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ANALITICA DELLA CAPACITÀ DI GIUDIZIO ESTETICA

ANALITICA DEL BELLO ANALITICA DEL


SUBLIME
ANALITICA DEL BELLO
Per distinguere se qualcosa è bello oppure
no, noi non riferiamo la rappresentazione
mediante l’intelletto all’oggetto, per la
conoscenza, ma invece mediante
l’immaginazione (forse collegata con
l’intelletto) al soggetto e al suo sentimento
del piacere e del dispiacere. Il giudizio di
gusto non è perciò conoscitivo, bensì
estetico, con il che si intende quel giudizio il
cui fondamento di determinazione non può
essere altro che soggettivo. (…) Con il
sentimento del piacere e del dispiacere non
viene indicato proprio niente nell’oggetto: il
soggetto sente se stesso, come viene
affetto dalla rappresentazione.
Analitica della capacità di giudizio estetica

I. Analitica del bello

4 MOMENTI DEL GIUDIZIO DI GUSTO


PRIMO MOMENTO

Secondo la qualità
Gusto è la facoltà di valutare un oggetto o una maniera di
rappresentazione mediante un compiacimento, o dispiacimento, senza
alcun interesse. L’oggetto di un tale compiacimento si dice bello.
Il compiacimento che determina il giudizio di
gusto è senza alcun interesse, cioè senza
compiacimento collegato alla rappresentazione
dell’esistenza di un oggetto.

“Se qualcuno mi domanda se trovo bello il


palazzo che vedo davanti a me (…) vuol sapere
soltanto se la mera rappresentazione dell’oggetto
è accompagnata in me da compiacimento, per
quanto indifferente io possa essere al riguardo
dell’esistenza dell’oggetto stesso. (…) Per dire che
l’oggetto è bello ciò che conta è ciò che faccio in
me stesso di questa rappresentazione, non ciò in
cui dipendo dall’esistenza dell’oggetto. Il giudizio
sulla bellezza nel quale si mescola il minimo
interesse è un giudizio di parte e non un giudizio
di gusto puro”.
3 forme diverse di COMPIACIMENTO

1. Il compiacimento per il GRADEVOLE è collegato con un interesse.


“Gradevole è ciò che piace ai sensi nella sensazione. Il giudizio col quale definisco
gradevole un oggetto esprime un interesse per esso.

Tracannare VS Degustare

Chi tracanna un bicchiere «annulla l’oggetto inteso come oggetto


del tutto indipendente, rende il sapore sensazione corporea, e non
più soltanto determinazione oggettuale di un oggetto» (M. Geiger).
3 forme diverse di COMPIACIMENTO

2. Il compiacimento per il BUONO è collegato con un interesse.

“Buono è ciò che piace mediante la ragione, per il suo mero concetto. Chiamiamo
buono per (l’utile) qualcosa che piace solo come mezzo; e invece buono in sé
qualcosa che piace per se stesso. In ambedue è contenuto sempre il concetto di un
fine, dunque il rapporto della ragione col volere (quanto meno possibile), quindi un
compiacimento per l’esistenza di un oggetto o di un’azione, cioè un qualche
interesse.

Nonostante tutta la loro diversità, gradevole e buono convergono tuttavia in ciò: essi
sono sempre collegati a un interesse per il loro oggetto, non solo il gradevole e ciò
che è buono mediatamente (l’utile), il quale piace come mezzo in vista di qualcosa di
gradevole, bensì anche ciò che è buono in assoluto, cioè il moralmente buono, il
quale comporta l’interesse supremo. Infatti ciò che è buono è l’oggetto del volere
(cioè di una facoltà appetitiva determinata dalla ragione). Ma volere qualcosa e avere
un compiacimento per la sua esistenza, ossia prendervi interesse, è la stessa identica
cosa.
3 forme diverse di COMPIACIMENTO

3. Il compiacimento per il BELLO è l’unico disinteressato e libero.

“Il giudizio di gusto è meramente contemplativo, indifferente all’esserci di un


oggetto”.

“Nei tre casi, il compiacimento si riferisce rispettivamente all’inclinazione, al favore e


al rispetto. Il favore è l’unico compiacimento libero. Un oggetto dell’inclinazione e un
oggetto che ci venga di appetire da una legge della ragione (tu devi!) non ci lasciano
alcuna libertà di farci noi stessi di qualche cosa un oggetto di piacere”.
SECONDO MOMENTO
Secondo la quantità

Bello è ciò che, senza concetto, piace universalmente.


Il bello è ciò che, senza concetti, viene rappresentato come oggetto di un
compiacimento universale.

Questa definizione deriva dalla precedente: ciò per cui proviamo un


compiacimento senza alcun interesse deve contenere un fondamento del
compiacimento per ognuno  “UNIVERSALITÀ SOGGETTIVA”.

RIVOLUZIONE COPERNICANA ESTETICA: “Non potendo rintracciare condizioni


private di sorta come fondamenti del compiacimento, dobbiamo considerare
quel compiacimento come fondato in ciò che possiamo presupporre anche in
ogni altro”.

Questo “ciò” è il “libero gioco di immaginazione e intelletto” che ci fa parlare


del bello come se la bellezza fosse una proprietà dell’oggetto e come se il
giudizio fosse logico, mentre invece è soltanto estetico.
DI NUOVO: confronto con gradevole e buono

GRADEVOLE: “Ognuno ha il suo proprio gusto”

BUONO: i giudizi hanno sì universalità, ma solo mediante un concetto

“Per me è bello è per Kant espressione scorretta”.

Il giudizio di gusto ha un’universalità particolare, soggettiva, perché non connette il


predicato della bellezza con il concetto dell’oggetto, e tuttavia lo estende a tutta la
sfera dei giudicanti. È la CONDIZIONE SOGGETTIVA – lo “stato d’animo”, dice Kant –
il vero universale nel giudizio di gusto.

“Le capacità conoscitive messe in gioco dalla rappresentazione si trovano qui in un


libero gioco, perché nessun concetto determinato le confina”.
Universalità soggettiva
aka
sensus communis aestheticus
TERZO MOMENTO

Secondo la relazione dei fini

La bellezza è la forma della finalità di un oggetto in quanto essa vi


viene percepita senza la rappresentazione di un fine.
FINE = L’OGGETTO DI UN CONCETTO IN QUANTO IL SECONDO VIENE
CONSIDERATO COME CAUSA DEL PRIMO (COME FONDAMENTO REALE DELLA
SUA POSSIBILITA’).

MA

SI DICE FINALISTICO UN OGGETTO O UNO STATO D’ANIMO O UN’AZIONE


ANCHE SOLO PER IL FATTO CHE LA SUA POSSIBILITA’, SEBBENE NON
PRESUPPONGA NECESSARIAMENTE LA RAPPRESENTAZIONE DI UN FINE, NON
PUO’ ESSERE DA NOI SPIEGATA E COMPRESA SE NON AMMETTENDO A SUO
FONDAMENTO UNA CAUSALITA’ SECONDO FINI, CIOE’ UNA VOLONTA’ CHE
L’ABBIA DISPOSTA COSI’ SECONDO LA RAPPRESENTAZIONE DI UNA CERTA
REGOLA. LA FINALITA’ PUO’ DUNQUE ESSERE SENZA UN FINE SE, PUR NON
POTENDO RIPPORRE IN UNA VOLONTA’ LE CAUSE DI QUESTA FORMA, NON
POSSIAMO TUTTAVIA RENDERCI COMPRENSIBILE LA SPIEGAZIONE DELLA SUA
POSSIBILITA’ ALTRIMENTI CHE DERIVANDOLA DA UNA VOLONTA’.
POSSIAMO DUNQUE QUANTO MENO OSSERVARE UNA
FINALITA’ SECONDO LA FORMA ANCHE SENZA PORRE A SUO
FONDAMENTO UN FINE (QUALE MATERIA DEL NEXUS FINALIS).

Se nella foresta capito davanti a un prato intorno al quale gli alberi


stanno in cerchio, ma non per questo mi rappresento un fine, cioè,
mettiamo, che debba servire per la danza campestre, allora mediante
la mera forma non viene dato il minimo concetto di perfezione.
La consapevolezza della finalità meramente
formale nel gioco delle capacità conoscitive del
soggetto per una rappresentazione con cui è dato
un oggetto è il piacere stesso, perché essa
contiene un fondamento di determinazione
dell’attività del soggetto riguardo alla vivificazione
delle capacità conoscitive del medesimo, dunque
una mera forma della finalità soggettiva di una
rappresentazione in un giudizio estetico. Il
piacere ha l’effetto di mantenere senz’altro
intento lo stato della rappresentazione stessa e
l’impegno delle capacità conoscitive. Noi ci
fermiamo a considerare il bello.
QUARTO MOMENTO

Secondo la modalità del compiacimento per l’oggetto

Bello è ciò che, senza concetto, viene riconosciuto come oggetto di un


compiacimento necessario.
Il GRADEVOLE ha effettivamente come effetto un piacere in me.

Il BELLO ha un riferimento necessario al compiacimento.

“Ora, questa necessità è di una specie particolare: non una necessità


oggettiva teoretica, dove può essere riconosciuto a priori che ciascuno sentirà
questo compiacimento per l’oggetto da me detto bello, e nemmeno una
necessità pratica, dove il compiacimento è la conseguenza necessaria di una
legge oggettiva e non significa altro che si deve assolutamente (cioè senz’altro
intento) agire in un certo modo. Invece, in quanto necessità che viene pensata
in un giudizio estetico, essa può essere detta solo esemplare: una necessità
del consenso di tutti in un giudizio che viene considerato come esempio di
una regola universale che non si può addurre”.
E’ solo presupponendo che ci sia un senso comune (col che intendiamo non
un senso esterno, ma l’effetto – il sentimento – derivante dal libero gioco
delle nostre capacità conoscitive) che può essere dato il giudizio di gusto.

Se le conoscenze devono essere comunicabili, dev’esserlo anche lo stato


d’animo, cioè la disposizione delle capacità conoscitive per una conoscenza
in generale. E appunto ciò accade ogni volta che un oggetto dato, per mezzo
dei sensi, mette in azione l’immaginazione per la composizione del
molteplice e l’immaginazione, a sua volta, mette in azione l’intelletto per
l’unità, in concetti, del molteplice stesso.

Il senso comune è la condizione necessaria della comunicabilità universale


della nostra conoscenza. Esso non può essere fondato sull’esperienza: non
dice che ciascuno sarà d’accordo col nostro giudizio, ma che deve essere
d’accordo.
ANALITICA DEL SUBLIME
BELLO / SUBLIME

ANALOGIE

1) ENTRAMBI PIACCIONO PER SE STESSI


2) ENTRAMBI PRESUPPONGONO NON UN GIUDIZIO DEI SENSI, NÉ UN GIUDIZIO
LOGICO DETERMINANTE, BENSÌ UN GIUDIZIO DI RIFLESSIONE.
3) DI CONSEGUENZA, IN ENTRAMBI I CASI I GIUDIZI SONO SINGOLARI CHE SI
PRESENTANO PERÒ COME VALIDI UNIVERSALMENTE.
BELLO / SUBLIME
DIFFERENZE

1) IL BELLO CONCERNE LA FORMA DELL’OGGETTO, IL SUBLIME L’INFORME, IN QUANTO IN


ESSO CI SI RAPPRESENTI UN’ILLIMITATEZZA E LA SI PENSI POI PERÒ COME TOTALITÀ.

2) IL BELLO È L’ESIBIZIONE DI UN CONCETTO INDETERMINATO DELL’INTELLETTO, IL


SUBLIME L’ESIBIZIONE DI UN CONCETTO PURE INDETERMINATO, MA DELLA RAGIONE.

3) IL BELLO COMPORTA UN SENTIMENTO CHE PROMUOVE LA VITALITÀ, L’ALTRO È UN


PIACERE CHE SORGE SOLO INDIRETTAMENTE, E PRECISAMENTE IN QUESTO MODO:
VIENE PRODOTTO DAL SENTIMENTO DI UN MOMENTANEO IMPEDIMENTO DELLE
ENERGIE VITALI E DI UNA SUBITO SUCCESSIVA, TANTO PIÙ FORTE ESPANSIONE DELLE
MEDESIME. IL COMPIACIMENTO PER IL SUBLIME MERITÀ PERCIÒ DI ESSERE CHIAMATO
UN PIACERE NEGATIVO.

4) MA LA DIFFERENZA PIÙ IMPORTANTE È CHE LA BELLEZZA COMPORTA UNA FINALITÀ


NELLA SUA FORMA, PER CUI L’OGGETTO SEMBRA PREDETERMINATO PER LA NOSTRA
CAPACITÀ DI GIUDIZIO, MENTRE CIÒ CHE SUSCITA IN NOI IL SENTIMENTO DEL SUBLIME
APPARE CONTROFINALE PER LA NOSTRA CAPACITÀ DI GIUDIZIO, QUASI VIOLENTO NEI
CONFRONTI DELL’IMMAGINAZIONE, MA DA CIÒ CONSEGUE SOLO CHE LO SI
GIUDICHERÀ TANTO PIÙ SUBLIME.
LA BELLEZZA DELLA NATURA CI RIVELA UNA TECNICA DELLA NATURA CHE CE LA FA
RAPPRESENTARE COME UN SISTEMA SECONDO LEGGI IL CUI PRINCIPIO NON
RITROVIAMO NELLA NOSTRA FACOLTÀ INTELLETTIVA: IL PRINCIPIO DI UNA
FINALITÀ, RISPETTO ALL’USO DELLA CAPACITÀ DI GIUDIZIO RIGUARDO AI
FENOMENI, COSÌ CHE QUESTI DEBBANO ESSERE VALUTATI COME APPARTENENTI
NON SOLO ALLA NATURA NEL SUO MECCANISMO PRIVO DI UN FINE, MA ANCHE A
QUALCOSA DI ANALOGO ALL’ARTE. LA BELLEZZA ESTENDE NON CERTO LA
CONOSCENZA DEGLI OGGETTI DELLA NATURA, MA TUTTAVIA IL NOSTRO
CONCETTO DELLA NATURA (DALLA NATURA COME MECCANISMO ALLA NATURA
COME ARTE).
IL SUBLIME DELLA NATURA NON INDICA AFFATTO QUALCOSA DI FINALISTICO
NELLA NATURA STESSA, MA SOLO NEL POSSIBILE USO DELLE INTUIZIONI DI ESSA,
AFFINCHÉ POSSIAMO SENTIRE IN NOI STESSI UNA FINALITÀ DEL TUTTO
INDIPENDENTE DALLA NATURA. PER IL BELLO DELLA NATURA DOBBIAMO
CERCARE UN FONDAMENTO FUORI DI NOI, PER IL SUBLIME, INVECE, SOLTANTO IN
NOI E NEL MODO DI PENSARE CHE INTRODUCE LA SUBLIMITÀ NELLA
RAPPRESENTAZIONE DELLA NATURA.
SUBLIME MATEMATICO SUBLIME DINAMICO

Assolutamente grande Assolutamente potente


Essere una grandezza (quantum)
VS
Essere grande
VS
Essere assolutamente grande

“Che qualcosa sia una grandezza lo si può conoscere


dalla cosa stessa, senza alcun confronto con altre cose:
lo è se una molteplicità di elementi omogenei costituisce
insieme un’unità. Ma per sapere quanto grande sia si
richiede sempre qualcos’altro come misura. Quando
però noi diciamo di una cosa che è assolutamente
grande, cioè che è sublime, non permettiamo che per
quella cosa venga cercata un’unità di misura che le sia
adeguata al di fuori di essa, ma solo in essa stessa. E’
una grandezza che è uguale solo a se stessa. Ne deriva
che il sublime non va cercato nelle cose della natura, ma
solo nelle nostre idee”.
Considerandolo con questo metro, nulla che possa essere
oggetto dei sensi va detto sublime. Ma dal momento che
nella nostra immaginazione c’è un’aspirazione a progredire
all’infinito, e nella nostra ragione, invece, una pretesa alla
totalità assoluta quale idea reale, ecco che quella stessa
inadeguatezza, rispetto a tale idea, della nostra facoltà che
stima le cose del mondo sensibile risveglia il sentimento di
una facoltà soprasensibile in noi; ed è l’uso che la capacità
di giudizio fa in modo naturale di certi oggetti in funzione
di quel sentimento, e non l’oggetto dei sensi, a essere
assolutamente grande.

Sublime è ciò che, per il solo fatto di poter essere pensato,


dimostra una facoltà dell’animo che oltrepassa ogni unità
di misura dei sensi
APPRENSIONE (apprehensio) VS COMPRENSIONE (COMPREHENSIO AESTHETICA)

“La comprensione diventa sempre più difficile quanto più avanza l’apprensione e
giunge presto al suo massimo, cioè alla grandezza massima (esteticamente) che
funge da misura-base della stima di grandezza”.

INADEGUATEZZA DELL’IMMAGINAZIONE
NELL’ESIBIZIONE DEL CONCETTO DI UNA GRANDEZZA.
È per questo che non si dovrebbe indicare il sublime in prodotti dell’arte,
dove un fine umano determina sia la forma sia la grandezza, né in cose
naturali il cui concetto comporti già un fine determinato (per esempio,
animali dalla destinazione naturale ben nota), bensì nella natura bruta (e in
questa, anzi, solo in quanto non comporta alcuna attrattiva né emozione
derivante da pericolo effettivo), solo in quanto ha in sé grandezza.
MA QUAL È LA FINALITÀ SOGGETTIVA, NEL CASO DEL SUBLIME???

L’immaginazione procede da sé all’infinito, senza che


niente le sia d’ostacolo, nella composizione richiesta
per la rappresentazione di grandezza; ma l’intelletto la
guida mediante concetti di numero per i quali essa
deve dare lo schema: e in questo procedimento,
appartenente alla stima logica di grandezza, non c’è
nulla di finalistico e di piacevole per la capacità di
giudizio estetica. Siamo costretti a spingere la
grandezza della misura, e dunque della comprensione
del molteplice in un’intuizione, fino al limite
dell’immaginazione, e tanto in là quanto essa può mai
arrivare nelle esibizioni.
MA
Ma ecco che l’animo presta ascolto alla voce della ragione, che
per tutte le grandezze date (anche per quelle che, non possono
mai venire apprese interamente) esige la totalità, e dunque la
comprensione in una intuizione, e richiede l’esibizione per tutti
quei membri di una serie di numeri progressivamente
crescente e non esclude da questa esigenza nemmeno
l’infinito, ma anzi rende inevitabile pensarselo come dato
interamente.
Ma l’infinito è assolutamente grande. Anche solo poterlo
PENSARE come un tutto attesta una facoltà dell’animo che
oltrepassa ogni unità di misura dei sensi. Anche solo per poter
pensare senza contraddizione l’infinito dato ci vuole nell’animo
umano una facoltà che sia essa stessa soprasensibile.
SUBLIME È DUNQUE LA NATURA IN QUEI SUOI FENOMENI
LA CUI INTUIZIONE COMPORTA L’IDEA DELLA SUA INFINITÀ.
SUBLIME DINAMICO
Potenza è un potere che è superiore rispetto a grandi ostacoli. La medesima si
chiama violenza quando è superiore anche rispetto alla resistenza di ciò che ha
anch’esso potenza. La natura, considerata nel giudizio estetico come una
potenza che non può esercitare su di noi violenza alcuna, è sublime-dinamica.
Se la natura deve venir valutata sublime dinamicamente, deve venire
rappresentata come qualcosa che suscita terrore. Ma si può considerare
terribile un oggetto senza provare terrore davanti a lui, quando cioè lo
valutiamo in modo tale che ci limitiamo a pensare il caso in cui potremmo
voler opporgli resistenza.
Rupi ardite e scoscese, quasi minacciose, nubi di tempesta, vulcani in tutta la loro
violenza distruttrice, uragani e simili fanno del nostro potere dir esistenza, in
confronto alla loro potenza, una piccolezza insignificante. 
MA
La loro vista finisce per attirare tanto più, quanto più è terribile, se ci troviamo al
sicuro; e noi chiamiamo sublimi questi oggetti, perché essi elevano la forza
dell’anima al di sopra della sua solita misura media e fanno scoprire in noi un potere
di resistere di tutt’altra specie. 
SUBLIME ≠ SADISMO
L’IMPOSSIBILITÀ DI RESISTERE ALLA POTENZA DELLA NATURA CI RENDE SÌ NOTA LA
NOSTRA IMPOTENZA FISICA, MA CI RIVELA AL CONTEMPO UN POTERE DI VALUTARCI
COME INDIPENDENTI DA ESSA E UNA SUPERIORITÀ RISPETTO ALLA NATURA:
L’UMANITÀ NELLA NOSTRA PERSONA NON RISULTA UMILIATA, SEBBENE L’UOMO
NON POTREBBE NON SOCCOMBERE.

LA NATURA VIENE VALUTATA SUBLIME NON IN QUANTO SUSCITA TERRORE, MA IN


QUANTO EVOCA IN NOI LA NOSTRA FORZA (CHE NON È NATURA) CAPACE DI
CONSIDERARE PICCOLO CIÒ PER CUI CI PREOCCUPIAMO (I BENI, LA SALUTE, LA
VITA) E DI NON CONSIDERARE PERCIÒ LA SUA POTENZA COME UNA VIOLENZA CUI
DOVREMMO PIEGARCI, QUALORA SI TRATTASSE DEI NOSTRI PRINCIPI SUPREMI, DI
AFFERMARLI O LASCIARLI CADERE. DUNQUE LA NATURA È DETTA SUBLIME SOLO
PERCHÉ ESSA ELEVA L’IMMAGINAZIONE ALL’ESIBIZIONE DI QUEI CASI NEI QUALI
L’ANIMO SENTE LA PECULIARE SUBLIMITÀ DELLA PROPRIA DESTINAZIONE, PERFINO
AL DI SOPRA DELLA NATURA.
L’universalità del sublime è simile e al tempo stesso diversa rispetto a quella del
bello.

Simile, perché in entrambi i casi possiamo richiedere che ciascuno giudichi come
noi.

Diversa, perché “la disposizione dell’animo al sentimento del sublime richiede


una sua ricettività per le idee; infatti, proprio nell’inadeguatezza della natura
rispetto a quelle, e dunque solo presupponendo le idee stesse e la tensione
dell’immaginazione a trattare la natura come uno schema per esse, sta ciò che
spaventa la sensibilità e che pure risulta al tempo stesso avvincente: perché è
una violenza che la ragione esercita su di quella solo per estenderla e farla
sporgere fino a vedere l’infinito, che per essa è un abisso. Senza lo sviluppo di
IDEE MORALI, ciò che noi, preparati dalla cultura, chiamiamo sublime, apparirà
all’uomo rozzo semplicemente spiacevole.
SCHILLER, DEL SUBLIME (1793)

SICUREZZA FISICA / SICUREZZA MORALE

Lo spaventoso può essere fonte di diletto solo qualora ci si trovi


al sicuro. Esistono però sventure e pericoli dai quali l’uomo non
può mai sentirsi al sicuro, e che tuttavia possono risultare
sublimi nella rappresentazione. Il concetto di sicurezza non si
può quindi circoscrivere alla consapevolezza di esser
fisicamente immuni dal pericolo. Del resto, su cosa potrebbe
fondarsi la propria sicurezza dal destino, dall’onnipresente
potenza della divinità, dal dolore delle malattie, dalla perdita
dei cari e dalla morte?
La sicurezza interiore o morale è sì immediata fonte di tranquillità
per i sensi, ma lo è solo in virtù delle idee della ragione. Noi
contempliamo lo spaventoso senza timore perché ci sentiamo
sottratti, in virtù della nostra innocenza o dell’idea
dell’indistruttibilità del nostro essere, al potere che ha su di noi in
quanto esseri naturali. Questa sicurezza morale postula dunque
idee religiose, giacché solo la religione, e non la morale, è fonte di
serenità per i nostri sensi. La morale segue i precetti della ragione
inflessibilmente, e senza curarsi dei sensi; è la religione, invece,
che cerca di fondare una riconciliazione, una concordanza, tra gli
imperativi della ragione e le istanze dei sensi. Ai fini della
sicurezza morale non è dunque affatto sufficiente possedere
principi morali, ma si esige che natura e legge morale coincidano,
o, il che è lo stesso, che si concepsica la natura sotto l’influenza di
un essere puramente razionale.

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