BLASIO-
Lezione 002
Come veniva intesa la critica nel mondo classico?
La critica letteraria nel mondo classico è da considerarsi più che altro come riflessione sulle opere d'arte e sulle
opere letterarie in particolare. L'arte non veniva considerata come un'attività autonoma dello spirito, il termine
téchne indicava infatti un saper fare relativo sia alle attività pratiche che a quelle intellettuali. Nell'antica Grecia la
produzione artistica e, di concerto, i criteri di riflessione erano legati ai concetti di verità, piacere e moralità, intesa
come fine educativo dell'opera. Molti sono i poeti di questo periodo. Ricordiamo in particolare Omero, Aristote e
Platone. Per Omero il poeta assume le vesti di una figura quasi sacra, che fa da tramite con gli dèi e trasmette la
cultura alle nuove generazioni. Queste sue concezioni verranno criticate aspramente da Eraclito, che lo
condannerà in particolar modo per le menzogne dette sugli dèi. Ad Aristotele dobbiamo il maggior contributo a
livello critico in questo periodo. Con la sua Poetica infatti egli svolge un'attività di descrizione delle opere
letterarie, offre spiegazioni tecniche e compone uno schema classificatorio con approccio critico.
Superando la concezione platonica dell'arte come trascendenza e come pura imitazione, Aristotele considera l'arte
legata all'immanenza e considera la creazione artistica (in particolare la poesia) come mimèsi (imitazione) del
mondo, delle vicende e delle passioni umane. La poesia, essendo dunque riproduzione del vero, non è
condannabile. Diversamente dal suo maestro, non si schiera contro le “favole false” dei poeti, ma considera la
letteratura un modo di rappresentazione:lo storico descrive le cose realmente accadute e il poeta deve occuparsi di
quelle che possono accadere. La mimèsi dell'arte poetica, in particolare della tragedia (attraverso cui si ottiene un
effetto catartico sullo spettatore), esplora il mondo del possibile attraverso la verosimiglianza.
Nel periodo ellenistico si svilupparono i commenti ai classici, che saranno il genere letterario più diffuso fino al
Medioevo. Con Aristotele la critica aveva assunto un carattere storico e filologico, a partire dal I sec. a.C. , quando
la cultura si sposta in un nuovo grande centro, Roma, si accentua il carattere precettistico e normativo della critica
letteraria. Nell'ambito della cultura latina Orazio non fornisce delle prescrizioni sulla forma della rappresentazione
artistica, ma dei consigli: la convenienza, l'equilibrio, la non-contraddizione. La mimèsi per Orazio consiste
nell'imitazione della realtà ed è l'imitazione degli altri poeti greci o latini. L'ars di Orazio è ricerca della
perfezione, un labor limae che, attraverso l'alternarsi delle funzioni poetiche della piacevolezza e il valore
educativo,non rappresenta semplicemente la realtà e i sentimenti, ma deve illuminare una realtà che sarebbe
diversamente irraggiungibile.
Nel 700 la riflessione intorno alla creazione letteraria è influenzata dal movimento filosofico dell'illuminismo, che
mette in primo piano l'uso della ragione. Si determinano dunque importanti cambiamenti sia in ambito culturale
che sociale. La critica settecentesca applica la razionalità alla letteratura e alla storia e allarga i suoi confini alla
realtà civile. I processi interpretativi nel pensiero del crtico sono legati alla morale ed a una utilità educativa. La
poesia dunque è portatrice di verità essenziali e la letteratura, con la forza dei suoi miti, assolve ad un compito di
educazione civile. Un esempio di trattato del 700 è la Ragion Poetica del filosofo, giurista e letterato Vincenzo
Gravina, il quale sostiene che la poesia è in grado di incantare, di far sì che la finzione venga intesa come reale,
ma solo l'interpretazione permette di individuare il vero senso, al di là delle finzioni. Ricordiamo inolttre che nel
1690 Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni fondano a Roma l'Accademia dell'Arcadia ( il nome
fa riferimento alla regione dell'Arcadia, la patria mitica dei pastori- poeti, protagonisti della poesia bucolica) che
non era una semplice scuola che univa più letterati, ma un vero e proprio movimento letterario che si proponeva di
superare il cattivo gusto del Barocco che aveva caratterizzato il 600, per tornare alla tradizione classica. Il rifiuto
delle esagerazioni manieriste accomuna tutti i membri dell'Arcadia.
Il Seicento europeo è un secolo caratterizzato dalla così detta “Rivoluzione scientifica”, che pone particolare
riguardo al metodo scientifico e cerca anche di acquisire nuove conoscenze in ambito astronomico e fisico. La
scienza del 600 considera la natura dotata di un ordine oggettivo e regolata da leggi ben precise. Alla scienza non
interessa più il perchè, ma il come. In seguito a questo nuovo pensiero, la letteratura subisce dei cambiamenti.
Durante il 600 il Barocco esalta la novità e l'invenzione; il Seicento conosce anche una corrente classicista che si
oppone all'arbitrio dell'immaginazione e rifiuta l'idea di arte come invenzione. L'arte, secondo il classicismo
Seicentesco deve rappresentare il vero, ciò che è regolato dalle leggi della natura.
I trattatisti del Seicento, in relazione al concetto di imitazione, evidenziano che bisogna emulare soprattutto
l'argutezza e l'ingegnosità del poeta. I valori di naturalezza, equilibrio e armonia del modello oraziano vengono
ripresi dallo studioso francese Nicolas Boileau, secondo il quale il testo deve essere chiaro, deve scorrere senza
costringere il lettore ad alcuna fatica.
La critica settecentesca applica la razionalità alla letteratura e alla storia e allarga i suoi confini alla società civile. I
processi interpretativi nel pensiero critico sono legati alla morale e ad una utilità educativa. La poesia dunque è
portatrice di verità essenziali e la letteratura,con la forza dei suoi miti, assolve ad un compito di educazione civile.
Un esempio di trattato del 700 è la Ragion Poetica del filosofo, giurista e letterato Vincenzo Gravina, il quale
sostiene che la poesia è in grado di incantare, di far sì che la finzione venga intesa come reale, ma solo
l'interpretazione permette di individuare il vero senso, al di là delle finzioni. Ricordiamo inolttre che nel 1690
Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni fondano a Roma l'Accademia dell'Arcadia ( il nome fa
riferimento alla regione dell'Arcadia, la patria mitica dei pastori-poeti, protagonisti della poesia bucolica) che non
era una semplice scuola che univa più letterati, ma un vero e proprio movimento letterario che si proponeva di
superare il cattivo gusto del Barocco che aveva caratterizzato il 600, per tornare alla tradizione classica.
Nei testi antichi troviamo commenti che provengono da mani diverse. Le annotazioni degli antichi riguardano in
genere questioni linguistiche, grammaticali,, filosofiche e religiose. Queste f orme di commento oggi prendono il
nome di “ edizioni critiche”. Importante è il commento filologico, che studia i commenti per ricostruirne la forma
originaria comparando le fonti e, utilizzando diverse metodologie, cerca di produrne un'interpretazione più
possibile fedele e corretta. Il lavoro critico riscontra delle difficoltà interpretative che possono dipendere dalla
distanza temporale tra il lettore e l'autore dell'opera e quindi potrà essere difficoltoso decifrare il linguaggio. L'arte
dell'interpretazione prende il nome di ermeneutica, che rimanda al mitodi Hermes, il messaggero degli dèi agli
uomini (che interpreta per loro). Gli antichi lessero i poemi omerici attraverso l'allegoria, cioè come racconti che
dovevano essere interpretati diversamente rispetto al loro significato apparente ( in ambito retorico l'allegoria è
una figura che racchiude un senso allusivo, diverso da quello logico che si evince dalle parole), un significato
carico di riferimenti morali. È nel Medioevo che l'ermeneutica assumerà un ruolo prioritario sviluppandosi come
esegesi biblica, vale a dire come spiegazione o allegorizzazione dei passi della Bibbia da parte delle scuole
rabbiniche e dei Padri della Chiesa, che pensavano esistesse un unico significato del testo divino. L'esegesi biblica
permette di accedere al mistero della parola divina e una prassi culturale che si diffonde all'interno di un mondo
che tende ad attribuire valori simbolicialle parole e alle cose. Il rapporto tra il testo e i significati sottostanti portò
alla definizione della così detta dottrina dei quattro sensi in base alla quale è possibile distinguere:
• un senso letterale, che non va oltre le parole del testo e trasmette alla lettera i riferimenti del testo al
mondo reale;
• un senso allegorico, che è nascosto nelle parole e va oltre il testo. Dietro la storia c'è un significato da
scoprire;
• un senso morale, relativo all'insegnamento etico, alle indicazioni sul comportamento che si celano dietro
le pagine scritte;
• un senso anagogico, che attraverso il senso letterale parla della realtà spirituale, di una prospettiva
salvifica (un esempio è dato dal salmo che parla dell'uscita del popolo di Israele dall'Egitto, che
rappresenta l'uscita da una condizione di peccato).
La diffusione della dottrina dei quattro sensinell'interpretazione e nell'esegesi medievale è dimostrata dal fatto che
viene sviluppata anche da Dario nel Convivio. Il titolo, dal latino “convivium” -banchetto-, allude alla volontà di
allestire un banchetto per i lettori che hanno desiderio di sapere e offrire loro delle vivande (vale a dire i commenti
esplicativi in prosa). Ricordiamo che nel Convivio Dante adotta la lingua volgare, che fu una scelta innovatrice
per un'opera filosofica, dettata dalla volontà di raggiungere un pubblico più vasto. Per questo motivo i testi sono
integrati dall'autocommento in prosa dell'autore che ne facilitano la comprensione.
Pur essendo l'uno l'allievo dell'altro,tra Platone ed Aristotele troviamo delle differenze di pensiero riguardo le loro
considerazioni sul testo.
Platone riprende in maniera sistematica la condanna ai poeti: essi producono delle “favole false”, limitandosi ad
imitare ciò che è già imitazione. La realtà sensibile secondo Platone infatti è imitazione delle Idee, modelli
archetipici della Verità. L'oggetto della filosofia non potranno essere dunque le cose mutevoli ed ingannevoli, di
quelle se ne occuperà la doxa (opinione), bensì dovrà occuparsi delle Idee, identità immutabili e perfette.
Aristotele, suo allievo, supera la concezione dell'arte come trascendenza e pura imitazione. Egli considera l'arte
legata all'immanenza e ritiene la creazione artistica come mimèsi del mondo (sua imitazione). La poesia dunque,
in quanto imitazione del vero, non è condannabile. Alla funzione mimetica della poesia Aristotele unisce altresì
quella catartica: la rappresentazione artistica (specialmente la tragedia) ha un effetto di cura sullo spettatore, lo
libera dalle passioni, suscitandole nel suo animo.
Lezione 003
La critica militante: la rivista “La Voce”.
Nel Settecento ebbero grande diffusione le riviste a sfondo culturale e letterario. La loro
storia è connessa alla rivoluzione industriale e all’affermarsi della borghesia come classe
sociale. Esse si affermano come strumento più efficace per la circolazione delle idee e vanno
incontro alle esigenze di un pubblico di lettori più ampio e più colto. All’inizio del Settecento, l’ambiente
londinese era ricco di ritrovi pubblici come caffè e circoli che vedevano nascere interessanti discussioni intorno ai
temi culturali e di attualità. I giornali periodici diventano gli organi ufficiosi di questi circoli. Frutto di una nuova
mentalità, sostituiscono il vecchio trattato e si fanno portavoce delle nuove correnti d'opinione che avranno un
importante ruolo a livello politico. Tra i più importanti citiamo ”The Spectator”, fondato dallo scrittore e
drammaturgo inglese Jospeph Addison e pubblicato dal 1 marzo 1711 al 6 dicembre 1712. Di esso furono
pubblicati un’ottantina di numeri nel 1714. Il giornale ebbe grande diffusione nel continente europeo ed anche in
Italia. “The Spectator” riesce ad arrivare alle famiglie e al pubblico femminile. Ben presto
diviene il giornale della borghesia, tradotto nel linguaggio della classe media, dà spazio
ai temi letterari, ma li tratta con un tono avvincente e accattivante e li inserisce all’interno delle questioni di
costume e moda. La novità assoluta è che il critico lavora non più per influenzare la produzione libraria sulla base
di modelli e precetti, ma assume un nuovo ruolo: quello di guidare il lettore nelle sue scelte. Secondo Addison,
inoltre, il critico guadagna autorevolezza assumendo le vesti di uno spettatore neutrale – da qui anche il nome del
suo giornale. Se il commentatore
interveniva sull’opera già pubblicata e il trattatista dava modelli da seguire, il nuovo
critico interagisce con i testi e segue gli sviluppi della letteratura.
Nel Settecento la stampa periodica si diffonde anche in Italia, e inizialmente si specializza su temi scientifici e
culturali. Ricordiamo ad esempio “L’Osservatore” e “La Gazzetta Veneta”.
Ben presto il giornale di Addison diviene un modello per l’Italia, dove tuttavia non viene accolta l’idea di
spettatore neutrale. Gli interventi dei critici sui periodici italiani infatti rappresentano delle vere e proprie prese di
posizione. In Italia diventano importanti due periodici in particolare, rivali tra loro, “La Frusta letteraria” e “Il
Caffè”.
LA FRUSTA “La Frusta letteraria” è la rivista quindicinale fondata da Giuseppe Baretti (1719-
1789) che inizia le sue pubblicazioni dal 1763 al 1765. Baretti scriveva con lo con lo pseudonimo di Aristarco
Scannabue, figura di vecchio bisbetico che si proponeva di utilizzare la frusta «addosso a tutti questi moderni
goffi e sciagurati, che vanno tutto dì scarabocchiando». Sin dalla scelta del suo pseudonimo è chiaro che la
volontà di Baretti è quella di schierarsi contro il gusto dominante.
“La Frusta” si schiera in particolar modo contro il mondo classicistico, quello dell’Arcadia, giudicando la sua
retorica ricca di «vezzi insulsi». Contrario agli stereotipi, i giudizi di Baretti si traducono spesso in correzioni
degli errori ricordiamo ad esempio che rimprovererà a Goldoni alcune imprecisioni nell’ambientazione. La
posizione di Baretti su Goldoni sarà oggetto di dibattito con Pietro Verri (1728-1797), fondatore de “Il Caffè”.
IL CAFFÈ Tra il 1764 e il 1766 viene pubblicato “Il Caffè”, il periodico di Milano fondato da Pietro Verri (1728-
1797), dal fratello Alessandro (1741-1816) e da altri intellettuali, tra i quali Cesare Beccaria (1738-1794), che si
raccoglievano attorno all’Accademia dei Pugni. “Il Caffè” era di fatto il foglio culturale dell’Illuminismo
lombardo, si ispirava ai periodici inglesi come “The Spectator” di Addison e “The Tatler” di Steel. Il suo nome
deriva da un immaginario caffettiere greco, di nome Demetrio, il cui caffè aveva il potere di scuotere anche gli
animi più assonnati. “Il Caffè aveva lo scopo di risvegliare intellettualmente, il cui programma è quello di scuotere
i pregiudizi letterari, sociali, scientifici, occupandosi di argomenti che vanno dall’economia alla storia naturale,
dalla medicina all’agronomia. Uno degli elementi di novità è certamente rappresentato dai temi di cui si
occupa,che lo differenziano dai periodici del tempo: il pubblico di riferimento. Come abbiamo già accennato, a
partire dalla metà del Settecento cambia la sociologia dei lettori e, da un pubblico di eruditi-colti grazie a uno
status acquisito sin dalla nascita, si sostituisce un pubblico di professionisti, che proviene dal ceto urbano e che è
formato da un’alta percentuale di donne. Lettori che dunque non chiedono recensioni erudite, ma vogliono
informarsi sulle mode, seguire il dibattito sulle arti ecc. Non interessano più i trattati, ma gli interventi su temi di
attualità e le riflessioni mondane.
Nel Settecento ebbero grande diffusione le riviste a sfondo culturale e letterario. La loro storia è connessa alla
rivoluzione industriale e all’affermarsi della borghesia come classe sociale. Esse si affermano come strumento più
efficace per la circolazione delle idee e vanno incontro alle esigenze di un pubblico di lettori più ampio e più
colto. Il moderno giornalismo saggistico nasce in Inghilterra, nel paese che per primo si avvia
all’industrializzazione.
All’inizio del Settecento, l’ambiente londinese era ricco di ritrovi pubblici come caffè e circoli che vedevano
nascere interessanti discussioni intorno ai temi culturali e di attualità. I giornali periodici diventano gli organi
ufficiosi di questi circoli. Tra i più importanti citiamo ”The Spectator”. Fondato dallo scrittore e drammaturgo
inglese Jospeph Addison e pubblicato dal 1 marzo 1711 al 6 dicembre 1712. Di esso furono pubblicati
un’ottantina di numeri nel 1714. Il giornale ebbe grande diffusione nel continente europeo ed anche in Italia.
“The Spectator” riesce ad arrivare alle famiglie e al pubblico femminile. Ben presto diviene il giornale della
borghesia. Tradotto nel linguaggio della classe media, dà spazio ai temi letterari ma li tratta con un tono
avvincente e accattivante e li inserisce all’interno delle questioni di costume e moda. La novità assoluta è che il
critico lavora non più per influenzare la produzione libraria sulla base di modelli e precetti, ma assume un nuovo
ruolo: quello di guidare il lettore nelle sue scelte. Secondo Addison, inoltre, il critico guadagnava autorevolezza
assumendo le vesti di uno spettatore neutrale – da qui anche il nome del suo giornale. Se il commentatore
interveniva sull’opera già pubblicata e il trattatista dava modelli da seguire, il nuovo critico interagisce con i testi
e segue gli sviluppi della letteratura. Certamente i “modelli” non vengono abbandonati, soprattutto se si considera
il gusto per il classicismo che caratterizza il Settecento.Nel Settecento la stampa periodica si diffonde anche in
Italia, e inizialmente si specializza su temi scientifici e culturali, ricordiamo ad esempio “L’Osservatore” e “La
Gazzetta Veneta”. Ben presto il giornale di Addison diviene un modello per l’Italia, dove tuttavia non viene
accolta l’idea di spettatore neutrale, infatti gli interventi dei critici sui periodici rappresentano delle vere e proprie
prese di posizione. In Italia diventano importanti due periodici in particolare, che saranno tra l’altro rivali tra loro,
“La Frusta letteraria” e “Il Caffè”.
Lezione 004
Il romanticismo e le riflessioni sulla produzione letteraria e artistica
Il romanticismo si sviluppò in Germania tra il Settecento e l’Ottocento, per poi diffondersi in tutta Europa.
Nonostante le cause del suo sviluppo fossero sociali, religiose e artistiche , il romanticismo ebbe una struttura
organica. Si contrappone rispetto ai valori dell’Illuminismo: i romantici infatti contrappongono alla ragione la
forza del sentimento, esaltando l’io, nei suoi aspetti più intimi e più oscuri da cui ne deriva una spiritualità
angosciata e in continua tensione. Il movimento romantico rifiuta innanzitutto l’imitazione dei classici e
l’obbedienza ad un codice di regole precostituite. Si afferma una concezione del poeta che valorizza
l’individualità, quindi l’estro e l’originalità dell’artista il carattere storico del reale, diversamente da quanto
avveniva nelle poetiche classicistiche. Si dà inoltre spazio alla sperimentazione letteraria.L’ideale, la bellezza e i
modelli vengono sostituiti da natura, espressione, originalità e genio. L’atteggiamento nei confronti della natura
cambia: da una natura regolata da leggi razionali, si contrappone un insieme complesso e caotico di fenomeni
animato da forze oscure e misteriose , non riconoscibili mediante la ragione. Il Romanticismo è espressione di una
sensibilità nuova, che ha per oggetto una inedita
idea di bellezza, che si esprime nella vita e nella natura. In questo rapporto intimo con la natura, l’artista riveste un
ruolo centrale, poiché con la sua opera è in grado di risvegliare un senso comune che lo mette in relazione con il
mondo, che lo lega e lo collega al mondo. L’artista romantico assume le caratteristiche di un demiurgo, un
mediatore tra umano e divino, tra finito e infinito, tra reale e ideale.
Madame de Staël (1766-1817), privilegia l’aspetto affettivo e sottolinea l’importanza di entrare in comunione con
lo stato psicologico degli autori e con il loro senso religioso per riuscire a comprenderli. Nel suo saggio del 1800
“Della letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali, 1803” segna la nascita della letteratura
sociologica. La studiosa indaga il legame tra l'indole di un popolo e la sua produzione letteraria. Madame de Staël
non considera la letteratura solo sul piano spirituale, ma la mette in relazione con le istituzioni, i sistemi politici e
la religione. Con “De l'Allemagne” (1810, La Germania), introduce una distinzione fra letterature del nord e del
sud sulla base delle connessioni fra clima, società, espressione letteraria ed artistica: le ragioni storico-climatiche
fanno sì che i popoli del nord sviluppino una sensibilità romantica, malinconica e tormentata, mentre quelli del
sud siano più equilibrati e dunque classici. De Staël esalta inoltre la spontaneità dei romantici e la loro capacità di
imitare la natura. Prende di mira il mondo classicista italiano, particolarmente influenzato dal potere religioso,
che dimostra una scarsa conoscenza degli autori stranieri. Il critico in questo periodo è consapevole del fatto che
per il romanticismo la natura coincide con i sentimenti dell’artista e che non esistono verità, ma solo illusioni e
immaginazione.
Lezione 005
Spiegare la teoria di Hippolyte Taine
COME LA 4
L’incontro tra scienza e critica e l’applicazione delle “scienze positive” alla letteratura
trovano una sistematizzazione negli studi del francese Hippolyte Taine,esponente del
positivismo sociologico e critico storicista e teorico del naturalismo. I principi del metodo critico di Taine
affermano che bisogna porsi nei confronti dell'opera d'arte indagandone innanzitutto le cause, come se si trattasse
di fatti. L'opera d'arte non è frutto del caso, ma, in quanto fatto storico, è il risultato di una serie di fattori. Bisogna
innanzitutto contestualizzarla storicamente, per poi metterla in relazione alle opere dello stesso autore, alla scuola
a cui fa riferimento, al gusto e all'epoca a cui appartiene.
Ricorrendo a un paragone con la botanica, Taine afferma che, come una pianta nasce in
un dato territorio a seconda del clima, così la nascita di un'opera d'arte dipende dalla "temperatura morale", ossia
dallo spirito e dalla cultura di una data epoca.
Hippolyte Taine, esponente del positivismo sociologico, studia l’incontro tra scienza e critica. L’opera d’arte, per
lui, è il frutto di una serie di fattori e occorre contestualizzarla storicamente, metterla in relazione con le opere
dello stesso autore, alla scuola a cui fa riferimento, al gusto e alla cultura dell’epoca a cui appartiene. Ricorrendo a
un paragone con la botanica, Taine afferma che come una pianta nasce in un dato territorio a seconda del clima,
così la nascita di un'opera d'arte dipende dalla "temperatura morale", ossia dallo spirito e dalla cultura di una data
epoca. Taine individua dei caratteri dominanti che potrebbero diventare dei modelli a cui ispirarsi. Il compito del
critico è quello di partire da un’osservazione di tipo storico. La teoria di Taine afferma che l’opera d’arte è il
risultato di condizionamenti riconducibili essenzialmente a tre fattori: la razza, l’ambiente sociale e il momento
storico in cui si trova l’artista. La razza ( “race”) fa riferimento all’insieme dei
caratteri psichici ereditati da un determinato popolo, sentimenti, idee e peculiarità dello
spirito. L’ambiente ("milieu") è dato dalle condizioni storico-ambientali, a partire dalle differenze climatiche. Il
momento ("moment") evidenza che anche le circostanze sociopolitiche che influenzano un popolo e di
conseguenza la produzione artistica. Si può affermare che il clima, la situazione economica-geografica, quella
socio-politica sono le condizioni che in ambito artistico spiegano le variazioni stilistiche, i caratteri delle singole
opere e le differenze tra le varie scuole. Il giudizio di valore sull’opera risiede sulle riflessioni relative al carattere
dominante. Per ogni epoca vengono individuati dei “caratteri dominanti” all’interno della letteratura, caratteri che
riescono ad affermarsi più di altri e che quindi potrebbero diventare dei modelli a cui ispirarsi. Vengono
considerate di maggior valore le opere che riescono a cogliere i caratteri più estesi nello spazio e nel tempo, che
non sono solamente una moda passeggera, in modo da acquisire la capacità di avvicinarsi al mito di eternità
dell'arte.
Per il Positivismo lo studio della letteratura e delle arti doveva essere intrapreso con il metodo scientifico, cioè
prevedere lo studio delle fonti bibliografiche, delle biografie, l’erudizione filologica ecc. Col Positivismo ogni
aspetto dell'esistenza, compresa l'arte,viene ricondotto all'ambito delle scienze naturali. Il positivismo sfocia in un
vero e proprio culto sfrenato della scienza e della tecnica, che presuppone quindi un rifiuto delle visioni di tipo
metafisico, idealistico, religioso. La scienza diventa il modo di spiegare la realtà e di conoscerla .In ambito
filologico il metodo stemmatico teorizzato da Lachmann è uno strumento per la pubblicazione dell'edizione critica
di un testo in cui si ricostruisce la genealogia e si comparano i codici al fine di arrivare alla
versione originale. Le ricerche che si ispirano alla scienza riguardano gli studi sulla fortuna degli autori,
ilconfronto delle fonti, l’analisi delle varianti e delle correzioni dei testi. I dati vengono
raccolti in maniera minuziosa e i problemi risolti su base empirica. Ricordiamo a tal proposito il critico
Alessandro D'Ancona, che utilizza la metodologia scientifica per analizzare il contesto storico e culturale in cui
nascono i fenomeni letterari. In particolare si concentrerà sull'origine del teatro, analizzando le varie forme teatrali
praticate in Italia dopo l'unificazione nel testo “Le origini del teatro in Italia. Studi sulle sacre rappresentazioni
seguiti da un'appendice sulle rappresentazioni del contado toscano “-1877-
Lezione 006
Freud e Jung : opere letterarie e aspetti psicologici
La critica psicanalitica, si concentra sull'inconscio dell'autore, del personaggio, dell'opera o del lettore e deve la
sua nascita alle teorie di Sigmund Freud (1856-1939) che vengono utilizzate dai critici per interpretare i testi
letterari . Le sue teorie sull'inconscio vengono applicate all'artista per indagarne le connessioni con la sua attività
creativa. In seguito Freud si concentrerà sugli aspetti formali (elementi testuali) che rivelano, ad esempio, una
censura delle pulsioni. Porrà l'accento sulla soggettività dell'IO. Ne “Il delirio e sogni nella gradiva di Wilhelm
Jensen” Freud evidenzia come un'opera di immaginazioni possa raccontare i meccanismi della psiche umana e
descrivere l'inconscio attraverso il sogno. Con “L'Interpretazione dei Sogni” e “Il Sogno” abbiamo invece
un'indagine dell'attività onirica, in base al quale un contenuto non manifesto - latente - che la coscienza non
accetta e non riconosce, viene mascherato da un contenuto manifesto del sogno.
“Il Poeta e la Fantasia” è una spiegazione dell'attività creativa da un punto di vista psicanalitico.
L'attività visionaria del poeta, espresso nella forma letteraria, produce lo stesso godimento
che il bambino trae dal gioco. In “Totem e Tabù” il poeta sogna a occhi aperti e, attraverso l'arte, dà corpo alle sue
fantasie, producendo un godimento formale definito "premio di seduzione".
Lo psicologo e psicanalista Carl Gustav Jung si dichiara in disaccordo verso questa
attenzione eccessiva per le patologie degli scrittori che venivano ricostruite a partire dalle
loro opere .Secondo Jung il compito della psicologia non è certo quello di spiegare il mistero della creatività.
Bisogna inoltre distinguere l’analisi psicologica dell’opera dall’analisi letteraria dell’opera stessa.Secondo Carl
Gustav Jung, è possibile tracciare la psicologia dell'artista nella sua
opera, ma essa non spiega l'essenza dell'opera d'arte. Egli distingue tra "inconscio collettivo" e "subconscio
personale", costituito dalla totalità degli avvenimenti psichici che potrebbero essere coscienti ma che, per la loro
incompatibilità, sono stati rimossi. Pone l'accento sulla dimensione dell'inconscio collettivo. La vera fonte
dell’opera per Jung è l'inconscio collettivo, inteso come insieme delle immagini simboliche, primordiali e
archetipiche che scaturiscono dall'esperienza di tutte le generazioni passate . L'arte si eleva al di sopra di ciò che è
personale. “Psicologia analitica e arte poetica”, Psicologia e Poesia” : Il compito della psicologia non è quello di
spiegare il mistero della creatività e bisogna distinguere l'analisi psicologica dell'opera dall'analisi letteraria
dell'opera stessa.
Aspetti psicologici e critica letteraria
La critica letteraria ha spesso avuto uno sfondo psicologico, in cui ci si concentrava molto
più sulla psicologia dell'autore, sulla ricostruzione del suo carattere e sulla
sua biografia, che sull'opera stessa. Con la nascita della psicanalisi i critici concordano
che, nello studio delle opere letterarie, sia necessario integrare i dati della psicologia
tradizionale, andando oltre la coscienza, concentrandosi sull'inconscio - dell'autore, del
personaggio, dell'opera o del lettore. Ciò deve la sua nascita alle teorie di Sigmund Freud
(1856-1939) che vengono utilizzate dai critici per interpretare i testi letterari. La psicocritica è un approccio
complementare alla critica, uno strumento utile per accrescere la comprensione dei testi mettendo in evidenza
nuovi elementi e nuove relazioni.
Psicanalisi e letteratura
Molti critici letterari, che dagli anni Settanta a oggi hanno utilizzato le teorie psicanalitiche seguendo Lacan,
coniugano psicanalisi e linguistica. La psicanalisi convive con le teorie linguistiche nei lavori di Orlando. Agosti
unisce invece psicanalisi e semiologia, elaborando una tesi sull'autonomia del linguaggio poetico. Riflette
sull'omologazione tra il linguaggio dell'inconscio e il linguaggio poetico. Serpieri propone di integrare la
psicanalisi ad altre discipline (semiotica, strutturalismo, critica generativa, ermeneutica, etc) al fine di cogliere
l'immaginario testuale.
Gionaola abbraccia le teorie di Freud, ribadendo il legame tra vita e opere dello scrittore.
Fornari pone l'accento sul ruolo del lettore: è dalla transazione tra i desideri dell'artista e i
desideri del lettore che nasce l'opera.
La critica italiana eredita il pregiudizio di Croce nei confronti della psicanalisi. Debenedetti
fu uno dei primi a utilizzare le teorie di Freud e Jung, pur tuttavia non assumendo posizioni radicali. Nei suoi
saggi i riferimenti al metodo psicanalitico hanno la forma di citazioni, analogie e accostamenti. Il suo obbiettivo è
di ricostruire la psicologia dell'autore al fine di spiegarne l'opera. Saba e Svevo sono tra gli autori più studiati con i
metodi psicanalitici. Successivamente Lavagetto, allievo di Debenedetti, evidenziando la fallibilità dei metodi
scientifici, propone una ridefinizione dei principi che guidano la critica, ed un ritorno a una modalità di
conoscenza di tipo dialogico, fatta di dubbi e approssimazioni.
LEZIONE 7
La critica marxista lukacs e la teoria estetica del nonostante che
Lukács, interessato alla letteratura realistica dell’Ottocento, riconosce il valore dell’opera di Balzac, sicuramente
lontano dalle idee progressiste, così come la grandezza dell’arte di Tolstoj che, per le sue tendenze reazionarie, in
Russia fu al centro di accanite discussioni nel periodo post- rivoluzionario.
Accade dunque che autori come Balzac e Tolstoj vengano considerati progressisti
nonostante abbiano delle idee reazionarie, proprio perché sono stati in grado di restituire
in maniera particolarmente efficace il quadro della società dell’Ottocento, la sua realtà
economica e le sue contraddizioni di classe. Il giudizio sull’arte di uno scrittore, dunque, non deve essere confuso
con il giudizio sull’ideologia che professa. Lukács considera il romanzo l’oggetto di studio per eccellenza, e crede
che l’arte debba essere essenzialmente realistica. Il realismo di cui parla Lukács non ha nulla a che vedere con il
naturalismo (che vuole fotografare la realtà), non è una fedele riproduzione della realtà, ma è piuttosto una
capacità di “tipizzazione”: il
ritratto di uno spaccato sociale che troviamo in un romanzo è frutto di una scelta
creatrice basata sulla messa in scena di alcuni elementi tipici che insieme sono in
grado di restituire in maniera profonda un determinato periodo storico o una determinata situazione sociale.
La critica marxista studia la letteratura alla luce dei suoi rapporti con la dimensione
economico-sociale. E’ necessario introdurre il concetto di materialismo storico: le forze motrici della storia non
hanno una natura spirituale (religioni, filosofia, politica), ma una
natura materiale – sono infatti le forze di produzione (forza lavoro, strumenti di
produzione, modo di produzione) – e i rapporti di produzione (regolamentazione sociale e
giuridica dei rapporti di lavoro) che caratterizzano un’epoca. Queste due forze costituiscono la struttura della
società. La sovrastruttura è costituita da tutti gli altri aspetti della vita sociale (religione, cultura, politica etc), che
sono determinati dalla struttura economica. Il materialismo storico analizza l'uomo della sua dimensione storica e
sociale. E' una critica storicistica: l'arte non viene concepita al di fuori o al di sopra della storie, ma tra il suo
valore universale proprio dall'essere un fatto storico. Struttura e sovrastruttura sono fortemente interrelate, e l’arte
– così come la politica, la religione, e le altre manifestazioni spirituali dell’uomo – diventa l’espressione della base
socio-economica da cui deriva, riflette cioè i rapporti socio-economici restituendo
un’immagine definita mistificante poiché prodotta dalla «falsa coscienza» dell'ideologia
borghese. La letteratura deve utilizzare le sue potenzialità di denuncia per risvegliare le coscienze degli uomini e
portarli alla mobilitazione. Per Marx le ideologie sono sistemi di idee particolari e relativi (valori, norme etiche,
concezioni della natura, dell’uomo o della divinità ecc.) che invece si
presentano come assoluti, ciò vuol dire che queste idee vengono elaborate con l’intento di spiegare la realtà, ma
finiscono per riflettere gli interessi e la mentalità di coloro che le hanno prodotte. Le ideologie, dunque, sarebbero
usate dalle classi dominanti come strumenti per esercitare la propria egemonia sulla cultura, per presentare la
propria visione della realtà come vera e necessaria.
La critica marxista è una critica strumentale: non è interessata a esprimere un giudizio
di valore sull’opera, ma si concentra sul fatto che l’arte contribuisce a diffondere e radicare le idee della classe
dominante.
Lukàcs si oppone agli artisti non-realisti come Flaubert, di naturalisti come Zola e a tutta
l'arte decadente del '900. La sua idea di realismo è legata alla capacità di narrare, che si contrappone al puro
descrivere. Ritiene che l'arte debba saldarsi al processo storico, ossia deve rispecchiare la realtà, pur in piena
autonomia e libertà. Il romanzo è l'oggetto di studio per eccellenza e crede che l'arte debba essere essenzialmente
realistica. Il realismo di Lukàcs non ha nulla a che vedere con il
naturalismo (che vuole fotografare la realtà); non è una fedele riproduzione della realtà,
ma è piuttosto una capacità di tipizzazione: il ritratto di uno spaccato sociale che troviamo
in un romanzo è frutto di una scelta creatrice basata sulla messa in scena di alcuni
elementi tipici che sono in grado di restituire in maniera profonda in determinato periodo
storico o una determinata situazione sociale.
Poiché l’arte contribuisce a diffondere le idee dominanti, secondo Marx bisogna impegnarsi per cambiare queste
idee. Nella prospettiva marxista, dunque, l’arte deve essere realistica, non simbolista o introspettiva, deve cioè
rispecchiare la realtà, ma allo stesso tempo prefigurare una società ideale ricreando immaginari e modelli che
possano essere riprodotti nella vita reale.
Engels pone una particolare attenzione al romanzo moderno che rappresenta pienamente
gli idoli e i feticci (il denaro, la merce) della società borghese, racconta degli scontri per la
conquista del potere economico, e riflette le tensioni del capitalismo. La mimesis aristotelica, vale a dire l’idea
dell’arte come imitazione della natura, per il marxismo deve tradursi in un realismo che rappresenta caratteri tipici
in circostanze tipiche. Tuttavia un’autentica critica marxista è consapevole del fatto che le opere possono anche
smentire l’ideologia dichiarata nell’autore, come avviene nel caso di Balzac, conservatore e reazionario ma,
secondo Marx, grande osservatore e narratore, capace di una profonda comprensione dei rapporti reali.
Lezione 8
Gramsci : l’intellettuale organico e l’egemonia
La teoria della letteratura di orientamento marxista in Italia è legata soprattutto alla figura
di Antonio Gramsci (1891- 1937), critico letterario, ma anche politico, filosofo e giornalista. Egli distingue tra
intellettuali tradizionali, che si concepiscono come indipendenti dal mondo della produzione, e intellettuali
organici. È nei Quaderni dal carcere che viene teorizzata una vera e propria trasformazione del critico in
intellettuale “organico”, vale a dire organicamente legato al ceto sociale emergente e con una funzione ideologica
e culturale. Gli intellettuali organici alla classe rivoluzionaria, dunque, non sono visti da Gramsci come semplici
quadri di partito, ma come pensatori capaci di influenzare le abitudini, la moralità, e il pensiero dei gruppi e dei
singoli individui. L’impegno del critico, dunque, è innanzitutto politico: gli intellettuali devono collaborare
insieme per far sì che si sviluppi la consapevolezza rivoluzionaria. Il concetto di egemonia si fonda sul potere di
persuasione, la capacità di conquistare l'adesione a un determinato progetto culturale o politico agendo sul piano
sovrastrutturale (filosofico,culturale, etc). L'intellettuale organico vuole elaborare e diffondere una nuova
concezione del mondo, capace di trasformare la società.
Critica marxista e la scuola di Francoforte
Il tema del rapporto tra opera d’arte e società è centrale nella linea marxista della
Scuola di Francoforte, una scuola di filosofia sociale e di ricerche sociologiche nata nel 1923 sul Meno, e che
continua la sua attività fino agli anni Settanta. Tra i suoi maggiori esponenti ricordiamo intellettuali come
Adorno,Pollock, Horkheimer, Marcuse, Fromm, e Benjamin. La Scuola di Francoforte sviluppa un'idea di
letteratura che parte da premesse analoghe a quelle della tradizione marxista: la letteratura deve influire sui
mutamenti storico-sociali, porsi in maniera critica nei confronti del mondo tecnico-industriale moderno ( che
relega l'essere umano in condizioni di infelicità e asservimento) e promuovere una società di uomini liberi.
Il filosofo, critico e sociologo tedesco Walter Benjamin (1892-1940), che interpreta in maniera personale le teorie
marxiste, si concentra sulle avanguardie e sui fenomeni artistici nella moderna società di massa, conducendo i suoi
studi dapprima a Francoforte e, dopo l’avvento del nazismo, a Parigi. Per Benjamin l’avanguardia rappresenta il
compimento delle trasformazioni subite dall’arte e dalla sensibilità estetica nella modernità. Benjamin esamina il
passaggio dall’opera d’arte tradizionale , considerata un oggetto unico e irripetibile , alle forme moderne di
espressione artistica. Benjamin spiega che la riproducibilità tecnica ha come conseguenze per l'arte la "perdita
dell'”aura". L'aura è la sensazione estetica suscitata nello spettatore dalla presenza materiale dell'esemplare
originale, è l'alone di fascino e mistero che avvolge la singola opera di un artista, le
conferisce un valore quasi religioso, la offre al fruitore come un oggetto di culto. Con
l'avvento della società di massa, vengono meno l'aura e la culturalità dell'opera poiché,
mettendo l'opera sullo stesso piano dia qualsiasi altra merce tramite l'esposizione, ne
oscura la specificità estetica.
Il tema del rapporto tra opera d’arte e società è centrale nella linea marxista della
Scuola di Francoforte, una scuola di filosofia sociale e di ricerche sociologiche nata nel 1923 sul Meno, e che
continua la sua attività fino agli anni Settanta. Tra i suoi maggiori esponenti ricordiamo intellettuali come
Adorno,Pollock, Horkheimer, Marcuse, Fromm, e Benjamin. Il filosofo, critico e sociologo tedesco Walter
Benjamin (1892-1940), che interpreta in maniera personale le teorie marxiste, si concentra sulle avanguardie e sui
fenomeni artistici nella moderna società di massa, conducendo i suoi studi dapprima a Francoforte e, dopo
l’avvento del nazismo, a Parigi. Per Benjamin l’avanguardia rappresenta il compimento delle trasformazioni
subite dall’arte e dalla sensibilità estetica nella modernità. Benjamin esamina il passaggio dall’opera d’arte
tradizionale , considerata un oggetto unico e irripetibile , alle forme moderne di espressione artistica.Benjamin
spiega che la riproducibilità tecnica ha come conseguenze per l'arte la "perdita dell'”aura". L'aura è la sensazione
estetica suscitata nello spettatore dalla presenza materiale dell'esemplare originale, è l'alone di fascino e mistero
che avvolge la singola opera di un artista, le
conferisce un valore quasi religioso, la offre al fruitore come un oggetto di culto. Con
l'avvento della società di massa, vengono meno l'aura e la culturalità dell'opera poiché,
mettendo l'opera sullo stesso piano dia qualsiasi altra merce tramite l'esposizione, ne
oscura la specificità estetica.
LEZIONE 9
La critica militante del dopoguerra : la rivista “IL VERRI” e i critici-scrittori
La storia della critica militante è una storia di autori, di riviste, delle poetiche e dei
movimenti letterari e si contraddistingue per il suo impegno politico. La rivista "Il Verri", fondata da Anceschi, si
interessa al Barocco, alla poesia dello '800 e del '900 ed è vicina alla neoavanguardia della poesia italiana degli
anni '60, in particolar modo al Gruppo '63, movimento letterario neoavangardista che raccoglie scrittori, poeti,
critici e intellettuali desiderosi di rinnovare gli schemi stilistici e di contenuto della poesia e della prosa
tradizionali. La critica di uno scrittore o di un poeta è sempre collegata alla sua poetica personale, dunque lo
scrittore critico è anche sempre critico di sé stesso e il suo approccio critico è strettamente legato alla sua opera
creativa.
Ricordiamo - Le riflessioni proposte da Pirandello in Teatro vecchio e nuovo (argomento di una conferenza tenuta
a Venezia nel 1922 poi pubblicato in Comoedia nel 1923) o al saggio L’umorismo (1908), ad esempio, sono
certamente imprescindibili dalla sua poetica. -La critica di Ungaretti (1888 - 1970) è molto improntata sulla
storicizzazione -La La critica di Montale, militante e giornalistica -La ricognizione sulla tradizione del romanzo
del Novecento proposta da Gadda (1893-
1973), che compone una visione asistematica del romanzo (parla del «caos del romanzo»)
analizzando i suoi predecessori e gli scrittori a lui contemporanei come Riccardo Bacchelli
(1891-1985). Un altro critico-scrittore della seconda metà del Novecento è Tommaso Landolfi
(1908-1979) che nella sua raccolta di recensioni Gogol a Roma (1971) si concentra
su artisti russi e francesi (Nerval, Proust, Cechov, Beckett, Claudel, Van Gogh,
Tolstoj) riflettendo, con tono spesso polemico, sulle linee sperimentali della
narrativa del Novecento. La critica dei poeti negli anni centrali del Novecento è incentrata sulle teorie formaliste,
semio-strutturaliste, psicanalitiche, sociologiche ecc. In questi anni,
infatti, la critica riflette molto sulla natura materiale e simbolica del linguaggio
letterario. La nuova critica militante, dunque, non è solo ideologica, ma prende posizione nei
confronti dello strutturalismo e della sperimentazione dei nuovi linguaggi, delle forme
letterarie e della rappresentazione della realtà.
LEZIONE 10
Pensiero narrativo e narratività
LEZIONE 11
Formalismo e strutturalismo linguistico
Il Formalismo è la scuola letteraria affermatasi in Russia tra 1914 e il 1915 e fiorita fino al 1930 che influì
notevolmente sulle correnti critiche posteriori . Ha avuto il merito mettere in comunicazione linguistica e critica
producendo fertili contaminazioni per entrambe le discipline. I fomalisti considerano la forma come principio di
organizzazione di un testo letterario. L’opera viene concepita come un sistema nel quale tutti gli elementi sono
correlati tra di loro. Ogni elemento trova il suo stato teorico in funzione al ruolo che svolge. Essi introducono il
concetto di letterarietà , cioè attribuiscono al linguaggio il ruolo centrale dell’interpretazione di un testo letterario.I
formalisti erano interessati a capire il funzionamento interno di un testo. Il loro punto di vista, dunque, è
essenzialmente antistoricista, poiché considerano l’opera in sé, nella sua dimensione di prodotto letterario. I
formalisti indagano le caratteristiche critico-formali della prosa e della poesia, i criteri
distintivi del linguaggio nei diversi generi letterari. Non esprimo un giudizio di valore sul testo, ma vogliono
spiegarne i processi di funzionamento, dunque si occupano di come è fatto un testo. Prima di allora nessun filone
critico aveva posto attenzione allo studio dei meccanismi tecnici che sono alla base della costruzione di una
narrazione. I formalisti sono influenzati dalla lezione di Ferdinand de Saussure con il suo Corso di linguistica
generale pubblicato postumo nel 1916. Sono i primi a considerare l’arte e la letteratura come prodotto di una
convenzione. . Il metodo dei formalisti russi ha rinnovato l’impostazione dell’approccio ai testi influenzando i
modelli critici fino ai nostri giorni.
Lo strutturalismo linguistico, è la teoria e il metodo delle scuole e correnti elaborate
sulla base teorica del linguista svizzero Ferdinand de Saussur, che ha influenzato importanti scuole linguistiche del
XX secolo (circolo di Praga e circolo di Copenaghen) Lo strutturalismo può essere definito come quella teoria
europea metodologica che vede qualsiasi oggetto di studio come una struttura , i cui elementi non hanno valore
autonomo ma lo assumono nelle relazioni oppositive e distintive in relazione agli elementi dell’insieme. Esso
tiene conto dell’interdipendenza.
La linguistica di Saussure è considerata dagli studiosi la base dello strutturalismo europeo. Egli è considerato il
padre della linguistica moderna.
LEZIONE 12
Il principio di straniamento e il concetto di dominante secondo i formalisti russi.
Lo straniamento nel linguaggio poetico è un artificio che interrompe l’automatismo della percezione
dell'interprete, che si trova spaesato. E’ come una “violazione dell'automatismo”, come la capacità di presentare
un oggetto abituale come se fosse visto per la prima volta, quasi in una visione
infantile,rompendo così la catena percettiva che è nemica dell’arte. Per i formalisti russi il linguaggio letterario è
essenzialmente diverso da qualsiasi altro linguaggio perché, a differenza di questi, non ha alcuna funzione pratica.
La letteratura viene dunque considerata come un linguaggio che serve semplicemente a farci vedere le cose con
occhi diversi, e riesce a farlo grazie a tecniche stilistiche e strutturali precise. Roman Jakobson ha definito il
concetto di dominante come «componente chiave di un'opera d'arte, che regola, determina e trasforma gli altri
elementi».
Jakobson evidenzia che ogni poetica è legata a un periodo storico, e che ogni periodo
storico possiede un proprio elemento dominante che deriva da un sistema non letterario. Ad esempio, la
componente dominante della poesia rinascimentale sarebbe derivata dalle arti visive; quella della poesia romantica
dalla musica; quella del realismo dall'arte verbale.
LEZIONE 13
Differenza tra fabula e intreccio e la distinzione tra temi e motivi secondo i
formalisti.
LEZIONE 14
Strutturalismo letterario in Europa : Jakobson e la funzione poetica.
Le Tesi del Circolo linguistico di Praga, pubblicate nel 1929, segnano la nascita dello strutturalismo, inoltre
propongono una revisione delle teorie del primo formalismo, evidenziando in particolar modo la necessità di
storicizzare i problemi letterari, di analizzarli cioè non solo da una prospettiva sincronica, ma anche da una
prospettiva diacronica (storica), e sottolineando l’importanza della linguistica per gli storici della letteratura. Lo
strutturalismo letterario in Europa si sviluppa soprattutto grazie al saggio di Roman Jakobson (1896-1982)
Linguistica e Poetica che si dedica allo studio del linguaggio poetico. Secondo Jackobson la funzione poetica è
quella funzione basata sul messaggio che esalta l’elaborazione e la struttura. La funzione poetica non si ritrova
esclusivamente nella poesia ma emerge in ogni enunciato ricercato dal punto di vista stilistico che sia
esteticamente efficace.
Per Jakobson «[…] nel linguaggio poetico, per la scelta di un termine intervengono ragioni
che sono diverse rispetto a quelle che determinano la scelta delle parole nel linguaggio
comune, poiché è il messaggio stesso, con la sua strutturazione, a richiedere certe
opposizioni linguistiche piuttosto che altre, in base al ritmo, alle pause, agli accenti, alle
rime […]». Gli spot pubblicitari e molti messaggi promozionali si servono dei dispositivi
formali tipici del linguaggio poetico (uso di rime, scelte ritmiche, uso di
figure retoriche). Lo stesso Jakobson richiamava l’attenzione su uno slogan politico usato dal candidato
Eisenhower negli anni Cinquanta durante una campagna elettorale per le presidenziali americane. Lo slogan, che
era “I like Ike”, ebbe successo poiché la sua struttura era basata su una
allitterazione. L’allitterazione è una figura retorica che consiste nella ripetizione di lettere o sillabe, di solito
iniziali, di due o più vocaboli successivi. È la ripetizione di una stessa consonante o di una sillaba in parole vicine
(ad esempio la ripetizione della ‘c’ nel verso “e caddi come corpo morto cade” (Dante, Inferno, Canto V, v 142).
In “I like Ike” si succedono tre dittonghi /aI/ ciascuno dei quali è seguito da un suono consonantico). Lo slogan
tradotto significa “Mi piace Ike” (il
generale Dwight D. Eisenhower, infatti, era detto “Ike”). Come già precisato, la specificità di un messaggio non si
fonda sul monopolio di una determinata funzione, ma sulla sua importanza relativa. Possiamo dunque dire che nel
linguaggio poetico la funzione estetica è “in dominante”.
Lezione 15
Lo studio di Propp sulla morfologia della fiaba
Propp si dedica ad un lavoro di comparazione tra diverse fiabe russe di magia e dedusse
che, nonostante raccontassero storie diverse, seguivano lo stesso schema narrativo, presentando forme costanti, in
altre parole avevano una morfologia comune. L'analisi morfologica fatta da Propp dimostra che, nonostante i
personaggi della fiaba e i loro attributi possano essere diversi, le loro azioni e le loro funzioni sono riducibili a un
numero finito e rappresentano degli elementi costanti. Propp vuole ridurre la struttura della fiaba ai suoi elementi
essenziali e a uno schema preordinato. Da questo insieme ristretto di racconti Propp riesce a estrapolare un
modello generale. Il modello identificato è costituito dalla sequenza di sole 31 funzioni narrative. Ciascuna
funzione narrativa è la forma astratta o la tipologia di alcune azioni più specifiche. Propp preannuncia 4 tesi
fondamentali in merito:
1. Le funzioni dei personaggi sono le componenti essenziali della fiaba. La funzione è una
sequenza narrativa
2. Nel racconto di magia il numero delle funzioni è limitato. In totale le funzioni individuate
da Propp sono infatti solamente 31.
4. In alcune fiabe può mancare una funzione, ma non ci sono funzioni che ne escludono
altre.
Lezione 16
Indicare i caratteri dello strutturalismo e spiegare in che modo lo strutturalismo
ha influenzato la critica letteraria.
Lo strutturalismo non riguarda la sola teoria letteraria, ma è una metodologia che nel
Novecento si afferma nell’ambito di diverse discipline, ed è basato sul presupposto che «ogni oggetto di studio
costituisce una struttura, vale a dire un insieme organico e globale i cui gli elementi non hanno un valore
autonomo ma lo assumono nelle relazioni oppositive e distintive di ciascun elemento rispetto a tutti gli altri
elementi dell’insieme» (Treccani). Jakobson negli anni Cinquanta schematizza le sei funzioni comunicative. In
questo percorso, la prospettiva di analisi viene posta unicamente all'interno dell'opera letteraria. Con il termine
strutturalismo Jakobson accerta la letterarietà su basi linguistiche. I testi dovevano essere analizzati considerando i
tratti di superficie (il piano dell'espressione nella terminologia di Saussure) e quindi indagati per ricercare un
senso non visibile ( significato, il piano del contenuto). Il problema posto da Tynjanov della storia della letteratura
inoltre e l'influsso di molte altre tendenze scientifiche interessate all'analisi delle strutture (in particolare
l'antropologia) costituiscono l'incontro dal quale viene influenzata la critica letteraria del tempo.
La teoria narratologica si basa su presupposti molto simili alla teoria strutturalista del linguaggio: lo strutturalismo
linguistico segmenta il linguaggio individuando delle unità minime (elementi come fonemi, morfemi ecc.), allo
stesso modo la narratologia scompone il testo nelle sue parti costitutive (agenti, azioni, modalità ecc.) per
analizzare la sintassi narrativa. La narratologia, disciplina che si occupa dell’analisi del testo narrativo, riassume
in sé impostazioni e teorie nate in diversi ambiti, ma il cui denominatore comune è quello di individuare una
struttura profonda del testo. Gli studi
narratologici si concentrano sull’analisi delle forme e delle strutture della narrazione
recuperando e riformulando le teorie del formalismo russo così come le funzioni narrative
individuate da Propp nelle fiabe di magia russe.
Roland Barthes (1915-1980) è stato uno degli esponenti di spicco della Nouvelle Critique , ed è una figura di
primo piano all’interno del movimento strutturalista. Secondo Barthes la critica letteraria deve utilizzare intuizioni
e strumenti di altre scienze, in particolar modo della linguistica strutturale, della psicanalisi,della sociologia e
dell'etnologia. Per Barthes la semiologia è una parte della linguistica, poiché solo nel linguaggio è possibile
identificare i significati delle diverse forme di significazione (dal romanzo, al cinema alla pubblicità) all’interno
del contesto sociale e culturale. Barthes sistematizza la semiologia, intesa come “scienza dei segni”. Rispetto alla
critica classica,
che non aveva considerato debitamente il ruolo del lettore nello sviluppo di un testo,
Barthes dà molta importanza non tanto all’origine di un testo, ma al suo “destino”, questo
significa che, secondo Barthes, il critico non deve indagare le intenzioni dell’autore ma il
testo in quanto struttura che produce significato per qualcuno. L’analisi narrativa deve
individuare quali sono gli elementi linguistici mediante i quali i significati si manifestano al
lettore. Il compito del critico non è quello di definire una volta per tutte il significato del
testo, ma di ricostruirne i percorsi di senso, le modalità attraverso le quali si producono determinati significati
proprio a partire dagli elementi linguistici.
LEZIONE 17
Il modello attanziale di A. J. Greimas
Greimas vuole costruire un modello narrativo che possa spiegare ogni tipo di racconto,
riprendendo le funzioni di Propp le rielabora concentrandosi sui ruoli narrativi. Cosi propone il modello attanziale,
uno schema interpretativo applicabile a tutte le forme di narrazione. Questo modello descrive le relazioni fra sei
fondamentali ruoli narrativi che sono: il Soggetto (colui che compie l’azione), l’Oggetto (che è lo scopo
dell’azione), l’Aiutante (che aiuta il soggetto a raggiungere il suo scopo), l’Opponente (che ostacola il soggetto), il
Destinante (chi incarica l'eroe di compiere una certa impresa), Destinatario (a cui viene affidato alla fine
l’oggetto). Greimas parla di “attante” (Soggetto, Oggetto, Destinante, Destinatario, Aiutante, Oppositore) per
indicare dei tipi narrativi molto generali e astratti che non vanno confusi con i personaggi della narrazione. Gli
attanti sono ruoli narrativi astratti, tipi generali di personaggi agenti.
Sia Propp che Greimas si occupano dello studio della struttura del testo. Propp, dopo aver
effettuato uno studio su centinaia di fiabe di magia russe, è riuscito ad individuare alcuni
elementi costanti. Anche se le fiabe raccontano storie diverse, seguono uno stesso
schema narrativo. Anche se i personaggi sono diversi, le loro azioni e funzioni sono
riconducibili ad elementi costanti. Propp individua 31 funzioni, definendo la funzione come
componente essenziale della fiaba. La successione delle funzioni è sempre la stessa, ma
non tutte le fiabe le contengono tutte. Greimas riprendendo le funzioni individuate da
Propp, vuole costruire un modello narrativo che possa essere valido per ogni tipo di
racconto. Concentrandosi sui ruoli narrativi, propone il modello attenziale negli anni '70.
In questi anni il modello di Propp è stato molto studiato e ha aperto un acceso dibattito. Greimas (1917-1992)
individua una serie di limiti nel modello di Propp, innanzitutto il fatto che non può essere generalizzato, ma vale
solo per il genere specifico che intende descrivere e cioè la fiaba russa di magia. Il modello attenziale invece e’
uno schema interpretativo applicabile in tutte le forme di racconto. Questo modello descrive le relazioni fra sei
fondamentali ruoli narrativi che sono: il
Soggetto (colui che compie l’azione), l’Oggetto (che è lo scopo dell’azione), l’Aiutante
(che aiuta il soggetto a raggiungere il suo scopo), l’Opponente (che ostacola il soggetto),
il Destinante (chi incarica l'eroe di compiere una certa impresa), Destinatario (a cui viene
affidato alla fine l’oggetto).
Il testo viene rivisto da Greimas in funzione delle tre prove, all'interno delle quali ricorrono diverse funzioni.
Nella prova qualificante il soggetto acquisisce le competenze necessarie ad affrontare la prova decisiva o
principale, che verrà seguita dalla prova glorificante, in cui il Soggetto ottiene un riconoscimento per il suo
operato. La stuttura generale della fiaba viene dunque divisa come segue: rottura dell'ordine, prove e restaurazione
dell'ordine.
LEZIONE 18
Lo schema narrativo canonico di A. J. Greimas
Le Funzioni e i ruoli proppiani sono resi da Greimas più astratti e generali per
creare un modello che possa essere applicato non solo alla fiaba di magia ma
anche agli altri testi narrativi (mito, romanzo ecc.). Greimas sostituisce alle tre
prove («qualificante», «principale», «glorificante») un modello più generale, chiamato Schema Narrativo
Canonico, che può essere applicato a tutti gli universi narrativi. Lo Schema Narrativo Canonico descrive quattro
momenti della struttura di un racconto:
Possiamo spiegare con la fiaba di Cappuccetto rosso i momenti della sua struttura
attraverso il personaggio principale, cioè Cappuccetto rosso. La fiaba inizia con una manipolazione del Soggetto
infatti la madre vieta alla bambina di allontanarsi dal sentiero. Nel momento della COMPETENZA Cappuccetto
lascia la casa per andare in quella della nonna. Nella PERFORMANZA Cappuccetto non riesce a compiere la sua
avventura come una classica eroina . La SANZIONE sarà dunque negativa perché la nonna viene mangiata.
19 LEZIONE
A. J. Greimas: il percorso generativo del senso
LEZIONE 20
LOTMAN IL CONCETTO DI SEMIOSFERA
In Tipologia della cultura (1973), Lotman , studioso russo, afferma che lo spazio di un testo della cultura (es un
romanzo, un racconto o una raccolta di racconti, una poesia o una raccolta di poesie ad esempio) rappresenta
l’insieme universale degli elementi di una data cultura in quanto è modello del tutto. Negli anni '80 Lotman ha
individuato il concetto di semiosfera : un grande insieme formato da sottoinsiemi culturali ( concepiti come testi)
che vivono separati ma entrano in relazione. Come nella biosfera gli organismi vivono rapporti di dipendeza
reciproca, nella semiosfera i testi prodotti dalla cultura entrano in relazione tra loro e si trasformano. L’opera
letteraria nasce, dunque, da un’esplosione, una collisione di un modello con altre strutture culturali che permette
di introdurre il nuovo. Dunque l’opera letteraria non viene considerata un sistema isolato, ma il testo vive un
dialogo con gli altri testi e le altre forme culturali. Il dialogo dunque favorisce le trasformazioni. Quindi le
esplosioni vengono considerate alla base dello sviluppo dalla
cultura. Un esempio fatto da Lotman riguarda la cultura russa tra il XVIII e il XIX secolo,
quando la lingua francese si diffuse negli ambienti nobiliari avviando un processo di
francesizzazione. La lingua francese diventa parte integrale della cultura russa e questo fa nascere una specie di
lingua nuova che diventa autonoma.
Nella critica francese degli anni '60 ebbe un ruolo di spicco la rivista trimestrale "Tel Quel".
Rappresentava un punto di incontro per critici e poeti, prevalentemente Marxisti, che
erano impegnati nel radicale rinnovamento della critica letteraria e del concetto di letteratura. Trova spazio la
poetica d'avanguardia e una critica che crea legami con la filosofia, la psicanalisi, la semiologia e la politica. Per la
critica italiana ebbe un ruolo molto importante la rivista "Strumenti Critici". La critica italiana presentava idee
legate al formalismo, allo strutturalismo, alle tesi di Praga, alle teorie di Jakobson e alla nascente semiotica. La
differenza principale tra lo strutturalismo e la critica francese e quella italiana è che la Francia si basava su uno
schema universale per l’analisi di qualunque tipo di testo invece secondo i critici italiani questo approccio era
limitativo. Gli studiosi italiani, provenienti da una tradizione filologico-linguistica e di storicizzazione dei testi,
non consideravano la struttura un modello assoluto e consideravano maggiormente i dati della realtà sociale e
storica in cui si collocava l'esperienza letteraria. Tra gli studiosi principali italiani, Contini aveva affermato che è
impossibile utilizzare un modello generale della narratività, per i mutamenti di luoghi ed eventi. Secondo Cesare
Segre era importante conoscere il contesto storico-culturale in cui si colloca il testo. D’arco Silvio Avalle spiega la
differenza tra i due tipi di strutturalismo, sottolineando che gli italiani consideravano maggiormente i dati della
realtà storica e sociale in cui si colloca l'esperienza letteraria.
Lezione 21
Dal poststrutturalismo al decostruzionismo
LEZIONE 22
Evoluzione della critica tematica
In letteratura sono presenti temi che ricorrono e si ripetono nelle opere di uno stessoautore, ma anche in autori
diversi e in differenti contesti nazionali. L’analisi dei temi letterari è stata affrontata da varie correnti critiche,
ciascuna con i propri strumenti (la stilistica, lo strutturalismo ecc.) e negli ultimi tempi ha conosciuto una ripresa
soprattutto nell’ambito delle ricerche di carattere comparatistico. È nella prima metà dell’Ottocento che il
positivismo promuove lo sviluppo di questo tipo di approccio, diffuso soprattutto in Germania con il nome di
“Stoffgeschichte” (storia
dei temi). Ricordiamo in questo senso le ricerche comparatistiche di tipo folklorico che
mettono in luce la presenza e la frequenza di alcuni nuclei semantici significativi all’interno delle trame di miti e
leggende. Nella Poetica degli intrecci (1897-1906) Veselovskij (1838-1906) sostiene che l’intreccio è assimilabile
al tema e che i motivi risultano essere le unità indivisibili della narrazione.
La loro origine tedesca, il fatto che venissero identificati con il termine Stoffgeschichte, e
la loro impostazione positivistica sono stati elementi che hanno attirato numerose
critiche sugli studi tematologici, accusati di catalogare dati e fonti tematiche senza poi
avere gli strumenti per interpretarli. A partire dagli anni Trenta, la tematologia utilizza la psicanalisi per spiegare
la presenza di immagini ricorrenti all’interno di testi letterari molto diversi tra loro, in
particolar modo riprende le teorie di Carl Gustav Jung sugli archetipi dell’inconscio
collettivo (non troppo diversi dai motivi e i temi ancestrali). Gaston Bachelard (1884-1962) si concentra sui temi
archetipici anche attraverso le teorie junghiane, studiando ad esempio la rappresentazione dei quattro elementi
primordiali (acqua, aria, terra, fuoco) in rapporto ai sogni. Secondo Bachelard è innanzitutto la zona pre-riflessiva
della coscienza che produce immagini, e in cui si origina la rêverie, l’immaginazione fantastica La cosiddetta
psicocritica degli anni Sessanta, il metodo della critica letteraria elaborato dal francese C. Mauron (1899 – 1966),
a partire dalla nozione freudiana di inconscio, individua una serie di temi e motivi ricorrenti in un autore o in
un’opera, che rappresentano una rete di «metafore ossessive». Secondo J.P. Weber (1899-1966) la creazione
letteraria è la ripetizione di un unico tema, di un’immagine ossessiva che nasce da un ricordo d’infanzia custodito
nella memoria dello scrittore. J. Starobinski (1920-) precisa che non è sufficiente redigere un inventario dei temi
che fanno parte dell’immaginario di un autore, ma bisogna individuare il tema più rilevante. In Ritratto dell’artista
da saltimbanco (1970) lo studioso analizza la figura del clown (e figure simili come il saltimbanco, la ballerina e
l’acrobata), riflettendo sulla ricorrenza di quest’immagine nella letteratura e nella pittura tra Ottocento e
Novecento. Gli artisti, secondo Starobinski, ripropongono il tema del clownismo poiché riconoscono che la loro
condizione è per molti versi affine a quella del saltimbanco, una figura che può essere irriverente, ambigua e
creare scompiglio.
In letteratura sono presenti temi che ricorrono e si ripetono nelle opere di uno stesso autore, ma anche in autori
diversi e in differenti contesti nazionali. L’analisi dei temi letterari è stata affrontata da varie correnti critiche,
ciascuna con i propri strumenti (la stilistica, lo strutturalismo ecc.) e negli ultimi tempi ha conosciuto una ripresa
soprattutto nell’ambito delle ricerche di carattere comparatistico.
È nella prima metà dell’Ottocento che il positivismo promuove lo sviluppo di questo tipo
di approccio, diffuso soprattutto in Germania con il nome di “Stoffgeschichte” (storia
dei temi). Ricordiamo in questo senso le ricerche comparatistiche di tipo folklorico che
mettono in luce la presenza e la frequenza di alcuni nuclei semantici significativi
all’interno delle trame di miti e leggende.
Questi studi sul folclore (l’insieme delle manifestazioni della vita e della cultura popolare)
hanno indagato la ricorrenza e la migrazione dei temi nella letteratura popolare e orale,
mentre la letteratura comparata si è interessata alla trasmissione dei temi e dei miti nelle letterature moderne. I
filologi e linguisti tedeschi Jacob (1785 -1863) e Wilhelm (1786 -1859) Grimm, meglio noti come fratelli Grimm,
nei primi decenni del XIX secolo, avevano inaugurato un filone di ricerca basato sulla trasmissione dei temi
attraverso la letteratura popolare di tradizione orale e anonima. Si tratta appunto della Stoffgeschichte, vale a dire
la storia dei materiali e dei contenuti tematici nel loro passaggio da una tradizione all’altra. L’impostazione della
Stoffgeschichte viene ereditata dal filologo e medievalista francese Gaston Paris (1839-1903), che alla fine del
XIX secolo diviene il massimo rappresentante della letteratura comparata interessata alla genesi e alla
ricostruzione dei temi nelle letterature europee a partire dalla tradizione popolare.
LEZIONE 23
Spiegare quali sono le caratteristiche della critica stilistica facendo riferimento agli studiosi di cui si parla
nelle lezioni
La critica stilistica si fonda sul presupposto che i caratteri distintivi di un’opera siano lo
stile e la lingua, in altri termini rivolge l’attenzione alle scelte formali ed espressive
che caratterizzano un testo. L’attenzione all’opera in sé e alle sue caratteristiche interne, inaugurata dalla
rivoluzione linguistica saussuriana, è un elemento chiave della cosiddetta critica stilistica secondo la quale il
linguaggio letterario e quello poetico, oltre ad avere un valore informativo, hanno anche un sovrappiù di
significato. La stilistica antica aveva un carattere analitico e una finalità normativa, fissava cioè le regole del
discorso, l’uso appropriato delle figure retoriche per convincere, persuadere, abbellire il discorso ecc. Come
abbiamo visto, valorizzando la creatività individuale, l’estetica moderna metterà in discussione la normatività,
rifiutando l’idea che ci siano delle norme compositive da seguire. La critica stilistica indica un tipo di analisi
formale che per la parte descrittiva si serve di schemi stilistici e non (ad es. anche psicologici o ideologici). La
molteplicità dei metodi stilistici che si sono sviluppati nel corso del Novecento deriva dal fatto che spesso sono
diversi non solo gli scopi delle analisi dei vari autori, ma anche il loro background
filosofico. All’inizio del Novecento la diffusione dell’estetica crociana e la rivoluzione linguistica di
Ferdinand De Saussure (1857-1913) pongono le premesse per uno studio dello stile
non solo come sostanza materiale e fonica, ma anche come prodotto dello spirito
umano, dalle valenze psicologiche, sociali e storiche. La stilistica di ispirazione crociana si concentra inizialmente
sulla caratterizzazione dello stile individuale, ma si interessa anche alle correnti collettive del gusto delle grandi
epoche storiche, così come aveva fatto Heinrich Wölfflin (1864-1945) nell’ambito della storia dell’arte.
Ricordiamo che lo studioso di origine svizzera H. Wölfflin è stato uno storico dell'arte che si è occupato di
classificare i principi formali in pittura nella storia dell’arte del XX secolo. La stilistica viene definita come
disciplina dipendente dalla linguistica da un allievo di Saussure, Charles Bally (1865-1947), secondo il quale
lingua parlata e lingua letteraria usano gli stessi mezzi espressivi ma hanno l’una una finalità sociale e l’altra una
finalità estetica e individuale.Se la linguistica di Saussure vuole individuare le leggi costanti del sistema della
lingua, Bally si concentra su ciò che nella lingua varia. Ed è proprio lo stile che rappresenta queste variazioni: lo
stile corrisponde a un’elaborazione del linguaggio in senso affettivo, esprime la vita del singolo (si parla anche di
“linguistica dell’individuo”).
Nella stilistica del Novecento è possibile individuare diverse branche, a seconda che sia
privilegiata la dimensione normativa classica, quella linguistica o quella del singolo autore
con la sua opera. Sempre nel primo decennio del Novecento, negli stessi anni in cui Bally presenta le sue teorie,
appaiono gli scritti di Karl Vossler (1872-1949), che è l’iniziatore di un diverso
filone della critica stilistica, un filone maggiormente interessato all’aspetto spirituale dei
fatti espressivi, e dunque verosimilmente più vicino alla critica letteraria.
Il più importante rappresentate della stilistica letteraria è il viennese Leo Spitzer (1887-
1960), che si concentra sullo stile del singolo autore e teorizza il concetto di “scarto”, vale
a dire di deviazione rispetto ad un determinato standard linguistico. In altri termini, lo stile di un autore sarà dato
dalla somma degli scarti linguistici. Abbracciando le teorie freudiane, Spitzer considera lo stile non nella sua
storicità, ma per gli aspetti psicologici dell’autore che ne emergono.
Secondo Spitzer la diversità dello stile di un autore dipende dalle sue scelte linguistiche,
che egli definisce come spie stilistiche. Inoltre Spitzer indica tre elementi per cogliere
l’individualità di un autore: la lettura, l’individuazione dello scarto dalla norma e il circolo
filologico.
LEZIONE 24
Lettura e interpretazioni: l'ermeneutica del '900
L’ermeneutica del Novecento considera l’interprete come il produttore per eccellenza del significato di un testo,
per questo si concentra sul momento della lettura interrogandosi sui processi di interpretazione.
L’ermeneutica del Novecento è la corrente filosofica che riflette sulla soggettività delle
interpretazioni, considerando il cambiamento dell’“orizzonte di ricezione” dei testi da
un punto di vista storico, o ancora facendo previsioni sugli atteggiamenti del lettore,
sulle sue “mosse interpretative”, e dunque sul modo in cui è condizionato dalle
“istruzioni per l’uso” previste dal testo. Le questioni interpretative affrontate dalla critica a partire dalla seconda
metà del Novecento sono legate a due approcci filosofici in particolare: la fenomenologia di Edmund Husserl
(1859-1938) e l’ermeneutica di Martin Heiddeger (1889-1938).
La fenomenologia di Husserl (1859 – 1938) mette fra parentesi l'esistenza del mondo e lo riduce a un insieme di
fenomeni; la realtà, dunque, è solo quella che viene percepita dalla coscienza, si manifesta unicamente attraverso
l’attività percettiva dell’osservatore. Questo significa che un testo, come qualsiasi oggetto della realtà, ammette
diverse interpretazioni, offre esperienze di lettura diverse a seconda di chi lo legge, ma allo stesso tempo ha una
struttura essenziale che rimane immutata.
A differenza di quanto detto da Husserl, secondo Heiddeger il testo non ha un nucleo di significato stabile, poiché
ogni interpretazione si basa su una “pre-comprensione” che dipende dalle idee precostituite dell'interprete, idee
condizionate dalla situazione storica che egli vive. La conoscenza per Heidegger risiede nel linguaggio, in quello
che esprime e in ciò che non viene detto. L’arte rappresenta un’esperienza che “strania”, una via di fuga rispetto al
vuoto e all’insignificanza dei linguaggi preconfezionati per raggiungere significati ulteriori, archetipici, mitici,
sempre da disvelare. Secondo il filosofo è soprattutto nella poesia che il linguaggio esprime la sua originarietà.
Ricordiamo ancora di questa corrente di pensiero il teologo e filosofo Schleiermacher, che introduce la nozione di
«circolo ermeneutico» (Zirkel im Verstehen, circolo del comprendere) in base alla quale la conoscenza ha struttura
circolare, perché si può conoscere solo ciò di cui si ha già
una qualche idea, ciò di cui si ha una precomprensione. Il circolo interpretativo, inoltre,
non è chiuso, perché l’indagine conduce a modificare i pregiudizi di partenza e ad aprire il
testo e la tradizione a infiniti significati. Dunque anche il significato di un’opera letteraria può essere indagato a
partire da una serie di circoli interpretativi che fanno riferimento alle altre opere dell’autore,all’epoca in cui
l’autore scrive, alla corrente letteraria di riferimento ecc. Altro autore è Gadamer, secondo cui la comprensione di
qualsiasi messaggio parte da un “pregiudizio” poiché ci accostiamo a un testo avendo già idea di quello che
troveremo. Il pregiudizio dipende dal sostrato culturale, dalla famiglia, dalla società, dal paese in cui viviamo ecc.
Il critico deve mediare il rapporto tra il passato dell’opera e l’interprete di oggi, per questo deve accettare la
storicità dell’opera, tener conto di tutte le interpretazioni che si sono succedute e che entrano anch’esse a far parte
della dimensione testuale. La ricostruzione storica da parte del critico – il senso “originario”
rispetto ai lettori del suo tempo – è possibile attraverso un adattamento all’orizzonte attuale e contemporaneo,
dunque grazie a una “fusione d’orizzonti” che vede l’interpretazione come un “dialogo” fra passato e presente. A
tale proposito è importante il concetto di traduzione: il critico deve tradurre l’opera, riportarne il contenuto
all’orizzonte esperienziale dei nuovi interpreti, dei lettori di oggi. L’esperto deve ricostruire il significato del testo
così come un attore e un musicista “attualizzano” un testo teatrale e uno spartito (Gadamer 1960, Verità e
metodo).
LEZIONE 25
La teoria della ricezione
A partire dagli anni Settanta il dibattito sull’interpretazione e sul ruolo del lettore ha come
protagonisti gli studiosi che fanno capo alla Scuola di Costanza, e che elaborano la
cosiddetta teoria della ricezione. Gli esponenti principali della Scuola di Costanza sono
Wolfang Iser e Hans Robert Jauss, che ereditano dal filosofo Gadamer l’idea in base alla
quale un’opera prevede un lettore implicito che non coincide con quello reale.
Lo studioso tedesco Hans Robert Jauss (1921-1997) si è interessato in particolar modo alla letteratura francese
medioevale. Tra i suoi saggi: Perché la storia della letteratura? (1967), Apologia
dell’esperienza estetica (1972), Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria (1977-89).
Secondo Jauss l’arte non deve essere ridotta a qualcosa di astratto come avevano fatto i
formalisti russi, i quali non consideravano la prospettiva del lettore né l’importanza della
“ricezione” e dell’“efficacia” dell’opera. Jauss sostiene che la letteratura è determinata dalla sua ricezione storica,
per questo è necessario costruire più che una storia della letteratura, una storia delle varie ricezioni dell'opera.
L’opera letteraria, secondo Jauss, non offre lo stesso aspetto ad ogni osservatore e in
ogni tempo, ciò vuol dire che ogni “orizzonte di interpretazione” trasforma il testo,
benché ci siano dei significati che sopravvivono e che limitano le libertà interpretative del
lettore. La parziale stabilità del significato è assicurata da un “orizzonte di attesa”
legato ad ogni opera e costituito da un sistema di aspettative relative al genere, allo stile,
alla forma, alle poetiche, ecc., aspettative che l’opera può confermare o disattendere.
Le aspettative del lettore, in particolar modo rispetto ai generi letterari, possono
determinare il successo o l’insuccesso dell’opera. A tale proposito Jauss fa l’esempio di
Madame Bovary (pubblicato a puntate su la «Revue de Paris» tra il 1851 e il 1857) di G.
Flaubert (1821-1880) e di Fanny, romanzo di Ernest-Aimè Feydeau (1821-1873) uscito
nello stesso anno, e anch’esso incentrato sul tema dell’adulterio negli ambienti provinciali
e borghesi. Oggi il romanzo di Flaubert viene considerato un capolavoro, mentre Fanny è
stato dimenticato perché considerato troppo legato ai canoni della sua epoca, ma nel
1857 accadde il contrario: il lavoro di Feydeau ebbe un successo maggiore poiché
conteneva gli elementi tipici del romanzo ottocentesco, mentre Madame Bovary ebbe
difficoltà ad affermarsi, poiché si tratta di un romanzo che rovesciava i canoni tradizionali,
a cominciare dalla scelta di una narrazione impersonale.
Iser subisce meno l’influenza dell’ermeneutica e si basa soprattutto sulla fenomenologia di Husserl e di Ingarden.
Iser si interessa soprattutto della “risposta” del lettore (L’atto della lettura. Una teoria
della risposta estetica, 1976). Il testo, secondo Iser, fornisce degli stimoli a cui il lettore è
chiamato a rispondere, in altre parole tra lettore e opera si deve instaurare una
cooperazione affinché le parti testuali che l’autore lascia indeterminate possano essere
completate dal lettore, che in questo modo partecipa alla formazione del senso portando
le proprie esperienze. L’intervento del lettore è dunque fondamentale per mettere in atto
le potenzialità del testo, poiché nessuna descrizione (di un fatto, di un personaggio, di un
ambiente) può essere così dettagliata da non richiedere l’intervento della nostra
immaginazione.
La lettura viene dunque considerata da Iser come un percorso biunivoco in cui da un lato
l’interprete contribuisce a produrre il testo, e dall’altro l’opera programma una serie di indicazioni per il lettore,
chiamato a riempire i blanks (secondo un’espressione di Ingarden), vale a dire gli spazi testuali lasciati
indeterminati.
A partire dagli anni Settanta il dibattito sull’interpretazione e sul ruolo del lettore ha come
protagonisti gli studiosi che fanno capo alla Scuola di Costanza, e che elaborano la
cosiddetta teoria della ricezione. Gli esponenti principali della Scuola di Costanza sono
Wolfang Iser e Hans Robert Jauss, che ereditano dal filosofo Gadamer l’idea in base alla
quale un’opera prevede un lettore implicito che non coincide con quello reale.
Lo studioso tedesco Hans Robert Jauss (1921-1997), docente di scienze della letteratura all’Università di
Costanza, si è interessato in particolar modo alla letteratura francese
medioevale. Tra i suoi saggi: Perché la storia della letteratura? (1967), Apologia
dell’esperienza estetica (1972), Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria (1977-89).
Secondo Jauss l’arte non deve essere ridotta a qualcosa di astratto come avevano fatto i
formalisti russi, i quali non consideravano la prospettiva del lettore né l’importanza della
“ricezione” e dell’“efficacia” dell’opera. Jauss sostiene che la letteratura è determinata dalla sua ricezione storica,
per questo è necessario costruire più che una storia della letteratura, una storia delle varie ricezioni dell'opera.
LEZIONE 26
La cooperazione testuale secondo U. Eco
Il lettore è continuamente chiamato ad avanzare ipotesi circa il significato da attribuire al testo che ha di fronte e a
sottoporre queste ipotesi a un processo di verifica costante. Nella lettura, infatti, siamo chiamati a fuoriuscire dal
testo, a fare appello alle nostre conoscenze, alle letture fatte precedentemente e alla nostra enciclopedia.
L’enciclopedia viene definita come l’“insieme registrato di tutte le interpretazioni”, “un distillato di testi”, “la
biblioteca delle biblioteche”. L’enciclopedia è l’insieme di tutte le nostre conoscenze. Ogni contesto è
caratterizzato da usi, convenzioni e peculiarità che regolano le relazioni comunicative tra i soggetti, e
l'enciclopedia registra tali convenzioni sotto forma di regole, codici, sottocodici, ecc. È possibile comunicare
proprio perché si condividono delle porzioni di enciclopedia, ci può essere comprensione poiché esiste un sapere
comune. Il concetto di enciclopedia, dunque, costituisce il punto di chiave dell'attività
interpretativa. Nella teoria di Eco la competenza enciclopedica riguarda:
Il Lettore Modello non è il lettore empirico, vale a dire il lettore “in carne ed ossa”,
bensì il lettore-tipo, un ruolo astratto che si ritrova all’interno del testo sotto forma di
“pacchetti di istruzioni” per la lettura. Il Lettore Modello è «l’insieme delle mosse
interpretative che il testo incoraggia o autorizza a compiere».
L’autore, dunque, presuppone e al tempo stesso istituisce la competenza del proprio Lettore Modello, fornendogli
quelle informazioni di sfondo che gli sono utili per disambiguare in modo adeguato il testo.
L’Autore Modello è la strategia testuale impiegata dall’autore empirico per indirizzare
nel senso voluto l’attività cooperativa del lettore. Il destinatario cercherà nel testo
l’Autore modello, cioè l’immagine dell’autore così come la si può ricavare dalla lettura
di un testo. L’Autore Modello è lo stile complessivo del testo e va rigorosamente distinto
dall’autore empirico (l’individuo concreto, con una sua biografia). Autore Modello e Lettore Modello sono
strategie testuali, non devono essere confusi con l’autore e il lettore “in carne e ossa”.
LEZIONE 27
U. Eco la teoria dei mondi possibili
Il lettore, giunto a uno snodo narrativo, fa delle ipotesi su cosa potrebbe accadere e, in
questo modo, contribuisce alla costruzione dei mondi possibili testuali. I mondi possibili
narrativi, spiega Eco, sono popolati da individui (umani o meno) ai quali vengono
attribuite determinate proprietà. La teoria dei mondi possibili permette di confrontare
i fatti narrati nel testo con il mondo della nostra esperienza (con la realtà) e verificarne la reciproca compatibilità.
A partire da questo confronto i mondi narrativi possono essere classificati come:
1. Mondi possibili verosimili: mondi che possiamo concepire senza essere costretti ad
alterare alcuna delle leggi fisiche generali del nostro mondo di riferimento.
2. Mondi possibili inverosimili: mondi poco credibili rispetto alla nostra esperienza
attuale, ad esempio i mondi in cui gli animali parlano. Tuttavia posso concepire questi
mondi rimodellando l’esperienza del mondo in cui vivo, immaginando ad esempio che
gli animali abbiano organi fonatori simili a quelli degli umani e una struttura celebrale
più complessa. Questo tipo di cooperazione richiede la flessibilità di poter concepire
scientificamente animali con caratteristiche fisiologiche diverse e dunque riconsiderare
l'intero corso dell’evoluzione.
3. mondi possibili inconcepibili: mondi che non riusciamo a concepire poiché
contraddicono alcune leggi epistemologiche fondamentali, innanzitutto la legge della
coerenza interna o della non contraddittorietà. I presunti individui che li popolano e le
loro proprietà violano le nostre abitudini logiche ed epistemologiche. Ad esempio non
possiamo concepire mondi con circoli quadrati. Il linguaggio, tuttavia, può nominare
queste entità non esistenti e inconcepibili. In questi casi si richiede al Lettore Modello
di esercitare una grande flessibilità e superficialità, poiché dovrà dare per scontato
qualcosa che non può nemmeno concepire.
4. Mondi possibili impossibili: mondi impossibili da concepire (a livello visivo un mondo
impossibile da concepire è il disegno di Penrose così come sono impossibilia pittorici
le incisioni di Escher). Dunque i mondi si distinguono a seconda del fatto che possiamo immaginarli
senza senza essere costretti ad alterare le leggi fisiche del nostro mondo di riferimento (mondi possibili
verosimili), contraddicono alcune nostre leggi fondamentali (mondi possibili inconcepibili), sono
inconcepibili ecc.
A volte i mondi possibili sono in contraddizione e i testi ci “ingannano”. E' l'esempio della novella di Alphonse
Allais, Un dramme bien parisien (1890), analizzata da Eco nel saggio Lector in fabula (1979).
Nel costruire un testo l’autore guida il suo lettore, presuppone un lettore modello e ne istituisce le competenze. A
tale proposito è possibile distinguere tra:
• testi chiusi, che cercano invece di indirizzare in maniera univoca l’interpretazione del
lettore, in modo che i termini scelti, le espressioni utilizzate e i riferimenti enciclopedici siano quelli che,
prevedibilmente, il lettore può capire. I testi chiusi lasciano poco spazio alla creatività interpretativa del lettore, gli
chiedono di seguire un percorso prestabilito, non lo stimolano a cooperare.
L’autore duque prevede il suo Lettore Modello, dunque attiva una serie di strategie testuali che mirano a suscitare
degli effetti ben precisi. Può accadere, tuttavia, che le competenze del Lettore Modello non siano state
completamente previste a causa di una mancata analisi storica, per pregiudizi culturali ecc.Un esempio in questo
senso, spiega Eco, è fornito dalle avventure interpretative cheaccompagnano la pubblicazione de I misteri di Parigi
del francese Eugène Sue (1804- 1857), pubblicato a puntate tra il giugno 1842 l’ottobre 1843 su “Le journal de
débats”. Si
tratta di un romanzo d’appendice scritto per dilettare il pubblico colto con le vicende
piccanti del popolo, tuttavia sarà letto in particolar modo dal proletariato (dunque da una
fascia di lettori che Sue non aveva previsto di raggiungere), che si riconosce nel romanzo,
considerandolo come una descrizione particolarmente chiara e veritiera della propria
condizione. A quel punto Sue continua a pubblicare il suo romanzo a puntate per il proletariato, aggiungendo
contenuti socialdemocratici. I misteri di Parigi di Sue trasmette significati di cui l’autore era inconsapevole
dimostrando che «nulla può essere più aperto di un testo chiuso» (Eco, Lector in fabula,1979).
LEZIONE 28
L'analisi della temporalità secondo G. Genette
Nulla in una narrazione resta immune dal tempo. Una narrazione è talmente intrisa e
immersa nel tempo che non è nemmeno sufficiente parlare di tempo, ma bisogna parlare
di tempi. Ci sono innanzitutto due ordini temporali che procedono in parallelo:
-un tempo della storia (detto anche erzählte Zeit, ovvero tempo narrato)
- un tempo del racconto (detto anche Erzählzeit, ovvero tempo narrante)
Questi due tempi non solo non coincidono, ma hanno una natura completamente diversa.
Il primo è un tempo cronologico, oggettivo, univoco, lineare ed esteriore – e si misura
con l'orologio. Il secondo è un tempo cognitivo, soggettivo, relativo, circolare (nel senso che si muove, si allunga,
si stringe, etc.) e interiore – e non si sa bene come misurarlo. È – dice Genette – uno pseudotempo. Il tempo della
narrazione è quello della produzione del discorso e delle sue strategie comunicative. Sulla base della posizione
dell’istanza narrativa nei confronti della storia, è possibile distinguere quattro tipi di narrazione:
• ulteriore (posizione classica del racconto al passato, di gran lunga la più frequente);
• anteriore (racconto predittivo e profetico);
• intercalata (narrazione situata tra i momenti dell’azione, dove gli eventi e il loro
resoconto si alternano gli uni agli altri, come nei romanzi epistolari e nei diari).
Il tempo della lettura abbraccia non solo il numero di ore spese leggendo un libro ma
le aspettative e le mosse interpretative del lettore, il fattore della suspense, la valutazione dei risultati i ritmi della
storia e del racconto, oppure i tempi verbali – quelli della grammatica, o ancora il tempo della narrazione, il tempo
della comunicazione nel corso della quale il racconto è narrato, il tempo della lettura, quello dell'ascolto o della
visione ecc.
Lezione 29
Le anacronie nella narrazione secondo Genette
Nei confronti della sua storia, un racconto può procedere in sincronia o con una serie di
anacronie. La sincronia è il caso del racconto che scandisce l'ordine della narrazione
secondo l’ordine della storia narrata, mentre si parla di anacronia ogni qual volta si registra una discordanza tra
ordine della storia e ordine del racconto. In ogni anacronia entrano in gioco diversi aspetti dello scarto tra ordine
della storia e ordine del racconto. Questi aspetti vanno presi in considerazione sia in sé che nelle loro possibili
combinazioni. Rispetto alla direzione del discorso nei confronti della storia, possiamo distinguere due casi
principali di anacronia: la analessi e la prolessi.
• La analessi è detta anche flashback o anacronia per retrospezione. Si tratta del
racconto che sposta in avanti l'ordine della storia, posticipandone una parte: ciò che
nella storia è ordinato secondo la successione ABC viene ridistribuito nel racconto
secondo una successione BCA o BAC (A è posticipato). Dunque la analessi è un
posticipo: ciò che, stando alla storia, dovrebbe essere narrato prima è invece narrato
dopo.
• La prolessi è detta anche flashforward o anacronia per anticipazione. Si tratta
del racconto che sposta indietro l'ordine della storia, anticipandone una parte: ciò che
nella storia è ordinato secondo la successione ABC è ridistribuito nel racconto secondo
una successione ACB o CAB (C è anticipato). Dunque la prolessi è un anticipo: ciò che
stando alla storia dovrebbe essere narrato dopo è invece narrato prima (una sorta di
“impazienza” narrativa).
Rispetto alla distanza dal momento della storia che gli fa posto, un'anacronia può
andare più o meno lontano dal presente: questa dimensione si chiama portata dell'anacronia. La portata può essere
tale da travalicare l'inizio o la fine della storia stessa (sconfinando quasi in un'altra storia). Rispetto all'estensione,
un'anacronia può coprire una durata di storia più o meno lunga: questa dimensione si chiama ampiezza
dell'anacronia. Anche l'ampiezza può sconfinare o meno dalla storia.
• L'anacronia eterodiegetica racconta invece una storia che non appartiene alla
storia narrata dal discorso.
Rispetto alla storia narrata, un'anacronia può inoltre essere definita interna, esterna o mista, a seconda della sua
portata e della sua ampiezza.
L'anacronia:
• è detta interna quando rimane entro i confini della storia (sia la portata che l'ampiezza cadono tra l'inizio e la fine
della storia);
• è detta esterna quando resta all'esterno dei confini della storia (sia la portata che l'ampiezza cadono prima
dell'inizio o dopo la fine della storia);
• è detta mista quando si sovrappone ai confini della storia (la portata e l'ampiezza cadono l'una prima e l'altra
dopo l'inizio o la fine della storia).
Le due principali funzioni dell'anacronia sono quella completiva (colmare una lacuna anteriore o posteriore del
racconto) e quella ripetitiva (tornare sulla stessa storia).
LEZIONE 30
Analessi, prolessi, sillessi e ritmo narrativo secondo Genette
• La analessi è detta anche flashback o anacronia per retrospezione. Si tratta del racconto che sposta in avanti
l'ordine della storia, posticipandone una parte Dunque la analessi è un posticipo: ciò che, stando alla storia,
dovrebbe essere narrato prima è invece narrato dopo.
• La prolessi è detta anche flashforward o anacronia per anticipazione. Si tratta del racconto che sposta indietro
l'ordine della storia, anticipandone una parte. Dunque la prolessi è un anticipo: ciò che stando alla storia dovrebbe
essere narrato dopo è invece narrato prima (una sorta di “impazienza” narrativa).
Rispetto alla distanza dal momento della storia che gli fa posto, un'anacronia può andare più o meno lontano dal
presente: questa dimensione si chiama portata dell'anacronia. La portata può essere tale da travalicare l'inizio o la
fine della storia stessa (sconfinando quasi in un'altra storia). Rispetto all'estensione, un'anacronia può coprire una
durata di storia più o meno lunga: questa dimensione si chiama ampiezza dell'anacronia. Anche l'ampiezza può
sconfinare o meno dalla storia.
Rispetto alla storia narrata, un'anacronia può essere definita omodiegetica o eterodiegetica.
• L'anacronia omodiegetica racconta una storia che è parte integrante della storia nella quale si innesta.
• L'anacronia eterodiegetica racconta invece una storia che non appartiene alla storia narrata dal discorso.
Rispetto alla storia narrata, un'anacronia può inoltre essere definita interna, esterna o mista, a seconda della sua
portata e della sua ampiezza.
L'anacronia:
• è detta interna quando rimane entro i confini della storia (sia la portata che l'ampiezza cadono tra l'inizio e la fine
della storia);
• è detta esterna quando resta all'esterno dei confini della storia (sia la portata che l'ampiezza cadono prima
dell'inizio o dopo la fine della storia);
• è detta mista quando si sovrappone ai confini della storia (la portata e l'ampiezza cadono l'una prima e l'altra
dopo l'inizio o la fine della storia).
Le due principali funzioni dell'anacronia sono quella completiva (colmare una lacuna anteriore o posteriore del
racconto) e quella ripetitiva (tornare sulla stessa storia).
Le anacronie rispondono ad un criterio cronologico. Esistono tuttavia scarti tra ordine della storia e ordine del
racconto che vanno al di là dell'anticipo o del posticipo, e – pur giocando di anticipo o posticipo – obbediscono ad
altri criteri. Uno di questi è il caso della sillessi – che letteralmente vuol dire “prendere insieme”. Si tratta del
racconto che mette in fila storie a prescindere dal loro ordine o disordine temporale, ma in base ad altre ragioni,
che possono essere ad esempio tematiche, o spaziali, o di qualsiasi altro genere.
Ne sono un esempio i racconti di viaggio, che si fondano su aneddoti narrati non legati da un ordine cronologico,
quanto più da una parentela di tipo spaziale e geografico (sillessi geografica).
Il ritmo narrativo invece è invece scandito dai momenti di accelerazione o di rallentamento ,
detti anisocronia. Il racconto anisocrono è costitutivo della narrazione, rappresenta il ritmo narrativo. Ed è proprio
al ritmo narrativo e alle sue scansioni che vengono affidate precise funzioni narrative. Ad esempio, nella Madame
Bovary (1857) di Flaubert episodi salienti quali il ballo che sembra realizzare i sogni di Emma e poi la morte di
Emma stessa sono trattati più diffusamente rispetto all'episodio della morte della prima moglie di Charles. La
trattazione estesa di aspetti apparentemente insignificanti può avere lo scopo di alimentare la suspence o essere
una sfida aperta alle convenzioni della tradizione narrativa (come spesso avviene nel Nouveau Roman).
Spiegare che cosa sono le anacronie (anche attraverso esempi) e come influiscono sul ritmo del racconto
Si parla di anacronia ogni qual volta si registra una discordanza tra ordine della storia e ordine del racconto. I n
ogni anacronia entrano in gioco diversi aspetti dello scarto tra ordine della storia e ordine del racconto. Questi
aspetti vanno presi in considerazione sia in sé che nelle loro possibili combinazioni. Rispetto alla direzione del
discorso nei confronti della storia, possiamo distinguere due casi principali di anacronia: la analessi e la prolessi.
• La analessi è detta anche flashback o anacronia per retrospezione. Si tratta del racconto che sposta in avanti
l'ordine della storia, posticipandone una parte Dunque la analessi è un posticipo: ciò che, stando alla storia,
dovrebbe essere narrato prima è invece narrato dopo.
• La prolessi è detta anche flashforward o anacronia per anticipazione. Si tratta del racconto che sposta indietro
l'ordine della storia, anticipandone una parte. Dunque la prolessi è un anticipo: ciò che stando alla storia dovrebbe
essere narrato dopo è invece narrato prima (una sorta di “impazienza” narrativa).
Nel romanzo di Natalia Ginzburg Lessico famigliare (1963) incentrato sul tema del ricordo e della memoria, e in
cui la scrittrice ripercorre la storia della sua famiglia, il tempo gioca inevitabilmente un ruolo fondamentale.
L’autrice non presenta gli avvenimenti secondo un ordine cronologico, ma seguendo il percorso dei ricordi, per
questo accade che alcuni fatti vengano anticipati ricorrendo a delle prolessi, oppure che venga evocato un evento
anteriore rispetto al momento della storia in cui ci si trova. Quello che segue è un esempio di prolessi, poiché la
scrittrice fa riferimento ad avvenimenti posteriori al punto in cui si trova la storia: «[…] Più tardi, quando
cominciarono a uscire i romanzi di Simenon, mio padre ne divenne un lettore assiduo». In altri punti la narrazione
principale si interrompe lasciando spazio a fatti anteriori (analessi), come avviene nel brano che segue, in cui la
narratrice fa riferimento alla morte del marito, avvenuta durante l’occupazione tedesca: «L’editore aveva appeso
alla parete, nella sua stanza, un ritrattino di Leone, col capo un po’ chino gli occhiali bassi sul naso, la folta
capigliatura nera, la profonda fossetta nella guancia, la mano femminea. Leone era morto in carcere, nel braccio
tedesco delle carceri di Regina Coeli, a Roma durante l’occupazione tedesca, un gelido febbraio».
Rispetto alla distanza dal momento della storia che gli fa posto, un'anacronia può andare più o meno lontano dal
presente: questa dimensione si chiama portata dell'anacronia. La portata può essere tale da travalicare l'inizio o la
fine della storia stessa (sconfinando quasi in un'altra storia). Rispetto all'estensione, un'anacronia può coprire una
durata di storia più o meno lunga: questa dimensione si chiama ampiezza dell'anacronia. Anche l'ampiezza può
sconfinare o meno dalla storia.
Essendo la velocità della narrazione sempre relativa rispetto alle sue possibili accelerazioni e ai
suoi eventuali rallentamenti, l'utilizzo da parte dell'autore delle suddette strategie narrative, determina
conseguentemente momenti di accelerazione o rallentamento del racconto. Il ritmo del racconto ne verrà dunque
alterato.
LEZIONE 31
Genette: la durata del racconto.
La durata del racconto è intesa come lunghezza materiale della narrazione (in termini di parole, righe o pagine, o
fotogrammi, o minuti di riprese, etc.). In effetti, non c'è altro modo per misurare un discorso, poiché le dimensioni
della sua emissione (recitazione, scrittura, performance etc.) o ricezione (ascolto, lettura etc.) sono variabili,
soggettive e relative. La durata del racconto si indica con la sigla TR. Ad esempio, il tempo del racconto dei
Promessi Sposi di Manzoni occupa un libro di circa 220.000 parole distribuite in una Introduzione e 38 capitoli,
ciascuno di molte pagine ecc. Anche nel caso della durata, è dal confronto tra storia e racconto che emergono i
caratteri salienti della narrazione. Poiché si tratta di confrontare un tempo (la durata della storia) con uno spazio
(la durata del racconto – che è una lunghezza) non c'è nozione migliore cui appellarsi che quella di velocità. Più
precisamente, la velocità narrativa esprime il rapporto tra una porzione di racconto e la relativa porzione di storia
narrata. Ad esempio, I Promessi Sposi racconta circa due anni in 38 capitoli: in media, si impiega dunque circa un
capitolo e mezzo di racconto per ogni mese di storia. Ma se guardiamo più da vicino, scopriamo che la velocità
del romanzo è estremamente variabile: i primi 17 capitoli narrano una storia di 7 giorni: sono piuttosto lenti; i
successivi due capitoli (18 e 19) coprono una vicenda di alcune settimane: sono piuttosto veloci; tra il capitolo 20
e il capitolo 24 passano due giorni: si rallenta di nuovo; col 25 e 26 si torna ad accelerare, per correre dal 27 al 32,
che riassumono quasi due anni. Infine, si torna al ritmo lento degli ultimi sei capitoli.
LEZIONE 32
Genette: la frequenza narrativa
Un altro aspetto fondamentale della narratività è dato dalle relazioni di frequenza (o ripetizione) fra racconto e
diegesi. Un evento non è solo in grado di prodursi, ma può anche ripetersi (ad esempio: il sole sorge tutti i giorni).
Anche nel racconto possono emergere fenomeni di frequenza. Anche nel caso della frequenza, comunque, ciò che
più caratterizza la narrazione (e che di conseguenza interessa maggiormente l'analisi narrativa) è la relazione tra le
frequenze del racconto e le frequenze della storia, ovvero tra le volte che qualcosa avviene (o si presume avvenga)
nella storia e le volte che lo stesso avvenimento è narrato dal racconto. Si danno vari casi per cui è possibile
distinguere:
• racconto singolativo
• racconto ripetitivo
• racconto iterativo
Un racconto si dice singolativo quando ciò che è avvenuto una sola volta nella storia è narrato una sola volta nel
racconto. Il rapporto tra racconto e storia è di 1 a 1. Come è evidente, la forma singolativa del racconto è basilare,
fondante e certamente tradizionale. È qualcosa che nella narrazione sembra andare da sé. Ad esempio: “ieri mi
sono coricato presto”. Un racconto di dice singolativo-multiplo quando ciò che è avvenuto tot volte nella storia è
narrato tot volte nel racconto. Il rapporto tra racconto e storia è di n a n. Ad esempio: “lunedì mi sono coricato
presto, martedì mi sono coricato presto, mercoledì mi sono coricato presto” etc. Si tratta di un caso limite del
racconto singolativo, di uso raro e di effetto particolare. Nel racconto epistolare o diaristico può trovare una
ragione d'essere più naturale e meno carica di intenzioni. Un racconto si dice ripetitivo quando ciò che è avvenuto
una sola volta nella storia è narrato tot volte nel racconto. Il rapporto tra racconto e storia è di n a 1. Ad esempio:
“ieri mi sono coricato presto, ieri mi sono coricato presto, ieri mi sono coricato presto” ecc. Si tratta di un caso
limite marcato da una forte intenzione narrativa (poiché il racconto non trova nella storia alcuna ragione di
ripetersi, come invece accade nel racconto singolativo-multiplo).
LEZIONE 34
I modo del racconto secondo Genette
Il "modo" del racconto riguarda la regolazione dell'informazione narrativa: si può raccontare dando molte o poche
informazioni, e scegliendo un punto di vista anziché un altro. Questo vuol dire che nella narrazione si possono
fornire più o meno dettagli – in questo caso parliamo di “distanza narrativa” – e adottare il punto di vista di un
narratore interno, esterno, ecc. – scegliere cioè una determinata “prospettiva”. La distanza e la prospettiva sono
quindi due elementi fondamentali del modo del racconto.
LEZIONE 35
La focalizzazione secondo Genette: tipologie ed esempi
Secondo Genette i gradi dell'informazione narrativa dipendono dalla distanza e dalla prospettiva, chiamata anche
focalizzazione. Focalizzare vuol dire «mettere a fuoco» (pensiamo all’ambito della fotografia). Il narratore
focalizza i fatti, cioè li orienta collocandosi in una prospettiva ben precisa. L’Autore del racconto dovrà quindi
definire quale sarà il suo Narratore e il punto di vista della narrazione, cioè la prospettiva di chi racconterà la
storia. Da questa scelta (narratore interno o esterno), ne derivano i tre tipi di focalizzazione definiti da Genette:
1. focalizzazione di grado zero: il narratore mostra di sapere più cose di quante ne conoscano i personaggi, o
meglio ne dice più di quanto ne sappia uno qualunque dei personaggi. Il narratore è onnisciente perché
conosce gli atti di coscienza (pensieri, stati d'animo, percezioni ecc.) dei personaggi meglio dei
personaggi stessi.La focalizzazione zero, tipica del romanzo tradizionale, è la forma prevalente nei
Promessi Sposi: il narratore è onnisciente («quel ramo del lago di Como […] Per una di quelle
stradicciole tornava bel bello...»), è già al corrente di come si svolgeranno i fatti, formula giudizi e
interviene ironizzando sulle reazioni emotive dei personaggi. Essendo al di fuori delle vicende, e
osservandole criticamente, il narratore si muove come un regista che dirige l’allestimento di una scena;
2. focalizzazione interna è presente nei racconti che Genette definisce «con un campo ristretto». Il narratore
sceglie di osservare la storia attraverso gli occhi di uno dei personaggi, nella maggior parte dei casi del
protagonista; dunque la sua prospettiva è fortemente limitata a ciò che vede, pensa e fa il personaggio in
questione. Si tratta del caso in cui il narratore dice solo quello che sa il personaggio in questione.
Il narratore conosce cioè i pensieri e gli atti di coscienza di un personaggio quanto il personaggio stesso.
Consideriamo ad esempio il IV capitolo del romanzo Mastro don Gesualdo (1889) in cui il protagonista
con un lungo discorso indiretto libero rievoca la sua ascesa sociale: «Si sentiva allargare il cuore. Gli
venivano in mente tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare
quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!».
La focalizzazione interna può ancora essere suddivisa in focalizzazione interna fissa ( quando si adotta il
punto di vista di un solo personaggio per tutta la narrazione del romando); interna variabile ( se si
alternano i punti di vista di diversi personaggi) e focalizzazione interna multipla il medesimo fatto viene
presentato da punti di vista differenti;
3. focalizzazione esterna, è un racconto oggettivo, che presenta le vicende dall’esterno. Nei racconti a
focalizzazione esterna, infatti, prevalgono i dialoghi e le descrizioni di azioni, e viene riservato poco
spazio agli interventi del Narratore, che dice meno di quanto ne sappia il personaggio. In questo caso il
narratore può essere esterno oppure coincidere con un personaggio che è stato soltanto un testimone.
Il Narratore vuole rimanere estraneo ai fatti che racconta, per questo, si astiene da commenti e giudizi,
limitandosi a registrare gli avvenimenti in modo neutro e impersonale. Racconta solo quello che si può
vedere dall'esterno e gli atti di coscienza dei personaggi vengono conosciuti non in se stessi, ma nelle loro
manifestazioni. Si tratta di un narratore che si colloca al di fuori della storia e non partecipa
emotivamente alle vicende. Espone i fatti in modo impersonale e ne sa meno dei personaggi, dei quali
non esplora i pensieri ma racconta soltanto le azioni.
Un esempio tratto da un racconto dello scrittore statunitense R. Carver. (1938 -1988): Edith Packer aveva
l’auricolare del registratore nell’orecchio e fumava una sigaretta del marito. Il televisore era acceso, ma
senza il sonoro, e lei se ne stava accoccolata sul divano a sfogliare una rivista. James Packer uscì dalla
stanza degli ospiti, la stanza che aveva adibito a ufficio, e Edith Packer si tolse l’auricolare dall’orecchio.
Mise la sigaretta nel posacenere e tese il piede agitando le dita in segno di saluto.
Lui disse: “Andiamo o no?” “Io vado”, disse lei. (R. Carver, Dopo i jeans, in Di cosa parliamo quando
parliamo d’amore, trad. di L. Manera, Garzanti, Milano 1987)
L’aspettualizzazione è il punto di vista sull’azione, è il punto di vista che guarda all’azione come processo.
L’aspettualizzazione è una sovra-determinazione della temporalizzazione.
L’evolversi dell’azione presuppone che qualcuno la osservi. L’azione vista come processo può essere colta nel suo
momento inziale (incoatività), nella sua durata (duratività) o al termine (terminatività).
LEZIONE 37
Spiegare la differenza tra narratore autobiografico e narratore onnisciente
Il narratore cosiddetto autobiografico parla del protagonista, ma poiché il protagonista è lo stesso narratore, va da
sé che il narratore parli a proprio nome. Il narratore autobiografico deve stare entro i limiti della sua informazione
presente, ma può scegliere di non travalicare quelli della sua informazione passata. Si tratterebbe,
allora, di una sorta di parallissi narrativa, poiché il racconto dovrebbe omettere ogni dato a disposizione del
narratore ma non ancora acquisito dal protagonista della storia, entra nel merito dei loro pensieri ed esprime
giudizi di valore. Nel caso invece del narratore onnisciente, abbiamo una voce che conosce tutto dei personaggi e
della storia. La differenza tra narratore autobiografico e narratore onnisciente è quella tra focalizzazione sul
narratore in prima persona e focalizzazione zero.
Il discorso in prima persona che assume l'io come protagonista permette di giocare su un effetto di grande
immediatezza ed efficacia: la distinzione e la distanza tra i narrante e io narrato. Può accadere cioè che il narratore
parli di sé – come protagonista – al passato. Si crea così fatalmente un margine di esperienza che permette
all'autore di far prendere posizione all'io narrante rispetto al suo stesso io narrato, con conseguenze e
opportunità estremamente fertili. La voce narrante può allora trattare il suo personaggio con simpatia,
partecipazione, ironia, distacco, rimprovero, compassione, misconoscimento, e qualsiasi altra varietà o gamma di
atteggiamenti possibili. Da questo punto di vista, la Divina Commedia è un cammino che percorre tutto il poema e
che porta all'incontro tra Dante narratore e Dante personaggio. Il discorso narrativo in prima persona permette
anche di adottare la posizione del cosiddetto io testimoniale. Il narratore parla di sé al presente, oppure il narratore
si sente autorizzato a parlare solo di ciò che via via conosce e può dire di se stesso il
personaggio. Si tratta di una strategia discorsiva estremamente funzionale a determinati scopi narrativi, quali la
suspence e il colpo di scena ecc. (si veda ad esempio Il grande Gatsby, romanzo di Fitzgerald del 1925, in cui gli
avvenimenti del presente sono intrecciati a quelli passati).
LEZIONE 38
Genette: narratori attendibili e inattendibili
La distinzione tra narratori attendibili e narratori inattendibili è basata sul grado e tipo di distanza che separa il
narratore dall'autore implicito. Quando un narratore si discosta dall’idea che ci siamo fatti di lui attraverso la sua
opera, siamo davanti ad un narratore inattendibile, esso si presenta come un enigmatico miscuglio di sincerità e
falsità, provocando un effetto di disorientamento nel lettore.
L’atto del narrare può essere descritto sulla base di rapporti temporali. Il tempo della narrazione indica la
posizione temporale del racconto rispetto alla storia. In altre parole, si tratta dello scarto temporale che separa
l'atto fittizio della narrazione rispetto al tempo in cui si situa la storia. La voce che racconta può omettere il
“dove”, ma deve esprimere un “quando”, parlando necessariamente o al presente, o al passato, o al futuro. A tale
proposito è possibile distinguere una narrazione ulteriore, anteriore, simultanea, o intercalata.
1. La narrazione anteriore, tipica del racconto predittivo, nelle sue diverse forme (il racconto profetico,
apocalittico, oracolare, astrologico, cartomantico, etc.), è generalmente al futuro (il tempo della
narrazione è anteriore a quello della storia). È il tipo di narrazione più raro e marginale nella storia della
letteratura.
2. La narrazione ulteriore è quella più diffusa nella tradizione narrativa. È tipica dei
racconti al passato che collocano l'enunciazione in un momento posteriore alla storia.
È possibile distinguerne due sottotipi:
• Il primo è il racconto in prima persona caratterizzato dalla presenza di un narratore presentato fin dalle
prime righe come un personaggio della storia. Accade che più procede il racconto più avanza la storia,
dunque alla fine del racconto, si ha una convergenza tra il tempo della storia e il tempo della narrazione.
• Il secondo tipo è quello del racconto in terza persona, in cui la distanza tra il tempo della narrazione e
quello della storia rimane indeterminato.
3. La narrazione simultanea si ha quando gli avvenimenti vengono narrati simultaneamente al loro
accadere, come avviene nel reportage radiofonico e televisivo. Il racconto è al presente, è contemporaneo
all’azione. La narrazione simultanea appare tecnicamente come la più semplice poiché ogni gioco
temporale viene annullato dalla coincidenza tra storia e narrazione. La narrazione può prendere due
diverse e opposte direzioni, a secondo che si metta l'accento sulla storia o sul racconto.
• Se l'accento cade sulla storia, nella narrazione al presente scompare ogni traccia del narratore, e la
narrazione assume un carattere apparentemente oggettivo.
• Se l'accento cade invece sul racconto, sulla narrazione stessa, è l'azione che sembra annullarsi, come
avviene nel monologo interiore.
4. Una narrazione intercalata, vale a dire un racconto al passato frammentato tra i vari passaggi della storia,
una forma tipica nel romanzo epistolare con numerosi corrispondenti, e dei racconti in forma di diario.
LEZIONE 39
L'analisi della voce: i livelli narrativi
Sebbene spesso il narratore sia privo di volto, cioè non abbia un’identità precisa, e a volte sembri invisibile, la
voce che si sente è sempre la sua. Lo scrittore può decidere di far raccontare la storia da uno dei personaggi o da
un narratore estraneo alla storia stessa. Possono darsi diversi casi, vediamo quali. Ogni volta che un personaggio
della storia diventa a sua volta narratore di un altro racconto, inserito nel racconto primo, ecco che si ha una
incastonatura narrativa ovvero – nei termini di Genette – si produce un cambiamento di livello narrativo, detto
anche livello diegetico. Quando si ha una variazione del grado della diegesi (nel caso di
racconti nel racconto, come avviene in Le mille e una notte), è possibile distinguere diversi livelli narrativi:
• il livello extradiegetico: è il livello narrativo primo, del narratore che si trova fuori dalla diegesi.
• il livello intradiegetico, cioè interno alla diegesi: un narratore di secondo grado racconta i fatti all’interno di fatti
narrati da un altro narratore (per esempio, Ulisse di fronte ai Feaci).
• il livello diegetico (racconto primario)
• i livelli metadiegetici (racconti secondari)
LEZIONE 40
Genette: la voce narrante e le sue funzioni
La categoria della voce narrativa riguarda le relazioni tra il narratore e la storia dalui narrata. Mentre la
focalizzazione dà informazioni sul «chi vede» (da quale punto di vista è raccontata la storia), la voce informa sul
«chi parla» nel testo narrativo. La voce narrativa è una finzione letteraria e indica colui che racconta, secondo una
determinata strategia, i fatti. Il narratore è l’istanza che produce il discorso narrativo: mentre l’autore reale scrive,
il narratore narra; di conseguenza, non bisogna mai sovrapporre e confondere l’autore reale con il narratore; anche
quando coincidono (come per esempio in un racconto autobiografico), rimangono sempre due istanze distinte.
Le sue funzioni secondo Genette possono essere distribuite ( un po' come le funzioni del linguaggio di Jakobson) a
seconda degli aspetti a cui si riferiscono. Sono :
1. La prima funzione, riferita alla storia, è la funzione narrativa classica, dalla quale nessun narratore può
allontanarsi senza perdere la sua qualità di narratore.
2. Quando il narratore fa riferimento a come sta organizzando il racconto parliamo di
funzione «di regia» o funzione «meta-narrativa»: il narratore mette in risalto e giustifica l'organizzazione
interna del discorso narrativo, la quantità e la precisione delle informazioni riportate, la scelta di aprire o
chiudere digressioni ecc. Un’altra declinazione della «funzione di regia» riguarda la gestione delle
informazioni sui personaggi.
Come anticipato, alcune funzioni della voce trovano corrispondenda con le funzioni della comunicazione di
Jakobson:
1. Prevale una funzione di comunicazione quando il narratore s’indirizza al narratario, preoccupandosi di
stabilire o mantenere un contatto, perfino un dialogo. Essa corrisponde, tra le funzioni di Jakobson, a
quella “fatica” (verifica del contatto) e a quella “conativa” (azione sul destinatario)
2. La funzione testimoniale (assimilabile alla funzione emotiva di Jakobson), o di attestazione, informa sul
rapporto tra narratore e storia, un rapporto che può essere affettivo, morale, intellettuale e che può
prendere la forma di semplice testimonianza, ad esempio «quando il narratore indica la fonte da cui
deriva la sua informazione, o il grado di precisione dei suoi ricordi personali, o i sentimenti risvegliati in
lui da un certo episodio» (Figure III, trad. it 1976, p. 304);
3. Parliamo di funzione ideologica quando il narratore interviene commentando la
storia (o affidando i commenti sulla storia a uno dei personaggi), anche con commenti di tipo didattico
(come spesso fa Balzac per giustificare il suo realismo).
Spiegare, anche attraverso esempi, quali possono essere le diverse tipologie di narratore (considerando sia il
livello narrativo che il rapporto tra narratore e storia)
Per quanto concerne il rapporto tra il narratore e la storia, vi possono essere due tipi di narratore:
• Il narratore eterodiegetico è assente dalla storia raccontata, cioè non è un personaggio della storia (pensiamo a
Omero nell’Iliade, al narratore di Tom Jones di Fielding, a Manzoni nei Promessi Sposi, alla voce narrante
impersonale di Passaggio in India di E.M. Forster).
• Il narratore omodiegetico è presente come personaggio nella storia (ad esempio Robinson Crusoe; Ulisse che
racconta la sua storia a Nausicaa nell’Odissea raccontata da Omero; Marlow che racconta la storia di Kurz in
Cuore di tenebra di J. Conrad ecc.). All’interno dell’omodiegetico, Genette individua due varietà:
a. quella di un narratore autodiegetico, che è anche protagonista della storia che racconta (Mattia Pascal in Il fu
Mattia Pascal (1904), Zeno Cosini in La coscienza di Zeno (1923), Robinson Crusoe nell’omonimo romanzo del
1719).
b. quella di un narratore allodiegetico, che è un personaggio della storia, ma riveste un ruolo secondario, è dunque
spettatore, osservatore o testimone, come Ismahel in Moby Dick (1851) di H. Melville.
In ogni racconto il narratore viene definito dal suo livello narrativo (extra-diegetico o intra-diegetico) e dal suo
rapporto con la storia (etero-diegetico o omo-diegetico). Rispetto alla persona, dunque, si possono avere quattro
tipi fondamentali di narrazione:
1. il tipo extradiegetico-eterodiegetico, un narratore di primo grado che racconta una storia da cui è assente
(è il caso di Omero).
2. il tipo extradiegetico-omodiegetico, un narratore di primo grado che racconta la propria storia (come
avviene in Alla ricerca del tempo perduto di Proust);
3. il tipo intradiegetico-eterodiegetico, narratore di secondo grado che racconta storie da cui è in genere
assente (ad esempio Sherazade in Le mille e una notte);
4. il tipo intradiegetico-omodiegetico, narratore di secondo grado che racconta la sua storia (come Ulisse
che, nei canti IX-XII dell'Odissea, racconta la sua storia e le sue peripezie).
LEZIONE 41
La voce del personaggio: monologo interiore e flusso di coscienza
La voce narrante può citare il personaggio (discorso diretto) oppure può parafrasarlo (discorso indiretto). Queste
forme possono essere utilizzate anche per riportare i pensieri dei personaggi. Tuttavia vi sono tecniche
specifiche, ancora più adatte a esprimere i pensieri e il mondo interiore dei personaggi: il monologo interiore e il
flusso di coscienza.
• il monologo interiore presenta i pensieri di un personaggio tramite discorsi in prima persona che
contengono un ininterrotto e non mediato pensiero diretto libero,riproduce il pensiero del personaggio
restando fedele alla spontaneità che spesso lo caratterizza, soprattutto quando chi parla è colto in un
momento di meditazione e non si rivolge a uno specifico interlocutore. È riportato senza virgolette o
trattino e non è introdotto da verbi di pensiero (penso che, credo che, ritengo che ecc.). Nel monologo
interiore (o soliloquio muto) i pensieri del personaggio vengono presentati in maniera diretta, i predicati
verbali si riferiscono al momento in corso, i ricordi vengono presentati al passato e non al trapassato,
inoltre non ci sono spiegazioni dei fatti e delle azioni se non quelle strettamente necessarie al
flusso di pensieri.
• Il flusso di coscienza indica un accostamento casuale di pensieri che fluiscono liberamente, sono
immediati e spesso incoerenti, tipici di chi pensa senza imporsi un ragionamento rigoroso. Le frasi
vengono costruite in modo irregolare, spesso senza rispettare le norme della sintassi, rinunciando alla
punteggiatura e alla concatenazione logica degli argomenti. Il flusso di coscienza è la presentazione di un
pensiero illogico e associativo.
LEZIONE 42
Il paratesto: caratteristiche e funzioni
Tra le cinque tipologie di transtestualità G. Genette indica la paratestualità, relativa alle relazioni tra il testo e il
suo paratesto, ovvero con tutti gli elementi che lo circondano (ad esempio la quarta di copertina).l'enunciato
narrativo si presenta raramente senza essere accompagnato o anticipato da un certo numero di “produzioni”
testuali – ad esempio il nome dell’autore, un titolo, una prefazione, delle illustrazioni etc. – che vengono definiti
dallo studioso G. Genette paratesto della narrazione. La loro funzione è quella di presentare il testo e
assicurarne la ricezione, la diffusione e il consumo. Si tratta dunque di un insieme di pratiche e discorsi di ogni
tipo, verbali e non verbali, che accompagnano il testo vero e proprio e ne orientano il gradimento da parte del
pubblico.
Il paratesto – in quanto atto di comunicazione – ha una forza pragmatica. Un messaggio paratestuale può
comunicare una pura e semplice informazione (ad esempio “questo è il libro scritto da Alice Munro e pubblicato
da Einaudi), ma anche rendere nota una intenzione autoriale, o una interpretazione editoriale (ad esempio “questo
libro è da considerarsi un romanzo giallo e non un saggio politico”), può imporre una decisione
(ad esempio “mi farò chiamare Stendhal e dovrete chiamare questo libro Il Rosso e il Nero”) o affermare un
impegno (ad esempio “con queste memorie mi impegno a dire la verità”). Avendo la funzione di dare un’identità
al testo, il paratesto è frutto di uno specifico contesto culturale e sociale e quindi rispecchia abitudini e gusti
dell’epoca in cui è stato prodotto.
LEZIONE 43
Gli elementi peritestuali: esempi
Fanno parte del peritesto tutti gli elementi paratestuali che rientrano nell’ambito del volume stesso, si collocano
cioè nello spazio del testo.Si tratta di elementi di carattere tipografico e bibliografico. Ad esempio, l'aspetto più
immediato e globale del messaggio paratestuale di un libro è quello che viene definito “formato”, ovvero le
dimensioni del libro, la legatura e la sua eventuale composizione in volumi, tomi o collane. Oggi ad esempio un
“formato tascabile in brossura” connota tutta una serie di caratteri, intenzioni, proposte, aspettative etc. Si tratta
infatti di libri che si distinguono per le dimensioni ridotte rispetto alle edizioni rilegate e per il prezzo contenuto.
Molte case editrici hanno creato collane di volumi tascabili, particolarmente indicate per i giovani.
Tra gli elementi peritestuali abbiamo:
• la copertina, il caso forse più famigliare di peritesto editoriale.
• il frontespizio, vale a dire le pagine interne di copertina (seconda e terza di copertina, generalmente bianche, ma
anche sede di notizie redazionali o inserti pubblicitari);
• la cosiddetta “quarta” di copertina, ossia l’ultima facciata della copertina (il retro del libro per intenderci), luogo
anch'esso strategico dove di solito viene inserita una citazione, una biografia o l’estratto di una recensione, allo
scopo di convincerci che vale la pena leggere il libro in questione);
• il dorso del libro, detto anche “costa”, è la parte della copertina che copre e protegge le pieghe dei fascicoli, ed è
visibile quando il volume è posizionato di taglio (ad esempio su una libreria). Riporta solitamente titolo, autore, e
editore del libro.
• eventuali sovracoperte (fogli di carta o di cartoncino leggero in cui può essere avvolta la copertina di un libro) e i
loro risvolti;
• le fascette, ossia la striscia di carta applicata trasversalmente alla copertina del libro usata per sottolinearne il
successo (ad esempio riportando “vincitore del premio…”);
• i cofanetti e i segnalibri;
• l'impaginazione stessa;
• il carattere di composizione;
• la tiratura di stampa (il numero complessivo delle copie stampate, particolarmente alto nel caso dei best-seller).
L’epitesto si distingue dal peritesto (ovvero tutto il resto del paratesto) in base a un principio puramente spaziale:
come abbiamo spiegato, è epitesto qualsiasi elemento paratestuale che non si trovi annesso al testo nella stessa
unità materiale, ma che circoli in qualche modo liberamente, indipendentemente. Ciò non esclude che successive
vicende editoriali possano includere un epitesto originale entro i margini del peritesto. Gli esempi possono essere
diversi: interviste originali inserite in edizioni postume, estratti di corrispondenza citati nelle note critiche ecc.
Le funzioni dell'epitesto non sono necessariamente di natura paratestuale, ciò vuol dire che possono anche non
riguardare l’opera di cui l’epitesto fa parte, ma ad esempio solo l’autore (tutto ciò che egli dice o scrive sulla sua
vita, sulle opere altrui ecc.). L'epitesto cosiddetto “pubblico” include le pratiche editoriali (promozionale,
pubblicitaria, informativa etc.), allografe (ad esempio recensioni indipendenti), e autoriali (interviste
all’autore, dichiarazioni pubbliche, conversazioni, convegni, interventi, colloqui, dibattiti etc.). Si tratta di dunque
di messaggi che svolgono funzioni diverse.
Ricordiamo ancora l'epitesto privato, che non si differenzia dall'epitesto pubblico per la mancanza di un pubblico
cui il messaggio paratestuale si rivolge (molte lettere o pagina di diario sono scritte con la consapevolezza che
verranno poi pubblicate), bensì per la presenza di un destinatario primo a cui l'autore si rivolge – pur avendo in
mente che un futuro pubblico sarà testimone di questo scambio tra lui e il suo confidente (un corrispondente, o
l'autore stesso nel caso di un diario intimo). La personalità di questo confidente reale influenza la forma e il tono
della comunicazione.Si può parlare di epitesto privato confidenziale nel caso in cui l’autore si rivolga a un altro
(ad esempio un corrispondente di lettere o un confidente). Si parla invece di epitesto privato intimo nel caso in cui
l'autore si rivolga a se stesso (ad esempio nelle pagine di un diario personale, in quelle di memorie o appunti
letterari, in un diario al registratore etc.). L’epitesto privato non ha propriamente una funzione relativa al testo
dell'opera, ma un “effetto” indiscutibile sulla ricezione dell'opera qualora il pubblico ne venga a conoscenza.
LEZIONE 44
Tipologie di transtestualità secondo Genette
Il termine intertestualità viene impiegato da Genette per identificare la forma più puntuale e delimitata di relazione
tra testi. Si tratta, secondo la definizione “ristretta” datane da Genette, di ogni relazione in cui è possibile
individuare “la presenza effettiva di un testo in un altro”.L’esempio più esplicito di tale tipologia è dato dalla
citazione in cui, segnalata da “virgolette” o dal corsivo, ci si trova di fronte alla ripresa letterale di un brano o di
una porzione testuale “estranea”.Una forma implicita di intertestualità è invece identificabile secondo Genette
nella figura dell’allusione, vale a dire nei casi in cui una frase è comprensibile solo se viene
posta in correlazione con un altro enunciato “nascosto”. Ad esempio, lo slogan pubblicitario «non avrai altro jeans
all’infuori di me», è comprensibile solo in ragione del riferimento al testo del primo comandamento del Decalogo
(«non avrai altro Dio all’infuori di me»).
LEZIONE 45
Citazione, allusione e parodia: definizioni ed esempi
La citazione è la forma più semplice ed esplicita di intertestualità. Si tratta dalla ripetizione fedele dell’originale di
un testo, non prevede quindi alcuna variazione. Inoltre, l’enunciato ripetuto non viene integrato nel testo che lo
accoglie, ma viene isolato tramite precisi fattori grafici, quali le virgolette o il corsivo. Il testo di arrivo accoglie la
citazione e la ricontestualizza. In base alla sua collocazione all’interno di un testo, la citazione può essere
identificata come:
a. citazione a margine o glossa, tipica dei manoscritti antichi
b. citazione in nota
c. citazione in exergo o epigrafe
d.citazione in forma bibliografica
e. citazione nel corpo del testo
La citazione può inoltre assolvere a diverse funzioni, può ad esempio invocare un’autorità, avere una funzione,
ornamentale, critico-parodica, erudita ecc.
L’allusione è una figura retorica che consiste nell’accennare a qualcosa senza tuttavia nominarlo direttamente. Al
destinatario viene lasciato il compito di decodificare ciò a cui si fa riferimento in modo indiretto. Si tratta di una
strategia comunicativa assai frequente nella pratica letteraria (un esempio: l’utilizzo dell’espressione “un Don
Abbondio” per riferirsi a un personaggio pavido). L’allusione è una forma di intertestualità che consente ai testi di
dialogare con la tradizione; può avere un carattere celebrativo nei confronti dell’autore o dell’opera a cui si fa
implicitamente riferimento, oppure può assumere una funzione ironica e critica.
Il termine parodia trova origine nel verbo greco parodein, che poteva assumere i significati di “cantare a lato”,
“cantare in controcanto”, “deformare o trasporre una melodia”. Il significato originario del termine è legato al
fatto che i cantori epici avevano l'abitudine di interrompere la narrazione drammatica del poema per dare una
versione della trama e dei personaggi in chiave comica, oppure presentandone una variazione nella forma, nella
metrica o nella melodia. Tradizionalmente la parodia ha un carattere satirico, è caratterizzata da un tono comico o
canzonatorio nei confronti del testo di riferimento. Oggi per parodia si intende ogni forma di rielaborazione
comica o satirica di un testo. La parodia si ha quando un testo ne imita un altro esagerandone alcune
caratteristiche ha lo scopo di ottenere effetti comici o caricaturali.
Secondo Genette possiamo distinguere due modi di trasformazione parodica di un testo:
A. La parodia satirica è una trasformazione intertestuale che mette in ridicolo il testo di riferimento. Ne è un
esempio il Virgile travesti, opera del XVII secolo di Paul Scarron (1610-1660) che trasforma l’Eneide
raccontandone le vicende con uno stile familiare che riporta le vicende alla quotidianità (ad esempio l’infelice
Didone virgiliana nel testo di Scarron diventa una donna che si perde in divagazioni sui
trucchi e la bellezza).
B. La parodia ironica nasce da un confronto dialettico tra due i due testi, quello parodiato e quello parodiante. Ne
è un esempio il rapporto che lega il testo di S. Richardson (1689-1771) Pamela (1741) alla parodia che ne fa
subito dopo H. Fielding (1707-1754). La Pamela di Richardson aveva un chiaro intento pedagogico e didattico
all'interno della classe borghese emergente, gruppo sociale a cui lo stesso autore apparteneva. Diversamente
Fielding era un nobile ed era particolarmente critico nei confronti della funzione pedagogica del romanzo
epistolare di Richardson.
LEZIONE 46
Narrazione e neuroscienze
Grazie ai progressi delle tecniche di neuroimaging degli ultimi decenni, è possibile visualizzare l’attività cerebrale
(monitorando il flusso ematico nel cervello, che aumenta quando i neuroni si attivano) e dunque diverse ricerche
si sono concentrate sul monitoraggio delle strutture neurali coinvolte nell’elaborazione di sequenze narrative, al
fine di ricostruire i processi cognitivi che vengono attivati nel corso dell’interpretazione dei testi narrativi.
Importante a tale proposito la scoperta neuroscientifica che negli ultimi ha interessato diversi filosofi e teorici
delle arti: quella dei neuroni specchio, compiuta all’inizio degli anni ’90, all’Università di Parma, da Giacomo
Rizzolatti e collaboratori.
Spiegare i caratteri principali e i protagonisti delle diverse fasi di sviluppo della narratologia
La narratologia, disciplina che si occupa dell’analisi del testo narrativo, riassume in sé impostazioni e teorie nate
in diversi ambiti, ma il cui denominatore comune è quello di individuare una struttura profonda del testo. Gli studi
narratologici si concentrano sull’analisi delle forme e delle strutture della narrazione recuperando e riformulando
le teorie del formalismo russo (Sklovskij, Tynjanov ecc.) così come le funzioni narrative individuate da Vladirmir
Propp nelle fiabe di magia russe (1895-1970).
La narratologia nasce in Francia a partire dagli anni Sessanta, e conosce ulteriori fasi di sviluppo negli anni
successivi. Possiamo individuare:
A. una narratologia di prima generazione che nasce tra gli anni Sessanta e Settanta grazie agli studiosi della
cosiddetta Scuola di Parigi: In questa prima fase vengono messi a punto una serie di strumenti di analisi per
classificare la posizione del narratore all’interno di una storia, valutare il rapporto sempre mutevole tra il tempo
della storia narrata e il tempo del discorso che la narra, identificare il punto di vista attraverso cui una storia è
raccontata ecc. La narratologia in questa fase viene chiamata analys du récit (analisi del racconto) e il suo
obiettivo primario è quello di allargare le funzioni individuate da Propp nelle fiabe a tutti i tipi di narrazione. I
protagonisti principali di questa prima stagione della narratologia sono T. Todorov, G. Genette e C. Bremond
B. una narratologia di seconda generazione che si sviluppa a partire dalla seconda metà degli anni Novanta,
quando viene riconosciuta l’importanza dello storytelling (‘narrazione’, ‘atto del narrare’) nella comprensione del
mondo da parte dell’uomo e si rivolge una particolare attenzione ai processi mentali di chi produce il testo
narrativo e di chi lo interpreta. Lo studioso David Herman (North Carolina State University), definisce con un
unico termine, «narratologia postclassica», questi orientamenti che considerano la narrazione come un processo
cognitivo e la indagano anche attraverso teorie mutuate dal cognitivismo, dalla psicolinguistica e dall’intelligenza
artificiale.
Negli ultimi anni la narratologia rivela una forte vocazione transdisciplinare e si arricchisce:
• del contributo delle scienze cognitive;
• delle riflessioni in ambito antropologico sulla centralità dello storytelling, sull’istinto di narrare storie che è
proprio dell’uomo;
• del contributo delle neuroscienze, creando i presupposti per una «neuronarratologia» (Calabrese, Retorica e
neuroscienze, 2013).
La narratologia nasce in Francia a partire dagli anni Sessanta, e conosce ulteriori fasi di sviluppo negli anni
successivi. Possiamo individuare:
A. una narratologia di prima generazione che nasce tra gli anni Sessanta e Settanta grazie agli studiosi della
cosiddetta Scuola di Parigi;
B. una narratologia di seconda generazione che si sviluppa a partire dalla seconda metà degli anni Novanta,
quando viene riconosciuta l’importanza dello storytelling (‘narrazione’, ‘atto del narrare’) nella comprensione del
mondo da parte dell’uomo e si rivolge una particolare attenzione ai processi mentali di chi produce il testo
narrativo e di chi lo interpreta. Lo studioso David Herman (North Carolina State University), definisce con un
unico termine, «narratologia postclassica», questi orientamenti che considerano la narrazione come un processo
cognitivo e la indagano anche attraverso teorie mutuate dal cognitivismo, dalla psicolinguistica e dall’intelligenza
artificiale.
Negli ultimi anni la narratologia rivela una forte vocazione transdisciplinare e si arricchisce:
• del contributo delle scienze cognitive;
• delle riflessioni in ambito antropologico sulla centralità dello storytelling, sull’istinto di narrare storie che è
proprio dell’uomo;
• del contributo delle neuroscienze, creando i presupposti per una «neuronarratologia» (Calabrese, Retorica e
neuroscienze, 2013).
LEZIONE 47 I
I processi di lettura alla luce della neuronaratologia
Grazie ai progressi delle tecniche di neuroimaging degli ultimi decenni, è possibile visualizzare l’attività
cerebrale (monitorando il flusso ematico nel cervello, che aumenta quando i neuroni si attivano) e dunque
diverse ricerche si sono concentrate sul monitoraggio delle strutture neurali coinvolte nell’elaborazione di
sequenze narrative, al fine di ricostruire i processi cognitivi che vengono attivati nel corso dell’interpretazione
dei testi narrativi. Importante a tale proposito la scoperta neuroscientifica che negli ultimi ha interessato
diversi filosofi e teorici delle arti: quella dei neuroni specchio, compiuta all’inizio degli anni ’90, all’Università
di Parma, da Giacomo Rizzolatti e collaboratori.
LEZIONE 48
IL ROMANZO DI FORMAZIONE CARATTERI PRINCIPALI ( FARE RIFERIMENTO AL
PARAGRAFO 4.2 del libro)
Sviluppatosi tra il 700 e l’800, il romanzo di formazione o Bildungsroman è un genere letterario fondato da un
lato sul “principio di classificazione” (cultura inglese e tedesca) con cui si mette in luce l’esito del processo di
maturazione di un personaggio, che da adolescente diventa adulto, secondo un preciso corrispondersi della fine del
racconto con il fine dell’azione narrata; dall’altra su un principio di “trasformazione” (cultura francese e russa)
che fa della giovinezza un valore in sè. Il tema prescelto è sempre quello dell’amore. Come nel romanzo storico,
anche quello di formazione affronta il problema di natura eminemente” sintattica” : si tratta di individuare
l’individuo nell‘ insieme sociale , di inglobare l’ azione del singolo negli eventi collettivi. Un elevato tenore
simbolico riveste in questo senso l’apologia del commercio e della’’ partita doppia’’ contenuta nel libro I dei
Wilhem Meisters Lehjahre, perchè consentirebbero di osservare “l'intero” e “i nessi” che lo istituiscono , ove “
nulla sembra più trascurabile, perchè tutto accresce il circolo da cui la nostra vita trae sostentamento”.
Questo termine coniato nel 1983 dallo studiuso tedesco Hansen-Love fa riferimento alla relazione tra letteratura
ed arti visive. Intermedialità non è altro che un processo di adattamento della narrazione letteraria, come il
dramma, a quelle che sono oggi le nuove tecnologie di comunicazione, come ad esempio il cinema e la tv. Non è
un’imitazione. Quindi si cercherà ridimensionare e adattare i contenuti ai tempi e ai ritmi del nuovo mezzo.
L’intermedialità costituisce la caratteristica principale del sistema dei mezzi di comunicazione di massa. I media
non sono quindi semplicemente indipendenti o contrapposti ma operano su presupposizioni reciproche creando
cosi adattamenti infiniti. Se due media sono presenti apertamente in una data entità semiotica si creano ibridi
mediali (come nel balletto).L'adattamento intermediale non è una semplice imitazione, bensì il tutto è
ricontestualizzato nel nuovo scenario mediale. Per adattare ad esempio una narrazione dalla letteratura ad un
medium qualsiasi, bisogna ridimensionare i contenuti, rendendoli adatti ai tempi e ai ritmi del nuovo mezzo
( cinema, tv, videogame). Questa rimediation avviene generalmente secondo la modalità di dell'immediatezza
trasparente, in cui l'obiettivo del media è di cancellare le tracce di mediazione e dell'ipermediazione, in cui un
medium moltiplica e rende espliciti i segni di mediazione.
Tra le narrazioni visive fondamentali possiamo distinguerne 2: il cinema e la televisione. Con il tempo la parola ha
stretto un legame con l’immagine. Il tempo della narrazione per la letteratura è abbastanza variabile perché ogni
lettore legge ad un ritmo differente. Per quanto riguarda la telesivione, vi sono delle limitazioni, perché il
programma deve adattarsi a blocchi temporali e l'intervallarsi dei break pubblicitari. Il cinema nasce a Parigi nel
1895, grazie ai fratelli Lumière e sin dalle sue origini ha mostrato una vocazione a raccontare storie
rappresentando una vicendacostutuita da esordio, intrigo, scioglimento ed epilogo. Ci vorranno alcuni anni perchè
la vocazione si trasformi in una vera e propria tecnica narrativa (tecnica del montaggio). Le caratteristiche basilari
della narrazione filmica si ispirano alla letteratura e al dramma. Come i romanzi, il film può presentare narrazioni
che comprendono molti spazi e mutamenti di tempo e ambientazione. Accesso diretto allo spazio e ai personaggi.
La durata del film è paragonabile a quello della durata del dramma teatrale. Non solo la letteratura ha
influenzato il cinema ma anche quest’ultimo ha apportato numerosi cambiamenti nel mondo della letteratura, sul
piano dell'immaginario,, delle tecniche narrative e del repertorio di vecende e personaggi. È facile dunque che il
testo letterario, nelle più recenti produzioni, venga già scritto prevedendo l'intervento di rimediazione
dell'industria cinematografica. Quando si parla di questo tipo di adattamento se ne possono individuare ben 3:
1. l’adattamento che segue fedelmente l’opera narrativa di partenza;
2. quello che si struttura in relazione alle scene chiave del testo letterario;
3. quello che elabora una sceneggiatura originale, partendo da elementi del testo ispiratore.
Altra importante strategia di adattamento è rappresentata dalla voce narrante. Essa può essere in prima o terza
persona e può instaurare con le immagini un rapporto di ridondanza, di complementarità o di contrasto.
La televisione è sicuramente più interessante del cinema per uno studio sullo storytelling. Intrattiene relazioni
dinamiche con gli altri media, infatti vediamo come questa prende ispirazione dalla radio dalla quale prenderà in
prestito la possibilità di trasmettere in diretta. La differenza tra cinema e tv è fondamentalmente che il cinema
inizialmente preferiva gli spazi comuni, la tv spazi più privati. Adesso le cose sono cambiate. Anche il cinema si
può vedere da casa. Con il tempo la televisione si è evoluta. Lo storytelling televisivo può essere classificato in
vari modi:
1. caratterizzato dal racconto vero dell’intrattenimento
2. Legato all’informazione, fornendo ricostruzioni ed analisi di ciò che accade nel mondo
3. Cultura ed educazione, che mira a diffondere nozioni relative a determinati campi del sapere.
Nell’ultimo periodo la televisione sta subendo una riscossa dei format della fiction rispetto ai format di
intrattenimento. Possiamo notare quindi che la televisione si fa sempre più reale, mettendo in evidenza vari tipi di
programmi che raggiungo un variegato pubblico.