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La critica di Hegel al cosmopolitismo kantiano

Giovanni Gerardi

ð noto che la riflessione hegeliana ha conosciuto uno sviluppo che la ha


portata da un’iniziale adesione alla filosofia di Kant a una sua critica
radicale, e che a questo mutamento di prospettiva ha corrisposto la de-
finizione del primo nucleo teorico del pensiero dialettico. Appare signi-
ficativo che proprio negli scritti in cui matura questa presa di distanza
(ovvero negli scritti del periodo francofortese) Hegel sia portato a rivol-
gere la propria critica verso alcune istanze tipiche del cosmopolitismo
settecentesco. Nell’indicare nella categoria dell’amore la principale po-
tenza di unificazione, egli ritiene di dover prendere le distanze dall’idea di
una sua estensione all’intera umanit—, considerandola inefficace rispetto
alla realizzazione di un vero legame etico. “L’amore verso l’umanit—,
l’amore che si deve estendere a tutti, anche a coloro di cui non si sa niente
[…], con cui non si À in nessuna relazione, questo amore universale À
un’insipida, ma caratteristica trovata di tempi che non possono esimersi
dall’avanzare esigenze ideali, virt¾ rivolte a un oggetto pensato, per ap-
parire ben magnifici in tali oggetti pensati dal momento che la loro realt—
À cos‡ povera”.1 Oggetto della critica hegeliana À il cosmopolitismo fi-
lantropico, quale era venuto sviluppandosi nel corso del XVIII secolo. Si
tratta dunque di una forma di cosmopolitismo differente da quello
kantiano, estraneo a esigenze e motivi legati al sentimento. Nonostante
questo, le affermazioni di Hegel sono guidate anche da una polemica nei
confronti di Kant e mettono in luce alcuni motivi teorici capaci di
chiarire la successiva presa di distanza dal cosmopolitismo da questi
elaborato. Se da un lato À facile vedere come nel parlare di ‘esigenze ideali’
e di ‘virt¾ rivolte a un oggetto pensato’ Hegel si riferisca proprio alla
morale kantiana, d’ora in avanti accusata di astrattezza, dall’altro la de-
finizione dell’amore come legame reciproco tra essenze affini difficil-
mente si concilia con l’assunzione di qualunque prospettiva cosmopoli-
tica, intesa nel senso di un superamento della distanza tra unit— politiche

1 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: Hegels theologische Jugendschriften. A cura di H.


Nohl. Tìbingen 1907, 295 s.; trad. it. di E. Mirri: Scritti teologici giovanili.
Napoli 1972, 19892, 429 s. Cfr. anche ivi, 323; trad. it. cit., 459.

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differenti. L’amore, dal punto di vista hegeliano, non puý guadagnare in


estensione senza perdere in intensit—. Esso, pertanto, non puý estendersi
all’intera sfera dei rapporti interindividuali, senza rinunciare ad avere
efficacia concreta. In questa prospettiva, l’unificazione di tutto il genere
umano in un unico legame comporterebbe la perdita del sentimento di
autonomia essenziale alla costruzione di un legame etico e necessario a
garantire che questo sia dotato di concretezza e vitalit—.
Lo sforzo di legare la sostanza etica a un’esigenza di concretezza ri-
marr— costante nella produzione hegeliana successiva. Durante il periodo
jenese lo stesso tipo di istanza verr— messo in luce in opposizione alla
tendenza ad interpretare la filosofia dell’eticit— nei termini di una filosofia
cosmopolitica: “Essa – si legge in conclusione allo scritto sul Diritto
naturale – non puý rifugiarsi nel carattere amorfo (Gestaltlosikeit) del
cosmopolitismo, n¦ nella vuotezza dei diritti dell’umanit—, n¦ nell’uguale
vuotezza di uno Stato di popoli e di una repubblica mondiale, poich¦ tali
astrazioni e strutture formali contengono proprio il contrario della vitalit—
etica”.2 Assenza di forma, vuotezza e astrazione sono tutte espressioni che
vengono ascritte alla filosofia cosmopolitica, in quanto rivolta verso un
oggetto ideale; ad essa Hegel contrappone il progetto di una filosofia
dell’eticit—, ossia una filosofia che sia capace di esprimere il carattere
peculiare della vita etica di un popolo. In generale si tratta di distinguere
quelli che si presentano come vuoti concetti del pensiero dalla concretezza
propria di ogni legame etico: mentre i primi rappresentano mere astra-
zioni, il secondo costituisce un intero intessuto di relazioni organiche;
mentre i primi vengono pensati come la somma di elementi indipendenti,
il secondo rappresenta la vita all’interno della quale soltanto l’individuo À
in grado di acquistare significato. L’esigenza di operare una distinzione tra
i due piani si presenta in modo costante nei testi di Hegel. Mette in luce il
quadro teorico cui la sua riflessione fa riferimento e determina la presa di
distanza da ogni forma di cosmopolitismo: mentre questo À guidato
dall’esigenza di inserire le collettivit— esistenti in un quadro il pi¾ esteso
possibile, dove le loro distinzioni vengono progressivamente superate,
Hegel attribuisce il pi¾ grande interesse al bisogno che i membri di una
stessa collettivit— si sentano parte di un legame unitario, e vede nella
distinzione tra collettivit— differenti un mezzo funzionale alla soddisfa-
zione di questo bisogno.

2 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: Gesammelte Werke [GW]. Meiner 1968 – .


Bd. 4, 484; trad. it di M. Del Vecchio: Eticit— assoluta e diritto positivo. Le
maniere di trattare scientificamente il diritto naturale. Milano 2003, 99.

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L’orientamento teorico di Hegel À consono con alcuni motivi carat-


teristici della cultura del suo tempo: diversamente dalla filosofia kantiana,
che si lega allo spirito del cosmopolitismo settecentesco e viene senz’altro
configurandosi come una “filosofia della pace”,3 esso trova origine in un
contesto culturale, quello della fine del XVIII secolo, orientato verso la
definizione di una prospettiva politica di tipo organicistico e caratteriz-
zato da una decisa rivalutazione del fenomeno bellico.4 Se, sotto questo
punto di vista, la relazione tra le due posizioni presenta dei contorni
nitidi, pi¾ problematica essa appare una volta che se ne considerino alcuni
aspetti pi¾ dettagliatamente: mentre da un lato le posizioni di Kant e di
Hegel rivelano alcuni elementi di consonanza che portano a conclusioni
decisamente affini – tanto da smentire a prima vista il tono polemico con
cui Hegel si pone di fronte a Kant – dall’altro lato, le stesse conclusioni,
nei due filosofi, non hanno sempre lo stesso significato, rientrando anzi
in quadri argomentativi differenti e rispondendo ad esigenze teoriche
distanti tra loro. Una considerazione della critica di Hegel al cosmopo-
litismo kantiano deve pertanto sciogliere questa ambiguit— di fondo, in-
dicando le conclusioni comuni a cui i due filosofi arrivano, e cercando di
chiarire, allo stesso tempo, in che misura esse si sovrappongono nella
sostanza o assumono invece un diverso significato.
Un primo passo in questa direzione puý essere quello di considerare
la tendenza, caratteristica dell’argomentazione di Hegel, a una forte
semplificazione della posizione kantiana. Non puý non colpire, in par-
ticolare, il modo con cui il filosofo trascura la complessit— e l’articolazione
interna che, proprio nei testi da lui presi di mira, caratterizza la riflessione
del suo predecessore. Come risulta anche dal passo citato in precedenza,
Hegel si rivolge in modo critico verso l’idea di uno Stato di popoli, cos‡
come verso quella di una repubblica mondiale. Si sa perý che nella Pace
perpetua e, in modo ancora pi¾ marcato, nella Metafisica dei costumi, Kant
respinge l’ipotesi della creazione di unit— istituzionali di questo tipo.
Mentre nel 1793, in un importante testo come quello Sul detto comune,
era stato indicato quale unico mezzo per superare la conflittualit— tra gli
Stati la creazione di un’istituzione sovrastatale globale dotata di potere

3 Cfr. De Pascale, Carla: “Guerra, dialettica, progresso fra Kant e Hegel”. In:
Filosofia e guerra nell’et— dell’Idealismo tedesco. A cura di G. Rametta. Milano
2003, 29 – 50.
4 Cfr. Mori, Massimo: La ragione delle armi. Guerra e conflitto nella filosofia classica
tedesca (1770 – 1830). Milano 1984.

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coercitivo,5 negli scritti successivi la stessa tesi viene decisamente ridi-


mensionata: dopo aver affermato la necessit— che gli Stati entrino a far
parte di “una costituzione simile a quella civile”, Kant respinge l’idea che
tale costituzione debba assumere la forma di uno Stato mondiale; all’idea
che gli Stati si uniscano in un legame giuridico sovrastatale, che sia
vincolante e garantito dall’uso della forza, egli dimostra di preferire quello
provvisorio, sempre revocabile, di una federazione tra Stati. Il fatto che
Hegel trascuri completamente questa distinzione, À stato giustamente
considerato un impoverimento della ‘ricchezza argomentativa’ kantiana.6
Nel passo citato dal Diritto naturale non solo l’idea di uno Stato di popoli
e quella di una repubblica mondiale vengono messe sullo stesso piano, ma
dell’ipotesi federale non viene neppure fatta menzione. L’assenza di in-
teresse verso questo particolare aspetto della riflessione di Kant non
rappresenta un caso isolato, emergendo anzi in modo costante nella
successiva produzione hegeliana. Nella Realphilosophie jenese (1805/06),
in particolare, a Kant viene fatto il rimprovero di sacrificare l’autonomia
dei singoli popoli in funzione della creazione di un apparato statale
unitario e privo di distinzioni: “un’universale unione di popoli per la pace
perpetua sarebbe il dominio di un popolo, oppure sarebbe un solo po-
polo”, in cui l’individualit— degli Stati “verrebbe annullata”, dando luogo
a una “monarchia universale”.7 L’unione di tutti i popoli in vista di una
pace perpetua comporterebbe il dominio di un popolo su tutti gli altri
oppure, in alternativa, l’annullamento delle differenze tra i popoli e la
perdita da parte di questi della propria natura individuale. Che un’af-
fermazione di questo genere venga inserita all’interno di una critica al
progetto kantiano di una pace perpetua non puý non stupire, se si
considera che Kant, nello scritto del 1795, prende le distanze dal progetto
di uno Stato mondiale proprio in base alla preoccupazione che le indi-
vidualit— statali si configurino come entit— autonome, che possono s‡
legarsi per via di trattati, ma senza perdere mai la propria sovranit—. Kant
sembra non solo scettico, ma anche ostile all’idea che tutti i popoli si
leghino in una formazione unitaria, dove la loro pluralit— si risolvesse
nell’unicit— di un popolo solo. Se, oltre a questo, si considera la tendenza

5 Cfr. ›GTP, AA 08: 312.24 – 30; trad. it. di F. Gonnelli: “Sul detto comune”. In:
Scritti di storia, politica e diritto. Roma-Bari 2004, 158.
6 Cfr. Bonito Oliva, Rossella: “La critica di Hegel al cosmopolitismo”. In: L’idea di
cosmopolitismo, circolazione e metamorfosi. Napoli 2002, 365 s.
7 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: GW. Bd. 8, 275; trad. it di G. Cantillo:
Filosofia dello spirito jenese. Roma-Bari 2008, 162.

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di Kant a sovrapporre i concetti di ‘Stato di popoli’ e di ‘monarchia


universale’, sembrerebbe che la sua posizione e quella di Hegel non siano
cos‡ distanti come quest’ultimo vorrebbe dare a intendere, e che i toni
aspramente critici del Diritto naturale, cos‡ come della Realphilosophie,
siano almeno in parte ingiustificati.
E tuttavia, allo scopo di definire con esattezza il rapporto tra le due
posizioni, e di valutare quindi la portata reale della critica hegeliana, À
necessario procedere in modo graduale. Se le conclusioni cui Kant e
Hegel pervengono manifestano importanti elementi di affinit—, non puý
non essere considerato il percorso teorico che ne rappresenta il presup-
posto, cos‡ come le ragioni che ne fanno da sfondo. Per quanto sia
innegabile che Hegel, nel criticare il cosmopolitismo kantiano, ne riduca
la complessit— e sia portato anche per questo a trascurarne gli elementi
vicini alla propria riflessione, va detto che gli interessi e i motivi che lo
guidano sono del tutto peculiari e fondamentalmente estranei alla posi-
zione elaborata da Kant. Sia Kant che Hegel respingono l’ipotesi di un
annullamento delle individualit— statali, quale deriverebbe dalla creazione
di uno Stato di popoli; entrambi, inoltre, guardano con sospetto
all’ipotesi che si realizzi una monarchia universale. Va detto, perý, che
non solo le ragioni che li conducono a tali affermazioni sono differenti,
ma À differente anche il significato che queste possiedono ai loro occhi.
Quanto accennato prima sull’ostilit— che Hegel dimostra verso ogni in-
terpretazione del legame etico nel senso di una somma di elementi in-
dipendenti, offre un primo chiarimento in questa direzione. Muovendo
da qui, infatti, egli prende le distanze da tutte le forme di contrattualismo
moderno, compresa quella, per molti versi innovativa, propria della fi-
losofia kantiana. ð noto che questa interpreta il contratto non in termini
genetici, allo scopo di spiegare l’origine dello Stato, ma in termini nor-
mativi, allo scopo di dire come lo Stato deve essere. In Kant il contratto
non viene presentato come il risultato di un accordo documentabile
storicamente (sia questo esplicito o implicito), ma come un’idea regola-
tiva, capace di fungere da criterio razionale con cui porsi di fronte al
reale.8 Egli stesso, nella Metafisica dei costumi, definisce il contratto ori-
ginario con cui un popolo si costituisce in uno Stato come “l’idea […]
che sola permette di concepirne la legittimit—”.9 ð inoltre sempre lo stesso

8 Cfr. Mori, Massimo: La pace e la ragione. Kant e le relazioni internazionali:


diritto, politica, storia. Bologna 2008, 188 s.
9 MS, AA 06: 315.30 – 33; trad. it. di G. Vidari, riveduta da N. Merker: La
metafisica dei costumi. Roma-Bari 1970, 145.

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criterio ad essere fatto valere in senso normativo rispetto alle relazioni che
gli Stati stringono tra loro. Per quanto l’ipotesi di uno Stato mondiale
venga respinta in favore di quella di una federazione di Stati, anche questa
viene pensata secondo le modalit— peculiari del modello contrattualistico:
gli Stati, cos‡ come i singoli individui, devono accordarsi e definire un
vincolo giuridico fondato su criteri oggettivi, ed À questo vincolo che
rappresenta il criterio cui essi devono guardare nell’agire e nel definire le
proprie decisioni. Il contratto, in questo senso, deve essere considerato il
concetto chiave che Kant adopera nell’elaborazione del proprio pacifismo
istituzionale, cos‡ come nella definizione della propria prospettiva co-
smopolitica.
Che l’idea di una pace perpetua, risultante da un contratto stipulato
fra gli Stati, svolga nella riflessione kantiana una funzione puramente
regolativa, À agli occhi di Hegel cosa chiara, tanto da risultare fuorviante
ogni lettura che interpreti la sua critica nel senso della constatazione
dell’irrealizzabilit— di un tale progetto. Lo stesso Hegel, inoltre, nello
stabilire la determinazione fondamentale delle relazioni interstatali, fa
riferimento al concetto di contratto: trattandosi di relazioni tra indivi-
dualit— autonome, il loro legame puý essere regolato solamente attraverso
una relazione esteriore come quella contrattuale. Pertanto la differenza tra
i due filosofi non puý essere indicata nel grado di fiducia rispetto alle
probabilit— di realizzazione di una pace perpetua e nemmeno nel riferi-
mento al contratto quale vincolo formale capace di regolarne i rapporti
interstatali. Essa, piuttosto, deve essere indicata – oltre che nell’insistenza
kantiana sull’auspicabilit— della pace e sulla necessit— dell’impegno a un
suo conseguimento, che invece in Hegel À del tutto assente – in una
diversa valutazione dello stesso modello contrattualistico da parte dei due
filosofi. Dal punto di vista hegeliano, coerentemente con l’accettazione di
alcuni motivi di fondo dell’organicismo politico, razionale À un’unione di
tipo organico; intellettuale, al contrario, À un unione di tipo meccanico.
Cadendo il contratto sotto la seconda tipologia di relazione, esso non
potr— in alcun modo rappresentare un’unione di tipo razionale, ma so-
lamente di tipo intellettuale. ð per questo che interpretare lo Stato come
il risultato di un contratto significa secondo Hegel misconoscere la sua
natura organica e negargli in questa maniera la razionalit— che gli ap-
partiene. ð per questo, inoltre, che se in Kant tra relazioni interindivi-
duali e relazioni interstatali esiste una continuit— garantita dal riferimento
al modello del contratto, in Hegel questa continuit— risulta assente: per
lui l’elemento contrattualistico si limita alla sfera del diritto privato,
mentre lo Stato À fatto di relazioni organiche che non possono essere

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estese al di l— dello Stato stesso.10 Si puý dire per questa ragione che, se in
Kant l’assunzione del contratto quale riferimento delle decisioni dei
singoli Stati fornisce loro il pi¾ alto valore razionale, Hegel gli nega invece
la razionalit— quale valore intrinseco. Ciý che agli occhi di Kant si pre-
senta come modello ideale, in questo senso, agli occhi di Hegel non À
ancora abbastanza; vale a dire – in altri termini – che quanto per Kant,
nella sua forma pi¾ adeguata, corrisponde alle esigenze della ragione, per
Hegel non À sufficiente nemmeno a definire un contesto unitario, che sia
veramente razionale.
Nonostante sia Hegel che Kant facciano ricorso al modello contrat-
tualistico per definire la natura delle relazioni interstatali, le loro inten-
zioni risultano dunque profondamente differenti, cos‡ come differenti
sono le conclusioni che arrivano a trarne. La collocazione del contratto sul
piano delle mere relazioni intellettuali porta Hegel a negargli la capacit—
di esprimere un legame che aspiri alla totalit—. Diversamente da Kant, egli
non pensa mai, neppure in termini regolativi, di fondare sul vincolo
contrattualistico la definizione di un assetto giuridico unitario di tipo
globale. La stipulazione di trattati puý dar luogo unicamente ad alleanze
parziali tra singoli Stati. Tali trattati, inoltre, poggiano non su vincoli
giuridici oggettivi, come accade per le relazioni interindividuali, ma sulla
volont— soggettiva dei contraenti. Sono questi, e non giudici deputati a
questa funzione particolare, a definire la validit— dei trattati, la quale
risulta cos‡ modificabile in base al loro arbitrio. ð questo tipo di posi-
zione, nella Realphilosophie jenese, che porta a definire quello delle rela-
zioni interstatali “l’eterno inganno di stringere trattati, di assumere ob-
blighi e di lasciar dileguare di nuovo questa obbligazione”.11
Una cos‡ diversa valutazione del modello contrattualistico aiuta a
mettere in luce la distanza che intercorre tra la posizione kantiana e quella
hegeliana, quando queste esprimono diffidenza verso l’idea di uno Stato
di popoli. In Kant tale diffidenza deve essere fatta risalire alla distinzione
tra il piano della politica morale e quello della prudenza politica. Per
quanto – sia nella Pace perpetua che nella Metafisica dei costumi – egli
attenui la stringenza dell’analogia tra relazioni interindividuali e relazioni

10 Sulla critica hegeliana al modello contrattualistico, cfr. Bobbio, Norberto: “Hegel


e il giusnaturalismo”, e “Diritto privato e diritto pubblico”. In: Studi hegeliani.
Torino 1981, 3 – 33 e 85 – 114; Schn•delbach, Herbert: “Hegel und die Ver-
tragstheorie”. In: Zur Rehabilitierung des animal rationale. Vortr•ge und Ab-
handlungen 2. Frankfurt a. M. 1992, 185 – 204.
11 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: GW, Bd 8, 275; trad. it. cit., 162.

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interstatali, sostituendo, alla stipulazione rigorosa di un contratto, quella


di una confederazione tra Stati, va considerato che solo in base a ragioni
di tipo pragmatico-politico, una conclusione di questo genere puý essere
inserita coerentemente nel quadro della riflessione critica. Sia che si in-
terpretino le conclusioni tratte da Kant sul Vçlkerbund come coerenti con
le premesse della sua riflessione,12 sia che le si interpreti invece come il
sintomo di una grave incoerenza teorica,13 resta indubbio che, in base ai
presupposti trascendentali del kantismo, un valore pienamente razionale
puý venire attribuito unicamente a un sistema di diritto basato non sulle
scelte dettate dalla prudenza dei governanti, ma su leggi coattive, stabilite
nell’ambito di un vincolo contrattualistico. ð in base a una distinzione tra
piano della costruzione a priori del sistema del diritto e piano della
prudenza politica che puý nascere, da un punto di vista kantiano, la
preoccupazione per il carattere autonomo e individuale degli Stati, cos‡
come per la conservazione della loro sovranit—. Le riserve di Hegel sullo
stesso punto nascono invece da ragioni essenzialmente differenti. Anzi-
tutto egli non critica la sola ipotesi di uno Stato di popoli, ma ogni forma
di assetto giuridico globale. Va inoltre considerato che, se Kant À guidato
dalla preoccupazione di distinguere tra i differenti piani della politica
morale e della prudenza politica, Hegel respinge questo tipo di distin-
zione, ricalcata com’À sul quella, da lui costantemente osteggiata, tra
ragione e realt—. Egli, piuttosto, rivolge la propria attenzione verso la
definizione della natura politica delle unit— statali, ed À interessato alla
definizione delle condizioni cui esse devono sottostare per poter godere
dei caratteri di razionalit— e universalit— che devono loro competere. Nel
far questo – come emerge da pi¾ luoghi dei testi hegeliani – viene in-
dicato fra i tratti essenziali dello Stato quello di costituire un’individualit—.
Questa caratterizzazione guida costantemente la riflessione di Hegel. Essa
si trova gi— nei testi del periodo jenese,14 ma riceve nei negli anni della
maturit— la formulazione pi¾ chiara: “[…] lo spirito – si legge nei Li-
neamenti di filosofia del diritto – come relazione infinitamente negativa a
s¦, À parimenti essenzialmente essere per s¦, che ha accolto entro di s¦ la

12 Cfr. Marini, Giuliano: Tre studi sul cosmopolitismo kantiano. Pisa-Roma 1998;
Id.: La filosofia cosmopolitica di Kant. Roma-Bari 2007, 147 – 159.
13 Cfr. Habermas, Jìrgen: “Kants Idee des ewigen Friedens – aus dem historischen
Abstand von 200 Jahren”. In: Kritische Justiz 28, 1995, 293 – 319 (ora anche in
Id.: Die Einbeziehung des Anderen. Frankfurt a. M. 1996; trad. it. di L. Ceppa:
L’inclusione dell’altro. Milano 1998, 177 – 215); Mori, Massimo: La pace e la
ragione, 124 – 136.
14 Cfr. Bourgeois, Bernard: Le droit naturel de Hegel. Paris 1986, 309 – 310.

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La critica di Hegel al cosmopolitismo kantiano 745

differenza sussistente, e quindi À esclusivo. In questa determinazione lo


Stato ha individualit—, […]”.15 Allo Stato compete una natura essenzial-
mente individuale, che À indissolubilmente legata alla necessit— di espli-
carsi secondo un movimento negativo. Pi¾ precisamente, la vita degli
Stati À caratterizzata da due movimenti di negazione, legati tra loro dal
fatto di esprimere l’universalit— e la razionalit— proprie degli Stati stessi:
questi, se da un lato devono rivolgersi negativamente al proprio interno,
conferendo alle sfere giuridiche e sociali che li compongono un valore
ideale, dall’altro devono rivolgersi negativamente anche verso l’esterno,
poich¦ unicamente per via di un movimento di esclusione – quindi anche
per via della guerra – possono negare assolutezza a quanto al loro interno
possiede un valore solamente relativo ed À espressione dell’attaccamento al
sistema dei bisogni.16 La definizione di questo punto di vista va tenuta
presente, non solo perch¦ sta alla base della nota tesi, secondo cui la
guerra avrebbe la capacit— di conservare la salute etica dei popoli, ma
anche perch¦ ha delle conseguenze precise sulle relazioni che gli Stati
possono definire tra loro: se gli Stati, in quanto entit— individuali, pos-
siedono una natura negativa, allora diventa impensabile l’idea di una
formazione onnicomprensiva come puý essere quella di uno Stato
mondiale. Una tale formazione, non potendo esplicarsi in un processo
esclusivo, non sarebbe in possesso del carattere individuale necessario alla
formazione di un legame etico. Essa non solo non sarebbe in grado di
realizzarsi, ma non potrebbe nemmeno essere idealmente pensata, senza
che venisse contemporaneamente negata una condizione indispensabile
per farne un’unit— sostanziale e dotata di razionalit—.17
Sulla base di queste considerazioni la differenza tra la concezione
kantiana e quella hegeliana delle relazioni internazionali dovrebbe otte-
nere maggior chiarezza. Ad una visione fondata sull’istanza di un supe-
ramento delle divisioni statali, Hegel oppone l’idea che un atteggiamento
esclusivo sia essenziale alla vita di un’unit— politica fornita di sovranit—; ad
un modello che pone quale idea regolativa l’istituzione di un contesto
giuridico il pi¾ possibile ampio e unitario – un modello che, da questo
punto di vista, puý essere definito giusglobalistico –, egli oppone un

15 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: GW, Bd. 7, 490 (§321); trad. it. di G. Marini:
Lineamenti di filosofia del diritto. Roma-Bari 1999, 255.
16 Cfr. ivi, § 278, 443; trad. it. cit., 223.
17 Per questo aspetto della riflessione hegeliana, rimandiamo a Gerardi, Giovanni:
“‘Dover essere’ e natura individuale degli stati: il problema della guerra nella
Filosofia del diritto di Hegel”. In: Rivista di storia della filosofia 3, 2008, 455 –
476.

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modello dinamico, policentrico e relativamente conflittuale. Quanto si À


detto, allo stesso tempo, dovrebbe chiarire anche come la critica di Hegel
al cosmopolitismo di Kant non sia in alcun modo da intendere nel senso
della constatazione dell’irrealizzabilit— empirica del progetto di pace ad
esso sotteso; non si tratta di confrontare l’ideale razionale di uno Stato di
popoli o di una repubblica mondiale con la prassi politica degli Stati, per
arrivare a concludere che non potr— mai trovare realt—. Si tratta piuttosto
di definire degli strumenti che permettano di interpretare le relazioni tra
gli Stati, tenendo conto della loro natura di totalit— etiche individuali.
Non solo nel momento della guerra il carattere individuale ed escludente
degli Stati risulta determinante, ma anche in quello della stipulazione dei
trattati e, in generale, in tutti quei processi che portano gli Stati a
stringere legami tra loro. ð necessario, pertanto, definire il significato di
questi processi, anzich¦ commisurarli ad “un’esigenza ideale” o a un
“oggetto solo pensato” come puý essere la pace perpetua, inserendoli in
un tessuto di relazioni caratterizzate da questo movimento di reciproca
esclusione. Le pagine della Filosofia del diritto in cui il progetto di una
pace perpetua viene sottoposto a critica vanno in questa direzione. Ad
essere respinta non À l’idea che si possano formare entit— istituzionali pi¾
ampie di quelle statali, ma solamente l’ipotesi che queste riescano ad
assumere la forma di organismi unitari onnicomprensivi e forniti di ra-
zionalit—; criticata, pi¾ precisamente, non À l’idea che qualcuno si eriga a
pretore, ma la possibilit— che la sua funzione effettiva corrisponda a
questa pretesa di universalit—, ossia che vada al di l— dell’azione di me-
diazione parziale e particolare tra interessi statali altrettanto parziali e
particolari. Che Hegel tenga a mente questo specifico problema, risulta
anche da quanto si legge nelle lezioni berlinesi del 1824/25: “La pace
perpetua viene sovente pretesa come un ideale al quale l’umanit— do-
vrebbe approssimarsi. Kant ha cos‡ proposto una federazione di pr‡ncipi
la quale dovrebbe appianare la litigiosit— fra gli stati e la Santa Alleanza
aveva l’intenzione di essere a un dipresso un istituto siffatto. Ma lo Stato À
un individuo, e nell’individualit— À essenzialmente contenuta la nega-
zione. Quindi, pur se un certo numero di stati si costituisce a famiglia,
questa unione, come individualit— deve crearsi un’opposizione e generare
un nemico”.18 Il passo citato non manca certamente di ambiguit—, ve-
dendo Hegel oscillare tra due piani differenti: da un lato si parla della
Santa Alleanza come di una federazione di Stati in grado di corrispondere

18 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: Rechtsphilosophie. A cura di K.-H. Ilting.


Stuttgart 1974, vol. IV, 735.

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al progetto abbozzato da Kant nel 1795, mentre dall’altro viene impiegata


una categoria, quella dell’‘individualit—’, che nella prospettiva hegeliana in
nessun modo puý venire applicata a una realt— come quella della fede-
razione. Nonostante quest’ambiguit—, il senso del discorso dovrebbe co-
munque essere chiaro. Hegel stabilisce le condizioni sotto le quali la
formazione di entit— sovrastatali possa effettivamente verificarsi, cercando
con ciý di definire quale sia la loro natura e dove debbano essere indicati i
loro limiti. Per quanto riguarda la federazione, questa deve essere intesa
come una semplice unione meccanica tra unit— statali differenti; si tratta
quindi di un processo che porta a legarsi tra loro individualit— compiute e
autonome tra loro. Nel portare l’attenzione sulla necessit— che un’unione
di Stati abbia al proprio interno un movimento negativo, egli sembra
invece voler spostare il proprio discorso dal piano della mera aggregazione
federale tra pi¾ stati (rappresentata in questo caso dalla realt— della Santa
Alleanza) a quello dell’ipotetica creazione di formazioni politiche che,
oltre ad avere un carattere sovrastatale, siano contemporaneamente or-
ganiche e unitarie. La concezione dello Stato come culmine dell’eticit—
spinge a pensare che Hegel ritenesse questa non pi¾ di un’eventualit—
puramente concepibile. ð tuttavia significativo che, nel considerare tale
eventualit—, Hegel definisca le condizioni sotto le quali essa puý effetti-
vamente avere luogo. Egli vuole mostrare che se anche una formazione
politica avanzasse la pretesa di rappresentare pi¾ di una mera federazione
– pi¾, quindi, di una mera relazione meccanica tra parti distinte tra loro
–, potrebbe farlo solo a condizione di rivolgersi verso l’esterno attraverso
un movimento di distinzione, in quanto À solo cos‡ che potrebbe elevarsi
al rango di entit— individuale (e quindi organica e razionale).
Per quanto sia Kant che Hegel muovano dei rilievi critici nei con-
fronti dell’idea di uno Stato mondiale e facciano entrambi riferimento
alla nozione di contratto, sono dunque differenti le prospettive teoriche
entro cui si collocano le loro riflessioni: al pacifismo istituzionale e al
punto di vista normativo, quali si trovano in Kant, Hegel oppone una
prospettiva interessata a comprendere le relazioni tra gli Stati alla luce del
carattere individuale e finito che questi necessariamente possiedono19. In
base a quanto si À visto, sono due i modi in cui secondo il filosofo À
pensabile un’unione tra Stati: come aggregazione intellettuale, da un lato,
e come individualit— organica, dall’altro lato. In entrambi i casi – questo
sembra essere il punto che preme a Hegel – rimane ineludibile il per-

19 Cfr. Schn•delbach, Herbert: Hegels praktische Philosophie. Ein Kommentar der


Texte in der Reihenfolge ihrer Entstehung. Frankfurt a. M. 2000, 324.

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748 Giovanni Gerardi

manere di un assetto interstatale pluralistico e restio a lasciarsi ricondurre


a un contesto istituzionale unitario di tipo globale. Pensabile À unica-
mente un insieme di entit— individuali (non solo Stati, ma anche entit—
politiche pi¾ ampie), che siano autonome e distinte tra loro, e che in
nessun modo possono subordinare la propria sapienza particolare a criteri
che ambiscono ad avere un valore universale. Prendendo le distanze dal
cosmopolitismo kantiano, si puý dire in questo senso che Hegel sia
portato a elaborare un punto di vista capace di interpretare la possibilit—
effettiva da parte di unioni sovrastatali di possedere un valore razionale.
Razionalit— e universalit— sono pensabili secondo lui solo all’interno di
unit— organiche dotate di sovranit—. Poich¦ queste possono realizzarsi
unicamente in un quadro pluralistico di relazioni tra organismi indivi-
duali, un assetto unitario di tipo globale deve essere considerato incom-
patibile con il costituirsi di qualunque legame di tipo razionale. Esso,
anche se si realizzasse, rappresenterebbe o una costruzione fittizia o uno
strumento al servizio della sapienza particolare dei suoi membri. In ogni
caso non potrebbe rappresentare qualcosa di in s¦ e per s¦ universale.
Nella definizione di questo limite e della prospettiva che ne consegue va
indicato uno dei nuclei del pensiero internazionalistico hegeliano, cos‡
come il principale motivo di critica di fronte al cosmopolitismo elaborato
da Kant.

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