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Verio Santoro

L’OPERA DI NOTKER III DI SAN GALLO E LA


FILOLOGIA NOTKERIANA

La storia editoriale dell’opera di Notker III di San Gallo (detto


Teutonicus o Labeo), da una prima parziale edizione del 1698 alla più
recente edizione curata da Scherabon Firchow e terminata nei primi anni
del nuovo secolo, offre non soltanto l’utile possibilità di ripercorrere il
dibattito sui metodi e le ragioni delle differenti pratiche ecdotiche,
ripensando così al contempo le finalità ultime dell’operazione filologica,
ma anche lo spunto per esaminare i differenti modi di leggere e
interpretare nel tempo i testi notkeriani. La storia editoriale dei testi
notkeriani si intreccia, infatti, saldamente con la storia stessa degli studi
sull’opera del doctissimus et benignissimus magister di San Gallo, dando
luogo, come avremo modo di osservare, a un variegato ventaglio di
reciproche influenze. Questo profondo legame tra storia editoriale e
ricerca, che non ha l’eguale per nessun altro autore e/o opera del
Medioevo tedesco, trova spiegazione nella ben nota complessità testuale
dell’opera di Notker e della sua tradizione manoscritta. Prima di passare
ad affrontare le tematiche filologiche oggetto di questa relazione, sarà
utile allora riassumere le caratteristiche principali dell’attività di
traduzione e di commento di Notker, senza dubbio la personalità più
creativa e multiforme della cultura tedesca agli inizi del secondo
millennio.
Le caratteristiche principali dell’approccio di Notker ai testi latini
tradotti e commentati sono ben note e possono essere come segue
schematizzate1. A) Suddivisione del testo latino in sezioni accompagnate

1
Per le brevi osservazioni introduttive che seguiranno riassumo un mio
precedente saggio, (Santoro 1994).
4

da titoli adeguati al contenuto; procedimento questo che seppur ispirato


dai commentari è impiegato da Notker con sistematicità: «Die Anregung
dazu mochte von den Kommentaren ausgehen, Andeutungen hat Notker
zum System erweitert»2. B) Ulteriore suddivisione del testo latino in
piccole unità e ricostruzione in legendo secondo i principi dell’ordo
naturalis dei costituenti della frase, ricostruzione che può riguardare,
come nel caso della traduzione commentata del De consolatione
philosophiae di Boezio, tanto le parti prosastiche, quanto le parti
metriche dell’opera3. C) Inserimento nel testo latino di termini latini
chiarificatori introdotti di frequente da i. = item / id est oppure da s. =
scilicet. D) Traduzione in altotedesco antico delle unità latine, talvolta
accompagnate da traduzioni alternative4. E) Aggiunta di numerosi
excursus esegetici, per lo più in altotedesco antico e solitamente sulla
base dei commentari presenti nello scriptorium di San Gallo
(commentario di Remigio di Auxerre R e commentario dell’“Anonimo
di San Gallo” X) . F) Inserimento nel testo altotedesco antico di termini
latini: generalmente terminologia scientifica ovvero rimandi al testo
latino o ai commentari (“lateinische Reservate” secondo la terminologia
impiegata da Stefan Sonderegger)5.

2
Naumann 1913, 61.
3
Questa fase dell’approccio notkeriano al testo latino fu interpretata da Helmut
de Boor come «Vereinfachung des rhetorisch-kunstvollen spätantiken Latein etwa des
Boethius oder Marcianus» (de Boor 1949, 108). L’autorevole opinione di de Boor è
stata per lungo tempo generalmente accettata dalla critica notkeriana, senza che,
tuttavia, di questa “semplificazione” se ne comprendesse la ratio. Soltanto negli ultimi
decenni si è prestata maggiore attenzione ad un trattato anonimo in quattro parti sulla
grammatica e sulla sintassi latine Quomodo VII circumstantie rerum in legendo
ordinande sint trasmesso nel codice composito 10615-10729 della Biblioteca Reale di
Bruxelles, nello stesso quaternione che tramanda altri scritti di Notker, tra cui la nota
epistola al vescovo Hugo di Sitten. Questo trattato è stato dapprima sfiorato da Näf
(1979, 78-84) e poi più diffusamente studiato da Backes (1982, 27-64), il quale ha
verificato il procedimento di ricostruzione del testo latino da parte di Notker sulla scorta
delle regole sintattiche enunciate nel trattato. Dopo la dettagliata analisi condotta da
Backes è assai probabile che il trattato debba essere attribuito allo stesso Notker.
4
Cfr. Näf 1979, 87-90.
5
Sonderegger 1980, 79.
5

L’insieme di questi procedimenti traduttivi ed esplicativi trova


la sua ragione più profonda nelle motivazioni pedagogico-didattiche che
per intero determinano l’opera di Notker e che egli stesso ha illustrato
nella lettera, scritta pochi anni prima della sua morte, al vescovo Hugo
di Sitten: per favorire i suoi allievi nella comprensione dei testi sacri,
biblici e teologici (ecclesiastici libri), aveva deciso – res paene inusitata
– di tradurre i testi latini in volgare e di commentarli per mezzo di
Aristotele o di Cicerone o di altro artigraphus, consapevole, come
chiarirà più avanti, che nella propria lingua si comprende meglio ciò che
nella lingua straniera si comprende a stento o non si comprende affatto:
quam cito capiuntur per patriam linguam, quae aut vix aut non integre
capienda forent in lingua non propria6.
Il fine del magister è dunque quello di rendere gradualmente
accessibili agli allievi i testi biblici e teologici; fine che ha nell’amore
cristiano del maestro verso i propri allievi la sua motivazione più
autentica e che è stato efficacemente definito da monsignor Johannes
Duft “la componente sociale di Notker”7. Questo amore verso i suoi
allievi – di cui si comprende meglio la reale portata ricordando che dalla
riforma degli studi promossa da Carlo Magno con la Admonitio
generalis (789) l’elevazione culturale è mezzo stesso di salvezza –
troverà nella glossa dell’allievo Ekkehart IV la sua sanzione più bella:
Teutonice propter caritatem discipulorum plures libros exponens8.
Le ‘versioni commentate’ di Notker, attraverso le varie fasi di
elaborazione del testo latino – suddivisione e ricostruzione, traduzione,
eventuali aggiunte esplicative – si presentano allora come ‘itinerario’
verso l’intelligenza del testo latino. A Notker interessa l’intero processo
che conduce all’intelligenza piena del testo di partenza, tanto nella sua
dimensione linguistica, quanto nella sua dimensione concettuale. Ne
scaturisce un testo che trova nella realtà dello svolgimento della lezione
la motivazione stessa della sua esistenza. Di questa realtà del testo resta

6
Hellgardt 1979, 173.
7
«Notkers soziale Komponente» cit. in Sonderegger 1980, 75
8
Egli 1909, 230.
6

traccia anche nelle frequenti domande retoriche che il magister rivolge


ai suoi allievi sollecitandone la riflessione. Di fronte a un testo di tale
natura, ricco di tante e tipologicamente tanto diverse testimonianze di
‘lingua parlata’9, una prima riflessione che si affaccia alla mente dello
studioso riguarda senza dubbio le modalità della sua codificazione.
Possiamo ipotizzare che Notker preparasse degli appunti preliminari,
magari relativi soltanto alle aggiunte esplicative e/o alla traduzione in
altotedesco antico, procedendo la ricostruzione del testo latino secondo
principi che egli doveva ben governare; possiamo anche ipotizzare che
soltanto dopo la lezione ne stendesse il testo relativo sforzandosi di
preservarne le caratteristiche colloquiali; dobbiamo anche
ragionevolmente immaginare che qualcosa dello svolgimento della
lezione sia andato necessariamente perduto. Sono tutte ipotesi plausibili,
nessuna, tuttavia, trova conforto certo nei dati a nostra disposizione.
È certo, invece, che Notker doveva attribuire ai suoi scritti una
funzione importante per lo studio privato e/o per l’attività di altri maestri
se offriva al vescovo Hugo di Sitten, nella lettera in precedenza
menzionata, copie delle sue opere contro il pagamento della pergamena
e del lavoro di copiatura: Horum nescio, an aliquid dignum sit venire in
manus vestras. Sed si vultis ea – sumptibus enim indigent –, mittite
plures pergamenas et scribentibus praemia, et accipietis eorum
exempla10. Uno dei motivi che doveva rendere utili, secondo il giudizio
dell’autore, i suoi scritti, erano senza dubbio quelle note esplicative con
cui egli accompagnava le traduzioni delle opere oggetto della sua
attenzione scolastico-scientifica; note esplicative frequentemente, ma
non sempre necessariamente ispirate dai commentari disponibili presso
lo scriptorium di San Gallo.
Testi di tale complessità non potevano non presentare altrettanto
complessi problemi critico-testuali, come adesso constateremo
ripercorrendo la storia delle edizioni notkeriane; storia che, se pur già

9
Cfr. Sonderegger 1971 e 1980.
10
Hellgardt 1979, 173.
7

oggetto di studio da parte soprattutto di Ernst Hellgardt e poi di Evelyn


Scherabon Firchow11, vale comunque la pena di rivisitare anche alla luce
della sopraggiunta edizione della stessa Scherabon Firchow (1994-2003)
e dei suggerimenti editoriali che sostengono l’edizione parziale offerta
da Harald Saller della traduzione della rielaborazione boeziana del De
interpretatione di Aristotele. Prenderò in esame le sole edizioni (quasi
mai) complete di Notker e alcune edizioni di singole opere di particolare
rilevanza; tralascerò, invece, con la sola eccezione di una pubblicazione
di Lachmann, le edizioni di excerpta nelle antologie della letteratura
tedesca medievale.

La storia editoriale moderna delle opere di Notker comincia con


l’edizione a cura del giurista di Strasburgo Johann Schilter (1632-1705)
della traduzione commentata dei Salmi, sulla base di una copia, in
seguito perduta, approntata da Simon de la Loubère12. Sfuggita anche
ai ben informati studi di Hellgardt e di Scherabon Firchow sulla storia
editoriale delle opere del magister sangallese, quest’edizione – di grande
importanza per lo studio della prima ricezione moderna dell’opera di
Notker e di cui è noto un solo esemplare conservato a Parigi presso la
Bibliothèque nationale de France – è stata segnalata da Norbert
Kössinger13. Questa prima edizione dei Salmi fu poi accolta, insieme a
testi già editi (tra gli altri il Ludwigslied e parti dell’opera di Otfried di
Weissenburg) e ad altri inediti della letteratura tedesca medievale, nel
primo dei tre volumi in folio della celebre crestomazia a cura sempre
del giurista di Strasburgo14.

11
Hellgardt 1986 e Scherabon Firchow 1993, 1994 e 2003.
12
Psalmi Dauidis a NOTKERO Labeone. Abbate S. Galli ante septingentos
annos Translatione et Paraphrasi Teutonica expositi, nunc primum ex Museo generosi
Dom. de la Loubere in publicum editi. Latina Interpretatione, Notisque illustrauit Io.
Schilteri. Straßburg 1698
13
Kössinger 2009, 165.
14
Joannis Schilteri […] Thesaurus antiquitatum teutonicarum,
ecclesiasticarum, civilium, litterariarum. / Opus diu desideratum, nunc ex autographis
b. autoris datum e museo Joannis Christiani Simonis […] Accedunt passim alemannica
8

Precedono il testo dei Salmi un’introduzione commentata


dell’importante teologo luterano Johann Frick e uno studio di Bernhard
Franck, che per la prima volta in modo convincente attribuisce a Notker
e non a Otfried la paternità della traduzione dei Salmi; dai tempi di
Johannes Trithemius, infatti, questa traduzione era stata spesso attribuita
al monaco di Weissenburg15. Al Salterio seguono i Cantica, la Oratio
Dominica e altri testi catechetici (Symbolum Apostolorum, Ymnus
Zachariæ, Canticum Sanctæ Mariæ, Fides Sancti Athanasii Episcopi).
Si osserverà che la traduzione commentata dei Salmi è, insieme
al frammento De musica (clm. 27300) tutto in altotedesco antico e al
Computus, tra le poche opere tramandate sotto il nome di Notker. I
manoscritti che tramandano le opere di Notker, per lo più dell’XI sec.,
provengono, infatti, massimamente dallo scriptorium di San Gallo,
attestando dunque una tradizione sangallese molto forte: destinati all’uso
locale, potevano evidentemente fare a meno di nominare il nome
dell’autore. L’unico manoscritto completo che tramanda la traduzione
dei Salmi di Notker, dal XVII sec. conservato presso la Stiftsbibliothek
di San Gallo (ms. 21 = R), proviene, invece, dall’abbazia benedettina di
Einsiedeln, dove intorno alla metà del XII sec. fu probabilmente anche
composto in un’elegante scrittura pregotica. Al foglio 8 l’attribuzione a
Notker: Incipit translatio barbarica psalterii Notkeri tertii.
Se, come sembra probabile, la copia eseguita da Simon de la
Loubère è stata approntata sulla scorta del manoscritto di Einsiedeln16,
allora la scelta nell’edizione di Schilter di distinguere tipograficamente
il testo di base latino (in corsivo) dalla traduzione in altotedesco di
Notker (in tondo), vale a dire di differenziare alcuni degli elementi
strutturali del testo tràdito, può essere stata suggerita proprio da questo
manoscritto: di assoluto rilievo – a dimostrazione del primato

monumenta insignia vetustissima; noviter post Schilterum eruta, & suis quæque locis
inserta: tum virorum doctorum emendationes, versiones, notæ & curæ exquisitæ. Ulmæ
Sumptibus Danielis Bartholomæi, & Filii. 1726-1728. Sulla genesi del Thesaurus di
Schilter cfr. Kössinger 2009, 184-188.
15
Cfr. Kössinger 2009, 176.
16
Cfr. Saller 2003, 34.
9

riconosciuto al testo sacro e di fatto un unicum nella tradizione


manoscritta delle opere di Notker – la distinzione nel codice R tra il testo
di base latino (in inchiostro rosso) e il restante testo latino e altotedesco
(in inchiostro nero)17.
La scelta inaugurata da Schilter di distinguere tipograficamente
il testo di base in latino dalla traduzione di Notker si rivelerà molto
fortunata nella storia delle edizioni notkeriane. Non solo: l’edizione di
Schilter è ancor più ricercata per quanto riguarda l’evidenziazione dei
diversi ‘strati’ del testo. L’edizione settecentesca distingue, infatti,
quattro momenti: il testo di base latino (in corsivo), la traduzione
altotedesca (in tondo), le aggiunte di Notker (in corsivo di modulo
minore), le glosse, forse di Ekkehard IV (tra parentesi tonde). Si tratta
di una distinzione, secondo un criterio che potremmo definire di
“gerarchia / stratificazione testuale”, non più raggiunta da nessuna
successiva edizione delle opere di Notker. A ragione Sonderegger ha
definito l’edizione di Schilter un «typographisches Meisterstück des
Ulmer Druckers und Verlegers Daniel Bartholomaei und Söhne»18.
Almeno sotto questo aspetto la successiva edizione delle opere
di Notker a cura di Eberhard Gottlieb Graff costituisce – almeno
parzialmente come vedremo – un arretramento per certi aspetti
sorprendente, così come sorprende l’affermazione di Scherabon Firchow
che Graff non avrebbe avuto modelli su cui basarsi19. Per la prima volta
nel 1837, dunque a più di cento anni dall’edizione parziale di Schilter,
saranno pubblicati il De consolatione philosophiae di Boezio, il De
nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella e i due scritti di
Aristotele, le Categoriae e il De interpretatione, tradotti in latino e
commentati da Boezio20.

17
Il manoscritto R contiene ulteriori e più raffinati livelli di distinzione
gerarchica del testo, cfr. il paragrafo “Hierarchie der Schriften”, in Tax (Hrsg.) IV 1979,
XXI-XXII.
18
Sonderegger 1982, 33.
19
Scherabon Firchow 1993, 111 e 1994, 217.
20
Eberhard Gottlieb Graff, Althochdeutsche, dem Anfange des 11ten
Jahrhunderts angehörige, I-III, Berlin 1837.
10

Hellgardt e Scherabon Firchow hanno stigmatizzato il


procedimento editoriale di Graff, l’aver cioè egli – probabilmente
influenzato, come osserveremo nel prosieguo, da Karl Lachmann –
separato il testo in volgare e il testo latino (restituito a piè di pagina)
neutralizzando così l’aspetto più peculiare dell’attività di traduzione e
commento del monaco di San Gallo. In realtà si manifesta nell’edizione
di Graff quella che diventerà una vera e propria costante delle successive
edizioni notkeriane: vale a dire l’essere esse differenti a seconda della
specificità dei testi editi e della loro rispettiva peculiare tradizione
manoscritta e anche di modificarsi, per quanto riguarda le scelte
ecdotiche, “in corso d’opera”, in virtù anche di suggerimenti critici o di
spontanei ripensamenti; tant’è che, come si osserverà, soltanto di rado
è possibile individuare pratiche ecdotiche valide per intere edizioni. Le
affermazioni di Hellgardt, e a seguire di Scherabon Firchow, si addicono,
infatti, nel caso dell’edizione di Graff, alle edizioni di Boezio e di
Marziano Capella, ma non a quella di Aristotele.
Nell’edizione della Consolatio di Boezio e del De nuptiis
Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, Graff restituisce il testo
altotedesco tutto di seguito relegando a piè di pagina il testo di base
latino, restituito in parte secondo il dettato dei rispettivi manoscritti, in
parte secondo le edizioni di Sitzman (1607) per Boezio e di Götz (1794)
e Kopp (1836) per Marziano Capella. In entrambe le edizioni le aggiunte
esplicative di Notker sono poste tra parentesi quadre. L’edizione di
Aristotele si distingue dalle due precedenti, perché in questo caso
l’editore si dichiara costretto da più complicate relazioni tra la traduzione
latina e il testo di base a conservare quella speciale alternanza tra testo
latino e testo tedesco (traduzione e commento) vera cifra delle versioni
di Notker: «Da die lateinische Übersetzung, nach welcher die deutsche
angefertigt ist, von des Boethius Übersetzung des Aristoteles sowohl in
der Wahl als in der Stellung der Wörter, oft abweicht, so habe ich sie
mit abdrucken lassen (in Cursivschrift und ganz, wie auch das in den
Erklärungen vorkommende Latein, nach der Schreibweise des Codex»21.

21
Graff (Hrsg.) 1837 (Categoriae / De interpretatione), IV.
11

Si ha, tuttavia, netta l’impressione che, almeno in questo volume, la


scelta di Graff sia stata suggerita anche dall’esempio di Schilter, che non
a caso egli nomina nella sua breve prefazione e alle cui scelte
tipografiche mostra di orientarsi: testo di base latino (in corsivo),
traduzione e aggiunte di Notker (in tondo e senza uso di parentesi
quadre), glosse e “disposizioni di lettura” / “Bemerkungen für den
Vortrag” (in tondo di modulo minore)22. Queste ultime, che dovevano
guidare la lettura (ad alta voce e non interiore!23) per commata e cola, di
norma sono rappresentate con appropriati segni di interpunzione24;
talvolta – in particolare e con una chiara funzione esemplificativa nella
traduzione di Marziano Capella25 – Notker ha indicato a parole dove nel
periodo doveva aver luogo una suspensio oppure una depositio. Sebbene
“d’autore” il testo notkeriano non nasce, almeno non completamente,
“con la penna in mano” e trova, come si è già osservato, soltanto nella
realtà della lezione il motivo del suo complesso e irripetibile
dispiegamento. La distinzione tipografica delle “disposizioni di lettura”
sembrerebbe espressione di un’anticipatrice percezione da parte di Graff
degli aspetti performativi dei testi notkeriani. Graff, tuttavia, procede
negli altri due volumi in modo ineguale e incoerente, in particolare
nell’edizione di Marziano Capella, dove queste “disposizioni di lettura”
in latino sono introdotte, e nemmeno sistematicamente, nel testo in
volgare.
Graff infine riporta l’interpunzione e gli accenti presenti nella
tradizione manoscritta, omessi invece da Schilter nella sua edizione dei
Salmi, ma già registrati nell’edizione di Lachmann di alcuni brani
notkeriani (cfr. infra). Dall’edizione di Graff tutte le successive edizioni,

22
«Die Bemerkungen für den Vortrag, wie: “hic suspende vocem” “hic
depone” “hic suspende vocem, quia pendet sensus”, “hic remissior vox, quia interposita
ratio est”, so wie einzelne eingeschobene Glossen, habe ich durch kleinere Schrift
bezeichnet» Graff (Hrsg.) 1837 (Categoriae / De interpretatione), V.
23
Tra gli studi più recenti sui modi e le condizioni di lettura nel Medioevo cfr.
Busch 2002 e Petrucci 2005.
24
Cfr. Tax (Hrsg) VII 1986, XLVIII-LI.
25
Cfr. Backes 1982, 56-64.
12

orientate o verso criteri rigidamente diplomatici o all’opposto verso una


decisa normalizzazione del testo di Notker, non trascureranno
l’interpunzione e gli accenti.
Se è vero che Graff non nomina o, come suggerisce Hellgardt,
non osa nominare Notker nel titolo delle sue edizioni, è vero, tuttavia,
che egli, dopo un’iniziale indecisione in merito alla paternità delle opere
edite, attribuisce a Notker tutte le traduzioni pubblicate, come risulta
dalle brevi prefazioni che corredano le rispettive edizioni di Graff, per
altro povere di informazioni codicologiche, paleografiche o filologiche.
Se nella prefazione a Boezio Graff sembra ancora dubitare che l’autore
della traduzione sia Notker26, nella prefazione a Marziano Capella e con
più convinzione in quella ad Aristotele la paternità di Notker di tutte le
opere edite è ritenuta – con un richiamo tardivo alla dirimente
pubblicazione nel 1835 da parte di Jacob Grimm della lettera di Notker
a Hugo di Sitten che stabiliva definitivamente il canone notkeriano –
oramai un fatto certo.
È interessante anche osservare come nella prefazione ad
Aristotele Graff attribuisca le oscillazioni linguistiche presenti in tutte
queste opere all’azione dei copisti e dei collaboratori del magister
sangallese27. Graff si dimostra qui influenzato dalle idee di Lachmann,
che aveva supposto l’esistenza di una scuola di traduzione a San Gallo.
L’influenza di Lachmann sul formarsi e consolidarsi nel XIX sec. della
prima ricezione degli studi di Notker è stata illustrata con ricchezza di
informazioni da Hellgardt, al cui saggio, in seguito ampiamente ripreso
da Scherabon Firchow, si rimanda il lettore più esigente. Lachmann, che
durante il suo soggiorno a San Gallo nel 1824 aveva copiato di proprio
pugno l’intero corpus dell’opera di Notker, l’anno seguente pubblicava
una raccolta di excerpta di testi altotedeschi, e tra questi per l’appunto

26
«Und wahrscheinlich […] ein Werk des zu St. Gallen 1022 […] verstorbenen
gelehrten Benediktiners Notker Labeo» Graff (Hrsg.) 1837 (Consolatio), V-VI.
27
«Die verschiedenen Ausdrücke und Formen, in denen die genannten Werke
von einander abweichen, können zum Theil von Mitarbeitern, oder auch von den
Abschreibern herrühren» Graff (Hrsg.) 1837 (Categoriae / De interpretatione), IV.
13

brani delle traduzioni notkeriane conservate nello scriptorium


alemannico (della Consolatio e del De nuptiis Philologiae et Mercurii),
oltre all’intero Salmo 28. Di tutti e tre Lachmann pubblicava
esclusivamente le parti in tedesco, anticipando e di certo influenzando
la scelta successiva di Graff. Il Salmo 28 è l’unico a comparire sotto il
nome di Notker. Nella Praefatio Lachmann aveva, infatti, espressamente
dubitato che l’autore delle traduzioni di Boezio e Marziano Capella (e
del trattato De musica presente a San Gallo) fosse lo stesso della
traduzioni di Aristotele28. Lachmann, come ha osservato Hellgardt29, era
ancora influenzato da un falso di Melchior Goldast del 1606, allora non
ancora portato alla luce: la cosiddetta “Epistola di Ruotpert”30.
Il testo, noto ora con il titolo di “St. Galler Schularbeit”
(“Compiti a casa di San Gallo”), è conservato presso la Stiftsbibliothek
di San Gallo (ms. 556). Si tratta di un’esercitazione latino-tedesca per la
comprensione di brevi frasi enucleate dai testi canonici, soprattutto del
trivio. Alcuni passi e concetti contenuti in questa esercitazione sono
ripresi dalle opere di Notker (Marziano Capella e Boezio) e, oltre a
testimoniare quale influenza sulla didattica ha avuto, almeno a San
Gallo, l’attività di Notker, possono essere considerati come un primo
momento di ricezione dell’opera del doctissimus et benignissimus
magister. Goldast fece precedere questa piccola raccolta di frasi latino-
tedesche da una introduzione inventata: due sole righe, ma che avevano
l’effetto di far sembrare che un discepolo avesse svolto i suoi compiti di
traduzione dal latino rispondendo alle sollecitazioni del suo maestro.
Questo formidabile falso, ripreso già da Schottel nel 1663, contribuì ad
affermare l’idea della presenza di una scuola di traduzione a San Gallo
al tempo di Notker; scuola responsabile delle traduzioni di cui Notker
non sarebbe stato unico autore e della cui esistenza Lachmann era
convinto di aver rintracciato le prove nell’anonima tradizione
manoscritta delle traduzioni di San Gallo. Si comincia da quel momento

28
Cfr. Lachmann (Hrsg) 1825, IV.
29
Cfr. Hellgardt 1986, 194-197.
30
Goldast 1606, 88.
14

a formare una vera e propria scuola di pensiero lachmanniana


nell’ambito degli studi su Notker, che coinvolgerà le più importanti
personalità della germanistica tedesca del XIX sec., da Wilhelm
Wackernagel a Karl Müllenhoff e Wilhelm Scherer, nonostante, come si
è già ricordato, nel 1835 J. Grimm avesse scoperto e pubblicato la lettera
di Notker a Hugo von Sitten, che stabiliva il canone notkeriano.
In polemica palese con le scelte di Graff, pochi anni dopo vedrà
la luce a cura di Heinrich Hattemer una nuova edizione delle opere di
Notker31. Annunciata come diplomatica, l’edizione di Hattemer è ben
lontana dall’essere un’edizione diplomatica stricto sensu, vale a dire,
secondo una possibile definizione, «la riproduzione visiva di un testo, di
cui venga rappresentata in modo conforme alla realtà, come in un
‘rilevamento archeologico’, la mise en page e la mise en ligne (cioè le
caratteristiche esterne e le peculiarità grafiche e fonetiche, dalla
punteggiatura alle abbreviazioni e all’uso delle maiuscole, ecc.), e le
alterazioni dovute alla trasmissione (rasure, correzioni, aggiunte),
limitando al minimo o addirittura abolendo il ricorso all’apparato critico
e adottando invece un’ampia serie di segni diacritici»32.
L’edizione di Hattemer, che fornisce scarne indicazioni sui criteri
ecdotici seguiti (scioglimenti di abbreviazioni, separazioni di parole,
interpunzione), costituisce, tuttavia, un importante passo in avanti nella
storia editoriale delle opere del maestro di San Gallo; Hattemer non
soltanto corregge la numerazione delle pagine e diverse sviste materiali
dell’edizione di Graff, ma ne attacca esplicitamente i criteri seguiti:
l’aver separato il testo latino dal testo tedesco e il non aver restituito in
modo fedele il testo latino giusta la ricostruzione di Notker. Fine
dichiarato e perseguito da Hattemer è al contrario proprio quello di voler

31
Denkmahle des Mittelalters. St. Gallen’s Altteutsche Sprachschätze, II-III
Notkers des Teutschen Werke, St. Gallen 1844-1847.
32
Luiselli 1994, 243. Scherabon Firchow considera l’edizione di Hattemer
«die erste moderne diplomatische Ausgabe» (1993, 112), «the first genuine diplomatic
edition» (1994, 220), più correttamente Hellgardt la ritiene «die erste eigentlich
wissenschaftliche Ausgabe» (1986, 197).
15

salvaguardare «den karakteristischen ton der notkerischen werke»33, vale


a dire il passaggio continuo e fluido tra la lingua latina e la lingua
tedesca, in quanto elementi non separabili di un unico percorso teso alla
comprensione piena del testo di partenza. Hattemer, inoltre, coerente
con la sua scelta di approntare un’edizione “diplomatica”, non evidenzia
l’alternanza di latino e tedesco con l’uso del corsivo o del grassetto (uso
che, invece, s’imporrà in tutte le successive edizioni).
Ma ciò che a me sembra più importante nell’edizione di
Hattemer, il primo a pubblicare Boezio, Marziano Capella, Aristotele e
alcuni scritti minori sotto il nome di Notker, sono alcuni accenti
‘antilachmanniani’ presenti nella sua prefazione: «desswegen haben wir
eine diplomatische, nicht eine kritische ausgabe angekündigt. es leitete
uns die überzeugung, dass keine kritische ausgabe für die wissenschaft
den werth einer diplomatisch genauen erreiche […] besonders wenn man
die erfahrung gemacht, wie wenig man sich öfters auch auf gepriesene
namen verlassen kann […] endlich hatten wir gefunden, dass ein paar
gesunde augen, die das richtige lesen, nicht rathen wollen, in tausend
fällen die besten kritiker sind»34. La rivendicazione del primato
dell’edizione diplomatica e la presa di distanza dall’insieme delle
operazioni della “emendatio” mediante correzioni congetturali
(“divinatio”, rathen!) non mi sembra, infatti, possano essere messe in
relazione con le scelte editoriali di Graff, cosicché i destinatari delle
critiche di Hattemer debbono essere cercati altrove e il suo attacco
ricondotto nel contesto delle pratiche ecdotiche di testi medievali
tedeschi, soprattutto nell’ambito della lirica, intorno alla metà del XIX
sec. e del dibattitto che ne scaturì35.
L’edizione di Hattemer, per quattro decenni l’edizione più
utilizzata dagli studiosi di Notker, sarà sottoposta da parte di Elias von
Steinmeyer e di Paul Piper a due dettagliate collazioni che faranno

33
Hattemer (Hrsg.) 1844-1847, III, 10.
34
Hattemer (Hrsg.) 1844-1847, I, II-III.
35
Cfr. Lutz-Hensel 1980.
16

emergere numerosi errori e imprecisioni36. Secondo Steinmeyer, che


collazionò puntigliosamente le edizioni di Graff e di Hattemer con la
tradizione manoscritta, l’edizione di Graff, nonostante «die unnütze und
störende sonderung des lateinischen vom deutschen», era comunque più
affidabile dell’edizione di Hattemer: «Graffs editionen gegenüber kann
Hattemers ausgabe der Notkerschen werke nur sehr bedingt als ein
fortschritt bezeichnet werden […] Wenn er nun auch nicht wenige
auslassungen und fehler berichtigte, so bietet dagegen sein text eine
unendliche reihe von lesefehlern und versehen in worten, die Graff völlig
richtig gab»37. Queste collazioni fungeranno da base per la successiva
edizione (con inclusione di quasi tutte le opere minori) delle opere di
Notker, a cura dello stesso Piper38. Nel titolo si riconferma l’ipotesi mai
accantonata della “scuola notkeriana”. Piper inoltre pubblica, in
appendice al primo volume e senza commenti, la “Ruodperts Brief”.
Sorprendentemente l’“epistola di Ruotpert” in appendice e il richiamo
nel titolo alla scuola notkeriana saranno mantenuti ancora nell’edizione
economica del 1895, edizione molto più diffusa della prima, nonostante
nel frattempo Jacob Baechtold, dopo aver visionato il manoscritto,
avesse facilmente smascherato il falso di Goldast39.
Come non si mancò di osservare sin dalle prime recensioni al
volume della Consolatio di Boezio (1882), l’edizione di Piper, che non
descrisse mai le linee-guida che avevano ispirato le scelte ecdotiche del
suo lavoro, era il risultato di un miscuglio di scelte critico-testuali
disparate, mai rigorosamente diplomatiche, mai convintamente critiche.
Così la sua opera, lontana dall’essere un’attendibile edizione diplomatica
o critica, non fu apprezzata né dai sostenitori, né dagli oppositori della
scuola lachmanniana. Per questi ultimi Piper aveva mostrato, con i suoi
interventi critico-testuali, poca attenzione alla realtà dei manoscritti. E

36
Von Steinmeyer 1874, Piper 1882.
37
Von Steinmeyer 1874, 449-450.
38
Die Schriften Notkers und seiner Schule, hrsg. von Paul Piper, I-III, Freiburg
i. B.-Tübingen 1882-1883 (Neue billige Ausgabe, Freiburg i. B.-Leipzig 1895).
39
Baechtold 1887. Cfr. Hellgardt 1986, 196.
17

così Rudolf Kögel poteva sostenere la necessità di approntare


un’autentica edizione diplomatica: «Besser freilich, wenn der Text
bleibt, wie er ist, und die Conjekturen sich mit der gebührenden
Bescheidenheit in die Anmerkungen zurückziehen»40. Al contrario
Richard Heinzel e Johannes Kelle, vicini alla scuola lachmanniana,
sostennero la necessità di un testo normalizzato, di un’edizione critica
che riflettesse la (presunta) ‘regolarità’ originaria della lingua di
Notker41. Si osserverà incidentalmente che l’opinione di una lingua di
Notker ideale e assolutamente regolare fa da pendant ai postulati, sempre
lachmanniani, di un “unwandelbares Hochdeutsch” e di una metrica
rigidamente regolata, che tanta influenza hanno esercitato nell’ecdotica
dei testi della lirica tedesca del periodo medio (e, a cascata, sulle
grammatiche e sui lessici dell’altotedesco medio).
Johann Kelle rimproverò Piper di non aver compreso appieno né
il cosiddetto “Anlautgesetz” (“Legge delle consonanti iniziali”), né lo
speciale sistema accentuativo di Notker, e di conseguenza di non essere
stato in grado di applicarli nella sua edizione42. Proprio sul sistema
accentuativo lo stesso magister ci ha lasciato un’importante
testimonianza nella lettera al vescovo Hugo di Sitten: Opportet autem
scire, quia verba theutonica sine accentu scribenda non sunt praeter
articulos; ipsi sine accentu pronuntiantur, acuto et circumflexo43.
Nonostante tutte le critiche rivolte al lavoro di Piper, la sua
edizione – per molto tempo l’unica a offrire insieme alle opere maggiori
anche molti scritti minori – era destinata a rimanere a lungo l’edizione
più usata e citata dagli studiosi di Notker; i due lessici della lingua di
Notker di Sehrt e Sehrt-Legner utilizzeranno, infatti, come riferimenti
proprio l’edizione di Piper44, motivo per il quale per altro nelle edizioni
più recenti di King e Tax e di Scherabon Firchow sarà ancora presente
il riferimento alle pagine dell’edizione Piper.

40
Kögel 1884, 422.
41
Cfr. Scherabon Firchow-Grotans 1994.
42
Kelle 1883, 319.
43
Hellgardt 1979, 173.
44
Sehrt 1962, Sehrt-Legner 1955, Götz 1997.
18

Le convinzioni di Kelle, a quel tempo sicuramente il maggior


conoscitore di Notker45, esercitarono una forte influenza sulla successiva
edizione: quella a cura di Edward. H. Sehrt e Taylor Starck46, anche
questa non completa, mancando gli scritti minori e i lavori di logica di
Aristotele. L’influenza di Kelle è rivendicata in modo esplicito nella
prefazione al primo volume: «Die früheren Ausgaben von Graff,
Hattemer und Piper haben einfach die St. Galler Handschrift abgedruckt
[…] Daher haben wir […] einen kritischen Text herzustellen versucht,
wie ihn schon Kelle in seiner Rezension von Pipers Ausgabe
verlangte»47. L’edizione critica di Sehrt e Starck seguirà dunque il punto
di vista di Kelle di una forma linguistica di Notker assolutamente
corretta. Gli interventi critico-testuali, improntati a principi di rigida
normalizzazione, riguarderanno l’interpunzione, gli aspetti morfologici,
il sistema accentuativo e il “Anlautgesetz”. Correttamente però Sehrt e
Starck forniscono, tutte le volte che il testo tràdito si allontana dalla
postulata forma “ideale”, un puntuale apparato critico delle lezioni del
manoscritto, corredato da annotazioni come “vom Schreiber”,
“verschrieben”, “Schreibfehler”.
Occorre chiarire a questo punto che nessun manoscritto di Notker
presenta una lingua perfettamente unitaria e regolata; e anche sotto
l’aspetto dell’osservanza del sistema accentuativo e del “Anlautgesetz”
la situazione si presenta piuttosto differenziata. Per quanto riguarda il
“Anlautgesetz” questo è seguito, a parte il più tardo manoscritto dei
Salmi, con sufficiente regolarità. La situazione per quanto riguarda il
sistema accentuativo è, invece, molto più variegata: soltanto residuale
nel “Wiener Notker” e osservato poco scrupolosamente nel manoscritto
dei Salmi – dove evidentemente, come per il “Anlautgesetz”, i copisti
non lo comprendevano più e dunque non erano in grado di applicarlo
bene – il sistema è seguito con maggior precisione nei manoscritti più

45
Cfr. Hellgardt 1986, 198.
46
Notkers des Deutschen Werke, nach den Handschriften neu herausgegeben
von E. H. Sehrt und Taylor Starck, I-III, Halle/Saale 1933-1955.
47
Sehrt-Starck (Hrsg.) I, 1933, [I].
19

antichi; tuttavia anche i primi due libri della Consolatio, che sono quelli
che meglio ne seguono l’usus, disattendono frequentemente il sistema di
Notker. L’eterogeneità della tradizione, un tempo attribuita
esclusivamente all’azione dei copisti, viene oggi anche spiegata
supponendo un’evoluzione nel tempo del sistema ideato da Notker48.
Anche per queste ragioni non mancarono voci contrarie alle scelte
dell’edizione di Sehrt-Starck: se Otto Behaghel parlerà di “Leidenschaft
der Gleichmachung”49, sarà soprattutto Frederik P. Pickering a
domandarsi se non fosse il caso di preferire un’edizione diplomatica.
Del resto bisogna ricordare che gli stessi Sehrt e Starck modificheranno
in corso d’opera il loro punto di vista, in particolare nel volume dei
Salmi, curato dal solo Sehrt e pubblicato a distanza di quasi due decenni
dai precedenti volumi (1952-1955).
Il compito di realizzare finalmente un’edizione davvero
diplomatica sarà portato avanti proprio da due allievi di Sehrt e Starck,
James C. King e Petrus W. Tax. L’edizione, pubblicata sempre per i tipi
di Niemeyer, che dagli anni ‘60 si era trasferito a Tübingen, sarà accolta
nella stessa collana “Altdeutsche Textbibliothek” fondata da Hermann
Paul e diretta a quel tempo da Hugo Kuhn50. L’edizione di King e Tax
si presenta come “completamento” di quella di Sehrt-Starck, ma, mentre
si paga un tributo di riconoscenza ai predecessori e maestri, in realtà i
criteri ecdotici seguiti sono affatto diversi. Gli autori dichiarano sì di
voler completare l’impresa dei loro maestri, ma di volerla adeguare «auf
den neuesten Forschungsstand»51.
Allo scopo di approntare una nuova edizione delle opere di
Notker, era stato costituito già nel 1968 da Hugo Kuhn un “Notker-
Kuratorium”, di cui facevano parte, oltre a King e Tax, Stephan
Sonderegger, Bernhard Bischoff e Ingeborg Schröbler. Le scelte critico-

48
Cfr. Saller 2003, 45.
49
Behaghel 1934, 89.
50
James C. King-Petrus W. Tax, Die Werke Notkers des Deutschen, I-X,
Tübingen: Max Niemeyer, 1972-1996.
51
King (Hrsg.) I, 1972, [III].
20

testuali stabilite comunemente da questa cerchia di studiosi sono


illustrate nelle introduzioni ai primi due volumi dell’edizione –
rispettivamente di King (Categoriae) e di Tax (Notker latinus al vol. I dei
Salmi, 1-50) – entrambi del 1972. Il “Notker-Kuratorium” si espresse,
«neueren Editionsauffassungen entsprechend», a favore di un’edizione
non normalizzata, il più possibile diplomatica («möglichst
diplomatisch») che, escludendo interventi ortografici e morfologici,
rispettasse le caratteristiche esterne dell’esemplare (p. es. la scansione
dei righi e delle pagine, la posizione degli accenti, l’uso delle maiuscole
e delle minuscole). Il richiamo del “Notker-Kuratorium” alle «più recenti
concezioni della critica del testo» era senza dubbio anche espressione del
diffuso scetticismo verso le edizioni critiche normalizzate
(“lachmanniane”) dei testi poetici del periodo medio, sempre e
soprattutto nell’ambito della lirica; scetticismo al quale in quegli anni
rispondevano, ad esempio, la nuova edizione del Des Minnesangs
Frühling curata da Helmut Tervooren e Hugo Moser52 oppure l’edizione
delle liriche di Reinmar von Hagenau di Günther Schweikle53.
Anche nel caso dell’edizione di King e Tax si deve però
distinguere, per quanto concerne le pratiche ecdotiche seguite, tra i suoi
diversi volumi e curatori, come conseguenza anche della differente realtà
della tradizione manoscritta dei testi notkeriani. È noto che i problemi
critico-testuali delle opere di Notker, per lo più tràdite a “codex unicus”,
sono eminentemente di tipo linguistico, mentre marginali restano gli
interventi che toccano il ‘dettato’ del testo. Nel caso della storia
editoriale delle opere di Notker, come si è visto, “edizione critica” ha
significato magna pars interventi di normalizzazione del sistema
linguistico (ortografia, fonetica, morfologia). L’eccezione più notevole
è rappresentata dalla traduzione della rielaborazione boeziana delle
Categoriae di Aristotele, tràdita da due manoscritti (San Gallo,
Stiftsbibliothek ms. 825, ff. 275-338 A e ms. 818, completo, ff. 3-143 B)

52
Moser-Tervooren 1977.
53
Schweikle 1986.
21

entrambi copie indipendenti di un modello perduto, che comunque non


doveva essere l’originale. Questi due testimoni presentano lezioni molto
differenti e la scelta, come dichiara King, è in questo caso quella di un
testo “composito”: «Sonst aber entsteht bis zum Abbruch von A ein
Textus compositus, denn bei Abweichungen wird jeweils der textkritisch
bessere Beleg aus der einen oder der anderen Handschrift in den Text
aufgenommen, während die Variante in den ersten Apparatverwiesen
wird. Wird eine Konjektur in den Text gesetzt, so wird unten
Rechenschaft darüber abgelegt»54. Anche per quanto riguarda
l’interpunzione e il sistema accentuativo – dove per altro nei due
manoscritti si alternano copisti che mostrano un differente grado di
accuratezza – la scelta è quella di pubblicare un testo “composito”.
Il metodo eclettico delle scelte di King sarà bersaglio di
numerose critiche. Secondo Hellgardt e Saller «der Herausgeber James
C. King zieht daraus eine in der Mediävistik durchaus unübliche
Konsequenz, indem er einen eklektischen Text herstellt: aus beiden
Handschriften wird jeweils die “bessere” Lesart ausgewählt […] so
kommen auch keine stemmatischen Kriterien für die Textkritik in
Frage»55. Per Scherabon Firchow, nel caso delle Categoriae, meglio
sarebbe stato fornire l’edizione diplomatica di un solo manoscritto e
relegare in apparato lezioni, congetture e interventi di vario genere56.
Ma le critiche della studiosa americana, allieva di Starck, riguardarono
le concezioni ecdotiche dell’intera edizione. L’accusa è di non aver
distinto con chiarezza gli interventi critico-testuali: «deshalb erscheinen
in seinem Text [il volume della Consolatio curato da Tax e pubblicato in
tre fascicoli separati (1986, 1988 e 1990)] häufig bereits verbesserte
Lesarten, die korrekterweise in den Apparat gehörten, und man findet
Lesarten aus der Handschrift in seinen Apparaten, die in einer
diplomatischen Ausgabe im eigentlichen Text stehen sollten. In dieser
Ausgabe ist des Öfteren nicht erkennbar, was eine handschriftliche

54
King (Hrsg.) I, 1972, XIII.
55
Hellgardt-Saller 2003, 317.
56
Scherabon-Firchow 1993, 116.
22

Lesart oder eine korrigierte bzw. normalisierte Form dieser Lesart ist»57.
Si continuerebbe ad affacciare secondo Scherabon Firchow nelle scelte
degli editori la vecchia convinzione di una “ideale lingua” di Notker:
«Störend ist vor allem, dass die heute längst überholte Vorstellung einer
“idealen Notkersprache” noch sehr deutlich im Hintergrund seiner
Ausgabe herumspuckt und dass sich der Herausgeber in seinem
“modifiziert-diplomatischen” Text offensichtlich nicht von der idée fixe
einer perfekten Notkersprache hat trennen können»58.
Com’è noto, nonostante i criteri generali fissati dal “Notker-
Kuratorium”, si rese necessario, nel corso del lavoro, modificare i metodi
di lavoro a seconda anche della tradizione manoscritta dei singoli testi,
cosicché anche in questo caso ogni volume deve di necessità essere
valutato singolarmente. Ciò che rende, tuttavia, preziosa nel suo insieme
l’edizione di King e Tax, e ne costituisce ancora oggi la principale
ragione di successo, è l’aver accompagnato ogni singola opera con una
raccolta puntuale delle sue possibili fonti latine: il cosiddetto “Notker
latinus”. Il problema delle fonti di Notker era stato ovviamente già
oggetto di approfonditi studi parziali, si veda per esempio lo studio di
Hans Naumann sulle fonti della traduzione della Consolatio boeziana59,
utilizzato poi da Sehrt e Starck nel relativo apparato critico in calce al
testo della loro edizione60. Ma il vaglio finalmente sistematico delle fonti
a cura di King e Tax, sulla base principalmente dei manoscritti presenti
a San Gallo al tempo di Notker, contribuiva a spostare il baricentro degli
studi su Notker, da un ambito di ricerca fino ad allora marcatamente
linguistico (dal “Anlautgesetz” alle strategie di traduzione, dal contributo
alla formazione del lessico altotedesco alla sintassi) a uno, sino ad allora
poco frequentato, di tipo più letterario e filosofico, interessato a mettere

57
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2003, V, XXV.
58
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2003, V, XXV.
59
Naumann 1913.
60
«Wir haben Naumanns Ergebnisse ohne weiters angenommen und die von
ihm gegebenen Quellen an den entsprechenden Stellen unter den Text gesetzt» Sehrt-
Starck (Hrsg.) I, 1933, XX.
23

in evidenza il contributo originale del magister sangallese, rielaboratore


raffinato e originale di testi antichi e tardoantichi, alla storia del pensiero
medievale.
Le osservazioni critiche di Scherabon Firchow corrispondevano
alle concrete scelte ecdotiche perseguite nella sua edizione delle opere
di Notker, cui la studiosa stava lavorando sin dai primi anni Settanta61.
Le vicissitudini del suo lungo e travagliato impegno, in collaborazione
con Richard Louiss Hotchkiss collaboratore del Centro Informatico
dell’Università del Minnesota, sono state descritte dalla stessa
Scherabon Firchow. La studiosa ripercorre le tappe del loro lavoro:
l’aver lavorato direttamente sui manoscritti (prima attraverso microfilm
e poi in situ), le iniziali modalità di codificazione dei testi notkeriani
sulla base del sistema messo a punto per i testi anglosassoni da Richard
Venezky, la fatica (e i rischi) di dover di volta in volta rincorrere i
successivi salti tecnologici riversando il lavoro già fatto nei nuovi
sistemi operativi (a partire dall’uso delle schede perforate!), per giungere
infine, con l’ausilio dei sempre più sofisticati mezzi tecnologici
disponibili, alla definitiva conversione del testo codificato nel testo
pubblicato62.
L’operazione perseguita dalla studiosa americana è stata la
realizzazione di un’edizione che, sfruttando appieno le sempre maggiori
potenzialità del mezzo tecnologico, garantisse il ‘grado massimo’
dell’edizione diplomatica: «It meant that for the first time in the history
of mankind it was possible with the help of a technical medium to
reproduce medieval handwritten texts in an accurate and readable form,
something which had been impossible hitherto despite the valiant efforts
by earlier skilled typesetters using movable type»63. È un traguardo
questo su cui Scherabon Firchow reiteratamente ritorna nelle intro-
duzioni ai volumi di volta in volta pubblicati: «In meiner Notkerausgabe

61
Evelyn Scherabon Firchow, Notker der Deutsche von St. Gallen, I-VI,
Berlin: de Gruyter/ Hildesheim: Olms 1995-2003.
62
Cfr. Scherabon Firchow-Hotchkiss 2004.
63
Scherabon Firchow-Hotchkiss 2004, 107.
24

habe ich deshalb die überlieferten Texte so genau als technisch möglich
wiedergegeben»64; scopo dell’edizione è la riproduzione del testo «so
genau als es zu diesem Zeitpunkt technisch möglich ist»65, mentre
inevitabili, minimi allontanamenti sono dovuti, si rammarica la curatrice,
soltanto a limiti tecnici: «Der Wortlaut, die Orthographie und
Interpunktion meiner diplomatischen Texte folgen streng dem Gebrauch
der handschriften. Wo aus drucktechnischen Gründen kleinere
Abweichungen nötig waren, habe ich diese in den Fußnoten
verzeichnet»66. Fine ultimo dell’edizione diplomatica sembra essere per
Scherabon Firchow di potersi sostituire all’edizione in facsimile:
soltanto perché non ho potuto pubblicare il facsimile, dichiara la
studiosa, «bin ich meinem Textabdruck grundsätzlich um die genaue
Entsprechung zur Handschrift bestrebt gewesen»67. Gli stessi criteri
ecdotici segneranno l’edizione del “Wiener Notker”, pubblicata nel
2009: l’ultima fatica nel campo delle edizioni notkeriane della studiosa
americana68.
In passato anche le migliori edizioni diplomatiche (si pensi ad
esempio all’edizione del Beowulf di Zupitza e Davis69) si erano dovute
scontrare con insormontabili limitazioni di tipo tecnico. Adesso le
potenzialità offerte dai nuovi mezzi a disposizione erano (quasi)
illimitate; la studiosa ne fornisce un accurato elenco in ogni volume, ad
esempio: ampia possibilità di resa del modulo delle lettere, di particolari
varianti grafiche, delle legature, dell’altezza dei punti, del
posizionamento degli accenti, delle emendazioni, dei segni di rimando
o di espunzione. La ratio che ispira il lavoro di Scherabon Firchow è

64
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2003, V, XXVII.
65
Scherabon-Firchow (Hrsg.) 1996, II, XIII.
66
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2003, V, XVI.
67
Scherabon Firchow (Hrsg.) 1995, I, XI.
68
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2009. L’edizione di questa rielaborazione
bavarese del Salterio di Notker (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, ms. 2681)
segue a distanza di quasi un secolo e mezzo le edizioni di Heinzel-Scherer (1876) e di
Piper (III, 1883).
69
Zupitza-Davis 1959.
25

dichiaratamente influenzata dagli orientamenti della cosiddetta “New


Philology”70 e certamente l’esigenza reclamata da parte della “New
Philology” di un ritorno alla realtà manoscritta del testo, la richiesta, se
non l’imperativo, di valutare ogni singolo testimone di un testo, si
adattavano con maggiore facilità a una tradizione, come quella di Notker,
quasi esclusivamente a codice unico.
Ora, i meriti e i limiti dell’edizione di Scherabon Firchow hanno
trovato spazio in numerosi saggi e recensioni e non mette conto di
rievocarli in questa sede. Sicuramente la travagliata storia delle edizioni
notkeriane, una vera e propria historia calamitatum come è stata definita
da Hellgardt71, conseguenza non tanto di concezioni filologiche diverse
nel tempo, quanto di pratiche ecdotiche non sempre coerenti e
omogenee, ha favorito e, forse, persino resa necessaria alla fine una
scelta intransigente. Resta tuttavia la domanda se l’operazione filologica
non debba combinare qualcosa di più che trascrivere fedelmente un
manoscritto, soprattutto se si ritiene che il lavoro di un editore non
termina con la restituzione di un testo affidabile, ma comincia proprio da
quel momento. Non soltanto l’edizione diplomatica, che ammette alcuni
interventi sul testo, costringe comunque a decisioni interpretative – come
emerge talvolta dall’implacabile confronto tra più edizioni diplomatiche
di uno stesso testo – ma, se non vuole ridursi a mera trascrizione, se non
vuole rappresentare un puro ‘aumento di leggibilità’ del manoscritto,
non deve rinunciare indagare e presentare il testo nella sua totalità al
fine di una sua compiuta interpretazione. Voglio dire cioè che se ogni
edizione diplomatica è anche una trascrizione, non ogni trascrizione è
necessariamente una ‘edizione’. Il testo è, infatti, soltanto una delle
componenti di una ‘edizione’. Il confronto suggerito da Arend Quak tra
l’edizione di Scherabon Firchow e le edizioni diplomatiche di Achim
Masser di Taziano e della Regola Benedettina72, nel contesto di un
generale ritorno ad fontes negli ultimi decenni dello scorso secolo, non

70
Scherabon Firchow (Hrsg.) 2003, V, XXIX-XXX.
71
Hellgardt 1997, 340.
72
Masser 1994 e 1997.
26

mi sembra allora del tutto calzante, perché Masser accompagna le sue


edizioni diplomatiche con puntuali ricognizioni paleografiche e
codicologiche, tanto più insostituibili proprio nel caso di tradizione a
“codex unicus” per recuperare la storia, altrimenti nascosta, del testo.
Nel caso della Regola Benedettina, ad esempio, l’esame scrupoloso delle
numerose correzioni che una mano più tarda ha apportato al testo latino
si riflette nell’utile apparato critico che accompagna l’edizione di
Masser. Per avere un’idea delle rasure nei manoscritti notkeriani, molto
utili ad esempio per uno studio degli sviluppi della lingua tedesca, si
deve, invece, fare ancora ricorso all’edizione di King e Tax. Ciò che qui
preme ribadire, al di là di errori e sviste materiali, inevitabili in un’opera
così massiccia, e al di là persino di alcune discutibili scelte73, è la criticità
di fondo dell’edizione di Scherabon Firchow, che costringe lo studioso
a rivolgersi per la conoscenza della tradizione manoscritta e delle fonti
dei testi notkeriani all’edizione di King e Tax. A dispetto delle critiche
forse ingenerose rivolte da Scherabon Firchow anche alla realizzazione
concreta del Notker latinus74, l’edizione di King e Tax resta a mio avviso
per queste ragioni ancora non sostituibile.
La diffusa rinuncia nei singoli volumi alla presenza di un
adeguato apparato critico, le scarne informazioni paleografiche e
codicologiche e il contestuale esplicito rinvio alle edizioni precedenti e,
per converso, favoriti dalla trascrizione computerizzata del testo, i
dizionari inversi, le concordanze, le liste di frequenza sia per
l’altotedesco antico, sia per il latino, e in aggiunta le liste di frequenza
delle singole lettere (di dubbia utilità), l’indice delle legature e dei segni
speciali, tradiscono un interesse verso l’opera di Notker ancora
esclusivamente linguistico. Del resto la stessa curatrice dichiara che
l’impulso alla pubblicazione di una nuova edizione e i criteri rigidamente
diplomatici che la ispiravano dovevano costituire la condicio sine qua
non per la realizzazione di una grammatica e di un dizionario della

73
Cfr. Meineke 1997.
74
Cfr. Scherabon Firchow 1994, 226-228; cfr. il giudizio più pacato di Saller
2003, 41.
27

lingua di Notker. Atto finale del pluridecennale impegno con i testi


notkeriani sarà proprio la pubblicazione nel 2008 di un Wortindex in due
volumi (latino e altotedesco) che, negli auspici della studiosa americana,
dovrebbe rendere possibile e facilitare «die Arbeiten am
Notkerwörterbuch und an der noch zu herstellenden vollständigen
Notkergrammatik»75.
L’interesse prevalente verso il dato linguistico si manifesta a ben
vedere anche nella scelta della curatrice di distinguere tipograficamente
lingua latina e lingua volgare, rendendo tutto il testo latino in tondo
chiaro e tutto il testo in altotedesco in tondo grassetto. Diversamente
King e Tax nella loro edizione avevano distinto, con un orientamento
più rivolto alle fonti e all’apporto originale di Notker, il testo di partenza
latino in corsivo e il testo di Notker (traduzione, ma anche inserzioni sia
in latino, sia in volgare) in tondo chiaro. Come si è osservato, la
distinzione tipografica dei diversi strati del testo non è ‘neutrale’, ma ha
assunto, sin dalla prima edizione di Schilter, un ruolo di guida
all’interpretazione dell’ingegnosa attività di traduzione e di commento
del magister sangallese.
Su un piano diametralmente opposto si colloca allora la proposta
editoriale di Hellgardt e di Saller, che prevede una marcata
differenziazione dei molteplici strati del testo: testo di base, traduzione,
inserzioni in latino, inserzioni in tedesco, termini latini chiarificatori ecc.
L’edizione immaginata da Hellgardt e Saller, attraverso l’uso di appositi
espedienti tipografici e attraverso la disposizione dei diversi strati del
testo nella pagina (p. es. uso del corsivo, grassetto, stampa spaziata,
parentesi, rientri nel margine) deve rendere conto della complessità del
testo notkeriano e consentire al lettore di penetrare nel “Gedankengang”
della strategia compositiva di Notker. L’edizione, che potremmo definire
“guidata” (“Leserfreundlich” la chiama Becker76), si dà dunque come
‘itinerario’ alla comprensione dell’opera di Notker. Inoltre con la scelta,
molto ‘notkeriana’, di accompagnare al testo una traduzione a fronte in

75
Scherabon Firchow 2003, 170.
76
Becker 1999, 119.
28

tedesco moderno, l’edizione si rivolge anche a studiosi non germanisti:


«Wir konzipieren […] das Modell einer Edition, welches primär die
umfassendere, mediävistisch-interdisziplinäre Zielgruppe im Sinn
hat»77.
I criteri di Hellgardt e Saller, che hanno trovato applicazione
nell’edizione dello stesso Saller dei primi quindici capitoli della
traduzione del De interpretatione78, sono articolati già immaginando una
futura edizione elettronica dell’opera di Notker. Saller ha poi offerto nel
2004 un più dettagliato contributo teorico per un progetto di edizione
elettronica della rielaborazione boeziana del De interpretatione; il
contributo è accompagnato da una “Probeedition” della Praefatiuncula
e del primo capitolo «als Modell für eine zukünftige kommentierte
Hypertext-Edition des gesamten Textes»79. A questa “edizione di prova”
– ancora accessibile all’indirizzo http://www.textkritik.uni-muenchen.
de/hsaller/notker/ (ultimo contatto: 11 aprile 2016) – purtroppo non ha
fatto seguito il completamento auspicato.
Non è questa la sede adatta per ribadire le possibili applicazioni
dell’informatica umanistica anche ai testi medievali di ambito
germanico, su cui non mancano anche in Italia interessanti progetti e
ricerche; né è questa la sede per addentrarsi in una discussione
approfondita sulle possibili scelte tecniche e sui compiti e le
responsabilità del filologo curatore di edizioni digitali interattive80. I
vantaggi di un’edizione digitale interattiva anche nel caso dell’opera del
magister sangallese sono evidenti. Una futura auspicata edizione
strutturata in un ipertesto dovrebbe, tenendo conto delle specificità
intrinseche dei singoli testi, poter consentire una rapida e affidabile
consultazione delle fonti (Notker latinus) e della bibliografia

77
Hellgardt-Saller 2003, 316.
78
Saller 2003.
79
Saller 2004, 71.
80
Sui problemi anche teorici dell’edizione elettronica in particolare in ambito
germanico cfr. i saggi di Maria Grazia Saibene, Marina Buzzoni e Maria Grazia
Cammarota raccolti in Ferrari-Bampi 2009. Informazioni sui progetti in Italia in
Saibene-Buzzoni 2009.
29

specializzata, la ricerca di passi paralleli, la possibilità di indagini


lessicali, di specifici aspetti grafici, fonetici, morfologici e potrebbe –
sfruttando l’oramai avvenuta digitalizzazione dei manoscritti notkeriani
in possesso della biblioteca di San Gallo (http://www.cesg.unifr.
ch/de/index.htm) – consentire, quando necessario, un immediato
riscontro codicologico e paleografico. Dovrebbe inoltre prevedere livelli
differenti di fruizione: per germanisti o non, per già specialisti o per
studenti, permettendo così di effettuare interrogazioni selettive a seconda
anche delle diverse esigenze e dei diversi interessi dei fruitori (di tipo più
linguistico o magari più storico-culturale).

Edizioni

Psalmi Dauidis a NOTKERO Labeone. Abbate S. Galli ante septingentos annos


Translatione et Paraphrasi Teutonica expositi, nunc primum ex Museo
generosi Dom. de la Loubere in publicum editi. Latina Interpretatione,
Notisque illustrauit Io. Schilteri. Straßburg 1698.
Joannis Schilteri […] Thesaurus antiquitatum teutonicarum, ecclesiasticarum,
civilium, litterariarum. / Opus diu desideratum, nunc ex autographis b.
autoris datum e museo Joannis Christiani Simonis […] Accedunt
passim alemannica monumenta insignia vetustissima; noviter post
Schilterum eruta, & suis quæque locis inserta: tum virorum doctorum
emendationes, versiones, notæ & curæ exquisitæ. Ulmæ Sumptibus
Danielis Bartholomæi, & Filii. 1726-1728.
Specimina linguae francicae in usum auditorium edita a Carolo Lachmanno,
Berolina 1825.
Eberhard Gottlieb Graff, Althochdeutsche, dem Anfange des 11ten Jahrhunderts
angehörige, I-III, Berlin 1837.
Heinrich Hattemer, Denkmahle des Mittelalters. St. Gallen’s Altteutsche
Sprachschätze, II-III Notkers des Teutschen Werke, St. Gallen 1844-
1847.
Richard Heinzel-Wilhelm Scherer, Notkers Psalmen nach der Wiener
Handschrift, Strassburg 1876.
Die Schriften Notkers und seiner Schule, hrsg. von Paul Piper, I-III, Freiburg
i.B.-Tübingen 1882-1883 (Neue billige Ausgabe, Freiburg i. B.-Leipzig
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30

Notkers des Deutschen Werke, nach den Handschriften neu herausgegeben von
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anhand von De Interpretatione, Frankfurt am Main: Lang, 2003.
Der Codex Vindobonensis 2681 aus dem bayerischen Kloster Wessobrunn um
1100. Diplomatische Textausgabe der Wiener Notker Psalmen,
Cantica, Wessobrunner Predigten und katechetischen Denkmäler, hrsg.
von Evelyn Scherabon Firchow unter Mitarbeit von Richard Hotchkiss,
mit Konkordanzen und Wortlisten auf einer CD, Hildesheim-Zürich-
New York 2009.

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