Sei sulla pagina 1di 18

ALLA SCUOLA DEL GRAMMATICUS :  

MAESTRI, ALLIEVI E TESTI


NELLA TARDA ANTICHITÀ
Anna Zago

L a nostra conoscenza delle pratiche scolastiche nel mondo romano


è assai varia e discontinua : le fonti che conosciamo non sono poche

(il classico Quintiliano, innanzitutto, ma anche Svetonio, Giovenale...),


ma rimane difficile fornire un’immagine dettagliata di cosa accadesse in
una scuola di età classica o tardo antica. 1 Per quest’ultima epoca, però,

lo studioso può attingere a una miniera tanto inesauribile quanto diffi-


cile da esplorare : le artes grammaticae, testi che sono giunti a noi trami-

te percorsi più o meno tortuosi, dal ii secolo fino al Rinascimento, e che


hanno attraversato indenni, o quasi, i cosiddetti “secoli bui”. 2 Dietro la  

facciata “anonima” di questi testi, infatti, si cela la reale esperienza di


maestri e allievi, alle prese con lo studio di una lingua sempre più lon-
tana e difficile, ma non per questo meno necessaria. 3  

Per addentrarci più in profondità nel vasto mondo dell’insegnamen-


to avanzato del latino nel tardo impero sceglieremo un punto di vista
particolare, quello di un grammatico africano del v secolo, il Pompe-

1  La letteratura storico-pedagogica a questo proposito è piuttosto copiosa, ma rimane


comunque difficile tracciare un quadro preciso : si vedano a questo proposito il classico H.I.

Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, tr. it. Studium, Roma 1950 (in part. pp. 353-383),
e più recentemente S. F. Bonner, L’educazione nell’antica Roma : da Catone il Censore a Plinio

il Giovane, tr. it. Armando, Roma 1986. Un quadro assai vasto in R. Frasca, Educazione e
formazione a Roma : storia, testi, immagini, Dedalo, Bari 1996 (in particolare i capp. 6 e 16, con

la relativa bibliografia).
2  Gli studi su testi grammaticali antichi e altomedievali hanno visto una nuova fioritura
dalla metà del secolo scorso, dopo un’epoca “gloriosa” conclusasi idealmente con lo storico
volume di K. Barwick, Remmius Palaemon und die römische Ars Grammatica (Dieterich, Leip-
zig 1922) ; per un’ampia panoramica bibliografica si veda A. R. Scaglione, Ars Grammatica.

A bibliographical survey, Mouton, Paris 1970, pp. 11-43. Tra gli studiosi più attenti agli aspetti
genericamente pedagogici c'è certamente L. Holtz (tra i molti interventi si segnala A l’école
de Donat, de saint Augustin à Bède, « Latomus » xxxvi (1977), pp. 522-538, oltre ai titoli che ver-
   

ranno forniti nel seguito). Un’interessante analisi a livello sociologico viene dal volume di R.
A. Kaster, Guardians of Language : The Grammarian and Society in Late Antiquity, University

of California Press, Bekerley-Los Angeles-London 1988.


3  Si veda a questo proposito F. Biville, Niveaux et états de langue chez les grammairiens
latins, in H. Petersmann-R. Kettermann (a cura di), Latin vulgaire – Latin tardif v, Universita-
tverlag C. Winter, Heidelberg 1999, o il classico studio di W. M. Lindsay, The Latin Gramma-
rians of the Empire, « American Journal of Philology » xxxvii (1916), pp. 31-41.
   

« rassegna di pedagogia » · 1-4 · 2010


202 anna zago
ius Maurus autore del cosiddetto Commentum Artis Donati. 1 L’opera  

è un lungo e articolato discorso sulla tradizionale grammatica latina


condotto sul manuale di Donato, il grammatico per eccellenza, e sul
commento di Servio. Pompeo si serve di una versione “primitiva” del
commentario serviano a Donato, che noi conosciamo soltanto in for-
ma ridotta e condensata ; il nostro grammatico si concentra soprattutto

sull’Ars Maior di Donato, ma riusa materiale di Servio anche relativo al-


la Minor. 2 Il primo a menzionare l’esistenza di Pompeo è il grammatico

e vescovo di Toledo Giuliano, alla fine del vii secolo : « dicit Pompeius,   

plane scire debes quia... ». 3 È possibile collocare Pompeo da un punto


   

di vista cronologico partendo dalle date fondamentali della biografia di


Donato e di Servio : il floruit di Donato è da porre nel 354 d.C., quando

Gerolamo ci attesta che il suo maestro riceve degli onori a Roma ; l’at-  

tività di Servio è datata alla prima metà del v secolo (secondo la testi-
monianza di Macrobio, è probabile che egli fosse nato tra il 370 e il 380
d.C.). Il Commentum artis Donati risale pertanto al pieno V secolo, più
probabilmente alla seconda metà.
Le caratteristiche che fanno di Pompeo un testo così prezioso per
la ricostruzione delle pratiche didattiche tardo-antiche sono piuttosto
evidenti : all’interno del vasto filone esegetico destinato alle Artes del ce-

lebre Donato, il commento di Pompeo spicca non solo per la sua esten-
sione, ma anche e soprattutto per un immane sforzo di chiarificazione,

1  Oltre all’editio princeps di F. Lindemann, pubblicata a Lipsia nel 1820, il Commentum è


contenuto nel v volume (pp. 81-312) della monumentale raccolta dei Grammatici Latini ex
recensione Henrici Keilii voll. viii, Georg Olms Verlagsbuchhandlung, Hildesheim 1961 (rist.
anast. dell’ed. Leipzig 1855-1880), d’ora in avanti abbreviata in GLK. Sull’urgente necessità
di una nuova edizione critica si pronunciava già L. Holtz, Tradition et diffusion de l’oeuvre
grammaticale de Pompée, commenteur de Donat, « Révue de Philologie » xlv (1971), pp. 48-83 ;
     

a distanza di parecchi anni di nuovo in Prolégomènes à une édition critique du commentaire de


Pompée, grammairien africain, in The Origins of European Scholarship. The Cyprus Millennium
Conference, ed. by I. Taifacos, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2005, pp. 109-119. La bibliografia
sul personaggio e sulla sua opera è poca cosa : oltre ai volumi finora citati, si veda la voce

Pompeius (143) in Der neue Pauly : Enzyklopädie der Antike, heraugegeben von H. Cancik und

H. Schneider, Metzler, Stuttgart 1996- (vol. xxi coll. 2313-2315), rifacimento della classica Pau-
lys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Neue Bearbeitung begonnen von G.
Wissowa, Metzler, Stuttgart 1894-1980. Anche se mancano citazioni esplicite, il Commentum
di Pompeo è fra i testi grammaticali utilizzati dal Marrou per il cap. v della parte dedicata a
Roma e l’educazione classica in Storia dell’educazione nell’antichità, cit., pp. 363-373.
2  Che il commento di Pompeo sia ampiamente debitore al “filone donatiano” ad esso
precedente, e in particolare all’opera di Servio/Sergio, è dimostrato ad esempio dalla pre-
sentazione che ne fa Beda nel suo De arte metrica, quando scrive « eius sententiam exponentes

Pompeius vel Sergius » (Beda, De arte metrica. De schematibus et tropis, a cura di C. B. Kendall

- Corpus Christianorum Series Latina 123A, Brepols, Turnhout 1975, p. 84, 39-40).
3  Iul. Tol. Ars 10, 42 (Ars Iuliani Toletani episcopi. Una gramática latina en la España visigo-
da, estudio y edición critica por M. A. H. Maestre Yenes, Toledo 1973).
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 203
con una tendenza alla parafrasi spesso verbosa e ridondante. Già nella
nota introduttiva all’edizione, Keil esprimeva con una certa sicurezza
le sue prime impressioni sull’opera : « Ante omnia igitur sciendum est,
   

sicut de Cledonii arte diximus, ita Pompeii quoque librum scholis de-
stinatum vel potius ex usu scholarum profectum esse. Nam non solum
puerorum aliquotiens a grammatico mentio facta est [...], sed etiam
per totum librum ea est rerum tractandarum ratio, ut omnia quasi co-
ram discipulis a praeceptore agi videantur ». 1 Il giudizio diventava poco
   

dopo critica aperta : « verbosa et puerilis tractandi ratio molestissima


   

rerum tritissimarum repetitione fastidium creans hac sola re quodam


modo vel excusatur vel intellegitur, quod scholarum consuetudinem
grammaticus scribendo imitatus est ». 2 L’opinione categoricamente ne-
   

gativa di Keil è condivisa nella sostanza da tutti i successivi interpreti


di Pompeo, tra i quali merita senza dubbio un’attenzione particolare
Louis Holtz, il maggiore studioso del nostro grammatico. Nel volume
Donat e la tradition de l’enseignement grammatical egli ci offre un ritrat-
to di Pompeo che prosegue sostanzialmente nella direzione iniziata da
Keil : « Pompée, par son laisser-aller, sa volumineuse enflure, sa vacuité,
   

représent dans la si riche littérature technique des Africains un cas-limi-


te ». 3 L’analisi di Holtz, però, non manca di evidenziare alcuni aspetti di
   

Pompeo che certamente non emergono a prima vista ; in precedenza,  

prendendo quasi le difese del nostro grammatico, egli usa una metafora
suggestiva : « l’Ars de Pompée prend son temps et déroule avec lenteur
   

les méandre d’un commentaire-fleuve, à travers lequel l’auteur, réin-


troduisant autour de Donat des sources plus anciennes, paraphrase le
texte, en analyse patiemment les définitions, les justifie, prévien de lui-
même les obiections, dialogue avec son auditoire, répète pour ceux qui
n’auraient pas compris, avant de conclure par une nouvelle redite ». 4 ���
So-    

no tutte caratteristiche che balzano gli occhi anche a una prima lettura
del Commentum : meno evidente, però, è la finalità di un procedere così

1  « Innanzitutto va ricordato, come abbiamo detto già per l’Ars di Cledonio, che anche il

manuale di Pompeo è destinato alle scuole o piuttosto è nato dalla pratica scolastica. Infatti
non solo il grammatico menziona molte volte i pueri […], ma in tutta l’opera si ritrova un
modo di affrontare gli argomenti tale che l’intera trattazione sembra essere svolta da un
maestro come in presenza degli alunni » (GLK v, p. 89).

2  « La trattazione verbosa e infantile, che crea un senso di nausea con la sua fastidiosissima

ripetizione di triti concetti, si può in un certo modo scusare o comprendere per quest’unica
ragione : cioè per il fatto che il grammatico, nello scrivere, ha imitato la pratica scolastica

comune » (GLK v, p. 90).


3  L. Holtz, Donat e la tradition de l’enseignement grammatical, Éditions du cnrs, Paris 1981,


p. 236.
4  L. Holtz, Tradition et diffusion de l’oeuvre grammaticale de Pompée, commenteur de Donat,
cit., p. 50.
204 anna zago
lento e farraginoso, di una presenza massiccia di ripetizioni, obiezioni
anticipate e ancora riproposizioni. Una prima risposta è fornita sempre
da Holtz : « Pompée est aussi savant que les autres grammariens ; mais il
     

est animé de préoccupations pédagogique qui semblent souvent absen-


tes des traités prolixes de la fin de l’Antiquité. Commentaire verbeux ?  

Mais ce texte n’a pas son équivalent pour nous faire réellement péné-
trer dans l’école du grammaticus ». 1    

Lo scrupolo pedagogico, in effetti, è una preoccupazioni che vedre-


mo ricorrere in molti punti dell’opera. Almeno apparentemente, per-
ciò, ci troviamo di fronte ad un grammatico “di scuola”, le cui lezioni
sono trascritte -quasi sotto forma di appunti- a partire da quelle real-
mente tenute di fronte al suo auditorium. La questione che si pone ora
è : di chi è composto il suo pubblico ? Il problema della reale destinazio-
   

ne dell’opera non è di facile definizione : come scriveva Keil, infatti, le


lezioni sembrerebbero tenute « coram discipulis », e gli espedienti didat-


   

tici sembrerebbero essere rivolti al puer che compare non infrequente-


mente nel testo (come vedremo fra poco).
Questa è, in sostanza, la tesi tuttora comunemente accettata, con
l’importante eccezione di Kaster, le cui obiezioni sono fondate prima di
tutto su elementi interni al testo, e risultano pertanto di grande interes-
se anche per la comprensione globale del Commentum. Se Kaster accet-
ta, infatti, l’idea di sentire nel testo di Pompeo « a teacher’s voice », 2 ad
     

essere messa in dubbio è invece la destinazione effettiva del Commentum


in quanto testo di scuola o trascrizione di lezioni tenute di fronte ad
adulescentes desiderosi di avere una formazione grammaticale. Secondo
lo studioso ci troviamo invece di fronte ad un caso molto particolare di
“scuola per insegnanti”, ovvero una formazione (tanto teorica quanto
didattica) diretta a futuri grammatici. I brani che lo studioso cita co-
me prove di questa diversa destinazione dell’opera sono numerosi : sa-  

rà interessante pertanto vagliarli attentamente ed esaminare passo per


passo la possibilità prospettata. I punti fondamentali che discuteremo
possono essere così articolati : (1) Esempi tratti dall ’esperienza del

grammatico ; (2) Il puer ; (3) Un’espressione problematica : « om-


       

nia debere dicere ».  

1. Esempi tratti dall ’ esperienza del grammatico


Pomp. GLK v 235, 16-22 : Verbi causa festinanter vadis nescio quo per

plateam, occurrit tibi amicus et dicit tibi : “quo vadis ?” ut advertas,


   

1  L. Holtz, Tradition et diffusion de l’oeuvre grammaticale de Pompée, commenteur de Donat,


cit., p. 50. 2  R. A. Kaster, Guardians of Language, cit., p. 158.
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 205
quam gravia sic fiunt vitia. Dicit tibi “quo festinas ?”, dicis “ad audito-

rium festino”. “Quare ?” melius, si participialiter utaris et dicas “quo-


niam dicturus sum”. Ecce per participium sane locutus es : dixisti enim  

te necdum fecisse, sed facturum esse. Si autem sic dicas, “quo festinas ?  

Ad auditorium. Quare ? Hodie dico”, soloecismum fecisti.


« Tanto per fare un esempio, ti stai affrettando verso non so dove,


per la piazza, e ti viene incontro un amico e ti dice : “dove vai ?” (dico


   

per dimostrarti quanto gravi sono questi errori). Dunque ti dice “dove
ti affretti ?”, e tu gli dici “vado verso l’auditorum”. “Perché ?” : a questo
     

punto è meglio se usi un participio e gli rispondi “perché devo andare a


tenere una lezione (dicturus sum)”. Ecco, ti sei espresso correttamente
usando un participio : infatti hai fatto capire che non l’hai ancora fatto,

ma stai per farlo. Se invece avessi detto così : “dove vai ?” “all’auditorium”
   

“perché ?” “oggi tengo una lezione (hodie dico)”, avresti commesso un


solecismo ».  

Il brano è interpretato da Kaster come una prova chiara della coin-


cidenza fra la sfera d’esperienza dell’autore e quella del destinatario
dell’opera, poiché rappresenta il magister nell’atto di affrettarsi verso
un auditorium (cioè la scuola) per exponere, tenere una lezione. L’im-
portuno amico sempre pronto a coglierlo in fallo ricorda una spiritosa
descrizione di Giovenale nella satira settima :  

Iuv. Sat. vii 232-236 (ed. Clausen) :  

[...] ut forte rogatus,


dum petit aut thermas aut Phoebi balnea, dicat
nutricem Anchisae, nomen patriamque novercae
Anchemoli, dicat quod Acestes vixerit annis,
quot Siculi Phrygibus vini donaverit urnas.
« …cosicché se interrogato, mentre sta andando alle terme o ai bagni di Febo,

sappia dire chi fosse la nutrice di Anchise, e il nome e la patria della matrigna di
Anchemolo, e dica quanti anni sia vissuto Aceste, e quante urne di vino siculo
abbia donato ai Frigi ».

Senza dubbio scene di questo genere facevano parte della vita quotidia-
na di Pompeo, come osserva Kaster, e potevano costituire un ottimo
esempio per parlare a grammatici “in formazione” che condividevano
(o avrebbero presto condiviso) esperienze simili. Questa ipotesi, però,
induce a porre un’obiezione : cosa impedisce ad un maestro di attingere

al proprio bagaglio di esperienze, senza che questo debba necessaria-


mente essere condiviso dai suoi allievi ? Se quello che serve a Pompeo

è semplicemente un esempio “comodo” per illustrare un solecismo co-


mune, non sarebbe difficile immaginare che il primo a portata di mano
206 anna zago
sia un esempio riferito a se stesso, ma comunque chiaramente intelle-
gibile ai suoi alunni, che non avrebbero certo faticato ad immaginare
una scena di quel genere.

2. Il puer
Un problema analogo si pone con
Pomp. GLK v 142, 35-143, 7 : Deinde in responsionibus callidi debemus esse.

Plerumque aut male respondentes faciunt nos facere soloecismum aut male
interrogantes. Ut puta, siqui dicat Africanus, sic debeo interrogare, sic respon-
dere : “Africanus quae pars orationis ?” et puer dicat “nomen”. Ego interrogo
   

“quale nomen ?” debet ille respondere “proprium”. Debeo interrogare “quae


pars proprii ?” et debet ille dicere “agnomen”. Ipse est ordo verus secundum

interrogationem. Prius est enim ut dicas quod est generale, et postea, ut dicas
quod est speciale. Ceterum, si te interroget “Africanus quae pars orationis ?” et

tu dicas “agnomen”, ab imis coepisti, non mihi dixisti quia nomen est, deinde
non mihi dixisti, utrum proprium sit, an appellativum, et dixisti quod erat
imum.
« Perciò nel rispondere dobbiamo stare in guardia. Spesso, infatti, gli altri ci

fanno commettere solecismi con cattive domande o cattive risposte. Ad esem-


pio, se uno dice Africanus, così si deve interrogare, e così si deve rispondere : 

“che parte del discorso è Africanus ?”, e il ragazzo deve rispondere “un nome”.

Io allora chiedo “che tipo di nome ?”, e lui deve rispondere “proprio”. Io allora

devo chiedere “che genere di nome proprio ?” e lui deve dire “un sopranno-

me”. Questo è l’ordine corretto nell’interrogazione. Prima infatti devi dire il


generale e poi il particolare. Poi, se ti chiedono “che parte del discorso è Afri-
canus ?” e tu rispondi “un soprannome”, hai iniziato dal particolare, e non mi

hai detto che è un nome, e poi non mi hai detto se è proprio o appellativo, ma
mi hai detto solo il particolare ».  

Kaster analizza l’uso della terza persona puer per trarne la conclusione
che il puer stesso non è presente, e sarà il destinatario non di questa
lezione tenuta da Pompeo, ma di quella che Pompeo sta “mettendo in
scena” proprio per educare il futuro insegnante. Se questa tesi può ap-
parire affascinante e non del tutto ingiustificata, rimangono comunque
delle osservazioni da fare. Innanzitutto, dopo una prima parte in cui
dialogano prima e terza persona (ego interrogo... debet ille respondere), si
passa ad un rapporto tra prima e seconda persona (et tu dicas... coepisti...
non mihi dixisti...) : in realtà dobbiamo ammettere che la situazione im-

maginata da Pompeo non ci è davvero chiara. Si potrebbe obiettare a


questo punto che il nostro grammatico non stia illustrando come rispon-
dere, ma come interrogare : questo non spiega, però, perché la seconda

parte del brano inizi con Ceterum, si te interroget. Chi sta interrogan-
do ? È plausibile pensare che Pompeo stia mettendo in guardia il futuro

maestri, allievi e testi nella tarda antichità 207
grammatico dalle “interrogazioni” che potrebbero venire dagli alunni ?  

A ben vedere, il significativo passaggio (come già accennato sopra) ad


un rapporto prima-seconda persona, con la sequenza di “correzioni/
rimproveri” avanzati da Pompeo (ab imis coepisti, non mihi dixisti...,
deinde non mihi dixisti,...et dixisti quod erat imum) si adatta ben di più ad
un dialogo magister-puer dopo una risposta (inesatta) alla richiesta di
analisi grammaticale.
È da notare, però, che le altre occorrenze di puer in questa accezio-
ne all’interno della nostra opera non presentano, a differenza di quello
precedentemente analizzato, un contesto che possa gettare qualche lu-
ce sulle finalità del procedere di Pompeo : la tesi di Kaster può fornire in

effetti una buona chiave di interpretazione per questi casi. Non dobbia-
mo però dimenticare quella che potremmo definire “tendenza mime-
tica” in Pompeo : spesso, infatti, il grammatico sembra immedesimarsi

nella tanto ammirata auctoritas, attraverso tutta una serie di atteggia-


menti che vogliono sottolineare come anch’egli, similmente a Donato
e agli altri grammatici, sia animato da preoccupazioni di chiarezza, di
correttezza, di completezza. Le allusioni al puer, perciò, potrebbero es-
sere lette come un “a sé” del grammatico, una parentesi di carattere
quasi metodologico che poco coinvolge, all’atto pratico, il rapporto di-
retto magister/puer che viene “messo in scena”.

3. Un ’ espressione problematica : « omnia debere dicere »


     

Un altro problema interpretativo è sollevato dal brano che segue.


Pomp. GLK v 186, 33-187, 13 : Vide autem, quid dicit ipse Donatus : ait “sed haec,
   

quae dico deficere, secundum usum dico, ceterum scio me legisse haec ipsa
quae deficiunt”. Ecce lateris, si ad artem advertas, non debet habere nominati-
vum. Quid ergo ? Nominativus et vocativus non inveniuntur ? Inveniuntur qui-
   

dem, sed in auctoritate ; in usu non inveniuntur. [...] Ideo dixi, ne putes istum

inperitum esse aut te omnia debere dicere.


« Fai attenzione, però, a quello che dice Donato stesso : lui dice “questi nomi
   

li ho chiamati difettivi quanto all’uso, ma ho trovato attestazioni anche delle


forme che mancano”. Ad esempio lateris secondo la regola non deve avere il
nominativo. E allora ? Forse che il nominativo e il vocativo non si trovano mai ?
   

Certo che si trovano, ma negli autori classici ; nell’uso comune non si trovano.

[…] Per questo te l’ho detto, perché tu non pensi che Donato sia un ignorante
o perché tu creda di dover sempre dire tutte le forme ».  

In questo brano di Kaster individua due punti interessanti : innanzitut-  

to, l’intento di Pompeo di difendere Donato da possibili critiche (ne


putes istum inperitum esse), atteggiamento che si ritrova in parecchie oc-
casioni. Ma il passaggio più controverso è nell’espressione ne putes...
208 anna zago
te omnia debere dicere. Scrive Kaster : « Pompeius takes the opportunity
   

to offer an object lesson to his reader, evidently imagined as a teacher


in the same position and subject to the same criticism as Donatus, by
assuring the reader that he is not obliged to tell everything he knows »,  

rilevando in questa preoccupazione « the work’s sustained demand for


clarity, precision, and logic ». 1


   

Rovesciando questa interpretazione, però, potremmo anche imma-


ginare che la stessa esigenza di chiarezza, concisione e semplicità si
estenda non soltanto alla spiegazione svolta dal magister, ma anche alle
risposte che l’alunno dev’essere in grado di fornire dopo aver assimilato
i concetti principali. Questo tipo di esigenza, che in parte abbiamo già
osservato, è spesso rivolta al corretto svolgimento dell’interrogazione,
e si esplica in consigli come quelli che abbiamo visto sopra. Perciò, brani
di questo tipo potrebbero prestarsi anche ad essere visti (una chiave di
lettura simile a quella che abbiamo impiegato per interpretare le occor-
renze di puer) come annotazioni o incisi di tipo metodologico, “a parte”
rispetto allo scorrere già poco fluido del testo. Non appare inaccettabi-
le, infatti, che per Pompeo sia proprio il puer, l’alunno, a non dover dire
tutto, a non dover sottostare ad esigenze di eccessiva completezza che
spesso sono stigmatizzate dal grammatico, assai più focalizzato sulla
correttezza “concreta” che sull’esaustività della spiegazione :  

Pomp. GLK v 126, 3-4 : Nihil interest, sive accentum dicamus sive tonum sive

tenorem : eadem ratio est, nomina sunt tantum modo dissimilia.


« Non fa differenza se diciamo accento, tono o tenone : il concetto è lo stesso,


   

soltanto espresso con termini differenti ».  

Messo a fuoco, per quanto possibile, lo statuto del Commentum di Pom-


peo, sarà interessante un’analisi delle occorrenze e dei brani più signifi-
cativi : in particolare, una panoramica più ampia potrà dare un’idea dei

metodi impiegati dal grammaticus e far luce sulle modalità di compo-


sizione dell’opera. Come abbiamo già ricordato nella premessa, sono
molte le tracce di oralità nell’opera di Pompeo : in particolare, possia-

mo osservare una presenza massiccia di riferimenti di vario tipo alla


seconda persona singolare. Pompeo parla per un onnipresente tu, che
pur non essendo quasi mai esplicitato (fatto che, come vedremo, pone
non pochi interrogativi), è sempre al centro della sua attenzione ed è il
destinatario di tutti gli sforzi didattici dell’autore.
Il primo dato, numericamente piuttosto significativo, riguarda l’uso
degli imperativi : puta (265 occorrenze) è senza dubbio il verbo più uti-

1  R. A. Kaster, Guardians of Language, cit., pp. 161-162.


maestri, allievi e testi nella tarda antichità 209
lizzato da Pompeo, che gli conferisce il significato di “fai conto, pen-
sa a”, particolarmente adatto ad introdurre esempi o controesempi.
Una funzione analoga ha finge (tibi), che presenta 4 occorrenze. Ha un
impiego diffuso anche vide (42 occorrenze), verbo che il grammatico
preferisce per introdurre le sue considerazioni finali ; imperativi come

adverte (3 occorrenze) e considera (5 occorrenze) introducono prevedi-


bilmente consigli e avvertimenti. Quando invece il dialogo con l’ascol-
tatore si fa più stretto, in corrispondenza di un linguaggio più spiccio
e un andamento oralizzante, troviamo occorrenze di ostende mihi o da
mihi elocutionem, quasi una “sfida” lanciata dall’esperto grammatico a
chi volesse porre obiezioni o proporre esempi da analizzare.
Tra le forme analoghe all’imperativo possiamo reperire altri sintagmi
tipici di Pompeo che ci danno un’immagine piuttosto vivida del suo
modo di condurre una lezione : una nozione particolarmente difficile o

importante è introdotta in genere da scire debes (55 occorrenze), in ge-


nere costruito con quoniam (14 occorrenze), con quia (11 occorrenze), o
con quod (14 occorrenze). I concetti importanti vengono accuratamente
sottolineati introducendoli con tenere debetis (con 2 occorrenze, è uno
dei pochi casi di seconda persona plurale). Le espressioni scorrette o
del tutto assurde -non infrequenti in Pompeo, così amante dell’esempio
spinto all’estremo- sono introdotte da non possum dicere (21 occorrenze)
o non debemus dicere (6 occorrenze) ; dal lato opposto, troviamo debemus

dicere (29 occorrenze).


Per introdurre degli esempi, invece, il nostro grammatico utilizza di
preferenza una formula fissa, puta si dicas (18 occorrenze), che ricorre
anche nella variante ut puta si dicas (18 occorrenze).
Altre espressioni interessanti sono quelle elencate da Keil come
« adlocutiones frequentissimae, quibus praecepta commendari solent ».
   

Le più frequenti ruotano attorno alla prima persona dico, utilizzata da


Pompeo sia come “io generico”, sia in riferimento a se stesso. La forma
più attestata è quando dico (61 occorrenze), spesso introdotta da nam
(14 occorrenze). Tibi dico (3 occorrenze) o dico tibi (12 occorrenze) sono
in genere impiegati per costruire situazioni esemplari che mettano in
scena i principi grammaticali appena enunciati :  

Pomp. GLK v 283, 38 – 284, 3 : Et dico tibi “in versu barbarismus est”. Tu dicis

mihi “quo modo mihi dixisti in soluta oratione esse barbarismum, in versu
esse metaplasmum, et plerumque dicis mihi in versu esse barbarismum ? Quo  

modo ?”.

« Allora ti dico : “nel verso c'è un barbarismo”. E tu mi obietti : “perché prima


     

mi hai detto che il barbarismo si trova nella prosa e il metaplasmo nella poesia,
e ora mi dici spesso che il barbarismo si trova nel verso ? Com’è possibile ?” ».
     
210 anna zago
Keil cita ancora, nella breve introduzione all’opera, delle « interrogatio- 

nes et responsiones his fere formulis inductae » : la maggior parte delle


   

interrogative di cui è costellato il discorso di Pompeo sono introdotte


da quare (105 occorrenze), o qua ratione (53 occorrenze). Il più usato,
però, è senza dubbio modum, che ricorre in espressioni come quo modo
(137 occorrenze) o quem ad modum (157 occorrenze).
Una volta enunciate le norme grammaticali necessarie, Pompeo ama
dare prove tangibili della correttezza di quanto ha letto in Donato : ecco  

allora forme quali unde (hoc) probas/probamus ? (9 occorrenze), o unde


intellegimus (3 occorrenze), che spesso introducono citazioni letterali


dall’opera o dalle opere di riferimento. Un uso analogo, che conferi-
sce un sapore molto colloquiale al Commentum, è quello di vis scire ? (12  

occorrenze), che in esempi come questi suona quasi come una “provo-
cazione” :

Pomp. GLK v 232, 25-28 : Vis scire quoniam ratio monosyllabarum producitur ?
   

Facio ut non sint monosyllabae per conpositionem, et redeunt ad illam natu-


ram. do¯ producta est, reddo˘ correpta est.
« Vuoi sapere come mai nei monosillabi la vocale si allunga ? Faccio in modo
   

che non siano più monosillabi, facendoli diventare nomi composti, e ritornano
alla loro natura di sillabe brevi : do¯ è lunga, reddo˘ è breve ».
   

Abbiamo già osservato come il tu del destinatario, chiunque esso sia,


occupi spesso il centro della scena per Pompeo : vediamo ora altri usi

della seconda persona singolare. Per introdurre consigli e avvertimenti


troviamo ne dicas (mihi) (13 occorrenze) o forte dicas mihi (8 occorrenze).
La conclusione di una spiegazione è spesso affidata a vides (61 occorren-
ze) o invenies (25 occorrenze), a sancire la dimostrazione dell’esattezza
di quanto il grammatico ha enunciato. Il pronome di seconda persona
singolare è infine utilizzato in forme come non te decipiat (2 occorren-
ze). Un ultimo cenno merita infine l’avverbio ecce (319 occorrenze), una
dimostrazione di come la funzione fàtica del discorso sia centrale in
una grammatica che vuole parlare direttamente all’alunno, tenendo
costentemente desta la sua attenzione.
Pomp. GLK v 230, 36-38 : Nam sunt verba quae miscent istas ipsas declinationes.

Debemus illa scire, ne nobis faciant errorem. Gaudeo, ecce hoc verbum duas
istas declinationes confusas habet.
« Infatti ci sono dei verbi che mescolano queste declinazioni. Dobbiamo co-

noscerli, perché non ci inducano in errore. Gaudeo, ecco, questo verbo ha en-
trambe le declinazioni ».

Dopo aver passato in rassegna le occorrenze di forme ed espressioni


peculiari dell’opera di Pompeo, potrà essere utile analizzare i contesti
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 211
concreti in cui queste sono inserite : quella che cercheremo di fare è  

perciò una selezione di brani particolarmente significativi, classificati


per tipologie piuttosto “fluide”. 1 Risulterebbe quasi impossibile, infat-

ti, isolare un’unica finalità nel discorso del grammatico, che di volta in
volta mescola intenti esplicativi, didattici, polemici, con una gamma
di atteggiamenti (ad esempio nei confronti dell’auctoritas) quanto mai
vari e a tratti forse anche poco chiari. I criteri di raggruppamento dei
brani potranno essere pertanto molto diversificati :  

1. Finalità didattiche del Commentum


1.1 « Finge tibi » : esempi concreti
     

1.2 « Qua ratione ? » : spiegazioni “compendiate”


       

1.3 « Ne dicas mihi » : esigenze di correttezza


     

1.4 Le trattazioni del grammatico


2. Usi sintattici notevoli
2.1 Esigenze didattiche e sintassi : sequenze di interrogative  

3. Pompeo e gli altri


3.1 I grammatici, la tradizione, l’auctoritas
3.2 Il grammatico e gli auctores : uso delle citazioni  

1. Finalità didattiche del Commentum


1. 1. « Finge tibi » : esempi concreti
     

Nella sua trattazione, Pompeo si serve di un gran numero di esempi,


forse molti più di quanti la materia richiederebbe. Il maestro, in parti-
colare, ama mettere in scena situazioni comuni come punto di parten-
za per spiegazioni grammaticali anche assai complesse :  

Pomp. GLK v 141, 25-28 : Sed non te decipiat ista res nec fallat. Plerumque in-

venimus ista mutata. Servus meus volo ut vocetur Lucius ; hoc volo, hoc mihi  

placet. Iam Lucius forte mihi erit praenomen. Mihi quidem praenomen est,
servo autem non est praenomen, sed est cognomen.
« Questa cosa non deve farti sbagliare o trarti in inganno : spesso troviamo cam-
   

biamenti di questo tipo. Ad esempio, voglio che il mio servo si chiami Lucio :  

questo voglio, perché ho deciso così. Facciamo l’ipotesi che Lucio sia il mio
praenomen : dunque per me è un praenomen, ma per il servo è un cognomen ».
   

Il grammatico inscena anche esempi portati all’assurdo, con effetti


spesso comici :  

1  Come i brani analizzati in precedenza, anche questi passi saranno corredati di traduzio-
ne : in entrambi i casi, si è cercato di rendere il tono di Pompeo e il suo procedere “tortuoso”,

più che una versione fedele del discorso grammaticale di volta in volta affrontato.
212 anna zago

Pomp. GLK v 204, 23-31 : Habes hoc apud Vergilium positum apertissime peni-

tus in primo : tres cervi ambulabant, “tres litore cervos / prospicit errantes ; hos
   

tota armenta sequuntur”. Quid est tota armenta ? Non quotquot esse potuerunt  

in Africa. Neque enim sciebat in Africa quia tantum illa fuerunt. Tunc diceret
tota, si sciret, si notum ei fuisset. Non autem credibile est homo tunc veniens
quoniam scire potuit, quot cervi essent in Africa. Sed hoc ipsum adiunxit ad
consensionem superioris dicti.
« Ne hai un esempio chiarissimo in Virgilio, nel primo libro [dell’Eneide : Aen.
   

I 183-184] : tre cervi camminavano : “vede sul lido tre cervi erranti ; e tutto il
     

bestiame li segue”. Cosa vuol dire “tutto il bestiame” ? Non tutto il bestiame  

che ci poteva essere in Africa. Infatti mica lo sapeva che in Africa ci fossero
solo quelle bestie. Avrebbe detto “tutto” se l’avesse saputo, se gli fosse stato
noto ; però non è credibile che uno appena arrivato potesse sapere quanti cervi

c’erano in Africa : quindi ha usato quel termine per richiamarsi a quanto detto

in precedenza.
Il campo d’azione preferito di Pompeo rimane comunque la scuola :  

situazioni di vita scolastica e di vita comune si accompagnano e quasi


si confondono, poiché spesso si è trascinati dal flusso del discorso di un
oratore così poliedrico :  

Pomp. GLK v 266, 28-40 : Quando dico “lege lectionem”, et quando dico “sal-

tem lege lectionem”, aliud est dicere “lege lectionem”, aliud est “saltem lege
lectionem”. Quo modo ? Qui dicit tibi “lege lectionem”, hortatur te ad unam

rem faciendam. Et forte alias res facis, sed istam solam non faciebas ; cantabas,  

sed non legebas lectionem. Qui tibi dicit “hoc fac”, <hortatur ut hanc rem
facias>, licet tu illas res sponte facias ; qui autem tibi dicit “saltem hoc facito”,

ostendit te omnia nihil facere, sed vel hoc unum facere debere. [...] : puta “sal-  

tem ambula”, id est si non vis dormire, si non vis sedere, si non vis stare, vel
hoc unum fac, ambula ; quando autem dico “ambula”, iam non arguo te totius

neglegentiae, sed arguo te, quod istam unam rem omiseris.


« Facciamo l’esempio di quando dico “leggi il testo”, e quando dico “almeno

leggi il testo” : una cosa è dire “leggi il testo”, un’altra è dire “almeno leggi

il testo”. Come ? Chi ti dice “leggi il testo” ti chiede di fare una cosa sola. E

può darsi che tu stia facendo altre cose, e non stia facendo quest’unica cosa ;  

magari stavi cantando ma non stavi leggendo il testo. Chi ti dice “fai questo”
<ti chiede di fare questa cosa>, anche se tu per conto tuo ne stai facendo delle
altre ; invece chi ti dice “almeno fai questo”, mostra che non stai facendo nulla,

e dovresti fare almeno questa cosa. […] : ad esempio “almeno cammina” vuol  

dire : se non vuoi dormire, se non vuoi stare seduto, se non vuoi stare fermo,

fai almeno questo, cammina ; quando invece ti dico “cammina”, non ti sto

accusando di non fare niente del tutto, ma faccio notare che questa cosa non
l’hai fatta ».  
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 213

1. 2. « Qua ratione ? » : spiegazioni “compendiate”


       

A volte, Pompeo mira all’essenzialità nella discussione, ed elimina sen-


za rimpianti alcuni possibili dubbi (salvo gli inevitabili scrupoli di cor-
rettezza) :

Pomp. GLK v 110, 5-6 : Nihil interest, utrum per k scribas an per q an per c. Nihil

interest, tamen est aliqua differentia.


« Non importa se scrivi la k o la q o la c. Non cambia nulla, anche se una piccola

differenza ci sarebbe ».  

Più spesso, egli finisce per eliminare spiegazioni troppo teoriche e affi-
dare tutto all’incisività dell’esempio :  

Pomp. GLK v 294, 7-10 : Perissologia dicitur in sensu, puta “ibant qua poterant,

qua non poterant non ibant” : hoc manifestum est : nam si illa parte, qua non
   

poterant, non ibant, utique altera pars vacat.


« La perissologia è una figura di senso, ad esempio : “andavano per dove poteva-
   

no, e dove non potevano non andavano”. Questo è evidente : se non andavano  

dove non potevano, non rimane che l’altra parte. »  

Un procedimento piuttosto frequente consiste poi nel dimostrare che la


regola presa in esame è assolutamente “necessaria”, e non è possibile fa-
re altrimenti : una sorta di tautologia a volte anche molto efficace, come

nel caso della trattazione su tutte le possibili combinazioni di esasillabi.


Pomp. GLK v 123, 21-25 : Duae sunt syllabae. Quid vis esse istas syllabas ? Aut
   

ambae breves sunt, ecce una species ; aut ambae longae sunt, ecce altera spe-  

cies ; aut prior brevis est et posterior longa ; aut prior longa est et posterior
   

brevis. Inveni aliam, si potes. Quicquid dixeris, huc redigitur.


« Le sillabe sono di due tipi : e quali vuoi che siano queste sillabe ? O sono en-
     

trambe brevi, ed ecco un tipo ; o sono entrambe lunghe, ed ecco un altro tipo ;
   

o la prima è breve e la seconda lunga ; o la prima è lunga e la seconda breve.  

Trovami un’altra possibilità, se ci riesci. Qualsiasi spiegazione tu abbia formu-


lato, si riduce a questo ».  

1. 3. « Ne dicas mihi » : esigenze di correttezza


     

Lo sforzo di correggere (e spesso prevenire) gli errori degli allievi sem-


bra essere una delle preoccupazioni principali di Pompeo. Spesso lo fa
in modo semplice, esplicitando fin da subito che lo scopo è anticipare
l’obiezione -ovviamente errata- dell’ascoltatore :  

Pomp. GLK v 162, 3-7 : Dicit, haec res non te decipiat : nam inveniuntur aliter
   

personantia et alterius sunt generis. Ne dicas mihi “ecce nomen in a exit, debet
214 anna zago
generis esse feminini”. Nam potest fieri ut sonet femininum et sit masculinum,
ut est Catilina Agrippa Messala.
« Lui ha detto così [scil. Donato], ma questo non ti deve ingannare : infatti si
   

possono trovare altri nomi che terminano così [cioè in –a] ma sono di un altro
genere. Non mi venire a dire “ecco, il nome termina in –a, deve per forza esse-
re di genere femminile”. Infatti può essere che sembri femminile e sia invece
maschile, come Catilina, Agrippa, Messalla.

1. 4. Le trattazioni del grammatico


La tendenza generale di Pompeo è quella di non dilungarsi eccessiva-
mente nelle spiegazioni grammaticali (con qualche eccezione), ma di
fornire anzi un metodo rapido per risolvere i problemi che di volta in
volta vengono posti. Percorre l’intera opera una tendenza -spesso espli-
citamente dichiarata- a cercare la praticità, la “regoletta” da memoriz-
zare, l’usus da seguire : è una tendenza che emerge in modo chiaro dagli

esempi. La formulazione domanda-risposta (una sorta di “catechismo


grammaticale”) sembra molto gradita a Pompeo :  

Pomp. GLK v 288, 35-289, 2 : Proprie sic definitur : quid est soloecismus ? Soloe-
     

cismus est sanae elocutionis corruptela. Proprie ergo soloecismus ubi dicitur ?  

In soluta oratione, quem ad modum in soluta oratione dicitur barbarismus.


Quid si in poemate fiat ? Iam non dicitur soloecismus, sed dicitur schema.

« Propriamente si definisce così : cos’è un solecismo ? Un solecismo è la corrut-


     

tela di un’espressione corretta. Propriamente, dunque, quando si può parlare


di solecismo ? Nella prosa, proprio come nella prosa si parla di barbarismo. E se

si trova in poesia ? Allora non si chiama solecismo, ma viene definito schema ».


   

Analoga a questa struttura si presenta l’enunciazione di brevi regole


formulate probabilmente per l’apprendimento mnemonico da parte
dell’alunno : esse sono infatti caratterizzate dall’uso insistito di figure

come anafora, antitesi e chiasmo, nel tentativo di dar loro la massima


incisività.
Pomp. GLK v 99, 3-4 : Ergo duae sunt primae partes, vocales et consonantes. Si

non sunt vocales, consonantes sunt ; si non sunt consonantes, vocales sunt.

« Dunque, due sono i fondamenti, le vocali e le consonanti. Se non sono vocali,


sono consonanti ; se non sono consonanti, sono vocali ».


   

Come abbiamo già avuto modo di vedere, Pompeo è animato anche da


scrupoli di tipo metodologico, che ben emergono da alcuni “consigli
preliminari” che egli dispensa nel corso dell’opera. L’intento è duplice :  

da una parte egli vuole chiarire e semplificare i termini in cui si spiega


l’oggetto della trattazione ; dall’altra fissare dei “punti fermi” che possa-

no tornare utili anche in relazione ad altri argomenti.


maestri, allievi e testi nella tarda antichità 215

Pomp. GLK v 232, 2-4 : Quid ergo faciemus ? Quoniam nos ars deficit, debemus
   

recurrere ad auctoritatem. Novimus enim sermonem latinum his rebus conti-


neri, usu arte auctoritate.
« Dunque come ci comporteremo ? Poiché la regola qui non ci viene in aiuto,
   

dobbiamo ricorrere all’autorità degli autori. Sappiamo infatti che la lingua la-
tina è regolata da questi tre principi : l’uso, la regola, l’autorità ».
   

Infine, uno dei punti in cui traspare più chiara la composizione “estem-
poranea” del Commentum è senza dubbio l’uso degli esempi. Per Pom-
peo, infatti, il termine o l’espressione di partenza è un materiale model-
labile a piacimento, con un trattamento spesso “creativo” di quello che
in altri grammatici è soltanto un esempio accennato.
Pomp. GLK v 257, 13-21 : Sed utrum ista participia sint, an nomina, iam ex ra-

tione colligis, quod, si participia sunt, redeunt in praesens participium. Legen-


dus scribendus non videntur tibi talia esse, quale est moribundus ? Sed legendus

scribendus redeunt in praesens participium, moribundus non redit in praesens


participium. Legendus, tolle inde dus et adde s, et facit praesens legens ; scriben-  

dus, tolle dus, adde s, scribens. E contrario moribundus : fac praesens ; non potes,
   

quia non sequitur : moribundus, tolle dus, remanet moribun, adde s, et nemo

dicit moribuns ; moriens enim dicimus.


« Ma se si tratti di participi o di nomi, lo puoi capire da questa regola : se sono


   

participi, si possono ricondurre a un participio presente. Legendus e scriben-


dus non ti sembrano essere tali e quali a moribundus ? Ma legendus e scribendus

possono essere ricondotti a un participio presente, moribundus no. In legendus,


togli dus e aggiungi una s, e ottieni il participio presente legens ; in scribendus,

togli dus e aggiungi una s, ottieni scribens. Al contrario moribundus, prova a


trovare il participio presente : non puoi, perché la regola non funziona. Da

moribundus togli dus, rimane moribun, aggiungi una s : nessuno dice moribuns,

ma diciamo moriens ».  

2. Usi sintattici notevoli


2. 1. Esigenze didattiche e sintassi : sequenze di interrogative

Un dato che colpisce di frequente, nell’opera di Pompeo, è la presen-


za massiccia di interrogative, di preferenza in forma diretta e di breve
estensione. Esse innanzitutto conferiscono al discorso un andamento
più oralizzante, ma hanno anche l’importante funzione di segnare dei
“punti di svolta” all’interno del discorso, introducendo un nuovo ele-
mento indispensabile alla completa trattazione dell’argomento in esa-
me. Uno degli impieghi più efficaci di questo tipo di sintassi permette
a Pompeo di procedere per esclusione, isolando alla fine il caso che più
gli interessa, come nel caso della trattazione sul digramma qu- :  
216 anna zago

Pomp. GLK v 104, 18-25 : Ista u quid erit ? Vocalis ? Non potest. [...] Num forte
     

consonans est ? Nec consonans est. [...] Si nihil erit, quid habet esse ? Nihil.

�����������
Qua-  

re ergo ibi scribitur ? Propter illam causam, quia pars est litterae praecedentis.

« E questa u che cos’è ? Una vocale ? Non può essere. […] Per caso è una conso-
     

nante ? Non è nemmeno una consonante. […]. Se non è nulla, che cosa sarà ?
   

Nulla. Dunque, perché si scrive qui ? Per questo motivo : fa parte della lettera    

precedente ».  

In altri casi, una sequenza di domande permette al grammatico (e


all’alunno) di ricapitolare alcuni punti essenziali della dottrina prece-
dentemente illustrata :  

Pomp. GLK v 283, 19-24 : Quid est barbarismus ? Quod non dicitur per naturam.
   

Quid est soloecismus ? Quod male per artem dicitur. Nam re vera barbarismus

per naturam non potest dici. Qui enim dicat mamor aut columam ? Per naturam  

non potest dici. Quando autem dico “multi mihi homines iniuriam fecit”, non
per naturam non potest dici, sed per artem non potest dici.
« Che cos’è il barbarismo ? Ciò che non si dice naturalmente. Che cos’è il soleci-
   

smo ? Ciò che si dice male rispetto alla norma. Infatti il barbarismo non si può

dire naturalmente : chi direbbe mai mamor o columam ? Non si può dire natural-
   

mente. Quando invece dico “molte persone mi ha fatto male”, non è che non si
possa dire naturalmente, ma non è corretto rispetto alla norma ».  

Un ulteriore impiego dimostra un’ancor più chiara finalità didattica : la  

sequenza di domande e risposte brevissime è una perfetta simulazione


dell’interrogatio cui l’alunno è sottoposto (potremmo addirittura ipotiz-
zare che le risposte provengano dall’auditorio stesso ?).  

Pomp. GLK v 180, 21-24 : Tribunus militum : tribunus quando dicimus, qui est ?
     

Nominativus est. Senatus consultum : senatus qui est ? Genetivus est. Iuris peritus    

dicimus : peritus cuius ? Iuris. Numquid dicimus peritus iura ?


     

« Tribunus militum : quando diciamo tribunus, che cos’è ? È un nominativo. Sena-


     

tus consultum : che cos’è senatus ? È un genitivo. Diciamo iuris peritus : peritus di
     

che cosa ? Iuris. Forse che diciamo peritus iura ? ».


     

3. Pompeo e gli altri


3. 1. I grammatici, la tradizione, l’auctoritas
L’attenzione didattica di Pompeo si concentra spesso sulle opere di altri
grammatici, che dipinge come maestri attenti, proprio come lui, all’ap-
prendimento dei loro discepoli :  

Pomp. GLK v 165, 16-18 : Scripsit autem ad hunc locum Probus unum librum.

Iste institutor iam artem scripsit, non scripsit perfectis, sed ad eos qui volunt
se perfectos esse.
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 217

« Probo ha scritto un libro a questo riguardo. Questo maestro ha scritto sì una


grammatica, ma non per quelli che già sanno tutto e sono perfettamente istru-
iti, ma per quelli che vogliono diventarlo ».  

A volte la polemica è chiara : per Pompeo la chiarezza e la brevitas sono


qualità irrinunciabili per esercitare l’arte del grammatico.


Pomp. GLK v 129, 37-130, 2 : Quicquid pertinet ad accentus, hoc est ; nec potest
   

ulterius reperiri. Vides, quanta brevitate utantur Latini. Graeci


���������������������
vero chaos fe-
cerunt, totum confuderunt, ut, quamvis mille legas tractatus, non te conve-
nias.
« Tutta la trattazione sull’accento è questa, e non si può trovare di più. Vedi

come sono brevi i latini : i greci invece hanno fatto un caos enorme, hanno

confuso tutto, e quindi anche se leggi mille trattati, non ti ci raccapezzerai ».  

Non viene risparmiato nemmeno Donato : leggendo questo brano, pos- 

siamo immaginare il maestro “in azione”, nella sua classe, con l’opera
di Donato o di Servio tra le mani :  

Pomp. GLK v 205, 25-28 : Sunt aliqua pronomina quae rem praesentem signifi-

cant, ut diximus, hic haec hoc ; sunt aliqua quae magis significant. Hoc quid sit

nescio ; omnis res aut praesens est aut non est praesens ; magis praesens quid
   

est nescio.
« “Ci sono alcuni pronomi che indicano una cosa presente, come abbiamo det-

to, hic haec hoc ; altri invece indicano una cosa più presente”. Cosa voglia dire,

non lo so : una cosa o è presente o non è presente ; cosa sia “più presente” non
   

lo so proprio ».  

I momenti in cui Pompeo rivela tutta la sua carica polemica, però, sono
sempre e comunque le trattazioni di quesiti grammaticali : nel passo  

che ora vedremo il magister si scaglia contro un uso tuttora invalso nelle
nostre scuole, quello di supplire i nomi difettivi con altri termini.
Pomp. GLK v 186, 10-18 : Inveniuntur alia nomina tantum modo contenta duo-

bus casus, nominativo et vocativo, ut hic Iuppiter o Iuppiter. Ceterum qui ita
declinant, hic Iuppiter huius Iovis, stultum est. Et illa enim ita habebis declinare,
hic Hercules huius Amphitrioniadae, et haec Minerva huius Palladis. Quo modo
enim illud possumus declinare ? Numquid, si ille Iuppiter habeat quinque aut

quattuor nomina, idcirco debeo per singulos casus mutare illa nomina ? Hoc  

stultum est ; sed dicimus, Iuppiter habet duos casus, hic Iuppiter et o Iuppiter.

« Si possono trovare altri nomi che presentano soltanto due casi, nominativo

e vocativo, come hic Iuppiter o Iuppiter. Quelli che declinano così : hic Iuppiter

huius Iovis, è una stupidaggine. Allora dovresti declinare così anche hic Hercules
huius Amphitrioniadae, e haec Minerva huius Palladis. E come facciamo dunque
a declinare così ? Forse che, se Iuppiter [cioè Giove] avesse quattro o cinque epi-

218 anna zago
teti, dovrei cambiare nome a ogni caso ? È una sciocchezza : noi invece diciamo
   

che Iuppiter ha due casi, hic Iuppiter e o Iuppiter ».  

3. 2. Il grammatico e gli auctores : uso delle citazioni


Così come rielabora liberamente le fonti grammaticali, Pompeo fa un uso


piuttosto creativo anche delle citazioni. Gli auctores sono una sorta di reperto-
rio cui attingere a fini “statistici”, con la necessaria cautela : le autorità, infatti,

vanno trattate come tali, e il criterio da seguire rimane sempre, in fin dei conti,
l’uso “vivo” della lingua.
Pomp. GLK v 253, 26-28 : Habemus unum exemplum apud Vergilium, apud

Sallustium semel dictum, apud Ciceronem bis dictum. Numquid, quoniam se-
mel legisti apud Vergilium, apud Sallustium semel dictum, apud Ciceronem,
iam debes hoc uti ? 

« Ne abbiamo un esempio in Virgilio, un solo esempio in Sallustio, due in Cice-


rone. Dunque, per il fatto che l’hai letto una sola volta in Virgilio, una volta in
Sallustio, o in Cicerone, per questo motivo dovresti dirlo anche tu ? ».    

Conclusioni
Il ritratto di Pompeo che abbiamo tracciato fin qui è quello di un gram-
matico decisamente sui generis : il costante “dialogo”, a volte quasi

l’emulazione, che egli instaura con Donato (e più silenziosamente con


Servio) non si risolvono certo a suo favore. Il Commentum di Pompeo,
però, è ben distante dall’aspirazione a divenire un’auctoritas : semmai, il  

nostro grammatico mira a spiegare sempre tutto con la massima sem-


plicità, ad istruire i suoi allievi in modo efficace ed attento all’uso co-
mune, a prepararli a destreggiarsi in un campo a volte insidioso (così,
almeno, egli vuole presentarlo).
Lo sforzo didattico che pervade l’intera opera si riflette in modo
massiccio anche sull’aspetto formale del Commentum, con le molte-
plici modalità che abbiamo avuto modo di osservare. Ritorna perciò
utile la prima osservazione di Keil, che vedeva queste pagine compo-
ste « quasi coram discipulis » : se anche Pompeo non aveva realmen-
     

te davanti a sé una classe di adulescentes, tutto ci indica che a que-


sto egli pensasse. Il problema della destinazione, forse il principale di
quest’opera per molti versi ancora sconosciuta, non può prescindere
dall’esistenza fisica di un “pubblico”, poiché è l’autore stesso che ce lo
ricorda in ogni momento.
Ne nasce così un’ars variegata, poco coesa, più attenta all’incisività
(almeno ricercata) che all’esaustività, fortemente influenzata dall’evo-
luzione del latino in un periodo di cambiamenti come era il V secolo :  

un caso-limite, come è stata giustamente definita.

Potrebbero piacerti anche