche Kullmann, Wissenscha/t, 271.
34 De an. B l per totum.
35 De an. B 2, 413 a 11-20; 414 a 4-14.

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IL ~TODO DEL TRATTATO 85

corpo, sia come finis cui prodest, in quanto si serve del corpo
e degli organi corporei come di strumenti per le proprie attività 36 •
L'analitica della cause viene poi messa in opera nello studio
delle singole facoltà dell'anima. Coslla facoltà vegetativa rimane
definita dalle funzioni della nutrizione e della riproduzione, le
quali sono finalizzate rispettivamente alla conservazione del vi-
vente stesso e a quella della specie 37 • Inoltre Aristotele enuncia,
in una discussione contro Empedocle, il principio fondamentale
dell'anatomia comparata 38 , secondo cui funzioni e finalità comuni,
ad esempio quella nutritiva, permettono di stabilire un'analogia
fra organi corporei di viventi diversi, ad esempio tra le radici
delle piante e la bocca degli animali 39 ; e, contro Eraclito
- come in precedenza aveva rilevato la causalità strumentale
del corpo e dei suoi organi rispetto all'anima in quanto causa
finale - asserisce la natura materiale e strumentale e di
'concausa' del calore nella nutrizione e la crescita del vivente,
le quali ultime hanno invece come loro causa adeguata l'anima
in quanto forma 40 • Allo schema delle aitiai, e particolarmente
a quello della causalità motrice e della causalità materiale-
strumentale, viene infine agganciata la funzione nutritiva nei
termini seguenti: la facoltà nutritiva è. il motore immobile della
nutrizione, che fa uso di due strumenti, il calore vitale - o
motore mosso - e l'alimento - soltanto mosso - 41 •·
Riguardo alla facoltà sensitiva lo Stagirita fa propria, in
prima approssimazione, la dottrina tradizionale della aisthesis
come 'movimento' (kinesis) o mutamento, e, più precisamente,
come alterazione qualitativa (alloiosis), che ha la sua causa effi-
ciente (poietikon) nell'oggetto sensibile esterno 42 , ma sùbito
dopo lascia intendere che la aisthesis, come ogni altra attività
conoscitiva, è finalizzata alla crescita e all'autorealizzazione della
natura del soggetto stesso 43 • L'idea di telos è presente anche
nella trattazione delle specie di sensibili, dove si mette in luce
come i sensi speciali sono orientati principalmente alla perce-

36 De an. A 3, 405 b 31 sgg.; 4, 408 a 30 sgg.; B 4, 415 b 8-27; 416 a 8-9.


Per il dibattito più recente sui due significati di 'fine' in 41.5 b 1.5-21 (come
pure in 41.5 a 29-b 3) cfr. Lefèvre, Sur le statut, 32 sgg. (e note relative).
37 De an. B 4, 41.5 a 2,_b 7 (cfr. anche 416 b 23-.5).
38 Vegetti, in Lanza-Vegetti, Opere, .53.5.
39 Cfr. anche De an. B l, 412 b 3-4.
40 De an. B 4, 415 b 28-416 a 18.
41 De an. B 4, 416 b 20-9.
42 De an. B .5, 416 b 33-417 a 18; 417 b 20-7.
43 De an. B .5, 417 b 2-16. Cfr. anche De an. r 7, 431 a 4-7.

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86 INTRODUZIONE

zione dei sensibili propri, e non di quelli comuni 44 • Quanto ai


cinque sensi specifici, il loro meccanismo è puntualmente de-
scritto da Aristotele sulla base dell'analisi delle cause, vale a
dire della riflessione sulle loro concrete condizioni di possibilità.
L'oggetto percepibile opera come causa agente e movente
(kinetikon) 45 del processo sensitivo, ed entra in contatto col
sensorio ed agisce su di esso attraverso la causalità strumentale
dell' 'intermediario' o 'mezzo'. Anche il sensorio - come, a un
livello più ampio, il vivente stesso - è strutturato ilemorfica-
cente: l'organo materiale, composto di uno o più elementi cor-
porei, è 'informato' dalla facoltà o funzione sensitiva. Ora il
'mezzo' può agire sul sensorio precisamente grazie all'omoge-
neità dei loro rispettivi elementi costitutivi 46 , ma quest'impulso
produce nel senso una modificazione che non è soltanto fisiolo-
gica, ma pure psichica, e dà luogo ad un vero fatto di co-
scienza 47 •
Nel corso della disamina dei cinque sensi non mancano poi
approfondimenti aitiologici di carattere più particolare, come
quando Aristotele asserisce che l'aria e l'acqua non sono la causa
principale del suono, che è invece costituita dalla percussione,
ma piuttosto dell'udito in atto 48 , oppure quando introduce la
distinzione fra 'tÒ civa.yxa.i:ov (il telos primario dell'autoconser-
vazione dell'animale) e 'tÒ Eu (la finalità di una migliore condi-
zione di vita), applicandola sia alla lingua come al pneuma, e
svolgendo poi una breve analisi, dal punto di vista meccanico
e teleologico insieme, del funzionamento degli organi fonatori
e respiratori 49 • Infine, nel riprendere il discorso sulla sensibilità
in generale, Aristotele fa assumere alla coppia causale 'materia-
forma' una valenza gnoseologica, stabilendo che il senso è ricet-
tivo delle forme sensibili senza la materia dell'oggetto 50 • Egli
inoltre individua il fine dell'esistenza di più sensi speciali in
un più agevole riconoscimento dei sensibili comuni 51 , ed attri-
buisce all'oggetto sensibile il ruolo di 'motore immobile' della
sensazione 52 •

44De an. B 6, 418 a 24-5.


45De an. B 7, 418 8 31.
46 Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1054.
47 De an. B l, 412 b 18-413 a 3; B 7-11; 12, 424 a 24-8; 424 b 16-8; r l,
424 b 22-42.5 a 13; 2, 42.5 b 12-25; 12, 4.34 b 27-43.5 8 10; 13, 43.5 a 1.5-9.
48 De an. B 8, 419 b 19-22; .33-.5.
49 De an. B 8, 420 b 16-421 8 6.
so De an. B 12, 424 8 17-b 3; r 2, 42.5 b 23-4; 12, 434 a 29-30.
st De an. r l, 42.5 b 4-11.
52 De an. r 2, 426 a 2-6; 12, 434 b 27-43.5 a 10.

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IL ~TODO DEL TRATTATO 87

Per quanto concerne l'immaginazione, lo Stagirita formula


una definizione che egli stesso, espressamente, chiama 'causale' 51 :
la phantasia è una kinesis prodotta da un'altra kinesis, ovvero
è un mutamento dell'essere sensitivo, conseguente alla sensa-
zione in atto (quest'ultima, a sua volta, prodotta dall'oggetto
sensibile), e simile ad essa 54 • Quanto alla dottrina dell'intelletto
teoretico e dei suoi due livelli, lo schema teorico delle cause,
e in particolare la tesi del primato della causa efficiente su
quella materiale, le è assolutamente essenziale. L'intelletto pro-
duttivo opera quale vera causa efficiente della conoscenza intel-
lettiva, in quanto, agendo sulle immagini sensibili (cause stru-
mentali dell'intellezione, in certa misura già 'prive di materia',
a maggior titolo delle forme sensibili), le smaterializza assolu-
tamente, producendo in tal modo gli intelligibili o universali
ormai in atto e situati a vari livelli di immaterialità, che a
loro volta attivano l'intelletto 'materiale' e potenziale. Quest'ul-
timo pertanto, pur essendo privo di un supporto corporeo ed
organico (a differenza dei sensi), è intrinsecamente dipendente
dai phantasmata e quindi dalla sensibilità e dal corpo, e dunque
va soggetto a tutti i condizionamenti di esso 55 •
Alla facoltà appetitiva e locomotoria Aristotele riconosce
che è all'origine di processi finalizzati 56 , ed inoltre spiega la
mancanza di organi di locomozione negli animali stazionari rifa-
cendosi al principio che 'la natura non fa nulla invano' ed a
quello che essa non omette quanto è 'necessario' all'animale S'l.
Anche la distinzione fra intelletto teoretico e quello pratico ha
il suo principio nel telos che determina i loro rispettivi pro-
cessi: puramente conoscitivo quello del primo, attinente alla con-
dotta della vita umana quello del secondo 58 • Per dar conto, poi,
della locomozione dell'animale, lo Stagirita utilizza ancora una
volta la formula triadica della kinesis: motore immobile e causa
finale dell'azione è il bene da conseguire, motore mosso è la
facoltà appetitiva, mosso è l'animale, mentre causa strumentale
dell'azione è il pneuma innato 59 •
Sviluppando, infine, una discussione specifica sulla teleologia
delle facoltà, e in particolare della nutritiva e della sensitiva,

53De an. r 3, 429 a 8-9.


54 De an. r 3, 428 b 10-6; 2.5-6; 429 a 1-2.
55 De an. r 4-6; 7, 431 a 14-7; 431 b 2; 12-9; 8 passim.
56 De an. r 9, 432 b 1.5-7; 10, 433 a 1.5.
57 De an. r 9, 432 b 19-26.
sa De an. r 10, 433 a 14-.5. Cfr. anche S. Mansion, Soul, 14 sgg.
59 De an. r 10, 433 b 11-27. ·

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88 INTRODUZIONE

Aristotele circa la prima ribadisce che essa è finalizzata all'auto-


conservazione ed allo sviluppo del vivente 60 • Quanto alla se-
conda, il suo possesso da parte degli animali (e particolarmente
di quelli capaci di locomozione) è giustificato dallo Stagirita,
daccapo, alla luce del principio che la natura non fa nulla in-
vano ed opera sempre per un fine o in connessione con un fine.
In effetti un animale dotato di organi locomotori, ma privo di
sensazione, non potrebbe nutrirsi e quindi non potrebbe conse-
guire lo scopo primario (biologico) dell'autoconservazione e della
propria maturità 61 • Mentre però il tatto e il gusto, come sensi
dell'alimento e strumenti per il contatto dell'animale con l'am-
biente (giovevole o dannoso), sono assolutamente 'necessari' per
l' 'essere' e la sopravvivenza dello ~4)ov, gli altri sensi (di cui
sono dotati gli animali capaci di locomozione) - come pure
l'intelletto dell'uomo - sono in vista del 'bene', ovvero da un
lato rendono più agevole la stessa conservazione biologica del-
l'animale, e dall'altro gli permettono una forma superiore e più
perfetta di vita 62 •
La coppia 'potenza-atto' è indubbiamente una delle strutture
concettuali più usate e insieme più efficaci nella costruzione della
psicologia del De Anima. Tale distinzione coinvolge anzitutto
la stessa natura dell'anima 63 • L'assimilazione della materia alla
potenza e della forma all'atto, e la susseguente specificazione
dei due sensi di quest'ultimo (come hexis e come attività) per-
mette ad Aristotele di definire l'anima quale forma o 'atto primo'
(ossia determinazione primaria - anche ~ii yEvÉo-Er. 64 - e fon-
damentale, rispetto agli 'atti' ulteriori) del corpo che ha la vita
in potenza, vale a dire non di qualunque corpo, ad esempio del
seme, che è ancora privo di anima, o del corpo morto, che è
vivente solo per omonimia, ma precisamente di quello che pos-
siede l'anima, ovvero che è capace di vita, in quanto è munito
degli organi che essa richiede 65 • Viene quindi enunciata la tesi
che l'inseparabilità o separabilità dell'anima e delle sue facoltà
dal corpo è in funzione diretta del loro essere o meno 'atti' o

60 De an. r 12, 434 a 22-6.


61 De an. r 12, 434 a 27-b 8.
62 De an. r 12, 434 h 9-27; 13, 43.5 b 19-2.5. Per altri aspetti della dottrina
aitiologica applicata al De Anima cfr., nell'Indice dei termini greci, i vocaboli
«t·d«, «t~t.ov, St.« (con l'accusativo), St.6, S~t..
63 De an. A l, 402 a 2.5-h l.
64 De an. B l, 412 a 26.
65 De an. B l, 412 a 9 sgg.; 2, 414 a 4-28; 4, 415 h 14-5.

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IL METODO DEL TRATTATO 89

forme di organi corporei 66 • A ciò fa séguito una frase - «non


è chiaro se l'anima sia atto del corpo come il pilota lo è della
nave» 67 - parecchio enigmatica, nell'interpretazione della quale
gli autori sono divisi, ma che probabilmente ha lo scopo di
introdurre il discorso sulla psyche come causa motrice 68 • Lo
schema teorico dell'atto e della potenza è poi adoperato dallo
Stagirita per risolvere un nodo problematico essenziale alla
tematica del De Anima, quello del rapporto vigente fra i diversi
tipi di anime o facoltà, che risulta essere precisamente un rap-
porto di successione, nel senso che l'anima inferiore è contenuta
'in potenza' in quella superiore 69 • Ancora, lo stesso schema, e
particolarmente la tesi del primato gnoseologico dell'atto sulla
potenza, assolve un importante ruolo metodologico, imponendo
- almeno in linea di principio - la precedenza dello studio
delle funzioni psichiche rispetto a quello delle facoltà, e del-
l'analisi degli oggetti rispetto a quella delle funzioni 70 •
La dottrina della potenza e dell'atto risulta determinante
anche nell'indagine sulle singole facoltà e funzioni. Così la fa-
coltà sensitiva è in potenza le qualità che gli oggetti sensibpi
possiedono in atto, e si attualizza per l'azione di questi stessi
oggetti, che operano attraverso il 'mezzo'. Più precisamente,
l'atto e la potenza della facoltà sensitiva (come di quella intel-
lettiva) possono essere 'primi' o 'secondi', in relazione rispetti-
vamente alla hexis e all'energhein, i quali ultimi costituiscono in
ogni caso una alteratio perfectiva, ossia appunto l'attùazione di
una possibilità del soggetto. Nella conoscenza sensitiva (come
in quella intellettiva) in atto il soggetto si assimila all'oggetto e
s'identifica intenzionalmente con esso 71 • Per quanto riguarda
l'immaginazione, sulla distinzione tra la aisthesis come facoltà
e come sensazione attuale si basa il primo degli argomenti che
dimostrano la differenza tra phantasia e sensibilità 72 , e d'altra
parte la definizione causale dell'immaginazione è inclusiva della

66 De an. B l, 413 a 3-7.


67 De an. B l, 413 a 8-9.
68 Lefèvre, Sur l'évolution, 137 sgg. Non riesco a convincermi della recente
esegesi di Furley, Self Movers, 178 n. 3, che scorge nella frase in questione
un accenno al problema della localizzazione dell'anima nel cuore.
69 De an. B 3, 414 b 28-32.
70 De an. B 4, 415 a 14-22.
71 De an. B 5 per totum; 7, 418 a 31-b 3; 418 b 9-11 e 20-6 (la luce come
'atto' istantaneo del diafano); 419 a 8-11; 8, 419 h 4-11; 420 a 26-7; 9, 422 a
6-7; 10, 422 a 17-9; 422 a 34-h 10; 422 h 15-6; 11, 423 h 30-424 a 2; 424 a 7-10;
r 2, 425 h 26-426 a 26; 426 a 27-8; 427 a 6-9; 7, 431 a 4-5.
72 De an. r 3, 428 a 6-8 (cfr. anche 428 a 9).

Baruch_in_libris
90 INTRODUZIONE

sensazione in atto 73 • Lo schema 'potenza-atto' è poi fondamento


della dottrina dell'intelletto attivo e di quello 'possibile'. L'in-
telletto in potenza è tale rispetto alle forme intelligibili. Con
l'apprendimento dei noetà, s'identifica intenzionalmente con essi
e diventa intelletto in atto (o in habitu), rimanendo ancora in
potenza relativamente all'esercizio attuale del pensiero, ed in-
sieme essendo capace di pensare se stesso 74 • All'attualizzazione
del nous che è in potenza tutti i noetà, è però prerequisita
l'azione del nous poietikos, che, in quanto attualità essenziale
e pensiero sempre in atto (mentre il dynatos passa dalla potenza
all'atto), attiva gli intelligibili e, di conseguenza, il nous
dynamei 15 •
La polarità 'atto-potenza' viene poi assunta da Aristotele
.come strumento per l'indagine sugli 'indivisibili'. Essa comanda
la preliminare sistemazione concettuale degli adiaireta 16 , la tesi
dell'intellezione istantanea dell'intero indiviso in atto, le cui
metà esistono solo potenzialmente 77 , e la dottrina della cono-
scenza degli indivisibili (o universali) che hanno o no un con-
trario: nel primo caso il soggetto che conosce un contrario è
in potenza rispetto all'altro, nel secondo il soggetto che conosce
in atto l'indivisibile in questione non è nemmeno potenzialmente
il suo contrario 78 • Nella problematica dell' 'atto' rientra infine
la rilevante teoria che la sensazione non è una kinesis vera e
propria (ossia un atto 'imperfetto', ovvero un processo diretto
verso un fine altro da sé), ma un atto 'perfetto' e completo, una
energheia, in cui l'attività e il fine coincidono 79 •
E veniamo ora - per concludere - ad alcune opposizioni
ontologiche ed epistemologiche di carattere più particolare, e
che cionondimeno si dimostrano di grande momento per la ri-
cerca psicologica dello Stagirita. Cominciamo dalla coppia
'proprio-comune'. Essa serve ad Aristotele per differenziare, sia
pure molto problematicamente, i pathe che l'anima umana pos-
siede in esclusiva, da quelli che essa ha in comune con il corpo~'

73 De an. r 3, 429 a 1-2.


74 De an. r 4, 429 a 16; 21-4; 27-9; 429 h 5-9; 429 h 30-430 a 9; 7, 431 h
14; 17; 8, 431 h 24-8.
75 De an. r 5 per totum; 7, 431 a 1-4.
76 De an. r 6, 430 h 6.
77 De an. r 6, 430 h 7-11.
78 De an. r 6, 430 h 23-6.
79 De an. r 7, 431 a 6-7 (cfr. anche De an. B 5, 417 a 16-7; r 10, 433 ,
h 18; Sens. 6, 446 h 2 sgg.). Cfr. inoltre Ackrill, Aristotle's Distinction, 121 sgg.
{considerazioni critiche in Leszl, Aristotele, 286-91); Mulhern, Types, 237 sgg.
so De an. A l, 402 a 9-10; 403 a 3-12. Cfr. anche De an. r 10, 433 h 20.

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IL METODO DEL TRATTATO 91

per distinguere la definizione universale di anima dalle definizioni


proprie delle diverse anime 81 , per discriminare i sensibili propri
di ciascun senso da quelli comuni a tutti 82 , per chiarire come
la non avvertenza dell'oggetto odoroso posto direttamente sul-
l'organo olfattivo è comune a tutti gli animali, mentre la rela-
zione tra olfatto e respirazione si dimostra necessaria soltanto
nel caso degli animali forniti di polmone 83 • Un certo peso as-
sume anche lo schema 'genere-specie': lo Stagirita si chiede se
le varie anime differiscano specificamente o genericamente 84 , e
spiega che i sensibili costituiscono le specie di un unico genere
(come il bianco e il nero del colore), oppure appartengono a
generi diversi (come il bianco al colore e il dolce al sapore) 85 • Nel
corso della sua indagine, Aristotele ricorre inoltre alla impor-
tante distinzione tra unità numerica, specifica ed analogica.
I segmenti risultanti dal sezionamento di una pianta o di un
animale inferiore hanno un'anima identica specificamente, ma
non numericamente, a quella del vivente originario 86 • La ripro-
duzione dei viventi consiste nel generare un individuo identico
a sé quanto alla specie, e non quanto al numero 87 • La facoltà
appetitiva e locomotoria è unica specificamente, ma per il nu-
mero è molteplice 88 • Sensibili di genere diverso costituiscono
un'unità analogica e (in quanto appartengono a un medesimo
oggetto) numerica 89 • Un ruolo di rilievo nel discorso scientifico
del De Anima ha poi l'opposizione tra uno (o identico) e diverso,
e specialmente quella tra unità (o identità) numerica e diversità
(o molteplicità) nell'essenza. Cosl il senso e il suo organo for-
mano un'identica realtà numerica, ma si distinguono per l'essenza
e la definizione 90 • Lo stesso principio si applica al rapporto
tra sensazione e sensibile in atto 91 , tra appetizione e repulsione
e tra facoltà appetitiva e quella sensitiva 92 , tra l'organo cen-

81 De an. B 3, 414 b 22-8.


82 De an. B 6, 418 a 10 sgg., ecc.
83 De an. B 9, 421 b 17-9.
84 De an. A l, 402 b 3.
8S De an. B 9, 421 a 17; 10, 422 b 10; r l, 424 b 31-2; 2, 426 b 8 sgg.;
7, 431 a 24-5.
86 De an. A 4, 409 a 9-10; 5, 411 b 20-1. Or. anche De an. B 2, 413 b
18-9: l'anima di questi viventi è unica in atto, ma molteplice in potenza.
87 De an. B 4, 415 b 7.
88 De an. r 10, 433 b 10-3.
89 De an. r 7, 431 a 22-3.
90 De an. B 12, 424 a 25.
91 De an. r 2, 425 b 26-7; 426 a 15-7.
92 De an. r 7, 431 a 12-4. Cfr. anche De an. r 9, 432 b 3-4.

Baruch_in_libris
92 INTRODUZIONE

trale della sensibilità e i diversi sensi 93 , tra sensibili dello


stesso genere o di genere diverso 94 , tra immaginazione ed altre
facoltà 93 • Associata a questa tematica è pure la tesi che la di-
scriminazione tra sensibili di genere diverso è opera del soggetto
percipiente, numericamente ed essenzialmente uno, ma diviso
nella sua funzione 96 • Va da ultimo registrata la coppia Àoycv
-t07t4l (o IJ.EyÉi)et.), che chiarifica i termini del problema della
distinzione tra le facoltà dell'anima, 'separabili' l'una dall'altra
precisamente dal solo punto di vista della loro essenza e funzione,
oppure anche rispetto al luogo che occupano nel corpo 97 •

2. I PHAINOMENA.

Il discorso scientifico del De Anima non utilizza soltanto una


complessa strumentazione teorica (o, meglio, metateorica) di tipo
metafisico-ontologico (e più in generale, si può dire, i principali
capisaldi dell'intera filosofia aristotelica, dalla cosmologia al-
l'etica), ma ha il suo punto di partenza anche nel confronto
critico col inondo dei phainomena, intendendo con questa parola,
sulle orme di un brillante e fortunato saggio di G. E. L. Owen 1,
non solo i dati empirici, ma anche gli usi del linguaggio ordi-
nario, le opinioni comuni e la tradizione scientifico-filosofica.
Verifichiamo analiticamente quest'impostazione metodologica del
De Anima con una rilettura dell'opera, riprendendo, per quanto
concerne l'ultimo punto, soltanto i temi che non sono stati già
trattati in quest'introduzione 2 •
In apertura dello scritto Aristotele dichiara, sia pure ancora
problematicamente, l'utilità del metodo induttivo o a posteriori
in psicologia, che, partendo dall'analisi del concreto oggetto
conoscibile, permette di giungere alla determinazione delle fun-
zioni e delle facoltà conoscitive 3, un punto di vista confermato
immediatamente dopo, con l'affermazione che l'individuazione
katà ten phantasian (ossia per mezzo dell'esperienza) degli

93De an. r 7, 431 a 19-20.


94De an. r 7, 431 a 28-9.
95 De an. r 9, 432 a 31-b 2.
96 De an. r 2, 427 a 9-14.
97 De an. B 2, 413 b 14-5; 28-9; r 4, 429 a 11-2; 9, 432 a 20. Cfr. anche
De an. r 9, 432 b 3-4; 10, 433 b 24-5.
1 Owen, Tithenai, 83 sgg. (alcuni rilievi critici in Leszl, Aristotele, 298-302).
2 Cfr. supra 53 sgg.; 61 sgg.
3 De an. A l, 402 b 9-16. Cfr. anche De an. B 4, 415 a 14-22.

Baruch_in_libris
IL ~TODO DEL TRATTATO 93
1
accidenti per sé' serve a conoscere l'essenza della cosa 4 • Tale
opzione di metodo si dimostra sùbito efficace col rilevamento
fenomenologico (phainetai) del carattere psicosomatico della
maggior parte delle funzioni psichiche 5 • Nel medesimo contesto
compare un altro, importante strumento ermeneutico per la spie-
gazione dei fenomeni biopsichici, quello dell'analogia 6 , in questo
caso con una definizione matematica: l'anima con le sue proprietà
è inseparabile dal corpo come lo è la retta avente la proprietà
di essere tangente alla sfera in un punto 7 •
All'inizio della discussione delle teorie cinetiche viene abboz-
zata un'altra similitudine: l'anima è mossa ( = è trasportata) dal
corpo come il marinaio dalla nave, ossia per aliud e per accidens 8,
ed un'altra, puntuale analogia è formulata al termine di un
excursus sul rapporto tra anima e corpo, questa volta assunta
dalla tecnica: come la techne si serve dei suoi strumenti, così
l'anima dei suoi organi corporei 9 • La terza obiezione, poi, alla
teoria dell'anima-armonia fa forza su questo dato linguistico,
che cioè il termine armonia' è più atto a denotare uno stato
l

corporeo (ad esempio la salute), che non una funzione psichica 10 ,


e la quinta muove dalla distinzione dei due usi dello stesso ter-
mine 11 • Ancora, riprendendo la questione dei 'movimenti' del-
l'anima, Aristotele rileva come il linguaggio comune consideri
immediatamente l'anima quale soggetto dei processi psichici,
mentre un'analisi critica di questi processi e dei loro supporti
corporei mostra che tale soggetto non è direttamente l'anima
stessa, ma il composto vivente 12 • Riguardo poi al nous, lo Sta-
girita ne stabilisce la seguente analogia con la aisthesis: come
la facoltà sensitiva s'indebolisce a causa del logoramento degli
organi sensori, ma di per sé può sempre funzionare normalmente
(come dimostrerebbe, ad esempio, il trapianto dell'occhio, ove
fosse possibile), cosi l'intelletto subisce l'influsso delle condi-

4 De an. A l, 402 b 21-.5.


s De an . . :\ l, 403 a 5-7; 16-24.
6 Cfr. ~Iuskens, De vocis, 80-4.
7 De an. A l, 403 a 12-6 (cfr. anche 403 b 17-9).
8 De an. A 3, 406 a 4-10; 14-5. Cfr. anche De an. A 4, 408 a 30-4.
9 De an. A 3, 407 b 2.5-6. Cfr. anche Vegetti, in Lanza-Vegetti, Opere,
.532 n. .50: « La tecnica funge ... , per la matura scienza aristotelica, da modello
analogico per la comprensione dei processi naturali». Cfr. inoltre De an. A l,
403 b 3-7 e S. ~Iansion, Soul, 7.
10 De an. A 4, 408 a 1-3.
11 De an. A 4, 408 a .5-9.
u De an . . .~ 4, 408 b 1-3; 11-5.

Baruch_in_libris
94 INTRODUZIONE

zioni corporee, ma in sé è impassibile 13 • Inoltre, come argomento


polemico contro la dottrina senocratea dell'anima-numero, Ari-
stotele utilizza le esperienze di sezionamento delle piante e di
vivisezione degli animali 14 , di cui egli fa uso anche per sancire,
dal punto di vista teorico, l 'unità (specifica) dell'anima 15 , la sua
molteplicità potenziale e l'inseparabilità delle sue parti 16 , e contro
Empedocle rileva l'insensibilità dei tessuti dell'animale composti
soltanto di terra 17, insensibilità che egli poi, per la stessa ragione,
attribuisce anche alle piante 18 • Infine Aristotele si rifà all'en-
doxon che rappresenta l'anima quale principio di unità del corpo,
e ne trova conferma nel fatto della dissoluzione del corpo stesso
conseguente alla morte dell'animale 19 •
La ricerca della definizione di anima porta sùbito alla for-
mulazione di una prima, importante analogia: l'atto primo sta
all'atto secondo come la conoscenza al suo esercizio 20 • Ci si
richiama quindi alla communis opinio che le sostanze sono spe-
cialmente i corpi naturali, e al dato d'esperienza della contrap-
posizione tra corpi viventi e corpi non viventi 21 • Il succitato
paragone viene poi applicato direttamente all'anima: l'anima
è atto come lo è la conoscenza; e questa dottrina dell'anima
come 'atto primo' viene illustrata con un'ulteriore proporzione
di termini: il sonno sta alla conoscenza come la veglia all'uso
di quella 22 • Ad altre, celebri analogie Aristotele fa ricorso per
chiarire l'unità ilemorfica dell'essere vivente e la natura del-
l'anima quale essenza e atto del corpo: l'anima e il corpo pro-
ducono l'unità del vivente come la cera e la figura quella, ad
esempio, di una sfera 23 ; l'anima è l'essenza del corpo come la
capacità di fendere è l'essenza della scure e come la vista è
l'essenza dell'occhio; l'anima è atto come lo sono la facoltà di
vedere e la capacità di uno strumento; l'anima e il corpo for-
mano l'animale come la vista e la pupilla formano l'occhio;

13 De an. A 4, 408 b 18-25. Cfr. anche Hicks, in De an., ad 408 b 19-24,


277-8.
14 De an.
A 4, 409 a 7-10.
15 De A 5, 411 b 19-27.
an.
16 De B 2, 413 b 16-24.
an.
17 De A 5, 410 a 30-b 2.
an.
18 De r 13, 43' a 24-b l. Cfr. Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 964
an.
n. 52: «l'elemento ( = la terra) è... individuato nell'ambiente che circonda
l'essere vivente ( = la pianta) • e «senza il quale l'essere non potrebbe esistere».
19 De an. A ,, 411 b 7-9.
20 De an. B 1., 412 a 10-1.
21 De an. B l, 412 a 11-3.
22 De an. B l, 412 a 22-7.
23 De an. B l, 412 b 6-7.

Baruch_in_libris
IL ~TODO DEL TRATTATO 95

l'anima è l'attività del corpo come il marinaio, e in particolare


il pilota, lo è della nave 24 • Anche la distinzione fra la prima
definizione di anima (che esibisce lo hoti) e la seconda (che deve
manifestare la aitia) viene spiegata con un paragone (questa
volta di natura matematica): quello delle due definizioni di
quadratura 25 • Questa seconda definizione di anima a sua volta
è reperita attraverso un'analisi del linguaggio ed un uso del-
l'analogia abbastanza complessi: l'anima (e non il corpo) è la
causa primaria delle funzioni biopsichiche come la conoscenza
(e non l'anima) lo è del conoscere e come la salute (e non il
corpo) lo è dell'esser sani 26 • Ad una similitudine matematica
Aristotele ricorre poi per illustrare il rapporto di successione
tra le diverse anime-facoltà: l'anima superiore contiene in po..
tenza quella inferiore come una figura rettilinea più complessa
contiene in potenza quella più elementare 27 ; mentre la dottrina
della finalizzazione del corpo del vivente alla sua anima è basata
sulla seguente, classica analogia: come il pensiero pratico e
l'attività tecnica sono finalizzati ad uno scopo, così, e a fortiori,
lo è la natura vivente 28 •
E veniamo alla trattazione delle singole facoltà. Al termine
della discussione sulla facoltà nutritiva Aristotele stabilisce la
seguente analogia: l'anima nutritiva, servendosi del calore vitale,
agisce sull'alimento, come il pilota, mediante la mano, regge il
timone della nave 29 • Quanto alla facoltà sensi tiva, egli innan-
zitutto prende in considerazione il fatto che i sensi non percepi-
scono i propri sensori (quantunque questi siano formati dagli
stessi elementi degli oggetti sensibili) ed offre una spiegazione
teorica di questo fatto 30 , asserendo che la facoltà sensitiva (e il
suo organo), in quanto mera capacità di percepire, non può
essere attualizzata che dal sensibile in atto, come - ed ecco
un altro paragone- il combustibile non brucia che per l'azione
del comburente 31 • L'analisi linguistica rivela poi i due significati

24 De an. B l, 412 h 10 sgg. Or. Lefèvre, Sur le statut, 51 n. 14: « David


Rees me suggère que le passage, depuis 412 h 10, peut contenir une rémi-
niscence de République I, 3.52 e-3.53 c».
25 De an. B 2, 413 a 11-20.
26 De an. B 2, 414 a 4-14.
n De an. B 3, 414 b 28-32.
28 De an. B 4, 41.5 h 16-7. Cfr. anche Bonitz, lndex, 836 h 2-4.
29 De an. B 4, 416 h 20-9.
30 Or. invece la discussione del problema dal punto di vista fisiologico
in Sens. 2, 437 a 26-b 10 (con parafrasi di Ross, in Sens., 186).
31 De an. B .5, 417 a 2-9. ar. anche Hamlyn, in De an., ad 417 a 2, 99-100.

Baruch_in_libris
96 INTRODUZIONE

fondamentali di 'percepire', in rapporto alla potenza e all'atto 32 ,


e questa stessa analisi, unita al metodo analogico, vale ad otte-
nere le distinzioni - di primaria importanza per la compren-
sione delle attività conoscitive, a cominciare da quella sensi-
riva- tra potenza prossima e remota, tra atto primo e secondo,
tra alteratio corruptiva e perfectiva 33 •
Per quanto concerne in particolare la vista, è interessante
registrare la polemica contro la dottrina empedoclea della pro-
pagazione della luce solare, che Aristotele dice di respingere
non solo per ragioni teoriche- che invece, naturalmente, sono
preponderanti -,ma in base ai phainomena, ossia alla necessaria
percepibilità di un movimento sulle grandi distanze 34 • Compare
qui anche un esperimento- quello dell'inavvertenza dei perce-
pibili posti a diretto contatto con l'organo sensorio - , che
consente ad Aristotele di inferire semeioticamente 35 la tesi - che
peraltro non sfugge ad alcune serie difficoltà 36 - dell'indispen-
sabilità del 'mezzo' per la sensazione 37 • Nell'indagine sull'udito
si accenna poi, ma abbastanza ellitticamente, all'anatomia e fisio-
logia del suo organo - e, ancor più di sfuggita, di quello della
vista - 38 , e si adduce come semeion o sintomo del buon funzio-
namento dell'udito il fatto che l'orecchio risuona come un
corno 39 • Nlolto interessante è anche l'osservazione dello Stagi-
rita che i termini 'acuto' e 'grave', applicati ai suoni, sono as-
sunti per metafora dai termini 'acuto' e 'ottuso', propri degli
oggetti tattili, e che quest'uso linguistico presuppone una con-
nessione di proporzione o analogia, che si verifica nella realtà:
l'acuto sta al grave nei suoni come l'acuto all'ottuso nei tangibili 40 •
Inoltre quale indizio dell'utilizzazione del pneuma per l'emis-
sione della voce viene segnalato il dato d'esperienza che è impos-
sibile parlare se non si trattiene il respiro 41 • Quanto all'olfatto,

32 De an. B 5, 417 a 9-12.


33 De an. B 5, 417 a 21 sgg.; 417 b 2 sgg.; 417 h 16 sgg.; 417 h 28 sgg.
Or. anche Furley, Self Movers, 172: « the difficulty of finding the right language
to describe the relation between the soul and the ohjects of perception ».
34 De an. B 7, 418 b 20-6. Cfr. anche G. E. R. Lloyd, The Empirical, 219;
232 n. 14.
35 De an. B 7, 419 a 11: semeion. Su questo tema dr. Vegetti, in Lanza-
Vegetti, Opere, 97 sgg.; 530 sgg.
36 Cfr. supra 67.
37 De an. B 7, 419 a 11-5; 26-31; 9, 421 h 16-8.
38 De an. B 8, 420 a 11-5. Cfr. anche G. E. R. Lloyd, The Empirical, 219;
223; 232 n. 14; 234 note 39-40.
39 De an. B 8, 420 a 15-6 .
.w De an. B 8, 420 a 29-b 4. Cfr. Leszl, Logic, 128; 375.
41 De an. B 8, 421 a 1-3.

Baruch_in_libris
IL ~TODO DEL TRATTATO 97

Aristotele rileva la debolezza di questo senso nell'uomo, simile


alla limitatezza delle capacità visive negli animali con gli occlu
duri, e insieme l'analogia tra olfatto e gusto e tra odori e sapori,
dai quali i primi hanno assunto il nome 42 , benché tale analogia
non attenui la maggiore acutezza del gusto, in quanto è una forma
di tatto. Il tatto è infatti nell'uomo il senso più perspicuo, e
quello che lo rende il più intelligente degli animali. Una riprova
(semeion) di ciò - fa osservare molto significativamente lo
Stagirita, ispirandosi ad una lunga tradizione medica e filoso-
.fica 43 - è che nel tatto, e in particolare nella morbidezza della
carne, si trova la condizione materiale che spiega la superiorità
intellettuale dell'uomo sugli animali e di certi uomini rispetto
ad altri 44 • Un'osservazione quanto mai significativa perché Ari-
stotele, nel momento stesso in cui riconosce - per l'influsso
di una tradizione anzitutto medica ed empirica' - un supporto
l

materiale all'intelligenza - che tuttavia in nessun modo con-


1
traddice la sua inorganicità e Separatezza' 45 - , si serve d'altra
parte di questo dato empirico' per confermare la sua ideologia
l

aristocratica della distinzione di natura' tra gli uomini. Inoltre


l

l'esperienza dimostra 46 che sono capaci di sens~ioni olfattive


sia gli animali che respirano come quelli privi di polmone.
Questo fatto viene spiegato dallo Stagirita col ricorso al seguente
procedimento analogico: è capace di percezione sia l'organo
olfattivo provvisto di membrana (che viene rimossa nell'atto
della respirazione) come quello che ne è privo 47 , allo stesso
modo che vede sia l'occhio fornito di palpebre come quello degli
animali scleroftalmici 48 •
Per ciò, poi, che riguarda il gusto, Aristotele si sforza di
includerlo tra le funzioni tattili 49 , e di mostrare come esso per-
cepisce sempre per diretto contatto con l'oggetto, interpretando
in questo senso anche l'esperienza della percezione del dolce
mescolato ad una bevanda 50 • Quest'interpretazione, tuttavia,

42 De an. B 9, 421 a 7-18; 421 a 26-b 3.


43 Cfr. infra 329-30.
44 De an. B 9, 421 a 19-26.
45 Cfr. supra 72 sgg.
46 De an. B 9, 421 b 11-3; 19: peiromenois; 23: phainetai.
47 Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1104 n. 35: «Si può notare bene l'im-
postazione comparativa dell'anatomo-fisiologia aristotelica: anche nella diversità
delle conformazioni dell'organo, Aristotele insiste sulla similarità della funzione
pur parlando di specie affatto diverse».
48 De an. B 9, 421 b 10-422 a 6.
49 Or. però De an. B 11, 423 a 17-21.
50 De an. B 10, 422 a 8-16.

Baruch_in_libris
98 INTRODUZIONE

rende molto problematico il criterio di demarcazione fra il gusto


e, ad esempio, l'olfatto 51 • In ogni caso lo Stagirita ammette che
il liquido rappresenta la condizione necessaria dei sapori, come
risulta dal semeion che la lingua troppo secca o troppo umida
. non li avverte affatto 52 • Quanto al tatto, si contesta innanzi-
tutto la legittimità di inferire dall' 'indizio' (semeion) della im-
mediatezza delle percezioni tattili la conclusione che la carne
costituisce l'organo del tatto. A tale scopo Aristotele ricorre
all'ingegnoso esperimento 53 di una membrana artificiale stesa
intorno al corpo, la quale segnala sùbito lo stimolo tattile,
evidentemente senza essere l'organo sensorio 54 • In questa pro-
spettiva lo Stagirita sottoscrive in linea di massima l' endoxon
che distingue sensi per contatto e sensi a distanza 55 , ma nega che
la percezione dei primi si effettui senza un 'mezzo'. Dal « crucial
experiment » 56 che un oggetto posto direttamente sulla carne
viene percepito, si deve infatti indurre che il 'mezzo' - e non
l'organo- del tatto, analogo all'intermediario esterno dei sensi
a distanza 57 , è appunto la carne 58 •
Ancora in tema di sensibilità, Aristotele formula la ben nota
analogia secondo cui il senso è ricettivo delle forme sensibili
senza la materia dell'oggetto, come la cera 59 assume l'impronta
del sigillo senza il metallo di cui è costituito 60 • Parecchio inte-
ressante è anche la dimostrazione della limitatezza di numero
dei sensi. Che questi non potessero essere superiori a cinque
doveva rappresentare per lo Stagirita un dato d'esperienza 61 ,
che egli peraltro tenta di giustificare con una complessa argo-
mentazione, diretta forse contro Democrito 62 • Tale argomenta-
zione realizza una significativa mescolanza di scarsi dati empirici
- specialmente che l'occhio contiene acqua e che l'aria è il

51Cfr. supra 67.


52De an. B 10, 422 b 5-10.
53Hicks, in De an., ad 423 a 2, 406.
54De an. B 11, 422 b 34-423 a 5; 423 a 5-12 (ipotesi della membrana
congenita); 423 b 8-12.
ss De an. B 11, 423 b 2-3; 11 (cfr. anche 423 b 30-1: -l) xwvsdvrl 4qrl)).
56 Hicks, in De an., ad 423 a 22-b 27, 409.
57 Cfr. Muskens, De vocis, 82.
58 De an. B 11, 423 b 17-26.
S9 Cfr. anche De an. B l, 412 b 7; r 12, 435 a 2-3; 9-10.
60 De an. B 12, 424 a 17-24.
61 HA A 8, 532 b 31-2; Sens. 5, 444 b 19-20. Cfr. anche Hamlyn, in De an.,
ad 424 b 22, 117.
62 Cfr. Ross, in De an., 268-9.

Baruch_in_libris
IL METODO DEL TRATTATO 99

veicolo del suono - 63 e di sovrastanti considerazioni teoriche H


- particolarmente della tesi, ripresa dai precursori 65 , della cor-
relazione della struttura dei cinque organi sensori coi quattro
elementi del mondo sublunare - 66 • Il discorso di Aristotele è
il seguente. Gli elementi corrispondono agli 'intermediari' della
percezione; l'acqua e l'aria vanno ripartite fra i tre sensi a
distanza: l'occhio - afferma lo Stagirita sulle orme di Demo-
crito 67 - è di acqua 68 , l'udito d'aria e l'olfatto di entrambe;
il tatto ha come sua specie il gusto ed è formato di terra 69 ,
mentre il fuoco-calore vitale è costitutivo di tutti i sensori 70 •
Degna di nota è inoltre la ricerca di una conferma linguistica
alla tesi della differenza essenziale (nonostante la loro identità
numerica) tra sensazione e sensibile in atto, conferma che viene
offerta puntualmente dal senso dell'udito (l'udito in atto si può
chiamare 'ascolto' e il suono in atto 'sonorità'), e parzialmente
anche dagli altri sensi (la vista in atto si chiama 'visione' e il
gusto in atto degustazione') 71 • Va infine sottolineato il ricorso
1

alla celebre analogia del punto geometrico, per illustrare il com-


plesso fenomeno della discriminazione percettiva. Il soggetto
percipiente percepisce i sensibili simultaneamente e insieme ne
coglie la differenza, come il punto è in sé indivisibile, e insieme
è fine e principio dei due segmenti in cui si divide una retta 72 •
Quanto all'immaginazione, si rileva innanzitutto - serven-
dosi dell'esperienza interna 73 - la sua diversità dalla hypo-
lepsis e - più particolarmente - dalla doxa, giacché essa, a
differenza di quest'ultima, dipende dalla volontà e, in certo
modo, dall'arbitrio del soggetto (analogamente al richiamo alla
memoria) e non lo coinvolge emozionalmente 74 • Nel caso del-

63 La base empirica dell'anatomo-fisiologia del De Anima, in quanto trat-


tato di biopsicologia generale, è naturalmente ancora più ristretta di quella dei
Parva Naturalia, per i quali cfr. G. E. R. Lloyd, T be Bmpirical, 216 sgg.
64 Cfr. G. E. R. Lloyd, The Bmpirical, 224; 229.
65 Cfr. infra 348-9.
66 Questa stessa considerazione teorica è probabilmente a sua volta coman-
data da un'altra esigenza teoretica, quella di salvaguardare la compiutezza della
conoscenza intellettiva. Cfr. in fra 349 n. 2.
67 Cfr. Sens. 2, 438 a 5 sgg.
68 Cfr. supra 65 n. 14.
fiJ Cfr. anche De an. r 13, 435 a 224; inoltre Hicks, in De an., ad 425 a
7, 425.
10 De an. r l, 424 b 22425 a 13. Cfr. anche Diiring, Aristoteles, 562-3.
71 De an. r 2, 425 b 26426 a 19. II termine 4xou~ è di conio aristotelico.
72 De an. r 2, 427 a 9-14. Cfr. anche De an. r 7, 431 a 21-2.
73 Schofield, Aristotle, 120: « behavioural aiteria ».
74 De an. r 3, 427 b 16-24.

Baruch_in_libris
100 INTRODUZIONE

l'immaginazione, poi, l'analisi del linguaggio congiunta ai


dati dell'esperienza interna - si dimostra particolarmente effi-
cace per coglierne i vari aspetti. In effetti il termine phantasia
connota propriamente l'esperienza sensibile non ordinaria- ov-
vero non solo le immagini, ma anche, ad esempio, le perce-
zioni indistinte, le illusioni sensorie, l'attività onirica e le allu-
cinazioni - , e soltanto metaforicamente ed estensivamente
l'esperienza sensibile ordinaria 75 • Venendo a trattare dell'intel-
letto in potenza, lo Stagirita registra numerose e significative
analogie tra questa facoltà e la aisthesis, valorizzando special-
mente la dottrina anassagorea della 'non mescolanza' del nous 16 •
Nel contempo si rimarcano tuttavia le notevoli differenze tra intel-
letto e senso, per un verso utilizzando il legomenon che scorge
nell'anima il'luogo delle forme' e per l'altro adducendo un pun-
tuale semeion a riprova della diversità della loro apatheia 77 •
Alla tesi, poi, della corrispondenza tra l'immaterialità della cono-
scenza intellettiva e quella dei suoi oggetti, Aristotele perviene
attraverso un complesso gioco di analogie e similitudini, tra cui
fanno spicco quella del 'camuso', come esempio di ente fisico,
e quella della linea retta o spezzata, cui vengono paragonati il
nous e la aisthesis 18 • A ciò si aggiunge la famosa similitudine
dell'intelletto in potenza con il grammateion 19 • Ancora, la dot-
trina dei due intelletti di De an. r 5 è interamente costruita su
un rapporto analogico: come (e poiché) per ogni divenire natu-
rale e per ogni oggetto fabbricato dalla tecnica vi sono una
specifica causa materiale e potenziale ed una specifica causa effi-
ciente e attiva, cosi (e conseguentemente) di necessità (non solo
di diritto, ma anche di fatto) esistono nell'anima umana un
intelletto in potenza ed uno produttivo 80 , il quale ultimo attua-
lizza gli intelligibili come la luce attualizza i colori 81 • Degna
di nota è anche la proporzione di termini stabilita alla fine del
capitolo dedicato agli 'indivisibili': il vero e il falso competono
al giudizio come alla percezione dei sensibili per accidente,

75 De an. r 3, 428 a 1-2; 7-8; 12-5; 16; 428 h 2-4; 429 a 7-8. Cfr. Scho-
field, Aristotle, 108; 115 sgg.; 119 sgg.; Furley, Self Movers, 176; inoltre
infra 366.
76 De an. r 4, 429 a 10-24; 429 b 22-4. Cfr. anche De an. r 8, 431 h
21 sgg.
77 De an. r 4, 429 a 24-b 5.
78 De an. r 4, 429 b 10-22. Cfr. anche De an. r 7, 431 b 13-5.
79 De an. r 4, 430 a l.
so Per un rapporto analogico inverso (dal nous alla physis) rispetto a quello
in questione dr. De an. B 4, 415 h 16-7.
81 De an. r 5, 430 a 10-7.

Baruch_in_libris
IL METODO DEL TRATTATO 101

mentre l'intellezione delle essenze è sempre vera come la perce-


zione dei sensibili propri 82 , come pure l'analogia indicata suc-
cessivamente tra percezione, intellezione e pronuncia di un
singolo termine da un lato, ed appetizione e giudizio dall'altro 83 ,
ed il celebre paragone- di origine anassagorea 84 - dell'anima
(come 'forma delle forme') con la mano (come 'strumento degli
strumenti') 85 •
Nella discussione sull'attività pratica Aristotele utilizza natu-
ralmente alcune esperienze della vita morale. Cosl, per mostrare
come né il nous pratico né la orexis sono da sé soli sufficienti
a determinare il comportamento del soggetto, egli rileva per un
verso che la mera riflessione di questo nous su un oggetto da per-
seguire può tutt'al più provocare un'emozione, ma non già in-
durre il soggetto ad agire, e per l'altro verso che l'imperativo della
ragione pratica può essere vanificato dalla epithymia incontinente,
come questa può essere vinta da quello, e insieme aggiunge la
constatazione 86 che altra cosa è la conoscenza ed altra la sua
attuazione 87 • Al fenomeno dell'incontinenza lo Stagirita si ri-
chiama ancora per indicare sia nella orexis (in questo caso nel-
l'epithymia) come nella noesis (in questo caso nella phantasia)
le cause del comportamento del soggetto, benché il fattore prin-
cipale dell'azione consista nella orexis, giacché l'esperienza di-
mostra (phainetai) che la ragione non muove senza la volontà,
mentre il desiderio muove anche contro la ragione 88 • Dalla realtà
psicologica del conffitto tra volontà e desiderio viene poi infe-
rita la tesi dell'unità specifica della facoltà appetitiva e della
sua molteplicità numerica: a livello razionale si situa la volontà
ed a quello irrazionale l'impulso e il desiderio 89 • Trattando poi
degli animali inferiori, ovvero dotati soltanto del senso del tatto,
lo Stagirita mostra sia che sono capaci di desiderio, in quanto
provano piacere e dolore, sia che sono forniti di una forma
indefinita d'immaginazione sensibile, ciò che si può inferire, per
analogia, dai loro altrettanto vaghi e indeterminati spostamenti
di luogo 90 •

82 De an. r 6, 430 b 26-30.


83 De tm. r 7, 431 a 8-10. Cfr. anche Graeser, On Aristotle's, 87; 96 n. 38.
84 PA A 10, 687 a 7 sgg.
ss De an. r 8, 432 a 1-3.
86 De an. r 9, 433 a 4: i>()W(.Uv.
87 De an. r 9, 432 b 29-433 a 8. ar. anche De an. r 10, 433 a 9-13.
88 De an. r 10, 433 a 21-6.
89 De an. r 10, 433 b '-13. Cfr. anche De an. r 11, 434 a 12-5.
90 De an. r 11, 433 b 31-434 a 7.

Baruch_in_libris
102 INTRODUZIONE

Riprendendo infine il discorso sulla facoltà sens1t1va, Ari-


stotele spiega il processo della sensazione a distanza facendo uso
dell'analogia con la trasmissione del moto locale ed il mutamento
qualitativo 91 , e trova conferma della natura della d.cp1] come
senso per contatto nel suo stesso nome, il cui significato origi-
nario è precisamente 'contatto' 92 •.

3. DIFFICOLTÀ E 'coNTRADDIZioNI' DEL «DE ANIMA».

Si è già affermato in precedenza che la fondamentale unità


speculativa del nostro trattato - che realizza, tramite la dot-
trina del rapporto di successione tra le anime-facoltà, l'inte-
grazione della noetica nell'ilemorfismo psicologico - non rende
totalmente immune il De Anima da difficoltà metodologiche e
teoriche, ed anche da talune improprietà, sviste, incongruenze
ed inconsistenze di carattere più particolare 1• Occupiamoci bre-
vemente e schematicamente di alcuni tra gli esempi più signi-
ficativi di tali punti critici, in parte già toccati in questa stessa
introduzione 2 •
(i) A più riprese si è insistito 3 sul fatto che Aristotele,
dopo aver obiettato ai suoi predecessori - e particolarmente
all'armonismo psicologico e alla teoria dell'anima-numero semo-
vente - di aver formulato delle definizioni non scientifiche
di psychè, giacché da esse non sono deducibili le facoltà e le
funzioni dell'anima stessa, con la propria definizione di anima
come forma del corpo cade nella medesima difficoltà, in quanto
tali facoltà e funzioni sono conoscibili soltanto in base all'espe-
rienza. È questo un esempio parecchio significativo di come un
dato modello scientifico (in questo caso, il modello di definizione
e di deduzione offerto dalle matematiche) venga assunto inde-
bitamente da Aristotele in un ambito di discorso affatto diverso,
qual è quello - rigorosamente 'fisico' - della psicologia. Ma,
a parte questa incongruenza metodologica iniziale, per il resto
lo Stagirita è ben consapevole del procedimento da seguire, che
è appunto quello - proprio delle scienze della natura - di

91De an. r 12, 434 b 29-43.5 a 2.


92De an. r 13, 435 a 17-8. Cfr. Hicks, in De an., ad 43.5 a 17, 584;
Sorabji, Aristotle on Demarcating, 69.
t Cfr. supra 31.
2Per altre difficoltA cfr. infra 218 n. 6; 274 n. 6; 289 n. 4; 309 n. 3; 334;
341 n. 4; 369 n. 4. 3 Cfr. supra 51-2; 51; 61.

Baruch_in_libris
IL METODO DEL TRATTATO 103

individuare, tramite l'esperienza interna ed esterna, gli 'accidenti'


dell'anima e della ousia vivente, e di stabilire quindi le loro
mutue relazioni 4 •
(ii) Un'altra difficoltà è rappresentata dal concetto aristo-
telico di anima quale motore 'immobile', giacché, ad esempio,
se gli oggetti esterni - in quanto percepibili ed appetibili -
esercitano un certo effetto sull'anima, quest'effetto sembra che
possa a buon diritto essere chiamato movimento 5 • Ora è chiaro
innanzitutto che la dottrina dell'anima-motore immobile ha una
precisa origine storica, ossia sorge come risposta polemica spe-
cialmente alla teoria psicologica (materialistica e meccanistica)
di Democrito e del Timeo di Platone (che lo Stagirita interpreta
in termini parimenti naturalistici). Tale dottrina aristotelica
assume che la psyche, come causa prima e metempirica di ogni
movimento (locale, qualitativo e quantitativo) del vivente, non
debba ;e non possa andar soggetta ai medesimi tipi di movi-
mento 6 • Cionondimeno Aristotele ammette che l'anima, nel pro-
durre la traslazione del vivente, sia a sua volta, 'per accidente',
mossa localmente da esso 7 ; che le sensazioni siano movimenti, o
meglio alterazioni (perfectivae), vale a dire attuazioni di una
potenzialità 8 ; e che siano descrivibili come movimenti (o alte-
razioni) anche altri processi psichici, quali le emozioni, il ri-
chiamo alla memoria, la phantasia, il pensiero e la orexis 9•
L'anima, dunque, come motore (per se) immobile - diversa-
mente dalla completa trascendenza, autosufficienza ed identità
essenziale proprie del primo Motore immobile 10 - è traspor-
tata dal suo corpo ed è 'mossa' dagli oggetti esterni, special-
mente in quanto cause di percezioni e di appetizioni (le quali
ultime producono a loro volta la locomozione dell'animale). Ma
come la traslazione dell'anima da parte dell'animale è un moto
puramente accidentale, cosl quelli che spesso, impropriamente 11 ,
1
lo Stagirita chiama 'movimen,ti dell'anima (quali le percezioni,

4 Cfr. anche Vegetti, in Lanza-Vegetti, Opere, 518.


5 Furley, Self Movers, 177.
6 De an. A 2, 403 h 29-31; 404 a 20-5; 3, 406 a 124; B 4, 415 h 21-7.
7 De an. A 3, 405 h 31 sgg.; 406 a 10 sgg.; 406 h 5 sgg.; 4, 408 a 30-4.
s De an. A 3, 406 h 10-1; 4, 408 h 3; 10-1; 16-7; B 4, 415 h 24; 5,
416 h 33-5; 417 a 14-6; 417 h 2-21; 7, 419 a 14-5; 419 a 28; 11, 423 a 10;
r 2, 426 h 29-31; 12, 435 a 8-9.
9 De an. A 4, 408 a 34-b 18; 408 h 25-9; r 2, 427 a l; 3, 428 h 11; 13;
15; 25-6; 429 a 1-2; 4, 429 a 13-6; 7, 431 h 2-5; 10, 433 h 18 (la orexis come
kinesis, o piuttosto energheia, dell'orektileon ). Cfr. anche in fra 263.
IO Cfr. anche Furley, Self Movers, 169.
n Cfr. Skemp, Orexis, 183.

Baruch_in_libris
104 INTRODUZIONE

le intellezioni, le volizioni, ecc.) evidentemente non inducono


affatto in essa un moto fisico-meccanico, ma coincidono perfet-
tamente, sia pure in correlazione con determinati processi fisio-
logici dell'organismo, con quelle che lo Stagirita definisce con
maggior rigore attività ('perfette') psichiche del soggetto stesso 12 •
Da questo punto di vista, ossia in considerazione della causalità
metempirica e dell'attività 'meta-fisica' ( = non fisiologica, ma
psichica) dell'anima, non è davvero un'ostinazione 13 di Aristo-
tele il fatto che egli insista sul concetto di psyche come motore
(relativamente) 'immobile', ma si trova in linea con le esigenze
più radicate della sua aitiologia come pure con la sua analisi più
rigorosa dei processi psichici.
(iii) Riguardo alla facoltà sensitiva, la dottrina 'passivistica'
della aisthesis come alloiosis sembra a prima vista in aperto
conflitto con la dottrina 'soggettivistica' e 'attivistica' della
aisthesis come krinein ma in realtà le due dottrine - di cui la
J

prima, come già si è visto 14 , rappresenta un lascito della tradi-


zione presocratica, mentre la seconda ha soprattutto una matrice
platonica 15 - non sono affatto inconsistenti né mutualmente
esclusive, ma teorizzano il nesso indisgiungibile tra l'apporto
del dato esterno e la sua elaborazione e interpretazione da parte
del soggetto 16 •
(iv) Ancora a proposito della facoltà sensitiva, e più parti-
colarmente circa quello che per lo stesso Stagirita costituiva un
argomento estremamente difficile da trattare, quello della perce-
zione dei sensibili comuni, è stato giustamente rilevato che la
nozione della koine aisthesis sembra oscillare concettualmente
tra una logica della 'percezione proposizionale'- per cui i koinà
fungono da predicati o attributi degli idia- ed una logica della
'percezione diretta' - in quanto i koinà sono percepibili
per se - , benché tale nozione, e in particolare la possibilità di
errore che viene ravvisata nella percezione dei koinà, si accordi
con la sistematica generale dei sensibili tracciata in De an. B 6 17 •
(v) Anche la trattazione della phantasia presenta alcune

12 De an. A 4, 408 a 34 sgg.; B 5, 417 a 14-7; r 7, 431 a 4-7; 10, 433 h 18.
1l Furley, Self Movers, 1n.
14 Cfr. supra 63; 68-9.
1S Solmsen, Antecedents, 595; Mondolfo, La comprensione, 338 sgg.; Isnardi
Parente, Platone, in Zeller-Mondolfo, Il, III, l, 477. Or. anche Cooper, Plato,
126 sgg.
16 Cfr. anche Boas, Some Presuppositions, 277-8.
17 Cfr. supra 65; inoltre Graeser, On Aristotle}s, 87-8. Per altre difficoltà
teoriche relative alla trattazione aristotelica della aisthesis cfr. supra 66 sgg.

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IL ~TODO DEL TRATTATO 105

aporie concettuali. Cosi si è potuto rimproverare Aristotele di


'schematismo scolastico' quando, in De an. r 3, 428 h 25-30,
alle tre forme di percezione egli associa tre tipi di phantasia, e,
in particolare, fa corrispondere alla (attuale) percezione infallibile
dei sensibili propri un tipo di phantasia altrettanto (incompren-
sibilmente) infallibile. Inoltre la definizione causale della phan-
tasia come 'mutamento conseguente alla percezione' non evidenzia
il suo specifico carattere psichico rispetto, ad esempio, ai sogni,
alla memoria, alla dianoia, ecc. Infine la stessa oscillazione dello
Stagirita tra l'assimilazione della phantasia alla percezione oppure
al pensiero, comporta qualche scorrettezza, qual è, ad esempio,
la troppo rigida contrapposizione della p han t asia alla doxa 18 •
(vi) Per quanto riguarda la dottrina dell'intelletto, il tenta-
tivo esperito sopra 19 di riconoscere la sua natura di 'forma' e
insieme la sua sostanzialità e separabilità riesce, a mio avviso,
meglio di altre ipotesi, a ricomporre in unità le complesse, e a
volta disperse e asistematiche riflessioni aristoteliche sul nous,
armonizzando il legame dell'intelletto colla realtà corporea con
il suo statuto antologico di sostanza immateriale ed eterna.
Cionondimeno la teoria del nous è tutt'altro che chiara e non
lascia il lettore privo di dubbi 20 , g_iacché lo Stagirita né afferma
esplicitamente che l'intelletto è causa formale, né precisa chiara-
mente quale tipo di rapporto intercorra tra il nous poietzkos e
quello pathetikos, né si esprime nettamente in merito all'unicità
dell'intelletto 'produttivo'.
(vii) Un ultimo punto critico concerne la facoltà appetitiva
e locomotoria, e precisamente il passo del De Anima dove Ari-
stotele contrappone al caso dell'incontinente, che non segue il
comando del nous pratico e cede al desiderio, quello del conti-
nente, il quale, benché 'motivato' dalla orexis ( = desiderio), si
adegua al veto dell'intelletto 21 • Questo discorso dello Stagirita
è sembrato a J. B. Skemp 22 cadere in contraddizione sia con la
tesi fondamentale che nessun animale, che non appetisca o non
eviti alcunché, si muove se non per costrizione 23 , sia con l'affer-
mazione che l'intelletto non è di per sé causa di movimento 24 ,

18 Schofield, Aristotle, 115; 124 sgg.; 139 n. 92.


19 Cfr. supra 76-7.
20 Berti, Aristotele, 382.
21 De an. r 9, 433 a l sgg.
22 Skemp, Orexis, lSS-6.
23 De an. r 9, 432 h 16-7.
24 De an. r 9, 432 h 26-7.

Baruch_in_libris
106 INTRODUZIONE

e quindi - nel caso dell' enkrates - neppure di quello di repul-


sione. Questa situazione - sempre secondo Skemp - dipende
dalla difficoltà di Aristotele di combinare la dicotomia etico-
psicologica (di suggestione platonica) tra il livello superiore del
razionale e del nous e quello inferiore dell'irrazionale e della
orexis, con l'analisi biologica del processo orectico dell'animale,
rispetto al quale la bouleutike orexis dell'uomo rappresenta sol-
tanto un caso particolare. Ora, a parte quest'ultimo rilievo (che
meriterebbe un ulteriore approfondimento, impossibile a farsi in
questa sede), non mi pare che l'accusa di inconsistenza rivolta
ad Aristotele sia giustificata, giacché, nel caso della continenza,
la epithymia non è direttamente in conflitto con (né viene
superata da) l'intelletto pratico come tale, ma con la volontà
(razionale) di rifuggire da un bene apparente 25 •

2S De an. r 10, 433 a 22-5; 28-9; 11, 434 a 12-5.

Baruch_in_libris
LIBRO A
(PRIMO)

Baruch_in_libris
Baruch_in_libris
CAPITOLO PRIMO l

(VALORE, METODO E PROBLEMI


DELLA PSICOLOGIA>

Bekker, l

Poiché consideriamo il sapere tra le cose belle e degne 402 a


d'onore, e una forma di sapere più di un'altra o in rapporto
al rigore o perché riguarda oggetti migliori e più mirabili,
per entrambi questi motivi possiamo ragionevolmente porre
ai primi posti la ricerca sull'anima 2 • Sembra inoltre che la
conoscenza dell'anima contribuisca grandemente alla verità 5

in tutti i campi, e specialmente alla ricerca sulla natura,


- giacché l'anima è come il principio degli animali 3•
Noi ci prefiggiamo di considerare e conoscere la sua
natura ed essenza, e successivamente tutte le caratteristiche
che le competono. Di queste, alcune sembrano affezioni
proprie dell'anima, mentre altre pare che in virtù sua appar- 10

tengano agli animali 4 •


Ma in ogni senso ed in ogni maniera è tra le cose più
difficili ottenere una convinzione riguardo all'anim@. E infatti,
essendo l'indagine (s'intende quella intorno alla sostanza
e a che cos'è una cosa) comune anche a molti altri oggetti,
potrebbe forse sembrare che esista un unico metodo per
tutte le cose di cui ci proponiamo di conoscere l'essenza,
15
com'è unico il metodo della dimostrazione delle proprietà
che appartengono ad un oggetto, e di conseguenza si do-
vrebbe cercare tale metodo. Ma se non esiste un metodo
unico e comune per la conoscenza di che cos'è una cosa, la
ricerca diventa ancora più difficile, giacché si dovrà deter-
rrJnare quale sia il procedimento da seguire per ciascun

Baruch_in_libris
110 L'ANIMA A l, 402 h

genere di cose. E qualora fosse chiaro che questo metodo


20 è la dimostrazione o la divisione o qualche altro procedi-
mento, comporta ancora molte difficoltà e incertezze chie-
dersi da quali cose debba cominciare la ricerca, poiché diversi
sono i principi dei diversi oggetti, ad esempio dei numeri e
delle superfici 5•
In primo luogo è forse necessario stabilire in quale ge-
nere l'anima si trovi e che cosa sia, intendo dire se sia qual-
cosa di determinato e una sostanza, oppure una qualità o
una quantità o un'altra delle categorie che abbiamo distinto.
Si deve inoltre determinare se sia tra gli enti in potenza o
piuttosto un atto, che non è una differenza di poco conto.
402 b Bisogna anche ricercare se sia costituita di parti o sia priva
di parti. Inoltre ~e ogni anima sia della stessa specie o no,
e qualora non lo sia, se le anime differiscano per la specie
o per il genere. Infatti quelli che oggi discutono e fanno
ricerche sull'anima sembrano prendere in considerazione la
s sola anima umana. Si deve invece far attenzione a che non
sfugga se ci sia un'unica definizione di anima, com'è unica
la definizione di animale, o se sia diversa per ciascuna anima,
com'è diversa la definizione di cavallo, cane, uomo e dio, nel
qual caso animale in universale è nulla oppure è poste-
riore. La stessa cosa varrebbe se si predicasse un altro ter-
mine comune .. Di più, qualora non ci siano molte anime, ma
molte parti dell'anima, si deve decidere se bisogna esami-
1o nare prima l'intera anima oppure le parti. Difficile è anche
determinare quali di queste parti siano essenzialmente di-
stinte tra loro, e se si debbano esaminare prima le parti o
le loro attività, ad esempio l'intellezione oppure l'intelletto,
la sensazione oppure la facoltà sensitiva, e cosi per gli altri
casi. E qualora le attività debbano venir prima, si potrebbe,
1s daccapo, chiedersi se si debbano esaminare i relativi oggetti
prima delle attività, ad esempio l'oggetto sensibile prima
della facoltà sensitiva, e quello intelligibile prima dell'in-
telletto 6 •
Sembra che non solo la conoscenza di che cos'è una cosa
sia utile a cogliere le cause degli accidenti delle sostanze ,
(come in matematica conoscere che cos'è il retto e il curvo,
20 o la linea e la superficie è utile per sapere a quanti retti
Baruch_in_libris
L'ANIMA A l, 403 a 111

siano uguali gli angoli del triangolo), ma anche, viceversa,


che gli accidenti contribuiscano in larga misura a conoscere
che cos'è una cosa. Quando infatti siamo in grado di dar
conto, in conformità all'esperienza, di tutti (o della mag-
gior parte) gli accidenti, allora potremo parlare anche del- 2s
l'essenza nel modo più corretto. Principio di ogni dimostra-
zione è infatti che cos'è la cosa, e di conseguenza le defini-
zioni che non consentono di conoscere gli accidenti e nep- 403 a
pure di congetturarli con facilità, evidentemente sono tutte
formulate in modo dialettico e vuoto 7 •
Pongono un problema anche le affezioni dell'anima, se
cioè sono tutte comuni al soggetto che la possiede, oppure
se ce n'è qualcuna che sia propria della stessa anima: com- 5

prendere ciò è necessario, ma non facile. Per ciò che riguarda


la maggior parte di queste affezioni, risulta che l'anima non
subisce e non opera nulla indipendentemente dal corpo,
com'è il caso della collera, del coraggio, del desiderio, e in
generale della sensazione, mentre il pensiero assomiglia molto
ad un'affezione propria dell'anima. Se però il pensiero è una
specie d'immaginazione o non opera senza l'immaginazione,
neppure esso potrà essere indipendente dal corpo. Se allora, 10
-tra le attività o affezioni dell'anima, ce n'è qualcuna che le
sia propria, l'anima potrà avere un'esistenza separata; ma se
non c'è nessuna che le sia propria, non sarà separabile, e si
troverà nella stessa condizione della retta in quanto retta,
la quale ha molte proprietà, ad esempio quella di essere tan-
gente alla sfera di bronzo in un punto. Non è tuttavia es-
sendo separata che la retta è tangente alla sfera in questo 15

modo. Infatti è inseparabile, se è vero che esiste sempre in


un dato corpo 8 •
Sembra che anche le affezioni dell'anima abbiano tutte
un legame con il corpo: l'ira, la tenerezza, la paura, la pietà,
il coraggio, e inoltre la gioia, l'amore e l'odio. Infatti non
appena esse si producono, il corpo subisce una modifica-
zione. Lo comprova il fatto che talvolta, pur presentandosi 20

stimoli forti e manifesti, non ci si irrita né si prova paura;


mentre in altre circostanze siamo mossi da stimoli piccoli ed
appena percepibili, qualora il corpo sia agitato e si trovi nella
stessa condizione di quando si è in collera. Ma un fatto ancor
Baruch_in_libris
112 L'ANIMA A l, 403 b

più evidente è questo: pur non accadendo nulla che provochi


timore, si hanno le stesse emozioni di chi è impaurito. Ma se
25 cosi stanno le cose, è manifesto che le affezioni dell'anima
sono forme contenute nella materia. Di conseguenza le loro
definizioni saranno, ad esempio, di questo tipo: 'la collera
è un certo movimento di-tale corpo o parte o facoltà, prodotto
da tale causa e avente tale fine'. Per queste ragioni è sen-
z'altro compito del fisico trattare dell'anima: di ogni anima o
del tipo di anima che s'è appena descritto 9 •
Il fisico e il dialettico definirebbero però ciascuna di
30 queste affezioni in modo diverso. Ad esempio: che cos'è la
collera? Mentre il dialettico la definirebbe 'desiderio di
molestare a propria volta' (o qualcosa di simile), il fisico
la definirà 'ebollizione del sangue e del calore intorno al
403 b cuore'. Di costoro il fisico indica la materia, il dialettico
_la forma e l'essenza. L'essenza della cosa in questione è in-
fatti determinata, ma, se deve esistere, è necessario che si
realizzi in una determinata materia. Analogamente la defi-
nizione di casa può essere la seguente: 'riparo che difende
5 contro la distruzione causata da venti, piogge e caldo', ma
uno dirà che è pietre, mattoni e legno, e un altro che è la
forma presente in questi materiali per un determinato scopo.
Chi di costoro è allora il fisico? Forse chi parla della materia
trascurando la forma? O chi parla soltanto della forma? O
non lo è piuttosto chi tiene conto di entrambe? !\,fa allora
chi è ciascuno degli altri due? Certo non è uno solo che si
10 occupa delle affezioni inseparabili della materia, e che non
le considera in quanto separabili. In effetti il fisico si oc-
cupa di tutte le attività e affezioni di un determinato corpo
e di una determinata materia, mentre delle caratteristiche
dei corpi che non sono di questo tipo se ne occupa un altro:
di alcune s'interessa il tecnico secondo i casi, ad esempio
l'architetto o il medico. Le caratteristiche, poi, che non sono
separabili, e tuttavia non vengono considerate in quanto
15 affezioni di un determinato corpo e sono ottenute per astra-
zione, le studia il matematico. In quanto invece sono sepa-
rate, le considera il filosofo primo 10 •
Ma ritorniamo al punto di prima. Dicevamo dunque che
le affezioni d€ll'anima sono inseparabili dalla materia fisica
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 2, 404 a 113

degli animali, in quanto precisamente tali affezioni sono, ad


esempio, l'ira e il timore, e non come sono inseparabili la
linea e la superficie 11 •

CAPITOLO SECONDO l

<LE DOTTRINE PSICOLOGICHE


DEI PREDECESSORI>

La ricerca sull'anima richiede che, insieme all'esame delle 20

difficoltà che si devono risolvere nel corso della trattazione,


si raccolgano le opinioni dei predecessori che si espressero
in qualche modo intorno ad essa, e ciò per accogliere quanto
hanno detto correttamente ed evitare i loro eventuali er-
rori. Diamo inizio all'indagine stabilendo le caratteristiche
che, più di tutte, sembrano appartenere all'anima per sua na- 25
tura. Ora pare che l'essere animato si distingua dall'inani-
mato specialmente per due proprietà: il movimento e la
sensazione. Ed in verità anche dai nostri predecessori, ri-
guardo all'anima, si può dire che abbiamo appreso queste
due sole caratteristiche. Infatti alcuni affermano che l'anima
è principalmente e fondamentalmente la causa del movi-
mento. Ritenendo però che ciò che non è esso stesso in mo- 30

vimento, non può muovere un'altra cosa, sostengono che


l'anima è un essere in movimento 2 •
Di qui Democrito afferma che l'anima è una specie di
fuoco e di calore. Infatti, essendo infinite le figure o atomi, 4048

chiama fuoco e anima quelli di forma sferica, che sono para-


gonabili a quello che è chiamato pulviscolo atmosferico, vi-
sibile nei raggi di sole che penetrano dalle finestre. Tutta la
riserva seminale degli atomi la identifica con gli elementi 5
dell'intera natura, e similmente fa anche Leucippo. Gli atomi,
Baruch_in_libris
114 L'ANIMA A 2, 404 b

poi, che hanno forma sferica costituiscono l'anima, e ciò


perché tali configurazioni sono le più capaci d'insinuarsi dap-
pertutto e di muovere gli altri atomi, essendo esse stesse
in movimento, giacché ritengono che l'anima sia ciò che pro-
duce negli animali il movimento. Ed è per questa ragione
10
che la respirazione è ciò che contraddistingue la vita. Sic-
come, infatti, l'aria circostante comprime i corpi e ne espelle
gli atomi che comunicano agli animali il movimento (in
quanto questi atomi non sono mai in quiete), risulta d'aiuto
il fatto che, nell'atto della respirazione, entrano dall'esterno
altri atomi simili. In effetti questi atomi impediscono che
si distacchino quelli che già si .trovano dentro gli animali,
15 tutt'insieme opponendosi a ciò che li comprime e li con-
densa. Gli animali vivono finché sono capaci di assolvere
questa funzione 3 •
Pare che anche ciò che è stato affermato dai Pitagorici
avesse lo stesso significato. Infatti alcuni di loro dissero che
l'anima s'identifica col pulviscolo atmosferico; altri invece
sostennero che l'anima è ciò che lo muove. Riguardo a questo
20 pulviscolo si afferma che appare muoversi continuamente,
anche quando l'assenza di vento sia totale. Alla medesima
conclusione pervengono anche coloro che asseriscono che
·l'anima è ciò che muove se stesso. Pare, infatti, che tutti co-
storo considerino il movimento come la proprietà più carat-
teristica dell'anima, e ritengano che tutte le altre cose si muo-
vono in virtù dell'anima, mentre essa si muove da sé. E ciò
25 perché non si constata mai che una cosa muova senza essere
essa stessa in movimento 4•
Analoga è la posizione di Anassagora, il quale dice che
l'anima è un principio motore, e di chi altri ha affermato che
l'intelletto ha messo in movimento l'universo. Anassagora
tuttavia non si espresse proprio come Democrito. Quest'ul-
timo, infatti, dice che anima e intelletto sono assolutamente
identici, giacché il vero è ciò che appare ai sensi, e pertanto
30 correttamente aveva detto Omero che Ettore« giaceva altro
pensando ».Perciò Democrito non fa uso dell'intelletto come
di una potenza che riguardi la verità, ma dice che anima e,
404b intelletto sono la stessa cosa. L'opinione di Anassagora al
riguardo è meno netta. Più volte, infatti, afferma che l'intel-
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 2, 404 b 115

letto è causa della bellezza e dell'ordine, ma altre volte che


s'identifica con l'anima. Esso, infatti, si trova in tutti gli ani-
mali, grandi e piccoli, superiori e inferiori. Ora non risulta 5

che l'intelletto, quello almeno definito come ragione, si trovi


allo stesso modo in tutti gli animali: anzi, neppure in tutti
gli uomini 5 •
Coloro dunque che hanno rivolto la loro attenzione al
movimento dell'essere animato, ritennero l'anima ciò che è
più capace di causare movimento; quelli invece che si sono
soffermati sul fatto che l'essere animato conosce e percepisce
gli enti, affermano che l'anima è identica ai principi; se ne 10

ammettono molti, la identificano con questi; se uno solo, con


questo. Così Empedocle considera l'anima costituita da tutti
gli elementi, e ritiene che anche ciascuno di essi sia anima,
esprimendosi in questo modo:
«con la terra noi conosciamo la terra, con l'acqua l'acqua,
con l'etere l'etere divino, e col fuoco il fuoco distruttore,
con l'Amore l'Amore, e cosi la Discordia con la malvagia
[Discordia » 6 • 15

Allo stesso modo anche Platone, nel Timeo, considera


t'anima composta dagli elementi. Il simile, infatti, viene co-
nosciuto dal simile, e gli oggetti sono costituiti dai principi 7 •
Così pure nell'opera intitolata Sulla filosofia fu precisato
che il vivente in sé è formato dall'idea stessa di uno e dalla 20

prima lunghezza, larghezza e profondità, e che gli altri og-


getti sono costituiti in modo simile. Inoltre fu stabilito, da
un altro punto di vista, che l'intelletto è l'uno, la scienza il
due (in un modo solo, infatti, essa va verso una cosa sola),
l'opinione il numero della superficie, la sensazione quello
del solido. E infatti i numeri venivano chiamati le idee stesse
e i principi, ma pure i numeri sono costituiti dagli elementi. 25

Tra gli oggetti, poi, alcuni sono conosciuti dall'intelletto, altri


dalla scienza, altri dall'opinione, altri dalla sensazione, e i
numeri sono le idee degli oggetti 8 •
Ma poiché sembrava che l'anima fosse capace sia di muo-
vere sia di conoscere nel modo che s'è detto, alcuni la costi-
tuirono di entrambe queste capacità, affermando che l'anima
e' un numero che muove se stesso 9 . 30

Baruch_in_libris
116 L'ANIMA A 2, 405 a

I nostri predecessori si differenziano però anche riguardo


ai principi, sulla loro natura e il loro numero. Specialmente
quelli che li considerano corporei si distinguono da coloro
405 • che li ritengono incorporei, e da tutti costoro si differenziano
quelli che li congiungono e affermano che i principi sono del-
l'una e dell'altra specie. C'è inoltre contrasto anche riguardo
al numero: alcuni ammettono un solo principio, altri molti.
In coerenza con questi presupposti, essi hanno concepito
l'anima. Infatti (non senza fondamento) hanno considerato
anima quello dei principi che per sua natura è capace di
5 muovere. Di qui ad alcuni è sembrato che l'anima fosse
fuoco, poiché, tra gli elementi, è il piu sottile e quello mag-
giormente incorporeo, e inoltre ha come caratteristica fonda-
mentale quella di muoversi e di muovere le altre cose. A que-
sto proposito Democrito si espresse ancora più acutamente,
indicando la ragione per cui l'anima possiede entrambe que-
ste caratteristiche. L'anima, infatti, s'identifica con l'intel-
10 letto, e questa entità è composta dai corpi primi e indivisibili,
ed è mobile a causa della piccolezza delle parti e della loro
forma. Egli infatti asserisce che, tra le varie forme, quella
sferica è la più adatta a muoversi, e che tale forma hanno
l'intelletto e il fuoco 10 • ·

Anassagora, come abbiamo detto prima, da un lato


sembra affermare la diversità di anima e intelletto, e dal-
15 l'altro si serve di entrambi come di un'unica natura, salvo
a porre soprattutto l'intelletto come principio. E certo, egli
afferma, esso è il solo tra gli esseri che è semplice, non mesco-
lato e puro. E attribuisce al medesimo principio ambedue
le capacità: quella di conoscere e quella di muovere, dicendo
che l'intelletto ha messo in movimento l'universo. Sembra,
da quello che ricordano, che anche Talete considerasse
20 l'anima un principio motore, se è vero che diceva che la ca-
lamita ha un'anima perché attrae il ferro 11 •
Diogene poi, come alcuni altri, affermò che l'anima è
aria, ritenendo che questa fosse l'elemento più sottile di tutti
e il principio. Ed è per questa ragione che l'anima conosce
e muove: in quanto è principio e da essa derivano le altr~
cose, le conosce; in quanto è l'elemento più sottile, è capace
di muovere u.
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 2, 405 h 117

Anche Eraclito afferma che l'anima è il principio, se è 25


vero che è l'esalazione da cui sono costituite le altre cose.
Egli dice inoltre che è massimamente incorporea e in un con-
tinuo fluire, e che ciò che è in movimento è conosciuto da
ciò che è in movimento. Che gli esseri fossero in movimento
era opinione sua e dei più. Sembra che pure Alcmeone abbia
avuto sull'anima un'opinione affine a quella di costoro. Dice, 30

infatti, che essa è immortale perché assomiglia agli esseri


immortali, e possiede questa somiglianza in quanto si muove
sempre. In effetti anche gli esseri divini si muovono tutti
ininterrottamente e sempre: la luna, il sole, gli astri e il cielo
intero 13 •
Tra i filosofi più rozzi, alcuni affermarono che l'anima è 405 b

acqua, come Ippone. Costoro sembrano esserne stati persuasi


avendo preso in considerazione il seme, giacché il seme in
tutti gli animali è umido. E infatti egli confuta coloro che ri-
tengono che l'anima è sangue, poiché il seme non è sangue, 5

e questo seme è la forma più semplice di anima. Altri dissero


invece che l'anima è sangue, come Crizia, pensando che la
sensazione sia ciò che vi è di più caratteristico dell'anima, e
che questa proprietà le appartenga a causa della natura del
sangue. Tutti gli elementi hanno quindi trovato un loro so-
stenitore, tranne la terra; questa nessuno la indica, eccetto
chi ha affermato che l'anima è costituita da tutti gli elementi 10

o s'identifica con tutti gli elementi 14 •


Pertanto si può dire che tutti definiscono l'anima in base
a tre caratteristiche: il movimento, la sensazione e l'incorpo-
reità, e riconducono ciascuna di esse ai principi. Cosl, coloro
che definiscono l'anima rispetto alla conoscenza, la identifi-
cano con un elemento, oppure la ritengono costituita dagli
elementi. In ciò più o meno concordano tra loro, a parte
uno. Infatti affermano che il simile è conosciuto dal simile, 15
e poiché l'anima conosce tutte le cose, la compongono di tutti
i principi. Quindi quelli che ammettono un'unica causa ed
un unico elemento, ritengono che anche l'anima sia formata
di un solo elemento, ad esempio il fuoco o l'aria; coloro in-
vece che ammettono più principi, formano anche l'anima di
più principi. Il solo Anassagora afferma invece che l'intel- 20

letto è impassibile e che non ha nulla in comune con alcuno


Baruch_in_libris
118 L'ANIMA A 3, 406 a

degli altri oggetti. Ma, avendo una tale natura, come e su


quale fondamento possa conoscere, egli non l'ha detto, né
risulta chiaro da quello che ha detto. Coloro poi che ammet-
tono che i principi costituiscono i contrari, formano l'anima
di contrari; quelli invece che assumono come principio uno
25 o l'altro dei contrari, ad esempio il caldo o il freddo o al-
cunché di simile, affermano analogamente che l'anima è uno
di questi contrari. Essi anzi ricavano le loro dottrine dai
nomi, alcuni asserendo che anima è il caldo, giacché la pa-
rola ~ilv ('vivere') deriva da ~Et:v ('bollire'); altri che è
il freddo, perché è stata chiamata 'anima' (~uxi)) a mo-
tivo della respirazione e del raffreddamento (xa-ra~u~L~) 15 •
Queste sono dunque le dottrine sull'anima che ci sono
30 state tramandate, e le ragioni su cui si fondano.

1
CAPITOLO TERZO

<CRITICA DELLE TEORIE CINETICHE


E DEL « TIMEO ».
LA RELAZIONE TRA ANIMA E CORPO)

Anzitutto si deve prendere in considerazione il movi-


mento. In effetti, forse non soltanto è falso che l'essenza
406 a dell'anima sia quella che ritengono coloro che affermano che
l'anima è ciò che muove od è capace di muovere se stesso,
ma è impossibile che essa sia dotata di movimento. E che
non sia necessario che ciò che muove sia esso stesso in mo-
vimento, s'è detto anche precedentemente. In realtà una cosa
s può muoversi in due modi: o per mezzo di un'altra o da sé.
Diciamo che si muovono per mezzo di un'altra, le cose che
si muovono per il fatto di trovarsi su una cosa che si muove,
come avviene ai naviganti. Essi, infatti, non si muovono nella
stessa maniera della nave, giacché questa si muove da sé ed
essi perché si trovano su una cosa che si muove. Quest'ul-
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 3, 406 b 119

timo fatto risulta evidente se si considerano le loro membra:


il movimento proprio dei piedi, e quindi dell'uomo, è in-
fatti il camminare, ma esso allora non è dato ai naviganti. 10
Pertanto, siccome 'muoversi' si dice in due sensi, vediamo
ora se l'anima si muove e partecipa di per sé del movimento 2 •
Poiché i movimenti sono di quattro specie: spostamento,
alterazione, diminuzion.e e accrescimento, l'anima dovrebbe
. .' . . .
muoversi o con uno o con piu o con tutti questi movimenti.
.
Ora se essa non si muove accidentalmente, il movimento le 15
apparterrà per natura; ma se questo è vero, avrà anche uno
spazio, poiché tutti i suddetti movimenti si svolgono nello
spazio. Se poi l'essenza dell'anima consiste nel muovere se
stessa, il movimento non le apparterrà accidentalmente, come
avviene per 'bianco' o per 'della misura di tre cubiti'.
In effetti anche queste caratteristiche si muovono, ma acci-
dentalmente, giacché ciò che si muove è il soggetto in cui 20
esse si trovano, ossia il corpo. Pertanto non vi è un loro
luogo, mentre dovrà esserci per l'anima, se per natura par-
tecipa del movimento. Inoltre se l'anima si muove per na-
tura, deve poter essere mossa anche per costrizione, e se
si muove per costrizione, può muoversi anche per natura.
Lo stesso principio vale pure per la quiete. Difatti il termine
verso cui un corpo si muove per natura, è il luogo in cui
trova quiete per natura, e, analogamente, il termine verso 25

cui si muove per costrizione, è il luogo in cui trova quiete


per costrizione. Ma quali possano essere i movimenti e le
quieti forzate dell'anima non è facile stabilire, neppure per
chi voglia immaginarli. Se poi l'anima si muoverà verso l'alto,
sarà fuoco, se verso il basso, terra, poiché i movimenti di
tali corpi sono appunto questi. Lo stesso discorso si applica
ai movimenti intermedi. Ancora: poiché si constata che 30

l'anima muove il corpo, sarà ragionevole supporre che lo


muova con gli stessi movimenti con cui essa stessa si muove.
Ma se è cosl, corrisponderà al vero affermare, reciprocamente,
che con quel movimento con cui si muove il corpo, si muove
pure l'anima. Ora il corpo si muove per traslazione, e di con- 406 b

seguenza anche l'anima si sposterà allo stesso modo del corpo,


mutando luogo o nella sua totalità o nelle sue parti. Ma se
è possibile che ciò si verifichi, dovrebbe parimenti esser pos-
Baruch_in_libris
120 L'ANIMA A 3, 406 h

sibile che, una volta uscita dal corpo, l'anima vi rientri. Da


5 ciò seguirebbe che gli animali, dopo la loro ~orte, potreb-
bero tornare in vita 3 •
L'anima, poi, potrebbe bensì muoversi accidentalmente
per l'azione di una causa esterna, giacché l'animale potrebbe
essere spinto a forza. Ma ciò che si muove da sé e in virtù
della sua· essenza, non può esser mosso da un altro se non
accidentalmente, allo stesso modo che il bene in sé e per sé
10 non può esser tale in virtù d'altro o in vista d'altro. D'altra
parte l'anima, se è mossa, si potrebbe dire che è mossa so-
prattutto dagli oggetti sensibili. Inoltre dire che l'anima
muove se stessa, equivale a dire che è mossa, e di conse-
guenza, se ogni movimento è un allontanamento dalla pro-
pria condizione di ciò che si muove in quanto si muove,
l'anima si allontanerà dalla propria essenza, se non si muove
15 accidentalmente, ma il movimento riguarda la sua essenza
per sé considerata. Alcuni affermano pure che l'anima muove
il corpo in cui si trova, con il movimento con cui si muove
essa stessa: ad esempio Democrito, che si esprime in modo
analogo all'autore di commedie Filippo. Quest'ultimo scrive,
infatti, che Dedalo aveva costruito un'Afrodite di legno ca-
pace di movimento, col versarvi dentro dell'argento vivo.
20 Simile è la posizione di Dem~crito. Egli afferma, infatti, che
gli atomi di forma sferica, dotati di movimento perché, per
loro natura, non possono mai rimanere in quiete, trascinano
con sé e muovono l'intero corpo. Ma viene da domandarsi
se questi stessi atomi producano anche la quiete; come pos-
sano farlo, è difficile, anzi impossibile dirlo. Da un punto di
vista più generale, è poi evidente che l'anima non muove
25 l'animale in questo modo, ma mediante un proponimento e
un pensiero 4 •
·Nello stesso modo anche il T imeo spiega da un punto
di vista naturalistico il fatto che l'anima muove il corpo,
giacché, muovendosi essa stessa, muove anche il corpo, in
quanto è congiunta ad esso. Infatti il demiurgo costitul
l'anima di elementi e la divise secondo i numeri armonici,
30 perché possedesse il senso innato dell'armonia e l'universo
si muovesse con rivoluzioni armoniose. Il demiurgo piegò
quindi la retta in un cerchio e, diviso quest'unico cerchio in
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 3, 407 a 121

due cerchi che s'intersecavano in due punti, divise a sua 407 a

volta uno di questi cerchi in altri sette, poiché le rivoluzioni


del cielo venivano identificate con i movimenti dell'anima 5 •
Ora in primo luogo non è esatto affermare che l'anima è
una grandezza. Infatti è manifesto che il T ime o concepisce
l'anima dell'universo come qualcosa di simile a quello che
è chiamato intelletto, e non all'anima sensitiva o desidera- 5

tiva, giacché il movimento di queste ultime non consiste in


una traslazione circolare. Ma l'intelletto è uno e continuo
allo stesso modo dell'intellezione, e l'intellezione è identica
agli intelligibili, i quali formano un'unità di successione
come quella del numero, e non un'unità del tipo della gran-
dezza. Pertanto l'intelletto non è continuo in quest'ultimo
senso, ma o è senza parti, oppure la sua continuità non è 10

quella della grandezza. In che modo, poi, quest'anima pen-


serà, se è una grandezza? Supponiamo che pensi con una sua
parte qualsiasi, intendendo per 'parte' o la grandezza o
il punto (ammesso che il punto si possa definire 'parte').
Ora se l'intelletto penserà mediante i punti, siccome i punti
sono infiniti, evidentemente non riuscirà a percorrerli tutti
s_ino alla fine; se poi penserà mediante la grandezza, cono-
scerà più volte, anzi infinite volte il medesimo oggetto, 15

mentre risulta possibile pensare un oggetto anche una sola


volta. Ma se è sufficiente che l'intelligenza entri in contatto
con l'oggetto con una sua parte qualsiasi, perché deve muo-
versi in circolo, ed anzi, più in generale, avere una gran-
dezza? Qualora poi l'intelletto debba pensare, mediante con-
tatto, con l'intero cerchio, quale funzione avrà il contatto
per mezzo delle parti? Inoltre come penserà il divisibile con
l'indivisibile, e l'indivisibile con il divisibile? D'altro lato
questo cerchio è necessariamente identico all'intelletto. Il 20

movimento dell'intelletto è infatti l'intellezione, e quello


del cerchio la rotazione; se allora l'intellezione è una rota-
zione, l'intelletto è il cerchio dotato di tale rotazione, ossia
dell'intellezione 6 •
Ma che cosa penserà eternamente? Perché deve farlo, se
la rotazione è eterna. Sennonché i pensieri rivolti all'azione
hanno dei limiti (giacché mirano tutti ad uno scopo) e, ana-
logamente, quelli rivolti alla conoscenza sono limitati dagli 25

Baruch_in_libris
122 L'ANIMA A 3, 407 h

enunciati. Un enunciato, poi, può essere una definizione


oppure una dimostrazione. Ora le dimostrazioni muovono
da un principio ed hanno in certo modo un termine, che
è il sillogismo o conclusione. Se poi non sono finite, certo
11on ripiegano daccapo verso il principio, ma, aggiungendo
sempre un nuovo medio ed un nuovo estremo, procedono
30 in linea retta, mentre la rotazione ripiega di nuovo verso
il principio. Per ciò che riguarda le definizioni, sono tutte
delimitate. Ancora: se la medesima rotazione ha luogo più
volte, quest'anima dovrà pensare più volte il medesimo og-
getto. Inoltre l'intellezione assomiglia ad una quiete od ar-
resto, piuttosto che a un movimento, e lo stesso discorso
vale anche per il sillogismo. Ma nemmeno si può dire che
407 b si trovi in una condizione felice ciò che non è agevole, ma
forzato. Ora se il movimento dell'anima non è la sua es-
senza, l'anima si muoverà contro natura. Ancora: sarà per
l'anima una dolorosa fatica essere mescolata al corpo, non
potendosene staccare; anzi, sarà una cosa da rifuggire, se,
s come si suole affermare e come molti ammettono, per l'in-
telletto è preferibile non essere unito al corpo. Rimane poi
oscura la ragione del moto rotatorio del cielo. Difatti la
causa di tale movimento non è l'essenza dell'anima, poiché
la sua rotazione è accidentale, e nemmeno il corpo, giacché
è piuttosto l'anima la causa del moto del corpo. E neppure
viene detto che il movimento rotatorio rappresenta un
10 bene per l'anima. Eppure sarebbe necessario che Dio avesse
mosso l'anima circolarmente, perché per lei è meglio muo-
versi che rimanere in quiete, e muoversi in questo modo
piuttosto che in un altro 7 •
Ma siccome una ricerca di questo tipo è più pertinente
ad altri discorsi, per adesso tralasciamola. L'assurdità in cui
incorrono sia la dottrina del Timeo sia la maggior parte
1s delle teorie sull'anima è la seguente: congiungono l'anima
al corpo e la pongono in esso, senza tuttavia indicare la ra-
gione di questa unione e la condizione del corpo. Questa
precisazione sembra però indispensabile, perché, quando
si realizza un'unione, un elemento agisce e l'altro subisce
l'azione, uno è mosso e l'altro muove, e nessuna di queste
20 relazioni si verifica tra cose prese a caso. Costoro invece si
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 4, 408 a 123

sforzano d'indicare soltanto la natura dell'anima, ma, ri-


guardo al corpo che dovrà riceverla, non aggiungono alcuna
spiegazione, come se fosse possibile, secondo i miti pita-
gorici, che qualunque anima entri in qualunque corpo. In
realtà è manifesto che ogni corpo ha una specie e forma ap-
propriata. Questi filosofi si esprimono come chi dicesse 25

che l'arte del carpentiere entra nei flauti. La tecnica deve


invece servirsi dei suoi strumenti e l'anima del suo corpo 8 •

1
CAPITOLO QuARTO

<LA DOTTRINA DELL)ANIMA-ARMONIA.


'MOVIMENTI' DELL)ANIMA E L)INTELLETTO.
PRIME SEI OBIEZIONI A SENOCRATE>

È stata tramandata anche un'altra opinione sull'anima,


per molti non meno persuasiva di quelle menzionate, ma che
ha già dovuto dar conto di sé, come davanti ad un tribunale,
anche nelle discussioni che si fanno in comune. Affermano, 30

infatti, che l'anima è una specie di armonia, giacché l'armo-


nia è una mescolanza e una sintesi di contrari, e il corpo
è composto da contrari 2 •
Sennonché l'armonia è una data proporzione oppure una
sintesi degli elementi mescolati, mentre l'anima non può
essere nessuna di queste due cose. Inoltre non è una pro-
prietà dell'armonia quella di causare il movimento, mentre
tutti, si può dire, attribuiscono all'anima specialmente questa 408 a

caratteristica. Il termine 'armonia', poi, si attaglia piut-


tosto alla salute e in generale alle disposizioni corporee, che
non all'anima. Del resto ciò risulta molto chiaro qualora si
tenti di attribuire le affezioni e le attività dell'anima ad una
data armonia del corpo, giacché adattarle non è facile. lnol- 5

Baruch_in_libris
124 L'ANIMA A 4, 408 a

tre, se parliamo di 'armonia', abbiamo di vista due cose.


Nel senso più proprio, che concerne le grandezze che hanno
movimento e posizione, armonia significa la loro composi-
zione, quando cioè sono disposte insieme in modo tale da
non poter accogliere un elemento della stessa specie. Secon-
dariamente armonia è la proporzione degli elementi mesco-
10 lati. Ebbene in nessuno dei due sensi è ragionevole affer-
mare che l'anima è armonia. Che l'anima sia la composizione
delle parti del corpo è facilmente confutabile. Molte, infatti,
sono le composizioni delle parti corporee, e di vario genere.
Di quale parte del corpo e in che modo si deve allora am-
mettere che sia una sintesi l'intelletto o la facoltà sensitiva
o quella appetitiva? Parimenti assurdo è anche sostenere che
l'anima sia la proporzione della mescolanza. Non possiede,
1s infatti, la medesima proporzione la mescolanza degli ele-
menti con la quale si forma la carne e quella con cui si forma
l'osso. Ne seguirà, pertanto, che si avranno molte anime di-
stribuite in tutto il corpo, se si ammette che tutte le parti
del corpo sono costituite dagli elementi mescolati, e che la
proporzione della mescolanza è armonia, ossia anima 3 •
Quest'obiezione si potrebbe rivolgere anche ad Empe-
docle. Egli dice, infatti, che ciascuna parte del corpo risulta
20 da una data proporzione. Ma allora: l'anima è identica alla
proporzione o piuttosto giunge nelle parti come un'entità
distinta? Inoltre l'Amicizia è causa di una mescolanza qual-
siasi, oppure di quella che risulta da una proporzione? E
quest'Amicizia s'identifica con la proporzione o è qualcosa
di diverso dalla proporzione? La dottrina dell'anima-armo-
nia comporta dunque queste difficoltà. D'altra parte se
2s !~anima è distinta dalla mescolanza, perché mai, insieme con
l'essenza della carne, si distrugge anche quella delle altre
parti dell'animale? Oltre a ciò, se non è vero che tutte le
parti corporee hanno un'anima, nel caso che l'anima non sia
la proporzione della mescolanza, che cos'è che si distrugge
quando l'anima abbandona il corpo? 4 •
Da quanto s'è detto è chiaro che l'anima non può essere
3o armonia né muoversi circolarmente. Tuttavia, come dice-,
vamo, è possibile che sia mossa e che muova se stessa ac-
cidentalmente, e cioè che si muova nel corpo in cui si trova
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 4, 408 h 125

e che questo venga mosso dall'anima. Un diverso moto lo-


cale dell'anima non è possibile. D'altronde la questione del
movimento dell'anima si potrebbe porre con maggior fon-
datezza tenendo conto dei fatti seguenti. Noi diciamo, in- 408 b
fatti, che l'anima prova dolore e gioia, coraggio e paura, e
inoltre che si adira, percepisce e pensa. Ora sembra che
queste affezioni siano movimenti, e pertanto si potrebbe cre-
dere che essa si muova: ma ciò non è necessario. Infatti am- 5

mettiamo pure che il provar dolore o gioia e il pensare siano


movimenti quant'altri mai, che ciascuna di queste affezioni
sia un movimento particolare, e che questo movimento sia
causato dall'anima. Ad esempio l'ira o il timore sono de-
terminati moti del cuore, e il pensiero è forse un movi-
mento di questo o di un altro organo; di tali affezioni, alcune 10

si producono perché certe parti corporee si muovono nel


senso di una traslazione, altre perché tali parti si muovono
nel senso di un'alterazione (quali parti si muovano e in quale
modo, è un'altra questione). Tuttavia dire che l'anima è in
collera equivarrebbe a dire che l'anima tesse o che costruisce
una casa. In realtà forse è preferibile dire non che l'anima
prova compassione o apprende o pensa, ma l'uomo per 15

mezzo dell'anima. E ciò non nel senso che in essa ci sia mo-
vimento, ma nel senso che questo talora giunge sino a lei,
talora parte da lei. Ad esempio la sensazione muove da de-
terminati oggetti, mentre il richiamo alla memoria muove
dall'anima verso i mutamenti o tracce che permangono negli
organi sensoriali 5 •
Sembra poi che l'intelletto sopraggiunga come una so-
stanza e che non si corrompa. In effetti potrebbe corrom-
persi specialmente per l'indebolimento che consegue alla 20
vecchiaia. Ora invece accade in questo caso qualcosa di si-
mile a ciò che avviene negli organi sensori. Se infatti il vec-
chio recuperasse un occhio adatto, vedrebbe allo stesso modo
del giovane. Di conseguenza si giunge alla vecchiaia non già
perché abbia subìtp un'affezione l'anima, ma il corpo in cui
essa si trova; e la stessa cosa succede negli stati di ubria-
chezza e di malattia. Il pensiero quindi, e l'attività intellet-
tiva, viene meno qualora un organo interno si corrompa, ma 25
in se stesso è impassibile. Pensare, amare od odiare non sono
Baruch_in_libris
126 L'ANIMA A 4, 409 a

proprietà dell'intelletto, ma di questo determinato soggetto


che lo possiede, in quanto lo possiede. Perciò, quando
questo soggetto si corrompe, l'intelletto non ricorda né ama,
poiché queste funzioni non erano sue, ma del composto che
è perito. L'intelletto invece è forse qualcosa di più divino e
di impassibile 6 •
30 Da quanto precede appare manifesto che l'anima non
può essere in movimento; ma se non si muove affatto, evi-
dentemente non si muove neppure da sé. Ma tra le opinioni
menzionate, di gran lunga la più insensata è quella cl1e af-
ferma che l'anima è un numero che muove se stesso. I suoi
sostenitori, infatti, incorrono nelle assurdità, viste prima,
che derivano dal ritenere che l'anima si muove, come pure
409 a in quelle specifiche, che risultano dall'affermare che essa è
un numero. In effetti come si deve concepire un'unità in
movimento? E da quale causa ed in quale modo è mossa, se
è priva di parti ed è indifferenziata? Difatti, in quanto è
movente e insieme mossa, deve includere una differenza.
Inoltre, poiché affermano che la linea, muovendosi, produce
5 la superficie, ed il punto la linea, anche i movimenti delle
unità saranno linee, giacché il punto è un'unità avente po-
sizione, e il numero dell'anima si trova certo in un luogo
ed occupa una posizione. Ancora: se ad un numero si sot-
trae un numero oppure un'unità, ne risulta un numero di-
verso, mentre le piante e molti animali, pur se vengono di-
1o visi, continuano a vivere e sembra che abbiano la medesima
anima specifica. Sembra anche che non ci sia alcuna diffe-
renza tra il parlare di unità oppure di piccoli corpuscoli. In
effetti, se gli atomi sferici di Democrito diventassero punti
e rimanesse invariata soltanto la loro quantità numerica, in
essa, come avviene in un corpo esteso, ci dovrà essere qual-
cosa che muove e qualcosa che è mosso. Questa conse-
guenza, infatti, si verifica non già perché tra gli atomi ci sia
15 una differenza di grandezza o di piccolezza, ma perché for-
mano una quantità numerica. È perciò necessario che ci sia
qualcosa che possa muovere le unità. Ma se nell'animale
ciò che muove è l'anima, questa dovrà fungere da principio,
motore anche nel numero, e di conseguenza l'anima non sarà
insieme il motore e il mosso, ma soltanto il motore. Ma al-
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 5, 409 h 127

lora in che modo questo motore può essere un'unità? Tale


unità, infatti, dovrebbe avere una differenza in più rispetto
alle altre unità. Ma in quale modo un punto unitario po- 20
trebbe distinguersi da un altro, oltre che per la posizione?
Se poi le unità dell'anima, che si trovano nel corpo, sono di-
stinte dai punti del corpo, le unità psichiche si troveranno
nello stesso luogo dei punti corporei, giacché ciascuna unità
psichica occuperà lo spazio di un punto. Ma che cosa impe-
disce che, se nello stesso luogo si trovano due di queste
entità, se ne trovino infinite? In realtà gli enti il cui luogo è
indivisibile, sono anch'essi indivisibili. Se invece il numero 2s
dell'anima s'identifica coi punti del corpo, ovvero se l'anima
è identica al numero dei punti del corpo, per quale ragione
non tutti i corpi hanno un'anima? In tutti i corpi sembra in-
fatti che ci siano punti ed in numero infinito. Inoltre com'è
possibile che i punti si separino e si distacchino dai corpi,
se è vero che le linee non sono divisibili in punti? 7 • 30

1
CAPITOLO QuiNTO

<CONCLUSIONE DELLA CRITICA DI SENOCRATE.


CRITICA DELLE DOTTRINE ELEMENTARISTICHE.
ALTRE OBIEZIONI ALLE DOTTRINE
DEI PREDECESSORI. L)UNITA DELL)ANIMA>

Costoro, come abbiamo detto, da un lato finiscono col


sostenere la medesima tesi di coloro che ritengono l'anima
un corpo sottile, dall'altro, come Democrito che parla del 409 b

movimento prodotto dall'anima, incorrono in un'assurdità


loro propria. Se è vero, infatti, che l'anima è presente nel-
l'intero corpo capace di sensazione, nello stesso luogo si
dovranno trovare due corpi, qualora l'anima sia un dato
Baruch_in_libris
128 L'ANIMA A 5, 409 h

corpo; mentre coloro che affermano che l'anima è un nu-


mero, dovranno ammettere che in un solo punto ci siano
s molti punti, oppure che ogni corpo abbia un'anima, qua-
lora il numero dell'anima che giunge nel corpo non sia dif-
ferente e non si distingua dai punti che si trovano nel corpo.
La tesi, poi, che l'animale è mosso dal numero corrisponde
a quella che dicevamo essere la posizione di Democrito. In
effetti che differenza fa se si parla di piccole sfere, oppure
10 di grandi unità o semplicemente di unità capaci di trasla-
zione? In entrambi i casi si deve ammettere che l'animale
si muove perché si muovono tali atomi o unità. Pertanto co-
loro che combinano in una medesima definizione movimento
e numero vanno incontro a queste difficoltà ed a molte altre
simili. In realtà è impossibile non solo che tali caratteristiche
costituiscano la definizione dell'anima, ma neppure le sue
15 proprietà. Ciò risulta manifesto se si cerca di dedurre da
questa definizione le affezioni e le attività dell'anima: ad
esempio i ragionamenti, le sensazioni, i piaceri, i dolori, ed
altri fenomeni del genere. Come si è detto in precedenza,
tali funzioni non è facile neppure congetturarle muovendo
da simili punti di partenza 2 •
Dei tre tipi di definizioni dell'anima che ci sono stati
20 tramandati, uno afferma che essa è ciò che vi è di più adatto
a muovere, per il fatto che muove se stessa; l'altro che è
il corpo più sottile o il più incorporeo di tutti gli altri. Ab-
biamo già spiegato a sufficienza quali difficoltà e contraddi-
zioni implichino tali teorie. Rimane ora da considerare su
quale fondamento si affermi che l'anima è costituita dagli
elementi. Questa teoria è stata formulata per rendere possi-
25 bile ali' anima la percezione degli esseri e la conoscenza di
ciascuno di essi, ma conduce inevitabilmente a molte conse-
guenze che sono in contrasto con la ragione. Presuppongono
invero che l'anima conosca il simile col simile, ammettendo
che in certo modo è identica agli oggetti 3 •
Tuttavia non esistono soltanto gli elementi, ma molte
altre cose (anzi, forse, innumerevoli), che sono composte da
questi elementi. Ammettiamo pure che l'anima conosca e
30 percepisca gli elementi da cui è costituito ciascun oggetto.
Con che cosa però conoscerà o percepirà il composto, ad
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 5, 410 a 129

esempio l'essenza di dio, uomo, carne, osso e, similmente,


di qualunque altra composizione? In effetti ciascun com- 410 a

posto non è formato da elementi combinati a caso, ma se-


condo una data proporzione e sintesi, come lo stesso Empe-
docle si esprime riguardo all'osso:
« e la Terra generosa, nei suoi capaci seni,
5
di otto parti ne accolse due, di Nestide e di luce,
e quattro di Efesto; e si formarono coslle bianche ossa».

Non è pertanto di alcun aiuto che nell'anima si trovino


gli elementi, se non vi si trovano anche le proporzioni e la
sintesi, poiché ogni elemento conoscerà bensll'elemento che
gli è simile, ma non vi sarà alcun ente che conosca l'osso o
l'uomo, a meno che questi oggetti non si trovino nell'anima.
Ma che ciò sia impossibile non c'è bisogno di dirlo. Chi, in- 10

fatti, potrebbe chiedersi se nell'anima c'è una pietra o un


uomo, come pure il bene e il non bene, e, allo stesso modo,
gli altri oggetti? Inoltre, poiché l'essere si dice in molti
sensi (significa l'essere determinato, e la quantità, la qualità
o un'altra delle categorie che si sono distinte), l'anima sarà 15

costituita da tutte le categorie oppure no? Ora non sembra


ché ci siano elementi comuni a tutte le categorie. Sarà quindi
formata soltanto da quelli delle sostanze? Ma in che modo
allora conoscerà ciascuna delle altre categorie? Si potrebbe
asserire che di ciascun genere ci sono elementi e principi
propri da cui è formata l'anima, e in tal caso essa sarà quan-
tità, qualità e sostanza. Sennonché è impossibile che dagli
elementi della quantità risulti una sostanza e non una quan- 20

tità. Coloro dunque che affermano che l'anima è composta


da tutti gli elementi incorrono in queste difficoltà ed in
al tre simili 4•
È pure assurdo sostenere da un lato che il simile rimane
inalterato dall'azione del simile, e dall'altro che il simile
percepisce il simile e conosce il simile col simile. Essi anzi 25

ritengono che il percepire è una forma di alterazione e di


mutamento, e cosi pure il pensare e il conoscere. Che com-
porti molti problemi e difficoltà asserire, con Empedocle,
che ogni cosa è conosciuta mediante gli elementi corporei
del soggetto ed in relazione a ciò che le è simile, lo attesta
Baruch_in_libris
130 L'ANIMA A 5, 410 h

30 quanto ora s'è detto. In realtà tutto ciò che nel corpo degli
410 b animali è formato soltanto di terra, ad esempio le ossa, i
tendini ed i peli, sembra che non percepisca nulla, e per-
tanto neanche le cose simili: eppure lo dovrebbe. Inoltre
di ciascun principio sarà più propria l'ignoranza che non la
conoscenza, poiché conoscerà una cosa sola, ma ne ignorerà
molte, ossia tutte le altre. Ne consegue anche, per Empe-
s docle almeno, che dio è il meno sapiente degli esseri, giacché
egli solo non conoscerà uno degli elementi, la Discordia,
mentre gli esseri mortali li conoscono tutti, perché ogni mor-
tale è composto di tutti. Da un punto di vista più generale,
perché mai non tutti gli esseri hanno un'anima, se è vero
che ogni ente s'identifica od è costituito da un elemento o da
più o da tutti? È, infatti, necessario che ogni essere conosca
10 un elemento o alcuni o tutti. Si potrebbe anche chiedere che
cosa sia mai ciò che unifica gli esseri. Gli elementi, infatti,
assomigliano piuttosto alla materia, mentre ciò che è supe-
riore è il principio che li unifica, qualunque esso sia. Ora è
impossibile che esista qualcosa di superiore all'anima, che
la comandi; ed ancor meno possibile è che ci sia qualcosa
di superiore all'intelletto, poiché è ragionevole pensare che
1s l'intelletto per sua natura esista anteriormente ad ogni altra
cosa e che comandi. Essi invece affermano che gli elementi
sono i primi tra gli esseri 5 •
Inoltre sia coloro che affermano che l'anima è formata
da elementi (perché conosce e percepisce gli esseri), sia
quelli che la considerano ciò che è più atto a muovere, non
trattano di ogni specie di anima. In realtà non tutti gli es-
seri sensitivi sono dotati di movimento, giacché risulta che
20 alcuni animali sono immobili nel luogo. Eppure sembrerebbe
che l'anima comunichi all'animale almeno il moto locale.
Una difficoltà analoga può essere rivolta a coloro che riten-
gono che l'intelletto e la facoltà sensitiva sono costituiti da
elementi, poiché è noto sia che le piante vivono, pur non
essendo fornite di locomozione né di sensazione, sia che la
maggior parte degli animali sono privi di ragione. Ma anche
25 se si ammettesse tutto ciò, e si supponesse che l'intelletto
è una parte dell'anima, e parimenti la facoltà sensitiva, nep-
pure cosi essi riuscirebbero a dar conto in generale di ogni
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 5, 411 a 131

specie di anima, né di alcuna anima considerata nella sua


globalità. In questo inconveniente s'imbatte anche la dot-
trina contenuta nei cosiddetti canti orfici. Vi si dice infatti
che l'anima, portata dai venti, penetra dall'universo negli es-
seri che respirano. Ora non è possibile che ciò si verifichi 30
nelle piante e neppure in alcuni animali, se è vero che non 411 a
tutti respirano: ed è precisamente questo che è sfuggito ai
sostenitori di tale dottrina. Se poi si deve ammettere che
l'anima è formata da elementi, non per questo è necessario
che sia formata da tutti, poiché uno dei due termini della
contrarietà è sufficiente a discriminare se stesso ed il suo
opposto. Difatti col retto conosciamo sia il retto che il curvo, s
giacché il regolo è il criterio di entrambi, mentre il curvo
non lo è né di se stesso né del retto 6 •
Alcuni poi sostengono che l'anima si trova mescolata
all'universo; partendo di qui, forse, Talete pensò che tutte
le cose sono piene di dèi. Ma questa opinione comporta al-
cune difficoltà. Difatti per quale motivo l'anima, quando si
trova nell'aria o nel fuoco, non produce un animale, ma nei ~o
composti sl, e ciò benché sembri che si trovi in una condizio-
ne-migliore quando è presente negli elementi? (Si potrebbe
anche chiedere per quale ragione l'anima che si trova nell'aria,
sia migliore e più immortale di quella presente 11egli ani-
mali). Ma questa teoria porta ad una conseguenza che, in
un caso, è illogica, e nell'altro assurda: affermare infatti che
il fuoco e l'aria sono animali è quanto mai illogico, e non 1s
considerarli animali, se l'anima si trova in essi, è assurdo.
Inoltre sembra che essi abbiano ritenuto che l'anima è pre-
sente in questi elementi, per il fatto che il tutto è della stessa
specie delle parti. Di conseguenza essi devono ammettere
che anche l'anima è della stessa specie delle sue parti, se
è vero che gli animali diventano tali perché assumono una ·20
parte dell'elemento ambiente. Ma se l'aria, che viene sud-
divisa, è della stessa specie, mentre l'anima non è omogenea,
evidentemente una parte dell'anima si troverà nell'aria e
un'altra no. Necessariamente, dunque, o l'anima è omoge-
nea, oppure non si trova in qualunque parte del tutto 7 •
Da quanto s'è detto è chiaro sia che la conoscenza non
appartiene all'anima per il fatto che è formata da elementi, 2s

Baruch_in_libris
132 L'ANIMA A 5, 411 h

sia che non è esatto e non corrisponde a verità affermare che


essa si muove. D'altronde, poiché sono proprietà dell'anima
il conoscere, il percepire e l'avere opinioni, ed inoltre il de-
siderare, il volere e in generale le tendenze, e l'anima pro-
duce negli animali lo spostamento locale, ed anche la cre-
30 scita, la maturità e la decrescita, chiediamoci: ciascuna di
411 b queste funzioni appartiene all'intera anima, e cioè con l'in-
tera anima pensiamo, percepiamo, ci muoviamo, e compiamo
o subiamo tutte le altre affezioni, oppure con parti diverse
esercitiamo funzioni diverse? Inoltre la vita risiede in una
sola di queste parti o in più o in tutte, oppure ha una causa
5 distinta? Ora alcuni affermano che l'anima è divisa in parti,
e che con una pensa e con un'altra desidera. Ma, allora,
qual è mai il principio unificatore dell'anima, se per sua na-
tura è divisa in parti? Certamente non il corpo, giacché, al
contrario, sembra piuttosto che l'anima tenga unito il corpo,
in quanto, uscita l'anima, il corpo sùbito si dissolve ed im-
putridisce. Se pertanto un'altra cosa produce l'unità del-
10 l'anima, sarà questa la vera anima. Ma, daccapo, anche ri-
guardo a questa bisognerà domandarsi se è una od ha molte
parti. Se è una, perché non attribuire sùbito l'unità al-
l'anima stessa? E se è divisa in parti, di nuovo col ragio-
namento si ricercherà il principio che la tiene unita, e in
tal modo s'andrà all'infinito 8 •
Riguardo alle parti dell'anima si potrebbe chtedere quale
15 funzione ciascuna eserciti nel corpo. Se infatti l'anima in-
tera dà unità a tutto il corpo, ciascuna parte dell'anima do-
vrebbe conferire l'unità ad una data parte del corpo. Ma ciò
sembra impossibile. In effetti a quale parte del corpo l'intel-
letto darà unità e in qual modo, è difficile immaginare.
Inoltre si può constatare che le piante e, tra gli animali, al-
20 cuni insetti, benché divisi, continuano a vivere, e ciò signi-
fica che i segmenti hanno specificamente, anche se non nu-
mericamente, la medesima anima. Entrambi i segmenti, in-
fatti, per un certo tempo conservano la sensazione e si spo-
stano localmente. Se poi non rimangono a lungo cosl, non
fa meraviglia, giacché non hanno gli organi necessari a man-
tenere la loro natura. Cionondimeno in ciascuno dei due seg-
25 menti si trovano tutte le parti dell'anima, e le parti del-
Baruch_in_libris
L'ANIMA A 5, 411 b 133

l'anima sono omogenee tra loro e rispetto all'anima intera:


tra loro, in quanto non sono separabili l'una dall'altra, ri-
spetto all'anima intera, in quanto non è divisibile. Sembra
che anche il principio che è presente nelle piante sia una
forma di anima, giacché gli animali e le piante hanno in
comune questo solo principio. Tale principio può esistere
separatamente da quello sensitivo, mentre senza di esso 30
nessun animale può avere la sensazione 9 •

Baruch_in_libris
Baruch_in_libris
LIBRO B
(SECONDO)

Baruch_in_libris
Baruch_in_libris
CAPITOLO PRIMO l

<PRIMA DEFINIZIONE DI ANIMA.


L'UNITA DEL VIVENTE.
L'INSEPARABILITA DELL'ANIMA>

Per ciò che riguarda le dottrine sull'anima tramandateci 412 a

dai nostri predecessori può bastare quanto si è detto. Ri-


prendiamo ora di nuovo la strada come dall'inizio, cer-
cando di determinare che cos'è l'anima e qual è il suo con-
cetto più generale. Noi chiamiamo un certo genere di esseri 6
sostanza, e diciamo sostanza in un primo senso la materia,
la guale di per sé non è qualcosa di determinato; in un se-
condo la forma e la specie, in virtù della quale precisa-
mente si parla di qualcosa di determinato; e in un terzo
senso il composto di queste due. La materia poi è potenza
e la forma atto, e l'atto si dice in due sensi: o come la co- 10
noscenza, o come l'uso di essa 2 •
Ora sostanze sembrano essere soprattutto i corpi e tra
essi specialmente quelli naturali, giacché questi sono i prin-
cipi di tutti gli altri. Tra i corpi naturali, poi, alcuni pos-
siedono la vita ed altri no; chiamiamo vita la capacità di
nutrirsi da sé, di crescere e di deperire. Di conseguenza ogni 1s
corpo naturale dotato di vita sarà sostanza, e lo sarà preci-
samente nel senso di sostanza composta. Ma poiché si tratta
proprio di un corpo di una determinata specie, e cioè che
ha la vita, l'anima non è il corpo, giacché il corpo non è
una delle determinazioni di un soggetto, ma piuttosto è
esso stesso soggetto e materia. Necessariamente dunque
l'anima è sostanza, nel senso che è forma di un corpo na- 20
turale che ha la vita in potenza. Ora tale sostanza è atto, e

Baruch_in_libris
138 L'ANIMA B l, 412 h

pertanto l'anima è atto del corpo che s'è detto. Atto, poi,
si dice in due sensi, o come la conoscenza o come l'esercizio
di essa, ed è chiaro che l'anima è atto nel senso in cui lo è
la conoscenza. Difatti l'esistenza sia del sonno che della
25 veglia implica quella dell'anima. Ora la veglia è analoga al-
l'uso della conoscenza, mentre il sonno al suo possesso e
non all'uso, e primo nell'ordine del divenire rispetto al me-
desimo individuo è il possesso della conoscenza. Perciò
l'anima è l'atto primo di un corpo naturale che ha la vita
in potenza. Ma tale corpo è quello che è dotato di organi.
412 b (Organi sono anche le parti delle piante, ma estremamente
semplici. Ad esempio la foglia è la protezione del pericarpo
e il pericarpo del frutto, mentre le radici corrispondono alla
bocca, in quanto l'una e le altre prendono il nutrimento).
Se dunque si deve indicare una caratteristica comune ad
5 ogni specie di anima, si dirà che essa è l'atto primo di un
corpo naturale dotato di organi. Pertanto non c'è bisogno di
cercare se l'anima e il corpo formano un'unità, allo stesso
modo che non v'è da chiedersi se formano un'unità la cera
e la figura né, in generale, la materia di una data cosa e ciò
che ha per sostrato tale materia. Se infatti l'uno e l'essere
hanno molti significati, quello principale è l'atto 3 •
10 S'è dunque detto, in generale, che cos'è l'anima: essa è
sostanza nel senso di forma, ovvero è l'essenza di un deter-
minato corpo. Così se uno strumento, ad esempio una scure,
fosse un corpo naturale, la sua essenza sarebbe di essere
scure, e quest'essenza sarebbe la sua anima. Tolta questa es-
senza, la scure non esisterebbe più se non per omonimia.
15 Nel nostro esempio si tratta però soltanto di una scure. In
effetti l'anima non è l'essenza e la forma di un corpo di
quella specie, ma di un determinato corpo naturale, che ha
in se stesso il principio del movimento e della quiete. Ciò
che s'è detto si deve applicare anche alle parti corporee. Se
infatti l'occhio fosse un animale, la sua anima sarebbe la
vista, giacché questa è la sostanza dell'occhio, sostanza in
20 quanto forma (mentre l'occhio è la materia della vista). Se
quest'essenza vien meno, non c'è più l'occhio se non per
omonimia, come l'occhio di pietra o dipinto. Ora ciò che
vale per una parte bisogna estenderlo all'intero corpo vi-
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 2, 413 a 139

vente. Difatti la relazione esistente tra parte e parte è ana-


loga a quella che intercorre tra l'intera facoltà sensitiva e
l'intero corpo senziente in quanto tale 4• 25

D'altronde non è il corpo che ha perduto l'anima quello


che è capace di vivere, ma quello che la possiede, mentre il
seme ed il frutto costituiscono ciò che è in potenza un corpo
di tale specie. Allora, come il fendere e il vedere sono atto,
cosl lo è la veglia, mentre l'anima è atto al modo della fa- 41 3 a
coltà di vedere e della capacità dello strumento. Il corpo,
poi, è ciò che è in potenza, e come la pupilla e la vista for-
mano l'occhio, cosl, nel nostro caso, l'anima e il corpo for-
mano l'animale. È quindi manifesto che l'anima (od alcune 5

sue parti, se per sua natura è divisibile in parti) non è sepa-


rabile dal corpo, giacché l'attività di alcune sue parti è
l'atto delle corrispondenti parti del corpo. Ciononostante
nulla impedisce che almeno alcune parti siano separabili, in
quanto non sono atto di nessun corpo. S'aggiunga però che
non è chiaro se l'anima sia atto del corpo come il pilota lo
è della nave. A mo' di abbozzo può dunque bastare questa
definizione e descrizione sommaria dell'anima 5 • 1o

1
CAPITOLO SECONDO

<SECONDA DEFINIZIONE DI ANIMA.


LA 'SEPARABILITA' DELLE PARTI DELLJANIMA>

Poiché da ciò che è confuso, e tuttavia più palese, deriva


ciò che è chiaro e più noto razionalmente, bisogna tentare
di riprendere da questo punto di vista la ricerca sull'anima.
Difatti il discorso definitorio non deve mostrare soltanto il
che, come fanno la maggior parte delle definizioni, ma deve 15

includere e manifestare anche la causa. Ora gli enunciati


delle definizioni sono simili a conclusioni. Ad esempio, che
Baruch_in_libris
140 L'ANIMA B 2, 413 h

cos'è la quadratura? È la costruzione di un rettangolo equi-


latero equivalente ad una figura oblunga. Tale definizione è
l'enunciato di una conclusione. Se invece si dice che la qua-
20 dratura è trovare una linea che funge da medio, si dice la
causa del fatto 2 •
Riprendendo la ricerca dall'inizio, diciamo che l'essere
animato si distingue dall'inanimato per il fatto che vive. E
poiché vivere si dice in molti sensi, noi affermiamo che un
essere vive se ad esso appartiene anche una sola di queste
caratteristiche, e cioè l'intelletto, la sensazione, il moto e
la quiete nel luogo, e inoltre il mutamento nel senso della
25 nutrizione, la decrescita e la crescita. Pertanto sembra che
vivano anche tutte le piante. Risulta infatti che hanno in se
stesse una facoltà ed un principio in virtù del quale cre-
scono e decrescono in direzioni opposte (in realtà non cre-
scono verso l'alto e non verso il basso, ma ugualmente se-
condo entrambe ed anzi tutte le direzioni, e ciò vale per
30 tutte le piante che si nutrono costantemente, e che perciò
continuano a vivere sinché possono prendere il nutrimento).
Questa facoltà può esistere indipendentemente dalle altre,
mentre è impossibile che, negli esseri mortali, le altre esi-
stano indipendentemente da essa. Ciò risulta manifesto nel
caso delle piante, giacché in esse non si trova nessun'altra fa-
413 b coltà dell'anima. La vita, dunque, appartiene ai viventi in
virtù di questo principio, mentre l'animale è tale principal-
mente per la sensazione. E infatti degli esseri che non si
si muovono né cambiano luogo, ma che possiedono la sen-
sazione, noi diciamo che sono animali e non soltanto che
vivono. Delle sensazioni, quella che principalmente appar-
5 tiene a tutti gli animali è il tatto. E come la facoltà nutri-
tiva può esistere indipendentemente dal tatto e da ogni altro
senso, cosi il tatto può esistere senza gli altri sensi (diciamo
facoltà nutritiva quella parte dell'anima di cui partecipano
anche le piante, mentre consta che gli animali possiedono
tutti il senso del tatto): per quale motivo avvengano questi
10 due fatti, lo si dirà più oltre. Per ora ci si limiti ad affermare
quanto segue: l'anima è il principio delle facoltà menzionate,
ed è definita da esse, ovvero dalla facoltà nutritiva, sensi-
tiva, razionale e dal movimento 3 •
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 2, 414 a 141

Ma ciascuno di questi principi è un'anima o una parte


dell'anima? E se è una parte, è separabile soltanto logica- 15

mente od anche spazialmente? In alcuni casi non è difficile


verificarlo, mentre altri comportano delle difficoltà. Difatti,
come a proposito delle piante si nota che alcune continuano
a vivere anche se vengono divise e se le loro parti vengono
separate le une dalle altre (e ciò perché l'anima che si trova
in esse è unica in atto in ciascuna pianta, ma molteplice in
potenza), la stessa cosa vediamo che accade anche per altre
specie di anima, ad esempio negli insetti, quando vengono 20

sezionati. E infatti ciascun segmento ha la sensazione e il


movimento locale, e se ha la sensazione possiede pure l'im-
maginazione e la tendenza, poiché dov'è la sensazione ci
sono pure il dolore e il piacere, e dove si trovano questi
necessariamente c'è anche il desiderio. Riguardo poi all'in-
telletto e alla facoltà teoretica nulla è ancora chiaro, ma sem- 25
bra che sia un genere diverso di anima, e che esso solo possa
essere separato, come l'eterno dal corruttibile. Da quanto
s'è detto è chiaro invece che le rimanenti parti dell'anima
non sono separabili, come alcuni affermano. Che però siano
distinte logicamente, è manifesto. Difatti l'essenza della
facoltà sensitiva è distinta da quella della facoltà opinativa, 30

se è vero che il percepire è diverso dall'avere un'opinione,


e ciò vale per ciascuna delle altre facoltà di cui s'è detto.
Inoltre a certi animali appartengono tutte queste facoltà,
mentre ad altri soltanto alcune, e ad altri ancora una sola (ed
è questo fatto che determina la differenza degli animali tra 414 a

loro): per quale causa ciò si verifichi bisognerà vedere suc-


cessivamente. Analogo è il caso dei sensi: certi animali li
possiedono tutti, altri alcuni, altri ancora uno solo, quello
più necessario, ossia il tatto 4 •
'Ciò mediante cui viviamo e percepiamo' si dice in due
sensi, come anche 'ciò mediante cui conosciamo'. Con que- 5

st'ultima espressione, infatti, ci riferiamo da un lato alla


conoscenza e dall'altro all'anima, poiché noi diciamo di co-
noscere e con l'una e con l'altra. Del pari noi siamo sani da
un lato per la salute e dall'altro in relazione ad una certa
parte del corpo o al corpo intero. Di queste cose, la cono-
scenza e la salute sono la forma e una certa specie, ovvero
Baruch_in_libris
142 L'ANIMA B 3, 414 a

10 l'essenza e, per così dire, l'atto del soggetto ricettivo, ri-


spettivamente di quello capace di conoscenza e di quello ca-
pace di salute (difatti sembra che l'atto di ciò che produce
sia presente in ciò che subisce e si trova in una certa dispo-
sizione), e l'anima è la causa primaria in virtù di cui noi
viviamo, percepiamo e pensiamo. Conseguentemente l'anima
dev'essere una certa essenza o forma, e non materia e so-
15 strato. In effetti, come abbiamo affermato, la sostanza si
dice in tre sensi: la forma, la materia e il composto di en-
trambe; di esse la materia è potenza e la forma atto. Dato
che il composto di quelle due sia animato, non è il corpo
l'atto dell'anima, ma questa è l'atto di un certo corpo. Per
questo motivo è esatta l'opinione di coloro i quali ritengono
20 che l'anima non esista senza il corpo né sia un corpo. In
realtà non s'identifica col corpo, ma è una proprietà del
corpo. Pertanto esiste in un corpo, ed anzi in un corpo di
una determinata specie, e non come credevano i nostri pre-
decessori, che la facevano entrare nel corpo, senza determi-
nare la natura e la qualità di esso, benché non si verifichi
mai che una cosa qualunque accolga una cosa qualunque.
25 Ed è ragionevole che cosi avvenga, giacché l'atto di ciascuna
cosa si realizza per sua natura in ciò che è in potenza e nella
materia appropriata. Da quanto precede è chiaro, dunque,
che l'anima è un certo atto ed essenza di ciò che ha la ca-
pacità di essere di una determinata natura 5•

CAPITOLO TERZO l

<LA DEFINIZIONE E LE FACOLT A DELL'ANIMA>

Tra le suddette facoltà dell'anima ad alcuni viventi~


30 come dicevamo, appartengono tutte, ad altri alcune, ad altri
ancora una sola. Abbiamo chiamato facoltà la nutritiva, la
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 3, 414 h 143

sens1t1va, l'appetitiva, la locomotoria e la razionale. Alle


piante appartiene soltanto la facoltà nutritiva, mentre agli
altri viventi questa ed anche la sensitiva. Se poi vi è la 414 b
facoltà sensitiva, c'è anche l'appetitiva. Difatti l'appetizione
può essere desiderio, impulso e volontà. Ora tutti gli ani-
mali possiedono almeno un senso, il tatto. Ma chi ha la sen-
sazione possiede pure il piacere e il dolore e ciò che è pia-
cevole e doloroso, e chi ha questi ultimi ha anche il desiderio, 5
perché esso è la tendenza verso ciò che piace. Inoltre gli
animali possiedono la sensazione dell'alimento, giacché il
tatto è il senso dell'alimento. In effetti tutti gli esseri vi-
venti si nutrono di elementi secchi ed umidi, caldi e freddi,
e chi li percepisce è il tatto, mentre gli altri sensibili il tatto li
coglie accidentalmente. In realtà il suono, il colore e l'odore 10

non contribuiscono in nulla al nutrimento, mentre il sapore


è una delle qualità percepibili dal tatto. Ora fame e sete sono
desideri, di secco e caldo la fame, di umido e freddo la sete,
ed il sapore è, per cosi dire, il condimento di questi sensi-
bili. Tali argomenti andranno chiariti più oltre; per ora è
sufficiente dire che, tra i viventi, quelli che hanno il tatto 15
possiedono anche la tendenza. Riguardo ~ll'immaginazione
la cosa non è chiara, e su ciò s'indagherà più avanti. Alcuni
animali poi, oltre queste, hanno anche la facoltà locomotoria,
ed altri pure la facoltà razionale e l'intelletto, ad esempio gli
uomini e, se esiste, qualche altro essere simile o superiore 2 •
È chiaro allora che una è la definizione di anima allo 20
stesso modo che una è la definizione di figura. Difatti, come
nel caso delle figure non esiste una figura oltre il triangolo
e le figure che ne conseguono, cosi, nel caso delle anime,
non esiste un'anima oltre quelle dette. Si potrebbe certo for-
mulare per le figure una definizione comune, la quale però
sarà bensi applicabile a tutte, ma non sarà propria di nes-
suna figura, e lo stesso si potrebbe fare per le anime sud-
dette. È perciò ridicolo, in questi ed altri casi, cercare la 25

definizione comune, che non sarà la definizione propria di


nessun ente e non sarà riferibile ad una specie appropriata
e indivisibile, rinunciando a quest'ultima definizione. Il caso
delle figure è simile a quello dell'anima, giacché sempre nel
termine successivo è contenuto in potenza il termine antece- 30

Baruch_in_libris
144 L'ANIMA B 4, 415 a

dente, e ciò vale sia per le figure come per gli esseri ani-
mati. Ad esempio nel quadrilatero è contenuto il triangolo,
e nella facoltà sensitiva quella nutritiva. Di conseguenza bi-
sogna cercare caso per caso qual è l'anima di ciascuna specie,
e cioè della pianta, dell'uomo e del bruto. Per quale motivo,
415 a poi, le anime sono disposte in questa successione, è cosa da
vedersi. In realtà senza la facoltà nutritiva non esiste quella
sensitiva, mentre nelle piante la facoltà nutritiva esiste indi-
pendentemente da quella sensitiva. A sua volta senza il tatto
non è presente nessun altro senso, mentre esso esiste senza
5 gli altri, poiché molti animali non possiedono né la vista né
l'udito né la percezione dell'odore. Tra gli esseri, poi, capaci
di sensazione, alcuni hanno la facoltà locomotoria ed altri
no. Pochissimi, infine, possiedono la ragione e il pensiero.
Difatti gli esseri corruttibili dotati di ragione hanno anche
10 tutte le altre facoltà, mentre non tutti coloro che possiedono
una di queste facoltà hanno la ragione; anzi alcuni non pos-
siedono neppure l'immaginazione, mentre altri vivono sol-
tanto con questa. L'intelletto teoretico esige però un altro
discorso. È chiaro, pertanto, che la trattazione di ciascuna di
queste facoltà è la più appropriata per la conoscenza del-
l'anima 3 •

1
CAPITOLO QuARTO

<LA FACOLTA NUTRITIVA.


LA CAUSALITA DELLJANIMA>

Chi intende effettuare una ricerca sulle facoltà dell'anima


15 deve stabilire che cos'è ciascuna di esse e successivamente,
cercare le proprietà che ne conseguono e le altre caratteri-
stiche. Ma se bisogna dire che cos'è ciascuna di queste fa-
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 4, 415 b 145

coltà, ad esempio che cos'è la facoltà intellettiva o sensi-


tiva o nutritiva, prima ancora si deve dire che cos'è l'intel-
lezione e che cos'è la percezione, poiché le attività e le fun-
zioni dal punto di vista logico sono anteriori alle facoltà.
Ma se questo è vero, ancor prima che le attività si devono 20

prendere in considerazione gli oggetti correlativi, poiché è


di questi anzitutto, e per lo stesso motivo, che si deve trat-
tare, ossia dell'alimento, del sensibile e dell'intelligibile 2 •
Anzitutto si deve allora parlare della nutrizione e della
riproduzione, giacché l'anima nutritiva appartiene anche
agli altri viventi, ed è la prima e la più comune facoltà del- 25
l'anima, quella in virtù di cui a tutti appartiene la vita.
Le sue funzioni sono la riproduzione e l'uso dell'alimento.
Difatti la funzione più naturale degli esseri viventi, di quelli
che hanno raggiunto lo svilttppo e non sono menomati o non
derivano da generazione spontanea, è di produrre un altro
individuo simile a sé: l'animale un animale e la pianta una
pianta, e ciò per partecipare, nella misura del possibile, del-
l'eterno e del divino. In effetti è a questo che tutti gli esseri 415 b
tendono ed è per questo fine che operano gli esseri che ope-
rano secondo natura ('fine' ha due significati: 'ciò in vista
di- cui' e 'colui a vantaggio del quale'). Poiché dunque
questi esseri non possono partecipare con continuità del-
l'eterno e del divino, in quanto nessun essere corruttibile è
in grado di sopravvivere identico e uno di ·numero, ciascuno 5
ne partecipa per quanto gli è possibile, chi più e chi meno,
e sopravvive non in se stesso, ma in un individuo simile a
sé, non uno di numero, ma uno nella specie 3 •
L'anima è la causa e il principio del corpo vivente. Ora
causa e principio si dicono in molti sensi, e in conformità a
ciò l'anima è causa secondo i tre modi che abbiamo distinto. 10

Difatti l'anima è causa come principio del movimento, come


fine e come essenza dei corpi animati. Che l'anima sia causa
come essenza è manifesto. In effetti l'essenza è per tutte le
cose la causa del loro essere, e l'essere per i viventi è il vi-
vere, e causa e principio del vivere è l'anima. Inoltre l'atto
è l'essenza dell'ente in potenza. È poi evidente che l'anima 15

è causa anche come fine. Allo stesso modo, infatti, che l'in-
telletto agisce in vista di qualcosa, cosl opera pure la natura,
Baruch_in_libris
146 L'ANIMA B 4, 416 a

e questo è il suo scopo. Ora negli animali tale fine, confor-


memente alla natura, è l'anima. In effetti tutti i corpi na-
turali sono strumenti dell'anima, sia quelli degli animali
20 come quelli delle piante, poiché esistono per l'anima ('fine'
si dice in due sensi: 'ciò in vista di cui' e 'colui a van-
taggio del quale'). Inoltre l'anima costituisce la prima ori-
gine del movimento locale, benché questa capacità non ap-
partenga a tutti i viventi. Ed anche l'alterazione e l'accresci-
mento sono dovuti all'anima. Difatti la sensazione sembra
25 essere una specie di alterazione, e nessun essere che non
possieda l'anima percepisce. Lo stesso vale per l'accresci-
mento e il decadimento, poiché nulla deperisce o si sviluppa
naturalmente se non si nutre, e nulla si nutre se non parte-
cipa della vita 4 •
Ora non è corretto quanto afferma Empedocle, quando
aggiunge che nelle piante· si produce la crescita verso il basso
416 a mediante lo sviluppo delle radici, perché la terra si muove
naturalmente in questo senso, e verso l'alto, perché questa
è la direzione del fuoco. In effetti egli non intende esatta-
mente l'alto e il basso. L'alto e il basso non sono infatti gli
stessi per ciascuna cosa come per l'universo, ma ciò che è
5 la testa per gli animali sono le radici per le piante, se gli
organi si devono considerare diversi o identici in rapporto
alle loro funzioni. Inoltre qual è il principio che tiene uniti
il fuoco e la terra che si muovono in direzioni opposte?
Giacché si divideranno, se non c'è qualcosa che lo impedisca.
E se c'è, questo qualcosa sarà l'anima, ovvero la causa della
crescita e della nutrizione. Sembra poi ad alcuni che la
10 causa della nutrizione e della crescita sia semplicemente la
natura del fuoco, poiché è l'unico dei corpi che risulta ali-
mentarsi ed accrescersi, e pertanto si potrebbe pensare che,
nelle piante e negli animali, questo elemento sia la causa
di tali funzioni. Ora il fuoco, quantunque sia in certo modo
concausa, non è affatto causa in senso assoluto, ma piuttosto
15 lo è l'anima. L'aumento del fuoco procede infatti all'infi-
nito, finché c'è il combustibile, mentre per tutti gli esseri che
sussistono naturalmente, c'è un limite ed una proporzione,
della loro grandezza e crescita. Esse dipendono dall'anima e
non dal fuoco, dalla forma piuttosto che dalla materia 5 •
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 4, 416 b 147

Poiché la medesima facoltà dell'anima è insieme nutri-


tiva e riproduttiva, bisogna trattare anzitutto della nutri- 20
zione, poiché essa si distingue dalle altre facoltà per questa
funzione. Sembra che il contrario sia l'alimento del contrario;
non però ogni contrario è alimento di ogni contrario, ma
quei contrari che non solo derivano l'uno dall'altro, ma che
anche si accrescono l'un l'altro. In effetti molte cose derivano
l'una dall'altra, ma non tutte hanno una quantità, com'è il 25

caso del sano che deriva dal malato. Risulta, poi, che nep-
pure i suddetti contrari sono nutrimento l'uno dell'altro
allo stesso modo, ma, mentre l'acqua è alimento del fuoco,
il fuoco invece non alimenta l'acqua. È pertanto specialmente
nel caso dei corpi semplici che sembra che dei due contrari
uno sia l'alimento e l'altro ciò che viene alimentato. Ma vi è
una difficoltà. Alcuni, infatti, sostengono che il simile si 3o
nutre del simile, e così pure si accresce. Altri invece, come
dicevamo, sono dell'avviso opposto: il contrario si nutre e
s'accresce del contrario. Difatti il simile non può subire
un'alterazione da parte del simile, mentre l'alimento muta
ed è elaborato, e la mutazione si ha sempre verso il termine
opposto o quello intermedio. Inoltre l'alimento subisce un'al-
terazione da parte di chi si alimenta, ma non questo da parte 35
di quello, così come non è il costruttore a subire l'azione 41 6 b

della materia, ma questa di quello. Il costruttore muta sol-


tanto dallo stato d'inattività in quello di attività. C'è però
una differenza se diciamo alimento ciò che si aggiunge al
corpo nel suo stato ultimo, oppure in quello originario. Se
entrambi sono alimento, ma l'uno è elaborato e l'altro no, 5

si potrà parlare di alimento secondo entrambe le teorie. In


quanto non è elaborato, si può dire infatti che il contrario
si nutre del contrario; in quanto è elaborato, si può dire che
il simile si nutre del simile. Di conseguenza è evidente che
gli uni e gli altri in un certo senso si esprimono corretta-
mente, in un altro no 6 •
Poiché non si nutre se non chi partecipa della vita, ciò
che si nutre è il corpo animato in quanto è animato, e per- 10

tanto il nutrimento ha relazione con l'essere animato, e non


accidentalmente. Vi è però una differenza tra 'essere nu-
trimento' ed 'essere causa di crescita'. Difatti, in quanto
Baruch_in_libris
148 L'ANIMA B 5, 416 h

l'essere animato ha una quantità, si parla di 'causa di cre-


scita'; in quanto tale essere è qualcosa di determinato e
una sostanza, si parla di 'nutrimento' (giacché quest'ulti-
mo conserva la sostanza del vivente, il quale sussiste finché
15 si nutre) e di principio della generazione, non dell'essere che
si nutre, ma di un individuo simile all'essere che si nutre.
Difatti la sostanza di quest'ultimo sussiste già, e nessun es-
sere genera se stesso, ma si conserva. Di conseguenza tale
principio dell'anima è una facoltà capace di conservare l'es-
sere che la possiede in quanto tale, e l'alimento è ciò che le
permette di agire. Perciò, privo di alimento, l'essere ani-
20 mato non può sussistere. E poiché ci sono tre cose: ciò che
viene nutrito, ciò con cui si nutre e ciò che nutre, diciamo
che ciò che nutre è la prima anima, ciò che viene nutrito è
il corpo che la possiede, e ciò con cui questo si nutre è l'ali-
mento. Ora, poiché è giusto denominare ogni cosa dal suo
fine, e il fine è quello di generare un individuo simile a sé,
25 la prima anima sarà quella che è capace di generare un es-
sere simile a sé. 'Ciò', poi, 'con cui nutre' ha due sensi,
come anche 'ciò con cui governa' può indicare la mano e
il timone: l'una muove ed è mossa, l'altro è soltanto mosso.
Ora ogni alimento deve poter essere elaborato, e ciò che
produce la cozione è il calore; perciò ogni essere animato è
30 provvisto di calore. A mo' di abbozzo s'è dunque detto che
cos'è la nutrizione. Ulteriori spiegazioni sull'argomento ver-
ranno date in uno scritto specifico 7 •

1
CAPITOLO QuiNTO

<LA FACOLTA SENSITIVA>

Stabilite queste cose, dobbiamo parlare in generale di


ogni sensazione. Come s'è detto, la sensazione consiste nel-
Baruch_in_libris
L"ANIMA B 5, 417 a 149

l'essere mossi e nel subire un'azione, giacché sembra che sia


una specie di alterazione. Ora alcuni sostengono che il simile 35
subisce l'azione del simile. In qual modo ciò sia possibile o 417 a

impossibile, si è detto nella trattazione generale sull'agire


e il subire. Si presenta però un problema: perché non si ha
sensazione degli stessi sensori, ovvero perché questi ultimi,
senza gli oggetti esterni, non percepiscono, benché in essi
si trovino il fuoco, la terra e gli altri elementi, i quali sono 5
oggetto di sensazione in se stessi o nei loro accidenti? Ovvia-
mente la risposta è che la facoltà sensitiva non è in atto, ma
soltanto in potenza, e perciò la percezione non avviene, allo
stesso modo che il combustibile non brucia da se stesso,
senza il comburente: in caso contrario brucerebbe da sé e
non ci sarebbe affatto bisogno del fuoco esistente in atto.
Poiché 'percepire' si dice in due accezioni (giacché dicia- 10

mo che ascolta e vede sia chi ascolta e vede in potenza,


anche se per caso dorma, sia chi presentemente ascolta e
vede in atto), anche la facoltà sensitiva ha due significati:
in quanto è in potenza e in quanto è in atto. La stessa cosa
vale per l'oggetto sensibile: o è tale in potenza o in atto.
Cominciamo allora la trattazione ammettendo che subire, 15

essere mosso ed agire siano la stessa cosa. Difatti, come s'è


detto in altri scritti, il movimento è una specie di atto,
benché imperfetto. Ora ogni essere che subisce un'azione
ed è mosso, lo è ad opera di un agente che è in atto. È per-
tanto possibile, come abbiamo detto, che una cosa subisca
l'azione del simile come pure del dissimile. La cosa infatti
che subisce è il dissimile, ma quando ha subìto è simile 2 20

Riguardo alla potenza e all'atto si deve fare una distin-


zione, giacché ora ne abbiamo parlato in modo sommario.
Un essere è conoscente o al modo che diremmo conoscente
l'uomo, perché è uno degli esseri cl1e conoscono e che pos-
siedono il sapere; oppure al modo che diciamo ormai cono- 25

scente chi possiede la conoscenza della grammatica. Costoro


non si trovano in potenza allo stesso modo, ma il primo
perché il suo genere e la sua materia sono di un certo tipo,
il secondo perché, qualora lo voglia, può esercitare la sua co-
noscenza, purché qualcosa di esterno non glielo impedisca.
Chi, poi, ormai esercita il suo sapere, si trova in atto e co-
Baruch_in_libris
1.50 L'ANIMA B .5, 417 b

nasce in senso vero e proprio questa determi11ata A. Per-


30 tanto i primi due, che sono conoscenti in potenza, diventano
conoscenti in atto, ma il primo subisce un'alterazione me-
diante l'apprendimento e muta più volte dalla condizione
contraria, mentre il" secondo, diversamente, dal possedere
417 b (ma senza farne uso) l'aritmetica o la grammatica, passa ad
esercitarle 3 •
Neppure 'subire' ha un unico significato, ma in una
prima accezione è una specie di distruzione da parte del con-
trario, in un altra è piuttosto la conservazione, da parte di
ciò che è in atto, di ciò che è in potenza e che gli è simile
s allo stesso modo che la potenza ha relazione con l'atto. Di-
fatti chi possiede la conoscenza passa ad esercitarla, e que-
st'attività o non è un'alterazione (giacché è una crescita del
soggetto verso se stesso e la propria realizzazione), oppure
è un genere diverso di alterazione. Pertanto non è corretto
affermare che chi pensa, quando pensa, come pure l'archi-
tetto, quando costruisce, subiscono un'alterazione. Perciò il
to passaggio di un essere intelligente e pensante dalla potenza
all'atto non si chiama insegnamento, ma deve avere un altro
nome. Riguardo poi a chi, essendo in potenza, impara ed
acquisisce la conoscenza da chi la possiede in atto ed è idoneo
ad insegnare, si deve dire o che non subisce un'alterazione,
come si è affermato, oppure che ci sono due modi di alte-
razione: il mutamento verso le condizioni privative e quello
verso gli stati positivi e la natura del soggetto 4 •
Il primo mutamento dell'essere sensitivo è prodotto dal
generante: quando è generato, egli possiede ormai la sen-
sazione allo stesso modo che la scienza. La sensazione in atto,
poi, si può dire che sia analoga all'esercizio della scienza, e
20 tuttavia se ne distingue, poiché, nel suo caso, gli agenti che
producono l'atto sono esterni: il visibile, l'udibile, e così
pure gli altri sensibili. La causa di ciò è che la sensazione in
atto ha per oggetto i singolari, mentre la scienza gli univer-
sali, e questi ultimi in certo modo si trovano nell'anima
stessa. Pertanto il pensare dipende dal soggetto, quando lo
25 voglia, mentre il percepire non dipende da lui, giacché è ne-
cessaria la presenza del sensibile. Una situazione analoga si
verifica anche nelle scienze che hanno per oggetto i sensi-
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 6, 418 a 151

bili, e per la stessa ragione, e cioè che i sensibili sono singo-


lari ed esterni. Ma l'occasione di chiarire questi punti si pre-
senterà anche in séguito 5 •
Per ora è sufficiente aver stabilito che l'espressione 'es- 30
sere in potenza' non ha un solo significato. Come·, infatti,
diremmo che può diventare stratego in un certo modo il bam-
bino e in un altro l'adulto, cosi si può parlare di potenza
anche nel caso della facoltà sensitiva. Ma poiché la diffe- 41a a
renza fra queste due 'potenze' non ha un nome (quan-
tunque si sia stabilito che e come esse si distinguono), bi-
sogna usare i termini 'subire' ed 'essere alterato' come
se fossero termini appropriati. Ora, come s'è detto, la fa-
coltà sensitiva è in potenza ciò che il sensibile è già in atto.
Pertanto essa subisce, poiché non è simile all'oggetto, mentre 5
quando ha subìto assomiglia e diventa simile a quello 6 •

1
CAPITOLO SESTO

<LE TRE SPECIE DI SENSIBILI>

Riguardo a ciascun senso, si deve parlare anzitutto dei


sensibili. Il sensibile può denotare tre specie di oggetti: due
diciamo che sono sensibili per sé ed uno per accidente. Di
quei due, poi, uno è proprio di ciascun senso, mentre l'altro 10

è comune a tutti. Dico 'proprio' quello che non può es-


sere percepito con un altro senso, e rispetto a cui non è pos-
sibile l'errore: ad esempio per la vista il colore, per l'udito il
suono e per il gusto il sapore, mentre il tatto ha per oggetto
molte varietà di sensibili. Tuttavia ogni senso giudica al-
meno i propri oggetti, e non s'inganna sul fatto che un co- 15

lore o un suono ci sia, ma su che cosa e dove sia l'oggetto


colorato o sonoro. Tali sensibili, dunque, si dicono propri
Baruch_in_libris
152 L'ANIMA B 7, 418 h

di ciascun senso. I sensibili comuni sono invece il movi-


mento, la quiete, il numero, la figura e la grandezza, giacché
essi non sono propri di alcun senso, ma comuni a tutti, in
20 quanto un dato movimento è percepibile sia al tatto che alla
vista. Si parla, poi, di sensibile per accidente quando, ad
esempio, il bianco è figlio di Diare. Difatti il figlio di Diare
lo percepiamo accidentalmente, perché al bianco accede il
figlio di Diare che è percepito. Perciò non subiamo alcuna
azione dell'ente sensibile in quanto tale. Dei sensibili per
sé, quelli veramente tali sono i propri ed è a questi che si
25 rapporta naturalmente l'essenza di ciascun senso 2•

CAPITOLO SETTIMO l

<LA VISTA>

Oggetto della vista è il visibile. Visibile è il colore e


inoltre ciò che può essere espresso con un discorso, ma che
si trova a non avere un nome: quanto intendiamo dire sarà
chiaro più avanti. Il visibile è in effetti il colore, ed il co-
30 lore è ciò che si trova sul visibile per sé: dico 'per sé'
non perché sia visibile per sua essenza, ma perché possiede in
se stesso la causa della sua visibilità. Ora ogni colore è ca-
418 b pace di muovere il trasparente che si trova in atto, e questa
è la sua natura. Pertanto il colore non è visibile senza la luce,
ma ogni colore di ciascuna cosa si vede nella luce. Bisogna
perciò dire anzitutto che cos'è la luce. Esiste dunque qual-
cosa di trasparente. Chiamo trasparente ciò che è visibile,
5 ma, per esprimermi propriamente, non visibile per sé, bensl
per mezzo di un colore estraneo. Tali sono l'aria, l'acqua e,
molti corpi solidi. Non sono però trasparenti in quanto
acqua o aria, ma perché in essi è presente una determinata
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 7, 419 a 153

natura, che è la medesima in entrambi e nel corpo eterno che


si trova in alto. La luce è l'atto di questo, ossia del traspa-
rente in quanto trasparente. Dove il trasparente è in po- 10
tenza, lì c'è il buio. La luce è per così dire il colore del tra-
sparente, quando il trasparente è in atto per l'azione del fuoco
o di qualcosa di simile al corpo che sta in alto, poiché anche
questo possiede la stessa e medesima caratteristica 2 •
· Che cosa dunque sia il trasparente e che cosa sia la luce
s'è detto: la luce non è fuoco né, in generale, un corpo né
un'emanazione di alcun corpo (giacché anche in questo caso 15

sarebbe un corpo), ma è la presenza del fuoco (o di qualcosa


di simile) nel trasparente. Difatti è impossibile che due corpi
occupino contemporaneamente lo stesso luogo. Inoltre
sembra che la luce sia il contrario del buio. Ma il buio è la
privazione di tale stato nel trasparente; è quindi manifesto
che la luce è la presenza di questo stato. Inoltre non è esatta 20
l'opinione di Empedocle (e di chi altro si sia espresso come
lui), il quale ritiene che la luce si muove, e che ad un certo
momento si trova fra la terra e il limite dell'universo, ma che
ciò sfugge alla nostra percezione. In realtà questa teoria con-
tr~sta sia con l'evidenza della ragione sia con i fatti d'espe-
rienza. Quel movimento potrebbe infatti passare inosservato
in una piccola distanza, ma che ci sfugga da oriente ad occi- 25

dente è una pretesa davvero eccessiva 3 •


Ricettivo del colore è ciò che non è colorato, come del
suono ciò che non è sonoro. Non colorato è il trasparente,
e inoltre ciò che non si vede o si vede appena, come sembra
essere l'oscuro. Il trasparente è non colorato, non però
quando è trasparente in atto, ma quando lo è in potenza. 3o

Difatti la medesima natura talvolta è buio e talvolta luce.


Non però tutti gli oggetti visibili sono tali nella luce, ma 419 a
soltanto il colore proprio di ciascuno. In realtà alcuni oggetti
nella luce non si vedono, ed invece vengono percepiti nel
buio, come quelli che paiono di fuoco e che brillano (per i
quali, tuttavia, non c'è un unico nome), ad esempio il fungo,
il corno, e le teste, le squame e gli occhi dei pesci. Di nes- 5
suno di questi oggetti è visibile il colore proprio. Quale sia,
poi, la causa per cui queste sostanze si vedono è un'altra que-
stione. Per il momento risulta evidente questo punto: ciò che
Baruch_in_libris
1.54 L'ANIMA B 7, 419 h

si vede nella luce è il colore. Pertanto non si vede senza la


10 luce, giacché l'essenza propria del colore è, come dicevamo,
di essere capace di muovere il trasparente in atto, e l'atto
del trasparente è la luce. Un chiaro indizio di questo fatto è
il seguente: se si pone l'oggetto colorato sullo stesso organo
della vista, non lo si vedrà. In realtà il colore muove il tra-
sparente, ad esempio l'aria, e da quest'ultima, che ha
15 un'estensione continua, è mosso il sensorio. In effetti De-
mocrito non dice bene, quando sostiene che, se il mezzo
divenisse vuoto, si vedrebbe distintamente anche una for-
mica che si trovasse in cielo. Questo è impossibile. Difatti
il vedere ha luogo quando la facoltà sensi ti va subisce una mo-
dificazione. Ora è impossibile che questa modificazione pro-
venga dallo stesso colore nel momento in cui viene visto.
20 Rimane dunque che provenga dal mezzo. Di conseguenza è
necessario che esista un mezzo. Ma se questo è vuoto, un
oggetto non solo non lo si vedrà distintamente, ma non lo
si vedrà affatto 4 •
Si è dunque detto per quale motivo è necessario che il
colore sia visto nella luce. Il fuoco invece si vede in entrambe
le condizioni, sia nel buio sia nella luce, e necessariamente,
poiché il trasparente diventa tale per l'azione del fuoco. lAJ
25 stesso discorso vale anche per il suono e l'odore. In effetti
nessuno dei due, qualora siano in diretto contatto con l'or-
gano sensorio, vengono percepiti, ma dall'odore e dal suono
viene mosso il mezzo, e da questo entrambi i sensori. Qua-
lora invece si ponga sopra lo stesso sensorio l'oggetto sonoro
30 od odoroso, non si avrà alcuna sensazione. La stessa cosa
vale anche per il tatto e il gusto, benché non sembri: il mo-
tivo di ciò verrà chiarito più avanti. Il mezzo per i suoni è
l'aria, quello per l'odore non ha un nome. C'è infatti una ca-
ratteristica comune all'aria e all'acqua, e come il trasparente
sta al colore, così questa caratteristica, che è presente in en-
35 trambi gli elementi, sta all'oggetto odoroso. In effetti ri-
419 b sulta che anche gli animali acquatici percepiscono gli odori,
mentre l'uomo e gli animali terrestri che respirano non pos-
sono percepire gli odori senza respirare. La causa di questo ,
fatto verrà detta successivamente 5 •

Baruch_in_libris
L'ANIMA B 8, 419 h 155

CAPITOLO 0TT Avo l

Veniamo ora a trattare anzitutto del suono e dell'udito.


Il suono c'è in una duplice accezione: l'uno è un atto e 5
l'altro potenza. Alcune cose diciamo infatti che non hanno
suono, ad esempio la spugna e la lana, mentre altre sl, come
il bronzo e i corpi duri e lisci, e ciò perché possono risuo-
nare, ovvero produrre un suono in atto fra loro e l'udito.
Il suono in atto è sempre prodotto dall'urto di qualcosa 10

contro qualcosa e in qualcosa, perché ciò che lo produce è


una percussione. È pertanto impossibile che si abbia un
suono in presenza di un solo oggetto, giacché il percuziente
e il percosso sono distinti. Di conseguenza ciò che risuona,
risuona contro qualcosa, e la percussione non ha luogo senza
una traslazione. Come s'è detto, il suono non è la percus-
sione di due oggetti qualsiasi. Difatti la lana, se viene bat- 1s
tuta, non emette alcun suono, ed invece il bronzo e i corpi
lisci e cavi sl: il bronzo perché è liscio, mentre i corpi cavi,
con la ripercussione, producono molti colpi dopo il primo,
giacché l'aria che è stata mossa non può uscire. Inoltre il
suono è udito nell'aria ed anche (ma di meno) nell'acqua.
Non è però l'aria né l'acqua la causa principale del suono,
ma deve prodursi un urto dei corpi solidi l'uno contro l'altro 20

e contro l'aria. Questo avviene quando l'aria, dopo essere


stata percossa, persiste e non si disperde. Se perciò la si col-
pisce velocemente e con forza, risuona. Il movimento del
corpo percuziente deve infatti prevenire la dispersione del-
l'aria, come sarebbe necessario fare se si volesse colpire un
mucchio o un vortice di sabbia che si muove velocemente 2 • 25
L'eco si produce quando, da una massa d'aria che s'è for-
mata in un corpo cavo che la limita e le impedisce di disper-
dersi, l'aria viene respinta indietro come una palla. Sembra
che l'eco si formi sempre, ma che non sia perspicuo, giacché
avviene per il suono un fenomeno analogo a quello che ac-
cade per la luce. Anche la luce, infatti, si riflette sempre (in
Baruch_in_libris
156 L'ANIMA B 8, 420 a

30 caso contrario la luce non si estenderebbe dappertutto, ma


ci sarebbe buio, eccetto che nella zona illuminata dal sole),
ma non sempre si riflette come quando viene riflessa dal-
l'acqua o dal bronzo o da un'altra superficie liscia, ossia in
modo da produrre l'ombra, mediante la quale determiniamo
la luce. Giustamente si dice, poi, che il vuoto è la causa prin-
cipale dell'udire. Si ritiene infatti che l'aria sia vuoto, e
35 l'aria fa udire quando venga mossa in condizioni di conti-
420 a nuità e unità. Ma per la sua friabilità non risuona, a meno
che l'oggetto colpito non sia liscio. In questo caso l'aria di-
venta contemporaneamente una sola massa a causa della su-
perficie, giacché la superficie di un corpo liscio è una 3 •
Sonoro è dunque il corpo capace di muovere una massa
d'aria, che si estenda ininterrottamente sino all'organo del-
l'udito. A quest'organo è congenita dell'aria, e poiché esso
5 si trova nell'aria esterna, quando si muove questa, si muove
anche quella interna. Pertanto l'animale non ode con ogni
parte del corpo né l'aria penetra in ogni parte, giacché la
parte che dev'essere messa in movimento e che deve rice-
vere il suono non ha l'aria in ogni punto del corpo. Di per
se stessa, dunque, l'aria non ha un suono, perché è facil-
mente friabile; qualora però le si impedisca di frantumarsi,
il suo movimento è suono. L'aria è racchiusa nelle orecchie
10 perché sia immobile e percepisca esattamente tutte le diffe-
renze del movimento. Per questa ragione udiamo anche nel-
l'acqua, perché essa non penetra fino nell'aria congenita; anzi
neppure nell'orecchio, a motivo delle circonvoluzioni.
Quando ciò accade l'orecchio non ode, e neppure se la mem-
brana è malata, come l'occhio non vede qualora sia leso l'in-
15 volucro della pupilla. Un indizio, poi, che si ode o no è che
l'orecchio risuoni sempre come un corno. Difatti l'aria con-
tenuta nelle orecchie si muove continuamente con un movi-
mento proprio; il suono però è esterno e non proprio. Per
questo motivo alcuni affermano che si ode per mezzo di ciò
che è vuoto e risonante, poiché udiamo mediante un organo
che ha una quantità d'aria determinata 4 •
Ma risuona il percosso o il percuziente? O piuttosto ri--
suonano entrambi, ma in modo diverso? In effetti il suono
è un movimento di ciò che può essere mosso, allo stesso
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 8, 420 h 157

modo che gli oggetti rimbalzano dalle superfici lisce, quando


le si colpisca. Pertanto, come s'è detto, non tutto ciò che è
percosso o percuote emette un suono (come quando, ad
esempio, un ago colpisce un ago), ma ciò che viene percosso 25
dev'essere uniforme, cosicché l'aria rimbalzi e vibri tutta
insieme. Quanto poi alle differenze tra i corpi sonori, esse
si manifestano nel suono in atto. Come infatti senza la luce
non si vedono i colori, cosi senza il suono non si distinguono
l'acuto e il grave. Questi due termini sono assunti per me-
tafora dagli oggetti del tatto, giacché l'acuto muove il senso 3o
molto in poco tempo, mentre il grave poco in molto tempo.
Non è però che l'acuto s'identifichi col veloce e il grave col
lento, ma nel primo caso il movimento si effettua nel modo
descritto a causa della velocità, nel secondo a causa della
lentezza. Tali qualità del suono sembrano avere un'analogia
con l'acuto e l'ottuso percepiti dal tatto. L'acuto infatti, per 420 b
cosi dire, punge, mentre l'ottuso spinge, poiché l'uno muove
il senso in poco tempo e l'altro in molto, sicché ne consegue
che l'uno è veloce e l'altro lento 5 •
Riguardo al suono può bastare quello che si è precisato. s
Quanto alla voce, essa è un suono dell'essere animato. In
effetti nessuno degli esseri inanimati emette una voce, ma
per somiglianza si dice che ce l'hanno, come il flauto, la lira
e quanti altri oggetti inanimati possiedono registro, melodia
ed articolazione. Essi sembrano avere· una voce, giacché la
voce possiede queste proprietà. Molti animali, però, non
hanno voce, ad esempio quelli non sanguigni e, tra i san- 10

guigni, i pesci (e ciò è comprensibile, dal momento che il


suono è un certo movimento dell'aria). Quanto ai pesci di cui
si dice che abbiano la voce, come quelli dell' Acheloo, essi
emettono bensi suoni con le branchie o con un altro organo
simile, ma la voce è un suono dell'animale che non è pro-
dotto con una qualsiasi parte del corpo. Ora, poiché ogni
emissione di suono si produce quando qualcosa urta contro 15

qualcosa e in qualcosa, ossia nell'aria, è ragionevole pensare


che emettano voce soltanto gli animali che assumono l'aria.
In effetti la natura si giova dell'aria già inspirata per due
funzioni: come utilizza la lingua sia per il gusto che per il
linguaggio (e di essi il gusto è necessario, e pertanto appar-
Baruch_in_libris
158 L'ANIMA B 9, 421 a

tiene a più animali, mentre la capacità di esprimersi è in


20 vista del bene), allo stesso modo fa uso del pneuma sia per
il calore interno, come qualcosa di necessario (il motivo di
ciò si dirà altrove), sia per la voce, al fine di uno stato più
favorevole 6 •
Organo della respirazione è la laringe, ed il fine per cui
questa parte corporea esiste è il polmone, poiché è grazie
25 al polmone che gli animali terrestri possiedono più calore
degli altri. La respirazione è però necessaria in primo luogo
alla regione cardiaca. Perciò, quando l'aria viene inspirata,
essa deve penetrare all'interno del corpo. Quindi la voce è
l'urto dell'aria inspirata contro la cosiddetta trachea, urto
prodotto dall'anima che risiede in queste parti corporee.
Difatti, come s'è detto, non ogni suono dell'animale è voce
30 (giacché si può emettere un suono anche con la lingua o tos-
sendo), ma il percuziente dev'essere animato ed accompa-
gnarsi ad un'immagine. In effetti la voce è un suono che si-
gnifica qualcosa, e non semplicemente, come la tosse, il
421 a suono dell'aria inspirata. Con quest'aria il percuziente urta
l'aria che si trova nella trachea contro la trachea stessa. Una
riprova di ciò è che non si può parlare quando si inspira o
si espira, ma quando si trattiene il respiro: chi infatti trat-
tiene il respiro, con esso produce questo movimento. Ed è
anche manifesto perché i pesci sono privi di voce: perché
s non hanno laringe. E mancano di questa parte corporea
perché non assumono l'aria e non respirano. Per quale causa
ciò avvenga è un altro discorso 7 •

1
CAPITOLO NoNo

Per quanto riguarda l'olfatto e l'oggetto odoroso, de-


terminarli è meno facile che nei casi già esposti, poiché la
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 9, 421 b 159

natura specifica dell'odore non è manifesta come quella del


suono o del colore. La causa di ciò è che questo senso in noi
non è acuto, ma inferiore a quello di molti animali. In ef- 10

fetti l'uomo avverte debolmente gli odori, e non percepisce


nessun oggetto odoroso senza dolore o piacere, e ciò perché
questo sensorio non è acuto. Verosimilmente gli animali con
gli occhi duri percepiscono i colori in questo stesso modo, e
cioè le differenze tra i colori non risultano ad essi evidenti 15
se non in quanto costituiscono o no un motivo di timore.
Ora la specie umana si trova in questa stessa situazione ri-
spetto agli odori. Difatti sembra bensì che l'olfatto sia ana-
logo al gusto e che le specie dei sapori siano simili a quelle
degli odori, ma il gusto è più acuto dell'olfatto, perché è
una specie di tatto, e questo è il più acuto dei sensi del- 20
l'uomo. In effetti, mentre negli altri sensi è inferiore a molti
animali, nell'acutezza del tatto di gran lunga si distingue
dagli altri. Per questo motivo è il più intelligente degli ani-
mali. Un segno di questo fatto è che, anche nella specie
umana, ci sono ben dotati e mal dotati in virtù di questo sen-
sorio e di nessun altro. Coloro infatti che hanno la carne 25
dura sono mal dotati quanto al pensiero; quelli invece dalla
carne tenera sono ben dotati 2 •
Come un sapore è dolce o amaro, così lo sono anche gli
odori, ma alcuni oggetti hanno odori e sapori analoghi, in-
tendo dire, ad esempio, odore dolce e sapore dolce, mentre
per altri avviene il contrario. Similmente un odore può es-
sere pungente, acre, acido e grasso. Ma poiché, come s'è 30

detto, gli odori non sono chiaramente distinguibili come i


sapori, da questi hanno assunto il nome, in base alla somi- 421 b
glianza di tali oggetti: difatti l'odore dolce è quello del croco
e del miele, e l'odore pungente è quello del timo e di altre
cose simili, e allo stesso modo negli altri casi. Inoltre, come
l'udito e ciascun altro senso hanno per oggetto l'udibile e
il non udibile, il visibile e il non visibile, così l'olfatto ha per 5
oggetto l'adorabile e l'inodoro. Inodoro è sia ciò che è tale
perché è del tutto impossibile che abbia odore, sia ciò che
ne ha poco o debole. La stessa cosa si può dire anche per il
non gustabile 3 •
Anche l'olfatto opera attraverso il mezzo, ossia l'aria o
Baruch_in_libris
160 L'ANIMA B 9, 422 a

10 l'acqua. Difatti gli animali acquatici, sia quelli sanguigni


che quelli non sanguigni, sembra che percepiscano l'odore
al pari di quelli che vivono nell'aria, giacché alcuni animali
acquatici si muovono da lontano alla ricerca del cibo, guidati
dall'odore. Si presenta perciò una difficoltà: tutti gli ani-
mali percepiscono gli odori allo stesso modo e l'uomo quando
15 inspira; quando non inspira, ma espira o trattiene il pneuma,
non avverte gli odori né da lontano né da vicino, neppure
se l'oggetto odoroso gli sia posto nell'interno, sulle narici.
Che l'oggetto posto sullo stesso organo sensorio non sia
percepibile, è un fenomeno comune a tutti gli animali; ma
il fatto di non percepire gli odori senza respirare è pecu-
liare degli uomini, come risulta dall'esperienza. Di conse-
20 guenza gli animali non sanguigni, poiché non respirano, do-
vrebbero avere un altro senso oltre quelli suddetti. Ma ciò
è impossibile, se questi animali percepiscono davvero l'odore.
Il senso, infatti, che percepisce l'adorabile, sia sgradevole che
gradevole, è l'olfatto. Inoltre risulta che gli animali non san-
guigni muoiono per l'azione degli stessi forti odori che sono
25 letali per l'uomo: ad esempio quelli del bitume, dello zolfo
e di sostanze simili. Essi dunque devono percepire gli odori,
ma senza respirare. Sembra che nell'uomo quest'organo sen-
sorio differisca da quello degli altri animali, come i suoi
occhi differiscono da quelli degli animali con gli occhi duri.
E infatti gli occhi dell'uomo hanno come riparo e involucro
3o le palpebre, e se egli non le muove e non le solleva, non vede;
gli animali con gli occhi duri non hanno invece nulla di si-
mile, ma vedono sùbito ciò che si presenta nel trasparente.
Allo stesso modo l'organo olfattivo sembra che in alcuni ani-
422 a mali sia scoperto, al pari dell'occhio, mentre in quelli che
immettono l'aria, pare che abbia una membrana, la quale
si rimuove quando respirano, a causa della dilatazione delle
vene e dei pori. Ed è per questo motivo che gli animali che
respirano non percepiscono l'odore nel liquido, giacché per
s percepirlo è necessario inspirare, e questa h1nzione è impos-
sibile nel liquido. L'odore appartiene al secco (come il sa-
pore all'umido), e l'organo olfattivo è potenzialmente tale~.

Baruch_in_libris
L"ANIMA B 10, 422 a 161

CAPITOLO DECIMO l

<IL GUSTO>

L'oggetto del gusto è una specie di tangibile, ed è questo


il motivo per cui non è percepito mediante un corpo estraneo
che funga da mezzo, poiché ciò non si verifica neppure per
il tatto. Inoltre il corpo in cui si trova il sapore (ossia l'og- 10

getto del gusto) è nell'umido come nella sua materia, e


l'umido è qualcosa di tangibile. Perciò, anche se stessimo nel-
l'acqua, percepiremmo bensì qualcosa di dolce che vi fosse
stato immesso, e tuttavia la sensazione non si avrebbe in
noi attraverso un mezzo, ma perché il dolce è stato mesco-
lato col liquido, come avviene per un bevanda. Invece il co-
lore non è percepito in questo modo, ossia mediante una me- 15
scolanza, e neppure a causa di emanazioni. Nel caso del gusto
non c'è dunque nulla che funga da mezzo; tuttavia, come
l'oggetto della vista è il colore, così l'oggetto del gusto è
il sapore. Nessuna cosa, poi, produce la sensazione del sapore
senza umidità, e quest'umidità deve averla in atto o in po-
tenza, come ad esempio una sostanza salata; questa, infatti,
si scioglie essa stessa facilmente ed ha potere solvente sulla
lingua. Inoltre la vista ha per oggetto il visibile e l'invisibile 20
(il buio infatti è invisibile, e la vista distingue anche questo),
come pure ciò che è troppo splendente (giacché anche questo
è invisibile, ma in modo diverso dal buio). Similmente l'udito
ha per oggetto il suono e il silenzio (il primo udibile, il se-
condo non udibile) ed anche il suono troppo intenso, al pari
della vista che ha per oggetto lo splendente (come, infatti, 25
non è percepibile il suono ·debole, in certo modo non lo è
neppure il suono forte e violento). 'Invisibile', poi, si
dice o ciò che lo è in assoluto, allo stesso modo che in altri
casi si parla di impossibile, o ciò che, pur essendo visibile di
natura sua, non lo è di fatto o lo è debolmente, come nel
caso dell'animale senza piedi e del frutto senza seme. Del
pari il gusto ha per oggetto il gustabile e il non gustabile,
e quest'ultimo è ciò che ha scarso o debole sapore, oppure 30

ciò che può distruggere il gusto 2•


Baruch_in_libris
162 L'ANIMA B 11, 422 h

Il principio della distinzione sembra essere quello tra il


bevibile e il non bevibile, giacché entrambi sono una forma
di gusto, ma il non bevibile è debole o distruttivo, mentre
il bevibile è secondo natura. Inoltre il bevibile è comune al
tatto e al gusto. Poiché l'oggetto gustabile è umido, il suo
422 b sensorio non dev'essere umido in atto e neppure incapace di
diventare umido. In effetti il gusto subisce un'azione del gu-
stabile in quanto tale. Pertanto ciò che può essere inumidito,
ma non è ancora umido, ossia il sensorio del gusto, dev'essere
s inumidito, conservando però la sua natura. Un indizio di
ciò è che la lingua non percepisce i sapori quando è comple-
tamente secca o troppo umida. In quest'ultimo caso, infatti,
avviene un contatto con l'umido preesistente, come quando,
gustato prima un forte sapore, se ne gusta un altro, o come
càpita agli ammalati, ai quali ogni cosa sembra amara, perché
la percepiscono con la lingua piena di un'umidità amara.
10 Le specie dei sapori si distinguono come quelle dei colori:
sapori semplici o contrari (il dolce e l'amaro), quelli deri-
vati (dal primo il grasso, dal secondo il salato), e quelli in-
termedi tra questi ultimi (il piccante, l'acre, l'aspro e l'acido).
Sembra, infatti, che siano queste, approssimativamente, le
1s differenze dei sapori. La facoltà del gusto è allora in potenza
tali sapori, ed il gustabile è ciò che la fa passare in atto 3 •

1
CAPITOLO UNDICESIMO

<IL TATTO>

Riguardo al tangibile e al tatto bisogna fare uno stesso


discorso. Se, infatti, il tatto non è un unico senso, ma più
sensi, devono essere molti anche i sensibili tattili. Si presenta
20 però una difficoltà: il tatto è più sensi od è un senso solo?
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L'ANIMA B 11, 423 a 163

Inoltre qual è il sensorio della facoltà tattile, la carne e ciò


che negli altri animali vi è di analogo, oppure questa è il
mezzo, mentre il sensorio primo è qualcos'altro, situato al-
l'interno? In effetti ogni senso sembra riferirsi ad un'unica
opposizione: la vista termina al bianco e al nero, l'udito al-
l'acuto e al grave, il gusto all'amaro e al dolce. Nel tangibile 2s
sono incluse invece molte opposizioni: caldo-freddo, secco-
umido, duro-molle, ed altre qualità simili. Una qualche solu-
zione di questo problema sta nel fatto che anche a proposito
degli altri sensi ci sono molte opposizioni. Ad esempio alla
voce appartengono non solo l'acutezza e la gravità, ma anche 30
la grandezza e la piccolezza di volume, la levità e l'asprezza,
ed altre simili caratteristiche. Pure il colore presenta altre
varietà di questo tipo. Tuttavia non è chiaro che sia quel-
l'unica cosa che funge da oggetto del tatto, come il suono lo
è dell'udito 2 •
Circa poi la questione se il sensorio è interno oppure no,
ma immediatamente la carne, nessun indizio sembra prove- 423 a
nire dal fatto che la sensazione si produce non appena av-
viene un contatto. E infatti, nella situazione presente, se si
confezionasse e si stendesse intorno alla carne una specie di
membrana, questa ugualmente, toccato l'oggetto, segnale-
rebbe sùbito la sensazione, benché sia evidente che il sen-
sorio non si trova nella membrana. Se poi questa membrana 5
fosse congenita, la sensazione si trasmetterebbe ancor più
rapidamente. Sembra, pertanto, che tale parte del corpo si
trovi in una situazione simile a quella dell'aria che per na-
tura fosse tutt'intorno unita a noi: penseremmo, infatti, di
percepire con un solo organo il suono, il colore e l'odore,
e così la vista, l'udito e l'olfatto ci sembrerebbero un unico
senso. Ora, poiché il mezzo attraverso cui avvengono tali mo- 10
vimenti è distinto dal corpo, evidentemente i suddetti organi
sono diversi tra loro. A proposito del tatto questo punto è
ancora oscuro. È infatti impossibile che il corpo animato sia
costituito d'aria o d'acqua, poiché dev'essere qualcosa di so-
lido. Rimane dunque che sia un composto di terra e dei
detti elementi, come richiede di esserlo la carne e ciò che le
è analogo. Di conseguenza bisogna che il corpo costituisca il 15
mezzo unito per natura alla facoltà del tatto, ed è mediante
Baruch_in_libris
164 L'ANIMA B 11, 423 b

questo mezzo che si producono più sensazioni. Che siano più


lo mostra il tatto localizzato nella lingua, giacché la lingua
percepisce tutti i tangibili con la medesima parte con cui
percepisce il sapore. Se dunque anche il resto della carne
avesse la percezione del sapore, potrebbe sembrare che il
20 gusto e il tatto fossero un solo e medesimo senso, mentre
in realtà sono due, poiché non sono convertibili 3 •
Si presenta però una difficoltà. Ogni corpo ha una pro-
fondità, e questa è la terza dimensione, e due corpi, tra i
quali sia posto un terzo, non possono essere in contatto tra
25 loro. Ora l'umido non esiste senza un corpo, e neppure il
bagnato, ma necessariamente o sono acqua o contengono
acqua. Ma i corpi che si trovano in contatto nell'acqua,
poiché le loro superfici non sono asciutte, devono avere tra
loro l'acqua, dalla quale sono ricoperte le estremità. Ma se
questo è vero, è impossibile che un corpo sia in contatto con
un altro nell'acqua, e parimenti nell'aria. Difatti la stessa rela-
30 zione che ha l'aria con gli oggetti che si trovano in essa, ce
l'ha l'acqua con gli oggetti che si trovano nell'acqua; questo
fatto però ci sfugge maggiormente, come gli animali che vi-
423 b vono nell'acqua non s'avvedono che è un corpo bagnato a
toccare un corpo bagnato. Allora, c'è un solo modo di per-
cepire tutti gli oggetti, oppure i diversi oggetti vengono per-
cepiti in modo diverso, come si pensa correntemente che il
gusto e il tatto si esercitano per contatto, mentre gli altri
sensi operano a distanza? Ma ciò non corrisponde al vero.
s Anche il duro e il molle li percepiamo mediante qualcos'altro,
come il sonoro, il visibile e l'adorabile, ma questi da lontano,
quelli da vicino, e per tale motivo il mezzo ci sfugge, giacché
noi percepiamo effettivamente tutti gli oggetti attraverso il
mezzo, che però nel caso del duro e del molle ci sfugge. Tut-
tavia, come abbiamo detto prima, anche se percepissimo
tutti i tangibili attraverso una membrana la cui interposi-
1o zione ci rimanesse nascosta, ci troveremmo nella medesima
situazione in cui ci troviamo ora quando siamo nell'acqua o
nell'aria, poiché adesso crediamo di toccare gli oggetti stessi,
senza che ci sia alcun intermediario. Il tangibile, però, dif--
ferisce dagli oggetti visibili e da quelli sonori, poiché questi
li percepiamo perché il mezzo esercita un'azione su di noi,
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 11, 424 a 165

mentre i tangibili li percepiamo non per l'azione del mezzo,


ma insieme col mezzo, come avviene a chi è colpito attra- 15

verso lo scudo: lo scudo, infatti, non colpisce costui dopo


essere stato percosso, ma avviene che entrambi siano colpiti
contemporaneamente. In generale sembra che la carne e la
lingua si trovino rispetto al loro organo sensorio nello stesso
rapporto in cui l'aria e l'acqua si trovano rispetto alla vista,
all'udito e all'olfatto. Se l'oggetto fosse in diretto contatto con 20

l'organo sensorio, né in quel caso né in questo si produrrebbe


una sensazione, come se, ad esempio, si ponesse un corpo
bianco sulla superficie dell'occhio. Con ciò risulta chiaro che
l'organo del tatto è interno. In questo modo, infatti, si ve-
rifica per il tatto ciò che avviene per gli altri sensi. In realtà
gli oggetti posti sull'organo sensorio noi non li percepiamo, 2s
mentre quelli posti sulla carne sì. Di conseguenza la carne
è il mezzo della facoltà tattile 4 •
Tangibili sono le differenze del corpo in quanto corpo.
Chiamo 'differenze' quelle che caratterizzano gli elementi:
caldo e freddo, secco e umido. Di esse abbiamo parlato pre-
cedentemente nello scritto Sugli elementi. Il sensorio rela- ao
tivo a tali qualità, ossia l'organo tattile, cioè quello in cui
principalmente ha sede il senso chiamato tatto, è la parte
corporea che è in potenza tali qualità. Percepire è infatti un 424 a
subire, e quindi l'agente rende simile a ciò che esso stesso è
in atto quello che è tale in potenza. Pertanto non percepiamo
il caldo e il freddo, o il duro e il molle che abbiano la stessa
nostra misura, ma gli eccessi di queste qualità, e ciò perché
il senso è una specie di medietà dell'opposizione che si ha 5

nei sensibili. Ed è per questo motivo che discrimina i sen-


sibili. Il medio infatti ha la capacità di distinguere dive-
nendo, rispetto a ciascun estremo, il suo opposto. E come ciò
che deve percepire il bianco e il nero non dev'essere in atto
nessuno dei due, ma entrambi in potenza (e la stessa cosa
vale anche per gli altri sensi), così, nel caso del tatto, l'organo
non dev'essere né caldo né freddo. Inoltre, come la vista 10

si diceva che ha per oggetto in certo modo il visibile e il


non visibile, e parimenti gli altri sensi hanno per oggetto
qualità opposte, così pure il tatto ha per oggetto il tangibile
e il non tangibile. Non tangibile è sia ciò che ha in minimo
Baruch_in_libris
166 L'ANIMA B 12, 424 h

grado le caratteristiche dei tangibili, qual è il caso dell'aria,


sia l'eccesso dei tangibili, come i corpi che distruggono l'or-
15 gano. Si è dunque parlato, sia pure schematicamente, di cia-
scuno dei sensi 5 •

1
CAPITOLO DoDICESIMO

<ANCORA SULLA SENSIBILITA IN GENERALE>

Da un punto di vista generale, riguardo ad og11i sensa-


zione, si deve ritenere che il senso è ciò che è atto ad assu-
mere le forme sensibili senza la materia, come la cera ri-
20 ceve l'impronta dell'anello senza il ferro o l'oro: riceve bensl
l'impronta dell'oro o del bronzo, ma non in quanto è oro o
bronzo. Analogamente il senso, rispetto a ciascun sensibile,
--subisce l'azione di ciò che ha colore o sapore o suono, ma
non in quanto si tratti di ciascuno di questi oggetti,. ma in
quanto l'oggetto possiede una determinata qualità e secondo
25 la forma. Il sensorio primo è ciò in cui si trova tale capacità.
L'organo e la capacità sono dunque la medesima cosa, ma
la loro essenza è diversa. L'organo che percepisce dev'es-
sere, infatti, una grandezza, mentre l'essenza della facoltà
sensi tiva (ovvero il senso) non è una grandezza, ma una forma
e capacità dell'organo. Da ciò risulta chiaro sia perché gli
30 eccessi dei sensibili distruggono i sensori (se, infatti, l'im-
pulso che subisce l'organo è troppo forte, la forma- e cioè
il senso - vien meno, come vengono meno l'accordo e il
tono qualora le corde siano colpite violentemente), sia perché
le piante non percepiscono, pur avendo una determinata
parte dell'anima e pur subendo una certa azione dei tangi:
424 b bili (giacché diventano fredde e calde). La ragione è che esse
non hanno una medietà né un principio capace di ricevere
Baruch_in_libris
L'ANIMA B 12, 424 b 167

le forme dei sensibili, ma subiscono l'azione degli oggetti in-


sieme con la materia 2 •
Ma si può porre una questione: ciò che non è capace di
percepire gli odori può subire un'azione dell'odore, e ciò
che non è capace di vedere può subire l'azione del colore, 5
e cosl via per gli altri sensi? Ora se l'oggetto dell'olfatto è
l'odore, quest'ultimo, se produce un effetto, produce l'atto
olfattivo. Di conseguenza nessun essere incapace di perce-
pire gli odori può subire l'azione dell'odore (e lo stesso di-
scorso vale per gli altri sensi), e nemmeno alcuno di quelli
capaci di percezione, se non in quanto ciascuno è dotato
della specifica facoltà sensitiva. Ciò risulta chiaro anche nel
modo seguente. Sui corpi agiscono non già la luce e il buio, 10
né il suono e l'odore, ma gli intermediari in cui essi si tro-
vano; ad esempio è l'aria che s'accompagna al tuono a spac-
care il legno. Tuttavia gli oggetti tangibili e i sapori eserci-
tano un'azione sui corpi; in caso contrario, da quale agente
gli esseri inanimati subirebbero un'azione e sarebbero alte-
rati? Forse che, allora, produrranno un'azione sui corpi ina-
nimati anche gli altri oggetti sensibili? Oppure non ogni
c~rpo può subire l'azione dell'odore e del suono, ma quelli 15
che la subiscono sono indeterminati e instabili (ad esempio
l'aria, che ha odore avendo subìto l'azione di qualcosa)?
Che cos'è dunque percepire un odore oltre che subire l'azione
di qualcosa? Oppure, mentre l'atto olfattivo è un percepire,
l'aria, avendo subito una modificazione, diventa immediata-
mente percepibile? 3 •

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LIBRO r
(TERZO)

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Baruch_in_libris
1
CAPITOLO PRIMO

<I CINQUE SENSI SPECIFICI. IL SENSO COMUNE>

Che non esista un altro senso oltre i cinque (per questi 22


intendo la vista, l'udito, l'olfatto, il gusto e il tatto) ci si può
persuadere in base alle considerazioni seguenti. Di tutto ciò
di cui il tatto è senso, noi possediamo effettivamente la sen- 2s
sazione, giacché tutte le caratteristiche del tangibile in
quanto tale ci sono percepibili mediante il tatto. Inoltre,
mancandoci un senso, necessariamente ci mancherà anche
l'organo sensorio. Tutto ciò, poi, che percepiamo per con-
tatto è percepibile col tatto, un senso che ci avviene di pos-
sedere, mentre tutto ciò che percepiamo attraverso interme-
diari e non per contatto immediato, lo percepiamo mediante
i corpi semplici, intendo dire l'aria e l'acqua. In tal caso ao
avviene che, se sono percepibili con un unico intermediario
più sensibili, differenti tra loro per il genere, chi possiede il
sensorio corrispondente dev'esser capace di percepirli en-
trambi (ad esempio se il sensorio è composto d'aria, e l'aria
è il mezzo attraverso cui vengono percepiti il suono e il co-
lore). Se invece ci sono più intermediari per lo stesso og- 425 a
getto sensibile (ad esempio sia l'aria che l'acqua sono inter-
mediarie del colore, poiché entrambe sono trasparenti), anche
chi possiede soltanto uno di questi due mezzi, percepirà ciò
che è percepibile attraverso entrambi i mezzi. Ora gli or-
gani di senso sono composti soltanto da questi due corpi
semplici: l'aria e l'acqua (la pupilla è formata d'acqua, l'udito
d'aria e l'olfatto dell'una o dell'altra), mentre il fuoco o s
non è presente in nessuno od è comune a tutti (giacché nulla

Baruch_in_libris
172 L'ANIMA r l, 425 a

è in grado di percepire senza il calore), e la terra o non si


trova in nessuno o, più che in altri sensi, è mescolata spe-
cialmente nel tatto. Risulta perciò che non c'è nessun organo
sensorio al di fuori di quelli composti d'acqua e d'aria, ed
effettivamente questi organi alcuni animali li possiedono.
10 Pertanto tutti i sensi sono posseduti dagli animali non im-
perfetti né menomati (consta, infatti, che anche la talpa ha
gli occhi sotto la pelle). Di conseguenza, a meno che non
esista un altro corpo o una qualità che non appartenga ad
alcuno dei corpi di quaggiù, non ci può mancare nessun
senso 2 •
Ma nemmeno è possibile che vi sia un sensorio speciale
1s per i sensibili comuni, che percepiamo accidentalmente con
ciascun senso, come il movimento, la quiete, la figura, la
- grandezza, il numero e l'unità. Difatti tutti questi sensibili
li percepiamo mediante un movimento. Ad esempio mediante
il movimento percepiamo la grandezza (e quindi anche la
figura, giacché la figura è una grandezza), mentre ciò che è
in quiete lo percepiamo per la mancanza di movimento, e
il numero mediante la negazione del continuo, come pure per
20 mezzo dei sensibili propri, poiché ciascuna sensazione perce-
pisce un solo oggetto. Di conseguenza risulta chiaro che è
impossibile che ci sia un senso speciale per qualsivoglia sen-
sibile comune, ad esempio per il movimento. Se infatti ci
fosse, percepiremmo i sensibili comuni allo stesso modo in
cui ora percepiamo il dolce con la vista. Questo ci è possi-
bile perché ci troviamo ad avere la percezione di entrambi
questi sensibili, mediante la quale li riconosciamo nello
stesso tempo in cui si presentano insieme. Se non fosse così,
non percepiremmo i sensibili comuni in nessun'altra ma-
25 niera che accidentalmente, al modo in cui percepiamo il figlio
di Cleone non perché è figlio di Cleone, ma perché è bianco,
ed al bianco accade di essere figlio di Cleone. Invece riguardo
ai sensibili comuni noi abbiamo effettivamente una perce-
zione comune, che non avviene accidentalmente. Essa dunque
non è una sensazione speciale, altrimenti non li percepi-
remmo in nessun'altra maniera che come s'è detto. I sensi, ,
30 poi, percepiscono accidentalmente gli uni gli oggetti propri
degli altri; non però considerati in se stessi, ma in quanto
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 2, 425 h 173

formano wi'unità, qualora si abbia una percezione simulta- 425 b


nea rispetto allo stesso oggetto. Ad esempio, della bile per-
cepiamo che è amara e gialla (giacché non spetta certo ad
un'altra percezione dire che queste due qualità formano
una sola cosa), ed è per questo motivo che ci si inganna, e,
se una cosa è gialla, si crede che sia bile. Si potrebbe chie- s
dersi a qual fine siamo provvisti di più sensi e non di uno
solo. Forse perché siano meno inavvertiti i sensibili conco-
mitanti e comuni, ad esempio il movimento, la grandezza e
il nun1ero? Se infatti possedessimo soltanto la vista, e questa
percepisse il bianco, i sensibili comuni ci sfuggirebbero mag-
giormente, e crederemmo che tutti i sensibili fossero la stessa
cosa, per il fatto che colore e grandezza s'accompagnano
sempre tra loro. Ora, poiché i sensibili comuni ineriscono
anche in un altro sensibile, tale fatto rende manifesta la di- 10

versità di ciascuno di essi 3 •

CAPITOLO SECONDO l

<COSCIENZA DELLA PERCEZIONE. SENSO


E SENSIBILE. IL SENSO COME {PROPORZIONE).
LA DISCRIMINAZIONE PERCETTIVA>

Poiché noi percepiamo di vedere e di udire, o con la


vista si deve percepire che si vede, o con un altro senso. Ma
allora il medesimo senso percepirà la vista ed il colore che
ne costituisce l'oggetto, e di conseguenza o due sensi avranno
il medesimo oggetto oppure un senso avrà per oggetto se 1s
stesso. Inoltre se fosse un altro il senso che percepisce la
vista, o si andrà all'infinito oppure un dato senso avrà sé
per oggetto, e quindi sarà meglio riconoscere tale capacità
al primo. Ma si presenta una difficoltà. Se infatti percepire
Baruch_in_libris
174 L'ANIMA r 2, 426 cl

con la vista è vedere, e si vede il colore o l'oggetto che lo


possiede, qualora si veda ciò che vede, ciò che vede per
20 primo sarà colorato. È manifesto tuttavia che 'percepire
con la vista' non ha un unico significato, giacché, anche
quando non stiamo vedendo, con la vista distinguiamo il buio
e la luce, ma non nello stesso modo. Inoltre anche ciò che
vede è in certo modo colorato, poiché ciascun organo sen-
sorio è capace di assumere il sensibile senza la materia. Ed
è per questo motivo che, ancl1e quando i sensibili non sono
25 presenti, le sensazioni e le immagini permangono nei
sensori 2 •
L'atto del sensibile e del senso sono il medesimo ed unico
atto, ma la loro essenza non è la stessa: intendo, ad esempio,
il suono in atto e l'udito in atto. È possibile infatti che chi
possiede l'udito non oda, così come l'oggetto sonoro non
3o sempre risuona. Quando però ciò che è capace di udire ode
in atto, e ciò che è capace di risuonare risuona, allora l'udito
in atto e il suono in atto si producono simultaneamente, e
426 a si potrebbe chiamare il primo ascolto e il secondo sonorità.
Se allora il movimento (sia come azione che come passione)
si trova in ciò che è mosso, necessariamente il suono in atto
e l'udito in atto devono trovarsi in ciò che li possiede in po-
tenza, poiché l'azione del principio produttivo e motore si
:J realizza in ciò che la riceve, e quindi non è necessario che
ciò che muove sia mosso. L'atto poi di ciò che può risuonare
è il suono ovvero la sonorità, e quello di ciò che può udire è
l'udito ovvero l'ascolto, giacché come l'udito ha due signi-
ficati, coslli ha pure il suono. Lo stesso discorso vale anche
per gli altri sensi e sensibili. Come infatti l'azione e la pas-
10 sione si trovano in ciò che subisce e non in ciò che agisce,
cosi l'atto del sensibile e quello della facoltà sensitiva si tro-
vano in quest'ultima. Ma in alcuni casi entrambi gli atti
hanno un nome, ad esempio la sonorità e l'ascolto, in altri
invece l'uno e l'altro sono senza nome. Cosi l'atto della vista
si dice visione, mentre quello del colore non ha nome, e
15 l'atto della facoltà gustativa si dice degustazione, mentre
quello del sapore manca di nome. Ora poiché l'atto del seD:-
sibile e quello della facoltà sensitiva è unico, ma la loro es-
senza è diversa, l'udito e il suono cosi intesi devono cessare
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 2, 426 b 175

e conservarsi simultaneamente, e così pure il sapore e il


gusto e gli altri sensi e sensibili, il che invece non è necessa-
rio quando essi s'intendono in potenza. Su questo punto in- 20
vece gli antichi fisiologi non si espressero correttamente, ri-
tenendo che il bianco e il nero non esistono senza la vista,
né il sapore senza il gusto. In realtà per un aspetto dicevano
bene, per un altro no. Poiché infatti del senso e del sensi-
bile si può parlare in due modi, a seconda che vengano con-
siderati in potenza oppure in atto, quanto essi dicono si 25
applica al secondo caso, ma non al primo. In realtà essi usa-
vano in senso assoluto termini che non hanno un solo si-
gnifica to 3 •
Se la voce è una specie di accordo, e la voce e l'udito
sono in certo modo una sola cosa, e l'accordo è una propor-
zione, necessariamente anche l'udito è una specie di pro-
porzione. È per questo motivo che ogni eccesso, sia l'acuto ao
che il grave, distrugge l'udito, e parimenti, nel caso dei sa-
pori, l'eccesso distrugge il gusto, e, nel caso dei colori, il 426 b
troppo splendente e il troppo scuro distruggono la vista,
e un odore troppo forte, sia dolce che amaro, distrugge l'ol-
fatto. Ciò avviene perché il senso è una specie di propor-
-zione. Pertanto i sensibili, ad esempio l'acuto, il dolce e il
salato, sono piacevoli quando, essendo puri e non mescolati, 5
vengono ricondotti alla proporzione, perché è in questo caso
che sono piacevoli. Ma in generale la mescolanza e l'accordo
sono più piacevoli dell'acuto o del grave, e per il tatto è più
piacevole ciò che può essere riscaldato o raffreddato. Il senso
è proporzione e gli eccessi lo dissolvono o lo distruggono 4 •
Ciascun senso si riferisce ad un oggetto sensibile, tro-
vandosi nell'organo sensorio in quanto tale, e discrimina le 10
differenze del proprio oggetto sensibile: ad esempio la vista
distingue il bianco e il nero, il gusto il dolce e l'amaro, e la
stessa cosa si verifica per gli altri sensi. Ma poiché noi di-
stinguiamo sia il bianco che il dolce e ciascuno dei sensibili
in rapporto a ciascun altro, con che cosa percepiamo che
essi differiscono? Necessariamente con una percezione, poiché 15
si tratta di sensibili. Di qui risulta manifesto che la carne
non può essere l'ultimo organo sensorio, giacché sarebbe ne-
cessario che ciò che distingue i sensibili li distinguesse me-
Baruch_in_libris
176 L'ANIMA r 2, 427 a

diante contatto. Ora non è possibile giudicare per mezzo


di sensi separati che il dolce è diverso dal bianco, ma en-
trambi gli oggetti devono manifestarsi a qualcosa di unico.
In quel caso infatti, anche se io percepissi l'uno e tu l'altro,
20 sarebbe chiaro che sono diversi tra loro, mentre dev'esserci
una sola cosa a dire che sono diversi, giacché il dolce è di-
verso dal bianco. Dunque è una stessa cosa che lo dice, e
come lo dice così anche lo pensa e lo percepisce. È quindi
"" evidente che non è possibile giudicare sensibili separati me-
diante sensi separati. Che poi ciò non sia possibile neppure
in tempi separati risulta da quanto segue. Come infatti la
25 stessa cosa afferma che il bene e il male sono diversi, così
anche quando ·dice che un oggetto è diverso da un altro
('quando' non ha un significato accidentale; intendo, ad
esempio, quando dico 'ora' che un oggetto è diverso da
un altro, e non che sono diversi 'ora'; al contrario, sia
si afferma 'ora' sia che sono diversi 'ora'), e dunque si-
multaneamente. Di conseguenza tale cosa è inseparabile ed
opera in un tempo inseparabile. Ma tuttavia è impossibile
30 che una medesima cosa, in quanto è indivisibile ed opera in
un tempo indivisibile, sia mossa contemporaneamente da
movimenti contrari. Se infatti l'oggetto sensibile è dolce,
427 a muove il senso o il pensiero in un dato modo, mentre l'amaro
lo muove in modo contrario, ed il bianco in modo diverso.
Forse che, allora, ciò che giudica simultaneamente sarà nu-
mericamente indivisibile ed inseparabile, ma separato nella
sua essenza? È quindi possibile che in certo modo il divi-
sibile percepisca gli oggetti divisi, e che in un altro li perce-
5 pisca in quanto è indivisibile, giacché è divisibile nell'es-
senza, ma è indivisibile localmente e numericamente. Oppure
ciò non è possibile? Difatti la stessa e indivisibile cosa è
identica ai contrari potenzialmente e non essenzialmente,
mentre è divisa in quanto si attualizza. Non è possibile che
sia simultaneamente bianca e nera, e quindi non può subire
l'azione di queste due forme, se la sensazione e il pensiero
10 hanno tale capacità. Ma avviene come per quello che alcuni
chiamano punto, il quale, in quanto è uno e due, per ciò
stesso è insieme indivisibile e divisibile. In quanto dunque
ciò che giudica è indivisibile, esso è uno e giudica simulta-
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 3, 427 b 177

neamente; in quanto invece è divisibile, usa due volte lo


stesso punto simultaneamente. In quanto perciò usa due
volte il limite, giudica due oggetti separati e, in certo modo,
separatamente; in quanto invece usa il limite come uno, giu-
dica un solo oggetto e simultaneamente 5 •
Riguardo al principio in virtù del quale diciamo che 1s
l'animale è capace di sensazione possono bastare queste os-
. .
servaz1on1.

1
CAPITOLO TERZO

<SENSIBILITA, IMMAGINAZIONE E PENSIERO>

L'anima viene definita principalmente in base a due ca-


·ratteristiche: da un lato il movimento locale e dall'altro il
pensiero, l'intelligenza e la sensazione. Sembra che il pen-
siero e l'intelligenza siano una specie di sensazione (giacché 20
con ambedue queste attività l'anima distingue e conosce
qualcosa degli esseri), e del resto gli antichi affermano che
l'intelligenza e la sensazione sono la stessa cosa. Cosi Empe-
docle ha detto: « in rapporto a ciò che è presente la mente
si accresce negli uomini », ed in altro luogo: « indi ad essi
si presentano sempre diversi pensieri ». La stessa cosa vuoi 25
significare il detto di Omero: « tale è infatti la mente ». In
effetti tutti costoro ritengono che il pensiero sia qualcosa
di corporeo come la sensazione, e che la sensazione come l'in-
telligenza sia del simile mediante il simile, come abbiamo
detto all'inizio della trattazione. Tuttavia essi avrebbero do- 427 b
vuto parlare nello stesso tempo anche dell'errore, che è la
condizione più caratteristica degli animali, nella quale l'anima
trascorre più lungo tempo. Necessariamente perciò o, come
dicono alcuni, tutto quello che appare ai sensi è vero, op-
Baruch_in_libris
178 L'ANIMA r 3, 428 a

pure l'errore consiste nel contatto col dissimile, poiché


5 quest'affermazione è il contrario del principio che il simile
viene conosciuto mediante il simile. Sembra però che, come
la scienza dei contrari è la stessa, cosi lo sia anche l'errore.
È poi manifesto che la sensazione e l'intelligenza non sono
la stessa cosa, giacché di quella partecipano tutti gli animali,
~ e di questa pochi. Quanto al pensiero (che include quello
10 retto e quello non retto; quello retto è saggezza, scienza e
opinione vera, quello non retto i contrari di questi), nep-
pure esso è la stessa cosa che la sensazione. In effetti la per-
cezione dei sensibili propri è sempre vera ed appartiene a
tutti gli animali, mentre si può pensare anche falsamente,
ed il pensiero non si trova se non in chi è fornito di ragione.
15 L'immaginazione è infatti diversa sia dalla sensazione sia dal
pensiero, però non esiste senza sensazione, e senza di essa
non c'è apprensione intellettiva. Che l'immaginazione non
sia lo stesso tipo di pensiero dell'apprensione intellettiva è
evidente. Quest'affezione dipende infatti da noi, quando lo
vogliamo (è possibile infatti raffigurarsi qualcosa davanti agli
occhi, come fanno coloro che dispongono le cose nei luoghi
20 mnemonici e si costruiscono delle immagini), ma avere una
opinione non dipende da noi, poiché necessariamente con es-
sa o si è nel falso o nel vero. Inoltre, quando siamo dell'opi-
nione che una cosa è paurosa o temibile, proviamo imme-
diatamente l'emozione corrispondente, e cosi pure quando
riteniamo che una cosa è rassicurante, mentre nel caso del-
l'immaginazione ci troviamo in una situazione analoga a
quella di vedere cose temibili o rassicuranti in un dipinto.
25 Ci sono però diverse specie della stessa apprensione intel-
lettiva: scienza, opinione, saggezza, e i loro contrari, la cui
differenza sarà oggetto di un altro discorso 2 •
Riguardo al pensiero, poiché è diverso dalla sensazione
e sembra includere da un lato l'immaginazione e dall'altro
l'apprensione intellettiva, dopo aver trattato dell'immagi-
428 a nazione, si dovrà parlare anche dell'apprensione. Se allora
l'immaginazione è ciò mediante cui diciamo che si produce
in noi un' 'apparenza', e non se diciamo qualcosa con un
uso metaforico di 'immaginazione', essa è una delle fa-
coltà o abiti con le quali giudichiamo e siamo nel vero o nel
Baruch_in_libris
falso. Tali facoltà e abiti sono la sensazione, l'opinione, la
scienza e l'intelletto. Che l'immaginazione non sia sensa- 5

zione è chiaro da quanto segue. La sensazione infatti o è po-


tenza o atto, come la vista e la visione, mentre qualcosa può
apparire benché né l'una né l'altra sia in questione, come av-
viene per le immagini dei sogni. Inoltre la sensazione è
sempre presente, mentre l'immaginazione no. Ora se fos-
sero la stessa cosa in atto, l'immaginazione dovrebbe trovarsi
in tutti i bruti ed invece sembra di no. Ad esempio la for- 10

mica e l'ape ne sono dotati, il verme no. Ancora, le sensa-


zioni sono sempre vere, mentre la maggior parte delle im-
magini risultano false. Inoltre non è quando esercitiamo con
precisione la nostra attività su un oggetto percepibile che
diciamo che quest'oggetto ci 'appare' essere un uomo, ma
piuttosto quando non lo percepiamo chiaramente. E poi, 15

come dicevamo prima, appaiono immagini visive anche a chi


tiene gli occhi chiusi. Ma l'immaginazione non è neppure
alcuno degli abiti che sono sempre nel vero, ad esempio la
scienza o l'intelletto, giacché può essere anche falsa. Resta
allora da vedere se è opinione, poiché l'opinione si presenta
o come vera o come falsa. Ora all'opinione consegue la con- 20

. vinzione (non è infatti possibile avere un'opinione su ciò di


cui sembra che non si sia convinti), e mentre nessun bruto
ha la convinzione, in molti c'è l'immaginazione. Inoltre ad
ogni opinione s'accompagna la convinzione, ed alla convin-
zione la persuasione, ed alla persuasione la ragione, e mentre
in alcuni bruti c'è l'immaginazione, non c'è invece la
ragione 3 •
È allora evidente che l'immaginazione non può essere né
opinione accompagnata da sensazione, né opinione conse- 25

guente alla sensazione, né combinazione di opinione e sen-


sazione, sia per i motivi suddetti, sia perché è chiaro che
l'opinione non avrebbe altro oggetto che quello, se esiste,
che è l'oggetto della sensazione. Intendo dire che l'immagina-
zione sarebbe la combinazione dell'opinione riguardo al
bianco e della sensazione del bianco, giacché certamente non
potrebbe essere l'unione dell'opinione sul buo110 e della 30
428 b
sensazione del bianco. L'apparire a noi di qualcosa sarà
dunque avere un'opinione su ciò che si percepisce, e ciò non

Baruch_in_libris
180 L'ANIMA r 3, 428 b

accidentalmente. Ma ci sono cose che appaiono anche falsa-


mente, di cui si ha al tempo stesso una persuasione vera.
Ad esempio il sole appare della grandezza di un piede, ma
-si è convinti che sia più grande della terra abitata. Ne segue,
s allora, o che si è abbandonata l'opinione vera che si aveva,
benché l'oggetto sia rimasto lo stesso e non ci si sia dimen-
ticati di quella opinione né si sia rimasti persuasi del con-
trario, oppure, se la si conserva ancora, necessariamente la
stessa opinione sarà vera e falsa. Ma l'opinione potrebbe di-
ventare falsa soltanto qualora l'oggetto mutasse a nostra in-
saputa. Pertanto l'immaginazione non è una di queste atti-
vità né risulta da esse 4 •
10 È possibile che, quando una data cosa è mossa, un'altra
sia mossa da essa. Ora l'immaginazione sembra che sia una
specie di movimento, e che non si produca senza sensazione,
ma soltanto negli esseri forniti di sensazione, e che riguardi
ciò che è oggetto di sensazione. È poi possibile che dall'atti-
vità.. della sensazione sia prodotto un movimento, e questo
15 dev'essere simile alla sensazione. Tale movimento non può
prodursi senza sensazione né trovarsi in esseri non forniti
di sensazione; in virtù di esso, chi lo possiede può eserci-
tare e subire molte azioni, ed esso può essere vero o falso.
Ciò avviene per i seguenti motivi. La percezione dei sensi-
bili propri è vera o comporta l'errore nella minima misura
20 possibile. In secondo luogo c'è la percezione che gli oggetti
che accedono a questi sensibili, vi accedono di fatto, e in
questo caso è già possibile ingannarsi. Che infatti ci sia del
bianco, non ci si inganna, ma ci si inganna sul fatto che il
bianco sia questo o un altro oggetto. In terzo luogo abbiamo
la percezione dei sensibili comuni e concomitanti a quelli ac-
cidentali in cui ineriscono quelli propri (intendo, ad esem-
25 pio, il movimento e la grandezza): è soprattutto riguardo
ai sensibili comuni che è possibile l'errore nella sensazione.
Ora il movimento che risulta dall'attività della sensazione
sarà diverso a seconda che provenga da uno o l'altro di
questi tre tipi di sensazione. La prima specie di movimento
è vera finché la sensazione è presente, mentre gli altri due
movimenti, sia in presenza che in assenza della sensazione,
possono essere falsi, e specialmente qualora l'oggetto sensi-
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 4, 429 a 181

bile sia distante. Se allora nessun'altra cosa possiede le carat- 30


teristiche suddette eccetto l'immaginazione (ed essa è ciò 429 a

che s'è detto), l'immaginazione sarà un movimento risultante


dalla sensazione in atto. E poiché la vista è il senso per ec-
cellenza, l'immaginazione (q>a'V~aala) ha preso il nome dalla
luce (cpciot;), giacché senza la luce non è possibile vedere. E
per il fatto che le immagini rimangono in noi e sono simili 5

alle sensazioni, gli animali compiono molte azioni in accordo


con esse, alcuni perché non sono forniti d'intelligenza, come
i bruti, altri perché talora hanno la mente oscurata dalla pas-
sione, dalla malattia o dal sonno, come gli uomini. Riguardo
all'immaginazione, che cosa sia e perché sia quello che è, s'è
dunque detto a sufficienza 5 •

1
CAPITOLO QuARTO

<LJINTELLETTO IN POTENZA>

Riguardo alla parte dell'anima con cui essa conosce e 10

pensa (sia questa parte separabile, sia non separabile se-


condo la grandezza, ma soltanto logicamente) si deve ricer-
care quale sia la sua caratteristica specifica ed in qual modo
il pensiero si produca. Ora se il pensare è analogo al perce-
pire, consisterà in un subire l'azione dell'intelligibile o in
qualcos'altro di simile. Questa parte dell'anima deve dunque 15

essere impassibile, ma ricettiva della forma, e dev'essere in


potenza tale qual è la forma, ma non identica ad essa; e
nello stesso rapporto in cui la facoltà sensitiva si trova ri-
spetto agli oggetti sensibili, l'intelletto si trova rispetto agli
intelligibili. È necessario dunque, poiché l'intelletto pensa
tutte le cose, che sia non mescolato, come dice Anassagora,
e ciò perché domini, ossia perché conosca (l'intrusione, in- 20

Baruch_in_libris
fatti, di qualcosa di estraneo lo ostacola ed interferisce con
lui). Di conseguenza la sua natura non è altro che questa:
di essere in potenza. Dunque il cosiddetto intelletto che
appartiene ali' anima (chiamo intelletto ciò con cui l'anima
pensa ed apprende) non è in atto nessuno degli enti prima di
25 pensarli. Perciò non è ragionevole ammettere che sia me-
scolato al corpo, perché assumerebbe una data qualità, e sa-
rebbe freddo o caldo, ed anche avrebbe un organo come la
facoltà sensitiva, mentre non ne ha alcuno. Quindi si espri-
mono bene coloro i quali affermano che l'anima è il luogo
delle forme, solo che tale non è l'intera anima, ma quella
intellettiva, ed essa non è in atto, ma in potenza le forme.
ao Che poi l'impassibilità della facoltà sensitiva e quella della
facoltà intellettiva non siano la stessa risulta evidente se si
considerano gli organi sensori e il senso. In effetti il senso
429 b non è in grado di percepire dopo l'azione di un sensibile
troppo intenso; ad esempio non può udire il suono àopo aver
percepito suoni troppo forti, né può vedere o odorare dopo
aver percepito colori o odori troppo intensi. In\Tece l'intel-
letto, quando ha pensato qualcosa di molto intelligibile, non
è meno, ma anzi più capace di pensare gli intelligibili infe-
s riori, giacché la facoltà sensitiva non è indipendente dal
corpo, mentre l'intelletto è separato. Quando poi l'intelletto
è divenuto ciascuno dei suoi oggetti, nel senso in cui si dice
'sapiente' chi lo è in atto (e questo avviene quando può
esercitare da sé la propria conoscenza), anche allora è in
certo modo in potenza, ma non come prima di avere appreso
o trovato; ed allora può pensare se stesso 2 •
10 Poiché sono diverse la grandezza e l'essenza della gran-
dezza, come l'acqua e l'essenza dell'acqua (e ciò \rale per
molti altri casi, benché non per tutti, giacché in alcuni esse
s'identificano), il soggetto giudica l'essenza della carne e la
carne o con qualcosa di diverso o con qualcosa che si trova
in una diversa condizione. Infatti la carne non esiste senza
la materia, ma, come il catnuso, è una determinata forma in
15 una determinata materia. Pertanto con la facoltà se11sitiva
il soggetto distingue il caldo, il freddo e le altre qualità di
cui la carne costituisce una data proporzione; e con un'altra,
facoltà- o separata da quella o in relazione ad essa al modo

Baruch_in_libris
L'ANIMA r 4, 430 a 183

in cui la linea spezzata sta a se stessa, quand'è estesa - di-


stingue l'essenza della carne. Inoltre, nel caso degli enti ot-
tenuti per astrazione, la retta è analoga al camuso (perché
~unita al continuo), mentre la sua essenza, se l'essenza della
retta è diversa dalla retta, è qualcosa di differente, e po- 20
trebbe essere la diade. Il soggetto perciò distingue tale es-
senza o con qualcosa di diverso o con qualcosa che si trova
in una diversa condizione. In g~nerale, dunque, come gli og-
getti sono separati dalla materia, cosl viene a trovarsi l'in-
telletto 3 •
Si potrebbe porre una questione: qualora l'intelletto sia
semplice e impassibile, e non abbia nulla in comune con al-
cunché, come afferma Anassagora, in che modo penserà, se
il pensare è una specie di patire? (Difatti è in quanto due 25
enti hanno qualcosa in comune, che l'uno sembra agire e
l'altro patire). Inoltre l'intelletto è esso stesso intelligibile?
Difatti o anche gli altri esseri saranno dotati d'intelletto,
se l'intelletto non è intelligibile mediante qualcos'altro e se
l'intelligibile è qualcosa di specificamente unico; oppure l'in-
telletto avrà mescolato in sé qualcosa che lo rende intelligi-
pile come lo sono gli altri esseri. Ora riguardo al patire in
virtù di un elemento in comune si è discusso precedente- ao
mente, e ciò consente di affermare che l'intelletto è in certo
modo potenzialmente gli intelligibili, ma in atto non è nes-
suno di essi prima di pensarli. Diciamo 'potenzialmente'
allo stesso modo di una tav·oletta per scrivere, sulla quale 430 a
non ci sia attualmente nulla di scritto. È precisamente questo
il caso dell'intelletto. Inoltre è esso stesso intelligibile come
lo sono gli oggetti intelligibili. Difatti, nel caso degli oggetti
senza materia, il soggetto pensante e l'oggetto pensato sono
la stessa cosa, poiché la scienza teoretica e il suo oggetto 5
s'identificano (del fatto che non si pensi sempre, si dovrà
ricercare la causa). Invece negli oggetti che hanno materia
ciascuno degli intelligibili è presente potenzialmente. Di con-
seguenza gli enti materiali non saranno dotati di intelletto
(giacché l'intelletto è la facoltà di conoscere tali enti senza
la loro materia), mentre esso possederà l'intelligibile 4 •

Baruch_in_libris
184 L'ANIMA r 5, 430 a

1
CAPITOLO QuiNTO

<L}INTELLETTO IN POTENZA
E L} INTELLETTO PRODUTTIVO)

10 Poiché, come nell'intera natura c'è qualcosa che costi-


tuisce la materia per ciascun genere di cose (e ciò è poten-
zialmente tutte quelle cose), e qualcos'altro che è la causa
e il principio produttivo, perché le produce tutte, allo stesso
modo che l'arte si rapporta alla sua materia, necessariamente
queste differenze si trovano anche nell'anima. E c'è un in-
15 telletto analogo alla materia perché diviene tutte le cose, ed
un altro che corrisponde alla causa efficiente perché le pro-
duce tutte, come una disposizione del tipo della luce, poiché
in certo modo anche la luce rende i colori che sono in po-
tenza colori in atto. E questo intelletto è separabile, impas-
sibile e non mescolato, essendo atto per essenza, poiché
sempre ciò che fa è superiore a ciò che subisce, ed il prin-
20 cipio è superiore alla materia. Ora la conoscenza in atto è
identica all'oggetto, mentre quella in potenza è anteriore per
il tempo nell'individuo, ma, da un punto di vista generale,
non è anteriore neppure per il tempo; e non è che questo
intelletto talora pensi e talora non pensi. Quando è separato,
è soltanto quello che è veramente, e questo solo è immortale
ed eterno (ma non ricordiamo, perché questo intelletto è
2s impassibile, mentre l'intelletto passivo è corruttibile), e senza
questo non c'è nulla che pensi 2 •

CAPITOLO SESTO l

<L}INTELLEZIONE DEGLI INDIVISIBILI>

L'intellezione degli indivisibili riguarda le cose circa le


quali non è possibile il falso. Nelle cose, invece, riguardo a
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 6, 430 b 185

cui sono possibili il falso e il vero, c'è già una sintesi di no-
zioni, le quali formano come un'unità. Al modo in cui Em-
pedocle disse: « ad essa [la terra] di molti germinarono
teste senza collo », che poi furono congiunte dall'Amicizia, 30

così le nozioni, prima separate, sono unite insieme: ad esem-


pio quelle di 'incommensurabile' e di 'diagonale'. Se poi
la sintesi riguarda eventi passati o futuri, si pensa in ag- 430 b
giunta e si combina anche il tempo. In effetti il falso ha
luogo sempre nella sintesi, giacché, anche se si afferma che
il bianco è non bianco, si è operata una combinazione di
bianco e non bianco. Tutte queste operazioni si possono chia-
mare anche divisioni. In ogni caso falso o vero non è sol-
tanto che Cleone è bianco, ma anche che fu o sarà bianco. s
Ciò che produce l'unità di ciascuna composizione è l'in-
telletto 2 •
Poiché l'indivisibile si dice in due sensi, o in potenza o
in atto, nulla impedisce di pensare l'indivisibile quando si
pensa la lunghezza (giacché essa è indivisa in atto), e ciò
in un tempo indiviso, poiché il tempo è divisibile e indivi-
sibile allo stesso modo della lunghezza. Non è quindi possi- 10

bile dire che cosa l'intelletto pensava in ciascuna metà di


tempo: se infatti l'intero non è diviso, ciascuna metà non
esiste che in potenza. Ma se si pensa separatamente ciascuna
metà, si divide insieme anche il tempo, ed allora è come se le
metà fossero lunghezze; se poi si pensa la lunghezza come
composta di due metà, la si pensa anche nel tempo che cor-
risponde alle due metà. Ciò, poi, che è indivisibile non se-
condo la quantità, ma per la specie, lo si pensa in un tempo 1s
indivisibile e con un atto indivisibile dell'anima. Acciden-
talmente, e non in quanto tali, ciò che si pensa e il tempo in
cui lo si pensa sono divisibili, ma li si pensa in quanto indi-
visibili. C'è infatti anche in questi qualcosa di indivisibile,
ma probabilmente non separato, il quale produce l'unità del
tempo e della lunghezza. E questo esiste ugualmente in ogni
continuo, sia tempo che lunghezza 3 • 20
Il punto ed ogni divisione, e ciò che è indivisibile in
questo modo, si manifesta come la privazione. Un discorso
simile vale anche per gli altri casi, ad esempio per come si
conosce il male o il nero, giacché in certo senso si conoscono
Baruch_in_libris
186 L'ANIMA r 7, 431 a

per mezzo del contrario. Il soggetto che conosce dev'essere


in potenza il contrario e questo deve trovarsi in lui. Ma se
25 a qualcosa nulla è contrario, il soggetto stesso conosce l'og-
getto stesso ed è in atto e separato. L'affermazione poi, come
anche la negazione, è predicare qualcosa di qualcosa, ed è
sempre vera o falsa. Questo non è invece sempre il caso del-
l'intelletto: quando ha per oggetto ciò che una cosa è secondo
l'essenza, è vero, e non predica qualcosa di qualcosa. Ma come
il vedere l'oggetto proprio è vero (mentre non è sempre vero
30 che il bianco sia o no un uomo), cosi avviene per gli oggetti
• 4
senza materia .

CAPITOLO SETTII\-10 l

<CONOSCENZA ED AZIONE>

431 a La conoscenza in atto è identica all'oggetto; quella in po-


tenza è anteriore per il ~empo nell'individuo, ma, da un
punto di vista generale, non è anteriore neppure per il tempo,
giacché tutti gli esseri che divengono, divengono da qualcosa
che esiste in atto. È manifesto che l'oggetto sensibile fa pas-
5 sare all'atto la facoltà sensitiva che era in potenza, giacché
essa non patisce né viene alterata. Perciò questa è un'altra
specie di movimento, poicl1é il movimento è l'atto di ciò che
è imperfetto, mentre l'atto in senso proprio, quello di ciò che
è perfetto, è diverso. Il percepire è simile al solo dire e al
pensare; quando invece l'oggetto è piacevole o doloroso,
l'anima lo persegue o lo evita come se affermasse o negasse.
10 Provare piacere e dolore è agire con la medietà sensitiva ri-
guardo al bene o al male, in quanto tali. La ripulsa e l'appe-,
tizione, quella in atto, sono la stessa cosa, e la facoltà appe-
titiva e quella repulsiva non sono diverse né tra loro né dalla
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 7, 431 b 187

facoltà sensitiva, benché la loro essenza sia differente. Nel-


l'anima razionale le immagini sono presenti al posto delle 15
sensazioni, e quando essa afferma o nega il bene o il male,
lo evita o lo persegue. Perciò l'anima non pensa mai senza
un'immagine. Come l'aria trasmette una data qualità alla
pupilla, e questa a qualcos'altro) anche per l'udito avviene
così, ma l'ultima cosa è unica, ed è una medietà unica, benché
la sua essenza sia molteplice 2 • 20

Con che cosa si discerne la differenza tra dolce e caldo


è stato detto precedentemente, ma lo si deve ribadire anche
nel modo seguente. È infatti qualcosa di uno, ma lo è allo
stesso modo del limite, e queste cose, che formano un'unità
per analogia e per numero, si trovano in rapporto tra loro
come si trovano in rapporto tra loro quelle altre. In che cosa
infatti differisce chiedersi come si distinguono i se11sibili che
non sono dello stesso genere, e come quelli contrari, ad 25

esempio il bianco e il nero? Ammettiamo che come A, bianco,


sta aB, nero, così C stia a D: ne seguirà anche il rapporto in-
verso. Se allora CD ineriscono in un'unica cosa, essi, come
AB, saranno un'unica e medesima cosa, benché la loro es-
senza non sia la stessa; e similmente avverrà per quegli altri.
Il medesimo ragionamento si avrebbe se A fosse dolce e B 431 b

bianco 3 •
La facoltà intellettiva pensa le forme nelle immagini, e
come in quelle forme si determina per essa l'oggetto da per-
seguire o da evitare, così, al di fuori della sensazione, quando
si rivolge alle immagini, è mossa. Ad esempio, chi percepisce 5

la torcia perché è fuoco, sa, vedendola in movimento, che


essa segnala il nemico. Talvolta però, per mezzo delle im-
magini o pensieri che si trovano nell'anima, il soggetto, come
se le vedesse, calcola e delibera circa le cose future in rela-
zione a quelle presenti; e quando si dice, come lì, che un og-
getto è piacevole o doloroso, così qui si evita o si persegue;
ed è ciò che generalmente avviene nell'azione. Ciò poi che 10

non ha rapporto con l'azione, ossia il vero e il falso, si trova


nello stesso genere del bene e del male, con la differenza
che i primi due hanno un valore assoluto, mentre gli altri
sono relativi a qualcuno. Le cose di cui si parla per astrazione
l'intelletto le pensa come se si pensasse attualmente il ca-
Baruch_in_libris
188 L'ANIMA r 8, 432 a

muso non in quanto camuso, ma separatamente in quanto


15 concavo: lo si penserebbe senza la carne in cui il concavo
si trova. Così gli enti matematici, che non sono separati,
l'intelletto li pensa come separati, quando li pensa. In gene-
rale l'intelletto in atto è identico ai suoi oggetti. Se poi sia
o no possibile che l'intelletto pensi qualcuno degli enti sepa-
rati, non essendo esso stesso separato dalla grandezza, si
dovrà considerare successivamente 4 •

CAPITOLO 0TT Avo l

<RICAPITOLAZIONE
SULLE FACOLT A CONOSCITIVE>

20 Ora, ricapitolando ciò che s'è detto sull'anima, diciamo


di nuovo che l'anima è in certo modo tutti gli esseri. Infatti
gli esseri o sono sensibili oppure intelligibili, e mentre la
scienza è in certo modo gli oggetti della scienza, la sensa-
zione è gli oggetti della sensazione; come ciò si verifichi, si
deve ricercare. La scienza e la sensazione si dividono in cor-
25 rispondenza con gli oggetti: quella in potenza corrisponde
agli oggetti in potenza, quella in atto agli oggetti in atto; la
facoltà sensitiva e quella intellettiva dell'anima sono in po-
tenza questi oggetti, la prima il sensibile e la seconda l'intel-
ligibile. Tali facoltà devono essere identiche o alle cose
stesse o alle loro forme. Ora non sono identiche alle cose
stesse, poiché non è la pietra che si trova nell'anima, ma la
432 a sua forma. Di conseguenza l'anima è come la mano, giacché
la mano è lo strumento degli strumenti, e l'intelletto è la
forma delle forme e il senso la forma dei sensibili. Poiché,
non c'è nessuna cosa, come sembra, che esista separata dalle
s grandezze sensibili, gli intelligibili si trovano nelle forme
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 9, 432 a 189

sensibili, sia quelli di cui si parla per astrazione sia le pro-


prietà ed affezioni degli oggetti sensibili. Per questo motivo,
se non si percepisse nulla non si apprenderebbe né si com-
prenderebbe nulla, e quando si pensa, necessariamente al
tempo stesso si pensa un'immagine. Infatti le immagini sono
come le sensazioni, tranne che sono prive di materia. Ma 10

l'immaginazione è diversa dall'affermazione e dalla nega-


zione, poiché il vero o il falso consiste in una connessione di
nozioni. Ma le prime nozioni in che cosa si distingueranno
dalle immagini? Certo neppure le altre sono immagini, ma
non si hanno senza immagini 2 •

1
CAPITOLO NoNo

<LA FACOLTA LOCOMOTORIA>

Poiché l'anima (intendo quella degli animali) è stata de- 15

finita in rapporto a due capacità: quella discriminatrice, che


è funzione del pensiero e del senso, e inoltre quella di pro-
durre il moto locale, riguardo al senso e all'intelletto possono
bastare le precisazioni fatte; riguardo invece a ciò che muove,
bisogna ricercare che cosa esso sia nell'anima: se è una sua
parte, separabile per la grandezza o logicamente, oppure se 20
è l'intera anima; e qualora· sia una parte, se è una parte spe-
ciale, distinta da quelle usualmente nominate e da quelle qui
menzionate, oppure se è una di esse 2 •
Ma si presenta sùbito una difficoltà su come si debba par-
lare di parti dell'anima e sul loro numero. Difatti, in certo
modo, pare che ce ne siano in numero infinito, e non sol-
tanto quelle che alcuni nominano, quando distinguono la 25
parte razionale, la passionale e la desiderativa, o quelle che
distinguono altri, ossia quella fornita di ragione e la irra-
Baruch_in_libris
190 L'ANIMA r 9, 432 b

zionale. Secondo infatti le differenze in virtù delle quali essi


operano tali distinzioni, risultano altre parti, che hanno tra
loro una distanza maggiore di quelle, e di cui si è già parlato:
la facoltà nutritiva, che è presente sia nelle piante come in
30 tutti gli animali, e la sensitiva, di cui non è agevole dire se
sia irrazionale o fornita di ragione. Inoltre c'è la facoltà im-
432 b maginativa, che da un lato è essenzialmente diversa da tutte,
e dall'altro è molto difficile dire a quale di queste parti sia
identica e da quale sia diversa, se si ammettono parti sepa-
rate dell'anima. Oltre a queste la facoltà appetitiva, la quale
per essenza e potenzialità sembrerebbe diversa da tutte. E
5 certo è assurdo dividerla, giacché nella parte razionale si
avrebbe la volontà e in quella irrazionale il desiderio e l'im-
pulso. Se poi l'anima sarà formata da tre parti, la tendenza
ci sarà in ciascuna di esse 3 •
Ma riguardo al punto che interessa il presente discorso,
che cos'è che muove localmente l'animale? Infatti il movi-
mento di crescita e di decrescita, che si trova in tutti, sem-
10 brerebbe che lo causi la facoltà che è presente in tutti, ossia
la riproduttiva e nutritiva. Della respirazione ed espirazione
e del sonno e della veglia si dovrà trattare successivamente,
poiché comportano molte difficoltà. Quanto al movimento
locale, si deve ricercare che cos'è che muove l'animale con
15 lo spostamento locomotorio. È chiaro che non è la facoltà
nutritiva. Infatti questo movimento è sempre in vista di
qualcosa e s'accompagna all'immaginazione e alla tendenza,
poiché nessun essere che non appetisca o non eviti alcunché,
si muove se non per costrizione. Inoltre anche le piante sa-
rebbero allora capaci di muoversi e avrebbero una parte or-
ganica per questo movimento. Parimenti non è neppure la
20 facoltà sensitiva, giacché ci sono molti animali forniti di sen-
sazione, che tuttavia sono stazionari e del tutto immobili.
Se dunque la natura non fa nulla invano né omette nulla di
quanto è necessario, salvo che negli esseri menomati e im-
perfetti, e i suddetti animali sono perfettamente sviluppati
e non menomati (ne è segno il fatto che sono in grado di
25 riprodursi e che raggiungono la maturità e il declino), ne
consegue che dovrebbero possedere anche le parti organiche
per la locomozione. Ma nemmeno si può dire che ciò che
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 10, 433 a 191

muove sia la facoltà razionale e quello che è chiamato in-


telletto. Infatti l'intelletto teoretico non pensa nulla di ciò
che è oggetto dell'azione, e nulla dice su ciò che si deve evi-
tare e perseguire, mentre il movimento è sempre proprio
di un essere che evita qualcosa o persegue qualcosa. Ma nep-
pure quando l'intelletto prende in considerazione qualcosa
di simile, per ciò stesso comanda di evitare o di perseguire 30

l'oggetto. Ad esempio spesso pensa qualcosa di pauroso o


di piacevole, e tuttavia non comanda di temerlo, benché il
cuore si muova, o, se l'oggetto è piacevole, qualche altra 433 a

parte corporea. Inoltre, anche se l'intelletto ordina e la ra-


gione dice di evitare o di perseguire qualcosa, non ci si
muove, _ma si agisce in conformità al desiderio, come av-
viene con l'incontinente. E in generale noi vediamo che chi
possiede la scienza medica non sempre la esercita, poiché
non la conoscenza, ma qualcos'altro è il movente principale s
per agire conformemente alla ·conoscenza. Ma neppure si
può dire che sia la tendenza la causa principale di questo
movimento, poiché i continenti, benché abbiano tendenze
e desideri, non fanno ciò verso cui provano un'attrazione,
ma s·eguono l'intelletto 4 •

CAPITOLO DECIMO l

<ANCORA SULLA FACOLTA LOCOMOTORIA>

In ogni caso è evidente che le cause del movimento sono


queste due: la tendenza oppure l'intelletto, se si considera 10

l'immaginazione una specie di pensiero. Infatti molti uo-


mini, contro il sapere, seguono le immagini, e negli altri ani-
mali non c'è pensiero né ragionamento, ma immaginazione.
Pertanto entrambi questi principi sono cause della locomo-
Baruch_in_libris
192 L'ANIMA r 10, 433 b

zione, l'intelletto e la tendenza: s'intende l'intelletto che ra-


giona in vista di qualcosa, ossia quello pratico; esso diffe-
15 risce da quello teoretico per lo scopo. Ma anche ogni ten-
denza è in vista di qualcosa, giacché l'oggetto della tendenza
è il punto di partenza dell'intelletto pratico, e l'ultimo ter-
mine è il punto di partenza dell'azione. Di conseguenza è
ragionevole che queste due risultino le cause del movimento:
la tendenza e il pensiero pratico, poiché l'oggetto della ten-
denza muove, e per questo il pensiero muove, perché tale
20 oggetto è il suo punto di partenza. Anche l'immaginazione,
quando muove, non muove senza la tendenza. Pertanto c'è
un unico motore: la facoltà appetitiva. Se infatti fossero due
a muovere, l'intelletto e la tendenza, muoverebbero in virtù
di una forma comune. Ora, mentre risulta che l'intelletto
non muove senza la tendenza (poiché la volontà è una ten-
denza, e quando ci si muove in conformità alla ragione, ci
2S si muove anche in conformità alla volontà), la tendenza
muove invece anche contro la ragione, giacché il desiderio è
una forma di tendenza. L'intelletto dunque è sempre retto,
mentre la tendenza e l'immaginazione possono essere rette
e non rette. Perciò è sempre l'oggetto della tendenza che
muove, ma questo o è il bene o è ciò che appare come bene;
non però ogni bene, ma il bene che è oggetto dell'azione.
30 Oggetto dell'azione è ciò che può essere anche altrimenti 2 •
È chiaro dunque che è questa la facoltà dell'anima che
433 b muove, quella chiamata tendenza. A coloro che dividono le
parti dell'anima, se le dividono e le separano secondo le loro
potenzialità, ne risultano parecchie: la nutritiva, la sensi-
tiva, l'intellettiva, la deliberativa, ed inoltre l'appetitiva. In-
fatti queste parti differiscono tra loro ben più che la parte
5 desiderativa da quella passionale. E poiché si producono
tendenze che sono contrarie le une alle altre, e ciò avviene
qualora la ragione e i desideri siano contrari, e si verifica
negli esseri che hanno la percezione del tempo (infatti l'in-
telletto ordina di resistere in vista del futuro, mentre il de-
siderio comanda sulla base del presente, giacché ciò che è
immediatamente piacevole gli appare piacevole in senso as-
10 soluto e bene in senso assoluto, per il fatto cl1e non consi-
dera il futuro), ciò che muove sarà specificamente unico,
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 11, 434 a 193

ossia la facoltà appetitiva in quanto tale (e anzitutto l'oggetto


della tendenza, poiché questo muove senza essere mosso, per
il fatto di essere pensato o immaginato), mentre numerica-
mente i motori saranno molteplici 3 •
Poiché ci sono tre cose: una il motore, la seconda ciò con
cui muove, la terza ciò che è mosso, e il motore è duplice:
uno immobile, l'altro motore e mosso, il motore immobile è 15

allora il bene che è oggetto dell'azione, il motore mosso è


la facoltà appetitiva (giacché ciò che è mosso, è mosso in
quanto appetisce, e la tendenza è una specie di movimento o
un'attività), e ciò che è mosso è l'animale, mentre lo stru-
mento con cui la tendenza muove è senz'altro corporeo, e
perciò lo si deve esaminare tra le funzioni comuni al corpo 20

e all'anima. Ora, per esprimerci sommariamente, ciò che


muove in quanto strumento si trova lì dove principio e fine
s'identificano, com'è, ad esempio, la giuntura; qui infatti il
convesso e il concavo costituiscono la fine e il principio (per
questo il secondo è in quiete, mentre il primo si muove), es-
sendo diversi logicamente, ma inseparabili per la grandezza. 25

Infatti tutte le cose si muovono per. spinta e per trazione,


e perciò, come in un cerchio, dev'esserci un punto che ri-
manga fermo e da cui abbia inizio il movimento. In generale
dunque, come si è detto, è in quanto ha la facoltà di tendere
che l'animale è capace di muovere se stesso, e non possiede
questa facoltà senza l'immaginazione. Ogni immaginazione 30
poi è razionale o sensitiva, e di quest'ultima sono forniti
anche gli altri animali 4 •

CAPITOLO UNDICESIMO l

<LOCOMOZIONE,
DELIBERAZIONE E SILLOGISMO PRATICO)

Bisogna esaminare anche riguardo agli animali imperfetti,


nei quali è presente soltanto il senso del tatto, che cos'è ciò 434 a

Baruch_in_libris
194 L'ANIMA r 11, 434 a

che li muove, ossia se in essi possono o no trovarsi immagi-


nazione e desiderio. Risulta infatti che in essi sono presenti
il dolore e il piacere, e se hanno questi, necessariamente
hanno anche il desiderio. Ma in che modo si troverà in loro
l'immaginazione? Forse, come essi si muovono in modo in-
s determinato, cosi queste funzioni sono bensl presenti, ma
in forma indeterminata. L'immaginazione sensitiva, come si
è detto, si trova dunque anche negli altri animali, mentre la
deliberativa soltanto in quelli forniti di ragione. Infatti de-
cidere se fare questo o quello è ormai compito del ragiona-
mento, ed è necessario misurare con un'unica cosa, poiché
si persegue un bene più grande, e di conseguenza di più im-
1o magini si può formare una sola 2 •
E questo è il motivo per cui non sembra che gli animali
sprovvisti di ragione abbiano l'opinione, perché non hanno
l'immaginazione che consegue al ragionamento, [mentre
questa implica quella]. Perciò la tendenza non comporta la
facoltà deliberativa; talvolta la tendenza supera la volontà
e muove il soggetto; talvolta invece quella tendenza supera
e muove quest'altra come una palla, quando v'è inconti-
15 nenza; ma per natura è sempre la tendenza superiore che do-
mina e muove, e quindi ci si muove precisamente con tre mo-
vimenti. Invece la facoltà conoscitiva non è mossa, ma ri-
mane in quiete. E poiché un giudizio e una proposizione è
universale, e l'altra riguarda il singolare (infatti la prima dice
che un determinato soggetto deve fare una determinata cosa,
mentre la seconda dice che questa è una determinata cosa e
che io sono un determinato soggetto), allora o è questa se-
20 conda opinione, e non quella universale, a muovere, oppure
muovono entrambe, ma la prima rimanendo piuttosto in
quiete, e la seconda no 3 •

Baruch_in_libris
L'ANIMA r 12, 434 h 195

CAPITOLO DODICESIMO l

<IL FINALISMO DELLE FACOLTA>

Ogni essere che vive e che ha l'anima necessariamente


possiede l'anima nutritiva dalla nascita sino alla morte,
poiché l'essere generato deve avere crescita, maturità e de- 25

cadimento, e queste funzioni sono impossibili senza nutri-


mento. La facoltà nutritiva deve dunque trovarsi in tutti
gli esseri che crescono e decadono. La sensazione non è in-
vece necessariamente presente in tutti i viventi, giacché non
possono avere il tatto né gli esseri il cui corpo è semplice né
quelli che non sono in grado di ricevere le forme senza la 30

materia. L'animale deve invece possedere la sensazione (e


senza di essa non può esistere alcun animale), se la natura
non fa nulla invano. Infatti tutte le cose naturali esistono
in vista di qualcosa, o s'accompagnano alle cose che esi-
stono in vista di qualcosa. Ora ogni corpo capace di loco-
mozione, che non avesse sensazione, perirebbe e non giunge- 434 b

rebbe allo scopo che è funzione della natura. Come infatti


si nutrirà? In effetti i viventi stazionari ricavano il nutri-
mento dall'ambiente in cui sono nati. Ma non è possibile
che un corpo non stazionario e generato abbia un'anima e
un intelletto capace di giudicare, e non abbia la sensazione.
Perché infatti non dovrebbe averla? Perché ciò sarebbe s
meglio o per l'anima o per il corpo. Ora non si verifica nes-
suna di queste due eventualità, perché né l'anima sarà più
idonea a pensare, né il corpo si troverà meglio per questo
fatto. Dunque nessun corpo non stazionario ha l'anima senza
la sensazione 2 •
Inoltre se possiede la sensazione, di necessità il corpo o
è semplice o composto. Ora non è possibile che sia semplice, 10
poiché allora non avrà il tatto, mentre è necessario che ce
l'abbia. Ciò risulta manifesto dalle considerazioni seguenti.
Poiché l'animale è un corpo animato, ed ogni corpo è tan-
gibile, e tangibile è ciò che è percepibile per contatto, il
corpo dell'animale deve avere la capac~tà tattile, se l'animale
Baruch_in_libris
196 L'ANIMA r 12, 435 a

deve conservarsi. In effetti gli altri sensi, come l'olfatto, la


15 vista e l'udito, percepiscono attraverso altre cose, me11tre ciò
che entra in contatto con gli oggetti, se non possiede la sen-
sazione, non potrà evitarne alcuni e prenderne altri. Ma se è
cosl, sarà impossibile che l'animale si conservi. Per questo
il gusto è una specie di tatto, poiché il suo oggetto è l'ali-
mento, e l'alimento è un corpo tangibile. Invece il suono, il
20 colore e l'odore non nutrono e non producono né accresci-
mento né decadimento, e di conseguenza il gusto dev'essere
una specie di. tatto, per il fatto che è il senso di ciò che è
tangibile e capace di nutrire. Questi sensi sono dunque ne-
cessari all'animale, ed è evidente che senza il tatto non è
possibile che l'animale esista 3 •
Gli altri sensi sono in vista del bene, e si trovano ne-
25 cessariamente non già in qualunque specie di animali, ma
in alcuni, come in quelli capaci di locomozione. Se infatti
devono conservarsi, bisogna che percepiscano non solo per
contatto, ma anche a distanza. Ciò si verificherà qualora
l'animale sia in grado di percepire tramite il mezzo, essendo
questo impressionato e mosso dall'oggetto sensibile, e l'ani-
30 male dal mezzo. Come infatti ciò che causa il mot(l locale
produce il mutamento fino ad un certo punto, e ciò che spinge
qualcos'altro fa sl che questo spinga (il movimento essendo
prodotto attraverso un intermediario), e il primo motore
spinge senza essere spinto, l'ultimo termine è soltanto spint<)
senza spingere, e l'intermediario fa l'una e l'altra cosa (e
435 a gli intermediari sono molti), lo stesso avviene nell'altera-
zione, salvo che l'agente produce l'alterazione rimanendo il
paziente nello stesso luogo. Ad esempio, se s'immerge qual-
cosa nella cera, questa è mossa fino al punto in cui l'oggetto
è immerso; la pietra, invece, non è mossa affatto, mentre
l'acqua lo è fino a grande distanza, e l'aria è mossa al mas-
5 simo grado, ed agisce e patisce se rimane immobile e tu1a.
Per questo, riguardo alla riflessione, è meglio dire non che
la visione, uscita dall'occhio, si riflette, ma che l'aria viene
impressionata dalla figura e dal colore, finché rimane una.
Ora sopra una supercie liscia è una, e perciò muove a sua ,
volta la vista, come se un sigillo impresso nella cera la at-
10 traversasse sino al limite opposto 4 •
Baruch_in_libris
L'ANIMA r 13, 435 b 197

1
CAPITOLO TREDICESIMO

<IL CORPO DELL'ANIMALE.


LA FINALITA DEI SENSI>

Che non è possibile che il corpo dell'animale sia semplice


è evidente, intendo dire, ad esempio, di fuoco o di aria.
Infatti senza il tatto è impossibile avere alcun altro senso,
giacché, come s'è detto, ogni corpo animato è capace di sen-
sazioni tattili. Ora gli altri elementi, eccetto la terra, po- 1s
trebbero costituire i sensori, ma tutti questi producono la
sensazione per il fatto che percepiscono attraverso un'altra
cosa e mediante intermediari, mentre il tatto si produce per
il contatto con gli oggetti stessi, e perciò porta questo nome.
Certo anche gli altri sensori percepiscono per contatto, ma
attraverso un'altra cosa, mentre sembra che il tatto per-
cepisca da solo per sé. Di conseguenza nessuno di tali ele- 20
menti potrebbe costituire il corpo dell'animale. Ma tale
corpo non può essere neppure di terra. Infatti il tatto è come
una medietà fra tutti i tangibili, e il suo organo sensorio è
ricettivo non solo delle qualità proprie della terra, ma anche
del caldo, del freddo e di tutti gli altri tangibili. E per questo
non percepiamo con le ossa, con i capelli e con parti simili, 25

perché sono composte di terra; e per questo le piante non 435 b


hanno alcuna sensazione, perché sono composte di terra.
Ora senza il tatto non è possibile che ci sia alcun altro senso,
e questo sensorio non è composto né di terra né di alcun
altro elemento 2 •
È quindi evidente che di necessità, con la perdita di
questo solo senso, gli animali muoiono. Non è infatti passi- 5
bile che abbia questo senso un essere che non è animale, né
un essere che è animale deve avere un altro senso oltre
qt1esto. Ed è per questa ragione che gli altri sensibili, ad
esempio il colore, il suono e l'odore, con i loro eccessi non
distruggono l'animale, ma soltanto i sensori, salvo che ac- 10

cidentalmente, ad esempio quando, insieme col suono, si


producono un urto e un colpo; e dagli oggetti visti e dal-
l'odore sono mosse altre cose che distruggono col contatto.
Baruch_in_libris
198 L'ANIMA r 13, 435 b

Ed anche il sapore in tanto distrugge in quanto contempo-


raneamente gli avviene di essere un oggetto tattile. Invece
l'eccesso dei tangibili, ad esempio del caldo, del freddo e
1s del duro, annienta l'animale. Infatti l'eccesso di ogni sensi-
bile annienta l'organo sensorio, e di conseguenza anche il
tangibile annienta il tatto, con cui è stato definito l'animale,
poiché si è mostrato che senza il tatto è impossibile che
esista l'animale. Perciò l'eccesso dei tangibili non soltanto
distrugge il sensorio, ma anche· l'animale, giacché questo
20 senso è il solo che l'animale deve avere. Gli altri sensi l'ani-
male li ha, come si è detto, non per esistere, ma per il bene.
Ad esempio, poiché vive nell'aria e nell'acqua e, in generale,
nel trasparente, ha la vista per vedere, e il gusto, a causa del
piacevole e del doloroso, per percepirli nell'alimento, per
desiderare e per muoversi, e l'udito perché gli si indichi
25 qualcosa 3 •

Baruch_in_libris
NOTE AL DE ANIMA

Baruch_in_libris
Baruch_in_libris
NOTE AD A l
1
SoMMARIO. -A) Elogio della psicologia: suo valore ed utilità.
B) I due problemi fondamentali del trattato: l'anima e le sue fun-
zioni. C) Difficoltà nel reperimento del metodo per la definizione
di anima e dei principi della psicologia. D) Otto aporie sulla defi-
nizione di anima e le sue facoltà e funzioni: (l) se l'anima è sostanza
o accidente; (2) se è atto o potenza; (3) se è divisibile in parti od
è priva di parti; ( 4) se la sua definizione è univoca od equivoca;
(5) se deve avere la precedenza lo studio dell'anima o quello delle
sue parti o facoltà; ( 6) quali sono le facoltà essenzialmente distinte
tra loro; ( 7) se deve precedere l'esame delle facoltà o quello delle
funzioni; (8) se deve avere la precedenza lo studio delle funzioni
o quello degli oggetti. E) Convergenza nella psicologia di metodo
deduttivo e metodo induttivo. F) Una nona aporia: se i pathe del-
l'anima sono tutti comuni anche al corpo, o ne esiste uno che è
proprio della sola anima. G) I pathe comuni; tre tipi di definizione:
naturalistica, dialettica e fisica; discipline che si occupano dei pathe
e delle forme: fisica, tecnica, matematica e metafisica; inseparabilità
dei pathe psichici e degli enti matematici.
2
( 402 a 1-4 ). Aristotele comincia questo capitolo introduttivo
con un elogio della Lcr-ropta. :riis wvx:iic;. Egli ne afferma anzitutto il
valore e l'importanza con espressioni che meritano di essere ripor-
tate per intero: (a) Twv xa.Àwv xa.t 'ttl1LWV 'ti)v EL01]atv V1toÀa.IJ,~d.­
vov'tEc;, (b) IJ,dÀÀov o' ~'tÉpa.'V ~"tÉpa.c; (c) i') Xtl."t' axpL~ELtl.V (d) i] "t~
~EÀ'tt.6vwv "tE xa.t Oa.viJ,a.trt.W"tÉpwv Elva.t., (e) St.' tXJ.lq>O"tEpa. 'tCIU"ta.
'ti)v 1tEpt "tijc; ~xiic; Lcr-ropta.v EuÀ6y~ liv lv 1tpW"tO~ -rt.OELT)(lE'J
(402 a 1-4).
Il tono enfatico e solenne di 402 a 1-4 ricorda l'inizio della
Metafisica (A l, 980 a 21) e della Fisica (A l, 184 a 10 sgg.), ed
anche quello degli Analitici secondi (A l, 71 a 1-2) e del De Partibus
Animalium (A l, 639 a l sgg.). Il significato generale di 402 a 1-4
è chiaro: la psicologia gode di un posto privilegiato nella scala del
sapere, giacché verifica in alto grado i due criteri in base ai quali
tale scala viene a costituirsi, ossia U rigore del metodo e il valore
dell'oggetto. Ma scendiamo ai particolari, cominciando dalla (a).
n termine bypolambanein equivale qui a « sumere ac statuere ali-
Baruch_in_libris
202 NOTE AD Al

quid pro vero » (Bonitz, Index, 799 h 26-7). La parola eidesis è un


hapax nell'intero corpus Aristotelicum (dr. Bonitz, I ndex, 217 h
52-3; su questo termine dr. anche Hicks, ad 402 a l, 173; Theiler,
ad 402 a l, 87; Taylor, Platone, _532 n. 27). Essa è ovviamente
imparentata ad eidenai (su questo verbo dr. Bonitz, Index, 217 h
12 sgg.), che è un'espressione polivalente. Cosl, ad es., in Metoph.
A l, 980 a 21 eidenai viene assunto nel senso generale di
'conoscere', comprendendo esso anche la conoscenza sensibile (cfr.
Bonitz, in Metaph., ad 980 a 22, 36-7; CA>lle, in Metaph., l, ad
980a 21, 2-3; Tricot, in Metaph., l, 2 n. 1). Invece in 402b 22 e
in Ph. A l, 184 a 10 indica il conoscere intellettivo (cfr. Wagner,
in Ph., ad 184 a 10, 393), ed in APo. A 2, 71 h 17 si teorizza una for-
ma di sapere che è la conoscenza scientifica mediante dimostrazione
( Ot,' a1tOOEL~EW<; ELOÉ'VCIL). Ora, poiché la conclusione dell'argomen-
tazione svolta in 402 a 1-4 - ossia la (e) - concerne la psicologia,
la quale, come sezione della fisica (cfr. 402 a 6), è indubbiamente
una scienza teoretica, l'argomentazione guadagna una maggiore com-
pattezza e coerenza logica se nella (a) eidesis non denota sempli-
cemente la conoscenza in generale, comprendente la conoscenza sen-
sibile e quella intellettiva, e le scienze teoretiche, pratiche e poietiche
(cosl Temistio, l, 11-2; Filopono, 22, 5-13; Roàier, II, ad 402 a
l, 2; Hicks, ad 402 a l, 173-4; Tricot, l n. l; ecc.), ma piuttosto
il sapere proprio delle scienze teoretiche (in questo senso cfr. anche
Simplicio, 6, 23-7; 32; 36; Alberto Magno, 3, 24-5; 45-6; Tom-
maso, I, l, n• 3, 3; Egidio Romano, ad l.; Pacius, Comm., 157 n· l;
Comm. Conimb., 11; 14; Zabarella, 4 C; ecc.).
Gli epiteti kalos e timios (per il loro uso nel corpu.r cfr. Bo-
nitz, Index, 360 h 1 sgg.; 762 h 5 sgg.), con cui lo Stagirita quali-
fica la eidesis, sono due termini, sostanzialmente sinonimi, che qui
hanno lo scopo di designare genericamente il valore del sapere.
Aristotele, nel giudicare Ja conoscenza come qualcosa di 'bello'
(cfr. anche EE A 5, 1216 h 19), si ispira verosimilmente a Platone
(cfr. Phlb. 19 c 2: xa.Àòv .•• "tÒ cnJP,1tCI.'V"ta. yt.y"VWO"Xft.'V). Quanto alla
connessione fra il sapere e timion il locus classico è rappresentato
da Metaph. A 2 (982 h 24-8; 983 a 4-10), dove lo Stagirita, affer-
mato che la 'sapienza' metafisica costituisce un fine assoluto, pre-
cisa che essa è la scienza "tt.J-l.LW"ta:t1), e ciò perché ha per oggetto
"ttÌ Oet:a.. Per altre associazioni di kalon e timion, sia pure in diversi
contesti di pensiero, dr. MA 6, 700 h 32-5; Platone, Phlb. 30 h 7
("tWV xa.À.À.Urtwv xat "ttri-Lt.W"ta"twv); L g. V, 728 a 3 ("tLIJ.t,O'V &.JJ.a.
xa.t xa.Àov). Per la struttura della (a) cfr. anche Platone, Phlb.
60 d 5-6: q>p6'VT)cn'V... x a t tÌ:À.1}9ii 06~a.'V "ti]c; a.u"tiic; tOÉa.c; "tt.0É(.LE'VOc;,
e Kiihner-Gerth, II, l, S 418, 3, 375. Va infine ricordato che
Allan (The Fine, 71) in (a), dopo "tt.I-LLW'V, propone di inserire
"tt.I-Lla.v, facendo forza su EE A 5, 1216 h 19-21: xaÀ.Òv J.1.[v oùv xat
"tÒ yvwpl~Et,'V lxacr"tO'V "t W'V xaÀ.wv • ou p,'Ì}'V aÀ.À4 yE 1tEpt à.pE"t-ijc; ou

Baruch_in_libris
NOTE AD Al 203

' 't", , , ~- ,l.'\ '\ ' ' ,


't'O Et.oE'Vat. 't'(,J.lt.W't'a't'O'V 't't. w"t't.'V, U.AAa 't'O 'Yt.'VWCTXEt.'V
~
~X
, ~--,
't'I.'VW" W'lfl.".
Con tale emendamento verrebbe però indebitamente anticipato uno
dei due motivi del valore del sapere (quello dell'eccellenza dell'og-
getto), che Aristotele tematizzerà soltanto in (d).
La (h) afferma che i vari tipi di sapere non sono tutti 'belli' e
stimabili allo stesso modo, ma che hanno più o meno valore a se-
conda del grado in cui realizzano i criteri stabiliti in (c)"- (d). Nella
(h) si deve sottintendere "t'W'V xa.Àw'V xat "t't.(.LLW'V (per una costru-
zione simile dr. anche Metaph. B 2, 996 h 16-7). Per la gerarchiz-
zazione delle scienze teoretiche cfr. Metaph. E l, 1026 a 18-23; K 7,
1064 h 1-6; dr. anche APo. A 13, 78 h 34-79 a 6. E veniamo alla
(c), che mette in campo l'akribeia (studio dell'impiego aristotelico del
termine in Kurz, Akribeia, 124-51; antecedenti platonici, ivi, 88-
123) come il primo dei due requisiti su cui si fonda l'ordinamento
del sapere. Nell'ipotesi, avanzata sopra, che la eidesis della (a) sia
assimilabile al sapere teoretico, consideriamo in quale senso la siste-
mazione gerarchica delle scienze teoretiche dipenda, per lo Stagirita,
dal grado di 'rigore' di cui esse si mostrano capaci. Il luogo più
significativo a questo proposito è costituito da APo. A 27 per totum
(su questo capitolo cfr. Mignucci, in APo., I, ad 87 a 31-7, 568-70),
dove si afferma che una scienza è più esatta (e anteriore) di un'altra
se è conoscenza insieme del 'che' e del 'perché' (cfr. anche APo.
A 13, 78 h 32 sgg.), se considera un oggetto non in quanto inerente
in un sostrato (come fa l'aritmetica a differenza dell'armonica), e se
procede da principi meno complessi (come fa l'aritmetica a differenza
della geometria). Su questo testo attirarono l'attenzione già Filopono
(23, 17-28) e Zabarella ( 15 E-16 A). Anche nella Metafisica, quali
criteri per la determinazione delle scien7.e più esatte (Metaph. A 2,
982 a 25: axpt.~Éa't'a"t'at.), vengono indicate la maggiore semplicità
dei principi (Metaph. A 2, 982 a 25-8: l'aritmetica più esatta deJla
geometria) e la maggiore 'semplicità' o astrattezza (e 'anteriorità')
dell'oggetto (Metaph. M 3, 1078 a 9-17: l'aritmetica più esatta della
geometria, Ja matematica delJa fisica, l'astronomia delle altre scienze
del movimento, ecc.). Non diverso è il punto di vista di Cael. r 7,
306 a 27-8 (le scienze più esatte sono le matematiche) e di EN Z 7,
1141 a 16-7 (la 'sapienza' come la più esatta delle scienze), oltre
che del Protrettico (fr. 14 Ross; 85 Diiring: la sapienza come la
scienza più esatta). Su questo tema cfr. anche APo. A 24, 86 a 13-21;
B 19, 99 h 26-35; Metaph. a 3, 995 a 14-6; E l, 1025 h 3-10; K 7,
1063 h 36-1064 a 7; EN A 2, 1094 a 22-3 e 1094 h 27 (per questo
testo dr. Viano, Il primato, 383-5; 416-20); 7, 1098 a 26-9; B 2,
1104 a 1-10 (su questo passo cfr. Rowe, The Meaning, 88-9); Pol.
H 7, 1328 a 19-21).
La ii disgiuntiva che apre la (d) e riprende la il di (c) introduce
una distinzione tra il carattere formale e metodologico della scienza
espresso dalla akribeia e quello della dignità ontologica dell'oggetto,

Baruch_in_libris
204 NOTE AD Al

anche nel senso che, com'è sottolineato comunemente dagli interpreti


(cfr., ad es., Temistio, l, 14-7; Simplicio, 7, 1-10; Filopono, 22,
20-23, 11; Averroè, l, no l, 3, 16-9; Alberto Magno, 3, 32-3; 38-
42; Tommaso, l, l, no 5, 3; Zabarella, 6 D-E; 14 A-B; Hicks, ad 402
a 2-3, 175; ecc.), può darsi il caso che una scienza, che è superiore
ad un'altra per rigore, le sia inferiore per la qualità dell'oggetto. Il
criterio richiamato in (d) che il grado di onorevolezza di una scienza
dipende anche dalla maggiore o minore eccellenza del suo oggetto,
è impiegato pure, ad es., in Metaph. A 2, 983 a 4-11 (la scienza
"t'LIJ.LW"t'ci"t'T) [ 983 a 5], ossia la 'sapienza', ha per oggetto "t'à. DE'La.
[983 a 7]); E l, 1026 a 21-3 (la scienza "t'LJ.lLW"t'ci"t'T) si occupa del
"t't.IJ.LW"t'CX."t'OV yÉvoc;, e di conseguenza la 'teologia' è preferibile alla
matematica ed alla fisica); K 7, l 064 h 5-6 (ogni scienza è migliore
o peggiore XCX.'tà. "t'Ò otXELOV E1tLCT"t'1]'"t"OV); Cael. r l, 298 h 19-20 (la
scienza degli esseri ingenerati e immobili è 1tpo,;Épcx. rispetto alla fisi-
ca). Riguardo al significato della coppia beltiona-thaumasia gli autori
sono divisi. Filopono (24, 13-5) rileva come con il primo termine sia
designata la natura della cosa, e col secondo il nostro giudizio su
essa. Del pari Zabarella ( 9 B-C ), avvicinando heltiona ai timia della
(a) (cosl già Alberto Magno, 3, 34-6 ), fa osservare che « quos
honoramus, eos etiam admiran1ur ». Diversamente Alberto Magno
(3, 36-8) scorge nei thaumasia le cose « quae altiores et magis clif-
ficiles et remotas habent causas », e cosl anche Tommaso (l, l, no 6,
3): «"et mirabiliorum ", idest illorum quon1m causa ignoratur »,
mentre su questa stessa linea Theiler (ad 402 a l, 87) rinvia allo
thaumazein di Metaph. A 2, 982 h 1.2 e di Platone, Tht. 155 d 3.
Delle due esegesi ovviamente ]a prima è più persuasiva, giacché
thaumasia non può qui indicare gli esseri che provocano 'tneraviglia'
e che quindi inducono alla ricerca della loro causa, ma gli esseri o
entità superiori, che fungono essi stessi da principi o cause.
Prima di passare al commento della (e) soffermiamoci ancora per
un istante su (h)- (d). Questo passo trova un puntuale parallelo
in Top. 8 1, 157 a 9-10: È1tL(i'ti)JL1] E1tLCT"t'i)IJ,1]c; ~EÀ'tLW'V iì "t'('i> axpL-
~ECT"t'Épcx. Etv ex.L iì "t'@ BEl"t'tovwv (su ciò cfr. Zadro, in T op., ad 157
a 6-17, 523 n. 10). Un altro parallelo di (b)- (d) si legge in Giàm-
blico (Comm. Math. 23, 72, 8 Festa): cx.[poviJ,EDcx. 8È E'tÉpcx.v (se.
È1tta'ti)IJ,T)V) 1tpÒ E"t'Épcx.c; il 8tà. "t''Ì}v cx.\J"rfiç &.xp.L~ELCX.V il Otà. "t'Ò ~EÀ­
'ttovwv xcx.t "t't.J.lLW"t'Épwv Elva t DEwp1]"t'Lxi)v. A parere di Merlan
(From Platonism, 143-7), approvato in ciò da Theilcr (ad 402 a
l, 87), quest'ultimo passo costituisce una citazione del Protreltico
di Aristotele, ed ha lo scopo di dimostrare l'eccellenza della mate-
matica. È stato tuttavia provato (cfr. Diiring, Aristotle's Protrepti-
cus, 207-9; Berti, La filoso.fia, 484 e n. 121) come qui Giàmhlico, al
fine di mostrare l'utilità del.la matematica, semplicemente adatti dei
temi aristotelici che egli aveva riportato nel suo Protrettico. Un
terzo riscontro di (h) - (d) si trova nelle spurie Divisiones Aristote-

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NOTE AD Al 205

leae (51, 8-17 Mutschmann). Sempre a proposito di (b)- (d), Filo-


pono (24, 7-13; 17-8) testimonia che esso sarebbe stato conside-
rato inautentico da Alessandro di Afrodisia, il quale avrebbe di
conseguenza interpretato il successivo di' am photera t auta di (e)
come ot.à. 'tÒ xaÀ'Ì}v xat 'tLIJ,Lav Elvat.. Per Filopono, Alessandro
avrebbe operato tale atetesi per non esser costretto ad ammettere
l'immaterialità dell'anima (difatti per Filopono [24, 3-6] l'akribeia
della psicologia dipende dall'aver essa per oggetto un ente 'imma-
teriale' [cfr. APo. A 27, 87 a 33-4 ], che è appunto l'anima) e quindi
la sua immortalità. Si tratta però di ragioni presentate da Filopono,
e non proprie di Alessandro, com'è riconosciuto da Merlan (From
Platonism, 146; Merlan, pera] tro, fa forza anche su questa testi-
monianza di Filopono per considerare fuori posto l'intero esordio
del De Anima, e ciò perché - cfr. p. 145 - l'attribuzione della
akribeia alla psicologia « makes no sense at ali » ), e di ragioni in-
vero troppo futili per poter essere autenticamente alessandriste. In
effetti, l'immaterialità dell'anima coincide qui soltanto con la sua
natura di 'forma', e da ciò non può esser dedotta la sua immortalità.
La (e) riconosce anzitutto alla psicologia un alto grado di akri-
heia. In tema di rigore della scienza del1'anima Filopono (23, 17-28;
24, 3-6) ha svolto delle interessanti osservazioni. Egli vuole ritrovare
in APo. A 13, 78 b 32 sgg. e A 27 per totum due canoni in base
ai quali giudicare se una scienza è più esatta di un'altra: l'idoneità
di questa scienza a dimostrare i principi dell'altra, e la presa in
esan1e, da parte di questa scienza, di un oggetto immateriale. Ora
Filopono, escluso che lo studio dell'anima dimostri i principi di
altre scienze e che quindi a questo titolo le possa competere l'akri-
heia, ritiene che essa sia esatta perché il suo oggetto, ossia l'anima,
è immateriale. L'esegesi fi]oponea ha incontrato il maggior favore
(cfr. Rodier, II, ad 402 a 2, 2-3; Hicks, ad 402 a 2, 174-5; Ross,
ad 402 a 1-4, 165; Siwek, 241 n. 4; ecc.). Anche Kurz (Akriheia,
135) si muove in questa Jirczione, quando distingue due criteri
per l'esattezza di una scienza: il primo, di natura antologica, con-
siste nella semplicità e universalità delle premesse, ed è i1 canone
in virtù del quale si può dire che le scienze più esatte sono la
metafisica e la psicologia; il secondo, rispondente ad un punto di
vista logico-formale, s'identifica con il rigore della dimostrazione,
ed è il titolo che assicura il più alto grado di esattezza alla mate-
matica e al1a logica. Stimolanti riflessioni al riguardo sono state
proposte anche da Zabarella. Egli (15 D-17 E), assimilando ad
APo. A 27, 87 a 31-3 (primo senso di esattezza di una scienza) il
primo criterio di esattezza che Filopono aveva considerato inappli-
cabile al caso della psicologia, e avendo presente De an. B l, 412
a 6 sgg., asserisce che l'esattezza della « scientia de anima » con-
siste nel fatto che tale scienza « habetur per demonstrationem prop-
ter quid » (16 A), « cum declaret causnm primam et summam (se.

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206 NOTE AD Al

l'anima) omnium quae sunt in animalibus et in plantis » ( 17 E).


Va infine registrata la presa di posizione, radicalmente negativa, di
Merlan (From Platonism, 145-6). Secondo questo autore, in un
elogio della psicologia la parola akribeia non fa senso, a meno che
Aristotele non l'abbia usata in modo puramente retorico (cfr. anche
Theiler, ad 402 a l, 87: « Mehr aus iibernommenen Formel als
aus der Sache heraus wird ... hier di e Psychologie als strenge Wis-
senschaft bezeichnet »), oppure per affermare una sorta di matema-
tismo psicologico (dr. De an. B 3, 414 h 28 sgg.). A mio avviso
non è facile respingere il suggerimento di Zabarella, il quale con-
sidera la psicologia come incentrata su una dimostrazione « propter
quid », nel senso che essa, pervenendo alla conoscenza dell'anima,
attinge la 'causa prima' di tutti i fenomeni studiati dalle scienze
biologiche particolari. In secondo luogo, la ricerca sull'anima, come
ha intuito Filopono, giunge ad un grado di astrazione e di 'sem-
plicità' più alto di quello conseguito dalle altre scienze biologiche. In
effetti, quanto di valido può ricavarsi dall'indicazione di Filopono
che la psicologia ha a che fare con un oggetto immateriale, è che
l'anima è forma, che questo è l'oggetto primario della psicologia, e
che i fenomeni che essa studia vengono considerati prevalentemente
dal punto di vista della forma e non della materia.
La (e), poi, qualifica come beltion e thaumasioteron l'oggetto
della psicologia. Già Temistio (l, 20-4) era convinto che lo Stagi-
rita fin da questo punto facesse riferimento anche all'intelletto, ed
è opinione che ha incontrato una certa fortuna (cfr. Simplicio, 7,
22-5; Filopono, 23, 14-5; 24, 7; Sofonla, 3, 28-30; Alberto Ma-
gno, 4, 12-8; Egidio Romano, ad l.; Rodier, II, ad 402 a 3, 3; ecc.).
Invece secondo Zabarella (9 D-10 F) e Hicks (ad 402 a 4, 176)
Aristotele non avrebbe qui pensato che alla sola anima in quanto
'incorporea', senza alcun preannuncio dell'intelletto 'separato' di
De an. r 5. Quest'ultima soluzione mi sembra preferibile, poiché
anche la mera 'incorporeità' dell'anima è da sé sola sufficiente a
garantire, dal punto di vista dell'oggetto, il valore della psicologia.
Avendo allora affermato che la historia dell'anima rispetta in
alto grado sia il canone dell'esattezza sia quello dell'eccellenza del-
l'oggetto, la (e) può concludere che tale historia trova posto en
protois. La historia, alla quale Aristotele rivendica l'eccellenza e
che egli si appresta a progran1mare, è precisamente la ricerca teorico-
scientifica sull'anima (dr. anche Cael. r l, 298 h 2; sul termine
historia cfr. Louis, Le mot, 42; Riondato, Storia, 75; Vegetti, in
Lanza-Vegetti, Opere, 87-8). Quanto alla collocazione en protois
della ricerca sull'anima, se già era opinione comune degli inter-
preti che il primato della psicologia non è assoluto, trovandosi essa
in una posizione subordinata, se non altro, alla ' teologia' (dr., ad
es., Simplicio, 7, 25-8; Filopono, 24, 21-30; Averroè, l, no l, 4,,
32-3; Zabarella, 9 E sgg.; 17 F-18 D), per lo meno a partire da

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NOTE AD Al 207

Alberto Magno ( 4, 42-8) si è meglio precisato che la superiorità


della psicologia si configura relativamente alle scienze naturali, o,
meglio ancora, alle scienze biologiche speciali. Cfr. anche Tommaso,
l, l, no 6, 3; Egidio Romano, ad l.; Pacius, Comm., 157 no l;
Zabarella, 17 D-E; 18 D; Hicks, ad 402 a 2, 175; ad 402 a 4, 176;
Kurz, Akribeia, 134: scala delle scienze teoretiche: metafisica-(mate-
matica)-psicologia-astronomia-biologia. Sul termine eulogos dr. Le
Blond, Eulogos, 125. Per l'origine e lo sviluppo del concetto di
psyche dr. Jaeger, La teologia, 123 sgg.; S. Mansion, Soul, 16 n. 3.
Per ulteriori informazioni su questo passo cfr. Movia, Note, 87 sgg.
3
( 402 a 4-7 ). Concludendo il suo elogio della psicologia, Aristo-
tele ne mette in luce l'utilità, sia da un punto di vista generale ( 402
a 5: 1tpÒc; aÀi)DELa.V a1ta.aa.v), sia da uno particolare (402 a 6:
1tpòc; 't'Ì}v cpvaLv). Per la struttura della frase cfr. anche 402 h 21-2;
EN 4. 3' 1124 a 20-1: OOXEL oÈ xa.t 'tà. EU~vxi)(la.'ta. av(l~aÀÀEo-Da.L
1tpòc; p,Eya.Ào~vxla.v. Il passo comincia con un ooxEt: ( 402 a 4), che
non introduce qui una communis opinio (cosi Simplicio, 8, 21-2;
Rodier, II, ad 402 a 4, 4; Siwek, 242 n. 7), ma piuttosto (come si
evince dal contesto, concettualmente e terminologicamente ben ca-
ratterizzato) una convinzione di Aristotele, espressa peraltro con
discrezione (cfr. in questo senso anche Zabarella, 26 C; Theiler, ad
402 a 4, 88, il quale ricorda ]'ottativo potenziale di 402 a 4 ). Un
ooxEi: con la medesitna funzione compare anche in 402 a 9.
Con l'espressione pros aletheian hapasan (sul concetto aristote-
lico di verità cfr. Wilpert, Zum aristotelischen, l sgg.) lo Stagirita
intende evidenziare (forse un po' enfaticamente) l'idoneità della psi-
cologia a contribuire al possesso della verità in ogni campo del sa-
pere. Tale utilità della scienza dell'anima si manifesta, ad es., ri-
spetto alla ricerca metafisico-teologica (cfr. Siwek, 242 n. 8): la
speculazione aristotelica sull'Intelligenza divina in Metaph. A 7 e 9
mette a frutto dottrine psicologiche e noetiche della historia perì
psyches (su ciò dr. Elders, Aristotle's Theology, 160 sgg.). D'altra
parte Io studio dell'anima offre una base anche per l'etica. Cosl
asserisce giustamente Temistio (2, 1-3), e similmente Filopono (25,
3-8), con un puntuale riferimento ad EN A 13, 1102 a 18 sgg.
(divisione de1le virtù secondo la distinzione delle parti dell'anima;
dr. Gauthier-Jolif, in EN, II, l, ad 1102 a 18-22, 92: «la psycho-
logie aboutit à la morale et la morale s'enracine dans la psycho-
logie »).
Se la psicologia mostra la sua fecondità in vari settori del sa-
pere, ovviamente la sua utilità maggiore - precisa Aristotele -
si rivela però pros ten physin. Essa infatti, occupandosi degli ~(i)a.
(e rinvenendo anzi nell'anima il loro principio fondamentale), ha a
che fare con una parte cospicua della physis, e pertanto, in quanto
biologia, costituisce una parte integrante della fisica (dr. anche APo.

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208 NOTB AD A 1

A 33, 89 h 7-9; PA A l, 641 a 21-2; Metaph. E 1, 1026 a 5-6).


Connesso a questo tema è anche un passo molto interessante del
De Sensu (l, 436 a 17-b l; dr. anche Resp. 27, 480 h 21), in cui
lo Stagirita chiarisce come la medicina affondi le sue radici nella
fisica, e come, parallelamente, la fisica e la biologia trovino appli-
cazione nella medicina. Cfr. anche Zabarella (24 D): l'« ars medica»
«multa sumit a libris de anima, ut hic considerat Paulus Venetus ».
La frase ~Q"'t(, yà.p OLO'V apxi} 'tWV ~~v ( 402 a 6-7) richiede
ancora qualche chiarimento. Anzitutto Zabarella (25 C) rileva oppor-
tunamente un'analogia fra questa frase e PA A l, 641 a 22-3, dove
Aristotele « dici t se de anima acturum, qua animai tale est » (xa.'t'
aÙ'tÒ 'tOU'tO xa.D' 8 'tOt.OV'tO 'tÒ ~ii)ov ). Inoltre lo olov -osserva Tom-
maso (I, l, no 7, 4) - « non ponitur similitudinarie, sed expressive »
(cfr. anche Bonitz, Index, 502 a 7 sgg.), cioè, come spiega Zabarella
(26 A-B), «non ... dicit Aristoteles animam esse simile principio, cum
sit vere principium, sed vult exprimere, qua ratione conferat eius
cognitio ad scientiam naturalem et ad cognitionem animalium, et
inquit conferre ut principium animalium ». Il che non impedisce
di ritenere - conclude esattamente Zabarella - « Aristotelem vo-
luisse hoc pacto confuse loqui, quia nondum declaravit, quomodo
anima fit animatorum principium, idque in secundo libro [dr.
De an. B 2, 413 h 11-3; 4, 415 h 8-416 a 18] declaravit ». Cosl
intende lo olov anche Hicks (ad 402 a 6, 176; cfr. anche 616 s. v.):
Aristotele ritiene fermamente che l'anima sia arche, ma rimane da
vedere in quale preciso senso l'anima lo sia. Sulla arche in Aristotele
dr. Moreau, Arche, 133 sgg.
Un'ultima questione viene provocata da ~ii)a.. Hamlyn (ad 402 a
1, 77) considera il termine come un'indebita restrizione (dr. anche
Siwek, 242 n. 9), giacché lo Stagirita, in De an. A 5, 411 h 27-8,
ammetterà che non solo gli animali, ma anche le piante hanno
un'anima. Per rendere congruenti i due passi, Rodier (Il, ad 402
a 6, 6) suggerisce di intendere ~i;lov nel senso più esteso di 'essere
vivente' (dr. anche Barbieri, 3; Laurenti, 23-4), ma non ce n'è
bisogno: basta prendere atto che Aristotele qui non dice nulla delle
piante (dr. Ross, ad 402 a 6-10, 165), e ciò perché, ai fini del
presente discorso, il riferimento ai soli animali è sufficiente.
4
(402 a 7-10). Aristotele, avendo come punto di riferimento il
presupposto che ogni scienza deve dapprima delimitare e definire
il suo ghenos, per poi dedurne gli 'accidenti per sé' (cfr. APo. A
7, 75 h 3 sgg.; Metaph. r l, 1003 a 21-6; 2, 1003 h 19-22; 1004
h 5-17; E l, 1025 h 3-13; K 7, 1063 h 36-1064 a 8), enuncia i
due temi fondamentali del trattato, che sono, anzitutto, quello della
definizione della natura essenziale dell'anima, e poi ( 402 a 8:
El'ta. =
« next in order », Hicks, ad 402 a 8, 177; per l'uso di
El'ta. come indicante posteriorità logica dr. anche Mignucci, in APo.,

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NOTE AD Al 209

l, ad 84 h 4-15, 527) quello della deduzione dei suoi 'accidenti


per sé'.
8Ewpiiaat. e yvwvat. (402 a 7) qui sono sinonimi (dr. anche
402 h 17; yvwvat. anche in 402 a 14) e il xaL che li congiunge è
esplicativo (per questo uso di xaL dr. Bonitz, Index, 357 h 13 sgg.).
La stessa cosa va detta per cpuat.<; e ouaLa ( 402 a 7-8). Su questo
punto dr. l'osservazione di Bonitz (lndex, 545 h 23-4): « pariter
atque Elooç vel Àoyo<; cum ouaL~ syn coniungitur cpuat.<; » (dr. anche
839 a 29-30). Cfr., ad es., Metaph. Il. 4, 1014 h 36: i) cpuat.<; i) ...
ouala (dr. Reale, in Metaph., l, 419 n. 16: natura = sostanza = so-
stanza formale = essenza); 11, 1019 a 2-3; I 2, 1053 h 9. Sulla dot-
trina aristotelica della ousia cfr. Vogelhacher, Begrif/, passim; Cou-
sin, Aristotle's Doctrine, passim; Koehler, Le problème, l sgg.; Arpe,
Substantia, 65 sgg.; S. Mansion, La première, 349 sgg.; Sellars, Sub-
stance, 688 sgg.; Lacey, Ousia, 54 sgg.; Mac Kinnon, Aristotle's
Conception, 97 sgg.;. Sokolowsky, Matter, 263 sgg.; Lesher, Aristotle,
169 sgg.; Reale, La polivocità, 17 sgg.; Berti, Logical, 55 sgg. Con
l'espressione oaa O'UJ.L~É~1}XE 'JtEPL aU'tTJV ( 402 a 8) lo Stagirita
intende designare gli 'accidenti per sé' dell'anima, vale a dire le
sue facoltà e attività. Per questa espressione dr. anche 402 a 15;
402 h 16-403 a 2. Per 7tEpt au'ti)v cfr. PA A 5, 645 h l. Sulla
teoria degli 'accidenti per sé' cfr. Bonitz (Index, 713 h 43-6):
« ind.e O"V(l~a.tVELV, O"VJ.L~E~T)XÉVaL, O'U(J.~E~1}XO<; id dici tur, quod
cum non in~it ipsi alicuius rei notioni, tamen concludendo ex ea
necessario colligitur »; inoltre Copi, Essence, 149 sgg.; van Auhel,
Accident, 361 sgg. Per l'origine platonica della distinzione tra ousia
e symbebekota cfr., ad es., Smp. 201 d 9-e l; inoltre Baerthlein,
Zur Entstehung, 196 sgg.
Alla distinzione fra 'sostanza' e 'accidenti' dell'anima fa sé-
guito una differenziazione fra due diversi tipi di 'accidenti' del-
l'anima stessa, quelli a lei 'propri', ossia da lei posseduti in esclu-
siva (tot.a "I;cli}1}), e quelli che, per suo tramite, ineriscono (u7tciPXELV)
all'animale considerato nella sua integralità, ovvero in quanto co..
stituito di anima e di corpo ( 402 a 9-10). Di questo passaggio sono
state proposte tre principali interpretazioni. Nelle affezioni proprie
dell'anima e in quelle che appartengono agli animali Simplicio (9,
9-14) scorge rispettivamente la conoscenza teoretica e quella sen..
sihile, immaginativa e 'pratica' (nella misura in cui, quest'ultima,
è legata a quelle due). A questa interpretazione aderisce anche fi ..
lopono (27, 3-29 ), il quale, sulla scorta del suo maestro Ammonio
(in Int. 5, 24-6, 4; su ciò dr. Sainati, Storia, l, 200-2), fa forza
sul presente testo per respingere l'atetesi del De I nterpretatione
proposta da Andronico di Rodi, cui non riusciva di riscontrare il
rinvio di Int. l, 16 a 3 sgg. al De Anima a proposito della desi-
gnazione dei voiJJ.La'ta come 7tathiJ.La'ta 'tfj<; ~uxii<;. Su questa stessa
linea si trovano in qualche misura Averroè (I, n o 3, 6, 15-3 3) e

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210 NOTE AD Al

puntualmente Tommaso (1, l, no 8, 4), Theiler (ad 402 a 9, 88)


e Ross (ad 402 a 6-10, 165). Per questi autori qui ci troviamo di
fronte alla distinzione di due tipi di pathe: il voE'i:v, affermato come
proprietà della sola anima (e quindi della sola anima umana), e
le 'affezioni' di cui è dotato l'animale come tale.
Una diversa esegesi è stata proposta da Zabarella (30 B-D), il
quale si chiede: « Quaenam igitur vocatur hic ab Aristotele ope-
ratio animae propria? Certe nulla, quae in his libris clara admodum
est sententia Aristotelis, quod nulla sit animae operatio propria,
sed omnes sint totius animati corporis et subiecti, animae vero ut
causae, a qua producitur; ideo hic dicit videntur [ 402 a 9: ooxE'i:],
dubitando loquens, nam videtur quidem eiusmodi esse operatio in-
tellectus, ut in contextu duodecimo [ = 403 a 3 sgg.] dicturus est,
non tamen est; ita enim videtur, quia non habet organum aliquod
proprium, non est tamen, quia allo modo pendet a corpore, quare
communis est, caeterae vero organa propria habent, quare absque
dubio sunt communes. Recte igitur dicit Aristoteles, videntur, quia
non habere organum proprium facit fortasse, ut ita videatur ». Con
ciò, tuttavia, Zabarella carica unilateralmente del senso del ooxE'i: il
primo membro della frase, a scapito del secondo. Molto vicino a
Zabarella si trova Hicks (ad 402 a 9, 178), il quale vede negli idia
patheJ intesi come symbebekota kath' hautà, tutte le affezioni e atti-
vità dell'anima che verranno enumerate in De an. A 5, 411 a 26 sgg.
(il che, a mio avviso, resta escluso sia dal fatto che idia pathe sono
una specificazione di bosa symbebeke perì auten ( = symbebekota
kath' hautà) di 402 a 8, sia dal confronto con 403 a 3 sgg., ove,
dai pathe dell'anima 'comuni', viene distinto uno 'proprio': il voEi:v)
e considera soltanto apparente l'evidenziazione di proprietà dell'anima
che non siano proprietà dell'animale, in quanto Aristotele ( 403 a
3 sgg.) inclina a credere che simili proprietà non ce ne siano.
Una terza interpretazione del passo è stata suggerita da Trende-
lenburg (ad 402 a 9, 159), con cui concorda Siwek (243 note 13-4),
per il quale « agitur hic de anima, qua tali », « prout est apx'Ì}
-twv ~~v» (402 a 6-7), «non autem de sola anima humana ».
Pertanto « dicendum videtur Aristotelem hic opponere ea, quae
'animae ', qua tali, competunt », «e. g. indivisibilitas, unitas sui
generis etc. », « eis, quae 'animali' (composito e corpore et anima)
conveniunt ». A mio avviso, quanto verrà asserito in 403 a 3 sgg.
costringe a riconoscere negli idia pathe il voE'i:v (soggetto del quale
sembra essere l'anima stessa), e a distinguere da esso le funzioni
psicofisiche (soggetto delle quali sembra essere l'animale). Che poi
tale differenziazione sia effettivamente affermata (come si ritiene
nella prima interpretazione), oppure sia soltanto apparente (come
si asserisce nella seconda), è problema che coincide con la vexata
quaestio dello statuto ontologico del vou~ aristotelico, e che può
essere risolto solo alla luce di testi successivi.

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NOTE AD Al 211

5
( 402 a 10-22). Dopo l'elogio della psicologia e l'indicazione
sommaria della sua tematica, Aristotele denuncia le difficoltà cui la
historia perì psyehes va incontro (402 a 10-1). Come rileva Theiler
(ad 402 a 11, 88), sottolineare la difficoltà dell'impresa appartiene
alla natura stessa di un proemio; cfr. 402 a 17; 20-1 (con l'osser-
vazione di Zabarella, 35 B: « cum sit (se. Aristotele) in proemio,
amplificatione utitur, ut augendo diflìcultatem eos (se. gli uditori)
attentiores reddat »); 402 h 10; 403 a 5. La difficoltà di raggiungere
una convinzione certa ( 402 a 11: '1ttU'tt.c;; su questo termine cfr.
Siwek, 243 n. 15) riguardo all'anima viene presentata dallo Stagirita
come avente un carattere di globalità ( 402 a 10: 1taV'tTI oÈ 1ta'J'twc;;
per l'espressione cfr. Bonitz, Index, 561 a 16-21; Liddell-Scott, s. v.
1tciv'tn, II, 1300). Quest'ammissione di Aristotele è in contrasto
(su ciò cfr. già Zabarella, 10 B; 10 F; 11 E) soltanto apparente con
l'attribuzione alla psicologia della akribeia (cfr. 402 a 2). In effetti,
come è vero che la 'filosofia prima' è insieme la più 'astratta'
ed esatta e la più difficile delle scienze (cfr. Metaph. A 2, 982 a
23-6; a. l, 993 h 7-11 ), a pari la psicologia (generale) è difficile, ed
anzi presenta difficoltà maggiori delle scienze biologiche speciali, pro..
prio perché, a loro confronto, è più astratta.
Le impasses che la psicologia deve superare e che sono indicate
genericamente in 402 a 10-1, trovano la loro concretizzazione e spe-
cificazione ( 402 a 11: xa.t ycip, con valore esplicativo) in 402 a
11-22, ove, riprendendo il tema dell'essenza dell'anima (cfr. 402 a
7-8 ), Aristotele asserisce che le difficoltà in cui si dibatte la psico-
logia a t tengono alla stessa determinazione dell'essenza del suo og-
getto. In altri termini, è in questione il reperimento di un metodo
che consenta di pervenire alla definizione dell'anima. Il discorso si
snoda nelle seguenti tappe. Anzitutto lo Stagirita constata che la
ricerca 1tEpt 't'Ì}V oùatav xa.t 'tÒ 'tt Éa'tt. è comune xat '1toÀÀo'i:ç
E"tÉpot.c; (402 a 11-3). La ousia e il tì esti designano qui l'essenza
della sostanza, essenza esprimibile in una definizione comprensiva
del genere e della differenza (cfr., ad es., Top. H 3, 153 a 1.5-22).
Su ciò cfr .. Bonitz (Index, 763 h 10-4; 47-50): « qui quaerit 'tt
Éa'tt. ... , is ipsam rei naturam quaerit, non quaerit eius accidentia »;
« si quis .,;à, lv 't@ "tt Éa'tt. xa'tT)'YOPOVIJ,EVa. et omnia compleverit
et suo ordine posuerit, 'tÒ 'tt Tjv Elva.t. vel .,;Òv Òpt.OlJ,OV constituit ».
Pollois heterois viene considerato maschile ( « molti ricercatori)>,
«molte ricerche») da Temistio (2, 9-12), Hicks (ad 402 a 11-2,
178), Ross ( 163) e }annone-Barbotin (ad l.). È invece ritenuto
neutro ( « molti oggetti ») dalla maggioranza degli interpreti. Le due
soluzioni non fanno una grande differenza. A riprova della prima
si può, citare tuttavia Pol. B 9, 1271 a 38: xat !'tEpot 'tt.VEc; E1tt.'tE-
"tt.IJ,T)XrJ.Cf(,V.
Constatato che la ricerca dell'essenza e della definizione è comune
anche ad altre scienze, Aristotele si domanda se esista un unico me-

Baruch_in_libris
212 NOTE AD Al

todo con cui reperire l'essenza e la definizione di qualsivoglia ente


(e quindi anche dell'anima), cosl come esiste un metodo, la dimo-
strazione, che ha per oggetto gli 'accidenti per sé' ( 402 a 13-6 ).
Per ~axa [ == « forse»; cfr. Kiihner-Gerth, II, l, § 396, 2, 233]
dv~~ ooç,ELE (402 a 13) dr. anche APo. A 24, 85 a 20. Sulla dot-
trina aristotelica del metodo (402 a 14) dr. Le Blond, Logique,
passim. A parere di Theiler (ad 402 a 11, 88) e Wieland (Die aristo-
telische Physik, 54) nel nostro passaggio lo Stagirita prende le di.
stanze dalla dialettica platonica, intesa come scienza degli elementi
o principi di tutte le cose (cfr. Metaph. A 9, 992 h 18 sgg.). Dopo
aver ipotizzata l'esistenza di un unico metodo per la conoscenza
delle essenze, Aristotele prospetta l'alternativa opposta, che è quella
dell'esistenza di metodi diversi, appropriati ai diversi generi di enti
( 402 a 16-9). Wieland (Die aristotelische Physik, 54) è dell'avviso
che è questa seconda alternativa che corrisponde al punto di vista
dello Stagirita (cfr. in questo senso anche EE A 6, 1217 a 8-10).
Per 1tpayJ.La~Evi)'ijvaL (402 a 18) cfr. Bonitz (Index, 630 a 18-9):
« quaestionetn aliquam via ac ratione instituere » (cfr. APo. B 13,
96 h 15; Metaph. B 2, 997 h 21); per ~po1toc; (402 a 19) come si-
nonimo di tnethodos cfr. Bonitz, Index, 449 h 45.
Aristotele conclude affermando che, se anche fosse risolto il di-
lemma dell'unicità e della molteplicità del metodo, e si optasse per
il metodo della OLaLpEaLc;, o della a1tOOEL;Lc;, o per una aÀÀ11 IJ,É-
i)oooc;, resterebbero tuttavia da determinarsi le &.pxa.l appropriate a
ciascuna classe di enti ( 402 a 19-22). Per le questioni connesse con
l'utilizzazione del metodo della diairesis (o tnetodo dicotomico) per
la ricerca della definizione cfr. APo. B 13; Metaph. Z 12; PA A 2-4;
inoltre von Fragstein, Die Diairesis, 78 sgg. Sul ruolo della apodeixis
in rapporto alla definizione cfr. APo. A 8, 75 h 31-2; 14, 79 a
24-5; B 2, 90 a 14 sgg.; 8, 93 h 17-20; 10, 93 h 38-94 a 14. In
tetua di definizione cfr. anche Roland-Gosselin, Les méthodes, pas-
sim; I_,e Blond, La définition, 351 sgg. Nell'interpretazione di alle
methodos gli autori sono divisi. Non mette conto di soffermarsi sul-
l'esegesi d i Filopono ( 32, 8 ), adottata anche da Sofonla ( 4, 34), che
identifica l'espressione con il « metodo definitorio». Per la maggior
parte degli interpreti lo Stagirita ha qui in mente l'induzione (cfr.,
ad es., Zabarella, 37 A; Rodier, II, ad 402 a 20, 11; Tricot, 3 n. 5;
Siwek, 245 n. 23; Theiler, ad 402 a 20, 88), ma è una soluzione
che non convince, giacché in 402 a 11 sgg. non si tratta tanto del
reperin1ento dei dati che sta a monte di una definizione, quanto
piuttosto del metodo per organizzare questi dati in una definizione.
Invece per Hicks (ad 402 a 20, 181) alle methodos probabilmente
va riferito ad alcune dimostrazioni dell'essenza rifiutate da Aristo-
tele in APo. B 6, mentre il metodo impiegato dalle scienze empi-
riche per ottenere una definizione è, per !o Stagirita, l'induzione.
Infine De Corte (Notes critiques 1, 1.50-1) pensa che alle methodos

Baruch_in_libris
NOTE AD Al 213

alluda alla apodeixis (o sylloghismos) del tì esti teorizzata in APo.


A 8, 75 h 32 e B 8, 93 a 7, e che proprio questo sia il metodo
ricercato da Aristotele nel nostro passo. Tale metodo - conclude
De Corte - troverà applicazione in De an. B l (dove la definizione
essenziale di anima è dimostrata ponendola come conclusione di una
dimostrazione) e 2 (dove la definizione di anima è dimostrata ex
posteriori o per elfectum). Ma forse in alle methodos va ravvisato un
semplice riferimento generico, che lascia alla ricerca una strada an-
cora aperta.
Anche nella spiegazione di ~"vci ( 402 a 21) e delle archai ( 402
a 22) gli interpreti non sono concordi. I più vedono nelle archai
i principi della definizione, ossia il genere e la differenza (dr. Metaph.
B 3, 998 h 5-6), principi che sono diversi a seconda dei diversi
oggetti. Cosi Temistio ( 2, 21-3), Simplicio ( l O, 7 sgg. ), Filopono
(32, 12-25), Sofonla ( 4, 34-5, 3), Tommaso (l, l, no 10, 4), Rodier
(1, 7; Il, ad 402 a 21-2, 11-2), ecc. Invece Hicks traduce 'tt.vci. e
arehai con « premisses » ( 5 ), e, dopo aver riconosciuto che la ri-
cerca della definizione di anima in De an. B l corrisponde in sostanza
alla ricerca del genere e della differenza, afferma che le archai coin-
cidono con le definizioni (ad es. le definizioni di numero e di su-
perficie: 402 a 22) che formano i diversi principi delle diverse
scienze (ad es. dell'aritmetica e della geometria; ad 402 a 21, 181-2).
Cfr. in questo senso anche Gohlke (24), Ross (163) e Laurenti (25).
Secondo Wallace (ad 402 a 21, 199) - che si richiama ad APo.
A 7, 75 a 38 sgg.; 32, 88 h 27 sgg.; GA B 8, 748 a 8-9 - le
archai sono i principi de1la dimostrazione. Cosl anche Theiler (ad
402 a 21, 88), che cita APo. A 7, 75 h 2 sgg.; 10, 76 h 11 sgg.
Cfr. anche APo. A 4, 73 a 25: Éx ~tVWV a.t a-rtOOEl~Et.c; Etcrlv {1e
000

premesse delle dimostrazioni). Non è facile assumere una di queste


due esegesi come esclusiva dell'altra. Che nel nostro passaggio si
abbia a che fare con i principi della definizione trova conferma in
402 a 23 sgg. D'altra parte a favore dell'assimilazione delle archai
ai principi della dimostrazione milita il fatto che la ricerca pro-
grammata in 402 a 7-10 non ha per oggetto la sola essenza e defi-
nizione dell'anima, ma anche la dimostrazione dei suoi 'accidenti
per sé '. Altri ragguagli su 402 a 4-22 in Movia, Annotazioni,
15 sgg.
6
402 a 23-b 16 ). In questo passo Aristotele traccia in modo
(
più particolareggiato il suo « formidable programme » (Ross, ad 402
a 23-b 16, 166) di lavoro, già annunciato, nelle sue linee generali,
in 402 a 7-10. Si tratta di una serie di otto problemi concernenti la
definizione di anima e lo studio delle sue facoltà e funzioni. Ciascun
problema si compone di una tesi e di un'antitesi, che ricordano il
procedimento diaporematico di Metaph. B l (su ciò dr. Reale, in
Metaph., I, 261 n. 17). A differenza però di Metaph. B l, qui lo

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214 NOTE AD Al

Stagirita omette gli argomenti a favore e contro (diversamente nel-


l'aporia di 403 a 3 sgg.).
Il primo problema (402 a 23-5) è una« Routinefrage » (Theiler,
ad 402 a 23 sgg., 88), ma della massima importanza. Si tratta in-
fatti di sapere a quale 'genere' di enti l'anima appartenga, 'genere'
che è la prima determinazione dell'essenza ( 402 a 23: tì esti; dr.
anche De Pater, Les Topiques, 209 n. 718) e della definizione, la
quale sarà completa solo con l'aggiunta della 'differenza' (cfr. Top.
A 5, 102 a 31-5; Z 5, 142 h 27-9; H 3, 1.53 a 15-22). I yÉvr} (402
a 23) sono i 'generi sommi' dell'essere, ossia le categorie ( 402 a
25; sul tema delle categorie cfr. De an. A 5, 410 a 13 sgg.; B l,
412 a 6; Metaph. Z l per totum; 8 l, 1045 h 27-32; A l, 1069
a 18-24; inoltre gli studi di Bonitz, Ober die Kategorien, 591 sgg.;
S. Mansion, La première, 349 sgg.; De Rijk, The Place, passim;
Lugarini, Il problema, 3 sgg.; van Aubel, Accident, 361 sgg.; Mo-
ravcsik, Aristotle's Theory, 125 sgg.). La nostra aporia pone un'al-
ternativa fra la tesi della sostanzialità e l'antitesi dell'accidentaliz-
zazione dell'anima, alternativa che verrà definitivamente risolta in
De an. B l, 412 a 19-20, con l'affermazione che l'anima è ' sostanza'
in quanto 'forma'. Per lawt; (402 a 23) dr. Bonitz (lndex, 347
h 32-4 ): « saepe LCTWt; non dubitantis est, sed cum modestia quadam
asseverantis ». Per Ot.EÀELV ( 402 a 23) cfr. Bonitz (lndex, 180 a
22-3): « ex ·distinguendi significa tione Ot.at.pEi:v ahi t in notionem
disputandi, explorandi, explicandi »; Newman (in Pol., IV, ad 1321
h 4, 548): diairein sembra qui avere il senso di diorizein. Cionono-
stante, l'importanza del metodo della divisione per la definizione
di anima risulta evidente fin dalla nostra aporia. Per la traduzione
di "tOOE "tt. ( 402 a 24) con « qualcosa di determinato» cfr. Reale,
in Metaph., I, 439-40 n. 10: tode ti è sia l'individuo determinato,
ovvero il singolare sensibile, sia lo eidos, cicè il 'determinato deter-
minante' (cfr. Metaph. à 8, 1017 h 23-6). Cfr. anche Smith, Tode
ti, 19; sull'origine platonica dell'espressione dr. Décarie, L'objet,
139 n. 3.
La tesi della seconda aporia ( 402 a 25-b l) considera l'anima
un ente in potenza, e l'antitesi una specie di atto. L'aporia troverà
risposta in De an. B l, 412 a 27-8, dove l'anima verrà definita come
'atto primo'. Sulla dottrina della potenza e dell'atto (ÉvÉpyEt.Cl o
ÉV"tEÀÉXEt.Cl) e l'origine del termine entelecheia dr. Hirzel, U eber
Entelechie, 169 sgg.; Diels, Etymologica, 200-3; Ritter, Why Ari-
stotle, l sgg.; Berti, Genesi, 3 sgg.; Chen, The Relation, 12 sgg.;
Stallmach, Dynamis, passim; Arnold, Die Entelechie, passim; Ackrill,
Aristotle's Distinction, 121 sgg.; Blair, The Meaning, 101 sgg.;
Weiner, Potency, 515 sgg.; Reale, La dottrina, 145 sgg.; Verbeke,
Doctrine, passim; Ross, ad 402 a 26, 166.
Come fa notare Theiler (ad 402 h l, 89), la tesi del terzo pro-
blema (402 h l) è suggerita da Platone, R. IV, 439 d 4 sgg.; Phdr.

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NOTE AD Al 215

246 a 3 sgg.; 253 d l sgg.; Ti. 69 c 5 sgg. (anima tripartita), e


l'antitesi da Phd. 78 c 2 sgg. (anima 'semplice'). Sull'aporia Ari-
stotele ritornerà in De an. A 5, 411 a 26-b 30; B l, 413 a 4 sgg.;
2, 413 h 11-414 a l; r 4, 429 a 11 sgg.; 9, 432 a 22-b 7, am-
mettendo l'unità dell'anima e la distinzione logica e funzionale delle
sue 'parti' o facoltà, e rifiutando la loro distinzione spaziale.
Data la sua importanza, il testo della quarta aporia va riportato
per intero: (a) xaì, 1tO"tEpov OP,OEtO'Ì)~ a1ta.CTa. ~X'Ìl il ou· (h) Et
OÈ p,i) op,oEtOi}~, 1tO"tEpov ELOEL OLa.cpÉpouaa. ii yÉ'VEL. (c) wv p,Èv yàp
ot ÀÉyoV"tE~ xaì, ~T)"tOUV"tE~ 1tEpt ~Xii~ 1tEpL Tij~ a:vDpw"Jtt'VT)~ JJ.6V11~
lo,xa.CTL'V l1ttC1X01tEtv· (d) EUÀa.f3TJ"tÉOV o' a1twç. p,'Ì) Àa.Wa'Vll 1tO"tEpov
E'&; o l6yo~ a.u-ri)~ la-rL, xaDa1tEP ~cilou, (e) il xa.D' ixaCT"t11V l-rEpo~,
olov l1t1tou, xuv&;, itw(JW1tou, DEou, (f) "tÒ OÈ ~~ov "tÒ xaD6lou i]-roL
ou{tév iCT"tLV il UCT"t~pov, (g) op,o'w~ OÈ xliv Et "tL XOLVÒV liÀÀo xa."t''}-
yopot-ro ( 402 h 1-9). Circa la (a) va detto che la verità dell'antitesi,
ossia che le anime non sono homoeideis, risulterà specialmente da
De an. B 3, 414 h 20 sgg. Per il termine homoeides cfr. Metaph.
A 6, 987 h 17; B 6, 1002 h 14-22 (molteplicità di enti matematici
homoeide); per hapasa psyche cfr. Platone, Phdr. 245 c 5: ~uxi)
1tiiaa. &.Dava.-ro~. In (b) Aristotele, supponendo che sia vera l'antitesi
contenuta nella (a), vale a dire che le anime non siano homoeideis,
si chiede se esse differiscono per la specie (cosl come, ad es., 'ca-
vallo', 'cane' e 'uomo' sono specie differenti dello stesso genere
'animale'; su ciò dr. Balme, Ghenos, 96), oppure per il genere,
il "che comporta, ovviamente, una differenza più marcata e pro-
fonda (dr. Metaph. I 8, 1057 h 35 sgg.; 1058 a 25-6; 10, 1059
a 14).
Con la (c) lo Stagirita indica la ragione che lo ha indotto a
formulare il problema costituito dalla (b). Il motivo è che «oggi»
gli 'psicologi' si dedicano allo studio della sola anima umana. Nuv,
infatti, qui significa «ora», «adesso» (dr. Metaph. A l, 1069 a
26: ot p,Èv oùv vuv x-rÀ.). Di conseguenza con la (c) Aristotele non
polemizza tanto contro i 'fisici' e Democrito (pace Filopono, 36,
13-9 e Hammond, ad 402 h 3, 199; DOrrie, Gedanken, 228, fa rife-
rimento anche ai Pitagorici), ma piuttosto contro Platone e i Platonici
(Theiler, ad 402 h 3, 89, pensa anche ad una specie di autocritica,
giacché lo stesso Aristotele nell'Eudemo avrebbe trattato soltanto
dell'anima umana; dr. anche Ross, in Parva Naturalia, 5). Fino a
cpe punto però tale polemica è giustificata? È noto che nella psico-
logia di Platone (su ciò dr. Guthrie, Plato's Views, 3 sgg.; Romano,
Logos, passim; Regnéll, Ancient Views, 72 sgg.; Brès, La psycho-
logie, passim; Graeser, Probleme, passim; Robinson, Plato's Psy-
chology, passim; Isnardi Parente, Platone, in Zeller-MondoHo, II,
III, l, 349 sgg.) l'interesse antropologico è predominante. D'altra
parte nel Timeo ogni cosa che partecipa della vita, sia pure una
pianta, è detta essere uno ~(i)ov ed avere la « tena specie di anima»

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216 NOTE AD Al

(Ti 77 h 2 sgg.), e agli stessi animali inferiori è dedicata (Ti. 91 d


6 sgg.) una trattazione speciale. Per ciò che riguarda i Platonici,
l'anima cpbnOEt.Si)~ di Eracllde Pontico (fr. 98 a Wehrli; dr. Movia,
Anima, 157 sgg.) è senza dubbio, principalmente, quella umana (dr.
fr. 97 Wehrli: soggiorno delle anime nella Galassia). Speusippo,
poi, se si occupa della -classificazione di piante e di animali (frr. 7;
34 a Lang), d'altro lato conserva la platonica anima del mondo
(fr. 40 Lang) e sostiene l'immortalità di tutte le parti dell'anima
umana (fr. 55 Lang). Anche Senocrate mantiene l'anima cosmica,
ma la definisce come numero semovente (frr. 60-68 Heinze). Nu-
meri semoventi sono ugualmente le anime umane, tutte le parti
delle quali sono immortali ed eterne (frr. 73-75 Heinze), mentre
anche gli animali possiedono un certo senso del divino (fr. 21
Heinze; su tutto ciò dr. anche Isnardi Parente, Platone, in Zeller-
Mondolfo, II, III, 2, 893 sgg.). In fondo, l'impianto che Platone
e i Platonici conferiscono alla psicologia è di tipo cosmico-antropo-
logico (sull'identità di struttura dell'anima cosmica e di quella umana
dr. Platone, Ti. 41 d 4 sgg.), e non biologico generale. È per questo
motivo che Aristotele può dire nella (c) che essi «sembrano»
(eoikasin) considerare la sola anima umana (dr. anche De an. A 5,
410 h 16-27). Pertanto, siccome essi, pur trattando dell'anima
dell'uomo e, in qualche misura, di quella degli animali e delle
piante, non si sono posti il problema (logico) della loro distinzione
(specifica o generica che sia), è proprio questo problema, enunciato
in (h), che lo Stagirita si propone di approfondire (dr. anche In-
troduzione, 53).
Aristotele infatti continua formulando un'altra aporia, la cui
tesi, ossia (d), afferma che c'è un'unica definizione di anima, e la
cui antitesi, ossia (e), afferma che le definizioni di anima sono diverse.
Il testo di (e) non è però sicuro. La lezione riportata dal mano-
scritto più autorevole, ossia da E (su questo codice dr. Moraux,
Le Parisinus, 17 sgg.), è xaD' ~xcia~T)V. Questa lezione è confermata
da Sofonla (5, 22) ed è stata adottata, ad es., da Rodier (ad l.;
II, ad 402 b 6, 20), Tricot (5), Biehl-Apelt (ad l.), Smith (ad l.),
Gigon (258), Ross (De an., ad l.), Barbieri (4), Siwek (ad l.), Theiler
(6) e Laurenti (26). La maggior parte dei manoscritti riportano in-
vece la lezione xaD' lxaa~ov, che trova conferma in Simplicio ( 13,
4), Filopono (36, 21), Averroè (1, no 8, 11, 3), Alberto Magno (8,
59 sgg.; dr. su ciò Saffrey, Une brillante, 255 sgg.) e nella re-
censio nova (ap. Tommaso, 1), e che è stata fatta propria da Bekker
(ad l.), Hett (ad l.), Ross (ad l.), Gohlke (24) e }annone-Barbotin
(ad l.). Probabilmente «l'andamento del periodo esige che si rap-
porti definizione unica di anima a definizione unica di animale ... ,
definizione diversa di anima ... a definizione diversa» degli animali_
(Laurenti, 26 n. 21), ed è quanto appare nella nostra traduzione.
La seconda parte di (e) è tradotta cosl da Busse (2), Lasson (2),

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NOTE AD Al 217

Gigon (258), Theiler (6) e }annone-Barbotin (ad l.): «ad esempio


è diversa la definizione dell'anima del cavallo, del cane», ecc. Anche
Balme (Ghenos, 96) interpreta (d)- (e) nel senso che Aristotele con
esse si chiederebbe se l'anima è la stessa per tutti gli animali (ad es.
in quanto distinti dalle piante), oppure se è diversa come sono dif-
ferenti uomo, cavallo, ecc. In ogni caso, la contrapposizione heis-
heteros su cui si articolano (d)- (e) equivale alla contrapposizione
'univoco'- 'equivoco' (cfr. Cat. l, l a 1 sgg.: Àoyoc; o a.Ù"toc; e
Àoyoc; l"tEpoc;). La domanda posta da (d)- (e) è dunque se la defini-
zione di anima sia univoca (come quella di animale), oppure equi-
voca (come potrebbe dirsi equivoca la definizione dei singoli tipi di
animale). Pertanto, mentre (c) adduce il motivo, se si vuole, 'sto-
rico' e polemico della formulazione di (b), (d)- (e) costituiscono
un approfondimento e una precisazione di (h), giacché dire che le
anime differiscono per la specie equivale a dire che la definizione
di anima è univoca, e, viceversa, dire che le anime differiscono per
il genere, è lo stesso che dire che la definizione di anima è equivoca.
Pace Hammond (4) e Theiler (6) la (f) non rappresenta un'aporia
a sé stante, ma (com'è confermato dalla variante ycip in luogo di OÉ)
è connessa con (e). Se è vero (e), ossia se la definizione di anima e
quella di animale sono equivoche, ne deriva che l'universale 'ani-
male' (definibile come 'sostanza animata sensi ti va'; cfr. Alessandro,
Quaest. I, XI\ 23, 28-9) è nulla o è posteriore. Che in (f) 'animale'
stia per 'anima' (meglio sarebbe dire: anche per 'anima') è stato
riconosciuto già da Alessandro (Quaest. I, Xlb, 22, 26-23, 16). L'ese-
geta considera però inadeguato il paragone dell' 'animale', giacché
ritiene che cavallo, cane, uomo e 'dio' enumerati in (e) rientrino
nello stesso genere univoco di animale (cfr. Metaph. A 6, 1016 a
27; 26, 1023 h 32; Top. Z 6, 144 a 33 sgg.; Cat. l, l a 6 sgg.;
13, 14 h 36 sgg.). Ma l'inadeguatezza del paragone risulta per lo
meno attenuata, se si tien conto che fra gli 'animali' elencati in
(e) è presente, sia pure con una forte dose di ambiguità, lo stesso
'dio' (su ciò cfr. Siwek, 247 n. 30, il quale esclude che qui 'dio'
denoti il Motore immobile e pensa piuttosto ai corpi celesti). Tanto
basta perché il logos di 'animale' (e quindi, fuor di paragone, di
'anirna') possa con qualche legittimità esser considerato heteros,
ossia equivoco. Ma se cosi stanno le cose, allora l' 'esser nulla'
e la 'posteriorità' di « animale in universale», come già aveva vi-
sto Alessandro (Quaest. I, XI\ 22, 26-23, 16), non potranno costi-
tuire delle caratteristiche proprie dell'universale tout-court (cosi pen-
sano invece, ad es., Temistio, 3, 32-4; Simplicio, 13, 11-20; Filo-
pono, 37, 33-8; Hicks, ad 402 h 5, 185-6), bensi soltanto dell'uni-
versale 'equivoco', in tal modo ridotto a mero 'nome'. Mi sembra
invece eccessivo caricare l'esser hysteron di 'animale' e l'elencazione
degli animali contenuta in (e) della problematica dell'anteriorità e
della posteriorità agitata in De an. B 3, 414 h 20 sgg., si faccia

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218 NOTE AD Al

ciò per mostrare come da (d)- (f) risulti che per Aristotele la defi-
nizione di anima è equivoca - ' analoga ' (cosl soprattutto Alessan-
dro, Quaest. I, XIb, 22, 26-23, 16; Lloyd, Genus, 75 sgg.), o per
sostenere che la preocrupazione dello Stagirita era unicamente rivolta
ad escludere l'esistenza di un'anima separata e trascendente (cosl
De Corte, La définition, 476 sgg.). Verosimilmente il senso più na-
turale della (f) è che, se un termine universale è equivoco, è nulla,
ossia non è altro che un puro nome. Ma, allora, la conseguenza
che ne deriva è che le cose che gli sono subordinate non possono
costituire che un'unità accidentale, la quale, come tale, è posteriore
(dr. Metaph. E 2, 1026 h 13-4; Z 11, 1037 h 4-7; K 8, 1065 h 2;
Ph. B 6, 198 a 7-8).
La (g) non è altro che l'estensione di (f) ad ogni predicato uni-
versale. Vale a dire: non solo 'anima' e 'animale', ma ogni altro
koinon che sia riconosciuto come equivoco, è nulla o è posteriore.
Gigon (258) e Theiler (ad 402 h 8, 89) credono che Aristotele abbia
in mente un predicato comune dell'anima (Theiler reca come esempi
~mortale' ed i pathe 'sonno', 'morte', ecc., elencati in PA A l,
639 a 18 sgg.; Sens. l, 436 a 12 sgg.; Resp. 23, 478 h 22 sgg.;
dove peraltro tali koinà non sono attribuiti all'anima, ma agli ani-
mali). Simplicio ( 13,22), forse più giustamente, allarga la visuale,
e porta l'esempio della 'pianta', mentre Hicks (ad 402 h 8, 188)
·quello di 'corpo' (cfr. Metaph. A l, 1069 a 29-30) e di figura
geometrica (dr. De an. B 3, 414 h 23). In conclusione, nel passo
-(b)- (g) lo Stagirita presenta il contrasto fra la tesi della differenza
specifica tra le anime e della definizione univoca di anima, e l'antitesi
·della differenza generica e della definizione equivoca. Sul problema,
in qualche misura, egli ritornerà specialmente in De an. B 3, 414
b 20 sgg. Altri ragguagli sull'intera questione in Movia, Due studi,
17 sgg.
Il quinto problema (402 h 9-10) cosl suona: nell'ipotesi che
in ciascun vivente non si trovi, come in certo modo aveva ammesso
Platone (cfr. Fazio-Allmayer, 42 n. 5), una pluralità di anime, ma
di 'parti' della stessa anima, deve avere la precedenza lo studio
dell'anima o quello delle parti-facoltà? Per ~1}"tEL" ( 402 h 10;. 12)
nel senso di 'esaminare' dr. Mete. B 2, 355 h 20-1: "tÒ OÈ ~1}"tEL"
1;1)" apxa.la." a1topla.". La sesta aporia ( 402 h 10-1) concerne la
possibilità di un'adeguata demarcazione delle facoltà dell'anima, un
problema che viene dibattuto lungo l'intero trattato e che, per
Aristotele, i suoi predecessori risolvettero molto approssimativa-
mente. La settima aporia (402 h 11-4) pone una questione di pre-
cedenza tra lo studio delle facoltà e quello delle loro attività e fun-
zioni, mentre l'ottava ( 402 h 14-6) tra lo studio delle funzioni e
quello dei rispettivi oggetti. Filopono ( 40, 2-5) osserva che il con-
testo di quest'ultima aporia esigeva che Aristotele scrivesse « della
sensazione » invece che « della facoltà sensitiva », e « dell'intelle-

Baruch_in_libris
NOTE AD Al 219

zione » invece che «dell'intelletto». L'impasse può essere superata


mediante una semplice rigorizzazione del testo: se le funzioni vanno
esaminate prima delle facoltà, e gli oggetti prima delle funzioni,
allora (conseguenza sottaciu ta) gli oggetti andranno esamina ti prima
delle facoltà, ad es., ecc. Tà avtLXELIJ.E'VCX ( 402 h 15) va riferito
all'opposizione dei relativi (dr. Cat. 10, 11 h 17 sgg.; inoltre Pla-
tone, R. VI, 511 d 7-e 5).
7
(402 h 16-403 a 2). La presentazione delle aporie riguardanti
l'anima e le sue facoltà viene a questo punto interrotta da una di-
gressione epistemologica sull'importanza non solo della determi-
nazione dell'essenza, ma anche di quella degli 'accidenti per sé',
e ciò in armonia con le due coordinate della ricerca prospettata in
402 a 7-8 (cfr. Hicks, ad 402 b 16, 190). Del resto le stesse alter-
native presentate in 402 h 9-16 ammettevano la possibilità di un
procedimento a posteriori, dagli effetti alla causa.
Aristotele esordisce affermando che la conoscenza dell'essenza
di una cosa permette di conoscere le cause dell'appartenenza ad essa
dei suoi 'accidenti per sé' ( 402 h 16-8). Tale affermazione si spiega
tenendo presente che l'essenza di una cosa, espressa nella definizione,
diventa principio o premessa della dimostrazione (dr. 402 h 25-6);
da tale principio si deducono, mediante dimostrazione, gli 'accidenti
per sé' della cosa, e il termine medio del sillogismo dimostrativo
indica precisamente la causa degli 'accidenti per sé' (su ciò cfr.
APo. A 2, 71 h 9 sgg.; 6, 75 a 28 sgg.; 14, 79 a 17 sgg.; B 11,
94 h 8 sgg.). In 402 h 18 i symbebekota sono appunto gli 'acci-
denti per sé' (cfr. 402 a 15), mentre le ousiai, come aveva osservato
già Temistio (5, 4), sono gli oggetti di cui si occupano le diverse
scienze. Lo Stagirita prosegue con un'esemplificazione ( 402 h 18-21),
che in verità è un po' strana. Egli infatti, per la dimostrazione della
proprietà del triangolo di avere gli angoli uguali a due retti, ritiene
come prerequisita non già la conoscenza dell'essenza e della defini-
zione del triangolo (come in APo. A 4, 73 h 30 sgg.; 5, 74 a 25
sgg.; Top. B 3, 110 h 22 sgg.; Metaph. 4 30, 1025 a 30 sgg.; GA
B 6, 742 h 26 sgg.), ma del retto, del curvo, ecc. Una convincente
spiegazione viene offerta da Zabarella (61 C): « hic exempli gratia
affert definitiones superficiei, et lineae, et lineae rectae [propriamente
~ò EÙD'V ( 402 h 19) denota qui l' 'essere retto', ossia una caratte-
ristica di una linea], et lineae obliquae, quae sunt species subiecti
Geometriae, quarum definitiones sunt prima principia in ea scientia
[dr. 402 a 22], sine quorum cognitione non possemus demonstrare
tres angulos trianguli esse aequales duobus rectis [cfr. Euclide, l,
32; inoltre Frajese-Maccioni, 125-7], licet nulla harum definitionum
sit medium illius demonstrationis ». Cfr. anche T6th, Das Parallelen-
problem, 394-8.
In 402 h 21-2 viene data la contropartita di 402 h 16-21, nel

Baruch_in_libris
220 NOTE AD Al

senso che a noi è dato conoscere (sia pure non scientificamente; cfr.
402 h 22-5) certe caratteristiche di una cosa che abbiamo ancora da
definire (dr. Hicks, ad 402 h 21, 191-2), e che ciò ci torna utile
per la conoscenza dell'essenza e della definizione della cosa. La
spiegazione di 402 h 21-2 si trova in 402 h 22-5. Se infatti ci sono
delle scienze, ad es. la geometria, che deducono gli 'accidenti per
sé' dalle definizioni dei loro oggetti ( 402 h 16-21 ), in 402 h 22-5
si aggiunge che in altre scienze, ossia in quelle fisiche, la considera-
zione degli 'accidenti per sé' precede e contribuisce alla scoperta
della definizione dell'oggetto (dr. anche Metaph. Z 10, 1035 h 16-8).
In queste ultime scienze, insomma, si ha anzitutto una conoscenza
degli 'accidenti per sé' xa--rà "t'i)V cpav"t'occrlav ( 402 h 23 ), ossia
per mezzo dell'esperienza (dr. Bonitz, Index, 811 a 58-9: katà ten
phantasian equivale a xa"t'à --rou--ro 8 cpatvE--rat TJlJ.LV); questa cono-
scenza permette poi di parlare dell'essenza ( 402 h 24: ousia) della
cosa nel modo più corretto ( 402 h 25: xciÀÀto---ra), ossia di reperime
la definizione (dr. Temistio, 5, 27; Averroè, l, no 11, 15, 46-7).
Il riferimento di 402 h 16-21 alle scienze matematiche e di 402 h
21-5 alle scienze fisiche (e quindi anche alla psicologia) è comune-
mente ammesso dagli interpreti (dr., ad es., Alessandro, ap. Filo-
pono, 43, l; Temistio, 5, 9-10; 20-6; Simplicio, 14, 37-1.5, 12; Fi-
lopono, 40, 25-41, 12; 19; 42, 15-8; 43, l sgg.; Sofonla, 7, 11-4;
Alberto Magno, 10, 56 sgg.; Egidio Romano, ad l.; Zabarella, 63
E; 67 E-F [cfr. però 59 F]; Hicks, ad 402 h 1.6, 191).
Aristotele sottolinea poi ( 402 h 25-6) come, tramite l'essenza e
la definizione reperite secondo 402 h 22-5, sia possibile pervenire
alla conoscenza scientifica e dimostrativa di quegli stessi 'accidenti
per sé' che, sempre secondo 402 h 22-5, erano stati conosciuti sol-
tanto katà ten phantasian (per l'essenza come principio della dimo-
strazione dr. anche APo. B 2, 90 h 31-2; Metaph. Z 9, 1034 a
31-2). La digressione si conclude con un corollario di 402 h 25-6: le
definizioni da cui non si possono dedurre gli 'accidenti per sé' sono
dialettiche e vuote (402 h 26-403 a 2). Per ota~EX--rtxw~ [spesso
sinonimo di Àoytxw~] e XEVW~ (403 a 2) come termini indicanti
definizioni (o argomentazioni) generiche e astratte, prive di conte-
nuto reale, cfr., ad es., APo. A 19, 81 h 18-23; 22, 84 a 7-11;
Metaph. B l, 995 h 22-4; GA B 8, 747 h 27-30; 748 a 7-11. Filo-
pono ( 44, 2-11 ) richiama la definizione 'dialettica' di collera (cfr.
40 3 a 29-31), la quale non è in grado di spiegare --rà 7tapaxolov-
Douv-ra.
In definitiva, le indicazioni metodologiche che il nostro testo
offre alla ricerca ulteriore concernono particolarmente lo studio del-
l'anima e delle sue facoltà. Il programma di Aristotele è cioè, da un
lato, di reperire una definizione rigorosamente scientifica di anima,,
tale che da essa siano deducibili (secondo il modello matematico)
tutte le sue facoltà e funzioni (un'esigenza che i predecessori dello

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NOTE AD A 1 221

Stagirita hanno lasciato largamente insoddisfatta; dr. De an. A 4,


408 a 3-5; 5, 409 h 11-8), e, dall'altro, contro l'apriorismo (dr. su
ciò anche DOrrie, Gedanken, 229) dei Platonici, d'individuare (sem-
pre in vista di un'appropriata definizione di anima, ma, insieme, con
concretezza c fisica') le reali manifestazioni degli esseri viventi. Cfr.
anche Introduzione, 61.
8
(403 a 3-16). È questa la nona ed ultima aporia, che riguarda
direttamente i pathe dell'anima. Aristotele formula l'aporia ripren-
dendo, ma in ordine inverso, la distinzione operata in 402 a 9-10,
e opponendo alla tesi dell'appartenenza di tutti i pathe al composto
animato, l'antitesi della peculiarità di un pathos alla sola anima ( 403
a 3-5; per la distinzione fra koinon e idion [ 403 a 4] dr., ad es.,
Metaph. Z 13, 1038 h 10 sgg.). Come rileva Theiler (ad 403 a 3 sgg.,
90), il problema, che era presente già a Platone (cfr. Phlb. 33 c 5
sgg.; Phd. 65 d 7; 79 c 2 sgg.), si trova fin dal Protrettico (fr. 7
Ross; 75 Diiring), e poi in Sens. l, 436 a 6 sgg.; Somn. Vig. l, 453
h 11 sgg.; 454 a 7 sgg. I pathe di 403 a 3 (come di 402 a 9) «non
ad solos animi affectus redigenda sunt, ut ne sensus excludatur [dr.
403 a 7]. Quidquid animo accidit, 1taDoc; dici potest » (Trendelen-
burg, ad 403 a 7, 170; cfr. anche Gardiner, The Psychology, l sgg.).
Tò €xcv (403 a 4) è il corpo animato, ovvero l'animale (dr. anche
De an. B 4, 415 h 8 sgg.; 416 h 18 sgg.).
Aristotele prosegue con un'affermazione a favore dell'antitesi del-
l'apC'ria formulata in 403 a 3-5, affermazione che riconosce (sia pure
con molta cautela) nel voEi:v un qualcosa (a differenza degli altri
pathè) che appartiene esclusivamente all'anima ( 403 a 5-8). In 403
a 5 cpa.lvE'ta.L « evidentiam significat, non dubitationem » (Zabarella,
70 B; cfr. anche Bonitz, Index, 808 h 37-40; inoltre Sens. l, 436
a 6). ITriaxELv e 1tOLELv ( 40 3 a 6-7) indicano le affezioni passi ve e le
funzioni attive dell'anima. In 403 a 7 oÀwç, a.taDavECTDa.t significa
che la sensazione è la base e la condizione comune delle emozioni
ivi elencate; per èSÀwc; cfr. Bonitz (Index, 505 h 47-8): « ab enu-
meratis singulis rebus transitum para t ad universum genus »; inol-
tre Sens. l, 436 a 9. In 403 a 8 seguo la lezione tol~ (se. 1taDEL)
riportata dalla maggioranza dei codici, testimoniata da Simplicio ( 16,
31) e Filopono ( 45, 7), e adottata da Bonitz (Index, 263 h 20),
Forster (ad l.), Ross (ad l.; ad 403 a 3-28, 167), Siwek (ad l.),
Theiler (6; ad 403 a 8, 90) e Hamlyn (3), anziché totov, attestato
dai mss. CV, seguito da Temistio (6, 1), Ammonio (in Int. 6, 28; dr.
anche Sai nati, Storia, l, 201; 276 n. 11) e Sofonia (7, 19), e fatto
proprio da quasi tu t ti gli autori medievali e moderni.
Il discorso continua con un'argomentazione ( 403 a 8-10) a fa-
vore della tesi dell'aporia proposta in 403 a 3-5. L'argomentazione
prospetta due alternative (una più ed una meno rigida), dalle quali
comunque viene fatta discendere la medesima conseguenza. Riguardo

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222 NOTE AD Al

alla prima alternativa va anticipato che in De an. r 3, 427 h 14-5


lo Stagirita affermerà esplicitamente che l'immaginazione è diversa
dalla dianoia. La seconda alternativa, ossia che il noein non può
prescindere dall'immaginazione, corrisponde a quanto verrà soste-
nuto in De an. r 7, 431 a 14 sgg.; 431 h 2 sgg.; 8, 432 a 8 sgg.;
cfr. inoltre Mem. l, 449 h 30 sgg. L'inferenza che Aristotele ricava
dai due corni del dilemma si spiega tenendo conto che l'immagina-
zione implica la sensazione, e quest'ultima la corporeità (cfr. De an.
r 2, 425 h 24-5; 3, 427 h 14-6; 429 a 1-2; Mem. l, 450 a 27-32).
Com'è noto, su questo testo (il primo, nel De Anima, che affronti
espressamente lo spinoso problema del nous; su questo problema
cfr. De Corte, La doctrine, passim; Verbeke, Comment Aristate, 205
sgg.; Nuyens, L'évolution, passim; A. Mansion, L'immortalité, 444
sgg.; Oehler, Die Lehre, 182 sgg.; Seidl, Der Begriff, passim; Berti,
Aristate, 97 sgg.) si sono accese le polemiche fin dall'antichità. Cosl
Filopono ( 46, 2-5) si preoccupa di restringere la dipendenza del
noein dall'immaginazione ad un piano puramente strumentale: op-
j'Cl'JLXW~ (cfr. anche Rolfes, 8 nota). Averroè (I, no 12, 18, 55-69)
fa forza sul nostro passo per distinguere (in polemica con Alessandro)
l'intellezione (dipendente dall'immaginazione e dal corpo) dall'intel-
letto ('materiale' e separato). Tommaso (I, 2, no 18, 7, ecc.) rico-
nosce la dipendenza del noein dalle immagini soltanto « sicut
obiecta »(cfr. anche Alberto Magno, 12, 60-3). Un'ammissione come
questa, secondo Zabarella (71 B-C), è però sufficiente a far rientrare
il noein (sia pure non legato ad un proprio organo corporeo) nel no-
vero delle affezioni 'comuni'. Una risposta definitiva all'intera que-
stione non verrà data prima di De an. r 5.
Aristotele mostra quindi come la verità della tesi, oppure quella
dell'antitesi, dell'aporia non sia senza conseguenze per l'anima stessa:
se infatti è vera l'antitesi (se cioè vi è un pathos che appartiene in
esclusiva alla sola anima), allora l'anima è separabile dal corpo; se,
al confrario, è vera la tesi (se cioè tutti i pizthe dell'anima sono co-
muni anche al corpo), ne deriva che l'anima non è separabile ( 40 3
a 10-12). Far questione dell'esistenza separata e indipendente del-
l'anima equivale, per lo Stagirita, a porre il problema della sua sus-
sistenza e sostanzialità, nel senso delle forme sussistenti (su ciò cfr.
Berti, Aristote, 101), e quindi anche il problema della sua immor-
talità. Sulla dottrina della 'separazione' ( 403 a 11: xwpL~Eaitat.;
403 a 12: xwpt.a'ti}) cfr. Chen, Das Chorismos-Problem, passim; Phi-
lippe, Aphairesis, 461 sgg.; De Strycker, La notion, 119 sgg.
Il secondo como del dilemma (403 a 11-2) viene illustrato in
403 a 12-6 con un paragone: l'anima (con i suoi pathe: ad es. la
sensazione) non è separabile dal corpo, cosl come non è separabile
dal corpo cui inerisce la linea retta avente una data proprietà. In 403 _
n
a 12-3 'tÒ EUDù, Euihl è la linea retta in quanto tale, ossia la linea
retta in abstracto, com'è definita dalla geometria (cfr. Hicks, ad 403

Baruch_in_libris
NOTE AD Al 223

a 12, 196; per la tematica dello ii dr. Wieland, Die aristotelische


Physik, 64 sgg.). Per 1tOÀÀà. cruJ..Lf3a.LVEt. (403 a 13) dr. 402 a 8; 15.
Ross (ad l.; ad 403 a 10-6, 168) espunge da 403 a 13 xa.lxijc;,
per la ragione che non è una proposizione matematica che la linea
retta in quanto retta tocchi una sfera di bronzo in un punto. L'atetesi
adottata da Ross è convalidata da Metaph. B 2, 997 h 35-998 a 4, do-
ve Aristotele concede a Protagora che il regolo non tocca il cerchio
sensibile in un punto (ma almeno in una piccola area). Tuttavia in
APo. A 5, 74 a 38-9 si asserisce che la caratteristica di avere gli
angoli uguali a due retti appartiene anche al triangolo isoscele di
bronzo (dr. anche Metaph. Z 8, 1033 a 29-31 ). Ritiene essenziale
per lo scopo dell'argomento la conservazione di xa.lxijc; S. Mansion,
Soul, 18 n. 20. In 403 a 14 accolgo la lezione ou-rwc; del ms. E,
adottata da Forster (ad l.), Ross (ad l.) e ]annone-Barbotin (ad l.;
leggono ou-rw Bonitz, Zur Erkliirung, 419; Rodier, ad l.; II, ad 403
a 14, 31-2; Hicks, ad l.; ad 403 a 14, 197, ecc.), invece di -rou-rou,
riportato dagli altri codici e testimoniato da Simplicio ( 18, 6) e
Filopono ( 49, 17). La lezione ou-rwc; è preferibile soprattutto perché,.
come osserva Bonitz (Zur Erkliirung, 418), il pronome che Aristo-
tele è solito usare per designare una cosa concreta non è où-roc;, ma
8oE, ed anche allora egli si serve di qualche aggiunta (vedi, ad es.,
8oE ò èiwpw1toc;, oppure -rooE -rt.).
Secondo Ross (ad l.; ad 403 a 10-6, 168) in 403 a 14-5 la clau-
sola xwpt.aDÈv -rò EÒDU, riportata da tutti i manoscritti e accolta da
tutti gli interpreti, non fa senso ( « la retta, quando sia separata,
non toccherà la sfera cosl »). Il -r6 andrebbe pertanto emendato in
-rt ( « non una retta che esista separatamente, ma un'astrazione ma-
tematica toccherà la sfera cosl »). Per ottenere questo risultato tale
emendamento non sembra però indispensabile. Il choristhen, infatti,
non necessariamente ha qui significato temporale (cfr. invece De an.
r 5, 430 a 22), ma può voler dire « in quanto separato» (Laurenti,
29), o «se separato» (Hamlyn, 4), o «perché separato» (Verbeke,
Comment Aristate, 227-8; Lefèvre, Sur l'évolution, 273 n. 75). Ari-
stotele intende insomma affermare che la linea retta gode della pro-
prietà testé descritta non trovandosi (con buona pace dei Platonici)
in una condizione di separatezza, ossia avendo un'esistenza separata
e 'ideale', ma inerendo sempre in un dato corpo (cfr. Hicks, ad
403 a 12: il limite del regolo), dal quale peraltro può venire astratta
con il pensiero. A pari l'anima possiede, ad es., la capacità di perce-
pire non in quanto sia separata dal corpo, ma proprio in quanto è
inseparabile da esso. Sull'inseparabilità degli enti matematici dr.,
ad es., 403 h 14-5; Metaph. E l, 1026 a 14-5; K l, 1059 h 13;
M 3, 1077 h 22 sgg.; Ph. B 2, 193 h 24 sgg.
9
403 a 16-28). Aristotele riprende qui la tesi dell'aporia for-
(
mulata in 403 a 3-5 e riproposta in 403 a 11-2. Come la tangente

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224 NOTE AD Al

che incontra la sfera in un punto presuppone un corpo (403 a 12-6),


cosl sembra che implichino un corpo anche tutte le affezioni del-
l'anima ( 403 a 16-7; in 403 a 16 va registrata la variante 1ta.Din.J.a.,;a.
[accolta da }annone-Barbotin, ad l.], in luogo di 1ttiih} 1ttiV"ta.). È
interessante rilevare che nelle esemplificazioni di 403 a 17 sgg. lo
Stagirita non impegna il noein, ma soltanto le emozioni e le passioni
dell'anima. La connessione delle emozioni con il corpo viene spie-
gata nel senso che ad ogni emozione dell'anima s'accompagna un'al-
terazione del corpo ( 403 a 18-9). Più particolarmente Aristotele mo-
stra, con molta finezza, come la presenza e l'intensità degli stimoli
esterni spiegano solo in parte le emozioni, che trovano invece il
loro fattore determinante nello stato corporeo del soggetto ( 403 a
19-24; per 1ta.ilin.J.a.'t'a. [403 a 20] cfr. Bonitz, Index, .554 h 26-8:
« usum voc 1ttiDo~ excedit 1ttiD1)1J.a., uhi non motum et mutationem,
sed eius causam significa t»). Riconosciuto il legame dei pathe del-
l'anima con il corpo ( 403 a 16-24 ), lo Stagirita ne ricava la con-
seguenza che tali pathe sono Àoyor. lvuÀor., che pertanto le definizioni
dei pathe devono contenere sia la loro forma che la loro materia
(oltre che la causa efficiente e quella fina] e), e infine, per questi
stessi motivi, che la psicologia, o almeno una sua parte, costituisce
una sezione della fisica ( 403 a 24-8).
In 403 a 25 l'espressione logoi [ == 'forme', 'essenze'; cfr.
403 h 2; 8; Metaph. Z 10, 1035 h 26; PA A l, 642 a 19-20]
enyloi (ma c'è la variante Év u'kn; enylos è un hapax nel corpus
Aristotelicum) è stata interpretata in due modi diversi. L'esegesi
tradizionale intende enylos, in analogia con lvuSpo~ ( « acquatico » ),
come «immanente nella materia» (cfr., ad es., Hicks, 7; ad 403
a 25, 199). Invece Ross (164; ad 403 a 25, 168), segulto da Hamlyn
(4; ad 403 a 24, 79), richiamandosi a Metaph. Z 7, 1033 a 4-5 (il
cerchio di bronzo con tiene nella sua definizione [ Év ,;ii) Àoy~] la
materia), interpreta logoi enyloi come « nozioni che contengono un
riferimento, che implicano la materia». Sul concetto aristotelico di
logos dr. Stocks, Logos, 182 sgg.; Hicks, On Doubtful, 1-2; Sten-
zel, Zur Theorie, 188 sgg.; Specht, Einheit, 236 sgg.; sulla dottrina
della materia dr. Baeumker, Das Problem, 210 sgg.; Cencillo, Hyle,
passim; Sokolowsky, Matter, 263 sgg.; Happ, Hyle, passim. La
definizione (adeguata) di collera ( 40 3 a 26-7) comprende la forma
( « un certo movimento »; dr. 403 a 31: il ribollimento), la materia
(il corpo capace di movimento, o un organo [403 a 27: IJ,Épo~] cor-
poreo [dr. 40 3 a 31 : il cuore] , o la facoltà [ 40 3 a 27: Svva.IJ.Lc;;
cfr. Lefèvre, Sur l'évolution, 227 n. 47: « pouvoir », « force »] di
quest'organo), il principio del movimento, ovvero la causa efficiente
(dr. Rh. B 2, 1378 a 30 sgg.: un'offesa ricevuta), e il fine (cfr. 403
a 30: il contraccambio). Per la teoria delle quattro cause implicata
in questa definizione dr. Ph. B 3, 194 h 23 sgg.; Metaph. A 3,
983 a 26 sgg.; sulla definizione di collera cfr. anche Aubenque, Sur

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NOTE AD Al 225

la déftnition, 300 sgg.; Renehan, Aristotle's Deftnition, 61 sgg.; Fil-


lion-Lahille, La colère, 46 sgg. La restrizione il Tijc; -tot.tLVTJ')c; ( 403
a 28), vale a dire all'anima i cui pathe sono forme 'materiali', lascia
capire come almeno una parte della psicologia, quella che tratta
del nous 'separato' (cfr. De an. r 5), sfugga al dominio della fisica
e appartenga a quello della 'filosofia prima' (cfr. 403 h 16). Cfr.
in questo senso anche Ph. 8 3, 253 a 32-b 9; Metaph. E l, 1026
a 5-6; PA A l, 641 a 17-b 10; Sens. l, 436 a 17-b 6; Resp. 27,
480 h 22 sgg.
10
(403 a 29-b 16). Stabilito che le definizioni dei pathe del-
l'anima implicano la forma e la .materia, e che pertanto la psicologia
(o per lo meno una sua parte) costituisce una sezione della fisica,
Aristotele cerca in questo passo di chiarire ulteriormente lo statuto
epistemologico di questa scienza. Egli esordisce riprendendo il tema
della definizione dei pathe psichici. A tale proposito, ritorna all'esem-
pio della definizione di collera, distinguendo la definizione fisica o
materiale da quella dialettica o formale ( 403 a 29-b 2). Il physikos
di 40 3 a 29, a differenza del physikos di 40 3 a 28 (il fisico che mette
a tema della sua ricerca sia la forma che la materia), è il fisico che
(come i naturalisti, ad. es. Empedocle e Democrito) si occupa solo
o prevalentemente della materia (dr. Ph. B 2, 194 a 18-21; Metaph.
A 3, 983 h 6-8; PA A l, 642 a 13 sgg.). La definizione fisica di
collera ha un precedente in Platone, Ti. 70 h 4 sgg.; sulle condizioni
materiali de11a collera cfr. anche PA B 4, 650 h 35-651 a 4. Sulla
dialettica in Aristotele ( 403 a 29; cfr. 403 a 2) cfr. Aristotle on
Dialectic, passim; Aubenque, La dialectique, 9 sgg.; Berti, La dia-
lettica, 33 sgg.; Giuliani, The Aristotelian Theory, 129 sgg. In
403 h l la frase il [il ms. E - seguito da Ross, ad l. - ha xal]
i}EpJ.lOV è ritenuta un'interpolazione da Renehan, Aristotle's Defini-
tion, 63 sgg.
Lo Stagirita prosegue indicando ciò su cui si basano ( 403 h 2:
yap) la definizione fisica e quella dialettica di collera, ossia l'imma-
nenza della forma nella materia ( 403 h 2-3), facendo con ciò capire
che la definizione adeguata di collera, quel1a che soddisfa le esigenze
della fisica, intesa come autentica scienza della natura, deve tener
conto de1la forma e, insieme, della materia (cfr. 403 a 26-7). In
40 3 h 2 leggo con il cod. X ò J.lÈV yàp Àoyoc; 50 E -t ov 1tpciyJ.la~oc;
( == l'essenza della cosa, ossia della collera, è infatti questa, ossia
«desiderio di molestare», ecc.), lezione che è confermata da Te-
mistio (7, 32) e Sofonia (8, 35), ed è stata adottata da Averroè (I,
nu 16, 23, 29-31), Egidio Romano (ad l.), Zaharella (90 A), Gio-
vanni Argiropulo (ap. Maurus, 7), Forster (ad. l.), Biehl-Apelt (ad l.),
Smith (ad l.), Hett (ad l.), Gigon (261 ), Gohlke (27), Ross (ad l.)
e Theiler (ad l.). La maggior parte dei mss. recano invece ò J.lÈv yàp
Àoyoc; o 8È ~ou 1tpciyJ.la~oc;. Questa lezione è attestata anche da

Baruch_in_libris
226 NOTE AD Al

Simplicio (21, 33 sgg.), Plutarco di Atene (ap. Simplicio, 21, 35) e


Filopono (53, 14). La lezione o plv yà.p Àoyoc; Elooc; "tou 1tpci.yp,cx-
"toc;, nonostante la sua fortuna (è stata fatta propria, fra gli altri,
da Pacius, ad l.; Bekk:er, ad l.; Rodier, ad l.; Hicks, ad l.; Tricot,
11; Siwek, ad l.; }annone-Barbotin, ad l. e Laurenti, 30), non vanta
un'autorità più antica dell'edizione di F. Sylburg (1587), che s'ispira
a Simplicio (22, 1). In 403 h 3 lv uÀn "tot.a.OL riprende enyloi di
403 a 25 e designa la materia appropriata; per la coppia oOE-'t'ot.a.OL
dr. anche De an. B l, 412 h 11; Metaph. Z 5, 1030 h 18.
A conferma di quanto precede Aristotele porta l'esempio della
casa (403 h 3-9). Nelle tre definizioni di casa che egli enuncia sono
chiaramente riconoscibili quella che esprime la forma ( 403 h 3-5),
quella che dice la materia ( 40 3 h 5-6) e quella che si riferisce al
composto di materia e forma (403 h 6-7), quest'ultima essendo quella
veramente fisica e scientifica (403 h 7-9; dr. anche Metaph. H 2,
1043 a 14-26; Ph. B 2, 194 a 24-5). Per il p,dÀ.Àov ( 403 h 8) con
la funzione di introdurre la risposta risolutiva ad una domanda cfr.
Bonitz, Index, 312 h 57 sgg. In definitiva da 403 a 29-b 9 risulta
chiaro come per lo Stagirita la psicologia non si situi ad un mero
livello 'dialettico' (interessandosi ai soli aspetti formali dei pathe
dell'anima), e neppure a quello puramente 'naturalistico' (limitando
la sua competenza ai fenomeni corporei che s'accompagnano agli
stati psichici), ma si qualifichi come scienza propriamente 'fisica', in
quanto tematizza indisgiungibilmente i pathe psichici e le loro basi
corporee.
Avendo mostrato che la psicologia è parte costitutiva della fi-
sica, nel passo che segue Aristotele allarga la visuale sul tema della
classificazione delle scienze, nel cui ambito si colloca la fisica, e quindi
anche la psicologia (403 h 9-16). La domanda formulata in 403 h 9
(EXELVWV OÈ oi) "tLc; ÈXa't'Epoc;;) finisce per essere pleonastica se si
ammette (cosl, in parte, ad es. Filopono, 60, 28 sgg.) che trovi ri-
sposta nel fisico e nel dialettico di 403 a 29 sgg. Secondo 403 h 8-9
il fisico (autentico) ha per compito di formulare definizioni che ten-
gano conto sia della forma che della materia dell'oggetto. Si può
allora supporre che la questione di chi si occupi solo della materia
o solo della forma abbia più che altro lo scopo d'indirizzare la discus-
sione sul problema della ·conoscibilità della forma considerata nei
suoi rapporti con la materia. In effetti il discorso che segue e che
offre la risposta a detta domanda, distingue i vari, possibili tipi di
approccio ai pathe e alle forme: precisamente quello fisico (in
senso proprio), tecnico, matematico e metafisico (dr. anche Ph. B 2
per totum; Metaph. E l, 1026 a 18-9). In 403 h 9 accolgo l'emenda-
mento di Ross (ad l.; ad 403 b 7-16, 169-70) ii oùx la't't.V Etc; (in-
vece del tradizionale il oùx la"tt. "tt.c;): lo studio dei pathe inseJMl-
rabili dalla materia e considerati come tali, ossia non in quanto sepa-
rabili, è compito sia del fisico che del tecnico, e di loro soltanto. I

Baruch_in_libris
NOTE AD Al 227

pathe di 403 h 10 e 12 sono le affezioni o caratteristiche della ma-


teria 'seconda' (Metaph. Z 10, 1035 h 30: eschate hyle, materia
prossima), della « iam formata materia» degli Scolastici (dr. 403 h
5-6; inoltre Hicks, ad 403 h 10, 204).
Lo Stagirita asserisce che la fisica studia le attività e le affezioni
del corpo in quanto è capace di movimento, e che, come tale, è for-
nito di una materia adatta a questo requisito (403 h 10-2; dr. Ph.
B 2, 193 h 35 sgg.; Metaph. Z 10, 1036 a 9-11: materia sensibile
e capace di movimento; M 3, 1077 h 20 sgg.; sulla concezione ari-
stotelica della fisica dr. A. Mansion, Introduction, passim; Evans,
The Physical Philosophy, passim; Wieland, Die aristotelische Phy-
sik, passim; S. Mansion, Tò simon, 7 sgg.). Come fa notare Hicks
(ad 403 h 12, 206) 8cra. SÈ p,i) ~ota.u~a. ( 403 h 12) equivale a 8aa.
SÈ p,i) DEwpEi:~a.t ii ~ou ~otouSt crwp,a.~oc; xa.t ~iic; ~ota.U~T)c; uÀT)c;
~pya. xa.t 1tci.ih). In 403 h 13 ~t'VW'V sottintende 1ta.Dw'V (dr. Hicks,
ad 403 h 13, 206: salute e malattia, con cui ha a che fare il me-
dico, sono 'accidenti', e non caratteristiche essenziali di un corpo
naturale, mentre l'assetto che il costruttore conferisce ai suoi ma-
teriali [dr. 40 3 b 5-6] è ancora più accidentale ed artificiale [dr.
Metaph. Z 7, 1032 a 26 sgg.]); sulla tecnica in Aristotele dr.
Isnardi Parente, Techne, 76 sgg. In 403 h 14-5 lo Stagirita riba-
disce la convinzione che gli enti matematici sono dei pathe la cui
esistenza non è indipendente dagli oggetti sensibili (dr. 403 a 14-16;
De an. r 7, 431 h 15 sgg.; Metaph. M 3 per totum). Ciononostante
matematico è precisamente chi astrae tali pathe dalla realtà sensi-
bile, ossia chi li considera, a differenza del fisico, prescindendo dal
corpo concreto cui appartengono (dr. Metaph. Z 11, 1036 a 31
sgg.). Per t~ ti.cpa.tpÉcrEwc; ( 403 h 15) dr. anche De an. r 4, 429 h
18 sgg.; 7, 431 h 12 sgg.; 8, 432 a 5 sgg.; APo. A 5, 74 a 37;
18, 81 h 3; Metaph. K 3, 1061 a 28-b 3; Cael. r l, 299 a 15-6;
inoltre Gohlke, Die Lehre, 59 sgg.; Philippe, Aphairesis, 461 sgg.;
sulla matematica in Aristotele dr. Goerland, Aristoteles, passim;
Heiberg, Mathematisches, passim; Heath, Mathematics, passim;
Apostle, Aristotle's Philosophy, passim.
In 403 h 15 la clausola ii SÈ XEXWptap,É'Va. è stata fatta oggetto
d'interpretazioni contrastanti. Hicks (9) cosl la traduce: « attributes
which are regarded as having separate existence ». Alberto Magno
(15, 30-6; dr. anche Tommaso, I, 2, n• 28, 9; Rolfes, 12 n. l)
identifica kechorismena con l'« ens » o la « substantia », « per acci-
dens coniuncta cum materia corporea», venendo con ciò indicata
la dimensione antologico-generale della 'filosofia prima'. Per altri
autori kechorismena sono i pathe separati e immateriali dell'anima,
e precisamente il nous di De an. r 5 (dr., ad es., Simplicio, 23,
12-6; De Corte, La doctrine, 17-20; A. Mansion, Philosophie, 174;
DOrrie, Gedanken, 230-2; Diiring, Aristoteles, 573), lo studio del
quale è quindi di competenza della metafisica. Per altri ancora kecho-

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228 NOTE AD Al

rismena sono le forme separate o sostanze immateriali, ossia Dio e


gli altri motori immobili (dr. Temistio, 8, 30; Filopono, 63, 11-4;
Averroè, I, n° 17, 25, 32-4; Pacius, Comm., 167 no 25; Zabarella, 97
A-B; Maurus, l, l, no 4, 8; Rodier, Il, ad 403 h 9-16, 39; Ross, 165;
ad 403 h 7-16, 170), la 'filosofia prima' denotando in tal modo la
'teologia' (sul concetto di 'filosofia prima' cfr. A. Mansion, Philo-
sophie, 165 sgg.; Reale, Il concetto, passim; Routila, Die aristate-
lische Idee, passim; Lugarini, Aristotele, 263 sgg.). In ogni caso
non pare esservi dubbio che la 'filosofia prima' venga qui intro-
dotta nel discorso per mostrare come il livello 'fisico' non esaurisca
la ricerca psicologica, la quale invece, con la dottrina dell'intelletto
separato, si apre alla problematica della metafisica.
11
( 403 h 16-9). Aristotele riprende qui il discorso al punto in
cui l'aveva lasciato in 403 a 28. Siccome in 403 a 12-6 i pathe del-
l'anima, in quanto inseparabili dal corpo, erano stati paragonati alla
linea retta, lo Stagirita si premura di chiarire che tali pathe non sono
inseparabili nello stesso senso in cui lo sono gli enti matematici.
Secondo l'interpretazione tradizionale con ciò Aristotele intende dire
che, mentre le entità matematiche, benché inseparabili di fatto dagli
oggetti in cui ineriscono, sono da essi separabili con il pensiero, i
pathe dell'anima sono inseparabili dalla 'materia fisica' (ossia dalla
'materia sensibile'~ dal corpo; cfr. 403a 16-7; 403b 3; 11-2)
degli animali anche dal punto di vista logico. I pathe dell'anima pos-
sono insomma essere studiati e definiti soltanto in relazione con gli
animali (cfr. 403 a 18-9; inoltre Temistio, 8, 33-7; Simplicio, 23,
24-30; Hicks, ad 403 h 17, 208). Quest'esegesi è stata approfon-
dita da Ross (ad 403 h 17-9, 170-1): mentre gli enti matematici
sono inseparabili dal corpo in quanto elementi di esso, i pathe del-
l'anima lo sono a motivo della loro connessione con i fenomeni cor-
porei (cfr. 403 a 31-b l).
In 403 h 17 leggo con il ms. X e con Filopono (63, 15; cfr.
anche Sofonìa, l O, 13) e Ross (ad l.) EÀÉYOJ.LE'V [che rinvia a 40 3
a 16 sgg.] oi); invece la lezione oÉ è accolta da Temistio (8, 33),
Rodier (ad l.), Hicks (ad l.), ecc. Sempre in 403b 17 leggo &.xW-
PLCT'ta con Temistio (8, 33), Filopono (63, 16), Pacius (ad l.),
Bekker (ad l.), Hicks (ad l.), Tricot ( 13 e n. 1), Smith (ad l.)
e Hett (ad l.); le varianti ou~E Wç xwpt.cr~ci e où xwpt.cr~ci sono
state adottate, rispettivamente, da Rodier (ad l.) e da Torstrik (ad
l.), quest'ultimo preceduto da Sofonl~ ( 10, 14) e segulto da For-
ster (ad l.), Siwek (ad l.) e }annone-Barbotin (ad l.), mentre
Apelt (in Biehl-Apelt, ad l.), segulto da Theiler (8; ad 403 h
17' 92 ), congettura oU. 1tW<; xwpLCT~ci e Ross (ad. l.) ov~wç àxW-
PLO"'ta.. In 403 h 18 leggo con Filopono (63, 16), Sofonla (10, 14),
Hicks (ad l.), ecc., ii ol]; invece Ross (ad l.; ad 403 h 17-9, 171 ),
sulla sola autorità di Simplicio (23, 19), reca n yE, il YE limitativo
( « almeno ») avendo la funzione di non implicare nel discorso il

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NOTE AD A2 229

nous. Ancora in 403b 18 leggo con Theiler (8; ad 403b 17, 92)
\ntcipXEL WIJ.Òc; xa.t cpoa~; dopo \ntcipXEL Hicks (ad l.) pone invece
una virgola, mentre Ross (ad l.), approvato da Hamlyn (5 e n. 1),
inserisce un ola.; per il significato copulativo che qui riveste \ntcipXEL
dr. Mignucci, in APo., l, ad 85 h 4-15, 528.

NOTE AD A 2
1
SoMMARIO. - Utilità della ricerca sulle teorie dei proteroi.
(l) L'anima come principio di movimento e di conoscenza. (a) L'ani-
ma come 'motore mosso': Democrito e Leucippo; i Pitagorici; Pla-
tone e Senocrate; Anassagora e Democrito. (h) L'anima come prin-
cipio di conoscenza: Empedocle; Platone: il Timeo; una dottrina già
esposta nel De Philosophia. (c) L'anima come principio di movi-
mento e conoscenza: Senocrate. (2) L'anima e le archai del cosmo.
(a) L'anima ignea: Democrito. (b) Un excursus: Anassagora e Ta-
lete. (c) L'anima-aria: Diogene di Apollonia. (d) Una seconda digres-
sione: Eraclito e Alcmeone. (e) L'anima-acqua: lppone; Crizia. (3)
L'anima come principio motore e conoscitivo e come entità 'incor-
porea'. (a) L'anima e le archai. (b) Anassagora. (c) L'anima e i
contrari.
2
40 3 h 20-31 ). Aristotele esordisce sottolineando la · connes-
(
sione tra procedimento diaporematico ( 403 h 20: OLa.1topouVta.c;),
come esplorazione delle difficoltà e dei problemi (e delle possibili
vie di soluzione; 40 3 b 21 : EU1tOpEi:-v), ed esame delle opinioni dei
predecessori ( 403 h 20-2). I problemi sono stati elencati in De an.
A l, 402 a 23 sgg., mentre l'esposizione e la critica delle 'opinioni'
coprono la restante parte di questo primo libro (sui concetti di aporia,
diaporia ed euporia cfr. Aubenque, Sur la notion, 3 sgg.; Lugarini,
Aristotele, 131 sgg.).
In 403 h 23-4 viene evidenziato il duplice scopo che lo Stagirita
si prefigge con questa lunga sezione dossografìca. Dalla ricerca e dalla
ricostruzione 'storica' egli s'attende un beneficio, un risultato posi-
tivo per una migliore impostazione e soluzione dei suoi problemi.
Ciò peraltro non lo esime dall'assumere una posizione critica nei
confronti delle precedenti teorie sull'anima (per altre e ben note se-
zioni dossografiche dr. Metaph. A 3, 983 h l sgg.; Ph. A 2, 184 h
15 sgg.; 8 9, 265 h 17 sgg.; Cael. A 10, 279 h 4 sgg.; A 2, 308 h
3 sgg.; EN A 6, 1096 a 11 sgg.; EE A 8, 1217 h 2 sgg.; su Aristo-
tele 'storiografo' della filosofia cfr. Fazio Allmayer, Studi, 313 sgg.;
Cherniss, Pres. e Plat. Ac., passim; Dal Pra, La storiografia, 67 sgg.;
Guthrie, Aristotle, 239 sgg.; Sichirollo, Aristotelica, 13 sgg.; S. Man-
sion, Le role, 35 sgg.; Samson, Aristate, 22 sgg.; dr. anche Intro-
duzione, 53 sgg.).

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230 NOTE AD A2

Aristotele inizia la ricerca concernente le teorie dei predecessori


muovendo dalle caratteristiche che comunemente si attribuiscono
all'anima (403 h 24-5; con SoxoOV"ta. [403 b 25; dr. anche 403 h
26: Soui:] lo Stagirita si riferisce ad un'opinione corrente, ad un
lvSoçov; sempre in 403 h 25 \ntci.pxet.v xa.'tà. cpvcnv designa gli
'accidenti per sé' dell'anima [dr. De an. A l, 402 a 8; 1.5], ossia
le sue facoltà e funzioni). Tali caratteristiche vengono inferite dalle
proprietà che manifestamente distinguono il vivente (e in partico-
lare l'animale) dal non vivente, ossia il movimento (vale a dire
l'autocinèsi) e la sensazione (403 h 25-7), e che sono state ammesse
anche dai predecessori ( 403 h 27-8). In questo modo Io Stagirita
dispone già di un primo schema bipartito con cui catalogare le teorie
psicologiche precedenti, schema articolato appunto sul movimento e
la sensazione. Tali teorie potranno essere classificate a seconda che
accentuino l'una o l'altra di queste due funzioni psichiche.
La prima specificazione dello schema kinesis-aisthesis viene ope-
rata in 403 h 28-31, dando inizio all'esposizione delle dottrine che
considerano l'anima un 'motore mosso'. Con olT}ilÉV'tE~ (403 h 29)
viene indicata un'opinione che Io Stagirita rifiuterà in De an. A 3.
3
(403 h 31-404 a 16). Con i nomi di Democrito e di Leucippo
comincia l'esposizione delle teorie che considerano l'anima un 'mo-
tore mosso'. Il passo corrisponde a Leucippo DK 67 A 28 (Il, 78,
16-29); sugli atomisti, e in particolare su Democrito e Leucippo, dr.
Bailey, The Greek Atomists~ passim; Alfieri, Gli Atomisti e Ato-
mos~ passim; Furley, Two Studies~ passim; Regnéll, Ancient Views,
29 sgg.; De Ley, Democritus, 620 sgg.; Strohmaier, Demokrit, l sgg.;
Capizzi, Empedocle, in Zeller-Mondolfo, l, 5, 137 sgg.; Steckel, De-
mokritos, 191 sgg.; Ferguson, Dinos, 97 sgg.
Una prima relazione sulla dottrina democritea si ha in 403 h
31-404 a 4. Lo oilev di 403 h 31 mostra che, per Aristotele, l'iden-
tificazione operata da Democrito dell'anima con il fuoco o, meglio,
con il calore (403 a 31-404 a l; dr. anche Resp. 10, 472 a 3 sgg.)
costituisce un'applicazione del principio generale (più sopra consi-
derato una convinzione di « alcuni ») che ciò che muove dev'essere
in movimento (dr. 403 h 28-31). Detta identificazione dell'anima
con il fuoco-calore viene spiegata nei termini seguenti. Anzitutto si
stabilisce la tesi atomistica generale ( 404 a 1-2; gli atomi sono detti
« infiniti » [ 404 a l], s'intende, non soltanto di numero, ma anche
rispetto alle loro forme; dr. GC A l, 314 a 21-3). Segue, poi,
l'aflennazione democritea che gli atomi costitutivi del fuoco e del-
l'anima sono quelli sferici ( 404 a 2). Infine viene riportato un pa-
ragone (404 a 3-4), probabilmente di origine pitagorica (dr. 404
a 18; dr. anche Pr. XV 13, 913 a 8-10), con cui Democrito illustra
le caratteristiche degli atomi dell'anima e del fuoco, ossia il loro
numero infinito e la minutezza, il loro moto in tutte le direzioni e

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NOTE AD A2 231

la capacità d'insinuarsi in ogni cosa (dr. 404 a 6-7; per l'espres-


sione ~à. xa.Àoup,EVa. [ 404 a 3] dr. Lanza-Vegetti, Opere, 28; 825-6).
La teoria democritea trova un'esposizione più approfondita in
404 a 4-9. In primo luogo Aristotele riespone la dottrina atomistica,
questa volta implicandovi anche Leucippo (404 a 4-5; sulla Leukip-
posfrage dr. Reale, in Metaph., I, 162 n. 10). Il termine 'Jta.\J(T'JtEp-
p,la. (404 a 4) è ritenuto da Trendelenburg (ad 404 a 4, 177) un
vocabolo democriteo, ma è difficile stabilire se derivi effettivamente
da Democrito, o piuttosto da Anassagora (dr. GC A l, 314 a 29),
oppure abbia una diversa origine (dr. su ciò Wagner, in Ph., ad
203 a 19-23, 503). Si ripresenta quindi la tesi democritea in campo
psicologico: l'anima è formata di atomi sferici, perché questi, es-
sendo perfettamente lisci ed entrando in contatto con gli atomi del
corpo ( 404 a 7: ~à. Àot.-rtti) soltanto in una minima superficie, sono
in grado di penetrare fra questi atomi, ed essendo essi stessi in
movimento, sono capaci di muoverli ( 404 a 5-9; dr. anche Hicks,
ad 404 a 6-7, 215; Ross, ad 403 h 25-404 a 16, 174). Il termine
pVCTJ.LOL (404 a 7) è certamente di Democrito (dr. Meiaph. A 4,
985 h 15 sgg.; sul pv0116ç. dr. anche Capizzi, Empedocle, in Zeller-
Mondolfo, I, 5, 184-5). Secondo Rodier (Il, ad 404 a 7, 46), che
rimanda a Teofrasto (Sens. 65; dr. Democrito DK 68 A 135
[Il, 118, 11] ), sarebbe parola democritea anche Òt.a.OU\JEL\J ( 404 a
7; per Ot.à.-rtaV"tÒç. Ot.a.OV\JEL\J [404a 6-7] dr. anche Resp. 21,478
a 19-20). A parere di De Ley (Democritus, 631 n. 45; dr. anche
Cherniss, Pres., 291 n. 4) hypolambanontes ( 404 a 8) non auto-
rizza ad usare il nostro passo come una testimonianza valevole anche
per la psicologia di Leucippo.
Il passo che segue ( 404 a 9-16) presenta un corollario della teoria
atomistica e cinetica dell'anima, ossia una spiegazione meccanicistica
della vita e dei fenomeni respiratori che ne sono la discriminante
( 404 a 9: 8poç.; per l'intero testo cfr. anche Resp. 10, 471 h 30 sgg.).
Il brano è cosl inteso da Alfieri (Gli Atomisti, 33 n. 13): il corpo
dell'animale, compresso dall'atmosfera, emette con l'espirazione atomi
d'aria, fra i quali si trovano, più o meno abbondantemente, gli atomi
(caldi) dell'anima. Ma l'atmosfera è piena di atomi di anima, e quindi,
con l'inspirazione, l'animale si reintegra delle perdite di questi atomi.
Tà. crxiu1a.~a. ( 404 a 11) sono gli atomi sferici che formano l'anima;
"tÒ cruvtiyov xa.t 'Jt'r)yvuo\J ( 404 a 15) si riferisce alla pressione del-
l'aria ambiente.
4
( 404 a 16-25). Nella prima parte di questo passo ( 404 a 16-
20; il testo è riportato in Scuola pitagorica DK 58 B 40 [1, 462,
27-30]) Aristotele presenta un legomenon (404 a 17) pitagorico (sul
pitagorismo dr. Mondolfo, /onici, in Zeller-Mondolfo, l, 2, 288
sgg.; Maddalena, I Pitagorid, pas~im; Timpanaro Cardini, Pita-
gorici, passim; Burkert, W eisheit, passim; van der Waerden,
Pythagoras, 843 sgg.; De Vogel, Pythagoras, passim; Philip, Py-

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232 NOTE AD A2

thagoras, passim). Egli avvicina tale legomenon alla dottrina demo-


critea appena esposta, e lo attribuisce a due distinti gruppi di pensa-
tori: quelli (più 'materialisti') che identificano l'anima con gli
stessi ~Uap,a,;« (e che quindi la ritengono un'entità in continuo
movimento), e quelli, indubbiamente più progrediti, che la consi-
derano causa motrice degli ~VCTJ.la.,;a.. Per questo secondo gruppo,
Theiler (ad 404 a 16 sgg., 92) e Strohmaier (Demokrit, 18 n. 3)
fanno il·nome di Ecfanto (DK 51 A l [1, 442, 11-3]). Per VT)VEI.J.LCX
(4,04 a 20) dr. Metaph. H 2, 1043 a 21-3 ( = Archita DK 47 A
22 [l, 430, 25-6] ).
Lo Stagirita espone poi (e reinterpreta) la teoria dell'autocinèsi
dell'anima ( 404 a 20-5), teoria sostenuta da Platone (cfr. Phdr.
245 c 5 sgg.; Lg. X, 894 c 3 sgg.) e da Senocrate (dr. 404 h 27-30).
5 ( 404 a 25-b 6). Concludendo l'esposizione delle teorie cinetiche
dell'anima, Aristotele attribuisce ad Anassagora la concezione del-
l'anima come principio motore (404 a 25-7; questa testimonianza è
accolta in DK 59 A 99 [Il, 29, 21-2]; su Anassagora cfr. Nolte,
Aristoteles, 204 sgg.; Tagliaferro, La filosofia, 295 sgg.; Romano,
Anassagora, passim; Lanza, Anassagora, passim; O' Brien, The Re-
lation, 93 sgg.; Capizzi, Empedocle, in Zeller-Mondolfo, l, 5, 345
sgg.; Carbonara Naddei, Spermata, passim; Warden, The Mind,
3 sgg.; Wisniewski, La théorie, 5 sgg.). La teoria dell'anin1a come
principio del movimento non sembra tuttavia anassagorea, ma è rica-
vata dalla sua assimilazione al nous come motore del tutto (cfr. 404
a 26-7; 404 h 3 sgg.; inoltre Lanza, Anassagora, 168 nota). Sull'in-
telletto anassagoreo che imprime il movimento all'universo cfr. 404
h 1-2 e inoltre DK 59 A 58 (Il, 20, 40 sgg.); B 12 (Il, 37, 18 sgg.);
13 (Il, 39, 13 sgg.); Platone, Cra. 400 a 8-10. Et oort.ç, aÀÀoç, (404
a 26), secondo Schwegler (in Metaph., III, 37), Hicks (ad 404 a
26, 217), Ross (ad 404 a 25-7, 176) e Theiler (ad 404 a 25, 93 ),
sarebbe un'allusione al mitico taumaturgo Ermotimo di Clazomene
(cfr. Metaph. A 3, 984 h 15 sgg.), ma già Bonitz (in Metaph., ad
984 h 8-22, 71) ne dubitava. Per Filopono (71, 18) il riferimento
sarebbe all'anassagoreo Archelao.
Aristotele mostra poi come la teoria cinetica anassagorea non sia
del tutto equivalente a quella di Democrito, e ciò, a parte ogni altra
differenza, per la diversa posizione assunta dai due pensatori riguardo
alla relazione tra anima e intelletto. Lo Stagirita parte con la tesi
di Democrito (404 a 27-31; il passo è riportato da DK 68 A 101
[Il, 109, 8-12] ), il quale professa una totale identificazione di psyche
e nous. Tale identificazione trova il suo fondamento, secondo lo Sta-
girita, nell'assimilazione democritea di alethes e phainomenon, assi-
milazione che, sempre a parere di Aristotele, Democrito vedeva suf-,
fragata dall'autorità di Omero. Dall'identità di alethes e phaino-
menon lo Stagirita può ricavare la conseguenza che Democrito non

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NOTE Al> A2 233

considera l'intelletto un'autonoma dynamis 1tEpt "t'Ì}\1 ciÀi)DEt.a.\1


( 404 a 31 ), ma che appunto fa coincidere anima e intelletto. Soffer-
miamoci su alcuni particolari di questa testimonianza. Secondo Ari-
stotele, per Democrito il vero è il phainomenon, ossia ciò che appare
ai sensi di ciascun individuo; non c'è una verità intelligibile che sia
distinta da quella del fenomeno (cfr. anche De an. r 3, 427 h 3;
Metaph. r 5, 1009 a 38-b 17; GC A 2, 315 h 9-10). L'accusa a
Democrito di sensismo e relativismo non è però fondata. Sulla na-
tura intelligibile della verità 'autentica' cfr. DK 68 B 11 (Il, 140,
9 sgg.); per il 'fenomenismo' democriteo basato sul principio o~t.c;
aoi)Àw\1 "t"à cpa.t.\IOJ.lE\ICl dr. DK 68 A 111 (Il, 110, 28-30; cfr. inol-
tre Chemiss, Pres., 82; Alfieri, Atomo.r, 127; 155-7); sulle per-
cezioni come rispecchiamento di una situazione fisica oggettiva, ossia
delle modificazioni della composizione atomica dell'oggetto, cfr. GC
A 2, 315 h 9-15 e Cherniss, Pres., 82-3.
Il verso omerico citato in 404 a 30 si legge anche in Metaph.
r 5, 1009 h 29-30. Nella forma in cui è riportato da Aristotele,
non lo si trova nelle nostre edizioni di Omero. Esso ha un qualche
riscontro in Il. XXIII, 698, dove però aÀÀocppo\IÉW\1 è detto Eurialo,
vinto al pugilato da Epeo. Pertanto o si tratta di una citazione sba-
gliata (cfr. Alfieri, Gli Atomisti, 127 n. 316), imputabile forse allo
stesso Democrito (cfr. Ross, ad 404 a 29-30, 176 ), oppure l'errore
deriva dal testo omerico cui Aristotele o Democrito fanno riferi-
mento (cfr. Viano, in Metaph., 28.5 n. 4; su questo verso cfr. anche
Howes, Homeric Quotations, 230; 236-7). In base al cosiddetto
canone di Fitzgerald, secondo cui i nomi propri preceduti da arti-
colo designano personaggi letterari, con Ross (ad l.; ad 404 a 29-30,
176) in 404 a 29 si deve espungere "tÒ\1 prima di "0~-tT)P0\1 e in 404
a 30 si deve leggere b "Ex"twp. La ragione per cui, secondo lo Sta-
girita, Democrito loda Omero è perché quest'ultimo avrebbe am-
messo una sorta di soggettivismo sensistico (cfr. anche Metaph. r
5, 1009 h 28-33). In realtà Democrito doveva scorgere nell'esser
fuori di sé di Ettore per il colpo ricevuto, una conferma della
propria tesi della dipendenza del pensiero dallo stato equilibrato degli
atomi psichici nel corpo (dr. DK 68 A 135 [Il, 116, 27-32]; inoltre
Cherniss, Pres., 292 e n. 9; Alfieri, Atomos, 137).
Aristotele prosegue mostrando che la teoria anassagorea del-
l'anima come kinoun non s'accompagna, come nel caso di Democrito,
ad un'assoluta identificazione di notts e psyche ( 404 h 1-6; il passo
corrisponde a DK 59 A 100 [Il, 29, 23-7]). Laddove, infatti, af-
ferma Aristotele, Anassagora parla di un principio ordinatore del
mondo, lo individua nell'intelletto e non nell'anima. Ciononostante,
continua lo Stagirita, non mancano passi da cui risulta che Anassa-
gora assimila l'intelletto all'anima. In effetti (prosegue lo Stagirita)
Anassagora asserisce l'immanenza ( 404 h 3: \ntapxEt.\1) del nous in
tutti gli ~(i)a. Ora (continua Aristotele), con quest'affermazione egli

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234 NOTE AD A2

certamente non poté arrivare all'assurdo d'identificare il nous con


la phronesis ( 404 h 5 ), giacché quest'ultima (ossia la ragione teore-
tica e pratica) evidentemente (404 a 5: cpa.,vE~a.t.) è una facoltà rara-
mente e diversamente distribuita negli animali. Pertanto - lascia
capire Aristotele - quando Anassagora sostiene l'immanenza del
nous nei viventi, in realtà ha in mente la psyche e lo identifica con la
psyche. Ora è certo che Anassagora professa il xpa.-rEi:v del nous su
tutti gli esseri viventi (dr. DK 59 B 12 [Il, 38, 4-5]; 4 [Il, 34,
8-9] ). Che poi questo kratein equivalga ad un hyparchein è un'inter-
pretazione di Aristotele, suffragata peraltro da DK 59 B 11 (Il, 37,
13-4 ). In ogni caso la presenza del nous nei viventi non autorizza
la sua identificazione con la psyche come principio di movimento (dr.
404 a 25-6; 404 h 3 ). La psyche per Anassagora è infatti identica a
vita, soffio vitale, principio di sensibilità (presente anche nelle piante),
e non è assimilabile al movimento (dr. su ciò Lanza, Anassagora,
168 nota; 169 nota; 205 nota; 228 nota).
6
( 404 h 7-15). Sempre nell'ambito dello schema dell'anima co-
me principio di movimento e di conoscenza, Aristotele fa posto nella
sua esposizione ad un secondo gruppo di pensatori: quelli che, muo-
vendo dall'osservazione che l'essere animato (o, meglio, l'animale)
conosce e percepisce, conclusero che l'anima è il fondamento di tale
conoscenza, e, in base al principio secondo cui simile simili cogno-
scitur (dr. 404 h 17-8; dr. anche Metaph. B 4, 1000 h 5-6), che
dev'essere identica alla arche (od alle archai) degli oggetti conosciuti.
Il primo autore che viene ricordato è Empedocle, di cui si citano
tre versi (dr. anche Metaph. B 4, 1000 h 68 -8) rimasti famosi (404 h
8-15; il passo è riportato in DK 31 B 109 [I, 351, 17-22]; su Em-
pedocle dr. Bignone, Empedocle, passim; Reiche, Empedocle's Mixtu-
re, passim; Bollack, Empédocle, passim; Long, Thinking, 256 sgg.;
O' Brien, The Relation, 93 sgg. e Empedocle's Cosmic Cycle, passim;
Capizzi, Empedocle, in Zeller-Mondolfo, l, 5, 1 sgg.; Liith, Die
Struktur, passim,· Kahn, Religion, 3 sgg.; Gallavotti, Empedocle,
passim).
Lo Stagirita attribuisce ad Empedocle anzitutto la tesi della com-
posizione dell'anima mediante tutti gli elementi, elementi. che corri-
spondono ai quattro 'corpi semplici' e alle due forze motrici. Questa
tesi è però soltanto un'inferenza di Aristotele ricavata dai versi em-
pedoclei. Empedocle, infatti, non considera l'anima formata dagli
elementi, poiché la sua fisica non conosce un'anima distinta dal
corpo; egli si è limitato a dire che noi conosciamo ogni elemento
con l'elemento corrispondente presente nel nostro corpo. Certo,
Empedocle fa dipendere quella che noi potremmo chiamare 'at-
tività dell'anima' (compresa quella razionale) dalla composizione
elementare del corpo (dr. DK 31 B 105 sgg. [1, 350, 9 sgg.]), ~a
ciò non significa che per lui esista un'anima composta di tutti gli ele-
menti (su ciò dr. Zeller, in Zeller-Mondolfo, l, 5, 72 e n. 96; Theiler,

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NOTE AD A2 235

ad 404 b 7 sgg., 83 ). Del resto il termine psyche neppure figura nei


frammenti del suo poema fisico (nel poema lustrale- dr. DK 31 B
138 [1, 368, 3] - ha il senso omerico di 'vita'; dr. Bollack,
Empédocle, l, 81 nota; Gallavotti, Empedocle, 291). Parimenti an-
che la tesi che ciascun elemento è 'anima' è una deduzione dello
Stagirita. Dai versi empedoclei non risulta, infatti, che le sostanze
e le forze siano di per sé animate, ma soltanto che esse costituiscono
nell'uomo il fondamento della sua attività psichica (dr. Zeller, in
Zeller-MondoHo, I, 5, 37 n. 33; Cherniss, Pres., 293; dr. però
Capizzi, Empedocle, in Zeller-MondoHo, I, 5, 19). In definitiva i
tre versi significano che « gli elementi sono conosciuti da noi perché
sono in noi stessi; la verità cosmica si specchia nella verità umana»
(Bignone, Empedocle, 146 nota). Si tenga anche presente che l'Amore
e la Discordia sono 'sostanze-forze' e perciò possono entrare nella
composizione dei corpi (dr. Bignone, Empedocle, 477 nota).
7
(404 h 16-8). La seconda teoria dell'anima come principio di
conoscenza che Aristotele espone, è quella del Timeo. Lo Stagirita
riferisce che l'anima del Timeo, come quella di cui parla Empedocle,
è formata di a~Ot.XE~a ( 404 h 17). Che cosa intende Aristotele con
'elementi'? In Ti. 37 a 3-4 si sostiene che l'anima cosmica è una
mescolanza di tauton, thateron e ousia. Quest'asserzione è un rias-
sunto di Ti. 35 a l sgg. Ora l'esegesi più attendibile di quest'ultimo
passo, suggerita già da Proclo (in Ti. 187 d, II, 155 Diehl; III,
197 Festugière) e accolta da Comford (in Ti., ad 35 a, 59-66),
Taylor (Platone, 688; diversamente in Ti., ad 35 a 5-6., 108-9),
Cherniss (Plat. Ac., 409 n ..337) e Ross (ad 404 h 16-8, 177), è
che, dalla combinazione della ousia indivisibile con la ousia divisibile,
del tauton indivisibile con il tauton divisibile, e del thateron indi-
visibile con il thateron divisibile, furono formati la ousia intermedia,
il tauton intermedio e il thateron intermedio. Dalla combinazione di
questi tre ingredienti-mescolanze è stata fonnata l'anima cosmica. È
molto probabile che Aristotele, nel nostro passo del De Anima, faccia
riferimento proprio a Ti. 35 a l sgg., interpretandolo (a ragione) nel
senso che gli stoicheia dell'anima cosmica sono, in ultima analisi,
l' 'indivisibile' e il 'divisibile' (cfr. anche De an. A 3, 407 a 18-9;
inoltre Claghorn, Arist. Ti., 109; Saffrey, Le Perì philosophias,
5; Isnardi Parente, Per l'interpretazione, 153 n. 15). È, inoltre,
indubbio che lo Stagirita sia ben consapevole della diversità degli
stoicheia materiali di Empedocle rispetto agli 'elementi' di Platone
(cfr. 404 h 30 sgg.).
La tesi della struttura elementare dell'anima veniva inferita
( 404 h 17: ycip ), secondo Aristotele, anzitutto dal principio che
simile simili cognoscitur (su questo principio dr. Miiller, Gleiches,
passim). Che l'anima apprenda tò homoion è basato su Ti. 37 a
6 sgg., dove è detto che essa conosce il sensibile per mezzo del

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236 NOTE AD A2

circolo del thateron e l'intelligibile per mezzo dd circolo del tauton


(per un'applicazione del principio simile simili alla vista cfr. Ti.
45 c 4 sgg.).
L'altra premessa che conduceva alla dottrina del Timeo consi-
steva, secondo lo Stagirita, nella tesi che i 1tpd:yp,a.'t'a. ( 404 h 18)
sono formati di archai ( = stoicheia; dr. Metaph. N l, 1087 b 12-3).
Ora pragmata sono tutti gli oggetti di cui l'anima cosmica ha co-
noscenza: sia la classe degli onta che quella dei ghighnomena (dr.
Taylor, in Ti., ad 35 h 1-3, 110), i primi costituiti dal genere del-
l' 'indivisibile', i secondi da quello del 'divisibile'. Anima e pragmata
sono pertanto composti dei medesimi elementi primi: appunto l'in-
divisibile e il divisibile (cfr. su ciò Berti, La filosofia, 308-9).
8
404 b 18-27). Si tratta di uno dei passi più discussi del De
(
Anima. Le polemiche dei critici s'incentrano specialmente sulla pa-
ternità della teoria che vi è esposta, paternità che, ovviatnente, coin-
volge il significato dottrinale della teoria stessa. L'esegesi tradizio-
nale riconosce nel nostro testo la dottrina delle idee-numeri. Chi,
pertanto, ammette la platonicità di tale dottrina attribuisce il nostro
passo all'ultimo Platone, e precisamente al corso orale De bono.
Per questi autori il nostro testo è un estratto del dialogo aristotelico
De Philosophia (il brano corrispondente a 404 h 16-25 si legge in
De Philos. fr. 11 Ross ), nel quale veniva riferita una dottrina pla-
tonica esposta, appunto, nel De bono. Per la teoria delle idee-numeri
dr. Metaph. A 9, 991 h 9 sgg.; 992 h 13 sgg.; Z 11, 1036 h 13
sgg.; A 8, 1073 a 17 sgg.; M 4, 1078 h 9 sgg.; 6, 1080 a 12 sgg.;
N 2, 1090 a 2 sgg.; N 3, 1090 h 20-32; Teofrasto, Metaph. 6 h,
14 Ross-Fobes. Fra i sostenitori di questa prima interpretazione ri-
cordiamo Simplicio (28, 6 sgg.), Filopono (75, 34 sgg.), Robin (La
théorie, n. 273, § III, 304 sgg.), Saffrey (Le Perì philosophias,
passim), Ross (ad 404 h 18-27, 177-9) e Untersteiner (Aristotele,
Della filosofia, 147 sgg.). Ma non mancano coloro che (come Cher-
niss, Plat. Ac., 565 sgg.; Theiler, ad 404 h 21, 94-5; Dont, Platons
Spiitphilosophie, 73-5; dr. anche Shorey, Aristotle's .De Anima, 152;
Huby, De Anima, 14-5) ritengono che la teoria dei numeri ideali ab-
bia una paternità senocratea, e di conseguenza assegnano il nostro
passo a Senocrate (dr. frr. 5; 15; 39; 60 [anima come numero se-
movente] Heinze). Favorevole all'attribuzione del brano a Platone,
ma insieme anche a Senocrate, è Berti, Aristotele, 164-6.
In alternativa a queste due esegesi, altri critici escludono che
nel nostro testo sia contenuta la dottrina delle idee-numeri, e quindi
attribuiscono la teoria psicologica del nostro passo ad altri autori.
Cosi Kucharski (Étude, 11 sgg.; Aux frontières, 7 sgg.) assegna
tale teoria psicologica all'antico pitagorismo, per il quale i numeri
e le grandezze matematiche erano immanenti alle cose, e non realtà,
ideali separate (dr. Metaph. A 5, 985 h 23 sgg.; N 6, 1093 a 12;

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NOTE AD A2 237

Teone di Smirne, Exp. rer. math. 97-8 Hiller; Aezio, Pl. l, 3, 8


[Diels, Dox. 282-3 ]). Invece Isnardi Parente (Per l'interpreta-
zione, 146 sgg.), che respinge la platonicità della teoria dei numeri
ideali, rivendica la paternità del nostro testo al 'pitagorizzante' Speu-
sippo (il quale, com'è noto, rifiutò la teoria delle idee); cfr. frr. 4,
29, 30, 40, 42 c-d, 48 h Lang. Più di recente Isnardi Parente
(Platone, in Zeller-Mondolfo, II, III, l, 164) ha assunto una po-
sizione meno recisa, riconoscendo all'attribuzione a Speusippo un
grado di probabilità almeno uguale a quello dell'attribuzione a Se-
nocrate.
A mio avviso non ci sono ragioni cogenti che inducano a rifiutare
la platonicità del nostro passo. Il primo dato che balza agli occhi
è l'avvicinamento ( 404 h 18: ò~otwt;), operato da Aristotele, della
teoria che sta per esporre, al Timeo platonico, ciò che incoraggia a
interpretare au'tÒ 'tÒ ~{i)ov ( 404 h 19-20) sulla base di 'tÒ 8 la'tt.
~@ov di Ti. 39 e 8 (cfr. anche Ti. 31 h 2; 39 e 1-2). In verità l'as-
similazione, compiuta da Isnardi Parente (Per l'interpretazione,
156-7), di autò tò zoon allo ~ii)ov identico a psyche di Metaph.
H 3, 1043 a 34-5 (cfr. anche Top. E 7, 137 h 11: au'to~ii)ov; Pla-
tone, Phd. 105 c 8 sgg.), con ]a conseguente identificazione di
autò tò zoo n con 'autentico vivente', 'soggetto del conoscere' e
'anima', mi sembra troppo ardita. Se autò tò zoon e il successivo
'tà. aÀÀa. ( 404 h 21) si leggono nella maniera più aderente alla dot-
trina del Timeo, non possono che significare, rispettivamente, 'idea
del vivente' e idee specifiche dei viventi: celesti, aerei, acquatici e
terrestri (cfr. Ti. 30 c 7-9; 39 e 3 sgg.). Inoltre, la composizione
quadripartita dell' 'idea del vivente' viene presentata dal nostro
testo come una composizione di numeri ( 404 h 20-1 ), e non (cosl
Isnardi Parente, Per l'interpretazione, 155), in termini speusip-
pei, come una commistione dello eidos dell'uno e delle dimensioni
spaziali; composizione di numeri, e di numeri ideali (cfr. 404 h
21-4 ). Da tali numeri sono costituite, appunto, l'idea del vivente e
tà alla, e, pertanto, l'intera realtà inteUigibile ha un'identica strut-
tura matematica (su ciò cfr. Berti, La filosofia, 309-10). Fin qui
l'aspetto 'oggettivo' della dottrina in questione, ossia l'analisi del-
l'oggetto del conoscere.
A ciò segue l'aspetto 'soggettivo', ovvero l'attenzione al sog-
getto del conoscere, e precisamente a quattro funzioni conoscitive del-
l'anima, ciascuna delle quali, daccapo, viene riportata ad un 'nu-
mero' ( 404 h 21-4 ). Ora Platone considerò il due, il tre e il quattro
come 'numeri ideali' rispettivamente della linea, del piano e del
solido (dr. Metaph. N 3, 1090 h 20-4), sicché l'assegnazione, nel
nostro passo, dei primi quattro numeri ideali alle facoltà psichiche
e, insieme, del due, del tre e del quattro alla linea, al piano e al
solido, non può far pensare che a Platone (dr. su ciò Ross, Plato's
Theory, 208-14). Una conferma di ciò viene dal fatto che le quattro

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238 NOTE AD A2

facoltà conoscitive di cui si parla in 404 h 21-4 hanno un colorito


nettamente platonico (dr. Smp. 210 c 7; Phlb. 66 h 5 sgg.; R. VI,
511 d 7 sgg.; 533 e 4 sgg.; IX, 585 h 14 sgg.; Tht. 151 e l sgg.;
Prm. 155 d 6-8; Ti. 28 h 9-c 2; 37 h 3 sgg.; 51 d 3 sgg.; inoltre
Untersteiner, Aristotele, Della filosofifl, 159; 161 ). Che poi l'in-
telletto s'identifichi con l'uno si spiega con la capacità del nous d'in-
tuire un'unica idea corrispondente a molti oggetti (dr. Wallace,
ad 404 b 18, 206; Ross, Plato's Theory, 214). Dell'assimilazione
della scienza al due dà spiegazione Io stesso Aristotele: la scienza è
il due, perché il ragionamento deduttivo muove, come una linea
retta, da un certo dato (dr. Ross, Plato's Theory, 214) o, meglio,
dalle premesse o da un principio (cfr. Temistio, 12, 9; Filopono,
79, 27; Wallace, ad 404 h 18, 206; Isnardi Parente, Per l'in-
terpretazione, 155), per giungere a una data conclusione (dr. anche
De an. A 3, 407 a 26-9). L'opinione è il tre, giacché, partendo da
una data premessa, può arrivare ad una conclusione vera o falsa
(dr. Temistio, 12, 9-11; Simplicio, 29, 6-8; Filopono, 79, 28-30);
o perché, come da un punto su un piano si possono tracciare in-
finite linee, cosi, da un dato dell'opinione, si può ricavare un qual-
siasi numero di conclusioni (dr. Ross, Plato's Theory, 215). Infine
la percezione è connessa con il numero quattro, per il motivo che
gli oggetti del mondo sensibile sono solidi, e il quattro è il numero
dei solidi (dr. Platone, Lg. X, 894 a 1-5; inoltre Filopono, 78,
21-4; Ross, Plato's Theory, 215). Se cosi stanno le cose, il paral-
lelismo tra 404 h 19-21 e 21-4 risulta evidente e, insieme, in sé
concluso: secondo il principio simile simili cognoscitur (dr. 404 h
17-8), nella realtà conosciuta e nel soggetto conoscente v'è un'iden-
tità di struttura matematica.
Dopo la citazione della teoria in questione comincia il commento
( 404 h 24: yap) di Aristotele, commento che, peraltro, è condotto
in termini strettamente aderenti alla dottrina medesima. In parti-
colare viene affermata l'equivalenza di numeri, idee (Et81]) e prin-
cipi (404 h 24-5; dr. anche Metaph. A 9, 991 h 9; 992 h 15-6; A
8, 1073 a 18-9; M 4, 1078 h 9-12; 6, 1080 a 12-4; N 2, 1090 a
4-6), e si stabilisce che gli stessi numeri ideali, che costituiscono i
'principi', a loro volta sono composti di 'elementi' (404 h 25).
Questi elementi o principi dei numeri (e quindi di tutta la realtà)
sono l'Uno e la diade indefinita, che Platone (nel suo corso orale
De bono relazionato da Aristotele; cfr. De bono fr. 2 Ross) quali-
ficava rispettivamente come 'indivisibile' e 'divisibile' (dr. Robin,
La théorie, n. 274, § II, 310-1 ). Da questo punto di vista il De
bono (e quindi il nostro testo) rappresenta un coerente sviluppo del
Timeo e della sua teoria dei principi ameriston-meriston (dr. Ti. 35
a l sgg.; inoltre Saffrey, Le Perì philosophias, 5).
9
(404 h 27-30). La rassegna delle dottrine psicologiche ricon-

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NOTE AD A2 239

ducibili allo schema dell'anima come principio cinetico e conosci-


tivo, si chiude con un cenno a Senocrate, la cui teoria dell'anima
come numero semovente rappresenta, si potrebbe dire, il 'giusto
mezzo' in rapporto a detto schema, giacché in essa avviene una
composizione dell'aspetto cinetico con quello gnoseologico. Il no-
stro passo è accolto in Senocrate, fr. 60 (181, 28-30) Heinze.
In 404 h 28 leggo, con Torstrik (ad l.; ad 404 h 28, 117) e
Ross (ad l.; ad 404 b 28, 179) yvwpt.a't't.XÒ'V ov,;w~. Questa clau-
sola evidentemente allude alla composizione dell'anima mediante
elementi ed al principio simile simili cognoscitur (dr. 404 b 8 sgg.).
Come spiega Isnardi Parente (Per l'interpretazione, 166-8), Seno-
crate combinò i due momenti" fondamentali della teoria platonica
dell'anima: quello dell'autocinèsi (esposto nel Fedro e nelle Leggi;
dr. 404 a 20-5), e quello della formazione dell'anima in base ad
elementi (esposto nel Timeo; dr. 404 b 16-8; dr. ·però anche De
an. A 3, 406 h 26 sgg.) interpretato in senso matematico.
10
(404 h 30-405 a 13). Dopo Io schema dell'anima come prin-
cipio di movimento e di conoscenza ( 403 h 25-404 h 30), Aristotele
fa intervenire un secondo schema (404 h 30- 405 h 10), che espone
le dottrine psicologiche dei predecessori in base alle loro concezioni
delle archai dell'universo. Anche questo secondo schema è bipartito,
riguardando sia la natura (corporea, o incorporea, o insieme cor-
porea e incorporea) sia il numero delle archai. L'esposizione di tali
dottrine reintroduce peraltro sia il momento cinetico ( 405 a 4 sgg.)
sia quello gnoseologico ( 405 a 18 sgg.), facendo in tal modo valere
entrambi i parametri impiegati nel primo schema.
Cominciamo da 404 b 30-405 a 5. Come ha mostrato Cherniss
(Pres., 295), Ot.aq>Épo'V't'at. ( 404 h 30) si riferisce a tutti i predeces-
sori dello Stagirita, nel senso che, sia che fossero convinti della
funzione percettiva o di quella motrice dell'anima, sia che consi-
derassero i principi uno o molti (dr. anche 404 h 10-1), materiali
o immateriaU, materiali e immateriali insieme, essi davano una
spiegazione dell'anima che corrispondeva alle loro teorie sui principi
dell'universo (dr. anche 405 h 11-2; inoltre Ph. A 2, 184 h 15 sgg.;
Metaph. A 3, 984 h l sgg.). Ritengono che i principi siano mate-
riali, ad es. Democrito (dr. 405 a 8 sgg.), Talete (dr. 405 a 19
sgg.) ed Eraclito (cfr. 405 a 25 sgg.); considerano invece i prin-
cipi come immateriali i Pitagorici, Platone e Senocrate. In ot p,~ç,a'V­
't'E~ (405 a l) si possono scorgere Empedocle (i quattro elementi
e le due forze), lo stesso Democrito (gli atomi e il vuoto) e spe-
cialmente Anassagora (le omeomerie e il nous; dr. 405 a 13 sgg.).
Dopo U1tEt.À1)cpacn'V ( 405 a 5), con Bonitz (Zur Erklarung, 420-1),
Hicks (15; ad 405 a 4, 226) e Ross (173; ad 405 a 4-5, 179-80),
sottintendo TÌ}'V ~Xi}'V o TÌ}'V ~X'Ìl'V El'Vat. (cfr. anche Metaph. A 3,
984 h 6-7; Platone, Lg. X, 892 c 2-5).

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240 NOTE AD A2

E veniamo a 405 a 5-13 (il passo corrisponde a Democrito DK


68 A l Ol [II, l 09, 12-8] ). Con "t t.vÉç ( 40 5 a 5) Aristotele allude
ai sostenitori della natura ignea dell'anima: a Democrito, e inoltre
ad Eraclito ed agli Eraclitei (dr. De Ley, On Aristotle, 609 n. 25).
Theiler (ad 405 a 5, 95) pensa al pitagorico lppaso (DK 18 A 7
[I, l 09, 5 sgg.] ). Per la spiegazione della scelta del fuoco ( 40 5 a
6-7) cfr. anche Metaph. A 8, 988 h 34 sgg. In 405 a 7 &.awlJ,a."toç,
diversamente da 404 h 31 (dove ha il significato di 'immateriale'),
è sinonimo di ÀE1t"tOlJ,Epi)ç (cfr. 40 5 a 6). Riguardo al passo dedi-
cato particolarmente a Democrito ( 405 a 8-13 ), si osservi che "tOU-
"tWV Èxa"tEpo'J ( 405 a 9) va riferito alla sottigliezza e mobilità del-
l'anima. L'identificazione di anima e intelletto ( 405 a 9), che in
404 a 28 sgg. veniva inferita dal 'fenomenismo' democriteo, qui
è fondata sull'identità della loro struttura fisica ( 405 a lO; cfr.
anche Resp. 10, 472 a 6-8; Metaph. r 5, 1009 h 13). Tuttavia, a
parte il livello ontologico, la distinzione funzionale tra psyché-sen-
sibilità e nous è in Democrito, come abbiamo visto (dr. supra 233),
molto netta. In 405 a 10 "tOU"tO si applica all'anima-intelletto. Dalla
minutezza e sfericità degli atomi della psyche-nous viene dedotto il
suo esser kinetikon ( [ 405 a 10] termine, come osserva Ross, ad
405 a 4, 180, che qui va preso in senso attivo e riflessivo) ed
eukinetotaton ( [ 405 a 12] con significato riflessivo).
11
405 a 13-21 ). Nello schema 'anima-archai' Anassagora ( 405
(
a 13-9; questo testo è contenuto in DK 59 A 100 [Il, 29, 27-31])
e Talete (405 a 19-21; il passo si trova in DK 11 A 22 [1, 79,
28-30]) sono introdotti a mo' di digressione. Iniziamo da Anassa-
gora. Proteron ( 405 a 14) rimanda a 404 h l sgg. L'interpretazione
della clausola apxi)'J YE "tÒ'J 'JOU'J "tLl)E1:aL p.alt.a"ta 1ta'J"tWV ( 40 5 a
15-6) è controversa. Secondo T e mis t io ( 13, 15-6), Sofonla ( 15,
26), Rodier (l, 23; II, ad 405 a 14, 66-7), Siwek ( 63 ), Theiler
( 10), }annone-Barbotin (ad l.) e Lanza (Anassagora, 171 ), essa si-
gnifica che l'intelletto è principio di tutti gli esseri, e in particolare
degli esseri viventi (cfr. DK 59 B 12 [Il, 38, 4-.5]). Ma forse, con
Simplicio (31, 18), Filopono (85, 34), Hicks (17; ad 40.5 a 15,
228-9), Cherniss (Pres., 296), Ross ( 173) e Laurenti ( 40), è pre-
feribile considerare malista panton un'enfatizzazione di malista (cfr.
anche Metaph. A 9, 991 a 8; B 4, 1001 a 22), nel senso che
è preminentemente il nous (piuttosto che la psyche) a fungere da
principio (cosmologico). Si noti, con Lanza (Anassagora, 170 nota),
che Aristotele riproduce nel nostro passo alcuni termini anassa-
gorei: amighes ( = JJ.ÉlJ,ELX"ttXL ouÒE'JL XPillla"tt.), katharos, ghinoskein,
kinein (cfr. DK 59 B 12 [Il, 37, 19; 38, 2; 9]; 13 [Il, 39, 14]),
mentre haplous è un'espressione aristotelica (cfr. Metaph. à 5,
1015 h 12).
E veniamo a Talete (sugli !onici cfr. Mondolfo, /onici, in Zeller-

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NOTE AD A2 241

MondoHo, l, 2, 99 sgg.; Maddalena, /onici, passim; Colli, La


sapienza, II, 105 sgg.; 283 sgg.; su Talete dr. Classen, Thales1
930 sgg.; Wisniewski, La philosophie, 168 sgg.). Questo l'anda-
mento dd nostro passo: (a) se la calamita ( 405 a 20: i) l'D~, la
pietra magnesia) ha l'anima, (b) perché è kinetikon, (c) allora l'anima
è kinetikon. Le clausole (a) e (b) sono quanto la tradizione attribuiva
a Talete. Però, mentre la (b) corrisponde alla concreta osservazione
del magnete effettuata da Talete (cfr. tuttavia Classen, Thales,
941), la (a) probabilmente è una deduzione operata dalla tradizione
e accettata da Aristotele, sia pure con cautela (cfr. DK 11 A l [1,
68, 10-2]; si tenga anche conto che EL1tEP [ 405 a 20; cfr. anche 405
a 26] di solito preannuncia un'accettazione: cfr. Denniston, The
Greek Particles, 223 n. l; 488 n. 1). Talete deve aver parlato sol-
tanto di forze agenti che governano anche la natura non vivente
(cfr. De an. A 5, 411 a 7-8; inoltre Classen, Thales, 941). La (c),
infine, è un'evidente generalizzazione dello Stagirita (cfr. Jaeger,
La teologia, 33-4; 54 n. 10; Guthrie, Aristotle, 249).
12
405 a 21-5). Dopo i sostenitori della natura ignea dell'anima
(
( 405 a 5-13 ), come rappresentante della teoria dell'anima costituita
di aria viene citato Diogene di Apollonia (il nostro testo è riportato
da DK 64 A 20 [1, 56, 31-57, l]; su Diogene cfr. Diogenes, 233
sgg.; Laurenti, Gli epigoni, 67 sgg). Fra gli heteroi ( 405 a 21),
Aezio (Pl. 4, 3, 2 [Diels, Dox. 387 h 10-1 ]) fa rientrare Anassi-
mene (cfr. DK 13 B 2 [1, 95, 17-9]); su questo nome insistono
anche Cherniss (Pres., 297 n. 28) e Theiler (ad 405 a 19, 95).
Riguardo all'aria come leptomerestaton e arche ( 405 a 22), Mad-
dalena (/onici, 280-2 nota) pensa che per Diogene l'aria era for-
mata di atomi (cfr. DK 64 A 5 [Il, 52, 31-2]; 23 [Il, 57, 10-1];
Leucippo 67 A 32 [Il, 79, 13-7]), ed era 'principio' in quanto
termine dell'evoluzione del principio primo o 'medesimo' (cfr. DK
64 B 2 [Il, 59, 17-60, 6]), e in quanto essa sola era dotata d'in-
telligenza ordinatrice (cfr. DK 64 B 4-5 [Il, 60, 19-62, 10] ). Che
per Diogene l'anima abbia una funzione motrice ( 405 a 23) è una
deduzione di Aristotele da kybernasthai e kratein (questo secondo
verbo era già stato usato da Anassagora per il nous; cfr. supra 234)
di Diogene (dr. DK 64 B 5 [Il, 61, 6]). Ma l'intero discorso di 405
a 23-5 è un'inferenza dello Stagirita, nel suo sforzo d'interpretare
la teoria de] suo predecessore (cfr. Hicks, ad 405 a 23, 230).
13
405 a 25-b 1). In un secondo excursus compaiono Eraclito
(
ed Alcmeone. Cominciamo dal primo ( 405 a 25-9; il testo corri-
sponde a DK 22 A 15 [1, 147, 24-5]; su Eraclito dr. Madda-
lena, Eraclito, 309 sgg.; Walzer, Eraclito, passim; Verdenius,
A Psychological, 115 sgg.; Kirk, Heraclitus, passim; MondoHo,
Eraclito, in Zeller-Mondolfo, l, 4, passim; Axelos, Héraclite, pas-
sim; Marcovich, Herakleitos, 246 sgg.; MondoHo-Taran, Eraclito, pas-

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242 NOTE AD A2

sim ). Ka.t 'HpcixÀEt."t'O~ ( 405 a 25) si ricollega all'anima-principio di


Diogene. Questa la struttura dell'argomentazione sull'anima arche e
anathymiasis (termine, quest'ultimo, probabilmente non eracliteo:
dr. Kirk, H eraclitus, 27 3): se l'anima è esalazione, e l'esalazione
è il principio da cui sono derivate tutte le cose, allora l'anima è il
principio ( 405 a 25-6). Per l'identificazione eraclitea dell'anima con
l'esalazione ( = fuoco) cfr. DK 22 B 118 (l, 177, 4-5). Per l'anima
asomatotaton ( 405 a 27) cfr. 405 a 7. Da 405 a 27-9 risulta che,
secondo Aristotele, «per Eraclito il movimento dell'anima è neces-
sario alla conoscibilità del flusso universale» (Mondolfo, in Mon-
doHo-Taran, Eraclito, 143). In questa tesi Hicks (ad 405 a 27,
231), Cherniss (Pres., 298), Theiler (ad 405 a 19, 95) e Miiller
(Gleiches, 10 n. 33) hanno visto un'applicazione del principio simile
simili cognoscitur. Invece per Mondolfo (in Mondolfo-Taran, Era-
clito, 143; cfr. anche CLXXII), la testimonianza aristotelica non
riguarda l'attrazione dei simili, ma, al contrario, un elemento di an-
titesi (cfr. Teofrasto, Sens. l [Diels, Dox. 499, 1-4] ): l'antitesi
fra l'anima che, nel muoversi, è prima e superiore, e tutti gli altri
esseri in movimento (cfr. però 405 h 14 sgg.). Per en kinèsei tà onta
(405 a 28) cfr. DK 22 A 6 (1, 145, 27-31). Nei polloi (405 a 29)
Hicks ( 17) e Cherniss (Pres., 298) scorgono la maggior parte dei filo-
sofi, mentre Theiler (11; ad 405 a 19, 95; cfr. anche Ross, 173) l'opi-
nione corrente, anche non filosofica, combattuta da Parmenide.
E veniamo ad Alcmeone ( 405 a 29-b l; questo passo si legge
in DK 24 A 12 [l, 213, 17-21]; su Alcmeone cfr. Martano, La
dualità, 37 sgg.; Ebner, Alcmeone, 25 sgg.; Dorrie, Alkmaion,
22 sgg.). OÙ'tot. ( 405 a 29) sono Talete, Diogene e specialmente
Eraclito. A quest'ultimo, Aristotele ha appena attribuito la conce-
zione dell'anima come pÉov àEl (405 a 27), e ciò gli suggerisce d'in-
trodurre a questo punto anche la teoria alcmeoniana dell'anima aei-
kinetos (dr. 405 a 32)~ Eoikenai (405 a 31) mostra che Alcmeone
applica il metodo analogico dei Pi tagorici: egli si sforza di ricon-
durre il problema metempirico dell'anima ai dati dell~esperienza (cfr.
Timpanaro Cardini, Pitagorici, l, 140 nota). Athanatos ( 405 a 30)
e aei kinoumene ( 405 a 32) indicano la persistenza in Alcmeone
della credenza tradizionale nell'anima eterna, d'origine divina e
sempre in movimento, credenza che egli probabilmente non avverte
in contrasto con la sua nuova concezione del cervello, principio ege-
monico immobile e mortale (cfr. DK 24 A 11 [1, 213, 11-6];
inoltre Timpanaro Cardini, Pitagorici, I, 140-1 nota). l:vvExW<;
( 405 a 32) vien detto in senso non solo temporale, ma anche
spaziale, giacché «gli astri e gli spazi interposti (che sono anch'essi
corpo; dr. Scuola pitagorica DK 58 B 30 [1, 459, 32-460, 6]) co-
stituiscono un sistema unico, spazialmente ininterrotto» (Timpa-
naro Cardini, Pitagorici, l, 141 nota). In definitiva, se Alcmeone ·
dice altrove (cfr. DK 24 B 2 [1, 215, 4-6]) che gli uomini muoio·no

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NOTE AD A2 243

perché non sanno congiungere il principio con la fine (qui è a tema


lo sviluppo biologico dell'uomo, che è irreversibile; cfr. su ciò
Cherniss, Pres., 299 n. 32), allora l'anima immortale (a somiglianza
degli astri) dev'essere capace di congiungere il principio con la fine
(cfr. Maddalena, I Pitagorici, 142 n. 5).
14
(405 h 1-10). Ippone (405 h 1-5; questo testo è citato in DK
38 A 10 [I, 386, 7 sgg.]; su Ippone dr. Laurenti, Gli epigoni,
67 sgg.), come in certo modo anche Crizia ( 405 h 5-8; il passo
corrisponde a DK 88 A 23 [Il, 375, 24-6]), è nominato come
sostenitore della tesi dell'anima formata d'acqua. Per la connessione
di acqua e seme (405 h 3) dr. anche Metaph. A 3, 983 b 26 (con
il riferimento a Talete). Con of. cpciaxoV't'Eç ( 405 h 4), secondo Diels
(in DK, I, 283 nota ad l.) e Chemiss (Pres., 299 n. 34 ), lo Stagi-
rita allude ad Empedocle (dr. DK 31 B 105 [1, 350, 15]). Per
Bignone (Empedocle) la polemica di Ippone toccava, piuttosto che
Empedocle direttamente, la scuola medica siciliana, e in particolare
Filistione (312 n. 2; 340 n. 3), la quale scuola, ispirandosi ad Em-
pedocle, enunciò la teoria dell'anima-sangue, e con questa influl su
Crizia (257). Secondo Bignone è notevole che in 405 h 6 si nomini
Crizia e non Empedocle, cronologicamente anteriore e più famoso,
come assertore di questa dottrina dell'anima-sangue. Da parte loro,
Reiche (Empedocle's Mixture, 15-9) e Theiler (ad 405 a 19, 95)
sostengono che l'avversario Q.i!'Ippone va individuato nel solo Crizia.
L'argomento polemico di IpJ)one è cosl strutturato: l'anima è seme,
ma il seme non è sangue (giacché proviene dal midollo; cfr. DK
38 A 12 [1, 386, 35-7]), dunque l'anima non è sangue. La proté
psyche (405 h 5) è appunto l'anima che deriva dal seme (cfr. DK
38 A 3 [I, 385, 17-21]; per quest'espressione cfr. anche De an.
B 4, 416 h 25: la prima anima =anima riproduttiva; Resp. 14,
474 a 31).
Il sofìsta Crizia adotta l'opinione che Empedocle (cfr. DK 31 B
105 [I, 350, 13-5]) profes~ava sul pensiero, ma lo chiama anima
(cfr. Bollack, Empédocle, I, 262 n. 1). Per Crizia la percezione
è dovuta alla natura del sangue, giacché per lui il sangue doveva
essere una mescolanz~ di tutti gli elementi (cfr. Empedocle DK 31
A 86 [I, 302, 22-4]: il phronein dipende dal malista kekrasthai
degli elementi nel sangue; per l'insensibilità delle parti corporee
prive di sangue dr. De an. A 5, 410 a 30 sgg.). Sulla dipendenza
di Crizia direttamente da Empedocle, oppure tramite la scuola me-
dica siciliana (dr. Bignone, Empedocle, 257 n. 3), o tramite Gorgia
(che fu discepolo di Empedocle e maestro di Crizia), cfr. Battegaz-
zore, in Untersteiner, Sofisti, IV, 24 5 nota.
L'eccezione della terra (405 h 8-9) è segnalata anche in ~fetaph.
A 8, 988 h 30; 989 a 5 sgg. Nel -t~ di 405 h 9 si deve scorgere
Empedocle (cfr. 404 h 11-5) ed anche Crizia.

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244 NOTE AD A2

15
405 h 11-29). In questo passo Aristotele fa comparire un
(
terzo schema con cui catalogare le dottrine dei suoi predecessori,
uno schema che in certo modo contiene e riassume i due precedenti,
quello cinetico-gnoseologico e quello dei principi, di quest'ultimo
rimanendo evidenziato l'aspetto dell'incorporeità. Cominciamo da
405 h 11-9. Il senso di 405 h 11-2 è che, siccome nessuna teoria
dell'anima mette in luce una caratteristica diversa dalle tre ivi enun-
ciate, tutte queste teorie sono basate su una o più di tali caratte-
ristiche (dr. Hicks, ad 405 h 11-2, 234; Ross, ad 405 h 11-6,
182). Per kinesis e aisthesis cfr. 403 h 25-7; per asomaton cfr. 404
h 31 ( = 'immateriale'); 405 a 7 e 27 ( = leptomeres). La connes-
sione fra le tre proprietà dell'anima e le arehai asserita in 40 5 h 12,
in realtà viene verificata soltanto nel caso delle dottrine che consi-
derano l'anima nella sua funzione conoscitiva, e che si basano sul
principio simile simili cognoscitur ( 405 h 13-9). Identificano l'anima
con un elemento (405 h 13) Democrito, Diogene, Eraclito e lppone;
la ritengono formata da tutti gli elementi ( 405 h 13-4) Empedocle
e Platone. Lo Elc; di 405 h 15 è Anassagora. In 405 h 15-9 si
riprendono 404 h 8-11 e 405 a 2-4.
Su Anassagora lo Stagirita ritorna in 405 h 19-23 (il passo cor-
risponde a DK 59 A 100 [Il, 29, 31-2]). L'importanza di Anassa-
gora è d'aver separato il nous dagli stoicheia (cfr. Lanza, Anassa-
gora, 171 nota; sulla dottrina anassagorea della sensazione come pro-
dotta per mezzo di contrari cfr. DK 59 A 92 [Il, 27, 31-2]; Em-
pedocle DK 31 A 86 [l, 301, 23-4 ], dov'è nominato anche Eraclito).
Che il nous sia apathes ( 405 h 20) è un'interpretazione di Aristo-
tele della natura 'non mescolata' del nous anassagoreo (cfr. su ciò
Cherniss, Pres., 301 ). L'aporia prospettata in 405 h 21-3 si ri-
presenterà in De an. r 4, 429 h 22 sgg. per la stessa teoria aristo-
telica dell'intelletto.
Nell'ultima parte del nostro testo, Aristotele riespone le dot-
trine dell'anima come composta di elementi, riconducendole alle
rispettive dottrine dei contrari ( 405 h 23-9; questo passo si legge
in lppone DK 38 A 10 [I, 386, 8-12] ). In ~aot ( 405 h 23) si
deve vedere specialmente Empedocle e la sua teoria dei quattro ele-
menti. Fra i sostenitori del thermon (405 h 25; 27) va ricordato
Eraclito (ed anche Democrito); fra quelli dello psychron (405 h 25;
28) lppone. Per la dipendenza delle teorie psicologiche dalle ricerche
etimologiche (405 h 26-7) dr. anche Platone, Cra. 399 d 10-e 3;
401 d l sgg. (allusione agli Eraclitei; cfr. Taylor, Platone, 134 );
436 a 9-b 2. Per Ippone (dr. 405 h 28-9) cfr. Maddalena (I onici,
232-3 nota): Ippone ha ammesso che la sostanza dell'anima è l'acqua
(dr. 405 h 1-5), ma l'acqua che si manifesta come umido aereo.
In 405 h 28 accolgo dopo ~vxpov l'aggiunta di Otà 't'O proposta da
Ross (ad l.; ad 405 h 26-9, 183; cfr. anche Sofonla, 15, 21-2).

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245

NOTE AD A 3

1
SoMMARIO. - A) Premessa: movimento kath' hautò e movi-
mento kath' heteron. B) Nove obiezioni alle dottrine che affermano
che l'anima si muove 'per sé'. L'autocinèsi dell'anima comporta
le seguenti assurde conseguenze: (l)- (2) l'esistenza spaziale della
psyche; (3) l'ammissione nell'anima di movimenti per costrizione;
( 4) l'identificazione della psyche con i quattro elementi materiali;.
(5) l'uscita e il ritorno dell'anima nel corpo. Si aggiunga che l'auto-
movimento dell'anima ( 6) non può essere ricondotto all'azione di
una causa esterna; (7) implica per la psyche la perdita della sua es-
senza; (8) rende impossibile lo stato di quiete dell'animale; (9) con-
trasta col finalismo del comportamento animale. C) Otto obiezioni
alla psychogonia del Timeo: (l) l'anima cosmica, in quanto identica
al nous, non può essere una grandezza spaziale; (2) se lo fosse, la
conoscenza le sarebbe impossibile od estremamente problematica.
Quest'anima-intelletto comporta ( 3) l'infinita circolarità del pensiero
e (4) la ripetizione della conoscenza dello stesso oggetto. Il moto
dell'anima (5) non è consistente con la natura del sapere (teoretico,
'contemplativo') come stabile possesso e ( 6) non può essere non
essenziale; (7) l'unione inseparabile dell'anima-nous con il corpo del
cosmo dev'essere per lei dolorosa e indesiderabile. Infine ( 8) il
Timeo non indica chiaramente né la causa efficiente né quella :finale
del moto rotatorio del cosmo. D) Una critica alla maggior parte
dei predecessori, e specialmente a Platone e ai Pitagorici: essi igno-
rano la stretta relazione esistente tra anima e corpo.
2
(405 h 31-406 a 12). Nella prima parte del capitolo (405 h 31-
406 h 25) Aristotele sottopone a critica le dottrine cinetiche in ge-
nerale, ossia tutte quelle teorie che considerano l'anima un 'motore
mosso'. Il nostro passo funge da introduzione a tale critica.
Per taw~ (405 h 31) dr. anche De an. A l, 402 a 23. Per la
distinzione tra 'falso' e 'impossibile' ( 405 h 32-406 a 2) cfr. Me-
taph. 9 4, 1047 h 12-4: che un uomo, che per ipotesi sta seduto,
stia in piedi è falso, ma non impossibile; inoltre Mignucci, La teoria,
117 sgg. Nella tesi esposta in 405 h 32-406 a 2 va scorta special-
mente la posizione di Platone (cfr. De an. A 2, 404 a 20-5); per
dynamenon kinein (406 a 1-2) cfr. Platone, Lg. X, 896 a 1-2; inoltre
Cherniss, Plat. Ac., 391 n. 311. Proteron (406 a 3) rimanda a
De an. A 2, 403 h 28-31; dr. anche Ph. 8 5, 256 h 20 sgg. Sulla
distinzione fra movimento kath' hautò e movimento kath' heteron
( 406 a 4-8) cfr. Ph. E l, 224 a 21 sgg.: movimento per sé e mo-
vimento per accidente (per la teoria aristotelica della kinesis dr.
Giacon, Il divenire, passim; Schramm, Die Bedeutung, passim;
Ackrill, Aristotle's Distinction, 121 sgg.; Peck, Aristotle, 478 sgg.).
Per badisis (406 a 9) dr. anche PA A l, 639 h 3; EN K 4, 1174

Baruch_in_libris
246 NOTE AD A3

a 31. In 406 a 10 leggo ~o~E ( = in quella circostanza; ossia ai


naviganti in quanto tali); Ross (ad l.; 183; ad 406 a 8-10, 186)
accoglie la variante ~oSE. Per metechei kineseos (406 a 12) dr. anche
406 a 21-2.
3
406 a 12-b 5). Sono queste le prime cinque delle nove obie-
(
zioni che Aristotele rivolge contro le teorie le quali ammettono che
l'anima si muove 'per sé', per sua natura. La discussione condotta
dallo Stagirita non tiene conto della differenza che vi è, nell'ambito
delle dottrine cinetiche dell'anima, fra la concezione della psyche
come entità corporea (concezione sostenuta specialmente da Demo-
crito) e la tesi dell'immaterialità dell'anima (professata soprattutto
da Platone). Ma cominciamo dalla prima obiezione ( 406 a 12-6). Ri-
guardo a 406 a 12-3, è noto che la phorà è il movimento locale,
la auxesis e la phthisis sono le due forme del mutamento quantita-
tivo, e la alloiosis è il mutamento qualitativo; dalla kinesis propria-
mente detta vengono invece escluse la ghenesis e la phthorà (su ciò
cfr. Ph. E l, 225 a 26 sgg.; 9 7, 260 a 26 sgg.; Metaph. K 12, 1068
a 8 sgg.). Per llTJ Xt.l~CÌ. avp,~E~T)x6c; ( 406 a 14) dr. P h. B l, 192
b 22 sgg. Per l'affermazione che le quattro forme di movimento
elencate in 406 a 12-3 implicano un luogo o spazio ( 406 a 16) dr.
Ph. 8 7, 260 h l sgg.; sulla teoria aristotelica dello spazio dr.
Moreau, L'espace, 11-85.
Come ha mostrato Wallace (ad 406 a 12, 211), la seconda
obiezione ( 406 a 16-22) costituisce la. risposta ad una possibile
controbiezione degli avversari. Non si può superare la difficoltà del-
l'esistenza spaziale dell'anima (difficoltà evidenziata nella prima obie-
zione), sostenendo che Io spazio è un attributo del movimento di
entità quali il colore e la dime~sione. Questo - dice Aristotele -
è vero, ma il movimento di tali entità è puramente accidentale, mentre
per le teorie in questione il movimento è una caratteristica essen-
ziale dell'anima. Sulla distinzione tra il movimento di un oggetto e
quello (meramente accidentale) delle sue proprietà dr. Ph. a 4,
211 a 22-3.
La terza difficoltà ( 406 a 22-7) si fonda sulla dottrina dei quattro
elementi o corpi semplici, terra, acqua, aria e fuoco, ciascuno dei
quali ha un suo moto naturale rettilineo, verso l'alto dal centro
dell'universo alla circonferenza, o verso il basso dalla circonferenza
al centro, secondo il suo 'luogo naturale' (dr. 406 a 27-30; Ph.
Il. l, 208 h 8 sgg.; HA A 15, 494 a 27), e _tuttavia può esser co-
stretto a muoversi in una direzione opposta o diversa (cfr. Ph. a 8,
215 a 1-6; inoltre Hicks, ad 406 a 22-3, 244-5). In 406 a 27 c'è
un'allusione ai miti platonici (cfr. R. IX, 588 h 10; Phdr. 246 c 7-8).
E veniamo alla quarta obiezione ( 406 a 27-30). Per il moto del
fuoco e della terra ( 406 a 28-9) cfr. anche Cael. 4. 2, 308 h 13-5.-
Tà. p,E~a.çv ( 408 a 30) sono i movimenti intermedi degli elementi

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NOTE AD A3 247

corrispondenti, ossia dell'acqua e dell'aria, che si levano al di sopra


della terra, ma stanno al di sotto della regione del fuoco (cfr. Cael.
a 4, 311 a 22 sgg. ). Per l'omissione (che qui viene fatta) dell'etere
(su cui dr. Cael. A 2, 269 a 2 sgg.) cfr. Cherniss (Plat. Ac., 405
n. 332) e Theiler (ad 406 a 29, 96).
Riguardo alla quinta argomentazione ( 406 a 30-b 5), in 406 h 2
adotto la lezione tràdita J,.LE~a.f3tillot. llv xa.~à ~ò awp,a.: l'anima si
muove nello stesso modo del corpo, ossia di moto locale (cosi anche
Simplicio, 37, 4; Filopono, 106, 19-21; Wallace, 27; Rodier, I,
29; II, ad 406 a 30-b 5, 80-3; Smith, ad l.; Barbieri, 17; Ross,
184; Siwek, 69; 261 n. 140; ]annone-Barbotin, ad l.; Laurenti
46 ). Katà tò soma ha invece il senso di « dentro il corpo » per
Shorey (Aristotle's De Anima, 152), Cherniss (Pres., 302; Plat.
Ac., 392), Gigon (269; cfr. però 227) e Gohlke (37), mentre per
De Ley (A Note, 94) significa «attraverso il corpo» (cfr. anche
Liddell-Scott, s.v. xa:tti, B, I, 2, 833). Da parte sua Bonitz (Zur
Erklarung, 423-5), seguìto da Theiler ( 13), emenda katà tò soma
in xa.~ti ~61tov, mentre l'intera nostra clausola è stata espunta da
Hicks (ad l.; 23; ad 406 h l, 246 sgg.). Per ciò che concerne
406 h 2-3 cfr. GC A 5, 320 a 19-24, dove vengono distinte due
specie di movimento spaziale: o l'intero corpo cambia il suo posto,
e questo è il moto di traslazione; oppure si muovono le sue parti,
mentre esso rimane nello stesso luogo, come avviene nella rotazione
di una sfera (cfr. anche Hicks, ad 406 h 2, 248). Gigon (227) av-
vicina 406 h 3-5 alla storia di Ermotimo narrata nell'Eudemo (fr. 11
Ross).
4
406 h 5-25). Questo passo contiene le ultime quattro obiezioni.
(
Cominciamo dalla sesta (406 h 5-11). Essa inizia con una eventuale
controbiezione degli avversari (dr. anche 406 a 16 sgg.; inoltre
Wallace, ad 406 h 5, 212): il movimento dell'anima potrebbe es-
sere prodotto da qualcosa di esterno ad essa ( 406 b 5-6). Aristotele
concede che ciò sia vero (dr. anche De an. A 4, 408 a 30-4), ma
sostiene che, in tal caso, il movimento dell'anima sarà puramente
accidentale e non essenziale, poiché ciò che è semovente può essere
mosso da qualcos'altro soltanto accidentalmente (406 h 7-8), come
un bene in sé (ad es. il phronein) soltanto accidentalmente è perse-
guito per le conseguenze positive che esso comporta ( 406 h 8-10;
cfr. EN A 6, 1096 h 16-9; inoltre Cherniss, Pres., 302-3 ). D'al-
tronde, conclude lo Stagirit~, la maniera più ordinaria in cui pos-
siamo concepire l'anima come mossa è attraverso gli aisthetà, che
le sono esterni (cfr. De an. B 5, 416 h 33 sgg.), e pertanto il movi-
mento dell'anima non si può intendere come qualcosa di essenziale
e di intrinseco ( 406 h lO-l; cfr. inoltre Wallace, ad 406 h 5, 212).
Con la settima difficoltà ( 406 h 11-5) Aristotele intende mostrare
che l'autocinèsi o movimento 'per sé' dell'anima, implica per la

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248 NOTE AD A3

psyche la perdita della sua essenza, ovvero la sua autodistruzione.


La definizione di movimento enunciata in 406 h 12-3 (cfr. anche
Ph. A 12, 221 h 3) è una formulazione più concreta della celebre
definizione di kinesis proposta in Ph. r l, 201 a 10-1, come « at-
tuazione di ciò che è in potenza, in quanto è in potenza» (cfr. anche
Metaph. K 9, 1065 h 14 sgg.). Cherniss (Plat. Ac., 411-3) ha fatto
osservare che quest'obiezione e la teoria platonica dell'anima semo-
vente si collocano su piani diversi. La definizione aristotelica di mo-
vimento come « attuazione di ciò che è in potenza, in quanto tale»,
comporta infatti che ogni movimento sia scomponibile nei fattori
di materia e forma, in quanto esso è precisamente il processo di
realizzazione della seconda nella prima. Invece Platone considerava
il movimento come irriducibile a fattori diversi dal movimento
stesso. Per Platone, se è vero che una cosa può esser mossa da altre
cose motrici, la causa ultima del suo esser mossa non può essere
il movimento di una cosa (poiché anche questo sarebbe indotto da
un altro movimento), ma dev'essere l'automovimento 'meta-fisico' e
immateriale dell'anima semovente, che è identica al suo movimento.
L'ottava argomentazione ( 406 h 15-24; il testo corrisponde a
Democrito DK 68 A 104 [Il, 109, 25-30]) riprende 406 a 30-1.
Filippo ( 406 h 17) è un figlio di Aristofane, dedicatosi all'arte comica
come suo fratello Araro; di lui sappiamo che rappresentò commedie
di Eubulo, per cui si ritiene che il Dedalo qui attribuito a Filippo
fosse in realtà di Eubulo (cfr. Comicorum Atticorum Fragmenta, II,
172-3, fr. 22 Kock; Alfieri, Gli Atomisti, 129 n. 321; cfr. anche
Edmonds, The Fragments, II, 16-7; 93). Il xw~ooot.oacrxa.Àoç, (406
h l 7) « est à la fois au teur et metteur en scène » ( Jannone-Bar-
botin, 100). Sul leggendario scultore Dedalo cfr. anche Pol. A 4,
1253 h 35; Platone, Men. 97 d 6 sgg.
L'ultima obiezione ( 406 h 24-5) oppone alle teorie che affer-
mano che l'anima muove se stessa e quindi, meccanicamente, il corpo,
il fatto d'esperienza ( 406 h 24: phainetai) che l'animale, e in parti-
colare l'uomo, è mosso da un fine (cfr. De an. r 10, 433 h 11 sgg.).
5
406 h 26-407 a 2). Dalla discussione sulle teorie cinetiche in
(
generale, Aristotele passa ora ad esaminare una dottrina specifica,
quella rappresentata dalla -psicologia del Timeo, anzitutto (nel pre-
sente testo) esponendola nelle sue linee fondamentali, e successiva-
mente (407 a 2-b 11) sottoponendola a critica. Alla teoria del Timeo
lo Stagirita aveva già fatto riferimento in De an. A 2, 404 h 16 sgg.,
collocandola fra le dottrine che considerano l'anima principio di co-
noscenza. Qui lo Stagirita non abbandona quell'impostazione, n1a ri-
presenta la dottrina del Timeo evidenziandone anche l'aspetto ci-
netico.
Aristotele riassume nel nostro testo il famoso passo conosciuto
sin dall'antichità come la psychogonia del Timeo (34 a 9 sgg.). La
narrazione platonica ha ovviamente una forma mitica (cfr. Ti. 29

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NOTE AD A3 249

h 9-d 2) e procede per metafore, mentre Io Stagirita la prende alla


lettera e su di essa basa le sue obiezioni (sul letteralismo dello Sta-
girita nell'esposizione e discussione del Timeo dr. Taylor, in Ti.,
ad 36 d 1-2, 154; Cherniss, Plat. Ac., 405-6; Claghom, Arist.
Ti., 112). Ton auton tropon e physiologhei ( 406 h 26) riprendono
406 b 15 sgg. e oppongono Platone e Democrito alla dottrina (ari-
stotelica) enunciata in 406 h 25. È chiaro però che non c'è una reale
somiglianza fra la dottrina psicologica del Timeo e quella di Demo-
crito. In effetti Aristotele dice che l'anima del Timeo si muove ( 406
h 27); questo movimento (circolare; cfr. 407 a 1-2) è comunicato
al corpo (cfr. Ti. 34 a 1-6), e ciò avviene perché l'anima è unita
strettamente al corpo ( 406 h 28; dr. Ti. 36 d 9-e 3 ), anima e corpo
essendo l'anima e il corpo dell'universo, che è un vivente percepibile
(dr. Ti. 30 h 8 sgg.; inoltre Hicks, ad 406 h 27, 253). Ora il mo-
vimento del corpo prodotto dall'anima cosmica non è riducibile al·
l'azione meccanica di cui parla Democrito, sia perché l' 'avvolgi-
mento' dell'universo corporeo avviene da parte di un'anima che è
incorporea (dr. Ti. 36 e 4-37 a 3), sia perché la causalità razionale
dell'anima viene nettamente distinta dalla causalità meccanica degli
agenti corporei (dr. Ti. 46 c 7-e 6; inoltre Cherniss, Plat. Ac.,
406-7).
Sulla composizione dell'anima cosmica mediante elementi ( 406
h 28-9) dr. De an. A 2, 404 h 17. Per la divisione dell'anima
secondo numeri armonici ( 406 h 29) dr. Ti. 35 h 4-36 h 5; numeri
armonici sono « due serie di numeri, ciascuna delle quali forma
una progressione geometrica - l , 2, 4, 8 e l , 3, 9, 27 - e che
insieme determinano una scala di tre ottave» (Ross, ad 406 h 29,
189). Sul «senso di armonia» ( 406 h 30) cfr. Ti. 37 a l; cfr. anche
42 a 5-6. Per le phorai armoniose dell'universo ( 406 h 30-1) si tenga
presente che nel T imeo l'universo è introdotto .come moventesi con
una rotazione uniforme sul proprio asse (34 a 1-6). Quando la for-
mazione dell'anima è stata descritta, veniamo a sapere (Ti. 36 h 6-d 7)
di due rivoluzioni in direzioni opposte, ossia nel cerchio del medesimo
e in quello del diverso. Il primo è quello della volta celeste, il se-
condo è suddiviso in sette cerchi concentrici (cfr. 407 a 1), che cor-
rispondono alle orbite dei pianeti, includendo in questo termine
anche il sole e la luna. Tutte queste rivoluzioni sono determinate
dalla «ragione» (Ti. 36 d 7); esse sono symphonoi ( 406 b 31 ),
perché il cerchio del medesimo governa quello del diverso (Ti. 36
c 8-d l; dr. inoltre Hicks, ad 406 h 30, 253). La EÙwwpla. (406
h 31) è la retta o il nastro con cui possiamo immaginare l'anima (dr.
Taylor, Platone, 668). In Platone (Ti. 36 h 6-c l) la divisione
( 406 h 32: O!.EÀW'V) avviene prima, la piegatura ( 406 h 31: xa.'t'É-
xa.p,~E'V) dopo.
6
( 407 a 2-22 ). Queste sono le prime due delle otto critiche che
Aristotele rivolge al Timeo platonico. L'argomento sviluppato nella

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250 NOTE AD A3

prima ( 407 a 2-10) è il seguente: va riconosciuto che con 'anima'


Platone intende quella razionale o nous, e non l'anima sensitiva o
desiderativa, il movimento delle quali non è circolare (dr. Ti. 42
a 5-b 2; 43 a 5-44 c 4; 45 c 3-7; 47 h 1-c 4; 77 h 1-c 4; 90 c 6-d 4;
la percezione si muove in linea retta da un oggetto percepito a quello
vicino, e cosi pure il desiderio, che prima appetisce l'oggetto a, poi
b in vista di a, e cosi via: Ross, ad 407 a 2-10, 190; per la kyklo-
phoria [407 a 6] dell'anima cosmica dr. Ti. 36 c 1-37 a 8). Ma
l'unità o continuità dell'intelletto, come quella dell'intellezione, è pa-
ragonabile a quella del numero, e non a quella dell'estensione; è in-
somma un'unità di successione (dr. anche Metaph. Il. 13, 1020 a
8 sgg.; Ph. Il. 11, 219 a 10 sgg.; inoltre Hicks, ad 407 a 3, 254-5).
Difatti l'intellezione consiste di una pluralità di noemata ( 407 a 7),
che sono successivi come i numeri in una serie numerica, e non si-
multanei come le parti di un ente geometrico (linea, piano o solido;
cfr. Ross, ad 407 a 2-10, 190; sul rapporto nous-noesis-noemata
cfr. De an. r 4-8). Pertanto- conclude Aristotele- se l'anima del
Timeo è nous, non può insieme essere (come risulta dalla psycho-
gonia) una grandezza, ma o non ha assolutamente parti quantitative
(e ciò corrisponde al punto di vista dello Stagirita), oppure possiede
quel tipo di continuità che è proprio della serie numerica (e ciò
sembra rappresentare una concessione dialettica a Senocrate; cfr.
·Chemiss, Plat. Ac., 401 ). Aristotele, tuttavia, può asserire che
l'anima del Timeo è una grandezza spaziale, perché prende alla let-
tera il racconto della formazione dell'anima, e perché identifica le
rivoluzioni del cielo con i movimenti dell'anima cosmica (cfr. 407
-a 1-2 e Chemiss, Plat. Ac., 405; su quest'ultimo punto cfr. infra
251-2).
Il senso complessivo della seconda obiezione ( 407 a l 0-22) è che
il pensiero è inspiegabile come contatto di un soggetto esteso ( 407
a l O-l : p.ÉyEDo<; wv) con il suo oggetto (cfr. Cherniss, Plat. Ac.,
393-4). In effetti, se il cerchio dell'anima cosmica pensa per mezzo
dei suoi punti, un punto dopo l'altro di questo cerchio che ruota
entrerà in contatto con l'oggetto, e siccome c'è un'infinità di tali
punti, l'anima-nous non potrà apprendere l'oggetto nella sua inte-
rezza (che il punto sia una 'parte' [ 407 a 12] è una dottrina pi-
tagorica [su ciò cfr. Claghorn, Arist. T i., 11 O] che Aristotele re-
spinge; dr., ad es., Ph. Il. 11, 220 a 18-20: il punto è il limite e
non una parte della linea). D'altro lato, se la conoscenza dell'oggetto
è prodotta dal contatto di una certa parte (estesa) del cerchio con
l'oggetto stesso, allora il contatto delle parti successive comporterà
la conoscenza ripetuta della stessa cosa, mentre, secondo lo Stagirita
( 407 a 15), è possibile anche un unico. ed istantaneo atto di pen-
siero (dr. anche 407. a 31-2; inoltre Hicks, ad 407 a 15, 257).,
Aristotele aggiunge, poi, che il contatto del nous con l'oggetto me-
diante una qualunque delle sue parti, e quindi anche mediante un

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NOTE AD A 3 251

punto, rende superfluo il moto rotatorio del nous (poiché questa


'parte' del cerchio potrebbe conoscere l'oggetto immediatamente e
rimanendo ferma; dr. Simplicio, 44, 8-9; Filopono, 130, 7 sgg.),
come pure la sua estensione spaziale (dr. anche Ross, ad 407 a 10-22,
190). Qualora, poi - prosegue Aristotele - , l'anima come un
intero apprenda il suo oggetto, rimane oscuro il ruolo delle parti.
Riguardo a tlL~t.c; (407 a 18; dr. anche 407 a 16), Cherniss (Plat.
Ac., 407) nota che lo Stagirita interpreta ciò che Platone chiama
'contatto' dell'anima con gli oggetti dell'attività mentale (Ti . .37 a
7: Eq>cX1t't1)'tat.) come contatto fisico di due grandezze divisibili, e che
è su questa base che egli critica la spiegazione allegorica della co-
noscenza nel Timeo.
La domanda posta in 407 a 18-9 va confrontata con Ti. 37 a 5-8.
L'aporia può essere cosl formulata: il cerchio dell'anima è divisibile,
mentre i punti del cerchio sono indivisibili. Ora Platone deve attri-
buire la conoscenza o ai punti oppure alla linea. Pertanto, in base
al principio che il simile conosce il simile, come possiamo, nel primo
caso, spiegare la conoscenza del divisibile, e, nel secondo caso, quella
dell'indivisibile? (Cfr. Temistio, 21, 31-5; Ross, ad 407 a 10-22,
191). Come ha fatto osservare Cherniss ( Plat. Ac., 407-8; 411),
con quest'aporia Aristotele mostra d'interpretare la meriste (o ske-
daste) e la ameristos ousia del Timeo come l'essere quantitativamente
divisibile e indivisibile, che egli assimila alla grandezza continua e
al punto spaziale. La posizione del Timeo è peraltro diversa. L'anima
cosmica, come entità intermedia fra l'essere 'indivisibile' e quello
'divisibile', non è un'idea e neppure una grandezza estesa, ma,
proprio per la sua natura mediana, è capace di essere in relazione
sia con le grandezze e i corpi, sia col mondo delle idee.
Aristotele è tuttavia consapevole che queste due prime obiezioni
potrebbero trovare risposta distinguendo l'anima dal suo cerchio:
si potrebbe dire che il cerchio è la 'materia', la condizione e lo
strumento dell'anima. Ma lo Stagirita insiste col seguente argomento:
l'attività del nous è la noesis e quella del cerchio è la rotazione.
Ora Platone asserisce che l'intellezione è la rotazione del cerchio, e
poiché gli enti la cui attività sia identica sono identici fra loro, l'in-
telletto e il cerchio si identificano ( 407 a 19-22; cfr. Ti. 36 e l sgg.;
47 h 6 sgg.; inoltre Hicks, ad 407 a 19-22, 257). Per la verità,
Platone non dice che i movimenti del cielo sono identici ai movi-
menti dell'anima (cfr. 407 a 1-2). Egli dice invece, nelle Leggi, che
la « sfera ben torni ta » è la migliore « immagine » del moto del
nous. Certo, questa vou xLVT}at.t; si potrà chiamare kyklophoria ( 407
a 6), ma solo in riferimento al moto corporeo che essa produce
(dr. Lg. X, 897 d 3 sgg.; inoltre Skemp, The Theory, 83). Per
Platone la rotazione assiale del cosmo è, insomma, la manifestazione
o somiglianza del moto immateriale del nous (cfr. Lg. X, 897 d 3-
898 c 5; Ti. 34 a 1-6; 37 a 3-c 5; 40 a 7-b 2; 42 c 4-d 2; 47 d 1-6;

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252 NOTE AD A 3

77 h 6-c 2; R. VII, 529 c 7-d 5; inoltre Cherniss, Plat. Ac., 404-5):


il moto circolare, che rappresenta la natura del pensiero e dell'opi-
nione (Ti. 37 a 6-c 5), simboleggia l'unità, la continuità e l'infinità
dell'attività dell'anima (dr. Claghorn, Arist. Ti., 112).
7
( 407 a 22-b 11). In questo passo sono raccolte le restanti
sei obiezioni. Cominciamo dalla terza (407 a 22-31). In 407 a 22
leggo "t' (dr. anche 407 a lO; 16; 18-9) con Simplicio ( 46, 25),
Torstrik (ad l.; ad 407 a 22, 121), Rodier (ad l.), Ross (ad l.),
Siwek (ad l.), }annone-Barbotin (ad l.), Theiler (14) e Laurenti
(51). Recano invece "tt Filopono ( 132, 26 sgg.), Sofonla (23, 18),
Bekker (ad l.), Trendelenburg (ad l.; ad 407 a 21, 212) e Hicks
(ad l.; 27; ad 407 a 22, 258). In 407 a 23-4 Aristotele afferma che
il pensiero pratico ha un limite. Esso, infatti, è legato al fine per-
seguito (dr. De an. r 10, 433 a 14-5; Pol. A 9, 1257 h 27-8), e
la serie dei mezzi per raggiungere il fine non può essere infinita,
altrimenti il fine non sarebbe mai realizzabile (Metaph. Z 7, 1032
b 6 sgg.; dr. Hicks, ad 407 a 23, 259). In 407 a 24-7 viene sta-
bilito che il pensiero speculativo è delimitato dai léyo1., ciascuno dei
quali è a sua volta delimitato o determinato. Tale logos, infatti, o
è una definizione, ossia la detenninazione dell'essenza di una cosa,
oppure una dimostrazione, la quale, poste delle premesse, ricava da
queste una conclusione. Tot:~ Àoyo~ ( 407 a 25) è di solito fatto
dipendere da OIJ.OLwc; ( 407 a 25): « allo stesso modo dei lo go i ».
Cosi Rodier (1, 35; II, ad 407 a 25, 108), Hicks (27; ad 407
a 24, 259), Ross (185), }annone-Barbotin (ad l.) e Laurenti
(52; .ma dr. n. 127). Con Theiler (14) e Siwek (73) preferisco
invece considerare "tOL~ Àoyot.~ un dativo strumentale e ritenere che
OIJ.O~ metta a confronto le theoretikai noeseis con le praktikai ( 407
a 23-5). Sul sylloghismos o symperasma (407 a 27) dr. Mignucci,
in APr., ad 24 h 18-20, 189 n. 20: « Il termine 'sillogismo ', se (per
Io più) indica il procedimento mediante il quale si passa da un an-
tecedente ad un conseguente, non infrequentemente designa il risul-
tato di tale procedimento, coincidendo cosi con O'Vll1tÉpa.011a. ». In
407 a 27-30 Aristotele precisa che le dimostrazioni non ritornano
al principio, come il cerchio ritorna al suo punto di partenza (dr.
anche APo. A 3, 72 h 25 sgg.). Può invece esserci una catena di
sillogismi, la conclusione dell'ultimo formando la premessa di un
nuovo sillogismo, e cosi di seguito (dr. anche APo. A 12, 78 a
14-6 ). Per l'impossibilità che nella definizione vi sia un numero in-
finito di termini (407 a 30-1) dr. APo. A 22, 82 h 37 sgg.; 83 a
39 sgg.; Metaph. H 3, 1043 h 34-6.
La quarta difficoltà (407 a 31-2) riprende 407 a 14-5. Con la
quinta obiezione ( 407 a 32-4) Aristotele sostiene che non soltanto,
l'apprendimento di un singolo concetto è simile alla quiete, piuttosto
che al movimento, ma che, anche in un sillogismo, la connessione

Baruch_in_libris
NOTE AD A3 253

delle premesse con la conclusione è appresa con un singolo atto di


pensiero (dr. anche Int. 3, 16 h 20-1; APo. B 19, 100 a 6-7 [su
questo testo dr. Mignucci, APo .., 239-40]; Ph. H 3, 247 h 9-13;
inoltre Ross, ad 407 a 32-4, 191; Berti, T be Intellection., 153 ).
Tuttavia, come fa notare Cherniss (Plat. Ac.., 405 n. 332), le obie-
zioni di Aristotele a rappresentare il pensiero come una rotazione
(cfr. 407 a 10 sgg.) sono basate sulla natura limitata del pensiero
umano, mentre Platone (dr. Ti. 40 a 7-b 2; Lg. X, 898 a 3-b 5)
rappresenta il processo dell'anima cosmica mediante l'immagine della
rotazione, per simboleggiare il pensiero continuo ed infinito (dr.
anche Lg. X, 893 c 5-7; 898 a 3-6; R. IV, 436 d 4-e 6: la rota-
zione rappresenta gli aspetti simultanei del moto e della quiete nel-
l'attività del nous) proprio di tale anima (ed in certo modo anche
del nous umano; dr. Ti. 42 c 4-d 2; 43 a l sgg.; 47 h 5-c 4;
90 c 7-d 7).
Lo Stagirita nella sesta critica ( 407 a 34-b 2) mostra che l'anima
cosmica, per poter essere « felice» cosi com'è affermato da Platone
(cfr. Ti. 34 h 8-9; 36 e 1-37 a 3), deve possedere il movimento
per sua essenza, con tutte le aporie che a questa posizione conse-
guono (dr. 406 a 12 sgg.). In 407 h l tutti i manoscritti e la
maggior parte degli autori leggono Et ò' ÉCT"ttv i) xlVT}~ ctÙ'tijc; llil
oùcr~a; la lezione ll'Ìl oùcr~a è stata emendata da Torstrik, seguito da
Ross, in n oùa~a (Temistio, 22, 35 sgg., ha soltanto oùa~a), da
Theiler in Èxoua~a (cfr. anche Essen, I, 20 n. 10: (l'Ì} Èxoucr~a) e da
Moraux (recens. a Theiler, in De an., 105) in iJ.'Ì} pq.o~a. Queste
le principali esegesi della nostra clausola: (l) «Se il movimento non
è l'essenza dell'anima», nel senso, rilevato già da Pacius (Comm.,
199 n o 21 ), che è qualcosa di accidentale (cfr. anche 406 a 22-7;
407 h 7-8). (2) « Se il movimento dell'anima è un movimento in
quanto essenza», il che comporta la distruzione dell'essenza del-
l'anima (cfr. 406 a 16-22; 406 h 11-.5; cosi Torstrik, ad 407 h l,
122; Ross, ad l.; 185; ad 407 h 1-2, 191). (3) «Se il movimento
è la negazione dell'essenza dell'anima », essendo quest'ultima essen-
zialmente 'quiete' (cfr. 406 a 22-7; 407 a 32-4; cosl Rodier, ad l.;
II, ad 407 b l, 115; Shorey, Aristotle's De Anima, 153: «se il
movimento non è l'essenza dell'anin1a » [cfr. anche Kiihner-Gerth,
Il, 2, § 512, 4, 197]; Hicks, ad l.; ad 407 h l, 260-1; Tricot, 37;
Siwek, ad l.; 265 n. 167; Jannone-Barhotin, ad l.; 100; Laureo-
ti, 52). ( 4) « Se il movimento non è l'essenza dell'anima » ( cosl
Cherniss, Plat. Ac., 394; 405 n. 332; 413-4), con il che Aristotele
ribadisce (ed aggrava) la tesi platonica dell'essenzialità del movi-
mento dell'anima, tesi che lo Stagirita ha già respinto (quest'esegesi
è stata adottata nella nostra traduzione). ( 5) « Se il movimento del-
l'anima è volontario», nel senso del De Caelo (B l, 284 a 11 sgg.),
avverso alla platonica anima del mondo, cui non corrisponde il moto
naturale de1l'etere, costitutivo degli astri (cosi Theiler, 15; ad 407

Baruch_in_libris
254 NOTE AD A .3

h l, 97-8; Theiler fa inoltre riferimento al De Philosophia [fr. 21


Ross], dove Aristotele afferma che il moto degli astri è volontario,
ossia causato dall'anima; su tutto ciò cfr. anche Berti, La filosofia,
368-72; Natali, Cosmo, 156-7).
Con la settima obiezione ( 407 h 2-5) Aristotele sostiene che
l'unione inseparabile dell'anima-nous con il corpo dell'universo dev'es-
sere per lei un'avversità indesiderabile (dr. anche Metaph. 8 8, 1050
h 24 sgg.; A 9, 1074 h 28-9; Cael. B l, 284 a 14-8; inoltre Hicks,
ad 407 h 2-3, 261). L'affermazione riferita in 407 h 3-5 è di Platone
e dei Platonici (dr. Phd. 66 h 1-67 h 5; 114 c 2-5; Lg. VIII, 828
d 4-5; per ELwDE lÉyEcrDa" [407 h 4-5] dr. anche Metaph. A 9, 991
a 20; Z 8, 1033 h 27; inoltre De an. r 9, 432 a 21).
Il significato generale dell'ultima critica ( 407 h 5-11) è che il
Timeo non indica chiaramente la causa del moto rotatorio dell'uni-
verso. Essa non si trova nella natura dell'anima cosmica, e neppure
in quella del corpo, il quale è piuttosto mosso che motore, mentre
rimane oscura anche la causa finale di questo moto. Il n1oto rotatorio
dell'anima è detto katà symbebékos ( 407 h 7), secondo Temistio
(23, 14-20), perché tale moto è provenuto all'anima dall'esterno ad
opera del demiurgo (cfr. 406 h 30-1 ; 407 h 9-11 ). Cosi anche Pacius
(Comm., 200 n° 23) e Taylor (in Ti., ad 36 d 1-2, 153-4: nel Timeo
il moto non figura come uno degli elementi costitutivi della psyche;
i movimenti della psyche non sono circolari perché essa, per sua na-
tura, deve muoversi in circolo; il demiurgo le diede quel movimento,
avendo potuto darle un altro senza alcuna violenza alla sua natura).
Ritengono invece che l'affermazione sia stata fatta dal punto di vista
della psicologia aristotelica (cfr. 406 a 16 sgg.; 406 h 5 sgg.) Sim-
plicio ( 49, 19-25), Filopono ( 138, 13-5), Trendelenburg (ad 407
h 5, 214), Rodier (Il, ad 407 h 7, 116), Rolfes (30 n. 2), Hicks
(ad 407 h 7, 261), Siwek (266 n. 169) e ]annone-Barbotin (100).
In 407 h 9-11 viene sottolineata la mancanza di coerenza con la tesi
teleologica, enunciata all'inizio della cosmologia del Timeo (29 d 6
sgg.). Aristotele però trascura ciò che è detto in Ti. 34 a 1-6, dove
si spiega perché il movimento circolare è appropriato al cielo (su ciò
dr. Taylor, in Ti., ad 36 d 1-2, 154).
8
( 407 h 12-26 ). In questo passo Aristotele formula una critica
che interessa la maggior parte delle teorie psicologiche dei predeces-
sori. Alessandro di Afrodisia e Plutarco di Atene (ap. Simplicio, 50,
36-7) pensano che con i'tÉpol. l6yo1. ( 407 h 12) lo Stagirita alluda
alla Fisica, nella quale il movimento è discusso ampiamente. Filopono
(139, 12-4) ritiene che il riferimento sia al De Caelo ed a Ph. E-9
(dr. anche Rodier, II, ad 407b 12, 117, che rinvia a Ph. 8 e al-
l'inizio del De Caelo). Da parte sua Simplicio (50, 36-51, 5) sostiene,
che il problema discusso nel nostro capitolo non è il movimento in
sé, ma se l'anima si muova e se questo movimento sia per lei un

Baruch_in_libris
NOTE AD A3 255

bene (dr. 407 h 9-11 ), e che pertanto l'allusione dev'essere alla lvfe-
ta/isica (e particolarmente a A l O: il bene e l'ottimo nell'universo).
Anche Theiler (ad 407 h 12, 99) ha in mente una ricerca 'metafi-
sica', ed a conferma di ciò cita EN A 6, 1096 h 30-1. Infine Ross
(ad 407 h 12, 192), in accordo con Bonitz (lndex, 99 a 3-5), ritiene
che con la nostra formula Aristotele semplicemente rimanda l'esame
della questione.
Il significato dell'obiezione è che la dottrina del Timeo e quella
di molti altri pensatori ignorano la stretta relazione esistente tra
anima e corpo. I:vvci1t1:ova-t. ( 407 b 15) riprende ,;Ò J.Ull'i:xDa.t. di 407
h 2 (dr. anche Ti. 43 a 5-6). In 407 h 15-7 Aristotele rimprovera
«molto giustamente» (Timpanaro Cardini, Pitagorici, III, 213
nota) il suoi predecessori di non indicare la ragione per cui una data
anima si trova in un dato corpo, ovvero le condizioni corporee che
rendono possibile la presenza nel vivente di un determinato tipo di
anima, vegetativa o sensitiva o razionale. In 407 h 17-9 lo Stagirita
rileva come le relazioni poiein-paschein e kinein-kineisthai non si ve..
rifìchino tra cose prese a caso e indiscriminatamente (cfr. GC A 7,
323 h 29 sgg.; inoltre Hicks, ad 407 h 19, 262).
Il brano corrispondente a 407 h 20-3 si trova in Scuola pitagorica
DK 58 B 39 (1, 462, 23-6). In 407 h 21-3 (dr. anche De an. A 2,
404 a 16-20), secondo Hicks (ad 407 h 21, 262), Ross (ad 407 b
21-3; ad 407 b 23, 192), Burkert (Weisheit, 98-9), Miiller (Glei ..
ches, 124 n. 55), Philip (Pythagoras, 150-1), Theiler (ad 407 h
12, 98) e Laurenti (54 n. 135), viene esposto il 'mito' pitagorico
della metempsicosi. Negano, invece, che qui ci sia un accenno alla
metempsicosi Cherniss (Pres., 325 n. 130; Plat. Ac., 395 n. 320),
Maddalena (I Pitagorici, 342) e Timpanaro Cardini (Pitagorici~
III, 214 nota). L'espressione ol IIvDa.yopt.xot (luDoL ( 407 h 22) è resa
da Timpanaro Cardini (Pitagorici, III, 215) con «le favole dei Pi-
tagorici » (cfr. anche Cherniss, Pres., 291 n. 6), ma cfr. Maddalena
(I Pitagorici, 343 n. 61): «per Aristotele la filosofia dei Pitagorici
era filosofia; il termine IJ,uDoç, dovrebbe dunque alludere alla forma
in cui era esposta, almeno in qualche parte ».
In 407 h 23-4 Aristotele rileva, << con grande finezza », come·
«ogni corpo ha il suo proprio El8oç, e la sua J.lOpcpi}, che si mani-
festano solo attraverso un'anima ad essi conforme» (Timpanaro Car-
dini, Pitagorici, III, 213 nota). La dottrina è che un determinato
corpo dev'essere associato ad una determinata forma, e che un de-
terminato corpo vivente dev'essere associato ad un determinato tipo
di anima (dr. Ross, ad 407 h 23, 192). Il paragone contenuto in
407 h 24-5 vuole evidenziare una connessione assurda, un'unione di
incompatibili (cfr. Wallace, ad 407 h 24, 216); l'arte del carpen-
tiere fa uso e si esprime con strumenti appropriati (martello, scal-
pello, ecc.), e non può discendere nei flauti (dr. Rodier, II, ad 407
h 17-26, 117; Rolfes, 31 n. l; Timpanaro Cardini, Pitagorici, III~

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256 NOTE AD A4

214-5 nota). L'analogia fra tecnica-strumenti ed anima-corpo si trova


anche nel Protrettico (fr. 6 Ross; 59-60 Diiring) e in PA A l, 642
a 9-13.

NOTE AD A 4
1
SoMMARIO. - A) Cinque obiezioni alla teoria dell'anima-ar-
monia: (l) l'anima non è armonia né nel senso di logos né in quello
di synthesis; (2) se lo fosse, non sarebbe causa motrice. Inoltre (3)
il termine 'armonia' è più adatto a designare determinate condi-
zioni corporee, che non le funzioni psichiche, anche perché ( 4) è
molto problematico assegnare una data attività psichica ad una certa
'armonia' corporea. (5) La dottrina dell'anima-armonia (a) come
'composizione' delle parti corporee urta contro la difficoltà di far
corrispondere le varie funzioni psichiche alle diverse 'sintesi' cor-
poree; (h) come 'proporzione' della mescolanza degli elementi cor-
porei implica una molteplicità di anime nel medesimo corpo. B) Tre
dilemmi posti ad Empedocle. C) Due aporie che conseguono al ri-
fiuto della dottrina dell'anima-armonia. D) Ancora sul movimento del-
l'anima: il moto locale della psyche è puramente accidentale; i cosid-
detti 'movimenti dell'anima' sono funzioni psichiche, che hanno
per soggetto il composto di anima e di corpo: l'animale o l'uomo;
l'anima non è mossa, ma è origine o termine di movimento. E) L'in-
telletto: sua sostanzialità, preesistenza e incorruttibilità, e sua fun-
zione di 'forma' o anima dell'uomo. F) Prime sei obiezioni alla
dottrina senocratea dell'anima come numero semovente: (l) una
'unità' in movimento contraddice la sua natura indiflerenziata; (2)
i movimenti dell'anima, in quanto insieme di punti, non saranno at-
tività psichiche, ma produzioni di linee; (3) la sottrazione di una
unità all'anima-numero ne muterebbe la natura, mentre una pianta
o un animale, pur divisi, conservano la loro anima specifica; ( 4) se
l'anima è un aggregato di punti in movimento, dovrebbero propria-
mente costituire l'anin1a i punti motori, e non quelli mossi; ma è
noto che l'unica differenza tra i punti si ha rispetto alla loro posi-
zione; (5) se le unità che costituiscono l'anima sono distinte dai
punti che formano il corpo, nel medesimo luogo si avrà una unità
psichica ed un punto corporeo, anzi un numero infinito di unità e
di punti; se invece le unità psichiche s'identificano con i punti cor-
porei, tu t ti i corpi saranno animati; ( 6) un'anima identica ai punti
del corpo non può essere, come pretende Senocrate, separabile e
immortale.
2
(407 h 27-32). Il capitolo si apre con l'esposizione (contenuta
nel nostro testo) di una nuova teoria (benché Aristotele, in De an.
A 2, 405 h 29-30, avesse dato per conclusa la parte espositiva del

Baruch_in_libris
NOTE AD A4 257

trattato): quella dell'anima-armonia, cui segue una dettagliata discus-


sione critica (407 h 32-408 a 28). Tale dottrina rimane fuori degli
schemi con cui lo Stagirita (in De an. A 2) aveva cercato di clas--
sificare le teorie dei suoi predecessori. Il nostro passo corrisponde
a Filolao DK 44 A 23 (1, 404, 22-4). La dottrina in questione
afferma che l'anima è l'armonia degli elementi (o qualità elementari)
che costituiscono il corpo ( 407 h 30-2; per krasis e synthesis [ 407
h 31] dr. GC A 10 per totum). Come fa osservare Gottschalk
(Soul, 182), Aristotele conobbe la teoria dell'anima-armonia princi-
palmente, se non esclusivamente, dal Pedone, dove viene sostenuta
da Simmia ed Echecrate (cfr. Platone, Phd. 85 e 3 sgg.; 86 h 7
sgg.; 88 d l sgg.). Dall'Eudemo (fr. 7 Ross) non apprendiamo nulla
di nuovo (rispetto al Pedone) sulla teoria stessa, mentre l'esposizione
(come la confutazione) della teoria da parte del De Anima, è stata
ricavata dal Pedone e daii'Eudemo, e non aggiunge nulla alla nostra
conoscenza della dottrina. Va inoltre rilevato che la dottrina del-
l'anima-armonia, fra le teorie psicologiche ricordate dallo Stagirita,
è una di quelle che s'avvicinano di più alla definizione aristotelica
di anima come 'forma' del corpo (cfr. 408 a 24-8; De an. A l, 403
h 1-2; B l, 412 a 19-21; Ph. B 3, 195 a 21).
Sull'origine della teoria dell'anima-armonia s'è molto discusso.
Secondo Della Valle (La teoria, 211 sgg.), Simmia-Echecrate ed Ari-
stotele si riferiscono ad una tradizione popolare, piuttosto che a un
determinato pensatore. L'opinione più diffusa è però che tale dottrina
sia di derivazione pitagorica (così Zeller, II, 2, 888 sgg. [ma cfr.
le riserve in l, l, 552 sgg. (approvato da Rodier, II, ad 407 h 30,
120) = Zeller-Mondolfo, I, 2, 555 sgg.]; Timpanaro Cardini,
Pitagorici, II, 179 nota; Maddalena, I Pitagorici, 342; Ross, ad
407 h 27-408 a 28, 195; Burkert, Weisheit, 251-2; Laurenti, 55
n. 136; questi autori si richiamano a Filolao DK 44 A 23 [1, 404,
21-2]; B 11 [l, 411, 18 sgg.]; Platone, Phd. 61 d 4-6; Filopono,
70, 5 sgg.). Altri studiosi attribuiscono la paternità della dottrina
agli Eleati (così Geddes, in Phd., ad 86 h 7, 83); ad Alcmeone,
Empedocle ed alla scuola medica siciliana (così Wehrli, Die Schule,
I, 45 sgg.); ad Eraclito (così Della Valle, La teoria, 217). Un'ipo-
tesi molto suggestiva è stata infine avanzata da Gottschalk (Soul,
190 sgg.), il quale, dopo aver criticato le precedenti attribuzioni, so-
stiene che la teoria dell'anima-armonia è una costruzione dello stesso
Platone (cfr. anche Philip, Pythagoras, 163 n. 2). Precisamente, la
parte 'mistica' di questa dottrina (quella che sviluppa il tema del-
l'analogia musicale; cfr. Phd. 85 e 5 sgg.) costituisce un argomento
dialettico contro la prova dell'immortalità dell'anima basata sulla
sua 'deiformità' (cfr. Phd. 78 h 4 sgg.; inoltre Taylor, Platone,
296), mentre nella parte 'naturalistica' della dottrina (quella che
svolge il tema delle quattro qualità elementari; cfr. Phd. 86 h 7 sgg.)
Platone, pur facendo uso di idee largamente diffuse (come quella

Baruch_in_libris
258 NOTE AD A4

della connessione della vitalità e della coscienza con la realtà· cor-


porea), inventa la teoria «come un modello di ciò che era implicato
in termini reali nell'analogia con cui Simmia aveva esordito»
(Gottschalk, Soul, 195). L'origine accademica della teoria in questione
è sostenuta anche da Gigon (229).
In 407 h 28-9' invece del testo tràdito l6youc; o' WcrnEp EÙwvac;
(quest'opinione «ha portato le sue ragioni come si fa per un rendi-
conto»; cosl Laurenti, 55), con Ross (ad l.; 192; ad 407 h 28-9,
195) e Gottschalk (Soul, 190 n. 35) leggo À.éyov (cosl già Tors-
trik, in app. crit. ad l.; ad 407 h 27-9, 123; Bergk, Aristoteles, 18;
Forster, ad l.) o' wcrnEp EÙWVOLc; (cosl già Apelt, in Biehl-Apelt,
in app. crit. ad l.): «è stata chiamata a difendersi come davanti
ai giudici» (dr. anche Pol. Z 8, 1322 h 11). Invece Bemays (Die
Dialoge, 15 sgg.) espunge léyouc; o' (Temistio, 24, 14, non legge
À.éyouc;) e dopo EÙwvac; inserisce un OÉ (cosl anche Bonitz, Zur
Erkliirung, 429; Hicks, ad l.; ad 407 h 28, 265): «ha pagato lo
scotto» (dr. Rh. r 10, 1411 h 20; inoltre Berti, La filosofia, 424).
Infine Theiler (15; ad 407 h 28, 98), segulto da Philip (Pytha-
goras, 164) legge À.6you o' ClcrnEp EÙiMvac;: «ha, per cosl dire, dato
conto del tenore delle sue parole».
In 407 h 29 leggo x&.v 'to'Lc; ( cosl Ross, ad l.; ad 407 h 28-9,
195; Gottschalk, Soul, 190 n. 35; dr. anche PA r 4, 667 a 25;
Po. l, 1447 a 21) E.v xot.vci} y-.volJ,Évot.c; (cosl anche Allan, Aristotle,
135) Àoyo..c;. I <<discorsi in comune » (dr. anche Metaph. A 6, 987
h 14) dovrebbero essere le discussioni sul tema dell'anima-armonia
che si sarebbero svolte nell'Accademia (dr. Senocrate, fr. 71 Hein-
ze; Eudosso, D 3-4 Lasserre: teoria edonistica; Pol. 8 5, 1340
h 18-9 [per i 1tOÀ.À.oL dr. 407 h 28]) e nel Peripato (dr. Stratone
di Lampsaco, frr. 122-127 Wehrli: polemica contro il Pedone; sul-
l'armonismo psicologico dei peripatetici Dicearco di Messina e Ari-
stosseno di Taranto dr. Movia, Anima, 71-93; Gottschalk, Soul,
179 sgg.), e che dovevano avere come testi-base il Pedone e I'Eudemo
(su ciò cfr. Bernays, Die Dialoge, 14-29; Bonitz, Index, 105 a 42-8;
Hicks, ad 407 h 29, 265; Gigon, 273 e Prolegomena, 29; Wieland,
Aristoteles, 344; Allan, Aristotele, 135-6; Lefèvre, Du platonisme,
228; Berti, La filosofia, 19; 426 e n. 53; Aristotele, 68 n. 6;
Chroust, Thé Psychology, 50; Gottschalk, Soul, 195-6).
3
( 407
h 32-408 a 18). Questo passo comprende le cinque obie-
zioni rivolte alla teoria dell'anima-armonia. Nella prima (407 h 32-4)
Aristotele afferma che 'armonia' può significare la 'proporzione'
degli elementi, oppure la loro mera 'composizione' (dr. GC A 10
per totum; De an. B 4, 416 a 17; r 2, 426 a 28; 426 h 3; 7; 4,
429 h 16), e che l'anima non s'identifica né con la prima né con
la seconda. Gottschalk (Soul, 182) scorge un parallelo di queSta
difficoltà in Platone, Phd. 92 e 5 sgg. L'assunto di quest'obiezione
verrà ripreso e dimostrato nella quinta (dr. 408 a 5-18).

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NOTE AD A4 2.59

Alla seconda obiezione ( 407 h 34-408 a l) si può avvicinare in


qualche modo Phd. 93 a 3-.5. La terza aporia (408 a 1-3) corrisponde
alla seconda delle due obiezioni che Aristotele indirizzò alla dottrina
dell'anima-armonia nell'Eudemo (dr. fr. 7 Ross: «All'armonia del
corpo è contraria la disarmonia del corpo, ma la disarmonia del
corpo animato è malattia, debolezza e bruttezza; di queste la malattia
è asimmetria degli elementi, la debolezza dei tessuti, la bruttezza
degli organi. Se dunque la disarmonia è malattia, debolezza e brut-
tezza, l'armonia sarà allora salute, forza e bellezza; ma l'anima non
è nessuna di queste cose, né salute, né forza, né bellezza; un'anima
aveva infatti anche Tersite, pur essendo bruttissimo. Dunque l'anima
non è armonia»; trad. Berti, La filosofia, 425). Come fa notare
Berti (La filosofia, 430-1), presupposto implicito del secondo argo-
mento dell'Eudemo (e quindi del terzo del De Anima: anzi, di tutte
e cinque le obiezioni rivolte dal nostro passo alla teoria in que-
stione) è che l'anima sia il soggetto cui le virtù ineriscono, come
Platone aveva affermato nel Pedone (93 h 7 sgg.), e dunque una
sostanza, come veniva esplicitamente asserito nel primo argomento
dell'Eudemo (fr. 7 Ross; dr. anche Phd. 92 d 8-e 1). La quarta obie-
zione (408 a 3-5), secondo Gottschalk (Soul, 182 n. 10), riprende
Phd. 94 h 7 sgg. Con quest'aporia Aristotele intende dire che, se
è facile definire l'anima in generale un'armonia, diventa estremamente
difficile applicare questa teoria alle varie funzioni psichiche. Quali
armonie costituiscono, ad es., la sensazione, l'amore o l'odio? (Cfr.
Temistio, 24, 37-2.5, l; Tricot, 40 n. 6 ).
L'argomento appena abbozzato nella prima obiezione ( 407 h 32-4)
viene ampliato ed elaborato nella quinta ( 408 a .5-18). Aristotele di-
stingue anzitutto il significato originario di 'armonia' (attestato già
da Omero, Od. V, 248; 361; e da Erodoto, 2, 96) come 'composi-
zione' di elementi, e quello derivato come loro 'proporzione' ( 408
a 5-9; sul concetto di armonia dr. anche Nebois, Entwicklungsge-
schichtliche Darstellung, passim; Gigon, Zum antiken Begriff, .539
sgg.; Bernhart, Platon, passim). Il primo significato (408 a 6-8)
concerne le grandezze dotate di movimento e di posizione (ossia i
corpi fisici), che siano disposte in una determinata successione. L'ar-
monia costituita da tali grandezze esclude l'intrusione di una gran-
dezza della stessa specie (dr. Ph. Z l, 231 a 23): si pensi a una
disposizione di alberi a quinconce (grandezze aventi posizione, ma
non movimento, sono le entità geometriche: dr. Ph. 41, 208 h 22-5;
secondo Ross, ad 408 a 6-7, 196, con grandezze non dotate né di
movimento né di posizione Aristotele intenderebbe i suoni). L'ar-
monia in questione in 408 a 6-8 è insomma di tipo spaziale o geo-
metrico. Il secondo senso di 'armonia' ( 408 a 9) ha invece una
. valenza aritmetica o numerica. Il senso dell'argomento proposto in
408 a 10-3 è che non si vede di quali, fra le molte e varie parti
corporee dell'animale, le diverse facoltà dell'anima siano la com-

Baruch_in_libris
260 NOTE AD A4

posizione (dr. anche 408 a 3-5). L'obiezione è particolarmente va-


lida per il nous che, secondo lo Stagirita, non ha un organo corporeo
(cfr. De an. r 4, 429 a 26-7). Com'è noto, Aristotele distingue le
'parti degli animali' (cfr. 408 a 10) in omogenee e non omogenee
(dr. HA A l, 486 a 5 sgg.; PA B l, 646 a 20 sgg.; GA A l, 715
a 9 sgg.): le prime (formate dei quattro elementi) includono l'osso,
la carne, il sangue ecc., ossia i tessuti; le seconde (che sono composte
dalle prime)· comprendono il viso, la mano ecc., ossia gli organi (in-
clusi quelli sensori).
In 408 a 13-8 (408 a 13-23 corrisponde ad Empedocle DK 31
A 78 [1, 299, 15-23]) lo Stagirita mostra che l'anima non è ar-
monia come 'proporzione della mescolanza' perché, in tal caso,
si perverrebbe ad una sorta di 'polianimismo' (cfr. Laurenti, 57
n. 143), data la diversità di tale proporzione nelle diverse parti
corporee (cfr. De an. r 4, 429 b 16; Metaph. A 10, 993 a 17-24;
PA A l, 642 a 18-24; GA B l, 734 h 31-4).
4
408 a 18-28). Nella prima parte dd nostro testo Aristotele
(
si rivolge ad Empedocle ( 408 a 18-23; il passo corrispondente a
408 a 13-23 si legge in DK 31 A 78 [1, 299, 15-23]), la cui dot-
trina viene avvicinata alla teoria dell'anima-armonia. Secondo Em-
pedocle, la natura di quelle parti corporee che lo Stagirita chiamerà
'omogenee' era determinata dalle differenti proporzioni dei quattro
elementi (cfr. 408 a 15; De an. A 5, 410 a 2 sgg.; PA A l, 642
a 18-24 ). Ora Aristotele pone Empedocle dinanzi a tre alternative.
La prima è se la proporzione della mescolanza sia o no identica alla
psyche. Se si rispondesse che l'anima s'identifica con la proporzione,
Aristotele replicherebbe con le obiezioni appena rivolte alla teoria
dell'anima-armonia. Se invece si sostenesse che l'anima è diversa
dalla proporzione, lo Stagirita rileverebbe che l'anima non ha trovato
in Empedocle alcuna spiegazione (cfr. supra 234; inoltre Cherniss,
Pres., 324 ). Il verbo Éyyl-vEai)a.t. ( 408 a 21) solitamente designa l'im-
manenza della fonna nella materia (cfr. anche 408 h 18; De an.
B 2, 414 a 27; r 2, 426 a 5). Nella supposizione che il secondo
dilemma sia stato risolto nel senso che l'Amicizia è causa della
mescolanza proporzionata (cfr. su ciò Cherniss, Pres., 324), la terza
alternativa pone il problema se l'Amicizia sia o meno identica alla
proporzione con cui gli elementi sono mescolati (su ciò cfr. O' Brien,
Empedocle's Cosmic Cycle, 336; Capizzi, Empedocle, in Zeller-Mon-
dolfo, l, 5, 21-2).
Nella seconda parte del nostro passo ( 408 a 24-8), Aristotde,
analogamente al metodo diaporematico ed antinomico impiegato in
Metaph. B, rileva due difficoltà cui si va incontro qualora si rifiuti
la teoria dell'anima-armonia (cfr. Temistio, 25, 23 sgg.; Simplicio,
56, 8 sgg.; Filopono, 151, 5 sgg.; Sofonla, 26, 26 sgg.; Paciùs,
Comm., 204 n° 8; Bonitz, Zur Erklarung, 433-6; Hicks, ad 408

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NOTE AD A4 261

a 24, 271; Ross, ad 408 a 24-8, 197; Cherniss, Pres., 325-6;


S. Mansion, Le role, 46 n. 16; Gottschalk, Soul, 188). Comin-
ciamo dalla prima ( 408 a 24-6 ). Il testo di 408 a 25-6 è incerto
e il suo significato discusso. Alessandro ce ne offre due esegesi, di
cui la prima è basata sul seguente testo: 4J,.&,a "t(i) (o l4uz, "tÒ) crapxt
Etvat. «ivcapEi:"tat. xat "tÒ "tO~ ciÀÀo~ p,op'o~ "tOV ~~v; Alessandro
(ap. Filopono, 152, 3 sgg.) cosl spiega: se l'anima non è armonia,
perché, quando la mescolanza che costituisce la carne si distrugge,
si distrugge anche la mescolanza che costituisce le altre parti cor-
poree? La teoria dell'anima-armonia ammette quindi un'unica anima
come 'armonia' o 'mescolanza', e non conduce al polianimismo
lamentato in 408 a 16. Quest'interpretazione di Alessandro è seguita
da Simplicio (56, 8 sgg.), Filopono ( 151, 24 sgg.), Ross (ad l.;
193; ad 408 a 24-6, 197) e }annone-Barbotin (ad l.), ed è stata
adottata nella nostra traduzione. La seconda esegesi proposta da Ales-
sandro (ap. Filopono, 152, 10-3) si basa sulle lezioni if1-1a "t~ e
xat "t(i) e fa di i) ~xi) il soggetto sottinteso di «ivaLpEi:'t'aL: se
l'anima non è armonia, non si comprende come la distruzione delle
parti corporee implichi anche quella dell'anima. A questa spiega-
zione aderiscono Temistio (25, 26-9), Sofonla (26, 28-9), Pacius
(Comm., 205 n• 8), Torstrik (ad 408 a 18-29, 125), Bonitz (Zur
Erkliirung, 424), Rodier (ad l.; I, 41; II, ad 408 a 25-6, 131),
Hicks (ad l.; 31; ad 408 a 25-6, 271-2), Tricot (43 n. 4), Cherniss
(Pres., 326), Gigon (275), Barbieri (22-3), Gohlke (43), Theiler
( 16) e Laurenti (58). Per la 'carne' cfr. Torstrik (ad 408 a 18-29,
125): «Ex partibus similaribus unam nominavit carnem quia carni
cum tactu intima est coniunctio, tactu vero sublato ipsum emoritur
animai, 435 h 4 ». La seconda difficoltà ( 408 a 26-8) è che, qualora
si rifiutino la teoria dell'anima come armonia o proporzione del corpo
e insieme il polianimismo (dr. 408 a 16-8), diventa inspiegabile il
fatto che il dissolversi dell'anima comporta la dissoluzione di cia-
scuna parte del corpo.
5
(408 a 29-h 18). Aristotele esordisce riprendendo in esame la
relazione fra anima e movimento ( 408 a 30-4 ). La tesi di 408 a 30-4
è che l'unico possibile moto locale dell'anima è quello «per acci-
dente», nel senso che l'anima, muovendo il corpo, indirettamente
muove se stessa, perché il corpo in cui essa si trova diventa, per
cosl dire, il suo 'veicolo'. Kaitci1tEp El1to1JEV ( 408 a 31) rimanda
a De an. A 3, 406 a 4 sgg.; 30 sgg.; 406 h 5-8 (cfr. anche Ph. 9
6, 259 h 16-20 ). Lo Stagirita prosegue ( 408 a 34-b 5) osservando
che il fatto generalmente riconosciuto ( 408 h 4: ooxoucrtv; cfr.
anche 408 h l : <paJ,LÉv) che i processi psichici sono movimenti, po-
trebbe far concludere che l'anima stessa sia mossa; ma - sostiene
Aristotele- questa inferenza non è necessaria. Tale assunto viene
provato in 408 b 5-18. n senso generale di questo brano è stato
egregiamente chiarito da Cherniss (Plat. Ac., 402): anche se i pro-

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262 NOTE AD A4

cessi psichici sono movimenti, e il movimento è causato dall'anima,


non segue che l'anima sia in movimento, poiché il soggetto di
tali movimenti è il composto di anima e di corpo, l'anima essendo
l'origine e il termine di movimenti che non sono in essa né di essa,
ma sono traslazioni o alterazioni degli organi corporei. Sui movi-
menti del cuore (408 h 8) cfr. De an. A l, 403 a 31-b l. Siccome
per Aristotele gli stati psichici menzionati in 408 b 5-6 (cfr. anche
408 b 2-3) sono movimenti di un organo corporeo, che a sua volta
è mosso dall'anima come sua causa efficiente (cfr. 408 b 7), in 408
h 8, dopo kineisthai, si deve sottintendere \ncò ~iit; ~Xiit; (cfr.
anche De an. A 5, 411 a 29-30). In 408 b 8-9 lo Stagirita afferma
che il pensiero è un determinato movimento del cuore o di un
altro organo (cfr. anche Metaph. Z 10, 1035 h 25-7); tale moto
corporeo che accompagna il pensiero dev'essere riferito alla phan-
tasia (cfr. De an. r 7, 431 a 14 sgg.; inoltre Hicks, ad 408 h 9,
27 4). TCLu,;a. crup,(ia.LVEL ( 408 h 9) si applica alle attività psichiche,
mentre ,;t.và. xt.voup,Eva. (408 h lO) agli organi corporei, come il
cuore o gli organi sensori (cfr. 408 h 3). Cosl la palpitazione del
cuore connessa ad un'emozione (cfr. PA r 6, 669 a 17-23) si po-
trebbe considerare un movimento locale, mentre l'ebollizione del
sangue causata dalla collera (cfr. De an. A l, 403 a 31-b l) po-
trebbe essere ritenuto un mutamento qualitativo ( 408 h l O-l). IIwt;
( 408 h 11 ) riprende la distinzione tra phorà ed alloiosis, sulla quale
dr. anche Platone, Tht. 181 c 6 sgg. e Prm. 138 h 9 sgg.; sulla
sensazione come 'alterazione' cfr. anche De an. B 5, 416 h 33 sgg.;
Ph. H 2, 245 a 3. Filopono (157, 21-2) scorge in heteros logos
(408 h 11) un'allusione al De Partibus Animalium od al De Motu
Animalium, ma la cosa non è sicura.
In 408 h 11 leggo ,;Ò OÈ ÀlyELV - Bonitz (Aristotelische
Studien, Il, 118-20 [398-400]) difende invece la lezione ,;Ò o'Ì}
ÀÉyELV - , che riprende EL yà.p xa.! ( 408 h 5) avente valore con-
cessivo: Aristotele, avendo ammesso (in 408 h 5-11) che gli stati
psichici sono movimenti, e che questi movimenti vengono prodotti
dall'anima, e che hanno come loro condizioni materiali determinati
movimenti corporei, in 408 h 11-3 esclude tuttavia che tali pro-
cessi abbiano come loro soggetto immediato l'anima stessa, giacché,
se è assurdo attribuire all'anima «il tessere e l'edificare, può es-
sere soltanto parzialmente vero che l'anima ha compassione, o ap-
prende, o pensa » (Hicks, ad 408 h 13, 275). Lo Stagirita precisa
infatti ( 408 b 13-5) che il soggetto delle attività psichiche è l'uomo
per mezzo della sua anima (dr. però 408 h 1-2; De an. r 7, 431
h 2-6; EN K 4, 1174 h 17-8). Considerare però l'anima come il
principio mediante il quale l'uomo esercita le sue funzioni psichiche,
non deve indurre - insiste Aristotele - a riportare il movimento
nell'anima ( 408 h 15). Nell'anima non si verificano movimenti, ma
movimenti arrivano ad essa o si dipartono da essa ( 408 h 16). Cosl

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NOTE AD A4 263

la sensazione è un movimento che trova il suo stimolo negli og-


getti sensibili e il suo termine nell'anima, mentre, viceversa, il
ricordo come 'richiamo alla memoria' ( 408 h 17: anamnesis; cfr.
Mem. 2, 451 a 18 sgg.; inoltre Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere,
1129 n. 15) è un movimento che parte dall'anima e termina alle
tracce che la sensazione ha deposto negli organi sensori ( 408 h
16-8). Il fenomeno della memoria viene cosl descritto da Ross (ad
408 h 17-8, 198): in occasione di una nuova percezione, noi ri-
cerchiamo, tra le sensazioni o immagini passate, quella che asso-
miglia alla sensazione presente, e trovarne una siffatta è precisa-
mente il 'richiamo alla memoria'; la clausola il p,ov~ ( 408 h 18)
è una correzione di kineseis (408 h 18), giacché, nel caso della
anamnesis, noi .non possediamo più le sensazioni trascorse, ma sol-
tanto le tracce che hanno lasciato negli organi di senso.
L'intero nostro passo è diretto, ancora una volta, contro le
dottrine cinetiche dei Presocratici e di Platone. A questo propo-
sito, Cherniss (Plat. Ac., 402-3) trova anzitutto un antecedente
delle emozioni elencate in 408 h 2 in Platone, Lg. X, 897 a 2-3.
Inoltre a 408 h 5-11 e 16-7 non è estranea la dottrina platonica
delle sensazioni e delle emozioni come movimenti che avvengono
nell'anima, essendo indotti da movimenti prodottisi negli organi
corporei (dr. Phlb. 33 d 2 sgg.; 43 h l sgg.; Ti. 42 h 4 sgg.; 45
c 8 sgg.; 64 a 2 sgg.; 67 h 2 sgg.; Tht. 186 h 2 sgg.; Phd. 79
c l sgg.; R. V, 462 c 11 sgg.). Anche 408 h 13-5 ricorda Tht. 184
d 4-5. Tuttavia - rileva Cherniss - Platone distingueva netta-
mente il moto essenziale e proprio dell'anima dai movimenti che
hanno il corpo come soggetto, e che dal corpo vengono trasmessi
all'anima come 'ausiliari' (cfr. Lg. X, 896 e 8 sgg.; Phlb. 33 d
2 sgg.; Ti. 43 a 5 sgg.). La possibilità di tale distinzione non è
invece presa qui in considerazione da Aristotele, il quale, pur am-
mettendo l'associazione tra movimenti degli organi corporei e pro-
cessi psichici, esclude che il movimento abbia luogo nell'anima
stessa. Ciononostante - conclude Cherniss - lo Stagirita in molte
occasioni non esita a parlare di 'modificazioni', come pure di
'movimenti' dell'anima (cfr. De an. B 5, 417 h 2-16; r 7, 431
a 6; 431 h 2-5; 10, 433 h 17-8; Mem. 2, 452 h 9-13; Somn. Vig.
l, 454 a 8-10; Metaph. A 7, 1072 a 30; Ph. 9 2, 253 a 17-8).
È noto però che, se Aristotele usa talvolta il termine kinein per
designare l'influenza dell'oggetto sull'organo o la facoltà conosci-
tiva (cfr. De an. r 2, 426 b 31), ciò non attenua la sua convinzione
che il processo conoscitivo è diverso da una mera ricezione passiva
(cfr. su ciò Elders, Aristotle's Theology, 168). Per la distinzione
fra stati psichici come kineseis e come energheiai cfr. Metaph. 9 6,
1048 h 18 sgg. Cfr. anche Introduzione, 103-4.
6
( 408 h 18-29). Il passo precedente ( 408 h 1-15) poteva dare
l'impressione che Aristotele considerasse il pensiero nei puri limiti

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264 NOTE AD A4

delle funzioni psicofisiche, aventi per soggetto non l'anima stessa,


ma il composto di anima e di corpo. Sullo statuto ontologico del
nous il presente testo apporta ora delle precisazioni molto impor-
tanti. Lo Stagirita esordisce affermando la preesistenza, sostanzia-
lità e incorruttibilità del nous ( 408 h 18-9). Il verbo Èyyt:vEcri)a,t,
(408 h 18) da un lato esprime la funzione di 'forma' (cfr. anche
408 a 21), ossia di anima, che l'intelletto assolve nell'uomo, una
volta che sia giunto in esso, e dall'altro la sua preesistenza (dr.
GA B 3, 736 b 15-29; su questo testo dr. Moraux, A propos,
255 sgg.; Lefèvre, Sur l'évolution, 251 sgg.; Elders, Aristotle's
Theology, 111 n. 44; Berti, Aristote, 103 n. 2). Per l'incorrutti-
bilità e immortalità del nous dr. anche Metaph. A 3, 1070 a 24-6.
In 408 h 19-25 Aristotele propone un argomento a favore di
tale incorruttibilità ed apatheia, argomento basato sull'analogia con
la facoltà sensitiva (dr. anche De an. r 4, 429 a 13 sgg.). Per l'in-
debolimento (fisico e psichico) della vecchiaia (408 h 20) cfr. Resp.
23, 479 a 15 sgg. In 408 h 23 psyche è l'anima sensitiva, ed
E'V (l) (dr. anche 408 a 32) si riferisce al corpo vivente. In 408 b 25
law deve alludere a1 cuore (cfr. Ross, ad 408 h 25, 198-9); a.u't6
si riferisce al nous considerato nella sua vera essenza, prima e dopo
la sua unione con il corpo; per apathes (dr. anche 408 h 29) come
'inalterabile', 'non soggetto ad alcuna specie di mutamento' e
'indistruttibile' cfr. Metaph. A 7, 1073 a 11; 8, 1074 a 19. La
tesi della 'impassibilità' e incorruttibilità del nous, rispetto al cor-
ruttibile soggetto umano ed alle sue funzioni psicofisiche, viene ul-
teriormente approfondita in 408 h 25-9. In 408 h 26-8 ÈxEi:vo è il
nous, visto, daccapo, nella sua sostanzialità ed essenza. Tò lxov,
come 'tOU'tO ( 408 h 27) e 'tÒ XOL'VO'V ( 408 h 28) è l'uomo singolo,
composto di anima e di corpo. Per theioteros ( 408 h 29) cfr. i passi
citati da Hicks (ad 408 h 29, 279) e inoltre Platone, Ti. 51 e
6-52 a l.
7
( 408h 30-409 a 30). In quest'ultima parte del capitolo Ari-
stotele, dopo aver ribadito l'impossibilità del movimento dell'anima
(salvo quello « per accidente » ), e quindi, a fortiori, della sua auto-
cinèsi, rivolge le prime sei obiezioni alla teoria senocratea dell'anima
come numero semovente ( 408 h 32 sgg. ), teoria che era stata già
presentata in De an. A 2, 404 b 27-30. La critica a Senocrate, che
continuerà nel capitolo seguente (De an. A 5, 409 a 31-b 18), si
basa, da un lato, sulla presupposizione che il ' numero ' della defi-
nizione senocratea vada interpretato, in senso strettamente mate-
matico, come una« pluralità di unità» (dr. Metaph. I l, 1053 a 30),
e che pertanto ciò che è vero del numero sia vero pure delle sue
unità componenti; e, dall'altro, sulla dottrina del movimento com'è
svolta specialmente nella Fisica (cfr. anche Hicks, 264; ad 408
h 34, 279).
Il significato dottrinale e storico di questa teoria senocratea è

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NOTE AD A 4 265

molto discusso. La polemica intercorsa a questo proposito tra Merlan


e Cherniss è nota. Merlan (Beitriige, 204-5; From Platonism,
47 sgg.), avvicinando la definizione 'aritmetica' di anima proposta
da Senocrate a quella 'geometrica', formulata da Speusippo, come
'forma dell'estensione' (fr. 40 Lang; dr. anche st1pra 237), ri-
tiene che per Senocrate l'anima sia un'entità matematica distinta
dalle idee, intermediaria fra queste e il mondo sensibile, e dotata
di movimento. Invece secondo Cherniss (Plat. Ac., 399-402; 511-2;
L'enigma, 52-6), poiché Senocrate identificava le idee con i numeri,
non poté aver assimilato l'anima né con una idea-numero (giacché
questa è essenzialmente immobile, mentre quella è essenzialmente
mobile), né con un numero come entità intermedia. L'anima-numero
di Senocrate non è neppure, come la interpreta Aristotele nella
sua critica, un aggregato di unità. In definitiva, per Cherniss la
fonnula senocratea ha un intento polemico contro l'anima-gran-
dezza spaziale di Speusippo (cfr. anche De an. A 3, 407 a 8-9),
e insieme si presenta come esegesi (alternativa a quella di Speu-
sippo) del Timeo (precisamente della dottrina 'matematizzante' della
composizione dell'anima di tauton, thateron e ousia; dr. Ti. 35 a
l sgg.; inoltre Heinze, Xenokrates, 65-6), esegesi compiuta da Se-
nocrate avendo di vista anche l'autocinèsi dell'anima affermata nel
Fedro e nelle Leggi. Su ciò cfr. anche Isnardi Parente, Platone,
in Zeller-Mondolfo, II, III, 2, 970-3.
Nella prima obiezione ( 409 a 1-3) Aristotele mostra che un'unità
in movimento è inammissibile. Se infatti tale unità si muove da sé
(dr. 408 b 32-3; 409 a 3), essa, che per definizione è senza parti
e differenze, implicherebbe la differenza di 'motore' e 'mosso'
(dr. anche Ph. Z 10, 240 h 8-9; 241 a 6-7; 8 5, 257 h 2-13).
La seconda aporia ( 409 a 3-7) pone la dottrina di Senocrate di
fronte ad una conseguenza paradossale: i movimenti dell'anima se-
nocratea non consisteranno in quelle attività che tutti riconoscono
all'anima, ma dovranno essere produzioni di linee. Siccome, infatti,
l'anima-numero occupa una posizione, giacché si trova in un corpo,
le unità che la costituiscono saranno punti, in quanto il punto si
definisce precisamente come un'unità avente posizione (dr. anche
APo. A 27, 87 a 36; Metaph. 4. 6, 1016 h 24-31; M 8, 1084 h
26-7). Ora se, come alcuni affermano, il moto di un punto genera
una linea, come quello di una linea genera un piano (dr. anche
Top. A 18, 108 h 26 sgg.; Z 4, 141 h 5 sgg.), ne consegue che
i movimenti dell'anima-numero, in quanto formata di punti, sa-
ranno linee. In cpcxal (409 a 4) Filopono (166, 26-7) vede un'al-
lusione a non meglio specificati 'geometri' (cosl anche Hicks, ad
409 a 1-30, 279), e Rodier (Il, ad 409 a 4, 140) allo stesso Se-
nocrate (cosl anche Theiler, ad 408 h 30, 101, che si richiama
ad au"toLc; di 408 h 33, e suppone l'utilizzazione da parte di Se-
nocrate di una dottrina geometrica ormai diffusa; dr. Platone,

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266 NOTE AD A4

Lg. X, 894 a l sgg.). Invece Cherniss (Plat. Ac., 396 n. 322) so-
stiene che la « "fluxion" theory » di 409 a 4-5 è usata da Aristo-
tele in funzione antisenocratea, e va attribuita a Speusippo. Infine
per Timpanaro Cardini (Pitagorici, III, 153 nota) il cpa.oi si ri-
ferisce ai Pitagorici (cfr. Sesto Empirico, M. X, 281), com'è con-
fermato in 409 a 6 dalla definizione pitagorica di punto geometrico.
Nella tena obiezione ( 409 a 7-10) lo Stagirita richiama un fe-
nomeno biologico che si dimostra inconciliabile con la teoria se-
nocratea dell'anima. Difatti la sottrazione di un numero ad un altro
numero produce un numero diverso, e la sottrazione ad un numero
di una unità produce un numero specificamente diverso (cfr. Me-
taph. H 3, 1043 h 36-1044 a 2; per il pari e il dispari come 'acci-
denti per sé' e 'specie' del numero intero dr. APo. A 4, 73 a
39-40; Metaph. r 2, 1004 h 10-1). Ora, nel caso del sezionamento
delle piante e degli animali inferiori, i segmenti risultanti hanno
un'anima specificamente identica a quella delle piante e degli ani-
mali originari (dr. anche De an. A 5, 411 h 19-30; B 2, 413 h
16-24; Metaph. Z 16, 1040 b 5-16; Resp. 2, 468 a 26 sgg.), mentre,
se l'anima fosse un numero, in questo caso dovrebbe essere di
specie diversa.
Se nella prima obiezione Aristotele aveva evidenziato l'impos-
sibilità del movimento dell'anima-numero in base alla semplicità
delle sue unità componenti, nella quarta ( 409 a l 0-21) egli sostiene
la medesima tesi argomentando dalla distinzione delle unità-punti
(dr. 409 a 19-21 con 409 a 2). L'aporia avvicina Senocrate a De-
mocrito, ed intende mostrare come la teoria senocratea dell'anima-
numero semovente e quella democritea degli atomi psichici di forma ·
sferica sostanzialmente si equivalgono ed incorrono nelle medesime
difficoltà (dr. anche Metaph. M 8, 1084 h 23-8). Lo Stagirita
ipotizza la riduzione degli atomi sferici democritei a punti. Questi
atomi-punti formano un numero (409 a 13 e 15: 'tÒ 1toa6-v; dr.
anche 409 a 17; Metaph. M 9, 1085 a 3-5; N 2, 1089 h 34), ossia
costituiscono un aggregato di punti. In tale aggregato di atomi-punti
in movimento, come avviene in un corpo esteso che si muova (dr.
anche 409 a 16-7; Ph. 8 5, 257 a 33-258 a 27), dev'esserci una
distinzione tra la parte motrice e quella mossa, e ciò non perché
tra gli atomi-punti vi sia una differenza di grandezza od estensione
(che, ex hypothesi, è venuta meno), ma per il solo fa~to che essi
formano una quantità numerica dotata di movimento (409 a 10-5).
Ma se - continua Aristotele - , nel caso degli atomi-punti, alcuni
devono essere moventi ed altri mossi, la stessa regola deve valere
anche per le unità-punti (dr. 409 a 20) di Senocrate, di cui al-
cune dovranno essere motrici ed altre mosse. Se allora (come cer-
tamente avrebbe ammesso lo stesso Senocrate) .l'anima è il principio
motore degli animali, dovrà anche esserlo (in forza delle argomen-
tazioni svolte in Ph. 8 5) nel caso del numero (come aggregato di

Baruch_in_libris
NOTE AD A5 267

unità), identificandosi pertanto con le sole unità motnct, e non


anche con quelle mosse. Sennonché - conclude Aristotele - una
unità-punto, per essere motrice, dovrebbe come tale differenziarsi
dalle unità mosse, mentre le unità-punti non possono distinguersi
(dr. anche 409 a 6) che per la posizione (409 a 15-21).
La distinzione fra le unità-punti affermata nella quarta aporia
in base alla loro posizione, conduce Aristotele a formulare la quinta
( 409 a 21-8), che pone Senocrate di fronte ad una alternativa. Il
primo como del dilemma ( 409 a 21-5) è cosl formulato: se le unità
che formano l'anima e che si trovano nel corpo (dr. anche 409
a 7) sono distinte dai punti che costituiscono il corpo stesso, eia. .
scuna unità psichica occuperà il medesimo spazio che è tenuto da
ciascun punto corporeo, con la conseguenza assurda che nello stesso
luogo si avrà un numero infinito di unità e di punti (dr. Ross, ad
409 a 21-8, 202). Se infatti il luogo dei punti e delle unità è indi-
visibile (dr. anche De an. r 2, 427 a 5), saranno indivisibili (e
quindi non formeranno una grandezza divisibile né richiederanno
un luogo più grande) pure gli infiniti punti ed unità (cfr. Ph. 4.
1-5; particolarmente 4. 4, 211 a 27-9; inoltre Temistio, 31, 34-5;
Filopono, 170, 31-171, 4). Nella seconda parte dell'alternativa lo
Stagirita mostra che la dottrina di Senocrate implica il panpsichismo,
e quindi l'abolizione della distinzione tra esseri animati e inanimati.
In 409 a 26 arithmos sta per 1tÀiiDoc;, « somma » o « totale » (cfr.
Hicks, ad 409 a 26, 285).
La sesta obiezione ( 409 a 28-30; questo testo corrisponde a
Senocrate fr. 73 Heinze [ 188, 9-11]) presuppone la verità del
secondo como del dilemma formulato nella precedente aporia, ossia
che l'anima-numero s'identifichi con la somma dei punti del corpo.
In questo caso la tesi della separabilità e immortalità dell'anima
affermata da Senocrate (fr. 73 Heinze) diventa insostenibile, giacché
i punti sono inseparabili dal corpo. Essi infatti non sono parti, ma
'limiti' della linea, ed il limite è sempre inseparabile da ciò di cui
è limite (dr. Ph. 4. 4, 212 a 30; Z l, 231 a 24-6). Per (l'Ì) 8r.«r.-
poijv,;a,w. {409 a 30) cfr. Ross (ad 409 a 28-30, 202): una linea
non può essere divisa in punti, ma soltanto in linee più corte.

NOTE AD A 5
1
SoMMARIO. - A) Conclusione della critica di Senocrate: rie-
pilogo delle obiezioni precedenti; una nuova aporia: dalla teoria se-
nocratea non sono deducibili le varie funzioni psichiche. B) Sette
obiezioni alle dottrine che considerano l'anima formata di elementi:
(l) tali teorie non spiegano la conoscenza della 'proporzione', e
quindi dell'essenza degli oggetti; (2) l'anima non può essere com-
posta da elementi comuni a tutte le categorie, né da quelli propri

Baruch_in_libris
268 NOTE AD A5

soltanto delle sostanze, né da quelli propri delle sostanze e degli


accidenti; (3) è un'incoerenza affermare l'interazione dei dissimili, e
insieme sostenere il principio che il simile conosce il simile; ( 4) se
il simile conosce il simile, le parti corporee formate di terra do-
vrebbero percepire gli oggetti ad esse omogenei, ma ciò non avviene;
(5) se il simile conosce il simile, ciascun elemento conoscerà sol-
tanto l'elemento corrispondente, e cosi, ad es., il dio di Empedocle
(ossia lo sfero, che non ha in sé la Discordia) sarà il meno sapiente
degli esseri; ( 6) l'elementarismo implica il panpsichismo; ( 7) gli
elementi materiali non sono gli esseri primi, ma presuppongono un
principio unificatore, che è l'anima-intelletto. C) Altre aporie in cui
incorrono le dottrine dei predecessori: ( l) le teorie che considerano
il movimento come la caratteristica essenziale dell'anima sono smen-
tite dall'esistenza di animali non dotati di locomozione; (2) le dot-
trine elementaristiche, che assumono la conoscenza come l'elemento
definitorio del1a vita, non tengono conto dell'insensibilità delle piante
e della irrazionalità di molti animali, ed ignorano le funzioni vege-
tative proprie di ogni essere vivente; (3) i poemi orfici, che con-
nettono la vita alla respirazione, vanno incontro ad una difficoltà
simile; ( 4) un'ultima obiezione alla teoria elementaristica: non è
necessario che l'anima sia composta di tutti i contrari, poiché ciascun
contrario conosce sé ed il suo opposto; (5) due critiche alle dottrine
che affermano che l'anima è mescolata all'universo: (a) la vita ani-
male non si trova negli elementi in quanto tali, ma nei composti;
(h) ciascun elemento corporeo è omogeneo alle sue parti, mentre
l'anima possiede parti o facoltà diverse nei diversi viventi. D) L'unità
dell'anima: (l) l'anima, in quanto principio di unità, non può es-
sere divisibile in parti realmente e spazialmente distinte; (2) se
l'anima fosse divisibile, ogni sua parte dovrebbe costituire il prin-
cipio unificatore di una data parte del corpo, mentre l'intelletto
non ha alcun sostrato corporeo su cui esercitare tale funzione; ( 3) il
sezionamento di un vivente inferiore non pregiudica l'unità specifica
della sua anima.
2
(409 a 31-b 18). In questa prima parte del capitolo Aristotele
conclude la sua critica a Senocrate. Egli anzitutto riassume le obie-
zioni del capitolo precedente, avvicinando la dottrina dell'anima-
numero a quella dell'anima-leptomeres ed a quella atomistica ( 409
a 31-b 11; il passo corrispondente a 409 a 32-b 4 si legge in De-
mocrito DK 68 A l 04 a [II, l 09, 31-3]). Kt1Dci1tEP EL1tOiJ,EV ( 409
a 31) rimanda a De an. A 4, 408 h 33-409 a l; 409 a 10-1. So-
stenitori della leptomereia dell'anima ( 409 a 32) sono Diogene di
Apollonia ed Eraclito (dr. De an. A 2, 405 a 21-9), e specialmente
Democrito (cfr. De an. A 2, 405 a 5-13; 4, 409 a 10 sgg.). In 409
h l la clausola idion tò atopon sta a significare che la dottrina di,
Senocrate, rispetto a quella della leptomereia, è soggetta a difficoltà
speciali (peraltro comuni anche alla teoria democritea; dr. 409 h

Baruch_in_libris
NOTE AD A5 269

7 sgg.), che conseguono alla spiegazione del moto del vivente in


base all'autocinèsi dell'anima-numero. Lo Stagirita rileva come la
teoria dell'anima-leptomeres e quella dell'anima-numero vadano in-
contro ad una difficoltà analoga ( 409 h 2-7), la prima perché deve
ammettere che due corpi (il corpo senziente e l'anima, composta di
particelle, che vi è diffusa) si trovano nello stesso luogo; la seconda
perché deve supporre o che in uno stesso punto geometrico ci siano
un punto· corporeo ed una unità psichica (cfr. la prima parte della
quinta obiezione in De an. A 4, 409 a 21-5; inoltre Ross, ad 409
a 31-b 7, 206), oppure la validità del panpsichismo (cfr. la seconda
parte della quinta obiezione in De an. A 4, 409 a 25-8). Aristotele
aggiunge che la dottrina senocratea incorre nella medesima aporia
di quella democritea, giacché entrambe, per giustificare il moto degli
animali, ammettono il movimento della stessa anima ( 409 h 7-11 ;
Eq>a.IJ,Ev [409 h 8] rimanda a De an. A 2, 403 h 28 sgg.; 3, 406
h 15-25; 4, 409 a 10-21; dr. anche Metaph. A 4, 985 h 19-20). In
409 h 9 lo Stagirita precisa che, da questo punto di vista, la deter-
minazione delle dimensioni dei componenti dell'anima è del tutto ir-
rilevante (cfr. anche 409 a l O sgg.).
Aristotele rivolge infine una nuova obiezione (cfr. però già la
seconda aporia in De an. A 4, 409 a 3-7) alla teoria senocratea,
ossia che il movimento e il numero non possono costituire gli ele-
menti definitori dell'anima (com'è dimostrato dalle precedenti aporie),
e neppure i suoi 'accidenti per sé', com'è comprovato dal fatto che
dalla definizione senocratea di anima non sono in alcun modo de-
ducibili le varie funzioni psichiche ( 409 h 11-8). Per symplexasin
(409 h 11) cfr. De an. A 2, 404 h 29; inoltre De Pater, Les To-
piques, 223 e n. 813. Proteron (409 h 17) rinvia a De an. A l,
402 h 16-403 a 2; 3, 406 a 26-7; 4, 408 a 3-5.
3
( 409 h 19-28). Aristotele riprende anzitutto ( 409 h 19-23) lo
schema tripartito dell'anima (cfr. De an. A 2, 405 h 11-2) e dà per
conclusa la critica delle dottrine cinetiche (cfr. De an. A 3, 405 h
31 sgg.) e delle teorie dell'anima-leptomeres (cfr. 409 a 31 sgg.).
Egli quindi riespone le dottrine della formazione dell'anima in base
agli elementi ( 409 h 23-8; cfr. De an. A 2, 404 h 8 sgg.: Empe-
docle e Platone), alle quali rivolgerà poi sette obiezioni ( 409 h 28-
41 O h 15). Il principio che il simile conosce il simile ( 409 h 26-7)
è sostenuto, oltre che da Empedocle e Platone, anche da Eraclito
e Diogene di Apollonia (dr. De an. A 2, 405 a 21 sgg.; inoltre 405
h 13-9).
4
409 h 28-410 a 22). Il presente testo comprende le prime
(
due delle sette obiezioni alle dottrine che affermano la composizione
elementare dell'anima. La prima obiezione (409 h 28-410 a 13)
mostra come tali dottrine riusciranno a spiegare la conoscenza degli
elementi come tali, ma non quella delle loro 'proporzioni' (e

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270 NOTE AD A5

quindi dell'essenza degli oggetti), e neppure quella delle qualità


(ad es. il bene) e delle privazioni (ad es. il non-bene). Ta.v"ta. ( 409
h 28; 29) va riferito agli elementi (dr. 409 h 24). In 409 h 32
theos designa il dio di Em~docle, ossia lo sfero. ll passo corrispon-
dente a 410 a 1-6 è riportato in Empedocle DK 31 B 96 (1, 345,
18-9; 346, 5-7). Per logos e synthesis (410 a 2) dr. anche De an.
A 4, 407 h 32 sgg.; Metaph. A 10, 993 a 17-24; H 2, 1042 h 25-31;
Cael. r ~, 300 h 25-30. Sui tre versi empedoclei (410 a 4-6) dr.
Gallavotti (Empedocle, 29; 205-6): la proporzione è in ottavi:
due spettano alla terra, uno all'acqua (Nestide), uno all'aria (luce o
« Splendore ») e quattro al fuoco (Efesto ). Per la presenza della
pietra o dell'uomo nell'anima (410 a 11) Hicks (ad 410 a 11, 290-1)
rinvia a De an. r 8, 431 h 29-432 a l, e fa osservare che tale
«crude assumption » non è lontana dalla teoria empedoclea delle
apo"oai e da quella democritea degli eidola.
La seconda aporia (410 a 13-22) si basa sulla distinzione tra
sostanza ed accidenti. Siccome l'essere, che costituisce l'oggetto della
conoscenza, si divide secondo la tavola delle categorie, la teoria ele-
mentaristica od affermerà che l'anima è l'insieme di tutte le cate-
gorie, e di conseguenza l'anima s'identificherà con gli elementi co-
muni a tutte le categorie, ed assumerà il ruolo di 'categoria delle
categorie' (dr. Trendelenburg, ad 410 a 13, 233; Wallace, ad
410 a 13, 223; Cherniss, Pres., 304), il che è contraddetto dalla
dottrina aristotelica delle categorie; oppure assimilerà l'anima agli
elementi o principi delle sostanze, rimanendo cosl inesplicata la co-
noscenza degli accidenti; oppure ammetterà che l'anima consiste in
una combinazione degli elementi propri di ciascuna categoria, con la
conseguenza assurda che l'anima-sostanza deriverà anche dai principi
degli accidenti. Sulla dottrina aristotelica dell'essere dr. S. Mansion,
Le iugement, 218 sgg.; Owens, The Doctrine, passim; Moreau,
L'etre, 181 sgg.; Deninger, « W ahres Seùt », passim; Aubenque,
Le problème, passim; Buchanan, Aristotle's Theory, passim; Owen,
Aristotle, 69 sgg.; Mignucci, In margine, 227 sgg.; per i diversi
significati dell'essere secondo le figure delle categorie dr. De an.
A l, 402 a 23-5; Metaph. A 9, 992 h 18-24; r 2, 1003 a 33 sgg.;
A 7, 1017 a 22-7; Z l, 1028 a 10 sgg.; sulla polisemia del concetto
di essere dr. Brentano, Von der mannigfachen, passim; Barth, Das
Problem, 11 sgg.; Reale, L'impossibilità, 289 sgg.; Leszl, Logic,
passim. Sulla tesi (antiplatonica) della inesistenza di elementi comuni
a tutte le categorie (410 a 15-7) cfr. Metaph. A 9, 992 h 18-24;
A 28, 1024 h 9-16; K 9, 1065 h 5-9; A 4, 1070 a 31-b 21; N l,
1088 a 21-35; Ph. r l, 200 h 34-201 a l. In 410 a 18 ghenos
denota il 'genere sommo', ossia la categoria. In 410 a 19 stoicheia
kai archai idiai sono gli elementi o principi specifici di ciascuna ca-
tegoria (dr. Metaph. A 9, 992 h 21-2; A 4, 1070 a 31 sgg.: di-'
versità reale ed identità analogica dei principi delle sostanze e degli

Baruch_in_libris
NOTE AD A5 271

accidenti: materia, forma e privazione; 1070 h 20-1; inoltre Elders,


Aristotle's Theology, 118-9). Che dagli elementi della quantità non
possa derivare una sostanza (410 a 20-1) è confermato da Metaph.
Z 3, 1029 a 14-6. Riguardo all'anima-ousia di 410 a 20 e 21, Hicks
(ad 410 a 20-1, 291-2) e Cherniss (Pres., 305 n. 56) fanno osser-
vare che Aristotele, naturalmente, è convinto che l'anima sia so-
stanza (dr. De an. B l, 412 a 19), ed è pure convinto che la tesi
della sostanzialità dell'anima sarebbe stata condivisa dalla teoria
che egli sta discutendo.
5
410 a 23-h 15). Fanno qui séguito le restanti cinque obie-
zioni. La terza (410 a 23-6) rivolge ai sostenitori della dottrina ele-
mentaristica un'accusa di incoerenza, giacché essi (ad es. Empedocle)
in campo gnoseologico proclamano il principio che il simile conosce
il simile, mentre in quello fisico difendono la tesi che l'interazione
è possibile soltanto tra dissimili (dr. anche De an. B 4, 416 a 32;
GC A 7, 323 h 1-15: tutti i Presocratici, eccetto Democrito, hanno
affermato che l'interazione avviene solo tra dissimili; inoltre Cher-
niss, Pres., 305; Reiche, Empedocle's Mixture, 50; Ross, ad 410
a 23-5, 207; O' Brien, .Empedocle's Cosmic Cycle, 301-4). Tale
incoerenza è aggravata dal fatto che essi ammettono che la sensa-
zione e il pensiero, ed in generale la conoscenza, consistono nel
subire un'affezione e un mutamento.
La quarta aporia ( 41 O a 27-h 2) è diretta espressamente contro
Empedocle, il quale, spiegando la conoscenza in base alla somiglianza
degli elementi corporei del soggetto con gli elementi degli oggetti
(dr. De an. A 2, 404 b 8-15; r 3, 427 a 26-9), non è in grado di
giustificare l'assenza di percezione nelle parti corporee composte pre-
valentemente di terra (dr. anche De an. r 13, 435 a 24-5; Mete.
A 10, 389 a 11-3). In 410 a 29 conservo il testo dei mss.: xa.t
1tpÒ~ 'tÒ lS(lot.o" (dr. anche De an. r 7, 4 31 a 11). T à homoia ( 41 O
b 2) si riferisce agli oggetti composti di terra (dr. Mete. A 10, 389
a 11 sgg.; GA r 11, 761 b 13: le piante; Resp. 19, 477 a 27-8). La
pertinenza di questa obiezione è stata messa in dubbio da Cherniss
(Pres., 307), il quale nota che per Empedocle i peli e le ossa do-
vevano essere capaci di sensazioni, ancorché deboli (dr. DK 31 B
103 [I, 350, 6]; B 109 [I, 351, 20]; B 110 [I, 353, 5] ).
Nella quinta obiezione (410 h 2-7) Aristotele mostra come Em-
pedocle sia costretto ad ammettere l'ignoranza di ciascun principio-
elemento, limitato com'esso è alla conoscenza del solo elemento
corrispondente (dr. però 411 a 2-7), e dello stesso dio-sfero, cui
rimane ignota la Discordia. Per il significato di ayvot.a. (410 b 2)
dr. APo. A 16, 79 b 23-4. "E" (410 b 3) è «un solo demento ».
Per l'uso appositivo di ycip (410 h 4) dr. Denniston, The Greek
Particles, 67-8. Theos (410 b 5; dr. anche 409 h 32) è lo sfero,
che non contiene alcuna parte dell'elemento-Discordia (cfr. Metaph.
B 4, 1000 a 28-9; inoltre DK 31 B 27 [1, 324, 3-4]; B 27 a [1,

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272 NOTE AD A5

3 24, 8 ] ; B 28 [ I, 324, l O-l ] ; B 29 [ I, 325, 5 ] ; B 31 [ I, 32 5, 15 ] ),


e che perciò - sostiene Aristotele - , secondo il principio simile-
simili, non può conoscerlo (cfr. anche Metaph. B 4, 1000 h 3-6).
Tà ihiT}"tci. (410 h 6) sono gli esseri viventi. Cherniss (Pres., 232
n. 64; 307 e n. 63), riguardo alla prima parte di quest'aporia ( 410
h 2-4), fa osservare che la percezione della totalità dell'oggetto è
esplicitamente assegnata da Empedocle a quell'organo in cui sono
mescolati tutti gli elementi: il cuore e il sangue (cfr. DK 31 A 86
[I, 302, 19-24]; B 105 [I, 350, 13-5]); riguardo alla seconda
(410 h 4-7), che Empedocle, con il termine 'dio', designa non
soltanto lo sfero, ma molte altre cose, e specialmente gli elementi
(cfr. DK 31 A 32 [I, 289, 10 sgg.]; B 21 [I, 320, 7]; B 23 [1,
321, 8; 11]).
La sesta difficoltà ( 410 h 7-10) rileva come dalla costituzione
elementare di ogni ente (cfr. anche De an. A 2, 405 h 13-4) e dalla
sua capacità di conoscere il simile, avrebbe dovuto essere ricavata la
conseguenza del panpsichismo. Cherniss (Pres., 307) osserva che
i pensa tori di indirizzo monistico, i quali identificavano l'anima con
il loro principio ' materiale ', ammettevano che ogni cosa in certo
senso fosse animata, e tuttavia che le funzioni psichiche si differen-
ziassero rispetto agli stati del principio elementare (cfr. Eraclito DK
22 B 36 [I, 159, 8-10]; B 117 [I, 177, 1-3]; Diogene di Apollonia
DK 64 B 5 [Il, 61, 4 sgg.]). Per quanto riguarda Empedocle- nota
Cherniss - , egli attribuisce varie gradazioni di sensibilità a tutti
gli esseri (dr. i frammenti citati nel commento alla quarta aporia),
senza che peraltro essa implichi un'anima distinta dal corpo (cfr.
supra 234).
La settima aporia ( 410 h 10-5) afferma che gli elementi materiali
non possono essere gli 'enti primi', giacché postulano un principio
superiore che li unifichi, principio che non può essere che l'anima
o il nous, ossia una causa formale e finale. In 410 h 11 autà va
riferito agli elementi che compongono gli esseri viventi. Gli elementi
di cui parla la dottrina in questione non s'identificano, ma soltanto
si avvicinano al concetto aristotelico di materia come pura potenza
(410 h 11; cfr. anche Metaph. A 3, 983 b 6-18; 4, 985 a 31-3).
Per tò synechon (410 h 12) dr. anche 411 h 6; De an. B 4, 416
a 6; inoltre Platone, Tht. 184 a l sgg. Per il rapporto di subordi-
nazione tra elementi ( = corpo) ed anima, e tra anima e nous ( 41 O
h 11 sgg.) dr. anche Protr., fr. 6 Ross; 59-60 Diiring. Per l'intel-
letto proghenestatos (410 h 14; dr. anche Metaph. A 3, 1070 a 21)
cfr. De an. A 4, 408 h 18-29; r 5, 430 a 23: immortalità ed eter-
nità dell'intelletto produttivo.
6
(410 h 16-411 a 7). In questo testo, e sino a 411 a 23, Ari-
stotele rimprovera i suoi predecessori di limitarsi ad offrire delle
generalizzazioni sommarie sul problema dell'anima, le quali poi si
risolvono inevitabilmente in visuali troppo ristrette del problema,

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NOTE AD A5 273

nel senso che non riescono a proporre una definizione universale


di anima, che sia applicabile a tutte le forme di vita (410 h 16-8;
dr. anche De an. A l, 402 h 3 sgg.). Nella prima parte del pre-
sente testo ( 410 h 16-27) lo Stagirita, riprendendo lo schema bipar-
tito (dr. De an. A 2, 403 h 25 sgg.), si rivolge alla dottrina del-
l'anima come principio di conoscenza e composta di elementi, ed a
quella deJl'anima come forza motrice. Alle teorie cinetiche Aristo-
tele oppone il dato d'esperienza che certi animali, pur dotati di
sensibilità, sono incapaci di spostamento locale (410 h 18-21). Per
monima (410 h 19) dr. HA A l, 487 h 6-11 (molti generi di
ostriche; le spugne); 8 l, 588 h 12-7 (gasteropodi). Ma -continua
lo Stagirita - neppure le dottrine che definiscono l'anima in base
alla conoscenza (sensitiva e intellettiva) e che la considerano for-
mata di elementi, riescono a dar conto di ogni specie di anima e
di ogni forma di vita, giacché le piante, che pur sono esseri viventi,
sono prive di sensibilità, e il maggior numero degli animali sono
sprovvisti di ragione (410 h 21-4; 410 h 22-30 si legge in Orfeo
l DK B Il [1, 10, 6-12]). In 410 h 23 Torstrik (ad l.; ad 410
h 16-27, 130), seguito da Ross (ad l.; ad 410 b 16-27, 208),
espunge cpopiic; ouo', in quanto irrilevante per l'argomentazione.
Anche ammettendo poi - prosegue Aristotele - che l'anima di
ogni essere vivente abbia come sue facoltà la sensibilità e l'intelletto
(dr. 410 h 16; 22), nemmeno in questo caso la teoria dell'anima-
ghnoristikon sarebbe in grado di fornire una definizione universale
di anima, e neppure una spiegazione adeguata di una data specie
di anima, poiché tale teoria ignora lo threptikon, che è l'anima dei
vegetali ed insieme è la facoltà inclusa in ogni altra specie di anima
come la conditio sine qua non delle facoltà superiori ( 41 O h 24-7;
cfr .. anche De an. B 3, 414 h 20 sgg.). .
· Un'analoga obiezione (continua lo Stagirita) può essere mossa
ai miti psicologici contenuti nei canti orfici ( 410 h 27-411 a 2).
Kaloumenois ( 41 O h 28) esprime il dubbio di Aristotele sull'auten-
ticità degli scritti di Orfeo (dr. anche GA B l, 734 a 18-9; inoltre
G. Giannantoni, in I Presocratici, l, 6 n. 5; Untersteiner, Ari-
stotele, Della filosofia, 116-9; sull'orfìsmo cfr. Mondolfo, Origini,
in Zeller-Mondolfo, I, l, 147 sgg.; 205 sgg.; Arrighetti, Orfici,
passim; Boehme, Orpheus, passim; Colli, La sapienza, l, 119
sgg.; 389 sgg.). Anapneonton (410 h 29), secondo Temistio (35,
18-9), allude alla «prima respirazione» che avviene al momento
della nascita; pensano invece ad una continua alimentazione del-
l'anima mediante la respirazione Rodier (Il, ad 410 h 29, 296),
Hicks (ad 410 h 29, 296), Tricot (59 e n. 4) e Laurenti (70
n. 199 ). Gli animali che non respirano ( 411 a l) sono i pesci (cfr.
De an. B 8, 421 a 3-6). Per un confronto tra la psicologia orfìca
e quella pitagorica (dr.. De an. A 3, 407 h 20 sgg.) dr. Maddalena
(I Pitagorici, 342 n. 58). Cherniss (Pres., 309 n. 71) fa osser-

Baruch_in_libris
274 NOTE AD A5

vare che questa obiezione avrebbe potuto essere diretta anche contro
gli Atomisti (dr. De an. A 2, 404 a 9-16).
Infine lo Stagirita solleva un'ultima difficoltà contro la dottrina
elementaristica ( 411 a 2-7), difficoltà che va da pendant a quella
avanzata in 410 h 2-4 (dr. anche De an. A 2, 405 h 23 sgg.; r
6, 430 h 23). Sul principio che la scienza dei contrari è la stessa
(411 a 3-4), in quanto appartengono al medesimo genere, dr. De
an. r 3, 427 h 5-6. Che un contrario conosca sé e il suo opposto
(411 a 3-4) vale soltanto nel caso in cui essi si relazionino come
possesso (hexis) e privazione (steresis); dr. Metaph. r 2, 1004 h
27 sgg.; I 4, 1055 h 11-29. Diversamente la conoscenza di un
contrario è bensl conoscenza anche della sua negazione (ossia di ciò
che non è identico o simile a sé; dr. Cherniss, Pres., 306 n. 60),
ma non del suo contrario positivamente determinato. Cosi chi co-
nosce il retto conosce anche il non-retto, ma non il curvo. Pertanto
l'argomento di Aristotele, come aveva osservato già Simplicio (72,
24-73, l), ha un valore puramente dialettico. Cfr. anche Rodier,
Il, ad 411 a 2-7, 156-7.
7
(411 a 7-23). In questo passo Aristotele rivolge due ohi~.doni
alle teorie che ammettono la presenza dell'anima in tutti gli ele-
menti dell'universo. Lo Stagirita si riferisce esplicitamente a Talete
( 411 a 7-8; questo passaggio corrisponde a DK 11 A 22 [I, 79,
26-7]; dr. anche GA r 11, 762 a 21), ma probabilmente ha in
mente anche Empedocle (cfr. 410 h 7-10), e forse pure gli Orfici
(dr. 410 h 27-411 a 2; inoltre Cherniss, Pres., 309 n. 72).
Per quanto riguarda la testimonianza su Talete, Maddalena (/o-
nici, 14-5) osserva come Aristotele interpreti (giustamente, secondo
Maddalena) l'apoftegma taleteo « tutte le cose sono piene di dèi »
nel senso che « tutte le cose sono animate », e supponga ( 411 a 8:
LaW<;) che questo pensiero di Talete fosse stato dedotto dal prin-
cipio che il tutto è animato. Per Classen (Thales, 842) la frase
taletea significa che anche la natura non vivente è retta da forze
agenti, le quali sono indistruttibili ed immortali (411 a 8: theoi).
Ad un'arbitraria utilizzazione da parte di Aristotele di un apoftegma
'religioso' di Talete pensa invece Gigon (232), mentre Cherniss
(Pres., 296 n. 26) dubita della stessa autenticità della frase.
Nella prima aporia ( 411 a 9-16) lo Stagirita afferma anzitutto
che, se l'anima è presente nella sua forma migliore e più pura nel-
l'aria e nel fuoco, dovrebbe esserci vita animale anche in questi
elementi, e non solo, come di fatto avviene, nei loro composti ( 411
a 9-11; cfr. anche Platone, Phlb. 29 a 9 sgg.). La menzione del-
l'aria e del fuoco (411 a 10) mostra che Aristotele ritiene che
questa e la seguente obiezione (dr. 411 a 17: f:v ~ou,;o~) vadano
dirette anche contro le dottrine di Diogene di Apollonia e di Era- ,
clito (dr. Cherniss, Pres., 309 n. 72), in quanto essi ammettono

Baruch_in_libris
NOTE AD A5 275

la 'razionalità' dei due dementi (411 a 11: beltion; 411 a 13:


beltion kai athanatoteraj dr. anche Theiler, ad 411 a 9 sgg., 104).
I miktà (411 a 10) sono i composti degli elementi che formano i
corpi degli animali (dr. De an. B 11, 423 a 12-5; r 13, 435
a 11-b 3), ed in primo luogo le loro parti omogenee (dr. su pra
260). D'altro lato - continua Io Stagirita - rimane osrura la
ragione della superiorità dell'anima dell'elemento rispetto a quella
dell'animale ( 411 a 11-3 ). In ogni caso (conclude Aristotele) de-
finire 'animale' un elemento non è sensato, e, d'altra parte, non
chiamarlo cosl dopo aver affermato che possiede un'anima 'migliore'
e 'più immortale', è assurdo ( 411 a 13-6 ).
La seconda aporia (411 a 16-23) mette in luce, in primo luogo,
che la dottrina in questione si basa sull'osservazione che ciascun
elemento, considerato nella sua totalità (ad es. il fuoco o l'aria), è
omogeneo alle sue parti. Di qui i sostenitori della detta teoria
ricavano la conseguenza che, se le parti degli elementi presenti nei
corpi organici sono animate, dev'essere animato anche ciascun ele-
mento intero (411 a 16-7; cfr. anche Platone, Phlb. 29 a 9 sgg.;
inoltre Cherniss, Pres., 309-10 e n. 74, che cita Diogene di Apol-
lonia 64 DK B 2 [Il, 59, 17 sgg.]; B 5 [Il, 61, 4 sgg.] ). Ma
allora, prosegue Aristotele, se gli esseri viventi possiedono l'anima
perché assumono una parte dell'elemento ambiente (ad es. l'aria me-
diante la respirazione), si dovrà ammettere, in forza del principio
di omogeneità dianzi stabilito, che l'anima come un tutto è omo-
genea alle sue parti (ossia alle anime particolari) che si trovano
nei singoli viventi (411 a 18-20). Autois (411 a 18) si riferisce a
Talete ed ai suoi seguaci (cfr. Ross, ad 416 a 16-23, 209). Per
l'assorbimento del periechon (411 a 19) cfr. anche De an. A 2,
404 a 9 sgg. Sennonché la tesi dell'omogeneità dell'anima è smen-
tita dall'esperienza, giacché l'anima presenta facoltà diverse nelle
diverse specie di viventi (411 a 21; cfr. anche De an. A l, 402
h 2 sgg.). Pertanto - conclude lo Stagirita - se l'aria inspirata
dai viventi è omogenea e l'anima no, non è possibile che qualunque
specie di anima sia contenuta in qualunque parte di aria ( 411 a
21-3). '0 a'Ì}p ÒLa.a1tWIJrEVOc; (411 a 20-1) è quella parte dell'aria che
viene separata dal resto, nell'atto in cui è inspirata dall'animale.
Per le diverse interpretazioni di "tÒ 1téiv ( 411 a 23) - l'universo
oppure l'aria nella sua totalità- dr. Hicks, ad 411 a 23, 298.
8
( 411 a 24-b 14 ). Nel presente testo, e sino alla fine del capi-
tolo, Aristotele affronta il problema dell'unità e della divisibilità
dell'anima in parti, problema che corrisponde alla terza delle nove
aporie dencate in De an. A l (402 h l; dr. anche 402 b 9). Egli
si chiede, anzitutto, se le varie funzioni dell'anima appartengano al-
l'anima intera, oppure a parti dell'anima spazialmente distinte tra
loro (dr. anche De an. A l, 403 a 3 sgg.; 4, 408 b 11 sgg.; inoltre
Lefèvre, Sur l'évolution, 217), e se la vita vegetativa faccia capo

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276 NOTE AD A5

all'anima, oppure ad un principio diverso dall'anima (411 a 26-b 5).


Per xat oÀwc; at opÉ~Etc; (411 a 28) cfr. anche De an. A l, 403
a 7; B 3, 414 h 2; r 9, 432 h 6-7; 10, 433 a 22 sgg. L'alter-
nativa dell'unità della psyche (411 a 30-b 3) è adottata dallo Sta-
girita in questo passo (411 h 6 sgg.) e successivamente, con ulte-
riori precisazioni, in De an. r l, 425 a 31; 2, 426 h 14-427 a
16; 4, 429 h 13-21; 6, 430 h 15; 7, 431 a 20 sgg. Per 411 h
3-5 dr. Filopono (195, 34-196, 4) e Hicks (ad 411 h 3; ad 411
h 4, 299-300): la vita vegetativa, che è implicata in tutte le fun-
zioni psichiche enumerate in 411 a 26-b 3, non rimanda ad una
causa indipendente dall'anima stessa e dalle sue facoltà, ma trova
la sua origine precisamente nella facoltà vegetativa. Aristotele po-
lemizza qui contro i suoi predecessori, che non riconoscono la pre-
senza nell'anima di questa facoltà fondamentale. Ora - continua
Aristotele - da taluni effettivamente si ammette la divisibilità del-
l'anima in parti localmente distinte (411 b· 5-6). Per Temistio
(37, 4), Rodier (Il, ad 411 h 5-6, 161) ed Hicks (ad 411 h 5,
300) ~t.vÉç ( 411 h 5) allude a Platone, che sostenne la tripartizione
dell'anima (cfr. R. IV, 435 c 5; 439 a 9 sgg.; 442 b 10 sgg.; 444
h l sgg.; Ti. 69 c 5 sgg.; Phdr. 245 e 7 sgg.); cfr. anche De an.
B 2, 413 h 27-9; r 9, 432 a 22 sgg. Secondo Hicks la biparti-
zione indicata in 411 h 5-6 non intende essere un'illustrazione esau-
stiva del1e 'parti' in questione; essa corrisponde ad un !vSoç,ov
tradizionale, diffuso già prima di Platone e ripreso dallo stesso
Aristotele in EN A 13, 1102 a 26 sgg. Su quest'ultimo punto in-
siste Ross (ad 411 h 5-6, 209), il quale, sottolineando il fatto che
Platone è autore della tripartizione dell'anima, mentre il nostro pas-
saggio registra solo la bipartizione, pensa che 'tt.vÉc; si riferisca ad
un punto di vista tradizionale. Ma cfr. infra 395 n. 3. Sennonché
- afferma lo Stagirita - una divisione reale ( 411 h 7: 1tÉcpuxEv)
dell'anima in parti, postula un principio unificatore di tali parti,
il quale, non potendo identificarsi con il corpo, dovrà essere un'anima,
che sarà la vera anima, l'« anima dell'anima» <aicks, ad 411 a
26-b 30 . 299). Quest'anima, poi, o sarà indivisibile, ed allora non
si comprende la ragione per cui non poteva esserlo la prima anima
presa in considerazione, oppure sarà divisa in parti, e pertanto ri-
chiederà a sua volta un principio di unità; e cosl si procederà al-
l'infinito ( 411 h 6-14 ). Che l'anima rappresenti l'elemento unifica-
tore del corpo ( 411 h 7-9) corrisponde ad un'opinione tradizionale
(cfr. Platone, Phd. 80 c 3-4; inoltre De an. B 4, 416 a 6-9; Me-
taph. M 2, 1077 a 21-3). Per una recente discussione sul divieto
del processo all'infinito ( 411 h 13-4) dr. Mignucci, in APo., l, ad
82 a 21-35, 417-20.
9
( 411 h 14-30). Il problema dell'unità e della divisibilità del-
l'anima viene riproposto in questo testo avendo di mira la relazione
tra le diverse parti dell'anima ed il corpo ( 411 h 14-5). Se l'anima

Baruch_in_libris
NOTE AB l 277

costttwsce il pnnapto unificatore del corpo, e tnsteme st divide


in parti localmente distinte, ne dovrebbe conseguire, a pari, che
ogni parte dell'anima rappresenti l'elemento unificante di una de-
terminata parte del corpo (411 h 15-7; dr. anche De tJn. A 4,
408 a 10-3; B l, 412 h 23-5). Ciò viene escluso (411 h 17) dallo
Stagi.rita con due argomenti. Il primo è che non esiste una parte
corporea che funga da sostrato od organo del nous ( 411 h 18-9;
dr. anche De an. r 4, 429 a 24-7; per plasai [411 h 18] cfr. anche
De an. A 3, 406 a 27). Il secondo argomento è che la tesi della
divisibilità dell'anima dovrebbe comportare, nel caso del seziona-
mento di una pianta o di un animale inferiore, la presenza di un'anima
'mutilata' (cfr. Hicks, ad 411 h 19-27, 301) in ciascuno dei seg-
menti ottenuti, il che di fatto non avviene (411 h 19-27; dr. anche
De an. A 4, 409 a 9-10; HA A 7, 531 h 30-532 a 5). Enia ton
entomon (411 b 20) può riferirsi, ad es., agli anellidi. Per la di-
stinzione tra unità specifica e quella numerica (411 h 20-1) dr. Top.
A 7, 103 a 6 sgg.; Metaph. A 6, 1016 b 31-5. Sozein ten physin
( 411 b 23-4) equivale a « conservarsi in vita ». In 411 h 25-7
accolgo il testo di Ross (ad l.; 206; ad 411 h 25-7, 210): xa.L
O(.LOEt.8ij iCM;"" àlli)lo~ xa.t ~n aln, àlli)lo~ llÈ" ~ où xwpt.a~à
è)~a., ~ 8' aln \fruX'ii Wç OU 8t.a.t.pE~ij oVa,}: le parti dell'anima di
un segmento sono specificamente identifiche a quelle dell'altro, perché
sono inseparabili l'una dall'altra, in quanto sono presenti tutte in
entrambi i segmenti (dr. 411 h 24-5); le parti dell'anima dei due
segmenti sono specificamente identiche a quelle dell'intera anima
(prima del sezionamento dell'animale), perché essa non è divisibile
in parti localmente separabili l'una dall'altra. In 411 h 27-30 viene
infine chiarito come le piante (dr. anche 411 h 3-5; 19) possiedono
una loro anima vera e propria, che è capace d'esistere indipendente-
mente da ogni altra anima o facoltà, e che è la condizione del-
l'esistenza di ogni altra anima superiore (dr. anche De an. B 3,
414 a 32 sgg.).

NOTE AB l
1 SoMMARIO. - A) La ricerca della definizione universale di
anima. I tre significati di sostanza. La materia è potenza e la forma
atto. I due sensi di atto. B) Le quattro formule della definizione
di anima. (l) Distinzioni preliminari: sostanze corporee; corpi na-
turali; corpi naturali dotati di vita (vegetativa); l'anima, in quanto
kategoroumenon, non è il corpo. (2) Prima formula: l'anima è la
forma di un corpo capace di vita. (3) Seconda formula: l'anima
è atto. (4) Ancora sui due significati di atto. (5) Tena formula:
l'anima è atto primo. (6) Il corpo organico. (7) Quarta formula:
l'anima è l'atto primo di un corpo dotato di organi. C) L'unità

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278 NOTEABl

del vivente in virtù della forma-atto. D) Due esempi: l'anima (in


quanto fonna ed 'essere definitorio') è paragonabile: (l) alla fun-
zione di uno strumento artigianale, la scure; (2) alla funzione vi-
siva dell'occhio. Un'analogia: una facoltà dell'anima sta al suo cor-
rispondente organo corporeo come l'intera anima sta all'intero corpo.
E) Ulteriori precisazioni: (l) il corpo capace di vivere è quello che
possiede l'anima in atto; (2) l'anima è atto primo, il corpo è po-
tenza e l'animale è formato di anima e di corpo; (3) facoltà se-
parabili e facoltà inseparabili dal corpo; (4) un paragone: l'anima
come un pilota?
2
( 412
a 3-11 ). Dopo l'esposizione e la critica delle teorie dei
predecessori (cfr. 412 a 3-4 ), Aristotele propone la sua dottrina psi-
cologica, scrivendo, in questo secondo libro, la « charte de l'hylé-
morphisme en psychologie » ( Lefèvre, Sur l}évolution} 170 ). Lo
Stagirita fa osservare che la ricerca riprende qui come dall'inizio
(412 a 4), ma non v'è dubbio che l'indagine 'storiografica' ha frut-
tato molto ad Aristotele, che deve ai suoi predecessori il concetto
di anima come forza motrice, capacità conoscitiva e principio di vita
(cfr. su ciò anche Gigon, 233; S. Mansion, Le role} 42).
Nel primo capitolo lo Stagirita si propone di determinare l'es-
senza e la definizione di anima (su ciò cfr. De Corte, La définition}
460 sgg.; Owens, Aristotle}s Definition} 125 sgg.; Ackrill, Ari-
stotle}s Definitions, 119 sgg.), ovvero il suo concetto più generale
(412 a 4-6): un problema toccato già in De an. A l, 402 a 7-8, e
poi nelle aporie prima, seconda e quarta di De an. A l ( 402 a
23-5; 402 a 25-h l ; 402 h 1-9 ). A tale scopo egli parte dal con-
cetto di sostanza, di cui ripropone la ben nota tripartizione di si-
gnificati: la materia, la forma e il composto di entrambe (412 a
6-9), con il corollario dell'assimilazione della materia alla potenza
e della forma all'atto, quest'ultimo, poi, soggetto ad un'ulteriore
distinzione (412 ·a 9-11). Per la dottrina della sostanza dr. Me-
taph. Z-H e A 1-5; Theiler (ad 412 a 6, 106) ne indica gli an-
tecedenti platonici in Phlb. 24 e 7 sgg.; 27 h 7-8; ed inoltre in
Metaph. N 3, 1091 a 5 (l'uno e la diade indefinita). Ghene ton
onton (412 a 6) sono le classi o 'categorie' degli esseri (cfr. anche
Cat. 2-5). Ousia (412 a 6) lascia capire che il discorso ha di mira
l'anima come principio sostanziale. Per la distinzione di materia e
forma (412 a 7-9) cfr. anche De an. A l, 403 h 1-19. La materia
è sostanza, ma in sé è indeterminata (412 a 7-8); è sostanza solo
in quanto 'sostrato', e quindi « in senso assai debole e improprio »
(Reale, in Metaph.} l, 52). Per tode ti (412 a 7; 8) cfr. anche
De an. A l, 402 a 24; 5, 410 a 14. La materia non è tode ti,
in quanto, come pura indeterminazione, è distinta dall'elemento de-
terminato-determinante costituito dalla forma, e dalla determinatezza _
propria dell'individuo singolare sensibile. Per l'uso di katà ( 412
a 8) nel senso di «in virtù di» dr. anche De an. A 3, 406 a 4.

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NOTEABl 279

3
(412 a 11-b 9). Proseguendo nella ricerca della definizione di
anima, Aristotele rivolge la sua attenzione alle sostanze corporee,
e, particolarmente, ai corpi naturali viventi, ottenendo per questa
via la prima delle quattro formulazioni della definizione di anima
(412 a 11-21). Il metodo impiegato dallo Stagirita è pertanto quello
di partire dalla realtà in cui è immediatamente constatabile la pre-
senza dell'anima, ossia dal corpo vivente. Malist' einai dokousi (412
a 11 ) sta a significare che i corpi naturali rappresentano il caso più
ordinario di sostanze, quello avvertito anche dalla coscienza pre-
filosofica (dr. su ciò Theiler, ad 411 a 11, 106; inoltre Metaph.
Z 2, 1028 h 8; H l, 1042 a 6 sgg.; A l, 1069 a 30-1). I corpi
naturali sono le archai ( 412 a 12), ossia le condizioni materiali dei
corpi artificiali, vale a dire degli oggetti fabbricati dall'uomo (dr.
anche 412 h 11-7; Ph. B l, 193 h 3-12). Per la ~wi) (412 a 13-5)
come capacità di vita vegetativa cfr. anche De an. B 2, 413 a 24-5.
Il corpo animato è una sostanza composta di materia e forma (412
a 15-6; dr. anche 412 a 9). In 412 a 16 leggo l1tEt o' ta-rt xat
aw~J,a '"tOLO'VÒE (per il valore intensivo di xaL dr. Denniston, The
Greek Particles, 321-3 ), ed in 412 a 17 oùx li'V ELTJ -rò CTWIJ4 i)
t!Juxi) (dr. anche De an. A 4, 408 a 20). L'argomentazione aristo-
telica ( 412 a 16-9) è la seguente: il corpo vivente è una sostanza
composta di materia e di forma (cfr. 412 a 15-6); come tale, non
è semplicemente un corpo, ma un corpo che ha la_ vita, ovvero
l'anima; pertanto l'anima (o la vita) non può essere questo corpo,
perché la vita o anima è una determinazione ed un 'predicato' di
tale corpo, mentre il corpo funge da sostrato di inerenza e da ma-
teria di tale 'predicato' (cfr. anche De an. B 2, 414 a 13-4; Metaph.
B 5, 1001 h 29-1002 a 4; Z 3 per totum; 8 7, 1049 a 27-b 2;
per l'espressione xaD' U1tOXELp,É'Vou [ 412 a 18] dr. von Fritz,
Once more, 72-3). Da quanto precede (412 a 6-19), si conclude
- ed è « una delle più geniali scoperte di Aristotele, in quanto
lega intimamente l'anima al corpo » (Berti, Aristote, 100) - che,
essendo il corpo oÙCTLa ~ uÀTJ ( 412 a 17-9), l'anima non potrà
essere che ovaia ~ Elooç., ossia come principio che produce la vita
nella ovat:a ~ VÀTJ, e cioè che determina la materia facendone un
tode ti animato (412 a 19-21; dr. anche De an. B 2, 414 a 13-4;
4, 415 h 8; Ph. B l, 193 h 5-6; Metaph. Z 10, 1035 h 14-6; 11,
1037 a 5; 28; inoltre Hicks, ad 412 a 19, 311; per la concezione
dell'anima, proposta nell'Eudemo, come ousia ed eidos ti [frr. 7
e 8 Ross] dr. Berti, La filosofia, 425 sgg.; Aristate, 107-8). Dy-
namei (412 a 20; dr. anche 412 a 28; 412 h 6; 25-7) non deve
trarre in inganno: Aristotele ha qui sempre e solo in vista il com-
posto vivente in atto, soltanto che distingue l'anima come forma dal
corpo naturale in quanto capace di vita, ed esso è tale perché (a
differenza degli altri corpi naturali: i quattro elementi ed i loro
composti inanimati) rappresenta un livello di elaborazione già molto

Baruch_in_libris
280 NOTEABl

elevato della materia, e quindi è dotato degli organi che il pos-


sesso della vita richiede. Naturalmente, per Aristotele è fuori di-
scussione che tale corpo organico non può sussistere anterionnente
e indipendentemente dall'anima, ma per lui rimane ugualmente
vera la distinzione tra l'anima-forma ed i suoi organi corporei (cfr.
su ciò anche S. Mansion, Soul, 12). Come opportunamente osserva
Lefèvre (Sur l'évolution, 70), la dimensione dinamica di questa co-
stituzione organica, appena percepibile nel nostro trattato, viene
compiutamente tematizzata nel De Generatione Animalium.
La seconda formula della definizione di anima è che, essendo la
sostanza in quanto forma 'atto' (dr. 412 a 10), l'anima, che è
sostanza-forma ( 412 a 19-20), sarà l'atto (entelecheia) del corpo
naturale che ha la vita in potenza (412 a 21-2), ossia il principio
che conferisce ai corpi viventi la perfezione caratteristica del loro
essere. Alla terza formula Aristotele perviene riprendendo (dr. 412
a l O-l) la distinzione tra i due sensi di atto, che egli illustra con
l'esempio del possesso e dell'uso della conoscenza, e con quello del
sonno e della veglia (412 a 22-8; per la distinzione dei due signifi-
cati di atto e l'esempio della conoscenza dr. anche De an. B 5,
417 a 22 sgg.; 417 h 30 sgg.; Ph. 9 4, 255 a 33-4; Protr. fr.
14 Ross; 79-80 Diiring; inoltre Platone, Euthd. 280 d l sgg.;
Tht. 197 c l sgg.). Che l'anima sia atto 'primo' viene spiegato da
Aristotele nei termini seguenti: l'anima è presente nell'animale anche
durante il sonno, e non solo durante la veglia; il sonno è analogo
al possesso della conoscenza e la veglia al suo uso; il possesso della
conoscenza è 'primo' rispetto alla sua applicazione; l'anima è 'atto
primo' rispetto alle sue funzioni vitali. Per la dottrina della ana-
logia (412a 25; 412h 23) dr. Muskens, De vocis, passim;
Hirschberger, Paronymie, 191 sgg.; Hesse, Aristotle's Logic,
328 sgg.; Duharle, La doctrine, 3 sgg.; 212 sgg.; Philippe, Ana-
logon, l sgg.; Leszl, Logic, 78 sgg. Sulla priorità cronologica (412
a 26; ~ yEvÉaEt. equivale a ~ii> xp6v~) dr. Metaph. A 8, 989 a
15-6; A 11, 1018 h 14-9; Z 13, 1038 h 27-8; 9 8, 1049 h 17-1050
a 3. :.E1tL 'tOV a.ù~o.u (412 a 26) evidenzia il fatto che, in un dato
individuo, il possesso della conoscenza precede nel tempo l'uso di
essa (dr. anche De an. B 5, 417 a 21 sgg.; 417 h 17-9). Per ME-
ÀÉXEt.a. i) 1tpW't1] ( 412 a 27) dr. Ross (ad 402 a 26, 167): « the
preliminary equipment of the body», rispetto alle facoltà e fun-
zioni ulteriori; dr. anche Zabarella ( 134 E-F): « actus primus ...
non ... dicit negationem operationis, ... sed solum abstractionem ab
operatione, id est, informationem materiae absque consideratione
operationis ».
La quarta ed ultima formula chiarisce che un corpo capace di
vita è quello che è provvisto di organi ( 412 a 28-b 6; dr. anche
De an. A 3, 407 h 25-6; r 4, 429 a 26 sgg.), in primo luogo di
quelli necessari a compiere le funzioni elencate in 412 a 14-5. Per

Baruch_in_libris
NOTEABl 281

l'attribuzione di organi, benché semplici, anche alle piante ( 412


h 1-4) dr. PA B 10, 655 h 37 sgg.; per l'impianto teleologico del
passo Theiler (ad 412 a 28, 107) rimanda a Ph. B 8, 199 a 25
ed a Mete. Il. 3, 380 a 14, e per l'analogia tra le radici e la bocca
cita Empedocle (31 DK B 79 [1, 340, 11]; 82 [1, 341, 2-3]),
e inoltre De an. B 4, 416 a 4; PA Il. 10, 686 h 35; Resp. l, 468
a 9-12. Per koinon ( 412 h 4) cfr. 412 a 5.
Dalla definizione di anima cosi formulata Aristotele ricava come
corollario l'affermazione della inscindihile unità del vivente ( 412
h 6-9). Se, infatti, è vero che l'anima e il corpo sono distinti ( 412
a 17), cionondimeno non costituiscono due enti, ma sono i prin-
cipi di un ente unico. In quanto forma e materia ed atto e potenza,
formano una unità, che è quella dell'essere vivente. L'anima-forma,
che è essere ed unità come atto, 'informa' il corpo-materia (che
è essere ed unità come potenza), ed è quindi il principio (intrinseco)
in virtù del quale il vivente concreto è un essere in atto e uno in
atto (dr. anche Metaph. Z 12, 1037 h 27; 13, 1039 a 3 sgg.; 16,
1040 h 5 sgg.; H 6 per totum; I l, 1052 a 33-4; A 10, 1075 h
34-6). Per il paragone della cera e della figura ( 412 h 7) cfr. anche
GA A 21, 729 h 17. Tò où i) uÀ1} (412 h 8) è la forma. Sulla
cdnvertibilità di essere e di uno (412 h 8) dr. Metaph. r 2, 1003
h 22-1004 a 2; per la molteplicità dei significati di uno cfr. Me-
taph. Il. 6; I 1-3; di essere cfr. De an. A 5, 410 a 13-5; Metaph. Il.
7; E 2; 9 l, 1045h 27-35. Per xuptwc; (412b 9) cfr. anche Me-
taph. E 4, 1027 h 31 (i significati principali dell'essere sono quelli
delle categorie); inoltre 8 10, 1051 h l.
4
(412 h 10-25). Aristotele precisa anzitutto la definizione di
anima, affermando che essa è sostanza nel senso di forma o essenza
specifica di un determinato corpo, ossia di un corpo capace di vita
(412 h 10-11; cfr. anche Metaph. Z 10, 1035 h 14-8: l'animale
non è definibile se non in riferimento all'anima; 17, l 041 h 4-9;
H 3, 1043 a 34-b 4 ). Per l'espressione 'tÒ 't' iiv Elvat. ( 412 h 11)
dr. Arpe, Das ti, passim; Riondato, Tò ti, 2-3; Tugendhat, Tì
katà, 13 sgg.; Bassenge, Das tò, 14 sgg.; 201 sgg.; Der Fall,
505 sgg.; Courtès, L'origine, 169 sgg.; RaHs, Was bedeutet
30 sgg.; Merlan, Tò ti, 188; Mignucci, in APo., l, ad 82 h
37-83 a l, 439-47, che propone di tradurre la nostra formula con
«essere definitorio». Lo Stagirita illustra quindi la sua definizione
di anima e la conseguente relazione tra anima e corpo con due
esempi. Il primo è tratto dagli oggetti artificiali. Il rapporto tra
l'anima-forma e il corpo-materia può infatti essere chiarito imma-
ginando che l'essenza della scure, ovvero la sua capacità di fendere
(cfr. 412 h 28; 413 a 1), sia l' 'anima' dei materiali di cui è co-
stituita (412 b 11-7). La scure, ovviamente, non è un corpo phy-
sikon (412 h 12), ma un oggetto costruito dall'uomo. Per l'espres-
sione 'tÒ 1tEMXEt. elvat. (412 h 13: «l'essenza della scure»; cfr.

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282 NOTEABl

anche De an. A 4, 408 a 25) e la formula generale "t'Ò tx«crt~ Etva.t-


(«l'essenza di una cosa») dr. Elorduy, El dativo, 105 sgg.; Bas-
senge, Das tò, 14 sgg.; 201 sgg. XwptaDEWr}c; (412 h 13) ipotizza
il venir meno nella scure della sua capacità di fendere; applicato
all'anima, il termine suppone la sua separazione dal corpo (dr.
anche 412 h 20; 25-6; 413 a 4 sgg.). Per la dottrina della omo-
nimia ( 412 h 14; la scure che è veramente tale e quella privata
della sua funzione hanno in comune il nome, ma non la definizione)
e della equivocità cfr. 412 h 21; Cat. l, l a 1-6; APo. A 11, 77
a 9; Metaph. Z 10, 1035 h 24-5; 11, 1036 h 28-32; PA A l, 640
h 33 sgg.; 641 a 18-21; GA B l, 734 h 24-7; l1 l, 766 a 8-9;
Mete. l1 12, 389 b 31 sgg.; 390 a 10 sgg.; Pol. A 2, 1253 a 20-5;
inoltre Barth, Das Problem, 11 sgg.; Hintikka, Time, 1-26; Leszl,
Logic, passim. Con la clausola vuv S' la"t't- 1tÉÀExuc; ( 412 h 15) Ari-
stotele mette sull'avviso il lettore-uditore di non lasciarsi fuorviare
dal paragone: la scure è soltanto uno strumento artigianale, e non
un essere vivente; la sua capacità di spaccare il legno dev'essere posta
in atto da chi la usa (cfr. anche Fortenbaugh, A Note, 89 n. 4).
Tot-OU"t'OU ( 412 h 15) si riferisce al corpo artificiale; "t'Ot-ou~l ( 412
h 16) a quello organico (dr. 412 h 6); per la capacità autocinetica
di quest'ultimo ( 412 h 16-7) cfr. 412 a 14-5; 20-1; inoltre Me-
taph. E l, 1025 h 20-1; Ph. B l, 192 h 8-23. Lo Stagirita porta
quindi come secondo esempio il caso di un organo corporeo (412
h 17-8; dr. anche De an. B 4, 416 a 5): la relazione esistente
tra anima e corpo è analoga a quella tra la vista e l'occhio ( 412
h 18-22). Il supporto materiale della vista è l'occhio ( 412 h 20),
e particolarmente la pupilla (cfr. anche 413 a 3; Somn. Vig. l, 454
a 26-8; inoltre Fortenbaugh, A Note, 88-9). Per apoleipouses (412
h 20) cfr. 412 h 13: choristheises; per lithinos e ghegrammenos
( 412 h 21-2) dr. PA A l, 641 a 1-3; 20-1. Aristotele, al fine di
ribadire la tesi ilemorfica, estende quanto ha affermato di un sin-
golo organo corporeo all'intero corpo vivente ( 412 h 22-3 ), stabi-
lendo la seguente analogia: una 'parte' dell'anima (ad es. la fa-
coltà della vista) sta ad una parte del corpo (all'occhio) come l'in-
tera anima (qui designata come l'insieme delle sue facoltà percet-
tive) sta all'intero corpo (qui considerato in quanto corpo senziente)
(412 h 23-5; dr. anche PA A 5, 645 h 14-7).
5
(412 h 25-413 a 10). In quest'ultima parte del capitolo Ari-
stotele chiarisce anzitutto che per 'corpo capace di vivere' ( 412 h
26: 'tÒ Suvtip,Et. 8v wa-rE ~ijv; cfr. anche 412 a 20-1) si deve in-
tendere il corpo che attualmente possiede l'anima, e non quello che
ormai ne è privo, e neanche quello che, come lo sperma degli ani-
mali o il frutto (o seme) delle piante, contiene l'anima soltanto
potenzialmente (412 h 25-7; cfr. anche GA B l, 735 a 4-9; 3, 736,
h 8 sgg.: i semi hanno l'anima nutritiva potenzialmente; Metaph.
H 5, 1044 h 34-1045 a 6: non il cadavere come tale, ma la ma-

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NOTE AB l 283

teria e gli elementi in cui si è dissolto sono in potenza l'animale;


8 7, 1048 h 37-1049 a 3; 1049 a 13-8: propriamente lo sperma
è l'uomo in potenza solo quando sia deposto nella femmina e su-
bisca un mutamento).
Aristotele prosegue ribadendo quanto aveva affermato in 412 a
24 sgg. e in 412 h 12 sgg.: l'anima è atto 'primo', il corpo è
'potenza' e l'animale è composto di anima e di corpo (412 h 27-
413 a 3). Per dynamis tou organou [ad es. della scure] (413 a l)
dr. Metaph. 4 12, 1019 h 13-5. Tò soma tò dynamei on (413 a 2)
è il corpo che ha la capacità di vedere, e ciò in virtù dell'anima. In
forza di quanto precede, lo Stagirita può riaffrontare il problema
- corrispondente alla nona aporia di De an. A l ( 403 a 3 sgg.) -
della separabili tà e immortalità dell'anima e delle sue 'parti'. Le
parti o facoltà dell'anima, che sono 'atti' o 'forme' di corrispon-
denti organi del corpo, non sono separablli da esso, in quanto la
forma è inseparabile dalla materia (dr. 412 h 7-8; De an. A l,
403 h 10-2; Metaph. A 9, 991 h 1-2; H l, 1042 a 29; Ph. B l,
193 h 4-5; 2, 194 h 12-3). Conseguentemente l'anima, che costi-
tuisce il principio di tali parti, in quanto forma del corpo è essa
pure inseparabile da questo. Se però esistono delle facoltà dell'anima
che non sono atti o forme di un corpo, nel senso che non vivificano
nessun organo corporeo, queste saranno separabili dal corpo ( 413
a 3-7; cfr. anche GA B 3, 736 h 21-9; inoltre Berti, Aristate,
100-1). Ei meriste pephyken (413 a 5) si rifà alla terza aporia di
De an. A l (402 h l; dr. anche A 5, 411 b 5-14). Enia (413 a 6)
si riferisce al nous (dr. De an. A. 4, 408 h 29; r 4, 429 h 5; 5,
430 a 17; 23; GA B 3, 736 h 27-9).
Aristotele aggiunge infine una frase, che è una delle più celebri,
ma anche delle più discusse del nostro trattato: l"t" ~È ii~1)Àov
EL o\h~ ÉV'tEÀÉXEf,(l, "tOU awp,a."tOt; i) ~uxi) Clcr1tEP 1tÀWTÌ)p 1tÀ.O,OU
(413 a 8-9). Secondo Alessandro (De an. 15, 9 sgg.; 20, 26 sgg.)
la nostra proposizione prosegue il tema della separabllità dell'anima
( 413 a 4 sgg.): mentre l'anima, come atto e forma, è inseparabile
dal corpo, la nave e il suo pilota costituiscono due enti diversi. In
questo modo Alessandro assimila lo eti dè adelon ei alla formula
oux olév "tE. Invece Temistio ( 43, 28-30) considera la questione
posta dalla nostra frase come reale, ma crede (a torto) che la psyche
vada identificata con il nous. Per Temistio il problema è se l'intel-
letto, come il nocchiero rispetto alla nave, sia 'atto' e, insieme,
sia 'separabile'. All'esegesi di Temistio aderiscono sostanzialmente
Simplicio (96, 8-15), Filopono (224, 12-225, 8), Alberto Magno
(70, 48-60), Pacius (Comm., 244 no 19), Rodier (Il, ad 413 a
8-9, 187), Nuyens (L'évolution, 273), Gigon (235) e Theiler (ad
413 a 8, 108). Da parte sua Tommaso (Il, 2, n° 243, 64; dr.
anche A. Mansion, L'immortalité, 460-5), il quale ritiene che l'esem-
pio del pilota e della nave sia ispirato a Platone, interpreta la

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284 NOTE AB 2

frase come un rifiuto della teoria platonica dell'anitna « ut n1otor


tantum ». Ross (21; ad l.; 212; ad 413 a 8-9, 214-5) inserisce
dopo ~xi] la disgiuntiva ii, opponendo la dottrina dell'anima come
atto del corpo, esposta sino a questo punto del capitolo, alla teoria,
«completamente differente», che relaziona l'anima al corpo come
un pilota alla sua nave. Di questa similitudine - rileva Ross -
non v'è peraltro traccia nei Presocratici né in Platone. L'emenda-
mento di Ross è stato respinto da Easterling (A Note~ 161; dr.
anche Hamlyn, 10 n. 1), con l'argomento che è inverosimile che
Aristotele abbia potuto rimettere in discussione la dottrina del-
l'anima-atto sostenuta in tutto il capitolo. Easterling avanza l'ipo-
tesi che l'intenzione dello Stagirita fosse di conciliare la sua nuova
dottrina con il concetto tradizionale e più familiare di anima come
principio che governa il corpo e come causa efficiente. Infine Le-
fèvre (Sur l'évolution, 137-40) sottolinea come lo eti introduttivo
deve annunciare un problema nuovo, e non la ripresa del tema della
separabilità delle facoltà dell'anima, tanto più che quest'ultima que-
stione ha trovato una soluzione soddisfacente già nelle righe pre-
cedenti. Tale nuovo problema (peraltro già annunciato, in qualche
misura, in 412 h 16-7; cfr. anche De an. A 3, 405 h 31-406 a 12;
407 h 18-9; inoltre Ph. 9 4, 254 b 30-3: come nelle imbarcazioni
si deve distinguere il motore - ossia il nocchiero - e il mosso -
ossia la nave - , cosl pure negli animali) è se l'anima, che è atto
e forma del corpo vivente, possa essere considerata anche come
principio motore. In effetti, alla causalità motrice dell'anima i ca-
pitoli seguenti dedicheranno una maggiore attenzione. Naturalmente,
anche accettando questa esegesi, il paragone aristotelico risulta fuor-
viante, giacché l'anima, a differenza del pilota, è causa dell'auto-
movimento del vivente. Cfr. anche Introduzione, 89 e n. 68.
Per il carattere sommario ed approssimativo di questa prima
definizione di anima (413 a 9-10) dr. il capitolo seguente. Per le
espressioni 'tU'lt~ ed U'ltoyEypticpitw dr. anche HA A 6, 491 a 6-7;
EN A 3, 1094 h 20; 7, 1098 a 20-2; B 7, 1107 h 14; Metaph.
Z 2, 1028 h 31-2; inoltre Trendelenburg (Elementa~ 49): « Ari-
stoteles notiones priusquam pertractat, ~ 'ttm~ describere solet.
Sicut enim u1toypcx.qni prima lineamenta dicuntur, quibus pictores
figuras adumbrant, ita 'tU'ltoc; apud statuarios prima operis species,
quam ex argilla informare solent ».

NOTE AB 2
1 SoMMARIO.- (l) Ricerca di una seconda definizione di anima,
che funga da principio per la dimostrazione della prima. (2) Poli-
vocità del concetto di vita; anche le piante sono esseri viventi; la
facoltà nutritiva può esistere indipendentemente dalle altre facoltà,

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NOTE A B2 285

ed il tatto indipendentemente dagli altri sensi; l'anima è il prin-


cipio delle diverse facoltà del vivente. (3) La 'separahilità' delle
parti dell~anima: la maggior parte delle facoltà dell'anima si di-
stinguono tra loro concettualmente e per la loro funzione, ma non
per il luogo; l'intelletto, invece, di per sé è capace di un'esistenza
separata ed eterna. ( 4) Dimostrazione della prima definizione di
anin1a: se ]a causa principale dell'appartenenza ad un ente di una
data caratteristica è la forma, e l'anima è la causa primaria delle
nostre funzioni vitali e psichiche, l'anima sarà forma, e lo sarà di
un corpo a lei appropriato.
2
(413 a 11-20). Alla fine del precedente capitolo (dr. De an.
B l, 413 a 9-10) Aristotele aveva qualificato come sommaria ed
approssimativa la definizione di anima ivi proposta. In questo capi-
tolo egli si propone di offrire, di tale definizione, una adeguata fon-
dazione. N"el nostro passo lo Stagirita afferma che dalla mera co-
noscenza del/atto che l'anima è forma del corpo si deve passare alla
conoscenza del perché e della causa di tale fatto. La prima definizione
di anima (quella formulata nel capitolo precedente) diceva che
l'anima è forma e atto del corpo: si trattava di una definizione che
era simile alJa conclusione di una dimostrazione. Di questo fatto
bisogna ora ricercare il perché e la causa, e ciò si otterrà mediante
una seconda definizione di anima (formulata in 414 a 12-3; dr.
anche 413 h 11-3 ), che fungerà da principio della dimostrazione di
quella prima definizione. Per la distinzione tra la conoscenza sen-
sibile (o comunque più vicina alla sensazione) dei fatti e quella
intellettiva deJla loro causa o fondamento, la prima essendo il punto
di partenza ed anzi il 'principio' ( 413 a 11: yL~E"ttXL) della se-
conda (413 a 11-2) cfr. anche Top. Z 4, 141 h 3 sgg.; APo. A 2,
71 h 34 sgg . (con le precisazioni di Mignucci, in APo., I, ad 71
h 25-72 a 7, 30-1); Ph . A l, 184 a 16 sgg.; Metaph. Z 3, 1029
h 3 sgg.; PA B 8, 653 h 22; 30; EN A 4, 1095 h 2-4; Pol. H 7,
1328 a 19 sgg.; inoltre Platone, R. VII, 523 h l sgg. Per 1tcXÀLV
( 413 a 13) dr. De an. B l, 412 a 4; per É1tEÀDE'i:~ ( 413 a 13) dr.
Metaph. B l, 995 a 24. Perì autes (se. psyches) (413 a 13) signi-
fica « intorno all'anima »; più precisamente: « intorno alla sua de-
finizione ». Sulla distinzione tra la definizione che esibisce lo hoti
e quella che manifesta anche la aitia ( 413 a 13-6) cfr. anche APo.
A 13 e B 10 per totum; Metaph. H 4, 1044 h 12 sgg. A mo'
di esempio di quest'ultima distinzione viene presentato un problema
geometrico, quello della quadratura di una figura rettilinea oblunga
(413 a 17: heteromekes, dai lati disuguali; dr. anche Cat. 8, 11 a
10), della quale vengono enunciate due definizioni (413 a 16-20;
cfr. anche Metaph. B 2, 996 h 18-21). Gli enunciati delle definizioni
che fungono da conclusioni dei sillogismi ( 413 a 16) non conten-
gono il termine medio ovvero la causa (cfr. Trendelenhurg, ad
413 a 15, 278-9), come nella prima definizione di quadratura, che

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286 NOTE A B2

rappresenta la conclusione (413 a 18) di un « geometrical process »


(Owens, Aristotle's Definition, 131). Mese (413 a 19) è la linea,
come media proporzionale, su cui viene costruito il quadrato in que-
stione.
Ecco la costruzione della media proporzionale (cfr. Euclide, VI,
13; inoltre Frajese-Maccioni, 379):

Siano AB e BC due rette date. Si pongano in linea retta tra


loro e su AC si descriva il semicerchio ADC, dal punto B si con-
duca la retta BD perpendicolare alla retta AC e si traccino le con-
giungenti AD e DC. BD è la media proporzionale tra AB e BC,
perché AB : BD BD : BC. =
Ed ecco l'operazione della quadratura (cfr. Euclide, II, 14;
inoltre Frajese-Maccioni, 190-2):

,,.- ..-----H
.... '
,, ','
,', ''
ll '\
l \
l '
l '
B G E F

c D
Sia data la figura oblunga A. Si costruisca il rettangolo BCDE
equivalente ad A. Si prolunghi BE oltre E, sul prolungamento si
ponga EF uguale ad ED e si divida BF per metà in G. Con centro
G e per raggio una delle due rette GB e GF, si descriva il semi-
cerchio BHF, si prolunghi DE oltre E sino al punto H e si tracci
la congiungente GH. Il quadrato descritto su EH è equivalente al
rettangolo BCDE e dunque ad A.
3
(413 a 20-b 13). La ricerca di una seconda definizione di anima
muove da ciò che distingue l'essere animato da quello inanimato,,
e che, evidentemente, è la vita (413 a 20-2; cfr. anche De an. B l,
412 a 13). Se in De an. B l, 412 a 14-5 la vita veniva assimilata

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NOTE A B2 287

alle funzioni vegetative, qui se ne rileva la polivocità ( 413 a 22:


pleonachos; dr. anche Top. Z 10, 148 a 26 sgg.; inoltre De an.
B l, 412 b 8). I diversi significati di vita vengono fatti corrispon-
dere alle quattro fondamentali funzioni biopsichiche (dr. anche De
an. A 5, 411 a 26-30; EN H 5, 1149 a 9-11; I 9, 1170 a 16-9) e
si afferma che il vivente viene qualificato come tale dal possesso al-
meno delle funzioni vegetative ( 413 a 22-5; dr. anche 413 a
31 sgg.). Il movimento locale implica anche la possibilità della quiete
(413 a 23-4; dr. DOrrie, Gedanken, 234). Kinesis katà trophen
( 413 a 24) designa gli interni processi nutritivi (dr. Theiler, ad
413 a 24, 109; Owens, Aristotle's Definition, 134). Se allora- con-
tinua Aristotele - la vita è anche (ed anzitutto) quella vegetativa,
sono esseri viventi anche le piante (413 a 25-31; cfr. anche De an.
A 5, 410 h 23; PA 11 5, 681 a 12-4; GA B 3, 736 h 12-3). Tà
phyomena (413 a 25; cfr. anche 413 a 33; HA E 11, 543 h 24)
equivale a tà phytà. La dynamis (dr. anche De an. r 9, 432 a
15 sgg.) e la arche (dr. anche 413 h l) di 413 a 26-7 viene deno-
minata tò threptikon in 413 b 5 (cfr. anche De an. B 4, 416 h 18).
Katà tous enantious topous ( 413 a 28) intende distinguere le piante
(ed anche gli animali) dagli elementi, che si muovono per loro natura
soltanto verso l'alto o il basso (cfr. De an. A 3, 406 a 27-30).
In 413 a 29-31, con Hicks (ad l.; 55; ad 413 a 29-30, 324),
Ross (ad l.; 215; ad 413 a 29, 217), ]annone-Barbotin (ad l.),
Hamlyn ( 11) e Laurenti ( 85 e n. 249), leggo: É1t' li(lcpw xat
1tav~n, 8cra. tiEt ~pÉ<pE~al ~E xa.t ~ii St.à ~ÉÀovç,,. lwç, iiv 8u'VT)~a.t.
Àa.~-t~civEt.v ~pocpi)v: la nutrizione è condizione della crescita delle
piante e del loro mantenimento in vita (cfr. anche De an. B 4,
415 h 26-7; 416 h 9; 14-5; r 12, 434 a 23 sgg.; PA B 10, 655
h 31-2).
Aristotele prosegue affermando che l'esistenza delle piante mostra
che la vita vegetativa può realizzarsi come tale senza implicare la
presenza di forme di vita superiori, mentre, al contrario, almeno
negli esseri corruttibili, ogni forma superiore di vita presuppone
quella nutritiva. Di conseguenza l'anima vegetativa può dirsi la
arche della vita degli ~wvta., siano essi piante od animali ( 413 a
31-b 2; cfr. anche De an. B 4, 415 a 23-5; GA B 3, 736 a 35-b l;
4, 740 h 36-741 a 2; Resp. l, 467 h 18 sgg.). Per chorizesthai (413
a 31) dr. anche De an. A 5, 411 h 29; Somn. Vig. l, 454 a 13.
La clausola limitativa en tois thnetois ( 413 a 32) intende sancire
l'indipendenza dell'intelletto, nei corpi celesti incorruttibili e nei
motori immobili, dalla vita vegetativa (a questo proposito Theiler,
ad 413 a 31, 110, cita De Philos. fr. 21 Ross: l'animazione degli
astri; e Mete. B 2, 354 h 33 sgg.: contro la teoria del nutrimento
degli astri; dr. anche Berti, La filosofia, 364-5; 367). Se le piante
- continua lo Stagirita - sono caratterizzate dalle funzioni vege-
tative, gli animali possiedono anche la facoltà sensitiva (almeno nella

Baruch_in_libris
288 NOTE A B2

sua forma tattile), che è il principio che li qualifica come tali. Gli
altri sensi, poi, implicano il tatto, mentre questo non implica l'esi-
stenza di quelli. In definitiva - conclude Aristotele - l'anima
è la arche delle diverse facoltà dei viventi, e rimane specificata e
definita da queste (413 h 2-13; dr. anche Bames, Aristotle's Con-
cept, 101). Per la sensazione come funzione che definisce gli ani-
mali (413 h 2) dr. PA B 8, 653 h 22-3; GA B 3, 736 a 29-31;
736 h l; Resp. l, 467 b 24-5. Sugli animali stazionari (413 h 2-4)
cfr. De an. A 5, 410 h 19-20. Per il tatto come senso primario e
comune a tutti gli animali (413 h 5-9) dr. De an. B 3, 414 h 3;
HA A 3, 489 a 17-8; PA B 8, 653 h 23 sgg.; Sens. l, 436 h 13;
Somn. Vig. 2, 455 a 23-5. Hysteron (413 h 10) rinvia a De an. r
12, 434 a 22 sgg.; 434 h 10 sgg. (cfr. anche PA ~ 10, 687 a 2-5).
4
( 413 h 13-414 a 3 ). In questa disgressione Aristotele affronta
il problema delle 'parti' dell'anima, riprendendo la terza, sesta e
nona aporia di De an. A l (402 h l; 9; 11; 403 a 3 sgg.) ed inoltre
De an. A 5, 411 a 24-b 30. Egli si chiede se ciascuno dei quattro
principi psichici menzionati in 413 h 12-3 costituisca un'anima in
sé e per sé, oppure soltanto la 'parte' di un'unica anima ( 413 h
13-4). Il primo corno del dilemma viene lasciato cadere, e si assume
che tali principi siano 'parti' ( 413 h 14). Ciò presupposto, si deve
determinare se tali parti siano divise tra loro realmente e spazial-
mente, e quindi siano localizzate in diverse parti del corpo; oppure
siano distinte soltanto concettualmente e per la loro funzione (cfr.
Tommaso, II, 4, n° 262, 69: « ut scilicet sint diversae potentiae » ),
e pertanto siano diffuse in tutto l'organismo ( 413 h 14-5; cfr. anche
Hamlyn, ad 413 b 27, 90; Lefèvre, Sur l'évolution, 217). T61t~,
contrapposto a Àoy~ ( 413 h 15; cfr. anche GC A 5, 320 h 24;
inoltre Metaph. H l, 1042 a 29), equivale a xa:tà. f.lÉyEDoc; (dr. De
an. r 4, 429 a 11-2; 9, 432 a 20; 10, 433 h 24-5). Che vi siano
casi in cui - prosegue lo Stagirita - le parti dell'anima non sono
localizzabili in parti diverse del corpo, lo si può inferire dal trapianto
di alcuni vegetali e dal sezionamento di alcuni animali inferiori:
i primi continuano a vivere (poiché la loro anima nutritiva è po-
tenzialmente molteplice; cfr. anche Resp. 2, 468 a 28-9; 468 h 2-4 ),
ed i secondi anche a muoversi ed a percepire, esercitando inoltre
tutte le funzioni psichiche che sono implicate dalla sensazione; in
ciascun segmento sono insomma unite e presenti le medesime funzioni
del tutto ( 413 h 15-24). Diaphorai (413 h 20) sono le differenze
che determinano le varie specie di anima: la vegetativa, la sensi-
tiva e la razionale. L'immaginazione, attribuita in 413 h 22 anche
agli animali inferiori (e quindi a tu t ti gli animali), dev'essere quella
sensibile, distinta in De an. r 11, 433 b 31-434 a 10 da quella
deliberativa, che è propria degli anin1ali dotati di ragione (cfr. su
ciò Ross, ad 413 h 22-3, 218). Mentre le altre parti dell'anin1a

Baruch_in_libris
NOTE A B2 289

si implicano a vicenda (413 h 22-3) e non possono esistere una se-


parata dall'altra (413 h 27-8), il nous - continua Aristotele - ,
che costituisce un diverso genere di anima, è invece di per sé ca-
pace di un'esistenza separata (e quindi indipendente ed autonoma
dalle altre facoltà psichiche e dal corpo) ed eterna ( 413 h 24-7;
dr. anche De an. A 4, 408 h 18-29; B l, 413 a 6-7). Per l'anima
intellettiva come un genere di anima diverso dalle altre (413 h 26)
dr. 413 a 23; De an. r 4, 429 a 28.
Aristotele conclude questa disgressione ribadendo che, se le parti
o facoltà dell'anima diverse dal nous non hanno un'esistenza reci-
procamente indipendente, cionondimeno sono essenzialmente e con-
cettualmente distinte ( 413 h 27-9). Ciò si può inferire sia dalla di-
versità delle loro rispettive operazioni ( 413 h 29-31; dr. anche la
settima aporia di De an. A l [402 h 11-4]; inoltre De an. B 4,
415 a 16-22), sia dal fatto che non tutti gli animali possiedono tutte
le facoltà dell'anima (413 h 32-414 a 1), e neppure tutti i sensi
(414 a 2-3). Con tinés (413 h 29) lo Stagirita allude specialmente
a Platone (dr. De an. A 5, 411 h 5). Per le espressioni 't'Ò a.toih}~t.x~
e "tÒ òoç,a.a"tt.X~ elva.t. ( 413 h 29-30) cfr. De an. B l, 412 h 13.
L'affermazione secondo cui alcuni animali possiedono una sola fa ..
coltà (413 h 33) è una svista di Aristotele, perché è contraddetta
da De an. B 3, 414 a 32-b l, dove agli animali vengono attribuite
almeno due funzioni: la nutritiva e la sensitiva. Diaphorà ton
zoon (413 h 33-414 a l) sta a significare che il possesso di un dato
nutnero di facoltà distingue gli animali tra loro ed offre una base
per ]a loro classificazione (dr. Hicks, ad 414 a l, 327). Hysteron
(414 a l) rimanda a De an. r 12-3 (cfr. anche PA Il. 10, 687 a 2-5).
Tra gli animali fomiti soltanto di alcuni sensi ( 414 a 3) si possono
ricordare ]e api, che sono prive di udito (dr. Metaph. A l, 980
h 23-4; dr. però HA I 40, 627 a 17-8). Sulla indispensabilità del
tatto (414 a 3) dr. anche De an. r 13, 435 h 4; 19.
5
414 a 4-28). Aristotele ritorna qui al tema principale del
(
capitolo, ossia al problema della definizione di anima. Egli dimostra
la prima definizione facendo ricorso ad una seconda, con la quale
mette a frutto il precedente concetto di anima come arche delle
varie funzioni vitali (dr. 413 h 11-3 ). L'argomentazione aristotelica
( 414 a 4-14) può essere rigorizzata nel seguente sillogismo. È prin·
cipalmente in virtù della forma che un ente possiede una determinata
caratteristica. Cosl, noi conosciamo principalmente e propriamente in
virtù de1la conoscenza, piuttosto che dell'anima: è la conoscenza la
forma o atto che partecipa all'anima o soggetto conoscente la ca-
ratteristica in questione (dr. De an. B l, 412 a 22-8: il possesso
della conoscenza come 'atto primo' rispetto al suo esercizio; Ph. 8
4, 255 a 33-h 5). Cosl, ancora, noi siamo sani principalmente in
virtù de1la salute, piuttosto che del corpo, perché è la salute la

Baruch_in_libris
290 NOTE A B2

forma o atto che comunica al corpo detto stato. Ora - ecco la


seconda definizione di psyche- è principalmente in virtù dell'anima
(e non del corpo) che noi viviamo, percepiamo e pensiamo, ossia
esercitiamo le nostre funzioni vitali e psichiche (dr. anche Platone,
Euthd. 295 h 2-5). Dunque l'anima è forma (dr. anche Rodier,
Il, ad 414 a 4-14, 206; Hicks, ad 414 a 13, 329; Ross, ad 414
a 4-14, 220; Sprague, Aristotle, 102 sgg.; Robinson, Soul, 4 sgg.;
Shiner, More on Aristotle, 29 sgg.; Owens, Aristotle's Definition,
135 sgg.; Barnes, Aristotle's Concept, 102-3; sulle interpretazioni
di Averroè [Il, n° 24, 163, 16 sgg.], Alberto Magno [Sum.
Theol. Il, tr. 12, q. 69, m. 2, a. 3, ed. Jammy, vol. 18, p. 349 a-
350 a] e Tommaso [Il, 4, n° 271, 71, ecc.] cfr. Gorman, Al-
bertus, 223 sgg.; Robinson, Ave"oes, 340 sgg.; Tognolo, La de-
finizione, 12 sgg.). Zomen ( 414 a 4; 12) designa la vita vegetativa
(dr. 413 h 1-2; secondo S. Mansion, Soul, 17 n. 9, il xa.L di 414
a 4 e 12 ha invece valore esplicativo). Epistametha (414 a 5) denota
la conoscenza intellettiva (dr. 414 a 13: dianooumetha; 413 h 13).
Per l'esempio della salute (414 a 7 sgg.) cfr. Ph. 8 5, 257 a 14 sgg.;
Metaph. r 2, 1003 a 34-b l. Per morphe kai eid6s ti (414 a 9)
dr. anche De an. B l, 412 a 8; per logos (414 a 9) cfr. De atz. A l,
403 h 2; B l, 412 h 16; per energheia (414 a 9) dr. De an. B l,
412 a 21-8. Per il principio actio est in operato (414 a 11-2) cfr.
De an. r 2, 426 a 2-11; Metaph. 8 8, 1050 a 31; per ot.a.'tt.i)E~'V~
(414 a 11) dr. Cat. 8, 8 h 26-9 a 13; Metaph. b. 19 per totum. Per
1tpW'tW<; (414 a 13) cfr. 413 h 2; Metaph. b. 18, 1022 a 32.
Lo Starigita conclude la dimostrazione stabilendo che l'anima è
forma e atto di un corpo a lei appropriato ( 414 a 14-28). L'argo-
mentazione (che in parte riprende il discorso di De an. B l, 412
a 6-21) è la seguente: l'essere animato, come ogni sinolo, è com-
posto di forma (o atto) e di materia (o potenza); ora il corpo è
materia o potenza; dunque l'anima è forma o atto del corpo, anzi
di un determinato corpo organico ( 414 a 14-9; cfr. De an. B l,
412 a 16-22; 27 sgg.). Kathaper eipomen (414 a 15) rinvia a De
an. B l, 412 a 6-10. Come in qualche modo avevano riconosciuto
i sostenitori della teoria dell'anima-armonia (dr. Bonitz, Index,
822 a 26-31), l'anima, pur non essendo un corpo (dr. De an. A 2,
405 a 5 sgg.; Resp. l, 467 h 13 sgg.; PA B 7, 652 h 7 sgg.), non può
esistere senza un corpo determinato (414 a 19-22). Per la clausola
(psyche) somatos ti (414 a 21) dr. De an. B l, 412 a 18; inoltre
Platone, R. IV, 438 h 1-3. Ot 1tPO'tEpov ( 414 a 22) si riferisce spe-
cialmente ai Pitagorici (dr. De an. A 3, 407 h 13-26). La tesi del-
l'adattamento reciproco di anima e di corpo si basa sul principio
generale della correlazione di forma .e di materia (414 a 25-7; dr.
anche De an. B 5, 417 h 3-5; Ph. B 2, 194 h 9). ,
Va infine osservato (con Owens, Aristotle's Definition, 141-5)
come neppure con la seconda definizione Aristotele riesca a formo-

Baruch_in_libris
NOTEAB3 291

lare un horismos di anima che consenta (secondo il modello geo-


metrico adottato in De an. A l, 402 h 16-403 a 2) di dedurne i
suoi 'accidenti per sé', ossia le sue varie facoltà o funzioni, le quali
rimangono conoscibili soltanto a posteriori, sulla base dell'esperienza
(interna ed esterna).

NOTE AB 3
1
SoMMARIO. - (l) Presenza delle diverse facoltà dell'anima
nelle varie specie di viventi: nelle piante la sola facoltà nutritiva,
in tutti gli animali anche quella sensi tiva (il tatto) e l'appetitiva, in
alcuni anche quella locomotoria, nell'uomo tutte le facoltà, compresa
quella razionale. (2) Definizione universale di anima e rapporto di
successione tra le anime o facoltà e tra i sensi. Non esiste un'anima
in sé e per sé, separata dalle specie particolari di anima. La trat-
tazione più appropriata intorno all'anima è quella che concerne le
singole anime o facoltà.
2
( 414 a 29-h 19 ). Aristotele ritorna in questo capitolo a trat-
tare delle parti o facoltà dell'anima. Nel nostro passo egli rileva la
diversa distribuzione delle facoltà nelle specie di viventi. Nell'uomo
sono presenti tutte le facoltà dell'anima; negli animali almeno la
nutrititiva, la sensitiva e l'appetitiva; nelle piante la sola facoltà nu-
tritiva (414 a 29-b 1). At ÀEXDEi:aaL (414 a 29) ed EL1tOlJ,E'V (414
a 31) rimandano a De an. B 2, 413 a 23-5; 413 h 12-3; xaDti1tEP
Et1tOlJ.E'V ( 414 a 30) e 414 a 32 sgg. riprendono De an. B 2, 413
a 31-h 9; 413 h 14-24; 413 h 32-414 a 3. L'elenco di 414 a 31-2
stabilisce una stratificazione ed una gerarchia delle facoltà. Per
I'orektikon (414 a 32) dr. De an. B 2, 413 h 23; A 5, 411 a 28;
per il kinetikon katà topon (414 a 32) dr. anche Cael. a 3, 310 a
30. La tesi che alla facoltà sensitiva consegue quella appetitiva ( 414
h l) viene dimostrata con due argomenti. Il primo è che il senso
del tatto comporta il piacere e il dolore, e quindi l'epithytnia, e che
quest'ultima è una delle forme (quella inferiore) della orexis ( 414 h
2-6). Sulla orexis e le sue specie (414 h 2) dr. De an. r 9, 432
h 5 sgg.; MA 6, 700 h 22; EN A 13, 1102 h 30-1; r 8, 1116
h 23-1117 a 9; Rh. A 10, 1369 a 1-7. Che l'animale possiede il pia-
cevole e il doloroso ( 414 h 5) significa che ha la capacità di discri-
minare gli oggetti piacevoli da quelli spiacevoli (dr. Hicks, ad 414 h
4, 332). Per la definizione di desiderio come « tendenza verso il
piacevole» (414 h 5-6) dr. anche Top. Z 3, 140 h 27 sgg. Il se-
condo argomento è che il tatto, in quanto senso dell'alimento, com-
porta l'epithymia che è caratteristica rispettivamente della fame e
della sete ( 414 h 6-16). Il tatto è il senso dell'alimento ( 414 h 6-7)
perché il gusto è una forma di tatto (dr. 414 h 11; De an. B 10,

Baruch_in_libris
292 NOTEAB3

422 a 8; 11, 423 a 17-20). Per il secco (solido), l'umido (fluido},


il caldo e il freddo come sensibili 'per sé' del tatto ( 414 b 7-9) cfr.
De an. B 11, 423 h 27-9. In 414 h 9 accolgo il testo tràdito ,;wv
~, iiÀ.À.wv titoih),;wv xa:tà. OUJ.L~E~1)xo~, che, con Alessandro (ap.
Filopono, 253, 13-20) e la maggior parte degli autori, interpreto nel
modo seguente: il tatto percepisce 'per sé' i sensibili 'propri', e
soltanto 'per accidente' gli oggetti degli altri sensi, come il suono,
il colore e l'odore (dr. 414 h 10-1), che s'accompagnano ai tangi-
bili per sé (dr. anche De an. r l, 425 a 22 sgg.; EN r 10, 1118
a 9-23 ). Gli oggetti degli altri sensi non nutrono in nessun modo,
né per se né per accidens (414 h 10-1; cfr. anche De an. r 12,
434 h 18 sgg.; Sens. 5, 445 a 16 sgg.: contro la tesi di alcuni Pi-
tagorici, secondo cui alcuni animali si nutrono con gli odori). 'O
xv~-té<; ( 414 h 11) è il 'sensibile proprio' del gusto, che è una
specie di tatto. Il sapore non è di per sé un alimento, ma come
un i]ovcr1-1a (cfr. anche Sens. 4, 442 a 10) dell'alimento (414 h
13-4). Hysteron (414 h 14) rinvia a De an. B 10-1. In 414 h 15
lo ~~'V dei manoscritti è stato emendato in ~W'V'tW'V da Susemihl
(Zu Aristoteles, 86), seguito da Ross (ad l.; 221; ad 414 h 15, 223),
Siwek (ad l.; 285 n. 321), Theiler (29) e Hamlyn (15), per il mo-
tivo che tutti gli animali possiedono il senso del tatto (dr. 414 h 3).
I problemi concernenti la phantasia (cfr. anche De an. B 2, 413 h
22), che dovranno essere affrontati hysteron (414 h 16), riguardano
sia la sua natura e funzione (dr. De an. r 3) sia la sua presenza negli
animali (dr. 415 a 10-1; De an. r 10, 433 h 29 sgg.; 11, 434 a
l sgg). In 414 h 19 Aristotele allude ai motori immobili ed alle
anime deJle sfere celesti (cfr. anche EN Z 7, 1141 a 20-2; 1141 a
34-b 2; inoltre Tommaso, Il, 5, no 293, 76).
3
(414 h 20-415 a 13). Nella seconda parte del capitolo Ari-
stotele riprende il tema della definizione di anima, ed insieme af-
fronta il problema del rapporto che lega tra loro le anime o fa-
coltà. Egli esordisce affermando che l'unità o universalità della de-
finizione di anima è analoga a quella della definizione di figura ( 414
h 20-1). Ciò che qui viene fatto corrispondere all'anima non è più
l' 'animale', come in De an. A l, 402 h 6, ma appunto la 'figura'
(cfr. Hicks, ad 414 h 20, 335); e lo Et<; À.oyo<;, che in De an.
A l, 402 h 5 equivaleva a 'definizione univoca', qui (414 h 20) ha
il senso di 'definizione comune' (414 h 23: logos koinos) o 'uni-
versale'. L'analogia tra la definizione universale di anima e quella
di figura, che lo Stagirita intende qui evidenziare, consiste nel fatto
che esse non postulano l'esistenza separata del rispettivo universale;
vale a dire: non esiste un'anima in sé e per sé, al di fuori delle
anime particolari, come non esiste una figura in sé e per sé, al
di fuori delle figure particolari ( 414 h 21-2). Ci troviamo di frontè
ad un'applicazione di quella che è stata chiamata la versione 'me-

Baruch_in_libris
NOTB AB 3 293

tafisica ', di carattere evidentemente antiplatonico, della tesi sulle


serie P (dove P sta per« priorità»; dr. 414 h 30), secondo la quale
versione l'universale non esiste separatamente dai termini 'specifici'
(su ciò dr. Lloyd, Genus, 67 sgg., che cita Metaph. B 3, 999 a 6-14;
EN A 6, 1096 a 17-20; EE A 8, 1218 a 1-15). Schema (414 h 21),
com'è indicato dall'esempio del triangolo e del quadrilatero ( 414 h
21 ; 31 ), designa la figura piana rettilinea. Per 1ta.pa ( 414 h 21 ) dr.
anche De an. A 4, 408 a 23; r l, 424 h 22. Tà lcpE~ijc; (414 h
21-2) sono il quadrilatero (dr. 414 h 31), il pentagono e tutte le
figure che sono riducibili al triangolo (dr. Metaph. I 2, 1054 a
3-4). Tàc; ELP1)(.1.Éva.c; ( 414 h 22) si riferisce alle anime o facoltà elen-
cate in 414 a 31-2 e in De an. B 2, 413 h 12-3.
Aristotele prosegue dicendo che, come è possibile formulare una
definizione universale di figura rettilinea ( « figura delimitata da più
linee»; cfr. Cael. B 4, 286 h 14-5), cosi è possibile formulare una
definizione universale di anima (« l'anima è forma del corpo »); nel-
l'un caso come nell'altro la definizione universale si applica a tutte
le 'specie', ma non è 'propria' di nessuna (414 h 22-5). Il punto
da esplicare riguarda precisamente il modo in cui qui giocano 'uni-
versale' e 'proprio'. In primo luogo è manifesto (pace De Corte, .
La définition, 476 sgg.; Moraux, Alexandre, 58 sgg.) che, dicendo
« definizione universale di anima », Io Stagirita non sta pensando
ad una definizione generica trascendente, ma ad una definizione uni-
versale immanente. D'altra parte non sembra che l'intenzione di Ari-
stotele, nell'affermare che la definizione di anima non è 'propria'
di nessuna psyche, fosse quella di sostenere che il concetto di anima
non è generico o univoco, ma 'analogo'-equivoco (cosi, particolar-
mente, Lloyd, Genus, 74-5). Indubbiamente ci sono buone ragioni
per ritenere che lo Stagirita fosse convinto della 'analogicità' della
definizione di anima (cfr. Introduzione, 60-1 ), ma mi pare che il
nostro testo risponda ad una diversa preoccupazione (la tesi dell' 'ana-
logicità' della definizione aristotelica di anima, in rapporto alle anime
particolari, è stata sostenuta da Alessandro, De an. 16, 18-17, 8;
Quaest. I, XIb, 22, 26-23, 16, ecc.: il termine 'anima' è un pollachos
legomenon; la definizione di anima come fonna del corpo si attaglia
propriamente all'anima vegetativa; Temistio, 48, lO-l; 24-5; Sim-
plicio, 12, 25-8: omonimia 1tpòc; Mv; 106, 33; Filopono, 36, 25 sgg.;
255, 26 sgg.; Sofonla, 53, 27 sgg.; Averroè, I, no 7, 11, 31-4; II,
no 30, 173, 16-7 [cfr. Tognolo, lA definizione, 30 sgg.]; Alberto
Magno, 8, 26 sgg.; 9, 11 sgg.; Pacius, Comm., 263 no 9; Zabarella,
48 D-F; Rodier, II, ad 414 h 20-4, 216-8: analogia di proporzio-
nal.ità; Hicks, ad 414 h 29, 337; Tricot, 5 n. l; 82 n. 6; Siwek,
285 n. 324; Hamlyn, ad 414 h 20, 94; Lloyd, Genus, 67 sgg.;
74 sgg.: il nostro testo contiene anche la versione 'logica' della tesi
sulle serie P [cfr. anche Pol. r l, 127 5 a 22 sgg.] , la quale versione
afferma che l'universale non è in relazione logica con i termini della

Baruch_in_libris
294 NOTEAB3

serie cosl come il genere sta alle specie; invece la tesi dell'univocità
è difesa da De Corte, La définition~ 476 sgg.; Moraux, Alexandre,
58 sgg.; Mclnemy, Le terme, 504, che s'ispira a Tommaso, in Int.
l, 8, no 92, 38, ecc.; su tutto ciò cfr. Movia, Due studi, 17-50).
In effetti Aristotele ammette la possibilità di una definizione comune
di anima. Egli aggiunge, però, che tale definizione non è 'propria',
ossia esclusiva (cfr. APo. B 4, 91 a 15), di nessuna anima. Ma ciò
significa che non esiste un'anima in sé cui si adatti la definizione
universale di anima, il che equivale a dire che qui viene ribadita
la versione 'metafisica' sulla serie P.
Dal fatto, poi, che non esiste un'anima in sé o una figura in sé
lo Stagirita ricava la conseguenza che è assurdo cercare una defi-
nizione comune di anima o di figura (la quale definizione non ri-
manda a nessun ente - ossia neppure ad un'anima o ad una figura
in sé, che non esiste - e non può essere riferita a nessuna specie
appropriata e indivisibile), trascurando la definizione katà tò oikeion
kai atomon eidos ( 414 h 25-8). In altri termini, non è irragione-
vole cercare la definizione universale, ma fermarsi soltanto a quella,
omettendo la ricerca delle definizioni particolari e 'proprie'. Il ri-
corso all'analogia della figura e al rapporto di successione che in-
tercorre tra le figure stesse ( 414 h 21-2) è pertanto funzionale al-
l'esclusione dell'esistenza di un'anima in sé e per sé ed alla neces-
sità di stabilire definizioni particolari e proprie delle diverse anime.
'E1tt 't"OU't"WV ( 414 h 26) si riferisce all'anima e alla figura; lcp' l't"Épwv
( 414 h 26) probabilmente ai 'generi' di cui si occupano la zoologia
e la botanica (dr. Filopono, 257, 17 sgg.; Tricot, 83 n. 3). Atomon
eidos (414 h 27) è la species infima, non ulteriormente divisibile in
specie (dr. APo. B 13, 96 h 16; 97 a 18-9; Metaph. Z 8, 1034 a 8;
PA A 4, 644 a 29-33) e che si predica immediatamente degli indi-
vidui (cfr. Metaph. B 3, 999 a 12). Ton toiouton (414 h 27-8) equi-
vale a ton katà tò oikeion kai atomon eidos logon (dr. Hicks, ad
414 h 27, 336).
Aristotele, quindi, riprende ed approfondisce il discorso, appena
abbozzato in 414 h 21-2, sul rapporto di successione, ovvero di an-
teriorità e posteriorità, che vige tra le anime o facoltà e tra le fi-
gure. Il termine antecedente è contenuto in potenza in quello sus-
seguente: il triangolo nel quadrilatero e la facoltà nutritiva nella
sensitiva ( 414 h 28-31). 4uv4p,EL ( 414 h 29) sta a significare, nel
caso del triangolo, che esso esiste potenzialmente nel quadrilatero e
che si realizza di fatto qualora si tracci la diagonale del quadrila-
tero stesso; nel caso degli animali, che essi non possiedono una
pluralità di anime, ma che l'anima, cui appartengono le funzioni
superiori, esercita anche quelle inferiori (dr. Berti, Aristote, 101-2).
Tetragonon (414 h 31) qui è il quadrilatero (dr. Metaph. I 3, 1054 h
2; 5; inoltre Heiberg, Mathematisches, 15: « Viereck »; Hick:s, 61;
ad 414 h 19-415 a 13, 335). Ross (ad 414 h 31, 224) fa osservare

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NOTEAB3 295

che l'analogia delle figure geometriche è approssimativa in quanto,


mentre il quadrilatero presuppone necessariamente il triangolo, poi-
ché può essere diviso in due triangoli, è soltanto di fatto che la
facoltà sensitiva non può esistere senza quella nutritiva (dr. 415 a
1-3). La conseguenza che lo Stagirita ricava dal riconoscimento del
rapporto di successione tra le anime o facoltà, e dalla necessità di
stabilire definizioni 'proprie' delle diverse anime, è che occorre esa-
minare in concreto l'anima di ciascuna specie di viventi: quella della
pianta, dell'animale e dell'uomo (414 h 32-3; per kath' hekaston ed
hekaston nel senso di species infima dr. PA A l, 639 a 15-8).
Aristotele aggiunge che va determinato il motivo per cui le
anime o facoltà sono disposte in un ordine di successione ( 414 h
33-415 a l; cfr. De an. B 2, 413 h 9-10; r 12-3; inoltre PA 1:. lO
per totum; Pol. A 8, 1256 h 15-22; Metaph. A 10, 1075 a 16 sgg.).
In effetti la facoltà nutritiva è 'anteriore' rispetto a quella sensitiva,
il tatto è 'anteriore' rispetto agli altri sensi, e tutte le altre fa-
coltà sono 'anteriori' rispetto a quella intellettiva ( 415 a 1-12). È
manifesto che la priorità che è in gioco in questo passaggio non è
(pace Lloyd, Genus, 75 sgg.) anche quella logica, ma unicamente
quella ontologica (dr. Metaph. 4. 11, 1019 a 1-6). Inoltre, se non
c'è un'anima in sé che funga da paradigma o modello nei confronti
dell'analisi delle singole specie di anima, non rimane che prendere
in considerazione le varie e distinte anime o facoltà, ed è quanto
lo Stagirita farà nei capitoli seguenti. In questo senso egli può
chiudere il nostro capitolo asserendo che il discorso più appropriato
sull'Mima è quello rivolto a ciascuna sua facoltà (415 a 12-3), in
quanto ciascuna facoltà definisce una specie particolare di anima.
Sul rapporto tra facoltà nutritiva e sensitiva (415 a 1-3) dr. De
an. A 5, 411 h 29-30; B 2, 413 a 31-2; fra tatto e gli altri sensi
(415 a 3-6) dr. De an. B 2, 413 h 4-9; 414 a 2-3. Per l'assenza
in molti animali dei sensi a distanza (415 a 5-6) dr. HA 4. 8, 532 h
29 sgg.; Metaph. A l, 980 h 23. Sugli animali stazionari (415 a 7)
dr. De an. A 5, 410 h 19-20; B 2, 413 h 2-4. La maggior parte
degli animali sono privi dell'immaginazione deliberativa e della ra-
gione, e vivono soltanto con l'immaginazione sensibile e con le fa-
coltà in essa implicate, ed in particolare con la facoltà sensitiva e la
epithymia (415 a 10-1; dr. anche De an. B 2, 413 h 22; r 3, 428 ~
8-11; 21-4; 10, 433 a 11 sgg.; 11, 434 a 4 sgg.). Il motivo per cui il
nous teoretico richiede un ulteriore e diverso discorso ( 415 a 11-2;
dr. De an. r 4-8) è che esso non sembra assimilabile alle altre anime
o facoltà, la cui esistenza presuppone necessariamente quella delle
facoltà inferiori (dr. De an. B 2, 413 h 24-7).

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296 NOTEAB4

NOTE AB 4
1
SoMMARIO. - A) Premessa metodologica: (l) la ricerca sulle
facoltà dell'anima deve stabilire la loro essenza e le loro proprietà;
(2) lo studio delle facoltà dev'essere preceduto da quello sulle fun-
zioni, e questo dallo studio degli oggetti correlativi. B) La facoltà
nutritiva: (l) definizione e funzioni; (2) la riproduzione. C) La tri-
plice causalità dell'anima: essa (l) è causa formale od essenza del
vivente, sia perché è causa del suo essere-tale, sia perché costituisce
il suo 'atto'; (2) è il fine dell'organismo vivente, sia come finis qui
intenditur che come finis cui prodest; ( 3) è causa del moto locale
e dei mutamenti quantitativi e qualitativi del vivente. D) Critica di
due teorie della nutrizione e della crescita: (l) contro Empedocle:
(a) la crescita delle piante non è dovuta ai moti contrari degli ele-
menti di cui sono formate, ma al funzionamento di organi appro-
priati; (b) la dottrina di Empedocle rende impossibile l'unità del
vivente, che non può essere assicurata che dall'anima; (2) contro i
sostenitori della teoria che l'anima è composta di fuoco: il fuoco
o, meglio, il calore vitale è soltanto uno strumento, e non la causa
adeguata dei fenomeni biologici, che è precisamente l'anima. E) Na-
tura dell'alimento e della nutrizione: il contrario è nutrimento del
contrario, qualora l'alimento si trovi ancora nella sua condizione
originaria; il simile è nutrimento del simile, qualora l'alimento sia
stato elaborato dall'organismo vivente. F) Ancora sulla facoltà nu-
tritiva: (l) il nutrimento si rapporta all'essere vivente; (2) caratte-
ristiche o funzioni dell'alimento: essere principio di conservazione
e di riproduzione, ed essere causa di crescita; ( 3) i fattori della fun-
zione nutritiva o .vegetativa: la facoltà o anima nutritiva è la causa
o il motore immobile della nutrizione, il quale si serve di due stru-
menti, il calore vitale e l'alimento; il primo funge da motore mosso,
mentre il secondo è soltanto mosso.
2
(415 a 14-22). Concluso il discorso sulla definizione di anima,
Aristotele dà inizio all'esame delle singole facoltà. Il nostro testo
consiste in una breve premessa metodologica, nella quale lo Sta-
girita, analogamente a quanto aveva fatto in De an. A l, 402 a
7-8 a proposito dell'anima, stabilisce che di ciascuna facoltà si dovrà
determinare l'essenza o definizione, per poi dedurne le rispettive
proprietà ( 415 a 14-6). Per labein hekaston auton ti estin ( 415 a 15)
dr. Metaph. K 9, 1066 a 22-3; inoltre APo. B 13, 96 h 17-8. Per
Elit' ov""rwc; (415 a 15) cfr. anche PA A l, 640 a 15. Tà echomena
( 415 a 15) devono essere gli 'accidenti per sé' delle facoltà, ossia le
proprietà che derivano necessariamente dalle loro definizioni (cfr.
Temistio, 49, 15-6); nel caso, ad es., della facoltà nutritiva, la_
nutrizione e la riproduzione (cfr. 415 a 26). Tà alla (415 a 16), se
non è sinonimo di tà echomena (cfr. Rodier, l, 83; II, ad 415 a

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NOTE A B4 297

15-6, 223), indica forse i fenomeni biologici elencati in Sens. l, 436


a 14-9 (veglia e sonno, giovinezza e vecchiezza, respirazione ed espi-
razione, vita e morte, salute e malattia), vale a dire quelle caratte-
ristiche che sono più remote dalle definizioni delle facoltà (dr.
Hicks, ad 415 a 15, 338-9).
Aristotele, riprendendo quindi le aporie settima ed ottava di
De an. A l (402 h 11-4; 14-6), afferma che la conoscenza della fun-
zione è prerequisita a quella della facoltà, e che la conoscenza del-
l'oggetto è a sua voi ta prerequisi ta a quella della funzione, la fun-
zione essendo a noi più nota della facoltà, e l'oggetto della fun-
zione (415 a 16-22; dr. anche De an. r 7, 431 a l sgg.; Metaph.
8 8, 1049 h 12-7: priorità logica o gnoseologica dell'atto sulla po-
tenza; Sens. 2, 438 h 22-3: l'oggetto sensibile come principio attua-
lizzatore della facoltà sensitiva; inoltre Temistio, 49, 18 sgg.). Per
a.t lvÉpyELa.L xa.L a.t 1tpa~ELt; ( 415 a 19) dr. PA B l, 646 h 12.
3
415 a 22-b 7). Aristotele comincia la trattazion~.~d~lle singole
(
f3coltà dell'anima da quella nutritiva (su questa facoltà dr. Cantin,
Les puissances, 25 sgg.), e ciò per il motivo che quest'anima o facoltà
appartiene non solo alle piante, ma a tutti i viventi, ed è il prin-
cipio primario e fondamentale (415 a 24: proté) in virtù di cui essi
si caratterizzano come tali (415 a 22-5; dr. anche GA B l, 735 a
15-7). Con ciò stesso lo Stagirita ha determinato l'essenza e la de-
finizione della facoltà nutritiva; egli passa quindi ad indicame le
proprietà o funzioni ( 415 a 25-b 7). Gli erga della facoltà nutritiva
sono la riproduzione e l'assimilazione dell'alimento (415 a 25-6;
sul legame tra generazione e nutrizione cfr. 416 h 11 sgg.; HA 8
r, 589 a ~5; GA B 3, 736 h 26-7; 4, 740 h 36-741 a 2): con la
prima l'individuo si conserva tramite la specie (cfr. 415 h 7), con
la seconda in se stesso (dr. 416 h 14 ).
Nella parte rimanente di questo passo lo Stagirita analizza il fe-
nomeno della riproduzione (415 a 26-9) e ne propone un fonda-
mento 'metafìsico'-'teologico' (415 a 29-b 7; dr. Gigon, 239). Per
l'attività riproduttiva come la funzione più naturale dei viventi ( 415
a 26-7) dr. Pol. A 2, 1252 a 29; per ,;ÉÀEta. e llTJ 1t1}pWIJra.,;a. ( 415 a
27) dr. De an. r l, 425 a 10; 9, 432 h 22-4; GA B l, 735 a 18;
7, 746 h 31-3 (menomazione degli organi sessuali); Metaph. Z 9,
1034 h 3-4; per le piante e gli animali a generazione spontanea (415
a 27-8) dr. HA E l, 539 a 15-25; 19, 550 h 32 sgg.; GA r 11
per totum; Metaph. Z 7, 1032 a 30-2. Il motivo per cui un vivente
nato per generazione spontanea non può riprodursi, è, ovviamente,
che l'individuo che non provenga da generanti non può diventare
esso stesso generante (dr. Ross, ad 415 a 27-8, 228). Per ,;Ò 1tOLijCTa.L
I,;Epov olov a.ù,;6 (415 a 28) dr. 415 h 7; 416 h 24; HA 9 l, 588 h
25; GA B l, 735 a 18; Mete. 4 3, 380 a 14-5; Pol. A 2, 1252 a
30. Per la partecipazione all' 'eterno' e al 'divino' - ossia all'eter-

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298 NOTE A B4

nità- tramite la riproduzione (415 a 29; cfr. anche 415 h 3) dr.


GA B l, 731 h 22-732 a l; inoltre Platone, Smp. 206 a 5 sgg.;
Lg. IV, 721 h 7 sgg. Per la tendenza di tutti gli esseri, e in parti-
·colare di quelli viventi, all'eternità ed alla conservazione della forma
(415 h 1-2) dr. anche Ph. A 9, 192 a 16-25 (la materia aspira alla
forma); inoltre Theiler, ad 415 a 29, 114. Sulla distinZione dei due
sensi di 'fine' - finis qui intenditur e finis cui prodest ( 415 h 2-3;
inoltre 20-1)- dr. anche Ph. B 2, 194 a 27-36 ( = De Philos. fr.
28 Ross); Metaph. A 7, 1072 h 1-3; EE 8 3, 1249 h 13-6; inoltre
'Giacon, La causalità, 36; Gaiser, Das zweifache, 97 sgg.; Graeser,
Aristoteles' Schrift, 44 sgg.; sul concetto aristotelico di fine dr .
.Sandoz, Le role, 46 sgg.; Lemer, Recherches, passim.
Ma in quale dei due significati il nostro passo intende parlare di
·'fine'? Secondo Rodier (1, 85; Il, ad 415 h 2, 229) il finis qui di
tutti gli esseri naturali, e specialmente degli animali, è l'eterno e
il divino ( 415 h 1-2), mentre il finis cui va identificato con gli ani-
mali stessi, che partecipano dell'eterno e del divino tramite la specie
(415 h 3 sgg.). Da parte sua Ross (225; ad 415 h 1-3, 228) ritiene
.che il nostro testo si riferisca unicamente al finis qui, mentre il
finis cui verrà indicato in 415 h 20-1. Infine per Lefèvre (S ur l'évo-
Jution, 142-4; 284-5), se in 415 h l si stabilisce che i viventi
hanno l'eterno e il divino come loro finis qui, come ciò cui essi aspi-
rano, in 415 h 1-2 sono presenti entrambe le accezioni di 'fine'.
Difatti tutte le attività naturali dei viventi hanno per fine l'eterno
e il divino, e ciò - spiega Lefèvre - sia perché lo possiedono
(finis qui), sia perché lo costituiscono e lo espandono (finis cui). I
viventi insomma - conclude Lefèvre - , mediante la riproduzione
specifica, da un lato pervengono ad un'eternità che è loro negata
·come individui; dall'altro concorrono a costituire un ordine eterno e
"'divino', il quale, pertanto, è l' 'obiettivo' e insieme il 'beneficiario'.
A mio avviso è difficile negare che il nostro passo contenga sol-
tanto il finis qui: il fine è l'eternità della specie, e l'anima è la causa
motrice che, nella generazione, agisce in vista di quel fine.
I viventi, dunque, tendono naturalmente all'eternità ( 415 a 29-b
3 ). Siccome però questo scopo non può essere raggiunto con la loro
sopravvivenza individuale (in quanto sono corruttibili), essi lo conse-
guono in qualche modo attraverso la riproduzione, e quindi mediante
l'eternità della specie (415 h 3-7; sull'analogia tra il ciclo continuo
delle generazioni e delle corruzioni e il movimento circolare ed eterno
·dei cieli dr. GA B l, 731 h 22-732 a l; GC B 10, 336 h 25-337
.a 15; 11, 338 h 6-19; Metaph. 8 8, 1050 h 28-9; Mete. A 9, 346 h
35-347 a l; inoltre Berti, Aristate, 88 n. 3). Per la synecheia (415 h
3) come continuità temporale dr. Ph. 411, 219 a 12-3. Per -tò p,Èv
p,dÀ.Ào-v ~ò S' Ti~~o-v ( 415 h 6) dr. Temistio (50, 21-4): «di più,
tutti quegli esseri la cui generazione reciproca non s'interrompe mai;
di meno, come nel caso di alcuni esseri viventi, che in determinate

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NOTEAB4 299

stagioni sembrano perire interamente ed in altre riprodursi » ( trad.


De Falco, 77 ).
4
( 415 h 8-27). Con questa digressione, dall'eternità della specie
come fine dei viventi si passa alla triplice causalità dell'anima. Lo
Stagirita esordisce affermando che l'anima è la causa o principio del
corpo vivente ( 415 h 8 ). Benché, a rigori, i termini 'causa' e 'prin-
cipio' non siano sinonimi (dr. Metaph. Il. 1-2), qui sono usati come
equivalenti (dr. anche Moreau, Arche, 133 sgg.). Per l'anima come
arche dr. De an. A l, 402 a 6; B 2, 413 h 12; 414 a 12. Aristo-
tele applica quindi all'anima la teoria delle quattro cause (per questa
teoria dr. Metaph. A 3, 983 a 26-32; Il. 2 per totum; Z 17, 1041
a 27 sgg.; A 4-5; Ph. B 3 e 7; PA A l, 639 h 11 sgg.; inoltre
Giacon, La causalità, 23 sgg.), naturalmente omettendo la causa ma-
teriale: l'anima è insieme causa motrice, finale e formale del corpo
vivente (415 h 8-J4; cfr. anche PA A l, 641 a 26-7). Per tà empsycha
somata (415 h -11): dr. De an. r 12, 434 h 12; inoltre 415 h 18.
Per provare che l'anima è ousia (415 h 11) od essenza, vale a dire
causa formale del corpo animato, lo Stagirita si avvale di due argo-
menti. Il primo (415 h 12-4) si può riformulare nei termini seguenti:
l'essenza di una cosa è la causa del suo essere; ma l'essere dell'or-
ganismo vivente è la vita; dunque l'essenza dell'organismo vivente
è la causa della sua vita; ma la causa della vita degli esseri viventi
è l'anima (dr. De an. B 2, 414 a 12); dunque l'anima è l'essenza
dell'organismo vivente (dr. Hicks, ad 415 h 12, 342). Come ha mo-
strato Mignucci (In margine, 247-8), che si richiama, tra l'altro, a
Metaph. Z 17, 1041 a 32-h 9, qui tò einai (415 h 12; 13) non ha
senso esistenziale, ma 'categoriale': l'essenza non è causa dell'esi-.
stenza di una cosa, ma piuttosto del suo !essere-tale', ossia del fatto
che la cosa sia determinata da una certa struttura formale piuttosto
che da un'altra. Il secondo argomento (415 h 14-5), presentato in
forma ancor più ellittica, può essere cosl riesposto: l'essenza è l'atto
di ciò che è in potenza; ma l'anima è l'atto del vivente in potenza
(dr. De an. B l, 412 a 27 sgg.); dunque l'anima è essenza o causa
formale del vivente (dr. Hicks, ad 415 h 14, 342). Per logos (415
h 14) come causa formale dr. De an. A l, 403 h 2; B 2, 414 a 9;
13-4; 27.
Aristotele passa quindi a spiegare a quale titolo l'anima sia causa
finale ( 415 h 15-21 ). La natura, analogamente all'intelletto 'pratico'
(415 h 16: nous), agisce sempre per un fine (dr. anche Ph B 8,
198 b 10 sgg.; PA A l, 639 h 19-20; 641 h 10 sgg.; inoltre Theiler
Zur Geschichte, 83 sgg.). Ora il fine della natura, negli esseri vi-
venti, è l'anima, giacché l'organismo delle piante e degli animali
funge da suo strumento. Precisamente l'anima è il fine del corpo
vivente sia come finis qui sia come finis cui. Sulla concezione aristo-
telica dell'anima come causa finale (su cui evidentemente - co-

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300 NOTE A B4

me rileva Theiler, ad 415 h 8, 114 - agisce « die platonische


Idee ») le posizioni degli interpreti sono divergenti. Secondo Rodier
(Il, ad 415 h 20-1, 232-3) l'anima è finis qui (dr. anche Simplicio,
112, l), mentre finis cui è l'animale (dr. anche Filopono, 27 4, 16-7 ).
Invece per Ross (ad 415 h 1-3, 228) l'anima è soltanto finis cui,
poiché è a suo vantaggio che esistono i corpi degli animali e delle
piante. Di avviso opposto è Nuyens (L'évolution, 245-6), il quale
sostiene che l'anima, in quanto forma sostanziale dell'essere vivente,
è finis qui. Difatti lo scopo cui è destinato l'essere vivente è di svi-
lupparsi e di riprodursi per la conservazione della specie (dr. 415
a 23-6 ). Ora questa funzione si spiega precisamente in base alla
fonna sostanziale. L'anima non può essere un finis cui, ossia un'en-
tità cui il corpo è destinato (ciò infatti, fa osservare Nuyens, con-
durrebbe ad una concezione strumentalistica dei rapporti tra anima
e corpo, concezione che è inconciliabile con l'ilemorfismo profes-
sato nel nostro trattato), ma è finis qui, «le but à réaliser lui-meme ».
Infine Lefèvre (Sur l'évolution, 142; 145-9; 284), respinta giusta-
mente l'esegesi di Rodier (giacché è ·l'anima, e non il vivente, che
viene detta 'fine'), riconosce in primo luogo che l'anima è il finis qui
della natura e dei corpi naturali (415 h 18: katà physin; tà physikà
somata), natura, beninteso, da assumersi come 'natura specifica', equi-
valente alle varie 'realtà naturali', e non come autonomo soggetto
ontologico (su questo punto dr. Vegetti, in Lanza-Vegetti, Opere,
558 n. 13 ). Per Lefèvre, però, l'anima è anche finis cui, poiché,
se è lo scopo cui tendono i fenomeni e le realtà organiche (ed anzi-
tutto la riproduzione), ne è insieme il 'beneficiario', in quanto li
utilizza come suoi strumenti. L'ilemorfismo - conclude Lefèvre -
ricorre qui a schemi strumentalistici, anche per agevolare il passaggio
al discorso sull'anima-causa motrice (dr. 415 h 21 sgg.). A me pare
che, se l'anima si serve del corpo come di uno strumento, lo fa
anzitutto a titolo di causa motrice. Naturalmente l'anima agisce per
un fine, che poi coincide con lei stessa. Precisamente l'anima è finis
qui, perché la forma-'atto' (nel nostro caso: l'anima-entelecheia) è il
termine verso cui tende la materia-potenza (nel nostro caso: l'or-
ganismo corporeo; dr. Metaph. 8 8, 1050 a 9-10), ed è finis cui,
perché essa fa uso del corpo a proprio vantaggio, servendosene per
le sue attività vitali (a cominciare da quella riproduttiva, volta alla
conservazione della specie e quindi, in un certo senso, dell'anima
stessa; dr. 416 h 23-5) e conoscitive (dr. 415 h 21 sgg.). Per tà
physikà somata (415 h 18) dr. 415 h 11; De an. B l, 412 a 11-5;
20; 412b 26-413 a 3. Per il corpo come organon (415 h 19) del-
l'anima dr. De an. A 3, 407 h 25-6; B l, 412 h l; PA A l, 642 a
11-2; 5, 645 h 14-20.
Infine lo Stagirita mostra come l'anima sia causa del moto lo-
cale e del mutamento qualitativo e quantitativo del vivente ( 415 h
21-7). Per la concezione dell'anima come principio di movimento

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NOTE A B4 301

(presente forse già nell'Eudemo; dr. Theiler, 78; ad 415 h 8, 114,


ecc.) dr. De an. A 3, 406 a 12 sgg.; r 10, 433 a 21; PA A l, 641
h 4-8; inoltre Platone, Phdr. 245 c 5 sgg. Per gli animali stazionari
(415 h 22-3) dr. De an. A 5, 410 h 18 sgg.; B 2, 413 h 2 sgg.
Ka-rà ~xi)v (415 h 23-4) significa che, benché il mutamento qua-
litativo e quantitativo (come lo spostamento locale) implichino il
corpo, la loro causa appropriata è l'anima (dr. Sens. l, 436 a 6-8;
436 h 6-8; inoltre Cherniss, Pres., 310). Sulla percezione come una
alloiosis ( 415 h 24) o mutamento del soggetto, prodotta da un
agente esterno, dr. De an. B 5, 416 h 34 (dr. però r 7, 431 a 5);
MA 7, 701 h 17-8; Insomn. 2, 459 h 4-5; Metaph. r 5, 1009 h 13;
Ph. H 2, 244 h 10-1. Lo sviluppo e la decrescita implicano la nu-
trizione, e questa la vita e l'anima come suo principio ( 415 h 25-7);
con ciò Aristotele ritorna alla facoltà nutritiva.
5
(415 h 28-416 a 18). Dopo aver affermato che la causa della
nutrizione e della crescita del vivente non può essere che l'anima
( 415 h 23-7), Aristotele respinge due dottrine che non accedono a
questa sua convinzione. La prima, limitata al caso delle piante, è
stata sostenuta da Empedocle ( 415 h 28-416 a 9). Secondo questo
autore le radici delle piante sono formate di terra, mentre le altre
parti di fuoco. Lo sviluppo delle radici verso il basso si spiega quindi
col corrispondente moto naturale della terra, e la crescita delle altre
parti verso l'alto, con l'analogo moto naturale del fuoco ( 41.5" h
28-416 a 2; questo passaggio corrisponde a DK 31 A 70 [1, 296,
30-2]; nella sua relazione Aristotele utilizza alcuni dati empedoclei:
dr. DK 31 B 62 [1, 335, 9]; GC B 6, 334 a 1-5; inoltre Cherniss,
Pres., 311 n. 78; dr. però Cael. Il. 2, 309 a 19-20). IlpoCT'tLilELc;
(415 h 28) lascia supporre che lo Stagirita accettasse almeno una
parte del discorso di Empedocle (cfr. Hicks, ad 415 h 28, 343). Alla
teoria empedoclea Aristotele rivolge due obiezioni. Nella prima ( 416
a 2-5; dr. anche De an. B 2, 413 a 28-31) rimprovera ad Empedocle
di non aver inteso bene i termini 'alto' e 'basso', poiché, mentre da
un punto di vista cosmologico 'alto' e 'basso' hanno un valore asso-
luto, rapportandosi, rispettivamente, alla circonferenza e al centro
dell'universo (dr. De an. A 3, 406 a 27-30; Ph. Il. l, 208 h 8-14;
Cael. Il. l, 308 a 13-31), in sede biologica essi hanno invece valore
relativo e convenzionale, dipendendo dalle funzioni che gli organi
dei viventi sono chiamati ad assolvere. Cosi, se le radici della pianta
corrispondono alla testa dell'animale, giacché sia quelle che questa
sono organi la cui funzione è d'introdurre l'alimento, l' 'alto' della
pianta sarà il 'basso' dell'animale (dr. anche Ph. Il. l, 208 h 14 sgg.;
HA B l, 500 h 28-30; PA Il. 7~ 683 h 17-21; 10, 686 h 32-687 a
2; lA 4, 705 a 28-b 8 [705 a 31: lpy~ xat ou ilÉcTEt. lJ,hvov]; Resp.
l, 468 a 1-12; inoltre Kraak, Aristate, 251 sgg.). La spiegazione em-
pedoclea del fenomeno della crescita, facendo appello soltanto ai

Baruch_in_libris
302 NOTE A B4

moti degli elementi e alla posizione degli organi nello spazio, è in-
somma puramente meccanicistica e trascura l'aspetto funzionale e
teleologico del fenomeno stesso. Se fosse vero che è il moto del
fuoco a produrre la crescita verso l'alto, le parti superiori di tutti
gli organismi viventi avrebbero la medesima struttura e funzione,
e ciò è contraddetto dall'esperienza (dr. Rodier, II, ad 416 a 3,
234-5; Hicks, ad 415 h 28, 343, ecc.; Tricot, 89 n. 4; Cherniss,
Pres., 310-1; Ross, ad 416 a 2-5, 229; Theiler, ad 415 h 28, 115,
ecc.; }annone-Barbotin, ad l., n. l; Hamlyn, ad 415 h 28, 97).
La seconda difficoltà rivolta ad Empedocle (416 a 6-9) è che,
attribuire ai moti opposti del fuoco e della terra rispettivamente la
·crescita della pianta verso l'alto e lo sviluppo delle radici verso il
basso, rende inintelligibile l'unità del vivente. È pertanto esigito un
synechon (416 a 6; dr. anche De an. A 5, 410 h 12; 411 h 6 sgg.)
che ne eviti la dissociazione ( 416 a 7: ÒLacr7taaiH)O"E'taL; cfr. anche
GA A 18, 722 h 12; 4. l, 764 h 18), e questo non può essere che
l'anima, che sarà dunque la vera causa della crescita e della nutri-
zione. Cherniss (Pres., 311 n. 80) fa osservare che probabilmente
Empedocle concepiva l'unità dell'organismo come la risultante delle
forze opposte dell'Amore e della Discordia.
La seconda dottrina che Aristotele prende in considerazione è
quella di Eraclito ( 416 a 9-18; Simplicio, in Ph. 23, 33 sgg., fa
in più il nome di lppaso: dr. Metaph. A 3, 984 a 7-8; Mondolfo,
in Mondolfo-Taran, Eraclito, CLXXV, anche quello di Democrito).
Eraclito ritiene che il fuoco sia causa della nutrizione e della cre-
scita, avendo osservato che è l'unico elemento capace di alimentarsi
(dr. anche 416 a 26-7) e di accrescersi ( 416 a 9-13; cfr. anche Mete.
B 2, 354 h 33-355 a 15; PA B 7, 652 h 7-15). Secondo Chemiss
(Pres., 312 n. 82) la tesi in questione altro non è che un'interpre-
tazione di Aristotele della teoria dell'anima composta di fuoco, ed
anche la giustificazione che ne viene proposta è soltanto una rico-
struzione dello Stagirita. Invece Mondolfo (in Mondolfo-Taran, Era-
clito, 77 n. 123) trova, fra l'altro, in De an. A 2, 405 b 26-9 un
indizio che in Eraclito ci fosse qualche spunto cui Aristotele e
Simplicio avrebbero attinto. M6vov ( 416 a 11) si spiega col fatto
che il fuoco è l'unico corJ.X> semplice ad ammettere una qualche
forma di alimentazione e di crescita nel suo stato elementare, ossia
prima di entrare in composizione nei miktà (dr. Hicks, ad 416 a
11-2, 344 ). In 416 a 11 espungo il "tW'V O"'tOLXEthl'V con Torstrik
(ad l.; ad 416 a 11, 139), Ross (ad l.; ad 416 a 11, 229), Theiler
(31; ad 416 a 11, 115, che cita Mete. A 2, 339 a 13, dove 'corpi'
sta per 'elementi') e Hamlyn (19). Per tò ergazomenon (416 a 13)
dr. GA B 3, 736 a 27. L'obiezione che Aristotele muove a codesta
teoria è che il fuoco (o meglio il suo analogo, il calore vitale: cfr.
PA B 7, 652 h 7 sgg.; r 6, 669 h 3-6; 4. 5, 681 a 2-7; GA B 3,
736 h 33-737 a 7; r l, 751 h 6), in quanto entità materiale, può

Baruch_in_libris
NOTE A B4 30}

essere soltanto causa adiuvans (416 a 14: synaition; cfr. anche


Metaph. d 5, 1015 a 20-2; PA A l, 642 a l sgg.; EN r 5, 1114
h 23; inoltre Platone, Phd. 99 h 2-4; Ti. 46 d l sgg.; 48 a l sgg.;
68 e l sgg.; Lg. X, 897 a 4 sgg.; Plt. 281 c 4; e 4), condizione ne-
cessaria e 'strumento' della nutrizione e della crescita, fenomeni che·
trovano la loro causa adeguata soltanto in un principio formale, ossia
nell'anima ( 416 a 13-8). Per la coppia Etc; a1tEt,pO'V ( 416 a 15) -1tÉpa.t;
(416 a 17) cfr. Platone, Phlb. 23 c 9-10; 25 d l sgg.; per tà physei
synistamena (416 a 16) dr. Metaph. Z 9, 1034 a 33; PA A l,
640 h 4. Sulla dipendenza delle dimensioni degli animali dalla loro
forma specifica (416 a 16-8) cfr. anche GA B l, 732 a 16-23; 6,
744 h 35-6; 745 a 10.
6
(416 a 19-h 9). Dopo le critiche delle teorie empedoclea ed
eraclitea s·ulla nutrizione e la crescita, Aristotele affronta in questo-
passo il problema della natura dell'alimento e della nutrizione. Lo
Stagirita esordisce ribadendo la bivalenza della facoltà nutritiva, fina-
lizzata alla conservazione ed alla riproduzione de] vivente ( 416 a 19;
dr. anche 415 a 25-6; De an. r 9, 432 h 10), e decidendo di sof-
fermarsi anzitutto sulla nutrizione, che rappresenta la funzione es-
senziale di detta facoltà ( 416 a 20-1). Di fatto Aristotele si limita
a trattare qui questo solo argomento, mentre il discorso sulla ripro-
duzione (a parte i cenni che si leggono in 415 a 25-h 7; 416 h·
15-7; 23-5) trova il suo luogo appropriato nel De Generatione Ani-
malium.
Riguardo alla natura dell'alimento e della nutrizione lo Stagi-
rita enuncia in primo luogo la tesi di coloro che sostengono che·
contrarium contrario alitur ( 416 a 21-2). Egli spiega che tale tesi
è soggetta a due restrizioni. Anzitutto essa non vale per tutti i con-
trari, ma soltanto per quelli che, costituendo delle entità quantita-
tivamente determinate ed estese ( 416 a 25: 1tocrci.; dr. anche 416 h
12), sono capaci di crescita (416 a 22-5). doxE~ (416 a 21), secondo
Cherniss (Pres., 92 n. 389), che si rifà a Bonitz (Index, 203 a 7 sgg.),
allude ad una communis opinio (cfr. anche Rodier, II, ad 416 a
21-2, 237; Hicks, ad 416 a 21, 345; Hamlyn, ad 416 a 19, 97),
mentre Miiller (Gleiches, 127) richiama invece le dottrine fisiche di
Eraclito (DK 22 A l [I, 141, 29-31: il fuoco si alimenta di esa-
lazioni], ecc.), Anassimene (DK 13 A 7 [I, 92, 13-5: l'umidità di-
venta fuoco, il quale costituisce gli astri]) e Senofane (DK 21 A 32
[I, 122, 27-8: gli astri si formano dalle nuvole]). Cfr. at;tche Metaph.
A 3, 983 h 22-4 (a proposito della arche di Talete: il nutrimento di
tutte le cose è umido; il caldo deriva dall'umido e vive di esso);
MM B 11, 1210 a 16-21 (una dottrina presocratica: l'umido come
alimento del fuoco). OU 1tii'V ÒÈ 1tCX.V"t' ( 416 a 22) significa che « si
ad nutritionem habendam sufficeret merus transitus [cfr. 416 a 23:
ghenesin] unius contrarli in aliud, omnis alteratio [cfr. l'esempio di

Baruch_in_libris
.304 NOTE A B4

alterazione qualitativa in 416 a 25] esset nutritio >> (Siwek, 289


n. 353 ).
La seconda restrizione cui va incontro la teoria in questione è
che tra i contrari, di cui l'uno accresce l'altro, non vi è necessaria-
mente una relazione biunivoca: se A è alimento di B, B può non
essere alimento di A (416 a 25-7). Che l'acqua sia alimento del
fuoco, e non viceversa (416 a 26-7; cfr. anche Mete. B 2, 355 a
3-5), è un'affermazione molto discussa. Per alcuni autori l'acqua va
intesa come olio, in quanto composto di acqua e aria (cfr. Mete. A
8, 385 h 3-4; 10, 388 a 31-2; inoltre Temistio, 51, 35; Filopono,
287, 7; Hicks, ad 416 a 25, 346, ecc.; Ross, ad 416 a 25-7, 230).
Per altri lo Stagirita sta pensando alla legna che, per alimentare il
fuoco, non dev'essere troppo secca (cfr. Filopono, 282, 8-11; Hicks,
ad 416 a 26, 346; Hett, 91 n. a; Hamlyn, ad 416 a 19, 97). Se-
condo Rodier (Il, ad 416 a 25-7, 239-40) Aristotele si riferisce alla
trasformazione reciproca degli elementi (cfr. GC B 4 per totum;
Cael. r 6 per totum): l'acqua è alimento del fuoco, perché essa
funge da materia rispetto al fuoco che è 'forma' (cfr. GC B 8, 335
a 16-20; Mete. A l, 379 a 15-6). Cosi anche }annone-Barbotin (102);
cfr. inoltre Miiller (Gleiches, 127 n. 64) e Anton (Aristotle's Theory,
122). Aristotele conclude affermando che la teoria contrarium con-
trario alitur sembra vera per i quattro elementi, ancor prima che
per i composti: il contrario, ad es. l'acqua, alimenta il contrario,
ad es. il fuoco ( 416 a 27-9 ).
Lo Stagirita prosegue facendo assumere a detta teoria la fun-
zione di antitesi in una aporia; la tesi è rappresentata dalla dottrina
che simile simili alitur ( 416 a 29-30). Sostenitori di tale dottrina
furono Empedocle (DK 31 B 62 [1, 335, 9]; B 90 [1, 344, 4-5])
e Democrito (cfr. GC A 7, 323 h 10-5); Cherniss (Pres., 92 n. 389)
aggiunge i nomi di Anassagora (DK 59 B 10 [Il, 36, 25 sgg.]) e
Diogene di Apollonia (DK 64 B 2 [Il, 59, 17 sgg.]); Miiller (Glei-
ches, 127-8) quelli di Parmenide (DK 28 B 8 [1, 239, 9 sgg.],
ecc.), lppone (DK 38 A 4 [1, 385, 22-4]; cfr. anche Talete DK
11 A 13 [1, 77, 19]) e Platone (Phd. 96c 9 sgg.; Ti. 81 a l sgg.),
oltre che far riferimento al corpus Hippocraticum (cfr. Nat. Puer.
17, ecc.); cfr. anche GC A 2, 315 h 1-3. A favore della teoria con-
trarium contrario alitur ( 416 a 31-2) vengono addotti due argomenti.
Il primo ( 416 a 32-4) presuppone che il simile non può subire
l'azione del simile (cfr. De an. A 2, 405 h 15; 5, 410 a 23-4), e
conclude che la trasformazione, cui è soggetto l'alimento durante la
sua elaborazione nell'organismo, non può essere che verso un'entità
contraria (o almeno intermedia). Sulla metabole (416 a 33) cfr. Me-
taph. r 7, 1011 h 32-5; A l, 1069 b 3-7. Il secondo argomento
( 416 a 34-b 3) mostra che l'individuo che si nutre e l'alimento di
cui si nutre sono contrari, perché il primo svolge una funzione at-'
tiva, mentre il ruolo del secondo è passivo. Come osserva Ross (ad

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NOTE AB 4 305

416 a 35-b l, 230), se è vero che l'animale o la pianta subisce un'al-


terazione da parte dell'alimento (dr. GC A 7, 324 h l; 3), tutta-
via esso muta « in size », non «in character »: è insomma l'ali-
mento ad essere assimilato dal soggetto, e non viceversa (cfr. GC
A 5, 322 a 10-3: la carne in potenza, ossia l'alimento, si trasforma
in carne in atto). La soluzione dell'aporia (416 h 3-9), conforme-
mente al metodo più volte seguìto da Aristotele, è di sintetizza-
re le opposte e pur legittime esigenze espresse dalla tesi e dal-
l'antitesi: in quanto l'alimento si trova ancora nella sua condi-
zione originaria, è esatto dire che contrarium contrario alitur; in
quanto invece è stato ormai assimilato, corrisponde a verità affer-
mare che simile simili alitur (dr. anche De an. B 5, 417 a 18 sgg.;
r 2, 426 a 22 sgg.; Ph. 8 7, 260 a 29-h 2; GC A 5, 322 a 3-4).
7
(416 h 9-31). Aristotele comincia col dissipare un equivoco che
potrebbe sorgere da quanto aveva detto precedentemente sulla 'nu-
triZione' degli elementi (cfr. 416 a 25-9). Egli precisa che l'alimento
ha una relazione necessaria ed essenziale, e non meramente acciden-
tale, con l'essere vivente, e viceversa: il vivente si nutre in quanto
vivente, e non in conseguenza delle sue caratteristiche accidentali
(416 b 9-11; dr. anche 415 h 27; De an. B 2, 413 a 29-31). È
quindi soltanto in senso improprio e metaforico che si può parlare
di 'alimento' del fuoco. Lo Stagirita distingue poi le funzioni che
l'alimento svolge nell'organismo, rispettivamente come fattore di
crescita e come nutrimento e principio della riproduzione. La trophe
è principalmente nutrimento, il quale conserva la sostanza del vivente
per tutto il tempo in cui questi può vivere; rispetto, poi, alla
'quantità' e alle dimensioni del vivente, è fattore di crescita, e ciò
sino a quando il vivente completa il suo sviluppo; è infine ciò che
pennette al vivente, una volta che sia pervenuto ad un adeguato
grado di maturazione, di riprodursi (416 h 11-20; dr. anche 415
a 28-9; 415 h 7; 416 b 25; GC A 5, 322 a 16-33; GA A 19, 726 b
1-11; B 6, 744 h 32-6). Per "tpocpn xat aùçT)"ttx@ El'Vat (416 b 12)
cfr. GC A 5, 322 a 23-4 (8tacpÉpEt ... "t@ léy~); 25-6 (~ò EL'Vat
iillo). Arche (416 b 18) è il principio o facoltà nutritiva (cfr. De
n
an. B 2, 413 a 26-8). La clausola "tÒ fxo'V aÙ"t'Ì)'V "tOLOU"tO'V (416 h
18-9) va interpretata nel senso che la facoltà nutritiva conserva il
vivente (dr. 416 h 9; 11-3) in quanto sostanza individuale (dr. 416
h 13), ossia nella sua unità numerica (dr. Rodier, I, 91 ; 9 3; II,
ad 416 h 18, 243; Hicks, 69; ad 416 h 18, 348).
Aristotele, infine, si sofferma a distinguere i fattori che sono
implicati nella funzione nutritiva e vegetativa ( 416 h 20-9). Egli
distingue anzitutto l'organismo vivente (dr. 416 h 10), l'alimento
e l'anima nutritiva (416 b 20-3; secondo Torstrik, ad l.; ad 416
b 23-5, 140 - approvato da Ross, ad l.; ad 416 h 20-7, 231 -
questo passaggio va collocato dopo 416 b 25; sed contra Rodier, Il,

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306 NOTEAB4

ad 416 h 23-5, 244; Lefèvre, Sur l'évolution, 132). La prote psyche


(416 h 22) è« the minima! soul » (Ross, ad 416 h 25, 231), ovvero
l'anima nutritiva, che costituisce il principio comune e fondamentale
dei viventi (cfr. 415 a 23-5; 416 h 25; De an. B 3, 414 h 29-33;
GA B 5, 741 a 24: "t'Ì}v loxfin)v [se. ~xi)v]; Resp. 14, 474 a 31;
474 h 10-2). Per l'anima nutritiva come "tÒ "tpÉcpov ( 416 b 21) dr.
anche 415 h 25-7; PA B 7, 652 h 11-2. Lo Stagirita offre poi al-
cuni chiarimenti sulle espressioni 'prima anima' e 'ciò con cui l'anima
nutre il corpo'. Quanto alla 'prima anima', se la si considera, com'è
necessario, dal punto di vista teleologico (cfr. anche Cael. A 11,
281 a 10-2), essa s'identifica con la facoltà riproduttiva ( 416 h 23-5).
Riguardo al passaggio dedicato all'espressione 'ciò con cui nutre'
(416 h 25-9; dr. anche De an. r 10, 433 h 13-5), in 416 h 25c-6
adotto la lezione (!) "tpÉcpEt. (invece di (!) "tpÉcpE"tClt.), confermata da
Alessandro (ap. Filopono, 288, 5), Temistio (53, 26) e Filopono
(287, 18; 29), e seguita da Forster (ad l.), De Corte (Notes criti-
quer, 189-90), Ross (ad l.; ad 416 h 25-9, 231), ]annone-Barbotin
(ad l.), Hamlyn (21), Laurenti (102) e Lefèvre (Sur l'évolution, 132
e n. 12), mentre in 416 h 27 leggo "tÒ (lÈv x t.voOv xCI t x t.voup,EVov,
"tÒ oÈ Xt.VOUJlEVOV 1J.6vov, con Filopono (287, 20 sgg.), Sofonla ( 62,
38), Rodier (ad l.; II, ad 416 h 25-7, 245-6), Hicks (ad l.; ad 416 h
26, 348, ecc.), De Corte (Notes critiques'-, 190-1), Tricot (94 e n. 1),
Ross (23-4; ad l.; ad 416 h 25-9, 231-2), Theiler (33; ad 416 h 27,
116, ecc.) e Hamlyn (21; ad 416 h 25, 98-9); la lezione "tÒ (lÈv
xt.voOv xCit Xt.VOUIJ.EVOV [ = alimento], "tÒ oÈ xt.voOv p,ovov [ = cuo-
re] è stata di recente difesa da Lefèvre, Sur l'évolution, 132-6. Il
significato del passo è il seguente: l'anima o facoltà nutritiva (nel
paragone, il pilota) funge da causa o motore immobile della nutri-
zione del vivente, servendosi di due strumenti~ di cui uno agisce
sull'altro: il calore vitale, o motore mosso (la mano), esercita la sua
azione sull'alimento (il timone), che è soltanto mosso. Sulla natura
strumentale del calore e dell'alimento cfr. 416 a 9-18; 416 h 19;
22-3; sul ruolo passivo dell'alimento dr. 416 a 34-b 3; per la neces-
sità del calore in vista del processo di cozione dell'alimento cfr.
anche GA B 4, 740 h 25-34; 4 l, 765 h 15-6; PA B 7, 652 h
9-16; Resp. 4, 469 h 9-13; inoltre Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere,
786 sgg.
Per "tU'Jt~ ( 416 h 30) dr. De an. B l, 413 a 9. 'Ev "tot~ otutot.c;
l6yo~ (416 h 31), se non rinvia al De Generatione Animalium,
può essere un rimando al ITEpt "tpocpijc; o ITEpt ctù~i)CTE~ xe1l "tpoqrii~,
uno scritto aristotelico perduto, o forse soltanto progettato (cfr. P A
B 3, 650 h 9-11; r 14, 674 a 19-21; GA B 6, 744 h 36; E 4,
784 h 2-3; Somn. Vig. 3, 456 h 2-6; inoltre Bonitz, Index, 104 b
16-28; Louis, Le traité, 31-3 ).

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NOTE AB 5
1
SoMMARIO. - A) La facoltà sensitiva: (l) la sensazione è
una specie di alterazione da parte di un oggetto esterno; (2) la fa-
coltà sensitiva si attualizza per l'azione di un oggetto sensibile in
atto; (3) senso, sensazione e sensibile in potenza ed in atto. B)
Azione e 'passione', atto e potenza, simile e dissimile: (l) l'ente
che subisce un'azione ed è soggetto ad un processo di mutamento,
lo è ad opera di un ente in atto; il paziente, che deve subire l'azione
dell'agente, gli è dissimile, ma quando l'ha sublta gli è simile; (2)
potenza come capacità di acquisire un habitus o come capacità di
esercitarlo; atto come acquisizione dell'habitus o come uso di esso;
(3) 'passione' o alterazione come alteratio corruptiva, oppure come
alteratio perfectiva, ossia come attuazione di una possibilità; l'attua-
zione di un habitus è una alteratio perfectiva; ( 4) mutamento dal-
l'habitus all'attività; dalla potenzialità all'habitus (anche questa è
una alteratio perfectiva). C) Ancora sulla facoltà sensitiva: (l) l'ori-
gine della facoltà sensitiva; la sensazione in atto dipende dal sin-
golare sensibile; (2) potenza rispetto alla facoltà sensitiva e rispetto
alla sensazione; la facoltà sensitiva, che deve subire l'azione del-
l'oggetto sensibile, gli è dissimile, ma quando l'ha sublta gli è simile.
2
( 416h 32-417 a 20). La trattazione della facoltà sensitiva ha
inizio con una serie di osservazioni generali (dr. 416 h 32) che
fungono da introduzione alla ricerca sui singoli sensi (per la dottrina
aristotelica della sensibilità cfr. Beare, Greek Theories, 215 sgg.;
Cantin, L'ame sensitive, 149 sgg.; Ham.lyn, Aristotle's Account,
6 sgg. e Sensation, 17-30; Slakey, Aristotle, 470 sgg.; Andriopoulos,
An Examination, 45 sgg.; Cosenza, Sensibilità, passim). Aristotele
comincia con l'asserire che la sensazione consiste in un movimento,
o, meglio, in un determinato tipo di movimento o mutamento, vale
a dire in un pathos o alloiosis, ossia in una specie di alterazione
qualitativa da parte di un oggetto esterno; e che, a questo proposito,
si deve vagliare l'opinione di coloro i quali sostengono che il simile
subisce l'azione del simile ( 416 h 3 3-417 a 2 ). Ka1la1tEP ELpT}~a.t
(416 h 34) rinvia a De an. B 4, 415 h 24; per la sensazione come
'alterazione' cfr. anche 418 a 5-6; De an. A 5, 410 a 25-6; r 12,
434 h 28 sgg.; Protr. &. 7 Ross; 75 Diiring: ogni senso conosce per
mezzo del corpo; Somn. Vig. l, 454 a 9-10; Insomn. 2, 459 h 4-5;
inoltre Platone, Phd. 79 c l sgg. Tinés ( 416 h 35) sono Democrito
ed Empedocle (cfr. De an. A 2, 405 h 15; 5, 410 a 23 sgg.; B 4,
416 a 29-30; GC A 7, 323 h 10 sgg.). 'Ev "t"O~ xaD61ou 16yot.t; x~À.
( 417 a 1-2; cfr. anche GA ~ 3, 768 h 23-4) rimanda a GC A 7 per
totum: ciò che agisce e ciò che subisce devono essere simili per il
genere e dissimili per la specie (cfr. anche Moraux, Les listes, 45).
Lo Stagirita prosegue chiedendosi per quale ragione i sensi non

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308 NOTE A B5

percepiscano i propri organi sensori (dr. anche De an. r 2, 42.5


h 12 sgg.;· Sens. 2, 437 a 26 sgg.), ma gli oggetti sensibili esterni,
benché i sensori siano costituiti degli stessi elementi (cfr. De an.
r l, 425 a 3-5; Sens. 2, 438 h 16 sgg.) di cui sono formati gli og-
getti (417 a 2-6). Aistheseis (417 a 3) sta per 'organi di senso'
(cfr. anche PA !!. 10, 686 a 8-9). Aristotele lascia qui ancora impre-
giudicato se la sensazione abbia per oggetto gli elementi in se stessi
oppure i loro 'accidenti' o qualità ( 41 7 a 5-6; Theiler, 33; ad 417
a 2-9, 116-7- segulto da Graeser, On Aristotle's, 93 .n. 8 - inse-
risce un xa1:ti. prima di 't'à. 0'\JJ,l~E~T}XO't'a.): caldo, freddo, umido e
secco (cfr. De an. B 3, 414 h 6 sgg.; 11, 423 h 27 sgg.; GC B 2, 330
a 25 sgg.), e inoltre colore, suono, odore ecc. (cfr. De an. B 6 per
totum; r 3, 428 h 19 sgg.). La soluzione del suddetto problema
( 417 a 6-9) è che la facoltà sensi tiva (e il suo organo; cfr. De an.
B 12, 424 a 24 sgg.), come tale, è soltanto captJCità di sensazione,
e non sensazione in atto; per realizzarsi, essa richiede la presenza di
un oggetto esterno che sia sensibile in atto, come il combustibile,
per bruciare, richiede l'azione del comburente (cfr. anche Metaph.
r 5, 1010 h 30 sgg.).
La distinzione tra aisthetikon. in potenza ed in atto ( 417 a 6-7)
conduce Aristotele a precisare che sensazione, senso e sensibile pos-
sono essere in potenza oppure in atto ( 417 a 9-14; cfr. anche 417
h 29 sgg.; De an. B 4, 415 a 17 sgg.; 11, 423 h 17-20; r 2, 426
a l sgg.; 8 sgg.; 23-4; 3, 428 a 6; 7, 431 a 4 sgg.; 8, 431 h 24
sgg.). Per x&v ~uxn xa.itEuSov (417 a 11) Theiler (ad 417 a 11, 117)
cita De an. B l, 412 a 22 sgg.; Protr. fr. 14 Ross; 80 Diiring; GA
B l, 7 35 a l 0-1. In 41 7 a 13, invece della lezione tradizionale -tò
ataitci'VEaitaL, leggo 't'Ò ataitT}'tO'V con Alessandro ( Quaest. III, III,
83, 4-6), Torstrik (ad l.; ad 417 a 13, 140), Wallace (ad l.; ad 417
a 13, 238), Gigon (242; 298), Ross (ad l.; 233; ad 417 a 13, 235)
e Hamlyn (22; ad 417 a 9, 100). Infine lo Stagirita, avendo asserito
che la facoltà sensitiva si realizza in virtù dell'azione dell'oggetto
sensibile ( 417 a 2-14), riprende ( 417 a 14-20) i concetti generali
di 'agire', 'subire' ed 'essere mosso' su cui si era soffermato in 416 h
33-417 a 2. Egli sostiene che, assumendo come termini sinonimi
'subire', 'essere mosso' ed 'agire' -in quanto il movimento è 'atto',
sia pure imperfetto - , essere mossi, ovvero ricevere una data qua-
lificazione, presuppone un agente che possieda in atto la qualifica-
zione stessa. Di qui si può concludere che l'ente, che deve subire
l'azione del poietikon, gli è dissimile, ma quando l'ha sublta, gli è
simile. Del movimento come atto 'incompleto' ( 417 a 16; dr. anche
De an. r 7, 431 a 6-7), che cioè non costituisce un fine, ma un
processo verso un fine, Aristotele tratta lv l1:épo~ ( 417 a 17 ), ossia
in Metaph. 8 6, 1048 h 18-35; Ph. r l, 201 a 10-1; 2, 201 h 31-2;
EN K 4, 1174 a 13 sgg. L'ente che è soggetto al mutamento (417 a
17: 1ttXO"XEL xa.t XL'VEL'ta.L; cfr. De an. A 3, 407 h 18-9) lo è da

Baruch_in_libris
parte di un poietikon ( 417 a 18) o causa efficiente che agisce in atto.
Se, poi, un ente riceve una data determinazione da parte di un ente
a lui sinonimo (cfr. 417 a 18-20), questa causa efficiente deve pos-
sedere in atto la determinazione stessa; cfr. 417 a 7-9; 417 h 20-1;
GC A 7, 324 h 7-9; Ph. 8 5, 257 h 6-12; Metaph. a l, 993 h 24-6;
A 6, 1071 h 12-31; 1072 a 3-9. Sull'interazione dei simili e dei dis-
simili ( 417 a 18-20) cfr. anche 417 h 4 sgg.; 418 a 5-6; De an.
r 4, 429 h 29-31; GC A 7 per totum. Kaitci1tEP EL'JtOIJ,EV (417 a 19)
rinvia a De an. B 4, 416 a 29-h 9.
3
( 417 a 21-h 2). In questo passo Aristotele ritorna sulla distin-
zione di atto e potenza ( 417 a 21-2). Per diaireteon ( 417 a 21)
dr. EN Z l, 1139 a 5. cA1tÀG)ç, ( 417 a 22) equivale a à~t.WpLCT'ttùt;
(cfr. De an. r 2, 426 a 26; Top. 9 5, 159 a 38-h l; Metaph. a 15,
1020 h 32-3). In 417 a 22 leggo con Torstrik (ad 417 a 22, 140) e
Ross (ad l.; 233; ad 417 a 22, 235) llÉyo(lEV (cfr. 417 a 6 sgg.)
anziché ÀÉyo(lEV. Lo Stagirita distingue la potenza come capacità di
acquisire un habitus e come capacità di esercitarlo; e, corrisponden-
temente, l'atto come acquisizione dell'habitus e come uso od eser-
cizio di esso (417 a 22-h 2; cfr. anche De an. B l, 412 a 10 sgg.;
22 sgg.; r 4, 429 h 5-9; Ph. 8 4, 255 a 30-h 5; Metaph. 8 6, 1048
a 34-5; inoltre Sorahji, Body, 64). L'uomo in quanto tale, ossia in
quanto dotato di intelligenza, può diventare 'sapiente' ( 417 a 22-4);
una volta che lo sia diventato (ossia conosca, ad es., le regole della
grammatica), può far uso del suo sapere (417 a 24-5). Per 11~11
(417 a 25) cfr. anche De an. B l, 412 a 8; Ph. 8 4, 255 a 34; Pol.
r l' 1275 h 19. Per 'tÒ yÉvoc; 'tOLOU'tOV xat i) ul1) ( 41 7 a 27) cfr.
417 a 22-4; De an. B l, 412 a 9; 2, 414 a 26; Metaph. a 22, 1022
h 24-7; Z 7, 1032 a 20-2; ghenos designa la specie umana (cfr. PA
A 5, 645 a 29) che, in quanto provvista di intelligenza, è capace ed
è ricettiva di ·conoscenza e di scienza. Per bouletheis ( 417 a 27)
cfr. 417 h 24; De an. r 3, 427 b 18; 4, 429 b 7; per theorein
( 41 7 a 28) dr. 417 a 29; 417 h 5; 19; De an. B l , 412 a 11 ;
r 4, 430 a 4; Metaph. 8 8, 1050 a 12-3; per 't6~E 'tÒ A (417 a 29)
cfr. Metaph. M 10, 1087 a 20-1; inoltre Smith (ad l., n. 3): « i. e.
this individuai item of grammatica! knowledge, e. g. that the 1st
person singular of the perfect indicative active of Àuw ends in -a».
In 417 a 30 accolgo il testo di Ross (ad l.; 233; ad 417 a 30-h 2,
236) e Hamlyn (23) xa'tà. ~uvap,t.v l'Jtt.CT'ti]IJ.ovEc; ( OV'tEt;, lvEpyEi~
y'VOV't«t. l'Jtt.CT'ti)IJ.OvEc;, ). Come fa osservare Filopono (300, 11-4 ),
il termine alloiòtheis (417 a 31; dr. anche Ph. r 3, 202 a 35-6)
è improprio (dr. anche 417 h 6 sgg.), giacché il passaggio dall'igno-
ranza alla conoscenza è un mutamento dalla privazione al possesso
della forma, e quindi una ghenesis (sia pure in senso relativo) piut-
tosto che una alloiosis (cfr. GC A 3, 318 a 34-5; 319 a 9-11; 4,
319 h 24-6; sull'apprendimento [417 a 31] come 'processo' o ki-

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310 NOTE AB'

nesis dr. Metaph. 8 6, 1048 b 24; 29). Per 1tOÀMix~ (417 a 31)
dr. EN B l, 1103 a 31-4; inoltre Ross, 234: «by frequent changes
from ignorance to knowledge »; Platone, Smp. 208 a l sgg. L'igno-
ranza è una hexis (417 a 32) nel senso generico di 'condizione' o 'di-
sposizione'. Per Ett; .,;Ò l~epyei:'V (se. IJ,E"t«~ciÀÀEt.~) (417 h l) dr.
Protr. fr. 14 Ross; 80 Diiring.
4
417 h 2-16 ). Aristotele dà ora alcuni chiarimenti sui concetti
(
di 'passione' e di 'alterazione' (per rt1tÀou~ [ 417 h 2] dr. 417 a 22).
Egli distingue anzitutto la alteratio co"uptiva da quella perfectiva:
la prima consiste nel venir meno di una qualità ad opera del suo
contrario (come quando, ad es., il caldo diventa freddo; sulla 'di-
struzione' reciproca dei contrari dr. GC B 7, 334 h 19 sgg.; Cael.
B 3, 286 a 33-4; Long. 3, 465 h 9); la seconda è la conservazione
di una data potenzialità o, meglio, la sua effettiva realizzazione ( 417
h 2-5). Per la coppia phthorà-sotéria ( 417 h 3) cfr. Pol. E 8, 1307
h 29-30. In 417 b 3-4leggo con Ross (ad l.; 234; ad 417 h 3-5, 236)
V1tÒ "tOU È~"tEÀEXE'q. OV"tOt; "tOU ou~cip,et. 0~0<;, anziché "tOU ou~cip,et.
o~.,;oç, Ù1tÒ ,;ou ÈV"tEÀEXE'q. o~,;oç,. Per illustrare il concetto di alte-
ratio perfectiva Io Stagirita porta due esempi, quello del passaggio
dal possesso della conoscenza al suo uso, e quello del passaggio da
uno stato d'inattività all'attività (la costruzione di una casa). In en-
trambi questi casi o non si ha a che fare con una alloiosis (equiva-
lendo questa - come s'è visto - ad una trasformazione di qualità
opposte; cfr. anche Metaph. A 2, 1069 h 12; GC A 2, 317 a 25-7),
oppure si tratta di una alteratio perfectiva, ossia dell'attuazione di
una possibilità. Se ciò è vero dell'attività tecnica (qual è l'edificazione
di una casa), a fortiori sarà vero dell'attività conoscitiva e intellet-
tiva, la quale avviene all'interno del soggetto e nella quale il soggetto
realizza la propria natura ( 417 h 5-9; cfr. anche De an. A 3, 407
a 32-4; B 4, 416 h 1-3; r 4, 429 h 3-9; 429 h 22-430 a 2; 7, 431
a 3-7; 10, 433 h 18; Ph. H 3, 246 a 10-b 3; Metaph. 8 6, 1048
h 18-35; EN K 4, 1174a 14 sgg.). In 417b 6 accolgo l'emenda-
mento di av,;6 in a.ù,;6 proposto da Trendelenburg (ad l.; ad 417
h 6, 299), Shorey (Aristotle's De Anima, 150), Ross (ad l.; 234)
e Hamlyn (24). Per il 'movimento' Etç, È~"tEMXEt.a.v ( 417 h 7) del-
l'ente in potenza cfr. Ph. 8 5, 257 h 7-8.
Infine Aristotele distingue due tipi di transizione: quella dal
possesso della conoscenza alla sua applicazione, ossia, in generale,
dalla hexis alla energheia ( 417 h 9-12); e quella dalla capacità della
conoscenza al suo possesso, ovvero, in generale, dalla dyntmtis alla
hexis, un passaggio che o non può dirsi alloiosis, oppure è una
alloiosis che non termina alla sterèsis, ma, appunto, alla hexis ( 417
h 12-6; cfr. anche De an. r 4, 429 b 5-9). In 417 h 9-10 seguo
Torstrik (ad l.; in app. crit. ad l.; ad 417 h 9-16, 142-3 ), Ross
(ad l.; ad 417 h 14, 237) e Hamlyn (24) che leggono 't"Ò ••• iiyEt.~ .••

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NOTE A B5 311

"t'Ò VOOUV,anziché "t'Ò ••• a:yov .. . XCl"t'ft "t'Ò VOOUV. La denominazione


appropriata (dr. 417 h 11) all'esercizio attuale del sapere dovrebbe
essere theoria o theorein (dr. Theiler, ad 417 h 7, 118). In 417
h 14 leggo WtrnEp Etf1l1"t'tl.L [omesso, tra gli altri, da Ross, ad l.; ad
417 h 14, 237] i'); dr. 417 h 6. Il mutamento verso le steretikai
diatheseis ( 417 b 15) corrisponde alla phthorà ad opera del 'con-
trario' di 417 h 3; dr. anche Metaph. J1 12, 1019 h l sgg.; H 5,
1044 h 29-34. Per il mutamento l1tL "Tà.t; fçEt,t; xa.L "t''Ì)V cpucrr,v ( 417
h 16) dr. Metaph. H 5, 1044 h 32-3; A 3, 1070 a 11-2; Ph. H 3,
246 a 10-b 2; sul concetto aristotelico di hexis dr. Babin, Nature,
210 sgg.; Funke, Gewohnheit, 46 sgg.
5
( 417 h 16-29). In questo passo Aristotele ritorna al tema prin-
cipale del capitolo e traccia una specie di « history of the faculty
of sense-perception » (Ross, 25). La prima metabole dell'essere sen-
ziente (ossia dell'animale, e in particolare dell'uomo) è causata dal
generante. Difatti, in conseguenza della generazione e dello sviluppo
embrionale, il vivente, che prima possedeva in potenza la facoltà
sensitiva, poi la possiede in atto. Pertanto, al momento della na-
scita, l'uomo dispone sia della capacità di percepire come pure di
quella di acquisire la scienza ( 417 h 16-8; cfr. anche Protr. fr. 11
Ross; 17 Diiring; GA B 3, 736 a 24 sgg.; Metaph. 9 5, 1047 h
31 sgg.: i sensi come potenze congenite; inoltre Platone, Tht.
186 h 11 sgg.).
Il secondo 'mutamento' cui va soggetto l'essere senziente è dal
possesso della facoltà sensitiva alla sensazione in atto ( 417 h 18-25).
La sensazione in atto è analoga alla conoscenza intellettiva in atto
( 417 h 18-9; dr. anche Sens. 4, 441 h 21-3: la sensazione corri-
sponde all'intellezione, e non al processo di apprendimento). Sulla
necessità di stimoli esterni come agenti della sensazione ( 417 h 20-1)
cfr. 417 a 4; De an. r 2, 426 a 4 sgg.; 7, 431 a 4 sgg.; Sens. 6,
445 b 7-8; Insomn. 2, 460 h 2-3; Metaph. r 5, 1010 h 30-1011 a 2.
Per la fondamentale tesi aristotelica che la sensazione in atto termina
agli individui singolari, mentre la conoscenza intellettiva e scientifica
termina agli universali (417 h 21-3) cfr. APo. A 18, 81 h 6; 31,
87 h 28-30; 87 h 37-88 a 7; B 19, 100 a 16-b l; Ph. A 5, 189 a
5-9; inoltre Mignucci, in APo., I, ad 87 h 28-88 a 2, 599-600. Come
fa notare Theiler (ad 417 h 24, 118), che gli universali siano pre-
senti in un certo modo, ossia in potenza, nell'anima (417 b 23;
dr. anche De an. r 4, 429 a 22-9; 8, 431 h 21-432 a 3) è un« Rest •
della dottrina platonica della reminiscenza; è soltanto nell'intelletto,
secondo Aristotele, che gli universali vengono distinti dagli individui
singolari in cui si trovano (cfr. Ross, ad 417 h 23-4, 237). Per boule-
tai ( 417 h 24) cfr. 417 a 27. La dipendenza dagli oggetti esterni coin-
volge tutte le scienze che terminano ai sensibili ( 417 h 25-7): sia
le 'scienze' produttive, ovvero le tecniche, sia le scienze fisiche (cfr.

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312 NOTE A B6

Metaph. E l, 1025 h 11). Etcr«utt~ (417 h 28) probabilmente rinvia


a De an. r 4 (relazione tra sensibilità e intelletto) e sgg.
6
417 h 29-418 a 6). Aristotele applica la distinzione tra i due
(
significati di potenza (quella rispetto alla hexis e quella rispetto alla
energheia; dr. 417 a 21 sgg.) alla facoltà sensitiva, e lo fa servendosi
di un esempio: come un bambino è in potenza remota all'essere
stratego, mentre l'adulto lo è in potenza prossima, cosi il vivente
prima possiede in potenza la facoltà sensitiva (dr. 417 b 16-7), e
poi, una volta che ne sia provvisto, è in potenza all'uso della facoltà
stessa ( 417 h 29-418 a l). Lo Stagirita rileva poi la mancanza di
un termine idoneo a distinguere i due significati di potenza e, pa-
rallelamente, di atto (cfr. 417 a 21 sgg.), e propone quindi, per
designare l'attualizzazione della hexis, di ricorrere a termini di uso
comune quali 'passione' e 'alterazione', che sono i meno inadatti a
indicare l'atto percettivo (418 a 1-3; cfr. 416 h 33 sgg.; 418 a 5).
Sull'abituale riluttanza di Aristotele a coniare termini nuovi cfr.
Diiring, Aristoteles, 20; Lanza-Vegetti, Opere, 28-9. Com'è noto, gli
Scolastici distingueranno la potenza 'remota' da quella 'prossima' e
l'atto 'primo' (cfr. De an. B l, 412 a 27) da quello 'secondo'; cfr.
su ciò Owens, Aristotle's Definition, 129 e n. 10. Dioristai (418 a l)
rinvia a 417 a 21 sgg.; 417 h 16 sgg. Per wc; xuplou; OVOIJ.rLCTLV
( 418 a 3) dr. P o. 21, 1457 h 3-4; 22, 1458 a 18-20. Lo Stagirita
conclude affermando l'identità del senziente in atto col sensibile in
atto ( 418 a 3-6; cfr. anche 417 a 18-20). K«Dci1tEp ELPT)'tat. ( 418 a 4)
rimanda a 417 a 6 sgg. Per WIJ.OLW~rLt. ( 418 a 5) cfr. anche GC A 7,
324 a 10-1.

NOTE AB 6
1
SoMMARIO. - (l) Sensibili per sé: (a) sensibili propri (sensi-
bili per sé stricto sensu); (b) sensibili comuni. (2) Sensibili per ac-
cidente.
2
418 a 7-25). Dopo aver trattato, nel capitolo precedente, della
(
facoltà sensitiva in generale, Aristotele si occupa ora degli oggetti
sensibili (dr. 418 a 7-8). Egli distingue due specie di aisthetà: i
sensibili per se (che possono essere 'propri' di ciascun senso, oppure
'comuni' a tutti i sensi), i quali, appunto, sono percepibili in se
stessi, direttamente ed immediatamente, ed i sensibili per accidens,
che cioè vengono percepiti accidentalmente, indirettamente, in con-
comitanza con i sensibili per se (418 a 8-11; dr. anche De an.
B 3, 414 h 9; 5, 417 a 5-6; l O, 422 a l O; r l, 425 a 14-b 11 ; 3,
428 h 17-30). Come fa notare Graeser (On Aristotle's, 70-1), l'espres-,
sione 'sensibile per sé' si applica (conformemente a De an. B 7, 418

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NOTE A B6 313

a 30-1; Metaph. a 18, 1022 a 32-3; dr. anche APo. A 4, 73 b 6-10)


all'oggetto che ha in se stesso la causa della propria percepibilità
(dr. anche Sorabji, Aristotle on Demarcating, 55 n. 1).
Lo Stagirita indica poi le due caratteristiche essenziali del sen-
sibile proprio: che non può esser colto da un senso diverso da
quello corrispondente (418 a 11-2; dr. però De an. r l, 425 a
30 sgg.), e che la percezione di esso è immune da errore (418 a 12-6;
dr. anche De an. r 3, 427 h 11-2; 428 a 11 sgg.; 428 b 18-9;
6, 430 h 29-30; Sens. 4, 442 h 8-9; Metaph. r 5, 1010 h 2 sgg.).
Sull'analogia tra la verità (come impossibilità di errore) della perce-
zione (in quanto conoscenza 'non-proposizionale' e 'non-sintetica')
dei sensibili propri e quella dell'intellezione delle essenze indivisibili
(tematizzata in De an. r 4-8 e Metaph. 8 10) cfr. Graeser, On Ari-
stotle's, 94 n. 10; inoltre Moreau, Aristote et la vérité, 24; Block,
Truth, l sgg. Sulla molteplicità dei tangibili ( 418 a 14), i quali
«non hanno nulla in comune, tranne il fatto di essere t~gibili »
(Hamlyn, ad 418 a 11, 105-6) cfr. De an. B 11, 422 h 17-33. Mentre
c'è una differenza tra il tatto e gli altri sensi per quanto riguarda
il numero dei loro rispettivi sensibili propri, per quel che concerne
invece la percezione di questi ultimi tutti i sensi sono ugualmente
infallibili (418 a 14-5; dr. Ross, ad 418 a 14-6, 239). In effetti
ciascun senso è in grado di discriminare il proprio sensibile, ossia
non può confonderlo con l'oggetto di un altro senso, benché possa
errare rispetto all'identità o al luogo dell'oggetto materiale che pos-
siede la qualità sensibile in questione ( 418 a 16; cfr. Hamlyn, ad
418 a 11, 106).
Riguardo ai sensibili comuni ( 418 a 17-20) cfr. anche De an.
r l, 425 a 14-30; 3, 428 h 22 sgg.; lO, 433 b 7; Sens. l, 437 a
8-9; 4, 442 b 4-7; Insomn. l, 458 h 4-6; Me111. l, 450 a 9-12; 451
a 16-7; 2, 452 h 7; EN Z 8, 1142 a 27-9; sul problema dell'origine
platonica (cfr. Tht. 185 a 8-186 a l) di questa dottrina cfr. Graeser,
On Aristotle's, 92 n. 3. Come osserva Hicks (ad 418 a 19, 362) tutti
i sensi (418 a 19; 11), in diverso modo, contribuiscono alla cono-
scenza dei sensibili comuni. Sui sensibili per accidens ( 418 a 20-4)
cfr. De an. B 12, 424 a 23-4; r l, 425 a 24-7; inoltre Cashodollar,
Aristotle's Account, 279 sgg. Quanto alla clausola 8'tL "t~ ÀEux~
aup,~É~T}XE "tOU"to où atcrocivE"tCX.L ( 418 a 22-3), con Rodier (I, l O3),
Hicks (77; ad 418 a 23, 363 ), Tricot ( 104 e n. 3 ), Hett (ad l.),
Theiler (36), }annone-Barbotin (ad l.), Hamlyn (26; ad 418 a 20,
107-8), Laurenti (110) e Graeser (On Aristotle's, 72-3) riferisco où
atai)civE"taL a "tOU"tO (ossia a 'figlio di Diare'); invece Ross ( 2 38;
ad 418 a 21-3, 239) - richiamandosi a Temistio (58, 11) - lo
lega a "t~ À.Eux~: « because being Diares' son is incidental to the
white object, which he (se. the percipient) perceives (directly) ». Co-
munque sia, il rapporto, stabilito nella nostra clausola, tra sensibile
proprio ('bianco', che funge da soggetto del giudizio percettivo 'il

Baruch_in_libris
314 NOTE AB 7

bianco è figlio di Diare') e sensibile per accidente ('figlio di Diare',


che funge da predicato) è inverso rispetto al legame ontologico tra
sostanza e accidente, e corrisponde in qualche misura alla predica-
zione accidentale o impropria di cui Aristotele si occupa in APr.
A 27, 43 a 32-6; APo. A 19, 81 h 23-9; 22, 83 a 1-17 (cfr. su
ciò anche De an. r 3, 428 h 23; inoltre Graeser, On Aristotle's,
74-6). Lo Stagirita precisa che il senso non termina all'oggetto ma-
teriale come tale, ma in quanto è fornito di una data qualificazione
.sensibile, ossia in quanto è colorato, sonoro, ecc. ( 418 a 23-4; cfr.
anche Sens. 6, 445 h 11-3). Aristotele conclude la sua indagine asse-
rendo che sensibili per sé stricto sensu sono quelli propri, soltanto
alla percezione dei quali, a rigori, i sensi speciali sono finalizzati
{418 a 24-5).

NOTE AB 7
1
SoMMARIO. - A) Oggetti della vista: il colore e le· sostanze
fosforescenti; il colore (l) è localizzato sulla superficie dell'oggetto,
·ed è ciò che lo rende percepibile alla vista; (2) produce un muta-
mento qualitativo nel diafano in atto (ossia illuminato). B) Il 'mezzo':
(l) un corpo si dice diafano in virtù della sua naturale trasparenza;
(2) la luce: (a) è atto del trasparente in quanto tale, ovvero 'colore'
del trasparente illuminato; (b) non è un corpo o un'emanazione cor-
puscolare in movimento (come ritenevano Empedocle, Democrito e
Platone), ma semplicetnente la presenza del fuoco nel trasparente,
ossia l'illuminazione o luminosità di quest'ultimo; ( 3) il trasparente
in potenza (ovvero il buio) è incolore, e come tale può ricevere i
colori; il trasparente in atto (ovvero illuminato) è la luce, la quale
assume i diversi colori degli oggetti. C) Ancora sugli oggetti vi-
sibili: i colori sono visibili alla luce, le sostanze fosforescenti al buio.
D) Il processo visivo dei colori: i1 colore dell'oggetto produce una
modificazione nel trasparente illuminato (ad es. nell'aria), e questo
nell'occhio. E) Senza il trasparente o 'mezzo' (con buona pace di De-
mocrito) la sensazione visiva è impossibile. F) Un altro oggetto visi-
bile: il fuoco, percepibile al buio come alla luce. G) Necessità di
un 'mezzo' anche per l'udito e l'olfatto, come pure per il tatto e
il gusto.
2
418 a 26-b 13 ). Aristotele dà inizio alla trattazione dei sensi
(
speciali (per questa tematica cfr. Beare, The Greek, 56 sgg.) par-
tendo dai sensi a distanza, ed anzitutto da quello della vista. Per
analogia con l'indagine sulle facoltà, che aveva preso le mosse dalla
facoltà nutritiva (come quella che è fondamentale e comune a tutti
i viventi), lo Stagirita avrebbe qui dovuto esordire con un'indagine
-sul tatto. Hicks (364) richiama tre ipotesi (tutte compossibili) che

Baruch_in_libris
NOTE AB 7 315

sono state avanzate a giustificazione della preferenza accordata da


Aristotele ai sensi a distanza e particolarmente alla vista: (l) rop-
portunità di affrontare la non facile questione dell'esistenza di un
'mezzo' dei sensi per contatto, soltanto dopo aver riconosciuto il
mezzo (più agevole a scoprirsi) dei sensi a distanza; (2) il primato
della vista, unanimemente considerata come il senso per eccellenza;
(3) il fatto che la vista è il senso a noi più noto (dr. Filopono, 229,
12; Zabarella, 596 D sgg.). Theiler ( 119-20) ricorda che la succes-
sione 'sensi superiori-sensi inferiori' si trova già in Democrito (DK
68 B 11 [II, 140, 16 sgg.]: vista, udito, olfatto, gusto e tatto),
mentre quella inversa in Platone (Ti. 61 c 4 sgg. [tatto]; 65 c l
sgg. [gusto]; 66 d l sgg. [olfatto]; 67 a 8 sgg. [udito]; 67 c 4 sgg.
[vista]; cfr. però Phlb. 51 c l sgg.: vista, udito e olfatto). Per
Empedocle dr. DK 31 B 3 (I, 310, 9-10): vista, udito e gusto; per
gli altri Presocratici dr. Teofrasto, Sens., passim.
Aristotele esordisce affermando che la vista ha per oggetto il
visibile (418 a 26; cfr. anche De an. B 9, 421 b 5). Egli distingue
poi due specie di oggetti visibili: il colore e la fosforescenza ( 418
a 26-8). Sulla natura del colore dr. 418 a 29-30; Sens. 3, 439
a 27-b l; 439 h 10-2; Top. A 15, 107 h 28-30; Metaph. a 18,
1022 a 16-9. Per la contrapposizione tra Àoy~ e «i~w~v(.lov (418
a 27) dr. APr. A 35, 48 a 30; «ivwvv~J,ov si riferisce alle sostanze
che noi chiamiamo fosforescenti, su cui dr. 419 a 1-6. Lo Stagirita
prende quindi in considerazione la prima specie di visibili, ossia il
colore ( 418 a 29; sulla distinzione logica tra colore e visibile cfr.
però Ph. r l, 201 h 3-4; Metaph. K 9, 1065 h 32-3), ed asserisce
che quest'ultimo è localizzato sulla superficie dell'oggetto, oggetto (o
superficie) che è 'visibile per sé' ( 418 a 29-30; cfr. anche Top.
E 5, 134 a 18-25; Ph. 11 3, 210 h 4-8; Metaph. 11 18, 1022 a 16-7;
29-31; Z 4, 1029 h 13-22). Aristotele precisa che l'oggetto corporeo
(o la superficie) è visibile per sé non perché la visibilità s'identifichi
con ]a sua essenza o definizione, o sia una caratteristica che rientra
nella sua essenza o definizione (dr. Metaph. ~ 18, 1022 a 25 sgg.),
ma perché, in quanto colorato, ha in se stesso la causa della sua
visibilità (418 a 30-1; cfr. anche Metaph. 11 18, 1022 a 33), diversa-
mente dal corpo 'diafano' o 'trasparente', come l'aria o l'acqua, che
è visibile soltanto per mezzo del colore degli altri corpi (cfr.
418 b 5-6).
Lo Stagirita continua dicendo che il colore ha la capacità natu-
rale di 'muovere' (cioè di modificare) il trasparente che esiste in
atto come tale, ossia il trasparente in condizione di illuminazione, in
una parola la luce (cfr. 418 h 9; 419 a 8-11); e che di conseguenza
la luce è la conditio sine qua non della visibilità del colore ( 418
a 31-h 3; cfr. anche Sens. 2, 438 h 2-3; 6, 447 a 11). Kinetikon
(418 a 31; dr. anche 419 a 10) riguarda il mutamento qualitativo
del trasparente (cfr. Sens. 2, 438 h 3-5; 6, 446 h 27-447 a 10).

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316 NOTE A B7

Segue la definizione di trasparente, come ciò che è visibile non di


per sé, ma per mezzo di un colore estraneo ( 418 h 4-6; cfr. Sens.
3, 439 a 18-b 16 ). Per Wc; a7tÀWc; EL'ltELV ( 418 h 5) cfr. APo. A 8,
75 h 23. Allotrion chroma ( 418 h 6) è il colore appartenente al-
l'oggetto e assunto dal trasparente illuminato (dr. Siwek, 295 n. 410:
« conspicitur vitreum vas, in quo liquidum continetur » ). Diafani
sono tu t ti quei corpi che, come I' acqua, l'aria e I'etere (del quale
sono fonnate le sfere celesti), possiedono come loro natura e caratte-
ristica comune la trasparenza ( 418 h 6-9). Solidi trasparenti ( 418
h 6-7) sono, ad es., il cristallo, il ghiaccio, ecc. (cfr. Sens. 3, 4 39
a 22; 439 h 8-9; 13). La physis di 418 h 8 (cfr. anche Sens. 3, 439
a 21-5) è chiamata da Alessandro (in Sens. 44, l) diaphaneia ( « tra-
sparenza » ). Per l'etere come elemento 'superiore' ( 418 b 9; J2-3)
dr. Mete. A 3, 340 h 6; 341 a 2-3; Cael. A 3, 270 h 20-2; B 7,
289 a l 7; a l' 308 a 21-2; per EV "tOV"tOLc; aJ..LcpO'tÉpoLç ( 418 h 8)
cfr. 419 a 34-5.
Nell'ultima parte del passo Io Stagirita definisce la luce atto del
trasparente in quanto tale, ovvero 'colore' del trasparente attualiz-
zato (ossia illuminato) dal fuoco o dali'etere ( 418 h 9-1 3). In altri
termini, la sorgente luminosa (ed es. il fuoco) attiva il trasparente,
ossia lo fa passare dalla potenza (e cioè dalla sua condizione di
buio) all'atto, e quest'atto è appunto la luce o luminosità del tra-
sparente, luce che, nel trasparente, corrisponde a ciò che il colore
è nell'oggetto colorato (dr. anche 418 h 18-20; 418 h 29-419 a l;
Sens. 3, 439 a 18-21; 439 h 14-6; inoltre Hicks, ad 418 b 11, 369;
Hamlyn, ad 418 a 26 sgg., 108). La luce è atto del trasparente non
in quanto, ad es., aria o acqua, ma proprio in quanto trasparente.
Tt ( 418 h 13) si riferisce a1la capacità di illuminare con1une al fuoco
e ali' etere.
3
( 418
h 13-26). Aristotele respinge in questo passo la teoria
della corporeità della luce, sia essa intesa come fuoco o come ema-
nazione dell'oggetto corporeo, e sostiene la tesi che la luce altro
non è che la presenza del fuoco (o di un'altra sorgente luminosa)
nel trasparente ( 418 h 14-7). La dottrina delia natura ignea ed ema-
nazionistica della luce fu in qualche misura sostenuta da Empedocle
(dr. 418 h 20 sgg.; inoltre Verdenius, Empedocle's Doctrine, 155
sgg.; Capizzi, Empedocle, in Zeller-Mondolfo, I, 5, 79-80; O' Brien,
The Effect, 140 sgg.) e da Platone (Ti. 45 h 2-46 h 3; inoltre Isnardi
Parente, Platone, in Zeller-Mondolfo, Il, III, l, 477-8; 481); dr.
anche Sens. 2, 437 h 10-438 a 5; 438 a 25-b 2; inoltre Diiring,
Aristoteles, 563. Alla dottrina della corporeità della luce aderì anche
Democrito (cfr. 419 a 15 sgg.; Teofrasto, Sens. 50).
A favore della teoria dell'incorporeità della luce lo Stagirita ,
reca due argomenti: anzitutto che l'identificazione della luce con un
corpo conduce ad ammettere la compresenza di due corpi (quello

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NOTE A B7 317

presunto della luce e quello del trasparente) nello stesso luogo


(418 h 17; dr. anche GC A 5, 321 a 8-9); inoltre che, se la luce
è il contrario del buio, ed il buio è la privazione o assenza di illu-
minazione nel diafano, la luce non sarà un corpo, ma semplicemente
la presenza di tale illuminazione ( 418 h 18-20). La parousia della
hexis ( 418 h 19-20) è la presenza dell'azione illuminatrice del fuoco
nel trasparente, azione che lo fa diventare da buio luce (dr. anche
41.8 h 11-2; Sens. 3, 439 a 19-21). La luce è insomma la condizione
o stato attivo del diafano (cfr. 418 h 9), in una parola la sua lu-
minosità.
Infine Aristotele confuta la « richtige Auflassung » (Theiler, ad
418 h 20, 121) di Empedocle sulla propagazione della luce solare .
(418 h 20-6; questo testo corrisponde a DK 31 A 57 [1, 294, 3-6];
cfr. anche Sens. 6, 446 a 25-447 a 11; GC A 8, 324 h 26-35; inoltre
Platone, Men. 76 c 7 sgg.). L'allos di 418 h 21, secondo Filopono
(345, 11·3), è Platone (dr. Ti. 58 c 5 sgg.). Tò periechon (418
h 22) è la volta celeste (dr. Cael. r 5, 303 h 12-3). Il movimento
della luce non viene percepito ( 418 h 23) a causa della sua velocità
(cfr. Temistio, 60, 29-30). Per la distinzione tra logos e phainomena
(418 h 23-4) cfr. Sens. l, 436 h 6-8; Resp. 4, 469 a 23; 28. Che
la teoria dello spostamento locale delJa luce vada contro la ragione
( 418 h 23-4) è conseguenza della presupposizione che la luce non
è una phorà, ma un'istantanea e indivisibile alloiosis del diafano
(su ciò cfr. Sens. 6, 446 h 27 sgg.). Che poi tale teoria sia smentita
dall'esperienza ( 418 h 24) risulta dal fatto che è inverosimile che
il movimento della luce solare non venga percepito, benché essa per·
corra l'intera distanza che si estende da oriente ad occidente. Per
tb aitema ( 418 h 26) nel senso di 'pretesa illegittima' cfr. anche
APo. B 13, 97 a 21.
4
(418 h 26-419 a 21). Si prosegue affermando che ciò che è
destinato a ricevere e a trasmettere i colori, non dev'essere a sua
volta colorato ( 418 h 26-7 ), poiché, se possedesse già un colore suo
proprio, non potrebbe assumerne un altro nella sua purezza (cfr.
anche De an. r 4, 429 a 15-27). Vengono quindi distinti due usi
del termine 'incolore': rispetto al trasparente e rispetto al buio
(418 h 28-9; cfr. anche Mete. r 2, 372 a 24-5; sui vari gradi di
oscurità dr. De an. B 10, 422 a 20-1; r 2, 425 h 20-2; 426 h 1-2),
e si precisa che incolore ( 418 h 29: toiouton; secondo Hicks, ad
418 h 29, 372, questo termine si riferisce invece a skoteinon) è il
trasparente in potenza. Difatti buio e luce sono soltanto due condi-
zioni differenti di una sola e medesima realtà, che è il trasparente:
il primo è il trasparente in potenza, la seconda in atto. Ora il tra-
sparente in atto (ossia illuminato) assume i colori degli oggetti ( 418
h 29-419 a l; dr. anche Sens. 3, 439 a 27 sgg.: il colore è il1imite
del trasparente).

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318 NOTE A B7

Aristotele ritorna poi sulla distinzione tra i colori e i fenomeni


fosforescenti: i primi sono visibili soltanto alla luce ( 419 a 1-2),
i secondi soltanto al buio; questi ultimi « hanno la possibilità di
impressionare il mezzo», ma «non lasciano vedere il loro colore»
(Laurenti, 115 n. 377) (419 a 2-6). Sui corpi fosforescenti dr.
anche 418 a 27-8; Sens. 2, 437 a 31-2; 437 h 5-7. Per à.vwvup,a.
(419 a 4) dr. 418 a 27; De an. B 5, 418 a l. In 419 a 5 accetto
la lezione tràdita xÉp~; alcuni codici di Temistio (61, 17) hanno
xpÉ~, e cosf legge Ross (26; ad l.; 241; ad 419 a 5, 244). Allos
logos (419 a 7) rimanda forse a Sens. 2, 437 a 31 sgg.: gli oggetti
lisci per loro natura al buio brillano.
Lo Stagirita delinea quindi il processo della vista dei colori nei
termini seguenti: per l'azione di una sorgente luminosa (il fuoco
o la luce solare) il trasparente (ad es. l'aria) passa dalla potenza
all'atto, ossia viene illuminato. Il colore dell'oggetto impressiona
allora l'aria illuminata, la quale, estendendosi dall'oggetto all'organo
della vista, può agire a sua volta su quest'ultimo ( 419 a 7-15).
L'esperienza riferita in 419 a 11-3 (dr. anche 419 a 25 sgg.; De
an. B 9, 421 h 16-8; 11, 423 h 21-6) ha lo scopo di confermare l'in-
dispensabilità del 'mezzo' esterno, e quindi la natura di 'senso a
distanza' della vista. Per la luce come condizione necessaria della
percezione del colore (419 a 7-9) dr. 418 h 2-3. Lo Tiv di 419 a 9
rinvia a 418 a 31-b 2. Per la luce come 'atto' del trasparente (419
a 11) dr. anche 418 h 9-10. Opsis (419 a 13) equivale ad 'organo
della vista' (dr. anche De an. B 5, 417 a 3). Lo olov di 419 a 14
lascia capire che il trasparente per la vista può essere costituito
anche dall'acqua o dal cristallo (dr. 418 h 4 sgg.). Sul mutamento
sublto dall'organo sensorio (419 a 14-5) dr. anche 419 a 28; De
an. B 8, 419 h 35; 420 a 3.
Viene infine rivolta un'obiezione a Democrito, il quale sostiene
che nel vuoto (e quindi senza l'azione perturbatrice del mezzo; dr.
Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1085 n. 11) le sensazioni visive
risulterebbero più chiare e distinte (419 a 15-7; questo passo si
legge in DK 68 A 122 [Il, 112, 22-3]; dr. anche DK 68 A 135
[Il, 114, 28-33]; B 123 [Il, 167, 16-7]; inoltre Siegel, Did the
Greek Atomists, 3 sgg.). In forza anche dell'osservazione descritta
in 419 a 11-3, Aristotele replica che l'assenza del mezzo renderebbe
impossibile la sensazione e quindi, a fortiori, la sua esattezza (419
a 17-21). Per la sensazione visiva come una 'passione' (419 a 17-8)
dr. De an. B 5, 416 h 33-4; Top. A 14, 105 h 6-7; l'azione del
colore sulla vista non è però diretta e immediata, ma richiede un
'mezzo' esterno.
5 (419 a 22-b 3). Aristotele conclude il capitolo con un accenno
al fuoco, che rappresenta un altro oggetto visibile accanto ai colori
ed ai corpi fosforescenti, e facendo il punto sulla dottrina del 'mezzo'.

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NOTE AB 8 319

Se il colore è visibile soltanto alla luce, ovvero nel trasparente in


atto ( 419 a 22-3; ELP1)'tat. [ 419 a 23] rinvia a 419 a 17 sgg.),
il fuoco è l'unico corpo che sia visibile nel buio come nella luce,
perché è precisamente il fuoco la causa che produce il passaggio del
trasparente dalla potenza ( = buio) all'atto ( = luce) (419 a 23-5);
la causa della visibilità dev'essere essa stessa visibile.
L'indispensabilità del mezzo perché si produca la sensazione, già
verificata nel caso della vista, viene ora sancita per tutti i sensi:
anzitutto per gli altri due sensi a distanza, ossia l 'udito e l'oHatto
( 419 a 25-30), e inoltre, nonostante ogni apparenza in contrario~
per gli stessi sensi a contatto, ovvero il tatto e il gusto ( 419 a 30-1).
Lo hysteron di 419 a 31 rimanda a De an. B 10-1 (particolarmente
aB 11, 422 h 34-423 a 16; 423 h 1-26).
Lo Stagirita si sofferma infine sul mezzo dell'udito e dell'olfatto.
Se il mezzo ordinario dell'udito è l'aria ( 419 a 32), le sensazioni
oHattive di cui sono capaci sia gli animali terrestri sia quelli acquatici
mostrano che il mezzo dell'olfatto in alcuni casi è l'aria ed in altri
l'acqua, e che pertanto questi due elementi possiedono una qualità
che, rispetto agli odori, esercita una funzione (appunto di 'mezzo')
analoga a quella del trasparente rispetto ai colori (419 a 32-h 3).
Per koinon ti pathos (419 a 32-3) dr. anche 418 h 7-9; Sens. 3,
439 a 21-5; 5, 442 h 29-443 a 6. La caratteristica propria del mezzo
dell'oHatto è stata chiamata oloap,ov (« redolente » ), e quella del
mezzo dell'udito otT)XÉ~ ( « risonante») forse già da Teofrasto (cfr.
Alessandro, in Sens. 89, 2; Tem.istio, 62, 31-2 [ trad. De Falco, 96];
Filopono, 354, 12-6). Sugli animali acquatici e quelli terrestri (ca-
paci di respirazione) dr. De an. A 5, 411 a l; B 8, 421 a 5; 9, 421
h 10-1; Sens. 5, 443 a 2-6; 444 a 19-21; Resp. 7, 470 h 9 sgg.;
inoltre Platone, Ti. 91 e l sgg. Lo hysteron di 419 h 3 rinvia a
De an. B 9, 421 h 13-422 a 7; dr. anche De an. B 12, 424 h 17-8.

NOTE AB 8
1
SoMMARIO. -A) Il suono e i corpi sonori: (l) suono in atto
e suono in potenza; (2) corpi sonori e corpi non sonori, ossia inca-
paci di emettere un suono. B) La produzione di un suono: avviene
per la percussione di un corpo solido contro un altro in un 'mezzo'.
C) Il 'mezzo' dei suoni: (l) quello più idoneo è l'aria e, in via
subordinata, l'acqua; (2) tali 'mezzi' non sono però la causa princi-
pale del suono, che è la percussione; (3) quest'ultima, per produrre
il suono, deve effettuarsi con rapidità e forza, al 6ne di prevenire
la dispersione dell'aria; (4) l'eco è come un rimbalzo dell'aria contro
un'altra massa d'aria, ma non sempre viene percepito distintamente;
(5) l'aria è la causa principale della sensazione uditiva. D) L'organo

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320 NOTE A B8

dell'udito: (l) contiene aria congenita che viene mossa dall'aria


esterna, a sua volta mossa dal suono; (2) l'aria è racchiusa nel-
l'orecchio interno perché rimanga immobile, e quindi perché si
possano percepire esattamente i suoni; (3) si ode anche nell'acqua,
purché questa non penetri nell'orecchio interno, ma trasmetta il
suono ali'aria che vi è racchiusa; ( 4) quest'aria è sempre in movi-
mento, e per questa ragione l'orecchio risuona. E) Il percuziente
e il percosso sono entrambi cause del suono, ma a diverso titolo;
differenti qualità dei suoni: suono acuto e suono grave. F) La voce:
(l) è un suono proprio degli animali; ( 2) suoi caratteri: il registro,
la melodia e l'articolazione; ( 3) viene emessa soltanto dagli animali
che respirano; ( 4) è uno dei due scopi per cui essi possiedono pneuma
e lingua; ( 5) è l'urto, prodotto dagli organi fonatori, dell'aria inspi-
rata contro la trachea; ( 6) è un suono significativo unito ad un'im-
magine sensibile.
2
419 h 4-25). Aristotele inizia enunciando il tema del capi-
(
tolo ( 419 h 4). IIpw'tov ( 419 h 4) sta a significare che, dopo la
trattazione della vista, l'udito è il primo senso che si deve prendere
in considerazione. Viene quindi distinto il suono in atto da quello
in potenza (419 h 4-5; dr. anche De an. B 5, 417 a 13-4; r 2,
425 h 26-426 a 8; Cael. B 9, 291 a 9-24 ). La distinzione tra suono
attuale e suono potenziale è collegata a quella tra corpi sonori e
corpi che non hanno la capacità di emettere suoni (419 h 6-9). Per
lXEt.V \fl6cpov (419 h 6) cfr. 419 h 7-8 (ouva,;at. \flocpfjcrat.); De an.
B 9, 421 h 7-8; 10, 422 a 30; 12, 424 a 22-3; r 2, 425 h 29.
Per axoi) (419 h 8) come 'organo dell'udito' cfr. anche De an.
B 7, 419 a 13. Si indicano poi i fattori necessari a produrre un
suono attuale: la percussione, che implica lo spostamento locale
del 'mezzo', ad es. dell'aria ( 419 h 13; cfr. anche Sens. 6, 446 h 30-
447 a l), di un corpo duro (liscio o cavo), ad es. di un metallo,
contro un altro corpo in un 'mezzo' (419 h 9-18; dr. anche Platone,
Ti. 67 h 2-4). Lo eipomen di 419 h 13 rinvia a 419 h 6. Sulla so-
norità dei corpi lisci ( 419 h 16) cfr. Jannone-Barhotin ( 103 ): « L'air
intermédiaire entre le corps frappant et le corps frappé est alors
saisi tout d'une pièce »(dr. 419 h 20 sgg.).
Lo Stagirita si sofferma quindi sul 'mezzo' dei suoni (419 h 18-
25). Il mezzo più idoneo a trasmettere i suoni è l'aria e, subordina-
tamente, l'acqua (419 h 18). In 419 h 18 leggo xav con Ross (ad l.;
ad 419 h 18, 247) e Hamlyn (30) anziché xat: dei manoscritti. L'aria
o l'acqua come tale non può tuttavia costituire la causa principale
e determinante dell'emissione dei suoni, che è invece la percussione
di due corpi solidi l'uno contro l'altro e contro l'aria (419 b 19-20).
La percussione di un corpo contro l'altro, per produrre un suono_,
dev'essere però sufficientemente rapida e forte, onde evitare la di-
spersione dell'aria ( 419 b 21-5), senza la quale non si ottiene il

Baruch_in_libris
NOTE AB 8 321

suono. Ciò trova conferma nel caso in cui l'aria funge non solo da
mezzo, ma anche da 'corpo percosso' (419 b 22), come avviene,
ad es., nello schiocco di una frusta (dr. Temistio, 63, 27-9). La
necessità della rapidità e fona della percussione viene illustrata da
Aristotele con l'esempio del mulinello di sabbia che, se dev'essere
colpito, dev'esserlo velocemente, prima che si disperda ( 419 h 24-5).
Giustamente Beare (Miscellanea, 74) considera f) opp,rLD6" come una
correzione o precisazione di awp6" ( 419 h 24 ).
3
( 419 h 25-420 a 2). Aristotele descrive anzitutto il fenomeno
dell'eco (419 h 25-33). L'eco si fonna per la 'riflessione' dell'aria,
messa in movimento da un suono, da parte dell'aria contenuta in
un a:yyEL0\1 ( 419 h 26 ), allo stesso modo che una palla vien fatta
rimbalzare da un muro ( 419 h 25-7). In 419 h 25 conservo la le-
zione o"trL\1 a1tÒ "tou aÉp~ (dr. anche Pr. XI 51, 904 h 32-3: à1tò
yàp "tOU aÉpoc; a\ltLXÀd"ttLL); Ross (28; ad l.; 245), sulla scorta di
Torstrik (ad l.; ad 419 h 25-420 a 19, 148-50), Forster (ad l.; ad
419 h 25-7, 166) e Smith (ad l.), adotta invece la variante 8"trL\I,
aÉpoc; X"tÀ. Come fa osservare Hicks (ad 419 h 25, 377), l\#Òc; yE-
\#Op,É\IOU ( 419 h 25) denota la continuità dell'aria. Tò ayyEL0\1 ( 419
h 26) è reso con «vas» da Torstrik (ad 419 h 25-420 a 19, 148:
« Loquitur de saxis vel domuum muris »), Smith (ad l.: « vessell »;
cosi anche Hett, 111; Ross, 28; 245), Siwek (145; dr. però 298
n. 440: <<in caverna aliqua » ), Theiler (38: « das Gefass »; ad
419 h 2.5, 122: l'eco di cui si parla nel nostro passo non è quello
prodotto dalla gola di un monte, ma è piuttosto l'amplificazione che
si ottiene con le cavità sonore; dr. Pr. XI 8, 899 h 25 sgg.) e
Hamlyn ( 30: « a container »·)~ con << cavità » da Rodier (l, 115),
Hicks (83), Tricot (114), }annone-Barbotin (ad l.) e Laurenti (119);
con « geschlossener Raum » da Gigon (305). L'aer di 419 h 27 è
l'aria esterna che era stata colpita dall'emissione di un suono e che
si era mossa (dr. anche 420 a 8-9; 21-2) in direzione dell' ayyEL0\1.
Lo Stagirita aggiunge che l'eco si ha ogniqualvolta venga emesso
un suono, ma che non sempre è percepito distintamente. Si tratta
di un fenomeno analogo a quello che si verifica per la luce, la
quale pure si riflette sempre, benché questa riflessione risulti più
perspicua qualora sia prodotta da corpi lisci, i più idonei a proiet-
tare l'ombra, TI "tÒ ~ opl~OP,E\1 ( 419 b 27-33). Quest'ultima clau-
sola ( 419 h 33) significa che la presenza della luce viene riconosciuta
dalla sua capacità di produrre l'ombra.
Infine Aristotele mostra come la tesi che il vuoto è la causa
determinante del processo uditivo sia accettabile qualora il vuoto
venga identificato con l'aria, e quest'ultima formi una massa unica
e continua. Ciò si verifica in modo particolare quand'è colpito un
oggetto da11a superficie liscia, ossia tale da non spezzare né disper-
dere l'aria che vi si trova sopra. Al momento della percussione, da

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322 NOTEAB8

questa superficie liscia, e quindi nelle condizioni più favorevoli


(unità e continuità della massa d'aria), l'aria viene mossa e trasmette
il suono all'orecchio (419 b 33-420 a 2). L'accoglimento della tesi
che il vuoto, ossia l'aria, è la causa principale dell'udito ( 419 b 3 3-4)
non è ritenuto dallo Stagirita in contrasto con il rifiuto di conside-
rare l'aria come la causa principale del suono ( 419 h 19 ). Rodier
(Il, ad 419 b 33-420 a 2, 290) rileva che anche la luce è bensl
causa della visione, ma non del colore. Sul vuoto e l'aria dr. anche
420 a 18-9. 'Opilwc; ÀÉyE--cat. ( 419 b 33) e ooxEi: ( 419 h 34) si rife-
riscono ad Alcmeone (dr. DK 24 A 5 [1, 211, 38-212, l]; 6
[l, 212, 11-3]; inoltre Timpanaro Cardini, Pitagorici, I, 130 nota;
133 nota; Andriopoulos, Alcmaeon, 12-3, il quale peraltro esclude
che Alcmeone abbia identificato il vuoto con l'aria). Per orthos
dr. Ross (28): « rightly (by which Aristotle means 'excusably') »;
per ~athJp6c; (419 h 35) cfr. anche Sens. 4, 441 a 25 (inconsistenza
dell'acqua); per yEywvEi: ( 420 a l) cfr. Platone, Hp. Ma. 292 d 4.
4
(420 a 3-19). A questo punto Aristotele rivolge la sua atten-
zione all'organo dell'udito. Si riprende anzitutto il concetto di 'corpo
sonoro', il quale è atto a mettere in movimento (dr. anche De an.
B 7, 418 a 31 sgg.) l'aria esterna, e quindi il contiguo avp,cpui)c; ai)p
che è contenuto nell'orecchio ( 420 a 3-5). Come rileva Hicks (ad
420 a 3, 380), 0"\JVEXEi~ precisa Èvòc; à.Époc; ( 420 a 3 ); dr. anche
Ph. A 3, 186 a 28; Metaph. 4. 6, 1015 h 36-1016 a 17; 1016
b 6 sgg. (unità per continuità). Akoe (420 a 4) equivale ad 'orecchio';
dr. 419 h 8; De an. r l, 425 a 4; Pol. r 16, 1287 h 27-8. Per
l'aria congenita all'orecchio (420 a 4) dr. 420 a 5 (o Eta-w); 12;
GA B 6, 744 a 1-3; inoltre Tricot (115 e n. 6): all'interno del-
l'orecchio risiede dell'aria che è una parte naturale dell'organo con
cui è cresciuta; per l'origine di questa dottrina Theiler (ad 420 a 4,
122) rimanda a Diogene di Apollonia DK 64 A 19 (Il, 55, 13 sgg.);
per crup,cpvi)c; cfr. Metaph. 4. 4, 1014 h 20-6 (sulla a-Vp,cpuar,c;; l'unità
organica dell'embrione con la madre). Il significato generale di 420
a 5-7 è chiaro: se l'aria è il 'mezzo' del suono, l'animale udirà sol-
tanto con un organo che sia fornito d'aria. Il testo di 420 a 6-7
è però discusso. La lezione tradizionale cosl recita: (a) ov yàp 1tav,;n
~XEt. aÉpa, (b) "tÒ Xt.V1}t10(.LE'VO'V p,Époc; xat EIJ.~XOV. In questa forma
leggono la (b) Bekker (ad l.), Rodier (ad l.; Il, ad 420 a 6-7, 294,
che assimila x t.VTJO"OIJ.EVOV ad atoìh}a6p,E'Vov, considera la (b) come una
perifrasi di --cò ~~ov, e cosl traduce il nostro passo (I, 115): « Car
l'élément qui, dans l'acte de la sensation, doit se mouvoir lui-meme,
c'est-à-dire l'etre animé, ne possède pas de l'air dans tous ses or-
ganes » ), Hicks (ad l.; ad 420 a 6, 381, secondo cui la (h) designa
l'organo dell'udito; cosl già Filopono, 366, 14 e Trendelenburg, ad
420 a 3, 315-6), Siwek (ad l.; 299 n. 444), Theiler (che cosl trà-
duce la (b): «la parte corporea che dev'essere stimolat~ ed è ani-

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NOTBAB8 323

mata » (39); dr. anche ad 420 a 6 sgg., 122: un organo si determina


quale organo dell'udito, se gli perviene l'aria), }annone-Barbotin
(ad l.) e Laurenti (120). La (h) è stata corretta da Torstrik (ad 419
h 25-420 a 19, 152), seguito da Dittenberger ( 1615) e Hayduck
(Observationes, 2), in aÀ,À,à, "tÒ Xt.VIlCTOp.EVO'V plpo<; XCLt EP,~OcpO'V (se.
'tÒ ~6cpov lxov). Lo Ep.~ocpov è stato adottato anche da Smith (ad l.;
n. 2): « the required air is localized not only in the body but in the
ear »), Hett (ad l.), Tricot (116 e n. 2), Ross (De an., ad l.) e Hamlyn
( 31 ), ed è stato accolto nella nostra traduzione (è soltanto nell'orecchio,
e non in un'altra parte del corpo, che l'aria viene utilizzata per le sen-
sazioni uditive). Infine Ross (ad l.; ad 420 a 6-7, 249) ritiene corrotta
la (h), propone di emendarla in "tÒ oÈ Xt.'V1]CTOp,Evov llÉpo<; xat Ell~ocpov
yEV1)CTO(.LE'VO'V, e cosl traduce il nostro passaggio: « for the animai
has not air everywhere; it is only the part that is to be set in mo-
tion and filled with sound that must have air » (245).
Lo Stagirita aggiunge che l'aria di per sé non è sonora (cfr.
anche De an. B 7, 418 h 27), e che quella contenuta nelle orecchie,
per consentire la percezione esatta di tutte le varietà di suoni, de-
v'essere immobile (420 a 7-11). Secondo Theiler (ad 420 a 8, 122)
la definizione del suono come percussione dell'aria cui si sia impe-
dito di disperdersi (420 a 8-9; dr. anche 419 h 21-3) è di origine
pitagorica (cfr. Porfirio, in Harm. 7, 22 sgg. Diiring; T eone di
Smirne, Exp. rer. math. 50, 6 Hiller). L'immobilità dell'aria racchiusa
nell'orecchio non è assoluta (cfr. 420 a 5; 16-7), ma relativa al moto
che vi è indotto dal suono. Ross (ad 420 a 9, 249) spiega quest'im-
mobilità affermando che l'aria interna è protetta dai movimenti cor-
porei, i quali potrebbero disturbare le sensazioni uditive (cfr. anche
De an. r 4, 429 a 15-6). Ti]<; Xt.vi)CTEW<; ( 420 a 11) sottintende "ti]<;
~Ocp1]"tt.Xi]<;.
Si indicano quindi le condizioni in cui il funzionamento dell'udito
avviene oppure è interrotto (420 a 11-5). Dià tauta (420 a 11) si
riferisce alla protezione di cui gode l'aria interna; CLL llt.n:<; ( 420
a 13) designa il cosiddetto labirinto, i) p.i]vt.y~ ( 420 a 14) la mem-
brana del timpano e "tÒ È'Jtt "tTI XOPl) oÉpp.CL ( 420 a 14) la cornea.
In 420 a 15-6 leggo con i codici aÀ,À,à, xat CT1](.LELO'V "tOV àxovEt.'V il
p.i) "tÒ i)xEi:v «Et "tÒ oÙ<; blcr'JtEP "tÒ xÉpCL<;. Cosl leggono anche Bekker
(ad l.), Rodier (ad l.; l, 117; II, ad 420 a 15-8, 296-7), Hicks (ad l.;
85; 87; ad 420 a 3-b 4, 379; ad 420 a 16, 381; quest'autore cosi
spiega il passo corrispondente a 420 a 15-8: si ha una riprova che
l'organo dell'udito è sano qualora, coprendo con la mano l'orecchio,
quest'ultimo risuoni sempre come un como (lo strumento musicale),
giacché questo fatto indica che l'aria interna si muove continuamente
di un suo proprio moto; tuttavia il suono vero e proprio non è dovu-
to esclusivamente all'orecchio - come nell'esperienza citata - , ma
dipende dall'oggetto esterno), Tricot (117 e note 2-3), Hett (ad l.),
Gigon (306), Theiler (39), ]annone-Barbotin (ad l.), Ross (De an.,

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324 NOTE AB 8

ad l.), Hamlyn (31) e Laurenti (121). Invece Ross (28; ad l.; 246;
ad 420 a 15-8, 249-50) ritiene che akouein non vada riferito alla
sanità dell'organo dell'udito, ma ad un'attuale sensazione uditiva.
Di conseguenza egli emenda ~ÀÀ.à. xa.t: in à.ll' où, ed inoltre omette
lo aei. A conclusione di questo passo ( 420 a 18-9) Aristotele riprende
il discorso svolto in 419 h 33-5: noi udiamo per mezzo di un vuoto
che risuona, ossia con l'aria, nella misura in cui questa sia assimi-
labile al vuoto (dr. anche Ross, 246; ad 420 a 18-9, 250). HO-
rismenon ( 420 a 19) è l'aria delimitata e confinata nell'orecchio
interno.
5
(420 a 19-b 4). Nella prima parte del passo (420 a 19-26)
Aristotele completa il discorso sul 'percuziente' e il 'percosso' svolto
in 419 h 11-8. Egli afferma in primo luogo che l'emissione del suono
dipende insieme, ma in diverso modo, sia dal corpo percuziente che
da quello percosso (420 a 19-21): il primo funge da agente, il se-
condo da paziente (dr. Temistio, 65, 25-7). Quest'asserzione viene
chiarita in 420 a 21-3: il suono è un movimento o spostamento
dell'aria ( == "'tOU 0\JVa.p,ÉVO\J Xt.VE'i:aì)a.t.: 420 a 21) che rimbalza dal
'percosso, colpito dal 'percuziente', spostamento d'aria che si può
paragonare ad un oggetto che rimbalza da una superficie liscia, quando
questa venga colpita. Ritengo che oggetto di xpoucrn (420 a 23) sia
--rà ÀEi:a. e non --rà acpa.ÀÀ.OP,EVa.; SU questo difficile passaggio dr.
anche Temistio (65, 27-36), l-Iicks (87; ad 420 a 23, 382), Ross
(28; 246; ad 420 a 19-26, 250) e Theiler (39; ad 420 a 19, 123).
Viene poi ribadito che l'oggetto percosso, per produrre un suono,
dev'essere 1iscio ed uniforme (420 a 23-6). In 420 a 23 WcrnEp
EipT)"ta.t. rinvia a 419 h 6-18; per homalon (420 a 25) cfr. Metaph.
N 6, 1093 h 20; per athroun (420 a 25) cfr. 419 b 35; 420 a 3; 19.
Lo Stagirita passa quindi a trattare delle differenti qualità dei
suoni. Come la percezione dei diversi colori avviene soltanto quando
sono visibili in atto, ossia sotto l'azione della luce (dr. De an. B 7,
418 b 2-3 ), del pari soltanto qualora i suoni siano stati effettivamente
emessi, è possibile coglierne la differente altezza ( 420 a 26-9 ). Sulle
differenze Jei suoni cfr. anche 420 a 10-1; De an. B 11, 422 h 29-31.
Aristotele rileva, poi, che la differenza fondamentale tra i suoni, quella
tra suono acuto e suono grave, è mutuata dalle qualità tattili ( 420 a
29-30; cfr. anche 420 b l sgg.; per leghetai katà metaphoran [ 420
a 29] cfr. De an. r 3, 428 a 2; PA r 2, 662 h 25; inoltre Bonitz,
Index, 462 a 42 sgg.). A giustificazione di quest'uso traslato dei ter-
mini lo Stagirita fa osservare che il suono acuto produce nell'udito
un'impressione forte, ma di breve durata, mentre quello grave sortisce
l'effetto opposto (420 a 30-1; cfr. anche Sens. 7, 448 a 19-26; inoltre
Hicks, ad 420 a 30-b 4, 383-5; per un diverso punto di vista dr. GA,
E 7, 786 b 25 sgg. con l'annotazione di Lanza, in Lanza-Vegetti,
Opere, 1036 n. 41: Aristotele «ammette una serie di variabili nel

Baruch_in_libris
NOTE AB 8 325

rapporto reciproco tra tono (acuto, grave) e quantità d'aria mossa


(volume). Se lo spostamento d'aria avviene lentamente il tono è
grave, se rapidamente acuto. Lentezza e rapidità sono a loro volta
spiegate col rapporto tra la potenza del movente e il volume del-
l'aria mossa»; cfr. anche Pr. XI 6, 899 a 26 sgg.; 47, 904 h 8 sgg.;
XIX 37, 920 h 16 sgg.). Come nota Hicks (ad 420 a 30-b 4, 383;
ad 420 a 30, 385), l'espressione kinei ten aisthesin ( 420 a 30;
cfr. anche De an. r 2, 426 h 31; Sens. 6, 445 h 8) designa un moto
indiretto, giacché questo moto si effettua attraverso il mezzo (cfr.
De an. B 7, 419 a 27-30), ed aisthesin si riferisce all'udito in atto.
L'affermazione che l'acuto non s'identifica col veloce o rapido e
il grave col lento ( 420 a 31-2) sembra diretta contro i Pitagorici
(cfr. Top. A 15, 107 a 15-6; Archita DK 47 B l [I, 433, 12 sgg.])
e Platone (Ti. 67 h 2-c 2; 80 a 3 sgg.; Plt. 306 c 10 sgg.; cfr. però
Theiler, ad 420 a 29 sgg., 123). In 420 a 33 kinesis toiaute si ri-
ferisce all'impressione (intensa, ma breve) prodotta dal suono acuto
(cfr. 420 a 30-1). Come fanno osservare Hicks (ad 420 h 2-4, 385)
e Theiler (ad 420 a 29 sgg., 123 ), il passaggio corrispondente a
420 h 2-4 concerne le qualità tattili e non quelle sonore. Per ,;Ò
àiJ,~Àu ( 420 h l; 2) come l'opposto dell'acuto in u·n corpo dr.
Top. A 15, 106 a 12 sgg.
6
420 h 5-22). Aristotele prende in considerazione una specie
(
particolare di suono, ossia la voce, e la definisce come un suono
caratteristico dell'animale, e che è attribuibile agli strumenti mu-
sicali solo per analogia, in quanto anch'essi possiedono le proprietà
della voce, che sono la apotasis, il melos e la dialektos (420 h 5-9).
Sulla voce degli animali cfr. anche De an. r 13, 435 h 24-5; HA
4 9, 535 a 27 sgg.; GA E 7, 786 h 7 sgg.; Metaph. Z 12, 1038
a 6-8; Pol. A 2, 1253 a 9-18; Divis. Arist. 37, 24; inoltre Platone,
Chrm. 168 d 3-6. Per la 'voce' degli apsycha (420 h 6) cfr. Metaph.
4 12, 1019 h 13-5. Per l'espressione kath'homoioteta leghetai (420
h 6-7) dr. HA a 11, 537 h 23-4; PA r 2, 662 h 24-5; GA A l,
715 h 20; EN r 6, 1115 a 19. In 420 h 8 apotasis (cfr. HA E 14,
545 a 17), melos (cfr. Metaph. I 2, 1053 h 34-1054 a 2; Pol. 8 5,
1340 a 13; 19; 6, 1341 a l; 14) e dialektos (cfr. 420 h 18; HA
4 9, 535 a 30-1 con l'osservazione di Vegetti, in Lanza-Vegetti,
Opere, 275 n. 114: «La 'voce' consta propriamente di 'vocali', e
queste sono emesse dalla laringe; i suoni 'vocali' sono articolati da
altri suoni, consonantici, prodotti da lingua e labbra. La voce dipende
quindi solo dalla laringe, il linguaggio [ = dialektos] anche da lingua
e labbra ») sono rispettivamente il registro (ossia l'estensione o
gamma delle note), l'accordo o melodia (che implica una successione
di note) e l'espressione articolata o linguaggio (dr. Hicks, 87; ad
420 h 8, 386-7).
Se però la voce è una caratteristica degli animali, ciò non signi-

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326 NOTE AB 8

fica - precisa lo Stagirita - che tutti gli animali abbiano la voce,


ma soltanto quelli che sono capaci di assumere l'aria (che è il
'mezzo' indispensabile del suono) mediante la respirazione, e che
sono muniti di organi adatti alla fonazione (420 h 9-16). Sugli ani-
mali non sanguigni (420 b 10) - cefalopodi, crostacei, insetti e
gasteropodi - ed i pesci ( 420 h lO sgg.), che non emettono voce ma
suoni, dr. HA~ 9, '3' a 28 sgg.; Resp. 16, 476 a 1-17; 476 h 12.
L'Acheloo (420 h 12), oggi Aspropotamo, è il più grande fiume
della Grecia. Sulla produzione del suono (420 h 14-5) dr. 419 h
9-10; 18 sgg.
Al termine di questo passo Aristotele indica una duplice fina-
lità del respiro e della lingua: la conservazione della vita, e la sua
migliore condizione mediante l'articolazione della voce e il lin-
guaggio ( 420 h 16-22). Per l'apparente personificazione della physis
(420 h 17) cfr. De an. B 4, 415 h 17; PA B 15, 658 h 23-4; Somn.
Vig. 2, 456 a lO; Resp. 17, 476 a 18. Per le due funzioni della
lingua (420 h 17-20) cfr. De an. r 13, 435 h 24-5; PA B 16, 659
h 30 sgg.; r l, 662 a 16 sgg.; Resp. 17, 476 a 17-9; per herme-
neia (420 b 19) dr. PA B 17, 660 a 35-h 2; Resp. 17, 476 a 19.
Sulla distinzione tra à.'Ja,yxai:ov e 'tÒ EÙ (420 h 19-22) cfr. De an.
r 12, 434 h 21 sgg.; 13, 435 h 19 sgg.; PA r 7, 670 h 23-4;
10, 672 h 22-4; Pol. A 2, 1252 h 27-30; r 9, 1280 a 31-2; 1280
h 29-35; 9 3, 1338 a 13 sgg.; inoltre Platone, Ti. 75 d 6 sgg.
Sul duplice ruolo del respiro, e in particolare sulla sua fu·nzione pri-
maria, che è quella di conservare, temperandolo, il calore interno
( 420 h 20-2), cfr. PA r 6, 668 h 33 sgg.; Sens. 5, 444 a 25-6·; Somn.
Vig. 2, 456 a 8-11; Resp. 16, 476 a 7 sgg. En heterois eiresetai
(420 h 21-2) rinvia a Resp. 7, 470 h 24-7; 14, 474 h 10 sgg.; 16,
475 h 16-9; 476 a 7 sgg.;· 21, 478 a 11 sgg.; cfr. anche PA r 6,
668 b 33 sgg.; GA B 1, 732 b 28 sgg.
7
(420 b 22-421 a 6). Aristotele approfondisce anzitutto il tema
della funzione refrigerante della respirazione (420 h 22-7). Egli af-
ferma che l'organo della respirazione è la laringe, e che questa è
finalizzata al polmone, come quest'ultimo al cuore; in altri termini,
l'aria inspirata attraverso la laringe giunge sino al polmone, che
opera la refrigerazione del cuore; è per questo motivo che il pol-
mone è vicino al cuore e partecipa del suo calore. Sul cpapuy~
( 420 h 23) o laringe in rapporto alla respirazione cfr. PA r 3, 664
a 16 sgg.; 665 a 9 sgg. Per il polmone (420 h 24) come organo
refrigerante del cuore cfr. PA r 3, 665 a 10 sgg.; 6, 668 h 33 sgg.;
Resp. 5, 470 a ' sgg.; 16, 475 h 16 sgg.; inoltre Platone, Ti. 70
c l sgg. In 420 h 26 conservo la lezione tràdita à:va1tVEop,Évou;
Ross (ad l.; ad 420 h 26, 252) la corregge in à:va1tVE6p,EVov.
Viene infine ripreso il discorso sulla fonazione. La voce è defi-
nita come l'urto dell'aria inspirata contro la trachea ( 420 h 29;

Baruch_in_libris
NOTEAB9 327

421 a 1: arteria); quest'urto è prodotto dall'azione dell'anima, loca-


lizzata negli organi ( 420 h 28: en toutois tois moriois) fonatori e
respiratori (labbra, lingua [dr. 420 h 18; 30], laringe, la stessa
trachea, polmone; dr. HA A 12, 492 h 7-8; J1 9, 535 a 28 sgg.;
PA r 3, 664 a 35-b 2) e principalmente nel cuore. Presupponendo
tutte queste condizioni, ed inoltre la presenza di immagini ( 420
b 32: phantasias) che ne assicurino la significatività ( 420 h 32:
sèmantikos ), la voce evidentemente non può essere assimilata ad
un rumore qualsiasi, qual è, ad es., lo schiocco della lingua o un
colpo di tosse (420 h 27-421 a 1). Kathaper eipomen. (420 b 30)
rimanda a 420 h 13-4. Tò "tV1t"tOV ( 420 h 31) si riferisce agli organi
fonatori richiamati in 420 h 28. Per lp,~xov ( 420 h 31) dr. 420
h 6. Su1la phantasia (420 h 32) come 'immagine sensibile', e non
come 'facoltà immaginativa', dr. MA 7, 701 h 16 sgg.; Ph. Il. 4,
211 h 34; MM B 6, 1203 h 4-5; inoltre Bonitz, Index, 812 a
9 sgg. Per la voce come suono significativo- ( 420 h 32) e manife-
stativo di una sensazione (o immagine) di piacere o dolore, di un
desiderio o di una ripulsa, e (nel caso dell'uomo) del pensiero dr.
Int. 2, 16 a 28-9; HA Il. 9, 536 a 11 sgg.; Pol. A 2, 1253 a 9-18.
Soggetto di "tU1t"tEL ( 421 a l) è "tÒ "tU1t"tOV di 420 h 31. Viene quindi
addotta una conferma del fatto che nella fonazione si utilizza l'aria
inspirata; questa conferma è che non si può parlare se non tratte-
nendo il respiro ( 421 a 1-3 ). Kinei ( 421 a 3) equivale a: « causat
motum ad formationem vocis » (Tommaso, II, 18, n• 478, 119).
Che poi i pesci siano afoni trova spiegazione nel fatto che non
respirano e che di conseguenza sono privi di laringe (421 a 3-6).
Heteros logos (421 a 6) rinvia a PA r 6, 669 a 1-5; Resp. 15, 474
h 25-475 a 11; 16, 476 a l sgg. (i pesci si procurano il raffredda-
mento ingerendo l'acqua con le branchie).

NOTE AB 9
1
SoMMARIO. - A) L'oHatto e il suo oggetto: (l) non è age-
vole determinare la caratteristica specifica dell'odore, perché l'oHatto
è in noi più debole che in molti altri animali; (2) l'olfatto è analogo
al gusto (e l'odore al sapore), ma questo (in quanto è una forma
di tatto) è di gran lunga più acuto di quello. B) Le specie di odori:
( l ) corrispondono a quelle dei sapori; ( 2) odori primari sono il dolce
e l'amaro, e tra questi due estremi si collocano il pungente, l'acre,
l'acido, il grasso, ecc.; (3) gli odori si distinguono inoltre in pia-
cevoli e spiacevoli. C) Oggetto dell'olfatto non è soltanto l'odorabile,
ma pure l'inodoro. D) Il mezzo dell'olfatto: è l'aria, ma anche
l'acqua, com'è comprovato dagli animali acquatici e privi di pol-
mone, anch'essi (come quelli che respirano) capaci di sensazioni ol-

Baruch_in_libris
328 NOTE A B9

fattive. E) L'organo dell'olfatto: (l) negli animali che respirano è


provvisto di una membrana, assente negli altri animali; (2) è poten-
zialmente secco.
2
( 421 a 7-26). Aristotele dà inizio all'indagine sull'olfatto evi-
denziando la difficoltà dell'impresa: trattare di questo senso e del
suo oggetto è mel}o agevole che nel caso degli altri due sensi a di-
stanza sopra considerati, e ciò perché la natura dell'odore non è evi-
dente come quella del colore e del suono, e non è evidente perché
questo senso nell'uomo non è acuto ( 421 a 7-10; cfr. anche Sens.
4, 440 b 30.sgg.). Twv ELPTJ~É'VW'V (421 a 7-8) si riferisce alla vista
e all'udito ed ai loro oggetti corrispondenti. Per 1toi:6v ~{, ta~L'V
(421 a 8) cfr. De an. A 3, 407 b 20; EN r 2, 1112 a 13. L'affer-
mazione che l'olfatto non è nell'uomo un senso preciso, ma, anzi,
inferiore a quello di molti altri animali ( 421 a 9-1 O; cfr. anche
Sens. 4, 440 b 31-441 a l; inoltre Diogene di Apollonia DK 64
A 19 [Il, 55, 22-3 ]), viene giustificata in 421 a 10-3: l'olfatto del-
l'uomo è debole, ossia reagisce soltanto in presenza di stimoli suf-
ficientemente intensi, tali cioè da procurargli piacere o dolore (cfr.
anche 421 b 22-3; Sens. 5, 443 b 20 sgg.; inoltre Simplicio, 152,
18-20; Rodier, II, ad 421 a 11-2, 307; Hicks, ad 421 a 12, 391 ).
Aristotele stabilisce poi un'analogia (cfr. anche Sens. 5, 444 b
22 sgg.) tra la debolezza deli'olfatto umano e la limi t atezza delle
capacità visive degli sklerophthalma (421 a 13; cfr. HA ~ 10, 537
b 11-2), i quali non sono in grado di percepire i differenti colori se
non in oggetti che li attirino o li impauriscano ( 421 a 13-6). Tà
sklerophthalma (421 a 13) sono gli animali con gli occhi duri e
privi di palpebre (cfr. Sens. 5, 444 b 24-8), ad es. i pesci, i crostacei
e gli insetti (cfr. HA ~ 2, 526 a 8-9; 10, 537 b 9-12; PA B 13,
657 b 29-658 a l; ~ 6, 683 a 27-9).
Si rileva quindi, da un lato, l'analogia tra olfatto e gusto, e,
corrispondentemente, tra odori e sapori (cfr. anche 421 a 26 sgg.;
Sens. 4, 440 b 28-30; 5, 442 b 27; 443 b 12-6; 19-20; 445 a
29-b 1), e, dall'altro, la maggiore acutezza del gusto rispetto all'ol-
fatto, e ciò per la ragione che il gusto è una forma di tatto, il quale
è nell'uomo il senso più preciso ( 421 a 16-20; cfr. Sens. 4, 440
b 31-441 a 3). Da ciò risulta come l'odorato è inferiore non soltanto
alla vista e all'udito (cfr. 421 a 7-9), ma anche al gusto-tatto. Per
gli eide (421 a 17) degli odori cfr. anche Sens. 5, 443 b 17 sgg.
La tesi del primato del tatto, considerato come il più acuto e
preciso dei sensi dell'uomo (421 a 19-20; cfr. anche HA A 15, 494
b 16-7), e le implicazioni che ne derivano, vengono sviluppate dallo
Stagirita nei termini seguenti. Che il tatto sia il più acuto dei sensi
dell'uomo risulta dal fatto che esso è l'unico dei nostri sensi che s~a
tanto preciso da superare quello di tutti gli altri animali ( 421 a
20-2; dr. anche HA A 15, 494 b 16-8; PA B 16, 660 a 11-3;

Baruch_in_libris
NOTE A B9 329

Sens. 4, 441 a 1-2). La conseguenza dell'avere l'uomo un tatto mi-


gliore di ogni altro animale è che egli è l'animale più intelligente
(421 a 22-3; dr. PA J1 10, 687 a 8 sgg.: rapporto tra mani e in-
telligenza dell'uomo; inol tre I ppocrate, V M l, con la nota di Ve-
getti, Opere, 131 n. 5), quello fornito di maggiore destrezza e abi-
lità (dr. EN Z 7, 1141 a 26-8). Una riprova che la superiorità in-
tellettuale dell'uomo sugli animali è dovuta al tatto, viene esibita
in 421 a 23-5: non solo l'uomo rispetto all'animale, ma anche
( 421 a 23: CM}~J,Etov SÈ ~ò xal; va però segnalata la variante CM}-
IJ.ELOV SÈ xaL ~6) un determinato uomo rispetto ad un altro è meglio
dotato unicamente in dipendenza dal tatto che egli possiede. Que-
st'affermazione trova un 'ulteriore specificazione nella frase conclu-
siva del nostro passo: la morbidezza della carne, ossia del sensorio
o, più precisamente, del 'mezzo' del tatto (cfr. De an. B 11~ 422
h 19-23, ecc.), è la condizione ottimale rispetto al possesso e al-
l'esercizio del pensiero (421 a 25-6; 421 a 25: ~'Ì]v ~t.avot.av).
La dottrina aristotelica che il tatto è il più preciso dei sensi del-
l'uomo, e che la mollezza della carne rappresenta lo status più fa-
vorevole al pensiero, induce a mettere a confronto il tatto con gli
altri sensi (e in particolare con quello della vista), al fine di deter-
minare il loro grado di acutezza, e quindi il loro peso specifico in
ordine al funzionamento della dianoia. Recentemente Stigen (O n the
Alleged, 20-1; 28-31) ha sostenuto che Aristotele, quando confronta
i nostri sensi in assoluto e in termini di purezza (o capacità dei
sensi di distinguersi dai piaceri e dai dolori corrispondenti; cfr. 421
a 12) e di esattezza (o capacità dei sensi di discriminare gli oggetti),
afferma la superiorità della vista sugli altri sensi (cfr. De an. r .3, 429
a 2-3; Metaph. A l, 980 a 26-7; Sens. l, 436 h 18-437 a 3; EN
K 5, 1175 h 36-1176 a 2; GC B 2, 329 h 13-5); quando invece
- ed è questo, secondo Stigen, il caso del nostro passo - paragona
i sensi dell'uomo a quelli degli animali, egli considera il tatto come
il senso migliore e più acuto. Sennonché è bensl vero che la vista,
rispetto al tatto, coglie più 'differenze' delle cose, sia per quanto
riguarda il suo oggetto proprio, ossia i colori (cfr. De an. B 7, 418
a 26-7 ), giacché il colore è un genere che ha più differenze che non
i generi che costituiscono l'oggetto del tatto (dr. Alessandro, in
Metaph. l, 22-2, 2), sia per quanto riguarda (almeno in una situa-
zione di fatto) i sensibili comuni (cfr. Sens. l, 437 a 5-9). D'altra
parte il tatto percepisce il caldo e il freddo~ il secco e l'umido (per
un'elencazione completa delle qualità tangibili cfr. GC B 2, 329
h 18-9; PA B l, 646 a 16-20), ossia più P.,eneri che non la vista,
e precisamente le differenze prime e massime delle cose (cfr. De
an. B 11, 422b 25-7; GC B 2, 329 b 6 sgg.; 329 h 8: a.t lva.v-
~t.WcrEt,c;, le « contrarietà » od « opposizioni »), le quali differenze
costituiscono« le quattro proprietà fondamentali della materia» (Ve-
getti, in Lanza-Vegetti, Opere, 612 n. 70). Pertanto, si potrebbe

Baruch_in_libris
330 NOTE AB 9

-dire, se la vista è più 'esatta' in senso quantitativo, perché percepisce


un maggior numero di oggetti, il tatto è più 'esatto' per l'importanza
dell'oggetto. A ciò s'aggiunga che la situazione descritta da Stigen,
per la quale la vista è nell'uomo il senso più esatto in assoluto, e
il tatto, invece, solo relativamente agli altri animali, non pare ade-
rente al nostro passo. In effetti l'argomentazione svolta da Aristotele
è che, se il tatto è l'unico dei nostri sensi che sia tanto acuto da
superare quello di tutti gli altri animali, ciò implica che è il nostro
·senso più acuto (cfr. anche Hicks, ad 421 a 20, 391-2).
Ma per quale motivo, nel nostro passo, lo Stagirita ritiene che
la morbidezza della carne sia la condizione del possesso di una mi-
.gliore dianoia, il sensorio della vista (e dell'udito) rimanendo escluso
·dalla sua considerazione? Una risposta può essere tentata muovendo
-dal concetto di EÙcpui}~ ( 421 a 24; 26), denotante una 'buona di-
.sposizione naturale' (cfr. Metaph. r 2, 1003 b 2-3; inoltre Platone,
R. III, 409 e 5-41 O a 4). In questa prospettiva, la mollezza della
carne rappresenta la condizione (esprimibile, come osservava già Fi-
lopono, 388, 23-4, in termini di causalità materiale, che non in-
·:firma la teoria della 'separatezza' del nous) naturale primaria del
pensiero. La carne molle (cfr. anche PA B 16, 660 a 11-3; 17, 660
a 20-2; r 4, 667 a 12-4; inoltre Alcmeone DK 24 A 5 [I, 212, 2-4];
-Diogene di Apollonia DK 64 A 22 [II, 57, 7-9]) è insomma il
·supporto delle migliori sensazioni tattili, e queste ultime, a motivo
dell'importanza e varietà dei loro oggetti, favoriscono il possesso di
una migliore diano ia (sulla dipendenza in generale dell'intelligenza
dal senso cfr., ad es., De an. r 8, 432 a 3 sgg.). Ma se questo è vero,
sarà allora lecito asserire che i sensori della vista e dell'udito in
·certo modo 'vengono dopo', prendono campo in una considerazione
ulteriore. Rispetto ad essi, la carne è la parte sensoriale fondamen-
tale (sul tatto come senso prerequisito al possesso di tutti gli altri
·sensi dr. De an. B 3, 414 b 3 sgg.; r 13, 435 a 12 sgg.). Del resto,
·se la migliore disposizione naturale al pensiero è considerata nel
nostro passo la morbidezza della carne, allo stesso modo, in altri
-contesti (in cui è evidente l'influenza ippocratica; cfr. Flat. 14;
Vict. I, 35; inoltre Parmenide DK 28 B 16 [I, 244, 7-11], su cui
-·dr. Reale, Eleati, in Zeller-Mondolfo, I, 3, 279 sgg.; per Empedocle
cfr. supra 243 n. 14; per Democrito cfr. supra 233 n. 5), è rite-
·nuta tale la 'buona mescolanza' corporea o il sangue caldo, rado e
puro (dr. GA B 6, 744 a 30-1; PA B 2, 648 a 2-11). In queste
valutazioni dello Stagirita entrano in gioco, insomma, piuttosto stati
corporei generali, che non quelli, in certo modo, più particolari.
·s'aggiunga che, quando Aristotele afferma che il tatto è l'elemento
condizionante del pensiero, non deve far riferimento al solo derma
superficiale, e neppure soltanto alla carne quale 'mezzo' del tatto,
ma all'organo tattile, che è la carne prossima al cuore o il cuore
:stesso (cfr. PA B 10, 656 a 29-31; Sens. 2, 439 a 1-2; Resp. 3,

Baruch_in_libris
NOTEAB9 331

469 a 12-4). Per ulteriori ragguagli sulla questione dr. Movia, Due
studi, 63-84.
3
( 421 a 26-b 8). In questo passo Aristotele tratta anzitutto delle
varie specie di odori ( 4 21 a 26-b 3). Egli fa osservare in primo
luogo come gli odori si possono distinguere allo stesso modo dei
sapori, benché sia vero che non tutti gli oggetti emanano odori equi-
valenti ( 421 a 28: analogon) ai loro sapori ( 421 a 26-30). L'affer-
mazione che gli odori sono classificabili in base alla distinzione dei
sapori (421 a 26-7; dr. anche Sens. 5, 442 h 27 sgg.; 443 h 7 sgg.;
17 sgg.) sembra diretta contro Platone, che nel Timeo (66 d 1-67 a 6)
aveva sostenuto che gli odori sono di due sole specie: quelli gra-
devoli e quelli sgradevoli. Tà SÉ ( 421 a 29) si riferisce, ad es.,
alla maggior parte dei profumi, il cui odore è dolce e il sapore amaro
(dr. Temistio, 68, 24-5; Filopono, · 389, 33-4; Ross, ad 421 a 29,
254). Si prosegue (421 a 31-b 3) ribadendo che la sensazione degli
odori non è altrettanto chiara come quella dei sapori (dr. anche
Sens. 4, 440 h 30-1; ClcrnEp EL1tOJ.lEV [ 421 a 31] rinvia a 421 a 7-9;
13-6), e che quindi gli odori hanno ricavato il loro nome dai sapori
( 421 a 32: à1tò "tOV"tWV), e ciò per la somiglianza che v'è tra questi
e quelli (421 h 1: "tWV 1tpa.y1J.ci."twv): cosl si dice ad es., che
il croco e il miele hanno un odore dolce per analogia con il sapore
dolce, e che il timo ha un odore pungente per analogia con il sa-
pore pungente ( 421 h 1-2). In 421 a 32 e 421 h l mantengo ri-
spettivamente à1tò "tOV"tW'V e yci.p, espunti invece da Ross (29; ad l.;
253; ad 421 a 32-b 2, 255). Per kath'homoioteta (421 h l) cfr.
anche De an. B 8, 420 h 6.
Infine, sulla base del principio sancito in De an. A 5, 411 a 3-7
che la scienza dei contrari è una, e per analogia con quanto si ve-
rifica in tutti gli altri sensi, Aristotele asserisce che l'olfatto ha per
oggetto l'odorabile e il suo contrario (421 h 3-8; cfr. anche De an.
B 7, 418 h 28-9; 10, 422 a 20 sgg.).
4
421 h 9-422 a 7). Aristotele esordisce affermando che anche
(
il funzionamento dell'olfatto, come quello della vista e dell'udito
(dr. De an. B 7, 419 a 25-b 3; 8, 420 a 3-4), presuppone l'esistenza
di un 'mezzo', che è l'aria o l'acqua (421 h 9). La caratteristica
propria del mezzo dell'olfatto è stata chiamata dai commentatori
greci diosmon (« redolente »); dr. Alessandro, De an. 51, 20;
inoltre supra 319. Per olov (421 h 9) nel senso di 'cioè' cfr. De
an. B 4, 415 a 22; Sens. 5, 445 a 7; 8. Che anche l'acqua- pro-
segue lo Stagirita - possa costituire il 'mezzo' dell'olfatto si ar-
guisce dagli animali acquatici (sanguigni - come i pesci - o non
sanguigni- come i gasteropodi-), dotati dell'olfatto al pari degli
animali il cui ambiente è l'aria (421 h 10-3; cfr. anche Sens. 5, 443
a 2 sgg.; 444 h 7 sgg.). Tà tv "t(i) àfpt. ( 421 h 11) designa sia gli

Baruch_in_libris
332 NOTE A B9

animali terrestri che i volatili; dr. HA 9 2, 589 a 10 sgg.; 22 sgg.;


Sens. 5, 444 a 19-21.
La situazione testé descritta fa sorgere peraltro un'aporia (dr.
anche Sens. 5, 444 h 15-445 a 4): se si suppone (dr. Ross, ad 421
h 13-422 a 6, 255) che gli animali in grado di percepire gli odori lo
facciano tutti allo stesso modo ( 421 h 13-4 ), e d'altra parte si consta-
ta che nell'uomo (e negli altri animali dotati di polmone) la sensazio-
ne olfattiva presuppone necessariamente la respirazione ( 421 h 14-9;
cfr. anche Sens. 5, 444 a 19 sgg.), mentre gli animali non san-
guigni, come gli insetti (e quelli privi di polmone, come i pesci),
odorano senza respirare ( 421 h 20), ne seguirà che questi ultimi
percepiranno gli odori non già con l'olfatto (il cui legame con la
respirazione sembra assolutamente necessario), ma con un altro senso,
diverso dai cinque sensi già riconosciuti ( 421 h 19-21 ). ~fa questa
conseguenza è inammissibile (cfr. anche De an. r l, 424 h 22-4),
sia perché la percezione dell'odore, attestata anche negli animali non
sanguigni (dr. 421 h 10-3), non può essere esercitata che dall'olfatto
(421 h 21-3; cfr. anche De an. B 12, 424 h 5-8; quest'affermazione
si basa sul principio che ogni facoltà è specificata dal suo oggetto;
cfr. De an. B 4, 415 a 20-2; inoltre Tommaso, II, 20, no 497, 124:
« sensus distinguuntur secundum sensibilia ... ; sequitur quod idem
sensus olfactus sit in hom.ine et in aliis animalibus »), sia perché
certi odori si dimostrano letali tanto per gli animali sanguigni quanto
per quelli non sanguigni (421 h 23-5; cfr. De an. r 13, 435 h 9 sgg.;
Sens. 5, 444 h 28-445 a 1). Stanti coslle cose, la relazione tra olfatto
e respirazione non è necessaria, ma accidentale ( 421 h 25-6 ). Come
fa notare Cherniss (Pres., 322), l'osservazione che la sostanza odora-
bile posta sulle narici rimane inavvertita ( 421 h 16; cfr. De an.
B 7, 419 a 12-3; 28-30; 11, 423 h 17-26) è rivolta contro i prede-
cessori, i quali riducevano l'odorato a una specie di tatto. In 421
h 18 1t&.'V'ttù'V si riferisce ad 'animali', mentre in 421 h 19 È7tt 'tW'V
à'Vi}pw1tW'V (emendato da Hayduck, Observationes, 3, in É7tt 'tW'J
6crcppa'V'tW'V; così anche Beare, Greek Theories, 150 n. l) ha lo
scopo, come già aveva osservato Filopono (393, 9-11), di introdurre
nel discorso il caso più tipico e noto di animale capace di respira-
zione. La soluzione dell'aporia è quindi che gli animali non percepi-
scono gli odori allo stesso modo (cfr. 421 b 13: biJ,olw~; Sens. 5,
444 h 17: IJ,O'Vaxw~; 21: où 'tÒ'V aÙ'tÒ'V tcrw~ 'tp61tov) - se non
perché l'olfatto, e non un sesto senso, è presente in tutti gli animali
che avvertono gli odori - , giacché alcuni animali per odorare de-
vono respirare, mentre altri no.
Ad un'ulteriore chiarificazione di quest'ultimo punto è dedicata
la rimanente parte del nostro passo. Aristotele spiega che, come
l'uomo (e gli altri animali che hanno una protezione per la vista),
per poter vedere, deve sollevare le palpebre, un'operazione che non'
è richiesta agli animali con gli occhi duri e privi di palpebre, a

Baruch_in_libris
NOTE A B 10 333

pari, per poter percepire gli odori, egli deve rimuovere, mediante
la respirazione, la membrana che ricopre le narici, un'operazione che
invece non devono compiere gli animali che non respirano, privi
come sono di tale membrana (421 b 26-422 a 3; dr. anche Sens. 5,
444 b 21-8). Per tà sklerophthalma (421 b 28) cfr. 421 a 13; per
le palpebre come protezione degli occhi (421 b 29) dr. PA B 13,
657 a 25 sgg.; Sens. 5, 444 b 24 sgg.; per la visione immediata
e diretta propria degli animali scleroftalmici ( 421 b 31 ) cfr. S ens.
5, 444 b 27-8; tale visione avviene tv -rlil Ot.a.cpa.vE~ ( 421 b 31),
ossia nell'aria o nell'acqua (cfr. De an. B 10, 422 a 11 sgg.; 11,
423 a 29-b l; r 13, 435 b 21-2). Per la membrana che copre l'or-
gano olfattivo degli animali che respirano ( 422 a 2) cfr. Sens. 5,
444 b 23. La respirazione dilata le vene delle narici e quindi rimuove
la membrana olfattiva; i poro i ( 422 a 3), secondo Rodier (II, ad
422 a 3, 314), sono le estremità delle vene (cfr. PA r 5, 668 a
33-b 1). 'E'J -rei> ùypfi> (422 a 4; 5) equivale a 'nell'acqua'.
Lo Stagirita conclude affermando che l'odore è una caratteristica
della sostanza secca, come il sapore lo è di quella umida (cfr. anche
Sens. 5, 442 b 27-9; 443 a 6-8; 443 b 3-14 ), che l'organo olfattivo
è umido in atto (cfr. De an. r l, 425 a 5) e secco in potenza, e
che diventa secco in atto per l'azione dell'esalazione secca prove-
niente dall)oggetto odoroso (422 a 6-7; cfr. anche De an. B 5,
418 a 3-6; Sens. 2, 438 b 24; 5, 445 a 25-7; inoltre Hicks, ad
422 a 6, 397; Ross, ad 422 a 6-7, 256).

NOTE AB 10

l so~1~1ARIO. - (l) Il gustabile è una specie di tangibile, com'è


tangibile rumido o liquido che funge da sostrato del sapore; (2) il
'mezzo' del gusto non è esterno al percipiente, come nei sensi a
distanza; ( 3) un oggetto diventa gustabile soltanto nell'umido; ( 4) og-
getti del gusto sono il gustabile e il non gustabile, che corrispon-
dono al beYibile e al non bevibile; (5) il sensorio del gusto è poten-
zialmente umido; ( 6) le specie dei sapori: opposti (dolce e amaro),
derivati (grasso e salato) e intermedi (piccante, acre, ecc.); (7) la
facoltà gustativa è attivata dal gustabile.
2
( 422
a 8-31). Aristotele rileva lo stretto legame esistente tra
gusto e tatto, sia perché il gustabile è una forma di tangibile - e
ciò spiega come essi non richiedano, per essere percepiti, a diffe-
renza dagli oggetti dei sensi a distanza, un 'mezzo' esterno (l'aria
o l'acqua) al corpo del percipiente - , sia perché l'umido, che è
come la 'materia' del corpo sapido e la condizione necessaria della
percezione dei sapori, è qualcosa di tangibile ( 422 a 8-11 ). Sul

Baruch_in_libris
334 NOTE AB 10

gusto come una forma di tatto e il gustabile come una forma di


tangibile dr. De an. B 3, 414 b 11; 9, 421 a 18 sgg.; sulla carne
come 'mezzo' del tatto e del gusto cfr. De an. B 11, 423 a 2 sgg.
In 422 a 10 leggo ouOÈ yà.p i) à.qni (se. St.à. 'tOU JlE'ttl.~Ù aÀÀo'tpLOU
ov'to~ O"WJlct.'t6~ la'tt.V o j'LVE'tct.t.; cfr. Hicks, ad 422 a 10, 398),
mentre Ross (ad l.; ad 422 a 10, 258) corregge i) à.cp1) in 'tfl à.cpfl,
e cosl intende: ouOÈ yà.p OU'tW a.Lai)'l)'tOV ta'tt. 'tÒ ~ à.cpfl a.Lai)Tl'tOV.
Riguardo a 422 a 10-1 Hicks (ad 422 a 10, 398-9) fa osservare che,
a rigori, non è il corpo sapido che ha il liquido come sua materia,
ma è il sapore stesso - oggetto 'proprio' del gusto (cfr. De an.
B 6, 418 a 13) - che funge da 'forma' del liquido (cfr. Sens. 4,
441 h 19-21; inoltre De an. B 12, 424 a 22-3; Metaph. a 6, 1016
a 20-4). Per w~ vÀn (422 a 11) dr. Metaph. Z 11, 1037 b 4.
Al fine di chiarire come il gusto non ha bisogno di un 'mezzo'
esterno perché si abbia la sensazione, lo Stagirita ipotizza un caso-
limite: se la nostra vita si svolgesse nell'acqua, questa non costitui-
rebbe il 'mezzo' tra noi e l'oggetto gustabile, ma quest'ultimo, ad
es. una sostanza dolce, si mescolerebbe all'acqua come in una be-
vanda, e sarebbe da noi percepito immediatamente (422 a 11-4;
cfr. Sens. 4, 441 a 3 sgg.; 6, 447 a 6-8). A questo proposito si
mette a confronto il gusto con la vista: il primo non ha 'mezzo'
esterno, la seconda sl; inoltre non è ammissibile una mescolanza dei
colori- o di loro emanazioni; cfr. anche De an. B 7, 418 b 15-6-
con il trasparente ( 422 a 14-6). Ciononostante si può stabilire un'ana-
logia o proporzione tra colore e sapore, in quanto oggetti dei rispet-
tivi sensi ( 422 a 16-7; cfr. anche 422 a 20 sgg.). In 422 a 15-6
W~ {J.ÈV OVV 'tÒ lJ.E'ta.;ù oui}Èv ~O"'tLV Sta per W~ 'tÒ lJ.E'ttl.;Ù t1tt 'tTj~
o~E~, oùi}Év EO"'tt.V E1tL 'tfi~ yEuaEw~ (cfr. Hicks, ad 422 a 15, 400).
Se l'umido o il liquido non è il 'mezzo' del gusto, cionondimeno
- continua lo Stagirita - esso rappresenta la condizione indispen-
sabile delle sensazioni gustative: ad es. una sostanza salata, umida
in potenza, diventa umida in atto, e quindi viene percepita, non
appena sia posta sulla lingua, della quale provoca la salivazione
( 422 a 17-9; cfr. anche Metaph. a 6, 1016 a 22: 'tà. 't'llX'tci = i
corpi che possono essere fusi; inoltre Temistio, 70, 37-71, 2).
Aristotele si sofferma infine sull'oggetto del gusto, raffrontandolo
con quello della vista e dell'udito ( 422 a 20-31 ), e basandosi, anche
qui (cfr. De an. B 9, 421 b 3-8), sul principio che ogni senso coglie
il sensibile che gli è proprio e la sua privazione (cfr. Rodier, II,
ad 422 a 26-9, 318). La vista termina al visibile e all'invisibile, e
quest'ultimo è il buio oppure ciò che è eccessivamente luminoso,
come il sole (422 a 20-3; cfr. 422 a 25 sgg.; De an. B 7, 418
h 28-419 a l; 9, 421 b 5; 11, 424 a 10-1; r 2, 425 b 20-2; 426
h l; GA E l, 780 a 13; Mete. r 2, 371 b 23-4; inoltre Platone,
R. VII, 516 a l sgg.; Tricot, 129 nota). L'udito termina all'udibile'
(ovvero al suono) e al non udibile, che può essere il suono debole

Baruch_in_libris
NOTE AB 10

(o addirittura il silenzio) oppure quello troppo forte ( 422 a 23-6;


dr. De an. B 9, 421 h 4-5). Ritornando sul 'non visibile' lo Stagirita
precisa inoltre che questo termine può denotare sia ciò che è im-
possibile a vedersi perché non ha nulla a che fare con il visibile
(come, ad es., il suono; cfr. MA 4, 699 h 17-21), sia ciò che è
privo della caratteristica della visibilità (come un ambiente buio o
un oggetto appena visibile), benché questa sia conforme alla sua
natura, al modo in cui un animale si dice 'apodo' perché non ha
piedi o li ha in una maniera inadeguata, o al modo in cui si dice
che un frutto è privo di semi perché non ne ha alcuno o ne ha uno
molto piccolo (422 a 26-9; dr. anche De an. B 9, 421 h 6-8; 11,
424 a 12-5; APo. A 12, 77 h 24-6; Metaph. à 22, 1022 h 32-1023
a l; HA A l, 487 h 24-7: uccelli con i piedi deboli). Per ana--
logia con l'oggetto della vista e dell'udito, l'oggetto del gusto è de-
finibile in termini di 'gustabile' e 'non gustabile', quest'ultimo
essendo ciò che ha poco sapore o che ne ha troppo, al punto da
desensibilizzare il palato ( 422 a 29-31 ). Come fa osservare Hamlyn
(ad 422 a 20, 110-1), cpi}ap-rLXÒ'J -ri)~ yEUO"EW~ (422 a 31) non
indica la distruzione dell'organo del gusto, ma l'interruzione (di so-·
lito temporanea) della sua funzione (dr. De an. B 11, 424 a 14-5;
12, 424 a 29; r 2, 426 a 30; 4, 429 a 31-b 3; forse una diversa
opinione in De an. r 13, 435 h 4 sgg.).
3
( 422 a 31-b 16). In quest'ultima parte del capitolo Aristotele
riconduce (cfr. Metaph. r 2, 1004 a l) anzitutto la distinzione tra
'gustabile' e 'non gustabile' a quella tra 'bevibile' e 'non bevibile'
(422 a 31-2; dr. in questo senso, ad es., Smith, ad l. e Laurenti,.
131 e n. 435; invece secondo Hicks, 95; ad 422 a 31, 401, lo
Stagirita intenderebbe affermare che l'elencazione degli oggetti del
gusto o sapori deve muovere dalla coppia 'potabile' e 'non potabile';
per questo significato di arché [ 422 a 31] come 'punto di partenza'
dr. De an. A 2, 403 h 24; B 2, 413 a 20). In 422 a 32 yEUCTL~.
equivale a yEua--rti (per &.epT) come 'tangibile' dr. Sens. 3, 439 a 8;
11; inoltre Hicks, ad 422 a 32, 401). In 422 a 32-3 leggo con i
mss. àp,cpo-rEpa e -rò p,Év e -rò OÉ (Ross, ad l.; 257; ad 422 a 33,.
258, accoglie invece l'emendamento à~J,cpo-rÉpou suggerito da Tren-
delenburg, ad 422 a 32, 328, ed inoltre reca -rou p,Év e -rou OÉ) ed.
in 422 a 33 tralascio -ril~ YEUCTEW~. Il non bevibile per difetto è
'debole', quello per eccesso è 'distruttivo' del gusto (422 a 32-3;
dr. anche 422 a 30-1 ). Il bevibile è un oggetto percepibile sia al
tatto che al gusto ( 422 a 33-4), poiché in quanto 'umido' è og--
getto del tatto (cfr. 422 a 11 ), e in quanto sapido lo è del gusto
(dr. Hicks, ad 422 a 33, 401).
Siccome il gustabile è umido o 'bevibile', parallelamente il sen--
sorio del gusto, per essere in grado di percepire i sapori, dev'essere
capace di diventare umido, e tale esso diviene per l'azione dell'og-

Baruch_in_libris
336 NOTE A B 11

getto gustabile - che è umido in atto - , assimilandosi a questo


(422 a 34-b 5; cfr. De an. B 5, 418 a 3-6; 9, 422 a 7; 11, 424 a
l sgg.). Il termine sozomenon (422 h 4; cfr. De an. A 5, 411 h 23-4;
B 4, 416 h 14; 17; 18) sta a significare che il contatto con l'oggetto
umido e la conseguente acquisizione dell'umidità da parte del sen-
sorio del gusto (ossia della lingua) non comporta la perdita della
sua natura e del suo carattere peculiare (dr. Hicks, ad 422 h 4,
402), né, tanto meno, implica la sua distruzione, come avviene
per una sostanza salata che l'umido fa fondere (cfr. Filopono, 405,
28-30; Rodier, II, ad 422 h 4, 321 ).
La condizione ottimale del sensorio del gusto viene individuata
dallo Stagirita in un 'giusto mezzo' tra l'eccessiva secchezza e l'ec-
cessiva umidità della lingua (422 h 5-10). In 422 h 6-7 mantengo
&.cpi) dei mss. e, con Hicks (ad 422 h 7, 402), ritengo che il 'primo
umido' vada identificato con la saliva, mentre Ross (ad l.; 257;
ad 422 h 6-7, 258) emenda acpi) in acpfi e pensa che tò proton
hygron ( 422 h 7) sia il primo dei due oggetti umidi percepiti suc-
cessivamente dalla lingua. Infine Aristotele elenca otto specie di sa-
pori: due 'semplici' e 'contrari', due 'derivati' ed assimilabili a quelli,
e quattro 'intermedi' e composti ( 422 h 10-4; cfr. Sens. 4, 442 a
12-29 con le osservazioni di Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1097
n. 26; inoltre Platone, Ti. 65 d 4-66 c 7, dove non compare il lipa-
ron). Per CTXEOO'V ( 422 b 14) cfr. De an. A 2, 403 b 28. Per l'asser-
zione contenuta in 422 h 15-6 cfr. De an. B 5, 418 a 3-6; 9, 422 a 7;
Sens. 4, 441 h 19-23.

NOTE A B 11
1
SoMMARIO. - (l) Se il tatto è una pluralità di sensi, anche
i tangibili sono molteplici. (2) Il tatto è un senso plurimo oppure
unitario? Ed il suo organo s'identifica con la carne od è situato al-
l'interno del corpo? (3) Il tatto ha per oggetto una pluralità di
contrari, non riduci bili ad un genere unico; ( 4) la carne non è l'or-
gano, ma il 'mezzo' del tatto; (5) non è chiaro se il tatto comprenda
o no più sensi; ( 6) il gusto non s'identifica col tatto; (7) come i
corpi in contatto non eliminano l'esistenza di un corpo intermedi<'
(l'aria o l'acqua), così tutti i sensi postulano l'esistenza di un 'mezzo':
quelli a distanza un mezzo esterno, quelli per contatto la carne,
la quale va distinta dall'organo tattile vero e proprio, che è interno
al corpo ed è localizzabile nella regione cardiaca; (8) oggetto del
tatto sono le quattro qualità elementari dei corpi; (9) l'organo tat-
tile è in potenza tali qualità, e si assimila ad esse; (l O) il tatto,
al pari di ogni altro senso, è una sorta di 'medietà' tra i sensibili

Baruch_in_libris
NOTE A B 11 337

e, come tale, è capace di discernerli; ( 11) il tatto ha per oggetto


il tangibile e il non tangibile.
2
( 422 h 17-33). Aristotele dà inizio al capitolo con quest'affer·
mazione: 'T:Ept OÈ 'tOU a'It'"tOV XrLL 1tEpt à.cpi}c; ò rLU'tÒc; Àoyoc; ( 422
h 17; per quest'espressione dr. Bonitz, Index, 436 a 18 sgg.). Se-
condo Filopono (422, 11-21), Rodier (I, 133; II, ad 422 h 17, 322),
Tricot (131 e n. 1), Smith (ad l.), Ross (259; ad 422 h 17, 261),
Siwek (163; 304 n. 501) e Laurenti (132 e n. 441) lo Stagirita
intende qui dire che lo studio del tatto deve procedere di pari
passo con quello del suo oggetto. Invece per Beare (Greek Theo'ries,
189) e Hicks (97; ad 422 h 17, 403) la frase significa che la rela-
zione fra tatto e tangibile corrisponde a quella dei primi quattro
sensi esaminati, e che pertanto l'indagine sul tatto dev'essere pre-
ceduta da quella sul suo oggetto (cfr. De an. B 4, 415 a 16-22).
A favore della prima esegesi milita il prosieguo del discorso dello
Stagirita: se il tatto non è un senso unitario, ma un insieme di di-
versi sensi, dovranno essere molti e diversi anche i suoi oggetti cor-
rispondenti ( 422 h 17-9).
Di qui si presentano due problemi: anzitutto se effettivamente
si debba parlare del tatto come di un senso plurimo, o se l'unità
di questo senso possa essere in qualche misura salvaguardata ( 422
b 19-20 ); in secondo luogo, se l'organo del tatto sia la carne o piut-
tosto un organo interno ( 422 h 20-3 ). Per 'tÒ atcrDT)-ri}ptov 'tÒ -rov
à.'It'"tLXOV ( 422 h 20) cfr. 423 a 16; De an. r 12, 434 h 9 sgg.; 13,
435 h 13. Per la parte corporea corrispondente (422 h 21: tò
analogon; cfr. anche 423 a 15) alla carne negli animali che non la
possiedono cfr. HA r' 16, 519 h 26-30; PA B 8, 653 h 19-22. Tò
proton aistheterion ( 422 b 22) designa l'organo tattile vero e proprio,
che è in relazione con l'oggetto tangibile mediante l'interposizione
della carne come 'mezzo' (dr. 423 b 30-1; De an. B 12, 424 a 24;
r 2, 425 b 19; 426 b 16: tò eschaton aistheterion; PA B 8, 653
h 23-7; inoltre Bonitz, Index, 653 h 25-9; 45-7). Per il cuore come
organo 'interno' ( 422 h 23: entos) del tatto cfr. 423 h 23; PA
B 10, 656 a 27-31; 656 h 34-6; GA E 2, 781 a 20 sgg.; Sens. 2,
439 a 1-2; Resp. 3, 469 a 12-4.
Lo Stagirita affronta il primo problema constatando in primo
luogo che, mentre gli altri sensi hanno per oggetto una sola coppia
di contrari, il tatto ne ha molte (422 h 23-7; cfr. anche De an.
B 6, 418 a 13-4; 8, 420 a 26 sgg.; r 2, 426 h 8-12; 7, 431 a
24 sgg.; Sens. 6, 445 h 23-6; 7, 447 h 26-448 a l), e ciò dovrebbe
far concludere che questo senso è plurimo (cfr. 422 h 17-9). Per
ÀEuxou xrLt J,.LÉÀrLvoc; ( 422 h 24) cfr. Sens. 3, 439 b 16-8; 4, 442
a 12; per 6~Éoc; xrLt f3rLpÉoc; ( 422 h 24-5) cfr. De an. B 8, 420 a 29;
per 'Itt.xpov xrLt yÀuxÉoc; (422 h 25) cfr. De an. B 9, 421 a 27; 10,
422 b 11-2. Riguardo alla pluralità di contrari percepiti dal tatto

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338 NOTE AB 11

(422 b 26; dr. PA B l, 647 a 16-9; GC B 2, 329 h 15 sgg.),


Hicks (ad 422 b 25, 405) fa osservare che essi si possono ridurre
a due principali: la resistenza e la temperatura.
Una certa quale soluzione dell'aporia potrebbe venire dal fatto
che anche gli oggetti che cadono sotto gli altri sensi presentano, a
ben vedere, una molteplicità di opposti ( 422 b 27-32), senza peraltro
che ciò pregiudichi l'unitarietà dei sensi rispettivi. Sulle caratteri-
stiche della voce (422 b 29-31) dr. HA à 9, 536 b 9-10; GA
E l, 778 a 18-9; 7, 786 b 7 sgg.; Rh. r l, 1403 b 31; inoltre Pla-
tone, Ti. 67 b 6-c 2. Ma lo stesso Aristotele è ben consapevole che
la soluzione da lui prospettata non è soddisfacente, giacché, mentre
nel caso degli altri sensi la molteplicità degli oggetti percepibili può
essere ricondotta ad un unico genere, la stessa cosa non può dirsi
per il tatto (422 b 32-3; cfr. anche 423 b 27 sgg.; per questa dif-
ficoltà dr. Hamlyn, ad 418 a 11, 105-6; Sorabji, Aristotle on De-
marcating) 68-9; inoltre Introduzione) 67). Per tò hypokeimenon
( 422 h 32) nel significato di 'cosa soggetta ad un senso' cfr. De
an. r 2, 425 h 14; 426 h 8; 10; Metaph. I l, 1053 h 3; GA
E 2, 781 a 16.
3
h 34-423 a 21 ). Aristotele affronta in questo passo il
( 422
problema formulato in 422 h 20-3, mostrando anzitutto come l'im-
mediatezza delle percezioni tattili, ossia il contatto immediato con
gli oggetti che in esse si verifica, non autorizza la conclusione che
la carne è l'organo del tatto (422 h 34-423 a 2; cfr. anche PA B 8,
653 h 24-30; per entos [422 h 34] cfr. 422 h 23; 423 h 23; per
Evi}éw~ [422 h 34] cfr. 423 a 3; De an. B 9, 421 h 31). A tal
fine egli propone « two ingenious suppositions » (Hicks, ad 423
a 2, 406). La prima è che, se si avvolgesse la carne del nostro
corpo con una membrana artificiale, l'immediatezza delle sensazioni
tattili che anche in queste condizioni si avrebbe, evidentemente non
legittimerebbe l'inferenza che l'organo tattile è rappresentato dalla
membrana stessa ( 423 a 2-5). In 423 a 2 non accolgo il "tL inserito
da Ross (ad l.; ad 423 a 2-6, 262) dopo "tL~. Per 1tEPL"tEL'JELE'J oto-v
VllÉ'Ja. ( 423 a 3) cfr. HA E 16, 548 h 32. La seconda ipotesi avan-
zata dallo Stagirita è che la suddetta membrana sia congenita al
nostro organismo (com'è di fatto la carne). In tal caso la percezione
avvettebbe con ancora maggiore rapidità ( 423 a 5-6), e cionondi-
meno la membrana non avrebbe nessun titolo per essere considerata
l'organo del tatto. Per 01Jllcpvi)~ ( 423 a 5; Ross, ad l.; ad 423 a 2-6,
262, reca o-up,cpvÉ~) cfr. 423 a 7 (1tEPLE1tEcpVXEL); 16 (1tpornecpvx6~);
De an. B 8, 420 a 4; 12.
Sviluppando quindi l'ipotesi della membrana congenita, Aristo-
tele propone « a remarkable piece of imaginative thinking » (Ross,
ad 423 a 6-11, 262): la carne del nostro corpo svolge la medesimà
funzione che avrebbe l'aria, se questa, invece di essere un corpo

Baruch_in_libris
NOTE AB 11 339

esterno, fosse a noi congenita e rappresentasse la parte più esterna


del nostro organismo. In questa situazione, non avendo noi pre-
sente la distinzione tra organo e 'mezzo' (cfr. Theiler, ad 423 a 4,
126), saremmo indotti nell'errata convinzione che i sensi a distanza
dispongano dello stesso e medesimo organo, ossia, appunto, del-
l'aria congenita, e che quindi s'identifichino (423 a 6-10). Come si
vede, ritorna a questo punto il problema impostato in 422 h 19-20:
quello dell'unicità o molteplicità del tatto. Il discorso svolto in 423
a 6-10 suggerisce infatti la possibilità che il tatto, che sembra un
senso unico, sia invece molteplice, giacché, come ex hypothesi l'aria
congenita potrebbe essere considerata l'organo dei tre sensi a di-
stanza, così la carne potrebbe essere ritenuta l'organo di un tatto
molteplice (cfr. anche Hicks, ad 423 a 7, 406). Per 1tEpt.E1tEcpuxEt.
6 ai)p (423 a 7-8) cfr. PA B 9, 6.54 h 27.
Sennonché- continua lo Stagirita- i sensi a distanza dispon-
gono di un 'mezzo' che non è congenito, ma esterno al corpo, e
ciò rende agevole il riconoscimento della diversità dei loro rispet-
tivi organi: l'occhio, l'orecchio e le narici ( 423 a 10-1; per a.t
Xt.Vi}CTEt.~ [ 423 a 10] cfr. 423 a 16: a.t a.toihlCTEt.~; Ph. a 2, 2.53
a 19: a.tai)-1)-rt.xii~ ••• xt.vi}crEW~; Sens. 6, 446 b 27 sgg.). Riguardò
al tatto non è invece altrettanto chiaro se sia un senso unico o
plurimo (423 a 11-2). In effetti- prosegue Aristotele- il corpo
o, meglio, la carne, non può essere formato soltanto d'aria o d'acqua
o di terra, ma da una mescolanza di questi elementi ( 423 a 12-.5;
cfr. anche De an. r 13, 43.5 a 11 sgg.). Di qui lo Stagirita conclude
che è precisamente il corpo o la carne così strutturata (e non certo
l'aria o l'acqua come tali) a rappresentare il 'mezzo' congenito del
tatto, mezzo che trasmette più (423 a 16: pleious; cfr. anche 422 h
18 sgg.) percezioni (423 a 1.5-7). Ora, essendo la carne un 'mezzo'
non esterno (cfr. De an. B 10, 422 a 9: allotriou), ma appunto
'congenito' ( 423 a 16: prospephykos), e, come tale, necessariamente
complesso (cfr. su ciò Hamlyn, ad 422 h 34, 111-2), non è facile
determinare, a differenza di ciò che avviene per i sensi a distanza
(cfr. 423 a 10-1), se attraverso questo mezzo agiscano uno o più
organi tattili (cfr. anche Hicks, ad 423 a 11, 407, ecc.). Per bouletai
einai ( 423 a 14) cfr. Sens. 4, 441 a 3-4; 7, 447 h 10-1; per
prospephykos (423 a 16) cfr. PA B 13, 6.57 h 3.5; 17, 661 a 11.
Che poi - conclude Aristotele - i sensibili il cui veicolo è
costituito dal corpo o dalla carne siano molteplici, risulta com-
provato da una parte speciale della carne, la lingua. Questa è bensì
capace di tutte le percezioni tattili e insieme di quelle gustative;
tuttavia ciò non comporta l'identificazione di tatto e gusto, giacché,
se con la lingua si percepiscono anche gli oggetti tattili, con il resto
del corpo evidentemente non si possono percepire i sapori ( 423 a
17-21). La carne è insomma il 'mezzo' di due sensi distinti (cfr.
anche Ross, aJ 423 a 17-21, 262-3 ). In 423 a 18 morion allude

Baruch_in_libris
340 NOTE A B 11

all'estremità della lingua (cfr. HA B 9, 492 h 27-30; PA B 17,661


a 3-6; EE r 2, 1231 a 12-7). Per antistrephein (423 a 21) dr. De
an. A 3, 406 a 32; Int. 13, 22 a 14-6; Metaph. 11. 6, 1016 h 28.
4
( 423 a 22-b 26 ). In questo lungo passo Aristotele riprende in
considerazione il problema del 'mezzo' del tatto. Il discorso si ar-
ticola nella presentazione e soluzione di un'aporia. I termini che
conducono alla formulazione dell'aporia vengono fatti emergere in
423 a 22-b l: il contatto tra due corpi non è mai immediato, ma
avviene sempre tramite almeno un corpo fluido, che può essere
l'aria o l'acqua. 'A1topi)aELE o' 6.v 'tL~, EL X'tÀ. ( 423 a 22) viene
ripreso da -rtO'tEpov ouv X'tÀ. ( 423 h 1). Pan soma (423 a 22) in-
clude anche i corpi fluidi, ossia l'aria e l'acqua. Per la profondità
come terza dimensione del corpo ( 423 a 22-3) dr. Top. Z 5, 142
h 24-6; Metaph. ~ 13, 1020 a 11-4; Cael. A l, 268 a 7-8; B 2,
284 h 21-5. L' 'umido' o 'liquido' implica un corpo liquido, e in
definitiva s'identifica con l'acqua, mentre il 'bagnato' possiede l'acqua
soltanto sulla sua superficie ( 423 a 24-6; cfr. anche GC B 2, 330
a 16-23). Tà eschata (423 a 27; cfr. anche 423 h 22) equivale a
tà akra (423 a 26); cfr. Ph. E 3, 226 h 23; GA B 4, 739 h 29.
L'elemento (aria od acqua) in cui gli animali (terrestri od acquatici)
vivono impedisce loro di percepire la pellicola d'aria o d'acqua che
si frappone tra due oggetti contigui ( 423 a 29-b 1). Per EL ( 423 h l)
nel senso di 'il fatto che' dr. De an. B 9, 421 h 13.
Alla luce di quanto è stato premesso in 423 a 22-b l, lo Sta-
girita formula l'aporia nei termini seguenti: o tutti i sensi percepi-
scono i loro oggetti tramite un 'mezzo', allo stesso modo che
- com'è stato rilevato nelle righe precedenti - un 'intermediario'
è ineliminabile anche nel caso di due oggetti contigui, oppure il
'mezzo' è richiesto solo per i sensi a distanza ( 423 h 3: apothen;
dr. De an. r 12, 434 h 27), e non anche per i cosiddetti sensi a
contatto ( 423 h 1-3 ). Nuv ooxEi: ( 423 h 2; cfr. anche 423 h 11:
ooxoulJrEV yàp vuv) si riferisce ad un'opinione corrente. La solu-
zione dell'aporia che Aristotele propone è che il 'mezzo' è prere-
quisito al funzionamento di tutti i sensi - 'mezzo' paragonabile a
quella 'membrana' ( 423 h 8-10) di cui sopra s'è parlato (cfr. 423
a 2-4) - , fatta salva la differenza che, mentre a proposito della
percezione a distanza il riconoscimento del mezzo è relativamente
agevole, nel caso dei sensi per contatto, data la vicinanza dell'oggetto
(che dà l'impressione di una percezione immediata), tale riconosci-
mento richiede un maggiore sforzo di analisi (423 h 4-12). Come
osserva Hicks (ad 423 h 8, 410), in 423 h 8 l1tt 'tOU'tWV si riferisce
direttamente a 'duro' e 'molle', ma indirettamente a tutti gli oggetti
del tatto e del gusto. Per au'twv a1t'tEai)at. ( 423 b 11) cfr. De an.
r l, 424 h 27-30; 13, 435 a 17.
Una seconda differenza che distingue i sensi a distanza da quelli

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NOTE A B 11 341

per contatto, è che nel caso dei primi l'oggetto agisce sul mezzo e
quest'ultimo a sua volta sull'organo sensorio, mentre nel caso dei
secondi l'oggetto agisce simultaneamente sul mezzo e sull'organo
(423 b 12-5; su questo punto cfr. però Smith, ad l. n. l; Hamlyn,
ad 423 a 22 sgg., 112). Sul paragone (non felice) dello scudo (423 b
15-7) cfr. Hicks (ad 423 b 16, 411) e Hamlyn (ad 423 a 22
sgg., 112).
Lo Stagirita afferma poi esplicitamente che la funzione della
carne e della lingua nei confronti rispettivamente del tatto e del
gusto è la medesima di quella esercitata dall'aria e dall'acqua nei
confronti dei sensi a distanza ( 423 b 17-20 ), ossia è una funzione
'intermediaria'. Il ruolo intermediario della carne e l'esistenza di un
'organo' interno del tatto vengono indotti mediante il « crucial
experiment » (Hicks, ad 423 a 22-b 27, 409) che un'oggetto posto
direttamente sull'organo sensorio non produce la percezione. Il fatto,
allora, che un oggetto a diretto contatto con la carne venga perce-
pito, mostra come quest'ultima non sia l'organo - che perciò è
'interno' al corpo - ma soltanto il 'mezzo' del tatto ( 423 b 20-6;
cfr. De an. B 7, 419 a 12 sgg.; 26 sgg.; 9, 421 b 16 sgg.). 'ExE~ ed
lv-rrtOitrt (423 b 21) si riferiscono rispettivamente ai sensi a di-
stanza ed a quelli per contatto. Per l'espressione nxaL Òi)ÀC'V O'tL
(423 b 22-3) cfr. De an. r 2, 426 b 15; Pol. B 10, 1272 a 3; GC
A l, 314 b 26.
5
( 423b 27-424 a 16). Nell'ultima parte del capitolo Aristotele
riprende anzitutto il tema degli oggetti del tatto ed afferma che
l'organo tattile ha in potenza le qualità che gli oggetti correlativi
possiedono in atto, giacché in ogni sensazione è l'oggetto sensibile
a far passare l'organo sensorio dalla potenza all'atto ( 423 b 27-
424 a 2). Per la dottrina delle qualità primarie che caratterizzano
i quattro elementi ( 423 b 27-9) cfr. GC B 2-3 (è a questo trattato
che ci si riferisce in 423 b 29). 'Corpo in quanto corpo' ( 423 b 27)
sta per 'corpo in quanto tale', ossia per 'corpo sensibile o tangibile'
(cfr. GC B 2, 329 a 6-15). Per kaloumene (423 b 30) cfr. De an.
A 2, 404 a 3; per l'espressione cicpi} ... ataiti)at.~ ( 4 2 3 b 31 ) cfr.
De an. r l, 424 b 24; 11, 434 a l; per l'organo tattile come sede
'primaria' (423 b 31: 7tPW't~) della facoltà cfr. 422 b 22; De an.
r 2, 426 b 16. Sulla sensazione come paschein ti ( 424 a l) cfr.
De an. A 5, 410 a 25; B 5, 416 b 33; 7, 419 a 17-8; 12, 424 a 34;
424 b 16; 17. Per l'azione dell'oggetto tattile che rende simile a
sé l'organo sensorio (424 a 1-2) cfr. De an. B 5, 417 a 17-8; 9,
422 a 7; 10, 422 b 2-3.
Dalla tesi della potenzialità dell'organo rispetto agli oggetti
sensibili Aristotele ricava la conseguenza che sono percepibili non
già gli stimoli tattili d'intensità pari a quella dell'organo, ma sol-
tanto quelli il cui grado è superiore o inferiore a quello dell'organo,

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342 NOTE AB 12

quest'ultimo essendo definibile come la 'medietà' o 'proporzione'


(dr. De an. B 12, 424 a 27; 31; 424 h l; r 2, 426 a 27 sgg.;
426 h 3; 7) tra i sensibili (424 a 2-5; dr. anche 422 h 23; De
an. r 2, 426 h 8-12; Mete. A 4, 382 a 17-21). Tiit; a.toiH)O"EWt;
(424 a 4) deve designare qui non il senso, ma l'organo sensorio
(cfr. Filopono, 435, 25; Ross, ad 424 a 4, 263, che cita De an.
B 8, 419 h 8; 420 a 4; Hamlyn, ad 423 h 27 sgg., 113). Per il
senso come mesotes (424 a 4) dr. De an. B 12, 424 h l; r 7,
431 a 11; 19; 13, 435 a 21; Mete. 11& 4, 382 a 19.
Dal fatto, poi - continua lo Stagirita - , che l'organo sen·
sorio è come una 'medietà' tra i sensibili, deriva la sua capacità
discriminativa dei sensibili stessi, capacità propria dell'organo del
tatto, di quello della vista (su questo punto cfr. però Hamlyn,
ad 423 h 27 sgg., 112-3) e di quelli degli altri sensi (424 a 5-10).
Per la funzione discriminatrice dei sensi ( 424 a 5: krinet) cfr.
De an. B 6, 418 a 14; 10, 422 a 21; r 2, 426 h 10 sgg.; 9, 432
a 16; MA 6, 700 h 20; APo. B 19, 99 h 35; Ph. 11 8, 216 h 19-20;
Mete. 11 4, 382 a 17-8; Metaph. K 6, 1063 a 2-3; EN r 10, 1118
a 27-8. Sulla dottrina che il 'medio' è il contrario dei due estremi,
e che a questo titolo li discerne (424 a 6-7) cfr. Cael. A 12, 282
a 18; Ph. E l, 224 h 30-5; 5, 229 b 14-21; 9 8, 262 a 19-26;
EN B 8, 1108 h 15-20. Sulla potenzialità della facoltà sensitiva in
rapporto ai sensibili ( 424 a 7-10) cfr. De an. B 5, 417 a 6 sgg.
Per l'intera tematica di 423 h 30-424 a 10 cfr. anche Introdu-
zione, 68-9.
Infine Aristotele rileva come il tatto, analogamente agli altri
sensi; ha per oggetto non solo il sensibile proprio, ma anche il
suo opposto, ovvero il 'non tangibile', che va distinto in ciò che
è appena percepibile e in ciò che (ad es. il fuoco), per l'eccesso
delle sue qualità tattili, può distruggere l'organo ( 424 a 10-5). Sul
'non visibile' (424 a 11) cfr. De an. B 7, 418 h 28-9; 10, 422
a 20 sgg.; per l'uso dell'imperfetto Ti'J ( 424 a 11) come rinvio ad
un'affermazione precedente cfr. De an. B 7, 419 a 9; 12, 424 a
31. Per l'attenuazione operata da 1tW~ (424 a 11) cfr. De an. B 10,
422 a 22-3; per a t Àot.1tat 'tW'J tÌ.'J'tt.XEt.(.lÉ'JW'J ( 424 a 11) dr. De
an. B 9, 421 h 3 sgg.; 10, 422 a 29-31; per 1tÉ1tO'J~E'J ( 424 a 14)
cfr. De an. r 5, 430 a 13.

NOTE AB 12
1
Sol\11\IARIO. - ) Il senso è ricettivo della forma sensibile
(l
senza la materia dell'oggetto; (2) la facoltà sensitiva è localizzata
nel rispettivo organo sensorio; (3) l'organo sensorio è un'entità
corporea, e di questa la facoltà costituisce l'essenza e la · capacità

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NOTE AB 12 343

operativa; (4) di qui risulta manifesto sia perché i sensibili troppo


forti distruggono i sensori, sia perché le piante non percepiscono.
(.5) La sensazione presuppone una 'passione', ma eccede quest'ultima.
2
424 a 17-b 3 ). Dopo la trattazione dei cinque sensi speciali
(
(De an. B 7-11), in De an. B 12-r 3 si ritorna ad una considera-
zione globale della sensibilità, da un lato riprendendo alcuni temi
affrontati in De an. B 5-6, e dall'altro (col mettere a frutto i ri-
sultati ottenuti nella ricerca sui sensi speciali) allargando la visuale
su nuovi aspetti della conoscenza sensitiva. Per xa1t6Àou SÈ 1tEpL
1taa1); atoihiaEw; ( 424 a 17) cfr. De an. A .5, 410 h 26; B .5,
416 h 32-3. La aisthesis può definirsi come la capacità ricettiva
delle forme sensibili indipendentemente dalla materia e dall'oggetto
concreto in quanto tale in cui esse si trovano calate, analogamente
alla cera che riceve l'impronta del sigillo, e non il metallo di cui
esso è costituito ( 424 a 17-24). La aisthesis ( 424 a 18), come
risulta da 424 a 24-.5, designa insieme la facoltà sensitiva e il suo
organo (cfr. anche De an. r 2, 426 h 8-12). Dektikon ( 424 a 18;
cfr. De an. r 2, 42.5 h 23; 4, 429 a 15; 12, 434 a 29; 13, 435 a
22) denota la ricettività ·o 'passività' o potenzialità del senso rispetto
al sensibile in atto (cfr. PA B l, 647 a 7-8; 28). Gli eide sensibili
( 424 a 18) sono le forme o qualità sensibili presenti negli oggetti
materiali, ossia i colori, i suoni, i sapori, ecc. (cfr. anche APo.
A 31, 87 h 28 sgg.). "A'VEU -rii~ OÀTJ~ (424 a 18-9) si spiega,
secondo Hicks (ad 424 a 18, 416; ad 424 a 24, 417), nella pre-
supposizione che l'anima è 'forma' e che 'forma' è pure il senso
(cfr. 424 a 27-8), il quale pertanto può apprendere solo le forme
e non la materia degli oggetti. Per il paragone dell'anello ( 424 a 19)
cfr. anche Mem. l, 450 a 30-b 3 con le osservazioni di Lanza,
in Lanza-Vegetti, Opere, 1126 n. 10; inoltre Platone, Tht. 191
c 8 sgg. Per "h a[CTÌ)'T)aL; txria-rou ( 424 a 22) cfr. De an. B 6, 418
a 16-7; r 2, 42.5 b 24; 426 b 8; 16 (au'tou); 3, 428 h 18; 6, 430
n
h 6; per &,À,À,' oux ~Xt:LO"'tO'V lXEL'VW'V ÀÉyE'tt:LL ( 424 a 23) cfr. De
an. B l, 412 a 8; r 4, 429 h 6; Metaph. 4 10, 1018 h 3-4; per
xa'tà 'tÒ'V Àoyo'V (424 a 24) cfr. De an. B l, 412 h 10-1.
Se ogni senso è definibile come la capacità di assumere in sé
le forme sensibili, lo aistheterion proton - prosegue lo Stagirita - ,
ovvero l'organo di ciascun senso (cfr. De an. B 11, 422 h 22),
fungerà da 'sede' di tale capacità ( 424 a 2.5: dynamis; cfr. anche
De an. B 11, 423 h 31), ossia della facoltà sensitiva (424 a 24-5).
Stanti cosi le cose, facoltà ed organo costituiscono un'identica realtà
percettiva, ma si distinguono 'essenzialmente' e 'logicamente', ossia
per loro nozione o definizione, in quanto l'organo corporeo è una
grandezza estesa, e la facoltà è precisamente il logos e la dynamis
di tale organo ( 424 a 2.5-8; cfr. anche De an. B l, 412 h 13-.5;
r 2, 426 b 9; Metaph. Z 10, 1035 h 14-8; 22-5; 11, 1036 b 28-32;

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344 NOTE A B 12

Pol. A 2, 1253 a 20-2). Per la distinzione la"tL IJ,È'V oÙ'V "tClÙ"tO'V,


r 2, 425 h 26-7; 426 a
"t"Ò o' Et'Va.L l"tEPO'V ( 424 a 25) cfr. De an.
15-7; 427 a 2-3; 7, 431 a 13-4; 19-20; 9, 432 h l; Sens. 7, 449
a 14-20; Mem. l, 450 h 20-5; Somn. Vig. 2, 455 a 20-2; Ph. r 3,
202 a 13-21; 4 13, 222 a 19-20; 8 8, 263 h 12-5; 1\fetaph. Z 3,
1029 a 22; A 10, 1075 h 4-6; EN E l, 1130 a 10-3. Tè a~~T)"tLXi;l
Et'VaL (424 a 27; cfr. anche De an. A 4, 408 a 25; B l, 412 h 13;
2, 413 h 29-30; r 4, 429 h 10 sgg.) designa l'essenza della facoltà
sensitiva, ovvero la facoltà considerata (astrattamente) in se stessa,
indipendentemente dall'organo in cui si trova. Per la facoltà sensi-
riva come logos tis kai dynamis ( 424 a 27-8), ossia come 'forma'
(od essenza) e capacità operativa dell'organo, cfr. anche 424 a 24;
De an. r 2, 426 h 3; GA B l, 731 h 19-20; GC A 5, 322 a 28-9;
Cael. A 7, 275 h 28-9; Pol. A 2, 1253 a 23; H l, 1323 h 33-6.
Da quanto precede Aristotele ricava la giustificazione di due
fatti. Anzitutto del fatto che stimoli eccessivi deteriorano e rendono
inutilizzabile l'organo sensorio (si ricordi l'effato scolastico: excel-
lens sensibile corrumpit sensum), giacché attentano al suo logos,
ossia alla sua capacità percettiva, in una parola al senso ( 424 a 28-32;
dr. anche De an. r 2, 426 a 27-b 7; inoltre Anassagora DK 59 A 92
[II, 28, 6-10]). Per ÀuE"tClL o Àoyo~ (424 a 31) cfr. GC A 10,
328 a 27-8: ÀVE"t"ClL yàp "t"Ò Etoo~. Hicks (105; ad 424 a 31;
ad 424 a 32, 418-9) - che si rifà a Metaph. H 2, 1043 a 10-1;
APo. B 2, 90 a 18-23; Sens. 3, 439 h 30-440 a 2; Phgn. 2, 807
a 16-7 - pensa che auiJ,cpW'VLa. e "t"O'VO~ ( 424 a 31-2; per il tonos
cfr. anche G A E 7, 78 7 a 5-6) si riferiscano ali' armonia della lira,
risultante complessivamente dal suono delle corde. Invece Hamlyn
(43; ad 424 a 28, 114) - richiamandosi a De an. r 2, 426 a 27;
29; 426 b 6; Sens. 7, 447 a 29-b 3 - ritiene che l'armonia e il
tono in questione siano quelli delle singole corde.
Un secondo fatto che trova spiegazione nel discorso precedente
è la mancanza di sensazioni nei vegetali (cfr. De an. A 5, 411 h
27-30; B 3, 415 a 1-3 ). Essi infatti non dispongono di una mesotes
che li renda idonei alla percezione, ossia ad assumere le forme
sensibili indipendentemente dalla materia (424 a 32-b 3). Ti mo-
rion psychikon ( 424 a 3 3) è la facoltà vegetativa o nutritiva (cfr.
De an. A 5, 411 b 27-30; B 3, 414 a 32-3; r 12, 434 a 22-6).
ITtiaxo'V"tti "t L ( 424 a 34) sta a significare che la pianta subisce
I'azione degli oggetti t attili (e non quella degli altri sensibili), in-
sieme con la loro materia (cfr. 424 b 3). Gli organi delle piante
hanno una struttura troppo semplice (ossia troppo terrosa e fredda;
dr. Sorabji, Body, 76), e di conseguet1za sono prive di quella 'me-
dietà' (424 h 1: mesotes; cfr. anche EN B 6, 1106 b 5-15; a questo
proposito Hicks, ad 424 h l, 419, ricorda l'uso platonico del ter-,
mine ~"t"PLO'V nel File bo e nel Politico) tra le qualità tangibili che
negli animali è costituita dalla carne (cfr. De an. A 5, 411 h 23-4;

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NOTE A r l 345

B l, 412 h 1-4; r 4, 429 h 14-6; 13, 435 a 20-b 3 ). Con la clausola


1trLQ"XEt.V ~'tà'ti]c; uÀ.1}c; ( 424 h 3) si vuole evidenziare il fatto che
le piante, nell'assorbire il nutrimento, assumono sia la forma che
la materia dei tangibili (del caldo, del freddo, dell'umido, ecc.). Su
ciò dr. tuttavia Hamlyn, ad 424 a 28, 114-5; inoltre Introdu-
zione, 69-70.
3
( 424 h 3-18). Si affronta il seguente problema: se una cosa
(ad es. una pianta; cfr. 424 a 32-b 3) non dotata dell'olfatto, della
vista e degli altri sensi possa o no subire l'azione dei sensibili corre-
lativi (424 h 3-5; cfr. anche De an. B 9, 421 h 23-6). La risposta
dello Stagirita è negativa, e viene motivata con una duplice ar-
gomentazione. Anzitutto l'oggetto sensibile non può esercitare
un'azione diversa da quella di produrre l'atto percettivo corrispon-
dente (424 h 5-9). Per il fenomeno olfattivo (424 h 6) cfr. anche
De an. B 9, 421 h 21-3. In secondo luogo, l'influsso 'fisico' dei
sensibili sui corpi non è esercitato dai sensibili in quanto tali (che
pertanto non vengono percepiti), ma dall'elemento o 'mezzo' in cui
si trovano ( 424 h 9-12).
A questo punto Aristotele si prospetta un'obiezione: siccome i
corpi inanimati subiscono un'alterazione da parte dei tangibili
(caldo, freddo, ecc.) e dei XUIJ..OL ('sapori'-'succhi', come gli acidi
che agiscono sui minerali od i vegetali), si potrebbe supporre che
la subiscano anche da parte degli oggetti dei sensi a distanza ( 424 h
12-4). La risposta dello Stagirita è che un influsso 'fisico' dei sensi-
bili a distanza si verifica soltanto su un tipo particolare di corpi
( 424 h 14-6) e, soprattutto, che, se ogni sensazione è un paschein,
non ogni paschein è una sensazione ( 424 h 16-8): il paschein è
insomma la condizione necessaria, ma non sufficiente, dello aistha-
nesthai. Per i corpi 'indefiniti' ( 424 h 15: aorista) cfr. Sens. 3,
439 h 3; per ou J.LÉVEt ( 424 h 15) Hicks (ad 424 h 15, 421) cita
l'eracliteo '1trLV'ta XWPEL xatouoÈv JJ.É'VEt, (DK 22 A 6 [1, 145, 27-8]).

NOTE A r l
1
SoMMARIO. - (l) Non v'è alcun altro senso specifico oltre
ai cinque già esaminati, ciascuno riferibile ad uno degli elementi:
l'organo della vista è formato d'acqua, quello dell'udito d'aria,
quello dell'olfatto d'aria o d'acqua, quello del tatto e del gusto
prevalentemente di terra, mentre in tutti gli organi di senso è pre-
sente il fuoco sotto forma di calore vitale. (2) Il senso comune:
(a) non esiste uno speciale organo sensorio per i sensibili comuni,
percepiti accidentalmente dai sensi speciali; (h) i koinà si colgono at-
traverso il movimento; (c) non esiste un sesto senso speciale per

Baruch_in_libris
346 NOTE A r l

i sensibili comuni, poiché altrimenti questi si ridurrebbero a 'sen-


sibili per accidente', al modo in cui un senso speciale percepisce
accidentalmente lo idion di un altro senso, od al modo in cui un
senso speciale coglie accidentalmente l'oggetto cui inerisce un sen-
sibile proprio; (d) il senso comune percepisce per se i sensibili
comuni; (e) ciascun senso speciale percepisce accidentalmente gli
idia degli altri sensi; (f) l'esistenza di più sensi speciali per la per-
cezione dei koinà ha per scopo di rendere più agevole il loro rico-
noscimento.
2
(424 h 22-425 a 13). I commentatori greci (cfr. Alessandro,
De an. 66, 3 sgg.; Simplicio, 172, 4 sgg.; ps. Filopono, 446, 5 sgg.;
Sofonla, 105, 8 sgg.), nonché Tommaso (III, l, no 564, 142), Pacius
(99) ed i Comm. Conimb. (236) fanno iniziare il terzo libro a
questo punto, mentre Alberto Magno ( 170, 55 sgg.) ed Egidio Ro-
mano (ad l.) al capitolo terzo (ossia con l'indagine sull'immagina-
zione), ed Averroè (379), Zabarella (655) e Maurus (89) al quarto
(e cioè con la trattazione dell'intelletto).
In questa prima parte del capitolo Aristotele dimostra l'impos-
sibilità dell'esistenza di un sesto senso speciale all'infuori dei cinque
già esaminati (cfr. 424 h 22-4; inoltre HA à 8, 532 b 29-33; Sens.
5, 444 h 19-20). La complicata argomentazione dello Stagirita (cfr.
424 h 24 sgg.), alleggerita nella nostra traduzione, è strutturata in
una . protasi ( 424 h 24-425 a 9: Et yàp ... l'Jta. ~@a.), da Bonitz
(Aristotelische Studien, Il, 132-5 [ 412-5]) suddivisa in sei membri,
e in un'apodosi ( 425 a 9: '7téicrat. lipa. x~À.). Si inizia affermando
l'esistenza del tatto come senso del tangibile in quanto tale ( 424 b
24-6 ). Si rileva inoltre come l'esistenza e la mancanza di un senso
implicano necessariamente quelle dell'organo sensorio corrispondente
(424 h 26-7; cfr. anche APo. A 18, 81 a 38-9; sulla connessione
tra senso ed· organo cfr. De an. B 12, 424 a 24-8). Lo Stagirita
prosegue da un lato ribadendo ancora una volta l'esistenza del
tatto - e, implicitamente, di quella forma di tatto che è rappre-
sentata dal gusto (cfr. De an. B 10, 422 a 8; r 12, 434 h 18) -
come senso 'per contatto' immediato (cfr. De an. B 11, 423 h 11;
r 2, 426 h 16; 13, 435 a 17; Sens. 7, 449 a 24), salva, beninteso,
la funzione della carne come 'mezzo' incorporato al soggetto sen-
ziente ( 424 b 27-9), e dall'altro distinguendolo dai sensi a distanza,
i cui 'mezzi' sono esterni ( 424 b 29-30; per 'tà. ti.1tÀd [ 424 b 30]
nel senso di 'corpi semplici' o elementi cfr. De an. B 4, 416 a 28).
Approfondendo il tema dei sensi a distanza, Aristotele propone
due ipotesi. La prima (424 b 31-4) ha dato adito ad interpretazioni
discordanti. La difficoltà principale è rappresentata dal significato
che si deve attribuire alla clausola tò toiouton aistheterion (424 h
32). Secondo l'esegesi prevalente (cfr., ad es., Rodier, l, 145; II,
ad 424 b 31-425 a 2, 347; Hicks, ad 424 b 32, 424; Tricot, 146

Baruch_in_libris
NOTE A r l 347

n. 3; Smith, ad l.; Ross, 267; Siwek, 177; Hamlyn, 45; ad 424 h


22, 116), con tale espressione lo Stagirita vuol designare l'organo
sensorio corrispondente al 'mezzo', ossia - conformemente all'esem-
plificazione proposta in 424 h 33-4 - il sensorio costituito di aria.
Quest'esegesi conduce però all'assurda conseguenza per cui l'organo
dell'udito, che è formato di aria (cfr. 425 a 4-5), attraverso il
'mezzo' - ossia l'aria-ambiente - , sarebbe in grado di percepire
non soltanto i suoni, ma anche i colori. Sennonché, evidentemente,
i colori possono essere percepiti soltanto dall'occhio, il quale d'altro
lato (cfr. 425 a 4) è composto non di aria, ma di acqua. Una via
per uscire dall'impasse potrebbe essere quella indicata da Hamlyn
(ad 424 b 22, 116), che propone di considerare questa prima come
una falsa ipotesi, giacché l'assunzìone di un unico mezzo (cfr. 424 b
31: ot.' lvét;) per i sensi a distanza non può corrispondere al reale
punto di vista aristotelico. Diversa (ma non convincente) è la so-
luzione avanzata da Long (Aristotle, 372-4), il quale interpreta lo
tvét; per analogia con il successivo "tOU au"tou (425 a l), attribuen-
dogli il valore di 'medesimo' (così già }annone-Barbotin, ad l.:
« si le meme milieu )) ), riferisce l'espressione tò toiouton aisthe-
terion a 1tÀE!w ata~T)"ta di 424 b 31 (« gli organi di senso diversi
dal tatto [cfr. De an. r 2, 425 b 25: tv "tOLt; at~T)"tT)p,ot.t;], con
cui sono percepiti i differenti sensibili»), ed inoltre suggerisce un
improbabile emendamento di xpéat; ( 424 b 34) in oatJ:ijt;: « se l'or-
gano sensorio è composto di aria - come lo sono l'organo dell'udito
e, in certi animali (cfr. 425 a 5), quello dell'olfatto - , e l'aria è
il 'mezzo' del suono e dell'odore » ( 424 b 33-4 ). In definitiva per
Long il significato della prima ipotesi è il seguente: laddove due
sensi (udito e olfatto) possiedono un elemento costitutivo in co-
mune (l'aria), essi possono operare attraverso un 'mezzo' comune
(l'aria-ambiente), che è composto di quello stesso elemento. Sui
sensibili appartenenti a generi diversi (424 b 31-2) cfr. Sens. 7,
448 a 13-9.
La seconda ipotesi ( 424 b 34-425 a 3) prospetta la situazione
seguente: se si dànno uno o più oggetti sensibili (ad es. il colore
o l'odore; per il riferimento all'odore cfr. Alessandro, Quaest. III,
VI, 91, 6) e due 'mezzi' (aria ed acqua) con cui percepirli, l'organo
sensorio può possedere anche uno solo dei due elementi corrispon-
denti (così l'occhio è costituito di acqua [cfr. 425 a 4] e l'olfatto
d'acqua o d'aria [cfr. 425 a 5] ). Per la trasparenza dell'aria e del-
l'acqua ( 425 a l) cfr. De an. B 7, 418 b 7-8. Sul complesso delle
due ipotesi Hamlyn (ad 424 b 22, 116) osserva che esse si fondano
sulla presupposizione della corrispondenza tra organo sensorio e
'mezzo', presupposizione che Aristotele non giustifica. Ma già Rodier
(Il, ad 424 b 22-425 a 13, 346) aveva notato che tale giustifica-
zione si può reperire in De an. B 5, 416 b 35-417 a 2 (simile a
simili patitur); 7, 419 a 18-20 (necessità del 'mezzo').

Baruch_in_libris
348 NOTE A r l

Lo Stagirita passa· quindi a indicare in dettaglio i costituttvl


materiali degli organi di senso. I componenti dei tre sensi a di-
stanza sono due: aria ed acqua. Essi corrispondono agli elementi di
cui sono formati i rispettivi 'mezzi'. Questi tre sensori sono pre-
senti in alcuni animali (cfr. 425 a 9). Gli organi del tatto e del
gusto sono invece costituiti prevalentemente di terra, mentre il fuoco,
sotto forma di calore, si trova in tutti e cinque i sensori ( 425 a 3-9 ).
Sulla composizione materiale degli organi di senso cfr. De an.
r 13, 435 a 11-24; Sens. 2, 438 h 16-439 a 4. Per la natura acquea
dell'occhio e della pupilla ( 425 a 4) cfr. Sens. 2, 438 a 5-24; GA
E l, 779 h 21 sgg. Per akoe (425 a 4) ed osphresis (425 a 5) come
termini designanti gli organi sensori cfr. 425 a 7; De an. B 7,
419 a 13; 11, 423 h 18-9; Sens. 2, 438 h 21; GA B 6, ì44 a 2. La
clausola (l) i) o' oacppT)CTL~ i}a'tÉpou 'tOU'tW'V ( 425 a 5) ~embra in
contrasto con l'affermazione (2) 1tUpÒ~ OÈ 'tÌ")'V ocrcppT)C"L'J di Sens. 2,
438 h 20-1. Per Rodier (Il, ad 425 a 5, 349) la (2) non rappre-
senta il punto di vista di Aristotele, ed anche Ross (in Sens., ad
438 h 16-439 a 4, 194) pensa ad un « earlier thinker >>. Secondo
Hicks (ad 4 25 a 4, 4 24-5) la ( l) con tiene, rispetto alla ( 2), la tesi
più matura dello Stagirita sull'argomento, mentre Theiler (ad 425 a
10, 130-1) fa rientrare la (2) in una personale e più estesa ricerca
di Aristotele. D'altro lato Ross (ad 425 a 5, 269) fa osservare come
per Aristotele l'odore, che è qualcosa di secco (e caldo) in atto, fa
passare l'olfatto, umido (e freddo) in atto - precisamente, se-
condo la (l), composto di elementi 'umidi' o fluidi - , da una con-
dizione di secco in potenza (cfr. De an. B 9, 422 a 6._7) ad uno
stato di secco in atto. Da questo punto di vista si può concludere
che, mentre la (l) descrive le condizioni dell'organo olfattivo prima
della sua attivazione da parte dell'odore, la (2) rappresenta l'olfatto
in atto. S'aggiunga che nella (l) ita'tÉpou 'tOU'tWV sta ad indicare
che l'organo dell'olfatto negli animali terrestri è composto d'aria,
e in quelli acquatici d'acqua; e che gli animali che possiedono tutti
e cinque i sensi ( 425 a 8-9) sono i vivipari terrestri ed i sanguigni
ovipari (cfr. HA à 8, 532 h 33-533 a 2).
In conseguenza di quanto precede Aristotele può concludere
che gli animali appena ricordati non sono provvisti di altri sensi
speciali all'infuori dei cinque già nominati, sensi che corrispondono ai
quattro elementi del mondo sublunare e alle loro rispettive qualità
( 425 a 9-13 ). Per gli animali non imperfetti né menomati ( 425 a .10)
cfr. De an. B 4, 415 a 27; r 9, 432 b 22-3; Somn. l'ig. 2, 455 a
5-8. Per la talpa ( 425 a 11) come esempio di animale che ha subìto
una menomazione cfr. HA A 9, 491 b 26-34; à 8, 533 a 2-15;
Metaph. à 22, 1022 b 26-7. Per i corpi terrestri ( 425 a 12:
E'V'ta.vita) cfr. Cael. A 2, 269 a 31. Come fa notare Theiler (ad ,
425 a 10, 130), la tesi aristotelica della corrispondenza degli or-
gani sensori agli elementi corporei trova un precedente sia nei fi-

Baruch_in_libris
NOTE A r l 349

siologi (dr. PA B l, 647 a 9-14; Sens. 2, 437 a 18-22) sia in


Platone (dr. Ti. 42 c 7 sgg.; 43 c l sgg.; 61 c 4 sgg.; 66 d l sgg.).
Infine Rodier (Il, ad 424 h 22-425 a 13, 346) - che si richiama
ad Alessandro (De an. 66, 3-8) e Temistio (81, 15-7) - e Cherniss
(Pres., 5) rilevano che l'insistenza dello Stagirita sulla finitezza di
numero degli elementi e dei sensi è dovuta alla preoccupazione di
salvaguardare l'ideale di 'perfezione' della conoscenza intellettiva e
della scienza.
3
( 425 a 14-b 11 ). Si affronta il tema del cosiddetto 'senso
comune' (cfr. su ciò Beare, Greek Theories, 276 sgg.; De Corte,
Notes exégétiques, 187 sgg.; Cantin, La perception, 9 sgg.; Block,
Three German, 58 sgg.; Hamlyn, Koine, 195 sgg.). Dopo aver
escluso, nella prima parte del capitolo ( 424 h 22-425 a 13 ), l'esi-
stenza di un sesto senso speciale in ordine alla percezione dei sen-
sibili propri, Aristotele asserisce che, a pari, non c'è necessità di
supporre l'esistenza di uno speciale organo senso rio per la perce-
zione dei sensibili comuni ( 425 a 14-6 ). La clausola W'V lxcia'tn
a.tai}i)o-Et. a.l.a-òtx.'VOIJ,Ei}a. xa.'tà. auiJ,~Ea1')x6~ ( 425 a 15) è stata og-
getto di interpretazioni divergenti. Torstrik (in app. crit. ad l.; ad
425 a 13, 162) - del resto preceduto dalla recensio nova ( « non
secundum accidens »; cfr. Tommaso, 141) - inserisce prima di
xa.'tci un ov, richiamandosi a 425 a 27-8 ed a De an. B 6, 418 a
10-1. Rodier (ad l.; l, 147; II, ad 425 a 15, 353-4) conserva il
testo tràdito, sostenendo tuttavia che qui Aristotele non espone le
proprie idee, ma enuncia la seguente obiezione: esiste un sesto
senso per i sensibili comuni, e pertanto i cinque sensi speciali li
percepiscono per accidente (cfr. anche Simplicio, 182, 38-183, 4;
Tricot, 148 e n. 2; Theiler, 50; ad 425 a 14, 131). Hicks (ad l.;
ad 425 a 15, 426-7)- sulla scorta di Trendelenburg (ad 425 a 20,
350) e Wallace (ad 425 a 14, 253) -mantiene il testo dei mss. ed
a ragione crede che esprima l'effettiva opinione dello Stagirita: i
sensi speciali percepiscono per se i sensibili propri (suoni, colori,
ecc.), ed indirettamente ed accidentalmente sia gli oggetti in se
stessi sia i koinà (cfr. 425 a 27 sgg.; 425 b 5 sgg.; De an. B 6,
418 a 8 _sgg.; r 3, 428 b 22-4; Mem. l, 450 a 9-14). Così anche
Ross-tad 425 a 14-30, 270); Hamlyn (ad 425 a 14, 117): poiché
i sensibili comuni sono percepihili da più di un senso speciale, non
sono essenziali ad alcuno di questi ultimi; Graeser (On Aristotle's,
81 sgg.). Nell'elenco dei koinà ( 425 a 16) dopo (Ìpt,i}~ou, con tutti
i codici e con Rodier (ad l.), Hicks (ad l.; ad 425 a 15, 427-8),
Tricot (148), Smith (ad l.), Hett (ad l.), Gigon (320), Siwek (ad l.;
311 n. 544), Theiler (50), }annone-Barbotin (ad l.), Hamlyn ( 46;
ad 425 a 14, 118) e Laurenti ( 147 e n. 484 ), conservo l'V6c;, as-
sente nella lista di De an. B 6, 418 a 17-8 e Sens. l. 437 a 9. ed
omesso da Ross (ad l.; ad 425 a 14-30, 270). Per la distinzione

Baruch_in_libris
350 NOTE A r l

tra l'uno e il numero cfr. Metaph. A 6, 987 h 29-30; il 15~ 1021 a


12-3; I l, 1053 a 27-30; N l, 1088 a 6-8. Altri elenchi dei sensi-
bili comuni in De an. r 3, 428 h 22-30; Sens. 4, 442 h 4-13; Mem.
l, 450 a 9-12; 451 a 16-7; 2, 452 h 7-13.
Aristotele analizza quindi la modalità con cui avviene la perce-
zione dei koinà (425 a 16-7). Tale percezione è sempre connessa
con il movimento ( 425 a 16-7). Sul significato di questo primo
xt.vi}aEL (425 a 17) gli autori sono divisi. Secondo una prima ese-
gesi tale espressione designa il mutamento o pathos prodotto dai
koinà nel soggetto percipiente. Cosl Temistio (81, 30-1), Simplicio
( 183, 4-11 ), ps. Filopono ( 457, 29-30), Tommaso (III, l, no 577,
144 ), Rodier (II, ad 425 a 16, 355), Tricot ( 149 n. l), }annone-
Barbotin (104) e Laurenti (147 n. 485, che cita Mem. 2, 452 b
9-13 ). Una seconda interpretazione ravvisa in kinesei il movimento
esterno dei corpi. Cosi Trendelenburg (ad 425 a 13, 348, che si
rifà a Ph. Il. 4, 211 a 12-3) e Hicks (ad 425 a 17, 428-9). Vanno
infine ricordate le soluzioni di Torstrik (ad l.; ad 425 a 13-30,
162-3), che (sulla base dell'edizione Aldina di Simplicio; cfr. Sim-
plicio, 184, 7, in app. crit. ad l.) emenda xt.vi}aEL in xot.vii, e di Ross
(ad l.; ad 425 a 14-30, 270), che espunge questo primo kinesei
perché Aristotele non spiega la percezione del numero facendo rife-
rimento alla kinesis.
Anche sulla spiegazione che lo Stagirita dà della percezione dei
singoli sensibili comuni (425 a 17-20) i pareri degli interpreti sono
discordi. MÉyeito~ xt.vi]aet. (425 a 17), secondo Simplicio ( 183,
17-20), ps. Filopono ( 458, 19-20) e Rodier (I, 147), significa che
noi percepiamo la grandezza o quantità o intensità di uno stimolo
sensoriale mediante il movimento che esso provoca in noi (cfr.
Cat. 6, 5 b l sgg.; inoltre Platone, Ti. 67 c 1). Invece Hicks (ad
425 a 17, 428-9) ritiene che qui venga stabilita una connessione
tra la grandezza spaziale e il movimento in quanto oggetti perce-
piti, nel senso che il moto è la ratio cognoscendi della grandezza
o dimensione (dr. Ph. Il. 11, 219 a 12 sgg.; Mem. l, 450 a 9-14).
Theiler (ad 425 a 17, 131) fa riferimento al moto locale del perci-
piente (del capo o della mano), che s'accompagna alla percezione
della grandezza. Interessante anche l'esegesi di Hamlyn (ad 425 a
14, 118), il quale rileva che il movimento richiesto per la perce-
zione della grandezza può essere sia fisico che psichico. Con 'tÒ
o' 'Ì]pEIJ,OVV 'tcll p:Ì) XLVELaitett. ( 425 a 18; dr. anche Ph. 9 l, 251
a 26-7) Aristotele intende affermare, secondo ps. Filopono ( 458,
31-6), che ciò che ci permette di percepire la quiete è la costanza
dell'impressione prodotta in noi dagli oggetti immobili. Per Hicks
(ad 425 a 18, 429) la nostra clausola stabilisce che la quiete è la
cessazione del movimento nell'oggetto esterno e va interpretata alla,
luce del principio che la conoscenza dei contrari è la stessa (cfr.
425 a 19; De an. A 5, 411 a 3-7; B 10, 422 a 23; r 3, 427 b 5-6;

Baruch_in_libris
NOTE A r l 351

6, 430 h 20-3 ). Il numero - prosegue Aristotele - viene perce-


pito in due maniere. La prima è mediante la negazione della conti-
nuità ( 425 a 19) - analogamente al caso, appena considerato,
della quiete - , che comporta il riconoscimento del numero come
quantità discreta (dr. Cat. 6, 4 h 22-4; 31; Ph. à 12, 220 h 2-3).
Hamlyn (ad 425 a 14, 118) è dell'avviso che qui sia implicato un
movimento psichico e richiama l'enumerazione tematizzata in Ph.
9 8, 263 a 25 sgg. La seconda modalità della percezione del nu-
mero si ha attraverso la percezione dei sensibili propri (425 a 19)~
giacché, come spiega Hamlyn (ad 425 a 14, 118), .la percezione del-
l'unità (dr. 425 a 16: tv6c;) si ha perché ciascun senso percepisce
un sensibile alla volta (425 a 20 ), mentre quella della pluralità
o del numero dipende dalla pluralità dei sensi impiegati o dal nu-
mero dei casi in cui un determinato senso viene esercitato.
Avendo stabilito che non esiste uno speciale organo sensorio
per la percezione dei sensibili comuni, e che tali sensibili vengono
percepiti accidentalmente da ciascun senso speciale, lo Stagirita ri-
cava la conseguenza che i koinà non possono essere colti da alcun
senso speciale distinto dai cinque già considerati (425 a 20-1; per
la connessione tra aistheterion ed aisthesis cfr. 424 h 26-7). Se infatti
esistesse un sesto senso speciale per la percezione dei sensibili co-
muni, tale percezione (per gli altri cinque sensi speciali, ad es. per
la vista; dr. Hamlyn, ad 425 a 14, 118) sarebbe puramente ac-
cidentale e indiretta. Difatti, in primo luogo, una tale percezione
sarebbe simile a quella che la vista ha del 'dolce'. Come la vista,
in un dato oggetto, ad es. nello zucchero, coglie propriamente e
direttamente il 'bianco', e indirettamente il 'dolce' (che è l'oggetto
proprio del gusto), cosl la vista medesima coglierebbe indiretta-
mente anche i sensibili comuni (ad es. il movimento), che sarebbero
gli oggetti 'propri' del sesto senso ipoteticamente ammesso (425 a
21-2). La percezione del dolce tramite la vista avviene perché
- continua Aristotele - aiJ,cpot:v Mxcv-rE~ -ruyxcivotJ,E'J a,[ai}T)Q"t'J'
n 8-ra.v truiJ,1tÉO"WCTt'J ifiJ,a. Y'JWPL~OIJ,E'J ( 425 a 23-4). Le principali
interpretazioni di questo non facile passaggio sono quelle di Hicks
e di Hamlyn. Hicks ( 111) cosi lo traduce: « we have a sense which
perceives both ( = il bianco e il dolce), and by this (Hicks legge
n xa.l) we actually apprehend the two simultaneously when they
occur in conjunction ». Secondo questo autore (ad 425 a 14-b 4, 426;
ad 425 a 24, 430) aisthesin denota qui il senso comune, giacché,
da Sens. 7, risulta come la percezione simultanea (hama ghnori-
zomen) o associazione di due o più sensibili di genere diverso non
può che spettare al senso comune (dr. Sens. 7, 449 a 17-8; inoltre
Ross, 34; Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1059-61; Laurenti, 149
n. 490). Diversa è !a posizione di Hamlyn, che cosl rende il nostro
passo: « we in fact have a perception of both, as a result of which
we recognize (a'Ja.yvwpl~oiJ,E'J; questa variante è stata adottata anche

Baruch_in_libris
3.52 NOTE A r l

da Bekker, ad l.; Trendelenburg, ad l.; Hett, ad l.; Gigon, 320;


Theiler, 50; ad 425 a 21, 131; }annone-Barbotin, ad l.; Laurenti,
149) them at the same time when they fall together >> ( 46). Hamlyn
(ad 425 a 14, 118) ritiene che non sia necessario interpretare 425 a
21-4 nello stesso senso di 425 a 30 sgg., ossia in rapporto alla
'percezione simultanea', ma piuttosto in relazione al 'riconosci-
mento' di una percezione già avuta: poiché anteriormente abbiamo
visto il bianco e gustato il dolce, che ci si sono presentati insieme,
ad es., nello zucchero, vedendo ora, una seconda volta, lo zucchero,
noi lo vediamo immediatamene come dolce.
In secondo luogo, se si ammette l'esistenza di un sesto senso
speciale per la percezione dei koinà, tale percezione potrebbe con-
figurarsi come ancor più accidentale e indiretta che nel caso consi-
derato in 425 a 21-4, potrebbe cioè assimilarsi alla percezione che
la vista ha non già del suo sensibile proprio- ad es. del 'bianco' - ,
ma dell'oggetto cui tale sensibile appartiene ( 425 a 24-7): la vista
percepirebbe, ad es., il movimento, allo stesso modo in cui perce-
pisce il 'figlio di Cleone' (cfr. anche De an. B 6, 418 a 21-4; anche
questo secondo tipo di percezione accidentale viene da Ross, 32, ri-
portato al senso comune). Su 425 a 20-7 cfr. anche Graeser, On
Aristotle}s} 83-6.
Viene quindi enunciata la tesi che dei sensibili comuni noi ab·
biamo una aisthesis koine (per quest'espressione cfr. anche PA Il.
10, 686 a 31; Mem. l, 450 a 10; Somn. Vig. 2, 455 a 12 sgg.), ovve-
ro un senso o percezione comune (s'intende a due - la vista e il
tatto - o a più sensi; cfr. De an. B 6, 418 a 19-20), rispetto alla
quale (e non in rapporto a ciascun senso speciale; cfr. 425 a 15) i
koinà non sono percepiti accidentalmente, ma per se. Questo senso o
percezione comune, in quanto tale, non può costituire un sesto senso
speciale, giacché altrimenti si ricadrebbe nell'accidentalizzazione dei
koinà appena esclusa (425 a 27-30). In 425 a 29-30 espungo ~Ò'J
KÀÉw'Vo~ ul.Ò'J T)I..J..&~ òp&'J, con Torstrik (ad l.; ad 425 a 13-30,
165), Forster (ad l.), Ross (ad l.), Theiler (50), Hamlyn (46) e
Laurenti (150 e n. 492); eiretai (425 a 29) si riferisce ad entrambi
i casi contemplati in 425 a 21-7.
Aristotele ribadisce poi il carattere accidentale della percezione
che un dato senso speciale ha del sensibile proprio di un altro
senso. Tale percezione è resa possibile dal fatto che i sensi non
operano separatamente, ma congiuntamente, producendosi quindi
una percezione simultanea, sufficiente da sé sola a farci dire che
determinate qualità appartengono ad un medesimo oggetto (cfr.
Hamlyn, ad 425 a 30, 120: noi non percepiamo prima il giallo
e l'amaro, e poi il fatto che essi si trovano insieme). Tale situazione
comporta ovviamente possibili errori nell'identificazione degli og~
getti ( 425 a 30-b 3 ). Lo Stagirita chiude il capitolo affermando che
la pluralità dei sensi speciali (cfr. De an. B 6, 418 a 19-20) per la

Baruch_in_libris
NOTE A r 2 353

percezione dei sensibili comuni (ossia dei sensibili 'concomitanti'


a quelli propri [ 425 h 5: tà akolouthounta] ed 'inerenti' a questi
[425 h 10: hyparchei]; cfr. Graeser, On Aristotle's, 79-80, che
cita APr. A 4, 26 a 2; Cat. 2, l a 24-5; 28) ha per fine di age-
volare il riconoscimento dei koinà stessi. Se infatti la vista fosse il
nostro unico senso speciale, saremmo indotti a non distinguere, ad
es., il colore dalla grandezza, grandezza che noi invece percepiamo
più facilmente dato che essa inerisce anche al tangibile ( 425 h 4-
11; cfr. però Hamlyn, ad 425 b 4, 121).

NOTE A r 2
1
SoM!\IARIO. - A) Coscienza della percezione: ciascun senso
speciale è consapevole dei propri atti percettivi, e non deve tale
coscienza ài sé ad un altro senso. B) Senso e sensibile: ( l) senso
e sensibile in atto s'identificano nel medesimo processo percettivo,
di cui costituiscono l'uno l'aspetto soggettivo e l'altro quello og-
gettivo; (2) il sensibile e la sensazione in atto si trovano nel senso
stesso; (3) il senso e il sensibile s'identificano soltanto qualora si
trovino in atto, e non semplicemente in potenza, una distinzione
che è sfuggita ai fisiologi. C) Il senso, in quanto 'proporzione', ri-
mane danneggiato dai sensibili in eccesso, ed invece prova sensa-
zioni piacevoli soprattutto in presenza di sensibili 'mescolati' e
proporzionati. D) La discriminazione percettiva: (l) ogni senso spe-
ciale distingue le differenze del proprio oggetto sensibile; ( 2) la
discriminazione tra sensibili appartenenti a sensi diversi: (a) tale
discriminazione non può verificarsi che mediante un atto percettivo;
(b) non ha la carne come suo primo organo sensorio; (c) non av-
viene per mezzo di due sensi che giudichino separatamente, ma
mediante la loro collaborazione ed unità; (d) non si svolge in
tempi distinti~ ma simultaneamente; (e) è opera del soggetto, nu-
mericamente ed essenzialmente uno, ma 'diviso' nella sua funzione
discriminatrice.
2
( 425 b 12-25). In questo passo Aristotele si propone di giu-
stificare il fatto che noi abbiamo coscienza dell'esistenza e del fun-
zionamento dei nostri sensi ( 425 b 12; dr. anche De an. B 5, 417
a 2-14 ). A tal fine egli avanza due ipotesi: la consapevolezza di
un atto percettivo (ad es. dell'atto di vedere un colore, di udire
un suono, e cosl per l'attività degli altri sensi speciali) è dovuta
allo stesso senso in questione (alla vista stessa, all'udito, ecc.), op-
pure ad un senso diverso dalla vista, dall'udito, ecc. ( 425 h 12-3;
sulla coscienza della sensazione cfr. anche Somn. Vig. l, 454 a 23:
riferimento al proton aisthetikon; 2, 455 a 12 sgg.: la koine dy-

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354 NOTE A r2

namis che s'accompagna a tutti i sensi; EN I 9, 1170 a 25 sgg.:


esti ti tò aisthanomenon; Metaph. A 9, 1074 h 35-6; inoltre Pla-
tone, Chrm. 166 e 6 sgg. e Cosenza, Sensibilità, 85-9). Come in
De an. r l ( 424 h 22-425 a 13) lo Stagirita aveva respinto l'idea
di un sesto senso speciale accanto ai cinque già riconosciuti, cosl
qui rifiuta la seconda ipotesi di soluzione, e ciò in forza di du~
argomenti. Il primo è che, se si ammette un secondo senso che
avverta, ad es., l'atto con cui la vista percepisce un colore, e che
quindi abbia per oggetto la vista come pure il colore (giacché il
senso che avverte un altro senso, deve percepire anche l'oggetto
di quest'ultimo, dato che il senso in atto s'identifica col sensibile
in atto; dr. 425 h 26-7), il colore costituirà l'oggetto di due sensi
differenti (della vista e del supposto secondo senso), e ciò è inam-
missibile ( 425 h 13-5), poiché ciascun sensibile 'proprio' non può
essere percepito che dal senso corrispondente (cfr. però Hicks, ad
425 h 13, 435; Hamlyn, ad 425 h 12, 121-2). La seconda argo-
mentazione mostra che, ove s'ammetta un secondo senso che sia
cosciente, ad es., degli atti della vista, si porrà il problema del-
l'autocoscienza di questo medesimo secondo senso, e così o s'ini-
zierà un processo all'infinito (con la conseguente impossibilità di
dar conto del fatto dell'autocoscienza; cfr. anche Platone, Tht.
200 h l sgg.), oppure si giungerà finalmente ad un senso dotato di
consapevolezza di sé, ma allora tanto valeva attribuire tale capa-
cità alla vista stessa ( 425 h 15-7). Sembra dunque che si debba
adottare la prima ipotesi che è stata suggerita (cfr. 425 h 12-3 ):
ogni senso speciale è consapevole dei propri atti percettivi.
Cionondimeno Aristotele muove la seguente obiezione alla so-
luzione appena trovata: l'autopercezione della vista sembra impli-
care l'inconveniente che la vista stessa· sia colorata ( 425 h 17-20;
dr. anche Platone, Chrm. 168 d 2 sgg.). A questa difficoltà lo Sta-
girita replica con due risposte. La prima si basa sulla polivocità
dell'espressione 'percepire con la vista' ( 425 h 20-2), nella quale
si può quindi far rientrare l'atto dell'autocoscienza (cfr. Laurenti,
153 n. 501). Oux l.v (425 h 20) equivale a pollachos o pleonachos.
Che 'percepire con la vista' ha molteplici significati viene cosl esem-
plificato da Aristotele: al buio, quando non si possono vedere i
colori, la vista è capace di percepire sia la luce che il buio, ma in
diverso modo (cfr. anche De an. B 7, 418 h 11 sgg.; 28 sgg.; 10,
422 a 20-3). Ciò significa che, come abbiamo coscienza del buio
per il fatto che tentiamo (e non riusciamo) a vedere la luce e i
colori, cosl abbiamo coscienza della vista attraverso concreti atti
di visione (cfr. Hicks, ad 425 h 22, 436; Cosenza, Sensibilità, 86-7;
Sorabji, Body, 72 e n. 32; dr. anche Owens, A Note, 114). La
seconda risposta all'obiezione è che l'organo della vista è realmente,
in certo modo, colorato in quanto è ricettivo (cfr. De an. B 12,
424 a 18-9) della 'forma' sensibile del colore, indipendentemente

Baruch_in_libris
NOTE A r 2 355

dalla materia dell'oggetto, ricettività che sta a fondamento della


permanenza (cfr. De an. A 4, 408 b 18; Insomn. 2, 459 h 5-7; 460
b 2-3) delle sensazioni e delle immagini (cfr. De an. B 8, 420 h 32)
nei sensori (425 h 22-5; per l'assenza degli oggetti percepibili [ 425 h
24: tiTCeÀD6'J-rw-v] cfr. Insomn. 2, 459 a 24-7; 460 h 2; Mem. l,
450 a 25-7; Metaph. Z 10, 1036 a 6-7). Sull'obiezione e le due
risposte dr. anche Hamlyn, ad 425 h 17, 122-3. Anche la coscienza
della percezione è considerata una funzione del senso comune, tra
gli altri, da Rodier (Il, ad 425 h 12, 364), Tricot (152 n. 2) e
Ross (35), il quale sostiene che la vista percepisce di vedere, ma
non in quanto vista, bensl in quanto percezione.
3
· ( 425 h 26-426 a 26 ). Aristotele enuncia la tesi della simul-
taneità, unità ed identità di senso in atto e sensibile in atto, salva
la differenza della loro essenza, confermata dalla diversità dei ter-
mini con cui essi vengono rispettivamente designati. L'atto per-
cettivo costituisce insomma un fenomeno unitario, che peraltro può
essere considerato da due punti di vista, quello del soggetto e quello
dell'oggetto. La tesi viene comprovata anzitutto in riferimento al
senso dell'udito (425 h 26-426 a l; dr. anche De an. B 5, 417 a
10-4; 418 a 3-6; 10, 422 h 15-6; 12, 424 a 17-25; r 8, 431 b
24-8; Sens. 3, 439 a 12-6; Ph. r 3, 202 a 13 sgg.; inoltre Hamlyn,
ad 425 h 26, 123-4 ). Per -rò lxo'J ~6cpo-v ( 425 b 29) cfr. De an.
B 8, 419 b 6-8; 12, 424 a 22-3; per oux aet ~ocpet: ( 425 b 29)
dr. 426 a 8; De an. B 8, 419 h 4 sgg.; per 8-ra.'J ò' E'JEPYTI ( 425 b
29) dr. De an. r 7, 431 a 4-7.
Si prosegue affermando che l'atto od azione dell'oggetto sensi-
-bile (ovvero il sensibile in atto; ad es. il suono) e la passione o
passività del senso che riceve tale azione (ovvero la sensazione in
atto; ad es. l'audizione o ascolto) devono trovarsi nel senso stesso
(426 a 2-8; cfr. anche 426 a 9-10; De an. B 2, 414 a 11-2; Ph. r
3, 202 a 13 sgg.: il movimento è l'atto del motore nel mobile [cfr.
]annone-Barbotin, ad l. n. 5]; E l, 224b 4 sgg.; 25-6; GC A 7,
324 b 4 sgg.; Metaph. a 8, 1050 a 28-34 [cfr. Tommaso, in Me-
taph. IX, 8, n• 1864, 447: « actio perficit operatum, et non ope-
rantem. Unde est in operato sicut actio et perfectio eius, non autem
in operante»]; GA A 22, 730 h 5-8; B 6, 742 a 30-1). In 426
a 4 E'V -r{i) xa.-rà. òu-va.IJ,L'V si riferisce all'udito in potenza. Sull'im-
mobilità del principio motore ( 426 a 5-6) cfr. Tommaso, III, 2,
n• 592, 149: « In quocumque ... est motus, illud movetur. Unde,
si motus et actio, quae est quidam motus, esset in movente, se-
queretur quod movens moveretur ». Ditton (426 a 7; 8) ribadisce
la distinzione tra atto e potenza insieme del senso e del sensibile
(dr. 426 a 23 sgg.; De an. B 8, 419 h 4 sgg.).
Aristotele estende quindi il discorso fatto sin qui agli altri sensi
( 426 a 8-11 ), aggiungendovi inoltre un'osservazione terminologica

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356 NOTE A r 2

(426 a 11-5; dr. anche Hamlyn, ad 426 a 8, 124). Come fa notare


Theiler (ad 426 a 14, 133), i termini per designare l'azione del
colore e quella del sapore potrebbero essere, rispettivamente, xpw-
(.LcL'"t"LCTL~ ( « colorazione ») e XU(.LWO'L~ ( « insaporamento »). Nell'ul-
tima parte del testo ( 426 a 15-26) si asserisce che la simultaneità e
l'identità sono proprie del senso e del sensibile in atto, e non di
quelli in potenza. Non avendo tenuto presente tale distinzione,
i physiologoi si sono fatti sostenitori di una « relativistische Natur-
philosophie >> (Theiler, ad 426 a 19, 133), ovvero di un « subjective
idealism » (Hamlyn, ad 426 a 15, 124 ), che misconosce la priorità
dell'oggetto sensibile rispetto alla sensazione (cfr. Cat. 7, 7 b 35-8 a
12; 1.\fetaph. a 15, 1021 a 29-b 3; inoltre Graeser, On Aristotle's,
93 n. 7). T"hv ou-rw ÀEyoiJ,ÉVT)V ( 426 a 17) sta per -ri}v xa-r' lvÉp-
YELav ÀEyo(.lÉVT)V (cfr. 426 a 19). Con ol, 1tp6-rEpov cpuatoÀoyoL ( 426 a
20), secondo Simplicio (193, 28), lo Stagirita allude a Democrito,
mentre secondo ps. Filopono (471, 31; 475, 23) a Protagora. Ross
(36; ad 426 a 20-2, 276) propende per Democrito e cita DK 68 A
135 (II, 117, 27-30); B 125 (II, 168, 5-6), mentre Theiler (ad
426 a 19, 133) e Hamlyn (ad 426 a 15, 124) per Protagora. Da
parte sua Cherniss (Pres., 166 n. 104) pensa che il riferimento sia
rivolto genericamente a tutti gli antichi filosofi, e si richiama a
Metaph. r 5, 1009 b 11-33 (la tesi sensistica: ciò che appare ai
sensi è necessariamente vero); 1010 h 30-1011 a 2 (la risposta di
Aristotele: c'è qualcosa di esterno alla percezione, che la precede);
e 3, 1047 a 4-7 (i Megarici cadono nella posizione di Protagora:
il sensibile non esiste se non è percepito). Cfr. anche De an. A 2,
404 a 28-9; inoltre Platone, Tht. 156 a 7 sgg.; 159 c l sgg.
4
( 426 a 27 -h 7 ). Viene ripresa ed approfondita la dottrina del
senso corr1e medietà o proporzione (cfr. De an. B 11, 424 a 4; 12,
424 a 31). In 426 a 27 leggo con Prisciano di Lidia (Metapbr. in
Theophr. 22, 24), Sofonfa (112, 33), Trendelenhurg (ad 426 a 27,
359), B!lV."'ater (Aristotelia, III, 55), Smith (ad l. e n. 2), Ross
(ad l.; 273), Theiler (53; t!d 426 a 27-b 7, 133) e Hamlyn (49), Et
o' i) 9W'·rh o-u(.Lq>W'VLa 'tL~ lcr'tLV. La voce è un accordo, nel senso
che è una determinata mescolanza di estremi, ossia di suoni acuti
e gravi (cfr. De an. B 12, 424 a 31-2; Sens. 3, 439 b 25 sgg.; 7,
447 a 29-b 3; Metaph. H 2, 1043 a 10-1). Il testo adottato consente
di ottenere il seguente sorlte (cfr. Ross, ad 426 a 27-9, 277): l'ac-
cordo è una proporzione; la voce è una specie di accordo; l'udito
s'identifica in certo senso con la voce; dunque l'udito è una pro-
porzione ( 426 a 27-30). In definitiva l'udito è una 'proporzione'
perché tale è il suo oggetto. Lo w~ (426 a 28) limita l'identità di
udito e voce al caso in cui essi siano in atto (cfr. anche 425 b
27 sgg. ). In 426 a 28 la clausola xat ~o--; tv w~ oùx ~'V "t"Ò aù"t6 è
stata espunta come una glossa da Torstrik (ad l.; ad 426 a 27-9,

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NOTE A r2 357

168), e successivamente da Hicks (ad l.; ad 426 a 28, 442), Smith


(ad l. e n. 3), Hett (ad l.), Ross (ad l.; ad 426 a 27-9, 278) e
Ham.lyn ( 49 ). L'accordo è un logos ( 426 a 28-9) nel senso che è una
mescolanza di suoni acuti e gravi uniti secondo una data propor-
zione o rapporto numerico (cfr. Metaph. A 9, 991 b 13-4; H 2,
1043 a 10-1; N 5, 1092 b 13-4; Probl. XIX 38, 921 a 2-6). Ross
(37; ad 426 a 29-31, 278) rileva che l'udito è una 'proporzione'
( 426 a 29) perché l'atto uditivo dipende da una « balanced con-
dition » dell'orecchio, sottoposto non già a un suono troppo acuto
o troppo grave per la sua capacità, ma a una mescolanza di acuto
e grave (cfr. anche Ham.lyn, ad 426 a 27, 125: «a proportionate
blend between extremes presumably in the processes of the ear »).
Dal fatto che l'udito è una proporzione deriva la conseguenza
che ogni eccesso ed estremità dei suoni (acuti o gravi) danneggiano
l'udito e ne rendono impossibile il funzionamento. La medesima
cosa vale anche per gli altri sensi, i quali pure costituiscono una
proporzione (426 a 30-b 3; cfr. anche De an. B 10, 422 a 20 sgg.;
12, 424 a 28 sgg.). Nella clausola w~ À6you -rt.vò~ 6v-ro~ -ril~ a.taihl-
crEw~ ( 426 b 3) si può ravvisare con Ross ( 37) l'eco del ~J,É-rpov
i!pt.cr-rov di Cleobulo (DK 10, 3 [I, 63, 2]), del lJ.TlSÈv &ya.v di
Salone (DK 10, 3 [I, 63, 14 ]) e del IJ,i-rpwt. xpw di Talete (DK 10,
3 [I, 64, lO]). Che il senso sia un logos significa che è la medietà
tra le opposte qualità del suo oggetto (cfr. Ross, ad 426 b 3, 279).
Ma che il senso sia una proporzione sta alla base anche del
piacere che le sensazioni ci procurano. Sensibili piacevoli sono in-
fatti bensl quelli semplici, ma soprattutto quelli misti ( 426 b 3-6).
Per eilikrine kai amikta (426 b 4) cfr. anche Platone, Phlb. 51 d
l sgg.; 53 b l sgg. "AyT)-raL Et~ -ròv À6yov ( 426 b 4) sta ad indi-
care, come spiegano correttamente Hicks (ad 426 b 4, 443 ), Smith
(ad l. e n. 1), Hett ( 151 e n. a), Gigon (323) e Hamlyn (ad 426 a
27, 125), che i sensibili sono ricondotti alla proporzione del senso
nella percezione attuale. Invece Rodier (I, 155; II, ad 426 b 3-7,
379; cfr. anche Note, 313 sgg.), sulle tracce di Simplicio ( 195, 15-6)
e ps. Filopono ( 4 77, 5-7), interpreta nel modo seguente: i sensibili
sono condotti ad unirsi nella debita proporzione (cosl anche Tricot,
157 e n. 3; Ross, 273; Siwek, 187; }annone-Barbotin, ad l.; Lau-
renti, 155). La clausola àcpn SÈ -rò l}Eplla.v-ròv iì ~ux-r6'J ( 426 b 6)
è sospetta. Torstrik (ad l.; ad 426 b 3-8, 168-9) - che seclude
l'intera r. 6 - la espnnge, e cosi anche Ross (De an., ad l.; dr.
anche ad 426 b 6, 279) e Hamlyn (50). Theiler (ad 426 a 27-b 7,
133) legge aaq>T} [cfr. Probl. XXI 12, 928 a 24] S' fJ "t"Ò DEpJ.lrtV"t"ÒV
iì ~ux-r6v: « die Temperierung gegeniiber dem Gewarmten oder
Gekalteten » (52). Chi, come Hicks (ad l.; ad 426 b 6, 443), man-
tiene il testo tràdito, intende: piacevole al tatto non è l'estremo
costituito dal caldo o dal freddo, ossia il caldo o il freddo 'puro',
ma il temperato. In 426 b 7 i mss. hanno ÀU1tEL, mentre Prisciano

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3.58 NOTE A r2

(Metaphr. in Theophr. 22, 27) riporta À.uEt, una lezione confer-


mata da De an. B 12, 424 a 31, ed accolta da Bywater (Aristotelia,
III, 55), Ross (ad l.; ad 426 h 7, 279) e Hamlyn (50). Su questo
passo cfr. anche Introduzione) 68-9.
5
( 426 h 8-427 a 16). Nella parte finale del capitolo Aristotele
affronta il problema concernente la fondazione della discriminazione
dei sensibili appartenenti a sensi diversi (cfr. anche De an. r l, 425
a 22-4; 425 a 30-b 2). Egli muove dall'affermazione che ciascun
senso speciale (ed il suo organo corrispondente) 'giudica', ossia av-
verte e discrimina le differenze del proprio oggetto sensibile ( 426 h
8-12; cfr. Introduzione, 71). Per 'tou U1tOXEL~'Jou (426 h 8; 10)
cfr. 425 h 14. Il senso risiede nel proprio organo sensorio (cfr.
De an. B 12, 424 a 24-8) in quanto tale (426 h 9 ), ossia in quanto
capace di rendere possibile una specifica attività sensi tiva (cfr. anche
Simplicio, 196, 8-14; Rodier, II, ad 426 h 9, 380; Smith, ad l.
n. 3 ). Sulla discriminazione percettiva ( 426 h 10: krinei) dr. De
an. B 6, 418 a 14; 10, 422 a 21; 11, 424 a 5; 6. Sulle differenze
degli oggetti sensibili pertinenti ai sensi speciali ( 426 h lO) cfr.
De an. B 6, 418 a 13-4; 8, 420 a 26-9; 10, 422 h 10-4; 11, 422 h
23-32; 423 h 27-9; 424 a 7-13.
Lo Stagirita formula quindi la questione principale, che ri-
guarda la possibilità della distinzione tra gli oggetti di sensi diffe-
renti (dr. anche Sens. 7; Somn. Vig. 2, 455 a 17 sgg.), e sugge-
risce una prima, sommaria risposta: tali oggetti non possono essere
distinti che mediante un atto percettivo (426 h 12-7; dr. inoltre
Platone, Tht. 184 e 7 sgg.). In 426 h 14 leggo 'tt'JL (dr. anche
De an. r 7, 431 a 20; Sens. 6, 445 h 15); Ross (ad l.) accoglie la
variante "t'L'Jt (cosi anche Bekker, ad l.; }annone-Barbotin, ad l.),
attestata pure da ps. Filopono (482, 20). Le righe 426 h 15-7 sono
state interpretate in vari modi. Secondo Hicks (ad 426 h 8-427 a
16, 444; ad 426 h 16, 446-7; ad 426 h 17, 447) Aristotele vuoi
sostenere che la carne, comunemente intesa come l'organo del tatto
(dr. De an. B 11, 422 h 34 sgg.), non può costituire l'organo im-
mediato (426 h 16: tò eschaton aistheterion; dr. De an. r 7, 431 a
19) del senso comune, giacché altrimenti ogni discriminazione per-
cettiva postulerebbe un contatto con gli oggetti sensibili ( 426 h 16:
a.Ù"t'oO =
'tOU a.taì}1}-ro0), il che ovviamente non si verifica per i
sensibili a distanza (cosi anche Rodier, ad 426 h 15-7, 385; Tricot,
158 n. 8; ]annone-Barbotin, ad l. e n. 2; Laurenti, 156 e n. 517).
Invece Ross (ad l.; 273; ad 426 h 15-7, 279-80) - che in 426 h
16 accetta la congettura di Essen (II, 86) a.ù't6, identificandolo co-
munque con l'oggetto sensibile - pensa (riprendendo le osserva-
zioni di Torstrik, ad 426 h 16, 169) che nel nostro passaggio viene
ribadito come la carne non sia l'organo, ma il 'mezzo' del tatto
(cfr. De an .. B 11, 423 h 20-6). E veniamo infine all'esegesi di

Baruch_in_libris
NOTE A r 2 3,9

Hamlyn. Per questo autore nel nostro capitolo non c'è alcun rife-
rimento al 'senso comune', al quale lo Stagirita attribuisce la sola
percezione dei sensibili comuni (cfr. De an. r l, 425 a 27; inoltre
Theiler, ad 425 a 31, 131). L'intero passo 426 h 12-427 a 16 non
riguarda, secondo Hamlyn, nonostante l'opinione prevalente (cfr.,
ad es., Rodier, II, ad 426 h 8, 380; Hicks, ad 426 h 16, 446; Tricot,
158 n. l; Ross, 35), il senso comune, ma l' 'unità dei sensi', unità
che consiste semplicemente nel fatto che sensi diversi hanno in
comune sensibili diversi (ad 427 a 9, 128-9). La carne, spiega poi
il commentatore inglese, non è l' 'ultimo organo sensorio' che con-
sente la discriminazione pe~cettiva (tale organo è il cuore; cfr.
Resp. 4; Somn. Vig. 2), e ciò perché quest'ultima non avviene ogni-
qualvolta la carne sia toccata. Ad es., quando viene toccato l'occhio
(pur esso costituito di carne) ponendovi sopra un oggetto, non
siamo in grado di distinguere il colore di questo dalle sue qualità
tangibili (ad 426 h 8, 126). Hamlyn riferisce pertanto a'7t-rOP,E'JOV
aù-r6 ( 426 h 16) a -rò xpt:vov ( 426 h 17) e cosl traduce il nostro
passaggio: « for if it were it would be necessary for that which
judges to judge when it is itself touched » (50).
Si esclude poi che la distinzione tra i sensibili di genere diverso
possa essere operata da due differenti sensi speciali presi separata-
mente, ché, a pari, potrebbe in tal caso essere effettuata anche da
due distinti soggetti che percepissero due diversi sensibili, e ciò
è assurdo. Tale distinzione, pertanto, è il risultato di una connes-
sione e ~ollaborazione dei sensi, la quale assicura inoltre la con-
tinuità di percezione e di pensiero ( 426 h 17-23). Per l'ipotesi dei
sensi che giudicano ciascuno separatamente e per sé solo ( 426 h 17:
kechorismenois) - un'ipotesi che, secondo Mondolfo (La compren-
sione, 352 sgg.), Aristotele ricava da Gorgia; cfr. DK 82 B 3 (Il,
282, 6 sgg.) - cfr. Sens. 7, 448 h 20 sgg.; 449 a 5 sgg. Per
ÀÉ"(EL'J (426 b 20) cfr. 426 h 25 sgg.; De an. r 7, 431 a 8; Mem. l,
449 h 22-3; Sens. 7, 447 h 14-5; 24-6; per VOEL xat ataitcivE-raL
(426 h 22) cfr. 426 b 31-427 a l; 427 a 9; De an. r 3, 427 a
18 sgg.; 9, 432 a 16.
Perché la distinzione tra due diversi sensibili costituisca un
atto unitario, essa non soltanto postula l'unità e la collaborazione
tra i sensi, ma pure, continua Aristotele ( 426 h 23-9), che essa
avvenga non già in tempi differenti e successivi, ma simultaneamente
ed istantaneamente ('si percepisce ora che il bianco è diverso dal
dolce'), ed in rapporto a due oggetti che siano simultaneamente
percepibili in atto ('si percepisce che ora il bianco è diverso dal
dolce'). Per l'ipotesi - probabilmente ispirata ai Pitagorici (cfr.
Mondolfo, La comprensione, 349 sgg.) - degli intervalli di tempo
nella percezione (426 h 24: lv XEXWPLOllÉ'J~ xp6v~) cfr. Sens. 7,
448 a 19 sgg.; 448 h 16 sgg. Où xa-rà. crvp,~E~T)x6c; ( 426 h 26),
come nota Rodier (Il, ad 426 h 26, 387), sta a significare che il

Baruch_in_libris
360 NOTE A r 2

fattore tempo è essenziale alla distinzione dei sensibili, giacché è


precisamente quello durante il quale i due sensibili sono percepiti
in atto. Sui due usi di 'VV'V (426 b 28) cfr. Mem. 2, 451 a 30-1;
per la problematica del 'VV'V Theiler (ad 426 b 29, 134) cita Ph. b.
10-3 e Platone, Prm. 152 b 3 sgg.
A questo punto Aristotele si rivolge un'obiezione: la perce-
zione di due sensibili differenti od opposti non può non produrre
nel soggetto 'movimenti' ed affezioni differenti od opposte, le quali
ne pregiudicano l'indivisibilità e la capacità di percezioni simul-
tanee (426 b 29-427 a l; cfr. anche De an. r 7, 431 a 19 sgg.;
Sens. 7, 448 a l sgg.; 449 a 2 sgg.). Per 'tÌ')'V 'VOT)O"L'V (427 a l)
cfr. 426 b 22; 427 a 9; De an. r 4, 429 a 13 sgg. Lo Stagirita
propone due risposte alla difficoltà. Nella prima egli ammette che
il soggetto che giudica possa distinguere una pluralità di oggetti
( 427 a 4: 'tW'V 0LTIP1li.LÉ'VW'V) in quanto è divisibile 'essenzialmente'
(ossia in quanto comprende in sé una pluralità di funzioni e di re-
lazioni), e che lo possa fare istantaneamente in quanto è numeri-
camente e spazialmente indivisibile (427 a 2-5; cfr. anche Sens.
7, 449 a 8 sgg.). Per ii(.la ( 427 a 2) cfr. 426 b 28; per &.pd)p,4l
&.ot.aLpE'tO'V ( 427 a 2) cfr. lo ~'V di 426 b 18 e 20; per 't'@ Et'Ja.t.
(427 a 3) cfr. De an. B 12, 424 a 25. Ma per lo stesso Stagirita
questa prima risposta all'obiezione non è soddisfacente, perché ciò
che giudica non può simultaneamente essere in atto identico a
due sensibili contrari, ma soltanto in potenza ( 427 a 5-9; cfr. però
Hamlyn, ad 426 b 29, 127-8). Sulla sensazione in potenza ed in atto
cfr. De an. B 5, 417 a 9 sgg.; 7, 418 b 26 sgg.; 11, 423 b 30 sgg.;
r 2, 425 h 26 sgg.; 3, 428 a 6 sgg.; per 't'@ ~'VEpyEt:aDa.t. OLtl.LPE"t'O'V
( 427 a 7) cfr. Metaph. Z 13, 1039 a 7: i} yà.p ~'V"t'EÀÉXEt.a xwpisEt.;
sulla conoscenza come ricezione delle forme (427 a 8-9) cfr. De an.
B 12, 424 a 18; r 4, 429 a 15 sgg.
La seconda e definitiva soluzione dell'aporia è ottenuta da Ari-
stotele col ricorso all'analogia del punto geometrico (per gli svi-
luppi di questo paragone in Alessandro [De an. 63, 8 sgg.] e Pio-
tino [Enn. IV 7, 6, 8-19] cfr. Mondolfo, La comprensione, 367 sgg.;
Henry, Une comparaison, 431 sgg.). Ogni punto è di per sé ed
essenzialmente uno e indivisibile. Se però si prende, ad es., il punto
C sulla retta AB, si potrà dire che esso è anche duplice e divisi-
bile, in quanto termine del segmento AC ed inizio del segmento CB.
A pari il krinon ( 427 a 11) che ha per oggetto i sensibili, in quanto
è indivisibile è uno e percepisce i sensibili simultaneamente, in
quanto è divisibile ne coglie la differenza ( 427 a 9-14 ). I 't't.'JÉ~
( 427 a lO) sono i cultori di matematica. Per la dottrina dell'unità-
indivisibilità e dualità-divisibilità del punto ( 427 a 10-1) cfr. Ph.
b. 11, 220 a 10-21; 13, 222 a 13-7; e 8~ 263 a 24-6; 263 a
30-b 3; Metaph. B 5, 1002 a 32-b 10. Hamlyn (ad 427 a 9, 128)
considera tò krinon ( 427 a 11) come « the unified sense » (non il

Baruch_in_libris
NOTE A r 3 361

senso comune), che presumibilmente corrisponde allo aisthetikon


panton di Sens. 7, 449 a 17-8 ed alla koine dynamis di Somn. Vig.
2, 455 a 16. Come osserva Hicks (ad 427 a 12-3, 451) oW:c; (427 a 12)
significa che come il punto sulla retta assolve le due funzioni sopra
indicate, così tò krinon non può distinguere, ad es., il dolce dal
bianco, senza distinguere insieme il bianco dal dolce. Per Hamlyn
(ad 427 a 9, 128) l'impiego del termine XPii-tat ( 427 a 13) è im-
portante, perché, mentre l'analogia del punto serve semplicemente
ad illustrare il concetto di un ente numericamente uno, ma 'diviso'
nelle sue funzioni, XPii-tat. sembra implicare l'animale e la persona,
e l'unità della coscienza.

NOTE A r 3
1
SoMMARIO. - A) Pensiero e sensazione: (l) le principali fun-
zioni dell'anima sono quella cinetica e la conoscitiva; (2) ad alcuni
sembra che il pensiero sia una forma di percezione; (3) anzi gli
antichi, come Empedocle ed Omero, identificavano senz'altro pen-
siero e sensazione; ( 4) ma questa tesi è falsa per le seguenti ra-
gioni: (a) essa non spiega l'esistenza dell'errore; (b) della sensibi-
lità sono provvisti tutti gli animali, mentre dell'intelligenza soltanto
alcuni; (c) il pensiero può essere vero o falso ed appartiene ai soli
animali ragionevoli, ed invece la sensazione si trova in tutti gli
animali e, quando ha per oggetto i sensibili propri, è sempre vera.
B) L'immaginazione: (l) non s'identifica col pensiero: (a) perché
dipende da noi ed ammette un certo margine di arbitrio, mentre
l'opinione - che è una specie di hypolepsis o apprensione intellet-
tiva - o è vera o è falsa; (b) perché esser dell'opinione che un
oggetto è pericoloso provoca un'emozione immediata, cosa che non
avviene se esso è puramente immaginato come tale; (2) sembra
appartenere al noein; ( 3) la phan t asia è una facoltà in virtù di cui
si parla· di 'apparenze' (phantasmata), ed ha una capacità discrimi-
nativa in quanto con essa possiamo essere nel vero o nel falso;
( 4) l'immaginazione non è sensazione per i motivi seguenti: (a) le
immagini dei sogni non si formano in presenza di sensazioni in
atto né s'identificano con la facoltà sensitiva; (b) la sensazione si
trova in tutti gli animali, e l 'immaginazione (quella superiore) solo
in alcuni; (c) la percezione dei sensibili propri è sempre vera,
mentre la maggior parte delle immagini (illusioni sensorie, alluci-
nazioni, ecc.) sono false; (d) il termine 'apparire' non è adeguato
alle sensazioni chiare e precise, ma a quelle indistinte; (e) le im-
magini permangono pur nella sospensione del processo percettivo;
(5) l'immaginazione, in quanto ammette la possibilità di errore, non
è scienza né intelletto, che sono sempre nel vero; ( 6) ancora sulla

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362 NOTE A r 3

differenza tra immaginazione ed opinione: questa, ma non quella,


s'accompagna sempre alla convinzione ed alla ragione; (7) con buona
pace di Platone, l'immaginazione non è combinazione ed accordo di
opinione e sensazione, perché possono darsi contemporaneamente
una falsa apparenza sensibile ed un'opinione vera; (8) la definizione
di phantasia: (a) è un 'mutamento' dell'essere sensitivo conseguente
alla percezione in atto e simile a questa; (b) l'immaginazione rela-
tiva ai sensibili propri è vera, mentre quella riguardante i sensibili
comuni e 'per accidente' può essere falsa; (c) phan t asia trae il suo
nome da cpcioc;, 'luce'; (d) le immagini, in quanto tracce delle sen-
sazioni, fungono da principi del comportamento degli animali.
2
( 427 a 17-b 26). Questo capitolo, dedicato allo studio della
phantasia (dr. 429 a 8-9), inizia con « a series of preliminary re-
marks and criticism » (Hicks, 452). Aristotele comincia col ripren-
dere la distinzione tra la facoltà cinetica e quella conoscitiva del-
l'anima degli ~(i>a, distinzione che egli aveva riconosciuto nei suoi
predecessori già in De an. A 2, 403 h 25-7 (427 a 17-9; cfr. anche
De an. r 9, 432 a 15 sgg.). Alessandro (ap. ps. Filopono, 489, 9)
ritiene che l1tEL OÉ (427 a 17) non sia segulto da alcuna apodosi,
e che quindi il testo sia anacolutico (così anche Rodier, II, ad
427 a 17-b 7, 397). Invece per Plutarco (ap. ps. Filopono, 489,
10-1) l'apodosi comincia in 427 h 6: 8'tt. IJ,ÈV ouv X'tÀ. (cosl anche
Simplicio, 202, 12-4; ps. Filopono, 489, 11 sgg.; 490, 13; Ross,
ad 427 a 17-9, 284; Theiler, 54; ad 427 a 18, 135), mentre Forster
(ad 427 a 17-b 7, 171-2) pone l'apodosi in 427 a 21: xa.t ot 'YE
tipxa'LoL X't À. In 427 a 18-9 seguo Ross (ad l.; ad 427 a 17-9, 284)
che legge xa.t 't(i) voE'Lv xat cppovE'Lv xat ataDavEaDaL (cfr. anche
427 a 19; 21-2); la variante krinein (cfr. anche 427 a 20) anziché
phronein è preferita da Bekker (ad l.), Rodier (ad l.), Hicks (ad l.;
ad 427 a 18, 454), Tricot ( 163 ), Smith (ad l.), Hett (ad l.) e Gigon
{248; 325). Tuttavia, pace Ross (38; ad 427 a 17-9, 284), noein e
phronein sono qui sinonimi (cfr. anche PA A 10, 686 a 29) e de-
notano la conoscenza teoretica; phronein non ha qui il significato
tecnico di 'conoscenza pratica' o 'saggezza' che detiene in EN Z
.3 sgg. (cfr. invece la phronèsis in 427 h 10; 25).
Si prosegue esponendo lo endoxon secondo cui la conoscenza in-
tellettiva è riducibile ad una forma di percezione, endoxon che
sembra fondato sulla capacità discriminativa del reale propria di
entrambi questi tipi di conoscenza ( 427 a 19-21). Per 't L ••• 'tW'V
O'V'tWV ( 427 a 20-1) cfr. Cherniss (Pres., 313 ): « something parti-
cular »; Theiler (54): « etwas von den Dingen ». Lo endoxon di cui
s'è detto trova conferma nell'opinione di quegli 'antichi', come Em-
pedocle ed Omero, che identificavano sic et simpliciter conoscenz,a
intellettiva e sensazione (427 a 21-6; dr. anche De an. A 2, 404
a 27 sgg.; 405 a 9 sgg.; 5, 410 a 23-6; Metaph. r 5, 1009 h

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NOTE A r3 363

11 sgg., con la discussione su Democrito, Empedocle, Parmenide,


Anassagora ed Omero; cfr. inoltre Platone, Tht. 152 e l sgg.). La
prima citazione di Empedocle (427 a 21-4) si legge in DK 31 B 106
(1, 350, 16 sgg.). Dal passo parallelo di Metaph. r 5, 1009 h 12-21
risulta che per Aristotele Empedocle faceva dipendere il pensiero
dai mutamenti del nostro stato corporeo, ed in questo senso spiega
'7tpÒ<; 'ltapEo'J ( 427 a 23) Cherniss, Pres., BO n. 32B. Riferiscono
invece pareon all'oggetto percepibile Alessandro (in Metaph. 306,
19-21) e Temistio (B7, 23), da cui dipendono le versioni di Rodier
(163; ma cfr. Il, ad 427 a 22-5, 399), Hicks (121; ma cfr. ad
427 a 23, 454), Tricot (163), Hett (ad l.), Ross (281), Siwek (191),
Theiler (54), ]annone-Barbotin (74), Hamlyn (52) e Laurenti (160).
Ai sensi ed alle percezioni insieme pensa Gallavotti, Empedocle,
9; 169. Che la posizione di Empedocle non sia interamente riduci-
bile al sensismo è sostenuto da Cherniss, Pres., 81; cfr. anche Gal-
lavotti, Empedocle, 169. La seconda citazione di Empedocle ( 427 a
24-5) corrisponde a DK 31 B 108 (1, 351, 4 sgg.); cfr. anche
Metaph. r 5, 1009 h 19-21. Per aÀÀota (427 a 25) cfr. De an.
A 2, 404 a 30: aÀÀocppo'JÉW'J. La citazione america (427 a 25-6),
che Aristotele sottopone ad una « violent interpretation » (Cherniss,
Pres., BO n. 331), è presa da Od. XVIII, 136-7: 'tot:o<; yàp 'Jooc;
la'tL'J l1tt.XitO'JLtù'J (Ì'Jitpw1tW'J / olo'J l1t' TiiJ-a.p liiOO"L 1ta't'ÌlP (Ì-vÒpw-v
'tE ~EW'J 'tE. Secondo lo Stagirita anche per Omero, come per Em-
pedocle, il nous 'muta' giorno per giorno.
Queste prese di posizione degli antichi - continua Aristotele -
sono la conseguenza sia di una concezione 'fisica' e 'materialistica'
della conoscenza intellettiva (di cui non si ravvisa la peculiarità ri-'
spetto a quella sensibile), sia di una teoria che ritiene entrambi
i tipi di conoscenza una forma di affezione del simile da parte del
simile (427 a 26-9; cfr. De an. A 2, 404 h B sgg.; 405 h 15 sgg.;
5, 410 a 2B-9; inoltre Hamlyn, ad 427 a 17, 129). Contro tale
concezione e tale teoria Aristotele rivolge l'obiezione che esse non
danno conto dell'esistenza dell'errore. Più precisamente esse (in
quanto riducono il pensiero a sensazione, e quindi non ammettono
un criterio oggettivo di verità) ritengono vero tutto ciò che co-
munque appare ai sensi del soggetto (cfr. anche Metaph. r 5, 1010 h
l sgg.); oppure considerano l'errore un contatto fisico col dissimile
( 427 a 29-b 5). Per enioi ( 427 b 3) cfr. De an. A 2, 404 a 2B-9
(Democrito); Metaph. r 5, 1009 h 13-5. L'affermazione che l'errore
è un contatto col dissimile viene confutata rilevando che, riguardo
ai contrari (che appartengono al medesimo genere, ed ai quali sono
riconducibili il simile e il dissimile), la scienza (o l'ignoranza) non
può essere che una e la stessa, e cosl pure è lo stesso !,errore: la
conoscenza o l'errore circa uno dei contrari è anche conoscenza od
errore circa l'altro ( 427 h 5-6; cfr. anche APr. A l, 24 a 21; 36,
4B h 5; APo. A 12, 77 h 26-7; Top. A 14, 105 h 5 sgg.; 23-4;

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364 NOTE A r 3

e l, 1.56 h 11-4; Metaph. B 2, 996 a 20-1; K 3, 1061 a 18-9;


Ph. 9 l, 2.51 a 30; EN E l, 1129 a 13-4; 17 sgg.).
Lo Stagirita muove quindi due altre difficoltà a coloro che iden-
tificano la sensazione ed il pensiero. La prima è che la sensazione è
una caratteristica di tutti gli animali, mentre l'intelligenza è propria
soltanto di pochi ( 427 h 6-8). Sull'appartenenza della phronesis ad
alcune specie animali dr. Metaph. A l, 980 a 28 sgg.; GA r 2,
7.53 a 10-4; EN Z 7, 1141 a 26-8. La seconda obiezione è che il
dianoeisthai ( 427 h 13) può essere vero o falso ed appartiene ai
soli animali ragionevoli, mentre la sensazione spetta a tutti gli ani-
mali e, almeno quando ha per oggetto i sensibili propri, è sempre
vera ( 427 h 8-14 ). Sulle tre specie di noein ( 427 h lO) cfr. anche
Platone, Lg. III, 688 h 2-3; 689 h 2. Sulla dottrina aristotelica
della doxa ( 427 h lO) dr. Régis, L'opinion, passim; sulla doxa
vera e quella falsa (427 h 10-1) cfr. 427 h 20-1; EN r 2, 1111 h
33; Z 3, 1139 h 1.5-8; 9, 1142 h 10-2. Tti'Ja'J'"t"ta '"t"OU'"t"W'J (427 h 11)
sono rispettivamente la ticppooU'JT) (cfr. EN H 2, 1146 a 27), la
&y'Jota e la ò6~a ~Euò1)~. Come fa osservare Hamlyn (ad 427 a 17,
130) la tesi dell'infallibilità della percezione dei sensibili propri
(427 h 12; cfr. De an. B 6, 418 a 11-5) viene attenuata in 428 h
18-9; per converso in De an. r 6, 430 a 26 sgg. si asserisce che
l'intellezione degli indivisibili è sempre vera. Sulla presenza del
logos (427 h 14) nell'uomo cfr. 428 a 23-4; De an. B 3, 415 a
7-10; EN A 7, 1098 a 3 sgg.
Venendo finalmente a trattare dell'immaginazione (su questo
tema cfr. Freudenthal, Ueher den BegrifJ, passim; Lycos, Aristotle,
496 sgg.; Rees, Aristotle's Treatment, 491 sgg.; Schofield, Aristotle,
100 sgg.) lo Stagirita dichiara anzitutto che essa si distingue dalla
sensazione e dal pensiero ( 427 h 14-.5). La funzione del yap in 427 h
14 si può chiarire nel modo seguente (cfr. Simplicio, 20.5, 16-8;
Freudenthal, Ueber den BegrifJ, 1.5; Rodier, Il, ad 427 h 14-5,
403; Hamlyn, ad 427 a 17, 130; Schofield, Aristotle, 124). Lo
Stagirita aveva mostrato che il pensiero non s'identifica con la sen-
sazione, giacché esso è presente solo in alcuni animali ( 427 h 14).
A questo punto egli si prospetta una possibile obiezione: anche gli
animali in certo modo pensano, perché hanno la phantasia, la quale
è pure una specie di sensazione. La risposta a questa difficoltà è
contenuta in 427 h 14-.5, con l'aggiunta, peraltro, che l'immagina-
zione presuppone la sensazione (cfr. anche 428 h 11-6) ed è a sua
volta presupposta dalla hypolepsis (427 h 15-6; dr. De an. A l,
403 a 9; r 8, 432 a 13-4). Per hypolépsis (427 h 16) e hypolamhanein
dr. Bonitz (Index, 799 h 26-7): « sumere ac statuere aliquid pro
vero»; inoltre 427 h 2.5-6; APo. A 33, 88 h 37, dove hypo!epsis,
come qui, «designa qualunque asserzione veritativa nell'ambito della
conoscenza intellettiva» (Mignucci, in APo., I, ad 88 h 30-89 a
4, 648).

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NOTE A r3 365

Fa séguito una clausola molto discussa: ~"tL S' ovx EO"'t'LV i) av~Ì}
VOT)O"L~ xat u7:6ÀT)\jJLc;, cpavep6v (427 h 16-7). Freudenthal (Ueber
den Begriff, lO n. l) interpreta: l'immaginazione non è la stessa
noesis qual è la hypolepsis (cfr. 427 h 28; De an. r 10, 433 a 10;
cosi anche Smith, ad l.; Hett, 157; Theiler, 54; ad 427 h 17, 136;
Hamlyn, 53; ad 427 h 16, 130; Schofield, Aristotle, 139 n. 88).
Schneider (Ueber einige, 448) espunge 1) e spiega: l'immaginazione
non è né noesis né hypolepsis (cosi anche Rodier, ad l.; II, ad
427 h 16-ì, 405-6; Tricot, 165-6). ~ladvig (Adversaria, I, 473)
seclude noesis e intende: l'immaginazione non è hypolepsis (cosl
anche Ross, ad l.; 282; ad 427 h 16-7, 285). Biehl2 (ad l.) accoglie
la variante phantasia in luogo di noesis. Per Hicks ( 123; ad 427 h
17, 457-8) la clausola significa che la noesis (equivalente qui a
phantasia; cfr. De an. r 9, 432 h 30; Mem. l, 450 a 1-7) non
è hypo!epsis, ossia do xa (cosl anche Siwek, 19 3 ). Jannone-Barbotin
(ad l.) recano CLV"tT) al posto di 1) tX.Ù"ti}, ma comunque interpretano
il passaggio come Rodier.
Che la phantasia non sia identica alla hypolepsis viene dimo-
strato dallo Stagirita con due argomenti. Il primo è che, mentre
l'immaginazione dipende dalla volontà del soggetto (cfr. però anche
De an. B 5~ 417 h 23-4) e gode di un certo margine di arbitrio, l'opi-
nione (che è una specie del genere 'hypolepsis'; cfr. 427 h 10; 25),
in quanto è commisurabile ai fatti, è sottoposta all'alternativa 'vero-
falso' ( 427 h 17-21). Per r.pò OJ.ll.J..a:"tw'V r.ot.i}aaa-Da,., ( 427 h 18-9;
cfr. Tricot~ 166 n. 3: « les veux de l'ésorit ~>)cfr . ."Af.e111. l. 450 a 5;
Rh. r 11, 1411 h 23 sgg. Per i 'luoghi mnemonici' ( 427 h 19; cfr.
Schofield, Aristotle, 127: «a set of places in which menta! images
may be put >>)e le tecniche di memorizzazione cfr. Top. 8 14, 163 h
28-30; Mem. 2, 452 a 12 sgg. (e Sorabji, in Mem., 22-31); Insomn.
l, 458 b 18 sgg.; inoltre Senofonte, Smp. 4, 62; Platone, Hp. Ma.
285 e 7; Hp. },fi. 368 d 6. Per oo~a:~EL'J o' oùx tq>' T)IJ.LV ( 427 h 20)
cfr. anche Platone, Tht. 187 a 8 sgg. La seconda prova è che una
situazio11e piacevole o spiacevole, che venga creduta reale, sùbito
coinvolge emozionalmente il soggetto, il che non a\"'Viene quando
essa sia rr:eramente immaginata ( 427 b 21-4; cfr. anche De an.
A l, 403 a 21-4; r 7, 431 a 14-6; 9, 432 h 29 sgg.; MA 7, 701 h
19 sgg.). Per la coppia deinon (phoberon)-tharraleon ( 427 h 21-2)
cfr. R.h. B 5, 1383 a 13-20; per sympaschomen ( 427 h 22) cfr.
APr. B 27, 70 h 16: PA B ì, 653 b 6; Somn. 1lig. 2. 455 a 34.
Infine "'\ristotele indica tre specie di hypolepsis ( 427 h 24-6), che
corrispondono alle tre specie di noein segnalate in 427 h 9-10. He-
teros logos (427 h 26) rinvia probabilmente a EN Z 3, 1139 h
15 sgg.; sulla distinzione tra epistenze e doxa ( 427 h 25) cfr. APo.
A 33 per tctum.
3
( 427 b 27-428 a 24). Aristotele esordisce tracciando un piano

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366 NOTE A r 3
generale per le ricerche da affrontare nel resto del trattato. Della
facoltà sensitiva ci si è occupati nei capitoli precedenti, mentre la
hypolepsis e la conoscenza intellettiva verrà a tema a partire dal
quarto capitolo (cfr. De an. r 4, 429 a 23: hypolambanei); rimane
ora da analizzare più da vicino la natura dell'immaginazione ( 427 b
27-9). In 427 b 27 noein viene assunto in «a very generai sense >>
(Hamlyn, ad 427 b 27, 131), come comprensivo sia della hypolepsis
come della stessa phantasia. Rodier (Il, ad 427 b 28, 414) ritiene
che l'appartenenza della phantasia al noein rappresenti un'opinione
corrente ( 427 b 28: dokei), non condivisa da Aristotele. ~1a, come
ha mostrato Schofield (Aristotle, 125 e n. 88; 126-7), pur se questo
fosse vero, lo Stagirita non deve aver trovato tale opinione manife-
stamente infondata, se non altro perché i due criteri adottati in
427 b 17-24 per distinguere l'immaginazione (normale) dalla doxa,
non la differenziano dal pensiero (cfr. De an. B 5, 417 b 23-4 ). Sui
rapporti tra phantasia e noein, e in particolare sulla prima come
conditio sine qua non del secondo, cfr. 427 b 16; De an. A l, 403
a 9; r 7, 431 a 16-7; 8, 432 a 8-9; 13-4; Mem. l, 449 b 31; inoltre
Platone, R. VI, 510 d 4 sgg.
Lo Stagirita suggerisce poi una definizione 'propria' di phantasia,
e ne riconosce la funzione discriminatrice ( 428 a 1-5). Come rileva
Schofield (Aristotle, 106 sgg.; 115 e n. 58; 116 sgg.) phantasma in
428 a l non connota (come, ad es., in Mem. l, 449 b 30-450 a 7)
l' 'immagine mentale' (benché questa sia l'interpretazione corrente),
ma corrisponde a tò phainesthai, designante qui la « non-paradigmatic
sensory experience » (percezioni indistinte, illusioni sensorie, alluci-
nazioni, attività onirica, ecc.; cfr. 428 a 7-8; 14; 428 b 3; 429 a
7-8; Insomn. 2, 460 b 16-9). Se l'uso appropriato del termine phan-
tasia concerne il phainomenon nel senso appena descritto, quello
metaforico ( 428 a 2) od estensivo - sottolinea Schofield; cfr. anche
Simplicio, 208, 3-8 - connota sia l'esperienza sensibile ordinaria
sia i giudizi della doxa. Schofield trova una conferma di quest'ese-
gesi nello stesso impiego di ÀÉYOJ.lE'V in 428 a l (cfr. anche 428 a 2;
13 ): l'approccio linguistico, come punto di partenza della riflessione
(dr. Owen, Tithenai, 83-92) sulla phantasia, evidenzia il legame
primario che intercorre tra phantasia e phainesthai (od esperienza
sensibile non ordinaria). Le righe 428 a 3-4 nel testo dei mss. cosi
recitano: J.lLCX -rL~ lcr-rL -rou'tw'V OU'VCXIJ.L~ il l~ L~ xa.D' i\'V xpL'VOIJ.E'V
xcxt aÀT)DEUOIJ.E'V il tlJEUOOJ,lEDa.. In base a questo testo l'immagina-
zione risulta essere una facoltà capace di giudicare (cfr. anche In-
somn. 2, 460 b 16-8) e riguardante il vero e il falso, accanto a
quelle elencate in 428 a 4-5. Cosl leggono e spiegano il passaggio
Rodier (ad l.; l, 167; Il, ad 428 a 3, 416), Hicks (ad l.; 125; ad
427 b 24-428 a 5, 459; ad 428 a 3, 461 ), Tricot ( 167 e nn. 4-5),
Hett (ad l.; 159), ]annone-Barbotin (ad l.) e Laurenti (163-4). Sulle,
orme invece di un suggerimento di Trendelenburg (in app. crit.

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NOTE A r 3 367

ad l.: « negatio aut certe dubitatio in hac apodosi desideratur » ),


Smith (ad. l. e n. 2) antepone a ~J,!a un apa, accolto poi da Ross
(ad l.; 282; ad 428 a 3-4, 286; Ross inoltre, accettando una
congettura di Torstrik, in app. crit. ad l., legge xatl' ii<; anziché
xa.D' frv). Così anche Theiler (55), Hamlyn (53), Lycos (Aristotle~
497) e Rees (Aristotle's Treatment, 498). Secondo quest'esegesi l'in-
tenzione dello Stagirita è di escludere che la phantasia sia una delle
facoltà 'critiche', in quanto, in base a 428 a 5 sgg., non è riducibile
ad alcuna di esse. Al testo tràdito ritorna invece, ed a ragione,
Schofield (Aristotle, 128), sostenendo che nel nostro passo la ca-
pacità di giudizio è fatta corrispondere alla idoneità a sottoporsi
all'alternativa 'vero-falso', e che a questa alternativa anche l'imma-
ginazione (certo, secondo una sua peculiare modalità), come risulta
da 428 a 5 sgg., è soggetta.
Si dimostra quindi, con cinque argomenti, che l'immaginazione
non è assimilabile alla sensazione (cfr. anche Insomn. l, 458 h 29-
30; 459 a 14-22). La prima prova (428 a 6-8) è basata sul fatto
che le immagini dei sogni (un caso di immaginazione 'anormale',
per usare la terminologia di Schofield, Aristotle, 123) non si for-
mano in presenza di sensazioni attuali (dr. Somn. Vig. 3, 458 a
-28-9) e, benché presuppongano la presenza della facoltà sensitiva
(dr. 428 a 8), non s'identificano con essa (cfr. anche ps. Filopono,
498, 13-21; Hicks, ad 428 a 7, 461 ). Sulla distinzione tra facoltà
e funzione (428 a 6-7) cfr. De an. B l, 412 h 27 sgg.; r 2, 426 a
12 sgg.; per la traduzione di hyparchontos ( 428 a 7) con 'in que-
stione' cfr. Schofield, Aristotle, 134 n. 46. Il secondo argomento
rileva come la facoltà sensiti va appartiene a tutti gli animali (cfr.
427 h 7-8; De an. B 5, 417 h 16-8), mentre l'immaginazione (nella
sua forma superiore) soltanto ad alcuni (428 a 8-11; cfr. De an.
r 11, 434 a 1-5). Come fa notare Hicks (ad 428 a 9, 462) la clau-
sola Et OÈ 'tTI !'VEpyE!rt 'tÒ a.u't6 ( 428 a 9) equivale a: 'se l'immagi-
nazione in atto fosse identica alla sensazione in atto'. In 428 a 10-1
seguo Torstrik (ad l.; ad 428 a 10, 171-3), Rodier (ad l.; I, 167;
II, ad 428 a 11, 419-21) e Ross (ad l.; 282; ad 428 a 11, 286-7}
che leggono OLO'V IJ.UPIJ.T)Xt. f) J.lEÀ!'t'tTI, CTXWÀT)Xt. o' ou. Elogi delle
formiche e delle api in Metaph. A l, 980 h 22-4; HA A l, 488 a
7-10; PA B 2, 648 a 5-7; 4, 650 h 24-7; cfr. inoltre Afem. l, 450 a
15-25.
La terza prova oppone alla verità della percezione dei sensi-
bili propri la falsità in cui incorrono la maggior parte delle imma-
gini (428 a 11-2; cfr. 428 h 2; 18-30; Metaph. !!. 29, 1024 h 21-6;
inoltre Platone, Phlb. 39 c 7-40 h l). Qui per phantasiai ( 428 a 12}
si devono intendere « e. g. dreams, memory-images, after-images,
fantasy, hallucinations, the seeing of aspects » ( Schofield, Aristotle,
111 ). Il quarto argomento si basa sull'uso del termine 'apparire',
che non è appropriato al caso di una sensazione chiara e precisa,

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368 NOTE A r3

ma piuttosto a quello di una sensazione indistinta ( 428 a 12-5). Scho-


:field (Aristotle, 108-10) ritiene che da questo argomento emerga
un concetto di phantasia o immaginazione come attività interpreta-
tiva dei dati sensibili; un'immaginazione, relativa alle percezioni in-
distinte, che inoltre verifica in q\Jalche misura ambedue i criteri -
proposti in 427 b 17-24. In 428 a 15 ometto come una glossa
~O'tE f) aÀ,T)~i}c; "ÌÌ ~Euo1)c;, seguendo Torstrik (ad l.; ad 428 a 15,
173 ), Rodier (ad l.; I, 167; II, ad 428 a 15, 421), Hicks (ad l.;
125; ad 425 a 14 e ad 425 a 15, 463 ), Tricot ( 168 n. 3 ), Biehl-
Apelt (ad l.), Smith (ad l.), Hett (ad l.), Gigon (327) e Schofield
(Aristotle, 134 n. 37). La clausola è conservata (con aisthesis come
soggetto sottinteso) da Siwek (ad l.; 325 n. 621), Jannone-Barbotin
(ad l.) e Laurenti (165), e (con phantasia come soggetto) da Hamlyn
(55; ad 428 a 5, 131-2). Infine Ross (ad l.; 282; ad 428 a 15, 287)
legge '7tO~Epov aÀT)~Ì')c; iì ~Evo-f)c;, e Theiler (55; ad 428 a 15, 137)
'":'6 '"t'E àÀ1)i}Èc; xat ti;EvÒÉ~. L'ultimo argomento rileva la presenza
di immagini (cfr. Hicks, ad 428 a 16, 463: « the after-image ») nel
soggetto, pur nella sospensione dell'attività sensitiva (428 a 15-6;
cfr. Insomn. 2, 459 b 5-20; 14: IJ.UCTWIJ.EV). Proteron (428 a 16) rinvia
a De an. r 2, 425 b 24-5. "OpaiJ.rt ( 428 a 16; cfr. anche De an.
r 13, 435 b 11) è il risultato della ~pacrt.c;, che a sua volta è l'at-
tività della 8~t.c;.
Aristotele esclude poi che l'immaginazione sia scienza o intel-
letto, poiché la prima può essere anche falsa (cfr. 428 a 12),
mentre gli altri due 'abiti' sono sempre veri ( 428 a 16-8; cfr. anche
APo. B 19, 100 h 5-8; EN Z 3, 1139 b 15-7). Infine lo Stagirita
pone il problema della riducibilità o meno dell'immaginazione alla
doxa, dato che entrambe possono essere vere o false ( 428 a 18-9).
Contro l'assimilazione della phantasia alla doxa militano due argo-
menti (su di essi cfr. anche Hamlyn, ad 428 a 16, 132). Anzitutto
la doxa è inseparabile dalla pistis} mentre non sempre al possesso
dell'immaginazione fa séguito quello della pistis ( 428 a 19-22).
Sulla pistis (428 a 20) cfr. Ph. 9 8, 262 a 18-9. La seconda prova
mette in luce che la pistis è inseparabile dalla persuasione, e que-
st'ultima dalla ragione, mentre non sempre alla phantasia s'accom-
pagna la ragione ( 428 a 22-4). Biehl (in Biehl-Apelt, ad l.), sulle
tracce di Torstrik (ad 428 a 19-24, 173 ), seclude questo secondo
argomento considerandolo semplicemente un'altra versione del primo.
Cosi anche Ross (ad !.; ad 428 a 19-24, 287); cfr. inoltre Theiler
(55; ad 428 a 20-4, 137), che per di pi 1~ ravv. isa nel nostro passo
una polemica contro Platone, Ti. 51 e l sgg. Il testo tradizionale
è invece mantenuto da Hicks (ad l.; ad 428 a 22-4, 464 ), sulla base
del fatto che in esso viene asserito qualcosa che mancava alla
prima prova, ossia la dipendenza della pistis dal logos. Così anche
Rodier (ad l.; I, 169), Tricot (169 n. 1), Smith (ad l. e n. 2),
Hett (ad l.), Gigon (328), Siwek (ad l.; 325 n. 624), Jannone-

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NOTE A r3 369

Barbotin (ad l.), Hamlyn (54 e n. 3; ad 428 a 16, 132) e Laurenti


( 166 n . .562). Sulla mancanza del logos ( 428 a 24) nei bruti dr.
De an. B 3, 415 a 7 sgg.; r !0, 433 a 11 sgg.; 11, 434 a 5-7.
4
( 428 a 24-b 9 ). In questa parte del capitolo Aristotele pole-
mizza contro la dottrina platonica della phantasia, di cui egli ri-
fiuta le definizioni proposte, rispettivamente, in Ti. 52 a 7 e Sph.
264 a 1-6; 264 a 8-b 3; cfr. anche Phlb. 39 b 3 sgg. (428 a 24-6).
Lo Stagirita respinge la teoria platonica anzitutto per gli stessi mo-
tivi per cui aveva negato l'identificazione della phantasia sia con la
doxa che con la aisthesis (428 a 26-7). Ma egli si oppone a tale
teoria anche per delle ragioni più specifiche. In effetti la dottrina
platonica della phantasia, come 'mescolanza' di opinione e sensazione,
implica che l'immaginazione non è altro che un'opinione il cui con-
tenuto s'identifica con quello della sensazione. Ad es., 'quest'og-
getto mi appare bianco' significherebbe: 'sono dell'opinione ( = ri-
tengo per vero) che quest'oggetto che percepisco come bianco, sia
effettivamente tale' ( 428 a 27-b 2). In 428 a 27 leggo coi mss.
ofiÀc'J 8~t.; Ross (ad l.·; 282; ad 428 a 27' 287) ha OLO"t"L. Per
l'espressione i-LÌl xa."t"à au(.l~E~T)xoc; (428 b 2) cfr. Ross (282): « the
two things [ = opinione e sensazione] not being accidental to one
another >>; Hamlyn (ad 428 a 24, 133 ): « the objects of belief and
perception ... must not be merely extensionally the same objects »;
Schofield (Aristotle, 112): « and that not just coincidentally ». Preoc-
cupato di salvaguardare contro Platone l'autonomia dell'immagina-
zione, Aristotele porta l'esempio della grandezza del sole (cfr. anche
Insomn. l, 4.58 b 28-9; 2, 460 b 18-9; Mete. A 8, 345 b 1-3;
sulla oddit')' di questo esempio cfr. Schofield, Aristotle, 113), ri-
spetto all'apprensione della quale l'immaginazione e l'opinione sono
in disaccordo, e delle due la prima è falsa (dà luogo ad una 'falsa
apparenza' o illusione sensoria) e la seconda vera ( 428 b 2-4 ). Per
hypolepsis (428 b 3) come sinonimo di doxa cfr. Metaph. A 9,
990 b 22-3, ecc.
Lo Stagirita sottopone quindi la teoria platonica dell'immagina-
zione ad una reductio ad absurdum (cfr. Lycos, Aristotle, 496 sgg.;
Hamlyn, ad 428 a 24, 133-4). Una volta che prenda atto del con-
trasto tra opinione vera ed 'apparenza' falsa, tale dottrina si tro-
verà dinanzi a due alternative ugualmente impercorribili: o am-
mettere che l'opinione vera (ossia conforme ai fatti) venga abban-
donata, senz'alcuna ragione plausibile, per una falsa (la quale ri-
specchi l'apparenza sensibile), oppure ammettere che venga bensl
conservata l'opinione vera, ma che nello stesso tempo si opini, ex
hypothesi (cfr. 428 b l), in conformità con l'apparenza sensibile,
con _la conseguenza di avere un'opinione vera e falsa insieme ( 428 b
4-8; cfr. anche APo. A 6, 74 b 32-9; APr. B 21, 66 b 19; 29-30}..
In 428 h 8 leggo con Ross (De an., ad l.) e Hamlyn (55) aÀ.À.è!

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370 NOTE A r3

~euo'Ì')~ lyÉ'VE'tO 8-rE À.tiDot. lJ.E'tct1tECTÒ'V -rò 1tpdy~J.a (cfr. anche Cat.
5, 4 a 26 sgg.; Metaph. r 5, 1010 h 21-3); Ross (ad l.; ad 428 h
7-8, 288) racchiude la clausola tra due croci e propone di emen-
darla in &_).).' EL ~EUOÌ')~ "(É'VOL'tO, À.aitot. /l'V lJ.E'tt11tECTÒ'V 'tÒ 1tpdy1J.t1.
5
428 h 10-429 a 9). Aristotele comincia col rilevare l'indispen-
(
sabilità della aisthesis in ordine alla phantasia. L'immaginazione è
un 'movimento' che presuppone quello della sensazione in atto, a
sua volta prodotto dall'oggetto sensibile. n mutamento in cui con-
siste l'immaginazione dev'essere specificamente simile a quello della
sensazione (dr. Hicks, ad 428 h 14, 468). Inoltre l'immaginazione
appartiene soltanto agli esseri sensitivi e concerne gli oggetti sensi-
bili, è principio di attività per gli animali, e l'immagine, che è il
suo prodotto, può essere vera o falsa (428 h l 0-7; nella traduzione
il periodo è stato alleggerito; la protasi è introdotta da &_).).' l1tEL01)
[428 h 10] e l'apodosi da ELT) lf'V [428 h 14]). Sulla trasmissione
del movimento descritta (in termini fisici) in 428 h 10-1 cfr. Ph.
9 5, 256 a 4 sgg. Per lo endoxon (428 h 11: dokei) secondo cui
la phantasia è una kinesis ( 428 h 11) dr. Ph. e 3, 254 a 29-30.
Si passa quindi a giustificare l'asserzione che la phantasia può
essere vera o falsa, basandosi sulla distinzione fra i tre tipi di per-
cezione (cfr. De an. B 6 per totum) ed il loro corrispettivo valore
di verità. La percezione dei sensibili propri è sempre vera ( 428 h
18-9), in quanto, ad es., la vista non s'inganna rispetto al sensi-
bile proprio (ossia non confonde il colore con i sensibili propri
degli altri sensi), ma può darsi il caso che scambi un dato colore
(cfr. 428 h 21) per un altro (dr. anche Hamlyn, ad 428 h 17, 134-5).
V'è poi la percezione dei sensibili 'per accidente' (ossia degli og-
getti in se stessi, che 'accedono' ai sensibili propri), in cui l'errore
è possibile ( 428 b 19-22). Con Bywater (Aristotelia, III, 56-8)
traspongo da 428 h 24 a 420 h 20 & CTUIJ,~É~'l')XE -rot:~ alCTDT}'tOL~.
Cosl anche Smith (ad l. e n. 1), Ross (ad l.; 283; ad 428 b 18-25,
288-9), Theiler (56; ad 428 h 19, 138) e Hamlyn (56 e n. l;
ad 428 b 17, 134); cfr. anche Graeser, On Aristotle's, 95 n. 15.
Infine nella percezione dei sensibili comuni l'occasione di errore
è la più frequente (428 b 22-5; cfr. anche Sens. 4, 442 h 8). Che
la percezione dei koinà sia quella che, secondo Aristotele, è più sog-
getta all'errore è spiegato da Hamlyn (ad 428 h 17, 135) sulla base
di Platone, R. V, 479 h 3 sgg., donde risulterebbe la relatività
di figura, velocità, numero, ecc., in modo diverso da quello dei
sensibili propri ed accidentali. Graeser (On Aristotle's, 88-9) avanza
invece l'ipotesi che qui operi l'idea che i sensi speciali sono finaliz-
zati alla percezione degli idia (dr. De an. B 6, 418 a 25), e non
dei koinà (mentre d'altra parte i sensibili per accidente, come tali,
non possono considerarsi oggetti di percezione veri e propri). ,
Sul fondamento di queste tre forme di sensazione vengono distinti

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NOTE A r4 371

tre tipi di phantasia, diversi nel loro valore veritativo ( 428 b 25-30).
La prima è collegata alla percezione dei sensibili propri, ed è vera
finché permane quella percezione (dr. però Schofield, Aristotle,
115 e n. 57). Gli altri due tipi di phantasia - prosegue lo Stagi-
rita - , relativi ai sensibili accidentali ed a quelli comuni, sono
soggetti ali'errore sia in presenza che in assenza della sensazione,
e ciò tanto più quanto più distanti sono gli oggetti percepibili. Si
pensi, ad es., alla percezione indistinta di un oggetto che 'appare'
essere un uomo (dr. 428 a 12-5), o alla percezione del sole che
'appare' della misura di un piede (dr. 428 b 3).
In forza di tutto quanto precede (428 h 11-30) lo Stagirita
enuncia la propria definizione ('causale'; cfr. 429 a 8-9 e inoltre
Hicks, ad 402 a 19, 181; Schofield, Aristotle, 139 n. 92) di phan-
tasia (429 a 1-2; dr. anche Insomn. l, 459 a 17-8). Il capitolo
si chiude con due osservazioni. La prima è che la dipendenza del-
l'immaginazione dalla percezione sensibile si può constatare parti-
colarmente nel caso della vista (che è il senso per eccellenza; dr.
anche Sens. l, 436 h 18-437 a 17; Metaph. A l, 980 a 23-7;
inoltre Platone, Phdr. 250 d l sgg.; Ti. 47 a l sgg.), com'è con-
fermato dall'etimologia di cpa:v'ta.aLa., termine che (secondo Aristo-
tele) deriva da cp~, luce, la quale rappresenta la condizione indispen-
sabile della vista ( 429 a 2-4; dr. Schofield, Aristotle, 132 n. 19:
« Aristode thinks of imagination first and foremost as visualizing >>;
cfr. 427 h 18). Con la seconda osservazione si riprende 428 b 16-7,
e si considera la phantasia come principio del comportamento degli
animali, normalmente nei bruti (in quanto sprovvisti di ragione;
dr. De an. B 3, 415 a 11; Metaph. A l, 980 b 25-7) e talora negli
uomini ( 429 a 4-8). Sulle immagini come 'tracce' delle sensazioni
attuali (429 a 4) dr. De an. A 4, 408 b 18; r 2, 425 h 24-5.
Pathos ( 429 a 7) designa genericamente qualunque passione od
emozione; per voa((l (429 a 7) cfr. De an. A 4, 408 h 24; sugli stati
di alterazione psichica cfr. Insomn. 2, 460 h 3 sgg.

NOTE A r 4
1 SoMMARio. - A) L'intelletto e la facoltà sensitiva: (l) l'in-
telletto è la parte dell'anima preposta al pensiero; (2) dall'analogia
tra intelletto e senso deriva che il nous: (a) è passivo nella misura
in cui assume in sé gli intelligibili, ma propriamente è 'impassibile'
perché tale paschein non implica un'alterazione fisica, ma il per-
fezionamento e la realizzazione dell'intelletto; esso inoltre è ricet-
tivo delle forme intelligibili, è in potenza ad esse e non ne pos-
siede alcuna già in atto; (b) non è 'mescolato' ad alcun oggetto
materiale (come fu intuito già da Anassagora, a differenza degli

Baruch_in_libris
372 NOTE A r4

altri fisiologi); (c) è 'in potenza' tutti gli intelligibili; (3) differenze
tra nous ed aisthesis: (a) l'intelletto non ha un organo corporeo, ma
è potenzialmente il 'luogo delle forme'; (h) l'apatheia del senso
non lo assicura dalle affezioni del suo organo, mentre il nous non
è affetto dai noetà, perché è 'separato' e indipendente dal corpo;
(c) l'intelletto è in potenza all'esercizio della conoscenza ed è capace
di pensare se stesso. B) Gli oggetti dell'intelletto e del senso: (l) la
aisthesis conosce gli oggetti fisici, o meglio le loro qualità o forme
sensibili; (2) il nous apprende: (a) le essenze o forme intelligibili
degli oggetti fisici; (b) gli enti matematico-geometrici e le loro
essenze; (c) le entità identiche alle loro essenze. C) Soluzione di
due aporie: (l) l'intellezione è possibile in quanto si dà un 'identità
potenziale di nous e noeton; (2) l'autocoscienza dell'intelletto con-
segue alla sua apprensione degli intelligibili in atto.
2
( 429 a 10-b 9). Aristotele esordisce enunciando il tema del
capitolo ( 429 a 10-3 ). Come fa osservare Hicks (ad 429 a 10, 475),
nel definire il nous una 'parte' dell'anima ( 429 a lO; cfr. De an.
A l, 402 h 12-3) lo Stagirita si adegua al linguaggio corrente; per
lui tuttaYia ogni menzione di 'parti' dell'anima non può essere che
provvisoria (cfr. De an. r 9, 432 a 22 sgg.); a rigori il nous è una
facoltà dell'anima o (che è lo stesso) s'identifica con l'anima intel-
lettiva (cfr. 429 a 28). Inoltre Hicks (ad 429 a 10-1, 475) rileva
opportunamente come il termine yt.vwcrxEL ( 429 a lO) designa la
conoscenza in generale ed è applicabile anche al senso (cfr. De an.
r 3, 427 a 21; GA A 23, 731 a 33-4); per tale motivo viene ag-·
giunto cppovEt: ( 429 a 11 ), che denota la conoscenza intellettiva (cfr.
De an. r 3, 427 h 6 sgg.). Invece per Temistio (93, 32-3) e Sim-
plicio ( 222, 3-6) i due termini si riferiscono rispettivamente ali 'in-
telletto teoretico ed a quello pratico; cosl anche Rodier (1, 175; II,
ad 429 a 10, 435), Siwek (201; 327 n. 636) e Seidl (Der Begrilf,
100-1 ). Da De an. A 4, 408 h 13-5 risulta che, propriamente, non
è la psyche ( 429 a 11) a pensare, ma piuttosto l'uomo per mezzo
dell'anima. L'alternativa tra separazione del nous xa"tà 1-lÉYEDoc; e
quella xrx'tà À.oyov ( 429 a 11-2; cfr. anche De an. B 2, 413 h 14-5;
28-9; r 2, 427 a 4-5; 9, 432 a 19-20; 10, 433 h 24-5; EN A 13,
1102 a 28-30, con la nota di Gauthier-Jolif, in EN, Il, l, ad 1102 a
28-32, 9-t) - su cui Aristotele per il momento evita di oronun-
ciarsi - è tra una separazione del nous dalle altre parti dell'anima
in senso spaziale e locale (implicante, platonicamente, una sede cor-
porea del nous diversa da quella delle altre parti psichiche), e la sua
distinzione dalle facoltà inferiori quanto all'essenza ed alla funzione
(cfr. anche Ross, ad 429 a 11-2, 291 ). Invece per Hicks (ad 429 a
11; ad 429 a 12, 475) Ia separabilità (katà me~hethos) dell'intelletto
dalle altre facoltà implica qui anche quella dal corpo. Cosl anche
Seidl (Der Begrilf, 109 n. 4 ), che si richiama alla dottrina dell'im-

Baruch_in_libris
NOTE A r4 373

materialità (cfr. 429 h 5; De an. B l, 413 a 3-7) ed immortalità


(dr. De an. B 2, 413 h 24-7; r 5, 430 a 22-3) del nous.
Si stabilisce quindi un certo parallelismo tra nous ed aisthesis
(dr. 429 a 13-4; 16-8), mostrando che l'intelletto, in certo qual
modo, 'patisce' '(in quanto assume in sé gli intelligibili), ma pro-
priamente è 'impassibile' (perché questo paschein non comporta
un'alterazione fisica, ma il pedezionamento e l'attualizzazione dell'in-
telletto; dr. De an. B 5, 417 h 2 sgg.), che è ricettivo delle forme
intelligibili ed in potenza ad esse, che non è 'mescolato' ad alcun
oggetto materiale, ma è pura potenza (429 a 13-24). Sulla somi-
glianza dell'intellezione alla sensazione ( 429 a 13-4) cfr. De an.
r 2, 427 a 9; 8, 431 h 28-432 a 3. Per il noein e lo aisthanesthai
come due forme di paschein (429 a 13-5) cfr. anche 429 h 25; De
an. B 5, 416 h 33-4; 11, 424 a l; r 2, 427 a 8-9. Per l'intelletto
apathes (429 a 15), ovvero inalterabile nella propria natura, cfr.
429 a 29 sgg.; 429 b 23; De an. A 4, 408 h 25; 29; Aietaph. A
7, 1073 a 11 (inoltre Elders, Aristotle's Theology, 255-6); sulla
apatheia del senso dr. 429 a 29 sgg.; De an. r 7, 431 a 5. Sulla ricet-
tività (-129 a 15) del senso e dell'intelletto cfr. De a11. B 12, 42-t a
18-9; r 2, 425 h 23-4; 13, 435 a 22; Metaph. A 7, 10ì2 h 22
(inoltre Hamlyn, ad 429 a 13, 136); sulla loro radicale potenzialità
rispetto agli oggetti corrispondenti (429 a 16-8) cfr. -J29 a 22; De
an. B 5, 417 a 6-7; 417 h 23; 418 a 3-4; 9, 422 a 7; 10, -122 b 15;
11, 424 a 7-10; 12, 424 a 25-8. La testimonianza su .A.nassagora
(429 a 18-20) è riportata in DK 59 A 100 (Il, 29, 32-4); cfr.
anche 429 h 23-5; De an. A 2, 405 a 16-7; 405 h 19-21; DK 59
B 12 (I, 37, 18-3 8, 6). La dottrina anassagorea della 'non mesco-
lanza' del nous con gli elementi corporei e col sensibile (cfr. Lanza,
Anassagora, 171 nota), che assicura il suo 'dominio' sulle cose, è
qui invocata da Aristotele al fine di sostenere che l'intelletto in
tanto può conoscere tutte le cose in quanto non è mescolato a nulla
di materiale. Esso non ha in atto alcunché in comune con nessun
oggetto che deve conoscere, e pertanto non possiede una propria
forma (cfr. Alessandro, ap. ps. Filopono, 523, 4-5; Temistio, 94,
13-27; Simplicio, 225, 35-7; Hicks, ad 429 a 18, 477; Nuyens,
L'évolution, 284-5; Siwek, 327 n. 640; Hamlyn, ad -l29 a 18,
136; Seidl. Der Begrif}, 101; 109 note 6-7). rvwpl~n (429 a 19) è
l'interpretazione che lo Stagirita dà dell'anassagoreo kratei11 (cfr.
Cherniss, Pres ., 172 n. 122; 293 n. 13 ). Nella clausola -r:ct.pEIJ.!paLvé-
IJ.EVOV ytÌ.p XWÀ.UEL "tÒ tiÀÀo-rpt.OV xat tÌ'V"tLcpptX"t'tEL ( 429 a 20), con
Argyropylus (in Maurus, 89), Wallace (266), Smith (ad l.), Hett
(16.5), Gigon (330), Ross (290; ad 429 a 20, 292), Theiler (57),
Hamlyn (57) e Seidl (Der Begri/J, 109 n. 7), ritengo che tò allo-
trion sia il soggetto dei due verbi e paremphainomenon la sua appo-
sizione: tò allotrion è la 'forma' del nous che corrisponderebbe agli
elementi di determinati oggetti e che gli impedirebbe di cono-

Baruch_in_libris
374 NOTE A r4
scerne degli altri (cfr. anche Tognolo, Il problema, 109). Per pa-
remphainomenon cfr. Ph. !:.. 4, 212 a 7-9; il termine antiphrattein
è usato per designare l'interposizione di un astro che si verifica
nelle eclissi (dr. APo. A 31, 87 h 40; B 2, 90 a 15 sgg.; Cael. B 13,
293 h 25; lrlete. A 8, 345 a 29). Per il principio intus existens
prohibet extraneum cfr. De an. B 7, 418 h 26 sgg.; 8, 420 a 9-11;
11, 424 a 7-10; inoltre Platone, Ti. 50 a 5-51 h 2. Sulla pura
potenzialità del nous (429 a 21-4) cfr. anche 429 h 30-1; De an. r 8,
431 h 26-8; inoltre Hamlyn, ad 429 a 18, 136. In 429 a 23 dia-
noeitai e hypolambanei sono probabilmente sinonimi; Seidl (Der Be-
griff, 102) vi scorge invece la contrapposizione del pensiero discor-
sivo a quello intuitivo.
Le analogie tra l'intelletto ed il senso non annullano però le
loro reciproche differenze. In primo luogo, se la 'non mescolanza'
del nous con gli oggetti materiali non lo distingueva dalla aisthesis,
ora Aristotele rileva un altro tipo di 'immistione' che è esclusivo
del nous, ovvero la sua 'non mescolanza' col corpo del soggetto.
Ove questa non ci fosse, l'intelletto assumerebbe qualità corporee
ed inoltre avrebbe un organo come la facoltà sensitiva. Ma ciò va-
nificherebbe la sua potenzialità rispetto a tutti gli intelligibili, e lo
ridurrebbe nelle condizioni dei sensi, ciascuno dei quali (dipenden-
temente dal suo organo sensorio) ha per oggetto unicamente il 'sen-
sibile proprio' (cfr. Verbeke, Comment Aristote, 223). L'intelletto
non ha un organo materiale, ma è potenzialmente il 'luogo delle
forme' ( 429 a 24-9). La frase ouÒÈ J.LEJ.Li:xDaL EUÀoyov tXU't'ÒV 't'~
O"WJ.ltX't'L ( 429 a 24-5) è diretta forse contro il Timeo (cfr. De an.
A 3, 407 b 2; inoltre Cherniss, Plato, 406 n. 333). Per la 'inorga-
nicità' dell'intelletto (429 a 27) cfr. De an. A 4, 408 a 12; 5, 411 h
18. La paternità della teoria dell'anima come 't'01tO~ Etòwv, qui
approvata da Aristotele (429 a 27-9; cfr. anche De an. A 5, 410 a
10-3; B 5, 417 h 23; r 8, 431 b 28-432 a 3), è attribuita da al-
cuni autori a Platone (cfr., ad es., ps. Filopono, 524, 6 sgg.; Rodier,
II, ad 429 a 27, 439; Hicks, ad 429 a 27, 482; Tricot, 175 n. 4;
Nuyens, L'évolution, 287 ), mentre da altri ai Platonici (cfr. Ross,
ad 429 a 27-8, 292; Theiler, ad 429 a 27, 140; Hamlyn, ad 429 a
18, 136; Kramer, Grundfragen, 490). Si è anche pensato alla teoria
delle idee come meri noemata dell'intelletto umano, sostenuta forse
dalla scuola di Eretria (cfr. Taylor, Platone, 555-7) o da Antistene
(cfr. Zeller, II, l, 296 nota), e combattuta da Platone in Prm.
132 b 4 sgg. (cfr. anche Isnardi Parente, Platone, in Zeller-Mon-
dolfo, II, III, 2, 959-60).
Inoltre l'intelletto e il senso divergono nella stessa loro apa-
theia, perché l'apprensione delle forme sensibili non può non coin-
volgere l'organo sensorio, il quale inoltre, essendo materiale, è in-
debolito, se non distrutto, da impulsi eccessivi, mentre il nous, che
è 'separato' dal corpo e non ha un proprio organo, non è distur-

Baruch_in_libris
NOTE A r4 375

bato, ma anzi poten2iato dall'apprensione degli intelligibili superiori


e più astratti (429 a 29-b 5). Per ~ou crcp6Spa atait1}"tOV ( 429 b l)
cfr. De an. B 10, 422 a 21 sgg.; 11, 424 a 14-5; 12, 424 a 29.
Sulla distinzione tra crcp6opa. VOT)"tO'V e -rà \ntooEÉa-repa ( 429 h 3-4)
cfr. Hamlyn (ad 429 a 29, 137): « thinking of things in the abstract
- in respect of their essence or pure form - somehow illuminates
the more concrete, so that this becomes more intelligible ». Per il
legame dei sensi coi loro organi (429 h 5) cfr. Sens. l, 436 h 6-7;
Somn. Vig. l, 454 a 7-11; sulla separatezza del nous, ovvero la sua
indipendenza da un organo corporeo (429 h 5) dr. 429 a 24-7; De an.
B l, 413 a 6-7; 2, 413 h 24-7; GA B 3, 736 h 28-9; 737 a 9-10;
EN K 8, 1178 a 22.
Infine lo . Stagirita completa il discorso sulla 'potenzialità' del
nous servendosi anche qui dell'esempio dell' l1tt.CT"tTUJ,(JlV (dr. De
an. B 5, 417 a 21 sgg.). Egli distingue le seguenti tappe della co-
noscenza intellettiva: dapprima l'intelletto è pura potenza; poi,
con l'apprendimento degli intelligibili, diventa intelletto in atto (od
in habitu), capace, per virtù propria, di esercitare ed applicare la
sua conoscenza. Questa conoscenza 'abituale' dell'intelletto, il quale
è ancora in potenza rispetto all'esercizio attuale del pensiero, lo
rende capace di pensare se stesso ( 429 h 5-9). Per yÉ'V1)"ta.L ( 429 b
6) cfr. 429 b 9: (.la.DELV i'J EUpEt:v; De an. r 5, 430 a 14-5. Sul
processo di acquisizione e di apprendimento (429 h 9) cfr. APo. B
19, 99 b 25 sgg.; Metaph. A l, 980 h 21 sgg. In 429 h 9 mantengo
il textus receptus oÈ au"t'6'V (dr. anche Lefèvre, Sur l}évolution,
271 n. 66; Elders, Aristotle}s Theology, 261 n. 56; Owens, A Note,
107 sgg.). Invece Bywater (Aristotelia, II, 40-1), sulle orme di
Sofonl~ ( 125, 13: acp' ia.u-roO) legge St.' a.u-roO (cfr. 429 h 7), se-
guito da Ross (ad l.; 290; ad 429 h 9, 292), Theiler (58; ad 429 h
5 sgg., 140) e Hamlyn (58). Sull'autocoscienza (umana) come atto
concomitante alla conoscenza dell'oggetto cfr. anche Metaph. A 7,
1072 h 19-21; 9, 107 4 h 35-6·.
3
( 429h 10-22). In questo passo Aristotele prende in conside-
razione i diversi oggetti dell'intelletto e le differenti modalità con
cui esso li apprende. Vengono distinti anzitutto gli enti matematici
(propriamente quelli geometrici) e quelli fisici dalle .loro rispettive
essenze ( 429 h 10-1), e si afferma che, mentre gli enti fisici sono co-
nosciuti dal senso (cfr. 429 h 15), le loro essenze vengono colte
dall'intelletto, sia il nous totalmente separato dalla aisthesis, siano
essi soltanto aspetti diversi di una medesima realtà conoscitiva
( 429 h 12-4 ). Sulla distinzione tra gli oggetti conoscibili e le loro
essenze o forme (429 b 10-1; ad es. la linea, che è una data gran-
dezza, non s'identifica con la sua essenza, perché implica la 'ma-
teria intelligibile', ossia l'estensione spaziale [cfr. Metaph. Z 10,
1036 a 9-12]; l'acqua non è identica alla sua forma od essenza,

Baruch_in_libris
376 NOTE A r 4

perché è composta anche di materia sensibile) cfr. D~ an. B l,


412 b 11-5; Metaph. Z 4, 1030 a 6 sgg.; 6, 1031 a 15-31. L'identità
di 'ente' ed 'essenza' ( 429 h 12) si realizza nei concetti trascenden-
tali di essere, uno, bene, ecc. (cfr. Metaph. Z 6, 1031 b 6-14; 1032 a
4-6; 11, 1037 a 33-h 4); Hamlyn (ad 429 h 10, 137) pensa anche
alle intelligenze motrici dei cieli, e Seidl (Der Begrilf~ 43) pure
alle categorie (cfr. Metaph. H 6, 1045 a 36-h 7). In 429 h 12-4 lo
Stagirita (quasi per meglio calibrare la tesi della 'separarezza' del
nous) rileva che, se il composto materiale e fisico è conosciuto dal
senso, l'intelletto coglie invece la forma o essenza dell'oggetto.
D'altro lato aisthési.r e nous non sono assolutamente indipendenti,
ma costituiscono due potenzialità del soggetto poste in continuità
tra loro. C'è un unico e medesimo soggetto che si rapporta alle cose
con due distinte modalità, corrispondenti appunto alla sensazione
ed all'intellezione (cfr. anche Verbeke, Comment Aristote, 225;
Hamlyn, ad 429 h 10, 138; diversamente Temistio, 96, 13 sgg.;
Seidl, Der Begrilf, 43-4). Per tò simon (429 h 14) - che è la
'concavità del naso' - come esempio di oggetto fisico, la cui forma
è legata alla materia sensibile, cfr. 429 b 18-9; De an. r 7, 431 h
12-6; Metaph. E l, 1025 b 30-1026 a 6, ecc.; inoltre S. Mansion, Tò
simon, 124 sgg.
Lo Stagirita precisa poi che la aisthésis discrimina le qualità sen-
sibili del sinolo composto di materia e forma, mentre rintelletto
ne coglie l'essenza ( 429 b 14-8; cfr. anche De an. B 5, 417 h
22-3; r 8, 432 a 2-3 ). Sulle qualità e gli elementi n1ateriali costi-
tutivi della carne (429 b 15-6) cfr. De an. A 4, 408 a 14-5; B 11,
423 a 14-5; Metaph. Z 17, 1041 h 17-9; A 4, 1070 b 10-6; GA
B l, 734 h 30-6. In 429 b 16-7 si ripropongono le due ipotesi
alternative sull'intelletto, come assolutamente separabile dal senso
o come un 'prolungamento' di esso (cfr. Verbeke, Co,snment Ari-
state, 225). 'H XEXÀtXCTJ.LÉVT} (se. yptXIJ.IJ.TJ) ( 429 b 16) significa, come
nota Hicks (ad 429 b 16-7, 489), « bent at a angle )) (cfr. APo.
A 10, 76 b 9; Ph. E 4, 228 b 24); per Éx'tatln (429 b lì) cfr. lA
9, 709 b 1-5. Forse la linea spezzata corrisponde alla aisthesis, e
la linea retta al nous che coglie le forme o essenze in quanto se-
para te dalla materia.
Si ribadisce quindi che la distinzione tra ente ed essenza non si
verifica soltanto negli oggetti fisici, ma pure in quelli matematico-
geometrici, la cui essenza implica una materia intelligibile, in quanto
sono collocabili nello spazio. Tale essenza o è colta da una facoltà
differente da quella che la apprende in connessione con l'esten-
sione spaziale, oppure dalla medesima facoltà diversamente rela-
zionata ( 429 h 18-21 ). Con tà en aphairesei onta ( 429 h 18) Ari-
stotele designa gli enti ottenuti per astrazione, ossia quelli che non
esistono separatamente dagli oggetti fisici, ma possono essere sepa-,
rati da questi con il pensiero. Tali sono specialmente (anche se

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NOTE A r4 377

non esclusivamente) gli enti matematici, ed è ad essi che qui lo


Stagirita fa riferimento (cfr. anche De an. A l, 403 a 12-6; 403 h
15). Tò EùDu (429 h 18) - la linea retta - è un oggetto geome-
trico analogo al simon ( 429 h 19) nella misura in cui è 'composto'
di essenza (la ouci;: 429 h 20) e di materia intelligibile ( 429 b 19:
'"t'Ò O"U'VEXÉ;: il 'continuo' od estensione spaziale; cfr. Ph. Z l,
231 a 25 ). L'essenza della linea retta, in quanto la linea è delimi-
tata da due punti, potrebbe essere fatta consistere, coi Pitagorici ed
i Platonici (cfr. De an. A 2, 404 h 20; 22-3; 4, 409 a 4-5; Afe-
taph. Z 11, 1036 b 12-7; H 3, 1043 a 33-4; inoltre Platone, Prm.
137 e 3-5; Euclide, I, def. 3), nella diade (429 h 20; cfr. anche
S. Mansion, T ò simon, 125: questo passaggio suggerisce la possi-
bilità di pensare l'essenza delle entità geometriche per mezzo di
concetti aritmetici). In 4 29 h 20-1 si asserisce che è il medesimo
intelletto, ma diversamente rapportato, ad apprendere sia l'oggetto
geometrico sia l'essenza di esso. Aristotele conclude con un'affer-
mazione riassuntiva: ai diversi gradi di separazione degli oggetti
intelligibili dalla materia, corrispondono diversi gradi di immateria-
lità e di astrazione nella conoscenza intellettiva ( -t29 b 21-2).
4
( 429 h 22-430 a 9). Vengono esposte e successivamente ri-
solte due aporie. La prima è che la semplicità, impassibilità e "non
mescolanza' del nous con gli oggetti esterni, ammesse da Anassa-
gora, sembrano rendere impossibile la conoscenza intellettiva. che
implica una certa forma di passività nella misura in cui postula
una qualche comunanza con l'oggetto ( 429 b 22-6 ). Come osserva
Lanza (Anassagora, 170 nota) sulla scorta di Cherniss ( Pres., 306
n. 58), non si tratta qui tanto di una polemica dello Stagirita contro
Anassagora (per la quale cfr. De an. A 2, -105 b 19-23 ), q,Janto
piuttosto di un problema interno alla stessa speculazione aristote-
lica sul nous. Il problema è suggerito particolarmente da -429 a
18-21. Per l'elemento comune che unisce l'agente ed il paziente
(429 b 25-6) cfr. De an. B 5, 416 h 35-417 a 2; GC A 7, 323 b
29-324 a 5. La seconda aporia concerne l'autocoscienza dell'intel-
letto (cfr. 4 29 b 9). Se si ammette che il nous sia intelligibile a
se stesso sembrano inevitabili due conseguenze ugualmente assurde.
O (seguendo la dottrina di Anassagora) il nous sarà intelligibile ra-
tione sui (ossia indipendentemente dall'oggetto) ed esisterà un'unica
specie di intelligibile (quello identico all'intelletto stesso), ed al-
lora tutti gli oggetti intelligibili dovranno possedere l'intelletto
(cfr. anche P la tone, Prm. 13 2 c l 0-1); oppure (adottando il punto
di vista degli altri fisiologi) il nous conoscerà se stesso nel modo
in cui conosce gli altri oggetti, ossia mediante un'affezione cor-
porea, e ciò implicherà la commistione dell'intelletto con un ele-
mento materiale ( 429 h 26-9; cfr. Seidl, Der Begriff, 105).
La soluzione delle due difficoltà è ispirata alla teoria dell'atto

Baruch_in_libris
378 NOTE A r4

e della potenza. La risposta alla prima aporia è che tra intelletto


e intelligibile c'è effettivamente un elemento in comune, che è dato
dall'identità potenziale del primo con il secondo, una potenzialità
paragonabile a quella di una tavoletta per scrivere, su cui ancora
non sia stato segnato nulla ( 429 h 29-430 a 2) . .àt.ilpT)-ra.t. 1tpo-rEpov
( 429 h 30) rimanda ai due significati di paschein distinti in De an.
B 5, 417 h 2 sgg.; alla luce di quel testo l'intelletto non può dirsi
'impassibile' in senso anassagoreo, giacché 'patisce' qualcosa dall'og-
getto, ma questa 'passione' è impropria, perché altro non è che
l'attualizzazione di una potenzialità ( 429 h 30-1 ). In 429 h 31 la
lezione tràdita OEL è stata corretta in ouvciiJ.EL da Cornford (O n Ari-
stotle's De Anima, 13), seguìto da Hicks (ad l.; ad 429 h 31,
495-6), Ross (ad l.; ad 429 h 31, 294), Theiler (59; ad 429 h 31,
141) e Hamlyn (59). Il celebre paragone del grammateion (430 a l;
cfr. anche Platone, Tht. 191 c 8-9) mira ad evidenziare la poten-
zialità del nous rispetto agli intelligibili, e insieme la sua 'passività'
o ricettività nel momento in cui li apprende (cfr. anche Alessandro,
De an. 84, 21-85, 5, che ritiene che l'intelletto non corrisponda
alla tavoletta, ma alla epitedeiotes della tavoletta, e che non sia
tabula rasa, ma piuttosto tabulae rasum; punto di vista accettato
da Diiring, Aristoteles, 579-80, e contestato da Moraux, Alexandre,
75; 114-9; cfr. inoltre Merlan, Monopsychism, 14; Hamlyn, ad
429 h 29, 138-9).
La soluzione della seconda aporia muove dall'affermazione che
l'autocoscienza dell'intelletto non è (come pensava Anassagora) di
specie diversa dalla conoscenza degli oggetti, purché questi vengano
identificati non già (come ritenevano gli altri fisiologi) con gli enti
materiali in se stessi, ma con le loro forme intelligibili ( 430 a 2-3;
cfr. Seidl, Der Begriff, 106 ). In realtà vanno distinti due tipi di
oggetti. Da un lato vi sono gli oggetti immateriali, ossia gli intelli-
gibili non più in potenza, ma ormai in atto, con i quali il nous
s'identifica e conoscendo i quali conosce se stesso ( 430 a 3-5; cfr.
anche Metaph. A 7, 1072 h 19-25; 9, 1074 h 35-1075 a 10;
inoltre Elders, Aristotle's Theology, 191 n. 144; 261: conoscenza
'intuitiva' delle essenze delle cose e conoscenza 'indiretta' di sé).
Come fa notare Theiler (ad 430 a 3, 142) -rò aù-r6 la-rt. -rò voouv
xat -rò voouiJ.Evov ( 4 30 a 3-4) costituisce la versione aristotelica del
principio parmenideo -rò yàp aù-rò voEi:v ta-r f. v "tE xaL E!va t. (cfr.
DK 28 B 3 [1, 231, 22]). La ragione del fatto che il nous non
conosce sempre in atto ( 430 a 5-6) viene indicata probabilmente in
De an. r 5, 430 a 20-1. Vi sono poi gli oggetti materiali, intelli-
gibili soltanto potenzialmente, e che devono diventare intelligibili
in atto ( 430 a 6-7). Di qui due conseguenze: gli oggetti materiali
non possiedono l'intelletto (cfr. 429 h 27), perché questo li co-
nosce soltanto in quanto sono smaterializzati; e il nous non è me-'
scolato ad alcunché di materiale (cfr. 429 h 28 ), perché in esso si

Baruch_in_libris
NOTE A r5 379

trova soltanto l'intelligibile in atto ( 430 a 7-9; cfr. anche Seidl,


Der Begriff, 106; Hamlyn, ad 429 h 29, 139-40).

NOTE A r 5
1
SoMMARIO. - (l) Si devono distinguere nell'anima umana
due intelletti: quello in potenza, che 'diviene', ossia conosce, tutti
gli intelligibili, ed il poietikon, che li produce tutti; (2) l'intelletto
produttivo: (a) è atto per essenza, e quindi è separabile, impassi-
bile ed immisto a maggior ragione dell'intelletto in potenza;. (b) è
pensiero sempre in atto, mentre il dynatos passa dalla potenza al-
l'atto; (c) è immortale ed eterno, mentre l'intelletto in potenza e
'passivo' è corruttibile.
2
430 a 10-25). Si comincia col distinguere, nell'anima umana,
(
un intelletto che 'diviene' ed un intelletto 'produttivo' ( 430 a 10-7).
Analogamente agli esseri naturali ed agli oggetti fabbricati, per cia-
scuno dei quali esistono una materia ed una causa efficiente spe-
cifiche, anche all'anima appartengono un intelletto 'materiale' (cfr.
Alessandro, De an. 88, 23) e 'potenziale' ed uno efficiente e pro-
duttivo ( 430 a 10-4). In 430 a lO conservo sia W0"1tEP che ~t (cfr.
De an. A 4, 409 a 13), espunti invece da Ross (ad l.; ad 430 a
10-1, 296 ); per l1tEL o' WC17tEp ( 430 a lO) cfr. Pol. H 8, 1328 a 21;
mantiene WO"TCEP e ~t anche Hicks (ad l.; 135; ad 430 a 10; ad
430 a lO-l; ad 430 a 13, 499-500), il quale rileva che la protasi
inizia con l1tEL e l'apodosi con àvciyxT) ( 430 a 13 ), che ad W0"7tEP
corrisponde il xat: di 430 a 13, che tuttavia l7tEL rimane senza il
verbo e quindi la costruzione è in anacoluto. Per la physis (430 a
10) come l'insieme degli esseri soggetti al movimento cfr. Metaph.
A 7, 1072 h 14. Sul principio che il divenire della materia o
potenza richiede una causa efficiente ( 430 a l 0-3) cfr. De an. B 5,
417 a 17-8; Metaph. Z 7, 1032 a 12 sgg.; 8, 1033 a 24 sgg.; H 6,
1045 a 30-3; 1045 h 21-2; a 8, 1049 h 24-7. Sull'esistenza di una
materia per ciascun genere o categoria di enti ( 430 a 10-1) cfr.
Metaph. N 2, 1089 h 27-8; lxEL'VC'L (430 a 11) sono gli enti che
appartengono ad un dato genere o categoria. Per il termine poie-
tikon (430 a 12) cfr. De an. B 5, 417 a 18; 417 h 20; r 2, 426 a
4; Metaph . ..:\ 6, 1071 h 12; 10, 1075 h 31. La psyche (430 a 13)
corrisponde all'anima (umana) intellettiva (cfr. De an. r 4, 429 a
28; 7, 431 a 14). È specialmente in base allo hyparchein (430 a 13)
che alcuni interpreti hanno considerato entrambi gli intelletti come
facoltà dell'anima umana; cfr., ad es., Tommaso (III, 10, no 736,
174), Brentano (Die Psychologie, 168), De Corte (La doctrine, 66),
Ross ( 45) e Seidl (Der Begriff, 117).
La formula ~@ 1ta'V'tC1 "(L'VEo-Dat. ( 430 a 14-5) si applica all'in-

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380 NOTE A r5
telletto in potenza che, attualizzandosi, 'diviene', ossia conosce, di
volta in volta tutti gli intelligibili in atto (cfr. De an. B 5, 417 a
31-2; 417 h 5; r 4, 429 a 18; 2~; 429 h 5-9; 30; 8, 431 b 21 sgg.).
L'intelletto che produce tutti gli intelligibili costituisce una hexis
paragonabile a quella della luce ( 430 a 15). Come la luce 'in certo
modo', ossia in quanto 'atto' e 'stato' del trasparente (cfr. De an~
B 7, 418 b 9-10; 18-20; ~ 19 a 11 ), rende visibili in atto i colori
degli oggetti, cosi l'intelletto produttivo, in quanto stabile ed abi-
tuale disposizione (cfr. Ca t. 8, 8 b 26 sgg.) operati\?a (cfr. Tren-
delenburg, ad 430 a 15, 401: « lç~.~ O"'tEpi)aEL privationi apposita
[cfr. De an. B 5, 417 b 15-6] id habet, ut potius det, quam ac-
cipiat »; Giacon, Le grandi tesi, 25-6), trasforma gli intelligibili in
potenza in intelligibili in atto ( 4 30 a 16-7 ), astraendo le forme
intelligibili dalle immagini sensibili e quindi producendo gli uni-
versali (cfr. De an. r 7, 431 a 16-7; 431 h 2; lvletaph ....A.. l per
totum; APo. B 19 per totum; inoltre Alessandro, De an. 84,
6 sgg.). La metafora della luce è probabilmente ispirata a Platone,
R. VI, 508 a 5 sgg., dove l'idea del bene, come causa dell'essere
e della conoscenza, è paragonata al sole (cfr. anche Tarrant, Greele
Metaphors, 183 sgg.; Sprague, A Parallel, 250-1); Di.iring (Aristo-
teles, 582) cita anche Platone, Ep. VII, 341 c 6-d 2.
Aristotele descrive quindi le caratteristiche e la natura dell'in-
telletto produttivo, e ne afferma l'immortalità ed eternità ( 430 a
17-25). A questo intelletto appartengono anzitutto gli attributi della
separatezza, inalterabilità e 'non mescolanza', che sono le medesime
caratteristiche dell'intelletto in potenza, e che il poieti,~on possiede
a fortiori, data la sua attualità essenziale (430 a 17-9). La clausola
'tfi oualq, W'J l'JÉpyELt:l ( 430 a 18; è attestata anche la variante
fvEpyElq.) asserisce che l'intelletto produttivo è attualità pura e con-
seguentemente principio di attualizzazione della conoscenza intel-
lettiva (cfr. Verbeke, Comment Aristote, 227); in Jietaph. A 6,
1071 b 19-20 l'attualità per essenza è attribuita al primo !vlotore
immobile (cfr. anche Metaph. A 6, 1072 a 5-6; 7, 1072 a 25-6;
1072 b 26-8; 9, 1074 b 18-21). Per il primato della causa effi-
ciente su quella materiale (430 a 18-9) cfr. GA B l~ 732 a 3-9;
inoltre Platone, Phd. 79 e 7 sgg.; Phlb. 27 a 8 sgg.; 53 d 6-7;
Ti. 34 b 10 sgg.
Il passo 'tÒ o'au'to ... ouoÈ xpo'J~ (430 a 19-21) con1pare anche
in De an. r 7, 431 a 1-3. Esso è stato eliminato dal nostro capi-
tolo da Kampe (Die Erkenntnisstheorie, 282 n. 1), Theiler (59;
143), Hamlyn ( 60 e n. l; ad 430 a 18, 141 ), Diiring ( ~4;istoteles,
581 n. 123) e Ross (44; ad l.; ad 430 a 19-22, 296), il quale ate-
tizza anche la frase immediatamente seguente: à.ÀJ~.' o.,jx ~'t'È (J.Èv 'JOEL
C'tÈ o' ou 'JOEL ( 430 a 22); convincenti ragioni per il mantenimento,
di 430 a 19-22 in Seidl (Der Begrif!, 120 sgg.) e Lefè,·re (Sur !'ét'o-
lution, 27 3 n. 7 4 ). Il significato del passo è sufficientemente chiaro.

Baruch_in_libris
NOTE A r5 381

La conoscenza (intellettiva o scientifica) in atto è identica all'oggetto


conosciuto (cfr. De an. r 4, 430 a 3-5; Metaph. A 9, 1075 a 2-3).
La priorità cronologica della conoscenza potenziale rispetto a quella
attuale si verifica soltanto nel singolo individuo (cfr. De an. B 5,
417 a 21 sgg.; 417 h 17-9). Invece da un punto di vista gene-
rale la priorità (sia cronologica che logica ed essenziale) spetta alla
conoscenza in atto (ad es. a quella di cui dispone il maestro) (cfr.
Afetaph. 9 8 per totum; particolarmente 1049 h 17-1050 a 3). Ora
se l'intelletto 'possibile', come tale, passa dalla potenza all'atto (e
ciò spiega perché non può pensare sempre gli intelligibili in atto;
cfr. De an. r 4, 430 a 5-6), l'intelletto produttivo, in quanto atto
per essenza e causa dell'attualizzazione dell'intelletto 'possibile', di
natura sua non può non pensare sempre in atto ed è sempre in
grado di funzionare (cfr. anche Metaph. A 7, 1072 h 24-5).
Con la morte dell'individuo l'intelletto produttivo si separa dalle
altre facoltà dell'anima e dal corpo (ossia dal composto cui era
preesistito [cfr. De an. A 4, 408 h 18 sgg.] e di cui ha costituito
la forma o anima; cfr. Berti, Aristate, 105), riacquista la sua pura
esseJ;lza (che coincide col pensiero sempre in atto), e fruisce esso
solo dell'in1mortalità e dell'eternità ( -130 a 22-3 ). Adotto l'interpre-
tazione di xwpLcrltEL~ ( 430 a 22) in senso temporale data da Rodier
(I, 183; II, ad 430 a 22, 465; ad 430 a 23, 465-6), Smith (ad l.),
Nuyens (L'ét:olution, 306), A. Mansion (L'immortalité, 467-72, che
però riferisce choristheis ali 'intelletto in quanto tale, restituito, me-
diante la separazione dall'individuo, alla purezza deJla sua essenza),
Ross (-15~ 47-8), Si\\rek (333 n. 677), Theiler (ad 430 a 22, 143-4),
Jannone-Barbotin ( 107) e Berti (Aristate, 105 e n. 7). Invece Ver-
beke (Co1'1111ent Aristate, 227-8), seguito da Lefèvre (Sur l'évolution,
273 e n. 75), conferisce a choristheis valore causale. Per 'toult' 01tEP
la~(. ( 430 a 23) nel senso di 'ciò che è per essenza' cfr. Top. Z 8,
146 h 3-4: Cat. 7, 6 a 39-b l; Metaph. 11 15, 1021 a 26-8; inoltre
Oehler, Die Lehre, 221 sgg. Per l'immortalità e l'eternità dell'intel-
letto (produttivo) Theiler (ad 430 a 22; ad 430 a 23, 144) cita
anche Protr. (fr. 10 c Ross; 108 Diiring); Metaph. A 3, 1070 a
24-6; ed inoltre Diogene di Apollonia (DK 64 B 7 [Il, 66, 5] ).
Tommaso (III, 10, no 743, 175) ritiene che i caratteri dell'immor-
talità e dell'eternità vadano attribuiti all'intera anima intellettiva,
eterna a parte post, ma, come fanno notare Zabarella (903 B-C) e
Hicks (ad -130 a 23, 507), per Aristotele un ente eterno a parte
post dev'esserlo pure a parte ante (dr. Cael. A 12, 282 a 30-b l;
283 a 29 sgg.; inoltre Elders, Aristotle's Theology, 111).
Lo Stagirita aggiunge che, dopo la morte, noi non ricordiamo
la nostra vita passata, e ciò perché l'intelletto produttivo per sua
natura non subisce le affezioni del composto (ricordi, passioni, ecc.;
cfr. De an. A 4, 408 h 18-29), e pertanto non può conservarle
nel suo stato di. separazione, mentre l'intelletto in potenza e 'pas-

Baruch_in_libris
382 NOTE A r5
sivo' è bensilegato alle affezioni sensibili (e quindi può conservarne
le tracce), ma, per ciò stesso, è mortale come il composto ( 430 a
23-5 ). In definitiva la nostra identità personale termina con la
morte, mentre sopravvive l'intelletto produttivo, unico per tutti gli
uomini (cfr. anche Diiring, Aristoteles, 582-3; Berti, Aristote, 106-7).
L'unicità del poietikon, prima e dopo la sua moltiplicazione negli
individui umani, dipende, come aveva già osservato Temistio (103,
26-30), dalla mancanza di qualunque suo rapporto con la materia.
L'espressione pathetikos nous ( 430 a 24-5) si spiega col fatto che
l'intelletto in potenza 'patisce', ossia riceve gli intelligibili prodotti
dal poietikon (cfr. De an. r 4, 429 a 13 sgg.; inoltre Teofrasto,
fr. t• Barbotin [ = Temistio, 107, 31 sgg.]; Simplicio, 222, 39 sgg.;
247, 27 sgg.; Diiring, Aristoteles, 581). La corruttibilità dell'intel-
letto 'passivo' è dovuta alla sua dipendenza dalle immagini sensibili
(cfr. De an. r 7, 431 a 16-7; 431 h 2), e quindi (indirettamente)
dal corpo. Si è anche tentato di distinguere l'intelletto 'passivo'
(assimilato all'immaginazione ed alla 'cogitativa') dall'intelletto in
potenza; cosi, ad es., Temistio (105, 22 sgg.; 107, 4 sgg.; 108,
28 sgg.), Filopono (42, 26-9 De Corte = 61, 71-4 Verbeke), Averroè
(III, no 20, 449, 160 sgg.) e Tommaso (III, 10, no 745, 175-6);
sed contra, a ragione, Mager (Der nous pathetikos, 265 sgg.), \Ter-
beke (Comment Aristote, 217-21) e Bames (Aristotle's Concept,
111 n. 9).
Interpreto l'ultima clausola del capitolo: xat li-vEu -tou-tou oùitÈ-v
-voEt (430 a 25) con Rodier (l, 183 ), Tricot ( 183; 184 n. 3 ), Smith
(ad l.), Hett (171), Ross (48; 295) e Diiring (Aristoteles, 582):
« senza l'intelletto produttivo nessun pensiero (umano) è possibile »
(cfr. De an. r 4, 429 a 13). Queste le altre esegesi proposte (cfr.
Ross, Aristotle, 152; tr. it., 158): «senza l'intelletto attivo l'intel-
letto passivo non pensa nulla» (cosi Rodier, II, ad 430 a 25, 466;
Hicks, ad 430 a 25, 509-10; Hamlyn, 60; ad 430 a 18, 141 ); «senza
l'intelletto passivo l'intelletto attivo non pensa nulla » (cosi Sim-
plicio, 248, 5-6; Zabarella, 907 F; Seidl, Der Begrif!J 123); « senza
l'intelletto passivo non c'è nulla che pensa » (cosi Gigon, 333;
Siwek, 207; 335 n. 681).
Sulla storia delle interpretazioni greche e medievali dell'intel-
letto 'agente' e di quello 'possibile' cfr. Hamelin, La théorie, 29 sgg.;
Kurfess, Zur Geschichte, 5-47 ( 47 sgg.: interpreti moderni); Wilpert,
Die Ausgestaltung, 447 sgg.; Grabmann, Interpretazioni, 16 sgg.;
Nardi, in Tommaso, Trattato, 18 sgg.; Soleri, Il nous, 281 sgg. In
particolare su Teofrasto, che afferma insieme l'immanenza e la tra-
scendenza dell'intelletto produttivo (cfr. Teofrasto, fr. 12 Barbotin =
Temistio, 108, 18 sgg.: tvu1tcipxw-v e ayÉ'VT)'"tO~-acpitap.oro~), cfr. Bar-
botin, La théorie, 201 sgg.; Movia, Anima, 61 sgg. Su Alessandro,
che identifica il poietikon con l'intelletto divino di Metaph. A (De
an. 89, 11-21; De an. m an t. 110, 13-27, ecc.), cfr. Moraux, Ale-

Baruch_in_libris
NOTE A r 6 383

xandre, 93 sgg.; Merlan, Monopsychism, 16 sgg.; Movia, Alessandro,


44 sgg. (autopresentazione, 125 sgg.); Bazan, L'authenticité, 468 sgg.
Su Temistio, che asserisce l'unicità e insieme la molteplicità degli
intelletti agenti ( 102, 30 sgg.), cfr. Verbeke, in Thémistius, Com-
mentaire, XXXIX-LXII; Martin, The Nature, l sgg. Su Simplicio
(241, 32 sgg.) cfr. Montana Saenz, Interpretaci6n, 75 sgg. Su Fi-
lopono, che ritiene che l'intelletto agente e quello possibile non
sono due intelletti distinti, ma costituiscono l'unico intelletto del-
l'uomo (45, 53 sgg. Verbeke; cfr. anche ps. Filopono, 535, 13-5;
in questo senso, sia pure in tutt'altra prospettiva e con importanti
differenze tra loro, dr. anche De Corte, La doctrine, 54 sgg.; Seidl,
Der Begriff, 113 sgg.) cfr. Verbeke, in Jean Philopon, Commentaire,
LXIV sgg. Su Averroè, che considera entrambi gli intelletti come
sostanze separate, inferiori però a Dio (III, no l, 379 sgg.), e
Tommaso, per il quale i due intelletti sono facoltà della singola
anima intellettiva, forma del corpo, spirituale ed immortale (III,
10, no 734, 174, ecc.), cfr. A. Mansion, Conception, 161 sgg.;
Reyna, On the Soul, 131 sgg. Oggi la discussione s'incentra spe-
cialmente sul dualismo di anima (forma del corpo) e di intelletto
(separato), attribuito ad Aristotele (pur con notevoli divergenze)
specialmente da Jaeger (Aristotele, 441-2; 451-5), Nuyens (L'évo-
lution, 265-318), Verbeke (Comment Aristote, 209-29), A. Mansion
(L'immortalité, 444 sgg.) e Lefèvre (Sur l'évolution, 269-81); cri-
tica di tale posizione in Berti, Aristote, 97-111.

NOTE A r 6
1
SoMMARIO. - (l) Due operazioni dell'intelletto: (a) l'intelle-
zione degli 'indivisibili' (ossia di singole nozioni corrispondenti, ad
es., ad enti matematici, come 'diagonale' e 'incommensurabile', o
ad enti fisici, come 'Cleone' e 'bianco'), che, come puro coglimento
di essi, è sempre vera; (b) la loro unione in un giudizio, che può
essere vero o falso; (2) gli indivisibili secondo la quantità (ovvero
gli enti matematici, come la lunghezza) e quelli secondo la specie
(ovvero qualunque tipo di universale, come 'uomo' o 'triangolo'):
(a) sono colti istantaneamente; (h) sono divisibili rispettivamente
in parti ed in individui; (c) vengono considerati dall'intelletto in
quanto indivisibili, e sono tali e possiedono un'unità in virtù della
loro forma immanente; (3) gli indivisibili come i limiti (ad es. il
punto) e le privazioni ('male' o 'nero'): (a) sono conosciuti per
mezzo dei loro contrari; (b) il soggetto che conosce un contrario
è in potenza rispetto all'altro; ( 4) gli indivisibili (o universali) che
non hanno contrario: l'intelletto non è nemmeno potenzialmente
il loro contrario; (5) ancora sulle due operazioni dell'intelletto:

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384 NOTE A r 6

(a) la predicazione può essere vera o falsa; (h) l 'in tellezione delle
essenze (sostanziali o accidentali) è sempre vera.
2
( 4 30
a 26-b 6). Si distinguono due operazioni dell'intelletto:
da un lato l'intellezione degli 'indi visibili', cioè dei singoli concetti
o termini, la quale è immune da errore, ossia è sempre vera, avendo
come sua alternativa non già il falso, ma unicamente l'ignoranza;
e, dall'altro, l'unione di tali nozioni in una proposizione o giudizio,
il quale può essere vero o falso secondo che corrisponda o no ad
una connessione che si verifica nella realtà ( 4 30 a 26-31; cfr. anche
De a11. r 8, 432 a 11-2; 10, 433 a 26; Cat. 4, 2 a 4-10; Int. l,
16 a 9-18; 1\fetaph. r 7, 1012 a 2-5; E 4, 1027 h 18-23; 8 10,
1051 h l sgg.; inoltre Berti, The Intellection, 142-3). La citazione
di Empedocle (430 a 29) si legge (con una lieve modifica) in DK 31
B 57 (l, 333, 9); cfr. anche GA A 18, 722 h 19-21; Cael. r 2,
300 h 29-31; DK 31 B 20 (1, 318, 19-20); inoltre Cherniss, Pres.,
341. Per l'esempio di 'incommensurabile' e di 'diagonale' ( 430 a 31)
- singoli concetti geometrici che vengono poi congiunti nella pro-
posizione 'la diagonale è incommensurabile' (col lato del quadrato)-
cfr. APr. A 23, 41 a 26; Pb. à 12, 221 h 24-5; Metaph. A 2,
983 a 15-7; 19-21; à 29, 1024 h 17-21; e 10, 1051 h 20-1; EN
r 3, 1112 a 21-3; inoltre Euclide, X, 117 (app. 27 Heiberg).
Lo Stagirita aggiunge poi che il giudizio include anche la conno-
tazione temporale del fatto che esso esprime ( 430 a 31-b l; cfr.
anche I n t. 3, 16 h 6-18: in una proposizione la determinazione
temporale è espressa dal verbo, al presente o al passato o al fu-
turo; 10, 19 h 10-9; inoltre Hintikka, Tùne, 69-70; 80-1; sul tempo
in Aristotele cfr. Courtes, Philosophie, passim; Conen, Die Zeit-
theorie, passi11z; von Leyden, Time, 35 sgg.; Moreau, L'espace,
89 sgg.; Dubois, Le temps, passim; Ruggiu, Tempo, passim; Hin-
tikka, Time, 27 sgg.). Come fa notare Ross (ad 430 a 31-b l, 301),
dopo 6:v ... tcroiJ.ÉVW'V ( 430 a 31-b l) si deve sottintendere i) 'JOT)C1L~
(cfr. 430 a 26) oppure i) C1V'JDEC1L~ (cfr. 430 a 27). In 430 h l con-
servo il testo dei mss.: 'tÒ'V xp6vov 7tpOC1E'V'VOW'V xCLt C1U'J'tLDEL~;
Ross (ad l.; ad 4 30 a 31-b l, 30 l ) legge invece: 'tÒ'V xp6vov 7tpo-
C1E'V'VOW'J C1UV'tLitT}O'"L.
Il falso può aver luogo soltanto qualora vi sia una connessione
predicativa di termini, connessione presente anche in una propo-
sizione erronea e contraddittoria, come quando ad un ente che è
bianco, ad es. Cleone (cfr. 430 h 5), si attribuisce falsamente il
predicato 'non bianco' (430 h 1-3; cfr. anche Metaph. r 7, 1011 h
26-7; 1012 a 4-5; e 10, 1051 h l sgg.; inoltre Platone, Spb. 240 d
6 sgg.; Cra. 385 h 2 sgg.). Tutti i giudizi si possono chiamare non
soltanto 'composizioni', ma anche 'divisioni' ( 430 h 3-4), giacché
in ogni giudizio o proposizione il soggetto è sempre distinto dal
predicato (cfr. anche Hamlyn, ad 430 a 26, 143). Comunque si

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NOTE A r 6 385

voglia definire il giudizio ('composizione' o 'divisione'), la verità e


la falsità competono soltanto ad esso e lo riguardano in tutte le
sue determinazioni temporali ( 430 h 4-5). L'esempio di 'Cleone' e
'bianco' ( 430 h 5) mostra che gli indivisibili unificati nel giudizio
possono essere non solo enti matematici (cfr. 430 a 31), ma pure
enti fisici (cfr. Berti, The Intellection, 144 ). Lo Stagirita conclude
riconoscendo nell'intelletto il principio unificatore degli 'indivisibili'
nel giudizio, vero o falso che sia ( 4 30 h 5-6).
3 ( 430 h 6-20). Aristotele distingue anzitutto l'indivisibile in
potenza, che cioè non può in alcun modo essere diviso (come il
punto; cfr. anche Temistio, 110, 5-6; Berti, The Intellection, 141;
152), dall'indivisibile solo in atto, ossia che è suscettibile di divi-
sione, ma che di fatto non è diviso ( 430 h 6). Viene quindi ad-
dotto un primo esempio di enti indivisibili (o indivisi in atto; cfr.
Hamlyn, ad 430 a 26, 142; ad 430 h 6, 143 ), quello della lun-
ghezza considerata nella sua totalità, l'intellezione della quale non
può avvenire che in un tempo parimenti indivisibile (in atto, non
in potenza), ossia in ug. tempo non implicante successione, in una
parola istantaneamente ( 430 h 7-11; cfr. anche Ph. Z 2, 233 a
10 sgg.). In 430 h 7-8 mantengo il textus receptus: oùDÈv xwÀuEL
VOELV 'tÒ aOt.CLLPE'tOV, 6'tCLV von 'tÒ 1-liixo~; Torstrik (in app. crit.
ad l.; ad 430 h 6-21, 192) e Ross (ad l.; ad 430 h 6-10, 296)
hanno invece: oùDÈv XWÀUEL VOELV 'tÒ Ot.at.pE'tÒV n aOLCLLPE'tOV, olov
~'tCLV von 'tÒ 1-liiXo~. All'intellezione della lunghezza presa come un
tutto lo Stagirita oppone il caso in cui si pensa separatamente cia-
scuna metà della lunghezza (ciascuna metà divenendo con ciò, a
sua volta, una lunghezza indivisibile), e quello in cui si pensa la
lunghezza come composta di due metà; ora l'uno e l'altro caso (ossia
l'intellezione della lunghezza come divisa in parti) comporta paral-
lelamente la divisione del tempo, ossia un'intellezione che avviene
in due tempi successivi ( 4 30 h 11-4).
Dopo gli indivisibili 'secondo la quantità', ossia gli enti mate-
matici (come la lunghezza), lo Stagirita nomina quelli 'secondo la
specie' (ossia gli universali, ad es. le infimae species come 'uomo'
o 'triangolo'), i quali (come, del resto, gli stessi .indivisibili secondo
la quantità) sono pensati in un tempo unico e con un atto unico,
vale a dire istantaneamente ( 430 h 14-5). Questo passaggio è
stato spostato da Bywater (Aristotelia, III, 58-~) alla r. 20, perché
interromperebbe la trattazione degli indivisihili quantitativi; cosl
anche Ross {49; ad l.; 300; ad 430 h 14-20, 296-7) e Hamlyn (62
e n. l; ad 430 h 16; ad 430 h 14, 144 ). Sulla distinzione tra indi-
visibili quantitativi e quelli secondo la specie cfr. anche Metaph.
B 3, 999 a 2-3; à 6, 1016 h 23-4; I l, 1053 a 19-20.
Fa séguito un passo molto controverso (430 h 16-7), che leggo
nel testo di Ross ( 48; ad l.; 299; ad 430 h 14-20, 297), senza in-

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386 NOTE A r 6

serire però nella r. 17 (dopo fi) lxEL'Jtx.. Convincente la spiegazione


del passaggio proposta da Berti (The Intellection, 145): sia gli in-
divisibili secondo la quantità che quelli secondo la specie a rigori
sono tutti divisibili (la quantità è divisibile in parti, il genere in
specie e le specie in individui), ma vengono considerati dall'intelletto
'in quanto indivisibili'. S'aggiunga che, nella misura in cui l'intel-
letto considera un intero 'in quanto indivisibile', si può compren-
dere che Aristotele affermi che quest'intero risulta divisibile sol-
tanto accidentalmente ( 430 b 16 ). Lo Stagirita precisa poi che
entrambi i tipi di indivisibili sono tali, vale a dire possiedono un'unità
(quella propria degli universali), in virtù della presenza in essi di
un 'indivisibile', che s'identifica con la loro stessa essenza o forma
immanente, e che pertanto non è 'separato' come un'idea platonica
(430 b 17-20; cfr. anche J.\fetaph. H 6, 1045 a 7 sgg.; I l, 1052 a
29-34; 2 per totum; N l, 1088 a 2-4).
4
(430 b 20-30). Un terzo tipo di indivisibili è costituito dalle
'divisioni' o limiti, ossia da enti matematici come il punto. Difatti
il punto divide la linea, come la linea divide la superficie e la
superficie divide il solido ( 430 b 20-1; cfr. anche Metaph. B 5,
1002 a 18-21; 1002 a 34-b 11; a 6, 1016 b 24-8; K 2, 1060 b
12-9 ). Un quarto tipo di indivisibili è rappresentato dalle priva-
zioni, ad es. dal 'male' e dal 'nero' ( 430 b 21-3). Entrambi questi
tipi di indivisibili si conoscono tramite i loro contrari ( 4 30 b 23):
cosl il punto si definisce come limite della linea, cosl « malum bono
eiusque lege inclarescit » (Trendelenburg, ad 430 h 20, 418), e la
nozione di nero è inseparabile da quella del bianco (cfr. anche
Metaph. Z 7, 1032 b 2-5; I 3, 1054 a 26-7). Segue una clausola
che con Rodier (ad l.; II, ad 430 b 23-4, 485-6 ), Hicks (ad l.;
139; ad 430 b 23; ad 430 b 24, 523) e Hamlyn (62 e n. 2; ad
430 b 20, 144) leggo nel testo bekkeriano (ritenuto corrotto da
Ross, ad l.; ad 430 b 23-30, 298 ): OEL OÈ OU'JrL(.lEL EL'Jr.IL '"t'Ò y'Jwp!~o'J
xa.t l'JEL'JrtL tv aÙ'"t'@ ( 4 30 b 23-4): il soggetto che conosce un
contrario è in potenza l'altro, il quale è in questo senso presente
in lui (cfr. Berti, The Intellection, 146).
A questo punto abbiamo il seguente passaggio, che riporto nel
testo di Ross (ad l.): EL OÉ '"t'L'JL (J,T}OÈ'J EO"'"t'L'J l'Jrt'J'"t'LO'J [ '"t'W'J tx.L'"t'LW'J],
a.v-rò ta.v-rò yL'JWO"XEL x a. t l'JÉpyELti. la'"t'L xa.t xwpt.a'"t'o"V- ( 430 h 24-6;
l'atetesi di '"t'W'J rtL'"t'LW'J è dovuta a Zeller, II, 2, 578 n. 2, ed è
stata accettata anche da Hicks, ad l.; ad 430 b 25, 523-4; Smith,
ad l. e n. l; Hett, ad l.; Theiler, 60; ad 430 h 23, 145-6; Hamlyn,
62 e n. 2; Laurenti, 182 e n. 629). La maggior parte degli inter-
preti spiega il passo come un'allusione a Dio, la cui intelligenza
(diversamente dalla nostra) non ha un oggetto a sé contrario, ma
è pensiero di pensiero, atto puro e sostanza separata e trascendente
(cfr. Metaph. A 10, 1075 b 20-4; inoltre Temistio, 111, 34 sgg.;

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NOTE A r 6 387

Filopono, 84,60 sgg. \Terbeke; Tommaso, III, 11, n° 758, 180, ecc.;
Hicks, ad 430 h 24, 523; Theiler, ad 430 h 23, 146; Si"~ek, 338
n. 701; Hamlyn, ad 430 h 20, 144-5). Di qui, specialmente sulla
base di Metaph. 8 10, 1051 h 26 sgg., si è pensato che lo Stagi-
rita ammetta una conoscenza immediata e diretta dei Motori im-
mobili, e che quindi ricada nell'intuizionismo platonico (cfr. Filo-
pono, 84, 60 sgg. Verbeke; Sch,vegler, in 1-J.etaph., IV, 187; Jaeger,
Aristotele, 274-5; Q,vens, The Doctrine, 413-4; Merlan, Fro1n Pla-
tonism, 186-7; Aubenque, Le problème, 3i4-5). Berti (Tbe Intel-
lection, 146), che giustamente rifiuta l'idea che in Aristotele sia
ammessa l'intuizione diretta ed immediata delle sostanze separate
come pure degli indivisibili (ossia degli universali e delle essenze,
sia delle sostanze che degli accidenti) e che, in particolare, mostra
come questi ultimi, per lo Stagirita, non possono essere colti dal-
l'intelletto che attraverso la mediazione (anche temporale) dell' espe-
rienza sensibile (cfr. De an. r 7, 431 a 16-7; 8, 432 a 7-9; APo.
B 19 per totum; lvletaph. A l, 981 a 5-7; E l, 1025 h 3 sgg.),
cosl traduce il nostro passaggio: « ma se a qualcosa nulla è contrario,
il soggetto stesso conosce l'oggetto stesso ed è in atto [rispetto ad
esso] e separato [cioè non è altro, nemmeno in potenza] » (questa
versione, che sembra leggere av'tÒ aù't6 e che segue lo l'Jepyef.q,
dei mss., è stata adottata nella nostra traduzione). Il significato del
passo viene quindi ad essere il seguente: nel caso di un universale
che (diversamente da quelli considerati in 430 h 20 sgg.) non ha
contrario (cfr. Cat. 5, 3 h 24-32; Ph. A 6, 189 a 29; !vfetaph. N l,
1087 h 2-3 ), il soggetto che lo conosce in atto non è nemmeno po-
tenzialmente il suo contrario.
Viene infine ripresa la distinzione tra le due operazioni del-
l'intelletto già tematizzata in 4 30 a 26 sgg. Il vero e il falso sono
di pertinenza delle enunciazioni o predicazioni, dove un termine
(un 'indivisibile') viene predicato di un altro, allo stesso modo
che il senziente può essere nel vero o nel falso quando attribuisce
una data qualità sensibile ad un oggetto. Al contrario, l'intelle-
zione delle essenze (o 'indivisibili', o 'universali') immateriali ( 430 h
30: 8aa a'JE\J vÀT)~; cfr. anche De an. r 4, 430 a 3-9; 1'J.etaph. A
9, 1075 a 3-5)- sia sostanziali che accidentali (cfr. Top. A 9, 103 h
27-39) - degli enti materiali è infallibile (cfr. De an. r 3, 428 a
16-8; Metaph. 8 10, 1051 h 25-6), com'è sempre vera (cfr. De
an. B 6, 418 a 12; r 3, 427 h 12; 428 h 18-9) la percezione dei
sensibili propri ( 430 h 26-30). Per cpaaL~ e a1t6cpaO'"L~ ( 430 h 26;
27) cfr. De an. r 7, 431 a 9; 16; Int. 12, 21 h 21-2; Metaph.
r 4, 1008 a 34-b l; 7, 1012 a 4; inoltre Platone, Sph. 263 e 12.
Per l'espressione "t'L xa'ta 'tL'JO~ ( 430 h 26; 28) cfr. De an. A 4,
408 a 2; APr. A 36, 48 h 20; inoltre Tugendhat, Tì katà, passim.

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388 NOTE A r7
NOTE A r 7
1
SoM~IARIO. -A) Conoscenza attuale e conoscenza potenziale:
(l) il pensiero in potenza si attualizza in virtù di un pensiero già
in atto; (2) la facoltà sensitiva viene attualizzata e perfezionata dal
sensibile in atto. B) Ruolo della percezione e del pensiero in rap-
porto ali' azione: ( l) il desiderio e la ripulsa corrispondono all' af-
fermazione e alla negazione; ( 2) il piacere e il dolore sono funzioni
della facoltà sensitiva; (3) l'appetizione e la repulsione sono aspetti
di un'unica facoltà, la orexis, la quale si distingue dallo aisthetikon
solo per la funzione; ( 4) le immagini sono indispensabili al pen-
siero e all'attività pratica; (5) l'unica facoltà sensitiva si specifica
nei diversi sensi. C) La discriminazione percettiva: (l) la discri-
minazione tra due sensibili di genere diverso è resa possibile dal-
l'unità e collaborazione dei due sensi corrispettivi; ( 2) i sensibili
dello stesso genere o di genere diverso trovano la loro unità nell'og-
getto stesso. D) Ancora sull'importanza della percezione e del pen-
siero (come pure dell'immaginazione) per l'azione pratica: (l) al-
cune azioni vengono compiute in presenza di sensazioni; (2) altre
vengono programmate dall'intelletto sulla base delle sole immagini
o idee; ( 3) il vero e il falso hanno un valore assoluto, mentre il
bene e il male sono relativi alla persona. E) Ancora sulla cono-
scenza intellettiva: (l) gli enti matematici come astrazioni dell'intel-
letto; (2) possibilità della conoscenza degli enti separati.
2
a 1-20). Si riprende un discorso già svolto in De an.
( 4 31
r 5, 430 a 19-21: identità di pensiero in atto ed oggetto pensato
in atto, priorità cronologica (nel singolo individuo) del pensiero
potenziale rispetto a quello attuale, priorità anche cronologica (da
un punto di vista generale) del pensiero in atto rispetto a quello
in potenza, sulla base del principio che tutto ciò che diviene, di-
viene da un ente in atto (431 a 1-4; cfr. anche De an. B l, 412 a
26-7; 5, 417 a 17-8; Metaph. Z 9, 1034 h 16-8; 9 8 per totum;
A 2, 1069 h 15-20; 31-2; 6, 1071 h 12 sgg.; 7, 1072 b 35-1073 a
3; GA B l, 734 a 29-32). Dal piano della episteme Io Stagirita
passa a quello della aisthesis. L'ente in atto che attualizza lo aisthe-
tikon è l'oggetto sensibile. Di conseguenza la percezione non è una
forma di passività o un'alterazione fisica, e neppure un movimento
(se per movimento s'intende l'atto di ciò che è imperfetto, ossia
il processo verso un fine), ma è l'attività del senso, ossia la sua
attualizzazione e perfezionamento ad opera del sensibile ( 4 31 a 4-7;
cfr. De an. B 5, 417 a 16; 417 h 2-21; 418 a 3-6; r 2, 425 h 28-
31; Metaph. r 5, 1010 h 35-1011 a 2; 9 6, 1048 h 18-35; 8,
1050 a 23-b 2; EN K 4 per totum).
Aristotele viene ora a trattare del ruolo della percezione e del
pensiero in rapporto all'azione ed al comportamento (431 a 8-17).

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NOTE A r7 389

Se la percezione di un sensibile proprio è assimilabile alla pronuncia


di un singolo termine e all'intellezione di un singolo concetto (dr.
De an. r 6, 430 a 26-7; Metaph. 8 10, 1051 b 24-5; inoltre Rodier,
Il, ad 431 a 8, 492), l'appetizione del piacevole e la ripulsa del
doloroso corrispondono rispettivamente, sul piano del pensiero, al
giudizio affermativo ed a quello negativo ( 431 a 8-1 O; cfr. De
an. B 3, 414 b 4-16; r 10, 433 b 8-10; EN Z 2, 1139 a 21-2; H 3,
1147 a 25 sgg.): ad es. perseguire un oggetto piacevole corrisponde
(e consegue) all'affermazione che esso è tale. Lo Stagirita aggiunge
poi che il piacere e il dolore si provano mediante la facoltà sensi-
riva, la quale (in questo caso) funge da medietà non già tra i sen-
sibili in quanto tali, ma in quanto costituiscono un bene o un
male e sono piacevoli o dolorosi (431 a 10-1; cfr. 431 a 19; De an.
B 11, 424 a 4 sgg.; 12, 424 b l; r 10, 433 a 28-9; 433 b 8-10;
13, 435 b 21 sgg.; EN K 4, 1174 b 14 sgg.; inoltre Gauthier-Jolif,
in EN, II, 2, ad 1153 a 14, 797). Si prosegue affermando l'identità
sia del desiderio e della repulsione attuali (in quanto la tendenza
verso un dato oggetto è al tempo stesso fuga da quello opposto),
sia dell' oreletileon e del pheuletileon (in quanto questi non rappre-
sentano due facoltà distinte, ma due aspetti o funzioni di una me-·
desima facoltà, la orexis ), sia dell' oreletileon e dell' aisthétileon (in
quanto essi, nel mondo animale, si implicano mutuamente, e sono
distinguibili soltanto per la loro essenza o funzione) (431 a 12-4;
cfr. anche De an. B 3, 414 b l sgg.; EN K 5, 1175 b 34-5; inoltre
Ross, ad 431 a 12-4, 304; Hamlyn, ad 431 a 8, 146). Si asserisce
quindi che nell'anima razionale sono presenti non più (come in
quella sensitiva) i meri prodotti delle percezioni, ma ormai le im-
magini; sulla base ed in riferimento alle immagini essa pensa, e
quindi afferma o nega, che un determinato oggetto costituisce un
bene o un male, e conseguentemente lo persegue o lo evita (431 a
14-7; cfr. 431 b 2 sgg.; De an. r 3, 429 a 4-8; 8, 432 a 9-10). Per
lo aisthéma (431 a 15) come 'prodotto della aisthesis, cfr. Somn.
Vig. 2, 456 a 26; inoltre Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1068 sgg.
Per le immagini come dati prerequisiti al pensiero (431 a 16-7) cfr.
De an. A l, 403 a 8-9; r 8, 432 a 8-9; 13-4; Mem. l, 449 b 31.
Segue un frammento che forse si richiama al discorso sulla me-
sotés svolto in 431 a 10-1 (cfr. Theiler, ad 431 a 17-b l, 147) e pre-
para le considerazioni che verranno proposte in 431 a 20 sgg. (cfr.
Hamlyn, ad 431 a 17, 146): si ha una trasmissione dell'impulso
percettivo dal 'mezzo' al senso periferico, e da questo all'organo
centrale della sensibilità, il cuore; l'unica facoltà sensitiva funziona
da 'medietà' dei sensibili, e si specifica nei diversi sensi ( 431 a
17-20; cfr. De an. B 7, 419 a 13-5; 11, 424 a 4 sgg.; 12, 424 a
24-8; r 2, 426 b 12-23; Insomn. 2, 459 a 28-b 7; Div. Somn. 2,
464 a 6 sgg. ).

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390 NOTE A r 7

3
(431 a 20-b 1). Aristotele ritorna sul tema della percezione
dei sensibili diversi nel genere (cfr. 431 a 20) o nella specie (dr.
431 a 25). Per ~L'JL (431 a 20) cfr. De an. r 2, 426 b 14; per
epikrbtei (431 a 20) cfr. Insomn. 3, 461 h 6; 25; proteron (431 a
21) rimanda a De an. r 2, 426 h 8-427 a 14; cfr. anche De an.
r l, 425 a 23; 31. Si comincia con l'affermare che la percezione
della differenza tra due sensibili di genere diverso è un atto in cui
si realizza la collaborazione e l'unità dei due sensi corrispondenti
(dr. anche Hamlyn, ad 431 a 20, 146-7), atto che, nella sua du-
plice relazione, è paragonabile al limite, ad es. al punto, che sulla
retta assolve due funzioni, in quanto termine di un segmento ed
inizio di un altro (cfr. De an. r 2, 427 a 9 sgg.); tra queste due
=
qualità sensibili ( 4 31 a 22: "t"tx.U"t"tx. il dolce e il caldo) vige lo
stesso rapporto che vale per le al tre due ( 4 31 a 23 : lxEt'Ja. = l'amaro
e il freddo), ossia costituiscono un'unità analogica (il dolce sta al-
l'amaro come il ca~do sta al freddo, e quindi il dolce e il caldo sono
la stessa cosa per analogia, ossia per funzione e valore) e numerica
(perché, ad es., il dolce e il caldo sono determinazioni di un me-
desimo oggetto) (431 a 21-4; dr. anche Ross, ad 431 a 20-b l,
305-6). Per EO""t"L yàp l'J "t"L ( 431 a 21-2) cfr. De an. r 2, 426 h
18-9; sull'unità per analogia cfr. Metaph. ~ 6, 1016 h 34-5; N 6,
1093 h 17-21; sull'unità (accidentale) numerica cfr. Metaph. A 6,
1015 h 16-36 ('musica' e 'giusto' sono uno per accidente in quanto
ineriscono alla medesima sostanza, ad es. a Corisco).
Si aggiunge che non fa molta differenza se la discriminazione
percettiva riguarda sensibili di genere diverso, oppure quelli dello
stesso genere, ma reciprocamente opposti ( 431 a 24-5; per questa
distinzione cfr. anche De an. r 2, 426 h 8 sgg.; Sens. 7, 447 h
26 sgg.), e ciò perché in entrambi i casi i sensibili hanno una base
unitaria nell'oggetto stesso. In effetti, se A (bianco) : B (nero) = C
(dolce) : D (amaro), e se, convertendo, A : C = B : D, allora CD
ed AB (conservo in 431 a 27-8 la lezione dei mss. r~ e AB, che
Ross [ad l.; 302; ad 431 a 20-b l, 305], richiamandosi a ps. Fi-
lopono [561, 17], muta in rA e ~B), che possono appartenere
ad un unico oggetto, formano un'unità numerica (cfr. 431 a 22-3),
benché la loro essenza sia diversa (cfr. Hamlyn, ad 431 a 20, 147),
e la stessa cosa vale anche per CA e D B ( 4 31 a 29: xti.xEL'JCl ~IJ,olw~)
(431 a 25-9). Sulla conversione delle proporzioni (431 a 27) dr.
APo. A;, 74 a 18; B 17, 99 a 8-15; EN E 3, 1131 h 5-7.
4
431 h 2-19). Aristotele riprende anzitutto il tema - già af-
(
frontato in 431 a 8-17 - dell'importanza del pensiero (come
pure dell'immaginazione e della sensibilità) per l'attività pratica
(431 h 2-12). La facoltà intellettiva è mossa all'azione (o, meglio,
induce il soggetto all'azione), ossia a perseguire o ad evitare gli
oggetti, anche senza la presenza di sensazioni, vale a dire sulla

Baruch_in_libris
NOTE A r7 391

base delle sole immagini degli oggetti, nelle quali coglie le forme
intelligibili degli oggetti stessi, e quindi anche ciò che li costituisce
come un bene o un male per il soggetto (431 h 2-5). Si prosegue
con un esempio che illustra il passaggio all'azione in base alla per-
cezione: si vede una fiaccola accesa e in movimento, si sa che
questo è il segnale dell'avvicinarsi dei nemici (431 b 5-6; cfr. Tu-
cidide, II, 94 e scollo ad l.; III, 22; 80; VIII, 102), e quindi l'in-
telletto induce alle operazioni conseguenti. In 431 h 5 espungo con
Bywater (Aristotelia, III, 61), Hicks (ad l.; 143; ad 431 h 5-6;
ad 431 h 5, 538-9), Hamlyn (64 e n. 2; ad 431 h 2, 148) e Lau-
renti ( 187 e n. 648) ~n xow.vfi (se. tLtaihiaEt.), mantenuto da Ross
(ad l.; 302; ad 431 h 5-6, 306-7). Lo Stagirita tratta poi delle
azioni programmate dall'intelletto con l'ausilio delle sole immagini
o idee presenti nell'anima. Servendosi di queste immagini o idee
l'intelletto delibera circa il futuro (ponendolo in relazione con la
situazione presente), come se lo avesse davanti agli occhi; come
nel caso della sensazione ( 431 h 9: ixEt) si 'dice' che qualcosa è
piacevole o doloroso, cosi in quello del pensiero ( 431 h 9: iv't'a.ODa.)
si dice che l'oggetto va perseguito od evitato ( 431 h 6-9; cfr. anche
Hicks, 143; Smith, ad l.; Hamlyn, 64; ad 431 h 2, 148). Per
loghizetai kai bouleuetai (431 h 7-8) dr. EN Z l, 1139 a 12-3;
inoltre Platone, Tht. 186 a 11-b l; per tà mellonta pros tà pa-
ronta (431 h 8) cfr. anche De an. r 10, 433 h 8; Platone, Prt.
356 a 5 sgg. In 431 h 10 conservo iv 1tpci.~Et. (dr. Metaph. M 3,
1078 a 32) emendato in ~v 1tpci.~E(, da Ross (ad l.; 302; ad 431 h
10, 307). Aristotele aggiunge un'osservazione ( 431 h 10-2) cosl
parafrasata da Torstrik (205): « verum et bonum in eadem 0"\JO"'t'Of.X~~
[ovvero nella serie positiva dei contrari; cfr. Metaph. r 2, 1004 h
27; A 7, 1072 a 31] continentur, itetn falsum et malum: differunt
ita ut bonum semper referatur ad aliquem vel ad aliquid cui bo-
num est, verum non item ». Tò avEu 1tpa~Elù~ (431 h 10) sono la
verità e la falsità puramente teoretiche, a differenza del bene e del
male che riguardano le azioni pratiche (cfr. De an. r 10, 433 a 14;
EN Z 2, 1139 a 27-31). Sullo tiya.1l6v 't(,Vf. (cfr. 431 h 12) come
distinto dal bene a1tÀw~ cfr. EN r 4, 1113 a 22-b 2; EE r l,
1228 b 18-26; Metaph. Z 3, 1029 h 5-8; inoltre Allan, The
Fine, 63-4.
Lo Stagirita ribadisce quindi la sua dottrina sulla natura astratta
degli enti matematici (431 h 12-7; adotto il testo di Ross [De an.,
ad l.], fatto proprio anche da Hamlyn [64 e note 4-.5], senza però
l'aggiunta nella r. 16 di 8v'ta. dopo où XEXWPt.Ql.LÉva. né di ii dopo
voi)): tà en aphairesei legomena, e in particolare le entità mate-
matiche (ad es. il 'concavo'), che non esistono separatamente dalle
sostanze materiali (ad es. dal 'camuso'), vengono separate ed astratte
da queste con il pensiero (cfr. anche De an. A l, 403 a 12-6;
403 h 15; r 4, 429 h 14; 18-9; 8, 432 a 5-6}. Il capitolo si

Baruch_in_libris
392 NOTE A r 8

chiude con la riaffermazione dell'identità dell'intelletto in atto con


l'oggetto pensato {431 b 17; dr. anche 431 a 1-2; De an. r 4,
430 a 3-9; 8, 431 h 22-3) e con la progettazione di una ricerca
sulla possibilità della conoscenza di enti separati dall'estensione
{ossia delle sostanze separate; dr. De an. A l, 403 b 15-6) da
parte dell'intelletto umano che, come facoltà dell'anima, non è
indipendente dal corpo {431 b 18-9; cfr. anche Mem. l, 450 a 7-9).

NOTE A r 8
1
SoMMARIO. - A) Le facoltà conoscitive e i loro oggetti:
{l) l'anima in certo modo, ossia in potenza, s'identifica con tutti
gli enti, e precisamente l'intelletto con gli intelligibili e il senso
con i sensibili; (2) la conoscenza (intellettiva e sensitiva) è in po-
tenza o in atto allo stesso modo degli oggetti corrispondenti; (3) le
facoltà conoscitive non s'identificano con gli oggetti in se stessi,
ma con le loro forme: l'intelletto apprende le forme intelligibili
e il senso quelle sensibili. B) Sensibilità, immaginazione e pen-
siero: (l) ogni tipo di intelligibile si trova nel sensibile; (2) gli
intelligibili vengono colti dall'intelletto sulla base delle sensazioni
e delle immagini; (3) le immagini si distinguono sia dai concetti
singoli come dal giudizio.
2
(431 b 20-432 a 14). Riassumendo quanto è venuto dicendo
fin qui sulle facoltà conoscitive, Aristotele afferma (431 b 20-4)
che l'anima, in certo modo, ossia in potenza (cfr. 431 h 27; cfr. anche
De an. B 5, 417 h 23; inoltre Ross, 49; Seidl, Der Begrif}, 55),
s'identifica con tutti gli esseri, e, più precisamente, che l'intelletto
s'identifica con gli intelligibili {dr. De an. r 4, 429 a 16 sgg.; 430 a
3-9; 5, 430 a 14-5; 19-20; 7, 431 a 1-2; 431 b 17) e il senso con
i sensibili {cfr. De an. r 2, 425 b 26-426 a 26). Per l'espressione
cruyuq»ctÀctt.WO"ctv-rE~ ( 431 b 20) cfr. Pol. Z 8, 1322 b 30-1; SEt
~1)-rEtv (431 b 24) rimanda al séguito del discorso (431 h 24 sgg.).
Si continua asserendo come la distinzione tra conoscenza {intellet-
tiva e sensitiva) in potenza e in atto corrisponde alla distinzione
tra oggetto conosciuto {intelligibile e sensibile) in potenza e in
atto {431 h 24-8; cfr. anche De an. B 5, 417 a 12-4; 417 b 17 sgg.;
r 4, 429 b 5-9; Metaph. M 10, 1087 a 15-21). Per tò epistemo-
nikon (431 b 27) cfr. EN Z l, 1139 a 12 {inoltre Dirlmeier, in
EN, 444: « Neubildung von Ar. »). In 431 b 27 leggo 'tctO-rct (dr.
De an. B 4, 416 a 28-9); Biehl-Apelt (ad l.) e Ross (ad l.) hanno
'tctV'tti. Se le facoltà conoscitive sono identiche in potenza ai loro
oggetti, la loro attualizzazione non comporta l'assunzione degli og-

Baruch_in_libris
NOTE A r 8 393

getti m quanto tali (ossia in quanto composti di materia e di


forma), ma delle forme degli oggetti: il senso apprende le forme
sensibili e l'intelletto quelle intelligibili (431 h 28-432 a 3 ). Per
la pietra (431 h 29) come esempio di cosa concreta dr. De an.
A 5, 410 a 10-3; l'affermazione che l'anima apprende lo eidos, e
non la cosa stessa (dr. anche De an. B 5, 417 h 23; 12, 424 a
17 sgg.; r 4, 429 a 27-8), è diretta contro i fisiologi, e partico-
larmente contro Empedocle (cfr. De an. A 2, 404 h 8 sgg.). Il
paragone della mano (432 a 1-3; dr. PA 4 10, 687 a 7-23; Probl.
XXX 5, 955 h 23 sgg.) vuoi significare che, come la mano è lo stru-
mento con cui assumiamo ed usiamo gli altri strumenti, cosi le
facoltà conoscitive sono le 'forme' e gli 'strumenti' con cui ci ap-
propriamo delle forme degli oggetti (cfr. anche Hicks, ad 431 b
20-432 a 14, 542; ad 432 a 2, 544-5; Dorrie, Gedanken, 240-1).
Per l'intelletto e il senso come 'forme' cfr. De an. B l, 412 a 20:
l'anima-eidos. Gli eide di 432 a 2 sono le forme intelligibili (dr.
De an. r 4, 429 a 15-6; 28-9; 7, 431 h 2), n1entre gli aisthetà di
432 a 3 sono le forme sensibili (dr. 432 a 5; De an. B 12, 424 a
18). Cfr. anche Introduzione, 69.
Nella seconda parte del capitolo lo Stagirita si occupa dei rap-
porti tra percezione, immaginazione e pensiero ( 432 a 3-14). Egli
afferma, contro la dottrina platonica delle idee separate, l'imma-
nenza di ogni tipo di intelligibile nelle sostanze sensibili ( 432 a 3-6;
dr. De an. r 4, 430 a 6-7; 6, 430 h 17-8). La clausola w<; SoxEt
( 432 a 4) consente di lasciare impregiudicata l'esistenza di sostanze
soprasensibili. Tà en aphairesei legomena (432 a 5-6) sono gli enti
matematici, ma anche, secondo Ross (ad 432 a 3-6, 310), altri
concetti, ad es. quelli delle varie virtù morali. Hexeis leai pathé
( 432 a 6) sono le proprietà formali (essenziali o accidentali) delle
sostanze sensibili; dr. anche Metaph. A 5, 986 a 17 (con le osser-
vazioni di Reale, in Metaph., I, 167-8 n. 10); A 3, 1070 a 11-2.
Se gli intelligibili sono immanenti nei sensibili, allora non pos-
sono venire appresi dall'intelletto che sulla base delle sensazioni
(dr. Sens. 6, 445 h 16-7) e, più propriamente, delle immagini
( 432 a 3-10). Sulla necessità di conoscenze sensibili, previe alla
conoscenza induttiva e dimostrativa, dr. APo. A 18 per totum;
per IJ,a.W'ci'JEt.'J e ~U'Jt.É'Ja.t. ( 432 a 7-8) dr. anche SE 4, 165 h 31-4;
EN Z l O, 114 3 a 11-8; per la dottrina secondo cui non è possi-
bile pensare senza immagini (432 a 8-9) dr. Mem. l, 449 h 30-450
a 7. Le immagini sono prive di materia ( 432 a 9-10) come gli aisthe-
mata (o prodotti della percezione; dr. De an. r 7, 431 a 15), ma
mentre questi ultimi sono senza materia, perché la sensazione coglie
soltanto le forme sensibili degli oggetti e non la loro materia (dr.
De an. B 12, 424 a 18-9; r 2, 425 h 23-4 ), e tuttavia dipendono
direttamente dalle aistheseis e dagli oggetti materiali, le immagini
sono legate direttamente soltanto agli aisthemata (cfr. anche Rodier,

Baruch_in_libris
394 NOTE A r9

Il, ad 432 a 10, 525; Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1069;


Schofield, Aristotle, 137 n. 74 ).
Infine lo Stagirita distingue l'immaginazione sia dal giudizio
come dai singoli concetti (432 a 10-4). In effetti la phantasia non
produce che immagini singole (cfr. Freudenthal, Ueber den Be-
grifi, 13 ), le quali non possono equivalere al giudizio (affermativo
o negativo), nel quale soltanto, come connessione di termini, hanno
luogo il vero e il falso ( 432 a 10-2; cfr. De an. r 6, 430 a 26 sgg.;
430 b 26-7). Ma le immagini differiscono anche dai singoli concetti
( 432 a 12: tà prota noemata). In definitiva né i concetti presi nella
loro singolarità né questi medesimi concetti in quanto assunti in
una predicazione (432 a 13: -ra.ÀÀa.; Ross [50; ad l.; 308; ad
432 a 13-4, 310], sulla base di Temistio [116, 18; cfr. app. crit.
ad l.] e concordando con Torstrik [ad l.; ad 432 a 13, 213-4], legge
~a.O-ra. [= i concetti primi= i concetti meno astratti; cfr. APo.
B 19, 100 a 15-b 3 ]) sono immagini, e ciononostante non si pro-
ducono senza immagini ( 432 a 13-4; cfr. anche Freudenthal, Ueber
den Begri/J, 13; Hicks, 145; ad 432 a 12-3, 547-8; Oehler, Die
Lehre, 190 e n. 2).

NOTE A r 9
1
SoMMARIO. - A) La facoltà locomotoria: (l) s'identifica con
l'anima od è una sua parte o facoltà? (2) se è una sua parte: (a) è
separabile dalle altre spazialmente o concettualmente? (b) è una
nuova facoltà o è una di quelle già riconosciute? B) Le parti o
facoltà dell'anima: la tripartizione e la bipartizione dell'anima adot-
tate da Platone e dai Platonici sono insufficienti: (l) perché omet-
tono le facoltà nutritiva, sensitiva e immaginativa; (2) perché fra-
zionano la orexis nelle singole parti dell'anima. C) La facoltà lo-
comotoria: (l) non è all'origine né dei mutamenti vegetativi come
la crescita e la decrescita, né dei fenomeni fisiologici come la re-
spirazione e il sonno; (2) non è identica: (a) né alla facoltà vegeta-
riva; (b) né a quella sensitiva; (c) né all'intelletto teoretico o pra-
tico; (d) né alla tendenza e al desiderio.
2
( 432 a 15-22). In questo passo Aristotele, avendo concluso
lo studio delle due facoltà 'discriminatrici' o conoscitive, vale a dire
il senso e l'intelletto (cfr. De an. B 5-r 8), dà inizio alla ricerca sul
principio che produce il movimento locale dell'animale (De an.
r 9-11; cfr. anche De an. r 3, 427 a 18). A proposito di tale
principio si deve determinare se coincida con l'intera anima, op-
pure soltanto con una sua 'parte' o facoltà. Nel caso in cui sia una
parte, bisogna esaminare anzitutto se sia separata dalle altre (in
senso platonico) localmente, oppure sia distinta da esse solo per la

Baruch_in_libris
sua funzione; e inoltre se costituisca una nuova facoltà, oppure coin-
cida con una di quelle comunemente riconosciute (ad es. nella ri-
partizione platonica; cfr. 432 a 24 sgg.), o con una di quelle am-
messe dallo stesso Stagirita (cfr. anche Introduzione, 51). Ven-
gono qui in questione le due dynameis che già la tradizione consi-
derava specifiche dell'animale (432 a 15-7; cfr. anche De an. A 2,
403 h 25-8; r 3, 427 a 17-21), giacché i vegetali sono incapaci di
conoscenza e di moto locale (cfr. De an. A 5, 410 h 23; 411 h 28-30).
D'altro lato non tutti gli animali sono forniti della facoltà locomo-
toria, poiché esistono anche animali stazionari (cfr. 432 h 19-21;
De an. A 5, 410 h 19-20). Sulle facoltà di discernimento (432 a 16)
cfr. De an. r 3, 427 a 20; 428 a 3; Insomn. 2, 460 h 17; 461 h 6;
MA 6, 700 h 19-22. Sulla facoltà motrice ( 432 a 17) cfr. De an.
A 5, 410 h 17-21; 411 a 29-30; 411 h 2; 22; B 2, 413 a 23-4;
413 h 13; 22; B 3, 414 a 32; 414 h 16-7; 415 a 6-7; 4, 415 h 21-3;
PA A l, 641 h 7-8; MA 6 sgg.; per le alternative proposte a ri-
guardo di questo principio ( 432 a 19-22) dr. anche De an. A 5,
411 a 30-b 3; B 2, 413 h 13-5; r 4, 429 a 10-2; EN A 13, 1102 a
28-31.
3
( 432 a 22-b 7). Prima di affrontare nei dettagli la problema-
tica concernente la facoltà locomotoria, Aristotele, a mo' di di-
sgressione, si occupa della questione delle parti o facoltà dell'anima,
soffermandosi specialmente sul problema della loro suddivisione: la
sua attenzione si sposta sùbito dal piano del 7tW~ a quello del
1tOCTtX ( 432 a 22-3). Sull'alternativa tra 'parti' psichiche separate
{in senso platonico) localmente l'una dall'altra e 'facoltà' distinte
soltanto per l'essenza e la funzione cfr. 432 a 19-20; De an. A l,
402 h l; B 2, 413 h 14-5; 29; 4, 416 a 19-21; r 4, 429 a 10-2;
inoltre Resp. l, 467 h 17-8.
Lo Stagirita è persuaso che l'articolazione delle facoltà psichiche
sia ben più complessa di quella che risulta e dalla tripartizione
(platonica) e dalla bipartizione (platonica ed accademica) dell'anima
( 432 a 24-6). Per la psicologia tripartita cfr. Platone, R. IV, 435 b
9 sgg.; Phdr. 246 a 3 sgg.; 253 c 7 sgg.; Ti. 69 c 5 sgg.; 89 e
4 sgg.; inoltre Top. à 5, 126 a 6-13; per quella bipartita cfr. Pla-
tone, R. X, 608 d 3 sgg.; Ti. 65 a 5; 69 c 5 sgg.; 72 d 5 sgg.;
Lg. IX, 863 h l sgg.; inoltre Eudemo (fr. 6 Ross); Protr. (fr. 6
Ross; 60 Diiring); EN A 13, 1102 a 26-8; Z l, 1139 a 3-5; Pol.
A 5, 1254 h 5-9; H 14, 1333 a 16-8; 15, 1334 h 17-22; MM A l,
1182 a 23-5; sull'intero problema cfr. Gigon, 253; Rees, Biparti-
tion, 112 sgg. e Theories, 194 sgg.; Dirlmeier, in MM, 163-5;
Isnardi Parente, Platone, in Zeller-MondoHo, Il, III, l, 418 sgg.
Per lo ~UIJ.LXov ( 432 a 25) cfr. MM A 4, 1185 a 21; per lo l1tt.Dup:n-
~Lx6v ( 432 a 25) cfr. De an. A 3, 407 a 5; EN A 13, 1102 h 30.
Alla dottrina tripartita Aristotele obietta che essa trascura di-

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396 NOTE A r 9

stinzioni ben più essenziali che si verificano nell'anima (432 a 26-8;


dr. anche De an. r 10, 433 h 1-4). A questo proposito egli elenca
le facoltà che sono state omesse dalla teoria tripartita, estendendo
peraltro la sua critica anche a quella bipartita (433 a 28-b 7).
Kat vOv ELPT)~at. ( 432 a 28-9) rimanda a De an. B 4 (facoltà nu-
tritiva); B 5-r 2 (facoltà sensitiva); r 3 (immaginazione). La pre-
senza della facoltà nutritiva nei vegetali e in tutti gli animali
( 432 a 29-30), trascurata dalla dottrina tripartita, mostra come
quest'ultima sia ristretta al campo della sola psiche umana e non
riesca a costituirsi come psicologia generale (dr. su ciò Lefèvre,
Sur l'évolution, 227). D'altro lato la facoltà sensitiva pone una diffi-
coltà non solo allo schema triadico, ma pure a quello bipartito,
giacché non è facilmente qualificabile né in termini di razionalità
né in quelli di irrazionalità ( 432 a 30-1); essa, infatti, «non si
può considerare né del tutto razionale né del tutto irrazionale. Ed
invero, in quanto discerne le differenze che sono nei sensibili ed
in quanto per la ragione costituisce un punto di partenza ed una
base, in tal senso potrebbe sembrare partecipe di intelletto; al-
l'incontro, in quanto si trova anche negli animali irragionevoli, in
tal senso potrebbe essere considerata irragionevole» (Temistio, 117,
11-4; trad. De Falco, 178 ). Al di fuori della psicologia tripar-
tita (e non esplicitata, come pure le due fac<;>ltà precedenti, da
quella bipartita) rimane anche l'immaginazione, e ciò benché - fa
osservare Aristotele - tale facoltà sia distinta dalle altre per la
sua funzione. Cionondimeno egli riconosce che (si ammetta o no
la separazione locale delle parti dell'anima; cfr. Hicks, ad 432 a
15-b 7, 549; ad 432 h l, 551) rimane incerto se il phantastikon
coincida o no (ovvero sia o no identico numericamente) con qual-
cuna delle altre parti (432 a 31-b 3; cfr. anche De an. r 3, 427 h
27 sgg.; Insomn. l, 458 h 29-30; 459 a 15-7: la facoltà immagi-
nativa e la sensitiva sono la stessa cosa, ma differiscono per l'es-
senza; inoltre Hamlyn, ad 432 a 22, 150).
Allo schema bipartito e a quello triadico lo Stagirita muove
infine la critica che essi comportano il frazionamento ( 432 h 5:
~ò Ot.acrnciv; cfr. anche PA A 2, 642 h 10 sgg.) della orexis - a
dànno della sua unità- nelle diverse parti dell'anima (432 h 3-7).
Qui pertanto Aristotele afferma la stretta unità della orexis e la
sua distinzione (funzionale) dalle altre facoltà. In altri contesti
(specialmente di contenuto etico: distinzione tra virtù intellettuali
e virtù morali; conflitto tra logos e desideri, ecc.) egli sottolinea
piuttosto proprio i diversi livelli in cui si situa la tendenza, quello
razionale della volontà e quello irrazionale dell'impulso e del de-
siderio (dr. 433 a l sgg.; De an. B 3, 414 h 1-2; r 10, 433 a 23-6;
433 h 5-13; Top. 11 5, 126 a 12-3; EN A 13, 1102 b 30 sgg.;
r 2, 1111 h 10-3; EE B 7, 1223 a 26-7; MM A 12, 1187 h 36-7;,
Pol. H 15, 1334 h 22-5; Rh. A 10, 1368 h 37-1369 a 7; MA 6,

Baruch_in_libris
NOTE A r 9 397

700 b 22; 7, 701 a 36-h l; inoltre Lefèvre, Sur l'évolution,


225 sgg.; dr. anche Platone, R. IV, 439 a 9 sgg.).
4
(432 h 7-433 a 8). A questo punto Aristotele affronta il tema
principale del capitolo, che concerne l'individuazione della facoltà
locomotoria degli animali ( 4 32 h 7-8; cfr. anche MA 6, 700 b l O-l ;
inoltre Santas, Aristotle, 169 sgg.). In via preliminare egli asserisce
che lo spostamento locale va tenuto distinto sia dai mutamenti ve-
getativi di crescita e di deperimento, che pure avvengono nello spazio
e che interessano tutti gli animali, anzi tutti i viventi ( 432 b 8-11;
dr. De an. A 3, 406 a 13; B 2, 413 a 24-5; 4, 415 a 22 sgg.), sia
da quei fenomeni fisiologici (come la respirazione, il sonno, ecc.),
che pure s'accompagnano al movimento di certi organi corporei e
che trovano un'adeguata trattazione in scritti specifici: il De Re-
spiratione, il De Somno et Vigilia, il De Insomniis e il De Divi-
natione per Somnum ( 432 h 11-3; dr. anche Ph. 8 2, 253 a 7-21;
6, 259 h 8-14).
Lo Stagirita, applicando il metodo di esclusione già impiegato
per lo studio dell'immaginazione (cfr. De an. r 3, 428 a 4 sgg.;
cfr. anche EE B 7, 1223 a 21 sgg.), dimostra quindi come la
facoltà locomotoria non possa essere identificata con nessuna delle
altre facoltà psichiche. In primo luogo non va assimilata alla facoltà
nutritiva, sia perché la locomozione (quando si effettua spontanea-
mente; cfr. MA 7, 701 a 16) è sempre finalizzata allo scopo di
perseguire o evitare un oggetto (cfr. MA 6, 700 h 15-6), e quindi
implica l'immaginazione e la tendenza (che invece non sono pre-
supposte dallo threptikon ), sia perché tale identificazione compor-
terebbe la capacità dei vegetali di spostarsi localmente ( 432 h 14-9).
Inoltre il kinoun non può coincidere con lo aisthétikon, giacché
esistono animali forniti di percezione e, per il resto, perfettamente
sviluppati (cfr. De an. B 4, 415 a 27; r l, 425 a 10), che tuttavia
sono stazionari, e che quindi, come tali, non sono stati dotati dalla
natura di organi di locomozione (432 h 19-26; cfr. anche De an.
A 5, 410 h 18-20). Sul principio che la natura non fa nulla invano
e su quello che essa dà un organo solo a chi è in grado di impiegarlo
(432 h 21-2), dr. De an. r 12, 434 a 31; PA B 13, 658 a 8-9; Cael.
A 4, 271 a 33 (con le osservazioni di Elders, Aristotle's Cosmology,
37-8); PA r l, 661 h 26-32; inoltre Vegetti, in Lanza-Vegetti,
Opere, 535-7; dr. anche Platone, Ti. 33 d 3-34 a l.
Ma la locomozione non è neppure effetto della ragione e del-
l'intelletto ( 432 h 26-7; per l'espressione b xa.ÀOVIJ.E'JO~ 'JOV~ [ 432 b
26] cfr. De an. A 3, 407 a 4-5; r 4, 429 a 22), né di quello teo-
retico né di quello pratico. Non del primo, perché questo non è
rivolto all'oggetto dell'azione, che è precisamente il termine cui è
finalizzata la locomozione. Non del secondo, anzitutto perché la mera
riflessione su un oggetto piacevole o doloroso può provocare bensl
il moto di certi organi corporei, ma non già coinvolgere la volontà,

Baruch_in_libris
398 NOTE A r 10

e quindi produrre la locomozione e l'azione del soggetto (432 b 27·


433 a l; cfr. anche De an. A l, 403 a 16-b 2; 4, 408 h 8; r 3,
427 b 16-24; 7, 431 a 15-6; 431 b 3; l-tEp6'J -tt IJ.6pto'J [ 433 a l]
allude secondo Tricot [202 e n. 3] alla bocca che emette saliva;
secondo Simplicio [295, 25-6] agli organi genitali [cfr. AfA 11,
703 b 6; inoltre Lefèvre, Sur l'évolution, 165 n. 31]; secondo
Theiler [ad 432 h 31, 151], che si richiama a Platone, Ti. 71 a
8 sgg., al fegato). Ma l'intelletto pratico non è di per sé suffi-
ciente a produrre il moto locale dell'animale anche perché l'impe-
rativo della ragione pratica non causa infallibilmente il movimento
e l'azione conseguente, giacché vi si può opporre un desiderio sre-
golato (433 a 1-3; sulla akrasia [cfr. 433 a 3] cfr. De an. r 11,
434 a 14; EN H l sgg.; EE e l, 1246 h 12 sgg.; Af.t\J B 4-6;
inoltre Robinson, L'acrasie, 261 sgg.; Walsh, Aristotle's Conception,
85 sgg.; Kenny, The Practical, 163 sgg.; Hardie, Aristotle's Ethical,
258 sgg.; Santas, Aristotle, 162 sgg.; Rorty, Plato, 50 sgg.). Inoltre,
da un punto di vista più generale, l'attuazione di una conoscenza
pratica e tecnica non dipende dalla sola conoscenza, ma da qual-
cos'altro (433 a 4-6), ossia dalla orexis verso un fine (cfr. anche
EN Z 2, 1139 a 35-6, con la nota di Gauthier-Jolif, in EN, Il, 2,
ad 1139 a 35-6, 444-5).
Infine neppure la orexis e il desiderio costituiscono da sé soli
la causa della locomozione e del comportamento del soggetto: i
continenti dimostrano come la epithymia non conduca ineluttabil-
mente all'azione (433 a 6-8; cfr. EN A 13, 1102 h 26-7; H 9,
1151 h 34-1152 a 3; Rh. A 10, 1369 a 1-2).

NOTE A r 10
1
SoMMARIO. - A) La causa della locomozione degli animali:
(l) è la tendenza o l'intelletto, o, meglio, principi del movimento
sono entrambi: la tendenza e l'intelletto (pratico); (2) l'oggetto
della orexis è il punto di partenza dell'intelletto pratico; e l'ultimo
termine cui questo perviene col suo ragionamento, è il punto di
partenza dell'azione; (3) anche l'immaginazione non muove il sog-
getto all'azione senza la orexis; (4) la facoltà appetitiva è la causa
principale e, in questo senso, unica della locomozione, giacché il
desiderio muove senza l'intelletto pratico, ma questo non senza
la volontà; (5) l'intelletto pratico è sempre retto, perché ha il suo
'motore' nell'orekton che coincide col vero bene (conseguibile con
l'azione); invece la tendenza e l'immaginazione possono essere anche
non rette, qualora siano mosse da un bene apparente; ( 6) la fa-'
coltà locomotoria è dunque la tendenza. B) La tripartizione plato-

Baruch_in_libris
NOTE A r 10 399

nica dell'anima: cade nell'inconveniente di trascurare facoltà es-


senziali. C) Ancora sulla facoltà appetitiva e locomotoria: (l) la
facoltà appetitiva possiede un'unità specifica ed una molteplicità
numerica; (2) i fattori della locomozione dell'animale: (a) motore
immobile è il fine dell'azione; (b) motore mosso è la facoltà appe-
titiva che opera mediante il pneuma innato; (c) il mosso è l'ani·
male; (3) l'automovimento dell'animale si basa sull'orektikon, che
a sua volta presuppone l'immaginazione (razionale o sensitiva).
2
( 433 a 9-30). Aristotele stabilisce anzitutto un primo risul-
tato provvisorio della ricerca condotta nel capitolo precedente: ciò
che produce la locomozione dell'animale ed il suo comportamento
è la tendenza (ossia il desiderio, nel caso dei bruti e degli incon-
tinenti), oppure l'intelletto 'pratico' (nel caso degli uomini virtuosi),
la funzione del quale, negli incontinenti e nei bruti, è adempiuta
dall'immaginazione (433 a 9-12). Per l'alternativa tra orexis e nous-
phantasia (433 a 9-10) dr. De an. r 9, 433 a 1-3; 7-8: Ph. 9 2,
253 a 17-8; MA 6, 700 h 17-23; per l'immaginazione come una
specie di pensiero (433 a 9-10) cfr. De an. r 3, 427 h 27-8; per
il suo ruolo nel comportamento degli animali ( 433 a 10-2) cfr.
De an. B 2, 413 h 22; B 3, 415 a 11; r 3, 428 a 9-11; 22-4; 429 a
4-8; EN H 3, 1147 b 3-5.
Lo Stagirita continua prospettando il superamento dell'alterna-
tiva posta in 433 a 9; egli afferma che facoltà locomotorie sono
sia la orexis che il nous ( 4 33 a 13). Come fa osservare Seidl (Der
Begrilf, 138), questa tesi è in polemica con la dottrina di Platone,
il quale per un verso individua la causa del moto locale nella « stre-
bende 'Seele' » ed assegna al nous soltanto una funzione direttiva,
e per l'altro verso ritiene il solo intelletto autore dell'azione mo-
rale, senza la collaborazione della tendenza. Si aggiunge quindi che
l'intelletto in questione è quello pratico, il cui fine è il sapere in-
dirizzato all'azione morale, mentre l'intelletto teoretico ha il suo
fine nella verità speculativa (433 a 14-5; cfr. De an. r 9, 432 h
27 sgg.; EN Z 11, 1143 a 35 sgg.).
Se - prosegue Aristotele - l'intelletto pratico persegue un
fine, rivolta ad un fine è pure ogni forma di orexis; ora il fine cui
tende la orexis - ossia l'orekton - costituisce il punto di par-
tenza del ragionamento o 'calcolo' (cfr. 433 a 14) compiuto dall'in-
telletto pratico; il termine finale di questo ragionamento dà origine
al movimento e all'azione pratica. Questa, pertanto, è dovuta alla
collaborazione di orexis e nous (pratico): l'intelletto in tanto può
muovere il soggetto all'azione (morale), in quanto esso stesso è
'mosso' dall'orekton (da lui pensato; dr. 433 b 11-2), il quale
funge da principio del suo ragionamento ( 433 a 15-20; cfr. anche
EN r 3, 1112 h 11 sgg.; Z 5, 1140 h 16-7; 11, 1143 b 2-4; BE
B 11, 1227 b 32-3; Metaph. Z 7, 1032 b 9; 15-7; MA 6, 700 b

Baruch_in_libris
400 NOTE A r 10

23-4; inoltre Anscombe, Thought, 153-4; Santas, Aristotle, 170;


Seidl, Der Begrifi, 138-9; Furley, Self Movers, 171: l'orekton sti-
mola l'intelligenza pratica a ricercare i mezzi atti a conseguirlo).
Analogamente all'intelletto pratico, anche l'immaginazione può es-
sere causa di locomozione solo in quanto coopera con la orexis
( 433 a 20-1).
Lo Stagirita precisa quindi ( 43 3 a 21-6) che nella produzione
del movimento e dell'azione il primato spetta non al nous, ma al-
l'orektikon, il quale dunque, in questo senso, può dirsi l'unica
-causa della locomozione (dr. Seidl, Der Begrilf, 138). Se infatti si
ammettessero due facoltà locomotorie - l'intelletto e la tendenza -
come reciprocamente indipendenti e situate al medesimo livello, al
modo di due specie di uno stesso genere (dr. Temistio, 119, 9-12;
Ross, 51; Etheridge, Aristotle's Practical, 28; inoltre Theiler, ad
433 a 22, 152), esse muoverebbero il soggetto in virtù di una co-
mune capacità motrice. Ora l'esperienza mostra che tale mutua in-
dipendenza ed equiparazione delle due facoltà non sussiste. Infatti
se la orexis, in quanto epithymia, muove anche senza e contro l'in-
telletto (dr. anche De an. r 9, 433 a 1-3; nel caso dell'incontinenza
l'imperativo dell'intelletto pratico è sostituito, sulla base del desi-
derio e di un 'principio' [logos] o opinione [doxa], da un comando
del tipo: 'tutto ciò che è dolce è piacevole e dev'essere gustato';
cfr. EN H 3, 1147 a 31-b 5; inoltre Santas, Aristotle, 171; Ethe-
1
ridge, Aristotle s Practical, 35), quest'ultimo muove soltanto in
unione con la orexis-volontà (e in contrasto col desiderio; dr. De
.an. r 9, 433 a 7-8; inoltre Santas, Aristotle, 171).
In definitiva il nous pratico, mosso dall'orekton (cfr. anche 433 a
18) che coincide con il vero bene, è sempre 'retto'; ossia la ra-
gione pratica coglie infallibilmente il vero bene (per un'afferma-
zione analoga riguardo· all'intelletto teoretico dr. De an. r 6,
-430 h 26-7). Al contrario la tendenza (in quanto impulso e desi-
derio) e l'immaginazione possono essere anche 'non rette', quando
sono mosse da un orekton costituito da un bene apparente, ossia
da un bene che il soggetto erroneamente ritiene tale ( 433 a 26-9;
dr. EN r 4, 1113 a 15 sgg.; 5, 1114 a 31 sgg.; Z 2, 1139 a 23 sgg.;
EE B 10, 1227 a 21-2; 1227 a 39-b l; H 2, 1235 b 25-9; Metaph.
A 7, 1072 a 27-30; MA 6, 700 h 28-9; inoltre Santas, Aristotle,
166-7; Seidl, Der Begrilf, 139; Etheridge, Aristotle,s Practical, 28;
·dr. anche Platone, Gorg. 466 e l sgg.).
Il bene che muove il soggetto non è però qualunque bene (come
_potrebbe essere l'idea platonica di bene o il bene in generale), ma
il bene prakton, ossia quello che si consegue con l'azione (dr.
Dirlmeier, EN, 12-3), e che può variare nelle diverse circostanze
(433 a 29-30; cfr. EN A 6, 1096 h 32-5; Z l, 1139 a 12-4; 5,,
1140 h 2-3; 6, 1141 a l; 7, 1141 h 10-2; BE A 8, 1218 b 4-9;
13 6, 1222 b 22; 1223 a 4-7; MM A l, 1182 h 6 sgg.; MA 6, 700 h

Baruch_in_libris
NOTE A r 10 401

25-8). Per l'espressione tò endechomenon kai allos echein (433 a 30)


dr. anche APo. A 33, 88 b 32-3; Metaph. Z 15, 1040 a l.
3
(433 a 31-b 13). Si ribadisce anzitutto che la facoltà che
produce la locomozione dell'animale è costituita dalla orexis ( 433 a
31-b l; dr. 433 a 21). Si obietta quindi, daccapo, alla dottrina
platonica dell'anima tripartita, che le facoltà psichiche sono ben
più numerose ed implicano differenze ben più radicali di quanto
non avvenga nello schema tripartito ( 433 b 1-4; cfr. De an. r 9,
432 a 24 sgg.; per il bouleutikon [433 b 3] cfr. De an. r 7, 431 b
8; 11, 434 a 12; EE B 10, 1226 b 25; MM A 35, 1196 b 16; 27).
Dal conflitto tra la orexis razionale (o volontà) e quella irra-
zionale (o desiderio) Aristotele inferisce poi la tesi dell'unità spe-
cifica e della molteplicità numerica della facoltà motrice ed appe-
titiva dell'animale (433 b 5-13). Può esservi infatti contrasto tra la
ragione-volontà, che tien conto del futuro, e il desiderio, attratto dal
piacere immediato (433 b 5-10; dr. De an. r 9, 432 b 3-7; 433 a
1-3; 6-8; 11, 434 a 12-4; inoltre von Ivanka, Zur Problematik,
246; Siwek, 347 n. 774; Lefèvre, Sur l'évolution, 167 n. 43; 228 e
n. 53; dr. anche Platone, Prt. 353 c l sgg.). Sulla percezione del
tempo {433 h 7), propria soprattutto degli uomini, ma presente
anche in altri animali, dr. Ph. ~ 11, 218 b 21 sgg.; 14, 223 a
25-9; Mem. l, 449 b 28-30; 450 a 9-10; 15-6; inoltre Temistio,
120, 10-21; Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 1066-8. Per la dottrina
che al desiderio dell'incontinente il piacere immediato (parvente e
relativo) appare come piacere e bene vero e assoluto (ossia conforme
alla natura e secondo virtù) (433 b 8-9) cfr. 433 a 28-9; EN A 8,
1099 a 7-31; r 4, 1113 a 15 sgg.; H 12, 1152 b 25 sgg.; e 2,
1155 b 21-7; 3, 1556 b 19-23; K 5, 1176 a 8-29; EE H 2, 1235 b
30-1236 a 10. Sulla contrapposizione tra i')ÒTJ e lo a7tÀw~ conno-
tante l'atemporalità (433 b 9) cfr. Hintikka, Time, 159.
Il contrasto tra i diversi livelli della tendenza mostra che se la
causa della locomozione e del comportamento dell'uomo è specifi-
camente unica - l'orektikon in quanto tale o, meglio ancora, come
'motore immobile', l'orekton - , dal punto di vista numerico le
cause sono molteplici ( 433 b l 0-3): la volontà, l'impulso e il de-
siderio, e, parallelamente, l'orekton come termine della boulesis e
quello come termine del thymos e della epithymia. Per la distinzione
ELOEt.-~pt.i)p.@ ( 433 b lO; 12) cfr. De an. B 4, 415 b 7. Per l'orekton
come 'motore immobile' (433 b 11-2) cfr. 433 a 18; 27-8; 433 b
15 sgg.; .l\fA 6, 700 b 23 sgg.; Metaph. A 7, 1072 a 26-7. Per la
tesi che l'orekton può muovere solo in quanto sia prima divenuto
oggetto di pensiero o d'immaginazione (433 b 12) cfr. 433 a 9-12;
18-21; 27; 433 b 27-30; MA 7, 701 a 29 sgg.; 8, 701 b 35; 11,
703 b 18; Metaph. A 7, 1072 a 29-30.

Baruch_in_libris
402 NOTE A r 10
4
( 4 3 3 h 13-30). Aristotele riassume il suo punto di vista sugli
elementi che spiegano la locomozione ed il comportamento del-
l'animale, basandosi sulla formula triadica concernente il movimento
in generale. Motore (relativamente, ossia in senso psicologico) im-
mobile è il bene (reale o apparente) prakton, ossia quello che, co-
nosciuto dall'intelletto o dall'immaginazione (cfr. 433 h 12), è con-
seguibile mediante l'azione (cfr. 433 a 29). Motore mosso è la fa-
coltà di tendere, la quale è 'mossa' dal bene da raggiungere e in-
sieme, mediante un 'organo' corporeo, muove l'animale. Mosso è
appunto lo stesso animale ( 4 3 3 h 13-21; cfr. anche Metaph. A
7, 1072 a 26-30; 1072 h 3-4 [con le osservazioni di Reale, in
Metaph., Il, 283 n. 9, ecc.; Elders, Aristotle's Theology, 35-43;
165 sgg.]; MA 6, 700 h 35-701 a 2; 10, 703 a 5; Ph. e 4, 254 h
28-3 3; inoltre Moreau, L'etre, 197-8; Etheridge, Aristotle's Practical,
28-9; Giacon, La causalità, 20-30; Seidl, Der Begrilf, 139-41; Skemp,
Orexis, 181 sgg.). Per l'analisi dei fattori del movimento ( 433 h
13-5) cfr. anche Ph. 9 5, 256 b 14-24; Metaph. A 7, 1072 a 21-5.
In 433 h 17 -rò XLVOVIJrEVO'V non è l'animale (cosl, ad es., Ross, ad
433 h 13-21, 316), ma l'orektikon (cfr. Skemp, Orexis, 182). In
433 h 18 leggo con Rodier (ad l.; II, ad 433 h 17-8, 546-7), Hicks
(ad l.; ad 433 h 17-8, 562-3 ), Theiler ( 66; ad 433 h 13 sgg., 153 ),
}annone-Barbotin (ad l.) e Skemp (Orexis, 182) fJ lvÉpyELa: la orexis
è un movimento (non fisico, ma psichico; cfr. De an. A 3, 406 a 2;
4, 408 h 1-8) causato nell'orektikon dall'orekton, o, piuttosto, è
un'attività (cfr. De an. B 5, 417 a 16; r 7, 431 a 6-7) dell'orektikon,
la quale produce il moto (fisico) dell'animale. Torstrik (ad l.; ad
4 33 h 17, 216) e Ross (ad l.; 315; ad 4 3 3 b 13-21, 316) scrivono
invece i] lvEpyEL~ (se. opE~L~).
Lo strumento fisiologico di cui si avvale la facoltà appe_titiva
per produrre il movimento dell'animale è il aVIJ.cpv-rov 1tVEvp,a; di
ciò tratta specificamente il De Motu Animalium (433 b 19-21).
Nel nostro testo ( 4 33 h 21-7) lo Stagirita si occupa sommariamente
del problema, facendo riferimento alle articolazioni (cfr. 433 h 22:
o yLyyÀ,vp,6~; cfr. anche lppocrate, Loc. Hom. 6). I moti dell'ani-
male possono essere per spinta o per trazione (cfr. anche Ph. H 2,
243 a 17; lA 2, 704 h 22-3; MA 10, 703 a 19-20). Essi hanno
la loro origine nelle articolazioni, formate da una parte concava
(immobile e principio del movimento, come il centro è principio
del 'movimento' della circonferenza) e da una parte convessa (mo-
bile). Queste due parti sono funzionalmente distinte, ma spazial-
mente inseparabili, giacché le loro superfici coincidono (cfr. anche
MA l, 698 a 14-b 7; 7, 701 h 1-16; 8, 702 a 21-b 11; 10, 703 a
9 sgg.; PA B 9, 654 a 32-b 2; Metaph. ~ 6, 1016 a 9-11; EN
A 13, 1102 a 30-2). L'attività delle articolazioni è a sua volta resa
possibile dalla dilatazione e contrazione del pneuma innato loca-
lizzato nel cuore, il quale è dunque l'organo centrale anche della

Baruch_in_libris
NOTE A r 11 403

locomozione degli animali (cfr. PA r 3, 665 a 10-2; 4, 666 h 13-6;


MA 8, 702 a 34 sgg.; 10, 703 a 4 sgg.; inoltre Etheridge, Ari-
stotle's Practical, 28; Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 790-1; Skemp,
Orexis, 183-4).
Il capitolo si chiude con l'affermazione che l'autocinèsi del-
l'animale (cfr. anche Ph. 9 2, 253 a 14-8) si basa sulla sua capa-
cità di tendenza, e che condizione di quest'ultima è una qualche
forma di conoscenza: o l'immaginazione congiunta alla ragione, di
cui sono forniti gli uomini, o la mera immaginazione sensitiva, di
cui sono dotati anche gli animali (433 h 27-30; cfr. anche De an.
r 11, 434 a 5-7; inoltre Furley, Self Movers, 176-7: l'animale è
semovente perché la sua anima - o, meglio, l'orektikon - muove
il suo corpo, e la causa esterna del suo moto- l'orekton- muove
solo nella misura in cui è conosciuto dall'anima; von Ivanka, Zur
Problematik, 245-7). In 433 h 27 wcrnEp EtpTJ~CLL rimanda a 433 h
10 sgg.

NOTE a r 11
1
SoMMARIO. - (l) Cause della locomozione degli animali in-
feriori sono il desiderio e una forma indeterminata di immagina-
zione; (2) tutti gli animali possiedono l'immaginazione sensitiva, e
l'uomo anche quella deliberativa, che gli consente di trovare i mezzi
per raggiungere un determinato fine; (3) può sembrare che gli ani-
mali irragionevoli non abbiano opinione, perché sono privi di im-
maginazione deliberativa; ( 4) la tendenza non implica di per sé la
deliberazione; (5) tre possibili 'movimenti' o comportamenti del-
l'uomo: (a) il desiderio prevale sulla volontà; (b) un desiderio pre-
vale su un altro desiderio; (c) la volontà prevale sul desiderio;
(6) la facoltà conoscitiva è immobile; (7) nel sillogismo pratico la
premessa universale funge da motore immobile, quella particolare
da motore mosso.
2
(433 b 31-434 a 10). Aristotele esordisce chiedendosi quale
sia la causa della locomozione degli animali 'imperfetti', ossia in-
feriori, vale a dire di quelli (come alcuni insetti ed i vermi; cfr.
De an. r 3, 428 a 11; inoltre Temistio, 122, 5-6) che sono dotati
soltanto del senso del tatto (cfr. De an. r l, 425 a 9-10); ciò equi-
vale a chiedersi se essi possiedano o no l'immaginazione e il desi-
derio (433 h 31-434 a 2; sulla phantasia e la epithymia come cause
di movimento cfr. De an. r 10, 433 a 9-12). Che tali animali siano
capaci di desiderio si può inferire dal fatto che provano piacere e
dolore, affezioni che non si possono avere senza la epithymia; inoltre
essi possiedono pure l'immaginazione, ma, come il desiderio, in forma

Baruch_in_libris
404 NOTE A r 11

vaga e indefinita, allo stesso modo che vago e indefinito è il loro


spostamento locale (434 a 2-5; cfr. anche De an. B 2, 413 h 19-24;
3, 414 h 3-6; 15-7; inoltre Cosenza, Sensibilità, 76; Schofield, Ari-
stotle, 138 n. 86; Skemp, Orexis, 184 ).
In definitiva si distinguono due tipi o gradi di immaginazione:
quella 'sensitiva', di cui sono forniti anche gli animali privi di ra·
gione, e quella 'deliberativa', che è peculiare dell'uomo (434 a 5-7;
W<1'7tEP ELPT)'"ttXL [434 a 6] rinvia a De an. r 10, 433 h 29-30; per
la bottleutike phantasia [434 a 7] cfr. De an. r 7, 431 h 6-10; 10,
433 h 29 [Àoyta~t.xi)] ).
Riguardo al processo dell'immaginazione deliberativa, lo Sta-
girita spiega che l'uomo, col ragionamento e il calcolo mentale,
sceglie i mezzi che gli sembrano più adatti a raggiungere il fine e
il bene voluto. In questa scelta o deliberazione egli si avvale di un
criterio, che è appunto quello di trovare i mezzi più idonei a con-
seguire il bene che egli ritiene maggiore. In tal modo si dimostra
capace di sintetizzare le diverse, possibili linee di azione (cfr. Ross,
ad 434 a 9-10, 319) che ha immaginato, in una sola, che è quella
che viene effettivamente attuata (434 a 7-10; cfr. EN r 3, 1112 b
11-27; 1113 a 5-7; Z l, 1139 a 12-3; BE B 10, 1226 b 10-3;
1227 a 6-12; Mem. 2, 453 a 13-4; inoltre Etheridge, Aristotle's
Practical, 29). Per l'uno come misura ( 434 a 8-9) cfr. Metaph. I l,
1052 h 18 sgg.; inoltre Platone, Prt. 357 d 7 sgg.
3
( 434
a 10-21 ). Si prosegue con l'asserire ( 434 a lO-l) che non
è legittimo rifiutare agli animali irragionevoli il possesso di ogni
forma di opinione (cfr. però De an. r 3, 428 a 18-24), per il solo
fatto che sono privi dell'immaginazione (dell'opinione, secondo
Rodier, I, 211; II, ad 434 a 8-11, 553-5; Smith, ad l.; Gigon, 343;
Hamlyn, 72; ad 434 a 10, 153; Hardie, Aristotle's Ethical, 245)
che è connessa col ragionamento e col calcolo, ossia dell'immagina-
zione deliberativa (cfr. 434 a 7; EN H 3, 1147 b 3-5; inoltre Hicks,
155; ad 434 a 7-10; ad 434 a 10-1; ad 434 a 11, 567; Tricot, 209 e
n. 2; Ross, ad 434 a 10-3, 319 [cfr. però 318]); essi hanno un'opi-
nione o un giudizio sul fine da perseguire, benché siano incapaci
di deliberare (cfr. Hamlyn, ad 434 a 10, 153). In 434 a 11 espungo
con Bywater (Aristotelia, III, 65-7), Ross (De an., ad l.) e Hamlyn
(72) tXV'"t1} SÈ lxElvrrv, conservato invece, ad es., da Hicks (ad l.;
155; ad 433 h 31-434 a 21, 566; ad 434 a 11, 567: l'immagi~a­
zione deliberativa presuppone la doxa o giudizio; cfr. anche EN r
3, 1113 a 4 sgg.), ed emendato in av'"t1} SÈ Xt.'JEL (cfr. 434 a 19)
da Cornford (On Aristotle's De Anima, 13) e Ross (ad l.).
Si aggiunge che la tendenza, nelle forme del desiderio e dell'im-
pulso irrazionali, non implica la facoltà deliberativa ( 4 34 a 11-2 ).
Quanto agli impulsi irrazionali ed alla volontà razionale, e ai loro·
conflitti che si verificano nell'uomo (cfr. anche De an. r 9, 433 a

Baruch_in_libris
NOTB A r 12 405

1-3; 6-8; 10, 433 a 25-6), Aristotele precisa che essi danno luogo
a tre 'movimenti': talora il desiderio prevale sulla volontà; talora
un desiderio prevale su un altro desiderio, come una palla sposta
un'altra palla (ma cfr. anche Skemp, Orexis, 189 n. 9), ed è il
caso dell'incontinente che « von Begierde zu Begierde gejagt \\?ird »
(Theiler, ad 434 a 14, 154; dr. anche Bywater, Aristotelia, III, 66);
talora la volontà prevale sul desiderio (434 a 12-5; cfr. EN H 2,
1145 h 36-1146 a 16; 4, 1148 a 4 sgg.; 6, 1149 a 24 sgg.; 1149 h
l sgg.; 7 per totum; Top. E l, 129 a 10-6; inoltre ps. Platone, Def.
413 c 8-9; Santas, Aristotle, 187). Nel nostro passo mantengo il
testo dei mss. Vt.X~ o' lv,o--rE xa.t Xt.VE~ --ri)v ~OVÀ'T)O"f.V • O"tÈ o' lxE'V1)
-;au'tT}V, 6lcrrcep acpa~pt%, i) opeç,t.~ X"tÀ.; Ross (52-3; ad l.; 318;
ad 434 a 13-5, 319), sulle tracce di Bywater (Aristotelia, III, 67),
anziché -;i)v ~ouÀT)o-r.v, scrive, spostandolo dalla r. 11, Ò"tÈ (J.Èv
a.V"tT) lXELvt}V, e inoltre, seguendo Essen (III, 62), scrive W0"1tEP
o-cpatpa acpa~pav. Per alcuni interpreti (cfr. Temistio, 121, 34 sgg.;
Hicks, ad l.; 155; ad 434 a 13, 569-70, ecc.; Busse, 114 n. 61)
sphaira allude alle sfere celesti. Si sottolinea poi che la facoltà co-
noscitiva o intelletto teoretico (cfr. De an. r 10, 433 a 15) non è
implicata nei movimenti o processi di tendenza; essa è piuttosto
un motore immobile (434 a 16; dr. anche De an. A 3, 407 a 32-4;
r 9, 432 b 27-9; inoltre Theiler, ad 434 a 16, 154).
Il capitolo si chiude con un accenno ( 434 a 16-21) al cosiddetto
sillogismo pratico (su ciò dr. Allan, The Practical, 325 sgg.; Ando,
Aristotle's Theory, 266 sgg.; Kenny, The Practical, 163 sgg.; Hardie,
Aristotle's Ethical, 240 sgg.; Etheridge, Aristotle's Practical, 20 sgg.;
Santas, Aristotle, 162 sgg.), le cui due premesse (una maggiore uni-
versale, e una minore particolare) muovono entrambe il soggetto
all'azione, ma in diverso modo: la prima, prescrivendo un deter-
minato oggetto di azione a tutti gli individui di una data classe
(ad es.: 'a tutti gli uomini giovano gli alimenti secchi'), funge piut-
tosto da motore immobile; la seconda, particolarizzando la pre-
messa universale (ad es.: 'io sono un uomo e quest'alimento ha
le caratteristiche degli alimenti secchi'), ha il ruolo di motore
mosso (cfr. EN Z 11, 1143 a 32-3; 12, 1144 a 31-3; H 3, 1146 h
35-1147 a 10; 1147 a 25 sgg.; 1147 h 9 sgg.; MA 7, 701 a 7 sgg.;
Metaph. A l, 981 a 16-20).

NOTE A r 12
1 SoMMARio. - (l) La facoltà nutritiva si trova in tutti i vi-
venti, poiché senza il nutrimento è impossibile ogni funzione bio-
logica; (2) le piante sono prive di sensibilità, data la semplicità
della loro struttura e la loro incapacità di assumere le forme senza

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406 NOTE A r 12

la materia; (3) gli animali possiedono la facoltà sensitiva, che è la


loro caratteristica essenziale, e senza la quale (particolarmente quelli
capaci di locomozione) non potrebbero nutrirsi, e quindi conservarsi
in vita e giungere al loro pieno sviluppo; ( 4) non esiste un animale
dotato di intelletto, che sia privo del senso, perché ciò non gio-
verebbe né alla sua attività intellettiva né alla conservazione del
suo essere; (5) il tatto e il gusto sono indispensabili per la soprav-
vivenza dell'animale; ( 6) i sensi a distanza: (a) sono in vista del
meglio, e negli animali dotati di locomozione esistono per la loro
autoconservazione; (b) presuppongono un oggetto sensibile e un
mezzo esterno al soggetto.
2
( 434 a 22-b 8). A questo punto Aristotele, riprendendo le
questioni lasciate precedentemente in sospeso (dr. De an. B 2, 413 h
9-10; 414 a l; 3, 414 h 33-415 a 1), propone una concezione te-
leologica delle facoltà dell'anima. Egli comincia col dire che per
tutti i viventi, sia le piante come gli animali, il possesso dell'anima
o facoltà nutritiva dev'essere stabile e costante, giacché senza il
nutrimento risulta impossibile qualunque funzione biologica ( 434 a
22-6). Sull'anima nutritiva (434 a 22) dr. De an. B 4, 415 a 23-6;
sul nutrimento come condizione indispensabile dei fenomeni vege-
tativi (434 a 24-5) dr. De an. B 2, 413 a 25-31; 3, 414 h 7-8;
4, 415 h 26-7; 416 h 11-23.
Si aggiunge che, mentre tutti i viventi sono dotati della facoltà
nutritiva, non tutti possiedono quella sensitiva. Di quest'ultima sono
infatti prive le piante, giacché sono composte sostanzialmente di.
un solo elemento e sono incapaci di assumere la forma senza la
materia (434 a 27-30). La struttura troppo semplice ed elementare
dei vegetali, formati principalmente (anche se non esclusivamente) di
terra (dr. GA r 11, 761 h 13; Resp. 19, 477 a 27-8), li priva di
quella capacità 'mediatrice' tra i sensibili in cui consiste precisa-
mente il senso del tatto ed ogni altro senso (434 a 27-8; cfr. anche
434 h 9 sgg.; De an. B l, 412 h 1-2; 12, 424 a 32-b l; r l, 425 a
6-7). In 434 a 28 mantengo il tràdito ci~,;v, che Ross (ad l.; ad 434
a 27-30\ 321-2), sulla scorta di Sofonla ( 146, 27-9), corregge in
a.u-r'liv (se. a.tai}T}tn'V ). Sulla sensibilità come ricezione delle forme
senza la materia ( 434 a 29-30) dr. De an. B 12, 424 a 17 sgg.;
424 h 1-3.
L'animale, a differenza delle piante, è necessariamente fornito
di sensazione, la quale anzi rappresenta la sua caratteristica essen..
ziale (dr. anche De an. B 2, 413 h 2). Infatti la natura non fa
nulla invano (dr. anche De an. B 4, 415 h 16-7; r 9, 432 h 21),
giacché ogni ente naturale è finalizzato a uno scopo o è comunque
connesso con uno scopo ( 434 a 30-2). Nel nostro caso ciò significa
che la natura non può aver costituito gli animali senza dotarli di
quelle capacità che sono indispensabili per il raggiungimento del

Baruch_in_libris
NOTE A r 12 407

loro fine. Tà symptomata (434 a 32) sono quegli eventi o 'coinci-


denze' che la natura, nella sua azione rivolta a un fine, produce
accidentalmente e al di fuori del suo piano, in dipendenza dall'in-
flusso della materia (dr. GA a 4, 770 b 3-7; 10, 778 a 4-9; inoltre
Lanza, in Lanza-Vegetti, Opere, 820-3). La concreta (biologica) fi-
nalizzazione della facoltà sensitiva viene cosl indicata dallo Stagi-
rita: un animale dotato di un corpo capace di locomozione, qua-
lora fosse privo di sensibilità, non riuscirebbe a procurarsi il nu-
trimento (quel nutrimento che gli animali stazionari e le piante re-
periscono invece negli stessi elementi da cui si sono sviluppati), e
pertanto non sopravviverebbe, non raggiungendo cosl il fine (ossia
la propria conservazione e maturazione) per il quale la natura lo ha
costituito (434 a 32-b 2). In 434 a 32 et ovv introduce la protasi,
mentre l'apodosi inizia con oùDÈv &pa. (434 h 7); nella traduzione
il periodo è stato alleggerito. Soma (434 a 33; dr. anche 434 h 3;
12) equivale a 'corpo animato'. Per il concetto di telos (434 h l)
dr. Metaph. ~ 16, 1021 h 23-5; il raggiungimento del telos (ossia
della maturità e perfezione) è il compito o funzione della natura
di ciascun animale. Tois monimois ( 434 h 2) si riferisce sia alle
piante (cfr. PA B 10, 655 b 37-656 a l) che agli animali stazio-
nari (dr. De an. A 5, 410 b 19-20; r 9, 432 h 20; PA Il. 5, 681 h
34); le prime si nutrono di terra o acqua, i secondi d'acqua (dr.
GA r 11, 762 h 12-6; HA A l, 487 h 1-3; 7-8).
Si prospetta quindi il caso di un animale, generato e corrut-
tibile, e insieme fornito di locomozione e intelligenza, e si asserisce
che non può essere privo di sensibilità ( 4 34 h 3-4; cfr. De an. B 3,
415 a 8-10). Infatti non c'è motivo per ammettere che tale ani-
male sia dotato di anima e di intelletto e non della aisthesis. In ef-
fetti l'assenza della sensibilità non gioverebbe né alla sua anima,
giacché, al contrario, la privazione della aisthesis gli renderebbe im-
possibile la conoscenza intellettiva (cfr. De an. r 8, 432 a 4-5), né
al suo corpo, la cui conservazione ne risulterebbe anzi pregiudicata
( 434 h 5-8). In 434 h 4-5 ometto &.ÀÀà. IJ,'Ì}V ouOÈ 6.yÉV11'"tOV (se.
il corpo celeste; cfr. Alessandro [ap. Simplicio, 320, 20 sgg.; ps. Fi-
lopono, 595, 38 sgg.]; Plutarco [ap. Simplicio, 320, 29 sgg.; ps.
Filopono, 596, 14 sgg.]; Temistio, 123, 20 sgg.; ps. Filopono, 595,
34 sgg.; inoltre Theiler, 67; ad 434 a 32, 155, che rimanda a De
an. B 2, 413 a 32; 3, 414 h 19) con Torstrik (ad 434 h 3-8, 220-
1), Rodier (ad l.; l, 215; II, ad 434 h 3-7, 567-9), Hicks (ad l.;
157; ad 434 b 4, 577-8; ad 434 h 5, 578-9), }annone-Barbotin (ad
l.; 110), Hamlyn (73; ad 434 a 27 sgg., 154-5) e Laurenti (205).
Sul principio del 'meglio' ( 434 h 5) dr. anche De an. A 3, 407 h
9-11. Sull'inutilità dell'intelletto 'critico' come tale per la soprav-
vivenza biologica dell'animale dr. Temistio, 123, 17-23; Rodier,
Il, ad 434 h 3-7, 567; Lemer, Recherches, 107.

Baruch_in_libris
408 NOTE A r 12

3
( 434 h 9-24). In questo passo Aristotele si sofferma sulla
necessità dei sensi a contatto per l'autoconservazione dell'animale.
La capacità percettiva dell'animale - e anzitutto il possesso (a lui
indispensabile; cfr. anche De an. B 2, 414 a 3) del tatto - presup-
pone che il suo corpo sia composto di più elementi (434 h 9-11;
sull'impossibilità per un corpo semplice di avere percezioni cfr.
434 a 27-8; De an. B 11, 423 a 12-7).
La tesi dell'indispensabilità del tatto per la sopravvivenza del-
l'animale è dimostrata dallo Stagirita con l'argomento che tutti i
corpi possono entrare in contatto tra loro, e pertanto, se l'animale
non fosse fornito di tatto, non sarebbe in grado di appropriarsi degli
oggetti a lui giovevoli e di evitare quelli dannosi, e di conseguenza
non potrebbe sopravvivere ( 434 h 11-8). In 434 h 12-3 mantengo
la clausola a1t~òv SÈ ~ò atoi11~òv lt.cpii, espunta invece da Ross
(.54; ad l.; ad 434 h 11-4, 323-4), che si richiama a Temistio ( 124,
1-4). Per gli ·intermediari esterni agli organi dei sensi a distanza
( 434 b 14-.5) cfr. De an. B 11, 423 b 4-8; 14; r l, 424 b 29-30.
Aristotele asserisce infine che il gusto, avendo come suo oggetto
percepibile l'alimento (che è alcunché di tangibile; cfr. De an. B 3,
414 h 10-1; 10, 422 a 10-1), non è che una forma di mtto (cfr.
De an. B 9, 421 a 18-9; 11, 423 a 19-21; Sens. 4, 441 a 3), e che
questi due sensi sono indispensabili (cfr. GA A 23, 731 a 35-b 5;
Sens. l, 436 h 10-8; Somn. Vig. 2, 455 a 5-9) per la vita dell'ani-
male (434 h 18-24). Per il gusto come senso di ciò che nutre
( 434 h 22: 1tpE1C~Lxov), ossia dell'alimento, cfr. Sens. l, 436 h 17-8
(con la nota di Ross, in Sens., ad 436 h 17-8, 185); 4, 441 h 24-5;
.5, 44.5 a 8-9; 30-1.
4
( 434 h 24-435 a 10). I sensi a distanza ( 434 h 27: apothen;
dr. De an. B 11, 423 h 3) a rigori non sono necessari per l'esi-
stenza degli animali, ma piuttosto sono finalizzati al 'meglio', ossia
ad una migliore condizione della loro vita ( 434 h 24: ~ov ~E Eu
lvExct; dr. De an. B 8, 420 h 17-20; r 13, 43.5 h 21; PA B 10,
656 a 6; Sens. l, 437 a l; inoltre S. Mansion, Soul, 12 sgg.). D'altro
lato gli animali capaci di locomozione (dr. anche 434 a 32-b 2;
Sens. l, 436 h 18-437 a l) non riuscirebbero a procurarsi il cibo
e ad evitare le cose nocive, e quindi a sopravvivere, qualora ne fos-
sero sprovvisti ( 434 h 24-9).
La trasmissione delle modificazioni che producono la percezione
propria dei sensi a distanza (434 h 28-9; cfr. De an. B 7-9) viene
quindi paragonata alla trasmissione del moto locale, e quest'ultimo è
avvicinato al mutamento qualitativo ( 434 h 29-435 a 2}. In effetti
nello spostamento locale si distinguono tre fattori: un primo mo-
vente immobile, una serie di intermediari che sono moventi e in-,
sieme mossi, e l'ultimo termine della serie, che è l'oggetto soltanto
mosso ( 434 h 29-435 a l; cfr. anche De an. r 10, 433 h 13-5;

Baruch_in_libris
NOTE A r 13 409

Ph. 9 10, 266 h 27-267 a 12; Insomn. 2, 459 a 29-33). MÉXPt. oorou
( 4 34 h 30) sta a significare che la causa del moto locale esercita
la sua azione 'sino ad un certo punto', ossia per il tempo che è
necessario a muovere l'oggetto in questione (cfr. Ph. 8 5, 256 h
18-20). La trasmissione dell'impulso attraverso intermediari si ve-
rifica non solo nel moto locale, ma pure nella alloiosis (e quindi
anche nella percezione a distanza; cfr. Insomn. 2, 459 h 1-5), sol-
tanto che ciò che viene alterato (nel caso della percezione, la fa-
coltà sensitiva), a differenza di ciò che viene mosso, non subisce
uno spostamento locale ( 435 a 1-2; cfr. ps. Filopono, 605, 7-9;
Rodier, l, 219; II, ad 435 a 1-2, 572; Hicks, 159; ad 434 b 24-
435 a 10, 580-1; ad 435 a 1-2, 582; Ross, 54; 321; ad 435 a
1-2, 324).
Gli esempi addotti da Aristotele in 435 a 2-5 hanno lo scopo
di indicare i corpi che sono i più adatti a subire (e quindi a tra-
smettere) le alterazioni degli oggetti: in nessun modo la pietra, in
certa misura la cera, molto meglio l'acqua e ancor più l'aria (cfr.
anche De an. B 8, 419 h 21-420 a 2; inoltre Temistio, 124, 29-34;
Rodier, l, 219; II, ad 435 a 2-3, 573; Hicks, 159; 161; ad 434 h
24-435 a 10, 581; cfr. anche Hamlyn, ad 434 h 29, 155).
Prendendo infine lo spunto dall'aria intesa come l'intermediario
per eccellenza ( 435 a 4-5), lo Stagirita coglie l'occasione ( 435 a
5-10) per contrapporre ancora una volta alla teoria empedoclea ed
a quella platonica della vista (incontro dei raggi ignei emanati dal-
l'occhio con quelli prodotti dall'oggetto, e loro 'riflessione' nel-
l'occhio stesso; cfr. De an. B 7, 418 h 13 sgg.; Sens. 2, 437 h
10 sgg.; Platone, Ti. 45 h 2-46 c 6) la propria dottrina della vista,
come impressione qualitativa subita dall'aria e dal sensorio per
l'azione delle forme sensibili (colore, figura, ecc.) dell'oggetto. Questa
dottrina viene illustrata con il paragone del sigillo e della cera,
per il quale cfr. Torstrik, ad 434 h 29-435 a 10, 222: « oculus ita
afficitur ut charta afficeretur si cera non solum in superficie sed
usque ad confinium cerae et chartae per sigillum fingeretur. Si Ar.
novisset photographiam quam vocamus, hoc fortasse usus esset
exemplo ». Per l'aria presente su superfici levigate ( 435 a 8) come
la condizione più favorevole al processo visivo cfr. De an. B 8,
419 h 29-33; Mete. r 2, 372 a 29-34; 4, 373 a 35-b l; per Ot.EO~OO'"tO
( 435 a 9) cfr. Platone, Ti. 45 d 2.

NOTE A r 13
1 SoMMARIO. - (l) Il corpo dell'animale non è formato sol-
tanto di acqua o di aria o di fuoco, e neppure soltanto di terra;
(2) il tatto è indispensabile alla vita dell'animale, mentre senza i

Baruch_in_libris
410 NOTE A r 13
sensi a distanza l'animale può sopravvivere; (3) il tatto è finaliz-
zato all'esistenza dell'animale, mentre gli altri sensi sono in vista
del meglio.
2
(435 a 11-b 3). Aristotele riprende un problema già affron-
tato in precedenza (dr. De an. A 5, 411 a 14-5; B 11, 423 a 12-7;
r 12, 434 a 27-8; 434 h 9-24), ossia quello della composizione del
corpo dell'animale e dei suoi organi sensori. Egli dichiara che l'or-
ganismo animale non può essere costituito di un solo elemento
(435 a 11-2). Difatti, in primo luogo, non si può ammettere che
tale organismo sia formato di solo fuoco, o di sola aria, o di sola
acqua. In effetti il corpo dell'animale si qualifica come tale in
quanto è dotato almeno della capacità tattile. Ora è impossibile che
l'organo del tatto sia costituito da uno solo (o dall'insieme) di
quegli elementi che compongono i sensi a distanza, giacché allora
non sarebbe più l'organo di un senso per contatto, ma di uno a
distanza ( 435 a 12-20). In 435 a 14 ~CT1tEP ELPT)'"tClt. rimanda a De an.
r 12, 434 h 10-24. Per l'acqua, l'aria e il fuoco (quest'ultimo sotto
forma di calore vitale) come elementi dei sensori a distanza ( 435 a
14-6) dr. De an. r l, 425 a 3-6; sulla funzione del 'mezzo' (435 a
16-7) dr. De an. r l, 424 h 24 sgg. Sul diverso tipo di contatto
con gli oggetti percepibili realizzato rispettivamente dal tatto e dai
sensi a distanza ( 435 a 18-9) cfr. De an. B 7, 419 a 26-8; 11,
423 h 1-8. Per la dottrina aristotelica della carne come interme-
diario e il punto di vista tradizionale ( 4 35 a 19: dokei) della carne
come organo del tatto (435 a 19) cfr. De an. B 11, 422 h 34 sgg.;
423 h 22-6; r 1, 424 h 27-30; 2, 426 h 15-7.
In secondo luogo si esclude che l'organismo animale sia for-
mato di sola terra (cfr. De an. B 11, 423 a 12-5), e ciò perché,
daccapo, il corpo dell'animale implica di necessità il possesso del
tatto. Se allora il tatto fosse composto soltanto di terra, percepi-
rebbe le sole qualità tangibili che sono proprie della terra (ossia
il freddo e il secco; dr. GC B 3, 330 h 5), mentre invece costituisce
una 'medietà' (dr. De an. B 11, 424 a 4) tra tutte (dr. De an.
B 11, 423 h 27-9) le qualità tangibili (435 a 20-4; dr. anche In-
troduzione, 68 ). Una riprova di quest'argomentazione proviene dal
fatto che alcuni nostri tessuti (ossa, capelli, ecc.; dr. HA A l,
487 a 1-10; De an. A 5, 410 a 30-b 1), come anche le piante (dr.
Resp. 19, 477 a 27-8), sono incapaci di percezioni tattili e quindi
di ogni altra percezione (cfr. 435 a 12-3; De an. B 3, 415 a 3-6),
e ciò perché sono formati esclusivamente o prevalentemente di terra
( 435 a 24-b 2). In conclusione l'organo del tatto (e quindi lo stesso
corpo dell'animale) non è semplice (435 h 2-3), ma composto di
tutti e quattro gli elementi (dr. De an. B 11, 423 a 12-5).
3
435 h 4-25). Si riaflerma anzitutto la necessità del tatto ( 435 h
(
4-19), e successivamente si ribadisce la concezione teleologica dei

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NOTE A r 13 411

diversi sensi (435 h 19-25). Il tatto è assolutamente indispensabile


per la vita dell'animale: mentre l'esistenza stessa dell'animale im-
plica la presenza del tatto, l'animale come tale non richiede il pos-
sesso degli altri sensi (435 h 4-7; cfr. 435 h 16-7; De an. B 2,
413 h 2-9; 414 a 2-3; 3, 414 h 3; 414 h 6-14; 415 a 3-6). A
conferma di questa distinzione tra la necessità del tatto e il carat-
tere accessorio degli altri sensi, lo Stagirita rileva gli effetti pro-
dotti sull'animale dagli eccessi dei rispettivi sensibili. Quando i sen-
sibili a distanza sono troppo forti, ledono soltanto i relativi organi
(cfr. De an. B 10, 422 a 20 sgg.; 12, 424 a 28-32; r 2, 426 a 30-b
3; 426 h 7; 4, 429 a 31-b 3) e uccidono l'animale solo accidental-
mente, ossia in quanto ad essi si accompagnino agenti che influi-
scono sul tatto. Cosl al rumore del tuono s'accompagna uno spo-
stamento d'aria distruttivo (cfr. De an. B 12, 424 h 10-2; Cael.
B 9, 290 h 34-291 a l); analogo è il caso del fulmine (cfr. Mete.
B 9, 369 h 4-9) o del fuoco (cfr. Simplicio, 329, 9-12), come pure
del vapore nocivo, che corrompe l'aria (cfr. De an. B 9, 421 h 23-5),
e del veleno, che non in quanto gustabile, ma in quanto tangibile
è esiziale per l'organismo dell'animale (cfr. De an. B 12, 424 h 12).
Invece l'eccesso dei tangibili non solo distrugge lo aistheterion (ov-
vero l'intermediario - la carne - e l'organo - il cuore) del tatto,
ma con ciò stesso uccide l'animale ( 4 35 h 7-19; cfr. anche Hamlyn,
ad 435 h 4, 156; inoltre Introduzione) 69). In 435 h 16 wpt.a'ta.t.
rinvia a 435 h 4-7; in 435 h 17 OÉOEf.X'ta.t. a De an. r 12, 434 h 9-24.
Se il tatto è necessario all'esistenza stessa dell'animale, gli altri
sensi sono finalizzati ad una forma migliore di vita: la vista al
vedere (cfr. Metaph. 8 8, 1050 a 9-11) gli oggetti del proprio
habitat (dr. De an. B 11, 423 a 29-b l; sul 'diafano' [435 h 22]
dr. De an. B 7, 418 h 6), il gusto alla percezione, desiderio e ri-
cerca dell'alimento (cfr. De an. B 3, 414 h 3-14; r 12, 434 h 16-7;
22-3; inoltre Simplicio, 329, 24-7), e l'udito alla ricezione dei segnali
(435 h 19-24; cfr. anche De an. r 12, 434 h 22-7; Sens. l, 436 h
12-437 a 2, dove compare anche l'olfatto). In 435 h 20 W0"1tEP
EtpT)'ta.t. rimanda a De an. r 12, 434 h 24. In 435 h 24-5 con
Torstrik (ad l.; ad 435 h 24, 224), Ross (ad l.; ad 435 h 24-5,
326), Theiler (70) e Hamlyn (76) ometto la clausola yÀ.w-r'ta.v oÈ
o1twc; crru1a.ivn 'tt. l'tÉ~.

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Wisniewski, B.: La théorie de la connaissance d'AntlXIlgore, «Rivista di studi
classici •, 19, 1971, .5-9.
Wittmann, M., Vox atque sonus. Studien zur Rez.eption der Anstotelischen Schri/t
«De anima» und ihre Bedeutung /ur die Musiktheorie, 2 voli., Ffaffenweiler
1987. . ...
Zeller, E.: Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung,
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Zeller, E.-MondoHo, R.: La filosofia dei Greci nel suo· stJiluppo storico, I, 1:
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, Firenze 19.513 (t• ed. 19.32). _
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(l• ed. 1938).

Baruch_in_libris
SUSSIDI FILOLOGICI 441

Zeller, E.-MondoHo, R.: La filosofia ... , I, 3: Eleati, a cura di G. Reale, Firenze


1967.
Zeller, E.-Mondolfo, R.: La filosofia ..., l, 4: ErllClito, a cura di R. Mondolfo,
FtteDZe 1961.
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a cura di A. Capizzi, Firenze 1969.
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8. Sussidi filologici
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Kiihner, R.-Gerth, B.: Ausfuhrlich~ GrtZmmatik der griechisch~n Spr~~ehe, 4 voll.,
Darmstadt 19664 • •

Liddell, H. G.-Scott, R.-Jones, H. S.: A Greek-English uxicon, Ozford 1968•.

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Baruch_in_libris
INDICI

I
INDICE DEI NOMI DI PERSONA CITATI NEL DE ANIMA

Mrodite: 406 b 19. Empedocle: 404 b 11; 408 a 19; 410


Alctneone: 40.5 a 29. a 3. 28; 410 b 4; 41.5 b 28; 418 b
Anassagora: 404 a 2.5; 404 b l; 40.5 a 20; 427 a 23; 430 a 28.
13; 40.5 b 19; 429 a 19; 429 b 24. Eraclito: 40.5 a 2.5.
Cleone: 42.5 a 2.5. 26. 27. 29; 430 b .5. Efesto: 410 a 6.
Crizia: 40.5 b 6. Filippo: 406 b 17.
Dedalo: 406 b 18. Ippone: 40.5 b 2.
~oorito: 403 b 31; 404 a 27; 40.5 Leucippo: 404 a .5.
a 8; 406 b 17. 20; 409 a 12. 32; Omero: 404 a 29; 427 a 2.5.
409 b 8; 419 a 1.5. Pitagorid: 404 a 17.
Diare: 418 a 21. Platone: 404 b 16.
Diogene: 40.5 a 21. Talete: 40.5 a 19; 411 a 8.
Ettore: 404 a 30. Timeo: 404 b 16; 406 b 26.

II
INDICE DEI RIMANDI INTERNI AL DE ANIMA

403 b 16 -+ 403 a 28. 41.5 a l -+ r 12-3.


403 h 17 -+ 403 a 16 sgg. 41.5 a 12 -+ r 4-8.
40.5 a 14 -+ 404 b l sgg. 416 a 31 -+ 416 a 21 sgg.
406 a 3 -+ 403 b 28-31. 416 b 34 -+ 41.5 b 24.
408 a 31 -+ 406 a 4 sgg. 417 a 19 -+ 416 a 29 sgg.
409 a 31 -+ 408 b 33 sgg. 417 a 22 -+ 417 a 6 sgg.
409 b 8 -+ 403 b 28 sgg. 417 b 14 -+ 417 b 6.
409 h 17 -+ 402 b 16 sgg. 417 b 28 -+ r 4 sgg.
413 b 10 -+ 434 a 22 sgg. 418 a l -+ 417 a 21 ~·
414 a l -+ r 12-3. 418 a 4 -+ 417 a 6 sgg.
414 a 1.5 -+ 412 a 6 ~- 419 a 9 -+ 418 a 31-b 2.
414 a 29. 31 -+ 413 a 23-.5; 413 b 419 a 23 -+ 419 a 17 sgg.
12-3. 419 a 31 -+ B 10-1.
414 a 30 -+ 413 a 31-b 9, ecc. 419 b 3 -+ 421 b 13-422 a 7.
414 b 14 -+ B 10-1. 419 b 13 -+ 419 h 6.
414 h 16 -+ 41.5 a lO-l; r 3, ecc. 420 a 23 -+ 419 h 6-18.
414 b 22 -+ 414 a 31-2. 420 b 30 -+ 420 b 13-4.

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444 INDICI

421 a 31 -+ 421 a 7 sgg.; 13 sgg. 431 h 20 -+ 425 h 26 sgg.


423 h 8 -+ 423 a 2-6. 431 b 24 -+ 431 h 24 sgg.
425 h 29 -+ 425 a 21-7. 432 a 28 -+ B 4 sgg.
427 a 28-9 -+ 404 h 8 sgg. 433 h 27 -+ 433 b 10 sgg.
428 a 16 -+ 425 b 24-,. 434 a 6 -+ 433 b 29-30.
429 b 29-30 -+ 417 h 2 sgg. 435 a 14 -+ 434 h 10-24.
430 a 5-6 -+ 430 a 20-1. 435 b 16 -+ 435 h 4-7.
431 a 21 -+ 426 b 8 sgg. 435 b 17 -+ 434 b 9-24.
431 h 19 -+ ? 435 h 20 -+ 434 h 24.

III
INDICE DELLE CITAZIONI DI ALTRE OPERE DI ARISTOTELE

404 b 16-25 -+ De Phil. fr. 11 Ross. 417 a 17 -+ Metaph. e 6, 1048 b 18-


407 h 12 -+ Ph. e, Cael. A l, Metapb. 35, ecc. ·
A 10 (?). 419 a 7 -+ Sens. 2, 437 a 31 sgg. (?).
407 h 29 -+ Eudemo fr. 7 Ross. 420 h 21-2-+ Resp. 7, 470 b 24-7, ecc.
408 h 11 -+ De Partibus Animalium 421 a 6-+ PA r 6, 669 a 1-5, ecc.
o De Motu Animalium (?). 423 h 29 -+ GC B 2-3. .
416 b 31 -+ Uapl ~poqril~ (?). 427 b 26 -+ EN Z 3, 1139 b 15 sgg.
417 a 1-2 -+ GC A 7, 323 b 31-3. 432 b 12 -+ De Respiratione, ecc.
433 b 20-1 -+ De Motu Animalium.

IV
INDICE. DEI RIFERIMENTI AD OPERE DI ALTRI AUTORI

404 a 29-30 -+ Omero, Il. XXIII, 698. 427 a 25-6 -+ Omero, Od. XVIII, 136-
404 b 16-8 -+ Platone, Ti. 35 a l sgg. 7.
407 b 29-+ Platone, Phd. 92 a 6 sgg.

v
INDICE DEI PASSI DEL DE ANIMA CONTENUTI IN DIELS-KRANZ *

Alaneone 404 b 1-6 = 59 A 100 (Il, 29, 23-7).


405 a 29-b l = 24 A 12 (1, 213, 17- 405 a 13-9 = 59 A 100 (Il, 29, 27-31).
21). 405 b 19-23 = 59 A 100 (Il, 29,
Anassagora 31-2).
404 a 25-7 = 59 A 99 (Il, 29, 21-2). 429 a 18-20 = 59 A 100 (Il, 29, 32-4).

* H. Diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsoleratiker, griechisch und


deutsch, 3 voli., Ziirich-Berlin 196612 •

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INDICI

Crizia 427 a 24-.5 - 31 B 108 (1, 3.51, 4


40.5 b .5-8 = 88 A 23 (Il, 37.5, 24-6). sgg.).
430 a 29 = 31 B 57 (l, 333, 9).
Democrito
Eraclito
404 a 27-31 = 68 A 101 (Il, 109, 8-
12). 40.5 a 2.5-9 = 22 A 1.5 (l, 147, 24-.5).
40.5 a .5-13 = 68 A 101 (Il, 109, 12-8). Filolao
406 b 1.5-22 = 68 A 104 (Il, 109, 2.5-
30). 407 b 27. 30-2 = 44 A 23 (l, 404,
409 a 32-b 4 = 68 A 104 a (Il, 109, 22-4).
31-3). lppone
419 a 1.5-7 = 68 A 122 (Il, 112, 22-3). 40.5 b 1-.5 = 38 A 10 (1, 386, 7 sgg.).
Diogene di Apollonia 405 b 24-9 = 38 A 10 (1, 386, 8-12).
405 a 21-5 =64 A 20 (Il, .56, 31- Leucippo
57, 1). 403 b 31-404 b 16 = 67 A 28 (Il, 78,
16-29).
Empedocle
404 b 8-15 = 31 B 109 (l, 3.51, 1.5-22). Orfeo
405 b 1-.5 = 31 A 4 (1, 283, 16-9). ~10 b 22-30 = l B 11 (1, 10, 6-12).
408 a 13-23 = 31 A 78 (1, 299, 1.5-23).
410 a 1-6 = 31 B 96 (1, 34.5, 18-9; Scuola pitagorica
346, .5-7). 404 a 16-20 = 58 B 40 (1, 462, 27-30).
41.5 b 28-416 a 2 = 31 A 70 (1, 296, 407 b 20-3 = .58 B 39 (1, 462, 23-6).
30-2).
418 b 20-6 = 31 A .57 (1, 294, 3-6). Talete
427 a 21-4 = 31 B 106 (1, 3.50, 16 40.5 a 19-21 = 11 A 22 (l, 79, 28-30).
sgg.). 411 a 7-8 = 11 A 22 (1, 79, 26-7).

VI
INDICE DEI PASSI DEL DE ANIAfA CONTENUTI IN GAISER *

404 b 16-27 = Nr. 2.5 A, 48.5.

VII
I!\TDICE DEI PASSI DEL DE ANIMA CONTENUTI IN HEINZE **

404 b 27-30 = fr. 60 (181, 28-30). 409 a 28-30 = fr. 73 (188, 9-11).

* K. Gaiser, Platons ungeschriebene Lehre. Studien %Ur systematischen und


geschichtlichen Begrundung der Wissenschaften in der platonischen Schule,
Stuttgart 19682•
** R. Heinze, Xenokrates, Darstellung der Lehre und Sammlung der Frag-
mente, Leipzig 1892 (rist. Hildesheim 196.5).

Baruch_in_libris
446 INDICI

VIII
INDICE DEI TERMINI GRECI
Le parole seguite da un punto di domanda compaiono nell'apparato critico
dell'edizione di Ross.

A: 417 a 29; 431 a 25. 27. 28 (?); 11. 16. 18. 30. 33. 34; 42.5 a l. 4.
431 b l. 5. 8; 431 a 17; 435 a 4. 6; 43.5 b 21.
ciyd6c;: 406 b 9; 410 a 12 (bis); 426 b ciitci.va~cc;: 40.5 a 30. 31; 411 a 13;
2.5; 428 a 30; 431 a 11. 1.5; 431 b 430 a 23.
11; 433 a 28. 29 (bis); 433 b 9. 16. ciitpouc;: 420 a 25.
ciyyE~ov: 419 b 26. atyÀ.T}: 410 a 5 (Emp.).
ayÉVT)~oc;: 434 b .5. citSTJÀ.Oc;: 404 b 14 (Emp.).
4"(€vcr"toc;: 421 b 8; 422 a 30. citS~: 407 a 23; 413 b 27; 418 b 9;
ciyvotw: 403 b 8; 410 b 4. 430 a 23.
cX"'f"Ot.a: 410 b 2. af.Oi)p: 404 b 14 (bis; Emp.).
ciyw: 417 b 10; 426 b 4. at&J.a: 403 a 31; 405 b 4 . .5 (bis). 7.
4S1}À.oc;: 407 b 5; 413 a 5. 8; 414 b atatci.vo~J.Q.t.: 402 b 13; 403 a 7; 403 b
16; 423 a 12. 27; 404 b 9; 405 b 6; 408 b 3; 409
ciSt.Cl,PE~oc;: 405 a 10; 406 b 20; 409 b 2. 24. 31 (bis); 410 a 24. 2.5; 410
a 24; 426 b 30. 31; 427 a 2. 4. 5. b l. 16. 19; 411 a 27; 411 b 2; 413
6. 11 (bis); 430 a 26; 430 b 6. 7. 8 b 30; 414 a 4. 13; 415 a 18; 415
(bis). 9. 14. 15 (bis). 17. 18. 2Q-. b 24; 417 a 7. 10. 13 (?); 417 b
20b (bis). 21. 18. 24; 418 a 9. 12. 22. 23; 420 a
ciSvi<popo~: 409 a 2. 10; 421 a 11. 14; 421 b 10. 18. 22;
ciSuva~tw: 415 b 3; 419 b 2. 17. 422 a 12; 422 b 6. 10; 423 a 8. 18.
ciSvV«~oc;: 406 a 2; 406 b 24; 408 b 19; 423 b 5. 7. 9. 13. 25 (bis); 424 a
33; 409 b 14. 26; 410 a 10. 20; l. 3. 7. 26. 33; 424 b 17. 28; 42.5 a
410 b 13 (bis); 411 b 17; 413 a 32; 2. 15. 17. 20. 22. 2.5. 29. 30; 425 b
417 a l; 419 a 17. 19; 419 b 11; 12. 13. 18. 20; 426 b 14. 19. 22;
421 b 7. 21; 422 a 6. 28; 422 b 2; 427 a 4. 19. 20. 22. 27 (bis); 427 b
423 a 12. 28; 424 b 4. 7; 425 a 20; 7. 11. 27; 428 a 15; 428 b l. 12.
426 b 29; 434 a 25; 434 b 17; 435 15; 429 a 14. 31; 431 a 8; 431 b 5;
b 17. 432 a 7; 434 b 15. 27; 43.5 a 16.
chL: 403 a 15; 40' a 27. 32; 405 b l; 18. 2.5; 435 b 23.
407 a 22. 29; 413 a 29; 414 b 29; «~Il«: 431 a 15; 432 a 9.
415 a 29; 415 b 3; 419 b 10. 27. atatn~: 404 b 23. 27; 405 b 11; 406
29; 420 a 16; 425 b 29; 427 a 24 b 30; 408 b 17; 409 b 16; 410 b 23;
(Emp.); 427 b 12; 428 a 8. 11. 17; 411 b 21. 30; 412 b 24; 413 a 23;
430 a 5. 18; 430 b 2. 30; 432 b 15. 413 b 2. 3. 4. 6. 7. 9. 21. 22. 23;
28; 433 a 27; 434 a 14. 414 a 2; 414 b 3. 4. 6. 7. 9; 415 a
cU~w: 427 a 23 (Emp.). 4. 6; 41.5 b 24; 416 b 32. 33; 417 a
tlipt.VO<;: 435 a 12. 3 (bis). 4. 5. 12. 32 (?); 417 b 22;
ci-l)p: 404 a 3. 18; 405 a 22; 405 b 18; 418 a 7. 10. 11. 25; 419 a 3. 27.
411 a 10. 12. 15. 20; 418 b 6. 7; 30; 419 b l; 420 a 30; 421 a 9.
419 a 14. 32. 33; 419 b 18. 19. 20. 19; 421 b 4. 20. 22; 422 a 13. 17;
21. 23. 25. 27. 34; 420 a 3. 4 (bis). 422 b 18. 23. 29; 423 a l. 3. 6. 9.
6 (bis). 7. 12. 17. 19. 25; 420 b 11. 16. 20; 423 b 2. 21. 31; 424 a 4. 1.5,
15. 16. 27. 28. 33; 421 a 5; 421 17. 18. 22. 27. 31; 424 b 22. 24.
b 9. 11; 422 a l; 423 a 8. 12. 29 2.5. 27; 425 a 9. 13. 1,. 20. 21. 23.
(bis); 423 b 11. 18; 424 a 14; 424 b 27. 31; 42.5 b l. 4. 16. 25. 26; 426

Baruch_in_libris
INDICI 447
a 9. 23; 426 b 3. 7. 8. 14. 31; 427 cix(VT}o;~: 420 a 10; 432 b 20; 433 b
a 9; 427 b 12. 15 (bis); 428 a 4. 5. 15. 16.
6. 8. 25 (bis). 26. 28. 29. 30; 428 b dx1-11i: 411 a 30; 432 b 24; 434 a 24.
12 (bis). 13. 14. 15. 18. 25. 26. 27. tixo'i): 415 a 5; 418 a 13; 419 b 4. 8;
28; 429 a 2. 3. 5. 31 (bis); 431 b 4. 420 a 4 (bis); 421 b 4; 422 a 23;
23. 24; 432 a 2. 16. 17; 432 b 20; 422 b 24. 33; 423 a 9; 423 b 18;
433 b 7; 434 a l. 27. 30. 33; 434 b 424 b 23; 425 a 4; 425 b 28 (bis).
3. 8. 9. 14. 16. 22; 435 a 13. 16; 31; 426 a 3. 7. 8. 18. 28. 29. 31;
435 b l. 5. 20. 431 a 18; 434 b 15; 435 h 24.
ataih}~p~oov: 408 b 18. 21; 419 a 15. tixoÀ.ouMw: 405 b 27; 425 b 5. 8; 428
18 (?). 26. 28. 29; 421 a 12. 24; a 22; 433 a 8. 11.
421 b 17. 27. 32; 422 a 7; 422 b l. clxou~: 426 a l. 7. 12.
5. 20. 22. 34; 423 a 5. 11; 423 b 19. cixoucrnx~: 426 a 7.
20. 24. 30; 424 a 24. 29. 30; 424 b tixoue1';6~: 417 b 21; 421 b 4; 422 a 24
27. 32. 33; 425 a 3. 8. 14; 425 b 23. (bis).
25: 426 b 9 (bis). 16; 429 a 30: ùoòw: 417 a 10. 11; 419 b 18. 34. 35;
435 a 15. 18. 22; 435 b 2. 9. 15. 18. 420 a 6. 11. 14. 15. 18. 19; 425 b
tdaih}-nx6~: 402 b 13. 16; 407 a 5;
12. 29. 30.
tixp~: 434 a 14.
408 a 13; 410 b 22. 26; 411 b 30;
d.xpa.Tft~: 433 a 3.
412 b 25; 413 h 12. 29; 414 a 31;
tixp!~u«: 402 a 2.
414 b l (bis). 31; 415 a 2 (bis). 6.
cixpy,~i)~: 421 a 10. 12. 18. 20.
17; 417 a 6; 417 b 16; 418 a l. 3;
ùpt.P6w: 421 a 22.
419 a 18; 423 b 23; 424 a 27; 424 b
bpy,~W<;: 419 a 16. 21; 420 a 10; 428
9. 33; 425 a 6; 426 a 11 (bis). 16;
a 13.
427 a 15; 429 a 17. 26. 30; 429 h 5.
bpo~: 407 a 29; 423 a 26; 424 a 7.
15; 431 a 5. 11. 14; 431 b 26; 432 a
dxo;~: 404 a 4.
30; 432 b 19; 433 b 3. 29; 434 a 5;
ti)..'i)kf.«: 402 a 5; 404 a 31.
434 b 28.
tiÀ.T]hUw: 427 b 21; 428 a 4. 17.
ataih}-;~: 402 b 16; 406 b 11; 414 h 9;
til1)t'i)~: 404 a 28; 406 a 32; 423 a 28;
415 a 22; 417 a 13; 417 b 21. 25.
26. 27; 418 a 4. 7. 8. 20 (bis). 24 427 b 3. 10. 12; 428 a 11. 15. 19;
428 h 3. 5. 7. 17. 18. 28; 430 a 27;
(bis). 25; 422 a 9; 422 b 19; 424 a
430 h 4. 27. 28. 29. 30; 431 b 10;
5. 6. 18. 29; 424 b 2. 18. 26. 28. 31;
432 a 11.
425 b 9. 23. 24. 26; 426 a 9. 11. 16.
ti)..1)tw~: 411 a 26.
23; 426 b 8. 10. 13. 15; 428 a 13; •.A)..xi-Lt.t!wv: 405 a 29.
428 h 20. 29; 429 a 17; 429 b l;
ti)..M: 402 h 9. 21; 403 a l. 12; 403 b
431 a 4; 431 b 22. 23. 28; 432 a 3.
4. 5. 6; 434 b 13. 29; 435 b 7. 15. 10. 16; 404 a 31; 404 h 6; 406 a 2.
19; 406 b 11. 15. 25; 407 a 8. 9. 28.
a.tTr}I-L«: 418 b 26. 34; 407 h l. 7. 8. 9; 408 h 14. 16.
c:to;La.: 402 b 18; 405 b 17. 22. 30; 23. 26. 28; 409 a 15. 18; 409 b
407 h 6. 7. 16; 408 a 22; 410 b 7; 14. 31; 410 a 2. 16. 20; 411 b 24;
411 a 9. 12; 413 a 15; 413 b 9; 412 h l. 14. 16. 26; 413 a 2. 6. 15.
414 a l; 414 b 33; 415 a 22; 415 b 29; 413 h 25; 414 a 14. 18; 415 a
8. 10. 13. 15; 416 a 10; 417 b 2i; 10; 415 h 7. 21; 416 a 4. 14. 18.
419 a 7. 22. 31; 419 b 2; 421 a 6. 22. 23. 24. 26. 35; 416 b l. 4. 15.
a.to;t.Ov: 404 b 2; 407 b 8; 411 b 5; 17; 417 a 7. 26. 31; 417 b 2. 11. 28.
413 a 20; 415 b 12; 416 a 8. 14; 30; 418 a 14. 16. 19. 30; 418 b 2.
417 b 21; 418 a 31; 420 b 21; 5. 7. 16. 30 (bis); 419 a l. 6. 13. 21.
421 a 9; 422 a 8; 424 b l; 430 a 6. 27; 419 h l. 15. 18. 19. 28. 30. 31.
12; 430 b 25; 434 a 10. 35; 420 a 12. 15. 17. 25. 32; 420 b
&.xci>...vqn'J~: 422 a l. 6. 11. 14. 31; 421 a l. 3. 10. 18.

Baruch_in_libris
448 INDICI

27. 31; 421 b 15. 18. 21. 26. 31; 4).).ocppo~: 404 a 30 (Om.).
422 a 13. 18. 32; 422 b 18. 21. 30. 4).~: 404 b 22; 407 b 11; 408 a 33;
32. 34; 423 a 2.5; 423 b 4. 6. 7. 12. 423 b 2; 429 b 13; 433 a 30.
1.5. 16; 424 a 4. 21. 23 (bis). 27; tl).p.up6c;: 422 a 19; 422 b 12; 426 b 5.
424 b 2. 9. 11. 12; 425 a 14. 24. 4lcrrcc;: 408 b 32; 432 a 26. 30; 432
26. 29. 31; 425 b 5. 13. 22; 426 a b 6.
10. 11. 20. 26; 426 b 18. 28. 29; cU.6ywc;: 405 a .5.
427 a 7. 9; 427 b 8; 428 a 14. 16. 4p.«: 403 a 18; 403 b 20; 408 a 25;
19. 27; 428 b 8. 10. 12; 429 a 12. 418 b 17; 420 a 2; 423 a 2; 423 b
16. 21. 28. 29; 429 b 3. 4. 11. 14. 15. 16; 424 b 9; 425 a 24; 42.5 b l.
31; 430 a 22; 430 b 4. 5. 11. 14. 9. 31; 426 a 17; 426 b 28. 29; 427
17. 18. 2Q-. 28. 29; 431 a 14; 431 b a 2. 8. 12. 13. 14. 29; 428 b 3;
12. 29; 432 a 13; 432 b 13. 17. 26. 430 b 12; 432 a 8; 435 b 10. 12.
29; 433 a 3 . .5. 6. 8. 12. 28. 29; «&J.«vp6c;: 403 a 21.
434 a 16. 20; 434 b 4. 9. 25. 27; «ll«VP~: 408 b 20.
435 a 3. 19. 23; 435 b 9. 18. 21. «ll~À~: 420 b l. 2.
ciÀÀti-t-;w: 413 b 3. 41J.EP'l')c;: 402 b l; 407 a 9. 19 (bis);
6.).)"i}Àcw: 402 b 11; 405 b 14; 407 b 409 a 2.
19; 411 b 26 (bis); 413 b 17; 416 a «&J.T.-rilc;: 405 a 17; 429 a 18; 430 a 18.
23. 24. 26; 419 b 20; 423 a 24. 26; ciiJ,t.X-toc;: 426 b 4.
424 b 32; 425 a 30; 425 b 8; 426 b 4&J.cpbtçoc;: 402 a 3; 416 b 8; 417 a
20; 431 a 13. 24. 27; 433 b 4. 5. 30; 418 b 8; 419 a 34; 422 a 32;
«).).o~oc;: 427 a 25 (Emp.). 427 a 20.
«).).o~o6w: 417 a 31; 417 b 6. 8; 418 a 4J.UPo-tipwc;: 409 b 10; 411 a 14; 416
3; 424 b 13; 431 a 5; 435 a 2. b 5.
«).).otw~c;: 406 a 13; 408 b 11; 415 b &11cpw: 403 b 9; 404 b 29; 405 a l.
23. 24; 416 b 34; 417 b 7. 14; 435 15. 17; 411 a 6; 412 b 3; 413 a 29;
a l. 414 a 16. 17; 416 b 4; 419 a 23;
itÀÀoc;: 402 a 20. 21. 22. 25; 402 b 8. 420 a 20; 423 b 16; 424 a 9; 424 b
14; 403 b 12; 404 a 13. 23. 26; 33; 42.5 a l. 3. 23; 425 b 2; 426 b
404 b 21; 405 a 7. 26; 405 b 21. 18; 429 b 2.5; 430 b 13. 14; 433 a
25; 406 b 8. 9; 407 b 27; 408 a 26; 13; 434 a 20; 434 b 33.
408 b 25; 409 a 8. 20; 409 b 6. 17. 4": 402 a 4. 13. 16; 402 b 14; 403 a
21; 410 a l. 13. 15. 18; 410 b 4; 9. 11. 12. 29; 404 a 16; 406 a 14.
411 b 2. 4. 5. 6; 412 a 12; 413 a 15; 406 b 2. 4 (bis). 6. 10. 12. 14;
31. 32. 33; 413 b 7. 31; 414 b 9; 407 a 21; 407 b 2. 17; 408 a 18.
415 a 3. 4. 16. 24; 416 a 21; 417 a 34; 408 b 4. 19. 22; 409 a 10. 20;
.5; 417 b l; 418 b 21; 419 a 7; 409 b 27; 410 a 10; 410 b 10. 26;
419 b 32; 420 b 7. 25; 421 a 20. 411 a 12; 411 b 10. 14; 412 a 5.
22. 24; 421 b 3. 27; 422 a 22. 27; 15. 17. 28; 412 b 5. 13. 14. 19;
422 b 21. 22. 27. 29; 423 a 19. 413 a 30; 414 a 13; 414 b 20. 22;
28 (bis); 423 b 2. 3. 24; 424 a 9; 415 a 21; 416 a 13. 16; 416 b 5.
424 h 5. 8; 425 b 10; 426 a 9. 10. 14. 25; 417 a 9. 12. 23. 28;
19; 426 b 12; 427 a 24; 428 a 27; 417 b 28. 30; 418 b 1.5. 25; 419 a
428 b 22. 30; 429 b 10. 13. 16. 16; 419 b 15. 24. 30; 420 a l. 14;
20. 27 (bis). 29; 430 b 22; 431 a 420 b 15; 421 b 16. 20; 422 a 12.
6. 14; 432 a 13 (?). 27; 433 a 11; 13; 423 a 6. 7. 8. 19. 22; 423 b
433 b 30; 434 a 6; 434 b 14. 24; 10. 21. 23; 424 a 26; 424 b 3 (bis).
435 a 13. 15. 18. 23; 435 h 2. 3. 13. 24; 425 a 8. 13. 24. 28; 425 ,b
6. 7. 19. 4. 7; 426 a l; 426 b 16. 20; 427 b
«).}.6-tpt.ec;: 418 b 6; 420 a 17; 422 a 23; 428 a 9. 26; 428 b 14. 29;
9; 429 a 20. 429 a l. 14. 2.5; 429 b 23. 31;

Baruch_in_libris
INDICI 449
430 a 31; 430 b 2. 11; 431 b lS; l"'u: 403 a 6. 9 (bis); 411 b 30;
432 a 7. 31; 432 b 4. 10. 2.5; 433 414 a 20; 41.5 a l. 3. 4; 417 a 4.
a l. 22; 433 b 10; 434 a 4. 23. 33; 8; 418 b 2; 419 a 9; 419 b 13;
434 h l. 27; 43.5 a 8. 9. 1.5. 20; 420 a 27. 28; 421 a 12; 421 b 18;
435 b 9. 10. 422 a 17; 423 a 2.5; 424 8 18. 19;
dvayxa~ct;: 402 a 23; 403 a 5; 403 b 42.5 a 6; 42.5 b 23; 426 a 21. 22;
20; 406 a 3; 407 a 17. 19; 407 b 427 b 1.5. 16; 428 b 11. 1.5; 429
17; 408 b .5; 409 a 1.5; 409 b 3. a 4; 429 b .5. 14; 430 a 3. 7. 25;
10. 2.5; 410 b 9; 411 a 18. 22; 412 a 430 b 30; 431 a 17; 431 b 10. 14;
19; 414 a 3; 41.5 a 14; 416 a 20; 432 a 10. 13; 433 8 20. 23; 433 b
416 b 28; 417 b 2.5; 418 a 2; 419 a 28; 434 a 2.5. 28. 30. 3D-; 434 b
20. 22; 420 b 19. 21. 26; 421 b ~; 8. 23; 43.5 a 12; 43S b 2. 17.
422 a 4; 422 b 3. 18; 423 a 1.5. 25. dvi)xoucrtct;: 421 b .5. 422 a 26.
27; 432 h 22; 434 a 27. 30; 434 b civtilxw: 433 b 8.
23. clvtpw"R:.vot;: 402 b 4.
dvci-rx11: 403 h 3; 413 b 24; 419 a 24; clvDpw"R~: 402 b 7; 404 b 6; 406 a
422 b l; 424 b 26. 32; 42.5 b 12; 9; 408 b 14; 409 b 32; 410 a 9.
426 a 3. 5. 17. 19. 29; 426 b 14. 11; 414 b 18. 33; 417 a 23. 24;
16; 427 b 2. 20; 428 b 7. 14; 419 b l; 421 a 11. 16. 20. 23; 421
429 a 18; 430 a 13; 431 b 28; b 14; 19. 24. 26; 427 a 23 (Emp.);
432 a 8; 434 a 3. 8. 22. 24. 2S; 428 a 14; 429 a 8; 430 b 29.
434 b 9. 11. 13. 21. 26; 435 b 4. clVVnrtJ.U.: 406 b .5.
7. 19. dVOIJ.O!.OIJ.EP'i)t;: 411 a 21.
dva."Y'Jlùp!~w: 425 a 24 (?). clv6J.Lo~: 417 a 19. 20; 427 b 4.
civd.yw: 40.5 h 12. d;v6cr(l)pa.V'f~: 421 b 6 (bis).
dvr~ev~.u:~: 405 a 26. f!vti.Xdp.&VOV: 402 b 15 j 411 a 4 j 41,
civa.~o~oc;: 420 h 10; 421 b 11. 20. a 20; 416 a 34; 424 a 11.
d-va~opÉw: 408 a 25; 435 b 14. 1.5. clvtt.À.U"R'J1~: 403 a 30.
àva(O'tr)":ot;: 421 b 17. dvtLCrtpiq)W: 406 a 32; 423 a 21.
~vaxd.~J,;t-tw: 407 a 28. 30. dvtw.cppci-t"rW: 429 a 20.
~vtixÀCLD\t;: 419 b 16; 435 a .5. civw: 406 a 28; 413 a 28; 416 a l.
àvaxì\tciw: 419 b 29. 31; 435 a 6. 2. 3; 418 b 9. 12; 434 a 1.5.
ti'vciloyct;: 412 a 25; 412 b 3. 23; cl'VWwJ.LOt;: 418 a l. 27; 419 a 4. 32;
420 b l; 421 a 17. 28; 422 b 21; 426 a 13. 14. 15.
423 a 15; 431 a 22. d6pa.-tot;: 418 b 28; 421 b 5; 422 a
d:vcip.'J11CTt.t;: 408 b l 7. 20. 21. 22. 26; 424 a 11.
'A'Ja~ay6pa.t;: 404 a 2.5; 404 b l ; 40S d6pi.CT"tot;: 424 b 1.5.
a 13; 405 b 19; 429 a 19; 429 4op!a-re»t;: 434 a 4. 5.
h 24. ci"Rcih~oa.: 429 a 29.
dv~1trù.w: 402 b 21. cl"Rdi)t;: 405 b 20; 408 b 2.5. 29 i
dvci"RM~: 423 a 27. 410 a 23; 416 a 32; 429 a lS;
àva~vÉw: 404 a 13; 410 b 29; 411 a 429 b 23; 430 a 18. 24.
l; 419 h 2 (bis); 420 b 17. 26. 27. d"Rat:tÉw: 408 a 18.
33; 421 a 2. 5; 421 b 14 (bis). 18. «i"Ravttiw: 421 b 12.
20. 26; 422 a 2. 4. 5. i"Ra.~: 407 a 15.
d'Jar.vci): 404 a 10; 40.5 b 28; 420 b 4"Ra.t;: 402 a .5; 402 b 2; 403 a 2;
23. 25; 432 b 11. 403 h 11; 404 b 3; 409 a 28;
ci'Ja~-tcc;: 424 a 12 (bis). 410 a 15; 410 b 7; 411 a 3; 411
~V«C11tciw: 421 b 30. h 2.5; 413 b 32; 41.5 a 2.5; 416 b
dva"toì. .i): 418 b 25. 23; 423 a 17; 423 b 9; 430 a 10;
dvavx11v: 430 a 29 (Emp.). 430 b 19; 432 b 9; 434 a 27;
!vEp.cc;: 403 b 5; 410 b 30. 434 b 12; 43.5 a 24.

Baruch_in_libris
4.50 INDICI

ci<K«"tciw: 418 a 12. 1.5; 42.5 h 3; 4-Kowt: 422 a 29.


427 h l; 428 h 2.5.
ci'KciTJ'): 427 h 4. 5. fi<KoqHXl'\M: 403 h 22; 404 b 29; 405 a
i<KEt.J.U.: 428 h 29. l. 8; 40.5 b 2. 9; 409 h 20.
ci<KE1.Pdxt.t;: 407 a 14. f11t~: 42.5 a 19; 430 b 27; 432 a
ci1tct.po<;: 404 a l ; 407 a 13; 409 a 11.
24. 28; 409 h 29; 411 h 14; 416 a i1t6qnu.u: 431 a 9. 16.
1.5; 42.5 b 16; 432 a 24. i<K"tt.Xo~: 413 b 9; 41.5 a 3; 422 h 20;
4-Kl'K"to<;: 416 h '· 6. 423 a 16; 423 h 26. 30; 434 h 13;
U'KlpXOJ.L(lt.: 42.5 h 24. 43.5 a 14; 43.5 b 13.
fl<Klo~: 40.5 a 16; 412 b 2; 416 a 28; cl'K"t~: 414 h 11; 420 a 30; 422 a
417 h 2. 29; 422 h 11; 424 b 30; 8. 11; 422 h 17. 19. 20 (?). 25;
42.5 a 3; 429 b 23; 434 a 28; 434 423 a 18; 423 b 9. 12. 14. 23. 27;
b 9. 10; 43.5 a 11. 424 a 12. 13. 14. 34; 424 b 12. 25
«<K~: 404 a 28; 410 a 30; 416 a (bis); 434 b 12 (bis). 19. 22; 435 a
10. 14; 417 a 22; 418 h .5; 426 a 21. 24; 43.5 b 13. 16. 18.
26 (bis); 431 a 7; 431 h 12; 433 b 41t-tw: 403 a 13. 14; 419 a 26; 423 a
9 (bis). 4. 24. 26. 28; 423 b l. 3. 11. 20;
ci1t6: 40.5 a l; 407 a 26; 408 h 16. 424 b 28. 30; 426 b 16; 434 b
17 (bis); 413 h 17.; 416 h 23; 418 h 16. 27; 435 a 17.
2.5; 419 b 25 (?); 31; 420 a 22. i<KupT)vo~: 422 a 29.
29; 421 a 32; 421 h l (?); 428 h i'K~W: 419 b 27.
27; 429 a 3; 434 a 23. 4pa.: 410 a 20; 412 a 19. 21; 422 h
ti1to{3ciÀÀ.w: 412 h 2.5; 428 h 5. 3; 42.5 a 9. 28; 426 b 21. 28; 428 a
Ò;'KO~Àl'KW: 404 h 7; 408 a 6; 408 h l. 18; • 428 b 9; 429 a 15. 18. 22;
ci<K6SEt.~~: 402 a 15. 19; 402 h 2.5; 429 h 21 (bis); 433 a 13; 434 a 2.5;
407 a 26 (bis). 434 h 7.
ci<KoStSwlJ,t.: 402 b 23; 403 h l; 40.5 a ipa.: 410 a 17; 424 b 14; 427 a 2;
4. 17; 406 a 27; 408 a 3; 409 h 16. 428 a 3; 431 h 17.
4'itok"V: 423 h 3; 434 h 27. à;pyta.: 416 h 3.
ci<Kotvi)cntw: 43.5 h 5. 4pyupo~: 406 b 19.
Ò;'KOXa.À.U~"tW:. 422 a 2. cipETi): 408 a 3.
ci<KoÀ.«~~ci~: 411 a 19. ci;pt.&J,LT}"rt.xi) : 417 a 3 2.
ci<KoÀ.lt"Jtw: 408 a 28; 412 b 20; 432 h cip..Op.&;: 402 a 22; 404 h 23. 24. 27.
22. 29; 406 b 29; 407 a 8; 408 h 32;
Ò;1t6À.À.U~t.: 408 b 29. 409 a l. 6. 7. 8 (bis). 17. 2.5. 26;
ci1toÀ.w: 407 h 3; 409 a 29. 409 b 4. 6. 8. 12. 29; 411 b 21;
ci"Jto~VTJIJ.OWVw: 405 a 19. 41.5 h .5. 7; 418 a 18; 42.5 a 16.
~'KCNi~: 408 a l. 19; 425 b 6; 427 a 2 . .5; 431 a 23;
tÌ1tOPÉW: 4(}2 h 15; 408 a 34; 410 a 433 h 12.
11; 410 h 10; 411 h 14; 423 a 22; 4plJ,6~w: 408 a l.
424 h 3; 429 h 22; 431 a 24. ;ipi.J.Ov~: 406 h 30; 407 b 30 (bis).
a1toptrx: 402 a 21; 403 a 3; 408 a 24; 32. 34; 408 a 2. 4. 6. 18. 29.
409 h 22; 410 a 27; 411 a 9; 413 b 4pp.OVI.X~: 406 h 29.
16; 416 a 29; 417 a 2; 422 h 19. <iP"t''lPU1: 420 b 29; 421 a l.
28; 425 h 17; 432 a 22; 432 h 2. ci;pxa.toc;: 427 a 21.
13. cipx-1): 402 a 6. 22; 402 b 2.5; 403 h
4-Kopo~: 421 h 13. 24; 404 h 10. 18. 2.5. 30; 40.5 a
~1toppoi): 418 h 1.5. l. 1.5. 18. 22. 2.5; 40.5 b 12. 16.
fi1toppot.«: 422 a 1.5. 19. 23; 407 a 26. 28. 30; 410. a
ci1t6-;a.~: 420 b 8. 19; 410 h 2; 411 h 28. 30; 412 a
cl1to-toc;: 422 a 32. 12; 412 b 17; 413 a 20. 27; 413 h

Baruch_in_libris
INDICI 451

l. 12; 41.5 h 8. 14; 416 h 18; 8; 420 a 7. 12; 421 a l. 14. 19;
422 a 31; 424 b 2; 427 a 1.5. 29; 421 h 17; 422 a 19; 422 h l. 16;
430 a 19; 433 a 16. 17. 19; 433 h 423 a 30; 423 h 11. 20. 30; 424 a
22. 24. l. 7. 8; 424 h 28. 29; 42.5 a 2. 31;
cipxt.X~: 434 a 1.5. 425 b 11. 1.5. 16. 27; 426 h 16;
lpxw: 410 h 13; 433 h 26. 427 a 9; 427 h l. 24; 428 h 16;
fitJtlq)fK: 413 a 11. 429 a .5. 21. 25; 429 h 9. 26. 27.
«an~: 42.5 a 11. 29; 430 a 2; 430 h 24. 2.5; 431 a
ficrn!c;: 423 b 1.5. 16. 19; 431 h 3. 18. 28 (bis); 432 a
fiaTi)p: 40.5 h l. 20; 433 a 19; 433 b 21; 434 a 28;
clcnjJ.LJ.LE-rPOti: 430 a 31. 434 h 29; 43.5 a 17; 435 h 24.
cltTq)U).-r~: 421 h 24. cxu-rOt;, 6: 404 a 17. 20. 28. 31; 404 b
«Ìf7WJ.L(I-r~: 404 h 31; 40.5 a 7. 27; 3. 16; 40.5 a 9. 17; 406 a 23. 29;
405 b 12; 409 b 21. 406 h 26; 407 a 15. 31. 32. 33;
fi-rtip: 404 b 14 (Emp.). 408 a 14; 409 a 10. 22. 23. 31;
4-rù..iat;: 417 a 16; 42.5 a 10; 431 a 409 h 3. 12; 410 a 12; 411 h 20;
6; 432 h 23; 433 h 31. 412 a 26; 414 h 20; 41.5 a 22; 41.5
ci-rc.&J,Ot;: 404 h 4. h 4. 16; 416 a 3 . .5. 19. 26; 417 a
ci-roJ.Loc;: 404 a 2; 414 h 27. 1.5. 26; 417 h 27; 418 h 8. 13.
4-ro~Oti: 407 h 13; 408 a 13; 409 h l; 17. 31; 419 a 25; 421 b 3; 422 h
410 a 23; 411 a 14. 16; 411 h 23; 17; 423 a 18. 20. 29; 424 a 2.5;
432 b 4. 424 h 8; 42.5 a l; 42.5 h l. 8. 13.
avÀ6t;: 407 b 2.5; 420 h 7. 1.5. 26. 27; 426 a 8. 28; 426 h 21.
aùEtivw: 416 a 8. 30. 24. 30; 427 a 6. 12. 22. 2.5; 427 b
«~TJ: 411 a 30. 6 (bis). 11. 17; 428 a 9; 428 h 7;
au~TJO'l.t;: 406 a 13; 411 a 30 (?); 412 a 429 b 12; 430 a 3 . .5. 20; 431 a l.
14; 413 a 2.5. 27; 41.5 h 23. 2.5. 12. 28. 29 (bis); 431 h 11. 27; 432
29; 416 a 10. 1.5. 17. 24; 432 h 9; b l; 433 h 22; 43.5 a 2.
434 a 24; 434 h 20. clcpa(.pECn.t;: 403 h 1.5; 429 h 18; 431 h
au~T)-rf.XOt;: 416 h 12. 13. 12; 432 a .5.
av~w: 413 a 28; 41.5 h 26; 416 a 12. cicpa.~,ptw: 409 a 8.
u~p6t;: 421 a 30; 422 h 13. acpd:ÀMIJ.«t.: 420 a 22. 26.
uU-r6J.La-r~: 41.5 a 28. 6.qni: 413 h .5. 6 (bis); 414 a 3; 414 b
aU-rO,.: 402 a .5. 8 (bis). 11; 402 h 3. 7. 9. 1.5; 41.5 a 4; 418 a 14. 19;
6. 12; 403 a l. .5. 11. 12. 30; 419 a 30; 420 h l; 421 a 19. 21;
403 h 22. 2.5. 30; 404 a l. 8. 12. 422 a 10. 34; 422 b 6. 17. 18. 33;
14. 18. 2.5; 404 h l. 3. 19. 20. 24; 423 a 11. 17. 20; 423 b 3. 31;
405 a 16. 30. 31; 405 h 9. 13. 16. 424 a 10. 12; 424 b 23. 24. 26. 28;
32; 406 a 2. 3. 15. 18. 21. 31; 42.5 a 7; 426 h 6; 434 a l. 28 (?);
406 h l. 12 (bis). 1.5. 16. 23. 27. 434 b 10. 13. 18. 21. 24; 435 a 13.
28; 407 b l. 11. 30; 408 a 7. 19. 17. 18. 21; 43.5 h 2. 12. 16. 17.
34 (bis); 408 h 4. 25. 33; 409 a cicp'T)J.U.: 407 b 13; 414 b 27.
l. 13. 19. 25. 32; 409 h 8. 18. 24; lcpo~o~: 421 a 1.5.
410 h 11. 17; 411 a 5. 7. 18. 21. cLpop,tw: 416 a 20.
22. 26; 411 h 5. 9. 14; 412 a 6; 'Acppo8i"n): 406 h 19.
412 h 13. 19; 413 a 6. 13. 23. 33; clcppwv: 410 b .5.
413 h 18; 414 a 23. 30; 414 b 14; ticpvi)c;: 421 a 24. 2.5.
41.5 a 1.5. 17. 28; 415 b 6. 7. 17; !fpwvoc;: 421 a 4.
416 a 11; 416 h 16. 17. 18. 24. 'AXEÀ.QOt;: 420 b 12.
25. 31; 417 a 3. 8. 22; 417 h 6 cixpo~: 418 h 27. 28.
(?). 23. 24. 25; 418 a l. 2; 418 b tix~t.CM'~: 403 a 15; 403 b l i; 426
l; 419 a 9. 12. 18. 26. 29; 419 b b 29 (bis); 427 a 2; 433 h 25.

Baruch_in_libris
452 INDICI

c!~e<pet;: 418 b 27; 420 a 7. 9. 10. 13. 17. 24. 26; 410 a l. 8.
10. 14. 2.5 (?). 30; 410 b 3. 4 . .5.
cl~xot;: 403 b 26; 413 a 21; 420 b 6. 7. 9. 11. 14. 18. 19. 23. 28; 411 a
8; 424 b 13. 3. 5. 6. 9. 14; 411 b 7 (bis). 11.
15. 18. 21. 23. 28; 412 a 12. 17.
B: 431 a 26. 28; 431 b l. 18. 23; 412 b 4. 8. 10. 12. 1.5. 18.
pa.s~: 406 a 9. 19. 23; 413 a .5. 13. 26. 28. 33;
P~: 404 h 21; 423 a 22. 413 b 2. 16. 21. 23. 30; 414 a 2.
Pd."K'fw: 43.5 a 2. 3. 6. 11. 14. 21. 2.5; 414 b 2. 6. 7
PrlP\H;: 420 a 29. 31. 32; 422 b 2.5; (bis). 10. 21. 29; 41.5 a l . .5. 8.
426 a 31; 426 b 6. 19. 23. 26; 41.5 b l. 10. 12. 16.
papV"n}t;: 422 b 30. 18. 24. 26; 416 a 2. 3. 7. 10. 1.5.
PaMVIl: 420 a 24 (bis). 20. 24. 29; 416 h 6. 12. 14. 16.
~tÀ.'f~'J: 402 a 2; 407 b 4. 9. 10; 34; 417 a 8. 10. 16. 20. 22 (bis);
408 b 13; 411 a 11. 13; 434 b .5; 417 b 5. 6. 2.5; 418 a 18. 19. 22.
435 a 6. 29; 418 b 7. 13. 15. 17. 23. 2.5.
~i)~: 420 b 33. 31; 419 a 2. 9. 12. 1.5. 17". 18.
~i)'f'fW: 420 b 31. 24. 26. 33. 3.5; 419 b .5. 6. 10. 12.
fU«: 406 a 22. 23. 25. 26; 406 b 6; 14. 22. 29. 30. 34; 420 a 2. 6. 16.
432 b 17. 21. 27. 30; 420 b 2. 6. 8. 16. 24.
P!ttt.ot;: 406 a 26; 407 b l; 422 a 26. 29. 30. 32; 421 a 3. 4. 8. 10. 17.
~Àttcrtd.vw: 430 a 29 (Emp.). 20. 25; 421 h l (?). 10. 11. 22.
~)J~w:. 408 b 22. 28; 422 a 4. 10. 19. 21. 22. 2.5.
PM<pttpov: 421 b 29. 32; 422 h 2. 6. 14. 17. 23; 423 a
~oitht.«: 404 a 12. 2. 8. 12. 13. 18. 29; 423 b 11.
~OVMV'ft.Xot;: 433 b 3; 434 a 7. 12. 16. 23. 24; 424 a l. 6 (bis). 26.
PovlaVCù: 431 b 8. 30. 34; 424 b l. 10. 13. 16. 24.
PovÀ.'l')cnc;: 414 b 2; 432 b .5; 433 a 2.5; 42.5 a l. 4. 6. lO. 17. 18. 20.
23. 24; 434 a 12 (?). 22. 28; 42.5 b 2. 6. 17. 21. 23. 28;
PovÀ.ollat.: 402 a 14; 406 a 27; 407 a 426 a 4. 8. 9. 13. 22. 23; 426 b .5.
4; 411 a 28; 417 a 27; 417 b 24; 15. 16. 19. 21. 24. 31; 427 a .5. 6.
423 a 14; 427 a 2.5; 427 b 18. 20. 23 (Emp.). 26 ( + Om.); 427
PPd.YXI.C'V: 420 b 13. b l. 4. 8. 12. 14. 17. 18. 20; 428 a
~p«SVc;: 420 a 32; 420 b 4. 6. 18. 19. 20. 29; 428 b 21; 429 a
~p«Sv~: 420 a 33. 20. 25. 31; 429 b '· 12. 13. 19.
~p~vri): 424 b 11. 20. 25. 27; 430 a 3. 4. 8. 16. 18;
430 b l. 2. 8. 9. 11. 17. 23; 431 a
r: 431 a 26. 27. 3. 5. 6. 21. 24; 431 b 22. 29; 432
yttttt: 404 b .13 (bis; Emp.). a l. 9. 11. 24. 26; 432 b .5. 9.
ytip: 402 a 6. 11.18.2126; 402 b 3. 12. 15. 16. 19. 27; 433 a 7. 10. 16.
7 (?). 22. 25; 403 a .5. 1.5. 18. 23. 18. 21. 23. 25; 433 b 4. 7. 9. 12.
30; 403 b 2. 28; 404 a l. 4 (?). 17. 23. 25; 434 a 2. 7. 9. 18. 24.
10. 14. 18. 22. 28; 404 b 2. 3. 13 27. 31; 434 b l. 2 . .5 (bis). 6. 10.
(Emp.). 17. 23. 24; 40.5 a 2. 4. 6. 11. 14. 19. 26. 30; 43.5 a 12. 13.
9. 30. 32; 405 b 4. 8. 1.5 (bis). 27 21; 435 b '· 1.5. 17.
(?). 31; 406 a 4. 6.7. 8. 16. 19. YE: 403 a 14; 403 b 18; 404 a 27;
20.24. 29; 406 b 6. 18. 20. 27. 28; 404 b 5; 405 a 15; 406 b 12; 407
407 a 3. 5. 6. 10. 20. 23 (bis). 24; a 5. 28. 34; 407 b 9. 32; 408 a
407 b 6. 1.5. 17. 23. 2.5. 30 (bis); 19; 409 a 30; 410 b 5. 11. 20;
408 a 5. 11. 14. 19; 408 b l . .5. 411 b 7; 413 a 6. 13; 414 b 3;
13. 19. 21. 28. 33; 409 a l. 3. 6. 416 a 14; 418 a 14; 419 b 28;
11. 14. 19. 23. 24. 28; 409 b 2. 422 b 28; 423 b 7; 424 a 27;

Baruch_in_libris
INDICI 453

425 b 2; 427 a 21; 428 b 2; 430 b 26; 410 b 3. 9; 411 a .5. 24. 27;
4; 431 b 12; 433 a 9. 429 a 10; 430 b 2.5.
'YEYWWW: 420 a l. y~: 405 a 8.
yrÀ.Ot~: 414 b 2.5. yluxUc;: 421 a 27. 28. 29; 421 b l;
~~= 412 a 26; 415 a 27; 416 a 422 a 12; 422 b 11. 25; 42.5 a 22;
23; 416 b 15; 434 a 23. 426 b 2. .5. 11. 13. 18. 21. 31;
'"fEVT)-to~: 434 b 4. 431 a 20; 431 b l.
'"fEW~: 41.5 a 26; 416 b 16. 24; 417 b y~a: 420 b 18. 30; 422 a 19; 422 b
17 (bis). 6. 9; 423 a 17; 423 b 17; 43.5 b 24.
~p!tw: 403 a l; 405 b 21; 409 b 2.5.
~~: 41.5 a 23.
'"f!WTl'tt.X~: 416 a 19; 416 b 2.5; 432 b
26. 31; 410 a 8. 29; 410 b 6. 16;
425 a 24; 427 a 21; 427 b .5; 429 a
10. 24.
19; 430 b 22. 23. 24; 431 b 6.
~~: 402 a 23; 402 b 3; 410 a 18;
yvilipt.~: 413 a 12.
412 a 6; 413 b 26; 417 a 27; 417 b
'Y"J(a)Pt.CJ"nX~: 404 b 28.
7; 421 a 16. 23; 424 b 32; 430 a
~: 402 a .5.
11; 431 b 11; 434 b 24.
yovfJ: 40.5 b 3. 4.
yw~: 418 a 13; 419 a 30; 420 b
yow: 40.5 a 16; 411 b 8.
18. 19; 421 a 17. 18; 422 a 29. 'YP«IliUl'Uiov: 430 8 1.
31. 32. 33. 34; 422 b 2. 25; 423 a 'YP«IliUl'tt.Xi): 417 a 2.5; 417 b l.
20; 423 b 3; 424 b 23; 426 a 14. YP«Illlil: 402 b 19; 403 b 19; 409 a
18. 22; 426 b l. 11; 434 b 18. 21; 4 . .5 (bis). 30.
435 b 22. yptzqrl): 427 b 24.
yrucrtt.Xé~: 422 b 5. 1.5; 426 a 1.5. yp4q,w: 412 b 22; 430 a l.
ytVa-r6~: 422 a 8. 10. 17. 29. 34; 422 b ywv!a: 402 b 20.
3 (bis). 1.5.
ya1M: 422 b 8. A: 431 a 26. 27 (?). 28.
-rfi: 405 b 8; 406 a 28; 410 a 30; Aa!B~: 406 b 18.
416 a l. 7; 417 a 4; 418 b 22; 8ca'tUl.~: 424 a 19.
423 a 14; 42.5 a 6; 43.5 a 1.5. 23. Si: passim.
25; 43.5 b l. 3. 81t: 402 a 18. 21; 402 b 9; 403 b 21;
yi)tv~: 435 a 21. 406 b 7; 407 a 12. 16. 23. 31; 407 b
yfip«c;: 408 b 20. 22. 2.5; 409 a 3. 19; 410 a 10; 411 a
Yf.'YYÀU~~: 433 b 22. 2. 3; 411 b 10; 412 b .5. 6. 18. 22;
y!-rvet.L«t.: 402 a 18; 403 8 24; 404 8 413 a 14; 41.5 a 21 (bis); 416 a 33;
13; 407 b 29; 409 a 12; 410 a 6 417 a 9; 419 b 19. 22; 420 a 25;
(Emp.); 411 a 20. 29; 413 a 11; 420 b 2.5. 31; 423 a 13; 424 a 7.
414 a 25; 414 b 22; 416 a 24; 417 a 17; 426 b 18. 20; 427 a 29; 429 a
3. 3oa; 417 h .5. 17. 28; 418 h 22; 1.5; 429 b 31 (?); 430 b 23; 431 b
419 a 16. 18. 20. 24; 419 b 9. 11. 24; 432 a 23; 433 b 26; 434 a 18;
13. 20. 21. 25 (bis). 27. 30; 420 a 434 b 26.
l. 32; 421 b 13. 31; 422 b 7; 423 a 8dXWJlt.: 43.5 b 17.
l . .5. 10. 16; 423 b 21; 424 a 6; Snv6<: 427 b 21. 24.
424 b 18; 42.5 b l. 31; 427 b 1,; 8ax~: 414 a 10; 418 b 27; 424 a
428 a 2. 12. 19; 428 b 8. 12. 13. 18; 42.5 b 23; 429 a 1.5; 434 a 29;
26; 429 a 2. 13. 2.5; 429 b 6; 430 a 43.5 a 22.
15. 31; 431 a 3; 432 b '; 433 b 2. BipJUl: 420 a 14; 42.5 a 11 .
.5. 6; 434 a 14. 24; 43.5 a 1.5; 43.5 8!Uupov: 428 b 19.
b 10. BMçoc: 433 b 14.
'Y'-vWCY.w: 402 a 7. 14; 402 b 17; 404 b Slxcll«": 407 b 21; 414 a 24; 416 h
9. 17; 40.5 a 18. 23. 24. 28; 40.5 b 18 (?); 420 b 16; 421 a .5; 422 a l;
13. 15. 16; 409 b 30; 410 a 18. 24. 424 a 20; 424 b 2.

Baruch_in_libris
4.54 INDICI

Bi!: 403 h 9. 17. 18 (?). 26; 404 a 6Lti611~: 421 a 14. 31.
30; 40.5 h 11; 406 a 10; 407 a .5. 6U~6!SwJ.Lt.: 43.5 a 9.
10. 22; 408 a 2.5; 408 h 11. 24; 6t.t:1S1Nw: 404 a 7.
409 a 18; 409 h 11; 410 a 21; 411 a Sr.~: 417 h 1.5.
7; 411 h 3 . .5. 6. 7. 13; 412 a 3. Br.«~: 402 a 20; 430 h 3. 20.
6;- 412 h 4. 22; 418 h 4; 419 a 6Lflf.P'-riov: 417 a 21.
19; 420 a 7. 23. 31; 420 h 32; 6r.«t.pl-r6~: 411 h 27; 427 a 3 . .5. 7.
422 a 29; 423 a 14; 42.5 h 2; 426 a 11. 12; 430 h 7. 9. 16.
2. 18. 27 (?); 426 h 14. 17; 427 a 8t4r.piw: 402 a 23. 2.5; 406 h .32; 407 a
3; 428 a l. 1.5. 30; 429 a 13. 27; l; 409 a 9. 30; 410 a 1.5; 411 h 19;
431 a 2.5. 27; 431 h 29; 432 h 4. 413 b 17; 427 a 4; 429 h 30; 430 h
7; 433 a 21; 433 h 1.5; 434 a 19; 11. 12; 433 h l. 2.
435 a 21. 8t4la-rr.x6~: 403 a 29.
8i}ì~.o~: 403 a 2. 25; 406 a 8; 407 a 8La.ÀEX"tLJCWc;: 403 a 2.
4. 13; 408 a 30; 408 h 31; 409 h St.d.Mx-:o~: 420 h 8. 18.
14; 411 a 22; 414 h 20; 41.5 a 13; 6t.C'LJ,Livw: 41.5 h .5. 6.
41.5 h 12; 417 a 6; 418 a 28; 418 h 8r.tiJ.Ll-rpcu;: 430 a 31.
19; 419 a 31; 421 a 8; 421 h 19; 6r.t~voioJ,L«r.: 408 h 3. 6. 9. 14. 2.5; 414 a
423 a 4; 423 h 22; 424 h 9; 42.5 a 13; 427 h 13; 429 a 23; 432 h 30.
20; 42.5 h 10; 426 h 1.5. 18. 20. 6Lfi'VO'J1"tLX6~: 413 h 13; 414 a 32; 414 h
23; 428 a .5. 27 (?); 432 h 1.5; 18; 431 a 14.
434 h 11. Sr.tivot.Cl: 404 a 17; 410 h 24; 41.5 a 8;
811Mw: 413 a 14; 420 a 27; 423 a 17; 421 a 2.5; 427 h 15; 432 a 16; 433 a
430 h 21. 2. 18. 19.
AT)J.L6xpr.-ro~: 403 h 31; 404 a 27; 405 a
8t41tviw: 411 h 9.
8; 406 h 17. 20; 409 a 12. 32; 8r.t~1topiw: 403 h 20.
409 h 8; 419 a 1.5. 4uip'Jl~: 418 a 21.
8r.ti: con il genitivo: 404 a 4. 6; 406 h 8r.at1wpiw: 404 h l; 417 b 28.
25; 412 a 14; 413 a 27. 30; 417 a 8t4CT«q)T)UOV: 414 h 14; 416 h 30.
31; 421 b 9; 422 a 9. 13; 423 a 10. 6t4cr1tciw: 411 a 20; 416 a 7; 432 h .5.
16; 423 b 4. 7. 9. 12. 1.5; 424 b 8r.ticrt«~: 432 a 28.
29. 31; 42.5 a 2; 428 a 2.5; 429 h
8r.tioTnJ.UL: 418 h 25.
7._ 9; 432 h 21; 434 b 1.5. 28. 31;
8r.t~"tlÀ.Éw: 411 b 23; 427 b 2.
435 a 16 (bis). 19 (bis);
8r.t~"tiJ.LVW: 413 h 21.
con l'accusativo: 402 a 3. 9; 403 a
8r.t~-ritl1J.LL: 414 a 11.
27; 404 a 6. 12. 23. 24; 40.5 a 9.
11. 23. 31; 405 b 7. 22. 27. 28 8r.wp«vr1~: 418 b l. 4 (bis). 7. lO (bis).
(bis). 30; 406 b 9 (bis). 21. 27; 11. 12. 14. 16. 19. 28. 29. 30; 419 a
407 h 9. 16. 17; 409 a 14. 27; 10. 11. 13. 24. 2.5. 33; 421 b 31;
410 h 7. 16; 411 a 9. 12. 25; 411 b 42.5 a l; 43.5 h 22.
11; 413 a 7; 413 h l. 2. 9; 414 a 8r.«(i)EP6vt~: 403 a 29; 421 a 22.
l. 19. 21; 414 b 33; 415 a 21; 8t.Clq)Épw: 402 a 26; 402 h 3; 403 b 26;
415 h 4. 29; 416 a l; 417 a 2. 3; 404 h 30; 405 a 2; 409 a 3. 10. 14;
417 h 26; 418 h 5; 419 a_ 6. 22. 409 h 5. 9; 417 h 19; 421 h 26;
31; 419 h 26. 3.5; 420 a 2. 4. 8. 423 h 12; 426 h 14; 428 h 26;
11. 13. 18. 33 (bis); 420 h 3; 421 a 431 a 20. 24; 431 h 12; 432 a 12;
6. 19. 31; 422 a 3; 422 h 9; 423 a 433 a 14; 433 h 4.
10. 21; 424 a 5. 28. 32; 425 h 8; 8r.wph(pw: 435 h 8.
426 a 30; 428 a 26; 428 h 18; 8r.«epppci: 409 a 20. 21; 413 h 20. 33;
429 a 4. 6. 7. 9; 432 a 7. 27; 433 a 416 h 4; 418 a l. 14; 420 a 10. 26;
19; 433 h 7. 8. 10; 434 h 5. 7. 21; 421 a 15; 422 h 14. 32; 423 h 27.
43.5 a 24; 43.5 h l. 7. 22. 28; 424 a 13; 426 h 10; 427 a 17;

Baruch_in_libris
INDICI

427 h 25. 26; 429 a 12; 430 a 14; 408 h 4; 409 a 9. 10. 28; 410 a 16;
432 a 27; 435 a 22. 410 b l. 20; 411 a 11; 411 h 7;
514XÉw: 419 h 21. 412 a 11; 413 a 26; 414 a 11. 19;
5!-tt~CJ,UI.t.: 428 h 2{)-. 41.5 b 24; 416 a 9. 21. 28. 31;
5t.5t1Q'XCÙ.Ut: 417 h 11. 416 h 34; 418 h 18. 29; 419 h
5!l)(I.(TX(Ù.~Jt6t;: 417 h 13. 34; 421 b 10; 422 a 31; 422 h
5i5wJ,L~: 407 h 29. 14. 24; 423 a l. 8. 19; 423. h 2.
5t.d.pyw: 423 h 10. 11; 42.5 h 8; 427 a 19; 427 h .5.
5fi~ELJ.U.: 407 a 14. 28; 428 a 10. 21; 428 h 11; 429 h
5r.tp~: 423 a 25; 423 h l (bis). 26; 432 a 4; 432 h 4. 10; 434 a
5tlpxoJ.14t.: 409 b 22; 420 a 6. 10; 43.5 a 19.
Er.tupu'Kil: 422 a 3. 56~«: 403 h 22; 404 h 23. 26; 407 h
5r.r.xwo~~= 423 a 5. 27; 427 h 10. 25; 428 a 4. 19 (bis).
5t.LaTI"'J.Lt.: 424 h 12. 20. 22. 2.5. 26. 27. 29. 30; 428 h .5;
5Lxttt.oc;: 416 h 24; 417 h 11. 434 a 10. 20.
5r.6: 404 a 9. 29; 40.5 h 13. 26; 406 a 5o~d.tw: 411 a 27; 413 h 31; 427 h
20; 408 h 27; 409 a 1.5; 412 a 27; 20. 21; 428 a 20; 428 h l.
412 h 6; 413 a 2.5; 414 h 2.5; 416 a 00~(1(7"fl.X~: 413 h )0.
12; 416 h 19. 29; 417 a 7. 18; 417 5pr.J.LUt;: 421 a 30; 421 h 2; 422 h 13.
h 8. 23; 418 a 23; 418 h 3; 419 a ovd.t;: 429 h 20.
9; 419 b 11. ·22; 420 h 19. 26; 8vv«J,Lrn: 404 a 6. 16; 406 a l; 407 h
421 a 22; 421 h 13; 422 a 11; 423 3; 413 a 30; 413 b .5; 41.5 a 29;
a 6; 423 h 6; 424 a 2; 42.5 a 7; 415 h .5; 416 h 20. 28; 417 h 31;
425 h 3. 24; 426 a .5; 426 h 3; 419 h 7; 420 a 21;. 421 a 2; 422 b
427 h 2; 429 a 24; 431 a 6. 16; 4; 424 h .5; 425 h 30 (bis); 429 a
433 a 27; 433 h 19. 24. 26; 434 a 31; 429 h 7. 9; 434 a 9; 434 b 16.
11 ; 434 b 18; 435 a .5. 8. 17; 43' SvvciiJ,tr.: 402 a 26; 412 a 20. 28; 412
h 17. h 26. 27; 413 a 2; 413 b 19; 414 a
~r.o"tÉVTlc;: 40.5 a 21. 26; 414 h 29; 41.5 b 14; 417 a 7.
8r.61tEP: 407 a 9; 418 h 2; 420 a .5. 10. 13. 14; 417 h 4. 10. 12. 30;
8!.optl;w: 402 h 11; .404 h 19; 412 a .5; 418 a 4; 418 h 10. 30; 422 a 7.
413 a 9. 21; 41.5 a 21; 41.5 b 9; 18; 422 h 1.5; 423 h 31; 424 a 2.
416 a 20; 416 h 32; 417 h 29; 9; 42ì a 6; 429 a 16. 29; 429 b
418 a l; 419 h 4. 26; 420 h .5; 8. 30. 31; 430 a 6. 11. 16; 430 h
423 a 10; 423 h 28; 427 a 1.5. 29; 6. 11. 23; 431 a 4; 431 b 2.5 (bis).
427 h 29; 432 a 18. 2.5. 2i.
8lcc;: 404 h 14 (Emp.). ouv«IJ.r.t;: 403 a 27; 404 a 30; 411 h 1.5;
8t.é'tr.: 404 a 19 (?); 421 a 4; 428 a 27. 412 a 9; 413 a l. 26. 33; 413 h 2.5;
8!~: 427 a 12. 13. 414 a 16. 28. 29. 31; 41.5 a 19. 25;
a~cr~«xn: 406 h 32. 415 h 23; 416 a 19. 21; 416 h 18;
8!.-r-roc;: 41.5 h 2; 416 h 26; 419 h 5; 417 a 21. 30; 417 h 4; 419 b 5;
426 a 7. 8; 433 h 14. 424 a 25. 28; 426 a 4. 19. 24; 428 a
5r.--:'twc;: 41.5 h 20. 3. 6; 430 a 8. 21; 431 a 2; 432 a
s~xwc;: 406 a 4. 10; 412 a 10. 22; 15; 432 h 4. 15; 433 a 31; 433 h 2;
414 a 4; 417 a 10. 12; 426 a 23; 434 a 26.
430 h 6. ovva.-r~: 413 a 31; 417 a l. 26. 28;
5{~«: 414 h 12. 13. 418 b 17; 424 b 8; 429 a 22.
5~wx-réc;: 431 h 3; 432 b 28. 5Uo: 403 h 26. 28; 404 h 22; 406 b
Sr.wxw: 431 a 9. 16; 431 h 9; 432 h 32; 408 a 6; 409 a 24; 409 h 3;
28. 30; 433 a 2; 434 a 9. 410 a 5 (Emp.); 417 h 14; 418 a
ooxÉw: 402 a 4. 9. 13; 403 h 2.5. 26; 8. 10; 418 h 17; 420 h 17; 423 a
404 h 28; 405 a 5; 407 b 17. 23; 21. 23; 425 a 3; 42.5 b 14; 427 a

Baruch_in_libris
4.56 INDICI

10. 13. 17; 432 a 15; 433 a 9. 42~ b 7. 21. 30; 429 a 13; 429 b
17. 21. 19. 23. 24. 26. 27; 430 b 13. 24.
SU<TJL'li: 418 b 26. 29; 431 a 27; 431 b l. 13. 14;
SuoxipU«: 410 a 27. 432 a 21; 432 b 2. 6. 21; 433 a
Svo-WS'l')~: 421 h 22. 9. 21; 434 a 3. 31. 32; 434 h 14.
16. 17. 26. 28; 43.5 a 2. 9.
ftlv: 402 a 19; 403 h 13; 409 a 7. dya: 434 b 9.
12; 419 a 12; 419 h 22; 420 a 24; atS'l')cnc;: 402 a l.
422 a 28; 424 a 30; 425 h 3; 433 h ats~: 402 h 3; 403 h 2. 6; 404 h 24.
l; 435 a 5. 27; 407 h 23; 409 a 10; 411 h 21;
lalnov: 404 a 21. 24; 404 h 30; 406 412 a 8. 10. 20; 414 a 9. 14. 1.5.
a l. '· 7. 11. 17; 406 h 7. 9 (bis). 17; 414 h 27; 41.5 h 7; 421 a 17;
12. 14. 15; 407 a 11; 408 a 32; 422 b 10; 424 a 18; 424 b 2; 427 a
408 h 31. 33; 409 h 20; 411 a 4. 8; 429 a 15. 28. 29; 429 h 28;
6; 412 a 7. 14; 412 h 17; 413 a 430 b 14. 2Q-; 431 a 6; 431 b 2.
26; 416 h 17; 417 a 5. 8. 9; 417 h 28. 29; 432 a 2 (bis). 3. 5; 433 a
6; 418 a 9. 24. 30 (bis). 31; 418 h 22; 433 b 10; 434 a 30.
5; 425 h 15. 16; 428 h '; 429 h ef.Sw).o~ot.iw: 427 h 20.
7. 9. 17; 430 h 25; 433 h 28; dx6.tw: 403 a l.
435 a 19. afl.t.Xpt.vf)~: 426 b 4.
fyy(vollflt.: 408 a 21; 408 h 18; 409 h atJ,t!: 402 a 3. 6. 9. 10. 11. 13. 16
6; 414 a 27; 426 a 5. (bis). 19. 20; 402 b 6. 8. 17; 403 a
inUhv: 421 h 16; 423 h 6. 3. 4. 8. 10 (bis). 12 {bis). 16 (bis).
iyx«-rot.XOSOJ,Liw: 420 a 9. 25; 403 b 3 (bis). 9. 29; 31; 404
lyxp«~'li~: 433 a 7. a l (bis). 8. 9. 18. 20. 23. 26. 28;
fyrn'Jyop~: 412 a 24. 25; 412 h 28; 404 b 3. 12. 18. 25. 28; 405 a 5.
432 h 12. 9. 10. 12. 16. 22. 24. 25 (bis). 28.
f-rxiw: 406 h 19. 30; 40.5 h 5. 10. 20. 21. 23. 30.
f-ybl: 426 h 19; 434 a 19. 32 (bis); 406 a l. 6. 8 (bis). 12.
l&w: 407 h 4; 432 a 21. 17. 21 (bis). 26. 28; 406 h 9. 13.
at: 402 a 16; 402 b. l. 2. 8. 9. 14. 15. 16; 407 a l. 3. 4 (bis). 11. 18.
15; 403 a 8. 10. 11. 24; 403 h 3. 20. 21. 24; 407 b l. 4. 12. 17.
23; 404 a 26; 405 h 9; 406 a 11. 31. 32. 34 (bis); 408 a 12. 14. 20
14. 15. 16. 22. 23. 28 (bis). 32; (bis). 21. 23. 24. 27. 28. 29. 31.
406 h 3. 8. 11. 12. 14. 22; 407 a 32; 408 b 4. 5. 6. 7. 11. 1.5. 19.
12 (bis). 14. 15. 17. 21. 27. 31; 2.5. 26. 28. 29. 32; 409 a 2. 3. 5.
407 h l. 24; 408 a 3. 5. 24. 27; 6. 7. 13. 16. 19. 20. 21. 22. 24.
408 h 5. 12. 21. 31; 409 a 16. 21. 28; 409 h 2. 3. 14. 24. 28. 30
24. 25. 26. 29; 409 h 3. 5. 14. (bis); 410 a 16 (bis). 19. 20. 21.
27; 410 a 7. 9. 11; 410 h 24; 23. 30; 410 b 5. 9. 11. 12. 13. 14.
411 a 2. 19. 20; 411 h 7. 9. 11. 1.5. 19; 411 a 8. 10. 11. 13. 1.5.
12. 15. 21. 22; 412 h 4. 6. 12. 17. 19. 23. 25. 27; 411 h 4. 10.
18; 413 a 5. 8; 413 b 14. 22; 414 25. 26. 27. 28; 412 a 5. 7. 9. 11.
b l. 19; 415 a 16. 20; 416 a 5. 16 (bis). 17. 18. 20. 24. 27. 28;
7. 8; 416 b 4; 418 a 21; 418 b 412 h 5. 8. 9. 12 (bis). 14. 15.
21; 419 a 16. 17; 419 b 24; 421 18. 19. 25. 26; 413 a 4. 6. 7. 16.
b 13; 422 a 11; 422 b 17; 423 a 18. 19; 413 b 11. 13. 14. 18. 26.
2. 5. 7. 19. 22. 28; 423 h l. 9. 21; 28; 414 a 13. 18. 20. 21. 27. 28;
424 b 3. 5. 6. 12. 24. 31. 33. 34; 414 b 11. 14. 19. 20. 21. 24. 26;
425 a 11. 24; 425 b 6. 15. 17. 19; 415 a 2. 19. 25 {bis); 415 b 8. 12.
426 a 2. 27; 426 b 19. 31; 427 a 13 (bis). 17. 20. 23. 24; 416 a 7.
9; 427 b 23; 428 a l. 2. 9. 18; 8 (bis). 10. 13. 14. 16. 17. 21.
Baruch_in_libris
INDICI 457

26. 28. 32; 416 b 3. 10. 11 (bis). 17. 18. 19. 21. 22. 24. 27. 28. 31;
14. 16. 18. 20 (bis). 21. 25 (bis). 435 a 5. 8 (bis). 11. 17. 20. 21.
31. 34; 417 a 5. 6. '9. 14. 15. 16. 23. 25; 435 b l. 3. 6 (bis). 13. 17.
18 (bis). 19. 20. 22. 24. 26. 29. 20. Cfr. anche t:!'V(lt., -t6; ov, -t6; -t(
3<>-; 417 b 2. 6. 10. 12. 14. 23. m\; -;( -ijv dV«t..
29; 418 a 4. 5. 6. 10. 19. 20. 21. t:!llt.: 425 b 16.
24. 26 (bis). 27 (bis). 28 (bis). 29 Etvat., -t6 ( = essenza): 408 a 25; 412
(bis). 31; 418 b l (bis). 4 (bis). b 13; 413 b 30; 416 b 12; 419 8
6. 8. 9. 10. 11 (bis). 15. 17. 18 10 (bis); 424 a 25. 27; 425 b 27;
(bis). 20. 23. 26. 28. 30; 419 a l 426 a 16; 427 a 3. 5. 7; 429 b 10.
(bis). 4. 8. 9. 11. 14. 17 (bis). 11. 12. 17. 20; 431 a 14. 19. 29;
2D. 26. 31. 33; 419 b 4. 8. 10. 432 b l.
11. 19. 34 (bis); 420 a l (bis). 4 Et"KEP: 403 8 15; 405 a 20. 26; 406 8
(bis). 10. 21. 25; 420 b 4. 6. 11. 21; 407 a 23; 407 b 3; 408 a 17.
13. 15. 21. 24. 29. 30. 31. 33; 26; 409 b 2; 411 a l; 413 b 30;
421 a 6. 7. 12. 14. 19. 22. 24. 26. 420 b 11; 421 b 21; 424 b 26;
30. 31; 421 b 3. 7. 9. 18. 23; 428 a 28.
422 a l. 6. 8. 9 (bis). 12. 13. 16. at"Kov: 405 a 14; 405 b 11; 406 a 32;
20. 31. 33; 422 b l. 5. 14. 1,. 406 b 24; 407 a 12; 408 a l. 31;
18. 19. 20. 22. 23 (bis). 29. 31. 409 a 31; 409 b 17; 414 a 15. 30.
33. 34; 423 a l. 4. 9. 11. 13. 14 31; 416 a 31; 417 a 19. 23; 417 b
(bis). 15. 16. 20. 22. 23. 24. 25. 30; 418 a 27; 418 b 5; 419 b 13;
27; 423 b 2. 4. 12. 27. 31; 424 8 420 b 30; 421 a 31; 423 b 8; 425
l. 2. 5. 8. 11. 13. 18. 25. 26. b 2; 426 a l; 430 b lO; 431 b 8.
27. 30. 31; 424 b 11. 16. 22. 24. 21; 433 b 21.
26. 28. 31. 33 (bis). 34; 425 a 3. dpw: 403 a 2; 403 b 23; 404 a 19.
8. 12 (bis). 14. 21. 22. 27. 28; 26; 405 a 8; 405 b 9. 22 (bi.J);
425 b 3 (bis). 7. 8. 13. 15 (bis). 406 a 4; 408 a 30; 408 b 32;
16. 18. 22. 26. 28; 426 a l. 2. 4. 411 a 24; 412 a 4; 412 b 10;
6. 15. 21. 27. 28 (ter). 29; 426 b 413 b 10. 11 (bis). 31; 414 b 15.
3. 4. 9. 15 (bis). 16. 19. 20; 427 22. 24; 415 b 28; 416 b 30. 34;
a 3. 4. 8. 11. 14. 15. 20. 22. 26 417 a l. 17; 417 b 14; 418 a 4;
(Om.); 427 b 3. 4. 6. 7. 9. 11. 16 418 b 14. 21; 419 a 23; 420 a 23;
(bis). 18. 19. 24. 26. 28; 428 8 420 b 22; 421 a 8; 423 a 11;
l. 3. 4. 5. 17. 18. 26. 27. 28. 29; 423 b 29; 424 a 15; 425 a 29;
428 b l. 4. 7. 9. 10. 11. 13 (bis). 427 a 23; 428 b 30; 429 a 9; 431
14 (bis). 17. 19. 25. 29. 30; 429 a 21; 432 a 22. 28; 433 b 27;
a l (bis). 3. 4. 5. 9. 11. 13. 14. 434 a 6; 435 a 14; 435 b 20.
15. 18. 19. 21. 24. 26. 27 (bis); ~~: 406 a 24. 25; 406 b 31; 407 a
429 b 8. 10. 12. 19. 20. 23. 2,. l; 407 b 15. 22. 25; 408 a 6;
30; 430 a 2. 3. 5. 7. 10. 14. 16. 408 b l; 409 a 30; 409 b 12;
18. 20. 22. 23. 27. 28; 430 b l. 414 8 23; 414 b 10; 416 a 6. 15.
4. 5 (ter). 10. 11. 19. 24 (bis). 34; 416 b 2; 417 b l. 6. 7. 10;
25. 26; 431 8 l. 3 (bis). 4. 10. 420 a 13; 425 b 16; 426 b 4;
21. 23. 25. 27; 431 b l. 4. 11. 431 b 24. 25. 26; 434 b l; 435
16. 17. 18. 21. 22. 27. 28; 432 a a 2.
l. 2. 3. 5. 9. 10. 11. 13. 16. 20; e:~: 402 a 13. 16; 402 b 5; 403 b
432 b 4. 7. 16. 18. 20 (bis). 24 9; 404 b 11. 20. 22. 23; 405 a 3.
(bis). 27. 29; 433 8 5. 12. 19. 26 15; 405 b 15. 17 (bis). 18. 26;
(bis). 28. 30; 433 b 6. 10. 13. 15. 406 a 2. 13; 406 b )2; 407 a l.
18. 19. 25; 434 a 8. 29. 3oa. 32; 6. 8; 409 b 4; 410 b 3. 6. 9 (bis);
434 b l. 4. 7. 8. 9. 10. 12. 14. 411 b 4. 9. 11 (bis). 12; 412 8 6;

Baruch_in_libris
INDICI

412 b 6. 8; 413 a 22; 413 b 18. b&t: 413 a 3; 414 b 21; 423 b 21;
33; 414 a 3. 31; 414 b 3. 11. 20; 431 b 9.
415 b 4. 7 (bis); 418 a 9; 418 b bdVO<;: 402 a 10; 403 b 9; 404 a
13; 419 a 4; 419 b 11. 25. 35; 27; 40.5 a 28; 40.5 b 22; 406 a
420 a l. 2. 3; 422 b 18. 20. 23. 20; 407 b 9. 13; 408 b 15. 16
32; 423 a 8. 9. 20; 424 b 31; (bis). 17. 26. 27 (bis). 28; 410 b
425 a 16 (?). 20. 31; 425 b 2. 5. 12; 411 b 10 (bis). 13; 41.5 a 10.
20. 27; 426 a 15. 28 (bis); 426 b 21; 41.5 b l (bis); 416 a 25; 416
18. 20; 427 a 10. 11. 14 (bis); b l; 418 a 6; 423 b 13. 20; 424 a
428 a 3; 428 b 9; 429 b 28; 430 a 2. 23. 28; 424 b 14; 426 a 26;
21. 28; 430 b 5. 18; 431 a 2. 19 428 a 28; 430 a 7. 8. 11; 430 b
(bis). 21. 22. 27. 29; 431 b lO; 16. 17; 431 a 23. 26. 29; 431 b
432 a 19. 22; 433 a 21; 433 b 10. 3. 17; 434 a 11 (?). 13 (bis); 434
13; 434 a 8. 9; 435 a 5. 8 (bis). b 7. 28. 29.
d.a«U&l.~: 417 b 28. ixO)..(fk.l: 404 a 11.
t:tCT!LJ.Lt.: 406 b 4; 410 b 29; 420 b 27. ixxp(vw: 404 a 14.
EloipxoiJ4t.: 420 a 12. txl&btw: 424 b 26. 27; 42.5 a 13.
a:tcrw: 420 a 5; 420 b 26. ix1tviw: 421 a 2; 421 b 15.
a:t~«: 402a 8; 415 a 15; 428 a 8. 11. b1tvoi}: 432 b 11.
a:t~e: 429 a 11 (bis). lx~cm~: 406 b 13.
ix: 402 a 21; 404 b 11. 17. 18. 25; ix~dvw: 429 b 17.
405 a .24; 405 b 3. 9. 13. 16. 22. ix~~: 431 b 4.
24; 406 b 14. 28. 32; 408 a 17. ·Ex~~= 404 a 30.
30; 408 b 31. 34 (bis); 409 a 11; iMxr.trf«: 41.5 a 8.
409 b 15. 23. 29; 410 a 17. 20. lUyxw: 405 b 4.
22; 410 b 6. 8. 17. 22. 29; 411 a iMiw: 408 b 14.
2. 24. 2.5; 412 a 9; 413 a 11; 413 D.Eo~: 403 a 17.
b 28; 414 a 28; 416 a 2.5; 417 a D.. t.~: 420 a 13.
32; 417 b 10. 12; 418 b 19; 423 D.xw: 412 b 4.
a 14; 424 a 28; 424 b 23; 425 a D.~t.c;: 433 .b 25.
3; 428 a 5. 28. 30; 428 b 9; 429 b O..V"rpov: 421 b 29.
l (bis). 2; 431 a 4; 434 a 9. 11; lJ.L~ti)..)..w: 422 a 12.
434 b ll. il!J.Livw: 429 a 4.
fx«CT~c~: 402 a 18; 402 b 6; 403 a lll1t«À.r.v: 416 a 31.
30; 404 b 12; 405 b 12; 407 b 23; 'EJ.L1tt:Soxli\~: 404 b 11 ; 408 a 19;
408 a 19. 27; 408 b 6; 409 a 23; 410 a 3. 28; 410 b 4; 415 b 28;
409 b 25. 30; 410 a 2. 8. 18 (bis). 418 b 20; 427 a 23; 430 a 28.
28; 410 b 2. 3. 7; 411 b l. 2. 15. iJ.L1COI.ÉW: 419 b 9.
17; 412 b 7; 413 b 13. 18. 31; iJ.Lq)«~vw: 413 a 15.
414 a 25; 414 b 32 (bis); 415 a lJ.L~oq>o~: 420 a 7 (?); 420 b 31 (?).
10. 12. 15. 16; 415 b .5; 417 b fJ.LtlNxc~: 403 b 2.5; 404 b 7; 411 a
22. 27; 418 a 7. 10. 14. 17. 2.5; 20; 413 a 21; 414 a 17; 414 b 30;
418 b 2; 419 a l; 421 b 4; 423 b 41.5 b 11; 416 b 9. 10. 11. 13. 29;
20; 424 a 15. 22. 23; 424 b 9; 420 a 7; 420 b 6. 31; 423 a 13;
425 a 15. 20; 425 b 10. 24; 426 a 434 b 12; 435 a 14.
30; 426 b 8. 13 (bis); 429 b 6; lv: 402 a 4. 23. 25; 402 b 18; 403 a
430 a 6. 11; 430 b 6; 432 b 7; 24. 2.5 (?); 403 b 3. 6; 404 a 3
434 a 17. (bis). 13. 14. 18; 404 b 3. 19; 405
lxti~t:po~: 403 b 9; 405 a 9; 411 b a 28; 405 b 23; 406 a .5. 7. 16.
21. 24; 413 b 10. 21; 414 a 6; 24. 2.5; 406 b 7. 16; 407 a 11 (?);
417 a 26; 419 a 28; 424 a 6; 430 407 b 29; 408 a 7. 32; 408 b 15.
b 10. 12; 431 a 23 (bis). 17. 20. 23 (bis); 409 a 13. 14. 16.

Baruch_in_libris
INDICI 459

17. 21. 22. 23. 25. 26. 28; 409 h 428 h 15. 2()-; 430 h 3; 431 h 18;
2. 3. 4. 6; 410 a 4 (Emp.). 7. 11. 433 a 30; 434 a l. 28; 435 a 13.
30; 410 h 28; 411 a 7. 9. 10. 11. lvST)Àoc;: 422 h 33.
12. 13. 17. 19. 23; 411 h 3. 4. Mw: 407 h 23. 25.
15. 24. 27; 412 a 23; 412 h 17; Mt.J.n: 410 a 7. 8. 10. 11; 411 a 16;
413 a 26. 32; 413 h 18 (bis). 20; 417 a 4; 422 h 26; 425 h 24; 430 h
414 a 11. 21. 22. 23. 26; 414 h 17. 24; 434 a 3. 4. 5 (bis). 25.
29. 31 (bis); 415 a 3; 415 h 17; fvatt: 403 a 27; 403 h 6; 415 h l.
416 a 12 (bis). 27; 416 h 31. 33; 16. 20; 420 h 20; 425 h 4; 432 h
417 a l. 17; 417 h 23. 31; 418 a 15; 433 a 14. 15; 434 a 31. 32;
30; 418 b 3. 8. 9. 10. 16. 17. 24; 434 h 24; 435 h 21. Cfr. anche ov
419 a l. 2. 3. 8. 17. 22. 23 (ter). lvatt.
34; 419 h 10. 18; 420 a 4. 9. 11. lvtUV: 406 h 10.
17. 27. 30. 31; 420 h 3 (bis). 12. fvipytt.«: 414 a 9. 12; 415 a 19; 416 h
15. 21. 28; 421 a l. 20. 23; 421 2; 417 a 7. 13. 14. 16. 18. 3Q-;
h 11. 31; 422 a 4. 5. 10. 11. 12; 417 h 19. 20. 22; 418 h l. 9; 419
422 h 21. 25. 29; 423 a 4. 26. a 10; 419 h 5. 9 (bis); 420 a 27;
28. 29. 30 (bis). 31; 423 h 10. 422 a 18; 424 a 2. 8; 425 h 26.
11. 29. 30; 424 a 5. 24; 424 h 28 (bis). 31 (bis); 426 a 3. 5. 6.
11; 425 a 7; 425 h 9. 25; 426 a 11. 14. 16. 24; 428 a 6. 9; 428 h
2. 4. 5. 10 (bis). 11. 31; 426 h l. 13. 26; 429 a 2. 24; 429 h 6;
2. 9. 24. 29. 30; 427 a 20. 24. 28; 430 a 17. 18. 20; 430 h 6. 8. 25;
427 h 2. 9. 19. 24; 428 a 8; 429 h 431 a l. 5. 7 (bis). 12; 431 h 14.
14. 18; 430 a l. 6. 10. 13. 21. 26. 17; 433 h 18.
27; 430 h 2. 8. 10. 13. 15. 17. 19. ivtpyiw: 412 a 26; 416 h 19; 417 a
20b. 24; 431 a 2; 431 h 2. 3. 6. 12. 15; 417 h l (bis); 425 h 29;
10 (?). 11. 12. 1.5. 29; 432 a 4 . .5; 427 a 7; 428 a 13; 429 h 7; 431
432 h 5. 6. 7. 22. 23; 433 a 11; a 10.
433 h 7. 20. 21. 26; 434 a 6. 7. 26. lvt.ot.: 403 h 28; 404 h 28; 406 h 15;
27; 435 a 2. 9; 435 h 21. 22. 23. 411 a l; 411 h 20; 413 a 5. 6;
Cfr. anche xd:v. 413 h 16 (bis). 32; 414 a 31; 414
lv«t.JJ.C~: 420 h 10; 421 h 11. h 16; 419 a 2; 421 h 12; 425 a 9;
ivaÀÀ~: 431 a 27. 426 a 12. 13; 427 h 3; 428 a 24;
ivavri.oc;: 405 h 24. 25; 407 h 31. 32; 429 h 12.
411 h 7; 413 a 28;416 a 6. 22 (bis). iv~""tE: 403 a 21; 429 a 7; 434 a 12.
23. 31. 32; 416 h 6 (bis); 417 a lv~J.Lt.: 432 b 8.
32; 417 h 3; 418 h 18; 421 a 29; tvo1toLÉw: 410 h 11.
422 h 11; 426 h 30; 427 a 6; 427 h i'VCM'JJJ.«Lvw: 423 a 4.
4. 6. 11. 26; 430 h 23. 25; 431 a iV""t«Vf«: 414 h 22; 423 h 21; 425 a
25; 433 h 5. 6. 12; 428 h 2Q-; 431 h 9; 433 h 22.
ivttvtv.ù<;: 427 a l. fvtEÀiXEt.tl: 402 a 26; 412 a 10. 21
ivcxvrtwcnt;: 405 h 23; 411 a 4; 422 h (bis). 27; 412 h 5. 9. 28; 413 a 6.
23. 26. 29; 424 a 5. 7. 8; 413 h 18; 414 a 17. 18. 25.
ivapytt.a: 418 h 24. 27; 415 h 15; 417 a 9. 21. 29;
lvtxpyric;: 403 a 19. 417 h 4. 5. 7. 10. 13; 418 a 4;
ivapy~: 428 a 14. 418 h 12. 30; 419 a 11; 422 h
lvttplJ,é~w: 414 a 23. l. 16; 429 a 28; 429 h 31; 430 a
tvSÉXOJ.LaL: 403 a 9. 11; 403 h 30; l; 431 a 3; 431 h 25. 26.
406 h 3. 4; 407 a 15; 407 h 21; tvuVhv: 408 a 9; 426 h 24; 433 h 26.
409 a 18; 413 h 26; 415 h 4; lvroJ.Loc;: 411 h 20; 413 h 20.
416 h 5; 418 a 11. 12; 423 a 24; tvr6~: 420 h 21; 421 h 16; 422 h 23.
426 h 17; 427 h 13; 428 a 9. 20; 34; 423 h 23.

Baruch_in_libris
460 INDICI

~wSpoc;: 419 a 3.5; 421 b 10. 18; 430 a 2. 3; 430 b 14. 22; 431 b
lwl.ot;: 403 a 2.5. 4; 43.5 a l. 8;
~roo;tcipxw: 404 a 14; 411 a 23; 411 h con il dativo: 414 b 24; 417 b 24
2.5; 413 a 1.5. 23; 418 h 8; 430 a l. (bis); 420 a 14; 421 b 17; 427 b
E;: 403 h 8. 1.5; 404 b 20. 29; 40.5 a 18. 20;
19. 26; 407 b 32; 409 b 18. 29; con l'accusativo: 404 a 20; 404 b
410 a 1.5. 19; 411 a 3; 412 a 4; 7. 9. 23; 407 a 28. 30; 408 b 17;
413 b 24; 414 a 16. 17; 416 a 23. 411 b 13. 22; 413 a 29; 413 h 11;
24; 416 b 2; 417 a 31; 419 a 24; 414 b 14; 417 b 1.5. 16; 418 b 2.5;
423 a 12; 424 b 33; 42.5 a 4; 430 h 419 a 7. 12. 28; 420 a 31 (bis);
13; 431 a 3. 420 b 17. 18; 423 b 24. 2.5; 429 a
~~Eq.u: 43.5 a 6. 9; 43.5 a 4.
~~ÉPXOJlrLt.: 406 h 3; 411 b 8; 419 b 17. i1t!Socnt;: 417 h 7.
f~t.c;: 417 a 32; 417 b 16; 418 b 19; É1tt.~T)uw: 402 a 7; 411 a 11; 41' a 16.
428 a 3; 430 a 1.5; 432 a 6. É1ti1)pot;: 410 a 4 (Emp.).
f~(crnn.Lt.: 406 h 13. i1t~o&vJ,tiw: 403 a 7; 411 a 28; 411 b 6;
l~w: 417 a 4; 419 b 30; 420 a .5; 433 a 7; 43' h 23.
42.5 a 8; 43' a 1,. f1tt!vJ.L1l~~: 407 a '; 432 a 2'; 433
l;~: 417 a 28; 417 b 20. 27. b 4.
lo~oxa:: 402 h 4. 16; 403 a 8. 16; 404 a l~t!vp,kt: 413 h 24; 414 h 2 . .5. 12;
16. 21; 40.5 a 13. 19. 29. 31; 40' 432 b 6; 433 a 3. 2'; 433 b 6. 8;
b 3; 407 a 32; 408 h 18; 410 h 434 a 2. 3.
11; 411 a 16; 411 h 17. 27; 413 h i"Jtt.XcilvJ.LJ.La:: 422 a 2.
2.5; 419 h 27; 420 h l. 8; 421 a É"Jtt.X«À~w: 429 a 7.
16; 421 h 26; 423 a 6; 423 h 17. i"Jtt.Xp(vw: 431 a 20.
fr.dvEt.J.Lf.: 403 h 16; 412 a 4. i1ttl.a.v&tivop.a:t.: 428 h 6.
11u:(: 404 h 27; 406 a 30; 407 h 12; i1tt1ttSov: 402 a 22; 402 h 19; 403 b
409 a 4; 411 a 26; 412 a 16; 412 h 19; 404 b 23; 409 a 4; 420 a 2
8; 413 a 11; 414 a 4. 17; 41' h 3; (bis).
416 a 19; 416 h 9. 20. 23; 418 a l; bc(?tovoc;: 407 h 2.
419 b 28; 420 h 14; 422 a 34; 423 l1tt.t1X11t~icv: 40.5 h 31; 414 a l; 414 h
h 7; 42.5 b 9. 12; 426 a l'; 426 h 16; 430 a 6; 432 h 12.
12; 427 a 17; 427 h 27; 429 a 2. bct.CTXi~oJ.L«t.: 409 h 23.
18; 429 h 10; 430 a 10; 430 h 6; ~~t#XOTCW: 402 h 4; 403 h 20; 406 a
432 a 3. l'; 433 h '· 13; 434 a 11.
16; 434 b 11; 43, h 21. 22. l'K~«J.L«t.: 414 a '· 6; 417 a 29.
bcEt.Sciv: 402 h 22; 408 a 7. l1t!cn~: 4o7 a 33.
bttt.Si): 40' h l'; 410 h 8; 417 a 9; l1tt.ern'lJ.L1J: 404 h 22. 26; 412 a 10.
421 h 20; 428 h 10; 433 h 13 (?). 22. 23. 27; 414 a '· 8; 417 a 24;
l"Jtt:!tnt.J.Lt.: 404 a 13. 417 b 6. 12. 18. 22. 26; 427 h 6.
l1tEt.~«: 428 a 12; 430 a 30. 10. 2.5; 428 a '· 17; 430 a 4. 20;
f1tfPXOJ.L«&.: 413 a 13. 431 a l; 431 h 22. 24; 433 a .5.
l~t: con il genitivo: 402 h 14; 406 a 6. 11.
8; 408 h 20; 412 a 26; 412 h 4. 18. lr.t.ern)J.LCMX6t;: 414 a 10; 431 h 27;
22 (bis); 413 a 32; 413 h 16. 20; 434 a 16.
414 b 23. 26 (bis). 30 (bis); 418 a É1tt.crn')J.LWV: 417 a 22. 23. 24. 2.5. 30.
29; 419 a 33; 419 h 28. 29; 421 b 3Q-; 429 h 6.
3. 16. 19; 422 a 14. 27; 422 h 10. l'Kt#Tr)"t~: 430 a '; 431 h 23. 27.
28; 423 a 11. 17; 423 h 8. 22. 24; É1tt.~dnw: 433 a l.
424 a 9 (bis); 424 h .5. 8; 42.5 b l. i"Jtt.~(h}J14: 419 a 29; 423 h 24. 2.5.
17; 426 a 8. 12 (bis). 24. 2'; 426 h l1tt.XEt.pÉw: 407 b 20 j 409 b l'.
12; 429 a 30; 429 b 11. 12 (bis). 1-r.cp.tXt.: 406 b 4; 428 a 20; 428 h 22.

Baruch_in_libris
INDICI 461

~~~l-Li~: 40.5 a J. 428 a 22; 428 b 7; 429 b 26;


lr.~~= 410 b 28. 432 a 17. 31; 432 b 17; 433 a l;
ir.-;ci.: 407 a l. 433 b 3. 14.
l~WWIJ,!t&: 417 b 11. au: 420 h 20. 22; 429 a 27; 434 b
lpycit~IJ4\: 416 a 13; 416 b 28. 24; 43.5 b 21.
lpyov: 402 b 12. 14; 403 a 10; 403 h cù6r.6p~e<: 421 a 7.
12; 408 a 4; 409 h 1.5; 41.5 a 26 aùEI;t"tcw"te<: 408 a l O.
(bis); 416 a 5. 21; 420 b 17; 432 a
16; 433 b 20; 434 a 8; 434 b l. I!U6Éwc;: 411 b 12; 421 b 31; 422 h 34;
lp~«: 419 b 6. 1.5. 423 a 3.
ipi.J.T}VE,tl: 420 b 19. EVIPlm"to~: 420 a 8.
19XOIJ«t.: 434 b l. aVfvv«: 407 b 29 (?).
ipw"td.w: 406 h 22. EO&uvo~: 407 b 29.
fo'x«"tOV: 423 a 27 j 423 b 22; 426 b aùev":t~pÉw: 407 a 29.
16; 431 a.19; 433 a 16; 434 b 33. .u&Uc;: aggettivo: 402 b 19; 403 a 13
la"W: 408 b 25. (bis). 1.5; 411 a .5. 7; 429 b 18.
hEPOIJ'i)XT);: 413 a 17. 20 (bis);
l"tEPO<: 402 a 2 (bis). 12; 402 b 6. 11; avverbio: 427 b 22; 432 a 23.
403 b 6. 30; 40.5 a 13. 21; 40.5 h Eùtvwp(fl: 406 b 31.
5. 24; 406 a 4 . .5; 406 b 6. 10; cùxtvn"to~: 40.5 a 12.
407 a 24; 40i h 12; 408 a 21. 23. IVÀ.tl~ÉOIJ.tl~: 403 b 24.
24; 408 b 9. 11; 409 a 21; 409 b EVÀtl~T}"tÉOV: 402 b .5.
13. 28; 410 a 22; 411 a 3; 411 b Euloyo~: 406 a 31; 408 a 10; 410 b
3 (bis). 9; 412 a 8; 413 b 19. 26. 14; 421 a 13; 429 a 2.5.
29. 30. 33; 414 a 33; 414 b 18. 19. !V).6y~: 402 a 4; 408 a 34; 420 b
26; 41.5 a 12. 28; 416 a .5; 416 h 11. 1.5; 433 a 17.
12; 417 a 17; 417 b 7. 11; 418 a aVIJ«P'fJ~: 403 a l.
2 (bis). 11; 419 b 11; 420 a 21; Ev1toptw: 403 b 21.
420 b 13. 21; 421 a 6; 421 b 20; aupr~: 413 a 19.
422 b 8. 31. 32; 423 a 11; 423 b auptcrxw: 429 b 9.
.5; 424 a 7. 25; 424 b 22. 31; 425 aUo-"tapv~: 410 a 4 (Emp.) .
a 2. 5. 12; 425 b 2. 9. 13. 1.5; Eu"n}x"to~: 422 a 19.
426 a 13. 17. 2.5; 426 b 18. 20. EÒ<p\rlJ~: 421 a 24. 26.
21 (bis). 25 (bis). 26 (bis). 27 (bis); EVW6T}~: 421 b 23.
427 b 14. 26. 27. 29; 428 b 10. icpt&PIJ6l;w: 408 a .5; 414 b 23.
28; 429 a 15; 429 b 11. 19. 20; lcp~ti;Ti~: 407 a 8; 414 b 22. 29. 33.
430 a 11; 431 a 7. 13. 18; 432 a lxtù: 402 a 21; 402 b 22. 2.5; 403 a
10; 432 h l (bis). 4; 433 a l . .5; 3. 4. 22. 25; 404 a 17; 40.5 a 20;
433 b 24; 434 b 1.5. 31; 43.5 a 16. 405 b 21; 406 a 23; 406 b 30;
19; 435 b 11. 2.5. 407 a 17. 27; 407 b 16. 23; 408 a
l"":Épw&t.: 404 b 2. 7. 14. 16. 24. 27; 408 b 27 (bis);
l~ÉP~: 427 a l; 429 h 21. 409 a 6. 7. 10. 27; 409 b .5. 22;
1":'..: 402 a 17. 20. 25; 402 b 9; 403 a 410 a l. 27; 410 b 8. 24; 411 a
17. 22; 404 b 21; 40.5 a 7; 406 a 9; 411 h 1.5. 20. 22. 23. 30; 412 a
22. 27. 30; 407 a 18. 31. 32; 407 b 13 (bis). 17. 20. 26. 28; 412 h 16.
21. 34; 408 a .5. 21; 408 b~ 2; 409 23. 26; 413 a 26; 413 b 3. 9. 16.
a 3. 7. 28; 410 a 13; 410 b 2. 14; 21; 414 a 3. 28; 414 b 3. 6. 1.5.
411 a 28. 30; 412 b 14; 413 a 8. 28; 415 a l. .5. 7 (bis). 15. 28;
24; 413 b 32; 414 b 6; 415 a 18. 415 h 26; 416 a 23. 29; 416 b 4.
20; 41.5 b 14; 416 a 34; 419 b 18. 22. 29; 417 a 2. 24. 2.5. 32;
18; 421 b 23; 422 a 21; 423 a .5; 417 b .5 (bis). 8. 11. 18. 26. 31;
424 a 10; 425 b 1.5. 22; 427 b 21; 418 a 14. 31; 419 a 12. 30. 34;

Baruch_in_libris
462 INDICI

419 b l. 6. 7; 420 a 6. 19; 420 b 429 a 6; 432 a 16. 30; 432 b 8.


l. 8. 9 (bis); 24; 421 a 4 . .5. 10. 14. 20. 23; 433 a 12; 433 b 18.
17. 18. 19. 27; 421 b 7. 8. 21. 28. 30; 434 a 6. 29. 30. 3Q-; 434
28. 31; 422 a 2. 18. 28. 30; 422 b b 12. 13. 14. 18. 23. 24. 2'; 43.5 a
12. 19. 27; 423 a 7. 22. 2.5. 27. 11. 20; 43.5 b .5. 6 (bis). 8. 14. 16.
29; 423 b 10. 19 (bis); 424 a 13. 17. 19. 20.
22. 33; 424 b l. 2,. 29. 31. 32;
42' a 2. 9 (bis). 11. 23. 27; 42.5 b
4. 17. 19 (bis). 28. 29; 426 b 12; i'J: disgiuntiva: 402 a 2 (bis). 20 (bis).
427 b 23; 428 b 3. .5. 7. 17. 19. 24 (ter). 26; 402 b l. 2. 3. 6. 8.
30; 429 a 6. 12. 16; 429 b 13. 17. 10. 12. 13 (bis). 19. 24 (bis); 403
21. 24. 28; 430 a 6; 430 b 30; a 4. 9. 10. 20. 26. 27. 28 (bis).
431 a 23. 28; 432 a 22. 26. 28. 31; 403 b l (?). 8 (bis). 9. 13;
31; 432 b 2. 12. 18. 20. 2.5 (bis); 40.5 b 10. 13 (bis). 18. 2.5 (bis);
433 a 4. 8. 30; 433 b 7; 434 a 11 406 a l. 4. .5. 13. 14 (bis). 18;
(bis). 12. 22. 23. 24. 28. 30. 33; 406 b 2 (bis). 9. 23; 407 a 9. 12.
434 b 3. 4 . .5. 7. 9. 10. 11. 16; 14. 16. 19. 26. 27; 407 b 11. 33;
43.5 a 13. 18; 43.5 b l. 6 (bis). 408 a 3. 12. 13 (bis). 20. 22. 23;
19. 20. 408 b 6 (bis). 8. 9 (bis). 13. 14
1~: 404 a 16; 413 a 30; 416 a 16; (bis). 18. 26; 409 a 8. 11. 14. 26;
416 b 14; 43.5 a 3. 409 b .5 (?). 9. 10. 21. 31. 32 (ter);
410 a 9. 11. 14 (bis). 16. 18; 410 b
tciw: 404 a 9. 1.5; 405 b 28; 409 a 3. 8. 9 (bis). 10 (bis); 411 a 10.
9; 410 b 23; 411 b 3. 19; 412 b 1.5. 23 (bis); 411 b 3. 4 (ter). 11.
23. 26; 413 a 22 (bis). 23. 26. 30; 18; 413 a 4. 8; 413 b 13. 1.5;
413 b l. 2. 4. 17; 414 a 4. 12; 414 a 8; 414 b 19. 33; 415 a 17
414 b 8. 1.5; 41.5 a 11. 2.5. 27; (bis). 27; 416 a 11. 34; 416 b 4;
41.5 b 8. 13 (bis). 22; 434 a 23. 27. 417 a l. 5; 417 b l. 6. 7. 14;
ticrt<: 403 a 31. 418 a 16 (ter); 418 b 12. 16. 28;
tTJUW: 402 a 21; 402 b 3. 10. 12; 419 a 29; 419 b 20 (?). 24. 32
411 b 10. 12; 412 b 6; 414 b 2.5; (bis); 420 a 1.5. 20 (bis); 420 b
42.5 b 4; 431 b 24. 13; 421 a 9. 12; 421 b 9. 1.5;
~iiTrl"«: 402 a 12. 422 a 18. 28. 30. 31; 422 b 20.
tiiTrl~: 403 b 24. 21. 34; 423 a 12. 2.5; 423 b 2;
tTJTrl"tiov: 402 a 16; 402 b 1.5; 414 b 424 a 3. 20. 21. 22 (bis); 424 b
32. 4. 14. 17; 42.5 a .5 (bis). 7 (bis);
tocpEP6c;: 426 b l. 42.5 b .5. 13 (bis). 14. 1.5. 16 (bis).
twil: 412 a 13. 14. 1,. 17. 20. 28; 18; 426 a 7 (bis); 426 b l. 4 . .5.
41.5 b 27; 416 b 9. 6 (bis). 7; 427 a l . .5; 427 b 4.
t~v: 402 a 7. 10; 402 b 6. 7; 403 b 20. 21. 22. 24; 428 a 3. 4. 6. 11.
18; 404 a 9. li. 14; 404 b 4. 6. 1.5. 17; 428 b 7. 19. 22; 429 a 7.
20; 406 b '· 6. 2.5; 408 a 26; 8. 14 (bis). 2.5. 26; 429 b 9. 13
409 a 9. 16; 409 b 7. 11; 410 a (bis).\ 16. 21. 27. 28. 29; 430 b
30; 410 b 20. 21. 24; 411 a l. l. 4. '· 6 (bis). 22. 27. 30; 431 a
10. 13. 1.5. 16. 20 (bis). 29; 411 b 9 (bis). 10. 11. 16 (ter). 22 (?).
20. 29; 412 b 18; 413 a 3; 413 b 2.5; 431 b 7. 9 (bis). 19. 21. 22.
2. 4. 8. 32; 414 a l; 414 b 3. 1.5 28 (bis); 432 a 11. 13. 20 (ter).
(?); 41.5 a .5. 28 (bis); 41.5 b 17. 22; 432 b l. 16 (?). 17. 28. 29.
19; 416 a 4. 13; 419 a 3'; 420 a 30. 31; 433 a 2. 9 (bis). 28 (bis),;
.5; 420 b 9. 13. 29; 421 a 10. 433 b 12. 18 (?). 29 (bis); 434 a
21. 23; 421 b 27; 423 a 31; 42' 2. 4. 8. 19. 20. 32; 434 b .5. 6.
a 9; 42i a 15; 427 b l. 8. 13; 9. lO; 43.5 a 12.

Baruch_in_libris
INDICI 463

axnperativa: 407 a 33; 412 b 14; 8dik: 40.5 a 19; 411 a 8.


416 a 18; 424 b 9; 42.5 a 24. 29; hppczUoc;: 427 b 22. 24.
426 b 6; 428 b 30; 429 a 21; 430 b ta.ppiw: 403 a 7; 408 b 2.
11; 432 b 17; 433 b 4; 43.5 a 6. t«pcroc;: 403 a 17.
fi: 403 a 13; 403 b 10. 14. 1.5. 18; t4nov: 423 a .5.
40.5 a 23. 24; 406 b 13; 407 b l; tavJ.Lticn.~: 402 a 3.
408 b 27; 409 a 3; 412 b 2.5; h«olltz.'.: 427 b 24.
41.5 a 29; 41.5 b .5; 416 b 6. 7. htov: 421 b 2.5.
10. 12. 13. 18; 418 a 23; 418 b h~: 40.5 a 32; 408 b 29; 41.5 a 29;
7 (bis). 10; 422 b 3; 423 b 22. 41.5 b 3.
27; 424 a 21. 23. 24; 424 b 9. k6c;: 402 b 7; 407 b 10; 409 b 32;
2.5; 42.5 a 3i (bis); 426 b 9. 1.5. 410 b .5; 411 a 8.
30; 427 a 4. 10. 11. 12. 13. 14; hpJ.L«L"~JW: 424 b l.
429 b 2.5; 430 a 29 (Emp.); 430 b hp1J4~~= 426 b 6.
7. 16. 17; 431 a 11; 431 b 13. 14. kpJ.LOc;: 403 b l; 404 a l; 40.5 b 2.5.
16; 433 b 11. 17. 18 (?). 27; 43.5 27; 414 b 8. 12; 416 b 29; 420 b
b 12. 2.5; 422 b 26; 423 b 28; 424 a 3.
fl611: 403 a 27; 409 a 7; 412 a 8; 10; 429 a 26; 429 b 1.5; 431 a 20;
416 b 16; 417 a 12. 2.5. 28; 417 b 43.5 a 23; 43.5 h 14.
18; 418 a 4; 420 b 16; 42.5 a 27; hpJ.L6TrK: 416 b 29; 420 b 20; 42.5 a 6.
428 b 2oa. 2.5; 430 a 28; 432 b Iter~: 408 a 7; 409 a 6. 7. 21.
30; 433 b 8. 9. 19; 434 a 8. 1.5. kwpw: 402 a 7; 402 b 17; 403 a 28;
19 (?); 434 b 2.5. 408 b 24; 412 a 11. 23. 2.5; 412 b
f)5op.a.t.: 431 a 10. 17; 415 a 21; 417 a 28. 29; 417 b
il5ovi): 409 b 16; 413 b 23; 414 b .5. 19; 432 a 8. 9; 432 b 27. 29.
4; 434 a 3. hwpT)-riov: 43 3 b 20.
il5~: 414 b .5. 6; 421 a 12; 426 b 3. tEwpTJ-rt.X6~: 407 a 2.5; 413 b 2.5; 415 a
.5; 431 a 9; 431 b 9; 432 b 31; 11; 430 a 4; 432 b 27; 433 a 1.5.
433 a l; 433 b 9 (bis); 43.5 b 23. tr}p~v: 414 b 33; 428 a 10. 21. 23;
fi5UCTJ.Ltz.: 414 b 13.· 429 a 6.
illt.x!cl: 417 b 31. ft.yyd.vw: 407 a 16. 18; 423 a 2.
illt.60&.Ltl.t.: 419 b 31. ''~~= 407 a 18; 427 b 4.
fllt.~: 40.5 b l; 428 b 3. tvl)crxw: 406 b .5.
illll~: 406 b 22; 418 b 23; 422 a 13; D--11}~~: 410 b 6; 413 a 32.
423 a 7. 31; 423 b 14; 424 b 26. BpE1t~t.X~: 413 b .5. 7. 12; 414 a 31.
27; 42.5 a 30; 427 b 18. 20; 428 a 33; 414 b 31; 41.5 a l. 2. 17. 23;
2. 14. 416 a 19; 432 a 29; 432 b 10. 1.5;
i'IJ.LLCN<;: 430 b 10. 12. 433 b 2; 434 a 22. 26; 434 b 22.
'HpalEt.~~= 40.5 a 2.5. Dp~: 410 b l; 43.5 a 24.
'iJPllliw: 404 a 12; 406 .a 24. 2.5; 42.5 a tpu1t~w: 419 b 26; 420 a 8.
18; 433 b 24; 434 a 20. &p~: 419 b 23.
1'tPii-L1l~: 406 b 22; 407 a 32. tvJ,U.X6~: 432 a 2.5; 433 b 4.
TtPEJ.L!a: 406 a 24. 27; 418 a 17. fVJ.LOV: 421 b 2.
fl~ot.: 402 b 7; 407 a 9. 11; 410 b 8; tvJ.LOti: 403 a 17; 403 b 18; 414 b 2;
417 b 13; 427 b 3; 4-28 a 6; 428 b 432 b 6.
.5; 429 b 16. tUpuhv: 404 a 13.
~~ov: 404 b l; 407 b 28; 411 b 24; tvp~: 404 a 4.
41.5 b 6; 419 b 18; 421 a 7; 42.5 b
.5; 429 h 4. i4o&.Ltz.t.: 433 a 4.
·u~oc;: 410 a 6 (Emp.). f4~pt.Xi):
433 a 4.
1'txiw: 420 a 16. 19. f4~p~: 403 b 14.
1'txw: 419 h 25. 28. t5ia: 404 b 20.

Baruch_in_libris
464 INDICI

tS~oo~: 402 a 9. 15; 403 a 4. 8. 11. x«>..Wt;: 402 b 2.5; 403 b 23 (bis);
12; 407 b 23; 408 b 34; 409 b l; 404 a 29; 404 b 2; 407 a 2; 411 a
410 a 19; 414 b 24. 26; 418 8 26; 414 a 19; 415 b 28; 416 a 2;
10. 11. 17. 19. 24; 420 a 18; 421 417 b 8; 419 a 15; 426 a 20.
h 19; 42.5 a 14. 19. 21. 28. 30; x«~~= 416 a 25; 420 a 14. 1.5; 422
427 b 12; 428 b 18. 23; 430 b b 8.
29; 432 a 21. XCI~"KVÀ.ot;: 402 b 19; 411 a 5. 6.
LSl.wç: 425 a 7. x4v: 407 b 29; 417 b 26; 419 b 18;
txa.véç: 407 a 15; 411 a 3. 430 b 17.
t'.'o:: 409 b 24; 415 a 29; 429 a 19 xciv: 402 h 8; 404 a 20; 406 a 22.
(bis); 435 b 23. 23; 406 b 6; 408 b 12; 413 a 22;
t-;;1tc~: 402 b 7. 417 a 11; 422 a 11; 423 b 9;
"l'2t1tWV: 405 b 2. 425 b 8; 426 b 19; 427 b 22;
taé7.À.E'Jpc~: 413 a 18. 429 a 26; 432 b 17. 18.
tcrc~: 402 b 21; 413 a 17. XCivWV: 411 a 6.
t~op!a.: 402 a 4. X«pS,«: 403 a 31; 408 b 8; 420 b
Lo-xvp6ç: 403 a 19; 421 b 24; 422 b 26; 432 b 31.
8; 424 a 30; 426 b 2; 429 b 2. Xtlp"K6~: 412 b 3. 27,
ttr~: 402 a 23; 405 b 31; 408 b 9. X«"t«: con il genitivo: 402 a 14; 408
13. 29; 409 b 29; 411 a 8; 430 b a 2. 3; 412 a 18. Cfr. anche <tt
18. Xct'tci: 'tl.VO~.
LY.fV~: 419 a 5; 420 b 10; 421 a 4. con l'accusativo: 402 a 2. 15; 402
b 6. 23. 26; 403 a 14; 403 b 2.5;
xa.Dtir.Ep: 402 a 22; 402 b 6; 403 8 404 b .5; 406 a 4. 5 (bis). 7. 11.
12; 405 b 2. 6; 407 b 4; 408 a 14. 17. 19; 406 b 2. 3. 5. 8. 9.
31; 408 b 23; 409 a 31; 409 b 8; 14. 15. 29; 407 a 11. 12. 13. 14;
410 a 2. 27; 412 b 11. 21; 413 b 407 b 7. 22; 408 a 15 (bis). 16.
27. 28; 414 a 5. 1.5. 30; 41' b 22. 30. 33; 408 b 10 (bis); 409 b
19; 416 a 30; 416 b 34; 417 a 7. 19; 410 b 15. 20; 411 a 29; 411 b
17. 19; 418 a 4; 419 b 29; 420 b 22; 412 a 7. 8; 412 b 10. 20;
17. 30; 422 a 14. 25; 423 b 2. 8; 413 a 12. 24 (bis); 413 b 22; 414
430 a 28. a 2.5. 32; 414 h 9. 17. 27. 29. 32;
xaDap6t;: 405· a 17. 41.5 a 7. 19. 25; 415 b 2. 9. 18.
x«huSw: 417 a 11. 22. 23; 416 a l; 416 b 11; 417 a
x~D6À.:v: 402 b 7; 410 b 26; 412 b 5. 8. 30; 417 b 10. 19. 22 (bis).
10; 417 a l; 417 b 23; 424 a 17; 27; 418 a 7. 8. 9. 20. 21. 24. 30
434 a 17. 20. (bis); 418 b l. 5; 419 a 10; 419
xo:acpciw: 402 b 20. b 9; 420 a 27. 29; 420 b 6; 421 a
x«!: passim. 21; 421 b l; 422 a 33; 423 a 18;
Xt1,7:EP: 414 a 24. 424 a 15. 24; 425 a 1.5. 24. 28.
XtXt.p6~: 417 b 28. 30; 42.5 b 27. 28. 31 (bis); 426 a
x«,"t:t.: 407 b 9. 17. 32; 409 a 23; 3. 4. 19. 24 (bis); 426 b 26; 427 a
410 b 2. 20; 423 a 4; 423 b 8; 18. 29; 427 b 23; 428 a l. 2. 3;
427 a 29; 435 a 18. 428 b 2. 16. 2.5; 429 a 2. 5. 12
x«,w: 417 a 8 (bis). (bis); 429 b 6. 27. 29; 430 a 20.
xax~:;: 426 b 2.5; 430 b 22; 431 a 11. 21; 430 b 14. 16. 2<>-. 28; 431 a
16; 431 h 11. l. 2. 12; 431 b 17; 432 a 15. 17.
x«Àlw: 404 a 3; 40.5 b 29; 407 a 4; 26; 432 b 8. 9. 13; 433 a 3. 5.
410 b 28; 420 b 28; 423 b 30; 13. 22. 24 (bis); 433 b l; 434 . a
427 a 10; 429 a 22; 432 b 26; 17; 434 b 30; 435 b 10.
433 a 31. Xa."t«X«~"K'tW: 406 b 31.
xa.).~<;: 402 a l. XtX'td~T)POt;: 422 b 5.

Baruch_in_libris
INDICI 46,

X«"t~~= 430 b 27 (?). 17 (bis). 18. 19. 21. 24. 2.5. 31;
X«"t4qnnJ.t.: 431 a 9. 434 a 4. 11. 12. 1.5 (bis). 16. 19;
X«'t«XPfiOJJ,«t.: 420 h 17. 434 h 29. 30. 32; 43.5 a 3. 4. 9;
X«'t4~~r.<: 40.5 h 29. 43.5 h 11. 24.
X«"tÉXlll: 409 a 23; 421 a 3 (bis); x!VT)~: 403 a 26; 403 h 26; 404 a
421 h 1.5. 9. 12. 22; 40.5 a 28; 40.5 h 11.
Xtl"nl'YOPfw: ·402 h 8. 31; 406 a 2. 9. 12 (bis). 1.5. 16.
x«"n}y~!«: 402 a 2.5; 410 a 1.5. 21. 26. 29. 31; 406 b 6. 12. 1.5;
xti"tw: 406 a 28; 413 a 29; 41.5 h 407 a 2. 6. 20. 33; 407 b l; 408
29; 416 a 2. 3. a 7; 408 b 4. 6. 1.5. 18; 409 a .5;
X«vp.~: 403 h .5. 409 h 12; 410 h 21; 411 a 29;
x«~t.X6c;: 417 a 8. _. 412 h 17; 413 a 23. 24; 413 h 13.
xcxvn6c;: 416 a 16; 417 a 8. 22; 41.5 b 10. 22; 417 a 16; 418 a
xE!p.«t: 404 a 30 (Om.). 17. 19; 419 b 23; 420 a 9. 11.
X!MUw: 432 b 30. 31; 433 b 8. 16. 21. 33; 420 b 11; 423 a 10;
xMc;: 419 a 16. 20; 419 h 33. 34; 424 a 30; 42.5 a 16. 17 (bis). 21;
420 a 18. 425 b 6; 426 a 2; 426 b 30; 427
XEV"tiW: 420 b 2. a 18; 428 b 11. 13. 1.5. 23. 2.5;
xavW<;: 403 a 2. 429 a l; 431 a 6 (bis); 432 a 17;
xÉp«c;: 419 a .5 (?); 420 a 16. 432 b 9. 13. 14. 1.5. 19. 28; 433 a
XEcptiÀ.CXLC'\1: 433 h 21. 7; 433 b 18. 27; 434 b 32.
xEcp«li): 416 a 4; 419 a .5. x~oVT)"tLX~: 404 b 8. 28; 40.5 a 4. 10.
xqwp~: 427 a 14; 431 h 14. 19. 2.5; 409 a 3; 409 h 20; 410 h
XT)p6c;: 412 h 7; 424 a 19; 43.5 a 2. 9. 17. 19; 414 a 32; 414 h 17; 41.5 a
xtviw: 403 a 21; 403 h 29. 30 (bis). 7; 418 a 31; 419 a 10; 420 a 3;
31; 404 a 7. 8. 19. 20. 21. 23. 24. 426 a 4; 432 b 18; 433 a 13; 433 b
2.5. 26. 27; 404 h 7. 30; 40.5 a 7 28.
(bis). 18 (bis). 21. 23. 27 (bis). 32 XL VT}"t6c;: 409 a 3.
(bis); 406 a l. 2. 3 (bis). 4 . .5. 6 xÀ.tiw: 429 b 16.
(bis). 7 (bis). 10. 11. 13. 14. 17. Kliwv: 42.5 a 2.5. 26. 27. 29; 430 b .5.
18. 19. 20. 22 (bis). 24. 2.5. 28. xoO..oc;: 419 h 1.5. 16; 431 b 14. 1.5;
30. 31 (bis); 406 h l (bis). 6. 7. 433 b 23.
8. 11 (ter). 12. 13 (bis). 14. 16 xo~ovn: 416 b 32.
(bis). 18. 20. 22. 24. 27 (ter); 407 xo~ov6c;: 402 a 12. 17; 402 b 8; 403 a
a 16; 407 h 2. 8. 11 (bis). 18. 19. 4; 405 b 20; 407 b 29; 408 b 28;
34; 408 a 31 (bis). 32 (bis). 33. 410 a 16; 412 a .5; 412 h 4; 414 b
34; 408 h 4. 6. 7. 8. 10. 30. 31. 23. 2.5; 41.5 a 24; 418 a 10. 17.
33. 34; 409 a l. 4. 13 (bis). 16. 19; 419 a 32; 421 b 18; 422 a
17 (bis). 18 (bis); 409 h l. 7. 8. 33; 42.5 a 6. 14. 27 (bis); 42.5 b
11 (bis). 20; 410 a 2.5; 410 h 21; 6. 10; 428 b 22; 429 b 24. 2.5.
411 a 26; 411 h 2. 22; 413 h 3; 30; 431 b .5; 433 a 22; 433 b 20.
416 h 27 (ter). 33; 417 a 1.5. 17; XOLVW'JiW: 411 b 28; 415 b 3. 5. 27.
419 a 13. 14. 27; 419 h 18. 3.5; xotvwv!a.: 407 b 18.
420 a 4 . .5. 7. 17. 21. 30; 420 b x6pT): 413 a 3; 420 a 14; 425 a 4;
3; 421 a 3; 421 b 29; 42.5 a 18; 431 a 17.
426 a 2. 6 (bis); 426 b 30. 31; )tOP<T11: 430 a 29 (Emp.).
428 h 10 (bis); 431 b .5. 6; 432 a xpio"tc;: 407 b 31.
17. 18; 432 b 8. 10. 14. 17. 27; xp«-riw: 429 a 19.
433 a l. 2. 9. 18 (bis). 19. 20 xp~: 419 a .5.
(bis). 21. 22 (bis). 23. 24 (bis). xpd"t"tWV: 410 b 13.
2.5. 27. 31; 433 b 10. 12 (bis). 13 xp!vw: 404 b 2.5; 411 a 4; 418 a 14;
(bis). 14 (ter). 1.5 (bis). 16 (bis). 422 a 21; 424 a .5; 42.5 b 21; 426 b

Baruch_in_libris
466 INDICI

10. 14. 17 (ter). 23; 427 a 3. 11. 8. 11. 17. 20. 28; 418 b 4; 419 a
13. 18 (?). 20; 428 a 3; 429 h 13. 15; 419 b 3. 33; 420 a 29; 420 h
15. 17. 21; 431 a 24. 7. 12; 421 a 28; 421 b 8. 21;
xpt:n'l<;: 405 h 8; 411 a 6. 422 a 27; 423 h 27; 424 a 23;
]{pt.~: 405 h 6. 424 b 22. 30; 425 b 27; 426 a
xpt:n.x6c;: 424 a 6; 432 a 16; 434 h 3. 13. 17. 19. 20. 22. 23. 25. 26 (bis);
xp6xoc;: 421 h 2. 426 b 20. 21. 22. 25. 26. 27 (bis).
xp01M: 420 a 23; 424 a 32. 28; 427 b l. 3; 428 a l. 2. 13.
xu~pvtiw: 416 h 26. 16. 28; 428 b 23; 429 a l. 23.
xwlo<;: 406 b 31. 32; 407 a l. 16. 27; 429 h 6; 431 b 13. 20; 432 a
17. 20 (bis). 22; 407 b 6. 7. lO; 6. 21. 23. 25; 432 b 28; 433 a 2;
408 a 30; 423 a 7; 433 b 26. 434 a 18; 435 a 12.
xwloq>Oplu: 407 a 6. Mto<;: 419 b 7. 15. 16. 32; 420 a l.
xupt.oc;: 408 a 6; 410 h 11. 14; 418 a 2. 23; 43.5 a 8.
3; 419 b 19. 33; 433 a 5. 6. Àlt#nlc;: 422 h 31.
xup~: 412 h 9; 417 a 29; 418 a 24. l.d1tw: 409 a 8; 409 b 23; 419 a 19;
Xup<t6c;: 433 b 23. 421 a 21; 423 a 13; 425 a 7; 428 a
xwv: 402 b 7. 18.
XWÀ.U'ft.X6<;: 403 b 4. À.IXuov: 415 a 18. 23; 418 a 7; 418 b
xwlw: 404 a 14; 409 a 23; 413 a 3; 427 b 29; 431 a 21.
7; 416 a 7; 417 a 28; 419 b 26; M1t!f;: 419 a 5.
420 a 8; 429 a 20; 430 b 7. À.E1t'TOJ.Lip!t.tl: 405 a 11 ( ?) •
xw~oSt.Sci.crx«À.o<;: 406 b 17. ÀE1t'T01.1.fp1)<;: 405 a 6. 22; 409 a 32;
409 b 21.
l«n«vw: 410 a 5 (Emp.). Àl1t<t6c;: 40.5 a 24.
Àt4-'~civw: 402 a 11. 18; 403 a 5; A!Ux..1t1to<;: 404 a 5.
403 b 23; 405 b 8; 408 b 21; Àlux6c;: 406 a 18; 410 a 6 (Emp.);
412 b 22; 413 a 20. 27. 30; 41.5 a 418 a 21. 22; 422 b 24; 423 b
15; 416 a 2; 417 b 12; 421 a 32; 22; 424 a 8; 425 a 26; 42.5 b 7;
424 a 17. 20; 429 a 3; 434 b 17. 426 a 21; 426 b 10. 13. 18. 21;
MJ.L1tp6<;: 422 a 22. 25; 426 b l. 427 a l. 8; 428 a 29; 428 b l.
>-«J.L1tw: 419 a 4. 21 (bis); 430 b 2 (bis). 3 (bis). 5.
À.tlv&tivw: 402 h 5; 411 a l; 418 b 30; 431 a 25. 26; 431 b l.
23. 2.5. 26; 423 a 30; 423 b 7. 8. À.~«v: 408 a 10; 418 b 26; 422 a 22;
9; 42.5 b .5. 7; 428 b 8. 422 b 6.
Uyw: 402 a 12. 24; 402 b 3. 25; lt&t.voc;: 412 b 21.
403 b 17; 404 a 2. 5. 17. 21. 26. lt&oc;: 403 b 5; 40.5 a 20; 410 a 11;
31; 404 b 2 . .5. 9. 12. 19. 25; 431 b 29; 435 a 3.
40.5 a 3. 12. 13. 18; 40.5 b 14. À.t.1t«p6c;: 421 a 30; 422 b 12.
17. 19. 27. 30; 406 a l. .5. l O. À.oyl~oJ.L«t.: 431 b 7; 433 a 14.
16; 406 b 17. 20; 407 a 3; 407 b loyt.Q1.1.6<;: 409 b 16; 415 a 8. 9. 10;
.5. 9. 20. 24. 28. 30; 408 a 2. .5; 433 a 12. 24. 2.5; 434 a 8.
408 h 11. 12. 13. 32; 409 a l. ).oyt.O"nX6<;: 432 a 25; 432 h .5. 26;
11. 1.5. 31; 409 b 4. 9. 23. 24; 433 b 29; 434 a 7.
410 a 10. 13. 22. 27. 29; 410 b À6yoc;: 402 b 5; 403 a 25; 403 h 2
17. 18. 26; 411 a 14. 16. 18. 26; (bis). 4. 8 (bis). 16; 406 a 29;
411 h .5; 412 a 6. 8. 14. 22; 412 b 407 a 2.5 (bis); 407 b 12. 14. 28 .
.5. 9. 18; 413 a 1.5. 19. 20 (bis). 29. 32; 408 a 9. 14. 15. 18. 19.
22; 413 b 4. 7; 414 a 4 . .5. 1.5. 20. 22. 23 (bis). 27; 408 b 11;
29; 41.5 a 16; 41.5 b 9; 416 a .5; 409 b 1.5. 26; 410 a 2. 8; 410 b
416 b 6. 8. 32; 417 a 10. 11. 12. 28; 411 b 12; 412 a 6; 412 b 11.
16. 22. 25; 417 b 8. 19. 30; 418 a 16. 20; 413 a 12. 14. 16. 18; 413

Baruch_in_libris
INDICI 467

h 1.5. 29; 414 a 9. 13. 2.5. 27; 17; 408 a 6; 409 a 14; 416 a 17;
414 h 20. 23. 2.5. 27; 41.5 a 12. 418 a 18; 422 h 30; 423 -a 23;
13. 20; 41.5 h 14; 416 a 17. 18; 424 a 26. 27; 42.5 a 16. 17. 18;
416 h 31; 417 a 2; 418 a 27. 30; 42.5 h 6. 9; 428 h 24; 429 a 12;
418 h 24; 419 a 7. 2.5; 421 a 6; 429 h 10 (bis); 431 h 19; 432 a
422 h 17; 424 a 24. 27. 31; 424 h 4. 20; 433 h 2.5.
8; 426 a 8. 28. 29; 426 h 3. 4. 7; ~: 408 h 23.
427 a 29; 427 h 14. 26; 428 a 23. IJ,d!CTTr}~t.: 406 h 3.
24; 429 a 12; 429 h 16; 430 h p.i&oBoc;: 402 a 14. 16. 17. 20.
22; 431 h l; 432 a 20. 26. 31; l..tdtwv: 428 h 4; 432 a 28; 434 a 9.
432 h 3. 8; 433 h 6. 24; 434 a 17. Ili~: 422 h 24; 424 a 8; 426 a 21;
Àot."R~: 404 a 7; 40.5 a 24; 413 h 27; 426 h 11; 427 a 8; 430 h 23; 431 a
41.5 a 9; 417 h 21; 424 a 11. 2.5. 26.
Àvyp6c;: 404 h 1.5 (Emp.). JJ.i>..t.: 421 h 2.
Àv"Riw: 408 h 2 . .5; 426 h 7 (?); 431 a J.LiÀ~o<t<t«: 428 a 11.
10. ~ÀÀ.w: 41.5 a 14; 424 a 7; 431 h 8;
>..v~: 409 h 17; 413 h 23; 414 h 4; 433 h 8. 10; 434 h 14. 26.
434 a 3. ~i)..oc; (membro): 408 a 21 (?).
Àv"JtEp6c;: 414 h 5; 421 a 12; 431 a 9; J..Li).oc; (melodia): 420 h 8.
431 h 9; 435 h 23. ~iv: passim.
Àvprz: 420 h 7. Jlivtot.: 403 a 14; 417 a 16; 426 h 27.
À~: 422 h 28. ~m: 406 h 21; 407 h 11; 409 a 12;
lVc..l: 424 a 31; 426 h 7. 424 h 15; 433 h 26; 434 a 16;
43.5 a l . .5.
~~«: 402 h 19. p.ç!tw: 406 h 29.
JldTJJl«"tut6c;: 403 h 1.5; 431 h 1.5. (..Lç(.CT"f6c;: 402 h l ; 407 a 19 (bis);
JJ.titr}~: 417 a 31. 411 h .5. 7. 12; 413 a .5.
JJ4X4p~ooc;: 407 a 34. JJ.ipoc;: 402 h 22; 403 a 27; 408 a 10.
~tù..u6c;: 422 h 27; 423 h 4; 424 a 3. 11. 21; 410 a 5 (Emp.); 410 h 2.5;
ll«À4XOC1«PXoc;: 421 a 26. 411 a 4; 412 h l. 18. 22. 23. 24;
~tll.t.CT"f«: 402 a 6; 403 a 8; 403 h 413 a 4. 6; 413 h 21; 420 a 7;
25. 26. 29; 404 a 6; 404 h 31; 432 h 25; 433 h l.
40.5 a 6. 1.5; 406 h 10; 408 a l; p.icroc;: 407 a 29; 413 a 19; 423 h 7.
408 h .5. 19; 411 h 10; 412 a 11; 12; 424 a 6; 434 h 31. 33; 43.5 a l.
416 a 28; 418 a 28 (?); 42.5 a 7; JUCT6Tnc;: 424 a 4; 424 h l; 431 a 11.
427 a 17; 428 h 2.5. 29; 429 a .3. 19; 43.5 a 21.
~cn>..ov: 402 a l. 26; 403 a 23; 403 h JU<tti: con il genitivo: 403 a 1.5. 16;
8; 407 a 33; 407 h 8; 408 a l. 20; 407 h 4; 420 h 32; 424 h 3. 11;
409 h 29; 411 h 8; 412 a 18; 41.5 h 428 a 2.5; 429 ·h 19; 432 h 16;
6; 416 a 1.5. 18; 417 h 3; 423 a con l'accusativo: 419 h 17.
31; 42.5 h 7; 426 h .5; 428 a 14; JU""t«~tillw: 406 h 2; 416 a 33; 416 h
429 h 4; 434 a 20; 434 h 6. 7. 2; 417 a 32; 434 h 30.
Jl(lvttivw: 408 h 14; 417 h 12; 429 h ~<t«~ol'i): 416 a 33; 417 h 1.5. 17.
9; 432 a 7. J.L!<t~v: 406 a 30; 416 a 34; 418 h
J.L<XV'tWop.«lo: 409 h 18. 22; 419 a 16. 20 (bis). 27. 32; 419
JJ4P«(vw: 408 h 24. h 8; 421 h 9; 422 a 9. 13. 16;
IJ4P"NPW: 410 a 29. 422 h 13. 22; 423 a 1.5. 23. 27;
JlG.'n)V: 432 h 21; 434 a 31. 423 h 14 (bis). 1.5. 26; 424 h 29;
JUYtiÀ«: 402 a 5. 434 h 28; 43.5 a 16.
~~= 402 h 22; 404 h 4; 409 h 9; JU<t«"Rt~w: 428 h 6.
418 h 26; 422 a 24. 26; 429 b l. p.!'t<X"R('Jt<tW: 428 h 8.
pl-,doc;: 407 a 3. 9. 10 (bis).-- 12. 14. JU<tcupopd.: 420 a 29; 428 a 2.

Baruch_in_libris
468 INDICI

p.iur.p.r.: 427 b 8. Il~~= 427 a 23 (Emp.).


J,Lnixw: 406 a 12. 22; 410 b 23; J.L(ywllf.: 40.5 a l; 407 b 2. 33; 408 a
412 a 1.5; 413 b 8; 41.5 a 29; 9. 17; 411 a 7; 422 a 14. 1.5; 42.5 a
41.5 b '· 2.5; 416 b 9; 433 b 30. 7; 429 a 24; 429 b 28.
p.npiw: 434 a 9. J.U.XPOJ..Lipa.t1: 40.5 a 11.
~Pt.: 408 b 16; 416 b 14; 420 a 3; '-'t.XP6v: 402 b l.
434 a 23; 434 b 30; 43.5 a .3. 4. p.t.XP&;: 403 a 21; 404 b 4; 409 a 11;
7. 9. 409 b 9; 418 b 24; 421 b 7; 422 a
l'il: 402 a 16; 402 b 2 . .5. 9. 26; 2.5. 30; 424 a 13.
403 a 9; 403 b 10. 12. 14 (bis). p.ucp6~: 409 a 1.5; 422 b .30.
23. 30 (bis); 404 a 2.5; 406 a 14; "'r.x~~: 411 a 10; 423 a 14; 426 b .5;
406 b 8. 14; 407 a 28. 34; 407 b 434 b 10.
l (?). 3. 4; 408 a 27 (bis); 408 b 11~~: 408 a 14. 1.5. 18. 22. 2.5. 28.
13. 1.5. 31; 409 a 30; 409 b .5; J.Lr.oiw: 403 a 18; 408 b 26.
410 a 7. 9. 12. 21; 411 a l. 16. J.LVTJJ.LOWVlll: 408 b 28; 430 a 24.
23; 411 b 21. 22; 412 a 26; 413 b
IlVT)J,I.Ovt.X6~: 427 b 19.
3; 41.5 a 27; 41.5 b 2.5. 27 (bis);
116~: 418 b 28.
416 a 7. 23; 416 b 9; 417 a 28;
J.LOV«òr.x~: 409 a 20.
417 b l; 418 a 11. 12; 419 b 2.
110~: 409 a l . .5. 6. 8. 11. 16. 19.
21; 420 a l. 1.5; 421 a 2. 14. 31;
421 b 14. 18. 29; 422 a 8. 28; 22 (bis); 409 b 9. 10.
422 b 4. 18; 423 a 21. 26; 424 b JlOV«XQc:: 404 b 22.
J.LOvi): 408 b 18.
l. '· 13. 29; 42.5 a 10. 11. 18. 24;
42.5 b 21. 29; 427 b 9. 10. 14; J.L6Vt.J.LO~: 410 b 19; 432 b 20; 434 b
428 a 2. 14. 21; 428 b 2. 6. 1.5; 2. 4. 8.
429 a 6. 11. 16; 429 b 27; 430 a p.6~: 402 b 4. 17; 403 b 8; 40.5 a
.5; 430 b 2. 3. 11. 14. 2<>-. 30; 16; 40.5 b 20. 32; 407 b 20; 409 a
431 a 24; 431 b 18; 432 a 7. 12; 12. 18; 409 b 1.3. 28; 410 a 17;
432 b 17; 433 b 10; 434 a 10. 29. 410 b .5. 20; 411 b 28; 413 a 13.
33; 434 b 4 (bis). 8. 16; 43.5 b 23; 413 b 4. 11. 1.5. 26. 33; 414 a
6. 9. 31. 33; 41.5 a 11; 416 a 11. 23;
p.T)òi: 403 a l; 403 b 10; 404 a 12; 416 b 2. 27; 417 a 7; 419 a l;
413 b 3; 421 a 2; 421 b 30; 424 b 420 b 16; 422 b 30; 42.5 a 2. 3;
l; 425 a 10; 428 b 6; 429 a 21. 425 b .5. 7; 430 a 22. 23; 430 b
J.LTJÒE~: 403 a 11. 20. 23; 404 a 24; 4; 431 a 8; 432 a 24; 434 a l;
408 a 8; 413 a 7; 41.5 b 4; 421 a 434 b 26. 33; 435 a 19. 22; 43.5 b
25; 42.5 a 8. 12; 428 b 30; 429 a 4. 9. 18. 19.
21; 429 b 23. 24; 430 a l; 430 b J.L6pt.Ov: 402 b 9. 10. 12; 406 a 8;
24; 432 a 7; 432 b 21; 434 a 31. 406 b 3; 407 a 11 (bis). 12. 16.
P,T}Òi'JtO'fE: 404 a 12; 406 b 21. 18; 408 a 26. 27; 411 a 17. 19.
JJ.T}òi'fEço~: 424 a 8; 428 a 7. 23; 411 b 3. 14. 16. 18. 21. 24.
1-L~X~: 404 b 20; 430 b 8. 10. 13. 25; 41.3 b 7. 14 (bis). 27; 414 a
19. 20. 7; 420 b 14. 23. 24. 28; 421 a
p.'i)v: 404 a 27; 406 b 11; 407 a 34; .5; 423 a 6. 18; 423 b 31; 424 a
407 b 9; 413 a 6; 41.5 b 21; 416 a 33; 429 a 10; 432 a 19. 21. 23.
14; 424 a 26; 42.5 a 14; 426 b 29; 28; 432 b 2. 18; 433 a l; 43.5 a
428 a 17; 429 b 8; 432 b 26; 433 a 25.
6; 434 b 4. 9. J.Lopcpi): 407 b 24; 412 a 8; 414 a 9.
J.Liivr.y~: 420 a 14. J.LVfo~: 407 b 22.
J.LTJWw: 403 a 19. IJ.UXTK: 419 a .5.
p.'i)'fa: 414 a 19. 20; 422 b l. 2. 5. 6; p.ux-ri}p: 421 b 16.
424 a 10 (bis); 432 b 21. 22. p.upp.TJ~: 419 a 17; 428 a 11.

Baruch_in_libris
INDICI 469

J.LUw: 428 a 16. 432 b 7; 433 a 22; 433 b 21; 434


b 6.
wtxoc;: 404 b 1.5 (bis; Emp.); 410 b 6.
woc: 408 b 22. ~a:v&6c;: 42.5 b 2. 3.
wOpov: 410 b l. ~6ç: 414 b 7. 12; 422 a 6; 422 b
Y1'JWJ.L~a:: 404 a 20. 26; 423 a 26; 423 b 28.
~~n~oe;: 410 a .5 (Emp.). ~u>.t.voc: 406 b 19.
vt.XUw: 434 a 12. ~u>.ov: 403 b 6; 424 b 12.
vciw: 402 b 13; 403 a 8; 407 a 10. ~wt11J.U.: 432 a 8.
14. 17. 18. 22. 32; 408 b 24; 409 a ~Uap.a: 404 a 3. 18.
l; 410 a 26; 411 b l. 6; 41.5 a
18; 417 b 10. 23; 426 b 22; 427 a !61: 403 a 27 (bis); 403 b 2; 406 a
18. 19. 26; 427 b 9. 27; 429 a 13 10; 417 a 29; 424 b 23; 428 a 6;
(bis). 18. 24; 429 b 3. 4. 9. 24. 428 b 18; 429 b 14 (bis); 434 a
25. 31; 430 a 4 (bis). 5. 22 (bis). 8 (bis). 19; 434 b 11. Cfr. anche
25; 430 b· 7. 8. 10. 12. 15. 16. 2Qb; 't6S1 "n.
431 a 8. 17; 431 b 2. 13. 14. lS. 66': 403 b 6; 408 b 17. 26; 428 b
16 (bis). 18; 433 b 12; 434 b 6. 10.
vOT)Jl4: 407 a 7; 430 a 28; 431 b 7; !tw: 419 a 29; 424 b 16.
432 a ll. 12. 9Ev: 403 b 16. 31; 40.5 a 5; 408 b
v6T)cnc;: 406 b 25; 407 a 7 (bis). 14. 4; 411 a 8; 415 b 10. 21; 427 a
20. 21. 22. 24. 32; 427 a l. 9; 24 (Emp.); 434 b 2.
427 b 17; 430 a 26; 433 a 10. 12. otsa:: 402 b 22.
vo-rrrt.x6c;: 41.5 a 17; 429 a 28. 30; of.xdoc;: 404 a 22; 405 b 6; 406 a 8;
431 b 2; 433 b 3. 407 b 12; 414 a 26; 414 b 27;
vo11<t6c;: 402 b 16; 415 a 22; 429 a 415 a 13; 416 b 31; 419 a 2. 6;
14. 18; 429 b 3. 26. 28 (bis). 29. 420 a 16; 427 b l.
30; 430 a 2. 3. 7. 8; 431 b 22; otx~: 403 b 3.
432 a .5. otxoSoiJ,iw: 408 b 13; 417 b 9.
\;6oc;: 427 a 26 (Om.). otxoS6J,Loc;: 417 b 9.
v6CTcc;: 408 b 24; 429 a 7. otxou(.liVT): 428 b 4.
vcuc;: 402 b 13. 16; 404 a 27. 28. 30. o!oJ.L«t.: 403 b 29; 405 a 22. 28; 408 b
31; 404 b 2. 3 . .5. 22. 26; 405 a 4; 411 a 8; 419 a 15; 425 b 3;
9. 13. 14. 15. 18; 405 b 20; 407 a 426 a 21.
5. 6. 9. 20 (bis). 21; 407 b 4; otQv: 402 a 6; 402 b 6. 12. 1.5; 403 a
408 a 12; 408 b 18. 29; 410 b 14. 7. 13. 26. 30; 403 b 13; 404 a 3;
22. 25; 411 b 18; 413 a 23; 413 b 405 b 18. 25; 406 a 6; 406 b 17;
24; 414 b 18; 41.5 a 12; 41.5 b 408 a 32; 408 b 7. 16; 409 b 16.
16; 428 a 5. 18; 429 a 6. 7. 17. 32; 410 a 30; 412 b 2. 12; 413 a
22. 23; 429 b 3. 22. 23. 27. 31; 17. 23; 414 a 9; 414 b 13. 18.
430 a 2. 7. 8. 14. 17. 25; 430 b 31. 32; 415 a 17. 22; 416 a 25;
6. 27; 431 b 17; 432 a 2. 18; 418 a 12. 21; 418 b 11. 29; 419 a
432 b 26; 433 a 2. 8. 9. 13. 14. 3. 4. 14; 419 b 6. 7; 420 a 24;
16. 21. 23. 26; 433 b 7; 434 b 3. 420 b 2 (bis). 7. 10. 12; 421 a
vOv: 402 b 3; 406 a 11; 407 b 13; 28; 421 b 9. 24; 422 a 18; 422 b
408 b 20; 410 a 29; 412 b 15; 8. 24. 29; 423 a 3. 14; 423 b 21;
413 a 16; 413 b 11; 414 b 14; 424 a 4. 14. 19; 424 b 11. 15. 30.
417 a 21; 417 b 29; 419. a 7; 419 33; 425 a l. 15. 17. 21. 25; 425 b
b 4; 423 a 2. 10. 12. 20; 423 b l. 6. 27; 426 a 12; 426 b 4. 10.
2. 10. 11; 424 b 25; 425 a 9. 22; 27; 428 a 6. 8. 10. 17; 428 b 3.
425 b 9; 426 b 27 (bis). 28 (bis); 23; 429 a 6. 8; 429 h l; 430 a
429 a 27; 431 b 20; 432 a 28; 12. 1.5. 31; 430 b 7. 22; 431 a

Baruch_in_libris
470 INDICI

9. 1.5. 2.5; 431 h .5; 432 h 30; 21. 2.5; 413 a 29; 413 b 31; 414 a
433 a 3; 433 h 22; 434 h 1.5. 2.5; 7; 414 b 24; 41.5 b 9. 2.5; 417 a
43.5 a 2. 12; 43.5 h 8. 10. 14. 21. 13; 417 b 19. 21. 2.5; 419 a 31;
otoVE': 430 h 13. 421 a 17. 29; 421 b 8. 10. 13;
o{oc;: 403 h 18; 40.5 h 32; 407 a 4 . .5 422 a 23; 423 a 3. 29; 423 b l.
(bis); 407 b 33; 408 a 29. 33; 10; 424 a 2. 11. 21; 424 b 5;
408 h 30; 409 a 28; 410 h 30; 426 a 19. 31; 426 b 12; 427 b 22;
41.5 a 28; 41.5 b 7; 416 h 16. 18. 429 a 16; 429 b 8; 430 b 9. 19;
24. 2.5; 418 a 4. 6; 418 h 12; 431 a 29; 432 b 19.
424 a l; 424 h 2. 7; 42.5 a 14; 6~wwJ.LWC: 412 b 14. 21.
426 h 23; 427 a 6. 8; 429 h l; !v, -r6: 402 a 26; 404 b 9; 405 a 16.
434 a 29. 3()&; 434 h 3. 10. 23; 28; 409 b 2.5; 410 a 13; 410 b 8.
43.5 a 11; 43.5 h 2. 6. 1.5. 16; 412 a 6; 412 b 26; 413 a
6x-rw: 410 a .5 (Emp.). 2; 414 b 26; 41.5 b 14; 417 b 4
6À.(y~: 420 a 30. 31; 420 h 3; 427 h (bis); 13. 31; 427 a 21; 429 a 24;
8; 428 h 19. 429 b 18; 431 b 21. 22.
o).ov' -r6: 41 o b 29; 411 a 7. 17. !vop.«: 40.5 b 26; 418 a 3; 419 a 4;
~ìvec;: 402 b lO; 404 a .5; 40.5 b l; 421 a 32; 429 a 3; 43.5 a 17.
406 b 2; 407 a 17; 410 b 27; 6vo~til;w: 40.5 b 28; 426 a 12.
411 a 30; 411 b 1.5. 26. 27; 412 b 6~~= 420 a 29. 30. 32; 420 b l. 2;
23. 24 (bis); 414 a 8; 429 a 28. 421 a 30; 422 b 14. 24; 426 a 31;
~À.~: 403 a 7; 406 b 24; 407 a 17; 426 b 4. 6.
408 a 2; 408 b 31; 409 b 10; 410 61;~: 422 b 30.
b 7; 411 a 28; 412 b 7; 418 b 14; 6~6-r«v: 417 b 24.
419 a 21; 421 b 7; 422 a 27; 423 o~ou: 413 b 23. 24; 433 b 22.
h 17; 426 b .5; 429 b 21; 430 a !~W<;: 402 b 5; 403 b 23; 406 b 29;
21; 431 a 2; 431 b 10. 17; 433 a 420 a 10; 420 b 22; 42.5 b .5; 43.5
4; 433 b 27; 43.5 b 22. b 22. 24. 2.5.
6~«l6c;: 420 a 2.5. 6~wo-ouv: 410 a l.
a~~poc;: 403 b .5. op«~«: 428 a 16; 43.5 b 11.
• O~T)pcc;: 404 a 29; 427 a 2.5. !p~: 412 b 28; 426 a 13; 428 a 7.
!~IJ.Cl: 408 b 21; 421 b 28; 422 a l; 6p«-r~: 417 b 20; 418 a 26 (bis). 29.
423 b 22; 427 b 18. 30. 31; 418 b 2. 5 (bis); 419 a l;
6l-f.oytvi)c;: 431 a 24. 421 b .5; 422 a 16. 20; 423 b .5.
6~t~o5i)c;: 402 b 2 (bis); 411 a 17. 12; 424 a 10.
18. 21; 411 b 2.5. 6ptiw: 404 a 24; 404 b 13 (Emp.);
6lJ.Ot.OJJ.EPi}c;: 411 a 23. 413 b 16. 19; 417 a 11 (bis); 418
o~oc.~: 404 b 17. 18; 40.5 b 1.5 (bis); b 3. 29; 419 a 2. 6. 7. 8. 9. 13.
408 b 12; 409 h 27 (bis); 410 a 16. 18. 19. 21. 22. 23; 420 a 28;
9. 23. 24 (ter). 2.5 (bis). 29; 410 b 421 b 30. 31; 422 a 1.5; 424 b 5;
2; 416 a 30 (bis). 32 (bis); 416 b 7 42.5 a 30; 42.5 b 12. 13. 18 (bis).
(bis). 3.5 (bis); 417 a 19. 20; 417 b 19 (ter). 21. 22; 428 a 18; 429 a
4; 418 a .5; 427 a 28 (bis); 427 b 4; 429 b 3; 430 b 29; 431 b 6.
.5 (bis); 428 b 14; 429 a .5. 29; 7; 433 a 4; 433 b 10; 435 b 22 .
430 b 21; 431 a 8. 6py«vuc~: 412 a 28; 412 b 6; 432 b
6~tbn}c;: 420 b 6; 421 b l. 18. 2.5.
6lJ.Of.C-rp6~~: 404 b 21. 6py«Vt.XWc: 433 h 21.
!~t.hw: 418 a .5. !py«vov: 407 b 26; 411 b 23; 412 b
6~o~: 402 b 8. 13; 404 a .5. 2.5; l. 12; 413 a l; 41.5 b 19; 416 _a
404 b 6. 18; 40.5 b 26; 406 a 6. .5; 420 b 22; 429 a 26; 432 a 2
2.5; 406 b 19; 407 a 2.5; 408 a (bis); 433 b 19.
13; 409 b 32; 410 a 11. 26; 410 b 6pytiw: 403 a 21.

Baruch_in_libris
INDICI 471
6p"'f11: 403 a 30. 431 h 1.5; 432 a 16. 24. 27. 28.
6py(tw: 403 a 7. 22. 26; 408 h 2. 8. 29. 30; 432 h l. 3. 7. 20; 433 a 8.
12. 1.5; 433 h 14. 19; 434 a l; 434 h
6ptyo'-'cu: 41.5 b l; 432 h 17; 433 a l; 43.5 a 7; 43.5 h 12.
7; 433 h 17. òalltio'-'tA: 419 h 2; 421 a 11; 421 h
6pExnxét;: 408 a 13; 414 a 32; 414 b 14. 1.5; 422 a 4; 424 h 16. 17;
l; 431 a 13; 432 h 3; 433 a 21; 429 b 3.
433 h 3. 11 (bis). 17. 27. 28. ~~: 414 b 11; 41.5 a 6; 419 a 2.5.
6pa~~: 433 a 18. 20. 28; 433 b 11. 27. 32. 34; 419 h l; 421 a 7. 8.
op~~.C;: 403 a 30; 411 a 28; 413 h 23; 16. 18. 27. 28. 29. 30. 32; 421 h
414 h 2. 6. 1.5; 431 a 12; 432 h 7. 7. 10. 21. 24; 422 a 6; 423 a 9;
16; 433 a 6. 8. 9. 13. 1.5. 16. 18. 424 h 4. 6 (bis). 8. 10. 14; 426 h
20. 22. 23 (bis). 2.5. 26 (bis); 433 b 2; 429 b 2; 434 b 20; 43.5 b 9. 11.
l . .5. 18. 19; 434 a 12. 14 (bis). &roe;: 402 a 8; 402 h 26; 403 h 11.
6p&oyWVt.Ov: 413 a 17. 12. 22; 404 a 21; 404 h 7. 8; 40.5 h
6pt6c;: 402 b 20; 433 a 26. 27 (bis). 17. 23; 406 a .5; 409 h 17; 410 a
6ptwc;: 404 h 2; 416 h 8. 9; 418 h 17. 30; 410 h 21; 413 a. 29; 41.5 a
20; 419 h 33; 426 a 22 (bis); 427 h 27; 41.5 b 2; 416 a 22; 419 h 2. 7.
9 (ter). 10. 1.5; 420 h 7. 16; 422 h 27; 424 h
6pU;w: 403 a 29; 40.5 h 11. 13; 407 a 27. 29; 430 h 30; 432 a 6; 434 a
2.5; 409 h 19; 413 b 12; 419 h 33; 28. 29; 43.5 a 22.
420 a 19; 427 a 17; 431 h 3; 432 a mç: 417 h 6; 420 a 22; 421 h 24;
1.5; 43.5 h 16. 423 h 24; 428 a 1.5; 428 h l; 430 a
6p~: 402 h 26; 407 a 2.5. 30; 409 2. 23.
b 13. 6c-tr.t10W: 407 a 11. 16; 410 a l; 411 a
6pr.a~..x6c;: 413 a 14. 23; 42.5 a 21.
6pJ,Ld6c;: 419 b 24. 6e--tow: 408 a 1.5; 409 b 32; 410 a 3.
~oc;: 403 a 2.5; 404 a 9; 413 a 14. 6 (Emp.). 9; 410 h l; 43.5 a 24.
16. 18; 431 a 22. 6crcppt~(vo&J.cn: 421 b 2.5; 422 a .5; 424 h
'O~r.xci: 410 b 28. 4. 7.
!c;: 402 a 9. 14; 403 h 21; 404 a 3. òe"cppt~vnx&;: 421 b 32; 422 a 7.
4. 24; 40.5 a 19. 26; 40.5 h 30; 6ow«vt6c;: 421 a 7. 11; 421 h 6. 19
406 a 20. 24. 2.5. 31. 32; 406 h (?). 22; 423 h 6; 424 h 6.
7. 16; 407 a 22; 408 a 1.5 (bis). ocrcppTJcnc;: 421 b .5. 9. 23; 423 a 10;
28. 32; 408 h 23. 29; 409 a 24; 423 h 19; 424 h 6. 23; 42.5 a .5;
409 h 19. 29; 410 a 19; 410 h 426 h 2; 434 b 1.5.
12; 412 a 7. 8. 28; 412 h 8. 20; 5-rt~v: 403 a 21. 22; 417 h 8. 9. li;
413 a 27; 413 h 8. 9; 414 a 4 . .5. 418 h 11. 30 (bis); 419 a 28; 419 h
7. 12. 1.5. 19; 414 b 4 . .5. 23. 26; 21. 2.5. 3.5; 420 a 8. 13. 1.5. 23;
41.5 a 8. 10. 2.5 (bis); 41.5 h 2.5. 422 h 7; 42.5 a 23. 31; 42.5 b 21;
27; 416 b 21. 22. 2.5. 26; 417 a 29; 426 h 3; 427 b 18. 21; 428 a
.5; 418 a 8. 11. 12. 23. 2.5. 26. 27. 13. 14; 428 h 29; 429 h 3 . .5. 7.
28; ·418 h 4. 10; 419 a 6. 22. 31. 17; 430 b 7; 431 a 9. 1.5; 431 b
34; 419 h 33; 420 b 18; 421 a 6; 4. 8. 16; 432 a 8; 432 h 29; 433 a
421 h 29; 422 a 2. 10. 23; 423 a 20. 24; 433 h 6; 434 a 14.
10. 16. 23. 27; 423 b 28. 29. 30; ~u: 426 b 2.5. 27; 428 b 8; 434 a 13.
424 a 2.5; 424 b 11. 24. 28; 42.5 a ~i: 408. b 16 (bis); 418 h 31 (bis);
12. 1.5. 23; 426 a l; 427 a 10. 1.5; 430 a 22 (bis); 431 h 6; 434 a 12.
427 h 9. 14. 26; 428 a l. 3. 20. 13.
28; 428 b 2 . .5. 12. 20. 23. 24; ~ .. : 403 a 2. 2.5; 403 b 4. 17; 404 a
429 a 10. 23; 429 b 1.5. 28; 430 a 19; 40.5 a 21; 40.5 h 3. 4. 27; 406 a
l. 11. 26. 27; 430 h 16. 17. 18; 3. 32; 407 a 4; 407 h 9. 10; 408 a

Baruch_in_libris
472 INDICI

29; 408 h '· 30; 409 8 1.5; 410 8 oU Mx(l: 403 h 6; 41.5 b 2. 10. 1.5
10; 411 8 17. 22; 412 8 23; 413 8 (lvlxlv). 20; 420 h 23.
3. 19; 413 b 11. 28. 29; 414 a 27; oùk~: 42.5 a 24. 28.
414 h 1.5. 20; 41.5 a 12; 41.5 h 12; oUSi: 403 a 6. 9; 404 h 6; 406 a 27;
416 b 8; 417 a 6. 23. 27 (bis); 406 h 8; 407 a .5. 9. 34; 407 h 9;
417 h 19. 22. 27. 29; 418 a 2. 1.5 408 h 31; 409 h 18; 410 h l. 23.
(bis). 22. 30; 418 b 7. 14. 19; 26. 27. 30; 411 a 26; 412 h 7 (bis);
419 a 8. 21; 419 h 7. 16; 420 8 414 a 24; 414 h 10. 11. 27; 41.5 a
12. 19; 420 h 8; 421 a .5. 9; 422 11; 41.5 h 26; 416 a 2.5; 416 h l;
h 28; 423 8 17; 423 h 10. 13. 23; 417 h 2. 9. 13; 418 a 1.5; 418 h
424 a 17; 424 h 22; 42.5 a 20. 23. 7. 1.5. 21; 419 h 19. 30; 420 a 6.
2.5. 26; 42.5 h l. 2. 10. 12. 13. 20; 13. 14. 28; 421 a .5; 421 h 16;
426 h 14. 1.5. 17. 20 (bis). 22. 23. 422 a 10. 1.5; 423 a 2.5; 424 a 27;
2.5. 26. 27 (bis). 28; 427 h 6. 16; 424 h 8; 42.5 a 14; 426 a 21; 426
428 a .5. 13.· 2.5. 27 (?); 428 h 19. h 24; 427 a 8; 427 b 8. 11; 428 a
21; 429 a 4. 22. 28. 29; 429 h 30; 12. 17. 2.5 (ter); 429 a 24; 429 h
430 8 24; 430 h 5 (bis); 431 h 5. 2; 430 a 21; 431 a 3. .5;· 432 a 3.
6. 21; 432 h 14. 24; 433 a 4. 19. 8. 13; 432 h 19. 26. 27. 29; 433 a
31; 434 a 11. 18 (bis). 22; 434 h 6. 12; 434 a 3Q-; 434 b .5. 20; 43.5
23; 435 a l. 11. 25; 435 b l. 4. a 20.
17. 19. ouSdc;: 402 h 7; 403 a 6; 405 h 9.
h, ~6: 413 a 13. 21 (bis); 407 h 15. 19. 21. 28;
w: 402 a 26; 402 h 2. 17; 403 a 5. 409 a 10; 410 a 7. 9. 10; 410 h
14; 403 h 17 (?); 404 a 27. 30; l. 27; 411 a 3; 411 h 23. 24. 30;
404 h .5; 405 h 31; 406 a 6. 17; 413 a 7. 33; 413 b 2.5; 414 a 23;
406 h 7; 407 a 2. 5. 6; 408 a 14; 414 h lO .24. 26; 41.5 ·a 4; 415 h
408 h 19. 22. 28; 409 a 14. 17. 2.5. 26. 27; 416 b 9. 17; 417 a 9;
27; 409 h 13; 410 a l. 16 (bis); 418 a 18. 23; 418 b 1.5; 419 a 6.
410 h 6. 18. 23; 411 a 10; 411 h 21. 26. 29; 419 b 14; 420 h 6;
7. 26. 27; 412 a 17; 412 h 6. 15. 421 a 11; 421 b 30; 422 a 16.
25; 413 a 6. 13. 28. 29; 413 h 4. 17; 423 a l; 423 h 12; 424 h 7.
1.5; 414 a 18; 415 a 10; 415 h lO; 42.5 a .5. 6. 7. 13; 426 a 20;
22. 28; 416 a 3. 14. 18. 22. 24. _ 427 h 14; 428 a 17. 21; 429 a 24;
27. 3.5; 416 h 11. 1.5. 20; 417 a 27; 429 h 31; 430 a 25; 430 h 7;
3. 4. 8. 26; 417 h 8. 11; 418 a 432 a 3. 7; 432 h 16. 27. 28; 434 a
30; 418 h .5. 7; 419 a l. 15. 31; 29. 3Q&; 434 h 7 (bis); 43.5 a 3.
419 h 6. 13. 14. 28; 420 a l. 5. 13. 20; 43.5 h l. 2. 3.
6. 15. 23. 31; 420 h 14. 29. 33; oUSi"Rou: 407 a 13; 431 a 16.
421 a 4 . .5. 8; 422 h 21. 29. 34; oUSiupoc;: 407 h 33; 434 h 6.
423 h 16; 424 a 26; 424 h 14. ouSt-dpwc;: 408 a 9.
1.5; 425 a 1.5 (?). 28; 42.5 h 2. 5. oùx: 403 a 9. 12; 403 h 9; 40.5 a .5;
27; 426 8 20. 25; 426 h 26. 27; 406 a 3. 21; 407 a 28; 407 h 34;
427 a 7; 427 h 6. 1.5; 428 a 9. 408 h .5. 26; 409 h 28; 410 h 24;
10. 11. 24. 29; 428 h 21; 429 a 411 h 11. 23; 412 a 7. 13. 17;
31; 429 h 8; 430 a 22. 23; 430 h 412 h 14; 413 a 4. 5; 413 h 28;
4. 11. 18. 27. 28; 431 a 5. 29; 414 a 21; 41.5 a 2. 7; 41.5 h 6;
431 h 14. 16. 19. 29 (bis); 432 8 416 h 9; 417 a 6. 7; 417 h 2. 6.
24; 432 h 24. 31; 433 a 2. 6. 7. 24; 418 a 1.5; 418 b 20; 419 a 13;
12. 20. 23. 29; 433 h 12; 434 a 419 h 19; 420 a 12. 13. 18; 420
2. 16. 21; 434 h 6. 16. 20. 2.5. h 9; 421 a .5. 9. 12; 421 h 1.5.
26; 43.5 8 22; 435 h 8. 18. 20. 20.; 26; 422 a 4. 13. 24; 422 h 33;
oU, ~6: 41.5 h 2. 21. 423 a 4. 24 (bis); 423 h 4. 2.5;

Baruch_in_libris
INDICI 47.3

424 a 3. 33; 424 h 22; 42.5 a 28; 28. 29; 434 h 20 (bis); 43.5 h 3
42.5 h 29; 426 8 .5. 10. 19. 22; 426 (bis) . .5. 6.
h 1.5; 427 h 16 (bis). 20; 428 a '· oVToc;: 402 a 3. 16; 402 h 11. 1.5;
20. 27; 428 h 11; 429 a 4; 429 h 403 a .5. 8. 9. 14 (?). 18. 23. 27;
.5. 12. 14; 430 a 26; 430 h 30; 403 h l. 3. 6. 7. 24. 28; 404 a .5 .
432 a 13; 433 a 4. 27; 433 h 28; 16. 19 (bis). 22. 24; 404 h 8. 9.
434 a 11. 12. 27; 434 h l. 32. 33; 10. 11. 12. 27; 40.5 a l. 3. 6. 9.
435 a 2.5; 43.5 h 3. 10. 22. 23. 24. 29. 31;405 h .5.
ovxi"tt.: 412 h 21. 7. 9. 12. 26. 27. 30; 406 a 9. 13.
OUxOU'J: 430 h 10. 1.5. 19. 24. 2.5. 28. 29. 31. 32; 406
ovv: 403 a 10; 403 h 7; 404 h 7; h l. 3. 4. 7. 23; 407 a 6. 8. 12.
40.5 h 17. 29; 406 a 3; 407 a 2. 13. 20; 407 h 10. 13. 14. 17. 19.
13. 21. 26; 408 a 9. 12. 16. 20. 34; 408 a l. 19. 23. 24. 26. 32;
24. 29; 408 h 30; 409 a 21; 409 408 h 3. 7. 9. 1.5. 27. 31; 409 a
h 30; 410 a 7. 17 (bis); 411 a 22. 19; 409 h 11. 12. 1.5. 22. 28. 29.
24; 411 h 6. 9; 412 a 23; 412 h 30; 410 a 2. 9. 10. 17. 22; 410 h
10. 28; 413 a 4. 9. 20; 413 h l; 14. 20. 24. 27. 30; 411 a l. 9.
414 a 27; 414 h 20; 41.5 a 12; 11 (bis). 17; 411 h l. 4. 17. 28.
415 h 3. 12; 416 a 27; 416 h 30; 29. 30; 412 a 7. 9. 10. 12 (bis).
417 a 6. 14. 30; 417 h 9; 418 a 22; 412 h 11. 13. 14. 19; 413 a
5. 17. 26; 418 h 13; 419 a 7. 19. 22. 31. 32; 413 h l. 10. 12 (bis).
22; 420 a 3; 420 h .5; 421 a 6; 13. 15. 24. 26. 28. 32. 33 (bis);
421 h 25. 32; 422 a 16; 423 a 19; 414 a 6. 8. 12. 16. 18. 19. 21. 28;
414 h l. 4. 5. 6. 8. 13. 17. 26;
423 h l. 27; 424 a 1.5. 2.5; 424 h
415 a 9. 11. 12. 13. 14. 20; 415 h
14. 16; 426 a 6; 426 h 8. 22; 427
8. 14. 17. 23. 28; 416 a 6. 8. 13.
a 2. 11. 13. 1.5; 427 h 6; 428 a 17. 21. 28. 35; 416 h 2. 14. 22 .
.5; 428 h l. 5. 30; 429 a 8; 429 h 32; 417 a l. 6. 26; 417 h 23. 25.
15; 430 a 26; 430 h 4; 431 a 8; 28; 418 a 15. 22. 23. 26. 29; 418
431 h 2. 24; 432 h 14. 21; 433 a h l. 8. 9. 10. 13. 20. 23; 419 a
26. 31; 433 h 27. 30; 434 a .5. 4. 6. 7. 9. 12. 14. 1.5. 17. 24 (bis).
22. 32; 434 h 22. 28. 35; 419 h 3. 8. 21. 34; 420 a
ovp(lv6;: 405 h l; 407 a 2; 407 h 6; 8. 11. 13. 18. 22. 29; 420 h 9. 11.
419 a 17. 1.5. 16. 24 (bis). 28; 421 a l. 3.
ouc;: 420 a 9. 13. 16. 17. 4. 9. 19. 24. 32; 421 h 12. 27;
oùa-,(1: 402 a 8. 13. 14. 24; 402 h 18. 422 a 3. 5. 8. 11. 21. 22. 30; 422 h
24; 405 h 32; 406 a 17; 406 h 7. 6. 13. 14. 21. 28; 423 a 4. 12. 14.
14. 15; 407 h l. 7; 408 h 19; 410 22. 24. 28; 423 h 8; 424 a 5. 28.
a 17. 20. 21; 412 a 6. 11. 15. 16. 31; 424 h 23; 425 a 3. 5. 8. 16.
19. 21; 412 h 10. 13. 19; 414 a 21. 22. 26; 42.5 h 7. 17; 426 a 20.
15; 415 h 11. 12. 13; 416 h 13. 24. 30; 426 h 12; 427 a 16. 20.
14. 16; 418 a 2.5; 430 a 18. 25. 26; 427 h 2. 4. 11 (bis). 15.
OVtE: 403 h 17 (?); 405 h 22 (bis); 16. 17. 26. 28; 428 a 3. 7. 14. 27;
407 h 6. 8; 408 a 29. 30; 408 h 428 h 9 (bis). 11. 14. 15. 17. 20.
28 (bis); 410 h 18; 411 a 6. 7. 24. 21. 27; 429 a l. 16. 19. 22; 429 h
25; 414 h 21. 22; 415 a 5 (bis). 7; 430 a 11. 14. 17. 23 (bis). 24.
6; 416 a 2; 418 h 14 (bis). 17; 25. 26. 30; 430 h 6. 17. 19; 431 a
421 h 15. 16; 423 h 21 (bis); 424 6. 12 (?). 18. 22; 431 h 23. 27
h 10 (ter); 426 a 21 (bis); 426 b (?); 432 a 7. 13. 22. 27. 28; 432 b
17; 428 h 9 (bis). 15 (bis); 429 a l. 3. 5. 12. 16. 19; 433 a 6. 9.
28 (bis); 429 h 2. 3; 431 a 13 13. 16. 17. 19. 28; 433 h 3. .5.
(bis); 432 a 7. 30 (bis); 434 a 27. 11. 19. 29; 434 a 2. 3. 5. 10. 11.

Baruch_in_libris
474 INDICI

13 (bis). 19. 2.5. 29. 3<>-; 434 b 403 b 10. 12. 1.5. li; 408 a 4;
2. 11 (bis). 17. 22. 27; 43.5 a 3. 408 b 26; 409 b 1.5; 419 a 33;
8. 18. 19. 24; 43.5 b l. 2. 4 . .5. 7 424 b 2.5; 42.5 a 12; 426 a 2;
(bis). 16. 19. 427 b 18; 429 a 7; 432 a 6.
o~: 40.5 b 30; 406 b 24; 407 a 9; 1ttttt;: 417 b 30.
407 b 8; 408 a 8; 410 b 26; 411 b 1tciÀ.&.v: 402 b 14; 406 b 4; 407 a l.
13; 412 b 28; 413 a 13; 414 a 2.5; 28. 30; 411 b 10. 12; 412 a 4;
41.5 b 19; 416 a l; 419 a 34; 420 b 413 a 13; 41.5 a 3; 419 b 27;
20; 421 a 13. 1.5. 27; 422 a 16. 29; 429 b 18; 431 b 21; 43.5 a 8.
422 b 33; 423 b 23; 424 a 9. 12; 1tcill1t«v: 424 a 13.
42.5 a 21; 426 a 10. 17; 426 b 19. 1tciJl1tOÀ.uc;: 433 b 2.
22. 2.5. 28; 427 b 29; 429 a 17; 1tciv, "t6: 404 a 26; 40.5 a 19; 406 b
429 b 11. 22; 430 a 30; 431 a 22; 30; 407 a 3; 411 a 23; 416 a 3.
431 b 1.5; 43.5 a l. r.«VCT1tEPJ.L!«: 404 a 4.
o\nwc;: 403 a 14. 22. 24; 403 b 17; "Ktt'V'fù:J)t;: 404 a 20.
404 b 12. 28; 407 b 11; 411 a 2; "K«V'ftl.Wt;: 404 a 27; 412 b l.
412 a 16; 412 b 24; 413 a 8; 413 b itciV'fn: 402 a 10; 413 a 29; 419 b 30;
6. l4. 19; 41.5 a l. 1.5. 20; 416 a 420 a .5. 6 (bis).
4; 417 a 22; 417 b 4. 31; 418 b 1tciV'fwc;: 402 a 10.
16. 21; 419 b 31; 420 a 28; 421 a 1tttpci: con il genitivo: 403 b 27; 404 a
8; 421 b 32; 422 a 1.5; 423 a 7; 16; 408 a 19;
423 b 19; 424 b 9. 31; 42.5 b 6. con l'accusativo: 407 b l; 408 a 23;
31; 430 a .5; 430 b 21. 30; 431 414 b 21. 22; 418 b 23. 24; 421 a
a 28. 23. 24; 421 b 7. 21; 424 b 17. 22;
cvx: 403 b 19; 40.5 b .5; 406 a 9; 432 a 4. 21; 433 a 10. 2.5.
406 b 24; 407 a 8. 10; 408 a 33; 1tt1pt18ÉXOJ.Lt1t.: 408 a 8.
408 b 30; 410 b 7. 30; 411 a 22; 1tt&ptdi,SwJ.Lt.: 40.5 b 29; 407 b 27; 409 b
414 a 14. 22; 41.5 b 7; 417 b 29; 19; 412 a 3.
418 a .5; 418 b 2. 30; 419 a 2. 9. 1tt1Pt1À4ll~civw: 403 b 27.
21; 419 b 31; 420 a 28; 421 b 30; 1t«pci)..oy~: 411 a 14. 1.5.
422 a 1.5; 423 b 14; 424 a 21. 23; 1tt1P«1tÀ.T}enot;: 407 b 24; 414 a 2.
42.5 a 2.5. 31; 42.5 b 20. 22; 426 a 1t«P«1tÀ.1}oiwt;: 40.5 a 29; 405 b 14;
26. 28; 426 b 22; 427 a 6. 8; 429 a 406 b 17; 414 b 28.
29; 429 b 4; 430 a 7. 22; 430 b 1tt1Pt1CTXEv4Z;w: 416 b 19.
16; 431 a 13; 432 b 1.5; 434 a 20; 1taç«x~iw: 410 b 2.5.
434 b 3 . .5. 10 (bis). 23; 43.5 a 11. 1ttipEt.J.Lt.: 427 a 23 (Emp.); 428 a 8;
8cp~)..~: 410 a 7. 428 b 27. 28; 431 b 8.
&pf«À.ll6t;: 412 b 18. 19. 20. 21; 413 a 1tt1PEJ.LCP«LVW: 429 a 20.
2; 419 a .5; 42.5 a 11. 1t(l(JÉXW: 404 a 9. 11.
8~: 412 b 19. 20; 413 a l. 3; 41.5 a 1tt1Pta'"t«J.L«t.: 427 a 2.5 (Emp.) .
.5; 418 a 13. 20. 26; 419 a 13; 422 a 1tt1PO~Uvw: 403 a 20.
20. 21. 2.5; 422 b 24; 423 a 9; 423 b 1tttpOuoVz: 418 b 16. 20.
18; 424 a 11; 424 b 23; 42.5 a 22; 1tcic;: 402 a 14; 402 b 24. 2.5; 403 a
42.5 b 7. 13. 14. 16. 18. 20. 21; 3. 16. 28; 404 a 6. 22. 23; 404 b
426 a 13. 21; 426 b l. 11; 428 a 5. 6. 12; 40.5 a 16. 22. 32; 40.5 b
6; 429 a 3; 434 b 1.5; 43.5 a 6. 8; 3. 8. 10 (bis). 11. 16 (bis); 406 a
43.5 b 21. 4. 14. 16; 406 b 12. 22; 407 a
24. 25. 30; 408 a l. 16. 17; 408 b
itcitlliJ.«: 403 a 11. 16 (?). 20. 3; 409 a 27; 409 b 2 . .5; 410 a 16.
~~~: 426 a 10. 22; 410 b 4. 6. 7. 8. 9. 10. 16. 18.
1t«tr)"tr.x6<;: 424 b 14; 430 a 24. 19. 27; 411 a l. 8; 411 b l. 4.
1tti&ot;: 402 a 9; 403 a 3. 16. 24. 2.5; 16; 412 a 1.5; 412 b 4; 413 a 26;

Baruch_in_libris
INDICI 47S

413 h 5. 6. 8; 414 a 3. 30; 414 h 415 h 25; 416 a 20; 416 h 31. 32;
3. 8. 23; 415 a 9. 10; 415 h l. 417 a 2. 21. 22; 417 h 28; 418 a
13. 18. 22; 416 a 3. 16. 22 (bis). 2. 7. 15; 418 h 3; 419 a 25. 30;
24. 34; 416 h 28. 29. 32; 417 a 419 h 3. 4; 420 h 5; 421 a 7;
17; 418 a 11. 19. 31; 418 h 2; 422 h 17 (bis); 423 h 29 (bis);
419 a l; 420 a 10. 23; 420 h 14. 424 a 17; 426 a 26; 427 a 14. 29;
29; 421 h 13. 18; 422 h 9. 23; 427 h 26. 27. 29 (bis); 428 h 2;
423 a 22; 423 h l. 7; 424 a 17; 429 a 8. 10; 431 h 20; 432 a 17.
424 h 14. 24. 25; 425 a 6. 9. 17; 18. 28; 432 h 7. 11. 13. 28; 433 h
425 h 8; 427 a 26; 427 h 3. 8. 20. 31; 435 a 5;
12; 428 a 9. 22; 429 a 18; 429 h con l'accusativo: 402 a 8. 12. 17.
12; 430 a 11. 12. 14. 15; 430 h 18; 403 a 31; 403 h 7. 8. 9. 11;
4. 20. 27 (bis); 431 a 3; 431 h 21; 404 a 31; 413 h 19; 414 a 2; 418
432 a20. 30; 432 h l. 4. 10; 433 a a 12; 420 h l. 26; 421 a 16; 422 h
15. 26. 29; 433 b 11. 25. 29; 434 a 32; 423 a 2; 428 a 13; 428 h 24;
22. 26. 31. 33; 435 a 14. 15. 21; 429 h 22; 430 a 26.
435 h 15. 1tEPr.ixo'V: 404 a 10; 411 a 19; 418 h
1tfiaxw: 403 a 6. 18; 407 h 18; 408 h 22.
23; 410 a 25; 410 h 27; 411 h 3; 'JtEpLXtip'Jtt.O'V: 412 h 2 (bis).
414 a 11; 416 a 34; 416 h 33. 35; 1tEPt.~U'VW: 423 a 3.
417 a 2. 15. 17. 19. 20 (bis); 417 h 1tçt.q)ipw: 408 a 30.
2. 14; 418 a 3. 5 (bis). 23; 419 a 1tEPf.CPOPti: 407 a 21 (bis). 22. 23. 30.
17; 422 h 2; 424 a l. 14. 23. 34; 31.
424 h 3. 7. 13. 15. 16. 17. 18; 1tEPt.CPUw: 423 a 7.
426 a 5. 10; 427 a 9; 428 h 17; 1tiffw: 416 a 33; 416 h 5. 7. 28.
429 a 14; 429 h 25. 26. 29; 430 a dcpux«: 402 h 11; 406 h 21; 411 h
13. 19; 431 a 5; 434 h 29; 435 a 7; 413 a 5; 414 a 26; 418 a 25;
5. 7. 422 a 28; 434 h 2.
1ta~fiaeTW: 420 a 24; 423 h 16. 'Jti~: 416 h 29.
'JtE~~: 419 h l; 420 h 25. 1t11-rWw: 404 a 15.
1tdfw: 40' h 3; 428 a 23. 1t1')5tilt.OV: 416 h 26.
1tEt.IW: 428 a 23. 1t1}P6w: 425 a 10.
1tEt'Va: 414 h 11. 12. 'Jt'i)pwJ~«: 415 a 27; 432 h 22. 24.
1tEI.P4~iov: 413 a 12. 'Jtt.it«Wc;: 407 h 27.
1tEt.ptiw: 408 a 4; 412 a 4; 421 h 19. 1tt.xp6c;: 421 a 27; 422 h 8. 12. 25;
1ttMxuc;: 412 b 12. 13. 14. 15. 425 h l; 426 h 2. 11; 427 a l.
1tME: 424 h 22. 1tt.a'UVw: 424 h 24; 428 a 21; 428 h 4.
1tEP: 434 a 23; 435 a 7. 1t(crt-.c;: 402 a 11; 428 a 20. 21. 22.
1tEPC1LVW: 407 a 31. 23.
1tip~: 407 a 24; 416 a 17; 427 a 13; 1tÀ.tiVI}: 402 a 21.
435 a 10. 1tÀ.ti~oc;: 404 h 21.
1tEPa~6w: 407 a 28. 1tÀ.d.~~w: 406 a 27; 411 h 18.
1tEp(: con genitivo: 402 a 3. 11. 14; ID.ci~W'V: 404 h 16.
402 b 4 (bis). 23. 24; 403 a l. 28; 1tÀ.Etcrfoc;: 402 h 24; 403 a 6; 407 h
403 b 13. 20. 21. 22. 28; 404 a 14; 413 a 14; 435 a 4.
19; 404 b l. 19. 30; 405 a 2. 1tldw": 404 h 10; 405 a 3; 405 h 18.
30; 405 h 29. 31; 406 a 11. 24. 19; 406 a 14; 410 b 3. 9; 411 b 4;
30; 407 b 14. 20. 27; 408 a 34; 413 h 19; 418 a 14; 420 h 19. 24;
410 a 13; 410 h 18. 26. 27; 411 h 422 h 18. 19 (bis). 29; 423 a 16.
14; 412 a 3; 413 a 10. 13; 413 h 17; 424 b 31. 34; 425 h 4; 427 h
15. 24; 414 h 14. 16. 28; 415 a 2; 428 a 12; 431 a 20; 433 h 13;
11. 12. 13. 14. 15. 16. 21. 22. 23; 434 a 9.

Baruch_in_libris
476 INDICI

"KÀlov (avverbio): 433 b 4. "Kol~: 402 a 12. 20; 402 b 9; 403 a


"KlEovt~.xWt;: 412 b 8; 413 a 22. 13; 405 8 29; 407 b '· 28; 408 8
1tlEu~: 420 b 24 (?). 11. 16; 409 a 9; 409 b 4. 13. 26.
1:À.'IJY1i: 419 b 10. 13. 14. 17. 20; 28; 410 8 27; 410 b 4. 24; 41.5 8
420 b 27; 43.5 b 11. 5; 416 a 24; 418 b 6; 419 b 16;
"Klii&oc;: 40.5 a 2. 420 a 31 (bis); 420 b 3. · 9; 421 a
"Kli)v: 40.5 a 1.5; 40.5 b 8. 9. 14; 406 b 10. 21 (bis); 422 b 26; 428 a 22;
8; 409 a 21; 412 b 21; 421 a 1.5; 428 b 16; 429 a .5; 429 b 11; 430 8
429 a 28; 432 a 10; 432 b 22; 43.5 a 29 (Emp.); 432 b 2. 12. 19; 433 a
l; 43.5 b 7. 10; 435 a l.
"Kliwrl~: 411 a 8; 422 b 9. 1tCçEifL: 432 h 26.
"T.).:i)"t-rw: 419 b 1.5. 21. 22; 420 a l; 1tOPNnXéM;: 432 h 14; 434 a 33; 434 b
423 b 1.5. 16. 17. 2.5.
1tlivtoc;: 403 b 6. "K6Poc: 422 a 3.
r.lotov: 406 a 7; 413 a 9. néppw: 428 b 29; 435 a 4.
~lw-n'Jp: 406 a 6. 10; 413 a 9. r.éppwtEv: 421 b 12. 16; 423 b 6.
~vJ.L«: 420 b 20; 421 b 1.5. .,.;6ao~: 402 b 20; 404 b 31; 432 a 23.
'JtVEUJ.LWV: 420 b 24. 1toa6c;: 402 a 24; 409 a 13. 15; 410 a
'K03t.ttto~: 428 b 3. 14. 20. 21 (bis); 416 a 25; 416 b
1tot.iw: 403 a 7; 404 a 16. 29; 404 b 12; 430 b 14. 20•.
10. 17. 31; 40.5 b 14. 19. 23; 406 b 7tC"tÉ: 403 a 19; 407 a 4; 408 a 2.5;
18. 23 (bis); 407 b 10. 18; 409 a 410 h 10. 12; 411 b 6; 418 h 22;
4; 410 h 22; 411 a 3. 10; 411 b 424 a 29. 33; 429 a 13; 432 a 19.
2. 9; 413 b 33; 41.5 a 14. 28; 1tO"tq)OV: 402 a 19. 24. 2.5;. 402. b l.
41.5 b 16; 417 a 2. 4; 419 a 3. 2 . .5. 9. 11; 403 a 3; 403 b 7; 407 a
26. 30; 419 b 10. 14. 17. 32. 34; 11; 408 a 20. 21. 23; 410 a 1.5;
422 a .5. 17; 423 a 3; 423 b 14; 411 a 30; 411 b 3. 11; 413 b 13.
424 a l. 2; 424 b 6 (bis). 10. 12. 14; 416 b 3; 420 a 19; 422 b 19.
14; 425 b 10; 426 a 2 (?). 10; 20. 34; 423 b l; 428 a 15; 432 a
427 b 19; 428 b 16; 429 b 26. 19. 21; 434 a l. 7.
29; 430 a 12. 15. 16. 19; 430 b 'KC"téc;: 422 a 14. 31. 34.
6. 18; 431 a 5. 18; 432 b 21; r.cu: 418 a 16 (bis).
433 a 5; 434 a 10. 31; 434 b 20. -::cv: 409 a 7.
30. 31; 435 a 5. 16. 1:ov~: 406 a 9.
7tO~T)a~: 426 a 2. 9. r.piyJ,L«: 403 b 2; 404 b 18. 26. 27;
1tOt.1}"tÉov: 425 b 17. 409 b 27; 413 a 20; 421 b l; 428 b
1tct.1}"tt.x~: 414 a 11; 416 b 15; 417 a 6. 8; 429 b 22; 430 a 20; 431 a l;
18; 417 b 20; 422 b 16; 426 a 4; 431 h 17. 25; 432 a 3.
430 a 12. 1tPtlYJ.la~EUOJ.Ltlt.: 402 a 18.
1totcc;: 402 b 11; 406 a 26; 407 b 20; 1tP«X"tLX~: 407 a 23; 433 a 14. 16.
408 h 11; 411 b 18; 414 a 24; 421 18.
a 8. 7tçu"tlc;: 432 b 27; 433 a· 29 (bis);
r.c!.éc;: 402 a 24; 410 a 14. 20; 429 a 433 h 16.
25. r.p~~= 41.5 a 19; 431 b 10 (bis);
431 b 6.
'itOltJ.Lt.Oc;: 433 a 17.
1toÀMx~: 407 a 14. 31. 32; 417 a 31; "KP«~: 403 a 17.
432 b 30. ?tP~"t"tW: 415 b l. 2; 429 a .5; 433 8
1CCÀÀ«XOV: 404 b l. 3. 8; 434 a 7. 18.
1toÀ).4xwc;: 408 a 11; 410 a 13; 415 b 'Kp~Vn)<;: 408 b 21.
9. 1tptv: 429 a 24; 429 h 8. 31.
"itclu: 408 h 32. 1tp6: 427 b 18.
r.eì-ur.upi)c;: 411 b 11. -::pott!r;1}CT~: 406 h 25.

Baruch_in_libris
INDICI 477

1tPcrrMlç: 403 b 27; 410 b 14 Du&ttyopi.X6c;: 407 h 22.


r.po~u~-rll;w: 422 b 7. ~ijp: 404 a l. 2; 404 b 14 (bis; Emp.);
~p6tt.v.t.: 411 b 13. 405 a 5. 13; 405 b 18; 406 a 28;
r-poipxov.«t.: 403 b 21; 418 a 28. 411 a 10. 15; 416 a 2. 6. 9. 15.
1rp6c; (avverbio): 41 O a 29. 18. 27 (bis); 417 a 4. 9; 418 h 12.
~péc;: con il dativo: 408 a 26; 414 b 14. 16; 419 a 23; 425 a 5; 431 b 5.
17; 416 a 6; 432 b 3; ~Upt.voc;: 435 a 12.
con l'accusativo: 402 a 5. 6; 402 b ~~c;: 419 a 3.
17. 20. 22; 405 b 12; 406 b 28; 'KW: 413 h 25.
407 b 19; 409 a 20; 412 b 24 (bis); ~Wc: 405 b 21; 406 h 23; 407 a 10.
416 a 21; 416 b 11; 417 b 5; 418 a 18; 407 b 16; 408 a 12; 408 b 11;
25; 419 h 10. 12. 20 (bis); 420 a 409 a l. 2. 19. 28; 409 b 23; 410 a
9. 12; 420 h 20. 22. 28; 421 a l. 17; 411 h 18; 417 a l; 418 a 2;
17; 421 b 12. 27. 28; 422 b 28; 429 a 13; 429 b 24; 430 h 22;
423 a 30 (bis); 423 b 18. 19; 424 a 431 a 24; 431 b 23; 432 a 23;
6; ·426 b 13; 427 a 23 (Emp.); 429 a 434 a 4; 434 b l.
17 (bis); 429 b 17; 430 a 13; 431 a ~w;: 403 b 17 (?); 407 a 27; 416 a
11. 23 (bis). 26 (bis). 27; 431 b 8; 14; 417 b 23; 424 a 11; 427 a 3;
432 b 18. 429 b 8. 30; 430 h 23; 431 b 21.
1:tJOCTtL"'fCPEVw: 416 b 24. 23.
1':poay(vo1J4t.: 416 b 3.
~pocr8t.opttw: 407 b 16. 21; 414 a 23.
'I:POO"EWOiW: 430 b l. ~(j8t.oc;: 403 a '; 406 a 27; 407 a 34;
..:poai-n: 407 h 3. 409 b 18.
,;poai)xw: 410 h 2; 411 b 16. ~t~Blwc;: 432 a 31.
~pocrl«v.a«~: 407 a 29. ~«~~w: 419 b 23.
,;po~ltr}v.t.: 415 b 28. ~l.w: 405 a 27.
1:poO'cpw: 423 a 16. ~ll;«: 412 b 3; 416 a 4.
1':p6upov: 402 b 10. 12. 14. 15; 405 a ~ucrp,6c;: 404 a 7.
14; 406 a 3; 409 b 17; 412 a 3;
414 a 22; 415 a 18; 423 b 8. 29;
426 a 20; 428 a 16; 429 b 30; 431 a O"tipç: 408 a 15. 25; 409 h 32; 422 b
21. 21; 423 a l. 2. 14. 19; 423 h 17.
,;po-rçoc;: 403 h 21; 412 a 26; 414 h 25. 26; 426 b 15; 429 b 12. 13
30; 415 a 18. 20; 430 a 21; 431 a 2. (bis). 16. 17; 431 b 15.
r.po-rltr}v.l.: 403 b 24. O"tLqri)c;: 413 a 12; 419 b 28.
,;pw-rov: 402 a 23; 405 h 31; 407 a cn(w: 420 a 26.
2; 413 b 4; 415 a 21. 23; 415 b cnlTJVTl: 405 b l.
21; 416 a 20; 416 h 4; 417 a 14; O'l)IJ.tLLVW: 410 a 14; 435 b 24. 25.
418 a 8; 418 b 3; 419 h 4; 42' b O'T}lJ.tLVTt.X6c;: 420 b 32.
19. O'l)v.Etov: 403 a 19 (?); 419 a 11.;
~pw-rcc;: 402 a 4; 403 h 16; 404 b 420 a 15; 421 a l. 23; 422 b 5;
20; 405 a 4. 10. 23; 405 h 5; 408 b 423 a l; 424 a 20. 21; 427 a 12;
34; 410 h 15; 412 a 27; 412 b 5; 432 b 24; 435 a 9.
415 a 24; 416 b 22. 25; 417 a 30; tri)~w: 411 b 9.
417 b 17; 419 b 17; 420 h 26; O"t.yi): 422 a 23.
422 b 7. 22; 423 b 31; 424 a 24; cn51)poc;: 405 a 21; 424 a 19.
425 b 17; 428 b 27; 432 a 12; 433 b cnv.6c;: 429 b 14. 19; 431 b 13 (bis).
11; 434 h 32. axi~«O'v.«: 403 b 4; 412 h 2.
-z:pW-rwc;: 403 h 29; 405 a 7; 413 b 2; crxE~uov: 402 b l; 415 a l; 429 a 12;
414 a 13. 431 b 19; 432 a 19; 432 b 14;
ll!J~tLPOPE~Ot.: 404 a 17. 433 b 31.

Baruch_in_libris
478 INDICI

~: 407 b 12; 413 a 21; 41.5 a 14. truJ.LPcU.ì.w: 402 a .5; 402 b 21; 414 b
axt.ti: 419 b 32. 10.
axl1lP6c: 422 b 27; 423 b 4; 424 a 3; CNJ.L~EPT)x6c;: 402 a 1.5; 402 b 18. 21.
43.5 b 14. 23. 26; 406 a 14. 17. 19; 406 b .5.
ax).1}P6crczp~: 421 a 2.5. 8. 14; 407 b 7; 408 a 31; 409 b
axl1}P6cp&«lJ.Lo<;: 421 a 13; 421 b 28. 14; 414 b 9; 416 b 11; 417 a 6;
30. 418 a 9. 20. 21; 42.5 a 1.5. 25. 28.
C1X~Et.~: 418 b 29. 30; 426 b 26; 428 b 2. 23; 430 b
O"X6~o<;: 418 b 11. 18 (bis). 31; 419 a 16; 43.5 h 10.
3. 23; 419 b 30; 422 a 21. 23; CNJ.L~t&Ptù4J.LP6.vw: 403 b 22.
424 b 10; 42.5 b 21. CNJ.L~tiaxw: 427 b 22.
O"XwlT)~: 428 a 11. CNJ.L~trJClO'J.L«: 407 a 27; 413 a 16. 18.
crnt(JJ.L«: 412 b 27. CNJ.L~(~""tw: 42.5 a 23.
crnm~: 419 b 6. CNJ.L~lixw: 404 b 29; 406 h 28; 409 b
CT"ftiat.c;: 412 b 17; 413 a 24; 425 a 11.
16. CNJ.L~lox'li: 428 a 2.5. 29; 432 a 11.
crfEP~: 404 b 24; 418 b 7; 419 b 7. aUJ.L~~wJ.L«: 434 a 32.
20; 423 a 13. CNJ.LCP«vf)c;: 40.5 b 22.
CT"fapiw: 416 b 19. auJ.LCPu'lic;: 420 a 4. 12; 423 a .5.
crfiPTitne: 418 b 19; 430 b 21. aUJ.LCPU'tOc;: 406 h 30.
CJ'nP1)""tt.X6<: 417 b 1.5. CNJ.LCPWvtu: 424 a 31; 426 a 27. 29;
CT"fEpiaxw: 43.5 b 4. 426 h 6.
""YJ.L11: 403 a 14; 407 a 12. 13; 409 a aUJ.LCP(a)V~: 406 h 31.
4. 6. 12. 22. 23. 2.5. 26. 27. 29. auvtiyw: 404 a 10. 1.5.
30; 409 b 4 . .5. 7; 427 a 10; 430 b O'\Jwd-n.ov: 416 a 14.
20. auvt~vdpyw: 404 a 1.5.
no~txdov: 404 a .5; 404 b 11. 17. 2.5; 0'\Mi~~= 406 h 32; 407 h 1.5.
40.5 a 6; 40.5 b 8. 10. 13. 14. 17; auvçJ.L6tw: 408 a 8.
406 b 28; 408 a 1.5. 17; 409 b 24; auvSoxiw: 407 h .5.
410 a 2. 7. 17. 19. 21. 28; 410 b aUvacn.c;: 410 h 3.
6. 8 (bis). 11. 1.5. 17. 22; 411 a c:nMCptlxw: 406 h 21.
3. 2.5; 416 a 11; 417 a .5; 423 b cruvixEt.tL: 41.5 b 3; 420 a 3.
28. 29; 43.5 a 20; 43.5 b 3. O'UV!X'lic;: 407 a 7. 9. 10; 409 a 14;
nl>Jl(l: 412 b 3. 419 a 14; 419 h 3.5; 425 a 19;
nopyi}: 404 h 1.5 (bis; Emp.). 429 h 19; 430 h 19.
Ci~Pt&'n)yiw: 417 h 31. cruvixw: 410 h 12; 411 h 6. 8. 13.
CT"fpuq)'J6(: 422 h 13. 16. 17. 18; 416 a 6.
ero: 426 h 19. auwxWc;: 404 a 19; 40.5 a 32.
cnrrrMJc;: 408 a 8. aWhO"t.c;: 407 h 31. 33; 408 a 7. 10.
cruyucpt&À4..&.l: 431 h 20. 11. 12; 410 a 2. 8; 430 a 27;
aulloyt#p.6c;: 407 a 27. 34; 434 a 11. 430 h 2.
auJ,LP«(vw: 402 a 8; 402 h 26; 403 a O'Wh""t~: 410 a l; 412 a 16.
13. 20. 23; 407 h 13; 408 a 16; CNWrn}J.Lt.: 40.5 a 26; 40.5 h 16. 24;
408 h 9. 21. 34; 409 a 1.5. 31; 406 h 28; 410 a 19; 416 a 16;
409 h 7. 12. 2.5; 410 a 22; 410 h 423 a 13.
4. 30; 411 a 13; 413 h 10. 20; auvxdp.ca: 407 h 31.
414 a 2; 41.5 h 29; 416 h 34; crovolov: 409 b 31.
418 a 22; 419 h 28; 420 a 13; CNVTrJX~6c: 422 a 19.
420 h 3; 423 h 17. 23; 42.5 a 26; ~~J.Lt.: 430 a 30. 31; 430 h l. 3 ..
426 a 2.5 (bis); 428 b 4. 18. 20 crupp~60J.L(U: 41.5 b 29.
(bis); 429 h 7; 430 a 2; 433 h .5; ucpcdp«: 403 a 14; 406 b 21; 409 b
43.5 b 12. 9; 419 b 27; 434 a 13 (bis).

Baruch_in_libris
INDICI 479

af~KUPiov: 409 a 12. 409 b 7. 12. 22. 24; 410 a 22. 26;
acp«c.poE14-.K: 404 a 2. 6; 405 a 12. 410 b 7. 23. 30; 411 a 4. 27. 30;
aq»~~: 427 a 24 (Emp.). 411 h l. 2; 412 a 14; 413 a 25.
acp6Sp«: 421 a 31; 424 a 32; 426 h l; 27. 30; 413 h 23; 414 a 9; 414 b
429 h l. 3. l. 4. 5. 18. 20. 30; 415 h 21. 26;
acpoBpWt;: 419 h 22. 416 a 17; 416 h 33; 417 a 10. 14;
ax186v: 403 h 28; 409 b 23; 422 h 14. 417 b 15; 418 a 27; 418 b 18;
axilP~L: 404 a 2. 11; 405 a 11 (bis); 420 h 10. 18. 20. 31; 422 a 19.
412 h 7; 414 h 21 (bis). 23. 24. 28. 20. 21. 23. 26. 30; 422 h 13; 424 a
30; 418 a 18; 425 a 16. 18 (bis); 13; 424 h 7. 26; 425 a 14; 426 h
435 a 7. 23; 427 a 6. 8. 18. 28; 427 b 15;
aWl;w: 411 b 23; 416 h 14. 17. 18; 428 a 26; 429 a 10; 432 a 5. 8.
422 h 4; 426 a 17; 428 h 6; 434 h 16. 23. 29; 432 h 5. 15; 434 a 29.
14. 17. 26. 3Q-; 434 h 3. 10. 23. 24; 435 a 11;
awJ.L«: 403 a 6. 10. 15. 17. 19. 22. 435 h 2. 6.
26; 403 h 11. 14; 404 a 10; 405 a UX'TOvt.X6c;: 407 h 25.
10; 406 a 20. 29. 30. 32; 406 h l. Ux'TWV! 403 h 13; 416 h l. 2.
2. 16. 22. 27 (bis); 407 h 2. 4. 8. "Till1.0c;: 415 a 27; 432 h 23.
15. 16. 21. 23. 26. 31; 408 a 10. "TEÀiv'ttLtov: 415 a 7; 416 h 3.
17; 409 a 21. 25. 26. 27. 29. 32; 'TWvTi): 433 h 22. 23.
409 h 2. 3 (bis). 5. 7. 21; 410 a "TE>.iw: 431 a 7.
30; 411 h 7. 8. 15. 16. 17; 412 a "riMe;: 407 a 27; 413 a 30; 415 b 17;
11. 15. 16. 17. 18. 20. 21. 27; 412 h 416 h 23. 24; 432 h 21; 433 a 15;
5. 6. 11. 12. 15. 23. 25. 27; 413 a 434 h l.
2. 3. 4. 7. 8; 414 a 8. 18 (bis). 20 UIJ.VW: 431 h 24.
(ter). 21 (bis). 22. 23; 415 h 8. "TiO'C1«XPEc;: 406 a 12; 410 a 6 (Em.p.).
11. 18; 416 a 11. 28; 416 h 10. 'TE'Tp«ywvt.a&l6c;: 413 a 17. 19.
22; 418 h 9. 13. 15 (ter). 17; 422 a 'TE"Tptiywvov: 414 h 31.
9. 10; 423 a 6. 13. 15. 22. 23 (bis). -rixV1l: 407 h 26; 430 a 12.
25; 423 h 21. 27 (bis); 424 h 11. "TqvtTr)c;: 403 h 13.
14; 425 a 12. 13; 429 a 25; 429 h Tft: 409 a 31. 32; 426 a 22 (bis).
5; 433 h 20; 434 a 28. 33; 434 h "T( ia"rt.: 402 a 13. 17. 23; 402 h 17.
3. 6. 8. 9. 12 (bis). 13. 19; 43' a 22. 26; 403 a 30; 412 a 5; 412 h
11. 14. 20. 10; 413 a 17; 415 a 15; 416 h 30;
awJ.L(l"WC~: 404 h 31; 408 a 2; 410 a 418 h 3; 421 a 8; 429 a 8; 430 h
28; 427 a 27; 433 b 19. 28; 432 a 19; 432 h 8; 433 h 31.
CTWJ.L(i'T1.0V: 409 a 11. 't( iiv M'Wl&.: 412 h 11. 15; 429 h 19;
CTWp6c;: 419 h 24. 430 h 28.
C1W"M}P~: 417 h 3. -d X«'Tti -n.voc;: 430 h 26. 28.
"T!tt}J.U.: 402 a 4; 405 a 15; 405 h 18.
26; 407 h 15; 409 a 32; 409 h 26.
"T~: 413 a 9; 415 h 6; 420 h 5; 28; 410 a 26; 410 h 25; 419 a 12;
427 a 10; 433 b 28; 435 b 13. 421 b 16. 17; 423 b 22; 427 b 19;
"T«x«: 402 a 13. 432 a 31; 432 h 2; 433 a 10.
'T«XÉwc;: 419 h 22; 424 h 18. Ttp.cuoc;: 404 h 16; 406 h 26.
"Ttixoc;: 420 a 33. "T(J.Lt.Oc;: 402 a l; 404 h 4; 414 h 19;
"T«xVc;: 419 h 25; 420 a 32; 420 h 4. 430 a 18.
u: 402 a 2. 7; 403 a 18. 29; 403 h 'T~ (interrogativo): 402 a 19. 21. 23;
27; 404 a l (?); 404 h 15 (Emp.); 402 h 19 (bis); 403 h 7. 9; 404 h
405 a 6. 7. 12. 14. 17. 18. 23. 27; 30; 405 a 9; 405 h 22; 407 a 16.
406 h 30; 407 h 5. 33; 408 a 11. 18. 22; 407 h 16; 408 a 12. 25.
16. 29. 33; 408 h 3. 30; 409 a 28; 28; 409 a 2. 20. 23. 27; 409 h 9.

Baruch_in_libris
480 INDICI

22. 31. 32; 410 a lO; 410 h 7. 10. 434 a 31. 32; 434 h 18. 21. 2.5. 30;
12; 411 a 9. 12; 411 b 6. 11. 13. 43.5 a 2; 43.5 h 24. 2,. Cfr. anche
1.5; 412 a .5; 414 a l. 23; 414 b -t6ÒE "tt..
32 (bis). 33 (bis); 41.5 a 16. 17. "tJ,L~: 412 b 28.
18 (bis); 416 a 6; 417 a 2. 3; 418 a "t65& "tt.: 402 a 24; 410 a 14; 412 a
16 (bis); 418 h 13. 14; 422 h 20. 7. 8; 416 h 13.
32; 424 a 29. 33; 424 b 13. 16; "to,vvv: 42.5 b 20; 428 a 24; 434 a
42.5 b 4; 426 h 14 (?); 429 a 9. 19 (?); 43.5 b 4.
12; 430 h 10; 431 a 20 (bis). 24; "toto~: 427 a 26 (Om).
432 a 12; 432 b l. 13; 434 h .5. "tot.&r&: 412 a 16; 434 a 18. 19 (bis).
-t~ (indefinito): 402 a 11. 13 (bis). -ror.ocrò(: 403 a 26; 403 b 3. 11; 408 b
17. 19 (?). 20. 24. 26 (bis); 402 b 22; 412 b 11. 16. 27; 424 a 24;
8. 14; 403 a 4. 9. 10. 1.5 (bis). 19. 431 a 18.
26. 31; 403 b 9 (?). 13. 22. 23. 31; "tOt.OVrO~: 403 a 26. 28. 31; 403 b 4.
404 a l. 18. 26. 31; 40.5 a .5. 20. 11. 12. 14. 18; 404 a 7. 13; 40' a
21; 40.5 h 2. 9. 17. 2.5. 26; 406 a 12; 40.5 h 21. 2.5. 32; 407 a 4. 22;
2; 406 b 10. 2.5; 407 a 10. 22 (?). 407 h 12; 408 a 24; 408 h l. 9;
33; 407 h 20. 24. 27. 30. 32; 408 a 409 h 13. 14. 17; 410 a 22; 412 a
3 . .5. 18. 20. 21. 23. 34; 408 b 4. 21. 28; 412 h 1.5. 2.5; 413 a 18.
7. 9 (bis). 10. 12. 19. 23. 2.5. 29; 27; 413 h 7; 414 a 22. 28; 414 h
409 a 8. 13. 16. 19. 32; 409 b 3. 19. 28; 41.5 h 17; 416 b 17. 19;
6 (bis). 1.5; 410 a 2. 1.5. 25; 410 b 417 a 27; 418 a 17. 18. 23; 418 b
9. 10 (bis). 13. 19. 24. 2.5; 411 a 6. 12. 16. 19. 29; 420 a 33; 420 b
7. 9. 12. 19. 21; 411 h 4 (bis) . .5. 13; 421 h 3. 2.5. 31; 422 a 7;
9. 14. 17. 22. 28; 412 a 6; 412 b 422 h 9. 1.5. 27. 31. 32; 423 a 6;
4. 12; 413 a .5. 22; 413 h 1.5. 29. 423 h 31; 424 a 2. 2.5; 424 h 2.
33 (bis); 414 a 3. 8. 9. 13. 19. 32; 427 a 9; 428 a 4; 429 a 1.5.
20. 21. 27. 30; 414 h 11. 13. 19; 16; 430 a 8. 14; 431 a 11; 432 b
41.5 h 16. 24; 416 a 7. 9. 13. 3.5; 23. 29; 433 a 31; 434 a 18; 43.5 a
416 h 8. 12. 34. 3.5; 417 a 16. 23. 20. 2.5.
28; 417 h 3; 418 a 19; 418 b 4. "t6vo~: 424 a 32.
8. 13. 1.5. 16. 21; 419 a 12. 18. -t6~~= 406 a 16 (bis). 21; 406 h 2
20. 29. 33; 419 h 5. 10 (ter). 12. (?); 408 a 33; 409 a 24; 410 h
24. 32; 420 a 16. 23; 420 b .5. 11. 20; 411 a 29; 411 h 22; 413 a 24.
13. 1.5 (ter). 32 (bis); 421 a 19; 28; 413 h 3. 1.5. 22; 414 a 32;
421 h 20; 422 a 8. 11. 26. 32; 414 h 17; 41.5 a 7; 41.5 b 22;
422 h 2. 7. 22. 28; 423 a 2 (bis). 420 b 26; 427 a .5. 18; 429 a 27;
8. 9. 13. 22. 23; 423 b 14. 21. 432 a 17; 432 b 8. 13; 433 a 13;
22; 424 a l. 4. 26. 28. 33. 34; 434 h 30; 43.5 a 2.
424 b 3. 4. 6. 16. 17. 24. 26. 27; "rOCTOV"tO~: 413 h 11; 414 h 14; 417 h
42.5 a 11. 14. 18; 42.5 b 4. 10. 16. 29; 419 a 7; 429 a 9; 432 a 18.
19; 426 a l. 27. 29; 426 b 3. 14. -t6"te: 402 h 24; 406 a 10 (?); 420 a
18; 427 a 10. 20 (bis); 427 h 19. l; 42.5 b 30; 426 h .5; 428 a 15 (?);
22; 428 a l. 2. 3. 7. 27; 428 b 9. 429 h 8. 9; 430 h 12.
11. 22; 429 a 14. 1.5. 2.5. 26; 429 h 'tPCXXVTrJ~: 422 h 31.
3. 16. 23. 2.5 (bis). 28 (bis). 30; "tPE~: 40.5 h 11; 409 b 19; 41.5 h 10;
430 a 10. 1.5. 16. 28; 430 b 18. 416 h 20; 428 b 27; 432 h 6; 433 h
20b. 24; 431 a 22; 431 h 12. 13. 13; 434 a 1.5.
14. 18; 432 a 8. 19. 21 (bis). 22. "tpicpw: 413 a 30; 414 b 8; 41.5 h ~7
24 (bis). 31; 432 b 2. 1.5. 18. 22. (bis); 416 a 9. 11. 27. 29. 30. 3.5;
29 (ter). 31; 433 a l. 2 . .5. 10 (bis). 416 h 7. 9:- 10. 1.5 (bis). 16. 20.
14. 1.5. 21. 22. 26; 433 h 18. 26; 21 (ter). 22. 23. 2.5; 434 h l. 20.

Baruch_in_libris
INDICI 481

-rp!yt~vov: 402 b 20; 414 b 21. 31. 42.5 .b 24; 429 b 14. 22; 430 a 3.
-rp!1n1xu: 406 a 19. 6. 8. 10. 13. 19; 430 b 30; 432 a
-rpt-rov: 428 h 22. 10; 434 a 30.
-rpt-r~: 412 a 9; 423 a 23; 433 h 14. v~i)v: 423 ·a 3; 423 h 9.
-rpt.xWt;: 414 a 14; 418 a 8. v"Kcxpx-i): 412 a 4.
-rp6~~= 402 a 19; 404 b 16; 406 a v~d.pxw: 402 a 10; 403 b 18. 25;
23; 406 h 26; 407 a 33; 409 b 404 b 3. 6; 405 a 31; 405 b 7;
19; 410 a 12; 414 b 20; 41.5. b 406 a 2. 9. 15. 18. 20; 407 b 19;
10. 16; 416 a 26; 416 b 8; 417 a 408 h 33; 409 a 19; 409 h 6;
26; 417 b 2. 14; 420 a 20. 22; 410 b 3; 411 a 22 (bis). 25; 411 b
421 h 3; 422 a 22. 26; 423 a 29; l; 412 a 24; 413 a 33; 413 h l.
427 a 16; 430 a 16; 432 a 24. 4. 32; 414 a 12. 22. 26. 30. 32;
-rp~: 412 a 14; 412 b 4; 413 a 24. 414 b 4. 15. 17. 29; 41.5 a 4 . .5.
31; 414 b 6. 7. 10; 41.5 a 22. 23. 8. 24. 25; 415 b 22; 417 b 25;
26; 416 a 10. 20. 22. 26. 27. 29. 418 b 13; 419 a 3.5; 420 b 19.
33. 3.5; 416 b l. 3. 6~11. 12. 13. 22; 423 b 31; 425 h 10; 426 h 9;
19. 20. 23. 28. 30; 421 b 12; 434 a 427 a 12; 427 b 12. 14; 428 a 7.
2.5; 434 h 18. 19; 43.5 b 23. 10. 21. 24; 428 h 16. 23; 429 b
-ruyxtivw: 403 b 13; 407 b 19. 22. 25. 27; 430 a 7. 9. 13; 431 a 15.
23; 408 a 22; 414 a 24. 2.5; 417 a 28; 432 a 29; 432 h 9. 10; 434 8
11; 418 a 28; 419 b 14; 420 h 14; l. 2. 6. 31; 434 b 2. 26; 435 b 2.
424 b 29; 42.5 a 23; 434 b 2.5. V1tEVCXV"t!wotc;: 409 b 22.
"t1J~~= 413 a 9; 416 b 30; 424 a 16. v1te:p~tiì..ì..w: 426 a 30; 426 b 7.
-rv~-rw: 419 b 12 (bis). 24; 420 a 20 v1t!p~oì..i): 424 a 4. 14. 29; 435 b 8.
(bis). 24 (bis). 2.5; 420 b 14. 31; 13. 15. 18.
421 a l. v~voc;: 412 a 24. 2.5; 428 a 8; 429 a
8; 432 b 11.
v~6: con il genitivo: 403 a 21. 27;
\rrt.cdvw: 414 a 7.
403 b 4; 404 a 24; 406 b 6. 7 (bis).
vyt.tm"tt.X6c;: 414 a 10 (?).
10; 408 a 33; 408 b 7. 20. 31;
~yt.f%CT"t6c;: 414 a l O.
409 a 2; 409 h l. 7; 410 a 23;
\rrtEt.cx: 408 a 2; 414 a 7. 9.
410 b 29; 411 a 29; 412 a 3; 416 a
ùyt.-f}c;: 416 a 2.5.
32. 3.5 (bis); 416 h l (bis). 3.5;
ùypcxtvw: 422 b 2. 3. 4.
417 a 18 (bis). 19; 417 h 3 (bis).
ùyp6c;: 40.5 b 3; 414 h 7. 13; 422 a
4 . .5. 6. 11. 14. 34; 422 b l. 4. 6. 13. 17; 418 a 23; 418 h 12; 419 a
7. 26; 423 a 24; 423 h 29. 14. 18. 19. 24. 27. 28; 420 b 28;
,jyp6TI)c;: 422 a 18 (bis); 422 b 9.
421 h 24 (bis); 422 h 3; 423 h 14;
u&.>p: 404 b 13 (bis; Emp.); 40.5 b 2; 424 a 22. 34; 424 h 4 (bis). 7. 13.
416 a 26. 27; 418 b 6. 7; 419 8 14; 425 a 10; 428 h 10. 13. 26;
33; 419 b 18. 19. 31; 420 a 11; 429 a 2. 14; 434 h 28. 29; 435 a
421 b 9; 422 a 12; 423 a 12. 2.5. 7; 43.5 b 11;
26 (bis). 27. 28. 30 (bis). 31; 423 b con l'accusativo: 42.5 a 11.
11. 18; 424 b 30; 42.5 a l. 4 (bis). ù~oyptitpw: 413 a 10.

8; 429 b 11 (bis); 43.5 a 4; 43.5 h ù~oSE'fK: 429 h 4.


21. woxdJ.'I"oc;: 412 a 18. 19; 414 a 14;
ul6c;: 418 a 21; 42.5 a 2.5. 26 (bis). 29. 422 b 32; 42.5 h 14; 426 h 8. 10.
uì..11: 403 a 2.5 (?); 403 h l. 3. 7. 10. wolup~6.vw: 402 a l; 403 h 31; 404 a
12. 18; 410 h 11; 412 a 7. 9. 19; 8. 22; 404 b 8; 40.5 a .5. 20. 30;
412 h 8 (bis). 20; 414 a 14. 16 40.5 b 7; 408 a 12; 411 a 2. 16;
(bis). 26; 416 a 18; 416 h l; 417 a 414 a 19; 416 a 13; 427 a 27; 429
27; 422 a 11; 424 a 19; 424 h 3; a 23. ·

Baruch_in_libris
482 INDICI

u1toÀ.1}~t.c;: 427 b 16. 17. 2.5. 28; 428 b cpEux~uc6c;: 431 a 13.
3; 434 a 17. q)EVX~~: 407 b 3; 431 b 3; 432 b 28.
u~o~: 419 b 21. qn)Jl': 403 b .5. 28; 404 a l. 17; 40.5 a
u1too-~: 421 b 12. 16. 20. 2.5. 30; 40.5 b 1.5. 20; 406 a
u~çov: 413 b 10; 414 a l; 414 b 14. l; 406 b 10. 16. 18. 20; 407 b 2.5;
16; 416 b 31; 419 a 31; 419 b 3; 408 a 20; 408 b l; 409 a 4; 409 h
431 b 19; 432 b 12. l. 8; 410 a 3. 18. 23; 410 b 1.5.
ucr~çoc;: 402 b 8. 28; 411 a 8; 413 a 23; 413 b 29;
Òq)ct!vw: 408 b 13. 414 a 6; 416 a 29; 416 h 3.5; 418 a
cpe1tvw: 403 a .5; 404 a 3. 20. 29; 404 b 9; 419 b 6; 420 a 18; 427 a 1.5.
.5; 406 a 30; 406 b 24; 407 a 15; 22; 429 a 19; 429 h 24; 430 a 29;
410 b 19. 22; 411 b 19; 413 a 26; 430 b 2. 4; 431 a 8. 16.
413 b 9. 17; 414 a 24; 416 a 11. cp&civw: 419 b 23.
2.5; 418 b 24; 419 a 3. 31. 3.5; «P&«P~uc6c;: 422 a 31. 33; 424 a 1.5.
421 b 13. 23; 422 b 9; 42.5 a 10; «P&«P~6c;: 413 b 27; 41.5 a 9; 415 b 4;
427 b 3; 428 a 7. 14. 16; 428 b 430 a 2.5.
l. 2. 3; 431 a 4; 432 a 24. 27; cp&d.pw: 408 a 28; 408 b 19 (bis). 25.
433 a 9. 17. 23. 28; 433 b 8; 434 27; 421 b 23; 424 a 29; 426 a 17.
a 2. 30; 426 b 7; 434 a 33; 435 b 12.
~ct~6~: 402 a 19; 403 a 23; 408 a 13. 18.
3; 408 b 30; 411 a 24; 412 a 23; cpb!vw: 41.5 h 26; 434 a 26.
413 a 11. 32; 413 b 2.5. 28. 29; 414 «p&~: 406 a 13; 411 a 30; 412 a 15;
a 28; 41.5 b 15; 416 b 8; 419 a 8. 413 a 2.5. 27; 41.5 b 26; 432 b 9.
12; 421 a 3; 423 a 11; 424 a 28; 2.5; 434 a 25; 434 b 21.
42.5 b 20; 427 b 7. 17; 428 a 24; cp&opci: 403 b 4; 417 b 3; 434 a 23.
429 a 30; 433 b l; 434 b 23; cpt.À.Éw: 403 a 18; 408 h 26. 28.
43.5 a 12; 43.5 b 4. cpt.l(ct: 408 a 22; 430 a 30.
~ct"'ncitw: 433 b 12. ~(À.t.1t1tOc;: 406 b 17.
cp«"'nt:ttrlct: 402 b 23; 403 a 8. 9; 413 b cpt.À.ocrocp(ct: 404 h 19.
22; 414 b 16; 41.5 a 11; 420 b 32; cpt.Mcrocpoc;: 403 h 16.
42.5 b 2.5; 427 b 14. 17. (?). 23. cpÀ.i~t.ov: 422 a 3.
28. 29; 428 a l. 9. 10. 12. 18. 22. ~o~EP6c;: 403 a 23; 421 a 1.5; 427 h
24. 26. 29; 428 b 9. 11. 30; 429 a 22; 432 h 31.
l. 8; 432 a 10; 432 b 16; 433 a cpo~iw: 403 a 20. 24; 408 b 2. 8;
10. 11. 12. 20. 27; 433 b 28. 29; 432 h 31.
434 a l. 4. 6. cp6~oc;: 403 a 17; 403 b 18.
cpcivtMI-Lct: 428 a l; 431 a 1.5. 17; cpopci: 406 a 13; 406 b l. 31; 407 a
431 b 2. 4. 7; 432 a 8. 9. 12. 13. 2; 408 h 10; 410 b 23; 419 b 13;
14; 434 a 10. 434 a 15.
cpctvt~uc~: 432 a 31. cpop~uc6c;: 405 b 2.
cpticc;: 429 a 3. cppd;yi-LC1: 421 b 29.
cpd;pvy~: 420 b 23; 421 a 4. cppoviw: 417 b 8 (bis). 11; 427 a 18.
cpcio't.c;: 430 b 26; 432 a 10. 19. 21. 24 (Emp.). 28; 427 h 7;
cpciaxw: 40.5 b 4. 429 a 11.
9r&'fiov: 417 b 14. cpp6VT)~: 404 b .5; 427 b 10. 25.
cpe1W..oc;: 421 b 8; 422 a 30. 32. cpp6vt.J.LO<;: 421 a 22.
cpC1u)..wc;: 421 a 10; 422 a 28. cppux~~: 431 b 5.
cpipw: 404 a 21; 406 b 30; 407 b 6. ~u-ril: 431 a 12.
7. 10; 409 b 10; 410 b 29; 416 a cp,jllov: 412 b 2.
l. 6; 418 b 21; 419 b 24. qNcrtt.: 406 a 1.5. 21. 22. 23. 24. 2.5;
fPEUyw: 431 a 10. 16; 431 b 9; 432 b 416 a 16; 434 a 14. 32.
17. 28. 30; 433 a 2; 434 b 17. cpucruc~: 403 a 28. 29; 403 b 7. 11.

Baruch_in_libris
INDICI 483

17; 412 a 12. 13. 15. 20. 28; 412 b XP6~: 411 b 22; 420 a 31; 426 b
5. 12. 16; 415 a 26; 41' b 18. 24. 29. 31; 427 b 2; 430 a 21 (bis);
~~= 415 b 27. 430 b l. 8. 9. 12. 13. 15. 17. 18.
41)UO\OÀ.oyiw: 406 b 26. 20. 20"; 431 a 2. 3; 433 b 7.
~UO\O~: 426 a 20. XPUG'6c;: 424 a 20. 21.
~Vcn.ç: 402 a 6. 7; 403 b 25; 404 a '; XPUC1o~: 424 a 20.
405 a 4. 15; 405 b 7; 407 b 2; xpWl;w: 418 a 16.
410 b 1.5; 411 b 24; 415 b 2. 17. xpb)~: 414 b lO; 418 a 13. 15. 27.
18; 416 a l. 9; 417 b 16; 418 b 29. 31; 418 b 3. 6. 11. 26; 419 a 2.
2. 8. 31; 420 b 17; 422 a 33; 429 a 6. 8. 10. 12. 13. 19. 22. 34; 420 •
21; 430 a 10; 432 b 21; 434 a 31; 28; 421 a 9. 13. 1.5; 422 a 14. 16;
434 b l. 422 b 11. 32; 423 a 9; 424 a 22;
~u-t6v: 409 a 9; 410 b 23. 30; 411 b 424 b 4; 425 b 9. 14. 18. 19; 426.
19. 28. 29; 412 b l; 413 b 16. 19; 14; 426 b l; 429 b 2; 430 a 16. 17;
414 a 33; 414 b 33; 41.5 a 3. 29 434 b 20; 435 a 7; 43.5 b 8.
(bis); 415 b 20. 29; 416 a 4. 12; XPW'-'«"t~«a»: 42.5 b 23.
424 a 33; 432 a 29; 432 b 18; xv'-'6<: 414 b 11. 13; 418 a 13; 421 a
43.5 b l. 18. 26. 28. 29. 32; 422 a 6. 10. 17
.,M: 413 a 25. 33; 413 b 8; 434 a (bis). 30; 422 b 8. 10. 14; 423 a
26. 18. 19; 424 a 22; 424 b 12; 426 a
qMa)Ww: 420 b 6. 7. 12. 16; 421 a 2. 15. 18. 21. 31; 435 b 12.
cpwvi): 420 b '· 9. 10. 13. 22. 29 (bis). Xu-t6<: 406 b 19.
33; 422 b 29. 31; 426 a 27 (bis). XWp«: 409 a 23.
~: 418 b 2. 3 (bis). 9. 11. 14. 18. xwp(Z;w: 403 a 11. 14; 403 b 15; 409 a
20. 22. 31; 419 a l. 2. 8. 9. 11. 29; 411 b 29; 412 b 13; 413 a 31;
22. 23; 419 b 29 (bis). 30. 3.3; 413 b .5. 17. 26; 41.5 a 2; 426 b
420 a 28; 424 b 10; 42.5 b 22; 17. 23 (bis). 24; 427 a 3. 13; 430 a
429 a 4; 430 a 1.5. 16. 22. 30; 431 b 16 (bis). 18 (bis);
432 a 4. 27; 432 b 2; 433 b 2.
XblP": 430 b 11. .
x«(pw: 408 b 2. 6. XWPt.a"r6c;: 403 a 12; 403 b 10 (bis).
X«À&'Ké~: 402 a 11. 17; 402 b 10; 14. 17 (?); 411 b 26; 413 a 4;
406 b 23; 408 a 5; 411 b 18; 413 b 14. 28; 429 a 11 (bis);
413 b 15. 429 b .5. 16. 21; 430 a 17; 430 b
X«À.X~: 419 b 7. 15. 16. 32; 424 a 18. 26; 432 a 20.
21.
x(l).xcuc;: 403 a 13; 424 a 21.
x«P&: 403 a 18. ~«&up6c;: 419 b 3.5.
x«Pc.v: 407 a 24. ~«"~: 419 b 24.
x1(p: 416 b 26; 432 a l (bis). ~6-fK: 428 a 12. 1.5. 18. 19; 428 b
Xl(pw'J: 421 a 10. 2. 8 (bis). 17. 29; 430 b 27.
xtWv: 410 a 4 (Emp.). ~U&~c.: 427 b 21; 428 a 4; 428 b
x6«~: 410 a 4 (Emp.). 21. 22.
xo>.i): 425 b l. 3. ~uSoc;: 405 b 32; 428 b 19; 430 a
xop&i): 424 a 32. 27 (bis); 430 b 2. 4; 431 b 11;
XPUcJ.L«t.: 404 a 30; 405 a 14; 407 b 432 a 12.
26; 41.5 a 26; 418 a 2; 427 a 12. ~: 427 b 13.
13. ~: 418 a 16; 419 a 29; 419 b 8.
xrrll: 402 h 12; 407 b 9; 408 a 12; 12. 13. 22; 420 a 20. 23. 26; 420 b
409 a l; 415 a 16; 416 a '· 12. 14. 30; 425 b 29. 30 (bis).
XPiJcn."oc;: 402 b 17. ~: 426 a l. 7. 12.
XPO«: 424 b 34; 425 a l. ~ccp1}"t~ox6<: 420 a 3; 423 b .5; 426 a 6.

Baruch_in_libris
484 INDICI

~: 414 h 10; 418 a 13. 1.5; 418 h .WXw: 424 a 34.


27; 419 a 2.5. 27. 32; 419 h 4 . .5.
6. 9 (bis). 11. 14 (bis). 19. 28; «i», ~6:41.5 h 3. 21.
420 a 9. 17. 21. 27. 28; 420 h .5 WSt: 431 a 21.
(bis). 11. 13. 29. 32; 421 a 9; ws': 408 h 8; 426 h 31.
422 a 23. 24. 2.5; 422 h 33; 423 a Wtiw: 406 h 6; 420 b 2; 4}4 h 31
8; 424 a 23; 424 h 10. 1.5. 34; (bis). 32 (bis). 33 (bis).
42.5 h 27. 29. 31; 426 a 3. 7. 8. Wc;: 403 h 17 (?); 404 a 26. 29. 30;
18; 429 h l. 2; 434 b 19; 43.5 h 40.5 a 1.5. 31; 40.5 h 11; 406 b 16;
9. 10. 407 a l. 8 (bis). 10. 13; 408 a l.
~~6c;: 426 h 6. 34; 408 h 1.5. 31; 410 a 28; 411 a
~il: 402 a 3. 9; 402 h 2. 4. 9. 10; 24; 411 h 20. 26. 27; 412 a 7. 10.
403 a 3. 4. 10. 16. 28; 403 h 17. 11. 16. 18. 20. 22. 23 (bis); 412 h
20. 28. 29. 31; 404 a 2. 6. 8. 18. 23. 27; 413 a l; 413 h 18; 41.5 b
21. 23. 24. 2.5. 28. 31; 404 h 3. 11. 12. 1.5. 20; 416 a 4. 32; 417 a
8. 10. 12. 16. 28. 29; 40.5 a 4. 9. 13 (bis). 14. 18. 19. 23. 25; 417 h
13. 20 (bis). 23. 26. 30; 40.5 h 4. 4. 31; 418 a 3; 418 b .5. 21; 420 h
.5. 6. 11. 16. 18. 19. 24. 26. 29. 21. 31; 421 a 8. 12; 422 a 11. 1.5.
30; 406 a l. 11. 17. 21. 26; 406 h 16; 423 a 4; 423 b 17; 424 a 4;
2. 10. 13. 16. 24. 26; 407 a 2. 3; 42.5 b 22; 426 a 28 (bis); 426 h
407 h 6. 8. 10. 14. 1.5. 20. 22. 26. 3. 22; 427 a 3. 4. 14; 429 h 6. 16.
27. 33. 34; 408 a 3. 4. 14. 16. 18. 18. 21; 430 a 1.5; 430 h 13; 431 a
20. 2.5. 27 (bis). 28. 29. 33; 408 h 22. 23. 2.5. 26; 431 b 3. 9. 16;
l. 7. 12 (bis). 14. 1.5. 23. 30. 33; 432 a 4. 30. 31; 433 a 4. 10; 433 h
409 a 7. 10. 17. 18. 26. 27 (bis); 21.
409 h l. 2. 4 . .5. 13. 16. 19. 27. Wo-a,nwc;: 416 a 2; 42.5 b 22; 427 h
30; 410 a 7. 11. 16. 19; 410 h 8. 23; 431 a 18.
12. 17. 18. 21. 2.5. 27. 29; 411 a 2. Wa-..c;: 433 b 2.5; 43.5 b 10.
10. 12. 16. 17. 18. 21. 2.5. 27. 30;
411 h l. 6. 8. 10. 12. 16. 20. 2.5. wrnç: 402 a 1.5; 402 h 18; 403 a 22;
27. 28; 412 a 3. .5. 17. 19. 24. 27; 403 b 3. 19; 404 a 27; 404 h 11;
412 h 4. 6. 10. 13. 16. 19. 26; 40.5 a 14. 21; 406 a 18; 406 h 8;
413 a l. 3. 4. 8. 10; 413 h l. 8. 407 a 7; 407 b 21. 24. 29; 408 b
11. 13. 14. 18. 20. 26. 28; 414 a 20. 22; 409 a 14. 32; 409 h 17.
6. 12. 18. 20. 29; 414 h 20. 22. 27; 412 a 4; 412 b 7; 413 a 2.
9. 14. 16; 413 b .5. 16; 414 a 22;
2.5. 29. 32; 41.5 a 13. 24. 2.5; 41.5 h
41.5 h 16; 416 a 31; 416 h l. 26;
8. 9. 11. 14. 1.5. 18. 19. 20. 22.
417 h 9. 14. 18. 30; 419 a 33;
24. 2.5; 416 a 8. 1.5. 18. 19; 416 h
419 h 13. 24. 27. 31; 420 a 14.
18. 22. 2.5; 417 h 23; 420 h 28;
427 a 17. 21; 427 h 2; 429 a 10. 16. 23. 27; 420 b 3.3; 421 a 26.
31. 32; 421 b 3. 11. 27. 29; 422 a
11. 22. 23. 27; 430 a 13; 430 h
l. 6. 20. 2.5. 27. 28; 422 b 7. 10.
1.5. 20"; 431 a 14. 17; 431 h 7. 33; 423 a 7. 31; 423 b .5. 10. 1.5.
20. 21. 26. 29; 432 a l. 1.5. 19. 19; 424 a 7. 10. 14. 31; 424 h 16;
20. 23; 432 h 3. 7; 433 a 31; 42.5 a 22. 29; 426 a 9; 426 b 24;
433 h l. 20; 434 a 22. 23; 434 h 427 a 10. 19. 22. 2ì. 28; 427 h 3.
3. .5. 7. 19. 23; 429 a 14. 17. 19. 26; 429 h
~Ut~: 424 a 33. 14. 24. 29; 430 a l. 3. 10. 28;
~= 40.5 h 2.5. 28; 414 h 8. 13; 430 h 21. 26. 29; -431 a 17. ,28;
422 h 26; 423 h 28; 424 a 3. 10; 431 h 7. 13; 432 a l. 9; 433 b 26.
429 a 2.5; 429 h 1.5; 43.5 a 23; 27; 434 a 4. 6. 13; 434 h 18. 29;
43.5 h 14. 43.5 a 9. 14. 21; 43.5 b 20.

Baruch_in_libris
INDICI 48.5

~: 402 a 16; 402 b 26; 403 a n; 3. 27; 421 b 19; 422 b 1.5; 423 a
406 b 2. 12; 408 a 8; 408 b 22; 1.5; 423 b 26; 424 a l; 424 b 7.
409 a 17; 410 b l; 411 a 18; 411 b 31; 42.5 a 11. 17. 20; 42.5 b 14.
23; 412 a 1.5; 412 b 26; 413 b 17; 426 b 22. 28; 427 a 8; 429 a
14; 414 a 13; 414 b 32; 41.5 a 22; 21; 430 a 7; 431 a 27; 432 a l;
416 b 7. 10. 17; 418 b 19; 419 a 432 b 2.5; 433 a 17; 434 a 9. 1.5;
20; 419 b 12. 32; 420 a 2.5; 420 b 434 b 21. 31; 43.5 a 19; 43.5 b 16.

IX
INDICE DEI NOMI

(a) Antichi 99, 103, 215, 225, 229, 230, 231,


232, 233, 239, 240, 244, 246, 248,
Aezio: 237, 241. 249, 266, 268, 271, 302, 304, 307,
Alberto Magno: 11, 202, 204, 206, 314, 31.5, 316, 318, 330, 3.56, 363.
207, 216, 220, 222, 227, 283, 290, Dicearco di Messina: 2.58.
293, 346, 417. Diogene di Apollonia: 229, 241, 242,
Alcmeone: 229, 241, 242, 257, 322, 244, 269, 272, 274, 275, 304, 322,
330. 328, 330, 381, 426.
Alessandro di Afrodisia: 16, 61, 71, Diogene Laerzio: 1.5.
205, 217, 218, 220, 222, 2.54, 261,
283, 292, 293, 306, 308, 316, 319, Ecfanto: 232.
329, 331, 346, 347, 349, 360, 362, Egidio Romano: 202, 206, 207, 220,
363, 373, 378, 379, 380, 382, 407, 22.5, 346, 417.
417, 420, 421. Empedocle: 41, 53, 63, 69, 74, 85,
Ammonio: 209, 221, 417. 94, 22.5, 229, 234, 235, 239, 243,
Anassagora: .53, 229, 231, 232, 233, 244, 256, 2.57, 260, 268, 269, 270,
234, 239, 240, 241, 244, 304, 344, 271, 272, 274, 281, 296, 301, 302,
363, 371, 373, 377. 304, 307, 314, 31.5, 316, 317, 330,
Anassimene: 241, 303. 361, 362, 363, 384, 393.
Andronico di Rodi: 1.5, 16, 209. Eracllde Pontico: 216.
Antistene: 3741 Eraclito: 8.5, 229, 239, 240, 241, 242,
Araro: 248. 244, 2.57, 269, 272, 274, 302, 303,
Archelao: 232. 345.
Archita: 232, 32.5. Erm.ippo: 1.5.
Argyropylus, ].: 225, 373, 417. Ermotimo di Clazomene: 232, 247.
Aristofane: 248. Erodoto: 2.59.
Aristone di Ceo: 1.5. Esichio: 15.
Aristosseno di Taranto: 2.58. Eubulo: 248.
Averroè: 11, 204, 206, 209, 216, 220, Euclide: 219, 286, 3n, 384.
222, 22.5, 228, 290, 293, 346, 382,
383, 417. Filippo: 248.
Filistione: 243.
Baba, A.: 417. Filolao: 257.
Filopono: 16, 202, 203, 204, 205,
Oeobulo: 357. 206, 207, 209, 212, 213, 215, 216,
Crizia: 229, 243. 217, 218, 220, 221, 222, 223, 226,
228, 232, 236, 238, 240, 247, 2.51,.
Democrito: 53, 54, .5.5, 68, 69, 98, 2.52, 254, 257, 260, 261, 262, 26.5,

Baruch_in_libris
486 INDICI

267' 276, 283, 292, 293, 294, 300, Prisciano di Lidia: 3.56, 3.57, 422.
304, 306, 309, 31.5, 317, 319, 322, Proclo: 23.5, 422.
3.30, 331, 332, 336, 337, 342, 346, Protagora: 223, 3.56.
3.50, 3.56, 3.57' 3.58, 362, 367' 373,
374, 382, 383, 387, 390, 407, 409, Senocrate: .57, 216, 229, 232, 236, 237,
416, 426. 239, 2.50, 2.56, 258, 264, 26.5, 266,
Eudosso: 2.58. 267, 268.
Senofane: 303.
Giàmblico: 204, 421. Senofonte: 36.5.
Gorgia: 243, 3.59. Sesto Empirico: 266.
Guglielmo di Moerbeke: 416, 417. Simplicio: 16, 61, 202, 204, 206, 207,
209, 213, 216, 217, 218, 220, 221,
Ippaso: 240, 302. 223, 226, 227, 228, 236, 238, 240,
lppocrate: 304, 329, 330, 402. 247' 2.51, 2.52, 2.54, 260, 261, 274,
lppone: 229, 243, 244, 304. 283, 293, 300, 302, 328, 346, 349,
350, 3.56, 3.57, 3.58, 362, 364, 366,
Leucippo: 229, 230, 231, 241. 372, 373, 382, 383, 398, 407' 411,
416, 420.
Manuzio, A.: 16, 3.50, 41.5. Sofonla: 206, 212, 213, 216, 220, 221,
Maurus, S.: 22.5, 228, 346, 373, 417. 22.5, 228, 240, 244, 2.52, 260, 261,
293, 306, 346, 3.56, 37.5, 406, 417.
Omero: 232, 233, 2.59, 361, 362, 363, Solone: 3.57.
421. Speusippo: 216, 237, 26.5, 266.
Orfeo: 273. Stratone di Lampsaco: 258.
Sylburg, F.: 226.
Pacius, J.: 11, 202, 207, 226, 228,
2.53, 2.54, 260, 261, 283, 293, 346, Talete: 229, 239, 240, 241, 242, 243,
41.5. 274, 27.5, 303, 304, 3.57.
Paolo Veneto: 208. Temistio: 16, 76, 202, 204, 206, 207,
Parmenide: 242, 304, 330, 363, 378. 211, 213, 217, 219, 220, 221, 22.5,
Pitagorici: .53, .54, .56, 21.5, 229, 239, 228, 238, 240, 2.51, 2.53, 2.54, 2,8,
242, 24.5, 266, 290, 292, 32.5, 3.59, 2.59, 260, 261, 267, 273, 276, 283,
377. 293, 296, 297, 298, 3"04, 306, 313,
Platone: 17, 18, 23, 2.5, 27, 32, 49, 317, 318, 319, 321, 324, 331, 334,
.51, .53, .5.5, .56, .57' 61, 9.5, 103, 202, 349, 3.50, 363, 372, 373, 376, 382,
204, 214, 21.5, 216, 218, 221, 22.5, 383, 38.5, 386, 394, 396, 400, 401,
229, 232, 23.5, 236, 237' 238, 239, 403, 40.5, 407, 408, 409, 417.
244, 24.5, 246, 248, 249, 2.50, 2.51, Teofrasto: 16, 231, 236, 242, 31.5,
2.53, 2.54, 2.57, 2.58, 2.59, 262, 263, 316, 319, 382, 422
264, 26.5, 269, 272, 274, 27.5, 276, Teone di Smirne: 237, 323, 422.
280, 2~3, 284, 28.5, 289, 290, 298, Tolomeo el-Garib: 1.5. ·
301, 303, 304, 307' 310, 311, 314, Tommaso d'Aquino: 11, 76, 202, 204,
31.5, 316, 317, 319, 320, 322, 32.5, 207, 208, 210, 213, 216, 222, 227,
326, 330, 331, 334, 336, 338, 343, 283, 288, 290, 292, 294, 327' 332,
349, 3.50, 3.54, 3.56, 3.57' 3.58, 360, 346, 349, 3.50, 3.5.5, 379, 381, 382,
362, 363, 364, 36.5, 366, 367' 368, 383, 387, 417, 420, 433.
369, 370, 371, 374, 377, 378, 380, Tucidide: 391.
384, 387, 391, 394, 39.5, 397, 398,
399, 400, 401, 404, 40.5, 409, 421. Zabarclla, I.: 11, 202, 203, 204, 20.5,
Plotino: 360. 206, 20i, 208, 210, 211, 212, 219,
Plutarco di Atene: 226, 2.54, 362, 407. 220, 221, 222, 22.5, 228, 280, 293,
Porfirio: 323. 31.5, 346, 381, 382, 417.

Baruch_in_libris
INDICI 487

(b) Moderni Bekker, 1.: 16, 216, 226, 228, 252,


322, 323, 352, 358, 362, 386, 415.
Ackrill, J. L.: 59, 90, 214, 245, 278, Bergk, T.: 258, 424.
417, 422. Bernays, J.: 17, 32, 258, 424.
Adelmann, F.].: 432. Bernhart, ].: 259, 424.
Adorno, F.: 81, 422. Berti, E.: 12, 30, 31, 32, 34, 36, 43,
Alfieri, V. E.: 230, 231, 233, 248, 421, 50, 51, 52, ,,, 61, 62, 76, n, 105,
422. 204, 209, 214, 222, 225, 236, 237,
Allan, D. J.: 34, 202, 258, 391, 405, 253, 254, 258, 259, 264, 279, 283,
417, 422. 287, 294, 298, 381, 382, 383, 384,
Allen, R. E.: 437. 385, 386, 387, 417, 424.
Ando, T.: 405, 422. Biehl, G.: 216, 225, 228, 258, 365,
Andriopoulos, D. Z.: 307, 322, 422. 368, 392, 415.
Anscombe, G. E. M.: 400, 422. Bignone, E.: 234, 235, 243, 421.
Anton, ]. P.: 304, 422, 427. Blair, G. A.: 214, 424.
Apelt, 0.: 216, 225, 228, 258, 368, Block, 1.: 25, 26, 29, 30, 313, 349,
392, 415. 424.
Apostle, H. G.: 227, 422. Boas, G.: 81, 104, 424.
Arnim, H. von: 19, 35, 46, 423. Boehme, R.: 273, 4~.
Amold, U.: 214, 423. Bollack, ].: 234, 235, 243, 421.
Arpe, C.: 209, 281, 423. Bolton, R.: 425.
Arrighetti, G.: 273, 421. Bonitz, H.: 17, 41, 95, 202, 208, 209,
Ast, F.: 423. 211, 212, 214, 220, 221, 223, 224,
Aubel, M. van: 209, 214, 423. 226, 232, 239, 247, 255, 258, 260,
Aubenque, P.: 224, 225, 229, 270, 261, 262, 290, 303, 306, 324, 327'
387, 423. 337, 346, 364, 417, 418, 425.
Aubonnet, ].: 417. Bourgey, L.: 425.
Axelos, K.: 241, 423. Brandis, C. A.: 17, 425.
Brentano, F.: 270, 379, 425.
Babin, E.: 311, 423. Bres, Y.: 215, 42,.
Baerthlein, K.: 209, 423. Bringmann, A.: 417.
Baeumker, C.: 224, 423. Bruns, 1.: 421.
Bailey, C.: 230, 423. Brunschwig, J.: 418.
Balme, D. M.: 215, 217, 417, 423. Buchanan, E.: 270, 425.
Bambrough, R.: 433. Burkert, W.: 231, 25,, 257, 425.
Barbieri, A.: 208, 216, 247, 261, 41,. Burnet, l.: 421.
Barbotin, E.: 16, 211, 216, 217, 223, Busse, A.: 39, 43, 4,, 216, 405, 416,
224, 226, 228, 240, 247' 248, 252, 417.
253, 254, 261, 287, 302, 304, 306, Bywater, 1.: 356, 358, 370, 375, 385,
313, 320, 321, 323, 347, 349, 3,0, 391, 404, 405, 418, 422, 425.
355, 357, 358, 363, 36,, 366, 368,
369, 381, 382, 402, 407, 415, 423, Calogero, G.: 430.
429. Calzecchi Onesti, R.: 421.
Barco, G.: 415, 423. Cantin, S.: 297, 307, 349, 425.
Bames, ].: 288, 290, 382, 423, 424. Capare]lo, A.: 417.
Barth, T.: 270, 282, 424. Capizzi, A.: 230, 231, 232, 234, 235,
Bassenge, F.: 281, 282, 424. 260, 316, 439.
Battegazzore, A.: 243, 422. Carbonara Naddei, M.: 232, 425.
Bausola, A.: 424. Case, T.: 17, 425.
Bazin, B. C.: 383, 424. Cashodollar, S.: 313, 425.
Beare, J. ].: 307, 314, 321, 332, 337, Cassirer, H.: 425.
349, 424. Cathala, M.-R.: 420.

Baruch_in_libris
488 INDICI

Cencillo, L.: 224, 42.5. 363, 373, 378, 381, 384, 420, 421,
Charlton, W.: 418. 426, 444.
Chen, Ch. H.: 214, 222, 42.5. Dirlmeicr, F.: 9, 2.5, 27, 30, 392, 39.5,
Chcrniss, H.: 229, 231, 233, 23.5, 236, 400, 418, 426.
239, 240, 241, 242, 243, 244, 24.5, Dittenberger, W.: 323, 426.
247, 248, 249, 2.50, 2.51, 2.52, 2.53, DOnt, E.: 236, 427.
2.5.5, 260, 261, 263, 26.5, 266, 270, DOrrie, H.: 26, 3.5, 38, 42, 43, 46,
271, 2ì2, 273, 274, 27.5, 301, 302, .54, 81, 21.5, 221, 227, 242, 287,
303, 304, 332, 349, 3.56, 362, 363, 393, 427.
373, 374, 377, 384, 42.5. Drossaart Lulofs, H.].: 22, 23, 418.
Chroust, A.-H.: 16, 2.58, 418, 42.5. Dubarle, D.: 280, 427.
Qaghom, G. S.: 23.5, 249, 2.50, 2.52, Dubois, ]. M.: 384, 427.
42.5. Dufour, M.: 418.
Classen, C.].: 241, 274, 42.5. Diiring, I.: 1.5, 16, 27, 28, 30, 31,
Codino, F.: 421. 32, 34, 3.5, 36, 41, 42, 43, 46, 66,
Colle, G.: 202, 418. 67, 71, 7.5, 76, 83, 99, 203, 204,
Colli, G.: 241, 273, 418, 421. 221, 227, 2.56, 272, 280, 307, 308,
Conen, P. F.: 384, 42.5. 311, 312, 316, 323, 378, 380, 381,
Cooper, J. M.: 104, 426. 382, 395, 418, 423, 427 J 433.
Copi, I. M.: 209, 426.
Cornford, F. M.: 23.5, 378, 404, 421, Easterling, H. J.: 284, 427.
426. Ebner, P.: 242, 427.
Corsi, M.: 437. Edmonds, J. M: . 248, 421.
Cosenza, P.: 71, 307, 3.54, 404, 426. Elders, L.: 76, 207, 263, 264, 271,
Courtes, C.: 384, 426. 373, 37.5, 378, 381, 397, 402, 418.
Courtès, P.: 281, 426. Elorduy, E.: 282, 427.
Cousin, D. R.: 209, 426. Essen, E.: 2.53, 358, 40.5, 416.
Etheridge, S. G.: 400, 402, 403, 404,
40.5, 427.
Dal Pra, M.: 229, 426, 437. Eusebietti, P.: 416.
De Corte, M.: 212, 213, 218, 222, Evans, ~1. G.: 227, 427.
227, 278, 293, 294, 306, 349, 379,
382, 383, 426. Fazio Allmayer, V.: 218, 229, 416,
De Falco, V.: 299, 319, 396, 417. 427.
De Ley, H.: 230, 231, 240, 247, 426. Ferguson, J.: 230, 427.
De Pater, W. A.: 214, 269, 426. Festa, N.: 204, 421.
De Rijk, L. M.: 214, 426. Festugière, A.].: 23.5, 422, 427.
De Stryckcr, E.: 222, 426. Fillion-Lahille, J.: 22.5, 427.
De Vogel, C.}.: 231, 424, 426. Fitzgerald, W.: 233.
Décarie, V.: 214, 426. Fobes, F. H.: 236, 418, 422.
Decleva Caizzi, F.: 422. Fdrster, A.: 43, 221, 223, 22.5, 228,
Della v·alle, G.: 2.57, 426. 258, 306, 321, 3.52, 362, 415.
Deninger, J. G.: 270, 426. Forster, E. S.: 418.
Denniston, ]. D.: 241, 271, 279, 439. Fortenbaugh, W. W.: 282, 427.
Diano, C.: 418, 426, 432. Foss, L.: 427.
Diehl, E.: 23.5, 422. Fragstein, A. von: 212, 427.
Diels, H.: 214, 230, 231, 232, 233, Frajese, A.: 219, 286, 421 .
234, 23.5, 237 J 240, 241, 242, 243, Freudenthal, ].: 364, 365, 394, 428.
244, 248, 2.55, 257, 260, 268, 270, Fritz, K. von: 279, 428.
271, 272, 273, 274, 27.5, 281, 301, Funke, G.: 311, 428.
303, 304, 315, 317, 318, 322, 325, Furley, D.}.: 89, 96, 100, 103, 104,
328, 330, 344, 345, 356, 357, 3.59, 230, 400, 403, 428, 437.

Baruch_in_libris
INDICI 489

Gaiser, K.: 298, 428, 445. 367, 368, 369, 370, 373, 374, 37,,
Gallavotti, C.: 234, 235, 270, 363, 376, 378, 379, 380, 382, 384, 385,
421. 386, 387, 389, 390, 391, 396, 404,
Garau, ~1. T.: 12. 407, 409, 411, 416, 429.
Gardiner, H. N.: 221, 428. Hammond, W. A.: 21.5, 217, 416, 329.
Gauthier, R. A.: 22, 23, 32, 207, 372, Happ, H.: 224, 429.
389, 398, 418. Hardie, W. F. R.: 26, 29, 398, 404,
Gava, G.: 428. 405, 429.
Geddes, W. D.: 257, 421. Hardy, J.: 418.
Gentile, 1f.: 428. Harlfinger, D.: 438.
Gercke, A.: 17, 428. Haivey, p.: 77, 429.
Gerth, B.: 202, 212, 253, 439. Hayduck, M.: 323, 332, 416, 417, 429.
Giacon: C.: 12, 24.5, 298, 299, 380, Heath, T.: 227, 429.
402, 428, 433, 434. Hegel, G. W. F.: 3.
Giannantoni, G.: 273, 421. Heiberg, J. L.: 227, 294, 384, 429.
Giarratano, C.: 422. Heinze, R.: 216, 236, 239, 258, 265,
Gigon, 0.: 16, 23, 24, 38, 39, 40, 267, 417, 421, 445.
41, 42, 43, 45, 46, 48, 51, .54, Henry, P.: 360, 429.
216, 217, 218, 225, 247, 2.58, 2_.59, Resse, M.: 280, 429.
261, 274, 2i8, 283, 297, 308, 321, Hett, W. S.: 216, 225, 228, 304, 313,
323, 349, 352, 357, 362, 368, 373, 321, 323, 349, 352, 357, 362, 363,
382, 395, 404, 41.5, 416, 428. 365, 366, 368, 373, 382, 386, 41.5.
Gilson, E.: 434. Hicks, R. D.: 40, 43, 45, 94, 98, 99,
Giorgiantonio, M.: 416. 102, 202, 204, 205, 206, 207, 208,
Giuliani, .A.: 225, 428. 210, 211, 212, 213, 217, 218, 219,
Glockner~ H.: 434. 220, 222, 223, 224, 226, 227, 228,
Goerland, A.: 227, 428. 229, 231, 232, 239, 240, 241, 242,
Gohlke, P.: 16, 19, 20, 3.5, 38, 39, 40, 244, 246, 247, 249, 2.50, 2.52, 253,
41, 42, 43, 45, 46, 47, 48, 213, 254, 255, 258, 260, 261, 262, 264,
216, 225, 227, 247, 261, 416, 428. 265, 267, 270, 271, 273, 27.5, 276,
Gorman, W.: 290, 428. 277, 279, 287, 289, 290, 291, 292,
Gottschalk, H. B.: 257, 258, 259, 261, 293, 294, 297, 299, 301, 302, 303,
428. 304, 30.5, 306, 313, 314, 316, 317,
Grabmann, J\1.: 382, 428. 321, 322, 323, 324, 32.5, 328, 330,
Graeser, A.: 65, 101, 104, 21.5, 298, 333, 334, 33.5, 336, 337, 338, 339,
308, 312, 313, 314, 349, 3.52, 3.53, 340, 341, 343, 344, 345, 346, 348,
356, 370, 428. 349, 3.50, 3.51, 3.54, 3.57, 358, 359,
Grayeff, F.: 16, 428, 429. 361, 362, 363, 365, 366, 367' 368,
Guthrie, W. K. C.: 21.5, 229, 241, 429. 370, 371, 372, 373, 374, 376, 378,
379, 381, 382, 386, 387, 391, 393,
Hager, F.-P.: 432. 394, 396, 402, 404, 405, 407, 409,
Hamelin, 0.: 382, 429. 41.5, 429.
Hamerton-Kelly, R.: 434. Hiller, E.: 237, 323, 422.
Hamlyn, D. W.: 44, 45, 46, 47, 48, Hintikka, J.: 282, 384, 401, 429.
63, 66, 67, 70, 71, 72, 74, 9.5, 98, Hirschberger, J.: 280, 429.
208, 221, 223, 224, 229, 284, 287, Hirzel, R.: 214, 429.
288, 292, 293, 302, 303, 304, 306, Howes, G. E.: 233, 429.
307, 308, 309, 310, 313, 316, 320, Huby, P. M.: 236, 429.
321, 323, 324, 33.5, 338, 339, 341,
342, 344, 345, 347, 349, 3.50, 3.51, Isnardi Parente, M.: 53, 104, 21.5, 216,
352, 353, 354, 355, 356, 357, 3.58, 227' 235, 237, 238, 239, 265, 316,
359, 360, 361, 363, 364, 36.5, 366, 374, 39.5, 429, 439.

Baruch_in_libris
490 INDICI

lvénka, A. dc: 20, 21, 55, 76, 401, 240, 241, 243, 247' 2,2, 2.53, 2,,,
403, 429. 257, 258, 260, 261, 273, 287, 306,
313, 318, 321, 323, 324, 335, 337,
Jacgcr, W.: 18, 19, 20, 21, 23, 24, 349, 350, 351, 352, 354, 357, 358,
27, 32, 33, 35, 36, 37, 38, 46, 207, 363, 366, 368, 369, 386, 391, 407,
241, 383, 387, 418, 430. 416, 418, 419, 430.
Jammy, P.: 290. Le Blond, J. M.: 207, 212, 430.
]annone, A.: 211, 216, 217, 223, 224, Lee, H. D.: 22, 430.
226, 228, 240, 247, 248, 252, 253, Lefèvre, C.: 29, 30, 31, 32, 33, 34,
254, 261, 287, 302, 304, 306, 313, 43, 85, 89, 95, 223, 224, 258, 264,
320, 321, 323, 347, 349, 350, 352, 275, 278, 280, 284, 288, 298, 300,
355, 357, 358, 363, 365, 366, 368, 306, 375, 380, 381, 383, 396, 397,
381, 402, 407, 415. 398, 401, 430, 431.
Jolif, ]. V.: 22, 2:3, 207, 372, 389, Lemcr, M. P.: 298, 407, 431.
398, 418. Lcshcr, J. H.: 209, 431.
Joncs, H. S.: 439. Leszl, W.: 82, 90, 92, 96, 270, 280,
282, 431.
Kahn, C. H.: 30, 234, 430. Lcydcn, W. von: 384, 431.
Kalbflcisch, C.: 420. Liddcll, H. G.: 211, 247, 439.
Kampc, F. F.: 380, 430. Lloyd, A. C.: 61, 218, 293, 295, 431.
Kenny, A.: 398, 405, 430. Lloyd, G. E. R.: 66, 67, 83, 96, 99,
Kirk, G. S.: 241, 242, 421. 423, 431.
Kirwan, C.: 418. Long, A. A.: 234, 347, 431.
Kock, T.: 248, 421. Louis, P.: 22, 206, 306, 419, 431.
Kochler, G.: 209, 430. Lowc, M.: 431.
Kraak, W. K.: 301, 430. Liith, ]. C.: 234, 431.
Kriimer, H.].: 374, 430. Lugarini, L.: 214, 228, 229, 431.
Kranz, W.: 230, 231, 232, 233, 234, Lycos, K.: 364, 367, 369, 431.
235, 240, 241, 242, 243, 244, 248,
255, 257, 260, 268, 270, 271, 272, Maccioni, L.: 219, 286, 421.
273, 274, 275, 281, 301, 303, 304, MacKinnon, D. M.: 209, 431.
315, 317, 318, 322, 325, 328, 330, Maddalena, A.: 231, 241, 243, 244,
344, 345, 356, 357, 359, 363, 373, 255, 257, 273, .274, 421, 431.
378, 381, 384, 421, 444. Madvig, J. N.: 365, 431.
Kucharski, P.: 236, 430. Mager, A.: 382, 431.
Kiihner, R.: 202, 212, 253, 439. Mansion, A.: 18, 21, 22, 23, 222, 227,
Kullmann, W.: 84, 430. 228, 283, 381, 383, 423, 431, 432,
Kurfcss, H.: 382, 430. 433.
Kurz, D.: 203, 20.5, 207, 430. Mansion, S.: 15, 30, 53, .5.5, .57, .59,
Kustas, G. L.: 427. 87, 93, 207, 209, 214, 223, 227,
229, 261, 270, 278, 280, 290, 376,
Lacey, A. R.: 209, 430. 3n, 408, 432.
Lang, P.: 216, 237, 265, 421. Marcovich, M.: 241, 421, 432.
Lanza, D.: 9, 34, 43, 44, 8.5, 86, 93, Martano, G.: 242, 432.
94, 96, 97, 103, 206, 231, 232, 234, Martelli, C.: 435.
240, 244, 263, 300, 306, 312, 318, Martin, S. B.: 383, 432.
324, 325, 329, 336, 343, 351, 373, Mclnerny, R.: 294, 432.
377, 389, 394, 397, 401, 403, 407, Mcrlan, P.: 204, 205, 206, 265, 281,
418, 421. 378, 383, 387, 432.
Lasscrrc, F.: 258, 421. Migliori, M.: 419.
Lasson, A.: 216, 416. Mignucci, M.: 9, 10, 12, 37, .50, .51,
Laurenti, R.: 208, 213, 216, 223, 226, 203, 208, 229, 245, 252, 2.53, 270,

Baruch_in_libris
INDICI 491

276, 281, 28.5, 299, 311, 364, 419, Philippe, M. D.: 222, 227, 280, 434.
432. Pirotta, A. M.: 417.
Minio-Paluello, L.: 419, 420, 432. Plebe, A.: 419.
Mondolfo, R.: .53, 71, 104, 21.5, 216, Pocar, E.: 430.
230, 231, 232, 234, 23.5, 237, 240, Pucci, p.: 421.
241, 242, 257, 260, 26.5, 273, 302,
316, 330, 3.59, 360, 374, 39.5, 421, Rabe, H.: 41.5.
432, 438, 439. Ralfs, G.: 281, 434.
Montana Slienz, J .: 383, 432. Reale, G.: 10, 12) 47, 7.5, 209, 213,
Moraux, P.: 1.5, 16, 22, 23, 36, 39, 214, 228, 231, 270, 278, 330, 393,
216, 2.53, 264, 293, 294, 307, 378, 402, 419, 434.
382, 419, 423, 432, 433, 438. Rees, D. A.: 2.5, 9.5, 364, 367, 39.5,
Moravcsik, J. M. E.: 214, 423, 433. 434, 43.5.
Moreau, ].: 208, 246, 270, 299, 313, Régis, L. M.: 364, 43.5.
384, 402, 433. Regnéll, H.: 21.5, 230, 43.5.
Movia, G.: 1.5, 16, 29, 36, 207, 213, Reiche, H. A. T.: 234, 243, 271, 43.5.
216, 218, 2.58, 294, 331, 382, 383, Renehan, R.: 22.5, 43.5.
433. Reyna, R.: 383, 43,.
Movia, L.: 12. Riondato, E.: 206, 281, 43.5.
Movia Colaussi, C.: 12. Ritter, W. E.: 214, 43.5.
Miillcr, C. W.: 23.5, 242, 2.5.5, 303, Robin, L.: 236, 238, 43.5.
304, 433. Robinson, R.: 398, 419, 43.5.
Mugler, C.: 419. Robinson, T. M.: 21.5, 290, 43.5.
Mugnier, R.: 419. RQdier, G.: 202, 20.5, 206, 207, 208,
Mulhern, M. M.: 90, 433. 212, 213, 216, 223, 226, 228, 231,
Muskens, G. L.: 93, 98, 280, 433. 240, 247, 2.52, 2.53, 2.54, 25.5, 257,
Mutschmann, H.: 20.5, 419. 261, 26.5, 273, 274, 276, 283, 290,
293, 296, 298, 299, 302, 303, 304,
Nachmanson, E.: 1.5, 433. 30.5, 306, 313, 321, 322, 323, 328,
Nardi, B.: 382, 433. 333, 334, 336, 337, 346, 347, 348,
Natali, C.: 2.54, 433. 349, 3.50, 3.5.5, 357, 3.58, 3.59, 362,
Nebois, J.: 2.59, 433. 363, 364, 36.5, 366, 367, 368, 372,
Newman, W. L.: 214, 419. 374, 381, 382, 386, 389, 393, 402,
Nolte, A.: 232, 433. 404, 407, 409, 41.5, 43.5.
Nussbaum, M. C.: 433. Roland-Gosselin, M.-D.: 212, 43.5.
Nuyens, F.: 20, 21, 22, 2.5, 26, 27, Rolfes, E.: 222, 227, 2.54, 2.5.5, 416.
29, 32, 33, 36, 222, 283, 300, 373, Romano, F.: 21.5, 232, 43.5.
374, 381, 383, 433. Rorty, A.: 398, 43.5.
Rose, V.: 16, 17, 419, 43.5.
O'Brien, D.: 232, 234, 260, 271, 316, Rosen, S. H.: 43.5.
433, 434. Ross, W. D.: 10, 23, 2.5, 26, 31, 3.5,
Oehler, K.: 222, 381, 394, 434. 4.5, 46, 68, 9.5, 98, 203, 20.5, 208,
Olgiati, F.: 434. 210, 211, 213, 214, 21.5, 216, 221,
Owen, G. E. L.: 30, 33, 77, 92, 270, 223, 224, 22.5, 226, 228, 229, 231,
366, 423, 434. 232, 233, 23.5, 236, 237, 238, 239,
Owens, ].: 61, 71, 270, 278, 286, 287, 240, 242, 244, 246, 247, 249, 2.50,
290, 312, 3.54, 37.5, 387, 434. 2.51, 2.52, 2.53, 2.54, 2.5.5, 2.56, 2.57 J
2.58, 2.59, 261, 263, 264, 267, 269,
Palmer, R. B.: 434. 271, 272, 273, 27.5, 276, 277, 279,
Peck, A. L.: 24.5, 419, 434. 280, 284, 287, 288, 290, 292, 294,
Pesce, D.: 12, 434. 297, 298, 300, 302, 304, 30.5, 306,
Philip, J. A.: 231, 2.5.5, 2.57, 2.58, 434. 307, 308, 309, 310, 311, 313, 318,

Baruch_in_libris
492 INDICI

320, 321, 322, 323, 324, 326, 331, 349, 3.56, 3Yl, 3.58, 362, 36.5, 367,
332, 333, 334, 33.5, 336, 337, 338, 368, 370, 373, 381, 382, 386, 391,
339, 342, 347, 348, 349, 3.50, 3.51, 404, 416, 436.
352, 3.5.5, 3.56, 3.57' 3.58, 3.59, 362, Sokolowsky, R.: 209, 224, 436.
363, 36.5, 367' 368, 369, 370, 372, Soleri, G.: 22, 23, 382, 436.
373, 374, 37.5, 378, 379, 380, 381, Solmsen, F.: .50, .53, 104, 436, 437.
382, 384, 38.5, 386, 389, 390, 391, Sorabji, R.: 30, 47, .51, 6.5, 66, 67,
392, 393, 394, 39.5, 400, 402, 404, 68, 69, 70, 71, 78, 82, 102, 309,
40.5, 406, 408, 409, 411, 41.5, 416, 313, 338, 344, 354, 36.5, 420, 423,
419, 420, 422, 43.5. 437.
Routila, L.: 228, 43.5. Specht, E. K.: 224, 437.
Rowe, C.].: 203, 43.5. Spiazzi, R. M.: 420.
Ruggiu, L.: 384, 435. Spinelli, A.: 43.5.
R.usso, A.: 420. Sprague, R. K.: 290, 380, 437.
Stallmach, ].: 214, 437.
Saffrey, H. D.: 216, 23.5, 236, 238, 436. Steckel, H.: 230, 437.
Sainati, V.: 209, 221, 436. Stenzel, ].: 224, 437.
Saitta, G.: 416. Stigen, A.: 329, 330, 437.
Samson, A.: 229, 436. Stocks, ] . L.: 224, 437.
Sandoz, A.: 298, 436. Strohmaier, G.: 230, 232, 437.
Santas, G.: 397, 398, 400, 40.5, 436. Stroick, C.: 417.
Santinello, G.: 12. Stuart Crawford, F.: 417.
Sartori, F.: 422. Susemihl, F.: 292, 420, 437.
Schicher, E.].: 16, 436.
Schneider, G.: 36.5, 436. Tagliaferro, D.: 232, 437.
Schofield, M.: 4.5, 99, 100, 10.5, 364, Taran, L.: 241, 242, 302, 421.
36.5, 366, 367' 368, 369, 371, 394, Tarrant, D.: 380, 437.
404, 423, 436. Taylor, A. E.: 202, 235, 236, 244,
Schramm, M.: 24.5, 436. 249, 2.54, 257, 374, 422, 437.
Schwab, M.: 16. Taylor, C. C. W.: 437.
Schwegler, A.: 232, 387, 420. Theiler, W.: 23, 24, 2.5, 26, 28, 32,
Scott, R.: 211, 247, 439. 35, 39, 41, 42, 43, 46, 47, 48, 202,
Seidl, H.: 222, 372, 373, 374, 376, 204, 206, 207, 210, 211, 212, 213,
377, 378, 379, 380, 382, 383, 392, 214, 21.5, 216, 217' 218, 221, 22.5,
399, 400, 402, 436. 228, 229, 232, 234, 236, 240, 241,
Sellars, W.: 209, 436. 242, 243, 247, 252, 2.53, 254, 2.5.5,
Severino, E.: 420, 43.5. 258, 261, 26.5, 275, 278, 279, 281,
Shiner, R. A.: 290, 436. 283, 287' 292, 298, 299, 300, 301,
Shorey, P.: 236, 247, 253, 310, 436. 302, 306, 308, 311, 313, 315, 317,
Sichirollo, L.: 229, 436. 321, 322, 323, 324, 325, 339, 348,
Siegel, R. E.: 318, 436. 349, 350, 352, 356, 357, 3.59, 360,
Siwek, P.: 20.5, 207, 208, 210, 211, 262, 363, 365, 367, 368, 370, 373,
212, 216, 217, 221, 226, 228, 240, 374, 375, 378, 380, 381, 386, 387'
247' 252, 2.53, 2.54, 292, 293, 304, 389, 398, 400, 402, 405, 407, 411,
316, 321, 322, 337, 347, 349, 357, 416, 433, 437.
363, 36.5, 368, 372, 373, 381, 382, Thielscher, P.: 22, 437.
387, 401, 415, 420, 436. Timpanaro Cardini, M.: .56, 231, 242,
Skemp, ]. B.: 103, 105, 251, 402, 403, 25.5, 2.57' 266, 322, 422.
404, 40.5, 436. Tognolo, A.: 12, 290, 293, 374, 437.
Slakey, T.].: 68, 307, 436. Torraca, L.: 420. -
Smith, ]. A.: 214, 216, 225, 228, 247, Torstrik, A.: 17, 46, 228, 239, 252,
309, 321, 323, 335, 337, 341, 347, 253, 258, 261, 273, 302, 30.5, 308,

Baruch_in_libris
INDICI 493
309, 310, 321, 323, 349, 350, 352, Verdenius, W.].: 241, 316, 420, 438.
356, 357, 3.58, 367, 368, 385, 391, Viano, C. A.: 203, 233, 420, 438.
394, 402, 407, 409, 411, 415, 437. Vogelbacher, }.: 209, 438.
T6th, 1.: 219, 437.
Trendelenburg, F. A.: 210, 221, 231, Waerden, B. L. van der: 231, 438.
252, 254, 270, 284, 285, 310, 322, Wagner, H.: 202, 231, 420.
335, 349, 3.50, 352, 356, 366, 380, Wallace, E.: 44, 213, 238, 246, 247,
386, 415, 437. 255, 270, 308, 349, 373, 415.
Tricot, J.: 202, 212, 216, 226, 228, Walsh, J. ].: 398, 438.
253, 261, 273, 293, 294, 302, 306, Walzer, R.: 241, 422.
313, 321, 322, 323, 334, 337' 346, Warden, J. R.: 232, 438.
349, 350, 355, 357, 358, 359, 362, Wartelle, A.: 418.
363, 365, 366, 368, 374, 382, 398, Waszink, J. H.: 420.
404, 416, 420. Wehrli, F.: 216, 257, 258, 422.
Tugendhat, E.: 281, 387, 437. Weiner, M. H.: 214, 438.
Wendland, P.: 417.
Untersteiner, M.: 236, 238, 243, 273, Wieland, W.: 83, 212, 223, 227, 258,
420, 422. 438.
Wiesner, ].: 22, 66, 438.
Valgimigli, M.: 420, 421. Wilpert, P.: 207, 382, 438.
Vattimo, G.: 438.
Vegetti, M.: 9, 34, 43, 44, 85, 86, 93, Wisniewski, B.: 232, 241, 438.
94, 96, 97' 103, 206, 231, 263, ~00,
306, 31 ~- 318, 324, 325, 329, 336, Zadro, A.: 204, 420, 422.
343, 351, ;s9, 394, 397, 401, 403, Zeller, E.: 17, 32, 53, 104, 215, 216,
407' 418, 422. 230, 231, 232, 234, 235, 2.37, 240,
Verbekt:, G.: 22, 29, 32, 52, 59, 74, 241, 257, 260, 265, 273, 3. 6, 330,
214, 222, 223~ 374, 376, 380, 381, 374, 386, 395, 438, 439.
382, 383, 38ì, 416, 417, 438. Ziircher, ].: 16, 24, 439.

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x
INDICE GENERALE

Prefazione 7

Introduzione

l. Cronologia e genesi del «De Anima»


l. Titolo ed autenticità dell'opera .
2. nproblema della aonologia .
3. Genesi dei singoli libri e capitoli .

II. La t ematica del « De Anima »


l. Le aporie del trattato . • 49
2. Aristotele e i suoi predecessori • ,;
3.
4.
La definizione di anima •
Le facoltà dell'anima
'8
a) La facold veaetativa 62
b) La facoltà sensitiva 63
c) L'immaginazione 71
d) L 'intelletto i2
e) La facoltà appetitiva e Jocomotoria 77
f) n finalismo delle facoltà e dei sensi • i9

III. Il metodo del trattlllo


l. L'assetto teorico . 81
2. l phainomena . . . . 92
3. Difficoltà e 'contraddizioni' del De Anima . 102

Libro A (primo)

Capitolo primo. V alorel metodo e problemi della psicologia . 109


Capitolo secondo. Le dottrine psicologiche dei predecessori . 113
Capitolo terzo. Critica delle teorie cinetiche e del « Timeo ». La relll-
zione tra anima e corpo . 118

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496 INDICE GENERALE

Capitolo quarto. La dottrina dell'anima-armonia. 'Movimenti' dell'anima


e l'intelletto. Prime sei obiezioni a Senocrate . 123
Capitolo quinto. Conclusione della critica di Senocrate. Critica delle dot-
trine elementaristiche. Altre obiezioni alle dottrine dei predecessori.
L'unità dell'anima . 127

Libro B (secondo)
Capitolo primo. Prima definizione di anima. L'unità del vivente. L'inse-
parabilità dell'anima . . . . . 137
Capitolo secondo. Seconda definizione di anima. La 'separabilità' deUe
parti dell'anima 139
Capitolo terzo. La definizione e le facoltà dell'anima 142
Capitolo quarto. La facoltà nutritiva. La causalità dell'anima . 144
Capitolo quinto. La facoltà sensitiva 148
Capitolo sesto. Le tre specie di sensibili . l'l
Capitolo settimo. La vista 152
Capitolo ottavo. L'udito 15.5
Capitolo nono. L'olfatto 158
Capitolo decimo. Il gusto 161
Capitolo undicesimo. Il tatto 162
Capitolo dodicesimo. Ancora sulla sensibilità in gener/Jle 166

Libro r (terzo)
Capitolo primo. I cinque sensi specifici. Il senso comune • 171
Capitolo secondo. Coscienza della percezione. Senso e sensibile. Il senso
come 'propon.ione'. La discriminazione percettiva • 173
Capitolo terzo. Sensibilità, immaginazione e pensiero • 177
Capitolo quarto. L'intelletto in potenza . 181
Capitolo quinto. L'intelletto in potenza e l'intelletto produttivo • 184
Capitolo sesto. L'intellezione degli indivisibili . 184
Capitolo settimo. Conorcenza ed azione . 186
Capitolo ottavo. Ricapitolazione sulle facoltà conoscitive 188
Capitolo nono. La facoltà locomotoria • 189
Capitolo decimo. Ancora sulla facoltà locomotoria . 191
Capitolo undicesimo. Locomozione, deliberazione e sillogismo pratico 193
Capitolo dodicesimo. Il finalismo delle facoltà 19'
Capitolo tredicesimo. Il corpo dell'animale. La finalità dei sensi • 197

Note al De Anitna
Note ad A l 201
Note ad A 2 229
Note ad A 3 245
Note ad A 4 2.56
Note ad A 5 267
Note aB l zn
Note aB 2 284

Baruch_in_libris
INDICE GENERALE 497

Note aB 3 291
Note aB 4 296
Note aB 5 307
Note aB 6 312
Note aB 7 314
Note aB 8 319
Note aB 9 327
Note aB 10 333
Note a B 11 336
Note aB 12 342
Note a r l 345
Note a r 2 353
Note a r 3 361
Note a r 4 371
Note a r 5 379
Note a r 6 383
Notear7 388
Note a r 8 392
Note a r 9 394
Note a ~ 10 398
Note a r 11 403
Note a r 12 405
Note a r 13 409

Bibliografia
l. Edizioni 41.5
2. Traduzioni . 415
3. Commenti antichi 416
4. Commenti medioevali e moderni 417
5. Edizioni, traduzioni e commenti di altre opere di Aristotele 417
6. Edizioni, traduzioni e commenti di altri autori antichi . 420
7. Studi . 422
8. Sussidi filologici 439

Indici
I. Indice dei nomi di persona citati nel De Anima . 443
Il. Indice dei rimandi interni al De Anima 443
III. Indice delle citazioni di altre opere di Aristotele 444
IV. Indice dei riferimenti ad opere di altri autori . 444
V. Indice dei passi del De Anima contenuti in Diels-Kranz 444
VI. Indice dei passi del De Anima contenuti in Gaiser 445
VII. Indice dei passi del De Anima contenuti in Heinze 445
VIII. Indice dei termini greci 446
IX. Indice dei nomi
(a) Antichi . 485
(b) Moderni. 487
X. Indice generale • 495

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