Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, tr. it. Studium, Roma 1950 (in part. pp. 353-383),
e più recentemente S. F. Bonner, L’educazione nell’antica Roma : da Catone il Censore a Plinio
il Giovane, tr. it. Armando, Roma 1986. Un quadro assai vasto in R. Frasca, Educazione e
formazione a Roma : storia, testi, immagini, Dedalo, Bari 1996 (in particolare i capp. 6 e 16, con
la relativa bibliografia).
2 Gli studi su testi grammaticali antichi e altomedievali hanno visto una nuova fioritura
dalla metà del secolo scorso, dopo un’epoca “gloriosa” conclusasi idealmente con lo storico
volume di K. Barwick, Remmius Palaemon und die römische Ars Grammatica (Dieterich, Leip-
zig 1922) ; per un’ampia panoramica bibliografica si veda A. R. Scaglione, Ars Grammatica.
A bibliographical survey, Mouton, Paris 1970, pp. 11-43. Tra gli studiosi più attenti agli aspetti
genericamente pedagogici c'è certamente L. Holtz (tra i molti interventi si segnala A l’école
de Donat, de saint Augustin à Bède, « Latomus » xxxvi (1977), pp. 522-538, oltre ai titoli che ver-
ranno forniti nel seguito). Un’interessante analisi a livello sociologico viene dal volume di R.
A. Kaster, Guardians of Language : The Grammarian and Society in Late Antiquity, University
e vescovo di Toledo Giuliano, alla fine del vii secolo : « dicit Pompeius,
Gerolamo ci attesta che il suo maestro riceve degli onori a Roma ; l’at-
tività di Servio è datata alla prima metà del v secolo (secondo la testi-
monianza di Macrobio, è probabile che egli fosse nato tra il 370 e il 380
d.C.). Il Commentum artis Donati risale pertanto al pieno V secolo, più
probabilmente alla seconda metà.
Le caratteristiche che fanno di Pompeo un testo così prezioso per
la ricostruzione delle pratiche didattiche tardo-antiche sono piuttosto
evidenti : all’interno del vasto filone esegetico destinato alle Artes del ce-
lebre Donato, il commento di Pompeo spicca non solo per la sua esten-
sione, ma anche e soprattutto per un immane sforzo di chiarificazione,
Pompeius (143) in Der neue Pauly : Enzyklopädie der Antike, heraugegeben von H. Cancik und
H. Schneider, Metzler, Stuttgart 1996- (vol. xxi coll. 2313-2315), rifacimento della classica Pau-
lys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Neue Bearbeitung begonnen von G.
Wissowa, Metzler, Stuttgart 1894-1980. Anche se mancano citazioni esplicite, il Commentum
di Pompeo è fra i testi grammaticali utilizzati dal Marrou per il cap. v della parte dedicata a
Roma e l’educazione classica in Storia dell’educazione nell’antichità, cit., pp. 363-373.
2 Che il commento di Pompeo sia ampiamente debitore al “filone donatiano” ad esso
precedente, e in particolare all’opera di Servio/Sergio, è dimostrato ad esempio dalla pre-
sentazione che ne fa Beda nel suo De arte metrica, quando scrive « eius sententiam exponentes
Pompeius vel Sergius » (Beda, De arte metrica. De schematibus et tropis, a cura di C. B. Kendall
- Corpus Christianorum Series Latina 123A, Brepols, Turnhout 1975, p. 84, 39-40).
3 Iul. Tol. Ars 10, 42 (Ars Iuliani Toletani episcopi. Una gramática latina en la España visigo-
da, estudio y edición critica por M. A. H. Maestre Yenes, Toledo 1973).
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 203
con una tendenza alla parafrasi spesso verbosa e ridondante. Già nella
nota introduttiva all’edizione, Keil esprimeva con una certa sicurezza
le sue prime impressioni sull’opera : « Ante omnia igitur sciendum est,
sicut de Cledonii arte diximus, ita Pompeii quoque librum scholis de-
stinatum vel potius ex usu scholarum profectum esse. Nam non solum
puerorum aliquotiens a grammatico mentio facta est [...], sed etiam
per totum librum ea est rerum tractandarum ratio, ut omnia quasi co-
ram discipulis a praeceptore agi videantur ». 1 Il giudizio diventava poco
prendendo quasi le difese del nostro grammatico, egli usa una metafora
suggestiva : « l’Ars de Pompée prend son temps et déroule avec lenteur
no tutte caratteristiche che balzano gli occhi anche a una prima lettura
del Commentum : meno evidente, però, è la finalità di un procedere così
1 « Innanzitutto va ricordato, come abbiamo detto già per l’Ars di Cledonio, che anche il
manuale di Pompeo è destinato alle scuole o piuttosto è nato dalla pratica scolastica. Infatti
non solo il grammatico menziona molte volte i pueri […], ma in tutta l’opera si ritrova un
modo di affrontare gli argomenti tale che l’intera trattazione sembra essere svolta da un
maestro come in presenza degli alunni » (GLK v, p. 89).
2 « La trattazione verbosa e infantile, che crea un senso di nausea con la sua fastidiosissima
ripetizione di triti concetti, si può in un certo modo scusare o comprendere per quest’unica
ragione : cioè per il fatto che il grammatico, nello scrivere, ha imitato la pratica scolastica
Mais ce texte n’a pas son équivalent pour nous faire réellement péné-
trer dans l’école du grammaticus ». 1
niam dicturus sum”. Ecce per participium sane locutus es : dixisti enim
te necdum fecisse, sed facturum esse. Si autem sic dicas, “quo festinas ?
per dimostrarti quanto gravi sono questi errori). Dunque ti dice “dove
ti affretti ?”, e tu gli dici “vado verso l’auditorum”. “Perché ?” : a questo
ma stai per farlo. Se invece avessi detto così : “dove vai ?” “all’auditorium”
solecismo ».
sappia dire chi fosse la nutrice di Anchise, e il nome e la patria della matrigna di
Anchemolo, e dica quanti anni sia vissuto Aceste, e quante urne di vino siculo
abbia donato ai Frigi ».
Senza dubbio scene di questo genere facevano parte della vita quotidia-
na di Pompeo, come osserva Kaster, e potevano costituire un ottimo
esempio per parlare a grammatici “in formazione” che condividevano
(o avrebbero presto condiviso) esperienze simili. Questa ipotesi, però,
induce a porre un’obiezione : cosa impedisce ad un maestro di attingere
2. Il puer
Un problema analogo si pone con
Pomp. GLK v 142, 35-143, 7 : Deinde in responsionibus callidi debemus esse.
Plerumque aut male respondentes faciunt nos facere soloecismum aut male
interrogantes. Ut puta, siqui dicat Africanus, sic debeo interrogare, sic respon-
dere : “Africanus quae pars orationis ?” et puer dicat “nomen”. Ego interrogo
pars proprii ?” et debet ille dicere “agnomen”. Ipse est ordo verus secundum
interrogationem. Prius est enim ut dicas quod est generale, et postea, ut dicas
quod est speciale. Ceterum, si te interroget “Africanus quae pars orationis ?” et
tu dicas “agnomen”, ab imis coepisti, non mihi dixisti quia nomen est, deinde
non mihi dixisti, utrum proprium sit, an appellativum, et dixisti quod erat
imum.
« Perciò nel rispondere dobbiamo stare in guardia. Spesso, infatti, gli altri ci
“che parte del discorso è Africanus ?”, e il ragazzo deve rispondere “un nome”.
Io allora chiedo “che tipo di nome ?”, e lui deve rispondere “proprio”. Io allora
devo chiedere “che genere di nome proprio ?” e lui deve dire “un sopranno-
hai detto che è un nome, e poi non mi hai detto se è proprio o appellativo, ma
mi hai detto solo il particolare ».
Kaster analizza l’uso della terza persona puer per trarne la conclusione
che il puer stesso non è presente, e sarà il destinatario non di questa
lezione tenuta da Pompeo, ma di quella che Pompeo sta “mettendo in
scena” proprio per educare il futuro insegnante. Se questa tesi può ap-
parire affascinante e non del tutto ingiustificata, rimangono comunque
delle osservazioni da fare. Innanzitutto, dopo una prima parte in cui
dialogano prima e terza persona (ego interrogo... debet ille respondere), si
passa ad un rapporto tra prima e seconda persona (et tu dicas... coepisti...
non mihi dixisti...) : in realtà dobbiamo ammettere che la situazione im-
parte del brano inizi con Ceterum, si te interroget. Chi sta interrogan-
do ? È plausibile pensare che Pompeo stia mettendo in guardia il futuro
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 207
grammatico dalle “interrogazioni” che potrebbero venire dagli alunni ?
effetti una buona chiave di interpretazione per questi casi. Non dobbia-
mo però dimenticare quella che potremmo definire “tendenza mime-
tica” in Pompeo : spesso, infatti, il grammatico sembra immedesimarsi
quae dico deficere, secundum usum dico, ceterum scio me legisse haec ipsa
quae deficiunt”. Ecce lateris, si ad artem advertas, non debet habere nominati-
vum. Quid ergo ? Nominativus et vocativus non inveniuntur ? Inveniuntur qui-
dem, sed in auctoritate ; in usu non inveniuntur. [...] Ideo dixi, ne putes istum
Certo che si trovano, ma negli autori classici ; nell’uso comune non si trovano.
[…] Per questo te l’ho detto, perché tu non pensi che Donato sia un ignorante
o perché tu creda di dover sempre dire tutte le forme ».
Pomp. GLK v 126, 3-4 : Nihil interest, sive accentum dicamus sive tonum sive
Pomp. GLK v 283, 38 – 284, 3 : Et dico tibi “in versu barbarismus est”. Tu dicis
mihi “quo modo mihi dixisti in soluta oratione esse barbarismum, in versu
esse metaplasmum, et plerumque dicis mihi in versu esse barbarismum ? Quo
modo ?”.
mi hai detto che il barbarismo si trova nella prosa e il metaplasmo nella poesia,
e ora mi dici spesso che il barbarismo si trova nel verso ? Com’è possibile ?” ».
210 anna zago
Keil cita ancora, nella breve introduzione all’opera, delle « interrogatio-
occorrenze), che in esempi come questi suona quasi come una “provo-
cazione” :
Pomp. GLK v 232, 25-28 : Vis scire quoniam ratio monosyllabarum producitur ?
che non siano più monosillabi, facendoli diventare nomi composti, e ritornano
alla loro natura di sillabe brevi : do¯ è lunga, reddo˘ è breve ».
Debemus illa scire, ne nobis faciant errorem. Gaudeo, ecce hoc verbum duas
istas declinationes confusas habet.
« Infatti ci sono dei verbi che mescolano queste declinazioni. Dobbiamo co-
noscerli, perché non ci inducano in errore. Gaudeo, ecco, questo verbo ha en-
trambe le declinazioni ».
ti, isolare un’unica finalità nel discorso del grammatico, che di volta in
volta mescola intenti esplicativi, didattici, polemici, con una gamma
di atteggiamenti (ad esempio nei confronti dell’auctoritas) quanto mai
vari e a tratti forse anche poco chiari. I criteri di raggruppamento dei
brani potranno essere pertanto molto diversificati :
Pomp. GLK v 141, 25-28 : Sed non te decipiat ista res nec fallat. Plerumque in-
venimus ista mutata. Servus meus volo ut vocetur Lucius ; hoc volo, hoc mihi
placet. Iam Lucius forte mihi erit praenomen. Mihi quidem praenomen est,
servo autem non est praenomen, sed est cognomen.
« Questa cosa non deve farti sbagliare o trarti in inganno : spesso troviamo cam-
biamenti di questo tipo. Ad esempio, voglio che il mio servo si chiami Lucio :
questo voglio, perché ho deciso così. Facciamo l’ipotesi che Lucio sia il mio
praenomen : dunque per me è un praenomen, ma per il servo è un cognomen ».
1 Come i brani analizzati in precedenza, anche questi passi saranno corredati di traduzio-
ne : in entrambi i casi, si è cercato di rendere il tono di Pompeo e il suo procedere “tortuoso”,
più che una versione fedele del discorso grammaticale di volta in volta affrontato.
212 anna zago
Pomp. GLK v 204, 23-31 : Habes hoc apud Vergilium positum apertissime peni-
tus in primo : tres cervi ambulabant, “tres litore cervos / prospicit errantes ; hos
tota armenta sequuntur”. Quid est tota armenta ? Non quotquot esse potuerunt
in Africa. Neque enim sciebat in Africa quia tantum illa fuerunt. Tunc diceret
tota, si sciret, si notum ei fuisset. Non autem credibile est homo tunc veniens
quoniam scire potuit, quot cervi essent in Africa. Sed hoc ipsum adiunxit ad
consensionem superioris dicti.
« Ne hai un esempio chiarissimo in Virgilio, nel primo libro [dell’Eneide : Aen.
I 183-184] : tre cervi camminavano : “vede sul lido tre cervi erranti ; e tutto il
bestiame li segue”. Cosa vuol dire “tutto il bestiame” ? Non tutto il bestiame
che ci poteva essere in Africa. Infatti mica lo sapeva che in Africa ci fossero
solo quelle bestie. Avrebbe detto “tutto” se l’avesse saputo, se gli fosse stato
noto ; però non è credibile che uno appena arrivato potesse sapere quanti cervi
c’erano in Africa : quindi ha usato quel termine per richiamarsi a quanto detto
in precedenza.
Il campo d’azione preferito di Pompeo rimane comunque la scuola :
Pomp. GLK v 266, 28-40 : Quando dico “lege lectionem”, et quando dico “sal-
tem lege lectionem”, aliud est dicere “lege lectionem”, aliud est “saltem lege
lectionem”. Quo modo ? Qui dicit tibi “lege lectionem”, hortatur te ad unam
rem faciendam. Et forte alias res facis, sed istam solam non faciebas ; cantabas,
sed non legebas lectionem. Qui tibi dicit “hoc fac”, <hortatur ut hanc rem
facias>, licet tu illas res sponte facias ; qui autem tibi dicit “saltem hoc facito”,
ostendit te omnia nihil facere, sed vel hoc unum facere debere. [...] : puta “sal-
tem ambula”, id est si non vis dormire, si non vis sedere, si non vis stare, vel
hoc unum fac, ambula ; quando autem dico “ambula”, iam non arguo te totius
leggi il testo” : una cosa è dire “leggi il testo”, un’altra è dire “almeno leggi
il testo”. Come ? Chi ti dice “leggi il testo” ti chiede di fare una cosa sola. E
può darsi che tu stia facendo altre cose, e non stia facendo quest’unica cosa ;
magari stavi cantando ma non stavi leggendo il testo. Chi ti dice “fai questo”
<ti chiede di fare questa cosa>, anche se tu per conto tuo ne stai facendo delle
altre ; invece chi ti dice “almeno fai questo”, mostra che non stai facendo nulla,
e dovresti fare almeno questa cosa. […] : ad esempio “almeno cammina” vuol
dire : se non vuoi dormire, se non vuoi stare seduto, se non vuoi stare fermo,
fai almeno questo, cammina ; quando invece ti dico “cammina”, non ti sto
accusando di non fare niente del tutto, ma faccio notare che questa cosa non
l’hai fatta ».
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 213
Pomp. GLK v 110, 5-6 : Nihil interest, utrum per k scribas an per q an per c. Nihil
differenza ci sarebbe ».
Più spesso, egli finisce per eliminare spiegazioni troppo teoriche e affi-
dare tutto all’incisività dell’esempio :
Pomp. GLK v 294, 7-10 : Perissologia dicitur in sensu, puta “ibant qua poterant,
qua non poterant non ibant” : hoc manifestum est : nam si illa parte, qua non
no, e dove non potevano non andavano”. Questo è evidente : se non andavano
ambae breves sunt, ecce una species ; aut ambae longae sunt, ecce altera spe-
cies ; aut prior brevis est et posterior longa ; aut prior longa est et posterior
trambe brevi, ed ecco un tipo ; o sono entrambe lunghe, ed ecco un altro tipo ;
Pomp. GLK v 162, 3-7 : Dicit, haec res non te decipiat : nam inveniuntur aliter
personantia et alterius sunt generis. Ne dicas mihi “ecce nomen in a exit, debet
214 anna zago
generis esse feminini”. Nam potest fieri ut sonet femininum et sit masculinum,
ut est Catilina Agrippa Messala.
« Lui ha detto così [scil. Donato], ma questo non ti deve ingannare : infatti si
possono trovare altri nomi che terminano così [cioè in –a] ma sono di un altro
genere. Non mi venire a dire “ecco, il nome termina in –a, deve per forza esse-
re di genere femminile”. Infatti può essere che sembri femminile e sia invece
maschile, come Catilina, Agrippa, Messalla.
Pomp. GLK v 288, 35-289, 2 : Proprie sic definitur : quid est soloecismus ? Soloe-
cismus est sanae elocutionis corruptela. Proprie ergo soloecismus ubi dicitur ?
non sunt vocales, consonantes sunt ; si non sunt consonantes, vocales sunt.
Pomp. GLK v 232, 2-4 : Quid ergo faciemus ? Quoniam nos ars deficit, debemus
dobbiamo ricorrere all’autorità degli autori. Sappiamo infatti che la lingua la-
tina è regolata da questi tre principi : l’uso, la regola, l’autorità ».
Infine, uno dei punti in cui traspare più chiara la composizione “estem-
poranea” del Commentum è senza dubbio l’uso degli esempi. Per Pom-
peo, infatti, il termine o l’espressione di partenza è un materiale model-
labile a piacimento, con un trattamento spesso “creativo” di quello che
in altri grammatici è soltanto un esempio accennato.
Pomp. GLK v 257, 13-21 : Sed utrum ista participia sint, an nomina, iam ex ra-
dus, tolle dus, adde s, scribens. E contrario moribundus : fac praesens ; non potes,
quia non sequitur : moribundus, tolle dus, remanet moribun, adde s, et nemo
moribundus togli dus, rimane moribun, aggiungi una s : nessuno dice moribuns,
ma diciamo moriens ».
Pomp. GLK v 104, 18-25 : Ista u quid erit ? Vocalis ? Non potest. [...] Num forte
consonans est ? Nec consonans est. [...] Si nihil erit, quid habet esse ? Nihil.
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Qua-
re ergo ibi scribitur ? Propter illam causam, quia pars est litterae praecedentis.
« E questa u che cos’è ? Una vocale ? Non può essere. […] Per caso è una conso-
nante ? Non è nemmeno una consonante. […]. Se non è nulla, che cosa sarà ?
Nulla. Dunque, perché si scrive qui ? Per questo motivo : fa parte della lettera
precedente ».
Pomp. GLK v 283, 19-24 : Quid est barbarismus ? Quod non dicitur per naturam.
Quid est soloecismus ? Quod male per artem dicitur. Nam re vera barbarismus
per naturam non potest dici. Qui enim dicat mamor aut columam ? Per naturam
non potest dici. Quando autem dico “multi mihi homines iniuriam fecit”, non
per naturam non potest dici, sed per artem non potest dici.
« Che cos’è il barbarismo ? Ciò che non si dice naturalmente. Che cos’è il soleci-
smo ? Ciò che si dice male rispetto alla norma. Infatti il barbarismo non si può
dire naturalmente : chi direbbe mai mamor o columam ? Non si può dire natural-
mente. Quando invece dico “molte persone mi ha fatto male”, non è che non si
possa dire naturalmente, ma non è corretto rispetto alla norma ».
Pomp. GLK v 180, 21-24 : Tribunus militum : tribunus quando dicimus, qui est ?
Nominativus est. Senatus consultum : senatus qui est ? Genetivus est. Iuris peritus
tus consultum : che cos’è senatus ? È un genitivo. Diciamo iuris peritus : peritus di
Pomp. GLK v 165, 16-18 : Scripsit autem ad hunc locum Probus unum librum.
Iste institutor iam artem scripsit, non scripsit perfectis, sed ad eos qui volunt
se perfectos esse.
maestri, allievi e testi nella tarda antichità 217
grammatica, ma non per quelli che già sanno tutto e sono perfettamente istru-
iti, ma per quelli che vogliono diventarlo ».
come sono brevi i latini : i greci invece hanno fatto un caos enorme, hanno
siamo immaginare il maestro “in azione”, nella sua classe, con l’opera
di Donato o di Servio tra le mani :
Pomp. GLK v 205, 25-28 : Sunt aliqua pronomina quae rem praesentem signifi-
cant, ut diximus, hic haec hoc ; sunt aliqua quae magis significant. Hoc quid sit
nescio ; omnis res aut praesens est aut non est praesens ; magis praesens quid
est nescio.
« “Ci sono alcuni pronomi che indicano una cosa presente, come abbiamo det-
to, hic haec hoc ; altri invece indicano una cosa più presente”. Cosa voglia dire,
non lo so : una cosa o è presente o non è presente ; cosa sia “più presente” non
lo so proprio ».
I momenti in cui Pompeo rivela tutta la sua carica polemica, però, sono
sempre e comunque le trattazioni di quesiti grammaticali : nel passo
che ora vedremo il magister si scaglia contro un uso tuttora invalso nelle
nostre scuole, quello di supplire i nomi difettivi con altri termini.
Pomp. GLK v 186, 10-18 : Inveniuntur alia nomina tantum modo contenta duo-
bus casus, nominativo et vocativo, ut hic Iuppiter o Iuppiter. Ceterum qui ita
declinant, hic Iuppiter huius Iovis, stultum est. Et illa enim ita habebis declinare,
hic Hercules huius Amphitrioniadae, et haec Minerva huius Palladis. Quo modo
enim illud possumus declinare ? Numquid, si ille Iuppiter habeat quinque aut
quattuor nomina, idcirco debeo per singulos casus mutare illa nomina ? Hoc
stultum est ; sed dicimus, Iuppiter habet duos casus, hic Iuppiter et o Iuppiter.
« Si possono trovare altri nomi che presentano soltanto due casi, nominativo
e vocativo, come hic Iuppiter o Iuppiter. Quelli che declinano così : hic Iuppiter
huius Iovis, è una stupidaggine. Allora dovresti declinare così anche hic Hercules
huius Amphitrioniadae, e haec Minerva huius Palladis. E come facciamo dunque
a declinare così ? Forse che, se Iuppiter [cioè Giove] avesse quattro o cinque epi-
218 anna zago
teti, dovrei cambiare nome a ogni caso ? È una sciocchezza : noi invece diciamo
vanno trattate come tali, e il criterio da seguire rimane sempre, in fin dei conti,
l’uso “vivo” della lingua.
Pomp. GLK v 253, 26-28 : Habemus unum exemplum apud Vergilium, apud
Sallustium semel dictum, apud Ciceronem bis dictum. Numquid, quoniam se-
mel legisti apud Vergilium, apud Sallustium semel dictum, apud Ciceronem,
iam debes hoc uti ?
rone. Dunque, per il fatto che l’hai letto una sola volta in Virgilio, una volta in
Sallustio, o in Cicerone, per questo motivo dovresti dirlo anche tu ? ».
Conclusioni
Il ritratto di Pompeo che abbiamo tracciato fin qui è quello di un gram-
matico decisamente sui generis : il costante “dialogo”, a volte quasi