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introduzione 7
KEBHTOS PINAX 56
La tavola di Cebete
appendix 136
Appendice
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Cfr. W. e. Miller, Double translation in English humanistic
education, in «Studies in the renaissance» X (1963), p. 169,
dov’è riportata la raccomandazione che il vescovo inglese
James Pilkington scriveva nello statuto della rivington
Grammar School, nel 1566: «[The pupils] may have read unto
them, first, Tabula Cebetis in Greek». Sulla diffusione scolasti-
ca della Tavola nel secolo XiX cfr. anche F. drosihn, Keébhtov
Piénax. Cebetis Tabula. Recognovit, praefatus est, apparatu critico
et verborum indice instruxit Fridericus Drosihn, lipsiae, in aedi-
bus G. B. Teubneri 1871, p. 6: «Hic quoque libellus, si quis
alius, sua fata habuit. nam et veteribus et recentioribus tempo-
ribus cum admiratione plus quam modica lectitatus est […].
instauratis vero literis usque ad initium huis saeculi in usum
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Justi Hagani Velsii In Cebetis Thebani Tabulam Com -
mentariorum Libri VI, lugduni 1551.
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T. Campanella, Poetica, in id., Opere letterarie, a cura di l.
Bolzoni, utet, Torino 1977, pp. 348-350.
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G. Vico, Principi di scienza nuova, in id., Opere filosofiche,
Sansoni, Firenze 1971, p. 379.
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G. leopardi, Zibaldone, 4477 (30 marzo 1829).
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il drosihn, op. cit., p. 6, ipotizzava che già al tempo di
Tertulliano la Tavola venisse interpretata in chiave cristiana:
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C. Faà di Bruno, op. cit., p. 3, denunciando la «sì vergo-
gnosa dimenticanza» in cui era caduta la Tavola, ne attribuiva
le ragioni alle «deplorabili condizioni in che si trova oggidì in
italia il culto delle greche lettere, e l’estrema abbiezione in cui
sventuratamente decaddero gli studii, già sì fiorenti, dell’antica
morale filosofia». C. S. Jerram, Keébhtov Piénax. Cebetis Tabula,
Clarendon Press, oxford 1878, pp. V-Vi, si lamentava del fatto
che in inghilterra l’ultima edizione della Tavola avesse circa un
secolo. Mi permetto di rimandare il lettore a una nostra recen-
te pubblicazione della Tavola per uso scolastico: a. Barbone-T.
F. Bórri, La Tavola di Cebète. Testo integrale, commento e note,
edizioni accademia Vivarium novum, Montella 2008.
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la personalità di Cebete tebano emerge soprattutto dal
Fedone di Platone, dov’è tra i discepoli presenti alla morte di
Socrate, ed è il principale interlocutore del dialogo insieme al
conterraneo Simmia. nel Critone (45 b), Platone afferma che
Cebete prese parte all’organizzazione della fuga di Socrate dal
carcere. anche Senofonte (Memorabili, 1, 2, 48) conferma che
Cebete era tra i frequentatori più assidui (o|milhthév) di
Socrate, e aulo Gellio (2, 18, 4) tramanda la notizia che esor-
tato da Socrate Cebete riscattò lo schiavo Fedone, che sarebbe
così entrato nella cerchia dei discepoli. Ma nessuna fonte ci
illumina veramente sull’orientamento filosofico di Cebete.
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difficoltà: con la frase «e"sti deè tw%n e\n ç$dou dihéghsiv» l’autore
volle aggiungere ai tre dialoghi una quarta opera, cioè una
Descrizione delle anime nell’aldilà, o specificare meglio il conte-
nuto del Piénax? alcuni filologi, già a partire dal Cinquecento,
proposero di leggere «e"ti deè tw%n e\n ç$dou dihéghsiv» anziché
«e"sti deè tw%n e\n ç$dou dihéghsiv», così da interpretare l’espressio-
ne come il titolo di una quarta opera, diversa dal Piénax (cfr. K.
Praechter, Cebetis Tabula quanam aetate conscripta esse videatur,
Marburgi 1885, pp. 11-12; G. Barone, op. cit., p. 19). Se inve-
ce l’espressione in questione fosse solo una specificazione del
contenuto del Piénax, l’opera che il lessico attribuisce a Cebete
o non sarebbe quella a noi pervenuta, poiché essa sembra trat-
tare di tutt’altro che del destino delle anime nell’aldilà, o sareb-
be invece proprio quella che noi leggiamo, potendosene dare,
come hanno sostenuto alcuni, un’interpretazione mistico-reli-
giosa (cfr. infra pp. 43-52). Molti filologi, tra i quali il Wolfius,
il Fabricius, il Casaubonus, e da ultimo il Praechter, avanzaro-
no dubbi sul fatto che l’autore del lessico Suida fosse stato un
attento lettore della Tavola (cfr. K. Praechter, Cebetis Tabula
quanam…, cit., p. 12: «obiter et incuriose Tabulam legisse», e
p. 25: «absurdo illo Suidae argumento»), e considerarono per-
ciò trascurabile la sua aggiunta.
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Cfr. K. Praechter, Cebetis Tabula quanam…, cit., p. 1.
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il primo a condurre un’accurata analisi linguistica della
Tavola fu il drosihn, che cercò di dimostrare, attraverso un
lavoro di comparazione, che molti termini presenti nell’opera
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r. Joly, op. cit., pp. 80-81, notava che anche altri passi di
luciano potrebbero essere ispirati alla Tavola.
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l’unico testimone è ateneo iV, 45, p. 156 d.
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la Tavola di Cebete è presente nella raccolta di H. Thesleff,
The Pythagorean Texts of the Hellenistic Period, acta academiae
aboensis, Ser. a, Humaniora, vol. XXX, 1, abo akademi, abo
1965. d. Pesce, op. cit., p. 12, sostiene invece che la Tavola non
possa esser considerata uno scritto pseudoepigrafico.
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Cfr. supra le note 17 e 18. Purtroppo anche in questa cir-
costanza bisogna ammettere che non è pacifico il fatto che gli
antichi avessero subito riconosciuto nel Cebete della Tavola il
discepolo di Socrate. infatti, i primi due scrittori che ricordano
la Tavola, cioè luciano (cfr. supra nota 24) e Tertulliano (De
praescr. haer., 39: «Meus quidem propinquus […] Pinacem
Cebetis explicuit»), parlano genericamente di un Cebete,
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Cfr. lattanzio, Inst. Div., iii 23: «Sapientem gratia nun-
quam moveri, nunquam cuiusquam delicto ignoscere; nemi-
nem misericordem esse nisi stultum et levem; viri non esse
neque exorari neque placari»; cfr. anche epitteto, Ench., 16
(nella classica traduzione del leopardi): «Quando tu vedi alcu-
no che pianga o per morte di alcun suo congiunto o per lonta-
nanza di un figliuolo o perdita della roba, guarda che l’appa-
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Cfr. diogene laer., Vii 140: «{O meèn gaèr }Apollofaénhv
miéan leégei [scil. thèn a\rethén] thèn froénhsin». Plutarco, De Stoic.
repugn., 26, 1046 d: «}Epeiè d} h| froénhsiv ou\c e$teroén e\sti th%v
e\udaimoniéav kat} au\toèn [scil. toèn Cruésippon], a\ll} eu\daimonié-
an». Sesto emp., Adv. Math., Vii 158: «Thèn meèn gaèr eu\daimo-
niéan perigiénesqai diaè th%v fronhésewv».
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Stupisce soprattutto l’assenza del termine a\diaéfora per
indicare gli indifferenti, termine che pare abbia introdotto, nel
suo uso filosofico, aristone di Chio, e che si impose presto su
tutte le altre espressioni (col termine a\diaéfora sono indicati
gli indifferenti, tra gli altri luoghi, in: Stobeo, Ecl. ii 57, 18-19;
79, 1; 80, 14; 82, 5; 84, 4; 84, 18; Sesto emp., Adv. Math. Xi
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59, 63; Clemente al., Strom., ii 179 Sylb.; Cicerone, Acad. Pr.,
ii 130; diogene laer., Vii 104-105; origene, Contra Celsum,
iV 45.
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Cfr. Cicerone, Acad. Post., i 36: «Cetera autem, etsi nec
bona nec mala essent, tamen alia secundum naturam dicebat
(Zeno), alia naturae esse contraria. His ipsis alia interiecta et
media numerabat. Quae autem secundum naturam essent, ea
sumenda et quadam aestimatione dignanda dicebat, contraque
contraria, neutra autem in mediis relinquebat, in quibus pone-
bat nihil omnino esse momenti». Stobeo, Ecl., ii 48, 21: «Tw%n
d} a\xiéan e\coéntwn taè meèn e"cein pollhèn a\xiéan, taè deè bracei%an.
{Omoiéwv deè kaiè tw%n a\paxiéan e\coéntwn a£ meèn e"cein pollhèn
a\paxiéan, a£ deè bracei%an. Taè meèn ou&n pollhèn e"conta a\xiéan
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Cfr. Clemente al., Strom., V 14: «Oi| meèn Stoi=koiè toè teélov
th%v filosofiéav toè a\kolouéqwv t+% fuései zh%n ei\rhékasin».
Filone, De plantatione, noë § 49 vol. ii p. 143: «Toè gaèr
a\kolouqiéç fuésewv i\scu%sai zh%n eu\daimoniéav teélov ei&pon oi|
prw%toi [scil. tw%n Stoi=kw%n]». Cfr. anche la celebre dottrina di
Zenone che prescrive di o|mologoumeénwv t+% fuései zh%n, cioè di
vivere coerentemente con sé stessi e quindi con la natura-ragio-
ne (in diogene laer., Vii 87: «Dioéper o| Zhénwn e\n t§% periè
a\nqrwépou fuésewv teélov ei&pe toè o|mologoumeénwv t+% fuései zh%n,
o$per e\stiè kat} a\rethèn zh%n: a"gei gaèr proèv tauéthn h|ma%v h| fué-
siv»). lattanzio, Inst. div., iii 7: «Zenonis (summum bonum)
cum natura congruenter vivere»; iii 8: «Summum, inquit, est
bonum cum natura consentanee vivere». Filone, Quod omnis
probus liber, vol. ii p. 470, 27 Mang.: «Proèv teélov ai"sion ou\
Zhnwéneion ma%llon h! puqoécrhston a\fiéxontai toè a\kolouéqwv t+%
fuései zh%n». Cicerone, Acad. Pr., ii 131: «Honeste autem vive-
re, quod ducatur a conciliatione naturae, Zeno statuit finem
esse bonorum, qui inventor et princeps stoicorum fuit».
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Cfr. Cicerone, Acad. Pr., ii 130: «aristonem, qui cum
Zenonis fuisset auditor, re probavit ea, quae ille verbis, nihil
esse bonum nisi virtutem, nec malum nisi quod virtuti esse
contrarium; in mediis ea momenta, quae Zeno voluit, nulla
esse censuit. Huic summum bonum est, in his rebus neutram
in partem moveri, quae a\diaforiéa ab ipso dicitur»; De finibus,
V 37: «Multa dicta sunt ab antiquis de contemnendis ac despi-
ciendis rebus humanis; hoc unum aristo tenuit: praeter vitia
atque virtutes negavit rem esse ullam aut fugiendam aut expe-
tendam». la critica di Cicerone alla rigida dottrina di aristone
derivava dal fatto che con essa era negato ogni criterio di scel-
ta per orientarsi nella pratica della vita (e infatti aristone venne
subito accostato a Pirrone), mentre la più elastica dottrina di
Zenone, divenuta poi canonica nello stoicismo, era ben più
consona allo spirito pratico dei romani, dal momento che
postulava l’esistenza di un criterio di scelta, cioè la natura
(aristone, infatti, secondo Cicerone, «prese nettamente le
distanze dalla natura»).
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Soprattutto Cleante aveva fatto consistere la virtù in una
tensione (toénov) dell’anima che si manifesta come i\scuév e kraé-
tov, in ciò ricollegandosi al concetto cinico di virtù, in cui è
determinante la forza morale (cfr. antistene in diogene laer., Vi
11: «la virtù è sufficiente alla felicità e non ha bisogno di nulla
se non della forza di Socrate»). anche per epitteto nella virtù
hanno un ruolo decisivo e\gkraéteia e karteriéa: cfr. Ench., X.
53
Cfr. epitteto, Ench., i: «ora se tu sei desideroso di per-
venire a questo sì felice stato (l’atarassia), sappi che a ciò si
richiede sforzo e concitazione d’animo non mediocre»; XXiX:
«Pensi tu di potere filosofando mangiare e bere e fare lo schi-
fo e il dilicato come al presente? egli ti bisogna vegliare, fati-
care, separarti da’ tuoi, essere vilipeso da un fanticello, in tutto
essere inferiore agli altri, negli onori, ne’ magistrati, ne’ giudi-
zi, in ogni coserella. Considera bene queste difficoltà e questi
incomodi, e vedi se egli ti pare espediente di sostenerli per
avere in compenso di quelli la libertà, lo stato dell’animo senza
perturbazioni, senza passioni».
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Completamente opposta l’opinione di quanti optano per
l’interpretazione religiosa: cfr. infra, pp. 43-52.
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Cfr. diogene laer., Vii 91: «Che la virtù sia insegnabile
(didakthèn thèn a\rethén) lo afferma Crisippo nel primo libro del-
l’opera Sul fine, e Cleante, e Posidonio nelle Esortazioni: e che
sia insegnabile è chiaro dal fatto che si diventa buoni dacché si
era cattivi (a\gaqouèv e\k fauélwn)».
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Cfr. diogene laer., Vii 32: «alcuni tuttavia […] critica-
no Zenone per aver detto, nel primo libro della Repubblica, che
le arti liberali (thèn e\gkuéklion paideiéan) sono inutili».
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Clemente al., Strom., Vii 3 p. 839 Pott.; i p. 336 Pott.
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diogene laer., Vii 29. Stobeo, Ecl., ii 67, 5 W.; ii 107,
14 W.
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Cfr. Stobeo, Ecl., ii 8, 13 W.: «aristone diceva che delle
cose su cui i filosofi indagano alcune ci riguardano, altre non ci
riguardano, altre ci superano. Ci riguardano le questioni di etica,
non ci riguardano le questioni di dialettica (non giovano infatti
per una correzione della vita); ci superano quelle di fisica: non si
possono infatti conoscere e non arrecano nessuna utilità». Sesto
emp., Adv. Math., Vii 12: «anche aristone di Chio, come
dicono, rifiutava le indagini di fisica e di logica, per il fatto che
non giovano a nulla a chi filosofa e sono quasi un male».
67
r. Joly, op. cit. Per una panoramica sui vari sostenitori di
questa tesi interpretativa cfr. J. T. Fitzgerald-l. M. White, op.
cit., pp. 24-25.
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Cfr. K. Praechter, op. cit., pp. 25-27; C. S. Jerram, op. cit.,
pp. Xiii-XXXiV.
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Cfr. d. Pesce, op. cit., pp. 9-37.
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r. Joly, op. cit., p. 22.
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la distizione proposta dal Joly tra l’esegesi allegorico-
simbolica tipica dell’indirizzo neopitagorico e la spiegazione
della tavola fornita dal vecchio dev’essere accettata, ma va dato
atto al Pesce di aver precisato che si può parlare di allegoria
anche in un altro senso: «Perché si abbia allegoria, non occor-
re affatto che sussistano due sistemi concettuali distinti, ma
basta che un solo sistema concettuale abbia la sua traduzione
non già nel discorso che gli è proprio, ma in un “altro discor-
so”; nel nostro caso in un sistema di figurazioni pittoriche
(anche se queste sono sostituite dalle loro descrizioni). del
resto è questo l’uso consueto che si fa del termine “allegoria”
con riferimento ai dipinti» (op. cit., p. 18).
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id., op. cit., p. 36.
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in effetti, il Daiémwn e l’}Apaéth avrebbero potuto essere
collocati all’interno del recinto immediatamente dopo l’ingres-
so, anziché all’esterno: se interpretiamo alla lettera le immagi-
ni del dipinto, dobbiamo credere che esista per ciascun uomo
un tempo anteriore alla nascita; a rigore, però, dovremmo con-
cludere solo che l’anima preesiste al corpo, senza poter dire se
essa abbia già abitato un altro corpo. d. Pesce (op. cit., pp. 26-
27) intende diversamente le figure del Daiémwn e dell’}Apaéth:
egli crede che nel primo debba esser ravvisata la parte raziona-
le dell’anima, quella che dirige, nella seconda il fatto che l’uo-
mo appena nato si trovi imbevuto delle idee correnti nella
società, che lo sviano.
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id., op. cit., p. 57.
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id., op. cit., p. 47.
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id., op. cit., pp. 47-48.
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id., op. cit., pp. 70-78.
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te che compare nel titolo, hanno fatto pensare alla Tavola come
a uno scritto pseudopitagorico: l’autore, allo scopo di diffonde-
re la sua opera, la attribuisce a un antico pitagorico, che carat-
terizza come un seguace dello stile di vita della scuola italica
(Parmenide, infatti, è spesso visto dagli antichi come un conti-
nuatore di Pitagora), pur non esponendo dottrine tipicamente
pitagoriche. Per questa ragione la Tavola è contenuta nella rac-
colta di H. Thesleff, The Pythagorean Texts of the Hellenistic
Period, Acta Academiae Aboensis, Ser. A, Humaniora, vol.
XXX, 1, Abo Akademi, Abo 1965. Ma non c’è unanimità tra gli
studiosi nel considerare la Tavola uno scritto originariamente
pseudonimo: cfr. al riguardo J. T. Fitzgerald-L. M. White, op.
cit., pp. 5-6.
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(op. cit., pp. 13-16) ritiene invece che il percorso sia unico: una
sola la via che conduce alla felicità, sulla quale alcuni, però, si
fermano prima di aver raggiunto il traguardo (questa ipotesi
non ci pare giustificata dal testo: cfr. supra, p. 58, nota 2).
5, 2. 'Ap£th. La Frode e il Demone sono le prime due
figure che s’incontrano nella tavola, collocate all’entrata della
Vita, prima cioè che la turba degli uomini faccia ingresso nel
complesso dei recinti, a significare che tutti sono inevitabil-
mente compromessi con l’errore e l’ignoranza propinati dalla
prima, ma anche da un sentore della verità suscitato dal se-
condo. La loro funzione è antitetica, come risulta dagli oggetti
che li contraddistinguono e dal loro opposto aspetto: la Frode
è seduta su un trono, segno di mollezza e comodità, si atteggia
con modi persuasivi, è affettata nel carattere, e ha in mano una
coppa con una bevanda, segno di viziosità; il Demone, invece,
se ne sta in piedi su un luogo elevato, segni questi dello zelo
con cui dà i suoi consigli e della sua autorità, e ha in mano un
rotolo, cioè una sorta di libro, simbolo, come ha rilevato D.
Pesce (op. cit., pp. 46-47 nota ad loc.), del suo carattere razio-
nale.
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2 Ei’ta t… g…netai;
'E¦n mšn, fhs…, t¾n DÒxan taÚthn prosdš-
xhtai t¾n ¥xousan aÙtÕn e„j t¾n ¢lhqin¾n
Paide…an, kaqarqeˆj Øp' aÙtÁj sózetai, kaˆ
mak£rioj kaˆ eÙda…mwn g…netai ™n tù b…J: e„ deè
m», p£lin plan©tai ØpÕ tÁj Yeudodox…aj.
12. ’W `Hr£kleij, æj mšgaj Ð k…ndunoj ¥l-
loj oátoj. `H deè Yeudopaide…a po…a ™st…n; œfhn
™gè.
OÙc Ðr´j tÕn ›teron per…bolon ™ke‹non;
2 Kaˆ m£la, œfhn ™gè.
OÙkoàn œxw toà peribÒlou par¦ t¾n e‡so-
don gun» tij ›sthken, ¿ doke‹ p£nu kaq£rioj
kaˆ eÜtaktoj ei’nai;
Kaˆ m£la.
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12, 3. ¥llh ÐdÒj. Se c’è un’altra via per arrivare alla vera
Cultura, che non passi per la falsa Cultura, vuol dire che per
diventare virtuosi e raggiungere la Felicità si può anche fare a
meno degli studi. Cfr. Tavola, 33-35, e supra l’Introduzione, pp.
39-43.
13, 2. poihta…... ¢strolÒgoi. Siamo in presenza di un
elenco completo delle arti liberali: kritiko… (grammatica, cui si
potrebbero ascrivere anche i poihta…), dialektiko… (dialetti-
ca), ·»torej (retorica), ¢riqmhtiko… (aritmetica), mousiko…
(musica), gewmštrai (geometria), ¢strolÒgoi (astronomia).
¹doniko…. Sono i filosofi epicurei, collocati tra gli amanti
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della falsa Cultura per la loro teoria che il bene consiste nel pia-
cere, chiaramente osteggiata dall’autore della Tavola. Secondo
alcuni potrebbe trattarsi anche dei cirenaici della scuola di Ari-
stippo (cfr. J. T. Fitzgerald-L. M. White, op. cit., p. 147).
peripathtiko…. Si tratta degli aristotelici, i quali conside-
ravano ricchezza, salute, nobiltà sicuramente dei beni, in con-
strasto perciò con l’etica della Tavola (cfr. K. Praechter, Cebetis
Tabula quanam aetate conscripta esse videatur, Marburgi 1885,
pp. 17-21; J. T. Fitzgerald-L. M. White, op. cit., pp. 147-148;
D. Pesce, op. cit., p. 61). Ma la collocazione dei peripatetici tra
gli amanti della falsa Cultura potrebbe essere spiegata altret-
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Po…aj taÚtaj;
2 OÙc Ðr´j, œfh, œsw tÁj pÚlhj corÕn gunai-
kîn, æj eÙeide‹j dokoàsin ei’nai kaˆ eÜtaktoi,
kaˆ stol¾n ¢trÚferon kaˆ ¡plÁn œcousin; œti
te æj ¥plasto… e„si kaˆ oÙdamîj kekallwpis-
mšnai kaq£per aƒ ¥llai;
3 `Orî, œfhn. 'All¦ t…nej aátai kaloàntai;
`H meèn prèth 'Epist»mh, œfh, kale‹tai, aƒ deè
¥llai, taÚthj ¢delfa…, 'Andre…a, DikaiosÚnh,
Kalok¢gaq…a, SwfrosÚnh, EÙtax…a, 'Eleuqe-
r…a, 'Egkr£teia, PraÒthj.
4 ’W k£lliste, œfhn œgwge, æj ™n meg£lV ™l-
p…di ™smšn.
'E¦n sunÁte, œfh, kaˆ ›xin peripoi»shsqe ïn
¢koÚete.
'All¦ prosšxomen, œfhn œgwge, æj m£lista.
Toigaroàn, œfh, swq»sesqe.
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33, 3. kaˆ Pl£twn. Cfr. Leggi, 808 d-e, dove Platone asse-
gna alle discipline degne di un uomo libero la funzione di
calino…. È noto che alla base della sua pedagogia egli pone la
musica e la ginnastica, come quelle discipline che forniscono
armonia all’anima e al corpo: cfr. Repubblica, III, 401 d-402 a,
412 a; Leggi, II, 654 a-b, 672 e.
33, 4. tÕ belt…ouj genšsqai. Cfr. supra l’Introduzione, pp.
39-43.
33, 5. kaˆ ¥neu toÚtwn tîn maqhm£twn oÙdeèn kwlÚei
<belt…ouj> genšsqai. Già più volte abbiamo fatto notare, nel
corso del nostro commento, che è possibile verificare una cor-
rispondenza di pensiero tra l’autore della Tavola e Marco
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Una nota del Praechter (Cebetis Tabula, cit., p. 36) dice:
«Sic vertendum esse, non, ut vulgo fit, quae nec bona nec mala
esse diximus, humanissime me docuit vir clarissimus Steckius
theologiae professor. Cogitatur de c. 36, 4». Il Drosihn, infat-
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