Il problema dell’esposizione
speculativa nel pensiero di Hegel
Nuova edizione
Zeugma
Comitato scientifico:
Andrea Bellantone, Donatella Di Cesare,
Ernesto Forcellino, Luca Illetterati,
Enrica Lisciani-Petrini, Carmelo Meazza,
Gaetano Rametta, Valerio Rocco Lozano, Rocco Ronchi,
Marco Sgarbi, Davide Tarizzo, Vincenzo Vitiello.
Zeugma | Lineamenti di Filosofia italiana
12 - Classici
Gaetano Rametta
Il problema dell’esposizione
speculativa nel pensiero di
Hegel
Nuova edizione
Pubblicazioni del Centro di ricerca di Metafisica e Filosofia
delle Arti dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
DIAPOREIN
Nuova edizione
© 2020, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma.
Proprietà letteraria riservata di
Inschibboleth società cooperativa sociale,
via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma
www.inschibbolethedizioni.com
e-mail: info@inschibbolethedizioni.com
Zeugma
ISSN: 2421-1729
n. 12 - novembre 2020
ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-087-6
ISBN – Ebook: 978-88-5529-088-3
Copertina e Grafica:
Ufficio grafico Inschibboleth
Immagine di copertina:
La cavalleria rossa,
Kasimir Malevič, 1928.
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Sigle e abbreviazioni
Sigle e abbreviazioni
Si fornisce qui di seguito l’elenco delle sigle impiegate nella ci-
tazione delle opere di Hegel e delle relative traduzioni.
Diff. = Differenz des Fichteschen und Schellingschen Sys-
tems der Philosophie, in G.W.F. Hegel, Jenaer Kriti-
sche Schriften, neu hrsg. v. H. Brockard und H. Buch-
ner, Bd. 1, Meiner, Hamburg 1979, pp. 1-116; tr. it.,
Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di
Schelling, in Id., Primi scritti critici, a cura di R. Bo-
dei, Mursia, Milano 1971, pp. 3-120.
J.S.I = G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 6, Jenaer Sys-
tementwürfe I, hrsg. v. K. Düsing und H. Kimmerle,
Meiner, Hamburg 1975.
J.S.II = G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 7, Jenaer
Systementwürfe II, hrsg. v. R.-P. Horstmann und
J.H. Trede, Meiner, Hamburg 1971; tr. it. (parzia-
le), Logica e metafisica di Jena (1804-05), a cura di
F. Chiereghin, Verifiche, Trento 1982.
J.S.III = G.W.F. Hegel, Gesammelte Werke, Bd. 8, Jenaer Sys-
tementwürfe III, unter Mitarb. v. J.H. Trede, hrsg. v.
R.-P. Horstmann, Meiner, Hamburg 1976.
10
Capitolo I
L’esposizione speculativa
1. Per lo sviluppo complessivo del pensiero di Hegel a Jena, cfr. H. Kimmer-
le, Das Problem der Abgeschlossenheit des Denkens. Hegels «System der Phi-
losophie» in den Jahren 1800-1804, Bouvier, Bonn 1970, 19822; G. Gérard,
Critique et Dialectique. L’itinéraire de Hegel à Iéna (1801-1805), Presses de
l’Université Saint-Louis, Bruxelles 1982; H.S. Harris, Hegel’s Development,
vol. II, Night Thoughts (Jena 1801-1806), Clarendon Press, Oxford 1983.
Sullo sviluppo raggiunto dalla filosofia dello spirito, in riferimento alla sezio-
ne che ci riguarda, cfr. le note seguenti. Sul concetto della coscienza teore-
tica nei frammenti ora in questione, cfr. J.S.I, pp. 280-281 (C., pp. 18-19).
15
6. Ciò è quanto intende Hegel con la locuzione fondamentale per cui la sen-
sazione deve diventare un «opposto in sé» (sulla quale cfr. la nota seguente).
7. «L’idealità del sentire o il suo divenire coscienza mira immediatamente a
far sì che nella coscienza la sensazione diventi un opposto in sé che abbia il
suo essere-altro in esso stesso, e perciò il sentito e il senziente [diventino] in
esso stesso un che di universale» (J.S.I, p. 283; C., pp. 20-21).
8. Tali slittamenti, ci sembra, sono fin qui sfuggiti alla letteratura critica
sull’argomento, che tende piuttosto ad appiattire gli uni sugli altri i testi del
1803-04 e del 1805-06. Così, rispetto alle relazioni fra segno e linguaggio,
non soltanto si manca di registrare la peculiarità che contraddistingue quei
primi frammenti in rapporto alle successive stesure (e già agli scritti del
17
1805-06) della filosofia dello spirito (di cui analizzeremo solo le versioni più
significative per la nostra ricerca, e cioè, oltre ai testi di Jena, l’Enciclopedia
del 1830); ma soprattutto, non si possono individuare le scansioni proble-
matiche e i mutamenti interni che volta a volta mutano la configurazione di
quella che nell’Enciclopedia si consoliderà come la sezione teoretica della
Psicologia (concernente cioè lo spirito come «intelligenza»).
9. J.S.I, p. 286 (C., p. 23). Così, l’oggetto «resta ciò che è, ha ancora il suo
essere per sé ed il suo essere-altro è posto soltanto come un dover-essere-
altro» (ibidem).
10. «Un oggetto intuito, come un che di strappato alla sua connessione, viene
posto come riferito ad un altro» (ibidem).
11. J.S.I, p. 286 (C., pp. 23-24). Benché non siano riferite specificamente
a questo testo, cfr. al riguardo le osservazioni di K. Löwith, Hegel und die
Sprache, in Id., Vorträge und Abhandlungen. Zur Kritik der christlichen
Überlieferung, Kohlhammer, Stuttgart 1966, p. 107, e J. Derrida, Le puits et
18
15. Su questo punto, cfr. Th. Bodammer, Hegels Deutung der Sprache. In-
terpretationen zu Hegels Äusserungen über die Sprache, Meiner, Hamburg
1969, p. 41: «C’è bisogno di un accordo precedente su ciò che il segno deve
in generale significare… la produzione di segni presuppone già sempre ac-
cordo e con ciò comunicazione teoretica, linguaggio».
16. «Il segno come un che di reale (deve) altrettanto immediatamente dile-
guare» (J.S.I, p. 287; C., p. 24). Cfr. inoltre, su questo, J. Derrida: «Il contenu-
to dell’intuizione sensibile (il significante) deve cancellarsi, svanire di fronte
al significato, all’idealità significata» (Le puits et la pyramide, cit., p. 54).
20
21. J.S.I, p. 288 (C., p. 25: «immediatamente cessa di essere proprio men-
tre è»).
22. Al riguardo, è da sottolineare come già in questi frammenti il momento
intersoggettivo, nella forma concretamente determinata del popolo, emerga
come fattore condizionante per l’esistenza del linguaggio: «Il linguaggio è
solo in quanto linguaggio di un popolo» (J.S.I, p. 318; C., p. 55). Ciò consen-
te, assieme ai lati già evidenziati della sonorità e temporalità del linguaggio,
di pervenire alla seguente, pregnante definizione: «Il linguaggio è universale,
un che di riconosciuto in sé, di riecheggiarne allo stesso modo nella coscien-
za di tutti; ogni coscienza parlante diviene in esso immediatamente un’altra
coscienza» (ibidem). Sul tema del riconoscimento nella concezione hege-
liana del linguaggio a Jena, sempre suggestive risultano le riflessioni svolte
da J. Habermas, Arbeit und Interaktion. Bemerkungen zu Hegels Jenenser
«Philosophie des Geistes», in Id., Technik und Wissenschaft als «Ideologie»,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1968, pp. 9-47; tr. it. di M.G. Meriggi, Lavoro e
interazione. Osservazioni sulla filosofia dello spirito jenese di Hegel, in J. Ha-
bermas, Lavoro e interazione, Feltrinelli, Milano 1975, pp. 22-47.
23. È a J. Simon che risale l’interpretazione secondo cui, nell’Enciclopedia,
Hegel perverrebbe a intendere il linguaggio come «die zusammenhängende
Gesamtheit des faktischen Sprechens» (Das Problem der Sprache bei Hegel,
Kohlhammer, Stuttgart 1966, p. 169: «la totalità interconnessa del parlare
fattuale», con particolare riferimento al § 459). Ciò comporta che «Hegel,
quando parla del linguaggio, pensa sempre a una determinata situazione
linguistica» (Id., Die Kategorien im «gewöhnlichen» und im «spekulativen»
Satz. Bemerkungen zu Hegels Wissenschaftsbegriff, in «Wiener-Jahrbuch
22
für Philosophie», III, 1970, pp. 9-37: p. 29). Anche D.J. Cook, Language in
the Philosophy of Hegel, Mouton, The Hague-Paris 1973, osserva che «l’im-
portanza di valutare il linguaggio nel suo proprio contesto storico e sociale
è rafforzata dalla preferenza di Hegel per la parola parlata» (p. 180). Ma in
realtà, proprio tale «preferenza» si troverà messa in dubbio, o perlomeno for-
temente problematizzata, sin dagli scritti jenesi del 1805-06.
24. J. Derrida, Le puits et la pyramide, cit., pp. 65-66.
25. Sull’immaginazione. cfr. J.S.I, pp. 284-285 (C., pp. 21-22).
23
28. Nel segno «il significato deve essere per sé; opposto a ciò, che significa
[l’oggetto usato come segno; N.d.A.], ed a ciò, per il quale esso ha il signifi-
cato [e cioè il soggetto; N.d.A.]»; «il nome invece è in sé, durevole, senza la
cosa e il soggetto» (J.S.I, risp. p. 287 e p. 288; C., p. 24 e p. 25). Sull’unità di
significato e significante raggiunta nel nome, cfr. J. Hyppolite, La première
philosophie de l’esprit de Hegel, in Id., Figures de la pensée philosophique,
2 voll., Puf, Paris 1971, vol. I, pp. 309-331, a p. 323, dov’è ben rilevato come
su questa base il nome venga, da un lato, distinto efficacemente dal segno
semplice, e dall’altro cessi di venire inteso come arbitrario.
29. J.S.I, p. 288 (C., p. 25).
25
35. Ibidem.
36. Ibidem.
37. J.S.I, p. 288 (C., p. 25).
38. «In quanto il linguaggio si articola nella molteplicità dei nomi, ma vice-
versa i nomi hanno la loro esistenza… nel linguaggio, tra nome e linguaggio
sussiste un rapporto di mediazione reciproca. Il nome per Hegel non è…
semplicemente un elemento originario, dal quale il linguaggio si costruisca
unilateralmente e additivamente; esso piuttosto presuppone già sempre il
linguaggio» (Th. Bodammer, op. cit., p. 64). Su questo punto, cfr. anche
A. Canilli, Il linguaggio nella filosofia del primo Hegel, «Studi italiani di lin-
guistica teorica e applicata», n. 1-2, 1973, pp. 125-189.
28
39. In virtù della memoria il singolo nome (il «blu» dell’esempio hegeliano)
«viene posto come questo essere-in-relazione, in sé un universale, secondo la
determinatezza del suo contenuto un altro da ciò che è: esso è colore, e con-
cetto dell’intelletto, concetto determinato» (J.S.I, p. 290; C., p. 26).
40. Cfr. J.S.I, pp. 289-290 (C., p. 26).
29
41. «Per il punto di vista della coscienza che bada solo all’opposizione del-
la coscienza, appaiono ancora questi due (lati) della coscienza, ai due lati
dell’opposizione; la memoria appare dal lato di ciò che è cosciente; il lin-
guaggio dall’altro lato» (J.S.I, pp. 277-278; C., p. 16). Sulla coscienza come
«medio», oltre a loc. cit. e s., cfr. J.S.I, pp. 290-294 (C., pp. 27-30). Par-
ticolarmente illuminante, in proposito, J. Taminiaux, Le langage selon les
écrits d’Iena, in «Tijdschrift voor Filosofie», XXXI, n. 2, 1969, pp. 363-377,
a p. 373: «Bisogna dire nello stesso tempo che il colore è appartenente alla
natura come determinazione particolare, e che è solamente nel rapporto al
suo essere-soppresso, il nome, e il linguaggio non è né dal lato del sogget-
to come facoltà, né dal lato dell’oggetto come determinazione cosale, ma è
l’unità e il medio dei due, il movimento nel quale questa opposizione è sop-
pressa, ciascuno dei suoi momenti passando nell’altro».
30
50. Ibidem.
51. Enz., III, § 457, Z., p. 269.
35
52. «Lo spirito va in sé da questo essere del nome, ovvero il suo denominare
gli è oggetto come un regno, come una pluralità di nomi» (J.S.III, p. 191; C.,
p. 76). Sull’attività della memoria, cfr. J.S.III, pp. 191-196 (C., pp. 76-81).
53. «La memoria è perciò il primo lavoro dello spirito ridestato come spiri-
to» (J.S.III, p. 193; C., p. 78).
54. Cfr. infra, nota 59.
36
55. Ricordiamo come Hegel rimproveri Hamann per aver affidato al linguag-
gio la risoluzione delle antinomie della ragione. Cfr. in proposito G.W.F. He-
gel, Hamanns Schriften, in Id., Samtliche Werke, Bd. 11, Berliner Schriften,
hrsg. v. J. Hoffmeister, Meiner, Hamburg 1956, pp. 221-294. Per un confron-
to fra le concezioni di Hegel e quelle di Hamann, rimandiamo allo studio
di S. Dunning, The Tongues of Men. Hegel and Hamann on Religious Lan-
guage and History, Scholars Press, Missoula 1979; un resoconto sintetico
ma esauriente delle critiche del primo al secondo si trova in Th. Bodammer,
op. cit., pp. 183-185.
37
56. «L’io… non solo deve in generale intuire i nomi, ma deve intuirli nel suo
spazio in quanto ordine stabile…» (J.S.III, p. 192; C., p. 77).
57. Scrive in proposito J. Derbolav: «Il linguaggio dunque, per via del suo
“superamento” nella memoria, si può liberare della sua figura corporea, e
come movimento del pensiero esistere per sé… Ma certo, tale movimento
resta ancora linguisticamente vincolato: il pensiero ha bisogno della parola,
per determinarsi e conferirsi… durata» (Hegel und die Sprache. Ein Beitrag
zur Standortbestimmung der Sprachphilosophie im Systemdenken des Deut-
schen Idealismus, in Sprache – Schlüssel zur Welt. Festschrift für Leo Weis-
berger, hrsg. v. H. Gipper, Schwann, Düsseldorf 1959, pp. 55-86: p. 63). La
parola cui fa riferimento Derbolav, però, non sarà più quella oralmente pro-
nunciata, bensì quella fissata nelle forme della scrittura filosofica.
58. Il linguaggio compare in questo testo come «Nahmengebende[n] Kraft»
(J.S.III, p. 189; C., p. 73).
38
61. Ibidem.
62. Nelle pagine di J.S.III qui prese in considerazione, il termine Sache
compare in due contesti estremamente significativi. Nel primo, una nota
a margine definisce la memoria come «ripetizione del medesimo», speci-
ficando le modalità del suo funzionamento nel soggetto come «ripetere
qualcosa già nota, dove non c’è più alcun interesse per la cosa [Sache]»
(J.S.III, p. 194; C., p. 79); nel secondo, e più indicativo, un’altra osserva-
zione a margine, insolitamente estesa, schizza il movimento che conduce
dalla memorizzazione del linguaggio all’intelletto: «L’io intuisce la categoria,
l’io conosce concettualmente [begreifft], ciò che esso comprende è la cosa
stessa [die Sache selbst]»; e a evitare interpretazioni soggettivistiche, Hegel
prosegue: «ma non perché esso comprende o è la forma della egoità, ben-
sì perché comprende la cosa [die Sache]…» (J.S.III, p. 195; C., p. 80). Sul
senso complessivo della Sache selbst, cfr. R. Bodei, Scomposizioni. Forme
dell’individuo moderno, Einaudi, Torino 1987, pp. 221 ss., e la letteratura
ivi citata. Per la funzione e l’impiego del termine/concetto nella Vorrede,
cfr. infra, nota 74.
40
64. Sulla connessione fra queste pagine di filosofia dello spirito e il proble-
ma della Darstellung speculativa, cfr. R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, il
Mulino, Bologna 1975, pp. 251 ss.
45
67. Cfr. W. Marx, op. cit., p. 31: «In questa comprensione del linguaggio,
come di uno splendore che rende trasparente, viene a espressione l’essenza
della metafisica tradizionale del Nous e della luce. Il Nous “che domina su
tutto”, pensato in base alla metafora della luce, produce una totale trasparen-
za, un’assoluta intelligibilità, per la quale non esiste alcuna sfera di essenziale
estraneità, enigmaticità, di mistero».
68. Cfr. in proposito P. Kemper, op. cit., pp. 225-232 (sulla «dominanza
del pensiero nei confronti del linguaggio»), pp. 242 ss. (dove sulla base di
un brano tratto dalla Differenzschrift del 1801 sul concetto di intuizione
trascendentale [cfr. Diff., p. 40; tr. it. cit., pp. 41-42], l’autore coglie l’esi-
to della filosofia hegeliana nel «ritrarsi-in-sé del pensiero dall’effettualità
linguistica della sua esposta formazione proposizionale nella continuità di
un’auto-eguaglianza di pensare e pensieri»). Sul tema in questione, cfr. an-
che K. Harlander, Absolute Subjektivität und kategoriale Anschauung. Eine
Untersuchung der Systemstruktur bei Hegel, Hain, Meisenheim a.Gl. 1968,
e il contributo, precedente, di J. Simon, Reine und sprachliche Anschauung
(Kant und Hegel), in Das Problem der Sprache, VIII. Deutscher Kongress
für Philosophie, hrsg. v. H.-G. Gadamer, Fink, München 1967, pp. 159-167.
48
dell’io = io non è un vacuo riflesso, bensì l’esperienza dell’io che è noi e del
noi che è io, l’esperienza che l’io compie in quanto si enuncia, cioè in quanto
si comunica…» (Der Spekulative Satz, cit., p. 190). Da qui conseguirebbe
che «la proposizione speculativa non è una proposizione. Non è una proposi-
zione che in quanto rigidamente scritta si comprende, bensì una proposizio-
ne che in quanto pronunciata è avvertita…» (ivi, p. 233), in quanto appunto
in Hegel «il linguaggio è l’effettualità del concetto. Detto altrimenti: parlare
è l’effettualità della ragione» (Denken der Sprache. Sprache und Kunst bei
Vico, Hamann, Humboldt und Hegel, Alber, Freiburg i.Br. 1984, p. 215).
Perciò, da un lato, viene riconosciuto come nessuna singola proposizione
possa esaurire l’esposizione dell’Assoluto, ma tale eccedenza viene posta in
relazione con la natura dinamicamente aperta del linguaggio; dall’altro, poi-
ché nella proposizione speculativa si esprime comunque il «concetto spe-
culativo di ciò che già sempre accade – benché inconsapevolmente – nella
proposizione ordinaria», in essa «il metodo speculativo» dovrebbe perveni-
re ad adeguata esposizione «come metodo tanto progressivo quanto anche
regressivo» dell’identificazione reciproca fra le «parti proposizionali» (Der
Augenblick. Zeit und ästhetische Erfahrung bei Kant, Hegel, Nietzsche und
Heidegger mit einem Exkurs zu Proust, Alber, Freiburg i.Br.-München 1982,
p. 92). Ciò non solo conduce Wohlfart a interpretare in senso intuizionistico
la nozione hegeliana di idea assoluta (su cui cfr. il suo Die absolute Idee als
begreifendes Anschauen. Bemerkungen zu Hegels Begriff der spekulativen
Idee, in «Perspektiven der Philosophie», VII, 1981, pp. 317-338), ma deter-
mina conseguenze anche sul terreno dell’ermeneutica dei concetti di eter-
nità e tempo (cfr. infra, cap. III, nota 124, pp. 200-201).
50
noch hinzukommt, dass der Ernst des Begriffs in ihre Tiefe steigt, so wird
eine solche Kenntnis und Beurteilung in der Konversation ihre schickliche
Stelle behalten» (V., p. 12; tr. it. cit., p. 4, corsivi miei). Come noto, la «cosa
stessa» riceve la sua determinazione fenomenologica nel capitolo sul «regno
animale dello spirito» (cfr. Phän., pp. 285-301; tr. it. cit., pp. 328-348). Ma
più decisivo ancora, per intendere il concetto nel contesto della Vorrede,
ci sembra il riferimento agli sviluppi della filosofia dello spirito jenese del
1805-06. In tal senso, l’impiego da parte nostra di termini come «auto-mo-
vimento» e «cosa stessa» è inteso non solo come immanenza ermeneutica al
testo della Vorrede, né solo come implicito rimando alla definizione feno-
menologica della Sache selbst, bensì è volto soprattutto a evidenziare il rap-
porto di stretta implicazione sussistente fra Vorrede e filosofia dello spirito
jenese del 1805-06. Per l’impiego della nozione di Sache selbst in quest’ul-
timo testo, cfr. supra, nota 62. Sulla Sache come «oggetto» della logica spe-
culativa, infine, cfr. infra, le conclusioni della nostra ricerca, in riferimento
alla Prefazione del 1831 alla Scienza della logica.
75. Al Räsonnieren (V., capov. 58), o räsonnierendes Verhalten (V., capov.
59), contraddistinto dal fatto di essere «überhaupt nicht in der Sache, son-
dern immer darüber hinaus» (ibidem), e che quindi «in unwirklichen Ge-
danken hin und her räsonniert» (capov. 58), la filosofia richiede, «statt das
willkürlich bewegende Prinzip des Inhalts zu sein, diese Freiheit in ihn zu
versenken» (ibidem). Per il fatto di tenersi sempre al di fuori dei contenu-
ti, esso viene chiamato anche formales Denken, e distinto in tal modo da un
materielles Denken, definito a sua volta come «Gewohnheit, an Vorstellungen
fortzulaufen» (ibidem). L’opposizione di cui si tratta viene però relativizza-
ta nel corso del testo. Anzi, quest’ultimo perverrà a dimostrare la profonda
complicità che vincola questi due modi di pensare l’uno all’altro.
76. Cfr. V., capov. 59, p. 48 (tr. it. cit., p. 49).
77. L’analisi del primo lato occupa il seguito del capov. 59; quella del secon-
do il successivo capov. 60 (pp. 49-51; tr. it. cit., pp. 49-51).
54
81. Ibidem.
82. Ibidem.
83. V., p. 50 (tr. it. cit., p. 50).
56
87. Cfr. ibidem.
88. Per l’impiego assai sintomatico di questo termine in riferimento al conte-
nuto filosofico, cfr. V., capov. 58, p. 48 («seine eigene Natur»; tr. it. cit., p. 49).
58
pagine della Vorrede con la trattazione del giudizio contenuta nella Logica
jenese del 1804-05 (cfr. J.S.II, pp. 80-93; tr. it. cit., pp. 78-91, e il commen-
to relativo di F. Chiereghin, pp. 357-371).
91. Cfr. V., capov. 60, p. 50 (tr. it. cit., p. 51).
92. Cfr. V., capov. 61, p. 51 (tr. it. cit., pp. 51-52).
93. V., capov. 62, p. 51 (tr. it. cit., p. 52).
94. «Statt dass es im Prädikate in sich gegangen die freie Stellung des Rä-
sonnierens erhielte, ist es in den Inhalt noch vertieft» (ibidem).
95. Cfr. V., capov. 61, p. 51 (tr. it. cit., p. 51).
60
frontare, in proposito, Enz., I, in part. §§ 31, pp. 97-98, e § 85, pp. 181-182
(tr. it. cit., risp. pp. 43-44 e pp. 100-101; Enc., pp. 178-179 e 257-258), an-
che se da considerare, in realtà, sarebbe perlomeno il gruppo di paragrafi
28-32, con relativi osservazioni e Zusätze, i quali rendono quanto mai evi-
dente la connessione fra «pensare rappresentativo», esposizione proposi-
zionale e tradizione di pensiero teologico-metafisica (essi fanno parte della
sezione dell’Enciclopedia che tratta della «prima posizione del pensiero ri-
spetto all’oggettività», la quale porta il titolo Metaphysik – titolo non pre-
sente nell’edizione crociana da me utilizzata); e W.d.L., I, pp. 57 ss., in part.
p. 63: «Was somit über das Sein ausgesprochen oder enthalten sein soll in
den reicheren Formen des Vorstellens von Absolutem oder Gott, dies ist
im Anfange nur leeres Wort und nur Sein» (tr. it. cit., pp. 58 ss., in part. p.
65, corsivo mio).
103. Cfr. V., capov. 31, pp. 28-29 (tr. it. cit., p. 25), ma anche i luoghi dell’En-
ciclopedia (in part. i §§ 30-31) e della Logica menzionati alla nota precedente.
63
104. Cfr. V., capov. 23, p. 23: «Dato il modo in cui quel movimento è costitu-
ito, esso non può appartenere al soggetto; d’altronde, presupposto quel pun-
to, il movimento non può essere costituito diversamente: può essere soltanto
esteriore» (tr. it. cit., p. 18); e ancora V., capov. 66, p. 54: «Quand’anche di
quel soggetto vengano predicate delle verità speculative, il loro contenuto è
pur sempre privo di concetto immanente, perché è dato solo come concetto
statico» (tr. it. cit., p. 55). Nella Vorrede, quindi, così come in seguito, non si
tratta soltanto della «superficialità» dell’impiego a soggetto proposizionale
del nome «Dio» (su cui cfr. subito infra), ma della necessità della sua esclu-
sione dal linguaggio dell’esposizione filosofica, se quest’ultima vuol essere
davvero «esposizione speculativa».
105. Cfr. Enz., I, § 85: «Weil der Gedanke… nur im Prädikate enthalten
ist, so ist die Form eines Satzes, wie jenes Subjekt, etwas völlig Überflüssi-
ges» (pp. 181-182; tr. it. cit., p. 101). Ma nell’Anmerkung del § 31, al quale
lo stesso Hegel rimanda, egli aveva già precisato che «nel pensiero logico…
non solo è superfluo fare di queste determinazioni predicati di proposizio-
ni il cui soggetto sia Dio o, più vagamente, l’assoluto, ma questo procedere
avrebbe anche lo svantaggio di far pensare a una misura diversa dalla natura
stessa del pensiero» (Enz., I, pp. 97-98; tr. it. cit., p. 44). La Vorrede espri-
me la medesima concezione quando asserisce che per la filosofia «la propo-
sizione, presa nella sua immediatezza, è una forma soltanto vuota», poiché
64
in lei «non si dà contenuto alcuno comportantesi come quel soggetto che sta-
rebbe a fondamento e al quale il suo significato converrebbe come un predi-
cato» (V., capov. 66, p. 53; tr. it. cit., p. 55). I. Soll, nel suo Sätze gegen Sätze:
ein Aspekt der Hegelschen Dialektik, in «Hegel-Jahrbuch», 1974, pp. 39-45,
contesta la posizione di Hegel, in quanto «per mostrare che questi soggetti
grammaticali e le loro proposizioni sono superflui, Hegel dovrebbe non solo
dimostrare che queste parole sono molto vaghe, ma anche che sono del tutto
prive di senso. A tal fine, Hegel le determina come nomi propri e si decide
per la posizione che i nomi, in opposizione ai concetti universali, sono privi
di significato. Ma tali parole sembrano avere un certo contenuto descritti-
vo. Se nonostante ciò le si annovera fra i nomi, la semplice plausibilità della
tesi che i nomi siano privi di significato diventa meno convincente» (pp. 42-
43). Tuttavia, l’argomentazione hegeliana non ha di mira il funzionamento
empirico del linguaggio, ma va compresa in rapporto al begreifendes Den-
ken e al dispositivo dell’esposizione teoretica. Poiché il discorso filosofico
impone la neutralizzazione di qualsiasi contenuto che non sia pensiero e
concetto, parole come «Dio» e «assoluto» vengono dissociate dal contenu-
to rappresentativo in esse presupposto, e ricondotte così al livello di «suoni
senza senso» e «meri nomi».
106. Cfr. V., capov. 66, p. 54: «L’esposizione, fedele alla comprensione [Ein-
sicht] della natura dello speculativo, deve mantenere la forma dialettica, e
non far posto a nulla che non venga concepito e non sia il concetto» (tr. it.
cit., p. 55).
65
108. «In den Inhalt… vertieft» (V., capov. 62, p. 51; tr. it. cit., p. 52)
109. Cfr. V., capov. 65, p. 52 (tr. it. cit., p. 54).
110. Cfr. V., capoversi 63-64, p. 52 (tr. it. cit., p. 53).
67
deve essere una fondamentale struttura dialettica implicata dalla forma ordi-
naria della loro espressione, in virtù della quale i “contenuti” possono esse-
re interpretati come relati dialetticamente l’uno all’altro a prescindere dalla
loro complessità interna. È questa struttura della forma soggetto-predicato
che Hegel cerca di articolare nella sua discussione sulla “proposizione spe-
culativa”» (p. 218). Pressoché opposta è la posizione di H. Röttges, Der Be-
griff der Methode in der Philosophie Hegels, Hain, Meisenheim a.Gl. 1976,
p. 70: «Ciò che distingue la proposizione speculativa dal giudizio ordinario
non è dunque soltanto la forma, bensì anche il contenuto filosofico» (ma da
consultare, in proposito, è tutto il cap. V: Die methodologische Bedeutung
der Darstellungs-problematik: Spekulativer Satz und absoluter Unterschied,
pp. 63-89).
72
121. Sul linguaggio «als Werk des Verstandes», cfr. W.d.L., I, p. 104 (tr. it.
cit., p. 113); e per la specificazione dell’opera» dell’intelletto in rapporto alla
73
forma, e cioè alla grammatica della lingua, cfr. Enz., III, § 459 Anm., p. 271
(tr. it. cit., p. 449).
122. Davvero «la “fatica del concetto” resta legata alla “fatica della parola”»
(J. Derbolav, op. cit., p. 64).
74
129. «In quanto il sapere vede tornare il contenuto nella sua propria interio-
rità, la sua attività è… tanto immersa nel contenuto, poiché ne è il Sé imma-
nente, quanto in pari tempo tornata in sé, poiché è la pura auto-eguaglianza
nell’esser-altro; così la sua attività è l’astuzia, che pur sembrando sottrarsi
all’attività, osserva come la determinatezza e la sua vita concreta, proprio
mentre s’illude di perseguire la sua auto-conservazione ed il suo particola-
re interesse, sia l’inverso, un operare che dissolve se stesso e si trasforma in
momento dell’intero» (V., p. 46; tr. it. cit., pp. 45-46, corsivi miei).
79
gio, ma lo deve piegare e asservire, dimodoché ogni nuova filosofia, pur non
utilizzando una speciale terminologia, forza la grammatica, la “forma” di una
lingua, fino a farne sprigionare tutte le possibilità nascoste»; la seconda da
S. Tagliagambe, La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio
da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano 1980, p. 292, dove si sottolinea «il
carattere dinamico dell’interazione tra lingua e pensiero, il lavoro immenso
che quest’ultimo compie sulla prima al fine di forzarne i limiti e le frontie-
re». Sul problema dello «stile» in/di Hegel, cfr. M. Züfle, Prosa der Welt. Die
Sprache Hegels, Johannes, Einsiedeln 1968 (in part., sulla Vorrede, il cap. IV:
Vorrede zur Phänomenologie des Geistes: Hegel als Prosaist, pp. 303-368).
134. Il problema qui coinvolto riguarda il rapporto fra movimento dialetti-
co, esposizione linguistica e riflessione, anch’essa linguisticamente esposta,
esercitata dal pensiero sulla sua propria Darstellung. Il nodo affrontato, in
sede ermeneutica, concerne la possibilità o meno di risolvere la riflessione
in esposizione, e involge infine la possibilità stessa di potere adeguatamente
esporre l’Assoluto medesimo. Bubner è pervenuto in tal senso a determi-
nare le modalità di auto-costituzione del sapere dialettico nella forma del
sapere di ciò che si è detto (ciò soprattutto in base alla recensione hegeliana
degli scritti di Solger, dal titolo Solgers nachgelassene Schriften und Brief-
wechsel [1828], ora in G.W.F. Hegel, Berliner Schriften, cit., pp. 155-220):
«il modo in cui questo movimento si svolge è la risoluzione di contraddizio-
ni attraverso la riflessione su ciò che effettivamente si dice o si è detto e ciò
che si voleva dire. Le contraddizioni si pongono per il fatto che si apre una
discrepanza fra l’asserzione e l’intenzione» (R. Bubner, op. cit., p. 140). Egli
contesta però che un’esposizione esaustiva dell’Assoluto possa mai darsi: «la
continuità e la sequenza di determinazioni sorgenti l’una dall’altra risulta
dalla circostanza che ne va sempre della stessa cosa, senza che mai tutto sia
detto. Alla verità dell’assoluto appartiene di non poter mai essere comple-
tamente afferrata» (ivi, p. 139). La concordanza di questa interpretazione
84
135. Cfr. V., capov. 65, p. 53 (tr. it. cit., p. 65); e soprattutto V., capov. 18,
p. 20: «Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’i-
nizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e
la propria fine è effettuale» (tr. it. cit., p. 14). Che la pregnanza di tali passi
emerga compiutamente solo alla luce del problema costituito dall’Aufhebung
del tempo da parte del concetto, lo confermano i brani altrettanto noti dei
precedenti, che trattano la questione all’altezza del «sapere assoluto», sezio-
ne con la quale si conclude la Fenomenologia dello spirito, e di cui vogliamo
citare forse il più emblematico: «Il tempo è il concetto medesimo che è là
e si presenta alla coscienza come intuizione vuota; perciò lo spirito appare
necessariamente nel tempo, ed appare nel tempo fin tanto che non coglie il
suo concetto puro, vale a dire finché non elimina [tilgt] il tempo… Il tempo
appare quindi come destino e necessità dello spirito che non è perfetto [voll-
endet] in se medesimo…» (Phän., p. 558; tr. it. cit., II, p. 298). Una lettura
stimolante del brano in questione ha fornito P.-J. Labarrière, La sursomp-
tion du temps et le vrai sens de l’histoire conçue. Comment gérer cet héritage
hégélien?, in «Revue de Métaphysique et de Morale», LXXXIV, n. 1, 1979,
pp. 92-100, poi in G. Jarczyk - P.-J. Labarrière, Hegeliana, Puf, Paris 1986,
pp. 149-157. Per un’interpretazione in chiave non-metafisica della sezione
sul «sapere assoluto», e quindi anche del rapporto fra sistema filosofico e
tempo della storia, cfr. da ultimo R. Bodei, Scomposizioni, cit., pp. 201 ss. Sul
problema della circolarità, e dell’adeguatezza o meno di questa «figura» in
rapporto alla comprensione del pensiero hegeliano, cfr. D. Souche-Dagues,
Le cercle hégélien, Puf, Paris 1986. Per la genesi della metafora circolare a
Jena, cfr. H. Kimmerle, op. cit., p. 73 (sulla sua prefigurazione negli abbozzi
sistematici del 1803-04, in cui per la prima volta s’incontrerebbe «il pensiero
di un circolo delle determinazioni logiche»), e il paragrafo Das Erkennen als
«in sich zurückgehender Kreis» (ivi, pp. 88-93), in cui l’autore commenta il
frammento hegeliano ora riportato, col titolo editoriale Zwei Anmerkungen
zum System, in J.S.II, pp. 343-347, la cui datazione, benché non determina-
bile con precisione, andrebbe compresa fra il 1803-04 e il 1804-05.
87
Capitolo II
L’esposizione speculativa
come eternità realizzata
1. Cfr. supra, pp. 54-57. Per ulteriori accertamenti testuali, cfr. V., p. 31 e
p. 47 (tr. it. cit., p. 27 e p. 47); W.d.L., I, pp. 14-15 (tr. it. cit., pp. 14-15).
N. Hartmann scrive su questo punto che il movimento categoriale per He-
gel è «assolutamente “reale” nel pensiero, non è una costruzione od un’in-
terpretazione, bensì un fatto» (Die Philosophie des deutschen Idealismus,
de Gruyter, Berlin-New York 19743; tr. it., La filosofia dell’Idealismo te-
desco, a cura di V. Verra, Mursia, Milano 1972, p. 386). Tale posizione è
complementare in Hegel alla funzione creativa in senso linguistico da lui
attribuita all’attività filosofica, così com’è emerso dalla trattazione del con-
90
8. Cfr. W.d.L., I, pp. 93-97 (tr. it. cit., pp. 99-105).
9. Sul tempo della Vorstellung e il suo rapporto col movimento della Dar-
stellung, cfr. infra, cap. III, § 4.
96
16. Enz., II, § 258, Z., p. 50; cfr. infra, cap. III, nota 95.
17. Cfr. Enz., II, § 259, con relative osservazione e aggiunta, pp. 51-52 (tr.
it. cit., pp. 235-257). L. Lugarini scrive al riguardo: «Ma qui la loro dialettica
100
21. Cfr. J.S.II, p. 197: «il tempo reale è passato solo di contro a presente
e futuro; ma questo terzo è la riflessione del tempo in sé, ovvero esso è di
fatto presente».
22. Cfr. J.S.II, p. 197: «questo tempo reale è l’inquietudine del concetto
assoluto paralizzata, il tempo che nella sua totalità si è trasformato nell’asso-
lutamente altro, è trapassato dalla determinatezza dell’infinito… nell’oppo-
sto, la determinatezza dell’auto-eguaglianza, e così, in quanto l’indifferenza
eguale a se stessa, i cui momenti sono contrapposti nella forma di questa,
esso è spazio».
23. Cfr. J.S.II, pp. 207-208; ma più chiaramente in proposito J.S.III, pp. 14-
15. D. Wandschneider, Raum, Zeit, Relativität. Grundbestimmungen der
Physik in der Perspektive der Hegelschen Naturphilosophie, Klostermann,
Frankfurt a.M. 1982, precisa al riguardo: «Questa relazione di spazio e tem-
po trova espressione autonoma nel concetto della durata… si può parlare
sensatamente di cambiamento solo nella misura in cui lo stato precedente
resti nondimeno in qualche forma conservato nel suo superamento, coesista
col nuovo stato, duri…» (p. 87).
103
33. Al riguardo valga per tutte l’opera di I. Iljin, Die Philosophie Hegels als
kontemplative Gotteslehre, Francke, Bern 1946.
107
34. «Se noi tratteniamo il non-essere del suo essere contro di essa [la prima
dimensione, cioè l’ora; N.d.A.], che è posta come essente, cosicché questo
non-essere la tolga, noi poniamo il futuro; si tratta di un altro, che è il nega-
re di questo ora: la seconda dimensione» (J.S.III, p. 12).
35. «Ma questo essere che gli è attribuito cade al di fuori di essa, è un rap-
presentato» (J.S.III, p. 12).
109
36. L’interpretazione hegeliana del futuro può apparire, nella nostra lettura,
eccessivamente ristretta. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la nostra
analisi, qui come nel seguito della ricerca, è concentrata sui testi di filosofia
della natura, e mira a determinare il senso dell’eccedenza, rispetto al «tempo
naturale», dell’eternità speculativa. Il significato del futuro emergerebbe, da
un’ottica di filosofia della storia e di storia della filosofia, con una rilevanza
senz’altro più accentuata.
37. «Il futuro sarà, noi ce lo rappresentiamo come qualcosa, gli trasferiamo
l’essere del presente, non lo rappresentiamo come qualcosa di meramente
negativo» (J.S.III, p. 12).
110
44. Cfr. J.S.III, p. 13: «Il passato è esso stesso solo dimensione, negare in lui
immediatamente tolto, ovvero esso è ora».
118
45. Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer, Tübingen 1927; tr. it. di
P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano 19763, pp. 511-518: «il con-
cetto di tempo proposto da Hegel costituisce la più radicale… elaborazio-
ne concettuale della comprensione ordinaria del tempo» (p. 511); e ancora:
«Hegel… porta la sperimentazione e l’interpretazione ordinaria del tempo
alla formulazione più radicale» (p. 514).
46. Enz., II, § 257, Z., p. 48.
47. M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 515.
48. Loc. cit. supra, nota 15.
119
49. «Il presente finito è l’ora fissato come essente, distinto dal negativo, dagli
astratti momenti del passato e del futuro, come l’unità concreta, perciò come
l’affermativo; però quell’essere è esso stesso astratto, dileguante in nulla…»
(Enz., II, § 259 Anm., p. 52; tr. it. cit., p. 235).
50. «Il primato conferito all’“ora” livellato spiega perché anche la determi-
nazione hegeliana del tempo non si discosti dalla linea della comprensio-
ne volgare del tempo e quindi anche dal concetto tradizionale del tempo»
(M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 536, nota 30). Su questa nota hei-
deggeriana cfr. il saggio di J. Derrida, Ousia et grammè, cit.
51. In questo senso Heidegger intende il confronto, da lui instaurato, fra
Aristotele e Hegel: «Il riferimento a una connessione diretta fra il concetto
del tempo in Hegel e l’analisi aristotelica del tempo non intende imputare
a Hegel una “dipendenza”, ma semplicemente richiamare l’attenzione sulla
portata ontologica fondamentale di questa filiazione rispetto alla logica he-
geliana» (M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 537, nota 30).
52. Cfr. ivi, p. 514 e p. 517.
120
53. Cfr. su questo punto le opere di J. van der Meulen, Heidegger und
Hegel oder Widerstreit und Widerspruch, Hain, Meisenheim a.Gl. 1953,
e Hegel. Die gebrochene Mitte, Meiner, Hamburg 1958. In quest’ultimo li-
bro, a p. 89, egli parla dell’eternità come della «radice del tempo» la quale
a sua volta, licenziandosi come tempo, dona a quest’ultimo la sua origine.
In questo senso, interpreta l’idea assoluta come ursprüngliche Zeitlichkeit,
che estraniandosi da sé dà luogo al tempo naturale. Così, già nel libro del
’53 veniva dimostrato come «quest’ultimo non possa venire scambiato con il
tempo concepito. Il tempo nella maniera in cui si mostra come spazio-tempo
al primo livello della natura è trattato nella filosofia della natura… Concetto
del tempo significa al contrario il tempo originario, così come esso si radi-
ca nel concetto in quanto logos. Questo tempo è ora l’Idea in quanto veri-
tà dell’essere stesso» (J. van der Meulen, Heidegger und Hegel, cit., p. 89).
Certo in tal modo sfugge come sia la dialettica che il tempo svolge a livello
121
stesso di filosofia della natura che mostra la necessità del suo raccoglimen-
to nel concetto, e così anche l’eternità può equivalere al «tempo originario»
solo in quanto simultaneamente distrugga ogni forma di tempo. Tuttavia,
tale interpretazione consente a van der Meulen di evidenziare il fraintendi-
mento cui soggiace la critica hegeliana di Heidegger: «L’ora-qui viene per
così dire fissato solo nel luogo, cosicché il tempo-luogo [Ortszeit], che nella
sua attuazione è il movimento, è omologo al tempo-ora volgare nel senso di
Heidegger» (ivi, p. 121), mentre del tutto errato sarebbe imputare a Hegel
di orientare la sua interpretazione in base al tempo «livellato» perché egli,
al pari di Heidegger, lo «deriva» da una temporalità originaria che per lui
è l’Idea (ibidem). Sull’interpretazione heideggeriana della concezione del
tempo in Hegel, cfr. anche i più recenti contributi di J.-L. Vieillard-Baron,
Le temps. Platon. Hegel. Heidegger, Vrin, Paris 1978; J.P. Surber, Heidegger’s
Critique of Hegel’s Notion of Time, in «Philosophy and Phenomenological
Research», XXXIX, 1978-1979, pp. 358-377; V. Vitiello, Heidegger, Hegel e
il problema del tempo, in Id., Dialettica ed ermeneutica: Hegel e Heidegger,
Guida, Napoli 1979, pp. 15-43; D. Souche-Dagues, Une exégèse heidegge-
rienne: le temps chez Hegel d’après le § 82 de «Sein und Zeit», in «Revue de
Métaphysique et de Morale», LXXXIV, n. 1, 1979, pp. 101-120.
122
54. «Ma per la sua immediatezza, tanto di essere negativo nei confronti
dell’ora negativo [negierend], quanto di trasformare il futuro nel passato,
oppure in relazione a se stesso, di togliersi in quanto negativo [negierend],
è esso stesso ora» (J.S.III, pp. 12-13). Sul significato dell’«immediatezza»
nel reciproco scavalcamento delle dimensioni, cfr. infra, cap. III, pp. 192
e 195-198.
55. J.S.III, p. 13.
125
56. Ibidem.
126
59. Cfr. su questo punto l’opera di H. Marcuse, Hegels Ontologie und die
Grundlegung einer Theorie der Geschichtlichkeit, Klostermann, Frank-
furt a.M. 1932; tr. it. di E. Arnaud, L’ontologia di Hegel e la fondazione
di una teoria della storicità, pres. di M. Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze
1969, pp. 183-184: «L’intemporalità del movimento dell’idea non ha quin-
131
60. Cfr. A. Koyré, Hegel à Iena (1934), ora in Id., Études d’histoire de la
pensée philosophique, Gallimard, Paris 19712, pp. 147-189; tr. it., Hegel a
Jena, in J. Hyppolite et al., Interpretazioni hegeliane, cit., pp. 133-167, in
part. p. 157.
61. Cfr. A. Kojève, Lezioni sull’eternità, il tempo e il concetto, cit., p. 204.
133
visione beatifica» (p. 224, nota). Egli sottolinea quindi la valenza propria-
mente speculativa che la concezione dell’istante assume in Hegel: «L’istan-
te è la rivelazione di quella presenza assoluta degli esseri che contiene allo
stesso tempo il passato e il futuro. Mediante la contemplazione filosofica, lo
spirito si apre all’immanenza dell’eternità nel tempo e del tempo nell’eter-
nità» (ivi, p. 249). Niel conclude però tale brano con un’osservazione che ci
lascia perplessi: «Bisogna nondimeno riconoscere che essendo data la pre-
minenza accordata all’idea, lo spirito non è temporalità, ma potenza stessa
del tempo; ciò dona al tempo hegeliano un carattere essenzialmente lineare»
(ibidem). In effetti, la preminenza dell’idea non comporta semplicemente la
distruzione del tempo, ma l’idea stessa, e l’esposizione logico-sistematica in
generale, è proprio quel «tempo come tempo» che alcuni interpreti (cfr. su-
pra, nota 53) hanno inteso come «temporalità originaria». Inoltre, il tempo è
considerato alla stregua di una progressione lineare d’istanti dalla concezione
«finita», mentre proprio «la preminenza dell’idea», che sorge del resto dalla
dialettica delle dimensioni del tempo, ripiega nella concretezza dell’attimo
quanto sarebbe altrimenti una semplice successione di ora. Pur collocando-
si entro un contesto fenomenologico, taluni fraintendimenti può suscitare
anche la trattazione di B. Liebrucks nel già citato vol. V di Sprache und Be-
wusstsein. A proposito del movimento che conduce la «certezza sensibile»
a opinare il singolo ora, ma a enunciare invece un «Universale», Liebrucks
così si esprime: «Se questo ora è universale in senso ultra-temporale, allo-
ra non devono essere vere per lui le determinazioni che valgono all’interno
del mondo della temporalità. Non è dunque più possibile dire che l’ora non
sarebbe nello stesso attimo in pari tempo notte e non-notte. Giacché l’ora è
sempre… ora, esso non è mai limitato a un attimo. Se dunque è universale,
fa parte delle condizioni dell’universalità che esso possa essere tanto notte
come non-notte, perché l’universale è extra-temporale… L’ora universale
non è in questo attimo. In questo attimo c’è piuttosto questo ora determina-
to. L’ora universale non è in nessun tempo» (op. cit., pp. 20-21). Al contra-
rio, se in Hegel non si può parlare di «extra-temporalità» per l’ora «eterno»,
tantomeno ciò diventa possibile per l’ora «universale», che in una delle due
Nachschriften pubblicate da Bonsiepen viene definito come «Allgemeine[s]
in der Zeit» (W. Bonsiepen, op. cit., p. 53), e la cui stessa determinazio-
ne concettuale risulta incompatibile con una sua qualificazione in senso
«ultra-temporale». Cfr., in questo senso, la sua riconduzione da parte di He-
gel alla nozione di durata (ivi, p. 53 e p. 72; Enz., II, § 258, Z., p. 50). Per
135
70. G.R.G. Mure, nel suo libro A Study of Hegel’s Logic, Clarendon Press,
Oxford 1950, pone giustamente in relazione l’impiego del tempo «passato»
all’intemporalità del movimento concettuale. A proposito della transizione
reciproca fra l’essere e il nulla, all’inizio della Logica, egli scrive che «la so-
stituzione del tempo presente col perfetto vuole significare che l’oscillazione
reciproca non è temporale» (ivi, p. 35). Tuttavia, poiché egli non tematizza
il concetto hegeliano d’«intemporalità» o eternità, non riesce a chiarire la
motivazione filosofica di tale privilegiamento del passato, rischiando perciò
di ridurre quell’uso ad accorgimento puramente linguistico. Così, quan-
do si tratta di chiarire il senso dell’eternità attribuita da Hegel al concetto,
Mure la intende come se fosse in gioco l’intrascendibilità della Logica nel-
la successione degli ora, senza cogliere nell’eternità la determinazione del-
le modalità di articolazione della Darstellung speculativa: «Si può dubitare
se Hegel credesse o no la sua Logica eterna, ma non si può dubitare che il
nucleo di hegelismo che abbiamo cercato di costruire non giustifica questo
punto di vista» (ivi, p. 328). Al contrario, la logica va concepita come scien-
za dell’apertura al nuovo e consapevole della sua propria storicità, proprio
per le modalità di destituzione del tempo che la sua eternità realizza. Sul-
la funzione peculiare del passato in Hegel, cfr. anche H. Marcuse, L’onto-
logia di Hegel, cit., p. 135: «Nella categoria dell’essere posto l’essere-stato
(Gewesenheit) in quanto essenza (Wesen) della realtà trova ancora una volta
la sua compiuta espressione. Il reale raggiunge la sua realtà in base al suo
essere-stato, è reale sempre soltanto in virtù di ciò che è stato e derivan-
do da ciò che è stato, mediante il superamento del suo presupposto. Qui
ha il suo fondamento l’enigmatica affermazione fatta da Hegel nella Filo-
sofia della natura: “La verità del tempo è che non il futuro, bensì il passa-
to è la meta”». La posizione di Marcuse, che nel passo in questione mostra
di essere in qualche modo antesignana rispetto a quella di Brauer, intende
la funzione del passato alla luce della determinazione del reale come sto-
ricità. Tuttavia, il significato del passato non si esaurisce su questo piano,
bensì coinvolge, come stiamo cercando di mostrare, il movimento linguisti-
co e concettuale dell’esposizione, il quale è sempre anche uno svolgimento
«all’indietro», e quindi non solo espansione, ma intensificazione attuata come
raggiungimento del fondamento. Come abbiamo visto, quest’ultimo è da un
lato ciò da cui il movimento che lo precede in realtà proviene, e perciò ne
141
72. In questo senso, rischia di rivelarsi riduttiva la tesi di van der Meulen,
che così riassume i risultati delle sue ricerche rispetto a tempo, eternità e lo-
gica: «In Hegel… la pura sintesi o la negazione della negazione rappresenta
a ogni stadio del logos il concetto del tempo, il tempo originario come l’ori-
gine del tempo che appare, il quale tempo originario, seguendo Heidegger,
abbiamo chiamato temporalità. A dire il vero, abbiamo visto che esso è pro-
priamente, in tutti gli stadi inferiori, soltanto il tempo superato, non ancora
la temporalità stessa… Solo nella negatività più profonda, che si raccoglie in
sé, dell’idea assoluta noi vedemmo costituirsi, nell’unificazione di negazione
e negazione della negazione, il vero concetto come la vera radice del tempo»
(J. van der Meulen, Hegel, cit., p. 233). Al contrario, ciò che van der Meu-
len chiama temporalità originaria, «la temporalità come la radice del tempo
in generale» (ivi, p. 213) non deve attendere, per costituirsi, di pervenire
al livello «ultimo» dell’idea assoluta, bensì è già presente nell’attimo stesso
del cominciamento logico-espositivo, per procedere di riempimento in ri-
empimento sino allo Jetzt della conclusione, la quale però, dialetticamente,
ripristina e costituisce anche l’inizio vero e proprio.
73. Cfr. quanto sulla verità hegeliana scrive Adorno: «Ma come tale, trapas-
sante, tanto poco meramente “posta” quanto poco meramente “svelata”, essa
è incompatibile con ciò di cui fa questione l’ontologia. La verità hegeliana
non è più nel tempo, come era la nominalistica, né al di sopra del tempo alla
maniera ontologica: il tempo diventa per Hegel un momento della stessa ve-
rità. La verità come processo è un “trascorrere di tutti i momenti”, in contra-
sto con “la proposizione priva di contraddizione”; e come tale ha un nucleo
144
temporale» (Th.W. Adorno, Tre studi su Hegel, cit., pp. 72-73). Senz’altro
qui viene colta con precisione la distanza che separa la dialettica hegeliana
dall’ontologia. E tuttavia, il tentativo di Hegel appare ancora più radicale, se
assieme alla permanenza del tempo in quanto «nucleo» della verità si sotto-
linea il fatto che quest’ultima s’instaura come movimento della sua destitu-
zione, e che proprio in quanto espone un tale movimento essa, da un lato,
«compie» il tempo nell’attimo stesso in cui lo distrugge, dall’altro preserva e
rafforza l’irriducibile eccedenza che la distanzia dall’ontologia.
145
Capitolo III
5. L’interpretazione della «Scienza» hegeliana come «ciclo che si ripete eter-
namente», in quanto «il contenuto del Libro è pienamente rivelato solo alla
fine del Libro. Ma, dato che il contenuto è il Libro medesimo, la risposta fi-
nale alla domanda riguardante il contenuto non può essere altro che l’insie-
me del Libro. Perciò, giunti alla fine, occorre rileggere (o ripensare) il Libro;
e questo ciclo si ripete eternamente», risale a A. Kojève, Lezioni sull’eternità,
il tempo e il concetto, cit., p. 231 (e nota relativa).
6. Anche se con diverse articolazioni analitiche, è questa la prospettiva er-
meneutica che si è fatta strada fra la critica più avvertita, in particolare ri-
guardo alla nozione hegeliana di «spirito assoluto». Per una panoramica
complessiva, cfr. i contributi raccolti nel già menzionato volume Hegels Lo-
gik der Philosophie, e specificamente, assieme ai già citati saggi di R. Bodei
e di F. Chiereghin, P.-J. Labarrière, L’esprit absolu n’est pas l’absolu de l’es-
prit. De l’ontologique au logique, ivi, pp. 35-41 (rist. in G. Jarczyk - P.-J. La-
barrière, Hegeliana, cit., pp. 294-302). A una comprensione del concetto di
spirito assoluto che ne faccia intendere la funzione di apertura in rapporto
al dispositivo di pensiero hegeliano è volto lo studio di Th.F. Geraets, He-
gel. Lo spirito assoluto come apertura del sistema, Bibliopolis, Napoli 1985,
150
2. «Darstellung» e «Vorstellung»
Così, l’eternità speculativa, il «tempo come tempo», esprime il
suo radicamento nella storia. In quanto è tempo chiuso, strut-
turato cioè sulla base dell’articolazione concettuale, sussunto
entro il movimento della logica dialettica, essa è anche tem-
po che riesplode al nucleo del metodo. Meglio ancora sareb-
be forse dire tempo di un’implosione, che fa gravare al di qua
del suo proprio baricentro tutto il movimento dei concetti, per
innestarne il «torpido» dipanarsi sul terreno accidentato della
storia7. E questa riemergenza della storia si configura in He-
in part. pp. 65-72 e 92-94 (lo stesso autore aveva curato il volume L’es-
prit absolu. Actes du Colloque International sur le sens de l’Esprit Absolu
chez Hegel tenu à l’Université d’Ottawa du 6 au 8 nov. 1981, Éditions de
l’Université d’Ottawa, Ottawa 1984). Un contributo importante in propo-
sito recano inoltre G. Jarczyk, Système et liberté dans la logique de Hegel,
Aubier-Montaigne, Paris 1980, e la Conclusion del volume di D. Souche-
Dagues, Le cercle hégélien, cit., pp. 173-179. Sul versante opposto si collo-
ca invece l’opera, comunque indispensabile in rapporto al periodo jenese di
Hegel, di H. Kimmerle, Das Problem der Abgeschlossenheit des Denkens,
già da noi menzionata in precedenza.
7. Cfr. Phän., p. 563 (tr. it. cit., II, p. 304); qui la storia è intesa come «farsi
dello spirito… che si attua nel sapere e media se stesso» attraverso un «tor-
pido movimento», il cui ritmo rallentato è dovuto al fatto che «il Sé ha da
penetrare e da digerire tutta questa ricchezza della sua sostanza».
151
10. «Le forme del pensiero sono anzitutto esposte e consegnate nel linguag-
gio umano… In tutto ciò che diventa per lui [uomo; N.d.A.] un interno, in
generale una rappresentazione, in tutto ciò che l’uomo fa suo, si è insinua-
to il linguaggio; e quello di cui l’uomo fa linguaggio e ch’egli estrinseca nel
linguaggio, contiene, in una forma più inviluppata e meno pura, oppure
all’incontro elaborata, una categoria» (W.d.L., I, pp. 9-10, tr. it. cit., p. 10).
11. Cfr. su questo punto ancora M. Clark, op. cit., p. 75, e soprattutto
L.B. Puntel, op. cit., p. 55: «Hegel pone alla filosofia l’imprescindibile esi-
genza di elevare all’esplicitazione della critica e dell’osservazione filosofica
le categorie implicite nel nostro parlare e pensare».
154
12. Cfr. invece in questo senso M. Clark, op. cit., pp. 85 ss.
13. Sulla nozione dialettica di fondamento, cfr. supra, p. 96 e nota 11.
14. Su questa espressione, cfr. supra, cap. I, nota 122.
15. Per una prima approssimazione, cfr. le osservazioni che su identità e
differenza svolge, in riferimento a Hegel, J. Derrida, Positions, Minuit, Pa-
ris 1972; tr. it., Posizioni, a cura di G. Sertoli, Bertani, Verona 1975, in part.
pp. 75 78-79, 107-108.
155
16. Cfr. supra, cap. II, pp. 141-144; ma soprattutto, più in generale, F. Chie-
reghin, Hegel e la metafisica classica, Cedam, Padova 1966.
156
22. Sulla Psicologia hegeliana cfr., per una panoramica generale, H. Drüe,
Psychologie aus dem Begriff. Hegels Persönlichkeitstheorie, de Gruyter, Ber-
lin 1976, e il Beiheft 19 di «Hegel-Studien», hrsg. v. D. Henrich, Bonn 1979.
Da consultare, per la valorizzazione della psicologia hegeliana nel contesto
dei tentativi, allora in corso, di definire per le «scienze dello spirito» un pa-
radigma di scientificità svincolato da quello delle scienze naturali, J. Dürck,
Die Psychologie Hegels, Diss., Bern 1927. In diretto rapporto con le proble-
matiche qui in questione sono invece gli studi di E. Roth, Das Zeichen. Eine
Untersuchung zu Hegels Philosophie des “subjektiven theoretischen Geistes”,
Diss., Basel 1972, e di H. Güssbacher, Hegels Psychologie der Intelligenz,
Königshausen & Neumann, Würzburg 1988. Attenti in particolare agli aspet-
ti antropologici dello «spirito soggettivo» hegeliano sono I. Fetscher, Hegels
Lehre vom Menschen, cit., e G. Gamm, Der Wahnsinn in der Vernunft. His-
torische und erkenntniskritische Studien zur Dimension des Anders-Seins in
der Philosophie Hegels, Bouvier, Bonn 1981. Sempre fondamentale, infine,
J. Hyppolite, Logique et existence. Essai sur la logique de Hegel, Puf, Paris
1952, in part. la prima parte: Langage et logique, pp. 3-66.
23. Enz., III, § 452, p. 258 (tr. it. cit., p. 441).
160
24. Cfr. Enz., III, § 453 Anm., p. 260 (tr. it. cit., p. 442).
25. Enz., III, § 454, p. 261 (tr. it. cit., p. 443).
26. Ibidem.
27. Enz., III, § 455, p. 262 (ibidem).
161
30. Enz., III, § 455 Anm., p. 263 (tr. it. cit., p. 444).
31. Ibidem.
32. Enz., III, § 455, Z., p. 265.
163
39. Cfr. J.S.I, p. 286 (C., p. 23), e supra, cap. I, pp. 16-19.
40. Ibidem. Cfr. supra, cap. I, nota 9.
41. Cfr. J.S.III, pp. 185-186 (C., pp. 69-70).
42. Cfr. J.S.III, p. 188 (C., pp. 72-73).
165
43. J.S.III, p. 189 (C., p. 73); sulla concezione del segno in J.S.III, cfr. an-
che supra, cap. I, pp. 33-34.
44. Enz., III, § 457, Z., p. 269.
45. Enz., III, § 458 Anm., p. 270 (tr. it. cit., p. 448).
46. Enz., III, § 458, p. 270 (tr. it. cit., p. 447).
47. Enz., III. § 457 Anm., p. 268 (ibidem).
48. Ibidem (tr. it. cit., pp. 446-447).
166
50. Cfr. Enz., II, § 300, p. 171 (tr. it. cit., p. 284; «nel materiale» traduce
l’espressione tedesca «am Materiellen»).
51. Enz., III, § 459, p. 271 (tr. it. cit., p. 449).
52. Ibidem.
53. Ibidem.
168
54. Cfr. supra, cap. I, nota 26, ma più in generale, in riferimento agli scritti
di cui si tratta, cfr. pp. 22-30.
169
64. Cfr. Enz., III, § 459 Anm., p. 277 (tr. it. cit., p. 455).
65. Cfr. supra, cap. I, nota 52, ma più in generale, sulle concezioni jenesi di
Hegel e i loro slittamenti al riguardo, cfr. pp. 28-31.
66. Cfr. J.S.I, p. 294 (C., p. 31).
67. Cfr. J.S.I, p. 288 (C., p. 25).
173
69. Cfr. Enz., III, § 462 Anm., p. 278 (tr. it. cit., p. 456).
70. Loc. cit. supra, nota 56.
71. Enz., III, § 458 Anm., p. 271 (tr. it. cit., p. 448).
72. Così G.R.G. Mure, op. cit., p. 9 (ma da vedere al riguardo è l’intero primo
capitolo, Language and Hegel’s Logic, pp. 1-27).
73. Cfr. Enz., III, § 463 Anm., p. 281 (tr. it. cit., p. 458).
175
87. L’intelligenza «si pone come l’essere, lo spazio universale dei nomi come
tali, cioè di parole senza senso. L’io, che è questo essere astratto, in quanto
soggettività è in pari tempo la potenza dei diversi nomi, il legame vuoto, che
rafforza in sé serie di quelli e le mantiene in ordine saldo» (ibidem).
88. Enz., III, § 464, p. 282 (tr. it. cit., pp. 458-459).
180
89. Ibidem.
181
91. Cfr. supra, nota 76, dov’è riportato il brano cui stiamo facendo riferi-
mento.
183
92. Così come l’essere del futuro era un essere solamente rappresentato,
siamo «noi» a trattenere il passato «fuori dalle altre dimensioni» (J.S.III,
p. 12).
93. Enz., II, § 259 Anm., p. 52 (tr. it. cit., p. 235).
94. Ibidem.
95. Loc. cit. supra, cap. II, nota 16: «intemporalità assoluta… l’eternità, che
è senza il tempo naturale».
96. Loc. cit. supra, nota 93.
185
101. Cfr. su questo punto M. Theunissen, op. cit., pp. 295 ss., commento
al § 571 dell’Enciclopedia (che conclude la sezione sulla geoffenbarte Reli-
gion), il quale approfondisce i rapporti fra concetto e rappresentazione, da
un lato, ed eternità e tempo, dall’altro.
187
103. Parola che, come ricordiamo, Hegel definiva «un esserci nel tempo, un
dileguare dell’esserci mentre è» (Enz., III, § 459, p. 271; tr. it. cit., p. 449).
189
104. Enz., III, § 459 Anm., p. 273 (tr. it. cit., p. 450).
105. Enz., III, pp. 272-273 (ibidem).
106. Enz., III, p. 273 (tr. it. cit., p. 451).
107. Enz., III, p. 275 (tr. it. cit., p. 453).
190
108. Ibidem.
109. Loc. cit. supra, nota 56.
110. Enz., III, § 359 Anm., pp. 275-276 (tr. it. cit., p. 453).
111. Enz., III, p. 275 (tr. it. cit., p. 452).
191
116. Del limite filosofico cui necessariamente deve restare vincolata una
ricerca sul tempo in Hegel che non voglia oltrepassare l’ambito della Na-
turphilosophie si mostra consapevole D. Wandschneider. Nel paragrafo Die
Zeitmodi und der Vorrang der Gegenwart (op. cit., pp. 100-104), egli inten-
de il primato del presente non nel senso del semplice Jetzt, ma in quanto
Makrojetzt, o ora universale (cfr. in proposito W. Bonsiepen, op. cit., p. 53 e
p. 72; Enz., II, § 258, Z., p. 50; e inoltre, sull’interpretazione di B. Liebrucks,
cfr. supra, cap. II, nota 59), in relazione al quale scrive: «In virtù del suo
carattere integrativo, il macro-ora collega micro-stati passati e futuri in un
presente, nell’orizzonte del quale solamente degli accadimenti possono in
generale apparire come passati o futuri… Ciò che è presente esiste, dura, e
dura in quanto esso è in sé molteplicità di ciò che è passato e futuro, il qua-
le è racchiuso nell’unità di un macro-stato e mantenuto in latente presenza.
Il presente è con ciò privilegiato», anche se appunto solamente «in questo
senso, cioè come macro-ora» (D. Wandschneider, op. cit., pp. 103-104). Egli
distingue quindi «due» presenti: il presente come semplice dimensione o
«modo»; il presente come orizzonte comprensivo e unitario delle dimen-
sioni. Solo quest’ultimo renderebbe possibile una «definierte Feststellbar-
keit» del tempo, la quale a sua volta istituirebbe lo «sfondo» indispensabile
per un concetto di tempo scientificamente definito» (ivi, p. 111). E tutta-
via, qui il tempo appare simultaneamente compreso in senso spaziale… in-
teso come molteplicità quasi spaziale», cosicché «diventano visibili anche i
limiti del concetto di tempo definito» (ibidem). In quanto è «ein Sichauf-
hebendes», l’ora «appunto come tale non è più jetzt-stellbar, e l’interpreta-
zione dell’evento indica così verso un concetto di tempo, che lascia dietro
di sé l’esigenza della definitezza, e in questo senso può solamente ancora
essere pensato. Lo sviluppo del concetto di tempo definito conduce così in-
fine a un concetto di tempo, che solleva la questione del rapporto fra tem-
po e concetto, una prospettiva, che diventa essenziale proprio nell’orizzonte
del pensiero hegeliano» (ibidem). Ma su questo punto l’interpretazione di
Wandschneider diverge da quella qui sostenuta. Egli, infatti, sulla scorta di
alcune asserzioni hegeliane contenute nell’Enciclopedia, ritiene il compito
«di rendere il tempo davvero pensabile secondo il suo concetto» circoscrit-
to dalla nozione di divenire (ivi, p. 105); al contrario, secondo noi l’attuazio-
ne di questa «pensabilità» in Hegel è quanto conduce a concepire la «Zeit
als Zeit» come eternità, come cristallizzazione e arresto, anche, di quel di-
venire che se fosse incessante sancirebbe la definitiva finitezza del tempo.
Ma porre la nozione di eternità al centro dell’ermeneutica della trattazione
194
128. Sul «sistema scientifico» come «vera figura nella quale la verità esiste»,
cfr. V., p. 12 (tr. it. cit., p. 4), e supra, cap. I, nota 74.
212
für die, die nicht das Interesse haben, sich anzustrengen. Ein
Geheimnis ist es nicht, und doch verborgen»132.
Uno dei risultati essenziali della costituzione in scienza della fi-
losofia consiste nella mediazione risolutrice cui anche quest’ul-
tima opposizione, infine, va incontro. Ma certo, essa mostra
anche come la mediazione del pensiero con la sua esposizio-
ne corra sempre il pericolo di mancare a se stessa e di fallire,
e non soltanto perché non ci sarebbe, dal lato dei soggetti, un
interesse verso la «fatica del concetto». Piuttosto, il venir meno
della realizzazione a se stessa è inscritto, come sua costituti-
va possibilità, entro le condizioni che a livello di struttura te-
oretica ne sanciscono, in pari tempo, l’effettuale attuazione.
Così, se l’innalzamento della filosofia a «sistema scientifico»
del sapere è vincolato al superamento del linguaggio dei suo-
ni, se è la scrittura dell’esposizione che istituisce il pensiero in
processo attraverso cui si dispiega la verità stessa, essa è an-
che ciò che trattiene il Denken nella forma, così esposta, della
sua finitudine. Il silenzio della Darstellung configura l’«altro»
silenzio, quello del pensiero, sulla superficie spazializzata in
cui non solo esso si attua come capacità costruttiva in senso
epistemico, ma sulla quale pure lascia impresse le tracce del-
la sua finitezza. E il «terzo» silenzio, attraverso cui la filosofia
dovrebbe snodarsi come «scienza» e riunificazione speculati-
va di pensiero e esposizione, si svela come prodotto di un’o-
scillazione il cui luogo è disposto nel vuoto della sfasatura e
della costitutivamente possibile non-coincidenza fra quei due.
In questo senso, l’apertura del sistema in Hegel si conferma
una volta di più come funzione del suo assetto di chiusura.
132. Cfr. G.W.F. Hegel, Leçons sur Platon. Texte inédit 1825-1826, éd., tr.
et notes par J.-L. Vieillard-Baron, Aubier, Paris 1976, p. 100: «L’esoterico è
lo speculativo, che è scritto e stampato e tuttavia resta nascosto per coloro
che non hanno interesse ad applicarsi. Non è un mistero, eppure è nascosto».
217
Osservazioni conclusive
1. «Geistige Wesenheiten» (loc. cit. supra, cap. II, nota 1).
223
2. Di cui, come noto, uscì solamente il primo libro, sulla dottrina dell’essere.
225
14. Ibidem (tr. it. cit., p. 15). Sul punto qui in questione, cfr. il commento
di H.-G. Gadamer, che però piega in senso ermeneutico il rapporto fra con-
cetto e linguaggio: «Anche il concetto [come le parole; N.d.A.] non è uno
strumento del nostro pensare, bensì è il nostro pensare che deve seguirlo e
che trova nella logica naturale del nostro linguaggio la sua prefigurazione»
(op. cit., p. 119).
231
19. Sulla nozione di «epoca», cfr. R. Bodei, Scomposizioni, cit., pp. 190 ss.
20. Cfr. Diff., pp. 94-96 (tr. it. cit., pp. 93-95).
236
25. Cfr. supra, cap. III, nota 126, le già menzionate considerazioni finali del
testo in questione.
239
26. «Non si può dire che la logica naturale, insita nella grammatica di ogni
lingua, si esaurisca nella funzione di essere una figura preliminare della logica
filosofica. Piuttosto proprio nella diversità della costituzione umana del lin-
guaggio è inciso un margine altamente differenziato di anticipazioni logiche,
che si articolano nei più diversi schemi dell’accesso linguistico nel mondo.
240
L’«istinto logico» non può esaurire perciò quello che già è prefigurato nella
diversità delle lingue, tanto da potersi elevare, come logica, al suo concetto»
(H.-G. Gadamer, op. cit., pp. 117-118).
241
27. Cfr. in proposito come Habermas stilizzi e faccia proprie le critiche por-
tate a una modernità basata sul «principio dell’autocoscienza e della sog-
gettività». Principio entro il quale lo stesso Hegel rimarrebbe compreso: «Il
soggetto, dal momento che nel conoscere come nell’agire, verso l’esterno
come verso l’interno, deve sempre riferirsi ad oggetti, si rende al contem-
po impenetrabile e dipendente anche in quegli atti che dovrebbero garan-
tire la conoscenza di sé e l’autonomia. Questo limite inserito nella struttura
dell’autorelazione resta inconscio nel processo del divenir cosciente» (J. Ha-
bermas, Il discorso filosofico della modernità, cit., p. 57).
243
Drüe, H.: 159 n. Jarczyk, G.: 86 n., 149 n., 150 n.,
Dunning, S.: 36 n. 227 n.
Dürck, J.: 159 n.
Düsing, K.: 9. Kayser, U.: 137 n.
Duso, G.: 141 n. Kemper, P.: 46 n., 47 n., 50 n.,
84 n.
Fetscher, I.: 156 n., 159 n. Kimmerle, H.: 9, 14 n., 86 n.,
Fichte, J.G.: 126 n. 150 n.
Findlay, J.N.: 146 n. Kobligk, H.: 137 n.
Kojève, A.: 20 n., 131, 132 e n.,
Gadamer, H.-G.: 47 n., 51 n., 133 n., 135 e n., 137 n., 149
230 n., 240 n. e n.
Garelli, G.: 68 n. Koselleck, R.: 137 n.
Gauthier, Y.: 214 n. Koyré, A.: 131, 132 e n., 133 e n.,
Geraets, T.F.: 149 n. 134, 135 e n.
Gérard, G.: 14 n.
Gipper, H.: 37 n. Labarrière, P.-J.: 86 n., 103 n.,
Güssbacher, H.: 159 n. 149 n.
Guzzoni, U.: 91 n. Lakebrink, B.: 90 n., 96 n., 137 n.,
227 n.
Habermas, J.: 21 n., 208 n., 242 n. Lamb, D.: 26 n., 31 n.
Hamann, J.G.: 36 n. Lasson, G.: 10.
Harlander, K.: 47 n. Leibniz, G.W.: 98 n.
Harris, H.S.: 14 n. Liebrucks, B.: 48 n., 134 n.,
Hartmann, N.: 89 n. 151 n., 191 n., 193 n., 201 n.
Heede, R.: 58 n., 70 n. Litt, Th.: 20 n., 228 n.
Heidegger, M.: 105 n., 118-121 Löwith, K.: 17 n., 23 n., 41 n.
e n., 132, 143 n. Lugarini, L.: 92 n., 99 n.
Henrich, D.: 129 n., 159 n.
Hoffmeister, J.: 10, 36 n. Marcuse, H.: 130 n., 140 n.
Horstmann, R.-P.: 9, 129 n. Marietti Solmi, A.: 137 n.
Hösle, V.: 194 n. Marmiroli, E.: 146 n.
Hyppolite, J.: 20 n., 24 n., 132 n. Marx, W.: 46 n., 47 n., 65.
159 n. Maurer, R.K.: 137 n.
Meriggi, M.G.: 21.
Iljin, I.: 106 n. Michel, K.M.: 10.
Moldenhauer, E.: 10.
247
Salvadori, R.: 20 n.
Schmidt, F.: 23 n.
Sertoli, G.: 154 n.
Simon, J.: 21 n., 23 n., 47 n.,
48 n., 82 n., 151 n., 176 n.
Solger, K.: 83 n.
Soll, I.: 64 n.
Souche-Dagues, D.: 86 n., 121 n.,
137 n., 150 n.
Spinoza, B.: 68 n.
Surber, J.P.: 70 n., 121 n.
Tagliagambe, S.: 83 n.
Taminiaux, J.: 29 n.
Tessitore, F.: 141 n.
Theis, R.: 192 n.
Theunissen, M.: 157 n., 186 n.
Indice
Sigle e abbreviazioni p. 9
Capitolo I
L’esposizione speculativa
1. Pensiero e linguaggio nei primi frammenti jenesi
di filosofia dello spirito (1803-04) p. 13
2. Pensiero e linguaggio nella filosofia dello spirito
jenese del 1805-06 p. 33
3. La proposizione speculativa: prospettive
ermeneutiche p. 46
4. Pensiero concettuale e pensiero rappresentativo:
la distruzione della forma proposizionale p. 52
5. Il concetto di esposizione speculativa p. 65
6. Io filosofico e lingua dell’esposizione: l’irruzione
della problematica temporale p. 72
Capitolo II
L’esposizione speculativa come eternità realizzata
1. Temporalità e movimento dell’esposizione p. 89
2. La dialettica concreta delle dimensioni temporali p. 101
3. Il concetto speculativo dell’eternità p. 117
3.1. Excursus sull’interpretazione di Koyré
e di Kojève p. 131
4. L’eternità come ora concettuale: «Ewigkeit»
speculativa e ritmo dell’esposizione p. 138
Capitolo III
La scrittura e l’apertura dell’esposizione
1. La chiusura del sistema come modo della sua
apertura p. 145
2. «Darstellung» e «Vorstellung» p. 150
3. Pensiero e rappresentazione nell’Enciclopedia p. 159
4. Tempo della «Vorstellung» e tempo della
«Darstellung» p. 183
5. Spazializzazione dell’eternità e problema
della scrittura p. 188
6. «Denken» e «Darstellung»: l’apertura
dell’esposizione p. 208
Diretta da:
Massimo ADINOLFI e Massimo DONÀ
Comitato scientifico:
Andrea Bellantone,
Donatella Di Cesare,
Ernesto Forcellino,
Luca Illetterati,
Enrica Lisciani Petrini,
Carmelo Meazza,
Gaetano Rametta,
Valerio Rocco,
Rocco Ronchi,
Marco Sgarbi,
Davide Tarizzo, Gaetano Rametta insegna Storia della filosofia al
Vincenzo Vitiello. Dipartimento FISPPA dell’Università di Padova. È
autore di un’ampia bibliografia su Fichte, Hegel,
Bradley e la ricezione dell’Idealismo Tedesco nel
pensiero contemporaneo. Di recente ha pubblicato
la monografia Deleuze interprete di Hume (Milano
2020).
ISBN ebook
9788855290883
€ 11,00