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MIMESIS

Fenomenologia e Ontologia Sperimentali


Collana diretta da Giorgio Derossi
N. 3

I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer-review

Comitato Scientifico
Serena Cattaruzza (Universit di Trieste) / Alan Costall (Universit
di Portsmouth) / Elisabeth List (Universit di Graz) / Riccardo
Martinelli (Universit di Trieste) / Giulia Parovel (Universit di
Siena) / Franco Paracchini (Universit di Ginevra) / Michele Sinico
(Universit di Venezia) / Paolo Spinicci (Universit di Milano) /
Fiorenza Toccafondi (Universit di Parma).
Luca Taddio

FENOMENOLOGIA
ERETICA
SAGGIO SULLESPERIENZA
IMMEDIATA DELLA COSA
Prefazione di Giorgio Derossi
Postfazione di Marcello Losito

MIMESIS / Fenomenologia e Ontologia Sperimentali


2011 MIMESIS EDIZIONI (Milano Udine)
Collana: Fenomenologia e Ontologia Sperimentali, n. 3
ISBN 9788857500089
www.mimesisedizioni.it
Via Risorgimento, 33 20099 Sesto San Giovanni (MI)
Telefono e fax: +39 02 89403935
E-mail: mimesis@mimesisedizioni.it
A Paolo Bozzi,
in memoria
INDICE

PREFAZIONE di Giorgio Derossi 13

I. INTRODUZIONE 23

II. FORSE UN DIO CI INGANNA


1. Osservare un cubo 47
2. Sartre 48
3. Severino vs Husserl 51
3.1 Atteggiamento naturale o scientifico 54
3.2 Il limite della fenomenologia 58
3.3 Evidenza, verit e scetticismo 61
4. Da Husserl a Merleau-Ponty 68
4.1 La struttura del comportamento 73
4.2 Fenomenologia della percezione 78
4.3 Il visibile e linvisibile 85
5. Visualizzare un cubo 89
6. Percezione e movimento 91
7. Wittgenstein: dubitare di dubitare 94
7.1 Un dubbio iperbolico 98
7.2 Da Matrix alle terre gemelle 100
7.3 Linsensatezza del dubbio 103
8. Un primo sistema di riferimento 104

III. NON VEDERE COME WITTGENSTEIN


1. Il cubo di Necker: dalla cosa allimmagine 115
2. Vedere e interpretare 118
3. Vedere, notare un aspetto e vedere-come 122
4. Vedere vs vedere-come 129
5. Anatra-Lepre: dallimmagine alla realt 136
6. Essere ciechi a un aspetto 144
7. Il cubo di Necker: da Merleau-Ponty a Wittgenstein 148
8. Dal vedere-come allesperienza immediata 165
IV. LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA
1. Borges: Le cose 177
2. Il senso nichilistico della cosa 182
3. Questa cosa 190
4. Ostensione e percezione visiva 194
5. Limmagine scientifica e lesperienza delle cose 197
5.1 Percezione, ambiente e comportamento 199
5.2 Fatti o interpretazioni 202
6. Lesperienza fenomenica 205
7. Realismo diretto: vedere in senso stretto 210
8. Completamento amodale della cosa: un cubo 217
8.1 Esperienza passata e completamento amodale 224
8.2 Linvisibile-visibile: logica del vedere vs logica
del pensabile 228
9. La percezione visiva: tornare alle cose stesse 230
10. Lesperienza immediata della cosa 236

V. IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA


1. La fenomenologia sperimentale 243
2. Lo schema psico-fisico S-D 248
3. Descrizione causale o fenomenica 251
4. Lerrore dello stimolo 255
5. Lillusione di Mller-Lyer: esse est percipi metodologico 258
5.1 Apparenza e realt: dallesperienza alla misurazione 261
5.2 Ontologia della lavagna vs ontologia alla lavagna 263
6. Dallesse est percipi al percept-percept coupling 265
7. Apparenza e realt: lesperimento di Gelb 267
8. Spogliare il mondo 272
9. Tale che, phi 274
10. Un cubo tale che phi 285
11. La realt incontrata 288
12. Le cose incontrate 292
13. Si vede quello che non c; non si vede quello che c 296
14. Lesperienza: fenomenica, epistemica e psicologica 300
15. La realt incontrata: esterno/interno 303
16. Dal Golem al genio maligno 307

VI. DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 313

POSTFAZIONE di Marcello Losito 379


Dio mi ha costretto a stare da questa parte,
tra i fenomeni;
il resto dunque me lo devo immaginare.
Fingete che il mondo dellesperienza
sia come effettivamente ; poi se ne parla

Paolo Bozzi
RINGRAZIAMENTI

Anzitutto, un ringraziamento in memoria di un grande


maestro della filosofia e della psicologia italiana, Paolo Bozzi:
da lui ho appreso la fenomenologia della percezione. Un gra-
zie particolare a Giorgio Derossi e Marcello Losito che, negli
anni, hanno accompagnato in modo diverso il sedimentarsi
di queste pagine. Ringrazio inoltre coloro che hanno avuto la
pazienza di leggere le varie stesure di questo libro e di fornirmi
preziosi suggerimenti, in primis Damiano Cantone e Federico
Mesaglio. La mia amicizia e gratitudine va a Paolo Spinicci,
Serena Cattaruzza e Luigi Perissinotto. Non posso menzionare
tutti coloro che hanno stimolato direttamente o indirettamen-
te le riflessioni qui contenute, ma per diverse ragioni voglio
ricordare: Francesca Adamo, Marcello Barison, Alessandro
Bertinetto, Giuseppe Bianco, Francesco Bilotta, Rocco Brien-
za, Renato Calligaro, Silvia Capodivacca, Pierre Dalla Vigna,
Massimo Don, Maurizio Ferraris, Marcello Ghilardi, Salvatore
Lavecchia, Giovanni Leghissa, Riccardo Martinelli, Cristiano
Mautarelli, Franco Paracchini, Franco Rella, Renato Rizzi, Pier
Aldo Rovatti, Emanuele Severino, Federico Vercellone, Gio-
vanni B. Vicario, Vincenzo Vitiello e Giovanni Paolo Zanon.
Infine ringrazio Dolores e Sofia per aver avuto la pazienza di
sopportare il tempo dedicato alla stesura di questo libro.
PREFAZIONE

di Giorgio Derossi
PREFAZIONE 15

Leresia cui si allude nel titolo di questo stimolante


saggio si prospetta certo tale, in primo luogo, rispetto alla
fenomenologia husserliana, ma anche, pi ampiamente,
nei confronti di alcune costanti consolidatesi nei diversi
od opposti indirizzi di pensiero in cui si articola la filoso-
fia moderna e contemporanea: la mediazione e il lin-
guaggio, assurti, sia pure in modalit anche assai diffe-
renti, al rango di veri e propri principi imprescindibili.
Senza risalire al drastico rifiuto hegeliano del colpo di
pistola fideistico operato da Jacobi, baster ricordare la
svolta linguistica che ha contrassegnato la filosofia del
secolo scorso, in cui le pi significative scuole (tranne,
in parte, quella fenomenologica) hanno a diverso titolo
identificato nel linguaggio la mediazione idonea a far colli-
mare reale e razionale.
dunque fin da subito chiaro che una fenomenologia
per cos dire radicale, che rivendica la piena autono-
mia e originariet dellesperienza immediata della cosa,
fuoriesce inequivocabilmente dai canoni e dai vincoli del-
la svolta linguistica prospettando in alternativa una sor-
ta di svolta ontologica. Una svolta peraltro non priva di
significativi riscontri negli sviluppi del pensiero filosofico
e scientifico (specialmente delle scienze cognitive e per-
cettologiche) moderno e contemporaneo. E lAutore non
manca di evocarne alcuni autorevoli antesignani (da Ber-
keley a Mach, Meinong, Stumpf, ecc.). Si tratta comunque
di un decorso in gran parte sotterraneo, come quello di
un fiume carsico che affiora decisamente solo alla foce.
E qui troviamo in effetti il riferimento storicamente
e teoreticamente pi vicino alla prospettiva dellAutore:
quello a Merleau-Ponty e in particolare allultima fase
del suo pensiero, al suo approdo finale nellopera postu-
16 FENOMENOLOGIA ERETICA

ma Le Visibile et lInvisible. LAutore rileva la significativa


curvatura ontologica operata dal fenomenologo francese
che, sulla base della critica alla husserliana visione delle
essenze, mette allo scoperto la trama (chair) dellEssere
verticale, costituita dal chiasma visibile-invisibile. Ma
limplicazione pi significativa di tale curvatura rappre-
sentata dal fatto che essa non comporta per nulla una di-
minuzione del ruolo primario riservato alla percezione
(nella forma dellintreccio reversibile percipiente-perce-
pito), a favore del linguaggio o del logos.
Qui incontriamo il punto cruciale, lasse su cui si im-
pernia la proposta teoretica dellAutore: lirriducibilit
della conoscenza percettiva delle cose, della loro realt,
alla mediazione del linguaggio o del logos. Essa emerge
chiaramente nella critica alle ontologie di Heidegger e
di Severino: con una formulazione semplificata, si potreb-
be forse sintetizzarla dicendo che lontologia percettiva
non pu fondarsi sul logos sia pure inteso (heideggeriana-
mente) come Parola dellEssere da interpretare n (seve-
rinianamente) sullApparire dellEssere. Piuttosto, parrebbe
che essa debba basarsi sullessere dellapparire: il prius, cio,
dovrebbe essere, per dir cos, non lessere-che-appare, bens
lapparire-che-. Non si tratterebbe quindi propriamente
se interpreto bene il pensiero dellAutore di una relazio-
ne sia pure intrinseca fra Essere e Apparire ma piuttosto di
una loro equazione o identit originaria.
Si palesa qui, pure, una rilevante differenziazione dalla
complessiva elaborazione fenomenologica merleau-pont-
yana: mentre in questultima la percezione consiste in un
rapporto di reciproca compenetrazione fra percipiente e
percepito non a caso definito a suo tempo da De Wa-
elhens di ambiguit nella prospettazione dellAutore
questo rapporto si assesta pi sul ruolo del percepito che
su quello del percipiente: ossia sul percepito che appare al
percipiente. Il percepito, in effetti, pur avendo ovviamente
bisogno del percipiente per apparire, impone a esso,
in questo apparire, la sua legge o il suo linguaggio. Il
percipiente non in grado, per cos dire, di negoziare
con il percepito i modi di apparire di questultimo, perch
PREFAZIONE 17

tali modi non sono (per usare un termine caro a Ferraris)


emendabili. Il percipiente pu, bens, comportarsi at-
tivamente nei confronti del percepito, ma non per questo
pu produrlo secondo le proprie strutture fisiologiche
o mentali: il percepito non un prodotto n diretto n
indiretto del percipiente.
Una simile tesi ha implicazioni di vario ordine, cui si
pu far qui solo un rapido cenno. In primo luogo, essa
si richiama, in linea generale, allapparato teorico-speri-
mentale della Gestalttheorie, la quale, com noto, riteneva
di aver dimostrato sperimentalmente che le configurazio-
ni in cui si presentano i percepiti sono determinate neces-
sariamente da leggi che presiedono al loro costituirsi.
Sul ruolo di tali leggi, come pure su altre tesi o ipotesi
della Gestalttheorie (come, per esempio, quella avanzata da
Khler dellisomorfismo), Merleau-Ponty, invero, aveva
opposto serie critiche, pur senza disconoscere la grande
rilevanza teorica della determinazione sperimentale della
Gestalt.
Critiche non del tutto infondate, com dimostrato per
esempio, fra laltro, proprio dal ridimensionamento delle
leggi a costanti operato dagli stessi gestaltisti. Tutta-
via altre ricerche sperimentali effettuate nellambito della
Gestaltpsychologie hanno condotto a ulteriori acquisizioni e
approfondimenti teorici che ne hanno non solo modifica-
to ma anche arricchito liniziale quadro teorico. Spiccano
in questo quadro, relativamente alla problematica qui trat-
tata, i contributi di Duncker, Michotte, Gibson, Metzger
e altri, nonch quelli delle Scuole di Padova e di Trieste
facenti capo rispettivamente a Metelli e Kanizsa e aventi
come comune capostipite Benussi, operante dapprima a
Graz e, dopo la prima guerra mondiale, a Padova.
In particolare Kanizsa, oltre a originali e innovative
ricerche sperimentali, ha sviluppato, specialmente nel-
la fase matura della sua attivit, unoriginale riflessione
teorica il cui risultato pi interessante per la problema-
tica trattata nel saggio costituito dalla netta distinzione
fra pensare e vedere, ovvero fra le logiche proprie
alluno e allaltro. Questa e altre posizioni di Kanizsa sono
18 FENOMENOLOGIA ERETICA

state profondamente rielaborate da Bozzi, le cui raffinate


analisi e puntualizzazioni percettologiche forniscono inci-
sivi strumenti concettuali allAutore, che se ne serve con
notevole maestria per una rinnovata determinazione del
ruolo del percepito e conseguentemente del rapporto
percepito-percipiente.
Si potrebbe quasi dire, paradossalmente, che le cosid-
dette figure ambigue o bistabili su cui non a caso
lAutore si sofferma ripetutamente sono utilizzabili,
come egli stesso pone in evidenza, per rimettere in que-
stione la menzionata ambiguit merleau-pontyana. Esse
si dimostrano infatti testardamente irriducibili alla pre-
sa del soggetto, sia essa di tipo logico-concettuale oppure
basata sullesperienza passata. Entrambe in effetti si pa-
lesano impotenti a influenzare non solo la duplice for-
ma bistabile del percepito, ma anche la scansione del
suo apparire scansione imprevedibile appunto perch
non in potere del soggetto. Nella terminologia gestaltisti-
ca si dice perci che il percepito simpone al percipien-
te, ovvero che questultimo incontra quello, definito
appunto anche lincontrato (Metzger).
Dal punto di vista epistemologico, ci offre allAutore
la possibilit di una mirata quanto appropriata presa di
posizione critica nei confronti della tesi sostenuta in vari
modi da Popper, dai cognitivisti, dagli empiristi, ecc. per
cui la configurazione del percepito sarebbe ineluttabil-
mente condizionata dalle aspettative o dai preconcet-
ti consolidatisi in seguito al sedimentarsi delle esperien-
ze precedenti del soggetto percipiente.
Emerge inoltre la questione di tipo ontologico sul
rapporto fra il percepito in quanto incontrato (dal sog-
getto) e la cosa o loggetto e quindi fra la mente (e
il corpo) del soggetto, da un lato, e il mondo esterno,
dallaltro. E, a essa collegata, la questione di tipo gnoseo-
logico sulla certezza ovvero sullindubitabilit delloriz-
zonte mondano in quanto matrice originaria in cui costi-
tutivamente si trova il soggetto percipiente-conoscente.
Su questultimo tema, affrontato allinizio del saggio, si
mostra la forse inaspettata ma assai significativa conver-
PREFAZIONE 19

genza delle posizioni di Merleau-Ponty e di Wittgenstein


sottolineandone la reciproca complementarit senza
sottovalutare, naturalmente, il fondamentale apporto del-
la fenomenologia husserliana.
La difesa di questultima dalle contestazioni condotte
in chiave logica da Russell e Severino d modo allAu-
tore di mettere in opera in maniera approfondita un at-
trezzo critico particolarmente efficace, in quanto mirato
allanalisi della percezione di una specifica cosa, ossia di
un cubo, di cui sono percepibili di volta in volta, com
noto, solo tre facce. Esso si presta perci molto bene a es-
sere adoperato come una sorta di reagente per mettere
alla prova su un caso concreto lefficacia di diverse scuole
di pensiero. In effetti unanalisi del genere stata tentata
da diversi filosofi, ciascuno dal suo particolare punto di vi-
sta, per cui appare assai istruttivo il confronto sistematico
di tali punti di vista.
Risulta da tale confronto che, come si gi accenna-
to, condividono ancora una volta sostanzialmente la stessa
tesi, sia pure con argomentazioni differenti, da un lato
Husserl e Merleau-Ponty sul versante fenomenologico e
dallaltro Moore e Wittgenstein su quello analitico, di
contro a Russell e Severino sul versante logico e ontolo-
gico. Nel far proprie le soluzioni adottate sul primo
versante, lAutore le corrobora con prove sperimentali
tratte da Michotte, Kanizsa e Bozzi. Fra di esse va conside-
rata di particolare interesse quella che si rif al fenomeno
assai pregnante del cosiddetto completamento amoda-
le. Esso dimostra che normalmente completiamo le
parti nascoste degli oggetti (per esempio la parte del cor-
po non vista di un individuo seduto a una scrivania) non
mediante uninferenza bens in maniera esclusivamente
percettiva. Infatti, tale completamento avviene secondo
determinate costanti non solo indipendenti ma talora
anche contrastanti rispetto alle attese del soggetto origi-
nate dalle sue esperienze passate o da deduzioni logiche.
Pertanto siamo percettivamente e non inferenzialmente
certi che la parte vista del corpo dellindividuo seduto alla
scrivania si completa nella parte non vista perch na-
20 FENOMENOLOGIA ERETICA

scosta dalla scrivania stessa. Trattandosi di una certezza


puramente percettiva, essa inattaccabile sottolinea
lAutore da dubbi o motivazioni di ordine mentale, logi-
co o epistemologico (come le aspettative stimolate dallin-
duzione basata sulle esperienze passate).
Si potrebbe osservare che tale certezza, tuttavia, pu
venir infirmata da una falsificazione pur essa di ordine
percettivo, costituita dalla cosiddetta verifica empirica.
Cos, nel nostro esempio, si potrebbe andare a vedere la
parte nascosta del corpo dellindividuo seduto alla scri-
vania: e la prova empirica potrebbe verificare o falsifi-
care la certezza percettiva. Va notato per che questulti-
ma rimarrebbe comunque immodificata anche a seguito
della presa datto duna eventuale falsificazione empirica,
giacch il completamento amodale continuerebbe a esse-
re percepito secondo le sue regole, nonostante lincom-
patibilit con il sapere acquisito. Risulta pertanto che il
percepito simpone non soltanto rispetto alle aspettati-
ve o alle induzioni basate sulle esperienze precedentemente
acquisite, ma anche rispetto al sapere acquisito successi-
vamente a una verifica empirica.
Sembra che sia questo in definitiva il fondamento del-
la fenomenologia eretica: ed un fondamento acquisi-
to sperimentalmente. Esso, proprio perch riqualifica il fe-
nomeno come lapparire diretto o lesperienza immediata
della cosa, lo mette al riparo da qualunque interferenza
ovvero da ogni preconcetto, aspettativa o interpretazione
da parte del logos. Di qui la dettagliata confutazione della
tesi wittgensteiniana secondo cui esisterebbe un vedere-
come, ossia un vedere consistente in unintegrazione re-
ciproca di vedere puro e di interpretare. Se cos fos-
se, verrebbe messo seriamente in questione il menzionato
fondamento della fenomenologia sperimentale. Grazie
per anche al soccorso delle incisive analisi critiche dedi-
cate a questa problematica, con la sua consueta fine acri-
bia, da Bozzi, lAutore riesce a salvaguardare lautonomia
del vedere puro, cio diretto o immediato.
Mi sembra, in conclusione, che da questo saggio emer-
gano con grande chiarezza e con il supporto di una sicura
PREFAZIONE 21

competenza i contorni di quella che lAutore chiama un


po provocatoriamente fenomenologia eretica. La qua-
le in definitiva risulta ben pi di una stimolante provo-
cazione una proposta teoretica tanto consistente quanto
potenzialmente ricca di integrazioni e puntualizzazioni
critiche. Vorrei brevemente accennare, a questo riguardo,
soltanto alla correlazione visibile-invisibile pi volte evo-
cata (anzitutto a proposito dellultimo Merleau-Ponty).
Credo che la tematizzazione sperimentale dellinvisi-
bile possa fornire unimportante integrazione, poich
essa sarebbe decisiva ai fini di una rinnovata chiarificazio-
ne dun possibile rapporto percezione-logos liberato dagli
equivoci e delle ipoteche denunciati e neutralizzati nel
presente saggio.
Allincrocio dellinvisibile infatti si intrecciano e si
confondono molteplici fili segnalati dallAutore nelle
sue analisi. Se la verit delle cose sta dentro esse, nella
loro essenza invisibile come giustamente si sostiene ,
questultima ben pi, allora, di un visibile non-visto per-
ch nascosto da un altro visibile; ed ben diversa altres da
un invisibile pensato (idea, concetto, significato), perch
essa laltra faccia del visibile. Certo non si percepisce
il perch delle cose, n la condizione di possibilit del feno-
meno come del resto aveva gi rilevato Kant. Non per
questo per se consideriamo valida lanalisi fenomeno-
logico-sperimentale del visibile siamo costretti a relegare
il perch delle cose, la loro condizione di possibilit, la
loro spiegazione nella sfera del logos, delegando questul-
timo a occuparsene in esclusiva. Linvisibile del logos non
linvisibile della percezione (anche se non detto che ci
sia fra di essi un abisso invalicabile). Se il secondo laltra
faccia del visibile, esso pu e deve essere reso visibile senza
ridurlo al visibile, da un lato, e al logos, dallaltro.
Analogamente, se il silenzio in cui ci appaiono le cose
nellesperienza immediata pregno di senso, perch le
cose ci parlano nel loro linguaggio ed questo linguaggio
che dobbiamo ascoltare, non il nostro (scientifico o co-
mune che esso sia). Come dobbiamo far vedere linvisibi-
le cos dobbiamo far parlare il silenzio delle cose.
22 FENOMENOLOGIA ERETICA

Ma queste sono soltanto... suggestioni eretiche che


non vanno certo messe in conto alla fenomenologia ere-
tica cos ben corroborata dallAutore. Le argomentazioni
recate a suo sostegno la fanno apprezzare, alla fine, come
tuttaltro che una stravagante deviazione dalla via regia
della fenomenologia, bens, piuttosto, come una scelta di
fondo del tutto motivata anche se apparentemente poco
ortodossa, compiuta al bivio ove si biforcano i due sentieri
dellermeneutica (del logos interpretante) e dellesperien-
za immediata delle cose. E questo saggio pu sicuramente
offrire unaffidabile guida per avventurarsi sul secondo
impervio sentiero alla ricerca di sempre nuove, visibili e
invisibili, cose.
I.
INTRODUZIONE

Nihil est in intellectu quod


non fuerit prius in sensu
INTRODUZIONE 25

1.
Assumere come oggetto di interrogazione un cubo
pu apparire filosoficamente e scientificamente super-
fluo, sebbene Voltaire consideri il superfluo una chose trs
ncessaire e Savinio scriva che il progresso della civilt si
misura dalla vittoria del superfluo sul necessario. Laz-
zardo teoretico si situa nel tentativo di circoscrivere il pro-
blema della percezione delle cose del mondo esterno a
un esempio, per cos dire, a portata di mano, sul quale si
ritorner lungo le pagine di questo libro da differenti an-
golature. Pi in generale, si cercato di ancorare lesame
teorico del concetto di cosa a specifici casi osservabili,
in modo che lanalisi concettuale non risulti chiusa in se
stessa. La filosofia della percezione deve costringere il lo-
gos a un sistematico confronto con gli osservabili in atto.
Le alternative costituite da una riflessione di carattere
generale sul concetto di cosa o da unestesa indagine
storico-critica si allontanerebbero dai presupposti meto-
dologici e dagli obiettivi teoretici del presente studio, in-
centrato non solo su concetti, ma anche su singolarit
percettive. La domanda metafisica che cos? (nella
fattispecie un cubo) non appare inscindibile dagli inter-
rogativi di tipo ontologico (che cosa c?) ed episte-
mologico (come conosciamo?). Lapparire della cosa
calamita su di s diverse questioni, ma preliminarmente
occorre gettare luce sul dubbio di natura scettica che la
filosofia ha contrapposto al senso comune, il cui sguardo
ingenuo coglie la presenza del mondo come ovvia, reale
e concreta. Sennonch, talvolta, su ci che appare ovvio,
la nostra esperienza immediata del mondo, vale la pena
interrogarsi.
Se lanalisi della cosa investe la teoria della conoscen-
za, lontologia, la filosofia della mente, la fisiologia, la fisi-
26 FENOMENOLOGIA ERETICA

ca e la biologia, tali discipline non rientrano nelloggetto


specifico di questo libro, il cui scopo mostrare come la
filosofia della percezione fornisca a esse un ausilio non
marginale. Nessuna disciplina scientifica che miri a in-
terrogare il mondo esterno pu prescindere dallorigine
di senso offerta anzitutto dal suo apparire, ossia dal suo
aspetto visibile colto nellimmediatezza.
Russell rammenta come il giovane Wittgenstein ogni
mattina si alzasse per mettersi a lavorare nel segno della
speranza per poi la sera concludere nella disperazione. La
tensione di Wittgenstein quella di colui che abbraccia la fi-
losofia alla ricerca del senso ultimo della verit, nello spirito
che contraddistingue la filosofia al suo debutto nella Grecia
classica, quando essa, tramite il logos, cerca di cogliere la ve-
rit del tutto e, tramite larch, il principio di ogni cosa.
Negli anni 1911-1912, discutendo con Russell a Cam-
bridge, Wittgenstein, nel respingere lidea che la cono-
scenza possa fondarsi sullesperienza, rifiuta di riconosce-
re come evidente lassenza di un rinoceronte nella stanza.
A differenza di Russell, Wittgenstein ritiene che, empiri-
camente, non si possa conoscere nulla: quel che conoscia-
mo, tuttal pi, sono le nostre proposizioni sul mondo,
non il mondo. Una conoscenza del mondo non si d se
non attraverso il linguaggio e le sue categorie: il linguag-
gio diventa il mondo e le proposizioni i fatti. Gran parte
della filosofia del Novecento si contraddistinta come ri-
flessione sul linguaggio e come attivit di chiarificazione
linguistico-concettuale: i fatti sono proposizioni, asserzio-
ni. Nel linguaggio di Wittgenstein il mondo la totalit
dei fatti e non delle cose e i limiti del mio linguaggio
costituiscono i limiti del mio mondo. Il Tractatus logico-
philosophicus che Wittgenstein concepir durante la prima
guerra mondiale unopera capitale che, analogamente
alla Critica della ragion pura di Kant, intende tracciare un
limite, non pi al pensiero ma al linguaggio. Attraverso
una demarcazione tra proposizioni sensate, insensate e
prive di senso, Wittgenstein confina la metafisica oltre i
limiti del linguaggio, riducendo cos il filosofo al silenzio.
Lattivit del filosofo consiste nel mostrare linsensatezza
INTRODUZIONE 27

delle proposizioni che mirano ad oltrepassare i limiti del


linguaggio delle scienze empiriche.
Diversamente dalla metafisica greca, non intendiamo
abbracciare la verit di tutte le cose, ma le singolarit e,
diversamente dal Wittgenstein del Tractatus, intendiamo
avvicinarci alla tradizione fenomenologica per cogliere e
tematizzare lesperienza immediata e non mediata dal lin-
guaggio. Esperienza silente per definizione, poich pre-
cede parole e concetti. Accettiamo quindi il paradosso
come punto di partenza della nostra indagine filosofica,
che consiste nel descrivere i fenomeni utilizzando un
linguaggio sorvegliato da una fitta rete di fatti prelin-
guistici che circonda il nostro spettro visibile al fine di
coglierne i modi di datit fenomenica. Come vedremo,
lincommensurabilit tra linguaggio e mondo pi appa-
rente che reale, poich ogni verit implica e presuppone
un sistema di riferimento. Ecco un nuovo compito per la
filosofia: mostrare il sistema di riferimento implicito nelle
scienze e in ogni teoria della conoscenza.
Rispetto alla prassi descrittiva propria di una fenome-
nologia della percezione, il linguaggio naturale appare
conforme a cogliere il senso dellapparire fenomenico
del mondo, poich il linguaggio astratto e formalizzato
allontana dallaspetto intuitivo e sensibile delle cose, il
cui senso e ricchezza espressiva sono forse restituiti dalla
poesia e dalla prosa letteraria. Alla percezione conna-
turata una vaghezza che, rispetto ai linguaggi formali, il
linguaggio naturale esprime con rigore ed economicit,
dove espressioni come pochi e molti, chiaro e scu-
ro, pesante e leggero, freddo e caldo e cos via,
possiedono una precisa conformit al nostro modo di pra-
ticare il mondo, di viverlo e di esprimerlo.

2.
Accogliamo lossimoro di una fenomenologia spe-
rimentale. In antitesi alla tradizione fenomenologica
classica, intendiamo discutere alcuni esperimenti di psi-
cologia della percezione, alla ricerca non di unessenza
28 FENOMENOLOGIA ERETICA

concettuale dei fenomeni, bens delle ragioni delle moda-


lit della loro presenza: di come una cosa appare cos come
appare attraverso lanalisi metodologica ed epistemologi-
ca della fenomenologia sperimentale, intesa come scienza
degli osservabili in atto, il cui fine di mettere in luce le
condizioni di apparenza di un dato fenomeno.
Alla base della nostra indagine critica vi la sperimen-
tazione del fenomeno del completamento amodale,
lungamente esaminato da Kanizsa, che implica in modo
emblematico la possibilit di distinguere tra pensiero e
visione. Se il vedere coincidesse sic et simpliciter con il pen-
sare, non ci sarebbe alcuna esperienza immediata e tutto
lapparire ricadrebbe entro una soggettivit dove gli altri e
il mondo resterebbero per il pensiero e lanalisi filosofica
una x misteriosa e inconoscibile. LIo resterebbe chiuso
in se stesso e lesistenza del mondo esterno non sarebbe
pienamente giustificabile, se non come interpretazione
soggettiva della realt.
Il completamento amodale consiste nellosservazione
diretta dellinvisibile-visibile, di quel sovrappi di visibilit
direttamente osservabile nelle cose. Per esempio, un og-
getto parzialmente occluso da un altro appare continuare
dietro, completandosi amodalmente. La fenomenologia
sperimentale ha mostrato come alla base di questo feno-
meno non vi sia lesperienza passata, ma regole interne
allorganizzazione della datit fenomenica. Se Wittgen-
stein caratterizza il pensiero come attivit, differenzian-
dolo dallo stato percettivo, il completamento amodale
mostra come la percezione visiva possieda regole autono-
me. Pertanto, la messa a fuoco di casi percettivi partico-
lari (come le illusioni ottiche di Mller-Lyer e i quadri di
Escher), in cui la percezione impone soluzioni diverse dal
pensiero, sar significativa per le molteplici implicazioni
teoretiche che tali casi comportano. Anche se nella vita
quotidiana pensiero e visione lavorano in stretta collabo-
razione, ci non significa che alla base vi siano identici
meccanismi e procedure. Sebbene sia presente una com-
ponente soggettiva allinterno del nostro commercio col
mondo, esso non riducibile a una soggettivit. Il mondo
INTRODUZIONE 29

l e lo viviamo come qualcosa di esterno a noi, il corpo


qui, e la nostra corporeit veicola un primo sistema
di riferimento rispetto al quale il pensiero adegua alcune
sue categorie concettuali. Le qualit delle cose appaiono
condivisibili e il senso delle nostre percezioni sembra da
subito intrecciarsi allalterit del mondo e ai viventi che
ne partecipano. Il senso della presenza del mondo ester-
no che accompagna il nostro agire non va giustificato logi-
camente: va assunto per la sua stessa giustificazione.
La fenomenologia (e la fenomenologia sperimentale
non fa eccezione) una pratica filosofica che si apre con-
tinuamente a nuovi ordini di senso, rinnovando la sua co-
stitutiva apertura al mondo e investigando i diversi saperi
scientifici come pezzi di un mosaico il cui significato va
ricondotto al nostro sguardo. La fenomenologia non mira
a edificare un sistema filosofico: essa devessere in grado
di aprirsi alle differenze, riconducibili non a unidentit
comune, bens a piani di senso autonomi. Non si tratta di
ricercare una forma comune a tutte le forme, unessenza,
ma di cogliere le somiglianze di famiglia che compongo-
no il senso delle cose sul piano desistenza come forma di
vita autonoma. Un esercizio che non si conclude, ma re-
sta sempre aperto al mondo in cui viviamo, dove le nostre
pratiche di vita sintersecano. La fenomenologia, quindi,
riparte sempre dallinizio, da ci che appare come real-
t specifica: essa in grado di rinnovare incessantemen-
te lorigine di senso della cosa. Lesperienza immediata
il nostro primo sistema di riferimento: essa ci orienta nel
mondo e determina il senso delle nostre azioni. Tale inizio
va pensato come relazione a un dato sistema ecologico che
determina una forma di vita, ma ci che devessere preli-
minarmente chiarito non il presupposto evoluzionistico,
bens la nozione di esperienza immediata come base del
nostro essere in relazione col mondo circostante.
Il frequente richiamo alla fenomenologia di Merleau-
Ponty (segnatamente: la seconda parte della Fenomenologia
della percezione, dedicata alla cosa e alla percezione del
mondo e alcune note di lavoro de Il visibile e linvisibile)
dovuto ad affinit teoriche e in parte metodologiche con
30 FENOMENOLOGIA ERETICA

questo approccio. Altro interlocutore privilegiato sar


Wittgenstein, in particolare gli scritti dedicati alla filosofia
della psicologia. Per gli aspetti concernenti la percezione
visiva ci si riferir alle Osservazioni sulla filosofia della psico-
logia, mentre, riguardo allo scetticismo, ci si richiamer
al testo Della certezza. Lidea presa in esame che quanto
lo scettico deve presupporre per poter formulare il dub-
bio sulla realt del mondo esterno sia non solo gi impli-
cito nel linguaggio (tesi sostenuta appunto da Wittgen-
stein), ma possa emergere anche dallanalisi descrittiva
dellaspetto percettivo della cosa.
Per valutare le osservazioni critiche operate sulle me-
desime singolarit percettive confronteremo gli stessi fatti
sotto osservazione da prospettive diverse, che coinvolgo-
no filosofi come Wittgenstein e Merleau-Ponty, e il nostro
stesso sguardo. Se accostare filosofi eterogenei quali Witt-
genstein e Merleau-Ponty pu apparire inappropriato, vi
pu essere un modo teoreticamente fecondo di avvicinar-
li: lanalisi di casi specifici, le immagini trattate come fatti
sotto osservazione dalla teoria della Gestalt (come il caso
del cubo di Necker), i casi di illusioni ottico-geometriche.
Inoltre, pu essere preso in esame il modo di intendere la
filosofia come attivit descrittiva e chiarificatoria, attivit
concettuale e insieme percettiva. Il metodo fenomenologi-
co di questa indagine contraddistinto dal costante sforzo
di ricondurre il pensiero alla cosa osservata: un processo di
continuo e sistematico raffronto tra concetto e percetto.
La trattazione di specifici esempi ha la funzione di
costringere largomentazione a singoli casi intersogget-
tivamente accessibili: un cubo pu essere osservato o di-
segnato da chiunque. un esempio analizzato da molti
fenomenologi, che hanno colto la problematicit della
relazione tra gli aspetti visibili e invisibili della cosa. Inten-
diamo delineare un primo confronto tra fenomenologia
e psicologia della percezione, mediante il quale verran-
no esaminate le diverse implicazioni teoretiche ed episte-
mologiche. Specificatamente, sar presa in esame la Psi-
cologia della Gestalt, anche nei suoi pi recenti sviluppi,
apportati dai lavori di Kanizsa e Bozzi. Rispetto alla per-
INTRODUZIONE 31

cezione della cosa, la rielaborazione sar confrontata con


la lettura critica della Psicologia della Gestalt fornita da
Merleau-Ponty e Wittgenstein. Sar inoltre tenuto presen-
te lapproccio ecologico alla percezione di Gibson, allievo
del gestaltista Koffka.
Per riconoscere i diversi aspetti delle cose, le loro sfu-
mature e le loro ambiguit, dovremo cominciare desti-
tuendo il logos dal trono conferitogli dalla tradizione me-
tafisica, trono che devessere condiviso con lesperienza.
La conoscenza e il linguaggio si incontrano in un luogo
silenzioso e antepredicativo, la cui tematizzazione pu ap-
parire pertanto aporetica, se non paradossale. La pretesa
che le cose debbano necessariamente stare secondo ra-
gione in un certo modo piuttosto che in un altro, non
qualcosa che possa essere immaginato o pensato a priori.
In filosofia della percezione le cose possono apparire il-
logiche, ambigue, insensate, ma vanno accolte e descritte
insegna Metzger cos come le incontriamo. Esse taci-
tamente anticipano il nostro sguardo e la nostra parola:
ci possono sorprendere e apparire diverse da come ce le
aspettavamo. Il fenomeno non va meramente supposto o
immaginato, bens accolto cos come appare, nella sua
datit. Potremmo essere smentiti, come il fanciullo che
incontra un sapore per la prima volta, un sapore inatte-
so, scoperto attraverso il sollecito delicato e noioso della
madre: provalo, prima di dire che non ti piace, che si
trasformer in un richiamo fenomenologico: osserva, e
non immaginare lapparire della cosa.
Il primo compito della fenomenologia di descrivere
le cose e non di spiegarle, afferma Merleau-Ponty nella
Premessa alla Fenomenologia della percezione. Wittgenstein
mostra che nel linguaggio si annidano problemi metafisi-
ci, la cui insensatezza devessere svelata dalla filosofia; an-
cora Merleau-Ponty nota che nel silenzio della coscienza
originaria appare non soltanto il significato delle paro-
le, ma anche ci che vogliono dire le cose:1 il mondo

1. M. Merleau-Ponty, Lil e lEsprit, Gallimard, Paris 1964, tr. it. di A. Sordini,


Locchio e lo spirito, SE, Milano 1989, p. 31.
32 FENOMENOLOGIA ERETICA

stesso a condannarci irrimediabilmente al senso. Il lin-


guaggio e la scienza non possiedono il medesimo senso
dessere del mondo percepito, poich ne sono immagine
e spiegazione.2 Il sapere scientifico costruito sul mondo
vissuto, ed sempre espressione seconda del mondo per-
cepito. La fenomenologia scrive Wittgenstein sarebbe
la grammatica della descrizione dei fatti sui quali la fisica
[o pi in generale la scienza] costruisce le sue teorie. [...]
Spiegare pi che descrivere. Ma ogni spiegazione contie-
ne una descrizione.3 La fenomenologia gioca un duplice
ruolo: uno interno alla scienza, di tipo chiarificatorio (per
Merleau-Ponty essa rivolge a se stessa linterrogativo che
rivolge a tutte le conoscenze), e uno esterno alla scienza,
di analisi del senso legato alla soggettivit.4 In entrambi i
casi il senso si lega a ci che visibile.
La fenomenologia, rinnovando ogni volta il suo inizio,
indietreggia rispetto alla relazione quotidiana delle cose,
per osservarle come fossimo pittori o registi, slegandole
dalluso e cogliendole per come appaiono. Pasolini, nelle
Lettere luterane, scrive: Mentre in un letterato le cose sono
destinate a divenire parole, cio simboli, nellespressione
di un regista le cose restano cose: i segni del sistema ci-
nematografico sono appunto le cose stesse, nella loro ma-
terialit e nella loro realt. [...] Esse divengono, vero, se-
gni, ma sono i segni, per cos dire viventi, di se stesse.

3.
Con il seguente esempio, Moore difende le credenze
del senso comune: alziamo un braccio, e nessuno, se non
un filosofo di professione, pu sensatamente dubitare
che questo sia il nostro braccio o che questa sia la nostra
mano. Se sai che c una mano allora ti concediamo tut-
to il resto5 afferma Wittgenstein, citando lamico Moore.

2. Cfr. ibid.
3. L. Wittgenstein, Philosophische Bermerkungen, Blackwell, Oxford 1964, tr. it. di M.
Rosso, Osservazioni filosofiche, Einaudi, Torino 1976, 1e; dora innanzi PB.
4. M. Merleau-Ponty, Phnomnologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, tr. it. di
A. Bonomi, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, p. 146.
5. L. Wittgenstein, ber Gewissheit, G.E.M. Anscombe e G.H. von Wright (a cura di),
INTRODUZIONE 33

Nella vita quotidiana, noi non dubitiamo che ci sia vero;


allo stesso modo, nellosservare un cubo, non ci viene in
mente che le facce, una volta distolto lo sguardo, possa-
no essersi annientate. La percezione guida il nostro com-
portamento nellambiente circostante e rappresenta un
primo sistema di riferimento,6 ma essa non coincide con
il rigore preteso dal pensiero filosofico. Rispetto al senso
comune, infatti, la certezza cui ambisce lanalisi filosofi-
ca mira a eliminare ogni dubbio e ogni presupposto, allo
scopo di fondare un sapere incontrovertibile, al riparo
dallo scetticismo. In base a cosa scegliamo un parametro
di certezza piuttosto che un altro?
Il linguaggio ordinario apparentemente poco rigo-
roso rispetto al discorso filosofico. Nella vita quotidiana
raramente abbiamo unidea chiara e distinta delle cose,
poich gli scopi scandiscono leconomia del nostro tem-
po, ed eliminano ci che superfluo ai fini pratici. Am-
mettiamo una certa vaghezza e manteniamo le nostre
certezze, se esse si rivelano utili, poich dubitare di tut-
to risulterebbe sconveniente. Wittgenstein afferma che
quando cominciamo a credere a qualcosa, crediamo, non
gi a una proposizione singola, ma a un intero sistema di
proposizioni, poich dalla propria certezza non si con-
clude allo stato di cose. La certezza , per cos dire, un tono
in cui si constata lo stato di cose: ma dal tono non si con-
clude di aver ragione.7
Il tentativo di Merleau-Ponty di mostrare come il mon-
do della percezione, che ci rivelato per mezzo dei sensi
e della pratica della vita, appaia essere ci che conosciamo
meglio, ma in verit, sin tanto che assumiamo unattitu-

Blackwell, Oxford 1969, tr. it. di M. Trinchero, Della certezza. Lanalisi filosofica
del senso comune, Einaudi, Torino 1978, 1; dora innanzi UG. Cfr. G.E. Moore,
Proof of External World, in Philosophical Papers, Routledge, London 1959.
6. Scrive Wittgenstein in Della certezza: La verit di certe proposizioni empiriche
appartiene al nostro sistema di riferimento (L. Wittgenstein, UG, 83). La
nozione di sistema di riferimento per noi di fondamentale importanza e ci
torner utile, come vedremo, non solo da un punto di vista linguistico nelle
Ricerche filosofiche Wittgenstein afferma che: il comportamento umano condi-
viso il sistema di riferimento con cui interpretiamo un linguaggio sconosciu-
to (Id., PU, I, 206) ma anche percettivo.
7. Id., UG, 141, 30.
34 FENOMENOLOGIA ERETICA

dine pratica o utilitaria, lo ignoriamo. Mettere a nudo il


mondo della percezione costato molto tempo, molti sfor-
zi e molta cultura. Merito dellarte e della fenomenologia
consiste nellaverci fatto riscoprire il mondo in cui viviamo
ma che abbiamo sempre la tentazione di dimenticare.8
Ne Le parole e le cose, Foucault, citando Adam Smith, si
domanda quale metafisica non stata indispensabile per
formare un piccolo aggettivo?9 Il linguaggio quotidiano
ricco di distinzioni che sottendono una metafisica. Una
linea sottile sembra definire il confine tra ci che sta den-
tro la realt e ci che sta fuori: lapparenza. Nella vita di
ogni giorno il linguaggio si approssima con successo, e
in modo adeguato, a ci che facciamo e diciamo. Spes-
so basta un gesto per intenderci, un nome a richiamare
unidea, una smorfia per condividere un giudizio. Il pit-
tore ritrae un volto, un gesto o una situazione portando a
espressione le cose e il loro senso: lanalisi percettiva alla
base della pittura mette a nudo la cosa dinanzi al pensie-
ro e al linguaggio che la nomina.
La verit delle cose sta dentro esse, nella loro es-
senza invisibile. La necessit di qualcosa non data, non
appare. Un giudizio apodittico non pu essere fondato
sullapparire delle cose poich esso implica, kantiana-
mente, la categoria della modalit. Pi in generale, po-
tremmo dire che non si percepisce il perch delle cose, n
la condizione di possibilit del fenomeno: un conto
vedere, un conto pensare la cosa, altro ancora la sua
necessit. Riprendendo Metzger, lanalisi percettiva deve
accogliere il fenomeno anche qualora apparisse illogico o
insensato o diverso dalle nostre attese.10 Poich il mondo
legato allaspetto visibile delle cose che lo compongono,
esse non vanno solo immaginate o concettualizzate ma,
in primo luogo, osservate. Unosservazione che non va as-
sunta in modo acritico, ma collocata sul piano dellespe-

8. Cfr. M. Merleau-Ponty, Causeries 1948, Seuil, Paris 2002, tr. it. di F. Ferrari, Con-
versazioni, SE, Milano 2002, p. 15.
9. M. Foucault, Les mots et les choses: une archologie des sciences humaines, Gallimard,
Paris 1966, tr. it. di E. Panaitescu, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1994, p. 99.
10. Cfr. W. Metzger, Psychologie, Steinkopff, Darmstadt 1941, tr. it. di L. Lumbelli,
I fondamenti della psicologia della Gestalt, Giunti, Firenze 1971, p. 15.
INTRODUZIONE 35

rienza immediata: essa segna il nostro primo contatto col


mondo, ed allorigine della nostra conoscenza. Ci non
equivale ad affermare che ogni conoscenza tragga origine
dallesperienza. Lapparire fenomenico delle cose deves-
sere accolto direttamente, anche qualora le cose osservate
dovessero deludere o smentire le nostre aspettative di fini
teoreti. La percezione, a ogni modo, non va immagina-
ta, poich il nostro compito non di figurarci la cosa in
una data situazione, bens di osservarla in presa diretta.
Dobbiamo cogliere, per dirla con Gadda, la insospettata
ferocia delle cose, quella ferocia in grado di far crollare
una teoria, qualora i fatti osservati la smentissero.
La distinzione tra scienza ed esperienza, cio fra il sa-
pere acquisito attraverso le conoscenze scientifiche, e la
conoscenza fornitaci dallesperienza diretta, alla base di
questa indagine critica. Lintento primario di salvaguar-
dare lesperienza delle cose e lesistenza del mondo ester-
no dal dubbio scettico. Si tratta cio di comprendere se, e
in che misura, la matrice originaria della percezione con-
senta di rispondere allo scetticismo, oppure se lesistenza
del mondo esterno debba essere ammessa solo in forza di
un presupposto fideistico.
Lindagine metodologicamente circoscritta a casi
specifici ritenuti filosoficamente significativi rispetto ai
problemi legati allapparire della cosa e alla possibilit
del dubbio scettico. Nel primo capitolo oggetto danalisi
sar la percezione del cubo, e lesempio sar utilizzato an-
che per discutere la tesi scettica sullapparire della cosa.
Rimane scrive Kant nella Critica della ragion pura pur
sempre uno scandalo per la filosofia e per il senso comune in
generale, che lesistenza delle cose [Dinge] esteriori, si deb-
ba ammettere semplicemente per fede, e che se ad alcuno
venisse in mente di dubitarne noi non potremmo opporgli
una prova sufficiente.11 Scandalo del pensiero che, secon-
do Merleau-Ponty, riconducibile al tentativo di spiegare
ci che invece andrebbe descritto: di offrire un modello

11. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, Insel, Wiesbaden 1956, tr. it. di C. Esposito,
Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2004, p. 61.
36 FENOMENOLOGIA ERETICA

o unimmagine esplicativa dellapparire fenomenico del


mondo, anzich riconoscerlo come ci da cui lo stesso sa-
pere scientifico trae origine e senso. La realt scientifica
sospinge il mondo a mera apparenza. Non a caso, uno dei
motti preferiti dellermeneutica il detto nietzschiano se-
condo cui il mondo si fatto favola. La filosofia ha cre-
duto di superare le contraddizioni della fede percettiva
sospendendola per svelare i motivi che la sorreggono.12
Le cose appaiono, ma non appaiono necessariamente.
Esse potrebbero non apparire o essere diverse da come ap-
paiono, poich tutto ci che vediamo potrebbe anche es-
sere altrimenti, e non v un ordine a priori delle cose.13
Lesperienza, che ci serve per la comprensione della logi-
ca, non lesperienza che qualcosa cos e cos, ma lespe-
rienza che qualcosa : ma ci non unesperienza. La logica
prima dogni esperienza dogni esperienza che qualcosa
cos. Essa prima del Come, non del Che cosa.14 La ne-
cessit non riguarda il fenomeno o lapparire della cosa. La
fenomenologia della percezione si occupa del come, e non
del che cosa, il suo studio implica il perch un fenomeno ap-
paia cos e cos. Lesperienza che qualcosa , come sotto-
linea Wittgenstein, non unesperienza poich non appar-
tiene alla sfera del visibile. Tuttavia, studiare il come significa
anche stabilire le condizioni di possibilit del fenomeno,
perch esso appaia cos e cos. La fenomenologia speri-
mentale ha il compito di definire le variabili dipendenti e
indipendenti su un piano complanare inscritto nella perce-
zione diretta.15 Se ci fosse vero, le condizioni di apparenza
del dato fenomeno varrebbero in tutti i mondi possibili?
Possiamo immaginare un mondo dove lo stesso fenomeno
accade senza rispettare le modalit di apparenza?
Le cose, dicevamo, appaiono, ma potrebbero essere
oggetto di un sogno che investe lintero arco di unesi-

12. Merleau-Ponty, M., Le visibile et linvisible, Gallimard, Paris 1964, tr. it. di A. Bono-
mi, Il visibile e linvisibile, Bompiani, Milano 1993, p. 75.
13. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Routledge, London 1961, tr. it.
di A.G. Conte, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi,
Torino 1968, prop. 5.634; dora innanzi TLP.
14. Ivi, prop. 5.552.
15. Cfr. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, Il Mulino, Bologna 1989.
INTRODUZIONE 37

stenza. Limpossibilit del risveglio fa del sogno la real-


t stessa, quasi a incarnare una parabola circolare tipica
dello stile di Borges. Oppure, potremmo essere vittima
del potentissimus genio maligno di Cartesio: la nostra vita
potrebbe essere un sogno perfettamente coerente, o avve-
nire allinterno di un mondo virtuale da cui non possiamo
destarci. Ma per quanto debole sia la vittima e potente
lautore dellinganno, il fenomeno, per essere credibile,
cio per poterci ingannare, deve apparire in un certo
modo. proprio questo in un certo modo loggetto di
studio della fenomenologia della percezione.
Alcuni anni prima delluscita del film Matrix, Putnam
aveva immaginato la realt come il prodotto di un cervel-
lo che, staccato dal corpo, viene immerso in una vasca di
sostanze nutrienti che lo mantengono in vita, illudendolo
che ogni sua esperienza sia reale. Quando il soggetto cer-
ca di alzare una mano, gli impulsi trasmessi dal computer
lo illudono di vedere e sentire la mano che si alza.16 Ven-
gono cos meno le certezze del senso comune difese da
Moore: se a essere immerso nella vasca fosse stato il cer-
vello di Moore, lappartenenza della sua mano diverrebbe
un fatto dubitabile?
la stessa logica che qualche secolo prima impegn la
fantasia di Cartesio, che immagin un genio maligno, cos
potente da ingannarci sistematicamente. La realt percepi-
ta potrebbe non essere reale, bens il frutto di una volont
ingannatrice di cui non possiamo scorgere lapparato. La
volont del genio maligno di Cartesio crea un mondo il-
lusorio, cos come lo scienziato malvagio ipotizzato da Pu-
tnam e le macchine che gestiscono il programma Matrix.
Sennonch, ognuno di questi mondi illusori presuppone
necessariamente un secondo mondo, questa volta reale: il
mondo abitato dal genio maligno, dallo scienziato malvagio
o dalle macchine. Qualunque surrogato per essere credibi-
le e per poterci ingannare deve ancorarsi a pezzi di realt.
Il fenomeno per rimane autonomo rispetto alla metafisica

16. Cfr. H. Putnam, Reason, Truth and History, Cambridge University Press, Cam-
bridge 1981, tr. it. di A.N. Radicati, Ragione, verit e storia, Il Saggiatore, Milano
1994, cap. 2.
38 FENOMENOLOGIA ERETICA

sottostante. Vediamo una macchia rossa o alziamo il nostro


braccio sinistro indipendentemente dal fatto che dietro al
fenomeno si nasconda il genio maligno di Cartesio, la va-
sca del perfido scienziato o il programma Matrix. La pelle
umana delle cose, il derma della realt, ecco con che cosa
gioca anzitutto il cinema scriveva Artaud.
Ma cosa presuppone la meccanica dellinganno? Una
volta che lesperienza immediata determina il nostro pri-
mo sistema di riferimento spaziale e temporale, e congiun-
tamente il campo semantico del dubbio, essa determina
anche il grado di coerenza del mondo falso. Ma quando
dubitiamo manteniamo lo stesso sistema di riferimento?

4.
Sul filo della mezzanotte don Chisciotte e Sancio la-
sciarono il bosco ed entrarono nella citt, dove accad-
dero loro cose che son veramente cose. Le cose sono
veramente cose per come appaiono, a prescindere dalla
loro origine metafisica. Occuparsi dei fenomeni e della
modalit del loro apparire il compito di una fenomeno-
logia della percezione.
Wittgenstein, nella prima fase del suo pensiero, ritiene
che tutta la filosofia consista in una critica del linguaggio:
N meraviglia che i problemi pi profondi propriamen-
te non siano problemi.17 Pi tardi, nel medesimo spirito,
affermer che lattivit filosofica non consiste tanto nella
risoluzione di problemi quanto nella loro dissoluzione,
poich essi derivano da un crampo del linguaggio. Si-
milmente una descrizione attenta del dato sotto osserva-
zione pu dissolvere pi che risolvere alcuni crampi del
pensiero. Il lavoro in filosofia [...] propriamente pi
un lavoro su se stessi. Sulla propria concezione. Su come
si vedono le cose. (E su che cosa si pretende da esse).18
Fin dal suo inizio la filosofia ha segnato un progressivo
allontanamento dalle cose: scoprendo lidea della verit

17. L. Wittgenstein, TLP, prop. 4.0031.


18. Id., The Big Typescript, Springer, Wien 2000, tr. it. di A. De Palma, The Big Type-
script, Einaudi, Torino 2002, 86, 3; dora innanzi BT.
INTRODUZIONE 39

della totalit degli enti, la filosofia ha condotto tutte le


cose dinanzi a essa, trasformando progressivamente la re-
alt esperita in apparenza. La fenomenologia della perce-
zione si caratterizza per un contromovimento di pensiero,
dalla parola verso il silenzio delle cose.
Per Merleau-Ponty la scienza, analogamente alla filo-
sofia, ha cominciato con lescludere tutti i predicati delle
cose scaturiti dal nostro incontro con esse,19 determinan-
do cos una progressiva astrazione. Intendiamo riflettere
sul perch e sul come ci sia avvenuto, e in modo parti-
colare sul ruolo che la fenomenologia della percezione
pu giocare nella conoscenza del mondo esterno. Non si
tratta di cogliere il fenomeno come differenza dallessere,
altrimenti il dualismo apparenza-realt inevitabile. Pen-
sare il fenomeno come espressione della nostra soggetti-
vit implica necessariamente una dualit, il taglio teorico
devessere operato trasversalmente a queste due catego-
rie, per cogliere il fenomeno iuxta propria principia. Le pa-
gine di questo libro rappresentano il tentativo di tracciare
la cornice di un quadro teorico oggetto di possibili ulte-
riori approfondimenti: esso non mira a essere un lavoro
sistematico come limmagine della cornice potrebbe
suggerire ma aperto a nuove indagini, che trovano qui
le premesse metodologiche ed epistemologiche.
Il pensiero filosofico ha determinato in molteplici
modi il senso della cosa e di conseguenza i suoi utilizzi.
Pensare la cosa in modo diverso implica modi diversi di in-
terpretarla e di relazionarci a essa, ma ne modifica anche
lapparenza sensibile? Ammettere che gli antichi possano
aver concepito le cose in modo differente dal nostro non
significa che le percepissero in modo diverso. Leggendo
le descrizioni di Omero o di Lucrezio abbiamo la sensa-
zione di capire le cose che loro descrivono. Se riusciamo
a coglierne il significato, dobbiamo possedere qualcosa di
comune: questo qualcosa il mondo o meglio lapparire
delle cose. Inoltre, sosteniamo una sostanziale impermea-
bilit del percetto rispetto al concetto.

19. M. Merleau-Ponty, Il visibile e linvisibile, cit., p. 41.


40 FENOMENOLOGIA ERETICA

Possiamo constatare il mare color di vino di Omero,


e lo possiamo fare tutti, ora come nella Grecia classica.20
Vi per anche unidea contraria denominata theory-la-
denness: i fatti sono sempre carichi di teoria, tesi sostenuta
per esempio da Popper, Kuhn e Feyerabend. Lidea po-
trebbe essere espressa con il seguente esempio: immagi-
niamo Keplero e Tycho Brahe guardare lalba assieme. In
questa situazione non vedrebbero il Sole allo stesso modo,
poich possiedono degli schemi concettuali diversi per os-
servare la realt. Un esempio simile rappresentato dalle
diverse descrizioni della luna che sono state riportate pri-
ma dellinvenzione del cannocchiale di Galileo: per Se-
nofane era una lampada di vetro smerigliato, per Eraclito
una scodella con la parte concava rivolta verso di noi.21
In questo senso losservazione sarebbe sempre selettiva:
come sostiene Popper nella Logica della scoperta scientifica,
essa presuppone sempre uno scopo o un problema: Le
osservazioni, e a maggior ragione le asserzioni dosserva-
zione e le asserzioni riguardanti i risultati sperimentali,
sono sempre interpretazioni dei fatti osservati; sono interpre-
tazioni alla luce di teorie.22
La tesi secondo la quale losservazione pregna di te-
oria esemplificata, sempre da Popper, con il seguente
esempio: Il mio esperimento consiste nel chiedervi di
osservare, qui e ora. Spero che voi tutti cooperiate e osser-
viate! Tuttavia, temo che alcuni di voi, invece di osservare,
sentiranno fortemente limpulso di chiedere: Cosa vuole
che osservi?. Se questa la vostra risposta, allora il mio
esperimento ha avuto successo. Infatti, ci che cerco di
illustrare che, allo scopo di osservare, dobbiamo avere
in mente un problema definito.23 Questa tipologia di cri-
tiche sembra non tenere in considerazione la differenza,
gi presente in Kant, tra latto osservativo da una parte e

20. Cfr. M. Ferraris, Il mondo esterno, Bompiani, Milano 2001, p. 94.


21. Ibid.
22. K. Popper, The Logic of Scientific Discovery, 1968, tr. it. di M. Trinchero, Logica
della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970, p. 103.
23. Id., Objective Knowledge. An Evolutionist Approach, Clarendon, Oxford 1972, tr.
it. di A. Rossi, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma 1975, pp. 344-345.
INTRODUZIONE 41

la stabilit del dato osservato dallaltra.24 Distinzione pre-


ziosa che sta alla base della nostra analisi dellesperienza
immediata, che torner utile quando sosterremo che le
cose rimangono e appaiono le stesse, indipendentemente
dalle interpretazioni, dagli schemi concettuali o dalle teo-
rie scientifiche sostenute. Si difender lidea che il vedere
in senso stretto (early vision o visione primaria) sia imper-
meabile alle operazioni cognitive di ordine superiore e
che vi siano strutture ontologicamente costanti rispetto
a descrizioni epistemologicamente diverse.25 La Luna
sempre la stessa, cos come continuiamo a vedere la Terra
ferma e il Sole spostarsi, anche dopo aver mutato il nostro
paradigma scientifico o le nostre credenze.
Il tentativo di cogliere la cosa stessa ha comportato
la penetrazione del pensiero nella cosa; tale operazione
che ha caratterizzato gran parte del pensiero filosofico
ha segnato storicamente anche un fondamentale allon-
tanamento dalle cose, tanto da far diventare il motto hus-
serliano zurck zu den Sachen selbst! il motto della fenome-
nologia. Merleau-Ponty intende restituirci il senso della
cosa recuperando lincontro con essa.
La cosa si inscrive nellapparire indipendentemente
dalla sua materialit; dobbiamo cercare di ricavare il si-
gnificato della cosa dallapparire in quanto tale, ancor pri-
ma che dal linguaggio, preparandoci ad accogliere il dato
incontrato per come esso , assieme alle altre cose che
hanno pi verit che logica, come dice don Chisciotte
entrando a Barcellona.

24. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, Milano-Udine 2007, p. 137.
25. M. Ferraris, Il mondo esterno, cit, p. 94.
II.
FORSE UN DIO CI INGANNA1

1. Il tema di questo capitolo stato affrontato precedentemente in: L. Taddio,


Lapparire della cosa, contenuto nel volume di S. Cattaruzza e M. Sinico (a cura
di), Husserl in laboratorio, E.U.T., Trieste 2005, pp. 235-270 e poi in: L. Taddio,
Riprendere lesempio del cubo, in Chiasmi International, Mimesis, Milano-Udi-
ne 2009, pp. 263-275.
CARTESIO

Sono lunico uomo sulla terra e forse non c terra n uomo.


Forse un dio mi inganna.
Forse un dio mi ha condannato al tempo, quella lunga illusione.
Sogno la luna e sogno i miei occhi che vedono la luna.
Ho sognato la sera e la mattina del primo giorno.
Ho sognato Cartagine e le legioni che desolarono Cartagine.
Ho sognato Virgilio.
Ho sognato la collina del Golgota e le croci di Roma.
Ho sognato la geometria.
Ho sognato il punto, la linea, il piano ed il volume.
Ho sognato il giallo, lazzurro e il rosso.
Ho sognato la mia fragile infanzia.
Ho sognato le mappe e i regni e quel duello nellalba.
Ho sognato linconcepibile dolore.
Ho sognato la mia spada.
Ho sognato Elisabetta di Boemia.
Ho sognato il dubbio e la certezza.
Ho sognato il giorno di ieri.
Forse non ebbi ieri, forse non sono nato.
Forse sogno di aver sognato.
Sento un po di freddo, un po di paura.
Sul Danubio ferma la notte.
Continuer a sognare Cartesio e la fede dei suoi padri.
J.L. Borges
UN SOGNO

In un luogo deserto dellIran c una torre di pietre non mol-


to alta, senza porta n finestra. Nellunica stanza (il cui pavimento
di terra e che ha la forma del cerchio) ci sono un tavolo di legno
e una panca. In quella cella circolare un uomo che mi somiglia
scrive, in caratteri che non comprendo, un lungo poema su un
uomo che in unaltra cella circolare
Il processo senza fine e nessuno potr leggere ci che i pri-
gionieri scrivono.
J. L. Borges
FORSE UN DIO CI INGANNA 47

1. Osservare un cubo

Riprendere lanalisi del cubo:2 cos, nel settembre


del 1959, Merleau-Ponty inizia una nota di lavoro del suo
ultimo libro, Il visibile e linvisibile. Il termine riprende-
re indica in primo luogo che Merleau-Ponty si era gi
occupato di tale esempio, sistematicamente, ne La struttu-
ra del comportamento del 1942 e in Fenomenologia della perce-
zione del 1945, le sue due opere maggiori. Lannotazione
potrebbe dunque essere intesa come motivo di insoddi-
sfazione rispetto alle analisi precedenti, oppure, come
una riflessione non ancora conclusa. Tuttavia, il termine
riprendere potrebbe avere un senso ancor pi ampio
perch, sullesempio del cubo, si sono esercitati i mag-
giori fenomenologi del tempo, da Brentano a Husserl,
da Heidegger a Sartre. Riprendere implicherebbe cos
lintenzione, da parte di Merleau-Ponty, di indicare una
nuova prospettiva teorica in grado di ripensare la fenome-
nologia in quanto tale. Percepire un cubo significa pos-
sederlo, guardandolo per coglierlo in maniera originaria,
come una cosa stessa, scrive Heidegger, alla fine degli anni
venti del secolo scorso, discutendo con Husserl la stesura
della voce fenomenologia per lEnciclopedia Britannica.3
Lesempio del cubo, menzionato da Husserl nella quarta
e ultima stesura del suo articolo per lenciclopedia, viene
discusso altrove nelle sue opere, e in modo analitico nelle
Meditazioni cartesiane. Viste tali premesse, necessario do-
mandarsi: qual la posta in gioco in un caso cos apparen-
temente comune?

2. M. Merleau-Ponty, Il visibile e linvisibile, cit., p. 217.


3. Cfr. E. Husserl, M. Heidegger, Fenomenologia, a cura di R. Cristin, Unicopli,
Milano 1999, p. 137.
48 FENOMENOLOGIA ERETICA

Per noi, riprendere lesempio del cubo significher


discutere un caso concreto di percezione della cosa, attra-
verso descrizioni e analisi fornite da alcuni filosofi. Il riferi-
mento a un caso specifico serve come rimando, elemento
di confronto e di verifica delle nostre descrizioni: come
fatto osservabile e controllabile da chiunque intenda os-
servare i modi in cui il cubo appare. Vedremo se ci che
appare sufficiente per rispondere a coloro che intendo-
no dubitarne, esercitando forme di scetticismo su uno de-
gli aspetti della cosa o sulla cosa in quanto tale. (In termini
cartesiani, il dubbio che fa leva sulla veridicit dei sensi
o il dubbio radicale che investe la cosa nella sua interezza,
nellipotesi che essa sia il prodotto di un sogno).
Tale analisi consente inoltre di discutere il rapporto
tra il concetto, in questo caso la definizione di cubo, e
il percetto, lapparire della cosa. Per fare questo partire-
mo dallesperienza immediata, alla ricerca di una sorta di
solidariet tra loperazione di dissolvere problemi fi-
losofici attraverso una corretta descrizione dei modi di ap-
parire della cosa e il modo, tipicamente wittgensteiniano,
di dissolverli attraverso unanalisi concettuale. Lobiettivo
sar quindi di indicare una possibile sinergia tra lanalisi
dellapparire della cosa i relativi modi in cui la relazione
tra visibile e invisibile costituisce lapparire della cosa e
lanalisi del linguaggio di stampo wittgensteiniano, al fine
di ricondurre il dubbio scettico a un dato sistema di riferi-
mento e a una sua chiarificazione fenomenologica.

2. Sartre

Allinizio de Limmaginario (1940), Sartre evidenzia


come le cose, pur entrando interamente nella percezione,
offrano allosservazione solo un lato per volta:

noto lesempio del cubo: non posso sapere che cos un


cubo finch non ne ho osservato le sei facce. A rigore pos-
so vederne tre a un tempo, ma mai di pi. Quindi le devo
cogliere in istanti successivi. E quando passo, per esempio,
dallapprensione delle facce ABC a quella delle facce BCD,
FORSE UN DIO CI INGANNA 49

rimane sempre possibile che durante il mio cambiamento di


posizione la faccia A si annulli. Lesistenza del cubo rimarr
quindi dubbia.4

Sartre affronta questo dubbio allinterno della pro-


blematica dellimmagine,5 ma ci su cui intendiamo sof-
fermarci il piano percettivo della cosa che, ai suoi oc-
chi, non sembra essere al riparo dallo scetticismo.6 Non
avendo in nessun caso la piena percezione della cosa, ed
essendo in parte necessariamente invisibile, essa diventa
anche oggetto di dubbio. Lapoditticit riguarderebbe
solo ci che appare, mentre ci che non vediamo diret-
tamente possiamo supporlo come non sussistente. Al
contempo, dobbiamo notare che quando vedo tre facce
del cubo contemporaneamente, queste tre facce non mi si
presentano mai come dei quadrati: le loro linee si appiat-
tiscono, i loro angoli divengono ottusi, e devo ricostruire
la loro natura di quadrati partendo dalle apparenze che
percepisco.7 Sartre descrive cos la parte visibile del cubo,
al massimo tre delle sei facce quadrate del solido. Esse
sono per definizione uguali, ma di fatto sono deformate
perch dipendono dallangolo prospettico di visione. Il
loro apparire come tre facce quadrate uguali una rico-
struzione. Cose gi dette cento volte: la peculiarit della
percezione che loggetto appare sempre e solo in una
serie di profili, di proiezioni.8

4. J.-P. Sartre, LImaginaire: Psychologie phnomnologique de limagination, Galli-


mard, Paris 1940, tr. it. di R. Kirchmayr, Limmaginario. Psicologia fenomenologica
dellimmaginazione, Einaudi, Torino 2007, p. 15.
5. Cfr. ivi, pp. 267 sg.
6. Il senso della cosa per Sartre pu essere ulteriormente chiarito attraverso
il passo seguente: Nel mondo della percezione nessuna cosa pu appari-
re senza stabilire uninfinit di rapporti con le altre cose. Meglio ancora,
questa infinit di rapporti contemporaneamente allinfinit dei rapporti
che i suoi elementi stabiliscono tra loro a costituire lessenza stessa di una
cosa. Ne deriva qualcosa di eccessivo nel mondo delle cose: in ogni istante
c infinitamente di pi di ci che possiamo vedere. Per esaurire le ricchezze
della mia percezione attuale ci vorrebbe un tempo infinito. Non lasciamoci
ingannare: questo eccesso costitutivo della stessa natura degli oggetti (ivi, p.
17).
7. Ibid., corsivo nostro.
8. Ivi, p. 15.
50 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il cubo presente, possiamo toccarlo e vederlo; ma


necessariamente solo in un certo modo, che richiede ed
esclude contemporaneamente uninfinit di altri punti di
vista. Dobbiamo apprendere gli oggetti, cio moltiplicare su
di essi i possibili punti di vista.9 Se intendiamo corretta-
mente le parole di Sartre, asserire di vedere tre lati del
cubo non unesperienza diretta, bens una ricostruzione
delloggetto geometrico. Il tempo determina il senso del-
la cosa attraverso lapparire dei suoi aspetti e il comple-
tarsi della sua identit, e tuttavia tale intervallo di tempo
implica la possibilit del dubbio sulla cosa stessa. La cosa
stessa per Sartre cos come per Husserl sintesi delle
sue apparizioni. La percezione di un oggetto dunque
un fenomeno con uninfinit di aspetti. Questo che cosa
significa per noi? La necessit di fare il giro degli ogget-
ti, di attendere che lo zucchero si sciolga, come dice
Bergson.10 La cosa appare secondo determinate prospet-
tive che ne costituiscono i diversi aspetti. Saranno pure
cose gi dette cento volte, ma non scevre da problemi, e
il resoconto descrittivo che il filosofo francese offre non
persuasivo.
Guardando un foglio bianco sul tavolo (la sua forma,
il suo colore, la sua posizione), Sartre, nel 1936 (pochi
anni prima de Limmaginario), apre il saggio Limmaginazio-
ne. Sul foglio, protagonista dellesempio iniziale, potrebbe
esservi disegnato un cubo in prospettiva, con le facce de-
formate in modo tale che appaiano quadrate in profondi-
t. Ma Sartre, inconsapevolmente nelle vesti di empirista,
ne descrive la deformazione: queste tre facce non mi si
presentano mai come dei quadrati: le loro linee si appiat-
tiscono, i loro angoli divengono ottusi, e cos le due
facce in profondit diventano, in assonometria, due pa-
rallelogrammi e in prospettiva due rombi. Devessere an-
data cos, perch delloggetto tridimensionale, descritto
ne Limmaginario, egli d una descrizione empirica e non
fenomenologica. Come se guardasse la rappresentazione

9. Ivi, p. 16.
10. Ibid., nostro il corsivo di aspetti.
FORSE UN DIO CI INGANNA 51

del cubo e non laspetto della cosa. Un empirista descri-


verebbe il cubo cominciando dagli elementi che lo com-
pongono, quindi dal quadrato e dai due parallelogram-
mi in un disegno facilmente isolabili che giustapposti
dnno come risultato un cubo. Nessuna faccia del solido
qui inizialmente uguale alle altre. La descrizione del
fenomenologo, diversamente, trova inizio nellaspetto del
cubo che offre allo sguardo tre facce uguali della cosa:
luguaglianza non una ricostruzione, ma il punto di par-
tenza. Le parti isolate del cubo sono espressione seconda
dellunit fenomenica della cosa.
La percezione del cubo consente di circoscrivere
lanalisi della cosa, e dei suoi aspetti, a un singolo esem-
pio, paradigmatico di ogni altro caso.

3. Severino vs Husserl

Nelle Meditazioni cartesiane, Husserl analizza i principi


immanenti allego cogito scoperti da Cartesio nel tentativo
di fondare una fenomenologia trascendentale.11 Husserl
riconosce a Cartesio il tentativo genuino di pensare un
metodo filosofico capace di produrre conoscenze assolu-
te. Il metodo del dubbio cartesiano, conducendo alla for-
mulazione del puro ego cogito, imprime alla filosofia quella
svolta radicale che porta al superamento delloggettivismo
ingenuo verso un soggettivismo trascendentale.12 Il dub-
bio sulla certezza dellesperienza naturale trova risposta
nellIo, il solo principio di cui non si possa dubitare anche
qualora il mondo non esistesse.
In Studi di filosofia della prassi, Severino indaga il metodo
husserliano per valutare lefficacia del tentativo di riforma
della filosofia operato da Husserl, il cui obiettivo, sulla scia
di Cartesio, di pensare una filosofia come scienza rigoro-
sa basata su un fondamento assoluto, in grado di resistere

11. Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vortrge, hrsg. v. S. Stras-
ser, in Husserliana, Bd. I, Martinus Nijhoff, Den Haag 1950, tr. it. di F. Costa,
Meditazioni cartesiane e discorsi parigini, Bompiani, Milano 1989, pp. 37-39.
12. Cfr. ivi, pp. 39 e 57.
52 FENOMENOLOGIA ERETICA

e di eliminare ogni dubbio e ogni scetticismo, giungendo


a un sapere fondato e privo di presupposti. Come noto,
Cartesio articola il problema del dubbio, per mettere alla
prova le certezze, secondo una duplice prospettiva: quella
che oggi conosciamo come argomento delle illusioni e il
problema dello scetticismo globale. La prima investe lap-
parire delle cose poich, se esse appaiono diverse da come
sono in realt, come nel caso delle illusioni, le percezioni
non rappresentano pi una garanzia attendibile per la co-
noscenza del mondo esterno. Il secondo aspetto ha una
portata pi vasta, che mira a mettere in crisi ogni nostra
conoscenza: lipotesi del sogno. In entrambe le prospettive
la cosa percepita investita dallo scetticismo.
Severino discute la distinzione husserliana tra apodit-
ticit e adeguatezza del contenuto immediatamente pre-
sente, questione intrecciata alla distinzione tra attualit e
potenzialit della vita intenzionale. cio noto, afferma
Severino, che per Husserl

levidenza [idea sviluppata nella prima Meditazione cartesiana e


poi ripresa nella seconda] la dimensione originaria dellevi-
denza apodittica, ma inadeguata, e cio unit di at-
tualit e potenzialit. Originario significare di unimplicitezza
che deve essere esplicitata ed esplicitata in un processo infini-
to che si svolge verso lidea-limite, idea regolativa, dellinte-
grale adeguazione alla potenzialit, ossia dellintegrale espli-
citazione del significato originario, che insieme idea-limite
della scienza perfetta.13

Supponiamo ora la presenza di un cubo su un tavolo.


Appartiene alla definizione di cubo la propriet di posse-
dere sei facce (quadrate e uguali). Anzi, per semplifica-
re il discorso, supponiamo che questa propriet offra la
definizione completa del termine in questione.14 La defi-

13. E. Severino, Studi di filosofia della prassi, Adelphi, Milano 1984, p. 64. Cfr. E.
Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., pp. 43-58.
14. G. Derossi evidenzia come la definizione geometrica di cubo Poliedro
regolare di sei facce che sono quadrate non esplichi, e dia quindi per
scontato, che le sei facce siano uguali fra loro, e che siano tutte ugualmente
visibili, bench non sia dato sapere se contemporaneamente o in successione.
Constatiamo quindi di nuovo che la definizione geometrica formula esclu-
FORSE UN DIO CI INGANNA 53

nizione di cubo potrebbe essere certo arricchita: esaedro


regolare che presenta sei facce quadrate, otto vertici e do-
dici spigoli. In ogni vertice si incontrano, a due a due, tre
spigoli ortogonali; in ciascun vertice si intersecano anche
tre facce a due a due ortogonali: ci si accorda con il fatto
che il poliedro duale del cubo un ottaedro che presenta
otto facce triangolari, sei vertici e dodici spigoli. Il cubo
un parallelepipedo rettangolare regolare, ed un caso
particolare di prisma quadrato e di trapezoedro. Il cubo
caratterizzato dalla lunghezza a dei suoi spigoli: tutti i cubi
con gli spigoli della stessa lunghezza sono congruenti. Un
cubo con gli spigoli di lunghezza a sottoposto a omotetia
di fattore b/a diventa congruente con ogni cubo con spi-
goli di lunghezza b.
Fatta questa precisazione, la semplificazione operata
da Severino comunque appropriata poich la stessa
accolta da diversi fenomenologi e il suo intento di ana-
lizzare le tesi della fenomenologia. Alla definizione di
cubo appartiene la propriet di possedere sei facce ugua-
li. Tuttavia, il solido sul tavolo presenta solo tre facce. (Nel
linguaggio comune si dice: Io ne vedo solo tre). Questo
fatto sufficiente a Husserl per concludere che ci che
presente [scrive Severino] rinvia a ci che potr presen-
tarsi, ma che, attualmente, presente non dove il rinvio
appunto lesplicitazione dellimplicitezza del significato
originario.15 Severino, commentando il paragrafo 20 del
testo husserliano, afferma che questo rinvio, questo ol-
trepassamento dellattualit del significato esplicito nella
potenzialit del significare implicito, pretracciato nellat-
tualit, una evidenza fondamentale.16

sivamente le propriet essenziali della figura, non tenendo in alcun conto


le condizioni di percepibilit della stessa: tutte le propriet devono in effet-
ti, sul piano concettuale, appartenere simultaneamente alloggetto. Poich
questultimo puramente ideale, ci non crea alcun problema al puro
pensiero. Ma il problema sorge non appena lente geometrico tridimensiona-
le (quindi solido) divenga oggetto di percezione (o meglio, quando lo stes-
so ente viene conosciuto non solo in quanto intelligibile ma anche in quanto
visibile). (Questo passo di G. Derossi, cos come i seguenti, sono tratti da un
testo in preparazione. Ci limitiamo a segnalarlo qui e non altrove).
15. E. Severino, Studi di filosofia della prassi, cit., p. 66.
16. Ibid.
54 FENOMENOLOGIA ERETICA

Ecco il punto su cui fa leva la critica di Severino: il rin-


vio non , e non pu essere, unevidenza fondamentale;
n la fenomenologia n tanto meno il senso comune o la
scienza possono affermare, indubitabilmente, la presenza
del cubo. Le sei facce che definiscono il solido geome-
trico non sono mai compresenti e di conseguenza il loro
apparire resta solo probabile e non soddisfa levidenza cui
Husserl ambisce.

3.1 Atteggiamento naturale o scientifico

Laffermazione della presenza del cubo pu essere ricer-


cata tanto nellatteggiamento mondano, proprio del senso
comune, quanto nellapproccio scientifico. Entrambe le mo-
dalit sono estranee allatteggiamento filosofico fenomeno-
logico. Ogni comprensione prefilosofica implica la possibilit
del dubbio, cio non esprime il carattere dindubitabilit ne-
cessario a una filosofia rigorosa. Proprio del senso comune
latteggiamento naturale dove le cose rimangono a portata
di mano per essere utilizzate, prive per dellinterrogazione
teorico-filosofica capace di cogliere il senso della cosa nelle
sue valenze ontologiche ed epistemologiche.
Il senso comune verifica lesistenza del cubo attraver-
so la semplice operazione del conteggio delle sei facce:
toccandole o enumerandole mentalmente, ruotando il
solido su se stesso al fine di rendere progressivamente evi-
denti i lati. Tale atteggiamento presuppone sulla base
dellesperienza passata che loggetto si lasci manipolare,
o meglio, che le facce rimangano invariate dopo la pro-
gressiva osservazione del conteggio, da uno a sei, di ogni
faccia del solido. Si potrebbe aggiungere arricchendo
ulteriormente il quadro delle osservazioni critiche di Se-
verino che il tatto, essendo localizzato in una porzione
di spazio circoscritta, non garantisce n il riconoscimento
di una superficie quadrata, n che essa appartenga a un
cubo. indubitabile che si tocchi una superficie, ma che
essa sia una superficie quadrata solo uninferenza. Se
osservassimo le tre facce del solido e toccassimo contem-
poraneamente le altre posto che le dimensioni del lato
FORSE UN DIO CI INGANNA 55

fossero sufficientemente piccole da permetterlo non


renderemmo evidenti tutte le facce del solido: ci com-
porterebbe comunque unenumerazione progressiva (e
quindi un prima, rispetto a un dopo, dubitabile) e, inol-
tre, vi sarebbe la mancata garanzia della capacit del tatto
di identificare le superfici come quadrate.
Si potrebbe obiettare che la situazione descritta im-
probabile, ma, come ribadito pi volte, si tratta di com-
prendere se sia possibile affermare, in modo incontrover-
tibile, la presenza di un cubo. Non essendo compresenti le
sei facce del cubo nulla vieta, da un punto di vista logico,
che dopo averle contate, esse scompaiano o cambino for-
ma. Si immagini, per esempio, un cubo le cui facce siano
composte di differenti materiali, di cui uno sensibile alle
variazioni termiche: la faccia potrebbe dilatarsi immedia-
tamente dopo lesplorazione. Russell ricorda Severino
dice che non illogico supporre che tutte le cose, quando
non osservate, si trasformino in canguri. La stessa man-
canza di illogicit c a supporre lannientamento delle
facce appena contate eppure non pi presenti.17 Certo,

17. Il noto esempio fatto, con humour britannico, da B. Russell, scrive Deros-
si di un canguro che potrebbe inopinatamente sostituire una o pi facce
del cubo, , nella sua bizzarria, interessante []. Un canguro, infatti, un
ente tridimensionale, e pertanto non strutturalmente idoneo a sostituire
la faccia di un cubo che invece bidimensionale (ovviamente il cubo un
solido tridimensionale terminato da lati idealmente anche se non material-
mente bidimensionali). Certo logicamente possibile, cio non contraddit-
torio, pensare di mettere al posto di una o pi (non pi di tre, per) facce
del cubo un canguro, dopo averle trasformate nel simpatico animale. Che
per non vi si troverebbe affatto a suo agio (come non lo sarebbe del re-
sto neanche il suo percipiente); ma non perch vi starebbe eventualmente
troppo stretto, o viceversa troppo lasco, o per altri motivi logistici, ma
proprio per motivi logici o logico-ontologici inerenti alla strutturazione
spaziale coinvolta nellintera faccenda. Il canguro, in effetti, come qualsiasi
altro ente tridimensionale, potrebbe occupare il posto lasciato libero, per
dir cos, da una o pi facce del cubo, ma non potrebbe sostituirle, cio adempiere
alla loro stessa funzione. questultima in effetti e qui tocchiamo un punto cru-
ciale a essere pre-vista nellosservazione iniziale, da parte del percipiente, delle
facce visibili: queste manifestano, a tale osservazione, una conformazione
che non solo pre-figura quella delle altre facce ancora non viste, ma anche la
pre-determina in quanto struttura spazialmente obbligata. I profili dei tre lati
visibili non possono infatti che essere gli stessi di quelli invisibili in quanto
comuni agli uni e agli altri: tutti, pertanto, devono essere quadrati, per
corrispondere non tanto alla definizione del cubo quanto alla sua determi-
nazione e visualizzazione spaziale.
56 FENOMENOLOGIA ERETICA

posso dire di averle contate, ma come faccio a sapere che


ci sono ancora, e cos come le ho contate?
Per sopperire a queste difficolt potremmo utilizzare
una serie di specchi in modo da rendere compresenti le
facce del cubo, passando cos dal mero conteggio proprio
del senso comune a un atteggiamento pi strettamente
scientifico. Se ritenessimo che lespressione qui c un
cubo una verit assoluta, allora, sostiene Severino, do-
vremmo considerare quali verit assolute anche le leggi
dellottica (e in generale della fisica) che devono essere
utilizzate al fine di verificare la proposizione questo un
cubo.
Loperare del senso comune e della sua longa manus
(per citare licastica espressione di Severino), la scienza,
non sembrano soddisfare lo statuto di verit ricercato da
Husserl. Ma nemmeno le scienze empiriche, dal canto
loro, oggi sembrano volersi richiamare a unidea di verit
assoluta.18 Limmagine speculare del cubo implicherebbe
lassunzione di quel sapere rivelatoci dalle indagini della
fisica e, nello specifico, dalle leggi dellottica. Su questo
punto va evidenziato che il sapere scientifico, evocato da
Severino, non inscritto nellesperienza immediata: esso
non fa parte della nostra esperienza percettiva dellimma-
gine speculare.
Scienza ed esperienza devono rimanere distinte,
altrimenti commetteremmo sistematicamente ci che
Khler definisce errore dello stimolo (errore che consiste
nel confondere e attribuire al piano descrittivo dellespe-
rienza diretta ci che noi sappiamo su essa).19 Lesperien-

18. Se per dicessi: che qui ci sia un cubo una verit assoluta, dovrei ricono-
scere come verit assolute anche le leggi dellottica e in generale della fisica,
che devo adoperare per verificare la proposizione: Questo un cubo. E
queste leggi non sono verit assolute non solo dal punto di vista del sapere
assoluto dal punto di vista, cio, con terminologia husserliana, di chi pratica
la riduzione fenomenologica trascendentale , ma nemmeno oggi, come
ben noto, dal punto di vista della fisica (E. Severino, Studi di filosofia della
prassi, cit., p. 66). Il cubo non lo si pu mai guardare integralmente, non se
ne possono mai vedere contemporaneamente tutti i lati. Bisogna ricorrere a
sistemi di specchi, cio a ipotesi interpretative; ma che lo specchio mostri ci
che il rispecchiato unipotesi (Id., Lidentit della follia, Rizzoli, Milano
2007, p. 243).
19. Cfr. W. Khler, Gestalt Psychology, Liveright, N.Y. 1929, tr. it. di G. De Toni, La
FORSE UN DIO CI INGANNA 57

za dellimmagine speculare del cubo non implica alcuna


legge dellottica geometrica n tanto meno della fisica.
Si pu comunque ritenere che sia uninferenza il fat-
to che limmagine rifletta tre facce di un cubo (cio che
limmagine sia immagine di qualcosa), e unipotesi che
limmagine le rifletta fedelmente. Limmagine speculare
rimane problematica: pur esplicitando un sapere fenome-
nico, essa rivela solo indirettamente la presenza del cubo.
Possiamo solo supporre o dedurre, sulla base dellespe-
rienza passata, che limmagine allo specchio renda visibili
le tre facce invisibili allosservatore.
Un dubbio ulteriore riguarda la possibilit di perce-
pire contemporaneamente limmagine speculare e le
tre facce direttamente esperite. In definitiva sussistono
in questa circostanza le medesime obiezioni precedente-
mente esposte. Lapporto tecnico degli specchi non ha
prodotto un avvicinamento concreto a una conoscenza
indubitabile.
Su base empirica e operativa, dalle prime facce osser-
vate e dopo aver terminato la rotazione del solido, siamo
in grado di concludere che dinanzi a noi c un cubo.
Questo sapere, tuttavia, non si rivela indubitabile poich
incapace di salvaguardare la conoscenza filosofica dallo
scetticismo. La conoscenza empirica del cubo implica
un movimento, e quindi un tempo, ed sullinvisibilit a
essa connessa vale a dire lincapacit di poter escludere
logicamente che, tra il prima e il dopo, qualcosa muti
che il dubbio fa leva. La continuit, come afferma Hume,
un presupposto che si consolida attraverso labitudine,
non una verit. Il cubo, invece, per Husserl una cosa
che trascende lesperienza vissuta e, pur non collimando
in alcun caso con lidentit della cosa, pu essere col-
to come unit di sintesi allinterno di unintenzionalit
dorizzonte:

Il cubo, per esempio, lascia aperta una variet di determina-


zioni, per i lati che non sono attualmente veduti, eppure

psicologia della Gestalt, Feltrinelli, Milano 1961, p. 110. Questo tema sar ripre-
so analiticamente nel cap. 3.
58 FENOMENOLOGIA ERETICA

appreso certamente come un cubo, specificamente colorato,


ruvido ecc., gi prima di ulteriori esplicitazioni; ciascuna de-
terminazione in cui esso appreso lascia sempre aperte an-
cora altre determinazioni particolari. Questo lasciar-aperto
gi, prima ancora delle effettive determinazioni ulteriori che
forse non avranno mai luogo, un momento contenuto nel re-
lativo Erlebnis in se stesso, ed appunto ci che costituisce
lorizzonte.20

Il problema , secondo Severino, che per poter affer-


mare la presenza del cubo si deve prima presupporre che:
a) questa cosa, che mostra direttamente alcune delle
sue facce, si lasci manipolare e ne lasci contare sei; b) que-
sta cosa che si lasciata manipolare risponda alla defi-
nizione di cubo: corpo solido avente contemporaneamente
sei facce. Entrambe le ipotesi costituiscono un oltrepas-
samento di ci che attualmente presente.21

3.2 Il limite della fenomenologia

Per comprendere nello specifico la problematicit in-


trinseca allesempio della percezione del cubo, recuperia-
mo le considerazioni di Severino sul tentativo husserliano
di stabilire la distinzione tra apoditticit e adeguatezza
del contenuto immediatamente presente. Tali critiche
mirano a rilevare come il rinvio (cio lesplicitazione del
significato originario implicito) implichi necessariamen-
te qualcosa di non immediatamente evidente. Secondo il
principio di tutti i principi qualcosa pu essere affermato
solo in quanto presente:

Nessuna immaginabile teoria scrive Husserl pu coglier-


ci in errore nel principio di tutti i princip: [...] cio, che ogni
visione originalmente offerente una sorgente legittima di
conoscenza, che tutto ci che si d originalmente nellintu-
izione (per cos dire, in carne ed ossa) da assumere come

20. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., pp. 74-75. (Sul tema della cosa si veda
inoltre: Id., Ding und Raum. Vorlesungen 1907, in Husserliana, Bd. XVI, hrsg. v.
U. Claesges, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, tr. it. di A. Caputo, La cosa e lo
spazio, Rubbettino, Soveria Manelli 2009).
21. E. Severino, Studi di filosofia della prassi, cit., p. 65.
FORSE UN DIO CI INGANNA 59

esso si d, ma anche soltanto nei limiti in cui si d. chiaro


che qualunque teoria pu attingere la sua verit soltanto dai
suoi dati originali.22

La critica a Husserl (e in generale alla fenomenolo-


gia) evidenzia come il teorema della distinzione tra ade-
guatezza e apoditticit, pur non instaurandosi in modo
diretto cio secondo le modalit dellatteggiamento na-
turale , si costituisca solo per il surrettizio intervento
dellatteggiamento mondano nel dominio della ridu-
zione fenomenologica trascendentale, cio nel dominio
del sapere assoluto. Husserl dice molto chiaramente che
linterpretazione fenomenologica dellimplicazione del po-
tenziale da parte dellattuale o dellesplicitante potenziale
da parte dellimplicito attuale non ha nulla a che vedere
con la percezione, con la presentazione reale di ci che
attualmente soltanto potenziale. Essa vuol studiare lim-
plicazione attuale-potenziale quale si presenta allinterno
dellattualit o evidenza. Tanto meno, quindi, linterpre-
tazione fenomenologica cade nellerrore di assumere
quelle ipotesi come verit assolute.23 Ma se il mondano
messo fuori gioco, in base a cosa si sostiene limplicazione
attuale-potenziale?
Lattualit potenziale resta per Severino unipotesi;
anche il concetto di sapere inteso come esplicitazione
del significato implicito, ossia, come progressiva ade-
guazione dellevidenza diventa un progetto, e dunque
anchesso unipotesi. Inoltre, come possiamo escludere
che non ci sia pi nulla da esplicitare, nessuna poten-
zialit da far passare allatto, nessun compito da eseguire,
che dunque la presenza sia definitivamente esaurita in ci
che attualmente presente?24 Cogliamo larbitrariet del
passaggio dallipoteticit dellimplicazione alla tesi catego-
rica del sapere originario come processo di esplicitazione,

22. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 94. Cfr. G. Leghissa, Levidenza impossi-
bile, Lint, Trieste 1999, pp. 128 sg.
23. E. Severino, Studi di filosofia della prassi, cit., p. 66.
24. Ibid.
60 FENOMENOLOGIA ERETICA

come tensione originaria alloltrepassamento dellattuali-


t in una sempre pi vasta dimensione attuale.25
Seguendo le critiche severiniane, possiamo compren-
dere appieno la posta in gioco dellesempio: in esso viene
meno laspirazione husserliana di fondare una fenome-
nologia come scienza rigorosa, e quindi, per riprendere il
lessico di questa riflessione, un sapere filosofico assoluto,
certo e incontrovertibile.
Riassumendo: ci troviamo di fronte a un cubo. La de-
finizione di cubo implica la propriet di avere sei facce
uguali; abbiamo supposto, per semplificare, che questa
propriet soddisfi per intero la definizione di cubo. Ma
come possiamo sapere che il nostro giudizio sulla presen-
za del cubo sia apodittico e adeguato e quindi indubitabi-
le? Non si pu logicamente sostenere che nel passaggio
dal tempo t1, dove vedo le facce ABC del cubo, al tempo t2,
dove vedo le facce DEF, le facce presenti in t1 rimangano
invariate mentre osservo le facce nel tempo t2. Al fine di
ottenere un giudizio apodittico e adeguato dovrei poter
osservare le sei facce del cubo contemporaneamente.
Il discorso sotteso da Severino chiaro: se rimaniamo
allinterno della struttura occidentale del divenire, intesa
come epamphoterzein (loscillare) tra lessere e il non es-
sere, la possibilit che qualcosa diventi altro da se stessa
non pu essere esclusa.26 Egli, pur condividendo lindu-
bitabilit del fenomeno, come di ogni apparire empirico
e trascendentale, rivela laporia insita in ogni tentativo di
fondazione del sapere allinterno del senso ontologico oc-
cidentale della cosa. Quindi n la scienza, n la filosofia
possono essere garanti di verit assolute. La cosa rima-
ne irrimediabilmente vittima della possibilit di annien-
tamento. Per Severino, solo escludendo fin dallinizio la

25. Ibid.
26. Nel commento di Severino allesempio husserliano del cubo implicita lim-
possibilit di poter eliminare ogni forma di dubbio sullannientamento delle
facce del solido restando allinterno delle categorie occidentali del divenire.
Solo affermando la necessit del destino di ogni ente, cio lesser s dellessente, si
pu eliminare tale dubbio. La cosa implica, secondo le categorie occidentali
del divenire, la possibilit di oscillare tra lessere e il niente (Cfr. Id., Destino
della necessit, Adelphi, Milano 1980, pp. 20 sg.).
FORSE UN DIO CI INGANNA 61

possibilit delloscillazione tra lessere e il non essere la


cosa sar salva ed eternamente al riparo dal dubbio. Per-
correndo il sentiero del giorno e seguendo il destino
della necessit, cio lidentit di ogni singola determina-
zione, la cosa nel nostro caso lidentit del cubo non
potr che essere sempre e necessariamente se stessa e
quindi salva dallannientamento.27

3.3 Evidenza, verit e scetticismo

Husserl attraverso latteggiamento fenomenologico


dellepoch, mette tra parentesi lesistenza del cubo ed
evita di descrivere il cubo empiricamente presente nel
mondo esterno, su cui invece Severino concentra lat-
tenzione. Inoltre, il significato attribuito da Severino
allevidenza come semplice sinonimo di verit assolu-
ta non aderisce completamente al modo in cui Husserl
concepisce il senso dellevidenza. Soffermiamoci su que-
sto punto.

Ora lo stesso cubo, ossia lo stesso secondo coscienza, pu nello


stesso tempo o in momenti successivi esser consaputo in modi
distinti di coscienza, in modi di diverso genere, come perce-
zioni, rimemorazioni, aspettazioni, valutazioni ecc., tutte se-
parate. Ma di nuovo sempre una sintesi, quella che stabilisce
la coscienza dellidentit come coscienza unitaria e che rende
con ci possibile ogni sapere di identit.28

La coscienza una corrente di esperienze vissute, e


ogni esperienza (percezioni, rimemorazioni, aspettazioni,
valutazioni, ecc.) possiede una propria essenza. Questa
sua specificit costituisce levidenza, il cui principio pu
essere cos espresso: Ogni tipo di cosa ha un modo specifico
di darsi a conoscere, ovvero di apparire per quello che ,
essenzialmente.29
Nella percezione, il cubo si offre mediante apparizioni
parziali e mutevoli e attraverso un orizzonte di apparizioni

27. Cfr. Id., Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, pp. 27 sg., e p. 86.
28. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 72.
29. R. De Monticelli, Lordine del cuore, Garzanti, Milano 2003, p. 35.
62 FENOMENOLOGIA ERETICA

possibili. Loggetto un polo di identit, consaputo sem-


pre con un senso gi intenzionato da realizzare ed esplica-
re, che in ogni Erlebnis indice di una intenzionalit no-
etica, posseduta come suo senso, intenzionalit che pu
essere problematizzata e diventare esplicita.30 Questo suo
poter diventare esplicita presuppone una trascendenza
e perci al principio di evidenza si affianca il principio di
trascendenza: Ogni tipo di cosa ha un modo specifico di
trascendere la sua apparenza, ovvero di essere realmente al di
l di quanto ne appare.31 Il legame tra questi due principi
consiste nella comprensione del passaggio tra il modo
specifico di darsi a conoscere della cosa e il suo essere
realmente al di l: si tratta di comprendere come possa il
primo preannunciare il secondo.
La percezione del cubo resa visibile da Husserl me-
diante lattualizzazione di potenzialit implicite nelle at-
tualit coscienziali.32 Ci avviene attraverso una proten-
sione continua: i lati percepiti del cubo contengono
indicazioni dei lati ancora intenzionati in maniera secon-
daria, non ancora percepiti, ma solo anticipati nel modo
della aspettazione ed anzi in assenza di ogni intuizione
come lati che da ora in poi vengono alla percezione.33 La
protensione e la ritenzione integrano la percezione
attuale attraverso potenzialit intrinseche alla percezione

30. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 75. Loggetto pertanto non fa parte
delle esperienze vissute. In queste, Husserl distingue un aspetto soggettivo
costituito dagli atti che mirano ad affermare loggetto (per esempio, il perce-
pire, il ricordare, limmaginare, ecc.) che detto noesis, dallaspetto oggettivo
(il percepito, il ricordato, limmaginato) che detto noema. Il noema non
loggetto stesso: nella percezione del cubo, loggetto il cubo ma il noema
di questa percezione il complesso dei predicati o dei modi dessere dati
dallesperienza: il cubo rosso, illuminato, non illuminato, percepito, ricorda-
to ecc. Il cubo (loggetto) costituisce il polo intorno a cui vengono a orientar-
si e a raggrupparsi i noemi dellesperienza vissuta.
31. R. De Monticelli, Lordine del cuore, cit., p. 35. Evidenza e trascendenza si
implicano reciprocamente, vale a dire che il modo tipico che una ha di darsi
a conoscere anche il modo tipico che essa ha di sparire nellinvisibile, per
cos dire; e che quanto della sua realt non appare, o non si d immediata-
mente a conoscere, si nasconde tuttavia in modo tipico. Un po come il lato
nascosto della cosa visibile, il profilo della trascendenza, [] suggerito dal
profilo dellapparenza (ibid).
32. Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p .75.
33. Ivi, p. 73.
FORSE UN DIO CI INGANNA 63

stessa: la protensione non istantanea ma continua; essa


acquista un senso nuovo a ogni fase della percezione.34
Husserl ritiene che nella percezione dellaspetto della
cosa vi sia un di pi di visibilit che devessere colto ed
esplicitato. Cercher di dimostrare che il di pi di visibilit
evidenziato da Husserl non lespressione di un contenu-
to intenzionale di coscienza, bens lesplicitazione di una
visibilit che appartiene allaspetto della cosa.
Assumendo la percezione del cubo come tema di
descrizione, vedo nella riflessione pura che questo cubo
qui dato in modo continuo come unit oggettiva in una
molteplicit mutevole dalle molte forme di modi feno-
menici che gli appartengono in modo determinato.35
Resta il problema di come si possa strutturare levidenza
su qualcosa che, di fatto, necessita di un rinvio dal visi-
bile allinvisibile (o visibile potenziale): dallaspetto della
cosa alla cosa stessa.36 Per Husserl, infatti, la percezione
trascendente della cosa si d attraverso una molteplicit
di apparizioni che, per quanto rinnovate e ripetute, non

34. Cfr. ivi, pp. 73-74. Tuttavia scrive Derossi questa procedura esige dei chiari-
menti su alcuni punti. Il primo costituito dal fatto che essa si compone di due
tipi di attivit ben diversi fra loro, quali sono il percepire e il ricordare. La
teoria husserliana delle protensioni e ritensioni cerca di mostrare in effetti
come tali due attivit siano non solo fra loro compatibili ma altres sinergica-
mente cooperanti nella concreta effettuazione dei processi percettivi. Anche
ammessa per la validit di questa teoria, essa non pare comunque sufficiente
ad eliminare unulteriore difficolt di carattere, diremmo, logico-ontologico:
per quanto mantenute nel giro della percezione mediante gli atti di riten-
sione, le facce del solido di volta in volta non viste, sia pure per pochi istanti,
potrebbero trasformarsi in quel brevissimo lasso di tempo in qualcosa di com-
pletamente diverso, per cui gli atti di protensione, pur rinviando alle altre fac-
ce del solido, non procurerebbero unevidenza assoluta circa la completezza
e quindi lesistenza stessa del cubo. Per quanto concretamente improbabile,
una simile eventualit logicamente possibile e tanto basta a compromettere
la piena affidabilit della conoscenza percettiva (Cfr. supra, nota 14).
35. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 69, corsivo nostro.
36. Il lato non visibile del cubo incluso nel senso del cogitatum e co-intenziona-
to in modo meramente non-intuitivo (ivi, p. 77). La dinamica del processo
percettivo orientata dalle indicazioni dei lati non ancora percepiti forni-
te da quelli attualmente percepiti: tali indicazioni consistono in percezioni
potenziali che rendono visibile ci che non ancora visibile. Riaffiora qui
lineludibile questione, scrive Derossi, concernente la possibilit delle deter-
minazioni di manifestare quelle propriet che, da un lato, sono formulate
nella definizione dellente e, dallaltro, orientano e determinano la percezio-
ne dellente stesso rendendola congruente alla definizione medesima.
64 FENOMENOLOGIA ERETICA

si adeguano alla cosa stessa: la realt della cosa sempre


presunta e quindi, essendo soggetta a dubbio, richiede
prove e conferme.37
Severino evidenzia che il senso attribuito da Husserl al
termine evidenza vale a dire la dimensione originaria
dellevidenza qualcosa che ritenuto apodittico (in-
dubitabile, innegabile, ecc.) ma inadeguato, poich non
in grado di garantire lunit di attualit e potenzialit.
(La adeguazione scrive Husserl nella prima Meditazione
e lapoditticit di unevidenza non debbono procedere
necessariamente di pari passo).38
Lassoluta indubitabilit della cosa oggetto dellana-
lisi di Severino lidea dellevidenza perfetta che per
Husserl rimane solo unidea, ovvero non si concretizza
in unevidenza ma rimane solamente un progetto.39 Infat-
ti levidenza, nella sua accezione pi ampia, un feno-
meno originario universale della vita intenzionale.40 La
cosa quindi si costituisce nella sintesi, cio nel passaggio,
da evidenza a evidenza. Lincompletezza del cubo necessi-
ta di un riempimento offerto dallorizzonte di esperienze
capace di porre la realt effettiva della cosa. Esperienze
che si costituiscono nellinfinito riempimento della cosa:41
gli orizzonti sono delle potenzialit delineate,42 e il
riempimento gi anticipato nei contenuti intenziona-
li che rinviano alle evidenze potenziali. Ci nondimeno,
ammette Husserl, lesperienza esterna rimane lunica for-
za probante.43

37. Cfr. ivi, 38-45.


38. Ivi, pp. 55-56. Anche la percezione esterna (che non certamente apoditti-
ca) pure autoesperienza della cosa la cosa sta l essa stessa ma in questo
esserci da s essa presenta al soggetto espediente un orizzonte sconfinato e
aperto, indeterminato nella sua generalit, un orizzonte di ci che in senso
proprio non autenticamente percepito; invero esso tale che pu essere
dischiuso mediante lesperienza possibile (ibid.). Sullevidenza si vedano le
definizioni date da Husserl nei paragrafi 4-7 (con relativo chiarimento del
senso apodittico e inadeguato dellevidenza) della prima Meditazione e i para-
grafi 24, 26, 27, 28 e 29 della terza Meditazione.
39. Cfr. ivi, p. 49.
40. Ivi, p. 84.
41. Cfr. ivi, p. 23.
42. Ivi, p. 74.
43. Cfr. ivi, p. 88.
FORSE UN DIO CI INGANNA 65

Lesistenza del mondo trascende la coscienza. Ma


solo nella vita coscienziale che si costituisce il trascenden-
te, che rimane inseparabile da essa. Il mondo reale e la
trascendenza sono inseparabili dalla soggettivit trascen-
dentale che costituisce il senso in generale e la realt del
senso.44 Per Husserl quindi lassoluta evidenza del cubo
rimane unidea. Egli mira a chiarire levidenza, o meglio,
la struttura essenziale delle dimensioni di infinit che co-
stituiscono la sintesi ideale infinita, secondo tutte le strut-
ture interne.45

Da qui segue che unevidenza singola non ci procura unesi-


stenza stabile. Ogni cosa che esiste, , in senso amplissimo, in
s, e ha di contro a s il causale esser-per-me del singolo atto; e
intanto ogni verit in questo senso amplissimo verit in s.
Questo significato dellin s rimanda quindi allevidenza, ma
non a una evidenza intesa come fatto della vita di coscienza,
bens a certe potenzialit fondate sullio trascendentale e sul
suo vivere; pi propriamente rimanda allinfinit di intenzio-
ni in generale che si riferiscono sinteticamente a una e una
stessa cosa, e quindi anche alle potenzialit della conferma di
queste intenzioni; lin s rimanda a evidenze potenziali che,
come fatti di coscienza, sono ripetibili allinfinito.46

Secondo ukasiewicz il tentativo di Husserl di recu-


perare la trascendenza della cosa attraverso limmanenza
delle operazioni coscienziali, lo induce allerrore, tipico
di un certo psicologismo dellepoca, di accettare il con-
cetto di evidenza quale criterio di verit.47 Questa strada
conduce rapidamente al soggettivismo e allo scetticismo:
Se levidenza costituisce il criterio di verit, allora ogni
giudizio vero se sembra evidente a qualcuno.48 In que-
sto modo non sar pi possibile distinguere un giudizio

44. Cfr. ibid.


45. Cfr. ivi, p. 89.
46. Ivi, p. 87. Cfr. pp. 19, 77; 24 e 27-29.
47. Cfr. J. ukasiewicz, Ozasadzie sprzecznosci u Arystotelesa, Pantostwowe Wydawnic-
two Naukowe, 1910, tr. it. di G. Maszkowska, Del principio di contraddizione in
Aristotele, Quodlibet, Macerata 2003. Cfr. E. Severino, Fondamento della contrad-
dizione, Adelphi, Milano 2004, parte I, cap. II.
48. J. ukasiewicz, Del principio di contraddizione in Aristotele, cit., p. 101.
66 FENOMENOLOGIA ERETICA

vero da uno falso, perch una proposizione pu essere


evidente per alcuni e oscura per altri:

Ogni verit diventa allora qualcosa di soggettivo e relativo e la


verit assoluta e oggettiva cessa di esistere. Se uno afferma in-
vece che se un giudizio evidente per uno allora deve esserlo
anche per tutti gli uomini, sostiene una posizione discordante
dalla realt.49

La nozione di evidenza di Husserl non soggettiva: le


verit della fenomenologia sono necessarie in base al non-
poter pensare altrimenti le relazioni ideali tra i contenuti su cui
tali contenuti vertono.50 Levidenza quindi consiste in que-
sto non poter pensare altrimenti. La cosa colta nella sua
evidenza il risultato della variazione eidetica e comporta
luso dellimmaginazione trascendentale, che astrae le ca-
ratteristiche che il cubo non pu non possedere.51 Attra-
verso la variazione eidetica il cubo viene spogliato di tutte
le determinazioni che pu non avere: questo cubo rosso,
ma possiamo immaginarlo di un qualunque altro colore;
questo cubo di questa dimensione, ma possiamo immagi-
narlo di unaltra, ecc., fino a isolare le propriet che resisto-
no al cambiamento, ossia che gli appartengono come cosa
in s. Facendo variare riflessivamente, sotto lo sguardo del
pensiero, i puri contenuti immaginativi, possibile cogliere
tra essi forme di relazione resistenti a qualsiasi variazione
immaginabile, forme di relazione dunque assolutamente

49. Ivi, pp. 101-102.


50. Cfr. F. Paracchini, Le ragioni del tempo, Mimesis, Milano-Udine 2002, cap. 3.
51. Ivi, p. 84. Il concetto di necessit scrive Paracchini esige infatti dalla li-
bera esplorazione di una gamma illimitata di contenuti, in linea di principio tutti
i possibili contenuti che possono presentarsi come particolarizzazioni di au-
tentiche verit fenomenologiche. Appare chiaro che non la percezione, n
il ricordo o laspettazione saranno per una fenomenologia eidetica la speci-
fica fonte delle proprie conoscenze. Lo sar bens limmaginazione, lunica
specie di atto, tra gli atti che offrono un accesso diretto alla dimensione dei
contenuti, a permettervi di accedere con piena libert. [] Le conoscenze
di una fenomenologia eidetica non consistono naturalmente in una semplice
evocazione immaginativa di contenuti. Perch i contenuti attinti alla fonte
delle libere variazioni immaginative si traducano in conoscenze vere e pro-
prie, occorre che a partire da essi sia possibile la produzione di leggi fenome-
nologiche (ivi, pp. 82-83).
FORSE UN DIO CI INGANNA 67

invarianti.52 Ma a parte luso dellimmaginazione, che po-


trebbe essere oggetto delle obiezioni di ukasiewicz, ci si
domanda che altro siano le idealit che il cubo non pu
non possedere se non la definizione stessa di cubo: che
esso non possa non avere sei facce uguali. Le altre propriet
(colore, forma, unit ecc.) possono appartenere a unam-
pia gamma di enti (se non a tutti), ma non consentono di
identificare questa cosa come un cubo.53
Una volta individuate le caratteristiche essenziali del
cubo, valide in tutti i mondi possibili, non possiamo certo
dedurre che questo solido sul tavolo, in questo mondo, sia
necessariamente un cubo. Possiamo pensare il cubo veico-
lando e manipolando informazioni tratte dallesperienza
empirica, ma non possiamo immaginare il cubo, dalle sei
facce uguali, poich ritroviamo gli stessi vincoli presenti
nella percezione diretta: il cubo, dir Merleau-Ponty, non
solo non percepibile, ma anche impensabile. Ma se il
cubo in se stesso non immaginabile, come pu la varia-
zione eidetica renderlo evidente? Attraverso la variazione
eidetica Husserl ha fondato il possibile o il reale?
Dato che Husserl attraverso lepoch pone lesistenza
del mondo tra parentesi, ci si potrebbe chiedere se le cri-
tiche che Severino rivolge alla fenomenologia siano del
tutto legittime. A prescindere da ci, intendiamo porre
laccento sul problema sollevato e non sullinterpretazio-
ne di Husserl.

52. Cfr. ibid.


53. Possiamo affermare che: Ogni oggetto colorato spazialmente esteso
necessariamente vera. Analogamente, vere necessariamente sono le propo-
sizioni Ogni suono dotato di una intensit, Ogni oggetto materiale
dato prospetticamente, ecc. Ora, la forma di tutte queste proposizioni la
medesima: in tutte viene enunciato: Ogni A B. Ma, posto questo, evi-
dente che questa forma preposizionale non pu essere saturata da qualsiasi
esempio e fornire proposizioni sempre necessariamente vere: per es. le pro-
posizioni Ogni suono colorato e Ogni corvo nero pur possedendo
quella medesima forma preposizionale sono la prima necessariamente falsa
e la seconda solo empiricamente vera. Per decidere a proposito della verit di
proposizioni di interesse fenomenologico occorre tenere conto del contenu-
to dei concetti posti in relazione, cio allargare la considerazione allaspetto
semantico della proposizione o, come anche si pu dire, al suo aspetto mate-
riale. Si tratta pertanto di proposizioni irriducibilmente materiali (non com-
pletamente formalizzabili); eppure, non per questo le si potr considerare
semplici generalizzazioni empiriche (ivi, p. 81).
68 FENOMENOLOGIA ERETICA

4. Da Husserl a Merleau-Ponty

La filosofia trascendentale husserliana non si affida in-


genuamente alla cosa, n compie unesplorazione diretta
degli aspetti, delle parti e delle propriet della cosa. Se
cos fosse, la descrizione rimarrebbe anonima, perdereb-
be le molteplicit noetiche della coscienza e le sue unit
sintetiche.54 La fenomenologia, cos intesa, ha il compito
di ricercare tutto ci che oggettivo e che nelloggetti-
vo pu essere trovato solo come correlato di coscienza.55
Sospendendo il giudizio sullesistenza del mondo esterno,
egli non rinuncia allevidenza dellapparire della cosa. Il
dubbio scettico e la riflessione filosofica rivelano linfon-
datezza dellatteggiamento naturale e del realismo che ac-
compagna tale atteggiamento dogmatico.

Lesistenza del mondo, e quindi quella di questo cubo qui,


, in virt della epoch, messa entro parentesi, ma luno e lo stes-
so cubo che appare continuativamente immanente al corso
della coscienza, vi contenuto descrittivamente come vi de-
scrittivamente contenuto lo stesso carattere di essere uno e
uno stesso.56

Lanalisi della coscienza trascendentale lo strumento te-


oretico utilizzato da Husserl per giungere allindubitabi-
lit del fenomeno, mantenendo per una distinzione tra
il manifestarsi delloggetto e la sua manifestazione sogget-
tiva, ed evitando cos una posizione solipsistica, fenome-
nista o idealista.57 Lepoch fenomenologica, mettendo fra
parentesi il mondo naturale, fa s che non ci si occupi pi
del cubo inteso come oggetto fisico se non indirettamen-
te, attraverso lidealizzazione della cosa la cui essenza
vera in ogni mondo possibile e, di conseguenza, anche in
questo. Ma proprio questultimo passaggio a mancare la
presa sul reale: come possiamo passare dal necessario il

54. Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 76.


55. Ibid.
56. Ivi, p. 71.
57. Cfr. V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci (a cura di), La fenomenologia, Einaudi,
Torino 2002, p. 109.
FORSE UN DIO CI INGANNA 69

cubo nella sua universalit alla presenza del cubo qui e


ora? La presenza, non lidealit, oggetto di dubbio.
Se lepoch intende oltrepassare il presupposto realista
(lesistenza del mondo esterno, propria delle scienze) per
trasformare latteggiamento naturale in un atteggiamento
trascendentale, fondato e rigoroso, proprio questa di-
mensione prima e ovvia a diventare problematica. Lego
trascendentale rimane inseparabile dai vissuti di coscienza,
anzi lepoch dischiude la vita coscienziale, ma il cubo
cos reso indubitabile unicamente nella sua essenza, e non
nella sua esistenza.58 (Qui, a scanso di equivoci, non dob-
biamo interpretare il lessico husserliano la soggettivit
trascendentale in chiave kantiana; Husserl non intende
riferirsi a una condizione di possibilit, bens a concreti e
strutturati vissuti di coscienza). Lopera di Husserl riguar-
da lo studio delle essenze, ma vuol essere il tentativo di
ricollocarle nellesistenza, poich solo su questo piano
che possiamo comprendere il mondo.59 Da qui prende av-
vio la riflessione di Merleau-Ponty.
Per Merleau-Ponty la sospensione del giudizio non ci
allontana dalle cose, bens mette fuori gioco le nostre abi-
tudini e la nostra complicit con il mondo. Non una ri-
nuncia alle certezze del senso comune o allatteggiamen-
to naturale, il tentativo di coglierli come premesse che,
nella loro ovviet, passerebbero inosservate. Dobbiamo
astenerci per un istante dal giudizio, per risvegliarle e far
apparire le cose e il mondo. Cogliere il senso autentico
dellepoch equivale a ritrovare lo stupore iniziale per le
cose, significa imparare di nuovo a vedere il mondo.60
Non dobbiamo cercare lessenza della percezione, poich
ci comporterebbe il rischio di considerare la percezione
come una verit presunta, e non un accesso alla verit.61
Il mondo ci che noi percepiamo, il nostro essere nel-
la verit del visibile.62

58. Cfr. ivi, pp. 95-96; pp. 108-109.


59. Cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 15.
60. Cfr. ivi, p. 22.
61. Ivi, p. 26.
62. Ivi, p. 25. La percezione offre laccesso alla verit per mezzo della chiari-
ficazione riflessiva di ci che oscuro nellesperienza. Merleu-Ponty pensa
70 FENOMENOLOGIA ERETICA

La fenomenologia apertura verso la cosa: il cubo,


pur non apparendo nella sua pienezza intuitiva, colto
come unit attraverso i suoi molteplici aspetti. Tuttavia
il limite di Husserl consiste proprio in questo distanzia-
mento dallesperienza diretta. La cosa, messa a distanza,
diventa irrecuperabile. Severino critica tale tentativo di
ricavare un nesso necessario tra i lati prospetticamente vi-
sibili e la cosa nella sua unit e interezza. Si tratta, come si
mostrato, di una confusione tra il mondo naturale e lat-
teggiamento fenomenologico conseguente la riduzione.
Un recupero dellesperienza ingenua verr portato avanti
da Merleau-Ponty e in seguito dalla fenomenologia spe-
rimentale. Il pi grande insegnamento della riduzione
limpossibilit di una riduzione, scrive Merleau-Ponty
nella premessa a Fenomenologia della percezione. sul pia-
no dellesperienza immediata che la fenomenologia trova
maggior forza, nella sua capacit di far parlare le cose, co-
stringendo il pensiero (ogni qualvolta possibile) a rendere
ragione del perch le cose appaiono cos come appaiono.
Merleau-Ponty afferma che, per Husserl, ogni riduzione
oltre che trascendentale necessariamente eidetica. Ci
significa che non possiamo sottoporre allo sguardo filoso-
fico la nostra percezione del mondo senza cessare di far
tuttuno con questa tesi del mondo, con questo interesse
per il mondo che ci definisce.63
La critica di Severino non investe lintero corpus del-
le riflessioni husserliane, ma ne mostra, indirettamente, i
limiti. Il lato visibile della cosa non determina il lato invi-
sibile; ma Husserl, come si visto, ne pienamente consa-
pevole. Come possiamo allora eliminare il dubbio scettico
dalle cose stesse?
Severino impernia la sua critica sul tempo necessario
al passaggio da A a B (dove A e B indicano ciascuna tre
facce diverse del cubo). la pretesa di un rinvio eviden-

la verit non come unadeguazione metafisica tra la cosa e lintelletto (ada-


equatio rei et intellectus), ma come il risultato di un processo che costante-
mente infinito (R. Kirchmayr, Merleau-Ponty. Una sintesi, Marinotti, Milano
2008, p. 61).
63. Ivi, p. 23.
FORSE UN DIO CI INGANNA 71

te, da A a B, che Husserl non in grado di giustificare.


Tale rinvio si costituisce in una molteplicit continua, se
non infinita, di determinazioni della cosa che ne costitu-
iscono il significato. Si potrebbe sostenere che il rinvio si
costituisce attraverso la continuit; la continuit s evi-
dente, ma soggetta alla medesima obiezione.
Ogni percezione mantiene un suo orizzonte di passa-
to, come potenzialit capace di suscitare atti di rimemora-
zione che riconducono allattuale presente percettivo. In
questo gioco sottile di protensioni e ritensioni si ha la pie-
nezza del senso della cosa. Lidentificazione del cubo si of-
fre nella sintesi dei vissuti di coscienza della cosa-cubo nel-
la temporalit adeguata alla continuit di ciascuna delle
diverse fasi temporali. Lunit del cubo sintesi dellunit
oggettiva intenzionale: unit delle molteplici maniere di
apparire della cosa.64
Laspetto stesso della cosa va ulteriormente interroga-
to, perch tale interrogazione segna i limiti dellargomen-
to severiniano. La sua obiezione formulata presuppo-
nendo un atteggiamento fenomenico diretto a cogliere
la cosa stessa. Ma come pu dire di negare la cosa senza,
dicendola, assumerla implicitamente?
Lidealismo trascendentale riduce il mondo a titolo
di pensiero o coscienza del mondo e come il semplice
correlato della nostra conoscenza, cosicch esso diviene
immanente alla coscienza e la aseit delle cose con essa
soppressa65 per renderlo certo. Merleau-Ponty mira pri-
ma di tutto a descrivere il reale facendo emergere il nostro
sapere primordiale: Non dobbiamo dunque chiederci se
percepiamo veramente un mondo, dobbiamo invece dire:
il mondo ci che noi percepiamo.66
La percezione determina il nostro ingresso nella ve-
rit, nellevidenza di un c originario, il mondo visibile:
levidenza lesperienza della verit.67 Levidenza as-
soluta e lassoluta chiarezza dei pensieri non devono cer-

64. Cfr. ivi, p. 71.


65. Ivi, p. 25.
66. Ibid.
67. Ibid.
72 FENOMENOLOGIA ERETICA

care la membratura del mondo o un pensiero capace di


illuminarla totalmente: ci condurrebbe a un tradimento
dellesperienza del mondo, in favore di ci che la rende
possibile.68

Levidenza della percezione non il pensiero adeguato o levi-


denza apodittica. Il mondo non ci che io penso, ma ci che
io vivo; io sono aperto al mondo, comunico indubitabilmente
con esso, ma non lo posseggo, esso inesauribile.69

Lesempio del cubo e lanalisi della cosa condurranno


Merleau-Ponty a un ripensamento del mondo che c,
a interrogarne nuovamente la presenza muta. La situazio-
ne descritta non quella di un soggetto che osserva un
altro soggetto osservare qualcosa, tipica impostazione da
laboratorio di psicologia sperimentale, ma quella in cui
noi osserviamo direttamente un cubo, la cui caratteristica
geometrica , come noto, quella di possedere simultane-
amente sei facce uguali.70 Lesempio del cubo, e pi in
generale lanalisi della cosa, conducono Merleau-Ponty a
una ripetuta riscrittura della descrizione del fenomeno,
e non a una sua spiegazione. Un continuo ripensamento
delle modalit di apparenza del mondo contraddistingue
il suo stile di scrittura e di pensiero, un pensiero capace di
interrogare le cose nella loro presenza tacita, un pensiero
in grado di cogliere lorigine del senso iscritta nella rela-
zione tra visibile e invisibile.
Merleau-Ponty consapevole dellaporia che accom-
pagna la sua ricerca: la tematizzazione precategoriale del-
la cosa comporta da un lato il necessario utilizzo di lin-
guaggio e di concetti e dallaltro una congiunta volont di
cogliere qualcosa di per s antecedente sia alle categorie
linguistiche sia al pensiero. In questo senso egli parla di
un primato della percezione: il riconoscimento che la
percezione e lapparire visibile della cosa precedono il lo-
gos e costitutivamente ne differiscono. Il primato attribu-

68. Cfr. ivi, p. 26.


69. Ibid.
70. Si tenga presente che abbiamo supposto che questa sia la definizione di cubo.
FORSE UN DIO CI INGANNA 73

ito alla percezione non significa che tutta la conoscenza


tragga origine dalla percezione.
La cosa appare silenziosa nel visibile, tacitamente si
manifesta tracciando un primo orizzonte di senso; essa
l prima di ogni analisi che io possa farne.71 Il recupero
della dimensione percettiva implica uno slittamento del-
la centralit del logos verso una filosofia in grado di svin-
colarsi da rigide dicotomie concettuali, in primis quella
tra soggetto e oggetto. Oggetto che pu anche diventa-
re irrimediabilmente oggetto di dubbio scettico, teorico,
sullesistenza stessa della cosa.

4.1 La struttura del comportamento

Ne La struttura del comportamento Merleau-Ponty affer-


ma che laspetto prospettico del cubo non sta in rapporto
con il cubo in se stesso come un evento in rapporto ad
un altro evento che esso annunci, e nel rapporto in cui si
trova un segno rispetto al significato.72 Si tratta di com-
prendere che tipo di rapporto leghi laspetto del cubo,
la percezione delle facce del cubo, al cubo in se stesso,
ossia alla definizione di cubo.73 La sua fenomenologia del-
la percezione rappresenta il tentativo di tracciare una ter-
za via, alternativa sia alla tradizione empirista sia a quella
intellettualista (o razionalista). La strada intrapresa non
scevra di difficolt: lapparire della cosa non si risolve
interamente nel vedere qui ed ora, n attraverso il solo

71. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit, p. 18.


72. Id., La structure du comportament, Puf, Paris 1942, tr. it di M. Ghilardi e L. Tad-
dio, La struttura del comportamento, Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 205. (Qui
in realt viene presentato lesempio della percezione di un portacenere e
non del cubo). Si affermato che la fenomenologia deve mantenere come
compito primario la propria capacit di cogliere il senso delle cose nella loro
esistenza concreta, prima che nella loro idealit. I temi della fenomenologia
husserliana sono ripresi da Merleau-Ponty nel tentativo di afferrare la cosa
nella sua concretezza, e di ripensare una filosofia fenomenologica tenendo
ferma questesigenza teoretica.
73. solo il cubo scrive Merleau-Ponty come significato o come idea geo-
metrica, che fatto di sei facce uguali. Il rapporto, originale e caratteristico
delle cose esistenti, degli aspetti con loggetto totale, non una relazione
logica come quella di segno e significato: i lati della sedia non sono i segni,
ma appunto i lati (ivi, p. 231).
74 FENOMENOLOGIA ERETICA

giudizio. Il cubo inteso come oggetto avente contempo-


raneamente sei facce uguali non corrisponde a ci che
vediamo:

io non vedo mai pi di tre facce per volta; ma neppure un


giudizio, per il quale io collego apparenze successive. Un giu-
dizio, vale a dire una coordinazione cosciente di s, sarebbe
necessario soltanto se fin dallinizio fossero date delle appa-
renze isolate.74

Tale isolamento comporterebbe necessariamente


lapporto di un giudizio in grado di cogliere lunit della
cosa-cubo, se lapparire della cosa fosse costituito unica-
mente da una sequenza di quadrati, sei aspetti della cosa
distinti e indipendenti. (Qui a rigore dovremmo parlare
non di aspetti, perch gli aspetti sono aspetti di una cosa,
ma di sei cose-quadrate distinte e indipendenti). La cosa
in questo caso non potrebbe darsi come una se non
come risultato di un atto cognitivo in grado di determina-
re lunit cosa. Laspetto della cosa-cubo non appare se-
condo tale isolamento, e ogni aspetto visibile dice la cosa
rinviando a essa:

per rendere giustizia alla nostra esperienza diretta delle cose,


bisognerebbe affermare nello stesso tempo, contro lempiri-
smo, che esse sono al di l delle loro manifestazioni sensibili,
e, contro lintellettualismo, che non sono unit dellordine
del giudizio e che si incarnano nelle loro apparizioni.75

La dicotomia tra aspetto e cosa viene meno se laspet-


to cessa di essere concepito come negazione della cosa
per diventare affermazione della sua presenza. Il visibile
cos riconoscibile come pregno di invisibile e linvisi-
bile gi visibile come traccia che lo sguardo coglie nel
tempo richiesto dal completamento dellapparire della
cosa in relazione alla corporeit del soggetto percipien-
te. Prescindendo dal medium logico dellintellettualismo
e recuperando nel contempo lesperienza immediata o

74. Ivi, p. 205.


75. Ibid., corsivo nostro.
FORSE UN DIO CI INGANNA 75

ingenua, colta nella relazione carnale e di trascendenza


con la cosa, Merleau-Ponty riconosce nellaspetto della
cosa la sua manifestazione invisibile che si preannuncia
essere come solo poco alla volta e mai completamente e
che indichiamo a partire dal suo aspetto visibile-invisibile
come cubo:

Le cose nellesperienza ingenua sono evidenti come entit


prospettiche: loro carattere essenziale sia di offrirsi senza la
frapposizione di alcun medium che di rivelarsi solo poco alla
volta e mai completamente; le cose vengono mediate dai loro
aspetti prospettici, ma non si tratta di una mediazione logica,
poich essa ci introdurrebbe alla loro realt carnale; io colgo
in un aspetto prospettico, di cui so che soltanto uno dei suoi
aspetti possibili, la cosa stessa che lo trascende. Una trascen-
denza che, tuttavia, aperta alla mia conoscenza: questa la
definizione stessa della cosa quale intenzionata dalla coscienza
ingenua.76

Queste parole di Merleau-Ponty sono significative e


inducono a interrogarsi sul perch un soggetto ingenuo
non sia incline a dubitare n del mondo n delle cose
osservate. Egli non ne dubiterebbe mai senza buone ragio-
ni, ma tali ragioni riposano su un indizio visibile? Il sog-
getto ingenuo colui che, per giustificare limmediatezza
dellesperienza, non intende avvalersi di una teoria della
percezione o di una spiegazione causale, ma si rivolge alle
cose in se stesse, senza presupporre lesistenza del cervel-
lo, della retina o dellocchio. La realt transfenomenica,
la scienza e lesperienza passata vengono messe da parte
per far posto alla realt fenomenica direttamente incon-
trata unidea che Merleau-Ponty eredita dalla psicologia
della Gestalt. Sussiste una certezza, una fede nelle cose,
che vacilla solo dopo, e non prima, che il logos abbia tra-
sformato la fede percettiva in oggetto di dubbio.77

76. Ivi, p. 205, corsivo nostro.


77. [...] il realismo della coscienza ingenua un realismo empirico la garanzia di
una esperienza esterna che non esita a uscire dagli stati di coscienza per ac-
cedere a oggetti solidi e non un realismo trascendentale che costituirebbe
questi oggetti in tesi filosofica come cause inafferrabili di rappresentazioni,
le quali soltanto sarebbero date. [...] Il corpo presente allanima come le cose
76 FENOMENOLOGIA ERETICA

Similmente, la fede e la certezza nella realt del mon-


do esterno vengono meno anche qualora sintenda fon-
dare la conoscenza sulla base del sapere scientifico, a
prescindere dallapparire sensibile. La conoscenza della
cosa diventa irrimediabilmente una rappresentazione.
Prescindendo dallorigine di senso che si ha con la perce-
zione, limmagine scientifica del mondo tender a essere
assunta come modello di realt contro lapparenza sensi-
bile del mondo.

Le cose sono cose, cio sono trascendenti rispetto a tutto ci


che io so di esse, sono accessibili ad altri soggetti percipienti,
ma sono appunto intenzionate come tali.78

La dimensione originaria della percezione esplicita


un sapere: sappiamo che c una cosa, cos come ovvio
che l ci sia una cosa (come asserisce il senso comune).
Possiamo far corrispondere tale fede percettiva alla no-
stra certezza sullesistenza del mondo esterno. La fenome-
nologia della percezione la presa di coscienza di questa
incrollabile certezza, il tentativo di dar voce alla conoscen-
za sensibile che precede il logos e che rimane sullo sfondo
del pensiero: il recupero di un sapere in grado di dar voce
alla cosa ancor prima che alla parola e al pensiero, e che
costituisce lapertura alla verit del logos.
Quando Merleau-Ponty scrive in un aspetto prospet-
tico, di cui so, intende riferirsi a questo sapere della cosa
inscritto nel fenomeno stesso. Intende cio il modo in cui
esso appare, il modo in cui si manifesta. qui implicita una
conoscenza sensibile che dice che quella determinata cosa
non finita l, ma continua in un invisibile visibile. La tra-
scendenza della cosa aperta dalla modalit di apparenza
del fenomeno. la stessa capacit che il pittore possiede
nel dare espressione, corpo e spazio alla cosa sulla tela.

esterne; [...] La coscienza ingenua non vede in essa [nellanima] la causa dei
movimenti del corpo e neppure la introduce nel corpo come un pilota nella
sua nave. Questo modo di pensare proprio della filosofia, ma non implici-
to nellesperienza immediata (ivi, pp. 205-206, corsivo nostro).
78. Ivi, p. 207, corsivo nostro.
FORSE UN DIO CI INGANNA 77

Se due soggetti, posti uno vicino allaltro, guardano un cubo


di legno, la struttura totale del cubo la stessa per luno e
per laltro, ha valore di verit intersoggettiva, ed entrambi lo
esprimono dicendo che quello un cubo.79

Il problema : come possono dimostrare di vedere la


stessa cosa? Secondo Merleau-Ponty entrambi i soggetti col-
gono la stessa struttura nella sua totalit: sono gli stessi
lati del cubo che sono visti e sentiti propriamente da entrambi.80
I due osservatori non possono occupare, nel medesimo
tempo, la stessa prospettiva sulla cosa. Tale prospettivi-
smo, intrinseco alla percezione, non irrilevante, poi-
ch senza di esso i due soggetti non avrebbero coscienza
di percepire un cubo esistente e sussistente al di l dei
contenuti sensibili.81 Infatti, se tutti i dati del cubo po-
tessero essere riconosciuti in una sola volta, non avrei pi
a che fare con una cosa che si offra poco alla volta allinda-
gine, ma con unidea che sarebbe effettivo possesso della
mia mente.82 Come a dire che, se il senso delle cose, degli
altri, del mondo esterno non fosse colto nellimmediatez-
za dellesperienza fenomenica e tutto il discorso restasse
incentrato unicamente sul logos, allora il cubo-idea e le
menti altrui diventerebbero una x inconoscibile, sempre
soggetta al dubbio scettico. Ma con quale diritto lidea o,
pi in generale, il pensiero pu dubitare della cosa, se
essa il risultato di unesplorazione percettiva? Il dubbio,
per poter essere formulato, non deve prima presupporre
lesperienza percettiva? Non deve similmente presupporre i
diversi significati delle parole che utilizza?

Io vedo solo tre facce del cubo perch vedo con i miei occhi,
dove possibile soltanto una proiezione di queste tre facce, e
non vedo gli oggetti che sono dietro di me perch non si proiet-
tano sulla mia retina. Ma si potrebbe anche dire il contrario.

79. Id., Fenomenologia della percezione, cit., p. 340.


80. Ibid.
81. Ibid.
82. Ibid. Secondo Merleau-Ponty ci che differenzia il mio corpo dalle cose este-
riori, anche quali si presentano nella percezione vissuta, il fatto di non
essere accessibile, come quelle, ad unispezione illimitata. Quando si tratta di
una cosa esterna (ivi, p. 342).
78 FENOMENOLOGIA ERETICA

Che cosa sono infatti i miei occhi, la mia retina, il cubo


esterno in s, gli oggetti che non vedo? Sono significati logici
che sono legati alla mia percezione attuale da motivazioni
valide, che ne esplicitano il senso, ma che ne desumono lindice di
esistenza reale. Questi significati non hanno in se stessi la possibilit
di spiegare lesistenza attuale della mia percezione.83

Nellesperienza immediata, ossia nellesistenza attua-


le della mia percezione del cubo, esso non sembra esse-
re il risultato dellelaborazione dellimmagine retinica e
nulla indica che esso sia visto da un occhio: n la scienza
pu spiegare lesperienza. Diversamente, dovrebbe essere
possibile confutare una qualsiasi nostra esperienza diretta
della realt, ma sarebbe di per s contraddittorio, visto
che la realt stessa ad apparire. Nemmeno le illusioni di
per s falsificano la percezione: lillusione di Mller-Lyer,
per esempio, unesperienza sempre ripetibile e interos-
servabile. Misurare i due segmenti e scoprire che possie-
dono la stessa lunghezza di fatto non modifica n altera la
nostra esperienza: continuiamo a vedere lillusione esatta-
mente come prima.

4.2 Fenomenologia della percezione

In Fenomenologia della percezione Merleau-Ponty studia


la percezione della cosa passando dallosservazione ester-
na del soggetto percipiente lo spectateur tranger della
psicologia sperimentale, oggetto di studio de La struttura
del comportamento alla percezione interna. Attraverso la
coscienza, questo passaggio rivolto alla comprensione
della relazione corpo-mondo:

83. Id., La struttura del comportamento, cit., pp. 235-236, nostro il corsivo. Il lin-
guaggio di cui abitualmente si fa uso pu tuttavia essere compreso; la mia
percezione del cubo me lo presenta come un cubo completo e reale, la mia
percezione dello spazio come uno spazio completo e reale al di l degli aspet-
ti che mi sono dati. quindi naturale che io abbia la tendenza a staccare lo
spazio e il cubo dalle prospettive concrete e a porli in s. La stessa operazione
si verifica a proposito del corpo. Di conseguenza io sono naturalmente in-
cline a far nascere la percezione da una operazione del cubo o dello spazio
oggettivi sul mio corpo oggettivo. Questo tentativo naturale, ma il suo falli-
mento tuttavia inevitabile (ivi, p. 236).
FORSE UN DIO CI INGANNA 79

Dal punto di vista del mio corpo io non vedo mai eguali le sei
facce del cubo, anche se di vetro, e tuttavia la parola cubo ha
un senso, e il cubo stesso, il cubo in verit al di l delle sue appa-
renze sensibili, ha le sue sei facce uguali.84

La teoria della percezione si lega alla tematica del


corpo in quanto esso stesso gi percezione: noi siamo il
nostro corpo ed esso per noi non una cosa, bens ci a
partire da cui la cosa si d. Il corpo non qualcosa di in-
terno o di esterno, ma ci a partire da cui dentro e fuori,
destra e sinistra, alto e basso, acquistano per noi senso. Il
corpo determina un sistema di riferimento, il nostro, che
sintreccia alle cose e agli altri che, come noi, partecipa-
no, spazializzano e temporalizzano lesistenza. Laltro si
trova alla nostra destra (e noi alla sua sinistra) e come noi
sta osservando il cubo secondo una certa prospettiva che
ci consente di condividere parte della visibilit della cosa
e di affermare altre parti unicamente come nostre (private,
non sue). Il cubo possiede una propria spazialit poich
noi ne possediamo una: tale condizione ci offerta dal-
la nostra propriocezione del corpo in quanto condizio-
ne di possibilit dellesperienza, e quindi come principio
trascendentale della nostra relazione al mondo. Il nostro
corpo e il carattere prospettico della cosa che da esso di-
pende principio di esperienza. Ogni nostra possibile
azione di esplorazione del cubo, ogni possibile aspetto vi-
sibile a cui possiamo accedere ci offerto necessariamen-
te attraverso una prospettiva. Il corpo proprio o corpo
vissuto esprime la finitezza dellio, ineliminabile aderen-
za a un punto determinato e presupposto dellapertura
alla realt. Il corpo non una cosa tra le cose, il corpo
non il cubo. (Merleau-Ponty riprende la distinzione hus-
serliana tra corpo fisico oggettivo, Krper, e corpo vissuto,
Leib. Mentre questultimo la nostra esperienza diretta
sul mondo, laltra nozione di corpo rappresenta la visio-
ne scientifica che, disincarnata da ogni prospettiva, mira
a cogliere il corpo nella sua piena oggettivazione).85 Le

84. Id., Fenomenologia della percezione, cit., p. 277.


85. Tema trattato da Husserl in Idee II: E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phnomeno-
80 FENOMENOLOGIA ERETICA

cose consentono unillimitata ispezione, mentre il corpo


vissuto si presenta ostinatamente dallo stesso lato, senza
che io possa farne il giro. Il corpo non solo una cosa
che pu essere vista ma anche vedente: sia percipien-
te che percepito, originaria apertura al mondo. Il corpo
proprio nel mondo come il cuore nellorganismo.86
il corpo incarnato nel mondo a essere spazializzante e
temporalizzante.

Inoltre, perch la mia deambulazione attorno al cubo motivi


il giudizio ecco un cubo, necessario che i miei spostamenti
siano anchessi individuati nello spazio oggettivo e, escluden-
do che lesperienza del movimento proprio condizioni la po-
sizione di un oggetto, si affermer viceversa che io posso deci-
frare lapparenza percettiva e costituire il cubo vero, proprio
con il pensare il mio corpo stesso come un oggetto mobile.87

Il senso del cubo correlato a questa nostra consape-


volezza senso-motoria che ci permette di sapere che pos-
siamo pensare un cubo di per s, a partire da un limite pro-
spettico: proprio tale limite a consentire la conoscenza
stessa. Il nostro sistema cinestesico ci che ci consente
di interagire con i diversi profili della cosa: consiste nel
far s che anche ci che non direttamente visibile sia
unassenza correlata al visibile. La nostra attuale posizio-
ne determina un modo, e non un altro, di apparire della
cosa. Vi un sapere iscritto nella cosa, nel suo apparire,
che impariamo grazie al nostro essere soggetto incarnato
e non, come vorrebbe una certa tradizione metafisica, un
Io o unanima imprigionata nel corpo come se il corpo
fosse ostacolo e non condizione per la nostra conoscenza
del mondo.88

logie und phnomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phnomenologische Unter-


suchungen zur Konstitution, in Husserliana, Bd. IV, hrsg. v. W. Biemel, Martinus
Nijhoff, Den Haag 1952, tr. it. di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e per
una filosofia fenomenologica, II, Einaudi, Torino 2002.
86. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 277. (Cfr. M. Carbone,
Ai confini dellesprimibile, Guerini, Milano 1990, cap. 4).
87. Ivi, p. 278.
88. Su questo tema si veda in particolare il saggio di V. Gallese, Corpo vivo, simula-
zione incarnata e intersoggettivit. Una prospettiva neurofenomenologica, in M. Cap-
puccio (a cura di), Neurofenomenologia, Mondadori, Milano 2009, pp. 293-327.
FORSE UN DIO CI INGANNA 81

Merleau-Ponty, affrontata la tematica del corpo, apre


la seconda parte di Fenomenologia della percezione ripren-
dendo lesempio del cubo. Lesame della cosa presuppo-
ne lesame del corpo. Lidea oltrepassa le apparenze per
cogliere la verit del cubo, cio la cosa stessa dalle sei
facce uguali. Aggiunge: Man mano che giro attorno a
esso, vedo la faccia frontale, che era un quadrato, defor-
marsi, poi scomparire, mentre appaiono le altre superfici,
ciascuna delle quali diviene, a vicenda, un quadrato.89 In
questa descrizione del cubo viene rovesciato lordine delle
apparenze: dalla deformazione (rombo, parallelogram-
ma) diviene la faccia quadrata, ma la deformazione gi
unanalisi del cubo come solido regolare. Lanalisi di una
parte del solido la faccia del cubo isolata presuppone
la datit originaria dellaspetto della cosa colta nella sua
totalit. Appare laspetto della cosa: appare direttamente
il cubo di cui vedo tre delle sei facce uguali e solo in un
secondo momento, circoscrivendo lispezione della cosa
a uno dei suo aspetti, posso cogliere una faccia del cubo
e vederla, se parzialmente isolata dal contesto, come de-
formata.
Lesperienza percettiva, pur necessaria allesplora-
zione del cubo nella sua interezza, intesa unicamente
come occasione per pensare il cubo totale con le sue sei
facce uguali e simultanee, trascurando la struttura intel-
ligibile che ne d ragione.90 Come cogliamo la struttura
intelligibile se non attraverso il pensiero? Lespressione
struttura intelligibile non va intesa come sinonimo di
comprendere o concepire, bens come sinonimo di
comprensibile o concepibile. Qui Merleau-Ponty usa
il temine struttura e non forma, che utilizza pi speci-
ficatamente per riferirsi allambito percettivo. Struttura
indica il comportamento che, in questo caso, corrisponde
allazione di esplorazione attorno alla cosa. Nel passo so-
pra citato mostra come la continuit percettiva sia sufficien-
te per la comprensione del solido, ma non necessario

89. Cfr. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 277, corsivo nostro.
90. Ivi, p. 278, corsivo nostro.
82 FENOMENOLOGIA ERETICA

poter ricordare quanto osservato precedentemente? Non


necessario possedere unesperienza a (tre facce uguali)
assieme ad unaltra esperienza b (le altre tre facce) per
poterlo completare? In tal caso sarebbe il concetto (o il
giudizio), in quanto sintesi di pi esperienze, a rendere
possibile lidentit della cosa. il pensiero che permette
di cogliere o, potremmo dire, raccogliere i diversi aspetti
della cosa attribuendo a essa unit e identit. Fondando la
cosa sul logos, tuttavia, ogni obiezione logica sar legittima
e dovr in seguito essere accolta poich in grado di mette-
re in discussione il fondamento della cosa stessa.
La struttura intelligibile rovescia questa prospettiva, evi-
tando di fondare la conoscenza della cosa unicamente sul
logos: si costituisce sul piano fenomenico, da un lato come
struttura (che implica movimento), dallaltro come perce-
zione della forma della cosa. Entrambe sono organizzate
direttamente sul piano sensibile. Ci rende appunto pen-
sabile lunit e lidentit della cosa, poich esse sono gi
organizzate sul piano percettivo.91 Semplificando: com-
piendo il giro della cosa ne cogliamo la struttura unitaria;
essa non muta se mutasse, muterebbe anche la struttura
del solido, ad esempio, non sarebbe pi regolare e allo
stesso tempo vediamo la forma della cosa rimanere la stes-
sa, rendendo pensabile lunit e lidentit della cosa. In
tal caso il dubbio sulla cosa si esprime su un altro livello
che non influenza il piano percettivo. Ecco perch possia-
mo pensare il dubbio come possibilit (logica), ma esso
non incide sulle nostre credenze, non fa vacillare la nostra
fede percettiva.
Il campo di presenza che la percezione ci offre si arti-
cola in due dimensioni: la dimensione qui-l e la dimen-
sione passato-presente-futuro. La seconda fa comprende-
re la prima.92 Il passato recente conservato senza che
intervenga alcun ricordo e quindi, seguendo il pensiero
husserliano, se si vuole ancora parlare di sintesi, si dovr
parlare, come Husserl, di una sintesi di transizione. Con

91. Cfr. P. Bozzi, Unit, identit, causalit, Cappelli, Bologna 1969.


92. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 352.
FORSE UN DIO CI INGANNA 83

questo termine si intende un tipo particolare di sintesi


che non collega due prospettive distinte, bens opera il
passaggio da una allaltra.93

Da un lato, Merleau-Ponty pensa che, se non fossimo


un soggetto incarnato, non potremmo compiere lispe-
zione della cosa; dallaltro, che una prospettiva parziale
non rende possibile un concetto adeguato dellintero
cubo.
Si pu riunire discorsivamente la nozione di numero 6, quella
di lato e quella di eguaglianza e collegarle in una formula che
la definizione del cubo. Ma, pi che offrirci qualcosa da pensare,
questa definizione ci pone un problema.94

La definizione di cubo offertaci dalla geometria quan-


to Husserl ottiene attraverso la variazione eidetica: lessen-
za della cosa, ci che il cubo non pu non possedere per
essere un cubo. La cosa stessa, il cubo, secondo la sua de-
finizione geometrica per Merleau-Ponty un tentativo di
sorvolo: la cosa non colta secondo le sue prospettive,
ma in un non luogo, dove le sei facce sono presenti simul-
taneamente. Lidea riunisce in una definizione la cosa,
ma non per questo diviene evidente: Il cubo dalle sei fac-
ce eguali non solo invisibile, ma anche impensabile.95 Il
pensiero non visualizza (non ci presenta) lesistenza delle
sei facce. Variando sistematicamente la cosa, ne ricaviamo

93. Ibid.
94. Ivi, p. 278.
95. Ibid.
84 FENOMENOLOGIA ERETICA

lessenza: per esempio, non possiamo immaginare un cubo


con pi, o meno, di sei facce uguali. Ma non si esce dal
pensiero cieco e simbolico se non appercependo il singolo
essere spaziale che assomma in s tali predicati.96 Il pen-
siero cieco poich lessenza della cosa invisibile, non
consente una visualizzazione simultanea delle sei facce. Il
senso della definizione necessita della percezione sensibile:
se per noi c un cubo dalle sei facce uguali e se possiamo
accedere alloggetto, non perch lo costituiamo dallin-
terno, ma perch ci immergiamo nello spessore del mon-
do grazie allesperienza percettiva.

Si tratta di delineare nel pensiero quella forma particolare


che racchiude un frammento di spazio fra sei facce eguali.
Orbene, se le parole racchiudere e fra hanno un senso per
noi, lo hanno proprio perch lo derivano dalla nostra espe-
rienza di soggetti incarnati.97

Per poter pensare il cubo, necessaria una presa di


posizione: nello spazio, ora sulla sua superficie, ora in
esso, ora fuori di esso, e da quel momento lo vediamo
in prospettiva. Il pensiero dovrebbe cogliere il cubo
quale sarebbe per se stesso. Ma il cubo non per se stes-
so, giacch un oggetto. Lanalisi riflessiva sostituisce
allesistenza assoluta delloggetto il pensiero di un ogget-
to assoluto, e, volendo sorvolare loggetto, pensarlo senza
punti di vista, essa ne distrugge la struttura interna.98 Tale
struttura ci offerta dal piano percettivo. Diversamente,
il pensiero in grado di raccogliere il cubo in una de-
finizione, operazione definita di sorvolo, poich non si
colloca in una prospettiva particolare, ma in un non luo-
go, il cubo pensato senza punti di vista. Un cubo non
percepito contemporaneamente da tutti i punti di vista,
ma da nessun punto di vista: Il cubo dalle sei facce ugua-
li lidea limite con la quale esprimo la presenza carnale
del cubo che l, sotto i miei occhi, sotto le mie mani,

96. Ivi, p. 278.


97. Ibid.
98. Ivi, p. 279.
FORSE UN DIO CI INGANNA 85

nella sua evidenza percettiva.99 Il dubbio scettico prende


corpo in questo non luogo: dallimpossibilit di vedere la
cosa contemporaneamente da tutti i punti di vista nasce
un dubbio di sorvolo, disincarnato e astratto dalla re-
lazione di visibilit che ci lega a quel medesimo tessuto
dessere grezzo che avvolge noi e la cosa.

4.3 Il visibile e linvisibile

Nelle note di lavoro de Il visibile e linvisibile affiorano,


sotto una nuova luce, molti dei temi sviluppati in prece-
denza da Merleau-Ponty. La svolta ontologica accom-
pagnata da un rinnovamento lessicale: egli evita termini
come mente, coscienza, concetto, idea, immagine, ecc. e
espressioni come soggettivit trascendentale. Utilizzarli
comporterebbe infatti il rischio di ricadere nei problemi
irrisolti di Fenomenologia della percezione e di non riuscire a
svincolarsi dal tema fenomenologico della coscienza. Per
questa ragione egli ricerca un nuovo apparato terminolo-
gico in grado di esprimere una nuova ontologia. Tale ap-
parato mostra il tentativo di affrontare temi come quello
della percezione su un piano filosofico inedito, non pi
incentrato sulla coscienza, ma sullEssere stesso: sogget-
to e oggetto appartengono al medesimo essere e alla me-
desima chair, il loro intrecciarsi ci che Merleau-Ponty
indica con il termine chiasma rappresenta il definitivo
oltrepassamento della dicotomia tra soggetto e oggetto.100

99. Ibid. Percepire il susseguirsi delle facce del cubo secondo lapparenza pro-
spettica non costituisce lidea del geometrale che rende ragione di queste
prospettive, ma il cubo gi l di fronte a me e si svela attraverso questi
lati, che non sono proiezioni ma appunto lati (ivi, pp. 277-279). Il proble-
ma viene ripreso anche da C. Sini a commento di alcuni passi de La prosa del
mondo: Il disegno prospetto del cubo dunque un indice di deformazione
riferito allimmagine di un mondo in s. Esso indica il luogo geometrale
di ogni prospettiva in generale (C. Sini, Disegno e verit, in M. Carbone e C.
Fontana (a cura di), Negli Specchi dellEssere, Hestia, Como 1993, p. 153). Si
vedano inoltre: M. Merleau-Ponty, La prose du monde, Gallimard, Paris 1969, tr.
it. di M. Sanlorenzo, La prosa del mondo, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 150.
100. Soggetto e oggetto sono momenti derivati di un Fuori di entrambi che il tra e la
superficie della loro reversibilit. La veduta delloggetto e la visione del soggetto
sono sempre gi presi nello stesso mondo carnale (P. Gambazzi, Locchio e
il suo inconscio, Cortina, Milano 1999, pp. 124-125).
86 FENOMENOLOGIA ERETICA

La nozione di carne esprime quellunica trama unita-


ria che permette ogni apparire. La carne rende possibile il
nostro incontro con la cosa senza essere essa stessa ricon-
ducibile a qualcosa che possiamo esperire direttamente.
In una nota del novembre del 1959 scrive: [...] la pro-
fondit a far s che le cose abbiano una carne.
La carne dunque non pi concepita come un atto
intenzionale della coscienza, ma si costituisce nellapertu-
ra dataci dalla profondit stessa. la profondit a rendere
possibile lincontro tra soggetto e mondo: La profondit
il mezzo di cui le cose dispongono per restare nitide, per
restare cose, pur non essendo ci che io guardo attual-
mente. per eccellenza la dimensione del simultaneo.101
La chair oltrepassa il concetto di Leib. Non riducibile alla
dimensione sensibile: esprime il senso della presenza delle
cose, del soggetto e del mondo, del loro essere intrecciati
nella medesima stoffa. La carne non spirito, materia,
sostanza, ma un tessuto invisibile che costituisce la pos-
sibilit di incontro con ogni cosa: lelemento che deter-
mina la reversibilit dellinvisibile nel visibile: chiasma o,
meglio, donazione del sensibile e del non sensibile.
La relazione visibile-invisibile che caratterizza la cosa-
cubo viene ripensata entro una nuova ontologia allinter-
no di un complesso gioco di presenza-assenza, di scarto, di
mancanza. Con queste categorie Merleau-Ponty tenta di ri-
pensare il fenomeno a partire da unassenza e non pi da
una presenza: questo invisibile del visibile che poi mi
permette di trovare nel pensiero produttivo tutte le strut-
ture della visione, e di distinguere radicalmente il pensie-
ro dalloperazione, dalla logica.102 In unaltra nota, del
settembre del 1959, egli riprende nuovamente lesempio
del cubo:

vero, il cubo stesso, dalle sei facce eguali, esiste solo per uno
sguardo non situato, per una operazione o ispezione dello spirito
che risiede al centro del cubo, per un campo dellEssere E tutto

101. M. Merleau-Ponty, Il visibile e linvisibile, cit., p. 233. (Cfr. N. Comerci, La dei-


scenza dellaltro, Mimesis, Milano-Udine 2008, cap. 6).
102. Ivi, p. 234.
FORSE UN DIO CI INGANNA 87

ci che si pu dire delle prospettive sul cubo non lo concerne.


[...] Ma il cubo, in opposizione alle prospettive, una deter-
minazione negativa. LEssere qui ci che esclude ogni non-
essere, ogni apparenza; lin s ci che non semplicemente
percipi. Lo spirito come portatore di questo Essere ci che
non in nessun luogo, ci che avvolge ogni dove.103

Uno sguardo non situato, cio privo di prospettiva,


uno sguardo impossibile o, pi semplicemente, non uno
sguardo. Il cubo (la cosa in se stessa) colto da uno spirito
che sorvola la cosa per collocarsi al centro della cosa, nella
sua essenza. Lessenza della cosa non riguarda pi questo
o quel cubo, questa o quella cosa, ma il cubo in se stesso:
ogni cosa che ha sei facce uguali o pi in generale, che
risponde alla definizione necessariamente un cubo.
Stiamo arrivando a un rovesciamento della posizione
fenomenologica iniziale, che qui non viene n confutata
n abbandonata bens inglobata allinterno della nuova
ontologia che Merleau-Ponty sta tracciando. Lessere del-
la cosa-cubo , secondo la tradizione (denominata pen-
siero riflessivo), ci che ogni cosa deve possedere per
essere un cubo. Lessere della cosa, cos inteso, non si lega
pi allaspetto della cosa; non appare nel mondo, ma ri-
siede nello spirito. Laspetto del cubo che corrisponde a
ci che appare secondo uno sguardo prospettico non lo
riguarda: le sei facce uguali del cubo non sono uno sguar-
do, sono unidea della cosa. Tale idea (concetto, logos)
ricavata negando la cosa, cio per negazione rispetto
allapparire prospettico. Eppure, la definizione del cubo
che esprime la simultaneit delle sei facce uguali per
noi ha senso solo sapendo che cosa una faccia del cubo,
ed la percezione (il percipi) a fornircelo. Lessere della
cosa un non luogo: ma come ricondurre lubiquit al
qui ed ora? E come ricondurre lessere, inteso come non
luogo, a questo cubo che possiede un dove, qui di fronte,
e un quando cio adesso?
Dunque questa analisi del pensiero riflessivo, questa
depurazione dellEssere (la cera completamente nuda di

103. Ivi, p. 217.


88 FENOMENOLOGIA ERETICA

Cartesio) sorvola lEssere gi qui, pre-critico Come descrivere


questultimo? Non pi mediante ci che esso non , ma
mediante ci che esso . Ma allessere negativo della
cosa si contrappone un essere positivo, origine del senso
della cosa:

apertura al cubo stesso grazie a una veduta che distanziamento,


trascendenza dire che io ne ho una veduta equivale a dire
che, percependolo, io vado da me al cubo, esco da me per entrare
nel cubo. Io e la mia veduta siamo, con esso, presi nello stes-
so mondo carnale; i.e.: la mia veduta e il mio corpo emergono
anchessi dallo stesso essere che , fra laltro, cubo.104

Lessere grezzo positivit rispetto allessere del lo-


gos che invisibile e ricavato per sottrazione dalla cosa
nei suoi aspetti visibili.105 Tale apertura costituisce il senso
originario della cosa. Lessere grezzo avvolge noi e il cubo
allinterno dello stesso mondo carnale: partecipando allo
stesso Essere la percezione ci conduce al cubo, come i poli
negativo e positivo di una calamita partecipano ugual-
mente alla cosa del campo magnetico.
Nella nostra riflessione, che qualifica il polo sogget-
tivo e oggettivo allinterno della visione, il soggetto si
tocca toccante; esso al contempo un corpo visto e un
corpo vedente: anzi, io mi vedo vedente, ma per sopra-
vanzamento compio il mio corpo visibile, prolungo il mio
essere-visto al di l del mio essere-visibile per me. In tal
senso la carne che costituisce lo stesso corpo della visio-
ne che realizza il corpo come essere visto. In definitiva,
dunque lunit massiccia dellEssere come inglobante me

104. Ibid.
105. Merleau-Ponty evidenzia come il cubo appare nel-mondo: Il dado l, riposa
nel mondo (ivi, p. 422). Ci che , il mondo, implica necessariamente
che, ci che , sia in noi: la nostra esperienza quel rivolgimento che ci
installa molto lontano da noi, nellaltro, nelle cose (ivi, p. 176). Princi-
pio: non considerare linvisibile come altro visibile possibile, o un possibi-
le visibile per un altro: ci equivarrebbe a distruggere la membratura che
ci congiunge ad esso. Del resto, poich questaltro che lo vedrebbe, o
questaltro mondo che esso costituirebbe, sarebbe necessariamente colle-
gato al nostro, la possibilit vera riapparirebbe necessariamente in questo
collegamento Linvisibile qui senza essere oggetto, la trascendenza pura,
senza maschera ontica (ivi, p. 242).
FORSE UN DIO CI INGANNA 89

e il cubo, lEssere selvaggio, non depurato, verticale,


che fa s che ci sia un cubo.106 Si tratta quindi di:

Cogliere su questo esempio lo scaturire del puro significato


il significato cubo (cos come lo definisce il geometra),
lessenza, lidea platonica, loggetto sono la concezione del
c, sono Wesen, nel senso verbale i.e. ester Ogni that comporta
un what perch il that non un niente, dunque etwas, dun-
que west Studiare il mondo in cui il linguaggio e il mio modo
in cui lalgoritmo fanno scaturire il significato.107

In riferimento allesempio discusso, ci che rende in-


teressante la posizione dellultimo Merleau-Ponty quin-
di il tentativo di pensare lontologia della cosa basandosi
non sullessenza n sulla coscienza, ma recuperando il
senso originario del cubo dalla relazione visibile-invisibile
in quanto tale. Tale posizione teorica pu essere integrata
attraverso una visualizzazione ontoscopica della cosa.108

5. Visualizzare un cubo

Il cubo offre due alternative tra loro incompatibili:


lesplorazione percettiva della cosa-cubo o conforme in
ogni suo aspetto e momento esplorativo allidea (defini-
zione) di cubo, oppure, lapparire empirico testimonier,
a un certo momento dellindagine esplorativa, una diffor-
mit.109 Completata la prima esplorazione (cio il primo
giro del solido) il risultato consister nel ri-conoscimento
del cubo. Diversamente, se le successive esplorazioni tatti-
li o visive dovessero testimoniare un risultato difforme, ci
sar accompagnato dal riconoscimento della mutazione

106. Ivi, p. 218.


107. Ibid.
108. Questo invisibile che fa vedere il visibile non lo si pu a sua volta vedere: il
limite di Merleau-Ponty corrisponde al tentativo di Derossi di andare oltre il
filosofo francese alla ricerca di un nuovo metodo definito visualizzante onto-
scopico: senza addentrarci nello specifico in riferimento al problema del
cubo sollevato da Severino il ragionamento proposto mira allautotoglimen-
to dellobiezione logico-ontologica.
109. Le citazioni di questo paragrafo si riferiscono a: G. Derossi, comunicazione
verbale.
90 FENOMENOLOGIA ERETICA

del solido. In questo caso il cubo non sar pi un cubo,


ma verr percepito in modo diverso rispetto alla percezio-
ne precedente.
Per rendere visibile linvisibile potenziale, si propone
di far girare su un perno il solido davanti ai nostri occhi,
in modo da ottenere la visione dei lati nascosti. Possiamo
cos riscontrare luguaglianza delle facce rispetto a quel-
le osservate in precedenza, oppure la loro ineguaglianza.
In questo secondo caso, s detto, non resta che prender-
ne atto e riconoscere che la nostra pre-visione circa i lati
non visibili (indotta dal processo delle ritensioni e pro-
tensioni) stata falsificata. Ci non permette ancora di
eliminare lobiezione logico-ontologica di Severino: i lati
del cubo potrebbero essersi ri-trasformati in lati regolari
pur non essendolo stati durante la rotazione. In tal caso il
cubo apparirebbe tale poich i lati osservati apparirebbe-
ro sistematicamente uguali, mentre gli altri muterebbero
durante losservazione.
La riformulazione del problema evidenzia la necessit
di due o pi trasformazioni. Sostenere questa possibilit
logica (il cubo sistematicamente pu annullare una faccia
che ricompare mentre siamo impegnati nellosservazione
degli altri aspetti) legittimo, ma al prezzo di mutare radi-
calmente i presupposti iniziali dellobiezione da cui siamo
partiti. Infatti, lobiezione mirava a incidere sul piano em-
pirico e non a essere relegata a una mera, se pur legittima,
ipotesi. La trasformazione in linea di principio invisibile
poich non pu mai esser vista, ma cos si auto-esclude
sic et simpliciter dallambito empirico.
Si ritenuto che durante losservazione dei lati visibili
del cubo i lati invisibili possano subire (come nellesem-
pio di Russell) qualunque tipo di trasformazione. Ma
linterrogativo fondamentale per coloro che sostengono
unipotesi di questo tipo il seguente: come possiamo ac-
corgerci che avvenuta una trasformazione?
Non possibile stabilire se le facce del cubo abbiano
eventualmente subito una modificazione fino a quando ri-
mangono invisibili. Possiamo saperlo solo qualora diven-
tino visibili: se, ruotando il solido, non si riscontra alcun
FORSE UN DIO CI INGANNA 91

cambiamento, in quel momento, siamo autorizzati a ritenere


che non vi sia stata nemmeno precedentemente alcuna
trasformazione. Non potendo esserlo prima, se ci fosse
stata ora una modificazione dovrebbe essere visibile. Non
determinante il fatto che non possiamo vederla, se c,
in tempo reale, ossia contemporaneamente al suo even-
tuale accadere (nella fase dinvisibilit). La differenza di
tempo intercorsa fra laccadere della trasformazione e
il suo diventare osservabile non pu infatti, di per s, an-
nullarla, a meno di unaltra trasformazione che ripristini
la situazione originaria. Ma in tal caso tutto torna come
prima, e lipotesi fatta si riconferma per quello che ,
ossia puramente astratta, senza alcuna possibilit di ri-
scontro empirico concreto e quindi in linea di principio
empiricamente inverificabile.
Porre unipotesi circa un evento empirico escludendo
nel contempo, e in linea di principio, che essa possa venir
verificata non legittimo sotto il profilo epistemologico-
metodologico.

6. Percezione e movimento

In accordo con il metodo della visualizzazione, pro-


viamo ora a verificare in concreto ci che accade durante
il motus percettivo, facendo girare dinanzi ai nostri occhi
(per esempio su un perno) il cubo che ci sta di fronte,
allo scopo di rendere visibile linvisibile, e viceversa.110
Descriviamo leffetto cinetico di profondit, mettendo in luce
alcune implicazioni della percezione cinetica in relazio-
ne allesempio preso in esame. Collochiamo un cubo
opaco il pi vicino possibile a uno schermo translucido
(come in figura) e disponiamo un proiettore lontano dal-
lo schermo.

110. Cfr. ibid.


92 FENOMENOLOGIA ERETICA

Losservatore situato dalla parte opposta dello scher-


mo, del cubo e della sorgente di luce osserva unombra
nitida e omogenea finch il cubo immobile. La sagoma
appare piatta, a forma esagonale (pi o meno regolare) e,
se pur ben localizzata sul piano dello schermo, difficilmen-
te riconoscibile come un cubo solido. Spegnendo la luce e
ruotando il cubo sullasse verticale del perno si vedranno
una serie di sagome piatte. Durante losservazione, si po-
trebbe ipotizzare che le sagome appartengano a un medesi-
mo solido, senza per essere in grado di identificarlo come
un cubo: ci che si vede sono delle sagome piatte. Se inve-
ce ruotiamo lentamente il cubo, mantenendo il proiettore
sempre acceso, osserviamo non pi una sequenza di istan-
tanee, ma il movimento continuo del solido e il riconosci-
mento del cubo diventa immediato: la struttura tridimen-
sionale si sostituisce alla serie statica di sagome piatte.111
Il primo esperimento, condotto nel 1953 da Wallach e
OConnell, pone linterrogativo del perch, nel caso della
rotazione, si imponga un rendimento fenomenico quali-

111. Cfr. W. Gerbino, La percezione, Il Mulino, Bologna 1983, pp. 201-202.


FORSE UN DIO CI INGANNA 93

tativamente diverso.112 Lipotesi pi plausibile che vi sia


uninformazione presente nel movimento che consente
lidentificazione del cubo attraverso il riconoscimento del-
la struttura. Da un punto di vista teoretico ci rilevante,
perch la percezione di un evento, cio di un movimento,
non pensabile come la ricostruzione di una sequenza di
immagini istantanee operata da ordini cognitivi superiori.
Secondo tale idea, la conoscenza delloggetto dovrebbe
precedere logicamente la visione del movimento, dovreb-
be essere una condizione del suo verificarsi, mentre lo stu-
dio delleffetto cinetico di profondit indica linverso: il
movimento percepito (e non il movimento come interpo-
lazione mentale) costituisce la condizione per la scoperta
della struttura del cubo.113 Lemergere della profondit at-
traverso il movimento delinea la struttura intelligibile del
cubo. Il dubbio scettico cos soggetto a un ulteriore limi-
te imposto dalla struttura stessa dellapparire della cosa.

Questa figura visualizza la differenza che intercorre


tra vedere un evento e ricostruirlo attraverso un ragiona-

112. Cfr. H. Wallach, D. N. OConnell, The Kinetic Depth Effect, in Journal of Expe-
rimental Psychology, 45, (1953), pp. 205-217.
113. Cfr. W. Gerbino, La percezione, cit., p. 201.
94 FENOMENOLOGIA ERETICA

mento. Infatti, le nove immagini rappresentano un cubo


in rotazione: sviluppando un ragionamento dal materiale
visivo di partenza, risolviamo un problema. Diversamente,
se proiettiamo in sequenza temporale le immagini come
fotogrammi di una presentazione cinematografica (24
fotogrammi al secondo) vediamo direttamente un cubo
in rotazione: la percezione visiva risolve per noi il pro-
blema.114 Resta per da rispondere allipotesi scettica sul
piano linguistico-concettuale, prima di poter determinare
un possibile accordo tra questultimo e il piano estetico-
percettivo.

7. Wittgenstein: dubitare di dubitare

Si tratta quindi di rintracciare una sorta di solidariet


tra le obiezioni di Wittgenstein allo scetticismo (attraverso
lanalisi del linguaggio ordinario) e le nostre descrizioni
percettive dellevento sotto osservazione, la percezione vi-
siva e tattile del cubo. Un pensiero di Wittgenstein recita:
Siedo in giardino con un filosofo. Quello dice ripetute volte:
Io so che questo un albero, e cos dicendo indica un albe-
ro nelle nostre vicinanze. Poi qualcuno arriva e sente queste
parole, e io gli dico: Questuomo non pazzo: stiamo solo
facendo filosofia.115

Gli esiti della situazione descritta da Wittgenstein non


sarebbero troppo diversi se il passante sentisse disquisire
se questo sia o no effettivamente un cubo, e con qualche
ragione si interrogherebbe sullo stato della nostra salute
mentale. Soffermiamoci sui motivi per cui il senso comu-
ne non dubita dellesistenza del cubo.
Accettando la formulazione del dubbio scettico nella
sua versione pi radicale, per la quale si mette in dubbio

114. Ibid. Si veda inoltre: A. DellAnna, Lemergenza del paradigma sensomotorio in


filosofia della percezione, Mimesis, Milano 2008, cap. IV; V. Gallese, G. Lakoff,
The brains concepts: the role of the sensory-motor system in conceptual knowledge, Co-
gnitive Neuropsychology, 21, (2005), pp. 445-479.
115. L. Wittgenstein, UG, 467.
FORSE UN DIO CI INGANNA 95

tutto ci che possibile mettere in dubbio, e mantenendo-


si allinterno delle operazioni concettuali del pensiero, la
filosofia non stata in grado di salvare il mondo esterno.
Una simile ipotesi pone sotto scacco ogni nostra possibile
conoscenza del mondo esterno. Nozick per esempio rico-
nosce che la filosofia non ha fornito una risposta definitiva
contro lo scetticismo, non ha eliminato la possibilit che le
cose, e di conseguenza il mondo, siano unallucinazione,
un sogno, il prodotto di un genio maligno, eccetera.116
Possiamo esercitare la nostra immaginazione ponen-
do diversi dubbi sullesistenza del mondo esterno. Possia-
mo indossare i panni di uno scettico e ipotizzare di sogna-
re, oppure, peggio ancora, di essere oggetto di un sogno
come nel racconto Il sogno del re di Carroll:

Egli sogna, adesso. E cosa credi che sogni?


Nessuno lo pu indovinare.
Ma come, sogna di te. E se smettesse di sognare di te, dove
credi che saresti tu?
Dove sono ora naturalmente.
Niente affatto; non saresti in nessun luogo. Perch tu sei
soltanto una cosa dentro il suo sogno.
Se il re dovesse svegliarsi, tu ti spegneresti ... puf ... proprio
come una candela.

Dubbio possibile quanto ozioso. Lo scettico, infatti,


per quanto radicale, deve presupporre il linguaggio, deve
cio presupporre il significato dei termini che utilizza per
formulare il dubbio. Di conseguenza, argomenta Wittgen-
stein, la certezza precede il dubbio: Largomentazione
Forse sto sognando insensata per questo: perch, in
questo caso, anche questespressione rientra nel sogno;
s, ci rientra anche questo: che queste parole hanno un
significato.117 Colui che dubita gi da sempre percorre
le vie del linguaggio.118

116. Cfr. R. Nozick, Philosophical explanations, Harvard University Press, Cambrid-


ge-Massachusetts 1981, tr. it. di S. Veca, Spiegazioni filosofiche, Il Saggiatore,
Milano 1987, pp. 235 sg.
117. L. Wittgenstein, UG, 383.
118. L. Perissinotto, Logica e immagine del mondo, Guerini, Milano 1991, p. 115.
96 FENOMENOLOGIA ERETICA

Lo scettico che intende dubitare che questo sia un


cubo (o una mano, come nellesempio di Moore discus-
so da Wittgenstein), utilizza la parola cubo e non si li-
mita a congetturarne il significato. Colui che dubitasse
delle parole che usa si troverebbe di fronte a nulla e il
dubbio stesso verrebbe a dissolversi: Lassenza del dub-
bio nota Wittgenstein fa parte dellessenza del gioco
linguistico.119 Ossia: il dubbio trova nel gioco linguistico il
suo limite.120 Il concetto di dubitare rientra in un preci-
so gioco linguistico. Osservando il funzionamento di tale
gioco si possono enucleare i criteri in base ai quali esso
il concetto che . Di conseguenza, secondo Wittgenstein,
se lidealista e lo scettico sollevano dubbi senza rispettare
tali criteri, il loro dubitare insensato perch si costituisce
come una mossa a vuoto allinterno del gioco linguistico.
Le mosse a vuoto non possono essere ammesse, altrimenti
la distinzione tra dubbio sensato e insensato cade.121
Lidea di Wittgenstein che il dubbio riposi solo su
ci che fuori dubbio. Il dubbio si pu manifestare solo
entro un gioco linguistico;122 esso si costituisce in un siste-
ma di riferimento comune e condiviso. Tesi questa che non
si limita a ritenere che il sistema di coordinate del nostro
linguaggio la sua forma grammaticale sia ancorato a un
insieme di proposizioni contingenti sulla cui certezza non
sarebbe lecito dubitare, ma a sua volta implica che queste
stesse proposizioni appartengono alla grammatica del lin-
guaggio, poich sono le condizioni della sua applicazio-
ne al mondo: La verit di certe proposizioni empiriche
appartiene al nostro sistema di riferimento.123 Si tratta
quindi di riconoscere la funzione logica (grammaticale)
delle proposizioni che descrivono la nostra situazione lin-
guistica come immagine del mondo condivisa, ossia lo
sfondo a partire dal quale distinta (si distingue) la verit

119. L. Wittgenstein, UG, 370.


120. L. Perissinotto, Logica e immagine del mondo, cit., p. 115.
121. A. Coliva, Moore e Wittgenstein, Il Poligrafo, Padova 2003, p. 104.
122. Cfr. L. Wittgenstein, UG, 519, 370, 523. Cfr. L. Perissinotto, Logica e
immagine del mondo, cit., p. 115.
123. L. Wittgenstein, UG, 83. Cfr. P. Spinicci, Il mondo della vita e il problema della
certezza, Cuem, Milano 2000, p. 261.
FORSE UN DIO CI INGANNA 97

dalla falsit. Il dubbio circa unesistenza funziona soltan-


to in un gioco linguistico;124 per dubitare dellesistenza
di qualcosa si ha pur sempre bisogno di un oggetto che
esiste.125 Ci significa che si pu dubitare soltanto se ab-
biamo imparato certe cose e che il gioco del dubitare
presuppone gi la certezza.126 Tutte le nostre speculazio-
ni sono orientate in modo tale che alcune rimangano al
riparo dal dubbio: Le questioni, che poniamo, e il nostro
dubbio, riposano su questo: che certe proposizioni sono
esenti da dubbio, come se fossero i perni sui quali si muo-
vono quelle altre.127
Alcuni studiosi hanno evidenziato i limiti della posi-
zione di Wittgenstein: pur possedendo proposizioni o
concetti applicabili al mondo esterno, resta tuttavia da
dimostrare che vi siano effettivamente dei fatti sussisten-
ti che a tali proposizioni corrispondono.128 Mancherebbe
loro laggancio al mondo esterno, mantenendosi uni-
camente entro i confini del linguaggio. Posto che questa
critica sia valida, intendiamo mostrare che tale posizione
pu essere avvalorata dallanalisi percettiva dellapparire
della cosa, in modo da offrire il contributo extralinguistico
necessario a integrare le analisi operate nel linguaggio. Vi
una sostanziale solidariet tra il modo di apparire delle
cose e le argomentazioni contro lo scetticismo fornite da
Wittgenstein. Unanalisi fenomenologico-descrittiva della
percezione risulterebbe cos complementare a unanali-
si descrittiva del linguaggio. Tenendo fermo quanto pi
volte sostenuto, ossia che lapparire del mondo esterno
impermeabile al linguaggio, le nostre azioni, i nostri pen-
sieri e ci che diciamo del mondo non alterano il suo ap-
parire: il mondo esterno il riferimento extralinguistico
necessario alla nostra forma di vita.
Ogniqualvolta si prende in esame un possibile dubbio
scettico sulla cosa, esso non va soltanto assunto e discusso

124. L. Wittgenstein, UG, 24.


125. Ivi, 56.
126. Ivi, 115. Cfr. L. Perissinotto, Logica e immagine del mondo, cit., p. 113.
127. L. Wittgenstein, UG, 341.
128. Cfr. N. Vassallo, Teoria della conoscenza, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 97.
98 FENOMENOLOGIA ERETICA

concettualmente, bens rinviato sistematicamente al sin-


golo esempio che deve essere discusso, analizzato e con-
frontato. Lanalisi percettiva ncora il dubbio allapparire
del mondo esterno mentre lesame linguistico ne defini-
sce il senso o linsensatezza: congiuntamente, lanalisi per-
cettiva e lanalisi linguistica costituiscono i criteri in grado
di determinare la sensatezza e la plausibilit del dubbio.
Il dubbio risulta sensato se inscritto coerentemente entro
queste due polarit.

7.1 Un dubbio iperbolico

Potremmo trovarci nella situazione di Chuang Chou


che, dopo aver sognato di essere una farfalla ignara di
Chuang Chou, ridiventa improvvisamente Chuang Chou:
non sapendo pi se ha sognato di essere Chuang Chou,
oppure, se una farfalla che sogna di essere Chuang
Chou. Secondo Wittgenstein, un dubbio applicato allin-
tera conoscenza non n formulabile poich ogni pa-
rola rimanderebbe al mondo per poi metterlo in dubbio
n adottabile come atteggiamento coerente nella vita pra-
tica. Nella prassi quotidiana si pu dubitare di qualcosa,
tuttavia nessuno dubita realmente di ogni cosa. Se qual-
cuno dicesse di dubitare di tutto, le sue azioni sarebbero
poi coerenti? Costui si comporta effettivamente come se
il mondo non fosse reale? Se non riscontrassimo alcuna
differenza nelle azioni di colui che dubita rispetto a co-
lui che non dubita, quale conclusione dovremmo trarne?
Wittgenstein, a proposito del comportamento tipico del
dubbio e di quello dellassenza di dubbio, sostiene che
il primo c soltanto se c il secondo.129 Potremmo uti-
lizzare, come principio di economia, il rasoio di Ockham
e, data lindipendenza dellapparire del mondo esterno
dal pensiero, riconoscere linsensatezza dellipotesi di un
dubbio radicale. Anzitutto, colui che dubita dovr esibire
le ragioni del proprio dubitare e dovr agire conforme-
mente a esso: affinch un comportamento possa essere

129. L. Wittgenstein, UG, 354.


FORSE UN DIO CI INGANNA 99

identificato come tipico del dubbio, le circostanze in cui si


manifesta devono essere appropriate.130
Esprimendoci con il lessico di Merleau-Ponty, po-
tremmo riconoscere che il dubbio non , in alcun caso,
incarnato come atteggiamento di vita: nessuno agisce con-
seguentemente allassunzione del dubbio iperbolico, poi-
ch dubitare di tutto equivale a non dubitare di nulla.
Essendo il dubbio iperbolico un perfetto inganno, chi
lo accoglie mantiene le medesime esperienze e certezze
di chi non lo accoglie. Possiamo concretamente assumere
un comportamento conforme al dubbio radicale? Rele-
gheremmo cos il dubbio a un atto di fede e non di ra-
gione e non vi sarebbe alcuna differenza tra i concetti di
dubitare e non dubitare.131
Ipotizzare che il mondo esterno sia una coerente al-
lucinazione o un sogno perfetto lascia inalterata ogni no-
stra credenza su di esso: il mondo-sogno , nellipotesi del
dubbio iperbolico, del tutto identico al mondo che cono-
sciamo e di cui facciamo esperienza.132 Possiamo pensare
che le cose siano dei simulacri i cui lati si annientano e ri-
compaiono improvvisamente: poi per, di fatto, nella vita
quotidiana, continuiamo a mantenere un atteggiamento
realista, poich, come ammette lo stesso Cartesio, sarebbe
assai faticoso dubitare di tutto.
Per poterci ingannare, ogni cosa dovrebbe apparire
tale e quale a come sarebbe in realt; sarebbe pertan-
to arduo immaginare che tutte le cose rappresentino una
realt ingannevole. Inoltre, per rendere sensato il dub-
bio, dovremmo immaginare una realt sottostante come
Matrix, Dio o altre ipotesi. Se lapparire ingannevole
identico alla realt, ci comporta almeno due problemi:
il primo riguarda le ragioni che ci dovrebbero condurre
a ipotizzare tale inganno; il secondo riguarda lidea stessa
di una realt sottostante. La realt il mondo percepi-
to, il resto unimmagine della realt. Il problema con-

130. Cfr. A. Coliva, Moore e Wittgenstein, cit., pp. 105-106.


131. Cfr. ivi, p. 107.
132. Cfr. R. Nozick, Spiegazioni filosofiche, cit., p. 235. Cfr. N. Vassallo, Teoria della
conoscenza, cit., p. 98.
100 FENOMENOLOGIA ERETICA

siste nella localizzazione del meccanismo ingannatore.


La collocazione indicibile perch tale meccanismo non
pu aver posto nel mondo, ma deve possederne uno fuo-
ri dal mondo. Rovesciando il ragionamento: come e dove
avverrebbe la realizzazione della volont del genio? La
mera ipotesi che il mondo esterno possa essere un sogno
non pu seriamente porre in dubbio la nostra credenza
nellesistenza del mondo esterno: tale ipotesi compro-
metterebbe tutti i nostri giudizi empirici. A fortiori non si
potrebbe proporre la stessa ipotesi, poich essendo privi
del concetto stesso di giudizio, non potremmo esprimere
dubbio alcuno. Ovviamente ci non implica che i nostri
giudizi empirici siano corretti sempre e comunque; tutta-
via essi devono esserlo almeno potenzialmente: solo allin-
terno di un quadro di riferimento di questo tipo sensato
considerare un giudizio empirico vero o falso.133

7.2 Da Matrix alle terre gemelle

Se linganno fosse identico alla realt, allora potrem-


mo considerarlo, pi che un inganno, la realt. Si po-
trebbe obiettare che tale identit riguarda solo il mondo
doxastico dellapparenza sensibile, poich deve rimanere
implicita una qualche realt metafisica sottostante. Lobie-
zione presuppone la dicotomia tra apparenza e realt. Per
sostenere la tesi scettica necessario assumere che vi pos-
sa essere un apparire fenomenico identico rispetto a due
diverse realt metafisiche, ma significativamente non vi
sono esempi in tal senso: il sogno infatti non appare iden-
tico alla veglia, n vi sono casi di allucinazioni identiche
al reale.

133. Cfr. A. Coliva, Moore e Wittgenstein, cit., p. 129. Scrive Wittgenstein: Io non vo-
glio di certo dare una definizione della parola sogno, e tuttavia quello che vo-
glio fare qualcosa di simile al descrivere luso della parola. La mia domanda
quindi suona allincirca cos: Se io arrivassi presso una popolazione straniera
la cui lingua mi ignota, e la gente avesse unespressione che corrisponde al
nostro io sogno, egli sogna ecc. come farei a scoprirlo; come farei a sa-
pere quali espressioni della loro lingua devo tradurre in queste espressioni?
(L. Wittgenstein, Bemerkungen ber die Philosophie der Psychologie (1946-1949),
2 voll., Blackwell, Oxford 1980, tr. it. di R. De Monticelli, Osservazioni sulla
filosofia della psicologia, Adelphi, Milano 1990, I, 374; dora innanzi BPP).
FORSE UN DIO CI INGANNA 101

Per esempio, lacqua non appare come acqua se di-


versa da H2O. Ma poniamo che si trovi un esempio con-
vincente di questo tipo: lindipendenza del fenomeno
(considerato iuxta propria principia) rispetto ad un mondo
reale sottostante a porre il realismo diretto al riparo dallo
scetticismo. Infatti, se mostriamo che una fenomenologia
iuxta propria principia possibile, lapparire della cosa sa-
rebbe posto al riparo dal dubbio. Nel celebre esperimento
mentale delle Terre Gemelle, Putnam ipotizza che esistano
due Terre del tutto uguali tranne per il fatto che sui due
pianeti lacqua, pur possedendo le stesse propriet, ha due
composizioni chimiche diverse: H2O sulluna, XYZ nella
terra gemella. Secondo Putnam questo crea unimpasse lo-
gica: un abitante di questa Terra e il suo gemello quando
pronunciano acqua hanno in mente la stessa cosa ma indi-
cano due sostanze diverse. Si potrebbe obiettare a Putnam
tuttavia, che lacqua della nostra Terra non sempre stata
H2O e, almeno in linea di principio, possiamo scoprire che
tale formula non corretta. La nostra certezza infatti non
deriva dalla conoscenza della chimica, ma una certezza
primitiva del mondo esterno. Il riferimento delle nostre
parole alle cose non viene scalfito dallipotesi del genio
maligno, visto che siamo perfettamente sicuri di poter fare
affidamento sullesistenza delle cose fuori di noi.134
Altra questione invece riguarda il perch dovremmo
assumere lipotesi del dubbio radicale rispetto al mondo
esterno, e da dove trarrebbe origine il senso di un tale
dubbio. Se traesse origine dallesperienza dovrebbe anche
essere confutabile allinterno dello stesso piano dellespe-
rienza. Perch un dubbio risulti sensato, vi devessere un
indizio che qualcosa non come dovrebbe essere. (Neo,
il protagonista del film Matrix, nota che vi qualcosa di
strano nellesperienza attraverso alcuni dj-vu). In ogni

134. Cfr. M. Ferraris, Matrix e la mozione degli affetti, in M. Cappuccio (a cura di),
Dentro la matrice, Albo Versorio, Milano 2004, p. 64. Si noti la giusta precisazio-
ne di E.J. Lowe quando scrive: Quindi, in virt di cosa diciamo che Lacqua
H2O una necessit logica ampia? Ma in virt della natura dellacqua! Non
in base alle leggi logiche e alle definizioni o ai concetti di acqua e di H2O
(E.J. Lowe, The possibility of Metaphysics, Oxford, NY 1998, tr. it. di Cirio L. De
Florio, La possibilit della metafisica, Rubbettino, Soveria Manelli 2009, p. 31).
102 FENOMENOLOGIA ERETICA

film, ogni romanzo, ogni storia in cui si intende mettere


in discussione la realt del mondo esterno, il dubbio trae
origine da una serie di esperienze che lasciano supporre
che le cose potrebbero stare diversamente. sempre il
piano dellesperienza a condurre il gioco dellipotesi del
dubbio. In Matrix alla fine sar unaltra esperienza, quella
del mondo reale, a convincere Neo che il mondo in cui
vive un programma.135
Per quanto sia possibile allontanarsi con il pensiero
dal mondo dellesperienza, il territorio da cui la verit,
come contenuto concettuale, ha origine sempre lespe-
rienza che confina con i limiti di senso. Il dubbio iperbo-
lico vissuto come insensato, se non il mondo dellespe-
rienza a comprovarne la sensatezza. Il dubbio radicale, di
per se stesso, un vuoto rompicapo logico che, per essere
veramente radicale, deve premettere pi di quanto non
possa mantenere. Alla fervida immaginazione del filosofo
non si possono porre limiti, e in futuro qualcuno potr
forse modellare lipotesi di Cartesio in modo ancor pi
realistico di Putnam: avvalendosi di qualche nuova tecno-
logia, si potrebbe, per esempio, ipotizzare lesistenza di
un cubo opaco virtuale, programmato in modo che una
sua faccia scompaia ogni qual volta venga meno il contat-
to con la retina di un osservatore. Il problema rimane lo
stesso: possibile o meno scoprire i meccanismi dellin-
ganno? Se ci possibile, tale scoperta avviene sempre
allinterno degli osservabili in atto; se ci invece, in linea
di principio, non possibile, il dubbio insensato: non
avremmo sufficienti ragioni per adottarlo. I dubbi relati-
vi allesistenza di una cosa del mondo esterno appaiono
soggetti a restrizioni metodologiche che garantiscono la pos-
sibilit stessa del porsi in dubbio, viceversa non saprem-
mo pi cosa potrebbe parlare a favore o contro una certa
ipotesi.136

135. Il Demone, cos, ci fa vedere le cose come sono, solo che non ci sono. Il che
a questo punto non tocca la verit delle cose rappresentate, come a dire che
da tutte e due le parti, il mondo reale e quello della Matrice, ci sono un sacco
di cose vere (ivi, p. 61).
136. Williams individua tre tipi di restrizioni: a) restrizioni disciplinari (topical/disci-
plinary constraints): per esempio, il non mettere in dubbio che la Terra esista
FORSE UN DIO CI INGANNA 103

7.3 Linsensatezza del dubbio

Le riflessioni di Merleau-Ponty hanno mostrato che


la fede percettiva pi che fondata poich implica un
sapere estetico-percettivo che, pur non coincidendo con
la verit, rappresenta loriginaria apertura al senso delle
cose. Il terreno su cui poggiano le nostre credenze suffi-
cientemente coerente sul piano percettivo da consentirci
di accogliere con scetticismo il dubbio o di poter dubitare
del dubbio; un dubbio sensato, infatti, non pu prescinde-
re da un contesto di riferimento osservativo. Immaginare
come un dubbio radicale si possa generare dallesperienza
significa metterne a nudo la logica, coglierne le nervature,
al fine di tracciarne i confini del senso. Lo scettico muove
le proprie obiezioni sullesistenza del cubo a partire dalla
definizione di cubo. Pur conoscendo la definizione sei
facce uguali coesistenti, possiamo dubitare della cosa
perch manca levidenza percettiva. significativo che il
dubbio sul cubo si generi a partire dalla sua definizione
per poi riferirsi al piano empirico, anzich prendere for-
ma dal piano fenomenico. Inoltre, lo stesso dubbio rivolto
a un oggetto geometrico ideale non avrebbe senso: lesi-
stenza o meno di una delle facce del cubo quale ente geo-
metrico, non intaccherebbe la realt delle cose, poich la
definizione gi implica lontologia delloggetto. Lo scan-
dalo provocato dal dubbio scettico dipende dalla mancata
conoscenza delle cose che esso determina in riferimento
al mondo esterno, quindi del cubo come oggetto fisico
presente nel mondo esterno e non come ente geometri-
co. Il dubbio si nutre dello stesso fenomeno che intende

da molto tempo una precondizione per la possibilit stessa di fare storia.


Queste restrizioni fissano lambito delle domande e dei dubbi ammissibili;
b) Restrizioni dialettiche (dialectical constraints): sono limitazioni imposte alla
gamma delle possibili domande e dei possibili dubbi dallo stato del dibattito
corrente circa un particolare dibattito o problema; c) Restrizioni contingenti
(situational constraints): sono restrizioni imposte alla gamma delle possibili
domande e dei possibili dubbi dalla situazione contingente non del dibattito,
ma, per cos dire del mondo. Per esempio, nella maggior parte dei casi non
vi sono dubbi circa il fatto che io abbia due mani, ma in situazioni diverse la
proposizione Ho due mani potrebbe diventare materia dindagine o essere
passibile di dubbio (A. Coliva, Moore e Wittgenstein, cit., p. 109).
104 FENOMENOLOGIA ERETICA

confutare. Lo scettico sviluppa le proprie argomentazioni


a partire dalla definizione di cubo per poi passare allap-
parire della cosa. Dalle propriet di questultima abbia-
mo, inizialmente, astratto la definizione di cubo, quindi
il dubbio, cos come argomentato, mostra una circolarit
e avanza una pretesa illegittima nella messa in discussio-
ne della cosa. Il dubbio, per essere realmente tale, deve
riferirsi allapparire della cosa e non alla sua definizione.
Linsensatezza del dubbio rispetto alla pretesa impossibi-
lit di affermare la presenza del cubo data dal fatto che
esso rimane su un piano astratto e ipotetico.

8. Un primo sistema di riferimento

Le argomentazioni di Severino si sono dimostrate so-


lidali con Husserl (e la fenomenologia) nel ritenere lap-
parire ogni apparire in quanto tale indubitabile. Laf-
fermazione vedo tre facce per entrambi, indubitabile,
sebbene inadeguata rispetto allaffermazione vedo un
cubo (sei facce uguali). Le argomentazioni scettiche di
Severino sono, diversamente da Husserl, di matrice empi-
rica e non fenomenologica; ma, in tal caso, come si pu
affermare di vedere unicamente tre facce uguali? Come si
pu asserire di vedere tre facce, ossia tre facce uguali di
un cubo, facce che appartengono alla medesima unit fe-
nomenica della cosa? Dovremmo affermare di vedere due
rombi (parallelogrammi) e un quadrato. Come possiamo
affermare di vedere con un colpo docchio tre facce di
qualcosa che solo in un secondo momento possiamo defi-
nire come cubo? Portando questa argomentazione sino in
fondo, dovremmo considerare come indubitabile unica-
mente una delle sei facce del cubo. Ci comporterebbe il
vedere un quadrato e non un cubo, ma un quadrato non
un cubo, e nemmeno la successione di sei quadrati appare
necessariamente un cubo.
Il significato del concetto di cubo per Wittgenstein
presupposto nel gioco linguistico dello scettico. Come
e in base a cosa lo scettico pu negare un cubo, dal mo-
FORSE UN DIO CI INGANNA 105

mento che lunit fenomenica della cosa implicata nella


domanda? Ci che osserviamo sono tre facce di un cubo,
descrivibili empiricamente come distorte e piatte se il
cubo disegnato, empiricamente non identiche, se il cubo
fisicamente presente, uguali e appartenenti a un unico
solido, se descritte da un punto di vista fenomenologico. Il
giudizio S P, cos come espresso da Severino, dovrebbe
determinare lunit della cosa attraverso una sintesi tra ci
che vediamo in t1 (tre facce) e ci che vediamo in t2 (le al-
tre tre facce). Tuttavia, come si cercato di mostrare, non
il giudizio a determinare lapparire della cosa, in quanto
esso funzionale ai modi di apparenza e non viceversa.
Rispetto alla conoscenza del mondo esterno, lappari-
re determina il senso sia della presenza che dellassenza.
Tale stato di cose pu e non pu sussistere, perci tan-
to lobiezione quanto laffermazione della presenza del
cubo hanno senso in funzione dellapparire di quella cosa
che immediatamente identifichiamo come cubo. Diversa-
mente, se non fossimo in grado di cogliere la struttura fe-
nomenica della cosa, non potremmo neppure intenderci
sul significato del termine cubo. Dovremmo dire: Vedo
una sequenza di sei quadrati, ma sei quadrati, ribadiamo,
non fanno un cubo.
A conclusioni simili giunge un autore di matrice non
fenomenologica, Deleuze, che afferma: Tanto vero che
le tre facce, e mai pi di tre, sotto cui si profila sempre il
cubo, sono gi le sei facce: perch ci sia possibile, occor-
re che il cubo faccia gi per se stesso da sfondo.137 Il che
significa che dobbiamo riferire lapparire del cubo non al
soggetto percipiente, bens alloggetto in se stesso, quindi
alle sue caratteristiche intrinseche indipendenti da qua-

137. G. Deleuze, Mathesis, scienza e filosofia, in Immanenza una vita..., Mimesis,


Milano-Udine 2010, p. 22. Oltre a Deleuze un altro protagonista della scena
contemporanea, Ortega y Gasset, analizzando lapparire della cosa lesem-
pio questa volta non un cubo bens unarancia individua nellaspetto della
cosa lorigine del nostro comportamento: Ma insistiamo: poich, allinizio
ed alla fine, sempre la cosa che si manifesta ad un punto di vista in qualche
suo aspetto, questi ultimi le appartengono e non sono soggettvi (Ortega y
Gasset, Origen y epilogo de la filosofia, in Obras, IX, 1943, pp. 345-434, tr. it. di A.
Savignano, Origine ed epilogo della filosofia, Bompiani, Milano 2002, p. 263).
106 FENOMENOLOGIA ERETICA

lunque soggettivit. (Questo rappresenta per noi il pre-


supposto ontologico per delineare una fenomenologia
sperimentale di tipo realista). Non sfuggiranno quindi le
assonanze tra la nostra fenomenologia eretica e le tesi
dellempirisme suprieur di Deleuze.138 Riportiamo per
esempio la seguente affermazione, che sottoscriviamo:
Ci si fermi un istante a riflettere e si vedr che le sei facce
come tali non possono avere senso che in relazione a un
piano.139 Noi interpretiamo il piano deleuziano proprio
come quel sistema di riferimento, al contempo empi-
rico e trascendentale (non in senso kantiano), che la
scommessa teorica di queste nostre riflessioni.
Per poter formulare il dubbio scettico sul cubo, si deve
infatti presupporre ci che si intende negare: i modi di
apparenza della cosa in quanto tali. Nellordine: primum
si fornisce la definizione di cubo solido che possiede
contemporaneamente sei facce uguali e, deinde, si asse-
risce che osservando empiricamente tale solido, sono vi-
sibili contemporaneamente non pi di tre facce uguali, e
perci non possiamo sostenere di percepire un cubo. Al
contrario, assumendo lesperienza quale sistema di riferi-
mento, osservare tre facce della cosa che appaiono fenome-
nicamente uguali sufficiente per affermare di percepire
un cubo. Severino potr replicare che esso appare come
un cubo, ma non possiamo affermare con assoluta eviden-
za che esso lo sia realmente, poich qui entra in gioco, ol-
tre alla dimensione spaziale, il tempo, ossia la temporalit
necessaria per esplorare la cosa. (In t2 possiamo dubitare
della faccia vista in t1).
Tenendo ferma limpostazione empirica di Severino,
non potremmo a rigore descrivere laspetto di un cubo
come tre quadrati ortogonali tra loro, visto che in prospet-
tiva essi appaiono distorti. Secondo tale impostazione, ci
che si assume come distorto (una faccia del quadrato vista

138. Questo nesso potrebbe essere oggetto di ulteriori approfondimenti, in parti-


colare con riferimento alla figura di James. Rinviamo direttamente a: G. De-
leuze, Empirisme et subjectivit, Puf, Paris 1953, tr. it di M. Cavazza, Empirismo e
soggettivit, Cronopio, Bologna 1981; Id, Diffrence et rptition, Puf, Paris 1963,
tr. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1987, cap. 5.
139. Id., Mathesis, scienza e filosofia, in Immanenza una vita, cit., p. 22.
FORSE UN DIO CI INGANNA 107

in prospettiva trapezoidale), invece per il fenomenolo-


go il dato primo: la descrizione della percezione diretta di
un cubo la descrizione di tre facce uguali di un cubo. Al
contrario la prima descrizione annoverabile come er-
rore dello stimolo.
Lesplicitazione del contenuto implicito dellapparire
della cosa necessita di un tempo di conferma, affinch si
possa concludere che ci che vediamo come cubo, lo sia
realmente. A prescindere che il solido possieda o meno
sei facce, il dire di vedere un cubo, in virt dellaspet-
to del cubo, resta comunque una descrizione corretta
dellosservabile in atto. Possiamo affermare di vedere un
cubo anche in assenza delle altre tre facce, proprio per
unindipendenza costitutiva della struttura dellapparire
dal giudizio conseguente la nostra esplorazione.
Lautotoglimento dellaporia severiniana consiste
nellimpossibilit seguendo le sue stesse argomentazioni
della formulazione del dubbio in termini non fenomenologici:
la tesi scettica, a rigore, non pu affermare di vedere un cubo,
se non servendosi di una descrizione fenomenologica che,
una volta assunta, non pu essere eliminata, pena lammis-
sione di vedere ci che si intende negare. Ne risulta, infine,
che i presupposti evidenziati da Wittgenstein sul terreno
del linguaggio proposizionale sono anticipati e riscontra-
bili gi nellanalisi descrittiva dellaspetto della cosa.
Se consideriamo le cose per come appaiono nellespe-
rienza immediata, esse sembrano evidenti e non siamo
portati a dubitarne. Su cosa si basa la nostra certezza del
mondo esterno? Il dubbio diventa ragionevole unicamen-
te se sul piano percettivo le cose non sono coerenti, anzi-
tutto nel loro apparire (un cubo che manifesti un com-
portamento percettivo anomalo durante la rotazione).
Ci accade se obblighiamo il concetto a soffocare il dato
percettivo, anzich ricondurlo alla sua origine, in funzio-
ne dei modi e dei tempi di apparizione della cosa.
Il dubbio si origina dalla definizione di cubo a prescin-
dere dallapparire fenomenico, mantenendo come unico
sistema di riferimento il concetto di cubo. Ma il comple-
tamento della cosa, attraverso i suoi aspetti, che deve ren-
108 FENOMENOLOGIA ERETICA

dere ragione del concetto di cubo o viceversa? Il singolo


aspetto gioca un ruolo determinante rispetto al concetto
della cosa: laspetto del cubo ne anticipa il concetto poi-
ch, fenomenicamente, la descrizione consiste nellaffer-
mare di vedere tre facce uguali di un cubo che viene gi
da subito percepito come cubo, cio solido composto da
sei facce uguali. Inoltre, qualora si affermasse che le facce
del cubo non si possono vedere se non distorte, il dubbio,
a rigore, non sarebbe formulabile: il cubo possiederebbe
solo sei singolarit e mai tre facce uguali.
Se, dopo ripetute esplorazioni, il cubo risultasse non
essere un cubo, come scopriremmo, se non tramite losser-
vazione, che ci siamo ingannati? Lo potremmo affermare
unicamente attraverso la percezione di quella data cosa o
aspetto che fino a quel momento ci ha ingannato. Infatti,
linganno dei sensi presuppone che i sensi a volte non ci
ingannino; di conseguenza, largomento scettico contro la
percezione immediata delle cose presuppone lidea che i
sensi ci possono ingannare sistematicamente. Per poter met-
tere in dubbio in modo sensato lapparire del cubo non
sufficiente basarsi soltanto sulla logica del possibile: ci do-
vrebbe essere anche un corrispettivo fenomenico di tale ipo-
tesi. Diversamente, perch ipotizzare che un lato del cubo
scompaia sistematicamente ogniqualvolta non lo osserviamo
direttamente? Non essendovi ragioni a sostegno del dubbio,
esso risulter irrazionale, se non meramente insensato.
La critica che Severino rivolge alla fenomenologia
possiede un carattere squisitamente logico: egli pone sot-
to scacco la capacit dimostrativa rispetto alleffettiva pre-
senza del cubo. Tuttavia, la mossa non chiude la partita.
Se lo scacco dato dalla possibilit di un sistematico an-
nientamento delle facce del cubo non direttamente espe-
rite, possiamo riaprire la partita ponendo in discussione
le ragioni del dubbio.
Se in seguito a unulteriore esplorazione percettiva
scoprissimo che una delle facce osservate precedentemen-
te scomparsa, ci non rappresenterebbe una critica alla
conoscenza fenomenologica della cosa. Esplorare ripetu-
tamente le sei facce del cubo, per scoprire che una delle
FORSE UN DIO CI INGANNA 109

facce scomparsa, non equivale a ipotizzare che una faccia


del cubo scompaia per ricomparire prima del nuovo esame
percettivo. Il vero scacco alla conoscenza dato dallim-
possibilit di conoscere la cosa al di l di ogni dubbio.
Il dubbio rivolto non a un aspetto della cosa ma alla
cosa stessa. Diversamente, non ci sarebbe differenza tra per-
cepire e sapere: tra affermare la presenza di un cubo (p)
e sapere che questo un cubo (sapere che p). Il sapere, a
differenza della percezione, implica la possibilit dellerro-
re. Data la contingenza del mondo, la conoscenza implica la
possibilit che le cose possano stare altrimenti. Wittgenstein
delimitando nel Tractatus la sensatezza delle proposizione
ossia la possibilit del sussistere o del non sussistere di uno
stato di cose non lascia spazio allaspetto empirico, ogget-
to dindagine delle scienze naturali, non della filosofia. Qui
invece rappresenta il cuore del problema: lobiettivo del
dubbio la conoscenza in carne e ossa della cosa.
Vedere un cubo nel tempo t1 non esclude la possibi-
lit di scoprire che in verit non un cubo. Questa in-
nocua considerazione comporta di fatto lassunzione di
due diversi sistemi di riferimento: dallaspetto della cosa
alla cosa in quanto tale. Scoprire che la cosa non un
cubo non determina la falsit della nostra affermazione in
t1 che asserisce la presenza del cubo, poich in t1 la cosa
di fatto appare come un cubo. Saremmo tentati di dire
che la percezione un fatto e non una conoscenza, poi-
ch dellaspetto della cosa-cubo non possiamo dubitare.
I diversi aspetti della cosa sono il suo fondamento: Se il
vero ci che fondato, allora il fondamento non n
vero n falso.140 Si dubita infatti che quellaspetto della
cosa corrisponda veramente allessere quella cosa, e non
dellaspetto in quanto tale. Laspetto in-forma il logos pre-
annunciando linvisibile, questa modalit dinformazione
dipende dalla con-formazione della cosa.
Passando da un cubo reale alla sua rappresentazione
notiamo come laspetto diventi la cosa stessa. (Attraverso il
cubo di Necker possiamo come vedremo rendere com-

140. L. Wittgenstein, UG, 205.


110 FENOMENOLOGIA ERETICA

presenti tutte e sei le facce). La datit si configura fenomeni-


camente tanto nella rappresentazione quanto nel campo
percettivo, poich essi condividono la medesima struttura
dellapparire. Nella raffigurazione non possiamo dubitare
della presenza del cubo poich laspetto corrisponde alla
cosa: il dubbio non pu in questo caso far leva sulla tempo-
ralit dato che la cosa gi in se stessa manifesta.
Iscrivendo laspetto della cosa reale al sistema di riferi-
mento implicito nella percezione della cosa, iscriviamo la cosa
alla possibilit della sua conoscenza. Implichiamo cos anche
la possibilit che quella cosa in realt non sia quella cosa: non
possegga di fatto contemporaneamente sei facce uguali. La
conoscenza della cosa rimarrebbe cos unicamente probabi-
le. Il dubbio sulla reale presenza del cubo mostrerebbe in tal
modo una costitutiva inadeguatezza dellapparire fenomeni-
co rispetto alla conoscenza fenomenologica della cosa. Ma il
prospettivismo che ci lega alla cosa determina linsorgere del
dubbio quanto il sorgere della conoscenza.
Ipotizzare, con Cartesio, lesistenza di un genio mali-
gno significa presupporre necessariamente un ulteriore
mondo vero, quello del genio, che a sua volta potrebbe es-
sere vittima di un genio pi potente e cos allinfinito. Se
si vuole evitare un rinvio allinfinito si anteporr al mondo
apparente un mondo vero. Lesistenza di un altro mondo
vero rende il primo mondo unapparenza.
Si potrebbe ribadire che ogni obiezione, se logica, vada
accolta e che non necessiti di ulteriori giustificazioni.
altres necessario per dimostrare la sensatezza delle ipo-
tesi che intendiamo formulare, ossia i criteri del dubbio.
Possiamo immaginare infinite possibilit logiche, ma
queste possibilit per essere sostanziali (per riprendere
una vecchia distinzione di Peirce) devono di-mostrare la
loro capacit di incidere sul reale.
Toccando con mano un cubo affermiamo questo
un cubo: in cosa consiste la nostra certezza? E se il cubo
fosse di dimensioni troppo grandi per essere afferrato? Se
la sua esplorazione implicasse giorni o mesi, il dubbio di-
venterebbe per questo pi o meno sensato? Se per esem-
pio ogni mille rotazioni una faccia scomparisse, diremmo:
FORSE UN DIO CI INGANNA 111

Ho visto lannientamento e con esso incarnarsi la possi-


bilit del dubbio? La realt della cosa data dunque dal
suo apparire, mentre la possibilit una funzione logica
ad esso legata? Come ha scritto Wittgenstein, chi volesse
dubitare di tutto, non arriverebbe neanche a dubitare. Lo
stesso gioco presuppone gi la certezza.141
Il dubbio, per essere assunto, deve presupporre un si-
stema di riferimento fenomenologico. Possiamo doman-
darci: Le facce del cubo non direttamente esperibili si
annullano ogniqualvolta non le vediamo? Oppure, pri-
ma di avere conoscenza del cubo: Come potrebbe esse-
re fatto il cubo nella parte non direttamente esperita? E
come ci aspettiamo che esso sia fatto? Pur essendo infinite
le possibilit logiche, lesperienza le tre facce del cubo
direttamente esperite non accoglie un numero infinito
di possibilit, ma solo alcune.
Affinch il dubbio risulti sensato, di quali dimensioni
dovrebbe essere il cubo? Il tempo dellesplorazione do-
vrebbe essere sufficientemente lungo da farci ritenere lo-
gica questa possibilit: se per vedere tutte le facce del cubo
impiegassimo giorni o mesi, il dubbio diventerebbe plausi-
bile? E se lesplorazione durasse una vita? Non ci sarebbe
data la possibilit di dubitare. La possibilit della ripetibilit
dellesperienza sta alla base della sensatezza del dubbio.
Riassumendo: il logos funzionale a un sistema di rife-
rimento; il valore logico del dubbio conforme allespe-
rienza che lo presuppone; il logos non di per s garante
di conoscenza; il sistema di riferimento fenomeno-logico
determina il grado di realt del dubbio. Cosicch scrive
Musil ne Luomo senza qualit il senso della possibilit si
potrebbe anche definire come la capacit di pensare tutto
quello che potrebbe essere, e di non dar maggior impor-
tanza a quello che , che a quello che non . Ma non tut-
to quello che potrebbe essere, : la conoscenza fenome-
no-logica della cosa implica la relazione tra la dimensione
del logos e quella del phenomenon, i modi del loro porsi in
relazione quanto ora ci accingiamo a interrogare.

141. Ivi, 115.


III.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN1

Questentit [la coscienza]


fittizia, mentre i pensieri con-
creti sono del tutto reali. Ma
i pensieri concreti sono fatti
della stessa materia di cui sono
fatte le cose.
William James

e se qualcuno ha qualcosa
da dire si alzi in piedi.
E taccia
Karl Kraus

1. Questo capitolo nasce dalla rielaborazione critica di appunti tratti dal cor-
so di Metodologia delle scienze del comportamento che P. Bozzi tenne a
Trieste nellanno accademico 1992-1993 sulle Osservazioni sulla filosofia della
psicologia di Wittgenstein. Una prima versione di questo capitolo (qui svilup-
pata e approfondita) stata pubblicata nel volume a cura di L. Perissinotto,
Un filosofo senza trampoli, Mimesis, Milano-Udine 2009.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 115

1. Il cubo di Necker: dalla cosa allimmagine

Nel corso del capitolo precedente abbiamo seguito


linvito di Merleau-Ponty a riprendere lanalisi del cubo,
al fine di comprendere lesperienza immediata della per-
cezione visiva della cosa. Lapparire del solido geometrico
in questione ha sollevato non pochi interrogativi. Ora an-
dremo ad aggiungere un elemento in pi: cosa succede se
passiamo dalla cosa, presente qui e ora davanti a noi, alla
sua immagine?
Ci occuperemo di nuovo dallanalisi di un cubo, ma
questa volta si tratta del cosiddetto cubo di Necker,
una figura affatto particolare. Si tratta non solo di una
rappresentazione bidimensionale del cubo, ma di una
figura doppiamente stabile. Tale immagine ci serve per
affrontare la distinzione, formulata da Wittgenstein, tra
vedere e vedere-come al fine di chiarire lesperienza im-
mediata della percezione visiva. Pi in generale, si ar-
gomenter contro ogni distinzione, sul piano della per-
cezione immediata, tra diversi modi di vedere. Lanalisi
sar circoscritta a una serie di esempi, presi in esame
dallo stesso Wittgenstein, di figure ambigue e pluristabi-
li. Scopo principale di queste riflessioni non restituire
una lettura fedele del pensiero di Wittgenstein, bens di-
scuterne una tesi, indipendentemente dal fatto che essa
rispecchi o meno il suo pensiero o le interpretazioni di
altri studiosi. Intendiamo sostenere che la distinzione tra
vedere e vedere-come riguarda unicamente modi diversi
di classificare una determinata categoria di cose e non
investe la percezione visiva in quanto tale; questultima
la nostra esperienza diretta del mondo cos come lo in-
116 FENOMENOLOGIA ERETICA

contriamo.2 Ogni aspetto del mondo visibile indice di un


fatto sotto osservazione intersoggettivamente condivisi-
bile, e deve poter essere oggetto di un gesto ostensivo,
che circoscriva i confini della percezione visiva rispetto
ad altre attivit cognitive.
Negli ultimi anni della sua vita Wittgenstein ha riflet-
tuto sui problemi legati alla natura dei concetti psicolo-
gici. La seconda parte delle Ricerche filosofiche incentrata
sullanalisi degli stati mentali, dellesperienza del signi-
ficato, del vedere-come, dellintenzionalit e della situa-
zione della psicologia contemporanea. Il lavoro prepa-
ratorio consiste in annotazioni che vanno dalla fine del
1945 alla met del 1949, corrispondenti ai manoscritti
130-138. La revisione dei manoscritti 130-137 diede luo-
go ai dattiloscritti 229 e 232, pubblicati come Osservazio-
ni sulla filosofia della psicologia. Parte del manoscritto 137
e lintero 138 uscirono col titolo Ultimi scritti. La filosofia
della psicologia.3
Per Wittgenstein il vedere-come riscontrabile nelle
figure ambigue e nelle immagini pluristabili, in cui vi
qualcosa che rimane identico mentre qualcosaltro cam-
bia.4 Figure ambigue e immagini pluristabili sono un fe-
nomeno studiato da tempo dagli psicologi e, ancor prima,
sfruttato dai pittori. Osservando tali figure, in cui sono pre-
senti due o pi oggetti visivi, possibile esperire il passag-
gio da una soluzione percettiva a unaltra. Lattenzione di
Wittgenstein per la visione aspettuale motivata sia dalla
sua analisi della psicologia come scienza in generale, sia
dalla sua critica alle teorie empiriste della percezione.5 La

2. Riprendiamo la nozione di percezione in chiave fenomenologica. La nozione di


percezione immediata come dato incontrato (e non rappresentato) sar presa
in messa nel capitolo successivo.
3. Cfr. A. Zhok, Introduzione alla Filosofia della psicologia di L. Wittgenstein (1946-
1951), Unicopli, Milano 2002. Ampiamente documentata linfluenza eser-
citata su Wittgenstein da Khler, il quale, assieme a Goethe e James, nelle
Osservazioni sulla filosofia della psicologia lautore pi citato. Per quanto riguar-
da James, Schulte nega che vi sia stata una sua influenza su Wittgenstein, che
si sarebbe limitato a utilizzare il lavoro di James come fonte di esempi (Cfr. J.
Schulte, Experience and Expression, Claredon, Oxford 1993, p. 19).
4. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 27.
5. Cfr. M. Budd, Wittgensteins Philosophy of Psychology, Routledge, Londra 1989, p. 4.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 117

filosofia della psicologia di Wittgenstein si configura come


ricerca concettuale, il cui scopo indagare la grammatica
dei termini psicologici per ottenere una chiarificazione
dei concetti psicologici. Riflettendo sulla grammatica di
verbi quali vedere e interpretare, Wittgenstein deli-
nea la differenza che intercorre tra i concetti di visione e
di interpretazione rispetto alla costellazione dellosserva-
bile. Tuttavia, soprattutto nella letteratura secondaria (e
non di meno in alcuni passi dello stesso Wittgenstein),
emerge unambiguit di fondo che suggerisce lidea che
vi possano essere modi diversi di vedere: una visione sempli-
ce che attesterebbe la presenza di una cosa e una percezio-
ne complessa che Wittgenstein denomina vedere-come.
La nostra tesi che tale distinzione riguardi unicamente
i modi di classificare le cose, e non la percezione visiva in
quanto tale.
Sul piano dellesperienza diretta in accordo con Wit-
tgenstein possiamo distinguere il vedere dallinterpreta-
re, ma non diversi modi di vedere pi o meno complessi.
Le nostre riflessioni intendono, in primo luogo, sostenere
la tesi che la percezione visiva sia qualcosa di immedia-
to, qualcosa di non riducibile al pensiero, di per s non
suddivisibile in diverse modalit, sebbene normalmente
connessa ad attivit cognitive superiori quali il pensare e
linterpretare. In secondo luogo, intendiamo circoscrive-
re il caso delle figure pluristabili per sviscerarne le impli-
cazioni teoriche. Tali immagini non vanno trattate come
il risultato di unesperienza privata e soggettiva, bens
clte direttamente sul piano immanente dellesperienza
immediata, cio come fatti oggettivi: il loro apparire
ripetibile e, in linea di principio, condivisibile intersog-
gettivamente.
Lobiettivo, perci, non spiegare che cosa ha vera-
mente detto Wittgenstein, n abbracciare limponente
mole di studi che si sedimentata sulla nozione di vedere-
come; si tratta, piuttosto, di discutere una tesi sulle imma-
gini pluristabili e sulla nozione di vedere-come, partendo
dai medesimi fatti sotto osservazione: osservabili da noi,
da Wittgenstein e da qualunque suo interprete.
118 FENOMENOLOGIA ERETICA

2. Vedere e interpretare

Allinizio delle Osservazioni sulla filosofia della psicologia,


Wittgenstein utilizza alcune immagini pluristabili per mo-
strare lindipendenza della percezione dallinterpretazione.

Limmagine proposta pu essere interpretata o


percepita come un filo di ferro, una scatola rovescia-
ta o un diedro: le interpretazioni possibili sono diverse
bench limitate. Che interpretazione e percezione siano
distinguibili emerge dallosservazione di oggetti in cui
possibile tener ferma linterpretazione mentre la perce-
zione sfugge, ora di qua ora di l. E infatti, possiamo vede-
re la figura come un telaio di filo di ferro e interpretarla
come scatola rovesciata o come diedro. Oppure, possia-
mo vedere la scatola rovesciata e interpretarla come filo
di ferro o come diedro. Ancora, possiamo vederla come
diedro e interpretarla come filo di ferro o scatola rovescia-
ta. Si delinea cos una matrice di indipendenza del ve-
dere dallinterpretare. Lindipendenza della percezione
dallinterpretazione indica che possiamo vedere tre cose
diverse e, nel vedere una di queste cose, possiamo inter-
pretare in tre modi diversi.6
Generazioni di psicologi hanno utilizzato le figure am-
bigue e pluristabili per sostenere tesi opposte: alcuni per
mostrare linfluenza dellesperienza passata e delle attivit
mentali sulla percezione, altri, invece, per esemplificare
lindipendenza della percezione dallattivit cognitiva.
significativo che gli stessi fatti sorreggano tesi scientifiche
contrapposte: quale migliore dimostrazione dellindipen-
denza dellosservabile da concetti e teorie?

6. Cfr. P. Bozzi, Vedere come, Guerini, Milano 1998, p. 18.


NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 119

Limmagine pluristabile sembra determinare il rico-


noscimento di tre cose diverse, e losservazione delluna
esclude laltra. In modo conforme al principio di non
contraddizione potremmo dire che nelle immagini plu-
ristabili le diverse figure non possono apparire nello stes-
so tempo e secondo il medesimo rispetto: infatti le figu-
re appaiono in momenti diversi e, allapparire delluna,
scompare laltra. Ci troviamo sempre di fronte a una cosa,
e dopo un certo arco temporale, possiamo ricordare di
avere visto tre cose distinte. Non sono come vorrebbe-
ro alcuni interpreti di Wittgenstein modalit diverse di
percezione; si tratta, al contrario, di cogliere come los-
servazione di tre figure a partire dal medesimo stimolo
distale consenta la classificazione di un certo tipo di im-
magini (e non di altre) come pluristabili.
In realt lo stimolo distale rappresenta solo una parte
di una pi ampia spiegazione causale della percezione:
una spiegazione, e non una descrizione della realt incon-
trata. Lo stimolo distale non fa dunque parte della nostra
esperienza diretta del mondo: unipotesi ausiliaria alla te-
oria, unimmagine utile a creare un modello euristico della
realt. Esso non iscritto nellapparire fenomenico che con-
traddistingue la nostra esperienza diretta delle cose. Presup-
porre la presenza dello stimolo fisico (o distale) allinterno
dellesperienza implicherebbe un dualismo tra mondo fisi-
co e mondo fenomenico. Il mondo fisico visibile invece
parte di una classe pi ampia, quella degli osservabili, che
compongono la nostra esperienza fenomenica del mondo.
Si osservi nuovamente la figura. Possiamo vederla
come: cubo di vetro, scatola aperta capovolta, intelaiatura
di filo di ferro, tre tavole che formano un angolo solido.
Potremmo ritenere che linterpretazione consista in una
descrizione indiretta della nostra esperienza, ma in tal
caso dovremmo considerare il rischio della perdita della
descrizione diretta. Supponiamo di rispondere che vi sono
svariate esperienze visive, e ciascuna di esse corrisponde a
un certo modo di vedere la figura, favorendo cos una par-
ticolare interpretazione. Ci parrebbe spiegare perch,
per descrivere la propria esperienza, lindividuo faccia ap-
120 FENOMENOLOGIA ERETICA

pello allinterpretazione: Ma che cosa significa che lespe-


rienza favorisce una particolare interpretazione? E soprat-
tutto: come si identifica tale esperienza? Lobiezione la
seguente: una volta che linterpretazione sia considerata
esterna allesperienza, non abbiamo alcun criterio che ci
autorizzi a parlare di diverse esperienze visive.7
Questo tipo di osservazioni non coglie un criterio fon-
damentale che consiste nel rinvio sistematico e diretto alla
figura: unaccurata descrizione implica il fatto che quella
figura, la sua configurazione, favorisce un numero limi-
tato di esperienze. Quella figura, disegnata cos e cos,
pu essere vista come una scatola o un telaio, e non come
vogliamo. La percezione della scatola o delle altre figure
diretta, ossia non necessariamente mediata dallinter-
pretazione. Limmediatezza propria della percezione e
non della descrizione. Ogniqualvolta lo sguardo scopre
unaltra cosa osservabile (e non un aspetto della cosa),
questultima si ristruttura determinando una nuova espe-
rienza specifica, che non emergerebbe se la figura fosse di-
segnata diversamente. Scoprire la pluristabilit di una figura
non dipende dalla nostra volont o, pi in generale, dalla
nostra soggettivit, bens dalla sua configurazione. Descri-
vere la scoperta di una nuova figura significa descrivere la
sua nuova organizzazione (Gestalt). Lobiezione diventa al-
lora: come pu lesperienza visiva dellindividuo mutare
mentre il suo oggetto resta lo stesso?8 Non solo: possiamo
affermare che loggetto resta lo stesso? Assumendo quale
sistema di riferimento? E quale esperienza abbiamo di que-
sta cosa invariante che resta identica a se stessa?
Una risposta potrebbe essere che ci che vediamo ri-
mane lo stesso, ma cambia linterpretazione data dallin-
dividuo alla propria esperienza. Per Wittgenstein questa
ipotesi non funziona, perch la grammatica del vedere-
come del tutto diversa da quella dellinterpretare. In
particolare, il vedere una figura in un certo modo uno

7. P. Johnston, Wittgenstein Rethinking the Inner, Routledge, London 1993, tr. it.
di R. Brigati, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, La Nuova
Italia, Firenze 1998, p. 45.
8. Ibid.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 121

stato, che ha lo stesso tipo di durata del vedere. Per esem-


pio, sensato dire: Ho guardato la figura per cinque
minuti; per il primo minuto lho vista come unanatra,
poi come una lepre per circa un minuto e mezzo, e poi
ancora come unanatra fino alla fine.9 La percezione
possiede un proprio tempo di presenza, mentre linterpreta-
zione unazione che possiede un tempo autonomo e di-
stinto.10 Le nostre parole possono aderire ai fatti osservati,
oppure allontanarsi da essi. Cos i nostri concetti possono
essere pi o meno pertinenti alla cosa osservata; lo stesso
possiamo dire dei nostri pensieri. Le nostre competenze
letterarie possono aiutarci a trovare laggettivo adatto a
comunicare una data qualit espressiva della cosa, ma tut-
to ci non fa parte della percezione. Lattivit di pensiero
e di linguaggio pu essere giusta o sbagliata, vera o falsa,
pi o meno riuscita, pu essere modificata, migliorata e
adattata; la percezione, al contrario, quello che : n
vera n falsa, n giusta n sbagliata, non pu essere cor-
retta o migliorata a nostro piacimento come unespressio-
ne linguistica. Attraverso la percezione operiamo a diversi
livelli, e uno di essi il linguaggio verbale; la percezione
un fatto e, in quanto tale, non falsificabile n soggetta
alla nostra volont.
Da molti punti di vista, la percezione di aspetti pos-
siede la stessa grammatica della visione. Proprio come il
vedere, uno stato e ha una durata continua.11 Accoglia-
mo la distinzione di Wittgenstein tra vedere e interpreta-
re, poich mentre linterpretazione unattivit o azione, il
vedere corrisponde allaver presente nel campo dellespe-
rienza diretta uno stato osservabile. Esso linsieme delle
fattezze riconoscibili nelloggetto durante il corso delle
osservazioni.12 Sennonch le nostre posizioni divergono
qualora si voglia distinguere non solo vedere e interpreta-
re, ma anche vedere e vedere-come.

9. Ibid.
10. La nozione di tempo di presenza sar presa in esame nello specifico nel
capitolo successivo. (Si veda anche: P. Bozzi, Vedere come, cit., pp. 40-47).
11. Ivi, p. 45.
12. Ivi, p. 17.
122 FENOMENOLOGIA ERETICA

3. Vedere, notare un aspetto e vedere-come

Non tutte le cose sono classificabili come vedere-come,


in caso contrario tale espressione sarebbe priva di senso,
un mero sinonimo di percezione. Nel vedere le figure am-
bigue vi un rendimento fenomenico qualitativamente
diverso rispetto al mero interpretare, conseguente a una
ristrutturazione visiva dettata dalla configurazione della
figura: ristrutturazione che non presente quando mu-
tiamo linterpretazione della cosa osservata. Per chiarire
ulteriormente la differenza tra interpretazione e percezio-
ne, si considerino tre esempi ulteriori.

La prima figura la doppia F inventata da Wittgen-


stein come esempio di vedere-come. La seconda figura
coppa-profili un esempio di figura bistabile, mentre la
terza immagine interpretabile in diversi modi: come
una moneta, un disco, un sigaro e forse in qualche altro
modo.13 La F ingrandita pu essere vista come una F
ma anche come limmagine speculare di una F: Allora
si domanda Wittgenstein vedo veramente qualcosa
di diverso, o soltanto interpreto quello che vedo in modo
diverso?.14 Se la figura fosse disegnata male, se avesse dei

13. Ivi, p. 18.


14. L. Wittgenstein, BPP, I, . 1. Qualcuno potrebbe vedere l, dove gli indichia-
mo la F, qualche cosa daltro rispetto a una F rivolta allindietro (una dop-
pia F speculare): Il contesto cognitivo scrive Bozzi deve comprendere
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 123

trattini orizzontali appena pi accentuati verso sinistra,


occorrerebbe proprio interpretare lenunciato che al-
lude alla bistabilit della figura in questione.15 Ma il fatto
stesso che il disegno possa essere migliorato, in rapporto
al fine che ci proponiamo, indica che si tratta di un vedere
piuttosto che di un interpretare. Possiamo progettare una
serie di F in cui la prima forzatamente si lasci solo in-
terpretare come rivolta verso sinistra, e lultima si mostri
ugualmente bene nei due modi.16
Ribadiamo dunque che, per Wittgenstein, linter-
pretare unazione, mentre vedere non unazione,
ma uno stato.17 Il vedere corrisponde alla presenza di una
cosa in uno stato osservabile, con tutte le qualit che essa
presenta durante lesperienza diretta. Linterpretazione
invece unattivit, ossia un processo mentale che si svol-
ge nel tempo: essa ha un inizio, uno sviluppo e una fine
temporale (come, per esempio, la soluzione di un proble-
ma). La doppia F non uninterpretazione poich vi
un cambiamento di stato. La stessa cosa accade anche
nella figura coppa-profili, dove il mutamento di stato av-
vertito in modo ancora pi netto attraverso un istantaneo
balenare di qualcosa allinterno della figura che segna il
passaggio da uno stato allaltro. Prolungando losservazio-
ne della figura possiamo scoprire la sua bistabilit, pro-
priet interna del sistema di margini da cui risulta. 18 La
ristrutturazione dellorganizzazione della figura nei due
casi indica che il vedere uno stato.
Wittgenstein sembra sostenere che vediamo la figura in
modi diversi e linterpretazione si accorda allaspetto visto.
Linterpretazione, allora, consiste nella descrizione del
modo di vedere che la favorisce. Non possiamo comunica-
re la nostra esperienza visiva se non mediante uninterpre-
tazione; secondo Wittgenstein, la descrizione che produ-

una possibilit diversa da quella presente allosservatore come stato della F,


affinch lespressione vedere come possa essere usata senza goffaggine (P.
Bozzi, Vedere come, cit., p. 20).
15. Ivi, p. 15.
16. Ibid.
17. L. Wittgenstein, BPP, I, 1, corsivo nostro.
18. P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 19.
124 FENOMENOLOGIA ERETICA

ciamo non una descrizione indiretta, ma unespressione


primaria: essa una manifestazione del vissuto,19 e non
uninterpretazione responsabile di un vissuto, bens di
unespressione del vissuto. Il vedere un aspetto non di-
pende dalla padronanza del linguaggio, n conforme a
un atto interpretativo. Laspetto colto visivamente e pu
essere descritto in modi diversi, in termini dipendenti dal-
la struttura del fatto osservato. Il manifestarsi dellaspetto
il manifestarsi di un nuovo oggetto visivo.20
Largomentazione di Wittgenstein, come vedremo,
comporta unulteriore ambiguit concettuale: oltre al ve-
dere-come, anche la nozione di aspetto ad esso correla-
ta si presta a fraintendimenti, poich in determinati con-
testi tale nozione sembra essere utilizzata come sinonimo
di cosa (figura) osservata, in altri laspetto diventa ci
che muta e la cosa una sorta di sostrato, ci che rimane
invariato al variare dei diversi aspetti.
La terza figura esemplifica cosa si debba intendere
con il concetto di interpretazione: in essa non succede
nulla, essa non trapassa in altra figura n mostra al suo
interno movimenti di sorta. La figura pu essere interpre-
tata come una variet di cose: una moneta, un panforte
di Siena, un sigaro, un disco volante, uno sfilatino al pro-
sciutto. Interpretare la figura in un determinato modo
consente di apprezzarne i particolari, ma mai di vedere
una cosa o laltra, o di cogliere in essa una trasformazione,
un mutar di rapporti o di equilibri figurali.21
Le tre figure esaminate rappresenterebbero una chiari-
ficazione della grammatica del termine vedere: luso
linguistico tale, e di fatto la grammatica del sentire e
del vedere, contro quella dellinterpretare, l nelle cose.22
Le prime due immagini conducono alla nozione wittgen-
steiniana di vedere-come, mentre la terza rappresenta il

19. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 13; I, 1127-1128.


20. Cfr. ivi, II, 509. (Cfr. C. Mautarelli, Visione e interpretazione in Wittgenstein, in
Esercizi filosofici, 6, (2003), pp. 157-167. Il saggio di Mautarelli qui ripreso
sposa linterpretazione di Bozzi e con essa anche il fatto che vi siano diverse
modalit di percezione visiva).
21. P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 19.
22. Ivi, p. 24, corsivo nostro.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 125

caso, pi generale, delle rappresentazioni al tratto. Il se-


gno fenomenicamente presente e ostensibile di questul-
tima figura pu esser interpretato in diversi modi: ogni
immagine, cos come qualsiasi bozzetto tracciato sulla car-
ta, priva della ristrutturazione che contraddistingue le
prime due figure.23 Il terzo disegno, quindi, per quanto
ambiguo, visivamente ci che . Diverse interpretazioni
possono contribuire a definirlo come la rappresentazione
di qualcosa.
La locuzione l nelle cose va presa alla lettera. I tre
esempi non conducono alla conclusione che vi siano tre
modalit percettive, poich le distinzioni operate sul pia-
no linguistico non corrispondono a una classificazione
del vedere, ma a una classificazione di cose. Se la di-
stinzione riguardasse la percezione visiva, siffatta tripar-
tizione dovrebbe sottostare al rasoio di Occam, ed es-
sere ricondotta allunico piano dellosservazione in atto.
Lesperienza diretta del mondo consente di classificare e
memorizzare diverse classi di oggetti (qualora esse pos-
siedano caratteri simili) come appartenenti al medesimo
insieme. Ci non significa vedere in modo diverso, ma uni-
camente classificare cose tra loro simili.
Wittgenstein sembra utilizzare lanalisi del cambia-
mento daspetto e del vedere-come per una migliore
comprensione del vedere.24 Tuttavia, non vi nelle figure
ambigue un cambiamento di aspetto nel senso attribuito-
gli da Wittgenstein, quanto piuttosto una ristrutturazione
della figura: vediamo unaltra cosa e non un altro aspet-
to della cosa. Se cos non fosse trasformeremmo la cosa
in una sostanza capace di sorreggere diverse variazioni
daspetto. Si potrebbe sostenere che rimangono gli stes-

23. Nel caso della F scrive Bozzi accade ugualmente un cambiamento di sta-
to, ma senza che si avverta il balenare della ristrutturazione; la nuova postura
della F (infatti, data linclinazione della sbarra portante, come se la lettera,
volgendosi ora a destra, ora a sinistra, leggermente si sbilanciasse) appare
evidente, ma non sorge da una crisi del precedente modo dessere vista. Il
cambiamento di stato, nei due casi, prova del fatto che il vedere uno stato
(P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 19).
24. Cfr. G.Mc. Fee, Wittgenstein on Art and Aspect, in Philosophical Investigation,
22, 3, (1999), p. 268.
126 FENOMENOLOGIA ERETICA

si segni (cosa) e variano le figure (gli aspetti della cosa).


Tuttavia noi sappiamo essere gli stessi segni, ma non vedia-
mo gli stessi segni (che di per s non mutano), vediamo
due diverse figure. La ristrutturazione implica che ogni
segno della figura cambia la propria funzione allinter-
no della nuova figura osservata. Nel caso di oggetti tridi-
mensionali, laspetto della cosa coincide con un punto
di vista sulla cosa, mentre nel caso di figure (surrogati)
notiamo aspetti della cosa. Nelle figure ambigue, lespres-
sione cambiamento daspetto va sostituita o intesa come
cambiamento della cosa in unaltra cosa; mentre gli
aspetti rimangono ancorati alla singola figura osservata: la
ristrutturazione della figura comporta anche una ristrut-
turazione delle qualit espressive che compongono i suoi
diversi aspetti.
Possiamo distinguere i casi in cui lespressione vedere-
come appropriata dai casi in cui tale espressione sareb-
be priva di senso; per esempio, insensato dire ora vedo
questa cosa come una forchetta quando ci che effettiva-
mente vediamo una forchetta. E neanche la cosa che
sta sulla tavola e che si riconosce come una posata, si prende
per una posata.25 Secondo Wittgenstein, possiamo usare
lespressione vedere-come unicamente quando siamo con-
sapevoli che c almeno un altro modo di vedere la figu-
ra. Un bambino non capirebbe lenunciato vedo questo
come un tavolo pronunciato in presenza di un tavolo; for-
se potrebbe capire lo vedo come un tavolo se detto in
un contesto in cui non sia pienamente manifesto che log-
getto sotto osservazione un tavolo.26 Quando osserviamo
una fotografia di un uomo non diciamo questo potrebbe
essere visto come un uomo e se vediamo limmagine di
un leone non diciamo di vederlo come un leone.27 Abbia-
mo gi sottolineato come la possibilit di migliorare le fi-
gure per esempio nel caso della doppia F indichi
che linterpretazione successiva al dato visivo: anche se
il significato pu essere vissuto come un dato immediato

25. L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 257.


26. Cfr. Id., BPP, II, 515; I, 412.
27. Cfr. Id., PU, II, XI, p. 271.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 127

della coscienza, ci non implica che esso debba coincide-


re con la percezione.
A questo punto potremmo chiederci se sia possibile se-
parare il significato dalla percezione: possiamo decidere
di non conoscere qualcosa e vedere una cosa nota come se
non la conoscessimo? Questo esperimento impossibile:
infatti impossibile stabilire dove finisca la percezione e
dove inizi la nostra attivit mentale, ma ci non costitui-
sce una buona ragione per ricondurre percezione e cogni-
zione a un unico processo. Possiamo conoscere il volto di
Wittgenstein mentre osserviamo una fotografia di Wittgen-
stein; oppure, al contrario, osservare limmagine senza sa-
pere chi luomo della fotografia, sapendo per che cos
una fotografia, possedendo il concetto di uomo e cos via.
Alla fine dovremmo giungere, attraverso questo regresso,
a una percezione prima, originaria, magari collocata a
qualche minuto dalla nascita.28 A suo tempo, ragionamenti
analoghi hanno suscitato linteresse degli empiristi inglesi:
cosa succederebbe se un cieco dalla nascita recuperasse
improvvisamente la vista, potendo osservare cos per la pri-
ma volta cose a lui note solo tramite il tatto?
Se la percezione fosse determinata dalla nostra espe-
rienza pregressa non potremmo essere n stupiti n de-
lusi da ci che osserviamo.29 La percezione, al contrario,
sembra organizzarsi secondo regole proprie e autonome,
indipendenti dalle nostre attivit cognitive: talora le cose
appaiono ambigue, talora stabili; altre cose appaiono re-
ali, pur sapendo che sono illusorie. Un viso appare triste,
e per quanto ci sforziamo non riusciamo a vederlo felice,

28. In questo caso storie ed esperienze diverse dovrebbero condurre i soggetti a


vedere le cose in modo diverso. Se la percezione fosse condizionata dallespe-
rienza passata, allora ogni esperienza, in teoria, dovrebbe modificare la no-
stra percezione: dovremmo vedere le cose le stesse cose in modo diverso
da venti anni fa, ma anche da venti minuti fa.
29. Se le nostre attivit cognitive determinassero la percezione visiva difficilmente
riusciremmo a stupirci di fronte allosservazione di alcuni aspetti delle cose.
Consideriamo per esempio i fenomeni di completamento amodale (studiati
da Kanizsa) dove le figure tendono a completarsi contro lesperienza passata,
i casi di illusioni ottico-geometriche (dove il sapere non altera le modalit di
apparenza del dato) e i casi di delusione da aspettativa (strutturata e anticipa-
ta a livello fenomenico).
128 FENOMENOLOGIA ERETICA

ma sufficiente modificare un tratto del disegno perch


lespressione del viso muti radicalmente.
Abbiamo avuto modo di evidenziare come diversa-
mente da alcuni interpreti del pensiero di Wittgenstein
non riteniamo che ogni cosa sia classificabile come ve-
dere-come.30 Solo alcune determinate figure (cose) sono
ambigue o reversibili. Si considerino tre ulteriori esempi:

Possiamo distinguere tra figure reversibili e figure am-


bigue: solo nelle prime muta la posizione spaziale della
figura. Il cubo di Necker cambia posizione, mentre la dop-
pia F e la giovane-vecchia rimangono spazialmente inva-
riate. Pi in generale, le figure ambigue si caratterizzano
come casi in cui il sistema percettivo non in grado di
orientarsi in modo stabile verso una delle due soluzioni,
per cui esso oscilla fra diversi risultati percettivi, nessuno
dei quali si impone in maniera definitiva. Linversione, in-
vece, produce un mutamento della collocazione spaziale
nelle figure bistabili, come possiamo constatare nel cubo
di Necker: esso visibile alternativamente dallalto come
se fosse appoggiato su un tavolo oppure dal basso come
se fosse sospeso.

30. Molti fraintendimenti dellanalisi wittgensteiniana della percezione visiva de-


rivano da unimplicita accettazione della teoria del dato sensoriale da parte di
alcuni suoi interpreti. Su questo si veda per esempio: M.E. Zemach, Meaning,
the Experience of Meaning and the Mind-blind in Wittgensteins Late Philosophy, in
The Monist, 78, 4, (1995), pp. 480-495; P.B., Lewis, Wittgenstein on Seeing and
Interpreting, in G. Vasey (a cura di), Impressions of Empiricism, Macmillan, London
1976, pp. 93-108; C. Mautarelli, Visione e interpretazione in Wittgenstein, cit.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 129

Il punto centrale se le tre figure prese in esame


allinizio del paragrafo corrispondano a tre modi di vedere:
reversibile, vedere-come e un caso normale di percezione
che confluisce in diverse interpretazioni. Lesemplifica-
zione suggerisce una tripartizione, tre diverse modalit
di percezione visiva: nellultimo caso da un punto di vista
percettivo non accade nulla, la figura pu essere solo in-
terpretata in modi diversi. La doppia F di Wittgenstein
invece pu essere vista e interpretata in due modi: come
una F, oppure, come una doppia F; essa inoltre esem-
plifica un caso di vedere-come. Mentre limmagine coppa-
profili una figura doppiamente stabile (o reversibile).

4. Vedere vs vedere-come

Il vedere non dipende dalla nostra volont. Wittgen-


stein situa il concetto di vedere-come tra il vedere e il pen-
sare; esso non un vedere tout court e non coincide con
linterpretare. La ragione per cui il vedere-come distinto
dalla percezione ordinaria di un oggetto che vi sarebbe
un fattore volontaristico assente nella seconda.31 La frase
ora vedo questo come non si applica alla percezione
ordinaria di un oggetto: nel caso di una posata non ha
senso dire che tentiamo di vedere loggetto come una po-
sata. Questo un punto fondamentale: una posata e una
figura bistabile sono oggetti diversi, e non c una visione
tout court contrapposta a un vedere-come, proprio perch
la visione uno stato e non dipende da noi: vediamo
quello che vediamo, non impariamo a vedere (tuttal pi
a guardare), n possiamo decidere di vedere le cose come
vogliamo. Non ci sono diversi tipi di vedere, ma unica-
mente diverse cose classificabili in diversi modi, e, data
una certa conformazione, una cosa pu comportare una
bistabilit.

31. Il vedere laspetto e limmaginare sono sottoposti alla volont. Esiste il co-
mando: Immagina questa cosa! e Ora vedi la figura in questo modo! ma
non Ora vedi questa foglia verde! (L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 279).
130 FENOMENOLOGIA ERETICA

Scoprire la pluristabilit di una figura implica che in


alcuni casi possiamo anche non scoprirla ed essere cie-
chi a un aspetto: cogliere un aspetto pu richiedere
un addestramento, a volte dei significati, altre volte un
concetto. Lelenco delle condizioni potrebbe continuare,
ma sarebbero comunque tutte condizioni non necessarie.
Non si d invece il caso opposto: il caso in cui, a prescin-
dere dalla forma, vediamo un oggetto unicamente grazie
al concetto che ne possediamo. Inoltre, se possiamo legit-
timamente parlare di una vera e propria scoperta dato
che possiamo aiutare qualcuno a vedere ci che abbiamo
trovato allora dovremmo anche ricondurre tale possibi-
lit allordine delloggettivit. Diversamente le immagini
pluristabili resterebbero qualcosa di irrimediabilmente
soggettivo: non sarebbero condivisibili e non potremmo
individuare suggerimenti e criteri per facilitare ad altri la
scoperta delle figure.
Latto volontaristico non va quindi enfatizzato. Esso
soggetto a svariati vincoli: vedere ora una figura ora
unaltra pu dipendere dallapprendere una tecnica di
applicazione di concetti. In secondo luogo, lelemento
volontaristico pu dipendere da una focalizzazione dellat-
tenzione verso alcuni punti della cosa osservata. Il fattore
volontaristico arricchisce il nostro modo di relazionarci
alla figura, ma non sta alla base della percezione: la con-
figurazione della cosa osservata a determinare ed esclude-
re un certo ventaglio di possibili interpretazioni.
Le figure bistabili segnano lautonomia del vedere dal
pensare poich, oltre a reggere due diversi rendimenti fe-
nomenici, il rovesciamento pu avvenire anche in modo
non intenzionale: essenziale rendersi conto dellimpor-
tanza che ha, per la teoria, il fatto che le pluristabilit negli
oggetti si manifestino spontaneamente, in assenza di pen-
sieri, di intenzioni, di parole.32 Il cosiddetto Gestalt-switch
autonomo rispetto alle attivit cognitive superiori: latto
intenzionale e volontario che consiste nel voler vedere la
coppa o i profili pu aiutare a ottenere linversione, ma

32. P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 40.


NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 131

pu anche non giovare ad ottenerla.33 Linversione pu


avvenire a prescindere dal fatto che losservazione sia il ri-
sultato di un atto volontario, che non quindi necessario
alla scoperta della bistabilit della figura. Latto intenzio-
nale nella visione debolmente correlato al fenomeno, e
certo non necessario. La stessa cosa pu essere afferma-
ta riguardo al ruolo del suggerimento fornito di fron-
te a figure ambigue. Esso pu risultare decisivo, ma si d
anche il caso in cui, pur davanti al suggerimento coppa
o profili, la menzione di tali oggetti non fa scorgere
questo o quello nel sistema sotto osservazione.34
Il problema della relazione tra vedere e pensare coin-
volge il ruolo dellesperienza passata, del riconoscimento
e del possesso di un concetto al fine di ottenere linver-
sione figurale.35 Linversione figurale pu manifestarsi in
seguito a suggerimenti del tipo: Vedi lanatra?, S, la
vedo, Vedi la lepre?, S, la vedo. Lo stesso Wittgen-
stein nota che chiedendo Vedi lanatra?, vi pu essere
inizialmente una risposta negativa e poi unesclamazione
come: Ah! Adesso ho capito, adesso la vedo.36 Vi anche
la circostanza in cui, se noi guardiamo la figura senza pen-
sare a nulla, scatta linversione, indipendentemente dalla
nostra volont: ci significa che la percezione di una figu-
ra o dellaltra non necessariamente legata alle nostre in-
tenzioni. Possiamo avere lintenzione di vedere unanatra
e incontrare una lepre, e viceversa.37

33. Ibid.
34. Ivi, p. 18.
35. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 70.
36. Si consideri anche lesperienza dellAh! trattata da Bhler come fenome-
no soggettivo di acquisizione di conoscenza di fenomeni complessi: Cfr. K.
Lorenz, Die Rckseite des Spiegels, R. Piper & Co., Mnchen 1973, tr. it. di C.B.
Ceppi, Laltra faccia dello specchio, Adelphi, Milano 1974, p. 57. (Si veda inoltre:
S. Cattaruzza, Indicazione della realt, Mimesis, Milano-Udine 2008).
37. Si potrebbe obiettare afferma Bozzi che parlare di ci che si vede impli-
chi un legame inscindibile tra linguaggio e percezione. Affermare attraverso
il linguaggio parte della nostra esperienza appena vissuta non implica che
essa, quando era vissuta, necessitasse il linguaggio. Il mondo esterno delle cose
visibili, tangibili, odorabili, gustabili, udibili ha esistenza precategoriale auto-
noma e, in quanto tale, costituisce il banco di prova rispetto a ci che affer-
miamo su e di esso.
132 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il punto rilevante che lintenzionalit del soggetto


sufficiente, ma non necessaria, affinch avvenga il rove-
sciamento, ossia la ristrutturazione percettiva della figura:
Il cambiamento dellaspetto possiamo provocarlo ed esso
pu anche prodursi contro la nostra volont. Pu seguire
la nostra volont come pu farlo il nostro sguardo.38 In-
fatti a volte capita che si osservi ci che stato suggerito,
ma pu anche darsi il caso contrario, in cui non si vede
ci che stato suggerito.
Il concetto di indipendenza del fatto osservato
spesso equivocato poich si crede erroneamente che due
cose siano percettivamente indipendenti nei casi in cui: se
succede A, allora non succede B. Diversamente si dicono
indipendenti quando: se succede A succede qualche volta
B e qualche volta A; se succede B succede qualche volta B
e qualche volta A. Possiamo allora avere la parola che sug-
gerisce anatra e la parola che non suggerisce anatra,
poi la parola che suggerisce lepre e la parola che non
suggerisce lepre; talvolta in concomitanza con quella
parola si realizza una figura e talvolta no. Lespressione
talvolta s e talvolta no costituisce la matrice dindipen-
denza tra i due fenomeni, e sembra implicare anche lin-
dipendenza del percetto rispetto al linguaggio.
Pu essere utile soffermarci su due schemi.39 Il primo
mostra come il vedere-come si collochi tra due polarit:
vedere e pensare. Vedere non riducibile alla logica del
pensiero, statico in opposizione alla dinamicit della fi-
gura. Inoltre, possiede una durata autentica (un inizio,
una fine, delle interruzioni possibili in funzione dei mo-
vimenti del corpo dellagente percepiente e/o dei suoi
oggetti in rapporto a detto agente). Il vedere quindi di-
stinto dal pensare, il quale dipendente sempre gram-
maticalmente parlando da caratteristiche atemporali,
evolutive e dinamiche (in opposizione alla passivit o alla
ricettivit che caratterizza gli stati).40

38. L. Wittgenstein, LS, I, 612.


39. Cfr. C. Chauvir, S. Laugier, J.J. Rosat, Wittgenstein: les mots de lesprit. Philosophie
de la psychologie, Vrin, Paris 2001, cap. 3.
40. Cfr. ivi, pp. 172-173.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 133

VEDERE: - temporale (durata autentica)


- stato (impressioni sensoriali irreprimibili)
- relazioni esterne (causali)
VEDERE-COME

PENSARE: - atemporale (non c durata autentica)


- disposizioni (attitudini, capacit sottomesse
alla volont)
- relazioni interne (concettuali)

Il secondo schema suggerisce che si pu operare


in favore della distinzione tra due poli grammaticali: da
una parte gli aspetti puramente ottici e dallaltra gli aspet-
ti concettuali.41 Viene cos delineato uno schema dove
sono riassunte e distinte le diverse modalit del vedere
(le diverse grammatiche del vedere): quella primaria,
che comprende esempi come la doppia croce e il cubo
di Necker, segue il punto di rottura grammaticale oltre
il quale si passa ai tratti disposizionali primari, dove tro-
viamo, fra gli altri esempi, il vedere-come e il triangolo.
Questultimo pu essere visto come una montagna, una
freccia o appeso come un quadro.42 Tale suddivisione av-
viene per gradi di complessit. Wittgenstein riconosce il
carattere non concettuale delle figure del cubo e della
doppia croce: questi casi sono indicati come puramente
ottici,43 mentre la rottura grammaticale implicherebbe il
coinvolgimento di attivit di pensiero.

41. Ivi, p. 180.


42. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 23.
43. Vorrei dire: ci sono aspetti che sono determinati principalmente da pensieri
e associazioni, e altri che sono puramente ottici e che appaiono e mutano
automaticamente, quasi come immagini postume (ivi, I, 970).
134 FENOMENOLOGIA ERETICA

TRATTI OTTICI PRIMARI


(da pi a meno puramente ottici) Doppia croce nera e bianca (con-
trasto)

Cubo di Necker (elementi spaziali)


(sapere)

Vedere una forma umana nellin-


crociarsi dei rami di un albero
(aspetto di organizzazione, cam-
biamento di configurazione)
(immaginazione, sapere)

ROTTURA GRAMMATICALE
___________________________________________________________________

AnatraLepre (nessun cambia-


mento spaziale, nessun cambia-
mento di configurazione)
(Disposizione richiesta: sapere)

Concepire le vocali come associa-


te ciascuna a un colore diverso
(sapere, immaginazione)

Triangolo visto a volte come una


montagna, a volte come una frec-
cia, a volte come sospeso per un
angolo, (ma anche vedere la
doppia croce nera e bianca come
la parte superiore di un om-
brellone o come le pale di un
mulino!) (disposizioni richieste:
capacit di rappresentazione,
immaginazione, sapere)

Sentire (intendere/comprende-
re) una frase musicale come una
conclusione o sentire lindica-
zione musicale come da molto
lontano (disposizioni richie-
ste: una cultura, ci piacerebbe
dire! scrive Wittgenstein)

TRATTI PRIMARI DISPOSIZIONALI


(Sono quegli aspetti che si richiamano unicamente a una capacit: essi neces-
sitano lincastro di numerose disposizioni).
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 135

Questa suddivisione presuppone lidea che vi siano


modi diversi di percezione: un processo che inizia da una
percezione visiva semplice, puramente ottica, fino a una
percezione complessa.

Il caso della doppia croce indicato come esempio


percettivo puramente ottico, ossia il fenomeno non ne-
cessita, per essere colto, di attivit mentali; il mutamento
daspetto avviene indicando dapprima una croce nera, poi
una croce bianca (e viceversa). Per contro, si pu ritenere
che il cubo di Necker possa essere spiegato unicamente
in modo tridimensionale, per esempio indicando un vero
cubo.44 Di fatto per noi apprendiamo la bistabilit del
cubo dallimmagine che, in quanto cosa incontrata (e non
meramente rappresentata), parte della realt fenomeni-
ca tanto quanto il cubo come oggetto fisico tridimensio-
nale. Dallultimo schema si evince che il cubo di Necker
investe una dimensione pi complessa della percezione
data dalla tridimensionalit della cosa osservata. Ma la
presunta complessit in oggetto riguarda forse il surroga-
to e non la percezione che di per s irriducibile ad altro;
essa piuttosto un dato primo e costituisce un sistema di
riferimento autonomo.
Listituirsi di una rottura grammaticale segna la dif-
ferente posizione rispetto alla nostra tesi. I diversi tipi di
percezione (indicati nella seconda parte dello schema)
richiedono prerequisiti di tipo diverso: per poter vedere

44. Cfr. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 54.
136 FENOMENOLOGIA ERETICA

gli aspetti dellanatra-lepre alcuni interpreti di Witt-


genstein hanno sostenuto la necessit di una certa dime-
stichezza con le sagome dei due animali, mentre per la
doppia croce non vige unanaloga condizione. Allo stesso
modo, per vedere un lato di un triangolo come la base e
un altro come il vertice, occorre conoscere questi termini
e padroneggiarne la tecnica dapplicazione. Lindividuo,
quindi, deve possedere certe abilit prima di poter dire
di possedere determinate esperienze, perci il substra-
to della sua esperienza vissuta la padronanza di una
tecnica.45 Ma la padronanza di una tecnica pu costituire
una condizione logica per avere unesperienza? Di certo,
come osserva Wittgenstein, non si presuppone una simile
condizione per essere in grado di avere mal di denti.

5. Anatra-Lepre: dallimmagine alla realt

La prerogativa del vedere-come consiste, secondo


Wittgenstein, nella consapevolezza che la figura possa es-
sere vista altrimenti. Poniamo il caso in cui una persona
non sia a conoscenza dellaspetto bistabile della figura
anatra-lepre. In tal caso egli considera limmagine come
la raffigurazione di una lepre o di unanatra. Per spiega-
re cosa il percipiente osserva, egli pu indicarci altre fi-
gure di lepri, una lepre reale o pu fare limitazione di
una lepre, ma non pu dire: Ora vedo la figura come una
lepre.46 Wittgenstein sostiene che il vedere-come si ha
unicamente qualora si possegga gi una certa familiarit
con entrambi gli aspetti. Tuttavia, quando vediamo prima
una figura e poi ne scopriamo unaltra, vediamo unal-
tra cosa: il nostro sapere non determina ci che vediamo.
Possiamo conoscere uninfinit di animali diversi eppure
difficilmente scopriremo qualcosa di diverso da unanatra
o da una lepre poich la gamma delle possibili interpreta-
zioni si riduce a due.

45. L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 274.


46. Cfr. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 44.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 137

In linea di principio, quando parliamo di percezione


visiva dovremmo essere in grado di mostrare cosa stiamo
percependo: se asseriamo di vedere un certo colore do-
vremmo anche poter indicare dove lo vediamo; cos una
sfumatura, una forma e via di seguito. Lambiguit delle
figure pluristabili consiste proprio in tale apparente im-
possibilit: possiamo affermare di vedere cose diverse in-
dicando la stessa cosa o il medesimo gruppo di segni.

Se so scrive Wittgenstein che ci sono differenti aspetti del-


lo schema del cubo, e voglio sapere che cosa un altro vede,
posso fare in modo che, oltre alla copia, egli faccia un model-
lo di quello che vede, oppure che me lo indichi; anche se egli
non sa affatto a che scopo io gli richieda due spiegazioni.47

La situazione descritta da Wittgenstein la seguente:


noi conosciamo la pluristabilit della figura e la mostriamo
a qualcuno che la osserva per la prima volta, non sapendo
che possibile vederla in due modi diversi. Lostensio-
ne consente di identificare una cosa quando abbiamo a
che fare con fatti fenomenicamente stabili. Nel caso di
una figura pluristabile, lostensione e la riproduzione non
sembrano essere i garanti di ci che stiamo osservando.
Indicare il cubo (o riprodurlo) non sufficiente ad assicu-
rarci come egli lo veda, ma unicamente che lo vede.
In certi casi nemmeno la riproduzione di un modello
tridimensionale sufficiente a catturare la nostra espe-
rienza. Nel caso del cubo schematizzato, esso non suf-
ficiente a chiarire se vediamo il cubo sporgere verso di
noi oppure allungato in direzione opposta: possiamo co-
municare la nostra esperienza visiva solamente attraverso
parole o gesti. Il dover ricorrere al gesto potrebbe far
pensare che lesperienza visiva sia, in senso stretto, ine-
sprimibile, o comunque esprimibile solo in modo vago e
approssimativo.48 Tuttavia, lidea di unesperienza privata
e inesprimibile discutibile. Il presupposto per parlare
di unesperienza specifica ci che dice o fa lindividuo.

47. L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 259, corsivo nostro.


48. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 57.
138 FENOMENOLOGIA ERETICA

Lesperienza caratterizzata dal fatto che lindividuo dice:


Vedo il disegno come un cubo sporgente verso di me,
oppure lo comunica a gesti. Se laspetto principale del-
la percezione consiste nel riconoscere che il contenuto
dellesperienza visiva dellindividuo fornito dalla spie-
gazione che lindividuo stesso offre di ci che ha visto49,
non meno importante teoricamente riconoscere che la
percezione non coincide con il comportamento del sog-
getto.50 Inoltre, alla percezione intrinseca la possibilit
di essere accompagnata da un gesto ostensivo. Le possibili
obiezioni non sembrano sufficienti a invalidare il metodo
ostensivo nellosservazione: possiamo chiedere al sogget-
to, anche nel caso di figure pluristabili, di indicarci quali
facce del solido egli vede prima e quali dopo. Il modo in
cui un soggetto riproduce ci che vede indice di come lo
vede: egli pu mostrarci quale faccia del cubo vede per
prima. Due sono le spiegazioni se due sono le cose a cui
ci riferiamo, poich la conformazione stessa del dato os-
servato a richiedere e consentire due possibili spiegazioni.
Si potr ancora obiettare che latto ostensivo impreciso
e indefinito: si indica una cosa ma non si sa esattamente
cosa si indica, se la cosa in generale, la sua forma o il suo
colore. Questo limite deve essere attribuito al linguaggio:
non solo il nostro agire in relazione alla cosa focalizza la
nostra attenzione verso i suoi possibili aspetti e usi, ma
il suo apparire anche il presupposto del suo essere un
oggetto condivisibile con altri. Su questa base gli altri
che assieme a noi fruiscono della pubblicit della cosa
osservata possono richiederci ulteriori specificazioni ri-
spetto a quella buona vaghezza che contraddistingue la
nostra esperienza percettiva della cosa. Cos la percezione
costituisce il sistema di riferimento comune con gli altri.
Ci che condividiamo con gli altri lapparire della cosa,

49. Ibid.
50. Per quanto riguarda il peso del comportamento in queste faccende, si tenga
presente il 83 della presente opera [le Osservazioni sulla filosofia della psico-
logia di Wittgenstein]: vedere non significa reagire cos, poich io posso
vedere senza reagire affatto. Naturalmente. Poich n io vedo significa: io
reagisco, n egli vede significa: egli reagisce, n io vidi, io reagii (P. Boz-
zi, Vedere come, cit. p. 130).
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 139

verso cui polarizziamo gesti, azioni e parole, misurando il


grado di specificazione e precisione che la situazione e il
contesto richiedono.

Wittgenstein evidenzia il ruolo del vedere-come per


operare un chiarimento concettuale sulla percezione visi-
va: Qual limportanza di questo fenomeno? davvero
tanto pi strana delle esperienze visuali quotidiane? Que-
sto fenomeno getta luce inaspettata su di esse? Nella
descrizione di esso, raggiungono il culmine (i) problemi
riguardanti il concetto di vedere.51 Il vedere-come si situa
allincrocio tra linformazione sensoriale e lelaborazione
concettuale. Sullo sfondo ritroviamo lannosa disputa tra
empiristi e innatisti: in che misura lesperienza passata,
ci che sappiamo, determina la percezione visiva?
Wittgenstein critica il modello psicologico secondo il
quale: (1) vedere un aspetto di un dato oggetto compor-
ta vedere un oggetto diverso dalloggetto dato (una forma
della fallacia dei dati sensoriali), e (2) la percezione non
permeabile alla cognizione.52 Resta da capire se nei casi
complessi di percezione visiva sussista realmente unin-
fluenza del sapere sulla percezione e se il vedere-come
possa essere considerato un vedere diverso rispetto a un
qualunque altro caso di percezione visiva.

51. L. Wittgenstein, Last Writings on the Philosophy of Psycology. The Inner and the
Outer 1948-1951, Blackwell 1992, tr. it. di B. Agnese, Ultimi scritti 1948-1951. La
filosofia della psicologia, Laterza, Roma-Bari 1998, I, 172; dora innanzi LS.
52. R. Casati, Il linguaggio psicologico, in D. Marconi (a cura di), Guida a Wittgen-
stein, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 236.
140 FENOMENOLOGIA ERETICA

Che la nostra esperienza muti nellosservazione del-


la figura anatra-lepre comprovato dal fatto che se mi
chiedessero cosa vedo, darei descrizioni o traccerei rap-
presentazioni differenti; nellun caso farei il disegno di
unanatra, nel secondo quello di una lepre.53 Nellesem-
pio considerato, trattandosi di una figura ambigua, po-
tremmo anche affermare che due persone vedono due
animali, unanatra e una lepre, mentre disegnano la stessa
figura. Il vedere-come non pu essere considerato solo
un pensare, poich vedere laspetto significa notarlo,
e questo implica un tratto genuinamente percettivo del
vedere-come, che a sua volta non consiste in una semplice
sovrapposizione della percezione di un oggetto a unin-
terpretazione concettuale.
Quando vediamo unanatra in carne e ossa memoriz-
ziamo ci che abbiamo visto, determinando una classifica-
zione. La percezione di un surrogato pu adattarsi a questa
classificazione determinando lesperienza immediata del
significato: ci avviene immediatamente poich sappiamo
come vederla? Tale considerazione non implica lesisten-
za di due modi di vedere. Una circostanza simile avviene
quando impariamo a leggere: le lettere non vengono pi
viste come segni, ma associate direttamente al significato
delle parole. Non possiamo dire nemmeno di vedere un
pezzo della scacchiera in modo diverso perch conosciamo
il significato del cavallo allinterno del gioco degli scacchi;
in tal caso dovremmo poter indicare al nostro interlocutore
che cosa (quale aspetto) vediamo diversamente da lui.
Possiamo riprendere la nozione del vedere-come nei
seguenti termini: Vedere X come Y almeno vedere X,
ed effettuare unappropriata connessione tra X e qualco-
sa del tipo Y. Ci che costituisce unappropriata connes-
sione varier secondo le circostanze. [...] Affinch possa
vedere X come Y, A deve possedere il concetto di Y.54 Ma
vedere X come Y non implica una connessione necessa-

53. L. Wittgenstein, BPP, I, 80.


54. C.E. Dunlop, Wittgenstein on Sensation and Seeing-As, in Synthese, 60, (1984),
pp. 360-361. Cfr. C. Mautarelli, Visione e interpretazione in Wittgenstein, cit.,
pp. 163 sg.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 141

ria tra X e Y: non vedo affatto lanatra come una lepre,


ma vedo lanatra o la lepre, lappropriata connessione
riguarda un caso specifico di somiglianza e non il vedere-
come: possibile che qualcuno che non possiede il con-
cetto di lepre veda una lepre nella figura anatra-lepre?
Wittgenstein risponde negativamente a tale interrogativo
e afferma che il contesto pu influenzare la percezione.
Se per esempio la figura posta tra un certo numero di
immagini di anatre pu facilmente essere vista non come
una lepre, ma come unanatra. Dovrei dire: Una lepre
pu assomigliare ad unanatra? Sarebbe pensabile, si
domanda Wittgenstein, che qualcuno, sapendo che cos
una lepre, ma non che cos unanatra, dicesse:

Posso vedere quel disegno come una lepre e anche in un


altro modo (aspetto), sebbene per descrivere il secondo
modo non ho la parola adatta perch non ho mai visto prima
unanatra.55

In seguito, egli viene a sapere che cos unanatra (non


si tratta di un sapere cognitivo appreso attraverso una de-
scrizione, bens osservando la realt direttamente) e dice:
Allora quello che ho visto! Si potrebbe sostenere che
si vedono i due aspetti della figura senza identificare la
seconda figura, ma non quanto Wittgenstein vuole dirci.
Il punto che per Wittgenstein la bistabilit dellaspet-
to anatra-lepre presuppone la conoscenza di com fatta
unanatra e una lepre.
Una lepre non pu assomigliare a unanatra, eppure
la figura composta esattamente dagli stessi elementi; al-
lora possiamo affermare che questa figura disegnata sulla
carta non assomiglia a se stessa? Se ragioniamo in modo
analitico dovremmo dire non solo che falso che lana-
tra non assomigli alla lepre, ma addirittura che esse sono
la stessa cosa. Sennonch, nella realt lepre e anatra non
sono affatto cos. Se le linee che compongono il disegno
sono le medesime per i due animali, allora il disegno lo
stesso; ci che rappresentato da quelle linee assomiglia

55. L. Wittgenstein, BPP, I, 70.


142 FENOMENOLOGIA ERETICA

necessariamente a ci che rappresentato, anche se non


c alcuna somiglianza tra unanatra e una lepre.56 Questo
non autorizza a concludere che i segni-disegni siano ar-
bitrari. La possibilit di riconoscere un numero limitato
di animali a partire dal medesimo surrogato non frutto
di una convenzione: il numero di informazioni che lo sti-
molo (o meglio la figura osservata) mette a disposizione
determina il grado di verosimiglianza dellimmagine, am-
pliando o restringendo il ventaglio interpretativo (il nu-
mero di possibili referenti). Ancora una volta ci dipende
da cosa vediamo e non dalle inclinazioni o dallattivit
mentale dellosservatore.
Sarebbe pensabile che una persona, sapendo che c
una lepre ma non unanatra, dicesse: Posso vedere il dise-
gno come una lepre, per anche in un altro modo. Proba-
bilmente si tratta di un altro animale, forse immaginario,
che non sono in grado di descrivere.57 Potrebbe essere il
caso di un membro di una trib primitiva che si trovasse
di fronte a unanatra (o allimmagine di unanatra) per la
prima volta. Il punto da considerare il passaggio dalla raf-
figurazione alloggetto, che pu essere rappresentato con
modalit allusive (per esempio una caricatura) e grazie alle
quali veniamo a sapere che cos unanatra. Possiamo dare
uninterpretazione di un oggetto mentale che allinizio
era vuoto, e solo grazie alla spiegazione tramite parole
e figure veniamo a conoscenza del concetto che lo caratte-
rizza, determinandone una possibile identificazione.
A questo punto sono necessarie due premesse, una
maggiore e una minore:

1. Se la figura reversibile, la vediamo tale perch ognu-


na delle due facce corrisponde a un oggetto differen-
te (per es. il cubo di Necker). Si pu affermare che
la maggior parte delle figure reversibili sono prive di
significato. Non occorre che vi sia familiarit con due

56. Cfr. P. Spinicci, Lezioni sulle Ricerche filosofiche di Wittgenstein, Cuem, Milano
2002, cap. 18.
57. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 70.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 143

oggetti diversi per poter vedere in una figura la sua


bistabilit, ossia i suoi due aspetti diversi.
2. Possiamo realizzare il disegno di un animale che il no-
stro interlocutore non ha mai visto, cos quando lo in-
contrer nella realt sar in grado riconoscerlo (come
nel caso dellidentikit di una persona).

Sommando le due premesse diviene possibile ci che


per Wittgenstein non era possibile, e cio il disegno pu
essere tale da farci vedere una lepre e unaltra cosa che
pu essere il disegno di un animale a noi sconosciuto e
che per siamo pronti a riconoscere non appena lo incon-
triamo la prima volta.
Possiamo quindi avere figure reversibili in cui si vedo-
no due cose, di cui luna o laltra priva di riferimento.
Allo stesso modo pu verificarsi il caso in cui disegniamo
animali ignoti allosservatore, il quale sar capace di rico-
noscerli allorquando li incontrer per la prima volta. Da
ci deriva la possibilit di riconoscere la realt attraverso
il disegno.58
Nel caso dellanatra-lepre le due soluzioni percettive
non si assomigliano, bench le strutture portanti siano
identiche. Dato lo stesso sistema di segni tracciato sullo
sfondo, vi dovrebbe essere piena identit tra la lepre e
lanatra, ma pur essendoci identit per ogni punto della
figura, non c somiglianza tra i due elementi. possibile
che una figura sia bistabile e in una delle soluzioni per-
cettive il nostro osservatore riconosca qualcosa, mentre
nellaltra non riconosca alcunch. Supponiamo che, cam-
minando, losservatore incontri un certo animale sulla
sua strada, lo veda e affermi: Ecco quello che io vedevo
nella seconda alternativa della figura bistabile!. Wittgen-

58. Non potremmo immaginarci scrive Wittgenstein che qualcuno possa


descrivere la forma completamente sconosciuta che sorge davanti a lui altret-
tanto esattamente quanto possa farlo io, che conosco questa forma? E non
questa la risposta? Certo, in generale non sar cos. Anche la sua descrizione
suoner del tutto diversamente. Io ad esempio dir Lanimale aveva lunghe
orecchie lui invece: Cerano due lunghe appendici e poi le disegner
(L. Wittgenstein, LS, I, 541).
144 FENOMENOLOGIA ERETICA

stein sostiene che non possibile, ma evidentemente lo ,


principalmente per due ragioni:

1. Si dnno figure bistabili anche quando non c nul-


la da riconoscere nelle varie soluzioni percettive (per
esempio avendo figure percettive astratte); quindi
possibile vedere la bistabilit anche senza alcun richia-
mo associativo a una qualche esperienza concreta.
2. Facciamo lo schizzo di qualche animale che linterlo-
cutore non ha mai visto: possibile che, sulla base di
questo schizzo, egli veda lanimale e dica: Ecco, que-
sto lanimale dello schizzo.

Dato che queste due cose sono vere, vera anche la


somma logica che nega laffermazione di Wittgenstein.

6. Essere ciechi a un aspetto

Analizziamo il caso della cecit a un aspetto, ossia


il caso in cui ci rapportiamo alle figure in modo diverso
da come si rapporterebbe una persona che non vede gli
aspetti.59 Wittgenstein si sofferma su una figura triango-
lare che pu essere vista in diversi modi: un foro trian-
golare, un solido, una figura geometrica appoggiata sulla
propria base o appesa per un vertice, una montagna, un
cuneo, una freccia eccetera.

Vedi il triangolo scrive Wittgenstein in modo che c sia la


base e C il vertice; e ora in modo che la base sia b e il vertice B.

59. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 48.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 145

Che cosa fai? E soprattutto: Sai quello che fai? No. Bene,
forse lo sguardo che prima si fissa sulla base e poi si sposta
sul vertice. Ma sei in grado di affermare che in un altro
contesto lo sguardo non potrebbe muoversi esattamente alla
stessa maniera senza che tu abbia visto il triangolo in questo
modo? Prova a fare questaltro esperimento. Vedi il triangolo
in modo tale che (come la punta di una freccia) punti ora
nella direzione A, ora nella direzione B.60

Immaginiamo lesperienza di una persona che non


in grado di vedere i diversi aspetti della figura; in questo
caso potremmo dire che un cieco agli aspetti vedrebbe
ci che vediamo noi, nel senso che sarebbe in grado di de-
scrivere (e copiare) le propriet geometriche della figura,
ma per ipotesi non direbbe mai di vederla in un modo
particolare. Ci fa pensare che lunica differenza tra noi e
lui sia che noi diciamo certe cose che quella persona non
dice; ci indica allo stesso tempo che il suo modo di re-
lazionarsi alla figura diverso dal nostro.61 Le espressioni
linguistiche indicano che ci rapportiamo alla figura nello
stesso modo in cui ci rapportiamo alla cosa. (Il surrogato
svolge la funzione della cosa, non soltanto la denota bens
la sostituisce).
Sulla base di queste considerazioni potremmo pensa-
re che vi siano diversi tipi di aspetti e, di conseguenza,
ritenere erroneamente che esistano diverse tipologie di
vedere-come: per esempio, occorre immaginazione per
vedere un triangolo come un pezzo di vetro rotto mentre
non ce ne vuole affatto per vedere i vari aspetti di una
figura62 come accade per la doppia-croce. Ci che con-
traddistingue le immagini pluristabili dallinterpretazione
una ristrutturazione del dato osservato: se ci non avvie-
ne significa che siamo nel campo dellimmaginazione e
dellinterpretazione, e non della percezione. Il triangolo
pu essere interpretato come una montagna, una freccia
o qualunque altra cosa, senza che la cosa osservata muti.

60. L. Wittgenstein, BPP, I, 23; cfr. ivi, I, 315; cfr. PU, II, XI, p. 264.
61. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 48.
62. Ivi, p. 53. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 70, 80, 82 e 84.
146 FENOMENOLOGIA ERETICA

Linterpretazione modifica e determina il nostro


modo di relazionarci alla cosa osservata, ma non la cosa
osservata in quanto tale. Laspetto di una cosa non as-
similabile, come propriet della figura, alla pluristabilit
dellimmagine: esso rappresenta il potenziale espressivo
della figura. Wittgenstein definisce laspetto, quasi leco
inarticolato di un pensiero, mentre andrebbe ricondot-
to allarticolazione dellintero contenuto espressivo
della figura. Laspetto della cosa (triangolo, freccia ecc.)
coincide con le qualit espressive di quella cosa, non vi
un mutare dellaspetto nel senso del passaggio da una
figura a unaltra figura. Le qualit terziarie determinano
il ruolo delle parti della figura come, nel caso del trian-
golo, il potere delle punte di indicare una direzione.63
Laspetto di una punta del triangolo si impone sulle rima-
nenti per dirci di guardare verso una certa direzione; il
concetto di montagna ci consente di scoprire un aspet-
to diverso della figura: un altro ruolo giocato da unaltra
punta. Laspetto della cosa nel senso che il significato
per esempio di palla, uomo, nuvola eccetera non
consentono di scoprire alcun aspetto della figura, e, in
questo senso, sono qualit espressive del segno.
Analizziamo il caso seguente: ci troviamo di fronte
alla figura di un palloncino che si libra verso il cielo. Se
il disegno realizzato con cura, potremmo esprimere la
nostra reazione dicendo: Ti fa avvertire la leggerezza del
palloncino: come se il prossimo alito di vento dovesse
soffiarlo via dalla figura.64 Espressioni simili a questa sug-
geriscono che effettivamente vediamo il palloncino che
vola, e non semplicemente unimmagine che rappresenta
questa situazione. Colui che si trovasse di fronte alla me-
desima scena, ma cieco allaspetto, avrebbe una reazione
completamente diversa: sarebbe cosciente quanto noi
dei segni sulla carta, ma, per ipotesi, si rapporterebbe ad
essi unicamente come segni.65 Poniamo per esempio di

63. Cfr. P. Bozzi, Vedere come, cit., pp. 119-128.


64. P. Johnston, Introduzione alla filosofia della psicologia di Wittgenstein, cit., p. 49.
Cfr. L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 265.
65. Ibid.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 147

disegnare un oggetto vagamente circolare. Un osservato-


re potrebbe essere daccordo con noi nel designarlo come
palloncino, tuttavia subito dopo aggiungerebbe che gli
stessi segni possono rappresentare anche molte altre cose,
a seconda del contesto nel quale li inseriamo. Infatti, in-
seriti in un manuale di istruzioni potrebbero indicare la
misura di un foro da praticare, eccetera: ma il punto che
di per s questi segni sono una forma specifica.66
Largomentazione appare convincente; tuttavia, se ci
trovassimo ciechi a un aspetto nellosservare una figura
ambigua, come lanatra-lepre, vedremmo unicamente o
lanatra o la lepre. In tal caso il problema non si porreb-
be poich la figura per colui che losserva una figura
stabile, e non doppiamente stabile. Il fatto che due per-
sone vedano nella medesima figura bistabile due cose
distinte dipende dallorganizzazione formale della figura
(cosa) che si presta a essere vista come due figure. La pos-
sibilit iscritta nella Gestalt dellimmagine osservata. Un
caso simile lo riscontriamo tutte le volte che osservando
le nuvole scopriamo in una di esse un volto. (E certo non
attribuiamo al vento lintenzione o la volont di averlo
disegnato). Tale scoperta non dipende principalmente
dai nostri concetti e dalla nostra esperienza passata, bens
dalla configurazione assunta dallosservabile. Nellesem-
pio del palloncino non vi alcuna ristrutturazione visiva e
quindi non si tratta di vedere il palloncino in modo diverso,
ma di cogliere alcuni suoi aspetti in modo diverso.
Si potrebbe sostenere che lindividuo ha una nuova
esperienza visiva, bench loggetto che ha dinanzi rimanga
invariato. Se anzich vedere dei segni egli vedesse il pal-
loncino, potremmo dire che qualcosa rimane invariato.
Rovesciando i termini, necessario chiederci se il cieco
allaspetto possa scoprire nei segni che osserva le qualit

66. Ivi, p. 50. Questi esempi evidenziano la differenza tra la relazione che noi
abbiamo con le figure e quella che ha il cieco agli aspetti; in tal senso, gli
esempi giustificano laffermazione che noi vediamo le figure diversamente da
lui. Inoltre questa spiegazione chiarisce il fenomeno della comparsa improv-
visa di un aspetto: vuol dire che, in un simile caso, ci rapportiamo alla figura
prima come un certo oggetto, poi come un altro (ibid).
148 FENOMENOLOGIA ERETICA

espressive (o terziarie) proprie della figura.67 Ammettendo


ci, il surrogato (i segni sulla carta) sostituirebbe, in modo
pi o meno efficace, il palloncino, ossia i modi di apparen-
za di quella tal cosa; quindi i modi di apparenza della figu-
ra non stanno per un palloncino, ma sono il palloncino.
Allo stesso modo, quando vediamo una fotografia di Witt-
genstein, non diciamo che essa sta per Wittgenstein.
Scoprire unaltra immagine la bistabilit di una fi-
gura non altera la natura dellosservazione diretta, n
vi un sostrato che rimane invariato rispetto allesperien-
za immediata. Colui che cieco a un aspetto della figura
(della cosa osservata) vede qualcosa di meno rispetto a ci
che possibile scoprire nella stessa.

7. Il cubo di Necker: da Merleau-Ponty a Wittgenstein

A questo punto possiamo riprendere in esame lesem-


pio del cubo: nello specifico il cubo di Necker. La perce-
zione del cubo , come abbiamo visto nel capitolo prece-
dente, un esempio paradigmatico della percezione della
cosa: lesame di un cubo trasparente, dove ogni faccia del
solido risulta visibile, consente qualche ulteriore conside-
razione.
Confrontiamo le osservazioni di filosofia della psico-
logia di Wittgenstein e in parte quelle di Merleau-Ponty.68

67. Gibson comprende le qualit espressive nel concetto di affordances (Cfr. J.J.
Gibson, The Ecological Approach to Visual Perception, Houghton Mifflin, Boston
1979, tr. it. di R. Luccio, Un approccio ecologico alla percezione visiva, Il Mulino,
Bologna 1999, cap. 8). Possiamo considerare le qualit espressive n sogget-
tive n oggettive; esse tuttavia dipendono dalla conformazione del dato fe-
nomenico, come scrive Wittgenstein: Il timore in generale io non lo
congetturo in lui, lo vedo.
68. Pu sembrare un abbinamento improprio, ma senza spingerci oltre il sem-
plice accostamento ci limiteremo a trattare esempi specifici, utilizzati sia da
Merleau-Ponty che da Wittgenstein (circoscrivendo lanalisi a fatti diretta-
mente osservabili). Entrambi i filosofi hanno esaminato immagini tratte dalla
psicologia della Gestalt, discutendone dettagliatamente figure ed esperimenti.
Tali immagini possono essere considerate fatti sotto osservazione, comuni a
loro quanto a noi. Sullargomento Merleau-Ponty-Wittgenstein si veda, per
esempio, il saggio di J.-P. Cometti, Merleau-Ponty, Wittgenstein, and the Question
of Expression, pp. 73-91 in Revue Internationale de Philosophie, n. 1, (2002),
pp. 73-91.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 149

Linfluenza esercitata dalla psicologia della Gestalt, e in


particolare da Khler, sul concetto di percezione di Witt-
genstein e di Merleau-Ponty documentata: entrambi
hanno rifiutato spiegazioni fisiologistiche e causalistiche
(approcci di stampo riduttivista e inferenzialista) della
percezione visiva. Lesperienza immediata non pu essere
spiegata riducendola alle basi fisiologiche sottostanti,
n indagando i processi retinici, n i processi cerebrali.69
Lanalisi concettuale di Wittgenstein e la fenomenologia
di Merleau-Ponty offrono delle alternative alle teorie em-
piriche e costruttiviste della percezione.
Non tutti gli interpreti di Wittgenstein sono concordi
nel classificare il cubo di Necker come un caso di vedere-
come: essendovi una vera e propria ristrutturazione spa-
ziale (un mutamento di posizione della figura) lesempio
apparterrebbe a una tipologia diversa rispetto allambi-
guit presente in figure come lanatra-lepre (in cui vi
una ristrutturazione del dato, ma non un mutamento di
posizione della figura). Premesso questo, sarebbe possi-
bile distinguere le figure reversibili dalle figure ambi-
gue; solo queste ultime sarebbero riconducibili a casi di
vedere-come.70

69. Cfr. L. Wittgenstein, BPP, I, 80. Per un approfondimento di questo tema


si veda: P. Engel, Philosophie et psychologie, Gallimard, Paris 1996, tr. it. di E.
Paganini, Filosofia e psicologia, Einaudi, Torino 2000, cap. II.
70. Riteniamo invece che la nozione di vedere-come, utilizzata da Wittgenstein,
non implichi questa suddivisione: a meno di non voler nuovamente distin-
guere casi semplici, considerati puramente ottici, da casi complessi che impli-
cano concetti e attivit cognitive superiori (rispetto alla semplice percezione
ottico-visiva), con tutte le difficolt teoriche fin qui evidenziate che una tale
suddivisione comporta.
150 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il cubo di Necker (figura a) fu realizzato nel 1832 dal-


lo studioso svizzero di cristallografia Louis Albert Necker:
come indicato nelle figure b e c possibile vedere lim-
magine in due diverse posizioni. Sullesempio si esercita
Merleau-Ponty quando afferma:

Un cubo disegnato sul foglio muta aspetto a seconda che vi-


sto da una parte o dal di sopra, oppure dallaltra e dal di sotto.
Anche se io so che esso pu essere visto in due modi, accade che
la figura si rifiuti di mutare struttura e che il mio sapere debba
attendere la sua realizzazione intuitiva.71

Come Wittgenstein, Merleau-Ponty coglie unautono-


mia della dimensione estetico-sensibile rispetto al logos,
evidenziando come la volont non sia una condizione ne-
cessaria per ottenere il rovesciamento del cubo. Infatti,
accade che la figura si rifiuti di mutare struttura. lo stesso
interrogativo che si pone Wittgenstein nelle Osservazioni
sulla filosofia della psicologia: Vedo effettivamente una cosa
diversa ogni volta, o interpreto soltanto in maniera diver-
sa quello che vedo? Entrambi i filosofi sembrano evitare
una rigida dicotomia tra vedere e pensare, riconoscendo
autonomia al piano fenomenico delle cose. Come abbia-
mo avuto modo di sottolineare, Wittgenstein distingue il
piano interpretativo dal vedere in senso stretto. Rileggia-
mo quanto egli scrive:

71. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 71. Ne La struttura


del comportamento Merleau-Ponty afferma che vedere le sei facce del cubo
contemporaneamente come se fossero trasparenti implica il cambiamento
della natura da oggetto fisico opaco a trasparente. Con questa trasforma-
zione non avremmo risposto allo scetticismo poich abbiamo mutato ra-
dicalmente loggetto in questione; esso un altro cubo: Una visione che
non procedesse da un certo punto di vista e che ci desse ad es. tutte le facce
di un cubo in una sola volta, una pura contraddizione in termini, poich,
per essere visibili tutte in una volta, le facce di un cubo di legno dovrebbero
essere trasparenti, cessando quindi di essere un cubo di legno (Id., Struttura
del comportamento, cit., p. 342). Anche se le sei facce di un cubo trasparente
fossero visibili sotto forma di quadrato, non potremmo affermare di vedere
un cubo.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 151

Si potrebbe immaginare che lillustrazione

si trovi in molti luoghi di un libro, per esempio, di un trattato.


Nel testo che accompagna questa figura si parla, ogni volta,
di qualcosa di diverso: una volta di un cubo di vetro, unaltra
volta di una cassa aperta e capovolta; ora di unintelaiatura di
filo che ha questa forma; ora di tre tavole che formano un an-
golo solido. Ogni volta il testo d uninterpretazione dellillu-
strazione. Ma potremmo anche vedere questillustrazione ora
come luna ora come laltra cosa. Dunque linterpretiamo; e
la vediamo come linterpretiamo.72

Se le nostre interpretazioni determinassero il vedere,


ogni cosa potrebbe diventare il risultato delle nostre in-
terpretazioni: Orbene si domanda Merleau-Ponty se
si vede ci che si giudica, come distinguere la percezione
vera da quella falsa?.73 Ma uninterpretazione pu essere
vera o falsa, mentre lapparire fenomenico possiede una
propria autonomia: a rigore, potremmo dire, non n
vero n falso; solo i nostri giudizi che si riferiscono al dato
fenomenico possono risultare veri o falsi. La cosa sotto os-
servazione rimane indifferente al nostro giudizio. Il caso
delle illusioni di Mller-Lyer paradigmatico: leffetto il-
lusorio, come vedremo, non svanisce dopo aver scoperto
luguaglianza, rimanendo tale e quale.
Merleau-Ponty, prendendo in esame limmagine del
cubo, coglie il senso della profondit, la capacit di impor-
si allo sguardo: il disegno stesso a tendere verso la pro-
fondit, cos come una pietra che cade va verso il basso.74
Possiamo percepire la prima immagine sia come un cubo
visto dal basso con la faccia ABCD anteposta, sia come un

72. L. Wittgenstein, BPP, I, 9.


73. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., pp. 71-72.
74. Ivi, p. 349.
152 FENOMENOLOGIA ERETICA

cubo visto dallalto con la faccia EFGH anteposta, sia, in-


fine, come un mosaico da cucina composto da dieci trian-
goli e un quadrato.75 La seconda figura sar vista quasi
inevitabilmente, come un cubo, giacch questa lunica
organizzazione che la mette in simmetria perfetta.

Merleau-Ponty pare contraddirsi quando afferma che


la profondit nasce sotto il mio sguardo perch esso cerca
di vedere qualcosa, mentre pi che cercare, esso sempli-
cemente vede. Poi per aggiunge che lorganizzazione in
profondit distrutta se aggiungo al disegno non delle linee
qualsiasi (la terza figura rimane pur sempre un cubo), ma
delle linee che disgiungono gli elementi del medesimo
piano e congiungono quelli di piani diversi, dimostran-
do che il risultato dipeso dallintervento sullimmagine
e non dallatteggiamento assunto di fronte allimmagine.
Tale contraddizione pu essere risolta distinguendo il ve-
dere dal guardare: non si impara a vedere, ma a guarda-
re. Possiamo guardare la prima figura come un mosaico
di cucina unicamente a condizione di portare prima il
mio sguardo al centro, poi di distribuirlo uniformemente
sullintera figura. Allo stesso modo in cui Bergson attende
che la zolletta di zucchero si sia sciolta, talvolta io sono co-
stretto ad attendere che lorganizzazione si effettui.76
N lintellettualismo n lempirismo sembrano rende-
re ragione di come lo sguardo sia capace di cogliere la
cosa senza mediazione. Limmagine del cubo, come la pit-

75. Ibid.
76. Ivi, p. 350. Anche nei casi in cui lorganizzazione ambigua e in cui posso
farla variare, non ci riesco direttamente; una delle facce del cubo passa in
primo piano solo se la guardo per prima, se il mio sguardo muove da essa per
seguire gli spigoli e trovare infine la seconda faccia come uno sfondo indeter-
minato (ibid.).
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 153

tura in generale, costringe il logos a pensare la cosa nella


sua esteriorit, a cominciare dal suo aspetto.

, dice lempirismo, associare allaspetto effettivo del disegno


una serie di altre apparenze, quelle che esso offrirebbe visto
pi da vicino, visto di profilo, visto sotto differenti angoli. Ma
quando vedo un cubo, io non trovo in me nessuna di queste
immagini, esse sono la materia di una percezione della profon-
dit che le rende possibili e non deriva da esse.77

Qual quellatto unico che rende possibile il cogli-


mento di tutte le apparenze? Lintellettualismo lo indivi-
dua nel pensiero del cubo come solido fatto di sei facce
uguali e di dodici spigoli uguali che si intersecano ad an-
golo retto, e la profondit non altro che la coesistenza
delle facce e degli spigoli eguali. Questo significa offrire
come definizione della profondit ci che ne solo una
conseguenza:

tutto il senso della profondit non esauribile nelle sei facce


e nei dodici spigoli eguali e, per contro, tale definizione non
ha senso senza la profondit. Le sei facce e i dodici spigoli
possono coesistere e al tempo stesso rimanere eguali per me
solo se si dispongono in profondit.78

Empirismo e razionalismo, Berkeley come Cartesio,


identificano la profondit con lo spessore della cosa. Tale
identificazione possibile solo a patto che lo sguardo si
trovi in un non luogo. La prospettiva della cosa e la sua
profondit vengono cos celate nel tentativo di cogliere
il cubo dallinterno, di coglierne lessenza. In questo non
luogo di percezione lo spessore e la profondit dei lati
diventano la stessa cosa.
I pittori, al contrario, risvegliano il senso autentico
della cosa riconsegnandolo alla percezione, incarnando la
profondit nella dimensione trascendentale della visione.
Il loro sguardo coglie i lati del cubo nella loro disugua-
glianza; in questo modo, essi rispettano la condizione di

77. Ivi, p. 351, corsivo nostro.


78. Ibid., corsivo nostro. (Cfr. Id., La prosa del mondo, cit., p. 149).
154 FENOMENOLOGIA ERETICA

uguaglianza delle dimensioni del cubo. Emerge il tema


della reversibilit che sar oggetto di studio degli ultimi
scritti di Merleau-Ponty: i tre lati del cubo sono quadrati
(larghezza) anche se, analizzando due facce appaiono in
prospettiva come rombi (profondit). Le due esperienze
si escludono e si appartengono allo stesso tempo, cio
fanno parte di un unico atto percettivo. Immagine e cosa
sono reversibili in quanto partecipano entrambe allo
stesso fenomeno: iscritti nel medesimo essere, possiedo-
no la medesima struttura e modalit dapparenza. Vi
reversibilit tra la profondit oggettiva, cio la larghezza,
e la prospettiva soggettiva, che rappresenta la condizio-
ne per cogliere la stessa oggettivit. Lidea di reversibilit
permette di superare la contrapposizione tra soggetto e
oggetto.

Latto che corregge le apparenze, che d agli angoli acuti od ot-


tusi valore di angoli retti, ai lati deformati valore di quadrato,
non il pensiero delle relazioni geometriche di eguaglianza e
dellessere geometrico al quale esse appartengono, ma linve-
stimento delloggetto da parte del mio sguardo che lo penetra,
lo anima, e fa valere immediatamente le facce laterali come
quadrati visti di sbieco, a tal punto che non li vediamo nemme-
no sotto il loro aspetto prospettico di rombi.79

Prendiamo in esame nel dettaglio la percezione di


queste figure riflettendo su alcune considerazioni di Witt-
genstein: sono visibili unicamente tre facce, nonostante
ci vediamo un cubo.

79. Ivi, p. 341.


NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 155

Un cubo un corpo simmetrico estremamente regolare o


quella cosa irregolare che vedo guardandolo da un angolo?
Su che cosa dovrei insistere? Dovrei dire: primariamente ir-
regolare ma lo si potrebbe rappresentare come qualcosa di
regolare, irregolarmente proiettato, oppure: primariamente
regolare ma irregolarmente proiettato.80

In questo passo Wittgenstein tocca il nocciolo del pro-


blema. Il cubo prima di tutto un corpo regolare, oppure
tale regolarit astratta e definita a partire dallirregolari-
t osservata da un angolo prospettico? Il cubo in primo
luogo irregolare, oppure regolare ma irregolarmente pro-
iettato? Il dato primo lapparire di un solido regolare che
possiamo rappresentare e osservare da un certo angolo
prospettico come irregolare, ma tale presunta irregolarit
come il cubo appare come solido regolare da quella
determinata posizione. Queste considerazioni valgono sia
per la rappresentazione di un cubo sia per losservazione
del cubo fisico.
Soffermiamoci sullimmagine del cubo;81 il tempo non
pi un elemento determinante, poich non pi pos-
sibile, attraverso un intervallo temporale, girare attorno
alla cosa osservando le diverse prospettive delloggetto.
Non dobbiamo pi aspettare che lo zucchero si sciolga;
tre facce del solido disegnate sono sufficienti a rappresen-
tare un cubo. Nel cubo-immagine vedo un cubo, eppu-

80. L. Wittgenstein, Esperienza privata e dati di senso, a cura di L. Perissinotto, Ei-


naudi, Torino 2007, p. 27.
81. Lideazione delle immagini e dei concetti scrive Derossi costitutiva-
mente condizionata dalla struttura spazio-temporale degli oggetti stessi. Cos,
nellesempio del cubo, la sua definizione ovvero la formulazione della sua
ideazione geometrica sembra immune dalle limitazioni inerenti alla per-
cezione di un cubo in carne e ossa nella misura in cui d per scontato che tutti
i suoi lati siano conosciuti contemporaneamente; e in effetti la circostanza
medesima che comprendiamo il senso della definizione implica che nella
nostra mente li concepiamo in tal modo: ma non perch li intuiamo in-
tellettualmente tutti insieme nello stesso istante, bens perch, nellideare
il cubo, basta, come nel percepirlo, vedere tre lati per intra-vedere anche
gli altri. Fra esistenza e conoscibilit del reale sussiste dunque un circolo
virtuoso, una sorta di retro-azione come nelle strutture complesse (di qui pure
lessenziale funzione delle mappe mentali, anche p. es. nei comportamenti
animali mirati, come quello della predazione) (Cfr. supra, nota 14).
156 FENOMENOLOGIA ERETICA

re di facce sul supporto cartaceo ne sono fisicamente


presenti solo tre.
possibile disegnare lintelaiatura di un cubo che ap-
parir trasparente (come un cubo di vetro) rendendo cos
compresenti tutte e sei le facce. Probabilmente lo scettico
non si sentirebbe appagato dallevidenza procuratagli dalla
raffigurazione delle sei facce del cubo trasparente; egli ve-
rosimilmente ci ricorderebbe che il cubo disegnato non
un cubo, per lappunto solo un cubo disegnato. Eppure,
significativo che davanti a tre facce di un solido raffigura-
to non solo appaia laspetto del cubo, ma appaia un cubo
come se possedesse tutte e sei le facce. Leventuale mancanza
di tre facce non pu essere comprovata, non possiamo de-
cidere se sia la rappresentazione di un cubo o di met: resta
il fatto che viene vissuto come se fosse intero.
Ci simile a quanto accade davanti a un solido com-
posto da materiale opaco: se esplorandolo scoprissimo che
il cubo privo di tre facce, andremmo incontro a un effet-
to di delusione (fenomeno studiato dallo stesso Husserl).
Ci aspettiamo un cubo intero, non solo perch sappiamo
come fatto un cubo, ma innanzitutto perch tale aspet-
tativa strutturata dalle modalit di apparenza della cosa.
La prospettiva del cubo stata congelata in una veduta che
corrisponde allaspetto dellimmagine prospettica di esso.
Che il tempo non sia pi epistemologicamente rile-
vante ha evidenti implicazioni. La prima che il dubbio
scettico, cos come stato formulato nel capitolo prece-
dente, viene meno. Non possibile dubitare tra il prima e
il dopo poich vi solo il presente: Adesso vedo un cubo.
Limmagine rimane la stessa, ma limmagine di un cubo?
Oppure, pi semplicemente, dicendo un cubo, asse-
riamo vedo limmagine di un cubo.

Limpressione visiva dei disegni visti come figure solide ha tre


dimensioni: per essa lo schema del cubo (per esempio) un
cubo. (Infatti la descrizione dellimpressione la descrizione
di un cubo).82

82. L. Wittgenstein, PU, II, XI, p. 266. E ora si sarebbe inclini a dire: limpres-
sione visiva dei disegni visti in modo tridimensionale tridimensionale; nel
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 157

La seconda che il concetto di immagine non una


condizione necessaria per vedere ci che di fatto osservia-
mo: il cubo appare nel nostro campo visivo pur non pren-
dendo coscienza della cosa dalle sei facce uguali.83
Di fronte allimmagine ci comportiamo come se ci tro-
vassimo di fronte a un cubo fisicamente presente? Possiamo
relazionarci allimmagine in questo modo? Vediamo la pro-
fondit del cubo, percepiamo la sua tridimensionalit. Si
potrebbe ritenere che vediamo la somiglianza con un cubo
fisico (somiglianza esterna) e perci riconosciamo limmagi-
ne come limmagine di un cubo. Ci parrebbe verosimile,
tuttavia possiamo vedere limmagine pur non sapendo cosa
sia un cubo: per esempio, possiamo mostrare limmagine
per far capire a qualcuno cosa intendiamo con il concetto
di cubo. Oppure, per esplicitare sia il concetto di immagine
sia il concetto di cubo, possiamo disegnare una cosa fatta
cos e cos, con queste caratteristiche, fino a quando vi
la possibilit di indicarle o rappresentarle. Pi complessa
risulterebbe invece la spiegazione del concetto di ipercubo.
In Zettel Wittgenstein annota il seguente pensiero:

Nulla di pi facile che rappresentarsi un cubo quadridimen-


sionale! Ha questaspetto:

caso dello schema del cubo, per esempio, un cubo. (Perch la descrizione
dellimpressione la descrizione di un cubo) (Id., LS, I, 626).
83. La rappresentazione o immagine scrive Derossi per certi versi si ri-
vela, pur nei suoi limiti, o proprio in virt di essi, pi potente della stessa
presentazione percettiva, in quanto, con opportuni accorgimenti (come
per esempio la prospettiva), riesce a far vedere simultaneamente ci che la
presentazione non pu che far percepire successivamente. Questa maggiore
potenza conoscitiva per pagata con una diminuzione del grado di perce-
zione della realt tipica del mondo delle immagini, come del resto anche
di quello dei simboli (Cfr. supra, nota 14).
158 FENOMENOLOGIA ERETICA

Ma io voglio dire questo: voglio dire qualcosa come:

ma con quattro dimensioni! Ma quello che ti ho fatto vedere


io non appunto qualcosa come

solo con quattro dimensioni? No, non intendo questo! ma


che cosa intendo? Qual la mia immagine? Ebbene, non
affatto il cubo a quattro dimensioni, cos come lhai disegna-
to tu! Come immagine, ora ho soltanto le parole e il rifiuto di
tutto ci che tu puoi mostrami.84

Un cubo a quattro dimensioni un concetto astratto.


Non possiamo mostrarlo poich disponiamo di tre dimen-
sioni a cui possiamo riferirci direttamente; di conseguen-
za, essendo privi dellaspetto della cosa, non facile nem-
meno spiegarlo.
Prendendo spunto dal romanzo di Abbott, Flatlandia,
si potrebbe tentare la strada dellanalogia: cercando di
immaginare, come nel romanzo, lincontro tra un abitan-
te di un mondo bidimensionale, un quadrato e un cubo.
Il quadrato di fatto incontrerebbe un altro quadrato, per
il cubo non sar facile convincere linterlocutore della sua
diversa natura.
Per analogia potremmo procedere dalle due alle tre
dimensioni cos come dalla terza alla quarta. Ma vi un
naturale rifiuto nellaccettare il disegno come la rappre-
sentazione di un oggetto a quattro dimensioni dato che

84. L. Wittgenstein, Zettel, Blackwell, Oxford 1981, tr. it. di M. Trinchero, Zettel.
Lo spazio segreto della psicologia, Einaudi, Torino 1986, 249; dora innanzi Z.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 159

non vediamo la quarta dimensione. Il quadrato nel rac-


conto continuer a vedere un suo simile anche qualora si
convincesse di aver incontrato qualcuno solo apparente-
mente simile, ma in verit di natura diversa. Noi vedia-
mo dei segni interpretabili come ipercubo.
Wittgenstein si soffermato, fin dai tempi del Trac-
tatus, sul problema delle immagini reversibili. Il cubo di
Necker preso in esame nella proposizione 5.5423: Per-
cepire un complesso vuol dire percepire che le sue par-
ti costitutive stanno in questa certa relazione luna allaltra.
Questo spiega anche la possibilit di vedere in due modi
come cubo la figura

e tutti i fenomeni simili. Poich in effetti noi vediamo


appunto due fatti diversi. (Se guardo prima gli angoli a, e
solo di sfuggita i b, appare a davanti; e viceversa). Il ri-
conoscimento della presenza di due fatti, e non di uno,
rilevante.85 Il termine fatto meriterebbe ulteriori
delucidazioni,86 ma per ora limitiamoci a osservare nuova-
mente la figura. Ci che vediamo un cubo dalla doppia
stabilit: prima lo vediamo in una posizione e poi in unal-
tra. Limmagine del cubo in proiezione isometrica appare
ambigua: lincrociarsi delle linee non evidenzia quali si
trovino in primo piano e quali sullo sfondo. Sulla carta
sono presenti i medesimi segni, ma lorganizzazione del-
la figura nel suo complesso a mutare daspetto. Ci che

85. Se le due possibilit di vedere il cubo non corrispondessero a due interpre-


tazioni del medesimo fatto, ci comporterebbe la presenza di un soggetto
produttivo. Sennonch, si tratta realmente di due fatti distinti: il soggetto in-
terpretante non compare poich nel Tractatus si menziona solo un soggetto
metafisico (Cfr. A. Zhok, Letica del mondo, Mimesis, Milano-Udine 2001, p. 60).
86. Rinviamo a: P. Frascolla, Tractatus Logico-Philosophicus, Carocci, Roma 2000,
pp. 124 sg.
160 FENOMENOLOGIA ERETICA

vediamo sono due cose diverse: una si orienta verso il bas-


so, laltra verso lalto. Nel fenomeno dello switch la prima
faccia del cubo che appare non la stessa, e quindi il cubo
appare diversamente. Limmagine si impone in profondi-
t e non come forma bidimensionale esagonale.

Chi mentre considera lo schema del cubo si esprimesse cos:


Io ora vedo un cubo in questa posizione ora un cubo in
questaltra costui potrebbe voler dire due cose assai diffe-
renti. Qualcosa di soggettivo; oppure qualcosa di oggettivo.
Le sue parole per s sole non permettono di riconoscerlo.
Il resoconto del mutamento di aspetto ha essenzialmente la
forma di un resoconto concernente loggetto percepito. Ma
la sua applicazione ulteriore differente.87

Wittgenstein riflette su questi casi di percezione anche


successivamente la pubblicazione del Tractatus, e nellulti-
mo periodo in modo particolare. Linteresse per il tema
dellimmagine costante, come la sua capacit di coglier-
ne le molteplici implicazioni teoretiche. Lambiguit del-
la figura suggerisce qualcosa di soggettivo, e possiede non
di meno una propria evidenza: Appare cos e non altri-
menti. Interpretiamo ci che vediamo, tuttavia la nostra
interpretazione non determina ci che vediamo.

Vedere un aspetto, un atto volontario. Si pu dare lordine a


qualcuno: Adesso guardalo in questo modo. Cerca di vedere
nuovamente la somiglianza. Ascolta il tema in questo modo, ecc.
Ma questo fa del vedere un atto volontario? Non piuttosto il
modo di guardare che suscita questo vedere? Io posso vedere
per esempio lo schema del cubo in questo modo, indirizzando il
mio sguardo in particolare su questi spigoli. Se lo faccio avvie-
ne allora il mutamento dellaspetto. Qui io so come provocarlo.
Daltronde, se io guardo F in un modo e poi in un altro non
ne sono consapevole.88

87. L. Wittgenstein, LS, I, 447.


88. Ivi, I, 451. Un cubo scrive Wittgenstein un corpo simmetrico estrema-
mente regolare o qualcosa irregolare che vedo guardandolo da un angolo?
Su che cosa dovrei insistere? Dovrei dire: primariamente irregolare ma lo
si potrebbe rappresentare come qualcosa di regolare, irregolarmente proiet-
tato, oppure: primariamente regolare ma irregolarmente proiettato? (Id.,
Esperienza privata e dati di senso, cit., p. 27).
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 161

possibile provocare intenzionalmente il rovescia-


mento (denominato, pi tecnicamente, Gestalt-switch)
della figura, ma ci pu avvenire anche involontariamen-
te: Anche qui si dovrebbe concludere che giudicare non
percepire. Ma lalternativa della sensazione e del giudizio
costringe a dire che il mutamento della figura pu dipen-
dere unicamente da un mutamento nellinterpretazione.89
Se possiamo indirizzare il nostro sguardo, afferma Witt-
genstein, in particolare su questi spigoli, ci implica che
avviene allora il mutamento dellaspetto. Queste paro-
le sottendono il fatto che vi un punto nella figura su
cui far leva: quando locchio cade in questa parte della
figura allora avviene la ristrutturazione, il mutamento di
posizione. Se isoliamo la parte, continuiamo a vedere il
rovesciamento della figura, non come parte di un cubo,
bens come immagine autonoma.

Fissare il punto b del cubo di Necker significa cogliere


quella parte in relazione alla figura nel suo insieme. Non
si tratta di un punto matematico preciso e definito, ben-
s di un campo di forze per definizione non isolabile.90
La ristrutturazione del cubo coinvolge la cosa nella sua
globalit: non il risultato di un calcolo inconscio, n di
una costruzione o elaborazione cognitiva dellimmagine
retinica, ma dipende interamente dalla configurazione
gestaltica della figura che detta le regole allosservatore.

89. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 71.


90. Cfr. Z. Pylyshyn, Seeing and Visualizing, Mit, Cambridge 2003, p. 106. (Si veda-
no, per un raffronto pi generale tra lanalisi computazionale di Pylyshyn e
costruttivista di Gregory: C. Calabi, Filosofia della percezione, Laterza, Roma-Bari
2009, pp. 152-157; A. Caputo, Per una semiotica fenomenologica della percezione, in
Segni e comprensione, XV, 42, (2001), pp. 47-73).
162 FENOMENOLOGIA ERETICA

Limpostazione soggettiva dellosservatore rappresen-


ta lanello di congiunzione tra il contesto ecologico e
laspetto emergente della cosa: egli collabora a sovvertire
il rapporto tra i vertici, la cui posizione il risultato del
sistema di punti dello spazio che, ancorti alla struttura
fenomenica della cosa-cubo, esprimono una duplice po-
sizione spaziale della cosa. Limmagine possiede la stessa
struttura fenomenica della cosa, non pi incarnata nella
stoffa del mondo. Infatti un aspetto del mondo emer-
ge come totalit dalla profondit bidimensionale della
superficie.
Il cubo pu apparire in modo diverso a seconda di
come osservato (impostazione soggettiva). Lo sguardo
non decide il fatto, ci che osserviamo, ma decide piuttosto
il nostro modo di relazionarci a esso, ossia come lo osservia-
mo. Il rovesciamento della figura pu avvenire anche non
intenzionalmente: lintenzionalit non determina i modi
di presenza dellimmagine e non incide sullapparire. Se
il rovesciamento della figura non necessariamente de-
terminato da un atto volontario, proviamo a vedere cosa
succede agendo direttamente sulla figura.

Variando alcune caratteristiche, e non altre, si perde


leffetto di bistabilit. (Agendo quindi direttamente sulla
cosa osservata e non sul soggetto che la osserva). Possia-
mo colorare due delle facce del cubo come nella secon-
da figura e continuare a vedere il rovesciamento, oppure,
coprirlo in parte, come nella successiva, senza per questo
perdere la reversibilit del cubo; qualora per dipingessi-
mo unombra, il ribaltamento ne risulterebbe appesanti-
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 163

to; in tal caso il cubo sembra tentare il ribaltamento


per poi aderire alla direzione della superficie che gli con-
ferisce stabilit e posizione.

Si pu sottolineare limpossibilit che le immagini co-


esistano simultaneamente: i sei rendimenti percettivi del-
la figura si escludono a vicenda. Ci non significa che non
si possa vederli uno di seguito allaltro, ma che quando
ne vedo uno, non vedo gli altri. Questo fatto una prova
della differenza fra ontologia ed epistemologia, poich
i sei esiti possibili della figura non sono a loro volta sei
oggetti diversi.91 Lapparire di un cubo esclude immedia-
tamente ogni altro possibile apparire, per cui lapparire
di ciascuna figura comporta la scomparsa dellaltra. I due
cubi devono apparire in tempi diversi, evitando sul piano
estetico ci che la logica esprime attraverso il principio di
non contraddizione. Che tale principio funzioni sul piano
estetico consente di apprezzarne lefficacia e la forza nel
pensiero. Tuttavia ci si potrebbe chiedere se tale consi-
derazione rimanga valida anche invertendone i termini,
ovvero, se sia possibile estendere lefficacia del principio
dal logos al piano fenomenico.

91. Cfr. M. Ferraris, Il mondo esterno, cit., p. 96.


164 FENOMENOLOGIA ERETICA

Esempio di cubo impossibile. M. C. Escher, Belvedere, 1958. Particolare

Quando una figura appare contraddittoria, come nel


caso del cubo impossibile, essa appare tale nonostante la
logica: sennonch, di nuovo, limmagine si mostra contrad-
dittoria palesando una logica inscritta nel sensibile, diversa
dalle leggi del pensiero. Il piano estetico rivendica cos au-
tonomia rispetto al logos. Se proprio vogliamo che locchio
pensi, scrive Kanizsa, lasciamolo pensare a modo suo.92
Le cose osservate in un quadro, come nella realt, van-
no accolte per come appaiono e non per come riteniamo
debbano essere.93 Il cubo impossibile, per esempio,
percepito nella sua concretezza visiva malgrado non possa
esistere come oggetto fisico reale. Osserviamo una cosa
interpretata come impossibile, ma paradossalmente perce-
pita come evidente.
Le figure impossibili non vanno spiegate concettual-
mente, ma comprese sul piano percettivo. Lambiguit
data dal voler rendere ragione di un cubo i cui lati e alcuni
vertici non si trovano, come nella realt, sullo stesso piano

92. Ferraris nota come le interpretazioni non incidano sulla cosa, il piano ontolo-
gico delle cose inemendabile rispetto ai diversi piani epistemologici. Tuttavia,
la visualizzazione propostaci ambigua. Il cubo disegnato in alto offre due
aspetti e non sei visualizzazioni, inoltre, le sei cose visualizzate non sono un
cubo (Cfr. ivi, pp. 96 sg.).
93. Tra i molteplici oggetti che popolano il mondo dellesperienza vi sono le
rappresentazioni pittoriche. Esse hanno un carattere peculiare rispetto agli
oggetti che esperiamo quotidianamente perch rappresentano qualcosa.
Nellafferrare un quadro, ci che tocchiamo, loggetto fisico o immagine ma-
teriale, certamente qualcosa, ma ci che indichiamo come quadro, immagi-
ne, raffigurazione, rappresentazione, disegno non loggetto materiale bens
ci che vediamo in esso.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 165

dello spazio, violando cos apparentemente regole fondamen-


tali della geometria tridimensionale. Eppure, tale impossi-
bilit diventa parte visibile di una narrazione di Escher.
Gli oggetti dipinti possono sfruttare le regole dellam-
biguit visiva creando, ad arte, un nuovo mondo tanto
paradossale quanto coerente. Lo studio della percezione
abbraccia una gamma eterogenea di cose reali o virtuali,
statiche o in movimento, in un gioco sottile di presenza-as-
senza che compone il mondo sotto osservazione. Tanto gli
oggetti materiali quanto le illusioni costituiscono lo spet-
tro visibile, sede dincontro di cose, di spazi pieni e vuoti,
di ombre, di sfumature ecc., dove i colori hanno espres-
sione e il nero lugubre ancor prima di essere nero.94

8. Dal vedere-come allesperienza immediata

Wittgenstein descrive il mutamento della coppia di


immagini attraverso il mutamento delle relazioni spazia-
li. Ci implica considerare la ristrutturazione dei segni, e
delle parti tra di loro, allinterno della figura che si affer-
ma essere, da un lato, la stessa, dallaltro differente. Tale
differenza non sta nella rappresentazione di ci che
visto, ma in ci che si manifesta immediatamente:

Lorganizzazione: ad esempio le relazioni spaziali. La rappre-


sentazione delle relazioni spaziali nellimpressione visiva con-
siste delle relazioni spaziali nella rappresentazione dellim-
pressione visiva. Il mutamento dellaspetto pu rappresentarsi
mediante un mutamento delle relazioni spaziali nella rappresentazio-
ne di ci che visto. Esempio: gli aspetti dello schema del cubo.
La copia che viene disegnata sempre la stessa, mentre la
copia spaziale differente.95

Il fenomeno del mutamento daspetto, il vedere-come


(ossia il vedere cos o altrimenti) un caso diverso ri-

94. Cfr. M. Wertheimer, Untersuchungen zur Lehre von der Gestalt, in Psychologi-
sche Forschung, (1923), tr. ingl., The General Theoretic Situation, in W.D. Ellis
(a cura di), A Source Book of Gestalt Psychology, Routledge, London 1938.
95. L. Wittgenstein, LS, I, 445, corsivo nostro.
166 FENOMENOLOGIA ERETICA

spetto alla percezione visiva normale, poich vi , in que-


sta tipologia di immagini, qualcosa che cambia mentre
qualcosa rimane identico. Potremmo affermare che ci
che rimane invariato sono le relazioni spaziali interne
allimmagine, mentre ci che cambia laspetto della cosa.
Ma possiamo affermare di vedere le relazioni spaziali o
queste ultime sono qualcosa che deduciamo da ci che ve-
diamo? Per evitare di imbatterci nellerrore dello stimolo,
saremmo propensi a sostenere la seconda ipotesi.
Assumere come dato primo della nostra esperienza
limmagine intesa come oggetto fisico significa consi-
derare le figure pluristabili come il variare di un diverso
significato sulla base di un medesimo sostrato, indicato
dagli psicologi sperimentali come stimolo distale. Il ra-
gionamento pu essere visualizzato attraverso uno sche-
ma dove si rappresenta da un lato loggetto fisico, che in
questo caso corrisponde ai segni dinchiostro sulla carta
(e questo quanto vi sarebbe di reale); dallaltro, lespe-
rienza mentale di un soggetto che percepisce logget-
to. I due poli dello schema fanno parte di unarticolata
spiegazione il cui scopo mostrare come loggetto fisico
causi la nostra esperienza.96 Limmagine causata dalla
presenza delloggetto fisico, mentre la bistabilit delle
figure sarebbe causata dalle immagini mentali o, pi in
generale, dallattivit cognitiva del soggetto percipien-
te. Lintero processo nasce dalloggetto fisico attraverso
linformazione luminosa dello stimolo prossimale, fino
alla formazione dellimmagine retinica; poi, attraverso
il chiasma ottico, linformazione subisce un complicato
processo di elaborazione nelle varie aree del cervello; in-
fine, sulla base dellesperienza passata (elaborazione ne-
cessariamente inconscia), in un punto imprecisato dello
schema, si costituisce la nostra esperienza fenomenica
delle figure bistabili. Lesperienza fenomenica della cosa
osservata quindi concepita come risultato e non assunta
in quanto tale.

96. Lo schema, come vedremo in seguito nel dettaglio, pu illustrare le varie fasi
che determinano, a partire dalloggetto fisico, la nostra esperienza.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 167

Lo schema qui presentato discutibile e approssima-


tivo. Ogni sua parte pu essere ulteriormente scomposta
e arricchita di dettagli e pu essere oggetto di ricerca di
diverse discipline scientifiche, dalla fisica alla neuropsi-
cologia, anchesse parti della spiegazione causale della
percezione. Tuttavia, alla fine, ogni spiegazione causale
della percezione dovr rendere conto del perch vedia-
mo cos come vediamo, utilizzando la medesima logica
sottostante appena riassunta: da un lato un oggetto fisico
ci che non varia , dallaltro il soggetto che determina
la pluristabilit dellimmagine. Data questa impostazione
teorica, la pluristabilit dovrebbe dipendere da unimma-
gine mentale interna al soggetto o ai soggetti che, men-
tre osservano lo stimolo fisico, vedono due cose diverse
(poniamo che un soggetto veda una lepre mentre laltro
veda lanatra), oppure, la stessa figura. Lintero processo
transfenomenico: fornisce unimmagine o una spiega-
zione di ci che vediamo, ma non ci dice cosa vediamo.
Possiamo fare alcune considerazioni di carattere ge-
nerale su questo schema. Anzitutto, non vediamo lo sti-
molo fisico; in secondo luogo, tale presupposto dualistico
fisico-fenomenico ci costringe a presupporre un giudizio
inconscio, poich non vi qualcosa nella nostra espe-
rienza diretta che dallinterno preceda la percezione, un
dato sensoriale oppure unesperienza privata.97 Ma, si
domanda Wittgenstein, come pu lesperimento asse-
rire alcunch sulla natura dellesperienza immediata?
E aggiunge: Esso la inserisce in una determinata classe
di fenomeni,98 operando una cesura netta tra il piano
dellesperienza e la spiegazione causale.
Su quale base viene assunto il dualismo tra mondo fi-
sico e mondo fenomenico, visto che non possiamo pre-
scindere dagli osservabili in atto, ossia dalla percezione
diretta dellambiente circostante? In accordo con Witt-

97. Unallucinazione forse potrebbe avere questo effetto, ma unesperienza che


andrebbe presa in esame a parte. Si noti che il caso delle allucinazioni spesso
rientra tra i casi patologici ed soggettivo, mentre le illusioni sono intersog-
gettive e condivisibili e non vengono classificate come patologiche.
98. L. Wittgenstein, BPP, I, 11.
168 FENOMENOLOGIA ERETICA

genstein, rendere conto del fenomeno del vedere-come


significa assumerlo direttamente: soltanto una descrizio-
ne diretta pu cogliere il vedere-come; la denotazione di
unesperienza visiva privata manca lobiettivo. Seguendo
la nostra tesi, potremmo aggiungere che la classificazione
delle cose denominate vedere-come, possibile sulla base
delle modalit di organizzazione interna di certe figure,
quindi non ha senso ricercarne le ragioni allinterno di
una dimensione privata del soggetto. Lesperienza diretta
della cosa deve quindi essere accolta cos come viene di-
rettamente esperita. Tuttavia, perch continuare a parlare
di vedere-come quando in realt possediamo un unico ve-
dere? sufficiente classificare le immagini pluristabili in
ambigue e reversibili.
La nostra tesi che il vedere-come non identifichi di
per s alcuna modalit percettiva in contrasto con affer-
mazioni come la seguente:

Vorrei dire: ci sono aspetti che sono determinati principal-


mente da pensieri e associazioni, e altri che sono puramen-
te ottici e che appaiono e mutano automaticamente, quasi
come immagini postume.99

Tali considerazioni implicano una distinzione tra


percezione daspetti e percezione puramente otti-
ca, quando invece sono unicamente peculiarit dellor-
ganizzazione interna delle figure osservate. Il cuore del
problema rimane lidea di Wittgenstein per la quale il
fenomeno un po strano del vedere cos o altrimenti fa la
sua comparsa solo quando uno riconosce che c un senso
in cui limmagine visiva resta identica, mentre qualcosal-
tro, che si vorrebbe chiamare concezione [Auffassung],
pu modificarsi.100 Il vedere-come cos collocato tra il

99. Ivi, I, 970.


100. Ivi, I, 27. Wittgenstein imposta il problema chiaramente quando afferma:
Lespressione del vissuto : Questo lo vedo ora come piramide, ora come
quadrato con le diagonali. Ma, che cos il questo che vedo una volta cos
e unaltra cos? forse il disegno? E come faccio a sapere che tutte e due le
volte si tratta dello stesso disegno? Lo so soltanto, oppure lo vedo anche? [...]
Dovrei forse dire che i differenti aspetti della figura sono associazioni? E a che
cosa mi serve? (ivi, I, 27).
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 169

vedere tout court e il pensare: la componente percettiva


presente nel vedere-come di natura complessa, essa si
ritiene basata su, o dipendente da, unesperienza sempli-
ce di visione tout court. Essa rimane invariata sia rispetto al
susseguirsi di differenti esperienze percettive complesse
di vedere-come, sia rispetto allesperienza su cui si fon-
da. Per usare le parole di Wittgenstein: Lespressione
del cambiamento daspetto lespressione di una nuova
percezione, e, nel medesimo tempo, lespressione della
percezione che rimasta immutata.101
La domanda si pone ora in questi termini: in che senso
quello che Wittgenstein definisce il balenare dellaspetto
(il fatto che, nel caso dellanatra-lepre, il soggetto perci-
piente riconosca improvvisamente nella figura un aspetto
piuttosto che laltro) genera un mutamento che non im-
proprio classificare come percettivo? La risposta la seguen-
te: Se ho visto la testa L(epre)-A(natra) come L(epre), ho
visto queste forme e colori (e li riproduco esattamente) e,
oltre a ci, ancora qualcosa del genere: e cos dicendo indi-
co un certo numero di lepri-immagine, e ancora:

Il colore delloggetto corrisponde al colore dellimpressione


visiva (questa carta assorbente mi sembra rosa ed rosa)
la forma delloggetto alla forma dellimpressione visiva (mi
sembra rettangolare ed rettangolare) ma quello che per-
cepisco nellimprovviso balenare dellaspetto non una pro-
priet delloggetto, ma una relazione interna tra loggetto e
altri oggetti.102

Noi sosteniamo che i criteri sono s esterni, ma per ra-


gioni diverse da quelle indicate da Wittgenstein. Luso del
termine rappresentazione non pu essere riferito alla
percezione diretta: esso fuorviante poich non vediamo
rappresentazioni ma unicamente e direttamente il mon-
do esterno. I criteri sono sempre esterni perch intrinseci
alla figura; si tratta quindi di mostrare lorganizzazione
fenomenica della figura.

101. Id., PU, II, XI, pp. 258-259.


102. Ivi, p. 278.
170 FENOMENOLOGIA ERETICA

Infine, potremmo chiederci: cosa resta costante per-


cettivamente nel mutare dellaspetto? Lesperienza
delloggetto fisico tout court a cui fa riferimento Wittgen-
stein non la figura in quanto tale: essa una percezione
immediata, e non mediata dalla percezione del sostrato,
ossia dalloggetto fisico sommato allesperienza fenome-
nica. Losservazione non qualcosa di per s riducibile
ad altro, la percezione delle forme e dei colori sono altre
osservazioni, esplorazioni della cosa che ci consentono di
isolare alcuni elementi (aspetti) della figura e di osservarli
in quanto tali.
Si potrebbe sostenere che nella figura osservata ci
che muta non una propriet delloggetto, bens la re-
lazione interna tra loggetto e altri oggetti,103 intendendo
per relazione interna ci che resta costante al mutare
dellaspetto. Tali costanti, come per esempio alcune
propriet geometriche o le distanze tra i singoli elementi
della figura, costituiscono ci che propriamente rimane
identico rispetto a ci che muta, una sorta di relazione
tra un sostrato e laccidente della cosa osservata. Conside-
riamo per la nostra esperienza in quanto tale: se ci man-
teniamo allinterno di questo sistema di riferimento, noi
non percepiamo alcuna contrapposizione tra il sostrato e
lapparire della cosa osservata. Pi propriamente, siamo
allinterno di un gioco di esclusioni: vediamo gli aspet-
ti geometrici della cosa, luna o laltra figura. La nostra
esperienza non si presenta per gradi di complessit n a
strati.
Daltro canto, si potrebbe sostenere che lesperien-
za che costituisce la percezione tout court delloggetto fi-
sico osservato (come forme, colori ecc.) si contrappone
al mutamento daspetto, e che questultimo non giace
sullo stesso piano di colori e forme poich non una pro-
priet delloggetto visto, ma la relazione interna dellogget-
to ad altri oggetti. Questa tesi, opposta alla nostra, afferma
la differenza tra vedere tout court e vedere-come, sia come

103. Cfr. A. Voltolini, Guida alla lettura delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein,
Laterza, Roma-Bari 1998, p. 146.
NON VEDERE COME WITTGENSTEIN 171

differenza dordine nel tipo di esperienza (ossia esperien-


za semplice versus esperienza complessa), sia come diffe-
renza dordine categoriale doggetto: percepire oggetti
fisici diverso da percepire relazioni, in particolare rela-
zioni di tipo interno, dunque necessariamente sussistenti
tra i propri relata, che vigono tra oggetti siffatti.104
Limitiamoci a considerare la presunta differenza
dordine nel tipo di esperienza, il modo in cui Wittgen-
stein intende il vedere-come, quando afferma che vi
qualcosa che rimane identico (loggetto fisico) mentre
qualcosaltro muta. La contrapposizione tra un oggetto
fisico, la visione tout court e il vedere-come significa rica-
dere nellerrore dello stimolo.105 Si potrebbe sostenere che
ci che rimane invariato sono le propriet spaziali interne
alla figura, ma noi cosa vediamo effettivamente? La figura
tale quando cessa di essere un mero segno per essere
un disegno di qualcosa. Noi non vediamo una macchia
n una invariante, ci che vediamo una lepre e poi
unanatra (come nellesempio del cubo di Necker possia-
mo scoprire un cubo e poi un altro cubo). Nel momen-
to in cui aggiungiamo la frase nella medesima figura,
lanalisi risulta compromessa, poich non esiste qualcosa
come una medesima figura. La differenza tra il vedere
tout court e il vedere-come non investe la percezione visiva
in quanto tale, ma identifica e classifica una certa classe di
figure. Considerare il vedere-come una modalit di perce-
zione significa annoverare il vedere-come tra i casi di erro-
re dello stimolo. Non descriviamo ci che effettivamente
vediamo, prima unanatra poi una lepre o viceversa, ma
assumiamo ci che sappiamo ossia che in realt siamo
soggetti alla stessa stimolazione, oppure, che la figura pu
essere vista anche altrimenti per poi iscrivere questo no-
stro sapere a una classificazione di cose presenti nellespe-
rienza immediata.

104. Ibid.
105. W. Khler, La psicologia della Gestalt, cit., pp. 76-77.
IV.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA
DEL RIGORE DELLA SCIENZA

...In quellImpero, lArte della Cartografia raggiunse tale Per-


fezione che la mappa duna sola Provincia occupava tutta una Cit-
t, e la mappa dellimpero, tutta una Provincia. Col tempo, code-
ste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Colleghi dei Cartografi
eressero una Mappa dellImpero, che uguagliava in grandezza
lImpero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo
Studio della Cartografia, le Generazioni Successive compresero
che quella vasta Mappa era Inutile e non senza Empiet la ab-
bandonarono alle Inclemenze del Sole e deglInverni. Nei deserti
dellOvest rimangono lacere Rovine della Mappa, abitate da Ani-
mali e Mendichi; in tutto il Paese non altra reliquia delle Disci-
pline Geografiche.
J.L. Borges

LE COSE

Le monete, il bastone, il portachiavi,


la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da giuoco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento di una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria unocchiata. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno pi in l del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
J.L. Borges
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 177

1. Borges: Le cose

In questo capitolo chiariremo la nozione di esperienza


immediata della cosa. Il senso comune identifica il signifi-
cato di cosa con quello di oggetto; da ci importanti
fraintendimenti. Cosa traduce il greco pragma, il latino
res e il tedesco Sache. Tutti termini che si riferiscono allog-
getto fisico in quanto tale.1 La stessa etimologia dellitalia-
no cosa deriva da causa. In questo senso Aristotele par-
la dellaut to prgma (la cosa stessa), Hegel della Sache
selbst, Husserl del ritorno alle cose stesse (zu den Sachen
selbst), operando lepoch fenomenologica.
Il termine oggetto, objectum, pi recente. Esso risale
alla scolastica medioevale e sembra ricalcare teoricamen-
te il greco prblema: inteso dapprima come ostacolo, qual-
cosa che ci sta di contro (il termine tedesco Gegenstand).
Heidegger si occupato a pi riprese nei suoi scritti della
nozione di cosa. Le sue analisi partono da una semplice
domanda: A cosa pensiamo quando diciamo una cosa?
La risposta del senso comune indica inizialmente una se-
rie di oggetti quotidiani (un pezzo di legno, una pietra,
un coltello, un orologio, una palla, unasta, una vite, un fil
di ferro), ma tale risposta comincia ben presto a compli-
carsi quando il campo semantico del termine cosa esplo-
de, allargandosi a grandi edifici o alle piante o agli anima-
li fino ad arrivare alle opere darte.2 Ulteriori ambiguit

1. Cfr. R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 11-19. (Si veda
inoltre la voce cosa a cura di V. Vitiello: Enciclopedia filosofica, Bompiani,
Milano 2010).
2. Cfr. M. Heidegger, Die Frage nach dem Ding. Zu Kants Lehre von den transzenden-
talen Grundstzen, Klostermann, Frankfurt 1984, tr. it. di V. Vitiello, La questio-
ne della cosa. La dottrina kantiana dei principi trascendentali, Guida, Napoli 1989,
pp. 41-42.
178 FENOMENOLOGIA ERETICA

e incertezze emergono per esempio rispetto ai numeri o


alle questioni esistenziali:

E se in una decisione ci che conta prima di ogni altra cosa


questa o quella considerazione, le altre cose che vengono
escluse neppure esse sono pietre o altro genere, ma altre con-
siderazioni e risoluzioni [...] allora chiaro che noi adope-
riamo la parola secondo due significati, luno pi ristretto,
laltro pi ampio. Cosa, nel senso pi stretto, significa ci che
tangibile, visibile, e cos via, ci che a portata di mano.
Nel senso pi ampio indica invece qualsiasi faccenda, ossia
ci con cui in un modo o nellaltro si ha a che fare, indica le
cose che accadono nel mondo, i fatti, gli eventi.3

Heidegger delinea una distinzione tra: 1) cosa nel sen-


so di ci che a portata di mano: una pietra, un legno,
una tenaglia, un orologio, una mela, un pezzo di pane;
cose viventi: una rosa, un arbusto, un faggio, un abete,
una lucertola, una vespa...; 2) cosa nel senso di ci che
nominato, ed inoltre i piani, le decisioni, le considera-
zioni, le azioni, la storia...; 3) tutto questo e altro ancora,
ovvero, il fatto che ci sia qualcosa e non niente.4
La metafisica classica riduceva la cosa agli elementi
logicamente essenziali, alla definizione per genere pros-
simo e differenza specifica, mentre la filosofia contempo-
ranea ha cercato di recuperare la ricchezza di significati
che la cosa lascia emergere. La filosofia ha cos guardato
allarte come a un modello di restituzione dei significati
che labitudine e la pratica hanno cancellato, ritenendoli
superflui.5
La nostra riflessione intende cogliere la cosa nellespe-
rienza immediata della percezione visiva. Cosa sia una
pietra ce lo dicono nel modo migliore e pi rapido la
mineralogia e la chimica; che cosa una rosa o un arbusto
lo apprendiamo con certezza dalla botanica; che cosa una

3. Ivi, p. 42.
4. Cfr. ibid.
5. Su questo punto rimangono imprescindibili le riflessioni di Heidegger e di
Severino: M. Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer, Tbingen 1977, tr. it. di F. Vol-
pi, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 2005; E. Severino, Lessenza del nichilismo,
Adelphi, Milano 1982.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 179

rana o un falco ce lo descrive la zoologia. E su ci che


una scarpa o un ferro di cavallo o un orologio, sono il
calzolaio, il maniscalco e lorologiaio a darci i migliori e
pi concreti ragguagli. [...] che cosa vogliamo sapere di
diverso da cosa ci dicono le scienze: che cos una cosa in
quanto cosa? Per stabilire che cosa sono le cose neces-
sario attenersi ai fatti e alla loro esatta osservazione.6
Borges elenca una serie di cose che popolano il mon-
do: le monete, il bastone, il portachiavi,/ la pronta ser-
ratura, i tardi appunti/ che non potranno leggere i miei
scarsi/ giorni, le carte da giuoco e gli scacchi,/ un libro
e tra le pagine appassita/ la viola. E aggiunge: Quan-
te cose,/ atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,/ ci servono
come taciti schiavi,/ senza sguardo, stranamente segre-
te!/ Dureranno pi in l del nostro oblio;/ non sapran
mai che ce ne siamo andati. Le cose che percepiamo e
utilizziamo quotidianamente sono indifferenti al nostro
sguardo: esse sono, anzi, senza sguardo poich sono
altro rispetto a noi. Queste cose esistevano prima che le
cogliessimo e che diventassero mondo per noi, utilizzabili
per i nostri fini: cose a portata di mano che riteniamo ma-
nipolabili. Esse rimarranno quando noi non saremo pi
l, quando non ci serviranno pi. Le cose acquistano un
senso per noi nel nostro utilizzarle. Luso che ne facciamo
determina il significato.
Tutte le cose che ci servono come taciti schiavi
come se ci parlassero e, allo stesso tempo, fossero mute
e indifferenti. La lontananza delle cose dalle parole e dal
linguaggio diventa paradossale, perch ogniqualvolta te-
matizziamo le cose, inevitabilmente ne parliamo.7 Il pitto-
re, insegna Merleau-Ponty, pu indicarci un atteggiamen-
to in grado di cogliere le cose per farle apparire sulla tela.
E tuttavia, in assenza di un osservatore, i disegni del pit-
tore non sarebbero che macchie di inchiostro, cos le pa-
role del poeta, e le carte da gioco senza i giocatori che le
fanno essere carte da gioco, e nel gioco degli scacchi il

6. M. Heidegger, La questione della cosa, cit., p. 45.


7. Cfr. M. Don, Laporia del fondamento, Mimesis, Milano-Udine 2008.
180 FENOMENOLOGIA ERETICA

cavallo non sarebbe che un pezzo di legno, se nessuno lo


utilizzasse come parte del gioco. Le cose evocate da Bor-
ges sembrano andare incontro a un destino di oblio, se
private della nostra soggettivit. Sennonch Borges scorge
anche come sia la nostra soggettivit a sancirne loblio.
Esse, infatti, rimarranno l e non sapran mai che ce ne
siamo andati.
La fenomenologia, a partire da Husserl e poi con Hei-
degger, ha svolto ampie riflessioni su questi temi. La com-
plessit della relazione tra noi, le cose e il mondo evoca
una mole di rimandi in grado di coprire lintero arco del-
la tradizione filosofica.
La nostra analisi circoscritta alla percezione diretta
delle cose. Alcuni filosofi ritengono che la percezione
sia determinata storicamente, altri che il modo di perce-
pire le cose dipenda da categorie o da schemi concettua-
li. Noi sosteniamo invece che i modi di apparenza del-
le cose sono indipendenti dalla nostra volont: le cose
continuano ad apparire anche senza essere clte da uno
sguardo.8
Tale approccio denominato realista. La verit si
manifesta a partire da uno stato di cose: resta da determi-
nare se e come sia possibile conoscerlo. Forse non sapre-
mo mai quanti pianeti vi sono nelluniverso, ma possiamo
certo dire che vi un numero n di pianeti. Se cos non
fosse, cio se come stanno le cose non fosse indipendente
dalla nostra conoscenza, non potremmo nemmeno indo-
vinare qualcosa. Per esempio: in una sfera sono contenute
un numero elevato di biglie nere e rosse. Non conosciamo
la quantit precisa di biglie nere e rosse per possiamo
dire che vi un modo in cui stanno le cose, cio un certo
numero di biglie rosse e nere. Pu capitare che qualcuno
indovini il numero, pur non avendone conoscenza. Cos
come vi un rumore nella foresta anche se nessuno lo
pu udire. In questo capitolo non ci occuperemo di veri-
t, ma di percezione visiva, di come osserviamo lo stato di

8. Si veda su questo punto il dibattito tra A.C. Danto, N. Carroll e M. Rollins in: A.C.
Danto, La storicit dellocchio, a cura di M. Di Monte, Armando, Roma 2007.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 181

cose. Tematizzeremo lesperienza immediata, descrivendo


il nostro sguardo ingenuo, cio non prevenuto.9
Relativismo ed ermeneutica sembrano solidali nel rite-
nere che non vi sono fatti ma solo interpretazioni. Alla
base di tale posizione vi lidea che le cose non siano
indipendenti dalla mente o, pi in generale, dalla nostra
soggettivit. Ci implica che gli atti interpretativi deter-
minano le cose, poich i fatti si dnno solo allinterno di
griglie interpretative. I fatti asserisce Vattimo sono un
insieme inestricabile di interpretazioni e di datit che non
si dnno mai se non entro orizzonti interpretativi.10
Questo capitolo ha lo scopo da un lato di indicare qua-
li sono i presupposti di questa idea e dallaltro di mostrare
come alcuni chiarimenti sulla percezione portino a conclu-
sioni opposte, ovvero ad affermare il mondo direttamente
percepito come invariante rispetto a un ampio variare di
paradigmi epistemici e concettuali. Esperienza immediata
significa infatti non mediata da concetti, lesperienza
che ingenuamente facciamo guardando il mondo. Esso ci
si manifesta direttamente, percepiamo le cose senza pen-
sare che possano essere il frutto della volont inganna-
trice di un genio maligno, e nemmeno siamo portati a
pensare che dipendano dalla nostra mente.
La scienza si arroga il diritto di dirci come stanno le
cose oggettivamente riducendo la cosa alle sue qualit
primarie: tralasciando lapparenza sensibile considerata
soggettiva e fuorviante rispetto alla realt.11 Noi invece
ci occuperemo della realt incontrata, quella del mondo
esperito direttamente. Inoltre, la dicotomia tra apparenza
e realt tra realt fisica e fenomenica sar oggetto di
critica in difesa di un realismo monistico.
Si tratter prima di tutto di un approccio di tipo de-
scrittivo. Il fenomeno incontrato chiarisce il modo in cui
concettualizziamo le cose e il modo in cui ne parliamo.

9. Esempi tratti da: D. Marconi, Per la verit, Einaudi, Torino 1997, cap. 1.
10. G. Vattimo, Le ragioni etico-politiche dellermeneutica, in E. Ambrosini (a cura di),
Il bello del relativismo, Marsilio, Venezia 2005, p. 81.
11. Su questo tema rinviamo al testo di V. Mathieu, Loggettivit nella scienza e nella
filosofia moderna, Accademia delle scienze, Torino 1960.
182 FENOMENOLOGIA ERETICA

Consideriamo la percezione visiva del mondo qualcosa


che almeno in parte indipendente e autonomo rispetto
alla categorizzazione concettuale.12 Il pensiero coglie la
cosa mentre la cosa appare. Noi riflettiamo sulle cose ma
esse sono di per s eloquenti nel senso dellespressione
latina res ipsa loquitur: le cose parlano da s.
Nella percezione delle cose vi una doppia polarit
di matrice cartesiana: una cosa che pensa, la res cogitans,
e la cosa del mondo esterno, la res extensa. Tra queste due
polarit si annidano una serie di problemi filosofici lega-
ti allalterit della cosa rispetto al soggetto, al linguaggio,
alla cosa in se stessa. Le cose se fossero clte da un occhio
divino, apparirebbero in tutta la loro verit: La paren-
tela di theora e thes, col Dio, vuol dire che Dio inteso
non soltanto, ma anche, come colui che vede: colui che
riesce a vedere.13 Ma dato che le cose non appaiono a
un occhio divino, ma al nostro, esse ci possono apparire
problematiche, discutibili e interpretabili.
Intendiamo soffermarci sul loro aspetto e coglierle
cos come appaiono: a prescindere dalla metafisica sotto-
stante, divina o scientifica che sia. Si tratta di cogliere lap-
parire in quanto tale e non in quanto oggetto di indagine
scientifica, rappresentazione o immagine.

2. Il senso nichilistico della cosa

LOccidente, ci ricorda Severino, cresce allinterno


del senso che la cosa incomincia ad assumere in Grecia:
la cosa appunto ci che risulta dalla sintesi tra identi-
t e divenir-altro.14 Senso che i Greci attribuiscono per la
prima volta e una volta per tutte alla cosa intendendola
come n, ens, essente ossia come non nihil, come non-

12. Unesperienza, anche la pi banale, un campo vasto che tocca la sfera del-
le emozioni. Noi ci occuperemo dellesperienza della percezione visiva, non
della visione intesa come vedere con locchio della mente, ma dellesperienza
diretta delle cose del mondo esterno.
13. E. Severino, Lidentit della follia, cit., p. 283.
14. Ivi, p. 35. (Cfr. L. Taddio, Introduzione, in: E. Severino, La guerra e il mortale,
Mimesis, Milano-Udine 2009, pp. 9-28).
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 183

niente. Come quellessente che tautts, identit di s


con s, e insieme divenir altro. In italiano cosa deriva
dal latino causa, ma tale significato non coincide con il
senso greco dove invece il termine cosa indicato in diver-
si modi: prgma, per esempio, che proviene da prassi,
perch la cosa sentita come ci su cui si pu agire, come
ci che regge e sviluppa lazione. La lingua inglese e la
lingua tedesca possiedono due termini affini come thing
e Ding. possibile accostare Ding a Denken come thing a
think. La cosa il pensato, ci che sta dinanzi al pensare,
che regge la luce del pensare, che si mette in vista di que-
sta luce.15
Severino sostiene la tesi secondo la quale lesperienza
non testimonia alcunch rispetto al divenir-altro della cosa.
Lapparire tace rispetto allannientamento della cosa. Il
cangiamento non qualcosa di evidente, ma uninter-
pretazione di ci che appare. Per riprendere un classico
esempio di Severino, nel divenire della legna che si tra-
sforma in cenere, vi un prima e un dopo, ma nellappa-
rire che ci sta dinanzi vediamo unicamente prima il fuoco,
poi la cenere e dalla cenere interpretiamo il divenir-altro
del legno. Vediamo lapparire e non vediamo il suo an-
nientamento: vediamo le cose che appaiono hic et nunc
e da ci che osservavamo prima (ma che ora non appare
pi se non nel ricordo) inferiamo che la cosa che appariva
come legna ora diventata cenere. Di per se stesso lan-
nientamento non direttamente manifesto nellapparire
della cosa, infatti:

lesperienza non dice nulla della sorte che compete a ci che usci-
to dallesperienza. [...] Sennonch questo schema non una
visione di ci che appare, ma una interpretazione di ci che
appare. [...] Lesperienza (o lapparire) non attesta alcunch
di ci che si manifesta.16

I Greci pensano la cosa come ci che non quellas-


solutamente altro che il niente, e che innanzitutto si

15. Ibid.
16. Ivi, pp. 367-368, corsivo nostro.
184 FENOMENOLOGIA ERETICA

presenta come un essere che pu diventare altro. Nella


Repubblica (479 c) Platone nomina il divenir-altro epam-
photerzein, e iscrive la cosa nel suo oscillare tra lessere e
il niente.17 Nel termine epamphoterzein (loscillare) risuo-
na la parola (erizein) ris: ep t amphtera erzein. La parola
ris la medesima che Eraclito utilizza quando dice che
tutte le cose avvengono secondo la guerra.18 La cosa, in
quanto oscillante tra lessere e il nulla (ci che si dibat-
te tra lessere e il nulla), la violenza per eccellenza. Il
senso fondamentale della cosa consiste in questo dibattersi
(erizein), che indice della lotta tra lessere e il niente;
poich essa non contemporaneamente n luno n laltro,
ma partecipa di entrambi. La guerra, per Platone, non
semplicemente la madre di tutte le cose, ma la cosa stessa,
ossia ci che consiste lesser-cosa delle cose.19
Se il significato della cosa guida lazione, lagire
determinato dal modo e dai significati che costituiscono
lo scopo, cio il contenuto dellazione. Sin dal pensiero
greco lagire delluomo governato dallOrdinamento
necessario e immutabile della totalit dellessere: lepist-
me. Ogni azione sembra iscritta nel divenire e ogni agire
la manifestazione della volont che le cose e il mondo
si trasformino. I principi che regolano il nostro agire si
basano su un sapere (epistme) non soggetto al divenire
delle cose:

LOrdinamento epistemico il limite inoltrepassabile


dellazione umana, nel senso che apre lo spazio adeguandosi
al quale luomo si salva dal nulla, dal dolore, dalla morte.20

17. Cfr. Id., Essenza del nichilismo, cit., p. 416.


18. Id., La guerra, Rizzoli, Milano 1992, p. 50. La cosa oscilla tra lessere e il non
essere, ma dove, quando essa , , e, quando non , non . Il principio di
non contraddizione essenzialmente lespressione della struttura delloscilla-
zione, proprio perch il principio dellente in quanto ente e non nel senso
che esso sia un principio del solo ente diveniente. Per Aristotele: non pos-
sibile che la stessa cosa sia e non sia per il medesimo rispetto e nello stesso
tempo (Id., Essenza del nichilismo, cit., p. 416).
19. Id., La guerra, cit., p. 52. Evocare Platone non significa riferirsi semplicemen-
te a un filosofo, ma al pensiero che ha aperto lo spazio allinterno del quale
cresce lintera nostra civilt e quindi il modo in cui in essa accade e cresce la
guerra: lOccidente, dir Severino, la Repubblica di Platone(ivi, p. 42).
20. Ibid. Il mortale labitatore del tempo che, immerso nel divenire, come tutte
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 185

La verit simpone come immutabile: ci che sta, e


che per definizione non pu diventare altro da se stes-
sa. (Altrimenti, diventando altro, diventerebbe anche al-
tro dalla verit, e perci non-verit). Per la prima volta
i Greci pensano la verit come manifestazione incontro-
vertibile del Senso della totalit dellessere.21 La verit
ci che non pu essere smentito n alterato dal divenire
del mondo. La filosofia abbandona il mito e istituisce se
stessa come epistme, uno stare capace di imporsi su tutte
le cose. La verit epistemica quella forma di sapere in
grado di contrapporsi allangoscia per il divenire e quin-
di secondo la lezione di Eschilo lautentico rimedio al
dolore.22 Il pensiero greco pensa la verit come epistme,
termine solitamente tradotto con scienza, ma che alla
lettera significa stare (-stme) sopra (ep-) ci che va via
via irrompendo, nel divenire del mondo: lo stare sopra
ogni irruzione, dominandola.23 Tale sapere universale e
necessario contraddistingue la filosofia dai Greci a Hegel
determinando, in quanto verit, il limite dellagire umano
e il limite dellagire tecnico-produttivo. Tuttavia, lepistme,
in quanto comprensione incontrovertibile del riconosci-
mento del divenire, anche il presupposto della follia

le cose, nasce e perisce. Il termine mortale comprende luomo da prima della


nascita della filosofia, in quanto esprime la volont che le cose divengano
altro, mutino, si trasformino. Quindi il mortale greco, la nascita della filosofia
e lo sviluppo della cultura occidentale sono un sottoinsieme rispetto allinsie-
me pi ampio rappresentato dalla storia delluomo: tuttavia, questo sottoin-
sieme esprime con maggior intensit il senso dellessere mortale, perch, con
lontologia greca, si stabilisce una volta per tutte il senso del divenire. (Cfr.
Id., Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano 1998, p. 238). Lepistme la sintesi
della fede nel divenire e delleterno in cui il divenire si inscrive (Id., Crisi del-
la tradizione occidentale, Marinotti, Milano 1999, p. 71). La filosofia nasce dalla
meraviglia thaumzein del divenire: il mortale catturato dal senso della
meraviglia di fronte al dolore e allangoscia. Il thama (da cui sono costituite
le parole thaumzein e thaumastn) non indica tanto la cosa meravigliosa
quanto la cosa orrenda: La felicit alla quale solleva la filosofia la cosa
meravigliosa; ci da cui nasce la filosofia la cosa orrenda: langoscia per il
dolore del divenire (Id., Il gioco, Adelphi, Milano 1989, p. 349).
21. Id., Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992, p. 39.
22. Cfr. Id., Il gioco, cit., p. 29. Lepistme la conoscenza il cui contenuto riesce
a stare, imponendosi, fermo, su tutto ci che vorrebbe smuoverlo e metterlo
in questione; e appunto per questo stare verit (Id., Legge e caso, Adelphi,
Milano 1993, p. 13).
23. Id., Oltre il linguaggio, cit., p. 39.
186 FENOMENOLOGIA ERETICA

(ossia della fede nel divenire), e perci il presupposto del-


la violenza estrema.24
Lepistme destinata al tramonto. Si tratta di com-
prendere che la conseguenza inevitabile dellepistme
lisolamento della terra dalla verit del Destino. A con-
durre allinevitabile tramonto lepistme il senso greco
della cosa: lisolamento della cosa conseguente al suo
incominciare ad essere dal niente.25 Lannientamento del
sogno del mortale di poter cogliere verit incontroverti-
bili determinato dallimpossibilit degli immutabili di
pensare il divenire.26 Levocazione degli immutabili e la
loro distruzione formano le due epoche in cui si sviluppa
la storia dellOccidente.27 La filosofia, nel suo sottosuolo,
ha mostrato da tempo linevitabilit della distruzione del
fondamento o verit epistemica. (Tra le voci che hanno
segnato la morte di dio e di ogni verit assoluta Seve-
rino evoca quelle di Nietzsche, Leopardi e Gentile). La
metafora del sottosuolo segna la mancata consapevolezza
della filosofia contemporanea della potenza del proprio
pensiero: La filosofia contemporanea come un guer-
riero che possiede una spada invincibile ma non sa di
possederla.28
La posizione di Severino, se pur riassunta solo a gran-
di linee, offre alcuni spunti anche rispetto al problema
dellesperienza immediata: lapparire della cosa non
sufficiente per dire lidentit della cosa, nellA=A:

24. Cfr. Id., Il destino della tecnica, cit., p. 240. Lepistme viene evocata per domi-
nare il divenire; tuttavia, essa stessa finisce per renderlo impossibile: Gli
immutabili e gli eterni che lOccidente ha evocato per salvarsi, cio per do-
minare lirruzione del divenire sono stati, di volta in volta, il dio della tradizio-
ne greco-cristiana e il dio dellimmanentismo moderno, lordine e il diritto
naturali, cos come il bene e il bello naturali, lanima immortale delluomo,
lautorit e linsegnamento del figlio di Dio e della Chiesa, lautorit del
padrone, del monarca, dello Stato, i rapporti di produzione delleconomia
capitalistica, la legge morale, il determinismo della natura, la razionalit dia-
lettica della storia, lirreversibilit del tempo, la societ comunista come sboc-
co della lotta di classe. Alla radice di tutti gli immutabili sta quellimmutabile
che lepistme, ossia il luogo, lo spazio non oscillante in cui possono essere
innalzati con verit tutti gli immutabili (ivi, p. 19).
25. Cfr. Id., La filosofia futura, Rizzoli, Milano 1989, pp. 41 sg.
26. Cfr. ivi, p. 53.
27. Id., La tendenza fondamentale del nostro tempo, cit., p. 176.
28. Id., Crisi della tradizione occidentale, cit., p. 65.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 187

si dice che ci si serve di uno e uno che cos? la cosa (A),


per esempio la porta e lo si usa come fosse due. Infatti la
formula A=A differisce da A. Perch altro pensare la porta,
altro pensare lessere s della porta, cio lidentit della por-
ta con se stessa.29

Non solo, lannientamento (il divenire altro della


cosa) non appare: il tempo in cui la cosa appare sembra
per Severino costituito da singoli istanti eterni.30 Ma
cosa vi tra un istante e laltro? Il tempo dellapparire qui
e ora della cosa possiede un proprio tempo di presenza,
indicato da James come specious present, che Severino non
prende in considerazione.31
Per comprendere la struttura fenomenica dellappa-
rire, proviamo a lasciar parlare i fatti sotto osservazione.
Ogni percezione presente ancorata a quella che lha
preceduta e, al tempo stesso, anticipa il divenire che ne
consegue. Tutte le nostre percezioni si svolgono nel pre-
sente, nellora attuale; ma questo ora non istantaneo,
non citando James il filo di una lama, ma piutto-
sto un dorso di sella abbastanza largo, sul quale sedendo
guardiamo in due direzioni. Esso una durata, con una
prua e una poppa, come se avesse unestremit che guar-
da avanti ed unaltra che guarda allindietro.32
Come nel caso del cubo, levento percettivo osser-
vabile e ha luogo nel tempo della durata reale, per usare
lespressione di Bergson, che sottolinea la realt della du-
rata dellevento, e che Stern e poi Meinong hanno uti-
lizzato denominandola tempo di presenza. Questo prima di
essere un concetto un dato dellesperienza, ed diverso
dal tempo dellistante matematicamente inteso.
Esaminiamo cosa intendiamo per tempo di presen-
za attraverso lesempio di una scala eseguita rapidamente
al pianoforte: non possibile analizzare un simile evento

29. Ibid. (Su questo tema si veda: V. Mathieu, Il problema dellesperienza, Facolt di
Magistero, n.1, 1963, cap. V, e P. Bozzi, Unit, identit, causalit, cit., cap. 1).
30. Cfr. E. Severino, La follia dellangelo, Mimesis, Milano-Udine 2008, pp. 40-41.
31. Cfr. W. James, The Principles of Psychology, Holt, New York 1890, tr. it. di A. Tam-
burini, Principi di psicologia, Societ Editrice Libraria, Milano 1911, p. 609.
32. Ibid.
188 FENOMENOLOGIA ERETICA

attraverso proposizioni logico-linguistiche del tipo sento


una sola nota, ne ricordo tante immediatamente trascorse
e me ne aspetto tante altre nel prossimo futuro; inoltre,
la nota che sento adesso ha una durata pari a quella avu-
ta dalle note che ho nel ricordo. La nostra esperienza
dellesecuzione pianistica totalmente diversa. In effetti
noi sentiamo la compresenza di tante note, e la descri-
zione di un simile evento sar la descrizione paradossa-
le di una compresenza in successione sto sentendo una
rapida sequenza di note che, qui e adesso, prosegue una
lunga sequenza simile per rapidit gi stata nel passato
immediato.33 Il tempo di presenza non puntuale, per-
ch se cos fosse potremmo sentire solo una nota alla volta
e dunque sarebbe valida la prima forma di descrizione.
Dobbiamo ammettere che tutte le note che costituiscono
il nostro ascoltare in questo momento sono compresenti,
e nessuna di esse ha la priorit sulle altre. Tuttavia, il sen-
so della melodia sta proprio nel fatto che esse vengono
eseguite in successione, ovvero che non sono compresenti.
Questo paradosso non riguarda tanto la realt quanto il
modo in cui impieghiamo il linguaggio per indicare la re-
alt stessa. Il linguaggio comune fatto per trattare cose
grosse e spesso contagia i linguaggi tecnici come quelli
della filosofia e della scienza. Ciononostante rimane per-
fettamente valido per fornire una buona descrizione feno-
menologica dei fatti.34
possibile operare una distinzione tra oggetti fattuali
e oggetti puntuali, cogliendo con precisione la cerniera
che salda tra loro spazio e tempo. Il punto ci che
non ha parti, recita la definizione euclidea: un oggetto
puntuale nel tempo non ha parti, come possiamo verifi-
care con la semplice esperienza di battere delicatamente
il piano del tavolo con la punta della matita. Il tic
perfettamente percettibile e distinto, contro il fondo de-

33. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 129. (Si vedano inoltre le consi-
derazioni sugli oggetti di taglia media in: M. Ferraris, Inemendabilit, ontologia,
realt sociale, Rivista di estetica, 19, (1/2002), XLII, Rosenberg & Sellier, pp.
160-199).
34. Cfr. ivi, p. 127.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 189

gli usuali rumori che ci stanno intorno, ma impossibile


distinguere il momento in cui esso comincia da quello in
cui finisce; nel tic inizio e fine coincidono. Si potrebbe
dire con unespressione paradossale che levento pun-
tuale, quando accade gi accaduto.35
Gli eventi fattuali hanno invece un inizio e una fine:
un singolo squillo del telefono inizia e poi cessa. La dura-
ta di tali eventi variabile e noi possiamo concentrare la
nostra percezione sia sul loro accadere, sia sul ricordo di
come sono iniziati sia sul prevedere il loro finale. questo
il tempo di presenza: unesperienza della presenza nella
nostra psiche. Tuttavia unesperienza del tutto particola-
re se, pur essendo il recipiente in cui necessariamente ha luogo
qualsiasi esperienza reale (e anche immaginata, se badiamo
allatto e non al contenuto), tuttavia la maggior parte degli
uomini passa la vita senza accorgersene.36
Gli oggetti puntuali si presentano nel tempo senza so-
luzione di continuit, anche se sono leggermente pi este-
si del tic dellesempio. Nella stessa frazione di tempo sono
contenute tutte le loro caratteristiche osservabili. Il tempo
della loro presenza non tuttavia il loro, ma il tempo
che costituisce la durata dellesperienza: proprio per que-
sto, a volte, quando ormai sono diventati ricordi, possia-
mo confonderci rispetto alle loro caratteristiche, perch
abbiamo limpressione che fossero troppo brevi per poter
essere adeguatamente osservati, ed per propriet come

35. Ibid.
36. Il tempo di presenza (successivamente chiamato presente psichico, pre-
sente fenomenico, o con riferimento a Bergson durata reale) in de-
terminate occasioni percepibile come un chiaramente presente aspetto
dellevento che in esso ha luogo. Quando comincia lo squillo del telefono
per un attimo sentiamo benissimo che, appunto, esso inizia ma non ab-
biamo neppure il tempo di focalizzare questa idea che gi esso dura, gi
evidentemente iniziato, ed omogeneamente presente come un suono che
iniziato un attimo fa (diverso da un suono che durava da tempo, e anche da
un piccolo suono o rumore continuo che improvvisamente ci siamo accorti
di sentire, sottraendolo dun tratto alla nostra distrazione). A volte un suono
a cui non stavamo badando improvvisamente cessa, e noi sentiamo istantane-
amente che esso stato, che durato fino a un attimo fa, e questo silenzio
appunto presente, presente nel presente (ivi, p. 128).
190 FENOMENOLOGIA ERETICA

queste che Meinong ha coniato il termine eventi fugaci


perfettamente calzante a indicarli.37
Il tempo di presenza sfugge allattenzione dei pi
per il fatto che, prima ancora dessere unesperienza, esso
una condizione di ogni esperienza. Per questa ragione
stato difficile in psicologia, isolare il problema della per-
cezione dellunit degli eventi proprio perch lesistenza
di unit rende possibile unesperienza non caotica nel
senso kantiano, e quindi svolge un ruolo categoriale nel co-
stituirsi della fattualit immediata. Altrettanto potrebbe dir-
si per lidentit.38 Lunit e lidentit sembrano esaurirsi
completamente nellanalisi concettuale, ma in verit esse
fanno capo a percetti analizzabili attraverso la fenomeno-
logia sperimentale.
Lanalisi di Severino sembra prescindere da queste
distinzioni fenomenologiche quando afferma che non
si vede direttamente lannientamento della cosa, mentre
nel tempo di presenza dellapparire della cosa essa gi si
completa rispetto a un prima e un dopo. Il divenire e il
mutamento della cosa si dnno nellapparire fenomeni-
co: qui nelladesso del tempo di presenza che vediamo
il divenir-altro.39 Inoltre, lapparire della cosa-cubo che
per Severino non pu essere affermato fenomenologica-
mente pu venir recuperato, sul piano fenomenologico,
proprio perch strutturato amodalmente.

3. Questa cosa

La parola questo uno dei tanti modi in cui il


linguaggio indica lessere cosa: questo un ti, e pre-
cisamente un ti che si trova sottoposto allostensione,

37. Ibid. (cfr. A. Meinong, Teoria delloggetto, tr. it. di E. Coccia, Quodlibet, Ma-
cerata 2003; A. Meinong, Gli oggetti dordine superiore in rapporto alla percezione
interna, tr. it. di E. Melandri, in Ch. von Ehrenfels, Le qualit figurali, Faenza
editore, Faenza 1979, pp. 29-110).
38. Ibid.
39. Su questo argomento si vedano: F. Paracchini, Le ragioni del tempo, cit.; G.B.
Vicario, Il tempo, Il Mulino, Bologna 2005.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 191

allindicazione.40 Soffermiamoci su alcune implicazioni


teoriche del gesto ostensivo rispetto alla cosa. Richiaman-
do nuovamente Heidegger possiamo infatti sostenere che
noi osserviamo le cose mirando al loro esser-cose, ovvero
a ci che pertiene a tutte le cose ed a ciascuna in quanto
tale. Mirando a ci scopriamo che le cose sono singole:
una porta, un gesso, una lavagna, e cos via.41
Nel questo implicito un mostrare, un indicare: con
il termine questo diamo unindicazione di qualcosa,
pi precisamente questo significa: qui nellimmediata
vicinanza; mentre con quello indichiamo qualcosa che
pi lontano. La lingua latina distingue hic che significa
questo qui, iste quello l ed ille quello molto lontano,
che corrisponde al greco einai, usato dai poeti per indi-
care anche quello che si trova dalla parte che chiamiamo
al-di-l.42
In grammatica i pronomi questo e quello sono de-
finiti dimostrativi proprio perch dimostrano e indicano.
Sebbene posseggano la facolt di sostituire dei nomi (di
essere cio usati come sostativi) la loro funzione origina-
ria quella della designazione. Dire questo indica, fa
vedere e fa s che le cose ci vengano incontro. Tuttavia,
non sono le cose ad essere dei questi: il questo coglie le
cose solo in quanto sono oggetto di unindicazione.43
Il questo quindi si riferisce a un qualcosa di originario,
nel senso che ogni interpretazione necessita di un interpre-
tato, appunto un questo originario rispetto allinterpre-
tazione. Noi interpretiamo sempre qualcosa che prima ci
deve essere data: lo studio degli osservabili mira a cogliere
il questo originario della cosa, cos come essa appare.
questultima a guidare linterpretazione e non viceversa.
Molte sono le obiezioni contro la validit del gesto
ostensivo da un punto di vista epistemologico. Si argo-
menta che con uno stesso gesto si indica un insieme di
cose e non una cosa sola: se per esempio volessimo mo-

40. M. Heidegger, La questione della cosa, cit., p. 58.


41. Ivi, p. 54.
42. Ivi, p. 59.
43. Cfr. ivi, pp. 66-67 e p. 70.
192 FENOMENOLOGIA ERETICA

strare il nostro cubo a un interlocutore, faremmo riferi-


mento contemporaneamente alla figura geometrica, al
suo colore, alle sue dimensioni ecc. Ci significherebbe
che lostensione sufficiente e che necessario linter-
vento del pensiero e del linguaggio per completare la de-
scrizione. Per Wittgenstein la definizione ostensiva spiega
luso il significato della parola, quando sia gi chiaro
quale funzione la parola debba svolgere in generale nel
linguaggio. Cos, la definizione ostensiva: Questo si chia-
ma seppia aiuter a comprendere la parola se so gi che
mi si vuol definire il nome di un colore.44 La definizione
ostensiva non pu fissare il significato di una cosa, poich
necessaria una precomprensione di ci che Wittgenstein
chiama il posto del linguaggio entro cui lespressione si
colloca. Egli porta lesempio del numero due: possiamo
riferirci ostensivamente ad esso con lespressione Que-
sto numero si chiama due. Tuttavia, questa affermazione
possiede un significato solo se la parola numero gi
stata definita (occupa un posto nel linguaggio) prima
di arrivare al gesto ostensivo. La parola numero, nella
definizione, indica proprio questo posto; il posto nel qua-
le mettiamo la parola due.45 Questa operazione di chia-
rificazione tuttavia solamente apparente, poich mette
capo a una lunga serie di chiarificazioni terminologiche
interne al linguaggio. Per usare ostensivamente le parole
dobbiamo appunto definirle. Dunque, definirle con al-
tre parole! E come la mettiamo con lultima definizione
di questa catena?.46

44. L. Wittgenstein, PU, I, 30.


45. Ivi, 28.
46. Ivi, 29. Cfr. A. Voltolini, Guida alla lettura delle Ricerche Filosofiche di Witt-
genstein, cit., pp. 24 sg. Scrive Wittgenstein: Chi giunge in una terra straniera
impara talvolta la lingua degli indigeni mediante le definizioni ostensive che
questi gli dnno; e spesso dovr indovinare come si devono interpretare quelle
definizioni, e qualche volta indoviner giusto, altre volte no (ivi, I, 32).
Un quadro che rappresenti un pugile in una determinata posizione di com-
battimento [...] pu venire usato per comunicare a qualcuno come deve sta-
re, che posizione deve assumere; oppure che posizione non deve assumere;
oppure che determinata posizione ha assunto un determinato uomo in quel
posto cos e cos, ecc. ecc. (ivi, I, 23).
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 193

In assenza di una precomprensione o di un contesto


definitorio, non esiste uninterpretazione delloggetto
indicato che sia pi valida di unaltra: colui al quale si
d una definizione ostensiva del nome di una persona po-
trebbe interpretarlo come il nome di un colore, come la
designazione di una razza o addirittura come il nome di
un punto cardinale.47 La definizione ostensiva si d unica-
mente per linguaggi rudimentali, poich lindividuazione
di un referente non ne spiega luso e quindi il significato.48
Definire ostensivamente significa mostrare, esibire
o indicare ci a cui vogliamo dare un dato nome.49 Le
obiezioni sollevate rendono evidenti alcune ambiguit lo-
giche della definizione ostensiva, ambiguit che si dissi-
pano nellambito della fenomenologia della percezione.
Il problema logico evidenziato dalla definizione ostensiva
deriva dalla concettualizzazione, il passaggio dalla cosa al
concetto: possiamo voler sapere come si dice verde e
a questo scopo mostrare un cespuglio; e linterlocutore
ci insegner a dire cespuglio. Forse, mostrando prima
il cespuglio, poi una foglia, poi un terzo oggetto di co-
lore verde, alla fine otterremo linformazione voluta.
Questo richiede che il nostro interlocutore astragga un
aspetto percettivo da pi ostensioni. gi un processo di
concettualizzazione.50
Unaltra critica fornita da Wittgenstein alla definizio-
ne ostensiva data dal fatto che lindividuazione di un re-
ferente non spiega il significato di un termine nominale,
perch in generale significato e riferimento (o portatore)
di un nome sono separati; egli porta lesempio dei nomi
propri: Se il signor N.N. muore si dice che morto il
portatore del nome, non il significato del nome.51 I nomi
sembrano qualcosa di simile al riferimento: nellesempio
di Wittgenstein, possiamo usare il nome proprio N
allinterno di una definizione ostensiva grazie al dimostra-

47. Ivi, 28.


48. Cfr. A. Voltolini, Guida alla lettura delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, cit.,
p. 25.
49. P. Bozzi, Unit, identit, causalit, cit., p. 169.
50. Ibid.
51. L. Wittgenstein, PU, I, 40.
194 FENOMENOLOGIA ERETICA

tivo questo (questo si chiama N); ma non possiamo utiliz-


zare un altro dimostrativo per definire ostensivamente lo
stesso dimostrativo.52
Pur tenendo in considerazione queste osservazioni
critiche, si tratta di comprendere la dimensione origina-
ria del gesto ostensivo in quanto tale, ovvero in relazione
allapparire della cosa. Non si tratta quindi di utilizzare la
definizione ostensiva per definire e comprendere la na-
tura del linguaggio; questultima pu invece essere utiliz-
zata per definire la sensatezza della percezione visiva,
che lambito entro cui ha senso parlare di percezione
visiva. Infatti, rispetto agli osservabili in atto, la definizio-
ne ostensiva copre lintero campo semantico. Intendiamo
con percezione visiva tutto ci che pu essere indicato
e condiviso intersoggettivamente.

4. Ostensione e percezione visiva

Lostensivit della cosa gioca un ruolo fondamentale


allinterno del metodo fenomenologico. Possiamo identi-
ficare un percetto indicandolo: un simile processo impli-
cato dal definire un nome attraverso lostensione.53 Da un
punto di vista percettivo la definizione ostensiva si effettua
evidenziando, attraverso lindicazione, un elemento singolo
in un appropriato contesto visivo, e pronunciando allo stes-
so tempo il nome che si intende far corrispondere a esso.54
Durante linterosservazione di una cosa noi possiamo
condividere losservazione di diversi aspetti: qualora non
fossimo in grado di indicare cosa di diverso (quale aspet-
to, dettaglio) percepiamo, tale diversit slitta dal piano
descrittivo fattuale al piano del ragionamento. Ci signi-
fica che stiamo operando attraverso concetti e nozioni e
non descrivendo ci che osserviamo. Immaginiamo, per
esempio, un uomo che sostenga di non poter percepire il

52. Cfr. A. Voltolini, Guida alla lettura delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, cit.,
p. 26.
53. Cfr. L. Burigana, Singolarit della visione, Upsel, Padova 1996, p. 48.
54. Ibid.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 195

medesimo cubo che noi vediamo qui ed ora, poich non


possiede il nostro stesso numero di sinapsi. Il senso del-
le parole osservazione e percezione visiva implica il poter
dire, descrivere e indicare quanto vediamo; quindi, se ci
che vediamo appartiene al mondo esterno, esso deve po-
ter essere constatabile anche da altri soggetti. Gli osserva-
tori devono poter rilevare il medesimo fatto da noi osser-
vato, altrimenti stiamo affermando di vedere qualcosa la
cui ontologia non appartiene al piano percettivo.
Durante linterosservazione possono emergere dissen-
si sulla descrizione e interpretazione di una certa cosa, ma
da un punto di vista metodologico la descrizione degli os-
servabili non deve limitarsi a un primo resoconto: Nel
caso dellinterosservazione, ovvio che certe difficolt
individuali appaiono tra le descrizioni, in un primo tem-
po; ma il bello sta nel vederle sparire dato che spesso si
rivelano per quello che sono, cio comunicazioni difetto-
se, cattivo uso del linguaggio.55 Prendiamo, per esempio,
lesclamazione contenuta nel fumetto Superman, dove un
ragazzo tra la folla indicando il cielo grida: cos quello?
Un uccello? Un aeroplano?... No, Superman! La que-
stione sottesa alle domande se i soggetti vedano cose
diverse o interpretino diversamente la stessa cosa. Nel
riconoscimento di Superman, oltre ad essere mutate le
condizioni di osservabilit (dato che Superman si sposta
a velocit supersonica, si devessere avvicinato di molto
tra unesclamazione e laltra), il riconoscimento giun-
to attraverso linterosservazione. Inizialmente possiamo
riscontrare delle differenze tra le descrizioni operate dai
diversi osservatori, ma limitandoci a descrivere, indican-
do ci che vediamo, e facendoci indicare ci che gli altri
dicono di vedere, tali discrepanze linguistiche tendono a
convergere fino a scomparire, collassando sulle cose sotto
osservazione.
La descrizione e lostensione del dato osservato sono
garanti delloggettivit del riferimento; esso quel qual-
cosa su cui ci basiamo per correggere la descrizione altrui.

55. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., p. 215.


196 FENOMENOLOGIA ERETICA

Se un tale riferimento il questo non esistesse, come


potremmo correggere una descrizione inesatta o impreci-
sa? Affermazioni del tipo le cose non stanno cos, guarda
meglio, oppure, guarda questo dettaglio, questa sfu-
matura... sarebbero in tal caso prive di senso. Osservare
qualcosa implica la possibilit che qualcun altro possa co-
gliere la stessa porzione del mondo esterno. Percezione e
ostensione rappresentano lascissa e lordinata di un siste-
ma di riferimento.
Sono le caratteristiche della realt fenomenica a pun-
tellare, attraverso le definizioni ostensive della cosa, le no-
stre descrizioni e non viceversa. Indipendentemente dalla
natura del linguaggio lapparire della cosa mantiene una
sua irriducibilit rispetto al linguaggio stesso e al nostro
modo di concettualizzarlo. Luso che facciamo essenzial-
mente pratico e riguarda la vita quotidiana. Se a tavola di-
ciamo passami il sale e lo additiamo, qualcuno capisce
e ce lo porge. Ci si pu chiedere se ci sia sufficiente a
suffragare la validit dellostensione: in effetti nella nostra
realt quotidiana le cose si presentano in relazioni molto
diverse fra loro, e certamente non necessario possedere
un concetto di una determinata cosa per poterla percepi-
re come singola e indipendente.56
Come ricordavamo prima, il puntare il dito in una cer-
ta direzione, secondo i critici dellostensione, un gesto
impreciso poich non indica loggetto designato, ma la
serie dei fenomeni dai quali esso composto. Ipotetica-
mente, lo spettatore del nostro gesto potrebbe rimanere
dubbioso rispetto al fatto che noi volessimo indicare la
forma, il colore, le dimensioni ecc. Tuttavia, questa critica
non tiene in considerazione n il sistema di riferimento
ecologico entro cui si muove il soggetto (lindicare soddi-
sfa scopi pratici, di economicit comunicativa, prima che
gnoseologici), n le modalit dapparenza del fenomeno:
nellosservazione nessun oggetto compare come una
somma o un grappolo di propriet, ma come una unit

56. Cfr. M. Ferraris, Goodbye Kant!, Bompiani, Milano 2001, cap. 6. (Si veda anche
il capitolo decimo di J.L. Austin, Sense and Sensibilia, Clarendon, Oxford 1962,
tr. it. di A. DellAnna, Senso e sensibili, Marietti, Genova 2001).
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 197

integrata di aspetti discernibili ciascuno dei quali, con


opportune manovre ostensive, pu essere separatamente
indicato senza ricorrere alluso della parola.57
In sintesi: per noi il concetto di percezione visiva equi-
vale a tutto ci che ostensibile, laddove rigorosamente
escluso dalla descrizione tutto ci che sappiamo di... o
ci che non sia direttamente visibile. Una volta che una
descrizione viene indicata diventa immediatamente con-
divisibile e controllabile intersoggettivamente.58
Limportanza della definizione ostensiva nella perce-
zione visiva consiste nella sua funzione di demarcazione
tra concetto e percetto. Delimitare il campo della perce-
zione visiva significa poter includere tutto ci che ogget-
to di possibile indicazione, intersoggettivamente condivi-
sibile, ed escludere tutto ci che pensato, immaginato o
rappresentato.

5. Limmagine scientifica e lesperienza delle cose

Oggi la scienza sembra restituirci unimmagine del


mondo lontana dalla nostra esperienza diretta. Su que-
sta affermazione convergono le riflessioni non solo di
filosofi per esempio quelle di Husserl ne La crisi delle
scienze europee ma anche degli stessi scienziati. Nellintro-
duzione al libro La natura del mondo fisico, del 1923, il fisi-
co inglese Eddington testimonia esemplarmente questo
radicale scollamento tra il tavolo a noi familiare su cui si
scrive e la sua immagine scientifica, per cui esso sarebbe
costituito di vuoto e di elettroni (che hanno poco a che
spartire con quella sostanzialit della cosa ordinaria che
il tavolo).59 Il passo del fisico e astronomo inglese viene
ripreso da Heidegger ne La questione della cosa:

57. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 80.


58. Infatti, ribadiamo che a differenza delle allucinazioni, le illusioni non sono
considerate elementi di per s patologici poich esse sono sempre interosser-
vabili.
59. Cfr. A.S., Eddington, The Nature of the Physical World, Cambridge University
Press, London 1928, tr. it. di C. De Bosis e L. Gialanella rivista da M. Mamiani,
La natura del mondo fisico, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 8 sg.
198 FENOMENOLOGIA ERETICA

Eddington parlando del suo tavolo afferma che ogni cosa di


questo genere, un tavolo, una sedia eccetera, ha un doppio-
ne. Il tavolo numero 1 quello conosciuto fin dallinfanzia. Il
tavolo numero 2 quello scientifico. Questo tavolo scienti-
fico, cio il tavolo che la scienza determina nel suo esser-cosa,
consiste secondo lodierna fisica atomica non nel legno, ma
per la maggior parte in spazio vuoto. [...] Qual allora il ta-
volo vero?60

Il fatto che questo sia un tavolo e che su questo non


ci piova, va preso alla lettera: infatti, secondo limma-
gine scientifica effettivamente non piove su questo ta-
volo, poich il tavolo in verit una serie di particel-
le che non si bagnano, a cui noi attribuiamo una certa
funzione.61 Lo scollamento tra le cose del mondo ester-
no e limmagine scientifica determinato dal fatto che
il linguaggio della fisica non parla di questo tavolo che
abbiamo davanti, bens di enti, classi, sistemi.62 Anche
affermare che il tavolo composto da elettroni non ha,
a rigore, significato: infatti, lelettrone non una parti-
cella distinta da tutti gli altri elettroni delluniverso per
cui in realt non esistono gli elettroni del tavolo, n
particelle disposte-a-tavolo.63
Dal nostro punto di vista questo tavolo che appare il
tavolo reale e non unimmagine convenzionale creata
dal nostro apparato sensoriale (o apparato immagine
per dirla alla Lorenz); la fisica a fornirci una immagi-
ne del tavolo che si contrappone allapparenza fenome-
nica del tavolo direttamente esperito.64 Non intendiamo

60. M. Heidegger, La questione della cosa, cit., p. 50.


61. Cfr. A.C. Varzi, Il mondo messo a fuoco, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 40.
62. Cfr. M. Pauri, La descrizione fisica del mondo e la questione del divenire temporale, in
G. Boniolo (a cura di), Filosofia della fisica, Mondadori, Milano 1997, p. 269.
63. Anzi, il tavolo in questione non possiede davvero nemmeno un singolo elet-
trone, dal momento che gli elettroni pur avendo una grande probabilit di
essere localizzati nel tavolo possono in linea di principio appartenere anche
a sistemi di riferimento esterni a esso. Ed chiaro che una questione on-
tologica non pu essere risolta mediante unapprossimazione quantitativa. In
definitiva, dove sta, propriamente, il confine del tavolo (il confine ontologico
naturalmente, perch [...] vogliamo definire ontologicamente la cosa questo
tavolo)? (ibid.). Si veda inoltre: A.C. Varzi, Il mondo messo a fuoco, Laterza,
Roma-Bari 2010, pp. 40 sg.
64. Cfr. K. Lorenz, Laltra faccia dello specchio, cit., p. 34.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 199

occuparci di quale sia lo statuto ontologico delloggetto


fisico, ma di comprendere se lesperienza diretta coglie la
realt del mondo esterno.
La percezione visiva del tavolo che osserviamo qui e
ora non ha carattere soggettivo, esso appare solido e indi-
pendente, e non appare nemmeno in relazione al tutto,
n come un flusso di elettroni in movimento. Fenomeno-
logicamente non tutto in relazione con tutto. Il cubo e
il tavolo ci appaiono nella loro concretezza come isolati
rispetto al contesto ecologico, con una loro precisa unit
e identit fenomenica. Non appare alcuna relazione della
cosa con il tutto, semmai visibile una relazione tra il ta-
volo e gli oggetti che vi sono appoggiati, la cui superficie
pare continuare e completarsi dietro di essi. Sollevando la
penna appoggiata sul tavolo non ci aspettiamo di trovare
un buco, poich vediamo una continuit amodale della
superficie anche dove non ci data direttamente, una
sorta di invisibile-visibile. In questo spirito possono essere
lette le parole di Merleau-Ponty:

Ritornare alle cose stesse significa ritornare a questo mondo


anteriore alla conoscenza di cui la conoscenza parla sempre,
e nei confronti del quale ogni determinazione scientifica
astratta, segnitiva e dipendente, come la geografia nei con-
fronti del paesaggio in cui originariamente abbiamo impara-
to che cos una foresta, un prato o un fiume.65

La geografia corrisponde allimmagine scientifica


del paesaggio di cui abbiamo esperienza.

5.1 Percezione, ambiente e comportamento

Possiamo evincere dal racconto di Borges posto in


esergo al capitolo, intitolato Del rigore della scienza, che
limmagine scientifica del mondo non pu, per svolge-
re la sua funzione, corrispondere al dato visibile. Quale
utilit avrebbero le carte geografiche se coincidessero,
punto a punto, col mondo che rappresentano? Nessuna.

65. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 17.


200 FENOMENOLOGIA ERETICA

Infatti, nel racconto la Mappa perfetta dellImpero vie-


ne abbandonata poich la sua funzione duso viene meno:
le Generazioni Successive compresero che quella vasta
Mappa era Inutile. Per svolgere la funzione di immagine
del mondo esterno, la mappa non deve coincidere piena-
mente con la cosa. Per riprendere il passo precedente di
Merleau-Ponty potremmo affermare che tornare alle cose
stesse comporta una distinzione implicita tra il mondo
esperito il paesaggio che viviamo come spazio ecologico
che ospita le nostre azioni e il senso dei nostri compor-
tamenti e limmagine scientifica che possiamo ricavare
come spiegazione di questo mondo. La distinzione tra
ambiente geografico e ambiente comportamentale
stata delineata da Koffka nei Principles (opera ben nota a
Merleau-Ponty) e cos illustrata:

In una sera dinverno, durante una tempesta di neve, un uomo


arriv a cavallo in una locanda, felice di aver trovato rifugio
dopo aver galoppato per ore su una pianura spazzata dal ven-
to, con la coltre di neve che aveva coperto tutti i sentieri ed
i punti di riferimento. Il locandiere che lo accolse lo guard
con stupore e gli chiese di dove venisse. Luomo indic un
punto lontano diritto davanti alla locanda, al che il padrone,
pieno di meraviglia e di sgomento, gli disse Ma vi rendete
conto che avete cavalcato attraverso il lago di Costanza? A
queste parole il cavaliere piomb morto ai suoi piedi.66

Questa leggenda tedesca utilizzata da Koffka per met-


tere in luce la discrepanza tra lambiente geografico, com-
posto da tutti i fatti fisici che ci circondano e di cui anche
lorganismo parte, e lambiente comportamentale che
invece lambiente direttamente vissuto. Il cavaliere attra-
versa una pianura, una lunga distesa di neve: colui che sa
che in realt essa il lago di Costanza ghiacciato durante
linverno, indica al cavaliere lo stesso percorso: entrambi
vedono lo stesso ambiente comportamentale. La morte
del Cavaliere avviene quando egli apprende che dietro ai
fenomeni che lo circondano, un paesaggio fatto di neve e

66. K. Koffka, Principi di psicologia della forma, Boringhieri, Torino 1970, pp. 37 sg.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 201

ghiaccio, in realt c il lago di Costanza. La sua morte


segna la discrepanza tra i due saperi, comportamentale e
geografico. Il nostro modo di agire guidato dallambien-
te comportamentale, dal nostro modo di relazionarci di-
rettamente alle cose incontrate: il cavaliere voleva attraver-
sare una pianura di neve, non il lago di Costanza.
Spesso i due piani possono coincidere, tuttavia sono
proprio i momenti di discrepanza che ci consentono di
gettare luce sulla distinzione tra il piano epistemologico
(cosa sappiamo di) e il piano ontologico (cosa c): sape-
re che la pianura di neve in realt il lago di Costanza
non modifica n altera il piano della percezione, continu-
iamo a vedere una distesa di neve.
Koffka distingue di conseguenza anche le cose dalle
non-cose entro i confini comportamentali, dove le cose ci
sono date rispetto alle conoscenze che ne abbiamo indi-
rettamente. Le cose sono contraddistinte dalle loro carat-
teristiche, prese singolarmente o tutte insieme: il contor-
no dotato di forma, la presenza di propriet dinamiche
e la costanza. Nel mondo ci sono cose molto diverse tra
loro come nuvole, nebbia, bastoni, pietre o la luce che
acquista cosalit quando fende il buio, o proiettata da un
faro o diffusa nel cielo allalba. Il buio appare come una
cosa quando nembi tempestosi proiettano loscurit sulla
terra. Il fiume una cosa e lo trattiamo come tale nono-
stante il monito di Eraclito, secondo il quale non ci si pu
bagnare due volte nello stesso fiume.67 A volte i rumori e
le parole possono diventare cose, come il rumore del tuo-
no quando appare spaventoso e fragoroso: La forza, che
pu avere il carattere di una cosa, quindi anchessa una
propriet della cosa.68
Elementi che siamo abituati a pensare separati, come
per esempio sostanza e causalit, cosa e forza, sono in re-
alt aspetti legati fra loro allinterno del nostro ambiente
comportamentale: lesperienza immediata coglie unit
che possiedono una propria autonomia espressiva. La se-

67. Cfr. ivi, pp. 81-82.


68. Ivi, p. 83.
202 FENOMENOLOGIA ERETICA

parazione operata in un secondo momento su un piano


linguistico-concettuale e non sul piano percettivo.69 Gib-
son, allievo di Koffka, approfondir ulteriormente le intu-
izioni del maestro, arrivando a fondare lapproccio oggi
noto come teoria ecologica della percezione; egli propo-
ne un modo per descrivere lambiente terrestre (compor-
tamentale e ambientale) attraverso la suddivisione in ter-
mini di mezzo, sostanze e superfici. Riprende anche lidea
di come alcune qualit espressive denominate affordances
appartengano alle cose.70 Per il momento ci interessa sot-
tolineare come le cose e la percezione si leghino alla real-
t nellesperienza immediata indipendentemente dallim-
magine scientifica.

5.2 Fatti o interpretazioni

Alla base del metodo fenomenologico che stiamo de-


lineando vi lesperienza immediata: la buona descrizio-
ne scrive Koffka di un fenomeno pu da sola escludere
parecchie teorie e indicare le precise caratteristiche che
debbono comparire nella teoria corretta.71 Il recupero
del piano dellesperienza implica la messa tra parentesi
di ci che sappiamo delle cose per accoglierne lapparire
in quanto tale. Richiamando lidea husserliana di epoch;
tale assonanza rimane per soltanto tale, poich la co-
noscenza delle cose e non la loro esistenza che posta tra
parentesi. Lesperienza diretta il presupposto per una
fenomenologia sperimentale e per una filosofia della per-
cezione.72 Il ruolo dellesperienza immediata quello di
cogliere le cose nella loro datit, essa il rinvio fattuale

69. Cfr. ibid. Sul concetto di unit rinviamo a: P. Bozzi, Unit, identit, causalit,
cit., cap. 2.
70. Il neologismo deriva da to afford (offrire la possibilit di): J.J. Gibson, Un ap-
proccio ecologico alla percezione visiva, cit., cap. 8. Per quanto concerne lanalisi
di questa nozione rinviamo direttamente al saggio di M. Losito, Affordances,
Zeta Filosofia, 3, (2006), pp. 12-15.
71. K. Koffka, Principi di psicologia della forma, cit., p. 84.
72. Un confronto tra la fenomenologia husserliana e la fenomenologia speri-
mentale un terreno ancora per molti aspetti da esplorare.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 203

necessario al pensiero per comprovare e chiarire le pro-


prie assunzioni empiriche: come stanno le cose.
Il pensiero per spiegare lesperienza oltrepassa lespe-
rienza stessa, ma tale sconfinamento verso la realt tran-
sfenomenica sottostante alla fine dovr sfociare nuova-
mente nel dato osservato: ogni conoscenza causale della
percezione alla fine dovr rendere conto del perch le
cose appaiono cos come appaiono.
Il ruolo dellosservazione deve preliminarmente chia-
rire come lesperienza immediata sia altro dalla teoria.
Quando Popper afferma che losservazione carica di
teoria bisogna distinguere ci che andiamo a guardare
dal perch andiamo a guardare quel determinato fenome-
no. Ma questo un altro problema rispetto a quanto vo-
gliamo sottolineare.
Riprendiamo il caso delle figure bistabili analizzato nel
capitolo precedente. Queste immagini sono state utilizzate,
da diverse scuole di pensiero della psicologia contempora-
nea, per mostrare tanto la dipendenza quanto lindipen-
denza della percezione dalle attivit cognitive di ordine su-
periore. Alcuni psicologi ritengono che anche linconscio
potrebbe giocare un ruolo decisivo, facendo emergere il
viso della giovane o della vecchia, il papero o il coniglio,
la coppa o i profili eccetera. Altre scuole di pensiero han-
no utilizzato le immagini bistabili per mostrare che vi
unindipendenza del dato osservato rispetto ai concetti e al
pensiero. La psicologia di matrice empirista, per esempio,
interpreta queste figure come modelli di problem solving: il
processo percettivo funzionerebbe in base a ragionamenti
in gran parte inconsci e lambiguit delle figure bistabili
sarebbe determinata dal fatto che esse producono una sti-
molazione retinica che pu dar luogo a pi di una soluzio-
ne percettiva. Loscillazione da una allaltra dimostrerebbe
proprio un processo di ricerca della soluzione migliore.
Per gli psicologi innatisti, al contrario, le figure ambi-
gue dimostrano che i processi di organizzazione percettiva
sono dinamici e automatici. Se la stimolazione retinica sfo-
ciasse in pi di unorganizzazione percettiva, farebbe emer-
gere tutte le sue alternative; ci testimonia a favore dellau-
204 FENOMENOLOGIA ERETICA

tonomia dinamica della percezione. Da questo punto di


vista naturale che anche configurazioni percettive prive
di significato e viste per la prima volta diano adito ad ambi-
guit. Tale osservazione resta invece ingiustificabile per gli
empiristi, per i quali la risoluzione dei problemi percettivi
avviene sempre in base al confronto con dati conosciuti.73
Possiamo conoscere le due immagini e non vederle, cos
come, quando le vediamo, non riuscire pi a non vedere la
bistabilit. Si potrebbe argomentare che l ci sono due im-
magini e ci nonostante non riuscire a vederle: non basta
pensare che ci sono, n sufficiente la volont. Per vedere,
dobbiamo scoprire la figura. I sostenitori dellargomento
popperiano potrebbero ritenere che questa la prova che
possiamo utilizzare i fatti a seconda della teoria o del model-
lo scientifico che vogliamo difendere: i fatti, perci, sarebbe-
ro manipolabili a seconda di ci che vogliamo dimostrare.
Anche se, volendo accreditare questa teoria, i fatti non
dimostrassero nulla, essi sicuramente mostrerebbero qual-
cosa: lesempio delinea linterpretazione che due scuole
diverse hanno dato dello stesso dato fenomenico, pur in-
tendendo dimostrare due teorie opposte. La teoria non ha
alterato il fatto osservato, esso rimasto l per entrambe le
tesi, pronto ad accogliere o respingere le argomentazioni
che mal si adattano ai fatti. La contrapposizione delle di-
verse teorie non ha quindi modificato il fatto percettivo,
ma unicamente linterpretazione della natura del fatto.
Popper sostiene che le osservazioni e a maggior ragio-
ne le asserzioni dosservazione e le asserzioni riguardanti i
risultati sperimentali, sono sempre interpretazioni dei fatti
osservati; sono interpretazioni alla luce delle teorie.74

73. Cfr. A. Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, Mulino, Bologna 1998,
pp. 98 sg.
74. K. Popper, Logica della scoperta scientifica, cit., p. 103. Credo che la teoria
una teoria o unaspettativa almeno rudimentale venga sempre per prima;
che essa preceda sempre losservazione; e che il ruolo fondamentale dellos-
servazione e dei controlli sperimentali sia mostrare che alcune delle nostre
teorie siano false, e cos stimolarci a produrne di migliori (Id., Conoscenza og-
gettiva, cit., p. 343). Nella scienza losservazione piuttosto che la percezione
a giocare la parte decisiva. Ma losservazione un processo in cui giochiamo
una parte intensamente attiva. Unosservazione una percezione pianificata
e preparata. Non abbiamo unosservazione, ma facciamo unosservazio-
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 205

Riprendiamo il passo di Popper quando affermava:

Per ragioni logiche, losservazione non pu precedere tutti i


problemi, anche se ovviamente sar spesso anteriore ad alcu-
ni problemi per esempio a quei problemi che nascono da
unosservazione che delude qualche aspettativa o confuta qual-
che teoria. Il fatto che losservazione non pu precedere tutti
i problemi pu essere illustrato da un semplice esperimento
che desidero realizzare, con il vostro permesso, con voi stessi
come soggetti sperimentali. Il mio esperimento consiste nel
chiedervi di osservare, qui e ora. Spero che voi tutti cooperiate
e osserviate! Tuttavia, temo che almeno alcuni di voi, invece di
osservare, sentiranno fortemente limpulso di chiedere: Cosa
vuole che osservi?. Se questa la vostra risposta, allora il mio
esperimento ha avuto successo. Infatti, ci che cerco di illustra-
re che, allo scopo di osservare, dobbiamo avere in mente un
problema definito che potremmo essere in grado di decidere
mediante osservazione. Darwin sapeva questo quando scriveva:
Come strano che nessuno si accorga che qualsiasi osservazio-
ne deve essere pro o contro un punto di vista.75

Diversamente da Popper, noi sosteniamo che lindi-


pendenza del fatto osservato dalle possibili interpretazio-
ni pu sorreggere diverse interpretazioni proprio in virt
della sua indipendenza dalle teorie. Ci si collega alla no-
zione di esperienza immediata (o fenomenica) che cer-
cheremo meglio di chiarire nel prossimo paragrafo. Come
scrive Koffka, la fenomenologia una descrizione dellespe-
rienza diretta il pi possibile completa e non prevenuta.76

6. Lesperienza fenomenica

Per meglio comprendere il significato della fenome-


nologia della percezione come descrizione dellesperien-

ne. [Un navigatore addirittura elabora unosservazione]. Unosservazione


sempre preceduta da un particolare interesse, una questione, o un problema
in breve da qualcosa di teorico (ivi, p. 447).
75. Ivi, pp. 344-345.
76. K. Koffka, Princpi di psicologia della forma, cit., p. 84.
206 FENOMENOLOGIA ERETICA

za diretta completa e non prevenuta, possiamo utiliz-


zare unimmagine fornitaci da Leibniz nella Monadologia:

La percezione e ci che ne dipende non spiegabile con ra-


gioni meccaniche, mediante figure e movimenti. Supponia-
mo che vi sia una macchina la cui struttura faccia pensare,
sentire, percepire, e concepiamola, pur con le stesse propor-
zioni, pi grande, per potervi entrare come si entra in un
mulino: ebbene, una volta dentro occorrerebbe comunque
constatare che non vi si trovano che dei pezzi che si tengono
lun laltro, e che non c nulla che possa rendere conto della
percezione.77

A prescindere dalla cornice teorica del pensiero lei-


bniziano, limmagine suggerisce lidea che la percezio-
ne visiva corrisponde a ci che osserviamo direttamente
e non comprende i meccanismi sottostanti la percezio-
ne diretta delle cose, i quali non spiegano il senso della
percezione. Infatti, non si percepisce la percezione, ma
si percepiscono direttamente le cose del mondo esterno.
Possiamo osservare che esse si presentano nella loro og-
gettivit oppure, come talvolta accade, accoglierle per il
loro carattere di soggettivit, come nel caso di immagi-
ni postume e simili, senza uscire dallosservazione in atto,
senza cio riferirsi ai processi neurofisiologici sottostanti,
n alle concomitanti attivit psicologiche di tipo logico,
mnestico o affettivo. Esse sono ci che appaiono e i mec-
canismi sottostanti la percezione visiva sono condizioni
sufficienti, ma non necessarie, alla percezione.
Il caso descritto da Leibniz evidenzia come la percezio-
ne diretta sia altra cosa dai meccanismi transfenomeni-
ci sottostanti. Per esempio, la fisiologia del cervello corri-
sponde ai meccanismi del mulino che non dnno ragione
dellesperienza immediata delle cose, oggetto dindagine,
come vedremo, della fenomenologia sperimentale.78

77. G.W. Leibniz, La Monadologie, 1714, tr. it. di S. Cariati, La Monadologia, Rusco-
ni, Milano 1997, 17.
78. Un ragionamento simile viene fatto da Frege nelle Ricerche logiche, a cui rin-
viamo per un confronto: G. Frege, Logische Untersuchungen, (1918), tr. it. di R.
Casati, Ricerche logiche, Guerini, Milano 1988, 71.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 207

In un passo di Wittgenstein troviamo unidea simmetri-


ca a quella leibniziana, ossia la non riducibilit dellespe-
rienza immediata ai processi sottostanti la percezione:

Supponiamo che uno faccia la seguente scoperta. Egli indaga


i processi sulla retina di persone che a momenti vedono quel-
la figura come un cubo di vetro, a momenti come fili metallici
ecc., e trova che quei processi sono simili a quelli che egli
osserva quando il soggetto guarda un cubo di vetro, oppure
una struttura di filo metallico ecc. Si sarebbe portati a prende-
re questa scoperta come prova per assumere che veramente
vediamo in modo differente. Ma con quale diritto? Come pu
lesperimento dire qualcosa sulla natura dellesperienza imme-
diata? Esso la sistema in una specifica classe di fenomeni.79

Wittgenstein intende rimarcare il fatto che sono le


propriet dellesperienza percettiva immediata a con-
sentire di interpretare lapparato ottico e non viceversa.
Ipotizziamo che un ricercatore scopra che lo stato di spe-
cifiche unit funzionali della retina di un dato soggetto
variano in modo significativo ogniqualvolta egli afferma
di notare un aspetto diverso della cosa osservata: un cubo
di vetro, il telaio di un cubo, o il rovesciamento della figu-
ra bistabile. La scena la seguente: il ricercatore ha colle-
gato il cervello del soggetto a un computer e mentre egli
osserva nel monitor il cubo di Necker, lo sperimentatore
registra lattivit della retina sullo schermo. Ogni volta
che avviene il rovesciamento del cubo lo schermo traccia
un certo andamento e quando il soggetto sperimentale
rivede le soluzioni percettive gi osservate, sul computer
si ripresenta il medesimo andamento registrato preceden-
temente. Dopo giorni di osservazione con pi soggetti
il nostro ricercatore uscir dal laboratorio per dirci che
il test dimostra che realmente la figura vista in modo
diverso quando il soggetto riesce ad assumere un set che
produce Gestalt switch. Lo sperimentazione pu cos dire
che il fenomeno osservato di natura retinica, e quindi
visivo in senso stretto. Infatti, quando il soggetto, di fronte

79. L. Wittgenstein, BPP, I, 11.


208 FENOMENOLOGIA ERETICA

a qualche altro partner non pluristabile, passa da unin-


terpretazione a unaltra, noi non registriamo niente.80
Potremmo anche immaginare che il soggetto stesso veda
il cubo di Necker e con la coda dellocchio lo schermo del
computer dove appaiono le curve delle risposte elettriche
dello stimolo della sua retina: supponiamo che tali curve
siano ben visibili, da consentirgli di vedere che qualcosa
cambia nel momento in cui accade il rovesciamento della fi-
gura. Losservatore potrebbe dire che qualcosa cambia sullo
schermo quando il fenomeno varia da una struttura allal-
tra. Oppure potrebbe dire lopposto: quando muta la curva,
ecco linversione. Questo tutto ci che pu dire.81
Ci che losservatore scorge sullo schermo non in-
crementa la sua conoscenza sullesperienza immediata:
lesperimento, infatti, evidenzia le caratteristiche del fun-
zionamento della retina e non lesperienza immediata
dellosservazione della cosa: I ricercatori hanno dato un
contributo importante alla conoscenza da inserire nella ca-
tena causale, essi hanno fatto un lavoro sullocchio simile a
quello che un ricercatore molto meno sofisticato farebbe
andando a misurare con un doppio centimetro le lunghez-
ze delle due sbarrette della illusione di Mller-Lyer.82
Non possibile che il soggetto mantenga sotto osserva-
zione contemporaneamente un evento percepito e il processo
neurofisiologico che ne il diretto responsabile. Quando
osserviamo il cubo di Necker non possiamo contempo-
raneamente osservare le linee del grafico sullo schermo.
Questo aut aut interno al campo degli osservabili potrebbe
essere accostato al noto principio di indeterminazione di
Heisenberg, secondo il quale posizione e velocit di una
particella non sono contemporaneamente osservabili.83

80. P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 81.


81. Ibid.
82. Ibid.
83. Non in alcun modo immaginabile n pensabile lo stato di un osservatore
che tenga sotto osservazione contemporaneamente un evento percepito e il
processo fisico (neurofisiologico) che ne il diretto responsabile. Infatti, se
sto osservando una macchia di colore rosso su un foglio di carta bianca qui
davanti non sono in condizione di osservare contemporaneamente i processi
che nella mia testa in quel momento stanno generando quel rosso che vedo
qui. [...] Nessuno, in filosofia o in psicologia, d peso a un paradosso cos
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 209

Immaginiamo un soggetto che osservi il cubo di Necker e


la propria attivit celebrale durante losservazione, attra-
verso un elettroencefalogramma. Ci che risulta dal gra-
fico il risultato di un processo del suo cervello, poich
il cubo di Necker non riprodotto integralmente come
evento fenomenico nei dati dellelettroencefalogramma.
Infatti, se osserviamo un cubo disegnato su un foglio di
carta qui davanti non siamo in condizione di osservare
contemporaneamente i processi che nella testa, in quel dato
momento, generano il cubo che vediamo qui e ora. Lin-
dipendenza dellesperienza immediata dalla sua spiega-
zione causale sottostante ribadita da Merleau-Ponty:

lo spettacolo di una cosa vista attraverso i suoi profili, una


struttura originale che non pu essere spiegata da alcun proces-
so fisiologico o psicologico reale.84

Il potere esplicativo delle descrizioni causali della per-


cezione dipendono dai fatti scoperti dallanalisi fenome-
nologica:

Lanalisi fenomenologica propedeutica, in senso stretto, a


qualunque altro tipo di ricerca che verte sulla percezione. Il suo
progredire allarga continuamente lexplanandum di cui le teo-
rie non fenomeniche dei processi percettivi si fanno carico.85

Il questo senso, come vedremo nel prossimo capitolo,


lo schema psico-fisico S-D sempre epistemico o emendabile,
mentre la percezione non lo .86 Una spiegazione causa-

brutale. Eppure i fisici si sono sentiti in dovere di rivedere tutte le loro idee di
base quando si sono trovati di fronte a un puzzle di questo genere (Id., Un
mondo sotto osservazione, cit., p. 223).
84. M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, cit., p. 212.
85. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., p. 24. Il potere esplicativo delle spie-
gazioni causali dipende dallampiezza e profondit delle analisi fenomenolo-
giche, e soprattutto dalle nuove scoperte che la fenomenologia sperimentale
in grado di produrre. Ogni nuovo fatto emergente in questambito mette
necessariamente in crisi la spiegazione causale gi bene assestata, e una ne-
cessit epistemologica obbliga le spiegazioni causali di ogni tipo (fisiologico,
computazionale, modellistico, ecc.) a correr dietro allanalisi fenomenologi-
ca (ibid.).
86. Cfr. M. Ferraris, Il mondo esterno, cit., pp. 97 sg.
210 FENOMENOLOGIA ERETICA

le della percezione pu essere falsificata, ma non il piano


dellosservazione in atto. Riprendendo lidea di fenomeno-
logia espressa da Koffka possiamo dire che essa consiste in
una descrizione dellesperienza diretta il pi possibile
completa e non prevenuta da ci che noi sappiamo sulle
cose (cos come sul nostro apparato immagine e su ogni
spiegazione causale della percezione). Lesperienza imme-
diata della percezione visiva coincide col nostro campo visi-
vo cos come espresso da Wittgenstein nel Tractatus:

Nulla nel campo visivo fa concludere che esso sia visto da un


occhio.87

Infatti, la struttura dellevento sotto osservazione


irriducibile e primaria, anche quando una foresta di in-
tegrazioni cognitive, scelte dalla fisiologia e dalla fisica,
dallimmaginazione filosofica o da quella della volgarizza-
zione scientifica gli si attaglia alla perfezione, senza peral-
tro turbare la solida evidenza di quel pezzo di mondo.88

7. Realismo diretto: vedere in senso stretto

Per definire pi precisamente il senso dellimmedia-


tezza della percezione, tratteggiamo il quadro teorico
contemporaneo, evidenziando alcuni problemi ed esami-
nando la nozione di Kanizsa di vedere in senso stretto,

87. L. Wittgenstein, TLP, prop. 5.633.


88. P. Bozzi, Vedere come, cit., p. 147. In queste pagine Bozzi distingue tra campo
visivo e mondo visivo (distinzione presente in J.J. Gibson, The perception of Visual
World, Houghton Mifflin, Boston 1950). La nozione di campo visivo viene
esemplificata attraverso lillustrazione presente ne Lanalisi delle sensazioni di
Mach (dove si vede luomo che percepisce direttamente il mondo esterno
e parte del proprio corpo, ma non il proprio occhio), o nella proposizione
5.633 del Tractatus di Wittgenstein. La stessa immagine di Mach viene anche
descritta da Frege nelle Ricerche logiche ( 71). Per Gibson il mondo visivo una
modalit visiva fondamentale che, nella raccolta di relazioni e di deforma-
zioni prospettiche, permette di percepire un mondo stabile in cui ciascuno di
noi si muove; mentre il campo visivo la modalit visiva che riflette la distri-
buzione anatomica delle eccitazioni retiniche: non uniformemente chiara
ed limitata dai contorni del volto adiacente allorbita oculare (P. Farneti
e E. Grossi, Per un approccio ecologico alla percezione visiva. Introduzione a Gibson,
Franco Angeli, Milano 1995, pp. 101-102. Si vedano anche le pp. 33-37).
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 211

legata al realismo diretto (e quindi allimmediatezza della


cosa). Mentre osserviamo una cosa, ci che vediamo pu
essere accompagnato da diverse associazioni, pensieri e
interpretazioni. Uno dei problemi che divide la psicologia
contemporanea e il dibattito epistemologico di distin-
guere laspetto visivo dalle integrazioni di pensiero. Ben-
ch non sia possibile concepire un esperimento a prescin-
dere dallesperienza passata, le ricerche di fenomenologia
sperimentale della percezione visiva mirano a evidenziare
lautonomia delle leggi di organizzazione percettiva: ma,
mentre per il realismo diretto i contenuti di percezione
sono le cose stesse del mondo esterno, per il realismo in-
diretto la mente ad operare una mediazione. In relazio-
ne a questo problema che, forse pi di ogni altro, ha divi-
so le scuole di psicologia e di filosofia della percezione, la
nostra tesi mira a ripensare il realismo diretto a partire dai
modi di datit fenomenici come gradi della realt allinter-
no dellapparire fenomenico interno-esterno. La corrente
cognitivista sostiene linscindibilt dei processi cognitivi
dallosservazione della cosa, visto che nella percezione
visiva sarebbero rintracciabili, almeno in embrione le me-
desime leggi che presiedono al pensiero.89 La differenza
tra la scuola gestaltista e la corrente cognitivista pu esse-
re ricondotta alla differenza tra percezione diretta e percezione
indiretta: diretta quando la quantit di informazione,
raccolta dagli organi sensoriali, sufficiente, mentre,
indiretta quando risulta necessaria unelaborazione del-
le facolt superiori.90 Per i sostenitori della percezione
indiretta, linformazione sensibile non sufficiente e per
questo motivo necessario che un qualche processo co-
gnitivo intervenga a integrare i dati mancanti per poter
garantire una percezione affidabile. In particolare, lin-

89. G. Kanizsa, Vedere e pensare, Mulino, Bologna 1991, p. 15. I cognitivisti


sostengono, come Helmholtz, che i processi percettivi si svolgono secondo
regole che obbediscono alla medesima logica dei processi inferenziali del
pensiero. Naturalmente si tratta di ragionamenti o di giudizi inconsci:
il meccanismo dei processi percettivi concepito come se esso fosse un
calcolatore programmato per eseguire operazioni inferenziali di tipo logico
(ivi, p. 47).
90. Ibid.
212 FENOMENOLOGIA ERETICA

formazione risulta insufficiente per quanto concerne la


tridimensionalit e la profondit spaziale, poich queste
non sarebbero presenti sullimmagine retinica di per s
bidimensionale. Per i sostenitori dellapproccio indiretto,
la reintegrazione della percezione sarebbe garantita da
un processo definito inferenza inconscia; al contrario, i
sostenitori della percezione diretta non ritengono neces-
sario lintervento di attivit cognitive superiori.91
In continuit metodologica con la teoria della Gestalt,
la fenomenologia sperimentale si occupa dello studio del-
la percezione diretta della cosa e considera ogni elemento
transfenomenico come esterno al proprio oggetto di studio.
Ci implica labbandono del concetto di isoformismo, al-
meno nella sua versione classica.92 Quello che avviene
nella retina o allinterno del cervello non appartiene alla
scienza degli osservabili, la quale si occupa unicamente di
ci che direttamente visto dal soggetto. La fenomenolo-
gia sperimentale non si limita a una mera descrizione o
inventario di fenomeni: Il suo fine piuttosto la scoperta
e lanalisi di connessioni causali necessarie tra fenomeni
visivi, lindividuazione delle condizioni che determinano,
favoriscono o ostacolano la loro comparsa e il grado della
loro evidenza.93 Questo senza uscire dallosservazione in
atto, senza cio riferirsi ai processi neurofisiologici sotto-

91. A. Massironi, Fenomenologia della percezione visiva, cit. p. 62. Egli riassume le dif-
ferenze che caratterizzano la percezione diretta nel modo seguente: a) per
la percezione diretta non ci sono processi inferenziali [...]; b) la percezione
diretta innata, e le regole che ne guidano il funzionamento sono genetica-
mente codificate e trasmesse: non sono apprese; c) la percezione diretta
veloce, proprio perch automatica e non influenzata da altri processi cogni-
tivi. [...]; d) la percezione diretta immediata, non prevede cio che vi siano
passaggi intermedi fra la registrazione stimolatoria e lesito percettivo; e) la
percezione diretta indubitabile, inevitabile, non possiamo con un atto di
volont evitarci di percepire, di sentire un suono o vedere una luce se tenia-
mo gli occhi aperti (questo punto condiviso anche da molti sostenitori della
percezione indiretta); f) la percezione diretta si struttura come un tutto: le
varie componenti stimolatorie vengono organizzate in unit che non possono
essere smontate, pena il disgregarsi del percetto; g) per la percezione diretta
linformazione che riusciamo a raccogliere sufficiente alla produzione del
rendimento percettivo (ivi, p. 63).
92. Idea presente, se pur marginalmente, in alcuni gestaltisti come Khler.
93. G. Kanizsa (a cura di), Fenomenologia sperimentale della visione, Franco Angeli,
Milano 1984, p. 10.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 213

stanti, n alle concomitanti attivit psicologiche di tipo lo-


gico, mnestico o affettivo. La fenomenologia sperimenta-
le non si occupa del cervello, ma del risultato dellattivit
del cervello, cio del vedere. La realt fenomenica non
pu essere affrontata n spiegata da un approccio neuro-
riduttivistico; trattandosi di un livello di realt specifico,
esso esige unanalisi adeguata, dato che possiede regole
autonome rispetto allattivit di pensiero.94
Lesperienza visiva diretta o immediata equivale a ci
che Kanizsa intende con lespressione vedere in senso
stretto, distinto da ogni operazione interpretativa: occu-
parsene significa quindi studiare la percezione e non il
pensiero.95 Alcuni esempi possono essere utili per circo-
scrivere il senso e il dominio della percezione visiva. Si
osservino le seguenti figure:

Le differenze presenti nel primo gruppo sono facil-


mente descrivibili poich possediamo schemi concettuali
e categoriali che ci consentono di indentificarle. Il secon-
do gruppo composto da figure prive di significato e dun-
que non facilmente categorizzabili. Sebbene la seconda
situazione differisca dalla prima perch priva di significa-
to, non c differenza tra le due sotto laspetto specifi-
catamente visivo.96 Entrambi i gruppi, infatti, sono sud-
divisi in elementi distinguibili, che si rapportano tra loro
secondo spazio, colore, dimensione e posizionamento.
Di conseguenza, anche il secondo gruppo di figure, pur

94. Id., Vedere e pensare, cit., pp. 10 sg.


95. Occuparsi di questa fase dellattivit conoscitiva che stata chiamata in
vario modo: processo primario precategorico o preattentivo significa per
me studiare il vedere in senso stretto. Mentre, sempre secondo me, studiare
la fase successiva di interpretazione (processo secondario) gi studiare il
pensiero (ibid).
96. Ivi, p. 20.
214 FENOMENOLOGIA ERETICA

privo di significato, possiede unorganizzazione: il signi-


ficato viene attribuito ad una realt visiva gi segmentata
in oggetti distinti e dotati di forma. Anche se il processo
di incorporazione del significato non in genere osserva-
bile, il costituirsi delloggetto visivo deve necessariamente
precedere il suo riconoscimento. Pu essere riconosciuto
solo in quanto gi esiste.97
Nel De rerum natura Lucrezio scrive: Non credo che
gli occhi possano in nulla sbagliarsi: compito loro ve-
dere la luce dov e lombra dov; ma poi se la luce
sempre o non la medesima e lombra stessa che prima
era qui, adesso passata di l, oppure se accada secondo
chio dissi pocanzi, cosa che spetta alla mente discer-
nere, ch gli occhi non saranno le leggi del mondo n
aggiungere agli occhi dovranno lerrar della mente. In
questo passo sono contenute espressioni che ricordano
alcuni degli assunti metodologici ed epistemologici del-
la fenomenologia sperimentale, come per esempio: n
aggiungere agli occhi dovranno lerrar della mente.
Infatti, come scrive il poeta, gli occhi in nulla posso-
no sbagliarsi, il dato qualitativo quello che , ed il
giudizio, ci che pensiamo su ci che vediamo, ad esse-
re vero o falso. Ne Lanalisi delle sensazioni Mach afferma
che lespressione inganno dei sensi dimostra che non
siamo ancora pervenuti veramente alla piena coscienza
(o almeno non abbiamo ancora sentito la necessit di
esprimere questa coscienza nella terminologia) del fatto
che i sensi non dnno indicazioni n sbagliate n giuste.
Lunica cosa giusta che si possa dire degli organi di senso
che essi, in circostanze diverse, evocano sensazioni e
percezioni diverse.98
Soffermiamoci ulteriormente sulla nozione di vedere
in senso stretto e sulla distinzione tra vedere e pensare
recuperando un passo di Russell, tratto da Sintesi filosofica:

97. Ivi, p. 21.


98. E. Mach, Die Analyse der Empfindungen und das Verhltnis des Physischen zum
Psychischen, Fischer, Jena 1900, tr. it. di L. Sosio, Lanalisi delle sensazioni e il
rapporto fra fisico e psichico, Feltrinelli, Milano 1975, p. 43.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 215

Cosa potete vedere allorizzonte? Un uomo dice: Vedo una


nave. Un altro dice: Vedo un piroscafo con due ciminiere.
Un terzo dice: Vedo un transatlantico della linea Cunard che
va da Southampton a New York. Quanto di ci che queste
tre persone dicono da considerarsi una percezione? Esse
possono tutte e tre essere perfettamente nel giusto in ci che
esse dicono, e tuttavia noi non dovremmo ammettere che un
uomo possa percepire che un piroscafo vada da Southam-
pton a New York. Questa dobbiamo dire, uninferenza.99

Il seguente disegno di Kanizsa esplicita la situazione


esposta da Russell:

CUBO CUBO
Mostriamo a un soggetto la prima figura a sinistra e
chiediamogli che cosa vede. Se risponde di vedere la pa-
rola cubo, egli ha risolto un esercizio di problem solving,
ma non ha effettivamente risposto alla domanda cosa
vedi?. Si comporta come colui che nellesempio di Rus-
sell risponde Vedo un transatlantico della linea Cunard
che va da Southampton a New York. Egli sa che quella
la linea del battello, ma non ci che vede; cos il sog-
getto deduce che la terza lettera una B, ma non vede
in senso stretto una B. Possiamo rendere descrittivamen-
te ci che percepiamo affermando di vedere una sorta di
D contigua a un rettangolo o qualcosa del genere: essa
non un caso di completamento amodale, bens di pura
integrazione cognitiva rispetto a un problema dato.
Russell afferma inoltre che alcune cose che pure
hanno carattere di inferenza, in un senso importante, si
deve ammettere che sono percezioni. Per poter dire di
vedere una nave, il protagonista dellesempio deve com-
piere uninferenza. A rigore egli vede unicamente una
macchia scura di forma singolare su uno sfondo azzurro.
Lesperienza gli ha insegnato che quel genere di macchia

99. B. Russell, An Outline of Philosophy, Routledge, London 1951, tr. it. di A. Visal-
berghi, Sintesi filosofica, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 77.
216 FENOMENOLOGIA ERETICA

significa una nave; vale a dire egli ha un riflesso condi-


zionato che lo conduce a proferire la parola nave, ad
alta voce o a se stesso, quando il suo occhio stimolato
in un determinato modo. Districare nelle percezioni di
un adulto cosa sia dovuto allesperienza e cosa non lo sia
impresa impossibile.100 Russell distingue tra il vedere
puro e semplice (vede solo una macchia scura) e il ri-
conoscimento (una nave) che operazione cognitiva
ed empirica; dire vedo una nave uninferenza, come
lenunciazione: vedo una B. Dunque, Russell potrebbe
domandare: il fatto di sapere che questa la lettera B,
ovvero il fatto che noi conosciamo lalfabeto, incide sul
nostro modo di vedere? Rispondere positivamente signi-
fica ritenere che una persona che vede per la prima volta
il segno B oppure che non conosce il nostro alfabeto,
vedrebbe qualcosa di pi, o di meno, rispetto a coloro che
conoscono lalfabeto. Coloro che intendessero sostenere
di vedere qualcosa di diverso osservando la B non sareb-
bero in grado di indicare cosa vedono di diverso, ma se ci
che vedono per definizione visibile allora dovrebbero
anche essere in grado di indicarlo, altrimenti ci a cui si
riferiscono non appartiene alla percezione visibile.101
Lunit del segno B continuer a essere ci che e a
manifestarsi cos come appare, a prescindere dalla nostra
interpretazione: questo anche il fondamento fattuale di
ogni immagine. Sono cio i fatti che si rendono dispo-
nibili allosservazione ripetuta di uno o pi osservatori
(interosservabilit) e che in questo senso sono condivisi-
bili esperienzialmente (intersoggettivit).102 I problemi
legati al riconoscimento della cosa non incidono sulla
percezione visiva in senso stretto: noi vediamo una cosa
e questo di per s un fatto non falsificabile. Il ricono-
scimento consente di nominare, identificare e classificare
con maggiore facilit il dato osservato, non di alterarne

100. Ibid.
101. Linfondatezza di questo assunto dimostrabile chiedendo a chiunque non
conosca un determinato segno, di indicarvi cosa vede o di scegliere un cam-
pione identico in mezzo a molti altri.
102. Cfr. ivi, p. 53.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 217

le qualit. Le qualit formali della cosa rappresentano il


presupposto per lidentificazione, sono cio gli aspetti co-
stitutivi della sua identit.103 Guardiamo per esempio le
seguenti figure:

La configurazione della prima figura pu essere letta


come un numero, oppure come una lettera, secondo la
categoria che le attribuiamo; la nostra volont non altera
n modifica visivamente la figura. Essa formata da una
barra nera verticale e da una curva composta da due archi
di cerchio; si tratti della categorizzazione, denominazio-
ne o interpretazione della configurazione, essa appare gi
formata; qualcosa di ben segregato dal resto, di fronte al
quale possiamo domandarci: cos? Cosa ne faccio? Come
lo chiamo? Eccetera. Qualunque sia la nostra risposta, le
lacune visive nella configurazione rimarranno le stesse.
Diversamente, nella seconda figura, un intervento sul pia-
no del processo primario ha come conseguenza un com-
pletamento dotato di una reale presenza modale.

8. Completamento amodale della cosa: un cubo

Le cose si completano amodalmente. Laspetto invisi-


bile preannunciato dallaspetto visibile: le facce visibili
del cubo rinviano in modo strutturato cio non arbitraria-
mente dalla conformazione della cosa alle facce invisibili.

103. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi, I luoghi della contrariet, Upsel, Torino 1997, p. 129.
218 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il dubbio, per imporsi sullapparire della cosa, deve giocare


un duplice ruolo su entrambi i piani, quello logico e quello
fenomenico. Il dubbio, se esercitato sul cubo secondo il
nostro esempio , deve fare i conti con i modi propri con
cui la cosa si completa amodalmente, facendo emergere la
logica sensibile dallinvisibile al visibile incontrato.
Per esemplificare cosa intendiamo per completamen-
to amodale utilizziamo le figure qui riportate, le quali
sono un esempio della differenza tra esperienza amodale
e presenza puramente mentale. Il termine amodale sta-
to utilizzato per la prima volta da Michotte e Burke per
indicare i fenomeni di completamento che le cose osser-
vate esibiscono, non soltanto nei loro aspetti direttamente
visibili (modali), ma anche in casi dove esse sono parzial-
mente occultate da altre cose.104

La figura a sinistra pu essere descritta come un grup-


po di otto figure angolari. (Linformazione consente di im-
maginare il cubo, pur con qualche difficolt). Allungando
e congiungendo i margini della figura possibile invece
vedere pi agevolmente un cubo. Nellapparire di un og-
getto, normalmente abbiamo gli elementi necessari per
compiere uninferenza e per fornire un significato in base

104. Michotte stato tra i primi a studiare questo fenomeno, definito come pre-
senza fenomenica delle parti non direttamente visibili degli oggetti; oltre a
Michotte ricordiamo: Kanizsa, Petter, Metelli, Gibson e Gerbino e, in ambito
uditivo, Vicario.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 219

alle nostre conoscenze, facendolo rientrare in una classe


di oggetti noti. Linferenza, in quanto integrazione concet-
tuale e interpolazione logica, costantemente presente, e
consente di sostenere che nella formazione del mondo per-
cettivo oltrepassiamo costantemente la mera informazione.
Non esiste per un unico modo di integrare linformazione
direttamente esperita: esiste infatti uninterpolazione co-
gnitiva, dovuta allinferenza, e uninterpolazione percettiva
indipendente dalle nostre conoscenze e dai nostri ragiona-
menti. Come mostra la figura, una cosa pu essere vista sen-
za dover necessariamente essere completamente presente:
ossia anche senza un corrispettivo stimolo fisico. Similmen-
te, data lautonomia dellapparire, unaffermazione pu
essere evidentemente contraddittoria sul piano logico, ma
non necessariamente sul piano del vissuto immediato.
La distinzione tra vedere e pensare caratterizza il ve-
dere come la realt propria dellesperienza diretta, ovve-
ro ci che effettivamente osservabile e ostensibile in un
dato momento. La descrizione della realt fenomenica
composta da osservabili percettivamente presenti e assen-
ti. Gli osservabili possiedono unesistenza percettiva an-
che se una porzione dellevento assente. Lespressione
completamento amodale indica il completamento di
una parte della cosa che non direttamente visibile per-
ch occlusa da qualcosaltro. La parte non visibile dovreb-
be esser descritta come assente, non offrendo informa-
zioni sensoriali allocchio dellosservatore tali da rendere
ragione della sua costituzione percettiva. Da un punto di
vista fenomenico, per vissuta come presente: in tutte
queste situazioni il vissuto di continuazione di tipo per-
cettivo e la parte completata esibisce lo stesso carattere di
realt delle cose direttamente esperite.105
Il sistema ottico pu colmare delle lacune, e si spinge
sempre oltre linformazione data mediante linterpolazio-
ne percettiva. Il completamento percettivo non lecce-
zione, bens la regola allinterno del campo visivo. Esso
si verifica ogni volta che ci troviamo di fronte a unorga-

105. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi, I luoghi della contrariet, cit., pp. 59 sg.
220 FENOMENOLOGIA ERETICA

nizzazione figura-sfondo.106 Si sempre ritenuto che inte-


grare la parte celata di una cosa osservata sia un processo
mentale, attraverso il quale il pensiero contribuisce alla
costruzione del mondo visivo: tale costruzione consiste-
rebbe in ci che sappiamo del mondo esterno, ossia la
conoscenza di come sono fatte le cose. Per chiarire cosa
intendiamo quando parliamo di diversi tipi di completa-
mento importante comprendere la distinzione tra rap-
presentazione mentale e presenza percettiva.107

La prima figura un esempio di completamento mo-


dale. Lanello grigio interamente visibile con la stessa
evidenza in tutte le sue parti. Le due zone centrali sono
delimitate dai trattini orizzontali e possiedono la stessa
evidenza percettiva delle due zone arcuate: entrambe si
presentano con la stessa modalit visiva. La seconda figura
composta unicamente da due archi grigi; essi possono
essere pensati come parti di un anello, come nella prima
figura, al quale sono state sottratte le due zone centrali:
di fatto per sono presenti solo due unit fenomeniche.
Le due zone, qualora vengano mentalmente interpolate
tra gli archi a formare un anello, sono soltanto rappre-
sentate, e questa integrazione mentale non esercita alcu-
na influenza sullaspetto dellinterruzione che continua
ad apparire come una parte dello sfondo bianco. Tale
rappresentazione piuttosto mentale, non avendo effetti

106. Cfr. G. Kanizsa, Grammatica del vedere, Il Mulino, Bologna 1980, p. 91.
107. Cfr. Id., Vedere e pensare, cit., p. 51.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 221

percettivi.108 Lunit della cosa direttamente osservata


nel primo caso, soltanto pensata nel secondo. Diverso in-
vece il caso che ci si presenta nella terza figura, dove i due
archi sono modalmente visibili, ma il loro completamen-
to non pi una rappresentazione mentale, poich essi
tendono a continuare spontaneamente e coercitivamente
dietro la fascia orizzontale bianca. Questo caso descrit-
to dagli osservatori come un anello coperto da una barra
orizzontale: la continuit dellanello dietro a essa non
un fatto soltanto mentale, ma ha un presupposto percet-
tivo. Il passar dietro ha il carattere del dato fenomeni-
camente esplicito o, per usare lespressione di Metzger,
dellincontrato. Il completamento amodale si riferisce a
tutti i casi che possiedono questo carattere di presenza fe-
nomenicamente incontrata. Nella vita quotidiana, quasi
tutte le situazioni visive nelle quali ci imbattiamo sono ca-
ratterizzate da unintegrazione in base a quanto sappiamo
sugli oggetti: il colore, la forma, la funzione ecc.109 Sono
operazioni del pensiero sui dati percettivi. La validit di
questa spiegazione, apparentemente universale, non can-
cella un altro fatto, altrettanto universale: le integrazioni
mentali sono quasi sempre accompagnate e facilitate da
completamenti di natura percettiva (amodali), che dnno
luogo a una presenza incontrata.110
Un fenomeno di amodalit costantemente presente
dato dalla continuazione di una superficie dietro a unaltra.

108. Ibid.
109. Cfr. ivi, p. 52.
110. Cfr. ivi, p. 53. I fenomeni pi noti di interpolazione percettiva sono: il movi-
mento beta, il completamento della zona corrispondente alla macula cieca,
la comparsa di oggetti visivi stereoscopici con stereogrammi di punti disposti
casualmente, la formazione di superfici anomale (Cfr. ivi, p. 27).
222 FENOMENOLOGIA ERETICA

Si prendano i primi due esempi: le modalit di unio-


ne dei margini a T determina visivamente il passar-
dietro, proprio del completamento amodale, dellarea A
su B (e viceversa) e di conseguenza larea posta davanti
quella che percettivamente viene vista continuare dietro.
Nel terzo caso, invece, i margini a Y determinano una
giustapposizione delle due aree. La stratificazione delle
aree dipende dunque dal modo in cui si incontrano i con-
torni delle regioni (legge di Helmholtz-Rotoosh): Una
linea nel campo visivo tende a rifiutare una doppia funzio-
ne, cio a servire contemporaneamente da margine a due
superfici;111 per questa ragione nella prima figura m
il margine di A, B quindi senza margine e continua
dietro ad A. La tesi di Kanizsa non necessita di alcuna
ipotesi di ragionamento sul sistema visivo: il completa-
mento amodale percettivo nel senso che si impone co-
ercitivamente e non soggetto alla nostra volont, come
avviene invece nel caso delle integrazioni mentali.
Si osservi questaltro caso, tenendo presente che ci
che rileviamo attraverso queste figure possiamo appren-
derlo anche tramite losservazione di oggetti del nostro
ambiente circostante:

Il primo cubo visto come un cubo trasparente o di


filo di ferro, mentre la figura sulla destra percepita come
piana ed esagonale. Leffetto di tridimensionalit appa-
rente delle figure piane un effetto della tendenza alla
singolarit.112 La coerenza strutturale data dalle figure

111. Ivi, p. 28.


112. Cfr. ivi, p. 128.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 223

geometriche regolari. La tendenza alla massima regolari-


t possibile determina il diverso rendimento fenomenico
delle figure: mentre le prime due figure appaiono coer-
citivamente come cubi, la figura sulla destra non viene
percepita come tridimensionale pur essendo anchessa
il disegno prospettico di un cubo. Essa per appare gi
regolare, simmetrica e stabile sul piano bidimensionale,
mentre le figure a sinistra si regolarizzano percependole
sul piano tridimensionale: gli angoli diventano retti e le
superfici sono percepite come quadrati. Se fossero perce-
pite come figure piane sarebbero composte da tre zone
irregolari oppure da parallelogrammi sovrapposti.

Riprendiamo lesempio del cubo osservato amodal-


mente. Possiamo immaginare i frammenti della prima fi-
gura come parti di un cubo, ma non vederli. Per vedere
direttamente il cubo amodalmente sufficiente sovrap-
porre le fasce, come nella figura di destra. Il cubo ora non
immaginato, ma visibile, e i segni precedenti si com-
pletano amodalmente rendendo osservabile il solido, sep-
pur parzialmente coperto dalle strisce. I due modi di ol-
trepassare lesperienza immediata sono di natura diversa,
poich mentre lintegrazione mentale libera e soggetta
alla volont interpretante, il completamento amodale ri-
224 FENOMENOLOGIA ERETICA

mane di fatto inscritto allinterno dellesperienza imme-


diata. Allo stesso tempo visibile, interosservabile e non
soggetto ad atti volontari: non possiamo decidere di non
vedere il cubo completarsi.
Il completamento amodale accompagna lorganiz-
zazione delle cose nello spazio: la segmentazione del
campo in figura e sfondo implica un completamento
di questultimo che esiste e passa dietro la figura.113 La
presenza del cubo data da uno spazio che non di-
rettamente visibile, sebbene fenomenicamente presente.
Non ci dato di immaginare liberamente la parte del
cubo non direttamente osservabile, poich laspetto visi-
bile definisce quello invisibile delineandolo come parte
dellesperienza e quindi come fatto pubblico. Il dub-
bio scettico, per poter risultare sensato e quindi accolto,
deve mettere in discussione la struttura fenomenica del-
la cosa. Per poter essere accolto non sufficiente che il
dubbio sia logico: esso deve intaccare i modi di datit
fenomenica del mondo esterno. In conclusione, le cose
percepite appaiono intere e complete anche se non pos-
sediamo tutte le informazioni necessarie per certificare
tale completezza, e ci dipende dallindipendenza della
percezione diretta.

8.1 Esperienza passata e completamento amodale

Propriet come lessere fenomenicamente dato, les-


sere indipendente, la non influenzabilit, sono caratteri-
stiche distintive dellapparire della cosa che la differen-
ziano dal pensarla, immaginarla, descriverla.114 Possiamo
distinguere una fase di organizzazione e segmentazione
percettiva precategoriale da una fase di identificazione
e categorizzazione dei percetti, riconosciute rispettiva-

113. Cfr. Id., Grammatica del vedere, cit., pp. 90-94.


114. Cfr. ivi, p. 56. (Si veda inoltre: Id, Vedere e pensare, cit., p. 77; Id., Grammatica
del vedere, cit., pp. 83 sg.). Lindipendenza della funzione percettiva rispetto ai
contenuti mentali del soggetto la tesi fondamentale dei gestaltisti ed stata
ripresa dalla teoria ecologica di Gibson. Secondo questi approcci, nel corso
dellosservazione della cosa, il sistema percettivo indipendente dai contenuti
di conoscenza del percettore.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 225

mente come processi primari e processi secondari di


conoscenza.115
Kanizsa ha mostrato quanto poco il sapere e le aspetta-
tive incidano sulla percezione visiva: lesperienza passata
entra in conflitto con i fattori che agiscono realmente nel-
la formazione dei dati percettivi, pur non alterando nella
maggior parte dei casi la datit delle cose.116 Osserviamo
un uomo seduto a una scrivania.

Anche in questo caso vi sono due attivit e sono di na-


tura diversa: una tendenza al completamento percettivo
amodale accanto a un completamento puramente men-
tale, di tipo inferenziale. Nella prima figura pu agire
questo secondo fattore, ma del tutto assente il primo.
Vediamo una parte della persona, comunque sufficien-
te a farci immaginare il resto del corpo, ma ci non
sufficiente a trasformare il suo aspetto di parte nella
percezione unitaria del corpo. La stessa configurazio-
ne delluomo nella seconda immagine non appare pi
come parte di una persona, ma percepita come la parte
visibile di una persona intera la cui parte non diretta-
mente visibile presente, con il carattere dellincontra-
to, dietro al tavolo.117

115. Cfr. Id., Vedere e pensare, cit., p. 113. Gli studiosi gestaltisti concordano su que-
sta tesi, sebbene non tutti sostengano che la percezione in quanto sistema
separato e autonomo sia implicita nel postulato di modularit, caratteriz-
zante lapproccio computazionale allo studio della visione. Coloro che non
sposano questultima tesi sono di matrice empirista poich sostengono lin-
flusso dellesperienza passata nellapproccio percettivo, ammettendo una
parziale penetrabilit cognitiva (Id., Grammatica del vedere, cit., p. 56).
116. Cfr. ivi, p. 73.
117. Id., Vedere e pensare, cit., p. 54.
226 FENOMENOLOGIA ERETICA

Anche qui, la differenza tra le due immagini sostan-


ziale, poich nella seconda agiscono congiuntamente
due attivit dintegrazione: un completamento percettivo
amodale e un complemento di tipo inferenziale. Nella
prima immagine pu agire questo secondo fattore, ma
del tutto assente il primo.118 Proviamo a porre in contrasto
queste due logiche di completamento della cosa, una
basata sullesperienza passata, laltra di carattere percetti-
vo, a cominciare dalla seguente figura:

Limmagine dellanimale appare allungata ma uni-


taria e amodalmente incontrata, contro la familiarit
dei due animali. Librido dei due animali creato dal com-
pletamento amodale mostra come sia possibile porre in
contrasto lesperienza passata e la datit fenomenica. Tale
distinzione basata sullevidenza fenomenologica che la
presenza amodale incontrata e la presenza puramen-
te mentale sono realt psicologicamente differenti.119
Un esempio simile al precedente osservabile attraverso
limmagine di uno scooter, la cui lunghezza e proporzioni
sono note, che appare completarsi in una unit allunga-
ta quando potrebbe invece secondo la nostra esperienza
passata essere immaginato e pensato come due unit par-
zialmente nascoste.

118. Cfr. ibid.


119. Ivi, p. 54.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 227

La distinzione tra i due tipi di presenza dettata anche


dal fatto che soltanto il completamento amodale incon-
trato produce effetti funzionali di natura percettiva. Te-
nendo conto di tali effetti diventa evidente che una cosa
vista completarsi amodalmente si comporta come se essa
fosse una cosa modalmente presente nel campo visivo.120
Il completamento amodale consente di evidenziare
le regole, i vincoli e le tendenze del funzionamento del
sistema percettivo, per controllare se la logica di tale siste-
ma sia identica a quella del pensiero.121 Esso mostra come
di fatto la logica delle inferenze compiute dal pensiero
non corrisponda alla logica del processo di costruzione
della realt fenomenica. Lanalisi fenomenologica dei casi
menzionati indica lindipendenza dellorganizzazione
fenomenica della cosa rispetto allimmagine linguistico-
concettuale. In quanto fatto percettivo, il completamento
amodale possiede una propria indipendenza contraria
negli ultimi due casi allesperienza passata e produce
effetti funzionali di natura percettiva. Di conseguenza, se
consideriamo la percezione come un processo composi-
to, in primo luogo troviamo un processo primario il cui

120. Cfr. ivi, p. 75. Di conseguenza, se consideriamo la percezione come un pro-


cesso composito, possiamo distinguere, da una parte, un processo primario
che organizza linput sensoriale e, dallaltra, le attivit cognitive che catego-
rizzano, riconoscono, interpretano, attribuiscono significati: da un punto di
vista logico le seconde presuppongono lesistenza del primo. Il verificarsi de-
gli effetti funzionali ci porta a ipotizzare che i completamenti amodali sono
un prodotto del processo primario (ibid.).
121. Cfr. ivi, p. 55.
228 FENOMENOLOGIA ERETICA

compito lorganizzazione dei dati sensibili e, in secondo


luogo, le attivit cognitive di giudizio, riconoscimento e
interpretazione che presuppongono lesistenza del pri-
mo.122 Tale teoresi per non pu essere suffragata da un
experimentum crucis data limpossibilit di allestire un espe-
rimento che consenta di verificare il ruolo determinante
della conoscenza passata: sarebbe necessario poter dispor-
re di un gruppo di controllo allinterno del quale nessuna
persona dovrebbe possedere alcun tipo di conoscenza, n
qualsiasi genere di esperienza.123

8.2 Linvisibile-visibile: logica del vedere vs logica del pensare

Attraverso lanalisi fenomenologica di altri due casi


esaminiamo come una cosa possa completarsi teoricamen-
te in pi di un modo, secondo una logica del possibile;
tuttavia di fatto lorganizzazione della figura possiede una
propria e autonoma struttura fenomenica.

Questo primo caso indica come loccultamento di par-


te dellimmagine non alteri la sua coerenza percettiva. La
figura un poligono parzialmente coperto da due quadra-
ti neri: difficilmente, sebbene possibile in linea teorica, si
realizza una soluzione percettiva come nel secondo grup-

122. Cfr. ivi, p. 75. Il verificarsi degli effetti funzionali comporta che i completa-
menti amodali siano un prodotto del processo primario.
123. Cfr. ibid.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 229

po di figure, nel quale, anzich la sovrapposizione, si ha


una giustapposizione di due superfici.
Anche in questo esempio, la percezione delle figure
come sovrapposte dovuta alla tendenza dei margini a
svolgere una funzione unilaterale e lordine della stratifi-
cazione imposto dalle quattro giunzioni a T.124 Il poli-
gono, la cui organizzazione percettiva data dalla figura
sulla destra, continua amodalmente dietro la copertura.
Sebbene la situazione pi logica sia lottagono, suggerito
anche dal contesto, la soluzione che simpone fenomeni-
camente quella indicata.
La formazione della parte coperta, quindi, non
dovuta alla stimolazione di quella zona; essa pu essere
condizionata soltanto dalla stimolazione relativa alle zone
adiacenti. La forma che la parte coperta assume non ar-
bitraria, come potrebbe accadere se fosse prodotta soltan-
to da unattivit interpretativa. Ci dipende dalle caratte-
ristiche delle parti direttamente visibili. In altre parole, la
parte visibile deve avere in s la tendenza a continuare,
a completarsi in un determinato modo, e non negli al-
tri modi teoricamente possibili.125 Prendiamo il secondo
esempio:

124. Cfr. ivi, p. 30. (Si veda inoltre: C. Calabi, Filosofia della percezione, cit., p. 141).
125. Cfr. ivi, p. 67.
230 FENOMENOLOGIA ERETICA

Come nelle precedenti, anche in questa figura si os-


serva come il completamento amodale prevalga visiva-
mente sulla coerenza strutturale. Infatti, il completa-
mento non avviene come indicato dai trattini (coerenza
strutturale), bench questultima sia del tutto coerente
con la logica del contesto. Gli ultimi due casi indicano
la possibilit di due soluzioni contrapposte: una logica e
una estetico-percettiva. Di fatto per si impone ununica
soluzione: il sistema visivo segue la continuit di direzione
trascurando le esigenze di regolarit e di adeguamento al
contesto, mentre al livello di pensiero sono proprio que-
ste ultime caratteristiche a fornire la soluzione del pro-
blema.126 I modi di apparenza della cosa di-mostrano di
possedere una propria autonomia rispetto allattivit di
pensiero che li accompagna. La cosa appare essere conte-
sa tra percezione e pensiero ma, se diamo ascolto a Kafka,
nella lotta tra te e il mondo vedi di secondare il mondo.

9. La percezione visiva: tornare alle cose stesse

Percepire, per Merleau-Ponty, nel pieno senso della


parola che loppone a immaginare non giudicare, ben-
s coglie un senso immanente al sensibile prima di ogni
giudizio.127 Affrontando il problema della percezione,
spesso si immagina come le cose potrebbero configurarsi
in una data situazione, invece di limitarsi allosservazione
del mondo esterno. Lesperienza immediata, cos come de-
lineata sopra attraverso alcuni esempi, mira direttamente
alle cose nel loro essere visibili e percepibili in quanto tali:
senza ricorso allimmaginazione e senza implicare una ne-
cessaria compenetrabilit tra il logos e il phainomenon.
Il completamento amodale mostra che possiamo im-
maginare diverse possibilit per completare le figure,
tutte ugualmente possibili; ma solo osservando la confi-
gurazione degli osservabili possiamo descrivere il reale

126. Cfr. ivi, p. 31.


127. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 72.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 231

rendimento fenomenico della situazione presa in esame.


In fenomenologia della percezione si osservano le cose
apportando concretamente variazioni per comprendere
cosa dipende da cosa. Diverso sarebbe il caso in cui il rap-
porto osservatore-cose venisse rappresentato alla lavagna
per realizzarne un modello esplicativo: unimmagine del-
la realt anzich lambiente ecologico in presa diretta. La
tendenza a immaginare le situazioni, anzich osservarle,
deriva probabilmente dal fatto che il linguaggio serve per
comunicare e spiegare ci che non direttamente esperi-
bile. Ricevere informazioni da qualcuno suscita nel nostro
spazio mentale immagini di quanto stiamo ascoltando.
qui che nasce il problema del rapporto fra la percezione e
le attivit cognitive superiori.
Per rendere intuitiva la contrapposizione tra immagina-
zione e percezione si consideri un banale esempio: da una
ricetta di cucina, di cui conosciamo tutti gli ingredienti,
non siamo in grado di immaginare il sapore del piatto, n
possiamo sapere se ci piacer. La stessa cosa vale per la per-
cezione visiva: possiamo immaginare come una figura ten-
da a completarsi, poi per la realt pu deludere le nostre
aspettative, assumendo un aspetto inatteso apparentemen-
te illogico rispetto a ogni nostra esperienza pregressa.
La percezione quindi una funzione autonoma e com-
piuta, dipendente da fattori esterni al percettore stesso,
dallo svolgimento e dagli esiti di altri processi mentali.128
La funzione percettiva preliminare agli altri processi di
conoscenza e ci consente un approccio immediato a certi
aspetti del reale.
Quando parliamo di percezione non intendiamo ri-
ferirci a qualche specifica funzione psichica; tutto ci
che intendiamo denotare con questo termine il regno
delle esperienze che non sono meramente immaginate,
rappresentate o pensate.129
Il percepire ha il suo punto di partenza nellosserva-
tore: percepire un verbo transitivo che implica il fare

128. Cfr. L. Burigana, Singolarit della visione, cit., p. 33.


129. K. Koffka, Princpi di psicologia della forma, cit., p. 17.
232 FENOMENOLOGIA ERETICA

esperienza di qualcosa, al contrario di verbi come vede-


re o accorgersi.130 Infatti, i verbi che utilizziamo comu-
nemente si riferiscono a situazioni fenomenologicamente
complesse; il linguaggio comune si riferisce a molte cose
contemporaneamente e non a un solo aspetto di una sin-
gola cosa. Una possibile definizione di percezione quella
secondo la quale sono percettivi gli oggetti, gli eventi ed
i rapporti che sono vissuti come fenomenicamente reali
hic et nunc.131 Questa non tanto una definizione quanto
un modo di intendere la percezione nellatto stesso di ve-
dere. Assumendo questo criterio sempre possibile distin-
guere tra i fatti propriamente oggetto della percezione e
quelli che invece possiedono natura proiettiva, cognitiva,
rappresentativa o fantastica. Secondo il noto esempio di
Kant, c una bella differenza tra possedere cento talleri,
immaginare di averli o ricordare di averli avuti.132
La percezione potrebbe essere considerata come
quel processo attraverso il quale le informazioni raccolte
dagli organi di senso sono organizzate in oggetti, eventi o
situazioni dotati di significato per il soggetto.133 In forza
di ci alcuni ritengono che si possa parlare di percezione
unicamente nei casi in cui vi siano dei resoconti verbali.134
Diversamente, sosteniamo che il comportamento possa
essere gi un indice attendibile di percezione, e che la per-
cezione visiva possa essere riferita in linea di principio a
tutto ci che ostensibile e interosservabile.
Lindipendenza della percezione rispetto al linguag-
gio pu essere segnalata anche dalla semplice constata-
zione che nessuno confonde ci che ha davanti con ci
che ne dice. Possiamo certamente produrre descrizioni
insoddisfacenti, sommarie o intenzionalmente confuse: la
perfettibilit della descrizione epistemologicamente rile-
vante se:135

130. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 270.


131. G. Kanizsa, Vedere e pensare, cit., p. 5.
132. Cfr. ibid.
133. G.B. Vicario, Psicologia generale, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 65.
134. Cfr. ibid.
135. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 196.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 233

a) migliora le descrizioni come se al limite esistesse la


descrizione assoluta;136
b) il perfezionamento della descrizione possiede un
andamento diverso se la cosa presente, oppure
assente;137
c) il processo di correzione viene facilitato dalla presenza
di altri osservatori;138
d) la definizione ostensiva praticabile poich, in genera-
le, possibile rendere meno ambigue le descrizioni.139

Le modalit di apparenza della cosa rendono possibile


un miglioramento della nostra descrizione dellesperienza
diretta: Le cose hanno tutti i diritti nei confronti delle de-
scrizioni; le descrizioni hanno tutti i doveri nei confronti
delle cose.140 Inoltre, il lavoro di interosservazione per-
mette una collaborazione atta a migliorare la descrizione e
a scorgere aspetti visibili nuovi nelle cose sotto osservazio-
ne. Linterosservazione consente un significativo margine
di possibilit di convergenza nella descrizione, senza che
sorgano domande del tipo: ma che cosa vede lui vera-
mente nel suo mondo privato? Il metodo interosserva-
tivo possiede almeno due vantaggi: innanzitutto si evita-
no prese di posizione arbitrarie, perch i soggetti, messi a
confronto gli uni con gli altri, si trovano nelle condizioni
di dover rendere comunicabili le loro impressioni; in se-

136. Alcuni hanno usato questo argomento per sostenere che siamo confinati
completamente in un universo linguistico: procediamo migliorando le de-
scrizioni del fatto verso una descrizione assoluta che non c, restando in un
mondo di proposizioni. Ma si pu anche pensare che il senso di unaffer-
mazione come: la descrizione assoluta non esiste consiste interamente nel
dire che nessuna descrizione, per quanto perfezionata, confrontabile con
la cosa di cui descrizione. Le cose possono essere studiate come le proposi-
zioni (Cfr. Id., Fenomenologia sperimentale, cit., pp. 161-162).
137. Nel primo caso il processo guidato proprio dalla cosa, attraverso un sistema
di relazioni ineludibile che obbliga la descrizione verso la cosa (Cfr. ibid.).
138. Che producono descrizioni a loro volta, correggendo le nostre, fornendoci
espressioni pi appropriate, e, nello stesso tempo, ci fanno scorgere nella
cosa aspetti che altrimenti non avremmo rilevato. Una fase importante di
questo processo di inter-osservazione rappresentata dalla definizione osten-
siva (Cfr. ibid.).
139. Ricorrendo a dettagli definiti dalla cosa e mostrandoli per far vedere che cosa
si intende dire con una certa parola o una certa espressione (Cfr. ibid.).
140. Cfr. ibid.
234 FENOMENOLOGIA ERETICA

condo luogo, se abbiamo a che fare con soggetti collabora-


tivi, assisteremo a un miglioramento generale dei risultati
percettivi, poich i pi abili aiuteranno gli altri.141
Il linguaggio della fenomenologia sperimentale si basa
sulla definizione ostensiva e sulluso comune delle paro-
le, che riflette le cose sotto osservazione. Esso potrebbe
essere rappresentato attraverso un grafico formato da or-
dinate e ascisse che permettono di identificare loggetto
espresso dalla parola sul reticolo. Con unavvertenza: non
lincontro di ordinate e ascisse sul reticolo a costitui-
re la cosa, giacch essa esiste gi di per s come insieme
di caratteristiche immediate.142 Il problema creato dalle
ambiguit linguistiche non dipende dalle cose osservate,
quanto piuttosto dal fatto che nel definire linguisticamen-
te una cosa non possibile stabilirne confini precisi: dal-
tra parte a livello empirico non si possono fornire delle
identit assolute.
Il motto della fenomenologia stato espresso dal suo
padre fondatore attraverso queste parole: Zurck zu den Sa-
chen selbst!, Tornare alle cose stesse! Se nel primo Novecento
si dichiara la volont di un ritorno alle cose, ci si chiede
quando sia avvenuto lallontanamento. Merleau-Ponty ne
indica due tappe fondamentali lungo la storia della filoso-
fia. La prima con lempirismo, la seconda con lintellettua-
lismo, che comprende sia la tradizione razionalista sia il
criticismo kantiano. La distinzione tra intellettualismo ed
empirismo fa perno sulla nozione di distanza: essi

assumono come oggetto di analisi il mondo oggettivo che


non mai primo n in base al tempo, n in base al senso, en-
trambi sono incapaci di esprimere la maniera particolare con
cui la coscienza percettiva costituisce il suo oggetto. Entrambi
si tengono a distanza dalla percezione anzich aderirvi.143

Tale distanza caratterizzata dal modo in cui conce-


pita la percezione del mondo esterno. Lempirismo occul-

141. G.B. Vicario, Psicologia generale, cit., p. 171.


142. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 69.
143. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 63.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 235

ta e rende incomprensibili i fenomeni originari, ossia la


percezione diretta delle cose.144 Lempirismo non si oc-
cupa di ci che vede, ma di ci che si deve vedere in base
allimmagine retinica;145 la cosa percepita non ci data
direttamente, lesperienza immediata diventa mediata e
ricostruita. Compito della fenomenologia della percezio-
ne il recupero dellesperienza immediata delle cose, e
quindi il coglimento pieno della distanza.
Lintellettualismo si propone di esprimere per ri-
flessione la struttura della percezione, anzich spiegarla
con il gioco combinato delle forze associative e dellatten-
zione, ma il suo sguardo sulla percezione non ancora
diretto.146 Empirismo e intellettualismo si accordano in
questo, che nessuno dei due coglie la coscienza nellatto
di apprendere.147 Lintellettualismo parte dalle idee di
verit e di essere che determinano lagire della coscienza:
le capacit stesse di riflessione del soggetto si definiscono
in base a queste idee. Latteggiamento naturale garantisce
il fatto che al di l dellillusione sia possibile cogliere la
vera realt. Esso scredita cio levidenza del mondo che
si d alla percezione in forza della fondazione scientifi-
ca della verit sulla base di analisi matematiche. Tuttavia,
non potremmo essere consapevoli di possedere unidea
vera se non potessimo collegare listante presente a quello
passato attraverso la memoria.148
Con la tradizione empirista e intellettualista si conso-
lidata lidea che nella cosa siano compresenti qualit reali
e qualit apparenti. Le qualit reali sarebbero ci che nel-
la cosa resta indifferente rispetto alla sua percezione. Tali
propriet, che consentono alla cosa di rimanere identica a
s anche quando nessuno la osserva, sono le qualit prima-
rie: solidit e spazialit, durezza, peso, forma, grandezza e

144. Cfr. ivi, p. 59.


145. Ivi, p. 64.
146. Ivi, p. 69.
147. Ivi, p. 65. (Riguardo alla distinzione tra empirismo e razionalismo rispetto
alla Psicologia della Forma si veda: P. Guillaume, La psychologie de la forme,
Flammarion, Parigi 1937, tr. it. di G. Gnoli, La psicologia della forma, Giunti-
Barbera, Firenze 1970, pp. 208-209).
148. Cfr. ivi, p. 77.
236 FENOMENOLOGIA ERETICA

moto. Le qualit apparenti sono attributi che nascono dal


rapporto tra un complesso di qualit primarie e un osser-
vatore. Le qualit dellapparenza sono quindi secondarie, e
variano con il variare delle condizioni dellapparato per-
cettivo del soggetto: esse hanno luogo nella soggettivit e
non nel mondo esterno che ospita le cose.
Questa lidea che ereditiamo dalla scienza moderna a
partire da Galileo: le qualit primarie sono misurabili, e
quindi reali, mentre le qualit secondarie e terziarie sono
soggettive e perci apparenti. Ma da un punto di vista
fenomenologico le qualit della cosa sono tutte compla-
nari al medesimo piano di immanenza fenomenico. Non
prescindiamo dagli osservabili in atto, ma incontriamo le
qualit nelle cose, non decidiamo di vedere un dato colo-
re o una data forma, e neppure lespressione minacciosa
in un volto. Allo stesso modo, un cubo in pietra manifesta
pesantezza, un cubo in carta leggerezza (qualit terziarie).
Se i colori fossero soltanto soggettivi (qualit secondarie),
come si potrebbe classificare i colori delle foglie degli al-
beri nelle diverse stagioni? I colori dellautunno non sono
i colori della primavera, o intendiamo sostenere che lin-
giallire delle foglie dipende da noi? Quel colore segna il
passare delle stagioni, ossia un cambiamento nel mondo,
cos come il blu scuro indica la profondit del mare.149

10. Lesperienza immediata della cosa

Al pregiudizio atomistico-empiristico, per il quale la


cosa pu essere scomposta in molte sensazioni indipen-
denti quanti sono i recettori sulla retina, la fenomenologia
della percezione contrappone un metodo basato sullespe-

149. Le qualit delle cose nellesperienza immediata sono clte nel medesimo
piano di realt, che include lintera classe degli osservabili in atto. Sulla ma-
tematizzazione del mondo operata dalla scienza moderna rinviamo allanalisi
di Husserl ne La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Per
unanalisi pi approfondita delle qualit terziarie si veda: P. Bozzi, Fisica in-
genua, Garzanti, Milano 1990, cap. 3. (Si veda inoltre: V. Mathieu, Il problema
dellesperienza, cit., cap. 3; M. Losito, Affordances. Quattro variazioni sul tema, cit.,
pp. 12-15).
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 237

rienza immediata. La matrice di ogni teoria empirista con-


siste nel riconoscere come le sensazioni debbano essere or-
ganizzate indirettamente da processi di ordine superiore.
Viene cos presupposta lesistenza di una prima fase psichi-
ca di livello inferiore, quella delle sensazioni elementa-
ri, sulla quale interverrebbero facolt psichiche superiori:
memoria, giudizio e ragionamento che, tramite inferenze
inconsce fondate su esperienze passate, integrerebbero le
sensazioni elementari, in modo da dar luogo ad unit per-
cettive pi vaste, ossia gli oggetti della nostra esperienza,
dotati di forma e significato.150 La fenomenologia, al con-
trario, intende mostrare come le cose possiedano proprie-
t specifiche, nella loro globalit. Tali propriet non sono
singoli elementi che costituiscono la cosa, ma derivano
dallinsieme delle relazioni tra le parti. Per questo motivo
le chiamiamo propriet formali gestaltiche.151
Per gli empiristi il cubo tale attraverso lassociazione
delle sei facce intese come elementi primi e lidea costitu-
isce il risultato ricavato dalla successione temporale dei di-
versi aspetti. Per lintellettualismo, al contrario, il signifi-
cato del cubo che determina la percezione della cosa:

Il pensiero del cubo come solido fatto di sei facce eguali e


dodici spigoli eguali che si intersecano ad angolo retto, e la
profondit non altro che la coesistenza delle facce e degli
spigoli eguali.152

Lintellettualismo considera una definizione della


profondit della cosa ci che invece ne solo conseguen-
za. Lesperienza immediata coglie il cubo come elemento
primario: sempre alla percezione che spetter di cono-
scere la percezione.153
La percezione visiva non riducibile a ci che rende
la cosa il risultato di unoperazione inconscia o derivata
attraverso lassociazione di elementi primi. Ritornare alle

150. Cfr. G. Kanizsa, Vedere e pensare, cit., p. 57.


151. Cfr. G. Parovel, Psicologia della percezione, Cicero, Venezia 2004, p. 67.
152. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 351.
153. Ivi, p. 80.
238 FENOMENOLOGIA ERETICA

cose stesse significa per noi tornare ai fenomeni, dove tro-


viamo come strato fondamentale un insieme gi pregno
di un senso irriducibile.154 La cosa va quindi accolta nella
sua datit per come appare, la peculiarit del percepito
di ammettere lambiguit.155 Possiamo accostare queste
parole di Merleau-Ponty allaffermazione di Metzger se-
condo cui la fenomenologia deve accettare il dato imme-
diato cos come esso , anche se appare come non abi-
tuale, inatteso, illogico o insensato e anche se contraddice
a convinzioni indiscusse o ad abitudini di pensiero molto
familiari.156 Falsa o vera, cos che la percezione deve
dapprima costituirsi perch un predicato sia possibile.157
Ancor prima di affermare questo un cubo vediamo la
sua datit gi configurata, il suo senso definito in anticipo
rispetto alle esplorazioni possibili sulla cosa.
Nellosservare questo cubo, io contraggo risoluta-
mente lo spessore di durata trascorsa da quando lo guar-
do, esco dalla mia vita individuale cogliendo loggetto
come oggetto per tutti.158 Lapparire della cosa per la
fenomenologia qualcosa di pubblico, pronto ad accoglie-
re le nostre indagini in un orizzonte di senso gi antici-
patamente delineato, non chiuso dentro una soggettivit
insondabile. Il percepire deve coincidere con oggetti con-
statabili. Il dubbio scettico rispetto al cubo e in generale
alla cosa, pur avendo creato un cortocircuito logico, non
ha intaccato la sorda presenza del mondo.159

Vi qui una visione indeterminata, una visione di non so che


e, se si passa al limite, ci che dietro la mia schiena non manca di
presenza visiva.160

154. Ivi, p. 57.


155. Ivi, p. 43.
156. W. Metzger, I fondamenti della psicologia della Gestalt, cit., p. 11.
157. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 73.
158. Ivi, p. 78.
159. Ivi, p. 79.
160. Ivi, p. 38, corsivo nostro.
LESPERIENZA IMMEDIATA DELLA COSA 239

La figura ha contorni che non appartengono allo


sfondo e se ne distaccano... e continua sotto la figura.161
Lapparire della cosa si manifesta in una continuit pro-
gressiva spesso accompagnata da una continuit struttura-
ta amodalmente.162 La cosa non appare come se si fosse
creata, improvvisamente, pochi istanti prima che il nostro
sguardo la catturasse: essa appare col carattere della pre-
senza che trattiene aspetti invisibili-visibili nel tempo di
presenza. Attraverso il completamento amodale abbiamo
visto come la cosa tenda di per s a completarsi come
unit fenomenica organizzata. Riprendendo le parole di
Merleau-Ponty potremmo dire che la sintassi percettiva
si articola secondo regole proprie e autonome.163 Compi-
to della fenomenologia sperimentale lo studio di queste
regole di datit della cosa, ossia la scoperta delle con-
nessioni funzionali tra i fenomeni visivi.164
Una filosofia della percezione non solamente quella
che prende la percezione per oggetto, ma una filosofia
che si riforma al suo contatto, che pensa secondo la perce-
zione stessa: La percezione sbocca su cose. Ci significa
che essa si orienta verso verit in s, in cui si trova la ragio-
ne di tutte le apparenze, come verso il proprio fine.165

161. Ivi, p. 47.


162. Con modale si intende ci che sorretto da una modalit sensoriale, con
amodale, invece, ci che presente fenomenicamente, senza essere sorret-
to da una modalit sensoriale (cfr. G. Kanizsa, Vedere e pensare, cit., p. 90).
163. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 73.
164. G. Kanizsa, Vedere e pensare, cit., p. 90.
165. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 97.
V.
IL FENOMENO
IUXTA PROPRIA PRINCIPIA

Non cercare niente dietro i fenomeni;


gi loro sono teoria
J.W.V. Goethe
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 243

1. La fenomenologia sperimentale

Il senso della percezione immediata, chiarito nel ca-


pitolo precedente, sar assunto come base epistemologica
per una fenomenologia sperimentale. Il progetto di una
teoria autonoma della percezione ha lobiettivo di coglie-
re il fenomeno iuxta propria principia. La fenomenologia
sperimentale si sviluppa attraverso i principi di complana-
rit delle variabili, secondo i quali le variabili dipendenti
e indipendenti giacciono sul medesimo piano dellosser-
vabilit.1 Le variabili di cui tenere conto sono quelle dei
fenomeni e non quelle degli stimoli che producono i fe-
nomeni. Il fine della fenomenologia sperimentale la
scoperta e lanalisi di connessioni causali necessarie tra i
fenomeni visivi, di individuazioni che determinano, favo-
riscono o ostacolano la loro comparsa o il loro grado di
evidenza.2
Prenderemo in esame il metodo fenomenologico spe-
rimentale, limitandoci allanalisi della percezione visiva in
relazione ad alcune considerazioni di carattere epistemo-
logico e ontologico.3 Attraverso il concetto di esperienza
immediata, sar esaminata la nozione di Metzger di re-
alt incontrata, terminando cos lanalisi della cosa
e le relative osservazioni critiche rispetto alla dicotomia

1. Cfr. P. Bozzi, Note sulla mia formazione, in Gestalt Theory, 25, 3, (2003), pp.
191-198.
2. G. Kanizsa (a cura di), Fenomenologia sperimentale della visione, Franco Angeli,
Milano 1984, p. 10. (Si veda inoltre: S.C. Masin, Il problema della comparsa degli
oggetti fenomenici, in Teorie e Modelli, VII, 2-3, (2002), pp. 121-128. Si consi-
deri anche: G.B. Vicario, On experimental phenomenology, in S.C. Masin (a cura
di), Foundations of perceptual theory, Amsterdam North-Holland 1993, pp. 197-
219).
3. Sar analizzata la fenomenologia sperimentale di Bozzi: nellesempio della
percezione del cubo, il suo monismo-realismo come risposta allo scetticismo.
244 FENOMENOLOGIA ERETICA

apparenza-realt. Poich la realt prima di tutto ci che


incontriamo e non ci che pensiamo di sapere su di essa,
si tratter di analizzare come i modi di questo incontro
determinino i gradi della realt e diano origine alla distin-
zione tra fenomeni interni e fenomeni esterni.
Il retroterra della fenomenologia sperimentale
lanalisi della percezione, una delle questioni fondamen-
tali della tradizione del pensiero scientifico-filosofico.4 Ri-
percorriamone rapidamente alcune tappe decisive. Rifles-
sioni sulla percezione si trovano in Platone e in Aristotele,
come gi nei Presocratici. Democrito, per esempio, opera
una prima distinzione tra le qualit primarie e secondarie
delle cose. Analisi approfondite sulla percezione si trova-
no anche in Cartesio, Malebranche, Condillac, Read, Mill
e Leibniz, cos come negli empiristi inglesi (Locke, Ber-
keley e Hume). In tutto il pensiero moderno una delle
questioni pi dibattute se la percezione sia qualcosa di
acquisito empiricamente o di innato. Su questo proble-
ma si incardina il celebre quesito di Molyneux, molto di-
scusso tra XVII e XVIII sec.5 Lesperimento mentale verte
sullipotesi che un cieco dalla nascita, a cui viene insegna-
to a distinguere, servendosi del tatto, tra un cubo e una
sfera, riacquisti luso della vista. Cosa accadrebbe in una
circostanza del genere? La tradizione empirista risponde,
seguendo Locke, che il cieco non potrebbe riconoscere
il cubo come cubo; la tradizione razionalista, ritenendo
innata la percezione, risponde in modo opposto.
Kant, riducendo la gnoseologia allambito dei fenome-
ni, certamente annoverabile tra gli antecedenti pi signi-
ficativi per la comprensione del movimento gestaltistico
e della fenomenologia sperimentale.6 Unaltra rilevante

4. Ripercorriamo il saggio di P. Bozzi, Sugli antecedenti scientifici e filosofici della Gestalt-


theory, in G. Kanizsa e N. Caramelli (a cura di), Leredit della psicologia della Ge-
stalt, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 33-51. (Si veda anche: D.W. Hamlyn, Sensation
and Perception. A History of the Philosophy of Perception, Routledge, London 1961).
5. Cfr. J. Locke, An Essay Concerning Human Understanding, Clarendon, Oxford
2001, p. 129.
6. Molte sarebbero le precisazioni teoriche sulla non compatibilit tra fenome-
nologia sperimentale e teoresi kantiana. Rinviamo direttamente al capitolo
nove di Un mondo sotto osservazione di P. Bozzi e al libro di M. Ferraris, Goodbye
Kant!, (in particolare il sesto capitolo).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 245

anticipazione della teoria della Gestalt rintracciabile


nellepistemologia goethiana, attraverso lidea dellimme-
diatezza percettiva del mondo esterno. Secondo Goethe,
non i sensi ingannano, bens il giudizio, e luomo in se
stesso, in quanto si serve dei suoi sensi sani, lo strumento
fisico pi grande e pi esatto che vi possa essere.7 Ol-
tre alle opere di Goethe vanno ricordate le pionieristiche
ricerche fenomenologiche sulle strutture cromatiche del
fisiologo Hering (1834-1918). La fondazione sistematica
della fenomenologia avviene per a fine Ottocento con
le opere di Brentano (1838-1917), e in particolare con il
testo Psychologie vom empirischen Standpunkt (1874). La sua
fenomenologia, seppur caratterizzata dallatto e dallin-
tenzionalit, riconosce il primato dellesperienza imme-
diata, dando vita a una nuova scuola di pensiero: Stumpf,
Husserl e Meinong furono tra coloro che frequentarono
le lezioni di Brentano.8
Le opere di Mach (1838-1916) e James (1842-1910)
hanno esercitato una decisiva influenza sulla tradizione
fenomenologica. Entrambi furono sostenitori di un mo-
nismo neutrale: Mach ne elabor una concezione feno-
menistica, James svilupp un empirismo radicale attraver-
so la nozione di esperienza immediata. Negli stessi anni,
le opere di Frege (1848-1925), fondatore della logica mo-
derna, e di Meinong (1853-1920) segnarono una rottura
definitiva con lo psicologismo. Annoveriamo in questo
quadro anche la fenomenologia dellesperienza immedia-
ta abbozzata da Peirce (1839-1914): in numerosi appunti
scritti tra il 1895 e il 1910, egli afferma di voler evitare
che costrutti logici o pregiudizi naturalistici influiscano
sullosservazione degli oggetti.

7. La sua [di Goethe] sperimentazione sui fenomeni cromatici guidata dalla


convinzione che difficilissimo vedere i fatti nella loro vera costituzione, nel-
la loro autenticit immediata, poich le teorie che abbiamo in mente, labuso
di modelli e di schematizzazioni logiche e lo stesso linguaggio comune posso-
no rendere opaco il rapporto tra noi e gli oggetti (P. Bozzi, Sugli antecedenti
scientifici e filosofici della Gestalt-theory, cit., p. 40). Si veda inoltre su questo
punto il capitolo sette di P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, dedicato allepi-
stemologia della teoria dei colori di Goethe.
8. Cfr. P. Bozzi, Sugli antecedenti scientifici e filosofici della Gestalt-theory, cit., pp.
33-51.
246 FENOMENOLOGIA ERETICA

Ehrenfels (1859-1932), allievo di Meinong, present


nel 1890 il saggio ber Gestaltqualitten, introducendo il
concetto di Gestalt nellambito della psicologia: egli distin-
se i dati sensoriali (Fundamente, Grundlagen) dalle qualit
del tutto (Gestalten). Nel quadro teoretico della scuola di
Graz lesperienza immediata delle cose si divide tra infe-
riora (oggetti fondanti) e superiora (oggetti fondati) o, in
altri termini, sensazioni e struttura. I superiora presuppon-
gono necessariamente lesistenza degli inferiora. Gli inferio-
ra si trovano insieme nella coscienza e, affinch abbiano
luogo i superiora, necessario che vi sia anche, allo stesso
tempo, una coscienza del loro essere insieme. Esistono
solo le sensazioni e fra di loro sussistono relazioni; in tal
modo Meinong rifiuta lipotesi del suo allievo Ehrenfels
riguardo alla sensorialit delle forme complesse.
Husserl (1859-1938) considerato il padre fondato-
re della fenomenologia: con la sua opera egli ha forgiato
unintera generazione di filosofi tra cui Heidegger, Sartre
e Merleau-Ponty. Le sue Logische Untersuchungen (1900-
1901) sono dedicate a Stumpf, e uno degli autori pi ci-
tati Brentano, di cui Husserl fu allievo. Husserl teorizz
lepoch, cio la sospensione del giudizio sullesistenza del
mondo esterno e dellatteggiamento naturale, quale pre-
supposto per fondare una scienza assolutamente rigorosa:
la fenomenologia.
A Berlino Stumpf (1846-1936) cre un laboratorio dal
quale sarebbe poi sorta la psicologia della Gestalt e deline
per primo il compito scientifico della fenomenologia.9
Stumpf fu maestro di Wertheimer (1880-1943), di Khler
(1887-1967) e di Koffka (1886-1941), i padri fondatori
della psicologia della Gestalt. La fenomenologia sperimen-
tale trova in questa tradizione il riferimento storicamente
pi vicino.10

9. Rinviamo allintroduzione di R. Martinelli al volume di C. Stumpf, La rinasci-


ta della filosofia, Quodlibet, Macerata 2009.
10. Per coloro che volessero approfondire la conoscenza del contesto storico-
critico della fenomenologia sperimentale della psicologia della Gestalt rinvia-
mo a: H. Spiegelberg, The Phenomenological Movement: A Historical Introduction,
Nijhoff, The Hague 1960, 2 voll.; E.G. Boring, A History of Experimental Psy-
chology, Prentice-Holl, Englewood Cliffs, New Jersey 1957. Imprescindibile:
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 247

La psicologia della Gestalt nacque nel 1912 con la pub-


blicazione di uno studio di Wertheimer intitolato Experi-
mentelle Studien ber das Sehen von Bewegung. Khler, nel
terzo capitolo del suo Gestalt Psychology (1929) e Koffka,
nei Principles of Gestalt Psychology (1935), ricondussero la
fenomenologia allesperienza immediata e definirono
lassetto teorico della psicologia della Gestalt. necessario
sfatare luoghi comuni e cattive interpretazioni: Nessuno
di essi sostenne che il tutto maggiore della somma delle
parti, n che, nellassetto psichico complessivo, tutto di-
pende da tutto, o che la totalit dellesperienza influisce
su ogni suo particolare. La teoria dice che i fatti, ritagliati
al di sotto di un certo livello di complessit, perdono le
loro caratteristiche, e i pezzi rimasti non sono pi in gra-
do di spiegarle; e che i fatti, considerati come sistemi pi
o meno complessi di relazioni funzionali interne ad essi,
sono tra loro largamente indipendenti, e a volte del tutto
indipendenti.11
Secondo Hartmann, la fenomenologia sperimentale
veniva gi adottata nel laboratorio di Gttingen a partire
dal 1910, sotto la guida di Mller: ne darebbero testimo-
nianza le dimostrazioni di Rubin (1886-1951) sulle leggi di
articolazione figura-sfondo e le ricerche sul colore di Katz
(1884-1953). In seguito allascesa del nazionalsocialismo
la maggior parte degli psicologi della Gestalt emigr dalla
Germania agli Stati Uniti, dove la fenomenologia speri-
mentale non conobbe sviluppi significativi. Diversamente,
in Europa vi fu una certa continuit, non solo in Germa-
nia, attraverso i lavori del gestaltista Metzger (1899-1979),
ma anche in Belgio, con la scuola di Lovanio guidata da
Michotte (1881-1965), e in Italia: gli eredi della tradizione
gestaltista furono gli allievi di Musatti (1897-1989), Me-
telli (1907-1987) e Kanizsa (1913-1993). Tra gli allievi di
questultimo segnaliamo, tra gli altri, Bozzi (1930-2003)

M.G., Ash, Gestalt Psychology in German Culture, 1890-1967, Cambridge Univer-


sity Press, tr. it. di C. Catenacci, La psicologia della Gestalt nella cultura tedesca
dal 1890 al 1967, Franco Angeli, Milano 2004. (Si veda inoltre: F. Toccafondi,
Il tutto e le parti, Franco Angeli, Milano 2000; M. Sinico, Scienza degli osservabili,
Pitagora, Bologna 2003, pp. 1-15).
11. Cfr. P. Bozzi, Sugli antecedenti scientifici e filosofici della Gestalt-theory, cit., p. 17.
248 FENOMENOLOGIA ERETICA

e Vicario (1932). Delineato questo rapido quadro stori-


co, possediamo le coordinate necessarie per continuare
la nostra analisi teoretica delle condizioni di possibilit
del fenomeno, messe in luce attraverso la fenomenologia
sperimentale.

2. Lo schema psico-fisico S-D

Lespressione fenomenologia sperimentale viene impiega-


ta per indicare un approccio scientifico alla percezione
che assume come suo postulato di fondo un monismo
epistemologico.12 Per meglio comprendere la fenome-
nologia della percezione possiamo immaginarla in oppo-
sizione alla percezione causale. Pensando il rapporto
esistente tra la cosa e il soggetto si giunge, da un punto
di vista gnoseologico, alla teoria causale della percezione:
la catena causale, nel nostro caso, rappresentata median-
te lesempio della percezione di un cubo collocato nello
spazio della fisica, delle onde che arrivano allocchio, e
poi al nervo ottico, al genicolato, alla corteccia, fino al
percetto (phi).13
A questo scopo prendiamo in esame la seguente situa-
zione, denominata schema psico-fisico S-D.14 Lo sche-
ma rappresenta i passaggi possibili dallo stimolo fisico al
percetto. Il nome S-D deriva dalla direzione di lettura: da
sinistra verso destra.

12. Cfr. L. Burigana, Singolarit della visione, cit., p. 526. (In altre parole, afferma
Burigana, la fenomenologia sperimentale si limita ad analizzare le condizioni
e le caratteristiche dei termini empirici percepiti direttamente).
13. Le teorie causali della percezione intendono fornire una rappresentazione
dellesperienza immediata: una spiegazione alla lavagna della percezione
come una sequenza di fasi, che dallo stimolo distale conducono al percetto.
Russell, per primo, parla di questa catena facendo riferimento alle teorie
associazionistiche classiche, ma chi istituzionalizz la teoria fu Ayer. Tale teo-
ria viene detta causale poich pu essere divisa in tappe: gli anelli di questa
catena rappresentano il percorso tra oggetto reale e oggetto percepito.
14. Cfr. P. Bozzi, Unit, identit, causalit, cit., p. 60; Id., Fenomenologia sperimentale,
cit., cap. XI.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 249

(SD) --- (CS) --- (SP) --- (SR) --- (C) --- (/PHI)

- Lo Stimolo Distale (SD) un oggetto collocato entro i para-


metri spazio-temporali della fisica (e considerato esclusiva-
mente in rapporto alle sue propriet fisiche).
- La Costellazione degli Stimoli (CS) sono gli effetti fisici che la
presenza delloggetto fisico (SD) determina nelle immediate
vicinanze del luogo (spazio-temporale) che esso occupa.
- Lo Stimolo Prossimale (SP) sono gli effetti fisici provocati
sulle parti di un ricettore sensoriale periferico direttamente
esposto allazione di CS.
- La Stimolazione Retinica (SR) rappresenta il sistema di in-
formazioni avviate dal ricettore sensoriale periferico verso il
centro, e cio gli effetti fisiologici derivati dallazione di CS
su SP, ma concernenti la successiva azione di SP in (C).
- (C) sono gli ulteriori processi che interessano il cervello.
- (/PHI) loggetto fenomenico osservato (esperienza im-
mediata).

La scena la seguente: osserviamo un uomo percepi-


re un cubo rosso collocato alla sua sinistra. La situazione
pu essere schematizzata alla lavagna (schema psico-fisico
S-D): a sinistra si rappresentata la sorgente degli stimo-
li (loggetto fisico o stimolo distale).15 Trattandosi di un

15. Perfino durante le lezioni di psicologia della percezione spesso il percet-


to confinato sulla lavagna accanto al professore e in mezzo a segni che
250 FENOMENOLOGIA ERETICA

cubo solido colorato, a destra seguiranno treni donda


elettromagnetica di una certa frequenza. Lassetto deter-
mina lo stimolo prossimale, che, raggiungendo la retina,
ne provoca la stimolazione attraverso il fascio luminoso
che parte dal cubo, le cui superfici sono in grado di ri-
flettere la luce grazie alla loro natura fisico-chimica. Pro-
seguendo nello stesso verso di lettura, troviamo locchio
dellosservatore. Le immagini dellocchio e del cervello
possono, a seconda della discussione, essere pi o meno
ricche di dettagli fisiologici. Ancora pi a destra della re-
tina troviamo il chiasma ottico, i nuclei genicolati laterali,
larea 17. Allestrema destra dello schema simboleggeremo la
percezione fenomenica della cosa, indicandola con
phi. Il problema della collocazione di phi trova due so-
luzioni diverse a seconda che si voglia sottolineare il ruolo
della mente o dellattivit celebrale. Nel primo caso la si
collocher a destra verso la corteccia, nel secondo a sini-
stra verso lo spazio vuoto.
Phi rappresenterebbe la percezione fenomenica
della cosa direttamente esperita. Lo schema psicofisico
tracciato alla lavagna offre una rappresentazione della
percezione o meglio la visualizzazione di ogni possibile
teoria causale della percezione.16 Lo schema non coin-
cide con lesperienza diretta della percezione; esso, piut-
tosto, rappresenta la situazione in cui vi qualcuno che
guarda unaltra persona mentre osserva qualcosa (nel no-
stro caso, un cubo rosso). Lo schema unimmagine della
percezione: procedendo dal cubo alla testa dellosserva-

denotano altro, altro che non pu mai darsi nellesperienza sotto la specie
di un percetto, come ad esempio un ipotetico processo neuronale, o un pro-
cessamento dinformazione, o una postulata elaborazione di dati. Il fatto che
il percetto sia collocato l, sulla superficie della lavagna, in mezzo ad altri
segni, e sotto forma di segno, lo rende particolarmente adatto ad essere ac-
colto come immagine di unimmagine, alla stregua del contesto di segni che
lo circonda [...] Naturalmente chiaro che, in occasioni come queste, la lava-
gna con tutti i segni che su di essa sono visibili un vero fatto sotto osservazio-
ne, cio il mero percetto ma proprio questa elementare circostanza sfugge
quasi sempre allascoltatore-osservatore che, avvolto dal discorso costruito su
quei segni, pensa al percetto teorizzato e trascura il ben vivo campionario di
eventi percettivi in svolgimento sotto la sua presumibilmente attenta osserva-
zione (Id., Un mondo sotto osservazione, cit., pp. 90-100).
16. Cfr. ivi, p. 143.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 251

tore lungo i vari segmenti che compongono lo schema


S-D, non incontriamo mai lesperienza diretta del sogget-
to percipiente. Ogni segmento la rappresentazione in-
diretta, interna o esterna, della percezione. Ogni singola
parte dello schema pu essere oggetto di ulteriori indagi-
ni scientifiche: fisica, chimica, fisiologica eccetera.17

3. Descrizione causale o fenomenica

La descrizione causale della percezione della cosa il


risultato di unimmagine epistemica della realt. Essa in-
tende spiegare la percezione analizzando la situazione
tipicamente da laboratorio descritta poco fa, nella quale
una persona osserva qualcuno che osserva qualcosa. Que-
sta situazione va distinta dalla descrizione fenomenologica per
la quale, invece, vi losservazione in atto cos come viene
vissuta in prima persona. Le descrizioni del dato perce-
pito qui e ora giacciono su un diverso piano, quello del
reale, rispetto alle descrizioni causali che sono una rappre-
sentazione delle prime.
Confondere ci che sappiamo della cosa percepita,
intesa come oggetto fisico e scientifico (proprio di una
spiegazione causale), con ci che viene direttamente per-
cepito, significa compiere lerrore dello stimolo, secondo
lespressione introdotta da Khler.18 Se per esempio, come
resoconto dellosservazione diretta del cubo, affermassimo
che si tratta di un aggregato di atomi semplifichiamo
per maggior chiarezza commetteremmo lerrore dello
stimolo, avendo indirettamente applicato, tramite indagi-
ni fisiche avvenute in precedenza, una conoscenza fisi-
ca della cosa allesperienza diretta. Se affermassimo, per
esempio, di percepire rosso il cubo poich le sue superfici
sono costituite di una certa sostanza chimica in grado di
assorbire tutte le lunghezze donda tranne la fascia dello

17. Si vedano lesempio e largomentazione molto simili di G. Frege, Ricerche logi-


che, cit., 71.
18. Cfr. W. Khler, La psicologia della Gestalt, cit., p. 110.
252 FENOMENOLOGIA ERETICA

spettro visibile indicata come il rosso, avremmo una de-


scrizione causale della cosa e non fenomenica.19
La descrizione della percezione diretta del cubo pu
avvenire attraverso un numero elevato, ma non infinito,
di descrizioni. Per restare sul piano dellesperienza diret-
ta, tali descrizioni dovranno essere proposizioni descritti-
ve ostensibili e quindi intersoggettivamente condivise.
Colui che afferma di percepire qualcosa di diverso da
noi (afferma, cio, di non percepire la stessa cosa) pu
motivare la sua asserzione in due modi: o riferendosi alla
conoscenza sottostante la percezione, o richiamandosi
al prospettivismo. Nel primo caso, egli pu dire di vede-
re diversamente la cosa percepita poich sa in virt di
un sapere scientifico di possedere un cervello fisiologica-
mente non identico al nostro (per esempio con un diverso
numero di sinapsi). Nel secondo caso, pu argomentare
che il nostro punto di vista sulla cosa non coincide tempo-
ralmente e spazialmente, e quindi di fatto noi non vediamo
mai la cosa allo stesso modo. Tuttavia linterlocutore non
in grado di mostrarci cosa e, soprattutto, dove egli riscontri
un aspetto della cosa diverso dal nostro. Non potr localiz-
zare direttamente nella cosa ci che vede di diverso rispetto
a noi, senza allo stesso tempo condividerlo. Tale atteggia-
mento tradisce luso corretto del termine percepire.
Dalle descrizioni fenomeniche corrette saranno esclu-
se tutte le proposizioni che rinviano a un sapere non di-
rettamente riscontrabile e interosservabile. Per esempio,
non si potr dire che al rosso del cubo corrisponde una
data frequenza dello spettro elettromagnetico, poich la
natura ondulatoria e corpuscolare del rosso non di fatto
direttamente percepibile. Tutte le nostre descrizioni feno-
meniche sono guidate dal cubo presente che c l, con le
sue propriet direttamente riscontrabili.
Lindagine scientifica ha lobiettivo di spiegare la per-
cezione: per quanto approfondita, tale spiegazione dovr,
alla fine, spiegare perch percepiamo, cos come perce-
piamo (as such come scrive Khler), phi secondo il

19. Cfr. P. Bozzi, Unit, identit, causalit, cit., p. 311.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 253

nostro schema. Ogni scoperta operata sul piano dellespe-


rienza diretta potr essere oggetto di ulteriori indagini
scientifiche. Infatti, il potere esplicativo delle spiegazioni
causali dipende dallampiezza e profondit delle analisi
fenomenologiche, e dalle nuove scoperte che la fenome-
nologia sperimentale in grado di produrre. Il progresso
delle scoperte della fenomenologia sperimentale, come
scienza degli osservabili in atto, amplia continuamente
lexplanandum di cui le teorie non fenomenologiche dei
processi sottostanti la percezione si fanno carico.20 Ogni
nuova scoperta in fenomenologia riduce lo spazio logico
di tutte le teorie logicamente possibili e, contemporane-
amente, falsifica teorie esistenti. Attraverso la scoperta di
un nuovo fatto, possono crollare le teorie che intendono
spiegare la percezione attraverso un modello causale (rap-
presentazione) ma non si d il caso contrario, cio che una
nuova scoperta scientifica, interna allo schema psico-fisico
S-D, possa in qualche modo falsificare lesperienza diretta.
Ci significa che ogni fatto che possiamo osservare in
grado, con la sua semplice presenza, di rendere false un
gran numero di possibili proposizioni su di esso.

Sperimentazione e osservazione scrive Koffka devono pro-


cedere di pari passo. La buona descrizione di un fenomeno
pu da sola escludere parecchie teorie e indicare le precise
caratteristiche che debbono comparire nella teoria corretta.21

Ogni scoperta effettuata sul piano ontologico del-


la percezione fenomenica accompagnata dal crollo di
qualche possibile teoria della percezione che forse non
stata ancora mai pensata, ma che esiste nel cielo della logi-
ca.22 Quando scopriamo fatti fenomenici quali il triango-
lo di Kanizsa o leffetto tunnel di Michotte, c un intero
pezzo di teoria dietrologica che viene meno, lasciando
in piedi altri pezzi di struttura teoretica.

20. Cfr. ivi, p. 24.


21. K. Koffka, Princpi di psicologia della forma, cit., p. 84.
22. Cfr. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., cap. XI; cfr. Id., Un mondo sotto
osservazione, cit., p. 257.
254 FENOMENOLOGIA ERETICA

Lesperienza diretta in quanto tale non falsificabile


da alcuna indagine scientifica n da alcun ragionamen-
to. La correttezza di una teoria scientifica non modifica
n altera il piano dellesperienza. La scienza e le verit,
che essa ha di mira, sono state concepite per determinare
ci che non possibile cogliere direttamente attraverso
losservazione: il dato osservato, a rigore, non n vero
n falso. La verit, secondo una consolidata tradizione
filosofica, appartiene alla sfera del giudizio e del pensiero,
non al fatto fenomenicamente esplicito.
Potremmo chiederci: dov la percezione nello schema
psico-fisico S-D? La risposta, in teoria, potrebbe trovarsi
in ogni singolo segmento in quanto oggetto di unanalisi
scientifica: indagando loggetto fisico (stimolo distale) e le
onde elettromagnetiche, nel cervello, nella retina ecc. Ma
nessuna di queste indagini (fisica, chimica, neuropsicolo-
gica ecc.) coglie lesperienza percettiva in quanto tale, essa
non di fatto localizzabile allinterno dello schema psico-
fisico. Nessuna spiegazione scrive Khler pu mutare
un fenomeno o la sua localizzazione.23 Lesperienza diret-
ta non negli stimoli, n nella retina, n nella fisiologia
del cervello. Il problema non il concetto di percezio-
ne, ma dove si trovi la percezione: l, nel mondo esterno
che ogni giorno ci appare in tutta la sua concretezza.
Merleau-Ponty esprime la differenza tra il piano
dellesperienza diretta tout-court, formato dalla collettivit
degli osservabili in atto, e il modello causale e quindi tran-
sfenomenico della percezione: Cos le propriet del cam-
po fenomenico non sono esprimibili in un linguaggio che
non dipende per nulla da esse.24 Il campo fenomenico
corrisponde alla nostra esperienza visiva immediata che
non in nessun caso pienamente riducibile allimmagine
scientifica derivata dalla sua spiegazione causale. Il limi-
te del realismo consiste nel far rientrare forzosamente

23. W. Khler, La psicologia della Gestalt, cit., p. 55.


24. M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, cit., p. 211. Tema che Merle-
au-Ponty riprende nella Fenomenologia della percezione dove la nozione di cam-
po fenomenico sostituita da quella di campo trascendentale, essendo il
fulcro di ogni conoscenza (Cfr. Id., Fenomenologia della percezione, p. 104).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 255

nella categoria di causa questo rapporto originale, la per-


cezione nella natura.

Dal momento in cui la presenza o la presentazione di una


cosa alla coscienza, anzich rimanere, come nellesperienza
ingenua, una relazione ideale, interpretata come una ope-
razione reale della cosa sul corpo e sul soggetto percipiente,
diventa impossibile ricostituire, in qualit di effetto, il contenuto de-
scrittivo della percezione, lo spettacolo effettivo del mondo.25

Merleau-Ponty coglie limpossibilit di colmare la di-


stanza tra lo spettacolo effettivo del mondo, proprio
dellatteggiamento ingenuo, e il tentativo di spiegare
(naturalizzare) la percezione causalmente.26 Rispetto alla
conoscenza scientifica, latteggiamento ingenuo coglie
la percezione vissuta in prima persona come esperienza
diretta delle cose del mondo. Il temine percezione ac-
quista su questo terreno lunico senso che le proprio. In
fenomenologia sperimentale vale ci che Husserl indicava
con il termine epoch, la messa tra parentesi di ci che sap-
piamo delle cose e del mondo, per iniziare ad accogliere i
fenomeni cos come appaiono: la confusione epistemolo-
gica tra ci che sappiamo e ci che esperiamo determina
lerrore dello stimolo.

4. Lerrore dello stimolo

Esistono diverse definizioni di errore dello stimolo,27


ma in questa sede ci interessa non tanto quale sia la mi-

25. Ibid., corsivo nostro.


26. Sul problema della naturalizzazione della fenomenologia si veda: J. Petitot,
F. Varela, B. Pachoud, J.M. Roy (a cura di), Naturalizing Phenomenology. Issues
in contemporary phenomenology and cognitive science, Stanford University Press,
Stanford (California) 1999. Inoltre: J. Petitot, Per un nuovo illuminismo, Bom-
piani, Milano 2009.
27. Lo psicologo strutturalista Titchener fu il primo, nel 1905, a descrive-
re lerrore dello stimolo: Facciamo un errore dello stimolo nel trasferire
alla sensazione un punto di vista che corretto per lo stimolo. Successi-
vamente furono elaborate diverse definizioni. Boring nel 1921 si esprime
cos: a) Commettiamo lerrore dello stimolo se basiamo le nostre descri-
zioni psicologiche su oggetti piuttosto che sul materiale mentale stesso o se,
256 FENOMENOLOGIA ERETICA

gliore definizione, quanto considerarlo metodologica-


mente rispetto allesperienza immediata. Soffermarci di
conseguenza su quanto Khler, nel quinto capitolo de
La psicologia della Gestalt, afferma: In psychology we have
often been warned against the stimulus error, i.e., against

nellesperimento psicofisico, diamo giudizi sullo stimolo e non giudizi sulla


sensazione. b) avevano creato una grandezza mentale artificiale confon-
dendo la sensazione con lo stimolo, vale a dire, essi avevano commesso nel
loro lavoro sperimentale, lerrore dello stimolo. Successivamente, nel 1947,
Khler scrive: In psicologia dobbiamo essere attenti allerrore dello stimo-
lo, cio, al pericolo di confondere la nostra conoscenza sulle condizioni fi-
siche dellesperienza sensoriale con lesperienza in quanto tale. Bozzi, nel
1972: a) mi attengo strettamente a quella definizione di Khler, che aveva
identificato: i) physical conditions of sensory experience: ii) experience
as such. b) Lerrore dello stimolo consiste nel far passare la descrizione
di ci che si sa o si immagina a proposito di uno o pi momenti costitutivi
delle condizioni fisiche di una data esperienza percettiva, per la descrizione
fenomenologica; c) ci sono tante variet di errore dello stimolo quante sono
le differenti possibili confusioni tra le propriet descrivibili di un oggetto
dellesperienza e le propriet riferibili a qualcuna delle tappe elencate. Vi-
cario, nel 1973: a) Lerrore dello stimolo viene compiuto allorquando si
mettono a confronto la descrizione obiettiva di una situazione di stimolo
e una descrizione soggettiva degli stati di coscienza o dei contenuti men-
tali relativi a quella situazione stimolo; b) la psicofisica la relazione tra
oggettivo e soggettivo (o se si preferisce, tra fisico e mentale); c) in altre
parole questa analisi delle sensazioni [riferendosi a un esempio discusso da
Titchener] pu essere fatta soltanto da un soggetto ingenuo, il quale non
sa che si pu operare una distinzione tra stimoli distali (i guanti, la carta, lo
strumento) e stimoli distali (eccitazioni della retina o dellorecchio interno).
Nellattribuire le caratteristiche delle sensazioni alle sorgenti fisiche di esse, il
soggetto ingenuo compie perci lerrore dello stimolo; d) Com noto fra
due eventi presenti nel campo viene percepito un rapporto causale quando,
e soltanto quando, si verificano determinate condizioni spazio-temporali fra
i medesimi (cfr. Michotte). Orbene, nellesaminare le concomitanze fisiche
della percezione della causalit, il ricercatore pu seguire sia lo schema di
Laplace (tutti gli eventi fisici hanno causa fisica) sia lo schema di Hume (la
causalit non esiste in natura, siamo noi che ce la vediamo; quindi nulla causa
nulla) (cfr. Bozzi). Quale che sia lo schema adottato, il ricercatore si preclude
automaticamente la possibilit di scoprire quali meccanismi stiano alla base
di questo specialissimo tipo di percezione. Lerrore dello stimolo consiste qui
nel presumere che, poich in natura si hanno sempre cause (o non si hanno
mai cause), la casualit si debba percepire sempre o mai. (Cfr. G. Boniolo,
Argomenter a favore del fatto che lerrore dello stimolo lattribuzione allimmagine di
caratteristiche dellimmagine, in U. Savardi, I. Bianchi (a cura di), Gli errori del-
lo stimolo, Cierre, Verona 1999, pp. 211-218. I testi citati sono i seguenti: E.B.
Titchener, Experimental Psychology, MacMillan, New York 1905, voll. 2, parte
1; E.G. Boring, The stimulus error, The American Journal of Psychology, 32,
(1921), pp. 449-471; W. Khler, Psicologia della Gestalt, cit.; P. Bozzi, Cinque
variet di errore dello stimolo, Rivista di Psicologia, LXVI (3-4), (1972), pp.
131-141; G.B. Vicario, Errore dello stimolo e psicologia del tempo, in Archivio di
Psicologia, Neurologia e Psichiatria, 34, (1973), pp. 243-275).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 257

the danger of confusing our knowledge about the physi-


cal conditions of sensory experience with this experience
as such.28 Con lespressione as such si intende espri-
mere il pericolo di confondere la nostra conoscenza delle
condizioni fisiche dellesperienza con lesperienza cos
com (as such). Esplicitiamo tale preoccupazione epi-
stemologica attraverso il nostro esempio di riferimento,
quello del cubo:

Di fronte a un cubo disegnato, un osservatore potreb-


be fornire una descrizione del solido come gruppo di fi-
gure geometriche piane, pi o meno regolari, poste luna
accanto allaltra. In effetti, se la figura viene esaminata
dal punto di vista delle condizioni fisiche, considerate sia
come stimolazioni distali che come stimolazioni pros-
simali, la descrizione, entro certi limiti, non scorretta.29
Per stabilire la correttezza della descrizione dobbiamo
precisare il sistema di riferimento in cui inserita: se par-
liamo del cubo reale, ovvero di quello che esperiamo di-
rettamente, tale descrizione risulter scorretta o meno, a
seconda del sistema di riferimento al quale essa si rappor-
ta. Tale relativismo il presupposto stesso di ogni ogget-
tivazione della realt. La descrizione del cubo inficiata
dallerrore dello stimolo e trascura caratteristiche rilevan-
ti: 1) afferma di percepire una pluralit di aree contigue,
mentre di fatto appare come uno, unit autonoma ben
separata dallo sfondo; 2) le parti della figura giacciono su

28. W. Khler, Gestalt Psychology, Liveright, N.Y. 1929, cap. 5.


29. Cfr. P. Bozzi, Experimenta in visu, Guerini, Milano 1993, p. 84.
258 FENOMENOLOGIA ERETICA

un piano, una accanto allaltra, come quelle della terza


figura che solo con difficolt appare come cubo.
Se descrivessimo il cubo come nella seconda figura, il
problema fenomenologico andrebbe perduto: per quale
ragione le figure differiscono cos radicalmente tra loro
per quanto riguarda il loro carattere di tridimensionalit
apparente?30 Con la descrizione che corrisponde alla se-
conda figura si perde lelemento della profondit, e il cubo
cessa di essere un cubo per essere una figura piana, un
esagono, che per lappunto non un cubo. Lerrore risiede
nellaver descritto le parti indipendentemente dallunit
percettiva della figura che altra cosa rispetto al resoconto
descrittivo avanzato dallipotetico osservatore.

5. Lillusione di Mller-Lyer: esse est percipi metodologico

La fenomenologia sperimentale assume come proprio


elemento metodologico lesse est percipi di Berkeley. Spo-
gliamo tuttavia tale enunciato dai residui di soggettivismo
che gli attribuiva il filosofo irlandese. Lindicazione che
intendiamo recuperare metodologicamente dallesse est
percipi linvito a guardare spregiudicatamente ai fatti,
liberi da ogni conoscenza pregressa e slegati dal dover es-
sere.31 Lenunciato berkeleyano esse est percipi pu rappre-
sentare una guida per il metodo fenomenologico al fine
di evitare lerrore dello stimolo.32

30. Cfr. ibid.


31. Ivi, p. 26.
32. Cfr. Id., Un mondo sotto osservazione, cit., p. 274. Esso conduce alla scoperta di
relazioni funzionali: in forma generalissima: x = f (y, w, z, ). Cfr. Id., Fenome-
nologia sperimentale, cit., cap. 11.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 259

Riprendiamo il classico esempio dellillusione di


Mller-Lyer. Esso, come ogni illusione ottica, consente di
distinguere, allinterno della struttura osservata, leffet-
to dalle sue condizioni, purch si proceda a introdurre
variazioni sistematiche negli ingredienti che visibilmente
compongono quella struttura.33 I due segmenti sono di
lunghezza diversa, poich esse est percipi sono percepiti
di lunghezza differente. Variando langolo delle appendi-
ci, poste allestremo del segmento, si ottengono variazioni
della lunghezza dei segmenti. Luguaglianza dei segmenti
percepita solo nel caso in cui le appendici cadano nel-
la stessa posizione dei segmenti: Le diverse angolazioni
determinano i rapporti di lunghezza percepiti.34 Di con-
seguenza anche il cubo del caso precedente un cubo e
non un accostamento di aree poich esse est percipi
percepito come un cubo.
Lillusione di Mller-Lyer appartiene allordine delle
cose osservabili; se misuriamo i segmenti con un righello
constatando che le estremit coincidono, introduciamo
in questo modo un concetto di distanza metrico e non
solo percettivo. Il nostro ragionamento muterebbe se pri-
ma misurassimo i segmenti con un pezzo di carta, poi con
un doppio decimetro di legno, poi con un metro di accia-
io mantenendo la temperatura a quattro gradi centigradi
sotto lo zero, poi con il laser, compiendo cos misure sem-
pre pi precise? Il ragionamento non ricaverebbe nulla
da queste ulteriori misure, perch la Mller-Lyer appari-
rebbe esattamente come prima.
Levidenza che ricaviamo appoggiando un foglio di
carta alla figura o scandagliandola al laser la stessa ri-
spetto allesperienza immediata intesa come grappolo
di dati percettivi nel tempo di presenza. Possiamo prescin-
dere dal perfezionamento degli strumenti fisici di misura
poich il mondo dellesperienza percettiva dominato
dalle leggi delle soglie assolute e delle soglie differen-
ziali: oltrepassare la soglia significa iniziare a costruire

33. Id., Fenomenologia sperimentale, cit., p. 27.


34. Ivi, p. 28.
260 FENOMENOLOGIA ERETICA

unimmagine della realt. Nella teoria della percezione


se una cosa appare cos e cos, allora cos e cos:
se appare rossa, essa rossa. Applicando allillusione di
Mller-Lyer uno strumento di misura e trascurando le
appendici, estrapoliamo unicamente una informazione
dalla realt delloggetto che, nella sua complessit e inte-
rezza, permane quello che . Lillusione, infatti, non di
fatto misurabile con uno strumento di misurazione, ma
solo fenomenologicamente.
Il linguaggio comune, cos come il lessico da laborato-
rio, induce a cadere nellambiguit del dualismo: quando
si dice, mi sembra che... o appare che.... Si pensi al
caso in cui, percorrendo in auto una strada, unaltra auto
si immette nella nostra corsia nello stesso senso di mar-
cia: si percepiscono i suoi fanali posteriori allontanarsi fra
loro, ma lallontanamento tra i due punti viene visto, e
non interpretato, come un avvicinamento del mezzo stes-
so. Il dualismo tra apparenza e realt del mondo deriva
dalle misurazioni operate su di esso.
Disegnando unillusione alla lavagna dimostriamo
forse che la percezione soggettiva? Eppure lillusione
un fatto che possiede due requisiti epistemologici: 1)
levento ripetibile; 2) levento interosservabile. Que-
sti due requisiti determinano lattribuzione di oggettivit.
La consuetudine linguistica ci riporter al canonico dua-
lismo per il quale i due segmenti appaiono di diversa
lunghezza quando in realt sono uguali.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 261

Nel dire che la cosa denominata Mller-Lyer, se mi-


surata, possiede in realt la stessa lunghezza, il linguag-
gio a depistarci: sembra che abbiamo di fatto misurato la
cosa-illusione-di-Mller-Lyer quando invece abbiamo
misurato due segmenti. Misurando la cosa, che appare
nella sua ricchezza espressiva oggettivamente illusoria,
abbiamo semplificato la cosa nella sua interezza, come se
avessimo tolto le appendici e poi misurato i due segmenti.
Il righello appoggiato rispettivamente sui due segmenti
non misura la Mller-Lyer bens unicamente la lunghez-
za dei segmenti, ma due segmenti uguali appaiono anche
uguali. Affermare che misuriamo lillusione di Mller-
Lyer per poi definirne luguaglianza della lunghezza della
figura una semplificazione di ci che in verit appare e
che noi chiamiamo illusione. Il righello non misura lillu-
sione. Misurare lillusione significa piuttosto chiederci se
continuiamo a vedere un segmento pi lungo dellaltro,
magari provando a variare la posizione delle appendici
della figura: questa misura per non ce la dice il righello
ma locchio, o meglio lesperienza immediata.
Lesse est percipi, se applicato metodologicamente,
una guida che ci consente di non sconfinare inconsape-
volmente dal sistema di riferimento fenomenologico, in-
trecciando piani di fatto distinti (e quindi di evitare ler-
rore dello stimolo); quali, per esempio, le informazioni
tratte dagli strumenti di misura rispetto al mondo cos
come appare nellesperienza immediata.

5.1 Apparenza e realt: dallesperienza alla misurazione

Lacqua bolle a temperature diverse a seconda che ci


si trovi al mare o in montagna: ci che il termometro indi-
ca qualcosa di diverso dalleffetto constatabile. Ipotizzia-
mo che si tratti di unillusione e affermiamo che il bollire
dellacqua unapparenza. Il procedimento per consta-
tare lesistenza dellillusione inverso a quello applicato
alla Mller-Lyer: lo strumento che usiamo per misurare i
segmenti indica che essi sono uguali, la nostra esperien-
za indica che sono diversi. Nel caso della temperatura di
262 FENOMENOLOGIA ERETICA

ebollizione, invece, constatiamo che i due casi sono ana-


loghi mentre lo strumento di misurazione indica che sono
diversi.35
Sappiamo grazie alla fisica che nel fenomeno di ebol-
lizione non interviene unicamente la temperatura, ma vi
unaltra variabile, la pressione. Questultima non viene
misurata dal termometro che indica unicamente la tempe-
ratura. Come molti altri strumenti di misura, il termome-
tro coglie un unico parametro del mondo esterno (della
realt). Gli strumenti di misurazione forniscono dunque
una scala numerica che non misura la realt globale del
fenomeno, ma un unico parametro che interviene in quel
dato fenomeno.
Emergono asimmetrie che si verificano conseguente-
mente allutilizzo di strumenti di misurazione: allinterno
della fisica si riscontrano quando uno strumento rivela
che due fenomeni sono diversi, mentre lo status fisico
osservabile ne decreta luguaglianza; allinterno della
psicologia si verificano quando luguaglianza tra due fe-
nomeni assicurata dal criterio operazionale, mentre la
disuguaglianza dallosservazione diretta.
Lutilizzo delle cose nella pratica quotidiana porta a ri-
tenere vera la misurazione e falso ci che deriva dallosser-
vazione, ma ci che lo strumento applicato allosservabile
indica non la realt, bens unintegrazione cognitiva: un
attributo non rilevabile mediante osservazione. Le inte-
grazioni cognitive non sono ascrivibili direttamente alle
cose. Il colore, per esempio, ha propriet direttamente
osservabili indipendenti dalle misurazioni, tanto da poter
subire variazioni profonde e indipendenti dalle variazioni
della lunghezza donda che lo strumento registra. Simil-
mente allesempio del termometro costruito al fine di
cogliere una parte del reale isolando alcuni parametri ed
escludendone altri il righello utilizzato per misurare la

35. Lo studio e la discussione dei seguenti paragrafi sono stati approfonditi anche
attraverso lanalisi critica di appunti dei corsi tenuti da Bozzi nel 1992-1993
e nel 1993-1994. (Le dispense sono state lette e rivedute dallo stesso Bozzi e
raccolte dagli studenti T. Alcini, A. Angeli, O. Ceh, L. Deiuri, M. Pavento, A.
Faretto, F. Andrina, L. Liguori, E. Romeri, M. Sinico e C. Visini, con la super-
visione di S. Cattaruzza).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 263

realt. Esso coglie luguaglianza dei due segmenti nellil-


lusione di Mller-Lyer misurando non lillusione, che ri-
mane tale e quale rispetto allesperienza, ma una parte
della cosa che chiamiamo, nella sua interezza, illusione di
Mller-Lyer. Ci che in essa indichiamo come apparenza,
non qualcosa che di per s contrapponibile (o riduci-
bile) a qualcosa di reale. Lapparenza stessa una porzio-
ne della realt del mondo esterno.
Gli strumenti di misura sono costruiti per ricavare in-
formazioni dal mondo esterno, spogliando il fenomeno
da ci che ritenuto superfluo rispetto a tale fine. Per
gli scopi di un pittore, invece, lillusione pi reale di
ci che colto attraverso il righello. Tuttavia, in entrambe
le circostanze, non usciamo mai dagli osservabili in atto:
osserviamo il righello cos come osserviamo lillusione; il
giudizio che porta a distinguere lapparenza dalla realt.

5.2 Ontologia della lavagna vs ontologia alla lavagna

Lo schema S-D rappresenta le diverse tappe delle ela-


borazioni dei processi psicofisiologici. I segni alla lavagna
stanno a significare la percezione, in essa ogni cosa pu
trovare ragionevolmente il suo posto, e la percezione
(come segno o gruppo di segni) pu essere messa nelle
pi svariate relazioni con gli altri segni e quello che essi
significano. La lavagna rappresenta la mappa ideale per
trattare di eventi fuori campo, la sua superficie [...] un
piano ontologico. Consente di fare cento congetture, al-
cune delle quali ricondurranno, per le necessarie verifi-
che, nel luogo in cui alcuni di quei segni diventano altret-
tanti osservabili in atto, sui quali intervenire con le mani,
gli strumenti, gli apparecchi necessari o semplicemente
opportuni, e le relative integrazioni cognitive.36
Per lo scienziato, la lavagna il luogo ideale per spie-
gare la percezione: lo schema S-D rappresentato come se
esso incarnasse il reale. Nello schema si tracciano i dati ot-
tenuti dalle misurazioni compiute sulla realt: limmagine

36. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., p. 28.


264 FENOMENOLOGIA ERETICA

retinica del cubo non designa la retina in quanto tale, rap-


presenta invece il luogo delle misurazioni effettuate sulla
retina. Alla lavagna sono sistemati i dati ricavati da porzio-
ni di realt che nel mondo esterno cogliamo osservando i
dati attraverso strumenti di misura che adoperiamo sulle
cose direttamente esperite.
Nello schema psicofisico S-D si cerca di raffigurare la
relazione tra soggetto e oggetto, senza considerare che da
una parte troviamo lesperienza immediata degli eventi
e dallaltra la riproduzione alla lavagna delle misurazio-
ni operate sugli eventi osservati. Questa riproduzione sin-
tetizza, mediante la struttura logica propria della catena
causale, linsieme degli eventi indirettamente osservati.
Dalla sinistra alla destra dello schema passiamo dallim-
magine delloggetto fisico fino allestremo opposto che
sta per loggetto fenomenico, passando attraverso le mi-
surazioni della luce, dello stimolo prossimale, di quello
retinico, alle attivit neuronali eccetera.
Il simbolo tracciato alla lavagna rappresenta il
nucleo di misurazioni ottenute dallesplorazione diretta
dellapparire fenomenico: phi corrisponde allespe-
rienza immediata, la cosa posta al di fuori della lavagna
percepita direttamente. Con quale diritto poniamo
allestrema destra dello schema psicofisico, dal momento
che abbiamo ricavato tutti i dati per costruirlo dal nostro
ambiente, muovendoci in esso e compiendo osservazioni
dirette?
Se tracciamo tutti questi segni o simboli su una lavagna,
dovremo in seguito ripercorrere il nostro ragionamento
indicando come a ciascuno dei segni tracciati corrisponda
un elemento del discorso. I segni sono una raffigurazio-
ne, unimmagine della percezione e non la percezione in
quanto tale: la parola percezione comprenderebbe infatti
tutti i segni, pi la lavagna, pi ledificio in cui contenu-
ta la lavagna ecc.37

37. Cfr. ibid.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 265

6. Dallesse est percipi al percept-percept coupling

Oltre che dellesse est percipi, il metodo fenomenologi-


co si avvale del concetto di percept-percept coupling, che serve
a stabilire quale relazione sussista tra le cose. Tale nozio-
ne consiste nellazione di una propriet fenomenica su
unaltra propriet fenomenica.38 Un caso classico quello
dellinduzione cromatica: in un quadrato grigio di 2 centi-
metri quadrati, collocato al centro di un quadrato blu di 15
centimetri quadrati, osserviamo il blu indurre sul quadrato
grigio il giallo: Il giallo funzione del blu circostante.39
Prendendo un disco met nero e met bianco, e fa-
cendolo ruotare a velocit di fusione, il disco appare gri-
gio: esse est percipi, il disco grigio. Ricaviamo un foro di 2
cm al centro del quadrato blu di 15 centimetri quadrati.
Applicando il quadrato forato sul disco grigio appare la
venatura di giallo nel foro: esse est percipi, il foro giallo.
Il termine appare indica ci che si vede. Lapparenza
non va posta in contrapposizione alla realt: la realt
lapparire della cosa determinata dal foro giallo e dal
disco grigio come risultato dellagire di una propriet fe-
nomenica su unaltra propriet fenomenica.
Esempi di percept-percept coupling si hanno anche in as-
senza di stimoli, come nel caso di immagini consecu-
tive di un quadrato fortemente illuminato, presentate in
rapida successione: lo si vede rimpicciolire e allontanarsi.
Questo esempio mostra come sia fuorviante porsi la do-
manda che cos la realt? in contrapposizione allap-
parire fenomenico. Piuttosto dovremmo chiederci dove, e
non che cosa, sia la realt rispetto allapparenza: ma ogni-
qualvolta localizziamo la realt, incontriamo il fenomeno
e mai la realt in se stessa. Il disco bianco e nero non
la realt rispetto al disco grigio in movimento, poich il
disco bianco e nero in movimento grigio. Similmente,
il film che guardiamo al cinema non in realt il caotico
movimento di fotogrammi o pixel.

38. Cfr. ivi, p. 60.


39. Ivi, p. 55.
266 FENOMENOLOGIA ERETICA

Come abbiamo sottolineato, il quadrato grigio in-


scritto nella cornice blu diventa giallo; se si diminuisce
la dimensione della cornice blu il giallo indotto dal blu
diviene pi chiaro: si dice allora che lintensit del giallo
funzione del blu. C un punto in cui la cornice blu dimi-
nuisce e il giallo scompare, divenendo un quadrato grigio:
ci viene giustificato con una formulazione linguistica del
tipo il colore apparente troppo debole per apparire,
mentre bisognerebbe riconoscere che nel mondo vi sono
indipendenze: il blu e il giallo divengono indipendenti.
Questo tipo di considerazioni consentono una prima pre-
sa di distanza di stampo fenomenologico da affermazioni
che asseriscono la necessit che tutto sia in relazione con
tutto; mentre, ancora una volta, dobbiamo precisare il
sistema di riferimento a cui questa affermazione appartie-
ne. Sul piano fenomenologico non vero che ogni cosa
in relazione ad ogni altra: allinterno di uno stato di cose,
ci sono relazioni che, se alterate, modificano la cosa osser-
vata; altre invece la lasciano indifferente.40
Riprendiamo lesempio del piccolo quadrato grigio
allinterno di un quadrato blu pi grande. Il blu indu-
ce la vena di giallo come nel caso appena descritto. Au-
mentando progressivamente le dimensioni del quadrato
grigio e, di conseguenza, diminuendo la superficie del
quadrato blu, ad un certo punto il giallo scompare. Pur
non essendo larea blu inducente uguale a zero, appli-
cando esse est percipi, affermiamo che il giallo non sussiste
e quindi cessa di esistere. Affermare che il giallo esiste ma
non si vede poich, essendo una funzione data dallarea
inducente sullarea indotta, sotto la soglia di percepibi-
lit, significa lerrore dello stimolo. Lidea che le sensa-
zioni sotto la soglia di percezione decrescano seguendo
la curva della funzione percepita al di sopra della soglia
incongrua al piano di realt fenomenico: dovrebbe es-
sere possibile produrre un giallo apparente ma invisibile,
il che una contraddizione in termini.41 Infatti, il colore

40. Cfr. ivi, pp. 29 sg.


41. Cfr. ivi, p. 55.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 267

apparente una funzione dellarea inducente sullarea


indotta: una percezione non avvertita un concetto di
per s contraddittorio.
Immaginare una scala graduale in cui, sotto una cer-
ta soglia, un aspetto della cosa non viene pi avvertito,
ma la cui progressione continuerebbe secondo una certa
funzione come allinterno dello spettro visibile, unipo-
tesi, una rappresentazione della realt, ma non la realt
che appare nellesperienza immediata. In base a cosa si
afferma lesistenza dellazione inducente se lazione in-
ducente si definisce ed esiste solo quando si osserva che
qualcosa agisce su qualcosa? Lattestazione della presenza
del giallo di fatto sinonimo di azione inducente ma, se
non si osserva pi il giallo, parlare di azione inducente
diventa insensato, appunto perch non vi alcuna azio-
ne inducente. Modificando le aree dei quadrati sussiste la
relazione visibile tra due stati di cose, mentre lazione o
il presunto influsso inducente diventa unimmagine, un
oggetto, operazionalmente trattabile, fornito dalla fisica
o da discipline affini. Il sistema dellesperienza in atto
caratterizzato da indipendenze assolute: tutte le volte che
un osservabile non avvertibilmente interessato da modi-
ficazioni mentre altri osservabili mutano il loro stato, esso
assolutamente indipendente da quelli.42

7. Apparenza e realt: lesperimento di Gelb

Sempre in merito al dualismo apparenza-realt, sof-


fermiamoci sulleffetto scoperto da Gelb nel 1929: ap-
pendendo un disco di colore nero sulla soglia tra due
ambienti poco luminosi e illuminandolo con un proietto-
re, in modo tale che lombra del disco cada in una posi-
zione invisibile per losservatore, il disco nero viene visto
come bianco e poco illuminato: la scissione cromatica
tra illuminato e illuminante non interviene ad assicurare
la costanza del colore delloggetto, ma sembra dipendere

42. Ivi, p. 57.


268 FENOMENOLOGIA ERETICA

unicamente dallintensit della luce riflessa dalloggetto


stesso.43
Introducendo un pezzo di carta bianca vicino al disco
nero nello stesso cono di luce, il disco viene percepito
nero o quasi: pertanto si ha la scissione e quindi la costan-
za. Si potrebbe supporre che la causa delleffetto origi-
nale fosse lignoranza da parte dellosservatore delle con-
dizioni di illuminazioni del disco. Tuttavia questa ipotesi
si dimostra falsa poich se allontaniamo il pezzo di carta
bianca che permette di comprendere la reale situazione
di illuminazione, losservatore ritorna a percepire il disco
come bianco.44
Allopposto delleffetto scoperto da Gelb vi quello
di Kardos. In questo esperimento, la stanza in cui si tro-
va losservatore illuminata e il disco appeso nel vano
della porta bianco: davanti al proiettore viene posto
un piccolo schermo che proietta la sua ombra sul disco
bianco, senza per che losservatore possa vedere il cono
dombra.45 Il percetto un disco nero illuminato. Si pu
riportare il percetto al colore veridico spostando legger-
mente il cono dombra in modo che una parte del disco
rimanga scoperta. In ogni caso non sufficiente sapere
che si tratta di unombra, perch non appena si ripristi-
nano le condizioni iniziali, lombra sparisce e si trasforma

43. T. Agostini, Il colore acromatico, in F. Purgh, N. Stucci, A. Oliviero (a cura di),


La percezione visiva, Utet, Torino 1999, pp. 474 sg. (Cfr. A. Gelb, Die Farben-
konstanz der Sehdinge, in W.A. Von Bethe (a cura di), Handbuch der Normal und
Pathologische Psychologie, vol. 12, Springer, Berlin 1929, pp. 594678; L. Kardos,
Ding und Schatten, Leipzig, Barth 1934).
44. Cfr. ibid. Gelb (1929) nega alla sua illusione uninterpretazione in termini
di contrasto locale, cos come Koffka. Mc Cann attribuisce leffetto Gelb
allanchoring in generale e alla regola della luminanza pi alta in particolare,
considerandolo come un esempio di un processo di normalizzazione globa-
le. Dal 1950, invece, leffetto scoperto stato generalmente considerato un
caso di contrasto causato dallinibizione laterale (J.J. McCann, Local/global
mechanisms for color constancy, Die Farbe, 34, (1987), pp. 275-28). Stewart
(T. Stewart, The Gelb effect, Journal of Experimental Psychology, 57, (1959),
pp. 235-242. 1959), per esempio, ha dimostrato che il grado in cui la carta
nera viene percepita come tale dipende sia dalla dimensione della regione
inducente bianca sia dalla distinzione tra centro della carta bianca e centro
della carta nera (T. Agostini, Il colore acromatico, cit., p. 475).
45. Ibid.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 269

nuovamente in colore di superficie.46 Ci sottolinea lin-


dipendenza del fenomeno dallesperienza e dalla cono-
scenza del soggetto.
Il nucleo teorico che caratterizza lesperimento per
lappunto la messa in discussione della dicotomia tra ap-
parenza e realt. Sulla stessa linea possiamo collocare, per
rafforzare la nostra tesi, anche lesperimento seguente. La
situazione questa: in fondo a una parete si sospende un
disco di cartone nero proiettando su di esso un poten-
te fascio circolare di luce, in modo che gli orli del fascio
di luce coincidano con gli orli del cartone. Guardando il
cartone, losservatore dir di vedere argento brillante.
Successivamente, colui che manovra il fascio di luce, lo fa
debordare di poco; losservatore vedr il cartone nero.47

Si potrebbe pensare che nellesperimento di Gelb, in


realt, lo stimolo sia nero, di un materiale in grado di as-
sorbire tutti i raggi luminosi e di rifletterne pochissimi,

46. Cfr. ivi, pp. 474-475.


47. Ivi, p. 474.
270 FENOMENOLOGIA ERETICA

ma in apparenza la percezione visiva ci d lillusione della


brillantezza. Questa tipica descrizione dellesperimento
crea inevitabilmente un dualismo tra la realt degli sti-
moli fisici e lapparenza fenomenica, tra stimoli e perce-
zioni. Un gergo come questo impoverisce la realt della
situazione, introducendo uninesistente duplicit. Infatti,
se smettiamo di considerare losservatore come una cavia
nelle mani dello sperimentatore, costretto a unimmobi-
lit estranea allesperienza quotidiana, vedremo che quel
che egli far in presenza del disco di colore argenteo, sar
di avvicinarsi a esso. In questo modo saremo in presen-
za di una serie diversa di percezioni, di un itinerario che
avr come punto di partenza quello dellosservatore e
come punto darrivo quello dello sperimentatore, poten-
do spostare a piacimento il fascio di luce del proiettore.
Variando le condizioni di osservazione, varia loggetto os-
servato, e ci non implica alcuna forma di dualismo. Se
consideriamo litinerario dallosservatore alloggetto os-
servato, scopriamo che, nel compiere questo itinerario, le
condizioni di osservazione variano continuamente. Non
ci sar da meravigliarci se, alla fine del percorso, vedremo
un oggetto che siamo costretti a descrivere in modo diver-
so. Nellesperimento di Gelb, quindi, non c ombra di
dualismo. Per dire che il disco in realt nero, ma in
apparenza brillante, dobbiamo presupporre una meta-
fisica dualista. Eppure, il disco brillante finch ricorro-
no certe condizioni di osservazione; quando queste sono
mutate esso non lo pi. Possiamo affermare lo stesso
per il bastone spezzato nellacqua; il bastone appare visi-
vamente spezzato e appare cos ogniqualvolta lo osserve-
remo nellacqua: tali sono le propriet di quelle due cose
(bastone e acqua) poste in quella data relazione.
Ma cosa significa il tentativo di localizzare la realt
rispetto allapparenza negli esperimenti di Gelb-Kardos?
Consideriamo la circostanza in cui il disco di partenza
nero sia il risultato di un disco ruotante di Maxwell (com-
posto da porzioni bianche e nere fuse assieme in virt del-
la rotazione del disco). Secondo quale principio possiamo
privilegiare una realt, e di che tipo? Potremmo dire che
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 271

reale il disco fermo (quindi, di colore nero) rispetto al


disco nero in rotazione che illuminato appare bianco; op-
pure potremmo dire che reale il disco bianco (illumina-
to); o il disco nero (in rotazione) che illuminato appare
bianco, e che con laggiunta di un pezzetto di carta bianca
appare nero, ma che in realt bianco e nero. Moltipli-
cando i piani, quante realt dovremmo affermare? Ogni-
qualvolta localizziamo una realt contro lapparenza, per
poterla affermare, perdiamo necessariamente la realt
del fenomeno non pi direttamente visibile. Se invece os-
serviamo lapparenza, ma affermando che vi una realt
sottostante, ci che presupponiamo come sottostante, sot-
tost allosservabile, poich sottost appunto in quel dato
momento e in quel dato modo a ci che appare cos e
cos (per esempio effetto Gelb).
Se mutiamo le condizioni di osservazione scopriamo
una realt sottostante, o semplicemente vediamo qualco-
sa di diverso? Ci che appare in modo diverso anche
identificato in modo diverso secondo il suo apparire in
quel dato momento (disco bianco, nero, bianco e nero
eccetera). Quindi, per affermare la realt del disco nero
di contro alla sua apparenza bianca, dobbiamo per esem-
pio inserire il pezzetto di carta bianca, oppure mutare il
cono di luce. Ma tutte queste variazioni determinano non
il dualismo, bens il monismo fenomenico, ossia la realt
incontrata degli osservabili in atto.
Le considerazioni antidualiste sullesperimento di
Gelb sono egualmente valide per molti altri esperimen-
ti di psicologia, rispetto ai quali gi si dovrebbe sospetta-
re che il soggetto costretto a stare in un certo posto, a
guardare in una determinata maniera, a osservare da una
certa distanza un oggetto che non mai alla sua portata.
Le condizioni di presentazione delloggetto vengono si-
stemate dallo sperimentatore in modo tale da poter poi
descrivere una realt che lo sperimentatore conosce, e
una apparenza che il soggetto subisce. Losservatore nel-
la condizione di prendere il posto dello sperimentatore.
Il problema non di una realt contro unapparenza, ma
di un evento osservato in condizioni diverse.
272 FENOMENOLOGIA ERETICA

Torniamo allesempio dellacqua che bolle in monta-


gna in apparente contrasto con la misurazione fatta con
il termometro. Se diciamo che lillusione di Mller-Lyer
unillusione ottica dobbiamo anche dire che il vedere
lacqua bollire in montagna una semplice illusione, e
da questo circolo vizioso di argomenti non c possibili-
t di uscita. Sennonch gli oggetti non possiedono alcu-
na struttura noumenica posta al di l dellapparenza:
essi sono cos come noi li cogliamo nellosservazione di-
retta, pur descrivibili in modi diversi relativamente agli
strumenti di misurazione che applichiamo loro. Ci si-
gnifica che il termine illusione, contrapposto a realt,
non ha valenza ontologica n gnoseologica. Ogni vol-
ta che noi diamo una descrizione delloggetto fondata
non sullosservazione diretta, bens sullapplicazione di
strumenti di misura, ne diamo una descrizione ridotta,
una descrizione che esclude determinati parametri a
vantaggio di una pi esatta analisi dei parametri presi in
esame. Una descrizione ridotta utile per scopi scien-
tifici, ma va considerata con cautela quando si parla di
percezione.

8. Spogliare il mondo

Logicamente simmetrico al percept-percept coupling


il metodo dello spoiling (riduzione o spoliazione). In fe-
nomenologia sperimentale si utilizza una riduzione, che
rimane allinterno degli osservabili in atto, volta a deter-
minare se, e in quale misura, un aspetto della situazione
presa in esame dipende da un altro aspetto.48 Di conse-
guenza, ribadiamo che le variabili dipendenti e indipen-
denti sono complanari, cio fanno parte allo stesso titolo
dellosservabile preso in considerazione.49
Si consideri la situazione in cui vediamo la stessa cosa
passare dietro a unaltra, identificandola sempre come la

48. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 41.


49. Ibid.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 273

stessa (leffetto tunnel).50 Tale circostanza quotidiana-


mente esperibile osservando autoveicoli passare dietro
una casa, oppure quando guardiamo i treni entrare in gal-
leria. Data la nostra convinzione che gli oggetti esistano
anche quando non li vediamo, siamo portati a trasferire
questa credenza anche ad altre situazioni. Ma da cosa di-
pende il fenomeno del passar dietro? La fenomenolo-
gia sperimentale ha posto in luce le variabili che agiscono
e quelle che non agiscono in alcun modo nel determinare
questo fenomeno, evidenziando come leffetto sia situato
gi sul piano dellorganizzazione fenomenica prima anco-
ra che del giudizio o dellesperienza passata.
Osserviamo un pullman che passa dietro a un edifi-
cio, uscendo poi dallaltra parte. Ovviamente siamo con-
sapevoli che il pullman passa dietro lostacolo anche se
non possiamo osservarlo. Dalla nostra esperienza passata
sappiamo come funziona un pullman e quindi possiamo
affermare: Il pullman passa dietro ledificio. Proviamo
ora a conservare del pullman solo la sua sagoma, come
fosse un rettangolo blu in movimento. Questa spoliazio-
ne dei suoi particolari (forma, colore, ecc.) il processo
attraverso il quale in laboratorio un oggetto indotto a
modificazioni continue. Vediamo ora un rettangolo che
passa dietro a un edificio: a questo punto possiamo con-
cludere che il passar dietro non dipendeva dal fatto che
il pullman fosse un pullman.
Si potrebbe tuttavia obiettare che sia la riconoscibilit
delledificio a garantirmi che possiamo vedere un passare
dietro. Procediamo allo stesso modo anche con la casa:
la nostra esperienza rimane invariata. Otterremo sempre
lo stesso risultato anche giungendo a livelli estremi di spo-
liazione, fino a sostituire il pullman e ledificio con delle
chiazze di luce. Per tutta una serie di particolari, se modi-
ficati, inficiano la nostra esperienza del passar dietro; per
esempio, dilatare il tempo di entrata e uscita o aumentare
a dismisura le dimensioni del rettangolo-pullman o del ret-

50. Cfr. ivi, pp. 61 sg. Id., Fenomenologia sperimentale, pp. 29 sg. (Cfr. L. Burke,
On the tunnel effect, The Quarterly Journal of Experimental Psychology, IV,
pp. 121-138).
274 FENOMENOLOGIA ERETICA

tangolo-casa.51 Dovremmo concludere quindi che allinizio


vedevamo passare il pullman dietro la casa in quanto in
quella situazione erano rispettati i rapporti spazio-tempora-
li e cinetici che in questa situazione sperimentale ipersem-
plificata risultano essere la condizioni di quel passare die-
tro, e non viceversa.52 Il riconoscimento di una situazione
familiare che pone in essere la struttura portante passare
dietro; piuttosto, le situazioni che ci sono familiari si rea-
lizzano cos proprio perch riproducono le condizioni di
base necessarie alla realizzazione di tale struttura.53 Non
il nostro giudizio a determinare lidentit negli eventi, ma
quella propriet fenomenica degli eventi, detta appunto
identit, a provocare il nostro giudizio. Non sono le inte-
grazioni cognitive a produrre la caratteristica della identit
negli osservabili: vero il contrario.54

9. Tale che, phi

Riprendiamo lanalisi della scheda S-D. Sebbene lat-


tribuzione al mondo della fisica delle propriet specifiche
dei fenomeni non sia unoperazione metodologicamente
ineccepibile, va rilevato che ci accade comunque anche
nellambito del senso comune e nellambito del linguag-
gio utilizzato nei laboratori. Il problema dunque il se-
guente: se descriviamo in termini fenomenici gli eventi
fisici facenti parte delle condizioni fisiche di unesperien-
za, produrremo delle descrizioni fenomenologiche di
unesperienza. Non tutte le condizioni fisiche dellespe-
rienza si prestano a questa logica, ma vi sono almeno tre
momenti significativi, gi evidenziati nello schema S-D: lo
stimolo distale (SD), la costellazione di stimoli (CS) e
lo stimolo prossimale (SP).55

51. Cfr. ibid.


52. Ivi, p. 45.
53. Cfr. Id., Fenomenologia sperimentale, cit. p. 89.
54. Cfr., ivi, pp. 40-52. (Sulla differenza tra identit e identicit rinviamo diretta-
mente a: Id., Unit, identit, causalit, cit., cap. 1).
55. Cfr. Id., Experimenta in visu, cit., pp. 165-177.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 275

Si prenda come esempio la percezione di un quadrato


inclinato. possibile dire che SD un quadrato, che CS
un trapezio e cos SP, mentre noi vediamo phi, ossia un
quadrato inclinato. Si potrebbe sostenere che quel che
conta SP e quindi che vediamo un trapezio. Oppure, che
mentre SD sta fermo, SP si presenta in luoghi e momenti
diversi sulla retina (cio, quando muoviamo locchio), an-
che se tuttavia sta fermo. Ma potremmo anche dire che
SD sta fermo e che sappiamo che CS causa SP in luoghi e
momenti diversi sulla retina, dunque phi si muove.
Prendiamo in esame le possibili combinazioni di que-
sto tipo, quante si dnno negli esperimenti di psicologia
della percezione. Nella tabulazione indicheremo lesisten-
za di una certa propriet appartenente al dato fenomeni-
co (phi) indicandola con 1 (vero). Nelle altre tre colon-
ne, avremo SP, CS, SD e indicheremo sempre con il segno
1 (vero) lattribuzione della stessa propriet alluno o
allaltro dei tre momenti indicati e con lo 0 (falso) la
non attribuzione di quella propriet. Essendo quattro i
termini in gioco, le combinazioni sono otto, non essendo
presi in considerazione i casi di non attribuzione per phi,
in quanto simmetrici ai casi di attribuzione.
La tabulazione rappresenta una matrice di quello che
vediamo e di ci che accade: intendiamo mostrare come
ci che osserviamo qui e ora logicamente indipendente
rispetto alle diverse tappe della catena causale delle per-
cezioni visualizzabili allinterno dello schema S-D.
Se lerrore dello stimolo consiste nel confondere le
propriet di uno o pi momenti costituenti le condi-
zioni fisiche di una data esperienza con le propriet di
quellesperienza come tale, teoricamente esistono sette va-
riet di errore dello stimolo (non costituendo il primo caso un
errore). Prendiamo alcuni esempi:

I.
Il primo caso il pi semplice e consiste nella percezione
veridica della cosa. Loggetto reale, esiste ed tangibile.
In virt di questa tangibilit, o realt delloggetto, possia-
mo dire che lo stimolo distale (SD) vero, esiste. Ci trovia-
276 FENOMENOLOGIA ERETICA

mo davanti, in posizione fronto-parallela, a un cubo croma-


ticamente omogeneo, e assumiamo come propriet critica
la quadratezza della faccia osservata: quindi di fatto noi
stiamo osservando un quadrato. Lo stimolo prossimale (SP)
altrettanto veridico, dato che loggetto visto e limmagine
passa, attraverso il flusso ottico, fino alla retina; ovviamen-
te, anche lo stimolo retinico (SR) sar reale perch avviene
veramente la distribuzione dellimmagine delloggetto sul
fundus oculi. Infine, la conclusione certa anche per la no-
stra esperienza immediata (phi), poich vediamo realmente
loggetto. Allora si pu dire, nei sensi sopra discussi:56

SD SP SR PHI
V V V V
1 1 1 1
QUADRATO QUADRATO QUADRATO QUADRATO

II.
Prendiamo il trapezio ruotante di Ames, disposto in
modo che, dalla posizione in cui ci troviamo, appaia come
un rettangolo (facciamo in modo che tutti gli indici della
sua inclinazione, rispetto al piano fronto-parallelo dellos-
servatore, siano eliminati). In questa situazione avremo:

SD CS SP PHI
F V V V
0 1 1 1
TRAPEZIO RETTANGOLO RETTANGOLO RETTANGOLO

56. A voler essere del tutto logici, qui lerrore dello stimolo potrebbe consistere nel
dire che phi quadrato, non perch tale lo vediamo, ma perch sappiamo che
in SD, o in CS, o in SP; o in SP e CS; o in SD e SP ecc., un quadrato; ma non
potendosi fare il processo alle intenzioni dei soggetti, non un errore (ivi,
p. 173).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 277

Lerrore dello stimolo sarebbe qui generato dal dire:


Vedo un trapezio perch so che l c un trapezio. Un
esempio equivalente di 0111 (cio, falso, vero, vero, vero)
si ottiene prendendo un filo di ferro sufficientemente
sottile da poter essere incurvato modellando una sorta di
serpente, in maniera che tutta la curvatura del filo giaccia
sullo stesso piano, sia cio appoggiata a una superficie.
Posizionando il filo di fronte a noi e facendolo ruotare,
vedremo che questa specie di serpente, girando, presenta
due momenti in cui unasticciola diritta. Possiamo affer-
mare la percezione visiva di unasticciola diritta (phi). Il
processo retinico (SP) corrispondente proprio unastic-
ciola diritta. Se interrompiamo il flusso ottico (CS) un at-
timo prima che arrivi a sollecitare la nostra retina, anco-
ra unasticciola diritta. Quindi abbiamo un altro esempio
di falso (0), vero (1), vero (1), vero (1).

III.
Il terzo caso pu essere esemplificato strutturando la
permanenza dellimmagine sulla retina muovendo al buio
davanti agli occhi di un osservatore una sigaretta accesa.
Attraverso un movimento rotatorio, tracciamo un cerchio
a una velocit che consenta la chiusura della scia lumi-
nosa visibile (phi).57 La brace della sigaretta lo stimolo
distale (SD) ed puntiforme, al di l del cristallino, negli
occhi dellosservatore; i raggi emessi dalla brace conver-
gono in un punto, il fuoco. I processi fotochimici sulla re-
tina, avendo una certa inerzia nellestinzione dallattimo
in cui SP non li attiva pi, formano nel loro insieme un
processo di fatto stazionario. Si viene cos a formare un
cerchio luminoso. Dunque:

57. La luminosit secondo la Legge di Talbot-Plateau di una sorgente di


Luce presentata a brevi intervalli al di sopra della frequenza critica di fusione
uguale a quella che sarebbe prodotta da una sorgente di Luce costante di
unintensit uguale al valore medio dello Stimolo Intermittente.
278 FENOMENOLOGIA ERETICA

SD CS SP PHI
F F V V
0 0 1 1
PUNTO PUNTO CERCHIO CERCHIO
IN MOTO IN MOTO STAZIONARIO STAZIONARIO

IV.
Il quarto caso pu essere esemplificato attraverso le
illusioni ottico-geometriche. Prendiamo per esempio
lillusione di Mller-Lyer: i due segmenti, a cui sono ap-
plicate le appendici che sulla carta possiedono la stessa
lunghezza, proiettivamente eguali come costellazione
di stimoli, dnno luogo sulla retina a processi di eguale
dimensione, mentre sono viste come aventi diversa lun-
ghezza. Dunque:

SD CS SP PHI
F F F V
0 0 0 1
EGUALI EGUALI EGUALI DIVERSI

I sogni possono rappresentare un caso equivalente, in


cui possibile avere un percetto sulla base di differenti
tipi di stimolazione. Il sogno non un oggetto reale, per
cui dire che lo stimolo (SD) reale sarebbe falso. Nem-
meno ci che riguarda la sezione del flusso ottico (SP)
risulta essere reale poich, di fatto, non esiste una stimo-
lazione che parta da un oggetto reale. Di conseguenza,
anche lo stimolo retinico (SR) sar nullo: se non esiste
un oggetto, non esiste nemmeno la distribuzione della
sua immagine nel fundus oculi. Ma quando sogniamo ve-
diamo effettivamente qualcosa, abbiamo una percezione
di immagini (phi).
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 279

V.
Il quinto caso rappresentato dal fenomeno della costan-
za: davanti a noi c per esempio un quadrato inclinato rispet-
to al piano fronto-parallelo, e in effetti vediamo un quadrato
inclinato, anche se dal punto di vista proiettivo e dellimmagi-
ne retinica sappiamo che si tratta di zone trapezoidali:

SD CS SP PHI
V F F V
1 0 0 1
QUADRATO QUADRATO
TRAPEZIO TRAPEZIO
(INCLINATO) (INCLINATO)

VI.
Il sesto caso pu essere esemplificato cos: supponia-
mo di guardare, in visione monoculare, una sottile linea
tracciata su un fondo omogeneo; supponiamo, inoltre,
che parte della linea (diversa da uno degli estremi) venga
a cadere esattamente in corrispondenza della macula cie-
ca: si vede la linea perfettamente integra. Vi quindi una
linea come stimolo distale (SD), e vi una linea dal punto
di vista proiettivo (CS); dal punto di vista retinico (SP),
invece, vi sono due segmenti: la zona della macula cieca
inerte, e si pu osservare una linea. Dunque:

SD CS SP PHI
V V F V
1 1 0 1
UNA LINEA UNA LINEA DUE SEGMENTI UNA LINEA

VII.
Riprendiamo lesempio del filo di ferro, disponen-
done due pezzi frontalmente in visione monoculare, e
facendoli collimare in modo che formino un unico bloc-
280 FENOMENOLOGIA ERETICA

co dal punto di vista proiettivo: vedremo ununica linea


continua.
Posizionando una barra vicino a unaltra e facendo ca-
dere la macula cieca sul punto in cui le due si dividono, avre-
mo una barra continua, poich il sistema nervoso centrale
provvede a completare nella maniera pi semplice tutto ci
che cade nella macula cieca. Secondo questa disposizione, il
punto di giunzione delle due barre cade sulla macula cieca
e, in tal modo, vediamo: una linea (phi), ossia ununit com-
pletamente integrata; due segmenti (SP) sulla retina; una
linea diritta (CS), se interrompiamo il flusso ottico poco pri-
ma della proiezione; due oggetti distinti in corrispondenza
dello stimolo distale (SD). Tenendo i fili in maniera che il
punto di giunzione cada sulla macula cieca, vedremo dal
punto di vista fenomenologico una linea, nel processo reti-
nico due segmenti, nella sezione del flusso ottico una linea
continua, a cui per non corrisponde un oggetto, ma due
oggetti reali a livello di stimolo distale. Quindi:

SD CS SP PHI
F V F V
0 1 0 1
DUE SEGMENTI UNA LINEA DUE SEGMENTI UNA LINEA

Un altro esempio pu essere il seguente: supponiamo


di avere due linee verticali poste sul piano sagittale, a di-
stanze diverse dallosservatore e di diversa altezza, per cui
lestremit inferiore della prima linea alla stessa altezza
dellestremit superiore della seconda. CS corrisponder
quindi a ununica linea. Supponiamo di osservare il tutto
in visione monoculare, e di proiettare la nostra linea in
modo che il punto di congiunzione tra i due segmenti
cada sulla macula cieca. Avremo: 0101.58

58. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi (a cura di), Gli errori dello stimolo, cit., p. 71.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 281

VIII.
Prendiamo un esempio di percezione del movimento
illustrando un dispositivo visto dallalto: esso costituito
da un binario, da un oggetto che lo percorre a una cer-
ta velocit e da un soggetto che osserva la scena stando a
unestremit del binario. Loggetto percorre il tratto A con
una determinata velocit, inferiore a quella con la quale
percorre il tratto B (vA < vB), ma, dal punto di vista proiet-
tivo, il movimento appare uniforme. possibile calcolare
la lentezza del moto in A rispetto alla velocit in B, e com-
pensarla con linclinazione di un piano rispetto allaltro di
quel tanto che basta perch la velocit proiettata sia ugua-
le nel tratto A e nel tratto B. La velocit sul piano proietti-
vo devessere vA = vB. Allosservatore dato il compito di
guardare il movimento delloggetto. Lo deve seguire con
lo sguardo fino a giungere ad x e, a questo punto, bloccare
locchio sul target e tenerlo fermo: da A parte il mobile, lo
si segue con gli occhi finch arriva al punto x, dove guarda
il target e il mobile proseguire. Il rendimento percettivo
il seguente: quando il soggetto segue il movimento con
locchio, esso appare pi lento di quando invece tiene loc-
chio fermo e lascia che il campo visivo sia attraversato dal
mobile (effetto di Aubert-Fleischl).59
Dal punto di vista dello stimolo distale (SD) il mobile
va pi lento nel primo tratto che nel secondo: nella proie-
zione del flusso ottico (CS) nel primo tratto procede con
la stessa velocit che nel secondo, mentre sulla retina la
velocit del mobile nel primo tratto, rispetto allocchio,
pari a zero finch osservato, per poi assumere una certa
velocit che in ogni caso sempre inferiore a quella del
secondo tratto, poich passa sulla retina e non pi segui-
to dallo sguardo. Infine dal punto di vista fenomenico, nel
primo tratto il movimento pi lento che nel secondo.
Quindi avremo:

59. Leffetto di Aubert-Fleischl: la velocit percepita pi bassa nel caso in cui


locchio segua il corpo in movimento, pi alta nel caso in cui locchio sia
fermo. Pu essere dovuto a una registrazione per difetto della velocit degli
occhi: lo spostamento angolare della fovea devessere pi piccolo dellangolo
coperto dalla traslazione corrispondente dellimmagine retinica.
282 FENOMENOLOGIA ERETICA

SD CS SP PHI
V F V V
1 0 1 1
MOVIMENTO MOVIMENTO MOVIMENTO
STESSA VELOCIT
LENTO/VELOCE LENTO/VELOCE LENTO/VELOCE

Un altro esempio potrebbe essere il seguente: realizzia-


mo un caso di permanenza di immagini luminose sulla reti-
na. In questo caso, per, utilizziamo unasta luminosa oriz-
zontale che poggia sul piano sagittale (in modo che CS sia
un punto luminoso) e che spostiamo a velocit appropriata
in direzione verticale. Avremo: linea, punto, linea, linea.60
Ora che abbiamo completato tutte le possibili com-
binazioni dei valori possediamo una matrice completa di
indipendenza del fenomeno, che dimostra come levento
percettivo sia indipendente dalle condizioni di stimolazio-
ne. Matrice di indipendenza (di phi):

SD CS SP PHI
QUADRATO
I 1 1 1 1 FRONTE
PARALLELO

TRAPEZIO
II 0 1 1 1 DI AMES

III 0 0 1 1 SIGARETTA

MLLER-
IV 0 0 0 1 LYER
QUADRATO
V 1 0 0 1 INCLINATO

LINEA
VI 1 1 0 1 /MACULA
CECA

FILO
VII 0 1 0 1 METALLICO

VIII 1 0 1 1 MOVIMENTO

60. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi, I luoghi della contrariet, cit., p. 72.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 283

Ognuna di queste righe pu dar luogo a una situazio-


ne di laboratorio in cui esiste una relazione definita tra le
condizioni non fenomeniche e il risultato. teoreticamen-
te rilevante considerare la tabulazione nella sua totalit:
negli esperimenti di laboratorio si considera solitamente
ununica situazione alla volta. La terza riga coincide con
lanalisi delle costanze. Per la costanza di grandezza un
oggetto rettangolare che si avvicina e si allontana rispet-
to allosservatore percepito venire avanti e tornare
indietro, ma dal punto di vista della proiezione retinica
semplicemente un rettangolo che ingrandisce e rim-
picciolisce. Situazione descritta nello schema come 1001,
poich dal punto di vista del flusso ottico (CS) c un ret-
tangolo che ingrandisce e rimpicciolisce, dal punto di vi-
sta della porzione di retina (SP) che viene sollecitata, esso
una porzione pi grande e poi pi piccola, mentre los-
servatore (phi) vede un oggetto che va avanti e indietro
e nella descrizione fisico-geometrica del mondo esterno
tale rendimento confermato.
Esaminando la seconda riga (0111) analizzeremo casi
di psicofisica, per esempio un suono con una certa intensi-
t che invia onde compressionali (CS). Esse formano una
certa pressione nellorecchio (SP) tramite la membrana
basale, il martelletto e il nervo acustico mentre luditore
percepisce il suono (phi). Abbassando la sorgente sonora
(SD), diminuisce la compressione sulla membrana, otte-
nendo uninformazione diversa, ossia un suono pi basso
(phi).
Lindipendenza del fenomeno rispetto ai nessi causali
non in contraddizione con quanto accade in laboratorio
durante la sperimentazione. Di solito si immagina che la
percezione dipenda, come principio generale, dalle con-
dizioni esterne di stimolazione. Tale credenza nasce dal
laboratorio dove vengono solitamente manovrati i cosid-
detti stimoli. Ma in realt, volta per volta, si ha a che fare
con le diverse righe tabulate, mai con la tabella nel suo
insieme. Lindipendenza emerge dal considerare tutta
la tabulazione come un unico blocco teorico che indica
come da un punto di vista logico la percezione sia indi-
284 FENOMENOLOGIA ERETICA

pendente dalle condizioni di stimolazione. Si potrebbe


benissimo cominciare a studiare la percezione trascuran-
do tutto quello che c tra loggetto fisico, il flusso ottico
e la stimolazione retinica periferica.
Riassumendo, le variet di errore dello stimolo logica-
mente distinguibili sono sette:

- attribuire alloggetto fenomenico propriet appartenenti


allo stimolo distale;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet che si possono
dire appartenenti allo stimolo distale e/o alla costella-
zione di stimoli;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet che si possono
dire dello stimolo distale e/o della costellazione di sti-
moli e/o dello stimolo prossimale;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet che sono della
costellazione di stimoli e/o dello stimolo prossimale;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet che si sanno
dello stimolo prossimale;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet che si posso-
no dire dello stimolo distale e/o dello stimolo prossi-
male;
- attribuire alloggetto fenomenico propriet appartenenti
alla costellazione degli stimoli.61

Si tratta di variet realmente e non solo formalmente


differenti.62 Va sottolineato un fatto che risulta chiarissimo
osservando la matrice e considerando gli esempi discussi
riga per riga: la distribuzione matriciale dei casi consente
di affermare che da un punto di vista logico gli osser-
vabili fenomenici, gli eventi percettivi, sono indipendenti
sia dagli stimoli distali che da quanto avviene nellocchio
e sulla retina.63

61. P. Bozzi, Experimenta in visu, cit., p. 175.


62. Naturalmente tutto questo ha senso solo alle condizioni esposte nei primi pa-
ragrafi di questo lavoro: in particolare, ha senso solo se si accetta di dividere la
serie di eventi oggetto fisico processi centrali nelle tappe convenute (ovvia-
mente vi sarebbero parecchi altri modi di ritagliarla in articolazioni altrettanto
definite), e se si accetta che si possano descrivere in termini identici come fa il
linguaggio del senso comune e quello usato in laboratorio oggetti fenomenici
e oggetti transfenomenici (Id., Un mondo sotto osservazione, cit., p. 243).
63. Ivi, p. 260.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 285

10. Un cubo tale che phi

Attraverso lanalisi della matrice di indipendenza


abbiamo esaminato i rapporti intercorrenti tra quattro
momenti della percezione causale: stimolo distale, co-
stellazione degli stimoli, stimolo prossimale ed esperien-
za immediata. Lindipendenza del fenomeno come espe-
rienza immediata della realt pu essere colta anche al
di l di questanalisi: lespressione, elaborata da Bozzi,
tale che stata utilizzata per mostrare come le par-
ti dello schema S-D siano, di principio, tutte condizioni
sufficienti, ma non necessarie alla percezione. Proviamo
a seguire il ragionamento di Bozzi per poi discuterne le
implicazioni teoriche.
Un colore non visibile unicamente in presenza di
superfici colorate, ma anche, per esempio, attraverso una
debole scarica elettrica sul bulbo oculare; oppure, con
una stimolazione meccanica; oppure, con una stimolazio-
ne chimica (con piccole gocce di acidi). possibile vede-
re un colore purch locchio sia stato sollecitato da una
stimolazione tale che sia in grado di produrre una bassa
scarica di impulsi elettrici lungo i filamenti che partono
dalla macula cieca. Possiamo quindi ammettere di vedere
un colore quando avvenuta una sollecitazione: non
rilevante la sua natura o ci che ha causato lesperienza
immediata, vuoi attraverso onde luminose, processi chi-
mici, meccanici o altro, purch sia tale che il nervo otti-
co fornisca gli impulsi necessari.
Uno studioso di psicologia animale potrebbe chieder-
ci a questo punto dove collochiamo le ricerche sul nervo
ottico della rana. Se si tagliano i filamenti del nervo ot-
tico della rana e si collegano a batterie che possiedono
propriet elettriche assolutamente identiche a quelle
delle unit fotosensibili della retina, nella parte a monte
del nervo ottico i filamenti saranno percorsi esattamente
dagli stessi stimoli elettrici e il risultato finale sar come
se vi fosse un colore. Descrivendo la relazione causale tra
noi e lalbero, il ragionamento di Frege simile: Tutto
dipende dalla stimolazione del nervo ottico, ed indifferen-
286 FENOMENOLOGIA ERETICA

te come questa abbia luogo.64 sufficiente che il nervo otti-


co sia percorso da scariche elettriche tali che causino
lesperienza corrispondente.
Se prendiamo una serie di blocchi E1, E2, E3 e S1,
dove E sta per elaborazione e S sta per stadio, non
occorre aver avuto prima E1 e E2 per avere E3. Se trovia-
mo il modo di ottenere artificialmente E3, indipenden-
temente dagli stadi precedenti, ma tale che produca le
stesse informazioni dellintera sequenza, S1 risponder
nello stesso modo. Quindi tutta la sequenza precedente
logicamente indipendente.
Possiamo approfondire ulteriormente lespressione
tale che riprendendo lesempio del cubo: supponiamo
di avere un cubo rosso a sinistra e un osservatore a destra.
Potremmo chiedere a qualcuno perch losservatore veda
il cubo rosso. Linterlocutore potrebbe rispondere, per
esempio, perch il cubo, o almeno le sue superfici espo-
ste allosservazione, sono fatte di una certa sostanza chi-
mica che assorbe tutte le lunghezze donda tranne quel-
la stretta fascia che, nello spettro visibile, viene indicata
con buona approssimazione (infatti un fuzzy set) come
il rosso.65 Noi potremmo ribattere che non si tratta di
quella certa sostanza chimica, poniamo il minio, poi-
ch qualunque sostanza chimica che presentasse le stesse
caratteristiche di assorbimento e riflessione nei confronti
dello spettro andrebbe ugualmente bene. Diversi mate-
riali, con diverse caratteristiche chimiche, possiedono le
stesse propriet. Linterlocutore sar daccordo con noi,
e ammetter che il materiale, quale che sia, deve essere
tale che quelle frequenze di pacchetti donda elettro-
magnetica siano assorbite e quelle altre riflesse. Quel ma-
teriale, nel caso contingente, quindi una condizione suf-
ficiente a percepire il rosso, ma non necessaria: infatti mol-
ti altri materiali chimicamente diversi propagherebbero
nellambiente circostante frequenze di quella grandezza
strumentalmente rilevabili, e visibili.66

64. G. Frege, Ricerche logiche, cit., 71.


65. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 143.
66. Ivi, p. 312.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 287

Il problema sembra riguardare le propriet della radia-


zione, non quelle dei materiali: in questo modo spostiamo
il problema pi a destra nello schema S-D.67 Non solo
lazione delle onde elettromagnetiche sulla retina a far
nascere nella percezione un colore; otteniamo lo stesso ef-
fetto anche attraverso stimolazioni meccaniche, chimiche
ed elettriche dellocchio. Quindi, per vedere un colore,
rimanendo sul piano ottico, necessario intervenire sugli
impulsi elettrici del nervo ottico. Il processo fotochimico
dei ricettori uno degli elementi che produce tali impulsi
elettrici, ma non lunico. Si pu ipotizzare di applicare
al nervo ottico degli stimoli elettrici perfettamente ade-
guati a indurre la visione di un colore. teoricamente
possibile immaginare una protesi cos raffinata, e in una
analisi logica il teoricamente possibile decisivo.68
In sintesi, la tesi di Bozzi afferma che se si potessero
applicare delle protesi ideali a ogni singola parte dello
schema S-D, tali protesi avrebbero caratteristiche materia-
li perfettamente definite e in grado di rendere le medesi-
me qualit della cosa sotto osservazione o, pi in genera-
le, del mondo esterno. Per quanto si indaghi nei processi
fisiologici occorrenti nel sistema nervoso centrale, non si
riuscir mai a trovare lultimo, insostituibile processo, che
si identifica con la vita mentale. Oppure ancora: lutilit
di studiare e descrivere i processi fisiologici concomitan-
ti con la vita mentale avendo come scopo la spiegazione
della medesima dubbia, perch essi sono condizioni
sufficienti, ma non necessarie.69
Lespressione tale che ci pu tornare utile rispetto
al punto di partenza la possibilit di dubitare dellespe-
rienza immediata della cosa in quanto tale nozione pu
essere fatta coincidere col genio maligno di Cartesio o il
Dio di Berkeley. Noi vediamo il mondo esterno come se
dietro ci fosse il genio di Cartesio, o come se ci fosse una
certa metafisica, o la teoria dellinformazione, o altro an-

67. Prendendo in considerazione il principio dellenergia sensoriale specifica di


Mller, o piuttosto i semplici fatti che glielhanno suggerito.
68. Ibid.
69. Cfr. G.B. Vicario, Psicologia generale, cit., p. 185.
288 FENOMENOLOGIA ERETICA

cora.70 Invece, come emerge da queste nostre riflessioni,


lesperienza immediata pu essere accolta a prescindere
dalle condizioni metafisiche sottostanti: lanalisi fenome-
nologica si intreccia cos al piano ontologico. Il punto di
incontro indicato da noi col termine di realismo. At-
traverso il dubbio iperbolico di Cartesio, lo scettico du-
bita non di ci che appare, non dellapparire del cubo,
ma della sua causa, ossia della metafisica sottostante. Una
scienza degli osservabili pu prescindere dal piano me-
tafisico per cogliere il fenomeno in quanto tale poich
il piano immanente della realt fenomenica , in quanto
tale, al riparo dal dubbio.

11. La realt incontrata

Come abbiamo visto, Koffka, per descrivere lambien-


te comportamentale, distingue le cose dalle non cose.
Tale distinzione si articola in tre aspetti: contorno, pro-
priet dinamiche e costanza. Diverse combinazioni degli
aspetti determinano diversi tipi di cose. Anche usando il
termine cosa nel suo senso pi ampio, esso non sar
mai sufficiente a descrivere tutti gli elementi contenuti
nellambiente: lo stesso uso del termine ambiente indica
lesistenza di qualcosa che non una cosa e che contiene
tutte le cose.

Le cose non colmano il nostro ambiente n spazialmente, n


temporalmente; esiste qualcosa tra esse e al di l di esse. Per
indicare con un termine adatto questo qualcosa, lo chiame-
remo schema di riferimento; prescindendo dalla grande variet
delle cose, possiamo allora dividere lambiente comporta-
mentale in cose e schema di riferimento.71

70. Cfr. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., pp. 140-141. Possiamo dire allora
che un cubo un cubo a prescindere dalla metafisica sottostante la cosa, ossia
a prescindere dal fatto che la sua presenza sia determinata da un qualcosa
tale che la faccia apparire cos e cos.
71. K. Koffka, Princpi di psicologia della forma, cit., pp. 83-84. Cfr. J.J. Gibson, Un
approccio ecologico alla percezione visiva, cit., cap. 2.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 289

La distinzione di Koffka precisa il senso che la nozio-


ne di sistema di riferimento assume allinterno della feno-
menologia della percezione e il significato della relazione
soggetto-oggetto. Possiamo compiere un ulteriore passo
avanti per chiarire il senso della cosa nella fenomenologia
della percezione recuperando la nozione di Metzger di
incontrato: in questo senso la percezione inemenda-
bile, ossia non suscettibile di modificazioni dipendenti da
atti soggettivi volontari e intenzionali. Nel descrivere le
caratteristiche dellincontrato, in contrapposizione al
mero rappresentato, Metzger critica lidea metodologi-
ca denominata eleatico-razionalista:

Il pensiero logico giudice infallibile dellessere e del non


essere. Nessun dato immediato deve venir accettato senzal-
tro come reale, tutto devessere prima logicamente fondato.
Soltanto ci che si pu spiegare reale. Ci che non si pu
esprimere in una proposizione non-contraddittoria, non esi-
ste. (Non viene nemmeno presa in considerazione la possibi-
lit che la contraddizione possa derivare da difetti inerenti ai
concetti).72

Secondo questo principio, lesperienza immediata


non pu essere un dato primo. La logica, e non il fatto
immediato, lo strumento per arrivare ai dati certi e a leg-
gi immediatamente comprensibili. Metzger, invece, accet-
ta il dato immediato cos come esso ; anche se appa-
re come non abituale, inatteso, illogico o insensato....73
Esso corrisponde a ci che esperiamo: il mondo esterno,
le cose che tocchiamo, gli esseri che agiscono, ma anche
gli eventi che prendono corpo davanti a noi. Questo
il mondo fenomenico, secondo unaccezione del termi-
ne realt distinta da quella fisica inscritta al suo interno.
Questi i diversi significati di realt presenti nellopera di
Metzger:74

72. W. Metzger, I fondamenti della psicologia della Gestalt, cit., p. 11.


73. Ivi, p. 15.
74. I commenti relativi ai diversi significati di realt delineati da Metzger sono di
G.B Vicario, Psicologia generale, cit., pp. 94-95.
290 FENOMENOLOGIA ERETICA

1) Come realt fisica, quindi di carattere strettamente


metaempirico (cio al di l dellesperienza diretta):

onde e particelle, per esempio, non fanno parte del nostro


mondo dellesperienza, perch non le vediamo: esse sono sol-
tanto modelli per mezzo dei quali i fisici rendono ragione dei
fenomeni di cui si occupano. La realt nel primo significato
insomma la realt fisica, quellambiente geografico di cui si
parlato.

2) La realt come esperienza diretta, vissuta come indipen-


dente dallio:

la realt fenomenica, quellambiente comportamentale che per-


cepiamo con i nostri organi di senso e che ci rappresentiamo
per mezzo delle varie funzioni della mente (memoria, imma-
ginazione, pensiero). Essa il preciso campo di indagine del-
lo psicologo.

3) La realt come distinzione tra incontrato e rappresentato:

nasce dalla distinzione tra cose, eventi e azioni in quanto tali,


che ci troviamo di fronte, che agiscono su di noi in modo pal-
pabile, e le stesse cose quando sono soltanto oggetto del pen-
siero, del ricordo o dellimmaginazione. La realt incontrata
quella sulla quale noi non abbiamo alcun potere, e include
tanto gli oggetti veri e propri del mondo fenomenico, quanto
i dolori fisici, i ricordi che ci assalgono allimprovviso, i so-
gni, le allucinazioni dotate di vivacit sensoriale, le immagini
ipnagogiche (quelle che precedono laddormentarsi), e cos
via. La realt incontrata cade sotto il secondo significato, dato
che essa vissuta come indipendente dallio.

4) La realt come distinzione tra qualcosa e nulla, o


anche tra pieno e vuoto:

si scopre infatti che nella mente hanno realt non soltanto gli
oggetti ben precisati, ma anche gli sfondi indistinti, il buio, il
vuoto, linvisibile: esiste anche una realt del nulla in pieno
contrasto con la logica, dato che non pu essere reale qual-
cosa di cui si negata lesistenza (con la parola nulla). I
fenomeni che spingono la psicologia a questa sorprendente
affermazione sono di varia natura. Uno la doppia caratteriz-
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 291

zazione di certe situazioni: una parete pu apparire vuota


quando non decorata (e noi diciamo che su di essa non
c nulla), malgrado abbia colore, compattezza e struttura
visibili, e appare viceversa piena quando vi si scorgono di-
segni o imbrattature. Un altro la comune esperienza cui
ci riferiamo quando diciamo che non pensiamo a nulla: il
vuoto mentale, o ci che ci appare come tale, pur sempre
qualcosa, perch oggetto di una constatazione introspet-
tiva. Sia chiaro che la realt nel quarto significato (quella del
nulla) fa parte della realt nel secondo significato (quella
fenomenica, e per di pi incontrata).

5) La realt come distinzione tra fenomenicamente reale e


fenomenicamente apparente:

questo significa che mentre certi oggetti o eventi ci appaio-


no come veri, solidi, da prendere sul serio (e perci rea-
li, come possono essere rossi oppure rapidi), certi altri
oggetti o eventi ci appaiono come incerti, labili, oppure che
sembrano o che non si sa (e perci apparenti come loro
caratteristica fenomenica e come loro propriet qualitativa).
Hanno realt in questo quinto significato di fenomenicamente
apparente molte macchie di luce o di ombra, certe imma-
gini rispecchiate, le pseudoallucinazioni, i sogni in cui si
consapevoli che si sta sognando, certe deformazioni degli og-
getti parzialmente immersi in un liquido, le parole di qualcu-
no che con lespressione o con la mimica gestuale manifesta
unopinione diametralmente opposta, e cos via.

Lindipendenza dellincontrato si articola su diversi


livelli: rispetto alla sua materialit, alla sua corrispondenza
agli organi di senso, al soggetto percipiente, allesperien-
za pregressa e allattivit di pensiero. Esso condivide con
la percezione visiva la caratteristica dellinemendabilit,
ossia limpossibilit di correggere limpressione di realt
delle cose incontrate: esse infatti possiedono gi una pro-
pria organizzazione autonoma. Tale caratteristica non va
assimilata alla perfettibilit della descrizione del dato im-
mediato, come se i concetti appartenessero a un mondo
diverso da quello dei fenomeni. La differenza che riscon-
triamo non appartiene al mondo delle cose, ma al linguag-
gio, con le sue categorie, che utilizziamo per riferirci al
292 FENOMENOLOGIA ERETICA

mondo.75 Il fatto che non possiamo correggere lincon-


trato significa che abbiamo a disposizione ununica real-
t, quella direttamente esperita, che non riconducibile
n alla nostra realt n, tanto meno, a quella degli altri.
Valutare concettualmente lincontrato non compor-
ta una sua modifica. Infatti, un dato fenomenico e un
giudizio che lo nega e che definisce reale qualcosaltro
al suo posto, possono benissimo coesistere luno accanto
allaltro senza influenzarsi, come dimostrato dalle illu-
sioni sensoriali che continuano ad esistere anche dopo
essere state constatate.76
Consideriamo il dualismo che intercorre fra il colore
oggettivo di una cosa e quello che deriva da una sua il-
luminazione. Esso possiede le caratteristiche di essere sia
un sapere in quanto giudizio sia un fatto incontrabi-
le. Anche se siamo consapevoli che la custodia del nostro
computer grigia, se fortemente illuminata essa ci appare
bianca e poco illuminata. Pur conoscendo le condizioni
di illuminazione, ci non altera il colore fenomenicamen-
te incontrato: la conoscenza di qualcosa non modifica
la costanza cromatica mentre lilluminazione ne capa-
ce.77 Linemendabilit ci consente di cogliere lautono-
mia della percezione, che emerge dal divario tra la cosa
incontrata e ci che ne sappiamo.

12. Le cose incontrate

Mentre le teorie che interpretano ci che appare pos-


sono variare allinfinito, ci che incontriamo nella realt
non emendabile. Possiamo incontrare o meno un dato,
ma poi esso si presenta cos e non altrimenti: a partire
da questa inemendabilit possiamo costruire un concetto

75. Cfr. R. Casati e A. Varzi, Un altro mondo?, in Rivista di Estetica, 19, (2002),
pp. 131-159. (Cfr. C.F. Ferrari, Causalit pensata e causalit incontrata,
www.lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/tfo/public/17/cristianaferrari154_17.pdf).
76. W. Metzger, I fondamenti della psicologia della Gestalt, cit., pp. 32-33.
77. Ivi, pp. 33-34.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 293

di mondo trascendente rispetto a quello di ambiente.78


Si tratta di una costrizione empirico-fenomenica che ha il
carattere tipico dellinevitabilit, a prescindere dal suo
sostrato fisico-materiale. Nel mondo esterno possiamo in-
contrare cose che non possiedono una corrispondente sti-
molazione distale. Prendiamo una versione del triangolo
di Kanizsa:

Affinch il triangolo sia percepito, necessario che


il suo colore si differenzi da quello della superficie. Lo
stimolo distale del triangolo non sussiste, poich di fatto
sulla carta sono tracciati unicamente tre settori circolari e
tre angoli. Il triangolo di Kanizsa un caso di superficie
anomala che si realizza nel campo visivo senza che vi siano
differenze di luminanza o di riflettanza tra regioni diverse
dello stimolo.79
In questa figura possiamo distinguere la sua descri-
zione fenomenica il dato incontrato dalla descrizione
fisico-causale. Una descrizione fisico-causale conduce alla
conclusione che il triangolo in realt non esiste nel mon-
do esterno: ci che ontologicamente possiamo affermare
sono unicamente i segni neri sul foglio. Il triangolo, pur
fenomenicamente evidente, non ascrivibile, dal pun-

78. Se dico il mondo come lo conosco o al limite il mondo come lo incon-


tro, posso far riferimento a schemi, concettuali e sensibili; se tuttavia dico il
mondo come lho incontrato, mi riferisco a qualcosa di diverso: al mondo
che cera prima di me e che rester dopo di me; al mondo come era prima
che lo conoscessi e come rimarr quando smetter di conoscere, fuori di
qualsivoglia psicologia (M. Ferraris, Il mondo esterno, cit., p. 32).
79. Cfr. G. Kanizsa, Il mio triangolo, Eut, Trieste 2008.
294 FENOMENOLOGIA ERETICA

to di vista fisico, al mondo esterno. La dicotomia fisico-


fenomenico dipende dallaver anteposto il sistema fisico
al mondo fenomenico. Ci presuppone che noi coglia-
mo le cose a partire da ci che ne sappiamo: lesser-cosa
della cosa determina la cosa in quanto tale. Il triango-
lo corretto da un sapere che consiste in una descri-
zione fisica del dato sotto osservazione: correzione che
dovrebbe essere operata su un presunto dato obiettivo
coincidente con quello fisico. Lidea di negare la realt di
qualcosa perch non si in grado di indicare gli stimoli
distali corrispondenti chiamato da Metzger pregiudi-
zio materialistico.80
La situazione obiettiva non si limita a descrivere una
serie di dati ottenuti applicando a fatti misurabili stru-
menti e metodologie appropriate, ma giunge ben presto
a sostituirsi alla realt tout court. La situazione obiettiva,
cio, rappresenta un livello non solo ontologicamente dif-
ferente, ma anche superiore rispetto alla realt esperibile,
con la pretesa di correggere lesperienza sensibile. Di con-
seguenza il mondo fisico diventa lunico regno dei fatti
davvero reali, spostando sul piano ontologico un contra-
sto che riguarda due differenti descrizioni della realt.81
La mancata distinzione tra i due piani descrittivi (causale
e fenomenico) comporta, come pi volte ricordato, ler-
rore dello stimolo. La descrizione fenomenica la descri-
zione del reale, ossia del mondo fenomenico incontrato,
mentre la descrizione causale si basa su unimmagine
scientifica del mondo.
Alla luce di queste considerazioni potremmo chiederci
quale sistema di riferimento lo scettico assuma per dubita-
re del cubo. Egli dubita di ci che incontra o dubita della
metafisica sottostante a ci che incontra? Se il cubo fosse
in realt un sogno, allora, tutta la nostra conoscenza
della cosa sarebbe fasulla? E quale sarebbe la vera realt?

80. W. Metzger, I fondamenti della psicologia della Gestalt, cit., pp. 28 sg.
81. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi, I luoghi della contrariet, cit., pp. 101 sg.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 295

Torniamo alla realt incontrata. La realt fisica solo


una parte della realt fenomenica; per comprenderlo os-
serviamo queste due figure:

Il cubo a sinistra, disegnato da Metzger, visto come


un cubo immerso in un reticolo. Dallispezione della fi-
gura risulta evidente che il cubo non presente come
stimolo distale: abbiamo soltanto ingrossamenti dei tratti
con cui sono disegnati i reticoli. Ci nondimeno il cubo
percepito e si pu osservare che davanti al reticolo o in
posizione incerta.82 La figura a destra un cubo composto
da margini quasi fenomenici. In entrambi i casi i cubi
prescindono dalla stimolazione distale, rimanendo evi-
denti sul piano fenomenico. La descrizione fisica dei due
oggetti non in grado di restituirci il senso della nostra
esperienza immediata: il fatto che vediamo due cubi.
Allo stesso evento finiscono dunque per sovrappor-
si due tipi di descrizioni che non solo si affiancano, ma
spesso si contrappongono, essendo di fatto definite su
due ordini di propriet differenti. La differenza tra la de-

82. Con il termine totalizzazione si vuole indicare il formularsi di un oggetto


quando esso diviso in minutissime parti disseminate nel campo visivo. []
Il fenomeno quello della doppia rappresentazione: la superficie sulla quale
sono disposti gli stimoli sempre una, ma le cose che si vedono sono due.
Perch due cose si vedono nella medesima direzione dello sguardo, neces-
sario che a un punto dello spazio corrispondano due punti oggettuali: uno
che appartiene alla figura parzialmente occultante che sta davanti o sopra
e laltro alla figura parzialmente occultata che sta dietro, o sotto (G.B.
Vicario, Psicologia generale, cit., p. 77).
296 FENOMENOLOGIA ERETICA

scrizione fenomenica e quella causale che la prima si


rivolge alle propriet direttamente osservabili e ostensibili
di un fatto, mentre la seconda si concentra sulle caratteri-
stiche determinabili attraverso operazioni di pensiero. In
questo modo cambia anche lidea di verit soggiacente: la
descrizione fenomenologica considera i fatti autoevidenti
e quindi veri dal punto di vista dellesperienza, mentre la
descrizione causale propone dei criteri di verit oggettivi
in base alla validit delle operazioni effettuate e degli stru-
menti applicati. 83
Il triangolo di Kanizsa esemplifica linadeguatezza di
concezioni che ci portano a definire la realt (o la non
realt) delle cose sulla base di una corrispondenza con
loggetto fisico, lo stimolo distale. Ci pu essere ulterior-
mente esemplificato anche attraverso la figura seguente,
dove vediamo lillusione di Mller-Lyer senza che i due
segmenti siano fisicamente presenti.

Gli aspetti fisico-materiali sono un sottoinsieme della


classe pi ampia dei fenomeni, le cui modalit dincon-
tro determinano una possibile classificazione o grado di
realt.

13. Si vede quello che non c; non si vede quello che c

Possiamo parlare di illusioni unicamente in presenza


di un parametro di confronto: larcobaleno non consi-

83. Cfr. U. Savardi, I. Bianchi, I luoghi della contrariet, cit., p. 101.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 297

derato unillusione, bens un fenomeno naturale, mentre


la percezione del bastone spezzato nellacqua giudi-
cato illusorio poich il bastone, fuori dallacqua, visto
come intero. il confronto tra la situazione A (bastone
nellacqua) e la situazione B (bastone fuori dellacqua)
a determinare il giudizio di illusione sulla situazione A,
anche se di fatto entrambe possiedono un proprio statuto
di oggettivit, in quanto intersoggettivamente condivisibi-
li e ripetibili. Infatti, tutte le volte che immergiamo il ba-
stone nellacqua lo vedremo spezzato: il bastone nellac-
qua appare secondo le modalit proprie del suo essere
nellacqua. Per vedere la stessa cosa diversa, dobbiamo
necessariamente modificare le condizioni di osservabilit
del fenomeno. Possiamo dire che il bastone lo stesso?
Diversi sistemi di riferimento determinano risposte oppo-
ste, ma non in contraddizione, poich spezzato e inte-
ro si riferiscono a due rispetti diversi della cosa. Il bastone
nellacqua infatti appare sempre spezzato: sarebbe un er-
rore dello stimolo dire che intero poich lo sappiamo
intero. Possiamo dire che nellacqua rimane intero uni-
camente modificando il sistema di riferimento, non pi
percettivo ma concettuale. Il bastone diventa in tal caso
un oggetto, una rappresentazione della realt che altro
dalla realt incontrata.
Le immagini utilizzate non vanno considerate semplici
disegni, come se ci non riguardasse le cose reali presenti
nel mondo esterno. I meccanismi che regolano la perce-
zione stanno alla base della nostra comprensione dellam-
biente ecologico circostante: dove a volte si vede quello che
non c, come nel triangolo di Kanizsa, e a volte non si vede
quello che c, come nella seguente immagine:
298 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il triangolo esiste anche nel disegno di destra, ma


non percepibile e quindi non fa parte del mondo feno-
menico. Il fatto di sapere che il triangolo a sinistra pre-
sente nel disegno di destra non ci aiuta a vederlo: Esso
seguita a non essere visto allo stesso modo di quando non
sapevamo che ci fosse.84 Lo stesso pu dirsi per limma-
gine seguente:

Queste figure di Gottschaldt sono un esempio di ma-


scheramento di un oggetto solido, un parallelepipedo;
esso scompare perch le sue parti sono assorbite da una
pi forte struttura reticolare. Prendono il nome di ma-
scheramento i fenomeni in cui a una figura o struttura
vengono aggiunte o tolte delle parti che la trasformano in
una nuova struttura nella quale la prima quasi impossi-
bile da ritrovare o rintracciabile solo con difficolt.85
Nel nostro ambiente fenomenico comportamentale
possiamo vedere anche ci che non pu esistere. Prendiamo il
caso di un oggetto impossibile, come il triangolo im-
pensabile di Penrose.

84. G.B. Vicario, Psicologia generale, cit., p. 221.


85. G. Kanizsa, Grammatica del vedere, cit., p. 153.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 299

Ci che possibile nel vedere scrive Kanizsa pu


non essere possibile nel pensare. Un triangolo come que-
sto sarebbe impossibile da costruire poich le parti che
lo compongono sono irrealizzabili nel nostro spazio eu-
clideo tridimensionale; ne consegue che lesistenza fisica
degli oggetti non una condizione necessaria per la loro
esistenza fenomenica. Inoltre, errata lidea che vediamo
le cose poich abbiamo imparato a vederle. Infatti, non
possiamo averlo mai visto n lo vedremo in futuro e
ci in palese contrasto con levidenza dei fatti.86
Nelle figure ambigue, come analizzato in precedenza,
possiamo vedere diverse figure in una sola. Le figure am-
bigue sono utili per comprendere le cose reali: non vi
ununivoca corrispondenza tra le cose e le loro immagini.
(Si pensi al cubo di Necker).
Inoltre, vediamo le cose diversamente da come esistono:
il caso delle illusioni ottico-geometriche, rispetto alle qua-
li conoscere lo stato delle cose inutile, perch lillusio-
ne persiste a dispetto del controllo e della constatazione
fatte successivamente.87 Pensiamo allillusione della ver-
ticale o T rovesciata (illusione di Fick, 1851), dove due
segmenti eguali disegnano una L o una T rovesciata:
la lunghezza del segmento verticale viene necessariamen-
te sovrastimata in rapporto a quella del segmento orizzon-
tale. Lillusione permane sia che la percepiamo, sia che la
disegniamo, sia che prendiamo due aste di metallo uguali
e parallele per poi posizionarle come una T rovesciata.
La dicotomia tra apparenza e realt porta a pensare che
le due aste parallele siano la realt, la disposizione a T
rovesciata lillusione. Si potrebbe pensare che la realt sia
determinata dal fatto che misurando le due aste esse risul-
terebbero della stessa misura, pur apparendo diverse. Ma
la verifica effettuata attraverso il metro il risultato di una
testimonianza dei nostri sensi, che deve venir considerata
affidabile almeno per osservare la misurazione. In questo
caso latto possiede una doppia valenza, cio criterio sia

86. Cfr. G.B. Vicario, Psicologia generale, cit., p. 222. Ci possono essere ricostruzio-
ni fisiche di oggetti impossibili, ma non oggetti impossibili.
87. Ibid.
300 FENOMENOLOGIA ERETICA

di valutazione sia di misurazione. Perde quindi significato


la distinzione tra apparenza e realt, verit e illusione:
legittimo invece considerare come vera la percezione ri-
cavata nella configurazione a T rovesciata e falsa la con-
figurazione delle due aste parallele. Nelle arti visive, per
esempio, le cose stanno cos: la distinzione tra apparenza
e realt si basa sullutilit e non sulla verit. Il criterio del-
la misurazione certamente utile in un contesto pratico
di cose materiali che utilizziamo e manipoliamo. Se non
ci fosse concesso di variare le due linee effettuando una
comparazione tra le due diverse posizioni, n di compiere
una misurazione, la realt sarebbe ci che vediamo. Non
dobbiamo confondere questo tipo di illusioni con quelle
delle quali siamo vittime, per esempio, quando destate
vediamo delle pozze dacqua formarsi sullasfalto delle
strade, pur notando allo stesso tempo che esse non sono
reali. Queste illusioni sono definite come fenomenica-
mente apparenti: ci significa che il loro carattere di re-
alt intrinseco, cio dipende dalle percezioni stesse, e
non da tutta la serie di elementi che abbiamo analizzato
fino ad ora (confronti, controlli, conoscenze possedute,
aspettative ecc.).
La realt fenomenica quellunico mondo esistente
dove possiamo incontrare diverse cose secondo diverse
modalit di apparenza con una logica propria e autono-
ma allapparire, che va dallesterno allinterno o dallin-
terno allesterno.

14. Lesperienza: fenomenica, epistemica e psicologica

Esaminiamo la distinzione operata da Bozzi tra le di-


verse accezioni del termine esperienza: fenomenica
(E1), epistemica (E2) e psicologica (E3).88 Lesperienza fe-
nomenica consente una descrizione e unanalisi delle cose
per come si presentano secondo le proprie modalit dap-

88. Cfr. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., cap. 5.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 301

parenza (coincidenti con la nozione di incontrato).89


Lesperienza fenomenica dove troviamo anche senti-
menti e immaginazioni non in s ingannevole; non
possiamo dubitare che le cose appaiano: per dirla alla
Wittgenstein, sarebbe come dubitare del nostro mal di
denti. Poter fornire diverse descrizioni (insoddisfacenti,
sommarie o erronee) del dato incontrato, non comporta
la modificazione dellosservabile: Per quanto mi sforzi
non riesco a vedere questo cubo come un tetraedro.90
Quindi esistono descrizioni pi o meno corrette del dato
osservato in relazione alle modalit dapparenza della
cosa.
A prima vista, anche qualora ci trovassimo di fronte
alle cose nella loro datit fenomenica, potremmo ugual-
mente utilizzare locuzioni del tipo sembra o appare,
locuzioni che forniscono una descrizione vaga di quanto
osservato.91 Con lespressione proposizioni cartesiane
indichiamo linsieme delle esperienze fenomeniche con-
tenenti cose o descrizioni di cose (vere o false che siano):
losservabilit la caratteristica che accomuna tutte le
sottoclassi che fanno parte dellesperienza immediata, la
cui totalit indichiamo con E1 (esperienza fenomenica).92
Ci comporta che qualunque descrizione della realt
passibile di correzione e allo stesso tempo garantisce lesi-
stenza di un mondo condiviso intersoggettivamente e
svincolato da ci che conosciamo di esso (E2). Dalla per-
fettibilit della descrizione ne consegue che: a) i soggetti
migliorano le descrizioni come se esistesse una descrizione
perfettamente adeguata alla cosa; b) tale perfezionamen-
to strettamente legato alleffettiva presenza delloggetto
descritto, attraverso una serie di relazioni con esso che
vincola la descrizione stessa. quasi superfluo aggiungere

89. Cfr. E.C. Tolman, Behavior and Psychological Man, University of California
Press, Berkeley 1951.
90. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., p. 172.
91. Sulla distinzione sembrare, apparire rinviamo allanalisi di J.L. Austin,
Senso e sensibilia, cit., pp. 48-56.
92. Cfr. P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale, cit., p. 160. (Vedasi inoltre: C.F. Ferra-
ri, Causalit pensata e causalit incontrata, cit., parte II, 2.6).
302 FENOMENOLOGIA ERETICA

che tale processo di correzione sar molto pi efficace se


potr essere condiviso con altri osservatori.93
E1 sta alla base della fenomenologia sperimentale:
muovendo da E1, lesperienza delle cose per come le
incontriamo, giungiamo a E2, ossia allesperienza epi-
stemica. Nei confronti di cose ed eventi, infatti, non solo
osserviamo ci che si mostra, n ci limitiamo a descriver-
lo, ma operiamo su di esso inferenze logiche, congetture
che permettono di legare le proposizioni cartesiane in
strutture logiche: levidenza delle operazioni che ol-
trepassano losservazione, pur essendo di tipo diverso da
quella fenomenica, altrettanto ineludibile.94 Si tratta di
far giocare i due livelli a partire da un dato sistema di rife-
rimento che determiner il modo di intendere lincrocio
dei piani: epistemologico, ontologico e metafisico.
Lillusione di Mller-Lyer un caso emblematico: ve-
diamo i due segmenti di diversa lunghezza (E1), anche se
il righello misura una lunghezza uguale (E2). Per espe-
rienza epistemica intendiamo ci che corrisponde ad un
mondo di cose-oggetti che noi immaginiamo dando meno
peso agli aspetti fenomenici che le cose possiedono, pur
senza toglierli del tutto. [...] Lesperienza epistemica il
mondo dei fatti come se lo immagina lo scienziato, o il
filosofo della conoscenza, che non abbia confidenza con i
risultati della psicologia della percezione.95
La contrapposizione tra E1 e E2 d corpo generalmen-
te a un dualismo ontologico, nella malcelata speranza che
i ragionamenti logici siano in grado di eliminare dagli og-
getti sotto osservazione le loro qualit fenomeniche. La
scienza, per esempio, considerando E2 come il mondo
fisico reale, intende spiegare come esso causi il mondo
fenomenico E1. Ma se abbandoniamo lanalisi dellespe-
rienza immediata quale sar il campo a cui applicare le
misurazioni e le altre operazioni di pensiero? Se infatti
perdessimo fiducia nelle cose cos come ci vengono date
dallesperienza immediata, a maggior ragione dovremmo

93. Cfr. Id., Fenomenologia sperimentale, cit., p. 161.


94. Cfr. ivi, p. 163.
95. Ivi, p. 165.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 303

dubitare delle operazioni compiute su di esse. Se E2


pensata come un mondo di cose-oggetti, cio con am-
pie tracce qualitative, abbiamo una reduplicazione delle
cose: l c una cosa-E2, e gli osservatori intorno hanno
ciascuno una mente con dentro una corrisponden-
te cosa dellesperienza.96 Cos il mondo E2 costituito
da una lunga catena causale di elementi appartenenti al
regno della fisica che termina nella mente del soggetto,
dove misteriosamente compie un salto dalla quantit alla
qualit per generare lesperienza E3, indicata come
esperienza psicologica. In realt questa semplicemen-
te la descrizione del mondo soggettivo (il mondo, cio,
in cui ognuno di noi rappresenta per se stesso le cose).
Anche se ciascuno pu legittimamente pensare di pos-
sedere un proprio mondo personale, ciononostante noi
condividiamo con gli altri il medesimo mondo esterno.
Se cos non fosse non ci sarebbe nemmeno la possibili-
t di discutere e correggere le nostre e le altrui opinioni
n, paradossalmente, potremmo capire di cosa parlano le
altre persone quando si riferiscono a fatti che noi stessi
percepiamo. (Possedere un mondo esterno comune an-
che il presupposto per avere un proprio mondo interno).
Non sarebbe dunque possibile alcun sistema di riferimen-
to condiviso.97

15. La realt incontrata: esterno/interno

Le proposizioni E1 sono in relazione al piano ontolo-


gico e non epistemico: possiamo dire che esistono cose pi
o meno reali e trovare casi con un alto o con un basso
coefficiente di realt: per esempio, non confondiamo la

96. Ivi, p. 168.


97. Infatti, una supposta certezza dei protocolli [...] non solo deriva da ma pre-
suppone un gran numero di certezze cartesiane cio fondate sullaccetta-
zione tacita ma tenace delle propriet del mondo fenomenico comunemente
condiviso (ivi, pp. 169-170). Correggere la descrizione di un oggetto il
contrario quindi del privarlo delle sue qualit fenomeniche: proprio grazie
allindipendenza delle propriet di ci che osserviamo che le descrizioni pro-
tocollari possono essere univoche (ivi, p. 172).
304 FENOMENOLOGIA ERETICA

percezione di immagini consecutive con la percezione del


cubo. Inoltre, non potremmo capire una persona qualora
ci chiedesse: Come vanno le tue immagini consecutive?,
proprio perch non si considerano come una cosa del
mondo esterno. La realt ospita anche il fischio dellorec-
chio dopo una nuotata. Ci si pu interrogare se sia un
rumore esterno o se sia un sibilo nellorecchio, ma gene-
ralmente c un momento in cui un sibilo nellorecchio
e uno in cui invece chiaramente una cosa, un rumore:
infine c anche un momento ambiguo in cui non si ca-
pisce se un rumore esogeno o un ronzio dellorecchio.
In casi come questi facciamo un gesto per disambiguare
lo stato delloggetto osservabile, per decidere se dentro
o se fuori, se reale o se reale con qualche elemen-
to in pi che lo distingue dalle cose del mondo esterno.
Losservazione puntuale delle azioni rispetto agli oggetti
ci rivela il loro significato: muovendoci allinterno di un
gradiente che va dal pi reale al meno reale, di solito si
scarta il meno reale per una migliore messa a fuoco del
reale, ossia lobiettivo verso cui lazione tende.
Lapparire fenomenico si presenta come: reale inter-
no, reale esterno, irreale interno e irreale esterno. Questo
schema serve a prevenire lerrore fenomenologico verso il
quale naturalmente incliniamo, identificando il reale con
lesterno e lirreale con linterno. Possiamo fornire alcuni
esempi per ciascuno di questi quattro modelli logici che
derivano dallincrociare il reale con lirreale e linterno con
lesterno. Ci significa che c indipendenza tra questi
due sistemi di coppie di concetti:

1) il reale interno pu essere, per esempio, un dolore localizza-


to, come per esempio un mal di denti, oppure un pensiero
ossessivo su cui non riusciamo a intervenire: anche volen-
do non possiamo evitarlo, esso ineludibile e inemendabi-
le. La sua realt risiede nella sua ineludibilit, nella man-
cata efficacia dellintelletto del soggetto sullosservabile in
atto;
2) il reale esterno , per esempio, loggetto contundente che
evitiamo per non ferirci, un oggetto realissimum, lostaco-
lo che dobbiamo aggirare, il peso da sopportare eccetera;
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 305

3) lirreale interno costituito dalle fantasie e pi in generale


dai pensieri: il progettare idealmente una sequenza di azio-
ni, immaginare un fatto, le immagini ipnagogiche (a met
strada tra il reale interno e lirreale interno);
4) lirreale esterno costituito, per esempio, dalle immagini con-
secutive: sono diafane, fuori di noi, a portata di mano,
ma sono da noi prodotte e sono simbiotiche. Oppure, le
allucinazioni sensoriali, anche se spesso non vengono con-
fuse con la realt.

Il nostro monismo si basa anzitutto sul fatto che noi


non possiamo smarcarci dagli osservabili in atto e dalla
non riducibilit della realt del mondo esterno a unim-
magine scientifica del reale: incontriamo la realt feno-
menica in diversi modi, e con diversi gradi di realt (o ir-
realt). Questo il mondo incontrato. C poi il mondo
di cui possiamo farci unimmagine attraverso le indagini
scientifiche, che tuttavia trova la sua legittimit solamen-
te nel rapportarsi in modo scientificamente corretto ai
fatti dellesperienza diretta. Il mondo razionale non
quindi la base del mondo percepito ma, al contrario,
testimonia del primato della realt interosservabile pro-
prio il fatto che n la fisica elementare n la psicofisio-
logia sarebbero potute sorgere senza un luogo oggettivo
al quale applicare misure e ragionamenti. Oggetto della
fenomenologia sperimentale la realt nella sua interez-
za e la soggettivit ne soltanto una parte (per quanto
importante e poco nota).98
Per chiarire questultimo punto prendiamo in esame
una microfotografia di materiale ceramico. Possiamo os-
servare come lungo il bordo inferiore sia presente una
sottile linea nera con la dicitura 1 micron. Essa significa
che tutto ci che vediamo nella microfotografia va ripro-
porzionato in base alla misura indicata, ovvero un milio-
nesimo di metro. Generalmente, guardando limmagine
pensiamo di osservare elementi la cui grandezza infe-
riore al micron: per sapere quanto grande un micron
facciamo riferimento proprio al segmento nero.

98. Cfr. ibid.


306 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il problema che niente di tutto ci vero, poich


noi in realt vediamo un segmento nero che misura poco
pi di un cm, a una distanza di visione del foglio di circa
40 cm. Inoltre, a complicare il tutto, interviene il fatto che
non stiamo osservando un oggetto, ma unimmagine. Di
conseguenza non possiamo legittimamente affermare di
vedere 1 micron: allo stesso modo guardando la luna pie-
na nessuno si sogner di dire che sta vedendo i 3.476 km
del suo diametro. Nel caso esaminato utilizziamo il ter-
mine vedere sulla base di alcune premesse condivise, per
esempio, lesistenza dei microscopi elettronici e la validit
delle tecniche di microfotografia. Infatti, il micron non
visibile perch la minima differenza spaziale esperibile
col sistema visivo arriva a 1,5 sec-arc nello specialissimo
caso dellacuit verniero, nelle condizioni migliori otteni-
bili in laboratorio, e a 30 sec-arc in condizioni un po pi
normali, cio usando lanello di Landolt. Su un foglio di
carta tenuto a 40 cm dallocchio tali quantit corrispon-
dono rispettivamente a 9 e a 119 micron.99 evidente

99. G.B. Vicario, Il tempo, cit., p. 96.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 307

quindi che non potendo osservare grandezze cos piccole


dovremmo ricorrere a strumenti in grado di renderle in-
telligibili (quindi il micron della figura in questione a ri-
gore va considerato un puro ens rationis). Il senso comune
portato a considerare reali gli enti razionali della fisica
e, nel caso di un contrasto tra la scienza e lesperienza,
a liquidare questultima come illusoria o frutto dellim-
perfezione dei sensi. Tutti i ragionamenti che possiamo
compiere riguardo al mondo fisico si basano su esperien-
ze immediate: dobbiamo considerare reale perci unica-
mente ci che pu essere osservato. Al contrario, ci che
pu essere osservato non reale, ma utile, conduce cio a
previsioni adeguate di altri fatti osservabili.100
Asserire di vedere 1 micron una descrizione epi-
stemologica e non ontologica, non possibile fare uno
strappo nel mondo degli osservabili in atto, come un ta-
glio alla Fontana, per guardare al di l della tela e vedere
cosa c allesterno: elettroni, forze magnetiche sono entia
rationis, ovvero pensieri, descrizioni, dimostrazioni.101 Lo
stesso vale per i segni con il gesso sulla lavagna: essi sono
reali e non il loro significato che invece risiede nella no-
stra testa: parlando di stimoli, processi, condizioni
periferiche eccetera, alludiamo a significati e non a cose
ostensibili. Significati che risiedono nelle nostre teste: il
reale, loggettivo, lesterno, ci che indipenden-
te dallosservatore, che si mostra prolungato nel passato,
ne emerge, che entra nel futuro, che ci sia o no questa o
quella intenzione o teoria nella testa di chi osserva.102

16. Dal Golem al genio maligno

Immaginiamo un Golem perfetto. In via del tutto te-


orica sarebbe possibile immaginare due osservatori che,
pur possedendo mondi percettivi identici, siano caratteriz-
zati da una qualche differenza nei meccanismi percettivi

100. Cfr. Id., Psicologia generale, cit., p. 94.


101. Cfr. M. Ferraris, Il mondo esterno, cit., pp. 163 sg.
102. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 229.
308 FENOMENOLOGIA ERETICA

sottostanti. Immedesimiamoci in uno dei due osservatori,


e sostituiamo laltro con un veicolo di Braitenberg che
sia in grado di replicare puntualmente il nostro mondo
percettivo.103 Il Golem perfetto avrebbe le nostre stesse ca-
pacit di descrivere il comune mondo percettivo, mondo
nel quale sarebbe in grado di muoversi con abilit anche
superiore alla nostra; esso potrebbe manifestare dellinte-
resse per la percettologia, che potrebbe decidere di con-
dividere con noi. Con un approccio tradizionale, il Golem
comincerebbe col mostrarci una serie di illusioni ottiche,
e potremmo discutere insieme gli effetti cromatici come
il contrasto o leguagliamento delle immagini consecuti-
ve, cercando di trovare un ordine concettuale per tali ele-
menti. Il Golem potrebbe risultare pi dotato di noi per
la fenomenologia sperimentale e quindi proporre delle
teorie pi valide, ma in ogni caso noi e lui dovremo tro-
vare un accordo condiviso sui fatti.104 Oltre a esplorare
il mondo esterno, noi e il Golem potremmo anche dare
vita a una scienza degli osservabili indipendente dai loro
reciproci funzionamenti sottostanti.
Il caso del Golem non poi cos diverso dal caso del
Genio maligno di Cartesio, che rappresenta una metafi-
sica sottostante a tutti i fenomeni: si pu delineare una
scienza degli osservabili a prescindere dal loro creatore,
maligno o magnanimo che sia. Ci che causa il fenomeno
altro dal suo apparire: la natura del fenomeno, propria-
mente, non dipende dalla propria causa.
Nella realt virtuale, per esempio, ci si muove in di-
rezione di una scissione tra il mondo percettivo e quello
che classicamente si definiva mondo esterno. Questindi-
pendenza dei due mondi tuttavia gi esistente a livello
metodologico: proponendo esperimenti sulla percezione,
ignoriamo completamente la battaglia che si combatte al
di sotto di essa: fisiologia, neurologia, e ipotesi computa-
zionali si contendono il primato.

103. Cfr. V. Braitenberg, I veicoli pensanti, Mimesis, Milano-Udine 2007.


104. Lesempio del Golem stato ripreso da P. Bozzi, Fenomenologia sperimentale,
cit., pp. 326 sg.
IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 309

Se fossimo immersi in una realt virtuale perfetta, to-


talmente identica a quella che percepiamo in questo mo-
mento (negli aspetti del moto apparente, dellimpressio-
ne di profondit, di tridimensionalit dello spazio, ecc.),
rimarrebbe valido il fatto che a certe condizioni osserva-
bili si associano determinati effetti osservabili. Per quanto
bizzarro possa essere ci che accade in questa realt virtua-
le, ci saranno al suo interno tutti gli ingredienti percettivi
che permettono a tali strani eventi di realizzarsi. Se, per
esempio, dovessimo venir assaliti da un leone, non ci sar
nessun avvicinamento della belva feroce se non attraverso
un progressivo ingrandimento della sua immagine allin-
terno del nostro sistema visivo. Allo stesso modo possiamo
studiare un gran numero di fenomeni nel campo della
percezione, a prescindere dal fatto che ci troviamo nella
nostra stanza, al cinema o in una perfetta realt virtuale.
La realt virtuale stabilisce un meccanismo per cui
larco psicofisico fatto di tanti anelli strutturati tali che
consentono di percepire il mondo e le cose. Possiamo
dubitare della spiegazione causale, adottare la finzione
del genio maligno e dubitare di ci che si annida dietro
i fenomeni, ma non della realt del fenomeno, di ci che
appare, del dato incontrato o degli osservabili in atto. La
logica del genio maligno pu essere sostituita dalla logica
dei mondi virtuali, protesi equivalenti a parti dello sche-
ma S-D, eppure la logica del mondo fenomenico deve ri-
manere invariata.
Attraverso la fenomenologia sperimentale, abbiamo
mostrato lindipendenza del fenomeno colto iuxta propria
principia: La fenomenologia sperimentale la scienza
empirica del reale tout court, e la soggettivit solo un pa-
ragrafo importante e poco esplorato di essa.105 pro-
prio questo fenomeno a essere il reale tout court, che nem-
meno il genio maligno di Cartesio in grado di inficiare.
Il genio maligno potr sostituire la metafisica sottostante
allo schema S-D o a qualche sua parte, ci non compor-
ta tuttavia che il risultato fenomenico sia qualitativamente

105. Cfr. ivi, pp. 266 sg.


310 FENOMENOLOGIA ERETICA

diverso. Se veramente intende ingannarci ci che appa-


re deve rimanere invariato. Sennonch noi consideriamo
reale tale fenomeno. Se il genio alterasse il rendimento
fenomenico, avremmo sufficienti indizi e ragioni per pre-
supporre sensatamente un dubbio sul mondo esterno, e
sempre sulla base di ci che vediamo: importante ri-
cordare scriveva Austin che parlare di inganno ha senso
solo contro uno sfondo di generale non-inganno.106
Il dubbio iperbolico cartesiano mira a porre in crisi
la nostra conoscenza del mondo esterno. Abbiamo visto
con Wittgenstein il problema della liceit del dubbio as-
soluto, potremmo dire innanzitutto quando si basa su di-
screpanze presenti nelle cose direttamente osservate. Ma
allora perch dovremmo dubitare della realt del cubo?
E cosa cambierebbe se il sottostante metafisico fosse di-
verso, se poi ci che appare identico? Immaginiamo un
soggetto in una realt virtuale identica alla nostra dove
un cubo appare, ma le sue facce si attivano ogni volta che
entra in contatto con la retina artificiale dellosservatore:
le sei facce non sarebbero mai compresenti. Linganno
possibile perch oltre a un mondo virtuale dobbiamo
sempre supporre e presupporre un apparato visivo meta-
fisicamente dipendente dalloggetto, ossia dobbiamo ipo-
tizzare oltre al mondo virtuale il mondo reale. Il dubbio
pu derivare da unanalisi o dal correlato di unimmagine
scientifica: noi fingiamo di dubitare. Possiamo porre in
dubbio anche cose di cui siamo perfettamente convinti,
assolutamente certi. Lesercizio del dubbio relativamen-
te facile rispetto ai concetti astratti utilizzati nellambito
della propria ricerca. Possiamo fingere di dubitare anche
dei nostri stimoli e addirittura del risultato dellapplica-
zione degli strumenti di misura alloggetto delle nostre
osservazioni: nellillusione di Mller-Lyer possiamo dubi-
tare che le linee siano della stessa lunghezza anche se le
misuriamo con gli strumenti pi opportuni. Tuttavia, la
questione se possiamo dire di dubitare di vederli diversi
nellatto di osservarli. Se provassimo a dubitare della no-

106. J.L. Austin, Senso e sensibilia, cit., p. 31.


IL FENOMENO IUXTA PROPRIA PRINCIPIA 311

stra esperienza immediata e non di quello che possiamo


immaginare, scopriremmo linsensatezza di tale dubbio.
Per quanto ci sforziamo vedremo svanire il dubbio, ma
non la realt che abbiamo sotto gli occhi. Dubitare sem-
pre possibile, ma sostenere di dubitare di vedere ci che si
vede unaltra cosa. Fingere di dubitare un gioco con
lesperienza del non senso. Questa la natura profonda di
quellexplanandum che la percezione. Non si pu fingere
di dubitare, cos come non si pu credere di credere.107
Dubitare dellesperienza immediata non pi una mera
ipotesi logica, ma comporta una messa in discussione del
nostro agire, della nostra forma di vita. Il senso che gui-
da le nostre azioni ne sarebbe profondamente alterato,
poich lagire incarnato nel mondo della vita. La no-
stra natura relazionale. Non ci sarebbe conoscenza del
logos senza un inizio estetico, e la fenomenologia investe
tale inizio sia logico sia fenomenico. La conoscenza del
dubbio e della certezza dellesistenza del mondo esterno
data dalla relazione tra lapparire fenomenico della cosa
e il logos.
Il logos di per s non potrebbe sussistere senza la di-
mensione fenomenica precategoriale. Immaginiamo un
uomo completamente deprivato (e fin dallinizio) di ogni
esperienza sensoriale, anche quella del proprio corpo: po-
trebbe costui sviluppare una qualsiasi forma di pensiero?
Il pensiero articolazione di qualcosa, e questo qualcosa
inizialmente devessere dato affinch vi possa essere un
pensiero in quanto tale. La conoscenza del logos presup-
pone quindi, nel suo inizio, percezione e ritenzione, pre-
suppone cio la possibilit che qualcosa appaia e che vi
sia memoria di questa informazione. Per questa ragione il
dubbio, se slegato dallapparire, non pone in discussione
la nostra fede percettiva sullesistenza del mondo ester-
no. Tale fede fede per il logos che lassume senza una
piena giustificazione: il logos, infatti, non pu giustificare
qualcosa che per sua natura altro da s lapparire feno-
menico (o estetico) , senza porsi in relazione con esso.

107. P. Bozzi, Un mondo sotto osservazione, cit., p. 235.


312 FENOMENOLOGIA ERETICA

Il reale si configura in una logica intrinseca, secondo


le modalit dapparenza nellesperienza immediata: le
modalit di datit fenomenica strutturano il visibile come
fenomeno interno o esterno, determinandone il grado
di realt. Il fenomeno colto iuxta propria principia mostra
come i poli soggettivo e oggettivo dellapparire della cosa
dipendano dal sistema di relazione implicito, che in fun-
zione delluso che intendiamo farne: Kant, infatti, ha defi-
nito la finalit un ordine in cui lesistenza e le propriet
del tutto determinano lesistenza e le propriet delle par-
ti. A partire dalla struttura fenomenica della cosa il polo
pu essere soggettivo o oggettivo a seconda del sistema
di riferimento assunto: lassolutizzazione di una polarit
rende laltra aporetica. Il dubbio scettico non fa eccezio-
ne e si configura come assolutizzazione di un sistema di
riferimento; il dubbio iperbolico nasce quando due diver-
si sistemi di riferimento entrano in collisione: il mondo
trascendente del genio maligno come metafisica sotto-
stante allesperienza immediata. La sensatezza del dubbio
pu essere ristabilita coordinando correttamente gli or-
dini logico ed estetico rispetto alla cosa posta in dubbio.
Come abbiamo visto, linsensatezza del dubbio emersa
attraverso incongruenze di tipo fenomenico in accordo a
incongruenze di carattere logico-linguistico.
La fenomenologia della percezione tratteggiata in
questo libro a partire dallesempio del cubo ha preso cor-
po dallapparire fenomenico in quanto tale. Ogni angolo
buio dellapparire su cui il dubbio intende infiltrarsi de-
stinato a essere illuminato dal doppio vincolo fenomeno-
logico: il dubbio non riesce a trovare il suo ubi consistam.
Il cubo si offrir per essere smascherato; oppure, affidan-
doci ad un aforisma di Kafka: Non necessario che tu
esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare
neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta
in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrir per
essere smascherato, non ne pu fare a meno, estasiato si
torcer davanti a te.
VI.
DIALOGHI CONCLUSIVI
TRA UN PERCETTOLOGO
E UN METAFISICO1

1. I presenti dialoghi, da un lato, nascono in risposta a obiezioni realmente mos-


se alle tesi sopra esposte; dallaltro, sono, in parte, la trascrizione di appunti
tratti dallultimo corso che Bozzi tenne allUniversit di Trieste. Forma e con-
tenuto sono stati rielaborati e adattati in chiave dialogica.
I.

Metafisico Vorrei che in questo dialogo sulla fenomeno-


logia tentassimo di far convergere le nostre riflessioni
verso le cose stesse: al senso pi autentico dellappari-
re della cosa...
Percettologo Prima di rivolgerci al senso autentico del-
la cosa, come sai, preferisco discutere di singolarit
percettive. Lanalisi di casi specifici ci consentir di
chiarire e di circoscrivere con maggior precisione il
significato dei concetti che intendiamo discutere. Per
questa ragione lesempio del cubo diventato un ca-
talizzatore di problemi teorici.
M. Il tuo, mi pare mero induttivismo! Non osservando
una singolarit che possiamo cogliere lesser-cosa del-
la cosa, e quindi ci che fa s che questa cosa sia questa
cosa e non unaltra. La filosofia non si accontenta di
affermare lapparire della cosa, mira al disvelamento
della sua verit. Lente geometrico cubo unidea,
prima ancora di essere qualcosa di sensibilmente ap-
prezzabile.
P. Lapparire del cubo contiene un polo soggettivo,
laspetto prospettico, e un polo oggettivo, il suo es-
sere di per se stesso strutturato: una Gestalt. Il feno-
meno in quanto tale ossia iuxta propria principia
include entrambe le prospettive. Assolutizzare uno
dei due poli implica ripiombare nelle aporie classiche
della metafisica: il soggettivo che non riesce a spiega-
re loggettivit della cosa e loggettivit della cosa che
non riesce a essere spiegata poich il risultato di qual-
cosa di soggettivo.
316 FENOMENOLOGIA ERETICA

M. Alla fine mi pare che il tuo discorso tenda ad assumere


una matrice kantiana.
P. Ma dobbiamo prima sbarazzarci di alcuni retaggi deri-
vanti da un certo kantismo annacquato: da un lato la
cosa in s, dallaltro il concetto di rappresentazione.
M. Come puoi escludere la cosa in s quando lesempio
del cubo collassa interamente su questo problema?
P. Possiamo considerare la cosa in s in chiave fenomeno-
logica, e non kantiana, come la classe di tutte le appa-
renze; ma lasciamo perdere, per adesso, gli autori, e
le loro interpretazioni, e concentriamoci sui problemi
sollevati.
M. Va bene, ma anche restando su questo piano superfi-
ciale del discorso senza precipitare allessenza della
cosa il modo in cui hai impiegato il concetto di per-
cezione, nel tentativo di affermare la cosa, lo trovo
ambiguo. Infatti, possiamo parlare di percezione solo
presupponendo il linguaggio; la percezione, infatti, non
mai qualcosa di extralinguistico, n qualcosa di im-
mediato: sempre qualcosa di mediato. La percezione
non nemmeno qualcosa di passivo: il risultato
di unattivit complessa. In ogni passivit implicita
unattivit e in ogni attivit implicita una passivit.
Vi nella percezione un doppio vincolo dato dalla rela-
zione passivo-attivo. La percezione unattivit che si
innesta a partire da una passivit e, congiuntamente,
tale passivit il risultato di unattivit.
P. E in base a cosa affermi questa complessit e questa
attivit? Sulla base di quanto ci dice la scienza sullespe-
rienza? Hai esperienza di questa mediatezza?
M. No. Sono daccordo con te che la scienza non spiega
lesperienza. Tuttavia, lesperienza non immediata,
ma mediata dal linguaggio.
P. Dobbiamo intenderci su questa mediazione. La parola
nomina la cosa che gi . Senza un riferimento extra-
linguistico non potremmo nemmeno intenderci, n
potremmo immaginare una forma di pensiero e di lin-
guaggio. Il linguaggio consente un rinvio infinito alla
cosa, ma la relazione tra la parola e lapparire della
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 317

cosa determina un sistema di riferimento che stabili-


sce gradi di saturazione entro cui noi operiamo.
M. Ma, allora, il sistema di riferimento teleologico e dipen-
de dal fine che intravediamo nella potenziale manipola-
bilit della cosa. il nostro agire che determina i modi e
il senso della cosa entro un orizzonte di utilizzabilit.
P. S, ma il nostro comportamento strutturato dalla
cosa: noi agiamo sulla cosa in base alla sua confor-
mazione. Stabilito che il nostro fine , per esempio,
lesplorazione della cosa-cubo, sar il cubo stesso a ri-
chiederci un certo comportamento: a dettare le rego-
le del nostro agire.
M. Si tratta allora di comprendere, come ci insegna Mer-
leau-Ponty, perch la filosofia non abbia mai parlato
della passivit della nostra attivit.
P. S.
M. Tuttavia, Merleau-Ponty parla di fede percettiva...
Ogni conoscenza rende impensabile il proprio inizio:
cos come lo sguardo presuppone locchio, ogni cono-
scenza presuppone per fede linizio.
P. La natura della cosa non n linguistica n concettua-
le, e la natura dellocchio altra cosa dallesperienza
immediata. Che lapparire abbia a che fare, in qualche
modo, col nostro cervello e col nostro occhio contin-
gente. Appare la cosa, non la percezione: vi lesperien-
za immediata della cosa, non della percezione. Ogni
conoscenza implica un sistema di riferimento: pensarne
il limite senza precisare un insieme pi ampio che lo
contenga sono daccordo unaporia. Non possia-
mo conoscere il limite senza conoscerne ambo i lati e
quindi oltrepassando il limite ecco la contraddizione.
M. Infatti, se un limite oltrepassabile, non un limite...
P. Ma la contraddizione tale perch si assolutizza un si-
stema di riferimento: ma nellinsieme pi ampio pos-
siamo affermare il limite del primo sottoinsieme senza
contraddizione.
M. Daccordo; ma non ci devessere nessuna scala di valo-
re: non che linsieme pi ampio pi importante o
pi vero.
318 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. Certo.
M. Ma sei daccordo che linizio della conoscenza presup-
pone un atto di fede? La nostra conoscenza del cubo
un atto di fede. La storia dellOccidente un grande
atto di fede, in primis negli immutabili e oggi nel
loro declino: mito, dio, verit, episteme, ide-
ologie sono forme della nostra volont di potenza,
della nostra volont di cogliere qualcosa in grado di
trascendere il divenire, capace di sottrarsi alla potenza
annientatrice del tempo. Questa cosa pu diventare
nulla, noi possiamo tornare a essere polvere.
P. Intendo le parole di Merleau-Ponty in modo diverso...
La fede percettiva indica un problema: come spiegare
il fatto che noi crediamo allapparire al mondo ester-
no e non ne dubitiamo? Crediamo a qualcosa che il
logos non in grado di giustificare pienamente entro
aggiungerei il proprio sistema di riferimento. Dubi-
tiamo quando facciamo filosofia, ma rimane un miste-
ro il fatto che noi non incarniamo mai il dubbio. Non
riusciremmo ad agire nella quotidianit pensando co-
stantemente che il nostro agire in verit il risultato
della volont di un genio maligno. Perch? E la natura
del nostro agire muta il senso che le azioni in quanto
tali hanno per noi? Si tratta di indagare la struttura di
questa nostra fede. Non possiamo in ogni caso assi-
milare la filosofia alla fede. E tu dirai che questultima
mia affermazione una fede!
M. No! Anche se conosco pi di qualcuno che a questo
punto giocherebbe questa carta. Il discorso filosofico
non un atto di fede, poich intende dimostrare logi-
camente le proprie tesi senza presupporre alcunch.
La filosofia nasce come affermazione non dogmatica
del logos: ascoltando non me, ma il logos sentenzia
Eraclito...
P. E tuttavia, dal tuo discorso, non escludi il mythos, n
lirrazionale.
M. Certo che no. Ma con ci non intendo affermare che il
logos sia unemanazione irrazionale dei nostri bisogni.
(La verit anche un bisogno, e noi abbiamo bisogno
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 319

di stabilire verit, abbiamo bisogno di stabilit). Il logos


un ordine del discorso, e non possiamo affidarci al
caos.
P. E come potremmo sopravvivere nel caos, nellindeter-
minato? Intendi dire che un conto la nostra espe-
rienza corporea, emotiva, irrazionale, altro la sua com-
prensione?
M. S, infatti noi comprendiamo i sentimenti altrui, giu-
dichiamo i comportamenti irrazionali degli altri cos
come i nostri: c una logica delle emozioni e dei sen-
timenti che non detto che corrisponda alla logica
del pensiero. Cos possiamo distinguere lesperienza
religiosa in quanto tale dal contenuto di questespe-
rienza.
P. Su questo siamo daccordo... La logica del sensibile di
cui parli incarnata nella relazione con lAltro, sia esso
una cosa o un animale. Si potrebbe sostenere per che
anche la ragione un atto di fede gioco io questa
carta!
M. Non mi dire. Tuttavia dobbiamo riconoscere che la
verit del logos parte del linguaggio che abbraccia
uno spazio semantico pi vasto della sola ragione. Cos
lapparire solo una prospettiva sul mondo, uninter-
pretazione.
P. Uninterpretazione che necessita, per essere tale, di
un interpretato, di un questo originario. Il linguaggio
abbraccia una dimensione che oltrepassa la dimen-
sione della verit. Il linguaggio non solo semantico-
apofantico...
M. Una preghiera, infatti, non n vera n falsa, eppure
ha significato.
P. Ma porsi al di fuori del campo semantico della verit
non implica alcuna contraddizione rispetto alla verit:
ci vale per il sogno cos come per la follia...
M. Torniamo al cuore del problema. Ogni tentativo di an-
dare oltre il linguaggio necessita sempre lutilizzo del
linguaggio. Non possiamo parlare di un semplice
vedere o di vedere in senso stretto: per esempio, il
tal colore del cubo o laspetto di quella cosa non sono
320 FENOMENOLOGIA ERETICA

unesperienza semplice, non c dicevo nulla di


semplice nellesperienza! Vedere il colore rosso pre-
suppone il concetto di colore, e quindi quella cosa
linterpretazione di quella cosa come quella cosa. Tale
interpretazione concettuale e come tale implica pen-
siero e linguaggio: E per usare le parole di Hegel
se i fatti non si accordano con la teoria tanto peggio
per loro. Senza pensiero e linguaggio quella cosa sa-
rebbe indistinta, non sarebbe n una n identica a s.
A non dice lidentit della cosa, ossia A=A.
P. Non credo si possa obbligare qualcuno a vedere un
certo colore! Che senso ha dire: Vedi quel cubo rosso
come rosso? Con esempi simili Wittgenstein ci ha in-
segnato che il vedere diverso dallinterpretare.
Linterpretare dipende dalle nostre intenzioni e dalla
nostra volont: un atto, e non uno stato.
M. Dimentichi che il mondo non qualcosa di esperito
direttamente, ma che tu lo voglia o no rappre-
sentazione! Ed , in quanto tale, sempre oggetto di in-
terpretazione. La tua interpretazione del mondo non
coincider mai pienamente con la mia, perch io e te
possediamo necessariamente due prospettive e quindi
due rappresentazioni diverse del mondo. Dato il tuo
tentativo di difendere un approccio fenomenologico,
riconoscerai che esso sfociato nellermeneutica...
P. Intendi il passaggio Husserl-Heidegger-Gadamer? La-
scerei stare questi passaggi necessari inscritti nella
storia. Nessi difficili da prevedere e fin troppo facili da
ricostruire. Ho inteso raccontare unaltra storia della
fenomenologia, che si lega anche ad autori diversi.
M. Autori che comunque passano per Husserl...
P. Alcuni di essi s, altri no, per la verit.
M. Il punto di partenza sempre lo stesso: la prima per-
sona rispetto alla terza, propria delloggettivit
scientifica.
P. Certo. Si potrebbe aggiungere che un modo di re-
lazionarci alle scienze e non un rifiuto tout court della
scienza: la scienza non si separa dalla riflessione feno-
menologica, anzi ci apre continuamente nuove pagine
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 321

di un libro ancora tutto da scrivere. Vi un sapere da


un lato e il nostro relazionarci ad esso dallaltro: ecco
la fenomenologia in pratica.
M. Non trovo tutta questattualit nella fenomenologia;
quanti oggi si proclamano fenomenologi? Fenomeno-
logia un termine ormai desueto e troppo compro-
messo storicamente...
P. Ma che argomento questo! Non siamo alla ricerca di
mode scientifiche... La Moda sorella della Morte nel
dialogo delle Operette morali... Correre dietro alle mode
scientifiche e filosofiche serve forse a far carriera uni-
versitaria o a vendere libri, ma non a pensare.
M. Sono daccordo!
P. Chiamala come credi, potremmo se vuoi chiamar-
la in un altro modo: e come? In ogni caso il punto
di partenza rimarr lo stesso: da un lato il fenomeno,
dallaltro il logos. La fenomeno-logia consiste in questo
continuo rinvio-relazione dalluno allaltro. Si tratta di
comprendere il senso di questa relazione. Enzo Paci, in
questo, stato un maestro. Lapparire chiarisce il pen-
siero e il pensiero lapparire. La conoscenza si basa su
questo reciproco rinvio e non sul prevalere delluno ri-
spetto allaltro, come invece sostengono da una parte
l empirismo e dallaltra il razionalismo e lidealismo.
M. Quindi innanzitutto dobbiamo chiarire cosa intendia-
mo indicare con immediatezza: del logos e del fenome-
no.
P. Perci dobbiamo sottolineare lautonomia dei due
piani, e i modi del loro relazionarsi, ossia il sistema
di riferimento implicito. nella loro relazione che si
costituisce linizio della conoscenza. Si apprende che
questa cosa un cubo attraverso lunit e lidentit
della cosa. La sintesi espressa dal linguaggio aRb op-
pure AB il risultato, da un lato, di categorie concet-
tuali e dallaltro, e autonomamente della struttura
dellesperienza. Siamo daccordo su questo punto?
M. Non del tutto. A rigore, linizio della conoscenza di-
pende unicamente dal logos. Senza il logos non saprem-
mo nemmeno dove guardare, figuriamoci poi dove e
322 FENOMENOLOGIA ERETICA

come cogliere il singolo aspetto della cosa. Quindi dire


cubo significa dire un concetto gi di per s comples-
so quanto rosso, che presuppone il concetto di colore
eccetera... Si fa presto a dire questo o cubo per rin-
viare alla cosa. Come se questo rinvio costituisse lori-
ginario extralinguistico da cui partire... Le cose non
sono cos semplici, perch il dato originario non sussi-
ste in quanto tale, e il senso della cosa si costituisce
sempre attraverso il linguaggio e linterpretazione. Noi
nominiamo e definiamo la cosa, operiamo qui una
prima cesura col mondo, e quindi ne stabiliamo lunit
e lidentit. Possiamo nominare diversi aspetti e le loro
infinite relazioni che determineranno nuove unit e
nuove identit: lunit e lidentit della cosa-cubo non
corrisponde allunit e lidentit degli atomi che com-
pongono ci che intendiamo con questa cosa. Come
dicevamo pocanzi, le possibilit di relazionarci alla
cosa sono infinite, il suo apparire a te non potr mai
essere, se non per approssimazione ed di appros-
simazioni che si nutre il senso comune , pienamente
coincidente al mio.
P. Difficile a questo punto non giungere a un relativi-
smo...
M. Daltronde anche le tue riflessioni ti hanno condotto
su questo terreno.
P. Un relativismo esattamente opposto: infatti, non ho
mai inteso affermare la relativit di tutte le posizioni,
bens la necessit di precisare il sistema di riferimento
rispetto al quale si afferma una certa verit.
M. Basta sostituire verit con interpretazione e siamo
daccordo!
P. Abbiamo o no compreso che un conto pensare e
interpretare la cosa altro il suo apparire, vederla e
osservarla?
M. Certo...
P. Allora si dovr anche ammettere che mentre linter-
pretare soggetto alla nostra volont, ci non vale per
lapparire. Ribadisco che non possiamo decidere di ve-
dere quella cosa di quel colore o di quella forma.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 323

M. Ma, ci non significa che vediamo la stessa cosa!


P. Significa che possediamo un primo sistema di riferi-
mento comune, lapparire del mondo: a partire da
questo spettro del visibile che concetti, linguaggio e
pensiero si modellano a forma di mondo.
M. Comunque, a rigore non possiamo dire di vedere la
stessa cosa.
P. Esistono diverse prospettive perch vi qualcosa di
identico e di condiviso, altrimenti non potremmo n
comunicare n condividere il senso delle divergenze
(e dellidentit). Possiamo intenderci perch condivi-
diamo un mondo ed a partire da questo qualcosa di
comune che sirradiano le differenze.
M. Ma se...
P. Vorrei aggiungere che proprio sulla coerenza dellap-
parire che si fonda limportanza della contraddizione
nel pensiero. O meglio, limportanza di evitare pensie-
ri contraddittori.
M. Tuttavia, la percezione, questo primo sistema di
riferimento di cui parli, non possiede un significato
univoco, ma un complesso di significati. Il carico se-
mantico che noi attribuiamo alla parola percezione
ha a che fare con locchio, il funzionamento del cer-
vello, lintuizione, lanimale che percepisce gli stimoli,
percepire un disagio, eccetera.
P. Ma nessuno, sentendo la parola percezione, fa luni-
ca cosa che si dovrebbe fare: porre attenzione a ci
che ci sta attorno in un dato istante. Se vuoi intendere
il significato della parola percezione nella sua comple-
tezza ostensibile, devi fermarti e considerare il mondo
delle cose e degli eventi che in quellattimo ti circon-
dano (e non considerarle nel ricordo, n nellaspetta-
tiva e nellimmaginazione di una percezione futura,
ma nelladesso della percezione). Gli unici veri esempi
di percezione sensatamente trattabili, sia dal punto di
vista scientifico che letterario, abitano nel presente del-
le osservazioni.
M. Dato che fai coincidere il significato di percezione
con la possibilit dellostensione, devi considerare che
324 FENOMENOLOGIA ERETICA

la definizione ostensiva spiega il significato della parola


cubo allorquando sia chiaro quale funzione la parola
debba svolgere nel linguaggio. Non Wittgenstein a
dirlo?
P. Linsegnamento ostensivo non consiste nellindicare
col dito come se la parola fosse definita mostrando
la cosa: Wittgenstein parla di insegnamento ostensi-
vo contrapponendo questa espressione alla cosiddet-
ta definizione ostensiva. Credo che vi sia una sot-
tintesa e vivace polemica contro questa associazione
terminologica tra definire e mostrare.
M. Ma la percezione continua a essere qualcosa di indefi-
nito: dove ha inizio?
P. Essa si manifesta nel tempo presente delle osserva-
zioni, che quello che i bambini con la fantasia dico-
no: Adesso, adesso, adesso..., e si accorgono poco
alla volta che ladesso pronunciato adesso un pas-
sato irrecuperabile e urge un presente che il nuovo
adesso. Questo lo spazio fenomenico della percezio-
ne...
M. Ma questo adesso pregno di pensieri e pregiudizi.
Non devo essere io a ricordarti che non esiste un oc-
chio innocente.
P. E di cosa sarebbe colpevole? Considera locchio pu-
lito di colui che si lascia assorbire da ci che sta os-
servando... tutte le volte che ascoltiamo musica noi
facciamo cos! Suppongo che per moltissimi pittori sia
lo stesso. La percezione devessere una parola che ap-
pena pronunciata ci induce a tacere e a sospendere i
processi cognitivi per un attimo, stando attenti a come
sono fatte le cose, gli spazi e i luoghi.
M. Ribadisco che vedere gi giudicare o, se preferisci
come sostiene Popper i fatti sono carichi di teoria.
II.

P. Iniziamo da una semplice constatazione: noi raramen-


te siamo in grado di vedere quello che si dovrebbe ve-
dere per avere una topografia completa del mondo
dellesperienza.
M. Un po vago...
P. Bene! Il primo passo per lesplorazione fenomenologi-
ca delle cose consiste nellimparare a mettere da parte
la scopistica generale che guida il nostro comune
vivere e provare il gusto della contemplazione, ossia
il gusto di soffermarsi su una cosa molto pi a lungo
di quanto le necessita, di quanto le pratiche preveda-
no: una cosa l, e uno non si stanca di esplorarla pur
avendola gi conosciuta nei particolari.
M. Come un pittore?
P. Come i pittori di una volta: quando fare arte implicava
osservare le cose prima di trasfigurarle in pittura. Ecco
allora che il vedere acquista corpo in quellatteggia-
mento osservativo che, di fronte agli eventi, ci consen-
te non di risolverli a parole, ma di lasciar andare lo
sguardo dentro gli eventi.
M. Ma la cosa un complesso di elementi emergenti in
diversi istanti.
P. Le cose percepite possiedono delle caratteristiche
translocali, che non si localizzano punto a punto su-
gli elementi, ma si collegano in gruppi di unit pi
ampi in una sorta di struttura significante.
M. Continui a giocare con una vaghezza inaccettabile da
un punto di vista epistemologico.
P. Quella della percezione una buona vaghezza che
corrisponde esattamente alla nostra forma di vita.
326 FENOMENOLOGIA ERETICA

Un assunto metodologico tipico della metodologia di


Bozzi il seguente: serviti dellinesatto per determi-
nare lesatto, quando le grandezze che devi testare ti
consentono di farlo.
M. Cosa vuoi dire con ci?
P. Perch tu possa capire meglio le mie parole ti leggo
questo passo di Galileo. Ascolta quanto lo scienziato
fa dire a Salviati nei Discorsi e dimostrazioni matematiche
intorno a due nuove scienze: Veramente non lho speri-
mentata, salvo che in lontananza piccola, cio manco
dun miglio, dal che non ho potuto assicurarmi se vera-
mente la comparsa del lume opposto sia instantanea;
ma ben, se non instantanea, velocissima, e direi mo-
mentanea, ella, e per ora lassimiglierei a quel moto
che veggiamo farsi dallo splendore del baleno veduto
tra le nugole lontane otto o dieci miglia; del qual lume
distinguiamo il principio, e dir il capo e fonte, in un
luogo particolare tra esse nugole, ma bene immediata-
mente segue la sua espansione amplissima per le altre
circostanti; che mi pare argomento, quella farsi con
qualche poco di tempo; perch quando lilluminazio-
ne fusse fatta tutta insieme, e non per parti, non par
che si potesse distinguer la sua origine, e dir il suo
centro, dalle sue falde e dilatazioni estreme. Con la
sua prosa magistrale Galileo ha descritto per la prima
volta il fenomeno del movimento gamma. Quando
si tratta di scoprire, non si va per il sottile! Quando non
ci sono pi pensieri da masticare, allora ci si concen-
tra sulle sottigliezze, ma quando si ha la sensazione di
mettere le mani su qualcosa di decisivo, ogni licenza
lecita...
M. Non credo di aver afferrato il punto.
P. Leffetto gamma polarizzato una sorgente fisica
pressoch puntiforme per effetto del parallasse le
nuvole sono oltre i trenta metri mentre leffetto fe-
nomenico di dilatazione progressiva dal centro alla
periferia, ma dovuto cosa del tutto inavvertita feno-
menicamente ad una iperpotenziazione degli spikes
retinici.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 327

M. Seguo perfettamente il ragionamento, ma non dove


vuoi andare a parare.
P. Ti faccio un altro esempio: Galileo misura col polso
inesatto la frequenza esatta dei pendoli e una volta
compreso che i pendoli sono esatti raccomanda ai col-
leghi di usare il pendolo per misurare il polso! Il che
criminale da un punto di vista epistemologico, ma
assolutamente vero dal punto di vista scientifico.
M. Impareggiabile.
P. Vuoi un altro esempio?
M. S, certo.
P. Secondo la fisica aristotelica la caduta dei gravi si ma-
nifesta col moto uniforme e la velocit direttamente
proporzionale al peso del grave (anche se gi Aristote-
le nutriva dei dubbi su ci). Volendo dimostrare che la
caduta di un grave soggetta al moto uniformemente
accelerato e non a quello uniforme, Galileo si accorse
pure che, in fase di rotolamento della sfera sul piano
inclinato, laccelerazione non era osservabile. Allora
corred il piano con dei campanelli metallici fra loro
equidistanti che, una volta urtati dalla sfera, avrebbero
emesso un suono: la sequenza direttamente percepi-
bile di suoni era del tipo din.dindin..din.din. Fu
chiaro a Galileo che solo un moto accelerato poteva
costituire una simile serie! Ma come capire quanto era
accelerato? Galileo allontan allora, progressivamen-
te, i campanelli fra loro fino a ottenere una serie di
rintocchi, direttamente percepibile, del seguente tipo:
din.din.din.din.din, i suoni risultavano essere
intervallati uniformemente solo nel caso in cui le di-
stanze reciproche fra i campanelli fossero pari ai qua-
drati dei tempi! Morale: gli errori dellesperienza
fenomenica si correggono con altre esperienze fenome-
niche.
M. Ma questi che hai appena descritto non sono fatti og-
gettivi, ma appunto linterpretazione di una serie di
eventi.
P. Ho citato Galileo per mostrarti un esempio di come
si ricorre ai fatti mentre si fa scienza: ci che accade
328 FENOMENOLOGIA ERETICA

sotto osservazione (latto presente, senza il ricorso n


a immagini n a rappresentazioni) quando si cercano
i falsificatori potenziali.
M. Questo dipende da come ci immaginiamo il processo
di percezione, o meglio, da come rappresentiamo la
relazione tra loggetto fisico e i nostri organi di senso:
in breve, da quale teoria adottiamo. La semantica dei
fatti interamente giocata allinterno del linguaggio:
non ci sono fatti, ma solo interpretazioni!
P. Certo, possiamo immaginare diverse teorie sulla per-
cezione. Quelle di Hume, Bergson, Helmoltz, Husserl,
per citare alcuni nomi. E anche teorie psicologiche
della percezione: comportamentiste, newlook, cogniti-
viste ecc., ma poi scopriamo dei fatti, a volte in labo-
ratorio, altre volte direttamente nel mondo ecologico
e sono questi fatti a dirci come stanno le cose. Sono i
fatti della percezione e la loro logica intrinseca a far
cadere le teorie.
M. Lo dici come se ci avesse una sua rilevanza episte-
mologica, quando invece la scienza che ci spiega la
percezione.
P. La scienza come la intendi tu non spiega n pu fal-
sificare la nostra esperienza immediata. Infatti, ogni
volta che si scopre qualcosa sul piano della percezione
fenomenica si fa crollare parte di una possibile teoria
della percezione (che magari non stata mai pensata
da nessuno, ma che tuttavia appartiene al cielo delle
strutture logiche esistenti). Ogni volta che uno psico-
logo scopre dei fatti fenomenici come il triangolo di
Kanizsa o leffetto tunnel di Michotte, c un pezzo
di teoria causale che casca fragorosamente, lascian-
do in piedi altri pezzi di teoria. La fenomenologia spe-
rimentale una scienza degli osservabili in atto.
M. Per te quindi scienza e filosofia sono un tuttuno?
P. No. La filosofia in quanto tale non sperimentale: ma
lesperimento caratterizza il metodo scientifico, non
la teoresi in quanto tale. Una teoria della conoscenza
non la costruisci di certo a colpi di esperimenti.
M. Certo che no.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 329

P. Prima di tutto abbiamo delineato attraverso la feno-


menologia la cornice epistemologica adeguata a una
scienza degli osservabili, poi c la questione del rea-
lismo.
M. Ma tu parli di fatti contingenti che nulla hanno a
che vedere con le grandi questioni metafisiche.
P. Non direi, la fenomenologia sperimentale individua
le condizioni di possibilit di un dato fenomeno. Che
tra laltro non hanno nulla a che fare col soggetto e
con la soggettivit a cui tu spesso riconduci il mio di-
scorso.
M. In che senso non hanno a che fare col soggetto? La
percezione in quanto tale la percezione di un sogget-
to cosciente.
P. Non lo darei per scontato. Gi James ha sollevato dei
dubbi nel suo mirabile saggio intitolato Esiste la coscien-
za?, ma quello che volevo dire che le variabili dipen-
denti e indipendenti che noi andiamo a manipolare
nei vari esperimenti di fenomenologia sperimentale
appartengono tutte al medesimo piano ontologico:
non usciamo mai dagli osservabili in atto.
M. Vuoi dire che le variabili dipendenti e indipendenti le
modifichiamo nel mondo, mentre il soggetto rimane
invariato?
P. Proprio cos. Quindi il problema della coscienza mal
posto, non risiede in essa il fondamento del realismo,
ma nel mondo. Essa qualcosa per sua natura relazio-
nale: incarnata nel mondo.
M. Se intendo correttamente il tuo ragionamento, stai
affermando un antiriduttivismo, rivendicando lau-
tonomia del piano fenomenico rispetto alle possibili
spiegazioni scientifiche dello stesso.
P. S. Molti concetti delle scienze hanno origine dallespe-
rienza. Quindi il significato vero dei concetti che noi
usiamo per praticare i riduttivismi va, a sua volta,
ricondotto allosservazione delle qualit. Perch l
che noi ricaviamo la nozione di base di velocit, di ac-
celerazione, di stasi, di quantit, di moto, di causalit
eccetera, cio quanto possiamo trovare nella meccani-
330 FENOMENOLOGIA ERETICA

ca tradizionale: concetti primitivi, non ulteriormente


riducibili a meno che non siano astrattissimi come il
punto materiale, che una definizione che hanno la
loro radice proprio negli osservabili qualitativi.
M. Se ho capito, proponi una sorta di riduzionismo alla
rovescia.
P. Tutti questi concetti, che compaiono nella fisica, han-
no una loro configurazione in stati osservabili. Quan-
do si intende dimostrare un fatto con le strutture logi-
che con le quali costruiamo una spiegazione della realt
percepita diciamo: Questo mi spiega quello...! In
realt, si costruisce questo mediante quello!
M. Ossia? Un riduzionismo quindi! O meglio quello che
ritieni essere un saggio riduzionismo...
P. Pi che di riduzionismo si tratta di fenomenologia:
significa prendere, laddove possibile, i concetti astrat-
ti come per esempio i concetti di unit, causalit e
identit tanto cari ai metafisici e ridurli alle proprie-
t degli osservabili che li hanno generati. Questi con-
cetti vanno ricondotti l dove hanno avuto origine.
M. Lo stesso possiamo dire per i colori...
P. S. Ovviamente, i colori diventano poi delle bande di
frequenza, ma allinizio sono il blu, il giallo, il rosso.
Mentre si arriva a dire che ci sono dei colori che noi
non vediamo!
M. Quindi, si tratta di ridurre alle primissime origini os-
servabili quei concetti che poi vivono di vita propria in
quanto sono diventati parte dellarmamentario logico
che funziona secondo modelli di realt, al di l degli
osservabili?
P. Esatto. Infatti, per quanto si faccia per cacciare il mon-
do in nome della logica o della ragione poi succede
che se uno spende qualche minuto a guardare le cose
si accorge che hanno forme, solidit, distanze. E que-
sto quanto successo con lesempio del cubo.
M. In che senso?
P. Nel senso che stato facile per te porre il problema in
forma scettica e metafisica piuttosto che fenomenolo-
gica. Molti amici filosofi sono prontissimi ad accettare
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 331

un problema che abbia una certa struttura logica e a


manovrarlo come una macchinetta logica. E se per
caso certi problemi, altamente teoretici, avessero le
loro radici nelle propriet degli osservabili, sarebbero
incapaci di scoprire queste radici per un eccesso di
intelligenza!
M. La filosofia non si occupa di fatti contingenti, ma
di ci che necessario. E quella che tu chiami mac-
chinetta logica, il pensiero, ci che ci consente di
cogliere la struttura necessaria, quel qualcosa didentico
che tutte le cose devono possedere.
P. La verit?
M. La verit non qualcosa di sensibile! (Questo ce lo in-
segna gi Platone nel Teeteto: non ci che osserviamo
che pu spiegarci la realt, bens il logos). Il senso della
cosa dipende dalle nostre categorie di pensiero.
P. La fenomenologia sperimentale ha messo in luce che
le categorie di unit, identit e causalit sono gi or-
ganizzate sul piano fenomenico. Le cose possiedono
una propria organizzazione. Questo un bel passo in
avanti per una futura teoria della conoscenza.
M. Per tutti osservano fatti, cose ed eventi! Popper affer-
ma che per osservare, dobbiamo prima avere in mente
un problema definito. E su questo punto che loc-
chio sia una teoria anche Lorenz era daccordo.
P. Che tutti sappiano oggi osservare non vero: il nostro
sguardo rivolto alluso che possiamo fare delle cose
e non alle cose in se stesse. Lartista, le guarda di per
s: Magritte lo aveva inteso perfettamente. Immagino
tu ti faccia il caff ogni mattina...
M. S, certo.
P. Con una moka napoletana?
M. S.
P. Sai che la moka sfaccettata, ma quante facce si vedo-
no della moka e quante sono?
M. Non lo so.
P. Eppure la vedi ogni giorno! Sono otto; mettendola
di fronte, ne vedi tre, massimo quattro. Abbiamo do-
vuto soffermarci a fare un calcolo su qualcosa che ci
332 FENOMENOLOGIA ERETICA

passato sotto gli occhi uninfinit di volte. Qui per


non potevi, come col cubo, iniziare dalla definizione! Ti
faccio un altro esempio: pensa al movimento delle fo-
glie quando siamo fermi e alla loro immobilit quan-
do siamo in movimento. Ci avevi fatto caso? Oppure,
percorrendo in auto una strada, allincrocio unaltra
auto esce per immettersi nella nostra corsia nello
stesso senso di marcia: si percepiscono i suoi fanali
posteriori allontanarsi fra loro, ma lallontanamento
tra due punti viene visto, e non interpretato, come
un avvicinamento del mezzo stesso! Ancora un altro
esempio: guidi lautomobile almeno da una trentina
danni, giusto?
M. Da trentasei anni.
P. Allora, stai guidando in autostrada di notte e ti trovi a
cavallo tra le due corsie: finch qualcuno non ti dice
che le linee a centro corsia che ti vengono incontro,
quando arrivano sotto il cofano, si allungano (quasi
fossero elastiche), non le vedi! Questo si chiama effet-
to Badembach. Non voglio soffermarmi sulla spiega-
zione, piuttosto sul fatto che un fenomeno cos vistoso
nessuno lo vede, assieme a milioni di eventi simili che
ti passano sotto gli occhi.
M. Quindi?
P. Quindi il problema che noi non siamo pi capaci
di osservare i fatti del mondo, gli osservabili naturali,
gli eventi che popolano la scena, il teatro del mondo.
Questa incapacit dosservazione non va sottovaluta-
ta. Come dice Wittgenstein, in un bellissimo pensiero:
Signore, fa che il filosofo possa avere gli occhi aperti
sulle cose almeno come tutti gli uomini della strada.
M. Tutti?
P. Questo tutti, effettivamente, tradisce il senso della
frase. Questo tutti ci include e, come dicevo, noi sia-
mo sommamente incapaci di notare levidenza delle
propriet delle cose con cui abbiamo normalmente a
che fare.
M. Forse il risultato della civilizzazione. La lettura di au-
tori antichi ci offre una sensazione di maggiore auten-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 333

ticit del rapporto soggetto-oggetto, inteso come rap-


porto tra osservatore e propriet delle cose osservate.
Il mondo e la cultura determinano il nostro modo di
osservare!
P. Questa conclusione non va presa alla lettera. Quan-
do leggiamo i presocratici, oppure, le opere naturali
di Aristotele, si ha la percezione inversa: di una vera
scansione del mondo (proprio come uno scanner),
che consiste nel non perdere docchio nulla di quel
che capita nellesperienza.
M. Un esempio?
P. Nel IV libro di Lucrezio c il racconto di un cavallo
che si ferma in mezzo al fiume; il cavaliere guarda le
gambe del cavallo e, dopo un po, vede lacqua ferma
e sente se stesso e il cavallo scappare via, allontanar-
si. Questo fenomeno prende il nome di illusione di
movimento. Chiunque a cavallo guardi lacqua per
un po, ha limpressione di essere su una nave che
solca il mare: lacqua fa da sistema di riferimento e
tu ti senti in movimento. La stessa cosa succede alla
stazione ferroviaria: quando parte il treno sullaltro
binario, hai la sensazione di un moto in senso oppo-
sto. Lucrezio, incidentalmente, si dimostra uno stra-
ordinario osservatore. E poi vai l e vedi che vero,
punto e basta. vero perch c. questo mondo in-
contrato, inemendabile. Ed vero oggi come nel I
secolo avanti Cristo: oggi come allora, riscopriamo
gli stessi fatti.
M. Su un punto potremmo essere daccordo: gli antichi,
non solo i pi grandi come Lucrezio, sembravano man-
tenere intatta questa capacit di osservazione. Mano
a mano che andiamo avanti, il nostro triste pragmati-
smo ci obbliga a tener conto pi di certi aspetti delle
cose che di altri. E quindi a trascurare gli oggetti nella
loro interezza fenomenica, a vantaggio di aspetti utili,
quelli sui quali si pu agire al fine di ottenere certi
scopi personali.
P. Questo qualcosa che non saprei come dimostrare,
ma vorrei dire che sono daccordo.
334 FENOMENOLOGIA ERETICA

M. Spesso ti rifai al linguaggio naturale, eppure esso


dualista! Si dice: Mi sembra..., appare che... quan-
do in realt... eccetera.
P. Il dualismo si complica...
M. Infatti, c una percezione veridica e una non veridica.
Penso per esempio alle immagini consecutive: il feno-
meno illusorio carica lapparenza dinutilit.
P. Mah, stiamo dicendo che illusorio il fenomeno?
M. Quando disegniamo unillusione alla lavagna non di-
mostriamo forse la soggettivit della percezione?
P. Eppure, per esempio lillusione di Mller-Lyer un
fatto con due requisiti epistemologici fortissimi: 1)
levento ripetibile; 2) interosservabile. Inoltre se
si applica un compasso ai segmenti della Mller-Lyer
si devono centrare i punti di intersezione in maniera
precisa, nel centrarli si gi nella realt fenomeni-
ca, e ci che si deve guardare attentamente proprio
quella realt fenomenica e non altro. Tu di quel che
vuoi...!
M. Intendi affermare che una cattiva grammatica ci fa
dire che un segmento appare pi corto dellaltro: il
segmento diventa pi corto!
P. S, luso del linguaggio: il fatto che noi utilizziamo le
cose sulla base di quanto misuriamo.
M. Ma questo argomento vale unicamente per le illusioni
ottico-geometriche?
P. Assolutamente no. Prendiamo la presenza amodale
nelleffetto tunnel: una descrizione atomista direb-
be che abbiamo due oggetti in moto relativo (a,b) in
t1, un oggetto fermo (b) in t2; due oggetti in moto re-
lativo (b,a) in t3. Ma il punto che nessuno vede cos!
Ci sono sempre due oggetti, di cui uno in moto: un
a priori fenomenologico.
M. Ma vero che esistono degli stati provvisoriamente
inosservabili.
P. S, ma altrettanto vero che per renderli osservabili
esistono degli iter direttamente constatabili: non solo
il movimento dellosservatore, anche, per esempio,
luso del telescopio o del microscopio.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 335

M. Possiamo dire che quel qualcosa, comunque, appari-


va: era un apparire trascendentale.
P. Ma lapparire dellapparire non appare. E quando ap-
pare il micron del tavolo, ci appare grande tanto quan-
to il tavolo, e non appare il tavolo. Le diverse informa-
zioni tratte da diverse scale o sistemi di relazione con
la cosa non entrano mai in contraddizione tra loro.
M. Riconosci quindi proprio per non cadere in contrad-
dizione la necessit dellapparire del tutto: il tutto e
non pu non essere. Essendo, il tutto appare: appare
trascendentalmente.
P. Non saprei per come raccordare questa necessit lo-
gica allapparire fenomenico...
III.

M. Devi ammettere che il mondo una nostra costruzio-


ne soggettiva. Dicendo questo penso alle tesi di Good-
man, per intenderci.
P. Nel mondo visivo il reale si rivela, non si costruisce.
M. Ma anche autori a te cari come Lorenz, quando par-
lano di apparato immagine, implicano necessaria-
mente una costruzione del mondo. Infatti, la critica
che Lorenz rivolge a Kant di aver pensato che tutto
ci che a priori devessere anche vero.
P. Non dimenticare per che Lorenz a differenza di Go-
odman difende un realismo, se pur ipotetico. Inol-
tre, grazie a lui che abbiamo cominciato a impostare
il problema tra innato e appreso in modo diverso: che
cos una pre-disposizione innata? Possiamo pensare
questa nozione a prescindere dal contesto ambientale
in cui lanimale inserito? Certamente no.
M. Non mi pare, da quanto mi dici, che ti ritrovi piena-
mente in questo tipo di realismo.
P. No, ma il nucleo teoretico di Lorenz consiste nellaver
individuato uno zoccolo duro nel mondo, nella mate-
ria: questo zoccolo duro fa s che le informazioni dei
diversi apparati immagini non siano in contraddizione
tra di loro. Sono sistemi di relazione diversi rispetto al
mondo. Tale nucleo ci che fa s che possiamo parla-
re di prove ed errore, di soluzioni, verit, eccetera.
M. Ma cos finiamo per annullare la dicotomia tra appa-
renza e realt. E in questo modo costruiamo il mondo?
P. No. Nellesperimento di Gelb il disco in cartone nero,
ruotato a una certa velocit angolare e illuminato da
un cono di luce, si vede color argenteo (o un bian-
338 FENOMENOLOGIA ERETICA

co poco illuminato). Se losservatore ha la possibilit


di muoversi, approssimandosi al disco, lo vede nero.
Lo stesso accadrebbe se il cono di luce non fosse pi
centrato esclusivamente sul disco o se lilluminazione
fosse interrotta del tutto. Il mondo visivo un unico
osservabile, c un iter continuo per esplorarlo, e ci
che varia sono le condizioni di sperimentabilit: luce,
distanza, velocit angolare, eccetera. Per questo dico che
nel mondo visivo il reale si rivela, non si costruisce.
M. Nel gergo psicologico si direbbe che in realt lo stimo-
lo nero, ma losservatore ha una sensazione di un gri-
gio argenteo: questo dualismo non imprescindibile?
P. Variando le condizioni di osservazione non si avr
pi alcun dualismo: losservatore si avvicina al disco,
lo prende, il disco nero; oppure, spegne la luce del
proiettore, il disco nero. Non sussiste un dualismo
apparenza-realt, persistono eventi osservabili in di-
verse condizioni.
M. Se sussistesse un dualismo, losservatore dove potreb-
be tracciarne il confine?
P. Tra il nero reale del disco e il grigio argenteo apparen-
te si potrebbe identificare come confine la rotazione
del disco; tuttavia, com facile constatare, essa una
condizione necessaria, ma non sufficiente per lesito
dellesperimento.
M. Perch?
P. Si potrebbe spostare questo confine nellesistenza del
cono luminoso: quanto vale per il moto rotatorio vale
anche per lilluminazione. Oppure, il confine risiede-
rebbe nella deambulazione dellosservatore, ma sareb-
be un confine mutevole: losservatore pu avvicinarsi,
interrompere il fascio di luce, fermare il disco in ro-
tazione eccetera. In ogni caso, ciascuna di queste ma-
nipolazioni sarebbe adatta a rappresentare il confine
tra il reale, il nero, e lapparente, il grigio argenteo!
Ma pure la staticit dellosservatore costituirebbe un
ottimo confine tra il vero e lillusorio, fino a che se
ne star fermo, losservatore non potr che vedere il
disco di color grigio argenteo.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 339

M. Tornando al cubo...
P. Tornando al nostro cubo, potremmo dire che ogni og-
getto fenomenico un composto di presenza modale
e di presenza amodale (vedi ladombramento in Hus-
serl). La locomozione del soggetto permette la scoper-
ta o la scomparsa degli oggetti (non la creazione o la
distruzione).
M. Il soggetto tende pi facilmente a immaginare ci che
non ha percettivamente dinanzi gli occhi. Col linguag-
gio siamo sempre abituati a parlare di cose che non
sono presenti: siamo portati a descrivere solo ci che
non presente.
P. Giusto!
M. Ma il colore rosso qualcosa di materiale? Non a
rigore una sensazione?
P. Il percepire deve sempre coincidere con oggetti con-
statabili.
M. Non sempre: ci sono per esempio i sogni, le illusioni e
le allucinazioni.
P. Giusta precisazione. Se vuoi ne parliamo, ma i tre casi
vanno tenuti distinti e analizzati singolarmente secon-
do le loro proprie modalit di apparenza.
M. Restiamo al cubo, per adesso.
P. Bene. Nel tuo scetticismo nei confronti dellesistenza
della cosa, e quindi del cubo, hai negato tutto per poter
salvare la tua teoria. Ma tu puoi dubitare di tutto tran-
ne che dellevidenza sensibile: Le cose non solo appa-
iono come appaiono, ma anche sono come appaiono.
M. C sempre lobiezione se dubiti di tutto, tuttavia non
dubiti di dubitare, e quindi ti contraddici. Ma cos
torniamo ai concetti...
P. Possiamo anche raffigurare la situazione cos: Qua-
lunque cosa mi vengano a raccontare non ci credo.
Per se me la mostrano c, e cosa c? C soltanto
lapparenza, durante un istante. Ma coraggiosamente
lo scettico afferma: Ma questo la realt! Lapparenza
in un istante.
M. Una delle conclusioni delle Meditazioni di Cartesio
che io non posso sapere se il mondo della mia espe-
340 FENOMENOLOGIA ERETICA

rienza sia veridico rispetto a un mondo al di l della


mia esperienza.
P. Per Cartesio non si arresta a questa posizione radica-
le. Poche pagine dopo, dice di avere la sensazione di
avere le mani, di avere la sensazione di vedere colori,
di avere la sensazione di udire suoni, e di questo non
pu dubitare. Si pu dubitare di avere delle mani, ma
dubitare di avere limpressione di avere due mani non
si pu. Perfino le esperienze allucinatorie sono autoe-
videnti nellattimo in cui si realizzano.
M. Dal dubbio riguardo lapparire si passa al dubbio to-
tale, quello del genio maligno: qui ogni conoscenza
messa in discussione. Ogni apparire in realt mera
apparenza.
P. Il genio maligno logicamente sostituisce una parte
dello schema psico-fisico S-D. Lo schema la visua-
lizzazione di ogni possibile spiegazione causale della
percezione. Qui la causa il genio: ma cosa ha a che
vedere questa metafisica sottostante il fenomeno col
fenomeno in quanto tale? Nulla.
M. Ma con Hume, ancor pi che con Cartesio, che arri-
viamo al cuore della trattazione contemporanea della
possibilit di verificare una scienza della percezione.
P. Certo, Hume mette in atto una forma potente di scettici-
smo: epistemologico da una parte, psicologico dallaltra.
M. C una sottintesa cultura anatomo-fisiologica nello
scetticismo di Hume che per poco visibile: compare
unicamente nei testi dove menziona locchio. E perch
menziona locchio parlando di sensazioni? Perch la
retina, con un microscopio dellepoca, si vedeva com-
posta come un mosaico. Questo dato dellanatomia
dellocchio suggerisce a Hume una metafisica pun-
tillistica. E Hume parte dal presupposto che il mondo
dellesperienza visiva di un soggetto umano soltanto
un insieme sterminato di punti diversamente colorati.
P. Cosa sono questi punti?
M. Ognuno di questi punti plausibilmente un fotore-
cettore, un singolo fotorecettore di unideale retina,
singolo fotorecettore separato dagli altri da materia-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 341

le isolante in maniera che la sua attivit elettrica non


crei un cortocircuito con lattivit dei punti adiacen-
ti. Quindi tutto ci che un soggetto umano pu eti-
chettare scientificamente sotto il titolo di esperienza
visiva, nientaltro che uninfinita collettivit di punti
colorati indipendenti uno dallaltro. Questo punto mi
pare di fondamentale importanza.
P. Lo . Poich il punto nodale della teoria della perce-
zione, della formazione del concetto di stimolo e della
sensazione.
M. Questa forma di riduzionismo estremo conduce
Hume a definire losservatore come lo spettatore di
una sterminata distesa di punti determinati, sia esso
prigioniero di unangusta stanza dalle pareti grigie,
sia esso osservatore di un paesaggio dalla sommit di
un monte. E il giovane Hume, quando enuncia con-
clusioni simili, aggiunge unespressione caratteristica:
Se locchio vede qualcosa di pi vorrei che qualcuno
me lo indicasse.
P. S, ma se qualcuno indicasse qualcosa, Hume gli po-
trebbe ribattere che viene indicata solo unaltra col-
lettivit di punti determinati. Non c via duscita da
questo circolo. Ora, verissimo che Hume non dubita
dellesistenza della collettivit dei punti colorati: que-
sto lancoraggio materiale del sapere scientifico. Ma
non c il mondo esterno! Infatti, chi mi garantisce
che al di l dei punti colorati ci sia qualcosa? indi-
mostrabile che ci sia un mondo esterno: quando parlo
di un mondo esterno semplicemente mi raffiguro un
mondo modellato su certi insiemi di punti colorati che
io, con le abitudini o con i giudizi, raggruppo. Bisogna
essere di un intellettualismo disgregatore per dire
che quando guardo te, vedo delle macchie colorate.
M. Immagino che se fossi un pittore di una certa bravura,
potrei disporre macchie di colore su una superficie in
modo che quando entra qualcuno, guarda e riconosce
te in quelle macchie.
P. Ma questo un altro problema: quello della rappresenta-
zione e della rappresentazione della rappresentazione.
342 FENOMENOLOGIA ERETICA

M. E mi piaciuto vedere che anche Wittgenstein dimo-


stra come si tratti di due oggetti, talmente diversi che
nel caso della figura papero-coniglio il puntino che
fa da occhio cambia perfino espressione. Torniamo al
caso delle illusioni... Prova a convincermi che lillusio-
ne di Mller-Lyer effettivamente unillusione.
P. Appoggia su di essa un metro e misura prima un seg-
mento e poi laltro. Poi mi mostrerai che le estremit
coincidono: introduci cos un nuovo concetto di distan-
za, un concetto metrico. Ora, di quanto cambierebbe
il ragionamento se prima misurassimo i segmenti con
un pezzo di carta, poi con un doppio decimetro di le-
gno, poi con un metro di acciaio mantenendo la tem-
peratura a quattro gradi centigradi sotto lo zero, poi
con il laser compiendo cos misure sempre pi preci-
se? Il ragionamento non ricaverebbe nulla da queste
ulteriori misure, perch la Mller-Lyer sta l, ed fatta
e rimane esattamente comera prima. Levidenza che
io ricavo appoggiando un foglio di carta alla figura o
scandagliandola con il laser perfettamente la stessa.
La stessa nei confronti dellesperienza, intesa come
grappolo di dati percettivi nel tempo di presenza.
M. Stai dicendo che il perfezionamento degli strumenti
fisici di misura irrilevante per il fatto che il mondo
dellesperienza percettiva dominato dalle leggi delle
soglie assolute e delle soglie differenziali?
P. S, andare sotto la soglia vuol dire pescare nel niente.
M. Quando facciamo una fotocopia dellillusione di
Mller-Lyer la macchina registra dei segni neri su un
foglio bianco e non lillusione: macchie dinchiostro
presenti nel foglio, la stessa cosa che farebbe un com-
puter. E la stessa cosa vale per il triangolo di Kanizsa.
La macchina non registra e non pu registrare cose
che non ci sono nella realt.
P. Certo che ci sono! E in che senso non le registra? In base
e sulla base di cosa lo affermi? Della logica o delleste-
tica? Non vale lequivalenza: fisico uguale ci che c
realmente, fenomenico invece uguale apparenza. il
mondo fenomenico che contiene una parte che indi-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 343

chiamo come oggetti fisici. Quella cosa triangolo di


Kanizsa cos e cos organizzata possiede diversi gradi
di realt, uno di essi il triangolo di Kanizsa. Quella
cosa significa quellunit di forma o meglio, Gestalt, e
significa quella data identit, al di l della quale non c
triangolo: non c nemmeno giudicando le parti
una cosa. Quella cosa illusione di Mller-Lyer pu
accogliere diversi gradi di realt, di cui uno lo indichia-
mo come illusione di Mller-Lyer. Non c nulla di arbi-
trario, n di soggettivo: quanto possiamo, esplorando
la realt, scoprire in essa. Quella determinata organiz-
zazione di inferiora (direbbe Meinong) determina
quel fenomeno, ma i singoli inferiora (le singole parti)
sottostanti la figura non godono delle propriet esteti-
che che possiede la figura nel suo complesso: Meinong
non coglie appieno quanto c di implicito nella relazio-
ne asimmetrica tra inferiora e superiora.
M. La nostra fede percettiva nel mondo esterno non
si basa unicamente sulla possibilit dellesplorazione
empirica.
P. No, poich, come gi affermato, in realt non una fede.
M. Elimini cos il problema dellapparire trascendentale:
ossia dellapparire in-visibile, dellapparire oltre la so-
glia di percezione.
P. Inutile continuare a parlare di esperienza immediata
metaforicamente. Qui, a questo punto, stiamo parlando
il linguaggio della matematica, di numeri e di fisica. An-
dare oltre la soglia di apparenza significa andare oltre il
sistema di riferimento offertoci dallapparire.
M. Eppure, esiste una realt fisica e una fenomenica, non
creiamo cos un dualismo? Ci non contraddice la tua
tesi monista?
P. C forse un dualismo nel triangolo di Kanizsa? Affer-
mo un antiriduttivismo, non un dualismo! A scanso di
equivoci, monismo non significa che esiste un mondo.
M. Non sono cos ignorante!
P. Non potrei parlare di una funzione tra fisico e feno-
menico in chiave dualista: questa s, sarebbe una con-
traddizione.
IV.

M. A questo punto potremmo chiederci che cosa garanti-


sce loggettivit dellapparire fenomenico.
P. Per unepistemologia fenomenologica, loggettivit
garantita dallinterosservabilit e dalla ripetibilit.
M. A differenza di unepistemologia cognitivista, o delle
scienze esatte, dove loggettivit garantita s dallin-
terosservabilit e dalla ripetibilit, ma anche dalla mi-
surabilit.
P. Esatto. Con la misurazione si tende a oggettivare la
soggettivit dei soggetti. Con linterosservazione e la
ripetizione si tende a oggettivare loggettivit dellog-
getto, e la soggettivit mantiene una propria autono-
mia relativa, come nel caso delle descrizioni linguisti-
che che i soggetti forniscono della realt.
M. Quelle che hai indicato come proposizioni cartesia-
ne vengono formulate da entit immutabili, in un
arco di tempo x, su entit anchesse immutabili. Ma
linterpretazione di tali proposizioni soggetta a mu-
tamenti?
P. Il pensiero muta, la percezione no. Attraverso la mi-
surazione, in effetti, la scienza tende a oggettivare il
pensiero, a reificarlo. Da ci consegue che il linguag-
gio fa parte pi del mondo naturale soggettivo che
non dellartificiale oggettivo , in quanto la traduzio-
ne dellesperienza sempre inter-intelligibile. Il sog-
getto, cos, diviene la misura di una realt molteplice
ridotta a una realt monolitica, misurabile in modo
omogeneo...
M. Tieni conto che il linguaggio una parte del mondo
naturale e traduce lesperienza in esso. Ma il linguag-
346 FENOMENOLOGIA ERETICA

gio costruisce pure le teorie scientifiche che formano


il mondo artificiale. Pensa alla formulazione linguisti-
ca di atomo, dapprima fonte di incredulit e poi...
Loggettivazione alla fine ne risulta falsata: tra i due
blocchi invariabili, soggetto-oggetto, ve ne un terzo
variabile nel tempo, il linguaggio...
P. la traduzione linguistica dellesperienza che conduce
a una duplicazione (o triplicazione...) del mondo, ed
essa non che una delle traduzioni possibili. Il vantag-
gio dellepistemologia fenomenologica consiste nel
fatto che linterosservazione e la ripetizione implicano un
uso limitato della traduzione linguistica dei fenomeni
sotto osservazione.
M. Questa considerazione si sposa con lesempio della
lavagna.
P. Appunto attraverso questo esempio intendevo sottoli-
neare il fatto che sulla lavagna si tracciano i dati otte-
nuti dalle misurazioni compiute sulla realt: come per
esempio sulla retina. Tuttavia, non si disegna la retina,
ma le misurazioni effettuate su di essa. Alla lavagna
vengono sistemati i dati ricavati da segmenti di real-
t che fuori dalla lavagna stessa si vedono nella loro
interezza e nella loro immediatezza. La lavagna un
riassunto tabulato.
M. Che poi il tuo schema S-D.
P. Nello schema psicofisico S-D si cerca di raffigurare
la relazione soggetto-oggetto, ma non si tiene conto
che da una parte abbiamo losservazione diretta degli
eventi e dallaltra la riproduzione alla lavagna delle
misurazioni compiute sugli eventi osservati. Questa
riproduzione forma linsieme degli eventi indiretta-
mente osservati e ha la struttura logica di una catena
causale. Quindi da sinistra a destra, nello schema pas-
siamo gradualmente dalla raffigurazione delloggetto
fenomenico allestremo opposto: loggetto fenomeni-
co posto al di fuori della lavagna.
M. Ma a rigor di logica noi non avremmo alcun diritto
di porre phi (che sta per lesperienza fenomenica)
allestrema destra dello schema psicofisico, dal mo-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 347

mento che tutti i dati per costruirlo li abbiamo rica-


vati nel nostro ecosistema, muovendoci in esso e com-
piendo osservazioni dirette.
P. esattamente quanto voglio mostrare: procedendo
cos, alla fine si arriva a concludere che il mondo ester-
no dentro di noi, il che palesemente falso.
M. Tornando a Hume, la sua teoria della percezione la
proiezione delle sue conoscenze concernenti il siste-
ma nervoso periferico.
P. Infatti, il numero dei punti retinici coinvolti nella vi-
sione il medesimo sia che losservatore veda un pae-
saggio sia che veda una stanzetta poco illuminata. C
labitudine di ridurre la percezione al meccanismo
della visione, ma nella percezione c molto e niente
dellintellezione: lintelletto un mero rispecchiarsi
della percezione che gi da sola ricca, e capace sem-
mai di stimolare lintelletto a elaborazioni successive.
M. Vuoi dire la percezione possiede una completezza che
lintellezione non ha?
P. Il sapere concettuale dellastronomo non modifica la
percezione: il sole tramonta sia per noi che per lastro-
nomo.
M. Ma riguardo alla realt, posso dire tocco un tavolo,
ma posso anche dire tocco degli atomi?
P. No, perch non c misurazione. Non si ricorre
allesperienza epistemica E2, si permane nellesperien-
za fenomenica E1, anche se vero che per il secondo
enunciato si utilizza una conoscenza da considerarsi
alla stregua di una misurazione. I due enunciati diffe-
riscono nella grammatica e la grammatica del secon-
do errata se riportata agli osservabili, produce degli
asserti del tipo ...noi camminiamo sul vuoto punti-
nato da atomi.... la famosa immagine di Edding-
ton: ma perch dire cos? Si dovrebbero trasformare
pure i piedi! Ottenendo un agglomerato di atomi su
un altro agglomerato di atomi e cos via...
M. Ma, per esempio, nella formulazione di una propo-
sizione cartesiana non c da parte dello scienziato
un passaggio dalla lettura di un valore sul tester alla
348 FENOMENOLOGIA ERETICA

trascrizione dello stesso alla lavagna? Non avviene la


trasformazione della medesima proposizione carte-
siana in unintegrazione cognitiva? Nella trascrizione
simbolica: il ricercatore vede la lancetta del tester in-
dicare 6.75 e scrive il valore 6.75; il 6.75 non gli in-
teressa pi come osservabile, ma diviene qualcosa che
rimanda a...
P. Noi abbiamo: un soggetto naturale dentro al cervello
(non possediamo protesi per il cervello); un oggetto
naturale, le nostre osservazioni; un soggetto artificiale,
in certo modo, gli strumenti di misura, ciechi a molti
parametri; e infine, un oggetto artificiale: un mecca-
nismo che obbedisce a leggi strumentali e logiche. Gli
eventi del mondo fisico non sono ripetibili, quelli del
mondo fenomenico, ovvero quelli dellesperienza im-
mediata, s.
M. E quali sarebbero i punti di appoggio per sostenere
questa tesi?
P. Sono tre: le soglie assolute; lindipendenza dei siste-
mi; lerrore dello stimolo. Il primo punto riguarda
lintensit dello stimolo fisico su un organo sensoria-
le: esso pu subire una variazione cos minima da non
essere avvertita. Immaginiamo, per esempio, lesatta
riproduzione di un dipinto in cui tutte le differenze,
ovvero, tutti gli stimoli misurabili si situino al di sotto
della soglia assoluta. Otterremmo cos due dipinti che
possiedono unidentit fenomenica e una non identi-
t operazionale nelle misurazioni. Oppure, pensiamo
a un disco in vinile: ogni ripetizione dellascolto fe-
nomenicamente identica: eppure, lo spettro emesso
dallattrito della puntina col disco , a ogni ascolto,
diverso dal precedente: ciascuno di questi mutamenti
riposa al di sotto delle soglie assolute.
M. Da ci si deduce che la scienza fisica, dicendo che gli
eventi sono ripetibili, costretta a utilizzare misurazio-
ni che non rivelano lidentit degli eventi!
P. Esattamente. Il secondo punto: non verosimile che
laccadere di un evento influenzi il tutto. Linfluenza
tra singoli eventi permane, ma leffetto di un singolo
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 349

evento non determina modificazioni allinsieme. Gli


eventi sono ripetibili proprio perch sono indipen-
denti. Si ripensi al fenomeno di induzione cromati-
ca: il quadrato grigio incorniciato in uno pi grande
blu, fenomenicamente diviene giallo, ma se si dimi-
nuisce la grandezza della cornice blu il giallo diviene
pi pallido fino al punto in cui ritorna a mostrarsi gri-
gio. Questo traccia unindipendenza: sarebbe assurdo
pensare che in quel punto il quadrato rimane giallo,
ma cos apparente da non poter pi apparire!
M. Nellesperienza immediata, dunque, gli elementi non
solo vanno considerati indipendenti, ma sono indipen-
denti.
P. Esatto. Per il terzo punto, vale quanto detto a proposi-
to della collezione di errori dello stimolo rappresenta-
ti alla lavagna.
M. Andando a vedere qualche manuale troviamo che,
secondo i gestaltisti, vi suggerita lidea che le parti
dipendono dal tutto e variando il tutto variano le par-
ti. I tutti sono a loro volta parti di tutti pi grandi
e pi ampi, e pertanto dipenderanno da questi tutti
pi ampi. Le parti, a loro volta, se scambiate opportu-
namente, inducono cambiamenti nei tutti di cui sono
parti.
P. Cos emerge irrimediabilmente unidea di percezione
in cui se si cambia qualche cosa in un luogo, cambia,
pi o meno, qualcosa dappertutto. Il che sarebbe an-
che un po scomodo per una teoria che prevede una
dimensione sperimentale della ricerca, perch se an-
dando ad agire su un punto del mondo osservabile
ne consegue uno sconvolgimento di tutte le altre re-
gioni del mondo osservabile, non sapremo mai qual
una variabile dipendente e qual una variabile indi-
pendente. Con ci stesso, lesperimento sarebbe tolto
di mezzo! E la possibilit di utilizzare i risultati degli
esperimenti a scopi teorici verrebbe meno.
M. Questo discorso si applica bene anche a un contesto
ecologico.
P. Certo.
350 FENOMENOLOGIA ERETICA

M. Gibson, per esempio, ci offre unimmagine della per-


cezione in cui c un ambiente naturale, la luce viene
riflessa e satura il mondo in una maniera geometrica-
mente ben stabilita attraverso angoli solidi.
P. Per immaginare correttamene la cosa, basta pensa-
re a questa situazione: scegli un punto qualunque di
questa stanza e congiungilo, mediante segmenti, a
ogni spigolo degli oggetti geometrici che si trovano in
questa stanza (tavola, sedie, eccetera). Dopo di che, ti
metti nella prospettiva di quel punto geometrico, in
cui tutti i segmenti convergono, e scoprirai che sei in
una piramide fatta di superfici di spigoli, quello che
Gibson chiama optic array, o assetto ottico. La percezio-
ne coincide con la struttura delloptic array. Affinch
il mondo diventi quello che , ci vuole il movimento.
Appena il soggetto si mette in movimento, questi an-
goli solidi subiscono trasformazioni che sottendono
invarianti.
M. Ora, noi possiamo immaginare che le cose stiano in
questo modo e, a dire la verit, dopo aver appreso il
puntinismo di Hume, quasi quasi la versione di Gib-
son quella che assomiglia di pi al mondo vero...
P. Come ti dicevo, nel mondo di Gibson molte cose che
succedono nella realt della percezione non possono
aver luogo, perch certe illusioni ottiche per esem-
pio, la Mller-Lyer, o i cerchi concentrici che appaio-
no come una spirale non troveranno posto. Inoltre,
il mondo di Gibson non colorato!
M. Riprendiamo il concetto di percezione di Hume, se-
condo il quale noi vediamo macchie di colore...
P. Dire che la percezione visiva consiste nel vedere mac-
chie di colore significa far violenza ai fatti osservabili.
Dopo di che lintelletto opera sulle macchie di colore...
M. Per Hume le sensazioni sono un mosaico che compo-
ne lesperienza.
P. La coerenza del discorso di una bellezza sublime...
Hume arriva a sostenere che noi non percepiamo la
distanza: se accendiamo due fonti luminose nel buio,
accade qualcosa solo l e l e non nel vuoto; ma dato
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 351

che la distanza sta tra questi due stimoli luminosi e l


non accaduto nulla, noi non vediamo la distanza.
Negare lesistenza del mondo reale in favore della co-
erenza logica! Una fredda lucidit che ha molto del
poetico!
M. Esistono cose pi o meno reali.
P. S, noi possiamo trovare esempi per cos dire con un
forte senso di realt e altri con meno realt: le imma-
gini consecutive non possono venir confuse con un
pezzo di pane e mortadella! Cosa diresti se qualcuno
ti chiedesse invece di come va?, come vanno le tue
immagini consecutive?. Infatti, non le consideri cer-
to come una cosa del mondo esterno, reale come un
sasso...
M. Nella realt, per, c anche il fatto che mi fischiano le
orecchie dopo una bella nuotata! Mi chiedo se questo
rumore venga dallesterno o se piuttosto sia un sibilo
nellorecchio: perch c un momento in cui un si-
bilo nellorecchio e c un momento in cui invece
unaltra cosa, un rumore... ma c anche un momento
molto ambiguo in cui non si capisce se un rumore o
un ronzio dellorecchio.
P. Giusta osservazione! E allora uno, di solito, fa qualcosa
per chiarire la situazione, per decidere se il rumore
dentro o fuori, se reale o se reale in un modo del
tutto particolare che lo distingue dalle cose del mon-
do esterno.
M. Quindi secondo te ci si muove allinterno di una scala
che va dal pi reale al meno reale?
P. Di solito si scarta il meno reale per una migliore mes-
sa a fuoco del reale: il gradino sul quale inciampi
loggetto realissimum! E da un punto di vista evoluti-
vo, come potrebbe essere altrimenti? Tieni in conside-
razione questo schema: reale interno, reale esterno,
irreale interno, irreale esterno. Questo schema serve
a prevenire lerrore fenomenologico, verso il quale
incliniamo tutti, di identificare il reale con lesterno
e lirreale con linterno. Stai attento: non si tratta di
una dicotomia parallela, bens di un incrocio. Basta
352 FENOMENOLOGIA ERETICA

fornire un esempio per ciascuna di queste quattro


scatole logiche che derivano dallincrociare il reale
con lirreale e linterno con lesterno. Ci vuol dire
che c indipendenza tra questi due sistemi di coppie
di concetti.
M. Questi gradi del reale fenomenico mettono in luce
lerrore epistemologico di molti filosofi analitici: essi
separano il piano fisico e quello fenomenico anzich
considerare il primo un sottoinsieme del secondo.
P. Hanno creato, infatti, un inutile dualismo tra apparen-
za e realt. Il grado di realt interno al fenomenico
e dipende dalle modalit di incontro e di datit della
cosa. Qui stiamo sostenendo un approccio monistico
che si oppone al dualismo fisico-fenomenico.
M. Quindi il dualismo tra apparenza e realt passa per
essere un dualismo metafisico quando invece episte-
mologico e dipende dal sistema di riferimento?
P. Esatto.
M. Un ragionamento tipico : dato che ci sono le illusioni
possiamo dire che i sensi ci ingannano rispetto a un
mondo fisico oggettivo.
P. Ma non si comprende che astrarre il mondo fisico dal
fenomenico significa delineare un diverso sistema di
riferimento che diventa unimmagine della realt in-
contrata.
M. E non la realt in quanto tale.
P. Esatto! Il suo grado di realt dipende dalle modalit di
apparenza fenomeniche.
V.

M. I principi di unificazione di Wertheimer sono un caso


particolare di descrizione fenomenica, poich sono
esplicative dellunit della cosa a prescindere dal con-
cetto di rappresentazione tradizionalmente implicato.
P. Ogni volta che tentiamo di spiegare la formazione
dellunitariet nel mondo visibile, ed elenchiamo i fat-
tori di unificazione gi conquistati, si affaccia sempre
nellesperienza un qualche caso contrario che falsifica
questo insieme di regole e ne ricrea lordine. Quindi
un procedimento di falsificazione mediante esempi
che mette in moto la macchina generatrice di fattori
di unificazione formali: questi, per cos dire, nascono
uno dallaltro, man mano che nellesperienza incon-
triamo casi di unit che non si spiegano in base ai soli
fattori precedenti.
M. Esiste una logica genetica per cui, cos generati, i fat-
tori di unificazione formali possono essere giocati uno
contro laltro?
P. S. Per esempio, le coppie possono essere viste per vi-
cinanza o somiglianza; le figure instabili possiedono al
loro interno sempre fattori di unificazione continui,
ossia uno tira da una parte, uno dallaltra.
M. Per, prima di arrivare a parlare della bistabilit, c il
curioso fatto delle unit forti e delle unit deboli.
P. S. Se poni un fattore contro laltro, nel caso estremo
si trova la bistabilit, altrimenti si trova la figura con la
sua unit, ma non molto pregnante, e poi altre figure
in cui i fattori concorrono a ununica soluzione.
M. Questo discorso sullunit ha molto poco di gnoseolo-
gico...
354 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. Ha invece moltissimo della buona osservazione: le


cose stanno in piedi perch sono unit di fattori diver-
si a seconda di come sono fatte.
M. Lunit non luno...
P. Infatti, e ci molto importante, perch se ogni unit
osservabile nel mondo avesse la stessa intensit e coe-
sione, noi non saremmo in grado di distinguere nulla,
le parti sarebbero unit, e i tutti sarebbero unit, ag-
gregati indissolubili.
M. La necessit o, meglio, la possibilit di organizzare il
mondo in unit al cui interno siano visibili le parti co-
stituenti, discende dalla possibilit ontologicamente
fondamentale che le unit siano aggregati di fattori
pi o meno forti?
P. S. In questo modo si spiega la preminenza della tota-
lit sulle parti. Non c equivoco possibile: le unit de-
vono essere classificate con una scala che va dalla pi
forte alla pi debole, per una necessit sia ontologica
sia evolutiva delle specie nei sistemi visivi o nei sistemi
acustici. Qui il punto: i principi di organizzazione di
unit si studiano molto bene in campo visivo, ma sono
onnipresenti in campo acustico, tattile e olfattivo.
M. Nellesperienza quotidiana lacustico e il visivo sono
facilmente distinguibili, ma questo nostro costante
separare le due dimensioni pi unabitudine sofi-
sticata, linguistico-concettuale, che non uno specchio
dello stato di cose come si d nellesperienza.
P. Gli oggetti hanno propriet sonore congruenti alla
loro struttura, noi astrattamente dividiamo il canale
acustico da quelli visivo e tattile. In realt, quando si
ha a che fare con la cosa, essa acustica, visiva e tattile
contemporaneamente.
M. Linter-modalit della percezione tale perch noi
partiamo dallastratta concezione dei cinque sensi;
anatomizziamo idealmente la struttura del senziente e
individuiamo i punti della sua superficie atti a registra-
re gli stimoli.
P. Questa non la vera descrizione del mondo. In realt
noi riconosciamo lunit dei sensi e gli oggetti sono
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 355

portatori, a seconda del tipo di rapporto che noi an-


diamo a instaurare con loro, di un insieme tattile-visi-
vo-acustico-olfattivo.
M. Come nel doppiaggio al cinema! Dove la presenza fac-
ciale sorgente visibile del suono udibile.
P. Infatti. In questo caso bisogna sospendere la conoscen-
za delle cose per farle parlare nella loro naturalistica
obiettivit.
M. La qualit espressiva agganciata alla struttura.
P. S, ma non la struttura intesa come una distribuzione
di segni sulla lavagna, ma una struttura intesa come or-
ganizzazione fenomenica di un determinato oggetto
visibile che ha la propriet di essere bistabile, come
nel caso preso in esame del papero-coniglio.
M. Il ruolo delle qualit espressive non linterpretazio-
ne al di l delle premesse fisiologiche del vedere.
P. Esse esistono sul piano dellesperienza visiva in atto o
dellesperienza acustica in atto. Wittgenstein adopera le
qualit espressive in due direzioni: in una direzione epi-
stemologica, per descrivere come un osservatore osserva
quello che tu stai osservando, e in una direzione euristi-
ca per vedere in che modo le qualit terziarie hanno a
che vedere col fenomeno della bistabilit delle figure.
M. Le qualit espressive o terziarie consentono a Wittgen-
stein di fare unaltra distinzione: tra sintomo e mani-
festazione.
P. Giusto. Se presti attenzione alla carica espressiva del
comportamento gestuale del tuo osservatore, non tar-
derai a renderti conto che una cosa passare da unin-
terpretazione a unaltra, unaltra passare dal vedere
una cosa a un modo al vederla realmente in un altro.
M. Prendiamo il cubo Necker...
P. Quando vedi lincongruenza e non stai semplicemen-
te pensando alla possibilit della diversa disposizione
spaziale sorge quellesclamazione ah, ecco: questo
momento non il sintomo, bens la manifestazione
del tuo vedere in modo diverso. Come giustamente rile-
va Wittgenstein, comunicazione ed esclamazione
356 FENOMENOLOGIA ERETICA

sono espressioni della percezione e dellesperienza


vissuta del vedere.
M. Infatti, lo studio delle qualit espressive si biforca in
due direzioni: da una parte c lo studio delle proprie-
t degli oggetti e dallaltra lo studio del comportamen-
to degli osservatori.
P. Benissimo. Se tu vedi il coniglio, quellocchio ha una
certa espressione, ma se vedi il papero, quello stesso
occhio possiede unespressione completamente diver-
sa. Il coniglio appare furbetto, il papero sciocco.
M. E cosa succede al tuo osservatore nel momento in cui
dico vedi il coniglio?, e in quel momento lui lo vede.
Potrei dire: in quellistante preciso un elemento co-
gnitivo veicolato dal linguaggio ha spostato il baricen-
tro della figura, affinch lui notasse il coniglio. Dun-
que, lintervento della condizione, senza entrare nella
genesi di ci che si sta guardando, entra come guida
del modo di osservare ci che si sta guardando, dato
che le figure reversibili possiedono propriet ben note
grazie alle quali possono ribaltarsi. Se modifico le
propriet scompare il ribaltamento.
P. Questo perch le figure reversibili sono costruite mate-
maticamente, dosando i fattori di vicinanza, somiglian-
za, continuit della direzione affinch siano instabili.
Ci pu avvenire unicamente sul piano fenomenico.
M. Il vero vedere quindi ancorato a una reazione?
P. Non necessariamente. Ma la bellezza sta qui, nellin-
contrare lah, ecco. Poi impossibile non ragionarci
sopra, perch ogni volta il fenomeno appare in s cos
sbalorditivo e sorprendente che induce a mettere in
moto la macchina dei ragionamenti.
M. Pensa se un presocratico andasse al cinema oggi...
P. Certo sarebbe molto, molto meravigliato di questa fac-
cenda! Per se il doppiaggio fosse fatto bene, vedrebbe
le voci provenire dalle bocche, se fosse fatto male, dagli
altoparlanti, esattamente come un cristiano di oggi!
M. Le strutture esperienziali sono identiche per noi e per
gli antichi?
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 357

P. S. Detto questo, Talete potrebbe anche morire di spa-


vento se si trovasse nel traffico di oggi, tra mezzi moto-
rizzati che sfrecciano tra luci e suoni. Ci detto, sono
convinto che non vedrebbe nulla di diverso da noi,
anche se per affrontare il mondo, avrebbe bisogno di
un certo addestramento.
M. Noi normalmente percepiamo oggetti tridimensiona-
li: percependo la superficie, percepiamo in qualche
modo anche linterno?
P. Ci va contro limpostazione operazionale secondo la
quale loggetto la somma delle stimolazioni neurali
della corteccia sintetizzate numericamente, in un se-
condo tempo, alla lavagna.
M. Se desidero sincerarmi del contenuto delloggetto,
debbo aprirlo e guardare dentro.
P. Ma cos facendo usciamo dalla teoria operazionale,
perch trover oggetti e non attivit elettriche della
mia corteccia cerebrale.
M. Anche il colore pu essere descritto come risultato di
unattivit elettrica della corteccia nellarea 17 cos
ricadiamo nuovamente nel mondo della lavagna e
facciamo una fenomenologia dei fantasmi... Ma come
pu una teoria operazionale giustificare il fatto che
possiamo percepire linterno?
P. Ti racconto un esperimento: al corpo di un attore fu-
rono attaccate un certo numero di lampadine, sette o
nove, e lo si film in due circostanze: nella prima fece
finta di sollevare una pesante valigia, nella seconda la
sollev veramente. I soggetti furono invitati a vedere
i due filmati e, attraverso la sola percezione dei punti
luminosi, dire quali delle due circostanze avevano di
fronte: i soggetti videro lattore simulare lo sforzo di
sollevare la valigia leggera!
M. Quindi parlare dellinterno degli oggetti come di un
altrove invisibile significa porre il problema in modo
errato.
P. Certo. Come potremmo percepire ci che dovrebbe
essere invisibile alla percezione?
M. chiaro che qui siamo di fronte a una contraddizione
358 FENOMENOLOGIA ERETICA

linguistica che crea uno iato tra speculazione e speri-


mentazione.
P. Allinterno dellempirismo, la relazione io-tu si pu ri-
durre cos: io conosco i miei stati interni e percepisco
gli stati esterni altrui, cosicch se i miei stati esterni
sono uguali a quelli altrui, io posso, per analogia, co-
noscere gli stati interni altrui.
M. Ma qui manca un termine della relazione!
P. Infatti, noi non abbiamo conoscenze del nostro stato
esterno: pensa allaneddoto di Mach che non si rico-
nosce nella propria immagine riflessa: illuminante!
M. Inoltre, per Khler non c bisogno di descrivere la
relazione Io-tu...
P. Lo stato interno lo cogliamo intuitivamente, ma non
linterno descritto nei libri di anatomia, linterno
i cui contenuti sono la rabbia, lindifferenza, la gioia,
la paura. Possiamo aggiungere che linterno un qua-
dro espressivo, fenomenicamente dato, che si sa di
cosa potrebbe essere costituito, ma che rimane imper-
meabile a questo sapere.
M. Si dice nessuno constata il constatare altrui, ma sa-
rebbe meglio dire nessuno constata che nessuno con-
stata il constatare altrui.
P. Esatto. La divisione soggetto-oggetto frutto di una
iper-semplificazione. Ascolta questo esperimento
mentale, tuttaltro che complicato da realizzare. Po-
tresti pernottare in un museo delle cere, rassicurato
dal custode che non ci sono altri individui nelledi-
ficio. Scommettiamo che questa rassicurazione, e il
sapere che si tratta di statue di cera e non di persone
reali, non saranno sufficienti a tranquillizzarti, a non
farti percepire qualcosa di pi che semplici statue di
cera? Sar impossibile, per te, non scomporre il tuo io
in tanti io.
M. Fammi, se puoi, qualche altro esempio.
P. Ti sar certamente capitato di trovarti nella seguente
situazione: una persona in tua compagnia si avvicina
al ciglio di un burrone. Qui il disagio immediatamen-
te provato fisico. Siamo pervasi da un brivido fisico,
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 359

non cognitivo, non concettuale. Il nostro io si dilata


fino al ciglio occupato, materialmente, dallaltro e
non dal nostro corpo. Oppure, pensa al rapporto tra
medico e paziente durante una visita clinica. Il pazien-
te diviene oggetto, il proprio io regredisce e si ritira in
uno spazio meno esteso del corpo.
M. Una teoria della fisica ingenua dovrebbe indagare qua-
le ruolo lespressivit dei movimenti possiede nella
formazione di una meccanica fisica, cio la relazione
tra lespressivit dei movimenti e la fisica aristotelica?
P. Tale intento si distanzia da quello di Lipman e da quel-
lo di Guillame: per entrambi il nesso da ricercare si
situa nella genesi di una fisica classica a partire dai fe-
nomeni illusori della percezione.
M. La fisica ingenua fedele alla percezione?
P. S e no. Pensiamo allisocronismo del pendolo: gli
studenti di fisica, pur conoscendo la legge del moto
pendolare per cui la frequenza di oscillazione dipen-
de dalla lunghezza del pendolo, durante losservazio-
ne diretta del moto di un pendolo ne correggono le
oscillazioni, per renderlo pi naturale.
M. Anche Galileo era spinto a credere che, diminuendo
larco di oscillazione, la frequenza doveva essere au-
mentata.
P. S, proprio perch il fenomeno dellisocronismo, dati
due pendoli in moto su due archi diversi, talmen-
te controintuitivo da non poter essere creduto; ne
testimonianza il fatto che una trentina danni dopo,
Galileo definiva tale fenomeno ancora come maravi-
glioso.
M. Nel ragionamento galileiano era implicita linvarianza
della velocit, mentre proprio la velocit la variabile
fisica.
P. Allo stesso modo, gli studenti di fisica regolano la fre-
quenza delle oscillazioni aumentando o diminuen-
do il moto del pendolo a seconda dellarco che deve
tracciare: perch non naturale che un pendolo in
moto su un arco breve possieda la stessa frequenza di
un altro in moto su un arco pi ampio; tuttavia, la leg-
360 FENOMENOLOGIA ERETICA

ge dellisocronismo afferma proprio questo ed ci


che Galileo, pur stentando a crederci, vide con i pro-
pri occhi!
M. Va da s, che tale fatto dimostra quanto poco conti
lesperienza passata l dove si rinnovi la nostra mara-
viglia.
P. Esatto. Ma torniamo al punto di partenza di oggi: i
principi di unificazione.
M. Lunit della cosa... Prendiamo il classico esempio del
bastone spezzato nellacqua... Per coerenza devi am-
mettere che in realt spezzato! E che quindi non
una cosa, ma in realt sono due. E ci un evidente
paradosso, devi concedermelo!
P. Come abbiamo detto prima, e mi sembravi daccordo,
la realt si configura secondo le modalit di apparenza
del fenomeno. Quando il bastone nellacqua, nella
realt spezzato.
M. Ossia, nel suo essere-nellacqua.
P. S. E apparir spezzato tutte le volte che lo immergerai
nellacqua... Quando dici che in realt intero te
lo immagini prima dentro lacqua e poi fuori, quindi
di fatto avresti agito nel mondo, operato un cambia-
mento nello stato di cose e quindi avresti alterato le
condizioni di osservabilit del fenomeno.
M. Vuoi dire che se affermiamo che il bastone intero
perch non nellacqua.
P. Lerrore consiste nel giudicarlo lo stesso fenomeno.
M. Di fatto si tratta sempre di un bastone.
P. Ma un bastone nellacqua appare cos poich quellap-
parire dice che quella cosa nellacqua.
M. Il problema lunit della cosa.
P. Nel suo essere nellacqua cos come appare. Quan-
do affermi che in realt uno, e non due, stai man-
tenendo il medesimo sistema di riferimento per due
diverse condizioni di osservabilit del fenomeno. Un
conto il bastone fuori dallacqua, un altro il basto-
ne nellacqua.
M. Ma quando afferro il bastone nellacqua afferro un ba-
stone, non ne afferro due! I sensi entrano cos in con-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 361

traddizione, non per questo che chiamiamo questi


fenomeni illusioni?
P. Il punto che non c contraddizione, n dualismo:
lutilizzo della cosa a stabilire la dicotomia apparen-
za-realt. Il tuo voler toccar con mano la realt! ne
stabilisce il fine e il confine del senso che la cosa ha
per te. Immagina invece che il tuo fine sia quello di
dipingere in modo vero-simile la realt, in questo caso
lapparenza sarebbe il tuo toccar con mano, mentre
detterebbe legge la realt dellocchio.
M. Questo tuo approccio avrebbe notevoli sviluppi nel
campo dellintelligenza artificiale: certamente pi
semplice far apprendere a una macchina lunit della
cosa sulla base di principi che determinano le condi-
zioni di apparenza di un certo fenomeno nel mondo,
piuttosto di dover concepire un programma dopo che
la macchina sia in grado di apprenderlo da s.
P. Effettivamente anche di questo prima o poi dovrem-
mo discutere in modo analitico.
VI.

M. Ho ascoltato questo tuo lungo ragionamento a propo-


sito dellesperienza immediata e della percezione visi-
va della cosa, ma diverse questioni mi lasciano ancora
dubbioso.
P. Duda es uno de los nombres de la inteligencia...
M. Torniamo per lultima volta allesempio preso in
esame mi riferisco ovviamente al cubo. Attraverso
questesempio si messa in questione lintera possibi-
lit di fondazione del sapere. Si cio posta in dubbio
lidentit della cosa: il fatto che questa cosa sia questa
cosa e non unaltra. Labbiamo affermato riprenden-
do quanto Husserl e con lui lintera tradizione feno-
menologica scrive nelle Cartesianische Meditationen.
Ecco il punto: rispetto allapproccio fenomenologico
le mie obiezioni scettiche rimangono inespugnabili.
Lapparire della cosa non mai evidente, ma sempre
limitato a una prospettiva. La fenomenologia non in
grado di estirpare il dubbio logico riguardo leffettiva
presenza della cosa.
P. Il terreno fenomenologico da te evocato dovrebbe an-
che consentirti di rovesciare i termini della questione
per meglio considerare il limite, non come limite bens
come il presupposto della conoscenza.
M. Perch? Di fatto il nostro un limite: non conosciamo
pienamente la cosa, la conosciamo sempre in modo
inadeguato.
P. LInizio della conoscenza fenomenologico. Lappa-
rire fenomenico costituisce linizio della conoscenza:
in-forma il pensiero che non pu che offrirsi in un
364 FENOMENOLOGIA ERETICA

certo modo a partire da qualcosa. La cosa non pu


che offrirsi secondo una certa prospettiva fenomenica
per completarsi-implementarsi fenomeno-logicamen-
te. Senza tale limite non potremmo parlare di Leben-
sform: il limite struttura il nostro comportamento, il
nostro in-der-Welt-sein, direbbe Heidegger.
M. Ma il Da-sein si costituisce come possibilit: e la possi-
bilit, ci ricorda Heidegger, sta sopra la realt! Les-
ser-ci si dispiega in unapertura come progetto, che
non riconducibile alla mera presenza. Ding possi-
bilit: nel nostro esser-ci noi possiamo progettare. Nel
nostro essere-per-la-morte noi siamo aperti alla possi-
bilit che la cosa accoglie. Non comprendo come tu
ritenga di aver eliminato la possibilit che un aspet-
to della cosa osservato precedentemente si annienti
quando non direttamente visibile. Le tue risposte a
tale obiezione si basano unicamente sulla probabilit
e non sullevidenza.
P. Devo interromperti. Il punto non la probabilit,
bens che il dubbio presuppone ci che vuole nega-
re la conoscenza fenomenologica. Lo scettico deve
giustificare la sua sensatezza sia sul piano percettivo
che linguistico, altrimenti la sua resta unipotesi tra
le tante possibili. Limmagine del cubo mostra come
esso strutturi il proprio concetto sulla base dellappari-
re e come esso non dipenda dal giudizio: lesperienza
immediata rinvia al lato invisibile della cosa in modo
strutturato. In altre parole, c una logica del visibile.
Il piano dellapparire trascendentale un piano di im-
manenza indipendente dal soggetto e la relazione sog-
getto-oggetto va pensata come sistema di riferimento;
inoltre, la trasformazione del piano fenomenico in
unapparenza presuppone un mondo sottostante vero.
Questi sono alcuni dei punti principali toccati prece-
dentemente. La probabilit, come vedi, non ha nulla
a che vedere con quanto ho affermato.
M. Tu semplifichi le cose. In realt il problema molto
pi complesso di quanto tu creda. Infatti, non detto
che lintero tuo discorso alla fine non ricada neller-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 365

meneutica. La verit dellapparire della cosa tuttal-


tro che risolta: la possibilit del suo annientamento ri-
mane iscritta nella relazione visibile-invisibile e quindi
nel divenire. La cosa e il nulla si co-appartengono:
tale opposizione essenziale che tu non cogli. Se il si-
gnificato della cosa si costituisce nelloscillazione tra
lessere e il nulla, allora, il suo essere sar anche la
nostra interpretazione del suo non essere un nulla. Il
tuo discorso non lo trovo per nulla eretico, anzi, in
linea con lintera tradizione metafisica e post-metafisi-
ca: col relativismo dominante. La cosa, sotto que-
sto punto di vista, rimane per te uninterpretazione.
P. Il mio discorso non ha la pretesa di essere eretico nei
confronti dellintera tradizione occidentale; forse lo
nei confronti di un certo modo di intendere la feno-
menologia e di un certo modo di intendere il rappor-
to tra scienza e fenomenologia. Non voglio certo sug-
gerire lidea che la sperimentazione abbia la funzione
di guidare la teoresi, ma la sperimentazione pu
fornire un certo numero di informazioni e di casi che
una buona teoresi dovr cucire assieme. La fenome-
nologia sperimentale sar tanto pi utile quanto pi
sar capace di portare alla luce nuove singolarit per-
cettive: casi specifici su cui la teoresi dovr esercitarsi
per sistemare i diversi casi allinterno di un quadro o
insieme metafisico.
M. Il tuo mi sembra un tentativo di naturalizzare la feno-
menologia attraverso le scienze cognitive.
P. Allopposto, direi che si tratta di fenomenologizzare le
scienze cognitive.
M. Sarebbe questa la portata teoretica della fenomenolo-
gia sperimentale del tuo discorso?
P. No. Questo lo dicevo a margine di quanto emerso aven-
do considerando il phainomenon nella sua giusta pro-
spettiva.
M. Ossia una prospettiva non dualista?
P. Esatto. Si tratta di uscire dalla dicotomia soggetto-og-
getto: dobbiamo pensare il fenomeno in quanto tale.
M. E quindi?
366 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. Quindi la struttura dellapparire fenomenico non va


pi interpretata come contingente, bens come neces-
saria.
M. Vuoi dire che per apparire cos come appare se-
condo le condizioni di apparenza messe in luce dalla
fenomenologia sperimentale il fenomeno deve ne-
cessariamente sottostare, in tutti i mondi possibili, alle
medesime condizioni di possibilit?
P. S, questo un punto centrale del mio discorso.
M. Una necessit ontologica che costituisce lesser-cosa
della cosa. In questo modo il fenomeno cessa di essere
qualcosa di contingente?
P. Non nel senso che destinato ad apparire, ma che, se
appare, deve apparire in questi termini.
M. Il fenomeno colto iuxta propria principia quindi
espressione di necessit!
P. Voglio ribadirlo: non nel senso che il suo apparire
qui ed ora sia un evento necessario, non intendo dire
questo. Intendo sostenere che lapparire di una cosa,
per essere quella cosa, e non unaltra, deve apparire
secondo i suoi modi, i suoi principi, ovvero secondo le
proprie condizioni di apparenza.
M. Quindi a prescindere dalla natura del fenomeno!
P. S, sia esso la volont del genio maligno, un mondo
virtuale, cos come questo mondo... Se una cosa appa-
re, per esempio, trasparente sar soggetta alle regole
della trasparenza...
M. E che ne delloggettivit e soggettivit della cosa?
P. Esse rappresentano i due poli del fenomeno colto in
quanto tale e, a seconda del sistema di riferimento,
pu emergere luna o laltra polarit: sono due aspetti
della cosa che dipendono dal sistema di riferimento
assunto.
M. In quanto tale sar un altro sistema di riferimento!
P. Certo, pi ampio rispetto ai due sottoinsiemi prospet-
tici.
M. Tutti e tre diranno lo stesso in modo diverso.
P. Non lidentico nel diverso quindi ma il diverso
nellidentico... forse!
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 367

M. Cos perdiamo il senso autentico della cosa, il suo


essere prima di tutto un utilizzabile, qualcosa a por-
tata di mano: questa relazione a determinarne il
significato.
P. La tradizione metafisica ha colto sia il polo soggettivo
che il polo oggettivo del fenomeno: da un lato, ide-
alismo, razionalismo, solipsismo; dallaltro realismo
ed empirismo. Ma cogliere il polo a o il polo b della
relazione a-b non equivale a pensare il fenomeno in
quanto tale, dato dalla relazione a-b.
M. Non hai citato il criticismo... Ti ricordo che lideali-
smo chiude a s la realt ma non elimina il mondo;
cos ricorderai gli esiti di un certo empirismo che si
trasformato in scetticismo e in fenomenismo.
P. Non solo, molte altre dovrebbero essere le precisazio-
ni: tuttavia il punto essenziale che sono tutti tentativi
di far tornare i conti, ossia di rendere ragione di ci
che appare a partire da una polarizzazione del fenome-
no, senza specificarne il sistema di riferimento. Ci
non pu che creare aporie...
M. Il sistema di riferimento?
P. S. La mancata esplicitazione del sistema di riferimen-
to, lassunzione e lintreccio di diversi sistemi di riferi-
mento nel medesimo ragionamento.
M. Ma siamo sempre noi il sistema di riferimento! Inol-
tre, laver colto come dici tu il fenomeno in quanto
tale solo uno degli approcci possibili; appunto, altri
sistemi sarebbero altrettanto validi: anche la dicoto-
mia apparenza-realt. Morale: tutto relativo!
P. Sono convinto che la dicotomia apparenza-realt af-
fondi le proprie radici prima nelletica che nella gno-
seologia. Pensa ad espressioni come quella persona
sembra buona ma in realt.... La verit cos non sem-
bra riposare in superficie, bens nel buio degli abissi.
Il modo di intendere la verit sinonimo di relativit,
ossia relativo a un certo sistema o piano di riferi-
mento.
M. Il senso della cosa e della filosofia nascono proprio da
quanto non direttamente osservabile: lesser-cosa del-
368 FENOMENOLOGIA ERETICA

la cosa. Questa cosa non sarebbe questa cosa se non


appartenesse allessere: questa cosa questa e non
unaltra! il concetto che determina la determinazio-
ne. Questo cubo questo cubo non come singolarit,
ma a partire dal concetto che lo fa essere. La potenza
dellepisteme nasce dalla sua capacit di raccogliere la
molteplicit in unit e identit. Di ridurre la moltepli-
cit delle determinazioni allunit e lidentit nellap-
percezione: funzione che con Kant avr la rappresen-
tazione. Il tavolo non sarebbe questo tavolo se non
possedessi i concetti dellintelletto: di questo prodotto
che il fenomeno tavolo.
P. Il perceptum, il reale, diventa con Kant il prodotto dellim-
maginazione?
M. Certo. Il fenomeno si costituisce nel suo porsi-in-im-
magine. Non mai qualcosa di semplice, di meramen-
te passivo. Non siamo una tavoletta di cera!
P. Eppure, lunit e lidentit della cosa non sono de-
terminate dal logos, ma sono gi strutturate sul piano
fenomenico. Le leggi di Wertheimer sono principi di
unificazione della cosa, la loro organizzazione dipen-
de da un gioco di variabili dipendenti e indipendenti
su cui agiamo direttamente nel mondo. Altri fenome-
ni studiati dalla fenomenologia sperimentale hanno
mostrato come anche lidentit dellapparire sia gi
strutturata sul piano fenomenico: pensa, per esempio,
alleffetto tunnel.
M. Sembra che tu voglia identificare la filosofia con la fe-
nomenologia e la fenomenologia con la fenomenolo-
gia sperimentale.
P. La filosofia fenomeno-logia: poi, a seconda di dove si
ponga laccento, essa diventa un certo modo di inten-
dere la filosofia. Come dici tu, la tradizione occidenta-
le ha posto maggiormente laccento sul logos, meno sul
fenomeno. La nostra tradizione logocentrica, come
dice Derrida. Il recupero della dimensione corporea,
operata da Merleau-Ponty, segna una discontinuit ri-
spetto alla tradizione metafisica di matrice dualista:
il tentativo di rompere la dicotomia soggetto-oggetto.
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 369

In questo senso noi siamo un soggetto incarnato nel


mondo.
M. Sostenere che tutta la filosofia fenomenologia
unassurdit, tant che, come noto, solo con Hus-
serl che nasce come disciplina.
P. Merleau-Ponty, forse, direbbe che con Husserl la filoso-
fia come fenomenologia giunta, dopo un lungo cam-
mino, a piena coscienza. Potremmo dire: diventa meto-
do. Ma in verit prima ho detto unaltra cosa: la filosofia
fenomenologia nel senso che da sempre si compone
di questi due aspetti essenziali: logos e phainomenon. Si
tratta di cogliere la verit entro questa relazione.
M. La filosofia nasce dallangoscioso stupore provocato
dal divenire della cosa: timore e tremore del morta-
le. Tornare alle cose stesse non significa forse anche
ri-tornare a questa dimensione originaria, a questo
stupore, a questa angoscia per il nulla che la cosa !
Luomo vuole salvarsi dal divenire e per salvarsi deve
sottrarsi al divenire. Ecco emergere la potenza salvi-
fica del nostro pensiero occidentale; qui che gli im-
mutabili di, religione, arte, eccetera prendono
corpo. Tra queste la forma pi potente la verit colta
dallepisteme. Lesser-cosa della cosa risponde prima di
tutto alla volont di potenza, alla volont di determi-
nazione della cosa. Farla essere qualcosa nelle nostre
mani: la relazione tra la techne e la cosa il cuore di te-
nebra dellOccidente. La potenza del logos la poten-
za della necessit che si contrappone alla contingenza
del fenomeno. Il tramonto degli immutabili segna il
tramonto necessario della verit. Non pi trascenden-
te il divenire ma ad esso immanente. Il senso nichili-
stico della cosa si costituisce nella possibilit del suo
esser-nulla.
P. Tornare alle cose stesse implica un ritorno alle cose per
come appaiono, a prescindere dal loro utilizzo, a pre-
scindere dallo scopo.
M. Al termine di questo nostro dialogo logos e fenomeno
appaiono pi vicini. La tua filosofia della percezione
non mi sembra pi un tema specialistico.
370 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. Mi preme tuttavia ribadire che non ho mai inteso pri-


vilegiare n affermare lautonomia della percezione
rispetto alla conoscenza.
M. Questo chiaro. Abbiamo evidenziato il senso rela-
zionale della fenomeno-logia: abbiamo rispolverato il
circolo ermeneutico!
P. Ti prendi gioco di me. Ho sempre parlato di una re-
lazione e di un rinvio, mai di uninfinita circolarit:
e se anche fosse? Ci nega forse la verit della cosa o
laf-ferma?
M. Noi affermiamo verit nel divenire del linguaggio e
ancor di pi nellesperienza: Nietzsche e Deleuze ci
hanno insegnato a pensare la verit nel divenire. La
portata metafisica di questo nostro discorso oltrepassa
i confini della sola percezione: lapparire del non esse-
re non mai riducibile-riconducibile allidentit, ci
significa implicare laltro nellidentico.
P. Forse la percezione ci insegna a pensare laltro non
come assolutamente altro, ma come relazione. Laltro
si costituisce come altro nella relazione: in ci che ap-
pare.
M. Ci implica unopposizione fondamentale: non ci sa-
rebbe A se non in relazione a non-A.
P. Ma non una rigida opposizione, forse per intenderci
dovremmo piuttosto scomodare la logica degli insie-
mi.
M. Lidentit di ci che appare si manifesta nella diffe-
renza rispetto al tutto.
P. Torniamo ai fatti. Anche se spesso si continua a chiac-
chierare del nostro trovarci in unepoca postmoderna
dove il mondo si fatto favola: un mondo dove non
esistono fatti, ma solo interpretazioni.
M. Non cos? Il mondo oggi rappresentazione, vir-
tuale, ma questa la sua massima realt. La tecnica
oggi cessa di essere un semplice strumento nelle mani
delluomo, per diventare la sua nuova mano. Siamo
agli albori di una mutazione antropologica: pensare la
soggettivit e il mondo come soggetto incarnato non
coglie la linea di fuga del corpo: la domanda deleu-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 371

ziana chiede cosa pu un corpo e non che cosa un


corpo. La nuova carne muter la nostra relazione col
mondo e la relazione soggetto-oggetto cos come noi
la conosciamo sar consegnata alla storia.
P. Apri scenari difficili da gestire entro i limiti di questa
nostra conversazione. Il mondo come immagine e rap-
presentazione figlio di un allontanamento dalla cosa
che ha radici lontane, e che trova come ci ha mo-
strato Husserl nella Krisis la propria radicalizzazione
nellevoluzione tecnico-scientifica. Il mondo diventa
cos apparenza rispetto alla vera realt offertaci dalla
scienza.
M. Credi ancora possibile unesperienza immediata del
mondo?
P. Rimane comunque il nostro riferimento primo. La no-
stra vita costellata da fatti nudi e crudi oltre che da
interpretazioni.
M. Anche in un mondo virtuale?
P. Non possiamo continuare a pensare il virtuale come
contrapposto al reale; la virtualit rappresenter sem-
pre di pi unespansione del reale...
M. Cos reale, se non la cosa? Potremmo dire con La-
can che la cosa che pensa: il linguaggio, lincon-
scio!
P. Tuttavia, quando lo dici, ricadi in quella condizione
fondamentale e imprescindibile che abbiamo indicato
col termine fenomenologia. Infatti, quando lo dici: chi
sta parlando? Tu o lincoscio? Tu.
M. Daccordo, credo di aver inteso. Ma il ritorno alla
cosa stessa, non un ritorno a una metafisica della
presenza?
P. Questo vale forse per Husserl... Qui abbiamo inteso
il ritorno al mondo fenomenico: allesperienza imme-
diata. Abbiamo inteso tematizzare linizio della cono-
scenza nellincontro con la cosa.
M. Inizio paradossale visto che nominando la cosa passi
immediatamente ad una condizione linguistica
P. Su questo immediatamente avrei qualche dubbio.
M. Linizio appartiene al logos...
372 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. Ma non ci sarebbe logos senza percezione e ritenzione.


M. E perch mai?
P. Immagina un uomo deprivato di ogni esperienza sen-
soriale: possiamo immaginare un logos (una forma di
pensiero) a prescindere da ogni esperienza?
M. Un uomo sospeso nello spazio e deprivato di ogni tipo
di esperienza?
P. S.
M. Non potrebbe certo dire alcunch, dato che diciamo e
pensiamo sempre qualcosa a partire da qualcosa. In que-
sto senso: nihil est in intellectu quod non sit prius in sensu.
P. Ecco, ti sei risposto da solo: il pensiero come il lin-
guaggio presuppone loffrirsi della cosa, altrimenti
rimane una facolt inespressa.
M. Predisposizioni innate e non sviluppate...
P. Potremmo dire cos. Comprendere questo fonda-
mentale. Allorigine non c unautonomia del logos
rispetto allapparire sensibile. Quindi il logos si manife-
sta a forma di mondo: in relazione con esso.
M. Ecco perch per noi la contraddizione qualcosa di
fondamentale: la potenza del logos consiste nel suo
non contraddirsi il linguaggio qui tocca il mondo!
P. Non credo di capire.
M. la materia stessa del mondo a non ammettere con-
traddizione.
P. Allora dovremmo dire che la materia che pensa?
M. Dovremmo dire qualcosa del genere... Ci non pu
valere anche per la percezione? Se locchio non fosse
solare, come potremmo vedere la luce? si domanda-
va Goethe.
P. Una forma di realismo materiale.
M. Il realismo si configura quando il regno dellEssere in-
contra il regno della materia.
P. Una posizione che ricorda quella di Santayana...
M. Le nostre strade sembrano incontrarsi qui: il punto di
incontro dato dallapparire empirico e dallapparire
trascendentale.
P. LEssere deve apparire in quanto ?
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 373

M. La sua opposizione al nulla. Come dicevo prima, poter


ammettere la contraddizione equivarrebbe a pensare
il mondo come contraddizione, ma il mondo non ap-
pare in contraddizione: qui la clavis universalis...
P. Ci che appare lo attesta?
M. Limportanza dellapparire che ho appreso da te
data dal suo costituirsi nella relazione. (Non ci sareb-
be Io senza Non-Io, identit senza differenza...).
P. Intendi forse con ci dire che il nostro essere una
prospettiva del tutto?
M. Locchio non pu guardare se stesso: lInizio logico
come differenza da s: la cosa per dire la propria identi-
t dice altro: dice A: A=A.
P. Cosa intendi? Che lapparire fenomenico un sottoin-
sieme del tutto?
M. Ma la parte determinata non potr mai essere il tutto e
quindi si approssimer sempre al tutto, senza poterlo
cogliere interamente.
P. Lapparire finito e la sua relazione circoscritta.
M. Certo, per quanto riguarda la sfera visibile, ma non
dimenticare che il tutto appare e quindi anche la re-
lazione tra lintero e la parte si costituisce nellinfinito
potenziale di ogni singola determinazione.
M. Che la cosa per dire la propria identit (A=A) deve
necessariamente duplicare se stessa: implicare laltro
nello stesso.
P. Ti riferisci ovviamente alla forma del dire ancor prima
che al contenuto?
M. Certo. Poich A non dice la propria identit: non
dice nulla! Per dire la propria identit A deve dire
altro: A=A. Deve implicare il diverso per dire lo stes-
so, e quindi deve implicare la relazione =.
P. La relazione?
M. La relazione dellente allesser s dellessente: la cosa
per essere questa cosa e non unaltra si d nella con-
traddizione: nella contraddizione fondamentale che
implica il suo darsi come identit nella differenza.
P. Ma il principio di identit (e di non contraddizione)
374 FENOMENOLOGIA ERETICA

che tu stai evocando indirettamente sembrerebbe pre-


ceduto dal principium individuationis...
M. Certo! Esso sta alla base della possibilit del dire la
cosa.
P. Tuttavia, lassioma A=A forse meriterebbe qualche
precisazione in pi.
M. Il discorso sarebbe lungo, ma a cosa ti riferisci in par-
ticolare?
P. Al fatto che tu suggerisci una duplicazione che in re-
alt non c. Prima di tutto, se sei daccordo, possia-
mo riscrivere lidentit attraverso la formulazione di
Hilbert: le tre propriet riflessiva, simmetrica e tran-
sitiva dellassioma a=a possono essere scritte cos:
(a=b)(A(a)A(b)).
M. Cos diciamo che la relazione di uguaglianza significa
che, prese due cose qualsiasi, esse sono uguali se sod-
disfano la medesima funzione. Ma questo da un punto
di vista logico-matematico non soddisfa il diverso rigo-
re filosofico che non pu ammettere che lidentit sia
altro da s.
P. Ossia tu dici che nellidentit A=A, luno (A), implica
gi il due (A=A) e quindi la molteplicit?
M. Considera che in opposizione ad A non sta il moltepli-
ce, ma il nulla!
P. Allora come vedi non c duplicazione: A=A non vuol
dire prendere due volte A. Se ad A sottraggo se stesso
ottengo il nulla, lo zero. Il che non significa non-A:
infatti se zero fosse non-A come scriveresti non-A?
M. Quindi la relazione A=A ossia aRa pu essere scritta
cos: a a = 0. A in relazione a s non qualcosa che
non , ma in opposizione al nulla.
P. Ma lidentit formale A=A equivale allapparire della
cosa.
M. Appare A, non A=A...
P. Noi affermiamo fenomeno-logicamente A=A perch il
logos si esprime coerentemente rispetto allapparire (e
non in contraddizione). Quando noi vediamo lo stesso
cubo ruotare, diciamo infatti che vediamo la stessa cosa
ruotare, eppure, diversa: la cosa nelle diverse posi-
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 375

zioni appare diversa, ma noi la diciamo e la pensiamo


come A=A poich ci appare diversa nellidentico.
M. Vuoi dire che noi diciamo liso-morfismo della cosa a
partire dalla differenza?
P. S.
M. Quindi, per coerenza, scriveremo: At0=A<t0 tn> significa
che A = A<t0 t>. Lisomorfismo segnico lespressio-
ne ontologica della cosa.
P. Ci siamo intesi perfettamente...
M. Eppure, forse non siamo riusciti a far emergere
quellunico termine che riuscito a sottrarsi a tutto
questo discorso.
P. E quale?
M. Etica.
P. In che senso?
M. Sto dicendo che lopposizione identit-differenza non
si risolve n a favore delluna n dellaltra. Non pos-
sibile laffermazione dellidentit senza la differenza
e neppure possibile laffermazione della differenza
senza lidentit.
P. E quindi?
M. Quindi il tuo ragionamento sulla percezione richiama
questo schema.
P. In che senso?
M. Il concetto di verit nel tuo discorso non prende cor-
po nella relazione identit-differenza?
P. S, ma intesa come sistema di riferimento, ma letico
che centra?
M. Secondo il piano pi intuitivo, la relazione identit-
differenza ricalca la tua fondamentale idea della fe-
nomeno-logia, ovvero quella del nesso tra pensiero e
percezione o, se preferisci, ma credo sia lo stesso, tra
logos e phainomenon.
P. Intendi richiamarti alla mia affermazione per cui il lo-
gos si costituisce come differenza, poich presuppone
lapparire e la memoria? E quindi per questo a for-
ma di mondo?
M. Farei un passo in pi e direi che la percezione impli-
ca laltro: per questo le regole del nostro agire vanno
376 FENOMENOLOGIA ERETICA

sempre pensate in chiave relazionale ed entro un si-


stema di riferimento. Giustamente, dicevi che la dico-
tomia apparenza-realt di natura etica ancor prima
che gnoseologica.
P. Certamente non metafisica. Il problema delletica che
hai sollevato potremmo svilupparlo in unaltra occa-
sione per ripensare, alla luce di quanto detto fino a
qui, la dicotomia tra diritto di natura e diritto positivo.
Ma se ho capito bene intendevi aprire ulteriormente
il discorso verso un senso ulteriore e pi profondo del
concetto etico.
M. S, infatti far filosofia non un semplice puzzle logi-
co, come molta filosofia che oggi va per la maggiore
ci d ad intendere...
P. Certo che no.
M. Dovremmo ripensare il concetto di materia e far col-
lassare letico su questo piano di immanenza. Che ne
dici?
P. Dovremmo in tal caso concepire letico come qualcosa
in grado di affermarsi da s.
M. Un realismo metafisico incentrato sulla materia, come
una vera opera darte... Dovremmo ricominciare
dallinizio a ri-pensare lincontro della materia col re-
gno dellessere: l dove lapparire trae origine.
P. S. Il fiorire e lo sfiorire del nostro discorso, a questo
punto, si fa indistinto... Direi per adesso di fermarci
qui, daccordo?
M. Proprio ora che cominciavamo a pensare la cosa
stessa...
P. Le nostre parole sono di troppo rispetto alla cosa ulti-
ma, non credi?
M. S, quanto la nostra coscienza e il nostro Io; sempre
cos quando una parte del tutto vuole dire se stessa
smentendo se stessa, ossia dicendo che A = A.
P. Beh, un piccolo contributo labbiamo fornito al de-
bordante istinto dellIo.
M. il destino del nostro essere inclusi nel tutto, del no-
stro essere un sottoinsieme; una parte che si interroga
DIALOGHI CONCLUSIVI TRA UN PERCETTOLOGO E UN METAFISICO 377

sul suo essere in relazione al tutto. Il nostro apparire


incluso nellapparire del tutto.
P. Certo sarebbe bello se le nostre voci fossero quella
dellUno-Tutto!
M. La voce del tutto che per s sola dovrebbe affermare
la propria contraddizione, ma il tutto non pu dire se
stesso senza configurarsi come identit e differenza.
P. Ironia della sorte
M. Da un certo punto di vista il tuo discorso mi consente
di rovesciare il senso di un celebre pensiero di Nietz-
sche che afferma: solo come fenomeni estetici lesisten-
za e il mondo sono eternamente giustificati.
P. Strano che tu dica questo... Qui Nietzsche non in-
tende affermare il mondo come divenire caotico? In
questottica, se non ricordo male, la scienza fornisce
unimmagine del mondo ponendo ordine allindeter-
minato Solo nella prospettiva dellarte, nella lotta
apollinea- dionisiaca, si manifesta la forza plasmatri-
ce del mondo e solo cos il mondo acquista per Niet-
zsche senso, o sbaglio?
M. No, non sbagli anche se altre osservazioni andrebbero
fatte per arricchire e precisare le tue parole e per ren-
dere pienamente ragione a quanto, credo, Nietzsche
intendeva dirci. Eppure, prendendo alla lettera le sue
parole possiamo piegare il loro senso nella direzione
da te indicata, esattamente opposta a quella di Nietz-
sche!
P. Come?
M. Considerando s la scienza come una rappresentazio-
ne del mondo, ma congiuntamente trovando in que-
sta sua pretesa oggettivazione una mancata presa sul
mondo. Da un lato ci interroghiamo su questa riduzio-
ne a oggettivit del fenomeno, posto che esaurisca ef-
fettivamente il senso che la cosa ha per noi, dallaltro
il mondo come fenomeno estetico ha per noi un senso
irrinunciabile quanto irriducibile. Ma la cosa che a me
pare pi rilevante che facendo i conti con tale cono-
scenza lavoriamo su noi stessi, sulla nostra soggettivit.
Non a caso hai scomodato letica.
378 FENOMENOLOGIA ERETICA

P. vero. Effettivamente cos, anche se quando ho


parlato di etica andavo in unaltra direzione... Ma ho
capito quello che vuoi dire. In sintesi: la conoscenza
scientifica della cosa non ci restituisce, nella sua pre-
tesa oggettivit, il senso che ha per noi la cosa stessa.
Il nostro essere nel mondo della vita mette in gioco
qualcosa di congiuntamente oggettivo e soggettivo.
La natura relazionale del fenomeno comprende una
riflessione su noi stessi. La relazione con la cosa a que-
sto punto muta, il tutto possiede un peso diverso: una
responsabilit pesa sulla cosa e su di noi.
M. Siamo daccordo spero nellincontrarci nuovamente.
P. A partire per da quanto ci siamo detti fin qui.
M. Certamente. A presto allora
P. A presto.
POSTFAZIONE

di Marcello Losito
POSTFAZIONE 381

1. Explanandum versus explanans: solidi fattuali vs solidi teorici

In una determinata esperienza di costanza percet-


tiva, un oggetto invariante in certi suoi caratteri costi-
tutivi dimensioni, forma, colore viene percepito,
senza interruzioni temporali, in condizioni a loro volta
specifiche e mutevoli orientamento spaziale, distanza
dallosservatore, illuminazione ambientale e purtutta-
via il suo aspetto percettivo, fenomenico, risulta coeren-
te, o stabile, proprio in quelle propriet fenomeniche
riconducibili ai caratteri costitutivi delloggetto: in tal
caso, lapparato immagine del mondo1 o sistema sensoriale
dellosservatore si pu asserire che dia unindubbia di-
mostrazione dellintrinseca abilit di recuperare, nel flus-
so cangiante delle informazioni prossimali e retiniche,
quegli invarianti che cementerebbero il fenomeno allo
stimolo distale, ossia alloggetto.
In termini storicamente consolidati, questo vissuto
ci che comunemente si designa con fenomeno di costan-
za percettiva della forma2 e se ne ha esperienza diretta ogni-
qualvolta un insieme di propriet oggettuali si trova posto
in relazione con un altro insieme di propriet percettuali
dando luogo a un continuum fenomenico in cui lidentit
o le identit non vengono mai perdute.
Sia che gli invarianti vengano considerati in re, propri
dello stimolo distale, sia che vengano considerati in fieri,
propri dello stimolo prossimale e retinico, un punto di
raccordo di entrambi gli aspetti pu trovare una sintesi
nella teoria dei gruppi di trasformazione ossia in quella

1. K. Lorenz, Laltra faccia dello specchio, cit., p. 35. Anche J.V. Uexkll e G. Kris-
zat, Ambiente e comportamento, Feltrinelli, Milano 1967, p. 66.
2. K. Koffka, Principi di psicologia della forma, cit., pp. 238-256.
382 FENOMENOLOGIA ERETICA

parte della teoria topologica che analizza le possibili ope-


razioni sulla forma non inficianti lidentit della stessa.
Come ha sottolineato Burigana,3 i tipi di variabilit
percettologiche non supportate, i mutamenti fenomeni-
ci a cui non necessariamente corrispondono mutamenti
fisici nel percetto, possono ben classificarsi in quattro ti-
pologie di supporto mutualmente includentesi: il sup-
porto specifico dove i mutamenti percettivi conseguono
dalle propriet fenomeniche; il supporto estensionale
dove i mutamenti percettivi conseguono dal mutamento
di uno o pi percetti appartenenti al medesimo contesto
esperienziale; il supporto globale dove i mutamenti
percettivi conseguono dal mutamento delle condizioni di
osservazione proprie del percettore; il supporto assolu-
to dove i mutamenti percettivi conseguono, o consegui-
rebbero, da dissimili influenze cognitive non strettamente
riconducibili al fenomenico.
Inserendo lesperienza percettiva dei solidi regolari in
questo quadro di lettura, si otterrebbe che lidentit degli
stessi, allinterno del continuum temporale e fenomeni-
co, potrebbe essere ricondotta al terzo e al quarto tipo di
variabilit percettologica non supportata: nel terzo caso,
il solido permarrebbe tale a dispetto delle mutate orien-
tazioni percettive; nel quarto caso il solido permarrebbe
tale in virt del bagaglio cognitivo dellosservatore.
Quanto segue avr come intento quello di vagliare,
per quanto possibile, la plausibilit del solo terzo caso,
tema chiave pure dello scritto di Taddio.

2. Cristallografia4

Lespressione perfetta della forma solida data


dallideale cristallo singolo in cui un modello interno si
reitera, senza soluzioni di continuit, in ogni sua parte.

3. L. Burigana, Singolarit della visione, cit., pp. 468-471.


4. S.P.F. Humprhreys-Owen, Principi fisici della forma organica, in Aspetti della for-
ma, L. Law Whyte (a cura di), Dedalo, Bari 1977, pp. 38-54.
POSTFAZIONE 383

La configurazione visibile e finale di un cristallo dunque


frutto della configurazione della disposizione interna.
Esempio chiaro e semplice di questa situazione
lordinamento interno in cui le molecole, o gruppi
di esse, sono disposte in colonna in maniera che ogni
gruppo sia descrivibile per mezzo di diagrammi con
un punto e che ciascun punto giaccia allangolo di un
cubo: simile ordinamento esiste in natura e caratterizza
linsieme cubico dei cristalli. Di conseguenza, ad ogni
stadio evolutivo del cristallo possibile visualizzare la
superficie esterna come se fosse composta di facce, spi-
goli e vertici di cubi mutualmente indipendenti e ci,
proprio in virt del fatto che linterno di un cristallo,
appartenente a questo insieme cubico, pu venir consi-
derato la somma di un certo numero di celle unitarie,
ognuna delle quali un cubo miniaturizzato, con lati di
medesima lunghezza.
Questo medesimo stato di cose avviene pure se, par-
tendo dalla semplice forma cubica iniziale, si volesse rap-
presentare lo sviluppo cristallografico verso forme pi
complesse solamente per mezzo di tagli agli spigoli del
solido iniziale, tagli che produrrebbero delle proporzio-
nate espansioni di facce superficiali non pi quadrate:
caso di immediata visualizzazione il solido ottaedro
ottenuto per il taglio a 45 degli spigoli di un cubo, ad
esempio.
Ma tralasciando simili considerazioni meramente
preliminari, per lapproccio fenomenologico di asso-
luta salienza che la spiegazione dellordinamento inter-
no di un cristallo nel caso pi semplice, assimilabile ad
un aggregato di cubi minimi come prima si diceva fu
desunta dalla configurazione esterna storicamente prima
dellutilizzo dellanalisi a raggi Roengten, ovvero prima
dellanalisi spettrografica capace di indicare le disposio-
ni e le spaziature degli atomi allinterno del cristallo. La
forma del cristallo, dunque, venne specificata in termini
di elementi di simmetria ciascun gruppo dei quali cor-
rispondeva ad ununit cellulare specifica. Nel presente
caso si scelto quella pi semplice, il cubo, ma esistono
384 FENOMENOLOGIA ERETICA

differenti unit o tipi di simmetria tale che ne derivereb-


bero trentadue classi di cristalli; inoltre i gruppi mole-
colari, rapprensentabili dai punti delle unit cellulari,
presentano fattori simmetrici loro propri che influenzano
la simmetria esterna: considerando anche questi punti,
detti gruppi spaziali, e ricorrendo alla sola geometria
si dedotto che con le trentadue classi di cristalli sono
ricavabili duecentotrenta gruppi spaziali, tutti individuati
in cristalli naturali.
Basandosi sulla ripetibilit nello spazio di elementi
puramente fenomenici e ricavandondone un gruppo di
simmetrie limitate, si cos potuto generare unaccurata
analisi morfologica dei cristalli, tanto che la completa
teoria matematica delle strutture cristallografiche venne
resa nota verso il 1890 ossia ben prima dellavvento della
moderna teoria atomica. Ci non sarebbe stato possibile,
e pare evidente, se le configurazioni superficiali dei soli-
di direttamente esperibili non fossero gi a questo livel-
lo macroscopico in qualche modo organizzate e stabili, a
dispetto degli innumerevoli mutamenti delle condizioni
stesse di percezione dovute sia a parte subiecti sia a parte
obiecti.

3. Funzionalismo

Un esempio lapalissiano di quanto loggetto cubico


sia esso il centro gravitazionale del possibile ventaglio per-
cettivo e non viceversa, non dunque che esso centro sia
latto percettivo successivamente rifrangente un ventaglio
di possibili configurazioni a solido, costituito da una let-
tura critica del funzionalismo probabilistico di Brunswik,
nella fattispecie degli esperimenti di costanza percettiva
condotti negli anni 40 del Novecento.5
Gi nel 28, di tre anni in anticipo su Thouless, Brun-
swik propose che il grado di costanza percettiva venisse

5. S.C. Masin, Le teorie della percezione: le teorie funzionalistiche e cognitivistiche, Pa-


tron, Bologna 1978, II, pp. 20-30.
POSTFAZIONE 385

espresso da un coefficiente c, variabile tra 0 e 100, per


cui valesse lequazione c=ep/bp, dove lespressione loga-
ritmica di b sarebbe la misura fisica dello stimolo distale;
quella di e la stima dello stimolo distale proposta dal sog-
getto sulla base della sola esperienza fenomenica; quella
di p la grandezza dello stimolo prossimale basata sul cal-
colo proiettivo.
Tale coefficiente venne tratto dal seguente esperimen-
to: a ciascuno dei quindici soggetti vennero presentati 15
cubi, il cui spigolo variava in dimensione tra i 50 ed i 70
millimetri, dislocati in ordine casuale su piani orizzontali
posti a cinque distanze crescenti dal punto di osservazio-
ne, da 2 a 10 metri: i soggetti, osservando i solidi a distan-
za, dovevavo stimarne le dimensioni e queste stime furo-
no poste a confronto con le dimensioni fisiche dei cubi,
previamente misurati, e con la grandezza prossimale degli
stessi calcolata per ciascun solido come se fosse osservato
a 12 metri di distanza, ossia lorizzonte percettivo massi-
mo a disposizione dei soggetti.
Si pot constatare che il valore e, la stima fenomeni-
ca, risultava essere sempre intermedio ai valori b e p, la
dimensione reale e la proiezione. Se letti maggiormente
in dettaglio, gli esiti ottenuti mostrarono pure un aspet-
to pi importante: quando i soggetti osservavano i solidi
dalle distanze comprese tra i 2 e gli 8 metri, il valore e era
sempre pi prossimo a b di quanto non lo fosse rispetto a
p e solamente verso i 10 metri, questa asimmetria tendeva
ad annullarsi. In altri termini, considerando lestensione
del campo visivo ambientale proprio del comune percet-
tore, le dimensioni del cubo fenomenico tendevano, re-
golarmente, ad approssimarsi alle dimensioni fisiche del
solido e non a quelle deducibili per proiezione geometri-
ca, come se, a dispetto del sistema diottrico, emergesse
con costanza un nesso conservativo tra osservatore e
presenza oggettuale.
Nelle parole di Brunswik ci significa che la costanza
delle cose (thing constancy) non altro che il meccanismo
che fa s che lambiente comportamentale si uniformi in
grado considerevole allambiente geografico.
386 FENOMENOLOGIA ERETICA

4. Thouless

Se Brunswik si occupato della stima volumetrica di


un dato percetto solido, Thouless6 si concentrato, ne-
gli anni trenta, sulla deformazione fenomenica dello stesso
ossia sul gradiente di flessibilit che un dato percetto op-
pone allosservazione sino al punto critico in cui potrebbe
perdere la propria identit o forma primigenia.
Per stimare il rapporto tra forma fenomenica e pro-
spettica, sinonimo di retinica in Thouless, di due forme
piane geometriche, Thouless sottopose i propri percettori
al seguente esperimento: un cerchio di 39.75 centimetri di
diametro o un quadrato di 38 centimetri di diagonale pre-
sentato con la stessa perpendicolarmente allosservatore
giacenti sopra un tavolo ogni volta a tre differenti distanze,
dovevano essere osservati binocularmente dal soggetto da
una posizione fissa la cui altezza dal piano misurava 48.5
centimetri. Le tre distanze assunte dallo stimolo rispetto
ai soggetti coinvolti andavano, dunque, da una minima di
54.5 centimetri ad una massima di 163.5 centimetri.
Laspetto fenomenico risultante venne stabilito per mez-
zo di una riproduzione grafica della medesima, a cura dei
soggetti stessi, e per mezzo di una scelta fra una serie di ellis-
si o rombi, di raffronto, preventivamente assemblata dallo
sperimentatore in base a calcoli puramente proiettivi.
I risultati emersi furono espressi in media e in quo-
zienti tra lasse minore e maggiore, per le ellissi, e la dia-
gonale verticale e orizzontale, per i rombi, in maniera tale
da poter leggere sinotticamente i valori metrici, quelli
prospettici, ed infine quelli riprodotti o fenomenici: ad
esempio, al disco posto alla minor distanza venne attribu-
ita, dagli osservatori, una forma fenomenica di rapporto
0.78 con quella fisica, a dispetto di un rapporto di 0.56
intercorrente tra questa e quella prevista su basi esclusi-
vamente proiettive dallo sperimentatore. Lo stesso disco,
ma alla distanza massima, veniva percepito fenomenica-

6. G. Kanizsa, P. Legrenzi, M. Sonino, Percezione, linguaggio, pensiero, Il Mulino,


Bologna 1983, pp. 168-171.
POSTFAZIONE 387

mente con un rapporto di 0.47 contro un rapporto pro-


iettivo di 0.25.
Letti in forma discorsiva, questi dati mostrarono che
gli assi minori e maggiori delle ellissi, poste via via a di-
stanze crescenti, rispettivamente si contraevano e si espan-
devano fenomenicamente in misura minore, e meno re-
pentinamente, di quanto ci si sarebbe aspettati in base alle
deformazioni prospettiche a livello retinico: posto alla
terza distanza, il disco assumeva una forma fenomenica
ellittica con un rapporto pressoch dimezzato tra gli assi
rispetto a quello metrico mentre, considerandolo geome-
tricamente, avrebbe dovuto presentarsi con un rapporto
inferiore di quattro volte.
Analoghi risultati si ottennero con i quadrati perce-
piti con le diagonali allineate perpendicolarmente allos-
servatore, ma qui la resistenza alla deformazione assunse
valori pi preponderanti: ad esempio, il quadrato posto
alla prima distanza presentava, fenomenicamente, un rap-
porto 0.86 e alla terza quello di 0.58, significativamente
maggiori dei rapporti 0.78 e 0.47 ottenuti con il disco nel-
le medesime condizioni sperimentali, come se la forma
tetragona fosse pi solida, e dunque meno plasmabile, di
quella circolare.
Lo stesso Thouless lesse i risultati in termini di re-
gressione verso loggetto reale esprimibile nel rapporto
logaritmico di fs/rs dove f, s, r, stanno per oggetto fe-
nomenico, immagine retinica, oggetto fisico: in altri ter-
mini, la forma fenomenica o vissuta, o comportamentale
nel lessico gestaltico, dei dati visivi non obbedirebbe pe-
dissequamente alle leggi prospettiche n ai vincoli posti
dallapparato retinico ma presenterebbe una tendenza a
rimanere costante, o inter-relata, agli aspetti primigeni
delloggetto fisico.

5. Gruppi

Il nodo centrale nella trattazione del problema del movi-


mento compiuta da Wertheimer circoscrivibile alla sua de-
388 FENOMENOLOGIA ERETICA

finizione del laspetto generale dellesperienze di moto,7


base indiscussa di ogni ulteriore teoria fenomenologica.
Essa pu essere sintetizzata nella tesi secondo cui quan-
do due stimoli ottici susseguono luno allaltro, allinterno
di un intervallo temporale ottimale, lesperienza delluni-
formit del movimento tale, nellordine e nellimme-
diatezza, che deve venir considerata come conseguenza
dellazione di un solo e unico stimolo ottico.
La cardinalit del fenomeno , cos denominato
levento discusso nella suddetta tesi, nella definizione
dellequivalenza delle sensazioni e nellipotesi dellesi-
stenza di un isomorfismo tra esse ed i processi nervosi
centrali, di cos ampio raggio da giungere sino alla de-
finizione stessa di Gestalt: lassunzione esplicativa del fe-
nomeno risiederebbe, perci, nel considerare il processo
somatico-nervoso non costituito di singole eccitazioni,
temporalmente proporzionali alla stimolazione e circo-
scritte, bens di eccitazioni inscritte in un campo di azione
che vivrebbe di una temporalit propria, e capace di re-
stituire gli input ottici a e b, disuniti fisicamente, come un
unico evento fenomenico ab.
Perseverando in simile lettura isomorfica, se il supporre
la presenza di un campo dazione a parte subiecti, una sorta
di breve circuito neurale idoneamente selettivo, condur-
rebbe dal carattere discreto degli stimoli a quello continuo
dei vissuti, allora supponendo un campo dazione a parte
obiecti, una sorta di invariante strutturale, si dovrebbe ap-
prodare dal carattere discreto degli stimoli a quello conti-
nuo delloggetto fenomenico. Ed in effetti quanto accade
sopprimendo il fattore tempo, lintervallo ottimale cui si
accennava, ossia riconducendolo al caso della simultaneit,
che dalla percezione del moto si perviene alla percezione
della forma: slittando da un intervallo temporale a unas-
senza di intervallo, si ottiene il passaggio da alla gestalt.
Cos si delinea pure il punto di innesto tra la teoria
dei gruppi e la sua specifica applicazione alla percezione

7. B. Peterman, The Gestalt Theory and the Problem of Configuration, Routledge,


London 1932, p. 11.
POSTFAZIONE 389

dellidentit nel continuum temporale: considerando legit-


timo descrivere una Gestalt come la compresenza simulta-
nea di una data serie abc... (con =0), si legittima, pari-
menti, leventualit di considerarne il principio generativo
come un punto il cui movimento viene descritto, di volta
in volta, da un gruppo di simmetria specifico. Rispetto, ad
esempio, a un quadrato, si potrebbero ottenere due grup-
pi: il primo D4, che descriverebbe la figura piana generata
dalla traslazione di un lato; il secondo R, che descrivereb-
be il lato generato dal movimento di un punto. La succes-
siva fattorizzazione dei due gruppi (D4R) consentirebbe
di ottenere il gruppo interno preposto alla generazione
della Gestalt quadrato.8 Lo stesso procedimento diverrebbe
applicabile al cubo, nella fattispecie generato dalla trasla-
zione di un quadrato, o agli altri solidi regolari.
Ma il parallelismo tra gruppi e percezione visiva trova
un sostanziale sostegno pure da un punto di vista squisita-
mente teorico: se la definizione di gruppo deve soddisfa-
re le quattro propriet basilari della chiusura, dellidentit,
dellelemento inverso e dellassociativit, possibile circoscri-
vere la percezione stessa nellambito di tali propriet. Il
campo visivo inteso sia geograficamente sia comportamen-
talmente, nei termini di Koffka, un eccellente luogo in
cui successivi punti di osservazione, in posizione prona o
area ad esempio, di un circoscritto fenomeno, si posso-
no ricongiungere o richiudere, dopo traslazioni e rotazio-
ni, nellidentit preservata del fenomeno stesso. La stessa
identit un aspetto ravvisabile nel campo fenomenico,
quando vi assenza di trasformazioni, e ugualmente dicasi
per lelemento inverso: esister sempre una rotazione inversa
che ricondurr il percetto, senza alterarne lapparire com-
plessivo, al suo aspetto iniziale. Pure lassociativit viene
rispettata, in quanto per tutta la durata di una sequenza
ordinata di trasformazioni percettive diviene irrilevante in
quale modo esse siano raggruppate. Ci detto non varreb-
be, naturalmente, per la propriet commutativa ed signi-
ficativo che lo stesso accade per teoria dei gruppi.

8. M. Ded, Forme: simmetria e topologia, Zanichelli, Bologna 1999, pp. 18-21.


390 FENOMENOLOGIA ERETICA

Naturalmente non sufficiente che il parallelismo


gruppi/percezione abbia simili punti di contatto: lo sco-
glio principale ad ostacolare la messa in opera di una let-
tura algebrico-topologica dei fenomeni percettivi risiede
nella difficolt di trattare, con i tradizionali gruppi di sim-
metria, quanto potrebbe definirsi levoluzione, lo svolger-
si nel tempo, dei percetti medesimi. Ecco il perch, nel
momento in cui il percetto diviene evento, sia necessario
ricorrere a quella peculiare tipologia di gruppi denomi-
nati gruppi di Lie.9
Questi gruppi di trasformazioni possiedono, oltre al
carattere di gruppo come precedentemente accennato, la
caratteristica di essere continui o infinitesimali o, in altri
termini, differenziali. La propriet principale e saliente
nellapplicazione di essi alla percezione sta dunque nel
fatto che le trasformazioni di Lie, traslazioni o rotazioni
che siano, sono trasformazioni infinitesimali per cui varreb-
be, per due elementi x ed y del piano, una relazione di
corrispondenza del tipo (x,y)=(x+x, y+y), dove x e y
denotano minimi incrementi di x e y. La reiterazione, per
un numero sufficiente di volte, di una tale relazione di
corrispondenza porterebbe ad un generatore infinitesimale
di gruppo, o derivazione di Lie, del tipo L=f(x,y)/x+g(x,y)
/y, generatore infinitesimale che, con le opportune mo-
difiche, diverrebbe di volta in volta applicabile alle trasla-
zioni verticali ed orizzontali o alle rotazioni di un percetto
e, da qui, agli invarianti di questultimo quali la costanza
di grandezza e di forma.

9. W.C. Hoffman, The Lie Algebra of Visual Perception, Journal of Mathematical


Psychology, 3, (1966), pp. 65-98. M. Leyton, A Theory of Information Structure:
General Principles, Journal of Mathematical Psychology, 30, (1986), pp. 103-
160. M. Leyton, A Theory of Information Structure: a Theory of Perceptual Organiza-
tion, ivi, pp. 257-305. J. Petitot, Neurogomtrie de la vision: modles mathmatiques
et physiques des architectuers fonctionnelles, Editions de lEcole Polytechnique,
Paris 2008. Per gli antecedenti storici, A. Borel, Essays in the history of Lie
Groups and Algebric Groups, History of Mathematics, 21, American Mathemati-
cal Society and London Mathematical Society, Providence 2000. E. Cassirer,
The Concept of Group and the Theory of Perception, Philosophy and Phenomeno-
logical Research, 5, (1944), pp. 1-35. C.L. Musatti, I caratteri percettivi degli
oggetti e la teoria matematica dei gruppi, Rivista di Psicologia, 51, (1957), pp.
331-341.
POSTFAZIONE 391

Sintetizzando quanto sopra in una matrice di corri-


spondenze tra costanze percettive e gruppi di trasforma-
zioni di Lie si otterrebbe quanto segue:

Invarianti percettivi Gruppi di Lie

A. costanza di forma A. gruppi lineari o affini


a. localizzazione a. traslazioni orizzontali
nel campo visivo o verticali
b. orientazione b. rotazioni
c. visione binoculare c. rotazioni iperboliche
d. memoria della forma d. traslazioni temporali
B. costanza di grandezza B. gruppi di dilatazione
C. moto C. gruppi bidimensionali
di Lorentz

6. Eulero

Tra le centinaia di illustrazioni di cui Alfred Hoheneg-


ger10 fa dono al lettore nel suo Il lato complice: implicazioni
angolari, ve ne sono due di particolare interesse per la pre-
sente disamina cubiforme. Sono la raffigurazione rispettiva-
mente isometrica e assonometrica dello stesso cubo:

135

90

45
45

1 2

10. A. Hohenegger, Il lato complice: implicazioni angolari, Petruzzi, Citt di Castello


1998, p. 112.
392 FENOMENOLOGIA ERETICA

Di primo acchito, entrambe le figure, luna costruita


a partire da una losanga, laltra a partire da un quadrato
fronto-parallelo allosservatore, sollevano un grappolo di
nodi teorici di non trascurabile significato: ne verranno
esaminati solo alcuni.
Il primo: il carattere, quasi banale, di Urphnomen della
diagonalit, specie se il campo esperienziale costituito da
soli stimoli surrogati ossia raffigurazioni visive di percetti
onticamente distinti dalle prime, emerge prepotentemen-
te. plausibile che una qualsiasi percezione di profondi-
t, o solidit, svanirebbe in assenza di una, seppur mini-
ma, indicazione vettoriale dellangolarit. Una direzione,
naturalmente fittizia in tal caso, congruente o contraria
al piano dellosservazione diverrebbe indispensabile alla
resa volumetrica del percetto: la sola sovrapponibilit o
giustapposizione dei contorni non sarebbero sufficienti a
tale scopo e, comunque, non avrebbero la medesima resa
fenomenica.
Il secondo: lassoluta superfluit di una discriminazio-
ne tissurale o cromatica tra la figura e lo sfondo o il sup-
porto della raffigurazione. Quanto poco essa sia frutto del-
la presenza di un contorno chiuso dimostrato dalla resa
fenomenica dei percetti inscritti nei margini quasi-percet-
tivi: qui la lettura fenomenica di uno spazio altro rispetto
al supporto cartaceo, sebbene nulla vi sia a differenziarli,
palese e indiscutibile. Il volume figurale solidarmente
acquisito nellatto stesso della visione a prescindere dalla
pregnanza gestaltica, ovvero, come se lidentit del per-
cetto in primis, il suo opporsi proprio in questo modo e
non in altri come volume in s conchiuso e inespugnabile
allosservazione in profondit, sia esso a convogliare suc-
cessivamente ogni possibile conseguente atto percettivo
o interpretativo in un insieme coerente. Supporre che si-
mile identit segua da una definizione dellortogonalit,
a monte dunque, lascerebbe insoluto il perch gli spazi
volumetrici continuino a essere oggetto desperienza fe-
nomenica pur in assenza di ortogonalit.
Il terzo: lespressione numerica dei gradi angolari
pone in risalto un aspetto tanto semplice quanto fondati-
POSTFAZIONE 393

vo. A dispetto dei ventiquattro angoli retti indispensabili


al cubo oggetto, il cubo surrogato ne necessita solamente
di quattro percepibili e di altri quattro di natura modale.
La resa volumetrica cos interamente affidata agli an-
goli di 45 e di 135, del tutto alieni al cubo oggetto. Da
notare pure che ci non in funzione di una raffigurazio-
ne prospettica poich non vi sono punti di fuga. Tutto fa
supporre che il cubo surrogato viva di moto proprio, facen-
do leva, col fine di presentarsi in modo persuasivo come
solido regolare, a propriet costitutive del tutto, o quasi,
indipendenti da quelle proprie del cubo oggetto. Ma su
tale punto bene soffermarsi ancora un poco, tentando
un percorso dissimile da un possibile explanans, secondo
cui una simile discrepanza andrebbe ricondotta a note di-
stonie, e limitazioni, pitturali.
La formula di Eulero V-S+F=2 che pone in relazione
i vertici, gli spigoli e le facce dei solidi geometrici regola-
ri, se costretta, in maniera spregiudicata, a misurarsi con
unapplicazione fenomenologica, ad essa in origine del
tutto estranea sia ben chiaro, offre un motivo di singolare
riflessione sullincolmabilit intercorrente tra lapproccio
geometrico e lapproccio fenomenologico al problema
percettivo del volume figurale.
Se applicata allesempio cubico, il secondo dei solidi
platonici, la formula di Eulero diviene 8-12+6=2. Venendo
soddisfatta lequivalenza, si in grado di asserire che il
solido appartiene allinsieme dei poliedri regolari, assie-
me al tetraedro, lottaedro, il dodecaedro, licosaedro e a
tutti i solidi aventi per facce poligoni regolari. Ora, cosa
accade se la formula di Eulero viene utilizzata in chiave
puramente percettiva anzich geometrica? Per scoprirlo
basta, molto banalmente, sostituire i valori numerici pre-
cedenti, propri dello scheletro geometrico del cubo, con i
valori numerici derivanti dallelementare osservazione di
un cubo opaco, sia esso oggettivo o surrogato: lequazione
diverr 7-9+3=1, ossia di un cubo o di un cubo raffigurato
si vedranno sempre e solo 7 vertici, lottavo presente mo-
dalmente, 9 spigoli, poich tre sono presenti modalmente
e appartengono alle tre facce non direttamente perce-
394 FENOMENOLOGIA ERETICA

pibili, e 3 facce, dal momento che le rimanenti tre sono


presenti modalmente. La prima bizzarria che si incontra
in questo semplice esercizio di fenomenologia geometrizzata
consiste nel constatare che, per ogni solido regolare, la
formula euleriana fenomenologizzata d sempre 1. Pure nel
caso singolare del tetraedro, sia esso osservato dal vertice
superiore o in posizione fronto-parallela, ottenendo cos
due equivalenze del tipo 4-6+3=1, per il primo, e 4-5+2=1
per il secondo, la formula non fa difetto.
A questo punto, parrebbe che si sia entrati in posses-
so di un criterio fenomenologico per stabilire la solidit
regolare di un insieme percettivo di volumi, almeno pari
al criterio euleriano per stabilirne la regolarit geometri-
ca: ogniqualvolta si dovesse ottenere che la formula ven-
ga soddisfatta per 1, si potrebbe supporre che il solido
percepito, surrogato o meno non ha importanza, sia un
solido regolare. Ma una seconda constatazione, a pensar
bene meno bizzarra della prima in quanto ne una con-
seguenza logica, emerge al momento di testare la portata
dellipotesi summenzionata e ci proprio sulla scorta del
caso sospetto del tetraedro. Infatti, perch mai la formula
dovrebbe dare sempre 1, e lo stesso per il tetraedro pas-
sibile di duplice percezione e, dunque, di duplice tratta-
mento numerico? Al primo quesito si potrebbe risponde-
re che il valore 1, lovvia met di 2, sia riconducibile al
fatto che di un solido opaco, anche surrogato, sono os-
servabili sempre e solo, al massimo, la met delle facce
complessive: tre per il cubo, quattro per lottaedro, sei per
il dodecaedro e cos via, ma rimarrebbe sempre escluso il
tetraedro di cui sarebbero accessibili alla visione sia due
sia tre facce sulle quattro complessive, a seconda dellan-
golo di osservazione.
La prova del nove sar, quindi, di applicare la formula
fenomenologizzata al caso dei poligoni, ossia al caso del-
le figure piane. In questa nuova applicazione, venendo
meno la presenza modale delle parti, in quanto scompa-
re il volume, diverr evidente la congruenza del doppio
utilizzo della formula di Eulero che, necessariamente, si
ridurr a unica espressione: la formula originaria stessa,
POSTFAZIONE 395

proprio nella misura in cui lo scheletro geometrico divie-


ne Gestalt.
Per il caso del poligono quadrato si otterr: 44+1=1
ossia i quattro vertici, i quattro spigoli che ora sono i lati,
lunica faccia piana. Dal punto di vista euleriano eviden-
te che la mancata soddisfazione dellequazione, non si ot-
tiene lequivalenza a 2, significa la categorica non appar-
tenenza della figura allinsieme dei solidi regolari ma, dal
punto di vista fenomenologico ci cosa verrebbe a signifi-
care? Lunica conclusione plausibile, dal momento che la
formula d proprio 1 anche quando applicata alle figure
percepite come solidi, consiste nellaccettare il fatto che lo
strumento teorico di Eulero, se applicato a quanto non
struttura geometrica nella sua interezza, non pu non leg-
gere i solidi della percezione visiva, inclusi quelli surrogati,
se non come figure bidimensionali, in cui ogni parvenza,
o fattualit, volumetrica svanisce del tutto.
Il percorso euleriano, ovviamente fenomenologizzato,
ha dunque condotto al medesimo risultato delle proiezio-
ni isonometrica ed assononometrica rappresentate dalle
precedenti figure, pur percorrendo un periplo del tutto
dissimile: se, nel caso delle proiezioni, risultava visivamen-
te evidente che la bont della resa cubica di uno stimolo
surrogato dipendeva da principi propri e non congruen-
ti allaspetto geometrico del solido cubico; nel caso della
formula di Eulero, risulterebbe altrettanto evidente, seb-
bene non visivamente ma analiticamente, che la discrimina-
zione percettiva tra le figure piane e quelle volumetriche
non sia riconducibile a un processo pre-visivo di natura
geometrica. Addirittura, si potrebbe concludere che, pa-
rimenti, un processo pre-visivo di natura algoritmica, sul
tipo delineato dalla teoria dei gruppi di Lie, sia insuffi-
ciente a illuminare tale discriminazione, in quanto pure
questo approccio risulterebbe deficitario di unaccurata,
quanto necessaria, tripartizione sperimentale tra una fe-
nomenologia dei solidi, una fenomenologia delle entit
geometriche e una fenomenologia della raffigurazione bi-
dimensionale tout court.
397

INDICE DEI NOMI

Abbott, F. A., 158 Carroll, L., 95


Agostini, T., 268 n Cartesio, 37, 38, 45, 51, 52, 88,
Artaud, A., 38 99, 102, 110, 153, 244, 287,
Ash, M.G., 247 n 288, 308, 309, 339, 340
Austin, J.L., 196 n, 301, 310 Casati, R., 139 n, 206, 292 n
Ayer, A.J., 248 Cassirer, E., 390 n
Cattaruzza, S., 43, 131 n, 262, 397
Berkeley, G., 153, 258, 287 Chauvir, C., 132 n
Bianchi I., 217 n, 219, 256 ., 280, Chou, C., 98
282, 294, 296 Coliva, A., 96 n, 99, 100, 103
Bodei, R., 177 n Comerci, N., 86 n
Boniolo, G., 198 n, 256 n Cometti, J.P., 148 n
Borel, A., 390 n Condillac, . B., 244
Borges, J.L., 37, 45, 46, 175, 177, Costa, V., 68 n
179, 180, 199
Boring, E.G., 246 n, 255, 256 n Danto, A.C., 180 n
Bozzi, P., 18, 19, 20, 30, 36 n, 41 Ded, M., 389 n
n, 82 n, 113, 118 n, 121-125, Deleuze, G., 105 n, 370
130, 131, 146, 187, 188, 193, DellAnna, A., 94 n, 196, 397
195, 197, 202, 208-210, 232, De Monticelli, R., 61 n, 62, 100
234, 236 n, 243n-245n, 247, Derossi, G., 52 n, 53, 63, 89, 155,
248, 252, 253, 256 n, 257 n, 157, 397
262, 263, 272, 284-288, 300, Don, M., 179 n,
301, 307, 308, 311, 313, 326 Dunlop, C.E.M., 140 n
Brahe, T., 40
Braitenberg, V., 308 n Eddington, A.S., 197 n, 198
Brentano, F., 47, 245, 246 Ehrenfels, Ch. Von, 190 n, 246
Budd, M., 116 n Engel, P., 149 n
Burigana, L., 194 n, 231, 248, 382 Eraclito, 40, 184, 201, 318
Burke, L., 218, 273 n
Farneti, P., 210 n
Calabi, C., 161 n, 229 Ferrari, C.F., 292 n
Cappuccio, M., 101 n Ferraris, M., 11, 17, 40 n, 41, 101
Caramelli, N., 244 n n, 163, 164, 188 n, 196 n,
Carbone, M., 80 n, 85 209, 244, 293, 307
398 FENOMENOLOGIA ERETICA

Feyerabend, P., 40 Kanizsa, G., 17, 19, 28, 30, 127,


Foucault, M., 34 n 164, 210, 211 n, 212 n-213,
Franzini, E., 68 n 215, 218, 220 n, 222, 225,
Frascolla, P., 159 n 232, 237, 239, 243 n, 244
Frege, G., 206 n, 210, 245, 251, n, 247, 253, 293 n, 296-299,
285, 286 328, 342, 343, 386 n
Kant, I., 21, 26, 34, 35 n, 40, 69,
Gadamer, H.G., 320 106, 190, 196, 232, 234, 244,
Gadda, C.E., 35 312, 316, 337, 368
Galileo, 40, 236, 326, 326, 360 Kardos, L., 268 n, 270
Gallese, V., 80 n, 94 n Katz, D., 247
Gambazzi, P., 85 n Keplero, G., 40
Gelb, A., 267, 268n-271, 337 Kirchmayr, R., 49, 70 n
Gerbino, W., 92 n, 93, 218 Koffka, K., 31, 200 n-202, 205,
Gibson, J.J., 17, 31, 148 n, 202, 210, 231, 246-247, 253, 268,
210 n, 218, 225, 288, 350 381, 389
Goethe, W. J., 116, 241, 245, 372 Khler, W., 17, 56 n, 116, 149,
Gregory, R.L., 161 171, 212, 246, 247, 251, 252,
Grossi, E., 210 n 254, 256, 257 n, 358
Guillaume, P., 235 n Kraus, K., 113
Kriszat, G., 381 n
Hamlyn, D.W., 244 n Kuhn, T., 40
Heidegger, M., 16, 47 n, 177 n,
178 n-179, 191, 197, 198, Laugier, S., 132 n
246, 320, 364 Leghissa, G., 11, 59 n
Hoffman, W.C., 390 n Legrenzi, P., 386 n
Hohenegger, A., 391 n Leibniz, G.W., 206 n, 244
Hume D., 57, 244, 256, 328, 340, Leyton, M., 390 n
341, 347, 350 Lewis, P.B., 128 n
Humprhreys-Owen, S.P.F., 382 n Locke, J., 244 n
Husserl, E., 15, 16, 19, 43, 47 n, Lorenz, K., 131 n, 198, 331, 337,
50, 51 n-54-58 n, 59-71, 73, 381
79-83, 104, 156, 177, 180, Losito, M., 202, 236, 379
197, 202, 236 n, 245, 246, Lowe, E.J., 101 n
255, 320, 328, 363, 369, 371 ukasiewicz, J., 65 n, 67

James, W., 106, 113, 116, 187 n, Mach, E., 15, 210, 214 n, 245, 358
245, 329 Malebranche, N., 244
Johnston, P., 120 n, 135-137, 144- Marconi, D., 139 n, 181 n
146 Martinelli, R., 246 n
Masin, S. C., 243 n, 384 n
Kafka, F., 230, 312 Massironi, M., 204 n, 212
Mathieu, V., 181 n, 187 n, 236
INDICE DEI NOMI 399

Mautarelli, C., 124 n, 128, 140 Read, Th, 244


McCann, J.J., 268 n Rosat, J.J., 132 n
Meinong, A., 15, 187, 190 n, 245, Roy, J.M., 255 n
246, 343 Russell, B., 19, 26, 55, 90, 214-215
Melandri, E., 190 n n, 216, 248
Merleau-Ponty, M., 15, 17, 19, 21,
29, 30, 31 n, 32 n, 34 n, 35, Sartre, J.-P., 7, 47, 48, 49 n, 50,
36 n, 39, 41, 47, 67-73, 75-85 246
n, 86-89, 99, 103, 115, 148- Savardi, U., 217 n, 219, 256 n,
152, 154, 161, 179, 199, 200, 280, 282, 294, 296
209, 230, 234, 237-239, 246, Savinio, A., 25
254, 255, 317, 318, 368, 369 Severino, E., 16, 19, 51, 52 n,
Metelli, F., 17, 218 53-55, 56 n, 61 n, 64, 65 n,
Metzger, W., 17, 18, 31, 34 n, 221, 67, 70, 89, 90, 104, 105, 108,
238, 243, 247, 289, 292, 294, 178, 182 n, 183, 184, 186 n,
295 187 n, 190
Mill, J. S., 244 Sini, C., 85 n
Moore, G.E., 19, 32, 33 n, 37, 96, Sinico, M., 43, 247 n, 262
99, 100, 103 Smith, A., 34
Musatti, C.L., 247, 390 n Sonino, M., 386 n
Musil, R., 111 Spiegelberg, H., 246 n
Spinicci, P., 11, 68 n, 96 n, 142 n
Nozick, R., 95 n, 99 Stewart, T., 268 n
Stucci N., 268 n
OConnell, D.N., 93 n Stumpf, C., 15, 245, 246 n
Oliviero, A., 268 n
Ortega y Gasset, J., 105 n Titchener, E.B., 255, 256 n
Toccafondi, F., 247 n
Pachoud, B., 255 n Tolman, E.C., 301 n
Paracchini, F., 66 n, 190
Parovel, 237 n Uexkll, J.V., 381 n
Pasolini, P.P., 32
Pauri, M., 198 n Varela, F., 255 n
Perissinotto, L., 95 n-97, 113, 155 Varzi, A.C., 198 n, 292 n
Peterman, B., 388 n Vassallo, N., 97 n, 99
Petitot, J., 255 n, 390 n Vattimo, G., 181 n
Petter, G., 218 Vicario, G.B., 11, 190 n, 218, 232
Popper, K., 18, 40 n, 203-205, n, 234, 243 n, 248, 256 n,
324, 331 287, 289, 295, 298, 299, 360
Purgh, F., 268 n Voltolini, A., 170 n, 192, 193, 194
Putnam, H., 37 n, 101, 102
Pylyshyn, Z., 161 n Wallach, H., 93 n
400 FENOMENOLOGIA ERETICA

Wertheimer, M., 165 n, 247, 353, n, 159-171, 192-194, 207,


368 210, 301, 310, 320, 324, 332,
Wittgenstein, L., 19, 20, 26, 27, 342, 355, 356
30-32 n, 33 n, 36, 38 n, 48,
94-100 n, 103, 104, 107, 109, Zemach, E.M., 128 n
111, 113, 115-139 n, 140-158 Zhok, A., 116 n, 159 n
Fenomenologia e Ontologia Sperimentali
Collana diretta da Giorgio Derossi

1 Alessandro DellAnna, Lemergenza del paradigma


sensomotorio in filosofia della percezione

2 Serena Cattaruzza, Lindicazione della realt.


Teoria dei segni e della conoscenza in Karl Bhler

3 Luca Taddio, Fenomenologia eretica

4 Carlo Brentari, Segni nellambiente

5 Vittorio Mathieu, Loggettivit

6 Ernst Mach, Analisi delle sensazioni

7 William James, Introduzione alla filosofia (in


preparazione)

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