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In copertina:
Konstantin Juon, Nuovo pianeta, 1921.
Mosca, Galleria Tret'jakov.
Scansione, Ocr e conversione a cura di Natjus
Ladri di Biblioteche
opuscula /222
Copyright © 2014, il nuovo melangolo s.r.l.
Genova - Via di Porta Soprana, 3-1
www.ilmelangolo.com
ISBN 978-88-7018-941-4
Diego Fusaro
il melangolo
Il conflitto degli interessi commerciali è
frequentemente l’autentico motivo delle guerre, per le
quali si tende sempre a cercare un ordine di motivi
differenti. In tal maniera, viene assoldata una metà del
pianeta contro i princìpi politici di una popolazione,
per quanto si dice, mentre la guerra è, in verità, indirizzata
contro il suo commercio e a detrimento degli stessi
reclutati.
Un impianto per molti versi simile, nelle sue strutture di fondo, si trova
anche nella crepuscolare Staatslehre del 1813". Secondo quanto si è già
ricordato, Fichte vi mostra come, realizzando la profezia evangelica della
venuta sulla terra dello Spirilo santo, la WL segni l'incipit dell’eclisse della
nozione stessa di sovranità12. Il Regno dei cieli scende sulla terra
realizzandosi grazie a quello che la WL qualifica come Vernunftreich, il
“regno della ragione”: la razionalità pienamente dominante
renderà superfluo lo Stato come apparato coercitivo13. Il compito
dello Stato è, pertanto, quello di rendersi superfluo (Missione del dotto di
Jena) e di frenare l’entropia deemancipativa dell’anarchia commerciale,
preparando l’avvento di un’umanità moralmente autonoma (Stato
commerciale chiuso, Staatslehre 1813).
Lo scopo della vicenda storica, identificato nei Grundzüge con lo sforzo
teso a instaurare alle Verhältnisse mit Freiheit nach der Vernunft, si
riconfigura, nella Staatslehre del 1813, come avvento della civitas humana,
di un futuro Reich in cui si attuerà “la libertà di tutti tramite la libertà di
tutti”14. Dopo la vicenda cristica - spiega Fichte - tutti gli uomini sono liberi
in senso sia morale, sia politico, in quanto non riconoscono alcun
“potere superiore” (Obergewalt), ma solo uguaglianza e libertà nella loro
reciproca relazione di Vernunftwesen. L’età buona sarà quella in cui tutti,
senza eccezioni, saranno ispirati dalla volontà di Dio e nessuno emergerà
più sugli altri, giacché tutti ugualmente rifletteranno l’idea divina. Secondo
un tema su cui già abbiamo richiamato l’attenzione e che costituisce uno dei
cardini della fichtiana Gotteslehret5, la comunità umana sarà imago Dei.
Alla luce di queste considerazioni, si può sostenere che l’obiettivo di
Fichte resta, in Der geschlossene Handelsstaat non meno che nelle Reden,
cosmopolitico, ma per essere raggiunto necessita della forza particolare
dello Stato nazionale. Come evidenziato da Thomas-Fogiel, nello scritto del
1800 “il progetto non è quello della chiusura di uno Stato come fine in sé,
ma una comune organizzazione economica all’interno di tutti gli Stati al
fine di pervenire alla pace universale”16, ossia alla compiuta realizzazione
di un’umanità che si riconosca liberamente in ogni suo membro. È questo il
senso della già rievocata splendida conclusione di Der geschlossene
Handelsstaat, in cui Fichte tratteggia un’universalizzazione alternativa a
quella dell’odierna reificazione universale dell’Handelsanarchie. Si tratta
di un’universalizzazione in cui ogni popolo, senza smarrire la propria
cultura e le proprie specificità, dialoga con gli altri e agli altri le trasmette,
secondo quella dinamica del dare e del ricevere tematizzata nella Missione
del dotto di Jena:
Nulla quindi impedisce che i dotti e gli artisti di tutte le nazioni si tengano nella più libera
comunicazione tra loro. D’ora in poi i fogli pubblici non conterranno più narrazioni di guerre e
battaglie, trattati di pace e di alleanza. Tutto questo è sparito dal mondo. Essi contengono
soltanto notizie dei progressi della scienza, delle nuove invenzioni, degli avanzamenti della
legislazione, del perfezionamento degli ordinamenti del governo: e ogni Stato si affretta ad
arricchirsi delle scoperte degli altri popoli17.
Ora - ed è questo uno dei punti cardinali del sistema fichtiano al centro
dello Stato commerciale chiuso - se la proprietà dedotta con rigore dai
princìpi stessi della WL è indissolubilmente legata alla mia sfera d’azione,
ne segue che non può sussistere la proprietà illimitata. L’azione, infatti,
comunque la si voglia intendere, proprio come la forza politica, si esercita
sempre su oggetti limitati nel tempo e nello spazio. Il suo campo operativo
è, conseguentemente, quello del finito, là dove lo spazio dell’economia e,
con essa, della proprietà intesa come semplice accumulo di cose, coincide
con l’illimitatezza non sottoponibile alle leggi della politica e del controllo
statale. Dalla dottrina fichtiana dell' Eigentum segue, con rigore, la
condanna inappellabile dell’accumulo illimitato su cui si regge il
sistema del commercio anarchico59.
Anche da questa prospettiva, si toma all’orizzonte di senso della giusta
misura greca, la quale, come si è visto, attraversa diagonalmente,
informando di sé, la struttura complessiva dello Stato commerciale chiuso,
versione del platonico “paradigma in cielo” portato all’altezza dei tempi. Ne
segue, con logica stringente, che “la proprietà della terra, secondo la nostra
dottrina, non ha luogo”60. D’altro canto, come si è già in precedenza
sottolineato, dal punto di vista fichtiano, l 'Eigentum presenta, come propria
caratteristica, anche il fatto di configurarsi come un concetto di reciprocità,
un Wechselbegriff. Infatti, io posso riconoscere la proprietà solo quando
essa sia riconosciuta a me. Se ne evince, una volta di più, che l’idea liberale
della proprietà illimitata, in cui vi è chi ha tutto e chi non ha nulla, si regge
essa stessa, come suggerisce Fichte, su un’antropologia individualistica e
anticomunitaria, che finge robinsonianamente che a esistere sia sempre e
solo il singolo: come se, appunto, si trattasse, con le parole di Fichte (che
sembrano, anche in questo caso, precorrere le critiche marxiane delle
robinsonate dell’economia politica classica), “della proprietà di un
individuo isolato, che conduce la sua esistenza su un’isola irraggiungibile.
Per lui, il concetto di proprietà è completamente inutilizzabile. Di quel che
trova, egli può prendere quanto vuole e quanto può’’61.
In questa maniera, è - spiega Fichte - ammessa e legittimata l’oscena
realtà, che ripugna alla ragione, in cui il nullatenente è tenuto a riconoscere
la proprietà del possidente senza godere di un analogo riconoscimento. La
giusta comunità etica garantita dalla Schliessung commerciale dello Stato si
fonda, invece, sul libero riconoscimento di proprietà per ogni membro della
communitas in quanto tale. Solo per questa via, ciascuno può riconoscere la
proprietà di tutti gli altri - godendo di eguale riconoscimento -, trovando nei
propri imprescrittibili possessi il campo per l’esercizio della propria azione.
Con la ripresa di questo tema, si chiude il primo libro dello Stato
commerciale chiuso.
Con esso, Fichte ha delineato, nei suoi tratti essenziali, lo Stato quale
dovrebbe essere se corrispondesse ai principi della ragione. Si tratterà ora di
analizzare, con il secondo libro, lo Stato quale realmente è nel tempo
presente.
Anche quando la chiusura degli Stati sul piano commerciale sarà portata
a compimento, la cultura continuerà a circolare liberamente, ponendosi
come coefficiente di unitarietà del genere umano e, in particolare,
ricordando a ogni uomo che la sua Bestimmung corrisponde al diventare
pienamente se stesso, ossia al concepirsi come parte dell’umanità e,
insieme, allo sforzo inesausto volto a razionalizzare secondo forme sempre
più intense il reale, portandolo gradualmente alla piena corrispondenza con
il concetto. Non bisogna, a questo proposito, dimenticare che Lo Stato
commerciale chiuso e la Destinazione dell’uomo vedono la luce nello stesso
anno e devono essere lette congiuntamente.
La stessa struttura delle due opere rivela una profonda affinità, se si
considera che entrambe sono tripartite (in Filosofia, Storia e Politica il testo
dello Stato commerciale chiuso; in Dubbio, Sapere e Fede la Destinazione
dell 'uomo). Solo quando la WL avrà conquistato le menti e i cuori
dell’intera umanità, grazie alla diffusione sempre più capillare del sapere,
l’umanità sarà unificata in actu, secondo un tema che, come si è
visto, costituisce uno dei principali orientamenti della riflessione fichtiana
in ogni sua declinazione e in ogni sua fase.
Alla luce di quanto sostenuto seguendo Fichte nello sviluppo del suo
ragionamento, la somma degli Stati nazionali commercialmente chiusi si
pone come la condizione fondamentale per la formazione di una cultura
globale e multilaterale, che ammetta l’unità del genere umano e il suo darsi
nella caleidoscopica varietà delle tradizioni e delle lingue: “sarebbe
opportuno che noi fossimo prima veri popoli e vere nazioni, e che si desse
una stabile cultura nazionale: quest’ultima dovrebbe, poi, sfociare in una
cultura globale poliedrica ed effettivamente umana”38 (wenn wir nur erst
Völker und Nationen wären; und irgendwo eine feste Nationalbildung
vorhanden wäre, die durch den Umgang der Völker mit einander in eine
allseitige, rein menschliche übergehen, und zusammenschmelzen könnte).
A partire dalle singole comunità ospitate entro i confini degli Stati nazionali
può maturare quel senso di appartenenza al genere umano come unico
soggetto indiviso, composto da enti razionali finiti ugualmente liberi, che
può costituire il solo fondamento per l’universalizzazione autentica,
contrapposta a quella falsa propria dell’ Handelsanarchie.
In una simile prospettiva, la cultura, in particolare la WL, svolge un
ruolo imprescindibile, nel senso già evocato: i dotti e gli artisti
comunicheranno su scala planetaria e permetteranno, tramite il loro operare,
una feconda diffusione capillare della cultura. Le guerre stesse, secondo
quanto già si è mostrato, spariranno senza eccezioni, a tal punto che -
secondo l’evocativa chiusa dell’opera - i libri di storia narreranno soltanto
gli avanzamenti nelle scienze e nelle arti, secondo una dinamica tale per cui
“ciascuno Stato si dà da fare per arricchirsi grazie alle scoperte degli altri”39
(jeder Staat eilt, die Erfindung des anderen bei sich einheimisch zu
machen).
Alla luce di questo pur cursorio attraversamento dei temi portanti dello
Stato commerciale chiuso, volto innanzitutto a far emergere i principali
snodi teorici del progetto fichtiano, diventa possibile sostenere quanto di
Fichte ha splendidamente affermato Remo Cantoni: “vi sono etiche volte
alla giustificazione del mondo, alla glorificazione dei processi della realtà,
ed etiche volte, invece, alla trasformazione laboriosa del mondo. Il
moralismo fichtiano è un attivismo instancabile che non si placa mai nei
risultati raggiunti, ma riprende sempre, al di là delle mete parziali ottenute,
la fatica e la lotta per un mondo migliore”40.
Si tratta di un insegnamento importante, non solo per via della profonda
analogia tra i problemi affrontati dallo Stato commerciale chiuso e quelli
che travagliano il nostro presente, anch’esso sotto il segno dell'anarchia
commerciale, ma anche perché il codice filosofico fichtiano, in ogni sua
articolazione, costituisce oggi il più potente antidoto contro quella
patologia frustrante che è la “sindrome di Siracusa”41. Si tratta della
suadente ideologia con cui il potere delegittima in partenza ogni progetto di
ringiovanimento del mondo pensato e organizzato dal pensiero filosofico,
stringendo in un abbraccio fatale l’utopia e la violenza, la trasformazione
dell’esistente e la barbarie, convincendo le menti che quello in cui viviamo
sia il solo ordine possibile o, come avrebbe detto Fichte, inducendole a
pensare che a esistere sia solo la modalità ontologica della necessità, con
conseguente riconciliazione obbligata con le pur deplorate logiche
dell’esistente.
CONCLUSIONE
6. Lo Stato come mezzo e non come fine nella Missione del dotto del
1794
15. Conclusione
Bibliografìa essenziale