Facolt di Lettere e Filosofia e di Scienze dell'Educazione Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane M. MI GNUCCI , A. MORETTO, P. ZI ZI , R. PORCHEDDU, C. FERRI NI , L. SAMON, A. FERRARI N, C. MEAZZA, G. MOVI A HEGEL E ARI STOTELE Atti del Convegno di Cagliari (11-15 Aprile 1994) a cura di GI ANCARLO MOVI A AV CAGLI ARI - 1997 VAI ALLA COPERTINA DI QUESTO VOLUME VAI ALL'ELENCO DELLE ANNATE ANNALI DELLA FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA DELLUNIVERSIT DI CAGLIARI NUOVA SERIE XIV (VOL. LI) - 1995 UNIVERSIT DI CAGLIARI 1995 HEGEL E ARI STOTELE Atti del Convegno di Cagliari (11-15 Aprile 1994) a cura di GI ANCARLO MOVI A VAI AL SOMMARIO DI QUESTO VOLUME VAI ALL'ELENCO DELLE ANNATE ELENCO DELLE ANNATE DISPONIBILI Vol. XIV Vol. XXIV Vol. XXV Vol. XXI Vol. XXII Vol. XXIII Vol. XX - II parte Vol. XX - I parte Vol. XIX Vol. XVIII Vol. XVII (non disponibile) Vol. XVI Vol. XV Vol. XXVI SELEZIONARE IL VOLUME CHE SI DESIDERA CONSULTARE ANNALI DELLA FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA DELLUNIVERSIT DI CAGLIARI NUOVA SERIE XIV (VOL. LI) - 1995 SOMMARIO Presentazione Indirizzi di saluto Relazioni: MARIO MIGNUCCI: Lin- terpretazione hegeliana della logica di Aristotele ANTONIO MORETTO: Sul problema della considerazione matematica dellinfinito e del continuo in Aristo- tele e Hegel PAOLO ZIZI: Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel RAIMONDO PORCHEDDU: Lidea aristotelica di natura nellinterpreta- zione di Hegel CINZIA FERRINI: Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica aristotelica per il problema delle grandezze del sistema solare nel primo Hegel LEONARDO SAMON: Atto puro e pensiero di pensiero nel- linterpretazione di Hegel ALFREDO FERRARIN: Riproduzione di forme e esibi- zione di concetti. Immaginazione e pensiero dalla phantasia aristotelica alla Einbildungskraft in Kant e Hegel CARMELINO MEAZZA: Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione GIANCARLO MOVIA: LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellEssere per s Appendice: G.W.F. HEGEL: Chi pensa astratto? Indice dei nomi Notizie sui relatori. UNIVERSIT DI CAGLIARI 1995 Vai all'Indice per selezionare l'Autore del contributo che vuoi consultare A. FERRARI N, C. FERRI NI , C. MEAZZA, M. MI GNUCCI A. MORETTO, G. MOVI A, R. PORCHEDDU, L. SAMON, P. ZI ZI HEGEL E ARI STOTELE Atti del Convegno di Cagliari (11-15 Aprile 1994) a cura di GI ANCARLO MOVI A CAGLI ARI - 1997 EDI ZI ONI AV DELLO STESSO EDI TORE: R. BODEI , F. CHI EREGHI N, P.L. LECI S, L. LUGARI NI , N.C. MOLI NU, G. MOVI A, A. PEPERZAK, F. VALENTI NI , J .-L. VI EI LLARD-BARON, La logica di Hegel e la storia della filosofia, Atti del Convegno di Cagliari (20-22 Aprile 1993), a cura di G. Movia, 292 pp. (Pubblicazioni del Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane dellUniversit di Cagliari, 1). EDI ZI ONI V A Cagliari - 1997 EDI ZI ONI AV di Antonino Valveri - Via M. De Martis, 6 - 09121 Cagliari Tel. e fax 070/54 08 53 PRESENTAZIONE Con Platone incomincia, e con Aristotele si compie il lavoro rivolto a elaborare la scienza filosofica come scienza, e pi precisamente a conferire assetto scientifico al punto di vista socratico: e quindi, se v chi meriti il nome di maestro del genere umano, sono precisamente Platone e Aristotele. G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, II, p. 153 Nel 1992, dal 27 aprile al 2 maggio, nellambito dellinsegna- mento di Storia della filosofia antica, si svolse nella nostra Facolt un seminario su Hegel e la filosofia eleatica, guidato dal prof. Renato Milan, dottore di ricerca dellUniversit di Padova. Fu il primo germe di un progetto assai ambizioso, e tuttora in corso di realizzazione, che doveva portare a Cagliari, per iniziativa con- giunta dellIstituto ed ora Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane e della locale sezione della Societ Filosofica Ita- liana, docenti e studiosi interessati a ridiscutere la portata e la profondit dellinflusso della filosofia greca sul pensiero hegelia- no, tanto nella sua dimensione metodologico-dialettica quanto nella costruzione effettiva del suo sistema speculativo. Il Conve- gno internazionale di studi, tenutosi dal 20 al 22 aprile 1993, i cui Atti sono stati pubblicati nel 1996 presso le Edizioni AV di Caglia- ri, su La logica di Hegel e la storia della filosofia, intendeva, per cos dire, delineare i basilari quadri concettuali ed ermeneutici del suddetto progetto di ricerca e di incontri. Il volume che qui 8 HEGEL E ARISTOTELE presento contiene gli Atti del Convegno svoltosi, sempre a Caglia- ri, dall11 al 15 aprile 1994 su Hegel interprete di Aristotele. Nei giorni 3 e 4 aprile 1995 si tenuto un Convegno su Hegel e la filo- sofia ellenistica, cui hanno fatto seguito gli incontri internazionali su Hegel e il neoplatonismo (16-17 aprile 1996) e su Hegel e il pensiero preplatonico (8-9 aprile 1997). Liniziativa si concluder nel 1998 con un Convegno internazionale su Hegel e Platone. Si sa con quanta ammirazione Hegel abbia studiato e riflet- tuto (sin dai primi anni della sua formazione) sul pensiero di Ari- stotele, maggiore di quella riservata ad ogni altro filosofo antico e moderno, al punto da considerarlo, insieme con Platone, il mae- stro per eccellenza del genere umano. Eppure altrettanto noto che, gi per lo Hegel jenese, il principio superiore dellet mo- derna, il principio del Nord, la soggettivit, non era cono- sciuta da Platone, anzi dagli antichi, o, meglio, non si era per essi ancora posta come tale: nemmeno per Aristotele, il cui princi- pio della enrgheia e della soggettivit autoreferenziale Hegel pur coglie come la ultimativa struttura di fondo che anima il suo pen- siero. Lunit immediata delluniversale e dellindividuale, pre- sente nellepoca antica, doveva passare attraverso la scissione pi alta, perch si potesse restaurare, ad un pi alto livello, la totalit vivente. I contributi di questo volume non hanno alcuna pretesa di completezza esaustiva, pur affrontando alcuni nodi problematici essenziali che riguardano i due autori e che interessano la logica formale e quella speculativa, la filosofia della matematica e quella della natura, lontologia e la metafisica, la psicologia e leti- ca, e pur coinvolgendo nelle loro analisi retrospettive e prospetti- ve ampie sezioni della storia della filosofia, dai Pitagorici a Hei- degger. I contributi sono dedicati fondamentalmente allo studio del complesso intreccio di appropriazione e di alterit irriducibile tra Aristotele e Hegel, di comunanza e anche di confutazione reci- proca. Un intreccio e un gioco di rapporti che ha ai suoi punti 9 Presentazione estremi da un lato lo sforzo hegeliano di assimilazione a s del pensiero dello Stagirita, anche attraverso alcune patenti violenze interpretative, e dallaltro lato la funzione di criterio di giudizio e misura di valore che la filosofia aristotelica in grado di esercita- re nei confronti della posizione hegeliana, che pure, a sua volta, tenta loltrepassamento del pensatore greco. Nella prima relazione al Convegno, su Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele, Mario Mignucci esamina il giudizio che Hegel d, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, della logica aristotelica contenuta nel cosiddetto Organon. Mignucci il- lustra preliminarmente la nozione aristotelica di logica: Aristotele liniziatore consapevole della logica nel mondo occidentale, giacch per primo mostra dintendere la logica come teoria del- linferenza. Pi precisamente, per lo Stagirita, compito della logi- ca quello di distinguere le inferenze corrette da quelle scorrette, e ci in dipendenza non gi dai contenuti, ma dalla struttura for- male delle premesse. Ne deriva allora che, se legittima lidea che la logica sia la teoria dellinferenza e che la logica aristotelica sia la prima teoria dellinferenza dellOccidente, sembra altrettan- to legittima, almeno in linea di principio, la prospettiva hegeliana secondo cui la logica la descrizione delle forme del pensiero e la logica aristotelica la teoria di alcune forme finite del pensiero, ovvero non collegate in una struttura generale e unificante. Mi- gnucci rileva daltro canto che lassenza di sillogismi nella costru- zione delle dottrine filosofiche di Aristotele non dipende, come crede Hegel, da una questione di principio, ossia dallincapacit della logica aristotelica di adeguarsi alle movenze del pensiero in- finito, ma soltanto da una questione di fatto, giacch lo Stagirita riteneva di aver gi provato ladeguatezza della forma sillogistica alle argomentazioni filosofiche. Il secondo saggio del volume, di Antonio Moretto, si soffer- ma Sul problema della considerazione matematica dellinfinito e del continuo in Aristotele e Hegel. Lautore confronta i punti di 10 HEGEL E ARISTOTELE vista sullinfinito e il continuo di Aristotele e di Hegel, quali risul- tano soprattutto dalla Fisica del primo e dalla Logica del secondo. Le concezioni dellinfinito e del continuo di Aristotele sono per Hegel adeguate alla matematica come scienza rigorosa dellintel- letto. Hegel riconosce che una matematica infinitesimale rigorosa, adeguata al suo standard di scienza dellintelletto, accoglie linfini- to sotto laspetto potenziale (Lagrange). Tuttavia egli trova che al- tre proposte dei matematici moderni (Galilei, Cavalieri), riabili- tando il concetto di infinito attuale, intuiscono un concetto di vera infinit che assorbe in s linfinit potenziale e il limite. Mo- retto mostra che Hegel rinviene in Spinoza, ma anche gi nel ge- nere del misto del Filebo platonico, il superamento della dicoto- mia finito-infinito e, quindi, lapprodo al punto di vista della ra- gione. Anche nel caso della nozione del continuo (e di quella co- appartente del discreto), che Hegel ripensa anche attraverso una fruttuosa Auseinandersetzung col logos zenoniano della dicotomia e con lantinomica kantiana, il superamento della concezione ari- stotelica della continuit come divisibilit allinfinito di ci che esteso comporta, per Hegel, il passaggio dalla sfera dellintelletto a quella della ragione. Il continuo si ricompone come una infinit attuale di indivisibili, e anche questa nozione favorir successive elaborazioni concettuali della teoria degli insiemi. Paolo Zizi si occupa de Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel. La nozione hegeliana di intero, come lele- mento universale che racchiude in s il particolare, ispirata al- lassioma aristotelico dellanteriorit essenziale dellintero rispetto alle parti, che gi il primo Hegel aveva verificato nelle nozioni del vivente e della volont generale. Zizi approfondisce partico- larmente il nesso fra intero e dialettica, la quale, secondo Hegel, lo strumento conoscitivo piu idoneo per lapproccio allintero e al suo principio. Nella Fenomenologia Hegel si rif al concetto di dia- lettica negativa del Parmenide platonico e soprattutto dei Topici aristotelici, smascherando linconsistenza di tutti i tentativi del 11 Presentazione pensiero finito di esprimere lassoluto. Laccezione positiva del- la dialettica, come automovimento dei concetti, viene sviluppata da Hegel nella Scienza della logica e nel sistema dellEnciclopedia, nelle quali il filosofo di Stoccarda valorizza la concezione aristo- telica della metafisica come scienza dellessere in quanto essere e come teoria della verit dellintero. Ad entrambi i filosofi resta in comune il proposito di combattere ogni posizione che scambi una certezza particolare con il sapere dellintero. Hegel peraltro, ri- spetto alla teoria aristotelica della plurivocit dei significati del- lessere, privilegia la dottrina, pur essa aristotelica, dellunit di consecuzione dei termini che, a suo parere, autorizza una dialetti- ca speculativa di tipo deduttivistico. Ne deriva che, mentre per lo Stagirita, creatore (insieme con Platone) di una metafisica proble- matica, lintero spiegato mediante una causa che trascende le fi- nitezze, Hegel, sostenitore di una metafisica immanentistica, con- clude allassolutizzazione dellesperienza e della storia. Lidea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel il tema affrontato nel saggio di Raimondo Porcheddu. Si mostra anzitutto che le Lezioni hegeliane sembrano far da contrappunto alla polemica antimeccanicistica e antievoluzionistica condotta da Aristotele nella Fisica. La presa di distanza di Hegel da Spinoza passa attraverso la riscoperta della teleologia aristotelica, risco- perta a sua volta mediata dal finalismo colto da Kant nel mondo organico. La natura appare a Hegel dominata dalla finalit inter- na, che egli peraltro interpreta secondo lapparato dialettico della propria filosofia: la natura, per Hegel, lidea che realizza se stes- sa. Di qui la propensione del filosofo di Stoccarda a identificare il Motore immobile con la natura stessa, e il privilegiamento della forma, dellentelecha e della soggettivit autoriferentesi, col peri- colo di minimizzare il ruolo del sostrato materiale sino a ridurlo a pura idealit o a momento mediato dal concetto. A Porcheddu sembra che Leibniz, meglio di Hegel, abbia colto la natura della sostanza aristotelica e del suo finalismo. Egli mette anche in evi- 12 HEGEL E ARISTOTELE denza che, dal punto di vista aristotelico, non la natura spirito, ma piuttosto lo spirito per natura. Non la dialettica, quindi, pu spiegare la natura, ma essa stessa da spiegare perch anchessa rientra nella storicit della natura. A codesta storicit fa capo lo stesso spirito finito delluomo, che il luogo in cui la natura pren- de coscienza di s nellapertura alla trascendenza. La relazione di Cinzia Ferrini: Tra etica e filosofia della na- tura: il significato della Metafisica aristotelica per il problema del- le grandezze del sistema solare nel primo Hegel rinviene le trac- ce dellinflusso della Metafisica di Aristotele sulla matematica del- la natura nei primi scritti di Hegel, e in particolare nel De orbitis planetarum. Nella prima filosofia della natura hegeliana si pu rintracciare un richiamo al pensiero aristotelico, che assume un ruolo prioritario rispetto alle dottrine pitagoriche e platoniche sul numero. La Ferrini rileva altres che lorigine della riflessione di Hegel sul mondo fisico in generale e sui moti e la disposizione del sistema solare in particolare legata a una prospettiva etico- religiosa, che si riflette anche sullapproccio antikantiano (e antifi- chtiano) di Hegel alla moralit. Si ha cos una Naturphilosophie speculativa, che intende conoscere in modo oggettivo, univer- sale e necessario le leggi specifiche della natura, basandosi sulle idee della ragione (e non sulle categorie dellintelletto), e che svol- ge una funzione critica sia nei confronti delle leggi della meccani- ca esterne alla natura, sia, tramite la mediazione aristotelica e il suo concetto di Dio come sostanza attiva, contro la stessa schel- linghiana filosofia dellidentit. Al tempo stesso, il riferimento di- retto allattivit della virt adempie un compito critico nei con- fronti dellartificialit e del formalismo della morale kantiana, contraendo cosi Hegel un debito anche con lEtica Nicomachea. Tut- ti questi aspetti risultano peraltro pienamente comprensibili solo alla luce delle Lezioni sulla storia deIla filosofia. Leonardo Samon, nel saggio su Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel, mostra che il tratto pi 13 Presentazione speculativo che Hegel indica nella filosofia di Aristotele appun- to il pensiero di pensiero, in cui, per il filosofo tedesco, sono racchiuse tanto lunit di soggettivo e oggettivo quanto la verit concepita ed espressa non solo come sostanza, ma anche come soggetto. La differenza innegabile tra le due filosofie dovuta alle implicazioni dirompenti sotto il profilo sistematico che Hegel ha tratto dalla nozione di pensiero di pensiero. Tali implicazioni sono state favorite, tra laltro, dallintegrazione della prova co- smologica aristotelica col passaggio dal pensiero (il concetto, il principio finale) allessere proprio della prova ontologica; o anche dalla ripresa della dottrina neoplatonica della connessione tra Dio e mondo, e del pensiero di s come compendio del pensiero di tutte le cose. Il nucleo del discorso resta tuttavia, per il filosofo te- desco, insuperabilmente aristotelico. Hegel cerca infatti il filo conduttore della dottrina aristotelica della sostanza e lo ritrova nel principio dellatto o attivit, definito come lautodeterminarsi, ci che realizza se stesso, ci che muove. Hegel vede anzi nella sostanza dellanima aristotelica, intesa dapprima come natura, e poi soprattutto come spirito, un tipo di raccordo privilegiato per laccesso alla sostanza immobile. Larticolazione interna allatto puro di fatto mediata attraverso i concetti di vita e di pensie- ro. Samon sottolinea che il punto teoricamente forse pi delica- to quello in cui Hegel definisce il primo Motore immobile come unit di potenza e atto e pensa latto puro come movimento che ha come materia la propria essenza. Tuttavia Hegel mostra qui di intendere la potenza come il modo di essere della relazione ad al- tro, tale da rimanere dentro latto stesso quale suo tratto essen- ziale. La differenza un modo dessere che va ricondotto a quel- la sostanza che coincide con latto. In questa maniera non viene persa di vista la prospettiva dellimmobilit e dellindivisibilit dellatto. La relazione di Alfredo Ferrarin: Riproduzione di forme e esibizione di concetti. Immaginazione e pensiero dalla phantasia 14 HEGEL E ARISTOTELE aristotelica alla Einbildungskraft in Kant e Hegel rileva che pochi tra i punti centrali della filosofia della natura aristotelica sono so- pravvissuti indenni al tempo, ed in particolare alla rivoluzione scientifica seicentesca, quanto la dottrina dellimmaginazione, nel suo rapporto con la sensazione da un lato, col tempo, la memoria e il senso comune dallaltro. La teoria dellimmaginazione fon- damentale per il concetto di sintesi a priori in Kant. Il ruolo me- diatore tra intuizione e concetto svolto dallimmaginazione in Kant ha ricordato a pi di un interprete (ad es., a Heidegger) lanaloga funzione di raccordo tra senso ed intelletto asserita da Aristotele. In realt, il concetto di determinazione a priori delle forme pure di spazio e tempo, lo schematismo, il rapporto tra senso interno, contenuti dellesperienza e tempo, in particolare il concetto di autoaffezione: tutto questo definisce limmaginazio- ne trascendentale ed un portato originale della rivoluzione co- pernicana di Kant. Di fronte a questa, si pu dire che Hegel prima facie ritorni ad una concezione aristotelica dellimmaginazione. Molti sono i punti in comune con Aristotele. Ad es., il principio aristotelico per cui ogni forma del conoscere materia per una forma superiore fa s che, nella hegeliana filosofia dello spirito teo- retico, limmaginazione sia concepita come un risultato e, insie- me, come linizio delle forme soggettive generantisi luna dallal- tra. Inoltre la descrizione di molti lati dellimmaginazione che per Kant sarebbero empirici, e non trascendentali si possono ricondurre ad Aristotele. Ancora: grazie alla concezione dello spirito come hexis che possibile linteriorizzazione hegeliana. Infine, il principio che Hegel ritrova in Aristotele e che fa valere contro Kant, quello per cui, per lintelligenza, intuizione e con- cetto non sono pi due forme date come separate, ma si defini- scono come i due poli della recettivit apparente e dellattivit, nellambito del movimento immanente del pensiero. Ma proprio questo principio mostra come Hegel si distacchi da Aristotele e concepisca la filosofia della soggettivit come il superamento tan- 15 Presentazione to di Aristotele quanto di Kant (e Fichte). Limmaginazione, come la memoria, non , come in Aristotele, unaffezione del senso co- mune, un residuo della sensazione, ma limmediato presupposto soggettivo del pensiero puro. N autoaffezione come in Kant, ossia effetto dellintelletto sullintuizione spazio-temporale, ma conclude Ferrarin momento essenziale dellautodeterminazio- ne e della finitizzazione del pensiero in noi. Il saggio di Carmelino Meazza, su Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione, mira a ricostruire, sulla scorta di Hegel e Heidegger e col ricorso al vaglio critico di Levi- nas, la nozione aristotelica di physis. La prima definizione che Aristotele d della physis, secondo Heidegger, ha al suo centro la questione del movimento o della motilit. Lente che proviene dalla physis, o tutto o una parte, qualcosa di mosso, cio di de- terminato dalla motilit. Per Aristotele, secondo Heidegger, il movimento non una cosa tra le altre, ma, come esser mosso, il centro di una domanda essenziale: che cos lente in quanto ente? La seconda definizione aristotelica di physis pone invece la physis come causa originaria. Come essere nel movimento non significa essere necessariamente in movimento, cos essere causati non si- gnifica avere la causa come esterna a s. Lo Stagirita, secondo Heidegger, ci conduce alla definizione essenziale dellente: lente in quanto ha il suo essere come sostegno per il suo esser posto o esser avviato. Lessenzialit di questo avvio la motilit, che di- venta il carattere fondamentale dellente; il movimento ha il carat- tere dellarrivare a presentarsi. Ora c un punto in cui Heideg- ger sembra avvicinarsi alla lettura hegeliana della physis aristote- lica: la pianta, ad es., che procede in avanti, sempre pi raccolta nella propria origine: lorigine che diviene. Hegel, nelle Lezioni, aveva detto: limmoto che muove lidea che rimane identica a se stessa e che, mentre muove, rimane in relazione a se stessa. E tut- tavia in Heidegger la forma esegue, mentre in Hegel la forma at- tua. Cionondimeno c una familiarit originaria tra Hegel e Hei- 16 HEGEL E ARISTOTELE degger nei seguenti punti essenziali: la concezione del niente come ci che avvia il movimento, la totalit del circolo erme- neutico finito-infinito, la ossessione del metodo. Meazza mostra che qui si innesta la lettura aristotelica di Levinas, il quale recu- pera leccedenza di Aristotele rispetto alle tradizionali figure dei circoli. Il chi muove, almeno per un istante, non pu apparte- nere al mosso; occorre che, per un attimo, leternit si sottragga al movimento. Si tratta di uneternit che nessuna storia pu mutare o trasformare: che attiva il tempo, ma impassibile al consumo del tempo, e che, quindi, garanzia delleternit stessa del tempo. La relazione di chi scrive un saggio di commento alla logi- ca hegeliana dellEssere per s e quindi alla dottrina del rapporto dialettico tra lUno e i molti. Hegel condivide il paradigma onto- logico (primato dellessere sulluno) proposto dallo Stagirita in al- ternativa a quello henologico di Platone. Per Hegel la prima cate- goria della logica, fondamento di tutte le categorie successive, non lUno (che gi una nozione pi complessa e concreta), ma lEssere, bench si tratti dellEssere assolutamente indeterminato e non gi dellente in quanto ente, ossia dellente polivoco di Ari- stotele. Limmediata, intriseca, originaria molteplicit dellUno affermata, poi, tanto da Aristotele quanto da Hegel, con la diffe- renza essenziale che, per questultimo, la molteplicit dellUno non d luogo ad una pluralit di significati: i termini a cui lUno si riferisce nella sua autoframmentazione sono essi stessi, per identit, degli uno, sicch in essi lUno si riferisce solo a se stesso. Infine le riflessioni hegeliane sulla dottrina aristotelica dellistan- te, del punto e del limite in generale, concepiti ciascuno sia come uno sia come molti, mostrano che laffermazione aristotelica dellidentit reale e della differenza logica di due determinazioni opposte (appunto lunit e la molteplicit) sufficiente a Hegel per attribuire allo Stagirita il superamento del principio intellet- tualistico didentit e per ritrovare anche in lui (come gi in Plato- ne) la contraddizione dialettica. 17 Presentazione In appendice al volume il lettore trover una nuova traduzio- ne italiana (con introduzione e commento), curata da Franca Ma- stromatteo e Leonardo Paganelli, di un articolo di Hegel, risalente al 1807, dal titolo: Chi pensa astratto?. Uno Hegel apparentemen- te minore, ma in realt meritevole di una rilettura critica. Ringrazio cordialmente il prof. Paolo Cugusi, Preside della Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit di Cagliari, il Consiglio di Facolt e la commissione per le pubblicazioni della Facolt stes- sa, composta dal Preside e dalle colleghe prof.sse Luisa DArienzo e Maria Teresa Marcialis, per aver finanziato la pubblicazione del volume e per averlo ospitato negli Annali della Facolt. Ringrazio anche il prof. Pasquale Mistretta, Rettore Magnifico dellUniversit di Cagliari, per la concessione di un ulteriore contributo finanzia- rio. Il mio grazie affettuoso va infine allEditore Antonino Valveri, che ancora una volta ha dimostrato la sua ammirevole fiducia nella cultura filosofica. GIANCARLO MOVIA INDIRIZZI DI SALUTO LUISA DARIENZO PRESIDE DELLA FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIA Diamo inizio a queste cinque giornate dedicate a Hegel in- terprete di Aristotele, ricordando che sono ormai tre anni che siamo abituati a questa scadenza hegeliana. Ci si offre un altro convegno di studi di grande interesse e di alto valore scientifico. Devo inoltre ricordare che lIstituto di Filosofia della Facolt di Lettere dellUniversit di Cagliari presente in modo incisivo nel- le iniziative culturali dellAteneo. Nel suo ambito, infatti, molto attiva anche la sezione cagliaritana della Societ filosofica italia- na. Anche questa sezione ha al suo attivo un triennio di vita du- rante il quale sono stati svolti seminari e conferenze. La sezione pubblica un Bollettino informativo, e fanno parte di essa un centi- naio di soci, fra i quali molto numerosi sono i professori di Liceo e delle Scuole medie superiori, che simpegnano soprattutto in funzione dei giovani e a favore della didattica della filosofia. Vedo dal programma che anche la sezione locale della S.F.I. (oltre che lIstituto di Filosofia) figura tra i patrocinatori di questo con- vegno che oggi inizia. Non posso che rallegrarmi per questa atti- vit e per questa collaborazione reciproca. Hegel interprete di Aristotele: un tema quanto mai ampio e di indubbio fascino: un altro convegno cagliaritano su Hegel, un filosofo che visse ben radicato nella realt del suo tempo, che fu a stretto contatto con i giovani dapprima come precettore pri- vato a Berna e a Francoforte e poi come libero docente a Jena. 22 HEGEL E ARISTOTELE Ho notato che in questo convegno stato lasciato molto spazio a giovani relatori. Ci sono dei ricercatori, borsisti, dottori di ricerca, anche se sappiamo che non sempre i ricercatori sono cos giovani, perch, per ottenere un posto di ricercatore, al gior- no doggi bisogna mettersi in una lunga lista dattesa. Mi rallegro per questa scelta fatta a favore dei giovani; vedo che gli organiz- zatori hanno affidato loro dei temi non facili, degli argomenti molto complessi: come il concetto metafisico di intero, lidea aristotelica di natura in Hegel, la metafisica aristotelica in relazio- ne ai moti celesti, atto puro e pensiero di pensiero, e altri temi an- cora. Esprimo il mio compiacimento per laffluenza di pubblico che in prevalenza costituito da giovani e ringrazio i convenuti e in modo particolare i relatori che ci accompagneranno in queste giornate. Alcuni conoscono gi la Sardegna e sono sardi o inse- gnano o hanno insegnato in Sardegna; per loro Cagliari e la no- stra isola non sono una novit. Ma ce n uno che viene da molto lontano, Mario Mignucci, che professore ordinario in una sede prestigiosa, il Kings College di Londra. Egli ci onora con la sua presenza e io lo ringrazio molto anche a nome dei miei colleghi e dei nostri studenti. Essi, ritornando a casa, potranno dire di aver sentito una lezione in diretta dal Kings College, che non cosa da poco. Il prof. Mignucci affronter un tema molto importante e molto complesso: Hegel e la logica aristotelica. Ricordo che la logica fu uno dei temi principali toccati da Hegel e uno degli sfor- zi pi complessi che egli fece nella sua vita di filosofo. La logica fu veramente il cuore del suo sistema, e quindi ascolter il prof. Mignucci con vivo interesse. Rivolgo il benvenuto mio e della Facolt di Lettere sia al pubblico che ai docenti, augurandovi un piacevole soggiorno. C stata una piccola capatina di sole; speriamo che continui e sia un segno benaugurante per il lavoro di queste giornate. 23 Indirizzi di saluto MARIA TERESA MARCIALIS DIRETTORE DELLISTITUTO DI FILOSOFIA DELLA FACOLT DI LETTERE PRESIDENTE DELLA SEZIONE CAGLIARITANA DELLA S.F.I. Rivolgo anchio il mio benvenuto e un caloroso augurio di buon lavoro ai partecipanti al Convegno. la seconda volta che mi trovo a presentare un Convegno su Hegel, questa volta su Hegel interprete di Aristotele. Il mio Aristotele non lAristotele hegeliano; il mio Aristotele lAristo- tele dei libertini, lAristotele di Giulio Cesare Vanini, lAristotele panteista e spinoziano di Bayle, o anche quello empirista della tradizione francese della Acadmie Royale des Sciences: proprio un Aristotele quindi che non piaceva a Hegel. Daltra parte uno degli Aristoteli che attraversano la storia della filosofia. Lo stesso Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, riconosceva la presen- za nella storia di almeno sei Aristoteli: lAristotele storico, il vero Aristotele, anche se molto difficile stabilire quale sia la vera e autentica filosofia aristotelica; lAristotele ciceroniano; lAristotele neoplatonico; lAristotele scolastico, che Hegel non amava; lAristotele rinascimentale; e infine un Aristotele pi mo- derno, quello delle strampalate interpretazioni di Tennemann. A queste sei interpretazioni cui Hegel faceva riferimento, potrem- mo oggi aggiungerne molte altre: da quella di Heidegger, di cui si parler qui al Convegno, fino a quelle relative al neoaristoteli- smo, a quella di Riedel o a quella di MacIntyre. E potremmo ag- giungere anche quella di Hegel, che evidentemente una inter- 24 HEGEL E ARISTOTELE pretazione molto particolare, e, se vogliamo usare questo termi- ne, molto compromessa teoreticamente. LAristotele di Hegel se- gna certo un progresso rispetto allAristotele platonico; per lAristotele del concetto, della determinatezza delle cose colte nel- la loro individualit e non nei loro nessi, e soprattutto viste indi- pendentemente da qualunque unit sintetica. Sono molto lontani i tempi della polemica antiidealistica, quelli in cui la Introduzione alle Lezioni sulla storia della filosofia e le stesse Lezioni venivano considerate come un obiettivo polemico principe. Sono lontani i tempi in cui Franco Lombardi parlava della storia della filosofia hegeliana come di una teoria di salmodianti begrif- fi. Ora latteggiamento pi pacato, non si utilizzano pi formule cos pittoresche ed efficaci come quella di Franco Lombardi; pur vero tuttavia che linterpretazione hegeliana fortemente connota- ta teoreticamente, e questo rende problematica limpostazione sto- riografica hegeliana. Daltra parte proprio questa compromissio- ne (assumendo questo termine senza nessuna carica valutativa) te- oretica di Hegel a rendere suggestive le sue letture aristoteliche. Suggestivo un termine molto estetico e poco filosofico; esso per mette in evidenza certamente la ricchezza e la comples- sit del rapporto effettivo che si istituito tra Hegel e Aristotele, un rapporto tale per cui Hegel si accosta ad Aristotele quasi come ad un contemporaneo, cio come a un filosofo aperto del quale si pu ancora utilizzare la lezione e il cui apporto ancora estre- mamente importante. proprio questa sorta di dibattito per cos dire intemporale tra Hegel e Aristotele a rendere significativa e importante la visione hegeliana di Aristotele, sia pure con tutti i limiti storiografici di cui prima parlavamo, tanto nelle Lezioni sul- la storia della filosofia quanto nel corso di tutto il suo pensiero. Di questi tre livelli dellapproccio di Hegel ad Aristotele: il livello interpretativo, il livello teso a individuare lapporto che Aristotele pu aver dato alla filosofia hegeliana, e il livello, pi specificatamente teoretico, che tiene conto del dialogo, del dibat- 25 Indirizzi di saluto tito che si stabilito tra Hegel e Aristotele, abbiamo nel program- ma del Convegno delle significative testimonianze. Si parler in- fatti dellidea aristotelica della natura nellinterpretazione hege- liana, si parler delle dottrine dellatto puro e del pensiero di pen- siero nellinterpretazione di Hegel, ma si terr anche conto del- lapporto di Aristotele al problema dellintero in Hegel, e dellinci- denza del pensiero dello Stagirita nella formazione culturale del giovane Hegel. Mi pare che proprio questi diversi livelli di lettura non possano che costituire un elemento di grande interesse per questo Convegno. RELAZIONI MARIO MIGNUCCI LINTERPRETAZIONE HEGELIANA DELLA LOGICA DI ARISTOTELE I Esaminare linterpretazione che Hegel d della logica di Aristotele non facile, non solo perch il tema difficile e richie- derebbe acume e competenze che probabilmente mi mancano, ma anche per motivi, diciamo cos, oggettivi. Se leggiamo le poche pagine che Hegel dedica alla logica di Aristotele nelle Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie ( 1 ) possiamo notare immediata- mente come egli non si diffonda molto sui dettagli della teoria aristotelica e faccia piuttosto prevalere una valutazione comples- siva di essa. vero che egli analizza partitamente le singole opere che compongono lOrganon, ma, a parte alcune pagine riservate alle Categorie, poco o nulla detto degli Analitici, lopera che inve- ce oggigiorno attira di pi linteresse degli storici della logica, e la complicata costruzione dei Topici liquidata con poche battute. ( 1 ) Com ben noto, delle Vorlesungen esistono due edizioni curate da Michelet. La prima edizione quella che ritroviamo nelledizione delle opere di Hegel curata da H. GLOCKNER (Smtliche Werke, Stuttgart-Bad Cannstatt: From- mann, 1965 4 , XVIII 1 e 2 [Il volume 2 = VGPh 1 ] e i quaderni che ne costituiscono la fonte sono stati recentemente ripubblicati nelledizione curata da W. Jaeschke e P. Garniron (Frankfurt: Meiner, 1991). La seconda edizione quella ripubblicata da Bolland (G.W.F. HEGEL,Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, ed. by G.J.P.J. BOLLAND, Leiden: A.H. Adriani, 1908, pp. 522, 532 [=WGPh 2 ] e su questa basata la traduzione italiana (G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. a cura di E. CODIGNOLA e G. SANNA, 4 voll., 1981 2 (il secondo volume =LSF). 30 HEGEL E ARISTOTELE Considereremo in seguito il giudizio complessivo di Hegel. Per il momento conviene soffermarsi su unosservazione metodo- logica preliminare che pu essere utile per organizzare la nostra ricerca e, al tempo stesso, per apprezzare meglio il punto di vista di Hegel. chiaro che una valutazione globale della logica di Ari- stotele coinvolge una presa di posizione sulla nozione generale di logica. Non possiamo dire quale sia il posto che la logica occupa nella filosofia aristotelica, n cercare di determinare con ragione- vole approssimazione quale sia il suo peso speculativo senza aver prima chiarito che cosa si debba intendere per logica. Pi esatta- mente lobiettivit storica richiede che si debba evidenziare che cosa Aristotele intende per logica. Il compito che questa osserva- zione metodologica ci pone di fronte dunque quello di esamina- re la nozione aristotelica di logica. II Il progetto di indagine chiaro e semplice, ma non altret- tanto chiaro e semplice indicare come si debba realizzare. In effet- ti non appena ci accostiamo agli scritti aristotelici ci troviamo in una curiosa situazione. Aristotele, da un lato, sembra consapevo- le della dimensione profondamente innovativa che le sue ricerche logiche hanno rispetto alla tradizione filosofica precedente. Un passo famoso alla fine degli Elenchi Sofistici lo testimonia: (A) Per quanto riguarda la retorica cera molto che esisteva da tempo, mentre per quel che riguarda linferenza (ari or tou ouoyiro0oi) non avevamo assolutamente nientaltro cui fare riferimento se non al fatto che abbiamo passato lungo tempo in logoranti ricerche ( 2 ). ( 2 ) SE 34, 184 a 8- b 3: xoi ari rv tev gtoixev uagr aoo xoi aooio to ryorvo, ari or tou ouoyiro0oi aovtre ouorv riorv aotrov ryriv g tig gtouvtr aouv ovov raovourv. Dato il significato di tig unaltra tra- duzione potrebbe essere: abbiamo passato lungo tempo in ricerche pratiche, sul campo. 31 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele Qui di sicuro lespressione ari or tou ouoyiro0oi si ri- ferisce non ai sillogismi, ma in generale alle inferenze, secondo un uso ben documentato di ouoyioo e ouoyi ro0oi ( 3 ). Aristotele dunque pienamente cosciente del fatto che egli ha in- trodotto una teoria dellinferenza o della deduzione che prima non cera. Se pensiamo che una dottrina dellinferenza una parte importante, se non addirittura fondamentale, della logica, possia- mo concludere che egli si rendeva conto di aver posto le basi di una nuova disciplina filosofica. Da un lato dunque abbiamo la consapevolezza di Aristotele di battere una strada nuova e di tracciare un nuovo indirizzo di ricerca. Dallaltro, curiosamente, non troviamo nessuna teorizza- zione da parte dello Stagirita della logica come scienza. Per esem- pio in Metaph. E 1, dove la oiovoio, il pensiero, diviso in pratico, produttivo e teorico ( 4 ), le scienze teoretiche, dove appunto ci si aspetterebbe di veder collocata la logica, sono divise a loro volta in matematica, fisica e teologia e nessuna menzione fatta della disciplina che ci sta a cuore ( 5 ). Dunque la logica non entra nella classificazione aristotelica delle scienze. dubbio che Aristotele avesse addirittura un nome per la disciplina di cui si proclama, in un certo senso a buon diritto, lin- ventore. Sarebbe un errore tradurre laggettivo oyixo con logi- co. In espressioni come oyixo o yo ( 6 ) o anche oyixo ouoyioo, questultimo opposto talvolta ad oaoorii, dimo- ( 3 ) Cfr. ad es. APr. I 23, 40 b 20. Jonathan Barnes (Proof and the Syllogism, in Aristotle on Science. The Posterior Analytics. Proceeding of the Eight Symposium Aristotelicum held in Padua from September 7 to 15, 1978, a cura di E. BERTI, Padova: Antenore, 1981, pp. 17-59) arrivato addirittura a sostenere che ouoyioo e ouoyi ro0oi in Aristotele non hanno mai il significato di sillogismo e sillogizzare. Ma forse questipotesi un po troppo audace. ( 4 ) Metaph. E 1, 1025 b 25. Cfr. anche Top. VI 6, 145 a 15-16; VIII 1, 157 a 10-11. ( 5 ) Metaph. E 1, 1026 a 18-19. ( 6 ) Top. VIII 12, 162 b 2. 32 HEGEL E ARISTOTELE strazione ( 7 ), oyixo significa dialettico, dove dialettico, oiorxtixo, in Aristotele non ha certamente lo stesso significato che assumer presso gli Stoici, quando divideranno la filosofia in dialettica, la logica appunto, fisica ed etica ( 8 ). Per Aristotele la dialettica non coincide con la logica, essendo piuttosto lo studio di certi tipi particolari di argomentazioni contraddistinte dal fatto che le loro premesse sono r vooo, opinioni accettate. In questo senso le inferenze dialettiche per Aristotele sono un tipo partico- lare di inferenze, quelle appunto che procedono sulla base di un tipo particolare di premesse ( 9 ). Per costruire uninferenza, po- tremmo dire uninferenza logica, sufficiente che le premesse ab- biano alcuni requisiti formali, siano cio universali o particolari e affermative o negative; per ottenere uninferenza dialettica dob- biamo poter disporre di premesse che, oltre ai requisiti formali, soddisfino al requisito di essere rvooo, accettate dal pubblico di fronte al quale largomentazione svolta ( 10 ). Un altro candidato per esprimere lambito entro il quale si svolge quella che oggigiorno non esiteremmo a chiamare una ri- cerca logica potrebbe apparire ovoutixo. Dovrebbe tuttavia es- sere subito chiaro che questipotesi non pu dipendere dal fatto che Avoutixo il titolo dato allopera logica maggiore di Ari- stotele. Com ben noto, i titoli tradizionali degli scritti aristotelici sono stati aggiunti dopo, anche se quello di To ovoutixo dovet- te essere assegnato abbastanza presto, come provato dal fatto che compare nella lista degli scritti aristotelici trasmessa da Dio- ( 7 ) Cfr. p. es. APo. II 8, 93 a 14-15. ( 8 ) Cfr. ad es. FDS 15 (=SVF II 35). Anche nel passo di Top. I 14, 105 b 19-25, dove si parla di aotoori oyixoi, opposte a quelle uoixoi ed a quelle r0ixoi, e dove oyixo non pu essere certamente reso con dialettico, il termine non significa logico, ma piuttosto generale. Ne fa fede lesempio di premessa logi- ca citata da Aristotele: se sia unica la scienza dei contrari. ( 9 ) Cfr. Top. I 1, 100 a 25-30. ( 10 ) APr. I 1, 24 a 16 ss. (v. testo (C)). 33 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele gene Laerzio, che, secondo alcuni studiosi, risale addirittura ad Aristone, lo scolarca del Liceo vissuto nellultimo quarto del terzo secolo a.C. ( 11 ). N daltro canto probante il fatto che talvolta tro- viamo riferimenti a passi contenuti negli Analitici con espressioni del tipo di: eoar rv toi Avoutixoi ryrtoi ( 12 ). Laffidabilit dei rinvii interni alle varie opere del Corpus Aristotelicum contro- versa, dato che non del tutto chiaro come e quando esso si sia costituito nella forma che ci oggi nota, per cui non si pu facil- mente considerare destituito di fondamento il sospetto che essi sia- no il risultato dellattivit editoriale di Andronico di Rodi, testi- moniata da Porfirio ( 13 ). Piuttosto sono passi come il seguente che potrebbero indur- re a pensare che ovoutixo sia talvolta equivalente a logico: (B) Come abbiamo gi avuto occasione di dire, evidente che la retorica una combinazione della scienza analitica (tg ovoutixg raiotgg) e di quella riguardante i costumi ed simile per un verso alla dialettica (tg oiorxtixg) e per un verso alle argomentazioni sofistiche (toi ooiotixoi oyoi) ( 14 ). Si potrebbe essere tentati di distinguere la dialettica di cui si fa menzione qui dalla ovoutixg raiotgg e identificare questulti- ma con la logica. Tuttavia questipotesi di lettura sembra messa in dubbio dal rimando a 1356 a 25-27, dove la stessa idea ripetuta senza per che ci sia alcuna distinzione fra ovoutixg raiotgg e ( 11 ) Cf. D.L. V 22 (nr. 49 e 50 nella lista di Rose). Su tutta la questione cfr. P. MORAUX, Les listes anciennes des ouvrages dAristote, Louvain: ditions universitaires de Louvain, 1951, pp. 87-88; 237-247. ( 12 ) Int. 10, 19 b 31. Cfr. anche H. BONITZ, Index Aristotelicus, Graz: Akademische Druk- u. Verlagsanstalt, 1955 2 , 102 a 30-40. ( 13 ) PORPH.,Vita Plotini 24.6-11. ( 14 ) Rh. I 4, 1359 b 8-12. Seguo Kassel nellespungere aoitixg, unevidente glossa. 34 HEGEL E ARISTOTELE oiorxtixg, talch diviene plausibile supporre che le due espres- sioni siano usate come sinonimi ( 15 ). La conclusione dunque che Aristotele non ha nemmeno la parola per indicare la disciplina da lui fondata, la logica. Come possiamo allora pretendere di enucleare la sua nozione di logica? La risposta potrebbe essere la seguente. vero che in Aristotele non c una teoria della logica. Tuttavia egli espone alcune dottri- ne logiche. Esaminiamole e cerchiamo di evidenziare la nozione di logica che egli usa, se non teorizza. In altri termini, consideria- mo lOrganon, il corpus delle opere logiche di Aristotele, e dal tipo di teorie in esso contenute cerchiamo di ricavare quale fosse la sua idea di logica. Il progetto buono solo in apparenza. Unelementare rifles- sione ci fa subito avvertiti che il nostro punto di partenza pre- giudicato. Com ben noto, il complesso delle cosiddette opere lo- giche di Aristotele una costruzione tarda, non certamente volu- ta dal suo autore. Lo stesso nome di Oyovov che le stato attri- buito rispecchia unidea di logica che troviamo presente nei com- mentatori di Aristotele a partire da Alessandro, ma di cui non v traccia nel maestro. Essi riportano la polemica peripatetica contro gli Stoici: la logica non parte della filosofia, come volevano que- sti ultimi, ma appunto oyovov, strumento della filosofia, che vie- ne prima di questa e ne unintroduzione, senza tuttavia poterne essere una parte ( 16 ). Come non credere che il nome dato agli scritti aristotelici non sia il riflesso di una tale presa di posizione teorica della quale non c menzione in Aristotele? La stessa composizione della silloge tradisce un intento si- stematico che non abbiamo motivo di credere sia aristotelico. Si incomincia con le Categorie, intese come un trattato sui termini, ( 15 ) Rh. I 2, 1356 b 25-27. ( 16 ) Cfr. ALEX., in APr. 1.9 ss.; PS-AMM., in APr. 6.19 ss.; PHLP., in APr. 8.20 ss. 35 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele per passare al De interpretatione, unanalisi delle proposizioni, per giungere agli Analitici Primi, una teoria dellinferenza, di cui Ana- litici secondi e Topici (con il corollario degli Elenchi sofistici) costitui- scono due possibili applicazioni, rispettivamente nel campo della scienza e della dialettica. Abbiamo dunque un andamento dal semplice al complesso (termini, proposizioni, inferenze) e dal- lastratto al concreto (sillogismi, dimostrazioni, argomentazioni dialettiche). Di una simile sistemazione non c evidentemente traccia in Aristotele, n si trova in lui indicazione dei suoi presup- posti teorici. Insomma dovrebbe essere chiaro che il confezionamento dellOrganon corrisponde nel nome e nel contenuto ad una ben precisa idea di logica che non di Aristotele e che, se fosse cam- biata, darebbe adito ad un diverso raggruppamento degli scritti. In effetti se il lavoro di editore delle opere logiche di Aristotele non fosse spettato a Andronico di Rodi (o a chi per lui), ma per esempio ad un logico moderno, nella raccolta tradizionale sicura- mente non avremmo trovato unopera come gli Analitici secondi, un trattato che oggi preferiremmo classificare come teoria della scienza, e forse nemmeno gran parte delle Categorie. Il fatto che queste opere siano incluse nellOrganon prova forse che Aristotele aveva unidea di logica diversa da quella degli autori moderni? Sicuramente no. Tutto quello che possiamo ricavare da queste considerazioni che coloro i quali hanno organizzato lOrganon avevano unidea di logica diversa da quella attuale. Ma con ci la posizione di Aristotele resta sempre avvolta nel mistero. III Loscurit in cui ci muoviamo circa la nozione aristotelica di logica condiziona e relativizza il senso dellindagine storica in modo rilevante. Mi sia consentito fare un esempio. Si a lungo discusso di quando cominci la logica e le opinioni sono natural- 36 HEGEL E ARISTOTELE mente divise. Non un caso che la famosa Geschichte der Logik im Abendlande di Carl Prantl cominci con gli Eleati e che quella pi recente di Guido Calogero addirittura con Talete ( 17 ). Ma si po- trebbe anche sostenere che la logica greca inizia con Aristotele, qualora si accettassero i seguenti punti teorici: (i) Bisognerebbe innanzitutto distinguere luso dalla teoria logica. Altro usare della logica, per esempio argomentare corret- tamente, ed altro teorizzare la correttezza di unargomentazio- ne. pi o meno la differenza che passa fra parlare grammatical- mente, usare bene la grammatica, e teorizzare le regole che con- sentono di dire che un certo uso linguistico grammaticalmente corretto. (ii) In secondo luogo dovremmo ammettere che il compito della teoria logica quello di fornire indicazioni e criteri formali per distinguere le inferenze corrette da quelle scorrette. (iii) Infine dovremmo accettare che la correttezza o meno di uninferenza non dipende dai suoi contenuti, da quello di cui lin- ferenza parla, ma da certe caratteristiche (chiamiamole formali) delle proposizioni che le costituiscono e dal modo in cui tali ca- ratteristiche sono intese e definite. Di questi tre punti quello che a me sembra pi problematico il secondo. Il primo mi sembra ovvio. Del resto la sua incontro- ( 17 ) C. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlande, 3 voll., Leipzig: Gustav Fock, 1927 2 ; Cfr. G. CALOGERO, Storia della logica antica. I: Let arcaica, Roma-Bari: Laterza, 1967. La posizione di questultimo ben espressa dal seguente passo tratto dallIntroduzione del suo lavoro: Storia della logica antica quindi non pi, soltanto, la storia della sillogistica e dei suoi precedenti e susseguenti (n in quello, pi proprio, dellautentica apodittica classica, n in quello, meno pro- prio, dellodierna logica simbolica), bens storia di tutti quei problemi attraverso cui si vennero man mano sviluppando le molteplici concezioni greche della forma intelligibi- le del reale, e dai quali sorsero, tra le altre, in situazioni storiche ben determinate e limitate, anche le varie dottrine costituenti la logica aristotelica (p. 7; il corsi- vo mio). 37 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele vertibilit appare palese non appena si costruiscano indagini sto- riche che non lo rispettano. Mi sia consentito ricordare che Ritter non moltissimi anni fa aveva preteso di dimostrare che tutta la sillogistica di Aristotele era gi in Platone, dato che nei dialoghi di questultimo si trovano usati pi o meno tutti i sillogismi teo- rizzati dal primo ( 18 ). Altrettanto chiaro mi sembra lultimo punto: la correttezza di uninferenza non pu dipendere dal suo conte- nuto, altrimenti il logico, nella misura in cui tende a tracciare una linea di demarcazione fra inferenze corrette e scorrette, dovrebbe essere onnisciente, dato che le inferenze possono essere applicate a qualunque contenuto. Il punto delicato il secondo, quello nel quale si demarca lambito della logica. Infatti dire che il compito precipuo del logi- co quello di distinguere le inferenze corrette da quelle scorrette significa in sostanza ridurre la logica a teoria dellinferenza e ci non banale. Se ci mettiamo in questa prospettiva, possiamo fa- cilmente mostrare che la prima teoria dellinferenza a noi perve- nuta quella di Aristotele e che egli aveva ragione nel considerar- si il creatore di una nuova disciplina. In effetti n in Platone, n presso i Sofisti n presso i Megarici, a quello che ci dato di sape- re, possiamo trovare una teoria generale dellinferenza basata sul- le propriet formali delle proposizioni. con Aristotele, a quel che ci consta, che questidea si affaccia chiaramente. Per renderse- ne conto basta leggere linizio degli Analitici primi, il trattato che contiene la sua teoria del sillogismo, ossia appunto dellinferenza. Qui Aristotele distingue le premesse delle dimostrazioni da quel- le dialettiche e da quelle sillogistiche. Il passo il seguente: (C) La premessa dimostrativa (g oaoorixtixg aotooi) differisce da quel- la dialettica (tg oiorxtixg), perch quella dimostrativa consiste nellas- sunzione di uno dei due membri di una contraddizione (infatti chi dimo- ( 18 ) C. RITTER, Platons Logik, Philologus, 75 (1919), pp. 1-67; 304-22. 38 HEGEL E ARISTOTELE stra non domanda, ma assume), mentre la premessa dialettica consiste nella domanda circa una contraddizione. Ci non comporta alcuna diffe- renza per leffettuazione dellinferenza relativa a ciascuno dei due casi. Infatti tanto chi dimostra quanto chi domanda produce uninferenza as- sumendo che un termine appartiene o non appartiene ad un altro termi- ne. Di conseguenza la premessa inferenziale (ouoyiotixg rv aotooi) sar semplicemente laffermazione o la negazione di un termine rispetto ad un altro termine nel modo detto e sar dimostrativa, qualora sia vera e assunta in virt delle presupposizioni iniziali, mentre per chi interroga la premessa dialettica sar la domanda circa una contraddizione e per chi inferisce sar lassunzione di ci che appare ed nellopinione comune, come detto nei Topici ( 19 ). Per capire la differenza fra premesse dimostrative e premes- se dialettiche necessario por mente al diverso contesto e alle di- verse finalit cui i due tipi di premesse fanno riferimento. Le pre- messe dimostrative sono le premesse delle argomentazioni scien- tifiche e la scienza ha di mira lacquisizione di informazioni certe sul mondo. Non c quindi da stupirsi che Aristotele richieda per le premesse dimostrative la condizione che siano vere: solo a par- tire da proposizioni vere abbiamo la sicurezza di derivare propo- sizioni vere. Diversa la situazione delle premesse dialettiche. Qui lo scopo non quello di ottenere conoscenze certe e sicure sul mon- do, ma di raggiungere il successo nella discussione con un interlocutore. La situazione tipica che Aristotele ha in mente la seguente: due interlocutori X e Y si propongono uno di difendere la tesi T e laltro di attaccarla. Supponiamo che X sia lattaccante e Y il difensore. Lo scopo di X sar quello di mostrare che laccetta- zione di T da parte di Y comporta la negazione di altre assunzioni che Y condivide con X e che normalmente fanno parte del background di credenze ammesse dalla comunit di cui X e Y fan- no parte. In questo senso infatti tali premesse sono dette da Ari- ( 19 ) Cfr. APr. I 1, 24 a 23-24 b 1. 39 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele stotele rvooo. Perci il primo compito di X nel suo tentativo di distruggere T sar quello di delimitare il campo delle assunzioni rilevanti ammesse da Y in modo da poterle sfruttare per la sua confutazione. Viceversa, se le parti sono invertite ed Y che deve difendere T rispetto a X, allora egli dovr mostrare che T una conseguenza delle credenze ammesse da X e da lui condivise con la comunit cui entrambi appartengono. Ci spiega perch Ari- stotele dice che la premessa dialettica , ad un tempo, una do- manda circa unalternativa contraddittoria e lassunzione di una delle due parti della contraddizione. una domanda del tipo di: cos o non cos?, dato che una proposizione, per poter entrare nel gioco della confutazione o della difesa, deve essere prelimi- narmente accettata dallinterlocutore. lassunzione di una delle due parti della contraddizione, perch dopo essere stata accettata dallavversario diviene punto di partenza di uninferenza. Ma quello che interessa soprattutto sottolineare che Ari- stotele contrappone alle premesse dimostrative e dialettiche le premesse sillogistiche dicendo che per queste ultime non bisogna richiedere n che siano vere n che siano accettate dallinterlocu- tore. Egli aggiunge che per svolgere la loro funzione nelle inferen- ze sufficiente che abbiano forma affermativa o negativa o, pi esattamente, siano proposizioni universali o particolari, afferma- tive o negative del tipo di quelle che egli ha descritto immediata- mente prima ( 20 ). Non ci interessa analizzare ora le implicazioni di questa presa di posizione aristotelica riguardo al tipo di propo- sizioni che sono chiamate a far parte delle inferenze. Preme piut- tosto sottolineare che le premesse sillogistiche, a differenza di quel che avviene per quelle dimostrative e dialettiche, non entra- no in una deduzione perch siano vere o accettate, ma per il loro essere affermative o negative (o universali o particolari). A deter- minare uninferenza non giocano quindi un ruolo i contenuti del- ( 20 ) Cfr. APr. I 1, 24 a 16-22. 40 HEGEL E ARISTOTELE le premesse, ma la loro struttura formale. Questo dunque latto di nascita della logica o, per essere pi precisi, di quella logica la cui idea descritta dai punti teorici (i)-(iii) esposti sopra. IV Forti di queste considerazioni torniamo ad Hegel ed al suo giudizio sulla logica di Aristotele. In che cosa consiste tale giudi- zio? Anzitutto conviene ricordare quella che potremmo con un po di buona volont considerare una descrizione in termini hegeliani del lavoro compiuto da Aristotele: (D) Da Aristotele derivano le forme logiche cos del concetto come del giudizio e del sillogismo. Come nella storia naturale si prendono in con- siderazione i vari animali, per esempio il liocorno, il mammuth, gli inset- ti, i molluschi, ecc. e si descrive com fatto ciascuno di essi, cos Aristote- le in un certo modo il naturalista delle forme spirituali del pensiero; ma in questa deduzione di una forma dallaltra, Aristotele si limitato a esporre in modo determinato il pensiero nella sua applicazione finita, sic- ch la sua logica una storia naturale del pensiero finito. Poich essa consiste nellacquistar coscienza dellattivit astratta del puro intelletto, non la scienza di questo o di quel concreto, ma pura forma: questa co- scienza di fatto mirabile, e ancor pi mirabile lampiezza con cui que- sta coscienza stata esplicata: la logica aristotelica dunque unopera che onora sommamente la profondit e la vigoria dastrazione del suo scopritore ( 21 ). In questo passo chiaro lintento laudatorio di Hegel. Ari- stotele colui il quale ha indagato con profondit ed acutezza le forme logiche del concetto, del giudizio e del sillogismo e per il suo aver saputo distaccare lanalisi di queste forme logiche dalla materia, egli ha saputo acquistare coscienza dellattivit astratta del puro intelletto e la scienza che egli ha teorizzato non la scienza di questo o quel concreto, ma pura forma. ( 21 ) LSF II p. 374. Cfr. VGPh 2 pp. 522-523 (=VGPh 1 p. 402). 41 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele Tuttavia Aristotele come il naturalista delle forme spirituali del pensiero. Su questo paragone con il naturalista Hegel torna pi avanti con una pagina piuttosto divertente in cui si dice che Aristo- tele s un naturalista, ma per lo meno delle svariate forme e dei vari atteggiamenti del pensiero: (E) Per quanto arida e vuota ci possa sembrare lenumerazione delle diver- se specie di giudizi e sillogismi e dei loro vari incrocicchiamenti, e per quanto neanche la possiamo ritenere buona a farci scoprire la verit, per lo meno per in suo confronto non si pu dare il vanto di una maggiore eccel- lenza a unaltra scienza. Oggi, per esempio, passa per fatica meritoria lo sforzarsi di conoscere le innumerevoli moltitudini di animali, per esempio le centosessantasette specie di cuculi, o il sapere dove una di esse ha sulla testa un ciuffo formato in maniera diversa, o una nuova miserabile variet di una miserabile specie di muschio, che niente pi di una crosta, oppure nella entomologia scientifica si d importanza a un insetto, a un verme, a una cimice, ecc.: orbene molto pi importante conoscere le varie specie di movimenti del pensiero che non questi parassiti ( 22 ). Dunque Aristotele s un naturalista, ma per lo meno ha il merito di occuparsi delle forme del pensiero e non di vermi, cimici e licheni, oggetti tanto apprezzati dai moderni scienziati. Ma per- ch un naturalista, sia pure nobilitato dalla materia di cui si occu- pa? Perch secondo Hegel lindagine di Aristotele unindagine empirica non nel senso che essa si rivolga ad oggetti empirici (le forme del pensiero, ancorch finito, non sono empiriche), ma nel senso che essa procede per enumerazione delle diverse forme sen- za collegarle in una struttura generale e unificante, la sola che pos- sa far divenire la logica conoscenza. Hegel molto esplicito al ri- guardo: (F) Sennonch a questo punto riappare, e in sommo grado, il difetto di tutta la maniera aristotelica nonch di tutta la logica posteriore: nel pensiero e nel movimento del pensiero come pensiero i singoli momenti ( 22 ) LSF II p. 383. Cfr. VGPh 2 p. 529 (=VGPh 1 p. 411). 42 HEGEL E ARISTOTELE cadono luno fuori dellaltro. Si hanno cio innumerevoli specie di giudizi e di sillogismi, ciascuna delle quali ha valore per s, e ha verit in s e per s, come tale ( 23 ). La struttura unificante che Aristotele non ha descritto e a cui allude qui Hegel quando dice che i momenti del pensiero ca- dono luno fuori dellaltro quella struttura che Hegel tratteggia con sobriet e potenza nellEnciclopedia, e precisamente nella terza sezione della logica, quella concernente la dottrina del concetto, l dove mostra che dallunit indifferenziata del concetto si passa attraverso il giudizio allopposizione di soggetto e predicato, di individuale e generale, per poi ritornare attraverso il sillogismo a recuperare lunit del concetto e insieme la differenza delle deter- minazioni del giudizio ( 24 ). Da questo punto di vista si capisce come Hegel possa con- trapporre il sillogismo aristotelico al vero sillogismo raziona- le ( 25 ). Il primo puramente meccanico ( 26 ), nel senso che lunit fra soggetto e predicato data attraverso il medio concepita in modo del tutto estrinseco come pura relazione fra determinazioni o concetti. Il secondo invece parte della dinamica del pensiero, nel senso che: (G) Nel sillogismo razionale il fondamento del contenuto speculativo dato dallidentit degli estremi, che combaciano luno con laltro; per cui il soggetto rappresentato nel termine medio un certo contenuto, che non si limita a unirsi con un altro, ma attraverso laltro e con laltro si conclude con se stesso ( 27 ). ( 23 ) LSF II p. 385. Cfr. VGPh 2 pp. 530-531 (=VGPh 1 pp. 412-413). ( 24 ) Cfr. Enz. 129. ( 25 ) LSF II p. 386. Cfr. VGPh 2 p. 531 (=VGPh 1 p. 414): Eigentlicher Vernuftsschluss. ( 26 ) In Enz. 34 Hegel dice che la ricerca relativa alle figure sillogistiche una ricerca meccanica (eine blo mechanische Untersuchung). ( 27 ) LSF II p. 233. Cfr. VGPh 2 pp. 523-524 (=VGPh 1 p. 253). 43 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele Insomma il vero sillogismo quel raziocinio che pone unimmediatezza non pi ingenua e data, ma che il risultato del superamento della mediazione. Non posso dire che tutto quello che Hegel dice qui e che ho cercato di riportare fedelmente mi sia perspicuo. Intravvedo per come due osservazioni che Hegel fa a proposito di Aristotele se- guano dalla sua posizione. Da un lato egli ribalta lusuale rimpro- vero che veniva fatto alla logica aristotelica di essere formalistica e astratta, e quindi tale da essere vuota e opposta ad ogni conte- nuto. In realt dal suo punto di vista la logica aristotelica non sufficientemente formale. Essa ancora troppo legata ai contenu- ti, proprio perch le sue parti non sono unificate in una struttura unitaria, quella struttura che abbiamo cercato di descrivere sopra. (H) Il peggio che se ne dica che lerrore consista soltanto nel loro carat- tere formale [scil. delle forme logiche]: che tanto le leggi del pensiero come tale quanto le sue determinazioni, le categorie, siano o soltanto de- terminazioni nel giudizio o soltanto forme soggettive dellintelletto, di fronte alle quali la cosa in s ancora qualcosaltro... Il loro difetto non consiste nellessere soltanto forme, ma anzi nel fatto che mancano di for- ma e sono troppo contenuto ( 28 ). abbastanza chiaro che Hegel non pu accettare quella contrapposizione astratto/concreto che gli veniva dalla tradizio- ne, quasi che le forme logiche fossero strutture che si applicano a contenuti dati. La struttura deve essere tale da fondare il contenu- to e quelle messe in piedi da Aristotele non riescono a espletare questo compito, proprio perch non connesse nella dinamica del pensiero. Ma c un secondo punto nella posizione di Hegel che piuttosto interessante. Proprio perch non viste come parti del- lintero le forme logiche analizzate da Aristotele non possono es- ( 28 ) LSF II pp. 384 e 385. Cfr. VGPh 2 pp. 530 e 531 (=VGPh 1 pp. 412 e 413). 44 HEGEL E ARISTOTELE sere candidate ad essere giudicate vere o false. Vero qualcosa che spetta solo alle forme nella misura in cui sono parti dellinte- ro. Prese in s e per s cos come fa Aristotele esse possono essere valutate solo in termini di esattezza. (I) Come tutta la filosofia di Aristotele, cos anche la sua logica ha bisogno essenzialmente dessere rifusa, per modo che la serie delle sue determina- zioni vengano recate in un necessario complesso sistematico, non gi un complesso sistematico che si limiti a ripartire ordinatamente, non dimenti- chi alcuna parte, ed esponga ogni parte nel suo ordine esatto; ma un siste- ma che ne faccia un tutto vivo e organico, in cui ogni parte valga come par- te, e soltanto il tutto come tutto abbia verit ( 29 ). In questo senso i sillogismi aristotelici sono esatti, ma a rigor di termini non possono essere detti veri, perch attraverso di essi non si attinge la realt ( 30 ). Certo per capire queste parole e questimpostazione non si pu certo ricorrere alla definizione di verit in termini di adaequatio intellectus et rei, che Hegel considera la consueta definizione di verit ( 31 ). Bisogna piuttosto pensare ad una concezione olistica della verit, quella concezione che Hegel espone con tanta forza quando dice che le forme logiche, prese separatamente, non hanno verit, dato che solo la loro totali- t costituisce la verit, essendo questa nientaltro che la realt ( 32 ). Se mi sono dilungato tanto a tratteggiare la valutazione hegeliana di Aristotele, bench essa sia largamente nota, perch vorrei sottolineare che, nonostante le sue profonde differenze dalla posizione aristotelica, essa mi pare sostanzialmente legittima, al- ( 29 ) LSF II p. 387. Cfr. VGPh 2 p. 532 (=VGPh 1 p. 415). ( 30 ) LSF II p. 384. Cfr. VGPh 2 p. 530 (=VGPh 1 p. 414). ( 31 ) LSF II pp.. 310-311. Cfr. VGPh 2 pp. 479-480 (=VGPh 1 p. 333). V. anche Enz. 24 Z. 2. ( 32 ) LSF II p. 385. Cfr. VGPh 2 p. 531 (=VGPh 1 p. 413). Sulla nozione hegeliana di verit cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete di Aristotele, Pisa: ETS Editri- ce, 1990, pp. 201-207. 45 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele meno in linea di principio. Se non troviamo nulla da ridire nellipo- tesi consistente nel supporre che la logica di Aristotele sia una teo- ria dellinferenza e nel derivare da ci che essa costituisce linizio della logica nel mondo occidentale, perch non dovremmo permet- tere una sua valutazione da un punto di vista differente? Certo la prospettiva hegeliana risulta a molti, fra i quali mi colloco, poco or- todossa e molto oscura. Tuttavia essa una prospettiva che ha di- ritto di cittadinanza nella cultura filosofica e non si vede perch non la si debba poter usare nel leggere Aristotele. Nellesemplificazione fatta sopra a proposito del problema del cominciamento della logica greca siamo partiti da unassun- zione, dallidea cio che la logica per se stessa sia la teoria dellin- ferenza. Abbiamo poi cercato di mostrare, con laiuto di alcuni principi ausiliari, che la logica di Aristotele la prima teoria del- linferenza nel mondo greco e quindi abbiamo concluso che Ari- stotele il primo logico occidentale. Se volessimo schematizzare in modo analogo la strategia hegeliana potremmo procedere nel modo seguente. Hegel assume che (i*) La logica la descrizione di forme del pensiero Da ci egli ricava che (ii*) la logica aristotelica la teoria di alcune forme finite del pensiero. Lassunzione (i*) corrisponde, come abbiamo detto, pi o meno allassunzione (ii) nella nostra prospettiva, nel senso che in entrambi i casi abbiamo a che fare con una presa di posizione teo- rica su che cosa sia la logica. E se (ii) legittima, non si vede per- ch non debba esserlo anche (i*). Naturalmente sono necessarie alcune precisazioni. A prima vista la posizione teorica di Hegel corrisponde a quella della tra- 46 HEGEL E ARISTOTELE dizione che lo precede, secondo la quale la logica consisterebbe nello studio delle leggi del pensiero. Questa concezione della lo- gica, che da Frege in poi stata battezzata come psicologistica ( 33 ), non ha niente a che vedere con quella hegeliana, anche se la for- mulazione apparentemente la stessa. Infatti il pensiero di cui parla Hegel non il pensiero umano e le leggi del pensiero di Hegel non sono certo le forme secondo cui il pensiero umano pensa il mondo. Da questo punto di vista le usuali critiche che vengono rivolte allo psicologismo logico non si applicano a Hegel. Non ha senso obiettare ad Hegel che il sillogismo non descrive il modo in cui la mente umana compie deduzioni o che i principi logici non sono le forme in cui la mente umana pensa la realt. Anche il principio di non contraddizione, che pure secondo Ari- stotele non soltanto un principio logico, ma anche epistemologi- co ( 34 ), non svolge il ruolo di esprimere un modo di funzionamen- to della mente. Dal fatto che una proposizione e la sua negazione non possono essere insieme vere non segue che non si possa pen- sare una contraddizione e che talvolta non si mettano in atto con- traddizioni o che le nostre credenze non possano risultare con- traddittorie. Quello che Aristotele sostiene soltanto che una con- traddizione riconosciuta come tale non pu essere seriamente ri- tenuta vera. In effetti la posizione di Hegel compatibile, almeno entro certi limiti, con lidea che i sillogismi, per esempio, non siano al- tro che strutture di controllo delle deduzioni che vengono com- piute in altre forme ed altri modi allinterno delle diverse scienze. ( 33 ) G. FREGE, Grundgesetze der Arithmetik, 2 voll., Darmstadt: Wissenschaf- tliche Buchgesellschaft, 1962 2 , I, p. XIV ss. ( 34 ) Cfr. Metaph. I 3, 1005 b 19-34. Il passo contiene la ben nota prova della tesi per cui il PNC il principio pi sicuro di tutti. Per linterpretazione di que- sto complicato testo v. J. BARNES, The Law of Contradiction, The Philosophical Quarterly, 19 (1969), pp. 302-309 e M. MIGNUCCI, Consistency and Contradiction in Aristotle (in corso di stampa). 47 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele Per dirla in un modo diverso, i sillogismi non sarebbero i modi in cui leffettivo procedere deduttivo delle scienze si articola, ma i modi con cui si pu controllare se il suo procedere corretto. Que- sta interpretazione emerge dallimpostazione generale della teoria della deduzione di Aristotele. Egli innanzitutto pone i quattro modi della prima figura, Barbara, Celarent, Darii, Ferio, come i sillogismi perfetti, ossia quei modi che sono di per s evidenti nella loro validit ( 35 ). A questi quattro modi possono essere ridotti tutti i modi della seconda e terza figura, nel senso che questi sono derivabili da quelli. Quindi se quelli sono validi, lo sono anche questi. Infine Aristotele cerca di provare che tutte le altre possibili deduzioni, se sono corrette, sono riducibili a sillogismi. La tesi ben sintetizzata dal seguente passo degli Analitici Primi: (J) Che i sillogismi in queste figure siano resi perfetti grazie ai sillogismi universali della prima figura e che si riducano ad essi chiaro dalle cose che abbiamo detto. Che in generale ogni sillogismo si comporti cos sar ora chiaro quando si provi che ciascuno si produce grazie a qualcuna di queste figure. ( 36 ). Non ci interessa in questa sede n seguire nel dettaglio lar- gomentazione di Aristotele n rilevare che la sua tesi palese- mente falsa. Gi nel secolo scorso De Morgan aveva osservato che una semplice inferenza come la seguente ogni cavallo un animale ogni testa di cavallo una testa di animale non ha alcuna speranza di trovare una giustificazione allinterno della sillogistica di Aristotele. Quello che conta sottolineare che ( 35 ) Per questinterpretazione della perfezione sillogistica in termini di evidenza cfr. G. PATZIG, Die Aristotelische Syllogistik. Logisch-philologische Untersuchungen ber das Buch A der Ersten Analytiken, Gttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1969 3 , pp. 51 ss. ( 36 ) Cfr. APr. I, 23, 40 b 17-22. (1) _________________________________________ 48 HEGEL E ARISTOTELE Aristotele credeva di poter ricondurre qualunque argomentazione formalmente corretta ad uno degli schemi sillogistici. Questi quin- di sembrano assumere il ruolo di punto di riferimento nei confronti della correttezza degli argomenti informali: se questi sono corretti, allora sono riducibili e, naturalmente, se non sono riducibili, non sono corretti. In questo senso i sillogismi non descrivono il modo in cui di solito si argomenta, ma il modo in cui pu essere control- lata la correttezza di un argomento naturale. Se assumiamo che questo sia il punto di vista di Aristotele, possiamo valutare un altro aspetto dellinterpretazione hegeliana della sua logica in termini forse un po meno positivi di quanto non sia stato fatto per il suo approccio generale. Come si visto, Hegel giudica la logica di Aristotele una teoria che descrive le forme del pensiero finito: (K) Aristotele adunque il fondatore della logica intellettualistica, le cui forme concernono soltanto i rapporti reciproci del finito, n possono co- gliere la verit. Tuttavia va osservato che la filosofia di Aristotele non si fonda minimamente su questo rapporto intellettuale; non si deve dunque credere che queste siano le forme di sillogismo mediante le quali ha pen- sato. Se egli le avesse seguite, non sarebbe quel filosofo speculativo che in lui abbiamo riconosciuto; non avrebbe potuto formulare nessuna delle sue dottrine, n fare alcun progresso, se si fosse attenuto alle forme di questa logica consuetudinaria ( 37 ). Dopo la lettura di questo passo qualcuno potrebbe forse pen- sare che la nostra interpretazione della posizione hegeliana sia troppo generosa e che questultima non sia affatto compatibile con la tesi secondo cui i sillogismi hanno soltanto una funzione di con- trollo nei confronti delle argomentazioni informali. Ma forse qui Hegel vuole soltanto sottolineare il fatto, per altro rilevato da molti interpreti, che la filosofia aristotelica non costruita sillogistica- ( 37 ) LSF II pp. 386-387. Cfr. VGPh 2 pp. 531-532 (=VGPh 1 p. 413). Unosser- vazione analoga si trova anche in Enz. 187. 49 M. MIGNUCCI - Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele mente. Da questa osservazione egli ricava una conferma per la sua posizione secondo cui la logica di Aristotele non una logica spe- culativa, ossia tale da fornire una giustificazione delle movenze del pensiero infinito, ma soltanto una logica empirica. Inoltre il fatto di non aver messo la sua logica al servizio della filosofia proverebbe secondo Hegel che Aristotele era entro certi limiti consapevole del- le inadempienze della sua teoria. Ci meno facile da accettare. Non affatto detto che Aristotele ritenesse la sua teoria logica inca- pace di dar conto dellandamento deduttivo della sua filosofia pri- ma. Anzi i passi che abbiamo menzionato sembrano provare il con- trario. Nella misura in cui la filosofia pu essere sviluppata come una teoria deduttiva, il sillogismo dovrebbe essere in linea di prin- cipio in grado di esprimere la formalizzazione del suo procedere, appunto perch ogni argomentazione corretta deve poter essere tradotta in sillogismi. Dal punto di vista di Aristotele sembra dun- que dipendere soltanto da una questione di fatto e non di principio lassenza di sillogismi nella sua filosofia. Cos come, dopo aver pro- vato che un certo sistema logico sufficientemente potente da esprimere la formalizzazione di una teoria matematica, non ha mol- to interesse procedere di fatto a tale formalizzazione, il sistema ari- stotelico non ha bisogno di confrontarsi in concreto con riduzio- ni in forma sillogistica delle argomentazioni filosofiche, dato che Aristotele ritiene di aver gi provato in generale la sua adeguatez- za. In questa prospettiva linterpretazione hegeliana va troppo ol- tre, attribuendo ad Aristotele consapevolezze che egli non aveva. ( 1 ) Il presente saggio da un lato rappresenta il momento iniziale di una ricerca sulla filosofia della matematica di Aristotele, dallaltro costituisce una elaborazione di una parte del saggio Il primato logico della matematica, in AA.VV, Filosofia e scienze filosofiche nella prima edizione dellEnciclopedia hegeliana del 1817, a cura di F. Chiereghin, Trento 1995, 63-146. Ringrazio il prof. Franco Chiereghin, per avermi dato il permesso di pubblicare separatamente questo ANTONIO MORETTO SUL PROBLEMA DELLA CONSIDERAZIONE MATEMATICA DELLINFINITO E DEL CONTINUO IN ARISTOTELE E HEGEL SOMMARIO: 1. Introduzione PARTE I - LA CONCEZIONE MATEMATICA DELLINFINITO E DEL CONTINUO NELLA FISICA DI ARISTOTELE 2. Il problema dellinfinito in Aristotele 3. La definizione dellinfinito 3.1. Infinito in atto 3.2. Infinito in potenza 4. I procedimenti infiniti di calcolo con le grandez- ze 5. La continuit secondo Aristotele 6. Continuit e infinit 7. Sulla concezione aristotelica delle grandezze geometriche PARTE II - HEGEL INTERPRETE DI ARISTOTELE SULLINFINITO E SUL CONTINUO 8. La mate- matica e la quantit. La quantit pura e il rapporto continuo - discreto 9. Linterpretazione hegeliana della seconda antinomia cosmologica di Kant 10. Il quanto e il mutamento del quanto 10.1. Il quanto 10.2. Grandezza estensiva ed intensiva 11. Progresso infinito quantitativo e vera infinit del quanto 12. Esempi matematici di cattiva e vera infini- t 13. Conclusione. 1. Introduzione Il presente saggio ( 1 ) cerca di confrontare il punto di vista sullinfinito e sul continuo di Aristotele e di Hegel, quali risultano dai libri III, V e VI della Fisica e dalle considerazioni sulla HEGEL E ARISTOTELE 52 grandezza della Scienza della logica e dellEnciclopedia ( 2 ). Il confronto si pone in modo non accidentale, perch Hegel, che considera il pen- contributo. Ringrazio altres il prof. Mario Mignucci per lo scambio di idee sulla matematica in Aristotele e per alcune indicazioni bibliografiche che mi ha fornito. ( 2 ) Abbreviazioni usate per le opere di G.W.F. Hegel: GuW = G.W.F. HEGEL, Glauben und Wissen oder die Reflexionsphilosophie der Subjectivitt in der Vollstndigkeit ihrer Formen, als Kantische , Jakobische und Fichtesche Philosophie, in Gesammelte Werke, Bd. IV, Jenaer kritische Schriften, hrsg. von H. Buchner u. O. Pggeler, Hamburg 1968, 315-414. WdL I = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Erster Band. Die objektive Logik (1812/13), hrsg. v. F. Hogemann u. W. Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 11, Dsseldorf 1978. WdL II = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Zweiter Band. Die subjektive Logik (1816), hrsg. v. F. Hogemann u. W. Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 11, Dsseldorf 1981. WdL III = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Erster Teil. Die objektive Logik. Erster Band. Die Lehre vom Sein (1832), hrsg. v. F. Hogemann u. W. Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 21, Dsseldorf 1985 (la trad. it. G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, riv. da - e con Nota introduttiva di - C. Cesa, Introduzione di L. Lugarini, Bari 1981, corrisponde alla Wissenschaft der Logik contenuta in WdL III, nel 2. Buch, Die Lehre vom Wesen, di WdL I, e in WdL II). Enz. A = G.W.F. HEGEL, Encyclopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Heidelberg 1817 (G.W.F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, trad. it. a cura di F. Biasutti, L. Bignami, F. Chiereghin, G.F. Frigo, G. Granello, F. Menegoni, A. Moretto, Trento 1987). Enz. B = G.W.F. HEGEL, Enzyclopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1927), hrsg. v. W. Bonsiepen u. H.-C. Lucas, Gesammelte Werke, Bd. 19, Dsseldorf 1989. Enz. C = G.W.F. HEGEL, Enzyclopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1830), hrsg. v. W. Bonsiepen u. H.-C. Lucas, u. Mitarbeit v. U. Rameil, Gesammelte Werke, Bd. 20, Dsseldorf 1992 (G.W.F. HEGEL, Enciclopedia delle scien- ze filosofiche in compendio, Traduzione it., Prefazione e Note di B. Croce, Glossario e Indice dei nomi di N. Merker, Introduzione di C. Cesa, Bari 1978 4 ). VGPh I-III = G.W.F. HEGEL, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, in Werke, auf der Grundlage der Werke von 1832 - 1845 neu edierte Ausgabe, Redaktion E. Moldenhauer und K.M. Michel, Frankfurt / M., 1971, B.de 18-20. Con riferimento a I. Kant ricorriamo alla sigla: KrV = I. KANT, Kritik der reinen Vernunft (2. Aufl. 1787), in Gesammelte Schriften, hrsg. von der Kniglich Preuischen [Deutschen] Akademie der Wissenschaften, Berlin [Berlin u. Leipzig] 1902 ff., IV; (trad. it. Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, riv. da - con una Introduzione di - e un Glossario a cura di - V. Mathieu, Bari 1985 3 ). 53 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... siero dello stagirita uno dei vertici pi alti della speculazione filoso- fica, si mostra particolarmente attento, come vedremo, alle conside- razioni sul tema dellinfinito e del continuo esposte nella Fisica. Il confronto pu inoltre rivestire un particolare interesse ai nostri gior- ni, dal momento che i pi recenti studi hegeliani hanno mostrato che, contrariamente a quanto si era generalmente ritenuto, le consi- derazioni di Hegel sulla matematica, oltre ad essere importanti nel- leconomia del suo sistema della filosofia, sono radicate nelleffettivo dibattito che si svolgeva su questa scienza. Il saggio si articola in due parti: la prima cerca di evidenziare il contenuto matematico delle considerazioni di Aristotele nella Fi- sica sullinfinito e sul continuo ( 3 ), e la seconda si propone di esami- Nel testo labbreviazione seguita dai numeri delle pagine delledizione tedesca e, tra parentesi, da quelli delle pagine corrispondenti nella traduzione italiana. ( 3 ) Per un inquadramento del problema della matematica, dellinfinito e del continuo in Aristotele si veda: T. HEATH, Mathematics in Aristotle, London: Oxford University Press, 1970 (first published 1949); I. MUELLER, Greek Mathematics and Greek Logic, in Ancient Logic and its modern Interpretations, edited by J. Corcoran,Proceedings of the Buffalo Symposium on Modern Interpretation of Ancient Logic, 21 and 22 April, 1972, Dordrecht - Boston, 1974, 35-70; H.J. WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles. Das Fortwirken der Eudoxischen Proportionen- theorie in der Aristotelischen Lehre vom Kontinuum, Amsterdam: Grner, 1977; I. MUELLER, Aristotle on Geometrical Objects, in J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji (eds.), Articles on Aristotle. 3. Metaphysics, London: Duckworth, 1979, 96-107; J. HINTIKKA, Aristotelian Infinity, in J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji (eds.), Articles on Aristotle. 3. Metaphysics, cit., 125-139; I. MUELLER, Aristotle and the Quadrature of the Circle, in N. Kretzmann (ed. / Hrsg.), Infinity and Continuity in Ancient and Medieval Thought, Ithaca and London, Cornell University Press, 1982, 146-64; R. SORABJI, Time, Creation and the Continuum: Theories in Antiquity and the Early Middle Ages, London: Duckworth, 1983; J. ANNAS, Die Gegenstnde der Mathematik bei Aristoteles, in A. Graeser (ed./Hrsg). Mathematics and Metaphysics in Aristotle. Mathematik und Metaphysik bei Aristoteles, Akten des X. Symposium Aristotelicum (Sigriswil, 6.-12. September 1984), Bern-Stuttgart: Haupt, 1987, 131-148; M. MIGNUCCI, Aristotles Arithmetic, in A. Graeser (ed./Hrsg). Mathematics and Metaphysics in Aristotle, cit., 175-211; D.H. FOWLER, The Mathematics of Platos Academy. A New Reconstruction, Oxford: Clarendon Press, 1987; L.M. NAPOLITANO VALDITARA, Le idee, i numeri, lordine. La dottrina della mathesis universalis dallAcca- HEGEL E ARISTOTELE 54 nare la rilevanza matematica dello stesso argomento nella Logica di Hegel confrontando il punto di vista hegeliano con quello aristo- telico ( 4 ). demia antica al neoplatonismo, Napoli: Bibliopolis, 1988; R. SORABJI, Matter, Space and Motion: Theories in Antiquity and their Sequel, Itacha, New York: Cornell University Press, 1988; W. CHARLTON, Aristotles Potential Infinites, in L. Judson (ed.), Aristotles Physics: A Collection of Essays, Oxford: Clarendon Press, 1991, 129-150; D. BOSTOCK, Aristotle on Continuity in Physics VI, in L. Judson (ed.), Aristotles Physics, cit., 179- 212; E. HUSSEY, Aristotles Mathematical Physics: A Reconstruction, in L. Judson (ed.), Aristotles Physics, cit., 213-242; M.J. WHITE, The Continuous and the Discrete. Ancient Physical Theories from a Contemporary Perspective, Oxford: Clarendon Press, 1992. ( 4 ) Sulla bibliografia su Hegel e la matematica, si veda W. NEUSER, Sekundr- literatur zu Hegels Naturphilosophie (1802-1985), in Hegel und die Naturwissen- schaften, hrsg. M.J. Petry, Stuttgart - Bad Cannstatt 1987, 501-542. Per ulteriori indicazioni bibliografiche e per una introduzione anche se incompleta ai diversi aspetti del tema Hegel e la matematica si veda nella recente letteratura: L.E. FLEISCHHACKER, Over de grenzen van de kwantiteit, Diss., Amsterdam 1982; A. MORETTO, Hegel e la matematica dellinfinito, Trento 1984; W. BONSIEPEN, Hegels Raum-Zeit-Lehre. Dargestellt anhand zweier Vorlesungsnachschriften, in Hegel-Studien 20 (1985), 9-78; A. MORETTO, Linfluence de la mathmatique de linfini dans la formation de la dialectique hglienne, in Hegels Philosophie der Natur, hrsg. v. R.-P. Horstmann u. M.J. Petry, Stuttgart 1986, 175-196; M. WOLFF, Hegel und Cauchy. Eine Untersuchung zur Philosophie und Geschichte der Mathematik, in Hegels Philosophie der Natur, cit., 197-263; I. TOTH, Mathematische Philosophie und hegelsche Dialektik, in Hegel und die Naturwissenschaften, cit., 89-182; L.E. FLEISCHHACKER, Quantitt, Mathematik, Naturphilosophie, cit., 183-203; P. VARDY, Zur Dialektik der Metamathematik, in Hegel und die Naturwissenschaften, cit., 205-243; V. HSLE, Raum, Zeit, Bewegung, in Hegel und die Naturwissenschaften, cit., 247-292; A. MORETTO, Que- stioni di filosofia della matematica nella Scienza della logica di Hegel. Die Lehre vom Sein del 1831, Trento 1988; A. MORETTO, Hegels Auseinandersetzung mit Cavalieri und ihre Bedeutung fr seine Philosophie der Mathematik, in Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, hrsg. v. G. Knig, Gttingen 1990, 64-99; W. BONSIEPEN, Hegels Theorie des qualitativen Quantittsverhltnisses, in Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, cit., 100-129; A. KLAUCKE, Hegels Lagrange-Rezeption, in Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, cit., 130-151. Sul problema dellinfinito in Hegel si veda G. MOVIA, Finito e infinito e lidealismo della filosofia. La logica hegeliana dellEssere determinato, Rivista di Filo- sofia neo-scolastica, 86 (1994), 110-33, 323-57, 623-64. Sulla logica hegeliana del- la quantit cfr. ID, Scetticismo antico e antinomica kantiana. La logica hegeliana della quantit, ibidem, 87 (1995), 551-95. 55 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... PARTE I LA CONCEZIONE MATEMATICA DELLINFINITO E DEL CONTINUO NELLA FISICA DI ARISTOTELE 2. Il problema dellinfinito in Aristotele La problematica dellinfini- to e del continuo viene esaminata da Aristotele soprattutto nella Fi- sica ( 5 ), dove si trova inserita nel quadro di una esposizione dei princpi della filosofia naturale, in funzione propedeutica alla trattazione del movimento ( 6 ). Infatti, osserva Aristotele, poich la scienza della natura deve prendere in esame il movimento ( 7 ), ne- cessario dire in precedenza che cosa sono, oltre al luogo, al vuoto e al tempo, linfinito e il continuo, dal momento che il movimento viene inteso come continuo, e al concetto di continuo necessario premettere quello di infinito ( 8 ). Aristotele si mostra consapevole dellaporeticit dellinfini- to, poich seguono conclusioni assurde sia dalla sua negazione, ( 5 ) La Fisica tratta dellinfinito nel libro III, del luogo, del vuoto e del tem- po nel IV, del continuo nel V e nel VI. In questa sede prender in considerazione linfinito ed il continuo. ( 6 ) Lanalisi dellinfinito viene condotta da Aristotele anche in Metaph., XI 10, riassumendo quanto detto in Phys., III 4 - 7. Lanalisi del continuo viene svol- ta anche in Cat., 6, 4 b 20 - 5 a 14; Top., IV.2; Metaph., V.6; De gener. et corr., I.2, I.6. Si veda anche De lin. insec. ( 7 ) Secondo Aristotele la natura principio del movimento (Phys., III, 200 b 12), e il movimento si spiega come una transizione dalla potenza allatto : movimento latto di ci che in potenza, in quanto tale (Phys., III, 201 a 10- 11). Salvo diverso avviso per la Fisica ricorro alla traduzione italiana di A. Russo in ARISTOTELE, Opere, III, Roma-Bari 1973. Ma si consulti anche: ARISTOTELE, Fisica, Saggio introduttivo, trad., note e apparati di L. Ruggiu, testo greco a fronte, Mi- lano 1995. ( 8 ) Phys., III, 200 b 12-25; cfr. anche Phys., III, 202 b 30-36: poich la scien- za della natura studia le grandezze, il movimento e il tempo, ciascuno dei quali necessariamente infinito o finito ... converr a chi si occupa della natura medi- tare sullinfinito, se esso o non ; e se , che cosa mai esso . HEGEL E ARISTOTELE 56 sia dalla sua ammissione. Daltra parte egli ritiene inaccettabili sia per la fisica, sia per la matematica, le conseguenze che derivano dalla sua negazione. Infatti negando linfinito il tempo sarebbe li- mitato, non si potrebbe dividere la grandezza a piacere e non si disporrebbe della possibilit di contare indefinitamente: del tempo, infatti, vi sar un principio e una fine, e le grandezze non saranno divisibili in grandezze, e il numero non sar infinito (Phys., III, 206 a 10-12). La valutazione delle conseguenze della negazione dellinfinito, severamente limitatrici delle scienze fisi- che e matematiche, lo inducono cos ad accettare la nozione di in- finito non incondizionatamente, ma in riferimento ad alcune spe- cifiche modalit ( 9 ). Aristotele precisa che lindagine sullinfinito condotta nella Fisica ha un carattere prevalentemente fisico. Infatti egli oltre ad affermare che ... dovere fondamentale del fisico esaminare se vi sia una grandezza sensibile infinita ( 10 ), osserva che questa ricerca si estende a questioni generali se ci mettiamo a discutere sullesistenza dellinfinito anche negli enti matematici e in quelli che sono intelligibili e non hanno grandezza, e ribadisce di stare conducendo un esame sulle cose sensibili, e di indagare se tra ( 9 ) Secondo Aristotele linfinito si predica secondo queste accezioni: linfi- nito : ci che non si pu percorrere per sua stessa natura (come la voce da parte della visibilit); in altro senso ci che presenta un percorso senza fine, o che a malapena si pu percorrere, oppure ci che per sua natura presenta un percorso e un limite che per irraggiungibile (Phys., III, 204 a 3-8). ( 10 ) (Phys., III, 204 a 1-2). Aristotele osserva che tutti i filosofi degni di tal nome hanno posto linfinito come principio, e che questo fatto (credenza nellin- finito) potrebbe aver origine 1) dal tempo; 2) dalla divisione delle grandezze (come accade in matematica); 3) dalla necessit di spiegare la generazione e la corruzione; 4) dalla trasformazione incessante delle cose che tendono sempre ad un nuovo termine; 5) dalle difficolt che esso suscita nel pensiero; esso non si pu sopprimere, e cos siamo portati a ritenere che siano infiniti il numero, la grandezza matematica e ci che fuori dal cielo (Phys., III, 203 b 15-25). Aristo- tele segnala laporeticit dellinfinito, sia che lo si assuma, sia che lo si neghi (Phys., 203 b 30-32) 57 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... queste ci sia un corpo infinito per accrescimento (Phys., III, 204 a 34 - b 4). Siamo pertanto in presenza di una distinzione tra enti sensibili ed enti intelligibili, indagati secondo la categoria della quantit. Vi sono cos, accanto ad enti intelligibili che non hanno grandezza, enti intelligibili considerati secondo la quantit, dei quali si occupa la matematica, ed enti sensibili considerati secon- do la quantit, dei quali si occupa la fisica. Ma anche se le considerazioni della Fisica riguardano la ri- cerca sulla natura, ci non significa che il testo tratti esclusiva- mente la problematica fisica. Infatti la problematica matematica presente con grande rilievo, anche se il fine lindagine fisica, e la stessa considerazione dellinfinito e del continuo si svolge preva- lentemente in ambito matematico. pertanto opportuno tener presente che il testo aristotelico contiene entrambi questi aspetti, matematico e fisico, e che le considerazioni matematiche sono di notevole rilievo, anche se non sono condotte in modo sistematico e non hanno pretese di completezza. In ogni caso sono in grado di fornire importanti indicazioni sulla concezione aristotelica della matematica. 3. La definizione dellinfinito La definizione pi ampia proposta da Aristotele per linfinito : infinito ci che esteso senza li- miti (Phys., III, 204 b 20-21), ed applicabile non solo alla fisica, ma anche alla matematica. Su questa definizione si innesta, come si vedr, la distinzione fondamentale tra un infinito in potenza (dunav mei a[ peiron), ed un infinito in atto (ej nergeiv a/ a[ peiron, ejnteleceiva/ a[peiron) ( 11 ). In base a questa distinzione linfinito vie- ne definito, ( 11 ) Sulla distinzione tra potenza e atto in Aristotele si veda E. BERTI, Gene- si e sviluppo della dottrina della potenza e dellatto in Aristotele, Studia Patavina, V (1958), 477-505. HEGEL E ARISTOTELE 58 a) da un punto di vista potenziale, come un processo che pu andare oltre ogni limite; b) da un punto di vista attuale, invece, come ci di cui non vi niente di pi grande (altrimenti vi sarebbe un limi- te), quindi come estremo superiore della classe delle grandezze (in particolare come grandezza massima). Questo infinito viene considerato pertanto come un infi- nito compiuto, linfinito determinato (to; a[ peiron wJ ajjwrismevnon). A questa distinzione fondamentale tra infinito in potenza ed infinito in atto si aggiungono le specificazioni tra un infinito per di- visione (diairev sei), per sottrazione o diminuzione (aj airev sei, kaqairevsei), e per accrescimento (aujxhvsei, prosevsei), legate alle operazioni che vengono effettuate con le grandezze. 3.1. Infinito in atto Lindagine preliminare sullinfinito riguarda la possibilit dellesistenza dellinfinit in atto, ossia considerata nella sua compiutezza, sia per le grandezze in generale, sia per il numero. Nel caso del corpo (sw`ma) infinito non siamo di fronte ad un processo inesauribile, ma ad una determinata grandezza: si tratta pertanto di pronunciarsi sullesistenza o meno del corpo infinito in atto. A questo proposito Aristotele osserva che il corpo, non solo fisico, ma anche geometrico, non pu essere infinito in atto, essendo limitato per definizione ( 12 ): se si chiama corpo ci che ( 12 ) Nella geometria classica greca gli enti geometrici fondamentali, linea, superficie e solido, sono concepiti come limitati: si vedano le definizioni euclidee negli Elementi, estremi di una linea sono punti (EUCLIDES, Elementa, post I.L. Heiberg edidit E.S. Stamatis, 4 voll., Leipzig: Teubner, 1969-73, Libro I, Def. III; in italiano EUCLIDE, Gli Elementi, a cura di A. Frajese e L. Maccioni, Tori- no: UTET, 1970); estremi di una superficie sono linee (ivi, Libro I, Def. VI), li- mite di un solido una superficie (ivi, Libro XI, Def. II). Cos la linea retta 59 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... limitato da una superficie, non potrebbe esserci un corpo infinito n come intelligibile, n come sensibile(Phys., III, 204 b 5-7). Los- servazione corretta dal momento che, secondo la definizione aristotelica, i corpi sono i solidi limitati da superfici e linee. Infatti in questo modo essi non possono essere infiniti (e di conseguenza anche le linee e le superfici limitanti) perch ci contrasta la defi- nizione di infinito come ci che non ha limiti. Va per rilevato che con una diversa definizione di corpo potrebbe venir preso in con- siderazione anche il corpo infinito. Per ci che riguarda lammissibilit del numero infinito in atto Aristotele osserva che il numero infinito, in quanto separato, non esiste: se infatti esistesse, sarebbe possibile contare linfinito, dal momento che il numero numerabile (Phys., III, 204 b 7-10). Va rilevato che questo fatto effettivamente possibile se si dispo- ne di un numero infinito; esso viene per escluso da Aristotele sulla base del comune consenso (oJmologoumevnw) ( 13 ). Pi significativa laltra osservazione, alla base della quale stanno le difficolt che sorgono estendendo le grandezze con le grandezze infinite: se esiste linfinito in atto, linfinito nella somma o nella differenza distruggerebbe il finito. Cos nei contrari, non pu essere uno di essi infinito e laltro finito, ad esempio laria ri- spetto al fuoco, altrimenti laria prevarrebbe su di esso (Phys., III, 204 b 13-19). In altri termini, fermandoci al contenuto matematico, + a = - a = . Questo fatto in realt pu accadere con le defini- zioni di somma e differenza che hanno luogo nelle estensioni del corpo dei numeri con il numero infinito. Queste ed analoghe situa- definita come segmento (linea retta terminata), e linfinit della linea si ottiene a partire da questa definizione col Postulato II del Libro I: [Risulti postulato] che una retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta. ( 13 ) Phys., VIII, 8, 263 a 4-11. Georg Cantor ritiene questa dimostrazione di Aristotele una petitio principii: cfr. G. CANTOR, Gesammelte Abhandlungen mathematischen und philosophischen Inhalts, hrsg. v. E. Zermelo, nebst einem Lebenslauf Cantors von A. Frnkel, Hildesheim: Olms, 1966, 174. HEGEL E ARISTOTELE 60 zioni che hanno luogo con le altre operazioni hanno lo svantaggio di far perdere alcune propriet dei numeri. Va per notato che con gli ordinali transfiniti, mentre da un lato si ha a + = w (linfinito di- strugge il finito), dallaltro vale + a . In questo modo si ha una estensione dei numeri con i numeri infiniti in cui linfinito non di- strugge il finito, poich linfinito viene modificato dal finito ( 14 ). La considerazione dei corpi infiniti in atto d luogo anche ad altre difficolt, sia di carattere fisico, sia di carattere matemati- co. In questo senso Aristotele non ammette il corpo sensibile infi- nito in atto in quanto incompatibile con il concetto di luogo natu- rale per i corpi. Infatti in quale luogo andr linfinito? In quello superiore o in quello inferiore? Oppure met da una parte e met dallaltra? E come dividere il corpo infinito a met? Sulla base di considerazioni di questo genere egli conclude che non pu esserci il corpo infinito in atto (Phys., III, 205 a 7 - 206 a 8). 3.2. Infinito in potenza Aristotele afferma sinteticamente che, mentre lessere in potenza (dunavmei) o in entelechia (ejnteleceiva/), linfinito per aggiunzione (prosvsei) o per detrazione (ajairevsei). Inoltre la grandezza (mevgeo) in quanto in atto (katejnevrgeian) non infinita, ma infinita per divisione (diairevsei), poich non possono sussistere le linee indivisibili (Phys., III, 206 a 14-18) ( 15 ). La distinzione tra linfinito per aggiunzione e per detrazio- ne e linfinito per divisione viene illustrata da Aristotele in un se- condo momento, poich egli interessato per prima cosa a mo- ( 14 ) Cfr. CANTOR, Gesammelte Abhandlungen, cit., 174. ( 15 ) La dottrina delle linee indivisibili viene attribuita da Aristotele a Pla- tone. Su ci si veda il trattato De lineis insecabilibus, da attribuire alla scuola aristotelica. Per una introduzione allargomento si veda M. TIMPANARO CARDINI, Introduzione, in PSEUDO-ARISTOTELE, De lineis insecabilibus, Introduzione, traduzio- ne e commento a cura di M. Timpanaro Cardini, Milano - Varese: Istituto Edito- riale Cisalpino: 1970 (data di stampa), 9-39. 61 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... strare che dallesclusione dellinfinito in atto e dallipotesi della divisibilit della grandezza (che come si vedr permette linfinito per aggiunzione e per detrazione) segue che linfinito per le gran- dezze solo in potenza, a patto che si precisi che non in potenza nel senso che poi sar un altro, come ci che in potenza una sta- tua diverr poi una statua, ma in potenza nel senso che esprime un processo che sempre diviene, rappresentando sempre qualco- sa di diverso: si deve intendere che linfinito nel senso in cui si dice: il giorno , la gara , perch questi diventano sempre qual- cosa di diverso. (Phys., III, 206 a 18-23). Commenta W.D. Ross: linfinito, come il giorno o una battaglia, esiste mediante il gene- rarsi successivo delle sue parti; esiste, per usare il linguaggio di san Tommaso, non in actu permanente, in facto, ma successive, in fie- ri ( 16 ). E poco dopo Aristotele osserva che cos , infatti, linfinito in universale, perch si pone come sempre diverso, mentre ci che si assume da esso sempre finito, bench ci sia sempre, poi, altro ed ancora altro (Phys., III, 206 a 27-29). In altri termini nellinfinito in potenza si ha un continuo passaggio dalla potenza allatto: negli esempi ora riferiti lessere in potenza ed anche in atto, perch i giochi olimpici sono sia in quanto possono diventar gara sia in quanto sono in atto (Phys., III, 206 a 23-25) ( 17 ). Processi di questo tipo (un processo che sempre diviene, rappresentando sempre qualcosa di diverso) vengono descritti in aritmetica, ad esempio, con le funzioni generatrici di sempre nuovi elementi, come succ(x) = x* nellinsieme N dei numeri naturali, ed ( 16 ) W.D. ROSS, Aristotle, London: Methuen, 1923; in italiano Aristotele, trad. di A. Spinelli rivista sulla 5
ed. da C. Martelli, Milano: Feltrinelli, 1976
2 ; 86. ( 17 ) Il fatto che nellinfinito potenziale si configuri un passaggio dalla po- tenza allatto per gli enti coinvolti nel processo viene ribadito da Aristotele: lin- finito pur anche in entelechia, ma nel senso in cui diciamo: il giorno , o la gara , ed anche in potenza, come la materia, e non mai di per s, come invece il finito (Phys., III, 206 a 13-16). HEGEL E ARISTOTELE 62 in geometria, con il postulato di densit dei punti della retta, per cui dati due punti A e B esiste sempre un terzo punto C compreso in senso stretto tra A e B. In effetti Aristotele si muove in questa dire- zione quando afferma che il numero (naturale) infinito in poten- za, ma non in atto; epper sempre il numero assunto supera qualsia- si pluralit determinata. Tuttavia questo numero non separabile dalla dicotomia, e linfinit non permane, ma si genera, come anche si generano il tempo e il numero del tempo (Phys., III, 207 b 11-15). Si noti che con questa caratterizzazione potenziale linfinito ci al di fuori del quale c sempre qualcosa. Perci questo infi- nito, che viene concepito come un processo inesauribile, lin- completo, e non il perfetto: il perfetto ci che completo (Phys., III, 207 a 7 - 10). 4. I procedimenti infiniti di calcolo con le grandezze Per ci che ri- guarda la teoria generale delle grandezze, Aristotele presenta sin- teticamente le seguenti distinzioni sullinfinito: premesso che lin- finito, non potendo essere in atto, pu essere solo in potenza, questo infinito in potenza viene esplicitato con il procedimento di divisione allinfinito della grandezza; a questo procedimento si allacciano linfinito per aggiunzione e quello per detrazione (Phys., III, 206 a 14 - 206 b 20) ( 18 ). Viene pertanto presupposta la proprieta di divisibilit delle grandezze, nel senso che ogni grandezza si pu ripartire in due parti ( 18 ) Aristotele ritiene sussista lalternativa tra due teorie, una delle quali considera appunto le grandezze indefinitamente divisibili, e laltra che considera le grandezze ordinarie composte di grandezze (in questo caso linee) indivisibili. Dal momento che egli ritiene di poter contrastare lipotesi dellesistenza delle linee indivisibili (cfr. infra), si dovr assumere la divisibilit indefinita delle grandezze. Su questo argomento egli si sofferma nella Metafisica, attribuendo la dottri- na delle linee indivisibili a Platone. Cfr. Metaph. I 992 a 20 sgg. Limportanza dedica- ta in ambiente aristotelico alla confutazione di questa dottrina documentata an- che dallo scritto, di incerta attribuzione, Sulle linee indivisibili. 63 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... che sommate danno la grandezza precedente, e a questa propriet pu corrispondere il citato postulato di densit della retta. Due esempi di questa propriet si hanno nelle proposizioni geometriche che stabiliscono la divisibilit di un angolo o di un segmento in due parti congruenti (divisione mesotomica): negli Elementi di Euclide queste proposizioni sono le proposizioni IX e X del I libro ( 19 ). La propriet di divisibilit delle grandezze conduce a diversi procedimenti infiniti, dal momento che loperazione iterabile a piacere. Infatti se dopo ogni divisione scegliamo una delle due grandezze risultanti e ripetiamo loperazione, otteniamo una suc- cessione di infiniti punti di divisione e di infinite grandezze. Som- mandole successivamente si di fronte ad un particolare processo infinito per aggiunzione; togliendole da quella iniziale si di fron- te ad un particolare processo infinito per detrazione. Come si vede questi procedimenti infiniti hanno uno schema analogo a quello che viene utilizzato nel logos zenoniano della dicotomia: il mobile non giunger mai al telos perch prima deve giungere alla met (Phys., VI, 239 b 11-14); tutte queste argomentazioni si basano infat- ti sulla circostanza che la propriet assunta di divisibilit della grandezza d luogo ad un processo iterabile. Alcune difficolt matematiche di calcolo con linfinito coin- volte dal logos zenoniano della dicotomia cominciavano ad essere ri- solte dalla matematica greca preeuclidea. Anche Aristotele parti- colarmente attento ad alcune circostanze connesse con i procedi- menti infiniti per divisione, addizione e detrazione delle grandezze assolute, e rileva che: a1) nel procedimento di indefinita divisione di una grandezza si possono ottenere grandezze assolute piccole a piacere (in- finito per divisione), come risulta dallosservazione che la grandezza variabile nellinfinito per divisione supera [nel senso di inferiore a] ogni grandezza finita e rimane sem- ( 19 ) EUCLIDES, Elementa cit., Libro I, Propp. IX, X. HEGEL E ARISTOTELE 64 pre minore (Phys., III, 6, 206 b 19-20). Sono in considera- zione le successioni infinitesime, ossia convergenti verso la grandezza nulla; a2) vi sono somme infinite di grandezze assolute crescenti e convergenti, nel senso che approssimano per difetto una determinata grandezza con precisione grande a piacere (infinito per addizione): linfinito per aggiunzione , poi, quasi la medesima cosa che linfinito per divisione, giac- ch esso si produce nel finito per aggiunta, in modo con- trario allaltro. Invero, nella misura che una grandezza viene divisa allinfinito, nella stessa misura la somma delle parti successivamente ottenute risulta tendere ad una grandezza determinata (Phys., III, 206 b 3 - 6) ( 20 ). In que- sto caso egli sta considerando le serie convergenti verso una determinata grandezza non nulla. Somme infinite di que- sto tipo, sottratte dalla grandezza iniziale, determinano un resto piccolo a piacere (adopero un linguaggio non ri- goroso ma intuitivo). Le considerazioni sullinfinito per de- trazione corrispondono al seguente passo: se noi da una grandezza finita desumiamo una determinata grandezza e poi ne desumiamo ancora unaltra nel medesimo rappor- to, senza per portar via la grandezza stessa dellintero, non riusciremo a percorrere il finito (Phys., III, 6, 206 b 5 - ( 20 ) Modifico la traduzione italiana di A Russo, linfinito per aggiunzio- ne , poi, quasi la medesima cosa che linfinito per divisione, giacch esso si pro- duce nel finito per aggiunta, in modo contrario allaltro. Invero, nella misura che una grandezza viene divisa allinfinito, nella stessa misura essa risulta aggiunta a quella finita, tenendo conto dellindicazione di Heath, il quale propone per la parte finale della citazione la traduzione: ... so, in the same way, the sum of the successive fractions when added to one another (continually) will be found to tend toward a determinate limit: cfr. HEATH, Mathematics in Aristotle, cit., 106, 108. Va rilevato che, anche se si seguono le traduzioni che concordano con quel- la di Russo, linfinito per addizione risulterebbe contenuto nel passo successivo Phys., III, 6, 206 b 5 - 9. 65 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... 9). Va notato che a questo infinito per detrazione con- giunto linfinito per addizione della somma delle infinite grandezze che vengono tolte. In altri termini lesempio ri- guarda sia le serie infinitesime, sia le serie convergenti verso una grandezza non nulla. A proposito di questo infi- nito (per aggiunzione (kata; provsqesin) e per detrazione (aj airevsei, kaqairevsei)) Aristotele specifica ancora che esso in potenza e che con esso non solo non si pu rag- giungere la grandezza infinita, ma anche che le grandezze cos ottenute portando avanti la somma ammettono un estremo superiore: sempre, infatti, si potr assumere qualcosa al di fuori di esso, ma, non di meno, esso non su- perer ogni grandezza finita (Phys., III, 6, 206 b 16-19); b) vi sono somme infinite di grandezze assolute che possono superare ogni grandezza prefissata per quanto grande. In- fatti egli osserva che se ... accresceremo il rapporto in modo da portar via progressivamente la grandezza stessa, allora riusciremo a percorrerla, perch tutto ci che finito si toglie via mediante la sottrazione di un qualsivoglia fini- to (Phys., III, 6, 206 b 9-12). In questo caso egli sta conside- rando le serie divergenti. Oltre a questo la proposizione corrispondente ad a1) ha una portata sia matematica, sia fisica, di estremo rilievo per la matema- tica e per la fisica aristotelica, poich, mutatis mutandis, essa affer- ma che tra le grandezze considerate in questa teoria delle grandez- ze non esistono grandezze minime, ossia non esistono indivisibili estesi, poich la propriet di divisibilit pu condurre a grandezze piccole a piacere. Queste osservazioni di Aristotele hanno a mio avviso un notevole rilievo per la matematica ( 21 ), dal momento che, conside- ( 21 ) Cfr. A. MORETTO, Sul concetto matematico dellinfinito e del continuo nella Fisica di Aristotele, Verifiche 24 (1995), 20 sgg. HEGEL E ARISTOTELE 66 rando le grandezze assolute, esse attestano, con a 1 ) lesistenza di successioni di grandezze che possono diventare minori di una grandezza prefissata, per quanto piccola; con a 2 ) lesistenza di serie convergenti, ossia di somme di grandezze che possono approssi- mare per difetto una data grandezza con precisione grande quanto si desidera; e con b) lesistenza di serie divergenti, ossia di som- me di grandezze che possono superare qualsiasi grandezza prefissata, per quanto grande essa sia. 5. La continuit secondo Aristotele Nel V libro della Fisica Aristote- le presenta una interessante teoria topologica, che culmina con una definizione di continuo in base alla quale c continuit tra due cose quando i limiti con cui esse si toccano coincidono. Pi precisa- mente, questa topologia si articola con le definizioni di sette con- cetti: Def. 1) - lassieme (to; a{ma): assieme nel luogo si dice per cose che stanno nello stesso posto [=luogo]; Def. 2) - il separato (cwriv): lesser separato si dice per cose che non stanno nello stesso posto; Def. 3) - lessere in contatto (to; a{ptesqai): si dice di cose le cui estre- mit (ta; a[kra) sono assieme; Def. 4) - lintermedio (to; metaxuv): ci che viene raggiunto dal moto continuo tra due contrari (i due estre- mi del movimento: la partenza e larrivo); Def. 5) - il consecutivo (to; ejexh`): un termine il consecutivo di un altro quando non c in- termedio dello stesso genere tra i due; due termini possono essere consecutivi e separati, oppure consecutivi e non separati; Def. 6) - il contiguo (to; ejcovmenon): ci che consecutivo e in contatto; Def. 7) - il continuo (to; sunecev): ci che contiguo quando i limiti (to; eJkatevrou pevra) delle cose che si toccano diventano ununica cosa (Phys., V, 3, 226 b 18 - 227 a 17) ( 22 ). Come si vede la definizione del continuo (Def. 7) presume le precedenti, dal momento che il continuo contiguo (Def. 6) e pre- ( 22 ) Si veda WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles, cit., 158 sgg. 67 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... suppone il contatto (Def. 3); il contiguo consecutivo (Def. 5); il consecutivo rinvia allintermedio (Def. 4) e al separato (Def. 2); il contatto rinvia allassieme (Def. 1). Lasciando da parte la problematica connessa con linterpreta- zione delle altre definizioni, converr limitarci alla definizione del continuo, osservando che la definizione esposta supra (Def. 7) non lunica che troviamo nella Fisica. Si hanno infatti tre definizioni di continuit: A) una prima definizione di tipo globale e fisico (Def. A): movimento continuo quello che non ha interruzioni nel tempo; moto continuo quello che non ha interruzione nel tempo, pur po- tendola avere nelloggetto del moto; ad esempio due corde di uno strumento musicale, una delle quali si mette in vibrazione subito dopo che si fermata la prima. Questa definizione viene esposta come un inciso nella definizione di intermedio (Phys., V, 3, 226 b 27- 30). Da questa sarebbe possibile estrapolare una definizione globa- le pi ampia (Def. A *): continuo ci che non ha interruzioni. Ma mentre linterruzione doveva sembrare di agevole definizione nel riferimento di una grandezza ad una altra grandezza supposta continua (il tempo), non lo era altrettanto con riferimento ad un unico tipo di grandezza. B) La seconda definizione, Def. B, coincide con la Def. 7, so- pra riportata. In sostanza si ha continuit tra due cose quando i li- miti con cui si toccano coincidono. Questa definizione riprende la discussione generale sulla ca- tegoria della quantit esposta nelle Categorie (Cat., 6). Aristotele di- stingue la quantit (posovn) tra discreta (diwrismevnon), ad esempio il numero (ajriqmov) e il discorso (lovgo), e continua (sunecev), ad esempio la linea (grammhv), la superficie (ejpifavneia), il corpo (sw`ma), il tempo (crovno) e il luogo (tovpo). Le quantit discrete sono costi- tuite, a differenza di quelle continue, di parti (morivwn) dotate reci- HEGEL E ARISTOTELE 68 procamente di una posizione (qevsin); lelemento discriminante per la propriet della continuit sembra consistere nellesistenza di un limite comune (koino; o{ro) alle parti, in cui esse si fondono (sunavptei). In questo senso la linea (segmento) continua, perch esiste un limite comune, il punto (stigmhv), in cui le parti si congiun- gono (due segmenti adiacenti si saldano in un segmento somma: AD = AB + CD, con B = C). Allo stesso modo continua la superfi- cie, assumendo come limite la linea; ed continuo il corpo solido, assumendo come limite la linea o la superficie (Cat., 6, 4 b 20 - 5 a 6). Questa nozione sembrerebbe orientata verso una definizio- ne locale della continuit (continuit in un punto, B o C): ma ap- pare subito un lato problematico della questione. In questa defi- nizione di continuo si presuppone gi che siano continui gli enti che entrano in contatto. Quindi in realt si d la condizione per- ch, partendo da due continui, si origini con loperazione di som- ma un terzo pure continuo. In questordine di idee alcuni autori interpretano la continuit della definizione Def. 7) come una rela- zione binaria K 2 ( 23 ). In realt, a mio avviso, siamo invece in pre- senza di una operazione S C con due argomenti; quindi, semmai, ad una relazione C 3 , che a due grandezze continue associa ancora un continuo, sotto la condizione della coincidenza dei limiti. Sot- to certi aspetti la definizione ha anche un carattere globale: conti- nuo il composto ottenuto da n parti continue semplici, saldate per gli estremi. Essa per presuppone che esistano grandezze continue, come accade in geometria euclidea, dove gli enti fonda- mentali della geometria sono i segmenti, grandezze continue. C) Aristotele non riteneva sufficiente questa ricognizione del continuo, appunto perch, mentre da un lato essa dava indicazioni sulla operazione della connessione dei continui tra loro, non dava informazioni sulla struttura del continuo, corrispondenti alla con- ( 23 ) Cfr. WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles, cit., 158 sgg. 69 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... cezione intuitiva di Def. A*: il continuo ci che non ha interruzio- ni. Egli ritiene per possibile un procedimento regressivo, che partendo dalla Def. 7) possa caratterizzare la struttura fine del con- tinuo. La linea argomentativa di Aristotele sembrerebbe essere la seguente: 1) la somma di due grandezze d un continuo se i loro estremi coincidono. Quindi, banalmente, la somma di due continui d sotto certe condizioni un continuo; 2) le grandezze sono divisibili o indivisibili; 3) il continuo non pu risultare composto da indivisibili; 4) il continuo risulta pertanto composto da divisibili in parti sempre divisibili (altrimenti si arriverebbe allindivisibile come componente del continuo). Per far questo egli si serve delle considerazione che il continuo non pu essere composto da indivisibili. Indivisibile ci che non pu essere diviso, e pu pre- sentarsi sotto diverse modalit: esso pu essere della stessa dimen- sione del continuo, ed essere di estensione finita, com il caso delle linee indivisibili rispetto alla linea; oppure possedere una dimen- sione minore di quella del continuo, com il caso del punto rispet- to alla linea, della linea rispetto alla superficie, e della superficie ri- spetto al solido. Ora lipotesi che il continuo sia composto da indivisibili ad esso omogenei per dimensione (com il caso delle lineee indivisi- bili rispetto alla linea) non sostenibile nella teoria aristotelica del- le grandezze, poich in essa, come si detto, dividendo una gran- dezza A, possibile ottenere una grandezza B minore di una pre- fissata grandezza e, per quanto piccola ( 24 ). Rimane cos da considerare lipotesi che continuo sia compo- sto da indivisibili di dimensione inferiore, com il caso del punto nei confronti della linea. In questo caso Aristotele conduce una di- versa argomentazione contro la possibilit che il continuo sia com- posto da indivisibili. Infatti, se per assurdo fosse divisibile in parti ( 24 ) Cfr. supra. HEGEL E ARISTOTELE 70 indivisibili (nel caso della linea i punti), ci sarebbe contatto tra indivisibile e indivisibile (Phys., VI, 1, 231 b 15 - 18). Pertanto nem- meno in questo caso il continuo divisibile in parti sempre divisi- bili. Segue una nuova definizione (Def. C ) di continuo: continuo ci che divisibile in parti sempre divisibili (Phys., VI, 2, 232 b 25). In questa definizione la propriet della continuit risulta dalla congiunzione della propriet di divisibilit (densit) e di quella di convergenza di una successione di grandezze verso la grandezza nulla, come risulta sottolineato dalluso di sempre (aj eiv ). 6. Continuit e infinit Poich il continuo divisibile allinfinito, in esso ci sono infiniti punti di divisione (met), ma non in atto, bens in potenza. Se fossero in atto il moto non sarebbe pi conti- nuo, ma ci sarebbero delle interruzioni del medesimo (Phys., VIII, 8, 263 a 27-30) ( 25 ). Nel caso della divisione in atto, la spiegazione aristotelica consiste nel considerare effettivamente divisa in due parti la grandezza, ad esempio il segmento AB in corrispondenza del punto M (shmei`on) ( 26 ), in due segmenti che richiedono di es- sere entrambi completati con un estremo (segmento inteso come un intervallo chiuso); pertanto, se M = M 1 lestremo destro del primo segmento, M 2 M 1 sar lestremo sinistro del secondo, in modo che sono dati i due segmenti AM1 e M 2 B,. Ogni punto M viene cos contato due volte, la prima con M 1 = M, e la seconda con M 2 M 1 e ci creerebbe una interruzione di continuit ( 27 ). ( 25 ) Cfr. Metaph., II 2. 994 b 23-25. ( 26 ) Si noti la duplice denotazione del punto da parte di Aristotele, come stigmhv e come shmei`on. La seconda denotazione quella cui ricorrer Euclide. ( 27 ) Attesa la definizione Def. B del continuo, affinch ci sia continuit, i due punti non possono essere diversi. 71 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... Si hanno cos differenti divisioni del continuo: a) una divisio- ne in potenza, che non altera la sua continuit e che permette la successione potenziale di infiniti punti medi (pi in generale inter- medi); b) una divisione in atto, che trasforma il continuo in una discontinua composizione di continui. Si noti che Aristotele concorda con lipotesi matematica del logos di Zenone sulla dicotomia: lintero (il continuo) sia divisibile mediante un punto interno. Con questa premessa il continuo divisibile in parti sempre divisibili, che possono diventare piccole a piacere, senza che si giunga mai al punto; nel continuo la divisione genera infiniti punti di suddivisione. La tesi di Zenone ha per un contenuto fisico paradossale, poich su queste basi si nega che il movimento possa portare ad un qualsiasi telos, o abbia avuto inizio da qualche arch. Essendo infinite le met, la completezza del mo- vimento richiederebbe che fosse numerato un numero infinito, la qual cosa impossibile per comune consenso, (Phys., VIII, 8, 263 a 4-11). La soluzione aristotelica consiste nel dire che queste difficolt sarebbero reali se la divisione fosse in atto, poich in tal modo ri- guarderebbe la sostanza (hJ oujsiva) e lessere (to; ei\nai) del continuo; ma la divisione in potenza, ed in tal modo il mobile percorre solo accidentalmente (kata; sumbebhkov) gli infiniti (Phys., VIII, 8, 263 b 3-9). 7. Sulla concezione aristotelica delle grandezze geometriche Riassu- mendo ora in sintesi la posizione di Aristotele sulle grandezze geo- metriche, ci sembra si possa dire che secondo Aristotele 1) la matematica dispone di classi di grandezze omogenee, ad esempio la classe delle lunghezze dei segmenti, nel senso che 1.1) esse si possono sommare e confrontare tra loro secondo particolari assiomi (cfr. le nozioni comuni di Euclide). A questo punto possibile definire il multi- plo della grandezza a secondo un numero naturale n, os- HEGEL E ARISTOTELE 72 sia na. ( 28 ) 1.2) La classe di grandezze omogenee archime- dea, ossia, date due grandezze a e b, esiste un numero natu- rale n tale che na > b (si noti che secondo la concezione eu- clidea lomogeneit contiene larchimedeicit) ( 29 ). 2) Le grandezze di queste classi sono grandezze divisibili. Nel caso delle lunghezze dei segmenti, dato il segmento AB esiste quindi un punto C interno ad AB, che divide AB in AC e CB. Il rapporto di queste due parti pu essere ra- zionale o anche irrazionale. Questa propriet di divisibili- t corrisponde alla propriet di densit di un insieme. 3) Aristotele, come i matematici della sua epoca, si rende conto del fatto che la congiunzione dei postulati di archi- medeicit e di divisibilit conduce ad una propriet di estremo interesse per le applicazioni al calcolo con linfini- to, che consiste in sostanza nella possibilit di ottenere classi di segmenti le cui lunghezze tendono a zero (ap- prossimazione infinita allo zero), dal momento che si trat- ta anche il caso in cui questa divisibilit conduca ad una grandezza minore di una prefissata grandezza. In sostan- za questa la concezione della continuit di Aristotele, al- lorch chiama continue le grandezze divisibili in grandez- ze sempre divisibili (concezione che denoto come conti- nuit debole, rapportandola alla concezione forte del- la continuit secondo Dedekind e Cantor). Questa propriet sembra essere formulata con estrema sintesi con lespressione: continuo ci che divisibile in parti sempre divisibili. Con la parola sempre ritengo egli intenda indicare sia literabilit indefinita del procedimento di divisione, sia il fatto che ( 28 ) Inversamente, se dato il multiplo, b = na , definito il sottomultiplo di b secondo n, ossia (1/n)b = a. Lesistenza del multiplo garantita dalle pro- priet precedenti. ( 29 ) Se linsieme delle grandezze oltre ad essere archimedeo divisibile (cfr. infra), vale anche (1/n)b < a. 73 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... con esso si pu ottenere una grandezza minore di una qualsiasi grandezza prefissata. In questo modo Aristotele mostra di essere consapevole dellimportanza della rappresentazione di una succes- sione infinitesima di grandezze. Peraltro il concetto di continuit delle grandezze secondo Aristotele pi debole di quello di Cantor e di Dedekind. Infatti possiamo dire che, disponendo del concetto aristotelico di conti- nuit, conseguito il fatto che se due grandezze hanno un rappor- to (razionale o irrazionale), si possono porre in corrispondenza biunivoca le misure razionali per difetto e per eccesso di questo rapporto in modo tale che le loro differenze tendano a zero. Quello che manca il passaggio inverso: se vi sono due classi siffatte di numeri razionali che realizzano lavvicinamento infinito, vi sono due grandezze, razionali o irrazionali, che stanno nel rapporto che genera quelle due classi di razionali. In questordine di idee Dedekind e Cantor definiranno la continuit (continuit in senso forte) con contributi pubblicati nel 1872 ( 30 ). Aristotele (in Phys., III, 6, 206 b 3 - 20) mostra, a mio avviso, una notevole familiarit con procedimenti infiniti di calcolo con le grandezze, che nel presente saggio sono stati esposti con il lin- guaggio della teoria delle successioni e delle serie. Infatti il testo della Fisica ci illustra che agevole costruire serie divergenti, e che la dicotomia genera successioni infinitesime di grandezze, con le quali possibile costruire serie convergenti verso una grandezza A. Emerge altres il ruolo importante della dicotomia, la quale uno strumento essenziale 1) per garantire un riferimento geometri- co alla successione dei numeri naturali: il numero il contatore di un processo dicotomico; 2) per indagare sullesistenza di serie convergenti verso una grandezza data. ( 30 ) Si veda A. FRAJESE, Attraverso la storia della matematica, Firenze: Le Monnier, 1973, 353-59. HEGEL E ARISTOTELE 74 Queste preoccupazioni per la convergenza delle serie potreb- bero essere connesse con lo scopo di disporre in fisica di grandezze superiormente limitate (dal diametro del cielo, considerando, ad esempio, le grandezze lineari); esistono altres serie infinitesime, ossia aventi la grandezza nulla come estremo inferiore. In altri ter- mini le serie divergenti dovrebbero avere per Aristotele un interes- se soprattutto matematico, e quelle convergenti sarebbero le pi appropriate per lindagine di un universo finito. Nella fisica aristotelica verrebbe cos escluso non solo linfinito attuale delle grandezze, ma anche, in alcuni casi, linfinito potenziale, qualora la somma della serie dei segmenti potesse oltrepassare la misura del diametro del cielo. PARTE II HEGEL INTERPRETE DI ARISTOTELE SULLINFINITO E SUL CONTINUO 8. La matematica e la quantit. La quantit pura e il rapporto continuo - discreto Le precedenti considerazioni sul pensiero di Aristotele nei riguardi del concetto matematico dell infinito e del continuo permettono un interessante confronto con il pensiero hegeliano sulla stessa questione. Lesposizione pi completa del punto di vista hegeliano sul- linfinito e sul continuo si trova nella Scienza della logica e nella prima parte dellEnciclopedia, che ha per titolo La scienza della logi- ca ( 31 ). Alla base delle considerazioni hegeliane sta il concetto della quantit pura, che si pu definire come un mare di oggetti, le uni- t, tra cui sussistono due relazioni, una di repulsione e laltra di attrazione. Alla repulsione e allattrazione sono dovuti, rispetti- ( 31 ) WdL I, WdL II, WdL III, Enz. A, Enz. B, Enz. C. 75 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... vamente, due aspetti della quantit, la discretezza e la continuit. Secondo Hegel la quantit consiste nella compresenza di questi momenti, e non viene descritta in modo adeguato da nessuno di questi, considerato isolatamente. Hegel considera la quantit pura come la determinatezza qualitativa tolta: la determinatezza qualitativa, che ha raggiunto nelluno il suo essere determinato in s e per s, perci trapassata nella determinatezza come tolta, cio nellessere come quantit ( 32 ). La sua definizione il puro essere nel quale la determinatezza non pi posta come tuttuno con esso stesso, ma come tolta o in- differente ( 33 ). La quantit pura viene distinta dal quanto, ossia dalla quantit limitata, esemplificato dalla grandezza matematica. Gli esempi della quantit pura addotti da Hegel sono lo spazio, il tempo, la luce, la materia e lio ( 34 ). Egli afferma che due sono i momenti della quantit: la discre- zione e la continuit ( 35 ). Questi due momenti appartengono alla ( 32 ) Enz. A, 51. ( 33 ) Enz. A, 52. ( 34 ) WdL I, 113; WdL III, 178 (200). Cfr. Enz. B, 99 A; Enz. C, 99 A (con riferimento allo spazio, al tempo e alla materia). Hegel segue il primo Leibniz nel considerare la materia come quantit. Infatti nella Scienza della logica Hegel si riferisce alla tesi esposta nella Dissertazione di Leibniz: Propositiones ex disputatione metaphysica de principio individui, Non omnino improbabile est, materiam et quantitatem esse realiter idem: cfr. G.W. LEIBNIZ, Die philosophischen Schriften, hrsg. C. I. Gerhardt, Hildesheim 1961, Bd. IV, 26. Di diverso avviso Leibniz nei Nouveaux essais, libro II, cap. XIII, 21 (Die philosophischen Schriften, Bd. V; trad. it. Nuovi saggi sullintelletto umano, in G.W. LEIBNIZ, Scritti filosofici, a cura di D.O. Bianca, II, Torino 1979, 275): sebbene non ammetta il vuoto, distin- guo la materia dallestensione. NellEnciclopedia del 1817 anche lassoluto un esempio di pura quantit: lassoluto pura quantit ... il puro spazio, la luce, ecc. possono esser presi come esempi della quantit (Enz. A, 52 An.). ( 35 ) Va ricordato che momento termine tecnico in Hegel: i momenti non hanno una determinazione assoluta, ma solo relativa, uno in relazione allaltro, e solo la loro relazione pu essere una determinazione per la cosa, com il caso del numeratore e del denominatore di una frazione (a / b = c ), oppure del brac- cio e della intensit di una forza, la cui efficacia misurata dal loro prodotto HEGEL E ARISTOTELE 76 genesi stessa della quantit a partire dalla moltitudine degli uno: il rapporto di repulsione corrisponde al momento della discrezio- ne, e quello di attrazione al momento della continuit: I momen- ti della quantit sono tolti in essa, quindi essi sono come sue de- terminazioni, ma soltanto come determinazioni della sua unit; nella determinazione delleguaglianza con se stessa posta me- diante lattrazione essa grandezza continua, nella determinazio- ne delluno essa grandezza discreta( 36 ). opportuno ricordare a questo proposito che Spinoza nel- lEthica (pars I, prop. XV, schol.) ammette che vi siano due maniere di considerare la quantit: essa finita, divisibile e composta di parti secondo limmaginazione, e infinita, unica ed indivisibile se- condo lintelletto. La quantit pura di Hegel corrisponde alla coesistenza come momenti di entrambi i modi spinoziani di inten- dere la quantit ( 37 ). Hegel tiene conto in maniera particolare di Kant, il cui pun- to di vista alquanto complesso. NellEstetica trascendentale del- la Critica della ragion pura Kant considera lo spazio ed il tempo come forme pure dellintuizione sensibile (in quanto tali spazio e tempo non sono pertanto dei quanti). Kant afferma che, come in- tuizione pura, lo spazio unico, in esso la molteplicit, quindi anche il concetto universale di spazio in generale, si forma esclu- sivamente su limitazioni; oltre a ci lo spazio vien rappresenta- to come una grandezza infinita data ( 38 ). Considerazioni analo- (F b = M). Si noti che la terminologia cui Hegel ricorre - per cui F e b sono mo- menti - diversa da quella contemporanea, in cui il momento M. ( 36 ) Enz. A, 53. ( 37 ) La quantit continua, secondo Spinoza, concepita dallintelletto come indivisibile; quella discreta invece rappresentata dallimmaginazione co- me divisibile. Questo punto di vista non condiviso da altri filosofi (Descartes, Leibniz, Kant, Hegel), che considerano la quantit continua divisibile allinfini- to. ( 38 ) KrV, 53 (69-70). 77 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... ghe valgono per il tempo. Viene cos ribadito il carattere di unici- t, infinit ed indivisibilit dello spazio e del tempo. Quindi per Kant lo spazio ed il tempo come intuizioni pure sono caratteriz- zate da compattezza nel senso di essere uniche ed infinite in atto. Dallo spazio e dal tempo intesi in questo modo si ottengono poi i quanti (le parti) mediante limitazioni. In questo senso si par- la di divisibilit dello spazio e del tempo. Come si afferma nellAnalitica trascendentale della Critica della ragion pura, la propriet di continuit per le grandezze spaziali e temporali consiste nel fatto che in esse non esiste parte che sia la pi piccola possibile, cio una parte semplice: la pro- priet delle quantit, per la quale in esse non c parte che sia la pi piccola possibile (cio una parte semplice), dicesi la continuit di esse. In questo modo Kant assume il concetto aristotelico del- la propriet di continuit, intesa come linfinita divisibilit delle grandezze. Kant precisa che spazio e tempo (da intendere in que- sto caso come grandezze spaziali o temporali limitate, quanti) sono quanta continua, perch non si pu darne una parte senza chiuderla fra limiti (punti e istanti), e perci solo in guisa che la parte data sia a sua volta uno spazio o un tempo. Lo spazio dun- que consta soltanto di spazi, il tempo di tempi. Punti e istanti sono soltanto limiti, cio semplici termini della delimitazione di quelli; ma i termini presuppongono sempre quelle intuizioni che essi debbono limitare o determinare, e coi semplici termini, quasi elementi costitutivi, che fossero pur dati innanzi allo spazio o al tempo, non pu formarsi lo spazio, n il tempo. Quantit di que- sto genere si possono chiamare anche fluenti [flieende], poich la sintesi (dellimmaginazione produttiva) nella loro formazione un processo nel tempo, la cui continuit si suole indicare col- lespressione fluire (scorrere) [Flieens (Verflieens)] ( 39 ). ( 39 ) KrV, 154 (186). opportuno segnalare luso non univoco in Kant dei termini spazio e tempo: infatti spazio e tempo sono intesi a) come forme pure dellintuizione; b) come spazi e tempi concepiti mediante le categorie e i princpi HEGEL E ARISTOTELE 78 Lo spazio ed il tempo sono pertanto intesi in questo modo come dei continui, e la continuit si presenta come la propriet fon- damentale. La discrezione consiste nella aggregazione di quanti continui. Il numero consiste nella produzione successiva di unit nel tempo. Ogni numero (diverso dallunit) pertanto discreto in quanto aggregato di unit, le quali per conto loro sono continue. Le grandezze estensive ed intensive sono continue (cfr. infra). La continuit la condizione prima riguardante la generazione della grandezza, la discretezza si ottiene mediante aggregazioni di gran- dezze continue di cui gi si dispone, con una sintesi interrotta del molteplice del fenomeno ( 40 ). La discretezza pu venire intesa per- tanto come interruzione della continuit. Pi in generale i feno- meni sono rappresentati da grandezze continue, estensive o intensi- ve. Il punto come limite del segmento presuppone il segmento, cos pure listante presuppone lintervallo temporale, ma punti ed istanti non sono elementi costitutivi dello spazio e del tempo: una moltitudine di punti o di istanti non pu costituire un continuo temporale. Tuttavia la considerazione delle grandezze fluenti fa ve- dere che Kant non solo prestava attenzione alla concezione fluenti- sta delle grandezze, ma che addirittura la faceva propria ( 41 ). 9. Linterpretazione hegeliana della seconda antinomia cosmologica di Kant Secondo Hegel la quantit pura contiene in s entrambi i matematici. Per inciso osservo che anche Leibniz considera i punti come limiti. Cfr. Nouveaux essais, cit., Libro II, cap. XIV, 23 (Nuovi saggi, 276): a rigore, il punto e listante non sono parti dello spazio, e neppure essi hanno parti. Sono soltanto estremit. ( 40 ) KrV, 154 (187). ( 41 ) Sulla concezione fluentista delle grandezze in Kant cfr. A. MORETTO, Sul concetto di grandezza secondo Kant. Lanalitica del sublime della Critica del Giu- dizio e la grandezza infinita, Verifiche 19 (1990), 72-73. 79 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... momenti, della continuit (divisibilit) e della discretezza (indivi- sibilit). In questo modo si d una nuova chiave di lettura della seconda antinomia cosmologica kantiana, che mostra la coimplica- zione della continuit e della indivisibilit, e si prospetta anche la sua soluzione nella presenza di entrambi questi aspetti, come mo- menti, nella quantit ( 42 ). Hegel ritiene che appartenga al punto di vista dogmatico laf- fermazione della legittimit di uno solo di questi due momenti negando la validit dellaltro ( 43 ). Cos, se viene fatta valere unila- teralmente la discrezione si ha linfinito o assoluto esser diviso, epper per principio un indivisibile; allincontro laffermazione unilaterale della continuit, d linfinita divisibilit ( 44 ). In questa affermazione risulta implicito il richiamo alla lezione della Fisica di Aristotele, nella quale si esaminano le due ipotesi di costituzio- ne dellintero, una delle quali sostiene la sua costituzione median- te gli indivisibili (ipotesi che verr trovata inconsistente), e laltra la sua infinita divisibilit. Hegel condivide pertanto il punto di vista secondo il quale alla continuit corrisponde la propriet di infinita divisibilit di un intero, e lanalisi della seconda antinomia cosmologica kantiana ( 42 ) I concetti di continuit e di discrezione appaiono cos ancorati alla stessa definizione di quantit pura, di cui costituiscono uno dei momenti. Il quanto risulta da una limitazione della quantit pura, pertanto anche in esso sono presenti i due momenti della continuit e della discrezione. ( 43 ) Questo il senso che Hegel attribuisce al termine dogmatismo: cfr. Enz. A, 21; Enz. B, 32; Enz. C, 32 . Si noti che Kant definisce dogmatismo il procedimento dommatico della ragion pura, senza una critica preliminare del suo proprio potere (KrV, 21 ( 32)); nelle antinomie le tesi rappresentano il dommati- smo della ragion pura, e le antitesi il suo empirismo (KrV, 324 (384)). ( 44 ) WdL III,179 (202); cfr. WdL I, 114. Queste considerazioni si trovano nelle osservazioni preliminari alla Nota sullantinomia kantiana dellinfinita divisibilit della materia. In realt manca una definizione esplicita di divisibilit. Implicitamente per la divisibilit consiste nel fatto che possibile che dallintero si formino delle parti con il prevalere locale della repulsione. HEGEL E ARISTOTELE 80 costituisce loccasione per questa affermazione. Per, se da un lato vero che alla continuit corrisponde la propriet di infinita divisibilit, dallaltro secondo Hegel non vero che la continuit si esaurisca con essa. Gi nella complessit dellargomentazione kantiana si rivela la presenza di un altra componente, laddove si ricorre alla concezione fluentista della generazione delle gran- dezze per caratterizzare ulteriormente la continuit. Latomistica, sia nella fisica, sia nella metafisica, rimane anco- rata alla relazione estrinseca degli uno, pertanto non riesce a supe- rare quella che Hegel chiama lestrinsecit della continuit ( 45 ). Molto pi profonda, secondo Hegel, la posizione della matematica, che rigetta una metafisica che pretenderebbe far consistere il tem- po in punti temporali (o istanti), lo spazio in generale, oppur primieramente la linea, in punti spaziali, e cos la superficie in li- nee e lintero spazio in superficie; essa non lascia valere simili uno discontinui ( 46 ). Anticipando quanto dir pi avanti nella III Nota sullinfinito della matematica ( 47 ) Hegel si oppone alla metafisica atomistica del ricorso agli indivisibili in matematica, a meno che essa non superi questa rappresentazione della discrezione conside- rando determinante il concetto che si instaura con linfinita molti- tudine degli indivisibili di una figura limitata: anche quando la matematica determina per es. la grandezza di una superficie cos da rappresentarla come la somma di un infinito numero delle linee, pure questa discrezione non vale che come una rappresentazione momentanea, e nellinfinita pluralit delle linee, mentre lo spazio, che debbon costituire, nondimeno uno spazio limitato, sta gi lesser tolta la loro discrezione ( 48 ). In questo modo Hegel lascia aperta una valutazione positiva sia per lesempio di vero infinito di ( 45 ) WdL III,178 (199). Cfr. WdL I,112. ( 46 ) WdL III,178 (199). ( 47 ) WdL III, 299-309 (337-349). ( 48 ) WdL III,178 (199). 81 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... Spinoza (cfr. infra), ottenuto a partire da una infinit di indivisibili contenuti in uno spazio limitato, sia per il metodo degli indivisibili di Cavalieri, che presta attenzione al rapporto tra gli indivisibili corrispondenti di due figure per determinare il rapporto tra i corri- spondenti continui ( 49 ). Al dogmatismo si deve pertanto laffermazione di uno solo di questi due momenti della grandezza, continuit e discretezza, con lesclusione dellaltro. Per Kant, che pure sostenitore della divisibilit allinfinito della grandezza matematica, con riferimento alla categoria della sostanza trova antinomiche le propriet di con- tinuit e di indivisibilit, come viene sostenuto nella seconda antinomia cosmologica che mostra la coimplicazione delle due pro- posizioni: a) ogni sostanza composta consta di parti semplici; b) nessuna sostanza composta consta di parti semplici. Di qui lantinomia, che si presenta pertanto a livello di sostanza, e non a livello di quantit, dove, secondo Kant, le grandezze geometriche sono continue. A Kant si deve il merito di aver mostrato la coimplicazione di questi due concetti opposti, quindi la posizione della contraddizione. Invece secondo Hegel questa proprio la condizione defini- toria della stessa quantit: essa si pu presentare sotto le forme del- la grandezza continua - se la pura quantit vista nella determina- zione delluguaglianza con s dei molti uno (attrazione) -, oppure della grandezza discreta, - se la pura quantit vista nella determi- nazione delluno, come posizione dei molti uno (repulsione). Gran- dezza continua e discreta sono considerate come momenti della grandezza necessariamente congiunti. Quindi non solo ogni so- stanza composta nel mondo, come affermava Kant, ma la quantit in generale, lo stesso spazio e lo stesso tempo, la materia, la luce, ( 49 ) Cfr. MORETTO, Hegels Auseinandersetzung mit Cavalieri cit. HEGEL E ARISTOTELE 82 lIo, in quanto pura quantit, sono sia continui sia discreti. Hegel sviluppa pertanto a livello di quantit pura le considerazioni kan- tiane sulla continuit e sulla discrezione. Secondo Kant lantinomia riguarda la sostanza composta nel mondo, poich la totalit assoluta della divisione di un tutto dato nel fenomeno ( 50 ) unidea, un concetto necessario della ragione, al quale per non dato trovare un oggetto adeguato nei sensi ( 51 ). Lantinomia non riguarda pertanto lintuizione pura, ma ha la sua origine nel fatto che loggetto separato dallintuizione sensibile. Invece Hegel fa cadere come inessenziale la separazione tra intui- zione e concetto: per Hegel anche spazio e tempo sono soggetti a questa antinomia, poich anchessi devono venire concepiti ( 52 ). Pertanto, se sotto il punto di vista della intuizione essi sono conti- nui, dal punto di vista del concetto essi possono venire intesi come composti di indivisibili. La soluzione kantiana fa consistere la radice dellantinomia nelluso dellintelletto in modo indipendente dallintuizione. Hegel trova molto pi interessante la soluzione data da Aristotele ai pro- blemi posti dagli esempi dialettici della scuola eleatica, in partico- lare dai logoi zenoniani sul moto, che si radicano sul concetto di quantit. La soluzione di Aristotele si basa sul concetto di continui- t come divisibilit in potenza (cfr. supra), senza che si giunga mai in atto allatomo. Quindi se data la continuit data anche la possi- bilit di avere una moltitudine potenzialmente infinita di suddivi- sioni (limiti) del continuo. Ad esempio, dato un segmento orienta- to, si pu considerare il suo punto medio, poi il punto medio della ( 50 ) KrV, 287 (346); in questo modo Kant definisce la seconda idea cosmologica. ( 51 ) KrV, 254 (308). ( 52 ) Qui non v altro da dire, se non che lo spazio, come anche lintuizio- ne stessa, debbon essere in pari tempo concepiti, se cio in generale si vuol conce- pire: WdL III, 185-6 (209). Cfr. WdL I, 119. 83 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... seconda delle due parti ottenute, e cos via. Siamo di fronte ad una esemplificazione del logos zenoniano della dicotomia, ed in questo modo si generata una infinit potenziale di punti di suddivisione. Lindivisibile, latomo un ens rationis, una astrazione. Era quindi in errore Bayle, che criticando la soluzione di Aristotele come pitoyable, affermava che se qualcosa infinitamente divisibile en puissance, allora deve essere anche realmente e attualmente diviso ( 53 ). La soluzione di Aristotele per va dal continuo verso il di- screto: se dato il continuo, allora in potenza data anche linfinit dei discreti. Hegel fa anche il passaggio opposto: se dato il discre- to, allora dato in potenza anche il continuo: la linea data come rapporto di punti: la grandezza spaziale ha bens nel punto la determinatezza corrispondente alluno; ma il punto, in quanto vien fuori di s, diventa una altro, diventa linea. Poich essenzialmente esso soltanto come uno dello spazio, il punto diventa nella rela- zione [Beziehung] una continuit, nella quale la puntualit, lessere determinato per s, luno, son tolti ( 54 ). Questo punto di vista risa- le alle Geometrische Studien, in cui si sostiene che la linea toglie [aufhebt] il rapporto [Beziehung] spaziale dei punti - dove toglie- re ha in questo caso la valenza di elevare ( 55 ). 10. Il quanto e il mutamento del quanto. 10.1. Il quanto Secondo Hegel il quanto la quantit limitata. Alla definizione del quanto pertanto necessario il concetto di limite ( 53 ) WdL III, 188 (212). ( 54 ) WdL I, 128, WdL III, 196 (220). ( 55 ) In ogni oggetto matematico si deve precisare a) il suo aspetto positivo, in quanto esso toglie una limitazione (la linea [toglie] il rapporto spaziale dei punti); come tolto propriamente rimane solo la moltitudine [Menge] (dei punti): Geometrische Studien, in Dokumente zu Hegels Entwicklung, hrsg. von J. Hoffmeister, Stuttgart 1936, 293-94. HEGEL E ARISTOTELE 84 applicato alla quantit pura. Il quanto corrisponde in generale alla grandezza matematica, ossia a ci che pu essere aumentato o di- minuito ( 56 ). Hegel si riferisce alle ordinarie definizioni di grandez- za dei manuali di matematica, rilevando la circolarit della defini- zione, poich essa contiene ancora il definito (la grandezza ci di cui pu aumentare o diminuire la grandezza). cos proponibile una teoria generale delle grandezze, come oggetti per cui possibi- le stabilire una relazione dordine ed una fondamentale operazione di addizione. Il quanto, che ha la sua esemplificazione nella gran- dezza matematica, ha la sua compiuta determinatezza nel numero, che consiste nella coppia dei suoi momenti: lunit [Einheit] e le vol- te [Anzahl] ( 57 ). Stando alle precisazioni di Wissenschaft der Logik del 1832, le fondamentali classi di grandezze considerate dalla mate- matica sono le grandezze spaziali e le grandezze numeriche. La grandezza numerica (numeri naturali) discreta, mentre quella spaziale continua. 10.2. Grandezza estensiva ed intensiva Una ulteriore distinzione tra grandezza estensiva ed intensiva viene derivata immediatamen- te da Kant e sottoposta a critica. La distinzione kantiana la se- guente: la quantit estensiva quella quantit, nella quale la rap- presentazione delle parti rende possibile la rappresentazione del tutto (e perci necessariamente la precede) ( 58 ), com il caso dei segmenti in un monoide di grandezze. Diverso il caso della grandezza intensiva, o grado, che quella quantit che appresa soltanto come unit, e in cui la molteplicit pu essere rappresen- tata solo per approssimazione alla negazione = 0 ( 59 ). ( 56 ) Enz. A, 52 A. ( 57 ) WdL III, 194 (218). Cfr. WdL I, 126. ( 58 ) KrV, 149 (180). ( 59 ) KrV, 153 (185-6). 85 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... In Kant questa distinzione viene esposta in pagine alquanto difficili ( 60 ), pertanto converr illustrare la questione in termini generali, facendo ricorso ad una descrizione matematica dellar- gomento in questione mediante la nozione di funzione. In una corrispondenza y = f(x), dove x e f(x) sono grandezze assolute, e continue in senso kantiano, se x variabile su di un intervallo (grandezza estensiva), lordinata f(x) la corrispondente grandez- za intensiva. Nella rappresentazione in questione di un grafico estensione (x) - intensione (f(x)), in cui sono in gioco i concetti di va- riabile (la x, variabile indipendente e la f(x), variabile dipenden- te), e di infinit di valori assunti dalle variabili, la superficie de- scritta dal segmento di ordinata variabile f(x) al variare di x nel- lintervallo ancora unestensione S. Con questa premessa le considerazioni di Kant si possono capire meglio se ci si riferisce in concreto allesempio cinematico v = v(t), della velocit espressa come funzione del tempo in un moto anche vario. Lordinata alla fine ha descritto una superficie la cui misura pari allo spazio percorso. Mentre lo spazio percor- so, grandezza estensiva, richiede per essere determinato il decor- ( 60 ) Kant, confrontando il concetto di grandezza estensiva con quello di grandezza intensiva, segnalava la necessit di considerare accanto alle classi di grandezze omogenee e continue anche le corrispondenze tra due o pi classi di grandezze (omogenee e continue), in poche parole, di elevarsi ad una matematica relazionale, in cui entrano in gioco i concetti matematici di funzione e di relazione. La difficolt del testo kantiano dovuta al fatto che Kant si serve per questo aspet- to non tanto delle nozioni matematiche di Leibniz, Bernoulli, Eulero, e delle loro esemplificazioni, ma delle considerazioni (e del vocabolario) della scolastica, sulla intensione e remissione delle qualit. Questo vocabolario s adoperato nella tarda scolastica medievale (Bradwardine, Oresme) in questioni fisico-matematiche, e cos pure in Galilei (intensione del moto); ma nella recezione di Leibniz e della scolastica wolffiana (Wolff, Baumgarten) la terminologia entrava a far parte del vocabolario della metafisica, e lastrattezza di questa riflessione allontana dal- lesemplificazione matematica. Tuttavia gli esempi con cui Kant illustra questo concetto (vale a dire la densit di massa, il grado di illuminazione) sono chiara- mente ispirati alle problematiche fisico-matematiche sulle relazioni tra grandezze. Cfr. MORETTO, Sul concetto matematico di grandezza secondo Kant cit., 68-71. HEGEL E ARISTOTELE 86 so del tempo, la velocit, grandezza intensiva, deve essere defini- ta istante per istante. In un intervallo di tempo Dt piccolo, ma non nullo, lo spazio percorso f(t) Dt, e nellistante t , essendo Dt = 0, lo spazio percorso nullo. Abbiamo visto che Hegel definisce il quanto come la quantit limitata. Egli precisa in questo modo la distinzione tra il quanto estensivo e quello intensivo: questo limite come determinatezza in s molteplice la grandezza estensiva, mentre come determina- tezza in s semplice, la grandezza intensiva ovvero il grado ( 61 ). Hegel tiene pertanto conto in sede definitoria del punto di vista kantiano delle grandezze estensive e intensive. Ci non vuol per dire che egli sia incondizionatamente daccordo con Kant su questo punto. Infatti, differenziandosi da Kant, Hegel osserva che la distinzione tra quanto estensivo ed in- tensivo non assoluta, ma relativa: la grandezza estensiva in una rappresentazione pu diventare intensiva in un altra ( 62 ). Banal- mente, nella funzione y = f(x), in ipotesi di biiettivit e continuit, il segmento lungo x un quanto estensivo, ed il segmento lungo y un quanto intensivo. Ma la situazione si inverte nella corrispon- denza x = f -1 (y). 11. Progresso infinito quantitativo e vera infinit del quanto Come si visto, il quanto la quantit limitata, un limite indifferente, una determinatezza che indifferente alla cosa, conformemente allor- dinaria definizione di grandezza, come ci che suscettibile di au- mento o di diminuzione. Nella definizione del quanto sta anche lorigine della sua infinit. Ci vale sia per il numero, sia per le grandezze in generale. Infatti, a partire dallunit 1, si ottengono gli infiniti numeri, 1+1, (1+1)+1, ..., e a partire dalla grandezza ( 61 ) Enz. A, 56. ( 62 ) WdL I, 134-137; WdL III, 212- 216 (238-243). 87 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... estensiva A si ottengono le infinite grandezze A+A, (A+A)+A, ...; ogni volta viene posto un limite, che poi viene superato. Il progresso infinito quantitativo appunto la ripetizione della contraddizione contenuta nel quanto, in modo particolare nel grado, che ha la sua determinatezza in altre grandezze: il progresso quantitativo infi- nito parimenti di nuovo nientaltro che la ripetizione priva di pensiero di ununica e medesima contraddizione, che il quanto in generale e, posto nella sua determinatezza, il grado ( 63 ). Questo iterarsi della unica e medesima contraddizione mirabilmente esemplificato dalla perentoria affermazione di Zenone, che ci che si verifica una volta si verificher sempre: dice giustamente Zenone in Aristotele: lo stesso dire una cosa una volta e dirla sempre ( 64 ). Hegel cita Aristotele inesattamente, poich si tratta del commento di Simplicio alla Fisica di Aristotele. Ma il riferimento a Zenone illuminante: questa propriet viene infatti applicata da Zenone ad es. nel logos della dicotomia, che pu corrispondere alle proposizioni, di tipo esistenziale, di densit o di illimitatezza (infinit) della retta: dati due punti A, B di una retta orientata, con A < B (ossia A precede B) esiste un punto C, tale che A < C < B , ed esistono punti D, E, tali che D < A e B < E . Il procedi- mento iterabile: se si pu effettuare una volta, si pu effettuare sempre, e questo garantisce linfinit dei punti della retta, sia di quelli compresi nel segmento AB, sia di quelli esterni. In generale linfinit del quanto deriva dal fatto che il quanto un limite che diviene [eine werdende Grenze] ( 65 ). Si vede ( 63 ) Enz. A, 57 A. ( 64 ) Enz. A, 57 A. ( 65 ) WdL I, 138;WdL III, 217 (245). Si pu rilevare che la prima antinomia cosmologica di Kant mostra appunto lopposizione tra il limite (il mondo limi- tato rispetto al tempo passato o allo spazio) e il superamento del limite. La solu- zione kantiana sembra rifugiarsi in una concezione potenziale dellinfinito, o an- cora pi debole, nellindefinito; cfr. MORETTO, Sul concetto di grandezza secondo Kant cit., 97-98. HEGEL E ARISTOTELE 88 cos che quando Hegel parla di progresso infinito quantitativo (catti- va infinit), ha ben presente la connotazione aristotelica dellinfi- nito potenziale, espresso da ci che sempre diviene. Questinfini- to potenziale non intende la potenza come lo stato precedente latto, per cui ci che infinito in potenza sar poi infinito anche in atto (cos come ci che in potenza una statua, il blocco di marmo, poi sar una statua); ma nel senso in cui si enuncia una forma aperta, suscettibile di determinazioni sempre diverse, come la forma enunciativa il giorno x, in cui al posto di x possibile porre sempre diverse determinazioni, con x = a 1 , a 2 , a 3 , ... (Phys., III 206 a 18-29). Linfinit del progresso rappresentata da qualcosa di in- completo, ed una continua riproposizione del finito, lespressio- ne della contraddizione del quanto, per cui dapprima il limite viene posto, e poi questo limite viene tolto. Riferendosi al cattivo infinito Hegel concorda con Aristotele, il quale osservava che, mentre il finito ci che completo, linfinito lincompleto: in- finito , dunque, ci al di fuori di cui, se si assume come quantit, sempre possibile assumere qualche altra cosa. Ci, invece, al di fuori di cui non c nulla, perfetto ed intero ... Lintero ci al di fuori del quale non c nulla; ma ci al di fuori di cui c qualcosa che ad esso manca, non il tutto, qualunque cosa gli manchi (Phys., 207 a 7-15). Secondo Hegel del tutto fuori luogo lentu- siasmo di filosofi e scienziati per il progresso infinito, poich que- sta infinit affetta sempre da un al di l, e rimane sempre alcunch di incompleto ( 66 ). Il punto di vista hegeliano sul passaggio dalla cattiva infinit del progresso infinito del quanto al vero infinito quantitativo viene delineato da Hegel in questo modo. Il quanto un limite indiffe- rente; in particolare come quanto intensivo ha la sua determinatez- ( 66 ) Cfr. WdL I, 142-147;WdL III, 222-228 (250-256) 89 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... za in altro, in altri quanti: di qui la cattiva infinit. Per questo non essere del quanto esso stesso limitato, dal momento che pur es- sendo variabile, non arbitrario, ed soggetto a limitazione, come si comprende in modo particolarmente chiaro con le considerazio- ni relazionali legate al quanto intensivo. La vera infinit del quanto si ha in questa unit dialettica di opposti, che sono come momenti: il togliere del quanto e dellal di l del quanto. In altri termini la variabilit del quanto conduce allal di l [Jenseits] ( 67 ) del quanto come alcunch di determinato; ma questa variabilit a sua volta limitata, com il caso della legge con cui assegnata una funzione con dominio infinito, e questa doppia negazione del quanto e del suo al di l, la variazione del quanto, conduce alla vera infinit del quanto ( 68 ). NellEnciclopedia del 1817 si precisa che nella relazione quantitativa si supera la contraddizione del progresso infinito del quanto: nella relazione (funzione) y = f(x) definita su di un interval- lo e continua, si comprende unitariamente la variabilit del quanto intensivo, ed il risultato un quanto determinato qualitativamente: si sono unificati appunto lesteriorit, cio il quantitativo, e lesse- re per s, il qualitativo ( 69 ). ( 67 ) WdL I, 151;WdL III, 234 (261). ( 68 ) A questo proposito si possono fare alcune considerazioni: 1) Con il concetto di quanto intensivo Hegel, seguendo Kant, si riferisce alla matematica relazionale, in cui si considerano dipendenze funzio- nali tra grandezze. Daltra parte Hegel considera coimplicantisi i con- cetti di quanto intensivo ed estensivo, per cui il problema dellinfinito posto con generalit per ci che riguarda il quanto. 2) essenziale il concetto di limitazione per i quanti di un progresso in- finito affinch si possa parlare di vera infinit. In questo senso per Hegel i punti di un segmento costituiscono un esempio di vera infinit (cfr. VGPh III, 171-72), mentre non lo costituiscono i punti di una retta, che per Hegel sono invece unesemplificazione della cattiva infinit. ( 69 ) Enz. A, 58. HEGEL E ARISTOTELE 90 Anche nelle altre redazioni dellEnciclopedia le caratteristi- che del superamento del progresso infinito quantitativo mediante la relazione quantitativa vengono esposte in modo estremamente scarno. Per le considerazioni dellEnciclopedia del 1827 e di quel- la del 1830 concordano con il punto di vista gi presente nella Lo- gica di Jena e nella Scienza della logica del 1812, e che verranno riba- diti nella dottrina dellessere della Scienza della logica del 1832, in base al quale la soluzione della contraddizione del progresso infinito del quanto viene fatta consistere nel concetto di relazione quantitativa [quantitative Verhltni], corrispondente al concetto di relazione/funzione della matematica moderna (si tengano presenti in particolar modo le delucidazioni di Euler e di Lagrange ( 70 ) sul concetto di funzione). La Scienza della logica del 1812 (e poi quella del 1832) connettono il concetto di funzione con quello di vero in- finito quantitativo, corrispondente allinfinitum actu di cui parla Spinoza nellEpistola XII ( 71 ). Lopinione comune, rileva Spinoza, sostiene che infinitum actu non datur. In questo modo essa non pu spiegare come tra- scorra unora, poich non riesce a superare le difficolt poste dal logos zenoniano della dicotomia. Infatti - secondo una delle due in- terpretazioni standard ( 72 ) della dicotomia - prima che sia trascorsa lora bisogna che sia trascorsa una sua parte (come caso particolare la sua met), e perch sia trascorsa questa deve essere pure trascor- sa una sua parte, ecc. In questo modo lintervallo temporale non pu mai aver avuto inizio. Secondo laltra interpretazione standard, prima di giungere alla fine deve essere trascorsa una parte, ma per la parte restante vale lo stesso discorso, ecc. In questo caso linter- ( 70 ) Cfr. L. EULER, Institutiones calculi differentialis, edidit G. Kowalewski, in Opera Omnia, edenda curaverunt F. Rudio, A. Krazer, P. Staeckel, ser. I, vol. X, Lipsiae et Berolini 1813, 4; J.L. LAGRANGE, Thorie des fonctions analytiques, in Oeuvres, publies par les soins de J.-A. Serret, tome IX, Paris 1881, 15. ( 71 ) SPINOZA, Epistola XII, in Opera, hrsg. von C. Gebhardt, 4 voll., Heidelberg s.d. (1924), qui vol. IV, 59-60. 91 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... vallo temporale non pu mai aver fine ( 73 ). Lesito paradossale con- segue dal fatto che valgono le assunzioni del logos della dicotomia, senza che si accetti linfinito attuale. Spinoza osserva che inconvenienti di questo tipo capitano a chi si affida solo allinfinito dellimmaginazione (infinito potenzia- le) ( 74 ). Ma i matematici non si curano delle obiezioni di coloro che si affidano al solo infinito dellimmaginazione, allinfinito del- la successione dei naturali che ad ogni n numero naturale associa n + 1: linfinito potenziale. Essi hanno infatti dimestichezza con concetti di moltitudini che non sono numerate da nessun numero. E, tuttavia, questi concetti sono ben definiti, sicch si pu parlare di un infinitum actu e non solo di un infinitum potentia. Lesempio addotto da Spinoza il seguente: dati due cerchi non concentrici e contenuti luno nellaltro, si considerano le intersezioni tra le semirette aventi origine nel centro del cerchio minore e lo spazio compreso tra i due cerchi (si veda la figura in nota) ( 75 ). In altri ter- A m x f(x) M ( 72 ) Assumo la terminologia di I. TOTH, I Paradossi di Zenone nel Parmenide di Platone, trad. dal tedesco di A. Moretto, Napoli: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1994. ( 73 ) Cfr. I. TOTH, Le problme de la mesure dans la perspective de ltre et du non tre. in Mathmatique et philosophie de lantiquit lge classique. Hommage Jules Vuillemin, sous la direction de R. Rashed, Paris 1991. ( 74 ) SPINOZA, Epistola XII cit., 58-59 ( 75 ) B HEGEL E ARISTOTELE 92 mini si considera linsieme dei segmenti del piano che godono del- la propriet descritta, concetto duale nel piano di quello di luogo geometrico dei punti che godono di una certa propriet. Questi segmenti sono infiniti di numero, nel senso che ogni numero in- sufficiente a numerarli, eppure costituiscono una moltitudine infi- nita in atto, ben definita per legge di costruzione, in questo caso anche superiormente ed inferiormente limitata, nel senso che que- sti segmenti ammettono sia un massimo, sia un minimo. Il concetto quindi accettabile sul piano della logica tradizionale, godendo dei requisiti di avere un corrispondente oggetto, e di essere defini- to con cura mediante una propriet caratteristica. Con questo con- cetto di infinito anche possibile dire che un infinito maggiore di un altro (mediante un ordinamento per inclusione). Hegel fa proprio il punto di vista di Spinoza: il cattivo infini- to secondo Hegel, linfinito dellintelletto, corrisponde allinfinito dellimmaginazione in Spinoza, ed il vero infinito della ragione al- linfinito dellintelletto, allinfinitum actu spinoziano. Egli sviluppa le indicazioni di Spinoza sullinfinitum actu, e sulla possibilit di stabilire una relazione dordine tra infiniti, raccordandole con alcu- ni concetti della analisi matematica. In particolare degno di nota il riconoscimento dellanalogia tra il concetto di funzione e lesem- pio di Spinoza ( 76 ) Osserva infatti Hegel che lincommensurabili- t, che sta nellesempio di Spinoza, racchiude in generale in s le funzioni delle linee curve, e conduce pi precisamente a quellinfi- nito che la matematica ha introdotto in tali funzioni, e in generale nelle funzioni delle grandezze variabili, e che il vero infinito mate- matico, linfinito quantitativo, al quale pensava anche Spinoza ( 77 ). In effetti lesempio di Spinoza agevolmente suscettibile di una in- terpretazione con una funzione. Si stabilisca, ad esempio, un siste- ma di ascisse curvilinee sulla circonferenza interna, e si faccia cor- ( 76 ) Si veda la figura precedente. ( 77 ) WdL III, 248-49 (277); cfr. WdL I, 163. 93 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... rispondere ad ogni ascissa x unordinata y uguale alla misura del segmento compreso tra i due cerchi, passante per lestremit del- larco di ascissa x. Si ottiene allora una funzione y = f(x), i cui valori sono compresi tra un minimo assoluto m ed un massimo assoluto M, conformemente alle indicazioni di Spinoza ( 78 ). Per ci che riguarda le funzioni e le relazioni, Hegel stabili- sce una classificazione delle funzioni a seconda della forma as- sunta dal rapporto
y x esponente del rapporto secondo la termi- nologia adottata da Hegel , che indice di una scala di purezza dellinfinit che tanto pi cresce qunto pi il rapporto si allontana dallespressione rappresentata mediante un quanto costante; in questo senso al grado pi basso stanno le funzioni della forma
y x = k, k costante; seguono le funzioni del tipo
y x = f(x) k, k co- stante; infine al grado pi alto le funzioni del tipo
dy dx = f(x), poi- ch nel rapporto differenziale di sinistra i differenziali rappresen- tano il togliersi del quanto in una determinatezza di grandezza puramente qualitativa ( 79 ). 12. Esempi matematici di cattiva e vera infinit La cattiva infinit e la vera infinit sono illustrate da Hegel con esempi tratti dalla matematica. In questo senso egli osserva che, prendendo in consi- derazione la frazione 2/7 (frazione non decimale), dalla divisione di 2 con 7 si ottiene lo sviluppo decimale infinito 0,285714... = 0/1 + 2/10 + 8/10 2 + 5/10 3 + 7/10 4 + 1/10 5 + 4/10 6 + ...; questo per- ( 78 ) Si veda la precedente figura. Il concetto di vero infinito quantitativo con riferimento alla dottrina spinoziana dellinfinitum actu viene trattato da Hegel in Fede e sapere, nella Scienza della logica, e nelle Lezioni sulla storia della filosofia (cfr. GuW, 354-358 (175-179); VGPh III, 170-172 ; WdL I, 162-163; WdL III, 247-249 (275- 277)). In questo caso sono in particolar modo importanti le considerazioni della Scienza della logica che permettono di comprendere la rilevanza di questo concetto nella speculazione hegeliana sulla natura della quantit. ( 79 ) In queste considerazioni Hegel negli esempi ricorre a funzioni algebri- che per esprimere f(x). HEGEL E ARISTOTELE 94 mette le successive determinazioni approssimate di 2/7 con le frazioni decimali 0/1, 2/10, 28/10 2 , 285/10 3 , 2857/10 4 , 28571/ 10 5 , 285714/10 6 , ..., che sono approssimazioni per difetto rispetti- vamente a meno di 1/1, 1/10, 1/10 2 , 1/10 3 , 1/10 4 , 1/10 5 , 1/10 6 , ... In questo modo si origina la cattiva infinit. La relazione esatta 2/7 = D + R , dove D la frazione decimale usata per lapprossi- mazione ed R il resto. La vera infinit si ha quando si considera tutto lo sviluppo 2/7 = 0/1 + 2/10 + 8/102 + 5/10 3 + 7/10 4 + 1/ 10 5 + 4/10 6 + ..., anche se la matematica della fine del Settecento e dellinizio dellOttocento in difficolt nella giustificazione di si- mili espressioni. In effetti in quellepoca non si disponeva ancora della teoria e - d del limite, teoria che verr elaborata pi tardi dallanalisi classica. Per questo motivo secondo Hegel linfinit si trova piuttosto nellespressione finita 2/7 che nella serie infinita, la cui somma deve essere sempre approssimata con una somma infinita. Considerando la questione con maggiore generalit, lespres- sione 1/(1-a) ottiene lo sviluppo in serie di potenze 1 + a + a 2 + a 3 + ... (sotto la condizione |a| < 1). Anche in questo caso Hegel consi- dera lespressione completa 1/(1-a) = 1 + a + a 2 + a 3 + ... come espressione della vera infinit, e la successione di polinomi 1, 1 + a, 1 + a + a 2 , 1 + a + a 2 + a 3 , ..., come espressione della cattiva infinit. Sicch, paradossalmente, la vera infinit si ha nellespressione fini- ta 1/(1-a) piuttosto che in quella 1 + a + a 2 + a 3 + ... Si noti che Hegel nella Scienza della logica sta ricorrendo allo stesso esempio usato da Aristotele nella Fisica. In modo analogo, considerando la frazione
a b si hanno esem- plificazioni sia di cattiva, sia di vera infinit. Infatti, ad esempio,
2 7 =
4 14 =
6 21 = ..., ed ogni sequenza finita di eguaglianze d origine alla cattiva infinit:
2 7 =
4 14 ,
2 7 =
4 14 =
6 21 ,
2 7 =
4 14 =
6 21 =
8 56 , ...; se invece consideriamo la totalit delle frazioni equivalenti a
2 7 , concetto corrispondente a quello del numero razionale [
2 7 ] = 95 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... {
p q | 7p = 2q , p Z, q Z o } , abbiamo nuovamente un esempio di vera infinit. Di grande interesse poi losservazione delle Lezioni sulla storia della filosofia, che anche i punti di un segmento costituiscono una totalit infinita in atto ( 80 ). Si dispone cos di un punto di vi- sta che unifica diversi aspetti della matematica: concetti geome- trici quali i luoghi geometrici, algebrici, quali il concetto di nume- ro razionale come collezione di infinite frazioni equivalenti, anali- tici, quali il concetto di funzione/relazione continua, esteso anche alle grandezze infinitesime (evanescenti). In questo modo Hegel si spinge molto pi in l di quanto non avessero fatto altri filosofi e matematici nel riconoscere il ruolo svolto dallinfinito in atto in matematica. Resta per sempre anco- rato alla convinzione che il concetto di vero infinito non sia suscet- tibile di formalizzazione. Questo fatto dovuto probabilmente alla constatazione fatta da parte dei matematici, e condivisa da parte di Hegel, che ampliando lambiente numerico con i numeri infiniti, ammissibili in una concezione attuale dellinfinito, si perdevano al- cune propriet delle operazioni con le grandezze numeriche, la qual cosa risultava difficilmente comprensibile al mondo scientifi- co di quellepoca. Hegel portato a estendere la portata di questa circostanza legata alle difficolt algebriche del calcolo con i numeri infiniti, affermando che in generale il vero infinito non formaliz- zabile; in questo modo per si presenta un momento aporetico del- la riflessione hegeliana sulla matematica, dal momento che egli stesso rappresenta linfinito in atto con lesempio geometrico spino- ziano o con il concetto di funzione, quindi ricorrendo alla rappre- sentazione anche formale dellinfinito attuale. Risulta chiaro che, se da un lato vero che Hegel tiene pre- sente il pensiero di Aristotele nella sua concezione della cattiva ( 80 ) VGPh III, 171-172. HEGEL E ARISTOTELE 96 infinit modellata sullo schema della concezione potenziale del- linfinito, per anche vero che egli va oltre Aristotele accettando anche una concezione attuale dellinfinito, per la quale aveva nel- let moderna gli esempi di Cavalieri, Spinoza, di Kant (tutto infi- nito), ed il concetto di funzione adoperato dai matematici (in modo particolare le definizioni di funzione proposte da Euler e da Lagrange). Una delle fonti della riflessione hegeliana sul vero infinito va per ricercata, a mio avviso, nella filosofia classica gre- ca, nel Filebo platonico, in cui viene data una soluzione positiva allopposizione tra i molti (gli infiniti molti) e luno. LEnciclopedia del 1827 e quella del 1830 sviluppano nella Anmerkung al 95 la riflessione sulla vera infinit con limportan- tissimo riferimento al Filebo platonico. Hegel si sofferma sulla nullit dellantitesi intellettualistica di finito ed infinito e osser- va che a questo proposito da consultare utilmente il Filebo pla- tonico ( 81 ). Il tema si trova trattato anche nelle Lezioni sulla storia della filosofia, nelle pagine dedicate appunto al Filebo ( 82 ). Platone aveva considerato in questo dialogo i quattro sommi generi delles- sere: lin(de)finito, il limite, il genere misto e la causa (a[peiron, pevra, miktovn, aijtiva). Con riferimento ai primi tre generi, il terzo genere, il misto, deriva dalla commistione di infinito e limite, ed il genere che rende conto della possibilit degli esseri determinati ( 83 ). Lin- terpretazione hegeliana di questo passo del Filebo avviene nella sfera qualitativa, ma lo schema dei primi tre generi del Filebo ver- r applicato anche a quella quantitativa (com del resto il caso del dialogo platonico). Osserviamo che la[peiron corrisponde alles- sere della logica hegeliana nella sua indeterminatezza qualitativa, ( 81 ) Enz. B, 95 An.; Enz. C, 95 An. A questo riguardo mi sia concesso di rinviare a MORETTO, Questioni di filosofia della matematica nella Scienza della logica di Hegel, cit., 23-29. ( 82 ) VGPh II, 77-79. ( 83 ) Phileb. 23 c -27 d. 97 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... quindi alla infinit negativa, il pevra alla categoria del limite, quindi alla finitezza. Il genere misto (miktovn) alla vera infinit, inte- sa come ununione di finitezza ed infinitezza. Hegel fa suo il punto di vista platonico ( 84 ); trova per terminologicamente inadeguato il termine greco miktovn per indicare la vera unione di finito ed infinito, poich esso non rende conto della dialetticit con cui si configura tale unione. Si deve infatti esser cauti nel parlare di unit di finito ed infinito, osserva Hegel, poich non si tratta n di ununione estrinseca dei due, n di una finitizzazione dellinfinito. La vera in- finit consiste invece, per ognuno dei due, il finito e linfinito, nel riferimento a se stesso, nel trapasso e nellaltro ( 85 ). Per ci che riguarda poi il rapporto tra continuo e discreto - vero e proprio Leitmotiv della quantit, del quanto e della misura - Hegel pensava verosimilmente che con la vera infinit del quan- to si realizzasse a livello del quanto la sintesi di continuit e di- screzione, come si pu evincere dalle considerazioni della Scienza della logica sullesempio di Spinoza, le quali riguardano la nozione di uno spazio finito, esaurito dalla totalit attualmente infinita dei segmenti che soddisfano alla condizione richiesta: nello spa- zio dellesempio linfinito non sta al di l, ma presente e com- piuto; questo spazio uno spazio limitato ma infinito perch la natura della cosa supera ogni determinatezza ( 86 ). Anche se vero che la strada percorsa dallanalisi matematica classica per la definizione della continuit numerica ricorre allinfinito in atto, non vero che una totalit infinita in atto densa, continua in sen- so aristotelico-kantiano, sia per ci stesso una totalit continua, ( 84 ) Sullimportanza del Filebo per la proposta hegeliana delle categorie dellessere nella Logica di Jena, cfr. ROSENKRANZ, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben, Darmstadt 1972 (rist. anast. delled. Berlin 1844), 105; trad. it. Vita di Hegel, introd., trad. e note a cura di R. Bodei, Milano 1974, 125. ( 85 ) Cfr. Enz. B, 95; Enz. C, 95. ( 86 ) WdL III, 248 (276); cfr. WdL I, 162. HEGEL E ARISTOTELE 98 vale a dire priva di lacune ( 87 ). In effetti se si considerano i punti di un intervallo [a,b] con ascissa razionale, essi costituiscono una to- talit infinita in atto densa, ma non continua. Per avere la continui- t in un insieme ordinato e denso necessario formulare anche un assioma specifico di continuit (ad es. nella forma di Dedekind o di Cantor). 13. Conclusione Da quanto stato esposto emerge, a mio avviso, il fatto che Hegel dedica grande attenzione al punto di vi- sta di Aristotele sullinfinito e sul continuo, e in questo senso sono gi stati segnalati alcuni aspetti di tale attenzione. Passando ad una considerazione pi ampia, mi pare si possa affermare che le conce- zioni dellinfinito e del continuo di Aristotele sono per Hegel ade- guate al modo di procedere della matematica come scienza rigoro- sa dellintelletto. In effetti la concezione hegeliana della cattiva infinit corri- sponde alla concezione aristotelica dellinfinito in potenza. La ne- gazione della possibilit dellinfinito attuale (infinitum actu non datur) e la corrispondente scelta dellinfinito potenziale caratteriz- zano gran parte della matematica non solo antica, ma anche mo- derna e contemporanea. Le concezioni del calcolo infinitesimale nellera moderna che venivano considerate rigorose adottavano questo punto di vista sullinfinito, e la stessa Thorie des fonctions analytiques di Lagrange volendo proporre un livello di rigore pari a quello degli antichi si ispirava nei problemi di integrazione al me- todo di esaustione degli antichi, che esclude linfinito attuale. Di questo fatto tiene conto lo stesso Hegel, che ritiene che in questo ( 87 ) Sugli insiemi continui si veda, ad es., I. BARSOTTI, Appunti di algebra, Bologna 1968, 15-18. Naturalmente Hegel non conosce la distinzione tra numeri infiniti cardinali ed ordinali, n conosce la distinzione tra le cardinalit numera- bili e quelle continue, concetti per i quali siamo debitori allopera di Georg Can- tor. 99 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... modo si possa fondare una matematica del calcolo infinitesimale rigorosa, adeguata al suo standard di scienza dellintelletto ( 88 ): una scienza delle determinazioni finite, che accoglie linfinito solo sotto laspetto potenziale, conformemente alla lezione di Aristotele. Ma proprio la matematica dellera moderna aveva riabilitato il concetto di infinito attuale con la speculazione di Galilei e di Ca- valieri sugli indivisibili come componenti del continuo, in cui si considera il continuo come composto dai suoi infiniti indivisibili (Galilei) e si stabiliscono confronti tra i continui ponendo in corri- spondenza biunivoca i loro indivisibili (Galilei, Cavalieri). Oltre a questo la matematica moderna aveva elaborato il concetto di fun- zione - relazione, in cui si ricorre a domini infiniti di enti che posso- no essere considerati anche da un punto di vista attuale. Hegel trova che con queste proposte i matematici abbiano in- tuito la possibilit di un concetto di vera infinit, che assorbe in s la coppia di concetti dellinfinito potenziale e del limite. In questo modo egli stabilisce una corrispondenza tra lesempio di infinitum actu proposto da Spinoza nellEpistola XII e il concetto di funzione. Hegel aveva trovato un esempio di questo superamento della dicotomia finito-infinito nella concezione del genere misto del Filebo platonico, e il fatto che questa considerazione della Logica hegeliana si svolga nellambito della qualit e non della quantit, non inficia a mio avviso la portata della considerazione di Hegel, sia perch la matematica abbisogna di entrambe queste categorie, sia perch le considerazioni relazionali coinvolte dagli esempi ma- tematici appartengono pi a una matematica qualitativa che ad una quantitativa. Per ci che riguarda il problema del continuo, Hegel annette grande importanza alla caratterizzazione aristotelica della conti- ( 88 ) A questo proposito mi sia concesso rinviare a A. MORETTO, Hegel on Greek Mathematics and Modern Calculus, in Hegel and Newtonianism, ed. by M.J. Petry, Dordrecht 1993, 149-165. HEGEL E ARISTOTELE 100 nuit come divisibilit allinfinito di ci che esteso, in modo di ot- tenere grandezze piccole a piacere. La concezione aristotelica origi- na una situazione asimmetrica nel rapporto tra i continui e gli indi- visibili inestesi di dimensione immediatamente inferiore che sono contenuti in essi (ad esempio, nel caso del segmento, i suoi estremi e linfinit di punti che possono essere generati mediante divisioni del segmento). Infatti, mentre vero che se dato il continuo, allo- ra si possono ottenere in potenza gli infiniti punti di suddivisione del continuo, a partire da una concezione potenziale dellinfinit dei punti non si pu comporre il continuo. Stando alle indicazioni della Scienza della logica sembra che Hegel ritenesse che con il concetto di vera infinit della moltitudi- ne si potesse superare questa asimmetria e ricomporre il continuo come una infinit attuale di indivisibili, che soddisfano alla conce- zione aristotelica della continuit. Pertanto anche in questo caso il superamento della concezione aristotelica comporta il passaggio dalla sfera dellintelletto a quella della ragione. La considerazione che si evince dal testo hegeliano interessante: nellintero (conti- nuo) sono contenuti in potenza infiniti elementi (punti). Se li consi- deriamo tutti in tutti i modi che si possono dare, secondo un punto di vista attuale (secondo il vero infinito) si riottiene il continuo. Il logos zenoniano della dicotomia rivela per una conseguenza inatte- sa dopo tanti successi della matematica antica e moderna: dal di- screto non si pu ottenere il continuo privo di lacune, se si dispone di moltitudini infinite in cui valga la condizione aristotelico- kantiana di continuit debole. In effetti una soluzione al problema del conseguimento del continuo a partire dal discreto viene trovata solo nella seconda met dellOttocento, in modo particolare con i contributi di R. Dedekind e G. Cantor. Dedekind propone il seguente principio (Stetigkeit und irrationale Zahlen (1872): se si dividono i punti della retta in due classi, tali che ciascun punto della prima classe sia alla sinistra di ciascun punto della seconda classe, esiste uno ed un solo 101 A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ... punto che produce questo taglio (sezione, Schnitt) della retta in due parti. Nella formulazione di G. Cantor (1872) il principio di conti- nuit stabilisce che non solo ad ogni punto P di una retta orientata r corrisponda uno ed un sol numero a, lascissa di P, uguale al rap- porto con segno del segmento orientato OP con un segmento u unit di misura (numero razionale o irrazionale a seconda che i segmenti siano commensurabili o incommensurabili), ma che an- che, viceversa, ad ogni numero a, razionale o irrazionale, corri- sponda uno ed un sol punto P sulla retta ( 89 ). In questo modo si ot- tiene un concetto di continuit pi forte di quello aristotelico- kantiano, che non in grado di assicurare lassenza di lacune. Ma sia per Aristotele, sia per Hegel non possibile condizio- nare i giudizi sulla loro ricerca con i risultati che sono venuti in sguito. Piuttosto il caso di riconoscere la grandezza della specu- lazione aristotelica sullinfinito e sul continuo, in cui si affrontano problemi di convergenza e di divergenza delle serie di grandezze, e si raccorda il concetto di continuo con quello di successione infinitesima, e di quella hegeliana che, tenendo conto di alcuni nuovi punti di vista della matematica moderna, rivaluta il concetto di infinito attuale. ( 89 ) Si veda J.W.R. DEDEKIND, Stetigkeit und irrationalen Zahlen, in Gesam- melte mathematische Werke, III, Braunschweig: Vieweg & Sohn, 1932, 3; G. CANTOR, ber die Ausdehnung eines Satzes aus der Theorie der trigonometrischen Reihen, in Gesammelte Abhandlungen, cit., 96-97. ( 1 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, tr. di E. Codignola e G. Sanna, II, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 296 ss. ( 2 ) E. BERTI, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 44 s. PAOLO ZIZI IL CONCETTO METAFISICO DI INTERO IN ARISTOTELE E IN HEGEL Hegel ha ravvisato nella metafisica di Aristotele lo stesso tipo di discorso che egli stesso aveva sviluppato nella propria logica non formale, ma materiale, cio esprimente la struttura stessa della realt. Nella sua interpretazione di Aristotele proposta nelle Lezioni sulla storia della filosofia ( 1 ), Hegel colloc la metafisica prima della fisica. Ma per Aristotele fuori dubbio che la fisica deve precedere la metafisica, perch la fisica la conoscenza dei principi e delle cause prime (cio epistme) della natura, vale a dire di quella realt che per prima si presenta alla nostra indagine e che pi nota per noi. Solo dopo aver portato a termine la fisica e aver scoperto, at- traverso la fisica stessa, lesistenza di una realt diversa dalla natu- ra, Aristotele ha ammesso una scienza dedicata allo studio di que- sta nuova realt, cio la metafisica ( 2 ). Nelle tranquille regioni del pensiero che giunto a se stesso, ed soltanto in s, tacciono gli interessi che muovono la vita dei popoli e degli individui. Da tanti lati dice Aristotele [in Me- taph., I 2, 982 b 19 ss.]... la natura delluomo dipendente; ma questa scienza che non viene cercata per un vantaggio, , sola, la 104 HEGEL E ARISTOTELE scienza libera in s e per s, che perci non sembra essere un pos- sesso umano ( 3 ). Metafisica quindi filosofia in quanto indivi- duazione delle propriet e dei significati di ci che costituisce log- getto di tale disciplina, cio to on he on; c una scienza che consi- dera lessere in quanto essere e le propriet che gli competono in quanto tale ( 4 ). Lessere in quanto essere richiama uno degli as- siomi che Hegel riprende proprio dallo Stagirita: lintero per na- tura prima delle parti ( 5 ). Non solo, ma questo passo della Metafi- sica evidenzia la considerazione dellente in quanto tale, ponendo la differenza tra questa scienza e le altre; questa scienza non si limi- ta ad una o pi determinazioni dellente considerato, ma assume quellente nella sua interezza, cio in quanto esso : appunto lin- tero ( 6 ). Aristotele si riferisce anche alla sapienza (sopha), la quale detta dallo Stagirita anche theora per tes alethias, scienza della ve- rit dellintero. Anche per Hegel non vi esperienza fuori delluni- versale, ovvero dellintero: la filosofia essenzialmente nellele- mento delluniversalit, la quale include in s il particolare ( 7 ). La filosofia tematizza ci che primo e originario; lintero il tema per eccellenza della filosofia ( 8 ). ( 3 ) G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, tr. di A. Moni, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 13 s. ( 4 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 1, 1003 a 20 s.; tr. di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1993, II, p. 131. ( 5 ) G.W.F. HEGEL, Filosofia dello spirito jenese, tr. di G. Cantillo, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 144 e n. 187. Nella discussione sulla mia relazione, Renato Milan ha opportunamente ricordato che lispirazione aristotelica della nozione hegeliana dellintero risulta gi dal francofortese Frammento di sistema, mediante il concetto di vivente. ( 6 ) G. R. BACCHIN, Originariet e mediazione nel discorso metafisico, Jandi Sapi, Perugia 1963, pp. 40 ss. ( 7 ) G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, tr. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1979, I, p. 1. ( 8 ) Vedi la n. 5. 105 P. ZIZI - Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel Inoltre Hegel, restaurando il concetto classico di filosofia, ini- zialmente si rif al concetto di dialettica negativa di Platone e di Aristotele (presente soprattutto nei Topici). La dialettica viene im- piegata nellIntroduzione alla Fenomenologia per designare il proces- so del sorgere di nuovi oggetti alla coscienza, il fare esperienza che oggetto della scienza fenomenologica. Dallinizio della sezione intitolata Ragione non si parla pi (se non sporadicamente) di dia- lettica, perch la coscienza ha cessato di esperire nuovi oggetti, ma a se stessa il proprio contenuto ( 9 ). Com noto, laccezione positi- va della dialettica come automovimento dei concetti verr svilup- pata da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia e, poi, soprattutto nella Scienza della logica e nel sistema dellEnciclopedia. Per Aristotele la dialettica da un lato unarte tesa al produr- re (piesis), facolt di argomentare, in grado di confutare kat to pragma, secondo la realt, e cio di smascherare, mediante la criti- ca, linconsistenza di ogni presunto sapere, ovvero di annientare per uno scopo non immanente, ma esterno. Si differenzia inoltre, sul piano dellarte, dalla saggezza che, come praxis, ha il fine in se stessa, e, sul piano conoscitivo, dalla scienza, che ghnoristik, co- noscitiva, e non semplicemente peirastik, esaminativa, come la dia- lettica, che saggia la validit delle argomentazioni ( 10 ). Un punto che accomuna la concezione hegeliana della dialet- tica (negativa) e quella di Aristotele riguarda precisamente gli ndoxa (ovvero gli argomenti o le premesse che sono in fama) ( 11 ); la dialettica argomenta partendo non da qualsivoglia opinione, ma dalle opinioni pi accreditate, da quelle concrezioni storiche in cui si sedimentano le convinzioni degli uomini pi sapienti e famosi o che raccolgono il consenso di larghi strati di opinione pubblica. ( 9 ) F. CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto e ontologia della soggettivit in Hegel, Pubblicazioni di Verifiche, Trento 1980, p. 204. ( 10 ) Ivi, pp. 204 s. Cfr. anche BERTI, Le ragioni di Aristotele, pp. 18 ss., 31 ss. ( 11 ) ARISTOTELE, Top., I 1, 100 a 18-21; 100 b 21-23. 106 HEGEL E ARISTOTELE Anche la dialettica (ovvero la logica) jenese ha i propri ndoxa cui applicarsi ( 12 ). Vi per un elemento, nonostante le differenze, che collega fra loro dialettica e filosofia: i dialettici discutono di tutte le cose, e a tutte le cose comune lessere..., e discutono di queste nozioni, evidentemente, perch esse sono effettivamente oggetto proprio della filosofia ( 13 ). chiaro come Hegel intenda questaffermazio- ne, quando sostiene che la logica espone come un riflesso limma- gine dellAssoluto ( 14 ). In effetti, c una perfetta coincidenza, secondo Aristotele, tra la metafisica come scienza della totalit del reale, cio dellon he on (ontologia), e la metafisica come scienza delle cause e dei principi dellessere (aitiologia) ( 15 ); e, si potrebbe dire, c coincidenza anche tra ontologia e teologia, o, meglio, lontologia in funzione della teologia ( 16 ); lintero viene spiegato dallo Stagirita mediante una causa trascendente, lAtto puro. Allinizio di Metaph., XII 1, egli af- ferma, infatti, che loggetto della sua indagine la sostanza e che delle sostanze che sta ricercando i principi e le cause ( 17 ). Limpiego hegeliano dellaffermazione di Metaph., IV 2, 1004 b 19-22 determi- na che la vera conoscenza, per lo Hegel jenese, si realizza nella me- tafisica, la quale espone la vera conoscenza dellAssoluto. Ci che ( 12 ) CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto, pp. 205 s. ( 13 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 2, 1004 b 19-22; tr. Reale, II, p. 139. ( 14 ) K. ROSENKRANZ, Vita di Hegel, tr. di R. Bodei, Vallecchi, Firenze 1966, p. 207. Cfr. CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto, p. 206. ( 15 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 1 per totum. Cfr. REALE, in ARISTOTELE, Metafisi- ca, cit., I, pp. 53 ss. ( 16 ) Ivi, I, pp. 60 ss. Per una diversa presa di posizione al riguardo, che interpreta la lezione aristotelica come una metafisica dellincompiutezza, cfr. P. AUBENQUE, Le problme de ltre chez Aristote, Presses Universitaires de France, Paris 1962, pp. 193 ss., e A. FERRARIN, Hegel interprete di Aristotele, ETS Editrice, Fisa 1990, p. 50. ( 17 ) ARISTOTELE, Metaph., XII 1, 1069 a 18 s. 107 P. ZIZI - Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel comune ad entrambe, alla logica e alla metafisica jenesi, loriz- zonte della totalit come possesso dellintero ( 18 ), un orizzonte che ci circonda e si sposta sempre con noi, di modo che non riusciamo mai ad andare fuori, perch esso non definito (horizmenon), ma, appunto, definiente, circoscrivente (horzon). Sapere il tutto, ovvero lintero, significa conoscere la ragione, il perch, la causa per cui il tutto in un certo modo piuttosto che in un altro. Sapere il tutto riconoscere di non conoscere ancora questa ragione e dunque non scambiare nessuna certezza partico- lare, nessuna conoscenza che gi abbiamo, con quel sapere che cer- chiamo. necessario riconoscere che se la filosofia mette in que- stione tutto, essa non accetta nessuna stipulazione preliminare e quindi, come dichiara Hegel ( 19 ), non ha il vantaggio, di cui di- spongono le altre scienze, di poter presupporre qualcosa, come av- viene per il procedimento deduttivo della matematica. Lintero re- golato non da principi propri delle scienze, ma sostiene Aristo- tele da principi comuni a tutte; ovvero i principi devono riferirsi al tutto, cio devono essere i principi comuni (trascendentali) a tut- te le scienze: il principio di non contraddizione e il principio del terzo escluso; essi non si riferiscono a, e da essi non si pu dedurre alcunch di determinato, perch valgono per tutto e contengono tutto, o, meglio, sono coestensivi allessere in quanto essere. Nello Hegel jenese la dialettica in grado di mediare il pas- saggio dalla logica alla metafisica proprio perch ha la capacit peirastica di annientare tutti i modi difettivi di possedere la totali- t ( 20 ). Analogamente la dialettica aristotelica annienta tutti i tenta- tivi di mettere in discussione il principio essenziale dellintero: il principio di non contraddizione, giacch chi nega questo principio ( 18 ) CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto, p. 206. ( 19 ) G.W.F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, tr. di V. Verra, I, Utet, Torino 1981, 1, p.123. ( 20 ) CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto, p. 206. 108 HEGEL E ARISTOTELE deve negare anche lousa, cio, ad es., deve confutare che ci sia qualcosa come lessenza delluomo ( 21 ). Linizio o cominciamento del sapere coincide con lesperienza filosofica che il sapere di non sapere. Dire questo dire che non vi esperienza fuori dellintero, ovvero dellessere, che in Hegel luniversale ( 22 ). La logica di Jena mostra come Hegel si collochi sulla linea della concezione strumentalistica della logica, che ha il suo caposti- pite in Aristotele stesso: nei Topici (I, 11) lo Stagirita dichiara che i problemi logici non sono discussi per se stessi, ma in ragione della loro utilit in vista della conoscenza morale e speculativa; sono quindi strumenti grazie ai quali si opera mirando a realt diverse e superiori ( 23 ). Ora per Aristotele conoscere la realt tutta quanta vuol dire conoscerla alla luce delluniversale, e le cause e i principi sono gli universali supremi (ta mlista kathlou) ( 24 ). La dottrina del- le cause e dei principi primi ha per fondamento lo studio dellesse- re in quanto essere, e questo studio ha per oggetto sia lunit che sussiste quando i diversi significati di un termine si dicono tutti in riferimento ad ununica natura, sia lunit di consecuzione, quando i diversi termini costituiscono una serie in cui i termini anteriori sono la condizione dei termini posteriori. La differenza essenziale tra Hegel e Aristotele che, per questultimo, il tutto spiegato me- diante una causa che trascende lintera serie dei particolari finiti. Per Hegel la vera forma della verit il concetto; riguardo al- lintero egli lo usa in due sensi: 1) il concetto come nozione iniziale dellintero; 2) il concetto come sistema o compiutezza cui lintero, divenendo, perviene; si ha cos la scienza, ovvero il pensare lintero o luniversale. Lincontraddittoriet dellintero si afferma come non ( 21 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 4, 1007 a 20 ss.; 1006 a 31-34. ( 22 ) HEGEL, Fenomenologia dello spirito, I, pp. 1 e 15. ( 23 ) CHIEREGHIN, Dialettica dellassoluto, p. 188. ( 24 ) ARISTOTELE, Metaph., I 2, 982 a 24-25. 109 P. ZIZI - Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel identit con gli enti. Il concetto metafisico la teoresi della non identit fra essere ed ente, tra intero e molteplice. Nella determinazione dellintero contenuta anche la distin- zione fra doxa e scienza. Aristotele, in An. post., I 33, 88 b 30-32, pu dire che la scienza di ci che secondo il tutto e in forza del ne- cessario, e che ci che pu essere anche altrimenti non si costituisce come oggetto di scienza. Ora lopinione potrebbe affermare che lintero pu non essere, intendendo dire che esso non esiste neces- sariamente. Aristotele potrebbe confutare lobiezione in questi ter- mini: laffermazione che qualcosa non necessario ha senso solo come affermazione che qualcosa a certe condizioni. Allora essere a certe condizioni vuol dire non cogliere lintero. In definitiva, la posizione genuinamente aristotelica, che, sino a un certo tratto, coincide con quella hegeliana, sembra essere la seguente: porre la domanda intorno allintero, ovvero allon, domandare tutto, ma quel tutto di cui si domanda il problematizzare il tutto che un tutto domandare. Ma domandare tutto ammettere di sapere il tutto, ovvero ripetiamolo non scambiare nessuna certezza particolare, nessuna conoscenza che gi abbiamo con quel sapere che cerchiamo ( 25 ). ( 25 ) Sul concetto di filosofia (metafisica) classica come problematicit pura cfr. M. GENTILE, Filosofia e umanesimo, La Scuola, Brescia 1947. RAIMONDO PORCHEDDU LIDEA ARISTOTELICA DI NATURA NELLINTERPRETAZIONE DI HEGEL Linterpretazione hegeliana di Aristotele ha la grandezza e la ruvidezza propria di una ricostruzione dialettica in cui la logica si coniuga con la cronologia e la speculazione con la filologia. Ispi- randosi a una concezione che teorizza la coincidenza tra sviluppo storico e pensiero teoretico la storiografia hegeliana fa apparire tut- to irresistibilmente orientato verso una meta finale. Hegel sa di es- sere il punto di arrivo e la recapitulatio di tutto lo sviluppo filosofico e pu dal suo punto di osservazione rivolgere uno sguardo retro- spettivo alle singole tappe per misurarne le vicinanze e le lonta- nanze. Non c dubbio che questa ricognizione riesce a conferire un senso unitario al passato filosofico e una percezione che i conti tor- nino. La filosofia hegeliana appare la realizzazione di un finalismo, di un telos, presente nella filosofia fin dalle sue origini. sempre importante disporre di un preciso punto di vista con cui guardare le cose. Chi non dispone di un proprio contenuto spirituale denso e vivo non pu vedere al di l della quotidianit. Dalla grandezza del proprio sentire dipende anche la capaci- t di percepire le cose in modo non convenzionale, innovativo e originale. 112 HEGEL E ARISTOTELE Perch questo avvenga la mente deve essere capace di riorga- nizzare tutto il suo campo percettivo e cognitivo secondo una tota- lit anticipatrice. Anche quando ci confrontiamo con gli antichi il metodo non detto che possa bastare. Nella prospettiva classicistica e in quella storicistica con cui ordinariamente si guarda al pensiero antico, quando ci si affida unicamente al metodo si ottiene un approccio sterile. quanto denuncia Enrico Berti in un suo intervento del 1965 ( 1 ). Gli esiti possono essere o ripetizione pedissequa, o erudi- zione archeologica, o ricostruzione di una filosofia che non ha nul- la da dire alluomo doggi. A superamento della prospettiva storicistica Berti suggerisce una prospettiva terminologicamente non nuova, ma rinnovabile nel concetto: quella umanistica. Secondo Berti pu essere indicati- vo in questa direzione lumanesimo di Jaeger e Stenzel, ma con la riserva che stato troppo filologico e poco filosofico ( 2 ). Berti pensa ad un umanesimo che sappia trarre dalla filosofia antica, pur nella persuasione della sua classicit, precise indicazioni teore- tiche ( 3 ). Come si colloca Hegel rispetto a questa prospettiva? Per Berti non pu essere un modello da seguire ( 4 ), ed un punto di vista che merita di essere discusso. In prima approssimazione mi sembra di poter affermare che lunico approccio creativamente umanistico al pensiero antico poteva essere per Hegel quello che effettivamen- te ha realizzato. Per quanto riguarda Aristotele sotto gli occhi di tutti che stato un approccio fecondo e innovativo come solo un vero umane- ( 1 ) Ristampato in E. BERTI, Studi aristotelici, LAquila 1975, p. 30. ( 2 ) Ivi, p. 31. ( 3 ) Ivi. ( 4 ) Ivi, p. 29. 113 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel simo poteva render possibile, Quello di Hegel stato un ricongiun- gersi con la filosofia di Aristotele come se fosse il passato ontologi- co della propria filosofia. vero, come rileva Berti, che Hegel guar- da in generale al pensiero antico come ad una metafisica ingenua priva di quella che costituisce la superiorit del pensiero moderno: la coscienza della differenza di soggettivo ed oggettivo ( 5 ). Questo non impedisce per ad Hegel di vedere nella filosofia aristotelica una sorta di prefigurazione della propria filosofia. La filosofia ari- stotelica che Hegel ricostruisce tuttaltro che povera e astratta. Quello che emerge un Aristotele nuovo e inedito, non pi quello empirista della tradizione. LAristotele di Hegel non pi lanti- Platone; al contrario quello che esprime la filosofia nel senso di Platone, ma approfondendola e ampliandola e quindi facendola progredire ( 6 ). Di fatto aggiunge Aristotele ha superato per profondit speculativa Platone, giacch conobbe la pi profon- da delle speculazioni, lidealismo, e vi si attenne, nonostante la parte amplissima concessa allempirismo ( 7 ). Pur avendo riconosciuto altrove ampi meriti a Platone, Hegel sembra identificarsi meglio in Aristotele, tanto da considerarlo traducibile nei termini della propria filosofia ( 8 ). Non chiaro in che misura questo genere di umanesimo ab- bia potuto far emergere lelemento originario del pensiero antico. Per la prospettiva stessa in cui Hegel si collocava, di sentirsi il frut- to maturo di tutto lo sviluppo filosofico, era inevitabile che il rico- ( 5 ) Ivi. ( 6 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni di storia della filosofia, trad. it., Firenze 1973, II, p. 278. ( 7 ) Ivi, p. 277. ( 8 ) Sul confronto Platone-Aristotele per Gadamer avverte: Non ci si deve lasciare trarre in inganno dal fatto che Hegel riconosce in Aristotele pi profonde verit speculative... In ogni caso Hegel non ha visto il vero e proprio prototipo del concetto della dimostrazione filosofica in Aristotele, ma nella dialettica eleatica e platonica (H.G. GADAMER, La dialettica di Hegel, trad. it., Torino 1973, p. 11). 114 HEGEL E ARISTOTELE noscere prevalesse sul semplice conoscere ( 9 ). Ma era questo lunico possibile umanesimo per Hegel. La riscoperta del pensiero antico poteva avvenire per Hegel a condizione che muovesse dal proprio mondo e dal proprio orizzonte romantico-idealistico. Per noi la prospettiva umanistica deve per la stessa ragione cambiare. Il nostro mondo e il nostro orizzonte culturale profon- damente mutato rispetto a quello di Hegel. Gi lidea di poter trar- re indicazioni teoretiche profonde anche per i nostri giorni pensabile solo a partire da questo contesto. Considerato tutto ci, che significa ritornare ad Aristotele dopo Hegel? Dopo Hegel il nostro sentimento delle cose mutato. Non possiamo pi riconoscerci nel suo idealismo, anche se non pu non essere nelle aspirazioni di tutti ristabilire la totalit del sa- pere su nuove basi, posto che sia ancora possibile. Non sarebbero sufficienti peraltro dei piccoli aggiustamenti. Dopo Schopenhauer e Kierkegaard, Marx e Freud, Nietzsche ed Heidegger, per citare solo alcuni grandi, la filosofia profondamente cambiata. Sono istanze a cui il sistema hegeliano difficilmente pu ancora rispon- dere. La filosofia di Hegel pu per costituire un ordito razionale che possa dare coerenza a quelle istanze. Questa possibilit esiste se si considera che un po tutti i filosofi contemporanei in una for- ma o nellaltra si preoccupano di fare i loro conti con Hegel ( 10 ). Tutto questo fa pensare che al di l di una produzione filosofica fat- ta in larga misura di aforismi, di metafore e di un linguaggio poeti- camente allusivo, tanto da farla apparire pi una letteratura che una scienza, si senta ancora lesigenza di ripristinare una coerenza razionale che metta fine alla confusione delle lingue e ristabilisca la comunicazione filosofica. ( 9 ) Questo pu chiarire la particolarit di una interpretazione (come quella hegeliana) oltre Aristotele (vedi L. SAMON, Dialettica e metafisica. Prospettiva su Hegel e Aristotele, Palermo 1988, p. 18), dove le analisi non sono immuni da forzature e da violenze interpretative nonostante il proposito di rispettare le differenze di tempi, di cultura, di filosofia (ivi). ( 10 ) Su questo tema vedi A. NEGRI, Hegel nel Novecento, Roma-Bari 1987. 115 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel Se la filosofia attualmente si trova in questo estremo stato di dispersione e di frammentazione, quale stata la sua colpa di ori- gine? Ritornare ad Aristotele dopo Hegel pu avere il significato di un ricominciare da capo, di un ritorno alle origini. Un ritorno ad Aristotele non pu avvenire senza che si passi attraverso il suo rap- porto con Hegel. Umanesimo per noi ora significa ristabilire tra i due lalterit ripristinando la giusta prospettiva storico-filologica. Pu Aristotele sopravvivere al destino della filosofia hegeliana? Credo che un confronto sul concetto di natura possa essere partico- larmente significativo per ristabilire le differenze e per consentire una nuova riappropriazione di Aristotele. Nel secondo libro della Fisica Aristotele chiarisce in una fitta sequenza di concetti che cosa intende per natura. Leggiamo cos che sono per natura tutte quelle cose che hanno in se stesse il principio del movimento e della quiete ( 11 ). Ne consegue che la natura principio e causa di movimento e di quiete ( 12 ). E poich vi un fine del movimento stesso, la natura fine e causa fina- le ( 13 ). Sono secondo natura, pertanto, tutte quelle cose che, mosse continuamente da un principio a loro immanente, giungono ad un fine ( 14 ). Hegel sottolinea soprattutto questo agire proprio della natu- ra in vista di un fine rilevando che per Aristotele ci che pi im- porta determinare il fine come interiore determinazione della stessa cosa naturale ( 15 ). Questo, secondo Hegel, laspetto che di- vide Aristotele dai moderni per i quali la fisica divenuta una sem- plice scienza descrittiva da cui esclusa ogni considerazione meta- ( 11 ) Phys., 192 B 13-14. ( 12 ) Ivi, 192 B 20-22. ( 13 ) Ivi, 194 A 28-30. ( 14 ) Ivi, 199 B 15-17. Cfr. la trad. di A. Russo, Roma-Bari 1983. ( 15 ) Lezioni di storia della filosofia, cit., p. 318. 116 HEGEL E ARISTOTELE fisica ( 16 ). Le pagine di Hegel qui sembrano fare da contrappunto alla polemica antimeccanicistica e antievoluzionistica che leggiamo nella Fisica ( 17 ). Nella natura scrive Hegel ordinariamente si pensa alla necessit e si considera essenzialmente come naturale ci che non determinato dal fine. Da molto tempo si creduto di avere cos determinato la natura filosoficamente e veracemente li- mitandola alla necessit ( 18 ). Non meno chiara la presa di posi- zione contro lindirizzo evoluzionistico della scienza e della filoso- fia moderna. Hegel registra quasi con sorpresa che nella contempo- ranea filosofia della natura abbia fatto la sua comparsa lespres- sione sorgere (uno svolgersi scevro di pensiero) secondo una rap- presentazione ... della natura che procede per tentativi, tra i qua- li sopravvivono quelli che si mostrano rispondenti a un fine ( 19 ). La sua replica suona come una parafrasi al testo di Aristotele: la natura, in quanto entelecha, ci che genera se stessa ( 20 ). Na- tura significa appunto che una cosa diviene ci che era gi in lei sin da principio. questa interna universalit e finalit che si realizza; sicch causa ed effetto sono identici, in quanto tutti i singoli mem- bri sono relativi allunit del fine ( 21 ). La concezione della finalit interna e immanente propria della natura aristotelica non ha avuto una importanza qualsiasi nello sviluppo della filosofia hegeliana, ma stata di grande rilevanza, se non proprio determinante ( 22 ). La sua portata pu es- ( 16 ) Ivi, p. 317. Hegel qui non tiene conto del punto di vista di Leibniz sul finalismo (cfr. G. W. LEIBNIZ, Discorso di Metafisica, in Scritti filosofici, trad. it., Tori- no 1988, pp. 73, 74, 86). ( 17 ) Phys., 195 B 35 ss. con probabile riferimento allatomismo; 196 A 24 ss. ( 18 ) Lezioni, cit., p. 319. ( 19 ) Ivi, p. 320. ( 20 ) Ivi. ( 21 ) Ivi, p. 321. ( 22 ) Cfr. Fenomenologia dello spirito, trad. it., Firenze l970, I, p. 17. 117 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel sere misurata in riferimento allo spinozismo vissuto da Hegel ini- zialmente e condiviso con altri esponenti della cultura romantica. La successiva presa di distanza da Spinoza dovette passare attra- verso la riscoperta della teleologia aristotelica. Fu questo elemento che dovette decidere in ultima istanza tra Spinoza e Aristotele, e non solo per Hegel ( 23 ). Hegel sembra alludere a questa svolta sua e dei suoi contemporanei in un breve passaggio: che i tempi pi recenti scrive siano di nuovo ricorsi al razionale su questo punto, puramente una conferma della fondatezza dellidea aristotelica ( 24 ). Hegel dice: di nuovo, dopo aver riconosciuto che gi prima il solo Kant, tra i moderni, aveva colto il finalismo limitatamente al mondo organico ( 25 ). Per la finalit interna Hegel intende la natura aristotelica come vita, cio come tale che scopo in s e unit con s, non tra- passa in altro, ma grazie a questo principio dellattivit determina i mutamenti conforme al suo particolare contenuto e cos si conserva in essi ( 26 ). La vita si estende per Hegel quanto la natura, giacch tutta la natura gli appare dominata da una stessa finalit interna. Ma ora Hegel reinterpreta questa finalit secondo lapparato dialettico del- la sua filosofia. La natura, come il vivente, per Hegel lidea che realizza se stessa ( 27 ). Fin dalle prime battute si avverte questo tentativo hegeliano di tradurre la fisica aristotelica nei termini della propria filosofia attraverso lidentificazione successiva di Natura- Vita-Idea. ( 23 ) Sul rapporto Hegel-Spinoza cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete di Aristo- tele, Pisa 1990, p. 219. Sullantifinalismo di Spinoza cfr. M. MESSERI, LEpistemolo- gia di Spinoza, Milano 1990, pp. 171 ss. Sul rapporto Kant-Goethe-Spinoza cfr. G. DE FLAVIIS, Kant e Spinoza, Firenze 1986, pp. 197 ss. ( 24 ) Lezioni, cit., p. 322. ( 25 ) Ivi. ( 26 ) Ivi, p. 319. ( 27 ) Ivi, p. 321. 118 HEGEL E ARISTOTELE Per Aristotele queste relazioni non sono cos lineari, giacch la comprensione della natura deve passare attraverso la compren- sione della sostanza. La natura si realizza nella sostanza e la finali- t esprime il dinamismo proprio della sostanza ( 28 ). La sostanza presuppone un sostrato, e la natura sempre in un sostrato ( 29 ). La forma pi natura che la materia ( 30 ), ma sempre in un sostrato materiale. La sostanza il luogo dove la natura si media con la ma- teria e con la forma fissandosi in un composto o sinolo. Se i contrari si generassero luno dallaltro, come ad esempio il caldo dal freddo, si andrebbe incontro, per Aristotele, ad una con- traddizione. Il principio del caldo non pu essere il principio del freddo. Tutte le forme si identificherebbero in ununica forma. questa la contraddizione che Aristotele poteva rilevare anche nei Fisici antichi. Non essendoci distinzione tra sostrato materiale e for- ma si presupponeva che la forma dellacqua potesse diventare for- ma di tutto o che la forma degli atomi (come in Democrito) potesse dare origine a tutte le altre forme, o che dalla semplice quantit de- rivasse linfinita variet delle qualit. Non era un modo adeguato per spiegare il molteplice, e Parmenide poteva avere pi di una ra- gione per ricondurre tutte le differenze ad un unico Essere ( 31 ). Essendo i contrari inderivabili reciprocamente ( 32 ), si deve ammettere che si alternano in un terzo principio: il sostrato ( 33 ). Il sostrato permette la pensabilit del non essere e del molteplice. Senza il sostrato tutti i contrari, tutte le forme e le differenze si identificherebbero nellUno di Parmenide. ( 28 ) Phys., 192 B 32-33. ( 29 )Ivi, 192 B 34. ( 30 )Ivi, 193 B 6-7. ( 31 ) Aristotele non considera valida neppure la soluzione di Anassagora (il principio che tutto in tutto). Cfr. Met., 1069 B 20-2; Phys., 187 A 26 ss. ( 32 ) Phys., 188 A 28-30 ( 33 ) Phys., 189 A 35 ss. 119 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel nel composto che la natura diviene identificabile e pensabi- le. La natura scrive Aristotele intesa come generazione, una via verso la natura vera e propria ( 34 ). La natura, da questo punto di vista, un principio di movimento che mira a un risultato proiettandosi fuori di s in un mondo ordinato di forme. Ma al di fuori del composto le forme sarebbero pura tautologia che gira a vuoto. La natura vera e propria quindi la forma, e la forma, come la natura, fine e causa finale ( 35 ). Ma la materia che scandisce il prima e il dopo trasformando un puro principio di movimento in movimento effettivo e nel tempo che lo misura. La natura diviene cosi successione, ordine, regolarit. La evidente circolarit della natura con materia e forma pu suggerire qualche altra considerazione. Materia e forma sono natu- ra, ma non si identificano con la natura. Una pi natura dellaltra. La natura il pi o il meno della loro relazione. La natura si interpo- ne come elemento mediatore tra le due. La forma il termine verso cui la natura si muove a partire da quella materia che essa gi sempre ( 36 ). La natura per Aristotele opera come larte utilizzando dei materiali per realizzare i suoi prodotti. C da chiedersi se tutto questo implica una previsione, una intelligenza capace di progetta- re i suoi risultati. Per Aristotele non ci sono dubbi che la natura opera in vista di fini. Non potrebbe essere da meno rispetto allarti- sta. Dopo tutto lartista non un prodotto della natura? Ci implica che lintenzionalit dellartista non che una delle possibili modali- t in cui si esprime lintenzionalit della natura ( 37 ). Essendo la na- tura portatrice della forma propria delluomo, anche portatrice ( 34 ) Ivi, 193 B 12-13. ( 35 ) Ivi, 199 A 32-33; 194 A 28-29. ( 36 ) Ivi, 193 B 5-18 ( 37 ) Ivi. Su questo cfr. Phys. II, 4, 196 A 25-196B 5; II, 8, 199 A 8-29; Met., 1065 A 27-28, 1065 B 1-5. 120 HEGEL E ARISTOTELE del suo modo particolare di operare. Non possibile che la natura abbia meno delluomo, che pur sempre un suo prodotto. Se lin- telligenza e il suo operare in vista di un fine non fosse gi presente nella natura, in che modo avrebbe potuto venire al mondo? Per Aristotele le alternative a sua conoscenza potevano essere riconducibili al meccanicismo democriteo o allevoluzionismo empedocleo. Aristotele rivolge a Democrito e ad Empedocle lo stesso rilievo che avrebbe potuto muovere Parmenide: in che modo la qualit si sarebbe potuta realizzare dallincontro fortuito di ato- mi o di elementi, se non fosse stata gi nelle previsioni della natu- ra? Mai lessere avrebbe potuto nascere dal non-essere. Questa ipotesi potrebbe suggerire lidea che le forme siano in qualche modo separabili dalla materia. Aristotele ammette che sia- no separabili per noi per logica astrazione ( 38 ), ma ora la doman- da se sono separabili anche nelle cose e quindi anche nellordine ontologico, preesistendo per cos dire al divenire. Proprio perch le forme si riproducono con regolarit nonostante gli infiniti processi di mutamento occorre un principio che ne garantisca la persistenza e la continuit. Esclusi il caso e la necessit come principi di spiega- zione della realt e attenendoci alla causa finale siamo ricondotti in ultima istanza al concetto ( 39 ). Concetto tutto ci che pensabile. Dobbiamo considerare le forme come dei pensabili senza che una mente li pensi? vero che sono pensabili dallintelletto umano e che solo delle forme si pu avere scienza. Ma si pu ottenere una scienza solo a cose fatte? Sarebbe come dire che la scienza si costi- tuisce per caso. Si potrebbe forse render meglio lidea ricorrendo alla termi- nologia degli Scolastici medioevali, i quali distinguevano le essen- ze universali ante rem, in re, post rem. Dobbiamo pensare che le es- senze siano presenti nelle cose, successivamente astraibili dallin- ( 38 ) Phys., 193 B 5-18; 193 B 3-5. ( 39 ) Ivi; Phys., 200 A 14-15; 22-24. 121 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel telletto umano, senza che la natura ne abbia pensiero alcuno ante rem? Dove sta allora la causa finale in natura? Si potrebbero trovare risposte in alcune espressioni in cui Aristotele dice che n Dio n la natura fanno niente invano ( 40 ) o che la natura agisce in vista del fine come il pensiero ( 41 ). Pu esser significativo anche il rilievo mosso ad Anassagora in modo molto simile a quello del Fedone, di fare intervenire Dio nella natura come un deus ex machina ( 42 ). Il senso di questa critica sembrerebbe essere che, posto che ci sia un ordine nelluniverso, e che tra le cose che sono c da inclu- dere anche lintelletto, le due cose non possono considerarsi estra- nee. Una risposta pi esplicita potrebbe essere reperibile nelle stesse pagine della Fisica, in cui Aristotele definisce lassolutamen- te immobile concetto e forma di tutto ( 43 ). Come da intendere tutto questo? Le forme in continuo scambio con la materia sono orientate a realizzare un loro modello separato nellAtto puro? Tut- to questo richiederebbe una discussione sul complesso rapporto tra il Motore immobile e la natura. Non manca qualche passaggio in cui Aristotele sembrerebbe postulare un rapporto ontologico di modello e copia, di tipo plato- nico, anche per il Motore immobile e la natura. Una delle principali ragioni per cui Aristotele respinge la dottrina platonica delle idee che non spiega il movimento. Quale sia per Aristotele limportanza del principio del movimento ce lo fa capire questo passaggio: ( 40 ) Cfr. De gener. anim., 744 B 16, A 36; De coelo, 291 B 13, A 24; De part. anim., 686 A 22. ( 41 ) Phys., 196 B 21-22. ( 42 ) Met., I, 4, 985 A 18-21. Cfr. la trad. di G. Reale, Milano 1993, II, p. 23. ( 43 ) Phys., 198 B 1-3. 122 HEGEL E ARISTOTELE Appunto questo si afferma nel Fedone, che cio le forme ideali sono causa tanto dellessere quanto del divenire; eppure anche a voler ammettere lesi- stenza delle forme ideali, le cose che di queste partecipano non vengono tuttavia alla luce, qualora non intervenga una causa motrice, mentre, al contrario, sono prodotte molte altre cose, quali, ad esempio, una casa o un anello, di cui neghiamo che esistano e vengano alla luce mediante cause simili a quelle degli oggetti sopra accennati ( 44 ). Aristotele qui rende appieno la misura del problema. Egli os- serva come determinati prodotti dellarte (artefacta), di cui nellAc- cademia si discuteva se si dessero delle forme, presuppongono da parte nostra una causa motrice o qualcosa, qualche forza, che abbia messo in moto la materia. Altrettanto dovremmo esigere per le cose naturali. Il fatto che le cose naturali siano dotate di movimen- to non ci deve far pensare che unaltra causa motrice sia superflua, come se il movimento che in natura potesse essersi generato da s o avesse in s la sua spiegazione. La stessa forma che spiega lesse- re delle cose naturali, deve spiegare e deve contenere nel suo pro- getto di essere anche il movimento interno alle cose stesse. Ora, il movimento interno di cui la natura nella sua totalit portatrice, in quale forma pu avere la sua ragion dessere? Pu esserci una for- ma ante rem della natura, a cui sia inerente il principio esterno di movimento? in questo senso che Aristotele definisce il Motore immobile forma di tutte le forme? Nelle trattazioni che si leggono nel libro XII della Metafisica e nel libro VIII della Fisica il Motore immobile viene descritto come principio del movimento che muove in quanto oggetto di deside- rio ( 45 ). Il movimento della natura determinato dalla sua aspira- zione a realizzarsi. Il Motore immobile il fine, la forma, lentelecha verso cui la natura si muove. In queste indicazioni difficile stabi- lire i confini netti tra la metafora e il discorso dialettico. La natura ( 44 ) Met., I, 8, 991 B 3-9; trad. di A. Russo, Roma-Bari 1982. ( 45 ) Met., XII, 7, 1072 A 26 ss. 123 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel per non sembra essere oggetto dei pensieri di Dio. Dio ha come oggetto di pensiero se stesso. Rimane dunque senza risposta linter- rogativo se una scienza delle forme (ante rem) preceda la realizza- zione delle forme stesse in natura: se la natura stessa, nella sua to- talit, sia realizzazione a sua volta di una forma oggetto di un pen- siero esterno, che ne spieghi il finalismo; oppure se siamo ancora sul terreno delle analogie o di una mitologia antropomorfica ( 46 ). Ritengo che questa problematica sia imputabile e debba farsi risalire alla coesistenza in Aristotele di due diversi concetti di per- fezione e di eccellenza. Tutto avviene come se la perfezione della natura sia tenuta distinta dalla perfezione dellAtto puro: nel loro ordine sono perfet- ti sia la natura sia il Motore immobile. La separazione della fisica dalla filosofia prima non sembra essere solo una questione metodologica. Aristotele tende a descrivere la natura come se fosse autosufficiente anche sul piano ontologico. La natura gi in s principio di movimento, e il movimento da questo punto di vista non appare affatto segno di imperfezione o di irrazionalit come nel ricettacolo platonico ( 47 ). Questo concetto di natura deve essere messo in relazione con il rifiuto della teoria platonica delle idee. Le cose della natura non sono affatto copie imperfette di un modello eterno. La natura compiuta in se stessa e non ha bisogno di un mondo invisibile che la spieghi. Leidos interno alle cose e le cose hanno in se stesse la loro spiegazione ( 48 ). ( 46 ) Una discussione su questo tema si pu trovare in D. ROSS, Aristotele, trad. it., Milano 1976, pp. 80 ss.; I. DRING, Aristotele, trad. it., Milano 1976, pp. 241 ss.; W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Phylosophy, VI, Aristotle an Encounter, Cambridge 1981, pp. 106 ss. ( 47 ) Tim., 51 A-B. ( 48 ) Credo che Heidegger abbia colto questo modo originario aristotelico di pensare la natura e il movimento (vedi M. HEIDEGGER, Sullessenza e sul concetto della Physis. Aristotele, Fisica, B, 1, in Segnavia, trad. it., Milano 1987, pp. 198 ss.): certo 124 HEGEL E ARISTOTELE Con questa perfezione della natura Aristotele lascia coesiste- re quella del Motore immobile. La sua perfezione sta nel muovere tutte le cose, come oggetto di desiderio, senza esser mosso. La sua attivit una pura attivit di pensiero, e loggetto di questo pensie- ro se stesso. Dio la cosa pi eccellente, ed Egli non pu pensare se non ci che pi eccellente ( 49 ). Dai pensieri di Dio esclusa pertanto la natura, in quanto ci che ha materia e potenza meno perfetto di ci che immateriale e in atto ( 50 ). La natura dipende da Dio per- ch il passaggio dalla potenza allatto avviene ad opera di un moto- re esterno gi in atto ( 51 ). Per il resto la natura costituisce da s un mondo autosufficiente di pensiero e di essere. Questa impenetrabi- lit tra la perfezione divina e quella della natura Aristotele sembra esprimerla in questi termini: il Motore immobile un principio di movimento naturale che non rientra nellambito della fisica ( 52 ). Non detto per che la presenza del Motore immobile sia ri- solutiva col garantire il passaggio dalla potenza allatto in tutti i per Heidegger molto pi congeniale lidea di una natura autosufficiente e princi- pio autonomo di movimento, ma Aristotele in realt non ritiene che la forma pos- sa essere principio di movimento per se stesso: questa laccusa che rivolge a Pla- tone. Il movimento rimane pertanto un postulato, un dato di fatto, una realt da spiegare. Il movimento interno alla natura infatti trova la sua spiegazione in un principio esterno di movimento: il Motore immobile. Heidegger condannerebbe tutto questo come pensiero metafisico, come oblio dellessere. Ma senza il pensie- ro metafisico, come ci si potrebbe porre la domanda sul senso dellessere? Heidegger, in realt, pu dare il bando alla metafisica solo perch d una interpretazione restrittiva dellEsserci e della sua costituzione di essere gi in par- tenza, pensando lEsserci come essere nel mondo, e definendo il mondo delles- sere nel mondo come la totalit degli utilizzabili. Dovrebbe far parte invece del mondo dellesser nel mondo anche la trascendenza, la stessa domanda della me- tafisica. un bisogno di cui luomo non pu fare a meno. La precomprensione anche precomprensione della metafisica. ( 49 ) Met., XII, 6, 1072 B 19. ( 50 ) Ivi, XII, 6, 1071 B 12-22. ( 51 ) Phys., VIII, 5 ss.; Met., IX, 8. ( 52 ) Ivi, 198 A 35 - 198 B 2. 125 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel settori della natura. Non sempre la generazione trasmissione di una forma da un individuo allaltro ( 53 ). Che dire di quel divenire incessante in cui tutto sembra trasformarsi in tutto ( 54 )? In questo caso che cosa pu far s che una determinata materia assuma una determinata forma dopo aver ceduto quella di prima? E come possibile che in questo divenire incessante ricompaiano con regola- rit le stesse forme? Si deve postulare quantomeno una regola di tutti questi scambi, un programma paragonabile al modello informatico, per cui a certe condizioni della materia corrispondano determinate forme. Ma una regola e un programma non possono non essere pensiero di una mente o comunque attivit di pensiero. Aristotele pu pensare di aver garantito lordine della natura semplicemente garantendo la regolarit del movimento. Le essenze sono gi nelle cose e perch i cicli naturali si rinnovino secondo un regolare ricambio sufficiente la regolarit e la continuit del mo- vimento. Rimane la discontinuit tra il principio da cui ha origine il movimento e la causa formale. Tra le due causalit non sembra es- serci connessione. Mentre c un rapporto di dominio tra causa for- male e causa materiale, e un rapporto di quasi identit tra causa formale e causa finale, non si vede una precisa connessione, se non di carattere congetturale, tra causa formale e causa motrice e non si vede il rapporto tra il pensiero interno alla natura attraverso larti- colazione delle sue forme e il Pensiero di pensiero proprio del Mo- tore immobile. Non pu sorprendere allora che Hegel propenda a identifica- re il Motore immobile con la natura stessa e a fondere le due perfe- zioni in una. Ad Hegel il Motore immobile appare una sovrapposizione o uno sdoppiamento rispetto alla natura; perci scrive che in ( 53 ) Met., XII, 1069 B 28-29; 1070 A 27-28. ( 54 ) I termini della questione si possono leggere in I. DRING, cit., pp. 422-453. 126 HEGEL E ARISTOTELE Aristotele lo stesso uno assoluto, lidea di Dio, appare come un che di particolare nel suo posto accanto agli altri particolari, seb- bene essa sia tutta la verit. quasi come se uno dicesse: ci sono piante, animali, uomini e poi anche Dio, il pi eccellente ( 55 ). Es- sendo Dio tutta la verit, il pensiero in Dio connesso in una compiuta totalit e secondo una rigorosa necessit. La natura ari- stotelica, in virt della sua teleologia, non pu essere, per Hegel, cosa diversa da Dio, a meno di mantenere le sue contraddizio- ni irrisolte. Posto che la natura principio di movimento dota- to di un fine, e che, portate da questo movimento, le forme scom- paiono e riappaiono, non si vede nessuna necessit interna per- ch le cose siano cos piuttosto che in un altro modo. Eppure c una necessit dominata dal fine e il fine, afferma Hegel, nella ragione ( 56 ). Si profila quindi per Hegel la necessit dialetticamen- te fondata di far cessare lo sdoppiamento tra il Motore immobile e la natura e di farne una unit. Lesposizione della Fisica segue pertanto nelle Lezioni a quella della Metafisica che per Hegel la Logica ( 57 ). A questo dio visibile di Aristotele Hegel sembra ricon- durre la sua Idea nel suo essere altro come natura. Nel riservare ampio spazio alla dottrina della sostanza Hegel richiama latten- zione sullelemento della forma sottolineandone la determinazio- ne di atto (enrgheia, entelcheia) ( 58 ). Soltanto lenergia di- chiara Hegel o pi concretamente la soggettivit, la forma attuante, la negativit che si riferisce a s ( 59 ): lenrgheia il puro operare che si riferisce a s ( 60 ). ( 55 ) Lezioni, cit., p. 295. ( 56 ) Ivi, p. 324. ( 57 ) Ivi, p. 296. ( 58 ) Ivi, p. 297. ( 59 ) Ivi. ( 60 ) Ivi, p. 298. 127 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel questa soggettivit che per Hegel costituisce lelemento comune a tutte le sostanze sia sensibili sia immateriali. Ma c una sostanza che pi sostanza, e pertanto pi soggettivit delle altre: Il punto pi alto quello in cui sono congiunte potenza, attivit e entelecha, la sostanza assoluta, che Aristotele determina in generale come lin s e per s (adion) che immobile ma a un tempo muove e la cui essenza pura attivit senza materia ( 61 ). Hegel riconosce che per Aristotele il pensiero non tutta la verit, ma solo il pi potente e il pi onorato, ma puntualizza che tuttavia in fondo il modo di vedere fondamentale il medesimo: egli non parla di una speciale natura della ragione, ma della ragione universale ( 62 ). In- fine conclude che la stessa idea speculativa osservata nella ra- gione pensante si dovrebbe vedere anche nella natura ( 63 ). stabi- lita pertanto lidentit di idea hegeliana e natura aristotelica. Per Aristotele, a differenza di Hegel, la natura non intera- mente risolvibile in termini di pensiero e di idea, e il pensiero non tutta la verit. Tutto questo implicito nellenunciato che la fisica assume come presupposto il movimento e che prescinde dalla esi- stenza di un essere uno e immobile ( 64 ). per induzione che la fisi- ca ammette che le cose della natura siano mosse ( 65 ). Sarebbe peral- tro necessaria una fondazione rispetto a quanto semplicemente presupposto ( 66 ). Aristotele parte da un dato inargomentabile e indimostrabi- le ( 67 ). La sostanza non il farsi concreto delluniversale, del con- ( 61 ) Ivi, p. 302. ( 62 ) Ivi, p. 310. ( 63 ) Ivi, p. 313. ( 64 ) Phys., 184 B 2-185 A 5. ( 65 ) Ivi, 185 A 13-15. ( 66 ) Ivi, 185 A 18-21. ( 67 ) Ivi, 193 A 1-5. 128 HEGEL E ARISTOTELE cetto o dellenrgheia: che questo avvenga per natura, ed natura anche la materia o il sostrato. La natura per cos dire il pensiero che nelle cose stesse, ma un pensiero che si lega alla materia. un legame che si costituisce per natura e tutto ci che avviene per natura non avviene a caso o per necessit esteriore, ma secondo un fine. Potrebbe essere un fine anche che ora si realizzi una forma e fra un istante unaltra, in modo che la prima non ricompaia e che tra luna e laltra non ci sia relazione. Ma allora si avrebbe labbozzo di un mondo, non un mondo dotato di significato, ordinabile se- condo concetti, classificabile secondo un linguaggio e quindi deter- minabile e pensabile. Se quello della natura fosse un fine qualsiasi, sarebbe destinato ad ignorarsi e lessere sarebbe pensabile quanto il nulla. Sarebbe un passare da forma a forma destinate a rimanere irrelazionabili. Il fine di cui Aristotele parla di contro il bene o lottimo ( 68 ). Il bene il fine che realizza un universo di essere e di pensiero in cui ogni cosa abbia il suo preciso posto e la sua precisa destinazio- ne. Una natura cos ordinata ha nel bene il suo fondamento e il pensabile ha il suo fondamento nellesser pensato. Ci deve essere un fondamento perch ci sia lordine piuttosto che il caos, il pensie- ro piuttosto che il non pensiero e, in generale, perch ci sia lessere, o perch qualcosa esista piuttosto che il nulla. Che ci sia il movimento e che ci siano le cose di natura og- getto di constatazione perch la natura non ha il fondamento in se stessa. Il fondamento da cercare al di fuori: nel Motore immobile e nel Pensiero di pensiero. Quel che poteva apparire sovrapposi- zione di due perfezioni reciprocamente non comunicanti, pu acqui- stare nuova luce e nuova possibilit di mediazione se ci collochia- mo, almeno sul piano delle ipotesi, in questa prospettiva. LAtto puro non pu essere per Aristotele identificabile con la natura stes- sa. natura anche il sostrato materiale, e il sostrato non pura idea- ( 68 ) Ivi, 194 A 30-35; 195 A 20-25 ss.; 198 B 5-10; 198 B 15-20. 129 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel lit o momento interamente mediato dal concetto. La presenza del sostrato fa s che lessere non sia lomologazione tautologica dei contrari tanto da coincidere con il nulla ( 69 ). Il sostrato attiva lo scambio tra una forma e laltra stabilendo la determinazione in modo che lessere non sia un puro nulla. Senza determinazione non se ne avrebbe alcuna nozione ( 70 ): sarebbe impensabile come se le cose venissero meno al principio di contraddizione. a partire dal sostrato che lessere pu distinguersi dal nulla ed il sostrato che rende pensabile la contraddizione. Hegel tende a minimizzare il ruolo del sostrato materiale identificando la sostanza con lenr- gheia, tanto da affermare, con evidente allusione a Kant, che con una vuota astrazione come la cosa in s Aristotele non ha nulla che fare ( 71 ). Pu intanto essere istruttivo quanto Hegel afferma della cosa in s kantiana nellEnciclopedia: La cosa in s (e sotto la parola cosa in s compreso anche lo spirito, Dio) esprime loggetto in quanto si astrae da tutto ci che esso per la coscienza, da ogni determina- zione del sentimento come da ogni pensiero determinato. facile vedere cosa resta: il pienamente astratto, linteramente vuoto, de- terminato solo come un di l ... ( 72 ). Le categorie sono perci in- capaci di essere determinazione dellassoluto ( 73 ). Per conseguen- za la conoscenza per mezzo di esse non contiene in fatto niente di oggettivo, e loggettivit ad esse attribuita solo qualcosa di sog- gettivo ( 74 ). Quel vuoto che la cosa in s viene riempito, in altri termini, con la soggettivit rappresentata dallIo penso. La soggettivit di- ( 69 ) Ivi, 185 B 23-24; cfr. 186 B 5-10. ( 70 ) Ivi, 187 A 8-10. ( 71 ) Lezioni, cit., p. 297. ( 72 ) Enciclopedia, 44, annot. Cfr. la trad. di B. Croce, Roma-Bari 1989. ( 73 ) Ivi. ( 74 ) Ivi, 46, annot. 130 HEGEL E ARISTOTELE viene la vera cosa in s delloggetto. Quel che manca nella cosa in s kantiana il finalismo della sostanza aristotelica, in cui il fine il bene e il bene il fondamento. SullIo penso Kant ritiene di fonda- re, pi che sulla cosa in s, la regolarit dellesperienza ( 75 ). Pi che fondarla per ne prende atto: la regolarit semplicemente presup- posta. Ad una cosa in s si sostituita cos unaltra cosa in s. Del- lIo penso si sa quanto si sa della cosa in s e comunque non un fondamento molto diverso di quanto poteva esserlo la cosa in s. Fondamento ci che fa s che in natura tutto proceda con regolarit piuttosto che a caso. Per Aristotele la regolarit impres- sa in una materia, per natura, secondo una fattualit indimostrabi- le ( 76 ). Tutto in natura si muove verso un fine che lottimo, e il fine stabilisce la regolarit per cui tutte le cose sono oggetti pensabili. Ci che pensabile non pu avere il suo fondamento che nellesser pensato e lessere pensato rinvia alla trascendenza del Pensiero di pensiero ( 77 ). Hegel ritiene di ristabilire il finalismo della sostanza aristote- lica interpretandola come soggettivit, puro operare da se stessa e negativit che si riferisce a s
( 78 ). Nella sostanza aristotelica egli vede circolare la soggettivit assoluta che nella sua filosofia prende anche il nome di Idea o Spirito. Ma neanche Hegel, per quanto mi dato giudicare, intende il finalismo della sostanza nel ( 75 ) LIo penso si colloca al culmine di un processo che caratterizza la filo- sofia moderna, e che potrebbe definirsi come processo di secolarizzazione della trascendenza. in questa logica che Kant sostituisce al trascendente il tra- scendentale; e allanamnesi platonica, come allintelletto agente aristotelico, so- stituisce una versione secolarizzata, quella dellIo penso. ( 76 ) questa fattualit che la filosofia moderna non vuole accettare. Dap- pertutto vede possibilit dillusione e dinganno. Ma gi la ragione naturale perfettamente equipaggiata per riconoscere lerrore e linganno. Ci pu essere un inganno anche in questo? ( 77 ) Ci che fa orrore al pensiero moderno proprio questa affermazione di trascendenza: il trascendentale rappresenta le sue colonne di Ercole. ( 78 ) Lezioni, cit., pp. 297-298. 131 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel senso di Aristotele. Anche Hegel sembra cercare la spiegazione al- linterno di ci che da spiegare, nel chiuso mondo degli enti. Da questo punto di vista mi sembra che, meglio di Hegel, colga la na- tura della sostanza aristotelica e del suo finalismo, Leibniz, come anche mi sembra pi rispondente al senso generale della filosofia aristotelica la sua determinazione del fondamento ( 79 ). Limpressione che anche Hegel alla cosa in s kantiana ab- bia sostituito unaltra cosa in s. In Aristotele la linea di pensiero, per quanto inconfessata, di tipo platonico: trovare il fondamento in una pienezza di pensiero e di essere, un fondamento che al di l e al di fuori di ci che da fondare ( 80 ). Rispetto a Kant, Hegel estende la regolarit dellesperienza fenomenica al mondo umano: alla morale, al diritto, alla storia. Lo spirito il risultato di un faticoso processo dialettico di tutto lesse- re. Se guarda al suo passato si riscopre raccolto nellidea, fuori di s nella natura, per ritrovarsi infine come spirito a pensare se stesso ( 79 ) Cfr. G.W. LEIBNIZ, Discorso di Metafisica, in Scritti filosofici, cit., pp. 73, 74, 86; G.W. LEIBNIZ, Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione, ivi, pp. 278 ss.; M. HEIDEGGER, Dellessenza del fondamento, in Segnavia, cit., pp. 84 ss., 125; G.W.F. HEGEL, Scienza della Logica, II, sez. I, cap. III. ( 80 ) C da chiedersi quanto ci sia di veramente immanente nella forma aristotelica. Per quanto Aristotele insista a considerare le forme presenti nelle cose e in perfetta identit con le cose stesse, sono in realt altrettanto poco conoscibili che le forme platoniche. Se se ne ha conoscenza, non meno inspiegabile. Posto che siano lintelligibile e il soprasensibile, fa poca differenza che siano separate o interne alle cose. Si tratta sempre di una realt diversa da quella che noi vediamo o sperimentiamo con i sensi. Come tali sono sempre da considerarsi un al di l. La controversia medievale sugli universali ante rem, in re, post rem sono da ricon- durre a questa difficolt, donde il nominalismo. Le idee vengono interpretate da Aristotele come semplici definizioni. Per Platone al contrario lidea principio che rende possibile la definizione. Analogamente, non lunit del molteplice, ma principio che rende pensabile lunit di un molteplice: principio di unificazione, di conoscibilit, di essere delle cose. Se gli universali fossero mescolati alle cose, come se ne potrebbero distinguere? In base a quale termine di confronto? Dove starebbe la specificit della conoscenza intellettiva? E perch Aristotele avrebbe ri- chiesto un intelletto agente oltre quello passivo? 132 HEGEL E ARISTOTELE come lAtto puro aristotelico. La natura in questo processo un semplice momento. Dal punto di vista aristotelico non la natura spirito, ma lo spirito per natura. La natura il veicolo per cui il fondamento fonda qualcosa: intermedia tra pensiero e non pensiero, tra vita e non vita, tra essere e nulla. per natura che ci sia lessere piuttosto che il nulla, che ci sia il pensiero piuttosto che il non pensiero, che ci sia la vita piuttosto che la non vita. La natura accadimento, sto- ria, evento. La natura il luogo di tutto ci che stato fatto, ma il cui fondamento sta al di fuori. Tutto avrebbe potuto essere diverso da come stato. La vita avrebbe potuto mai sorgere. Quale dialetti- ca pu spiegare perch proprio la vita o perch proprio il pensiero? Su tutto ci che per natura la dialettica pu solo produrre ragio- namenti verosimili, non pi che nel Timeo platonico. Perch pro- prio la civilt occidentale, con la sua cultura e la sua filosofia, e non piuttosto societ umane che si riproducessero sempre identiche a se stesse come arnie o formicai? Forse pu tornare a proposito il giudizio di Marcuse: La vita supera, per cos dire, la sua propria storicit, innalzandosi alla for- ma essenzialmente non storica del sapere assoluto: essa trascende la sua propria storia ( 81 ). Non la dialettica quindi pu spiegare la natura, ma essa stessa da spiegare perch natura. Anchessa rientra nella storicit della natura. Nella storicit della natura da includere anche il pensiero finito delluomo. Neanche la conoscenza umana pu spiegarsi da s. La spiegazione per Aristotele nellintelletto attivo, a partire dal quale tutto pensabile ma che non pu essere pensato a sua volta. La conoscenza non pu guardare dietro di s cos come non pu autocostituirsi da s. Pu essere tanto pi conoscenza, di con- ( 81 ) H. MARCUSE, LOntologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicit, trad. it., Firenze 1969, p. 8. 133 R. PORCHEDDU - L idea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel tro, se si riconosce come natura, divenendo il luogo in cui la stessa natura prende coscienza di s nellapertura alla trascendenza. ( 1 ) Cf. VERRA (1993). ( 2 ) Cf. KERN (1971); DSING (1976): pp. 305-312; FERRARIN (1990): pp. 132-137. ( 3 ) Cf. MARX (1961). CINZIA FERRINI TRA ETICA E FILOSOFIA DELLA NATURA: IL SIGNIFICATO DELLA METAFISICA ARISTOTELICA PER IL PROBLEMA DELLE GRANDEZZE DEL SISTEMA SOLARE NEL PRIMO HEGEL Sommario: 1. Questioni di metodo 2. Quale Metafisica per il primo Hegel? 3. Aristotele e la prima Naturphilosophie hegeliana: la letteratura critica 4. Terminus a quo e ad quem 5. I lineamenti della prima filosofia della natura di Hegel: la Dissertatio 6. Etica e filosofia della natura: una via verso la Metafisica aristotelica 7. Lipotesi di una influenza della Meta- fisica sull uso dei numeri del Timeo nella Dissertatio 8. Quid ... philosophia valeat. 1. Questioni di metodo Scopo di questo contributo di raccogliere elementi per una proposta interpretativa: rinvenire le tracce della possibile influenza di una lettura della Metafisica aristotelica sulla matematica della natura nei primi scritti di Hegel. Vale a dire di un testo per il quale, in generale, linterpretazione hegeliana stata prevalentemente esaminata in chiave logico-speculativa ( 1 ), con particolare attenzione alla corrispondenza tra attivit autoponente del nous e autocoscienza dellassoluto ( 2 ), nonch secondo un signi- ficato soggettivo-spirituale notoriamente problematizzato dalla prospettiva heideggeriana ( 3 ). Ed a proposito di un argomento, 136 HEGEL E ARISTOTELE quello dello studio del sistema solare, che la letteratura critica con- cordemente interpreta alla luce della tradizione pitagorica e plato- nica, in genere senza ulteriori mediazioni, ed in qualche caso esclu- dendo esplicitamente ogni richiamo di Hegel ad Aristotele. noto infatti che gli interpreti parlano di una influenza diretta della Fisica di Aristotele solo a partire dalla Naturphilosophie del 1804-05 ( 4 ), mentre per il periodo precedente si prestata soprattutto attenzio- ne al documentato interesse di Hegel per le opere aristoteliche di carattere etico-politico ( 5 ) e retorico-poetico ( 6 ). Quando invece siamo noi a parlare di influsso della Metafi- sica, non intendiamo sostenere, occorre precisarlo, che tale influen- za sia stata necessariamente esercitata dal testo aristotelico nella sua mera letteralit, o che sia la causa, piuttosto che invece un ef- fetto, di certe opzioni hegeliane, magari originatesi altrove. Per la sua recezione di Aristotele, lo stesso Hegel ammetter, daltronde, almeno una volta, la correttezza, dal proprio punto di vista, della lettura della Scolastica ( 7 ). Ma ipotizziamo pure il caso per noi pi ( 4 ) Per reminiscenze della Fisica e Metafisica aristotelica a partire dai mano- scritti sulla filosofia della natura del 1804, cf. KIMMERLE (1970): pp. 157-160. ( 5 ) Vedi JANICAUD (1976): p. 104. Il diario tenuto da Hegel ai tempi di Stoccarda registra, il 5 luglio 1785, tra i libri acquistati dalla vedova del professore di ginnasio Lffler, unedizione latina dellEtica Nicomachea, verosimilmente da identificare con quella di Basilea del 1582 che faceva parte della biblioteca privata di Hegel a Berlino (cf. NICOLIN (1970): pp. 35 e 112; Verzeichnis, n. 385, p. 18). ( 6 ) Da segnalare che, nella biblioteca di Tschugg, dove Hegel aveva avuto la possibilit di studiare durante il suo soggiorno in Svizzera, si trovava una riedizione (stampata allAja nel 1718) della traduzione francese di Franois Cassandre della Retorica, (Paris, L. Chamhoudry, 1654): cf. Catalogue de la Bibliothque de Tschugg (Burgerbibliothek Bern, coll. L 97), p. 1, n. 13. ( 7 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326, 11-12, dove troviamo scritto che lunione di dunamis, energeia e entelecheia nella sostanza assoluta, determinata come eterno Motore Immobile da Aristotele (vedi anche pi avanti nel testo, il passo di cui alla nota 82), stata presa giustamente dagli Scolastici per la definizione di Dio. Nella seconda edi- zione curata da Michelet delle Lezioni, viene chiarito che per energeia, lattualizzazione della forma, Hegel intende il puro operare da se stesso (cf. LSF, II, p. 298). Lentelecheia, la realizzazione del fine, definita come lattivit libera, che ha in s il fine ed la 137 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica sfavorevole, che per Hegel la Metafisica non sia mai stata fonte (al- meno in senso stretto), bens solo campo di conferme e di ricerca di nobili antenati. Ebbene, qualora nella sua prima filosofia della na- tura riuscissimo a rintracciare, in modo convincente, un richiamo implicito al pensiero aristotelico, e proprio per laspetto che ne marca la differenza dalle dottrine pitagoriche e platoniche sul nu- mero, e ne mostrassimo la funzione non subordinata, ma priorita- ria rispetto a queste, in quanto capace di modificarle, ci comun- que parlerebbe per noi a favore della presenza di un influsso, non generico, ma determinato, non superficiale, ma condizionante, del- lo Stagirita, per quanto indiretto esso possa risultare. realizzazione di esso (LSF, II, p. 297). Quando infine attribuisce dunamis al Motore Immobile, Hegel potrebbe aver trovato dei supporti indiretti a questa interpretazione nell accezione aristotelica di potenza non come possibilit di non essere (impen- sabile in Dio come atto puro) ma come potere (di far passare allatto), e quindi non come una possibilt indeterminata (LSF, II, p. 298). Un esempio di uso, in senso generale, di dunamis, come potenza dellatto, si trova in Met., IX 1, 1046 a 14-20 (cf. ROSS (1924), II, commento a 1045 b 25-1046 a 4: pp. 240-241, e a 1046 a 19-20: p. 241, che sottolinea come potenzialit di agire e di essere agiti siano aspetti complementari di un singolo fatto). Un passo successivo, in Met., IX 5, 1048 a 1-8 (cf. Bonitz, p. 207 a 44- 45) sostiene, relativamente a ci che procede razionalmente ed dotato di potenze razionali, che quando ci che agisce e ci che patisce si incontrano secondo tale tipo di dunamis conforme al logos, il primo deve agire (passando cos necessariamente alla realt effettuale, allenergeia) e laltro essere agito. Pu infine essere utile ricordare, alla luce di questi riferimenti alla Metafisica, un passo in De An., III 5, 430 a 15 sg., dove il tema sembra tornare a proposito del nous (umano), secondo il suo senso attivo e posi- tivo, analogo alla causa agente perch produce tutte le cose, nello stesso modo in cui la luce ha il potere di far passare allatto i colori che sono in potenza: una transizione necessaria allenergeia, avendo la luce, evidentemente, quella determinata potenzialit di agire, ed i colori di essere agiti. Per quanto invece riguarda il riferimento di Hegel alla Scolastica, per il significato generale di tale tradizione, vedi LOHR (1988), che cos distingue linterpretazione secolare (Pomponazzi) di Aristotele (finitezza di Dio, eter- nit del mondo, mortalit dellanima umana) da quella degli Scolastici: Col definire loggetto della metafisica come lessere in quanto diviso in essere finito e infinito [Duns Scoto, Nicholas Bonet] o in essere creato e increato [S. Tommaso], o finanche come lessere comune a Dio e alle creature, gli Scolastici avevano tacitamente introdotto nella scienza aristotelica le nozioni, proprie della Scrittura, dellinfinit di Dio e della creazione del mondo, insieme alla loro propria concezione della realt come gerarchi- camente graduata, come una catena dellessere ascendente dalla materia a Dio (p. 98). 138 HEGEL E ARISTOTELE Non pertanto n come testimone n come storico della fi- losofia antica che vogliamo qui interrogare Hegel, ma come inter- prete, appunto, inserito in una consolidata, e imprescindibile, tra- dizione di studi aristotelici sulla Metafisica ( 8 ). Certo, ci saremmo anche potuti limitare a mettere pi semplicemente a confronto i due paradigmi, le due costruzioni concettuali, ma ci sarebbe par- so di non tenere nel debito conto il fatto che le tesi di Hegel, nella loro stessa originalit, si sono definite anche attraverso lesposizio- ne storico-sistematica di Aristotele, in una sorta di contaminazio- ne, non sterile, ma feconda, che produce sempre qualcosa di nuo- vo ( 9 ). 2. Quale Metafisica per il primo Hegel? Secondo la testimonianza di Schwegler, pubblicata in un articolo del 1839, un compagno di studi di Hegel a Tubinga (in ogni caso non Leutwein) gli avrebbe raccontato che durante gli anni allo Stift questi avrebbe di prefe- renza studiato Aristotele in una vecchia edizione di Basilea rosa dai tarli ( 10 ). Cos Pozzo commenta tale indicazione: Viene da chie- dersi: quale parte del Corpus pu avere allora tanto affascinato ( 8 ) Scrive DIJKSTERHUIS (tr. it.): Una discussione delle opinioni di Aristotele in materia di filosofia naturale o in materia scientifica comporta la difficolt metodologica fondamentale che il suo sistema non pu pi venir districato dalle esposizioni e dalle aggiunte dovute ai suoi commentatori antichi e alla Scolastica. Nelle sue formulazioni sempre estremamente conciso, e spesso oscuro; non di rado lo stesso termine viene usato per significare idee differenti. Le sue opere, per- tanto, avevano un grande bisogno di venire commentate, ma ci port a costanti differenze di opinione circa il suo vero significato, col risultato che spesso questo significato non pu pi essere dissociato dallinterpretazione (p. 28). Per alcune valenze interpretative della lettura hegeliana di Aristotele, in certa misura autoriz- zate dalla lezione erasmiana, vedi infra, nota 64. ( 9 ) Cos Aristotele ricorda un vecchio detto, in Hist. An., VIII 28, 606 b 20. ( 10 ) Cf. HENRICH (1965): p. 58. A p. 74, viene sottolineata l importanza e novi- t di questa testimonianza. 139 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica Hegel da spingerlo ad includere Aristotele tra le sue letture priva- te? Si trattava dellOrganon, della Metafisica o del De anima? Non abbiamo informazioni precise. Sappiamo per che diverse dottrine aristoteliche erano riportate con precisione nel Compendium logicae del 1751 ed in quelli di Feder, Ploucquet e di Ulrich (tanto nelle se- zioni della logica, quanto nellontologia, nella cosmologia e nella psicologia) ( 11 ). da ricordare inoltre che, secondo Kern, sulla base di un paio di riscontri testuali, la terza edizione di Basilea del 1550 avrebbe verosimilmente fornito ad Hegel il testo per la sua traduzione di un passo del De anima ( 12 ). Per quanto riguarda invece il soggiorno a Francoforte (1797- 1800), di particolare importanza per il nostro tema, dato che pre- cede immediatamente la stesura dei primi lavori di filosofla della natura, troviamo scritto nella Vita di Hegel: Dai conti dei librai che Hegel pagava a Francoforte, e che casualmente possediamo tut- tora, risulta che egli comprava opere di Schelling e classici greci nelle edizioni migliori e pi recenti. E anche se Rosenkranz sotto- linea in particolare linteresse per Platone e Sesto Empirico ( 13 ), interessante notare che il catalogo dasta della biblioteca privata di Hegel ( 14 ), ai numeri 402 e 403 registra due esemplari della Sylburgiana pubblicata in 11 volumi in -4 a Francoforte (e trattan- dosi di pezzi sciolti di unopera completa, non sarebbe improbabile ( 11 ) Cf. POZZO (1989): pp. 116-117; sullaristotelismo come corrente dominan- te allo Stift di Tubinga, cf. pp. 50-51. ( 12 ) Cf. KERN (1961): p. 60. Nel catalogo dasta della biblioteca privata di Hegel troviamo anche, al n. 377 (pp. 17-18), ledizione del 1590 dellopera omnia di Aristote- le curata da Casaubon (II Tomi in I Volume in folio); al n. 378 (p. 18), quella curata da Erasmo e pubblicata a Basilea nel 1531 (apud Io. Beb [elium]: II Tomi in I Vol. in folio); al n. 432 (p. 21), unedizione dellOrganon (Basilea, 1583) con la versione lati- na di Spondano. ( 13 ) ROSENKRANZ (tr. it.): p. 120. ( 14 ) Cf. Verzeichnis, p. 19. Per varie testimonianze sulla continuit dello stu- dio dei classici greci da parte di Hegel (Norimberga, Heidelberg), e sulla sua prepa- razione filologica, cf. KERN (1961): p. 80. 140 HEGEL E ARISTOTELE che Hegel li avesse reperiti proprio sul mercato antiquario di quel- la citt, piuttosto che altrove), rispettivamente Aristotelis et Theo- phrasti metaphysica et alii libri Arist. lat. et graec., 1585 ( 15 ) e Aristotelis Physicae auscultationes, de coelo, de mundo, de anima & c., 1584 ( 16 ). Oltre ai cinque volumi (contenenti solo lOrganon, la Retorica e la Poetica) delledizione Bipontina del 1791-anno VIII (1800: il Verzeichnis, in realt riporta, ai nn. 426-30: 781. An. 8, ma si tratta evidentemente di un errore di stampa per 791), con traduzione latina e annotazioni di Johann Gottlieb [Theophilus] Buhle ( 17 ). Unedizione migliore e pi recente, il cui acquisto potrebbe ben collocarsi alla fine di quel periodo ( 18 ). 3. Aristotele e la prima Naturphilosophie hegeliana: la letteratura criti- ca A proposito della prima filosofia della natura hegeliana nel suo complesso, che Rosenkranz erroneamente attribuiva al periodo di Francoforte ( 19 ), troviamo scritto nella Vita di Hegel: Punti di vi- ( 15 ) Aristotelis et Theophrasti Metaphysica ... Edidit Frid. Sylburgius. Francofurdi apud heredes A. Wecheli, 1585; si tratta del nono volume di Aristotelis Opera quae extant addita nonnusquam, ob argumenti similitudinem, quaedam Theophrasti, Alexandri, Cassii, Sotionis, Athenaei, Polemonis, Adamantii, Melampodis... Opera et studio Friderici Sylburgii... Francofurdi, apud A. Wecheli heredes, J. Aubrium et C. Marnium, 1584-1587. ( 16 ) Si tratta del secondo volume delledizione Sylburgiana di cui alla nota precedente. Il titolo completo il seguente: Aristotelis Physicae auscultationes lib. VIII; de Caelo IV; de Generatione et corruptione II; Meteorologicum IV; de Mundo I; De Anima lll; de Sensu et sensibilibus lib. I; de Memoria et reminiscentia I; de Somno et vigilia I; de Insomniis I; de Divinatione per somnum I; de Juventute, senectute, Vita et morte I; de Respiratione I; de Longitudine et brevitate vitae I ... Edidit Fridericus Sylburgius. ( 17 ) Cf. MENSE (1993): pp. 687-688. ( 18 ) Aristotelis Opera omnia Graece, ad optimorum exemplarium fidem recensuit, annotationem criticam, librorum argumenta et novam versionem latinam adjecit Jo. Theophilus Buhle. Biponti: ex typographia societatis, 1791 (secondo e terzo volume: 1792; quarto: 1793; quinto: Argentorati (Strasburgo): ex typographia societatis Bipontinae, an. VIII (1799-1800)). ( 19 ) Cf. ROSENKRANZ (tr. it.): nota 134, p. 122. 141 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica sta ed espressioni platoniche si riscontrano dappertutto, mentre non si pu ancora parlare di un particolare influsso di Aristotele ( 20 ). Questo giudizio non ha ancora oggi perduto di valore. Per fare un esempio paradigmatico dello status quaestionis, in un suo noto arti- colo del 1984, Vittorio Hsle sosteneva la convergenza, a livello di ordine interno e struttura, tra il Timeo platonico e la Naturphiloso- phie hegeliana, indicando tra laltro entrambe le concezioni come esempi di una filosofla della natura aprioristica, derivata dal con- cetto. E per questo aspetto, da tenere ben distinta dalla descrizio- ne fenomenologica e dalla messa in evidenza delle caratteristiche es- senziali delle categorie fondamentali della natura nella fisica ari- stotelica ( 21 ). In particolare, per il significato ascritto al moto dei pianeti nel progetto complessivo di una teoria razionale del movi- mento, Hsle scriveva allora che Hegel si colloca univocamente tra i seguaci di Platone e di una determinata tradizione pitagoriz- zante ( 22 ); e ancora, che egli non viene influenzato cos fortemen- te da nessunaltra tradizione. In questo quadro, Hsle si limitava a ricordare che la concezione dei corpi celesti come esseri animati, ri- presa da Hegel, non era solo platonica, bens anche aristotelica ( 23 ). ( 20 ) Ib., p. 124. ( 21 ) Cf. HSLE (1984): pp. 74-75 e pp. 81-82. ( 22 ) Ib., p. 86. ( 23 ) Cf. ad es. De Caelo, II 12, 292 b 1-3: Si deve perci ritenere che anche lazione che compiono gli astri sia suppergi come quella degli animali e delle pian- te. Per la problematica questione dellanalogia aristotelica tra movimenti eterni e auto-cambiamento diretto dallanimo negli organismi viventi cf. WATERLOW (1988): cap. 5; GILL (1991): nota 44, p. 260. Per una discussione dei luoghi nel De Caelo in cui Aristotele paragona i moti di alcune delle parti del cielo a quelle di animali, cf. GILL (1991): nota 40, p. 259. Da notare ancora che, nel De orbitis, i corpi celesti Deorum more per levem aera incedant (p. 3, 6-7): gli interpreti concordano nel vedere in questa espressione un riferimento al Fedro, 246 e -247 b , dove una schiera armata di Dei e Demoni avanza, capofila Zeus, offrendo nel cielo lo spettacolo delle proprie evoluzioni circolari. Tuttavia lassimilazione degli astri a corpi divini che si muo- vono eternamente in una solenne danza corale si ritrova nel De mundo, 2, 391 b 17- 19, mentre il riferimento allaria leggera richiama letere aristotelico (vedi De Caelo, 142 HEGEL E ARISTOTELE Da parte sua, uno studioso come H.S. Harris cos valuta una possibile dipendenza della prima filosofia della natura hegeliana dalla fisica celeste di Aristotele, a proposito della fluidit della ma- teria terrestre e dei suoi processi: Hegel sembra proprio mostrare talvolta uno scomodo atteggiamento aristotelico verso i Cieli co- me se nessun cambiamento significativo vi avesse luogo [...]. Lap- parenza ingannevole. Nessun atteggiamento simile richiesto dalla sua teoria della natura in generale ( 24 ). Ancora, nella prospettiva storica di Manfred Baum, il moni- smo speculativo che caratterizzerebbe la visione hegeliana (e schellingiana) sia della natura in generale, sia del sistema solare in particolare, come essere vivente e animato, ha la sua origine ulti- ma nella metafisica platonica ( 25 ). Questo stesso monismo starebbe alla base del richiamo di Hegel alla matematica della natura del Timeo di Locri. Diversamente che nel caso dellesplicito pluralismo platonico delle Idee, in questo testo pseudopitagorico e mediopla- tonico (composto forse nel 100 d. C.) luniverso visibile infatti conformato da ununica, singola Idea. In questo modo verrebbe soddisfatto il bisogno hegeliano di ritrovare la propria filosofia dellAssoluto in quella che si supponeva fosse la pi antica specu- lazione dei greci ( 26 ). E neppure ci aiuta la recente ricostruzione, ad opera di Ric- cardo Pozzo, del curriculum studiorum di Hegel allo Stift di Tubin- ga. Dopo aver ricordato linquadramento di Platone (considerato soprattutto come autore del Timeo) nella tradizione pitagorica, pro- I 3, 270 b 21-25, citato anche in LSF, II, p. 339). In Met., XII 8, 1074 b 1-14 Aristotele mostra di apprezzare come una reliquia lantichissima credenza secondo cui i cor- pi celesti, come prime sostanze, sono divinit (cf. anche De Philosophia, fr. 12). Sulla relazione tra stelle e religione in Aristotele, vedi SCOTT (1994): pp. 36-37. ( 24 ) Cf. HARRIS (II): nota 1, p. 252. ( 25 ) BAUM (1990): p. 195. ( 26 ) Ib., nota 23, p. 138. 143 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica posto da Bardili in un suo corso del 1789-90, Pozzo cos riassume gli studi hegeliani di storia della filosofia: pur a fronte di un co- stante interesse per i presocratici e per il pitagorismo, il riferimento alla metafisica di Platone resta centrale [...] pertanto la valutazione della logica e della filosofia di Aristotele resta pregiudicata dalla preferenza accordata a Platone ( 27 ). Quanto al riconoscimento di eventuali debiti contratti con Aristotele, il caso della meccanica celeste si presenta quindi ben di- verso da quello di altri aspetti della Naturphilosophie hegeliana, quali la fisica terrestre o la biologia, per non parlare, a livello di si- stema, della transizione della filosofia della natura nella filosofia dello spirito. Per fare qualche esempio, il nesso aristotelico tra prin- cipio del continuum e ordine gerarchico della natura, stato stu- diato alla luce dellatteggiamento hegeliano rispetto alle teorie evo- luzioniste; cos come linflusso delle posizioni dellaristotelismo del XVII secolo (minima naturalia e mixtio) stato esaminato alla luce del concetto hegeliano di misura e della sua teoria della generatio aequivoca ( 28 ). Lo stesso vale per la corrispondenza tra concezione hegeliana della natura come sistema di gradi e ilomor- fismo aristotelico ( 29 ), teoria della sensazione nel De anima e stato dellorganismo animale nellEnciclopedia ( 30 ), per la convergenza nellapproccio al problema della vita ( 31 ), per la concezione gene- rale della realt in quanto regolata da un processo teleologico ten- dente alla ragione che pensa se stessa, allautocoscienza dellassolu- to ( 32 ). ( 27 ) POZZO (1988): pp. 88-89. ( 28 ) Cf. BONSIEPEN (1989). ( 29 ) Cf. DE VRIES (1988): pp. 44-46. ( 30 ) Cf. FERRARIN (1990): pp. 79-147; DE VRIES (1988): pp. 64-67. ( 31 ) Cf. FRANK (1927); LUGARINI (1992): pp. 99-101. ( 32 ) Cf. HARTMANN (1957): pp. 251-252; DE VRIES (1980). Per una rassegna di tutte queste (ed altre ancora) linee interpretative, cf. LONGATO (1989): pp. 124-131. 144 HEGEL E ARISTOTELE Nel tentativo di individuare una relazione significativa tra Hegel ed Aristotele in un campo per il quale finora non stato po- sto il problema della priorit di un simile influsso, cercheremo in- nanzitutto di trovare dei termini medi che colleghino la prima Na- turphilosophie hegeliana alla Metafisica aristotelica. La linea argomentativa che seguiremo consister nell individuare e racco- gliere le fila dellintreccio che lega lorigine della riflessione di Hegel sul mondo fisico in generale, e sui moti e la disposizione del sistema solare in particolare, a una prospettiva etico-religiosa, che si riflette anche sul suo approccio anti-kantiano (e anti-fichtiano) alla moralit. Aspetti questi che risulteranno pienamente compren- sibili solo alla luce di alcuni concetti aristotelici, evidenziati a po- steriori in passi delle Lezioni sulla storia della filosofia dedicati alla Metafisica. Ipotizzeremo infine che nelluso effettivo, da parte di Hegel, della tradizione pitagorico-platonica nella sua prima filoso- fia della natura, vengano introdotti dei correttivi che risentono di quegli stessi concetti, frutto delle critiche aristoteliche a tale tradi- zione. 4. Terminus a quo e ad quem Gli scritti che prenderemo in esame si collocano tutti tra il 1796 e il 1803. Pi precisamente, il nostro pun- to di partenza pu essere rappresentato dalla questione: Come deve essere costituito un mondo per un ente morale? Vorrei dare ancora una volta ali alla nostra fisica, che lentamente avanza a fati- ca negli esperimenti ( 33 ). Hegel (come ritenuto dalla maggioran- za degli interpreti ( 34 )) si pone questa domanda nel primo pro- gramma di sistema dellidealismo tedesco, redatto sul finire del pe- riodo bernese (1796). Si a lungo discusso se lautore effettivo del testo, che ruota intorno al progetto di dare espressione estetica, mi- ( 33 ) HEGEL, Werke 1, p. 234: cf. la traduzione italiana in MASSOLO (1967): p. 249. ( 34 ) Vedi HARRIS (I): pp. 249-257; cf. anche HANSEN (1989). 145 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica tologica, alle Idee della Ragione (perch solo nel bello si avrebbe laffratellamento di vero e bene) non fosse piuttosto Hlderlin o Schelling. Vale comunque la pena di ricordare che negli anni 1792- 93 Schelling si era impegnato ad elaborare una mitologia filosofica, che fosse in grado di soddisfare tanto le pretese filosofico-razionali quanto quelle teologiche, studiando sia la filosofia pratica kantiana che i dialoghi platonici, e interessandosi in particolare al mito della creazione del mondo nel Timeo. Schelling arriver perfino a scrive- re (nel 1794) un vero e proprio commento a questo dialogo ( 35 ). Il nostro ideale punto di arrivo sar invece larticolo sul Di- ritto naturale, pubblicato a Jena sul Giornale critico della filosofia nel 1802-1803, dove troviamo scritto: Cos, nel sistema della vita etica si rinserra il fiore, dischiuso, del sistema celeste ( 36 ). Va detto che il ( 35 ) Pubblicato, di recente, anche in traduzione italiana; sul suo significato per la concezione schellingiana della natura, in quanto la lettura del Timeo avrebbe offerto una alternativa scientifica alla Natura formaliter spectata di Kant, esprimen- do la conformit a leggi di specifici prodotti naturali, cf. F. MOISO, Lo studio di Platone agli inizi del pensiero di Schelling, in SCHELLING (1794): p. 49 s. Per lin- fluenza di Hlderlin e di Schelling sulla lettura hegeliana del dialoghi platonici cf. VIEILLARD-BARON (1976): pp. 24-26 e 29-30. ( 36 ) KJP, II, 2, 1802, p. 88: so ist in dem Systeme der Sittlichkeit die aussereinandergefaltete Blume des himmlischen Systems zusammengeschlagen. Sul significato di tale immagine cf. KIMMERLE (1970): pp. 144-145. E soprattutto vedi BOURGEOIS (1986): pp. 515-516, che la interpreta alla luce della filosofia della natura schellingiana in particolare, e in generale, della visione comune anche ad un Herder, un Goethe e un Baader, per cui letere, come materia spirituale, anima delluniver- so, insieme semenza universale, sempre riconducente le cose che vi nascono alla sua identit, e principio della loro differenziazione formale. A nostra conoscenza (Buchner e Pggeler, curatori delledizione critica dellarticolo sul Diritto naturale in GW IV, Jenaer Kritische Schriften, non appongono alcuna nota in proposito) non stata finora rilevata la concordanza tra questa espressione e un passo delle Lezioni sulla storia della filosofia su Giordano Bruno, riguardo alla costituzione delluniverso e alla sostanziale congruenza tra intelletto formale e causa finale (intesa come il Motore Immobile aristotelico (vedi infra, nota 80)): [Bruno] adunque determina lunit della vita come intelligenza (nous) universale, attiva, che si manifesta come forma universale del cosmo, e comprende in se stessa tutte le forme. Essa nel pro- durre le cose della natura si comporta come lintelligenza delluomo, e le forma e 146 HEGEL E ARISTOTELE motivo degli elementi di un sistema naturale, di per s dispiegati nella molteplicit, che solo nella dimensione spirituale ritornano alla propria unit e totalit interna, venendo quindi posti secondo essa, non si esaurisce certo qui. Nello Hegel maturo, la integrazio- ne della filosofia della natura nelletica visibile nella riproposta (criticata e dibattuta dagli interpreti ( 37 )), in sede di Logica soggetti- va, di forme concettuali particolarmente significative per lo studio della natura, e gi trattate, come nel caso del Meccanismo e del Chimismo, a livello di Logica oggettiva. Insieme alla Teleologia e al gruppo delle modalit soggettive del pensiero (Concetto, Giudizio e Sillogismo), questi elementi confluiscono infatti nellIdea della Vita. UnIdea che raccogliendo e integrando in s soggettivit e og- gettivit, si compir, attraverso lIdea del Conoscere, in quella del Bene, per realizzarsi cos nellIdea assoluta ( 38 ). 5. I lineamenti della prima filosofia della natura di Hegel: la Dissertatio Per quanto riguarda invece il periodo che abbiamo scelto qui di riduce a sistema allo stesso modo che lintelligenza umana forma una moltitudine di concetti. Essa lartista interiore, che dallinterno foggia e informa la materia. Dallinterno delle radici del seme essa manda fuori i germogli, da questi i tronchi, da questi i rami, dallinterno dei rami le gemme, le foglie, i fiori ecc. Tutto dispo- sto, preparato e confezionato interiormente. Cos pure questintelligenza universa- le richiama anche dallinterno le sue linfe dai frutti e dai fiori ai rami e cos via (Hegel, SW, Bd. 19,3, p. 228; LSF, III,1, pp. 216-217. Cf. anche Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, p. 52, 613-618). Hegel cita dal De la causa, principio et uno (ed. Aquilecchia: pp. 68, 13-69,4) a lui noto anche attraverso la seconda edizione di Jacobi, Ueber die Lehre des Spinoza in Briefen an den Herrn Moses Mendelssohn (Breslau, Lwe, 1789), che aveva tradotto alcune parti (tra cui questa) dello scritto bruniano (cf. a questo proposito Hegel, Vorlesungen, cit., la nota dei curatori a p. 241). Da ricordare che Hegel mostra di aver ben presenti le Briefe, in una comunicazione a Mehmel, a proposito della nuova edizione del Gott di Herder, del 26 agosto 1801 (il giorno prima di discutere le Tesi premesse alla Dissertatio: vedi anche infra, nota 47). ( 37 ) Cf. HSLE (1987): pp. 239-250. ( 38 ) Cf. VERRA (1992): pp. 14-15. 147 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica trattare, frammenti non pubblicati, dissertazione pro venia legendi, articoli e note di auditori, testimoniano come, tra il 1796 e il 1803, Hegel formi e progressivamente elabori un suo personale approc- cio a quella che gi lidealismo post-kantiano e post-fichtiano aveva reso nota come la nuova filosofia della natura. Una Naturphiloso- phie che, pur nella diversit delle prospettive, presentava come tratto comune la volont di conoscere in modo oggettivo, universa- le e necessario le leggi specifiche della natura (e non la natura formaliter spectata) basandosi sulle Idee della Ragione (e non sul- le categorie dellIntelletto). In particolare, se prendiamo un testo centrale per il nostro argomento come la Dissertatio philosophica de orbitis planetarum del 1801, un oggetto della riflessione hegeliana ri- sulta essere il rapporto tra la fisica meccanica (Newton e i newto- niani) dove si evidenzia luso di un metodo analitico, induttivo e sperimentale, che per viene criticato come dogmatico , e la geo- metria, per il suo metodo sintetico e deduttivo, di cui viene sottoli- neato laspetto euristico, secondo la lezione di Clairaut. Per inciso, stato di recente mostrato che la posizione hege- liana su questo punto ha sicuramente avuto lopportunit di matu- rarsi durante un periodo pi lungo di quello finora indicato dagli interpreti, che fanno risalire il lavoro preparatorio per il De orbitis al soggiorno a Francoforte ( 39 ). stato rinvenuto infatti, nel Catalo- go, compilato nel 1802, della biblioteca di Tschugg, la residenza di campagna della famiglia von Steiger, presso cui Hegel lavor dal 1793 al 1796 come precettore, tutto un fondo scientifico di manuali di geometria e di fisica (redatti da fautori sia dello sperimentalismo newtoniano che del razionalismo cartesiano) che permettono di ap- profondire e arricchire di mediazioni la valutazione hegeliana del rapporto tra geometria e fisica ( 40 ). Tutti questi elementi hanno co- nosciuto una prima elaborazione e stesura coerente proprio nella ( 39 ) Cf. HARRIS (II): p. 77; BONSIEPEN (1985): pp. 10-11; ib. (1991): pp. 40-41. ( 40 ) Cf. FERRINI (1993). 148 HEGEL E ARISTOTELE Dissertatio, dove Hegel presenta per la prima volta i lineamenti di un approccio speculativo allo studio della natura sotto una costel- lazione molto peculiare, tanto dedicando tre delle dodici Praemissae Theses solo al rapporto tra morale e virt, quanto mostrando di propugnare il valore della matematica della natura dei Pitagorici e di Platone rispetto a una presunta discrepanza tra legge scientifica (la serie aritmetica di Bode per le distanze dei pianeti) e osservabile realt fisica (gli intervalli effettivamente esistenti). Vale dunque la pena di soffermarsi sul rapporto tra realt matematica e realt fisica, che rimane costantemente sullo sfondo dei vari contenuti di questo scritto, per la cui interpretazione la let- teratura si ultimamente dotata di nuovi elementi e strumenti cri- tici ( 41 ). Il contesto generale del lavoro dato dalla polemica rivalutazione dellatteggiamento scientifico di Keplero contro quel- lo di Newton; in questo quadro, Newton viene accusato sostanzial- mente di aver confuso de facto i puri rapporti matematici con quelli fisici (ad esempio attribuendo troppo facilmente valore vero e fisico di forze a linee geometriche o a punti matematici). La mag- giore purezza di Keplero consisterebbe nellaver ricavato le sue leggi dalla semplice osservazione empirica e nellaverle formulate nella forma pi chiara e pi semplice, vale a dire facendo unica- mente uso dei concetti propriamente implicati nella nozione di mo- vimento, spazio e tempo, senza ricorrere ad ipotesi aggiuntive ( 42 ). Si ( 41 ) Tanto che da considerarsi definitivamente superata la prospettiva di DE GANDT (1979): p. 28: La Dissertazione difficile da giustificare allorch si co- noscono gli scritti giovanili di Hegel. Perch aver scelto questo soggetto, quando le sue meditazioni a Berna (1793-1796), poi a Francoforte (1797-1800) sembrano essersi esclusivamente appuntate su temi religiosi e politici?. ( 42 ) Per fare un esempio che pu meglio chiarire lo spirito della contrap- posizione Keplero-Newton nella Dissertatio: come Newton prova lellitticit delle orbite, vale a dire la prima legge di Keplero? Con lintroduzione della for- za gravitazionale viene dimostrato matematicamente che le orbite sono delle se- zioni coniche (iperboli, parabole, ellissi con eccentricit nulla, vale a dire cerchi) ma cos non si arriva mai al dato effettivamente osservabile. Per ottenere la spe- 149 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica rimandava tra laltro cos ad un problema, quello del carattere ipo- tetico della geometria e della problematicit della applicazione di puri enti di ragione alla fisica, gi sollevato dalla scepsi antica, e ripreso e dibattuto dagli storici della matematica del tempo ( 43 ). A un livello pi sottile di analisi, possiamo dire che nel De orbitis, lungi dallattribuire portata solo ideale e formale alla mate- matica, si distingue piuttosto tra tipi di leggi fisiche. Viene esplici- tamente detto, ad esempio, che i rapporti esibiti dalla matematica (in latino rationes) proprio perch razionali (in latino, sempre: rationes, Hegel gioca consapevolmente con il duplice significato di ratio) sono inerenti alla natura, reali e fisici, e se compresi, sono dunque delle leggi di natura (De orbitis, p. 5, 1-6: come nel caso del- la terza legge di Keplero, formulata come costanza del rapporto tra il cubo dello spazio e il quadrato del tempo). Ma si danno anche espressioni matematiche delle stesse re- golarit fisiche (ad esempio la dimostrazione matematica fornita da Newton della seconda legge di Keplero utilizzando il metodo delle grandezze evanescenti, o delle cosiddette ultime ragioni), in cui tanto la generalit del risultato (valido per qualsiasi sezione conica, non solo per lellisse effettivamente percorsa dal pianeta nel suo moto orbitale), quanto lassurdit delle conseguenze che si de- rivano se si assume che tale dimostrazione sia effettivamente cor- retta, o assicurano solo una realt ipotetica a tale legge, o semplice- mente non sono valide. In questo caso ci troviamo per Hegel di fronte a formulazioni il cui valore scientifico usurpato, o la cui re- alt al massimo quella della astratta determinabilit della mate- matica. cificit dellorbita planetaria, nei Principia Newton deve in effetti introdurre unipotesi aggiuntiva, di carattere contingente, sulle condizioni iniziali del siste- ma: quella sulla velocit iniziale dei pianeti (lo spostamento corrispondente, in una data approssimazione, essendo rappresentato dal primo lato della poligona- le della dimostrazione newtoniana della legge delle aree). ( 43 ) MONTUCLA, 1758: p. 25 e p. 28; 1799: p. 21 e p. 22. 150 HEGEL E ARISTOTELE Va osservato che Hegel non formulava qui delle critiche per- sonali, ma faceva propria sia, notoriamente, unosservazione di Laplace, sia, meno notoriamente, la posizione anti-newtoniana di uno scienziato gesuita francese della prima met del Settecento, Padre Castel, come stato mostrato in recenti lavori sullargomen- to ( 44 ). dunque in un contesto molto pi sofisticato e strutturato di quello che si finora creduto, in un contesto formato da una cono- scenza ampia, diretta e approfondita degli effettivi problemi metodologici dibattuti dagli scienziati del tempo, e da una fine per- cezione delle relative implicazioni epistemologiche, che viene rita- gliato lo spazio per una filosofia speculativa della natura. Ma qui si situa anche il richiamo di Hegel alla filosofia degli antichi, cos annunciato allinizio della Dissertatio: infine dimostre- r anche, con un illustre esempio tratto dalla filosofia antica, cosa valga (quid...valeat) la filosofia nei casi di determinazione delle quantit per i rapporti (rationibus) matematici (De orbitis, p. 4, 4- 7), con successivo riferimento ai numeri pitagorici-platonici del Timeo di Locri (che Hegel rifiuta di considerare apocrifo, e accetta come fonte autentica di Platone ( 45 )) e del Timeo, per una legge del- le distanze dei pianeti pi rispettosa dei fenomeni ad Hegel noti, di quanto per lui non fosse la serie aritmetica fornita dalla legge di Bode. E unaltra delle affermazioni-chiave del De orbitis non lascia dubbi sul contesto in cui situare un tale riferimento: In verit la misura e il numero della natura non possono (nequeunt ( 46 )) essere ( 44 ) Cf. FERRINI (1994). Vedi anche la nota NASTI, 7, 19-22 in FERRINI (1995): pp. 94-99. ( 45 ) Cf. VEILLARD-BARON (1973): pp. 518-519. ( 46 ) Sottolineiamo luso di nequeo : misura e numero non possono essere estra- nei alla ragione per come si mostra conformata, allosservazione, la natura stessa; in latino, nequeo viene infatti usato in riferimento ad una impossibilit dovuta a circo- stanze oggettive (Hegel non sembra quindi pensare nellottica soggettiva di una benevola azione del Demiurgo: cf. infra, nota 87). 151 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica estranei alla ragione: e <dunque> (suggeriamo di tradurre secondo un attestato uso ciceroniano di neque) lo studio <scientifico> e la conoscenza delle leggi della natura non si fondano su niente di di- verso dal nostro credere che la natura sia conformata dalla ragione e dallessere persuasi della identit di tutte le leggi della natura (De orbitis, p. 31, 21-26). Questo elemento della presenza della ragione nella natura, dello speculativo nel concreto, Hegel lo trovava, certo, sia in pen- satori pi vicini a lui, quali Bruno e Spinoza (non mancando, tutta- via, di rintracciare in quel tipo di filosofia la presenza di forme e no- zioni aristoteliche ( 47 )) sia direttamente nello stesso Aristotele ( 48 ) in ( 47 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 19,3, pp. 227-228 (invariato in LSF, III,1 p. 216): I suoi [di Bruno] pensieri filosofici, sono in parte concetti aristotelici, che egli usa [...]. Il conte- nuto dei suoi pensieri generali il suo grandissimo entusiasmo per la gi menzionata animazione della natura, per la divinit, per la presenza della ragione nella natura: di modo che la sua filosofia indubbiamente in generale spinozismo, panteismo. I due motivi della identificazione, in generale, della filosofia di Bruno con lo spinozismo, e di un suo uso di forme aristoteliche (dunamis, potenza, realt effettuale) si ritrovano nelle Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, p. 52, 606-608 e p. 53, 643-644 (cf. inoltre, per il secondo tema, lopinione dei curatori a p. 243, 1 nonch VERRA (1993), nota 7, p. 607 per liden- tica posizione di Michelet a p. 739 della sua Geschichte der letzten Systeme der Philosophie in Deutschland von Kant bis Hegel). Sul possibile richiamo di Hegel al Della causa, prin- cipio ed uno di Giordano Bruno per la pagina dapertura stessa del De orbitis, dove i pianeti sono paragonati a Dei, e chiamati animalia, cf. FERRINI (1991): p. 473, nota 46. In un altro passo delle Lezioni, Hegel parrebbe interpretare il dio aristotelico nei termini spinoziani della causa sui (vedi SW, Bd. 18,2, p. 326), quando parla di sostanza che produce il proprio contenuto, le sue stesse determinazioni, se stessa. Quanto que- sto sia dovuto al lavoro editoriale di Michelet, o rispecchi un autentica lettura hegeliana, non ci stato possibile verificare, in quanto il vol. 8 delledizione Garniron e Jaeschke delle Lezioni sulla storia della filosofia, comprendente anche Aristotele, al momento in cui scriviamo risulta ancora in preparazione presso leditore Meiner. ( 48 ) HEGEL, SW, Bd. 19,3, p. 204; LSF, III,1 p. 191: Lo speculativo presente in Aristotele, in quanto tale pensiero non si abbandona al riflettere per s, ma ha sempre dinanzi a s la natura concreta delloggetto; questa natura il concetto della cosa (Sache), e questessenza (Wesen) speculativa della cosa (Sache) lo spirito direttivo che non lascia libere per s le determinazioni della riflessione. Che anche nel 1801 Hegel la pensasse nello stesso modo, ce lo mostra un passo del De orbitis (p. 21,5 sgg.), dove Hegel ripropone la contrapposizione tra speculativo e riflessivo per la vera com- prensione della natura concreta delloggetto nei termini di una contrapposizione tra 152 HEGEL E ARISTOTELE contrapposizione a Platone ( 49 ). Per questultimo infatti, com noto, la verit (in quanto dimensione ontologica che coincide con gli enti eidetici) non immediatamente e pienamente riscontrabile nella natura fenomenica, in cui rimane piuttosto latente e velata ( 50 ). filosofi quali Aristotele e Newton. Hegel cita liberamente dai Principia, Prop.VI, Cor. I ( su cui cf. DE GANDT (1979): p. 150, nota 46) dove si intende refutare un teorema di Cartesio, Aristotele ed altri (per il significato dato a questo esperimento in accredita- ti manuali di fisica che Hegel aveva avuto la possibilit di consultare nella biblioteca di Tschugg, cf. FERRINI (1993): pp. 748-751). Per quanto riguarda Aristotele, il riferi- mento evidentemente a Fisica, IV 8, 215 a 25-215 b 12. L esperimento newtoniano dei due pendoli, identici per lunghezza e resistenza dellaria, costruiti con coppie di ma- terie diverse (oro, sabbia etc.) ma dello stesso peso, racchiuse in due sfere uguali, eletto da Hegel a paradigma del modo di procedere puramente riflessivo-intellettua- le della filosofia sperimentale (vale a dire, tale da ignorare completamente ci che vuole la philosophia vera: De orbitis, p. 21, 25-28; da restare estraneo alla vita della natura: ib., riga 30; in quanto interessato alle cause esterne ed estranee alla stessa materia: ib., pp. 22,19-23,6. Sulla fortuna e il significato degli esperimenti con il pen- dolo nella meccanica newtoniana, cf. SARLEIJMIN (1993). Questi gli argomenti hegeliani: 1) lesperimento pretende di dimostrare che la pesantezza dei corpi in ragione della quantit di materia, ma in realt non prova affatto la tesi, in quanto, con una simile preparazione ad hoc, non si poteva trovare, sperimentalmente, altro risultato che quello voluto sin dallinizio; 2) la filosofia sperimentale presume inoltre (falsamente) di scon- fessare definitivamente in tale modo oggettivo, tutti quei filosofi (Aristotele com- preso) qui unius ejusdemque materiae diversas tantum formas statuunt (cf. Met., VIII 4, 1044 a 15-18). A questo proposito possibile documentare la perfetta continuit tra il De orbitis e le Lezioni sulla storia della filosofia dedicate alla filosofia della natura di Aristotele: Per quanto riguarda invece laltro caso, la differenza tra pesante e legge- ro, che va considerata nei corpi stessi, il pi pesante si muove pi rapidamente del pi leggero nello stesso spazio; ma questa differenza si ha soltanto nel pieno, perch il corpo pesante con la sua stessa forza separa pi rapidamente il pieno. Il rappresen- tarsi un identico movimento del pesante e del leggero, una gravit pura, un peso puro, una materia pura, unastrazione, come se tutte queste cose fossero in s ugua- li, e la differenza derivasse soltanto dalla resistenza dellaria, laccidentale. Questo modo di vedere esattissimo, e serve ottimamente a combattere un insieme di rap- presentazioni, che imperversano nella nostra fisica (HEGEL, SW, Bd. 18,2, pp. 355- 356; LSF, II, p. 330). ( 49 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 217: Il primo la coscienza sensibile; questo il conosciuto, da cui prendiamo le mosse. Che attraverso ci venga dato il vero, una rappresentazione cui Platone assolutamente contrario (cf. LSF, II, p. 199). ( 50 ) Cf. LUGARINI (1961): pp. 77-81, che pensa soprattutto alla Repubblica, libri VI e VII. 153 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica Il passo sopra ricordato, richiamandosi al ruolo determinante della Ragione per la costituzione e la conoscenza del finito, si ricollega inoltre alle Tesi VI e VII, di tipo logico-speculativo e stori- co-filosofico, premesse al De orbitis: LIdea la sintesi dellinfinito e del finito, e la filosofia tutta nelle idee, La filosofia critica priva di Idee ed una forma imperfetta di Scetticismo (nel senso che assegna alla ragione solo un ruolo euristico per la conoscenza universale e necessaria dei fenomeni, mentre non dubita del valore conoscitivo delle categorie dellintelletto, facendo della matematica e della fisica delle scienze sintetiche a priori, sottratte ad ogni ra- gionevole dubbio). 6. Etica e filosofia della natura: una via verso la Metafisica aristotelica Ora, interessante notare che nellarticolo Sulla relazione della filosofia della natura con la filosofia in generale del 1802, si ritrova la citazione quasi testuale della Tesi VI, in un contesto esplicitamen- te etico-religioso, introdotto, tra laltro, da un richiamo nostalgico alla gaiezza e purezza dellintuizione greca della natura, contrap- poste alla incolta seriet e alla torbida sensibilit della conside- razione moderna di essa ( 51 ). Va detto che di questo articolo Hegel rivendic la paternit, in conversazioni private con Michelet e Cousin, paternit smentita poi da Schelling ( 52 ). Ma la stessa diatri- ( 51 ) KJP, I, 3, 1802, p. 21. ( 52 ) Pu essere interessante ricostruire brevemente questa intricata e curiosa vicenda: Michelet in un primo tempo aveva attribuito il saggio a Schelling, ma ven- ne convinto del fatto che Hegel ne fosse lautore da Hegel stesso, e lo inser quindi nella prima edizione completa (postuma) delle sue opere. Tuttavia, in una lettera a Weiss del 31 ottobre 1838 (che Weiss poi inoltr a von Henning e che Michelet ripor- t lanno seguente nel suo scritto Schelling und Hegel. Oder Beweis der Aechtheit der Abhandlung: Ueber das Verhltniss der Naturphilosophie zur Philosophie di berhaupt. Als Darlegung der Stellung beider Mnner gegen einander, Berlin, Dmmler, 1839, p. 6), Schelling negava risolutamente ogni contributo di Hegel alla stesura dellarticolo e perfino alla visione delle bozze. Oggi la critica ritiene decisivo il fatto che nel suo curriculum vitae del 1804 Hegel non facesse menzione del saggio, 154 HEGEL E ARISTOTELE ba sullattribuzione segno che i contenuti erano quantomeno con- divisi, se non pesantemente influenzati, da Hegel. Nella pagina che ci interessa, la (nuova) filosofia della natura viene difesa dalle ac- cuse di irreligiosit e amoralit/immoralit, mosse da una prospet- tiva moralisteggiante che concepisce solo empiricamente lunit tra Io e natura, come naturalismo, ed interpreta lidealismo come egoismo ( 53 ). In una nota delledizione in lingua inglese di questo scritto, H.S. Harris vede qui un riferimento al revival della dottrina spinoziana dellunit di Dio e Natura, e dellunit della mente con tutta la natura come il bene delluomo, nella filosofia dellIdenti- t ( 54 ). E non possiamo non ricordare a questo proposito che nella Tesi VIII Hegel aveva scritto: la materia del postulato della ragio- ne esibita dalla filosofia critica, distrugge questa stessa, ed il prin- cipio dello spinozismo. Ma la corrispondenza tra la Dissertatio e questo testo del 1802 va ben pi oltre: di contro a chi interpreta la Naturphilosophie sulla base di questo tipo di assunzioni, larticolo di Schelling afferma con forza che essa diventer una nuova fonte della intuizione e cono- scenza di Dio, e che una filosofia che deriva totalmente dalla ragion pura e consiste solo di idee (und nur in den Ideen ist: cf. la Tesi VI: et philosophia omnis est in ideis) deve scaturire da una energia pi veramente etica. Una simile unit di etica, ragione e speculazione ottenuta attraverso la definizione delletica come principio di liberazione dello spirito da tutto ci che estraneo, o materico, come elevazione allo stato di essere determinati soltanto attraverso la ragione pura, senza contaminazioni. in questa prospettiva che suggeriamo di leggere il riferi- mento, sempre di Schelling, allimpresa di Hegel nella Dissertatio, per cui non si hanno pi dubbi sulla veridicit della versione di Schelling (cf. G. DI GIOVANNI e H.S. HARRIS (1985): pp. 365-366; vedi anche TILLIETTE (1968): p. 157, e GILSON (1986): p. 51 sgg.). ( 53 ) KJP, I, 3, p. 22. ( 54 ) DI GIOVANNI & HARRIS (1985): nota 16, p. 381. 155 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica che appare nel Bruno, dialogo sul principio divino e naturale delle cose, pubblicato nel 1802. In una nota al testo, si rimanda alle pre- cedenti fatiche di un amico, che ha liberato le leggi di Keplero da difformazioni empiriche e meccaniche e cos le ha conosciu- te nella loro purezza, restituendole al loro autentico senso specu- lativo ( 55 ). Nellottica del Bruno, Hegel avrebbe dunque preparato il terreno per la ulteriore elaborazione schellingiana dello stesso tema: le tre leggi di Keplero risultano infatti conformi allo schema della costruzione esposto nel dialogo, in quanto si rapportano tra loro come indifferenza, differenza e totalit, esprimendo perfetta- mente lintero organismo della ragione ( 56 ) Se dunque per Schelling la purificazione dellanimo operata dalletica, la condizione della filosofia, sembra che per lui la fi- losofia della natura sia in grado di mantenere le sue promesse solo in quanto svolge questo stesso compito di liberazione/purificazio- ne nellambito delle leggi fisiche. Alius et idem invece il giudizio di Hegel sul proprio lavoro, nel senso che viene posto il nesso tra fisica, matematica e idealismo da un lato, e prospettiva etico-reli- giosa dallaltro, ma lo si coglie dal punto di vista della determina- tezza della sintesi di infinito e finito compiuta dalla nuova Natur- philosophie. Nellarticolo su Krug del gennaio 1802 (la Dissertatio fu consegnata ufficialmente allUniversit di Jena nellottobre 1801), Hegel controbatte alla sfida, lanciata allidealismo, di produrre ra- zionalmente la deduzione di una particolare rappresentazione, de- terminata e finita; nella sua risposta, sostiene linfondatezza della ( 55 ) SCHELLING, SW, IV, Bruno, ein Gesprch (1802), p. 330 (nota alla p. 270). ( 56 ) Per completezza dinformazione, segnaliamo lopinione di OESER (1975): p. 143, per cui questo ritorna a Keplero, per Schelling, come per Hegel, avrebbe significato di un ritorno ad Aristotele, dato che lo stesso Keplero aveva accolto la critica aristotelica alla ontologia pitagorica della matematica (cf. Harmonice mundi, Op. V, p. 221), e non aveva difeso una interpretazione puramente matematica della dottrina platonica delle Idee. Cf. anche CASSIRER (1922): p. 369. Su quel tentativo di Keplero, giudicato sostanzialmente infruttuoso, di comprendere i famosi numeri pitagorico-platonici, vedi HEGEL, SW, Bd. 18,2 p. 258; LSF, II, p. 237. 156 HEGEL E ARISTOTELE pretesa, che nascerebbe da una prospettiva ancorata alla coscienza empirica, e rivendica la capacit della filosofia della natura di indi- care come vada concepita, piuttosto, lorganizzazione del finito, sostenendo che il concetto di costruzione filosofica implica la com- prensione dellinsieme sistematico di cui quel singolo elemento fa parte. Lesempio quello della luna, che non pu essere compresa senza il sistema solare. Citando quasi testualmente unespressione del paragrafo introduttivo del De orbitis, Hegel qualifica la cono- scenza di questo sistema come il compito pi sublime e pi eleva- to della ratio. Krug deve cos rinunciare ad esigere la deduzione della sua penna, rispetto allinteresse primario della filosofia ideali- stica: porre ancora una volta Dio in modo assoluto al primo posto in cima alla filosofia come il solo fondamento di tutto, come lunico principium essendi e cognoscendi ( 57 ). Soffermiamoci su questo porre ancora una volta, e cerchia- mo di individuare a che cosa Hegel si riferisca. A mia conoscenza, nellintero corpus delle Lezioni sulla storia della filosofia la sola occor- renza di questa coppia di termini si registra nelle pagine dedicate alla Metafisica, e in riferimento alla visibilit, come eterno cielo, dellessenza assoluta in quanto sostanza in atto ma identica a s, Motore Immobile ( 58 ): Secondo Aristotele [...] il concetto, princi- pium cognoscendi, anche ci che muove, principium essendi; lo desi- ( 57 ) KJP, GW, IV, p. 179, 13-15. ( 58 ) Su questo punto, delicato e controverso per gli storici della filosofia antica, cf. OWENS (1979), che sottolinea sia come Dio, in Aristotele, sia una nozione predica- tiva, che pu essere detta di molti individui, tra cui, appunto, i corpi celesti, sia come, in questultimo caso, il suo senso sia quello di un essere incorruttibile, tuttavia local- mente mobile, materiale e visibile: [Dio] pu essere trovato nei cieli visibili [...]. eterno, e deve essere annoverato tra le prime cause delle cose, finanche dei cieli visi- bili. In questo senso di causa prima, separato dalla materia, interamente immobile, ed la istanza primaria dellessere. Ma tale requisito di immaterialit onnipervadente nella sua istanza di soggetto della metafisica, non impedisce che lo si ritrovi come localmente mobile e materiale nella natura dei cieli visibili (p. 209). Questa polinomia costituisce una difficolt, gi registrata da Cicerone, in un testo ben noto ad Hegel (cf. De Nat. Deorum, I, 13, 33), cos commentata da Owens: I corpi celesti [...], per Aristo- tele, cadono sotto il concetto di Dio, tuttavia sono parte del mondo visibile che dipen- 157 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica gna come Dio, e ne mostra la connessione con la coscienza indivi- duale ( 59 ). E ancora, con un significativo richiamo ad un principio di determinazione che indipendente da tutto ci che esterno ed estraneo (materico) allo spirito: Se nellet moderna sembrato una novit determinare lessenza assoluta come attivit pura, ci avvenuto per ignoranza del concetto aristotelico. Gli Scolastici han- no preso giustamente ci per la definizione di Dio: Dio lattivit pura, ci che in s e per s; non ha bisogno di nessun materiale non si d idealismo pi elevato ( 60 ). Questi passi delle Lezioni ci paiono documentare una posizio- ne precedentemente elaborata da Hegel: sono infatti evidenti gli elementi di continuit, sia con larticolo di Schelling, sia, in partico- lare, con la prospettiva dellarticolo su Krug, che come abbiamo vi- sto inquadrava a sua volta nel complesso il programma svolto dal- la Dissertatio. Cos come questo si trovava annunciato in un famoso passo della Premessa, datata luglio 1801, allarticolo sulla Differen- za, dove Hegel vedeva maturare il progetto per una filosofia della natura nel nuovo clima culturale seguito al criticismo kantiano e allidealismo fichtiano, con riferimento esplicito ai Discorsi di Schleiermacher. Simili opere rinviano al bisogno di una filosofia che concili e ricompensi la natura per i maltrattamenti subiti nei si- stemi di Kant e di Fichte e stabilisca tra ragione e natura un accor- do, in cui la ragione non rinunci a se stessa e sia costretta a diventa- re uninsipida imitazione della natura, ma si configuri in essa per forza interna ( 61 ). Ora questo stesso rapporto di non insipida imi- de dalla sostanza separata, la quale cade a sua volta sotto il concetto di Dio. Questa in effetti una difficolt; ma una difficolt con la quale bisogna convivere, quando si affronta il testo aristotelico con il problema complessivo del rapporto di Dio con il mondo (p. 215). ( 59 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 330; invariato in LSF, II, pp. 306-307 (tr. it. modifi- cata). ( 60 ) Ib., p. 326. Testo sostanzialmente analogo in LSF, II, p. 303. ( 61 ) HEGEL, Differenzschrif, GW, IV, p. 7; tr. Bodei, modificata, p. 6. 158 HEGEL E ARISTOTELE tazione della ragione verso la natura rinvenuto da Hegel in Ari- stotele, come ci dicono sempre le Lezioni, a proposito del Libro XII della Metafisica, relativamente allattivit del Primo Motore Immobi- le, rispetto ai moti celesti. Dice infatti Hegel: Dalla determinazione dellessenza assoluta come attiva, consegue che essa fa entrare ( 62 ), in maniera oggettiva, nella realt effettuale (Wirklichkeit). Questessenza assoluta, come ci che uguale a s, e che visibile, leterno cie- lo ( 63 ). Sistema dei cieli e nous sono dunque espressioni della stes- sa sostanza assoluta; il visibile moto circolare dei cieli e il non visi- ( 62 ) Fa entrare nella nostra traduzione per treten macht in. Per la significativit di simili interpretazioni dellattivit del primo motore immobile, cf. SKEMP (1979): Sono certo che Cherniss ha ragione quando dice [...] che Ross non giustificato a trattare questa raffigurazione di un impulso quasi-meccanico delluni- verso alla sua circonferenza semplicemente come una espressione incauta da par- te di Aristotele; e quando sostiene che la controversia tra i commentatori sul proble- ma se il Primo Motore fosse causa efficiente o finale, oppure (come affermava Simplicio) tanto efficiente quanto finale, riguardava una questione genuina che le stesse parole di Aristotele lasciano aperta al dibattito. Questo sorge perch tutte le argomentazioni per fare del Primo Motore una causa finale dipendono da una con- cezione dellenergeia come perfetto operatore realizzato e come la vis a fronte che fornisce una meta per la attualizzazione di una potenzialit (p. 235). ( 63 ) Corsivo mio. Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 328; testo sostanzialmente analo- go in LSF, II, p. 305. La visibilit di Dio dalle sue opere, come ordinatore del cosmo, un punto famoso del De mundo, 6, 399 b 22-23, su cui molto insiste Reale, chiaman- do a conferma dei frammenti del De Philosophia (Trattato sul cosmo, pp. 61-62) ed escludendo lipotesi di sostenitori dellinautenticit del testo che vedono qui un ri- ferimento alla Bibbia, o ad un passo di San Paolo (cf. ib., nota 72, p. 265). Notoria- mente la critica, tuttavia, in genere orientata a considerare il trattato composto in epoca ellenistica. Il curatore delledizione LOEB cos commenta questa affermazio- ne del Trattato: A prima vista, il dio del De mundo sembra ben lontano dal dio di Fisica VIII e Metafisica XII, che inferito come il risultato necessario di una teoria del movimento, la sola attivit del quale il pensiero che ha a proprio oggetto se stesso, e che muove come oggetto di amore. Aristotele stesso, comunque, sembra aver parlato con accenti piuttosto diversi nei suoi lavori destinati al pubblico. Nel De Philosophia diceva che il movimento ordinato dei corpi celesti era una delle ragioni che spingevano gli uomini a credere negli dei (On the Cosmos, pp. 335-336). Sulle difficolt di interpretazione (deformata lettura in chiave stoica del pensiero di Ari- stotele?) dei frammenti del De Philosophia relativi allattivit animata delle stelle, cf. SCOTT (1994): pp. 26-35. 159 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica bile moto circolare della ragione, che pensando ritorna in se stessa, ed ha s come proprio oggetto, sono i due modi della esposizione dellassoluto in Aristotele, una concezione che Hegel definisce con entusiasmo una grande determinazione ( 64 ). Ancora, un altro passo delle Lezioni mette in luce che tale connessione tra ragione e moti celesti si traduce nel sommo bene e nella suprema libert, saldando cos la logica e la fisica alletica; dopo aver citato dalla Metafisica, XII 9, 1075 a 5-10 ( 65 ), Hegel conclu- de: Cos si rapporta il pensiero di se stesso per tutta quanta leter- nit come il bene supremo nelluniverso [...]. Ma adesso questa idea speculativa il bene supremo e la massima libert; e ora da vedere nella natura (come Cielo) e nella ragione pensante ( 66 ). Da notare che Hegel, oltre a ricordare il primo movimento del cielo delle stelle fisse, accenna qui anche al movimento eterno dei piane- ti ( 67 ). Questa stessa unit di logica, fisica ed etica costituisce, a no- stro parere, il corretto contesto storico-filosofico che permette di rendere conto insieme sia della presentazione iniziale delloggetto della Dissertatio, dove si afferma che non c altra espressione del- ( 64 ) Hegel, SW, Bd. 18,2, p. 328; invariato in LSF, II, p. 305. Cf. SEIDL (1986). Ricordiamo come Dsing abbia a questo proposito rilevato lattribuzione di Hegel ad Aristotele della propria concezione della soggettivit assoluta, basandosi anche su un passo della Metafisica (XII 7, 1072 b 23) che nella edizione di Erasmo (Basilea, 1531) autorizzava la seguente interpretazione: che ci che pi eccellente non fosse il pensato, bens la stessa energia del pensare (la soggettivit nellaccezio- ne hegeliana). Al contrario, oggi nelledizione di Ross si legge che Aristotele fonda la suprema eccellenza a partire dal pensato (cf. DSING (1982): pp. 26-27). ( 65 ) Cf. Met. (tr. Reale), II, pp. 577 e 579, Met. (tr. Russo), p. 366 con Met. (Ross/Barnes), p. 1699. ( 66 ) Hegel, SW, Bd. 18,2, p. 335; invariato in LSF, II, p. 313: tr. it. modificata. ( 67 ) Ib., p. 336; LSF, ibidem. Cf. GILL (1991): pp. 264-265, secondo cui il bene del cosmo risiede sia nel Primo Motore stesso, il cui potere espresso nella sua attivit eterna, sia nel sistema funzionante, di cui egli mantiene ordine e continuit per mezzo dei movimenti regolari di corpi che agiscono secondo le loro nature. 160 HEGEL E ARISTOTELE la ragione pi sublime e pi pura, n pi degna della considerazio- ne filosofica del sistema solare ( 68 ), sia del fatto gi ricordato che ben tre delle Tesi che precedono il testo sono dedicate al rapporto tra moralit e virt. Ricordiamo che in proposito, Rosenkranz com- mentava: questi paradossi erano nel complesso rivolti contro la li- mitatezza della morale kantiana, contro la quale Hegel cercava di far valere il concetto di eticit degli antichi ( 69 ), ma in genere gli interpreti non hanno n precisato in modo inequivoco tale vaga in- dicazione, n chiarito il significato di questo preporre considera- zioni etiche a dei lineamenti di filosofia della natura. In questa sede ci limiteremo ad esaminare lultima Tesi, la XII, che in latino suona: Moralitas omnibus numeris absoluta virtuti repugnat. Se ne sono date due interpretazioni. La pi diffusa tra- duce considerando che (seguendo un uso attestato nel latino classi- co Plinio il Giovane ) numeris omnibus absolutus vale completo, perfetto in tutte le sue parti. Una simile moralit asso- luta, sosterrebbe la Tesi, ripugna alla virt. ormai di questo avvi- so lo stesso Baum, unica voce discorde finanche nella seconda edi- zione, del 1989, della sua Die Entstehung der Hegelschen Dialektik. Baum aveva infatti soprattutto considerato la possibilit di tradur- re letteralmente quellespressione con liberata da tutti i numeri. In questo caso la Tesi avrebbe potuto contenere unallusione alla dottrina pitagorica, tramandata da Aristotele, secondo cui tanto la virt, quanto la giustizia, sono definite come numeri, oltre che un riferimento al posto che numeri, proporzione e armonia hanno nel- la visione sociale di Shaftesbury, per quanto riguarda costumi e moralit ( 70 ). ( 68 ) Motivo che ritroviamo anche nella Teoria del cielo di Kant e nelle Ideen di Herder. Per tale contesto pi ampio, che tocca anche la poetica di Schiller, cf. FERRINI (1993): pp. 721-723. ( 69 ) ROSENKRANZ (tr. it.): p. 176. ( 70 ) Cf. WASZEK (1987): p. 255; BAUM (1989): pp. 140-141. 161 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica In una sua comunicazione scritta, Baum mi ha tuttavia preci- sato di credere oggi che la Tesi non contenga richiami alla dottrina pitagorica, ma debba essere resa nel primo modo, e secondo il conte- sto richiamato in una nota del suo stesso libro ( 71 ), vale a dire un pas- so dello Spirito del Cristianesimo del periodo di Francoforte, a propo- sito del conflitto tra doveri, da mettere in relazione con il concetto aristotelico di mediet, contrapposto alla prospettiva di Kant (e di Fichte): Soltanto se nessuna virt avanza la pretesa di persistere saldamente e assolutamente nella sua forma delimitata [...] soltanto allora rimane la multilateralit dei rapporti, ma sparisce il gran nu- mero di virt assolute e incompatibili [...] in una tale assolutezza dellesistere, le virt si distruggono, una contro laltra ( 72 ). Il riferi- mento, che qui Baum vede, alla mesotes non sarebbe per lunico ri- chiamo a concetti aristotelici che troviamo nello Spirito del Cristia- nesimo. Poco prima del passo appena citato, criticando il costrittivo soggettivismo formale della legge morale kantiana, dallinsegna- mento del Cristo Hegel aveva enucleato la nozione di amore, come unico spirito vivente, e ne aveva fatto il solo principio della vir- t, la quale, priva di esso, sarebbe allo stesso tempo un vizio, nel senso che ogni virt, non dipendendo da altro, si porrebbe come virt assoluta, e dalla pluralit degli assoluti sorgerebbero conflit- ti insolubili. Cos Hegel conduceva la propria argomentazione: Al com- pleto asservimento alla legge di un signore estraneo Ges contrap- pone non una parziale soggezione ad una legge propria, lauto- coercizione della virt kantiana, ma virt senza dominio e senza sottomissione, modificazioni dellamore. Dirette contro questioni quali quelle delle collisioni tra virt o dei conflitti di doveri, queste righe, che abbiamo riportato nella traduzione italiana degli scritti ( 71 ) Cf. BAUM (1989): nota 7, p. 140. ( 72 ) NOHL: pp. 294-295, cf. STG (II): pp. 407-408. 162 HEGEL E ARISTOTELE editi da Nohl ( 73 ), sono per frutto di un ripensamento di Hegel. Come ha ben osservato H. S. Harris, in una prima versione, invece delle virt senza dominio e senza sottomissione, modificazioni dellamore, ci che veniva contrapposto alla virt kantiana era la disposizione virtuosa. Lespressione disposizione [aggiungeva per subito dopo Hegel] ha lo svantaggio che non include un riferi- mento diretto allattivit, la virt nellazione. Cos Harris com- menta la sostituzione: Possiamo ben ricordare a questo punto che Aristotele aveva dato praticamente la stessa ragione per rifiutare lidentificazione tra felicit e virt. Lamore di Hegel, come leu- daimonia di Aristotele, attivit dellanimo (il principio della vita) secondo virt ( 74 ). Ricapitoliamo i vari elementi finora raccolti: lanalisi di Har- ris mette in luce che Hegel prese la decisione di parlare di diverse attivit virtuose come modificazioni dellamore piuttosto che come attualizzazioni di diverse disposizioni, perch il termine disposi- zione era privo di riferimenti immediati ai mutamenti della realt effet- tuale impliciti nel termine modificazione: e modificazione poi dellamore, a sua volta definito unico spirito vivente, quindi ani- mato, dotato internamente del principio del movimento ( 75 ). Le ri- flessioni di Baum, che qui facciamo confluire, ci hanno inoltre indi- rizzato verso queste stesse pagine dello Spirito del cristianesimo per una corretta interpretazione della Tesi XII, il che ci permette di sal- dare un motivo della Dissertatio ad una tematica francofortese per ( 73 ) STG (II): p. 406; NOHL: p. 293. ( 74 ) HARRIS (I): p. 338. Cf. Eth. Nic., I 6, 1097 b 22-1098 a 18; il concetto cos presentato da KENNY (1991): che cos allora la felicit? [...] deve essere una vita della ragione che riguarda lazione: lattivit dellanimo secondo la ragione. Cos il bene delluomo sar il suo bene operare: lattivit dellanimo secondo la virt. Se ci sono svariate virt, sar secondo la virt migliore e pi perfetta (pp. 67-68). ( 75 ) Sul frequente uso goethiano del neologismo Modifikation per il con- cetto di metamorfosi, in quanto ispirato dalla lettura dellEtica di Spinoza, cf. DE GANDT (1979): p. 39. 163 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica cui documentabile una diretta influenza aristotelica: lattenzione a cogliere il principio del mutamento, facendo perno sulla nozione di attivit, nella preoccupazione costante di rimanere ancorati, in modo concretamente oggettivo, alla realt effettuale. Un ulteriore documento di questo radicarsi della filosofia della natura in un terreno etico, costituito dallinteressante Fram- mento (databile al 1797) Positiv wird ein Glaube genannt ( 76 ). Hegel mostra qui di assimilare la critica al concetto di virt, tanto come sottomissione al dominio di un signore estraneo, quanto come autocoercizione semplicemente soggettiva, al tipo di leggi con cui le scienze empiriche (ad es. la meccanica newtoniana) comprendono i feno- meni. Ad una simile nozione estrinseca di legge viene contrappo- sta, come si far anche nel De orbitis, la animazione vivente e di- vina della natura (venendo ad anticipare cos, per certi aspetti, il motivo del bene supremo e della massima libert nelle Lezioni sulla Metafisica aristotelica): Una religione semplicemente sogget- tiva e priva di immaginazione virtuosit. Comprendere domi- nare. Animare gli oggetti farne degli Dei. Considerare che un fiu- me deve gettarsi nel profondo secondo le leggi della gravit [...] si- gnifica comprenderlo, dargli unanima, prendere viva parte con lui come con un proprio uguale, significa renderlo un dio [...]. Ove soggetto e oggetto, oppure libert e natura, sono pensati cos uniti che la natura libert e il soggetto e loggetto non possono essere separati ( 77 ), ivi il divino. Coerentemente, nella Dissertatio, la fi- losofia sperimentale, che concepisce lazione meccanica come un impulso esterno (arbitrario o fortuito), che muove una materia di ( 76 ) STG (II): p. 526; su cui vedi HARRIS (II): nota 1, p. 76. ( 77 ) Cf. De orbitis, p. 3, 5-6: i corpi celesti si muovono come Dei perch glebae non adscripta et centrum gravitatis perfectius in se gerentia, in altre parole, perch sono liberi da quella oppressione che la forza di gravit esercita sui corpi terrestri. Tale libert ha il significato della autosufficienza e della eternit del movimento; i corpi soggetti alla gravit, infatti, in prima naturae vi [...] sibi non sufficiant, et vi totius oppressa pereant. 164 HEGEL E ARISTOTELE per s inerte (mentre le forze, per Hegel, costituiscono la natura stessa della materia, e sono quindi interne e necessarie ( 78 )), igno- ra la natura e quindi non conosce neppure il divino (vedi De orbitis, pp. 22, 23 - 23, 10). Scrive anzi Hegel che la meccanica quum igitur in causis externis versetur, neque naturam ratione concipiat, nequit pervenire ad principium identitatis quod in se ipso differentiam ponat. Ora interessante notare che nelle Lezioni sulla Metafisica, Aristotele accreditato della stessa concezione filo- sofica di base. La determinazione dellessenza assoluta, Dio, come la sostanza attiva, identit di possibilit (non nel senso della pos- sibilit pi indeterminata e generale, ma come individualit e atti- vit) e realt effettuale (nous ist auch dunamis), proprio ci che gli avrebbe permesso di non concepire il principio come unarida identit: La filosofia non sistema dellidentit; questo non filo- sofico. Cos anche per Aristotele, non arida identit; essa non il timio taton [ci che pi degno di onore], Dio, questo anzi lenergia. Essa attivit, movimento, repulsione, e cos non morta identit; nella differenza parimenti identica con s (sie ist im Unterscheiden zugleich identisch mit sich. Lespressione ripete lo stesso concetto affermato sopra nel De orbitis con la frase: principium [...] ponat) ( 79 ). 7. Lipotesi di una influenza della Metafisica sulluso dei numeri del Timeo nella Dissertatio Ricordiamo brevemente gli elementi ( 78 ) De orbitis, p. 22, 27-31: vires ergo, quas Deum materiae dedisse dicunt, materiae vere inesse statuendum est, et iis materiae naturam costitui, quae principium virium oppositarum (le forze centripeta e centrifuga) immanens et internum sit. ( 79 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 332; testo leggermente variato in LSF, II, p. 309. Come abbiamo gi ricordato alla nota 64, Dsing ha rilevato che per Aristotele la suprema perfezione del pensiero divino garantita soltanto dal fatto che il pensato la cosa pi eccellente che esso sempre pensa: questo il pensare stesso come con- tenuto del pensiero. La suprema eccellenza viene dunque in lui fondata a partire dal pensato. Hegel capovolge questa fondazione (DSING (1982): p. 27). 165 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica principali finora raccolti: i) il complesso sistema di riferimento cui riportare la presentazione dei pianeti del sistema solare (Dei, animalia, espressione pi pura e sublime della ragione etc.) nella Dissertatio; ii) Dio come unione di principium essendi e cognoscendi nellarticolo su Krug e nelle Lezioni di Hegel sulla Metafisica; iii) la presenza della ragione nella natura nella Differenza; iv) la visibilit di Dio come eterno cielo e la sua definizione come ragione che pen- sa se stessa visti come i due modi di espressione dellassoluto in Aristotele; v) il peso fondamentale che Hegel d alla concezione aristotelica dellassolutamente immobile che principio, concetto e forma di tutto come attivit, motore ( 80 ), insieme allaccento po- sto sulla definizione di esso come energeia ( 81 ), che fa entrare, in modo concretamente oggettivo, nella realt effettuale; vi) il riscon- tro tra la nozione di identit che Hegel attribuisce ad Aristotele e quella affermata nel De orbitis per lintelligibilit del mutamento e degli elementi del sistema solare; vii) la mediazione, sempre richia- mata in relazione a questi stessi concetti chiave, della seconda Sco- lastica e del pensiero di Giordano Bruno, ricco di riferimenti a con- cetti aristotelici e presente, per nozioni e immagini, sia nel De orbitis che nellarticolo sul Diritto Naturale; viii) lo svilupparsi di un approccio speculativo-razionale alla natura, da Francoforte a Jena, allinterno della riflessione sulla storia del cristianesimo e sui costumi (un tratto comune ad Hegel e Schelling), in cui il riferi- ( 80 ) Cf. Fisica, II 7, 198 b 1-5, dove ci che muove senza essere mosso fine e causa finale con il seguente passo delle Lezioni di storia della filosofia su Giordano Bruno: Ciascuna forma delle cose il suo interno principio-ragione, la sua causa producente; per forma e causa non sono diverse, ma la forma stessa causa, pro- prio attraverso la causa finale - presso Aristotele limmoto, il principio, il concetto puro, entelecheia [...]. Il fine lattivit, per lattivit in s (in sich) determinata, che nel suo rapporto con laltro non si relaziona come una semplice causa, ma ritorna in s, contiene s (HEGEL, SW, Bd. 19,3, pp. 229-230; cf. anche Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, pp. 52-53, 629-632. Corrisponde grosso modo e solo in parte a LSF, III, 1, p. 217). ( 81 ) Cf. Met., IX 8, 1050 a 20-25: In realt fine lopera, e latto si identifica con lopera e per ci anche il nome stesso di atto (energeia) deriva da opera (ergon) e tende verso latto perfetto. Vedi supra le note 64 e 79. 166 HEGEL E ARISTOTELE mento diretto allattivit della virt risulta svolgere una funzione critica tanto nei confronti dellartificialit e del formalismo della morale kantiana, quanto delle leggi della meccanica, esterne alla materia, cosicch la saldatura tra la prospettiva etico-religiosa e la Naturphilosophie viene ad operarsi contraendo un debito anche con lEtica Nicomachea. Ora, sempre nelle Lezioni, proprio questa concezione centra- le, sul piano logico, rispetto a tutti gli altri elementi, del dio aristotelico come essenza assoluta che actus purus, ed , in quanto ci che muove, principio del mutamento, insieme sostanza iden- tica con s ed energia, viene nettamente contrapposta alla visione platonica del rapporto, di separazione, tra Idee, numeri e concreta realt fisica. Da una parte, quella di Aristotele la sostanza che nella sua possibilit ha anche la realt effettuale (Wirklichkeit), la cui essenza (potentia) lattivit stessa, dove entrambe non sono se- parate ( 82 ). Dallaltra, proprio a tale riguardo, Aristotele si diffe- renzia da Platone, e per questo motivo polemizza contro il numero, contro lidea, contro luniversale, poich, se questo immoto, vi- sto in s e per s, non viene determinato come attivit, efficacia, non affatto movimento; esso non identico con lattivit pura, ma colto come quiescente. Le idee e i numeri quiescenti di Plato- ne non portano affatto alla realt effettuale (Die ruhenden Ideen, Zahlen Platos bringen nichts zur Wirklichkeit) ( 83 ) . ( 82 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326; diversa la tr. it. in LSF, II, p. 303. Vedi anche nota 7. ( 83 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326; testo leggermente variato in LSF, II, p. 303. Che qui Hegel si riferisca direttamente e fedelmente ad Aristotele, ci sembra prova- to dal confronto tra lespressione tedesca retta da bringen nichts zur Wirklichkeit (che si pone, sul piano stilistico, come lo speculare di quel tetren macht in Wirklichkeit che invece caratterizza, positivamente per Hegel, il Motore Immobi- le; cf. nota 62), e Met., XIV 3, 1090 b 24-27: ma, tuttavia, dovremo noi reputare che queste grandezze siano idee? E quale sar il loro modo di essere? E quale contributo esse apporteranno allesistenza delle cose? In realt, esse non danno alcun contribu- to, proprio come non lo danno gli enti matematici. Sulla mancanza di basi filosofi- 167 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica evidente che per Hegel la critica di Aristotele ai Pitagorici, a Platone e ai numeri condotta dal punto di vista della, e conse- gue dalla, sua concezione della attivit della sostanza che rimane identica con s ( 84 ). Scrive Hegel nelle Lezioni, consapevole di forni- re una interpretazione, ma anche di rimanere sostanzialmente al- linterno della tradizione aristotelica: Lattivit anche mutamen- to, ma mutamento che rimane come identico con s, muta- mento, ma posto allinterno delluniversale come il mutamento uguale a se stesso: un determinare, che determinare se stesso [...]. Luniversale attivo, determina s: e il fine il determinare se stesso, ci che si realizza. Questa la principale determinazione cui si giunge con Aristotele ( 85 ). Lidea delluniversale attivo che ha il mutamento posto al proprio interno, restituito allidentit dopo la realizzazione del fine, espressa anche nel De orbitis: nihil enim est mutatio aliud, quam aeterna identitas ex differentia restitutio et nova differentiae productio (p. 27, 13-15). Inoltre, il principio del- lidentit che pone in se stessa la differenza, era proprio ci che permetteva di comprendere gli elementi del sistema dei pianeti, se- parare la meccanica dalla fisica e restituire (Hegel usa il verbo reddo) la fisica alla filosofia (nel senso della Metafisica aristotelica, proponiamo quindi di leggere, non in quello della con- cezione dinamica della materia prospettata ad es. nei kantiani Pri- mi principi metafisici della scienza della natura: dato che la fisica per che di questa critica di Aristotele, che attribuisce a Platone la concezione che tutte le Forme sono numeri cf. ANNAS (1976): pp. 62-73. ( 84 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 320; LSF, II, p. 299. ( 85 ) Il testo da noi tradotto il seguente (ib., p. 320): Thtigkeit ist auch Vernderung, aber Vernderung als identisch mit sich bleibend, - ist Vernderung, aber innerhalb des Allgemeinen gesetzt als die sich selbst gleiche Vernderung: ist ein Bestimmen, welches ist Sichselbstbestimmen [...] Das Allgemeine ist thtig, bestimmt sich; und der Zweck ist das Sichselbstbestimmen, was sich realisirt. Diess ist die Hauptbestimmung, auf die es bei Aristoteles ankommt (diverso il senso del passo corrispondente in LSF, II, p. 300). 168 HEGEL E ARISTOTELE solum dynamicae nomen a mechanica non sejungitur; cf. De orbitis, p. 23, 5-12) ( 86 ). Dati questi presupposti, ci pare di aver sufficientemente chia- rito come e perch, dal nostro punto di vista, rappresenta una diffi- colt assumere che Hegel desse valore reale e fisico alla serie del Timeo per determinare le distanze dei pianeti. Questo infatti impli- cherebbe, contrariamente alle Lezioni, e ai libri M e N della Metafisi- ca, ritenere quei numeri capaci di costituire la determinazione es- senziale di misure e rapporti effettivamente esistenti nella natura, quando abbiamo mostrato che certe posizioni fondamentali del De orbitis sono analoghe, o si riferiscono direttamente, a concezioni aristoteliche rispetto alle quali la critica ai numeri pitagorico-plato- nici come incapaci di portare alla realt concreta non che un corollario ( 87 ). ( 86 ) Nella Dissertatio, la gravit una forza comune del mondo, una e la stessa (una eademque: cf. p. 20, 4), cos come vi sono solo forme diverse della medesima e unica materia (ex mente Aristotelis cf. nota 48), dato che la materia objectiva gravitas. Cos il mutamento risulta posto allinterno di un tale universa- le attivo: La materia una e la stessa (una eademque), scindendosi in due poli forma una linea di coesione e, nella serie degli sviluppi dovuti al differente rappor- to dei fattori, assume diverse figure (De orbitis, p. 23, 13-17). In questo modo, ogni differenza che si produce, a sua volta comportante una serie di altri rapporti, contenuta in un simile universale, e ricondotta nella podest del suo proprio prin- cipio, sua lege et individua organisatione. Suggeriamo inoltre di leggere De orbitis, pp. 19, 30 - 20, 12 (dove della gravit si deve affermare che una e la stessa, ed esiste nella forma di due fattori, lo spazio e il tempo, i soli ad essere suscettibili di variazione quantitativa), alla luce di Met., VIII 3, 1044 a 9-11. Il passo hegeliano inizia con male vi gravitatis incrementum aut decrementum tribui e si conclude con eorum (dello spazio e del tempo) absoluta identitas variari, augeri aut diminui nequit; unanaloga impossibilit (ancora Hegel usa nequeo, cf. supra nota 46) della forma sostanziale ad accrescere/diminuire si legge nel passo aristotelico, che riser- va tale variazione al principio materiale: E come il numero non assume in s il pi e il meno, cos non li assume in s neppure la sostanza considerata come forma, ma li assume, se mai, quella accompagnata alla materia (ricordiamo che in De orbitis p. 27, 7-9: tempus, atque spatium elementa constituunt materiae, quae quidem non ex iis conflata, sed eorum principium est). ( 87 ) Ricordiamo per inciso che per un sostenitore della essenziale affinit del pensiero di Hegel con quello di Platone come Findlay, la differenza fra platonismo 169 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica Per rendere ancora pi chiaro il problema che qui intendiamo sollevare, proponiamo di confrontare la critica al sistema dei nu- meri sia pitagorico che platonico delle Lezioni hegeliane (1) con le interpretazioni correnti delluso di quegli stessi numeri nella Dissertatio (2). In (1) Hegel ripete pi volte, facendo proprio il giu- dizio di Aristotele, che la serie pitagorica riportata nel Timeo steri- le e arida, incapace di generare la realt fisica e di rappresentarne quindi le leggi: I rapporti, le leggi della natura non si lasciano for- mulare con questi numeri sterili. Essa [la serie] un rapporto empirico e non costituisce la determinazione fondamentale nelle misure della natura ( 88 ); mentre una lettura ampiamente condivi- sa di (2) la seguente: Hegel crede quindi di aver trovato, in que- ste distanze dei pianeti, una prova empirica per la giustezza della serie numerica che nel Timeo platonico giace a fondamento della at- e hegelismo va colta proprio rispetto al problema dellalienazione e specificazione dellUniversale. In una conferenza su Hegel e la storia del filosofia, dopo aver ricordato loscurit di certi passi della Repubblica riguardo alla necessaria doverosit, per il Bene, di specificarsi nel resto delle Idee, e del Parmenide relativi alla genera- zione dellintera variet delle Idee dalla nozione dellUnit Stessa, Findlay affer- mava: E se la necessit della specificazione non sottolineata [in quelle opere], ci vale molto di pi per il caso dellinstanziazione. Questa presentata nel Timeo pi come un atto benigno privo di invidia che come una caso di necessit logica (cf. FINDLAY (1974): pp. 74-75; e il commento di PALMER (1974): p. 82). E proprio il passo sulla bont del Dio creatore che utilizza la proporzione per fabbricare i corpi e lani- ma del mondo (29 e -37 d ) era tra quelli costantemente ripresi da Hegel in tutti i suoi corsi di storia della filosofia, non presentando il Timeo che come una specie di filosofia della natura. Cf. VIEILLARD-BARON (1976): p. 42; per una lettura che sullana- lisi di Hegel vede pesare piuttosto la tradizione neoplatonica (il Commento al Timeo di Proclo), cf. ib., pp. 43-44; sullinterpretazione di Proclo delle forme matematiche come attive in se stesse, vedi DE GANDT (1979), pp. 105-108, ma cf. MORROW (1970): p. 112, dove tale potere di creare le apparenze nel regno della natura attribuito, s, alle figure (= superfici piane o solidi, risultanti anche dalleffetto prodotto in cose divise, come nel caso del Timeo: cf. pp. 109-110. Vedi infra, nota 102), ma in quanto prive di conoscenza e di comprensione intelligente, vale a dire, nei termini del De orbitis, come prive in se stesse di qualsivoglia ratio. ( 88 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; invariato in LSF, II, p. 239 e in VIEILLARD- BARON (1976): p. 118. 170 HEGEL E ARISTOTELE tivit creatrice dellanima del mondo, e vede lautorit dei Pi- tagorici attestata attraverso i dati empirici raccolti dallastrono- mia ( 89 ). Ci pare evidente che tutti coloro i quali nella serie proposta nel De orbitis vedono solo una condivisione della tradizione pitago- rico-platonica, senza chiamare, o pensare di chiamare in causa, lin- terferenza di un influsso aristotelico, possono affidare la loro credi- bilit solo alle ipotesi che qualche anno dopo, nelle Lezioni, o Hegel fosse inconseguente con la posizione della Dissertatio, oppure aves- se totalmente cambiato idea su questo singolo punto, rendendo solo allora, tra laltro, pienamente coerente la propria personale condivisione dei concetti chiave della Metafisica. Bench la questio- ne non sia mai stata affrontata in questo modo, c da dire che un importante indizio parlerebbe a favore di un simile mutamento di prospettiva: il fatto che nel par. 224 dellEnciclopedia di Heidelberg (1817) Hegel ammetta a chiare lettere di non ritenersi pi soddi- sfatto di quel suo tentativo di costruire una serie filosofica al posto della progressione aritmetica rappresentata dalla legge di Titius- Bode. Si potrebbe pensare che una simile presa di distanza sia stata motivata dal suo prendere atto ( 90 ), nel frattempo, della scoperta di Cerere (gi avvenuta nel gennaio 180l), e in seguito di altri asteroi- di. Messo di fronte a una serie di verifiche empiriche della serie astronomica, Hegel avrebbe ben potuto ritenere confutata la sua controproposta. Questo almeno era quanto lo invitavano a fare gli scienziati ( 91 ). Ma questa non fu lopinione di Hegel, che certo non ( 89 ) BAUM (1989): p. 140. ( 90 ) Cf. HARRIS (II), p. 96 e HSLE (1987), I, nota 85, pp. 95-96. ( 91 ) Le reazioni del mondo scientifico (von Zach, Schleiden) al De orbitis sono ben documentate in NEUSER (1986): pp. 4-5. Cf. anche FERRINI (1991): nota 72, p. 475 per il poco lusinghiero giudizio che il Duca di Gotha e Altenburg scrisse su una copia della Dissertatio di Hegel, inviandola al suo astronomo di corte, Baron von Zach, appunto. 171 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica mostr di dare valore epistemologico di experimentum crucis a tali nuovi dati sperimentali. Nella Fenomenologia ad esempio, la scoper- ta di un nuovo pianeta, il quale, bench individuale, possiede la natura di un universale, vista come un colpo di fortuna ( 92 ), non dunque come lespressione della conformit ad una legge di un prodotto naturale specifico; nelle Lezioni sui Pitagorici, a proposito della verifica delle previsioni fornite dalla serie, con l individua- zione di Cerere, Vesta, Pallade etc., si parla ugualmente di Glck, fortuna (la stessa espressione si trova nelle Vorlesungen, Bd. 7, Teil 2, p. 43, 203), e nello stesso par. 224 lautocritica nei confronti della Dissertatio introdotta dalla affermazione che lastronomia non ha ancora scoperto alcuna legge effettualmente reale (wirklich) circa le distanze, anzi, si dimostrata incapace di scoprire perfino qualco- sa di razionale. chiaro dunque che nellottica di Hegel tali sco- perte non comportavano di per s lelevazione dellinsieme dei nu- meri di Titius-Bode a serie conseguente, e quindi non erano suffi- cienti ad operarne il passaggio da semplice progressione aritmetica a legge scientifica ( 93 ), venendo cos a delegittimare, di diritto, la sua alternativa formulazione simbolica su basi filosofiche. Per Hegel si passa infatti dal livello dellosservazione, espressa quantitativa- mente, di una regolarit in natura, al livello della legge, quando si trovata una forma universale, una formula, in virt della quale si ricavino quelle stesse grandezze o se ne prevedano con successo del- le altre: un gran merito, quello dimparare a conoscere i numeri ( 92 ) HEGEL, GW, Bd. 9, p. 139, 29-33. Sulla casualit della scoperta di Piazzi, cf. FERRINI (1991): nota 71, p. 475. ( 93 ) Scrive Neuser: Come dobbiamo valutare oggi lo status conoscitivo del- la serie di Titius-Bode? Si d una moderna teoria astro-fisica che chiarisca in modo soddisfacente le distanze dei pianeti nel sistema solare sulla base di una teoria for- te? La serie di Titius-Bode fino ad oggi non ha esperito alcuna fondazione fisica. La posizione degli astrofisici nei confronti di essa ondeggia tra un completo rifiuto (H. Alfvn e G. Arrhenius) e lipotesi che almeno i primi valori della serie indichino i membri iniziali che potrebbero riprodurre una legge fisica (C.F. von Weizsscker) (NEUSER (1986): p. 57). 172 HEGEL E ARISTOTELE empirici della natura, p. es. le distanze dei pianeti fra loro; ma un merito infinitamente pi grande di far sparire i quanti empirici, elevandoli in una forma generale di determinazioni quantitative, co- sicch diventino momenti di una legge o misura ( 94 ). Queste considerazioni ci permettono di affermare che cade largomento di pi vistosa immediatezza che si potrebbe trovare a favore della tesi di uno iato tra Dissertatio e Lezioni sul valore reale e fisico da attribuire ai numeri pitagorico-platonici: dato che la sco- perta di corpi celesti intermedi tra Marte e Giove (non inficiando di per s il ricorso a una serie filosofica) non poteva costituire la base per passare da una (supposta) attestazione dellautorit dei Pitago- rici alla considerazione dei loro numeri come sterili e aridi. Inoltre abbiamo mostrato altrove che altre ragioni, di ordine logico, ed in- terne ad uno sviluppo della riflessione hegeliana sul rapporto tra determinatezza quantitativa estrinseca e misura specifica (nelle due edizioni della Dottrina dellessere), possono giustificare sia la presenza dellautocritica del 17, sia la cancellazione di questa nelle successive edizioni dellEnciclopedia ( 95 ). ( 94 ) SL, I, p. 384. Il testo invariato nelle due edizioni (1812: GW, Bd. 11, p. 201, 7-11 e 1832: GW, Bd. 21, p. 340, 14-18) della Dottrina dellessere. Un ulteriore livello poi costituito dalla dimostrazione non pi matematica, ma filosofica, di tali leggi scientifiche (il passo prosegue con lesempio della legge di caduta dei gravi di Galileo e della terza legge di Keplero: Si deve per esigere una dimostrazione ancora pi alta di queste leggi, nientaltro, cio, se non che le loro determinazioni quantitative si conoscano dalle qualit o concetti determinati che vengon messi in relazione (come spazio e tempo)). Torna qui il motivo della maggiore purezza della riflessione di Keplero rispetto a quella di Newton (vedi supra nota 42), il cui vero merito, per Hegel va circoscritto allintroduzione di un migliore sistema notazionale e del metodo dell analisi matematica. ( 95 ) A questo problema ho dedicato il mio contributo (dal titolo: Framing Hypoteses: Numbers in Nature and the Logic of Measure in the Development of Hegels System) al 13 incontro biennale della Hegel Society of America: Hegels Philosophy of Nature, Washington D.C., 30 sett./2 ott. 1994 (ne prevista la pubblica- zione nei Proceedings del Convegno: a cura di S. Houlgate, SUNY Press, Albany N.Y., 1997). Scrive invece Neuser, motivando la sola mossa del 1817: La serie numerica di Hegel [nel 1801] era stata formulata senza alcuna comprensibile fondazione filosofi- ca (NEUSER (1986): p. 58). 173 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica A questo punto non ci resta che verificare le due ipotesi di continuit o di rottura tra Dissertatio e Lezioni, esaminando diretta- mente le ultime battute del De orbitis. 8. Quid ... philosophia valeat Hegel introduce largomento delle di- stanze tra i pianeti come un esempio che conforta la sua critica ai fautori del metodo sperimentale ed induttivo per la scoperta delle leggi della natura; in altre parole, solleva la questione della struttu- ra concettuale che permette loro di matematizzare i dati empirici. E la solleva dal punto di vista di chi crede che la naturam a ratione conformatam esse ed persuaso de identitate omnium legum naturae. Gli altri invece riconoscono quellidentit di ragione e di natura, gioendone, quando si imbattono per caso nellaspetto (species) di una legge (per esempio rilevando una certa regolarit, di cui si d una formulazione matematica). Ma ecco che, di fronte al sembiante di una conformit, trovata per combinazione, tra fe- nomeni naturali e patterns razionali, latteggiamento dei ricercatori che si affidano totalmente al metodo empirico e induttivo si rove- scia automaticamente in un approccio astratto e dogmatico, qualo- ra vengano osservati altri fenomeni che mal si adattano al quadro stabilito: sono in dubbio sugli esperimenti, e si sforzano in ogni modo di stabilire larmonia tra legge e fenomeni (de experimentis subdubitent, et utriusque omni modo harmoniam constituere studeant) (De orbitis, p. 31, 30-32) ( 96 ). ( 96 ) Non crediamo di scadere nel generico se accostiamo questo passo alla cri- tica che Aristotele muove allastrattezza e allapproccio pitagorico quando si tratta di passare al concreto, in Met., I 5, 986 a 4-11 e in De Caelo, II 13, 293 a 23-27. Non solo entrambi i luoghi sono ricordati da Hegel nelle Lezioni sulla storia della filosofia (HEGEL, SW, Bd. 17, 1, pp. 281-282; LSF, I, p. 252; vedi anche Vorlesungen, Bd. 7, Teil 2, p.42, 158-159), ma a livello semantico il passo della Dissertatio presenta delle affinit con il brano del De Caelo. Scrive Aristotele: [i Pitagorici] ricercano infatti le ragioni e le cause non riportandosi a ci che si osserva ma piuttosto riconducendo a forza (proselkontes; Hegel: omni modo) i fenomeni a certe loro ragioni e opinioni, e tentando 174 HEGEL E ARISTOTELE Un esempio, appunto, di tale attitudine degli scienziati, per Hegel il caso del rapporto (ratio) delle distanze dei pianeti. La serie di Titius-Bode, formulata sulla base di un certo rapporto (ratio) di progressione aritmetica che si osserva in natura, prevede un quinto termine, da situarsi nellintervallo tra Marte e Giove. Mal- grado a ci non corrisponda alcun pianeta ( 97 ) nella natura (igno- rando dunque, dal punto di vista di Hegel, levidenza empirica), si ritiene che esso esista veramente, e lo si cerca con assiduit (De orbitis, p. 31, 37-39). Riteniamo che ad Hegel questo solo argomento bastasse per escludere un simile rapporto di progressione aritmetica dallam- bito della filosofia della natura: proprio perch tale, essa non potreb- be mai assumere ad oggetto ci che, non attenendosi, sul piano del contenuto, an den Schein der Sinne, allempiria, non pu quindi pretendere di cogliere luniversale nella/della natura stessa, di rap- presentarne una legge ( 98 ). Ma al pi un tale ordine di considera- zioni rimane implicito in questa sede, essendo Hegel qui interessa- in questo modo di armonizzarli (peiro menoi sunkosmein; Hegel: harmoniam constituere studeant) e condurli a un tutto ordinato. ( 97 ) Vi sono due ipotesi possibili per spiegare questa frase, dato che Cerere era stata scoperta nel gennaio 1801 andando ad occupare proprio il quinto posto della progressione: o Hegel non ne era al corrente (cosa che a BUCHER (1983): p. 117 pare difficilmente sostenibile) o non credeva che il corpo scoperto fosse un pianeta (in effetti al tempo questa era solo uneventualit non provata, rimanendo aperta laltra possibilit che si trattasse piuttosto di una cometa, come daltronde Herschel ancora riteneva nel novembre 1802: vedi NEUSER (1986): pp. 53-55). Sullapprezzamento hegeliano del valore dellesperienza e dellevidenza empirica, e per una lettura non dogmatica ma ipotetica di questa ultima pagina del De orbitis, cf. WASZEK (1988): pp. 50-51. ( 98 ) Cf. HEGEL, Werke, 9, II, par. 246; Enc., p. 220 (tr. it. da me rivista): quella che ora si chiama fisica [...] considerazione teoretica, e cio pensante, della natura [...] diretta alla conoscenza delluniversale di essa, in modo che questo universale sia insie- me determinato in s: alla conoscenza cio delle forze, delle leggi, dei generi [...] Poich la filosofia della natura considerazione concettuale, essa ha per oggetto lo stesso univer- sale, ma preso per s; [...] Non solo la filosofia deve concordare con lesperienza della natura, ma la nascita e la formazione della scienza filosofica ha per presupposto e con- dizione la fisica empirica. 175 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica to ad evidenziare le carenze formali della serie di Titius-Bode, por- tando il discorso sul piano della determinazione dei rapporti (rationes) filosofici tra numeri: da un tale punto di vista, essa non in nessun modo di pertinenza della filosofia, in quanto la progressione aritmetica e ne numerorum quidem ex se ipsis procreationem i.e., potentias sequatur. Da notare che, a differenza di quanto farebbe supporre la traduzione italiana ( 99 ), Hegel ha evi- tato di scrivere ex se ipsis generationem. In altre parole, introdu- cendo il tema classico ( 100 ) della produzione dei numeri, non ha scelto di usare un linguaggio temporale e biologico, come aveva fatto Platone per la loro derivazione, in questo criticato da Aristote- le ( 101 ). inoltre da sottolineare la frequenza con cui compare il ter- mine ratio nei luoghi che stiamo commentando: 5 volte nel senso di rapporto in 17 righe, da p. 31,32 a p. 32,7; e 3 volte nel senso di ragione in 7 righe, a p. 31, 21-27. Hegel non parla mai quindi di puri, semplici numeri, ma sempre dei loro rapporti. Anche quando introduce la famosa serie, precisa che Timeo non la riferiva ai pia- neti, ma che riteneva che il Demiurgo avesse conformato lUniver- so ad quorum rationem, secondo il loro rapporto ( 102 ). Questo ( 99 ) NEGRI (1984): p. 61: Ma questa progressione, poich aritmetica e non segue neppure la generazione dei numeri da se stessi, cio le potenze, non affatto di competenza della filosofia. ( 100 ) Cf. ANNAS (1976): pp. 42-55. ( 101 ) Scrive la ANNAS (1976): p. 43: Platone ebbe la tentazione di usare un linguaggio temporale ed, in effetti, biologico, nella sua spiegazione del rapporto tra i numeri, luno e il due indefinito. Aristotele riferisce che in Platone si trova una generazione dei numeri, e sebbene talvolta il linguaggio sia vago (Met., XIII 6, 1080 a 14-16; 9, 1085 b 7), ci sono molti usi espliciti del verbo per venire allessere (I 6, 987 b 22-35; XIII 7, 1082 b 30; XIV 1, 1087 b 7; 3, 1091 a 4-5). Una volta (I 6, 988 a 1 sg.) Aristotele conta su ci per un motto di spirito sulla parentela dei numeri. In effetti mostra che Platone, dal suo linguaggio, portato a sostenere che la produzione dei numeri sia un processo temporale, e non meramente logico (XIV 4, 1091 a 23-28). ( 102 ) Aristotele allude a questi stessi numeri del Timeo in De An., I 3, 406 b 27. Cf. RODIER (1985), pp. 91-100 per un dettagliato commento (improntato a quello di 176 HEGEL E ARISTOTELE un motivo che Aristotele (in cui si riscontra un analogo duplice im- piego di logos) fa valere ( 103 ) contro ogni concezione che assuma il numero, in generale o quello che consiste di unit astratte, come causa efficiente, materia, concetto o forma delle cose, oppure come causa finale: Evidentemente i numeri non sono n la sostanza n le cause della forma; poich il rapporto (logos) la sostanza, mentre il numero la materia ( 104 ). Questa posizione implica che il nume- ro, qualunque esso sia, sempre numero di certe cose, ed quindi un termine relativo, che presuppone un oggetto indipendente cui riferirsi ( 105 ). Scrive Aristotele che se poi si sostiene che le cose di questo mondo sono rapporti (logoi) numerici come avviene, ad esempio, negli accordi musicali non si potr ovviamente negare almeno lesistenza di un qualcosa (che poi la materia) di cui esse sono rapporti (Met., I 9, 991 b 14-16). Tutti questi argomenti aristo- telici sono rivolti, com noto, nella stessa direzione: confutare la dottrina platonica per cui gli enti matematici esistono separata- mente dagli oggetti sensibili. Pi precisamente, la concezione per cui essi devono essere necessariamente anteriori alle grandezze sensibili (cf. Met., XII 2, 1077 a 16-19). Abbiamo richiamato questo specifico aspetto della critica di Aristotele a Platone perch ci pare lunico modo convincente, congruo con i presupposti e gli orientamenti storico-filosofici della Dissertatio, di spiegare il seguente passo di Hegel: Series numero- Zeller) della divisione operata dal Demiurgo. Rodier ripartisce i numeri della serie in due progressioni geometriche: una di ragione 2 (1; 2; 4; 8), laltra di ragione 3 (1; 3; 9; 27), in vista di sette cerchi inuguali cui corrispondono le distanze dei pianeti, commentando: Vale a dire che il Sole, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno sono rispettivamente 2, 3, 4, 8, 9 e 27 volte pi lontani dalla terra che la luna (ib., p. 93). Per lintero contesto cf. MOVIA (1992), pp. 248-249. ( 103 ) In Met., XIV 5, 1092 b 23-25. ( 104 ) Met., XIV 5, 1092 b 16-17; cf. ROSS (1924), II: p. 495, commento a 16-17: se larmonia un logos arithmon, i numeri sono semplicemente la materia, lessenza e il rapporto (ratio). ( 105 ) Cf. Met., XIV 5, 1092 b 20, e ANNAS (1976): p. 35. 177 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica rum est 1, 2, 3, 4, 9, 16, 27: 16 enim pro 8 quem legimus ponere liceat. Perch il sesto termine originale, 8, viene sostituito con il 16? E che conseguenze ha questa operazione sulla natura della serie? Donde ricava la sua legittimit quel ponere liceat? I commentato- ri pi accreditati spaziano da un la sostituzione inesplicabile, tanto disinvolta ( 106 ), ad un Hegel sostituisce, senza giustifica- zione filosofica, il 16 all8, per ottenere una serie ascendente ( 107 ). Concordiamo con Neuser che la variazione introdotta intesa a co- stituire una simile serie: l8, dopo il 9, avrebbe rappresentato un passo indietro. Ma nei confronti di cosa? Delle distanze effettiva- mente esistenti, e continuamente crescenti, dei pianeti dal sole. Ora, coerentemente con la sua concezione del numero come termi- ne relativo, Aristotele aveva sostenuto, contro Platone, che i nume- ri non sono in realt anteriori, bens posteriori alle grandezze sensi- bili (Met., XIII 2, 1077 a 19); in linea con tutti gli elementi preceden- temente raccolti, ci pare che nel complesso giochi qui la valutazio- ne hegeliana, gi ricordata, che Aristotele avesse sempre dinanzi a s la natura concreta delloggetto, una costante preoccupazione che agiva come una sorta di spirito direttivo, non lasciando libere per s le determinazioni della riflessione. Neuser scrive che lintervento di Hegel privo di fondamen- to, per De Gandt esso rimane senza spiegazione, ma se facciamo intervenire, allinterno di questo riferimento hegeliano alla tradi- zione pitagorico-platonica, listanza anti-platonica della priorit delloggetto concreto e fisico sulla riflessione, dello Schein der Sinne sui Grnde, allora la mossa di Hegel diventa comprensi- bile e filosoficamente motivata, nonch sottilmente ironica ( 108 ), se- ( 106 ) DE GANDT (1979): p. 164, nota 68. ( 107 ) NEUSER (1986): p. 51. ( 108 ) Cf. FERRINI (1991): p. 467. La lettura via Aristotele che propongo, nel presente lavoro, del significato della manipolazione hegeliana della serie in De orbitis p. 32, 7-12 integra quella allora proposta. 178 HEGEL E ARISTOTELE condo il suo tipico schema del rovesciamento: non aveva poco pri- ma sottolineato lerrore di coloro che omni modo cercavano di ar- monizzare eventuali fenomeni discordanti dalla regola precedente- mente stabilita? Non abbiamo mostrato come anche stilisticamente questa critica riecheggiasse quella che Aristotele aveva rivolto ai Pitagorici? Ed ecco che Hegel si permette un approccio altrettanto (solo apparentemente) arbitrario e dogmatico proprio a una dottri- na pitagorica, ma che arbitrario e dogmatico in realt non , perch non aggiusta il fenomeno empirico alla espressione quantitativa della sua regolarit (dato che quinto autem progressionis membro in natura planeta non respondeat), ma questa formulazione al fe- nomeno, la priorit del quale (e, filosoficamente, questa priorit Aristotele che la fonda) rende lecito porre 16 al posto di 8. Se sufficientemente chiaro il significato dellintervento di Hegel sui contenuti della serie: salvare i fenomeni, e non un sem- biante di legge (come tentano di fare in ogni modo coloro che si affidano invece alla sola esperienza e induzione), resta da vedere cosa comporti lintroduzione del 16 (che possiamo scrivere come 2 4 ) sulla forma di essa. I commentatori ci dicono che i numeri tra- mandati dai due Timeo non costituiscono una semplice progressio- ne aritmetica (come quella di Titius-Bode ( 109 ), che come tale non offre nulla al concetto, allidea ( 110 )), bens sono una serie di po- tenze ( 111 ) o quantomeno una serie basata sulle potenze del due e del tre ( 112 ). Ricordiamo che, nelle Lezioni, Hegel chiarir che con- sidera quella stessa serie come formata dalla giustapposizione di un rapporto aritmetico (1; 2; 3) e un rapporto geometrico costante (scrivendo 4; 9; 8 e 27 come 2 2 ; 3 2 ; 2 3 ; 3 3 ) ( 113 ). Ora cosa succede se al ( 109 ) Cf. BAUM (1989): p. 139. ( 110 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; LSF, II, p. 239; VIEILLARD-BARON (1976): p. 118. ( 111 ) DE GANDT(1979): p. 51. ( 112 ) HARRIS (II): nota 1, p. 93. ( 113 ) Nelle Lezioni si dice che una simile combinazione priva di significato speculativo (per tutto il contesto, polemico nei confronti di una applicazione diretta 179 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica posto di 2 3 poniamo 2 4 ? Semplicemente, la serie non pi iterabile ( 114 ). In linea di principio, in quella originale, possiamo aggiungere un ottavo membro (sarebbe 2 4 ), un nono (3 4 ), e cos via. La sostituzio- ne dell8 con il 16 ha per conseguenza linterruzione della chiara legge generativa della serie. Neuser osserva che il 27 finale la con- cludeva perch segue dalla serie numerica, ma rappresenta anche la somma di tutti i numeri precedenti ( 115 ). Ora questo evidente- mente un criterio arbitrario: potrei allo stesso modo scegliere di fer- marmi allottavo membro, 16, perch se divido per esso la somma dei primi 7 numeri (54) ottengo il rapporto tra il settimo e il sesto termine (27/8) etc. La rottura della consequenzialit della serie, che per Hegel ne costituisce per anche la razionalit, rende logica- mente necessario (e per una logica interna, dato che non posso deri- vare in alcun modo lottavo numero) che i membri siano soltanto sette, quanto i pianeti allora noti. Si viene a produrre cos a livello formale quella necessit del contenuto ( 116 ) che mancava di essere immanente alla serie originale (frutto, come ricordava Findlay, del- lazione benevola, non logicamente necessaria, di un Demiurgo privo di invidia), a spese tuttavia della sua coerenza interna. In al- tre parole, con questi rapporti numerici non si fa molta strada (corsivo mio) non solo nelle Lezioni ( 117 ), ma anche nella Dissertatio. Va da s che lipotesi alternativa, che qui Hegel stia solo rife- rendosi alla tradizione dei due Timeo affermandone lautorit, e dia quindi valore reale e fisico alla serie, diversamente che nelle Lezio- dei numeri pitagorico-platonici al sistema delle sfere celesti, dato che si guarda piut- tosto al rapporto dei momenti che si differenziano nel movimento, cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, pp. 258-260; LSF, II, pp. 237-239. ( 114 ) Ringrazio il Prof. M. Nasti De Vincentis per aver portato la mia attenzio- ne su questo punto. ( 115 ) NEUSER (1986): p. 51. ( 116 ) Per il modo in cui il necessario si inserisce nelle cose naturale vedi ARI- STOTELE, Fisica, II, 8-9. ( 117 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; LSF, II, p. 239. 180 HEGEL E ARISTOTELE ni, non fornisce alcuno strumento, come abbiamo visto dai com- menti, per comprendere la sostituzione/correzione e le sue impli- cazioni. Tale lettura non rende inoltre conto di una peculiare mo- venza retorica del testo latino, che ben si inquadra invece nella no- stra interpretazione, secondo cui Hegel piuttosto mostra la parzia- lit e l insufficienza di quella serie antica come tale, a meno di non sottoporla, come vedremo ancora, a certe operazioni. Al ponere liceat, segue infatti: Quae series si verior naturae ordo sit, quam illa arithmetica progressio, inter quartum et quintum locum ma- gnum esse spatium, neque ibi planetam desiderari apparet. Vale a dire che quando Hegel parla dei numeri (modificati) dei due Timeo come di un ordine della natura pi vero di quello offerto dagli astronomi, lo fa con lapodosi allindicativo (apparet) e la protasi al congiuntivo (sit); secondo un periodo ipotetico delloggettivit che esprime un forte accento di eventualit, e che potremmo introdurre con un nel caso che, qualora ( 118 ). In effetti, Hegel abbandona ogni cautela solo dopo aver consi- derato le radici cubiche di quegli stessi numeri elevati alla quarta potenza, secondo la formula (x 2 ) 2/3 , scrivendo: rationes distantia- rum planetarum esse invenies: troverai che esse sono i rapporti per le distanze tra i pianeti (corsivo mio). In questo modo si ricava una serie numerica che, pur utilizzando ununit di misura diversa da quella della serie di Titius-Bode, pure effettivamente si appros- sima considerevolmente ai valori delle tabelle astronomiche del- lepoca ( 119 ). Se per Neuser una simile operazione matematica di nuovo senza fondazione filosofica, cos invece la legge Harris, prendendo sul serio lintenzione hegeliana di dare effettivo valore reale e fisico ai numeri antichi: Hegel voleva generare da questa se- rie i rapporti di intervallo richiesti attraverso una operazione po- ( 118 ) Questo aspetto retorico, che indica il valore solo ipotetico della serie pitagorico-platonica stato pi volte rilevato dagli interpreti (HSLE (1987), I: nota 85, pp. 95-96; NEUSER (1986): nota a p. 32, 12, p. 161; FERRINI (1991): p. 467). ( 119 ) Per tutta la questione rimandiamo alla documentazione e allanalisi of- ferte da NEUSER (1986): pp. 51-52 e p. 54. 181 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica tenziale su di essa ( 120 ). A parte le riserve che abbiamo gi espres- so sulluso del verbo generare, Harris giustamente ricorda a que- sto punto i prerequisiti che Hegel stesso aveva prima enunciato af- finch una serie numerica risultasse di pertinenza della filosofia. Di fatto Hegel, elevando alla quarta potenza i numeri dei Timeo (in cui introduce un mutamento ulteriore per ottenere il primo valore: 1,4 delle tabelle delle distanze dei pianeti dal sole), ottiene una nuova serie, le cui basi sono tutte potenze (elimina quindi ogni rapporto aritmetico in essa), e che la precedente ha procreato da se stessa. Lestrazione poi di radice, essendo il modo inverso di quello poten- ziale, non modifica questo aspetto, secondo cui il numero non ope- ra come un agglomerato di unit che sottoposto a addizione o sot- trazione perderebbe la propria identit, ma posto come un princi- pio che si d la propria regola e limite di accrescimento/diminu- zione (mutamento). Che valore filosofico ha questa mossa? Ed possibile, per concludere il nostro discorso, che anche in questa ulteriore modifi- ca che Hegel apporta alla tradizione pitagorico-platonica (lunico riferimento esplicito di queste righe) sia presente un influsso aristotelico? La risposta alla prima domanda ci permette di allargare il contesto storico-filosofico ai Naturphilosophen dellepoca. Nello Erster Entwurf del 1799 Schelling aveva fatto ampio uso di una dot- trina del potenziamento (per individuare diversi livelli di produtti- vit nella natura, e definirne le tappe di transizione verso lo spiri- to) nella costruzione della sua teoria dinamica della materia e della sua visione della natura come divenire, processo formatore e siste- ma di gradi, attivit infinita, in cui meccanismo e finalismo sono collocati allinterno di una prospettiva sistematica e unitaria ( 121 ). E ( 120 ) HARRIS (II): p. 93. ( 121 ) Cf. BLOCH (1975): pp. 294-295. Sulla dottrina delle potenze nei vari scritti di Schelling, Cf. ESPOSITO(1977): pp. 94-97 e 103-104; per lEntwurf, in particolare, cf. TILLIETTE (1992): pp. 178-179. 182 HEGEL E ARISTOTELE nella Darstellung meines Systems der Philosophie, che precede di po- chi mesi la Dissertatio, le potenze (nel senso della Steigerung) sono i modi attraverso cui si esprime la determinatezza della diffe- renza quantitativa di soggettivit e oggettivit: le quali, facendo parte della forma dellessere dellidentit assoluta, e per conse- guenza della forma di ogni essere, non stanno forse insieme in uguale maniera, ma cos, che reciprocamente potrebbero essere po- ste come prevalenti (par. 23). Nel suo approccio complessivo, Schelling era stato influenzato dalla visione vivente e dinamica della natura di Baader, che nei Beitrge zur Elementarphysiologie del 1796 ( 122 ) aveva tra laltro distinto tra aritmetica vivente e arit- metica morta. La prima era lo strumento dei ricercatori dinamici della natura, intenti alla costruzione dei fenomeni, i quali opera- vano attraverso la moltiplicazione e lelevazione a potenza, la divi- sione e lestrazione di radice. La seconda consisteva nelladdizione e nella sottrazione, proprie dei fisici meccanicistici che si limitava- no a spiegare i fenomeni naturali. Se questo tipo di riferimento fa capire quanto Hegel, utilizzando elevazione a potenza ed estrazio- ne di radice, parlasse nel linguaggio abituale di una linea di studi nuova, ma dalle caratteristiche gi ben definite e affermate, questo suo dialogare non deve far perdere di vista la specificit delluso di tali operazioni, che ci riporta nuovamente alla matematica antica. Nella Tesi IV premessa al De orbitis, ad esempio, Hegel non parla di aritmetica vivente, bens di aritmetica vera, e quello che dice, malgrado nessun interprete finora lo abbia rilevato ( 123 ), ( 122 ) Cf. BAADER, SW, III, Gesammelte Schriften zur Naturphilosophie, p. 215. Nelle Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, pp. 185-186, 456-461, Hegel sottolinea il debito contratto da Schelling con Eschenmayer riguardo alluso delle potenze, e come il primo se ne servisse alla stregua di differenze fisse. ( 123 ) Cf. WASZEK (1987): pp. 255-260, per una bibliografia ragionata dei com- menti alle varie Tesi (le edizioni di Neuser e di De Gandt si limitano ad offrire la sola traduzione del testo latino); rispetto alla Tesi IV, Waszek ricorda lopinione di Haering, per cui insieme alla III e alla V, descritta seguire il vivo interesse di Schelling per la filosofia della natura (pp. 255-256). 183 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica appare meno unipotesi personale votata al fallimento ( 124 ) o un mettersi sulla scia della filosofia della natura schellingiana, se la leggiamo alla luce di quella pagina del Parmenide platonico (143 a - 144 a ) conosciuta come generazione dei numeri ( 125 ), nonch di certe osservazioni aristoteliche sulla natura e sulla produzione di tutti i numeri, in Met., VIII 3, 1043 b 33-1044 a 2 e XIII 8, 1083 b 36- 1084 a 7: In Arithmetica vera nec additioni nisi unitatis ad dyadem, nec subtractioni nisi dyadis a triade, neque triadi ut summae, neque unitati ut differentiae est locus. I punti di contatto con il dialogo platonico, sono, a nostro parere: i) che nellaritmetica vera non ci sia posto per la triade come somma ( 126 ) (vale a dire come ope- razione tra addendi), bens, si potrebbe completare, come un tut- to, almeno secondo largomento del Parmenide 143 d , dove: tria gignetai ta panta. ii) Che non ci sia posto per lunit come differenza. Fatta salva la mediazione della tradizione dellaritmetica speculativa che pu rendere conto, tra laltro, tanto della distinzione tra lo hen del Parmenide (che corrisponde al latino unum) e la unitas hegeliana (che corrisponde al greco monas), quanto del passaggio dallalterit indeterminata come heteron alla alterit determinata della Tesi IV (la differentia) ( 127 ), riteniamo che questultima affermazione trovi ( 124 ) Cos ROSENKRANZ (tr. it.): p. 175 commenta questa Tesi: Anche questa proposizione, che avrebbe dovuto presentare la formula pi semplice per i diversi sistemi di calcolo, conteneva in embrione unaspirazione fondamentale di Hegel, che pot essere realizzata cos poco come quella sul calcolo delle orbite dei pianeti. ( 125 ) Ma cf. ALLEN (1983): pp. 227-228, secondo cui sbagliato ritenere che la classificazione dei numeri offerta in questo passo sia un dar conto della loro genera- zione, trattandosi piuttosto della presentazione di una prova di esistenza. ( 126 ) A differenza di quanto si legge nella traduzione italiana (NEGRI (1984): p. 89; cf. anche nota 5, p. 94), la seconda parte della Tesi sostiene che non c posto, nellaritmetica vera, per la triade come (ut) somma, e per lunit come (ut) differenza. ( 127 ) Ringrazio il Prof. M. Nasti De Vincentis per avermi fatto pervenire la seguente precisazione: tesi classica dellaritmetica speculativa di tradizione plato- nica (pitagoreggiante) infatti linalterabilit dellunit. Ad es., in una tarda epitome come il Suntagma di Pachimere (cf. TANNERY (1940): p. 11, 13-16) ancora possibile 184 HEGEL E ARISTOTELE quantomeno il suo punto di partenza in quella espressione platoni- ca secondo cui lUno e lessere altro si possono con diritto chiamare una coppia (ampho), poich: Lessere altro non lo stesso n del- lUno n dellessere (143 b ): Hoste ou tauton estin oute toi heni oute tei ousiai to heteron. iii) Il fatto che non ci sia che addizione dellunit alla diade e sottrazione che non sia della diade dalla triade, cio tra quanta che sono (non hanno) un principio di unit, ci fa inoltre pensare ad una risposta allosservazione di Aristotele (Met.,VIII 3, 1043 b 33-35) per cui se i numeri sono sostanze (ousiai), lo sono nel senso in cui luomo non animale + bipede, vale a dire non sono un aggrega- to di unit (legousi monadon), un di pi e di meno, cui possono ve- nir sottratti o aggiunti degli elementi, ma qualcosa in virt del qua- le sono un tipo di unit, in atto e con una natura determinata, che tiene insieme le parti. La polemica rivolta contro Pitagorici e Pla- tonici ( 128 ) che non sarebbero in grado di dire in virt di che cosa il leggere che la monas cosi chiamata perch i numeri (costituiti da collezioni di unit) e lunit stessa non si alterano in alcun modo (medamos alloiousthai); e, aggiunge Pachimere: allen tauto i diamenein: hapax gar ta pente, authis pente, kai hapax ta deka, deka). Si potrebbe quindi suggerire che la differentia della Tesi IV di Hegel termine reso da Neuser con Differenz, mentre al to heteron del Parmenide viene fatto corrispondere di solito il tedesco Verschiedenheit sia ricollegabile alla nozione di alterit determi- nata come alloiosis. N (prima di un esame ancora pi ampio, di possibili fonti) appa- re lecito escludere sempre allinterno dellaritmetica speculativa e del platonismo pitagoreggiante lulteriore mediazione offertaci dalla teoria dei numeri figurati (in special modo i lineari e triangolari), dove i contenuti salienti della Tesi IV possono trovare, in effetti, puntuale riscontro entro un arco di testi e di autori che, per ricorda- re solo i pi antichi, spazia da Nicomaco, Boezio, Teone e Giamblico fino a Luciano e Plutarco. A conferma dellopportunit di questa osservazione, che qui non possia- mo ulteriormente sviluppare, facciamo presente che al n. 408 del Verzeichnis (p. 19) corrisponde un esemplare a fogli sciolti, e senza data, del commento di Giamblico alla Introduzione allaritmetica di Nicomaco, con versione di Tennulio (verosimilmente ledizione pubblicata apud J.F. Hagium nel 1668: cf. MENSE (1993): p. 672, che per non fornisce questa descrizione dello stato dellesemplare); e ai nn. 450-458 (pp. 21-22), ledizione Bipontina del 1789-1793 dellopera di Luciano graece et latine, ad editionem Tiberii Hemsterhusii et Joannis Frederici Reitzii accurate expressa (assente in Mense). ( 128 ) Cf. Ross (1924), II, commento a 1043 a 34, p. 233. 185 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica numero uno e non una sorta di mucchio, quando il numero (co- me la definizione) perde la sua identit se qualcosa sottratto da o aggiunto a esso ( 129 ). Che il contenuto di questa Tesi IV costituisca anche lo sfondo su cui collocare lultima pagina del De orbitis ci sembra sostenibile per il seguente ordine di considerazioni: 1) nella prima parte del passo citato dal Parmenide (a conclusione del quale abbiamo la ge- nerazione, rispettivamente, di numeri pari e numeri dispari) ab- biamo un processo di infinito raddoppiamento che ben corrispon- de alla maniera in cui numeri della forma 2 n sono prodotti da 2. Il processo cos simile a quello della produzione delle potenze di 2 dal due indefinito ( 130 ). Nella prospettiva platonica, dunque, le potenze di due sono pensate come i numeri pari par excellence ( 131 ), anche se il dialogo non mantiene la promessa di dare conto della generazione di tutti i numeri: Ma il due non ha prodotto tutti i numeri pari, solo le potenze di due. Potenze di due pi numeri di- spari non arrivano a tutti i numeri ( 132 ). 2) Tuttavia, quando Hegel mette sotto radice cubica i quadrati dei numeri platonici, al- ( 129 ) Cf. ib., commento a 1043 a 36, p. 231. Nella Scienza della logica (in un passo invariato nelle due edizioni), verr chiarito che nellex se ipsis procreationem del rapporto potenziale, il quantum una totalit qualitativa che si pone come svilup- pata, dove lunit che in se stessa (an ihr selbst) numero di volte (numero-nume- rato: Anzahl) ugualmente il numero di volte di fronte a s come unit. Lessere altro, il numero di volte delle unit, lunit stessa: GW, Bd. 21, p. 318, 13-15; SL, p. 358. Commentano i traduttori francesi delled. del 1812: La formula generale di questa relazione luguaglianza tra un quanto semplice e un quanto elevato alla seconda potenza, - per esempio a=b 2 . Ci che qui costituisce il fatto primario lul- tima totalit, che si divide negativamente allinterno di ci che essa . Cos il terzo termine, lesponente, non pi esterno agli altri due: esso lidentit della loro identit e della loro differenza (HEGEL, Science de la logique, Ltre, ed. de 1812, trad., prs., notes par P.J. Labarrire et Gwendoline Jarczyk, Paris, Aubier-Montaigne, 1972, nota 39, p. 286). ( 130 ) ANNAS (1976): p. 49. ( 131 ) Ib. ( 132 ) Ib, p. 51. 186 HEGEL E ARISTOTELE tro non fa che elevare alla quattro terzi un rapporto geometrico (gli ultimi quattro numeri) che era gi esprimibile da potenze di due o di tre ( 133 ); e pi avanti, delle altre quattro serie che vengono pro- poste (per il rapporto tra le distanze dei satelliti di Giove e nei sa- telliti di Saturno), le uniche di cui scrive i termini sono quella da cui si ricavano i valori dei tempi periodici dei primi quattro satelliti di Saturno, e quella che esprime il rapporto tra le loro distanze, en- trambe della forma 2 n . Nel caso dei tempi, Hegel si richiama nuo- vamente ad alcuni numeri della serie dei due Timeo (1; 2; 4; 8) rica- vandone i valori ( 134 ) dalle radici quadrate di 2 9 , 2 10 , 2 11 , 2 12 ; dove i radicandi costituiscono una successione i cui termini sono tutti po- tenze di due ( 135 ). Analogamente, troviamo che la serie dei cubi dei quali le radici esprimono il rapporto delle distanze 1; 2; 2 2 ; 2 3 ; (2 4 : 2 5 ), 2 8 ; (2 12 : 2 13 ). Ora pensiamo che la ragione per cui Hegel, quando si tratta di numeri che esprimono misure della natura, rapporti tra gran- dezze concrete nella realt fisica, prediliga serie che hanno come termini (o quadrati dei termini) potenze di 2, possa essere cercata nella lettura aristotelica delle teorie dellAccademia sulla genera- zione dei numeri, in Met., XIII 8, 1083 b 36-1084 a 7. Il terzo modo di ( 133 ) Scrive Hegel in De Orbitis, p. 28, 20-27: Quum lineam esse mentem se ipsam in sua ipsius forma subjectiva producentem transitumque ejus in speciem sui vere objectivam esse quadratum vidissemus, productum contra, quod ad naturam naturatam pertinet, est cubus; spatii enim omni mentis abstractione facta se ipsum producentis tres sunt dimensiones: corpusque quod fit, est quadratum, corpus autem quod est, cubus (corsivo mio). La peculiarit dellelevazione al quadrato e al cubo rispetto a successivi gradi di elevazione a potenza, continuer ad essere affermata da Hegel: cf. HEGEL, Werke, Bd. 8, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften, I, par. 102, p. 215, Enc. (tr. it.), p. 118; e GW, Bd. 21, Wissenschaft der Logik, I (1832), pp. 201, 34-202, 1; SL, p. 227 (passo aggiunto nella seconda edizione). ( 134 ) Come si ricava facilmente, ma diversamente da quanto appare nelle varie edizioni e traduzioni del De Orbitis, i valori di questi tempi, dati nel testo originale come il risultato dellestrazione di radice, sono: 22, 32, 45, 64. Cf. FERRINI (1996): p. 16. ( 135 ) I risultati esatti delloperazione sono: 22, 62; 32; 45, 25 e 64. 187 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica cui viene dato conto ( 136 ) tende esattamente a colmare la lacuna del Parmenide, vale a dire a derivare tutti gli altri numeri pari che non sono potenze di due. Scrive la Annas: Questo suggerisce quanto segue: il due indefinito per proprio conto produce le potenze di due: date queste, luno produce i numeri dispari; ed entrambi sono an- che necessari per produrre i rimanenti numeri pari (in quanto, per- ch essi siano ottenuti devono essere disponibili i numeri dispari). Questo spiegherebbe perch Aristotele qualche volta parli come se il due indefinito producesse solo le potenze di due, e qualche volta come se producesse tutti i numeri pari: i numeri pari sono la pro- vincia del due indefinito, ma per proprio conto esso pu produrre solo i numeri pari di pari volte nel senso ristretto delle potenze di due ( 137 ). Il fatto che Hegel limiti lesposizione delle serie razionali alla forma 2 n potrebbe quindi essere visto come un aggiustamento nel senso dell ex se ipsis procreationem della pi generale (e lacunosa) teoria platonica. Con quel tipo di base, lelevazione a po- tenza rafforzerebbe il significato di non essere un mutamento ester- no cui sottoposto il numero, poich la differenza da s cui il nu- mero d origine (platonicamente) par excellence il suo proprio de- terminare. Hegel terr sempre fede a questo aspetto qualitativo del rapporto potenziale ( 138 ), che apre alla matematica la via verso il corporeo ( 139 ), in quanto rappresenta un superamento dellastrat- ( 136 ) Su cui cf. ROSS (1924), II: p. 447, commento a 1084 a 4-7. ( 137 ) ANNAS (1976): p. 52. ( 138 ) Cf. HEGEL, GW, Bd. 21, p. 319, 7-9; SL, p. 359: Il rapporto potenziale lesposizione di quello che il quanto in s (an sich), ne esprime la determinatezza o qualit per mezzo della quale esso si differenzia da altro. Vedi anche ib., p. 320, 1-4; SL, p. 360: Lesteriorit (Aeusserlichkeit) della determinatezza la qualit del quan- to; questa esteriorit quindi posta ora conformemente al concetto del quanto come il suo proprio determinare, come il suo riferimento a se stesso, la sua qualit. Il testo invariato rispetto alledizione del 1812. ( 139 ) Nello Hegel della Scienza della logica, diversamente da quanto avveniva nella Logica del 1804-05, sar la terza categoria dellEssere, la Misura, nascendo dal- 188 HEGEL E ARISTOTELE tezza e del formalismo (morta identit) del numero (contrariamen- te alla Darstellung di Schelling, dove la potenza lespressione del- la differenza (meramente) quantitativa del soggettivo e dellogget- tivo che al fondamento di ogni finito, posta invece la loro origina- ria identit assoluta come linfinito). Questa mossa, che fa tutto sommato vincere Platone in un gioco contro se stesso, appare dunque la migliore risposta alla criti- ca aristotelica alla concezione dei numeri come quiescenti (die ruhenden... Zahlen Platos), internamente privi del principio del mutamento e quindi incapaci di contribuire alla realt. Se cos fos- se, il contenuto delle Lezioni, che esamina le dottrine pitagoriche e platoniche in se stesse, non esprimerebbe una valutazione antiteti- ca alluso dei numeri dei due Timeo nella Dissertatio. Scriver Hegel nella Scienza della logica: Il quanto come determinatezza indiffe- rente si muta; ma in quanto questo mutamento un elevarsi a po- tenza, questo suo essere altro limitato puramente da s (cio dal quanto) stesso ( 140 ). Ed in una nota (aggiunta nel 1831) polemizze- r esplicitamente contro coloro che hanno usato la forma del rap- porto potenziale, come forma fondamentalmente solo quantitativa, per esprimere determinazioni di pensiero, contrapponendo loro proprio il significato aristotelico di potenza come dunamis: Il con- cetto nella sua immediatezza fu chiamato la prima potenza, nel suo esser altro o nella differenza, nellesserci dei suoi momenti, la se- conda, e nel suo ritorno in s o come totalit, la terza. Contro a ci si scorge subito che la potenza cos impiegata una categoria che appartiene essenzialmente al quanto; in queste potenze non si pensa affatto alla potentia, alla dunamis di Aristotele ( 141 ). la doppia transizione tra quantit e qualit, a svolgere questo ruolo, procedendo sia ad una matematica (sviluppo della determinazione del quantitativo) della natura, sia mostrando il nesso di questa determinazione della misura con le qualit delle cose naturali: cf. FERRINI (1988): pp. 22-31. ( 140 ) HEGEL, GW, Bd. 21, p. 318, 16-18; SL, pp. 358-359. ( 141 ) Ib., p. 321, 18-19; SL, pp. 361-362. 189 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica La nostra ipotesi di una concordanza, per questo aspetto, tra Dissertatio e Lezioni, potrebbe inoltre contribuire a spiegare un pas- so delle note redatte da Troxler, auditore del primo corso di Logica e Metafisica tenuto da Hegel allUniversit di Jena nel 1801-2, che ha lasciato perplesso leditore e commentatore del manoscritto, Klaus Dsing. Quando Hegel introduce la categoria della quantit, essa viene pensata come priva di qualit, e posto che un oggetto per Hegel esiste solo nelle sue qualit, in particolare nelle sue pro- priet essenziali ( 142 ), non sorprende trovare scritto che: la quan- tit non niente di oggettivo, perch la materia non viene affetta attraverso essa [...]. La Quantit sta interamente solo sotto la rifles- sione [= finita] e si esprime attraverso il sistema numerico, che solo una infinita ripetibilit dellunit (nur eine unendliche Wiederholbarkeit der Einheit) ( 143 ). Dopo aver cos impostato lesame della quantit, viene af- frontata la questione di come si rapporta il numero 10 al sistema numerico, ma la risposta rimane incerta, per il proprio criterio di misura che vi appare contenuto; Hegel aggiunge a questo punto che i Pitagorici avevano cercato di sottomettere alla ragione an- che questa forma ( 144 ). Alla luce della continuit tra Lezioni di storia ( 142 ) DSING (1988): p. 166. ( 143 ) Ib., pp. 68-69. Hegel usa qui lo stesso linguaggio della critica, nellartico- lo sulla Differenza, alla dottrina di Reinhold sulla natura puramente quantitativa dellapplicazione del pensiero, inteso come facolt dellunit astratta, e quindi asso- lutamente opposto alla materialit, cui pertanto non pu mai giungere. Il suo carat- tere interiore cos la pura identit, la ripetibilit infinita dalluno e proprio dello stesso (GW, Bd. 4, p. 87). ( 144 ) DSING (1988): p. 69. Ricordiamo che la decade per i Pitagorici era la tetrade reale, che contenendo in s la somma dei primi quattro numeri dava origine al numero pi perfetto, unit di misura e logos delluniverso, dello spirituale e del corporeo (LSF, I, p. 247). Vedi inoltre HEGEL, Vorlesungen, Bd. 7, Teil. 2, pp. 38-39, 69-86: Ma la decade in generale la natura effettualmente reale, non pura fonte e radice (ib., p. 39, 78-79). Sullinflusso della concezione pitagorica della decade su Platone, cf. ANNAS (1976): p. 55 e 61. 190 HEGEL E ARISTOTELE della filosofia ( 145 ) e Dissertatio, il richiamo ai Pitagorici nelle note di Troxler avrebbe il significato di produrre unistanza speculativa (ra- zionale) nella categoria della Quantit (riflessione finita), non supe- rando tuttavia i limiti della fondamentale astrattezza della deter- minazione numerica (ricordiamo che Hegel usa il verbo suchen, cercare, per definire limpresa dei Pitagorici). A questo proposito vale la pena ricordare che nelle Lezioni troviamo un giudizio ugual- mente ambivalente sulla completezza della tetrattide, e sulle sue pretese di realt: da una parte, la realt ( da notare che qui Hegel usa il termine Realitt, non Wirklichkeit) in cui le determina- zioni (i primi quattro numeri) sono prese, soltanto quella esterio- re e superficiale del numero, non affatto concetto ( 146 ); dall altra, nel Quattro ci sono soltanto quattro unit; un grande pensie- ro che <tale realt> non sia posta come uno ( 147 ). Si risolverebbero cos le difficolt di Dsing, che dopo aver ricostruito il contesto del passo attraverso i richiami della Disserta- tio, scrive: dagli appunti di Troxler per non completamente chiaro, se tutto ci si deve prendere per un esempio relativo alle ca- tegorie, per un problema di applicazione della logica o per una spiegazione a s stante, a mo di excursus, sulla filosofia della natu- ra, specialmente sullastronomia speculativa ( 148 ). Se la mia lettura risulter convincente, allora a conclusione di questo contributo alla quarta giornata dei lavori del Convegno, si ( 145 ) Le Lezioni furono redatte, com noto, da Michelet, prendendo come base il quaderno personale di Hegel, risalente al 1805-1806, successivamente arric- chito di note e fogli intercalati, oltre a tre quaderni di appunti di uditori, dal corso del 1823-24, a quello del 1829-30: per i problemi filologici qui implicati rimandiamo a VIEILLARD-BARON (1976): pp. 11-12 e pp. 50-53. Per possibili forzature (dovute a intenti polemici) della lettura hegeliana di Aristotele operate dal lavoro editoriale di Michelet, cf. VERRA (1993), pp. 606-607. ( 146 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2: p. 275; invariato in LSF, I, p. 247. ( 147 ) Ib., diversamente in LSF. ( 148 ) DSING (1988): p. 168. 191 C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica potranno ben apporre, avendole mutate ad hoc, le seguenti parole di Giordano Bruno: Di tre fontane che sono nellUniversit: a luna hanno imposto nome, FONS Platonis, laltra dicono FONS Pytha- gorae, laltra chiamano FONS Aristotelis. Da questi tre fonti traen- dosi lacqua per far la birra e la cervosa [...] conseguentemente non persona che con essere dimorata meno che tre e quattro giorni in que studii e collegii, non venga ad esser imbibito non solamente del fonte di Platone, e Pitagora, ma et oltre dAristotele ( 149 ). Ringraziamenti: La scelta dellargomento stata maturata nellambito di un proget- to di ricerca del 60% dellUniversit di Salerno, intitolato Logica, meccanica newtoniana, Naturphilosophie diretto dal Prof. M. Nasti de Vincentis, il cui apporto specialistico stato segnalato nelle note. Il lavoro di ricerca, e di documentazione bibliografica, stato di fatto reso possibile dal rinnovo di una borsa di studio dellUni- versit di Berna per la. a. 1993-94, sotto la direzione del Prof. Dr. A. Graeser, che ringrazio per la cura e lattenzione con cui ha seguito la rielaborazione finale di tutto il contributo. Il Prof. Dr. M. Baum, presso ho svolto (a. a. 1994-95) unattivit di ricerca finanziata dalla Alexander von Humboldt-Stiftung, stato inoltre prodigo di detta- gliati, spesso utili, suggerimenti: la responsabilit per ogni even- tuale errore o imprecisione pertanto esclusivamente mia. Deside- ro inoltre riconoscere un debito di gratitudine verso il Prof. M. Mignucci, per le sue molte thought-provoking osservazioni. Infi- ne, devo alla cortesia del Prof. G. Movia laver potuto rielaborare e inserire alcune parti di questa relazione in FERRINI (1996): pp. 69- 120. ( 149 ) AQUILECCHIA (1973): p. 48. 192 HEGEL E ARISTOTELE Bibliografia citata: ANNAS (1976): Aristotles Metaphysics Books M and N, transl. with intr. and notes by Julias Annas, Oxford, Clarendon Press (si tenga anche presente la tr. it. del vol. della Annas, Milano, Vita e Pensiero, 1992). ALLEN (1983): Platos Parmenides, translation and analysis by R.E. Allen, Oxford, Blackwell. AQUILECCHIA (1973): G. BRUNO, De la causa, principio et uno, a cura di G. Aquilecchia, Torino, Einaudi. P. AUBENQUE (1974): Hegel et Aristote in J. DHondt (a cura di), Hegel et la pense grecque, Paris, PUF, pp. 97-120. M. BAUM (1989): Die Entstehung der Hegelschen Dialektik, Bonn, Bouvier, 2 ed. (1990): Kosmologie und Dialektik bei Platon und Hegel, in M. Riedel (a cura di), Hegel und die antike Dialektik, Frankfurt am Main, Suhrkamp, pp. 192-283. E. BLOCH (1975): Natur als organisierendes Prinzip - Materialismus beim frhen Schelling, in M. Frank e G. 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LEONARDO SAMON ATTO PURO E PENSIERO DI PENSIERO NELLINTERPRETAZIONE DI HEGEL Hegel ha dato ad Aristotele un posto assolutamente eccezio- nale nella storia del pensiero, ponendolo in certo modo come un eschaton non oltrepassabile per la speculazione: Aristotele si trova nel punto di vista pi elevato: non possibile voler conoscere nulla di pi profondo ( 1 ). E il tratto pi speculativo (das Speculativste) che Hegel indica nel pensiero dello Stagirita proprio il pensiero di pensiero. In questa formula, che egli traduce nel concetto del vero come unit di soggettivo e oggettivo, racchiuso lintero sviluppo del pensiero filosofico: essa secondo il filosofo tedesco il punto di inizio ma anche il compimento del pensiero. Contiene cio il cammino circolare che la filosofia compie verso se stessa. Hegel ha cos fatto di questo un punto di ricomprensione del- lintera metafisica. Un punto nel quale si decide lo specifico della filosofia, come leggiamo nel noto passo della Fenomenologia secon- do cui tutto dipende dal concepire ed esprimere il vero non come sostanza ma altrettanto come soggetto ( 2 ). Questa pagina ha un pre- ( 1 ) G.W.F. HEGEL, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, II (= GPh II), in Id., Werke in zwanzig Bnden, a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1971, 19, p. 163. ( 2 ) G.W.F. HEGEL, Phnomenologie des Geistes, a cura di J. Hoffmeister, Meiner, Hamburg 1952, p. 19. Cfr. K. GLOY, Die Substanz ist als Subjekt zu 204 HEGEL E ARISTOTELE cipuo valore ermeneutico per la comprensione delleredit aristote- lica nellopera hegeliana, specialmente in relazione a unipotesi che vede alterato radicalmente da parte di Hegel il senso del testo aristotelico per quanto riguarda il concetto di movimento. Alla so- stanza semplice e indifferenziata, che viene detta immota (unbewegte), sia quando venga pensata (spinozianamente) come unica sostanza, sia quando, in unalternativa solo apparente, venga invece concepita come pensiero, leggiamo qui contrappo- sta una sostanza vivente (lebendige). Questa sostanza movi- mento (Bewegung), ma un movimento peculiare che, come quello della vita, si muove verso s e tuttavia, in un significato ancora pi pieno ed effettivo, si afferma soltanto in quanto soggetto (in quanto libert autocosciente, come viene detto pi avanti), ossia come mediazione del divenir-altro-da-s con se stesso, che si ha in ultima istanza non nella vita in generale ma nellautocoscienza. Questo peculiare movimento, che fa delleguaglianza piut- tosto che ununit originaria il termine di un ricostituirsi come tale dellunit, viene descritto come un circolo, che pre- suppone e ha allinizio la propria fine (Ende) come proprio fine (Zweck), e solo mediante lattuazione (Ausfhrung) e la propria fine effettuale (wirklich). Un tale movimento, proprio in ultima istan- za dello spirito, viene connesso in modo inequivocabile con una precisa ispirazione aristotelica. Nellattuazione della sostanza come soggetto, e cio nel concetto di fine ricavato da Aristotele (citato poco pi avanti), sta il vero principio della filosofia da cui tutto dipende. Hegel vi scorge il percorso che permette al pensiero di raggiungere lassoluto, sul fondamento della natura (lo spirito) di questultimo. La sostanza assoluta, altrimenti giudicata inconoscibile per- ch posta come semplice e immediata di contro ad ogni mediazione, bestimmen. Eine Interpretation des XII. Buches von Aristoteles Metaphysik, in Zeitschrift fr philosophische Forschung, 37, 4, 1983, p. 519. 205 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel proprio nella sua assolutezza (che come tale non ammette contra- rio) richiede invece che la si pensi come mediata in s stessa, richie- de che si distinguano immediatezza e semplicit accogliendo in questultima la mediazione, la riflessione, come momento positi- vo dellassoluto. Nel circolo instaurato dal principio finale si deli- nea la natura effettiva del contenuto della scienza, perch, dispie- gandosi nella moventesi eguaglianza con s, tale principio per- mette al progredire del pensiero di coincidere con il tornare indie- tro al fondamento. Colto in questa motilit propria della sostanza assoluta intesa come soggetto, il divenire viene a coincidere con latto perch si fa ci che esso in s, cio diviene ci che e resta identico a se stesso: giacch il divenire altrettanto semplice e quindi non diverso da quella forma del vero, la quale fa s che esso, nel suo resultato, si mostri semplice ; esso , per meglio dire, lesser ritornato nella semplicit. La sostanza come soggetto stata gi concepita, per Hegel, da Aristotele: questa la tesi di fondo che guida la sua ripresa del pensiero aristotelico, della quale momento essenziale una forte sottolineatura interpretativa del divenire e dellatto. Proprio lunio- ne di sostanza e soggetto indicata nelle pagine delle Lezioni come il tratto radicale che segna il passaggio dalluniversale platonico al principio aristotelico della pura soggettivit, menzionato come principio della vita (Lebendigkeit), principio della soggettivit, elaborato attorno allidea di scopo. Anche luniversale platonico per la verit lidea determinata come il bene, lo scopo, luniversale in generale (GPh II, p. 152). Ma se Platone ha dunque gi pensato il concetto di scopo, e ha po- sto lidea come concreta, in s determinata, egli non ha tuttavia concepito ancora la scopo come il movente (das Bewegende) (GPh II, p. 153), tratto che esso ora assume in Aristotele, diventando il vero (Wahrhafte) e concreto contro lastratta idea platonica (GPh II, p. 149). Luniversale non ha ancora, per il fatto di essere universa- le, realt; lattivit della realizzazione (Verwirklichung) non ancora 206 HEGEL E ARISTOTELE posta, lin s cos un inerte. Ragione, leggi etc. sono in tal modo astratte; ma il razionale, come realizzantesi, lo riconosciamo come necessario per dare un siffatto valore a quelluniversale, a quella ragione, a quelle leggi. Il tratto platonico (das Platonische) in gene- rale loggettivo, ma il principio della vitalit (Lebendigkeit), il princi- pio della soggettivit vi fa difetto; e questo principio della vitalit, della soggettivit, non nel senso di una soggettivit accidentale, solo particolare, ma della soggettivit pura, peculiare di Aristote- le. La soggettivit vivente pura, che governa nella sua attualit il rapporto tra in-s e per-s termini hegeliani per potenza e atto , e dunque i sensi del divenire e del movimento, il razionale (das Vernnftige); il quale cos loggetto della filosofia poich rac- chiude nel suo circolo i tratti costitutivi di ci che primo e cau- sa. 1. La lettura che Hegel fa dei passi del XII libro della Metafisica pervasa da questo principio euristico della soggettivit vivente; e condensa in s il momento cruciale della trasformazione o della forzatura che il pensiero aristotelico subisce nei suoi nodi essenzia- li. Nei passaggi di questa lettura facile, forse troppo facile rispetto alla fatica del concetto, scoprire gli errori hegeliani. Lavoro pi difficile quello di cogliere lo specifico di Hegel nel modo in cui questi ricostruisce la tessitura, il testo, di Aristotele; e difficile non rispetto alla tesi, anchessa insoddisfacente, di una lacunosit del testo stesso, ma rispetto a unaltra tessitura che sia riconoscibile come specificamente e irriducibilmente aristotelica. Come tale da sostenere in qualche modo o da rimettere in discussione la tenuta della ricostruzione hegeliana. Ora, sembra che linterpretazione hegeliana alteri sin dallini- zio limpostazione del testo. E ci perch gi nellarticolazione dei tipi di sostanza Hegel mette da parte in modo apparentemente ar- bitrario il criterio fornito da Aristotele allinizio del XII libro. Hegel 207 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel distingue infatti: a) una sostanza sensibile percettiva (sinnliche empfindbare Substanz), b) una sostanza in cui entra lattivit, sia pure nella separazione di potenza da atto: lintelletto (Verstand, vou); c) la sostanza assoluta, lactus purus. In questa tripartizio- ne lintelletto, staccandosi dagli oggetti propri della fisica, si pre- senta quale termine medio che articola le tre sostanze come mo- menti di un discorso unitario. Con ci posto laccento sul caratte- re unificante e primario della sostanza su cui pur vero che insiste lincipit del XII libro: loggetto su cui verte la nostra indagine la sostanza (ari tg ouoio g 0reio) ( 3 ). Il ricorso alla sostanza an- nuncia in apertura la soluzione aristotelica per un approccio unita- rio al tutto. Tuttavia, come noto, Aristotele distingue in modo diverso i tre tipi di sostanza, e li distingue in modo tale da separare subito dopo, apparentemente con un taglio netto, due scienze a proposito della sostanza: la fisica e la teologia. Da una parte abbiamo due tipi di sostanza sensibile (aisthet) eterna (aidios) e corruttibile (phthart) , dallaltra la sostanza immobile: le sostanze sono tre. Una la sostanza sensibile, la quale si distingue in eterna e in corruttibile [...] laltra sostanza invece immobile [...] Le prime due specie di sostanze costituiscono loggetto della fisica perch sono soggette a movimento (rto xivgoro); la terza invece oggetto di unaltra scienza, dal momento che non c nessun principio comu- ne (gorio og xoivg) ad essa e alle altre due (1069 a 30 - b 2) ( 4 ). Proprio il contrasto con la ricostruzione hegeliana indirizza lattenzione a una sorta di implicita esclusione di ogni possibilit di mediazione, attraverso lintelletto o lanima, tra i primi due modi dessere della sostanza e il terzo (lasciamo da parte per ora la que- ( 3 ) ARISTOTELE, Metaphysica (= Met), XII, 1, 1069 a 18 (tr. it. G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1993, II, p. 543). ( 4 ) Si confronti tuttavia questo passo con la chiusa del libro, che presenta una critica a coloro che teorizzano principi diversi per ciascuna sostanza (1075 b 38 e s.) e insiste sullunicit del principio ultimo. 208 HEGEL E ARISTOTELE stione che pu nascere dal fatto che Aristotele sembra dare poco pi avanti (3, 1070 a 25) a intelletto e anima un modo dessere pe- culiare almeno in via ipotetica di enti anche separati dalla materia). La coppia di contrari (come stato fatto notare) ( 5 ) non qui articolata in sensibile-intelligibile e mobile-immobile, ma semplicemente sensibile-immobile. Questa coppia implica di certo le altre due. Tuttavia lelisione della serie di accoppiamenti espliciti contribuisce a rendere drastica la contrapposizione. Lo iato tra le sostanze fisiche (hai physikai ousiai, 6, 1071 b 3) e quella akinetos sembra cos precludere in partenza uninterpretazione del motore immobile in chiave di metafisica della soggettivit. Questo punto appare pertanto compromettere gi sin dal- linizio la fedelt della lettura hegeliana. La semplicit (to haploun) della sostanza immobile rende questultima in qualche modo addi- rittura inaccessibile per il pensiero, la fa in ogni caso oggetto di unaltra scienza, se non c nessun principio comune ad essa e alle altre due, e affida al rapporto analogico e alla tenuta del metafori- co il legame con lente soggetto a movimento. In questo netto dualismo, in cui non c nessun principio comune tra le sostanze fisiche, dentro le quali appare inclusa lanima, anchessa caratteriz- zata da movimento, e la sostanza immobile, ogni assimilazione di questultima sostanza a un soggetto pensante appare infatti nullaltro che una trasposizione metaforica che supplisce con una comparazione al venir meno della conoscenza e cos ne conferma linsufficienza. In questo orizzonte si potrebbe perci subito far propria laf- fermazione di Aubenque, il quale ha scritto: la separazione (chorismos) di Dio e Mondo troppo radicale per poter permettere un qualche toglimento dialettico di essa ( 6 ). E ancora: un pensie- ( 5 ) K. GLOY, op. cit., p. 521n. ( 6 ) P. AUBENQUE, Hegelsche und Aristotelische Dialektik, in Hegel und die antike Dialektik, hrsg. v. M. Riedel, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1990, pp. 220-1. 209 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel ro che non pensiero di qualcosa e che non ha altro oggetto che se stesso per Aristotele quasi irrappresentabile, sicch la famosa for- mula riflessiva noesis noeseos sembra essere pi lespressione di unaporia residua che la descrizione positiva dellattivit di Dio come autoattivit ... Il supremo movimento nel senso attivo di mettere in movimento non ha nulla in comune con la motilit di cui principio. E De Koninck ( 7 ) ricorda come Aristotele stesso nei Magna Moralia rilevi il carattere di assurdit che riveste, in senso antropologico, il concetto di un Dio che contempla se stesso: che cosa dunque contempler [Dio]? se infatti egli contempler qual- cosaltro, dovr contemplare qualcosa che sia meglio di lui. Ma ci sarebbe assurdo, che cio ci sia qualcosa di migliore di Dio. Egli dunque contempler se stesso. Ma anche ci assurdo, infatti se un uomo sta a guardare se stesso, noi lo rimproveriamo come uno stu- pido. Sar dunque assurdo (otoaov), essi dicono, che Dio contempli se stesso. Tralasciamo dunque la questione di che cosa contempli Dio. Ma lindipendenza su cui svolgiamo la nostra indagine non quella di Dio, bens quella umana ... ( 8 ). La tesi (riferita peraltro come opinione altrui) dellassurdit dellautocontemplazione di Dio, che qui per la verit serve sempli- cemente per lindagine etica e si limita a mettere da parte una que- stione teologica, potrebbe tuttavia suggerire un tratto aporetico in- cancellabile in questultima. Il pensiero di Dio non ha in comune col pensiero delluomo la necessit di diventare altro o il bisogno dellaltro, non diviene lintelligibile perch non altro da esso, non percorre la distanza verso un oggetto, resta in s come atto, indi- pendente da ogni altro, secondo una spiegazione che fornisce lo stesso Aristotele connettendo il pensiero di pensiero e la libert dal ( 7 ) T. DE KONINCK, La Pense de la pense chez Aristote, in T. DE KONINCK, G. PLANTY-BONJOUR (a cura di), La question de Dieu selon Aristote et Hegel, PUF, Paris 1991, p. 77. ( 8 ) ARISTOTELE, Magna Moralia, II, 15, 1213 a 3 ss. (tr. it. A. Plebe, Laterza, Bari 1973). 210 HEGEL E ARISTOTELE bisogno dellamico: largomento che Dio non tale da aver biso- gno di un amico pretende la stessa cosa del paragonare luomo a Dio. Invece luomo virtuoso non ragioner con questo ragionamen- to; infatti la perfezione di Dio non risiede in questo, bens nellesse- re superiore al pensare qualcosaaltro allinfuori di se stesso. La causa che per noi il benessere comporta qualcosaltro oltre noi, in- vece quanto a Dio, egli stesso il bene di se stesso ( 9 ). C un diventare altro che sembra inseparabile dal pensiero umano, per quanto questo (proprio nellessere in certo modo tutte le cose) si caratterizzi allo stesso tempo come un diventare se stes- so: il pensiero umano un pensiero in movimento di un essere in movimento ( 10 ). Dio, come un ente estraneo al movimento e cos al diventare altro, resta da questo punto di vista impenetrabile per il pensiero, che lo configura come caso limite di quellunit verso cui si muove: ununit che trova nel linguaggio una rappresenta- zione solo metaforica nellidentit con s o nellautorelazione. Non altro indicherebbe quel brusco richiamo al pensiero di pensiero che Aristotele fa a proposito dellintellezione degli indivisibili, almeno se intendiamo il passo in questione come un accenno a una dimen- sione del pensiero di fatto preclusa alluomo e riservata soltanto a Dio. Nellintellezione degli indivisibili, la conoscenza dislocata per il pensiero umano nel contrasto con la sintesi, la quale per par- te sua costituisce qualcosa come un uno ( 11 ). Nel caso in cui ci troviamo di fronte a un indivisibile senza contrario (diversamente, ad esempio, dal punto, conoscibile secondo Aristotele dal suo con- trario), ecco che esso sembra respingere da s la potenza del pen- siero che muove verso di esso e richiudersi in unimpenetrabile au- tosufficienza: ma se a qualcosa nulla contrario, esso conosce se ( 9 ) ARISTOTELE, Ethica Eudemia, VII, 12, 1245 b 15-19 (tr. it. A. Plebe, cit.). ( 10 ) P. AUBENQUE, Le problme de ltre chez Aristote, PUF, Paris 1972, p. 494. ( 11 ) ARISTOTELE, De Anima (= De An), III, 6, 430 a 28 (tr. it. a cura di G. Movia, Loffredo, Napoli 1979, 1992 2 ). 211 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel stesso (outo routo yiveoxri) ed in atto e separato ( 12 ). Se insom- ma, come sostiene Wieland, il pensiero di pensiero appartiene soltanto a Dio ed esteso alluomo indebitamente da parte di Hegel ( 13 ), allora la teologia di Aristotele ci porr di fronte a un modo dellessere semplice e refrattario alla relazione potenza-atto costituente lessere in movimento, estraneo dunque anche allauto- relazione costituente in certo modo il movimento del pensiero, e in generale in qualche modo irraggiungibile attraverso la considera- zione del movimento. Ci troveremo di fronte, in breve, a un modo dessere che limita radicalmente la presa del pensiero. Linterpretazione hegeliana del pensiero aristotelico pertan- to di certo anche il frutto di una lunga tradizione che ha lavorato per ricucire in qualche modo la separazione di Dio e mondo: lin- terpretazione che Hegel sembra dare del brano della Metafisica prefigurato molto prima di lui da una serie di colpi di mano erme- neutici che rendono la dottrina di Aristotele pi trattabile ( 14 ). Plotino in questo senso un punto di riferimento essenziale perch con la sua metafisica che fa procedere il molteplice dallUno ha crea- to una connessione tra Dio e mondo, e nel pensiero di s ha visto racchiuso e compendiato il pensiero di tutte le cose. Una tale tradi- zione, che rifiuta un Dio che ignori le cose del mondo, concependo anzi come necessaria la scienza divina di tutte le cose, raccolta e mantenuta in vita dal pensiero cristiano ( 15 ). Ma anche con una precisazione del genere, resta tuttavia la difficolt della collocazione del pensiero aristotelico. Esso sembra ( 12 ) De An, 430 b 24-26. Cfr. per in proposito la diversa traduzione di Movia e la lettura di Berti citata nel commento (pp. 386-7). Si veda peraltro an- che un possibile chiarimento della posizione aristotelica in Met, XII, 10, 1075 b 20 ss. ( 13 ) Cit. in DE KONINCK, op. cit., p. 70. ( 14 ) R. BRAGUE, Le destin de la Pense de la Pense des origines au dbut du Moyen Age, in La question de Dieu etc., cit., p. 186. ( 15 ) Su tutto ci vedi BRAGUE, op. cit. 212 HEGEL E ARISTOTELE infatti cambiare volto se commisurato a una tradizione che, come precisa Aubenque, pone il divino epekeina tes ousias, facendo resi- stenza alla tradizione che stata definita ontoteologica. vero in- fatti che da una parte ancor pi che lo haploustaton plotiniano il Dio aristotelico si tiene in disparte da ogni rapporto che permetta di derivare da esso e da esso solo il molteplice. Dallaltra per la defi- nizione di esso come pensiero di pensiero ne fa qualcosa di cono- scibile per s in base alla condizione in cui noi ci troviamo talvol- ta (Met, XII, 7, 1072 b 25) e traccia le premesse per quel passaggio fondamentale del pensiero moderno che la prova ontologica. Lidentificazione di Dio col pensiero di pensiero (rigettata da Ploti- no che invece situa luno al di l dellessere e del pensiero) pone Aristotele in relazione con un filone che getta un qualche ponte analogico tra Dio e il pensiero umano, e cos rende quanto meno assumibile come problema la conoscibilit di Dio (o, detto nella prospettiva heideggeriana ripresa da Aubenque, la riduzione del- lessere allesser pensato e a un soggetto assoluto al modo della tra- dizione ontoteologica): lontoteologia allopposto di una tradi- zione per la quale Dio, principio dellessere, per questa stessa ragio- ne al di l dellessere, cos come, quale principio di ogni pensabili- t, devessere al di l del pensiero ( 16 ). Per questa difficolt di collocazione, il pensiero di Aristotele sembra in questo punto mostrare una indecisione, unincompiutez- za che apparsa alla tradizione, come ha detto Aubenque, un di- fetto di sistematicit. Di qui le due strade ricordate da Aubenque, entrambe compatibili con lambivalenza di Aristotele, entrambe volte a colmare sistematicamente le sue lacune: Hegel si porrebbe in quella tradizione che, disconoscendo le aporie insolute del pen- siero aristotelico, lo compie non gi teorizzando lineffabilit di ci che primo ma ricucendo allinterno di un logos appropriato lo ( 16 ) P. AUBENQUE, La question de lontothologie chez Aristote et Hegel, in La question de Dieu etc., p. 280. 213 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel strappo tra Dio e il mondo delle cose soggette a movimento, e dan- do cos un contenuto alla scienza impossibile dellessere in quanto essere (scienza delluno) e dellessere divino ( 17 ). Del resto, quando Hegel precisa la posizione che lidea di Dio ha in Aristotele non manca di mettere in evidenza in cosa consista la propria integrazio- ne che non possibile rinvenire alla superficie del testo dello Stagirita. Nel testo lidea di Dio appare come un particolare al suo posto accanto agli altri, ma ogni verit (GPh II, p. 151). Ci che la caratterizza in modo specifico, il pensiero, resta in Aristotele un tipo di stato. Egli non dice che esso solo la verit, che tutto pen- siero; ma dice che esso il primo, il pi forte, il pi degno di onore. Che il pensiero, come quello che si rapporta a se stesso, sia, che sia la verit, lo diciamo noi. Inoltre diciamo che il pensiero ogni veri- t; non cos Aristotele .... Tutta in chiave di aggiunta dellinter- prete sembra cos la conclusione di Hegel: cos come ora parla la filosofia non si esprime Aristotele; ma al fondo c assolutamente la stessa prospettiva (GPh II, p. 164). Perch Hegel si sente autorizzato a questa affermazione? Per- ch per il filosofo tedesco, se un sistema di filosofia in Aristotele non dobbiamo cercarlo (GPh II, p. 145), il suo pensiero tuttavia governato da una istanza che si rivela pi sistematica della sempli- ce reductio ad unum del molteplice: tale istanza consiste nel tener ferma ogni cosa nella sua determinatezza e seguirla in questo modo (GPh II, p. 147). C nellimpostazione aristotelica qualcosa che manca a esposizioni pi sistematiche, che si elevano alluniver- sale (come nel caso di Platone): ed la capacit di pensare il molte- plice, il differente, ci che anche mutamento, in modo unitario; di pensare nello specifico luniversale; di pensare insomma luniver- sale concreto. In questo tipo di tessitura (di testo) Hegel cerca lunit sistematica che sta al fondo della posizione aristotelica. E da questintento nasce la ricucitura, per il filosofo tedesco senza al- ( 17 ) Cfr. AUBENQUE, Le problme etc., pp. 506 ss. 214 HEGEL E ARISTOTELE cun dubbio presente gi nella tessitura aristotelica, tra Dio e il mondo delle cose soggette a movimento. 2. Qual il principio unitario che percorre il pensiero aristotelico? Cosa determina das Verhltnis der Momente, il rapporto dei mo- menti che, articolati nelle quattro cause, concorrono alla costituzio- ne dellidea di sostanza, dellontologia (o logica) aristotelica? Hegel cerca programmaticamente il filo conduttore della teoria della so- stanza e lo ritrova nel principio dellatto o attivit (Ttigkeit). Un principio che risponde alla domanda su cosa sia ci che muove: e questo il logos, lo scopo (GPh II, p. 153). La determinazione fon- damentale (Hauptbestimmung) che sorregge il pensiero di Aristotele indicata senza tentennamenti nellatto definito come lautode- terminarsi, ci che realizza se stesso (GPh II, p. 154) o pi analiticamente nelle due Hauptformen della possibilit e della Wir- klichkeit, cio dellentelechia, che in s scopo e realizzazione del- lo scopo. Di queste forme Hegel dice che compaiono dappertut- to e che si devono conoscere per comprendere Aristotele. Esse rappresentano ci che permette di cogliere in modo unitario non solo il rapporto tra eidos e wirkliche Dinge che in Platone resta irrecuperabile a partire dalluniversale , ma anche la coppia di cause materia-forma, e con essa la sostanza. importante sottolineare come Hegel abbia in vista con que- sto tema non tanto una via breve verso lunit, quanto piuttosto innanzitutto la comprensione di ci che permette ad Aristotele di seguire larticolazione delle sostanze nella loro specificit, di forni- re una giustificazione del mutamento e dellindividualit di contro allastratto universale. Lungi dallaffrettarsi verso la ricomposizio- ne sistematica Hegel valorizza linteresse aristotelico per la deter- minatezza e la distinzione. Lattenzione concentrata sullente sog- getto a mutamento per rintracciare in esso ununit che abbia una tenuta pi salda che non luniversale astratto. Hegel parte dallo 215 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel sforzo di cogliere la specifica irriducibilit del primo tipo di sostan- za. La prima considerazione rivolta alla coppia materia-forma, proprio quella che impedisce allente sensibile di essere uno e iden- tico. Il primo sguardo dedicato dunque alla molteplicit. Ogni ente contiene materia, ogni mutamento richiede un so- strato (hypokeimenon) in cui avviene (GPh II, p. 154). Questo laspetto per il quale lente fisico, mosso, sensibile, si presenta in una compagine che fa resistenza alluno e allidentico. La materia indifferente alla forma e non si fa ridurre, ricondurre ad essa. Tut- tavia nel mutamento la physis anche il divenire altro che manife- sta la connessione. in gioco anche la relazione dei due modi in cui si presenta lente, in quanto non esser pi questo o non essere ancora questaltro, in quanto diventare altro. in gioco la coppia potenza-atto. La materia solo potenza. Perch essa sia veramente, osserva Hegel, per questo occorre forma, atto (Ttigkeit). nel farsi atto che la potenza diviene ci che : non indeterminata pos- sibilit ma disposizione (Vermgen) e in questo anche quello che astrattamente dalla forma essa non , cio forza, figura incompiu- ta della forma, un non ancora questo o quello. Se daltra parte la forma d realt (Wirklichkeit) alla materia, allora la forma non senza materia o possibilit. C una correlazione tra potenza e atto per cui il momento della realt il diventar altro del sostanziale o essenziale. Latto sempre atto di qualcosa e come tale, in un senso pi radicale che non luniversale platonico, introduce sdoppiamen- to e negazione, esser-per-altro, differenza. La coppia potenza- atto permette di pensare lente, ci che , la sostanza, come un di- ventare qualcosa, e dunque per un verso come un diventar altro e un differenziarsi, essendo cos caratterizzato da sdoppiamento e da momenti che fanno resistenza allunificazione. Ma potenza e atto caratterizzano lente come un diventare qualcosa anche nel senso che lente diviene ci che , il divenuto; ossia nel senso che il carattere di movimento appartiene allente. E pertanto, se lesser mosso a distinguere un tipo di sostanza, que- 216 HEGEL E ARISTOTELE sta sostanza tale perch nel diventar altro se stessa (il movimen- to, atto della potenza, la caratterizza) e dunque perch divenendo si muove verso ci da cui ha principio, ossia giunge a ci che era gi. In questo senso Aristotele dice che quello in cui il divenire sta, riposa, la forma pi physis della materia: e la forma pi natura che la materia: ciascuna cosa infatti allora si dice che , quando sia in atto (rvtrrrio) piuttosto che quando sia in poten- za ( 18 ). Un passo che Heidegger ha cos commentato: lentele- cheia pi ousia della dynamis, perch realizza lessenza del veni- re alla presenza in s costante in modo pi essenziale della dyna- mis ( 19 ). C dunque innanzitutto una dualit della physis ribadita an- che quale tratto essenziale del movimento: il non-ancora e il non- pi tornano costantemente a sdoppiarlo nella misura in cui esso latto della potenza (g tou ouvori ovto rvtrrrio) in quanto tale (Phys, III, 1, 201 a 10-11). Aristotele attribuisce larticolazione duale potenza-atto solo a un certo tipo di enti: c qualcosa che solo in atto, e qualcosa che in potenza e in atto (Phys, III, 1, 200 b 26-27). Nellente mosso potenza e atto si mostrano per allo stesso tempo come due concetti relativi, non solo nel senso che luno ri- manda allaltro, ma insieme nel senso che giungono a ci che sono diventando altro (passando per altro). In ci essi manifestano cos anche ununit, attuata in modo diverso: la potenza infatti, in rela- zione allatto, diventa ci che , diventa se stessa. Nel passaggio e nella relazione si determina una priorit dellatto, perch esso lessere arrivato a s che in quanto tale conferisce un tratto essen- ziale anche alla potenza: latto cos il termine unitario su cui pog- gia la relazione. ( 18 ) ARISTOTELE, Physica (=Phys), II, 1, 193 b 6-8 (tr. it. di A. Russo, Laterza, Roma-Bari 1983). ( 19 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, tr. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 241. 217 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel 3. Hegel, per parte sua, riprende proprio il criterio del movimento, riparte proprio dalla mobilit degli enti per ridisegnare la distin- zione dei tipi di sostanza. Aristotele, dice il filosofo tedesco, distin- gue le sostanze a partire dallidea di movimento, ma in quanto in esse potenza e atto appaiono non in unit, ma ancora divise (GPh II, p. 156). Il rapporto della forma alla materia, dellenergia alla possibilit costituisce, insieme al movimento di questa opposi- zione, i differenti modi delle sostanze. la cura nel mettere in ri- lievo la dualit caratteristica del movimento a produrre come effet- to il fatto che Aristotele passi a questo punto in rassegna le so- stanze in modo che esse appaiono in lui pi come una serie di tipi differenti di sostanze, considerate luna dopo laltra, che non in quanto radunate in un sistema. Riprendendo allora lo stesso tema del movimento, ma facen- do leva piuttosto sullo sfondo unitario di esso, sul divenire s da parte della sostanza, cio sul primato dellatto, Hegel distingue i suoi tre momenti, che, avverte, rappresentano peraltro alcune de- terminazioni fondamentali tra altre. La distinzione hegeliana fa seguire alla sostanza sensibile lanima intellettiva; e fa dellintellet- to una tappa intermedia per il passaggio allactus purus. Si ha cos lintroduzione di un tipo di sostanza lasciata da parte nella distin- zione aristotelica e menzionata solo fugacemente, come si visto, allinterno del XII libro della Metafisica, senza visibili aggiustamenti di tiro rispetto ai problemi che una tale menzione suscita. Questa introduzione strettamente collegata, tuttavia, con la ripresa e la valorizzazione del principio dellatto come ci che muove. Anche la suddivisione hegeliana delle sostanze ha infatti come fondamento lidea aristotelica di movimento e la distinzione potenza-atto, seguite per in un tratto il primato dellenergeia che risulta determinante per la stessa comprensione dellente in movimento. Il primato dellatto consiste nel fatto che esso il modo dessere in cui il diveniente raggiunge ci che esso , raggiunge cio se stesso. Latto dunque principio, e delimita rispetto a s il 218 HEGEL E ARISTOTELE carattere di principio della potenza come capace di passare allatto (Met, IX, 8, 1049 b 13), come non-ancora-atto. Tutto ci che divie- ne, afferma Aristotele, si muove verso il principio (r a o g v ooiri) che il fine (1050 a 7); e gli enti fisici, in quanto hanno in s il principio del movimento (arch kineseos) (Phys, II, 1, 192 b 14), percorrono quel circolo che la physis quale hods eis physin (Phys, II, 1, 193 b 13): la natura anche potenza, ma non di altro, poich essa principio di movimento e di divenire in se stessa in quanto tale. Il primato dellatto legato al muoversi verso s dellente, al principiare gi sempre da ci che esso diviene e rispetto a cui , an- che, altro. Questo tratto determinante dellontologia aristotelica, che regge la distinzione di potenza e atto in base alla quale Aristotele pensa in modo unitario la irriducibile molteplicit delle sostanze, permette a Hegel di determinare was das Bewegende ist e con ci il carattere di quel tipo di sostanza che ha in s larch kineseos : la sostanza sensibile metablet, soggetta a movimento. Nella sostan- za sensibile Hegel misura in forma privativa il concetto aristotelico di atto a partire dal quale pensato il movimento. Egli sembra esal- tare sul piano teorico le conseguenze di una variazione tematica che presente nel testo aristotelico tra il 2 e il 3 capitolo. Seguen- do qui il 2 capitolo distingue pertanto ci che si conserva nel mo- vimento, ma come resistente e indifferente ad esso la materia , da quello che passa nel contrario la forma , e cos per un verso dispare e per altro verso si attua, si fa ente: ci che si conserva, il durevole in questo mutamento, traduce Hegel interpretando, la materia. Aristotele spiega in effetti che il mutamento avviene fra i contrari; ma non sono i contrari a mutare: piuttosto luno permane (uaorvri), il contrario non permane (1069 b 7-8). Ci che muta verso il contrario perci qualcosa che necessario stia sotto (uarivoi), un sostrato. Questo un terzo termine oltre i due con- trari: la materia. Ma in che modo muta la materia? Nel processo 219 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel che caratterizza lente sensibile Hegel vede assente proprio il mo- mento del ritorno in s (Rckkehr in sich) che pure ideell costituisce la natura. Lunit il morto sostrato, cio la materia quale essen- za universale che indifferente verso gli opposti e che rappre- senta il permanente. Essa per un verso ci in cui accade il mu- tamento, ossia ci in cui un contrario resta e laltro dilegua: essa cambia perch in essa cambia la forma, sostituendo lo stato di pri- vazione. In certo modo dunque qui gli elementi di cui consta lente mosso sono statici. Il movimento infatti il dileguare di uno degli opposti nellaltro. Ma esso resta cos esteriore, come esteriore nel fi- nito la forma rispetto alla materia: da una parte infatti il muta- mento esteriore ai contrari, poich essi non mutano ma luno si cancella nellaltro di modo che il movimento solo idealmente , mentre si perde insieme al contrario che dilegua; daltra parte il mutamento esteriore alla materia, poich questa pu essere en- trambi i contrari, assumere questa o questaltra forma, ed dunque il sostrato indifferente delle differenti forme possibili. Alla forma, di contro, conviene certo il carattere di atto, ma in quanto essa resta distinta dalla materia. Ma il mutamento per altro verso il passaggio dalla potenza allatto, e cos dallente (non-ente in atto) allente: un passaggio che, osserva Hegel, contrassegna unidentit dellente con s. Succede cos che la materia, la quale per un verso lessenza universale, semplice e contenente in unit indifferente le determinazioni possi- bili, muta in quanto il qualcosa diviene in atto una determinata materia, ci che la sua materia era anche in potenza (GPh II, p. 157). In questo senso la materia determinata, diviene quello che era in potenza, la stessa ma in quanto contrapposta, secondo la traduzione-interpretazione di Hegel. Il momento del diventare ci che era, caratterizza cos anche qui, alla luce dellatto, lente mosso. Ma la materia resta altro da questo, resta ci che non coincide con questo momento e fa ad esso resistenza. Si pu dire che nella sostanza sensibile Hegel lavora su una tensione tra il nesso materia-forma e quello potenza-atto, attraver- 220 HEGEL E ARISTOTELE so la quale mette in gioco il riferimento essenziale a un nuovo con- cetto di sostanza. Abbiamo infatti nella sostanza sensibile un pre- sentarsi di momenti distinti che convive col principio unificante dellatto. Dal punto di vista del principio universale (o secondo lespressione hegeliana appunto ideell) ci che diviene si muove verso se stesso e luomo genera luomo (XII, 5, 1071 a 21), sicch lattivit il negativo che contiene in s ci che ad esso opposto (lo toglie in unit) e dunque gi anche ci che deve divenire. Ma questattivit non n la materia, n le due determinazioni opposte della forma (queste ultime formano le determinatezze opposte, il negativo): i momenti in cui si articola la nozione di sostanza sog- getta a movimento restano distinti e resistono allunificazione; e, secondo la nuova tripartizione fornita subito dopo da Aristotele, allinizio del 3 capitolo, sono materia, forma (i contrari di prima) e ci-ad-opera-di-cui (hyphou), il motore (il proton kinon) (1069 b 36- 1070 a 1). Come precisa successivamente Aristotele, proprio que- stultimo momento rimane al di fuori (ekts) (4, 1070 b 23) come un altro ente, di contro a ci che vale a proposito della physis in gene- rale, la quale principio non in altro ma nelloggetto stesso (arch en aut). Ne risulta non solo la distinzione tra forma e principio motore, ma anche limpossibilit di far coincidere la sostanza sensi- bile con la forma, la quale come atto viene da altro ed altro da ci che costituisce lo specifico della sostanza sensibile individuale. Vale perci anche come radicale divisione (Trennung) allin- terno della sostanza la distinzione avanzata da Aristotele al 1071 a 18-19 tra il principio costituito da ci che in atto un qualcosa di determinato e il principio costituito da ci che in potenza. Que- sta esteriorit reciproca anche unesteriorit reciproca di forma e materia: essa fa s che causa di un individuo sia sempre un altro in- dividuo; che ci che generato provenga da altro e sia generato in quanto altro; che esso resti in qualche modo distinto e irriducibile rispetto al suo momento formale, nel senso che, come dice Hegel, ci che sostanza in questo caso ha come forma propria il rimanere 221 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel esteriore della forma, che momento di un compimento diverso da essa, implicante la materia. Il primo tipo di sostanza non esaurisce cos in s le caratteristiche dellente mosso, anzi richiede esso stesso per la propria comprensione un mutamento di prospettiva. 4. Per il secondo tipo di sostanza Hegel trova certo pochi punti dappoggio nel XII libro. A una sostanza ontologicamente differen- ziabile da quella sensibile Aristotele accenna fugacemente nel 3 capitolo distinguendo il problema dalla tesi platonica di forme se- parate: se poi rimanga (uaorvri) qualcosa anche dopo, proble- ma che resta da esaminare (oxratrov). Per alcuni esseri nulla lo vie- ta: per esempio, per lanima: non tutta lanima, ma solo lanima in- tellettiva (vou); tutta sarebbe impossibile (1070 a 24-26) ( 20 ). A ci si aggiunge una distinzione ontologicamente rilevante tra soma e psych, o tra soma e nous e orexis , come cause di tutte le cose, quale balena allinizio del capitolo 5; mentre unaltro riferimento alla psych compare allinterno di una critica allidea platonica di ci che si d movimento da se stesso (to outo routo xivouv) (6, 1072 a 1-2) ( 21 ), ambivalentemente condotta perch viene contestata solo la contraddizione con laltra tesi che pone il movimento prima del- lanima, in un contesto in cui la questione del movimento primo comunque ritenuta della massima importanza. ( 20 ) Questo passo, secondo lo Jaeger, appare come una parentesi, forse ag- giunta in un secondo momento. Per la questione di un doppio livello sistematico (natura e spirito) in cui si colloca la concezione hegeliana dellanima, e per i rap- porti che questa duplice dislocazione ha con la visione aristotelica, rinvio a F. CHIEREGHIN, Das griechische Erbe in Hegels Anthropologie, in F. HESPE, B. TUSCHLING (a cura di), Psychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes, Frommann- Holzboog, Stuttgart 1991, pp. 9-51. Sul rapporto anima-spirito cfr. anche M. Wolff, Das Krper-Seele-Problem. Kommentar zu Hegel, Enzyklopdie (1830), 389, Klostermann, Frankfurt a.M. 1992 (cfr. ad esempio pp. 118-9). ( 21 ) Cfr. in proposito le osservazioni della Gloy, che vede in questo punto non esclusa la possibilit di un automovimento, p. 521 n. 222 HEGEL E ARISTOTELE Su questi scarni riferimenti Hegel elabora una distinzione che si ispira certamente alla nota articolazione sistematica tra natu- ra e spirito. Questa elaborazione daltra parte decisiva, perch co- stituisce la premessa necessaria per linterpretazione hegeliana del- la successiva, costante presenza sulla scena del nous nelle pagine aristoteliche, con la ripetuta comparazione tra la condizione in cui lintelligenza divina si trova ton hpanta aina, per tutta leternit, e la condizione in cui lanthrpinos nous si trova solo en tini chrono, in qualche momento (9, 1075 a 7-10). Hegel recepisce in questelabora- zione una serie di altri riferimenti che permettono di concepire lente in movimento in base alla connessione dei contrari che con- tenuta nel logos e in quella parte dellanima che ha il logos, cio il nous . Il logos e la scienza sono infatti in modo specifico il negati- vo astratto, ma contenente ci che deve diventare, del quale parla Hegel a questo punto: e qui risuona la tesi aristotelica per la quale la scienza, secondo quanto affermato in Met IX, 2, logos, e il me- desimo logos manifesta la cosa e la sua privazione (1046 b 8-9); ov- vero la scienza potenza dei contrari in quanto ne ha il logos. Lanima, ha il principio del movimento come gli altri enti fisici, ma nel senso del tutto speciale che conserva la relazione al contra- rio escluso, conserva dunque il movimento nel compimento, pos- siede anticipatamente la relazione a ci verso cui si muove, e in questo senso specifico si muove verso se stessa, sicch caratteriz- zata anche da immobilit. Questa circolarit ha un ruolo essenziale nelle pagine della Storia della filosofia, perch la riconsiderazione della nozione di sostanza alla luce del concetto di atto come ritor- no in s, cio alla luce del concetto di scopo, che il concetto che si ricostituisce nellaltro (GPh II, p. 178), fornisce a Hegel il punto dappoggio per scandire una distinzione in cui daltra parte adombrato senza dubbio anche il passaggio dalla natura allo spiri- to. Hegel sembra partire da una variazione che la nozione di so- stanza mobile subisce nello svolgimento del testo aristotelico. Al- 223 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel linizio del 3 capitolo Aristotele precisa infatti che ci che mosso non n luno n laltro momento fin qui considerato: materia e forma ou gignetai, non divengono. E in quanto tali non sono considerabili come sostanza separata. Solo in un terzo significato, quello di sinolo, la sostanza pu essere detta mossa. I tre principi e cause diventano ora: motore materia forma. Essi risulteranno in- fine quattro nel 4 capitolo, dove viene recuperata la privazione, e il principio motore, come si detto, viene spostato fuori per le sostanze naturali, mentre coincide con la forma nelle cose causate dalla ragione (oao oiovoio) (4, 1070 b 31), cio l dove, come dice Aristotele nel VII libro, leidos en te psych, nellanima (7, 1032 b 1). Sotto un altro profilo, tuttavia, per la physis considerata nel suo intero vale, come si detto, che il suo principio motore intrin- seco e viene a coincidere con la forma (luomo genera luomo), di contro alla techne, che sempre principio in altro o, come dice Hegel, ha bisogno ancora della materia, con la quale il nous non ancora identico (GPh II, p. 158). Se cos per un verso nella so- stanza naturale intesa come sinolo il motore fuori, nel caso del pensiero come principio motore resta fuori la materia. La sostanza sensibile (il primo tipo di sostanza per Hegel) ab- bandona nel 3 capitolo in modo netto quel baricentro nella mate- ria quale terzo termine (ti titov) (1069 b 8) che aveva nel capito- lo precedente in base alla necessit di un estremo che permanga. Se il qualcosa che muta indicato in prima battuta come materia per- ch questa appunto permane come sostrato del mutamento, viene tuttavia precisato pi sotto che la materia non propriamente un qualcosa, non un tode ti, ma sostanza solo in apparenza (te oivro0oi) (1070 a 10), perch permane soltanto in quanto sussi- stente in altro, e separata invece solo in quanto potenza, o, come qui detto, in quanto non connaturata (g ouuori), ovvero, come direbbe Hegel, astratta. Sostanza invece, in una seconda e pi conseguente definizione, la physis, in quanto una condizione verso cui si muove la generazione e dunque sussiste come scopo, 224 HEGEL E ARISTOTELE permanente nel senso che in esso lente raggiunge se stesso. Ma per alcune cose il tode ti non esiste separato dalla synthet ousia, precisa ulteriormente Aristotele accendendo qui una polemica con le for- me separate di Platone. La forma, proprio in quanto ingenerata, non pu essere ci che muta e permane nel mutamento; o, in altri termini, la forma sussiste solo in quanto insieme (hama) il divenu- to tale (per esempio la salute solo insieme alluomo che si trova ad essere sano). Sostanza allora (eccezion fatta per il nous, la cui questione lasciata proprio a questo punto in sospeso) propria- mente ci che da materia e forma, cio quello che altrove chia- mato sinolo. Il sinolo, lintero unitario nel quale solo sussiste per s la forma, il terzo e pi appropriato concetto di sostanza per quan- to riguarda lente mosso. Aristotele fa qui lesempio della sfera di bronzo che ricorre anche nel VII libro, dove si dice che ci che diviene il sinolo (8, 1033 b 17-18). Nel sinolo la materia, tolta dalla sua esteriorit (che anche estraneit alla definizione), viene posta in relazione con ci che essa diventa, e la forma a sua volta sussiste solo nellunit col divenuto e la materia. Materia e forma non esistono separatamen- te: essi sono, commenta Hegel, lin s essente, luniversale come tale in forma contrapposta, e quello che ora costituisce la figura sensibile della sostanza non n luna n laltra, ma solo il muta- mento. E Hegel pi avanti (GPh II, p. 179) ricorda lesempio della statua di Fisica, III, 1, 201 a 29 ss., sottolineando che il movimento non latto del bronzo in quanto bronzo, ma in quanto non ancora statua. Solo nellaccezione di sinolo latto, che rimaneva in qualche modo separato dal sostanziale nella precedente considerazione della sostanza, fa il suo ingresso (hereinkommt). I due principi della sostanza sensibile finora considerati rimanevano estranei luno allaltro: da un lato la forma e il suo contrario, la privazione; dallaltro cio che indifferente al mutamento, la materia. Essi ven- gono ora definiti da Hegel come universale passivo e universale at- tivo, ma il mutamento non cade in nessuno di questi due momenti, 225 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel per quanto latto resti il principio a partire da cui si definisce la po- tenza, dal momento che latto, come ripete in proposito Hegel, lastratto negativo che contiene per ci che deve divenire (GPh II, p. 157). Nella presentazione del secondo tipo di sostanza Hegel si in- serisce cos tra le maglie di unarticolazione del concetto di sostan- za mobile che si fa complessa allinterno del terzo capitolo, poich comporta una certa rideterminazione degli elementi concettuali e dischiude un contesto tale da suggerire in modo impalpabile anche loccasione per chiamare in causa il nous separato. Per un verso, so- stanza mossa la natura in quanto ha in s il principio del movi- mento (luomo genera luomo): essa si muove verso s e in questo senso non fa riferimento a nulla di estraneo. Il movimento appar- tiene poi in altra prospettiva alla sostanza che si compone (qui si parla di synthesis) di materia e di forma, ossia che in quanto di- venuta, ovvero ancora che diviene ci che . Anche tale sostanza contiene in s ci verso cui si muove. E tuttavia Aristotele, a detta di Hegel, non chiarisce ulteriormente (GPh II, p. 158) il concetto di sostanza come unit di materia e attivit, ovvero come quella che porta ad atto se stessa. Si tratta di un conflitto in certo senso insanabile a livello del primo tipo di sostanza: per un verso nella sostanza sensibile il principio attivo ancora del tutto differente dalla materia, per altro verso ci che muta la sostanza in quanto contiene lopposizione di ci che da togliere e ci che da por- re (cos Hegel traduce qui i concetti di potenza e atto). Insomma, la sostanza mobile quella che diviene ci che ; ovvero essa in- sieme un qualcosa da togliere ( ci che diviene altro) e un qualco- sa da porre (in questo diventare altro ). Ma qualcosa resta in essa per definizione escluso da questo processo. 5. Qui avviene un passaggio dalle considerazioni sulla sostanza sensibile allintelletto, la cui articolazione resta senza dubbio dalla 226 HEGEL E ARISTOTELE parte di Hegel. Egli distingue la seconda sostanza a partire dallin- terpretazione della ragione per cui il motore nella sostanza sensibi- le ancora del tutto separato dalla materia (GPh II, p. 158). Nella sostanza sensibile lunit di sostrato e attivit resta in Aristotele non chiarito per una ragione che sta nelle cose stesse. La sostanza sensibile bens caratterizzata dal divenire ci che . Questo senso implicato, come abbiamo visto, nel concetto di physis come un tutto o in universale: luomo genera luomo; inoltre, tale senso guida anche la definizione del composto come un intero che artico- la in ununit indivisibile la distinzione di materia e forma: il sinolo. Tuttavia nella sostanza sensibile lunit anche il negativo nei confronti dei due momenti, respinge o esclude da s i differenti: da una parte la materia ha una sua sussistenza che viene negata e dilegua per far posto a una nuova forma; daltra parte il sinolo si presenta in forma privativa come un esser altro dalla forma, un avere compimento e atto in altro dalla forma (e dalla definizione). La sostanza sensibile caratterizzata negativamente dal to- gliersi: essa soggiace al perire (come il finito in senso hegeliano). Non appena dileguano (oar0g) dalla sensazione (Met, VII, 15, 1040 a 3-4), le sostanze corruttibili sono inconoscibili, mentre lani- ma ne salva solo il logos . Nel definire le sostanze individuali, perci, la definizione non pu ignorare il fatto che in esse vi sempre un togliersi (ovoiriv), che limita intrinsecamente la defi- nizione. Nella sostanza sensibile la forma sempre un altro (un al- tro ente) o come altro (come essenza, come ci che diviene, gignetai, in altro, VII, 8, 1033 b 7). La sostanza sensibile rinvia nel proprio sussistere a ununit che si conservi nel passare e conservi il passare stesso; a unaltra sostanza in cui sussista e non dilegui il passaggio dalla potenza allatto. Questa sostanza lanima o pi precisamente lintelletto. Mentre la determinatezza sensibile della sostanza consiste nel fatto che la possibilit ha anche unesistenza indifferente al mu- tamento (e qui sta lesteriorit reciproca di materia e forma), per cui, se il legno per un verso il non-ancora cenere, esso ha per 227 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel anche unesistenza indipendente da questo, che come tale dispare nel suo contrario (GPh II, p. 214); viceversa la sostanza che si con- serva come mossa soltanto lanima e in particolare lintelletto, e solo in in una tale sostanza si conserva ci che diviene. La figura sensibile di questo nuovo carattere della sostanza soltanto il mu- tamento (GPh II, p. 157), il disparire di ci che posto in quanto sensibile. Ma ora il mutamento si conserva, un arrivare a s. Lar- ticolazione hegeliana delle due sostanze legata mediante tali con- nessioni allapprofondimento del concetto di sostanza mobile, e questo in linea col filo conduttore (il movimento) del testo aristotelico. Proprio questo approfondimento porta Hegel a passa- re dalla physis e dal sinolo allanima e al nous distinguendo due modi del movimento e della relazione potenza-atto, e di conse- guenza separando un modo inadeguato da un modo adeguato di rispondere al concetto di mobilit. Il carattere dessere dellente in movimento dato dalla con- nessione dei contrari, che di per s non divengono ma che come tali non hanno a pieno titolo il carattere di sostanza sensibile sog- getta al mutamento. Tuttavia quello che altrove chiamato sinolo, e che qui detto synthet ousia, quale sostanza sensibile esprime la forma in modo privativo: esso ha la forma di una materia rispetto a cui la forma esteriore, secondo il faticoso gioco di termini hegeliano. , in altri termini, il divenire forma di qualcosa che resta altro da questo. E ci ora significa per Hegel: la figura sensibile del- la sostanza sensibile in quanto mobile, cio come sostanza che ha in s il principio del movimento, soltanto il mutamento, il diven- tar altro, il dileguare. Invece, quello che contiene ci che deve di- ventare, quello cio che raggiunge se stesso e diviene dunque ci che era quello che, in termini hegeliani, in s determinato per s , lanima e in particolare lintelletto. In esso il diventar altro si conserva come tale, ovvero non solo astratta negativit, ma la sostanza stessa come risultato, come quella che diviene tale. Lintel- letto infatti diventando altro (in certo modo tutte le cose, secon- 228 HEGEL E ARISTOTELE do lespressione di De Anima, III, 8, 431 b 21), ovvero la sostanza in quanto permane nel mutare, si conserva (e in questo senso resta, hypomnei), in un modo diverso per dalla materia, la quale sem- plicemente indifferente al mutamento. Nellanima si conserva ci che passa, e il pensiero in qual- che modo legato a un atto che non muta nel mutamento. A questa posizione si arriva per questo il nodo fondamentale appro- fondendo il concetto di ente mosso. Hegel ricorda pi avanti, a proposito della sensazione nellanima, il mutamento ep tn physin, che comporta soteria del dynamei ontos, distinto nel De Anima (II, 5, 417 b 2 ss.) rispetto a quel mutamento verso le condizioni privative che comporta distruzione di qualcosa mediante il suo contrario. Attraverso questa distinzione Hegel pone nellanima lunit di passivit e attivit (GPh II, p. 205), per cui il lato della passivit rientra comunque nel possesso dellanima. E tuttavia, in quanto unifica momenti per altro distinti, questa sostanza, secondo Hegel, ha ancora bisogno di materia: solo nellattivit del togliere il pre- supposto lanima essenzialmente entelechia, logos, - determinare universale che pone e muove se stesso (GPh II, p. 158). Ora, in ve- rit, la materia soltanto lin-s, secondo il modo hegeliano di esprimersi: essa il contenuto che rimane lo stesso, ossia che, ne- gato nella sua sussistenza, posto come momento dellautodeter- minarsi dello scopo, posto come in s di esso. Proprio nel to- gliere in s lesteriorit dei momenti, lanima come atto mantiene un rapporto negativo allesteriorit dei momenti che toglie, e in questo modo negativo lintelletto ha ancora bisogno della materia, con la quale non identico - essa presupposta. Questi temi sono ripresi da Hegel pi avanti a proposito della sensazione e dello stesso intelletto in quanto pur sempre in relazione con intuizione, immagine, rappresentazione, come del resto dice Aristotele in De Anima, III, 7 e 8. Resta cos dunque, agli occhi di Hegel, una connessione tra la prima e la seconda sostanza in quanto entrambe articolano il con- cetto di sostanza mossa: una connessione che ricorda quella tra na- 229 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel tura e spirito finito in alcuni punti dellEnciclopedia ( 22 ). Questa con- nessione si sviluppa sotto un duplice aspetto: a) la continuit tra sostanza come sinolo, sostanza come natura che si muove verso s secondo il principio fondante dello scopo, e sostanza come vivente (autoriferita) che porta con s lipotesi necessaria di un nuovo tipo di ousa, lintelletto; b) la necessit, comune ai due tipi di sostanza, del presupposto materiale, cio dellesclusione comunque di qual- cosa nel pervenire a s dellatto. Ci determina la necessit di con- cepire in forma privativa la sostanza mossa, cos come il concetto di movimento quale atto imperfetto, sicch la ricerca risulta guida- ta verso mete ulteriori dal principio di una compiutezza della so- stanza (che per Hegel investe anche il concetto di movimento). Da una parte Hegel d rilievo a una sorta di crescita testuale della determinazione di sostanza sensibile in Aristotele, appog- giandosi al fatto che gi nel concetto di natura viene in luce un autoriferimento dellatto e della forma tale da situare in certo modo la sostanza in una determinazione immateriale (neu hyles). Lo stes- so sinolo, peraltro, che pur scaturisce dalla necessit di ribadire il radicamento materiale della sostanza, fa del sostanziale come inte- ro unitario qualcosa di irriducibile ai componenti e tale da non co- stituire un elemento: in questo suo distinguersi esso stato detto da Aristotele, alla fine del VII libro (17, 1041 b 25), causa. Si tratta dello stesso contesto in cui si dice che la natura sostanza, proprio in quanto non elemento ma principio, a partire dal quale si deter- mina lessere della cosa. Aristotele d un grande rilievo al carattere unificante del principio come telos e non come elemento. Nella prosecuzione del XII libro, con i capitoli 4 e 5 (allinizio del quale, come si detto, anima e corpo vengono posti quali principi unificanti della sostan- za, aventi lo stesso rapporto di atto e potenza) lo Stagirita sviluppa unargomentazione che ha il compito di spingere il discorso verso ( 22 ) Cfr. ad esempio G.W.F. HEGEL, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften, in Werke, cit., 8, 83 Zus. 230 HEGEL E ARISTOTELE principi che siano gli stessi per tutte le cose (1070 a 32-3), e verso un principio unificante che tutto muove (1070 b 35). Ci che uni- fica non pu essere inteso semplicemente come elemento, perch come tale sarebbe incapace di spiegare la diversit. Lunificazione cercata perci dal punto di vista relazionale dellanalogia, cio dal punto di vista di ununit di differenti. In questo punto di vista rientra il concetto di sostanza nel senso di ci che muove come ter- mine finale e che in atto un qualcosa di determinato. Come tale essa il termine in cui si raccoglie un processo, e unifica alla ma- niera in cui unificante la relazione potenza-atto che ha nellatto il suo termine primo. Sostanza e atto sono principi allo stesso modo, e proprio questo legame introduce alla causa prima di tutto. Se allinizio la materia sembra avere un ruolo di primo piano per la distinzione delle sostanze materia corruttibile o incorruttibile da un lato, assenza di materia dallaltro lo stesso concetto-guida di movimento comporta progressivamente un ruolo sempre pi deci- sivo dellatto e con esso del fine come termine in cui si raccoglie e giunge al pi proprio essere il processo. Ora, su questa base gi in Aristotele assumono una posizione rilevante il vivente e lanima. Lanima infatti ousia kat ton logon (Met, VII, 10, 1035 b 13 e De An, II, 1, 412 b 10-11), sostanza nel senso di forma (tr. Movia), o, secondo la traduzione di Hegel, so- stanza solo secondo il concetto (GPh II, p. 201. Hegel aggiunge il solo). Essa in certo modo rientra nella seconda definizione di so- stanza, quella che designa lousia come forma o come essenza, e che nel capitolo 3 del XII libro indicata, come si detto, quale physis. Ma poich lanima atto di un corpo che ha la vita in potenza, nel momento in cui essa si rapporta in quanto sinolo vivente alle parti del corpo, si rapporta non a tali parti in quanto materia, ma in quanto potenziale organismo vivente (separate dal quale le parti materiali il dito o locchio, secondo gli esempi aristotelici di- versamente da quanto accade alla scure non sarebbero pi le stes- se). Lanima forma un sinolo vivente non con gli elementi mate- riali in quanto tali, ma in quanto costituiscono potenzialmente un 231 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel organismo, in quanto cio hanno la vita in potenza. La materia del- lanima in certo modo la vita stessa, e cos lanima, nel rapportarsi ad altro, si rapporta a se stessa, cio alla forma come causa delluni- t degli elementi naturali. Cosa che Hegel, commentando il passo del De Anima, spiega cos: la forma, il concetto qui lessere stes- so, questa sostanza stessa; invece, la scure non ha il principio della sua forma in se stessa, non si fa tale da se stessa; o la sua for- ma, il suo concetto non la sua sostanza stessa essa non attiva mediante se stessa. Come si visto, questo non comporta per nella trattazione aristotelica del XII libro una distinzione che separi il destino del vi- vente da quello della sostanza sensibile, eccezion fatta per laccen- no incidentale al nous. E ci perch lanima resta una parte del com- posto vivente, e come tale principio unificante di altro e come altro. Ne viene che essa resta soggetta a movimento almeno nel senso della generazione e della corruzione, e in generale nel senso che soggetto a movimento lindividuo che essa informa. E tuttavia essa articola dentro s unambivalenza e un passaggio che provoca- no come una necessit la parentesi del capitolo 3 sul nous. Da una parte infatti lanima rappresenta in modo insostituibile il concetto di sostanza come physis (principio unificante in quanto via verso se stessa) o come causa formale, cio come causa dellunit e della differenza specifica dellente. Lanima infatti legata con il corpo (esiste met somatos, De An, I, 1, 403 a 15) non al modo della retta o del cerchio nel bronzo: il suo radicamento sensibile invece lorga- nismo come un tutto vitale (come la stessa physis secondo il suo concetto). Il radicamento posto in qualcosa che non di per s alcuno degli elementi corporei, ma solo il loro stare in un processo unitario (questo un primo senso in cui si pu intendere lespres- sione hegeliana secondo la quale nel secondo tipo di sostanza la figura sensibile solo il mutamento). Tuttavia proprio la peculiarit del carattere sensibile del vi- vente chiama in causa la possibilit di unopera propria (idion ergon) dellanima, cio della esistenza separata dellanima stessa. 232 HEGEL E ARISTOTELE Lunit di anima e corpo implica infatti unattivit dellanima (un tipo di anima) in cui il passaggio ad atto non comporti perdita di ci che si era n allontanamento (ekstasis, De An, I, 3, 406 b 13) dalla propria sostanza, non comporti kinesis, ma quiete e stasi (407 a 32- 3): una condizione in cui lanima porti ad atto, eserciti, se stessa. Aristotele apre lo spazio di possibilit concettuale per questa esi- stenza separata quando definisce come primo latto che proprio dellanima: atto poi si dice in due sensi, o come la conoscenza (raiotgg) o come lesercizio di essa (to 0reriv), ed chiaro che lanima atto nel senso in cui lo la conoscenza. Difatti lesistenza sia del sonno che della veglia implica quella dellanima. Ora la ve- glia analoga alluso della conoscenza, mentre il sonno al suo pos- sesso (rriv) e non alluso (rvryriv), e primo nellordine del dive- nire rispetto al medesimo individuo il possesso della conoscen- za (De An, II, 1, 412 a 22-27). Si apre in questa definizione la possi- bilit che lanima porti ad atto non altro ma se stessa. Questa implicazione di unesistenza separata dellanima, che comporta senza dubbio un appoggio al De Anima per linterpreta- zione dellimpianto del XII libro ( 23 ), spiegata da Hegel come un duplice modo di trattazione (GPh II, p. 199) dellanima, che pu essere vista o come pensiero o concetto materializzato (logoi enyloi) (il riferimento a De An, I, 1, 403 a 25), nel senso dei modi materiali dello spirituale, o come separata (nella sua libert, se- condo lespressione di Hegel che pone dunque in essa lesistenza dello spirito): come physis o come logos, ovvero, in termini hege- liani, allinterno della natura o dello spirito. Hegel vede dunque in questa sostanza un tipo di raccordo privilegiato per laccesso alla sostanza immobile: un filo che connette la comprensione dellente sensibile, della natura, con una realt posta in Aristotele al di l (par), ma in certo modo perci anche, senza ulteriori chiarimenti concettuali, accanto alla physis . ( 23 ) In proposito cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete di Aristotele, ETS, Pisa 1990, p. 40 ss. 233 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel Come organismo vivente lanima infatti quellorganizzazio- ne unificante degli elementi materiali (quelluniversale) che esiste sempre in altro e che si comporta negativamente verso questaltro. Non nel sinolo vivente ed in lotta con lindividuo sensibile, dal quale si separa per conservarsi nella sua universalit: nella natura ... luniversalit viene a manifestazione solo in questo modo negati- vo, che la soggettivit tolta in essa (Enz, 375 Zus). E ci implica per Hegel la separabilit dellanima dal corpo, ossia la morte del- lindividuo e la vittoria della specie su di esso. Ma lanima anche luniversale immaterialit della natura (Enz, 389) - cio la natu- ra come unit, come via verso se stessa che non alcuno degli elementi materiali. Come tale la natura esiste per un verso sempre in altro e come altro. Ma nellanima (razionale) questa relazione a s trova unesistenza o unopera sua, e pu essere riguardata come il nous passivo, il sonno o il semplice possesso, senza eserci- zio, della conoscenza; quel nous passivo di Aristotele che, sotto laspetto della possibilit, tutto (ibid.). Lanima si porta ad atto come tale, cio luniversale che si espone (darstellt) come univer- sale (Enz, 375 Zus), cio che esiste come pensiero, inseparabile dalla propria realt e come tale immortale. 6. Il percorso hegeliano (che mette in opera il passaggio dalla natu- ra allo spirito) orienta il concetto guida del movimento in una dire- zione di sviluppo quanto meno sommersa nel testo aristotelico. Aristotele sorvola infatti sullanima separata e d un peso rilevante al movimento eterno delle sostanze incorruttibili sopralunari ( 24 ). Attraverso la gerarchia di movimenti e di sostanze ad essi relativi ( 24 ) Cfr. per quanto affermato in GLOY, op. cit., p. 537: la ... stratificazione di conoscenza oggettiva, autoconoscenza umana e autoconoscenza divina forma lesatto analogo del sistema ontologico delle sostanze: le sostanze mutevoli eterorelative, la sostanza eternamente autoriferita e lautorelazione trascendente eterna, che rappresenta in assoluto la sostanzialit. 234 HEGEL E ARISTOTELE che cos si genera, egli produce una sorta di prova cosmologica che va dal mosso allimmobile quale presupposto necessario e trascen- dente del movimento stesso. Questa posizione trascendente del Dio aristotelico pare scomparire nellinterpretazione hegeliana. Il passaggio alla terza sostanza, quella immobile, fatto perci da Hegel in termini che sembrano sconvolgere a fondo lassetto aristotelico. Gi Michelet in una nota alla seconda edizione delle Vorlesungen aveva fatto osservare nellinterpretazione hegeliana del primo cielo un fraintendimento della versione pi accreditata del testo aristotelico ( 25 ). Questo errore favorirebbe la confusione hegeliana tra primo motore e primo cielo, e cio una traduzione immanentistica della teologia aristotelica. La traduzione hegeliana desume infatti limmoto come medio tra mosso e motore (estremi entrambi presenti nel primo cielo) e lo interpreta come movimento autorelazionale, come circolo della ragione ritornante in se stessa (GPh II, p. 161): poich lo sferico motore e mosso, vi un medio che muove ed immobile. Il testo pi accreditato sviluppa invece una serie gerarchica in cui il cielo il medio (motore e mosso) che impone il passaggio allaltro estremo, che il motore immobile (so- stanza estranea alla mobilit e trascendente). Certo tutto ci non spiega come in Aristotele si passi dal motore immobile al pensiero di pensiero. Una soluzione, troppo facile, mi sembra, sarebbe quel- la di limitare largomentazione epistemica di Aristotele alla prova cosmologica e di considerare una trattazione metaforica tutto ci che riguarda la connotazione del Primo motore ( 26 ). Tuttavia im- ( 25 ) Cfr. G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di E. Codi- gnola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1932, vol. II, p. 305. Lerrore hegeliano discusso e confutato anche in E. CORETH, Das dialektische Sein in Hegels Logik, Herder, Wien 1952, p. 154 e P. AUBENQUE, Hegel et Aristote, in Hegel et la pense grecque, a cura di J. DHondt, PUF, Paris 1974, p. 106. In realt anche qui Hegel, come nellaltro passo famoso del capitolo 7 giudicato frainteso, traduce cor- rettamente ledizione erasmiana (cfr. A. FERRARIN, op. cit., pp. 44-45). ( 26 ) Di un sopravvalutazione della metafora della vita parla P. AUBENQUE, Hegel et Aristote, cit., pp. 106-8. Del resto lo stesso Aristotele definisce come meta- 235 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel portante innanzitutto osservare che anche con questa limitazione non si pu comprendere la posizione aristotelica di un motore tra- scendente senza un mutamento radicale di prospettiva nel concetto di agente. Aristotele fa leva sul movimento eterno e ingenerato (di cui si parla anche in Phys, VIII), un movimento continuo locale e in circolo, come presupposto necessario primo per cui si dia genera- zione e ogni movimento, a sua volta attributo di sostanze ingenera- te e incorruttibili, che dovremmo postulare anche se non le avessi- mo mai viste (cfr. Met, VII, 16, 1040 b 34 ss.) per la stessa continuit della natura. Da queste come termine medio ( 27 ), manifesto non solo nella ragione pensante ma anche esistente realiter nella na- tura visibile, secondo il modo in cui Hegel traduce rispettivamen- te logo e ergo del 1072 a 22 (GPh II, p. 160), si passa a una sostanza necessariamente immobile: le sostanze intermedie (il primo cielo e in subordine lintero mondo sopralunare) muovono ogni altra cosa perch sono caratterizzate da un movimento eterno, che nessun al- tro dunque ne presuppone e che da ogni altro movimento pre- supposto. Con il loro movimento eterno queste sostanze hanno gi sempre cominciato ad essere, e cos sostengono la continuit imperitura del movimento, lincessante cammino verso altro. In questo senso, ma solo in questo senso esse sono anche con- dizione del proprio stesso muoversi. Per Aristotele, infatti, doven- do decidere il principio del movimento tra ci che mosso da altro e ci che mosso da se stesso, si deve optare per questultimo (Phys, VIII, 5, 257 a 27 ss. e 256 a 20-1). Tuttavia la sostanza eterna- fora lagire del fine in De generatione et corruptione (= GC), I, 7, 324 b 13-15. Si ri- cordi per che Aristotele ha gi identificato sotto un certo aspetto (1070 b 32) forma e agente, e in Phys II, 7, 198 a 35 ss., parla del fine ultimo, lassolutamente immobile, come di uno dei due principi del movimento naturale, principio che muove ma non ha in s il principio del movimento. ( 27 ) Il termine medio resta implicito nel capitolo 6, ma esplicitato al 1072 a 22 ss.; cfr. lo stesso ragionamento in Phys, VIII, 5, 256 b 14 ss. 236 HEGEL E ARISTOTELE mente mossa, che sostiene il movimento eterno (dal momento che il movimento sempre nelle cose, e riguarda la sostanza o una del- le altre categorie), presuppone a sua volta il movimento, n si pu pensare prima di esso, dal momento che pu essere altrimenti (allos). Cos, in quanto eternamente mosso, il primo cielo muove se stesso, ma in quanto esso stesso in moto, non pu sostenere a partire da s il movimento. Proprio e anzi solo allinterno di un tale automovimento diviene stringente il primato di un estremo immo- bile. Il primo cielo muove in quanto gi sempre in moto (in atto imperfetto) ed cos costantemente e circolarmente prima di s e causa di s. Esso cos muove e insieme mosso nel senso in certo modo unico ( 28 ) per cui costituisce lestremo limite della causa effi- ciente, oltre il quale non si pu rimanere nellordine di questa causa. La trascendenza della causa finale dipende da un radicale spostamento concettuale rispetto alla serie naturale. Il primo mobi- le condivide infatti con tutti gli esseri sensibili un poter essere altri- menti (almeno secondo il luogo) (Met, XII, 7, 1072 b 4 ss.) e con ci un residuo difetto di sussistenza, una dipendenza dalla possibilit e dal non essere (sotto un certo riguardo). Con ci mosso da un radicalmente altro rispetto a tutto ci che sensibile. Qualcosa che restando altro dal moto determina leternit e la circolarit del moto, e con esse lintera natura: da un tale principio dipende (gtrtoi) il cielo e la natura (1072 b 13-14). Esso causa del movi- mento nel senso che lo sostiene e lo costituisce nella relazione a s, lo destina a s fin da principio. Secondo il modo in cui Hegel defi- nisce il rapporto tra lo spirito e la natura, come scopo della natura ( 28 ) Gloy fa notare come in realt ogni ente che si trova in movimento per un verso mosso e per altro motore, e solo linsieme della natura per cos dire in- sieme mosso e motore. Aristotele potrebbe scegliere la via platonica dellautomo- vimento, ma se ne distacca perch postula come necessaria una sostanza scevra di materia, e dunque trascendente lordine della physis (op. cit., pp. 528 ss.). Cfr. an- che E. RUDOLPH, Zeit und Gott bei Aristoteles aus der Perspektive der protestantischen Wirkungsgeschichte, Klett-Cotta, Stuttgart 1986, pp. 91 ss. 237 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel esso [lo spirito] ... prima di essa, essa proceduta da lui, per non empiricamente, ma in modo tale che lo spirito, che la presuppone a s, gi sempre contenuto in essa (Enz, 376 Zus). Ora, proprio in modo simile a questo muove lanima. I vi- venti e gli animati muovono se stessi nel senso peculiare per cui per esempio muovono dopo essere stati immobili, pur essendo per altri aspetti mossi da agenti esterni, come per esempio nel caso del- lalimentazione (cfr. Phys, VIII, 6, 259 b 1 ss.). Lanima resta in essi causa immobile del movimento, anche se essi muovono accidental- mente se stessi (qui si cita lesempio dellanima che si muove di movimento locale insieme al corpo, ma con riferimento al De Ani- ma, possiamo parlare di una passivit dellanima in cui essa dipen- de dal corpo pur restando ad un tempo in relazione a se stessa). Questa mobilit accidentale, peraltro, rende lanima diversa so- stanzialmente dal primo motore immobile, che deve muovere di moto continuo, cio deve sostenere il movimento esclusivamente da se stesso. Solo ci che immobile, cio del tutto non suscitato da altro, pu muovere in prima istanza: e in proposito, anche nel con- testo di Fisica, VIII, Aristotele cita il nous impassibile e non mesco- lato di Anassagora come una sostanza che muove in questo modo. Proprio la via cosmologica apre cos la strada a un radicale mutamento di prospettiva sul rapporto tra movimento, atto e so- stanza. Cosa che Hegel non manca di enfatizzare, vedendo nel principio finale quel movimento (proprio della prova ontologica) che consiste nel passare dal pensiero allessere: il concetto, principium cognoscendi, anche il movente, principium essendi; egli [Aristotele] lo enuncia come Dio e ne mostra la relazione alla sin- gola coscienza (GPh II, p. 162). Quanto poi al fraintendimento del posto del primo cielo, la lettura erasmiana non conduce comunque Hegel a una confusione di primo cielo e primo motore immobile: Hegel chiama il primo cielo leterno visibile (GPh II, p. 162), che insieme con la ragione pensante costituisce i due modi del- lesposizione dellassoluto (GPh II, p. 160), ma lo distingue dal 238 HEGEL E ARISTOTELE Sichselbstgleichbleibende, dal principio che muove e rimane in rela- zione a s (GPh II, p. 161), il quale non pi oggetto di filosofia della natura, perch ha a che fare con lessere proprio del pensiero. Anche quando Hegel pi avanti (GPh II, p. 167) pone il cielo come immobile che muove, attribuendo dunque erroneamente al dio visibile quanto nel testo aristotelico riguarda invece la sostanza soprasensibile, considera per caratteristico di questo livello il se- pararsi di movente e mosso e quindi lentrata in questione di una causalit efficiente con lapparire di un primo ed eterno movimen- to. Peraltro il riconoscimento di una prossimit a proposito del ri- volgimento connesso con il passaggio dalla natura allo spirito non impedisce a Hegel, come ricordavamo, di mantenere la consapevo- lezza della propria intromissione interpretativa: che il pensiero ... sia ... lo diciamo noi. Gi nellargomentazione aristotelica circa limmobilit del primo motore si aprono spunti per articolare il troppo brusco pas- saggio dal motore immobile al pensiero di pensiero. E qui diffici- le non ritrovarsi a fare almeno un po di strada con Hegel. Il quale sostiene che il muoversi da s, concetto senza il quale non com- prendiamo neanche gli enti fisici, distingue a partire dallatto ci che determinato come potenza: e ci significa che mentre si rap- porta alla potenza latto si rapporta a se stesso, ovvero concepibi- le solo come autodeterminarsi. Nel primato dellatto Hegel ricono- sce la propria filosofia: il vero essere, degno di questo nome, lo ha lentelechia; lidentit da concepire solo come questa entelechia la nostra idea (GPh II, p. 201). E proprio su questo primato inne- sta la connessione tra il tema del movimento e lautodeterminarsi dellidea, che distingue peraltro da una posizione di mero ideali- smo soggettivo: altra la cosa, leggiamo infatti a precisazione di quella formula che vale come concetto di autorelazionalit del pen- siero, in quanto io esisto come singolo soggetto, o lidea esiste in me come questo singolo individuo; qui c finitezza, punto di vista della passivit (GPh II, p. 206). 239 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel 7. Il punto decisivo dunque questo: per Hegel latto puro scevro di materia va pensato necessariamente come pensiero di pensiero. Secondo Hegel infatti questa formula esprime il senso fondamenta- le dellatto che governa anche la concezione dellente mosso. Que- stultimo non pu essere concepito senza limmobile che muove, nel senso che in esso il permanere d forma anche al mutare: e ci si coglie gi nel fatto che nella definizione del movimento chia- mato in causa il riferimento allimmobilit. Leternit del movimen- to suppone sostanze eternamente mosse, ma queste a loro volta presuppongono non solo una sostanza eternamente in atto, ma un principio siffatto la cui sostanza sia latto (Met, XII, 6, 1071 b 20). A questo punto e solo a questo punto latto non pi in relazio- ne ad altro, non pone in opera altro. Ci porta Aristotele addirittu- ra ad ammettere per un verso una certa plausibilit della tesi (per esempio platonica) della coincidenza tra attivit (energeia) eterna e movimento (kinesis) eterno (1071 b 32-33). Ma lo Stagirita rende evidente per altro verso che chi sostiene questa tesi non pu spie- gare in che modo il movimento sia e che cosa sia: non basta infatti affermare che il principio ci che muove se stesso, se poi quella che si definisce cos, cio lanima, considerata come posteriore al movimento, come mossa. Occorre invece ripensare il movimento a partire dallatto, ov- vero pensare latto stesso come fondamento della connessione tra potenza e atto che istituisce il movimento. La relazione aristotelica tra potenza e atto non pu essere compresa se non si concepisce latto anche in posizione asimmetrica, sicch solo a partire da s esso dischiude la distanza dei due termini. E questo impone un mutamento di prospettiva rispetto alla sostanza sensibile e mossa. Impone di pensare una sostanza in cui latto non porti a compi- mento una materia, o, come dice Hegel, non sia solo attivit for- male il cui contenuto giunga da qualche altra parte (GPh II, p. 159). Certo, osserva Hegel, anche qui Aristotele come altrove si li- mita a negare un predicato (il primo motore senza materia), ma 240 HEGEL E ARISTOTELE non dice qual la sua verit; cio non spiega come nel porre latto quale escludente da s la relazione ad altro, la negazione trasforma anche il modo in cui laltro, qui la materia, va pensato (come nelle prove dellesistenza di Dio che partono dallessere, e che secondo Hegel negano nel punto di arrivo la sussistenza autonoma di ci che avevano preso come punto dappoggio iniziale per la prova). La materia, che era il momento dellessenza immota, ora momen- to radicalmente subordinato delluniversale, poich ora lessenza prima assoluta ci che rimane sempre uguale a s in eguale attivi- t (Wirksamkeit) (GPh II, p. 160). Hegel sfrutta fino in fondo quello che considera un ribalta- mento (Umschlag, GPh II, p. 162) necessario, e cio il punto in cui ci che posto a principio della serie delle sostanze determina a partire da s la propria posizione di principio che tutto muove. Questo carat- tere relazionale dellatto determina un tratto essenziale a partire dal quale il movimento suscitato, e configura larch in senso prima- rio come telos. Un principio cinetico e poietico non pu essere in ultima istanza se non una sostanza la quale gi sempre sia. Ma una tale sostanza rimane daltra parte una vuota astrazione (e qui, se- condo Hegel, il punto di essenziale divergenza da Platone) se non presente in essa un principio capace di muovere (ouvorvg og rtooriv) (1071 b 15-16). Qui sembra effettivamente leggibile in Aristotele una partenza dialettica dallassunzione di una poten- za dentro latto stesso, ovvero da una posizione di automovimento che di grandissima importanza (1071 b 37) distinguere nel suo carattere di principio (se sia natura, forza, intelletto o altro), se- condo lespressione usata in questo contesto da Aristotele. Occorre infatti pensare un atto che impianti una relazione senza muoversi. Hegel traduce questa capacit di muovere in un muoversi (Sichbewegen), cos come subito dopo traduce energeia con Bewe- gung (GPh II, p. 159) ( 29 ), mentre poco prima ha spiegato latto puro ( 29 ) Cfr. FERRARIN, op. cit., p. 43. 241 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel con queste parole: la sostanza che nella sua possibilit ha anche la realt, la cui essenza (potentia) essa stessa atto, dove luno e lal- tro non sono separati; in essa la possibilit non differente dalla forma, questa che produce il suo contenuto, le sue determinazio- ni stesse, se stessa. Una tale interpretazione appare subito avvi- luppata in fraintendimenti decisivi: a) il primo motore immobile definito come unit di potenza e atto; b) latto puro pensato come movimento che ha come materia la propria essenza. Tuttavia Hegel intende in questo contesto la potenza come il modo di essere della relazione ad altro tale da restare dentro latto stesso quale suo tratto essenziale. Latto , in quanto tale, possibilit di differenza, ossia la differenza un modo dessere che va ricondotto allatto e a quella sostanza che coincide con latto. In questo modo non viene persa di vista la prospettiva dellimmobilit e dellindivisibilit dellatto. Latto non viene ricondotto al movimento: non lessenza dellatto movimento, ma lessenza del movimento atto, e solo a partire da questo i termini si possono convertire. Il punto di approdo dellimmobilit dellatto il passaggio obbligato per quello che nellinterpretazione di Hegel si presenta come Umschlag. Il motore immobile e senza materia non pu essere pensato come distinto da altro. Lo possiamo pensare distinto sol- tanto in base a s. Cos Hegel interpreta la definizione aristotelica che sembra per un verso collocare il primo motore semplicemente accanto a quelle sostanze la cui essenza solo potenza rispetto al qualcosa realizzato. E poich il primo motore distinto (altro) solo rispetto a se stesso esso resta dunque indivisibile, uguale a se stes- so. Solo in questo senso lessenza dellatto espressa da Hegel come movimento, intendendo lessenza del movimento come il di- venire s. Ci che Hegel intende fissare con determinazioni mo- derne (GPh II, p. 161) unimmobilit non confondibile con limmota natura criticata nelle idee platoniche. In questa distinzio- ne allatto puro viene attribuito un senso speciale del concetto di movimento, quello proprio del pensiero, che diviene condizione di 242 HEGEL E ARISTOTELE possibilit per ogni forma di movimento, sempre implicante un mantenimento in relazione di potenza e atto (una salvezza del dynamei on), e dunque un modo dessere che proprio del pensiero. Il concetto di movimento che racchiude in s ogni possibilit di movimento insomma quello per cui latto non si indirizza ad altro da s, non muove verso altro ma verso se stesso. In questo modo principio del movimento un qualcosa che resta sempre e agi- sce sempre allo stesso modo (1072 a 10), non venendo coinvolto in un movimento verso altro. Come concepibile una siffatta ousia ? Hegel la identifica sin dallinizio con lo spirito, poich proprio presso lo spirito lenergia (Energie) la sostanza stessa (GPh II, p. 159). Questidentificazione resta di marca hegeliana. Ma pur vero che in Aristotele sono chia- mati in causa a questo punto nous e orexis, cio proprio quei princi- pi che erano stati indicati nel capitolo 5 in contrapposizione al soma . Qual una sostanza che muove restando immobile? Essa il termine ultimo del desiderio e del pensiero (rispettivamente lorektn e il noetn), il fine verso cui desiderio e pensiero si muovo- no. Ci di cui hanno bisogno e a partire da cui riprendono se stessi. Nel confronto con questa insistenza aristotelica sullintelligibile come oggetto dellattivit del pensiero va cercato il punto dinnesto dello sforzo hegeliano pi potente per strappare il termine ultimo della teoria della sostanza alla posizione irrelativa nella quale sem- bra collocato dallo Stagirita allinizio della costruzione decisiva del capitolo 7. Aristotele ha certo concepito il pensiero come un ogget- to accanto ad altri, una specie di stato: ma lo sviluppo stesso dato ai suoi concetti a toglierlo da unarida identit. Se Aristotele avesse posto a principio la futile identit dellintelletto o lesperien- za ... non sarebbe mai giunto a tale idea speculativa (nous e noetn) (GPh II, p. 164): il momento pi alto, dal quale va ricompreso tutto il cammino invece il pensiero di pensiero, ovvero che il pensiero e il pensato sono uno (GPh II, pp. 162-3). La differenza tra le due fi- losofie dovuta alle implicazioni, dirompenti sotto il profilo siste- 243 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel matico, che Hegel ha tratto dal pensiero di pensiero: tuttavia il nu- cleo del discorso resta per il filosofo tedesco insuperabilmente aristotelico (non si pu voler conoscere nulla di pi profondo, GPh II, p. 165). Precisando ulteriormente la posizione del primo motore, Ari- stotele spiega che il desiderio mosso dal pensiero, e questo dal- lintelligibile. E se loggetto che muove il desiderio della sensibilit (loggetto che muove lappetito, lepithymetn) ci che appare bello, il desiderio come volont ha invece il suo principio non in ci che appare, ma in ci che bello (in questo senso non in ci che essen- do da raggiungere non , ovvero non in un dover-essere ma in un essere). Il desiderio si muove cos in ultima istanza verso ci che pensiero: arch he noesis (7, 1072 a 30). Ma a sua volta il pensiero in atto soltanto a partire dal possesso dellintelligibile. Loggetto del pensiero determina a partire da s il carattere del pensiero come es- sere e insieme come privazione; il movimento ingenerato dallintel- ligibile nellintelligenza come il passaggio dal sonno alla veglia o dal possesso allesercizio, e quindi non comporta solo privazione ma appunto gi possesso della forma e dunque immobilit. Nellin- dicare il modo in cui muove lintelligibile Aristotele fa lesempio di un tipo di movimento che proprio dellimmobilit dellanima e che comporta un certo divenire ci che si gi: potremmo dire che, in una sorta di movimento circolare, il pensiero stesso il principio verso cui muove non solo il desiderio o la volont, ma anche il con- cepire. Proprio su questesempio di movimento scelto da Aristote- le fa leva Hegel: la grande determinazione, limmoto che muove, lidea, che muove e rimane in relazione a se stessa. il pensiero che muovendosi verso il pensato rimane uguale a s. Ci per non significa che egli voglia sostituire col primato dellintelligenza (del soggetto) il primato aristotelico dellintelligibile. chiaro anzi a Hegel che il termine del movimento non pu essere pensato in base a quellaltro che muove verso di lui. Il primato dellatto fuori 244 HEGEL E ARISTOTELE discussione, altrimenti, spiega Hegel, il principio sarebbe posto semplicemente mediante lattivit ovviamente separata da ci in cui essa si realizza ; mentre esso piuttosto autosufficiente e il nostro desiderio viene svegliato solo da lui (GPh II, p.161). Non tanto dunque che il principio di una produttivit del pensiero venga opposto frontalmente a un punto di vista che parte invece dal primato dellintelligibile pi eccellente ( 30 ). La via pi lunga: il principio vero il pensare, continua Hegel traducendo il rigo 1072 a 30; infatti il pensiero mosso solo dal pensato. In altri termini: limmobile che muove il pensato, cio log- getto del pensiero; ma qui ci troviamo di fronte a un movimento del tutto speciale, causato solo dal pensato lavverbio signifi- cativamente aggiunto da Hegel; in un tale movimento (che il prin- cipio sostiene hos eromenon, quale oggetto damore (1072 b 3), in tal modo essendo fonte di ogni movimento) ( 31 ) il passaggio dalla po- tenza allatto configurabile come passaggio dal possesso al- lesercizio, e cos in un certo modo dallatto allatto: un tale passag- gio non solo termina nellatto, ma radicato sin da principio in esso. un passaggio in cui lintelletto rimane presso se stesso nella misura in cui nel suo termine di attuazione si genera e si conserva come esercizio: lintelletto infatti identico con lintelligibile in- tuendo e pensando (1072 b 21), cosicch il suo atto la noesis (cfr. Met, IX, 9, 1051 a 30-31); cio una praxis cui inerisce il fine, per cui ( 30 ) Cfr. la tesi di K. DSING, Hegel und die Geschichte der Philosophie, Wiss. Buchgesellschaft, Darmstadt 1983, p. 128. Sul tema vedi anche H.-G. GADAMER, Hegel und die antike Dialektik, in ID., Gesammelte Werke, Mohr (Siebeck), 3, Tbingen 1987, pp. 22 ss. Cfr. comunque quanto Gadamer dice in ARISTOTELE, Metafisica Libro XII, Introduzione e commento di H.G. Gadamer, a cura di C. Angelino, Il Melangolo, Genova 1995, pp. 69-70. ( 31 ) Il passo non tradotto da Hegel, che sembra dunque non dare ad esso sufficiente rilievo, inquadrandolo probabilmente nellambito del rapporto tra las- soluto e la coscienza singola. Sulla tensione tra questo passo e il punto di riferi- mento razionale per la descrizione del modo di muovere del primo motore cfr. R. BRAGUE, Aristote et la question du monde, PUF, Paris1988, pp. 433 ss. 245 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel in questo caso ci che per un verso movimento risulta per altro verso immobilit (o risulta, potremmo anche dire, quellatto perfet- to in base al quale si pu pensare limperfezione del movimento), e il pensare insieme (hama) aver pensato (IX, 6, 1048 b 18 ss.). Quello che pensiamo come principio intelligibile del sensibile dobbiamo concepirlo come ci in cui il pensiero . Questitinerario (che per Hegel, come sappiamo, comprende la prova cosmologica quale passaggio dallessere al pensiero e quella ontologica quale passaggio, fondante il precedente, dal pensiero allessere ) costituisce una esplicazione aggiunta, come egli stesso ammette, da Hegel. Essa non opera tuttavia come mera inversione di gerarchia. Anche quando parla di pensiero che produce il pensato, Hegel tiene presente lintelletto poietico del De Anima e il suo modo di agire. Se il vero principio fosse posto dallattivit (al modo di un idealismo soggettivo) noi avremmo sottomesso il principio fina- le a quello efficiente compromettendo in radice la possibilit di comprendere il nucleo pi speculativo del pensiero aristotelico. lintelligibile, invece, limmobile che muove. La sequenza dellar- gomentazione hegeliana in questi termini: lousia di questo pen- siero il pensare; questo pensato dunque la causa assoluta, essa stessa immobile, ma identica con il pensiero che mosso da esso (GPh II, p. 161). Loggetto si ribalta in attivit, energeia (Energie) (GPh II, p. 162): questo il punto di svolta indicato da Hegel per spiegare il passaggio dallintelligibile pi eccellente al pensiero di pensiero, a Dio e al suo rapporto con la coscienza singola. Lintelligibile pi eccellente il supremo principio che sostiene cielo e natura, ed il riferimento divino dellintelligenza. Ma, appunto, questo divino dellintelligenza non pu essere pensato come quello in cui termina altro. Anzi, in quanto altro lintelletto (umano) mosso esso stesso da ci che resta oggetto damore (e Hegel descrive cos la condizio- ne della finitezza della coscienza). Ma in relazione al principio si impone un ribaltamento necessario a partire dal fatto che in esso 246 HEGEL E ARISTOTELE lintelligenza diviene ci che . E questo concepibile esclusiva- mente se lintelligibile non soltanto il punto darrivo dellintelli- genza, ma gi eternamente in questa condizione, ossia latto di pensiero, che, in termini hegeliani, mentre muove la coscienza ver- so s resta identico a s. Nel ribaltamento risulta delimitata anche la coscienza singola: ci che posto a partire dallo stato in cui noi siamo talvolta (1072 b 15 e 25) fonda a partire da s la condizione del pensare, in un modo per il quale risulta determinante il concet- to di fine: come pensato lintelligibile prodotto dal pensare non in quanto questo giunga occasionalmente allatto, ma in quanto gi sempre questatto; o, in altri termini: poich qui abbiamo come pensato limmobile, non riconducibile ad altro, esso identico con lattivit del pensiero. 8. Hegel appoggia la sua interpretazione anche alle argomentazioni che introducono la formula noeseos noesis nel capitolo 9, l dove il primo motore assunto sin dallinizio come nous, che non pu pen- sare qualcosa di superiore a s, se la sua sostanza la noesis, ma deve essere in atto, altrimenti il pi eccellente sarebbe il pensato (Gedachte, nooumenon) e non il pensare, che dal valore di quello di- penderebbe, poich il pensare appartiene anche a chi ha come og- getto la cosa pi indegna. Qui troviamo anche lespressione conclu- siva del momento fondamentale della filosofia aristotelica, quan- do Aristotele, dando unimplicita soluzione allatopon del pensiero di Dio prospettato nei Magna Moralia, ricorda che la scienza la cosa stessa quando, per le cose che appunto non hanno materia, pensiero e pensato non sono diversi, ovvero il pensare una cosa sola (mia) col pensato (1075 a 2 ss.). Inoltre, come stato notato ( 32 ) Hegel sfrutta anche il riferi- mento ai capitoli 4 e 5 di De Anima, III, per introdurre una distin- zione tra intelletto potenziale e intelletto attivo anche in riferimen- ( 32 ) Cfr. K. DSING, op. cit., p. 126. 247 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel to al pensiero di pensiero, e tracciare una definizione per molti ver- si dirompente, secondo la quale nel pensiero divino vi sono anche differenza, repulsione, movimento, e in esso possibilit e realt sono identici (GPh II, p. 164). Nel testo hegeliano, ben calibrato nellordine gerarchico che istituisce tra potenza e atto, leggiamo: il nous anche dynamis, ma non la possibilit il pi universale e con ci il pi elevato , bens la singolarit e lattivit ... Il nous come passivo non altro che lin-s, lidea assoluta in quanto consi- derata in s, il Padre; ma solo in quanto attivo esso viene posto. E tuttavia questo primo, immobile, quale distinto dallattivit, quale passivo, in quanto assoluto lattivit stessa. In nessuno di questi riferimenti Hegel salta per il passaggio attraverso limmobilit e attraverso il primato dellatto come telos che sostiene il movimento restando identico. Anche in questultimo passo, che accenna allintroduzione di una relazione trinitaria o processuale dentro il pensiero di pensiero, largomento portante quello di un ribaltamento necessario nella concezione del principio motore a partire dallatto che in esso precede la distinzione tra in- telletto e intelligibile. Lintelletto passivo resta istituito dallidentit vivente del divino che sostiene anche la diversit legata al movi- mento: tolto in Dio, lintelletto passivo la natura, ma anche il nous in s che nellanima percepisce e forma rappresentazioni (GPh II, p. 216). Esso la natura e lo spirito finito. Immaterialit della physis e autorelazione (immobilit) dellanima come forma, specialmente negli atti conoscitivi propriamente umani pur spazio- temporalmente condizionati, sono modi di anticipazione del divi- no i quali risultano tuttavia fondati proprio dal telos in vista di cui si definiscono. In particolare il pensiero umano, anche se sotto il profilo naturale, insieme con le altre facolt, ha bisogno di mu- tamento, cio presuppone la materia da cui astrae, tuttavia dal- tra parte esso stesso materia a s, e, in base a questo, come si vi- sto, passando ad atto esercita (energei) quanto gi possiede (echei), ossia resta in quiete perch non diviene altro ma anzi sal- 248 HEGEL E ARISTOTELE va il dynamei on. In questo atto il pensiero ha un piacere che corri- sponde alla compiutezza di ci che semplice e niente esclude da s: si tratta proprio di quella energeia akinesias ( 33 ) che Aristotele contrappone allatto che proprio del movimento (cio a quellatto che d un termine e d termine al movimento stesso). Lenergeia akinesias eternamente propria di Dio insieme al piacere costante e perfetto: e alluomo appartiene in quanto vi qualcosa di divino in lui (EN, X, 7, 1177 b 28) ( 34 ) che differente dalla sua natura in quanto composta. Limmobilit del primo motore quale Endzweck, quale princi- pio finale, resta anche per Hegel un nodo inaggirabile per il pas- saggio al pensiero di pensiero. Il primo motore non pu essere coinvolto nel movimento. Ci significa: esso non rimanda ad altro ma mette tutto in relazione a s. Non muove dunque solo come ci a partire da cui il movimento, ma anche come ci verso cui esso . Quel che resterebbe altrimenti non comprensibile in base allessen- te, il movimento eterno che coinvolge anche il motore sensibile e non ammette un prima; quel che resterebbe altrimenti parados- salmente una kinesis par ta pragmata (Phys, III, 1, 200 b 32-3), viene in tal modo riportato alla sostanza e sostenuto da essa. Il movimen- to non n la potenza n latto, ma una certa connessione, la rela- zione di questi due modi dessere, definita da Aristotele come atto imperfetto (Phys, III, 2, 201 b 27 ss.). Questo atto ha carattere des- sere solo se relazione a un termine in cui si conserva come tale. Il principio che sostiene il movimento lo indirizza verso s: esso non entra in relazione ad altro ma sostiene la relazione; riferisce cio la relazione allessere e con ci a se stessa (la conserva). Cos muove in ultima istanza lintelligibile: muove non entrando nella relazione ( 33 ) ARISTOTELE, Ethica Nicomachea (= EN), VII, 14, 1154 b 27. Sul tema di una prassi autotelica che come tale non implica movimento pur essendo attivit cfr. anche ARISTOTELE, Politica, VII, 1, 1323 b 23 ss. e 3, 1325 b 28 ss. ( 34 ) Hegel traduce hedon con Genu . 249 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel ma riportando questa a s. Limmobilit ha cos una precisa connes- sione con lessenza del movimento, che si conserva, in ultima istan- za, solo se si indirizza verso ci a partire da cui gi sempre . Il principio finale, cos pensato, impone il riferimento a una sostanza dordine intelligibile, lunica in grado di salvare il movi- mento: solo una tale sostanza, infatti, muove senza essere soggetta a movimento. Ma una tale sostanza di per s fondamentalmente causa di un muoversi verso s (il muoversi proprio del nous), e solo sul fondamento di questo movimento causa di un muoversi ver- so altro. Il primo tipo di movimento appunto un diventare ci che si , lergon proprio dellanima, il modo in cui si muove il nous. In questo movimento il possesso o lepisteme precede lesercizio o il theorein solo nellordine del divenire rispetto al medesimo indi- viduo (tg yrvrori rai tou outou) (De An, II, 1, 412 a 26). Ma dal punto di vista del logos e dellousia ci che precede lidentit del- lintelligenza e dellintelligibile. Questa pi eccellente della loro separazione. Riassumendo lintera argomentazione: il movimento implica lammissione di un motore immobile; ma questo muove come lintelligibile muove lintelligenza; questo movimento, daltra parte, come un divenire ci che si (che significa un dipendere del- landare verso altro dallandare verso s) postula un altro che gi sempre nella condizione in cui il pensiero arriva ad essere, postula il restare racchiuso del movimento entro limmobilit, postula dal lato dellintelligibile lunit propria del theorein. In conclusione, prendiamo in esame alla luce di questo per- corso argomentativo lerrore pi significativo dellinterpretazione hegeliana del capitolo 7 e di tutto il libro. Il passo alterato in modo decisivo il 1072 b 22-3: lintelligenza , infatti, ci che capace di cogliere lintelligibile e la sostanza, ed in atto quando li possiede (rvryri or rev). Pertanto, pi ancora che quella capacit, que- sto possesso (eot rxrivou oov touto) ci che di divino ha lintel- ligenza (tr. Reale). Hegel (sulla base delledizione erasmiana, che aveva: rxrivo oov toutou) traduce in un modo che sembra favo- 250 HEGEL E ARISTOTELE rire in modo decisivo la sua interpretazione soggettivistica: in- fatti ci che assume il pensato e lessenza il pensiero. Il pensare pensiero di pensiero. Del pensare Aristotele dice: esso in atto (wirkt), in quanto possiede (o: il suo possesso tuttuno con la sua attivit), cosicch quello (lagire, lattivit) pi divino di ci che la ragione pensante (nous) ritiene di avere di divino (il noetn). Non il pensato il pi eccellente, ma lenergia (Energie) stessa del pensa- re (GPh II, p. 163). Non mi sembra possibile mettere in contrasto le due letture nel senso di una contrapposizione tra primato dellintelligibile e primato dellintelligenza, gi per il fatto che in Aristotele questa se- parazione non pu essere assunta come fondante (cio come pri- ma secondo logos e ousia), n un primato dellintelligibile in con- trapposizione allintelletto in grado di spiegare la connotazione del primo motore immobile come pensiero di pensiero. Ma anche se guardiamo alla traduzione hegeliana, dobbiamo prestare attenzio- ne al fatto che pi eccellente non considerata lintelligenza in quanto potenza di far proprio loggetto, di produrlo come pensato, ma piuttosto lunit di possesso e attivit. Questunit non solo su- periore, come ovvio, al principio attivo in quanto distinto dal suo compimento: questo sarebbe latto primo del nous, o lintelletto pas- sivo o ancora la capacit di pensare come punto di vista del sogget- to (lautocoscienza singola) per Hegel distinguibile soltanto in base al punto di vista dellassoluto quale immutabile attivit e non sin- golo stato. Ma lunit di possesso e attivit superiore anche al- lintelligibile in quanto semplice termine della relazione di posses- so: il pi eccellente non ci che lintelligenza ritiene di avere, per- ch il possesso, come abbiamo visto, precede solo secondo il tempo e lindividuo particolare; il pi eccellente lattivit del pensare che istituisce la relazione a s e dunque la particolarit dei due momen- ti, e cos, per Hegel, anche di s come momento. Qui non c una violenza sul senso del testo interpretato ma un tentativo di spiegare il tessuto implicito che sostiene il passag- 251 L. SAMON - Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel gio dal primo motore immobile al pensiero di pensiero e rende ne- cessaria questa connotazione del primo e del divino. Ci non vuol dire che una tale interpretazione chiuda in modo perfetto il cerchio della costituzione ontoteologica della metafisica. Dentro questo cerchio resta aperta una tensione che mette in campo nuovi motivi di differenza. Da una parte Hegel sembra trascurare laspetto aper- to e metaforico dello hos eromenon, un passo sul quale, come si detto, non si sofferma. In realt si potrebbe invece vedere nella causalit del primo motore una sorta di metaforicit irriducibile, perch esso resta sempre altro da ci che si muove verso di lui e lascia cos ogni possesso intrinsecamente povero del termine con cui entra in relazione tendendo allunit e allidentificazione con esso. Da questo punto di vista il pensiero umano resta nella stessa condizione della physis, rientra nonostante tutto in essa ( 35 ). Di contro Hegel vede nel Dio aristotelico quellindistinta con- nessione tra spirito soggettivo e spirito assoluto che impedisce unarticolazione della sua differenza dallesistenza particolare e lo fa apparire come un particolare al suo posto accanto agli altri, piante, animali, uomini (GPh II, p. 151). Un troppo immediato stare oltre le cose si traduce in un restare accanto ad esse. La posizione del Dio aristotelico rischia di rimanere unilaterale se lasciata alla lettera della sua estraneit alla natura degli enti mossi. La ricchezza che la teoria del pensiero di pensiero racchiude in s raccoglie in unit tutto il cammino della storia della filosofia. Ma nel testo aristotelico i due momenti della verit dello spirito che il pensiero di pensiero rappresenta, limmediato esser per s della soggettivi- ( 35 ) Aristotele in GC definisce il fine come poietico solo kat metaphorn (loc. cit.), argomentando con il fatto che il qualcosa si muove quando non sono presenti la forma e il fine, le hexeis che lo caratterizzano, mentre nel caso in cui esse sono presenti, il qualcosa gi . Nel fine ultimo delle cose, sempre altro dal- le cose stesse, presenza costante e alterit devono convivere aporeticamente, perch esso, proprio nel riservare a s il carattere di movente in senso radicale, custodisce una differenza irriducibile rispetto ad ogni poietico presente di volta in volta tra le cose. 252 HEGEL E ARISTOTELE t e luniversalit, non trovano una connessione testuale ben sviluppata, e ci che sta assolutamente per s la libera soggettivi- t del pensiero non riconciliata col sostanziale. Hegel vede perci paradossalmente nel pensiero di pensiero ancora soltanto la forma dello spirito soggettivo che si trae fuori dallesistenza naturale ma non ha ancora lapertura comunitaria propria dello spirito assolu- to, la cui prima manifestazione, nel nuovo Evo, la religione cri- stiana: la forma nella sua infinita verit, la soggettivit dello spirito, irruppe per la prima volta soltanto come pensiero libero soggettivo, che non era ancora concepito come identico con la sostanzialit stes- sa, n questa era concepita dunque ancora come spirito assoluto (Enz 552 A). Proprio linterpretazione hegeliana, che tesse una connessione stretta tra primo motore immobile e pensiero di pen- siero, dischiude con questa tessitura lo spazio per una discussione pi complessa sul significato e sulla tenuta complessiva del proget- to ontoteologico della metafisica. ( 1 ) Questo il testo, riveduto e corretto, della relazione tenuta al convegno Hegel interprete di Aristotele, che si svolto a Cagliari dall11 al 15 aprile 1994. Esso espone conclusioni provvisorie di un lavoro ancora ampiamente in fieri, e ri- prende alcune parti di saggi gi apparsi o in via di pubblicazione, ed in particolare: Kants Productive Imagination and its Alleged Antecedents, in The Graduate Faculty Philosophy Journal, 18:1, 1995, pp. 65-92; Kants Productive Imagination in Its Historical Context, in Proceedings of the 8th International Kant Congress, ed. by H. Robinson, vol. II, Part. 1, Marquette University Press, Milwaukee, pp. 119-25; Mathematical Synthesis, Intuition and Productive Imagination in Kant, in The sovereignty of Costruction. Essays in Memory of David R. Lachterman, ed. by P. Kerszberg and D. Conway, Rodopi, Amsterdam 1996; Costruction and Mathematical Schematism. Kant on the Exhibition of a Concept in Intuition, in Kant-Studien 86/2, 1995, pp. 131-74; Schematismo e costruzione. Il rapporto tra la matematica e la rappresentazione a priori dei concetti nella sensibilit in Kant, in Rivista di Estetica, Nuova Serie, Ottobre 1996. Rimando a que- ALFREDO FERRARIN RIPRODUZIONE DI FORME E ESIBIZIONE DI CONCETTI. IMMAGINAZIONE E PENSIERO DALLA PHANTASIA ARISTOTELICA ALLA EINBILDUNGSKRAFT IN KANT E HEGEL ( 1 ) SOMMARIO: 1. Premessa 2. Luce e visibilit. Aristotele e Kant 3. Luno dei molti e luno oltre i molti. Idealizzazione e manifestazione in Hegel 4. Conclusione. 1. Premessa Parler della diversa funzione mediatrice svolta dal- limmaginazione tra senso e intelletto in tre figure che ho scelto come modelli teorici di riferimento: Aristotele, Kant e Hegel. Perch non vi sembri si tratti tutto sommato di un problema marginale, o alme- no marginale nel rapporto tra Aristotele e Hegel, illustrer subito 254 HEGEL E ARISTOTELE ambito teorico e presupposti metafisici che sottendono alla questio- ne dellimmaginazione e ne spiegano limportanza. Qualunque filo- sofia che prenda le mosse da una preliminare scissione tra empirico e intellettuale non si condanna soltanto a trascurare il ricco mondo della rappresentazione e a non poter rendere conto della mediazio- ne tra intenzione e azione, o tra norma, progetto e realizzazione poietica. Rimane, soprattutto, con un inspiegabile iato tra dati di senso e conoscenza discorsivo-verbale, per riempire il quale ozioso e cir- colare il consueto rimando allextraterritorialit di una dimensione presuntamente psicologica, e quindi in linea di principio sottratta a verifiche epistemiche o a pretese di validit oggettiva. In particolare la tesi della proposizionalit del sapere, il progetto ambizioso della riduzione del significato a pratiche linguistiche o a dottrine seman- tiche in grado di certificarne la genesi e la validit, si sempre accanita da Wittgenstein al ghost in the machine di Ryle fino alla mente come teatro di immagini in Rorty contro la rappresentazione. Questa tendenza, che giunge a massima chiarezza in certa parte della filoso- fia analitica, non una novit di questo secolo. A livello di, vorrei dire, tentazione di totalizzazione dianoetica, la ritroviamo gi in molte figure centrali della nostra tradizione quali Cartesio, Leibniz, Kant, Hegel, per non dire di Platone ed Aristotele. Ma in tutti questi autori (lasciando impregiudicato anzitutto se e fino a che punto essi condividessero la tesi aristotelica per cui non si pensa se non in immagini ( 2 ), e in secondo luogo se la inter- sti saggi anche per una discussione della letteratura secondaria su intuizione e co- struzione in Kant, e, ulteriormente, sullimmaginazione. Per una bibliografia su Hegel e Aristotele rimando al mio volume (Hegel interprete di Aristotele, ETS, Pisa 1990, pp. 233-47), per la cui maggior completezza desidero qui segnalare i seguenti titoli: K. BRINKMANN, Aristoteles allgemeine und spezielle Metaphysik, De Gruyter, Berlin 1982; G. MOVIA, Essere Nulla Divenire. Sulle prime categorie della Logica di Hegel, in Rivista di Filosofia neoscolastica, LXXVIII, 1986, 4, pp. 513-44, e LXXIX, 1987, 1, pp. 3-32; V. VERRA, Hegel e la lettura logico-speculativa della Metafisica di Aristotele, in Rivista di Filosofia neoscolastica, 2-4, LXXXV, 1993, pp. 605-21. ( 2 ) Cfr. De an. I 7, 431 a 16-17; 431 b 2-5; 8, 432 a 7-9; De Mem. 1, 450 a 1-9. 255 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti pretassero attribuendo ad Aristotele lintenzione di subordinare il pensiero allimmaginazione, come nella lettura odierna pi corren- te), cera una chiara consapevolezza di un problema fondamentale. Quello dellapprensione di un dato in unimmagine da un lato, e della raffigurazione o dellesibizione di un concetto in un medio sensibile dallaltro. Risposte e soluzioni variavano ovviamente a seconda dei diversi presupposti, scopi o anche solo contestualizzazioni. Ma il problema di elementi n solo intellettuali n solo empirici, o meglio, sia empirici che intellettuali, non veniva accantonato ab initio, ma giustificava la duplice funzione dellimmaginazione e della rappre- sentazione: portare la presenza al pensiero e il pensiero allessere. Ci implicito nella stessa etimologia di rap-presentazione (o Vor- stellung): porre innanzi, dare presenza. Formare, e poter riprodurre arbitrariamente, raffigurazioni di cose, di stati di fatto o di finzio- ni. Quindi, anche, dare significato ed esistenza discreta a quello che altrimenti sarebbe un continuum indifferenziato. In questo senso, nel rilevare limportanza degli elementi intuitivi dellesperienza, appa- re chiaro che si accorda un certo privilegio alla vista sugli altri sensi. Con ci non si esclude il contributo degli altri sensi; solo che lo si limita al ruolo di (ri-)produzione di un evento, o di causa occasiona- le. Pensate ai sensi altri dalla vista in Proust: il gusto del t di tiglio e della madeleine, la sensazione dellirregolarit e della scanalatura del pav, o, a un livello pi complesso, il gesto di sfilarsi gli stivaletti e le intermittenze del cuore che sgorgano improvvise al primo vero imporsi della morte della nonna, sono percezioni puntuali di un vis- suto che ne richiamano e aprono un altro pi pregnante, e fanno sorgere un mondo di immagini mnestiche che si pensava dimentica- to, in cui le cose appaiono alla luce improvvisa di un orizzonte di senso nuovo, o inusitato, o apparentemente perduto. grazie al problema visivo, ma pi in generale iconico, della raffigurazione pi o meno corretta di un originale mentale o reale che sia che la questione dellimmaginazione vede profilarsi, ac- canto a quella che prima ho chiamato la duplice funzione dellim- 256 HEGEL E ARISTOTELE maginazione, il problema della duplice accezione dellimmagine. La genesi del problema in questi termini si pu rilevare anche storica- mente. Se per Platone il problema dellimmagine si poneva al livello del rapporto tra originale e copia (icona o fantasma), e per con ci si pregiudicava gi limmagine facendone un puro sostituto, dotato quindi di uno status ontologico inferiore, Aristotele sposta il proble- ma sulla doppia natura di Corisco. Se contempliamo unimmagine di Corisco, ad esempio in un quadro, possiamo considerarla sempli- cemente come immagine, ovvero come copia, cio come immagine di Corisco. La copia sta per Corisco; eppure, anche limmagine sta per qualcosa. I problemi teorici allora sono molti: il primo quello della dif- ferenza tra immagine e copia, e, conseguentemente, della definizio- ne del rapporto tra immagine ed originale, a proposito del quale in particolare ci si deve chiedere dove risieda questultimo, posto che non sia pi unioro platonica. A differenza del concetto discorsivo, per limmagine si pone poi il problema della somiglianza con ci per cui sta, con ci che rappresenta. A differenza dei concetti, le immagi- ni, se forse hanno una logica interna, non ne hanno una sincategore- matica o relazionale che ne consenta oppure ne preordini il collega- mento, e non contengono negazione. Sono per essenza prospettiche, sono in tutto e per tutto spazialit, anche se si pu ulteriormente distinguere tra spazialit vissuta e proiezione o costruzione geome- trica in una forma pura, vuota ed omogenea. Limmagine il modo in cui la cosa dapprima, o immediatamente, per noi. il primo vero ponte tra discorsivo e sensibile, tra linguaggio ed esperienza, tra predicativo e precategoriale. Se allora con la svolta aristotelica si imprime unaccelerazione che la storia del concetto di immaginazione rivela netta ed irreversibile sulla via di una soggettivizzazione della natura e del problema dellimmaginazione, ci non ci deve far dimenticare che la distinzione va di pari passo con per non dire che guadagnata al prezzo di una duplice scissione, leredit pi gravosa lasciata da 257 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti Aristotele alla posterit: la divisione nellouoio tra forma e materia, e in noi tra vou e sensazione. E non ci deve far dimenticare neppure che Aristotele non Leibniz, non Kant, e soprattutto poich di questo qui si tratta non Hegel. Presenter tre modelli, pi che un decorso storico, dicevo. Con questo la mia intenzione non di integrare con nuove acquisizioni o ulteriori dati il secondo capitolo del mio libro (che mi permetto qui di presupporre come a voi noto solo perch il professor Movia, che ringrazio per la sua considerazione, lo ha adottato e discusso nel suo corso). Vorrei piuttosto che questa relazione servisse a presentare un modesto contributo, per citare qualcuno di pi autorevole di me, alla critica di me stesso. Trovo insoddisfacente limpianto di quel capitolo, e ritengo necessario rimetterlo in discussione, per via di perplessit di ordine metodologico prima ancora che ermeneutico. Il fatto che scritto nel solco di una lettura gi tutta hegeliana della storia della filosofia. In realt la tradizione s, hegelianamente, un fiume impetuoso; ma conosce anche anse, secche, dighe che ne ral- lentano il corso, cascate che lo accelerano. Improvvisamente, e, quel che pi conta, imprevedibilmente. Questo non equivale a negare che la ragione sia una. Anzi, vuole essere un rilievo che ne sottolinei la ricchezza e la multiformit, ma anche un pi stretto legame con lin- dividualit storica. Spesso alcune nozioni tramandate accanto ad altre, che ven- gono insegnate e assimilate ormai soltanto stancamente come gusci vuoti di pensieri un tempo vivi, sopravvivono allo stato latente nel- la storia della filosofia. Sono come braci sepolte sotto una cenere che copre uniformemente tanto ci che finisce per estinguersi, quanto ci che semplicemente ristagna; agitate in una massa critica, esse tornano a brillare di un nitore e con una forza che quasi mai sono quelli della loro origine. Cos pu accadere che alcuni concetti ven- gano appropriati, o, viceversa, formulati, da discipline che ne fanno un vettore di ricerca e lo ripropongono profondamente trasformato, una volta che lo hanno sfruttato con successo, a contesti e in sedi di 258 HEGEL E ARISTOTELE discussione diversi. E ad autori che liberamente ne traggono quanto vi cercavano, ma assimilandoli allinterno delle coordinate del pro- prio pensiero, in un ambito eterogeneo rispetto a quello in cui erano stati originariamente concepiti. Perch tutto questo vi suoni meno generico, riguardo a quel che ho detto sui gusci vuoti pensate ad esempio alle rivoluzionarie Regulae di Descartes, pur imbevute, pri- ma facie, di terminologia e ordto scolastico-aristotelici; per il muta- mento di significato di concetti ripresi da altri ambiti, pensate ad esempio alla secolarizzazione di concetti teologici nella filosofia del- la storia e della politica; o, viceversa, allappropriazione da parte della filosofia moderna del concetto di funzione elaborato dallalgebra fra Cinque e Seicento. Da tutto questo sarebbe altrettanto inopportuno concludere che i filosofi non fanno che ripetere alcuni principi dati, quanto che le idee sono, al pi, opinioni maggiormente fondate di altre. vero il contrario: le idee importanti vivono unesistenza virtuale, e sono continuamente ripensate dai grandi filosofi. Esse costituiscono lau- tentico senso in cui si possa parlare di ununit della storia della filo- sofia: un nucleo problematico che rimane inesauribile e intatto di fronte alle soluzioni via via prospettate. Ma se non per questo si deve pensare ad un avvicinamento asintotico alle idee, n ad una cattiva infinit ch i grandi filosofi sono presso di esse , tantomeno deve valere una proiezione su un piano temporale di questo suppo- sto avvicinamento. Anzi, quel che si deve porre in discussione pro- prio lidea di evoluzione, limperativo inespresso di intendere neces- sariamente i mutamenti concettuali come tappe di un presunto pro- gresso, o di un regresso altrettanto presunto. Improvvise accelera- zioni, o ritorni a pensieri dimenticati, sono soluzioni di continuit, scarti irreversibili, non accidenti o momenti di un cammino sostan- zialmente uniforme. Se gli elementi di cesura rispetto alla tradizione vanno quindi riconosciuti e apprezzati come tali, e se dobbiamo guar- darci dal ritrovare ovunque derivazioni da ceppi dati o prosecuzioni del noto, va anche sottolineato che quel che appare come una ripeti- 259 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti zione spesso un travestimento di svolte concettuali in un linguag- gio tradizionale. Il nuovo si affaccia e si afferma dapprima nei panni del vecchio. Il recupero hegeliano della tradizione aristotelica e pi in ge- nerale della metafisica classica dopo la rivoluzione della modernit: dopo, cio, la riduzione del sapere ad un unico ambito, la legalit del mondo prima, e della ragione poi , pone in tutta la sua pregnanza questo problema del significato immanente alla rivitaliz- zazione di un pensiero in un ambito radicalmente mutato, e della stessa valutazione del confronto tra posizioni antiche e moderne ri- guardo a tematiche almeno apparentemente o formalmente affini. A questo proposito, quel che mi sembra di importanza cruciale che tale confronto debba potersi articolare e valutare nei suoi principi anche per chi lo istituisce: se la filosofia non fosse una forma di fon- damentale contatto con qualcosa che non passa, subirebbe il proprio tempo senza possibilit di comprenderlo, e il pensiero sarebbe una semplice funzione del decorso storico. Hegel non potrebbe neppure spiegare perch let della filosofia della riflessione al suo culmine deve ristudiare Aristotele e riportarne in auge la metafisica e la psi- cologia, mentre appunto sulla base dellautocomprensione hege- liana in rapporto al suo tempo e alla tradizione che dobbiamo deter- minare grandezza e limiti del suo discorso. bens vero che non possiamo pretendere di saltare oltre i li- miti della nostra epoca e che non siamo che il nostro tempo appreso nel pensiero. Siamo determinati dalla tradizione nel modo e nellam- bito dei problemi che ci occupano e che costituiscono il nucleo pi fondamentale della nostra stessa vita. Tuttavia, la direzione di fuga che imprimiamo ai significati con cui sostanziamo i concetti che for- mano la nostra pi intima essenza non prefigurata da idee eredita- te e metabolizzate, ma conserva un carattere eccedente, di insoppri- mibile sovradeterminazione, di imprevedibilit. Per questo anche sce- gliere, per parlare della tradizione di pensiero, metafore di tipo geolo- gico, come sedimentazione di contenuti o stratificazioni di senso, 260 HEGEL E ARISTOTELE come in quanti si rifanno a Husserl, o come conglomerati ereditari pensate a classicisti alla Murray o Dodds , rimane riduttivo ( 3 ). Il compito dello storico della filosofia quello di fare i conti con que- sta virtualit discontinua della tradizione, e, con ci, di sottolineare tanto identit che differenze; soprattutto se le somiglianze sono in- gannevoli e celano elementi di rottura, distacchi, punti di svolta o inversioni di senso rispetto alla tradizione. Il nostro primo sforzo, allora, deve essere quello di resistere a tentazioni ireniche e omo- loganti che pongano una preliminare omogeneit tra epoche e posi- zioni diverse. E, quindi, di contestare il presupposto implicito tanto nella storia della filosofia hegeliana quanto nella Seinsvergessenheit heideggeriana: la tesi di una continuit di fondo, sia che questa ven- ga interpretata come il progressivo svelarsi della ragione a se stessa, sia che sintenda come il progressivo oblio dellessere e come reifica- zione ed oggettivazione della differenza ontologica. Per quanto ci riguarda specificamente, occorre chiedersi quanto possiamo accettare pacificamente quella che Hegel tratta come unas- similazione della psicologia aristotelica senza rilevarne la profon- da metamorfosi di significato, aldil delle forzature pi note quali ad esempio linterpretazione del vou. Quelle che sono state denun- ciate come le forzature hegeliane in sede di interpretazione devono acquistare una luce diversa da quella in fondo banale della galleria degli errori filologici o della violenza esegetica, ed apparire nella necessit della loro derivazione da presupposti radicalmente diffe- ( 3 ) Per restare a livello di immagini, mi sembra allora pi appropriato adot- tare in questo discorso quella di Jung: La vita mi ha sempre fatto pensare ad una pianta che vive nel suo rizoma: la sua vera vita invisibile, nascosta nel rizoma. Ci che appare alla superficie della terra dura solo unestate, e poi si appassisce, appa- rizione effimera. Quando riflettiamo sullincessante sorgere e decadere della vita e delle civilt, non possiamo sottrarci ad unimpressione di profonda nullit: ma io non ho mai capito il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quel- lo che vediamo il fiore, che passa: ma il rizoma perdura (in Memories, Dreams, Reflections of C.G. Jung, Random House, NewYork 1961, tr. it. G. RUSSO, Ricordi, so- gni, riflessioni di C.G. Jung, Milano 1978, 1993 2 , p. 28). 261 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti renti e nella necessit della loro connessione con intenzioni affatto diverse, o contestualizzazioni di temi aristotelici in ambito specula- tivo, che ne alterano irrimediabilmente il senso. La storia del concetto di immaginazione, nel suo rapporto con la riproduzione di forme da un lato e con la rappresentazione dal- laltro, non si potrebbe prestare meglio ad illustrare quanto ho appe- na enunciato sulla genealogia degli aspetti di un problema, su quel- lo che ne forma laspetto dapprima superficialmente unitario. Que- sto, ad un pi profondo esame, si rivela poi spesso come il precipita- to provvisorio di spinte diverse, periferiche o tangenziali rispetto al tema di fondo, che tuttavia esse finiscono per circoscrivere, motiva- re e anche costituire come se degli accidenti per s finissero per modificare una sostanza. Dove quel che permane inesaurito ap- punto lidea nella fattispecie, il problema del rapporto tra elementi passivi e attivi nella conoscenza , che viene pensata sempre di nuovo. Sulla scorta di unipotesi interpretativa avanzata da Kearney, ci si pu allora chiedere se possiamo e se ha un senso che vada oltre la mera curiosit antiquaria includere Hegel in una storia del problema dellimmaginazione che vede una sua scansione gros- so modo in tre epoche. Secondo Kearney ( 4 ) gli antichi reprimereb- bero la creativit dellimmaginazione per salvaguardare lindipen- denza delloriginale; per i moderni loriginalit umana a creare gli originali, come si vedr poi bene nel romanticismo; per i postmoderni, una volta dissolto il concetto di verit, il paradigma per intendere limmagine non pi quello teorico di somiglianza, ma quello este- tico della produzione creativa. Come tutte le periodizzazioni, anche questa merita pi criti- che e distinguo che adesione incondizionata. Tuttavia mi serve per indicare la traccia di un problema: come si colloca il pensiero hegeliano sullimmaginazione rispetto alle prime due epoche, e in ( 4 ) R. KEARNEY, The Wake of Imagination: Toward a Postmodern Culture, Minnea- polis, University of Minnesota Press, 1988. 262 HEGEL E ARISTOTELE generale alla tradizione? Per arrivare a parlare di questo dovr pri- ma indicare alcune linee di fuga che si dipartono dalle due teorie pi articolate dellimmaginazione che la filosofia conosca prima di Hegel: quelle di Kant e di Aristotele. 2. Luce e visibilit. Aristotele e Kant Se studiamo la definizione e il ruolo dellimmaginazione nella tradizione del pensiero occidentale, la prima cosa che salta agli occhi il ritorno costante di alcuni ele- menti chiave che contribuiscono a sostanziarne e delimitarne la de- scrizione in pressoch tutti gli autori che ne trattano: il rapporto con il tempo, con la memoria, con la sensibilit e in particolare col senso comune ovvero col senso interno. Ora, pochi tra i punti centrali del- la filosofia della natura aristotelica hanno avuto maggior longevit e sono sopravvissuti altrettanto indenni al tempo, ed in particolare alla rivoluzione scientifica seicentesca, della dottrina della immagi- nazione nel suo rapporto con la sensazione da un lato, con tempo, memoria e senso comune dallaltro. Si pu agevolmente mostrare che il concetto aristotelico di immaginazione rimane un topos di evi- dente carattere paradigmatico negli stoici, in Plotino e Proclo, in Agostino stesso, per non dire di Alberto Magno, della scolastica ed in particolare di Tommaso. Alla stregua di una variazione su un tema consolidato, anche la modernit si riferisce alla ovtooi o aristotelica: apertamente come in Hobbes ( 5 ), in modo pi controverso o denegato in Cartesio e Spinoza, in Locke e nella tradizione empirista da Hume fino a Condillac, Helvtius e Cabanis, e poi in Leibniz, Wolff e Baumgarten, o, da noi, in Muratori ( 6 ) e Vico. E tuttavia, come ( 5 ) Hobbes aveva tradotto parti della Retorica in inglese. Unanalisi della teo- ria delle passioni in Hobbes dovrebbe render conto della massiccia discussione di questioni aristoteliche nel De Corpore (e nel De Cive), e della loro lettura in senso meccanicistico-materialistico. ( 6 ) Cfr. G.H. RICHERZ, ber die Einbildungskraft (note del 1785 a Della forza della fantasia umana di Muratori) cit. da L. FEUERBACH, Der Spiritualismus der sogenannten Identittsphilosophie oder Kritik der Hegelschen Psycologie, in Anthropologischer 263 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti vedremo, la comprensione essenziale del fenomeno cambia radical- mente a partire almeno da Cartesio se non, come ritengo si possa sostenere, dal commento di Proclo agli Elementi di Euclide. La teoria dellimmaginazione poi fondamentale per il concetto di sintesi apriori in Kant, e per la stessa genesi di alcune delle istanze fondamentali allorigine della filosofia post-kantiana e dello stesso idealismo. Penso a Maimon, a Beck, nonch al concetto di immagina- zione produttiva in Fichte e nello Schelling del Sistema dellidealismo trascendentale. E penso poi a Fede e sapere, in cui Hegel ravvisava nel- limmaginazione produttiva kantiana lo stesso concetto di ragione nel suo uso empirico, la vera essenza idealistica della sintesi apriori o lintellectus archetypus. Il ruolo mediatore tra intuizione e concetto svolto dallimmagi- nazione in Kant ha ricordato a pi di un interprete lanaloga funzione di raccordo tra senso ed intelletto asserita da Aristotele. Heidegger, in particolare, scorge una sostanziale continuit metafisica tra limmagi- nazione aristotelica e quella kantiana. Penso si debba mettere in que- stione questa lettura, e sottolineare i tratti di novit presenti nella modernit prima, e ulteriormente in Kant poi, per esaminare infine se e quanto Hegel recuperi temi aristotelici in una filosofia dello spirito che si propone di riportare in auge la psicologia di Aristotele. Nella mia interpretazione limmaginazione vive e viene definita in stretta correlazione con i termini enunciati prima memoria, coscienza del tempo, senso comune ovvero interno. Ma questi termini, anzich pre- sentarsi come un cielo di stelle fisse, per cos dire, costituiscono piuttosto una costellazione di senso che si pu studiare e comprendere solo come una totali- t in movimento. Questi termini mutano significato cos sottilmente e al contempo cos sostanzialmente nel corso della storia, che le apparenti similarit tra testi filosofici si basano perlopi su unomonimia soltan- to superficiale. Materialismus. Ausgewhlte Schriften, hrsg. v. A. SCHMIDT, Frankfurt a M. 1967, 1985, Bd. 1, p. 196; cfr. anche A. BAEUMLER, Kants Kritik der Urteilskraft. Ihre Geschichte und Systematik, Erster Band, pp. 142 sgg. e 155-56 n. 264 HEGEL E ARISTOTELE In questo senso prendiamo ad esempio Kant, anche perch si tratta dellautore il cui pensiero sullimmaginazione dovrebbe poter venir dato per pi universalmente noto (ancorch mai come in que- sto caso, a leggere certa Kantforschung, si debba ricordare lopportu- nit della distinzione hegeliana tra noto e conosciuto). Vorrei mo- strare come la tradizione in cui limmaginazione kantiana va com- presa sia quella del problema specificamente moderno delloggetti- vit della rappresentazione e della riflessione sulle qualit primarie, piuttosto che quella della metafisica classica. Limmaginazione produttiva kantiana un concetto parados- sale: mediando tra la spontaneit dellintelletto e la recettivit del- lintuizione, assume tratti di entrambi. attiva nellapprensione del fenomeno, come sintesi spontanea del molteplice, eppure sottost alle regole dallintelletto. Non una potenza creativa o mitologica, come per il romanticismo di l a pochi anni, n la sua funzione quella di esprimere le costruzioni del pensiero foggiando una mol- teplicit di mezzi in cui acquisire unesistenza esterna, unesteriorit dello spirito a se stesso. La sua funzione principale ci che Kant chiama autoaffezione, Selbstaffektion. Limmaginazione schematizza concetti altrimenti vuoti. il principio dellesibizione del loro conte- nuto nellintuizione, in un medio spazio-temporale. Per questo la condizione di possibilit perch i concetti discorsivi si riferiscano ad oggetti e abbiano una relazione con le intuizioni. Permettetemi di ripercorrere brevemente cose che suppongo siano note a tutti, ma che mi servono per circoscrivere con maggior precisione il mio discorso sullimmaginazione. Kant inverte i termi- ni tradizionali del problema delladaequatio. Non che noi siamo gli artefici degli oggetti che conosciamo. Un fenomeno dato influisce sulla nostra sensibilit, e le sensazioni che nascono da questo incon- tro sono il materiale indispensabile per la conoscenza delloggetto. Per venirci incontro nella sensazione, gli oggetti devono conformar- si alle forme in cui intuiamo i fenomeni, lo spazio e il tempo. Devo- no tuttavia conformarsi anche ai concetti puri del nostro intelletto. Il 265 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti punto di svolta per Kant questo: se mostriamo che lintelletto, che come facolt delle regole non pu influenzare direttamente loggetto, influenza le forme della nostra intuizione in cui gli oggetti ci vengono incontro, abbiamo mostrato che la fondazione trascendentale della possibilit della nostra esperienza di oggetti al contempo la condi- zione necessaria di possibilit perch qualcosa sia un oggetto per noi. Loggettivit delle relazioni tra fenomeni non opposta alla soggetti- vit del nostro pensiero; piuttosto, viene costituita da questa. In questa argomentazione limportanza dellimmaginazione non pu certo venir sopravvalutata. grazie allattivit dellimma- ginazione che concetti ed intuizioni stanno in relazione gli uni con gli altri. grazie allattivit sintetica dellimmaginazione produttiva che posso schematizzare concetti, o ridurli allintuizione dove ri- durli significa sia ricondurli che limitarli, con ci dando loro realt. Senza questa riduzione rimarrebbero vuoti, regole astratte senza al- cun influsso sulla sensibilit. Se invece io posso particolarizzare i concetti esibendoli in una intuizione temporale o spazio-temporale, posso dire di aver influito direttamente sulla mia sensibilit; indiret- tamente, sulloggetto stesso. Loggetto non viene con ci costruito o creato; ma, poich mediato necessariamente dalla conformit alla sensibilit che gli necessaria perch sia un oggetto per noi, possia- mo dire che la sua forma costituita dallinflusso che i concetti del- lintelletto operano sul nostro spazio, e soprattutto sul nostro tempo. Per esempio, il puro concetto di sostanza ha senso per noi come la permanenza di una realt nel tempo: nellapprendere qualcosa come sostanza, sintetizzo un molteplice nella forma di ununit sta- bile, e cos facendo determino il mio senso interno ad assumere una forma di permanenza in contrasto con, e punto di riferimento basi- lare per, intendere il mutamento come un attributo di un sostrato. Questa unanticipazione di una possibilit in cui loggetto mi ap- parir: unanticipazione della forma delloggetto, che e solo in quanto identica alla forma della mia sensibilit. Questa non una spiegazione psicologica perch ci che determino il modo in 266 HEGEL E ARISTOTELE cui ogni oggetto possibile influir su di me: con ci determino la stes- sa necessit ed universalit di ogni esperienza di oggetti. Voglio a questo punto sottolineare tre punti che diventeranno tematici dopo nel confronto con le teorie dellimmaginazione di Ari- stotele e di Hegel. 1. In questa ricostruzione limmaginazione sem- pre intesa in riferimento allunit sintetica originaria dellappercezio- ne o io-penso: un oggetto non pu essere un oggetto per me, non pu esser parte della mia esperienza, a meno che non sia unificato nella mia autocoscienza come momento parziale di un tutto che si fa nel comprendere se stesso. In altre parole Kant fa valere quindi unistanza molto forte che potremmo chiamare la soggettivit autocosciente dellimmaginazione ( 7 ). 2. Limmaginazione ha per oggetto lapparen- za, i fenomeni e il senso (non c immaginazione che tenga nella dia- lettica trascendentale, cos come non c affatto identit tra synthesis speciosa e synthesis intellectualis). 3. sempre unattivit di sintesi, ven- ga intesa come la sintesi schematica di una determinazione apriori dello spazio e del tempo, oppure come la sintesi empirica di un molte- plice dato nellapprensione dei fenomeni nello spazio e nel tempo. Questultima distinzione (spazio e tempo come luogo ovvero come oggetto di determinazione) importante non solo perch allorigine di molti fraintendimenti correnti tra gli interpreti di Kant, e perch ad esempio laverla trascurata alla base di alcune delle inconseguenze dellinterpretazione di Heidegger, ma anche perch lattivit dellimmaginazione produttiva ne risulta determinata come duplice. Possiamo trovarla allopera nellanticipazione della forma dei fenomeni, cos come nellapprensione empirica degli elementi formali dei fenomeni. Limmaginazione, cio, determina spazio e tem- po apriori o aposteriori, e questo va di pari passo con la distinzione ulteriore nella schematizzazione di concetti matematici, concetti empirici e concetti trascendentali. (Questa unaltra distinzione ( 7 ) Qui non posso discutere il problema se limmaginazione, che viene de- scritta coma una sintesi spontanea cieca di cui siamo raramente consapevoli (KrV A 78, B 103), sia una condizione operativa data oppure sia anchessa autocosciente. 267 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti intrascendibile, cio che rende impossibile parlare dello schematismo come di un fenomeno interpretabile unitariamente, come tutti gli interpreti kantiani tendono a fare, sulla base di ambiguit di cui responsabile Kant stesso). Ma unaltra delle duplicit essenziali del- limmaginazione la distinzione tra schematizzazione o particolariz- zazione di concetti, e formazione (Bildung) dellimmagine relativa ad un concetto. Questa funzione viene chiamata da Kant luso em- pirico dellimmaginazione produttiva, o, altrove, semplicemente lim- maginazione riproduttiva. Questa formazione dellimmagine non pura e apriori, perch include il rimando ad un oggetto materiale ed alla sensazione. Nella prima edizione della Critica, le tre sintesi operate dallimmaginazione nellapprensione di un fenomeno sono lunificazione del molteplice in una intuizione, la riproduzione di intuizioni passate, e la connessione presente che riconosce lidentit o affinit tra intuizioni passate e future nellunit di un concetto. Se il secondo momento la riproduzione virtualmente identico alla memoria, il terzo la ricognizione gi una funzione del- lintelletto. Per tirare le fila del discorso svolto fin qui: per Kant nella perce- zione c sempre un elemento di attivit. La formazione dellimmagi- ne una sintesi soggetta allintelletto e alla determinazione apriori della forma della sensibilit. Ogni immagine compresa in riferimen- to alle sensibilizzazioni empiriche degli schemi dei concetti puri del- lintelletto. Con questo Kant ha mosso il passo decisivo: la necessit e loggettivit di unorigine intellettuale viene integrata nel lavoro del- limmaginazione. Illustriamo questo punto con lesempio kantiano del triango- lo. La sua definizione una regola data dallintelletto. Limmagina- zione costruisce spontaneamente unimmagine sensibile in unintui- zione spaziale passibile di esser trattata universalmente. Notate per che la funzione dellimmaginazione produttiva qui non limitata alla produzione di unimmagine. Prima e pi importante di questo il fatto che ci d un procedimento metodico (ein methodisches Verfahren) per produrre ogni possibile immagine. Questa directio ingenii, come 268 HEGEL E ARISTOTELE vorrei chiamare cartesianamente questo procedimento, lo schema del concetto, irriducibile a tutte le immagini particolari del trian- golo. Esso ci che Kant chiama un monogramma, un modello pro- dotto apriori: ed questo che fa s che, di fronte ad unimmagine particolare di un triangolo, possiamo trascurarne i lati caduchi, e, grazie al disegno che ne abbiamo tracciato sulla lavagna o sulla car- ta, dimostrarne propriet universali e necessarie. fuori discussione che la definizione kantiana di immaginazio- ne come la facolt di rappresentare un oggetto nellintuizione anche senza la sua presenza (KrV 24; Antropologia pragmatica 28) sia una ripetizione delle analoghe definizioni di Wolff e Baumgarten, e che Kant tragga molte delle caratteristiche dellimmaginazione dai ma- nuali di psicologia del suo tempo che pi palesemente si rifacevano alla tradizione aristotelica. Inoltre, sorprendente la similarit di que- sta idea del triangolo, come di un determinato di cui trascuriamo la particolarit, con un passo di Aristotele. Nel De memoria leggiamo che non si pu pensare senza immagine. Nel pensare si d lo stesso fe- nomeno che nel tracciare una figura: qui, pur non avendo bisogno di un triangolo di grandezza determinata, tuttavia lo tracciamo di gran- dezza determinata: allo stesso modo chi pensa, anche se non pensa una cosa di quantit determinata se la pone davanti agli occhi come una quantit e la pensa facendo astrazione dalla quantit (1, 449 b 24 sgg.). Da tutto ci si potrebbe pensare che avessero ragione Heidegger e Mrchen a ritenere che Kant non faccia che recuperare la ovtooio aristotelica ( 8 ). Vediamo allora cosa scrive Aristotele della ovtooio e perch, come ho anticipato prima, si debba pensare che in realt un ( 8 ) M. HEIDEGGER, Kant und das Problem der Metaphysik, 1929, 2.e Auflage, Frankfurt a. M. 1951, p. 199 n., e H. MRCHEN, Die Einbildungskraft bei Kant, in Jahrbuch fr Philosophie und phnomenologische Forschung, hrsg. v. E. Husserl, Bd. 11, p. 490. 269 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti mutamento di paradigma e di significato stia dietro alla teoria kantiana. Vediamo cio perch questa vada compresa nel contesto nientaffatto aristotelico della natura della rappresentazione e del concetto di forma apriori, ossia di ci che grazie agli schemi si pu anticipare oggettivamente apriori riguardo alla forma dei fenomeni in un giudizio sintetico. La prima cosa che si pu notare in Aristotele che la ovtooio non si pu neppure tradurre pacificamente in modo omogeneo in tutte le sue ricorrenze con immaginazione. A volte designa ci che semplicemente manifesto o apparente (come nella locuzione to ourgxoto ... xoto tgv ovtooiov, De an. A 1, 402 b 21-5), o ci che ha a che fare con la manifestativit, come ancor pi evidente se consideriamo lequivocit del termine ovtooo, che pu designare unimmagine nella memoria seguente ad una sensazione, ma anche unapparenza o un evento illusorio, per non dire una immagine al- lucinata o onirica. In altre parole, limmaginazione aristotelica non ha unidentit univoca. associata e al contempo distinta dalla sen- sazione da un lato e dal vou dallaltro, definita, analogamente alla memoria e ai sogni, come mutamento derivante dalla sensazione, che a sua volta un movimento, stranamente condizione della uaogi (ivi, I 3, 427 b 16) e assolutamente altra rispetto alla ooo (428 b 1). Si pu dire che sia ancora pi apolide, heimatlos, per para- frasare quanto Heidegger dice riguardo a Kant, dellimmaginazione produttiva nella prima edizione della Critica. Per Aristotele limmaginazione un movimento residuale cau- sato da un sensibile in atto, il movimento di illuminare la forma del- la cosa (ovtooio connessa etimologicamente con oo, luce, ram- menta Aristotele; questo, che pu sembrare un punto estrinseco, invece secondo me uno dei pi significativi per intendere laccezio- ne aristotelica di ovtooio) ( 9 ). Poich il ovtooo la traccia lasciata ( 9 ) Riguardo a questo, e per il connesso primato della vista, si pu qui ad esempio ricordare che Quintiliano traduceva ovtooio con visiones, Inst. Or. VI, 2, 29. 270 HEGEL E ARISTOTELE dallazione delle cose sui nostri organi e sensi, limmaginazione ci che resta della sensazione, ed molto vicina alla memoria e alla con- sapevolezza del tempo trascorso. Ma, a differenza dei sensibili propri, sempre veri, limmagina- zione fallibile perch unaffezione del senso comune. E neppure il senso comune, a sua volta, una facolt, quanto piuttosto un nome generico per la percezione dei xoivo : il tempo, il movimento, il riposo, la figura, numero, grandezza. Notiamo subito alcune cose. Intendere limmaginazione come un movimento esercitato da altro, anzich una potenza indipendente, significa che la sua natura derivata e succes- siva alla sensazione. E qui sta la definizione pi comprensiva data da Aristotele dellimmaginazione come ci mediante cui si produce in noi unapparenza, un o vtooo (ivi, I 3, 428 a 1-2). Non c unattivi- t in questo processo. Certo, limmaginazione non vive della sensa- zione esclusivamente come un parassita vive di un organismo viven- te; Aristotele ammette una spontaneit dellimmaginare. Ma quel che ha in mente con ci una sorta di visualizzazione, come quando so- gniamo o quando ci rendiamo presenti cose assenti ( 10 ). Non ha cio in mente una potenza inventiva o poietica: in altre parole, limmagina- zione fondamentalmente riproduttiva. Anche le riproduzioni false o le immagini illusorie sono giudicate in riferimento ad un dato, che la pietra di paragone della mimesis, linizio e la fine della ricerca. Infine, il fatto che Aristotele non consideri limmaginazione lelaborazione sog- gettiva di un evento oggettivo, una facolt nel senso che a questa parola davano i moderni che lhanno inventata , ha per conseguen- za un punto di capitale importanza: limmaginazione un processo anonimo e privo di s Selbstlos, vien da dire , che non trae il suo significato dal riferimento ad un io o ad un cogito. Per inciso si pu notare che, giudicando le cose retrospettiva- mente, o meglio lo hysteron con il proteron, ha un senso molto pre- ( 10 ) Ci stato ben mostrato da M. SCHOFIELD, Aristotele on Imagination, in Aristotle on Mind and the Senses, ed. by G.E.R. Lloyd and G.E.L. Owen, Cambridge 1978, 99-139: p. 132 n. 19. 271 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti gnante dal punto di vista aristotelico trattare la ovtooio nellambito della psicologia come indagine sulla uoi e non come un capitolo della filosofia della soggettivit ( 11 ): perch mutano radicalmente i concetti di spazio, di movimento e lintendimento della natura in generale, e conseguentemente il ruolo della matematica e lidentit del sapere, che allinizio della modernit il quadro di riferimento generale in cui si definisce limmaginazione muta altrettanto radi- calmente e parallelamente alla polarizzazione soggettivo-ogget- tivo estranea al mondo classico. Per Aristotele natura significa es- senza, ed la fonte onnicomprensiva di significato per tutto ci che non prodotto dalluomo, inclusa quindi lanima. La psicologia difatti, con lunica eccezione delle pagine sul vou, un capitolo del- la fisica. Di conseguenza, il concetto aristotelico di immaginazione appartiene alla ricerca sui uori ovto, e anche lautoconoscenza la conoscenza di una natura data a noi non diversamente da come ci sono date le cose. Al contrario, se limmaginazione kantiana unat- tivit di sintesi concepita come una funzione essenziale di un io-pen- so, la conoscenza che ne possiamo avere non la descrizione fenome- nologica di un ente naturale, ma il processo che dal condizionato conduce alla sua condizione nellautocoscienza e in quanto lautoco- scienza. ( 11 ) Ed qui, tra laltro, la pi grande forzatura dellinterpretazione di Hegel, aldil di tutto quel che si pu dire sul vou : Hegel non fraintende il testo greco, per contestualizza Aristotele in base ai principi della sua filosofia, e allinterno di suddivi- sioni e categorizzazioni hegeliane, non aristoteliche. Cos Hegel sposta la linea di demarcazione, che per Aristotele era tra ci che di pertinenza del fisico (e cio lo studio dei o yoi r vuoi, delle forme-nella-materia), e ci che esulava dalla sua indagi- ne e perteneva alla filosofia prima, il vou , nella divisione tra logica oggettiva e sog- gettivit, tra natura inorganica-spirito finito e pensiero autocosciente. Cos della ug aristotelica Hegel fa la prima parte della filosofia dello spirito, e pu quindi raggrup- pare De anima, Etica nicomachea e Politica nelle sue Lezioni sotto il titolo di Philosophie des Geistes. Categorizzazione tanto pi arbitraria se ricordiamo come etica e politica per Aristotele avessero a che fare con to ao yoto, non con la u oi; non si trattava insomma di restituire un ri oo dato, ma di indagare lo rtg di ci che pu essere altrimenti. 272 HEGEL E ARISTOTELE Anche il ruolo apparentemente simile dellimmaginazione nel pensiero asserito da Aristotele e Kant ha bisogno di precisazioni. Per Aristotele, poich gli oggetti di memoria sono immaginabili in s, nel senso che sono presenti alla memoria come figure o immagini, e poich tutto ci che pu esser ricordato ridotto ad un ovtooo, i ovtoooto sono di per s basati sullassociazione e riprodotti secon- do la nostra esperienza delle cose corrispondenti. Sicch, contraria- mente ad unopinione tramandata, il fatto che non possiamo pensa- re se non in un ovtooo non ha alcuna importanza per il pensiero in s, ma solo per la nostra apprensione (uaogi) e per la memoria. Il ovtooo quindi un primo per noi, per la nostra conoscenza, non per natura, o per il pensiero epistemico o metafisico. Inoltre, a diffe- renza che in Kant, limmaginazione non ha nessuna funzione essen- ziale da svolgere in matematica. Ci chiaro dalla distinzione aristotelica tra oggetti di memoria in senso proprio ed oggetti di memoria xoto ourgxo (De mem. 1, 450 a 27). In un altro passo che non viene commentato quasi mai (An. Post. A 10, 77 a 1), Aristo- tele scrive che disegnare un triangolo ha soltanto una funzione illu- strativa. Lulteriore conseguenza che ci interessa qui che per Ari- stotele contempliamo lrioo del triangolo alla luce del suo ovtooo. Sicch la relazione tra i due non n diretta n necessaria. Per Kant, al contrario, esibiamo nella costruzione del triango- lo loggetto che abbiamo definito puramente e apriori. Quindi anche limmagine sensibile pi approssimativamente disegnata sulla carta garantita teoreticamente dal suo esser prodotta interamente apriori secondo le regole dellintelletto. Limmaginazione, che produttiva e arbitraria, regolata dallintelletto in un modo che per Aristotele non poteva darsi perch per lui, come per tutta la geometria greca, il triangolo una forma data che dobbiamo esaminare, non qualcosa che costruiamo. E qui ha ragione Lachterman ( 12 ) quando scrive che per Aristotele il nous che deve guardare ai ovtoooto trascuran- ( 12 ) The Ethics of Geometry. A Genealogy of Modernity, NewYork 1989, p. 82. 273 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti do la loro determinatezza; cio il ovtooo irrimediabilmente par- ticolare e soggettivo, mentre la modernit penserebbe allimmagina- zione a partire dal paradigma delle arti produttive, in cui diamo una figura esterna durevole alle nostre immagini mentali. Vorrei solo ag- giungere, nel contesto di cui stiamo parlando, che la necessit di un principio attivo, questa incredibile crux che il vou te aovto aoiriv, per Aristotele unaltra versione del problema del rapporto tra riog dati da un lato, e riog e ovtoooto nel e per il pensiero dallaltro. Come tale, questo non un problema per Kant, perch per lui cambiano tutti i termini di riferimento e gli aspetti del problema. Mentre per Aristotele la relazione tra una forma e il suo apparire a noi nella sensazione serve a spiegare la stabilizzazione di una forma data nella nostra memoria, il problema di Kant e la svolta nel periodo critico inizia con la soluzione a ci la questione della realt oggettiva dei nostri concetti. ln altre parole, il problema di Kant linverso di quello di Aristotele. Se per la tradizione post-aristotelica una delle aporie pi dibattute riguarda la formazione e la natura delluniversale per noi, Kant sicuramente cartesiano e moderno nel porsi al contrario il problema della sintesi apriori, della possibi- lit per i nostri concetti universali di riferirsi apriori alle intuizioni e di collegarsi cos al mondo. Cartesiano e moderno perch ora il cogito, la purezza di un soggetto ormai opposto alla gamma illimi- tata di possibili oggetti esterni, che si pone come norma e criterio della rappresentabilit e verit degli oggetti. Parallelamente, le for- me non sono pi gli riog dati delle cose, ma si costituiscono riflessi- vamente e metodicamente come i concetti con cui ordiniamo log- gettivit. Cos i concetti divengono a pieno titolo le condizioni di possibilit delle immagini. Posto che leredit aristotelica vada quindi relativizzata, si pu discutere in sede di ricostruzione storica quali siano gli autori che pi hanno influito su Kant riguardo allimmaginazione. Personal- mente, ritengo pi importante far lavorare comparativamente e contestualmente paradigmi diversi al fine di comprendere meglio 274 HEGEL E ARISTOTELE motivazioni e fini di un autore, pi che riscontrare ovunque filiazioni, influssi e debiti inconfessati. Per questo mi sembra pi fecondo deli- neare quali sono le posizioni pi articolate che ci aiutino a compren- dere dove risieda la novit del pensiero kantiano, indipendentemente dal fatto che Kant ne fosse a conoscenza o meno. Ho mostrato altro- ve ( 13 ) che tenere presenti due modelli, quello cartesiano e quello leibniziano, di importanza cruciale per definire lo scarto operato da Kant rispetto alla tradizione; e, con ci, per andare aldil della stessa comprensione kantiana della propria posizione nellambito della tradizione di pensiero intorno al problema del rapporto tra im- maginazione, pensiero e sensibilit. Kant, in una nota nella prima edizione della Critica (A 120 n.), sostiene che fino a lui nessuno stato in grado di rendere conto comprensivamente della funzione sintetica ed attiva dellimmaginazione allopera in ogni percezione. Questo solo un lato della verit, e anzi non neppure del tutto vero, poich questo elemento si pu trovare gi in Leibniz. Quello che a me sembra pi importante il momento regolativo e metodico assunto dallimmaginazione nel fare da tramite tra pensiero ed in- tuizione, nel disciplinare con necessit il senso interno e, cos, il mo- vimento discensivo ed ascensivo che ha luogo tra pensiero ed intui- zione. A questo proposito, molto brevemente vorrei ricordare quan- to Cartesio suoni aristotelico quando scrive che il senso comune la- scia sullimmaginazione le tracce che assumono le figure degli og- getti come lanello lascia la sua traccia sulla cera. Di derivazione aristotelica sono pure altre delle caratteristiche fondamentali dellim- maginazione cartesiana, come la connessione tra immaginazione e memoria, e il rapporto con lintelletto, soprattutto in geometria. Ma notare queste cose non deve far passare in secondo piano come Cartesio insinui in un vocabolario scolastico appreso dai gesuiti a La ( 13 ) In Kants Productive Imagination and Its Alleged Antecedents, in The Gra- duate Faculty Philosophy Journal, 18:1, 1995, pp. 78-86. 275 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti Flche la forza dirompente delle sue novit: nel contesto che ci inte- ressa qui, basta ricordare come la nostra rappresentazione dei corpi della sostanza estesa necessiti dellintervento dellimmaginazione, che presenta allintelletto le idee dellestensione che lintelletto astrae e analizza in nozioni semplici. In particolare, poi, nella geometria limmaginazione raffigura i concetti puri e li spazializza in figure ed immagini esterne. Tutto questo ha luogo grazie allintervento del senso comune, che per non pi, come in Aristotele, riferito ad una classe di sensibili, ma corporeo ed al contempo opera come la convergenza e la discriminazione dei sensi propri. Per esempio, poi- ch la visione propriamente in relazione solo con la luce e i colori, lanima che paragona le impressioni lasciate attraverso i nervi nel senso comune e nellimmaginazione e giudica figure, distanza, gran- dezza e collocazione dei corpi (Dioptrique, Discours Sixiesme). Detto diversamente, limmaginazione e il senso comune comunicano al- lanima le impressioni lasciate dai corpi sui nervi e cos costituiscono lultimo gradino prima del giudizio analitico ed intellettuale sulleste- riorit. Questa trasformazione dellimmaginazione e del senso comune, che affonda sicuramente le sue radici nellinterpretazione poco aristotelica del De anima offerta da Tommaso, per cui il senso comune lunit dei sensi propri, in Leibniz decisamente pi accentuata in sen- so idealistico ed antimaterialistico. Senso comune e senso interno di- ventano indistinguibili, e si riferiscono entrambi allunit appercettiva della monade. Ma limmaginazione leibniziana non ancora assimilabile a quella kantiana. Rispetto a quella cartesiana, limmaginazione in Leibniz ed importante tener presente questo per quanto vedremo riguardo a Hegel definita dalla superiore generalit delle sue fun- zioni, e caratterizzata fondamentalmente dallarbitrariet nel foggiare i mezzi per lespressione della mente. Idee e segni sono entrambi espres- sioni o rappresentazioni di oggetti. Ma la funzione poietica dellimmaginazione crea segni, pa- role, simboli non la rende autonoma n affine alla necessit logica 276 HEGEL E ARISTOTELE dellintelletto. Limmaginazione strumentale al ragionamento astrat- to, e sparisce dalla scena che ha costruito per lasciar posto allintel- letto. Nellars characteristica, i prodotti dellimmaginazione divengo- no indipendenti dal processo della loro produzione: rimangono solo pure convenzioni dausilio al processo deduttivo. Tutte queste relazioni sono mutate da Kant. I concetti sono per Kant il prodotto puramente discorsivo dellattivit unificatrice del- lintelletto. E limmaginazione, a sua volta, lazione, la Wirkung dellintelletto sulla sensibilit. Piuttosto che creare i mezzi per lespres- sione dei concetti, essa modifica la sensibilit, esibendo i concetti in intuizioni spazio-temporali. Mentre per Leibniz limmaginazione ha a che fare con lastra- zione, per Kant limmaginazione ha a che fare con figure, o col senso interno. Lintuizione, poi, limitata alle forme dello spazio e del tem- po, e perde ogni connotazione intellettuale quale poteva avere nella intellezione dei simplicia discussa da Leibniz. Per Kant la funzione simbolica lopera dellimmaginazione produttiva nel suo uso empi- rico. Kant separa cos la sensibilizzazione schematica da quella ca- ratteristica, ed assegna lintuizione matematica alla modalit schematica. Cos la matematica non in primo luogo un calcolo, una cognitio caeca come in Leibniz, ma trae la sua origine dallintuizione apriori dello spazio e del tempo. E ci possibile solo perch la ne- cessit, anzich essere analitica, gi pensata come intrinseca alle costruzioni nellintuizione operate dallimmaginazione. Pi in gene- rale, per Kant limmaginazione una struttura operativa fondamen- tale dellesperienza, non solo uno strumento per rappresentare lesten- sione. sempre allopera nella percezione; e, a differenza che nei suoi predecessori moderni, per i quali lintelletto deve disciplinare con successo intermittente unimmaginazione che spesso si presenta come recalcitrante, in Kant la guida costante dei concetti puri del- lintelletto ci che permette di considerare lattivit dellimmagina- zione come una determinazione normativa delle intuizioni e della forma dei fenomeni. 277 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti 3. Luno dei molti e luno oltre i molti. Idealizzazione e manifestazione in Hegel Veniamo ora a Hegel. A prima vista sembrerebbe che Hegel ignori sia gli sviluppi fichtiani e schellinghiani dellimmaginazione produttiva, sia la stessa discussione del rapporto tra concetti, intui- zioni e schemi nel concetto di autodeterminazione e autoaffezione presente nellopera di Beck e di Maimon. A prima vista sembrerebbe anche che, dopo le pagine di Fede e sapere sullimmaginazione pro- duttiva in Kant, Hegel non torni quasi pi sul ruolo idealistico svol- to dallimmaginazione nellambito di quello che dovrebbe appunto fondare tale ruolo, cio nella sua matura filosofia dello spirito sog- gettivo nellEnciclopedia. Penso che se forse il primo punto appare pi plausibile, riguardo al secondo si debba mettere in discussione la superficialit di una interpretazione siffatta dellevoluzione del pensiero hegeliano. Ma vediamo un attimo riguardo a Fede e sapere come Hegel commenti limmaginazione produttiva kantiana e ne muti impercet- tibilmente, ma inesorabilmente, il significato. Hegel scrive ( 14 ) che nel porsi il problema dei giudizi sintetici apriori Kant aveva colto la vera identit di essere e pensare, anche se poi laveva fraintesa in senso psicologico e formale. Quello che io voglio sottolineare qui che, forzando il concetto di intuizione pura, anzi, a dire il vero, pun- tando su quanto di ambiguo veniva lasciato in sospeso da Kant stes- so ( 15 ), Hegel interpreta lintuizione come ununit sintetica, come leterogeneo che nello stesso tempo apriori, cio assolutamente iden- tico (ibid.). In altre parole, la ragione la possibilit di questo porre, e come tale lidentit degli opposti. Cos Kant sarebbe costretto ad ammettere che limmaginazione produttiva, come il lato sensibile ( 14 ) Glauben und Wissen (1802), in Jenaer Kritische Schriften, hrsg. v. H. Buchner u. O. Pggeler, in Gesammelte Werke, Hamburg 1968, Bd. 4, p. 327 (tr. it. a cura di R. Bodei, in Primi scritti critici, Milano 1971; 1981 2 , p. 139). ( 15 ) Per una discussione di questo punto mi permetto di rimandare al mio Costruction and Matemathical Schematism. Kant on the Exhibition of a Concept in Intuition, in Kant-Studien, cit., pp. 137-47. 278 HEGEL E ARISTOTELE dellazione della ragione, spontaneit e attivit sintetica assoluta, principio della sensibilit, che invece fino ad allora era stata caratte- rizzata come recettivit pura. Limmaginazione produttiva sarebbe allora ci che permette allunit sintetica originaria dellappercezione di sapersi come il vero in s, come lidentit bilaterale che diviene poi soggetto e oggetto scindendosi in coscienza particolare e mon- do. Notate che il mutamento sostanziale qui riguarda il concetto di autoaffezione proprio della synthesis speciosa kantiana. Mentre Kant ricerca la fondazione del rapporto del pensiero al puro molteplice dellintuizione, cio la connessione tra concetti e realt, Hegel pone in rilievo quella che lui chiamerebbe la verit di questa connessione: cio il fatto che, poich nessuna unit intuita possibile senza una sintesi e non si d nulla nellesperienza che sia sottratto alla determi- nazione delle categorie, lautoaffezione di Kant in realt lautodeter- minazione del pensiero puro nella realt. La conclusione che, nei termini della Fenomenologia, la verit della coscienza la ragione, lo spirito autocosciente. E, nei termini dellEnciclopedia, il rapporto tra datit sensibile e costituzione soggettiva non pi quello tra due opposti, ma si mostra come il passaggio da uneteronomia apparen- te ad unautodeterminazione dello spirito che si scopre come concet- to o ragione assoluta, dove il sapere di s si mostra come fondamen- to di possibilit del sapere delloggettivit. Detto questo, pu risultare strano allora che solo lanno dopo, nella Filosofia dello spirito del 1803/04, limmaginazione abbia un ruolo talmente secondario ( 16 ). Se ne potrebbe concludere, come suona la communis opinio fra gli interpreti hegeliani, che in Fede e sapere si trat- tasse in fondo solo di un commento a temi kantiani, ma che di suo Hegel si sarebbe espresso ben diversamente, ed in particolare non avrebbe affatto assegnato un ruolo positivo allimmaginazione. Io ( 16 ) Jenaer Systementwrfe, in GesammelteWerke, Bd. 6, hrsg. v. K. Dsing u. H. Kimmerle, Hamburg 1975, p. 286, tr. it. a cura di G. CANTILLO, Filosofia dello spirito jenese, Bari 1984, p. 23. 279 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti non sono daccordo con questa interpretazione. vero che mutano i concetti hegeliani di intuizione e di identit, e quindi alcuni tratti es- senziali della stessa immaginazione, dopo Fede e sapere. Ma se andia- mo a leggere la progressione di forme della filosofia dello spirito soggettivo gi nel 1805 e poi nel 1808, notiamo che addirittura lim- maginazione identificata con lo stadio mediano delle forme teoretiche dellintelligenza, quella che nellEnciclopedia del 1827 e 1830 sar la rappresentazione. In particolare, poi, non muta affatto il sen- so per cui la filosofia dellintelligenza trova nella spontaneit del- limmaginazione la chiave di volta attorno a cui costruire la progres- sione delle forme soggettive come il passaggio dal trovarsi determi- nati al sapersi come determinanti la realt nel pensiero. In questa progressione, limmaginazione lunico momento che veda raccolti in s entrambi i lati fondamentali della realizzazio- ne dello spirito. E questi sono lIdeelsetzung dellalterit e la manife- stazione di s. A dispetto di quanto Hegel scrive nellintroduzione alla filosofia dello spirito dellEnciclopedia ( 383 e 384), infatti, non esiste solo la Sichselbstoffenbarung dello spirito, ma altrettanto e pri- ma di quella la idealizzazione dellesteriorit, che ne appare la con- dizione preliminare, anche se poi Hegel pare trattarla come un sem- plice mezzo per stabilire la superiore verit dellessenza dello spirito come manifestazione. In questo movimento alternato, mi sembra che del De anima aristotelico Hegel recuperi soprattutto tratti pertinenti a quella che per lui lidealizzazione dellesteriorit, pi che al mo- vimento complementare di dare poi allintelligenza un essere. Penso per esempio alla discussione del segno, del linguaggio etc., che non ha nulla di essenziale a che fare con Aristotele. Ho scritto nel mio libro, riguardo a questi problemi, che nei paragrafi della psicologia dellEnciclopedia lobiettivo di Hegel mo- strare la produzione per lo spirito della libert dal condizionamento: il fine cio mostrare come lo stesso spirito, che allinizio immerso nella naturalit, nellantropologia, si scopra al termine del processo la verit del processo stesso, e come lattivit che inconsapevolmente 280 HEGEL E ARISTOTELE vi d luogo in un modo non troppo lontano da quel che avviene per limmaginazione produttiva inconscia della Wissenschaftslehre fichtiana del 1794. La natura non altra rispetto alla ragione ma suo presupposto, e tutti gli stadi del rapporto dello spirito con la realt, le diverse forme del conoscere e dellagire, vanno concepiti come momenti di un medesimo processo, lentelechia dello spirito viven- te: essi stanno gli uni con gli altri nella relazione negativa di progres- siva sussunzione. Ora, riguardo a tutto questo Hegel ritrova nel De anima non solo molti punti specifici che discute o di cui si appropria. Ben pi importante che ritrovi nel De anima lispirazione di fondo dellan- damento di questi paragrafi: la negativit dello spirito, per cui ogni forma finita diventa materia per la forma superiore di considerazio- ne della realt; la concezione dellio come potenza formata o ri, che conserva e idealizza nella memoria loggettivit, garantendo la continuit delle esperienze; lintelletto che tematizza le forme infe- riori del conoscere, e in ci conosce se stesso; infine, lunit di volon- t e ragione. Per venire ora al problema che ci interessa, il principio aristotelico per cui ogni forma del conoscere materia per una forma superiore fa s che nella filosofia dello spirito teoretico limmaginazione sia conce- pita come un risultato ed altres come un successivo inizio nel pro- gresso delle forme soggettive, generantisi luna dallaltra. Inoltre la descrizione di molti lati della funzione dellimmaginazione che per Kant sarebbero empirici, non trascendentali , dalla sedimentazione delle immagini nella memoria, che una potenza formata, alla possi- bilit del loro richiamo arbitrario, si possono idealmente ricondurre ad Aristotele. Analogamente, grazie alla concezione dello spirito come r i che possibile linteriorizzazione o Er-innerung hegeliana: cio solo perch il mondo vale per lo spirito come negato e tolto nella me- moria, lo spirito pu avere una vita ideale in cui ripercorrere i propri stadi inferiori come tolti, in cui recuperare, e trasformare, la tradizio- ne appropriandosi della sua natura inorganica pu cio avere un 281 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti linguaggio, una storia, unoggettivit per s, unautocoscienza stori- ca. ll principio che Hegel ritrova, e si pu discutere quanto a ragio- ne, in Aristotele, e che fa valere contro Kant, quello per cui per lin- telligenza intuizione e concetto non sono pi due forme date ab initio come separate, ma si definiscono come i due poli della datit e della costituzione, della recettivit apparente e dellattivit, nellambito del movimento immanente del pensiero. Ma proprio questo principio mostra come Hegel si distacchi da Aristotele e concepisca la filosofia della soggettivit come il superamento tanto di Aristotele quanto di Kant (e di Fichte). E questo anche se dalle sue parole sembrerebbe che si limitasse a riportare in vita il De anima. Questo mi pare palese se consideriamo che il fondamentale criterio di significato in questi paragrafi il rapporto tra interno ed esterno, e lesito ne la compiuta ragione che ha lo spirito sulleste- riorit. Il quadro in cui dobbiamo comprendere queste pagine, in- somma, non semplicemente n il rapporto tra concetti ed intuizio- ni, n quello tra sensazione e intelletto attivo, bens il passaggio dal- la datit alla costituzione, da un tempo e spazio esteriori, in cui dap- prima si trova la cosa, al tempo e spazio dello spirito, assoluta nor- ma della cosa ( 17 ). ( 17 ) Spesso, quando Hegel vuole introdurre un concetto importante, esordisce, o sottolinea quanto argomenta, con un gioco di parole. Nellidealizzazione, das Seiende diventa das Seinige (= dello spirito), o das Ihrige (= dellintelligenza): il passivo reso un proprio. Questo si ritrova tanto nei paragrafi dellEnciclopedia del 1827 e 1830 ( 451-454; cfr. anche Jenaer Systementwrfe III, in Gesammelte Werke, Bd. 8, hrsg. v. R.P. Horstmann u. Mit. v. J.H. Trede, Hamburg 1971, p. 188: des Meinen), quanto nelle Lezioni sulla sensazione in Aristotele (Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, II, in Werke in 20 Bnden, Red. v. E. Moldenhauer u. K.M. Michel, Frankfurt a. M. 1969-71, Bd. 19, p. 207; cfr. anche lEnciclopedia del 1817, 370). Qui leggiamo lidealismo della sensazione com esposta da Aristotele descrit- to e interpretato in linguaggio tutto kantiano: lattivit nella recettivit, la sponta- neit che toglie la passivit nella sensazione. Cos il principio idealistico della sen- sazione in atto, secondo cui senziente e sentito sono uno, diventa il principio ulte- riore non certo contenuto in quello dellautodeterminazione dello spirito che ha per oggetto la propria passivit. 282 HEGEL E ARISTOTELE Solo cos si capisce, ad esempio, come si possa generare luniver- salit per lintelligenza secondo Hegel. Questo un problema su cui Hegel pu dare adito a numerosi fraintendimenti. Ritengo per che, se avremo la pazienza di seguirlo, avremo anche stabilito un punto fermo per rivolgerci poi di nuovo ai modelli kantiani ed aristotelici. Dal 1805 al 1830 non cambia, nellambito della rappresentazione, lor- dine della serie Er-innerung, Einbildungskraft, Gedchtnis. Questi tre stadi linteriorizzazione che al contempo il ricordo; la capacit di raffigurazione; la memoria gi apparentata al pensiero corri- spondono, direi, alla idealizzazione, alla libert ed autonomia sog- gettiva dei collegamenti, e alla ritenzione della connessione arbitra- ria di segni. Il passaggio , come dicevo, dal tempo e spazio esterio- ri, in cui si trova dapprima la cosa che consideriarno, al tempo e spazio dello spirito, che alla fine si muove liberamente nelle creazio- ni arbitrarie della sua intelligenza simboli, segni, linguaggio, fino al pensiero libero. Il criterio quello dellappropriazione o assunzio- ne in s, da parte dellintelligenza, di contenuti dati. Loggetto trova- to nelle forme universali dellintuire che sono spazio e tempo ( 18 ). Ma lintuizione di un esterno, discriminata da un atto di attenzione, cio assunta come oggetto discreto di considerazione, diventa per il soggetto; in tal modo questultimo si raccoglie dal suo essere ester- no, si riflette in s e si stacca dalloggettivit, in quanto trasforma soggettivamente lintuizione in immagine ( 19 ). Lintuizione trasferi- ( 18 ) Philosophische Enzyklopdie fr die Oberklasse (1808 ff.), in Werke in 20 Bnden, cit., Bd. 4, p. 44, 136; tr. it. a cura di G. RADETTI, Propedeutica filosofica, Firenze 1951, 1977, p. 215. ( 19 ) Ibid. 139. Nelle significative parole della Filosofia dello spirito del 1805/ 06: loggetto ha ottenuto la forma la determinazione di essere mio. Quando viene intuto di nuovo non ha pi il significato dellessere, bens del mio: esso mi gi noto ovvero io mi ricordo di esso, o anche io ho in esso immediatamente la coscienza di me. Cos aggiungo alloggetto questo esser-per-me, sicch ci che mi sta dinanzi la sintesi di entrambi, contenuto ed io ; ma in tal modo non avvenuta soltanto una sintesi, bens stato tolto lessere delloggetto (...) loggetto non ci che esso (Gesammelte Werke, Bd. 8, cit., p. 188, tr. cit., p. 72). 283 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti ta nellio diventa tolta, e da intuizione che era diventa rappresenta- zione universale. Anzitutto opportuno ricordare che Hegel distingue luniver- salit, tipica dellidealizzazione o dellassunzione nellintelligenza, dalla necessit, che solo il pensiero pu offrire. Ma come pu Hegel parlare di universalit e farla valere contro le associazioni empiriche, o contro le obiezioni scettiche sulla mera soggettivit di tale idealizzazione? Non sembra questa psicologia empirica? Al contra- rio, qui Hegel abbandona il registro della descrizione fenomenologica per riflettere sulla condizione di possibilit delluniversalizzazione. Per spiegare meglio questo punto, penso ci possa tornare utile un confronto incrociato con Aristotele e Kant. Nellidea che una im- magine, tolta alla sua esteriorit e assunta come rappresentazione per- manente, funga poi da regola generale o forza attrattiva per la relazione associativa empirica di immagini (Enc. 1830, 455 n.), Hegel pare ricalcare la posizione kantiana, e accantonare decisamente il modello dell r aoyeyg aristotelica. Vi ricordate alla fine degli Analitici Posteriori quella bella, ancorch vaga, immagine secondo cui luniver- sale si forma in noi anzi si acquieta nella nostra anima ( g rg oovto dice Aristotele a B 19, 100 a 6) , come un esercito in fuga di cui si arresti improvvisamente prima un elemento, poi un altro, etc., finch non abbiamo restaurato un ordine? In questa immagine, cos come nel detto ripreso nellEtica Nicomachea, a proposito delle disposizioni, per cui una rondine non fa primavera, essenziale la ripetizione, o la cumulativit. Addirittura nel De Memoria leggiamo che la ripetizione genera la natura (2, 452 a 30). Hegel, allora, abbandona il modello dellr aoyeyg aristotelica quando scrive che limmagine non diventa rappresentazione universale perch lintuizione viene ripetuta pi spesso ( 20 ), ma per il semplice fatto di venir assunta nellio. Detto diversamente, lio equivale qui alla notte dellautocoscienza, al pen- ( 20 ) Philosophische Enzyklopdie fr die Oberklasse (1808 ff.), cit, p. 46, 144; tr. it. cit., Propedeutica, pp. 217-18. 284 HEGEL E ARISTOTELE siero, tanto che Hegel pu dire che la singola intuizione viene sussunta nellio come un particolare ad un universale (salvo poi ritrovare anche in Aristotele, del tutto arbitrariamente, la stessa concezione dellio come universalit). Appunto perch non concepiva lio come universale con- creto e attivo, Aristotele non poteva poi superare quella che, dal pun- to di vista hegeliano, era la scissione tra ripetizione, rafforzamento della memoria lr aoyeyg come, letteralmente, il condurre verso luniversale, o luno oltre i molti , e, dallaltro lato, lraiotgg e lintellezione degli indivisibili discreti del vou ). Ma questa sussunzione possibile solo perch Hegel sottoli- nea la necessit di una condizione gi rilevata da Kant, anzi da que- sti posta al centro della deduzione trascendentale della prima edi- zione della Critica. Kant obiettava alla psicologia empirica, ma pi precisamente a Hume, che pur ne era stato il critico pi intelligente, che lo stesso associazionismo tra rappresentazioni, in cui da Locke a Hume si tendeva a risolvere la riflessione dellintelletto come attivi- t sbiadita e derivata rispetto alle idee del senso, presupponeva un ordine e una legalit che potevano esser garantite solo dal concetto inteso come legge. In un flusso di rappresentazioni, infatti, non sarei neppure in grado di associare una cosa ad unaltra se non possedessi apriori il principio di una loro identit specifica, e in seconda istanza numerica. Lio non sarebbe neppure un fascio di rappresentazioni ma un Gewhl, un caos indeterminato o una pluralit assoluta di rappresentazioni tutte diverse le une dalle altre anzi, di cui sareb- be contraddittorio fin parlarne come di rappresentazioni diverse , se un concetto non presiedesse al loro collegamento, cos come al lavoro dellimmaginazione. nello stesso senso che Hegel pu con- cludere che limmagine viene liberata dalla sua immediatezza e fatta valere di contro ad ogni ulteriore intuizione ed immagine come la rappresentazione universale e permanente. In questo, tuttavia, si celano due ambiguit. In primo luogo, vi sono due accezioni in cui si pu prendere limmagine. Da un lato, lim- magine la rappresentazione universale permanente che funziona da 285 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti pietra di paragone per confrontare, sussumere, correggere intuizioni presenti; dallaltro, immagini presenti occasionate da percezioni o fan- tasie puntuali sembrano sovrapporsi allimmagine consolidata come rappresentazione. Allora problematico intendere quanto la prima immagine sia un alcunch di fisso e permanente, o quanto invece sia continuamente sfumata, corretta, ridefinita ad ogni nuovo incontro con dati non ancora assimilati. Questo, in effetti, sembra un problema presente a Hegel, che per non ci d nessun lume ulteriore. NellEnci- clopedia della Propedeutica ( 145) scrive: Nel ricordo la rappresenta- zione dellintuizione passata e lattuale si identificano immediatamente. Io non ho davanti a me due realt, lintuizione e la rappresentazione, ma soltanto poich lho avuta, poich essa gi la mia, in quanto ho davanti a me la rappresentazione come diversa dallintuizione, questa limmaginazione. In tal modo per intuizione e rappresentazione possono essere anche del tutto diverse. Questo passo naturalmente non ci aiuta, perch enuncia, sen- za commentarlo oltre, un contrasto due diverse possibilit nella relazione tra rappresentazione e intuizione , che lascia perdipi inspiegato. E che pertanto non possiamo risolvere noi. Esso ci con- sente, tuttavia, di venire alla seconda ambiguit. Si visto che, tolte al loro spazio e tempo esteriori, interiorizzate, le intuizioni acquista- no idealit: ossia conservazione nella memoria, durata. Se limmagi- ne viene fatta valere di contro a successive immagini e intuizioni, dobbiamo chiederci se il pensiero o limmaginazione a tener fermo allimmagine originaria. A quanto pare di capire, sembra si tratti della funzione dellimmaginazione. Il fatto per che questa una do- manda che avrebbe senso porre per Aristotele o per Kant, non per Hegel: per lui limmaginazione unattivit, e sta verso il pensiero come un suo stadio inferiore, ma pur compreso sotto di esso, alla stregua di un suo modo provvisorio o unilaterale ( 21 ). In ogni caso, mi ( 21 ) Nellintuire lo spirito limmagine (Filosofia dello spirito 1805/06, in Gesammelte Werke, Bd. 8, cit., p. 186, tr. cit., p. 70, corsivo parzialmente mio). 286 HEGEL E ARISTOTELE sembra che dovremmo concluderne che abbiamo due funzioni di- verse dellimmaginazione, che Hegel non distingue esplicitamente: la produzione dellimmagine, e la capacit di variare, sulla base del- la rappresentazione, modi e contorni dei contenuti intuti. In questo modo la prima immagine, la rappresentazione, funge da norma del- la variazione sulle immagini ulteriori, che diventano, da singolarit date, esistenze ideali. Nei termini dellEnciclopedia del 1817, limma- gine tenuta ferma come rappresentazione la potenza negativa con cui verrebbe smussato o levigato lun contro laltro il disuguale delle immagini simili ( 376). In questo confronto, Hegel sembra pensare al tempo come fun- zione essenziale dellimmaginazione. Hegel non solo pone limma- ginazione tra ricordo-interiorizzazione e memoria, ma pensa insie- me ricordo e immaginazione come termini correlativi. Qui per non centrano n il rapporto kantiano tra schemi e senso interno, n lautoaffezione del tempo heideggeriana: il tempo ha a che fare sol- tanto con il rapporto tra un ideale ed una singolarit intuta. Ma legittimo trattare questo rapporto come quello tra un passato ed un presente? Empiricamente, certo cos che avviene ( 22 ); ma in sede di ( 22 ) In questo senso, nello Zusatz al 454 dellEnciclopedia di Berlino, Hegel dice che, per conservare vividamente nel ricordo una cosa, devo ripeterne lintui- zione; nel ripetuto richiamo di unimmagine, questa acquista tale vivacit e attuali- t che per ricordare non pi necessaria lintuizione esterna. In questo modo i bambini passano dallintuizione al ricordo. E pi un uomo clto, e pi vive in tutte le sue intuizioni non tanto nellintuizione immediata, quanto in ricordi, sicch vede poco di assolutamente nuovo, il contenuto sostanziale di ci che nuo- vo gli piuttosto qualcosa di gi noto. Nel prosieguo, ci opposto alla curiosit di chi corre dietro ad ogni novit. Poich tra cultura ed anzianit Hegel vede una connessione stretta (cfr. ivi, 396), quindi nello stesso senso che va letta laggiunta al 396: lanziano non ha interessi perch non nutre speranze nel futuro, e perch ritiene di conoscere lessenziale. Sicch si rivolge alluniversale e al passato e vive il sostanziale nel ricordo, ma cos facendo perde la memoria per il singolare e larbitrario nel presente, ad esempio per i nomi, mentre viceversa tien ben fermi nel suo spirito i saggi ammaestramenti dellesperienza e si ritiene in dovere di fare pre- diche ai pi giovani. Qui si tratta della memoria per il significato e linsegnamento pratico dellesperienza, non della memoria meccanica come lesistenza oggettiva 287 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti analisi teorica una conclusione in tal senso sarebbe viziata da un er- rore. Se per lidealizzazione abbiamo ovviarnente bisogno di un prius cronologico, questo non significa che ci equivalga ad un pi gene- rale predominio del passato, immutabile, normativo e prioritario ri- spetto ad ogni esperienza presente (e ad ogni proiezione futura). Fosse solo che altrimenti Hegel avrebbe seri problemi nella connessione tra questi paragrafi e la comprensione dellesperienza soggettiva della storia, della vita individuale e collettiva, dovremmo vincere ogni imbarazzo e commisurare in Hegel postulati e argomentazione con- creta, per concluderne che qualcosa qui non funziona. In realt, an- che logicamente non pu essere cos. Infatti, se, interiorizzata, lin- tuizione o immagine fuggevole (Enc. Berlino, 453) viene tolta dal suo spazio e tempo e inserita nello spazio e tempo dello spirito, nel quando e dove di essa (ibid.), che rapporto si instaurerebbe tra spazio e tempo esterni e spazio e tempo ideali? Lunico modo possi- bile di concepire la soggettivit come un passato di fronte ad un multiforme presente, il contenuto sempre nuovo che costituisce linesauribilit dellesperienza soggettiva e storica, quello di deter- minarla come lessenza della Logica: un intemporale esser stato, un passato senza tempo, la dimensione del mondo dello spirito che non pu essere sullo stesso piano della temporalit dellesistenza singo- lare data. Insomma, il rapporto tra immagine in quanto rappresen- tazione e immagine in quanto intuizione presente non pu configu- rarsi per Hegel come quello tra un passato e un presente come di- mensioni dellesteriorit, ma va inteso come la relazione tra un idea- del pensiero irriflesso di cui Hegel tratta nel 464; perci non da scorgere un contrasto tra laggiunta appena citata e il seguente passo, anchesso sulla connessio- ne tra interiorizzazione ed et, tra peso del passato e presente: Non a caso i giovani hanno miglior memoria dei vecchi, e la loro memoria non viene esercitata solamen- te per fini dutilit; ma essi hanno buona memoria perch non si comportano ancora in modo riflessivo, e la loro memoria si esercita, intenzionalmente o no, per spiana- re il terreno della loro interiorit, facendone lessere puro, lo spazio puro, nel quale la cosa (...) si pu mantenere ed esplicare. Un ingegno solido suole essere congiunto con una buona memoria in giovent (tr. it. Croce, ad loc.). 288 HEGEL E ARISTOTELE le e una sua variazione intuitiva, tra un universale e la sussunzione di una singolarit sotto di esso. Con ci, naturalmente, non detto ancor nulla di risolutivo sul vero rapporto tra spazio e tempo esteriori e idealit, o spazio e tempo spirituali. Ma stabilito che si cos attuato il passaggio dalla passivit alla libert della connessione; le intuizioni non sono pi date, ma vengono collegate arbitrariamente e liberamente dallintel- ligenza. Dal primato della vista, e comunque dallimprescindibilit dei sensi esterni, siamo giunti cos alla loro subordinazione allidealit alla virtuale liberazione dellimmaginazione da essi. Ma tale libe- razione non va intesa in senso spiritualista; una liberazione, anco- ra una volta, dalla loro finitezza, ossia dal loro venir considerati solo in quanto finestra su un mondo dapprima trovato: unappropriazione dei sensi. Con il passaggio alla libert delle connessioni e alla produ- zione di segni, i sensi, cos come lo spazio e il tempo, sono sensi al servizio dellidealit e dellattivit dello spirito consapevole di s. Sono funzionali al nostro rapporto con lesistenza esteriore che lo spirito si d; ad esempio sono la vista e ludito nella misura in cui sono in rapporto con il linguaggio. Parallelamente, mutano la loro rilevanza e il loro valore di posizione gerarchico. ln quanto media- ta dallimmaginazione produttiva e fatta segno, lintuizione sensibi- le solo in quanto tolta: ossia, perde connotazioni spaziali per farsi esistenza temporale, suono dileguante, parola (cio uno sparire dellesistenza mentre , quindi una seconda esistenza, pi alta di quella immediata, Enc. 1830, 459). Cos limmaginazione produt- tiva a differenza di Leibniz, per cui era ancora una produzione caratteristica di geroglifici per gli occhi (e il calcolo non si fa senza visione di segni) , in Hegel depone ogni priorit della vista per subordinare a s il senso dellidealit, loralit, e farsi intelligenza manifesta nel tempo in un medio esso stesso dileguante. Ma, prima di arrivare allimmaginazione produttiva, restiamo sulla questione dellimmaginazione come idealizzazione. Mi sem- bra che, allinterno dellorizzonte razionale della Psicologia, nellana- lisi hegeliana la dimensione del trovare rivesta un interesse del tutto 289 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti secondario rispetto a quello del porre o (ri)costituire. Tenendo pre- sente questo, possiamo capire meglio perch le ambiguit che prima segnalavo sono estranee alle preoccupazioni di Hegel. Come prima la questione dellattivit dellimmaginazione in rapporto a quella del pensiero, anchesse sono pertinenti riguardo ad Aristotele o a Kant; ad esempio, una delle due funzioni dellimmaginazione, quella del formare immagini, o venirne impressi in seguito alla sensazione centrale in Aristotele e comunque essenziale in Kant , apparente- mente non neppure riconosciuta da Hegel come tale. A ben vede- re, si tratta di una funzione assegnata specificamente allEr-innerung, che pone in s un contenuto come non-essente o tolto ( 23 ). Tuttavia, qui rimane oscuro come e perch si passi da unintuizione ad unim- magine. In altre parole, manca lanalogo di quello che in Aristotele era il punto principale, una teoria della traccia o dellimpronta del sigillo sulla cera; manca cio qualunque discussione sulla genesi delle immagini prima del rilievo della libert dellio, dellintelligenza che il potere sulla massa di immagini e rappresentazioni che le appar- tengono (Enc. 1830, 456). E ci mostra che Hegel pensa limmagi- nazione il fulcro e punto mediano dello spirito teoretico, cos come ogni altro momento di questo allinterno dellesclusivo contrasto tra intelligenza immediata e intelligenza presso di s, e che quel che gli preme mostrare solo il passaggio dalla prima alla seconda, os- sia lidealismo della conoscenza. Analogamente, il problema per cui anche la variazione intui- tiva, la sussunzione, unidealizzazione cio la rappresentazione universale confrontata attivamente e continuamente con intuizioni, il mio con lessente non trova spazio in Hegel. Hegel non fa che opporre attivit e passivit, lidealizzazione al trovare un esterno come dato. Paradossalmente, quindi, la funzione della variazione eidetica in Husserl (o in Sartre), con cui la nostra immaginazione irrealizza un ( 23 ) Cfr. Enc. 1830, e la Filosofia dello spirito 1805/06 (cit., p. 186, tr. cit., p. 70), dove linteriorizzazione-ricordo e la trasformazione del dato in immagine funzio- ne dellimmagine rappresentatrice. 290 HEGEL E ARISTOTELE fatto per pensarlo come mero esempio di una pura possibilit di per- cezione e ci permette di descriverne lessenza, una sintesi (per antonomasia attiva nellaccezione idealista), mentre Hegel pensa la variazione sotto legida della passivit, della finitezza. La finitezza del trovare un contenuto, come momento che lo spirito ha in s prima di conoscere speculativamente. Tutto questo ci serve a capire alcune cose importanti. Anzitut- to, al contrario che per Kant, per Hegel limmaginazione dapprima riproduttiva, e solo poi produttiva. Ma se in ci Hegel sembra, alme- no formalmente, riprendere Aristotele, va rilevato che nella ripro- duzione si dispiega larbitrio e lindipendenza dellintelligenza dalle intuizioni esterne presenti, sicch la riproduzione equivale al venir fuori delle immagini dalla propria interiorit dellio; il quale ormai la potenza dominatrice di esse (Enc. 1830, 455). Ci si oppone tanto alla ovtooio di Aristotele (anche se, certo, non altrettanto alla o vo vgoi) quanto allaccezione kantiana, cosicch tale libert nomi- nalmente dovrebbe, ma sostanzialmente non pu, corrispondere al- lassociazione empirica che in Kant definiva il momento riproduttivo. Per immaginazione produttiva, poi, Hegel intende una creazione di segni (la Zeichen machende Phantasie), non un influsso schematico dellin- telletto sullintuizione dello spazio e del tempo. Con questo momento produttivo dellimmaginazione varchia- mo il punto critico dellesposizione hegeliana. Se finora abbiamo as- sistito ad una progressione nellidealizzazione, ora viceversa lim- maginazione si fa essere (fa del contenuto interno immagine e in- tuizione, Enc. 1830, 457 n.). Traspone il proprio contenuto in segni intuitivi, si d un esser figurato (ein bildliches Dasein); ossia, pone le proprie rappresentazioni universali come identiche al particolare fi- gurato del simbolo, del segno e del linguaggio. Se prima passavamo dal particolare esterno alluniversale dellimmaginazione, limmagi- nazione ora presiede anche alla ritrasformazione delluniversale in esistenza particolare. Solo che ora tale particolare diventa lesterno che lintelligenza si d per intuirsi oggettivamente, e con cui acquisi- sce esistenza storica. 291 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti Se Kant si sforzava, in polemica con luso nella scuola leibniziana e per salvaguardare lautonomia del momento schematico dellim- maginazione, chiave di volta dellAnalitica dei principi di distin- guere accuratamente usi empirici, ipotiposi schematiche, caratteristi- che o simboliche ed essenza trascendentale dellimmaginazione pro- duttiva, per Hegel non c eterogeneit tra tali momenti. Anzi, pro- prio perch limmaginazione tanto idealizzazione che estrinsecazione, pu poi togliere ogni riferimento ad immagini e diventare memoria, vincolo inavvertito tra segni soltanto (Enc. 1830, 458 n. e 459) laddove per Aristotele immaginazione e memoria avevano a che fare solo con immagini. Unaltra cosa che tutto questo ci fa capire perch non il lin- guaggio in quanto tale, una struttura dotata di leggi proprie e vita autonoma esterna alla coscienza che se lo trova opposto come un al- tro, a trasformare limmediato in universale, come sembrerebbe da quanto Hegel dice sulla Certezza sensibile. Limmediato gi luni- versale perch ogni immediato in realt mediato dal suo essere per noi, quindi dal pensiero e il linguaggio appunto il prodotto del pensiero, che solo alla coscienza naturale pu apparire dapprima come un opposto. In conclusione, solo perch lio lin s dellaltro, la potenza del collegamento, luno dei molti, e, specificamente in questi para- grafi, la Macht o forza attrattiva delle immagini (Enc. 1830, 454 e 455), pu essere quello che Hegel chiama la libera negativit del s: la potenza di avere un oggetto da cui pu astrarre e, distinguendo- sene, riconoscere se stesso come identit e condizione di possibilit della tematizzazione di oggetti diversi nella continuit di un sapere e di unesperienza. Con il ricordo, immagine interiorizzata, si com- prende lintuizione riconoscendola come ci che gi appartiene al- lintelligenza in quanto rappresentazione permanente: se lo spirito nellintuire conosceva lintuto, ora conosce s nellintuto. E il senso di tutto questo la scoperta dellautocoscienza dello spirito come verit dellimmaginazione e della rappresentazione. In questa rico- 292 HEGEL E ARISTOTELE struzione, per usare limmagine che Hegel enuncia a proposito di Aristotele, lempirico lo speculativo appunto perch il momento attivo dellimmaginazione (nel senso, non kantiano, del conferimento di cittadinanza ideale al sensibile) gi inerente allassunzione del- lintuizione nellio. Limmaginazione cos come del resto la memoria non , co- me in Aristotele, unaffezione del senso comune, un residuo della sen- sazione. piuttosto in quanto rappresentazione, pensare ancora formale, ed infine e soprattutto (intesa come Phantasie in stretta con- nessione con la memoria semiotica) in quanto schematismo linguisti- co, giusta unespressione del primo Fichte ( 24 ) limmediato presup- posto soggettivo del pensiero puro. E, anzich essere autoaffezione come in Kant, leffetto dellintelletto sullintuizione spazio-temporale, momento essenziale dellautodeterminazione e della finitizzazione del pensiero in noi. 4. Conclusione Cerchiamo di tirare le fila di questo lungo discorso. Per Hegel c un primo in s il concetto, lassoluto, lautocoscienza divina ed un primo per noi: prima di pensare puramente, noi ci formiamo sentimenti, immagini, desideri delle cose, e solo successi- vamente ci eleviamo al loro concetto. Ma se queste forme inferiori di tematizzazione delloggettivit restassero escluse dal sapere, se non ne venisse tolto e inverato il contenuto nel pensare, avremmo una scis- sione non dialettica tra empiria e speculazione: antropologia e psico- logia si opporrebbero estrinsecamente al concetto, mentre invece il vero dapprima per noi come rappresentazione. Se il compito siste- matico quello di mostrare ogni forma nella sua verit, nel concetto, ci significa appunto mostrarla come il momento provvisorio e finito dellautomanifestazione dello spirito. ( 24 ) Von der Sprachfhigkeit und dem Ursprung der Sprache (1795), in Fichtes Werke, hrsg. v. I.H. Fichte, Berlin, De Gruyter 1971, Bd. 8, p. 322. 293 A. FERRARIN - Riproduzione di forme e esibizione di concetti In questo compito e nella parallela trasformazione del rap- porto aristotelico voo-uoi , Hegel presuppone come acquisita la deduzione trascendentale kantiana. Questo non viene in piena luce nel mio libro: il fatto che, nonostante tutte le critiche hegeliane ai Paralogismi e alla circolarit dellio, per tacere delle altre critiche anche pi importanti ma secondarie in questo contesto, le forme del conoscere e del volere vanno comprese e ascritte allunit sintetica originaria dellappercezione intesa come autocoscienza assoluta o ragione infinita. Solo cos se il criticismo non viene interpretato come un guanciale per la pigrizia del pensare ma come un necessa- rio punto di svolta, unilaterale ma irreversibile , si pu poi com- prendere come Hegel interpreti il rapporto tra vou divino e intellet- to umano come la concretizzazione delluniversale, come lattiva pre- senza dellinfinito nel finito. Non fosse cos, lempirico sarebbe solo lempirico, non sarebbe mai lo speculativo. Ma se questo vero, va anche ricordato che proprio contro la distinzione kantiana tra puro ed empirico, assunta e fatta valere preli- minarmente, che il discorso hegeliano si rivolge. Soprattutto nella fi- losofia dello spirito soggettivo. Allora concetto e rappresentazione, sapere puro ed empirico, trascendentale e psicologico non sono ambi- ti difformi, ma luno la concretizzazione dellaltro. cos che Hegel inverte curiosamente il concetto kantiano di Darstellung des Begriffs, esibizione del concetto: spazio e tempo non sono pi le forme della nostra intuizione, ma il Dasein, lesistenza, del concetto. Sicch non sono io ad esibire il concetto nellintuizione, come nella costruzione matematica di cui parlava Kant nella Disciplina della Dottrina del metodo; ma il concetto che assume forma finita nellesistenza fuori di s della natura, o nei soggetti empirici finiti del conoscere e dellagi- re. Cos lempirico lo speculativo, e la fenomenicit viene salva- ta come essa stessa lessere. Per citare un luogo del Vangelo secondo Giovanni, che potrebbe ben figurare come motto dellintero pensie- ro di Hegel: o oyo oo ryrvrto, il logos si fatto carne. CARMELINO MEAZZA ARISTOTELE TRA HEGEL E HEIDEGGER: TRACCE PER UNA RICOSTRUZIONE 1. In un lungo saggio sul concetto aristotelico di physis Heideg- ger afferma: la prima discussione tramandataci pensata e coeren- te per il suo modo di domandare sullessenza della physis del periodo del compimento della filosofia greca ( 1 ). ( 1 ) M. HEIDEGGER, Von Wesen und Begriff der physis, Aristoteles, Physik B, 1 (1939), in Wegmarken, Gesamtausgabe, Bd. 9, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1976, dora innanzi HGA; (trad. it. Sullessenza e sul concetto della physis, Aristotele, Fisica, B 1, in Segnavia, a cura di F.-N. von Herrmann. Ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi Edizioni, Milano, p. 196, dora innanzi SV). Si vedano per una ricostruzione complessiva i corsi su Phnomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einfhrung in die phnomenologische Forschung (1921/ 22), vol. 61 della Gesamtausgabe, hrsg. v. W. u. K. Brcker, Klostermann, Frankfurt a. M. 1985, trad. it. di M. De Carolis, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. In- troduzione alla ricerca fenomenologica, Guida, Napoli 1990, e Ontologie (Hermeneutik der Faktizitt) (1923), vol. 63 della Gesamtausgabe, hrsg. v. K. Brcker-Oltmanns, Klostermann, Frankfurt a.M. 1988, tr. it. di G. Auletta, Ontologia. Ermeneutica della effettivit, Guida, Napoli 1992. Rinviamo inoltre a M. HEIDEGGER, Phnomenologische Interpretationen zu Aristoteles, a cura di H.-U. Lessing, in Dilthey-Jahrbuch, 6/1989, pp. 228-69, tr. it. di V. Cammarota e V. Vitiello, Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele, in Fenomenologia e teologia, VI, 1990, pp. 496-532. Per il confronto di Heidegger con Aristotele la letteratura gi amplissima. Rinviamo alle referenze per noi decisive: F. VOLPI, Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova 1984; Heidegger e la storia del pensiero greco: figure e problemi del cor- 296 HEGEL E ARISTOTELE so del semestre estivo 1926 sui Concetti fondamentali della filosofia antica, Itinerari, pp. 227-268; G. MORETTI, Tecnica e filosofia della natura. Il pensiero della Physis in Martin Heidegger, in AA.VV., Memorie della tecnica, a cura di G. Manzi, Cadmo, Roma, pp. 53-81; C. SINI, Il naturalismo, in AA.VV., Lidea di natura, a cura dellEnci- clopedia Italiana, in Studium, nn. 4-5, Roma 1987; J. TAMINIAUX, Poesis et Praxis dans larticulation de lontologie fondamentale in Heidegger et lide de la phnomnologie, in Phenomenologica 108, Dordrecht 1988, pp. 107-125; particolar- mente rilevante la ricostruzione delle influenze di Aristotele in alcune categorie di Essere e Tempo. Pi in particolare in relazione al nostro approccio: cfr. E. CALETTI, Bewegtheit und Rckkehr, Rheinfelden 1987. Vedi tra gli altri contributi di F. CHIEREGHIN: Physis e Ethos, La fenomenologia dellagire in Heidegger, in Archivio di Filosofia, LVII, 1989, n. 1-3, pp. 445-463. Per quanto riguarda, in Aristotele, le oscillazioni metaforiche del concet- to di logos come disvelamento e logos come notificazione vocale cfr. A. CAZZULLO, La verit della parola. Ricerca sui fondamenti filosofici della metafora in Aristotele e nei contemporanei, Jaca Book, Milano 1987. Dello stesso Autore cfr. Il concetto e lesperienza. Aristotele, Cassirer, Heidegger e Ricoeur, Jaca Book, Milano 1988. ( 2 ) M. HEIDEGGER, Sullessenza e sul concetto della physis ..., cit. p. 193. ( 3 ) Ivi, p. 196. Pi avanti, proseguendo, attribuisce alla tradizione post- aristotelica e in particolare alla scolastica un progressivo occulta- mento, un mancato riconoscimento dello stato di sospensione e di apertura, in cui Platone e Aristotele avevano lasciato i proble- mi centrali ( 2 ). Si tratta, allora sostiene Heidegger di recuperare quel- la sospensione e apertura che consentirebbero, ancora, di sentire il risuono del modo originariamente greco di pensare lessenza del- la physis. Alla condizione, naturalmente, di liberarla da quella profonda rimozione a cui sarebbe stata sottoposta dalla tradizio- ne. Soprattutto nella Fisica aristotelica sarebbe possibile ritrovare sostiene Heidegger uno dei testi decisivi del pensiero greco: La Fisica aristotelica il libro fondamentale della filosofia occi- dentale, un libro occultato e quindi mai pensato sufficientemente a fondo ( 3 ). 297 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione Heidegger prova a delimitare ci che si presenta decisivo nel- la definizione aristotelica di physis. Qui deve esserci quellapertura della domanda che ancora prolungherebbe la tradizione antica. La definizione che Aristotele d della physis, secondo Heidegger, pone al centro la questione del movimento o della motilit: Lente che proviene dalla physis, o tutto o una parte, qualcosa di mosso (cio di determinato dalla motilit) ( 4 ). Per la prima volta, il movimento non una cosa tra le altre, ma, come esser mosso, viene fatto diven- tare il centro di una domanda che apre verso la comprensione es- senziale del concetto di physis. Heidegger, inoltre, sottolinea, a proposito dellessenza della physis, il fatto che Aristotele, in modo inequivocabile, labbia posta come causa originaria. Ma con questa fondamentale avvertenza: cos come lesser mosso o la motilit non deve essere inteso nellaccezio- ne ordinaria di semplice movimento, cos la causa originaria non ha nulla a che fare con il concetto della ragione scientifica moderna per la quale la causa sempre qualcosa che produce causalmente degli effetti. Cos come essere nel movimento non vuole dire essere neces- sariamente in movimento cos essere causati non vuol dire avere la causa come esterna a s. Aristotele, quindi, secondo Heidegger, ci conduce alla defini- zione essenziale di un ente che in quanto ha il suo essere come sostegno per il suo esser posto o esser avviato. Appartenere alla motilit pertanto vuole dire essere disposti nella motilit. Il problema di Heidegger che affronta Aristotele , in sostan- za, la questione del che cos lente in quanto ente. La risposta che lente un ente in quanto disposto nel suo essere e avviato nel seno del suo essere. Lessenzialit di questo avvio la motilit che a questo punto diventa il carattere fondamentale dellente. Heideg- ger sollecita a non disperdere tra le convinzioni ereditate dalla cul- ( 4 ) Ivi, p. 197. 298 HEGEL E ARISTOTELE tura scientifica moderna la visione essenziale che i Greci possede- vano del movimento. Egli dice: dobbiamo imparare a vedere come, per i Greci, il movimento, in quanto modalit dellessere, ha il carattere dellarrivare a presentarsi ( 5 ). Heidegger vuole per precisare un punto molto importante, un punto che sembra portarlo in prossimit alla lettura hegeliana di Aristotele. Egli ci avverte che la disposizione che avvia la motili- t di qualcosa che mosso non resta al di fuori di ci che mosso. Lo aveva gi precisato nel distinguere la semplice causa dalla cau- sa essenziale. Qui per ancora pi preciso perch vuole rendere pi evidente che ci che muove, ci che avvia, si dispone nel disposto e si annida conservandosi nel disposto. Ci che muove, quindi, e ci che mosso sono raccolti in questo modo nellessenza del mo- vimento. Per spiegare e inoltrarci meglio nella sua interpretazione di Aristotele, Heidegger, ci conduce per una strada che, anche nella sintassi concettuale (lo vedremo), sembra del tutto analoga con quella hegeliana. Dice Heidegger: (...) ci che cos determinato dalla physis, non solo nella sua motilit resta in esso stesso, ma, dispiegandosi secondo la sua motilit (il suo cambiare), ritorna proprio in esso stesso ( 6 ). Aveva detto Hegel nel capitolo dedicato ad Aristotele nelle Lezioni sulla storia della filosofia: Limmoto che muove lidea che rimane identica a se stessa, e che, mentre muove, rimane in rela- zione a se stessa ( 7 ). Sembra di trovarsi sullo stesso piano. ( 5 ) Ivi, p. 204. ( 6 ) Ivi, p. ( 7 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. E. Codignola e G. Sanna, II, La Nuova Italia, Firenze 1930, 1981, p. 306. noto come ledizione italia- na di E. Codignola e G. Sanna abbia come testo di riferimento la seconda edizione del Michelet (Berlino 1840/44). Le imprecisioni che contiene non sono, nel nostro caso, influenti. 299 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione In Hegel lidea giunge a se stessa nel suo compimento e il suo compimento originariamente il movimento del suo farsi. Il farsi nel movimento movimento del concetto che si pone in relazione al fine. Hegel ritiene che la filosofia del suo tempo abbia smarrito proprio una delle principali acquisizione della filosofia aristoteli- ca e cio lidea che la natura proceda nel generare se stessa. E con questo abbia smarrito lidea aristotelica che lorganico sia il modo di essere dellente naturale. La natura della conformazione orga- nica infatti quella di conservarsi e il conservarsi di qualcosa nel suo movimento la riflessione che compie in s ogni ente natura- le. Tutto ci perch la forma come scopo la causa finale in vista della quale tutto si muove e si conforma. Solo Kant, secondo Hegel, ha avuto il merito di introdurre nella filosofia moderna il concetto di finalismo anche se in Kant ha soltanto quella forma soggettiva, che in generale costituisce lessenza della filosofia kantiana quasi che la vita fosse determinata in questo dato modo soltanto merc il nostro ragionare soggettivo; ma tuttavia esso contiene la perfetta verit, che la conformazione organica quella che si conserva ( 8 ). Mentre Hegel, per, ritiene lidea dellorganico come una ri- conquista di fronte al prevalere di una visione meccanicistica, Per il ruolo di Aristotele nella storia e nella filosofia della storia di Hegel almeno cfr. W. KERN, Aristoteles in Hegels Philosophiegeschichte: Eine Antinomie, in Scholastik, XXII, 3, 1957, pp. 321-46; K. DSING Hegel und die Geschichte der Philosophie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1983; Id., Lineamenti di ontologia e teologia in Aristotele e Hegel, in Il Pensiero, XXIII, 1982, pp. 5-32; tra gli studi in Italia cfr. L. SAMON, Dialettica e Metafisica. Prospettiva su Hegel e Aristotele, LEpos, Palermo 1988, in partic. pp. 5-50; A. FERRARIN, Hegel interprete di Aristotele, ETS, Pisa 1990. Per il rapporto Heidegger-Hegel segnaliamo: V. VITIELLO, Dialettica ed ermeneutica: Hegel e Heidegger, Guida, Napoli 1979; M. KNAUPP, Gewissheit und Gegenwart: das Selbstbegrndungsproblem der Philosophie bei Hegel und Heidegger, Kassel, Gesamthochsch. Diss. 1983. ( 8 ) Ivi, p. 322. 300 HEGEL E ARISTOTELE Heidegger avverte: Forse ci vorr ancora molto tempo per ren- derci conto che lidea di organismo e di organico un concet- to puramente moderno, meccanico-tecnico, per cui anche ci che cresce naturalmente da s interpretato come un artefatto che fa se stesso ( 9 ). Prima ancora Heidegger aveva affermato : Eppure si tenderebbe a cadere nellopinione che lente determinato dalla physis sia ci che si fa da s ( 10 ). Non difficile scorgere una pre- sa di distanza radicale dalla lettura hegeliana. Per Heidegger, dunque, la physis certamente un restare in se stessa nella sua motilit e un dispiegarsi che ritorna in se stessa, tuttavia, questo permanere nel cambiamento non pu essere letto come unauto- produzione. Nel momento in cui Heidegger procede tentando di mostra- re pi da vicino il concetto greco-aristotelico di physis incrocia seppure su un altro piano unespressione di Hegel, che appare molto ricca di indicazioni. Hegel aveva detto, sempre nelle Lezio- ni: E cos nellodierna filosofia della natura si adopera anche lespressione sorgere ( 11 ). Per Hegel non c niente di pi lontano dal concetto aristotelico di natura, sorgere per lui sempre un svolgersi scevro da pensiero. Ebbene la traduzione di Heidegger di physis si avvicina pro- prio allarea semantica di sorgere, schiudersi anche se avverte: non siamo in grado di conferire immediatamente a questa parola quella pienezza e quella determinatezza che qui sarebbero neces- sarie ( 12 ). Il sorgere come un venire nella presenza dellentit dellente, come ousia, per Heidegger il modo pi adeguato di concepire la motilit come essenza originaria dellente. Lousia physis in quan- ( 9 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, cit. p. 209. ( 10 ) Ivi, p. 209. ( 11 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit. p. 320. ( 12 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, p. 214. 301 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione to essere dellente e pi in particolare di un ente che fin dallinizio ha il carattere dellente in movimento. Per chiarire e giungere cos pi vicino alla natura di questo concetto Heidegger ritiene che non solo si debba tener conto del pensiero autenticamente greco intorno alleternit e alla tempora- lit della durata ma, soprattutto, per afferrare appieno lessenza dellousia, occorra passare attraverso la contrapposizione tra svela- tezza e apparenza. Addirittura dice Heidegger: Da questo sapere dipende in generale la comprensione della concezione aristotelica della physis ( 13 ). Evidentemente lapparire di ci che appare introduce per una via che si allontana dalla determinazione essenziale della svelatezza, la quale, Heidegger lo ha gi rilevato il modo con il quale il termine stesso physis pu essere tradotto. Evidente- mente lapparire introduce come un movimento di diaspora ri- spetto a ci di cui si dice apparenza. Per una certa tradizione a cui Aristotele si contrapporrebbe lapparire sempre legato allappa- rire in una forma, nella costituzione di una forma. Ma tutto ci che appare in una costituzione formale, in quanto tale, appartiene al mutamento e quindi si allontana dallente che non muta e non muta in quanto ente che perdura come semplice e puro essere. Aristotele si oppone a questa tradizione e vi si oppone perch al- lontana il concetto di forma da quello di semplice apparenza ed eleva la forma a determinazione essenziale della physis. Tuttavia questa elevazione di rango della forma in cui impegnato Aristo- tele non semplice avverte Heidegger non semplice pro- prio perch sono numerosi i fraintendimenti che ne ricoprono il senso autentico . La forma non semplice apparenza nel senso, ad esempio, di Antifonte. Cos pure occorre chiedersi se possa essere determi- nata a partire da quella distinzione dialettica che si sempre pi ( 13 ) Ivi, p. 225. 302 HEGEL E ARISTOTELE imposta nel pensiero occidentale nella determinazione concettuale di forma e materia. Con questa distinzione e soprattutto attraverso la traduzione operata dai Romani di u{lh e morhv in materia e for- ma. Se, in questo caso, si supera il pericolo di ridurre la forma a semplice apparenza (acquisizione di non poco conto) si rischia per di sfuggire allautentica comprensione dellessenza della for- ma. La traduzione di u{lh in materia indirizza verso la determina- zione della forma come attivit che produce; materia infatti indica una materia per il produrre. Tuttavia avverte Heidegger : Ma la morhv non significa produzione, ma al massimo configurazio- ne, e la configurazione appunto la forma che viene data alla materia modellandola e plasmandola, cio formandola ( 14 ). Se- condo Heidegger dobbiamo lasciarci guidare dallo stesso Aristote- le il quale indicherebbe chiaramente che la morhv deve essere inte- sa a partire dallei\do. Lei\do ci che si d nella vista, cio si offre nella presenza che si d a vedere a partire da se medesima. La forma in questo senso laspetto dellente, linstallarsi di un ente nellaspetto di una veduta. il modo attraverso il quale la forma pu essere pensata come essenziale alla physis, come appartenente allessenza della physis. Poich era stato gi chiarito che lousia essenzialmene compresa nella motilit, ( un venire nella presenza a partire dalla motilit) evidentemente la forma deve essere essenziale proprio per spiegare la motilit. Innanzi tutto, per Heidegger, occorre ri- prendere la distinzione tra motilit e movimento; occorre nuova- mente ricordare che la motilit non semplicemente un movi- mento inteso come uno spostamento di luogo e, in questo senso, non il contrario di quiete; piuttosto lessenza da cui sia la quie- te che il movimento sono determinati. Heidegger invita insomma a guardare alla motilit come il luogo essenziale nel quale il mo- vimento accade nella quiete o nella quiete pu celarsi il movi- ( 14 ) Ivi, p. 229. 303 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione mento: La motilit di un movimento consiste allora eminentemen- te nel fatto che il movimento di ci che mosso si riprende nella sua fine, nel suo telos, e in quanto cos ripreso nella fine si ha laver- si nella fine ( 15 ). Il fine o la fine dunque ci a partire da cui si svela lessenza dellente come appartenente alla motilit. Lente sta nella motilit in quanto si apre a partire dalla sua fine, si manifesta nella sua fine. Il fine dunque il farsi aspetto dellente, il manifestar- si originario dellente, latto o la forma del suo svelarsi. La forma dunque il manifestarsi in un aspetto e non a caso poco pi avanti Heidegger traduce energheia come stare in opera. La forma e la fine si richiamano lun laltra, nel senso che il fine il manifestarsi nellaperto di una forma. La sua convinzione che la rimozione originaria del mondo greco si incominci a compiere nel momento in cui il concetto di energheia come svelamento divenne actus, agere e la dynamis semplicemente potenza. Del resto i due concetti sono intimamente correlati e loccultamento delluno non pu portarsi dietro che loccultamento dellaltro. Cos come la tra- duzione dellenergheia in atto procede nella direzione di trasforma- re la forma in un motore interno dellente (come ha detto innanzi Heidegger) riducendo la forma ad unintima azione creativa del- lentit dellente. Un trapasso che sposta il peso dellessenza del- lentit dellente sullazione creativa della forma. come se la forma divenisse improvvisamente lessenza dellente, non pi ci che compie lessenza dellente, la via in cui lo svelamento dellente giunge nellapertura di un aspetto, ma ci che assume su di s la generazione originaria dellessenzialit dellente. La forma da via in cui qualcosa raggiunge il suo compimento diventa la via in cui la cosa si produce. Heidegger avverte che per evitare tutto questo occorre mostrare attenzione a non tradire proprio ci che nella traduzione di forma in actus si rischia di far scomparire del tutto e di assorbire nel moto della sua essenzialit, cio la dynamis. ( 15 ) Ivi, p. 238. 304 HEGEL E ARISTOTELE Dynamis labbiamo gi tradotta con attitudine, con essere- adatto-a..., solo che anche cos persiste il pericolo che ancora non si pensi in modo abbastanza greco, e preferiamo evitare la fatica di chiarirci che lattitudine a... il modo di quel venire fuori nel- laspetto che ancora si tiene indietro e in s, e nel quale si compie lattitudine ( 16 ). Quello che in gioco, evidentemente, su cui Heidegger vuole insistere con particolare attenzione, qualcosa di originario che ancora in Aristotele non sarebbe stato occultato. Ebbene se volessimo tradurre in estrema sintesi si potrebbe dire che ci di cui si tratta riguarda Ci a cui appartiene lessenza del puro veni- re alla presenza. come se chiedessimo, in altri termini, a Chi ap- partenga originariamente lessenza della motilit. In un punto Heidegger spiega cos questo difficile passaggio: la dynamis e lenergheia non si contrappongono per essenza. Egli spiega infatti che lenergheia realizza lessenza del puro venire alla presenza in modo pi originario (....) ( 17 ) ma anche la dynamis ha come essen- za quello di venire alla presenza; la distinzione che li riguarda evidentemente non coinvolge fino in fondo la natura dellessenza in quanto tale. Heidegger raggiunge qui un momento molto ricco di impli- cazioni e si aggira non a caso con molta discrezione e prudenza. un punto delicato perch ci si trova di fronte un incrocio teorico per certi versi paradossale. La forma e la materia hanno la stessa essenza e ci si trova nella brutta situazione di determinare lessen- za della physis a partire dal concorrere di una duplice essenza di fronte alla quale non facile decidere chi, alla fine, sia la pi es- senziale. Entrambi infatti sono un movimento di venir alla presen- za, un procedere verso linstallarsi in un aspetto, e tuttavia luna, la forma, sembra allinizio dover essere la pi originaria. Si tratta di ( 16 ) Ivi, p. 241. ( 17 ) Ivi, p. 241. 305 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione capire per insiste Heidegger se ci che pi originario insieme pi essenziale o comunque in che cosa consista il caratte- re della sua originariet. Che la cosa non sia semplice mostrato dal fatto che se la forma come aspetto pi originaria della dynamis nel suo essere ci che pone nellaspetto, lessenza della dynamis, tuttavia sottoli- nea Heidegger , a sua volta, non pu prescindere da essere essa stessa aspetto. Se la privazione o la dynamis deve dunque essere, in se stes- sa, un venire avanti nellaspetto e, in questo, essere in qualche mo- do, essa stessa, nella forma dellaspetto la traduzione dei Romani, dice Heidegger, di stevrhsi con privatio sembra essere inadegua- ta. O per lo meno inadeguata se si guarda con attenzione a quel carattere della privazione che secondo Heidegger indica il movi- mento di un negare che in quanto tale afferma. Se la energheia in- dicava esplicitamente il cammino di una via, di uno slargarsi nel- laperto di una presenza la dynamis sembra indicare un sempli- ce prender-via, un assentarsi, un non essere ancora nella presen- za, o un trattenersi al di l della presenza. quindi un essere via, non qui, un mancare che non apre, per, il silenzio del nulla di una assenza radicale; lassenza di un mancare infatti un non essere qui che tuttavia in qualche modo avanza essa stessa in una presen- za. Cos allora conclude Heidegger: In quanto assentarsi, la privazione non semplicemente assenza, ma un presentarsi, e pre- cisamente quel presentarsi in cui si presenta lassentarsi e non gi lassente ( 18 ). Pi avanti Heidegger rilascia unaffermazione decisiva e conclusiva dellorientamento del saggio, egli dice: nella priva- zione, infatti, si nasconde lessenza della physis ( 19 ). ( 18 ) Ivi, p. 251. ( 19 ) Ibidem. 306 HEGEL E ARISTOTELE Dopo averci lasciato in una vaga incertezza Heidegger si avvia, quindi, verso una direzione ben precisa e lascia alle spalle lincrocio che ci aveva posto davanti. Ricordiamo la domanda centrale: pi essenziale lessenza della forma o lessenza della materia? Heidegger si sforza di mostrare come la via di uno svol- gersi nel venire allaperto e la via di un sottrarsi in questo venire allaperto sono alla fine laccadimento dellessenza della physis. Lessenza della physis si raccoglie, seppure celandosi, nella privazione. Se sollecitiamo ancora, con altre indicazioni che il te- sto suggerisce, quel nascondersi, troviamo che, alla fine, lessenza della physis si nasconde nel gioco dellassentarsi del venire nella presenza. Nascondersi qui sembra indicare il luogo nel quale la physis trova la radice della sua essenza, il luogo da cui il venir alla presenza trae il proprio avvio. Per quanto lavvio venga sviato e si assenti nel presentarsi e si sottragga ad ogni presa, nel cuore della privazione che Heidegger lo trattiene. Se dunque lessenza della physis la disposizione che avvia la motilit di un mosso e se lessenza della physis si nasconde nella privazione dobbiamo concludere, con Heidegger, che nella privazione sta la disposizione che avvia la motilit. Ripetiamo, ora, ancora una volta la domanda centrale: chi avvia la motilit del mosso? La forma come fine sembrata essere ci che muovendo permane nello svolgimento del mosso: identit di movente e di mosso. Movimento in cui lideale della forma mette in atto, attualizza e mette in forma la possibilit della mate- ria. Ma Heidegger aveva messo in guardia dal non lasciarsi fuor- viare nella lettura scolastica per la quale la forma sembra configu- rarsi come un motore interno alla materia, un motore aveva detto che applicato da qualche parte mette in moto qualcosa. E aveva anche spiegato che il telos non va inteso semplicemente come uno scopo e neppure semplicemente come il fine. Tutto ci infatti riabilita lidea di un farsi avanti verso un fine in una misu- 307 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione ra per la quale il fine che genera la motilit del movimento, come se il fine muovesse se stesso verso se stesso. Heidegger ha spiegato che il fine invece va letto come la fine o laspetto in cui la motilit viene ad esporsi. quindi come se il fine non fosse altro che il venire avanti di uno svolgersi che trattiene in s lavvio del- la motilit. Pu trattenerla in s perch la conformazione sem- pre una risposta ad un richiamo che non pu consegnarsi total- mente nellaspetto, che si tradisce proprio nellaspetto. Heidegger non lo dice ma evidente che lo sostenga, perch questo avvio possa consegnarsi in una sottrazione occorre che il Chi della moti- lit non sia identico con la forma; ancora una volta occorre che se di un Chi della motilit, un Chi come avvio che sosta nellavviato si deve parlare, occorre che questo sia lessenza della physis, e an- cora di pi occorre che lessenza pi essenziale della physis appar- tenga alla privazione. Ecco perch la frase di Heidegger secondo cui nella privazione si nasconde lessenza della physis non ci sorprende. Esplicitata ancora pi heideggerianamente essa vuole dire nientaltro che lessenza della physis sta nellessere dellente. 2. Hegel osserva e sottolinea come Aristotele sia stato il primo nella storia del pensiero a qualificare lindagine filosofica come la conoscenza del fine. E soprattuto a concepire il fine come il bene di ciascuna cosa. Le determinazioni che consentono ad Aristotele di sviluppare questo passaggio sono, secondo Hegel, innanzi tut- to, la potenza e latto; in particolare latto, in quanto entelechia, il fine in s, telos, fine che realizza se stesso e compie se stesso. noto come Hegel incominci a tradurre Aristotele nella propria grammatica concettuale gi a partire dalla traduzione del termine energheia. La traduzione in Bewegung lo trasla in un movi- mento per cui diviene attivit che si autodetermina compiendosi nel fine e realizzandosi in esso. Il concetto di Bewegung, in quanto essenzialmente attivit, consente ad Hegel di forzare lenergheia 308 HEGEL E ARISTOTELE verso il principio di soggettivit come negativit che si riferisce a s. Abbiamo innanzi gi visto come il saggio di Heidegger con- tenga impliciti ed espliciti contrappunti alla posizione hegeliana. Possiamo ora osservarli ad una distanza ravvicinata. Dice Hegel: Tutto ci che esiste contiene certamente materia, ogni mu- tamento presuppone un sostrato nel quale si compie; ma poich la materia stessa soltanto una potenza, non latto, che spetta alla forma, cos dipende dallattivit della forma, che la materia sia veramente ( 20 ). Per Hegel la forma ci che essenzialmente si determina in relazione al fine, si autodetermina nel movimento verso il fine. La grandezza che Hegel nelle Lezioni attribuisce ad Aristotele proprio lidea che il fine contenga in s la determina- zione di porsi ed effettuarsi. Quando Hegel, pertanto, sottolinea la soggettivit come in- timo principio di individuazione attribuisce ad Aristotele un principio concettuale che consente di unificare il movimento con- tenuto nello specificarsi attraverso la forma e il principio di que- sto movimento. Per Heidegger, invece, lo abbiamo visto, la forma compie una potenzialit attualizzando una determinazione formale e la forma attuata il compimento di una materia, latto vivente di questa ma- teria; e latto ha il suo originario limite non solo nel suo divenire semplice aspetto, ma, anche, nellavvio che accade per cos dire nellorizzonte della potenza. In questo senso dicevamo che latto come se restasse nellambito di un principio di esecuzione. Quando Hegel attribuisce ad Aristotele il momento della negativit come principio della soggettivit dellidea trasforma questo momento di esecuzione nella forma di una determinazione che assume in s il principio del movimento. La determinazione ( 20 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit. p. 297. 309 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione formale assume in s il principio della propria attuazione e il principio della propria attuazione comporta lassunzione del mo- vimento. Non a caso Hegel ricostruisce lordine delle sostanze in Aristotele sotto la misura di una semplice implicita domanda che ripropone ad ogni passaggio: a chi appartiene essenzialmente lattivit e quindi il movimento? Ma lattivit lunit della forma e della materia; Aristotele non ci spiega per pi precisamente in qual maniera queste due sono in quella ( 21 ). Dobbiamo per ancora lasciare in sospeso questa domanda che abbiamo anche incontrato come uno dei cen- tri della lettura heideggeriana. 3. In qual maniera si chiede Hegel dunque la forma e la materia appartengono al movimento? Per Hegel la condizione della circola- rit lattivit; lattivit in quanto coincidente con il principio di soggettivit della forma. In questo senso la forma il principio di attivit; forma dellattivit e, in questo senso, principio di essen- ziale unit. Tutto questo alla condizione che lattivit e la forma si coappartengano e contengano il principio della loro immanenza, siano totalmente immanenti a se stessi. Per Hegel dunque la forza speculativa di Aristotele si rag- giunge nel momento in cui, a differenza dellidealismo di Platone, lunit dellidentit non concepita che semplice unit degli oppo- sti, quindi con unastrazione che ipostatizza, ma concepita come intero, come essenzialmente negativa che conserva lidentit nel procedere di una differenza che mantiene luniversalit nella speci- ficazione delle determinazioni. La forza speculativa di Aristotele consisterebbe proprio nel fatto che la sostanza conserverebbe lidentit di una differenza proprio in quanto , a un tempo, universale e particolare. Luni- ( 21 ) Ivi, p. 301. 310 HEGEL E ARISTOTELE versale, non ci che comune, ma ci che muove se stesso verso la propria differenza e si riprende in questa differenza in se stesso. Perch questa unit della differenza sia possibile occorre per che luniversale che muove se stesso contenga in se stesso lavvio del proprio movimento. Potremmo dire la seit di questo movimento. Sia cio attivit. Contenere in se stesso lavvio per il proprio movi- mento vuole dire essere per mezzo di unassoluta negativit cio movimento che si nega per negare questa negazione, che si nega per giungere al proprio s. Il giungere alla propria forma avviato dalla stessa forma. La forma quindi non ha nulla a che fare con un semplice venire in unaspetto non fine come un venire a porsi nel- la fine di una forma che definisce, , per Hegel, avviarsi nel proprio avvio, avviarsi verso la posizione del fine. La forma in questo sen- so originariamente ed essenzialmente telos. Nel suo intimo, anche quando cio siamo nella sfera pi semplice degli enti naturali, la forma muove verso il suo fine. La forma vuole nel suo intimo non semplicemente il suo fine, non vuole cio semplicemente pervenire verso il fine, ma vuole porre il suo fine come proprio fine. Occorre capire bene questo passaggio perch si tratta di un punto in cui sono in gioco molte questioni e molte mosse teoriche determinanti e fondamentali. La forma dunque si muove verso il fine, si avvia verso il fine, ma la pienezza del suo compimento nel momento in cui lav- vio del movimento le appartiene il suo proprio avvio, quello non solo di conseguire il fine o di raggiungere il fine. Se fosse cos saremmo seppure su un piano dislocato nellambito di uno svol- gersi della forma verso un venire nellaspetto. Non si tratta quin- di solo di una forma che si avvia verso un fine o una fine. Perch tra forma e fine non si apra nessuna distanza occorre che la forma che procede verso il fine sia contemporaneamente la forma che produce il proprio fine, realizza il fine nella misura in cui lo de- termina. Se la forma ci che si avvia e ci che si avvia assoluta- mente, occorre che il fine le appartenga non come ci che deve 311 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione compiersi ma, nella sua essenziale originariet, come ci che deve prodursi e crearsi nellattualit del movimento. Non un caso che ci che determina lappropriazione del fine da parte della forma sia proprio il sapere. Il livello del sapere misura il grado di com- pimento della determinazione del fine da parte del principio for- male, il momento del compimento della produzione del fine da parte della forma. Fin dal primo livello della sostanza per Hegel che legge Aristotele, pertanto, la forma tende verso la determina- zione e la produzione del proprio fine, quindi non a svolgersi verso il fine ma a compiersi nel fine, quindi ad assumere il fine come determinazione della volont. Questo il livello che Hegel attribuisce ad Aristotele come terzo modo della sostanza, il momento per eccellenza in cui la teo- ria della sostanza troverebbe la sua unit sistematica. Il momento in cui si mostra quella sostanza che gli scola- stici hanno giustamente visto come definizione di Dio. 4. Siamo nel punto pi alto della serie in cui, come dice Hegel, sono congiunte potenza, attivit e entelechia, la sostanza assolu- ta, che Aristotele determina in generale come lin s e per s, che immobile ma a un tempo muove, e la cui essenza pura attivit senza materia ( 22 ). il momento decisivo della trasfigurazione di Aristotele. La sostanza assoluta diventa pura attivit. La doman- da con cui Hegel misurava la gerarchia delle sostanze trova ora la sua risposta. Apparentemente Hegel approfondisce lindicazione di Aristotele di un atto puro, di un atto che nella sua purezza sgombro della materia e della passivit. Hegel per quando ac- centua la forma pura dellatto continua nella direzione di una reci- proca immanenza di atto e potenza, di soggetto ed oggetto. Conce- pire lassoluta sostanza come semplice atto puro per Hegel giu- ( 22 ) Ivi, p. 302. 312 HEGEL E ARISTOTELE sto alla condizione di una correzione decisiva, quellatto puro non pu librarsi sulla materia concependosi senza la passivit di que- sta. Per Hegel la purezza dellatto va compresa non tanto nella sua esclusiva separatezza dalla materia ma nella sua sovranit. Un atto che, in quanto tale, deve essere totalit di forma e materia. Latto sovrano perch nel suo movimento contenuta anche la passivit della materia. Hegel lo esprime magistralmente in que- sto modo: ma la materia precisamente nientaltro che quel mo- mento dellessenza immobile ( 23 ). il momento in cui la materia appartiene totalmente al movimento della forma; potremmo dire: al suo punto di stasi. Il momento in cui la forma attua il proprio contenuto, si esibisce nel contenuto. La forma non esegue il desti- no della materia, piuttosto si manifesta producendosi nel conte- nuto. La materia in questo senso un momento necessario del suo dinamismo. il punto di quiete del suo dinamismo. Perch que- sto sia possibile Hegel doveva congiungere ci che in Aristotele inesorabilmente separato, la forma e il principio del movimento. Solo se la forma contiene in s radicalmente il principio del movi- mento il mosso e il movente possono appartenere ad un medesi- mo circolo, lassoluto pu essere quiete solo in quanto attivit, pu rimanere presso di s nel cambiamento. Il celebre abbaglio della traduzione hegeliana che consente di identificare il Dio aristotelico con il primo cielo eterno e quindi cancellare nellim- manenza del movimento circolare il punto di appoggio del movi- mento aristotelico ha in queste mosse la sua condizione teorica. il momento in cui Hegel non interpreta ma trasforma e plasma nel suo sistema uno dei centri dinamici della filosofia aristotelica. 5. Quando Hegel rimprovera Aristotele di non spiegare il modo attraverso cui la forma e la materia appartengano allunit ( 23 ) Ivi, p. 303. 313 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione dellattivit non si riferisce semplicemente al primo livello di de- terminazione della sostanza. Indica contemporaneamente il pro- blema speculativo centrale nellaristotelismo e il punto in cui si inserisce il suo tentativo di concepirlo nel quadro della sua gram- matica filosofica e speculativa. Tra laltro uno dei punti di maggiore insistenza e continuit del sistema aristotelico. Un punto che si pu fissare a partire dalla seguente doman- da: su che cosa poggia il movimento? O Chi attiva il movimento? noto come per la Fisica aristotelica uno dei compiti pi importanti consista nella determinazione della natura del movi- mento e del cambiamento che Aristotele ritiene essere il fenome- no fondamentale della natura, sino al punto di sottolineare che chi non lo intende incapace di intendere la natura stessa. Secondo Aristotele ogni movimento naturale implica il muo- versi essendo mosso. Il movimento pertanto si compone di due mo- menti: il muoversi e lessere mosso. Questa distinzione consente ad Aristotele di combattere quellopinione di Platone per la quale in- vece del tutto ammissibile che qualcosa possa muoversi da s in quanto mosso nella sua totalit. Per Aristotele ogni processo natu- rale si trova a cooperare alla realizzazione di un fine, si muove e si sviluppa nellorizzonte di un fine e il suo movimento compie la possibilit di raggiungere una forma e una struttura. Tuttavia, e questo un punto molto importante, se al movimento appartiene lattuazione della forma come realizzazione della capacit della so- stanza, la forma realizza la potenza e la compie ma non contiene il principio del movimento. Non a caso Aristotele per garantire luni- t funzionale del suo sistema deve ammettere sin dalle prime opere un vertice al mutamento, il proton kinoun akineton. E quando Aristo- tele introduce questo vertice pienamente consapevole della sua innovazione e soprattutto della sua necessit: Se non accettiamo la mia soluzione, ci troviamo ancora una volta di fronte al problema di Parmenide. Lessere si genere- 314 HEGEL E ARISTOTELE rebbe dal non essere, e noi sappiamo che questo impossibile. Esiste dunque un primo mosso, e cio il primo cielo, e un princi- pio del movimento, eterni entrambi ( 24 ). Il Proton kinoun ha in Aristotele un doppio registro, si collo- ca, per cos dire, nella sintesi dei due estremi di un movimento possibile, una sintesi del prima e del poi, infatti il primo eter- no, fuori del tempo e del mutamento, punto di appoggio del mu- tamento e contemporaneamente telos, ci che orienta il compi- mento del mutamento, fine ultimo a cui tutto luniverso tende. Se il movimento appartenesse intimamente al principio for- male non sarebbe necessario ammettere accanto a forma e materia un terzo principio. solo e unicamente per il fatto che il movi- mento non appartiene allintimit della forma che Aristotele deve contestare il dinamismo degli opposti e ritiene che per spiegare il movimento sia necessaria una sorta di appoggio e punto di avvio e di consistenza del movimento. Questo terzo principio infatti, non solo consente lappoggio eterno per lavvio di un movimento ma conserva il movimento nella consistenza di una tendenza, orientandolo come un fine; infatti, impedisce che possa svanire. come se, per usare unimmagine, gli estremi del movimento non accadessero nella pienezza del circolo ma si collocassero per cos dire nella sua tangenza. 6. Se rinnoviamo dunque la domanda del Chi sostenga il movi- mento e se il Chi appartenga o no alla forma o se vi appartenga in che modo vi appartenga ci troviamo di fronte al punto centrale del confronto di Hegel con Aristotele. Linsieme della rilettura hegeliana di Aristotele grava sul principio della forma. Hegel ci indirizza subito verso la direzione di un ingente mutamento di ( 24 ) Cit. ripresa da I. DRING, Aristotele, Mursia, Milano, trad. it. di P. Donini, p. 243. 315 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione prospettiva nel momento in cui ci fa osservare che in Aristotele vi sarebbe una specie superiore di sostanza e questa sostanza sareb- be quella nella quale lattivit contiene gi ci che deve divenire. Non solo. Questa sostanza contiene a tal punto ci che deve dive- nire da dover essere pensata nella sua assoluta essenza come pura attivit. Hegel naturalmente non si azzarda a riferire che questo sia stato pensato da Aristotele pienamente e alla luce di tutti i suoi risvolti, dice per che la verit verso cui Aristotele in cammino, diciamolo cos, una via nella quale la forma non semplice attualit di una potenza ma essenza assoluta come pura attivit. Per sostenere questa rilettura Hegel ricorre ad un soccorso storico. Contro quella che lui chiama una certa diffiden- za dellet moderna verso Aristotele Hegel richiama invece la consapevolezza degli Scolastici. Invece gli scolastici videro esat- tamente in questo concetto la definizione di Dio, chessi designa- rono appunto come actus purus; e non si d idealismo pi elevato di questo ( 25 ). 7. Commentando il De anima Hegel osserva: Che la forma attiva sia la vera sostanza, e la materia invece sia soltanto in potenza, un concetto veramente speculativo ( 26 ). In particolare Aristotele avrebbe raggiunto un momento molto alto nel pensiero speculativo laddove giunge a definire lanima come essere causa proprio in quanto fine, cio universa- lit autodeterminantesi. Questa natura originaria dellanima si ( 25 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., p. 303. ( 26 ) Ivi, p. 347. Cfr. almeno W. KERN, Die Aristotelesdeutung Hegels. Die Aufhebung des Aristotelischen Nous in Hegels Geist, in Philosophisches Jahrbuch, 78, 1971, pp. 237-259; G. MOVIA, in ARISTOTELE, Lanima, testo greco a fronte, a cura di G.M., Rusconi, Milano 1996, pp. 7-48. Sullidentificazione hegeliana del Dio aristotelico con il primo cielo eterno cfr. E. CORETH, Das Dialektische Sein in Hegels Logik, Herder, Wien 1952, 136-57. 316 HEGEL E ARISTOTELE esprimerebbe compiutamente nel suo grado pi alto, nel pensiero. Mentre nel sentire si dipende da un altro e il movimento o lavvio o il chi possiede lavvio viene dallesterno nel pensare, nota Hegel ci- tando (o meglio parafrasando) Aristotele, ciascuno pu pensare da s, quando vuole e appunto perci libero ( 27 ) . Il concepire questo avviarsi di se stesso nel pensare dunque il principale livello speculativo raggiunto da Aristotele. Lesito coe- rente del modo attraverso il quale Aristotele mostrerebbe la natura essenziale dellintelletto in potenza. Mentre una cosa determinata ha come unica possibilit quella di essere ci che secondo la sua natura, il pensare proprio in quanto possibilit deve essere conce- pito come possibilit universale, cio possibilit di diventare tutto il pensabile, ed cos che Hegel trapassa il concetto di potenza in quello di attivit. In quanto possibilit di essere tutto lanima es- senzialmente attivit. Non solo Hegel compie questo passaggio, ma lintelletto, in quanto essenzialmente attivo, rende la sua passi- vit un atto della sua stessa attivit. Infatti dice Hegel, Il pensiero si fa intelletto passivo, perch si fa oggetto per esso ( 28 ). La trasfigurazione di Aristotele in questi passaggi non poteva essere pi profonda. Hegel rispetta Aristotele sino al momento in cui sottolinea il fatto che lintelletto non pu avere materia. Ma questo lo porta immediatamente dopo ad una divaricazione radi- cale. Il non aver materia per Hegel non pu che significare un esse- re nella forma di non essere in s. Un non essere in s che diventa per come il lato interno di un essere che si d essere facendosi es- sere. Non a caso precisa in questo modo la relazione intimamente dialettica tra universale possibilit dellintelletto passivo e attivit dellintelletto attivo: lanima di per s luniversale possibilit, senza materia, perch la sua essenza lattivit ( 29 ). Questo pas- ( 27 ) Ivi, p. 351. ( 28 )
Ivi, p. 358. ( 29 ) Ibidem. 317 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione saggio consente ad Hegel di unificare i due momenti (la passivit e lattivit dellintelletto che in Aristotele restano indiscutibilmente distinti) come lati di un unico movimento. Lintelletto passivo in questo modo diventa un momento dellattivit dellintelletto attivo. Ricordiamo, per comprendere meglio, che per Aristotele la facolt intellettiva presenta le caratteristiche principali di non esse- re mischiata ad altro e limpassibilit. Limpassibilit non indica, naturalmente, limpossibilit di una qualche forma di mutamento in relazione a qualcosa di attivo, ma, ed importante, la possibilit di un patire senza che, a differenza di quanto pu accadere nel- lambito strettamente fisico, possa impedire che lessere del sogget- to non si conservi nel suo essere. In questo modo la facolt conosci- tiva patisce senza perdere la propria essenza, anzi, addirittura la perfeziona. Cos lintelletto pu restare impassibile ricevendo le forme intelligibili. Ci vuol dire che pu restare se stesso pur dive- nendo la forma intelligibile (in questo senso resta anche non mi- schiato). in questo modo che lintelletto, alla fine, la potenzialit di ricevere essenzialmente tutte le forme. Come si vede per tut- taltro che lin s del per s dellattivit dellintelletto attivo. Se i due momenti possono in qualche modo trovarsi nella forma di una uni- t della differenza questo dovuto alla insopprimibile e originaria natura dellimpassibilit dellintelletto passivo e non dallessere momento dellattivit del pensare. Non difficile scorgere in que- sto momento in cui la trasfigurazione di Aristotele particolarmen- te profonda il gioco dialettico della grammatica della logica di Hegel. Nel passaggio delle Lezioni che abbiamo riportato, la possi- bilit e lessere di questa possibilit giunge a coincidere con il nul- la; una possibilit ideale di contenere tutto: un libro secondo la possibilit pu contenere tutto, ma realmente nulla, prima desse- re scritto ( 30 ). Solo nel pensare attivo lintelletto passa quindi dal ( 30 ) Ivi, p. 359. 318 HEGEL E ARISTOTELE niente della potenzialit alla verit della realt. come se Hegel trascinasse Aristotele nel movimento che ritroviamo allesordio del cominciamento della logica. Un punto che ha il sostegno in un passaggio che Hegel sottolinea per il quale la materia per s niente dove lessere in quanto movimento dellattivit della forma. Non solo occorre dire che la materia niente senza la for- ma. Per Hegel occorre sviluppare questa affermazione di Aristo- tele sino al suo estremo. La materia niente non solo nel senso che non ha ancora forma, ma niente in senso radicale, tanto niente da non poter che essere attraverso il movimento della forma. Hegel lo abbiamo visto aveva detto chiaramente, sempre nel commento ad Aristotele, che la materia il punto di quiete del movimento dellattivit della forma. Ma occorre proceder an- cora pi avanti. Il niente della materia, il nulla senza la forma del- la materia evidentemente non appartiene alla materia. Questo un punto delicato e decisivo. Il niente appartiene alla forma come movimento della negativit interna. Perch la materia accada come attivit della forma, come punto di quiete dellattualit del- la forma occorre che il niente appartenga originariamente al mo- vimento della forma. Potremmo dire, senza correre troppi rischi di abusi, che si coappartengono dialetticamente cos come al- lesordio della logica essere e niente si appartengono e si compio- no nel divenire. La definizione che Hegel d del pensiero, attribuendola ad Aristotele, la conseguenza di questo ordine di mosse concettuali: Hegel dice: Il pensiero difatti piuttosto il non essere in s ( 31 ). Siamo nel livello pi compiuto dellanima. Cos come lani- ma nella forma deve assumere intimamente il niente dellessere, cos il pensiero ora intimamente non essere in s. Anzi nel pensare linseit come niente, come essere niente di ciascuna cosa contemporaneamente attivit, essere e nulla ( 31 ) Ivi, p. 357. 319 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione coincidono pienamente nellattivit. Ecco che in questo modo pi chiaro quello che dicevamo allinizio: Dire che lanima questo libro non scritto significa adunque dire chessa tutto in s, ma non questa totalit in se stessa: allo stesso modo un libro secondo la possibilit pu contenere tutto, ma realmente nulla, prima dessere scritto. Lintelletto passivo dunque lintelletto che capace di rice- vere tutto e di diventare tutto; ricordiamo che capace di diventare tutto perch essenzialmente niente di tutto, ma come abbiamo vi- sto il niente dellessente in s immediatamente partecipe delles- senza della forma. Ecco perch facile, per Hegel, il passaggio suc- cessivo dellidentit con quellintelletto che come forza attiva in grado di produrre tutto. Il niente il punto di comunione tra lin- telletto passivo e lintelletto attivo. 8. Abbiamo sinora fatto scorrere parallelamente la lettura di Heidegger e quella di Hegel. Dobbiamo ora tentare di stringere pi prossimamente possibile la fondamentale divaricazione che li al- lontana luno dallaltro. In Heidegger ci che avvia il movimento si svolge nel venire avanti nellaspetto della forma. Ci che avvia si manifesta nel veni- re avanti nellaspetto ma si manifesta nella modalit di unassenza. come se Heidegger dicesse: la forma lo slargarsi del venire avanti ma una forma che esegue il ci che avvia. La forma la manifestazione di un accadimento che la precede e proprio per questo non accade mai del tutto. La forma in questo senso sta nel- lopera della motilit perch il modo della sua esecuzione. Alla fine si pu dirlo in questo modo: la forma lente dellessere e rice- ve dallesser dellente la sua consistenza e la sua custodia. In questo senso Heidegger ci ha pi volte posto nellavviso che in Aristotele la forma non un actus purus, non cio il Chi che conduce, il ci che avvia. 320 HEGEL E ARISTOTELE In Hegel, lo abbiamo visto, lessere dellente niente senza lattualit della forma, nellatto della forma accade radicalmente lessere dellente. La forma cio attua se stessa nellatto del suo farsi e il suo essere accade nel momento del suo farsi, nellattuali- t del suo atto. La forma non esegue, non accade per eseguire ma intimamente farsi, o, comunque, intimamente, anche nei livelli pi elementari dellessere, tende a farsi nel suo fare. Il ci che av- via dunque appartiene allattualit dellatto della forma. In questo senso Hegel e Heidegger si divaricano radicalmente. Se volessimo, per fini didattici, darci una figurazione di questa divaricazione potremmo dire: per Heidegger il ci che av- via lattualit dellatto non appartiene alla forma ma appartiene a ci che si avvia nella forma, in Hegel ci che avvia appartiene al- limpulso logico intimo della forma. Tuttavia questa divaricazione non pu essere pienamente compresa almeno in relazione ad Aristotele se non ci facciamo sor- prendere da una contiguit originaria che stringe insieme Hegel ed Heidegger. Che qui dobbiamo per delineare in estrema sintesi. Questa contiguit possiamo ricostruirla anche (ma i luoghi di questa contiguit sono assai diffusi) a partire da quel gesto quasi ammiccante a cui Heidegger si lascia andare in Che cos la Metafisi- ca. Heidegger riporta la seguente affermazione di Hegel contenuta nel I libro della Scienza della logica: Il puro essere e il puro niente , dunque, lo stesso ( 32 ). Alla fine la commenta, come noto, in que- sto modo: Questa sentenza dello Hegel giusta. Anche a partire da qui evidentemente, ma non solo, dobbiamo prestare attenzione al perch il problema del niente stabilisca una familiarit originaria tra Hegel e Heidegger. Una familiarit da cui inizialmente giusto farsi sorprendere dal momento che abbiamo verificato, anche in re- lazione alla rilettura di Aristotele, una radicale divaricazione. ( 32 ) M. HEIDEGGER, Che cos la metafisica, trad. it. di A. Carlini, La Nuova Ita- lia, Firenze 1979, p. 30. 321 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione Ricordiamo per, per maggiore precisione e per continuare a seguire alcune movenze concettuali, quello che Heidegger precisa intorno allesperienza del niente: Lessenza delloriginario niente nientificante qui: esso porta lessere esistenziale originariamente innanzi allessente come tale. Solo sul fondamento delloriginario rivelarsi del niente, lessere esistenziale delluomo pu dirigersi verso ci che , e penetrare in esso ( 33 ). come se Heidegger di- cesse: lessere viene nellaspetto della forma in un avvio che si as- senta a partire dal nulla che si rivela come assenza di una presenza. Nel saggio Sullessenza e sul concetto della Physis, il modo con cui Heidegger traduce concettualmente privazione rimanda non casual- mente a questa modalit dellassentarsi. Cos contesta, ad esempio lo abbiamo visto il senso che stevrhsi ha assunto nella tradu- zione dei Romani in privatio: I Romani tradussero stevrhsi con privatio; questa considerata una specie della negatio ( 34 ). Lo sfor- zo di Heidegger invece quello di mostrare che per la via di questa traduzione si perde di vista ci che di autenticamente greco deve essere pensato in stevrhsi: Solo che la stevrhsi non semplice- mente assenza, ma, come assentarsi, la stev rhsi proprio la stevrhsi del presentarsi. Che cos allora la stevrhsi? Quando noi diciamo, per esempio, che qualcosa via, non vogliamo dire sol- tanto che non pi qui, ma vogliamo dire che manca. Se qualcosa manca, ci che manca s via, ma proprio questo via, cio il man- care, ci irrita e ci inquieta, e tutto ci il mancare lo pu provocare solo se esso presente, cio , ossia costituisce un essere ( 35 ). Non difficile scorgere che ci troviamo sullo stesso piano di quel passaggio riportato da Che cos la Metafisica. Anche qui lattenzione di Heidegger tutta protesa a ren- derci evidente che il nulla ci che assentandosi avvia una pre- ( 33 ) Ivi, p. 33. ( 34 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, cit., p. 249. ( 35 ) Ivi, p. 251. 322 HEGEL E ARISTOTELE senza nellaspetto di una forma. Ci che avvia il soggetto sullog- getto, ci che apre luno nellaltro, ci che apre il logos entro cui dimorano laspetto dellente e il pensiero che pu riguardarlo. Ci che, in ultima analisi, avvia lo sguardo del soggetto a cui la pre- senza presente. Rileggiamo infatti laffermazione di Heidegger: Solo sul fondamento delloriginario rivelarsi del niente, lessere esistenziale delluomo pu dirigersi verso ci che , e penetrare in esso ( 36 ). Il nulla dunque il ci che avvia la presenza di un oggetto ad un soggetto. A differenza di Hegel e in divaricazione radicale con Hegel, Heidegger precisa che il nulla originariamente appartiene allessenza dellessere, quando in Hegel possiamo dire anche cos: appartiene originariamente e intimamente allimpulso logico del- lattualit dellatto. Abbiamo visto che lessere in s niente se non preso dallattualit della forma ed la forma che contiene o custo- disce il niente nellattualit del suo atto. La negazione del niente appartiene allattualit di un atto che si apre in una differenza e si raccoglie nellunit della differenza. Sia in Hegel che in Heidegger, tuttavia, il nulla si trova per cos dire nello stesso punto di un movimento che pure procede a partire da direzioni che sono divaricate. Il nulla si trova come punto di fles- sione in cui lessere si riflette in uno sguardo del soggetto. come se per entrambi il niente garantisse il pensiero dellessere e il circolo della loro coappartenza. Da questo punto di vista la comune rilettura di Aristotele sorprendentemente affine. 8.1 Questa contiguit tra Hegel e Heidegger ancora pi evidente se la ripercorriamo a partire dalla natura del circolo ermeneutico. ( 36 ) M. HEIDEGGER, Che cos la Metafisica?, cit., p. 33. 323 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione E in particolare se la seguiamo a partire da quellinquieto traf- fico logico che si sviluppa nel momento in cui enunciamo la parou- sia dellAssoluto nella forma di un pensiero che si pensa o pi sem- plicemente nella forma del pensiero dellessere. Pensiero dellessere: ripetiamolo, e affrontiamo subito la diffrazione che ci viene incontro nel momento in cui incomincia- mo a pensare muovendoci tra gli specchi di quel doppio genitivo entro il quale siamo insediati immediatamente. Doppio genitivo, nel senso appunto di un genitivo soggetti- vo e di un genitivo oggettivo. Pensiero dellessere infatti chiama nello stesso atto il pensiero dellessere e lessere del pensiero, op- pure, detto in altro modo, lessere che giunge a s nel pensarsi del pensiero e il pensiero che nel pensarsi pensiero dellessere che si pensa. Hegel e Heidegger circolano entrambi nel cuore della diffrazione di questo doppio genitivo e devono incontrarsi, non a caso, in quel punto in cui il nulla si afferma dialetticamente con lessere come la metafora portante della flessione dellessere verso la sua riflessione o manifestazione. Non solo, ma se scrutiamo pi a fondo osserviamo che la divaricazione di Hegel-Heidegger ri- guardo la lettura di Aristotele ha in questo movimento la sua inti- ma dinamica teorica. Per comprendere appieno, almeno nei risvolti pi dirom- penti, questa interna tensione occorre per soffermarci sulla tra- ma di questo circolo anche perch dobbiamo ancora mostrare la relazione che stringe insieme la contiguit del nulla come punto di flessione e il movimento difratto del circolo ermeneutico. Il circolo ermeneutico, nel suo fondo, non altro che la forma del sapere che la temporalizzazione dellessere deve assumere. Se lessere si avanza e si avvia nel tempo, perch nel tempo come se compisse il movimento della riflessione di se stesso, come se si destinasse in un sapere che chiama sempre un sapere del Dasein. Quello per che dobbiamo comprendere nella sua radicale tensione teorica che lessere che accade nel tempo del sapere 324 HEGEL E ARISTOTELE sempre il sapere di Colui che sa. Ed la pretesa di Colui che sa che alimenta le vertigini del movimento riflessivo. Pensiamo ad Hegel, e in particolare allHegel della Fenomenologia. Qui si svolge un movimento paradossale in cui la domanda di Chi avanza nel sa- pere si svolge gi nellorizzonte di ci che viene cercato; dove quindi, il movimento di unintenzione di sapere procede verso il punto da cui deve allontanarsi. Fusione monistica quella hegelia- na che mette in tensione la tradizione spinoziana con quella carte- siana in un decorso pieno di acrobatiche torsioni del pensiero dove linfinito e il finito si svolgono in una stessa scena e dove la scena il movimento stesso del loro accadimento. Quando parlia- mo del circolo ermeneutico dobbiamo tenere sempre davanti a noi questo movimento e stare allaltezza delle vertenze logiche che vi si giocano. Dobbiamo innanzi tutto comprendere, e qui sta una originaria contiguit che stringe insieme Hegel e Heidegger, che il circolo ermeneutico soprattutto il circolo della totalit, to- talit come infinito, perch nulla deve sottrarsi; potremmo dire: neppur il niente del nulla. Nulla perch la differenza che si apre la differenza dellessere, cos come il pensiero che sa nel tempo il pensiero dellessere. Stiamo sempre scorrendo nel registro del doppio genitivo e ne stiamo subendo le movenze. Ma proviamo ad addentrarci pi a fondo in questa necessaria diffrazione che ci si impone. In que- sto movimento il soggetto laccadimento dellassoluto, lassoluto pu congiungersi a s e riconoscersi nel Dasein di un soggetto, deve riflettersi nella riflessione del s del soggetto, anzi il sogget- to stesso avr eseguito il suo compito se il suo pensare sar pen- siero dellassoluto. Hegel per primo aveva visto quanta vertigine ci fosse in questo movimento in cui lassoluto si guarda e si rico- nosce attraverso lo sguardo del soggetto, vertigine complicata ul- teriormente dal fatto che lo sguardo del soggetto deve, in questo movimento, esaurire ogni estraneit, ogni differenza, sino al pun- to che il s deve diventare il s della sostanza. lIdea che diventa 325 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione spirito nel farsi soggetto della sostanza. Il Ci del Dasein compie la stessa flessione. Il Ci si sporge verso la sua provenienza sino a di- ventare diafano. Ecco, Hegel e Heidegger, divaricati nella lettura di Aristotele, partecipano di una contiguit essenziale e giocano con comuni movenze nello stesso circolo ermeneutico. Partecipano di una scena che alla fine quella della moderni- t per la quale finito e infinito vorticano nella stessa scena, anzi la scena essenziale la partecipazione del finito allinfinito e poich hanno la contiguit nella essenziale partecipazione a questa mo- venza che sono accomunati dallossessione moderna per eccellen- za. Unossessione che dopo Spinoza doveva diventare sempre pi centrale. Cio lossessione del metodo. Ci troviamo in un punto decisivo e dobbiamo precisare bene questo passaggio. Se il pensiero pensiero dellessere come il finito finito dellinfinito il metodo deve diventare il percorso di riduzio- ne della sporgenza dello sguardo del soggetto che avanza nella ri- cerca. In Heidegger il soggetto si allarga nellaperto di un ascolto, in Hegel deve aderire al movimento della cosa stessa, potremmo dire: ascolto della cosa stessa. Il percorso obbligato perch il ci che muove il movimento della temporalizzazione dellessere o del far- si soggetto della sostanza, intimamente, non appartiene e non pu appartenere, in nessun modo, allintensit dello sguardo di una domanda troppo singolare. Anzi in questa prospettiva filoso- fica pi lo sguardo brucia di luce propria (basterebbe ricordare il rimprovero di Hegel a Fichte) pi occlude il movimento del riflet- tersi dellessere. Non a caso solo il linguaggio dialettico pu raccontare que- sta messinscena di un movimento della cosa che vuole sottrarsi alla prensione o alla testimonianza di uno sguardo. La domanda decisiva a cui conduce la stessa domanda del circolo ermeneutico, diciamo pure la domanda della domanda la seguente: possiamo abolire la testimonianza del Chi nel circolo ermeneutico? La que- 326 HEGEL E ARISTOTELE stione non semplice, anzi, forse tra le cose pi complicate che possiamo avere sotto mano. Non a caso il problema del metodo, o meglio il metodo della filosofia, diventa centrale nellidealismo tedesco, proseguendo la svolta di Spinoza, dopo che lessere arri- va sempre pi immanentemente a coincidere con la verit. Se es- sere e verit coincidono il metodo della filosofia diventa sempre pi problematico e persino equivoco. Non pu essere semplice- mente un mezzo o uno strumento di conoscenza, non pu restare indifferente al suo oggetto (pensiamo ancora al rimprovero di Hegel a Spinoza) perch altrimenti la verit resterebbe semplice- mente sul piano di mere rappresentazioni e continuerebbe a so- stare fuori dallo spazio del racconto filosofico. Il metodo deve aderire al suo oggetto fino al punto di diventare la forma logica del raccontarsi della verit, logica dellessere e il Chi o Colui che agita la domanda e attiva il metodo deve seguire il calvario di morte e resurrezione a cui il metodo viene chiamato dalla dialetti- ca. Il Metodo e il Chi sono chiamati a estinguersi nel movimento della cosa stessa e la triangolazione dialettica non altro che lo sforzo pi grande sia stato compiuto di ridurre e riassorbire la sporgenza di uneccedenza di questo Chi. Ma perch sia in Hegel che in Heidegger pu esserci questa pretesa? E perch questa pre- tesa comune e proviene dal punto di originaria contiguit che li stringe insieme nella stessa tradizione? Perch entrambi proprio rispetto ad Aristotele offrono una comune risposta alla questione del Chi del movimento? E quindi, possiamo dirlo, si intravvede, alla fine, una comune risposta alla questione fondamentale della Fisica di Aristotele? In Heidegger e in Hegel Chi dunque il ci che avvia il mo- vimento? Alla fine il ci che avvia il movimento il niente. Il niente come identico allessere, il niente come punto di flessione dellessere, il niente che flette lessere verso la differenza, lo apre nella differenza in cui i differenti sono identici nel differire di questa differenza; e questo naturalmente possibile perch il 327 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione niente , alla fine, sempre dialetticamente identico e non identico allessere. Solo il linguaggio dialettico pu raccontare la finzione dellidentit del non identico e pu provare ad ascoltare questo movimento in cui il ci che muove coincide con il mosso in cui movente e mosso sono anchessi identici nella differenza. 9. Non inoltre certo casuale che la contiguit di Hegel e Hei- degger si prolunghi anche nellaccezione ampia che il logos viene ad assumere rispetto alla stessa ratio aristotelica. Il logos in Heidegger diviene pi ampiamente Rede, discorso, e, pi in gene- rale linguaggio, mentre in Aristotele circoscrive lambito del di- scorso cui inerisce lesser vero e lessere falso. Heidegger, quindi, si sposta dallattenzione alla struttura formale degli enunciati a ci che per mezzo dellenunciazione degli enunciati si mostra nel- lapparire. Il logo apofantico pertanto si sottrae alla semplice alter- nativa tra concordanza e discordanza di un enunciato con logget- to per vertere intorno a ci che nel parlare o nel discorrere giunge alla manifestativit dellapparire. Se il logo pertanto un attende- re lapparire di ci che appare, un porsi nellattesa di una esibizio- ne dellente che si mostra in lui stesso, la logica non pu che esse- re fenomenologia; e, soprattutto, non pu non avere una portata ontologica. Cos in Hegel la logica ontologica, cio pensiero che si dirige verso la propria essenziale costituzione ontologica, pen- siero dellessere come dicevamo prima. In entrambi la logica non pu, per cos dire, essere extrasistematica; deve cessare la funzio- ne di metro misurante di Organon, proprio perch il pensare pu aprirsi verso la propria essenziale manifestativit quanto minore la sporgenza della misura che uno sguardo pu esercitare. Il pensiero pensa da s e pensa da s perch pensiero dellassolu- to; lassoluto che si pensa e non pu essere sottoposto alla misu- ra di un metodo. Questa misura Hegel la concepiva, sempre, come lingombro di uneccesso di intenzione e di sguardo sui con- 328 HEGEL E ARISTOTELE tenuti e sul movimento del pensiero stesso, questo eccesso per cos dire extrasistematico e secondo lui impedisce che il pensare pensi da se stesso e in se stesso. Quando egli afferma che non si pu accedere al pensare con un metodo perch il pensare d a se stesso il proprio metodo, non dice altro che il pensiero deve poter fare a meno di quel Chi in quanto sguardo che muove dallesterno. Possiamo dire in fondo che il metodo o il suo bisogno origina- riamente ed essenzialmente la via di questo sguardo. Cos, in Aristotele, (abusiamo ancora una volta delle licenze che in un Convegno possibile prendersi) la Logica per cos dire uneccedenza extrasistematica per eccellenza. Su questo per non voglio addentrarmi perch ci portereb- be lontano e voglio invece riprendere perch siamo pronti per far- lo la questione centrale a cui siamo partiti. Chi il chi del movi- mento? Possiamo trasformarlo in questo modo: chi il Chi del pensiero? 10. la forma, in Hegel, che si attua nel riconoscersi; in Hei- degger lessere che avanza nellaspetto; in entrambi questo im- plica le insidie di un circolo nel quale il soggetto diventa diafano e il metodo si sottrae disseminando tra laltro le filosofie del so- spetto sulle orme che il suo movimento inevitabilmente lascia an- che quando ammutolisce e si sottrae (anche il suo sottrarsi getta sempre unombra che fa ingombro). Chi muove il movimento in Aristotele? Detto nei termini pi vicini a questi ultimi passaggi: chi muove il pensiero in Ari- stotele? probabile che Aristotele si sottragga alle filosofie che han- no risposto allabisso della creazione dellesperienza giudaico-cri- stiana, alla fine, con lestinzione del metodo. In Aristotele non la flessione del nulla e il gioco dialettico dellessere e il nulla il Chi del movimento. Anzi si pu dire che il 329 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione Chi del movimento proprio in quanto extrasistematico, impedisce la totalit del sistema e in questo salva loriginaria natura o me- glio la sorgente del metodo. In Aristotele lOrganon il corrispetti- vo del motore immobile su cui poggia il Chi del movimento. Cos come nel pensare il pensiero pensa raccogliendo una spinta o un appoggio che non gli appartiene intimamente e non appartiene neppure alla cosa che pensa. Riflettiamo ancora su Chi muove il pensiero. Cos come il Chi del movimento viene da fuori e ha per cos dire un punto di appoggio, un eterno punto di appoggio, cos lintelletto attivo vie- ne da fuori e solo esso attivo. In Hegel il pensiero pensa se stes- so perch originariamente pensiero che si avvia come forma as- soluta che si attua nel riconoscersi. In Heidegger sembrerebbe di assistere ad un movimento che descrive la provenienza a partire da un invio. Il pensare sembrerebbe dislocato in un invio che si sottrae alla presa di uno sguardo ; tuttavia il ci che invia, pur sot- traendosi come tema di unintenzione, appartiene al mostrarsi dellaspetto dellessere. Il Chi muove appartiene allessere cos come allessere radicalmente e totalmente appartiene lesser del- lesserci. In Aristotele il Chi muove, diciamolo in questo modo, al- meno per un istante, non appartiene al mosso. Occorre che, per un attimo, dalleternit si sottragga o sia sottratto al movimento. Impassibilit segnala anche questo: ci che a sua volta non su- bisce un invio e che nessuna storia pu mutare o trasformare, une- ternit che attiva il tempo ma impassibile al consumo del tempo ed quindi garanzia delleternit stessa del tempo. Pensiamo solo al fatto, per marcare ancora la distanza Hegel- Aristotele, che leterno hegeliano, si consegna a tal punto nel tem- po da giocare nel tempo tutta la sua eternit fino al punto da sot- toporre al consumo tutte le configurazioni che pu assumere. La forma come atto, in Hegel, infatti a tal punto carne del tempo, da consegnarsi al consumo e al mutamento del suo svolgimento. Cos anche in Heidegger la temporalizzazione del tempo pu 330 HEGEL E ARISTOTELE riconfigurare ogni epoca e la forma dellepoca e dellesserci del- lepoca. 11. Ma rinnoviamo ancora la domanda: chi muove il pensiero dellessere? Le alternative che vengono incontro sia che il Chi apparten- ga allattualit dellatto della forma, sia che il Chi appartenga allo svolgersi dellessere che si temporalizza nel sapere del Dasein, sono le seguenti: se latto del Chi non avesse una differenza di na- tura rispetto al circolo, il circolo si troverebbe a non avere pi un punto di appoggio. In questo senso la diafania del Chi della do- manda (che sempre come insiste Levinas inesorabilmente altro dal Chi della forma o dal Chi dellessere) alla fine conduce il circolo nel buio del silenzio. Per provare a chiarire ulteriormente, proviamo a trasforma- re la domanda precedente, nella seguente: Chi muove il circolo? Chi il Chi dal cui appoggio si diparte il movimento? Aristotele rinvia sempre ad una misura che concorra ma non si estingua in ci a cui concorre. La stessa misura che Aristotele individuava nel tempo. Leggiamo nella traduzione di A. Russo: Lesistenza del tempo non possibile senza quella del cangiamento; quando, in- fatti, noi non mutiamo nulla entro il nostro animo o non avvertia- mo di mutar nulla, ci pare che il tempo non sia trascorso affatto. E ancora: quando abbiamo determinato il movimento mediante la distinzione del prima e del poi, conosciamo anche il tempo, e allora noi diciamo che il tempo compie il suo percorso, quando abbiamo percezione del prima e del poi nel movimento. Saltia- mo alcuni notissimi passaggi e giungiamo alla conclusione: (...) se non si ammette lesistenza del numerante, anche impossibile quella del numerabile, sicch, ovviamente, neppure il numero ci sar. Numero, infatti o ci che stato numerato o il numerabile. Ma se vero che nella natura delle cose soltanto 331 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione lanima o lintelletto che nellanima hanno la capacit di nume- rare, risulta impossibile lesistenza del tempo senza quella del- lanima (...) ( 37 ). Punto di appoggio, dunque, o, meglio, misura senza la quale il tempo non accadrebbe cos come senza la misura dellappoggio dellimpassibilit non accadrebbe il movimento. Una misura, come listante di Levinas, che appartiene al tempo ma, contemporanea- mente, verticale rispetto al tempo: giunge da una provenienza che non il tempo stesso ( 38 ). Aristotele non sembra darci tregua su questo punto. Perch la misura sia una misura occorre che proven- ga dallal di l rispetto a ci di cui misura. inesorabilmente unaldi l nellal di qua, misura che non dilegua nello scorrimento, che non si consuma nel dileguare, in questo senso impassibile alla temporalit. Nel trapasso della modernit le cui tracce sono gi in Agostino, lanima tende a coincidere con il tempo, cos come la to- talit converge nellinfinito e quindi listante della misura appartie- ne esso stesso al dileguare, assume in se stesso la potenza del dile- guare e diventa essenzialmente niente. Listante solo niente, aper- tura del niente in seno allessere della temporalit. Quella sporgen- za della misura che per essere tale deve provenire dallal di l di ci di cui misura si distende nellistante e listante dilegua come nien- te del tempo. Non un caso che proprio questo punto facesse resi- stenza alla presa filosofica di Heidegger. ( 37 ) Phys. D 11, 218 b 21-23; 219 a 22-25; 14, 223 a 21-26. ( 38 ) In un passaggio di Totalit e Infinito Levinas si riferisce in questo modo ad Aristotele: Questa presenza nel pensiero di unidea il cui Ideatum va al di l della capacit del pensiero, attestata non solo dalla teoria dellintelletto attivo di Aristotele ma molto spesso anche da Platone [E. LEVINAS, Totalit e Infinito, trad. it. A. DellAsta, Jaca Book, Milano 1986, p. 47]. Per unindicazione sulla verticalit dellistante nel tempo in Levinas: Pri- ma di essere in relazione con quelli che lo precedono o lo seguono, listante na- sconde un atto attraverso cui esso acquisisce per s lesistenza. Ogni istante un cominciamento, una nascita [E. LEVINAS, DallEsistenza allEsistente, trad. di F. Sossi, Marietti, Genova 1986, p. 69]. 332 HEGEL E ARISTOTELE Ricordiamoci quello che a questo proposito Heidegger osser- va in Essere e tempo: Quale sar dunque la definizione del tempo quale si mani- festa nellorizzonte delluso dellorologio, uso ambientalmente pre- veggente, prendente tempo e prendente cura del tempo? Esso il numerato manifestantesi nellosservazione presentante e numeran- te dellindice mobile, tale che la presentazione si temporalizza in unit estatica col ritenere e con laspettarsi orizzontalmente aperti secondo il prima e il dopo. Ma questa definizione nullaltro che linterpretazione ontologico-esistenziale della definizione del tem- po dataci da Aristotele ( 39 ). E ancora La sua interpretazione del tempo si muove invece nellambito della comprensione naturale dellessere ( 40 ). un punto questo in cui la messa in mostra del dissidio non sar mai sufficiente. Un dissidio talmente radicale che lo stesso Heidegger si ritrova a liquidarlo come la banalit di una tesi ordinaria del tempo. Se proviamo a farne, ancora una volta, lanatomia ci ritroveremo nel circolo della stessa questione nella quale ci stiamo avvolgendo a spirale: la misura del misurante del tempo come il punto di appoggio del tempo, come il Chi insop- primibile di uno sguardo che vive nel tempo ma proviene dalla di l del tempo, motore immobile del tempo che in Heidegger diven- ta, nella logica necessaria del circolo, il ci dellesser-ci. Lo sguardo che prende la misura o che misura in Heidegger e ancora pi mar- catamente in Hegel, sempre eco dellesporsi e del venire a s del- lessere. Tanto vero che il movimento del circolo ermeneutico come abbiamo visto, per uscire dallordinario inautentico deve ac- ( 39 ) M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, tr. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1982, p. 598. Come noto Heidegger si soffermato sulla concezione aristotelica del tempo nel corso del semestre estivo 1927 Die Grundprobleme der Phnomenologie (HGA XXIV, 19a). Si era occupato del rapporto tra tempo e anima in Aristotele anche nel semestre 1926 su Grundbegriffe der antiken Philosophie. ( 40 ) Ibidem. 333 C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione ceccare quellocchio, farlo diventare niente, punto di flessione del venire nellaperto dellessere. Quel Chi deve ridursi a niente perch solo cos la verit accade. Come insiste Levinas (riproponendo in questo la reazione al nichilismo di Rosenzweig), alla fine, la verit accade nel punto in cui la stessa narrazione filosofica deve spe- gnersi; quella misura, infatti, il Chi su cui il movimento della stessa narrazione prende il suo appoggio. La scomparsa del testo la conseguenza della dissoluzione del chi, in fin dei conti della dis- soluzione del metodo a cui giunge lesito estremo delle filosofie po- stspinoziane in cui finito ed infinito si trovano nella convivialit di una stessa scena che non ha nulla o niente fuori di s ma che assu- me il niente come messa in scena del proprio movimento. Ecco perch la distanza di Heidegger e per quelle intime connivenze che li accomuna anche di Hegel dalla eccentricit del- la misura sul misurato si prolunga nella distanza dalla consisten- za extrasistematica della logica aristotelica. Ricordiamo anche laffermazione di Hegel: Aristotele si limitato ad esporre in modo determinato il pensiero nella sua ap- plicazione finita, sicch la sua logica una storia naturale del pensiero finito ( 41 ). E lultima sentenza nella quale Hegel osserva: Come tutta la filosofia, cos anche la sua logica ha bisogno essenzialmente desse- re rifusa, per modo che la serie delle sue determinazioni vengano recate in un necessario complesso sistematico, non gi un comples- so sistematico che si limiti a ripartire ordinatamente, non dimenti- chi alcuna parte, ed esponga ogni parte nel suo ordine esatto; ma un sistema che ne faccia un tutto vivo ed organico, in cui ogni par- te valga come parte, e soltanto il tutto come tutto abbia verit ( 42 ). Aristotele dunque sembra disporsi di fronte alla presa delle filosofie del circolo e del pensiero dellessere, con una dislocazio- ( 41 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit., p. 374. ( 42 ) Ivi, p. 387. 334 HEGEL E ARISTOTELE ne di eccedenze. La misura del tempo, la misura del chi del movi- mento in cui il movente e il mosso non fanno circolo, lo spazio del metodo vivono di una sovrabbondanza di misura che non va per ridotta e progressivamente consumata come in Hegel e Heidegger perch ne per cos dire la sua vita pi intima ed essenziale. La stessa logica di Aristotele garantita da eccedenze che rin- viano sempre ad un punto che eccede il movimento del suo proce- dere (soprattutto possiamo dire quando si fa sillogismo scientifico) e rimanda e richiama un punto extrasistemico del movimento stes- so. A un punto in cui largomentazione poggia, o appoggia come motore immobile del suo procedere. Difficilmente riusciamo ad abbracciare lenorme distanza che rimane aperta tra Aristotele da un lato e Hegel e Heidegger dallal- tro, se rimane in ombra il fatto centrale che leccedenza di ci che muove rispetto al movimento in Aristotele, si ritrova su unaltra sponda, rispetto alla necessit che dopo Spinoza (in particolare) si imposta di fare del niente dellessere, la metafora portante del- lidentit della differenza di finito e infinito. GIANCARLO MOVIA LUNO E I MOLTI. SULLA LOGICA HEGELIANA DELLESSERE PER S SOMMARIO: I. Premessa II. Indicazioni bibliografiche 1. Edizioni delle ope- re di Hegel e della Scienza della logica in particolare 2. Traduzioni com- plete o parziali della Scienza della logica 3. Altre opere di Hegel 4. Opere di altri autori 5. Scritti su Hegel 6. Altra letteratura critica III. Il compimento della qualit: lEssere per s 1. LEssere per s come tale: a) Rappresentazione e concetto dellEssere per s. Coscienza e autocoscienza; b) Essere, Essere determinato ed Essere per s. LEssere per s come Essere determinato; c) Lessere per uno; d) Idealit e ideali- smo: da Spinoza a Kant e Fichte; e) LUno; f) La contraddittoriet del- lUno 2. LUno e i molti: a) LUno in lui stesso; b) LUno e il vuoto; c) La concezione atomistica della natura. Latomismo politico; d) I molti uno e la repulsione. Ancora sulla natura contraddittoria dellUno; e) Ancora sullidealismo leibniziano e latomismo 3. Repulsione e attrazione: a) Lescludere dellUno; b) La libert astratta (il male) e la riconciliazione con laltro. La dialettica platonica del Parmenide; c) Lunico Uno dellattra- zione; d) La relazione di repulsione e attrazione; e) Critica alla costruzio- ne kantiana della materia IV. La critica di Trendelenburg alla catego- ria dellEssere per s 1. Attrazione e repulsione e legame con lintui- zione sensibile 2. La r epulsione e il concetto di negazione 3. Lattra- zione e il concetto didentit V. Considerazione conclusive I. Premessa Occuparsi, in un Convegno dedicato allinterpretazione he- geliana di Aristotele, di un capitolo della Scienza della logica in cui lo Stagirita non viene mai espressamente nominato, potrebbe sem- 336 HEGEL E ARISTOTELE brare, a prima vista, una scelta assai stravagante. Tuttavia, special- mente alla luce dellultima parte di questa relazione, nonostante la sua stringatezza, si potr constatare che il legame tra Hegel e Ari- stotele (come quello tra Hegel e Platone) riguardo al tema cruciale dellUno e dei molti non per nulla estrinseco, sia pure nella limi- tata prospettiva in cui quel tema viene affrontato nel nostro capito- lo. Per il resto, effettivamente, questa relazione si presenta come un ulteriore saggio di commento analitico alla Scienza della logica, che viene cos ad aggiungersi a due miei precedenti tentativi (riguar- danti rispettivamente la prima triade e lEssere determinato) di ve- rificare la portata storico-teoretica dellinflusso della metafisica classica sulla logica hegeliana. II. Indicazioni bibliografiche 1. Edizioni delle opere di Hegel e della Scienza della logica in particolare. JA G.W.F. HEGEL, Smtliche Werke. Jubilumsausgabe, a cura di H. Glockner, 20 voll., Stuttgart 1927 sgg. (pi volte ristampata); IV-V: Wissenschaft der Logik (abbr.: HEGEL, JA, I, II... XX). GW G.W.F. HEGEL, Gesammelte Werke, XI: Wissenschaft der Logik, I: Die objektive Logik (1812-13), a cura di Fr. Hogemann e W. 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Il compimento della qualit: lEssere per s Hegel esordisce affermando che lEssere per s la terza e ul- tima categoria della determinatezza o qualit, dopo lEssere (com- prensivo anche del Nulla e del Divenire) e lEssere determinato ( 1 ); nellessere per s lessere qualitativo compiuto ( 2 ); in lui la qua- lit trova la sua sintesi o, ancor meglio, raggiunge il suo culmi- ne ( 3 ) e, appunto, il suo compimento e perfezione ( 4 ). Lessere qualitativo si compie nellEssere per s giacch questultimo, come negazione dellalterit, limmediato ritorno in s ( 5 ), lessere in- finito ( 6 ), o, piuttosto, la prima forma ( 7 ) in cui si presenta linfini- ( 1 ) Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106. ( 2 ) Sdl, p. 161. Cfr. Enc., 96 agg.: lessere per s la qualit compiuta e contiene, come tale, in s lessere e lessere determinato come suoi momenti ide- ali (ideell) trad. Verra, p. 279). ( 3 ) Sdl, p. 162. ( 4 ) LAKEBRINK, I, p. 137; VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106. ( 5 ) ELEY, p. 114. ( 6 ) Sdl, p. 161. Cfr. LANDUCCI, La contraddizione, p. 29 n. 8: lesser-per-s riservato al livello dov presente linfinit. ( 7 ) LAKEBRINK, I, p. 133. 344 HEGEL E ARISTOTELE t affermativa, il vero infinito ( 8 ); linfinit ricaduta nel semplice essere ( 9 ), linfinito qualitativo ( 10 ). Come gi sappiamo, se lEssere iniziale lessere assoluta- mente indeterminato ( 11 ), lEssere puro identico al Nulla, lEssere determinato il superamento (ma solo immediato) dellEssere iniziale ( 12 ). LEssere determinato, che dice sempre relazione ad al- tro ( 13 ), la prima (immediata) negazione (A non B) ( 14 ), la nega- zione semplice (negazione come mera determinazione) ( 15 ), ossia lunit semplice dellessere e della negazione (A A e non B) ( 16 ). Appunto perci lEssere e il Nulla, nellEssere determinato, sono in s ancora disuguali luno allaltro, e la loro unit non an- cora posta ( 17 ); nellEssere determinato, lunit di Essere e Nulla contenuta implicitamente, ma non posta esplicitamente ( 18 ). Lessere determinato ... la sfera della differenza, del dualismo, il ( 8 ) RADEMAKER, p. 59. ( 9 ) Sdl, p. 163. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 134. ( 10 ) Cfr. Sdl, p. 102, e DOZ, La logique, p. 69. ( 11 ) Sdl, p. 161. ( 12 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106. ( 13 ) Ibid. ( 14 ) Sdl, p. 161. Cfr. p. 103: lessere determinato il semplice esser uno dellessere e del nulla. A causa di questa semplicit, ha la forma di un immedia- to. La sua mediazione, il divenire, si trova dietro di lui. Essa si superata, e per- ci lessere determinato appare quale un primo da cui sinizi. ( 15 ) LANDUCCI, La contraddizione, p. 29. ( 16 ) Sdl, pp. 161 e 103 s.; cfr. MOVIA, Finito, p. 120 n. 32. ( 17 ) Sdl, pp. 161 e 103: lessere determinato il semplice esser uno delles- sere e del nulla; 103 s.: lessere determinato in generale, conformemente al suo divenire, un essere con un non essere, cosicch questo non essere accolto in sem- plice unit con lessere. ( 18 ) Ivi, p. 109: la negazione sta immediatamente di contro alla realt; il negativo nella realt come tale rimane ancora nascosto; nella qualit, in quanto essente, la differenza, - la differenza di realt e negazione. 345 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s campo della finitezza ( 19 ), della contraddizione di essere e non essere ( 20 ). La determinatezza del Dasein non quindi assoluta, ma relativa ( 21 ); una qualit determinata ed quindi se stessa solo in quanto si distingue da unaltra; ad es., il rosso quello che solo in quanto non il giallo; la sua determinatezza relativa non che la relazione a un essere determinato altro da lui ( 22 ). Al contrario, nellessere per s la differenza fra lessere e la determinatezza o negazione posta e pareggiata, ovvero la diffe- renza posta, ma insieme risolta nellidentit ( 23 ). Nella categoria dellEssere determinato c ancora la differenza di essere e negazio- ne ( 24 ); anzi, nellEssere determinato la negazione ci che assicura lessere nella sua positivit ( 25 ). Ma, al termine della categoria della finitezza ( 26 ), la negazione, ovvero lalterit, passata nellinfinit, nella negazione della negazione posta, ossia nellaffermativo ( 27 ), nellinfinito, appunto, in cui la relazione ad altro dominata dalla relazione a s ( 28 ). A questo proposito va osservato che, diversa- mente da p. 110, la nozione di negazione della negazione ha qui un significato categoriale, non trascendentale; mediante questa no- zione lEssere per s si trova specificamente definito ( 29 ). In ogni ( 19 ) Ivi, p. 161. ( 20 ) Ivi, p. 128. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 123; LONARD, pp. 71 s. ( 21 ) Sdl, p. 161. WAHL, Commentaires, p. 99, ci ricorda che il vero per s (assoluto) non ci si presenter che alla fine della Scienza della logica! Vedi anche LONARD, p. 82. ( 22 ) Sdl, p. 164. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 137. ( 23 ) Sdl, p. 161. Cfr. HARRIS, Hegels Logic, p. 228. ( 24 ) Sdl, p. 161. ( 25 ) Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 125 n. 1. ( 26 ) Sdl, pp. 137 s. ( 27 ) Ivi, p. 138. ( 28 ) Ivi, pp. 161 s. Cfr. LANDUCCI, La contraddizione, pp. 28 ss., che rinvia anche a Fen., I, pp. 207 s. ( 29 ) LANDUCCI, La contraddizione, p. 81. 346 HEGEL E ARISTOTELE caso, la negazione della negazione, linfinit, lEssere per s rela- zione semplice a s ( 30 ), e dunque, nellEssere per s, la negazione sidentifica con lessere ( 31 ); lEssere per s esser-determinato (Bestimmtsein) assoluto ( 32 ). Ci significa che lEssere per s les- sere che ritorna in s a partire dalla negazione di quella negazione che la determinatezza; nellEssere per s, la determinatezza di- venuta infinita o rapportata a s ( 33 ). LEssere per s come infinito, come laltro dellaltro ( 34 ), come negazione della negazione, non ha dunque laltro, inteso come principio determinante, al di fuori di s (come il rosso ha il giallo fuori di s!), ma in lui stesso. In tal modo, esser-determinato assoluto, che, per cos dire, non ha bi- sogno di aspettare un altro a lui esterno per poter essere il suo s determinato ( 35 ). 1. LEssere per s come tale a) Rappresentazione e concetto dellEssere per s. Coscienza e autoco- scienza Se la filosofia ha il compito peculiare di trasformare le rappresentazioni in pensieri o concetti ( 36 ), tale compito deve ( 30 ) Sdl, p. 162. Cfr. ivi, p. 154: linfinit ritorno in s, relazione a se stes- so; Enc., 96: lessere per s relazione a se stesso (trad. Verra, p. 279). ( 31 ) Sdl, pp. 154: linfinit ritorno in s, relazione a se stesso, essere; 163: lessere per s linfinit ricaduta nel semplice essere; Enc., 95: lessere ristabilito, ma come negazione della negazione, ed lessere per s (trad. Verra, p. 277); 96 agg.: lessere per s, come essere, relazione semplice a s (trad. Verra, p. 279). Cfr. anche TAYLOR, Hegel, p. 245: Hegel ci avvisa che ci tro- viamo ancora al livello dellessere, non a quello dellessenza! ( 32 ) Sdl, p. 162. ( 33 ) BIARD, I, p. 94. Cfr. Hegel, GW, XI, p. 83, e trad. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, pp. 121 s. ( 34 ) Sdl, p. 114; Enc., 95. ( 35 ) LAKEBRINK, I, p. 137. ( 36 ) Enc., 5. 347 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s adempiersi anche nel caso dellEssere per s. Con una movenza che ricorda lanalisi aristotelica dei phainmena (che includono anche i legmena) ( 37 ), Hegel si richiama alluso dellespressione essere per s nel linguaggio ordinario (wir sagen, dass ecc.). Essa indica la se- gregazione e la chiusura, lessere soltanto con s, laver rotto le rela- zioni col prossimo ( 38 ). Trasformare questa rappresentazione in concetto significa portare allo scoperto la dialettica dellEssere per s. Se la rottura o la lacerazione corrisponde alla negazione delle relazioni allaltro in generale, inteso come il negativo di noi stes- si, la negazione del negativo, sia esso il Qualcosa o il mondo nel suo complesso, fa emergere linfinitamente affermativo del proprio s ( 39 ). Lalterit viene superata nel risucchio, per cos dire, di que- sta negazione; laltro per lEssere per s soltanto come un supe- rato, come un suo momento ( 40 ). Laltro, dunque, non sta pi ac- canto e al di fuori del limite e della limitazione, come avveniva nel Qualcosa; lEssere per s, come rimozione dellaltro, infinito ri- torno in s ( 41 ). ( 37 ) Cfr. OWEN, Tithenai, pp. 83 ss., e MOVIA, in ARISTOTELE, LAnima, pp. 92 ss. ( 38 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 133, ed anche DOZ, La logique, p. 69; RADEMAKER, p. 59; inoltre NEDEL, Die Frsichsein-Kategorie, p. 259. ( 39 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 133 ss. ( 40 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 134 s., ed anche SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 95. ( 41 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 134 s., ed anche BIARD, I, p. 98; LANDUCCI, La contraddizione, p. 81; VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 106 s.; TAYLOR, Hegel, p. 244; MASSOLO, Logica, p. 31; VERRA, Letture, pp. 153 s.: lessere per s come tale indica... linfinito ritorno dellessere in se stesso [cfr. Sdl, p. 162] dalla sfera dellessere determinato come sfera della differenza, del dualismo, della finitezza [ivi, p. 161], o, ancora, il superamento dellalterit caratterizzante la sfera dellessere determinato [ivi, p. 162]. Come dice anche il linguaggio comu- ne, qualcosa per s in quanto ha superato lalterit, la relazione e comunit con altro e laltro per lui soltanto come un suo momento [ibid.]. Se dunque, nel suo primo momento, lessere per s , a sua volta, come essere determinato, in quan- to la natura negativa dellinfinit vi posta in modo immediato [ivi, p. 163], tale 348 HEGEL E ARISTOTELE Un primo esempio che Hegel adduce dellEssere per s la coscienza ( 42 ). La coscienza, infatti, contiene in s, ossia implicita- mente ( 43 ), lEssere per s, in quanto si rappresenta loggetto, lo ha in lei come qualcosa di ideale (Ideelles), pur rimanendo, al tempo stesso, presso di s ( 44 ). La coscienza , dunque, caratterizzata dallintenzionalit, dal fatto che diretta verso loggetto, lalterit, e, insieme, dallinteriorit o ipseit, dal ritorno in s in quanto sog- getto ( 45 ). Nell aver coscienza, il soggetto sidentifica intenzional- mente con loggetto; Aristotele direbbe: non la pietra che si trova nellanima, ma la sua forma ( 46 )! Il soggetto assimila a s loggetto, lo riduce ad una sua rappresentazione, nel senso che la coscienza unattivit immanente ( 47 ). Pertanto l Essere per s il rapporto ne- gativo contro laltro, la negazione dellalterit, e, al tempo stesso, la riflessione in s mediante questa relazione ( 48 ). Il conoscere un fieri aliud in quantum aliud; anche qui, Aristotele direbbe: lanima modo di essere determinato dellessere per s per sempre un momento inter- no dellessere per s, e, cos, quel rapporto che nella sfera precedente, quella dellessere determinato, si configurava come alterit, si qui ripiegato nellunit infinita dellessere per s e si configura come essere fr Eines [ibid.]. ( 42 ) Pace WAHL, Commentaires, p. 109, non si pu negare che, almeno in questo punto, ci sia una certa analogia tra lEssere per s hegeliano e la nozione sartriana del per-s. ( 43 ) JOHNSON, The Critique, p. 28. ( 44 ) Sdl, p. 162 (e pp. 160 s.: sull idealismo). ( 45 ) WAHL, Commentaires, pp. 97 e 99 (riferimento alla dottrina dellinten- zionalit nel pensiero medievale e in Husserl). ( 46 ) De An., III 8, 431 B 29. Cfr. MOVIA, in ARISTOTELE, LAnima, pp. 188 e 392 n. 2. ( 47 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107. Cfr. anche HEGEL, LMJ, p. 137; Enc., 399 agg., e CHIEREGHIN, Leredit, pp. 241, 259 ss. ( 48 ) Sdl, p. 162. Cfr. anche LAKEBRINK, I, pp. 135 s.: la relazione del negati- vo a se stesso (Enc., 96; trad. Verra, p. 279) significa che lEssere per s si rivol- ge polemicamente (Sdl, p. 162) contro l altro, per ottenere il suo esser riflesso in s. Vedi anche LONARD, p. 83. 349 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s in certo modo tutti gli esseri ( 49 ); il fieri aliud si compie per nel soggetto cosciente, pur lasciando laltro nella sua alterit ( 50 ). In ogni caso, la coscienza apparente, nel senso della Fenomenologia dello spirito ( 51 ), il dualismo di soggetto e oggetto, di sapere ed es- sere ( 52 ). Se nella coscienza lEssere per s contenuto implicitamente, nellautocoscienza lEssere per s compiuto e posto esplicitamen- te; in lei, il lato della relazione allaltro rimosso ( 53 ). La vera co- scienza autocoscienza, ossia coscienza che ha riconosciuto s nel- loggetto ( 54 ); si potrebbe dire, schematicamente, che, mentre la co- scienza segna il prevalere delloggetto, lautocoscienza realizza la prevalenza del soggetto ( 55 ). Lautocoscienza cos lesempio pi vicino (nchste), pi immediato, ma anche il pi perfetto, della pre- senza dellinfinit ( 56 ); l il finito o laltro viene trasceso e si realizza ( 49 ) De An., III 8, 431 B 20. Cfr. MOVIA, in ARISTOTELE, LAnima, pp. 188 e 392 n. 2; VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107; inoltre HEGEL, Lez. st. filos., II, p. 361; FERRARIN, Hegel, pp. 132 ss. ( 50 ) Sdl, pp. 162 s. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107. ( 51 ) Fen., I, pp. 81 ss. Cfr. anche Enc., 413. ( 52 ) Sdl, p. 163. Cfr. VANNI ROVIGHI, La scienza, p. 107. ( 53 ) Sdl, p. 163. Cfr. HARTMANN, La filosofia, p. 429. ( 54 ) Enc., 423. Cfr. VANNI ROVIGHI, p. 107. ( 55 ) Fen., II, p. 3. Cfr. LANDUCCI, Hegel, p. 26 e n. 40. ( 56 ) Cfr. Sdl, p. 163, e HARTMANN, La filosofia, p. 429; JOHNSON, The Critique, p. 29. Vedi anche Enc., 96 agg.: lesempio di essere per s pi alla nostra por- tata lo abbiamo nellIo. Noi ci sappiamo essenti in modo determinato anzitutto come esseri distinti da un altro essere essente in modo determinato e in relazio- ne ad esso. Ma poi, noi conosciamo anche questa latitudine dellessere determi- nato come appuntitasi quasi a forma semplice dellessere per s. Quando dicia- mo: Io, questa lespressione della relazione a s, infinita e insieme negativa. Si pu dire che luomo si distingue dallanimale, e quindi dalla natura in generale, proprio perch concepisce s come Io; il che significa, al tempo stesso, che le cose naturali non portano al libero essere per s, ma, in quanto limitate allessere determinato, sono sempre soltanto essere per altro (trad. Verra, p. 280). Cfr. inoltre MURE, A Study, pp. 52 s. 350 HEGEL E ARISTOTELE il ritorno in s ( 57 ). Come nel caso della coscienza, Hegel non pre- tende come, invece, crede Trendelenburg ( 58 ) che, col ricorso allEssere per s, il fenomeno dellautocoscienza venga concettual- mente e logicamente esaurito. Si tratta sempre e solo di esempi di riflessione in s; lesperienza dellautocoscienza trover il suo fon- damento solo nelle determinazioni logiche dellautorelazionalit proposte nella logica dellessenza e del concetto ( 59 ). Se, dunque, linfinit dellautocoscienza astratta rispetto alla ragione e allo spirito, invece concreta rispetto allEssere per s e alla sua natura qualitativa e immediata ( 60 ). Linfinit si dimostra affermativamente nellautocoscienza e nellIo; nella sfera semplicemente ontologica della qualit non siamo ancora a questo punto ( 61 ). b) Essere, Essere determinato ed Essere per s. LEssere per s come Essere determinato LEssere per s , anzitutto, linfinit ricaduta nel semplice essere ( 62 ). Linfinit, come negazione della negazione, ( 57 ) JOHNSON, The Critique, p. 29. Si leggano anche le belle osservazioni, teo- reticamente impegnate, di MOSCHETTI, Lunit, I, p. 171, che avvicina lautocoscien- za alla categoria dellunit (lUno, come subito vedremo, la prima figura logica, dellEssere per s hegeliano!), intermedia, secondo Moschetti, fra la metacatego- ria dellEssere e le postcategorie: il pi decisivo contributo alla chiarificazione del nostro concetto di unit ci dato dallesperienza interna: dallinteriorit della vita autocosciente. E invero, nel mondo invisibile di sensazioni, di affetti, di idee, di ricordi, che costituisce lin me di ciascuno di noi, si rivela un centro sussistente, che permane indiviso, semplice, identico a se stesso quanto attivo e fecondo nel- la molteplicit delle pi ricche operazioni... LIo quindi la tipica e pi alta realiz- zazione della nostra categoria: unit per s; sostanza intrisecamente attiva: unit- unificante. ( 58 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 60 (trad. Morselli, p. 36). ( 59 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 135. ( 60 ) Sdl, p. 163. ( 61 ) HARTMANN, La filosofia, p. 429. ( 62 ) Sdl, p. 163. Cfr. anche ivi, pp. 154 e 185 s.; inoltre Enc., 96 agg.: les- sere per s, come essere, relazione semplice a s (trad. Verra, p. 279). 351 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s d luogo, come alla sua forma iniziale, allaffermativo o allimme- diatezza dellEssere. Come identit con s o relazione a se stesso, linfinito dapprima lEssere o limmediato ( 63 ). questa la ragione per cui si chiama non gi il per s (assoluto) ma lessere per s. In realt linfinito qualitativo confinato nella sfera dellessere, ben- ch sia altrettanto vero che, a differenza dellEssere puro dellinizio, in lui resta sempre presente il movimento di negazione della nega- zione ( 64 ). Inoltre lEssere per s, in quanto negazione (o determinazio- ne esplicita), ricade nella categoria dellEssere determinato, ma, in quanto negazione della negazione e determinatezza infinita (o autodeterminazione), ha lEssere determinato solo come suo mo- mento ( 65 ). Perci, come lEssere-per-s esprime quello che stato lessere-in-s, cos lessere-per-uno (come subito vedremo) ripren- de, al livello di una determinatezza pi piena, quello che, nellEsse- re determinato, stato lessere-per-altro ( 66 ). Mentre, dunque, nella relazione del Qualcosa con lAltro (ad es., del rosso col giallo!), il Qualcosa determinato dal suo Altro, ovvero la natura positiva dellAltro essenziale alla sua determina- zione, nel caso dellEssere per s tutto quello che importa che ci ( 63 ) Enc., 96: lessere per s, come relazione a se stesso, immediatezza (trad. Verra, p. 279). Cfr. LAKEBRINK, I, p. 134. ( 64 ) LONARD, p. 82. Cfr. anche MURE, A Study, p. 52; MASSOLO, Logica, p. 31 (la ricaduta nellimmediatezza non una ripetizione di quello che gi stato); HARRIs, An Interpretation, p. 119 (contro TAYLOR, Hegel, p. 245): limmediatezza del- lEssere per s mediata!). ( 65 ) Sdl, p. 163. Cfr. anche ivi, pp. 154 e 186; inoltre, Enc., 96 agg.: lessere per s, ... come essere determinato, in modo determinato; questa determinatezza per non pi la determinatezza finita del qualcosa nella sua distinzione dallal- tro, ma la determinatezza infinita che contiene dentro di s la distinzione come superata (trad. Verra, pp. 279 s.). Vedi anche WAHL, Commentaires, p. 99; HARRIS, An Interpretation, p. 115. ( 66 ) Sdl, p. 163. Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 126 n. 6; VERRA, Letture, pp. 153 s. 352 HEGEL E ARISTOTELE sia qualcosaltro che non sia lEssere per s, mediante cui lEssere per s possa determinarsi. Laltro dellEssere per s insomma la sua interna differenziazione, costitutiva di quello che esso . Per- tanto, lEssere per s gode di una accresciuta indipendenza rispetto al Qualcosa, in conseguenza della maggiore individualit e centra- lit del S ( 67 ). Il fatto, poi, che lEssere per s, nella sua autodeter- minazione, abbia superato ogni alterit qualitativa, fa comprende- re come ormai ci stiamo incamminando verso la dialettica della quantit ( 68 ). c) Lessere per uno Lessere per uno spiega Hegel il mo- mento finito, ideale, non autonomo dellEssere per s inteso come linfinito, la vera realt o il concreto ( 69 ). NellEssere per s c ben- s una relazione, ma, a differenza dellEssere determinato, non una relazione a qualcosa che sia, in senso vero e proprio, laltro dal- lEssere per s ( 70 ). In altre parole: nella dialettica dellEssere deter- minato, la negazione non ancora unificata dal suo raddoppia- mento, ma rimane in qualche modo suddivisa ( 71 ) tra linterno e lesterno dellesserci, opponendosi un Qualcosa a un altro Qualco- sa. Adesso, invece, lalterit integrata nellEssere per s, e lAltro si esprime nel momento dellessere per uno, ossia in una determi- nazione che lo ordina pienamente allEssere per s ( 72 ). ( 67 ) Cfr. Sdl, pp. 163 s. e MCTAGGART, A Commentary, pp. 35 ss.; HARRIS, An Interpretation, p. 115; LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 10. ( 68 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 10. Cfr. anche BIARD, I, pp. 98 s. (sul- linteriorizzazione dellalterit e la determinazione come autodeterminazione). ( 69 ) Sdl, p. 164. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 109 s.; BIARD, I, pp. 99 s. ( 70 ) Sdl, p. 164. Cfr. MCTAGGART, A Commentary, p. 36; RADEMAKER, p. 60; LAKEBRINK, I, p. 137. ( 71 ) HEGEL, GW, XI, p. 87: verteilt. ( 72 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 11; BIARD, I, p. 99. 353 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s Tuttavia, aggiunge Hegel, se non c pi il Qualcosa, neppure siamo ancora autorizzati a parlare dellUno; c lessere per uno, ma non c ancora lUno. Potremmo designare con X la realt che sta- ta chiamata in precedenza Qualcosa, che ora abbiamo chiamato Es- sere per s, ma che sta per manifestarsi come Uno, e con non-X lessere per uno. Allora, se lEssere per s non ancora divenuto Uno, X (per cui non-X ) esso stesso momento, essere per uno; non c che un solo essere-per-altro (non pi un Qualcosa e un Altro, che esso stesso Qualcosa) e una sola idealit, quella di X e non-X, del- lEssere per s e dellessere per uno ( 73 ). Cos lessere per uno e les- sere per s non costituiscono vere e proprie determinatezze una contro laltra ( 74 ); il pensiero rappresentativo che fa ricadere i due momenti dellEssere per s nei momenti dellEssere determina- to, conferendo loro la forma di essenti ( 75 ). Ora, Hegel dimostra lunit di Essere per s ed essere per uno nella idealit, prendendo per ipotesi ( 76 ) proprio lopposizione di Essere per s ed essere per uno; questopposizione viene superata dallanalisi stessa di ci che essi implicano ( 77 ). In realt, come lEssere per s, nel superamento dellaltro, si riferisce a se stesso, ed dunque (si potrebbe dire: per identit) per uno, cos lideale, lessere per uno (per identit) lUno stesso ( 78 ). Come esempi paradigmatici di idealit e infinit, e quindi dellidentit di Essere per s ed essere per uno, Hegel cita lIo, lo ( 73 ) Sdl, p. 164. Cfr. MCTAGGART, A Commentary, p. 36. ( 74 ) Sdl, p. 164. ( 75 ) BIARD, I, pp. 102 s. ( 76 ) Sdl, p. 164: in quanto la differenza venga ammessa ecc.. ( 77 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 132 n. 41. ( 78 ) Sdl, p. 164. Cfr. BIARD, I, p. 103; HARRIS, An Interpretation, pp. 111 e 115 (ed anche VERRA, Letture, p. 154, su Sdl, p. 164: in quanto das Ideelle necessaria- mente fr-Eines e tuttavia non per un altro, essendo essere per s, lEines, per il quale esso , soltanto esso stesso). Nellultima frase di p. 164 lidentit diven- ta per soltanto inseparabilit. 354 HEGEL E ARISTOTELE spirito e Dio ( 79 ). Ideale, infatti, non solo il momento di un reale, di un concreto, ma ideale, anzi la vera idealit la stessa infinit, il concreto come unit dei suoi momenti, e in particolare il soggetto autocosciente. Le determinazioni superate da ci di cui sono de- terminazioni sono ideali perch possono essere pensate come distin- te da ci di cui sono determinazioni, mentre il reale (lEssere per s) il soggetto inseparabile dalle sue determinazioni (lessere per uno) ( 80 ). LEssere per s conserva in lui lalterit che gli essenzia- le; lunit verso cui ci incamminiamo quella di una totalit ( 81 ). Dio stesso non sarebbe che un Qualcosa tra altri Qualcosa, se am- mettesse unesteriorit radicale in rapporto a lui ( 82 ). Hegel, dunque, pu concludere che lesser per s e lesser per uno non sono... significati diversi dellidealit, ma sono mo- menti essenziali, inseparabili di essa ( 83 ). d) Idealit e idealismo: da Spinoza a Kant e Fichte Nella nota succes- siva, Hegel (come fa spesso) chiarisce il senso teorico dellespres- sione essere per uno, richiamandosi alluso della locuzione tede- sca was fr ein (che specie di...?) ( 84 ). Questespressione stabilisce una relazione non gi fra due cose, ma fra due stati della stessa cosa, colti nellidentit originaria dellEssere per s. Il merito di tale locuzione di esprimere la determinatezza non in un rapporto con qualcosa di esterno, ma come una determinatezza riflessa in s. C ( 79 ) Sdl, p. 164 ( 80 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 110. ( 81 ) Sdl, p. 169. ( 82 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 44. Cfr. anche TAYLOR, Hegel, pp. 244 s. ( 83 ) Sdl, p. 164. Cfr. BIARD, I, pp. 101 s. ( 84 ) HEGEL, GW, XXI, p. 147; trad. in VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 200 n. 18, e VERRA, Letture, p. 153 n. 11. Cfr. anche Sdl, p. 10 (su linguaggio e logica) e RADEMAKER, p. 60. 355 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s dunque unidentit tra ci che una cosa e ci per cui , e questa identit coincide con la stessa idealit ( 85 ). A questultimo proposito Hegel spiega, ancora una volta, che lidealit caratterizza innanzitutto il superamento delle determina- zioni finite. In quanto per queste vengano assunte come distinte da quello in cui sono superate, questultimo pu esser preso come il reale. In questo modo, ideale e reale sarebbero due determina- zioni contrapposte e indipendenti ( 86 ). Bisogna ritenere, invece, che la vera idealit (coincidente con la realt effettiva: Wirklichkeit) ha entrambe le determinazioni (il reale e lideale) solo come suoi mo- menti (sono entrambi essere per uno); la vera e unica idealit in- distintamente realt ( 87 ). Hegel ritorna agli esempi di prima (lIo, lo spirito e Dio), per mostrare ancora che lidentit di reale e ideale si ( 85 ) Sdl, p. 165. Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, p. 128 n. 16, ed anche BIARD, I, p. 100. ( 86 ) Sdl, p. 165. Cfr. Enc., 96 agg.: inoltre lessere per s in generale va ora colto come idealit, mentre lessere determinato stato dapprima definito realt [vedi 91; Sdl, p. 106]. Realt e idealit vengono spesso considerate come una coppia di determinazioni tra loro contrapposte e dotate di uguale indipendenza reciproca, e si dice quindi che, oltre alla realt, ci sarebbe anche unidealit (trad. Verra, p. 280). ( 87 ) Sdl, p. 165. Cfr. Enc., 96 agg.: lidealit non qualcosa che ci sia an- che al di fuori e accanto alla realt, bens il concetto dellidealit consiste espressa- mente nellessere la verit della realt, e cio la realt, posta [esplicitamente] come ci che essa in s [= implicitamente], mostra di essere idealit. Non si pu quindi pensare di aver tributato il doveroso riconoscimento allidealit, quando ci si limi- ta ad ammettere che non tutto finito con la realt, ma al di fuori di essa si deve ancora riconoscere unidealit. Una tale idealit, accanto, oppure anche al di sopra della realt, sarebbe in effetti soltanto un nome vuoto. Lidealit ha invece un con- tenuto soltanto in quanto lidealit di qualcosa; questo qualcosa poi non soltan- to un questo o un quello indeterminato [cfr. Fen., I, pp. 81 ss.], bens lessere deter- minato come realt, il quale essere, tenuto fisso per s, non ha alcuna verit (trad. Verra, p. 280). Vedi anche LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 129 nn. 19 (lideale esprime ci che la realt nelle sue strutture ideali) e 21 (lIdea, nel suo significato concreto e oggettivo, la verit di ci che reale); BIARD, I, p. 101 (lidealit come totalit). 356 HEGEL E ARISTOTELE attua pienamente solo nel soggetto autocosciente ( 88 ). Esso lidea- le in quanto relazione infinita puramente a s, e non ad altro ( 89 ); lalterit non nellEssere per s che come superantesi, ed per questo motivo che lEssere per s si rapporta infinitamente a s ( 90 ). Tutto ci si verifica in modo paradigmatico in Dio, nel quale c identit perfetta tra Essere per s ed essere per uno, o, come si esprime la filosofia classica, tra natura e attributi (o attivit) ( 91 ). Quando invece, aggiunge Hegel, si assume il punto di vista della coscienza ( 92 ), ossia della scissione tra lidealit e la rappresentazio- ne da un lato e loggetto conosciuto inteso come un esterno essere determinato dallaltro, allora si ricade nella contrapposizione intel- lettualistica di ideale come alcunch di meramente immaginario o concettuale e di reale come duro fatto od oggetto non concettua- lizzato ( 93 ). A questo punto Hegel, richiamandosi alla nota di pp. 159 ss., ricorda il principio dellidealismo, che consiste nellaffermare che il finito ideale, non un vero essere, e, quindi, svanisce nellinfi- nito. Si tratta, ora, di determinare in quale misura lidealismo trovi attuazione nelle diverse filosofie, se cio nellEssere per s e nellin- finito sia gi posto il momento dellessere per uno, cosicch lEssere per s, nellaltro, si rapporti a s, oppure se il finito sussista indi- pendentemente dallEssere per s ( 94 ). A tale scopo Hegel ripercorre brevemente alcune tappe de- cisive della storia della filosofia. Egli conferma, innanzitutto, il ( 88 ) Sdl, p. 165. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 110. ( 89 ) Sdl, p. 165. ( 90 ) BIARD, I, p. 100. ( 91 ) TOMMASO DAQUINO, De verit., q. I, a. 11. Cfr. BUSA, Dio, coll. 481 ss.; VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso, p. 65. ( 92 ) Cfr. gi Sdl, pp. 162 s. ( 93 ) Ivi, p. 165. Cfr. MURE, A Study, p. 53; MARCONI, Hegels Definition, p. 97. ( 94 ) Sdl, p. 165. Cfr. anche BIARD, I, pp. 101 s. 357 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s proprio giudizio severo sugli Eleati e Spinoza. Come sappiamo, per Hegel lEssere di Parmenide lessere indeterminato, senza relazione ad altro e senza distinzioni in s; solo lEssere o lAsso- luto relazione a s, e a ci non pu conseguire che il panteismo e lacosmismo ( 95 ). Del pari, la sostanza spinoziana affermazione assolta; per Spinoza solo il finito determinatezza, e questa ne- gazione ( 96 ). Tanto lEssere degli Eleati quanto la sostanza di Spinoza sono la negazione astratta della determinatezza, giacch tale negazione non comporta lidealit della determinatezza stes- sa, il suo essere ricompresa come un momento dellassoluto ( 97 ). In particolare, la sostanza e lessere infinito di Spinoza, proprio perch unit immobile, non ancora Essere per s, soggetto e spiri- to: non ancora pensiero e autocoscienza ( 98 ). A Malebranche, invece, Hegel riconosce un idealismo pi esplicito e concreto. Per questautore, in Dio lessenza e lesistenza delle cose sono ideali, sono pensieri di Dio, inteso come idealit, sapere e autocoscienza assoluta, bench esse siano ideali gi per noi, per il nostro pensiero e la nostra coscienza ( 99 ). Al contrario, gli attributi e i modi della sostanza spinoziana sono distinzioni opera- ( 95 ) Sdl, pp. 71 ss., 84 s., 89 (lapparenza e lopinione). Cfr. LANDUCCI, La contraddizione, p. 31. Ma vedi MOVIA, Essere, pp. 536 ss. ( 96 ) Sdl, pp. 166, 108 e 275. ( 97 ) Ivi, p. 166. ( 98 ) Ibid. Cfr. LANDUCCI, La contraddizione, pp. 31 s. e VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 110 (vedi inoltre Fen., I, p. 13: tutto dipende dallintendere e dal- lesprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come sogget- to; WAHL, Commentaires, p. 101; ma anche MOVIA, Essere, pp. 542 s.). A maggior ragione, nessuna delle cose finite, essendo del tutto determinate nel loro essere e nel loro agire dalla sostanza divina, pu rappresentare un centro di attivit, un soggetto, dotato di un bench minimo margine di iniziativa (FAGGIOTTO, Il problema, I, p. 151). ( 99 ) Sdl, p. 166. Citazione dei passi di MALEBRANCHE, in HEGEL, GW, XXI, p. 421. Vedi anche Lez. st. filos., III, 2, pp. 144 ss., 223; JA, XIX, p. 413: per Malebranche, in Gott sind die Dinge intellektuell, geistig; inoltre VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107; WAHL, Commentaires, p. 101; GIACON, La causalit, pp. 224 ss. (lontologismo moderato di Malebranche). 358 HEGEL E ARISTOTELE te da un intelletto esterno ( 100 ). Quello che in Malebranche fa difet- to, secondo Hegel, la compiuta determinazione dei contenuti di pensiero, per di pi mescolati con le rappresentazioni religiose, nonch lo sviluppo logico dellinfinit, che dovrebbe costituire il fondamento di quei contenuti ( 101 ). A differenza di quello di Malebranche, che, per l appunto, ai concetti mescola contenuti assunti immediatamente dalla rappre- sentazione, lidealismo leibniziano sta pi dentro i confini del concetto astratto ( 102 ). Il soggetto leibniziano della rappresenta- zione, la monade, essenzialmente qualcosa di ideale. Il rappre- sentare un essere per s, in cui le determinatezze non sono limiti, e cos non sono un esserci, ma soltanto momenti ( 103 ). La rappre- sentazione (Vorstellung) (che, evidentemente, va intesa qui non gi nellaccezione hegeliana, come una determinazione della coscienza contrapposta al concetto, ma nel contesto del discorso leibniziano) connota essenzialmente la monade, nel senso che questa, chiusa in se stessa nella sua piena autosufficienza, non implica alcuna alterit reale, ma sviluppa, a partire da s, il mondo nel quale si trova. In questo modo la rappresentazione (che non dipende affatto dal conoscere, giacch caratterizza tanto luomo, monade cosciente, quanto la cosa, monade inconscia) sembra, a prima vista, apparen- tata alla pienezza ideale ( 104 ) che lEssere per s riveste per Hegel. ( 100 ) Sdl, pp. 166 e 108. Cfr. MOVIA, Essere, pp. 542 s. e Finito, pp. 127 ss.; FAGGIOTTO, Il problema, I, p. 145: la considerazione dei due attributi [pensiero ed estensione] introdotta... non... per deduzione dal concetto di sostanza, ma per sussunzione dallesperienza; la stessa cosa vale anche per i modi (cfr. ivi, pp. 148 s.). ( 101 ) Sdl, p. 166. ( 102 ) Ibid. ( 103 ) Ibid. Cfr. anche Lez. st. filos., III, 2, pp. 191 s., e MORETTO, Hegel, pp. 312 s. (possibilit, per Leibniz, di una molteplicit, anche infinita, compresa nellunit; il concetto di funzione). Citazione dei testi di Leibniz cui Hegel si riferisce nelle pp. 166 ss., in HEGEL, GW, XXI, pp. 421 s. ( 104 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 130 n. 24. 359 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s In realt, Hegel mostra che questa idealit esteriore alla monade stessa ( 105 ). Infatti, il superamento dellalterit non il movimento proprio della monade, ma risulta da un intervento esterno, dallar- monia prestabilita da Dio ( 106 ). Lalterit e la molteplicit delle monadi sono presupposte (mediante il concetto di creazione) e conservate come tali, e la monade sottratta ad ogni rapporto col molteplice unicamente per lintervento esterno di Dio ( 107 ). Altrettanto imperfetto, per Hegel, lidealismo kantiano e fi- chtiano. Il soggetto, in Kant e Fichte, non realmente libero dallog- gettivit esterna del mondo, perch il mondo, sotto forma di cosa in s, lo troppo (libero di una libert che alterit radicale) ( 108 ). LIo certo posto, in questi autori, come ideale, nella misura in cui la cosa in s soltanto per lui, e in quanto lIo, in ci, si rapporta infinitamente a se stesso. Ma lidealismo trascendentale lascia sus- sistere la cosa in s nella sua esteriorit e alterit radicale in rappor- to al soggetto. Anche in questo caso, il lato dellessere per uno non si realizza mediante un proprio processo, e lidealit del soggetto meramente postulata o rimane un puro dover essere, un ideale irraggiungibile ( 109 ). ( 105 ) Cfr. Sdl, pp. 166 s. e LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 130 n. 24. ( 106 ) Monade delle monadi lo chiama Hegel (Sdl, p. 167; Lez. st. filos., III, 2, p. 196), ma, a rigore, Dio monade come substantia primitiva, opposto alla monade come substantia derivativa. Documentazione in HEGEL, GW, XXI, p. 421. ( 107 ) Sdl, pp. 167 s. Cfr. anche ivi, pp. 175 s.; Enc., 194; Lez. st. filos., III, 2, pp. 191 ss., 201 ss.; inoltre BIARD, I, p. 102. Vedi anche CASSIRER, Storia, III, p. 426; HARTMANN, La filosofia, p. 429; MURE, A Study, p. 55; FLEISCHMANN, La logica, pp. 68 s.; JOHNSON, The Critique, p. 29; FAGGIOTTO, Il problema, II, pp. 35 ss.: sul concetto di monade e larmonia prestabilita; GUYER, Hegel, PPR, 1979-80, pp. 75 ss.: secon- do Hegel, larmonia prestabilita non sana la contraddizione tra lindipendenza e molteplicit reale delle monadi e la loro natura rappresentativa della totalit delluniverso (natura rappresentativa fondata sul principio della inerenza del predicato nel soggetto); GIACON, La causalit, p. 329: sul pregiudizio fenomenisti- co delle percezioni e idee come oggetto terminale dellatto conoscitivo. ( 108 ) Sdl, p. 168. Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 131 n. 34 (e p. 21 n. 76). ( 109 ) BIARD, I, p. 102. Citazioni di Kant e Fichte, riguardo al dover essere e al progresso infinito, in HEGEL, GW, XXI, p. 422. 360 HEGEL E ARISTOTELE e) LUno Hegel mostra che lEssere per s, come essente per s, lUno ( 110 ). Infatti, lessere per s lunit semplice di se stesso e del suo momento, lessere per uno ( 111 ). Si tratta, per, di ununit e semplicit divenuta, ununit prodottasi dallo sviluppo preceden- te. Lunit qualitativa, ora posta, non tale che in rapporto allop- posizione iniziale delle sue differenze, dei suoi due momenti: lEs- sere per s e lessere per uno, la relazione a s e lalterit ( 112 ). A questo punto, non si ha che una sola determinazione, la relazio- ne a s del superare ( 113 ); come si legge nella prima edizione: il superamento dellalterit e la relazione a se stesso sono la stessa cosa ( 114 ); qui, non si tratta pi della determinatezza qualitativa, ma del superamento di ogni determinatezza ( 115 ). I momenti del- lEssere per s, ovvero la relazione a s e lessere per uno (ossia lal- terit) sono caduti insieme nellindistinzione ( 116 ), il che era ne- cessario perch si potesse passare alla quantit ( 117 ). Tale indistin- zione immediatezza o essere, ma una immediatezza che si fonda sul negare, il quale posto come sua (= dellEssere per s) determi- nazione ( 118 ). LEssere per s si affermato come relazione a se stesso, cio come essere. In quanto tale immediatezza. Tuttavia, nellEssere per s, rimane sempre presente il momento di autode- ( 110 ) RADEMAKER, p. 60. ( 111 ) Sdl, p. 168. Cfr. Enc., 96: lessere per s, come relazione a se stesso, ecc. (trad. Verra, p. 279). ( 112 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 46; BIARD, I, p. 104. ( 113 ) Sdl, p. 168. ( 114 ) HEGEL, GW, XI, p. 91; trad. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 133. Cfr. anche Enc., 96: la relazione del negativo a se stesso (trad. Verra, p. 279). ( 115 ) BIARD, I, p. 104; NIKOLAUS, Begriff, p. 60: un siffatto superamento non ci riporta alla situazione del puro Essere dellinizio (vedi anche sopra n. 64). ( 116 ) Sdl, p. 168. Cfr. Enc., 96: lUno ci che in se stesso privo di di- stinzioni (trad. Verra, p. 279). ( 117 ) Sdl, p. 186. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 103. ( 118 ) Sdl, p. 168. Cfr. anche ivi, p. 169 e Enc., 96: lessere per s imme- diatezza (trad. Verra, p. 279). 361 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s terminazione, di negazione della negazione, bench tale movimen- to si superi nellimmediatezza del medesimo Essere per s ( 119 ). Lessere per s cos un essente per s ( 120 ); in altre parole, in quanto relazione del negativo a se stesso, lEssere per s non sol- tanto immediatezza in generale, ma, pi specificamente, un essen- te per s. Si ha qui un passaggio analogo a quello dellEssere deter- minato nellessente determinato o nel Qualcosa, ovvero un proces- so di individuazione che ha luogo mediante lunit negativa con s, la negazione della negazione ( 121 ). Mentre, per, limmediatezza dellessente per s porta ancora le tracce della sua genesi il mo- vimento infinito dellEssere per s , nelluno questo significato interno (innere Bedeutung) ( 122 ) svanisce; lUno non conserva che il momento dellassoluta autolimitazione dellessente per s. Lessen- te per s non ormai che lUno puro, nella sua puntualit e indivi- dualit assoluta e indifferenziata ( 123 ). Si potrebbe avvicinare ( 124 ) questa concezione hegeliana dellUno allUno trascendentale della filosofia classica, la cui essenza consiste nellessere indivisum in se (e nellessere misura prima) ( 125 ). ( 119 ) LONARD, p. 82. Cfr. anche NIKOLAUS, Begriff, p. 60. ( 120 ) Sdl, p. 168. ( 121 ) LONARD, p. 82. Cfr. anche NIKOLAUS, Begriff, p. 60. ( 122 ) Sdl, p. 168. ( 123 ) Ibid. Cfr. Enc., 96: lessere per s..., come relazione del negativo a se stesso, un essente per s, luno (trad. Verra, p. 279), e Lonard, p. 83. Vedi anche LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 134 n. 50; BIARD, I, pp. 95 e 105; LAKEBRINK, I, p. 135; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118; NIKOLAUS, Begriff, pp. 59 s.; MASSOLO, Logi- ca, pp. 31 s. e 35; VERRA, Letture, p. 154; WAHL, Commentaires, p. 122 (riferimento a Parmenide, Fichte e allunit indifferenziata di Schelling). Sullunit fichtiana come esclusione della molteplicit (assolutezza) e su quella hegeliana come inclu- sione della molteplicit (totalit) cfr. i lavori di KAREN GLOY richiamati da VERRA, Letture, p. 147 n. 1 (vedi anche ivi, p. 161). ( 124 ) Con VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 108 e 110. Vedi anche LONARD, p. 83. ( 125 ) PLATONE, Resp., VI, 504 A 4 ss., 507 A 7 ss.; Pol., 284 A 1 ss.; ARISTOTELE, Metaph. X 1, 1052 B 1 ss. Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 336 ss., 343 s., 409 ss., 449 ss. 362 HEGEL E ARISTOTELE f) La contraddittoriet dellUno Lo sviluppo successivo dellUno mostrer, poi, la contraddizione speculativa, di identit e opposi- zione, che caratterizza questa categoria ( 126 ). In realt, i momenti costitutivi dellUno come essere per s, ovvero da una parte la ne- gazione, lalterit, la differenza, la determinazione, e dallaltra par- te la doppia negazione, la relazione a s, lautodeterminazione, si separano luno dallaltro, e cadono luno fuori dellaltro, spezzando cos linfinita mediazione dellEssere per s, e ci a motivo delles- sere e dellimmediatezza che connotano lessente per s. Ma, al tempo stesso, quei due momenti sono anche inseparabili, e, anzi, sono la stessa cosa; lUno esterno allUno identico a questo ( 127 ). 2. LUno e i molti A questo punto, si potrebbe dire ( 128 ) che Hegel passa dallUno trascendentale alluno categoriale, e precisamente alluno che introduce alla categoria della quantit ( 129 ). Hegel ricor- da che allUno si arrivati attraverso i momenti dellEssere per s e dellessere per uno; ora questi momenti sono diventati degli essen- ti. LEssere per s, che era il momento della compiutezza in s, di- venta un essente, diventa lUno che si contrappone allaltro, che esclusivamente uno, mentre lessere per uno diventa un altro es- sente, un altro Uno ( 130 ). In questo processo, linfinita autodeterminazione dellEssere per s certamente conservata, ma, a motivo dellimmediatezza ( 126 ) Sdl, p. 169. ( 127 ) Ibid. Cfr. LONARD, pp. 83 s., 86 s. Vedi anche LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 47, 134 n. 50: BIARD, I, pp. 104 s.; TAYLOR, Hegel, p. 246; MASSOLO, Logica, p. 31. ( 128 ) Daccapo, con VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 107 s., 110. ( 129 ) Sulluno nel senso della quantit, che indica qualcosa di indivisibile nella quantit, cioe avente una determinata quantit, cfr. ARISTOTELE, Metaph., X 2, 1053 B 24 ss., 1054 A 13 ss.; 1, 1052 B 15 s., e BERTI, Il problema, p. 192; Luno, p. 168. ( 130 ) Sdl, p. 169. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 110 s. 363 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s dellUno, ricade nella realt e nellesteriorit ( 131 ). Nellinfinita au- todeterminazione dellEssere per s, nella sua idealit come totali- t, si trovano uniti due momenti: la relazione ad altro (determina- zione) e la relazione a s (autodeterminazione, o ritorno a s della determinazione). Nellesclusione da s, dallUno, di un altro uno, questi due aspetti non sono pi i due momenti ideali di un unico movimento di autodeterminazione, ma ricadono nellimmediatez- za, sono posti come essenti. La negazione, la determinazione, lalterit non pi interna allUno, non pi in s, ma soltanto in lui: gli diventata esteriore ( 132 ). a) LUno in lui stesso LUno considerato in lui stesso, prima (per cos dire) della relazione con laltro uno, semplicemente ( 133 ). Non un essere determinato, ossia una determinatezza come relazio- ne ad altro, e neppure una disposizione, ovvero una determinatez- za come rapporto con qualcosa di esterno, giacch lUno ha nega- to o superato tutte le categorie della qualit e dellEssere determi- nato ( 134 ). Non c nulla al di fuori dellUno che da lui resti escluso o a lui sia opposto ( 135 ). LUno, quindi, non pi passibile di alcun divenire altro, non pu esser soggetto al processo infinito di alte- ( 131 ) Cfr. VERRA, Letture, pp. 154 s.: lulteriore sviluppo della nozione di Eins... segna il completo capovolgimento del rapporto tra idealit e realt (Realitt) o, pi precisamente, il fatto che lidealit dellessere per s come totalit si rovescia anzitutto nella realt e, appunto, nella forma pi astratta e fissa di realt che lEins [Sdl, p. 163]. ( 132 ) Sdl, pp. 169 s. (e 116). Cfr. anche Enc., 96: luno... escludente da s laltro (trad. Verra, p. 279) e 97, e LONARD, p. 86. Vedi inoltre LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 44; MASSOLO, Logica, pp. 33, 35 s.; HARRIS, An Interpretation, p. 116. ( 133 ) Sdl, p. 170. ( 134 ) Ibid., e pp. 122 (sulla disposizione). Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 135 n. 54; HARRIS, An Interpretation, p. 116; VERRA, Letture, p. 155. ( 135 ) Sdl, p. 170 e HARRIS, An Interpretation, p. 116. 364 HEGEL E ARISTOTELE razione; immutabile e inalterabile, conserva sempre la sua identi- t, solo se stesso ( 136 ). Derivato dal processo di superamento dellalterit qualitati- va, lUno, daccapo, viene definito da Hegel come indeterminato. Tale indeterminatezza non ci riconduce tuttavia al puro Essere del- linizio. Lindeterminatezza di cui qui si parla il prodotto del mo- vimento di superamento e di riflessione dentro di s della determi- natezza ( 137 ). NellUno, come semplice immediatezza, svanita la media- zione dellEssere determinato e dellidealit, e quindi ogni diversit e variet ( 138 ); analogamente allEssere puro lUno esclude da s ogni molteplicit e diversit ( 139 ). Lunit della relazione a s e della relazione allaltro diventata semplice relazione a s; nellUno non c nulla, non c la relazione ad altro; lUno non ha nulla in s ( 140 ). Piu precisamente: nellUno bisogna distinguere tra lastratta rela- zione a s, tra il vuoto in cui ogni differenza svanita, e il suo con- creto esser dentro di s. LUno cos si rapporta a se stesso come al vuoto. Non c pi lopposizione di un Qualcosa a un altro Qualco- sa, ma il vuoto posto dallUno (come esser in s), una sua qua- lit o un suo momento ( 141 ). ( 136 ) Sdl, p. 170. Cfr. FLEISCHMANN, La logica, p. 68; VANNI ROVIGHI, La Scien- za, p. 111; DOZ, La logique, p. 70; RADEMAKER, p. 60; VERRA, Letture, p. 155. ( 137 ) Sdl, p. 170. Cfr. BIARD, I, pp. 105 s.; inoltre VERRA, Letture, p. 155: lin- determinatezza dellEins ... relazione a s, negazione che si riferisce a s avendo in s la distinzione, tendenza ad andare da s verso altro; ma tale tendenza inverte immediatamente la propria direzione poich nellEins non c altro verso cui an- dare [Sdl, p. 170]. ( 138 ) Sdl, p. 170. Cfr. VERRA, Letture, p. 155. ( 139 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 111. ( 140 ) Sdl, p. 170. Cfr. JOHNSON, The Critique, p. 29. ( 141 ) Sdl, p. 170. Cfr. HARRIS, An Interpretation, p. 116; LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 135 n. 56; BIARD, I, p. 106; inoltre MASSOLO, Logica, p. 36; MCTAGGART, A Commentary, p. 38; VERRA, Letture, p. 155: nelluno non c nulla; ma si tratta qui di un nulla che, a differenza di quello correlativo allessere, un nulla che posto, 365 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s b) LUno e il vuoto La dialettica dellUno e del vuoto costituisce un processo di differenziazione e di esteriorizzazione a s delluni- t iniziale, mediante il quale lEssere per s si pone come un es- serci ( 142 ). Sviluppandosi, per, nella forma della totalit riflessa, caratteristica del presente momento logico, questo processo non ci riconduce alla dialettica dellEssere determinato. Hegel afferma, in- fatti, che lUno e il vuoto hanno per loro comune, semplice terre- no la negativa relazione a s ( 143 ). In altre parole, essi si situano nellelemento della negativit, che si esplicitato come negazione della negazione. Sennonch questa negativit si presenta dapprima nella determinazione dellessere, cosicch ciascuno dei suoi mo- menti si cristallizza nella forma di un essente ( 144 ). Come, dunque, lEssere si oppone al Nulla, cos lUno si oppone al vuoto; mentre, per, lEssere iniziale sidentifica col suo opposto nel Divenire, qui il nulla (il vuoto) resta fuori dellessere (lUno) ( 145 ). che risultato di una complessa mediazione; tale nulla il vuoto, e, come tale, costituisce la qualit dellEins nella sua immediatezza [Sdl, p. 170]. Vedi anche Enc., 98 n.: il vuoto... la repulsione stessa (trad. Verra, p. 282) e LONARD, p. 91: per Hegel, il vuoto non altro che la repulsione stessa dellUno, cio la sua relazione negativa a s, la sua autodifferenziazione. Esso dunque lenergia nega- tiva che si trova nellUno e mediante cui lo respinge da s. ( 142 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 106. ( 143 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 107. ( 144 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 107. ( 145 ) Sdl, p. 171. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 111; inoltre MASSOLO, Logi- ca, p. 36; FINDLAY, Hegel, p. 173 (per i Pitagorici, il vuoto separa gli uno materiali; ma sulle ragioni della collocazione hegeliana della problematica dellUno e dei molti nellambito dellatomismo e non del pitagorismo cfr. HEGEL, JA, XVII, pp. 260, 296; Lez. st. filos., I, pp. 235 s., 263; Enc., 104 agg. 3, e VERRA, Letture, p. 156); VERRA, Letture, p. 155: in quanto il nulla qui il vuoto come relazione astratta a se stesso [Sdl, p. 170], da un lato il vuoto posto come diverso ed esterno rispetto al carattere affermativo dellEins, ma dallaltro, tra Eins e vuoto c una relazione ne- gativa reciproca che si svolge su un terreno comune. In tal modo i momenti costitutivi dellessere per s escono dalla loro unit e si pongono come esterni luno allaltro, il primo come essere determinato in senso affermativo (das Eins), il secondo come essere determinato in senso negativo (il vuoto) [Sdl, p. 171]. La co- mune matrice di tale contrapposizione poi quello che ne consente il superamen- 366 HEGEL E ARISTOTELE c) La concezione atomistica della natura. Latomismo politico La cate- goria dellUno, nella forma dellesserci che ha acquistato nello svi- luppo logico, corrisponde alla filosofia atomistica di Leucippo e Democrito, secondo i quali lessenza delle cose sono latomo e il vuoto: to tomon oppure ta toma kai to kenn ( 146 ). Il principio ato- mistico ha una maggiore determinatezza rispetto allEssere astratto di Parmenide e anche al Divenire di Eraclito ( 147 ) . Esso costituisce un avanzamento nellelevazione e purificazione del pensiero (in quanto linfinita molteplicit del reale viene ricondotta alla sempli- ce opposizione degli atomi e del vuoto) e nellautodeterminazione del pensiero stesso (giacch il pensiero coglie le categorie dellUno e del vuoto come proprie specificazioni) ( 148 ). Tuttavia, secondo Hegel, latomismo fisico pu prestare il fianco a due obiezioni. In primo luogo, la coppia atomo-vuoto pu to e consente pure di vedere come la nozione di Vieles non sopravvenga n si con- trapponga affatto dallesterno a quella di Eins, ma ne scaturisca dialetticamente dallinterno. ( 146 ) Sdl, p.171. Vedi DEMOCRITO, DK 68 B 9, B 125, A 1, A 49; LEUCIPPO, DK 67 A 15, A 32, e HEGEL, Enc., 98 n.: la filosofia atomistica costituisce questo pun- to di vista, dove lassoluto [= il fondamento assoluto di tutto; cfr. NIKOLAUS, Begriff, p. 61] si determina come essere per s, come uno e come molti uno, e agg. 1: la filosofia atomistica costituisce un momento essenziale nello sviluppo storico del- lidea, e il principio di questa filosofia in generale lessere per s nella figura del molteplice (trad. Verra, pp. 282 s.); Lez. st. filos., I, pp. 332: latomo e il vuoto, per Leucippo e Democrito, costituiscono lassoluto, ci che in s e per s (cfr. an- che HEGEL, JA, XVII, p. 383); 331: Leucippo come iniziatore del sistema atomistico. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 107 s.; BIARD, I, p. 107; LAKEBRINK, I, p. 138; DSING, Hegel, p. 53. Ma vedi anche JOHNSON, The Critique, pp. 30 s.: i principi dellatomismo non sono latomo e il vuoto, ma piuttosto gli atomi e il vuoto, ossia non gi lUno, ma i molti uno. Un cenno sulla posizione hegeliana di fronte alla proposta atomistica, dalla Dissertatio del 1801, alla logica jenese (cfr. LMJ, pp. 12 ss.) e alla Scienza della logica, in MORETTO, Hegel, p. 101 n. ss. ( 147 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche HEGEL, JA, XVII, p. 383, e Lez. st. filos., I, p. 333; VASA, La deduzione, p. 678; inoltre VERRA, Letture, pp. 156 s. ( 148 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche Enc., 98 agg. 1: latomo... una nozione di pensiero (Gedanke) (trad. Verra, p. 283); Lez. st. filos., I, pp. 334 s.; inoltre BIARD, I, p. 107; VERRA, Letture, pp. 155 s. 367 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s restare nellorbita della rappresentazione, ed questo che ha fatto la fortuna dellatomismo. Il pensiero atomistico rimane al di qua della coppia puramente speculativa Uno/vuoto, nella misura in cui si rappresenta la relazione tra atomo e vuoto in modo oggetti- vante e spazializzante: qui gli atomi e l accanto il vuoto ( 149 ). In secondo luogo, la costituzione del reale a partire dallatomo e dal vuoto pu avere laspetto di una composizione estrinseca. Non co- gliendo nellEssere per s che lUno fisso su di s, che si pone come escludente lalterit, la rappresentazione non pu concepire la de- terminazione dellUno che sotto la forma di una relazione estrinse- ca ( 150 ). Latomismo, specialmente quello antico, ha per dato, secon- do Hegel, alla storia del pensiero un apporto speculativo essenzia- le. Esso consiste nel fatto di aver posto il vuoto non gi come qual- cosa di estrinseco e di contrapposto agli atomi, ma come la fonte, il principio (arch) e il fondamento (Grund) del movimento ( 151 ). Par- lare qui di fondamento, e non solo di presupposto o condizione del movimento significa che, mentre per la rappresentazione il vuoto e il movimento sono delle entit date, esteriori luna allaltra, cosic- ch il movimento una determinazione delle cose (le cose semplice- ( 149 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche Enc., 98 n.: il vuoto che viene assunto come laltro principio rispetto allatomo, la repulsione stessa rappresentata come il nulla essente tra gli atomi (trad. Verra, p. 282); Lez. st. filos., I, pp. 336 s.; inoltre BIARD, I, p. 108. ( 150 ) Sdl, pp. 171 s. Cfr. anche Enc., 98 n.: in quanto luno fissato come uno, certamente il suo con-venire con altri devessere considerato come qualcosa di completamente estrinseco (trad. Verra, p. 282); Lez. st. filos., I, 336 s.; inoltre BIARD, I, p. 108. ( 151 ) Sdl, p. 172. Vedi DEMOCRITO, DK 68 A 58, A 43; LEUCIPPO, DK 67 A 16, A 7, A 1, A 14, e HEGEL, Lez. st. filos., I, p. 336; VERRA, Letture, p. 156. Tuttavia, secon- do Aristotele (Metaph., I 4, 985 B 4 ss.), il vuoto (e latomo), per Leucippo e Democrito (cfr. LEUCIPPO, DK 67 A 6), era la causa materiale, e non finale o efficien- te, delle cose. Cfr. anche JOHNSON, The Critique, p. 30 (sulla sopravvalutazione, da parte di Hegel, degli Atomisti); BERTI, La critica di Aristotele, p. 145 (sulla confutazione metafisica compiuta da Aristotele della teoria atomistica del vuoto). 368 HEGEL E ARISTOTELE mente si muovono nel vuoto), per il pensiero speculativo il vuoto, coincidente col negativo, il fondamento del divenire ( 152 ). Il vuoto non va abbassato al rango di un nulla immediato o essente situato tra gli atomi, ma la relazione negativa dellUno a se stesso, ossia, per cos dire, lenergia negativa che si trova nellUno e che lo re- spinge da s, originando cos un altro Uno ( 153 ). Hegel denuncia, poi, larbitrariet ed esteriorit degli ulterio- ri caratteri attribuiti dagli antichi agli atomi: figura, posizione e di- rezione del movimento ( 154 ). Implicitamente egli critica la tendenza a spiegare i mutamenti della natura mediante semplici spostamenti di corpuscoli in se stessi immobili, tendenza proveniente dallincapaci- t di concepire una vera e propria trasformazione sostanziale ( 155 ). Hegel, anzi, si pronuncia contro la tendenza non concettuale della fisica moderna a suddividere gli enti naturali in molecole ( 156 ). Per ( 152 ) Sdl, p. 172. Cfr. anche Fen., I, p. 29. ( 153 ) Sdl, p. 172. Cfr. anche HEGEL, GW, XII, p. 93; Enc., 98 n. (vedi sopra n. 149); inoltre VERRA, Letture, p. 156; LONARD, p. 91 (vedi sopra n. 141); LAKEBRINK, I, p. 139; HARTMANN, La filosofia, p. 429 (il principio del negativo, dal quale risulta laffermativo); DOZ, La logique, p. 70 (la negativit repulsiva dellUno); FLEISCHMANN, La logica, p. 68 (luno produce da se stesso il molteplice, proprio per poter restare uno); TAYLOR, Hegel, p. 246. Il concetto di vuoto come principio del movimento speculativamente significativo, ma ancora troppo semplice. Come subito si vedr, Hegel, per descrivere il rapporto genetico, processuale tra lUno e i molti, il frantumarsi o articolarsi dellUno nei molti, ricorre alle nozioni pi complesse di repulsione e attrazione. Cfr. VERRA, Letture, p. 149. ( 154 ) Sdl, p. 172. Cfr. Lez. st. filos., I, pp. 339 s.; inoltre VERRA, Letture, p. 156: per Hegel, vanno considerate come arbitrarie ed estrinseche altre posizioni dellatomismo antico come quelle volte a spiegare il movimento e la natura dei corpi con la figura, la posizione e la direzione degli atomi, ossia con determinazio- ni che si trovano in diretta contrapposizione alla determinazione fondamentale dellatomo, luno (cfr. Sdl, p. 172). ( 155 ) Cfr. Enc., 282 agg. e GRGOIRE, Etudes, p. 84 n. 2; LAKEBRINK, I, p. 139; GIACON, Le grandi tesi, p. 39. ( 156 ) Sdl, pp. 172 s. Cfr. anche Enc., 98 n.: la concezione atomistica mo- derna e la fisica conserva ancor sempre questo principio ha rinunciato agli atomi in quanto si attiene alle piccole particelle, alle molecole; in tal modo si av- 369 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s di pi, egli respinge latomismo politico e lorigine contrattualistica dello Stato teorizzati da Hobbes e Rousseau, che prendono per punto di partenza il singolo volere degli individui ( 157 ). Per Hegel lo Stato, come fine ultimo e universale concreto, simpone moral- mente al volere umano ( 158 ). d) I molti uno e la repulsione. Ancora sulla natura contraddittoria del- lUno Ci si presenta ora il momento della repulsione, cio del prodursi della molteplicit a partire dallUno. Il rapporto negativo a s dellUno si esplicita come rapporto escludente; il momento pi propriamente negativo della dialettica dellUno: il momento della scissione e della differenziazione ( 159 ). Ciascuno dei momenti dellEssere per s (lUno e il vuoto) ha per sua determinazione la negazione: luno la negazione nella determinazione dellessere, il vuoto la negazione nella determina- zione del non essere ( 160 ). Come totalit o unit negativa, lUno esso stesso ci che laltro (il vuoto), lidealit dellaltro; nellal- tro, si riferisce soltanto a s. Tuttavia, in quanto lUno essente per vicinata al quadro della rappresentazione sensibile, ma ha abbandonato la deter- minazione di pensiero (trad. Verra, p. 282). Ma vedi LAKEBRINK, I, p. 139, sulla matematizzazione della fisica moderna, e inoltre K.F. BLOCH, Die Atomistik bei Hegel und die Atomtheorie der Physik, Kastellaun 1979, cit. da VERRA, Letture, p. 157 n. 17. ( 157 ) Sdl, p. 173. Cfr. anche Enc., 98 n.: la concezione atomistica nei tempi pi recenti divenuta ancor pi importante in campo politico che in quello della fisica. Secondo tale concezione, la volont dei singoli come tali il principio dello Stato; il fattore di attrazione e la particolarit dei bisogni, delle inclinazioni, e luniversale, lo Stato, il rapporto esterno del contratto (trad. VERRA, p. 283). ( 158 ) Enc., 535; Lin. filos. dir., 75 e 258 n. Cfr. GRGOIRE, Etudes, pp. 280 s.; inoltre LAKEBRINK, I, p. 140; LONARD, p. 91; BOURGEOIS, in HEGEL, Enc., I, p. 362 n. 9; RADEMAKER, p. 61; HARTMANN, La filosofia, p. 429; FLEISCHMANN, La logica, pp. 69 s. ( 159 ) BIARD, I, pp. 108 s. ( 160 ) Sdl, p. 173. 370 HEGEL E ARISTOTELE s ed immediato, la sua relazione negativa a s relazione a un essente, a un esserci, a un altro. Sennonch questaltro lui stesso, un Essere per s, un uno. Infatti, la relazione dellUno a s come a un altro una relazione a se stesso. Laltro dallUno non pu essere un altro Qualcosa che si distingua dal primo per una determinazio- ne qualitativa. In realt, laltro, che altrettanto essenzialmente re- lazione a se stesso, non la negazione indeterminata, come vuoto, ma ugualmente un uno. Dunque luno ... un divenire molti uno ( 161 ). Hegel spiega che il prodursi dei molti uno, o del molteplice (unespressione che non deve ancora far pensare al numero quantitativo, ma piuttosto alla molteplicit indeterminata, a ta poll degli antichi) ( 162 ), non , propriamente, un divenire. Infatti, men- tre il Divenire il passaggio dellEssere nel suo contrario (il Nulla), invece nella repulsione da s dellUno, lUno, ponendo i molti, di- viene soltanto Uno; come rapporto infinito a s, lUno non diviene che se stesso, e quindi non diviene affatto ( 163 ). Hegel per distingue una prima repulsione, la repulsione se- condo il concetto (in s o intrinseca), ovvero lautorepulsione del- lUno che genera o pone i molti, i quali sono essi stessi degli uno, dalla seconda repulsione, la repulsione secondo la rappresentazio- ne della riflessione esterna ( 164 ). La relazione negativa a s dellUno, ( 161 ) Ibid. Vedi anche Enc., 97 e agg.; inoltre BIARD, I, pp. 109 s.; NIKOLAUS, Begriff, pp. 60 s.; LONARD, p. 85, ed anche LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 138 n. 77; MCTAGGART, A Commentary, pp. 38 s.; MASSOLO, Logica, p. 37; VERRA, Letture, p. 158: dalla dialettica tra lEins e il vuoto... risulta come la repulsione dellEins da se stesso non sia altro che lesplicitazione di quello che lEins in s [Sdl, p. 175]. ( 162 ) LONARD, pp. 85. Cfr., ad es., ARISTOTELE, Metaph., V 6, 1017 A 3 ss.; X 6, 1056 B 3 ss. e BERTI, Luno, pp. 165 s., 171 s. ( 163 ) Sdl, pp. 173 s. Cfr. Enc., 97; inoltre LONARD, p. 86 n. 4; LABARRIRE- JARCZYK, I, 1, p. 138 n. 77; BIARD, I, pp. 109 s.; MCTAGGART, A Commentary, p. 39; MASSOLO, Logica, p. 37; VERRA, Letture, p. 159. ( 164 ) Sdl, p. 174. 371 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s ossia la sua repulsione (prima), la posizione di un altro lui stesso, di un altro uno, il quale ne pone a sua volta un altro, e cos via ( 165 ). Invece la seconda (estrinseca) repulsione, la repulsione reciproca, si ha tra i molti uno in quanto essenti immediati o entit date. Si trat- ta degli uno presupposti gli uni agli altri, assolutamente chiusi in se stessi, senza che in essi si affermi in alcun modo la relazione ad altro ( 166 ). ( 165 ) LONARD, p. 85. ( 166 ) Sdl, p. 174. Cfr. LONARD, p. 87; BIARD, I, p. 110; MASSOLO, Logica, p. 38 (la negazione entificata in s). Si legga lintero 97 dellEnciclopedia (trad. Verra, p. 281), con le spiegazioni di LONARD, pp. 84 ss.: lEssere per s, come re- lazione del negativo a s [relazione a s = immediatezza; relazione del negativo a s = immediatezza dellUno esclusivo o escludente laltro], una relazione ne- gativa a s [= separazione, autoesclusione; cfr. anche Sdl, p. 948], e quindi di- stinzione delluno da se stesso [= autodifferenziazione negativa dellUno], la re- pulsione [immagine ricavata dalla fisica del tempo!] delluno [lUno immediato si rapporta negativamente a s respingendosi da s (cfr. Sdl, p. 174), uscendo fuori di s, (ibid.)], ossia il porre [non il divenire di!] molti uno [vedi, nel testo, il passo che precede il rinvio alla n. 165]. Secondo limmediatezza dellessente per s [= delluno] questi molti sono essenti, e la repulsione degli uno essenti diven- ta in tal modo la loro repulsione reciproca come entit date o esclusione recipro- ca [= discontinuit assoluta]. Si legga anche laggiunta al medesimo 97 (trad. Verra, p. 281): quando si parla delluno, viene usualmente da pensare anzitutto ai molti, e sorge allora la questione di dove vengano. A livello di rappresenta- zione tale questione non trova risposta, perch la rappresentazione considera i molti come immediatamente presenti, e luno unicamente come uno tra i molti; ma secondo il concetto invece luno costituisce il presupposto dei molti e la no- zione delluno implica il suo porsi come molteplice. In altri termini, luno essen- te per s, come tale, non qualcosa di irrelato come lessere, ma relazione, pro- prio come lo lessere determinato; ma luno non si riferisce come qualcosa a un altro, bens come unit del qualcosa e dellaltro, relazione a se stesso, e, preci- samente, questa relazione relazione negativa. Luno si mostra cos come ci che assolutamente incompatibile con se stesso, come ci che respinge s da se stes- so, ponendosi precisamente come il molteplice [cfr. BIARD, I, p. 110: lUno non passa nella molteplicit, ma in se stesso molteplice]. Possiamo chiamare questa parte del processo dellessere per s con lespressione figurata di repulsione... Del resto non si deve intendere il processo di repulsione come se lunit fosse ci che respinge e il molteplice ci che viene respinto; piuttosto lunit, come prima ab- biamo osservato, consiste proprio soltanto nellescludere s da se stessa, e nel porsi come molteplice. 372 HEGEL E ARISTOTELE Resta, per, da vedere in che modo la prima repulsione si de- termini a repulsione seconda ( 167 ). Ora, noi sappiamo anzitutto che il porre (Setzen) e lesser posto (Gesetzsein) sono propriamente ca- tegorie dellEssenza, e non dellEssere. Se, dunque, i molti uno por- tassero esplicitamente la traccia della loro posizione da parte del- lUno, apparterrebbero alla sfera dellEssenza. Hegel, dunque, af- ferma che, nella misura in cui gli uno sono essenti, il divenir mol- ti, o il prodursi dei molti, svanisce immediatamente come venir po- sto, ovvero questo esser-posto svanisce nella sua stessa posizione e, per cos dire, si cancella nellimmediatezza della presupposizio- ne ( 168 ). Cos i molti uno sono posti, mediante la repulsione delluno da se stesso, e tuttavia, in quanto sono essenti immediati, so- no posti come non posti, ovvero sono presupposti gli uni agli altri, senzalcuna relazione ad altro e senzalcuna differenza tra loro ( 169 ). In questo modo la molteplicit degli uno, in quanto ciascuno pura relazione a s, non unalterit, ma completa esteriorit reci- proca; al limite che, al tempo stesso, congiungeva e separava il Qualcosa e lAltro, cosicch ciascuno aveva in s un essere-per-al- tro, si sostituisce qui il vuoto, una relazione tra i molti che non una relazione ( 170 ). Lunilateralit di questo momento della repul- sione si manifesta qui nella maniera pi esplicita ( 171 ). Infine Hegel mostra la natura speculativamente contradditto- ria dellinfinit e dellUno, nel prodursi dei molti. Lautorepulsione dellUno, o la posizione dei molti, e lesplicazione o il dispiegarsi, al livello dellimmediatezza e dellesteriorit, di ci che lUno in ( 167 ) Sdl, p. 174. ( 168 ) Ibid. e LONARD, p. 87 n. 8. ( 169 ) Ibid. e LONARD, p. 87. Cfr. anche WAHL, Commentaires, p. 110; MASSOLO, Logica, pp. 38 ss.; NIKOLAUS, Begriff, p. 61. ( 170 ) Sdl, pp. 174 s. Cfr. anche BIARD, I, pp. 110 s.; MCTAGGART, A Commentary, p. 39. ( 171 ) BIARD, I, p. 111. 373 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s s ( 172 ). Nella sua esteriorizzazione sotto forma di molti, lUno su- pera questalterit e non si rapporta che a s, e tuttavia lascia fuori di s i molti come un non-essere esterno. Pertanto il prodursi della molteplicit da parte dellUno definisce questultimo come una processualit in se stessa contraddittoria, neutrale, per cos dire, rispetto ai suoi due lati: lUno si costituisce come uguale o identico a se stesso nella sua esteriorizzazione o autodifferenziazione. In questa fase i molti non si sono ancora posti nella determinazione dellUno, cio come quella totalit infinita che lUno per s ( 173 ). e) Ancora sullidealismo leibniziano e latomismo Nella nota seguen- te Hegel denuncia ancora una volta, in rapporto alla trattazione speculativa del problema dellUno e del molteplice, le insufficienze della filosofia di Leibniz e del pensiero atomistico ( 174 ). A Leibniz Hegel rivolge due obiezioni. In primo luogo Leibniz si attenuto unicamente al momento della repulsione o della posizione dei molti uno nella loro indifferenza reciproca. Cia- scuna monade uguale a s e chiusa in se stessa, ideale in quanto sottratta a ogni rapporto con laltro: la monade per s lintero mondo compiuto; nessuna ha bisogno delle altre ( 175 ). Ora, in quanto la variet (Mannigfaltigkeit) non in essa ideale se non nel senso che puramente interna (innen), questa idealit non appare come il suo proprio processo e, viceversa, luguaglianza a s della ( 172 ) Sdl, p. 175. Cfr. LONARD, p. 86; VERRA, Letture, p. 159. ( 173 ) Sdl, p. 175. Cfr. BIARD, I, p. 109 e n. 31; 111; inoltre MASSOLO, Logica, p. 41; VERRA, Letture, p. 160: la molteplicit degli Eins linfinit come prodursi della contraddizione, una contraddizione che sar superata nella terza ed ultima sezione [Sdl, pp. 176 ss.], mostrando come in repulsione ed attrazione si deter- mini ulteriormente la dialettica di Eins und Vieles in modo da superarne gli aspetti qualitativi e portare alla unit indifferente, quantitativa. ( 174 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. BIARD, I, p. 111. ( 175 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. LEIBNIZ, Monad., 7-9; FAGGIOTTO, Il problema, II, pp. 32 s., e sopra n. 107. 374 HEGEL E ARISTOTELE monade non il prodotto del processo di superamento dellalteri- t ( 176 ). In secondo luogo, Leibniz si trova nellimpossibilit di dar conto della molteplicit e di spiegare perch la posizione di una monade implica la posizione di una molteplicit di altre. Cos Leibniz ammette come un fatto la molteplicit gi data, ma non comprende che essa, per essere intelligibile e fondata, presuppone la posizione dellUno (o della monade), in quanto la molteplicit conseguenza dellinfinito respingersi dellUno da se stesso. In altre parole, Leibniz non coglie la molteplicit che come pura esteriorit, senza comprendere questultima come il risultato di un processo di esteriorizzazione dellUno, processo che altrettanto il suo rappor- to infinito a se stesso ( 177 ). Per quanto riguarda latomismo, Hegel disposto a riconosce- re che il principio dellUno o dellatomo del tutto ideale (ideell), appartiene interamente al pensiero, e che la filosofia di Leucippo non affatto empiristica, ma idealismo in senso superiore, non in quello soggettivo, ossia nel senso che, per Leucippo, la vera es- senza delle cose il pensiero ( 178 ). Cionondimeno Hegel afferma che latomistica non ha il concetto dellidealit ( 179 ), ossia non co- glie lEssere per s nella sua verit ultima, cio la sua idealit vera e propria. Quello che, anche in questo caso, manca il carattere pro- cessuale dellEssere per s, ovvero il fatto che esso si pone come identit dei suoi momenti costitutivi, lessere per s e lessere per lui. Tuttavia latomismo ed qui che si ha un progresso specula- tivo rispetto a Leibniz oltrepassa la molteplicit puramente in- differente ( 180 ); esso sinnalza allidea di un rapporto reciproco dei ( 176 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. BIARD, I, pp. 111 s. ( 177 ) Sdl, p. 176. Cfr. BIARD, I, p. 112; inoltre LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, pp. 140 s. nn. 87-88. ( 178 ) Cfr. HEGEL, JA, XVII, pp. 385 s.; Lez. st. filos., I, pp. 334 s.; inoltre VERRA, Letture, p. 157. ( 179 ) Sdl, p. 176. 375 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s molti (bench in maniera incoerente rispetto alla dottrina, cio col ricorso a qualcosa di esteriore, come il caso o il clinamen) ( 181 ), ossia allidea di una determinazione della molteplicit come processo proprio dellunit, rapporto che, in Leibniz, posto soltanto in una riflessione esterna: quella della Monade delle monadi (Dio) o quel- la del filosofo ( 182 ). La critica a Leibniz e allatomismo mostra, dunque, lunilate- ralit del momento della repulsione e la necessit di coglierne ora il processo nella sua reciprocit dialettica con lattrazione ( 183 ). 3. Repulsione e attrazione a) Lescludere dellUno Nella terza ed ultima sezione dellEssere per s Hegel mostra come la dialettica dellUno e dei molti superi gli aspetti qualitativi mediante le nozioni (pi complesse del con- cetto di vuoto come principio di movimento) di repulsione e attra- zione ( 184 ), un rapporto che, in fisica, attribuito alle forze, che, come sappiamo, risale addirittura a Empedocle (che lo introduce sotto forma di Amore e Discordia), ma che qui ha il senso pura- mente logico di esclusione e inclusione ( 185 ). Trattando anzitutto del momento di esclusione interno alla repulsione ( 186 ), Hegel rileva che lUno respinge da s i molti uno ( 180 ) Ibid. ( 181 ) Cfr. Enc., 98 n.; Lez. st. filos., II, p. 461, e WAHL, Commentaires, p. 111; VERRA, Letture, pp. 157 s. ( 182 ) Sdl, p. 176. Cfr. BIARD, I, p. 112; inoltre LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 141 nn. 92, 93, 96; VERRA, Letture, pp. 157 ss. e n. 23. ( 183 ) Cfr. BIARD, I, p. 112. ( 184 ) VERRA, Letture, pp. 149 s., 160. ( 185 ) FLEISCHMANN, La logica, pp. 68 s. e n. 1. ( 186 ) VERRA, Letture, p. 160. 376 HEGEL E ARISTOTELE da lui non generati, non posti. C una mutua e immediata repul- sione dei molti uno. Lessere per s dei molti uno si mostra come la loro autoconservazione, attraverso la mediazione della loro repul- sione reciproca ( 187 ). In questa struttura processuale, in cui ciascuno dei molti uno si comporta, riguardo agli altri, come escludente, ossia non si con- serva che respingendo gli altri e, quindi, entrando con essi in una relazione negativa, di modo che essi non si pongono che nella ne- gazione del rapporto con laltro, riemerge innanzitutto la figura dialettica dellEssere determinato ( 188 ). Infatti, lUno non per s che nella misura in cui pone i molti come un momento di alterit, il cui superamento costituisce il suo rapporto infinito a s: essi, cos, rappresentano per lui il momento dellessere per uno. Ma, cos facendo, lui stesso appare, in rapporto ai termini che esso pone, come un altro essente determinato: in quanto si rapporta ai molti che esclude da s, un essere-per-altro. I molti acquistano cos la consistenza dellessere determinato, la de- terminatezza; il momento dellalterit non soltanto ideale, non solo contenuto nellessere per s dellUno, ma, per cos dire, ridi- venta reale. Per il fatto che la repulsione reciproca o relazionale, ciascun termine non pi solo un momento del rapporto a s del- laltro; i molti respingono questa loro idealit e sono; i momenti dellessere per s e dellessere per uno, che nellidealit sono asso- lutamente uniti, ridiventano separati, divengono i molti uno ( 189 ). Si produce cos una scissione dellunit che definiva lEssere per s nella sua idealit, ossia una posizione nellesteriorit dei momenti costitutivi di questultima ( 190 ). ( 187 ) Sdl, pp. 176 s. Cfr. RADEMAKER, p. 61, ed anche LONARD, p. 87 n. 8 (in quanto sono ancora essenti, lesser-posti dei molti uno si cancella nellimmediate- za della presupposizione) . ( 188 ) Sdl, pp. 176 s. Cfr. BIARD, I, pp. 113 s. ( 189 ) Sdl, p. 177. Cfr. BIARD, I, p. 114. ( 190 ) BIARD, I, p. 114. 377 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s Sennonch questa risorgenza dellEssere determinato e del- lalterit qualitativa subito da Hegel ricompresa nel significato conferitole dallelemento in cui si sviluppa la dialettica dellEssere per s: quello del superamento di ogni determinazione qualitati- va ( 191 ). Infatti i molti uno si superano reciprocamente, cosicch cia- scuno un semplice essere-per-altro, ma, nello stesso tempo, si conservano come tali che non siano per altro. Una siffatta contrad- dizione allorigine della loro dissoluzione ( 192 ). In effetti, in primo luogo, i molti uno, nel loro essere in s, sembrano diversi, sembrano essere solo relazione a s e non rela- zione ad altro, ma in realt sono identici: tutti sono uno ( 193 ). Co- me il Qualcosa e lAltro erano tutte due degli Altri puri e semplici, assolutamente indiscernibili e dunque interamente identici, cos qui i molti, dal momento che ciascuno uno dei molti allo stesso titolo degli altri, sono la stessa cosa ( 194 ). In secondo luogo, i molti uno sono identici nel loro porsi, nel loro negarsi reciproco, nella loro idealit, ossia nel loro contenere in s gli altri come ideali, come momenti ( 195 ). Ne deriva che gli uno non sono che ununica unit affermativa ( 196 ). C, per, una seconda via proposta da Hegel alla speculazio- ne. Questa via non pi quella di un confronto esteriore degli uno tra loro, di una nostra riflessione esterna su di essi, ma quella di una considerazione oggettiva (occorre vedere [sehen] ecc.) di ci che la repulsione in se stessa ( 197 ). ( 191 ) Ibid. ( 192 ) Sdl, p. 177 (e 176). ( 193 ) Ivi, p. 177. ( 194 ) Enc., 98: i molti... sono luno quello che laltro; ciascuno uno, o anche uno dei molti; perci sono la stessa cosa (trad. Verra, p. 282). Cfr. LONARD, p. 88. ( 195 ) Sdl, pp. 177 s. ( 196 ) Ivi, p. 178. ( 197 ) Ibid. Cfr. Enc., 98: la repulsione considerata in se stessa, come rap- porto negativo dei molti uno luno rispetto allaltro, altrettanto essenzialmente 378 HEGEL E ARISTOTELE Ora, considerata in se stessa, la repulsione, in quanto esclu- sione reciproca degli uno, il rapporto negativo dei molti uno gli uni contro gli altri. Questo rapporto certamente negativo, e tutta- via un rapporto, e pertanto la repulsione, in quanto rapporto ne- gativo dei molti uno gli uni contro gli altri, altrettanto essenzial- mente la loro relazione gli uni agli altri. Si tratta di vedere quale relazione lUno, nel suo stesso atto di respingere, intrattenga con i molti uno che egli respinge. Ora, i termini a cui lUno si riferisce nel suo respingere sono essi stessi degli uno. Dunque, in essi lUno si riferisce a se stesso. La repulsione perci altrettanto essenzial- mente attrazione. O, ancora, la repulsione altrettanto non-repul- sione, e lesclusione inclusione o continuit assoluta. Di conse- guenza lUno esclusivo, nel quale culminava lEssere per s, e dun- que lEssere per s con lui, si supera; non sparisce senzaltro, ma di- venta un momento ideale del continuo, dellunit continua che posta nellunico Uno dellattrazione. Infatti lattrazione, come rap- porto positivo didentit degli uno esclusivi, non altro che questo porsi in un unico Uno dei molti uno ( 198 ). b) La libert astratta (il male) e la riconciliazione con laltro. La dialettica platonica del Parmenide Nella nota Hegel in primo luogo applica al mondo spirituale la concezione atomistica (ma anche il pensiero di Kant e Fichte), e la condanna in nome della riconciliazione (Ver- la loro relazione reciproca (trad. VERRA, p. 282; inoltre LONARD, p. 88. Vedi anche Fen., I, p. 75: ma non solo secondo questo lato per cui concetto e oggetto, la misu- ra e ci che si deve esaminare, si trovano nella coscienza stessa, diviene superflua una nostra aggiunta, ma noi veniamo anche dispensati dalla fatica della compara- zione dei due elementi e del vero e proprio esame; cosicch, mentre la coscienza esamina se stessa, anche per questo lato a noi resta soltanto il puro stare a vedere (das reine Zusehen), e CHIEREGHIN, Dialettica, p. 255, col richiamo a quello che Czanne diceva di Monet: Monet, ce nest quun oeil, mais quel oeil!. ( 198 ) Enc., 98 e Sdl, p. 178. Cfr. LONARD, pp. 88 s.; inoltre LABARRIRE- JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 105; BIARD, I, p. 115; MCTAGGART, A Commentary, p. 40. 379 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s shnung) con laltro. Atomismo vuol dire indipendenza dellindi- viduo, libert individuale astratta e, in ultima analisi, male (das Bse) ( 199 ). Se lindividuo si oppone alla societ, o, pi in generale, a quella totalit che la sua essenza, nega se stesso, si distrugge ( 200 ). Hegel ricorda poi lantica proposizione che lUno molte- plice e il molteplice Uno ( 201 ), una proposizione che compendia la posizione assunta dai pluralisti Empedocle, Anassagora e Demo- crito contro il monismo della scuola eleatica (il tutto uno) ( 202 ), e che stata ripresa con ben maggiore intensit speculativa nel Parmenide di Platone. Hegel si richiama per a unosservazione fat- ta in precedenza ( 203 ), notando che la verit dellUno e dei molti, se viene espressa in proposizioni, appare in una forma inadeguata. Tale verit va invece espressa soltanto come un divenire, come un processo, repulsione e attrazione per lappunto, e non come lesse- re come esso posto in una proposizione, quale quieta unit ( 204 ), ossia quale copula che esprime solo lidentit del soggetto e del ( 199 ) Si ricordi, in Anassimandro, lingiustizia cosmica della scissione dei contrari, a cui corrisponde, in campo giuridico, lo smodato possesso. Cfr. TODE- SCAN, Considerazioni, pp. 420 ss., 423. ( 200 ) Sdl, p. 179. Cfr. VANNI ROVIGHI, pp. 111 s .; inoltre RADEMAKER, pp. 61 s. e n. 84. Rademaker osserva che alla posizione esposta e criticata in Sdl, p. 179, si op- pone Sdl, p. 178: il negativo rapportarsi reciproco degli uno cos nientaltro che un fondersi con se stesso. Questa identit, in cui trapassa il loro respingersi, il superamento della loro diversit ed esteriorit, che essi invece, come esclusivi, dovrebbero affermare luno contro laltro. Egli cita anche Prop., p. 236: il rappor- to morale con lAltro in generale, si fonda sulloriginaria identit della natura umana. Vedi inoltre WAHL, Commentaires, pp. 114 s.; MASSOLO, Logica, pp. 41 s.; LAKEBRINK, I, p. 135 (coi rimandi a Fen., II, pp. 184 ss.; Enc., 512; Lez. filos. rel., III, p. 150: la finitezza, nel suo essere-per-s contro Dio, il male (das Bse); vedi JA, XVI, pp. 301, 346). ( 201 ) Sdl, p. 179. ( 202 ) Cfr. JOHNSON, The Critique, p. 29, con il richiamo alla critica antieleatica del Sofista e del Parmenide. ( 203 ) Sdl, p. 80. ( 204 ) Ivi, p. 179. Cfr. VERRA, Letture, p. 150 n. 6. 380 HEGEL E ARISTOTELE predicato e prescinde dalla loro differenza ( 205 ). Hegel riconosce la grandezza della trattazione platonica del problema del rapporto tra Uno e molti nel Parmenide, l dove viene evidenziato come la questione concerne quello che accade allUno quando necessaria- mente si rovescia nel molteplice o viceversa ( 206 ). Tuttavia, come sappiamo ( 207 ), Hegel non nasconde le sue riserve specialmente ri- guardo allo sviluppo dialettico della seconda ipotesi del Parmenide se lUno , in quanto processo di osservazione o riflessione ester- na, che presuppone come distinte le due nozioni di Uno e di e stabilisce tra loro un confronto ( 208 ). Secondo Platone ( 209 ), la propo- sizione lUno contiene la molteplicit per il fatto che il verbo differente dallUno ( 210 ). Ora, per Hegel, la dialettica platonica non del tutto pura ( 211 ) non tanto perch la proposizione lUno non sembra necessaria, bens arbitraria ( 212 ), ma piuttosto perch la molteplicit non viene dedotta dallUno stesso, ma dallanalisi grammaticale della proposizione. Il legame ( 213 ) tra lUno e il molte- plice non sarebbe, dunque, essenziale, ma semplicemente linguisti- co ( 214 ). ( 205 ) Sdl, p. 80. ( 206 ) Lez. st. filos., II, pp. 213 s.; Enc., 81 agg. 1 (trad. Verra, p. 251). Cfr. VERRA, Letture, p. 149, ed anche WAHL, Commentaires, p.115. ( 207 ) MOVIA, Essere, p. 518. ( 208 ) Sdl, pp. 179 e 92; Lez. st. filos., II, pp. 214 s. Cfr. VERRA, Letture, p. 149 e n. 5. ( 209 ) Parm., 142 B-C. ( 210 ) Cfr. MIGLIORI, Dialettica, p. 225: il passaggio del verbo essere dalla funzione di copula [prima ipotesi: se lUno Uno] a quella di predicato verbale comporta luscita dallunicit dellUno-Uno e laffermazione dellUno-Ente. ( 211 ) Lez. st. filos., II, p. 215. ( 212 ) Cos, invece, crede GADAMER, La dialettica, p. 11. ( 213 ) Lez. st. filos., II, p. 215. ( 214 ) VIEILLARD-BARON, Platon, pp. 318 s. (e 314). Vedi, dello stesso, Le Mme et lAutre, pp. 133 s. 381 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s Qualcosa di simile, avverte Hegel, si verifica anche nella pro- posizione il molteplice uno di cui qui ci si occupa. , infatti, la riflessione esterna che mostra che ciascuno dei molti (ognuno ester- no allaltro) uno, che gli uno esclusivi sidentificano ( 215 ). Parados- salmente, la repulsione ci che pone gli uno come identici ( 216 ). Ora, lattrazione non altro che la presa di coscienza di questo fat- to, senza che (come si vedr), a motivo di questo fatto, si debba tra- scurare la differenza tra gli uno ( 217 ). c) Lunico Uno dellattrazione Se il momento di esclusione, interno alla repulsione, costituisce la realt degli uno, allinverso lattrazio- ne, quale concentrazione e raccolta dei molti uno in un unico Uno, ne rappresenta lidealit ( 218 ). LUno (o, meglio, lunit), che il ri- sultato dellattrazione in quanto posizione dellindistinzione dei molti uno, non pi lUno immediato ed esclusivo da cui siamo partiti, ma lUno mediato, lUno posto come Uno, che ha trasfi- gurato la realt in idealit, lUno in cui si idealizza la realt finita dei molti uno ( 219 ). Come la repulsione un escludere dellUno che si riferisce sempre ad altri uno, e quindi una relazione dellUno a se stesso, e, in questo senso, essa stessa attrazione, la include come suo mo- mento costitutivo, altrettanto lattrazione il porre la distinzione ( 215 ) Sdl, p. 179. ( 216 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 111. Cfr. anche LONARD, p. 88. ( 217 ) Sdl, pp. 179 s. Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 111; WAHL, Commentaires, p. 115. ( 218 ) Sdl, p.180. Cfr. VERRA, Letture, p. 160; inoltre MCTAGGART, A Commen- tary, p. 40; LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 nn. 111 e 113; BIARD, I, p. 96; LONARD, p. 89. ( 219 ) Sdl, pp. 180 s. Cfr. LONARD, pp. 89 s.; inoltre HARTMANN, La filosofia, p. 430; LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, pp. 145 n. 114; 146 nn. 119-21; BIARD, I, pp. 117 s.; MASSOLO, Logica, p. 43. 382 HEGEL E ARISTOTELE degli uno di cui essa lunit, lidealit realizzata. Lattrazione non inghiotte gli uno che attrae in un solo punto, che sarebbe la morte stessa dellattrazione, lestinguersi della sua tendenza in una quiete inerte. In altri termini, lattrazione non nega, non supera astrattamente gli uno che attrae, ma in tanto li pu attrarre in quanto contiene nella sua determinazione interna la negazione di se stessa, la repulsione come suo momento costitutivo ( 220 ). d) La relazione di repulsione e attrazione Come il rapporto tra Uno e molteplice, cos anche quello tra repulsione e attrazione non si la- scia ridurre allinterpretazione patrocinata dallintelletto, secondo la quale si tratta di termini tra loro indipendenti e rispetto ai quali il rapporto sopravviene estrinsecamente ( 221 ). In particolare, la repulsione non soltanto il vuoto; bench sia negativa, essa es- senzialmente relazione. Il collegamento per cui gli uno si oppongo- no tra loro non altro che lattrazione, che si trova quindi nella re- pulsione stessa ( 222 ). Se, dunque, ciascuna di queste due determina- zioni presuppone dapprima solo se stessa, non si riferisce che a s, tale presupporsi di entrambe le determinazioni implica, poi, che ciascuna contiene in s laltra come suo momento, ed in ci che consiste la loro unit o identit speculativa ( 223 ). Lunico Uno dellattrazione si dimostra cos come il culmine dellEssere per s e della qualit ( 224 ). Questo nuovo Uno afferma, ( 220 ) Sdl, pp. 181 s. Cfr. VERRA, Letture, pp. 160 s.; inoltre LABARRIRE-JARCZYK, I, pp. 145 n. 116; 146 nn. 119-21. ( 221 ) Sdl, pp. 181 s. Cfr. VERRA, Letture, pp. 148 s.; inoltre MASSOLO, Logica, p. 42. ( 222 ) Sdl, p. 182, e Enc., 98. Cfr. VERRA, Letture, p. 159 n. 23; inoltre MASSOLO, Logica, p. 42; MCTAGGART, A Commentary, p. 41: se A se stesso solo a condizione di non essere B, allora lesistenza di B essenziale ad A e la relazione tanto positiva quanto negativa. ( 223 ) Sdl, pp. 182 ss. Cfr. BIARD, I, p. 120; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 136. ( 224 ) Sdl, p. 184. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 137. 383 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s nei riguardi del molteplice, la sua infinit concreta; esso, a differen- za dellUno iniziale e immediato, la negazione della negazione posta come tale, cio, per lappunto, come infinit concreta e me- diata. LUno, che si negato nei molti uno, nega questa negazione e si pone cos come infinita relazione a s, come assoluta automedia- zione, in cui si idealizza la realt finita dei molti uno ( 225 ). In altri termini, lUno, come Essere per s compiuto, la mediazione per cui, negandosi, ovvero superando laltro, i molti, si riferisce a se stesso e si congiunge con s in una nuova immediatezza semplice: la quantit ( 226 ). Il passaggio dalla qualit alla quantit si effettua precisamen- te perch il presupporsi reciproco di repulsione ed attrazione ( 227 ) ha consumato ogni residuo di alterit qualitativa tra i momenti dellEssere per s, tra lUno e il molteplice, e ha innalzato il qua- litativo a vera unit, cio ad unit non pi immediata, ma posta come concordante con s ( 228 ). Il quantitativo, dunque, pu emer- gere solo perch la qualit o la determinatezza in generale si con- clude con lUno. Dal punto di vista ontologico la qualit precede cos la quantit, bench nella natura, che si presenter successiva- mente, avvenga il contrario ( 229 ). Lunit, che si appena descritta, essere affermativo o im- mediatezza mediata (a differenza dellEssere iniziale), essere de- ( 225 ) Sdl, pp. 184 s. Cfr. LONARD, pp. 89 s. ( 226 ) Sdl, p. 185. ( 227 ) Ivi, p. 184. ( 228 ) Ivi, p. 185. Cfr. VERRA, Letture, p. 161. ( 229 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 519 n. 39. Vedi anche Enc., 254 n.: la natura... comincia non col qualitativo, ma col quantitativo, perch la sua determinazione non , come lessere logico, il primo astratto e limmediato, ma gi essenzial- mente il mediato in s, lessere che esteriormente ed altro (trad. Croce, p. 230) e LAKEBRINK, I, pp. 137 s.; inoltre MCTAGGART, A Commentary, p. 41 (per Hegel, la quantit costituisce un avanzamento rispetto alle forme pi semplici e rudimentali di qualit, ma una categoria inadeguata rispetto alle determina- zioni qualitative pi complesse); WAHL, Commentaires, pp. 96 s. 384 HEGEL E ARISTOTELE terminato assoluto (a differenza dellEssere determinato tematizza- to nel secondo capitolo), ed essere per s ( 230 ); come Hegel si espri- me nellEnciclopedia, la determinatezza qualitativa... ha raggiunto nellUno il suo essere determinato in s e per s ( 231 ). La determi- natezza qualitativa ha nellUno il suo essere determinato, perch lUno la relazione del negativo a se stesso. Essa ha nellUno il suo essere determinato in s e per s, giacch lUno la relazione del ne- gativo a se stesso, vale a dire non pi la vuota astrazione dellessere- in-s della determinatezza qualitativa, e neppure la relativit finita del suo essere-per-altro, ma la vera infinit della sua identit con s (essere-in-s) come relazione negativa (essere-per-altro, essere- per-uno) a se stesso (essere-per-s) ( 232 ). Ora, nellattrazione, lUno esclusivo o lessere per s si supera ( 233 ). In tal modo la determina- tezza qualitativa, ovvero la qualit, ... passata nella determina- tezza come superata ( 234 ), cio non nella pura indeterminazione, ma nella determinazione che non determina pi lessere qualitati- vo, cio nel limite che non un limite ( 235 ), ovvero nella determi- natezza indifferente allessere qualitativo e alla quale lessere qua- litativo indifferente ( 236 ). Questa determinatezza superata e questessere che indiffe- rente rispetto alla sua determinatezza, lessere che si continua nella sua uguaglianza a s attraverso la determinatezza e nono- stante questa: lessere come quantit ( 237 ). Ad es., un campo resta ( 230 ) Sdl, pp. 185 s. ( 231 ) Enc., 98 (trad. Verra, p. 282). ( 232 ) LONARD, p. 90. ( 233 ) Enc., 98 (trad. Verra, p. 282). ( 234 ) Ibid. ( 235 ) Sdl, p. 186. ( 236 ) Ibid. e p. 195. ( 237 ) Enc., 98 e agg. 2; Sdl, p. 186. Cfr. LONARD, p. 90; inoltre LAKEBRINK, I, p. 137. 385 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s un campo indipendentemente dalle sue determinazioni quantitati- ve. Le sue variazioni di grandezza sono bens determinazioni, ma determinazioni indifferenti ed estrinseche allessere del campo. La quantit limita il campo, ma non come campo; per lappunto: un limite che non un limite ( 238 ). e) Critica alla costruzione kantiana della materia Nella nota succes- siva Hegel critica la rappresentazione, proposta dalla fisica moder- na, dellattrazione e della repulsione come forze separate e indi- pendenti, che si applicano dallesterno ad un terzo (als in einem Dritten), la materia, costituendola come tale ( 239 ); non si pu non ri- cordare qui l espressione platonica trton ti, usata ad esempio nel Filebo per designare il genere del misto come unit di limite e illi- mitato ( 240 ). Ora, merito di Kant, con la sua cosiddetta costruzione dinamica della materia, di aver rivendicato lunit necessaria di re- pulsione e attrazione, nonostante che tale riconoscimento non eli- mini, in Kant, la loro reciproca esteriorit e autosussistenza; la manchevolezza principale della dottrina kantiana al riguardo , anzi, che tali forze vengono postulate come date e non vengono de- dotte ( 241 ). O, per meglio dire, la deduzione kantiana delle forze ha il consueto significato di legittimazione delluso di un concetto, e non ancora il senso hegeliano di esposizione di ci che contenu- to in un concetto ( 242 ). Per Hegel, le due forze sono soltanto mo- ( 238 ) Sdl, p. 196. Cfr. Enc., 92 agg., 98 agg. 2; inoltre LONARD, p. 90 n. 8. ( 239 ) Sdl, p. 186. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 119; RADEMAKER, p. 62; BIARD, I, p. 97. ( 240 ) PLATONE, Phil., 23 C 12-D 1. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 119. ( 241 ) Sdl, pp. 187 ss., 190; Enc., 98 e agg. 1 (e le note di VERRA, pp. 283 s.), 262 n.; inoltre VERRA, Letture, p. 158; BIARD, I, pp. 127 s. Vedi i passi dei Primi principi metafisici della scienza della natura di Kant citati in HEGEL, GW, XXI, p. 422. ( 242 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, pp. 153 s. nn. 154-57. Labarrire-Jarczyk (I, 1, pp. 154 n. 156, 160 n. 190) rilevano anche che Kant deduce bens lattrazione e la 386 HEGEL E ARISTOTELE menti, che passano luno nellaltro, e questo, secondo Hegel, in- consapevolmente ammesso dallo stesso Kant ( 243 ); la materia ri- sulta da quelle forze soltanto come da momenti concettuali, ma essa il presupposto per la loro apparizione ( 244 ). IV. La critica di Trendelenburg alla categoria dellEssere per s 1. Attrazione e repulsione e legame con lintuizione sensibile Anche nel caso della categoria dellEssere per s la critica di Trendelen- burg intende colpire tanto il concetto hegeliano di negazione quan- to quello didentit ( 245 ). Per il primo aspetto egli si occupa della nozione di repulsione, cominciando peraltro col rilevare, da un punto di vista generale, che lattrazione e la repulsione non costitui- scono delle determinazioni logiche, ma delle specie del movimen- to nelle quali si ancora soltanto espressa lopposizione della dire- zione; impossibile intendere queste due nozioni senza il movi- mento spaziale universale ( 246 ). Ritorna qui la ben nota obiezione di Trendelenburg alla logica hegeliana che pretende di essere priva di presupposti, mentre invece, per generare il processo dialettico, repulsione a partire dal concetto di materia (impenetrabilit) derivato dallespe- rienza (cfr. Sdl, pp. 188, 192), ma non deduce, come crede Hegel (ivi, p. 187), la materia a partire dalle due forze in questione. Cfr. anche BIARD, I, pp. 125 e 130: Kant presuppone una materia gi data, precostituita, e semplicemente messa in movimento dalle due forze (cfr. Sdl, p. 192; Enc., 98 n.); Hegel teorizza invece lunit dialettica di materia e movimento. ( 243 ) Sdl, pp. 190, 192. Cfr. LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 159 n. 187; BIARD, I, p. 129: nello stesso discorso intellettualistico kantiano si manifesta lidentit dialettica delle due forze. ( 244 ) Enc., 262 n.; trad. Croce, p. 241. ( 245 ) Cfr. MOVIA, Finito, pp. 646 ss. ( 246 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 41 s. (cfr. trad. Verra, p. 63 n. 10; trad. Morselli, p. 11; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp. 87 e 95). 387 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s deve desumere surrettiziamente la rappresentazione del movimen- to, ricavata dallintuizione sensibile ( 247 ). Bisogna per ricordare ( 248 ) che la repulsione, per Hegel, esprime solo il fatto che lUno si respinge da s, esclude da s laltro e, quindi, implica la molteplicit, mentre lattrazione esprime il fat- to che lUno, nella sua repulsione dellaltro uno, si riferisce solo a se stesso. Con i concetti di repulsione e attrazione Hegel non intende altro che questo stato di cose logico. Non si tratta di propriet o di principi dellessere materiale. Certamente, come abbiamo visto, queste determinazioni possono servire alla comprensione concet- tuale di contenuti reali, come quello della materia spazio-tempora- le ( 249 ). Tuttavia, in quanto determinazioni logiche, non traggono da l la loro vera origine. La loro connessione con i contenuti della realt viene da Hegel espressa in questi termini: unesistenza come la materia sensibile non certo un oggetto della logica, non pi che lo spazio e le determinazioni spaziali. Ma anche le forze at- trattiva e repulsiva, in quanto si considerano come forze della ma- teria sensibile, hanno per fondamento le determinazioni pure del- lUno e dei molti qui considerate e quelle loro relazioni reciproche che (essendo questi i nomi pi alla mano) ho chiamato repulsione e attrazione ( 250 ). La logica hegeliana, insomma, non considera la materia se non nella misura in cui in essa si esprimono le deter- minazioni pure dellUno e del molteplice, e non in rapporto a ci che in essa ha la caratteristica dellimmediatezza sensibile ( 251 ). An- che in questo caso si potrebbe dire che, se le due forze fisiche costi- tuiscono il presupposto genetico o conoscitivo di quelle determina- ( 247 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 42 (cfr. trad. Morselli, p. 12; inoltre BERTI, La critica, p. 354; MOVIA, Essere, pp. 520 s.). ( 248 ) Con SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 88. ( 249 ) Cfr. Enc., 262. ( 250 ) Sdl, p. 187. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 88. ( 251 ) LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 152 n. 151. 388 HEGEL E ARISTOTELE zioni logiche, esse, peraltro, trovano in queste ultime il loro pre- supposto validativo e veritativo ( 252 ). 2. La repulsione e il concetto di negazione Per ci che riguarda pi specificamente il concetto hegeliano di repulsione e il ruolo in esso esercitato dalla negazione, Trendelenburg affronta innanzitutto il problema della plausibilit della deduzione della repulsione, ossia dellautodifferenziazione dellUno in molti uno. Il punto di parten- za il concetto dellEssere per s. Esso significa autorelazione, che il necessario risultato concettuale della dialettica del Qualcosa e dellAltro. LEssere per s relazione a se stesso ( 253 ); non pi rela- zione ad altro, ma ha ormai assunto laltro come suo momento. Quello che, per Trendelenburg ( 254 ), non si riesce a comprendere come la relazione del negativo a s divenga una relazione nega- tiva a s ( 255 ). Nella dialettica del Qualcosa e dellAltro, mediante la negazione della negazione ( 256 ), stata guadagnata la posizione dellEssere per s; non si vede come ora allimprovviso la relazione del negativo a s, dimenticando questo suo significato, si volga con- tro se stessa e diventi una relazione negativa che frantuma ( 257 ) den- tro di s il tutto (das Ganze) appena prodotto ( 258 ). LEssere si riferi- sce a se stesso e con ci forma lunit di un tutto. Com che compare la relazione negativa, la distinzione dellUno da se stesso? ( 259 ). ( 252 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 521 n. 66, e HSLE, Hegel, p. 27. ( 253 ) Enc., 96. ( 254 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad. Morselli, p. 21; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96). ( 255 ) Cfr. Enc., 97. ( 256 ) Ivi, 95. ( 257 ) Sdl, p. 180: lautoframmentazione o lautofrantumarsi dellUno. ( 258 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad. Morselli, p. 21; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96). ( 259 ) Ibid. Vedi Enc., 97. 389 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s In secondo luogo, Trendelenburg ribadisce che, mentre la ne- gazione un concetto logico, la repulsione un concetto ricavato dallintuizione. Da un punto di vista logico chiaro cosa sia la ne- gazione, ed anche la negazione della negazione, ovvero la relazio- ne negativa a se stesso ( 260 ). Invece, che lUno si nega in se stesso del tutto incomprensibile, se non sinterpola (sich... unterschiebt) lintuizione che dice: lUno respinge s da s ( 261 ). Certo, tra nega- zione logica (od opposizione tra contraddittori) ( 262 ) e repulsione sussiste una vaga analogia, ma luna non pu essere scambiata con laltra senza far intervenire lintuizione sensibile ( 263 ). Trendelenburg aggiunge ancora che il modo in cui Hegel comprende concettualmente la repulsione contiene un presupposto teorico che, a questo livello della logica, privo di qualunque giu- stificazione: nel concetto lUno respinge s da se stesso conte- nuta non una semplice rappresentazione tratta dalla meccanica, come potrebbe sembrare, ma gi la difficile nozione di una libera attivit che opera in virt di se stessa, di una sostanza che agisce puramente da s e su stessa. Largomentazione hegeliana si basa, dunque, su un concetto che non deriva n dalla negazione logica n dal fatto della repulsione ottenuto tramite lintuizione, ma che avrebbe bisogno di una trattazione pi ampia. Concetti di tale portata conclude Trendelenburg sono forse ottenibili cos fa- cilmente? ( 264 ). ( 260 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 49 s. (cfr. trad. Verra, p. 64; trad. Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96). ( 261 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad. Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96). ( 262 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 43 (cfr. trad. Verra, p. 59; trad. Morselli, p. 13). ( 263 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 49 s. (cfr. trad. Verra, pp. 64 s.; trad. Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96) . ( 264 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 50 (cfr. trad. Verra, p. 65; trad. Morselli, pp. 22 s.; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96). 390 HEGEL E ARISTOTELE Ora, riguardo alla critica di Trendelenburg, che ritiene illegit- timo il passaggio dallautorelazione allautodifferenziazione del- lUno, bisogna osservare ( 265 ) che, nel concetto di relazione a s, c anche un momento negativo. Ci che si riferisce a s deve anzitut- to esser contrapposto a s, altrimenti quellespressione non avrebbe senso. Ma se si contrappone a s, non pu contrapporsi a s che come un tutto. Non si tratta di due parti che si integrano a vicenda, che si riferiscono luna allaltra, e neppure di un Qualcosa che si rapporta ad un Altro, ma della relazione a s del tutto come un tut- to. Nella contrapposizione, dunque, la negazione interessa ugual- mente il tutto. Ci che si riferisce a s si nega, respinge s da se stesso ( 266 ). Quella che Hegel chiama repulsione non altro che il momento negativo dellautorelazione dellEssere per s. Trendelen- burg, invece, pensa il negativo come qualcosa che gi dato e che solo successivamente si riferisce a s ( 267 ). Diciamo meglio ( 268 ): lunit dellEssere per s , secondo Hegel, il luogo logico della determinazione, interamente astratta, dell unit o dell Uno ( 269 ). Nella relazione a s il riferimento al- lAltro, e quindi il mutamento, superato. Pertanto, ci che si rife- risce a s non si pu pi intendere come il precedente Qualcosa, non ha pi un Altro al di fuori di s: per s. Ma, per quanto ven- ga pensato come privo di distinzioni e immediato, per lappunto come Uno astratto ( 270 ), tuttavia nel per s, da cui ci che si riferi- sce a s determinato, c la negazione. la negazione che conduce il pensiero a concepire la pluralit degli uno indifferenziati. Non si ( 265 ) Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 117. ( 266 ) Sdl, p. 174. ( 267 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118. ( 268 ) Ancora con Schmidt. ( 269 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118. ( 270 ) Sdl, p. 168; Enc., 96. 391 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s pu pensare o, meglio, pensare a fondo lUno senza pensare insie- me la pluralit degli uno ( 271 ). Il rifiuto, poi, di Trendelenburg di ammettere la negazione allinterno dellautorelazione diventa comprensibile solo se lo si connette alla sua tesi generale della dipendenza dei concetti dallin- tuizione sensibile ( 272 ). In questo modo la repulsione viene intesa come un evento che si verifica tra cose reali. Indubbiamente i ter- mini repulsione o autoframmentazione sono legati alla sensibilit e, quindi, la loro scelta da parte di Hegel pu non essere stata mol- to felice. Tuttavia egli ha sottolineato con grande chiarezza che, in questo contesto, non si tratta di cose, del loro frammentarsi e simi- li, ma delle pure determinazioni considerate per s, che, in prima istanza, non hanno nulla da spartire con lintuizione sensibile ( 273 ). Hegel, anzi, mette esplicitamente in guardia contro uninterpreta- zione pesantemente realistica di tali nozioni, rilevando il carattere figurato e simbolico del termine repulsione ( 274 ). ( 271 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118. ( 272 ) Ibid. Come sappiamo, la filosofia classica non ha mai negato che gli stessi concetti metafisici siano permeati da esperienze fisiche! Cfr. GIACON, Le gran- di tesi, pp. 129 ss. (sullorigine e il valore delle idee). ( 273 ) Sdl, p. 187 (cfr. anche ivi, p. 174: la repulsione secondo il concetto). ( 274 ) Enc., 97 n. (vedi sopra n. 166). Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp. 118 s.; inoltre HARRIS, Hegels Logic, p. 237: risposta allobiezione, dispirazione trendelenburghiana, di Rosenkranz (vedi per in SAMON, Dialettica, un cenno sul- la critica di Rosenkranz allempiria astratta di Trendelenburg); MCTAGGART, A Commentary, p. 41; MURE, A Study, p. 56 n. 3; LABARRIRE-JARCZYK, I, 1, p. 152 n. 151; VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 111 e 113 (per Hegel, diversamente da Kant, bisogna partire dalla logica per determinare a quali condizioni la materia possa esistere); RADEMAKER, p. 61; LAKEBRINK, I, p. 136 (latto negatore del negativo, in quanto si di- rige verso se stesso, mette capo alla distinzione dellUno da se stesso, ossia alla posizione dei molti uno); BIARD, I, p. 124 (i diversi livelli del discorso hegeliano: forza attrattiva/forza repulsiva, coppia speculativa attrazione/repulsione, livello logico delle pure determinazioni Uno/molteplice); JOHNSON, The Critique, p. 33. 392 HEGEL E ARISTOTELE 3. Lattrazione e il concetto didentit Nellaffrontare la tematica he- geliana dellattrazione e della sua unit con la repulsione, Trende- lenburg ( 275 ) ricorda che, per Hegel, lattrazione il movimento con cui la repulsione, determinata come negazione, viene ad identifi- carsi: la repulsione ... altrettanto essenzialmente attrazione ( 276 ). Ma proprio questo punto, secondo Trendelenburg, non per nulla convincente. Perch mai la repulsione deve includere in s lattra- zione? Infatti, in primo luogo sostiene Trendelenburg , anche se i molti uno sono identici in rapporto alla loro origine, ossia alluni- co Uno dalla cui autodistinzione tutti derivano ( 277 ), tale identit secondo un determinato aspetto non autorizza a parlare di uniden- tit in senso assoluto ( 278 ). Inoltre, pur se ciascuno dei molti uno esercita la medesima attivit, ossia la negazione reciproca ( 279 ), non per questo legitti- mo affermare la loro concordanza e identit. Anche in questo caso si tratta unicamente di unidentit sotto un aspetto particolare. Per di pi, non si comprende per quale motivo, in base a questidenti- t, si possa parlare di attrazione ( 280 ). Infine, lidentit degli uno, che risulta dal fatto che i termini a cui lUno si riferisce nel suo respingere, sono degli uno ( 281 ), lidentit in un termine di paragone. Gli uno che si escludono sono uguali in quanto sono tutti uno. Ma questidentit non un fon- ( 275 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 61 s., 302 ss. ( 276 ) Enc., 98. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 125. ( 277 ) Enc., 97-98. ( 278 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, 302 s. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 125. ( 279 ) Sdl, p. 177. ( 280 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 303. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 125. ( 281 ) Enc., 98; trad. Verra, p. 282. 393 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s dersi con se stesso ( 282 ), non unattrazione. Si ritrova qui, con- clude Trendelenburg, la medesima dimostrazione dellidentit del Qualcosa e dellAltro ( 283 ). Bisogna rispondere ( 284 ) che linterpretazione di Trendelenburg dellattrazione hegeliana una conseguenza pressoch inevitabile della reificazione che egli opera della molteplicit degli uno ( 285 ). Sennonch le determinazioni della Scienza della logica non esprimo- no rapporti tra cose gi date; il concetto dei molti uno non va inte- so come una moltitudine di cose. I concetti di Uno e di molti uno devono esser considerati come determinazioni logiche e come membri di una connessione logica. Di qui la loro mutua implica- zione o, per esprimere la cosa in maniera pi dinamica, il passare luna nellaltra di entrambe le determinazioni ( 286 ). Si gi visto sopra che il concetto di Uno, per Hegel, non si pu pensare senza quello della pluralit degli uno, senza la di- stinzione dellUno da se stesso ( 287 ), e dunque senza la repulsione degli uno. Il concetto di Uno postula quello dei molti uno e lo rac- chiude gi in s. Tuttavia con questo la dialettica dellUno e dei molti non giunta ancora alla fine. Infatti la distinzione dellUno da s, come relazione negativa, ugualmente relazione, cio con- nessione e unit in questa distinzione ( 288 ). La relazione, come unit nella mutua distinzione degli uno, lattrazione; senza questul- ( 282 ) Sdl, p. 178. ( 283 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 303 s. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissen- schaft, pp. 125 s. ( 284 ) Sempre con SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, I, pp. 135 s. ( 285 ) Cfr. TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 61: la comparazione sospesa so- pra le cose (vedi trad. Morselli, p. 37); 304 s.: lesempio delle formiche che esco- no dal nido! ( 286 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp. 135 s. ( 287 ) Enc., 97; trad. Verra, p. 281. ( 288 ) Ivi, 98. 394 HEGEL E ARISTOTELE tima il concetto di molteplicit non trova unadeguata spiegazio- ne ( 289 ). V. Considerazioni conclusive 1) LEssere per s la prima forma, la forma immediata, in cui, per Hegel, si presenta il vero infinito. Come negazione della negazione ha, dunque, laltro in lui stesso. Quali esempi dellEsse- re per s Hegel adduce la coscienza e lautocoscienza; la prima, in quanto, nel rappresentarsi loggetto, essa rimane presso di s; la se- conda, in quanto essa esplicitamente riconosce s nelloggetto. Leredit aristotelica presente in questi spunti hegeliani si palesa specialmente nella nozione della coscienza come attivit immanen- te. 2) Come infinit ricaduta nel semplice essere, lEssere per s ha il suo altro (lessere per uno) come una sua integrazione o diffe- renziazione interna; il superamento dellalterit qualitativa condu- ce ormai verso la dialettica della quantit. 3) LEssere per s lunit di se stesso e del suo momento, lessere per uno. Anzi, tanto lessere per s quanto lessere per uno, come momenti di ununica idealit e infinit coincidente con la re- alt effettiva, sono entrambi essere per uno. Esempi paradigmatici didealit e infinit, e quindi dellidealit di essere per s ed essere per uno, sono, per Hegel, daccapo, lIo, lo spirito e Dio; lidentit di reale e ideale si attua pienamente solo nella struttura autoriflessiva dello spirito. In un senso analogo, la metafisica classica ha sempre affermato lidentit, in Dio, di natura e attributi (o nomi) e attivit. ( 289 ) Sdl, p. 184. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 136. 395 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s 4) Hegel mostra che il principio dellidealismo, ossia dell idealit del finito e dellimmanenza dellessere per uno nellEssere per s non si trova ancora in Parmenide e in Spinoza, giacch les- sere eleatico e la sostanza spinoziana, come unit immobili, sono la negazione astratta e non compiuta della determinatezza e quindi non si elevano ancora al piano della soggettivit spirituale. Pi concreto ed esplicito, bench mescolato a contenuti assunti dalle rappresentazioni religiose, invece lidealismo di Malebranche, con la sua concezione delle cose create come pensieri di Dio. Teori- camente pi rigoroso , per Hegel, lidealismo di Leibniz, sebbene lidealit della monade, come soggetto della rappresentazione, ri- manga esteriore, dipendendo dallintervento divino. Infine lideali- smo di Kant e Fichte meramente esigenziale e postulatorio, giac- ch lascia sussistere la cosa in s nella sua alterit radicale. 5) LEssere per s, come unit semplice di se stesso e del suo momento, lessere per uno, lessente per s, e questultimo, assun- to nellindistinzione dei suoi momenti, luno; lUno afferma Hegel ci che in se stesso privo di distinzioni, unindistinzio- ne necessaria perch poi si possa passare alla categoria della quan- tit. Si pu avvicinare questa concezione hegeliana dellUno al- lUno trascendentale della metafisica classica, tanto nella versione platonica quanto in quella aristotelica, ossia allUno la cui essenza consiste nellindivisibilit ( 290 ). 6) In un movimento logico che segna il passaggio, si potrebbe dire, dallUno trascendentale a quello categoriale, ossia allUno che introduce ormai direttamente alla categoria della quantit, Hegel fa vedere che, a motivo dellimmediatezza dellUno essente, i suoi ( 290 ) PLATONE, Resp., VI, 507 A 7 ss.; ARISTOTELE, Metaph., V 6, 1016 B 3 ss.; X 1, 1052 B 15 ss. Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 336 ss., 452; BERTI, Luno, p. 166, e Il problema, p. 192. 396 HEGEL E ARISTOTELE due momenti, che, nonostante lindistinzione dellUno, purtuttavia gli sono costitutivi (la relazione a s e lalterit), a loro volta ricado- no nellimmediatezza, sono posti come essenti. Lidealit si rovescia cos nella realt, e allUno si contrappone un altro Uno. 7) Anzitutto, per, lUno considerato in se stesso, come sem- plice immediatezza, esclude da s ogni diversit e molteplicit; lunica sua qualit o momento il vuoto. Lo stesso vuoto, poi, si cristallizza nella forma di un essente e si oppone allUno, resta fuo- ri dellUno, pur situandosi entrambi (lUno e il vuoto) nellelemen- to della negativit che ne consentir il superamento. Hegel riporta le categorie dellUno e del vuoto allatomismo antico, cui non esita ad attribuire unaffermazione speculativamente assai rilevante: che cio il vuoto non qualcosa di estrinseco agli atomi, ma il fonda- mento del loro movimento. Il vuoto degli atomi diventa cos unan- ticipazione del concetto hegeliano di negativit, che allorigine dellautoframmentarsi dellUno. 8) E in effetti, la relazione del negativo a s, propria dellEsse- re per s e dellUno, si esplicita come relazione negativa o rapporto escludente; lautorepulsione dellUno genera i molti uno; lungi dal- lessere, come creder Trendelenburg, semplicemente un concetto ricavato dallintuizione sensibile, la repulsione un termine figura- to che designa il momento negativo dellautorelazione dellEssere per s. , infatti, la stessa nozione dellUno sostiene Hegel che implica il suo porsi come molteplice, e lo a motivo della nega- tivit a lui gi da sempre immanente, nonostante limmediatezza e lindistinzione con cui dapprima Hegel lo aveva caratterizzato. Di qui si comprende la critica che Hegel rivolge a Leibniz: di aver am- messo la molteplicit delle monadi come gi data e, per lappunto, di non averla concepita come una conseguenza necessaria dellinfi- nito respingersi dellUno da se stesso, unidea a cui invece, secondo Hegel, si avvicinato latomismo antico. 397 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s 9) La repulsione, per, pur essendo un rapporto negativo dei molti uno, tuttavia sempre un rapporto, ed anzi un rapporto po- sitivo didentit degli uno esclusivi. Da qui il loro porsi in un unico Uno, la loro attrazione. Questattrazione, per, non va intesa, come far Trendelenburg, come unidentit tra molte cose, ma come quel processo dialettico per cui la mutua distinzione degli uno , al tempo stesso, la loro unit. a questo punto che Hegel fa riferimento alla dialettica pla- tonica del Parmenide. Nelle Lezioni sulla storia della filosofia egli rico- nosce a Platone il grande merito, specialmente nello sviluppo della seconda ipotesi del dialogo, di aver formulato la vera ed esatta dia- lettica dellUno e dei molti, secondo la quale lUno insieme tanto Uno quanto molteplice, e viceversa. Nel nostro capitolo, tuttavia, ma anche nelle Lezioni, egli rimprovera Platone per aver dedotto il molteplice dallUno con una riflessione esterna, basata sulla mera distinzione linguistica tra l e lUno ( 291 ). Ora, noi sappiamo che, per Platone ( 292 ), ogni ente, intelligibi- le e sensibile, costituendosi come una sorta di misto o di sintesi, ha per fondamenti ultimativi i due principi, originari e coeterni, dellUno e della diade indefinita, i quali si implicano reciprocamen- te. Il primo principio (gerarchicamente superiore, in virt del paradigma metafisico henologico che Platone adotta: una cosa , in quanto una) causa formale di determinazione, il secondo causa materiale di molteplicit e gradazione degli enti. Secondo Platone, per, lUno in s e per s, come principio indivisibile e assoluta- mente semplice, non il molteplice, e, viceversa, la diade, come principio di pluralit, non lUno. Ciascun principio, al fine della costituzione degli enti, esige laltro in maniera strutturale; non c unit che non sia unit di una molteplicit, e, viceversa, nessuna ( 291 ) Lez. st. filos., II, pp. 212 ss.; Sdl, p. 179. ( 292 ) REALE, Lhenologia, pp. 113 ss.; Per una nuova interpretazione, pp. 214 ss., 336 ss., 449 ss.; in ARISTOTELE, Metafisica, I, pp. 218 ss., 303 ss. 398 HEGEL E ARISTOTELE molteplicit (che non sia puramente caotica e indeterminata) pensabile senza la partecipazione allunit. Tuttavia, ciascun prin- cipio non laltro, ma lopposto polare (o, diciamo, contrario) del- laltro. , anche, assai importante ricordare tanto la polisemia (dav- vero protoaristotelica!) dei termini uno e molti che risulta dal Parmenide ( 293 ), quanto i modi analogici, e non identici, in cui la diade indefinita si esplica nei diversi gradi della realt ( 294 ), sebbe- ne lunit e la stabilit di significato di quei termini non siano date, come per Aristotele, dal riferimento alla sostanza individuale, ma vengano ultimamente garantite dai primi principi come sostanze assolute e universali e come primi concetti metafisici ( 295 ). Se tutto questo vero, la tesi hegeliana che lUno, a motivo della negativit che gli immanente, in se stesso molteplice, e che, viceversa, il molteplice in se stesso uno, non applicabile ai primi principi di Platone. Daltra parte, a Hegel basta trovare nel Parmenide lafferma- zione che, dicendo lUno , io dico gi i molti, per poter attribuire a Platone la tesi che in ogni determinazione contenuta la contra- ria, che ciascuna di esse, anzi, trapassa nel suo contrario e che la verit soltanto nella loro unit ( 296 ). In tal modo, per Hegel, Plato- ne si muoverebbe gi nella direzione della dottrina dellopposizio- ne immanente o costitutiva e della contraddizione dialettica ( 297 ). Hegel, in tutto il capitolo dedicato allEssere per s, non no- mina mai, invece, Aristotele. Sul tema dellUno e dei molti in Ari- stotele e in Hegel, limitatamente alla problematica del nostro capi- ( 293 ) Cfr. MIGLIORI, Dialettica, pp. 226 n. 1, 304 s., 452 ecc. ( 294 ) Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 628 ( 295 ) Cfr. MOVIA, Apparenze, p. 184 e n. 31. ( 296 ) Lez. st. filos., II, p. 213 ss. Cfr. anche BEIERWALTES, Pensare lUno, pp. 198 s.; ISNARDI PARENTE, Noterelle, pp. 159 ss. ( 297 ) Critica di questinterpretazione hegeliana di Platone, per quanto ri- guarda non solo il Parmenide, ma anche il Sofista, in BERTI, Contraddizione, pp. 96 ss. Cfr. anche LANDUCCI, La contraddizione, p. 76, e MOVIA, Apparenze, p. 421. 399 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s tolo, si potrebbero tuttavia fare almeno tre osservazioni. In primo luogo, Hegel condivide il paradigma metafisico ontologico (prima- to dellessere sulluno: una cosa una, in quanto ) proposto dallo Stagirita in alternativa a quello henologico di Platone, e, poi, svi- luppatosi con gli Arabi e con la scolastica medievale sino allet moderna (mentre, in Grecia, rimasto predominante il paradigma henologico) ( 298 ). Per Hegel, come sappiamo, la prima categoria della logica, fondamento e base di tutte le categorie successive ( 299 ), non lUno (che gi una nozione pi complessa e concreta), ma lEssere, bench si tratti dellEssere assolutamente indeterminato e non certo dellente in quanto ente, ossia dellente polivoco di Ari- stotele. In secondo luogo, a motivo delle convertibilit (ovvero coe- stensivit e, insieme, connessione intensionale) dellessere e del- luno, Aristotele, come pu affermare limmediata e originaria mol- teplicit dellessere, che si divide anzitutto nellessere per s e nel- lessere per accidente, la stessa cosa pu affermare delluno, esso pure originariamente e immediatamente molteplice, una moltepli- cit, peraltro, che non esclude, ma anzi esige lunit, ossia, e nel caso dellessere e in quello delluno, la relazione ad un termine uni- co: la sostanza ( 300 ). Limmediata, intrinseca, originaria molteplicit dellUno affermata anche da Hegel, con la differenza essenziale, rispetto ad Aristotele, che, per lui, la molteplicit dellUno non d luogo ad una pluralit di significati: secondo Hegel, i termini a cui lUno si riferisce nella sua autoframmentazione sono essi stessi, per identit, degli uno, cosicch, in essi, lUno si riferisce soltanto a se stesso. Certamente, per Hegel, lidentit degli uno (attrazione) in- separabile dalla loro distinzione (repulsione), ma il presupporsi re- ( 298 ) REALE, Lhenologia, pp. 113 ss.; in ARISTOTELE, La Metafisica, I, pp. 303 ss. ( 299 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 524. ( 300 ) BERTI, Luno, pp. 173 s., 158, 168. 400 HEGEL E ARISTOTELE ciproco di questi due momenti non comporta una molteplicit di significati delluno aventi un comune termine di riferimento, ma piuttosto, come sappiamo, la posizione di quellunico Uno dellat- trazione il quale, superando i molti, si congiunge con s in una nuova immediatezza: la quantit. In terzo luogo, non sar inopportuno richiamare brevemente il punto di vista hegeliano sul cruciale tema dellistante (to nyn) in Aristotele, che ha un notevole rilievo anche per la problematica del nostro capitolo ( 301 ). Hegel riferisce che lo Stagirita concepisce listante (allo stesso modo del punto e del limite in generale) ( 302 ) tanto come uno quanto come molti. Infatti, al tempo stesso, esso sia lunione sia la separazione del prima e del poi. Come si esprime Aristotele, nellistante la divisione e lunificazione (o continuit) sono la stessa cosa, ma la loro essenza (to inai) diversa. Come in altri casi ( 303 ), anche qui la dottrina aristotelica dellidentit reale e della differenza logica di due determinazioni opposte sufficiente a Hegel per attribuire ad Aristotele (come aveva fatto per Platone) il superamento del principio intellettualistico didentit e per ritro- vare anche nello Stagirita la contraddizione dialettica: identit e non identit sono per lui una sola e medesima cosa ( 304 ). ( 301 ) Cfr. ARISTOTELE, Phys., IV 13, 222 A 10 ss. e HEGEL, Lez. st. filos., II, pp. 334 s. Nel corso del Convegno ha attirato la mia attenzione su questi passi lami- co Prof. Renato Milan, che qui ringrazio. Sul problema vedi anche OWEN, Tithenai, pp. 83 ss.; WIELAND, La fisica, pp. 408 ss.; RUGGIU, Tempo, pp. 238 ss.; SAMON, Dialettica, pp. 101 ss., 145 ss.; STEVENS, De lanalogie, p. 167 (convergenza di Aristotele e Hegel nella nozione di alterit essenziale del limite). ( 302 ) Sulla concezione hegeliana del limite cfr. MOVIA, Finito, pp. 342 ss. ( 303 ) Cfr., ad es., Lez. st. filos., II, pp. 326 s. (sullattivit e la passivit nel movimento), 331 (sullunit e diversit della materia), 354 s. (sulla sensazione e il sensibile; vedi MOVIA, in ARIST., LAnima 2 , p. 30), ecc. ( 304 ) Lez. st. filos., II, p. 335. Critica dell interpretazione dialettica dellexiphnes platonico e del nyn aristotelico in BERTI, Struttura, pp. 317 s. e Con- traddizione, p. 203. 401 G. MOVIA - LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellessere per s 10) Allo stesso modo, dunque, che la repulsione include lat- trazione, ovvero la relazione dellUno a se stesso, come suo mo- mento costitutivo, altrettanto lattrazione, per non estinguersi in una quiete inerte, essa stessa repulsione, in quanto non pu non porre la distinzione degli uno di cui essa lunit. Mediante il pre- supporsi reciproco di repulsione e attrazione (che, secondo Hegel, lo stesso Kant, nella sua costruzione dinamica della materia, ha, sia pure inconsapevolmente, ammesso), mediante la loro unit e identit speculativa, lunico Uno dellattrazione, come Essere per s compiuto e concluso, nel superare e idealizzare i molti, si rife- risce a se stesso in una nuova immediatezza semplice, la quantit: ovvero lunit indifferente, quantitativa. APPENDICE (*) Docente di Filosofia nei Licei. (**) Professore associato di Storia della lingua greca nellUniversit di Ge- nova; Perito Traduttore presso il Tribunale di Bologna. G.W.F. HEGEL CHI PENSA ASTRATTO? traduzione e commento di FRANCA MASTROMATTEO (*) e LEONARDO PAGANELLI (**) 1. INTRODUZIONE Astrazioni, queste sono solo astrazioni!. Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase? Esiste nel grosso pubblico (chia- miamolo opinione pubblica, maggioranza dei benpensanti, o simili) una profonda diffidenza, anzi un forte disprezzo nei riguar- di del pensiero astratto. Questa diffidenza e questo disprezzo si esprimono nella critica nei confronti della filosofia (in particolare, della metafisica) e pi in generale di qualsiasi scienza che non sia applicata. Tale atteggiamento certo caratteristico dellra contemporanea, cos infatuata per tutto ci che tecnico o pra- tico. Per sorprendente notare che un simile habitus mentale non affatto un prodotto dei mass media contemporanei, ma era gi fre- quente ai tempi di Hegel: a tal punto, che Hegel stesso sent il biso- gno di satireggiare questo atteggiamento, stigmatizzando quel che egli definiva nella sua terminologia la cattiva astrazione. 406 HEGEL E ARISTOTELE Hegel scrisse questo articolo a trentasei anni, quando era re- dattore di un piccolo giornale locale: la Bamberger Zeitung (apri- le-luglio 1807). Contemporaneamente, egli portava a compimento la Fenomenologia dello Spirito, data alle stampe a Jena, poco dopo la celebre battaglia vinta da Napoleone. Questo breve saggio fu poi ripubblicato nel 1835, nellOpera omnia hegeliana ( 1 ); ma solo nel 1969, A. Bennhold-Thomsen e G. Schler ne hanno dato alle stam- pe unedizione critica, basata sul manoscritto autografo custodito nella Biblioteca Nazionale di Berlino ( 2 ). Per un singolare destino, questo breve scritto stato spesso sottovalutato dagli interpreti di Hegel: esso piacque a Rosenkranz, a Bloch e a Lwith ( 3 ), ma fu considerato non pi di un Feuilleton da H. Glockner ( 4 ). In Italia, esso stato tradotto da Togliatti ( 5 ), ma nessuno dei commentatori italiani lo ha incluso, n nelle bibliografie, n nelle antologie hegeliane. forse giunto il momento per una rilettura critica. 2.TESTO Pensare? Astratto? Sauve qui peut! Si salvi chi pu! Gi sento gridare da una spia venduta al nemico, che va spifferando che in questo articolo si parler di metafisica. Giacch metafisica, come astratto e addirittura pensiero, la parola da cui ciascu- ( 1 )
G.W.F. HEGEL, Werke, edd. D.F. FRSTER-D.L. BOUMANN, XVII, Berlin 1835, pp. 400-405; cfr. ID., Smtliche Werke (Jubilumsausgabe), ed. H. GLOCKNER, XX, Stuttgart 1930, pp. 445-450. ( 2 )
G.W.F. HEGEL, Wer denkt abstract?, ed. G. SCHLER, Hegel-Studien, V (1969), pp. 161-164; A. BENNHOLD-THOMSEN, Hegels Aufsatz: Wer denkt abstract?, ibid., pp. 165-199 (su questa editio critica basata la nostra traduzione). ( 3 )
K. ROSENKRANZ, Vita di Hegel, trad.it., Milano 1974, pp. 371-372; E. BLOCH, Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, trad.it., Bologna 1975, pp. 27-28; K. LWITH, Hegel e il Cristianesimo, trad.it., Roma-Bari 1976, pp. 101-102. ( 4 )
GLOCKNER, op. cit., XX, p. XIX. ( 5 )
G.W.F. HEGEL, Chi pensa in astratto?, trad.it. di P. TOGLIATTI, Rinascita, XIV 1-2 (1957), pp. 34-35 (senza note n commento); un commento storico-politico-lette- rario a Wer denkt abstract? contenuto in R. RACINARO, Sul concetto hegeliano di astrat- to: la riconciliazione alla Kotzebue, Critica marxista, X (5) (1972), pp. 78-107. 407 G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto? no si tiene lontano, pi o meno come da un soggetto affetto da pe- ste ( 6 ). Ma non abbiamo intenzioni tanto cattive, da voler qui spie- gare che cosa sia il pensiero o che cosa sia lastratto. Al bel mondo, niente riesce intollerabile quanto le spiegazioni. Io stesso sono ab- bastanza atterrito quando qualcuno comincia a spiegare, perch in caso di bisogno capisco tutto da me ( 7 ). Comunque, lo spiega- re qui che cosa sia il pensiero e che cosa sia lastratto ci sembrato completamente superfluo: il bel mondo, nella misura in cui cono- sce che cosa sia lastratto, proprio perci ne sta lontano. Nessuno pu desiderare cos come nessuno pu odiare ci che non co- nosce ( 8 ). E non abbiamo nemmeno lintenzione di riconciliare il bel mondo col pensiero o con lastratto mediante uno stratagemma, e quasi di contrabbandare il pensiero e lastratto sotto lapparenza di una conversazione frivola: cos da introdurre il pensiero e lastratto in societ surrettiziamente e senza destare alcun sospetto, e da far- lo accogliere o come dicono gli Svevi da infiltrarlo (herein- ( 6 )
Il saggio si apre con un attacco vivace, ironico e polemico. Dai tempi di Hegel ad oggi, le cose non sono cambiate: latteggiamento collettivo nei confronti della metafisica, del pensiero, dellastratto, negativo, quasi che si trattasse di attivit devianti, patologiche. ( 7 )
Hegel polemizza contro un vizio tipico dellopinione pubblica moderna, cio contro il disprezzo nei confronti della metafisica e delle astrazioni, ma anche del pensiero stesso e delle spiegazioni. Quello che Hegel chiama ironicamente bel mondo (il pubblico dei media dei suoi tempi, cio la buona societ che legge- va i giornali e assisteva alle conferenze) prova una istintiva repulsione per le spie- gazioni, in quanto ritiene di sapere gi abbastanza e di dover solo approfondire quello che gi sa. Un simile pubblico non accetta spiegazioni, perch crede di po- ter capire tutto da s, anzi di aver gi capito tutto. ( 8 )
Con questa massima lapidaria, di derivazione platonica, Hegel vuol dire due cose: il bel mondo crede di odiare lastratto, perch crede di conoscerlo; in realt non lo conosce, e perci non in grado n di desiderarlo, n di odiarlo. Il tono generale di polemica contro lignorante che non si sente attratto da ci che non conosce, e perci nel contempo ignaro e ignavo chiaramente desunto dai dialoghi di Platone (cfr. Symp. 200 a-e, 204 a). 408 HEGEL E ARISTOTELE gezunselt werden) in societ senza che questa stessa se ne accorga: in modo che ora lautore di questo stratagemma sveli lospite sino- ra sconosciuto, ossia lastratto, che la societ intera avrebbe sinora trattato e riconosciuto sotto un altro titolo come un individuo ben noto. Simili scene di riconoscimento, mediante le quali il bel mondo dovrebbe essere istruito contro la sua volont, hanno in s un imperdonabile difetto: esse mirano a produrre confusione, e nel contempo il loro regista mira a procurarsi un po di notoriet: sic- ch quella confusione e questa vanit ne annullano leffetto, in quanto inducono a respingere unistruzione pagata a cos caro prezzo ( 9 ). Comunque, la realizzazione di un simile progetto gi anda- ta a monte: giacch, per la sua attuazione, necessario che la paro- la-chiave dello stratagemma non sia rivelata. Ma questa gi stata svelata dal titolo dellarticolo. Se questo articolo fosse stato scritto con quellintenzione nascosta, quelle parole non avrebbero dovuto essere nominate sin dallinizio: ma come il ministro della com- media per tutto il tempo della rappresentazione avrebbero do- vuto rimanere con la finanziera abbottonata, e solo allultima scena avrebbero dovuto sbottonarla, e lasciar risplendere la stella al meri- to della saggezza ( 10 ). Qui, la sbottonatura di una finanziera metafi- sica non sarebbe stata cos gustosa come la sbottonatura di una fi- ( 9 )
Anche la satira delle conversazioni frivole, attraverso le quali il bel mondo dovrebbe venire istruito surrettiziamente, appare estremamente attuale: ma Hegel non avrebbe potuto immaginare che due secoli dopo di lui, tanti pro- grammi radiotelevisivi sarebbero stati dedicati allintento di istruire contro vo- lont, cio di trasmettere contenuti pi o meno culturali, sotto specie di conver- sazioni frivole. In verit, Hegel osserva che si tratta comunque di operazioni fraudolente, che non portano lode, ma biasimo allautore della frode. ( 10 )
Hegel fa riferimento a una commedia, al termine della quale un mini- stro si sbottona la finanziera e mostra una stella al merito, simbolo della sua sag- gezza, ma anche del suo potere politico ed economico. Secondo A. BENNHOLDT- THOMSEN, op. cit., pp. 166-167, n. 5, si tratta della commedia Die Deutschen Kleinstdter (I provinciali) di A. VON KOTZEBUE, autore citato da Hegel in questo stesso articolo. Alla stessa commedia allude E.T.A. HOFFMANN, Gli elisir del diavolo, 409 G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto? nanziera ministeriale, dato che quel che sarebbe apparso alla luce del giorno, non sarebbe stato altro che un paio di parole, e dato che per lappunto la parte pi divertente dello scherzo sarebbe stata necessariamente riposta nel fatto che esso dimostrava che la societ era gi in possesso delloggetto stesso. Cos, alla fin fine, la societ avrebbe guadagnato soltanto una parola, mentre invece la stella al merito del ministro significava qualcosa di reale: una borsa piena doro. Il fatto che ogni persona presente sappia che cosa sia il pen- siero, che cosa sia lastratto, scontato in partenza nella buona so- ciet: e in questa ci troviamo. Pertanto, la sola questione : chi che pensa astratto? La nostra intenzione come dianzi ricordato non di riconciliare la buona societ con questoggetto, di indurla ad occuparsi di un argomento difficile, di insinuare nella sua co- scienza che sia cosa sconsiderata trascurare ci che degno per rango e condizione di un essere dotato della ragione. Piuttosto, nostra intenzione riconciliare il bel mondo con s stesso, in quan- to esso non si d coscienza di questa trascuratezza, ma del resto ha perlomeno nel suo intimo un cosciente rispetto del pensiero astratto, come di qualcosa di sublime. E pertanto se ne guarda, non perch gli sembri una cosa troppo umile, ma perch gli sembra una cosa troppo sublime; non perch gli sembri una cosa troppo ordi- naria, ma perch gli sembra una cosa troppo distinta; o viceversa, perch il pensiero astratto gli sembra una Espce (singolarit), unoriginalit, qualcosa con cui non ci si pu mettere in mostra nel- la societ comune, come con una nuova toeletta, o piuttosto qual- cosa con cui ci si pu far scacciare dalla societ o far ridere dietro, come con un vestito miserabile, o anche con un vestito costoso che trad.it., Torino 1979, p. 134. evidente unintenzione satirica nei riguardi della bu- rocrazia (lo strip-tease del ministro ha un chiaro significato comico-caricaturale). Hegel ha scelto di non seguire questo metodo: cio di non svelare il segreto del suo articolo solo al termine del saggio. Prosegue la polemica contro la buona so- ciet, che crede di possedere la conoscenza e disprezza lastrazione filosofica. 410 HEGEL E ARISTOTELE pur contenendo antiche pietre preziose e un costoso ricamo abbia preso laspetto di una vecchia cineseria ( 11 ). Il solo problema : chi pensa astratto? Luomo ignorante, non luomo colto ( 12 ). Per questo la buona societ non pensa astratto: perch ci troppo futile, perch ci troppo umile (umile non per il ceto sociale); e non per una vuota forma di esaltazione, che di- sprezza ci che non pu fare, bens per lintrinseca bassezza della cosa. Il pregiudizio e lallarme nei confronti del pensiero astratto sono cos gravi, che gli individui dal naso fino cominceranno a su- bodorare qui una sorta di satira o di ironia; ma proprio perch essi sono lettori abituali del Corriere del Mattino (Morgenblatt), sanno che c un premio in palio per la satira, e che pertanto io farei me- glio a concorrere per cercare di guadagnarmelo, piuttosto che met- tere in piazza qui, senzaltro, i fatti miei. ( 11 )
Qui Hegel corregge il tiro. Egli non sta accusando la buona societ di trascurare il pensiero astratto: se cos fosse, questo scritto avrebbe il carattere di una esortazione morale rivolta al bel mondo, che crede di sapere che cos la filosofia astratta, e perci la trascura. Ma Hegel non ha questa intenzione moralistica. Egli si rende conto che il pubblico del suo tempo trascura la filosofia astratta perch non serve a mettersi in mostra in societ. In una collettivit infatuata per limmagine, per il look, il pensiero moneta fuori corso, perch non rende pi appariscenti, ma ridicoli. Dai tempi di Hegel ad oggi, il filosofo imma- ginato dai benpensanti vestito da miserabile come Socrate e Diogene, oppure vestito di cineserie come un matre penser settecentesco: insomma, come un soggetto impresentabile in societ. Lautore lascia intendere che latteggiamento di disinteresse del bel mondo nei confronti della filosofia astratta nasce in parte anche da un complesso di inferiorit. ( 12 )
Con questo aforisma, Hegel scopre le carte. Lastrazione (sintende, la cattiva astrazione) non prerogativa del dotto, ma dellignorante. In effetti, lin- tero saggio una demistificazione della cattiva astrazione, vista come opinione tipica degli ignoranti, che sono poi la maggioranza (hoi polli), come affermava Platone. Quanto al pubblico dei media, lautore osserva beffardamente che esso, nella sua ignoranza, crede di non pensare astratto, ma in realt quanto pi ignorante, tanto pi pensa astrattamente, cio per categorie fasulle, per clichs, per stereotipi. La tesi dimostrata da Hegel paradossale, esattamente come certe asserzioni dei dialoghi platonici, e il paradosso duplice. La gente ignorante ha in odio lastrazione filosofica; eppure fa continuamente uso di cattive astrazioni. 411 G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto? Mi sufficiente portare solo degli esempi alla mia asserzione, e poi tutti ammetteranno che essa dimostrata. Dunque, un omici- da viene condotto al patibolo. Per il popolo ordinario, egli non nientaltro che un omicida. Forse, le gentildonne notano che egli un uomo aitante, bello, interessante. Il popolo ordinario trova mo- struosa questa osservazione: Come?! Bello, un omicida? Come si pu essere cos malpensanti, da chiamare bello un omicida? Certo, voi non siete molto meglio di lui! Tale la depravazione dei co- stumi che regna fra la gente altolocata, soggiunge magari il sacer- dote, che conosce i cuori e lintimo delle cose. Un conoscitore dellantropologia studia il modo in cui si svolta la formazione di questo criminale, e nella sua storia privata, trova: una cattiva educazione; un cattivo rapporto fra il padre e la madre in famiglia; per un piccolo precedente di questo individuo, una severit addirittura mostruosa, che lo ha riempito di amarezza nei riguardi dellordinamento giuridico; un primo fallo di reazione, che lo ha spinto contro questo ordinamento, e ha fatto s che egli potesse sostentarsi solo per mezzo del crimine ( 13 ). Certo, c gente che quando sentir ci, dir: Costui vuole giustificare que- sto omicida! Ebbene, io mi ricordo di aver udito, nella mia gio- vent, un borgomastro che si lamentava che gli scrittori della carta stampata vanno troppo in l, e cercano di affossare il Cristianesimo e la legalit: ce nera uno che aveva scritto unapologia del suicidio: terribile, davvero terribile! Alla domanda successiva, salt fuori che si riferiva ai Dolori del giovane Werther ( 14 ). ( 13 )
Secondo Hegel, di fronte allesempio vivente dellomicida vi sono due atteggiamenti possibili. Da un lato, per la cattiva astrazione, lomicida sempre e solo un criminale, e se ne sta l, trafitto da uno spillo e convenientemen- te etichettato dal benpensante, che si rifiuta di esaminarne lesistenza in modo critico, ma lo giudica in modo dogmatico. Daltro canto osserva Hegel, precorrendo la criminologia positivista lomicida innanzitutto un essere ra- gionevole, che ha agito razionalmente, anche se la sequenza delle sue azioni lo ha condotto fuori dallordinamento razionale del diritto. ( 14 )
Con questa boutade, Hegel vuol difendersi dallobiezione volgare, se- condo cui chi spiega il movente di un delitto lo giustifica. Ma lautore non mira a 412 HEGEL E ARISTOTELE Questo significa pensare astratto: nellomicida non vedere nientaltro che questo concetto astratto, ossia che egli un omicida, e a causa di questunica qualit cancellare in lui tutta la rimanente essenza umana. In tuttaltro modo ag il mondo fine e sentimentale di Lipsia. Esso copr e coron di ghirlande di fiori la ruota della tor- tura e il criminale che vi era legato. Ma questa appunto lastrazio- ne opposta. I Cristiani possono venerare una croce fatta di rose (Rosenkreuzerey) o meglio una rosa fatta di croci (Kreuzroserey), possono incoronare la croce di rose. La croce un patibolo e una ruota di tortura che stata da tempo glorificata. Essa ha perduto il suo significato originario, quello di essere lo strumento di una pena infamante, e al contrario offre la rappresentazione del pi su- blime dolore e della pi profonda umiliazione, nonch della pi gaudiosa letizia e grazia divina. Invece la croce di Lipsia, inghir- landata di violette e di rosolacci, una forma di riconciliazione su- perficiale alla maniera kotzebuesca (kotzebuische), una specie di contaminazione disordinata di sentimentalismo e cattiveria ( 15 ). questo. Egli rifiuta di considerare dogmaticamente un omicida come nientaltro che questo concetto astratto. Egli non scusa il delitto, ma critica il dogmatismo in nome di una visione pi alta, come Goethe non difende il suicidio di Werther, ma lo studia con interesse critico. ( 15 )
Sconfinando in campo teologico, Hegel osserva che la croce ha da tem- po cessato di essere un simbolo del patibolo, per divenire il segno della misericor- dia di Dio. Lautore prende le mosse da questa osservazione per parlare delle cro- ci fatte di rose e dei fiori con cui i benpensanti di Lipsia coronarono il patibolo del criminale, senza per questo tralasciare di giustiziarlo. Qui lespressione rosa fatta di croci contiene unesplicita allusione alla mistica dei Rosacroce, una setta rinascimentale fondata da T.B. von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), che influenz ampiamente Martin Lutero, Goethe, lo stesso Hegel e i suoi esegeti Ro- senkranz e Lasson (cfr. K. LWITH, Da Hegel a Nietzsche, trad.it., Torino 1949, pp. 40-44; H. KNG, Incarnazione di Dio, trad. it., Brescia 1972, p. 76; S. NATOLI, Erme- neutica e genealogia, Milano 1981, p. 23: Il simbolo della rosa e della croce quanto mai illuminante per una interpretazione della filosofia di Hegel come filosofia del- la conciliazione). Daltra parte, Hegel non pu non considerare unespressione di farisaismo il gesto dei benpensanti di Lipsia, che coprirono il patibolo del condan- nato di ghirlande di fiori, dimostrando cos un sentimentalismo congiunto alla 413 G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto? In tuttaltro modo, io sentii una volta una donna ordinaria, una vecchia, una ricoverata in un ospizio, distruggere lastrazione dellomicida e farla rivivere per grazia. La testa decapitata del- lomicida era rimasta sul patibolo, e splendeva il sole; la vecchia disse: Quant bello il sole della grazia di Dio (Gottes Gnadensonne) che illumina la testa di Binder! Tu non sei degno che il sole tillumini!, diciamo a un disgraziato con cui siamo in collera. Quella donna vide che la testa dellomicida era illuminata dal sole, e dunque ne era pur sempre degna. Essa lo esalt dalla pena del patibolo alla grazia del sole di Dio (Sonnengnade Gottes): non oper la riconciliazione offrendo le sue violette e la sua vanit sentimen- tale, ma vide lomicida redento per grazia nella luce del sole ( 16 ). Vecchia, le sue uova sono marce!, dice la massaia alla mo- glie del droghiere. Che cosa?, risponde questa. Marce le mie uova? Marcia sar lei! Proprio lei dice questo delle mie uova? Lei? Suo padre non stato divorato dai pidocchi sullo stradone? Sua madre non andata coi Francesi? E sua nonna non morta allospi- zio? Costei si fatta una sciarpa con una camicia intera! Si sa bene da chi ha ricevuto quella sciarpa e la relativa cuffietta! Se non ci fossero gli ufficiali, costei non sarebbe cos tirata a lucido, e se certe gentildonne pensassero un po di pi ai fatti loro, qualchedu- na sarebbe in galera! Almeno costei pensasse a rattopparsi i bu- chi delle calze! In breve, la droghiera le fa il pelo e il contrope- cattiveria, paragonabile a quello di certi drammi del sopracitato von Kotzebue (cfr. RACINARO, op. cit.). ( 16 )
Al farisaismo dei borghesi di Lipsia, Hegel contrappone latteggiamen- to di unanziana donna del popolo, che rifiuta di considerare dogmaticamente lomicida come nientaltro che questo concetto astratto, e vede nella luce di sole che illumina il patibolo un segno dellinfinita grazia (Gnade) di Dio. Questa vecchietta contrappone al dogmatismo forcaiolo dei benpensanti una morale e una religione pi profonde, pi misericordiose, che del moralismo segnano il superamento alla maniera hegeliana. Caratteristico luso da parte di Hegel di un vocabolo di origine teologica: Vershnung, che significa letteralmente ri- conciliazione, rappacificazione e quindi sintesi (di Padre e Figlio, di Dio ed uomo, di soggetto e oggetto, di tesi e antitesi: cfr. KNG, op. cit., pp. 152 ss.). 414 HEGEL E ARISTOTELE lo: pensa astratto, e la sussume (subsumieren) in base alla sciarpa, alla cuffietta, alla camicia e cos via, sino alle dita e alle altre parti del corpo, in base al padre e a tutta quanta la sua schiatta, solo per il crimine di aver trovato marce le uova; tutto, in lei, prende il colo- re di queste uova marce, mentre gli ufficiali di cui ha parlato la droghiera (ammesso che ci abbiano a che fare, ma c da dubitarne) avrebbero preferito scorgere in lei ben altre cose ( 17 ). E per passare dalla massaia al servitore, un servo non si trova mai cos male, come presso un padrone di umili origini e di pochi mezzi; e si trova tanto meglio, quanto pi distinto il padrone. An- che qui, luomo ordinario pensa pi astratto: fa il superbo di fronte al servo e lo tratta solo come un servo: si attiene esclusivamente a questo predicato ( 18 ). Il servo si trova benissimo presso i Francesi. Se luomo distinto familiare col servo, il Francese gli addirittura amico. Quando sono soli, il servo ha lultima parola: si veda Jacques et son matre (Giacomo il fatalista e il suo padrone) di Diderot: il padrone non fa niente, se non fiutare tabacco e guardare lorologio, e per il resto lascia far tutto al servo. Luomo distinto sa che il servo ( 17 )
Questo vivace bozzetto ci rappresenta dal vero che cosa Hegel intenda per pensare astratto. La droghiera, che odia la massaia, la classifica appioppan- dole letichetta di pezzente, donna di facili costumi e poco di buono. Eppure que- sta massaia non priva di virt umane: Hegel sottolinea, ironicamente, che luni- ca sua colpa agli occhi della droghiera quella di aver trovato marce le uova. Nella mente dellautore, il pensiero dogmatico sta al cospetto della filosofia come lacredine di una donnetta di fronte a un vero conoscitore dellantropologia. La critica di Hegel al dogmatismo filosofico risente ancora dellinflusso kantiano. ( 18 )
Nello scorcio di questo breve saggio, Hegel arieggia quella dialettica servo-padrone che costituisce uno dei capisaldi pi rivoluzionari della Fenomeno- logia dello Spirito (cfr. RACINARO, op. cit.). Egli osserva che il padrone di umili origini e di pochi mezzi pensa astratto, in quanto tratta il servitore solo come un predica- to, cio lo etichetta e a causa di questunica qualit cancella in lui tutta la rimanen- te essenza umana. Al contrario nota Hegel con una punta di ironia nei riguardi di Diderot tra i Francesi il servitore trattato meglio che tra i Tedeschi, perch non visto come un servo, ma come un uomo (cfr. SENECA, Ep. 47,1). Tipicamente hegeliana lidea che il padrone non sia tale solo per un rapporto di forza: fa capoli- no in queste righe il convincimento altrove espresso nella Fenomenologia che la servit, per essere unistituzione reale, devessere razionale. 415 G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto? non solo un servo, ma sa anche le novit in citt, conosce le ra- gazze, ha buone idee in testa; egli lo interroga su ci, e il servo deve dire ci che sa sullargomento su cui il principale lo ha inter- rogato. Presso un padrone francese, il servo non deve fare solo questo, ma anche porre sul tappeto gli argomenti, avere una sua convinzione e sostenerla; e quando il padrone desidera qualcosa, non comanda a bacchetta, ma deve prima dimostrare al servo la sua convinzione, e dargli una buona prova che la sua convinzione ha la prevalenza. Nellesercito si presenta la stessa differenza: in quello prus- siano, lecito bastonare il soldato: costui dunque una Canaille (canaglia), poich Canaille si definisce colui che ha il diritto passi- vo di essere bastonato. Quindi, il soldato semplice per lufficiale labstractum di un soggetto bastonabile, col quale deve obbligatoria- mente avere a che fare un signore in uniforme e Port dpe (porto di spada): ed come dar lanima al diavolo ( 19 )! 3. CONCLUSIONE Commentando Wer denkt abstract?, Rosenkranz scriveva: Con questo articolo Hegel voleva divertire una certa societ e, considerato lo scopo, il modo di procedere piuttosto efficace ( 20 ). Ma ridurre il presente articolo a un divertissement significa sottova- lutare la profondit dei concetti espressi da Hegel. Come hanno ben visto Lwith, Bloch e Adorno, lidea dominante del presente saggio che pensa in modo meramente astratto, nel senso negati- ( 19 )
Larticolo si chiude con la leggerezza di una commedia di maschere. noto che i Prussiani usavano bastonare i soldati e i civili (questa barbara consuetu- dine suscitava lo sdegno dei patrioti italiani del Risorgimento: cfr. lInno di Garibaldi di L. MERCANTINI, v. 15: Bastone tedesco lItalia non doma). Hegel, in tono anti-autoritario, osserva che lufficiale prussiano un vero campione del pensiero astratto, in quanto considera i suoi soldati esclusivamente come sog- getti bastonabili. Alla larga, alla larga conclude lautore da codesti pensatori astratti, che ragionano col bastone! ( 20 )
ROSENKRANZ, op. cit., p. 371. 416 HEGEL E ARISTOTELE vo, proprio chi si immagina di pensare concretamente ( 21 ). In Hegel al contrario lastratto ci che vi di pi povero, lin s non ancora sviluppato; limmediato diviene concreto solo in quanto viene mediato ( 22 ). In effetti, nelluso linguistico abituale il termi- ne concreto indica ci che immediato, che non ancora passato attraverso il concetto, mentre astratto significa concettuale ( 23 ); nel linguaggio hegeliano invece astratto ha sempre il significato di isolato. Hegel chiama sempre astratti dei momenti singoli nella misura in cui compaiono senza prendere in considerazione il tutto di cui fanno parte [...]. Concreto per lui il tutto ( 24 ). Quindi, chi pensa astratto? Chi segue i pregiudizi, gli slo- gan, le mode correnti. La cattiva astrazione non un difetto tipi- co dei filosofi, dei pensatori, ma al contrario del pubblico dei media, che ragiona per luoghi comuni e non ama le meditazioni e le spiegazioni. Cattiva astrazione per Hegel il moralismo da quattro soldi, il farisaismo dei benpensanti di Lipsia, che prima crocifiggono e poi spargono lacrime e fiori sulla loro vittima. Polemizzando contro la cattiva astrazione, Hegel implicitamente fa lapologia della filosofia in generale e della sua filosofia in parti- colare: quella stessa che proprio in quellanno 1807 trovava il suo coronamento nella pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito. Ci sono dunque secondo Lwith due maniere diver- se di astrarre: il positivo saper-prescindere da tutte le determina- zioni immediatamente date apriori, per mettere in rilievo le pure determinazioni del pensiero, e, in secondo luogo, il prescindere ne- gativo da tutte le altre determinazioni []. Il pensiero filosofico deve evitare lastrarre astratto per seguire lastrarre concreto ( 25 ). ( 21 )
LWITH, Hegel e il Cristianesimo, cit., p. 101. ( 22 )
BLOCH, op. cit., p. 26. ( 23 )
T.W. ADORNO, Terminologia filosofica, II, trad.it., Torino 1975, p. 348. ( 24 )
Ibid. ( 25 ) LWITH, Hegel e il Cristianesimo, cit., pp. 101-102. INDICE DEI NOMI Aubenque, P.: 106, 192, 208, 210, 212, 213, 234. Auletta, G.: 295. Baader, F.X. von: 145, 182, 199. Bacchin, G.R.: 104. Baeumler, A.: 263. Bardili, Chr.G.: 143. Barnes, J.: 31, 46, 159, 200. Barsotti, I.: 98. Baum, M.: 142, 160-62, 170, 178, 191, 192. Baumgarten, A.G.: 85, 262, 268. Bayle, P.: 23, 83. Beck, J.S.: 263, 277. Beierwaltes, W.: 341, 398. Bennhold-Thomsen, A.: 406, 408. Bernoulli, D.: 85. Berti, E.: 31, 57, 103, 105, 112, 113, 211, 338, 341, 342, 362, 367, 370, 387, 395, 398-400. Bianca, D.O.: 75. Adorno, T.W.: 415. Agostino, s.: 262, 331. Alberto Magno, s.: 262. Alessandro di Afrodisia: 34. Alfvn, H.: 171. Allen, R.E.: 183. Ammonio, pseudo-: 34. Anassagora: 118, 121, 237, 379. Anassimandro: 379. Andronico di Rodi: 33, 35. Annas, J.: 53, 167, 175, 176, 185, 187, 189, 192. Antifonte: 301. Aquilecchia, G.: 191, 192. Archimede: 72. Aristone di Ceo: 33. Aristotele: passim. Aristotele, pseudo-: 60, 62. Arrhenius, G.: 171. Arnaud, E.: 338. 420 HEGEL E ARISTOTELE Bianco, B.: 339. Biard, J.: 338, 346, 347, 352-56, 359-62, 364-67, 369-76, 378, 381, 382, 385, 386, 391. Biasutti, F.: 52. Bignami, L.: 52. Bloch, E.: 181, 192, 406, 415, 416. Bloch, K.F.: 369. Bode, J.E.: 148, 150, 170, 171, 174, 175, 178, 180. Bodei, R.: 97, 106, 157, 277. Boezio, S.: 184. Bolland, G.J.P.J.: 29, 338. Bonet, N.: 137. Bonitz, H.: 33, 137, 199. Bonsiepen, W.: 52, 54, 143, 147, 192. Borruso, G.: 337. Bostok, D.: 54. Boumann, D.L.: 406. Bourgeois, B.: 145, 193, 337, 369. Bradwardine, T.: 85. Brague, R.: 211, 244. Brinkmann, K.: 255. Brcker, K.: 295. Brcker, W.: 295. Bruno, G.: 145, 146, 151, 165, 191, 192. Bucher, T.G.: 174, 193. Buchner, H.: 52, 145, 200, 277. Buhle, J.G.: 140. Busa, R.: 342, 356. Cabanis, P.J.G.: 262. Calabi, L.: 339. Caletti, E.: 296. Calogero, G.: 36. Cammarota, V.: 295. Cantillo, G.: 104, 278. Cantor, G.: 59, 60, 72, 73, 98, 100, 101. Carlini, A.: 320. Casaubon, I.: 139. Cassandre, F.: 136. Cassirer, E.: 155, 193, 338, 359. Castel, L.-D.: 150. Cavalieri, B.: 10, 81, 96, 99. Cazzullo, A.: 296. Cesa, C.: 52, 199, 201, 337. Czanne, P.: 378. Charlton, W.: 54. 421 Indice dei nomi Cherniss, H.: 158. Chiereghin, F.: 51, 52, 105-08, 193, 221, 296, 337, 338, 348, 378. Chiodi, P.: 332. Cicerone, M.T.: 23, 156. Codignola, E.: 29, 103, 200, 234, 298, 337. Condillac, E.B.: 262. Coreth, E.: 234, 315. Cousin, V.: 153. Croce, B.: 52, 129, 199, 337, 383, 386. Cugusi, P.: 17. DAlfonso, M.: 201. DArienzo, L.: 17, 21. De Carolis, M.: 295. De Flaviis, G.: 117. De Gandt, F.: 148, 152, 162, 169, 177, 178, 182, 193. De Koninck, T.: 209, 211. De Negri, E.: 104, 337. De Vries, W.A.: 143, 193. DellAsta, A.: 331. Dedekind, J.W.R.: 72, 73, 98, 100, 101. Democrito: 118, 120, 366, 367, 379. Descartes, R.: 76, 147, 152, 254, 258, 262, 263, 268, 273-275, 324. Di Giovanni, G.: 154, 193. Di Tommaso, G.V.: 339. Diderot, D.: 414. Diogene Laerzio: 32. Diogene di Sinope: 410. Dijksterhuis, E.J.: 138. Dodds, E.R.: 260. Donini, P.: 314. Dottori, R.: 339 Doz, A.: 337, 338, 344, 347, 364, 368. Dubarle, D.: 193. Dring, I.: 123, 125, 314. Dsing, K.: 135, 159, 164, 189, 190, 193, 244, 246, 278, 299, 339, 366. Duns Scoto, G.: 137. Eley, L.: 339, 343. Empedocle: 120, 375, 379. Eraclito: 366. Erasmo da Rotterdam: 138, 139, 159, 234, 237, 249. Erdmann, J.E.: 339. Eschenmayer, A.C.A.: 182. 422 HEGEL E ARISTOTELE Esposito, J.L.: 181, 201. Euclide: 58, 63, 68, 70, 263. Euler, L.: 85, 90, 96. Faggiotto, P.: 342, 357-359, 373. Feder, J.C.H.: 139. Ferrarin, A.: 13, 15, 44, 106, 117, 135, 143, 194, 232, 234, 240, 253, 299, 339, 349. Ferrini, C.: 12, 135, 147, 150-52, 160, 170, 171, 177, 180, 186, 188, 191, 194. Feuerbach, L.: 262. Fichte, I.H.: 292. Fichte, J.G.: 12, 15, 144, 147, 157, 161, 263, 277, 280, 281, 292, 325, 354, 359, 361, 378, 395. Filopono, Giovanni: 34. Findlay, J.N.: 168, 169, 179, 194, 339, 365. Fleischhacker, L.E.: 54. Fleischmann, E.J.: 339, 359, 364, 368, 369, 375. Frster, D.F.: 406. Fowler, D.H.: 53. Frajese, A.: 58, 73. Frank, E.: 143. Frege, G.: 46. Freud, S.: 114. Frigo, G.F.: 52. Furley, D.J.: 201. Gadamer, H.G.: 113, 244, 339, 380. Galilei, G.: 10, 85, 99, 172. Garniron, P.: 29, 200. Gatti, M.L.: 338, 341. Gebhardt, C.: 90. Gentile, G.: 52. Gentile, M.: 109. Gentili, C.: 343. Gerhardt, C.J.: 75. Ges Cristo: 161. Giacon, C.: 342, 357, 359, 368, 391. Giamblico: 184. Gill, M.L.: 141, 159, 194. Gilson, B.: 154, 194. Giovanni Apostolo: 293. Glockner, H.: 29, 200, 336, 406. Gloy, K.: 203, 208, 221, 233, 236, 361. Goethe, J.W.: 117, 145, 162, 412. Graeser, A.: 191. 423 Indice dei nomi Granello, G.: 52. Grgoire, Fr.: 339, 368, 369. Guthrie, W.K.C.: 123. Guyer, P.: 359. Haering, Th. 182. Hamberger, J.: 199. Hansen, F.-P.: 144, 195. Harris, E.E.: 339, 351-53, 363, 364. Harris, H.S.: 142, 144, 147, 154, 162, 163, 170, 178, 181, 193, 195. Harris, W.T.: 339, 345, 391. Hartmann, N.: 143, 195, 339, 349, 350, 359, 368, 369, 381. Heath, T.: 53, 64. Hegel, G.W.F.: passim. Heiberg, I.L.: 58. Heidegger, M.: 8, 14, 15, 23, 114, 123, 124, 131, 135, 212, 216, 260, 263, 266, 268, 269, 286, 295-334. Hlvetius, C.-A.: 262. Hemsterhus, T.: 184. Henning, L. von: 153. Henrich, D.: 138, 195. Herder, J.G.: 145, 146, 160. Hermann, F.-N. von: 295. Herschel, F.W.: 174. Hintikka, J.: 53. Hobbes, Th.: 262, 369. Hlderlin, F.: 145. Hsle, V.: 54, 141, 146, 170, 195, 339, 388. Htschl, C.: 195. Hoffmann, E.T.A.: 408. Hoffmann, F.: 199. Hoffmeister, J.: 83, 203. Hogemann, F.: 52, 336. Hohenheim, T.B. von ( Paracelso): 412. Horstmann, R.P.: 281. Hume, D.: 262, 284. Husserl, E.: 260, 268, 289, 348. Hussey, E.: 54. Isnardi Parente, M.: 339, 398. Jacobi, F.H.: 146. Jaeger, W.: 112, 221. Jaeschke, W.: 29, 52, 200, 336. Janicaud, D.: 136, 195. Janklvitch, St.: 337. 424 HEGEL E ARISTOTELE Jarczyk, G.: 185, 337, 345, 346, 351-55, 358-64, 370, 374, 378, 381, 382, 385-87, 391. Johnsohn, P.O.: 339, 348-50, 359, 364, 366, 367, 379, 391. Jung, J.H.: 260. Kant, I.: 10-12, 14, 15, 52, 76-82, 84-87, 89, 96, 97, 100, 117, 129-31, 144, 145, 147, 157, 160-62, 166, 167, 253-93, 299, 354, 359, 378, 385, 386, 391, 395, 401, 414. Kassel, R.: 33. Kearney, R.: 261. Kenny, A.: 162, 195. Keplero, G.: 148, 149, 155, 172. Kern, W.: 135, 139, 195, 299, 315. Kierkegaard, S.: 114. Kimmerle, H.: 136, 145, 196, 278. Klaucke, A.: 54. Knaupp, M.: 299. Kotzebue, A. von: 408. Kowalewski, G.: 90. Krmer, H.: 342. Krug, W.T.: 155-57, 165. Kng, H.: 412, 413. Kuhlmann, H.: 196. Labarrire, P.-J.: vedi Jarczyck, G. Lachterman, D.R.: 272. Lagrange, J.L.: 10, 90, 96, 98. Lakebrink, B.: 339, 343-48, 351, 352, 361, 366, 368, 369, 379, 382-84, 391. Landucci, S.: 339, 343-45, 347, 349, 357, 398. Laplace, P.-S. de: 150. Lasson, G.: 336, 412. Leibniz, G.W.: 11, 75, 76, 78, 85, 116, 131, 254, 257, 262, 274-76, 288, 291, 358, 373-75, 395, 396. Lonard, A.: 339, 345, 348, 351, 361-63, 365, 368-73, 376-78, 381, 383-85. Lessing, H.-U.: 295. Leucippo: 366, 367, 374. Leutwein, C.P.F.: 138. Levinas, E.: 15, 16, 330, 331, 333. Liminta, M. T.: 338. Locke, J.: 262, 284. Lffler, J.J.: 136. Lwith, K.: 406, 412, 415, 416. Lohr, C.H.: 137, 201. Lombardi, F.: 24. Lombardo-Radice, G.: 52. Longato, F.: 143, 196. 425 Indice dei nomi Longo, O.: 199. Lucs, H.Ch.: 52. Luciano di Samosata: 184. Lugarini, L.: 52, 143, 152, 196, 337, 340. Lukacs, Gy.: 209. Lutero, M.: 412. MacIntyre, A.: 23. Maccioni, L.: 58. Maimon, S.: 263, 277. Malebranche, N.: 357, 358, 395. Marcialis, M.T.: 17, 23. Marconi, D.: 340, 356. Marcuse, H.: 132. Martelli, C.: 61. Marx, K.: 114. Marx, W.: 135, 196. Massolo, A.: 144, 196, 340, 347, 351, 361- 65, 370-73, 379, 381, 382. Mastromatteo, F.: 17, 405. Mazzarelli, C.: 338. Mc Taggart, J.M.E.: 340, 352, 353, 370, 372, 378, 381-83, 391. Meazza, C.: 15, 16, 295. Mehmel, G.E.A.: 146. Melchiorre, V.: 343. Menegoni, F.: 52. Mense, A.: 140, 184, 196. Mercantini, L.: 415. Merker, N.: 52, 337. Messeri, M.: 117. Michel, K.M.: 52, 200, 203, 281, 336. Michelet, K.L.: 29, 136, 151, 153, 190, 200, 234, 298, 338. Migliori, M.: 338, 342, 380, 398. Mignucci, M.: 9, 22, 29, 46, 52, 53, 191. Milan, R.: 7, 104, 400. Mirri, E.: 201. Mistretta, P.: 17. Mrchen, H.: 268. Moiso, F.: 145, 201. Moldenhauer, E.: 52, 200, 203, 281, 336. Monet, C.: 378. Moni, A.: 104, 201, 337. Montucla, J.E.: 149, 196. Moraux, P.: 33. Moretti, G.: 296. Moretto, A.: 9, 10, 51, 52, 54, 65, 78, 81, 85, 87, 91, 96, 99, 340, 358, 366. 426 HEGEL E ARISTOTELE Morrow, G.R.: 169. Morselli, M.: 341, 350, 386-89, 393. Moschetti, A.M.: 342, 350. Movia, G.: 17, 54, 176, 191, 197, 210, 211, 230, 254, 257, 315, 335, 338-40. Mueller, I.: 53. Muratori, L.A.: 262. Mure, G.R.G.: 340, 348, 351, 356, 359, 391. Murray, G.G.A.: 260. Napoleone I Bonaparte: 406. Napolitano Valditara, L.: 53. Nasti De Vincentis, M.: 150, 179, 183, 191, 194. Natoli, S.: 412. Nedel, A.J.: 340, 347. Negri, A.: 114, 175, 183, 197. Neuser, W.: 54, 170-72, 174, 177, 179, 180, 182, 184, 197. Newton, I.: 147-50, 152, 163, 172. Nicola di Oresme: 85. Nicolin, F.: 136, 197. Nicomaco di Gerasa: 184. Nietzsche, F.: 114. Nikolaus, W.: 340, 360, 361, 366, 370, 372. Nohl, H.: 161, 162, 200. Oberti, E.: 337. Oeser, E.: 155, 197. Owen, G.E.L.: 342, 347, 400. Owens, J.: 156, 197. Pachimere, G.: 183, 184. Paganelli, L.: 17, 405. Palmer, L.M.: 169, 197. Paolo, s.: 158. Parmenide: 118, 120, 313, 357, 361, 366, 395. Patzig, G.: 47. Piazzi, G.: 171. Pitagora: 12, 136, 137, 141-44, 148, 150, 155, 160, 161, 167-73, 177-79, 181, 183, 184, 188-91, 365. Platone: 7, 8, 10-12, 16, 37, 60, 62, 96, 97, 99, 105, 113, 121-24, 130-32, 136, 137, 139, 141-45, 148, 150, 152, 155, 166-70, 172, 175-77, 179, 181, 183-85, 187-89, 191, 192, 205, 206, 213-15, 221, 224, 236, 239-41, 254, 256, 309, 313, 331, 336, 338, 361, 378-80, 385, 395, 397-400, 407, 410. Plebe, A.: 209, 210. Plinio il Giovane: 160. 427 Indice dei nomi Plotino: 211, 212, 262. Plouquet, G.: 139. Plutarco di Cheronea: 184. Pggeler, O.: 52, 145, 277. Pomponazzi, P.: 137. Porcheddu, R.: 11, 111. Porfirio: 33. Pozzo, R.: 138, 139, 142, 143, 197. Prantl, C.: 36. Proclo: 8, 169, 262, 263. Proust, M.: 255. Quintiliano: 269. Racinaro, R.: 406, 413, 414. Rademaker, H.: 340, 344, 347, 352, 354, 360, 364, 369, 376, 379, 385, 391. Radetti, G.: 282, 337. Radice, R.: 338. Rameil, U.: 52. Reale, G.: 104, 106, 121, 158, 159, 200, 201, 207, 249, 338, 341, 342, 361, 395, 397-99. Reinhold, K.L.: 189. Reitz, J.F.: 184. Richerz, G.H.: 262. Riedel, M.: 23. Ritter, C.: 37. Rodier, G.: 175, 176, 197. Romano, F.: 342. Rorty, R.: 254. Rosenkranz, K.: 97, 106, 139, 140, 160, 183, 197, 391, 406, 412, 415. Rosenzweig, F.: 333. Ross, W.D.: 61, 123, 137, 158, 159, 176, 184, 187, 197, 200. Rousseau, J.-J.: 369. Rudolph, E.: 236. Ruggiu, L.: 55, 342, 400. Russo, A.: 55, 64, 115, 122, 159, 200, 216, 330. Russo, G.: 260. Ryle, G.: 254. Salvucci, P.: 340. Samon, L.: 12, 13, 114, 203, 299, 340, 391, 400. Sanna, G.: 29, 103, 200, 234, 298, 337. Sarleijmin, A.: 152, 198. Sartre, J.-P.: 289, 348. 428 HEGEL E ARISTOTELE Schelling, F.W.J.: 12, 139, 142, 145, 153- 55, 157, 165, 181-83, 188, 200, 201, 263, 277, 361. Schelling, K.F.A: 201. Schiller, F.: 160. Schleiermacher, F.D.E.: 157. Schleiden, M.J.: 170. Schmidt, A.: 263. Schmidt, J.: 340, 347, 350, 361, 382, 386- 94. Schofield, M.: 270. Schopenhauer, A.: 114. Schler, G.: 406. Schwegler, A.: 138. Scott, A.: 142, 158, 198. Seebeck, T.J.: 201. Seidl, H.: 159, 198. Seneca, L.A.: 414. Serret, J.-A.: 90. Sesto Empirico: 139. Severino, E.: 342. Shaftesbury, A.A.C. di: 160. Simplicio: 87, 158. Sini, C.: 296. Skemp, J.B.: 158, 198. Socrate: 7, 410. Sorabji, R.: 53, 54. Sossi, F.: 331. Spiazzi, R.: 338. Spinelli, A.: 61. Spinoza, B.: 10, 11, 23, 76, 81, 91-93, 96, 97, 99, 117, 151, 154, 162, 204, 262, 324-26, 334, 354, 357, 395. Spondano, G.: 139. Stamatis, E.S.: 58. Steiger, K.F. von: 147. Stelli, G.: 339. Stenzel, J.: 112. Stevens, A.: 340, 400. Sylburg, F.: 139, 140. Taminiaux, J.: 296. Tannery, P.: 183, 198. Taylor, Ch.: 341, 346, 347, 351, 354, 362, 368. Tennemann, W.G.: 23. Tennulio, S.: 184. Teone di Smirne: 184. Tilliette, X.: 154, 181, 198. Timpanaro Cardini, M.: 60. 429 Indice dei nomi Titius, J.: 170, 171, 174, 175, 178, 180. Todescan, F.: 343, 379. Togliatti, P.: 406. Tommaso dAquino, s.: 61, 137, 262, 275, 356. Toth, I.: 54, 91. Trede, J.H.: 281. Trendelenburg, F.A.: 341, 350, 386-93, 396, 397. Troxler, I.P.V.: 189, 190. Ulrich, J.A.H.: 139. Vaccaro, N.: 201. Valveri, A.: 17. Vanini, G.C.: 23. Vanni Rovighi, S.: 341, 343, 344, 347-49, 352, 354, 356, 357, 361, 362, 364- 66, 379, 391. Vardy, P.: 54. Vasa, A.: 341, 366. Verra, V.: 107, 135, 146, 151, 190, 198, 254, 337, 339, 341-43, 346-51, 353-55, 360, 361, 363-71, 373-75, 377-89, 392, 393. Vico, G.: 262. Vieillard-Baron, J.-L.: 145, 150, 169, 178, 190, 198, 199, 341, 380. Vigan, F.: 201. Vitiello, V.: 295, 299. Volpi, F.: 216, 295. Wahl, J.: 341, 345, 348, 351, 357, 360, 361, 372, 375, 379-81, 383, 385. Waschkies, H.J.: 53, 66, 68. Waszek, N.: 160, 174, 182, 199. Waterlow, S.: 141, 199. Weiss, C.S.: 153. Weizsscker, C.F. von: 171. White, M.J.: 54. Wieland, W.: 211, 343, 400. Wittgenstein, L.: 254. Wolff, Ch.: 85, 262, 268. Wolff, M.: 54, 221. Zach, Baron von: 170. Zeller, E.: 176. Zenone di Elea: 10, 63, 71, 82, 83, 87, 100. Zizi, P.: 10, 103. NOTIZIE SUI RELATORI MARIO MIGNUCCI (Milano, 1937): professore ordinario di Storia della filosofia antica nellUniversit di Padova e nel Kings College di Londra. Scritti principali: La teoria aristotelica della scienza, Sansoni, Firenze 1965; Il si- gnificato della logica stoica, Ptron, Bologna 1967 2 ; Aristotele, Gli Analitici primi, trad., introd. e commento, Loffredo, Napoli 1968; Aristotele, Gli Analitici secondi, trad. e note, Azzoguidi, Bologna 1970; Largomentazio- ne dimostrativa in Aristotele. Commento agli Analitici secondi, I, Antenore, Padova 1975; Temporalit e verit nella filosofia greca, in AA.VV., Sapienza antica. Studi in onore di Domenico Pesce, Angeli, Milano 1985; Boezio e il problema dei futuri contingenti, Medioevo, 1987; Platos Third Man Arguments in the Parmenides, Arch. Gesch. Philos., 1990; The Stoic Themata, in AA.VV., Dialektiker und Stoiker, Steiner, Stuttgart 1993; Am- monius on Future Contingent Propositions, in AA.VV., Rationality in Greek Thought, Clarendon Press, Oxford 1996; Verit et pense dans le De anima, in AA.VV., Corps et me. Sur le De anima dAristote, Vrin, Paris 1996. ANTONIO MORETTO (Asolo, 1943): professore associato di Filosofia della scien- za nellUniversit di Verona. Scritti principali: Hegel e la matematica del- linfinito, Pubblicazioni di Verifiche, Trento 1984; Questioni di filosofia della matematica nella Scienza della logica di Hegel, ivi 1988; Hegels Au- seinandersetzung mit Cavalieri und ihre Bedeutung fr seine Philosophie der Mathematik, in AA.VV., Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1990; Hegel on Greek Mathematics and Modern Calculus, in AA.VV., Hegel and Newtonianism, Kluwer, Dordrecht 1993. PAOLO ZIZI (Sassari, 1949): docente di Filosofia nel Liceo Scientifico G. Spano di Sassari. Scritti principali: La grecit heideggeriana come unit di sapere. Saggio di filosofia teoretica, Poddighe, Sassari 1980; Ontologia della libert (tra Kierkegaard - Heidegger - Fabro), Unidata, Sassari 1987. 434 HEGEL E ARISTOTELE RAIMONDO PORCHEDDU (Ittiri, 1944): docente di Filosofia e Pedagogia nellIsti- tuto Magistrale Margherita di Castelv di Sassari e professore a con- tratto di Storia della filosofia antica nellUniversit sassarese. Scritti principali: La concezione platonica della storia tra decadenza e rinnovamen- to, Stampacolor, Sassari 1986; Il tragico nelleducazione e nella politica. Idee per una terza via, ivi 1990; Mito e ragione nella dottrina platonica dellanamnesi (Meno 80 d-81 e), Sandalion, 1982. CINZIA FERRINI (Livorno, 1956): dottore di ricerca in Filosofia nellUniversit La Sapienza di Roma. Scritti principali: Guida al De orbitis planeta- rum di Hegel ed alle sue edizioni e traduzioni, Haupt, Bern 1995 (in coll. con M. Nasti De Vincentis); Scienze empiriche e filosofie della natura nel primo idealismo tedesco, Guerini e Ass., Milano 1996; Logica e filosofia del- la natura nella Dottrina dellessere hegeliana, Riv. Stor. Filos., 1991/92. LEONARDO SAMON (Palermo, 1950): professore associato di Storia della filo- sofia nellUniversit di Palermo. Scritti principali: Dialettica e metafisi- ca. Prospettiva su Hegel e Aristotele, LEpos, Palermo 1988; Heidegger. Dialettica e svolta, ivi 1990; Dalla rappresentazione al concetto. Religione e filosofia nelle lezioni berlinesi di Hegel, Teoria, 1987; Filosofia e fede di fronte a Dio, Filos. Teol., 1993. ALFREDO FERRARIN (Thiene, 1960): si perfezionato in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Scritti principali: Hegel interprete di Aristotele, ETS, Pisa 1990; Husserl on the Ego and its Eidos (Cartesian Meditations, IV), J. Hist. Philos., 1994; Kants Productive Imagination and its Alleged Antecedents, Grad. Fac. Philos. J., 1995. CARMELINO MEAZZA (Sassari, 1961): dottore in Filosofia. Scritti principali: Loc- chio e il testimone: dalla logica alla fenomenologia in Hegel, ETS, Pisa 1992; Il Testimone del Circolo. Note sulla filosofia di Levinas, Angeli, Mi- lano 1996. GIANCARLO MOVIA (Tolmino, 1937): professore ordinario di Storia della filo- sofia antica nellUniversit di Cagliari. Scritti principali: Anima e intel- letto. Ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo, Antenore, Padova 1968; Alessandro di Afrodisia tra naturalismo e 435 Notizie sui relatori misticismo, ivi 1970; Due studi sul De anima di Aristotele, ivi 1974; Ari- stotele, LAnima, trad., introd. e commento, Loffredo, Napoli 1979, 1992 2 ; Essere Nulla Divenire. Sulle prime categorie della Logica di Hegel, RFNS, 1986/87; Apparenze, essere e verit. Commentario storico-filoso- fico al Sofista di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1991, 1994 2 ; Finito e infinito e lidealismo della filosofia. La logica hegeliana dellEssere determi- nato, RFNS, 1994; Scetticismo antico e antinomica kantiana. La logica hegeliana della quantit, RFNS, 1995; Aristotele, LAnima, introd., trad., note e apparati. Testo greco a fronte, Rusconi, Milano 1996. INDICE INDICE PRESENTAZIONE......................................................................................................................................... INDIRIZZI DI SALUTO LUISA DARIENZO........................................................................................................................................... MARIA TERESA MARCIALIS ...................................................................................................................... RELAZIONI MARIO MIGNUCCI, Linterpretazione hegeliana della logica di Aristotele ....... ANTONIO MORETTO, Sul problema della considerazione matematica dellin- finito e del continuo in Aristotele e Hegel ............................................................. PAOLO ZIZI, Il concetto metafisico di intero in Aristotele e in Hegel ............ RAIMONDO PORCHEDDU, Lidea aristotelica di natura nellinterpretazione di Hegel ..................................................................................................................................................... CINZIA FERRINI, Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafi- sica aristotelica per il problema delle grandezze del sistema solare nel primo Hegel ........................................................................................................................... LEONARDO SAMON, Atto puro e pensiero di pensiero nellinterpretazione di Hegel .............................................................................................................................................. ALFREDO FERRARIN, Riproduzione di forme e esibizione di concetti. Immagi- nazione e pensiero dalla phantasia aristotelica alla Einbildungs- kraft in Kant e Hegel .............................................................................................................. Pag. 7 Pag. 21 23 Pag. 29 51 103 111 135 203 253 VAI AL SOMMARIO VAI ALL'ELENCO DELLE ANNATE Selezionare il contributo che si desidera consultare VAI ALLA COPERTINA DI QUESTO VOLUME 440 HEGEL E ARISTOTELE CARMELINO MEAZZA, Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una rico- struzione ............................................................................................................................................ GIANCARLO MOVIA, LUno e i molti. Sulla logica hegeliana dellEssere per s .............................................................................................................................................................. APPENDICE G.W.F. HEGEL, Chi pensa astratto?, traduzione e commento di Franca Mastromatteo e Leonardo Paganelli .......................................