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La descrizione del manoscritto Armando Petrucci

CODICOLOGIA

Armando PETRUCCI, La descrizione del manoscritto. Storia, problemi, modelli. Roma, Carocci, 2001 (Seconda edizione).

Premessa

Si intende per manoscritto: un complesso di materiale scrittorio generalmente composto in forma di libro e più o
meno parzialmente ricoperto di scrittura a mano, di solito conservato, integralmente o in frammenti, in
un’istituzione pubblica o privata a ciò addetta.

Nonostante i vari dibattiti metodologici, si può dire che si intende per descrizione l’esposizione, espressa in ordine
fisso e in modo omogeneo, di una serie di dati relativi agli elementi di natura fisica, testuale e storica di ciascun
manoscritto ritenuti essenziali e capaci di permetterne l’esatta individuazione patrimoniale e scientifica. Una
descrizione, così intesa, si configura come uno strumento di studio e analisi per il lettore, e dovrebbe riuscire a
rendere un’idea quanto più accurata possibile dell’oggetto descritto, comprendendo quindi gli elementi necessari a
una fedele ricostruzione e alla comprensione del processo di fattura e degli usi nel tempo che si sono fatti di
quell’oggetto. Gli elementi scelti per la descrizione, dunque, non possono essere scelti a caso, ma devono rispondere
a una prassi convenzionalmente riconosciuta e utilizzata dagli studiosi: denominazione anagrafica del manoscritto,
aspetto materiale in quanto oggetto di un processo di produzione, contenuto (in quanto elemento base della sua
funzione) e notizie storiche relative al suo uso nel tempo. Il linguaggio con cui si descrive deve essere, anch’esso,
convenzionale.

La descrizione dei manoscritti serve, oltre che per permettere di localizzare a distanza il materiale conveniente a una
ricerca, alla catalogazione e alla conoscenza dei singoli codici e dei fondi a cui appartengono e perciò, alla fin fine,
alla loro migliore conservazione e tutela.

1. Tentativi e modelli: la descrizione nel tempo

1.1 Le origini

L’esigenza di descrivere i manoscritti è stata determinata nel suo insorgere e nel suo modificarsi nel tempo da fattori
diversi, tra i quali:

• La FUNZIONE DEI LIBRI MANOSCRITTI nella società colta;


• I MODI in cui sono state ORGANIZZATE ed utilizzate le BIBLIOTECHE;
• Le MODALITÀ di PRODUZIONE E DIFFUSIONE del libro (manoscritto/manoscritto e a stampa).

Nel corso dell’intero Medioevo non si può parlare di una vera e propria descrizione e catalogazione dei manoscritti,
anche se vi sono prove di un interesse e di una relativa conoscenza del patrimonio libresco (dell’epoca e di epoche
precedenti) sin a partire dal Trecento e per tutto il 1500. Documenti come l’elenco dei manoscritti della biblioteca di
corte di Vienna redatto da Hugo Blotius (1576), la lettera a Francesco Barbaro di Ambrogio Traversari riguardo ai
criteri essenziali di un inventario, o ancora la riprova che Angelo Poliziano conoscesse e valutasse criticamente i
manoscritti di altre età, dimostrano che si possedevano già gli strumenti per giungere ad una descrizione critica dei
documenti manoscritti. A Cinquecento inoltrato, Antonio Agustín è il primo a redigere un inventario critico di
codici medievali con indicazioni sufficientemente accurate sia del loro aspetto esterno, che del loro contenuto con
datazioni perlopiù esatte.

1.2 Lambeck e Montfaucon

Nel Seicento si ha una prima produzione diffusa e sostanzialmente omogenea di elenchi di manoscritti intesi a
fornire agli studiosi notizie critiche di interi fondi di codici redatti con finalità scientifiche e non puramente
inventariali.
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Massimo esempio della codicologia dell’epoca sono i Commentariorum de Augustissima Bibliotheca Caesarea Vindobonensi
libri VIII di Peter Lambeck, prefetto della biblioteca di Vienna, in cui tuttavia si descrivono solo i codici greci e
senza dare una datazione esatta. La descrizione contiene elementi essenziali, seppure bene articolata fra dati esterni e
dati di contenuto. In Italia, si ricordi il caso di Giacomo Filippo Tommasini che descrisse le biblioteche padovane e
venete.

Ancora più maturo risulta, infine, il lavoro di Montfaucon che, insieme al contemporaneo Mabillon, era membro
della congregazione benedettina di San Mauro di Parigi; i due furono autori di un gran numero di opere di
grandissimo rilievo. Montfaucon fu autore della Bibliotheca bibliothecarum manoscritta e del catalogo dei manoscritti greci
del vescovo di Metz (1715). Nella lettera di presentazione dell’opera Montfaucon mostra consapevolezza della novità
del suo metodo rispetto ai precedenti catalogatori e indica che il proposito della catalogazione è quello di facilitare la
creazione di edizioni filologiche di testi antichi ancora inediti o editi scorrettamente. Lo schema di descrizione è il
seguente:

• datazione per secoli con giustificazione;


• opere con identificazione dell’autore e del titolo e incipit;
• estratti di varianti e edizione di brevi testi inediti;
• tavola di concordanza e indice dei nomi di persona e luoghi.

1.3. Vecchio e nuovo: Biscioni e Bandini

Nel corso del Settecento la natura delle biblioteche subisce un cambio profondo:

• formazione di nuove biblioteche,


• passaggio da biblioteche di corte a biblioteche di Stato,
• accrescimento dei fondi e al loro uso pubblico,
• interesse verso i manoscritti e sempre più diffuso collezionismo.

Ciononostante, la moderna metodologia catalografica elaborata e proposta da Montfaucon con il suo catalogo del
1715 non si impone immediatamente. Già inoltrato il secolo, infatti, i cataloghi delle biblioteche francesi e inglesi
sono ancora redatti sul vetusto modello del viennese Lambeck, con descrizioni secche e scarne. In Spagna la lezione
di Montfaucon fu raccolta piuttosto tardi da Juan Iriarte, il quale nel 1769 pubblicò un primo volume della sua
descrizione dei codici greci della biblioteca reale di Madrid, ricco di dati descrittivi ma con un indice conclusivo
piuttosto povero.
In Italia, i primi esempi accurati di catalogazione sono quelli di Giuseppe Pasini e di Antonio Maria Biscioni.
Giuseppe Pasini è autore del Codice manoscritti Bibliotheacae regia Taurinensis Atenei, Taurini, 1749; il suo catalogo,
fondato su basi scientifiche e condotto con grande scrupolo, presenta un’accurata indagine paleografica con relativa
specificazione della data, oltre ad essere presente l’indicazione degli incipit e delle note di possesso; frequenti, infine,
sono le riproduzioni di specimina paleografici. A Firenze, Antonio Maria Biscioni è autore di un catalogo dei codici
laurenziani per il quale vagheggiava di essersi ispirato a modelli stranieri. I criteri di catalogazione sono, tuttavia,
sommari e antiquati e, rispetto ai modelli foranei ai quali si sarebbe ispirato, Biscioni realizza un’opera troppo secca e
inadeguata.

Fu solo con Angelo Maria Bandini, successore del Biscioni nell’incarico di bibliotecario laurenziano, che il metodo
Montfaucon penetrò in Italia. Bandini riprese il catalogo iniziato da Biscioni continuandolo da dove questi lo aveva
interrotto, ma mutandone completamente i criteri, ora ispirati a Montfaucon e Pasini. Nella Praefatio, Bandini fissa
con molta chiarezza la sua metodologia descrittiva, intesa a fornire un’immagine esatta del codice, una sua precisa
collocazione nel tempo ed una sua completa analisi testuale. Per raggiungere tali fini, Bandini cercò di elaborare una
descrizione sufficientemente minuziosa sia dal punto di vista storico e paleografico che dal punto di vista testuale e
filologico, ricostruendo la compagine dei codici disordinati, dando notizie sullo stato di conservazione, fornendo
fac-simili per i confronti grafici e soprattutto mirando alla particolareggiata identificazione degli autori e dei testi
mediante il confronto con i risultati della filologia contemporanea, fornendo tutti i dati possibili (titoli, incipit,
explicit, referenze bibliografiche) al lettore. Si tratta di criteri ancor oggi sostanzialmente validi.

1.4. La nuova catalogazione scientifica


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Una forte spinta innovativa si ha, nell’ottocento, a partire dalla Germania, dove le tensioni romantiche portarono
all’istituzione di una nuova filologia (Lachmann, fra gli alti) e a un rinnovato interesse verso i codici latini e greci, così
come verso gli studi paleografici e diplomatistici. Nel 1825, Friedrich Adolf Ebert fu autore di un volume in cui
fondava la moderna codicologia come disciplina a sé stante e forniva i criteri per una descrizione scientifica dei
manoscritti tendente a raggiungere una più completa conoscenza del codice come prodotto materiale e dei testi
come testimoni di una tradizione, legando alla tradizione catalografica precedente la paleografia e la filologia testuale.
Pochi anni dopo, il bibliotecario dell’Università di Erlangen, Iohann Conrad Irmischer, realizza la descrizione di 249
codici (in tedesco invece che in latino), accurata in tutti i suoi particolari e nell’analisi filologica dei testi, che si
configura come la prima applicazione concreta delle teorie di Ebert. Rispetto alle altre nazioni europee, ancorate ai
vecchi modelli scientifici, la Germania forniva agli studiosi dei nuovi strumenti catalografici.

1.5. Il modello sommario

Rispetto alla Germania, l’Inghilterra si muoveva in senso opposto, prediligendo indici, elenchi e cataloghi sommari
molto più schematici.
Descrizione periodica delle nuove accessioni librarie del British Museum (inizio: 1830) —> contiene stampati e
manoscritti con uno schema di descrizione molto sommario di entrambi; anche quando, nel 1843, si edita il primo
volume separato per i manoscritti, essi vengono comunque descritti col metodo dei libri a stampa. Il sistema si
modifica solo nel 1850 (Madden) con l’ampliamento dei dati forniti e l’aggiunta di profusi indici. La prevalenza degli
indici è un carattere tipico dei cataloghi inglesi, si veda l’esempio di Henry O. Coxe per la biblioteca Bodleiana di
Oxford. Fra prima e seconda metà del secolo l’esempio inglese fu raccolto in Belgio, Francia, Baviera e nell’impero
austroungarico.

1.6. L’Italia: da Peyron a Narducci

Il processo di unità nazionale porta il neonato stato italiano a ereditare una serie di problemi relativi al patrimonio
manoscritto:

• disorganicità del sistema;


• cattiva conservazione del patrimonio librario;
• ristrettezza dei mezzi finanziari;
• scarsa preparazione professionale dei bibliotecari.

In questo contesto la situazione della catalogazione dei codici, ovviamente, ristagna. Peyron (Torino) e Palermo
(Firenze) sono i due eruditi che si occupano di catalogazione di manoscritti, producendo dei risultati tuttavia
insoddisfacenti, ora troppo stringati ora assurdamente prolissi.

Narducci —> Roma. Bibliotecario del principe Baldassarre Boncompagni, redige un catalogo della biblioteca del
principe dapprima in ordine alfabetico, successivamente redatto ex novo in ordine topografico, fornendo indici
“guida sicura” per qualunque ricerca. Nel 1893 pubblica la sua opera maggiore, il catalogo della Biblioteca Angelica,
nella quale descrive stringatamente ma precisamente più di 1500 codici.

1.7. “La primavera fortunata”

L’ultimo ventennio del 1800 è un periodo prospero per il mondo delle biblioteche italiane. L’influenza del nuovo
modello filologico tedesco, unita al rinnovamento generato dall’attività di Ferdinando Martini come ministro della
Pubblica Istruzione che creò un nuovo modello più razionale di biblioteca, portarono lo studioso Giuseppe
Fumagalli a definire gli anni di poco successivi al 1855 come una “primavera fortunata”.
Nel 1884 lo Stato italiano acquistò 2000 manoscritti che confluirono nella Biblioteca Medicea Laurenziana di
Firenze.

Nel 1885 Ferdinando Martini dava il via a una collana ufficiale intitolata Indici e Cataloghi, destinata ad ospitare
inventari e descrizioni di fondi stampati e manoscritti di particolare interesse o pregio conservati nelle biblioteche
italiane. Di questa collana fanno parte due importanti cataloghi di codici: quello de I codici Palatini della Nazionale di
Firenze, redatto da Luigi Gentile, e quello de I codici Ashurnhamiani della Biblioteca Mediceo-laurenziana, redatto da
Cesare Paoli; si tratta di due esempi piuttosto difformi fra loro, in quanto il primo è discontinuo ed eccessivamente
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verboso, mentre il secondo catalogo è più essenziale ed efficace. I due cataloghi furono inseriti come esempio nella
traduzione italiana del Manuale di biblioteconomia di Arnim Grasel, ma senza un adeguato approfondimento sul loro
valore teorico. La collana perse poi d’interesse e si arenò nel 1897.

Nel 1891 vedeva la luce il primo volume di una serie, gli Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, promossa da
Giuseppe Mazzatinti. Il proposito del Mazzatinti era quello di dar conto dei numerosi manoscritti posseduti dalle
diverse biblioteche italiane, ma la sua scarsa formazione filologica e paleografica non gli permise di fornire all’opera
un’unità e una scientificità sufficienti.

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2. I problemi

2.1. Premessa

Qualsiasi sia il tipo di descrizione prescelto il catalogatore deve affrontare e risolvere numerosi problemi di fondo:

- la datazione e localizzazione dei codici;


- la definizione delle scritture;
- l’identificazione degli autori e dei testi;
- la descrizione della struttura e delle o di alcune delle tecniche di fattura.

Per questo genere di problemi non esiste un manuale di istruzioni fisso e sempre efficace, poiché è molto difficile
che la stessa problematica si riproponga esattamente uguale. È necessario, pertanto, ricorrere ad una buona dose di
empirismo e all’aiuto dell’esperienza.

2.2. La datazione

La datazione è l’elemento costitutivo della descrizione codicologica. Datare significa collocare più o meno
esattamente un determinato reperto entro una griglia codicologica divisa per secoli; ma idealmente si dovrebbe
datare in modo meno largo ed impreciso, secondo periodi più brevi e comunque storicamente più significativi,
poiché all’interno dei secoli non si può trovare quell’uniformità di distribuzione cui la datazione per secoli
automaticamente tende. Sarebbe molto più razionale datare al quarto di secolo o nell’ordine di settanta o ottant’anni
piuttosto che al secolo intero.

La datazione di un manoscritto può essere stabilita attraverso alcune caratteristiche dello stesso: la scrittura, la
decorazione o altri elementi simili (come ad esempio che sia nominata una persona, che ci sia la firma di qualcuno,
eccetera) possono fornire degli indizi utili per risalire alla data di copiatura del manoscritto. Bisogna tuttavia
considerare che ogni codice è il risultato di una serie di stratificazioni, ciò significa che per creare ciascun codice
sono state messe insieme o assemblate (casualmente o volontariamente) varie parti, ciascuna delle quali apparteneva
ad altri codici. Ciò che ne consegue è semplicemente il risultato, casuale o no, di gruppi di fogli che originariamente
non dovevano finire rilegati insieme o dovevano appartenere ad altri codici. In alcune occasioni, infatti, può capitare
che la datazione del codice sia molto lunga poiché il codice in analisi risulta da una serie di assemblaggi: es. “secolo
X-XV”.

Anche quando la data è espressamente indicata nel manoscritto, bisogna procedere con molta cautela prima di trarre
conclusioni avventate. I copisti che redigono un determinato manoscritto, infatti, hanno usato il sistema di
espressione della data che conoscono, non necessariamente uguale a quello che conosciamo e utilizziamo
correntemente. Nel corso del medioevo, ci sono state numerose modifiche dei sistemi di datazione e solo alla fine di
quest’epoca si è trovato un sistema più o meno univoco. Spesso, dunque, il copista aggiunge qualche altra
espressione, oltre alla data, che fa capire qual è il sistema cronologico che ha utilizzato, ad esempio: 753 ab urbe
cond —> anno 0 / 1 gennaio dell’anno 1. Non in tutte le culture, inoltre, si conta l’inizio del calendario a partire
dalla stessa data: ci sono tradizioni locali che fanno iniziare il computo in una data diversa, esempi di questo
fenomeno sono le indicazioni ab incarnatione domini / a nativitate domini —> 25 marzo / 25 dicembre. I bizantini:
computano dal 1 settembre 5508 aC (giorno della fondazione del mondo) —> se il copista è bizantino e scrive 6800,
l’anno da tenere in considerazione è il 1302/1303 (1 settembre 1302 - 31 agosto 1303).
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Un altro fattore da considerare è l’indizione: un numero da 1 a 15 (es. inditione septima). Si aggiunge 3 e si divide per
15, il resto è l’anno che interessa, se il resto è 0 l’indizione è la quindicesima. Per risalire a tutti questi dati si può
ricorrere all’uso di un calendario perpetuo.

Come datare? In linea di massima si possono considerare alcune osservazioni generali che occorrerà tener presenti in
via preliminare e in virtù delle quali la data di fattura e di copia di un manoscritto non può che essere:

a) posteriore alla data di compilazione del testo che contiene;


b) posteriore all’esemplare da cui è copiato;
c) anteriore alle glosse, note e aggiunte appostevi nei margini e negli spazi bianchi lasciati liberi dal testo;
d) anteriore all’epoca nota di cessazione dall’uso del tipo di scrittura in cui in tutto o in parte è scritto;
e) posteriore all’epoca o data di fattura o di primo uso della materia sulla quale è scritto o riscritto:

- se papiraceo su papiro già adoperato su uno dei due lati, posteriore all’epoca di scrittura del primo testo;
- se membranaceo o palinsesto, posteriore (per la scrittura superiore) alla datazione della scrittura
inferiore; a volte con termini a quo assai ristretti.

Il catalogatore deve inoltre ricordare di trarre elementi per la datazione non soltanto dalla scrittura e dall’eventuale
ornamentazione del codice, ma da tutti i suoi elementi costitutivi: dal testo e dal suo aspetto linguistico e ortografico;
dalle tecniche di fattura (rigatura e foratura, fascicolazione, legatura se originale, e così via), dalle notizie sulla sua
storia e sulla sua provenienza. Al catalogatore deve essere chiaro che egli non deve datare la o le scritture presenti nel
codice, ma il codice stesso nel suo complesso; e la differenza fra le due operazioni non può sfuggire.

- Colpo d’occhio ed esperienza (Montague Rhodes James);


- studio sistematico dei centri scrittori e raccolta di facsimile di tutti i codici datati (Giorgio Cencetti);
- vincolare la datazione con la localizzazione e poi ambedue con l’evoluzione degli stili di scrittura e dei modi di
produzione del libro manoscritto;
- analizzare i dati ricavati non dalla scrittura ma dalla legatura, dal formato, dalla materia, dal numero delle carte,
dallo specchio di scrittura, dal numero delle righe, dalla costituzione e numerazione dei fascicoli,
dall’ornamentazione e dall’inchiostro —> applicabile a materiale omogeneo;
- filigrana —> occorre che la filigrana sia ben descritta e che sia possibile un sufficientemente ampio confronto;
- elementi grafici generali (modulo, contrasto, inclinazione) e particolari (forma delle lettere, abbreviazioni, ecc.) e
posti a confronto con analoghi elementi estratti da testimoni sicuramente datati scalati entro il periodo di un
secolo circa —> possibile solo per determinate epoche della storia della scrittura in cui il numero di testimoni è
sufficientemente fitto.

Qualsiasi tecnica si scelga e si applichi, occorre tener presente che si possono fornire criteri validi soltanto per alcuni
limitati periodi di tempo e per determinati tipi di scrittura e di libro. Dopo un esame e un confronto puramente
stilistici e formali della scrittura (paleografia) bisogna considerare tutti gli elementi minori, grafici ed extragrafici che
vengono usati su larga scala e possono avere una validità generale e sicura. Così è per esempio per alcune
abbreviazioni, alcuni usi codicologici come il richiamo, il rinvio a capo, il puntino tondo, il dittongo. Un confronto
basato su queste caratteristiche tra il codice che si intende studiare e altri codici datati sicuramente, in modo
selezionato, confrontando fra loro prodotti grafici analoghi, può portare ad una datazione accettabilmente ristretta.

2.3. La localizzazione

Localizzare un codice, a differenza della datazione, non è un’attività indispensabile. Anche quando i cataloghi recano
questa indicazione, infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di informazioni dubbiose e molto ipotetiche.

Localizzare un codice significa identificarne il luogo o la zona di origine, e cioè dove esso è stato materialmente
prodotto. Il concetto di origine va nettamente distinto da quello di provenienza, poiché mentre per origine si intende
il luogo o la zona dove il codice è stato prodotto o scritto, per provenienza si intende l’ultima sede nella quale il
codice è stato conservato. La localizzazione può essere più o meno precisa.
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È indispensabile che il catalogatore possieda una buona base paleografica e una certa esperienza nello studio dei
manoscritti, poiché il colpo d’occhio della pagina e la valutazione dello stile generale della scrittura sono elementi
fondamentali per un’attribuzione geografica attendibile.

Sono elementi utili alla localizzazione (secondo Falconer Madan, autore del Summary Catalogue della biblioteca
Bodleiana di Oxford):

- abbreviazioni;
- forma delle lettere e di alcune di esse in particolare;
- dati codicologici (materia, struttura, rigatura, numerazione dei fascicoli);
- dati liturgici e in particolare menzione di determinati santi oggetto di culto locale.

Lowe aggiunse:

- luogo di conservazione (in realtà poco affidabile);


- connessione con persone particolari (committenti, primi possessori);
- la sottoscrizione dello o degli esecutori (scrivente, o scriventi, miniatori, ecc.);
- zona in cui erano state eseguite eventuali correzioni ed aggiunte coeve o di poco posteriori all’età di fattura del
codice;
- testo com elementi di contenuto e linguistici;
- sintomi più propriamente grafici.

È fondamentale ricorrere alla valutazione degli elementi propriamente grafici quali gli stili che contraddistinguono le
diverse province scrittorie, le scritture speciali, gli stili particolari che si precisano dei diversi centri.

2.4. La nomenclatura paleografica

Molto spesso i catalogatori si trovano a dover inserire in un determinato catalogo il dato relativo al tipo di scrittura o
delle scritture adoperate nel codice o nel manoscritto descritto. Pur essendo un elemento di non poco conto
all’interno del lavoro di catalogazione, quello della nomenclatura paleografica è un terreno scivoloso poiché non si è
mai giunti, nel corso dei secoli, a denominazioni e descrizioni sufficientemente chiare e univoche, cadendo spesso in
definizioni ambigue e poco coerenti.

1953: a Parigi si svolse un congresso che vide radunati vari paleografi intenti a discutere il problema delle
nomenclature delle scritture librarie latine. Il congresso non diede riscontri postivi, ma le discussioni tenutesi in
quella sede hanno dato frutti molto rilevanti che sono stati raccolti negli anni seguenti da altri paleografi (Cencetti,
Autenrieth, ecc.). Tuttavia, gli strumenti oggi in nostro possesso non sono ancora soddisfacenti, in quanto ogni
terminologia paleografica è legata ad una particolare visione storica del fenomeno scrittorio e le terminologie
grafiche adoperate dalle varie scuole paleografiche o dai vari studiosi sono troppo eterogenee. Ciononostante, ogni
descrizione paleografica basata su premesse metodologiche rigorose può ritenersi valida. In linea di massima, una
buona metodologia per orientarsi nella selva di nomenclature paleografiche, qualora non si riesca ad accostare la
scrittura in analisi ad una tradizione scrittoria ben riconoscibile, è quella di ridurre le varie scritture a categorie
largamente comprensive in modo da farne risaltare il fondo comune che ne giustifica l’accostamento e le tendenze
che ne autorizzano la distinzione, inserendo nella definizione il tipo di scrittura individuabile cui ciascuna di esse
maggiormente si avvicina, talvolta indicandole con formulazioni complesse alle quali vengono in aggiunta
precisazioni ulteriori (es.: corsiva di tipo umanistico, con presenza di elementi semigotici) (vd. Cencetti).

2.5. Il contenuto

Il catalogatore deve risolvere tutti i problemi di identificazione di autori e di testi. La descrizione del contenuto di un
manoscritto, e perciò l’identificazione dei testi che esso tramanda, sono compiti primari dell’opera di catalogazione.
Nel caso di manoscritti di età moderna, tale compito può essere semplificato dalla presenza di edizioni a stampa del
manoscritto, che rendono più aderenti alla realtà le ipotesi tracciate dal catalogatore. Nel caso di manoscritti
medievali, sono diffusissimi i testi pseudonimi o erroneamente attribuiti a nomi più celebri con il criterio
dell’autorità; in tal caso, lo studioso dovrà avvalersi del confronto con le edizioni dell’autore cui è attribuita l’opera,
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ricerche sulla bibliografia più recente dell’autore presunto, ricerche sui repertori es gli incipitari relativi al genere
letterario cui l’opera appartiene.

Quando l’opera si presenta anonima, il catalogatore inizierà una paziente opera di ricerca partendo dagli incipitari;
qualora questa ricerca non andasse a buon fine, il seguente passo è quello di trarre elementi di identificazione dal
testo stesso, cercando parole poco comuni o nomi propri rari, che vendono registrati nei dizionari linguistici o negli
Onomastica con il rinvio alle poche citazioni che li riguardano; e, infine, avviare un vero e proprio studio del testo
complessivo dell’opera per tentare di collocarla nell’ambito del suo genere letterario e della sua epoca e per arrivare
ad attribuirle la paternità che le spetta. Il nome dell’autore deve anche essere reso nella sua correttezza grafica e in
lingua originale, avvalendosi di appositi cataloghi e repertori.

2.6. La descrizione esterna

Ai catalogatori viene richiesto di fornire notizie circa la fattura fisica del codice, la sua struttura, le tecniche impiegate
dagli artigiani che lo hanno materialmente composto. La struttura del codice e tutte quelle caratteristiche che non
possano essere osservate a distanza tramite microfilm devono essere inserite nel proprio catalogo, mentre
l’inserimento di altre informazioni più dettagliate può essere valutato in base al tipo di descrizione che si intende
fare; nel caso di una descrizione analitica è bene rendere conto anche delle diverse tecniche di fattura.

La struttura di un codice consiste nella sua costituzione in più fascicoli, fatti ciascuno di un certo numero di fogli
ripiegati al centro, inseriti l’uno dentro l’altro e cuciti fra loro lungo la piegatura centrale. Spesso la struttura risulta
irregolare o perché tale sin dall’inizio o perché divenuta tale col tempo, per perdida o aggiunta di carte o di fogli. Ne
deriva la necessità di analizzarla sia per rilevare i sistemi di fattura nel manoscritto che possono variare in base al
centro o all’epoca, sia per segnalare le sue vicende nel tempo e le eventuali perdite o aggiunte subite dal testo.
Occorre innanzitutto accertarsi se il codice rechi una numerazione originale dei fascicoli e i cosiddetti richiami;
dopodiché bisogna registrare su un foglio le carte dove compaiono numeri o richiami e, successivamente, individuare
i fogli centrali di ciascun fascicolo, cioè quelli attraverso la cui piegatura è visibile la cucitura; ciò fatto, basterà risalire
dall’una e dall’altra parte dino ad incontrare la fine del fascicolo precedente e l’inizio del fascicolo seguente per
ricavare la struttura completa di ogni fascicolo. Basandosi anche solo sul conteggio delle carte si potrà risalire
facilmente alla struttura originaria dei fascicoli e capire se questi hanno subito perdite o eventuali aggiunte; il tutto
dovrà poi essere registrato ricorrendo a dei grafici esplicativi o a formule numeriche e a simboli, o ancora all’uso di
forme verbali descrittive.
Primo sistema (R. M. James): indicare il numero delle carte (non dei fogli) che formano ciascun fascicolo con un
numero arabico progressivo e con un’altra cifra arabica in esponente; es.: 8^8 significa che il fascicolo ottavo è un
quaderno, fatto di quattro fogli e perciò di quattro carte; eventuali mancanze sono segnalate in parentesi di seguito;
es.: 13^8 (manca 7) vuol dire che il fascicolo 13 è un quaderno mancante della settima carta; così anche le aggiunte,
segnate con un asterisco 14^8 (+8*). Le carte di guardia sono indicati con lettere minuscole.
Secondo sistema (Paul Carnart): esposizione verbale della struttura, eventualmente resa più corta tramite
abbreviazioni.

Rigatura: può essere descritta tramite segni >< o ricorrendo agli schemi registrati da Leroy o da Lake. Foratura:
Webber Jones.

3. Il catalogo analitico

3.1. Premessa

Catalogo analitico = catalogo totale, il cui fine è di contenere una descrizione quanto più possibile accurata ed
esauriente di tutti gli aspetti di ogni singolo codice, da quelli esterni a quelli relativi al suo contenuto testuale. Ogni
particolare, se analizzato criticamente, è rilevante. I risultati dell’analisi vanno trasferiti in una trattazione che renda
più possibile gli elementi e le vicende del processo di produzione del codice. Il risultato è una trattazione piuttosto
ampia che di solito viene articolata in più sezioni e sottosezioni relative a quattro diversi aspetti del manoscritto: la
sua facies esterna; la sua storia posteriore alla fattura; il suo contenuto testuale; la bibliografia ad esso relativa.
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3.2. Analisi del codice

1. Sfogliare il codice, facendo attenzione sia al suo aspetto esterno, sia al suo contenuto, in modo da ricavarne
un’idea complessiva e da rendersi conto se il codice è unitario o composito. È opportuno prendere nota degli
elementi rilevanti che emergono da questa prima analisi, infilando nei luoghi relativi sottili liste di carta non
iscritta e del minimo spessore. Quindi il catalogatore prepara quattro cartelline leggere, destinate a contenere
rispettivamente le notizie sull’aspetto esterno e la fattura del codice, quelle sul suo contenuto, quelle sulla sua
storia e infine le schede bibliografiche delle opere e degli articoli in cui esso è descritto o citato; il tutto va
inserito in una cartella più grande con il numero e la segnatura del relativo codice.
2. Analisi dell’aspetto esterno del codice: il catalogatore si può fornire di una scheda-tipo oblunga e abbastanza
ampia contenente tanti spazi orizzontali quanti sono i fascicoli di ciascun codice per segnarvi per ciascun
fascicolo la natura e la consistenza (quaderno, quinterno, ecc.. e estensione da carta a carta), le eventuali
mancanze o aggiunte, le eventuali tracce di segnatura fascicolare sia con numerazione romana per fascicolo, sia
con numerazione a registro per ciascun foglio, l’esistenza di filigrane con riferimento di identificazione al
repertorio adoperato, la mano o le mani identificate con la signa alfabetica maiuscola progressiva (es. mano A da
c. a c.; mano B da c. a c., ecc.) Per la struttura si può far riferimento a un grafico e per la filigrana si può inserire
un disegno con l’indicazione delle dimensioni in mm., e si può anche calcolare in mm lo spazio occupato da
venti vergelle e quello intercorrente fra i filoni. Ove opportuno, il catalogatore potrà compilare schede analitiche
particolari nelle quali analizzare i sistemi e i tipi della rigatura e, con metodo paleografico, la scrittura delle
singole mani.
3. Descrizione interna: compilare una scheda separata per ciascun testo rilevato nel codice, riportandovi
testualmente l indicazioni di autore e di titolo in esso fornite, cui far seguire, via via che le operazioni di
controllo, collazione e identificazione si sviluppano, i dati progressivamente emersi e i risultati dei confronti con
le edizioni e dei riscontri bibliografici.
4. Su un’altra scheda oblunga il catalogatore disporrà notizie e giudizi circa le diverse mani che hanno apposto
annotazioni nei margini del codice, la loro età e il tipo delle annotazioni stesse: notabilia, rimandi ad altri testi,
osservazioni e giudizi, note di commento, brani di commentario continuo o note di collazione con altro
esemplare (di solito precedute da “al.” per “alias”.
5. Schedatura di tutte le note in possesso; lettura completa, datazione ed eventuale individuazione dello scriba.
6. Descrizione definitiva, in forma di testo continuo, più o meno diffuso.

3.3 Descrizione esterna (materia; aspetto e ordinamento; struttura; tecniche di fattura; scrittura)

- Segnatura del manoscritto: quella attuale seguita, se necessario, da quella immediatamente precedente, ove sia
citata da studiosi in tesi relativamente recenti. Le eventuali segnature antiche andranno indicate nella sezione
relativa alla storia del codice. La segnatura che si deve indicare è quella correntemente in uso nella biblioteca di
appartenenza. Se il codice è composito, ognuno dei suoi manoscritti deve essere descritto a sé, sia per quanto
riguarda la descrizione esterna, sia quella interna, distinguendoli fra loro con numerazione progressiva in cifre
romane.
- La materia: specificare se il codice è di pergamena («membr.») o di carta («cart.») o ambedue se il codice è
composto da entrambi i materiali, es.: «cart e membr.; sono membr. i fogli esterni di ciascun fascicolo e
precisamente le cc. 1, 8». La materia può essere ulteriormente descritta indicandone la natura, la preparazione o
l’aspetto. Per la pergamena si può descrivere l’origine animale, lo spessore, la differenza al tatto tra la parte di pelo
e quella di carne, i fori e residui di peli… Per la carta, spessore, consistenza, colore, filigrana, vergelle e filoni.
- La data: espressa in secoli, con ulteriori precisazioni in abbreviazione (in. = ineunte , cioè degli inizi; m. = medio,
cioè della metà; ex. = exeunte, cioè verso la fine) o con indicazione di più brevi periodi o in quarti di secolo o in
cifre.
- Le misure: fornita in mm., altezza x larghezza. Le misure sono calcolate sulla carta e non sulla legatura, la cui
misura va espressa separatamente. Nel caso di oscillazioni nelle misure delle carte si può fornire i dati estremi o
un’approssimazione di essi.
- La consistenza: riportare i dati della numerazione esistente, generalmente espressa in carte, quindi chiamata
“cartulazione”. Ove quella precedente sia sbagliata, lo si avverte senza modificarla sull’originale. Nella
numerazione si distinguono le carte di guardia, facenti parte della legatura, da quelle del corpo del codice,
indicando le prime con cifre romane e le seconde con cifre arabiche, es.: III + 252 + II. Si da notizia della o delle
numerazioni esistenti fornendone anche la data e indicandone, ove lo si conosca, l’autore. Si indicano le omissioni
La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
di numerazione dovute a errore o a reali mancanze, le eventuali duplicazioni, le catte lasciate bianche; il recto e il
verso delle singole carte si indica con le sigle r e v, le colonne del testo A e B.
- La struttura: consiste nella sua costituzione in fascicoli fatti ciascuno di un certo numero di fogli ripiegati, inseriti
uno dentro l’altro e cuciti fra loro; la descrizione avviene usando una nomenclatura numerica (james), o
un’esposizione verbale; si segnala la presenza eventuale di fascicolazione o di richiami.
- Sistema e tipo di rigatura: di solito si omette.
- La scrittura: in sede di catalogazione analitica, il catalogatore dovrà fornire una definizione terminologicamente
attendibile del tipo di scrittura adoperato nel codice; nel caso che il codice sia stato scritto da più mani, occorrerà
riconoscerle una per una, dandone l’estensione e per ciascuna ripetendo la definizione grafica ed eventualmente
una breve descrizione delle caratteristiche peculiari che ne permettono l’identificazione, Nel caso che il testo rechi
nei margini commenti o annotazioni tracciati da altre mani, se ne dà notizia, identificando il numero, l’epoca
rispettiva e il tipo di scrittura adoperato da ciascuno degli annotatori. Si fornirà anche la misurazione dello
specchio di rigatura e cioè le misure dello spazio rigato per ricevere la scrittura, il numero delle colonne in cui il
testo è diviso e delle righe del testo stesso; ove il numero di queste ultime sia variabile, lo si avvertirà, fornendo le
cifre limite o le cifre riscontrate in una delle carte iniziali di ciascun fascicolo. Se il copista ha sottoscritto e datato
il codice si riporterà testualmente ed integralmente la formula di sottoscrizione e di datazione; se il copista è noto
lo si dirà, fornendo in nota o nel testo, di seguito e fra parentesi, le relative referenze. Se il codice è per qualche
ragione databile, la si esporrà con i relativi riferimenti giustificativi.
- L’ornamentazione: descrizione schematica, distinguendo per le miniature quelle a piena pagina da quelle inserite
nel esto, ove appaia opportuno; si indichi l’esistenza di fregi, di iniziali figurate (nelle quali l’elemento figurativo
antropomorfo, zoomorfo o fitomorfo risulti prevalente), decorate o calligrafiche, dando per le prime due
categorie anche il numero complessivo e l’indicazione delle carte in cui si trovano. Se il codice reca stemmi li si
descrive secondo la nomenclatura in uso e, se possibile, li si identifichi (vd. V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare
italiana, I, Milano, 1928, pp. 13-68).
- La legatura: data di fattura espressa in secoli e materie di cui la legatura stessa è fatta.

3.4. Storia del codice

In sede di analisi bisogna raccogliere i dati relativi alla storia del codice, che verranno poi riportati con il massimo
scrupolo, cercando di fornire per ciascuno di essi una datazione quanto più precisa possibile e disponendoli in
ordine di successione cronologica: note di possesso esistenti in qualsiasi parte del codice, le annotazioni di studio o
di consultazione firmate, e così via; i timbri di appartenenza e le vecchie segnature, anche se non più comprensibili
nei loro elementi; numeri, sigle, ecc., prove di penna, disegni tracciati posteriormente e altre eventuali note
occasionali ed estranee al contenuto del manoscritto; dati desunti dall’archivio della biblioteca (prestiti esterni,
esposizioni in mostre); cataloghi di vendita, lettere, documenti che attestino eventuali passaggi di proprietà,
citandone le fonti.

3.5. Descrizione interna

Una volta risolti i problemi relativi all’identificazione dell’autore e del testo, o degli autori e dei testi contenuti nel
codice, il catalogatore deve esporre i risultati della sua analisi testuale in modo chiaro e ordinato.
Ogni testo viene contraddistinto da un numero progressivo in cifre romane; ove esso sia a sua volta diviso in
partizioni che vanno singolarmente descritte, esse saranno distinte con numeri progressivi in cifre arabiche. Segue
l’indicazione delle carte che il testo stesso occupa, posta fra parentesi tonde, e quindi, il nome dell’autore espresso
nella forma consueta e nella sua lingua.
Il nome dell’autore è seguito dal titolo dell’opera, dato nella lingua del testo e nella forma presente nel codice
quando non sia diversa da quella comunemente adottata; altrimenti si dà quella normale, cui fra parentesi tonde si fa
seguire quella del manoscritto, racchiusa fra virgolette. Seguono gli incipit e gli explicit del testo, scelti in modo da
fornire un passo significativamente identificabile, anche se breve.
Si introducono poi notizie sullo stato del testo nel codice, fornendo innanzitutto fra parentesi il riferimento
all’edizione collazionata; per i classici alla migliore o più recente edizione critica; per gli autori medievali e moderni
all’editio princeps (anche quattrocentista) o ad altra edizione antica o moderna raggiungibile. Si danno quindi
informazioni sulle eventuali mancanze del testo, sulle sue mutilazioni all’inizio e alla fine, su eventuali aggiunte; se si
ritiene che il codice occupi una posizione importante all’interno della tradizione del testo, lo si riporta, fornendo un
eventuale rinvio allo studio che ne tratta; sempre si fornisce qualche informazione sulla posizione del testo tràadito,
rispetto a quello offerto dall’edizione collazionata.
La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
Se il manoscritto contiene una silloge di poesie di uno o più autori, le si descrive singolarmente, con incipit ed
explicit di ciascuna e rinvio all’edizione collazionata.
Se il manoscritto contiene appunti, estratti, minute, abbozzi di opere e così via, si dà a ciascuna serie un titolo
generico in italiano, racchiuso tra parentesi quadre, facendo quindi seguire una sommaria descrizione delle singole
sezioni identificabili all’interno della serie, distinte con numeri arabici. Per gli epistolari, si fornisce l’elenco di tutte le
lettere presenti, indicando per ognuna di esse le cc limite, il mittente, destinatario, la data e il luogo di spedizione, ove
indicato.

3.6. Bibliografia

Deve fornire il quadro esatto, storicamente e criticamente, degli studi eseguiti in qualsiasi epoca e per qualsiasi scopo
sia manoscritto ovvero per i quali il manoscritto sia stato utilizzato. Deve essere completa, estendendosi fino alle
semplici citazioni, ed ordinata in rigido ordine cronologico.

4. Il catalogo sommario

Esempi celebri:
- Summary Catalogue dei manoscritti della Bodleian Library di Oxford, Falcone Madan;
- Inventario general de manuscritos de la Biblioteca Nacional di Madrid;
- Catalogo Sommario del Fondo Rossi (Sezione Corsiniana) della Biblioteca dell’Accademia dei Linacei di Roma.
Di difficile definizione in quanto poiché definibile per sottrazione rispetto al catalogo analitico e per addizione
rispetto al mero inventario. Dovrebbe fornire tutte quelle informazioni non ricavabili dalla riproduzione in
microfilm, omettendo tutto ciò che è frutto di una ricerca specialistica. Non contiene i dati più specificatamente
codicologici e neppure notizie sulla tradizione dei testi in esso contenuti, limitandosi a una secca identificazione degli
stessi. Il linguaggio deve essere secco e conciso, meramente formulare e con largo ricorso alle abbreviazioni.
Il catalogo sommario dovrebbe, quindi, comprendere:

1. Descrizione esterna: indicazione della materia; datazione; misure in mm; carburazione; eventualmente struttura; tipi
di scrittura; specificazione se di una o più mani; mani di annotatori; cenni sull’ornamentazione; filigrane;
eventuale giudizio sull’origine; cenno descrittivo (materia, datazione ed eventuali stemmi) della legatura.
2. Descrizione interna: Autore, titolo; eventuali incipit ed explicit solo di opere anonime o non identificate; eventuali
annotazioni (fra parentesi tonde) sulle mancanze del testo e sulle sue partizioni.
3. Storia: trascrizione di tutte le note di possesso, delle iscrizioni, dei timbri; altre notizie sulla storia.
4. Bibliografia: evitare citazioni rituali di seconda e di terza mano, come quelle ricorrenti nelle tavole dei manoscritti
di alcune edizioni critiche.

5. Il repertorio di manoscritti

Introdotti con l’arrivo della computerizzazione: offrono molti vantaggi, quali la possibilità di accedere
all’informazione da qualsiasi luogo, ma anche delle difficoltà, come ad esempio la necessità di trovare un linguaggio
tecnico uniforme ed omogeneo.

6. Gli inventari

Emil Wallner —> inventario = forma di descrizione limitata ed essenziale, basata su di una scelta più o meno
arbitraria degli elementi e di dati e finalizzata a scopi amministrativi, pratici e, si potrebbe dire, parascientifici.
Tuttavia, si potrebbe definire come appartenente al genere dell’inventario una vasta gamma di esempi di descrizione,
da secche liste di nomi, a descrizioni piuttosto dettagliate.

Delisle e Omont diedero due esempi diversi di inventario, il primo (inventario dei manoscritti latini della Biblioteca
Nazionale di Parigi) compilando una lista brutalmente essenziale, il secondo (manoscritti greci della stessa biblioteca)
una descrizione più accurata, anche se schematica.

Caratteristiche di fondo del modello:


La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
- sommarietà dell’informazione, per cui soltanto una parte dei dati possibili, e ritenuti indispensabili, è fornita
all’utente; naturalmente la soglia dell’indispensabilità rimane arbitraria: onde la diversità notevole dei risultati;
- Rapidità di esecuzione e perciò la pratica fattibilità del prodotto entro un tempo limite;
- Estensione contenuta e costo relativamente basso;
- Provvisorietà dei risultati.
Tre tipologie diverse:

- inventario sommario: preferibile quando si devono descrivere fondi mai descritti e particolarmente numerosi, o si
debbano redigere liste conoscitive di materiale manoscritto per uso interno;
- inventario vero e proprio: qualche dato in più sulla descrizione esterna;
- inventario analitico: prevalenza della descrizione interna.
Indispensabili: segnatura; autori, titolo originale o moderno e fittizio; materia; datazione, carburazione; misure in
mm.; legatura; eventuale indicazione della provenienza.

7. I cataloghi speciali

7.1. Premessa

La distinzione fra cataloghi generali e cataloghi speciali è stata oscurata dalla varietà di forme che il catalogo generale
ha assunto. La differenza fra le due tipologie risiede nella materia trattata, piuttosto che nella forma, in quanto il
catalogo speciale, diversamente da quanto succede per quello generale, non ha come obbiettivo la descrizione di tutti
i codici appartenenti ad un determinato territorio o biblioteca, bensì quello di trattare, all’interno di essi, solo alcuni i
quali presentino determinate qualità tipologiche e testuali che costituiscono appunto la loro singolare specialità.
I cataloghi speciali sono dunque costruiti su una rigorosa selezione dei manoscritti da descrivere, fondata silla natura
particolare della ricerca che un determinato studioso o un gruppo di ricercatori ha deciso di intraprendere e che può
riguardare sia i testi tramandati (ad esempio tutti i testi di un determinato autore o di un particolare settore
disciplinare) sia la tipologia esterna dei codici (miniati, datati, ecc.) oppure la loro età. Se ne deduce quindi che i
cataloghi speciali sono contraddistinti da un soggetto speciale e da una speciale finalità.
Essi sono prodotti in genere non dai bibliotecari conservatori, ma da studiosi esterni alle biblioteche, mossi da
proprie ragioni tematiche e di ricerca e perciò indotti a darsi norme di descrizione particolarmente studiate in
funzione di esse; ne consegue che i cataloghi speciali sono fra loro fortemente difformi.

7.2. Catalogo dei manoscritti di una singola opera o di un singolo autore

L’operazione che è alla basa di questi cataloghi costituisce la fase preliminare di ogni edizione critica (la recensio della
tradizione manoscritta di un determinato testo) ed è spesso rappresentato da semplici e nude liste recanti soltanto
indicazioni di massima di ciascun manoscritto. Un buon catalogo di questo genere deve dare descrizioni ricche e
complesse di ciascun codice recensito, ma pur sempre chiare e sobrie, e fornire un ampio quadro della diffusione nel
tempo dei testi rispettivamente presi in esame e della loro tradizione manoscritta complessiva, individuandone
fattori, vettori e utenti.

7.3. Catalogo dei manoscritti contenenti testi relativi a un determinato settore disciplinare

Di solito ampi e affidati ad equipe di studiosi, piuttosto che a una singola persona. Es. indice descrittivo dei
manoscritti giuridici di diritto romano fino al 1600, catalogo dei manoscritti filosofici nelle biblioteche italiane, ecc.

7.4. Catalogo di codici datati o databili

Datato = codice recante con chiarezza un’indicazione originale di data o di luogo compilata e scritta dal copista o dai
copisti che ne hanno materialmente vergato il testo. Bisogna comunque prestare attenzione a questo aspetto perché
l’indicazione di una data potrebbe essere fuorviante. La data espressa potrebbe rappresentare la data di
composizione dell’opera da parte dell’autore (in questo caso potrebbero esistere più manoscritti con la stessa data),
oppure essere la data dell’esemplare da cui è tratto il codice o quella di confezione di un exemplar ufficiale.
La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
Databile = codice che per elementi interni, cioè contenuti nel testo (dedica, citazione di personaggi e di fatti, ritratti,
ecc.) o esterni (identificazione del committente, annotazioni datate immediatamente successive alla fattura) può
essere verosimilmente datato entro un arco di tempo inferiore ai trenta anni, inferiore cioè ad ogni possibile
datazione effettuata su base paleografica.

7.5. Catalogo di codici miniati

Poiché sono molto frequentemente redatti da storici dell’arte, spesso si configurano come cataloghi descrittivi delle
miniature contenute piuttosto che come cataloghi descrittivi dei codici con miniature.
In ogni caso, essi dovrebbero senza eccezione riportare le seguenti informazioni:
- strumenti e tecniche di esecuzione
- colori adoperati
- iconografia delle figure o scene rappresentate
- tipologia degli elementi costitutivi della decorazione.
8. La descrizione dei manoscritti di natura documentaria

8.1.

Archivi e biblioteche hanno in comune il settore dei manoscritti, cioè dei documenti e dei libri, antichi e moderni,
scritti a mano e conservati nelle serie e nei fondi con costituiscono il nucleo storicamente più importante di ciascuna
di queste istituzioni. Gli sviluppi recenti della codicologia e dell’archivistica avvicinano tanto queste due discipline
che oggi si può parlare di una “archivistica dei manoscritti”, consistente nella storia dei fondi che li conservano.
Questo settore comune costituisce anche un elemento di contrasto fra le due categorie di enti poiché il materiale che
appartiene ad un’istituzione spesso si trova nell’altra, a causa delle peripezie alle quali i documenti sono sottoposti a
volte anche per cause arbitrarie o sfortunate. In particolare in Italia ogni biblioteca di antica formazione conserva fra
i suoi manoscritti ricchi fondi documentali e la irrazionale distribuzione del materiale manoscritto seguita alla
soppressione dei monasteri e alla costituzione di nuovi enti di conservazione ha provocato, dopo il 1861, lo
smembramento di intere serie archivistiche e la dispersione di organici fondi librari. Sono frequenti anche i casi di
fondi di manoscritti che sin dalla loro origine comprendevano intere serie di documenti pubblici relativi alle attività
politiche o religiose del fondatore di quella biblioteca.

8.2.

Si può ridurre il materiale documentario contenuto nelle biblioteche alle seguenti categorie:

a) manoscritti di natura storico-documentaria, in genere di età moderna, in volumi o codici;


b) archivi letterari, costituiti dalle carte di un intellettuale defunto, appunti di lavoro, varie redazioni delle sue opere,
il suo carteggio, eventuali documenti patrimoniali e familiari;
c) serie di documenti sciolti, soprattutto se membranacei;
d) interi archivi, sopratutto familiari o personali, o parti, più o meno estese, di archivi di pubbliche istituzioni.

Di fronte a tale casistica il bibliotecario non potrà certamente restituire il materiale alla sede più propria per esso,
cioè all’archivio, ma si può limitare a pubblicarne un buon inventario. Il problema dunque è di carattere scientifico,
piuttosto che giuridico, e risiede nell’urgenza di trovare un modello di descrizione coerente e funzionale al materiale
documentario di cui si dispone.

8.3.

Il problema è dunque innanzi tutto quello di saper distinguere fra materiale manoscritto che è meglio descrivere con
metodi bibliotecari e materiale manoscritto che, per la sua natura particolare, è meglio descrivere con metodi
archivistici. I manoscritti che costituiscono dei codici andrebbero pertanto descritti con metodo bibliotecario, quelli
che invece fanno parte di una serie documentaria individuabile secondo criteri archivistici.

Ordinare un complesso di carte o di filze di documenti significa ridare loro l’ordinamento originario, cioè quello
corrispondente al funzionamento dell’organismo di cui esso costituiva emanazione documentaria. Una volta
La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
raggiunto tale fine, si tratta di tradurre tale ordinamento in un inventario ragionato, nel quale non sarà tanto
importante la descrizione di ciascun pezzo a sé stante, quanto piuttosto l’inquadramento storico generale e
l’illustrazione del funzionamento dell’ufficio da cui le carte provengono, da esporre nell’introduzione, breve o lunga
che sia.
Cencetti —> saggio sulle diversità fra inventario dei libri e inventario archivistico (1939), preferisce un inventario
sommario che descriva ciascun contenitore riferendo sommariamente del suo contenuto, arricchito da
un’introduzione storica; D’Addario (1980) un inventario analitico che contenga la descrizione di ciascun documento.
Compilata la trattazione introduttiva, il catalogatore dovrebbe limitarsi a fornire per ciascuna filza o mazzo o cartella
di documenti i dati cronologici limite, la natura fisica del pezzo (fascio di tot documenti o di tot carte se si è preferita
la carburazione, consigliabile solo per i pezzi rilegati in forma di codice), l’autore o gli autori della documentazione,
la natura degli atti contenuti.

9. Redazione degli indici e dell’introduzione

L’indice è un elemento di estrema importanza all’interno di un catalogo di manoscritti perché costituiscono la chiave
interpretativa fondamentale della descrizione e lo strumento principale di consultazione per lo studioso. Ogni indice
è il frutto della scelta e dell’accurata organizzazione di tutti i principali elementi costitutivi del catalogo.

9.2. I dati

Gli indici non contengono soltanto un numero maggiore o minore di dati a seconda della natura del catalogo di cui
costituiscono l’indispensabile complemento, o a seconda della volontà del compilatore, ma anche una qualità diversa
di dati a seconda degli orientamenti dominanti nella scienza codicologica e nella tecnica catalografica del momento.
Ciononostante, alcuni dati di base sono ineliminabili da qualsiasi tipo di indicizzazione:

a) i nomi degli autori dei testi descritti;


b) I titoli delle opere anonime;
c) Tutti gli incipit presenti nel catalogo, in ordine alfabetico;
d) I nomi di persona comunque presenti nella descrizione;
e) L’indicazione dei codici datati o databili o in un indice a sé o nell’indice generale sotto voce apposita;
f) l’indicazione dei codici interamente o parzialmente palinsesti;
g) In indice a parte l’identificazione bibliografica completa di tutte le opere e di tutti gli articoli citati in forma
abbreviata nel testo del catalogo e nell’introduzione ad esso.
Ogni citazione deve essere munita di un rinvio al catalogo, che in genere è effettuato secondo il numero del codice
cui il dato si riferisce.

9.3. Struttura e caratteri

- I nomi degli autori vanno stampati in grassetto, gli altri in maiuscoletto; oppure nomi di autori in maiuscoletto e
altri il corsivo minuscolo;
- i titoli in corsivo e così in corsivo tra parentesi angolari o quadre, tutti gli interventi critici del compilatore;
- nel caso di indice ampio e ricco di voci di materia, occorre disporlo di un prospetto iniziale;
- categorie di persone come copisti o possessori, possono essere contraddistinte con esponenti letterali (C e P);
- l’indice va preceduto da una breve avvertenza che ne specifichi i caratteri e fornisca qualche consiglio utile per
l’uso.

9.4. L’introduzione

Proposizioni metodologiche del compilatore; notizie sulle sedi fisiche che i manoscritti hanno avuto nel tempo;
catalogazioni e inventariazioni precedenti l’ultima con autori e criteri; notizie sui bibliotecari responsabili del settore
dei manoscritti; notizie sugli accrescimenti nel tempo del fondo; notizie su eventuali dispersioni o furti di codici;
notizie su eventuali campagne di rilegatura o di restauro. Criteri seguiti nella descrizione, ringraziamenti. Tavole di
concordanza delle segnature.
La descrizione del manoscritto Armando Petrucci
10. La scelta funzionale

10.1.

Se finora si è catalogato poco è anche e soprattutto al fatto che di volta in volta, ubbidendo a motivazioni culturali e
ideologiche diverse, si è descritto ciò che si è voluto o potuto con i metodi che ciascuna volta sono stati ritenuti
necessari. La consapevolezza di tale situazione e l’accettazione del principio che a motivazioni diverse devono
corrispondere metodologie diverse di descrizione, sono atteggiamenti auspicabili in tutti gli operatori del settore,
perché capaci di sgomberare il terreno di molti equivoci, primo fra tutti quello della obbligatorietà di un modello
unico di catalogazione.

10.2.

La proposta che ne può derivare, è quella di una descrizione funzionale, cioè generale e completa, ma differenziata
nei metodi in base alle diverse finalità. Essa dovrebbe comprendere:

a) Una inventariazione generale del patrimonio manoscritto nazionale, secondo modalità affini a quelle che
caratterizzano il Catalogo generale dei beni culturali ed ambientali.
b) Una catalogazione con metodo analitico o sommario di singoli fondi di manoscritti o di gruppi di codici scelti
per specifiche esigenze di ricerca; si tratta di iniziative di catalogazione prese a livello locale o da operatori interni
alle strutture bibliotecarie.
c) La semplice inventariazione a fini non scientifici, quanto piuttosto patrimoniali, che funga da banca dati e che
deve essere messa a disposizione del pubblico e di cui deve essere permessa la riproduzione.

10.3.

È importante sottolineare la differenza che corre tra:

- teoria della descrizione, che deve servire soprattutto a stabilire lo standard minimo di informazioni che una
descrizione deve contenere per risultare sufficientemente utile; compito dei teorici della bibliografia e della
catalogazione;
- politica della descrizione, che deve servire a impostare e finanziare modelli diversificati di descrizione a seconda delle
diverse esigenze e a fornire ciascuna area territoriale e ciascun centro di una inventariazione di base completa;
compito dei responsabili a livello nazionale e locale della politica di tutela e di conservazione dei beni culturali;
- metodologia della descrizione, che deve servire a stabilire i modi e le tecniche di realizzazione dei singoli modelli di
descrizione possibili; compito dei codicologi e dei conservatori di manoscritti.

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