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04/10/2022

PERCHE’ STUDIARE LA STORIA MEDIEVALE?


La risposta più banale può fare riferimento ai programmi e all’organizzazione degli studi superiori e
universitari: il Medioevo viene proposto come un settore più o meno obbligatorio dell’itinerario degli
studenti in un certo tipo di scuole; ciò rappresenta in molti casi l’unica ragione di un incontro spesso non
richiesto, e forse non gradito. Ma gli ordinamenti ufficiali degli studi non sono realtà arbitrarie e fini a sé
stesse; sia pure con mediazioni e rigidità, rispecchiano orientamenti della cultura che traggono la loro origine
da scelte libere, motivate dal piacere della conoscenza. Su questo piano la storia medievale trova posto tra le
curiosità e le riflessioni dell’intelligenza e della cultura. Fuori di quest’ambito il Medioevo non ha alcun
interesse, come non ne hanno le altre epoche storiche. Spirito di critica, egualitarismo giuridico e sociale,
prosperità economica fondata sulla produzione industriale, sebbene siano in forte trasformazione verso esiti
imprevedibili, costituiscono ancora riferimenti essenziali della coscienza moderna. La storia del Medioevo
potrebbe dunque essere interessante limitatamente a quelle situazioni in cui si coglie il primo manifestarsi
dei valori e delle forme organizzative che si svilupparono compiutamente in un periodo successivo: la libertà
culturale, la dialettica sociale, l’iniziativa economica. Il Medioevo insomma potrebbe essere interessante
essenzialmente per il modo in cui negò se stesso e si trasformò nell’età moderna. Tuttavia, accanto a questo
spontaneo e radicato rifiuto del periodo storico, si coglie spesso nell’opinione culturale dei nostri giorni
anche una viva curiosità per i suoi aspetti più caratteristici; per il lato, si direbbe, antimoderno del Medioevo:
la fede religiosa e le credenze, il primitivismo sociale e culturale, l’arretratezza tecnologica, l’ipotesi insomma
di una società semplice, organica, animata da una forte e unitaria ispirazione ideologica. Si tratta di un
atteggiamento che con caratteri diversi è presente tanto negli studi di storici di successo, quanto in spettacoli
e opere letterarie recenti. Esso prende toni che vanno alla rievocazione esotica di un mondo diverso, alla
nostalgia più o meno esplicita per un mondo che apparentemente non soffriva i mali della società industriale
e postindustriale. Questo contrasto di punti di vista non è senza significato: esso testimonia in sostanza che il
Medioevo come periodo storico, o, se si vuole, come immagine mitica, costituisce un problema per la
coscienza moderna; suscita cioè inquietudine, presentandosi alternativamente come un pericolo da
esorcizzare o un ideale da vagheggiare. Ma neanche i sostenitori di questa decostruzione storiografica negano
che le situazioni e le vicende accadute in quei secoli costituiscano una esperienza storia attraverso la quale la
società europea è passata in un tempo non troppo lontano dal presente; di cui sono ancora visibili le tracce
nel mondo in cui essa vive, nella configurazione del paesaggio e delle città, in essenziali concezioni religiose e
politiche, in certi aspetti delle istituzioni con cui si governa. Insomma, entro i limiti dell’interesse per le
relazioni tra presente e passato e per la decifrazione delle componenti della nostra identità culturale, i secoli
medievali sono un riferimento certo più prossimo dell’antichità classica e non meno rilevante della più vicina
età moderna. E questa può essere una buona ragione per dedicare ad essi quell’attenzione e quella
meditazione che sostanziano lo studio di un’epoca storica. Il Medioevo, del resto, non è divenuto una
presenza scomoda solo in tempi recenti. In realtà si può dire che fin dal suo primo manifestarsi, la coscienza
moderna europea si è interrogata sul significato che quel millennio di vita storica ha avuto nella sua propria
formazione, e anzi si può dire che alle origini essa si sia definita proprio in relazione e in polemica con il
Medioevo, prendendo le distanze da esso.

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10/10/2022
UMANESIMO E MEDIOEVO
Si dice comunemente che l’idea del Medioevo sia stata espressa dall’umanesimo italiano come antitesi
dell’ideale della rinascita. I letterati del Quattrocento sentirono di star vivendo un’epoca di radicale
trasformazione della cultura, caratterizzata dal recupero della letteratura e, ancor più, dello spirito
dell’antichità classica, concepiti come modelli ideali di stile e di umanità. Letterati e artisti delinearono
dunque un itinerario della civiltà che si distendeva in tre fasi: l’antichità classica, che aveva espresso i valori
umani e culturali al più alto grado di compiutezza; un’età di imbarbarimento e decadenza seguita alla caduta
dell’Impero Romano; e quindi la loro età in cui erano rinati gli ideali di educazione e di forma già espressi
dalla civiltà classica. L’’epoca intermedia, che veniva fatta iniziare con le invasioni barbariche e coincidere con
la rinascita delle lettere e delle arti, cronologicamente corrisponde a quello che è per noi il Medioevo, e i
caratteri con cui venne connotata, rozzezza e oscurità, sono quelli che a lungo sono stati attribuiti al
Medioevo. Parrebbe dunque che l’idea del Medioevo fosse già bella e compiuta nel Quattrocento. Va però
osservato che per gli umanisti italiani le manifestazioni del pensiero e della letteratura non esaurivano tutto il
contenuto della storia. Essi sapevano che sotto il profilo politico, istituzionale, religioso, la loro epoca non
rappresentava una rinascita dell’antichità, ma piuttosto l’esito di un’evoluzione che aveva preso l’avvio dalla
decadenza dell’Impero Romano e successivamente non aveva conosciuto cesure. Scrittori di storia come
Leonardo Bruni (1370-1444) o Flavio Biondo (1392-1463), pur partecipi della cultura umanistica per
quanto riguardava i valori letterari, consideravano il corso della storia diviso tra un’età antica, fino alla caduta
dell’Impero Romano, ed una successiva “età recente”, che giungeva fino ai loro tempi, durante la quale si
erano formate le istituzioni caratteristiche del mondo in cui vivevano: le città, i governi municipali, la Chiesa
romana. La sfaccettatura delle concezioni si riflette nei termini con cui venne indicata l’età di mezzo. Sembra
che la prima designazione specifica di essa si trovi nel 1469, in uno scritto del vescovo umanista Giovanni
Andrea Bussi (1414/17-1475), che riferendosi ad un altro più famoso umanista, Nicolò Cusano, lodò la sua
eccezionale conoscenza delle storiche latine, sia antiche che della “media tempestas”, cioè, parrebbe di
intendere, “dell’età di mezzo”. Nel latino del Bussi “medio” poteva significare “intermedio”, ma anche
“meno antico”; perciò è possibile che con quella espressione “media tempestas” egli volesse semplicemente
indicare un’epoca più recente rispetto all’antichità classica, ma non un’epoca intermedia ben definita e
conclusa. Anche altre espressioni come “media antiquitas”, “media aetas” e “medium aevum”, che ricorrono
nel XV e XVI secolo riferite a fatti, testi e autori letterati, ebbero tanto il senso di “intermedio”, che quello di
“tardivo”, “più recente”, rispetto all’età classica. Insomma non si può affermare che negli ultimi umanisti
italiani all’idea di un’età di decadenza delle lettere e delle arti corrispondesse chiaramente quella più generale
di un periodo storico ben distinto tanto dal presente come nell’antichità e rifiutato nella sua globalità. Per
giungere dalla concezione umanistica al concetto moderno di Medioevo come periodo storico, va ripercorsa
una lunga evoluzione della coscienza storica, che non ebbe luogo solo in Italia, né ebbe solo le lettere come
oggetto e metro di giudizio, e si precisò col trascorrere del tempo, man mano che aumentava la distanza dai
secoli in questione.

11/10/2022
IL CINQUECENTO
Il problema del rapporto tra antichità classica, l’età ad essa succeduta e lo stato del presente venne avvertito
anche dagli umanisti francesi e tedeschi del Cinquecento. Essi condividevano con gli italiani la

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consapevolezza e l’orgoglio di star vivendo in un’epoca di grande progresso intellettuale, che si esprimeva
soprattutto nella affinata comprensione critica degli autori antichi e delle stesse Sacre Scritture; ma erano
anche pienamente inseriti nelle realtà politiche, istituzionali, religiose dei loro paesi. In Francia, eruditi come
Charles Dumoulin (1500-1566), Etienne Pasquier (1529-1615), Claude Fauchet (1530-1602), erano
espressione dei ceti che partecipavano al governo del regno – nobiltà e giuristi – e si adoperarono ad
investigarne e illustrarne le tradizioni insieme con quelle della monarchia. Il richiamo all’antichità classica
aveva per loro quel valore di riferimento culturale nobilitante assunto dagli umanisti italiani; talvolta
considerarono il disprezzo per i barbari come espressione del nazionalismo italiano. Nell’età barbarica, infatti,
essi individuavano l’origine delle loro istituzioni politiche nazionali, soprattutto della monarchia, e
proiettavano su quell’epoca i loro sentimenti patriottici. Rivolsero perciò la cresciuta abilità filologica anche
allo studio del diritto, della legislazione e perfino della letteratura dell’epoca feudale in Francia. Anche in
Germania fin dal Quattrocento storici, antiquari e teologi della storia, come Hartmann Schedel (1440-1514)
e Johan Verge detto Nauclerus (1425-1510), considerarono con rispetto sia le invasioni barbariche che
l’impero medievale come momenti di affermazione della nazione tedesca nella storia europea. La riforma
religiosa di Martin Lutero consolidò la conoscenza nazionale. La rivalutazione del passato tedesco faceva
parte del programma educativo dei riformatori, che anche nella storia cercavano sostegno alle loro istanze.
Johan Sleidan (1506-1556), Filippo Melantone (1497-1560), collaboratore diretto di Lutero, suo genero
Caspar Peucer (1525-1602) composero storie universali nelle quali rivendicarono la funzione dell’impero
tedesco nel mondo cristiano e accusarono la Chiesa romana di averne provocato la rovina, riducendo insieme
il popolo tedesco in un deprecabile stato di frazionamento e marginalità politica. Anche la storia della Chiesa
occupò un posto di rilievo nella cultura protestante. Filippo Melantone e altri collaboratori di Lutero, come
l’inglese Robert Barnes (1495-1540), finalizzarono le loro esposizioni storiche a dimostrare che la Chiesa
romana era venuta meno alla missione affidata da Cristo ai suoi discepoli e attraverso una mondanizzazione
sempre più accentuata, connessa all’affermazione del primato papale, aveva provocato una profonda
decadenza della religione, fino alla riforma di Lutero. Queste idee furono sistematicamente sviluppate nella
Historia Ecclesiastica progettata e realizzata dall’umanista istriano Mathias Vlacic (1520-1575) o, col nome
latinizzato, Flacius Illyricus, che recatosi in Germania nel 1539 aveva aderito alla riforma. L’opera doveva
illustrare la progressiva degenerazione della Chiesa dalle origini apostoliche fino al XIII secolo, quando il
papato sarebbe divenuto, secondo la polemica dei protestanti, incarnazione dell’Anticristo. Alla sua
realizzazione collaborarono diversi scrittori che effettuarono ricerche originali, sebbene non sistematiche, di
testi e documenti. L’esposizione era suddivisa per secoli, o centurie, e per questo l’opera viene chiamata anche
Centurie di Magdeburgo, dal nome della città in cui fu progettata. Pubblicata tra il 1559 e il 1574, essa non
si distingue per originalità né per obiettività dell’esposizione, ma ebbe grande diffusione nel mondo
protestante. Contribuì a divulgare l’interpretazione negativa di un periodo della storia della Chiesa che nelle
grandi linee corrispondeva a quello individuato dagli umanisti con riferimento alla vicenda di lettere. Per i
protestanti, comunque, non le invasioni barbariche, ma la mondanizzazione della Chiesa, iniziata al tempo
di Costantino, era la causa della decadenza. La storiografia polemica protestante aggiunse dunque una
connotazione negativa ai secoli di mezzo: quella della decadenza della religione e della Chiesa. Tuttavia,
anch’essa riconosceva che in quei secoli avevano preso corpo aspetti essenziali della tradizione nazionale
tedesca, come l’affermazione dei germani e l’impero. Si può concludere, insomma, che il grande
rinnovamento culturale prodottosi in Europa tra Quattrocento e Cinquecento fece avvertire che tra
l’antichità classica e quella delle origini cristiane e il presente si stendeva un’epoca in cui si erano prodotti

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consistenti fenomeni negativi e tuttavia gli storici non giunsero a considerare irrilevante tutto quello che era
accaduto in quell’epoca. Essi ebbero chiara la percezione che molte situazioni proprie del loro mondo,
compreso il rifiorire delle arti e la purificazione della religione, avevano in essa origine; in una prospettiva
allargata i confini tra il periodo intermedio e il mondo moderno risultavano fluidi ed incerti.

17/10/2022
IL SEICENTO
Una più netta percezione dell’età di mezzo come periodo storico definito e concluso maturò lentamente tra
la fine del Cinquecento e i primi decenni del Settecento. Le monarchie assolute affermatesi in Europa,
scoraggiarono la storiografia come espressione dei ceti e delle istituzioni, favorendo invece l’erudizione
utilizzata come esaltazione delle antichità della Chiesa, delle monarchie e delle nazioni. La pubblicazione a
stampa di cronache e d’altra comunicazione tratte dagli archivi e dalle biblioteche dove erano ormai
abbandonate, costituì una delle caratteristiche espressioni dell’erudizione europea tra la fine del Cinquecento
e il Seicento, e fu sostenuta da una matura sensibilità filologica, che si ispirava a criteri di metodo analoghi a
quelli messi a punto allora nelle scienze matematiche e fisiche. In Francia già Pierre Pithou (1539-1596),
giurista e magistrato regio, aveva pubblicato due raccolte di antiche cronache relative alla storia di Francia tra
l’VIII e il XIII secolo. Andrè Duchesne (1584-1640), storico e geografo del re, nel 1616 pubblicò le cronache
del ducato di Normandia; progettò inoltre e iniziò una grande raccolta di antichi scrittori di storia francese.
In Germania Heinrich Canisius (1550-1610), professore di diritto ad Ingolstadt, pubblicò, tra il 1601 e il
1604, 6 volumi di Antiquae Iectiones contenenti testi religiosi, letterari, cronistici di epoca medievale; nel
1685 apparvero gli Scriptores rerum Germanicarum di Johan Heinrich Boecker. In Inghilterra testi
medievali relativi alla storia inglese furono pubblicati da William Camden (1551-1623): Anglica,
Normannica, Hibernica, Cambrica e veteribus scripta (dal 1603); e da sir Henry Savile (1549-1622): Rerum
Anglicarum Scriptores post Bedam praecipui (dal 1596). Il recupero alla pubblicazione della
documentazione non si prefiggeva ancora lo studio del Medioevo come epoca storica bene identificata e
distinta; essa mirava alla conoscenza delle imprese dei sovrani e dei popoli. Pure lo studio di quei testi mise in
evidenza caratteristici aspetti dell’età medievale che suscitarono l’interesse di eruditi; si vedano ad esempio la
gran quantità dei testi storici allora scritti, l’originalità della lingua latina adoperata, le peculiarità del
vocabolario tecnico, soprattutto giuridico. Nel 1627 il dotto olandese Johan Gerard Voss (1577-1649) o
Vossius, nella forma latinizzata del cognome, pubblicò una dissertazione sugli scrittori di storia in latino, che
era divisa in tre sezioni: la prima dedicata agli scrittori antichi fino al II secolo d.C.; la seconda agli scrittori
del periodo che andava dal III secolo d.C. al Petrarca; la terza agli storici più recenti. L’età di mezzo era
identificata come un periodo autonomo della storia letteraria, sia pure minore. Lo stesso Vossius compilò nel
1645 un trattato sulle peculiarità di quello che chiamava “latino barbarico”, che era poi il latino del
Medioevo, di cui riconosceva l’originalità, anche se esprimeva ancora un giudizio negativo sulla sua qualità.
L’esigenza di un vocabolario specializzato per il latino dell’età più tarda, ripetutamente espressa in quegli
anni, venne finalmente soddisfatta con la compilazione di quello che, riveduto e ampliato, resta ancor oggi
uno strumento di lavoro fondamentale, il Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis di Charles
Du Fresne Du Cange (1610-1688), pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1678 in 3 volumi. Du Cange
era un cultore di studi di storia, geografia, archeologia, legislazione, numismatica relativi al passato della
Francia, e riversò nella redazione del glossario le sue vaste conoscenza documentarie, realizzando qualcosa di
più di un semplice vocabolario: un vero repertorio enciclopedico di termini relativi a concetti, istituzioni,

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usanze, oggetti della tarda antichità e dell’età di mezzo, desunti dalla documentazione giuridica, cronistica,
archivistica, che la cresciuta ricerca sulle fonti metteva a disposizione degli studiosi. Il concetto di “infima
latinità”, riferito alla lingua scritta nel Medioevo, non aveva significato spregiativo, ma evidenziava la sua
collocazione tardiva rispetto al latino classico. Attraverso il lessico, venivano definite anche le antichità, cioè
le istituzioni, i costumi, le concezioni del Medioevo, costruendo una conoscenza più precisa di quel passato
che il trascorrere del tempo rendeva sempre più lontano e diverso dal presente. Gran parte dell’erudizione del
Seicento fu dedicata alla storia ecclesiastica. Già alla fine del Cinquecento la cultura cattolica ufficiale aveva
risposto alla polemica dei protestanti con un’opera storica di grande respiro, gli Annales Ecclesiastici del
cardinale Cesare Baronio (1538-1607), con una ricostruzione della storia della Chiesa esposta anno per anno
dalla nascita di Cristo al 1198, sulla base di una ricca documentazione, spesso originale, che il Baronio
trovava nella Biblioteca Vaticana di cui era prefetto. In essa la Chiesa cattolica veniva difesa dalle accuse dei
protestanti, rivendicando la legittimità del primato papale. In relazione alle polemiche protestanti nacque la
grande impresa erudita degli Acta Sanctorum. Nel 1643 ad Anversa in Belgio, in piccolo gruppo di gesuiti
animati da Jean Bolland (1596-1665), concepì il progetto di raccogliere e pubblicare le testimonianze scritte
sulle vite dei santi venerati dalla Chiesa cattolica, esaminandole con il metodo critico-filologico impiegato per
i testi letterari e storiografici. L’intento era quello di dare un fondamento documentario al culto dei santi,
che era uno dei bersagli della polemica protestante. Il lavoro era enorme per la quantità dei testi, in gran parte
di età medievale, che tramandavano le vite, le passioni, i miracoli dei santi dell’orbe cristiano. Bolland e i suoi
soci riuscirono a pubblicare un gran numero di volumi, contenenti le vite dei santi secondo l’ordine del
calendario liturgico, con testi selezionati, vagliati nella autenticità, nella cronologia, nel contenuto, corredati
da commenti filologici, storici e religiosi. Un altro centro di erudizione sacra fu la congregazione dei monaci
benedettini di St. Germain des Prés a Parigi, chiamati Maurini in memoria di San Mauro, uno dei primi
compagni di San Benedetto. La regola di questa congregazione attribuiva grande importanza allo studio della
storia ecclesiastica e soprattutto monastica nella formazione intellettuale e spirituale dei monaci. Ciò favorì la
pratica della ricerca storicoerudita, nella quale si distinse Jean Mabillon (1632-1685), editore e studioso dei
testi inediti dei padri della Chiesa, vite dei santi benedettini. In quest’attività, i Maurini perfezionarono il
metodo critico-filologico e non si limitarono all’analisi dei testi spirituali e letterari. In un volume degli Acta
Sanctorum il gesuita Daniel Papebrock aveva pubblicato una dissertazione relativa ai criteri di individuazione
dei documenti falsi, soprattutto di età medievale (Propylaeum antiquarium circa veri ac falsi discrimen in
vetustis membranis, 1675), giungendo a negare la genuinità dei più antichi documenti conservati
nell’archivio dell’abbazia di St. Denis presso Parigi, tra i quali erano i diplomi dei re merovingi. Non persuaso
da queste drastiche conclusioni, Jean Mabillon compì una sistematica identificazione delle caratteristiche
formali e materiali dei documenti medievali (scrittura, stile, forma esteriore, consuetudini di datazione e
sottoscrizione, sigilli), mettendo a punto un organico sistema di riferimento per l’accertamento della loro
genuinità.

18/10/2022
Quest’opera, intitolata De re diplomatica, pubblicata nel 1681, è alla base della moderna scienza dei
documenti medievali che conserva il nome di “diplomatica”. Essa ebbe un successo enorme e lo stesso
Papebrock si dichiarò convinto delle conclusioni del Mabillon e desideroso di porsi alla sua scuola. L’attività
erudita dei Maurini proseguì anche nel secolo seguente, estendendosi alla storia della liturgia e alla patristica
greca. Sebbene per i dotti ecclesiastici non esistessero cesure nella storia della Chiesa, che essi vedevano come

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uno svolgimento ininterrotto della predicazione di Cristo fino ai loro tempi, le ricerche che svolsero
concorsero a mettere in luce molte caratteristiche manifestazioni della religiosità e della vita ecclesiastica
medievali; esse contribuirono a precisare l’immagine di un’epoca che pur essendo ancora considerata
barbarica, cominciava ad apparire apprezzabile per le peculiari espressioni della fede. Nel corso del Seicento si
ebbe la consapevolezza matura che l’età moderna era decisamente originale rispetto a tutto il passato, tanto
classico che medievale. Non solo i letterati, ma anche i giuristi, i filosofi politici, gli scienziati, si rendevano
conto della novità della loro epoca, che si allargava ben oltre il mondo delle lettere, ai sistemi economici e
politici, al progresso della scienza, al rinnovamento dei costumi, ai confini del mondo conosciuto. Nella
seconda metà del Seicento, gli storici accademici trasferirono questa nuova coscienza nelle sintesi di storie
universali. George Horn, professore di storia nell’università di Leida, nel trattato Arca Noae, sive historia
imperiorum et regnorum a conditio orbe ad nostra tempora, propose una nuova periodizzazione, separando
la storia antica (vetus) da quella più recente (recentior) e all’interno di questa distinguendo due periodi: il
medium aevum e l’aevum recentius, divisi dall’invenzione delle armi da fuoco e dalla stampa, dalle scoperte
geografiche, dalla nuova organizzazione degli stati, oltre che dalla rinascita delle lettere. In un’altra opera,
l’Historia ecclesiastica et politica, Horn fissò i termini cronologici dell’età di mezzo tra la caduta dell’Impero
Romano nel 476 e la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi nel 1453. La scansione della storia
universale in tre epoche - antica, media e recente - ricorre, nella seconda metà del Seicento, anche nelle opere
di altri dotti, tra cui Gottfried Wilhelm Leibniz, più noto come filosofo e matematico. Essa venne consacrata
nell’uscita accademico da Keller (o Cellarius alla latina ). Questi aveva pubblicato, nel 1675, un sommario di
storia antica fino alla nascita di Cristo, come sussidio per lo studio delle lettere classiche. Tre anni più tardi
pubblicò una Storia del Medioevo dai tempi di Costantino il Grande fino alla presa di Costantinopoli da
parte dei Turchi, e, nel 1696, una Historia nova, comprendente i secoli XVI e XVII. Nell’opera di Keller il
Medioevo ha un contenuto significativo ed organico: è l’epoca in cui si forma la struttura geopolitica
dell’Europa moderna, che emerge in tutta la sua originale identità nel momento in cui cadono le ultime
sopravvivenze dell’antico Impero Romano. Solo nel campo delle lettere i secoli del Medioevo presentano
caratteri negativi di povertà e rozzezza, deprecati ripetutamente dal Keller, senza tuttavia precludergli di
riconoscere l’importanza degli altri.

IL SETTECENTO
Nel Settecento l’età medievale divenne oggetto di una nuova riflessione, intesa a valutare le caratteristiche
della sua civiltà in rapporto critico con quella dell’epoca moderna. Ciò avvenne grazie al congiungimento
dell’erudizione con la filosofia dei costumi e al dibattito illuministico sul progresso della società umana. Non
si trattò di una innovazione totale, ma dell’approfondimento di concezioni e prospettive già maturate nella
seconda metà del Seicento, sia in materia di metodo storico che di riflessione sullo svolgimento della storia
europea. Un ruolo importante in questo processo di chiarificazione lo ebbe Ludovico Antonio Muratori,
che può essere considerato il fondatore della ricerca critica del Medioevo italiano. Ecclesiastico, bibliotecario
nell’Ambrosiana di Milano e nell’Estense di Modena, egli raccolse e sviluppò la metodologia erudita dei
Maurini, adoperandosi per dotare l’Italia di una raccolta di fonti storiche simile a quelle che già possedevano,
o andavano costituendo le altre nazioni europee. Il suo intento aveva però anche caratteri originali: in Italia
non esisteva, come in Francia, uno Stato unitario cui richiamarsi per farne il riferimento coordinatore della
storia nazionale e d'altra parte la cultura accademica continuava a considerare la civiltà antica non solo il
paradigma di ogni civiltà, ma anche la tradizione culturale del proprio paese. Muratori prese le distanze da

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queste concezioni: sostenne che l’Italia, pur non essendo politicamente unita, era comunque ambito di una
tradizione comune a tutti gli italiani, l’antica madre verso cui si dovevano coltivare sentimenti di reverenza;
che questa tradizione si era formata non nell’antichità, troppo remota e sostanzialmente diversa dal presente,
ma nel Medioevo. Muratori era giunto a questa convinzione non solo per la conoscenza che aveva degli studi
storici nelle altre nazioni europee, ma anche per aver constatato, attraverso le sue ricerche erudite, che molte
situazioni istituzionali e giurisdizionali del suo tempo risalivano direttamente al Medioevo. L’indagine su
quel periodo gli si presentava come una scoperta delle origini del mondo moderno. Mosso da queste idee e
dalla fede nella funzione civile dell’erudizione, egli raccolse un gran numero di cronache relative alla storia
d’Italia tra gli anni 500 e 1500, pubblicandole in una collezione intitolata Rerum Italicarum Scriptores,
uscita in 25 volumi tra il 1723 e il 1751. L’impresa fu possibile grazie ad una rete di corrispondenti eruditi,
che collaborarono alla ricerca dei testi nelle biblioteche d’Italia. Su essi Muratori esercitò una revisione critica
e filologica, applicando e perfezionando i metodi dei Maurini. Inoltre, si dedicò a studiare e ricostruire i
costumi, le istituzioni, la cultura, la religione della società medievale, servendosi non solo delle cronache ma
anche di documenti come diplomi di sovrani, testi normativi, memorie letterarie. Compose così 75
dissertazioni che pubblicò in 6 volumi tra il 1738 e il 1742 col titolo di Antiquitates Italicae Medii Aevi, che
nel loro insieme costituiscono una vasta e originale indagine sulla civiltà del Medioevo italiano, arricchita da
documenti inseriti nel testo. Orientamenti analoghi si ritrovano nell’opera dell’erudito francese Jean Baptiste
de la Curne de Sainte Palaye, direttore dell’Académie des Inscriptions ed Belles Lettres, una prestigiosa
istituzione di studio nel Settecento francese. Egli progettò e in gran parte realizzò un Glossaire de l’ancienne
langue française, l’equivalente dei Glossarium latino del Du Cange, con indagini sull’evoluzione delle parole
e del loro significato. Come Muratori, così 6 La Curne aderiva ai valori etici e culturali del suo tempo ed era
ben persuaso della loro superiorità rispetto all’epoca medievale. Nel Settecento l’indagine sul Medioevo non
ebbe luogo solo nelle accademie e tra gli eruditi; filosofi politici e critici sociali dell’Illuminismo francese
fecero frequente riferimento a quell’epoca nella loro critica delle istituzioni vigenti e degli abusi feudali. In
questa prospettiva, una vibrante polemica dell’epoca medievale fu portata avanti da Voltaire, autore di alcune
grandi opere storiche. La più significativa è l’Essai sur les moeurs et l’esprit des nations et sur les principaux
faits de l’histoire depuis Charlemagne jusqu’à Louis XIII. Scopo principale della storia, per Voltaire, doveva
essere la conoscenza << dello spirito, dei costumi, degli usi delle principali nazioni >>, utile in quanto faceva
prendere consapevolezza degli errori compiuti dal genere umano, e contribuiva così a facilitare il suo
progresso. La Chiesa cattolica, per Voltaire, aveva avuto una responsabilità di primo piano nel determinare le
crisi della civiltà antica e la depressione della società, trasformando la religione in strumento di oppressione e
dominio. L’Essai non è uno studio sul Medioevo; tuttavia, attraverso questa polemica il Medioevo veniva
acquisito alla storia dell’Europa moderna come fase negativa ma essenziale del suo sviluppo. Il saggio ebbe
grandissima risonanza.William Robertson, un pastore protestante cultore di storia, delineò una storia
dell’Europa durante il Medioevo per mostrare come in quel periodo si fosse potuto superare il disordine e le
barbarie provocati dalle invasioni e porre le basi della superiore organizzazione politica, economica e civile
dell’età moderna. Edward Gibbon, un patrizio inglese, dopo un viaggio a Roma, concepì il progetto di
ricostruire e narrare la decadenza dell’Impero Romano. Scrisse un’opera, History of the the Decline and Fall
of the Roman Empire, nella quale l’epoca medievale era compresa integralmente non come periodo
autonomo, ma come parte di un più vasto processo costituito dalla millenaria decadenza dell’Impero
Romano.
(mancano appunti di giorno 17 e 18)

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21/10/2022
IL MEDIOEVO NELLA CULTURA TEDESCA
Ma fu soprattutto in Germania che alla fine del Settecento la concezione illuministica del Medioevo venne
messa in discussione e sostituita da una diversa e originale interpretazione del periodo e del suo significato
nella storia dei popoli europei. Un’espressione storiografica di questa tendenza si trova nell’opera di Justus
Möser, che rievocò la storia del popolo tedesco dalle più antiche testimonianze rintracciabili nelle opere di
Cesare e Tacito, fino a tutta l’età medievale. Contro l’illuminismo francese, Möser sosteneva che ogni popolo
aveva un’individualità storica originale, caratterizzata da un patrimonio spirituale espresso nella lingua, nei
costumi, nel diritto; ogni popolo aspirava all’onorevole politico nei rapporti con gli altri, e lo difendeva con le
sue attitudini militari. Il Medioevo si presentava a Möser come epoca storica di riferimento per la coscienza
nazionale tedesca (domanda molto frequente). Caratterizzata dalla lingua, individualità del popolo, comune
patrimonio culturale, la vita delle norme e dei costumi. L’idea dello << spirito nazionale >> come essenza
morale, politica, culturale dei popoli ebbe diffusione in Germania alla fine del ‘700 (ci si avvicina al
romanticismo), grazie anche alla consacrazione mistico-filosofica datate da Johann Gottfried Herder, un
pensatore che ebbe grandissima influenza nell’epoca di passaggio tra l’Illuminismo e il romanticismo. Essa
valse non solo a differenziare la tradizione culturale tedesca dall’Illuminismo francese, ma offrì il fondamento
ideale dell’opposizione politica contro l’occupazione della Germania da parte di Napoleone. Si riflette tutto
nell'aspetto politico contemporaneo: il passato va considerato come un periodo nel quale si rivivono le stesse
esperienze del mondo contemporaneo. Il poeta Friedrich con Hardenberg, detto Novalis, in un breve scritto
intitolato Die Christenheit oder Europa (la cristianità, ovvero l’Europa, 1799), esaltò l’epoca che aveva
preceduto la riforma protestante, in cui tutta l’Europa era stata un’unica comunità spirituale tenuta insieme
dalla fede cristiana e la vita della società era stata animata da sentimenti semplici e profondi e da una sincera
solidarietà basata su valori trascendenti. Il poeta e drammaturgo Friedrich Schiller, nel 1790, nelle lezioni
che tenne a Jena, presentò il Medioevo come epoca in cui la libertà era stata il fondamento della società e
della civiltà, in contrasto col dispotismo e lo schiavismo dell’Impero Romano. Friedrich Schlegel, tra il 1805
e il 1806 teorizzò una periodizzazione della storia universale in sette epoche, al centro delle quali stava il
Medioevo, caratterizzato come epoca di ordine e serenità spirituale, iniziata con l’incarnazione del figlio di
Dio e percorsa dalla diffusione della religione dell’amore per l’umanità. Nei primi tre decenni dell’Ottocento
la cultura tedesca fede dell’età medievale un fondamentale banco di prova della riflessione sull’’identità
germanica e sul suo ruolo nella civiltà europea. Di conseguenza si affermò anche l’esigenza di approfondire la
conoscenza del popolo attraverso un più sicuro ed esteso ricorso alla documentazione. Un evento
fondamentale in questo senso fu la fondazione, nel 1818, di una <>, promossa dal barone Karl con Stein, un
patrizio di Francoforte animato dalle idealità romantiche della nazione e delle sue tradizioni, col fine di
pubblicare sistematicamente e in forma critica le fonti della storia medievale tedesca. La storiografia tedesca
di qualsiasi epoca fa scuola: la metodologia basata sulla raccolta di fonti, studio ed esposizione di queste
deriva dalla scuola tedesca. Il progetto scientifico e editoriale fu messo a punto, nel 1824, dal giovane
studioso posto alla direzione dell’impresa dal barone von Stein: George Heinrich Pertz. Si sarebbe dovuta
realizzare una grande collana di fonti storiche intitolata Monumenta Germaniae Historica (MGH),
articolata in cinque sezioni dedicate ciascuna a un diverso tipo di documenti: Scriptores, Leges, Diplomata,
Epistolae e Antiquitates. Il programma di edizioni intendeva illustrare la presenza germanica dovunque esse
avesse avuto rilevanza storica: perciò vennero pubblicate nei Monumenta fonti relative anche a paesi europei
in cui o i germani delle migrazioni o l’impero tedesco avevano avuto un ruolo. Nei decenni in cui la teoria e la

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pratica dell’’utilizzazione critica dei documenti divennero le regole di metodo storico caratteristiche di gran
parte dell’Ottocento, fondamentale importanza ebbero la ricerca e l’insegnamento di Leopold Ranke, grazie
al quale la storia cessò di essere in Germania materia per le riflessioni di letterati, pensatori, filosofi e divenne
lavoro praticato da specialisti che operavano soprattutto nelle università. Solo nell’Ottocento la storia
acquisisce una propria dignità accademica, iniziando ad essere insegnata all’università da specialisti. Ranke
affermò il principio che solo attraverso l’uso diretto delle testimonianze coeve si potevano ottenere
conoscenze storiche oggettive, mentre ricostruzioni e giudizi fondati su informazioni di seconda mano
mancavano di attendibilità. Un fondo di verità in quello che dice lui lo troviamo nel fatto che esponevano
l’analisi diretta dei documenti. Egli definì i criteri di metodo per l’utilizzazione delle testimonianze antiche,
che dovevano essere genuine e cronologicamente vicine agli eventi, e avevano comunque valore e portata
diversi anche in rapporto alla loro natura, alle conoscenze ed alle intenzioni dei loro autori. Egli indicava
come meta dello storico la ricostruzione oggettiva dell’accaduto, << come si era realmente svolto >>.

LA STORIOGRAFIA POSITIVISTA
Nella seconda metà dell’Ottocento si accentuò, in tutta Europa, l’interesse per l’acquisizione e la critica delle
fonti, nonché per la ricostruzione puntuale degli avvenimenti e delle istituzioni, sulla scia dell’insegnamento
del Ranke. La storiografia si prefissa la conoscenza “oggettiva” del passato sperando di poter conseguire la
stessa certezza che si attribuiva alle scienze della natura. Ci sono sempre degli anticipatori r nell'epoca
successiva ci si rifà a loro. Verso la metà del secolo si svilupparono in Germania anche gli studi sulla storia
dell’attività economica, che trassero origine dalle discussioni sull’economia politica nazionale per la quale si
volevano identificare principi diversi e opposti a quelli del liberismo inglese. Theodore von Inama Sternegg
scrisse una poderosa Storia economica tedesca,3 voll. 1879-1901, il primo trattato che rechi nel titolo
l’espressione <>. Si tratta di una grandiosa raccolta di informazioni sulla vita economica del medioevo
tedesco, che Karl Bücher distinse in economia domestica, economia di villaggio o di <>, economia cittadina
ed economia di popolo. L’età medievale venne caratterizzata attraverso il prevalere successivo di alcuni di
questi tipi di economia e studiata per individuare le modalità del passaggio dell’uno all’altro. Anche le
teorizzazioni di Karl Marx e Friedrich Engels si basavano su una tipizzazione delle forme fondamentali
dell’attività economica rintracciabili nell’esperienza storica, europea ed extraeuropea, definite in funzione del
rapporto tra classi sociali nei diversi <> dei beni economici. Marx identificò quattro modi di produzione:
asiatico, schiavistico, feudale e capitalistico-borghese. Il modo di produzione feudale e prodromi di
quello borghese trovavano la loro attuazione storica nel Medioevo europeo. Il feudalesimo è durato in Russia
fino all’Ottocento. Le teorie marxiane ebbero inizialmente scarso seguito tra gli storici di professione. Dopo
l’abolizione della legislazione antisocialista di Bismarck, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, esse entrarono
nel dibattito storiografico in Germania, dove un gruppo di <> si dedicò allo studio dell’origine della
borghesia e del sistema produttivo capitalistico nell’economia mercantile e manifatturiera delle città
medievali. L’età del positivismo sostituì all’apprezzamento del Medioevo formulato in termini evocativi o
ideologici, proprio dell’Illuminismo e del Romanticismo, l’indagine sulle strutture socioeconomiche e sui
sistemi giuridici caratteristici dell’epoca, cercando di comprenderne la logica specifica, ma anche il significato
generale in termini evolutivi o comparativi, nell’ambito di una problematica storica che nei decenni del
secolo si avvicinò marcamento a quella delle scienze sociali. Si affermò una concezione deterministica
dell'agire umano che si ritiene fosse vincolato da fattori costanti quali la razza, l’ambiente naturale, le
relazioni sociali.

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LA STORIOGRAFIA DEL NOVECENTO
La famosa tesi di Henri Pirenne fornì una nuova interpretazione del passaggio dal mondo antico a quello
medievale, e venne esposta a più risorse nella Storia d’Europa dalle invasioni al XVI secolo (1917, pubblicata
nel 1936); nelle Città del Medioevo (1925) e poi in Maometto e Carlomagno (1937). Essa delineava una
teoria dei sistemi economici succedutisi tra antichità e Medioevo, una nuova periodizzazione di quest’ultimo
e anche una spiegazione, sotto il profilo economico e geografico, dell’origine dell’Europa moderna. Fino alla
Seconda guerra mondiale continuò ad essere largamente praticata la storia narrativa, riferita prevalentemente
alle vicende politiche e fondata sulla minuziosa ricostruzione di fatti; un tipo di storia che più tardi venne
definita histoire historisante o histoire événementielle, per indicarne appunto l’impianto narrativo ed
espositivo. Un caso a parte, nel variegato panorama della storiografia dedicata al Medioevo nella prima metà
del Novecento, è costituito da alcuni esponenti della storiografia francese. Si tratta di Lucien Febvre e di
Marc Bloch, che nel 1929 fondarono una rivista intitolata <>, per promuovere nuovi orientamenti di ricerca
storica. : Essi propugnavano lo studio della società, della sua organizzazione in rapporto ai sistemi economici
ed agli atteggiamenti mentali, come campo di una storiografia concreta e impegnata. Parallelamente
sollecitavano il ricorso alle testimonianze che potevano fornire la geografia, l’archeologia, le tradizioni
popolari, l’iconografia per superare i limiti delle fonti scritte. Abbiamo qui un accenno alle scienze ausiliarie
alla storia, da non considerarsi di aiuto ma con la stessa dignità accademica.

N.B. collocare geograficamente una battaglia, un personaggio, una nazione è indispensabile per superare
l’esame.
N.B.B. oggi lo storico contemporaneo guarda al medioevo non come un periodo di decadenza, ma come un
periodo che all’inizio ha avuto gli strascichi dello splendore classico, al centro un progresso
storico-tecnologico.

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21/10/2022
LE FONTI STORICHE
La storia si fa con le fonti. Questo assioma fondamentale vuol dire che il passato può essere conosciuto e
ricostruito soltanto attraverso le testimonianze di esso che sono pervenute fino a noi. Tali testimonianze
sono, appunto, le fonti della conoscenza storica. Ma va sgombrato il campo da un possibile equivoco: i libri
moderni di storia non sono fonti della storia del passato, nonostante la consuetudine anglosassone di
indicarli come << secondary sources >> (fonti secondarie), in contrapposizione alle fonti << primarie >> che
anche gli studiosi anglosassoni considerano le fonti vere e proprie. Ai libri moderni manca la connotazione
essenziale di qualsiasi fonte storica, cioè la qualità di testimonianza prossima alle circostanze cui si
riferiscono. Non esistono solo fonti storiche. Nel corso dell’Ottocento tra le fonti si distinsero le
testimonianze - cioè informazioni esplicite, nate per dare notizia di fatti ed eventi in forma di comunicazioni
verbali trasmesse dallo scritto - e resti, sopravvivenze del complesso di manufatti che avevano costituito
l’ambiente materiale delle civiltà del passato ed erano sopravvissuti al cessare dell’uso. In rapporto
all’attendibilità̀ intrinseca si distinsero inoltre fonti intenzionali - finalizzate per origine e natura a trasmettere
certi tipi di informazioni - e fonti preterintenzionali- sopravvivenze del passato la cui capacità informativa è
indipendente dalla funzione e destinazione per cui esse furono poste in essere; una distinzione che in buona
parte coincideva con quella fra testimonianze scritte e resti archeologici. Le fonti preterintenzionali si
pensava avessero un’attendibilità̀ maggiore delle altre, perché́ per loro natura meno soggette alla possibilità̀ di
un’intenzionale falsificazione del messaggio. Esse vanno tuttavia valutate attraverso raffinati metodi esegetici
perché́ le loro informazioni possano essere compiutamente e attendibilmente intese.

LE FONTI SCRITTE
La definizione si riferisce alle fonti in cui l’informazione consiste in una comunicazione verbale trasmessa
mediante la scrittura.
- fonti narrative: comprendono tutte le testimonianze che riferiscono di eventi storici in forma
espositiva con un intenzionale fine di conservare e trasmetterne il ricordo. Rientrano tra le fonti
narrative anche le biografie, i memoriali, i panegirici.

- fonti documentarie: rientrano in questa categoria i documenti di natura giuridica destinati a


istituire e testimoniare in forme legalmente valide diritti e obbligazioni di soggetti pubblici e privati.
Tali sono ad esempio, diplomi, privilegi, bolle emanati da un’autorità̀ pubblica, laica o ecclesiastica, a
favore di singoli beneficiari, oppure accordi, contratti, disposizioni di rilevanza giuridica.

- fonti legislative normative: rientrano nella categoria non solo le codificazioni organiche di leggi
promulgate dai sovrani medievali o gli statuti dei Comuni, ma anche testi formativi prodotti
nell’esercizio corrente del governo, come i capitolari carolingi, le costituzioni imperiali e regie, i
deliberati aventi carattere normativo delle diete, dei parlamenti feudali, dei consigli comunali. Vi
rientra inoltre la legislazione e la normativa ecclesiastica, espressa negli atti dei concili, nei decreti
papali, nelle raccolte dei canoni.

- fonti giudiziarie, amministrative e fiscali: la tipologia di queste fonti è molto varia e solo per
comodità̀ esse possono essere raccolte in una sola categoria. Sebbene riguardino il funzionamento di

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organismi statali, esse derivano anche dall’esercizio delle giurisdizioni signorili, feudali ed
ecclesiastiche. Rientrano in questa categoria i deliberati dei tribunali e delle corti di giustizia; i
mandati dei sovrani contenenti istruzioni e disposizioni per i funzionari periferici, i censimenti
fiscali di <fuochi> (nuclei familiari soggetti a tassazione) o di persone con redditi e patrimoni.

- corrispondenza privata e ufficiale: raccolta di lettere, per lo più̀ inviate da persone di alto livello
sociale e culturale, costituiscono preziose testimonianze sulla circolazione delle notizie, le relazioni
private, gli orizzonti culturali: si ricordano ad esempio le lettere del papa Gregorio Magno.

- fonti agiografiche: rientrano in questa categoria le vita dei santi e in genere le testimonianze
relative alla loro memoria e al loro culto, quali i resoconti di rinvenimenti di reliquie, trasporto dei
corpi, edificazione di chiese e miracoli. Questa produzione è spesso a metà strada tra la
testimonianza storica e la leggenda, ma deve proprio a questa caratteristica la sua importanza; anche
quando non fornisce notizie storiche sulle biografie, offre informazioni sulla religiosità̀ e la
mentalità̀ collettiva, sulla cultura di ceti sociali che non hanno lasciato tracce in altri tipi di fonte.

- fonti liturgiche: sono costituite essenzialmente dai testi in cui erano registrate le letture e le
preghiere, accompagnate usualmente da precisi gesti rituali, che gli officianti dovevano recitare
durante le varie cerimonie 9 ecclesiastiche. Sebbene riguardino la vita della Chiesa, esse hanno
implicazioni per la storia della cultura medievale, in quanto le cerimonie ecclesiastiche ebbero
un’evoluzione complessa e subirono significative trasformazioni.

- fonti letterarie e dottrinali: in genere tutti i testi scritti nel Medioevo, anche se non con un fine
primario di documentazione e testimonianza sugli eventi, recano un contributo essenziale alla
ricostruzione della civiltà̀ medievale. Fonti sono anche i testi letterari (poemi, romanzi e novelle) e
quelli dottrinari (trattati teologici, giuridici, politici) prodotti nel Medioevo. La conoscenza di
questi documenti risulta essenziale per la percezione dello spirito dell’epoca.

LE FONTI MATERIALI
La definizione si riferisce alle fonti che trasmettono informazioni prevalentemente attraverso la forma, la
posizione e la funzione di un manufatto, senza escludere che questo possa contenere anche comunicazioni
verbali.
- fonti archeologiche: sono costituite da tutti i manufatti suscettibili di misurazione, numerazione,
valutazione tecnologica e di interpretazione in riferimento ai bisogni della. ita di individui e gruppi
sociali. Rientrano in questa categoria di fonti testimonianze diversissime come i corredi deposti
nelle tombe barbariche, le attrezzature domestiche (vasellame e strumenti), i residui di attività̀
produttive (ad esempio vetrarie e metallurgiche); le abitazioni e gli insediamenti; gli edifici
monumentali (chiese e castelli).

- fonti numismatiche: sono costituite essenzialmente dalle monete metalliche coniate nel Medioevo.

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- sigilli e stemmi: sono espressioni figurate e simboliche dell’autorità̀, testimonianze che hanno
interesse sotto molti punti di vista. Nei sigilli le immagini costituiscono un repertorio suggestivo di
costumi e gesti rituali che illustrano il mondo dei titolari di autorità̀.

- epigrafi: l’epigrafe risponde ai requisiti tanto delle fonti scritte che di quelle materiali: essa, infatti, è
innanzi tutto una comunicazione verbale, che però trae parte del suo significato dai caratteri formali
che presenta in quanto oggetto (dimensioni, materia, scrittura), attraverso la quale svolge parte delle
sue funzioni di comunicazione. Le epigrafi medievali vennero apposte sulle sepolture per
commemorare il defunto, oppure su edifici monumentali per celebrare il patrono. Funzioni in parte
analoghe avevano le scritture dipinte che commentavano immagini religiose o profane esposte al
pubblico, spiegandone soggetto e significato.

- fonti artistiche: anche la produzione artistica medievale, come quella letteraria, può costituire
fonte per la ricostruzione storica, non tanto nel suo specifico valore formale, che è oggetto di studio
e valutazione specialistica, quanto per i programmi che guidarono l’ideazione dell’opera d’arte e per i
significati concettuali da essa trasmessi. Inoltre, l’opera d’arte, soprattutto pittorica, costituisce
spesso l’illustrazione di ambienti, costumi, arredi, che possono documentare la realtà̀ quotidiana, o
al contrario il mondo ideale dell’epoca in cui venne realizzata.

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