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Scienze Politiche

#DALLAPARTEDEGLISTUDENTI

DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO:

«AVENDO PRIMARIAMENTE A CUORE UNA FORMAZIONE QUANTO MIGLIORE POSSIBILE


PER LA COMUNITÀ DEGLI STUDENTI DELL’ATENEO FEDERICIANO, L’ASSOCIAZIONE
STUDENTI UNIVERSITARI A.S.U. SCIENZE POLITICHE, PER L’ATTIVITÀ DI STUDIO,
CONSIGLIA SEMPRE L’UTILIZZO DEI MANUALI E DEI TESTI UFFICIALI, SICCOME ESSI
HANNO L’ESCLUSIVO VANTAGGIO DI ESSERE DI PRECISA QUALITÀ ACCADEMICA E DI
FORNIRE, PERTANTO, IL NECESSARIO APPORTO CONTENUTISTICO E LINGUISTICO
RISPETTO ALLA MATERIA TRATTATA; QUALITÀ, QUESTA, CHE NON PUÒ ESSERE
COMPLETAMENTE SODDISFATTA CON LE COSIDDETTE ‘DISPENSE’ O CON I ‘RIASSUNTI’.

TUTTAVIA, AVENDO COSCIENZA DELLE DIVERSE ESIGENZE DIDATTICHE, EVENTUALMENTE


SCATURENTI DA ALCUNI STUDENTI, SOVENTE PER MOTIVI “DI TEMPO” O SEMPLICEMENTE
“PER SCELTA”, LA STESSA ASSOCIAZIONE CI TIENE A METTERE A DISPOSIZIONE DI
COSTORO DEL ‘MATERIALE DIDATTICO INFORMALE’, MA COMUNQUE DI UNA CERTA
RELATIVA CURA.

ASU CI TIENE A RENDERE NOTO A COLORO I QUALI SI SERVONO DELLE SUE DISPENSE,
RIASSUNTI E MATERIALE DIDATTICO INFORMALE, MESSI A DISPOSIZIONE, CHE IL LORO
UTILIZZO NON È E NON PUÒ ESSERE ASSOLUTAMENTE SOSTITUTIVO DEI MANUALI E
TESTI UFFICIALI. L’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA, PERTANTO, SI SPOGLIA DI OGNI
RESPONSABILITÀ DIDATTICA, SIA NEI CONFRONTI DEGLI STUDENTI CHE NEI CONFRONTI
DEI DOCENTI.

IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO CI STA A CUORE».


LA STORIA MODERNA
Varie sono le date in cui si fissa l’inizio della storia moderna (termine a quo):
- 1492, anno del primo viaggio di Cristoforo Colombo verso il nuovo mondo
- 1350, con la fine della peste
- 1454, con la caduta di Costantinopoli
- 1517, con l’inizio della riforma protestante.
Il termine ad quem viene indicato per l’Italia nel 1815 con il Congresso di Vienna, termine cronologico da
cui si fa iniziare la storia contemporanea (più per esigenze didattiche che per una corretta periodizzazione).
S’intende per periodizzazione un arco temporale ben delimitato, contraddistinto da una serie di caratteri
originali, tali da renderlo individuabile rispetto a fasi storiche immediatamente precedenti e successive. Le
periodizzazioni non sono mai univoche, né definitive. Preferire una determinata periodizzazione rispetto ad
un’altra significa interpretare il corso degli eventi in modo differente.
La periodizzazione è un’operazione fondamentale nelle discipline storiche, poiché permette di pensare in
termini schematici il passato.
1492-1815: queste date rappresentano un punto di riferimento di eventi e processi che si sono avviati
intorno a tali termini cronologici:
- La formazione del sistema moderno delle potenze europee
- Il crollo dell’unità della Res publica chistiana con la riforma protestante
- L’apogeo e la crisi della cultura rinascimentale
- Gli effetti sull’economia
Tali processi conferiscono alla scoperta del Nuovo Mondo un valore emblematico per l’inizio dell’età
moderna.

■ IL SIGNIFICATO DI “MODERNO”

La denominazione “moderna” (dal latino modo = ora) indicava ciò che era più recente rispetto a quanto era
accaduto precedentemente
L’aggettivo moderno, usato in contrapposizione a quello di antico o medievale, privilegia tutto ciò che si
afferma come particolarità dei tempi nuovi e, nell’opinione comune, erroneamente si associa al moderno un
giudizio di positività.
Con il termine “post-moderno” si intende il superamento di un sistema di valori, di un patrimonio storico,
culturale e mentale di cui sono ormai evidenti anche i limiti.
Gli storici utilizzano la denominazione di “antico regime” per distinguere il modello sociale prevalente in
Europa nell’epoca compresa tra sedicesimo e diciottesimo secolo. Questo modello sociale presenta elementi
di crisi e di conflitto che ne segnano tutta la storia, ma che si fanno dirompenti solo con il diciottesimo secolo
(rivoluzione industriale, sviluppo del mercato, crescita dei ceti borghesi, accentuazione della mobilità
sociale, crisi dell’assolutismo, laicizzazione della cultura, illuminismo) culminando con la Rivoluzione
francese (1789-99).
La parola “storia” deriva dal greco “istoria”, cioè “ricerca”, “investigazione”. In italiano vi è un’ambigua
interpretazione, infatti bisogna distinguere “storia” come l’insieme degli avvenimenti, dei fatti umani
accaduti nel tempo da “storia” come racconto e interpretazione dei fatti umani accaduti nel tempo.
In questo secondo caso si dovrebbe usare il termine “storiografia” che intende la scienza che studia la storia,
cioè gli avvenimenti umani succedutisi nel tempo.
Lo scopo della storia è esclusivamente conoscitivo. Essa è dinamica in quanto studia l’evoluzione, i nessi tra
i fenomeni, le cause e le conseguenze degli stessi.

L’EUROPA AGLI INIZI DELL’ETA’ MODERNA


Dalla fine del ‘400 alla prima metà del ‘500 si verificarono profondi mutamenti, basilari per il passaggio alla
modernità. Si trattò di un periodo decisivo per la costruzione del mondo globalizzato nel quale oggi siamo
coscienti di vivere.
Con le esplorazioni geografiche e la scoperta dell’America si aprirono nuovi orizzonti per la vecchia Europa,
attraversata da radicali mutamenti, tanto da poter parlare di un’età di rivoluzioni nei differenti settori della
cultura, della religione, della politica e dell’economia.
- Cultura
La scoperta dell’esistenza di popoli estranei alla narrazione biblica determinò una grave crisi nella
coscienza europea.
L’invenzione e la diffusione della stampa offrirono lo strumento per modificare gli effetti dirompenti di
una più ampia circolazione delle idee.
- Religione
La fine dell’unità religiosa e culturale realizzata con la riforma protestante comportò una rivoluzione
della fede e della morale individuale che coinvolse grandi masse della popolazione e disegnò i caratteri
peculiari tuttora evidenti nel nostro continente.
- Politica
Con il tramonto degli ideali universalistici e la crisi di Impero e Papato si affermò il rafforzamento delle
monarchie nazionali e degli Stati territoriali regionali, determinando un nuovo equilibrio europeo e una
generale tendenza all’accentramento del potere, anche grazie alla formazione di eserciti e burocrazie
moderne.
Con una progressiva erosione dell’autorità e la spoliazione dei beni ecclesiastici si avviò il fenomeno
della secolarizzazione.
- Economia
L’individualismo sconvolse i rapporti sociali ed influenzò l’evoluzione economica.
Le scoperte geografiche aprirono nuovi orizzonti commerciali, senza eliminare il persistente
eurocentrismo.

■ UMANESIMO E RINASCIMENTO

Gli studiosi hanno evidenziato non tanto l’antitesi tra uomo “medievale” e “rinascimentale”, ma permanenze
e differenze dovute alla “rinascita” dello spirito dell’età classica che comportò:
1. Nuova concezione del mondo con la scoperta del valore dell’uomo e della sua natura mondana:
Si afferma il riconoscimento dell’uomo come essere inserito nel mondo della natura, della società e della
storia, artefice del proprio destino, grazie alle prime esperienze verificatesi in città che furono la culla
dell’umanesimo come Firenze.
All’ascetismo medievale si contrappone il riconoscimento del valore del piacere, dell’esaltazione della
vita attiva rispetto a quella speculativa e della filosofia morale rispetto alla metafisica. Contro la mistica
della povertà si afferma la positività della ricchezza, segno di intelligenza e perseguibile con la virtù.
2. Nuova concezione della storia, della politica e dei rapporti fra gli uomini con la scoperta della
storicità del mondo umano e l’elaborazione di principi di tolleranza religiosa:
Rispetto al Medioevo che conosceva e utilizzava la natura classica, assimilandola a sé, ai propri valori, in
una sfera senza tempo, l’umanesimo necessita di riconoscere la dimensione storica degli eventi,
realizzando il distacco dell’oggetto storico dal presente storiografico.
Matura con il ritorno agli antichi e con una nuova esigenza filologica, l’aspirazione al pacifismo e alla
tolleranza.
3. Origini della scienza moderna con il progressivo affermarsi del metodo sperimentale
Il riconoscimento del carattere determinante del rapporto uomo/natura costituisce la premessa
dell’indagine sperimentale moderna, fondata sull’osservazione e sulla scoperta che la natura è scritta in
caratteri matematici.
Con Rinascimento si intende il movimento letterario, artistico e filosofico che va dalla fine del quindicesimo
secolo alla fine del sedicesimo secolo e che si diffuse dall’Italia agli altri paesi d’Europa.
La parola ed il concetto hanno origini religiose: la rinascita è la seconda nascita, la nascita dell’uomo nuovo
o spirituale di cui parlano l’Evangelo di San Giovanni e le Lettere di San Paolo.
A partire dal quindicesimo secolo il termine è usato per indicare un rinnovamento morale, intellettuale e
politico ottenuto attraverso il ritorno ai valori della civiltà greco-romana.

■ AUMENTO DEMOGRAFICO

Durante l’età moderna, la popolazione europea cresce allo stesso ritmo di quella asiatica, mentre quella
americana ha un tracollo. Dopo la peste del 1348 si ha una progressiva crescita e, dal 1450 in poi, una fase di
espansione demografica determinata da molteplici fattori:
- Diminuzione della mortalità: si riducono gli effetti di guerre e malattie endemiche
- Miglioramento del clima, con minore incidenza sulle carestie
- Aumento dei tassi di natalità e di nuzialità, ma permanenza di una mortalità infantile elevata.
Si documentano situazioni diverse tra Nord e Sud Europa ed una sostanziale continuità nelle caratteristiche
della vita quotidiana almeno fino al diciottesimo secolo.
La famiglia costituisce, dal punto di vista economico, un’unità di consumo e di produzione.

LA POPOLAZIONE DELL’ETA’ MODERNA

■ LA RIVOLUZIONE DEI PREZZI


Una tendenza all’aumento dei prezzi fu registrata già alla fine del ‘400: l’instabilità finanziaria portò allo
svilimento dei coni e all’inflazione. Il fenomeno, imprevisto e non sincronico, interessò tutta l’Europa e fu
evidente soprattutto in Spagna.
Jean Bodin la collegò con l’afflusso dei metalli preziosi dal Nuovo Mondo, influenzando la storiografia che
oggi valuta la rivoluzione dei prezzi come un indice di molteplici trasformazioni in atto nell’economia tra
‘400 e ‘500:
- Aumento demografico
- Crescita della domanda di generi alimentari e sviluppo dell’agricoltura
- Crescita della domanda di prodotti manifatturieri e sviluppo della proto-industria
- Inurbamento e nuova organizzazione del lavoro
- Importazioni spagnole di argento e oro
- Aumento percentuale dei prezzi di alcuni beni a Pavia

■ RIPERCUSSIONI SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE DEI PREZZI


- I mercanti e i produttori di manufatti se ne avvantaggiarono e la sostennero
- I salariati subirono la crisi per il graduale declino dei salari reali
- La nobiltà feudale, pur conservando la giurisdizione, per fronteggiare la crisi fu costretta a cedere
terre ai nuovi ricchi e a spezzettare la riserva signorile tra famiglie coloniche
- I contadini dovevano censi e diritti ai signori, allo Stato o alla Chiesa. Usufruivano di usi civici
(diritti di pascolo e di far legna) in un “sistema comunitario” che scoraggiava gli investimenti.
Nel cinquecento si verificò un forte aumento delle rese dei cereali, cioè del rapporto tra la quantità di cereali
prodotta e quella seminata. La produttività agricola non aumentò rispetto ai secoli precedenti, aumentò
soltanto la superficie coltivata (colture estensive e non intensive). Si andava verso l’uniformità cerealicola
anziché verso la varietà delle colture (significativa eccezione i Paesi Bassi).

■ L’ESPANSIONE DEI TRAFFICI

L’aumento della domanda e il conseguente aumento della produzione proto-industriale inducono una
notevole espansione dei traffici marittimi in cui si distinguono gli olandesi.
Le fiere sono la testimonianza della trasformazione dell’economia da cittadina a nazionale, infatti, la
concorrenza si svolge in spazi di mercato più ampi.
Lo sviluppo dei traffici internazionali favorisce la formazione di nuovi capitali e di rapporti di interesse
tra banchieri e governi.
Forte è la centralità dei Paesi Bassi nell’avvento del capitalismo commerciale e dell’internazionalismo
finanziario: nel 1532 viene istituita la Borsa di Amsterdam.
La stratificazione sociale continua ad essere fortemente gerarchizzata, basata su differenze, distinzioni,
disuguaglianze e privilegi.
La società si divide in ordini o status:
L’Ordine è un insieme di persone che, per la comune condizione in cui si trovano, godono della medesima
posizione in quanto ai diritti e ai doveri politici, elaborano e praticano forme di gestione della loro posizione
comunitaria e forme di rappresentazione.
Gli individui vengono assegnati agli ordini con meccanismi di natura ascrittiva: società fondata su sistema
ereditario di trasmissione di caratteri.
Il Concetto di classe distingue un gruppo sociale per la sua posizione economica all’interno del processo
produttivo (borghesia, proletariato).
Il Concetto di ceto distingue insieme di individui per la posizione di “status” occupata all’interno della
gerarchia sociale.
I ceti si distinguono dalle classi perché il discrimine non è fondato sul reddito, sulla ricchezza, ma sulla
posizione occupata all’interno di una gerarchia sociale prestabilita e sul modo in cui sono percepiti dagli
altri attori sociali.
La società si divide in tre ordini:

● CLERO:
Secolare (sacerdoti) o regolare (ordini religiosi)
Alto o basso, a seconda della carica o della ricchezza
Gli ecclesiastici curano culto, predicazione, assistenza, carità e insegnamento
● NOBILTA’:
Di spada: fa risalire le origini agli antichi conquistatori del paese
Di toga: si crea in Francia con la venalità degli uffici e la tassa della Paulette
Giurisdizione feudale, esercitata dai nobili che posseggono feudi (proprietà e gestione del potere
giuridico, economico e politico)
● TERZO STATO:
coloro che non appartengono né alla nobiltà, né al clero, come mercanti, contadini e artigiani.
Il problema dei poveri assume nuova rilevanza e l’assistenza esce dalla sfera ecclesiastica.
Con l’affermazione di una nuova etica del lavoro e della produttività, i poveri vengono visti come una
minaccia sociale, non più come fratelli da aiutare nella comunità.
A Londra vengono concesse licenze di accattonaggio per zone stabilite e vengono predisposti segni di
riconoscimento per autorizzati a chiedere la carità, con misure severe per i trasgressori. Vengono creati
ospedali per invalidi senza risorse e ospizi per mendicanti sani (anche a Lione e Parigi)

LE SCOPERTE GEOGRAFICHE
Le scoperte geografiche e la scoperta del Nuovo Mondo non sono importanti solo sul piano economico ma
anche come scoperta della complessità e ribaltamento nella “cognizione della Terra”.
L’economia europea assume una dimensione planetaria-globale e di conseguenza si hanno ripercussioni
sugli equilibri e sull’egemonia del Vecchio Continente. Ebbe inizio il mondo globalizzato.
Dalla fine del quindicesimo secolo, le scoperte geografiche diventano possibili grazie ai sempre più frequenti
contatti tra europei e gli altri continenti e grazie ad un’altra serie di fattori:
- Economici: grazie all’accresciuta domanda dell’oro che spinge all’esplorazione dell’Africa da cui
vengono prelevati anche avorio e, sempre più numerosi, gli schiavi.
Una necessità di nuove vie per il commercio di spezie con l’Oriente a causa del deteriorarsi dei
rapporti con la dinastia cinese dei Ming e dei traffici nel Mediterraneo ostacolati dai Turchi.

- Politici: le unificazioni territoriali e la formazione degli stati moderni rendono possibili


investimenti a lunga scadenza e l’adozione di una politica mercantilistica delle monarchie europee
(ad esempio, il finanziamento per Colombo dopo la presa di Granada).

- Culturali: con l’affermarsi dell’ipotesi eliocentrica, nonostante la resistenza della cultura ufficiale
- Tecnici: le conoscenze tecniche, anche quelle della vita marittima, si sviluppano fuori dal sapere
universitario: i marinai possedevano strumenti empirici per la navigazione come bussola,
quadrante nautico e balestriglia, che facilitavano il calcolo della latitudine in mare.
Già prima che apparisse la caravella, una barca che rispondeva alle esigenze della navigazione
oceanica, in Spagna e in Portogallo si erano preparate le condizioni per le esplorazioni geografiche.

LE CONSEGUENZE DELLE SCOPERTE GEOGRAFICHE

■ POLITICHE:
La costruzione degli imperi coloniali diventa pretesto per scontri tra le potenze europee e nascono
differenti modelli di colonizzazione.

■ ECONOMICHE:
Si apre un nuovo ciclo economico caratterizzato da:
1. Afflusso di oro e argento nella madrepatria
2. Tendenza a spostare il centro di gravità dei traffici dal Mediterraneo all’oceano
3. Monopolio regio del commercio
4. Importazione dei prodotti in Europa e nuove abitudini alimentari
5. Organizzazione sistema creditizio e bancario
6. Incremento del commercio schiavistico

■ CULTURALI E RELIGIOSE
1. Crisi dell’identità culturale dell’Europa
2. Origine del mito del buon selvaggio. Colombo descrive i selvaggi miti, belli, facili da convertire. Si
incomincia ad associare a questi l’idea di rappresentare l’immaginario stato di natura.
3. Evangelizzazione attraverso l’opera dei missionari e dell’istituzione del requerimiento nei
possedimenti spagnoli.

IL COLONIALISMO PORTOGHESE

■ PRESUPPOSTI

Il Portogallo costruisce il primo grande impero coloniale grazie ad alcuni fattori determinanti:
1) Posizione geografica di avamposto sull’Atlantico
2) Precoce unità nazionale, già realizzata nel tredicesimo secolo. La dinastia Aviz, col re Enrico il
Navigatore, sensibile alle esigenze dei ceti mercantili, adotta una politica di potenziamento del
settore navale e crea una scuola specializzata per piloti e navigatori
3) Forte tradizione di riconquista: lotta ai mori
4) Insufficienza di risorse agricole e ricerca di oro e merci spingono ad esplorazioni geografiche

■ TAPPE PRINCIPALI
- 1420: ricognizione coste africane e inizio tratta degli schiavi
- 1445: scoperta isole di Capoverde
- 1472: Ferdinando Po raggiunge il golfo di Guinea
- 1487: Bartolomeo Diaz doppia il Capo di Buona Speranza (circumnavigazione dell’Africa)
- 1497-98: Vasco da Gama arriva in India e torna con un ricco carico di spezie
- 1530: primi insediamenti in Brasile

■ CARATTERI DELLA COLONIZZAZIONE


- Impero eterogeneo costruito grazie alla superiorità navale e militare e ad una popolazione abituata a
vivere nelle città della costa, legata alle attività marinaresche, con una nobiltà desiderosa di
conquiste.
- Sfruttamento commerciale delle vie marittime con costruzione di porti e fortezze in punti
strategici per scambi.
- Creazione di empori come snodi di una rete monopolistica di gestione del commercio
- Modello istituzionale duttile che applica le leggi della madrepatria attraverso governatori:
creazione in Brasile di dodici Capitanerie affidate ai donatarios con compiti di governo e difesa del
territorio, affiancati dalle missioni gesuitiche.

■ LIMITI DELL’IMPERIALISMO PORTOGHESE


- Incapacità di coordinare politicamente grandi terre
- Profitti dal traffico delle spezie investiti nella difesa e nel mantenimento dell’impero afro-asiatico
- Incapacità di controllare il Mar Rosso col mercato europeo che resta diviso con Venezia
- Assenza di un programma per monopolizzare i traffici inter-asiatici, a differenza di Olanda e
Inghilterra

IL COLONIALISMO SPAGNOLO

■ PRESUPPOSTI:
- Matrimonio di Isabella e Ferdinando (1469) e unificazione territoriale (1479)
- Fine della guerra con gli arabi e presa di Granada (1492)
- Stretto legame tra religione, politica ed economia nella concezione dei sovrani
- Aumento demografico con sovrappopolazione delle zone più fertili
- Necessità di metalli preziosi per acquistare merci e manufatti
- Ricerca di una via per raggiungere le Indie

■ I VIAGGI DI COLOMBO

Il re del Portogallo, Giovanni II, non finanzia il progetto presentatogli da Colombo, in quanto disinteressato
ad investimenti al di fuori della strategia di espansione africana.
La proposta viene invece approvata da Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico, concedendogli il
titolo di ammiraglio, viceré e governatore delle terre eventualmente scoperte.
Con la capitolazione di Santa Fe del 17 Aprile 1492 rivendica allo Stato la legittimità della spedizione.
La prima spedizione delle tre caravelle approda a San Salvador, è la scoperta dell’Otro Mundo. Con le
tre spedizioni successive (1493, 1498, 1502) raggiungono Messico, le coste dell’America Latina e
l’Honduras.

Ad accompagnare Colombo vi erano molti Hidalgos (cavalieri senza titolo di nobiltà che avevano
partecipato alla Reconquista), contadini ed artigiani desiderosi di arricchirsi e di mutare il proprio status
sociale.
■ LA SPARTIZIONE DEL GLOBO

Il Papa Alessandro VI Borgia legittima la conquista spagnola con la Bolla Inter coetera (1493) ma il
Portogallo non accetta i termini e avvia negoziati volti a garantire la propria espansione.
Il Trattato di Tordesillas (1494) stabilisce una spartizione per mezzo di un meridiano, la rraya, in due
zone: gli spagnoli ad ovest e i portoghesi ad est.
Ciò evidenzia la crisi del papato e l’ascesa del prestigio delle monarchie.

■ LE TAPPE DELLA CONQUISTA


1492-1520: conquiste caraibiche della Giamaica, Portorico e Cuba.
Esplorazione dello Yucatàn e iniziative volte al consolidamento dei diritti dalla Corona (Casa de
contractaciòn, 1503)
1519: spedizione di Cortés in Messico con sottomissione degli Aztechi
1522: spedizione di Pizzarro in Perù e conquista nel 1533 di Cuzco, capitale dell’Impero Inca
1540: conquista del Cile
1550: conquista della Bolivia e della regione del Rio de la Plata

■ CARATTERI DELLA COLONIZZAZIONE


- Controllo militare ed economico grazie alla fondazione di città
- Genocidi e sfruttamento delle popolazioni indigene
- Colonizzazione influenzata da Conquistadores, avventurieri e agricoli desiderosi di arricchirsi e di
missionari spinti alla conquista delle anime
- Favorite le immigrazioni dall’Europa e la deportazione di schiavi dall’Africa

■ IL GOVERNO DELLE COLONIE

Era costituito da un modello istituzionale articolato, con la creazione di organismi che affiancavano il
sovrano. In Spagna vi era il Consiglio delle Indie e la Casa di Contractaciòn a Siviglia in cui si
affrontavano cause civili e penali per il commercio e il controllo della navigazione.
Nelle colonie vi era la presenza dei vicereami della Nuova Spagna e del Perù
Creazione dell’encomienda: adattamento di un istituto spagnolo simile al feudo, ma non ereditario.
Le terre venivano date ad un colono che esigeva tributi assicurando di conseguenza difesa e conversione.
Diffusioni delle missioni e stabile residenza di ordini regolari.

■ CAUSE DELLA RAPIDA DISTRUZIONE DELLE POPOLAZIONI AUTOCTONE


- Superiorità tecnologica degli europei (armi da fuoco, balestre, corazze, cavalli)
- Assenza di anticorpi contro le malattie portate dai conquistadores
- Distruzione del sistema economico e culturale tramite la sottomissione e lo sfruttamento della
popolazione
■ LIMITI DELL’IMPERIALISMO SPAGNOLO
- La Spagna sceglie la via della rendita coloniale e i ceti dirigenti appaiono restii agli investimenti ed
orientati verso impieghi nella burocrazia e nell’esercito
- Nasce il fenomeno della disoccupazione intellettuale che colpisce soprattutto i letrados (giuristi)
- Dipendenza dalle importazioni a causa di un rifiuto della produttività agricola, artigiana e
manifatturiera

L’AMERICA E LA COSCIENZA EUROPEA DEL CINQUECENTO


Con la conquista del Nuovo Mondo s’innescò un dibattito negli ambienti colti del vecchio continente,
investendo la coscienza europea, al di là delle differenze di accentuazione tra paese e paese.
Juan Gines de Sepulveda con un’opera sostenne la tesi dell’esistenza di uomini schiavi per natura,
giustificando l’operato dei conquistadores.
Bartolomeo de Las Casas, conquistador tornato in patria ed entrato nell’ordine dei Domenicani, prese
posizione in difesa degli indigeni, riconoscendo i loro ordinamenti economici e politici, il modello di società
e le virtù morali. Si scagliò contro il sistema dell’encomienda, perno dello sfruttamento e del dominio
spagnolo, concordando con la monarchia, contraria all’eccessiva autonomia degli encomenderos, e
desiderosa di mantenere il controllo sulle colonie.
Come conseguenza di queste denunce, Carlo V emanò le Nuevas leyes (1542) che sancivano alcuni diritti
fondamentali degli indios e ne vietavano la schiavitù.
Con le Ordenanzas sobre descobrimiento (1573) si vietava di parlare di “conquista” ma di
“descobrimiento”. Quest’ultime vietavano la violenza fisica sugli indigeni e la spoliazione delle loro
proprietà, anche se tali leggi furono scarsamente applicate.

LA FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO


IL PROCESSO DI FORMAZIONE:
Si presenta come il risultato di una serie di tentativi di integrazione politica di territori diversi e implica un
continuo processo squilibrante e la conseguente ricerca di un equilibrio dinamico.
Lo stato moderno rappresenta la forma storicamente determinata di un ordinamento politico, sorta in Europa
dal XIII-XIX secolo, per poi estendersi in tutto il mondo civilizzato.
È caratterizzato dalla funzione di normalizzazione dei rapporti politici nell’ambito di un territorio unificato.
Questa normalizzazione è compiuta con la costruzione di strumenti amministrativi, quali rete di uffici e
competenze accentrate.
È un processo che suscita resistenze sia da parte dell’antica società per ceti, sia dalla nuova società borghese
in formazione.
LE FASI STORICHE:
Nel ‘500 vi è un accentuato carattere di dualismo costituzionale tra il principe titolare dell’istanza unitaria e
accentratrice e i ceti portatori di interessi peculiari dell’antica forma di organizzazione della società, ma già
con nuovi interessi.
Lo Stato si impone rivendicando la sua potenza all’interno e all’esterno. Il sovrano difende il territorio
unificando il comando e riduce l’opposizione delle autorità locali
Nella prima metà del ‘600 vi è una tendenza dei principi a consolidare il monopolio del potere legittimo
(assolutismo).
Tra la seconda metà del ‘600 e la prima metà del ‘700 vi è una crisi del monopolio del potere con
conseguente ricerca di un nuovo equilibrio, tra la tendenza all’accentramento del potere e la richiesta di
partecipazione.
LO STATO MODERNO COME FORMA STORICA DETERMINATA
L’elemento caratterizzante dello stato moderno, non come concetto universale ma come organizzazione del
potere in un singolo territorio, è il progressivo accentramento del potere secondo un’istanza sempre più
ampia che finisce col comprendere l’intero ambito dei rapporti politici.
Questo accentramento si fonda sul principio della territorialità dell’obbligazione politica e sulla progressiva
acquisizione della impersonalità del comando politico, attraverso l’evoluzione del concetto di officium:

● Tendenza alla riunificazione del potere nella persona del principe, sorretto da
un’amministrazione efficiente e funzionale agli interessi degli strati sociali preminenti.
● Visione tecnica del potere come ordine esterno capace di garantire sicurezza ai sudditi

Dal sistema policentrico delle signorie di origine feudale si giunge allo Stato Territoriale accentrato e
unitario attraverso una razionalizzazione del potere dettata dall’evolversi delle condizioni storiche materiali.
La storia della nascita dello Stato moderno è appunto la storia di una tensione tra policentrismo e
accentramento del potere.
La legge in Occidente era considerata un patrimonio ereditato dal passato e regolato da una serie di
consuetudini, da non alterare, a tutela delle prerogative di ogni corpo o comunità

STATO MODERNO E LOTTE DI RELIGIONE


La transizione allo Stato moderno presentò varie guerre di religione.
L’esperienza dei conflitti all’interno del cristianesimo spinse al superamento di ogni pretesa di fondare il
potere su una fede religiosa e l’aspirazione alla pace favorì come necessità la fondazione politica del potere.
Lo stato apparato o stato macchina si presenta come organizzazione dei rapporti sociali (potere) attraverso
procedure tecniche stabilite (istituzioni) utili al superamento dei conflitti e al raggiungimento dei fini terreni.
L’AZIONE DEL SOVRANO TRA LIMITI E LEGITTIMAZIONE
LIMITI:

● Impero: con la crisi delle pretese di potere sovranazionale e universale dell’imperatore, i sovrani
avanzano pretese di un potere assoluto, sostenuti dai giuristi che offrono nuove forme di
legittimazione
● Papato: crisi del papato costretto a patti con i sovrani e progressiva distinzione tra sfera spirituale e
quella temporale che aprono nuove possibilità di rivendicare all’ambito statale il potere temporale.
● Feudalità: il patto di fedeltà tra feudatario e vassalli rappresenta una resistenza alla piena
affermazione del potere del sovrano
● Centri urbani: si inseriscono con difficoltà nel nuovo sistema di potere a causa del loro sviluppo
precedentemente avvenuto con frammentazione politica opposta allo stato moderno che nasce più
facilmente in aree rurali più soggette a processi di unificazione

LEGITTIMAZIONE:
L’affermazione della sovranità viene ricercata con la forza della dinastia e il prestigio carismatico del re,
utilizzando nuovi strumenti di propaganda. Si valorizza il potere taumaturgico del re, secondo la cultura
popolare unto del Signore e guaritore della scrofola. I cerimoniali di corte e rituali sono finalizzati a colpire
la sensibilità collettiva.
LE ASSEMBLEE DEI CETI
Hanno una funzione interlocutoria nei confronti del potere regio.
Hanno origine contrattuale: il re per ottenere il riconoscimento della supremazia politica territoriale deve
riconoscere privilegi e consuetudini che finiscono per essere limiti alla supremazia regale.
Nei singoli Stati nascono denominazioni e caratteri diversi come: Commons, Etats, Cortes, Parlamenti o
Senati. Tranne in Inghilterra, le assemblee sono generalmente controllate da ceti esenti dal pagamento dei
tributi o interessati a esercitare più potere in periferia.
LA FISCALITA’
La garanzia della sicurezza e amministrazione della giustizia da parte della monarchia richiedeva notevoli
risorse.
Il settore nevralgico nella vita dello Stato diventa il pretesto per uno scontro tra il potere centrale e le
richieste delle assemblee dei ceti e risente dei differenti rapporti di forza tra Stato e società.
È presente una mancanza di un uniformità con diversità di regimi fiscali e città privilegiate a danno delle
campagne con imposte dirette ed indirette
L’esazione fiscale (come in Francia) viene affidata alle autorità periferiche che l’hanno approvata e che ne
sono esenti: la monarchia, concedendo benefici, ottiene un gettito fiscale per un potere lontano, ricorrendo
alla mediazione delle assemblee provinciali. La fiscalità ecclesiastica è legata alla diversa presenza della
Chiesa nei singoli paesi europei
IL PROBLEMA DELLA GIUSTIZIA
L’estensione della giustizia regia nella periferia non comporta il controllo della giustizia di I istanza che ha
sede in sfere politiche e sociali quasi del tutto autonome rispetto all’autorità sovrana: signorie rurali,
magistrature ecclesiastiche e urbane.
La giurisdizione del sovrano è riservata alla giustizia di appello che nella sua espansione ricorre all’istituto
della delega nei confronti delle autorità periferiche.
La prevalenza della sfera giurisdizionale invade anche l’amministrazione. In questa situazione il potere regio
ha scarsa efficacia periferica

SISTEMI E GEOGRAFIA DEL POTERE


All’inizio dell’età moderna si evidenziano alcune tendenze:

● Abbandono degli ideali di potere universalistici

● Unificazione territoriale

● Affermazione dei concetti di utilità e sicurezza (interna ed esterna)

● Accentramento e burocrazia contro ordini privilegiati e forze centrifughe

● Idea di servizio contro gli ideali della nobiltà di sangue

● Mobilità sociale contro le antiche gerarchie

● Uniformità della giustizia contro le giurisdizioni particolari

● Intervento dello Stato nell’economia (mercantilismo)

L’EUROPA ALLA FINE DEL MEDIOEVO


■ L’AREA GERMANICA

I paesi tedeschi del XVI secolo non presentano un’entità politica unitaria, infatti, lo sviluppo statuale è
avvenuto sul piano dell’impero e su quello degli stati territoriali.
Le singole unità territoriali si sono trasformate in “Stati patrimoniali”, cioè proprietà personali quali somme
di beni posseduti dai loro signori.
I matrimoni rivestivano un ruolo fondamentale; le spose portavano in dote territori che si sommavano a
quelli dei mariti per incrementare i patrimoni che successivamente entravano in linea ereditaria.
L’imperatore godeva di carica elettiva con pretesa universalistica solo formale.
L’assemblea degli Stati (Dieta o Reichstag) veniva convocata con frequenza irregolare ed era divisa in tre
ordini: principi elettori, aristocrazia e città:

● Elettori: 3 arcivescovi (Colonia, Treviri e Magonza) e 4 laici (Boemia, Palatinato, Sassonia e


Brandeburgo)
● Aristocrazia: 120 prelati, 30 principi, 140 signori

● Città: 85 borgomastri

Furono vani i tentativi dell’imperatore Massimiliano di far accettare ai principi le riforme attuate in Austria e
di avviare l’unificazione territoriale

■ LA FRANCIA

Con la conquista della Borgogna a Nancy nel 1477, ai danni di Carlo il Temerario, si raggiunse l’unità geo-
politica, tuttavia, il regno di Francia risultava un insieme di possedimenti diversi con principati feudali
composti da parlamenti e stati provinciali propri.
Il sovrano era affiancato da un Consiglio del re, formato dai pari di Francia e dai grandi dignitari e da un
Consiglio ristretto. Vi collaboravano circa 1200 ufficiali, alcuni nominati dal re, ma la maggior parte
acquistarono le cariche attraverso il sistema della venalità degli uffici.
La giustizia era esercitata dal Consiglio, da 7 Parlamenti (Parigi, Tolosa, Besançon, Grenoble, Digione,
Bordeaux e Aix) e da 80 tribunali provinciali.
I Parlamenti erano corti giudiziarie dotate anche di compiti amministrativi (non organi di rappresentanza).
Rivendicavano una partecipazione nel processo legislativo, registravano le ordinanze reali e potevano
esercitare il diritto di rimostranza.
Gli Stati Generali, l’assemblea rappresentativa degli ordini cetuali, avevano competenze soprattutto in
materia fiscale, ma vennero esclusi progressivamente dalla monarchia assoluta, infatti, dal 1614 al 1789 non
furono mai convocati.
■ L’INGHILTERRA

Il paese, dopo l’unificazione conseguita da Enrico VII Tudor, viveva una crisi del potere feudale.
Nell’assetto istituzionale il re era affiancato da un Consiglio formato da un cancelliere, un tesoriere e alcuni
dignitari.
Mancava un corpo di funzionari e di ufficiali rappresentanti il potere sovrano nelle circoscrizioni e nelle
contee, infatti, quest’ultime erano governate da sceriffi, che erano i funzionari regi che amministravano la
giustizia, e da giudici di pace scelti fra la nobiltà locale.
La giustizia era esercitata, sotto il controllo del Consiglio, attraverso tre grandi tribunali: civile, criminale e
finanziario. Vi si affiancava la Camera Stellata che giudicava i tumulti, i casi con risvolti politici e
sorvegliava gli sceriffi.
La rappresentanza dei gruppi sociali era affidata al Parlamento diviso in due Camere: quella dei Lords
ereditaria e dei Comuni elettiva.
Le caratteristiche del sistema politico inglese:

● Separazione del potere giudiziario da quello legislativo

● Affermazione di una legge comune indipendente dal sovrano

● Assolutismo coesistente con autogoverno delle contee

■ LA SPAGNA

La reconquista contribuì al superamento dell’aspetto “patrimoniale” in favore del carattere nazionale,


centralizzatore e protettivo del dominio politico.
Dopo le nozze di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia nel 1469, si realizzò la ristrutturazione
amministrativa con uno Stato burocratico polisinodale (1479)
I Consigli spagnoli erano insieme: organi di consulta, corti di giustizia, tribunali amministrativi e si
distinguevano su base territoriale (Consiglio superiore di Castiglia, Aragona, Indie, ecc.) e per competenze
(finanze, guerra, ordini)
Fu particolarmente rilevante il Consiglio della Suprema Inquisizione spagnola, tribunale molto temuto e
strumento dell’assolutismo.
Le Cortes, le rappresentanze degli ordini, nonostante l’unificazione territoriale rimasero divise e poco
consultate.
Vi era rispetto per l’autonomia dei Reinos, tutela del pluralismo delle unità istituzionali e degli ordinamenti
giuridici particolari.
L’INQUISIZIONE SPAGNOLA
Il tribunale della Suprema Inquisizione fu istituito nel 1478 come strumento politico-giudiziario per
rafforzare l’unità del paese e le istituzioni statali. Il fine era quello di difendere l’ortodossia religiosa con la
novità che, pur essendo affidata a giudici ecclesiastici, al vertice dipendeva dalla Corona. Si trattò di uno
strumento di controllo sull’identità collettiva, funzionale a produrre una cultura dell’uniformità e
dell’ortodossia.
Aveva una struttura rigidamente gerarchica: il re nominava un “grande inquisitore” a capo che a sua volta
nominava gli inquisitori nei diversi regni e controllava tutti i processi.
Si trattava di una sorta di ministero per sorvegliare le coscienze, uno strumento amministrativo e di controllo
sociale a disposizione della monarchia.

LA VIA ITALIANA ALLO STATO MODERNO


LA PENISOLA ITALIANA TRA XV E XVI SECOLO
A differenza delle grandi monarchie europee, l’Italia scontava un marcato ritardo politico che si
concretizzava nell’incapacità di dotarsi di strumenti istituzionali e militari.
L’unità linguistica e il sentimento della comune eredità di Roma non furono sufficienti ad avviare un
percorso di formazione statuale unitaria né furono idonei a garantire una comune identità nazionale.

CARATTERISTICHE DELLE REALTA’ GEO-POLITICHE ITALIANE

● Accese rivalità tra loro

● Lotte fra fazioni politiche (guelfi/ghibellini)

● Ricorso ad eserciti mercenari per le guerre

● Assenza di prerogative mistiche che legittimassero i principi italiani

● Potere mantenuto con la forza delle armi e danaro (Machiavelli ne fu testimone)

● Politica strutturalmente fragile

Dalla fine del ‘300 al 1454 si era realizzata una progressiva definizione del territorio italiano con gli Stati
regionali.

PERIODIZZAZIONE DEFINITA DAGLI STORICI

● Dopo la Pace di Lodi (1454) gli Stati della penisola non potevano seguire la via dell’unificazione
territoriale con la prevalenza di uno Stato regionale, né quella di una confederazione di Stati. Vi si
ricercava una politica di equilibrio tra le molteplici esperienze italiane
● Tra il 1494 e il 1559 si consumò la cosiddetta “tragedia della libertà italiana”, intesa come autonomia
del paese nello scenario europeo, e il passaggio della penisola sotto la corona spagnola.
● Nei primi decenni del ‘500 Spagna e Francia aspiravano al predominio sull’Italia in quanto
assicurava il predomino in Europa. Gli obiettivi erano Milano, lo snodo centrale delle comunicazioni
tra Spagna e Impero, e il Regno di Napoli.

LA PENISOLA ITALIANA TRA MEDIOEVO ED ETA’ MODERNA


La discesa in Italia nel 1494 di Carlo VIII di Valois, re di Francia, risultò facile e rapida in quanto favorita da
diversi fattori:

● Appoggio di un principe italiano


Dopo l’uccisione di Galeazzo Maria Sforza, il figlio Gian Galeazzo II governa il Ducato di Milano.
Lo zio Ludovico Sforza, detto il Moro, lo fa uccidere e si autoproclama Duca. La vedova di Gian
Galeazzo era figlia del Re di Napoli, Ferrante d’Aragona, quindi, per far fronte alla minaccia
aragonese, il Moro chiama Carlo VIII e lo invita a far valere le pretese angioine sul Regno di Napoli.
● Preparazione politico-diplomatica
Carlo VIII si assicura la neutralità di Spagna e Inghilterra con cessioni. A favore dell’impero
rinunciò ai feudi imperiali della Francia Contea e dell’Artois
● Appoggio di un partito aristocratico filofrancese
Alessandro VI Borgia voleva un forte Stato nell’Italia centrale per il figlio Cesare.
Venezia aspirava a nuove conquiste nella pianura padana.
Dopo il fallimento della Congiura dei Baroni a Napoli era presente una notevole fazione filofrancese
e antiaragonese
● Superiorità militare

■ LE TAPPE DELL’ASCESA DI CARLO VIII

Nell’agosto del 1494 è ad Asti e a novembre raggiunge Firenze dove il successore di Lorenzo, Piero
de’Medici, provoca la ribellione ed è costituita la Repubblica.
Girolamo Savonarola teorizza una radicale “renovatio” cristiana e lotta contro il potere temporale dei papi:
1. Costituzione semidemocratica
2. Abolizione delle imposte
3. Monte di Pietà per l’assistenza ai bisognosi
Erano presenti profonde divisioni nella città:
1. Piagnoni: sostenitori di Savonarola
2. Palleschi: fautori della restaurazione dei Medici
3. Arrabbiati: favorevoli ad un sistema di potere aristocratico
Nacque un’alleanza tra oppositori di Savonarola e vi fu la scomunica del Papa. Savonarola fu giustiziato in
Piazza della Signoria il 23 maggio 1498.
Nel dicembre Carlo raggiunge Roma.
Nel laboratorio politico italiano si avvia il progetto di Cesare Borgia.
Il tentativo di formare un vasto Stato inglobando la Toscana orientale, le Marche e la Romagna, formalmente
annesse allo Stato della Chiesa ma in realtà dominio personale del Duca Valentino che nel 1499 conquista
Imola, Forlì, Rimini e Pesaro e nel 1502 Urbino e Senigallia.
La morte di Alessandro VI nel 1503 interrompe la congiuntura favorevole
Cesare Borgia non riesce ad “acquistare tanto imperio, avanti che il Papa morissi” (Machiavelli)
Con Giulio II della Rovere (1503-13), nemico dei Borgia, vi è il consolidamento della monarchia papale e
una politica di centralizzazione del potere, una politica estera aggressiva e la costruzione intorno al Papa di
un ampio sistema di alleanze.
Nel febbraio 1495 Carlo VIII è a Napoli. Il Regno napoletano era formalmente vassallo del Papato, infatti,
era necessaria la consacrazione del re da parte del pontefice e l’omaggio della chinea.
Dopo l’abdicazione di Alfonso d’Aragona, che aveva tentato di contrastare i progetti d’invasione, il figlio
Ferrandino (Ferdinando II) rimane re per un mese.
Carlo VIII entra con l’appoggio dei Baroni e del patriziato della capitale e adotta una serie di misure
politiche:
● Premia il consenso degli strati artigiani e borghesi di Napoli con la conferma dei privilegi
corporativi
● Allarga i poteri della rappresentanza popolare nel governo cittadino

● Nuove tasse che però ottengono il sostegno dei “popolari” e del “popolo minuto”

Il 6 luglio 1495 vi è la battaglia di Fornovo per tentare di impedire la ritirata di Carlo che segna la fine della
spedizione in Italia.
Il 7 luglio avvenne la restaurazione aragonese a Napoli con aspre lotte tra fazioni aristocratiche.
Nel mese di ottobre muore Ferrandino, gli succede lo zio Federico e inizia un nuovo corso politico
rappresentato da un ridimensionamento dei “popolari”, un compromesso di interessi tra Corona e feudalità e
il governo dei seggi a Napoli.
Nel 1498 muore Carlo VIII.

■ LUIGI XII E LA PENISOLA ITALIANA

Con Luigi XII, della famiglia Orleans, si ribaltano le alleanze della Francia che si allea con Venezia e Roma.
Il nuovo sovrano rivendica titoli legittimi su Milano per la discendenza dai visconti e la conquista nel 1499.
Nel 1500 col Trattato di Granada vi è l’accordo tra Francia e Spagna per la spartizione del Mezzogiorno:
alla Francia vanno Napoli e la parte settentrionale del regno già aragonese e alla Spagna vanno le Puglie e la
Calabria
Nel 1502 riprendono le ostilità con la Battaglia di Cerignola con la sconfitta francese ad opera della fanteria
spagnola, il Tercio.
Nel dicembre 1503 gli Spagnoli conquistano Napoli e inizia un lungo dominio fino al 1707.
Nel 1504 col Trattato di Lione alla Francia va Milano e alla Spagna vanno Napoli, Sicilia e Sardegna.
Venezia, dopo la fine dell’esperienza di Cesare Borgia, cerca di espandersi a danno dello Stato della Chiesa.
Ciò scatena la reazione papale nel 1508 e della Lega di Cambrai tra Roma, Impero, Francia e Spagna contro
Venezia. Il 14 maggio 1509 avviene la disfatta veneziana ad Agnadello.
La supremazia francese nel nord Italia resta un problema politico; quindi, Giulio II nel 1512 promuove la
Lega Santa contro la Francia e si alleano Papa, Spagna, Venezia e Svizzera. Ne segue la sconfitta francese e
il conseguente ritorno degli Sforza a Milano e dei Medici a Firenze.
In seguito, nel 1515, Francesco I a Marignano sconfigge svizzeri e milanesi occupando Milano con l’aiuto
di Venezia. L’Italia è divisa con al nord i francesi e a sud gli spagnoli.

■ CARLO V E LA PENISOLA ITALIANA

L’ascesa di Carlo V imperatore cambia lo scenario: le guerre d’Italia entrano in un contesto europeo e
segnano alcuni processi importanti come riforme e scoperte geografiche come la conquista del nuovo mondo
e la formazione di imperi coloniali.
Continua il conflitto tra Spagna e Francia: nel 1525 Francesco I è catturato a Pavia e vi resta prigioniero
per un anno, in seguito rinuncia a Milano e stipula una pace con Carlo V.
Il 6 maggio 1527 avviene il Sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi. Si tratta di un evento dal grande
valore simbolico: la nuova Babilonia sconfitta dai riformati.
Gli obiettivi di Carlo V erano di rompere la logica dell’equilibrio che tiene in piedi il sistema di alleanze tra
Stati italiani e potenze straniere e di imporre il riconoscimento dell’egemonia spagnola in Italia.
Il Papa ha bisogno della protezione imperiale in funzione anti-veneziana.
Nel 1528, Genova abbandona l’alleanza con la Francia ed entra nell’orbita imperiale finanziando la politica
di Carlo V.
Il tentativo dei francesi di conquistare Napoli con l’aiuto dei baroni fallisce, Lautrec è sconfitto da Andrea
Doria nel 1528.
Carlo V punisce l’aristocrazia francese confiscando beni dei ribelli e premiando i baroni fedeli.
Nel 1529 a Firenze l’imperatore e il Papa Clemente VII restaurano i Medici dando inizio alla fase del
principato dinastico.
Nello stesso anno si stipula la Pace di Cambrai, o delle Due Dame (Luisa di Savoia e Margherita d’Austria).
Milano, Napoli ed Asti vanno a Carlo V, Genova entra nell’orbita spagnola e il Piemonte sabaudo è occupato
dai francesi.
Carlo V, nel 1503, è incoronato re di Napoli e imperatore del Sacro Romano Impero con gli Stati minori
che riconoscono il predominio spagnolo nella penisola.

■ LA PACE DI CATEAU-CAMBRESIS

Francesco I contesta il primato spagnolo alleandosi con i turchi, guidati da Solimano il Magnifico, e con i
principi luterani della Germania. Nel 1535 riprendono le ostilità e nel 1544 viene stipulata la Pace di
Crépy che di fatto non modifica la situazione, ormai consolidata, e vede sorgere il Ducato di Parma e
Piacenza assegnato a Pierluigi, figlio del pontefice Paolo III Farnese.
A Francesco I gli succede il figlio Enrico II che continua con la politica di riarmo e di alleanze del padre.
Carlo V affronta notevoli difficoltà nei paesi tedeschi ma la Francia non riesce ad approfittare della
situazione, anzi, perde il Piemonte che torna ai Savoia.
Il 3 aprile 1559 viene stipulata la Pace di Cateau-Cambrésis in cui si ottiene:
1) Predominio spagnolo in Italia: la Spagna conserva il Ducato di Milano, il Regno di Napoli, la Sicilia,
la Sardegna e ottiene lo Stato dei Presidi.
2) Integrità degli Stati nazionali: la Francia stabilizza i suoi confini
3) Fine dell’idea dell’impero universale: Filippo II lascia le Fiandre e torna in Castiglia
Da un impero con dinastia fiamminga a base continentale si passa ad un impero spagnolo a base atlantica
L’ITALIA DOPO CATEAU-CAMBRESIS
LA VIA ITALIANA ALLA FORMAZIONE DELLO STATO MODERNO
Il passaggio alla Signoria viene considerato come la fine dell’esperienza democratica e l’avvio della
dipendenza da potenze straniere.
La storiografia più recente riconosce una continuità evolutiva tra Signoria-Principato-Stato moderno come
caratteristica della via italiana allo Stato moderno e considera i singoli principati come espressione dello
Stato centralizzato e burocratico.
Nell’Italia del ‘400 e ‘500 si sviluppa lo Stato Rinascimentale con una sua organizzazione amministrativa,
finanziaria e giudiziaria.
Dopo Cateau-Cambresis nella penisola restano profonde differenze:
1. Stati indipendenti/sovrani e Stati non dipendenti integrati nella Corona spagnola
2. Stati a base cittadina (Venezia, Genova, Firenze, Milano, Lucca) e Stati monarchici con forte
caratterizzazione feudale (Ducato di Savoia, Roma, Napoli) ma con differenze in relazione agli
ordinamenti politico-amministrativi e al rapporto fra capitale e territorio
3. Repubbliche (Genova, Venezia, Lucca, Siena) e Principati

LA CRISI RELIGIOSA DEL CINQUECENTO


Tra il XIV e XV secolo il sistema di poteri politici, economico-sociali e culturali, identificato nella Chiesa di
Roma attraversa una profonda crisi.
Dal punto di vista politico la Chiesa risulta sempre più chiusa nella difesa del proprio dominio territoriale. Vi
è una prevalenza dello Stato della Chiesa sulla dimensione religiosa e sull’ecumenismo* (*Movimento
universale tendente all'unione di tutte le Chiese cristiane).

L’interlocutore laico del Papa non è più solo l’imperatore ma anche i principi e le città-stato.
La regionalizzazione dei rapporti politici diminuisce la carica universalistica e scade il prestigio dei
pontefici.
Dal punto di vista economico-sociale, la Chiesa rimane, soprattutto in Italia, il più grande proprietario
terriero e, anche se permane il legame tra la Chiesa e le aristocrazie europee, i nuovi sovrani contrastano il
drenaggio di risorse verso Roma
Per quanto riguarda la crisi culturale si fa riferimento alla messa in discussione dell’egemonia culturale della
Chiesa nella respublica christiana.
Rimane il legame tra la sfera laica e quella religiosa ma emergono contrasti tra la cultura passata e i nuovi
interessi individuali e collettivi.
L’esigenza di una riforma religiosa viene avvertita fin dal XI secolo col delinearsi di un forte richiamo al
cristianesimo primitivo contro la mondanità del potere ecclesiastico, la rilassatezza dei costumi, la
confusione tra sacro e profano, l’esteriorità religiosa e il successivo superstizioso ricorso ai santi.

❖ Erasmo da Rotterdam (1466-1536)

È il maggior esponente dell’umanesimo cristiano ed è in contatto con i fratelli della Devotio moderna.
Canonico agostiniano, filologo classico e profondo conoscitore della Bibbia, viaggia molto in Europa
studiando a Parigi, Oxford, Lovanio, Torino, Bologna e Roma.
Nell’Elogio della pazzia (1511) scrive contro la cultura teologica medievale, la teologia scolastica, le
superstizioni del clero e i comportamenti falsamente cristiani delle autorità, in modo da riproporre l’essenza
autentica del cristianesimo e della filosofia di Cristo.

❖ Martin Lutero (1483-1546)

In preda a scrupoli religiosi e a causa di un voto fatto per ringraziare di essersi salvato da un fulmine, decide
di entrare nel convento dei frati Agostiniani di Erfurt (1505). Dotato di una sensibilità esasperata, oscilla tra
paura e speranza mostrandosi lontano dalla cultura rinascimentale.
Ha una profonda contrapposizione nei confronti delle vie indicate alla Chiesa per la salvezza, tra cui:
1) Il monastero, che non dona serenità a Lutero a causa della paura del giudizio di fronte alla
grandezza di Dio. Ciò gli fa imporre rigori insostenibili rovinandosi la salute
2) Sacramenti e confessione: contrizione, soddisfazione. Secondo Lutero, la soddisfazione è
impossibile per la miseria dell’uomo. L’uomo spesso non si riconosce peccatore quindi non si può
essere certi di una vera contrizione
3) Il misticismo: l’uomo si abbandona a Dio. La concezione di Dio di Lutero rende impraticabile
questa via.
Compie un viaggio a Roma dove entra in contatto con la corruzione della corte pontificia. In seguito, si
dedica all’insegnamento della teologia.
Realizza la sua personale ricerca sull’essenza della fede con un coinvolgimento totale dell’esistenza a stretto
contatto con la Bibbia.
Il problema centrale è la giustizia di Dio e la distanza incolmabile tra la perfezione divina e la condizione
umana macchiata dal peccato originale. Ciò scaturisce due conseguenze: l’assoluta dipendenza dell’uomo da
Dio e l’inutilità delle opere dell’uomo.

■ LA QUESTIONE DELLE INDULGENZE

Alberto di Brandeburgo, già titolare di due diocesi, per divenire arcivescovo di Magonza paga la dispensa
papale con un prestito dei Fugger. Per l’estinzione del debito il Papa gli concede di proclamare nei suoi
territori un’indulgenza e lo nomina Commissario delle indulgenze in tutti i territori dell’Impero incassando
30,000 ducati per pagare il suo debito. Queste indulgenze consentivano di rimettere i peccati attraverso il
versamento di denaro, diventando oggetto di scambio per un colossale commercio.
Lutero il 31 ottobre 1517 affigge le 95 tesi a Wittemberg. Ciò avvia il movimento riformatore protestante
che si appella al movimento nazionale tedesco offeso dallo sfruttamento papale, nega la giurisdizione del
Papa sul purgatorio e nota che le indulgenze favoriscono uno stato d’animo falso inducendo l’uomo alla
rilassatezza e prevendono la possibilità per gli uomini “santi” di accumulare “meriti”.
La Riforma non fu una protesta contro l’immoralità della Chiesa di Roma, ma contro il cattolicesimo.
In tre opere sono contenuti i cardini della dottrina luterana:
1) Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sulla riforma della società cristiana, in cui Lutero contesta
la pretesa superiorità del Papa sul potere civile e sui concili e il magistero della Chiesa nell’interpretazione
delle scritture
2) La cattività babilonese della Chiesa, in cui tratta dei sacramenti che riduce a due: il Battesimo che dona la
grazia attraverso la fede e l’Eucaristia che è la memoria del sacrificio della croce ma senza
transustanziazione. Proclama il sacerdozio universale.
3) La libertà del cristiano, in cui l’uomo è destinato alla perdizione e solo la fede può salvarlo e la
svalutazione delle opere ai fini della salvezza: “le opere buone non fanno l’uomo buono ma l’uomo buono fa
opere buone” che sono necessarie per la disciplina, non per garantirsi la salvezza. Il cristiano deve restare
fedele alle autorità, sottomesso e obbedire alle leggi.

■ LA REAZIONE DELLA CHIESA DI ROMA

Nel 1517 Alberto di Magonza accusa Lutero di eresia e due anni dopo a Roma viene istruito il processo
contro Lutero. Papa Leone X chiede a Lutero di rinnegare le 95 tesi, imponendogli di recarsi a Roma per
domandare perdono. Federico il Saggio, elettore di Sassonia, difende Lutero
Nel 1520 la Bolla Exsurge Domine contro Lutero che brucia la bolla.
L’anno dopo Lutero è dichiarato eretico e viene scomunicato dalla Chiesa. Federico di Sassonia prima
ottiene per Lutero un’udienza alla Dieta di Worms, convocata per conferire con Carlo, nuovo imperatore, poi
inscena un falso rapimento e fa condurre Lutero in salvo nel Castello di Wartburg per dieci mesi. In questo
periodo inizia la traduzione della Bibbia in tedesco e ciò si rivelerà come un contributo determinante alla
formazione dell’unità linguistica del popolo tedesco. Il testo ha ampia diffusione grazie all’utilizzo della
stampa.

■ CONFRONTO TRA ERASMO E LUTERO

I percorsi di Erasmo e di Lutero si incrociano e presentano tratti comuni:


Erasmo vuole evitare che la reazione cattolica combatta anche i movimenti moderati: lo raccomanda a
Federico di Sassonia e scrive al Papa, ritenendo la scomunica una misura affrettata.
Erasmo gode di grande prestigio e Lutero si considera suo allievo ma invita il maestro a tener più in conto il
peccato originale. Afferma che il problema della salvezza non induce angoscia e l’essenziale è agire
rettamente e con serietà nella vita. La “bona conscientia” assicura la tranquillità di fronte alla morte dopo una
vita virtuosa.
L’umanesimo di Erasmo prevede una riforma pacifica del cristianesimo, tutta all’interno delle istituzioni
ecclesiastiche:

● Lotta al potere temporale della Chiesa

● Contrapposizione all’esteriorità del culto in favore di una religione interiore

● Denuncia della scolastica e del dogmatismo

● Tolleranza verso eretici, turchi e pagani

Nel 1524 Erasmo pubblica il De libero arbitrio, un’esaltazione della religione naturale, dove tratta:

● Unità e pacificazione tra cristiani attraverso la tolleranza

● Dubbio sistematico come metodo intellettuale

● Primato della volontà dell’uomo di fare il bene ed evitare il male

Valorizza l’impegno terreno, il compito temporale dell’uomo. In seguito, cala il suo prestigio presso i
riformatori.
Nel 1525 Lutero risponde con il De servo arbitrio, un’esaltazione della religione soprannaturale, in cui
afferma:
● Assoluta certezza delle Sacre Scritture

● Salvezza attraverso la sola fede

● Assoluta impotenza della volontà umana

● Totale divergenza tra fede e ragione

■ RIFORMA E TENSIONI SOCIO-POLITICHE NEL MONDO TEDESCO

L’aspettativa della reformatio è il risultato delle aspirazioni dei ceti a modificare i rapporti esistenti in un
contesto di forte conflitto caratterizzato dal rafforzamento dei principati territoriali.
Tra il 1522 e il 1523 scoppia la rivolta dei cavalieri, un piccolo esercito esaltato dalle idee di Lutero,
guidato da Franz von Sickingen e Ulrich von Hutten che attacca le terre del principe-vescovo di Treviri,
affermando la fine della proprietà ecclesiastica e la propria autonomia dai signori, tuttavia, viene subito
schiacciato dalle truppe dei principi protestanti e cattolici. La rivolta consente ai principi di rafforzare il loro
potere sul territori.
In seguito, scoppia la guerra dei contadini (1524-25), guidati da predicatori radicali che usano le idee della
Riforma per far valere i propri diritti. La storiografia moderna parla di rivoluzione dell’uomo comune che
ha come obiettivi:

● Abbattere la struttura per ceti

● Formare una federazione di leghe su base corporativa e ispirate al Vangelo

● Sottrarre prerogative politiche alla nobiltà

● Espropriare i grandi proprietari ecclesiastici

Il programma dei rivoltosi è nei Dodici articoli di Memmingen.


Lutero si dichiara contro i contadini ed esorta i principi ad intervenire per schiacciare la rivolta.
Dopo una breve ma lunga guerra i ribelli sono sconfitti a Frankenhausen dall’armata dei principi guidata dal
luterano Filippo d’Assia.

■ LA RIFORMA IN SVIZZERA

La diffusione e il radicamento della Riforma sono legati alla struttura politica delle aree in cui si sviluppa il
protestantesimo.
La riforma delle comunità si afferma soprattutto nella Confederazione Svizzera.

❖ ZURIGO

Zwingli aderisce alla Riforma che diffonde a Zurigo dal 1518 e nel 1525 il Consiglio municipale dichiara
realizzata la Riforma della Chiesa cristiana. Il promotore della Riforma non è un singolo, ma la comunità
attraverso l’amministrazione cittadina.
Gli obiettivi di Zwingli sono la riforma della comunità ecclesiastica e la vita collettiva e la sua
organizzazione.
Le differenze tra la dottrina di Zwingli e quella luterana:
● Il battesimo dimostra che il bambino appartiene a una Comunità

● L’Eucaristia è una commemorazione in assenza. Cristo è presente in spirito, non c’è


consustanziazione (presenza reale)
● La Santa Cena si celebra tre o quattro volte l’anno. Non è più il centro del rito cristiano

Muore nel 1531 nella battaglia di Kappel contro i cantoni cattolici appoggiati dall’Imperatore.

❖ GINEVRA

La città diventa indipendente dal principe vescovo infeudato ai duchi di Savoia nel 1535, dopo aver aderito
alla Riforma sul modello di Zurigo.
Importante è la figura di Giovanni Calvino. Nasce a Noyon, figlio di un uomo d’affari, intellettuale
umanista formato alla Sorbona laureatosi in diritto a Orléans e a Bourges.
Aderisce alla Riforma nel 1533. Lascia la Francia l’anno dopo e si rifugia prima a Strasburgo e poi a Basilea,
da dove parte nel 1536 per un viaggio in Italia.
A Basilea Calvino scopre:

● L’importanza della Chiesa visibile organizzata

● La necessità di una disciplina ecclesiastica

● L’avversione per le iniziative dello Stato in quest’ambito

● I vantaggi del Concistoro (assemblea di laici ed ecclesiastici)

Nel 1536 si reca a Ginevra dove è nominato pastore della Chiesa riformata di Ginevra e lettore della Bibbia.
Qui propone un modello ecclesiale molto rigoroso che viene rifiutato dal Consiglio cittadino.
Nel 1541 viene richiamato formalmente dal Consiglio cittadino e accetta di tornare a condizione che vengano
accolti il catechismo e la disciplina e vi rimane per oltre vent’anni, esercitando un ruolo di guida spirituale
La Chiesa di Calvino è organizzata sulla base delle ordonnances ecclesiastiques che, con leggere modifiche,
diventano il codice morale e legale di Ginevra per due secoli. Si parla dell’organizzazione della città cristiana
all’insegna di una forte compenetrazione tra religione, politica e istituzioni locali.
(città sperimentale: nuova Israele)
Sono previste quattro istituzioni:
1. Pastori: cui spetta annunciare la parola di Dio per indottrinare e amministrare i sacramenti e
impartire i rimproveri solenni d’accordo con gli anziani.
2. Dottori: devono istruire i fedeli nella santa dottrina
La scuola è compito affidato alla Chiesa
3. Anziani: laici che si occupano della disciplina comunitaria
4. Diaconi: provvedono all’assistenza di poveri ed amalati
L’istituzione in cui conciliano religione e politica è il Concistorio, un’assemblea di dodici anziani e dieci
pastori.
Calvino rende la chiesa di Ginevra un’organizzazione obbligatoria nella quale devono integrarsi tutti gli
abitanti della città, secondo un criterio che espelle i cattolici e accoglie i profughi.
Si crea una sorta di teocrazia, in cui lo Stato realizza la sua vocazione divina di educazione cristiana sotto la
sorveglianza del clero.
Il rigore del modello calvinista è garantito dalla sua base biblica (bibliocrazia)

■ LA DOTTRINA CALVINISTA

Il peccato originale ha scavato un abisso tra uomo e Dio.


La salvezza avviene solo per fede, le opere vengono svalutate.
La dottrina della predestinazione accentua la dipendenza dell’uomo da Dio.
La salvezza dell’anima non deve essere la preoccupazione principale, ma la glorificazione di Dio.
L’uomo deve agire nella storia.
A differenza di Lutero, egli afferma che non può esistere una chiesa di Stato ma chiesa e Stato devono
mettersi al servizio delle Sacre Scritture

■ LA RIFORMA RADICALE E POPOLARE

Gli storici distinguono una riforma radicale da quella guidata da Lutero, Zwingli e Calvino.
Le posizioni radicali non hanno rapporti stabili con il potere politico.
La figura principale può considerarsi quella di Thomas Muntzer, protagonista nella guerra dei contadini e
collaboratore di Lutero, il quale organizza in Sassonia una Lega degli Eletti con l’intento di distruggere il
potere dei nobili.
Il nuovo movimento religioso prende il nome di Anabattisti (i ribattezati).
Muntzer viene catturato nella battaglia di Frankenhausen e giustiziato nel 1525.
Dopo la sconfitta, il movimento ripropone i cardini della propria esperienza religiosa:

● Professione della fede volontaria attraverso il battesimo degli adulti

● Pratica degli ideali di uguaglianza e giustizia sociale tratti dalle Scritture

● Concezione della Chiesa come libera comunità di fedeli

Nel 1534 gli anabattisti occupano la città vescovile di Munster, in Westfalia, e la proclamano “regno di Dio”.
Dopo 16 mesi di assedio la città viene poi liberata dai ribelli.

■ POLITICA E RELIGIONE NELL’IMPERO

I Fase (1519-21): Carlo V giura la Costituzione imperiale in base a cui nessuno può essere messo al bando
dall’Impero senza processo. L’imperatore è impegnato a non radicalizzare lo scontro con i principi territoriali
e difendere l’unità religiosa. Da tale compromesso viene ratificato l’Editto di Worms: Lutero viene
condannato come eretico ma la soluzione definitiva viene demandata alla convocazione del concilio.
Carlo persegue una riforma interna della Chiesa, funzionale al disegno di impero universale. Ciò sembra
potersi realizzare con Papa Adriano VI, già precettore dell’Imperatore

II Fase (1525-30): inizia l’organizzazione politica della Riforma nei territori tedeschi.
Nasce l’alleanza tra principi cattolici a cui si contrappone quella tra principi protestanti.
Con la I e la II Dieta di Spira (1526 e 1529) la situazione resta congelata e si attende il concilio.
Protesta dei principali protestanti e la Germania si vede spaccata in due fronti.
C’è un tentativo di ricomposizione con la Dieta di Augusta (1530) ma le deliberazioni vengono assunte in
assenza dei rappresentanti protestanti e ciò rende problematica l’attuazione
Filippo Melantone redige la Confessione augustana per definire l’autentica dottrina luterana nei confronti
della Chiesa cattolica e dei riformatori radicali.

III Fase (1531-42): gli aspetti fondamentali sono:

● Fine dell’ipotesi di riconciliazione tra cattolici e protestanti

● Articolazione del protestantesimo in tre diverse confessioni (Lutero, Zwingli, Calvino)

● Divisione religiosa della Germania

● Lega di Smalcalda (1531) tra i principi e le città protestanti: alleanza anti-asburgica che stringe
relazioni con Francia e Inghilterra
Nel 1542 con la Dieta di Spira emerge la richiesta dei principi tedeschi all’Imperatore per ottenere il
riconoscimento ufficiale della loro posizione a cui condizionano il loro aiuto militare e finanziario contro i
turchi.

IV Fase (1546-55): scoppia la guerra tra la Lega di Smalcada e l’Imperatore che termina con la sconfitta
dei principi protestanti a Muhlberg nel 1547. Tuttavia, successivamente, gravi problemi e le sconfitte ad
opera dei turchi, dei francesi e dei protestanti costringono Carlo V alla pace religiosa di Augusta (1555).
Con la Pace di Augusta non si mirava ad un accordo sulla dottrina ma a conseguire una pace politica tra i
territori dell’Impero di diversa confessione.
Il protestantesimo viene accettato dall’impero e ai principi protestanti venivano riconosciuti gli stessi diritti
dei principi cattolici.

SCISMA ANGLICANO
Nel 1521, il Re d’Inghilterra, Enrico VIII Tudor, venne definito “difensor fidei” (difensore della fede) da
Papa Leone X. Dietro le ragioni di questa decisione ci fu il desiderio del re di avere un erede maschio, cosa
che non riuscì ad ottenere durante il matrimonio con Caterina d’Aragona. Infatti, un’erede donna non
assicurava la successione e indeboliva il prestigio dei Tudor.
Ne scaturì una richiesta di annullamento del matrimonio e un nuovo legame con Anna Bolena.
Il lungo processo, anche per l’intervento di Carlo V, nipote di Caterina, venne spostato a Roma, e iniziò a
prepararsi lo scisma a causa dei continui rinvii della sentenza da parte di Papa Clemente VII.
L’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, dichiarò nullo il matrimonio e avvenne la scomunica del re.
Nel 1534 venne approvato l’Atto di supremazia, con il quale il re rompe i legami con la Chiesa di Roma
proclamandosi “unico capo supremo della Anglicana Ecclesia” con diritto di reprimere l’eresia e
scomunicare.
Alcune delle conseguenze riguardarono l’annullamento della distinzione tra sovranità temporale e spirituale:
affermare che il re fosse eretico, scismatico o tiranno veniva considerato tradimento. Venne abolita la
giurisdizione papale, in quanto il re diventa la fonte della giurisdizione temporale e di quella spirituale. Così
facendo, l’Inghilterra si liberò dell’obbedienza spirituale nei confronti di una potenza straniera.
Ne conseguirono una rottura tra il re e coloro che rifiutavano di giurare fedeltà al nuovo assetto
costituzionale: il vescovo John Fisher e l’ex cancelliere Tommaso Moro.
Il primo ministro Thomas Cromwell avviò riforme economiche: confisca dei beni di conventi e istituti
religiosi e incameramento decime pontificie (tributi, tasse).
Si verificò un consenso di ampia parte dei ceti sociali che parteciparono alla redistribuzione delle terre
confiscate.
Enrico VIII promosse una riforma politico-costituzionale che intaccava il primato pontificio ma senza aderire
al luteranesimo. Venne dichiarato eretico chi contestava la dottrina ufficiale della Chiesa. La rottura si
manifestò sul piano ecclesiale e organizzativo e non comportava necessariamente una nuova dottrina.
Con l’adozione dei Sei articoli nel 1539, si realizzò un irrigidimento delle posizioni dogmatiche non dissimili
dal cattolicesimo:
1. Rogo per chi negava la transustanziazione
2. Inutile ai laici la comunione sotto le due specie
3. Proibizione del matrimonio per preti
4. Proibizione del matrimonio per monaci
5. Mantenimento in vigore delle messe private
6. Mantenimento in vigore della confessione auricolare
Enrico VIII ebbe 6 mogli.
Nel 1536 fece condannare Anna Bolena per adulterio.
Nel 1537 gli succede al trono il figlio Edoardo VI di appena 9 anni
Con quest’ultimo, la scismatica Chiesa Anglicana accolse la teologia della riforma protestante, grazie anche
al Book of Common Prayer che:

● Riconosceva due soli sacramenti, Battesimo ed Eucarestia

● Sopprimeva il carattere di sacrificio della messa

● Aboliva il celibato ecclesiastico

Nel 1553, attraverso la professione di fede ufficiale, imposta a tutti i sudditi, l’anglicanesimo divenne
religione di Stato. Nel frattempo, la Scozia aderì al Calvinismo grazie all’opera di John Knox e l’Irlanda
invece, in chiave anti-inglese, aderì al cattolicesimo.

LA CHIESA DELLA CONTRORIFORMA


Il giurista Johann Stephan fu il primo ad usare, nel 1770, il termine “controriforma” ad indicare il “ripristino
dell’obbedienza confessionale” nel Sacro romano impero tra il 1555 e il 1648. Termine che si afferma a metà
Ottocento grazie allo storico protestante Leopold von Ranke.
Per la storiografia del XIX secolo questo termine indicava una reazione complessa e a più livelli:

● Repressione antiprotestante

● Consolidamento dei dogmi e delle strutture ecclesiastiche

● Riorganizzazione interna della Chiesa cattolica

Ad esso si contrappone il concetto di Riforma cattolica, introdotto a fine Ottocento: “riflessione su di sé


attuata dalla Chiesa in ordine all’ideale di vita cattolica raggiungibile mediante un rinnovamento interno”.
Non si tratta solo di una reazione contro la Riforma, ma di un’autonoma e spontanea spinta riformatrice nata
all’interno della Chiesa e culminata con le grandi riforme post-tridentine.
Si sottolinea:
● Il rinnovamento religioso della Chiesa tra XV e XVII secolo e l’azione sui fedeli e sugli uomini, non
tanto quella sulle strutture
● Diffusione del movimento della Devotio moderna, dei cenacoli erasmiani, dell’attività essenziale e
d’istruzione ad opera di nuovi ordini e delle confraternite laicali e della nuova religiosità promossa
dal Concilio tridentino.
La storiografia recente ha superato la contrapposizione tra Riforma cattolica e Controriforma per insistere
sulla interdipendenza e la connessione, due tendenze del Cattolicesimo convergenti per una sua più solida
affermazione.
Significato attuale di Controriforma:

● Processo di cristallizzazione delle confessioni religiose tra la metà del XVI secolo e la metà del
successivo
● Nuovo sistema giuridico della Chiesa cattolica con il Papa all’apice

● Prassi pastorale per riconquistare le masse

● Teologia tridentina dalla forte carica riformatrice

● Abusi ed intolleranza che caratterizzarono l’utilizzo di nuove istituzioni

● Alleanza tra il trono e l’altare nei paesi cattolici

■ IL CONCILIO DI TRENTO

Nasce dall’esigenza di arginare la corruzione nella Chiesa.


Clemente VII Medici, privilegia il consolidamento dello spazio politico all’interno del sistema degli Stati
italiani e teme il concilio come occasione di messa in discussione dell’autorità papale.
Paolo III Farnese, si rende conto della crisi anche a causa dello scontro tra imperatore e principi protestanti.
Si fa avanti tra i cardinali del Sacro Collegio un progetto di riforma della Chiesa.
Nel 1541 promuove il Colloquio di Ratisbona per tentare un’ultima mediazione prima di convocare il
Concilio.
Le continue convocazioni del Papa falliscono a causa di vari aspetti:

● Congiuntura particolarmente critica nel rapporto con i protestanti

● Ripresa del conflitto franco-asburgico in Europa

● Mancanza di organicità nell’azione pontificia

● Dissensi fra Papa e principi italiani sulla scelta della sede

Finalmente il 13 dicembre 1545 si apre il Concilio a Trento, poiché si trattava di un territorio italiano,
principato ecclesiastico rientrante nell’orbita giurisdizionale dell’impero.
L’obiettivo non è più quello di riunificare la Chiesa ma di darle una struttura dogmatica e un’efficiente
organizzazione disciplinare. Inoltre, il Concilio si proponeva di recuperare i territori protestanti, di arginare
l’eresia e di riaffermare il primato papale in una Chiesa cattolica riformata
Possiamo dividere il concilio in tre fasi:

1. Prima Fase (1545-47)


Caratterizzata da un numero scarso di partecipanti, in maggioranza vescovi italiani e spagnoli. Il
dibattito si concentra sulle definizioni teologiche e sui due modi diversi di concepire la riforma della
Chiesa: per l’imperatore rappresenta l’ultimo tentativo di pacificazione religiosa, mentre per il Papa
rappresenta lo sbarramento dell’eresia protestante. L’assemblea risente della congiuntura critica
sfavorevole al papato con l’ingresso definitivo dell’Inghilterra nell’orbita protestante dopo la morte
di Enrico VIII. Nel 1547 il concilio viene spostato a Bologna, città pontificia, dove prosegue fino al
1549 senza risultati significativi.
2. Seconda Fase (1551-1552)
Alla morte di Paolo III, viene eletto Giulio III e riporta il concilio a Trento. Viene ribadito il dogma
della transustanziazione.
Nel 1552 si presenta una sospensione a causa della guerra tra Carlo V ed Enrico II appoggiato dai
protestanti.
Alla morte di Marcello II (successore di Giulio III), dopo uno scontro durissimo fra intransigenti e
riformatori, viene eletto Paolo IV, capofila degli zelanti.
La Controriforma si connota maggiormente come offensiva contro l’eresia e riforma disciplinare del
clero.
3. Terza Fase (1562-1563)
Il nuovo Papa, Pio IV, riconvoca il Concilio: si perfeziona la definizione dottrinale e disciplinare
della Chiesa cattolica e si apre un’aspra discussione sull’origine del potere episcopale riguardo il
Papa o il potere statale.
Si raggiunge una soluzione di compromesso: i vescovi dipendono dal Papa ma hanno l’obbligo della
residenza.
Il 4 dicembre 1563 si chiude il Concilio.
Nel 1565 muore Pio IV ma prima pubblica il Nuovo indice dei libri proibiti e la Professio fidei
tridentina che viene imposta l’anno dopo da Pio V.
La Riforma protestante e il Concilio di Trento sono risposte differenti ai bisogni del tempo.
Roma, in stato di assedio, ribadisce il contenuto della dottrina teologica e della disciplina.

LE ISTITUZIONI DELLA CONTRORIFORMA

■ IL SOVRANO-PONTEFICE

Le due dimensioni della sovranità papale nel tridentino trovano una più compiuta affermazione.
Già con Eugenio IV, che nel 1443 riporta la Sede apostolica a Roma dopo 100 anni ad Avignone, era iniziata
l’articolazione del nuovo modello monarchico del papato e la trasformazione del Patrimonio di San Pietro in
Stato Pontificio.
In seguito, si assiste a:

● Riorganizzazione urbanistica di Roma a causa della sua trasformazione in Capitale

● Espansione della corte e della burocrazia curiale anche con la vendita degli uffici

● Riforme finanziarie e fiscali


● Nunziature stabili

● Creazione dell’esercito permanente

Col Concilio di Trento si consolida un modello di Stato della Chiesa non dissimile da altri Stati europei
contemporanei.
Il Papa accentua la sua duplice fisonomia come:

● Pontefice, cioè capo della cristianità che nonostante lo scisma resta comunità universale e fattore di
identificazione collettiva
● Sovrano di uno Stato alle prese con problemi politici, amministrativi e finanziari simili a quelli degli
altri Stati europei.
Il Sovrano Pontefice impone la graduale riduzione delle antiche libertà dei cleri locali, si dota di uffici e
magistrature e si pone come unica autorità legittimata ad enunciare norme universalmente vincolanti.
La bolla In coena Domini, emanata da Pio V, rivendica al Papa il diritto di interferire in tutte le competenze
statali.

■ LA RIORGANIZZAZIONE DELLA MONARCHIA PAPALE

Il Papa è un principe senza continuità dinastica. Il papato, infatti è come una monarchia elettiva.
Il Sacro Collegio è organo di governo della Chiesa, strumento di consenso e potenziale elemento di
disgregazione. Il Papa in seguito lo trasformerà in un corpo di funzionari a lui sottoposti, compiendo il
passaggio al governo assoluto della Chiesa.
I Vescovi diventano la principale articolazione del potere papale sul territorio (diocesi). Sono sottoposti ad
obbligo di residenza, controllo dei fedeli e del retto comportamento del clero formato in una nuova
istituzione: i seminari.
Le parrocchie diventano il centro e l’autorità morale e dottrinaria della comunità di fedeli, controllate
periodicamente dai vescovi con le visite pastorali.
C’è una riaffermazione della struttura gerarchica della Chiesa di Roma con al vertice un’autorità infallibile
sul piano della dottrina e della disciplina ecclesiastica.
Alla Congregazione del Santo Uffizio dell’Inquisizione fu affidato il compito di prevenire e reprimere
l’eresia. Con la bolla istitutiva, Paolo III, affidava a sei cardinali la piena giurisdizione contro laici ed
ecclesiastici. Inoltre, invocava l’aiuto del “braccio secolare” degli Stati, soprattutto quelli italiani, per
reprimere ogni dissenso.

■ LA RICONQUISTA DELLE ANIME

L’obiettivo della Chiesa post-tridentina fu il consolidamento della sua presenza nella vita quotidiana e
sociale delle popolazione grazie al contributo degli ordini religiosi come:

● Teatini: avevano scopo assistenziale e impegno nella lotta all’eresia (a Napoli e Venezia)

● Cappuccini: potente ordine mendicante di derivazione francescana con compiti di predicazione

● Barnabiti: formazione del clero, predicazione e missioni extraeuropee


● Somaschi: assistenza, educazione e formazione degli orfani

● Scolopi: prima scuola popolare gratuita d’Europa a Roma

■ I GESUITI

Compagnia riconosciuta da Paolo III nel 1540 che la pose sotto autorità papale, fu fondata da Ignazio di
Loyola, hidalgo di origine basca, soldato nell’esercito di Carlo V, ferito in guerra e convertitosi alla vita
religiosa, decide di trasferire nella compagnia l’ideale di combattere per Dio e servire unicamente il Signore
e il pontefice romano.
Il nuovo ordine religioso, con sede a Roma, fu organizzato secondo una rigida disciplina militare e uno
schema gerarchico basato sulla subordinazione totale alla volontà del capo.
Osservano, oltre ai tre voti tradizionali della professione monacale: povertà, castità e obbedienza, anche
quello dell’assoluta obbedienza al Papa.
Le Costituzioni prevedevano:

● Reclutamento selettivo

● Formazione prolungata con noviziato e quasi dieci anni di studi di teologia, filosofia, retorica,
letteratura e scienze
● Struttura centralizzata con una ristretta élite al vertice

L’espansione fu rapidissima e a partire dagli anni ’50 sarebbero divenuti la più efficace milizia al servizio
della Chiesa, impegnati soprattutto in alcuni settori nevralgici: l’istruzione superiore, le missioni e la
confessione.
Caratterizzata da una politica culturale orientata a ricostruire i fondamenti della Chiesa cattolica sulla base
della teologia di San Tommaso e del metodo filologico umanistico.
I collegi rappresentavano il centro del progetto educativo. In origine erano la sede della formazione dei
membri dell’ordine, poi diventarono scuole per l’educazione dei ceti dirigenti delle città e degli Stati europei.
Si affermò un modello scolastico per controllare lo sviluppo intellettuale e spirituale dei discepoli, fondato
sul metodo filologico teso a rafforzare l’autorità del dogma comune a tutti i Collegi.
Importante fu anche l’attività missionaria della Compagnia in Europa e nelle terre d’oltremare grazie al
quale, nei domini portoghesi e spagnoli, creò un modello alternativo all’encomienda più rispettoso delle
istanze degli indigeni.
L’evangelizzazione tramite predicazione e missioni, svolte all’interno degli Stati europei, servì ad istruire il
popolo e a provocare nei fedeli il senso di colpa con il conseguente pentimento, tramite l’imposizione della
confessione auricolare.
Con un decreto tridentino pubblicato nel 1566 da Pio V venne istituito il catechismo in quanto nacque un
bisogno di ridurre la distanza tra la religione dei semplici e la religione dei dotti, liberando la devozione delle
masse dal suo alone superstizioso.

■ LA CHIESA POST-TRIDENTINA

Le principali caratteristiche di questo periodo furono:


● Una miglior formazione del Clero con: imposizione del celibato, istruzione obbligatoria in
Seminario e obbligo di residenza
● Istituzione dei Seminari diocesani

● Obbligo di tenere archivi parrocchiali (battesimi, matrimoni, sepolture)

● Periodicità delle visite pastorali

● Risposta ai bisogni della società con assistenza e educazione

● Impegno nella formazione superiore delle classi dirigenti (Gesuiti)

● Imposizione del latino come unica lingua della Chiesa e confessione auricolare

● Missioni in campagne europee e in America, Asia e Africa

● Fondazione di nuovi Ordini religiosi

LA SPAGNA NEL CINQUECENTO

■ L’eredità di Carlo d’Asburgo

Lo scenario politico mondiale mutò nel corso del Cinquecento in conseguenza della politica di Massimiliano
I d’Asburgo e delle sue strategie matrimoniali.
Carlo d’Asburgo nasce a Gand nel 1500. Nel 1506, per la morte del padre e dei problemi di salute mentale
della madre, diventa erede delle Fiandre e degli stati ereditari di casa d’Austria, di Aragona e di Castiglia e
dei loro domini e dipendenze.
Nel 1516 muore Ferdinando il Cattolico e Carlo è proclamato re di Spagna.
Nel 1518 muore Massimiliano I e l’anno seguente Carlo è incoronato imperatore ad Aquisgrana.

■ Carlo V Imperatore

Questo periodo è caratterizzato da una certa debolezza costituzionale dell’Impero germanico e da una
contrapposizione tra l’autorità imperiale elettiva e l’autonomia dei principi e dei ceti territoriali.
Con Carlo V la questione imperiale torna al centro della scena politica anche per il manifestarsi di una
esigenza di ordine. L’obiettivo dell’immenso dominio è quello di restaurare un impero universale.
La concezione imperiale è rappresentata dal bisogno di una missione riformatrice dell’impero sulla cristianità
e di difendere quest’ultima, infatti, la Spagna diventa il veicolo dell’espansione della Chiesa nel Nuovo
Mondo. Tuttavia, la struttura territoriale complessa dell’Impero costringe ad agire secondo una molteplicità
di linee politiche.

■ L’elezione imperiale

Carlo V, il candidato naturale, viene ostacolato dagli avversari degli Asburgo, in particolare da Francesco I
di Valois, preoccupato di un possibile accerchiamento della Francia.
Carlo viene eletto grazie alla riluttanza dei principi tedeschi ad accettare uno straniero e al determinante aiuto
dei grandi banchieri che versano un milione di fiorini per comprare i voti degli elettori.
Il nuovo imperatore è costretto a diverse concessioni:

● Libertà della nazione tedesca in campo spirituale e temporale

● Conferma delle prerogative dei principi e difesa contro le alleanze tra piccola nobiltà e popolo

● Diritto alla consultazione per definire la politica estera

● Divieto di imporre nuove tasse

● Divieto di introdurre soldati stranieri nei territori germanici

● Conferma del sistema elettivo per scegliere l’imperatore

Carlo, re straniero arrivato in Spagna, scontenta i nobili assegnando cariche a fiamminghi e borgognoni.
Impone nuove tasse in Castiglia per pagare l’elezione imperiale, oltre ad un accentramento dei poteri e
ridimensionamento dei fueros (consuetudini scritte che sancivano privilegi goduti dalle città).
Il Governo del monarca è organizzato sulla base di segretari e Consigli.
Le città castigliane iniziano a rivendicare il rispetto dell’autonomia e insorge la rivolta dei comuneros
(cittadini) prima a base urbana, poi anche degli abitanti delle campagne, contro il governo dei consiglieri di
Carlo e i corregidores (ufficiali e magistrati di nomina regia attivi in periferia).
Successivamente il moto si carica di rivendicazioni sociali e i nobili abbandonano la rivolta.
Il decennio 1520-30 è fondamentale per l’elaborazione di una linea politica per la parte spagnola
dell’impero: vi è un ristabilimento graduale dell’autorità sovrana in Spagna e il consolidamento della
monarchia nei domini italiani, riconoscendo:

● La loro struttura giuridico-politica

● Di essere dotati di un complesso di ordinamenti autonomi

● Di avere un’identità cristiana secolare e consolidata

Si afferma l’autorità monarchica ma si ricercano alleanze con i ceti sociali dei singoli regni.
C’è una neutralizzazione del potere politico dell’aristocrazia feudale e l’allargamento della sfera
giurisdizionale, del potere economico e sociale dell’aristocrazia.
Un altro elemento rilevante è il contenimento del pericolo turco nel Mediterraneo con la presa di Tripoli
(1510) e di Tunisi (1535)

■ L’egemonia spagnola in Europa

Tra il 1520 e il 1570 la Spagna è la potenza principale in Europa in quanto presenta:

● Nuove fonti di ricchezza e sfruttamento a basso costo grazie ai domini americani

● Cospicui mezzi finanziari derivanti da entrate fiscali dei domini in Europa

● Apertura di credito dei banchieri privati verso la corona spagnola

● Forte aumento demografico con conseguente crescita della domanda

● Aumento dei prezzi delle merci a fronte di una riduzione del costo del lavoro
● Struttura politica unificata e prestigio della monarchia

● Esercito ben addestrato e mobilitato su più fronti

■ La Spagna di Filippo II

Dopo la Pace di Augusta, Carlo V divide i suoi domini:

● Al fratello Ferdinando, imperatore nel 1558 vanno i territori di casa d’Austria e i regni di Boemia ed
Ungheria
● Al figlio Filippo II, re di Spagna dal 1556, vanno la Spagna; i domini italiani di Milano, Napoli,
Sicilia e Sardegna; la Francia Contea (tra Francia e Stati germanici); i Paesi Bassi e i possedimenti
americani.
Carlo e Filippo presentavano due personalità profondamente diverse:

● Carlo, nativo di Gand, aveva scarsa dimestichezza con la sensibilità spagnola. Viene formato nel
clima erasmiano di una religiosità interiore, colpito dalla lacerazione dell’unità cristiana. Viene
definito “re guerriero” di stampo medievale e “re itinerante” senza una corte fissa.
● Filippo, invece, presentava una cultura profondamente spagnola. Privo di attitudini militari, si dota
di una corte, di una dimora fissa e di un apparato di funzionari.
Filippo II consolida il prestigio della dinastia facendo costruire l’Escorial, un’immensa reggia costruita su
modello di un monastero, che diventa il centro burocratico del potere sovrano.
Nel 1560 nomina Madrid capitale. Viene definito il “re della Controriforma” ed è l’artefice dello Stato
moderno spagnolo, esteso tra Mediterraneo e Atlantico ma costituito da diversi reynos.
Nasce nel 1527 a Valladolid da Isabella di Portogallo e Carlo V d’Asburgo.
A sedici anni sposa la cugina Maria Manuela di Portogallo.
Dal 1554 al 1559 si sposta a Bruxelles assumendo la reggenza dei Paesi Bassi.
Dopo la morte della moglie, nel 1555 sposa in seconde nozze Maria Tudor, figlia di Enrico VIII, regina
d’Inghilterra, cercando così di unire i due regni in un unico grande impero marittimo atlantico.
Nel 1556 Carlo V abdica e Filippo è proclamato re di Spagna
Nel 1558 muoiono a breve distanza sia Carlo V che Maria Tudor, sfuma così il sogno di un impero
universale. Elisabetta Tudor è la nuova regina d’Inghilterra e Filippo sposa Elisabetta di Valois.
Nel 1559 avviene il trasferimento dalle Fiandre in Castiglia. È la fine dell’idea di impero universale e il
primato del sistema politico vede al centro la Castiglia.
L’idea monarchica di Filippo ruotava intorno alla sua figura di “Re cattolico”: infatti, i problemi religiosi
costituivano il riferimento fondamentale del suo governo.
L’azione politica era concentrata su una triplice istanza:
1. Difesa della Cristianità dalla minaccia turca
2. Difesa del Cattolicesimo dalla secessione protestante
3. Difesa dell’unità cattolica nei regni e nei domini spagnoli
Il regno di Filippo può essere diviso in tre fasi:
1. Dal 1559 al 1565
2. Dal 1565 al 1580
3. Dal 1580 fino alla sua morte nel 1598
■ La situazione economica della Spagna

Carlo V lasciava al figlio un paese in forte espansione demografica, soprattutto la Castiglia.


Importanti erano le esportazioni di lana, olio e vino a differenza dei manufatti che venivano importati a causa
di una struttura produttiva inconsistente a causa di una carenza di artigiani specializzati e una bassa qualità
dei prodotti.
Nel paese si presentava uno squilibrio tra potenza politica e crescita economica a causa di alcuni fattori, tra i
quali l’afflusso dei metalli preziosi, in quanto i grandi mercanti-banchieri che controllavano il flusso dei
metalli preziosi e il commercio internazionali di beni erano stranieri.
Importante era il rapporto di dipendenza della finanza pubblica rispetto a quella privata a causa degli
asientos, prestiti a breve termine con alti tassi d’interesse.
Vi era l’assenza di una politica economica a supporto dello sfruttamento minerario delle colonie e all’ascesa
dei prezzi.

■ Religione e politica nella Spagna di Filippo II

La Spagna si presentava come un paese che non aveva vissuto il rinnovamento culturale e sociale promosso
dalla Riforma, nel quale l’Inquisizione e la censura si occupavano non solo di questioni religiose ma anche
politico-sociali. Inoltre, presentava un nesso inscindibile tra una sola religione, un solo re e la purezza della
stirpe.
Venne attuata una politica di persecuzione nei confronti dei conversos grazie sempre al Tribunale
dell’Inquisizione, investito del compito di controllare i comportamenti e ogni espressione culturale dei
sudditi della monarchia asburgica.

■ Prima fase: il rey prudente (1559-65)

In questo periodo non si delinea ancora un vasto e coerente disegno di politica internazionale, anzi, sorge una
percezione dei pericoli che incombono su alcune parti dell’impero.
Tuttavia, c’è il bisogno di fronteggiare il pericolo turco. Infatti, la Spagna restava l’unico presidio contro la
flotta ottomana e la crisi interna del sistema turco sembrava favorevole. Inoltre, i viceré spagnoli nelle aree
danneggiate dai turchi ne denunciavano la pericolosità.
Nel 1560 a Gerba la flotta spagnola viene sconfitta. Costretta a reagire, avvia un ampio lavoro di armamento
marittimo.

■ Seconda fase: tra Paesi Bassi e Mediterraneo (1565-80)

Le tensioni politiche nei Paesi Bassi portano alla Pacificazione di Gand nel 1576, in funzione anti-spagnola.
Sorge la Repubblica delle Province Unite.
Viene ripresa la lotta alla minaccia dei turchi, che nel frattempo hanno sviluppato una politica di riarmo
marittimo. La Lega Santa, composta da Spagna, Venezia e Roma, crea una flotta di 300 navi per occupare
Tunisi.
La Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, vede vittoriosa la flotta cristiana, grazie al contributo
determinante dei veneziani comandati da Sebastiano Venier. La vittoria dona un’enorme risonanza grazie
anche all’uso propagandistico che se ne fece nel mondo cristiano, con scrittori e pittori che immortalarono le
gesta della flotta.
In seguito, si assiste alla pace tra Filippo II e il sultano Murad III, possibile in quanto la Spagna riprende la
lotta contro i Paesi Bassi ed è impegnata in Portogallo, e perché i turchi affrontano il pericolo costituito dai
persiani.
La rafforzata repressione contro i moriscos vede quest’ultimi deportati in Castiglia e Andalusia, inoltre,
viene fatto divieto di parlare arabo.

■ Terza fase: l’imperialismo attivo

Le maggiori risorse provenienti dall’Atlantico inducevano ad interventi attivi.


Numerosi sono i progetti espansionistici, come l’annessione del Portogallo, che diventa possibile dopo la
sconfitta di Sebastiano di Braganza nel tentativo di conquistare il Marocco.
Non avendo figli, la sua morte scatena una crisi dinastica nel paese, già alle prese con i problemi relativi alla
fragilità militare.
Filippo II, per essere stato sposo della figlia Maria Emanuele, avanza pretese che vengono accolte dai ceti
dirigenti portoghesi.
Nel 1580 muore l’anziano principe Enrico, rimasto sul trono per un anno, e Filippo, col Duca d’Alba,
occupa e annette il Paese acquisendo un vasto impero coloniale.
L’annessione non vede un’integrazione politica ed economica, anzi, viene riconosciuta l’autonomia
istituzionale e il mantenimento della separazione dei domini coloniali.
I mercanti portoghesi non ebbero vantaggi dall’essere integrati nell’impero spagnolo.
Inizia l’era della decadenza del Portogallo.
Nel 1588 si tenta l’invasione dell’Inghilterra favorita da vari aspetti:

● Penetrazione cattolica con i Gesuiti

● Maria Stuart di Scozia congiura contro Elisabetta

● Roma contraria alla Chiesa anglicana

● Danni alla flotta spagnola da parte dei pirati inglesi

● Pretese sul trono da parte di Filippo, vedovo di Maria Tudor, sostenute da un’ampia coalizione

Filippo sottovaluta la forza navale militare inglese che, a differenza della sua Invincibile Armada, composta
da 130 navi galeoni, era composta da navi leggere e veloci. La superiorità dell’artiglieria inglese e le
avversità atmosferiche decimarono la flotta spagnola, ciò causo alcune conseguenze:

● Arresto dell’espansionismo spagnolo

● Sconfitta delle ipotesi di restaurazione cattolica in Olanda e Inghilterra

● Affermazione dell’Inghilterra come grande potenza marittima


POSSEDIMENTI SPAGNOLI NELL’EUROPA DEL ‘500

■ L’organizzazione della monarchia castigliana

Filippo tentò di creare un’organizzazione del potere più efficiente ma non sempre i suoi obiettivi risultavano
compatibili tra loro.
Perseguì una centralizzazione politico-amministrativa di un organismo composto che non poteva essere
governato con procedure uniformi.
L’unico vincolo unitario era la figura del sovrano, ma l’egemonia economico-sociale della Castiglia rendeva
la sovranità un fattore prima di tutto castigliano. Il re si serviva di viceré e governatori a cui assegnava vari
compiti politico-amministrativi, ma senza frantumare la sovranità. I funzionari e gli alti burocrati erano per la
maggior parte di origine castigliana.
Ci fu un perfezionamento del sistema polisinodale con la creazione di nuovi consigli territoriali: d’Italia
(1555), del Portogallo (1582), e delle Fiandre (1588).
Tuttavia, il sistema si presentava macchinoso e generava confusione e sovrapposizioni di competenze.

I PAESI BASSI: DAL DOMINIO SPAGNOLO ALLA REPUBBLICA

■ I Paesi Bassi nel XVI secolo

I Paesi Bassi erano al centro di una fitta rete di scambi commerciali e culturali e lontani dalla Spagna.
Nonostante le differenze linguistiche e sociali tra nord e sud, era presente un desiderio comune di difendere
autonomie e privilegi.
Nobili, mercanti e rappresentanti delle città sedevano negli Stati Provinciali e negli Stati Generali.
La struttura economica presentava numerosi centri artigianali e mercantili abituati alle transazioni
commerciali e inclini alla tolleranza.
La diffusione del luteranesimo, dell’anabattismo e soprattutto del calvinismo, danneggiò l’unità religiosa (il
sud rimase cattolico) alimentando una nuova cultura politica in cui si intrecciavano sentimenti nazionalistici,
aspirazioni all’indipendenza e lotta al Cattolicesimo, fondamentale contro la lotta alla dominazione spagnola.
La politica di Carlo V, attenta a mantenere saldo il legame della corono con le oligarchie e aristocrazie locali,
subì un’inversione di tendenza negli anni ’40-’60 del XVI secolo.

■ La politica imperiale della Spagna

Alla corte di Filippo II si formano due partiti:


1. Il Principe di Eboli, favorevole ad una politica rispettosa delle autonomie e delle costituzioni
dei diversi territori che componevano la monarchia asburgica
2. Il Duca d’Alba, sostenitore di una repressione di ogni fermento autonomistico e di un modello
politico rigidamente centralizzato.
Filippo II affida le 17 province dell’eredità borgognona alla sorellastra Margherita d’Asburgo che continua
a rispettare formalmente le autonomie.
Nel Consiglio di Reggenza affiancato a Margherita, entrano nobili dei Paesi Bassi, tra cui il vescovo di
Arras, cardinale Granvelle, strettamente legato a Filippo II.
Il Papa assegna a Filippo 18 nuove sedi episcopali di nomina regia, con cattolici e protestanti contrari ai
provvedimenti per timore dell’introduzione dell’Inquisizione.
Nel frattempo, Filippo istituisce un Consiglio segreto spagnolo che annullava di fatto il Consiglio di
Reggenza fiammingo.
Guglielmo d’Orange guida il fronte di opposizione guidato contro le persecuzioni religiose e le forti
pressioni fiscali.
Filippo, a differenza del padre Carlo, si dimostra meno tollerante contro il potere crescente dalla nobiltà
locale.
Aumenta la pressione fiscale e di conseguenza una delegazione di nobili presenta una petizione a Margherita
contro le imposizioni di nuove tasse e l’introduzione dell’Inquisizione.
La crisi economica spinge ad Anversa e altrove i lavoratori calvinisti al saccheggio e alla furia contro chiese
cattoliche. Si divide il fronte di opposizione antispagnola con i cattolici che restano filospagnoli.
Filippo invia nei Paesi Bassi il Duca d’Alba per un’azione repressiva.
Il Consiglio dei Torbidi emette 13000 condanne, facendo giustiziare alcuni dei nobili più in vista.
La linea del Duca d’Alba provoca la fine dell’alleanza tra la monarchia spagnola e una parte dell’aristocrazia
locale.
Guglielmo d’Orange viene riconosciuto come leader della resistenza che oppone la province settentrionali
dei Paesi Bassi al dominio spagnolo, sempre più privo di consenso e autore di una repressione indiscriminata
che colpiva la ricchezza del paese e le attività commerciali.
Sorge una ribellione generalizzata:

● Città contro i presidi spagnoli

● Marinai con azioni di pirateria, si scagliano contro le navi iberiche

● Le popolazioni locali di Olanda e Zelanda arrivano a livelli smisurati esasperazione a causa dei
saccheggi delle truppe del Duca d’Alba. Tuttavia, rimangono attive e compatte grazie al fattore
unificante del calvinismo
● Guerra per mare e interruzione, nel 1572, delle comunicazioni tra Spagna e Paesi Bassi

Conseguenti implicazioni internazionali:

● La politica imperiale spagnola spinge l’Inghilterra ad appoggiare le province ribelli

● Viene sequestrato nei porti inglesi il danaro inviato dai banchieri genovesi al Duca d’Alba

● Fallimento del Duca d’Alba, sostituito prima da Giovanni d’Austria e poi da Alessandro Farnese
● Bancarotta spagnola nel 1575

● Sacco di Anversa ad opera di truppe spagnole non pagate

● Unione delle province meridionali a quelle settentrionali in funzione anti-spagnola

Tuttavia, si tratta di un’unificazione che dura poco tempo a causa degli interessi contrastanti delle due parti.
Nel nord, i protestanti e i ceti sociali sono più dinamici e orientati all’indipendenza.
Al sud, i cattolici e l’aristocrazia sono più tendenti ad aumentare le proprie prerogative ed inclini al
compromesso col governo di Madrid per ottenere maggiore autonomia.
Quindi, Farnese stacca le province meridionali dall’alleanza con Olanda e Zelanda.
Nel 1579, l’Unione di Arras, porta l’area meridionale cattolica di nuovo sotto Filippo II.
Mentre, con l’Unione di Utrecht, sette province settentrionali si rendono indipendenti.
Nel 1581, viene presentata la Dichiarazione d’indipendenza e nasce la Repubblica delle Province Unite,
non riconosciuta da Filippo II. Solo nel 1648 verrà riconosciuta formalmente dalla Spagna.

PAESI BASSI E LOTTA PER LA SOVRANITA’


Filippo, sprovvisto dello spirito universalistico del padre, si trovò ad affrontare le rivendicazioni di territori
dotati di alcune caratteristiche:

● Alleanza tra nobili e mercanti in difesa dei loro privilegi

● Prosperità economica

● Patriottismo

● Opposizione antispagnola

● Calvinismo quale potente fattore di coesione nella lotta e di identità comune

Diversi possono essere i fattori sulla natura della rivolta e sulle implicazioni politiche dei Paesi Bassi, come
il fatto che i capi non desideravano l’indipendenza ma la garanzia del rispetto dei privilegi. Si trovarono
proiettati in un campo inesplorato, indecisi a disfarsi della lealtà verso il re.
Ragioni del successo olandese:

● Originalità del modello politico-istituzionale

● Potenza commerciale

● Sviluppo artistico e culturale legato alla pratica della tolleranza religiosa

■ Il modello politico-istituzionale

Nel 1581 la sovranità passa alle comunità delle Province Unite, che sul piano costituzionale formavano una
federazione repubblicana caratterizzata dalla centralizzazione dei poteri militari e dal decentramento dei
poteri civili.
Gli Stati Generali formavano l’assemblea dei rappresentanti delle Sette Province Unite che si occupavano di
politica estera e politica di difesa
Gli Stati Provinciali erano costituiti sulla base del criterio di rappresentanza dei due corpi, nobiltà e città, in
proporzione del peso differente in ogni provincia.

● Inviavano rappresentanti agli Stati Generali

● Erano i veri garanti dell’autonomia del territorio

● Si occupavano di politica interna

Alla base del sistema vi erano i Consigli delle Città con ampi poteri locali, tra cui: elezione dei magistrati e
decisioni di politica economica e commerciale.
Al vertice del sistema si trovava lo Statolder, capo della federazione e comandante dell’esercito. Carica
occupata per quasi un secolo dalla famiglia Orange.
A capo di ogni singola provincia c’era il Gran Pensionario, responsabile della politica interna ed esterna.
La Costituzione delle Province Unite garantiva ai cittadini libertà e diritti non in quanto individui, ma
perché membri di una corporazione.
Il modello repubblicano olandese favoriva la partecipazione sia attraverso la rappresentanza formale che
informale, con ricorso alla pratica delle petizioni dirette a tutti i livelli dell’amministrazione.

■ Una nuova potenza commerciale

La vera fonte del potere stava nella classe dirigente d’Olanda.


Le Province Unite erano una repubblica mercantile guidata dagli interessi commerciali dei suoi principali
operatori economici. Infatti, era presente uno stretto legame tra potere politico e potere economico.
Data la scarsa produttività del suolo, non in grado di soddisfare il bisogno di una popolazione in rapida
crescita, le Province Unite erano “condannate al commercio”.
Caratteri del modello economico olandese:

● Ampliamento della flotta mercantile

● Conquista del monopolio finanziario nelle mani dei genovesi

● Controllo del mercato internazionale dei beni e del denaro

● Crescita autosostenuta

● Efficiente apparato produttivo

● Presenza di industrie di trasformazione

● Efficace guida politica dell’economia

■ Un’isola di tolleranza

Il modello culturale e religioso che si affermò era fondato su cultura, sensibilità e religiosità di matrice
calvinista, che esaltavano i valori del lavoro, del risparmio e della produttività.
Era un modello alternativo a quello spagnolo, capace di sfruttare il contributo proveniente da intellettuali di
diverso orientamento messi in condizioni di esprimersi al meglio in un paese caratterizzato da un alto indice
di tolleranza.
La rivolta dei Paesi Bassi dispiegò in pieno il suo carattere rivoluzionario nell’impulso fondamentale che
fornì alla maturazione del pensiero politico in tutta Europa.

INGHILTERRA E FRANCIA NEL SECONDO CINQUECENTO

■ La formazione della potenza inglese

Tra la prima metà del ‘500 e la prima metà del ‘600 l’Inghilterra subisce una serie di mutazioni che la
trasformano da “isola semisconosciuta” a grande potenza marittima e coloniale.
Passa da un’economia agricola dominata dall’aristocrazia ad un intenso sviluppo economico-sociale che
consente la formazione di un mercato nazionale e del dominio nei traffici marittimi.
Notevoli diventano le risorse fondamentali, come il carbone, e l’apparato manifatturiero.
Da paese strettamente cattolico muta ad un concentrato di religioni diverse.
Si passa al primato del re al primato del Parlamento.
Il paese è investito da un radicale rivolgimento culturale che sovverte le convenzioni e i tradizionalismi
medievali per affermare la nuova morale del “far da sé” e consente lo sviluppo della scienza moderna.
Le tappe fondamentali di questo processo si collocano durante il regno di Elisabetta Tudor (1558-1603). Si
realizza la maturazione di un sistema economico, sociale e politico che consente all’Inghilterra di diventare
una grande potenza.

■ Le ragioni del successo inglese

Nella prima metà del XVI secolo, l’Inghilterra era ancora un piccolo paese come risulta da alcuni fattori:

● Le entrate fiscali di Enrico VIII erano molto ridotte rispetto a quelle della Francia e dell’Imperatore
Carlo V
● La popolazione era nettamente inferiore a quella di Francia e Spagna (4 milioni contro 12 e 8)

Tuttavia, godeva di alcuni vantaggi:

● Controllo della Manica, una delle vie di comunicazione tra Spagna e Paesi Bassi

● Rapporto tra popolazione e risorse meno squilibrato, dovuto ad un modello produttivo in cui la terra
non era solo un sostegno alimentare ma anche un investimento di capitali.
Questo modello era fondato su:

● Sviluppo tecnico e mercantilizzazione dell’agricoltura

● Intensificazione del fenomeno delle recinzioni (enclosures)

● Mobilità sociale all’interno di ogni classe: yeomen e gentry


Altri aspetti da considerare sono lo spirito imprenditoriale e tendenza al rischio presente in tutte le classi
ricche e i mercanti inglesi dotati di una peculiare fisonomia e funzioni specifiche:

● I merchant adventures detentori del monopolio della lana ad Anversa

● Compagnie commerciali inglesi che si presentavano come una sorta di società per azioni: pur avendo
incentivi e privilegi commerciali rischiano in proprio al contrario dei colonizzatori spagnoli che
restano concessionari dello Stato.

■ Il regno di Elisabetta I

Alla morte di Edoardo VI, sale al trono Maria Tudor.


Nel 1554 sposa Filippo II nel tentativo di far entrare l’Inghilterra nell’orbita della Spagna cattolica e di
cancellare la rivoluzione religiosa.
Durante il suo regno non riesce a restituire i beni alla Chiesa poiché già in mano ai privati, tuttavia, riesce ad
affidare cariche di rilievo ai perseguitati nel regime precedente e ordina l’esilio o il patibolo per i riformati.
Si rivelerà un pericolo per la saldezza dell’istituzione monarchica in quanto la sua politica provoca divisioni
e una grave frattura tra la corona e la società civile, tanto da ricevere l’appellativo di Maria la Sanguinaria,
Bloody Mary, per la feroce repressione attuata contro i protestanti.
Le succede al trono Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, nata da un matrimonio considerato
dalla Chiesa nullo e sacrilego e che, conseguentemente, vincolava la regina ad una scelta protestante.
Ricompone il rapporto Corte-Paese, privilegiando la solida alleanza tra assolutismo Tudor e gli elementi
più dinamici della società inglese.
L’età elisabettiana viene considerata come un mito storiografico. Elisabetta-Astrea viene celebrata da poeti
ed artisti come guardiana della religione, patrona della pace, restauratrice della virtù, artefice dell’età
dell’oro, vergine regale che trionfa sul Papa, protettrice dei riformati olandesi in lotta contro la Spagna e dea
vergine della giustizia.
Da lei parte l’origine della potenza inglese, a partire da uno Stato non ricco, senza un forte esercito e una
burocrazia centrale.
Infatti, le scelte mercantili e manifatturiere che consentirono una rapida espansione economica e la
pacificazione religiosa, resero la regina molto amata dal suo popolo.
L’epoca di Elisabetta è stata definita anche l’età di Shakespeare; in questo periodo:

● La regina chiama a Londra gli eredi della civiltà rinascimentale italiana

● La letteratura e l’arte italiana si diffondono ampiamente, come si può vedere in alcune opere di
Marlowe e Shakespeare
● Le università di Oxford e Cambridge guadagnano grande prestigio e vengono frequentate anche da
figli dell’aristocrazia
● I grandi intellettuali come Bacone e Shakespeare contribuiscono all’affermazione del mito della
sovranità e dell’unità del paese
■ La politica religiosa

L’obiettivo è il ripristino della supremazia dello Stato laico e nazionale contro il cattolicesimo.
Avviene il consolidamento della Chiesa anglicana attraverso il ristabilimento dell’Atto di supremazia e
l’imposizione di un giuramento di fedeltà alla regina.
Elemento importante è l’adozione dei 39 Articoli nel 1563: confessione di fede di ispirazione calvinista che
però coesisteva con un culto esteriore ed un cerimoniale di ispirazione cattolica ed un’organizzazione
ecclesiastica di tipo episcopalista, basata sul potere dei vescovi sui parroci nelle rispettive diocesi.
La politica religiosa è orientata al consolidamento del potere della monarchia attraverso:
1. Una religione ufficiale
2. La pace religiosa
3. L’armonia tra ceti e classi garantita dalla sovranità

■ La politica estera

Si chiude il ciclo iniziato con la Guerra dei cent’anni: l’alleanza anglo-asburgica dettata dal fatto che il
nemico principale era la Francia.
La Francia alleata della Scozia era un potenziale fattore di instabilità alla frontiera settentrionale
dell’Inghilterra.
Elisabetta rovescia lo schema con un’attenta preparazione militare e politica, ma solo dopo aver acquisito
prestigio internazionale con l’intervento in favore dei Paesi Bassi.
La sconfitta dell’Invincibile Armata conferisce il nuovo ruolo di un paese in grado di neutralizzare le mire
espansionistiche di Filippo II e di affermarsi come grande potenza europea al centro di un inedito sistema di
alleanze. L’episodio assume un alto valore simbolico, infatti da quel momento non ci furono mai più invasori
sul suolo inglese.
Elisabetta incoraggia esplorazioni e colonizzazioni, infatti, in questo periodo avviene la seconda
circumnavigazione del globo da parte di Sir Francis Drake e nel 1584 c’è la fondazione della prima colonia
in America settentrionale: la Virginia.

■ La vicenda di Maria Stuart

Nel 1560 Maria Stuart, cattolica, vedova di Francesco II re di Francia, sale sul trono di Scozia.
Fallisce nel tentativo di restaurare il cattolicesimo ed è costretta a rifugiarsi in Inghilterra dove inizia a
diventare il centro di congiure cattoliche per portare gli Stuart sul trono inglese con l’appoggio della
Francia dei Guisa, del Papa e della Spagna.
Nel 1570 Pio V scomunica Elisabetta come eretica e scioglie l’Inghilterra dall’obbedienza alla sovrana,
tuttavia, l’opinione pubblica inglese rimane stretta intorno alla regina.
Filippo II invita Maria Stuart a rinunciare per affermare la sua pretesa al trono come marito della defunta
Maria Tudor.
Nel 1586 Maria Stuart rinuncia segretamente alle sue pretese e viene accusata di congiura, giudicata
colpevole e decapitata.
■ La politica economica

Incrementa lo sviluppo della produzione, soprattutto nel settore tessile, per sottrarre quote di mercato ai
produttori italiani.
Si afferma la proprietà privata grazie alle recinzioni che limitavano drasticamente le terre aperte, così come
si afferma l’individualismo agrario con cui si avvia lo sviluppo del capitalismo, effervescenza economica
nella quale tutte le forze sociali ricche sono coinvolte.
Enorme vigore assumono le imprese mercantili, condotte all’insegna del rischio e della spregiudicatezza.
L’uso dei corsari viene autorizzato dalla regina attraverso le lettere di corsa.
È l’epoca d’oro della pirateria.
Nascono numerose compagnie di mercanti che coprono la domanda commerciale dei territori sul Mare del
Nord fino alla Russia e si spingono verso l’Africa.
Abile è l’utilizzo del Parlamento come strumento della politica economica e sociale:

● Si riorganizza il mercato del lavoro con lo Statuto degli Artigiani (1563)

● Con la Poor Law si attuano misure orientate a combattere la mendicità e il vagabondaggio.


Viene affrontato in termini nuovi il problema del vuoto lasciato dall’assistenza ecclesiastica.

■ La dialettica politico-costituzionale inglese

Con Elisabetta I si perfeziona il modello costituzionale inglese con alcune caratteristiche di fondo:

● Nel processo legislativo la regina sottoponeva i suoi provvedimenti ad entrambe le Camere del
Parlamento: Lords e Comuni
● Il Parlamento formulava il provvedimento sottoforma di statuto: legge scritta avente l’approvazione
delle due Camere
● Lo Stato dei Tudor era dotato di organismi centrali con funzioni prevalentemente finanziarie, di
Cancelleria e di strutture esecutive come il Consiglio privato e il Primo segretario
● Assenza di una burocrazia nazionale e di un esercito permanente

● Governo locale sotto il controllo della gentry, la nobiltà di contea

La dialettica politica si determina più nel confronto tra corte, Parlamento e assetti dei poteri locali che nelle
istituzioni centrali dello Stato come in altri paesi europei.

LA FRANCIA NEL SECONDO CINQUECENTO


Tra la Pace di Cateau-Cambrésis (1559) e la Pace di Vervins (1598), la Francia conobbe una gravissima
crisi dell’autorità monarchica e della sua legittimità.
L’espressione “guerre di religione” descrive solo in parte le variabili che caratterizzarono l’evolversi della
vicenda dello Stato moderno francese fino al rafforzamento del potere centrale e della sovranità monarchica
come garante della pace interna. Vari furono gli eventi degni di nota:

● Crisi dinastica dopo la morte di Enrico II di Valois (1559)


● Divisione religiosa tra cattolici ed ugonotti (i calvinisti francesi)

● Legame tra lotta politica e conflitti religiosi

● Condizionamenti internazionali dovuti alle congiunture belliche e alle strategie matrimoniali

● Sviluppo di nuove teorie politiche influenzate dalla guerra civile

■ Le guerre di religione

Tra il 1555 e il 1572 la Francia rischiò di volgere al protestantesimo ma restò cattolica, in quanto:

● Il clero era più preparato di quello tedesco

● I regnanti optarono per il cattolicesimo

● Parigi oppose la sua scelta cattolica

Durante il regno di Francesco I (1513-1547) si avviò la diffusione della riforma e non ci fu nessuna ostilità
sistematica alle nuove idee.
Con Enrico II si avvia una politica di irrigidimento contro i protestanti:

● Con la Camera fedelissima vengono dichiarate in 3 anni 500 condanne

● Proibì agli accusati le funzioni municipali

● Con l’editto del 2 Giugno 1559 si autorizza l’uccisione senza processo dei protestanti

Il 10 luglio 1559 Enrico muore in un torneo e lascia tre figli minorenni, tra cui: Francesco II, morto
prematuramente, sposo di Maria Stuart a 13 anni e Carlo IX, di appena 9 anni.
Per questo motivo la madre, Caterina de’Medici, regna al suo posto.
Essendo straniera, affrontò una serie di resistenze e di problemi, tra cui:

● Crisi finanziaria e aumento del debito pubblico

● Diffusione del calvinismo nel territorio francese

● Debolezza della monarchia: si adattò a concessioni verso la nobiltà e i partiti che si contendevano il
potere a corte
Bisogna distinguere tra Chiese e Partiti con un’organizzazione, forme di reclutamento e scelte politiche
differenziate:
Partiti:
1. Protestante:
Ugonotti, in gran parte mercanti, nobili e borghesi
I leaders erano: Antonio di Borbone, re di Navarra e il principe Coligny.
Dotato di un esercito guidato dal principe di Condé che affianca la struttura religiosa nel quale
militano ufficiali di estrazione municipale favorevoli all’autonomia comunale.
Alleati con principi tedeschi e con l’Inghilterra.
Ripresero le teorie dei Monarcomachi: diritto di resistenza
2. Cattolico:
Un solo re, una sola fede, una sola legge
Difesa della monarchia cattolica.
Organizzato nella Lega Santa guidata dai Guisa.
Confraternite con armi e denaro che sorvegliavano i quartieri, facevano propaganda e reclutavano
milizie armate.
3. Politiques:
Erano tendenze più che un partito organizzato.
Esponenti di grande rilievo come Montaigne e Bodin.
Animato da autentico spirito religioso e interesse per le sorti del paese e il bene comune, riteneva la
pace indispensabile alle riforme dello Stato e del clero.
Favorivano l’unione della nazione intorno al sovrano.
Dopo l’assassinio di Enrico di Guisa, i politiques si avvicinano al re di Navarra.
Chiese:

● Cattolica:
Gelosa delle prerogative del clero francese (gallicanesimo) e quindi attiva nell’ostacolare
l’attuazione delle disposizioni tridentine.
● Riformata:
Forte richiamo alla spiritualità e molto compatta nel rivendicare il diritto di professare in pubblico e
non clandestinamente il proprio culto.

LA FRANCIA DURANTE IL PERIODO DELLE GUERRE DI RELIGIONE


Alla morte di Enrico II, gran parte delle cariche politiche più importanti sono detenute dal partito cattolico.
Caterina adotta una linea politica di mediazione, cercando di limitare il potere dei Guisa con concessioni agli
ugonotti. Viene accusata di voler introdurre la prassi politica delle corti italiane, quando il realtà l’obiettivo
era quello di realizzare un equilibrio politico.
1562 – Primo editto di San Germano: libertà di culto per gli ugonotti, obbligati però a risiedere fuori città.
La strage di Vassy, in Normandia, uccide 70 ugonotti. Ne consegue una situazione di anarchia e confusione,
aggravata da una politica regia incoerente e discontinua.
Iniziano le guerre di religione.
Caterina nella prima fase tenta di bilanciare le concessioni fatte ai protestanti:

● Solo la nobiltà ha il diritto di praticare il calvinismo nelle proprie terre

● Limitazioni al culto nelle città

La reazione ugonotta porta nel 1570 al Secondo editto di San Germano che conferisce piena libertà di culto
per i protestanti, oltre a piazzeforti e il porto fortificato di La Rochelle.

Il Secondo editto di San Germano è il frutto di vari elementi:

● Condizionamenti internazionali: indebolimento della Spagna, impiegata con Paesi Bassi e con i
turchi, quale sostegno dei Guisa
● Rafforzamento della fazione ugonotta nella società

● Iniziative dei politiques per rafforzare il ruolo dello Stato all’interno e all’esterno

● Dopo la vittoria di Lepanto muta la congiuntura:


Filippo II e il Papa rinnovano l’appoggio alla fazione cattolica.
Caterina si schiera più decisamente in favore dei Guisa.
Durante la Notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) vengono massacrati nel Palazzo reale dei capi
ugonotti giunti a Parigi per le nozze di Enrico di Borbone e Margherita di Valois, figlia di Caterina de’
Medici.
La “guerra dei tre Enrichi” fu un conflitto che tra il 1585 e il 1589, contrappose per la successione al trono
di Francia il campione della Lega cattolica Enrico di Guisa a Enrico di Borbone, portabandiera degli
Ugonotti, appoggiato dal re francese Enrico III di Valois, senza figli.
Nel 1588 Enrico III fa assassinare Enrico di Guisa e il cardinale di Lorena, provocando la ribellione dei
seguaci di Guisa. Successivamente, Enrico III passa dalla parte dei protestanti e assedia Parigi, ma nel 1589
viene assassinato da un emissario cattolico.

■ Il regno di Enrico IV

Prima di morire, Enrico III, aveva designato come erede al trono Enrico di Borbone, a condizione che si
fosse convertito al cattolicesimo, cosa che avvenne nel 1593.
Si trattò di un atto politico di concordia nazionale, auspicato dai politiques, che consentì al Borbone di essere
incoronato a Parigi nel 1594 col nome di Enrico IV.
Venne attuata una straordinaria opera di propaganda tesa a presentare il nuovo sovrano come l’eroe gallico,
uccisore dei mostri della guerra e della discordia, restauratore della pace che avrebbe permesso alla civiltà di
tornare a fiorire.
Il sovrano ricompose la società civile e conquistò vasto consenso tra quanti credevano nel valore della
tolleranza contro i conflitti religiosi.
Riuscì a realizzare la pace religiosa, a ridonare prestigio all’istituzione monarchica e a riaffermare il senso
dello Stato contro le spinte centrifughe della nobiltà.
Col Trattato di Vervins (1598) la Spagna rinuncia alle pretese territoriali in Francia, che viene riconosciuta
col ruolo di grande potenza.
L’Editto di Nantes (1598) è un atto di pacificazione della Francia e il primo riconoscimento della tolleranza
religiosa da parte di un sovrano. Esso prevedeva:

● Libertà di culto per gli ugonotti, seppur con alcune restrizioni

● Concessioni di alcune piazzeforti come La Rochelle e Montpellier

● Rappresentanza nei Parlamenti e libertà civile, con accesso alle cariche pubbliche

Si trattava di una concessione all’interno di uno Stato fondato ancora sui privilegi dei ceti e dei corpi.
La libertà di culto era riconosciuta solo ai principi con feudi e piena giurisdizione.
Nessuna proclamazione del principio di tolleranza ma solo la concessione di un privilegio ad un particolare
corpo di sudditi.
Lo Stato francese restò istituzionalmente cattolico ma comunque si avviò una fase di convivenza civile in
un paese che rispose ai problemi della Riforma protestante ammettendo la coesistenza di culti diverse.
Conseguenze politiche dell’Editto di Nantes:

● Prevalenza della mediazione politica, dell’interesse pubblico, del primato dello Stato sugli interessi
di gruppi sociali e fazioni politiche
● Realizzazione di un nuovo equilibrio tra dominio e consenso

● Potere fondato sul patto tra governanti e governati

● Possibilità di revoca del patto, anche con il ricorso all’assassinio del re, quando vengono meno i
principi regolatori
Per la Francia si avvia un’epoca di prosperità, grazie ai provvedimenti adottato da Enrico IV e dal ministro
Sully:

● Risanamento delle finanze

● Sviluppo agricolo con incentivi alla produzione e abolizione delle corvées (Prestazione d'opera
dovuta dai coltivatori che risiedevano su terreni dati in concessione sotto forma di giornate di lavoro
obbligatorie sul terreno che il signore riservava direttamente a sé).
● Costruzioni di ponti e strade, sviluppo manifatturiero con adozione di sgravi fiscali

● Vendita degli uffici ed ereditarietà delle cariche con la Paulette

● Formazione di una nuova nobiltà ereditaria (nobiltà di toga)

Nel 1610 Enrico IV viene assassinato da un fanatico cattolico. I cattolici, infatti, non lo avevano mai
perdonato per aver concesso ai protestanti la libertà di culto con l’Editto di Nantes.
Nel 1614 vengono convocati gli Stati Generali a causa della richiesta di revoca della Paulette avanzata
dall’aristocrazia.

LA CRISI DEL SEICENTO


Con “crisi generale del Seicento” si riferisce al processo di profonde trasformazioni verificatosi tra fine
XVI e XVII secolo, anche se non tutti i paesi furono colpiti allo stesso modo, negli stessi tempi e negli stessi
settori.
Crisi agraria, ristagno demografico, declino manifatturiero, commerciale e finanziario, inflazione e
recessione furono fenomeni dall’andamento assai diverso nel contesto delle società europee.
La crisi ha come sfondo la Guerra dei Trent’anni che nei vari paesi suscita reazioni differenti dovute alla
specificità dei ceti sociali, delle istituzioni politiche e religiose, dall’economia e della cultura e ha anche esiti
diversi tra rivolte, rivoluzioni e rafforzamento dello Stato assoluto.
Nella storiografia degli ultimi anni si è superata la visione del Seicento come età di decadenza e si è meglio
definito il carattere di età di transizione dal rinascimento all’illuminismo.

■ Crisi demografica

Si registra una tendenza alla contrazione demografica, accompagnata da una crescita in Inghilterra, Paesi
Bassi ed Europa nord-orientale.
Le cause del ristagno della popolazione, un aumento minimo, possono essere attribuite all’alto tasso di
malattie, guerre, carestie e casi di mortalità infantile.
Fondamentale è il determinarsi del circolo vizioso carestia-epidemia-carestia con andamento ed effetti
diversi a Napoli (1656) ed in Inghilterra ed Olanda.
Un’altra causa può essere identificata nell’aumento dell’età media del matrimonio e nella diminuzione
delle nascite.
Conseguenze crisi demografica:

● Contrazione dei consumi, del mercato del lavoro e dei processi di formazione socio-professionale

● Crescita dell’urbanizzazione nel nord, anche per le emigrazioni forzate per motivi religiosi

● Nuove gerarchie urbane

Diventa significativo il divario nel tasso di urbanizzazione tra paesi del nord e paesi meridionali, infatti,
aumenta notevolmente la popolazione delle grandi città dell’Europa settentrionale e occidentale mentre
crolla quella delle città dei paesi mediterranei. Ciò provoca una caduta secca della domanda reale, data la
maggior propensione al consumo delle popolazioni urbane.

■ Crisi agraria

All’espansione cinquecentesca segue una crisi agraria ed è possibile individuarne tre periodi.
1. Conferma della generale espansione del lungo Cinquecento (fine 1500-1620)
2. Evidenza, a partire dal 1600, di una pausa caratterizzata dal forte rallentamento del settore agricolo,
vero polmone dell’economia di antico regime
3. Stagnazione generalizzata che colpisce gran parte dei paesi europei a partire dal 1620, con un
aggravamento negli anni ’40-’50 del Seicento.
Diminuiscono i prezzi dei cereali e le superfici messe a coltura, tranne che in Inghilterra, Olanda ed alcune
regioni francesi, e le rese, cioè il rapporto semente-prodotto, si contraggono.
In molti casi si passa alla cerealicoltura all’allevamento, reputato più redditizio e meno esposto alle
variazioni di prezzo.
Cause:

● Andamento dei raccolti condizionato da una fase climatica negativa

● Il calo della domanda fa ristagnare o decrescere i pezzi dei cerali

● Aumento del costo del lavoro

Conseguenze:

● Restrizione delle aree coltivate e conseguente ritorno al pascolo

● Aumento dei gravami fiscali

Dibattito storiografico sul termine Rifeudalizzazione: la nobiltà feudale, nelle aree più deboli dell’economia
europea (Italia meridionale e paesi dell’est) tese ad allargare la sua giurisdizione e la sfera degli abusi. Si
tratta di un concetto da usare per riferirsi ad un aggravamento della dipendenza degli addetti all’agricoltura
dai signori proprietari.
Geografia della crisi:
● Europa orientale: rafforzamento della servitù della gleba

● Olanda, parte della Francia: limitati effetti della crisi

● Inghilterra: si avvia la rivoluzione agricola con recinzioni, redistribuzione e accorpamento delle


terre

Secondo lo storico dell’agricoltura Slicher Van Bath, una serie di elementi può essere indicata per spiegare
il diverso andamento della recessione agricola del Seicento:

● Diminuzione prezzi cereali rispetto ad altre merci, con effetti negativi per paesi con monoculture

● La crisi colpisce prima i paesi produttori ed esportatori

● Effetti sulla piramide sociale: contrazione nel numero di contadini proprietari e dei piccoli
coltivatori. Nel Mezzogiorno scomparvero i massari.

■ Crisi delle manifatture

Il lavoro dell’uomo costituiva ancora il fattore produttivo determinante, ma nei decenni del XVII secolo
cominciò a farsi strada l’utilizzo di rudimentali tecnologie per aumentare la produttività industriale.
Il crollo in Italia fu causato dalle rigide regole delle corporazioni.
L’organizzazione del lavoro fu la causa maggiore del rallentamento nei paesi mediterranei.
Le corporazioni di arti e mestieri mantenevano privilegi, monopoli e controllo dell’accesso all’attività
professionale.
Ripresa in Olanda e Inghilterra con new draperies ed innovazioni tecnologiche col rovesciamento delle
gerarchie produttive grazie ad un utilizzo più intenso delle tecnologie, un’organizzazione lavorativa flessibile
e la capacità di diversificare la produzione e praticare prezzi più accessibili.

■ Commercio internazionale e finanza

❖ Commercio:

● Ristagno dei prezzi e contrazione degli scambi

● Olanda e Inghilterra diversificano le merci e applicano una politica dei prezzi molto aggressiva

● Baricentro del commercio internazionale si sposta nell’Atlantico

● Porti italiani emarginati, come Venezia e Genova, che perdono la loro centralità nei traffici con il
Levante. Solo Livorno riesce a mantenere i propri livelli di traffico
❖ Finanza:

● L’argento importato dalle Americhe è insufficiente ai bisogni economici e monetari

● Centri del capitalismo europeo: Amsterdam, Londra e Parigi

● L’afflusso dei metalli preziosi provenienti dalle Americhe non diminuì ma non riusciva più a
soddisfare la domanda di numerario, moneta circolante, di enti privati e pubblici come lo Stato.
Si fece ricorso ai titoli del debito pubblico emessi dagli Stati e alle lettere di cambio garantite da
mercanti e finanzieri

■ Paesi in ascesa

❖ Olanda:

● Flotta in crescita grazie a cantieristica a bassi costi con avanguardia nella progettazione di navi con
grandi stive per molte merci. Le capacità marittime divennero strumento di dominio
intercontinentale.
● Il colonialismo olandese presentava un sistema innovativo rispetto a quello spagnolo e portoghese.
Prevedeva controllo militare sulle colonie, specializzazione delle colture e misure rigide che
prevedevano la distruzione di spezie eccedenti per mantenere alti i prezzi e diminuire i viaggi delle
navi

❖ Inghilterra:

● Presentava un’economia capitalistica e rete di relazioni internazionali

● Dotata della più famosa delle compagnie privilegiate, la Compagnia delle Indie Orientali (1600),
cioè associazioni di mercanti riconosciute dalla corona e dotate di diritti esclusivi di commercio e di
uso dell’artiglieria

■ Crisi e processi sociali

La corsa alla terra, all’occupazione degli uffici e ai titoli del debito pubblico furono tendenze comuni ma non
determinarono effetti sociali simili in tutta Europa.
In Inghilterra la vecchia aristocrazia si rece capace di assumere una parte di grande rilievo nelle iniziative
industriali, commerciali e coloniali.
L’aristocrazia francese non riuscì a superare il pregiudizio verso le vili attività meccaniche
(compromettenti il rango nobiliare). Essa tentò di strappare, attraverso la giurisdizione feudale, quote sempre
più consistenti di ricchezza.
Si tratta di due modelli culturali antitetici verso cui si indirizzarono le altre aristocrazie europee:

● Verso la diversificazione degli investimenti si mossero le aristocrazie del nord e in parte quelle
tedesche
● Verso la rendita e l’accentuazione delle prerogative feudali, in funzione dell’accrescimento della
ricchezza, si orientarono le nobiltà meridionali, come quella napoletana.

■ Crisi politica

Il sistema politico all’interno degli Stati e i rapporti di forza sul piano internazionale subirono delle profonde
modificazione innescate dalla pressione militare e fiscale.
Conseguenze:

● Guerra dei Trent’anni

● Declino dei grandi sistemi imperiali, in particolare quello spagnolo, soprattutto per quanto riguarda il
rapporto tra il centro e le periferie dell’impero
● Influenza e circolazione su scala europea di nuovi modelli politici che revocavano i presupposti della
sovranità così come essa si era venuta configurando nel XVI secolo
● Negli anni ’40 del ‘600 in contemporanea ben sei rivolte sconvolsero il continente: Catalogna,
Portogallo, Inghilterra, Francia, Palermo e Napoli

❖ Declino del sistema imperiale spagnolo

Si parla di declino e non crisi a causa del processo di lunga durata e non di un crollo repentino.
Vengono progressivamente meno:

● Ricchezza ed egemonia politica della Castiglia

● Consenso dei paesi sudditi della corona

● Capacità del sistema di subordinare ad esso le relazioni internazionali


Il regno di Filippo III (1598-1621)

● Crisi economica indotta anche dall’espulsione dei moriscos (artigiani e agricoltori)

● Mutamento della prassi costituzionale e dell’azione politica con il valido (favorito/primo ministro)

● Politica internazionale pacifista con il duca di Lerma (pace con Inghilterra nel 1603 e tregua con
l’Olanda nel 1609)
Il regno di Filippo IV (1621-1665)
La politica del duca di Olivares si divide in tre fasi:
1. 1621-27: si crea un sistema di alleanze in funzione anti-olandese e di contenimento
all’espansionismo francese in Europa
2. 1627-35: scoppia la Guerra di Mantova con la Francia per la successione nel Monferrato, con
esito negativo.
Nasce il Progetto di Uniòn de las armas: partecipazione con uomini e risorse di tutti i domini
spagnoli alla formazione della potenza militare dell’impero (processo di “castiglianizzazione”) ma le
resistenze e le opposizioni ne resero impossibile l’attuazione.
3. 1635-48: scoppia la Guerra franco-spagnola che chiude la Guerra dei Trent’anni.
Si consolida una prassi politica fondata sul ricorso a mezzi alternativi.
Il Governo straordinario viene percepito come arbitrario ed illegittimo.

Rivolte degli anni ’40:

● In Catalogna scoppia a causa dell’inasprimento fiscale, ma fallisce perché la società catalana si


rivela troppo frammentata e la Francia si tira indietro
● Secessione del Portogallo, con gli eserciti spagnoli impegnati su altri fronti

● L’enorme peso fiscale imposto al Mezzogiorno, per sostenere gli impegni militari della Spagna, fa
scoppiare rivolte a Palermo e a Napoli.
La rivolta antispagnola a Napoli, dal 1647 al 1648, si può dividere in 3 fasi:
1. Protagonista della rivolta può identificarsi in Masaniello (Tommaso Aniello d’Amalfi), legato al
sottoproletariato cittadino. La vera mente è Giulio Genoino, che interpreta i motivi della protesta
antifiscale e quelli della lotta politica dei ceti popolari contro la nobiltà dei Seggi.
Richiesta di pari peso politico tra nobili e popolo nell’amministrazione cittadina.
2. Dopo l’assassinio di Masaniello e l’esilio di Genoino, la rivolta si estende alle province con una
forte radicalizzazione antifeudale
3. Nell’ottobre 1647, viene proclamata la Real Republica Napoletana, protetta dal re di Francia, che
però si rivela un fallimento per il mancato sostegno francese.
Il 6 aprile 1648 avviene il ritorno trionfale degli spagnoli

Bilancio complessivo:
● Negli anni ’40-’50 per larga parte l’impero spagnolo appare restaurato nella sua consistenza,
tranne che per il Portogallo
● Fallisce il progetto politico e militare di Olivares a causa del deficit di risorse mobilitate

❖ Consolidamento dello Stato e rivolte in Francia

● Il regno di Enrico IV assiste ad un solido legame tra il re e la sua burocrazia

● Funzionari regi e venalità degli uffici

● Politica economica di Sully: protezionismo

● Conflitti nella società francese: tra antica aristocrazia e nobiltà di toga, tra Parlamentari e funzionari
creati dal sovrano
● Reggenza di Maria de’ Medici e convocazione degli Stati generali nel 1614. Nessuna abolizione
della venalità delle cariche
Politica del cardinale Richelieu, dal 1624 al 1642 primo ministro di Luigi XIII:

● Questione ugonotta: rafforzamento del potere dello Stato con la vittoria l’Assedio di La Rochelle ai
danni degli ugonotti.
● Azioni mirate per ridimensionare il sistema imperiale spagnolo

● All’interno costruisce una rete di clientele e patronage familiare che provoca frizioni, resistenze e
conflitti
Centralizzazione e fiscalità:

● Rivolte locali sconfitte dallo Stato che si rafforza

● Politica di centralizzazione che crea le basi di un conflitto duraturo tra Parlamenti e commissari e
intendenti responsabili direttamente verso il sovrano

Mazzarino e la Fronda: le risposte alla centralizzazione


Nel 1643 muore Luigi XIII, succeduto da Anna d’Austria e il cardinale Mazzarino succede a Richelieu.
I francesi, nel 1643, vincono la Battaglia di Rocroi ai danni degli spagnoli.
In questo periodo si verifica un aumento della tassazione a carico dei funzionari pubblici e l’opposizione dei
Parlamenti all’aumento delle spese militari.
Il progetto del Parlamento di Parigi del 1648 propose di distribuire i carichi fiscali, controllare la spesa
pubblica e sopprimere gli intendenti, con l’intento di:

● Ottenere la fine della guerra

● Assumere il ruolo degli Stati generali


● Lottare contro la centralizzazione e le pratiche di governo assolutistiche

Dopo l’ordine di arresto di alcuni parlamentari da parte di Mazzarino, scoppia la Fronda parlamentare, una
rivolta estesa alle province ma con scarso coordinamento. Nel 1649, si raggiunge la Pace di Saint-Germain,
un accordo tra Parlamenti e monarchia che pose fine alla Fronda parlamentare.
Il malcontento dei nobili, contrari al progetto di centralizzazione di Mazzarino, porta alla Fronda dei principi
che, nel 1651 costringe Mazzarino all’esilio.
In questo periodo è particolarmente sentita la paura di un vuoto politico con la conseguente riunificazione
delle forze gratificate dalla politica della monarchia.
Si verifica la vittoria di Turenne su Condé e quindi dell’amministrazione sulle forze centrifughe degli ordini
sociali.
Marcata è la spinta verso il centralismo monarchico e una gestione del potere affidata alla mediazione della
burocrazia.

LA GUERRA DEI TRENT’ANNI


È stato un conflitto internazionale durato dal 1618 al 1648, che ha visto contrapposte due modelli di culture
differenti.
Le cause furono prima religiose, poi economiche e politiche, e videro emergere nuove potenze come
Danimarca e Svezia. Le conseguenze portarono al mutamento degli equilibri internazionali.
Nel 1555, la pacificazione di Augusta non risolutiva e l’intento nel 1570 di nunzi e gesuiti di riconquistare i
fedeli, portarono all’aspirazione degli Asburgo di restaurare potere imperiale e unità religiosa.

■ Il sistema costituzionale tedesco

Era composto dall’imperatore, eletto da 7 principi elettori: 3 ecclesiastici e 4 laici.


Il problema religioso, mai risolto, fa saltare gli equilibri tra imperatore e ceti.

■ L’impero diviso tra Stati protestanti e cattolici

Nel 1582, l’Arcivescovo di Colonia passa al protestantesimo.


In pochi anni escono di scena due sovrani divenuti punto di riferimento del mondo riformato: nel 1603
muore Elisabetta d’Inghilterra e nel 1610 viene assassinato Enrico IV di Borbone.
Il focolaio della guerra viene attribuito in Boemia, dove:

● Vigeva il possedimento ereditario asburgico e il cattolicesimo era religione di Stato

● La spiritualità era particolarmente vivace, tra riforme e sette religiose

● Era presente una certa libertà religiosa: l’imperatore Rodolfo II aveva concesso una Lettera di
maestà (1560) che consentiva la presenza di luterani e calvinisti. Tuttavia, il nuovo imperatore
Mattia, si rivelò meno tollerante del fratello Rodolfo.
● L’Arcivescovo di Praga ordinò la distruzione di una chiesa riformata

Le 4 fasi della guerra


1. Fase Boemo – Palatina (1618-1624)
Nel 1618, la distruzione di alcune chiese protestanti spinse un gruppo di nobili a reagire contro i
rappresentanti imperiali messi alla porta. Questo evento è identificato come Defenestrazione di Praga.
Nel 1619 morto l’imperatore Mattia, la corona spetta a Ferdinando di Stiria, ma i Boemi la offrono a
Federico V, già elettore del Palatinato, divenuto guida della resistenza riformata anti-asburgica.
Federico, che dispone di due voti per eleggere l’imperatore, attua una politica antispagnola.
Aveva sposato, in Inghilterra, la figlia di Giacomo Stuart, Elisabetta, e ricevuto l’onorificenza
dell’Ordine della Giarrettiera.
Torna ad Heidelberg con i King’s Men, la compagnia teatrale di Shakespeare, attuando una propaganda
politica.
Nel 1620 scoppia la Battaglia della Montagna Bianca e, alla sconfitta di Federico, seguono violente
repressioni e una campagna di riconquista cattolica.
I gesuiti usano la stampa per diffondere caricature di Federico ritratto in fuga e si impegnano, attraverso il
monopolio dell’istruzione, a realizzare la restaurazione cattolica.

2. Fase Danese (1625 – 1629)


Cristiano IV interviene al fianco dei protestanti per mantenere il controllo del Baltico, anticipando la
Svezia, e la riscossione dei dazi sul canale del Sund.
Alberto di Wallestein, capo dell’esercito asburgico, consente ai militari autogestione e saccheggi.
Si verifica la sconfitta danese con conseguente invasione della Danimarca e con la Pace di Lubecca
(1629), Cristiano IV rinuncia ad ogni ingerenza nell’Impero, che estende il controllo sul Mare del Nord e
sul Baltico.
L’imperatore emana l’Editto di Restituzione che obbligava la restituzione alla Chiesa cattolica di tutti i beni
confiscati dopo il 1552.

3. Fase Svedese (1630 – 1635)


Gustavo Adolfo, re di Svezia, privilegiò il rapporto con l’aristocrazia, coinvolgendola
nell’amministrazione dello Stato.
Utilizzò i contadini, molti dei quali piccoli proprietari terrieri, per riempire i ranghi dell’esercito.
Aveva a disposizione importanti risorse minerarie, come ferro e rame, che venivano utilizzate per gli
armamenti.
Stipulò un trattato di alleanza con Richelieu.
Nel 1631 scende in guerra. Muore nonostante la vittoria a Lützen.
Nel 1634 gli svedesi vengono sconfitti a Nordlingen.
L’imperatore Ferdinando II fa uccidere Wallestein, di cui non si fida più.
Con la Pace di Praga (1635), l’Impero, costretto a fare concessioni, mantiene l’egemonia sugli stati
germanici.

4. Fase Francese (1635 – 1648)


Richelieu, interessato a costruire l’egemonia francese in Europa, decide di scendere direttamente in campo
contro gli Ausburgo, non solo diplomaticamente come gli anni precedenti.
Mentre la Spagna era impegnata militarmente su più fronti, la Francia, alleata con Svezia e Olanda, conseguì
nel 1643 la vittoria di Rocroi proprio sugli spagnoli e penetrò nei paesi tedeschi sino in Baviera.
Viene incoronato come nuovo imperatore Ferdinando III (1637-57).
La Spagna stipula separatamente la pace con l’Olanda, riconoscendo la sua indipendenza (1648).

■ Paci di Westfalia (1648)

Siglata solo da Francia, Svezia e Impero e non dalla Spagna, fu sancita con trattati separati: Münster
(protestanti) e Osnabrück (cattolici).
I rappresentanti degli Stati europei affermarono i seguenti principi:

● Possibilità di convivenza di fedi diverse

● Definitivi limiti alla restaurazione cattolica e all’assolutismo asburgico

La guerra tra Spagna e Francia continua fino alla Pace dei Pirenei (1659).
Parte delle Fiandre, dell’Artois e il Rossiglione vanno alla Francia.
La Pace di Oliva (1660), segna la fine della guerra nel Baltico con espansioni territoriali di Svezia, Russia
e Brandeburgo a spese della Polonia.

■ L’Europa dopo Westfalia: conseguenze della guerra

Nell’Impero si manifestano crisi, finzione giuridica, indipendenza dei principati, calo demografico ed
economia rallentata
In Spagna scoppiano varie rivolte, come quella in Catalogna e a Napoli con Masaniello, contro la politica
di Olivares. Viene riconosciuta l’indipendenza di Olanda e Portogallo.
Alla Francia va il primato sulla scena europea. Occupa il vuoto di potere lasciato dalla crisi asburgica.
All’interno vince le resistenze delle fronde ostili alla guerra e si espande territorialmente. Ottiene
egemonia politico-culturale in presenza di nuove potenze formatesi nel primo Seicento
Danimarca e Svezia ottengono un accresciuto benessere economico.
Si delinea un’Europa multipolare ed interdipendente in cui si comincia a manifestare la consapevolezza
dell’unitarietà del continente.

LE RIVOLUZIONI INGLESI

■ Nuovi protagonisti nel Seicento

Il ‘600 vide una grande affermazione dell’Inghilterra e dell’Olanda, favorite anche dal pragmatismo e
dall’empirismo che caratterizzarono la loro vita politica. Si affermarono come i paesi, rispettivamente, della
libertà politica e religiosa.
La libertà inglese è creazione moderna, non sviluppo lineare di un’antica, libera costituzione: fu il risultato di
un cammino difficile, non pacifico ma con una guerra civile e l’uccisione del re.
Nel Seicento si assiste ad un’unica rivoluzione: quella inglese con il rovesciamento della stabilità politica
garantita dal monarca.
Per rivoluzione si intende un mutamento radicale degli equilibri politici presenti.
Per rivolta si intende una crisi con sospensione temporanea su scala regionale o locale di un assetto socio-
costituzionale non revocato nelle sue fondamenta.

■ I prerequisiti (1529-1629)

I prerequisiti vanno ricercati nel regno di Elisabetta con l’instabilità politica dei Tudor:

● Contraddizione: spinta all’assolutismo e ricerca del consenso del Parlamento contro Roma e nella
politica economica
● Economia: scarsa autonomia della corona sul piano finanziario e controllo non solido sul fisco;
ridotta burocrazia centrale e minimo ricorso alla venalità degli uffici
● Esercito: assenza di un esercito nazionale ma solo milizie locali

● Cambiamento sociale: la forza dello Stato inglese sta nell’equilibrio tra corte e paese e nella capacità
di favorire trasformazioni sociali tramite: un generale processo di redistribuzione della ricchezza a
vantaggio dei ceti proprietari e dei professionisti; l’ascesa della gentry grazie alla vendita delle terre
che conquista il governo delle contee e i seggi ai Comuni e l’ascesa dei mercanti; declino
dell’aristocrazia feudale
● Nuove idee e valori: ampia diffusione del Puritanesimo e di altre sette religiose radicali

■ Il regno di Giacomo I Stuart (1603-1625)

Fu re di Scozia come Giacomo VI, prima dell’unione dell’Inghilterra durante il suo regno.
Fu un convinto sostenitore dell’origine divina del potere e un teorico dell’assolutismo.
Il suo regno attraversò un epoca di forti lacerazioni, con un progressivo distacco della dinastia dalla società
civile.

● Politica religiosa: il re sostiene la Chiesa anglicana episcopalista, con opposizione dei Puritani

● Politica economica: carenza di supporti allo sviluppo produttivo e ridotti finanziamenti alla flotta

● Politica fiscale: tentativo di tassare la rendita fondiaria, con opposizione del Parlamento che
coinvolge ampi strati sociali. Nel 1605 ci fu un tentativo, fallito, di complotto da parte di un gruppo
di cattolici ai danni del re: la congiura delle polveri.
● Politica estera: tenta, prima di far sposare Carlo con l’Infanta di Spagna, poi con Enrichetta Maria di
Francia, cattolica. Nel 1621 sorgono scontri col Parlamento per alleanze sgradite e per il
rallentamento dell’espansione coloniale.
● Conflitto tra Parlamento e corte per corruzione e clientelismo dell’apparato di governo del favorito
Duca di Buckingham, dispensatore di prebende e titoli nobiliari.

■ Carlo I Stuart, re d’Inghilterra (1625-1649)

Sposa la cattolica Enrichetta Maria di Francia. Sale al trono nel pieno della guerra dei Trent’anni.
Le imposizioni fiscali, necessarie a sostenere lo sforzo bellico, in appoggio agli ugonotti impegnati a
difendere La Rochelle, creano contrasti con il Parlamento.
Vengono imposte nuove tasse solo dopo il riconoscimento della limitazione del potere regio.
Nel 1628 viene redatta la Petizione dei diritti, un documento in cui si chiede:

● Il rispetto degli antichi diritti da parte delle Camere

● Il consenso del Parlamento per fiscalità straordinaria

● Mandati d’arresto affidati solo ai tribunali ordinari

● Divieto di imporre acquartieramenti militari in proprietà privata

La reazione di Carlo porta allo scioglimento, nel 1629, del Parlamento per 11 anni.
Il Governo diventa autocratico, con un repressivo ruolo assunto dal conte di Strafford.
L’autoritarismo è marcato anche in campo religioso, con l’azione del vescovo di Canterbury, William Laud:

● Ripresa prestigio e ruolo politico degli alti prelati

● Persecuzione dei Puritani, molti dei quali costretti ad emigrare

Nascono così le prime comunità in Nord America.


In seguito, per influenza della regina, cessano le misure contro i cattolici

■ I fattori precipitanti (1629-39)

La politica accentratrice degli Stuart, con la corona che diventa più intransigente e non cerca il consenso,
crea un malcontento generale.
Questa politica reazionaria si attua in più settori:

● Reazione religiosa: Stato e Chiesa perseguitano calvinisti e cattolici

● Reazione politica: contro Parlamento e giudici di pace

● Reazione sociale: gli Stuart si alleano con l’aristocrazia del privilegio, aumentando la vendita di titoli
nobiliari e creando un nuovo ceto fedele alla monarchia
● Reazione economica: vengono penalizzati gli interessi dei ceti più dinamici e favorita le oligarchie
mercantili, ma non al punto da ottenerne l’appoggio politico
Si tenta di stabilire un assolutismo gerarchico, socialmente stabile e paternalistico, alleato con la Chiesa e in
sintonia con la prassi degli altri Stati europei. Tuttavia, l’esito è negativo a causa della mancanza di alcuni
requisiti fondamentali alla monarchia:

● Esercito permanente e burocrazia salariata ed affidabile

● Credito finanziario a lungo termine (esempio, ship money)


■ Il sistema politico inglese

“The body politic” ha costituzionalmente tre componenti: il Re, i Lords e i Comuni (Commons).
Solo il consenso di tutti e tre conferisce piena validità ad un atto parlamentare (King in Parliament)
Della Camera dei Lords ne fanno parte di diritto solo i Pari d’Inghilterra (duchi, marchesi, conti, visconti,
baroni), gli alti magistrati e i vescovi anglicani.
Si rinnova solo per trasmissione ereditaria del titolo di padre in figlio.
La Camera dei Comuni è elettiva e ogni contea elegge due rappresentanti su base censitaria.
Rappresenta ceti urbani e mercantili, gentry e puritani radicali. Si rinnova ad ogni convocazione

■ I detonatori

Rivolta armata in Scozia e crisi finanziaria. La rivolta scozzese viene promossa dai calvinisti contro Laud
che voleva imporre il cerimoniale anglicano e l’organizzazione ecclesiastica inglese episcopalista.
Dal 13 aprile al 5 maggio 1640 viene riunito il Corto Parlamento per richiedere finanziamenti per una
spedizione contro la Scozia. Viene sciolto dopo le condizioni poste per il finanziamento: abolizione ship
money e conferma della Petizione dei diritti
Nel novembre 1640 viene riunito il Lungo Parlamento, che dura fino al 1653, più radicale e che vede
protagonista la Camera dei Comuni.
L’esercito inglese viene sconfitto ripetutamente dagli scozzesi, ciò pone fine al potere di Strafford.
Viene attuata una propaganda puritana contro il rischio di una rivincita cattolica in Inghilterra.
Il Parlamento rivendica i pieni poteri militari e approva la Grande Rimostranza: cattolici, vescovi e
cortigiani beneficiati da Carlo I vengono considerati nemici dell’ordine sociale e politico.
Nel 1642 Carlo si presenta in Parlamento per arrestare i capi dell’opposizione ma deve rinunciare e lasciare
la capitale per ritirarsi ad Oxford. È l’inizio della guerra civile

■ La I rivoluzione inglese (1642-60)

Si possono individuare 4 fasi:


1. 1642-49: guerra civile
2. 1649-53: dalla proclamazione del Commonwealth al protettorato di Cromwell
3. 1653-58: dittatura militare
4. 1658-60: dalla morte di Cromwell alla restaurazione di Carlo II Stuart

Prima fase (1642-49)


I due schieramenti non sono articolati secondo classi sociali omogenee:
Il partito del re era composto da: aristocrazia (Lords), alte gerarchie anglicane, grandi proprietari nobiliari,
allevatori di ovini dell’area orientale
Nello schieramento parlamentare erano presenti: gentry, professionisti, mercanti, artigiani.
Ceti interessati alle attività industriali e commerciali con proprietari interessati ad un’agricoltura
tecnicamente più sviluppata.
L’esercito del Parlamento, composto da “teste rotonde” (uomini con capelli corti), grazie al sostegno della
City, l’alleanza con la Scozia ed una ferrea disciplina militare imposta dal suo capo calvinista Oliver
Cromwell, sconfigge a Naseby (1645) i realisti.
L’esercito di nuovo modello (new model army):

● Formato da volontari e non da mercenari

● Ferrea disciplina

● Spirito di servizio di calvinista e fede nella causa per cui lotta

● Dotato di un corpo scelto particolarmente efficace in battaglia (iron sides, fianchi di ferro)

Carlo si arrende e viene consegnato dagli scozzesi al Parlamento di Londra nel 1646.
Emergono divisioni nello schieramento parlamentare: durante la rivoluzione l’intreccio tra politica e
religione fu strettissimo, con la diffusione di idee che miravano a sovvertire l’organizzazione sociale e a
creare un “mondo alla rovescia” più libero e giusto.
Alla Camera dei Comuni sono rappresentate 3 forze politiche:

● I presbiteriani: maggioranza nel Lungo Parlamento, conservatori sul piano politico e sociale e
sostenitori di una chiesa calvinista fondata su un sistema di consigli (“presbiteri”) in sostituzione di
quella anglicana episcopalista.
● Gli indipendenti: gruppo egemonico della New Model Army, di provenienza sociale composita
(gentry, mercanti, piccoli proprietari di provincia), sostenitori del libero mercato e dell’iniziativa
privata, difensori del pieno diritto di proprietà e contrari ad ogni chiesa di Stato e favorevoli alla
tolleranza per tutti i credi religiosi.
● I levellers (livellatori): espressione politica del mondo variegato delle sette religiose, fautori della
libertà religiosa, della separazione tra Chiesa e Stato, molto attivi nel nuovo esercito e sostenitori di
un nuovo modo di intendere la rappresentanza politica fondato sul suffragio universale e di una
costituzione repubblicana a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini.
Cromwell e gli indipendenti instaurano uno stretto collegamento tra rappresentanza e proprietà attraverso un
meccanismo censitario di accesso al diritto di voto: votano solo i percettori di un dato reddito, tra cui
proprietari terrieri, artigiani facoltosi o mercanti.
Nasce la preoccupazione per il rischio di anarchia politica dopo la fuga di Carlo in Scozia nel 1648 e il
diffondersi, tra i militari, di movimenti come i diggers (zappatori) che occupano terre e tentano esperienze di
comunione dei beni.
Il rischio di sfociare in un pericoloso pluralismo di poteri appare concreto
Si rischia di veder compromessi i risultati fino ad allora ottenuti:

● Distruzione della Chiesa episcopalista con condanna a morte di Laud

● Abolizione dei tribunali speciali e degli organismi dell’assolutismo (Star Chamber e Consiglio
Privato)
● Estirpazione degli strumenti e dei canali del clientelismo e della corruzione

Nel 1648, Cromwell epura il Parlamento di tutti i presbiteriani con la cosiddetta “Purga di Pride”, seguita dal
processo a re Carlo, con la relativa condanna per alto tradimento che porta alla sua decapitazione il 30
gennaio 1649.
Seconda fase (1649-53)
A Londra, alla Westminster Hall, il 19 marzo 1649 il Parlamento dichiara “decaduta e abolita la monarchia,
non necessaria e perniciosa alla libertà e agli interessi del popolo, e il titolo di re, nonché la Camera dei
Lords”
Il 19 maggio viene proclamata la Repubblica di Inghilterra, Scozia e Irlanda: il Commonwealth
Politica interna:

● Salvaguardia assoluta del diritto di proprietà

● Abolizione privilegi nobiliari

● Libertà religiosa e Chiesa indipendente dallo Stato

● Eliminazioni delle opposizioni radicali (arresto dei capi dei levellers)

Politica estera:

● Unificazione del paese: soluzione militare del problema scozzese e irlandese (massacro dei cattolici)

● Politica mercantilistica con avvio dell’imperialismo britannico con investimenti produttivi e


sostegno ad iniziative commerciali
● Atto di navigazione (1651): commercio con Inghilterra riservato a navi inglesi o del paese di
provenienza per escludere l’Olanda
Le tre guerre navali anglo-olandesi dal 1652 al 1674 confermano la supremazia inglese sui mari
Nel 1653 Cromwell scioglie il Parlamento con la forza ed è nominato “Lord protettore a vita”.

Terza (1653-58)
Durante questo periodo inizia una vera dittatura militare:

● Consiglio di Stato (esecutivo): 41 membri eletti ogni anno

● Parlamento (legislativo): 90 deputati superstiti

● Territorio retto da fidati governatori militari

● Esercito dominato da militari di carriera fedelissimi del Lord protettore

● Costituzione di un blocco sociale d’ordine con gentry, yeomen (dotati di diritti politici), ecclesiastici
ed aristocratici
● Nuove imposte, come quella fondiaria

Alla morte di Cromwell, nel 1658, si assiste ad un periodo di lacerazioni e contrasti

Quarta fase (1658-60)


Gli succede il figlio Richard e nascono le preoccupazioni dei mercanti e dei gentry e si diffondono tendenze
radicali nell’esercito.
Un esercito guidato dal generale Monk marcia su Londra e, senza incontrare resistenze, restituisce i poteri al
Parlamento, che vota la restaurazione della monarchia con la Camera dei Lords e la Chiesa Anglicana.

■ La restaurazione degli Stuart

Nel 1660, Carlo II Stuart, figlio di Carlo I, è richiamato dall’esilio nei Paesi Bassi e proclamato re dal
Parlamento.
Durante il regno di Carlo II, figlio del re decapitato, assolutista per educazione, non vengono conservati alla
Corona gli antichi privilegi e si assiste a frizioni con la Camera dei Comuni.
Il re, filofrancese, può giovarsi del sostegno di Luigi XIV per evitare di ricorrere ai finanziamenti
parlamentari. Filocattolico, nel 1672 emana la Dichiarazione di indulgenza verso i cattolici.
La reazione del Parlamento porta, nel 1678, al Test Act, che esclude i cattolici da ogni incarico pubblico e
nel 1679, all’Habeas corpus: l’abolizione del carcere preventivo e l’arresto motivato penalmente.
Si assiste ad un nuovo equilibrio sociale con ripresa dei grandi proprietari terrieri anche se rimane un
sostenuto sviluppo commerciale.
Le scelte politiche ed economiche anti-olandesi allontanano dalla monarchia l’appoggio della pubblica
opinione, contraria all’alleanza con la Francia.

■ Il problema della successione

Con Giacomo II (1685-88) diventa più intensa la separazione tra la monarchia Stuart e l’opposizione
parlamentare.
Si formano due schieramenti:

● Tories: (Lords e alte gerarchie anglicane) legalisti, favorevoli a Giacomo duca di York, fratello
cattolico di Carlo.
Sostenitori del diritto divino del re, del principio dinastico e della necessità di avere una religione di
Stato anglicana
● Whigs: oppositori del legittimo erede, favorevoli a Maria, figlia di Giacomo e sposa di Guglielmo III
d’Orange, entrambi protestanti.
Difensori dell’autorità del Parlamento, della libertà religiosa e del principio della rappresentanza
politica
Giacomo spinge per l’abolizione del Test Act e dell’Habeas Corpus e ristabilisce rapporti diplomatici con
Roma. I Whigs, invece, invocano la libertà di stampa, tolleranza e partecipazione politica più ampia.

■ La Gloriosa Rivoluzione

Con la nascita del figlio di Giacomo II, la certezza della continuità cattolica spinge i Whigs a rivolgersi a
Guglielmo III “statolder” d’Olanda, che entra a Londra nel dicembre 1688 senza incontrare nessuna
resistenza. Giacomo è costretto a lasciare l’Inghilterra per la Francia.
Guglielmo sale al trono con la moglie Maria ed accetta la Dichiarazione dei diritti (Bill of rights) che porta
alla fine della monarchia assoluta e ad un nuovo equilibrio costituzionale fondato sulla limitazione dei poteri
del re. Il re regna ma non governa, la fonte della sovranità non è più nella persona del re. Il re in Parlamento
rappresenta la volontà della nazione.
Questa trasformazione della monarchia, d’origine divina, viene definita Gloriosa Rivoluzione in quanto
incruenta, senza guerra civile né massacri.

Significato e valore delle rivoluzioni inglesi

● Nonostante il fallimento della Rivoluzione, sopravvissero le idee di tolleranza religiosa.

● Affermazione di libertà e uguaglianza e dei limiti del potere esecutivo con una politica fondata su un
ampio consenso
● Si passa da Monarchia di origine divina ad una Monarchia Costituzionale

● Pieno trionfo delle classi proprietaria e controllo di ogni tendenza radicale ed egualitaria

● I benefici non toccavano i poveri, ma si apriva la via ad un ampliamento di quei benefici verso strati
inferiori

L’ASSOLUTISMO
Un modello statuale assolutistico, caratterizzato da:

● Totale indipendenza del sovrano da vincoli normativi e condizionamenti indotti da ordinamenti


particolari, giustificati in base alle tradizioni o consuetudini
● Concentrazione illimitata del potere nelle mani del sovrano

Secondo la storiografia più recente, non è mai esistito.


Occorre parlare di tendenza, processo volto a realizzare, in forme e tempi diversi, nei diversi paesi europei,
una sovranità più libera da controlli istituzionali, ma pur sempre limitata.

■ Assolutismo e società

La monarchia doveva fare i conti con una molteplicità di forze sociali e politiche organizzate, con una
pluralità di poteri dotati di organismi rappresentativi.
La politica tra XVI e XVIII secolo è caratterizzata dal rapporto dialettico tra accentramento, come tendenza
dello Stato assoluto, e tentativi di resistenza ed autonomismo di corpi e ceti.
Nell’antico regime sono riconoscibili due vie estreme e tra loro opposte nella costruzione di un modello di
Stato più accentrato: la via francese e quella polacca.
Tra le due si realizzarono soluzioni intermedie che, pur avendo in comune la tendenza dello Stato alla
centralizzazione del potere, differirono quanto agli strumenti, alle strategie, alle modalità e ai tempi in
funzione dei rapporti esistenti tra Stato e società in ogni contesto territoriale.

■ Diverse vie all’assolutismo: Brandeburgo-Prussia

Con la Pace di Oliva (1660) la Prussia non è più vassalla del re di Polonia ed è annessa al Brandeburgo.
L’azione politica di Federico Guglielmo il Grande Elettore (1640-88):

● La famiglia Hohenzolleren, calvinista, governa sudditi in prevalenza luterani ma accoglie profughi


ugonotti, soprattutto abili artigiani
● Compromesso con la nobiltà: il principe concede l’allargamento delle prerogative giurisdizionali
degli Junkers ed in cambio ottiene finanziamenti per costruire un efficiente esercito permanente in
grado di rafforzare la base militare dello Stato
● Creazione di una burocrazia disciplinata e capace ai cui vertici vi sono nobili impiegati come
funzionari dello Stato

Una via all’assolutismo che vede la nobiltà perdere forza politica ma aumentare i propri privilegi:

● Maggiori immunità

● Esenzioni fiscali

● Controllo degli Junkers sul governo locale

● Autorità quasi assoluta sui contadini

Nel 1700, Federico I, figlio del Grande Elettore, ottiene il titolo del re di Prussia.

■ Svezia

Tra il 1648 e il 1660 la Svezia instaura la sua egemonia sul Baltico.


La sua forza militare è composta da un esercito formato da nobili e contadini piccoli proprietari.
La feudalità risulta debole e tardiva. I contadini godono forza rappresentativa e indipendenza.
Importante è la ricchezza mineraria (ferro e rame) che porta al controllo del mercato internazionale degli
armamenti.
Il sovrano Carlo XI (1660-97) favorisce la redistribuzione della ricchezza agricola, acquisendo parte delle
terre della nobiltà.
Per fornire finanziamenti certi e continui all’esercito viene costruito un esteso demanio statale.

■ Polonia

Si presenta come una monarchia elettiva con una nobiltà che di volta in volta sceglie il re e mira a non
consentire modifiche costituzionale in grado di diminuire il suo potere.
A metà Seicento esce sconfitta da una guerra europea e viene pesantemente ridimensionata nel territorio a
vantaggio di Prussia, Svezia e Russia.
Caratterizzata da un assetto costituzionale in cui vige la norma dell’unanimità delle decisioni.
I magnati controllano la situazione con un sistema clientelare di potere.
A fine Seicento il re soldato Giovanni Sobieski tenta di dare alla Polonia un ruolo internazionale, aiutando
Vienna contro i turchi (1683 Kahlenberg). Fallisce il progetto di monarchia ereditaria.
Sale al trono Augusto II di Sassonia.

■ La via francese all’assolutismo

La sconfitta della Fronda e di Parigi aprì la via ad una nuova forma di governo e ad una politica di
consolidamento dello Stato meglio realizzata rispetto ad altre aree europee
Periodizzazione del regno di Luigi XIV, il Re Sole (1643-1715):

● 1643-1661: reggenza di Anna d’Austria. Primi anni segnati dai timori del ricordo delle Fronde

● 1661-1679: fondazione dello Stato assoluto, riorganizzazione con Colbert

● 1680-1715: crisi economica e guerre, opposizioni sociali, politiche e religiose

■ L’organizzazione dello Stato

Il titolare del potere politico è il re, che non intende più servirsi della figura del primo ministro
(“L’Etat c’est moi”).
Al sovrano rispondono tre ministri-segretari di Stato specializzati per funzioni: Esteri, Guerra, Finanze.
Negli anni 1660-70, Luigi XIV provvede ad una riorganizzazione amministrativa tesa a favorire la
centralizzazione delle decisioni:

● Consiglio di Azienda: problemi economici

● Consiglio di Stato: giustizia

● Consiglio dei Dispacci: amministrazione delle province

Non viene combattuta la venalità degli uffici ma gradualmente si forma una potente burocrazia centrale
(gli officiers) reclutata tra i maîtres des requêtes.
Contestualmente, si restringono i poteri dei parlamenti, ridotti da Corte suprema a Corti superiori:
registrano gli editti ma limitato diritto di rimostranza.
Il sovrano mira a stroncare la loro pretesa di rappresentare il paese.
Controlla la nobiltà di toga (acquisita), orientandone e determinandone la carriera

■ Il governo del territorio

Particolare attenzione riveste il problema del rapporto tra centro e periferia.


Il governo del territorio è affidato a commissari e intendenti provinciali con diverse competenze:

● Controllo e coordinazione uffici locali


● Responsabilità sull’ordine pubblico

● Sovrintendenza all’amministrazione delle imposte e avvio indagini conoscitive sul territorio per
riorganizzare le finanze
Ostacoli durante il processo di centralizzazione:

● Pluralità di norme e pratiche giuridiche in vigore nelle province

● Molteplicità di ceti, corpi e giurisdizioni

● Situazioni variegate in relazione agli obblighi fiscali

In particolare, occorre distinguere tra:

● Pays d’élection: province amministrate direttamente dallo Stato

● Pays d’Etat: rappresentati da Stati provinciali dotati di ampissimi poteri ed in grado di contrattare
con il governo centrale il carico fiscale

■ Il re e l’antica nobiltà

Il governo del territorio deve fare i conti soprattutto con l’antica aristocrazia, tradizionalmente dominante
nella società francese.
La nobiltà antica o di sangue: feudale, di origine militare, radicata sul territorio, lotta per la partecipazione al
Consiglio del re, per gli incarichi di governatore principale, per gli alti gradi dell’esercito e della marina, per
gli incarichi diplomatici e contro ogni ipotesi di imposta personale.
Luigi XIV ridefinisce il rapporto sovrano-nobiltà ridimensionandone il potere e privandola del suo ruolo
politico:

● Esautora la nobiltà feudale sul suo territorio

● Allontana la nobiltà feudale dai propri territori: attirandola a corte (Versailles), mandandola
all’estero (ambasciate), inviandola in guerra (comandi militari)
Riconduce la nobiltà di sangue a tre funzioni essenziali (subordinate al re):
1. Ruoli di corte
2. Incarichi diplomatici
3. Alti gradi dell’esercito

■ Il cuore del potere: Versailles

La reggia di Versailles, costruita tra gli anni ‘60 e ‘80 a 20 km da Parigi, costituiva la sede del “sistema di
corte”, il centro del potere e del disciplinamento della nobiltà, ma anche il luogo della rappresentazione del
potere che vi si concentrava.
Il re impose alla grande nobiltà di risiedervi e ai suoi membri dispensava prebende, donativi e pensioni per
realizzare il suo completo asservimento.
La vita a corte rispondeva di rigide prescrizioni, ad un’etichetta e ad un complesso cerimoniale con al centro
il re.
Nel “sistema di corte” viene indicato il meccanismo attraverso il quale il sovrano definiva i ranghi e
distribuiva il prestigio all’interno dell’aristocrazia, controllandone gli equilibri.
Il sovrano non era più il primus inter pares ma l’artefice e il dominus di una complessa rete di distinzioni
gerarchiche.
Ogni cortigiano per mantenere il proprio prestigio dipendeva totalmente dal favore del monarca, che a sua
volta, seppe orchestrare l’etichetta e il cerimoniale come strumenti di dominio e sovranità.

■ La politica culturale

Luigi XIV favorì la formazione di una cultura ufficiale fortemente celebrativa: il mecenatismo fu usato come
strumento di governo per legare alla monarchia, con stipendi e protezione, artisti e letterati come Moliére e
Racine.
Ampio risalto venne dato all’organizzazione della cultura e soprattutto all’Académie Royale de Sciences,
fondata a Parigi nel 1666 su impulso di Colbert e frequentata da scienziati e filosofi come Cartesio,
Mersenne, Pascal e Gassendi.
Si trattava di un’accademia di Stato che dipendeva dal potere politico in quanto ad organizzazione,
finanziamenti, disciplina dei contenuti e progetti scientifici perseguiti.
Il modello dell’accademia parigina differiva completamente dalla Royal Society che rimase una società
privata, con una notevole autonomia dalla Corona e dalla sua politica e quindi con una più libera circolazione
delle idee.
Infatti, la politica culturale adottata non poteva tollerare voci dissidenti e aumentò, pertanto, il controllo sulle
tipografie e sugli stampatori attraverso un complesso apparato di censura.

■ La politica religiosa

La politica religiosa di Luigi XIV puntò a ridurre tutte le manifestazioni del dissenso religioso e a rafforzare
lo Stato nei confronti di Roma, mirando al controllo sull’organizzazione ecclesiastica francese.
È segnata da tre conflitti:
1. Con i Giansenisti (1664-1713)
2. Con i protestanti francesi, gli ugonotti (1685)
3. Con la Chiesa di Roma (1682)
Nel 1640, Cornelius Janssen (Giansenio), vescovo di Ypres (Belgio), pubblica l’opera Augustinus, una
biografia di Sant’Agostino che ne rivaluta il pensiero, soprattutto riguardo la dottrina della grazia.
Nel 1642, con la bolla In eminenti, il Papa Urbano VIII condanna l’opera e chiude il monastero di Port Royal
a Parigi, diretto dal teologo Antonie Arnault, rifugio di filosofi e letterati.
Tra il 1656-57, Pascal pubblica Le Provinciales, 18 lettere in difesa di Arnault e del giansenismo e atto di
accusa satirico della morale e della politica dei Gesuiti.
Nel 1664, Luigi XIV chiude Port Royal e impone a tutti i parroci un formulario di condanna del
giansenismo. Nel 1710 ordina la distruzione di Port Royal.
Nel 1713, con la bolla Unigenitus, il Papa Clemente XI condanna definitivamente come eretiche le dottrine
di Janssen.

■ L’espulsione degli ugnotti

Con Luigi XIII e Richelieu si era avviato un lungo processo di progressiva riduzione della tolleranza
religiosa.
Nel 1685, con l’Editto di Fontaineblue Luigi XIV revoca l’Editto di Nantes, negando il diritto all’esistenza di
sudditi francesi non cattolici.
Tutti gli ugonotti francesi sono costretti ad abiurare e a farsi cattolici o a lasciare la Francia entro due
settimane.
La Francia perde capitali, forze imprenditoriali, tecniche, cultura e scienza che andranno ad alimentare gli
avversari protestanti di Luigi XIV (Olanda, Inghilterra, Prussia).

■ Lo scontro con Roma

Nel 1682, con la Dichiarazione delle libertà gallicane, sottoscritta da alcuni vescovi francesi fedeli al
sovrano, Luigi XIV pone la Chiesa di Francia, sul piano amministrativo, sotto l’autorità del re, mantenendo
però l’ortodossia teologica e la subordinazione spirituale al Papa di Roma.
L’esito è un duro scontro con il papato che conduce ad un equilibrio più favorevole alla monarchia nel
rapporto fra Stato e Chiesa.

■ L’economia della Francia nel XVII secolo

L’economia francese a metà ‘600 presenta alcuni elementi di debolezza e di forza, in un quadro di
complessiva stagnazione:

● Arretrata sul piano agricolo

● Fragile sul piano industriale ma con alcuni poli manifatturieri come tessile e cantieristica

● Debole sul piano finanziario (cronico deficit nella bilancia dei pagamenti)

● Scarsamente presente nell’Atlantico rispetto a Spagna e Inghilterra

Tuttavia:

● Ha un territorio ricco e fertile ed è il regno più popolato d’Europa

● 20 milioni di abitanti di cui il 75% agricoltori, ma 15 milioni di contadini posseggono metà della
terra disponibile e 200.000 famiglie posseggono l’altra metà
Rappresenta quindi una potenza demografica (più lavoro, più tasse e più forza militare), un intreccio di
disuguaglianze sociali e potenzialità, in un mosaico di realtà differenti con un regime della terra di stampo
feudale. Facendo leva sulla forza demografica, Jean-Baptiste Colbert, Controllore generale delle Finanze,
avvia il risanamento delle finanze mediante:

● Inasprimento fiscale: imposte indirette (tentativo di unificazione fiscale)

● Restituzione del maltolto: (quanto è stato sottratto con mezzi fraudolenti) sostituzione e controllo dei
40 Fermiers Généraux
● Mercantilismo: la ricchezza nazionale è identificata con la quantità di metalli preziosi disponibili sul
territorio, pertanto, le politiche mercantilistiche mirano al contenimento delle importazione e
all’aumento delle esportazioni
Elementi che caratterizzano il “colbertismo” (rigorosa politica mercantilistica):

● Lo Stato favorisce lo sviluppo commerciale e manifatturiero finanziando l’avvio di alcune


manifatture
● Protezionismo per ridurre le importazioni e favorire le esportazioni

● Compagnie commerciali privilegiate, costituite in parte con capitali pubblici, che si assicurano il
monopolio in vari settori commerciali e beneficiano di una politica coloniale su vasta scala
● Considerevole programma di infrastrutture

Limiti della politica di Colbert:

● Privilegiare il settore manifatturiero comporta svantaggi per quello agricolo

● Contrazione della domanda interna a causa della bassa produttività agricola e dei salari contenuti per
reggere la concorrenza internazionale
● Scarsi progressi nel settore manifatturiero e conferma della inferiorità commerciale rispetto ad
Olanda ed Inghilterra
● Dopo una prima fase ricca di risultati positivi, si determina una forte contraddizione tra politica
economica e impegno militare. Le spese necessarie alla politica espansionistica del sovrano drenano
ingenti risorse e frenano lo sviluppo
Si delinea un composito fronte di opposizione:

● Rivolte contadine contro l’inasprimento fiscale

● Nobili e affittuari contro la politica mercantilistica e militare

● Alta nobiltà e partito devoto contro la pratica assolutistica del governo

● Minoranze religiose contro la politica di repressione religiosa

■ La politica internazionale

Louvois, Segretario di Stato alla guerra, trasforma l’esercito francese in una potente macchina bellica, mentre
Colbert costruisce una efficiente marina da guerra.
Guerra di devoluzione (1667-68): Luigi XIV invade le Fiandre spagnole. Filippo IV re di Spagna, aveva
escluso sua figlia Maria Teresa, moglie di Luigi, dal diritto di successione. (“devoluzione”: solo ai figli di
primo letto spettava la successione).
La guerra fu una sorta di parata scenografica conclusa con la Pace di Aquisgrana (1668), 12 città fiamminghe
alla Francia che restituisce la Francia Contea.
L’Olanda, preoccupata, si allea con Inghilterra e Svezia (pace di Breda, 1667).
Con la Repubblica delle Province Unite (Guglielmo d’Orange) il conflitto si manifesta a tre diversi livelli:
politico, economico e religioso.
Guerra franco-olandese (1672-78): il pacifismo borghese del Gran Pensionario Giovanni de Witt aveva
favorito lo sviluppo economico ma non quello militare dell’Olanda.
La Francia invade l’Olanda che si difende con la rottura delle dighe.
In Olanda la crisi politica porta ad una rivoluzione popolare.
Mentre scoppiano le rivolte interne e la Francia invia truppe a sostegno della rivolta di Messina (1674), si
forma la Coalizione antifrancese, composta da Orange, Brandeburgo, Spagna, Imperatore e principi tedeschi.
Nel 1678, con la Pace di Nimega la Spagna cede a Luigi XIV la Francia Contea e l’Olanda esce indenne.
Nel 1686, si apre una nuova dinamica conflittuale internazionale con la guerra contro la Lega di Augusta
composta da Austria, Inghilterra, Spagna, Olanda e Svezia.
Luigi XIV dichiara guerra a Spagna e Olanda:

● Occupa il Palatinato e molte città vengono saccheggiate e distrutte

● Organizza un tentativo di restaurazione di Giacomo II Stuart ma fallisce

● Invade la Savoia

Ma insorgono gravi problemi:

● Crisi finanziaria e carestia

● Inasprimento fiscale che non esclude vescovi e basso clero

● Accordo con Innocenzo XII e rinuncia ai 4 articoli della Chiesa Gallicana

Nel 1697, con la Pace di Ryswyk, Luigi XIV rinuncia ai territori ottenuti con la Pace di Nimega, eccetto
Strasburgo, e riconosce Guglielmo III d’Orange re d’Inghilterra.
Nel 1700, sorge il problema della successione spagnola: Carlo II d’Asburgo muore senza eredi e lascia il
regno a Filippo d’Angiò, pronipote di Luigi XIV, con l’impegno di non unire mai le corone di Spagna e
Francia.
Alcuni atti di Luigi XIV mettono in allarme altre potenze europee:

● Truppe insediate nelle Fiandre

● Flotta francese sul mercato ispano-americano

● Asiento concesso ad una compagnia francese di cui Luigi e Filippo erano azionisti

● Dichiarazione di Luigi in favore gli Stuart


Si compone la Grande Alleanza dell’Aia: Inghilterra, Olanda, Imperatore e principi tedeschi contro Francia,
Spagna, Baviera, Portogallo e Duca di Savoia.
Guerra di Successione Spagnola (1702-13)

● 1703: voltafaccia di Vittorio Amedeo II che si schiera contro la Francia

● 1704: diversi fronti di guerra: Germania, Italia, Paesi Bassi. Vittorie del principe Eugenio di Savoia

● 1709: crisi francese, carestia, freddo, pericolo di invasione

● 1710-12: ripresa francese grazie a mobilitazione in difesa dell’indipendenza

● 1711: muore l’imperatore Giuseppe I, gli succede Carlo VI, pretendente al trono di Spagna e si placa
la tensione in quanto nessuno desidera l’unificazione di Impero e Spagna.
● 1713: viene dichiarata la Pace di Utrecht con Inghilterra, Olanda e Savoia.

● 1714: viene sottoscritto il Trattato di Rastadt con l’imperatore Carlo VI. Ciò porta ad un riassetto
continentale e alla ridefinizione dei rapporti di forza coloniali.
La vera vincitrice del conflitto è l’Inghilterra che acquisisce possedimenti in America Settentrionale a spese
della Francia e nel Mediterraneo (Gibilterra) a spese della Spagna.
Filippo V viene riconosciuto re di Spagna a condizione della rinuncia ai diritti sul trono francese.
La Spagna cede i domini europei all’Austria, in particolare: il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, la
Sardegna e lo Stato dei Presidi. Vittorio Amedeo II ottiene il Regno di Sicilia.
Nel 1715, muore Luigi XIV.

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

■ Significato e periodizzazione

1500-1700: Rivoluzione scientifica intesa come un profondo cambiamento intellettuale che dal vecchio
cosmo aristotelico e dalle antiche certezze scolastiche, portò ad una nuova visione del mondo, un nuovo
metodo nella conoscenza e ad un pluralismo delle concezioni.
Fu un rivolgimento non operato esclusivamente da grandi pensatori e scienziati, ma fu contraddistinto da
profondi legami con questioni ideologiche e religiose e da un proficuo intreccio con lo sviluppo della tecnica.
Protagonisti di un mondo culturale dinamico, ricco di contrasti, capace di revocare in dubbio lo stesso
principio di autorità furono maghi, scienziati, ingegneri, artisti, filosofi, politici e religiosi attenti alle
scoperte scientifiche.
Possiamo considerare una periodizzazione in 3 fasi:
1. 1450-1550: Periodo di preparazione
(1543) Copernico pubblica De revolutionibus orbium coelestium: basi dell’astronomia moderna
2. 1550-1650: Affermazione
(1590) De motu, scritto da Galileo Galilei ma pubblicato postumo
(1632) Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galileo Galilei
(1620) Novum organum di Francis Bacon
3. 1650-1710: Sistemazione
(1687) Principia mathematica di Isaac Newton
■ Una possibile definizione

La rivoluzione scientifica fu un vasto e articolato movimento di ricerche e operazioni concrete sulla realtà e
di elaborazioni teoriche e concettuali, che ebbe inizio e si consolidò tra il XVI-XVII secolo, da cui nacque la
visione razionale e scientifica del mondo che caratterizza la mentalità moderna.
Nel Rinascimento tecnici e scienziati inaugurarono un nuovo rapporto col mondo naturale che prospettava un
rovesciamento del tradizionale rapporto tra esperienza e teorizzazione, non più da leggi generali, legittimate
dall’autorità prestabilita, ma dall’osservazione dei fenomeni naturali si procedeva verso la definizione delle
leggi che li regolavano.
Un’inversione nel metodo della conoscenza che non si configurò come passaggio repentino, ma graduale e
ricco di legami con le concezioni precedenti.

■ Tra magia e scienza

I campi in cui si sviluppò prima questo processo di innovazione furono:

● Chimica: bisogno di miglioramenti nella produzione e incentivi alla ricerca di innovazioni tecniche.
Ma, oltre allo studio razionale, si fece largo la convinzione che esistesse nei materiali una sorta di
“spirito vitale”
● Filosofia: in particolare quella “naturale”, con l’idea che le forze e i rapporti tra gli elementi non
erano frutto del soprannaturale e del trascendente, ma la stessa natura nascondeva in sé legami e
relazioni. Il compito del filosofo era quello di scoprirli, per poi riuscire a controllarli e sfruttarli
(magia naturale). Si parlò di “simpatie” tra gli elementi, per esempio per quanto riguardava il
magnetismo, sulle quali il mago naturale aveva il controllo e poteva usarle in senso positivo. (mago
= magister)
Paradossalmente, dalla magia rinascimentale e contro di essa andò delineandosi la scienza di Galileo,
Bacone, Cartesio e Newton.

■ La scienza moderna nel secondo Cinquecento

Nel secondo Cinquecento si delineano alcune tendenze della ricerca moderna:


1. Esigenza di rigorosi metodi di osservazione e sperimentazione
2. Limitazione della ricerca a entità materiali tangibili
3. Uso delle macchine per analizzare e trasformare le forze naturali
Gli scienziati mostravano interesse per i procedimenti tecnici della fabbricazione, si rivolgevano ai tecnici,
ma avevano bisogno, accanto all’abilità manuale, dell’immaginazione concettuale.
Mutava il rapporto tra teorizzazione ed esperienza:

● Precedentemente, la verità di una teoria non dipendeva dalla sua portata realistica, ma dalla sua
conformità a principi filosofici o religiosi dati
● In questo periodo invece, si fa strada il primato della verificabilità scientifica delle ipotesi formulate
e, quindi, la riproducibilità dell’esperimento costituisce il fattore di validazione di una specifica
proposta teorica

■ La necessità di un sapere pratico

L’importanza della macchina per studiare ed usare le forze naturali si connette strettamente alla nascita della
figura professionale dello scienziato tecnico, capace di unire l’immaginazione concettuale alla costruzione di
strumenti in grado di studiare i fenomeni della natura e piegarli ad un’utilizzazione pratica.
Contestualmente, nasceva la necessità di un sapere pratico.
Molto rilevante è il nesso stretto tra dinamismo sociale ed economico dell’Europa del ‘500 e ‘600 e il rapido
affermarsi di una scienza capace di favorire la costruzione di strumenti tecnici adeguati all’ascesa di figure
sociali come artigiani, commercianti e ingegneri.

■ Progresso e comunicabilità della scienza

Si delineava una nuova posizione sociale dello scienziato: lo scopo dell’attività dell’uomo era quello di
contribuire allo sviluppo della ricerca apportando nuovi contributi per correggere i risultati dei predecessori.
Si affermava una nuova idea della scienza come un processo mai concluso e definitivo: un accumulo
progressivo di acquisizioni a partire da un deposito iniziale di conoscenza.
Idea virtualmente assente nell’antichità classica e tra gli scolastici medievali e gli umanisti rinascimentali che
perseguivano la ricerca della propria gloria personale.
Invece, nelle botteghe degli artigiani del tardo medioevo, la collaborazione era naturale conseguenza delle
condizioni materiali di lavoro vincolate al sistema corporativo.
Continuità metodologica, ma nuovo modo di fare ricerca che corrispondeva ad un nuovo modo di lavorare,
produrre, vivere, pensare.
Tecnici e artigiani sono alle origini del carattere di collaborazione, progresso e comunicabilità della scienza.

■ Le fasi della rivoluzione scientifica

Nell’età moderna la scienza si presenta come corpo di dimostrazioni matematiche i cui principi sono scoperti
mediante l’analisi risolutiva di casi dell’esperienza opportunamente scelti.

Nel 1543, Copernico pubblica il De Revolutionibus Orbium Coelestium (Sulle rivoluzioni delle sfere celesti)
in cui ribalta il geocentrismo tolemaico e aristotelico e offre un modello cosmologico che legittima
matematicamente il moto terrestre.
Libro di rottura ma pieno di tracce del passato con elementi dell’antica cosmologica come l’idea di finitezza
dell’universo racchiuso nella sfera delle stelle fisse.
Oltre all’entusiasmo, diverse sono le reazioni negative, tra cui quelle di Lutero, Melantone, Calvino e
Bodin, contrari alla sua audacia in nome del primato biblico profanato dalle tesi sulla mobilità della Terra.
Giordano Bruno, nel 1591, rielabora l’eliocentrismo astronomico polacco e avanza ipotesi circa la
possibilità reale dell’esistenza di spazi infiniti, animati da mondi simili al nostro sistema solare.
Keplero, nel 1609, pur rifiutando l’infinitezza dell’universo, distrugge un altro caposaldo del cosmo
aristotelico: il moto circolare ed eterno dei corpi celesti ed apre la strada alla moderna astronomia.
Nel 1610, Galileo Galilei presenta sensazionali scoperte fatte con il cannocchiale o telescopio.
Le osservazioni confermano sperimentalmente le idee copernicane e riesce a quantificare il moto
osservato. Tutto l’universo poteva essere letto per mezzo della matematica e ogni fenomeno riportato ad
una legge generale, sperimentalmente verificata.
Con Galileo si realizzò il ribaltamento della fisica qualitativa aristotelica con l’illustrazione di una nuova
concezione del movimento in cui si quantificavano e matematizzavano grandezze come peso, forza, velocità
e tempo.
Nel 1632, il Dialogo sopra i due massimi estremi, segna la definitiva rottura con il passato e spalanca uno
scenario inedito in cui la terra ed il cielo tornano ad essere elementi di un’unica realtà.
Inevitabilmente si profila la rottura con la Chiesa che deduce la scienza dall’autorità delle Sacre Scritture,
mentre Galileo considera la natura, costruita in forme geometriche e regolata da rapporti matematici, non in
contraddizione con la parola rivelata, in quanto natura e rivelazione sono opera di Dio.
Galileo crede nella conciliabilità tra scienza e fede, ma non accetta il principio di autorità, in quanto la
verità può essere stabilita solo applicando direttamente il metodo scientifico (empirico-induttivo)
Nel 1633 arriva la condanna di Galileo, costretto ad abiurare le proprie idee come “false e contrarie alla
verità rivelata” e a dichiararsi “delinquente convinto” per aver osato credere nel moto terrestre.
Francis Bacon, già lord Cancelliere di Giacomo I ma incarcerato per concussione, accoglie alcuni temi dalla
filosofia rinascimentale della natura: tutti i corpi sono dotati di percezione; esiste fra gli esseri un legame
universale, una forza di attrazione o di repulsione: compresenza di una concezione meccanicistica e di una
concezione dinamico-vitalistica della realtà.
Nel De sapientia veterum afferma il bisogno della divulgazione: concepisce lo scienziato non come
trasformatore o creatore della natura, ma come osservatore intento a scoprirne i meccanismi per assecondarla
e servirsene.
Nel Novum Organum (1620), delinea un nuovo metodo induttivo, basato sull’osservazione sistematica e
sull’esperimento. Vi postula la necessità di una collaborazione fra scienziati per unire le forze in vista di un
obiettivo comune e della creazione di istituzioni scientifiche.
Caratteri della visione baconiana della scienza moderna:

● La scienza ha carattere pubblico, democratico e collaborativo

● Non è una realtà culturale indifferente ai valori etici

● Opposizione all’occultismo e ai maghi in quanto ogni fenomeno è riconducibile ad una spiegazione


razionale
● Sistematicità: necessario riorganizzare le conoscenze disponibili per trasmetterle ai posteri

Nell’opera postuma New Atlantis (1627), descrive una società utopica in cui si esalta l’impresa
dell’avanzamento del sapere, con il potere politico intento a promuovere il progresso tecnico a beneficio
dell’intera umanità.
Qui vi era la Casa di Salomone, luogo in cui tutti gli scienziati avrebbero collaborato e comunicato i risultati
ottenuti.
■ L’universo macchina

Si fece strada una versione meccanicistica dell’universo, fortemente debitrice verso il mondo degli
artigiani, navigatori, ingegneri e della matematica.
Gli scienziati trasformarono la meccanica creata da Archimede, come “arte nobile et pregiata”, in uno
strumento conoscitivo, grazie anche al crearsi della metafora secondo cui la natura era una macchina e le
conoscenze derivate dalle macchine potevano essere utilizzate per spiegare i fenomeni naturali.
L’orologio era lo strumento che meglio si prestava ad illustrare tale analogia: uno strumento complesso,
capace di muoversi da sé ma con meccanismi che restavano nascosti fino a quando non si fosse aperta la
cassa, svelandone il funzionamento.
Dietro l’assimilazione della realtà ad un perfetto meccanismo stava la filosofia meccanicistica che
prefigurava una realtà oggettiva fatta di corpi in movimento secondo le leggi della dinamica e della statica.
Il meccanicismo si serviva di un linguaggio matematico che marcava la netta distinzione con l’antica
immagine finalistica di una natura come manifestazione di un principio vivente.
Il meccanicismo fece sentire le sue suggestioni sul pensiero politico, favorendo lo sviluppo di concezioni
che proiettavano i rapporti presenti in natura in ambito sociale.
In particolare, alcuni autori come Hobbes, provarono a delineare la possibilità di riprodurre nella società
politica la stabilità che si osservava in natura, elaborando una sorta di visione artificiale dello Stato,
svincolata dai modelli etico-cristiani del passato.
Il maggiore teorico del meccanicismo, applicato ai corpi inanimati e a quelli viventi fu Cartesio (René
Descartes), secondo il quale non vi era nessuna differenza tra le macchine costruite dagli uomini e i corpi che
“la natura compone da sé”.
Elaborò un nuovo metodo di speculazione scientifica, quello deduttivo, esposto nel Discorso sul metodo
per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze (1637), e consistente in un insieme di
regole per guidare l’intelligenza.
Metodo fondato sul dubbio quale indispensabile strumento per conoscere la realtà:

● Nessuna cosa è vera se prima non la si sottopone ad un attento esame

● Occorre scomporre ogni problema complesso nelle sue componenti elementari

● Arrivare alla soluzione compiendo il percorso inverso, dall’elemento più semplice a quello più
complesso
La scienza si presentava come opera della ragione e autonoma dalla fede, caratterizzata da un processo di
ricerca della verità, rispondente a regole precise, dettate dalla ragione e dall’evidenza empirica.
Le acquisizioni di tale ricerca andavano sottoposte a procedimenti di verifica, patrimonio della comunità
scientifica e fondamentali per evitare errori.
■ La diffusione della cultura scientifica

Si faceva strada un processo conoscitivo democratico, aperto, senza segreti individuali e dotato di strumenti
pubblicamente controllabili. Una nuova immagine della scienza come il risultato degli sforzi di tutti, dei dotti
e degli uomini semplici, uniti per fare ricerca.
Fondamentale fu la creazione nel 1660 della Royal Society di Londra, che promosse e organizzò la ricerca
scientifica. Fondata da Robert Boyle e altri scienziati, finanziata dal Parlamento e non dalla Corona, divenne
garante della scientificità.
Una vasta letteratura contribuì nel XVII secolo a divulgare gli aspetti più clamorosi della rivoluzione
scientifica. Ne risultò una diffusione molto più ampia delle nuove idee, fenomeno che contribuì ad una
progressiva laicizzazione del sapere, sempre meno accordabile con i postulati del messaggio biblico e quindi
di un processo di svuotamento dall’interno dell’autorevolezza scientifica degli insegnamenti teologici.

■ Il nuovo modello di scienza di Newton

Nella direzione di approntare un metodo che garantisse l’assoluta attendibilità degli esperimenti e delle
scoperte scientifiche si mosse Isaac Newton, scienziato inglese che diede formidabili contributi alla
matematizzazione del discorso scientifico.
Egli attribuiva alle regole, ne indicava 4, un ruolo fondamentale nel garantire la validità del procedimento. Il
metodo newtoniano, empirico-deduttivo, risulta suggellato dall’affermazione “non invento ipotesi”
(“hypotheses non fingo”), con la quale si escludevano dal campo della ricerca i concetti metafisici e le
spiegazioni globali della realtà. Considerava arbitrarie le preposizioni non derivabili dai fenomeni reali.
Nel Principia mathematica naturalis philosophie (1687), non soltanto scoprì le leggi della gravitazione
universale, in base a cui i fenomeni fisici erano ridotti a dati quantitativi e misurabili, ma delineò un nuovo
modello di universo dominato dal vuoto, dove i corpi dei pianeti si attraggono secondo leggi calcolabili
matematicamente.

■ Scienza moderna e modelli sociali

La Rivoluzione Inglese si caratterizzò non solo per la contrapposizione tra Parlamento e Corona ma anche
per la nascita e lo sviluppo di nuovi valori e idee, come la concezione panteistica della natura, in parte
originata dall’Ermetismo di Giordano Bruno, che individuava nella natura un continuo movimento e la
presenza, in ogni suo organismo o corpo, del Dio creatore, senza quindi la necessità di prevedere al suo
interno rigorosi vincoli gerarchici.
La proiezione di una tale concezione in campo politico e sociale poteva indurre a non riconoscere più
necessaria alcuna autorità e mettere in discussione lo stesso ordinamento monarchico in favore di sistemi
politici repubblicani.
L’attacco al principio di autorità conferiva al panteismo una pericolosa potenzialità di sovvertimento
dell’ordine sociale e quindi imponeva al potere di apprestare strategie culturali idonee ad un suo efficace
controllo.
Partendo dalle idee di Newton, altri scienziati e teorici politici elaborarono una concezione della società e
del potere in aperto contrasto con quanti revocavano il principio di autorità sulla base della concezione
panteistica della natura: si riconosceva il principio di autorità e se ne rivendicava la legittimità e fondatezza
razionale.
Capisaldi della concezione di matrice newtoniana:

● La natura è immobile perché affermare che abbia in sé il movimento significherebbe negare la


presenza di Dio, che lo imprime
● Dio rappresenta l’autorità suprema e lo Stato e la Chiesa sono la sua proiezione nella società sociale

● In questo stato di cose, l’uomo non è una variabile indipendente, ma deve sottostare a Dio e alle
autorità terrene affinché siano garantiti l’equilibrio e la stabilità sociale, obiettivo primario dei
Newtoniani.
La concezione di newton è totalmente avversa al concetto di predestinazione. Fondamentale è il valore
delle opere, è il merito il più autentico metro di valutazione (Cristiani Virtuosi).
Anche gli ecclesiastici si legarono alla concezione newtoniana, perché vedevano nel panteismo, il pericolo
dell’ateismo.
La fusione tra scienza moderna e religione portò allo sviluppo della “predicazione scientifica”, i cui
destinatari erano i nuovi ceti imprenditoriali.
Soprattutto Robert Boyle si adoperò per alimentare la discussione su questi temi.
Le Boyle lectures furono divulgate grazie all’opera della Royal Society e servivano a consolidare il potere
dell’establishment whig, emerso vittorioso dalla Gloriosa Rivoluzione.

TEORIE E IDEOLOGIE DEL POTERE


Nell’età moderna si assiste al tramonto degli ideali del potere universale: Impero e Papato lasciano
progressivamente spazio alla nuova realtà dell’Europa moderna.
La nascita degli Stati moderni determina anche la necessità di trovare una giustificazione teorica al loro
potere che abbandona il richiamo ad un astratto bene comune per far spazio alle nozioni di utilità e
sicurezza.
Lo Stato realizza ciò che gli è utile, che consente di consolidare il proprio dominio e la pretesa di uniformare
l’amministrazione, la giurisdizione e la fiscalità dell’intero territorio.
Alla nozione di pace, avente valenza universalistica giustificata dalla comune appartenenza alla respublica
christiana, si sostituisce il concetto di sicurezza che deve essere garantita dallo Stato.
Assicurare la sicurezza vuol dire evitare il rischio di guerra civile, perciò, è necessario disarmare le forze
centrifughe, in particolare la nobiltà, concentrando nel sovrano i poteri militari ed impedendo gli scontri tra
le fazioni interne. (tendenza al monopolio della forza legittima).
Lo Stato deve garantire a tutti i sudditi una certa giustizia: tendenza a colpire tutti i soggetti che avevano
autonomie in tal senso (ceti, aristocrazia, città, clero).
Si pone il problema di come conciliare il perseguimento della giustizia con le esigenze di utilità e sicurezza.
Il problema era stato risolto nei secoli passati in maniera diversa:

● In epoca romana lo Stato veniva considerato come supremo valore della vita

● Il Cristianesimo esprimeva netta contrarietà alla separazione tra giustizia e governo, delineando un
modello di Stato che non ripudiava i canoni e i valori cristiani
● All’inizio dell’età moderna si avvia la tendenza a distinguere tra morale pubblica e morale privata e
tra morale e politica
A partire dalla riflessione di Machiavelli, si fece strada il concetto della Ragion di Stato che, seppur non
ancora circoscritto in una precisa formulazione, proponeva una netta distinzione tra le regole, completamente
avulse dalla morale cristiana, a cui deve rispondere l’interesse dello Stato (morale pubblica) e le norme che
invece devono regolare i rapporti tra i singoli (morale privata).

■ La riflessione politica di Machiavelli

Machiavelli, legato politicamente alla Repubblica fiorentina, era in grado di cogliere il significato della
mancanza di una solida e unitaria struttura politica in Italia.
L’esperienza politica a Firenze e quella come segretario di ambasciata presso la corte di Francia furono alla
base della sua riflessione politica che infrange il vincolo unitario etico-religioso e sovverte la subordinazione
della politica alla meta religiosa: un nuovo modello teorico fondato sulla giustificazione del potere che traeva
la sua origine dalla razionalità e dalla forza.
Il fulcro di tale costruzione è il principe, il nuovo sovrano concepito come unico onnipotente legislatore.
L’analisi della realtà politica di Machiavelli, spietata e priva di cedimenti ad esigenze di natura etica e
religiosa, costituì un bersaglio polemico verso il quale si indirizzarono proposte teoriche concepite come
alternative, ma impossibilitate a non confrontarsi con la lucida teorizzazione della nuova realtà politica
costituita dallo Stato moderno.

■ Jean Bodin

Nella seconda metà del Cinquecento e poi nel Seicento, anche incentivata dal nuovo spirito della
Rivoluzione Scientifica, si sviluppò una vasta letteratura gius-pubblicistica sui temi al centro delle riflessioni
machiavelliane e sulla ragion di Stato, intesa come insieme di strumenti e pratiche funzionali a fondare,
ampliare e conservare un dominio.
Sul tema sulla funzione dello Stato è particolarmente importante il discorso teorico di Jean Bodin, per la sua
moderna teoria dello Stato che prelude all’assolutismo.
Sostenitore di una politica di tolleranza, esponente del partito dei politiques, è favorevole ad Enrico IV e ad
una soluzione del conflitto da realizzare attraverso la riconciliazione nazionale intorno al rafforzato ruolo
dello Stato.
Nel 1576 pubblica la prima edizione della sua opera più significativa, “Six livres de la Republique”, scritta
sotto l’influsso diretto delle guerra di religione.
Centrale è il tema della sovranità, cui riconosce 3 caratteri fondamentali:
1. Perpetuità: assenza di limitazioni temporali, non può esistere qualcuno che delimita la sua durata
2. Indivisibilità: non può essere divisa tra più poteri. Risiede nel vertice, cioè nel sovrano e non può
essere frammentata tra più titolari
3. Illimitatezza ma non arbitrarietà: il sovrano non è vincolato dalle leggi, ad eccezione delle leggi
divine, della natura e delle leggi fondamentali della monarchia
Attributo ineliminabile della sovranità è la legge: la potestà legislativa costituisce l’essenza stessa del potere
dello Stato, da cui si deducono:

● La decisione sulla pace e sulla guerra


● La nomina dei funzionari

● Il potere di riscuotere tributi

L’altro punto fondamentale è costituito dall’idea di Stato che deve avere un governo giusto.
Alla base dello Stato, primo baluardo contro l’anarchia, vi è la famiglia, “fonte ed origine di ogni comunità”.
La famiglia, per la sua sacralità, è modello di autorità poiché in essa esiste una gerarchia naturale.
La patria potestas è l’immagine del potere statale.
In tal modo però si introduce anche un limite al potere: all’intervento dello Stato è sottratta la casa familiare,
la proprietà privata: nessun principe può imporre tasse senza il consenso delle assemblee rappresentative
degli ordini.
Lo Stato è inteso come unione di più corpi e comunità, stretti insieme dal vincolo del potere sovrano. Solo la
sovranità distingue lo Stato da ogni altra comunità o corpo.
In Bodin si realizza il passaggio dalla concezione dello Stato dinastico e patrimoniale allo Stato impersonale,
al di là della persona momentaneamente detentore del potere.
La stessa esistenza e l’uso della forza sono giustificati dalla necessità di garantire pace e serenità.

■ Thomas Hobbes

Dopo molti viaggi in Europa, nel 1651 torna in Inghilterra durante il protettorato di Cromwell e pubblica il
Leviathan (serpente marino del libro di Giobbe): “quel Dio mortale, cui dobbiamo la nostra pace e
sicurezza” e rispetto al quale “non vi è potere sulla terra che gli possa stare a paro”.
Il suo pensiero matura nell’esperienza delle guerre civili.
Una concezione pessimistica dell’uomo, dominato da sete di potere che lo porta al perpetuo stato di “bellum
omnium contra omnes” (“la guerra di tutti contro tutti”).
Con questa condizione, che identifica la più vera natura dell’uomo nello stato di guerra continua, coesiste nel
pensiero di Hobbes un desiderio di pace, indotto dal timore di una morte violenta.
Proprio nella paura Hobbes individua l’essenza profonda dello Stato: la paura giustifica la necessità di un
potere assoluto al fine di garantire la sicurezza.
Hobbes muove alla ricerca delle condizioni che rendono possibile un ordine politico stabile e duraturo e
quindi consentono di prevenire ogni forma di conflitto e anarchia.
Compie il primo vero sforzo di applicare alla sfera etico-politica il metodo della Rivoluzione Scientifica.
Occorre imitare Galileo e considerare la politica come la geometria: una scienza artificiale che deve costruire
lo Stato a partire dai suoi elementi più semplici (gli individui) così come la geometria costruisce le sue figure
regolari a partire da punti e linee.
Euristicamente, Hobbes ipotizza uno stato di natura nel quale vige un’eguaglianza naturale che consente a
tutti gli uomini di desiderare le stesse cose e quindi di entrare in conflitto l’uno contro l’altro: fuori dello
Stato è il dominio delle passioni (guerra, paura, povertà), nello Stato è invece il dominio della ragione (pace,
sicurezza, ricchezza)
L’unica via per uscire dallo stato di natura è l’accordo e il consenso reciproco per costruire artificialmente lo
Stato quale istituzione dotata del potere di tenere tutti in soggezione (il grande Leviatano = lo Stato assoluto).
L’istinto di conservazione spinge l’uomo a delegare i propri diritti, a stipulare un solo patto (“patto di
unione”): riunione di una moltitudine di individui e obbligazione all’obbedienza nei confronti del sovrano.
Un contratto irrevocabile con i quale i sudditi trasferiscono i loro diritti (eccetto il diritto alla vita) allo Stato
che può servirvi della forza e dei beni dei sudditi per garantire la pace e la comune difesa.
Con l’elaborazione della sua dottrina Hobbes vuole dare un fondamento razionale e laico allo Stato che
garantisca sicurezza.
Abbandona la concezione dell’origine divina del potere: alla base della sovranità e del legame sociale c’è un
criterio di utilità e necessità
La sovranità deve essere:

● Irrevocabile, data l’unanimità del consenso

● Assoluta: il sovrano è legibus solutus (sciolto dalle leggi) o non è sovrano

● Indivisibile: nessuna divisione dei poteri può essere contemplata, né è possibile separare il potere
temporale da quello spirituale se si vuole evitare la disgregazione e il ritorno alla condizione di
anarchia
Fondamentale è la teoria dell’obbedienza: chi nega l’obbedienza non è un reo, ma un nemico del sovrano.
Lotta contro i dissidenti: se lo Stato assoluto si realizza mettendo fine alla guerra civile, per neutralizzarla
esso deve prevenire il diffondersi di teorie sediziose.
Lo Stato priva l’individuo di ogni diritto politico e di ogni libertà di espressione.

■ John Locke

Il nesso che lega la riflessione di Locke ai problemi della società inglese del Seicento è particolarmente forte.
La caratteristica inconfondibile delle origini del liberalismo inglese è da individuare nello stretto intreccio tra
lotta socio-politica e lotta religiosa: non a caso Locke elabora un’organica concezione della difesa del
cittadino contro gli abusi del potere politico e, contestualmente, una delle prime formulazioni dell’idea di
tolleranza.
Padre spirituale del liberalismo, proveniente da una famiglia puritana di estrazione borghese, figlio di un
giudice di pace che combatté nell’esercito di Cromwell contro la monarchia, Locke è contemporaneo di
Hobbes e quindi vive almeno in parte le sue stesse esperienze, da cui però elabora una teoria opposta che si
fonda sulla riaffermazione dell’esistenza di una legge di natura universale, superiore alla legge civile quale
limite al potere politico (Saggi sulla legge naturale, 1664).
Tra il 1681-82 scrive due trattati sul governo, pubblicati però nel 1690.
Lo stato di natura è caratterizzato da convivenza pacifica, ma il tentativo di ottenere potere sugli altri
conduce allo stato di guerra: pone fine a tale situazione è motivo per abbandonare lo stato di natura.
Il passaggio alla società civile è determinato dalla volontà degli uomini di essere liberi e proprietari, ed esso
avviene tramite un patto realizzato in due momenti distinti:

● Pactum unionis: i singoli entrano nella società politica e conservano tutti i loro diritti (eccetto quello
di farsi giustizia da soli)
● Pactum subjectionis: viene riconosciuta l’istituzione di un’autorità alla quale è affidato, non
delegato, il potere politico. Potere conferito con limiti e col fine di benessere e sicurezza dei
cittadini.
I fondamenti del potere politico sono la fiducia e il consenso, senza i quali esso perde ogni legittimità.
Fiducia e consenso si manifestano attraverso la regola della maggioranza, in quanto l’unanimità è un
obiettivo impossibile da raggiungere.
Se il “potere supremo”, che è quello legislativo, infrange alla fiducia, attentando alla vita, alla libertà o alla
proprietà dei cittadini, esso perde la sua legittimità e il potere torna al popolo che provvede a darsi un nuovo
legislativo.
Locke giustifica pienamente il diritto di resistenza contro la tirannide.
Lo Stato deve difendere i diritti sacri dell’uomo, soprattutto nell’esercizio delle sua attività economiche.
Locke pone il lavoro a fondamento della proprietà privata e giustifica anche la grande proprietà in quanto
fecondata dal lavoro, mentre condanna quella derivata dal privilegio: una concezione dinamica e non statica
della proprietà nella quale conta più fare che avere, più il lavoro che il possesso.
Locke si presenta come ideologo della proprietà privata borghese, dell’accumulazione illimitata della
ricchezza, quale condizione indispensabile per uno sviluppo economico infinitamente superiore a quello di
qualsiasi altra società pre-borghese.
Pubblica la Lettera sulla tolleranza, una lunga stesura dal 1671-90, in cui Locke chiarisce cosa intende per
proprietà: lo Stato deve tutelare i “beni civili” (vita, libertà personale e averi materiali).
Locke distingue nettamente la sfera economica, quella familiare e quella spirituale dalla sfera politica: le
prime esistono autonomamente.
Lo Stato deve difendere la libertà di coscienza. Il magistrato può intervenire nella vita spirituale solo se le
opinioni religiose, divenendo politiche, disturbano la pace.
Le istituzioni ecclesiastiche possono solo convincere, non costringere: la Chiesa è una società libera e
volontaria nella quale si entra senza costrizioni e da cui si può uscire liberamente.
L’idea lockiana di tolleranza ha due limiti:

● Esclude i papisti (cattolici) che riconoscono l’autorità del Papa e sono pronti a disobbedire a quella
dello Stato
● Esclude gli atei, negando la divinità, nulla possono riconoscere di stabile o sacro.

La richiesta di tolleranza non è più la richiesta di una setta perseguitata, ma il fondamento dello Stato in
quanto i partiti del tempo erano partiti religiosi e quindi chiedere la libertà religiosa equivale a chiedere
libertà politica.
Nel Saggio sull’intelligenza umana (1670-76), terminato in Olanda a causa della restaurazione Stuart e
pubblicato in Inghilterra nel 1690, indica 3 leggi fondamentali:

● Legge divina: rivelata dalla natura o dalla rivelazione; la sua misura è il peccato

● Legge civile: legge dello Stato per proteggere i cittadini; la misura è il crimine

● Legge dei filosofi: la legge dell’opinione pubblica

Nello spazio lasciato libero dall’Assolutismo i cittadini esprimono giudizi morali che per Locke hanno
carattere di legge. Viene teorizzata per la prima volta l’opinione pubblica come sede del giudizio morale e,
quindi, l’autonomia della società civile dal governo politico. Passaggio obbligato per una più matura
articolazione costituzionale della teoria contrattualistica basata sul consenso.
L’interpretazione di Locke è legata dalla situazione inglese, in cui dal 1688 si era verificata la fusione della
società dirigente (Parlamento) e dell’esecutivo monarchico.
Trasferita nell’Europa continentale, la teoria di Locke avrebbe avuto un ruolo politico diverso, rivoluzionario
(critica all’Assolutismo e influenza su Rivoluzione americana e francese).
Nei Pensieri sull’educazione (1693), sottolinea l’importanza dell’istruzione per rendere l’individuo
autonomo, adatto ai compiti cui è destinato.
La riforma costituzionale richiedeva una riforma culturale fondata sul concetto di utilità della cultura.
Utopia dell’uomo nuovo, dell’uomo liberato che instaura il nuovo ordine non per conoscere l’essenza delle
cose ma per usarle e trasformarle: proposta antropologica

LE GUERRE DI SUCCESSIONE E IL NUOVO EQUILIBRIO DELL’EUROPA NEL ‘700


Possibili approcci al Settecento:

● Storia economica e sociale: la rivoluzione agricola e industriale

● Storia politica: il nuovo equilibrio europeo e il rovesciamento delle alleanze tradizionali

● Storia delle idee: l’illuminismo

● Il secolo delle riforme e delle rivoluzioni democratiche: rivoluzione americana e francese

■ Il problema della Successione spagnola

Nel 1700, Carlo II d’Asburgo muore senza eredi. Nel testamento lascia il regno a Filippo d’Angiò,
pronipote di Luigi XIV, con l’impegno di non unire mai le corone di Spagna e di Francia.
Alcuni atti di Luigi XIV mettono in allarme le altre potenze europee:

● Truppe insediate nelle Fiandre

● Flotta francese sul mercato ispanico-americano

● Asiento concesso ad una compagnia francese di cui Luigi e Filippo erano azionisti

● Dichiarazione di Luigi in favore degli Stuart

Si forma la Grande Alleanza dell’Aia: Inghilterra, Olanda, Imperatore e principi tedeschi contro Francia,
Spagna, Baviera, Portogallo e Duca di Savoia.

■ Guerra di Successione spagnola (1702-13)

Tappe fondamentali:
1703: voltafaccia di Vittorio Amedeo II che si schiera contro la Francia
1704: diversi fronti della guerra: Germania, Italia, Paesi Bassi. Vittorie del principe Eugenio
1709: crisi francese, carestia, freddo, pericolo di invasione
1710-12: ripresa francese grazie alla mobilitazione in difesa dell’indipendenza
1711: muore l’imperatore Giuseppe I e gli succede Carlo IV, pretendente al trono di Spagna. Si placa la
tensione in quanto nessuno desidera l’unificazione di Impero e Spagna.
1713: pace di Utrecht, con Inghilterra, Olanda e Savoia
1714: Trattato di Rastadt, con l’imperatore Carlo VI. Conseguente riassetto continentale con la ridefinizione
dei rapporti di forza coloniali
Vera vincitrice del conflitto è l’Inghilterra che acquisisce possedimenti in America Settentrionale a spese
della Francia e nel Mediterraneo (Gibilterra) a spese della Spagna.
Filippo V viene riconosciuto re di Spagna ma rinuncia ai diritti sul trono francese.
La Spagna cede i domini europei all’Austria, in particolare: il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, la
Sardegna e lo Stato dei Presidi.
Vittorio Amedeo II ottiene il Regno di Sicilia.
Nel 1715 muore Luigi XIV (fine Grandeur).

■ Un’Europa multipolare

La morte di Luigi XIV e la fine della guerra di Successione Spagnola spianano la strada all’Europa
multipolare delineatasi nella seconda metà del XVII secolo.
Nei primi decenni del Settecento le singole realtà politico-territoriali si distribuiscono all’interno di una
nuova gerarchia, fondata sulle differenze tra piccoli Stati e grandi Stati o potenze.
L’equilibrio tra i grandi Stati costituisce “il principio fondamentale per la pace universale” secondo
Vittorio Amedeo II di Savoia.
Si formano nuove e inedite alleanze come quella tra Francia e Spagna nel 1702.
Dopo due secoli di rivalità, per tutto il Settecento le due monarchie cattoliche si trovano alleate per ragioni
dinastiche sotto i re di casa Borbone.
Tra il 1713 e il 1733 l’Europa vive vent’anni di pace. Tuttavia, i contrasti non scompaiono.
Occasione per lo scoppio di nuovi conflitti sono:

● Problemi dinastici

● Rivalità tra potenze coloniali

● Interessi commerciali

● Guerra che si estende anche ai continenti extraeuropei

La politica estera appare sempre più intrecciata con quella interna in quanto la politica internazionale non
era compito esclusivo di una distinta istituzione burocratica, ma rifletteva gli esiti delle lotte di potere tra i
soggetti politici operanti nei singoli stati.
Nella prima metà del secolo (1700-56) Francia e Austria risultano rivali, tuttavia, nella seconda metà
(1756-89) si alleano contro Inghilterra e Prussia.
■ La guerra di successione polacca (1733-38)

Rivalità franco-russa per la successione sul trono polacco.


Morte di Augusto II nel 1733, elettore di Sassonia, protetto russo.
Candidato francese: Stanislao Leszczynski, sostenuto da Spagna e Savoia
Candidato russo: Augusto III di Sassonia, sostegno anglo-austriaco.
Riflessi italiani: borboni franco-spagnoli e piemontesi opposti ad austriaci.
Rivalità austro-spagnola per i ducati italiani (Parma e Piacenza) e il controllo del Mediterraneo (pace di
Madrid, 1720: Sicilia all’Austria e Sardegna ai Savoia)
Pace di Vienna, 1738:

● Augusto III di Sassonia, filo-russo, sul trono polacco.

● Napoli dall’Austria ai Borbone di Spagna (don Carlos, 1734-59; Reggenza Tanucci 1759-67;
successione di Ferdinando IV, 1767)
● Toscana (estinzione della dinastia medicea, 1737) ai Lorena (Francesco Stefano, marito di Maria
Teresa)
● Lorena a Leszczynski (dal 1766 alla Francia)

● Parma e Piacenza (Farnese, filoborbonici) all’Austria (1738-48)

■ La guerra di successione austriaca (1740-48)

Problema della continuità e integrità successoria degli Asburgo


Carlo VI nel 1713 con la Prammatica Sanzione abolisce la legge salica, a garanzia della successione di
Maria Teresa (accettata da tutti i paesi europei tra il 1726 e 1739).
Nel 1740 avviene l’invasione prussiana della Slesia per il controllo delle risorse minerarie.
Si forma l’alleanza franco-prussiano-bavarese a sostegno della candidatura di Carlo Alberto di Baviera
al trono imperiale. Eletto come Carlo VII nel 1742, ma muore nel 1745.
Dopo le vittorie prussiane, segue la Pace di Aquisgrana (1748):

● Francesco Stefano di Lorena imperatore

● Maria Teresa riconosciuta come imperatrice d’Austria

● Slesia alla Prussia

● Milano agli Asburgo d’Austria

● Parma e Piacenza (e Guastalla) a don Felipe di Borbone, fratello di Carlo re di Napoli

● I Savoia si espandono a est fino al Ticino a spese del Milanese

● Ricostruzione assetto coloniale atlantico dell’anteguerra


■ La guerra dei sette anni (1756-63)

Con il trattato di Parigi del 1756, si verifica un rovesciamento di alleanze: Francia e Austria si alleano
contro Inghilterra e Prussia.
È la prima guerra europea svoltasi su un teatro mondiale per il controllo delle risorse coloniali
La Pace di Aquisgrana del 1748 pone una semplice tregua ma persistono dei motivi di attrito
internazionale in Europa e nel mondo extraeuropeo.
Dal 1750 in poi sorgono contrasti anglo-francesi in America del Nord, Caraibi e India, così come sorgono
contrasti russo-prussiani per la successione svedese nel 1751.
Con la Pace di Parigi nel 1763 tra Francia e Inghilterra si verificano:

● Annessione britannica del Canada (estromissione della Francia dall’America Settentrionale),


alcune delle Antille minori, Senegal (dalla Francia), recupero di Minorca e Florida (dalla Spagna,
restituzione de L’Avana)
● Egemonia dell’Inghilterra come principale potenza coloniale e commerciale

Nel 1762, 1792 e 1795 avvengono tre spartizioni della Polonia tra Russia, Prussia ed Austria: le potenze
assolutistiche annettono la monarchia elettiva polacca.

DEMOGRAFIA ED ECONOMIA NEL SETTECENTO


Il Settecento è un secolo caratterizzato da un forte moto espansivo che si manifesta in ogni settore:
demografia, produzione agricola, manifatture e commercio (in particolare coloniale e transoceanico).
Si tratta di un’espansione avente carattere irreversibile, rispetto alla crescita del Cinquecento.
La popolazione europea nel 1800 arriva a 180 milioni, con un aumento del 63,5%, anche se con andamento
non uniforme. Nella penisola italiana la crescita della popolazione segue un trend variegato: nel
Mezzogiorno aumenta del 46,9% mentre nel Nord del 27,3%.

■ I fattori della crescita demografica

Fino a qualche anno fa la crescita demografica veniva spiegata con un calo della mortalità dovuto a
migliorie alimentari e igienico-sanitarie e una minore incidenza di peste, fame e guerra.
In particolare, la peste, pur presentandosi ancora nel XVIII secolo in Europa settentrionale (1710-18), a
Marsiglia (1720) e a Messina (1743), perse gran parte del suo potenziale distruttivo grazie alla migliorata
efficacia dei cordoni sanitari, per la progressiva immunizzazione degli organismi e soprattutto per la
rarefazione del ratto nero, portatore della pulce attraverso cui si trasmette il bacillo della malattia.
Le carestie erano meno frequenti e provocavano danni limitati in quanto i governi riuscivano a farvi fronte
con un’aumentata rapidità dei trasporti e con l’accresciuta efficacia degli interventi nelle aree colpite.
La storiografia più recente invece, indica l’aumento del tasso di natalità come causa dell’incremento
demografico.
In riferimento al caso inglese, si è notato un sensibile calo nell’età in cui le donne contraggono il
matrimonio (24 anni), dovuto alla diffusione del lavoro salariato.
Un altro caso significativo è quello dell’Irlanda, paese povero e sfruttato dall’Inghilterra, che vide triplicare
la popolazione in poco più di 100 anni, per la diffusione della patata come alimento base che consentiva di
frazionare i poderi e moltiplicare le piccole aziende agricole, sufficienti al mantenimento di una famiglia,
incoraggiando i matrimoni precoci.

■ L’agricoltura in Europa del ‘700

È un’Europa che va a diverse velocità per l’andamento demografico e per l’egemonia agricola.
Coesistenza di aree con:

● Agricoltura estensiva: aumento delle superfici coltivate e intensificazione del lavoro contadino e
servile in Russia e Spagna
● Agricoltura intensiva: si tenta di massimizzare la produttività attraverso la concimazione,
l’irrigazione, il rinnovamento colturale e l’utilizzo di nuovi attrezzi
Le rese, il rapporto semente-prodotto, sono indicative delle diverse velocità dell’agricoltura europea in
questo secolo:

● Rese più alte in Paesi Bassi, Inghilterra e, in maniera differenziata, in Francia e Germania

● Rese intermedie in Brandeburgo, Danimarca, Andalusia e pianura lombarda

● Rese più basse in Spagna, Mezzogiorno d’Italia e paesi dell’Est

Alcuni elementi caratterizzano l’evoluzione dell’economia agricola:

● Adozione di cereali ad alti rendimenti (mais e grano saraceno)

● Aumento popolazione

● Rotazione triennale e sistema dei campi aperti in aree dominate da agricoltura estensiva

● Rotazione complesse di cereali e prati artificiali; affitti di lunga durata; eliminazione del riposo a
maggese; stretto legame tra agricoltura e allevamento in aree con agricoltura intensiva
L’evoluzione dell’agricoltura inglese è dovuta a vari fattori:

● Notevole sviluppo enclosures

● Massimi vantaggi per grandi proprietari

● Sviluppo delle colture intensive

● Adozione su larga scala del “ciclo del Norfolk” (rotazione quadriennale)

● Attenta selezione di sementi

● Intenso utilizzo di attrezzi agricoli di ferro perfezionati

Cresce il numero dei non addetti all’agricoltura (circa metà della popolazione attiva)
Conseguenze delle trasformazioni agricole:

● Aumento dei prezzi delle derrate dovuto alla crescita della domanda concentrata nelle città
● Muta il rapporto città/campagna ma in forme differenziate: nei Paesi Bassi e in Inghilterra
avvengono scambi produttivi, le città investono nella redditività delle campagne. Invece, in Spagna,
in alcune regioni francesi e nell’Italia Meridionale gli scambi risultano ineguali.
Le città si presentano come grandi mercati di consumo della produzione agricola.
Emblematico è il caso di Napoli: gli illuministi meridionali paragonano la capitale ad una testa
gigantesca imposta su un esile corpo (le province).

■ Urbanizzazione e mercato del lavoro

Cresce notevolmente la popolazione e da tale fenomeno derivano alcuni problemi:

● Ordine pubblico, connesso al problema dell’approvvigionamento

● Problemi igienico-sanitari, accentuati nelle città di mare. Aumentano i compiti degli Stati e delle
amministrazioni municipali
● Problema del lavoro, cercando di favorire un mercato del lavoro più libero

Con la crisi delle corporazioni, che detenevano il controllo dell’accesso al lavoro, muta la loro funzione: da
regolatori del mercato del lavoro ad associazioni di mutua assistenza per i lavori di una determinata arte.

■ Prezzi e salari

All’aumento dei prezzi delle derrate non corrisponde un aumento dei salari.
(Nel caso francese, il costo della vita aumenta del 60%)
Il processo di inflazione è dovuto all’aumento della domanda indotta dalla crescita demografica e
dall’urbanizzazione ma anche ad una serie di altri fattori:

● Aumento della massa dei metalli preziosi presenti in circolazione grazie alla scoperta di giacimenti
auriferi in Brasile e alle miniere d’argento in Messico
● Ricorso su larga scala alle cambiali e, in Inghilterra, alle banconote: biglietti emessi dalla Banca
d’Inghilterra, immediatamente convertibili in moneta metallica
● Più rapida ed intensa circolazione degli uomini e delle merci grazie al miglioramento dei trasporti
con nuove strade, canali navigabili, regolari servizi di posta e abbattimento dei tempi di percorrenza

■ Il commercio internazionale

Il XVIII secolo è considerato il periodo d’oro del commercio internazionale in quanto:

● Riprendono i traffici nel Mediterraneo

● Si genera un grande sviluppo del commercio atlantico

● Si espande il commercio inglese e francese con le colonie


Importante è l’accelerazione del processo di colonizzazione dell’America Settentrionale, con un
vertiginoso aumento della popolazione per l’immigrazione di europei e neri africani e per un tasso di
produzione particolarmente elevato.
La parte meridionale del continente americano, divisa tra Spagna e Portogallo, vede consolidarsi il processo
di concentrazione della proprietà in enormi latifondi dove si pratica un’agricoltura estensiva e un
allevamento brado. Importante è lo sviluppo della coltivazione della canna da zucchero nelle Antille.
Nel Settecento vi è l’apice della tratta degli schiavi con l’Asiento de negros agli inglesi nel 1713
(monopolio del trasporto e della vendita di schiavi neri). Solo alla fine del secolo si avvia un movimento
unitario favorevole all’abolizione della tratta

L’ILLUMINISMO
Lo sforzo di unificazione per definire l’Illuminismo si scontra con le differenze ambientali che la recente
storiografia ha messo in evidenza: appaiono accertate l’irriducibilità del fenomeno ad un’unica matrice, la
dipendenza delle sue componenti da diverse tradizioni culturali e la compresenza di impulsi riformatori
di diversa origine e con differenti finalità.
La stessa molteplicità terminologica con il quale la si identifica è un chiaro segnale di questa difficoltà di
unificazione e della necessità di tenere conto di tempi e sviluppi diversi, riferibili alle varie realtà territoriali
e sociali.
L’illuminismo (enlightenment, lumières, aurklärung, ilustracìon) fu una cultura cosmopolita ma anche
fortemente connotata nelle diverse aree europee. Fece la sua prima comparsa in Inghilterra e in Francia e
in seguito in Scozia, poi nei paesi tedeschi, in Spagna e negli Stati della penisola italiana.
I limiti cronologici dell’Illuminismo si collocano tra la Gloriosa Rivoluzione inglese (1688-89) e l’età delle
rivoluzioni democratiche del tardo Settecento.
Le radici ideali vanno individuate in alcuni mutamenti verificatisi nel XVII secolo:
1. Nel mutamento dell’immagine della natura prodotto dalla Rivoluzione Scientifica
2. Nella cosiddetta “crisi della coscienza europea” (1680-1715) (epoca di passaggio dal barocco
all’illuminismo; svolta epocale nella cultura dell’Europa moderna; sintesi positiva delle tensioni
accumulate nei due secoli precedenti)
3. Nell’avvento della critica documentaria, applicata anche allo studio dei testi sacri
4. Nell’eredità libertina: critica delle religioni rivelate; recupero in chiave naturalistica del
materialismo antico (Democrito, Epicuro, Lucrezio); analisi machiavelliana dei meccanismi del
potere; libertas philosophandi.
5. Nell’epistemologia e nella filosofia politica di Locke: idea di una legge naturale universale, garante
dell’eguaglianza e della libertà dei singoli ed avvio della trasformazione dei sudditi in cittadini
titolari di diritti e partecipi della politica.
Come per tutti i fenomeni storici di questo tipo, non si può dare ad esso una precisa periodizzazione in
quanto, a seconda dei campi d’analisi (culturale, scientifico, politico, economico) varia il tipo di
periodizzazione da prescegliere.
In linea generale, si possono individuare alcune partizioni temporali:

● Prima fase (1713-48): tra la fine della guerra di Successione spagnola e la Pace di Aquisgrana, si
esaurisce l’età precedente, si afferma la “prima generazione” di illuministi e si elaborano le basi
teoriche del movimento, fino ad arrivare alla pubblicazione delle Lettere filosofiche o lettere inglesi
di Voltaire (1733-34), vero manifesto dell’illuminismo continentale e allo Spirito delle leggi di
Montesquieu (1748)
● Seconda fase (1748-75): detta anche “età matura”, in cui si attiva una “seconda generazione” di
illuministi e che prende avvio dalla pubblicazione dell’Enciclopedia o dizionario ragionato delle
scienze, delle arti e dei mestieri, diretta da Diderot e d’Alembert. In questa fase videro la luce i testi
più significativi dell’Illuminismo ma furono le voci dell’Enciclopedia a simboleggiare la nuova
cultura dei lumi, soprattutto per la traduzione in pratica dell’ideale baconiano di un sapere utile al
bene comune.
● Terza fase (1775-89): gli anni della crisi, in cui una serie di eventi (come la Rivoluzione
Americana) portarono la più giovane generazione degli illuministi a dover scegliere tra la possibilità
di restare fedeli al vecchio assetto monarchico e provare a riformare l’antico regime o prepararsi a
compiere scelte rivoluzionarie.

■ Storiografia e problemi di definizione

La complessità e la varietà dell’Illuminismo rendono impossibile dare una risposta univoca al problema della
sua definizione. Si tratta di un concetto polisenso nelle varie lingue europee che ha subito molte metamorfosi
nel giudizio delle generazioni.
Più che categoria esso è una nozione fluida, riferita a fenomeni storici non omogenei: l’Illuminismo non
nasce nel vuoto ma sorge nell’ambito di determinate circostanze storiche e perciò manifesta un legame con la
società borghese proto-capitalistica in termini di valori, estrazione sociale di gran parte dei suoi protagonisti
e elaborazione di programmi politici di riforma in un secolo che vedrà compiersi due rivoluzioni borghesi.
Si presenta come espressione più matura e consapevole della cultura della rivoluzione scientifica, delineando
metodologie e cognizioni destinate ad influenzare tutte la attività umane.

Secondo Immanuel Kant (1748): “l’Illuminismo è l’uscita degli uomini dallo stato di minorità a loro
stessi dovuto. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. A
loro stessi è dovuta questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma
dalla mancanza di decisione del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da
un altro”.
Il motto dell’Illuminismo è: “Sapere aude!” (“Osa esser saggio, abbi il coraggio di servirti del tuo
intelletto”).
L’Illuminismo può allora considerarsi quel movimento culturale che si sviluppa nel XVIII secolo nei
maggiori paesi europei e si caratterizza come indirizzo filosofico definito dall’impegno di estendere la critica
e la guida della ragione a tutti i campi dell’esperienza umana.
Secondo Nicola Abbagnano, possiamo individuare nell’Illuminismo, quale indirizzo filosofico, tre aspetti,
o meglio, impegni fondamentali tra loro connessi:
1. Realizzazione di una conoscenza aperta e critica che abbia in sé gli strumenti per la propria
correzione, fede cartesiana nella ragione, ma potere della ragione limitato dall’empirismo (tipica in
tal senso è la dottrina kantiana della cosa in sé: la conoscenza si estende fin dove si estende il
fenomeno, non al di là di questo).
2. Estensione della critica (razionale) ad ogni conoscenza o credenza (Cartesio l’aveva limitata alla
scienza e alla metafisica, escludendo politica e religione).
3. Uso, in tutti i campi, di questa conoscenza per migliorare la vita singola e associata degli uomini.
Utilità sociale della cultura non più fine a sé stessa, ma con una sua funzione nella società.
■ Illuminismo e filosofia

L’Illuminismo, in quanto impegno di avvalersi della ragione in modo “libero” e “pubblico” ai fini di un
miglioramento effettivo del vivere, entrò in relazione con tutti i campi del sapere.

● Filosofia

La natura fornisce le leggi della logica: la verità non deriva dall’autorità ma va ricercata razionalmente nella
natura (Razionalismo e Naturalismo).
Grande pensiero della filosofia naturale: è la scienza il nucleo del pensiero illuministico e la candidata al
primo posto nella gerarchia delle attività conoscitive.
L’Illuminismo, procedendo con il metodo razionale ed analitico proprio delle scienze, aspira a verità
indiscutibili, vagliate dalla ragione.

● Diritto

Diritti naturali (giusnaturalismo) ma proclamati in maniera diversa rispetto alle dottrine precedenti: diritti
umani inalienabili ed uguali in qualsiasi tipo di società (libertà, eguaglianza, felicità, prosperità) e diritti
naturali utilizzati per la critica politica, sforzandosi di renderli operanti nella realtà.
Diritto comune: data la pretesa dei togati di interpretare le norme secondo la scientia juris, gli illuministi si
posero contro gli Arcana juris: sostengono la necessità della chiarezza e della trasparenza delle leggi e
rivendicano il principio della certezza del diritto per assicurare la funzionalità del sistema giuridico.

● Etica

Morale naturale indipendente dalla religione, le norme del corretto comportamento vanno ricercate nella
natura (si sviluppa l’idea che possa esistere un ateo virtuoso)
Morale relativistica, edonistica che, a seconda delle interpretazioni, avrebbero portato a canoni non per
forza coincidenti con quelli imposti dalle Chiese ufficiali.
Sviluppo dell’antropologia illuministica: si riconosce e si valorizza la funzione del bisogno, dell’istinto,
dell’ineluttabilità delle passioni nella vita dell’uomo. (l’uomo qual è, non quale dovrebbe essere)
Nascita di un concetto più maturo di tolleranza: ammissione della pluralità degli atteggiamenti umani di
fronte al mondo. Pur derivando da Locke, l’idea di tolleranza degli illuministi risulta più estesa, non soltanto
perché comprende atei e cattolici, ma in quanto include, oltre alla religione, ogni altro tipo di attività umana.
Si sviluppa l’impegno nel far coesistere la varietà delle convinzioni filosofiche, morali e religiose.

■ Illuminismo e religione

L’Illuminismo, in particolare quello francese, si pone in polemica nei confronti delle religioni positive
(ebraismo, cristianesimo, islamismo), sviluppando i fondamenti di una religione naturale che rifiuta la
rivelazione. A differenza della religione positiva, basata sulla tradizione e legittimata dal richiamo ad
un’originaria rivelazione, la religione naturale è fondata esclusivamente sulla ragione.
Affermazione del Deismo: religione naturale fondata su verità comuni a tutti gli uomini:

● Esistenza di un Dio creatore al quale si giunge razionalmente, osservando l’armonia dell’universo


● Precetti morali riguardanti l’amore ed il rispetto per i propri simili

● Rifiuto del dogma considerato un complesso di credenze indimostrabili e del tutto superflue

Si sviluppa anche un indirizzo ateo che ritiene che la religione sia un fenomeno patologico ed irrazionale,
determinato da fattori quali l’interesse e la paura.

■ La fisiocrazia

La comune tensione alla scienza utile, che caratterizza la cultura dei Lumi, è alla base anche della
riflessione economica.
In particolare, si sviluppa la fisiocrazia, dottrina che si impone a metà del ‘700 e ritiene di aver scoperto
l’ordine naturale del sistema economico: le forme della produzione sono processi fisiologici della società,
leggi naturali risultanti dalla necessità della produzione stessa.
L’etimologia deriva da “potere della natura”, dal greco “physis” = “natura” e “kratèin” = “dominare”.
La fisiologia nasce come risposta ad un modo di intendere l’economia ritenuto ormai obsoleto.
Fin dall’inizio dell’età moderna si era posto il problema economico di connettere potenza e ricchezza.
La politica mercantilistica costituì il riflesso economico dello sforzo di centralizzazione del potere avviato
dagli Stati europei.
Temendo l’egoismo individuale come disgregante, l’azione politica fu diretta a razionalizzare l’ordine
economico, incapace da sé stesso di realizzare il benessere della collettività.
Il principe e i suoi ministri si trasformarono in programmatori, decidendo di volta in volta le scelte
economiche da attuare, comunque in un quadro di politiche protezionistiche.
Nell’ottima mercantilistica l’agricoltura non veniva trascurata, ma finiva per non essere valorizzata in
quanto ritenuta inesauribile. Ad essere privilegiati erano il settore industriale e quello commerciale.
Industria: arte moltiplicatrice di beni vendibili
Commercio: attività che traduce in danaro i beni prodotti
1700-1730: Reazione al mercantilismo.
I principi continuano ad applicare regole e programmi mercantilistici, ma gli economisti dubitano che
l’ordine economico sia irrazionale e credono che le leggi necessarie regolino non solo l’astronomia, la
fisica e la geologia ma anche l’economia.
Il movimento fisiocratico si organizza alla metà del ‘700 intorno ad un gruppo di personalità come François
Quesnay, Du Pont de Nemours, Mercier de la Rivière e Victor Riqueti de Mirabeau (il vecchio). Nel 1756
vengono pubblicati articoli dell’Encyclopedie (Fermier, Grains e altri riguardanti l’agricoltura e le imposte).
Il Tableau économique (1758-66) di Quesnay contiene la sintesi del pensiero fisiocratico e la sistemazione
organica della nuova teoria. Presenta il primo esempio di applicazione rigorosa del metodo scientifico ai
fenomeni economici.
Fondamenti filosofici della dottrina economica fisiocratica:

● Idea di un creatore benefico che ha dotato l’uomo del desiderio di felicità e dei mezzi per
raggiungerlo
● Per prevenire al benessere è necessario obbedire alle leggi naturali, fisiche (cui non ci si sottrae) e
morali (che l’uomo può o no accettare, ma l’essere ragionevole le accetta)
Quesnay nel Tableau sostiene che bisogna necessariamente seguire le leggi naturali per raggiungere il
benessere, inteso non in termini economici, ma di felicità (stare bene fisicamente, moralmente,
socialmente):

● L’uomo deve conoscere le leggi naturali

● La scienza le individua tramite l’economista, usando il metodo scientifico

● La politica le traduce in leggi positive e ne impone il rispetto

Secondo i fisiocratici:

● La natura ha dettato le leggi

● Il legislatore le traduce in leggi civili

● L’economista le volgarizza

Nello schema dottrinario della fisiocrazia, l’agricoltura costituiva l’attività primaria, l’unica capace di
creare ricchezza. L’agricoltura, grazie alla naturale fertilità del suolo, produce quel sovrappiù di ricchezza
(surplus, prodotto netto) che si realizza quando il risultato della produzione è superiore alla quantità di beni
impiegati per il sostentamento dei coltivatori. Il surplus è basilare per l’allargamento del sistema, mentre le
altre attività si limitano a trasformare o a distribuire.
I fisiocrati dividono la società in tre classi, secondo una visione utilitaristica che distingue lavoro
produttivo (in grado di dare un prodotto superiore al costo del lavoro erogato) e lavoro improduttivo:
1. Produttori: lavoratori impegnati nell’agricoltura, producono i beni in eccesso, il surplus
2. Proprietari terrieri ed esattori: si appropriano, con la rendita, del surplus e lo reinvestono in un
nuovo ciclo produttivo
3. Classi sterili: tutti gli altri, in quanto non producono nuova ricchezza ma la distribuiscono e la
trasformano soltanto
Si tratta di una suddivisione della massima importanza per il superamento della divisione in status o
ordini.
Il sistema economico fisiocratico doveva essere guidato dal “laissez-faire”: lasciato a sé stesso, avrebbe
autonomamente raggiunto l’equilibrio tra produzione, domanda e relativo prezzo.
Da queste idee derivarono proposte per un programma di riforme volto a favorire lo sviluppo di
un’agricoltura di tipo capitalistico e incentrato sulla libertà dei commerci (soprattutto dei grani),
l’abolizione dei dazi doganali, la soppressione dei privilegi e dei monopoli, l’introduzione di un’imposta
unica fondiaria con l’abbattimento del sistema vincolistico.
I punti cardine su cui doveva basarsi il sistema erano:

● Primato dell’agricoltura

● Affermazione della libertà di possedere, lavorare e commerciare

● Imposta unica fondiaria, essendo la terra l’unica base produttiva

● Disuguaglianza sociale

La fisiocrazia assunse un significato innovatore contro il sistema feudale, anche se suscitò adesioni tra
esponenti della vecchia cultura. Si configurò come l’espressione di precisi interessi politici e sociali della
borghesia fondiaria e agraria in quanto postulava: preferenza per la grande proprietà capace di investire e
superamento della distinzione tra proprietari nobili e proprietari borghesi.
I veri protagonisti di questo disegno erano i grandi proprietari, invitati a trasformarsi in imprenditori,
aggiornati sulle nuove tecniche di produzione, preparati sui modelli stranieri ed attenti ad occuparsi
dell’educazione e dell’istruzione dei contadini. I contadini venivano istruiti quanto bastava per farli
lavorare meglio e rimanere obbedienti.
Storicamente, questi programmi ottennero scarsi risultati e suscitarono critiche, soprattutto rivolte alle
proposte di liberalizzazione che nel breve periodo provocarono un forte rialzo dei prezzi dei generi di
prima necessità.

LE RIFORME NEL SETTECENTO

■ Il significato di “riforma”

All’inizio del Settecento, il termine “riforma” entra nel lessico politico europeo.
Dal significato di azione rivolta ad emendare i costumi e a rifondare la presenza della Chiesa nella
società dell’età moderna nell’ambito pastorale, educativo, della liturgia, della morale e socio-assistenziale, il
termine si sposta significativamente a definire la volontà politica che tende ad apportare negli ordinamenti
statali e nell’economia correzioni ed aggiustamenti tali da imprimere una forte spinta di cambiamento nella
direzione di obiettivi che vengono percepiti come innovatori.
Il termine, comunque, non cessò di intrecciarsi a tematiche religiose, non più come riferimento al piano
puramente dottrinario, come al tempo di Lutero, ma sempre di più a quello dei rapporti tra lo Stato e la
Chiesa, tra la volontà del sovrano di mantenere il potere assoluto ed i possibili condizionamenti esercitati
dalla Chiesa di Roma.

■ La periodizzazione

Appare necessario stabilire l’intervallo di tempo, identificabile negli anni ’60, ’70, ’80 del Settecento, che
vide affermarsi la cosiddetta “età delle riforme”.
È importante sottolineare che non ci si poneva l’obiettivo di sovvertire radicalmente le istituzioni ereditate
dal passato e la struttura socio-economica che fungeva da impalcatura del sistema.

■ Il dispotismo illuminato

La categoria storiografica che definisce il complesso manifestarsi di questo programma di cambiamento è


quella del dispotismo illuminato.
In realtà, tenendo presente la distinzione che nel Settecento era molto netta tra il concetto di dispotismo e
quello di assolutismo, è più corretto parlare di assolutismo illuminato. Gran parte della storiografia
continua però ad utilizzare la formula di dispotismo illuminato.
È evidente l’ambiguità dell’espressione che associa al sostantivo, l’aggettivo illuminato, palesemente in
contrasto con dispotismo, termine carico di implicazioni negative. Essa sembra quasi suggerire un rapporto
di causa-effetto tra movimento delle idee, l’illuminismo e politica dei sovrani.
Una relazione così diretta tra illuminismo e riforme non è sostenuta da alcuno studioso, tuttavia, è
innegabile che sia esistito un reciproco rapporto tra lumi e politica delle riforme. Secondo Franco Venturi,
dai lumi scaturirono le idee forza che si trasformarono nelle leve fondamentali del cambiamento politico
realizzato dai principi e dai loro funzionari, molto spesso intellettuali convinti della necessità di un loro
impegno diretto nel campo politico.
Studiosi come Carlo Capra evidenziano la relazione tra le idee di riforma e le forze sociali, i gruppi di
pressione, sostenitori o avversari dei progetti di cambiamento.
Gli storici appaiono d’accordo nel considerare il dispotismo illuminato del XVIII secolo come la risposta a
specifiche esigenze di rafforzamento militare e di riorganizzazione amministrativa e finanziaria,
configuratasi come il tentativo dei sovrani di conciliare la centralizzazione del potere, inteso a rimanere
assoluto nella sua volontà, e le esigenze di modernizzazione dei loro Stati.
Nonostante istanze di rinnovamento possano essere ritrovate prima (fine ‘700 e inizio secolo successivo) e
dopo il 1790, il periodo “classico” delle riforme è quello che intercorre tra il 1763 (fine della guerra dei Sette
anni) ed il 1789 (presa della Bastiglia), con opportuni adattamenti a seconda dei singoli casi.

■ Le riforme come potenziamento dello Stato

Le riforme appaiono sempre più come tentativi di potenziamento degli eserciti, riorganizzazione
amministrativa e finanziaria e incentivi ai mercati, resi necessari soprattutto dopo esperienze belliche di
notevole portata.
A vivere le più intense stagioni riformatrici furono i territori in cui la debolezza dei ceti emergenti e la
conseguente fragilità dell’opinione pubblica lasciavano allo Stato accentratore tutto lo spazio
dell’iniziativa. Qui i principi potevano assumere una funzione tutelare e paterna della gestione del regno,
in cui i sudditi restavano figli minori incapaci di esprimere un autonomo volere.
Finalizzata ad un benessere generale individuato dall’alto, questa politica sociale paternalistica era insieme
autoritaria e benevola, esercitata con metodi esclusivamente amministrativi.

■ Strategie di accentramento e razionalizzazione

Le esigenze di ordine politico, economico e giuridico, che si ponevano agli Stati verso la metà del
Settecento, spingevano i monarchi ad un progressivo accentramento del potere, ad erodere le strutture
particolaristiche e a limitare l’egemonia ecclesiastica.
Passaggi obbligati diventavano:
1. Il rinnovamento delle strutture e degli apparati amministrativi
2. Il riordino del fisco, con la creazione di strumenti di certificazione capaci di raggiungere anche le
aree delle esenzioni e dei privilegi
3. La riforma della giustizia, che imponeva necessariamente di abolire o almeno limitare il fondo
ecclesiastico e i tribunali signorili e soprattutto di separare gli affari giudiziari da quelli
amministrativi.
In Europa si affermò la tendenza ad unificare e razionalizzare le leggi vigenti attraverso un processo di
“codificazione”, a favorire una norma unitaria dettata dal potere regio e, in particolare, a rendere
obbligatoria la motivazione delle sentenze.
■ La lotta anticuriale

Avviata dai monarchi cattolici, alla battaglia anticuriale furono di supporto i rappresentanti della nuova
cultura dei lumi e i riformatori religiosi di ispirazione antigesuitica, rigoristica e giansenista, ai quali si
affiancavano le forze sociali interessate alla lotta contro i privilegi ei beni del clero.
Questo fronte eterogeneo si coagulò negli attacchi alle proprietà ecclesiastiche (manimorte) sottratte al
mercato per il divieto di scorporarle e venderle, come i patrimoni di molte famiglie aristocratiche bloccati
dai fedecommessi. La lotta giurisdizionalistica attaccava il fondamento stesso dei privilegi del clero, cioè
le immunità.
In particolare, la lotta si indirizzò contro la Compagnia di Gesù:

● Per la sua dipendenza diretta da Roma

● Perché esercitava il pieno controllo sulla formazione dei ceti dirigenti

● Perché i gesuiti influenti nelle corti difendevano le posizioni della Curia romana

● Perché aveva accumulato un immenso patrimonio fondiario

Il marchese di Pombal, ministro del Portogallo, cacciò i gesuiti nel 1759, prendendo come pretesto la
condanna di alcuni, accusati di aver cospirato contro il Governo. L’esempio fu seguito dalla Francia, dalla
Spagna e dal Regno di Napoli (1767).
Nel 1773 con Papa Clemente XIV avviene lo scioglimento della Compagnia.

■ Le riforme asburgiche

Al prestigio della corona imperiale non poteva corrispondere l’esercizio di un’autorità effettiva: i
problemi derivavano dalle resistenze dei principi tedeschi e dalla complessa struttura dell’impero.
Maria Teresa, salita al trono nel 1740, affida gli affari imperiali al consorte Francesco Stefano,
separandoli da quelli degli stati ereditari, semplificando le possibilità di indebolire i ceti territoriali.
Affiancata dal figlio Giuseppe, rafforzò l’esercito, riorganizzò gli apparati di governo, iniziò un processo
di codificazione del diritto, attuò una politica ecclesiastica moderatamente giurisdizionalistica, puntò
sull’istruzione per elevare il popolo e si sforzò di promuovere lo sviluppo dell’economia.
Maria Teresa creò uno stato moderno, con una sempre più forte tendenza all’accentramento politico-
amministrativo e con dicasteri non differenziati per territorio, ma specializzati per funzioni e
competenze.
La giustizia, per la prima volta separata dall’amministrazione, veniva riservata ad un dicastero supremo.
Per garantire necessari e regolari finanziamenti per l’esercito, li sottrasse al controllo dei ceti, facendo
votare per un decennio la contribuzione.
La Guerra dei Sette Anni rese più impellente garantire risorse per la macchina statale: ci si orientò verso
i beni della Chiesa, intensificando la lotta sul piano giurisdizionale ed estendendola a quello dei principi,
dopo la diffusione dell’opera di Giovanni Nicola Von Hontheim (Febronio), De statu ecclesiae (1763).
L’ingerenza del potere regio nel campo spirituale si accentuò con il giuseppinismo.
Giuseppe II, dal 1780 sul trono imperiale:

● Sottrazione della censura al clero


● Soppressione dei piccoli conventi, lotta alla manomorta, confisca dei beni ecclesiastici,
ristrutturazione diocesi e parrocchie, riforma dei seminari, clero cattolico impegnato anche in
compiti civili
● Nel 1781 concessione diritti civili agli ebrei e patente di tolleranza per la partecipazione alla vita
civile di luterani, calvinisti e greco-ortodossi
● Vasto programma educativo con un sistema organico dalle elementari all’università; istruzione
primaria obbligatoria e scuole in ogni parrocchia con metodo “normale”
Riforme socio economiche:

● Provvedimenti contro abusi tribunali feudali e avvio abolizione servitù della gleba

● Misure mercantilistiche ma aperture alle idee liberistiche e fisiocratiche

● Nuovo catasto dei beni fondiari imposto con la forza ai nobili ungheresi

Riforme giuridiche:

● Codice penale del 1787: abolizione della tortura ma estrema severità delle pene; attenta vigilanza
della polizia segreta per reprimere i “delitti politici”; limitata libertà di stampa.
Di conseguenza, i Paesi Bassi meridionali si spinsero a dichiarare l’indipendenza, così come anche
l’Ungheria minacciava sommosse.
Abbandonato dal favore dell’opinione pubblica illuminata, che gli contestava i metodi dispotici, Giuseppe II
moriva nel febbraio 1790.
Il fratello Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, che ascese al trono col nome di Leopoldo II (1790-92),
avrebbe voluto riprendere gli interventi riformatori orientandoli verso un modello di monarchia
costituzionale, ma prima dovette pacificare il paese ormai sull’orlo della disgregazione, che raggiunse con
una serie di compromessi che finirono per smantellare l’opera di Giuseppe II.

■ Le riforme in Prussia

All’inizio del secolo la Prussia non appariva in grado di competere con le grandi potenze europee né con i
più ricchi principati tedeschi. Era stato Federico Guglielmo I (1713-40) a creare un esercito moderno ed
efficiente. La disciplina ferrea non riguardava soltanto i soldati, ma si estendeva all’intera società civile,
accelerandone la trasformazione sotto il controllo di un governo di impronta burocratico-militare.
Federico II, salito al trono nel 1740, poté quindi contare su un esercito forte, un’amministrazione sana e una
situazione economica consolidata. Amico dei philosophes ed in particolare di Voltaire, sin dall’inizio del suo
governo si era preoccupato di dare vigore all’Accademia di Berlino e di rendere, per primo in Europa,
l’istruzione primaria obbligatoria (1763).
Autore di trattati politici e letterari, si muoveva guidato dal criterio dell’utilità dello Stato, che perseguitava
con forte tenacia, continuando la politica paterna di rafforzamento militare e burocratico.
Dal punto di vista della dialettica tra i ceti, favorì una sorta di compromesso tra la monarchia e gli Junkers ai
danni della borghesia urbana e dei contadini per spartire le sfere di competenza: al re la politica e alla nobiltà
l’economia.
In campo economico adottò una politica protezionistica, favorendo lo sviluppo manifatturiero e
incrementando il settore minerario e metallurgico. Con incentivi statali sostenne una politica di
colonizzazione delle terre orientali, incoraggiando l’immigrazione dei tedeschi ed accogliendo
indifferentemente cattolici, protestanti ed ebrei.
Questa scelta di tolleranza religiosa rispondeva non solo ad un atteggiamento umanitario e ad una scelta
utilitaristica, ma anche ad un programma ideologico di matrice massonica.
La massoneria, straordinario elemento di coesione nell’esercito, ebbe un ruolo centrale nella Prussia di
Federico II, mitico modello di sovrano Gran Maestro. La “fratellanza” faceva sentire il suo influsso anche
nella società civile, impegnandola nel “lavoro” di costruzione di una coscienza civica della disciplina e del
decoro.

■ Le riforme in Russia

Anche in Russia le difficoltà finanziare dovute alla Guerra dei Sette Anni imposero un intenso programma di
riforme. Ad attuarlo non fu Pietro III, osteggiato dalla nobiltà di corte per un’evidente instabilità di carattere,
venne deposto con un colpo di stato dalla giovane moglie Caterina II (1762-96), proclamata “autocrate di
tutte le Russie).
Caterina si trovò a governare un paese immenso, a cui dalla fine del Seicento, Pietro I il Grande (1689-1725),
aveva imposto un processo di potenziamento dell’esercito e della marina e di ammodernamento dell’apparato
statale secondo i modelli occidentali:

● Sostituzione della Duma dei boiari con un Senato nominato dallo zar per il controllo dei governatori
delle province
● Nobiltà indotta a frequentare scuole professionali per inserirsi nell’amministrazione

● Tabella dei ranghi che regolamentava le carriere in base al merito e all’anzianità di servizio.

Lo zar aveva inteso perseguire l’asservimento dell’aristocrazia agli interessi dello Stato.
Per risanare le finanze dissestate, la zarina attinse dalle ricchezze della Chiesa ortodossa, roccaforte della
cultura tradizionale. Nel 1764 confisca tutte le proprietà della Chiesa, con la soppressione di 500 conventi su
900. Il decreto consentì di risanare in parte il bilancio e di finanziare i nuovi istituti di istruzione e,
stipendiando il clero, lo rese del tutto subordinato all’autorità civile.
Nella stessa occasione, per un milione di contadini servi fu decretato il passaggio allo Stato e quindi migliori
condizioni di vita.
Nel 1767 viene istituita una commissione legislativa per fornire materiale conoscitivo sui problemi
economici del paese. L’istruzione (Nakaz), redatta dalla zarina per i lavori della stessa commissione,
indicava le linee del suo programma riformatore interamente tracciato sulle opere dei philosophes.
Da tali iniziative non scaturì nessun nuovo codice di leggi. Lo Stato russo trovò equilibrio in un doppio
contemporaneo processo: accentramento burocratico ma asservimento dei contadini alla nobiltà terriera. Il
potere dei signori sui servi si estese sempre di più: il prezzo della modernizzazione ricadeva sul mondo
contadino.
Con alcune leggi emanate fino al 1775 si liberalizzarono le attività commerciali e manifatturiere,
conservando tuttavia alcuni privilegi e monopoli ai nobili. Nonostante però questi incentivi allo sviluppo, le
condizioni delle campagne restavano precarie, attraversate da rivolte endemiche, esposte a crisi dovute a
cattivi raccolti, devastate tra il 1771-72 dalla pestilenza.
Emiljan Pugavec, cosacco del Don, organizza la rivolta tra il 1773-74. Proclamatosi il redivivo zar Pietro
III, raccolse un esercito di servi sfuggiti alla schiavitù, operai e “vecchi credenti”, denunciava gli abusi dei
padroni e predicava la libertà per i contadini e la spartizione delle terre. Domata la rivolta dall’esercito,
Pugacev fu giustiziato a Mosca nel 1775. Con la sua esecuzione si pose fine a qualsiasi progetto filo-
contadino.
La zarina emanò nel 1785 la Carta della nobiltà:
● Confermati, con uno statuto legale, distinzione e predominio sociale

● Diritto di sottrarsi al servizio nell’amministrazione statale imposto da Pietro il Grande

● Nel 1782 la Commissione per le scuole nazionali elaborò un piano di riforma organico ed articolato
che, tuttavia, escludeva le campagne

■ Le riforme negli Stati italiani

Anche per gli Stati italiani è possibile riscontrare uno slittamento del termine “riforma” dal vocabolario
religioso a quello economico/politico.
Dopo le Guerre di Successione e la Guerra dei Sette Anni, si raggiunse una certa stabilità nella penisola,
nella convinzione che ogni Stato avrebbe mantenuto il proprio assetto. Aspetto singolare di questo periodo,
fu la presenza di Stati indipendenti
Rispetto ad altre realtà europee, i progetti riformistici in Italia furono caratterizzati da una maggiore
concretezza. Le iniziative portate avanti partivano da un’attenta analisi della situazione reale, senza
disperdersi in astratte speculazioni.
I sovrani si resero conto della necessità di dover distribuire meglio la pressione fiscale e diminuire il
controllo della feudalità. Le decisioni prese in tali ambiti furono, comunque, diverse da Stato a Stato.
Si può affermare che se gli Stati sotto l’influenza asburgica (Lombardia austriaca e Toscana dei Lorena)
avanzarono più spediti sulla via del rinnovamento delle strutture amministrative, finanziarie e politiche, il
Regno di Napoli si distinse per la vivacità del dibattito culturale più che per le capacità realizzatrici.
Anche i paesi non attraversati da mutamenti dinastici o cambi dei ceti dirigenti non possono essere ritenuti
esclusi dalla ventata di rinnovamento. Persino nello Stato Pontificio si avvertì una ventata di rinnovamento
che tuttavia si arrestò di fronte alle resistenze di una realtà dominata da antichi privilegi, da equilibri
consolidati e da un’economia frenata da vincoli.
Fu nella politica anti ecclesiastica che si manifestarono aspirazioni alle riforme, sia a Venezia, richiamandosi
alla celebre tradizione giurisdizionalistica, risalente a Paolo Sarpi, e sebbene meno incisiva, nella Repubblica
di Genova. Il Ducato di Modena seppe condurre una più decisa politica giurisdizionalistica e di
rinnovamento delle istituzioni culturali e assistenziali. Ma fu soprattutto il Ducato di Parma, Piacenza e
Guastalla, guidato da Guillaume du Tillot, a spingere sino alla rottura il contrasto con Roma, soprattutto con
la Costituzione dei nuovi Regi studi, redatta dal teatino Paolo Maria Paciaudi, che rappresenta una svolta
significativa nella storia dell’istruzione pubblica e un modello per iniziative analoghe adottate in altri
contesti territoriali.
Considerato ai margini del movimento riformatore, il Piemonte sabaudo aveva sviluppato precocemente un
modello di Stato assolutistico, elemento di rinnovamento in un clima culturale senza grandi fermenti e in una
società civile non particolarmente vivace.
Con Carlo Emanuele III e poi con Vittorio Amedeo III, si attuò una politica di riduzione degli abusi della
feudalità laica ed ecclesiastica. Furono adottati una serie di provvedimenti amministrativi e fiscali in
Sardegna ad opera di Giovanni Battista Bogino e in Savoia, come l’audace abolizione del regime feudale
decretata nel 1771 e attuata a partire dal 1778. Importante fu la scelta di privilegiare la formazione del
personale militare, soprattutto dei quadri tecnici dell’artiglieria e del genio.
La dimensione statuale del mondo scientifico subalpino, che aveva come modello di riferimento Parigi, si
manifestò nelle vicende dell’Accademia delle Scienze destinata ad assumere una funzione centrale nella vita
dello Stato sabaudo.
Ma è soprattutto nella Lombardia austriaca che le riforme attecchirono secondo i ritmi imposti da Vienna. Il
risanamento delle finanze fu affrontato con una Ferma generale, che accorpava gli appalti dei dazi, e con
l’istituzione di un banco pubblico, detto Monte di Santa Teresa.
Sul piano amministrativo si rafforzò il controllo delle province attraverso funzionari regi dipendenti da un
dicastero centrale.
Il catasto, potato a compimento ad opera di una Giunta regia guidata da Pompeo Neri, nonostante la ferma
opposizione del patriziato milanese, consentì di imporre dal gennaio 1760 un nuovo sistema censuario e una
più equa ripartizione dell’imposta fondiaria.
Grazie al confronto, sempre dialettico, con le élites locali, furono possibili esperienze come quella maturata
tra i giovani raccolti intorno ai fratelli Verri e al giornale “il Caffè”. Vide la luce l’opera di Cesare Beccaria,
Dei delitti e delle pene, destinata ad attraversare le frontiere dell’Europa delle riforme.
Dal 1765 a una Deputazione agli studi fu affidato il riordino delle Scuole Palatine di Milano e dell’Università
di Pavia: nuove cattedre, biblioteche, accademie, un osservatorio astronomico e il Teatro alla Scala (1778)
vivacizzarono la vita culturale lombarda, mentre prendeva corpo una scuola elementare statale.
Per sovraintendere agli affari economici e finanziari e favorire lo sviluppo manifatturiero e commerciale fu
istituito il Supremo Consiglio di economia, i cui membri venivano reclutati in base a specifiche competenze.
Le riforme nel campo della giustizia risultarono incisive: nel 1771 gli affari giudiziari furono riservati al
Senato, mentre quelli amministrativi restavano di competenza di un magistrato camerale rinnovato con a
capo Gian Rinaldo Carli.
Nel 1786 viene soppresso il Senato e istituito un sistema giudiziario semplice, articolato in prima istanza,
tribunale d’appello e tribunale di revisione.
Tenaci erano state anche le resistenze dell’aristocrazia nella Toscana di Francesco Stefano di Lorena (1737-
65) che dal 1745 risiedeva a Vienna dopo aver assunto la corona imperiale. Ma con il granduca Pietro
Leopoldo, figlio di Francesco Stefano, la Toscana visse la più organica ed efficace politica di riforme degli
Stati italiani. Il giovane principe seppe guadagnarsi il consenso delle forze locali. Con la collaborazione di
Giulio Rucellai, Francesco Maria Gianni e soprattutto Pompeo Neri, la carestia del 1763-64 trovò in Toscana
rimedi innovativi nell’abbattimento del sistema vincolistico, vero freno alla produzione e al commercio dei
grani.
Il granduca aderì alla scelta liberistica sostenuta dal movimento fisiocratico:

● Libera compravendita ed esportazione delle derrate (1767)

● Soppressione delle corporazioni delle arti e dei mestieri (1771)

● Abolizione dell’Annona (1775) ed eliminazione delle dogane interne (1781)

● Riforme destinate a migliorare le condizioni di vita dei contadini: bonifica della Maremma e
allivellazione (cioè distribuzione con contratti temporanei delle terre demaniali ed ecclesiastiche ai
coltivatori)
In seguito, furono affrontati i temi della riforma dello Stato e della giustizia con un reale decentramento dei
poteri (la riforma comunitativa) e un progressivo ampliamento dei diritti politici.
Il Codice penale del 1786, ispirato alle idee di Cesare Beccaria, per primo in Europa aboliva la pena di
morte. Il progetto di Costituzione, redatto da Francesco Maria Gianni nel 1782, anche se non divenne mai
operante, prevedeva l’istituzione di un’assemblea rappresentativa, fortemente limitativa dei poteri del
sovrano.
L’impronta riformistica di Pietro Leopoldo si manifestò anche nella politica ecclesiastica con una
progressiva affermazione dell’autorità statale nei confronti dell’episcopato e con aspirazioni all’autonomia
della Chiesa toscana da Roma sostenute da Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, fautore di un
programma di rinnovamento pastorale e dottrinale. Tuttavia, di fronte alla opposizione della maggioranza dei
vescovi toscani, il granduca lasciò cadere le proposte avanzate nel sinodo di Pistoia del 1786.
La sua ascesa al trono imperiale nel 1790 avrebbe posto fine ad una fase di riforme che aveva realizzato
profonde trasformazioni nelle istituzioni e nella società civile.
Meno radicale si presenta l’attività riformatrice del Regno di Napoli, anche se grandi attese avevano
accompagnato l’avvento al trono del giovane don Carlos (1734) e la fondazione della monarchia borbonica.
Nonostante gli entusiasmi suscitati, lo splendore di una corte finalmente di nuovo a Napoli, la figura del
giovane re, le speranze di rinascita, di trasformazione e di cambiamento rispetto al passato viceregale, quindi
periferico, il regno di Carlo non era sicuro. Soltanto nel 1744, sconfiggendo gli austriaci a Velletri, si aprì per
davvero una nuova fase politica.
Al fianco del sovrano, tecnici e politici toscani o spagnoli, detti afrancesados, avviarono la prima fase di
riforme istituzionali con il riordino delle segreterie e la soppressione del Consiglio del Collaterale (1735), un
organo che rappresentava esclusivamente le posizioni più conservatrici.
Di particolare interesse per il suo valore innovativo e per l’ampiezza delle competenze riconosciutegli, è il
Supremo Magistrato del commercio, istituito nel 1739 con l’intenzione di liberare le attività economiche
dalle lentezze del sistema giudiziario. Questa, come altre iniziative che miravano a mette ordine nel campo
della giustizia e delle finanze, erano destinate a fallire soprattutto sotto la spinta della crisi determinata dalla
Guerra di Successione austriaca e dal pericolo di un’invasione del Regno da parte delle truppe imperiali.
Anche il tentativo di codificazione carolino si arenò nelle secche si un sapere giuridico tradizionale, ma
soprattutto a causa di una struttura giuridica del Regno che conservava il suo dualismo ministeriale e feudale.
Resistenze e interessi costituiti presenti in ogni sfera della vita civile rendevano frammentaria e stentata
l’azione del governo, anche quando le proposte di rinnovamento venivano formulate con lucidità dagli
intellettuali meridionali influenzati dal pensiero illuministico, come Antonio Genovesi.
Il fiorire di idee, progetti e indagini sul territorio non si accompagnò a un’adeguata capacità realizzatrice
negli anni della Reggenza (1759-67) e con l’avvio del regno di Ferdinando IV.
Così accadde in occasione della carestia del 1763-64, quando l’auspicata politica di liberalizzazione fu
frenata dai timori di contraccolpi sul piano internazionale e di rivolte interne ed impedita non solo dalla
debolezza del governo guidato da Bernardo Tanucci, ma soprattutto dalla mancanza di concrete alternative
sociali e finanziarie al sistema distributivo meridionale.
Il licenziamento di Tanucci (1776), fortemente voluto dalla regina Maria Carolina, sottrasse definitivamente
il paese all’influenza spagnola per attirarlo nell’orbita austriaca. Così si apriva una stagione di riforme
annunciata dagli intellettuali come una “pacifica rivoluzione” finalizzata a trasformare radicalmente Stato e
società.
In realtà nel Meridione, nonostante si avvertissero fenomeno dinamici proprio delle società europee del
XVIII secolo, la congiuntura settecentesca non riuscì ad intaccare le antiche debolezze strutturali.
Migliori successi sortì la battaglia anticuriale, sostenuta da una tradizione che si rifaceva all’opera di Pietro
Giannone, fatta rinvigorita dalla cultura dei lumi.
Il regno era feudo del Papa e ciò poneva gravi problemi alla stessa sovranità del monarca. Tappa
fondamentale del rapporto Stato/Chiesa si rivelò il Concordato del 1741, che però lasciò aperte molte
questioni: le immunità venivano sono limitate ma non abolite; si stabiliva il principio di tassazione per i beni
ecclesiastici ma senza misure concrete; il problema del numero degli ecclesiastici; il problema della
manomorta. Dopo l’espulsione dei gesuiti (1767), la politica ecclesiastica napoletana negli anni ’80
manifestò un’accanita durezza contro Roma.
L’altro fronte della politica di riforme riguardava la lotta contro i feudi. La centralità della questione feudale,
individuata da tempo dagli intellettuali e denunciata con forza da Gaetano Filangieri nella Scienza della
legislazione, trovava conferma nella quotidiana pratica di governo.
Meno controllabile risultava l’ampia autonomia di cui godeva la Sicilia. Tra il 1781-85, il viceré Domenico
Caracciolo lottò contro i poteri costituiti. Riuscì a limitare alcuni abusi della giurisdizione feudale
difendendo i contadini dalle condizioni di asservimento e si oppose con successo all’Inquisizione spagnola,
ma vide frantumarsi il suo progetto di catasto che, riformando il sistema tributario, avrebbe leso gli interessi
dei potenti dell’isola.

LA FORMAZIONE DEGLI STATI UNITI

■ Le prime colonie inglesi

Le prime colonie inglesi si formarono col trasferimento oltreoceano di gruppi religiosi (Puritani) e politici
sconfitti o emarginati (padri pellegrini): congregazionisti in Massachussets (1630), monarchici
anticromwelliani in Virginia (1650) e quaccheri in Pennsylvania (1682).
Nel maggio 1620, 115 esuli inglesi, calvinisti, si imbarcano a Plymouth sul vascello Mayflower per fondare
in America una “nuova Gerusalemme”.
Nel luglio successivo, i padri pellegrini sbarcano presso Boston e pronunciano un solenne giuramento
(Covenant): un patto fra eguali e con Dio, finalizzato al benessere generale.
Nasce la libera colonia del Massachussets, a Boston, primo nucleo della “nuova Inghilterra”.
Indotti all’esilio nelle colonie, i Puritani scelgono il Nuovo Mondo come terra di missione (colonizzazione
e conversione), alla ricerca di un luogo per sfuggire a disoccupazione e persecuzioni religiose e politiche.

■ La colonizzazione inglese

Si tratta di colonie fondate dalle compagnie mercantili-società per azioni (impresa privata), con appoggio
della corona e da organizzazioni religiose.
Risultano assenti un piano organico generale, una burocrazia centrale e una feudalità trapiantata (a
differenza dei viceré spagnoli).
L’amministrazione è a carico degli stessi coloni ma i Governatori vengono nominati e sono dipendenti
solo dal re, non rispondendo al Parlamento.
Vi è una separazione fra potere esecutivo (governatore e funzionari) e legislativo (assemblee locali):
Governo locale di tipo repubblicano (i coloni godono dell’Habeas corpus e di giurie popolari).
Le colonie divengono, rispetto all’Inghilterra, una sorta di mondo alla rovescia a causa della mancanza di
un’aristocrazia ereditaria, della tolleranza e del pluralismo religioso e della mobilità sociale e geografica
(incrocio etnico fra coloni europei).

■ Le 13 colonie inglesi

La politica economica della madrepatria:


Gli Atti di navigazione risultano la gabbia economica di riferimento, ma è presente un’ampia
libertà all’interno del sistema con esenzione dalle tasse e protezione militare.
Il commercio è destinato solo alle navi inglesi: le merci di altri paesi dovevano prima arrivare in un
porto inglese e poi in quelli delle colonie.
Forti vincoli alla attività mercantile americana:

● Limitazione nella produzione manifatturiera (solo per fabbisogno interno) con conseguente
impedimento allo sviluppo industriale
● Le colonie forniscono alla madrepatria materie prime agricole

● Assorbono manufatti provenienti dalle industrie inglesi

Non si può parlare di sfruttamento economico delle colonie, ma di crescita indotta dalla madrepatria.
L’economia delle 13 colonie:
L’eccezionale sviluppo dell’America del Nord è testimoniato da alcuni dati: indice demografico che sale
dai 40mila abitanti di metà ‘600 a 2 milioni di abitanti a fine ‘700, e gli indici economici tutti positivi e in
vertiginosa crescita. Tuttavia, lo sviluppo non risulta uniforme, occorre distinguere:
Nord (Massachussets, Connecticut, Rhode Island, New Hampshire = New England):

● Colonie connotate religiosamente (puritani)

● Diffusione piccola e media proprietà

● Produzione agricola per il mercato (vocazione atlantica)

● Élites attive e capaci di controllare politicamente la società (esperienza pattizia)

Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania):

● Maggiore articolazione linguistica (olandesi, tedeschi)

● Notevole urbanizzazione

● Forte sviluppo del commercio e della finanza

Sud (Delaware, Maryland, Virginia, Nord e Sud Carolina, Georgia)

● Insediamenti meno urbanizzati

● Composto profilo religioso

● Economia agricola (tabacco) fondata sulla schiavitù (gerarchia sociale cristallizzata, non troppo
diversa delle campagne inglesi dominate dalla gentry)

■ Istituzioni e cultura politica

Esperienze di auto-governo delle colonie grazie all’esistenza di peculiari istituzioni rappresentative: ruolo
politico delle assemblee elettive locali.
Vita politica caratterizzata da:
● Alto tasso di partecipazione popolare (acquisizione delle “competenze coloniali” nel gestire i
conflitti con i governatori)
● Elevato sviluppo dell’opinione pubblica grazie all’alto grado di alfabetizzazione e alla diffusione di
strumenti di informazione
● Circolazione delle idee dell’illuminismo europeo e del repubblicanesimo

● Idea virtuosa della politica come controllo sui detentori del potere in favore del bene pubblico

● Dipendenza imperiale con l’imposizione di regolamentazioni e controlli commerciali ma


insufficiente controllo politico da parte del governo inglese che per molto tempo adotta una politica
di “salutare negligenza”
● Vigile tutela

● Pragmatica tolleranza (compromessi sul rispetto della legislazione mercantilistica con le forze
politiche attive nelle assemblee locali)
● Solido legame con la madrepatria (rispetto della tradizione costituzionale inglese e della Common
Law)

■ I prodromi della crisi (1740-60)

Negli anni ’40-’50 cresce l’ostilità per la partecipazione ai conflitti con Francia e Spagna.
Si diffonde il movimento del “grande risveglio” che propone l’America come terra promessa, sede di una
radicale rigenerazione delle forme di convivenza tra gli uomini.
Tra le molteplici forme di conflittualità sociale e di lotta tra fazioni nelle città americane emergono le classi,
portatrici di interessi divergenti: i contrasti si riverberano nelle assemblee locali per la questione dell’accesso
alle terre dell’Ovest e la concessione del diritto di voto alle nuove comunità.
Le relazioni imperiali subiscono modifiche a causa del venir meno di alcuni accordi “informali”.
Si apre una stagione di accentuata centralizzazione, imposta anche dal quadro conflittuale europeo.
L’ampliamento dell’impero impone una nuova politica coloniale “autenticamente” imperiale.
Dopo la Guerra dei Sette Anni si progettano interventi organici per riorganizzare l’impero, scaricando
l’aumento del debito pubblico sulle colonie.

■ Il momento della protesta (1764-68)

Dal 1763 il governo guidato da Lord Grenville adotta una nuova politica fiscale che intende gravare anche
sulle colonie. La stretta fiscale doganale si concretizza con:

● Sugar act (1764), che aumenta i prezzi riguardo l’importazione di zucchero dai Caraibi inglesi

● Stamp act (1765), tassa su carta da bollo per finanziare le spese di governo in America

Di conseguenza, i reazionari richiedono “nessuna tassazione senza rappresentanza”, un parlamento senza


rappresentanti delle colonie non può decidere per loro l’aumento delle tasse.
Si presentano tensioni generalizzate e proteste avente carattere generale, intercoloniale: i coloni si
accorgono di non avere interessi comuni e si attivano in difesa della libertà.
Nel 1766 viene revocato lo Stamp Act ma viene emanato il Declatory Act, che legittima il potere del
Parlamento di legiferare per le colonie in qualsiasi caso.
Tentando di trovare una conciliazione viene proposta una sorta di pariteticità tra governo delle colonie e
Parlamento inglese garantita dal sovrano: alle assemblee e ai governatori le materie “interne”, al Parlamento
le materie “esterne” o imperiali.

■ Il momento della resistenza (1768-74)

Negli anni seguenti, l’inasprimento fiscale provoca violente proteste e la nascita di movimenti politici
separatisti come i Figli della Libertà.
Nel 1770 avviene il massacro di Boston, con aggressioni ai danni di funzionari imperiali.
Nel 1773 si verifica il Tea Party a Boston, dove un carico di tè viene distrutto dai Figli della libertà
travestiti da indiani per reagire alla concessione alla East India Company del monopolio del commercio del
tè in America.
Durante il Primo Congresso continentale di Filadelfia del 1774, i coloni rivendicano l’autogoverno e il
boicottaggio delle merci inglesi. Prevalgono orientamenti moderati con l’invio di una petizione al re
Giorgio III, che però risponde con la dichiarazione dello stato di rivolta, chiudendo le prospettive di
conciliazione.
Durante il Secondo Congresso del 1775, George Washington viene nominato a capo delle milizie e
avvengono i primi scontri armati con l’esercito inglese.

■ La guerra d’indipendenza (1775-83)

Il 4 luglio 1776 viene pubblicata la Dichiarazione d’indipendenza.


Vengono dichiarati come diritti inalienabili la vita, la libertà e la ricerca della felicita e il diritto a darsi un
nuovo governo che li rispetti. Prevale una filosofia di fondo radicale ed individualistica che valorizza la
libertà repubblicana, la sovranità popolare e la proclamazione dei diritti naturali.
Tuttavia, rimangono delle contraddizioni come la schiavitù, e una serie di problemi:

● Autonomia dei congressi delle singole colonie rispetto al governo centrale

● Si apre il dibattito per la Costituzione

● Profonde differenze di mentalità che si riflettono su questioni cruciali come la schiavitù.

La guerra si presenta con vittorie iniziali, grazie anche alle alleanze con Francia, Spagna e in seguito con
l’Olanda.
Tra le più importanti vittorie americane è compresa la Battaglia di Saratoga del 1777.
Benjamin Franklin, filosofo e scienziato, inviato in Francia, visita logge massoniche.
Seguono gli interventi militari della Francia, della Spagna e dell’Olanda e la vittoria degli alleati a
Yorktown nel 1781.
Con la Pace di Versailles del 1783, viene riconosciuto da parte inglese l’indipendenza degli Stati Uniti.
■ La ricostruzione istituzionale (1776-89)

1776-77, le colonie assumono nuovi ordinamenti costituzionali e avviene l’esodo dei lealisti americani.
Poteri accentrati nelle assemblee legislative elette da proprietari e contribuenti, ma rivalità fra gli Stati e
accentuazione del peso degli interessi locali.
Il Congresso continentale di Filadelfia nel 1777 propone l’approvazione di un progetto di costituzione
comune.
Nel 1781 vengono ratificati gli Articoli di Confederazione, il primo documento di amministrazione degli
Stati Uniti, che rimangono in vigore fino al 1789.
Avviene una duplice ricostituzione. Comunità politiche ex coloniali su basi costituzionali nuovi.
Unione interstatale in grado di svolgere il ruolo già appartenuto all’autorità imperiale, ma nelle forme e nei
modi dettati dalla Costituzione (al Congresso vengono conferiti i poteri in politica estera e difesa).
Subito si rivela l’insufficienza della struttura confederale dovuta a un’eccessiva preponderanza dei singoli
Stati. Risultano troppo limitati i poteri del Congresso, privo di autonomia finanziaria e di reale autorità
esecutiva.

■ Nuovi valori e principi costituzionali

Il Parlamento non può limitare alcuni diritti fondamentali sanciti dalla natura, dalle consuetudini e dalle
leggi: la libertà, l’eguaglianza, la proprietà, la supremazia della legge, il governo attraverso il consenso e le
garanzie giuridiche.
I costituenti americani sono debitori nei confronti di Locke, ma per la prima volta i diritti dell’uomo
presiedono alla costituzione scritta di un nuovo Stato.
Principi costituzionali sanciti:

● Sovranità popolare

● Democrazia

● Divisione tra potere costituente e potere sancito (tra legge fondamentale e ordinaria)

● Laicità dello Stato e libertà religiosa

● Affermazione dei cardini del repubblicanesimo (governo a tutela del bene generale; virtù pubblica
come valore regolativo; unione tra interessi privati e interessi della comunità)

■ Verso il sistema federale

Instabilità e gravi incertezze caratterizzano la vita politico-istituzionale degli Stati Uniti negli anni ’80: è
necessario riformare gli Articoli di Confederazione data la conclamata inadeguatezza della scelta
confederale.
Ci si domanda quale rapporto deve esserci tra la sovranità “imperiale” o repubblicana del centro e la
sovranità dei singoli stati membri dell’unione.
Negli anni ’80 si sviluppa un movimento detto “nazionalista” o “federalista”, favorevole alla revisione degli
Articoli di Confederazione in modo da creare un forte potere federale.
Tra il 1787-89 viene redatto a Filadelfia un nuovo testo costituzionale caratterizzato da brevità e chiarezza
composto da solo 7 articoli suddivisi in 21 sezioni.
Il sistema federale risulta il più adatto ad una repubblica di grandi dimensioni ed articolato in un sistema
bicamerale elettivo, fondato sull’istituto della rappresentanza.

■ La repubblica federale

Il potere legislativo è detenuto da un Congresso formato da Senato e Camera dei rappresentanti.


Assemblee elettive:

● Camera eletta direttamente dai cittadini (con un numero di seggi proporzionale alla popolazione)

● Senato eletto da assemblee statali in ragione di due membri per ogni Stato per assicurare la
rappresentanza degli interessi locali.
Le materie di competenza del Congresso riguardano: finanze, commercio, moneta e giustizia.
Il potere esecutivo è detenuto dal Presidente, eletto dal popolo attraverso un sistema a doppio grado (grandi
elettori), con un mandato di 4 anni, rinnovabili. Tra i poteri figurano: veto sospensivo delle leggi federali,
nomina dei ministri, direzione della politica estera, comando delle forze armate e designazione dei giudici
della Corte Suprema.
Il primo Presidente eletto nel 1789 è George Washington, rieletto anche nel 1793.

■ Conclusioni

1793: problema dei debiti di guerra assunto dal governo (gli speculatori approfittano). Controllo del governo
centrale sul credito e sulla moneta
1790: decisa la costruzione di una città capitale: Washington
1791: Banca deli Stati Uniti
1791: nasce il Partito Repubblicano (antifederalista)
1800: viene eletto Thomas Jefferson, primo Presidente repubblicano
Dalla crisi politica dell’impero britannico prende avvio uno Stato indipendente dotato di un inedito profilo
costituzionale, basato su una Costituzione scritta, frutto della sovranità popolare, destinata a durare nel
tempo.
Una Costituzione che si palesa come esito di una serie di compromessi tra forze locali e tendenze centripete
espresse dai federalisti (Madison, Hamilton Morris) fautori di un potere federale solido. L’ottica
compromissoria appare testimoniata anche dal problema irrisolto a livello nazionale della schiavitù e dallo
scontro continuo tra federalisti e repubblicani, quale espressione politica dei conflitti aperti nella società
americana in tema di interessi, ideologie, interpretazioni del significato della stessa rivoluzione e sui caratteri
e il futuro di una nazione in via di modernizzazione capitalistica, all’insegna dell’individualismo
competitivo. Ampissima risonanza in Europa di un avvenimento che viene recepito come l’alba di un’epoca
caratterizzata dalla libertà, dai diritti e dal progresso.
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Si tratta di un complesso di trasformazioni nel modo di produrre i manufatti, che determinò, a sua volta, un
profondo ed irreversibile mutamento nei consumi, nel modo di vita e nei rapporti sociali.
Alla fine del Settecento si vedono realizzare cambiamenti di vasta portata solo in Inghilterra, mentre nei
paesi dell’Europa continentali occorre attendere il XIX secolo.
Condizioni che resero possibile in Inghilterra la rivoluzione industriale:

● Domanda in continua espansione a causa dell’allargamento del mercato interno ed internazionale


(aumento dell’export)
● Scarsa manodopera in alcuni settori della lavorazione

● Capacità tecnica ed inventiva nel creare congegni in grado di moltiplicare la produzione

● Fonti di energia poco costose per lo sfruttamento

● Disponibilità di capitali per l’acquisto dei macchinari e per il relativo investimento/rischio

● Fiducia nella stabilità del quadro politico e legislativo con tutela del diritto di proprietà e dei brevetti

● Autoconsumo ridotto e unificazione del mercato interno

● Controllo del governo esercitato dalle classi abbienti

Presupposti dell’evoluzione dell’agricoltura inglese:

● Notevole sviluppo enclosures

● Massimi vantaggi per grandi proprietari

● Sviluppo colture intensive

● Adozione su larga scala del ciclo del Norfolk

● Attenta selezione di sementi

● Intenso utilizzo di attrezzi agricoli perfezionali

● Cresce il numero dei non addetti all’agricoltura (circa la metà della popolazione attiva)

Passaggio al sistema di fabbrica: concentrazione del lavoro nelle fabbriche, prima nel settore del cotone e poi
negli altri settori. Si passa dalla bottega artigiana e dall’industria a domicilio (protoindustria) alla manifattura
e alla produzione in serie con manodopera a basso costo (ci si svincola dal sistema corporativo).
Nascono una serie di innovazioni tecnologiche capaci di accrescere la produttività:
● Sostituzione delle macchine alla fatica umana

● Sostituzione fonti artificiali di energia all’utilizzo della forza vapore

● Ricorso a materie prime come sostanze minerali come il carbon fossile (di cui è ricco il sottosuolo
inglese) usato come combustibile a basso costo e il coke, carbon fossile raffinato utilizzato nella
siderurgia.
Il settore cotoniero rappresenta il comparto di punta della prima fase della rivoluzione industriale inglese
(fino al 1830). Il cotone sostituisce progressivamente la lana a causa di alcuni aspetti:

● Convenienza delle importazioni grazie al dominio dei mari di cui godeva l’Inghilterra

● Mercato potenzialmente più vasto e stoffe di cotone adatte a climi caldi

● Abili artigiani e divulgazione degli insegnamenti tecnico-scientifici

● Innovazioni meccaniche che favoriscono la produzione

A partire dagli anni ’80 del Settecento avviene il decollo delle cotonate. Le esigenze del settore tessile
determinano effetti a catena su altri comparti come quello della chimica.
L’industria siderurgica dal 1788 al 1806 vede la sua produzione quadruplicarsi grazie all’utilizzo del carbon
fossile e coke e dei profilati in ferro. L’Inghilterra diviene esportatrice di ferro per impegni civili e militari.
Conseguenze della produzione industriale in Inghilterra:

● Aumento produttività e reddito

● Miglioramento condizioni di vita

● Investimenti in conoscenze e tecnologie

● Nuove aggregazioni intorno alle fabbriche

● Mutamenti ai volti delle città

● Cambiamenti dei modi di pensare e agire

Tuttavia, nelle città industriali inglesi è fortemente marcato lo sfruttamento dei lavoratori senza tutela,
impiegati per 13-14 ore al giorno per 6 giorni a settimana con incrementi salariali non adeguati al costo della
vita in rapida crescita per effetto dell’inflazione, e lo sfruttamento del lavoro minorile e delle donne mal
pagate, impiegati in lavori ripetitivi non richiedenti specifiche competenze.
Di conseguenza, insorgono reazioni politico-sociali come scioperi, boicottaggi, proteste e petizioni al
Parlamento. Nasce il movimento Luddista composto da bande di operai che distruggono le macchine ritenute
responsabili della disoccupazione e del peggioramento delle condizioni di lavori.
La disgregazione avviene rapidamente, con gli aderenti impiccati o deportati.
LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Il dibattito sulle cause, sugli effetti e il significato della Rivoluzione francese è iniziato con la rivoluzione
stessa.
Tra le tesi storiografiche individuano alcune cause, tra cui una Francia povera e disperata (Michelet), o una
Francia evoluta e ricca, ma con le classi medie non rappresentate politicamente (Jaurès), oppure si individua
la rivoluzione come il culmine dell’ascesa borghese e avvio del capitalismo (interpretazioni marxiste).
Oggi si converge nel designare come “rivoluzione francese” gli eventi del decennio 1789-99 e si sottolineano
non solo le rotture ma anche le continuità: la rivoluzione non può essere vista come uno sbocco inevitabile di
un plurisecolare conflitto di classe tra nobiltà e borghesia.

■ La Francia nel Settecento

Tra il 1735 e il 1815 la Francia conosce una lunga fase di sviluppo, ma negli anni 1770-90 si ha
un’interruzione del trend positivo con una crisi congiunturale di vaste proporzioni.
All’aumento della domanda di generi primari ne consegue una crisi produttiva e la crescita dei prezzi.
Avvengono mutamenti negli assetti dell’agricoltura e nella distribuzione della proprietà terriera (40%
contadini coltivatori diretti) ma molti proprietari assenteisti.
La piccola proprietà contadina è parcellizzata, gravata da vincoli feudali e decime e anche dalle nuove
gestioni di tipo capitalistico che annullavano gli usi civici. Contadini costretti a ricorrere al lavoro salariato.
La produzione agricola migliora così come le condizioni di vita, grazie ad una migliore alimentazioni.
I feudatari fondiari sono interessati ad accrescere la rendita (ricorso all’affitto): persiste comunque un regime
feudale.
L’agricoltura non offre una base solida all’industrializzazione, in quanto frenata rispetto all’Inghilterra.
Tuttavia, avviene l’espansione del commercio coloniale, dei traffici interni e dello sviluppo delle industrie di
lana, cotone, seta e siderurgia.
Gli effetti della crisi possono essere riscontrati dal fatto che dal 1771 al 1789 il costo della vita aumenta del
45%, mentre i salari soltanto del 17%.

■ Le crisi dell’antico regime

La società francese nella seconda metà del Settecento era composta da:

● Nobili: 1% della popolazione, suddivisi in 4000 famiglie che costituivano il Partito di Corte, nobili
di toga, nobili di campagna e nobili poveri.
● Clero: 0,5% della popolazione, con una marcata differenziazione economica e sociale ed il
godimento di privilegi e immunità.
● Terzo Stato: sempre più dinamico e differenziato, con una forte percentuale ancora legata a forme di
investimento tradizionale.
● Quarto Stato: lavoratori salariati, braccianti, vagabondi e mendicanti.

Varie sono le cause della crisi dell’antico regime, tra cui: tensioni interne alla società di ordini, malcontento
dei ceti popolari e dei contadini, influenza delle idee illuministiche e arretratezza del sistema politico.

■ La crisi finanziaria e politica

Luigi XV, morto nel 1774, aveva regnato in una fase di espansione. Luigi XVI deve affrontare una fase
congiunturale che coincide con l’esplosione della crisi finanziaria e istituzionale dello Stato.
Le riforme fiscali trovano l’opposizione dei Parlamenti, del clero e della nobiltà, mentre quelle economiche
si scontrano con le resistenze dei contadini, contrari ad esperimenti liberistici e a forme di gestione
capitalistica dell’agricoltura.
Anne Robert Jacques Turgot, Controllore delle Finanze (1774-76), tenta un esperimento di liberismo
ispirato dalla teoria fisiocratica che tuttavia fallisce per le opposizioni e per la congiuntura negativa.
Jacques Necker, Direttore delle Finanze (1776-81), tenta di modernizzare la burocrazia ma si aggrava il
problema del disavanzo pubblico. Nel 1781 falsifica il Compte rendu au roi (“rapporto al re”), un
documento rappresentante lo stato delle finanze francesi, in modo da nascondere il deficit reale. Tuttavia,
rivela l’elenco delle pensioni e dei privilegi di cui godono nobili e clero.
In seguito, verrà rimosso dal suo incarico.
Nel 1783, Charles-Alexandre de Calonne (nuovo Controllore delle Finanze) adotta misure di assestamento
del bilancio e un’imposta fondiaria proporzionale alla rendita senza distinzioni di ceto.
Nel 1787, Luigi XVI convoca l’Assemblea dei notabili che si oppone alle iniziative del ministro

■ La convocazione degli Stati Generali

Nel 1787, Calonne viene sostituito da Loménie de Brienne, arcivescovo di Tolosa, che decide la
convocazione di assemblee locali (Stati provinciali) e propone tasse più eque. Ciò scatena la reazione del
Parlamento di Parigi che in verrà esiliato da Re e Governo. La reazione degli altri Parlamenti costringe il
sovrano a richiamare i parlamentari nella capitale.
Il 5 Luglio 1788, Brienne decide la convocazione degli Stati Generali per il 1 maggio 1789.
La monarchia ritira gli editti fiscali, richiama Necker e accetta di convocare gli Stati Generali.
Necker, con un nuovo Compte rendu au roi (1788), rivela la crescita degli interessi per debiti e le maggiori
difficoltà finanziare del regno, con un debito pubblico incontrollabile.
Il Terzo Stato chiede di aumentare il numero dei suoi rappresentanti in proporzione al suo effettivo numero
di membri e, quindi, di votare per testa. Necker fa accrescere i rappresentanti del Terzo Stato ma conferma il
voto per ordine.

■ L’Assemblea Nazionale Costituente

Nel 1789 durante le elezioni per gli Stati Generali, vengono raccolti i Cahiers de doléances (“quaderni delle
lamentele”) contenenti le richieste di riforma, le critiche e le lamentele della popolazione.
Si tratta di un’occasione unica di dibattito politico e di mobilitazione dell’opinione pubblica che rappresenta
la vera esplosione della stampa.
Vengono convocati gli Stati Generali a Versailles e l’apertura dei lavori avviene il 5 maggio 1789.
Necker legge il bilancio nascondendo la verità ma il dibattito si polarizza sulla questione del voto: i
rappresentanti del Terzo Stato chiedono il voto per testa e, non ottenendolo, si raccolgono nella sala della
Pallacorda (20 giugno 1789), giurando di non sciogliersi fino a quando non fosse stata stabilita la
Costituzione.
Il clero e parte della nobiltà si uniscono al Terzo Stato e il 9 luglio 1789 nasce l’Assemblea Nazionale
Costituente.
Il re organizza la reazione, licenzia Necker e chiama Breteuil.
Il 14 luglio 1789 avviene l’insurrezione di Parigi con la presa della Bastiglia, prigione simbolo dell’Antico
regime, e viene formata la Guardia Nazionale, milizia di cittadini reclutata in tutte le città della nazione per
difendere lo Stato e mantenere l'ordine pubblico, con a capo La Fayette.
Scoppia la rivolta contadina antinobiliare con l’assalto ai castelli per distruggere le carte comprovanti i diritti
dei signori feudali. (“grande paura” di cui ha parlato Lefebvre).
Nell’agosto dell’89 viene abolito il Regime feduale e il 26 agosto nasce la Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino composta da 17 articoli, in cui si cita che “gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali nei
diritti” e vengono proclamati diritti come: libertà (civile, religiosa, di opinione), proprietà, sicurezza,
resistenza all’oppressione e sovranità al popolo.
Il re è costretto ad approvare i decreti di agosto e a rientrare a Parigi dopo una marcia popolare su Versailles.
A Parigi si trasferisce anche l’Assemblea Nazionale che avvia un’intensa attività legislativa.
L’Assemblea Nazionale affronta il dibattito sulla Costituzione, con l’emergere di orientamenti diversi.
Vengono affrontati vari problemi rimasti irrisolti:

● Disavanzo pubblico: incameramento e vendita dei beni della Chiesa, emissione di buoni fruttiferi
(assegnati) per l’acquisto di quei beni. La vendita di beni nazionali favorisce la formazione di un
nuovo ceto di proprietari.
● Amministrazione: sul piano amministrativo e dei rapporti centro-periferia, larghi poteri concessi alle
municipalità e riorganizzazione territoriale con i dipartimenti.
● Giustizia: riforma giudiziaria, abolizione della venalità degli uffici, divisione dei poteri,
decentramento del potere, creazione di due tribunali nazionali (Alta Corte e Tribunale di
Cassazione).
● Chiesa: costituzione civile del clero (condanna di Roma). Il clero è sottoposto al controllo dello Stato
e costretto a prestare giuramento. Coloro che si rifiutano vengono identificati come refrattari. Le
diocesi corrispondono ai dipartimenti.

■ La prima Costituzione (1791)

Vengono confermati gli articoli della Dichiarazione dei diritti e la divisione dei poteri

● Legislativo: Assemblea nazionale legislativa, eletta a doppio grado su base censitaria (uomini di
almeno 25 anni)
● Esecutivo: re, con diritto di veto sulle leggi

● Giudiziario: giudici eletti dal popolo

Viene resa gratuita l’istruzione primaria.


Tra il 20-21 giugno 1791 fallisce il tentativo di fuga del re che, bloccato a Varennes, per essere reintegrato
accetta la Costituzione.
Avanza la propaganda rivoluzionaria con Clubs e società. Egemonia dei moderati. Si forma una destra e una
sinistra. (Moderati = Foglianti; Sinistra = Giacobini; Radicali = Cordiglieri).
Tra i giacobini emergono tendenze radicali (Marat, Danton, Robespierre).
Il 17 luglio 1791 avviene il massacro al Campo di Marte durante una manifestazione popolare organizzata
dai Cordiglieri.
Nasce la nuova sinistra moderata dei girondini (piccola borghesia delle professioni, rappresentanti
provenienti dal dipartimento della Gironda) con leader Brissot. Favorevole alla guerra e al consolidamento
della democrazia politica.
Si forma un’alleanza internazionale contro la Francia da parte di Impero, Russia e Prussia.
Nell’aprile del 1792, sotto la pressione dei girondini, il re dichiara guerra all’Austria. Robespierre si
annuncia contrario.
Il 10 agosto, il popolo dei sanculotti, di fronte al pericolo dell’invasione nemica, assalta le Tuileries.
L’assemblea legislativa vota la deposizione e l’arresto del re.
Nel settembre 1792 avviene il massacro dei detenuti e l’adozione di misure straordinarie da parte
dell’Assemblea: tribunale straordinario, legge sui sospetti, espulsione dei preti refrattari e il sequestro dei
beni degli emigrati.
Il 20 settembre avviene la vittoria francese a Valmy sull’esercito austro-prussiano.

■ La Convenzione e la proclamazione della Repubblica

Si crea una nuova rappresentanza nazionale: la Convenzione, che il 21 settembre 1792 proclama la
Repubblica.
Avviene la radicalizzazione della lotta politica tra chi intende spingere oltre la rivoluzione e chi vuole
frenare.
Il processo a re si conclude con la sua condanna a morte, votata da 334 deputati su 387, eseguita il 21
gennaio 1793.
Si prepara la guerra da parte di altri Stati. Si forma la Prima coalizione antifrancese, composta dalla maggior
parte delle Monarchie europee dell’Ancien Régime contro la Francia rivoluzionaria.
L’esercito francese con ufficiali nuovi e repubblicani, vedrò presto crollare le sue armate.
I Girondini organizzano rivolte in provincia, mentre a Parigi le manifestazioni degli “arrabbiati” rivendicano
la difesa delle condizioni di vita e partecipazione politica.
Scoppia la Guerra civile in Vandea ed in altre province, condotta da legittimisti monarchici e in nome della
rivendicazione dell’ortodossia cattolica, a cui seguirà una dura repressione.
Nel marzo 1793 viene istituito un Tribunale Rivoluzionario inappellabile per processi sommari contro i
sospettati.
La Convenzione istituisce un Comitato di salute pubblica per vigilare sul governo e per preparare misure
urgenti: conflitto tra girondini e montagnardi sul problema del maximum dei prezzi (libertà di commercio e
diritto di sussistenza). Pressione dei sanculotti.

■ La Costituzione dell’anno I (1793)

Nel giugno 1793 viene presentata la seconda Costituzione avente carattere democratico, in cui vengono
proclamati: il suffragio universale maschile (21 anni) con sistema uninominale, rafforzamento del potere
legislativo e referendum per le leggi più importanti e dichiarazione dei diritti con l’eguaglianza al primo
posto e il diritto alla sussistenza, al lavoro, all’istruzione e il diritto-dovere all’insurrezione contro qualsiasi
governo che violasse i diritti imprescrittibili dell’uomo.
Tuttavia, anche a causa della guerra agli Asburgo, viene accantonata e non entra mai in vigore.
Dibattito nel Comitato di salute pubblica: esce Danton, capo degli “indulgenti”, ed entrano elementi più
radicali. Il Comitato di salute pubblica prende il controllo su tutta la società e, dopo la morte di Marat,
avviene l’ascesa di Robespierre e inizia la fase del Regime del Terrore, caratterizzata dal predominio politico
dei membri del Comitato che introducono una serie di misure repressive contro gli avversari politici. La
politica del Comitato è diretta a rafforzare la fazione giacobina, mettere in atto misure a favore dei sanculotti
e della piccola borghesia cittadina, schiacciare tutti gli oppositori interni della rivoluzione e combattere con
maggior efficacia la guerra esterna contro le monarchie europee dell’antico regime. Il periodo è
caratterizzato da un elevatissimo numero di condanne a morte ed eccessi nell’esercizio della repressione.

■ Reazione termidoriana (1794-95)

I ceti borghesi abbandonano Robespierre, da cui si distaccano anche i sanculotti colpiti dal maximum dei
salari. Il 9 termidoro dell’anno II (27 luglio 1794) avviene la caduta e l’esecuzione dei tre membri più
influenti del comitato: Maximilien de Robespierre, Louis Sant-Just e Gorges Couthon, iniziando la fase del
Terrore bianco antigiacobino, anche se la fine ufficiale avviene il 5 agosto 1794 con l’abolizione della legge
dei sospetti.

● I borghesi arricchiti con i profitti delle guerre riprendono il controllo.

● Vengono aboliti i tribunali speciali, eliminati strumenti di dittatura ed evacuate le carceri.

● Vengono chiusi i clubs giacobini e represse le rivolte popolari.

● Vengono limitati i poteri del Comitato di salute pubblica.


● Fine dell’economia regolata: liberismo e abolizione dei calmieri.

■ La Costituzione dell’anno III (1795)

Viene depotenziato l’articolo della Dichiarazione del 1789: “gli uomini nascono e rimangono liberi ed uguali
nei diritti” dichiarando solo uguaglianza giuridica e vengono eliminati il diritto all’assistenza, all’istruzione e
all’insurrezione. Viene inserita una Dichiarazione dei doveri che comprende la sottomissione alle leggi e il
rispetto delle autorità costituite. Viene abolito il suffragio universale e istituito il suffragio a doppio grado su
base censitaria.
Separazione dei poteri:

● Potere legislativo a 2 camere: dei Cinquecento e degli anziani

● Potere esecutivo al Direttorio di 5 membri (rinnovato annualmente di un membro)

● Libertà economica e di proprietà

● Vietate associazioni e Corporazioni

■ La Francia del Direttorio

I giacobini riaprono i clubs e le elezioni legislative sono vinte dai monarchici. Il Direttorio, composto da
convenzionali tutti regicidi, è costretto a destreggiarsi tra opposte fazioni e a ricorrere all’intervento dei
militari.
Nel 1796 viene organizzata la Congiura degli Euguali contro il Direttorio con lo scopo di abolire la proprietà
privata, in modo da far scomparire ogni differenza sociale fra gli uomini ma, tuttavia, fallisce completamente
e, di conseguenza, Gracco Babeuf e compagni vengono condannati a morte e Filippo Buonarroti viene
deportato.
Nel 1795 vengono firmati il Trattato di Basilea con la Prussia e il Trattato dell’Aia con l’Olanda.
La guerra contro l’Austria continua con difficoltà e con la vendita dei beni nazionali. Il progetto prevedeva di
marciare su Vienna e di conquistare Piemonte e Lombardia.

■ L’ascesa di Napoleone

A capo di un esercito legato ai valori della rivoluzione: “esercito di cittadini, non di sudditi”.
Si schiera a favore di Robespierre, quindi durante il Termidoro cade in disgrazia. Successivamente ottiene
l’incarico di chiudere i clubs giacobini.
Viene premiato con il comando dell’armata d’Italia e riesce a risanare i rapporti tra capi e masse popolari.
Campagna d’Italia e Repubbliche giacobine (1796-99):

● Bonaparte costringe il re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, all’armistizio di Cherasco (1796) con le
condizioni di cedere Nizza e la Savoia alla Francia, ratificate col Trattato di Parigi.
● Entra a Milano (1796) e crea una municipalità di patrioti
● Inizia a distaccarsi dal Direttorio che non intende conquistare la Lombardia

● Assedia Mantova e raggiunge i territori pontifici

● Sigla la Pace di Tolentino col Papa, che si vede costretto a riconoscere la cessione delle Legazioni di
Forlì, Ravenna, Bologna e Ferrara, e preliminari di pace con l’Austria
In Italia, Bonaparte favorisce l’affermazione delle correnti moderate.
Vengono istituite le Repubbliche sorelle, una rete di repubbliche alleate:

● Repubblica cispadana (1796)

● Repubblica cisalpina (1797)

● Repubblica ligure (1797)

● Repubblica romana (1798)

● Repubblica napoletana (1799)

Nel 1797 viene firmato il trattato di Campoformio che prevede la cessione all’Austria di Veneto, Istria e
Dalmazia. I francesi, oltre ad alcuni possessi veneti, ottengono il riconoscimento dato da Napoleone alle
regioni conquistate in Italia.
Dal Direttorio al Consolato:
Nel marzo 1797 la destra monarchica vince le elezioni e viene costituito il secondo Direttorio.
Il 4 settembre (17-18 fruttidoro) con un colpo di stato i militari arrestano i realisti e annullano l’elezione di
198 deputati. Vengono inasprite le leggi sui controrivoluzionari e imposto il controllo della polizia sulla
censura alla stampa. La riforma finanziaria, dopo la bancarotta, porta una più efficace riscossione delle
imposte, mentre la riforma militare impone la coscrizione col servizio militare obbligatorio.
Il Direttorio, dopo la pace di Campoformio, prepara una strategia di attacco con sbarco in Inghilterra ed
insurrezione in Irlanda, affidando il comando a Napoleone che però, nel 1798, preferisce minacciare
indirettamente l’Inghilterra con la spedizione in Egitto. I francesi sconfiggono gli egiziani nella battaglia
delle Piramidi e Nelso. Tuttavia, ad Abukir, durante la battaglia del Nilo, la flotta britannica guidata da Sir
Horatio Nelson distrugge la flotta francese. Napoleone riesce a sfuggire agli inglesi e, tornato in patria, viene
salutato come eroe.
Si forma la II coalizione con Inghilterra, Austria, Russia e Regno di Napoli.
Il Direttorio cerca il sostegno dei militari, vuole l’aiuto di Napoleone per poi metterlo da parte.
Il 9 novembre 1799 (18 brumaio) avviene il colpo di Stato: Napoleone, Sieyès e Ducos vengono proclamati
consoli, ponendo fine al Direttorio.

■ L’avvio dell’epoca napoleonica

Dopo aver preso il potere con il colpo di Stato del 18 brumaio, stabilendo un Consolato provvisorio,
Napoleone, con l’aiuto di Sieyès, elabora una nuova Costituzione destinata a garantire un potere esecutivo
forte e concentrato nelle sue mani.
Contrariamente alle costituzioni precedenti non vi si trova traccia di dichiarazione dei diritti e delle libertà e
il suffragio universale maschile viene formalmente riconfermato, con forti limitazioni.
Viene nominato un Senato di notabili inamovibili a vita e rafforzato il potere esecutivo nei confronti di
quello legislativo, con 3 consoli in carica 10 anni.
Napoleone diventa, con un plebiscito, Console a vita (1802) e poi Primo console (1803), con poteri di
nominare ministri, funzionari e giudici.
In ambito di politica internazionale, viene ripresa la guerra con l’Austria, segnata dalla vittoria a Marengo.
Avviene la ricostituzione della Repubblica Cisalpina e della Ligure, la rioccupazione del Piemonte e, nel
1802, viene firmata la pace di Amiens con l’Inghilterra.
Per quanto riguarda la politica interna, nel 1800 viene istituita la Banca di Francia per risanare il sistema
monetario, con consolidamento della situazione finanziaria.
Nel 1801 il Concordato con la Santa Sede riconosce il Cattolicesimo come religione della maggioranza dei
francesi.
La riorganizzazione amministrativa porta all’accentramento con prefetti, funzionari di nomina governativa,
sindaci nominati dal governo e l’articolazione in dipartimenti e circondari.
La riforma legislativa avviene nel 1804 col nuovo Codice civile, chiamato Codice napoleonico, che viene
diffuso in tutti territori dipendenti dalla Francia. Rappresenta una razionalizzazione del diritto e la concreta
applicazione di valori borghesi nella vita giuridico-amministrativa del mondo occidentali con:

● Eguaglianza giuridica

● Abolizione della feudalità

● Libertà individuale, di impresa e di lavoro con pieno diritto di proprietà

● Matrimonio come contratto privato risolubile con divorzio

● Revoca delle norme in favore dei primogeniti

● Creazione di uffici di stato civile (con conteggio regolare della popolazione)

■ La proclamazione dell’impero

Nell’agosto 1802 il governo consolare accentua la componente autoritaria: Napoleone è proclamato Primo
console a vita.
Al tentativo di congiura contro Napoleone nel 1803 segue una reazione spietata
Nel 1804 viene stabilita la Costituzione dell’anno XII. Il governo della repubblica è affidato a un imperatore
che prende il titolo di “imperatore dei francesi”. Il 2 dicembre 1804 avviene la consacrazione nella cattedrale
di Notre Dame da parte di Pio VII.
In questo periodo a maturare una nuova classe dirigente imprenditoriale, si afferma il Codice civile e con le
riforme della scuola e dell’Università vengono formati licei di Stato e le Grandes Écoles per la formazione
professionale ad alto livello.
Nel 1808 si crea una nuova nobiltà napoleonica-imperiale costituendo una corte imperiale e ristrutturando la
Legion d’onore (nuova oligarchia militare e civile).
■ La conquista dell’Europa (1804-10)

Nel 1805, la battaglia di Trafalgar (Spagna), combattuta in mare durante la guerra della terza coalizione,
vede contrapporsi la flotta franco-spagnola e quella britannica, che risulta vincitrice dello scontro perdendo,
tuttavia, il suo comandante Horatio Nelson.
La terza coalizione, composta da Gran Bretagna, Austria, Russia, Svezia, Regno di Napoli e Regno di
Sicilia, viene formata allo scopo di sconfiggere Napoleone e distruggere il sistema di predominio francese
sull’Europa centro-meridionale e instaurare le vecchie monarchie dell’Antico regime, deposte durante le
guerre rivoluzionarie.
La guerra, scoppiata dopo la rottura della breve pace di Amiens, vede la vittoria di Napoleone ad
Austerlitz, in Moravia, ai danni dell’Austria e la conquista del Regno di Napoli (sul trono siede il fratello
Giuseppe Bonaparte). Si conclude con la schiacciante vittoria di Napoleone sugli austriaci e i russi e con la
pace di Presburgo che accresce ancora il predominio francese in Europa. Tuttavia, la Gran Bretagna
rafforza il suo dominio marittimo e continua ad opporsi militarmente e politicamente all’Impero
napoleonico anche dopo la dissoluzione della coalizione.
Nel 1806 viene formata la quarta coalizione, composta da Regno Unito, Prussia, Russia, Svezia, Sassonia e
Regno di Sicilia. Napoleone risponde col blocco continentale chiudendo i mercati controllati dagli inglesi,
ma senza grandi risultati. Sconfigge i prussiani a Jena ed Auerstadt ed entra a Berlino. Crea il Regno di
Vestfalia, retto dal fratello Girolamo. Nel 1807 lo zar Alessandro di Russia resta sconfitto, infliggendo
tuttavia pesanti perdite ai francesi. Viene sottoscritta la pace di Tilsit, in cui Napoleone e lo zar riescono a
raggiungere un accordo, stabilendo un’alleanza tra Francia e Russia. La Prussia, invece, subisce le
conseguenze della sconfitta, rimanendo occupata dalle truppe francesi e cedendo una parte del suo territorio
e riducendo considerevolmente le proprie forze armate.
Durante la guerra d’indipendenza spagnola ha luogo la campagna di Napoleone in Spagna che si conclude
insediando Giuseppe Bonaparte re di Spagna.
Nel 1809 si forma la quinta coalizione, composta da Regno Unito e Impero austriaco. Napoleone ottiene la
vittoria definitiva sugli austriaci nella battaglia di Wagram, a cui consegue il trattato di Schonbrunn. Gli
austriaci perdono ulteriore territorio nei confronti della Francia e viene data in sposa a Napoleone,
divorziato, l’arciduchessa Maria Luisa d’Asburgo-Lorena.

■ L’Italia napoleonica

La Repubblica cisalipina diventa Repubblica italiana e poi Regno d’Italia nel 1805, con Napoleone
proclamato re e incoronato nel Duomo di Milano.
Vengono annesse Toscana, Marche, Lazio ed Umbria.
Nel Regno di Napoli, a Giuseppe Bonaparte succede Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte.

Elementi comuni nel nuovo ordine napoleonico:

● Diritti politici ristretti su base censitaria

● Proprietà come requisito per il diritto di votto


● Nuove coscrizioni militari

● Nuove tasse

● Protezione interessi economici francesi

● Ferrea centralizzazione burocratica

● Rivoluzione fondiaria con confisca del patrimonio ecclesiastico e nascita di un nuovo ceto
possidente borghese
● Legge di eversione della feudalità a Napoli, ma conservazione di privilegi per i nobili proprietari e
non più feudatari.

■ La campagna di Russia e l’uscita di scena

L’insorgere di contrasti con la Russia fa maturare il progetto di invasione, nella convinzione di poter
procedere con rapidità con l’aiuto di forze francesi, tedesche, polacche, lituane, italiane e svizzere.
L’invasione ha inizio nel giugno 1812 ma, seppur inferiori per capacità tecniche ed organizzative, i russi
attuano la strategia di far terra bruciata e i francesi vengono sconfitti.
Dopo la disastrosa campagna di Russia, che aveva provocato la distruzione della Grande Armata
francese, le potenze continentali che erano state ripetutamente battute da Napoleone in diverse guerre nel
corso di un intero decennio, vedono finalmente la possibilità di sconfiggere definitivamente l’Imperatore
dei francesi. Si forma così la sesta coalizione, formata da Regno Unito, Impero russo, Prussia, Svezia,
Impero austriaco, Regno di Spagna ed alcuni Stati tedeschi.
Dopo la disastrosa sconfitta dei francesi nella battaglia di Lipsia, in Sassonia, Napoleone è costretto a
ripiegare in Francia, che nel frattempo viene invasa dalle forze alleate che nel 1814 conquistano Parigi.
Talleyrand dichiara decaduto l’Imperatore, che abdica e viene esiliato all’isola d’Elba.
Luigi XVIII di Borbone sale sul trono di Francia.
Nel marzo 1815, Napoleone abbandona furtivamente l’isola e rientra a Parigi senza incontrare
opposizione, riconquistando il potere per il periodo detto dei “cento giorni”, finché non viene
definitivamente sconfitto dalla settima coalizione nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815.
Trascorre gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo dei britannici, dove muore
nel 1812. Dopo la sua caduta, il Congresso di Vienna ristabilisce in Europa i vecchi regni pre-napoleonici
(Restaurazione).

■ L’eredità dell’età napoleonica

Emerge e si diffonde il sentimento di nazionalità, promosso sia dalle iniziative napoleoniche, come in Italia,
sia come reazione a queste, come in Germania.
Vi è il consolidamento e il diffondersi di un’ideologia liberale, sia nelle sue connotazioni politiche
(costituzionalismo e diritti individuali), sia economiche (libertà di mercato e iniziativa) e una
razionalizzazione e modernizzazione degli apparati dello Stato (amministrazione, burocrazia, esercito,
istituzione)

■ Il Congresso di Vienna
Da novembre 1814 a giugno 1815 si tiene il Congresso di Vienna. Vi partecipano le principali potenze
europee, vincitrici contro Napoleone a Lipsia nel 1815: Austria, Inghilterra, Russia e Prussia. Lo scopo è
quello di ridisegnare la carta dell’Europa e ripristinare l’Antico regime dopo gli sconvolgimenti apportati
dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Si apre quella che viene definita come l’età della
Restaurazione in Europa.
A causa delle trasformazioni portate dalla rivoluzione, e da Napoleone sul piano sociale, politico,
ideologico e militare, appare necessario riunire tutti gli stati interessati e discutere una soluzione valida per
tutti. Partecipano 213 delegazioni degli stati europei.
Le decisioni più importanti vengono prese da:

● Lord Castelreagh (ministro degli esteri inglese)

● Principe von Metternich (austriaco)

● Principe von Harenberg (prussiano)

● Conte Nesslrode (russo)

Determinante è la presenza di Talleryand, ministro francese.

■ Le posizioni degli Stati europei

Gli Stati che hanno sconfitto Napoleone intendono aumentare la loro potenza, è necessario quindi un nuovo
ordine internazionale.

● La Gran Bretagna aspira ad un nuovo equilibrio europeo che le premetta di estendere il proprio
impero coloniale e di ridimensionare Francia e Russia.
● La Russia intende estendere la propria influenza verso occidente (Sassonia e Polonia)

● L’Austria intende rafforzare i propri domini in Italia, nei Balcani e nella Confederazione
Germanica.
● La Prussia, lo Stato più debole, vuole espandersi verso il Reno.

● La Francia invece, intende dare legittima autorità ai Borboni per difendere la sua integrità
territoriali.
Vengono dichiarati due principi fondamentali:

● Equilibrio: si cerca di bilanciare la potenza tra gli Stati perché nessuno di essi affermi la propria
egemonia in Europa.
● Legittimità: introdotto da Talleyrand per difendere l’integrità territoriale francese. Secondo questo
principio la sovranità dei Borboni era legittima in quanto voluta da Dio. Solo i sovrani che
regnavano prima della rivoluzione erano legittimi.
La nuova carta politica del continente:

● La Francia perde tutte le conquiste fatte con la rivoluzione e viene restaurata la monarchia. Luigi
XVIII concede una Carta costituzionale e conserva l’ordine amministrativo e il personale burocratico
e militare napoleonico.
● Si forma il Regno Unito dei Paesi Bassi, comprendente sia le vecchie Province Unite (Olanda), sia i
territori precedentemente governati dall’Austria (Belgio).
● La Confederazione Germanica viene composta da 39 stati sotto il controllo di Austria e Prussia

● La Russia annette tre quarti di Polonia

● La Gran Bretagna espande liberamente i suoi possedimenti coloniali

● Vengono formati stati cuscinetto per impedire l’espansione francese e il Regno di Sardegna annette
la Repubblica di Genova
● La Prussia ottiene metà del Regno di Sassonia e la Pomerania Svedese

● L’Austria ottiene nuovi domini nei Balcani e il controllo diretto e indiretto sull’Italia

■ La Santa Alleanza

Nel 1815 si forma una coalizione tra Russia, Austria e Prussia, con cui i sovrani offrono reciproco aiuto - il
principio dell’intervento - nel caso in cui i loro troni vengano messi in pericolo.
“Santa” perché i sovrani ispirano la propria azione di governo ai precetti della religione cristiana.

■ L’Italia dopo il Congresso di Vienna

Scompaiono le Repubbliche di Venezia, Genova e Lucca.


Il Regno di Sardegna è restituito a Vittorio Emanuele di Savoia che annette la Liguria.
Il Regno Lombardo-Veneto è annesso all’Austria.
Parma, Piacenza, Modena, Reggio, Toscana e Lucca vanno a dinastie parenti degli Asburgo.
Ferdinando di Borbone diventa re delle Due Sicilie (Regno di Napoli e di Sicilia).
Lo Stato Pontificio è restituito a Pio VII

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