Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Premessa
1
H. Geertman, Documenti, redattori e la formazione del testo del «Liber Pontificalis», in
Id., Il «Liber Pontificalis» e la storia materiale. Atti del colloquio internazionale (Roma, 21-22
febbraio 2002), Koninklijkevan Gorcum, Assen 2003.
Questo saggio è stato ristampato, insieme ad altri dedicati dallo studioso al Liber, in Id., «Hic
fecit basilicam». Studi sul «Liber Pontificalis» e gli edifici ecclesiastici di Roma da Silvestro a
Silverio, a cura di S. de Blaauw, Peeters, Leuven 2004.
2
L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I e II, E. De Boccard, Paris 1886-1892 (Anast. Paris
1955 e 1981).
3
In questo lavoro utilizzerò unicamente il materiale raccolto in occasione della mia tesi
di laurea magistrale, rimasta inedita, dal titolo Genesi e funzioni del primo Liber Pontificalis:
le cosiddette Epitomi (relatore prof.ssa Lidia Capo, correlatore prof.ssa Giulia Barone, discus-
sa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma «La Sapienza» nell’A.A
2007/2008). Da quel lavoro i miei studi sono proseguiti, con particolare attenzione alla materia
canonistica e liturgica contenuta nel Liber Pontificalis, aprendo nuovi possibili scenari che
sono oggetto della mia tesi di dottorato, la quale sarà discussa a breve presso l’università di
Roma Tor Vergata. Nel frattempo, però, sono state pubblicate altre ricerche; in particolare,
sull’argomento, gli atti di un convegno tenutosi ad Auxerre: F. Bougard-Michel Sot (eds.), «Li-
ber», «Gesta», Histoire. Ecrire l’histoire des évêques et des papes, de l’Antiquité au XXIe siècle,
Brepols, Turnhout 2009, in cui tutta la prima sezione è dedicata al Liber Pontificalis romano;
e soprattutto L. Capo, Il Liber Pontificalis, i Longobardi e la nascita del dominio territoriale
della chiesa romana, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 2009.
Tali ricerche, condotte autonomamente ma mosse da analoghi punti di partenza e da comuni
considerazioni sullo status quaestionis, presentano però conclusioni solo in parte coincidenti
con le mie e, quindi, per il momento non saranno utilizzate nella redazione di questo contributo,
poiché verranno ampiamente discusse nella mia tesi dottorale.
4
Sullo status quaestionis, con accurata disamina delle diverse posizioni, L. Capo, Il Liber
Pontificalis, pp. 23-58.
5
Per la struttura del LP si veda L. Duchesne, Le Liber, p. XXXIII.
6
In ordine di apparizione si tratta di L. Duchesne, Le Liber; e T. Mommsen, Liber Pontifi-
calis. Pars prior, Gesta Episcoporum Romanorum I, Weidmannos, Berolini 1892.
7
Per la prima datazione, con ampie riflessioni, L. Duchesne, Le Liber, pp. XXXIII-XLVII.
Per la seconda, invece, T. Mommsen, Liber, p. XVIII.
8
Per un’analisi formale dell’epitome feliciana e dei suoi manoscritti: L. Duchesne, Le
Liber, pp. XLIX-LIV; e anche T. Mommsen, Liber, pp. LXIX-LXXI.
9
L. Duchesne, Le Liber, pp. LIV-LVII; e anche T. Mommsen, Liber, pp. LXXI-LXXIV.
10
L. Duchesne, Le Liber, pp. XL-XLVIII.
11
L. Duchesne, Le Liber, p. XXXVI-XLI.
12
T. Mommsen, Liber, p. XIV.
delle particolarità che in qualche modo li differenziano tra loro e che porte-
rebbero a escludere una filiazione diretta delle due cosiddette epitomi (F e
K) dal testo più ampio in nostro possesso (P). La loro impresa è stata resa
ancora più ardua dalla mancanza – per tutti e tre gli scritti F, K e P – di una
tradizione manoscritta antecedente al secolo VIII, nonché da una sorta di
contaminazione laterale tra la tradizione dell’epitome cononiana e quella
di P: K infatti presenta un testo dalla fisionomia autonoma solo sino alla
biografia di papa Felice IV (526-530), mentre per il resto dà sicuramente una
sintesi del testo di P13.
Entrambi gli editori, consci della centralità del problema dei rapporti tra
questi tre testi per la comprensione dell’origine del LP, pur muovendo spesso
dagli stessi argomenti, hanno proposto due ricostruzioni, entrambe filologi-
camente plausibili, ma in fin dei conti alternative.
Per lo studioso francese, i due testi più brevi, F e K, sarebbero due testi-
moni indipendenti di una prima redazione del LP oggi perduta (artificiosa-
mente ricostruita dal Duchesne sommando il testo delle due epitomi), realiz-
zata a Roma probabilmente al tempo di papa Ormisda (514-523) e proseguita
sino al pontificato di Felice IV (526-530), mentre il testo più ampio, P, rap-
presenterebbe una seconda edizione realizzata sulla base di π al tempo di
papa Vigilio (537-555), mediante una revisione del suo materiale e l’aggiunta
delle biografie comprese tra il pontificato di Bonifacio II (530-532) e quello
di Silverio (536-537)14.
Anche il Mommsen pensò all’esistenza di una prima redazione del LP
oggi perduta, ma, per ragioni codicologiche e soprattutto linguistiche, la datò
agli inizi del secolo VII, e ritenne anche che da questo testo primigenio si fos-
sero sviluppati due differenti rami della tradizione, uno diretto, che avrebbe
dato vita sul finire del secolo VII ad una seconda redazione del LP (il nostro
P), caratterizzata da qualche cambiamento ed integrazione, ed uno indiretto
che, mediante il passaggio intermedio di un’epitome, anch’essa perduta, por-
terebbe ai testi di F e K, redatti in Gallia entro il secolo VIII15.
Come è noto, tra le due proposte, gli studiosi hanno optato per la tesi del
Duchesne, ritenuta quella storicamente più plausibile e dunque convincente,
percependo la questione dell’origine del LP come archiviata definitivamente
con la sua edizione – sebbene non siano mancate, negli anni, interessanti
integrazioni ed approfondimenti, che non hanno però mai messo in dubbio
l’impianto interpretativo dello storico francese16. Questo, almeno, sino a po-
13
A tal proposito L. Duchesne, Le Liber, p. LVII.
14
L. Duchesne, Le Liber, pp. XL-XLVIII.
15
T. Mommsen, Liber, p. XIV.
16
A mio avviso, l’integrazione più interessante all’ipotesi del Duchesne è stato quella
proposta da R. Cessi, Lo scisma Laurenziano e le origini della dottrina politica della Chiesa
di Roma, in «Archivio Reale della Società Romana di Storia Patria» XLII (1919), pp. 5-229,
in particolare pp. 71-107; ma v. anche R. Vielliard, Les titres Romains et les deux éditions du
«Liber Pontificalis», in «Rivista di Archeologia Cristiana» 5(1928), pp. 89-108; ma anche, più
recentemente, tra gli altri, P. Carmassi, La prima redazione del «Liber Pontificalis» nel qua-
dro delle fonti contemporanee. Osservazioni in margine alla vita di Simmaco, in H. Geertman
chi anni fa, quando appunto Geertman ha avanzato una serie di considerazio-
ni relative alla storia del testo, alla sua genesi ed al rapporto tra le tre redazio-
ni, che si distaccano di molto dalle soluzioni sino ad ora adottate, giungendo
anche a sostenere la necessità di una nuova edizione critica del LP17.
Nei suoi studi egli ha provato a ridisegnare il processo di formazione
dei testi relativi al Liber a noi pervenuti secondo un ordine inverso rispetto
a quello proposto dal Duchesne e, parzialmente, anche dal Mommsen: egli
ritiene che le epitomi siano successive a P, che sarebbe quindi la I redazione.
Esse deriverrebbero da questa, ma attraverso un rimaneggiamento (perduto)
del Liber P a noi giunto, sostanzialmente contemporaneo alla stessa prima
edizione, e dunque databile, come il primo, entro il 53018.
Tra le tre tesi sin qui sommariamente esposte, quella del Mommsen si
è rivelata nel lungo periodo poco persuasiva, e quella del Geertman manca
ancora del necessario apparato di dimostrazioni per scalfire in profondità il
sistema proposto dal Duchesne, le cui proposte, in ultima analisi, rimangono
ancora le più convincenti.
2. Dal Liber ai libri: tre testi per una storia? Una proposta
Le ipotesi sin qui avanzate, pur nella loro differenza, mi pare si muovano
comunque tutte all’interno di una medesima linea interpretativa che predili-
ge il testo della seconda redazione a discapito di quello delle due cosidette
epitomi, e che prevede, per sciogliere il nodo del rapporto tra i tre scritti, la
presenza di un passaggio intermedio tra le prime e la seconda (rappresentato
per il Duchesne dalla redazione π), con il quale spiegare le analogie e, soprat-
tutto, dar ragione delle analogie19.
Questo modo di procedere, pur filologicamente plausibile, mi sembra però
soffrire dei limiti dell’ecdotica lachmanniana, che, concentrandosi unicamente
sul problema delle varianti testuali, concede molto poco alle problematiche di
carattere storico. Questi limiti sono ancora più evidenti in presenza di un’opera
non autoriale e, soprattutto, aperta a revisioni ed integrazioni, per cui l’utilizzo
di un metodo strettamente filologico rischia di compromettere sensibilmente la
comprensione del suo effettivo carattere, facendo passare in secondo piano il
fatto che F, K e P, pur nella loro similarità, mantengono una fisionomia autono-
ma e godono comunque di una tradizione manoscritta propria.
Se, infatti, è innegabile che i tre testi abbiano tra di loro un rapporto di
stretta dipendenza, e che la seconda redazione P utilizzi le due epitomi20, lo
(ed.), Il «Liber Pontificalis», pp. 235-266, sebbene le sue proposte derivino dalla revisione
del Geertman.
17
H. Geertman, Documenti, redattori, pp. 267-284, mentre la proposta di una nuova edi-
zione in Id., Le biografie del «Liber Pontificalis» dal 311 al 535. Testo e Commentario, ibi,
pp. 285-355.
18
H. Geertman, Le biografie del «Liber Pontificalis» dal 311 al 535. Testo e Commenta-
rio, p. 270.
19
In particolare L. Duchesne, Le Liber, pp. LVII-LXVII.
20
Mi pare sia ancora valida la dimostrazione del Duchesne, ibi, pp. LX-LXV.
è pure, a mio avviso, il fatto che queste ultime presentino caratteristiche che
le rendono concettualmente “differenti” l’una dall’altra e rispetto alla cosid-
detta seconda redazione.
Una possibile conferma dell’autonomia delle tre redazioni è rintraccia-
bile nella natura stessa delle loro varianti disgiuntive. Analizzando F, K e P,
infatti, si nota facilmente che non tutte le divergenze sono attribuibili a corre-
zioni di stile o alla volontà di presentare in maniera sintetica, o più ampia, le
medesime notizie, ma che, al contrario, in molti casi esse sembrano essere il
frutto di una ben chiara e differente volontà narrativa: cioè la capacità degli
autori di un’opera di scegliere struttura, temi e modi espositivi, in modo tale
da rendere il loro testo funzionale al raggiungimento di fini determinati.
Senza entrare per il momento nello specifico delle notizie riportate dai
tre testi, un buon esempio credo possa essere costituito dalla presenza o meno
nei tre scritti di alcune tipologie di notizie.
Se si confrontano, infatti, le biografie contenute in F, K e P, si nota che,
sebbene la loro macrostruttura sia la medesima, diversa è, invece, la selezio-
ne sia dei temi da trattare, sia del modo di trattarli.
Un caso esemplare, a tal proposito, è offerto dal modo in cui i tre testi
affrontano la biografia di papa Marcello (308-309): l’epitome feliciana pro-
pone niente di più che una scarna voce di catalogo, fornendo unicamente
i dati relativi alla nazione del papa, al nome del padre, ai dati cronici di
imperatori e consoli coevi, alle ordinazioni, al luogo e data di sepoltura e
alla durata del pontificato21; rispetto ad essa l’epitome cononiana inserisce la
notizia relativa alla fondazione di un cimitero e l’istituzione in «quasi dio-
cesis» dei XXV titoli cittadini22; la seconda redazione (P) aggiunge ulteriori
particolari alle notizie sulla fondazione di luoghi adibiti al culto e introduce,
anche, una lunga sequenza narrativa a carattere agiografico, relativa alla vita
e alla sepoltura del papa23.
Queste distinzioni sono in realtà delle vere e proprie “tendenze” che ca-
ratterizzano i tre testi e che, in generale, possono essere così indicate: l’epi-
tome Feliciana, a differenza di K e P, non inserisce mai la rubrica relativa
alle donazioni papali ed è generalmente interessata all’attività legislativa
dei papi; la cononiana è poco interessata alle questioni dogmatiche e dedica
invece molto spazio alle costruzioni effettuate dai papi; mentre la seconda
redazione tende a dedicare più spazio alle notizie di fondazioni e donazioni,
così come a quelle a carattere agiografico.
Un altro possibile indizio a favore della tesi di testi distinti credo possa
essere rappresentato dalla loro chiara volontà di presentare in maniera diffe-
rente gli stessi argomenti, a seconda dei propri punti di vista, o delle proprie
aspettative di comunicazione.
Un esempio, tra i tanti, di questa dinamica appare nel modo in cui F, K
e P trattano la risoluzione dello scisma acaciano nella biografia di papa Or-
21
L. Duchesne, Le Liber, pp. 72-74 ; e anche T. Mommsen, Liber, p. 243.
22
L. Duchesne, Le Liber, pp. 72-74 ; e anche T. Mommsen, Liber, p. 243.
23
L. Duchesne, Le Liber, pp. 164-165; e anche T. Mommsen, Liber, pp. 43-44.
misda (514-523): per K, che alla questione dedica non più di qualche riga, la
soluzione sarebbe dovuta semplicemente alla morte dell’imperatore eretico
e all’ascesa al trono del cattolico Giustino24; per F, invece, che come P dedi-
ca ampio spazio alla vicenda, essa sarebbe stata opera del diacono Diosco-
ro, che «exposuit [...] culpas Acati, ut etiam omnes simul cum Iustino Aug.
adclamarent dicentes: Et hic et in aeternum damnetur Acatius»25; per P, anco-
ra, la soluzione sarebbe venuta da un’iniziativa di papa Ormisda che avrebbe
inviato, «cum [...] consilio» di Teodorico, al nuovo imperatore Giustino una
legazione «et cum vinculo cyrographi et textum libelli reintegravit ad unita-
tem sedis apostolicae damnantes Petrum et Acacium vel omnes hereses»26.
Come si può notare, le differenze tra i tre scritti sono molto lontane
dall’essere semplici varianti testuali e indicano chiaramente il differente
“concetto” che li anima: F, K e P, infatti, differiscono non solo nella selezio-
ne dei temi ritenuti importanti all’interno della “loro” storia dei vescovi di
Roma, ma anche nel modo di proporli al lettore.
Poiché, dunque, queste varianti sembrano caratterizzarsi come il risultato
di una ben chiara ed autonoma volontà narrativa degli “autori”, credo sia op-
portuno spostare l’attenzione da un piano prettamente filologico-testuale ad
uno storico-critico, nella convinzione che l’analisi dei rapporti tra i testi ed il
loro contesto sia la via più indicata per comprendere sino in fondo il rapporto
che intercorre tra F, K e P, e, soprattutto, chiarire in qualche modo aspetti
essenziali della loro genesi.
3. Roma tra V e VI secolo: una città ed una chiesa cittadina tra aspirazioni
universalistiche e politica locale
delle élites cittadine, così come della chiesa locale, sia nei loro rapporti reci-
proci, sia rispetto ai poteri politici esterni “forti”, la cui azione si estendeva
sulla città: i nuovi regni sorti in Italia, prima quello di Odoacre poi quello dei
Goti, e l’impero d’Oriente in piena ripresa.
Da un punto di vista politico-istituzionale, poco dopo la metà del V se-
colo, il già complesso quadro tardo-antico, caratterizzato dall’avvicendarsi
vorticoso di generali innalzati al rango di imperatori in base all’umore dei
propri eserciti28, era stato reso ancora più instabile dalla definitiva scomparsa
di un’autorità imperiale riconosciuta in Occidente (la deposizione di Romolo
Augustolo, con l’invio delle insegne imperiali in Oriente è del 476). A ciò si
aggiungevano il disinteresse per la situazione italiana dimostrato dall’impe-
ratore di Costantinopoli, le cui preoccupazioni erano rivolte al mantenimento
di un’unità politica in partibus orientis, e l’affermazione sul territorio italico
della dominazione barbarica29, frutto di un colpo di mano prima, e di una mi-
rata politica imperiale poi, che ebbe nell’erulo Odoacre (re in Italia dal 477
al 493) il suo primo rappresentante, e nel goto Teodorico (re dal 493 al 526)
l’esponente politicamente di maggior rilievo30.
Il patricius goto, infatti, riuscì a creare sul territorio italico una nuova
istituzione politica a carattere monarchico, per certi versi analoga a quelle
romano-barbariche che negli stessi anni si andavano formando in Gallia e si
assestavano nell’Africa settentrionale, capace di esercitare un governo au-
tonomo nell’Italia centro-settentrionale e, allo stesso tempo, di imporsi con
forza sulla scena internazionale.
In pochi anni, infatti, la sua particolare capacità politica aveva permesso
a Teodorico di stringere alleanze con Visigoti, Burgundi, Vandali, Turingi ed
Eruli, presentandosi comunque quale unico rappresentante dell’imperatore
in Occidente, e di proporsi quale equilibrato interlocutore dell’antica aristo-
crazia senatoria, e anche, pur essendo ariano, delle autorità ecclesiastiche
cattoliche, in particolare del vescovo di Roma31.
Esemplare, a tal proposito, rimane la visita effettuata da Teodorico a
Roma nell’anno 500, durante la quale il re, secondo la ricostruzione of-
fertaci dall’Anonimo Valesiano, si comportò come un autentico sovrano
romano e cattolico32.
28
In generale sul V secolo si veda S. Mazzarino, L’impero romano, II, Laterza, Bari 1991
[ultima rist. 2010].
29
Si veda a tal proposito M. McCormick, Odoacer, the emperor Zeno and the Rugian
victory legation, in «Byzantion» 47(1977), pp. 212-222.
30
Su questa fase politica si veda F. Giunta, Gli Ostrogoti in Italia, in G. Pugliese Caratelli
(ed.), Magistra barbaritas: I barbari in Italia, Credito Italiano, Milano 1984, pp. 54-96.
31
Su Teodorico ed il regno goto d’Italia: J. Moorhead, Theodoric in Italy, Clarendon
Press, Oxford 1993. Ma anche, sui vari aspetti del suo regno: Teodorico il Grande e i Goti d’I-
talia. Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Milano, 2-6 Novembre
1992), Centro Italiano di Studi sull’alto medioevo, Spoleto 1993.
32
J. Moreau (ed.), Excerpta Valesiana (révisé par V. Velkov), Teubner Verlag, Leipzig
1968, paragrafi 65-67. Per un inquadramento cronologico dell’Anonimo Valesiano: G. Zecchi-
ni, L’Anonimo Valesiano II: genere storiografico e contesto politico, in Teodorico il Grande e
i Goti d’Italia, pp. 808-819.
33
M. Vitiellio, Teoderico a Roma. Politica, amministrazione e propaganda nell’“adven-
tus” dell’anno 500 (Considerazioni sull’Anonimo Valesiano II), in «Zeitschrift für Alte Ge-
schichte» LIII, 1(2004), pp. 73-120.
Sulla cerimonia dell’adventus in epoca tardo-antica si veda in generale: S. MacCormack,
Change and Continuity in Late Antiquity: The Ceremony of Adventus, in «Historia» 21(1972),
pp. 721-752; M. McCormick, Eternal Victory. Triumphal Rulership in Late Antiquity, Byzan-
tium and the Early Medieval West, Maison des Sciences de l’Homme et Cambridge Universi-
ty Press, Cambridge 1986; P. Dufraigne, Adventus Augusti, adventus Christi. Recherches sur
l’exploitation ideologique et litteraire d’un ceremonial dans l’antiquité tardive, Brepols, Paris
1994, pp. 255-258; A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Laterza,
Roma-Bari 1999, pp. 194-197 e 257-258.
34
Su Calcedonia e la politica di Leone riguardo al concilio, si veda M. Wojtowytsch, Pap-
sttum und Konzile von den Anfängen bis zu Leo I (440-461), A. Hiersemann Verlag, Stuttgart
1981, pp. 304-350.
35
Per quanto riguarda la prima problematica, i padri riuniti a Calcedonia, sotto la spinta
di papa Leone Magno e su ispirazione del suo Tomus Favianii, avevano precisato il dogma
delle due nature di Cristo e condannato il monofisismo, in particolare le dottrine professate da
Nestorio e da Eutyche. Sul Concilio di Calcedonia, ma con un interesse prettamente teologico
P.-T. Camelot, Storia dei Concili Ecumenici. II. Efeso e Calcedonia, Libreria editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1997, pp. 111-163.
41
In generale sul contesto storico e sullo scisma: L. Duchesne, Histoire de l’Église au VIe
siècle, Ancienne Librarie Fontemoing & Cie E. De Boccard, Paris 1925, in particolare pp. 1-43;
C. Fraisse-Coué, La crescente incomprensione tra l’Oriente e l’Occidente (451-518), in J.-M.
Mayeur - C.-L. Pietri - A. Vauchez - M. Venard (eds.), Storia del Cristianesimo. Religione
Politica e Cultura, pp. 154-199. Sulle tappe dello scisma acaciano: J. Richards, The Popes and
the papacy in the early middle ages 476-752, Routledge and Kegan Paul, London 1979, pp.
55-68; sui testi publicistici prodotti dalle varie fazioni: E. Schwartz, Publizistische Samlungen
zum Acacianischen Schisma, Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, München
1934, in particolare sul contesto pp. 161-303.
42
Su questo C. Pietri, Aristocratie et société cléricale dans l’Italie chrétienne au Tem-
ps d’Odoacre et de Théodoric, in «Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité» XCIII,
1(1981), pp. 417-467.
43
Ibi, pp. 418-419.
chiesa cittadina desiderava allentare gli ormai troppo stretti vincoli che la
legavano all’impero, al momento lontano ed eretico, e all’aristocrazia cittadi-
na, che non erano più necessari né dal punto di vista economico, né da quello
politico; il senato, invece, voleva affermarsi come unica forza economica e
politica della città e della penisola e, per far ciò, doveva riuscire a controllare
in qualche modo l’istituzione ecclesiastica, sua concorrente diretta.
Questo almeno in teoria, dato che quelli che sembrano essere degli schie-
ramenti ben delineati e coesi riguardo alla politica interna, in realtà rivelano
al loro interno delle forti frammentazioni a proposito della politica estera: in
maniera trasversale c’erano senatori e chierici che vedevano di buon occhio
un riavvicinamento all’imperatore di Costantinopoli, e altri che credevano
invece più utile seguire una politica filo-gota, appoggiando l’idea di un’Italia
autonoma rispetto all’impero48.
In estrema sintesi credo si possa affermare, senza troppe remore, che
molte delle vicende che animarono Roma in questo periodo, sino alla guer-
ra greco-gotica, furono in buona parte il frutto di una complessa dialettica
tra aspirazioni personali dei componenti delle élites cittadine, sentimento
collettivo di appartenenza alle istituzioni e adesione ai loro sistemi ideolo-
gici di riferimento.
Caso emblematico, in questo senso, è sicuramente il cosiddetto scisma
laurenziano, che interessò la chiesa di Roma dal 498 al 514, dove tutte le
dinamiche, quelle locali come quelle internazionali, sopra esposte sfociarono
in un violento confronto in occasione dell’elezione del successore del papa
Anastasio II, deceduto nel 498. In questa occasione, infatti, quasi in contem-
poranea, vennero elevati al soglio di Pietro due pontefici: uno, Simmaco,
impostosi alla fine come papa legittimo, espressione di una fazione favo-
revole ad una politica filo-gota e anti-orientale; l’altro, Lorenzo, antipapa
per la storia, ma che in realtà per almeno quattro anni aveva effettivamente
controllato la chiesa cittadina quale pontefice, rappresentante della corrente
filo-orientale, favorevole ad una risoluzione dello scisma acaciano e a un
progressivo riavvicinamento con l’imperatore di Costantinopoli49.
La composizione dello scisma papale, avvenuta formalmente nel 506
con l’allontanamento da Roma del presbitero Lorenzo, dopo quasi un decen-
nio di lotte intestine che avevano minato profondamente la coesione sociale
all’interno della città, non aveva però prodotto alcuna soluzione duratura. Le
medesime dinamiche, infatti, si ripresentarono, mutatis mutandis, a distanza
48
Sulla possibile presenza di veri e propri partiti all’interno della società romana C. Pietri,
Le Sénat, le peuple chrétien et les partis du cirque à Rome sous le pape Symmaque (498-514),
in «Mélanges d’Archéologie et d’Histoire», LXXVIII (1966), pp. 122-140.
49
Sullo scisma Laurenziano: R. Cessi, Lo Scisma laurenziano; J. Richards, The Popes,
pp. 69-99; P. Carmassi, La prima redazione del «Liber Pontificalis», pp. 235-266; T. Sardella,
Società Chiesa e Stato nell’età di Teodorico. Papa Simmaco e lo scisma laurenziano,
Rubbettino, Soveria Mannelli-Messina 1996. Di particolare interesse la nuova edizione dei
cosiddetti “apocrifici simmachiani”, con ampio studio storico e filologico: E. Wirbelauer, Zwei
Päpste in Rom. Der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus (498-514). Studien und
Texte, TUDUV Verlagsgesellschaft, München 1993.
Credo sia ora il caso di valutare, alla luce del contesto appena presentato,
alcune delle varianti presenti in F, K e P, per testare la plausibilità dell’ipotesi
che si tratti in realtà di tre testi autonomi per funzione e volontà narrativa.
Poiché però un’analisi di questo tipo, per essere effettuata puntualmente,
richiederebbe ben altro spazio, ho pensato conveniente concentrare la mia
attenzione su di una manciata di esempi significativi, capaci di offrire co-
munque un saggio delle potenzialità del cambio di prospettiva proposto.
50
Su questo: L. Duchesne, Histoire de l’Église, pp. 109-155; J. Richards, The Popes,
pp. 100-136.
51
Sono a mio avviso da interpretare in questo senso i problemi con cui si giunse alla con-
troversa elezione di Felice IV (526-530) e soprattutto a quella di Bonifacio II (530-532), occa-
sione di un nuovo scisma interno alla chiesa romana. Sulla prima elezione si veda L. Duchesne,
La succession du pape Félix IV, in «Mélanges d’archeologie et d’histoire de l’École Française
de Rome» 3(1883), pp. 239-266; sulla seconda P. Bertolini, Bonifacio II, in Enciclopedia dei
Papi, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2000, pp. 492-495.
52
E. Caspar, Geschichte des Papsttums, II, pp. 82-192.
53
Sul periodo Procopius Caesariensis, La guerra gotica di Procopio di Cesarea, a cura
di D. Comparetti, Bottega d’Erasmo, voll. I-III, Torino 1968-1970; E. Caspar, Geschichte des
Papsttums, II, pp. 193-305.
autori nei confronti dei rapporti di potere tra il vescovo di Roma e l’impera-
tore di Costantinopoli. Dove infatti, l’epitome feliciana descrive una sorta di
cooperazione tra i due poteri per la risoluzione di un problema di fede, riguar-
dante tutta la cristianità, la seconda redazione, forse anche per una mutata
situazione politica, attribuisce un ruolo di preminenza al papa.
Salvo questa prima differenza, le due redazioni procedono poi con la de-
scrizione del concilio, sviluppata secondo un medesimo canovaccio, compo-
sto da due sedute deliberative, dall’invio della professione di fede conciliare
da parte dell’imperatore a papa Leone, accompagnato dalla richiesta di un
documento papale che riportasse chiaramente le posizioni dogmatiche della
chiesa romana, e dalla risposta di quest’ultimo, che avrebbe esaudito il desi-
derio imperiale, inviando un tomus fidei58.
Confrontando con attenzione il testo delle due redazioni, però, si nota una
serie di minute varianti narrative che riguardano principalmente l’invio del co-
siddetto tomus ed la conferma da parte del papa delle disposizioni conciliari.
Nel primo caso colpisce la facilità con cui le due redazioni variano la
collocazione temporale dell’invio a Costantinopoli da parte di papa Leone
del tomus «hoc est», come specifica P, «fidem apostolicae ecclesiae Roma-
nae cum cyrographo sancti episcopis Leonis», verosimilmente da identifi-
care con il famoso tomus ad Flavianum59: secondo l’epitome, questo testo
sarebbe giunto a Costantinopoli insieme alla conferma delle decisioni del
Concilio; mentre la seconda redazione, conformemente alla realtà, dà per
scontato il suo invio prima dell’apertura del Concilio, affermando che i ve-
scovi e l’imperatore erano «congregati una cum tomum», dando così al testo
leonino un ruolo centrale nello svolgimento della prima seduta. Tra le due
presentazioni quella di P mi sembra motivata dalla volontà di ribadire con
forza la centralità di Roma e del suo vescovo all’interno del concilio: secon-
do la sua redazione, infatti, malgrado l’assenza del papa, nessuna decisione
venne presa dal concilio se non basandosi sulla sua autorità.
Per quanto riguarda la conferma e la sottoscrizione dei decreti conciliari
da parte di Leone, l’epitome feliciana dice che il papa la inviò insieme al
tomus; la seconda redazione tratta la questione della conferma solo successi-
vamente, a conclusione di una notizia di carattere archivistico in cui vengono
enumerate le epistole scritte da Leone a sostegno delle disposizioni del con-
cilio calcedonense, dicendo che «per quas fidei confirmavit synodi». Anche
in questo caso la seconda redazione, con le sue informazioni più dettagliate,
non perde occasione di mettere in rilievo l’impegno di Leone, dal quale sem-
bra dipendere completamente la ricezione del Concilio.
58
Ibidem.
59
Si tratta di una lunga epistola dogmatica che espone tutta la fede della chiesa cattolica
sul mistero dell’incarnazione, inviato da Leone al patriarca di Costantinopoli Flaviano per
contrastare le teorie eretiche di Eutiche. Il testo del tomus è edito con il titolo Incipit epistola
papae Leonis ad Flavianum episcopum constantinopolitanum de Eutychem, in E. Schwartz
(ed.), Acta Conciliorum Oecumenicorum, II.II, Walter De Gruyter & Co., Berolini-Lipsiae
1932, pp. 24-33.
64
Ibi, (K) pp. 98-100.
65
Ibi, (F) pp. 98-100, (P) pp. 269-270.
66
A proposito di Dioscoro: G. Braga, Dioscoro antipapa, in Enciclopedia dei papi, I, pp.
496-499
67
Su questo argomento, con edizione del testo del libello: L. Duchesne, La succession, in
particolare pp. 239 e ss.
Mi pare che gli esempi che ho analizzato, pur essendo solo una sorta di
“test” preliminare, propongano un valido elemento di datazione reciproca
delle tre redazioni79, e soprattutto evidenzino chiaramente alcune delle loro
74
Ibi, (K) p. 96.
75
Ibi, (P) p. 261.
76
Ibi, (F ) p. 96, (P) p. 261.
77
Ibi, (K) p. 96.
78
Ibi, (K) p. 96, (P) p. 261.
79
Faccio riferimento alla possibilità di utilizzare la presenza/assenza dell’encomio di Dio-
scoro nelle tre redazioni per datare l’epitome feliciana a prima del pontificato di Bonifacio II
peculiarità testuali, offrendo dati importanti a favore della tesi che le due epi-
tomi e la seconda redazione del LP siano in realtà tre testi distinti e autonomi:
tre differenti punti di vista, tutti ecclesiastici, sulla città, sulla sua chiesa e
sulla sua storia.
In particolare essi hanno mostrato il differente atteggiamento che F, K e P
hanno nei confronti dei singoli eventi narrati, e dei soggetti che vi agiscono,
mettendo in luce anche il fatto che i loro autori sembrano calibrare volontaria-
mente il peso da dare alle singole notizie, valutando attentamente le possibili
implicazioni politico-ideologiche del testo che stanno redigendo. Ciò permet-
te di avanzare l’ipotesi che il diverso taglio narrativo adottato dagli autori
possa essere motivato dalla loro adesione a diversi schieramenti o posizioni
ideologiche propri del contesto di fine V ed inizio VI secolo, periodo del resto
individuato dagli studiosi come il più probabile per la loro redazione.
In questo senso, a mio avviso, si coglie tutta l’importanza sia delle va-
rianti testuali, capaci di dare a scritti molto simili valenze specifiche, sia dei
tanti silenzi, presenti in particolare in K, ma da cui non sono esenti né F né P,
i quali mi sembrano rispondere ad una vera e propria “strategia dell’oblio”,
che permette agli autori di non trattare situazioni ritenute particolarmente
“sensibili”: si pensi, ad es., all’utilizzo che ne fa K per evitare di trattare lo
scisma acaciano ed il Concilio di Calcedonia, o F per glissare sulla solleva-
zione del clero contro papa Anastasio e sugli scontri successivi al ritorno sul
soglio di Pietro di papa Simmaco, o ancora alla più volte citata soppressione
dell’encomio di Dioscoro in P.
Il passo successivo, ed è in questa direzione che credo debbano essere
sviluppate le future ricerche sul Liber, sarà quello di provare ad individuare i
motivi che stanno dietro “al detto” così come al “non detto”. Cercare di capi-
re, cioè, se le varianti e le omissioni presenti nelle tre redazioni siano dovute
alla particolare sensibilità dei loro autori nei confronti di alcuni temi, o se il
loro atteggiamento sia, in realtà, dettato dalla volontà di orientare le idee del
pubblico per cui erano pensate. Non credo, infatti, che ai fini di una più am-
pia comprensione dell’opera Liber e dello spessore storico delle sue tre dif-
ferenti redazioni, si possa prescindere dalla loro valutazione all’interno di un
più ampio processo di comunicazione, e dalla risposta, dunque, a due quesiti
fondamentali: cosa le tre redazioni vogliono comunicare e, soprattutto, a chi.
In un’epoca in cui il “fare memoria” è attività tutt’altro che neutra, in
cui si scrive e si riscrive la storia con l’intento di agire direttamente sul quo-
tidiano, l’opera che abbiamo qui brevemente presentato si rivela, alla luce
dei dati raccolti, molto lontana da quei testi destinati alla pietà popolare cui
ABSTRACT
The article discusses the ways in which the Epitome Feliciana (F), the
Epitome Cononiana (K), and the second redaction of the Liber Pontificalis
(P) have dealt with particularly critical events as the Council of Chalcedon,
the Laurentian schism, and the Acacian schism, in the light of the complex
historical and political context of Rome between the end of the fifth and the
beginning of the sixth Century. Drawing from data derived from the compari-
son between the texts and the context in which they were redacted, this paper
suggests that F, K and P might be three different versions of the same text
type: three Pontifical books characterized by independent narrative inten-
tions, and resulting from three alternative points of view, originating in the
ecclesiastical milieu, on the city and its church, on its history and its possible
future developments.
80
L. Duchesne, Le Liber, p. CLXI.