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Aldous Huxley I DIAVOLI DI LOUDUN

The Devils of Loudun, 1952

Aldous Huxley nato a Godalming (Surrey) nel 1894. Scrittore e giornalista eclettico, ha pubblicato volumi di saggi, biografie, libri di viaggio, novelle e romanzi. La sua complessa e contraddittoria personalit - che da una scettica ironia andata evolvendosi verso un misticismo non ortodosso - testimoniata da innumerevoli opere, tra le quali ricordiamo: "Giallo cromo" (1921), "Punto contro punto" (1928), "Il mondo nuovo" (1932), "L'eminenza grigia" (1939), "Il tempo si deve fermare" (1944), "La scimmia e l'essenza" (1948), "Il genio e la dea" (1955), "Paradiso e inferno" (1956). E' morto a Los Angeles nel 1963.

I DIAVOLI DI LOUDUN

Capitolo 1

Fu nel 1605 che Joseph Hall, scrittore di satire e futuro vescovo, si rec per la prima volta nelle Fiandre. Quante chiese demolite vedemmo lungo la strada, non erano rimasti che cumuli di macerie a dire al passante che vi erano state devozione e ostilit. Oh, le dolorose impronte della guerra!... Ma (con mia meraviglia) le chiese cadono e i collegi di gesuiti sorgono dovunque. Non vi citt dove non vengano costruiti. Da che cosa deriva ci? Forse perch la devozione non cos necessaria come la politica? Questi uomini (come diciamo della volpe) si comportano meglio quando sono maltrattati. Nessuno pi insultato, nessuno pi odiato, nessuno pi contrastato dai nostri; eppure questa malerba cresce. Crescevano per una ragione molto semplice e convincente: il pubblico li voleva. Per i gesuiti, la "politica", come Hall e tutta la sua generazione sapevano benissimo, era il movente principale. Le scuole erano state fondate allo scopo di rafforzare la Chiesa Cattolica contro i suoi nemici, "libertini" e protestanti. I buoni padri sperarono, col loro insegnamento, di creare una classe di laici colti assolutamente devoti agli interessi della Chiesa. Diceva Cerutti facendo andare in bestia l'indignato Michelet - come fasciamo le membra del bambino nella culla per dar loro le giuste proporzioni, cos necessario dalla prima fanciullezza fasciare, per cos dire, la sua volont in modo che egli conservi per tutta la vita una felice e salutare docilit. Lo spirito di dominio era abbastanza forte ma la carne del metodo propagandistico era debole. Nonostante la fasciatura della volont, alcuni tra i migliori allievi dei gesuiti lasciarono la scuola per diventare liberi pensatori o perfino, come Jean Labadie, protestanti.

Per quanto riguardava la "politica", il sistema non fu cos efficiente come i suoi creatori avevano sperato. Ma l'interesse del pubblico non era per la politica, l'interesse del pubblico era per le buone scuole dove i ragazzi potessero apprendere tutto ci che un gentiluomo doveva conoscere, e i gesuiti, meglio di qualsiasi altro fornitore di istruzione, soddisfacevano la domanda. Che cosa notai durante i sette anni trascorsi sotto il tetto dei gesuiti? Una vita piena di moderazione, diligenza e ordine. Essi dedicavano tutte le ore della giornata alla nostra educazione, oppure al rigido adempimento dei loro voti. Come prova di ci, mi appello alle migliaia di testimonianze di coloro che, come me, furono educati da loro. Cos scriveva Voltaire. Le sue parole documentano l'eccellenza dei metodi di insegnamento dei gesuiti. Nello stesso tempo, e con maggiore enfasi, tutta la sua carriera prova il fallimento di quella "politica", al cui servizio erano intesi i metodi di insegnamento. Quando and a scuola Voltaire, i collegi gesuiti erano caratteristica familiare del panorama educativo. Un secolo prima i loro meriti erano sembrati positivamente rivoluzionari. In un'epoca in cui la maggior parte dei pedagoghi non si dilettava d'altro che del maneggio della sferza, i loro metodi disciplinari erano relativamente umani ed i professori scelti con cura ed addestrati sistematicamente. Essi insegnavano un latino particolarmente elegante e le pi recenti cognizioni di ottica, geografia e matematica, nonch "arte scenica" (le rappresentazioni teatrali di fine trimestre erano famose), buone maniere, rispetto per la Chiesa e (almeno in Francia e dopo la conversione di Enrico Quarto) obbedienza all'autorit regia. Per tutte queste ragioni i collegi gesuiti si raccomandavano ad ogni membro della tipica famiglia borghese: alla madre dal cuore tenero, la quale non sopportava il pensiero che suo figlio fosse sottoposto alle torture di un'educazione antiquata; al dotto zio ecclesiastico con il suo amore per la solida cultura e lo stile ciceroniano; e finalmente al padre che, da buon ufficiale, approvava i princpi monarchici e da prudente borghese contava sull'influenza ufficiosa della Compagnia per aiutare gli allievi a procurarsi un lavoro, un posto a corte, una sinecura ecclesiastica. Ecco per esempio una coppia di benestanti: M. Corneille di Rouen, "Avocat du Roy la Table de Marbre du Palais", e sua moglie, Marthe le Pesant.

Il figlio Pierre un ragazzo tanto promettente che essi decidono di mandarlo dai gesuiti. Ecco M. Joachim Descartes, consigliere al Parlamento di Rennes. Nel 1604 egli porta il suo ragazzo pi piccolo - uno splendido fanciullo di otto anni, di nome Ren - al collegio gesuita di La Flche, di recente fondazione e sotto il patronato reale. Ed ecco anche, press'a poco nella stessa epoca, il dotto canonico Grandier di Saintes. Egli ha un nipote, figlio di un altro avvocato, non cos ricco e aristocratico come M. Descartes o M. Corneille, ma anche lui notevolmente rispettabile. Il ragazzo, di nome Urbain, ha ora quattordici anni ed straordinariamente intelligente. Egli merita di ricevere la migliore educazione, e nei dintorni di Saintes la migliore educazione possibile si pu avere al collegio gesuita di Bordeaux. Questa famosa sede di insegnamento comprendeva un liceo per ragazzi, un collegio universitario, un seminario, ed una scuola di studi superiori per sacerdoti laureati. Qui brill precocemente Urbain Grandier durante i dieci anni trascorsi, prima da allievo e poi da studente universitario e di teologia e, dopo l'ordinazione nel 1615, da novizio gesuita. Non che intendesse entrare nella Compagnia; infatti egli non sentiva alcuna vocazione a sottoporsi ad una disciplina cos rigida. No, la sua carriera non doveva svolgersi in un ordine religioso, ma come prete secolare. In questa professione un uomo delle sue capacit, spinto e protetto dalla pi potente organizzazione entro la Chiesa, poteva sperare di fare strada. Sarebbe potuto diventare cappellano di qualche nobile illustre, precettore di qualche futuro maresciallo di Francia, di qualche cardinale in embrione. Avrebbe potuto essere invitato a spiegare la sua notevole eloquenza alla presenza di vescovi, di principesse reali, perfino della stessa regina. Avrebbero potuto essergli affidate missioni diplomatiche, alte cariche amministrative, ricche sinecure e anche pi di una contemporaneamente. E forse, - sebbene ci fosse improbabile, dato che non era di nascita nobile - qualche diocesi principesca che avrebbe illuminato e consolato gli anni della vecchiaia. All'inizio della carriera le circostanze sembrarono autorizzare le pi rosee tra queste previsioni. Infatti a ventisette anni, dopo due anni di teologia superiore e filosofia, il giovane padre Grandier ricevette la ricompensa per tanti lunghi semestri di diligenza e buona condotta: dalla Compagnia di Ges nel cui patrocinio

esso si trovava, egli fu presentato all'importante beneficio ecclesiastico di Saint-Pierre-duMarch a Loudun. Nello stesso tempo, e grazie agli stessi benefattori, fu fatto canonico della chiesa collegiale della Santa Croce. Il primo passo era fatto; ora non gli restava che proseguire. Loudun, quando il nuovo parroco si diresse lentamente verso la sua destinazione, si rivel una piccola citt di collina, dominata da due alte torri, la guglia di San Pietro e il torrione medioevale del grande castello. Come simbolo, come geroglifico sociologico, l'orizzonte di Loudun era qualche cosa di inattuale. Quella guglia diffondeva ancora la sua ombra gotica sulla citt; ma buona parte dei cittadini erano ugonotti che aborrivano la Chiesa alla quale appartenevano. Quell'immenso torrione, costruito dai conti di Poitiers, era ancora sede di forza formidabile; ma presto sarebbe salito al potere Richelieu e i giorni dell'autonomia locale e delle fortezze provinciali erano contati. Senza saperlo il parroco si dirigeva verso l'ultimo atto di una guerra settaria, verso il prologo di una rivoluzione nazionalistica. Alle porte della citt due cadaveri pendevano, in decomposizione, dalle forche municipali. Entro le mura vi erano le solite strade sporche, la tradizionale gamma di odori, dal legno bruciato agli escrementi, dalle oche all'incenso, dal pane sfornato ai cavalli, ai porci e all'umanit non lavata. Contadini ed artigiani, lavoratori a giornata e domestici, i poveri erano la maggioranza trascurabile ed anonima dei quattordicimila abitanti della citt. Un po' pi su commercianti, maestri artigiani e piccoli ufficiali erano precariamente raggruppati sul gradino pi basso della rispettabilit borghese. Al di sopra di essi - in assoluta dipendenza dagli inferiori, eppur godendo di indiscussi privilegi e governandoli per diritto divino - vi erano i ricchi mercanti, i professionisti, la gente altolocata, in ordine gerarchico: la piccola aristocrazia ed i grandi proprietari, i magnati feudali ed i nobili prelati. Qua e l si poteva trovare qualche piccola oasi di cultura e di intelligenza disinteressata. Fuori di queste oasi l'atmosfera intellettuale era soffocantemente provinciale. Tra i ricchi, l'interesse per il danaro e la propriet, per i diritti e i privilegi, era appassionato e cronico.

Per le due o tremila persone, al massimo, che potevano permettersi il lusso di litigare o avevano bisogno di consigli legali professionali, vi erano, a Loudun, non meno di venti avvocati, diciotto procuratori, diciotto ufficiali giudiziari ed otto notai. Il tempo e l'energia che rimanevano dalle preoccupazioni circa la propriet erano dedicati alle piccole monotonie; alle ricorrenti gioie ed agonie della vita familiare; ai pettegolezzi circa i vicini, alle formalit della religione e, poich Loudun era una citt divisa per se stessa, alle inesauribili asprezze della controversia teologica. Non vi traccia dell'esistenza a Loudun, durante la permanenza in carica del parroco, di alcuna religione genuinamente spirituale. Un vasto interesse per la vita spirituale nasce solo intorno ad individui eccezionali i quali sanno per esperienza diretta che Dio uno Spirito e deve essere adorato in ispirito. Insieme ad una buona quantit di furfanti, Loudun ebbe la sua parte di onesti e di benintenzionati, di pii ed anche di devoti. Ma non ebbe santi, non ebbe nessun uomo o donna la cui sola presenza la prova autoconvalidante di una intuizione pi profonda della realt eterna, un pi stretto unisono col fondamento divino di tutto l'essere. Una simile persona non comparve nelle mura della citt fino a sessant'anni dopo. Quando, dopo le pi tormentose avventure fisiche e spirituali, Louise du Tronchay arriv alla fine per lavorare nell'ospedale di Loudun, ella divent subito il centro di una intensa ed ardente vita spirituale. Gente di ogni et e di ogni ceto si affollava per chiederle di Dio, per domandarle consiglio e aiuto. Ci amano troppo qui scriveva Louise al suo vecchio confessore a Parigi. Ne sono mortificata; perch quando parlo di Dio, la gente si commuove e scoppia in lacrime. Ho paura di contribuire alla buona opinione che hanno di me. Ella desiderava fuggire e nascondersi; ma era prigioniera della devozione di una citt. Quando pregava, spesso i malati erano guariti. Con sua vergogna e mortificazione, Louise era ritenuta responsabile della guarigione. Se avessi mai compiuto un miracolo ella scriveva mi considererei dannata. Dopo qualche anno le fu ordinato dai superiori di lasciare Loudun. Per il popolo ora non vi era pi alcuna finestra vivente attraverso la quale la Luce potesse risplendere.

In breve tempo il fervore si raffredd; l'interesse per la vita dello spirito si spense. Loudun torn allo stato normale, lo stato in cui si trovava quando, due generazioni prima, Urbain Grandier si era diretto in citt. In principio, il sentimento del pubblico nei confronti del nuovo parroco fu nettamente diviso. La maggioranza delle appartenenti al sesso pi devoto lo approvarono. L'ultimo "cur" era stato una nullit. Il successore era un uomo nel rigoglio della giovinezza, alto, atletico, con un'aria di severa autorit, finanche (secondo un contemporaneo) di maest. Aveva grandi occhi scuri e, sotto la berretta, abbondanti capelli neri e ricci. La fronte era alta, il naso aquilino, le labbra rosse, piene e mobili. Un'elegante barba alla Van Dyck gli adornava il mento, e sul labbro superiore portava baffi sottili, diligentemente curati e impomatati in modo che le punte arricciate si confrontavano l'una con l'altra, ai lati del naso, come un paio di civettuoli punti interrogativi. Ad occhi postfaustiani il suo ritratto suggerisce un Mefistofele pi in carne, non perverso e solo un po meno intelligente, in maschera clericale. A questo aspetto seducente Grandier aggiungeva le virt sociali: buone maniere e conversazione brillante. Egli sapeva foggiare un complimento con semplicit, e lo sguardo con cui accompagnava le parole era pi adulatorio, nel caso che la signora fosse piacente, delle parole stesse. Il nuovo parroco, era fin troppo ovvio, si interessava alle sue parrocchiane in maniera pi che meramente pastorale. Grandier visse nell'alba grigia di ci che si potrebbe chiamare l'Era della Rispettabilit. In tutto il Medio Evo e durante la prima parte dell'Era Moderna, l'abisso tra la teoria ufficiale cattolica e la pratica effettiva degli ecclesiastici individuali era stato enorme, insuperato e apparentemente insuperabile. E' difficile trovare uno scrittore medioevale e rinascimentale il quale non consideri fuori questione la mancanza di rispettabilit nella maggioranza degli ecclesiastici, dal pi alto prelato al pi umile frate. La corruzione del clero provoc la Riforma, ed a sua volta la Riforma produsse la Controriforma. Dopo il Concilio di Trento i papi oggetto di scandalo divennero sempre meno comuni, finch, a met del diciassettesimo secolo, scomparvero del tutto.

Anche qualche vescovo, il cui unico requisito per la carica era quello di cadetto di nobili, ora faceva un certo sforzo per comportarsi bene. Tra il basso clero gli abusi venivano controllati dall'alto da un'amministrazione ecclesiastica pi vigilante ed efficiente, e internamente, dallo zelo che s'irradiava da organizzazioni come la Compagnia di Ges e la Congregazione dell'Oratorio. In Francia, dove la monarchia si serviva della Chiesa quale strumento per incrementare il potere centrale a spese dei protestanti, dei grandi nobili e delle tradizioni dell'autonomia provinciale, la rispettabilit clericale interessava i sovrani. Le masse non venerano una Chiesa i cui ministri siano colpevoli di condotta scandalosa. E in un paese dove non solo "l'Etat" [lo Stato], ma anche "l'Eglise, c'est Moi" [la Chiesa, sono Io], la mancanza di stima per la Chiesa mancanza di stima per il re. Ricordo scrive Bayle in una delle interminabili note a pi di pagina del suo grande Dizionario ricordo che un giorno chiesi a un gentiluomo che mi raccontava le innumerevoli irregolarit del clero veneziano, come mai il Senato sopportasse una cosa simile che onorava cos poco la religione e lo Stato. Egli rispose che il bene pubblico obbligava il sovrano ad usare questa indulgenza; e per spiegare questo problema, aggiunse che il Senato era ben lieto che preti e monaci fossero tenuti in pessima considerazione dal popolo, perch, per tale ragione, essi sarebbero stati meno capaci di provocare una insurrezione. Una delle ragioni, egli disse, per cui i gesuiti non sono graditi al principe che essi difendono il decoro del loro carattere; ed essendo cos pi rispettati dal popolo minuto, sono meglio capaci di sollevare una sedizione. In Francia, durante tutto il diciassettesimo secolo, la politica di stato nei riguardi delle irregolarit clericali fu esattamente opposta a quella seguita dal Senato veneziano. Temendo l'intromissione ecclesiastica, quest'ultimo amava vedere i suoi ecclesiastici comportarsi come porci e non gradiva i rispettabili gesuiti. Politicamente potente e fortemente gallicana, la monarchia francese non aveva ragione di temere il papa, e trov la Chiesa molto utile come macchina per governare. Per questa ragione essa favor i gesuiti e scoraggi l'incontinenza dei preti, e per lo meno l'indiscrezione (1).

Il nuovo parroco aveva iniziato la sua carriera in un'epoca in cui gli scandali clericali ancora frequenti, stavano diventando sempre pi sgraditi alle autorit. Col suo racconto autobiografico di una fanciullezza e giovinezza nel diciassettesimo secolo, il contemporaneo pi giovane di Grandier, JeanJacques Bouchard, ci ha lasciato un documento cos obiettivo clinicamente, cos libero del tutto da ogni espressione di rincrescimento, da ogni specie di giudizio morale, che gli studiosi del diciannovesimo secolo lo pubblicarono solo per farlo circolare in privato e con commenti enfatici sulla indicibile depravazione dell'autore. Ad una generazione allevata secondo Havelock Ellis e Krafft-Ebing, secondo Hirschfeld e Kinsey, il libro di Bouchard non sembra pi oltraggioso. Ma sebbene abbia cessato di sconvolgere, esso deve ancora sorprendere. Infatti com' sorprendente trovare un suddito di Luigi Tredicesimo che scriva circa le forme meno apprezzate di attivit sessuale nello stile semplice e convincente di una collegiale moderna la quale risponde al questionario di un antropologo, oppure di uno psichiatra che registra un caso! Descartes era maggiore di lui di dieci anni; ma molto tempo prima che il filosofo cominciasse a vivisezionare quegli automi in contorsione ai quali il volgo attribuisce i nomi di cane e gatto, Bouchard conduceva una serie di esperimenti psico-chimici-fisiologici sulla cameriera di sua madre. La ragazza, quando egli la not per la prima volta, era pia e virtuosa in maniera quasi aggressiva. Con la pazienza e l'acume di un Pavlov, Bouchard ricondizion questo prodotto della fede implicita s che alla fine ella divent devota della Filosofia Naturale, nonch pronta ad essere osservata e sperimentata ed altres ad intraprendere ricerche per conto proprio. Sul tavolo vicino al letto di Jean-Jacques erano ammucchiati una mezza dozzina di volumi in folio di anatomia e di medicina. Tra due attribuzioni, o anche tra due carezze sperimentali, questo buffo precursore di Ploss e di Bartels apriva il suo "De Generatione", il suo Fernelius o il suo Ferandus e consultava il capitolo, la sottosezione o il paragrafo che gli interessava. Ma, a differenza della maggioranza dei contemporanei, egli non accettava niente d'autorit. Lemnius e Rodericus a Castro potevano dire ci che volevano circa le strane ed allarmanti propriet del sangue mestruale; Jean-Jacques era deciso a vedere da s se esso realmente compisse tutte le cose che gli si attribuivano.

Assecondato dalla cameriera, ora concorde, egli faceva una serie di prove e scopr che, da tempo immemorabile, medici, filosofi e teologi avevano raccontato frottole. Il sangue mestruale non faceva appassire l'erba, non faceva appannare gli specchi, non essiccava i germi della vite, non dissolveva l'asfalto e non produceva macchie indelebili di ruggine su una lama di coltello. La scienza biologica perdette uno dei suoi pi promettenti ricercatori quando, allo scopo di sfuggire al matrimonio con la sua collaboratrice e "corpus vile", Bouchard lasci precipitosamente Parigi per cercare fortuna alla corte papale. Tutto ci che voleva era una diocesi vescovile "in partibus", o anche, in caso di necessit, in Bretagna: qualche piccola prebenda senza pretese di sei o settemila lire l'anno; questo soltanto. (Di seimila cinquecento lire era il reddito ricavato da Descartes dal giudizioso investimento del suo patrimonio. Non era principesco; ma per lo meno permetteva al filosofo di vivere da signore.) Il povero Bouchard non ebbe mai la prebenda. Conosciuto dai suoi contemporanei solo come il ridicolo autore di una "Panglossia", o collezione di versi in quarantasei lingue, compreso il copto, il peruviano e il giapponese, egli mor prima dei quarant'anni. Il nuovo parroco di Loudun era troppo normale e aveva desideri troppo vigorosi per pensare di trasformare il suo letto in un laboratorio. Ma, come Bouchard, Grandier era l'erede di una rispettabile famiglia borghese; come Bouchard egli era stato educato in un convitto religioso; come Bouchard era intelligente, colto ed umanista entusiasta; e come Bouchard sperava di fare una brillante carriera nella Chiesa. Socialmente e culturalmente, se non per temperamento, i due uomini avevano molto in comune. Di conseguenza ci che Bouchard dice della sua fanciullezza, della sua vita di scuola e delle diversioni durante le vacanze a casa, pu considerarsi indirettamente evidente per quanto riguarda Grandier. Il mondo rivelato dalle "Confessions" molto simile al mondo rivelatoci dai sessuologi moderni, anzi, si direbbe, ancora pi efficace. Vediamo i bambini abbandonarsi ai giuochi sessuali liberamente e con frequenza, poich sembra esservi interferenza singolarmente scarsa da parte degli adulti circa le loro attivit. A scuola, sotto i buoni padri, non vi sono giuochi estenuanti e l'energia superflua dei ragazzi non trova altro sfogo se non nella continua masturbazione e nella pratica omosessuale durante i pomeriggi di libert.

I discorsi piccanti e le prediche, la confessione e le pratiche di devozione sono in misura molto limitata influenze restrittive. Bouchard riferisce che, nelle quattro grandi feste della Chiesa, egli si asteneva dalle abituali pratiche sessuali per un periodo fino a otto o dieci giorni di seguito. Ma, nonostante i tentativi, non riusciva mai a prolungare questi intervalli di castit per un'intera quindicina, "quoy que la dvotion le gourmandast assez", nonostante il fatto che egli fosse non poco controllato e oppresso dalla devozione. In ogni data serie di circostanze il nostro effettivo comportamento rappresentato dalla diagonale di un parallelogramma di forze che ha l'appetito o l'interesse come base e, come altezza, gli ideali etici o religiosi. Nel caso di Bouchard e, possiamo supporre, nel caso degli altri ragazzi che egli nomina come compagni di piacere, l'altezza della devozione era cos bassa che l'angolo tra la lunga base e la diagonale del comportamento manifesto era solo di pochissimi gradi. Quando stava a casa per le vacanze i genitori assegnavano a Bouchard la stessa camera da letto di una cameriera adolescente. Questa ragazza aveva tutte le virt quando era sveglia, ma non poteva, ovviamente, essere responsabile di ci che accadeva mentre dormiva. E secondo il suo sistema privato di casistica, non faceva differenza se ella dormisse veramente o fingesse soltanto di dormire. Pi tardi, quando Jean-Jacques ebbe finito la scuola, vi fu una contadinella che badava alle vacche nel frutteto. Per mezzo penny, ella era disposta a concedere qualsiasi favore che il giovane padrone le chiedesse. Poi ancora un'altra cameriera, che aveva lasciato la casa perch il fratellastro di Bouchard, il priore di Cassan, aveva cercato di sedurla, ritorn a servizio della famiglia e divent presto cavia e collaboratrice di Jean-Jacques negli esperimenti sessuali descritti nella seconda met delle "Confessions". Tra Bouchard e l'erede al trono di Francia l'abisso era vasto e profondo. Eppure l'atmosfera morale in cui fu allevato il futuro Luigi Tredicesimo simile sotto molti aspetti a quella respirata dal suo pi umile contemporaneo. Col "Journal" del dottor Jean Hroard, il medico del piccolo principe, possediamo un lungo e dettagliato documento di una fanciullezza nel diciassettesimo secolo. Il delfino, vero, fu un bambino eccezionale; il primo figlio nato a un re di Francia in pi di ottanta anni.

Ma la preziosit di questo bambino unico mette ancora in maggior rilievo certe caratteristiche del suo allevamento che a noi appaiono straordinarie. Se cose simili andavano bene per un bambino per il quale niente era buono abbastanza, allora, potremmo domandarci, che cosa poteva andare per un bambino comune? Per cominciare, il delfino fu allevato insieme a tutto un branco di figli illegittimi di suo padre avuti da tre o quattro madri differenti. Alcuni di questi fratellastri e sorellastre erano pi grandi di lui, altri pi piccoli. All'et di tre anni - e forse prima - egli sapeva chiaramente che cosa fossero i bastardi e in quale maniera venissero fabbricati. Il linguaggio in cui queste informazioni venivano comunicate era cos costantemente volgare che spesso il bambino ne era sconvolto. "Fidonc!" egli diceva della sua "gouvernante", madame de Montglat, com' disgustosa! Enrico Quarto aveva una vera passione per le canzoni oscene, e i suoi cortigiani e servi ne conoscevano molte che cantavano continuamente mentre si affaccendavano nel palazzo. E quando non vocalizzavano le loro oscenit, gli addetti al principe, uomini e donne, si dilettavano in giuochi osceni col fanciullo circa i bastardi di suo padre e la stessa sua futura moglie (perch egli era gi fidanzato), l'infanta, Anna d'Austria. Inoltre, l'educazione sessuale del delfino non era soltanto verbale. La notte il bambino veniva preso spesso nel letto dalle donne di servizio; letto che esse dividevano (senza camicia da notte o pigiama) con altre donne o coi mariti. Sembra molto probabile che, dall'et di quattro o cinque anni, il bambino conoscesse tutti i fatti della vita, e li conoscesse non soltanto per sentito dire, ma per averli visti. Ci sembra tanto pi probabile dato che un palazzo del diciassettesimo secolo mancava del tutto di riservatezza. Gli architetti non avevano ancora inventato i corridoi. Per passare da una parte all'altra del fabbricato, si attraversava semplicemente una successione di stanze altrui, nelle quali poteva stare accadendo qualunque cosa, alla lettera. E vi era anche la questione dell'etichetta. Meno fortunato sotto questo aspetto dei suoi inferiori, un personaggio reale non era mai autorizzato a rimanere solo. Se il sangue era blu, si nasceva tra la folla, si moriva tra la folla, si soddisfacevano perfino i bisogni naturali tra la folla e all'occasione si doveva fare all'amore tra la folla.

E il carattere dell'architettura ambientale era tale da rendere difficile di evitare lo spettacolo di altri che nascevano, morivano, soddisfacevano i bisogni naturali e facevano all'amore. Nella sua vita Luigi Tredicesimo manifest una decisa avversione per le donne, una decisa, sebbene probabilmente platonica, inclinazione per gli uomini, e una decisa ripugnanza per ogni specie di deformit o malattia fisica. Il comportamento di madame de Montglat e delle altre signore della corte pu facilmente essere responsabile del primo ed anche, per reazione naturale, del secondo di questi due tratti; in quanto al terzo: chi sa in quale ripugnante squallore il bambino ebbe occasione di imbattersi nelle camere da letto fin troppo pubbliche di Saint-Germain-en-Laye? Questo, quindi, era la specie di mondo nel quale il nuovo parroco era stato allevato: un mondo in cui i tradizionali tab sessuali opprimevano molto leggermente la maggioranza ignorante e povera e non troppo gravemente le classi superiori; un mondo in cui le duchesse si permettevano scherzi degni della balia di Giulietta e la conversazione delle grandi dame non era che un'eco pi sporca e pi stupida di quella della moglie di Barh; dove un uomo ricco e socialmente rappresentativo poteva (se non era troppo scrupoloso in fatto di porcherie e licenziosit) soddisfare i suoi appetiti quasi "ad libitum", e dove anche tra le persone colte e di pensiero, gli insegnamenti della religione venivano presi per la massima parte in senso piuttosto pickwickiano, sicch l'abisso tra la teoria e il comportamento pubblico, sebbene un po' pi angusto che nelle ere medioevali della fede, rimaneva ancora abbastanza vasto. Un prodotto di questo mondo, Urbain Grandier, si rec alla sua parrocchia con tutta l'intenzione di ricavare il massimo vantaggio da questo e dall'altro, l'universo celestiale al di l dell'aborrito conflitto. Ronsard era il suo poeta favorito: aveva scritto certe "Stanze" che esprimevano perfettamente il punto di vista del giovane parroco "Quand au temple nous serons, Agenouills nous ferons Les dvots selon la guise De ceux qui, pour louer Dieu, Humbles se courbent au lieu Le plus secret de l'Eglise. Mais quand au lit nous serons, Entrelacs nous ferons Les lascifs selon les guises Des amants qui librement Pratiquent flatrement Dans les draps cent mignardises". [* Quando saremo in chiesa, inginocchiati faremo i devoti, a guisa di coloro che per lodare Dio, si inchinano umilmente nell'angolo pi segreto della chiesa.

Ma quando saremo a letto, allacciati faremo i lascivi, come gli amanti che liberi e giocondi praticano cento arti appassionate.] Era la descrizione di una vita completa e proprio la vita che questo giovane e sano umanista era deciso a condurre. Ma la vita di un prete non intesa per essere completa; essa intesa per essere orientata in un'unica direzione: una bussola, non una bandiera al vento. Per mantenere la sua vita orientata in un'unica direzione, il prete assume certi impegni, fa certe promesse. Nel caso di Grandier gli impegni erano stati assunti ed i voti pronunciati con una restrizione mentale, che egli doveva rendere pubblica - e allora soltanto per un singolo lettore - in un piccolo trattato sul celibato del clero, scritto dieci anni dopo il suo primo arrivo a Loudun. Contro il celibato Grandier si serve di due principali argomenti. il primo pu riassumersi nel seguente sillogismo. La promessa di compiere l'impossibile non lega. Per il giovane la continenza impossibile. Quindi nessun voto che implichi una simile continenza pu legare. E se ci non basti, ecco un secondo argomento basato sulla massima universalmente accettata che non si legati da promesse estorte con la forza. Il prete non abbraccia il celibato per amore del celibato, ma unicamente per essere ammesso ai sacri ordini. Il suo voto non deriva dalla sua volont, ma gli viene imposto dalla Chiesa, che lo costringe, volente o nolente, ad accettare questa dura condizione senza la quale non pu praticare la professione sacerdotale. Il risultato di tutto ci fu che Grandier si sent perfettamente libero in definitiva di sposarsi e, nello stesso tempo, di condurre una vita completa con ogni donna graziosa che fosse disposta a cooperare. Alle donne pudibonde della congregazione le tendenze amorose del nuovo parroco sembrarono il pi orribile degli scandali; ma le donne pudibonde erano in minoranza. Per le altre, anche per quelle che avevano tutte le intenzioni di rimanere virtuose, vi era qualche cosa di piacevolmente eccitante nella situazione creata dall'autorit di un uomo dell'aspetto, delle abitudini e della reputazione di Grandier. La sessualit si mescola facilmente con la religione e la loro fusione emana uno di quegli aromi leggermente ripugnanti eppure squisiti e

penetranti che eccitano il palato come una rivelazione: di che? Questa proprio la questione. La popolarit di Grandier con le donne era sufficiente, per se stessa, a renderlo estremamente impopolare tra gli uomini. Prima di tutto, i mariti e i padri delle sue parrocchiane erano profondamente diffidenti di questo giovane e intelligente "dandy" con belle maniere e parola facile. Ed anche se il nuovo parroco fosse stato un santo perch una prebenda ricca come quella di San Pietro doveva andare a uno straniero? Che cosa c'era da dire dei giovanotti del luogo? Le decime di Loudun dovevano andare ai cittadini di Loudun. E, a peggiorare le cose, lo straniero non era venuto solo. Aveva portato con s una madre, tre fratelli e una sorella. Per uno dei fratelli egli aveva gi trovato un lavoro nell'ufficio del magistrato capo della citt. Un altro, prete, era stato nominato capo vicario di San Pietro. Il terzo, anch'egli prete, non aveva alcuna posizione ufficiale ma andava in giro affamato in cerca di impieghi ecclesiastici. Era un'invasione. Anche i brontoloni dovettero ammettere, tuttavia, che m. Grandier sapeva predicare un tonante sermone, ed era un prete molto abile, fornito di dottrina solida ed anche di cultura secolare. Ma proprio questi meriti deponevano contro di lui. Per essere uomo di spirito e di vasta cultura, Grandier fu subito ricevuto dai personaggi pi aristocratici e dotti della citt. Le porte che erano sempre rimaste chiuse per i ricchi possidenti, i goffi ufficiali, gli zotici di nobile nascita, che costituivano l'alta, ma non la pi alta, societ di Loudun, si aprirono immediatamente per questo giovane inframettente di un'altra provincia. Aspro fu il risentimento dei notabili esclusi, quando sentirono dell'intimit, prima con Jean d'Armagnac, governatore della citt e del castello, di recente nomina, e poi col pi famoso cittadino di Loudun, l'anziano Scvole de Sainte-Marthe, insigne sia come giureconsulto che come statista, come storico e poeta. D'Armagnac stimava tanto le capacit e la discrezione del parroco che, durante le sue permanenze a corte, affidava a Grandier l'intera amministrazione dei suoi affari. Da Sainte-Marthe il "cur" era apprezzato, soprattutto, come umanista che conosceva i classici e poteva quindi stimare nel suo giusto valore il capolavoro del vecchio gentiluomo, "Paedotrophiae Libri Tres" un poema

didattico sulla cura e l'alimentazione dei bambini, tanto popolare da richiedere non meno di dieci edizioni durante la vita dell'autore, e nello stesso tempo cos elegante, cos corretto, da far dire a Ronsard che egli preferiva l'autore di questi versi a tutti i poeti della nostra epoca, e lo appoggiava nonostante il gran dispiacere che poteva darne a Bembo, a Navagero e al divino Fracastoro. Ahim, com' transitoria la fama, com' assoluta la vanit delle pretensioni umane! Per noi, il cardinale Bembo appena pi di un nome, Andrea Navagero ancora meno, e un'immortalit tale come quella goduta dal divino Fracastoro appartiene a lui unicamente in virt del fatto che egli dette un nomignolo pi raffinato alle lue scrivendo, in perfetto latino, una egloga medica circa l'infelice principe Sifilido, il quale, dopo molte sofferenze, fu guarito dal "morbus gallicus" con abbondanti pozioni di un decotto di guaiaco. Le lingue morte diventarono sempre pi morte e i tre libri del "Paedotrophiae" trattano di una fase meno drammatica del ciclo sessuale del "libri tres" della "Sifilide". Una volta letto da chiunque, una volta considerato come il pi divino tra i divini, Scvole de Sainte-Marthe ora svanito nell'ombra. Ma all'epoca in cui Grandier ne fece la conoscenza, egli era ancora nel fulgore della gloria, il pi grande dei grandi, una specie di monumento nazionale. Essere ricevuto da lui era come pranzare con Notre-Dame de Paris o fare quattro chiacchiere con Pont du Gard. Nella splendida dimora in cui si era ritirato questo vecchio statista e decano delle lettere umane, Grandier discorreva familiarmente col grand'uomo e con i suoi figli e nipoti quasi illustri come lui. E l arrivavano in visita celebrit: il principe di Galles, "incognito"; Thophraste Renaudot, medico non ortodosso, filantropo e padre del giornalismo francese; Ismal Boulliau, futuro autore della monumentale "Astronomia Philolaica" e primo osservatore che determinasse con precisione la periodicit di una stella variabile. A questi si aggiungevano ingegni locali come Guillaume de Cerisay, il "bailli", o magistrato capo di Loudun, e Louis Trincant, pubblico ministero, uomo pio e colto che era stato compagno di scuola di Abel de SainteMarthe e condivideva il gusto della famiglia per la letteratura e la ricerca. Non meno lusinghiera dell'amicizia di questi spiriti eletti era la inimicizia manifestata da tutti gli altri, gli esclusi. Essere disprezzato dallo stupido perch era tanto intelligente, essere invidiato dall'inetto perch si era fatto strada, essere detestato dal mediocre

per il suo spirito, dagli zotici per le sue origini e dagli antipatici per il suo successo con le donne: quale omaggio alla sua universale superiorit! E l'odio non era unilaterale. Grandier detestava i suoi nemici altrettanto cordialmente come essi lo detestavano. Maledizione ai freni, benedetto il lasciarsi andare. Vi sono molte persone per cui odio ed ira rappresentano un maggiore utile di appagamento immediato anzich l'amore. Congenitamente aggressivi, essi diventano adrenalinomani e incoraggiano deliberatamente le pi brutte passioni per il piacere della scossa che ricevono dalle ghiandole endocrine psichicamente stimolate. Sapendo che un'autoaffermazione finisce sempre con l'evocare altre ed ostili autoaffermazioni, essi coltivano diligentemente la loro ferocia. E, immancabilmente, si trovano presto nel folto della mischia. Ma la battaglia ci di cui essi godono; perch mentre combattono la chimica del sangue, essa li fa sentire pi intensamente se stessi. "Sentendosi bene", essi sostengono naturalmente di agire bene. L'uso dell'adrenalina viene razionalizzato come giusta indignazione e infine, come il profeta Jonah, essi sono convinti fermamente di far bene ad arrabbiarsi. Quasi fin dal primo momento del suo arrivo a Loudun, Grandier fu coinvolto in una serie di contese sconvenienti, ma, per quanto lo riguardava, assolutamente piacevoli. Un gentiluomo sfoder la spada contro il parroco. Con un altro, il "lieutenant criminel", che comandava la locale forza di polizia, egli si abbandon ad un volgare alterco in pubblico che presto degener in violenza fisica. Sopraffatti, il parroco e i suoi accoliti dovettero barricarsi nella cappella del castello. Il giorno dopo Grandier ricorse alla corte ecclesiastica e il "lieutenant criminel" fu debitamente rimproverato per la parte avuta nello scandaloso affare. Per il "cur" fu un trionfo, ma ad un prezzo. Un uomo influente che aveva provato soltanto dell'astio irragionevole per lui ora era un mortale ed inveterato nemico, in attesa di qualsiasi opportunit per vendicarsi. Per ragioni di elementare prudenza, non meno che per principio cristiano, il parroco avrebbe dovuto fare del suo meglio per conciliare le inimicizie dalle quali era circondato.

Ma nonostante tutti quegli anni passati coi gesuiti, Grandier era ancora lungi dall'essere cristiano; e nonostante tutti i buoni consigli ricevuti da d'Armagnac e dagli altri amici, egli era incapace, quando erano in giuoco le sue passioni, di agire con prudenza. La lunga pratica religiosa non aveva abolito e neppure mitigato il suo amor proprio; essa aveva servito solo a fornire all'io un alibi teologico. L'egotista ignorante vuole soltanto ci che vuole. Dategli un'educazione religiosa, e per lui diventa ovvio, diventa assiomatico, che ci che "egli" vuole ci che Dio vuole, che la "sua" causa la causa di tutto ci che gli possa capitare di considerare la vera Chiesa, e che ogni compromesso una Monaco metafisica, una pacificazione col diavolo radicale. D ragione al tuo avversario quando egli ti ostacola il cammino. Ad uomini come Grandier, il consiglio di Cristo sembra un invito blasfemo a scendere a patti con Belzeb. Invece di cercare di accordarsi con i nemici, il parroco si mise all'opera per esacerbare la loro ostilit con ogni mezzo in suo potere. E il suo potere, sotto questo aspetto, arrivava quasi al genio. La buona fata che visita le culle dei privilegiati, spesso la fata cattiva sotto un aspetto luminoso. Ella arriva carica di doni; ma la sua munificenza spesso fatale. Ad Urbain Grandier, per esempio, la buona fata aveva portato, insieme a delle solide attitudini, il pi splendente di tutti i doni, ed il pi pericoloso: l'eloquenza. Pronunciate da un buon attore - ed ogni grande predicatore, ogni avvocato o politico di successo , tra le altre cose, un attore consumato - le parole possono esercitare un potere quasi magico sugli ascoltatori. A causa dell'essenziale irrazionalit di questo potere, l'oratore pubblico anche meglio intenzionato, probabilmente fa pi male che bene. Quando un oratore, con la sola magia delle parole e di una voce d'oro, persuade il suo pubblico della giustizia di una causa falsa, ne rimaniamo terribilmente impressionati. Dovremmo provare la stessa costernazione ogni qual volta osserviamo gli stessi inopportuni artifici usati per persuadere la gente della giustizia di una buona causa. La convinzione inculcata pu essere desiderabile ma queste basi sono intrinsecamente false, e coloro che usano gli stratagemmi oratorii per istillare convinzioni anche giuste sono colpevoli di favorire gli elementi meno apprezzabili della natura umana.

Esercitando il disastroso dono della parola, essi approfondiscono il "trance" quasi ipnotico in cui vivono la maggioranza degli essere umani e da cui scopo e fine di ogni vera filosofia, di ogni religione genuinamente spirituale, di liberarli. Non solo, ma non vi pu essere effettiva oratoria senza supersemplificazione. E non si pu supersemplificare senza deformare i fatti. Anche quando fa del suo meglio per dire la verit, l'oratore di successo "ipso facto" un bugiardo. E la maggioranza degli oratori di successo, appena necessario aggiungerlo, non cercano neppure di dire la verit, essi cercano di suscitare simpatia per i loro amici e antipatia per gli opponenti. Grandier, ahim, era della maggioranza. Una domenica dopo l'altra, dal pulpito di San Pietro, egli offriva le sue famose imitazioni di Geremia e di Ezechiele, di Demostene, di Savonarola, finanche di Rabelais: poich egli era altrettanto bravo nella derisione quanto nella santa indignazione, nella ironia come nel terrore apocalittico. La natura aborre il vuoto, anche nella mente. Oggi il penoso vuoto della noia viene riempito e continuamente rinnovato dal cinema e dalla radio, dalla televisione e da giornali umoristici. Pi fortunati di noi, oppure meno fortunati (chi sa?) i nostri antenati dipendevano, per il lenimento della noia, dagli spettacoli settimanali del loro parroco, completati di tanto in tanto dai discorsi di cappuccini in visita o di gesuiti di passaggio. La predicazione un'arte, ed in questa, come in tutte le altre arti, i cattivi esecutori superano di gran lunga quelli buoni. I parrocchiani di San Pietro al Mercato potevano vantarsi di possedere, nel reverendo Grandier, un superbo virtuoso pronto ad improvvisare con abilit e in modo divertente sul pi sublime mistero cristiano, nonch sul pi pungente, pi delicato e pi scabroso degli argomenti parrocchiali. Come denunziava energicamente gli abusi, come rimproverava coraggiosamente anche chi si trovava in alto! La maggioranza cronicamente annoiata andava in estasi. I loro applausi servivano unicamente ad aumentare la rabbia di coloro che erano rimasti vittime della eloquenza del parroco. Tra queste vittime vi erano i monaci dei vari ordini che, dopo la cessazione delle aperte ostilit tra ugonotti e cattolici, avevano istituito Case nella citt una volta protestante. La principale ragione di Grandier per disprezzare i monaci era il fatto che egli stesso era prete secolare e fedele alla sua casta come il buon soldato

fedele al suo reggimento, il bravo studente alla sua universit, il buon comunista o nazista al suo partito. La fedelt all'organizzazione A implica sempre un certo grado di diffidenza, disprezzo o decisa ostilit per le organizzazioni B, C, D, e tutte le altre. E ci vale anche per i gruppi componenti entro un complesso pi grande e superordinato. La storia ecclesiastica presenta una gerarchia di odii, che vanno, per gradi ordinati, dall'odio ufficiale ed ecumenico della Chiesa per gli eretici e gli infedeli, agli odii particolari di un Ordine per un Ordine, di una scuola per una scuola, di provincia per provincia e di teologo per teologo. Sarebbe bene scrisse San Francesco di Sales nel 1612 sarebbe bene, con l'intervento di devoti e prudenti prelati, realizzare l'unione e la mutua comprensione tra la Sorbona e i padri gesuiti. Se in Francia i vescovi, la Sorbona e gli Ordini fossero profondamente uniti, in dieci anni l'eresia sarebbe eliminata. ("Oeuvres", cap. 15, 188). L'eresia sarebbe eliminata perch, come il santo dice altrove, "Chiunque predichi con amore predica a sufficienza contro l'eresia, sebbene possa non pronunziare mai una parola controversa". ("Oeuvres", cap. 6, 309). Una Chiesa divisa da odii intestini non pu praticare sistematicamente l'amore e non pu, senza manifesta ipocrisia, predicarlo. Ma invece di unione vi furono continui dissensi; invece di amore vi fu l'"odium theologicum" e l'aggressivo patriottismo di casta, di scuola e di Ordine. Alla contesa tra i gesuiti e la Sorbona si aggiunse presto la contesa tra i giansenisti e un'alleanza di gesuiti e salesiani. Dopo di che si ebbe la lunga lotta contro il quietismo e l'amore disinteressato. Alla fine le dispute della Chiesa gallicana, interne ed esterne, furono sedate, non per logica di persuasione, ma con ukase autoritario. Per gli eretici vi furono i "dragonnades" e alla fine la revoca dell'Editto di Nantes. Per gli ecclesiastici attaccabrighe bolle papali e minacce di scomunica. L'ordine fu ristabilito, ma nella maniera meno edificante, con i mezzi pi volgarmente temporali, meno religiosi ed umani. La fedelt partigiana socialmente disastrosa; ma per gli individui essa pu essere molto redditizia, pi redditizia sotto molti aspetti, anche della concupiscenza e dell'avarizia. Libertini e accumulatori di danaro difficilmente riescono a sentirsi orgogliosi della loro attivit, ma la partigianeria una passione complessa la

quale permette a coloro che vi si abbandonano di ricavare il massimo vantaggio da entrambi i mondi. Dato che fanno queste cose per amore di un gruppo il quale per definizione buono ed anche sacro, essi possono ammirarsi e disprezzare i vicini, possono cercare il potere e il danaro, possono godere i piaceri dell'aggressione e della crudelt, non soltanto senza sentirsi colpevoli, ma con una luce positiva di virt conscia. La fedelt al gruppo trasforma questi piacevoli vizi in atti di eroismo. I partigiani sono consapevoli di s, non come peccatori o criminali, ma come altruisti ed idealisti. E con qualche riserva, lo sono. L'unico guaio che il loro altruismo meramente egotismo promosso di grado, e che l'ideale, per cui essi sono pronti spesso a dare la vita, non altro che la razionalizzazione di interessi corporati e passioni di parte. Quando Grandier criticava i monaci di Loudun, lo faceva, possiamo esserne sicuri, con senso di santo zelo, con la coscienza di servire il Signore. Perch Dio, era fuori dubbio, stava dalla parte del clero secolare e dei buoni amici di Grandier, i gesuiti. Carmelitani e cappuccini stavano benissimo nelle mura dei loro monasteri o a condurre missioni in villaggi lontani, ma non avevano niente da fare con le questioni della borghesia urbana. Dio aveva decretato che le persone ricche e rispettabili fossero guidate dal clero secolare, con un po' di aiuto forse dei buoni padri della Compagnia di Ges. Una delle prime iniziative del nuovo parroco fu di annunziare dal pulpito che i fedeli erano obbligati a confessarsi al loro parroco e non a stranieri. Le donne, che erano le pi assidue nella confessione, furono fin troppo pronte ad obbedire. Il loro parroco era ora un giovane studioso dall'aspetto chiaro e piacevole, con maniere da gentiluomo. Non si poteva dire lo stesso dei cappuccini o dei carmelitani. Quasi tutte le sere i monaci perdevano qualcuna delle loro belle penitenti e, con esse, molta della loro influenza in citt. Grandier fece seguire a questa prima bordata una serie di riferimenti offensivi alla fonte principale di reddito dei carmelitani, una immagine miracolosa chiamata Notre-Dame di Recouvrance. Vi era stato un tempo in cui tutto un quartiere della citt era ricco di locande e pensioni per accogliere i pellegrini che venivano a pregare l'immagine per la salute di un marito, per un erede o una migliore fortuna.

Ma ora Notre-Dame de Recouvrance aveva una terribile rivale in NotreDame des Ardilliers, la cui chiesa si trovava a Saumur, a solo poche leghe da Loudun.Vi la moda dei santi, proprio come vi la moda delle cure mediche e dei cappelli femminili. Ogni grande chiesa ha la sua storia di immagini divenute improvvisamente famose, di reliquie appena arrivate che spossessano spietatamente i pi vecchi operatori di miracoli, solo per essere a loro volta escluse dal pubblico favore ad opera di qualche taumaturgo pi nuovo e momentaneamente pi attraente. Perch Notre-Dame des Ardilliers giunse quasi improvvisamente ad apparire tanto superiore a Notre-Dame de Recouvrance? La pi ovvia delle indubbiamente numerosissime ragioni fu che Notre-Dame des Ardilliers era affidata agli oratoristi e, come osserva il primo biografo di Grandier, Aubin tutti sono concordi sul fatto che i preti dell'Oratorio siano uomini pi capaci ed ingegnosi dei carmelitani. Gli oratoristi, bisogna ricordare, erano preti secolari. Forse ci aiuta a spiegare la scettica freddezza di Grandier verso NotreDame de Recouvrance. La fedelt alla sua casta lo costringeva a lavorare per la gloria e il vantaggio del clero secolare e per il discredito e la rovina dei monaci. Notre-Dame de Recouvrance sarebbe caduta certamente nell'oblio, anche se Grandier non fosse mai arrivato a Loudun. Ma i carmelitani preferirono essere di parere diverso. Considerare gli avvenimenti realisticamente, in termini di cause multiple, difficile ed emotivamente non giova. Com' pi facile, invece, com' pi piacevole far risalire ciascun effetto ad una causa singola e, se possibile, personale. All'illusione di capire, si aggiunger in questo caso, il piacere del culto dell'eroe, se le circostanze sono favorevoli, e l'eguale, se non maggiore piacere, quando sono sfavorevoli, di perseguitare un capro espiatorio. A questi piccoli nemici Grandier ne aggiunse subito un altro capace di fargli un male immensamente maggiore. Al principio dell'anno 1618, in occasione di una manifestazione religiosa alla quale partecipavano tutti i dignitari ecclesiastici della zona, Grandier offese il priore di Coussay pretendendo sgarbatamente la precedenza in una solenne processione per le strade di Loudun. Tecnicamente la posizione del parroco era inattaccabile. In una processione che partiva dalla propria chiesa, un canonico della Santa Croce aveva il diritto di procedere davanti al priore di Coussay.

E questo diritto sussisteva anche quando, com'era il caso, il priore fosse anche vescovo. Ma esiste anche la cortesia, ed esiste anche la circospezione. Il priore di Coussay era il vescovo di Luon, ed il vescovo di Luon era ArmandJean du Plessis de Richelieu. In quel momento - e questa era una ragione di pi per comportarsi con magnanima gentilezza - Richelieu era in disgrazia. Nel 1617, il suo protettore, il gangster italiano Concini, era stato assassinato. Questo "coup d'tat" [colpo di stato] fu macchinato da Luynes ed approvato dal giovane re. Richelieu fu escluso dal potere e licenziato dalla corte senza cerimonie. Ma vi erano ragioni per supporre che questo esilio sarebbe stato definitivo? Non vi era nessuna ragione. E, in realt, l'anno seguente, dopo un breve periodo di isolamento ad Avignone, l'indispensabile vescovo di Luon fu richiamato a Parigi. Nel 1622 egli era primo ministro del re e cardinale. Gratuitamente, per il mero piacere di affermarsi, Grandier aveva offeso un uomo che sarebbe diventato prestissimo governatore assoluto della Francia. In seguito il parroco avrebbe avuto ragione di deplorare la sua scortesia. Nello stesso tempo il pensiero di quell'atto audace lo riemp di fanciullesca soddisfazione. Uomo del popolo, parroco oscuro, egli aveva mortificato l'orgoglio di un favorito della regina, di un vescovo, di un aristocratico. Sent tutta l'esaltazione di un ragazzino che abbia fatto maramao al maestro e "l'abbia fatta franca". Lo stesso Richelieu, negli anni che seguirono, trasse un identico piacere comportandosi con i principi del sangue esattamente come Urbain Grandier si era comportato con lui. Pensare disse il suo vecchio zio, osservando il cardinale che con calma passava prima del duca di Savoia, pensare che dovevo vivere per vedere il nipote dell'avvocato Laporte passare davanti al nipote di Carlo Quinto!. Un altro bambino terribile l'aveva trionfalmente fatta franca. Lo schema della vita di Grandier oramai era fissato. Egli adempiva ai doveri del suo ufficio e negli intervalli frequentava discretamente le vedove graziose, passava le serate ai trattenimenti dei suoi amici intellettuali e litigava con una cerchia sempre pi vasta di nemici. Era una esistenza del tutto piacevole, che appagava la testa e il cuore, le gonadi e le glandole surrenali, la "persona" sociale e l'io privato.

Non vi era ancora stata nessuna grande o manifesta disgrazia nella sua vita. Egli poteva ancora immaginare che i suoi divertimenti fossero gratuiti, che poteva desiderare impunemente e odiare senza conseguenze. In effetti, per, il destino aveva gi cominciato a stendere il rendiconto, ma riservatamente. Egli non aveva subito dolori che potesse sentire, solo un progressivo indurimento e irrigidimento, un progressivo offuscamento della luce interiore, un graduale restringimento della finestra dell'anima sull'eternit. Ad un uomo del temperamento di Grandier - sanguigno, collerico, secondo la medicina costituzionale dell'epoca - sembrava ancora ovvio che tutto andasse bene nel mondo. E se tutto andava bene nel mondo, allora Dio deve stare in Paradiso. Il parroco era felice. Ovvero, per essere pi precisi, secondo l'umore, era il maniaco che ancora predominava. Nella primavera del 1623, carico d'anni e di onori, Scvole de SainteMarthe mor e fu seppellito con la dovuta pompa nella chiesa di Saint Pierre du March. Sei mesi dopo, alla funzione commemorativa presenziata da tutti i notabili di Loudun e di Chatelerault, di Chinon e di Poitiers, Grandier recit l'"oraison funbre" del grand'uomo. Fu una splendida e lunga orazione alla maniera (non ancora passata di moda, poich la prima edizione delle lettere di Balzac stilisticamente rivoluzionarie non apparve che l'anno dopo) dei "fedeli umanisti". Le frasi elaborate scintillavano di citazioni dai classici e dalla Bibbia. Una vistosa e superflua erudizione veniva esibita con compiacenza ad ogni occasione. I periodi rumoreggiavano con voluta grandiosit. Per coloro che amavano questa specie di cose - e chi non le amava nel 1623? - questa, senza dubbio, era proprio la specie che poteva piacere di pi. L'orazione di Grandier fu accolta con un applauso generale. Abel de Sainte-Marthe fu tanto commosso dall'eloquenza del parroco che pubblic un epigramma latino sull'argomento. Non meno lusinghieri furono i versi che m. Trincant, il pubblico ministero, scrisse in vernacolo. "Ce n'est pas sans grande raison Qu'on a choisi ce personnage Pour entreprendre l'oraison Du plus grand homme de son ge; Il fallait

vritablement Une loquence sans faconde Pour louer celuy dignement Qui n'eut point de second au monde." Povero m. Trincant! La sua passione per le muse era genuina ma senza speranza. Egli le amava, ma esse, evidente, non lo amavano. Se per non sapeva scrivere versi, egli poteva per lo meno parlarne. Dopo il 1623 il salotto del pubblico ministero divent il centro della vita intellettuale di Loudun. Era una vita piuttosto in tono minore, ora che Sainte-Marthe se ne era andato. Trincant era un uomo di lettere; ma la maggioranza dei suoi amici e parenti non lo erano. Esclusi da casa Sainte-Marthe costoro avevano, disgraziatamente, diritto ad essere invitati dal pubblico ministero. E quando essi entravano dalla porta, cultura e buona conversazione volavano dalla finestra. E come poteva essere altrimenti con tutte quelle donne ciarliere, quegli avvocati ignoranti di qualunque cosa che non fossero statuti e procedure; quei signorotti di campagna che si interessavano solo di cani e di cavalli? E infine vi era m. Adam il farmacista, e M. Mannoury il chirurgo; Adam, dal lungo naso, Mannoury, dalla faccia a luna piena e il pancione. Con tutta la gravit di dottori della Sorbona, essi dissertavano sulle virt dell'antimonio e del salasso, sul valore del sapone nei clisteri e del cauterio nella cura delle ferite da armi da fuoco. Poi, abbassando la voce, essi parlavano (sempre, naturalmente, nella pi stretta confidenza) della lue della marchesa, del secondo aborto della moglie del consigliere del re, della clorosi della giovane figlia della sorella del sindaco. Insieme assurdi e pretenziosi, solenni e grotteschi, il farmacista e il chirurgo erano zimbelli predestinati. Essi invitavano al sarcasmo, sollecitavano gli strali della derisione. Con la implacabile ferocia di un uomo intelligente che farebbe qualunque cosa per il gusto di una risata, il parroco li serviva a perfezione. In poco tempo si fece altri due nemici. E intanto un altro era in fabbricazione. Il pubblico ministero era un vedovo di mezz'et con due figlie da marito, di cui la maggiore, Philippe, era tanto graziosa che, durante tutto l'inverno del 1623 il parroco si trov a guardare sempre pi spesso nella sua direzione.

Osservando la ragazza muoversi tra gli ospiti di suo padre, egli l'apprezzava paragonandola alla propria immagine mentale di quella vivace e giovane vedova che allora consolava, ogni marted pomeriggio, della morte prematura del suo povero, caro marito, il mercante di vini. Ninon era ignorante, sapeva appena firmare. Ma sotto gli sconsolati veli da lutto, la carne in pieno rigoglio cominciava appena a perdere la sua saldezza. L vi erano tesori di tepore e di bianchezza; vi era una fonte inesauribile di sensualit, frenetica insieme e scientifica, violenta e pure mirabilmente docile ed esperta. E, grazie a Dio, non vi erano state barriere di pudore da demolire laboriosamente, n faticosi preliminari di platonica idealizzazione e petrarchesco corteggiamento da eseguire! Al terzo incontro, egli aveva azzardato la citazione dei versi introduttivi del suo poema favorito: "Souvent j'ai menti les bats Des nuits, t'ayant entre mes bras Foltre toute nue; Mais telle jouissance, hlas! Encore m'est inconnue." Non vi erano state proteste, solo la pi franca risata e uno sguardo, breve ma inequivocabile. Alla fine della quinta visita, egli era stato in grado di citare ancora Tahureau. "Adieu, ma petite matresse, Adieu, ma gorgette et mon sein, Adieu, ma dlicate main, Adieu, dond, mon tton d'albtre, Adieu, ma cuissette foltre, Adieu, mon oeil, adieu mon coeur, Ad ieu, ma friande douceur! Mais avant que je me dparte, Avant que plus loin je m'carte, Que je tte encore ce flanc Et le rond de ce marbre blanc." Addio, ma soltanto fino a dopo domani, quando ella sarebbe andata a San Pietro per la confessione settimanale - egli era sostenitore accanito della confessione settimanale - e la consueta penitenza. E poi nell'intervallo fino al successivo marted egli avrebbe predicato il sermone che stava preparando per la festa della Purificazione della Beata Vergine, quanto di pi bello avesse composto dall'orazione funebre di m. de Sainte-Marthe. Quale eloquenza, che cultura profonda e ricercata, che teologia sottile eppure eminentemente solida! Applausi, felicitazioni! Il "lieutenant criminel" sarebbe stato furioso, i frati verdi dall'invidia. "M. le cur", avete superato voi stesso. Vostra signoria impareggiabile.

Egli sarebbe andato verso la promozione in una gloria fulgente, e per serto di vittoria avrebbe ricevuto le braccia intrecciate di lei, per guiderdone i suoi baci, le sue carezze, la deificazione finale nel paradiso del suo amplesso. Che i carmelitani parlassero pure di estasi, di contatti celestiali, di grazie straordinarie e nozze spirituali! Egli aveva la sua Ninon e Ninon era sufficiente. Ma guardando di nuovo Philippe si domand se, dopo tutto, ella fosse sufficiente. Le vedove erano una grande consolazione, ed egli non vedeva alcuna ragione per rinunziare ai suoi marted; ma le vedove non erano vergini, le vedove sapevano troppo, le vedove cominciavano ad ingrassare. Mentre Philippe aveva ancora le braccia sottili di fanciulla, i seni sodi e la nuca morbida di un'adolescente. E com'era deliziosa questa combinazione di grazia giovanile e timidezza giovanile! Com'erano commoventi e nello stesso tempo provocanti ed eccitanti questi passaggi da una civetteria ardita quasi sfrontata, a un panico improvviso! Esagerando la parte di Cleopatra, ella invitava ogni uomo ad essere il suo Antonio. Ma appena qualcuno mostrava di accettare l'invito, la regina d'Egitto svaniva; rimaneva solo una bimba spaventata che implorava grazia. E allora, non appena la grazia fosse stata accordata, ritornava la sirena ammaliatrice col suo canto, che offriva frutti proibiti con la sfrontatezza di cui sono capaci soltanto i depravati o gli innocenti. Innocenza, purezza, quale gloriosa perorazione egli aveva composto su questo tema sublime! Le donne avrebbero pianto quando egli l'avesse pronunciata - ora tonando, ora nel pi tenero bisbiglio - dal pulpito della sua chiesa. Anche gli uomini si sarebbero commossi. La purezza dei gigli spruzzati di rugiada, l'innocenza degli agnelli e dei fanciulli. S, i frati sarebbero stati verdi d'invidia. Ma, fuorch nei sermoni e in Paradiso, tutti i gigli si decompongono presto o tardi in marciume, la pecorella predestinata, prima all'instancabile concupiscenza del montone, poi al macellaio; e all'inferno il dannato cammina su un pavimento eternamente cosparso di minuscole carcasse di bambini non battezzati. Dopo il peccato originale, la completa innocenza stata identificata con la completa depravazione.

Ogni fanciulla potenzialmente la pi esperta delle vedove e, grazie al peccato originale, ogni impurit potenziale gi, anche nel pi innocente, realizzata per una buona met. Aiutarne la completa realizzazione, seguire il germe ancora vergine formarsi in fiore sbocciato, sarebbe un piacere non solo dei sensi, ma anche dell'intelletto e della volont riflessivi. Sarebbe una sensualit morale e, per cos dire, metafisica. E Philippe non era soltanto giovane e verginale. Ella era anche di buona famiglia, allevata nella piet e nella raffinatezza. Graziosa come una miniatura, pure conosceva il catechismo; sonava il liuto, ma andava regolarmente in chiesa; aveva modi da gran signora, ma amava leggere e conosceva anche un po' di latino. La conquista di una simile preda stuzzicava la vanit del cacciatore e sarebbe stata considerata, da chiunque lo avesse saputo, un'impresa grande e memorabile. Nel mondo aristocratico di qualche anno dopo le donne secondo BussyRabutin facevano guadagnare agli uomini altrettanta considerazione quanto le armi. La conquista di una bellezza famosa equivaleva, approssimativamente, alla conquista di una provincia. Per i loro trionfi nelle alcove e nei "boudoir", uomini come Marsillac e Nemours e il chevalier de Grammont godettero fama quasi eguale, finch dur, a quella di Gustavo Adolfo o di Wallenstein. Nel linguaggio in voga a quell'epoca, ci si "imbarcava" in una di quelle imprese gloriose, ci si imbarcava deliberatamente e coscientemente allo scopo preciso di far colpo in societ. La sessualit pu servire sia all'autoaffermazione che all'autotrascendenza sia a intensificare l'io e a consolidare la "persona" sociale con qualche specie di cospicuo "imbarco" ed eroica conquista, come per annichilire la "persona" e trascendere l'io in un oscuro rapimento sensuale, una frenesia di passione romantica, o, pi apprezzabilmente, nella mutua carit del matrimonio perfetto. Con le sue ragazze contadine e le vedove piccolo borghesi di pochi scrupoli e grandi desideri, il parroco poteva ottenere tutta l'autotrascendenza che voleva. Philippe Trincant gli offriva ora una occasione per il pi piacevole e moderno tipo di autoaffermazione con lo sperato complemento - a conquista consumata di un tipo particolarmente raro e prezioso di autotrascendenza. Sogno delizioso! Ma l'ostacolo pi fastidioso si frapponeva alla sua realizzazione.

Il padre di Philippe era Louis Trincant, e Louis Trincant era il migliore amico del parroco, il suo pi fedele ed energico alleato contro i monaci, il "lieutenant criminel" e gli altri avversari. Louis Trincant aveva fiducia in lui, una fiducia cos completa da rinunziare le sue figlie al loro vecchio confessore per diventare penitenti di Grandier. E sarebbe stato il "cur" tanto buono da leggere occasionalmente qualche cosa sul dovere filiale e la modestia femminile? Era d'accordo che Guillaume Rogier non andava abbastanza bene per Philippe, ma sarebbe stato un compagno molto adatto per Franoise? E senza dubbio Philippe doveva esercitarsi in latino. Non poteva egli trovare un po' di tempo per darle una lezione di tanto in tanto? Abusare di una simile fiducia sarebbe stato il pi orribile dei delitti. Eppure proprio questo orrore era una ragione per commetterlo. Su ogni piano del nostro essere, da quello muscolare e sensitivo a quello morale ed intellettuale, ogni tendenza genera il proprio opposto. Noi guardiamo qualcosa di rosso, e l'induzione visiva intensifica la nostra percezione di verde e ci fa vedere anche, in certe circostanze, un alone verde intorno all'oggetto rosso, una postimmagine verde quando l'oggetto viene rimosso. Noi vogliamo un movimento; una serie di muscoli viene stimolata e, automaticamente, per induzione spinale, vengono inibiti i muscoli opposti. Lo stesso principio vale per i piani superiori della coscienza. Ogni s produce un no corrispondente. Vi pi fede in un onesto dubbio, credetemi, che in tutti i credi. E vi (come afferm Butler molto tempo fa, e come avremo occasione di osservare in molte occasioni durante il corso di questa storia), pi dubbio nella fede onesta, credetemi, che in tutti i testi Bradlaughs e marxisti. Nell'educazione morale l'induzione pone un problema particolarmente difficile. Se qualunque s tende automaticamente a evocare il corrispondente no, come possiamo inculcare il giusto comportamento senza nello stesso tempo inculcare induttivamente il comportamento errato che il suo opposto? Esistono metodi per combattere l'induzione; ma che non sempre essi sono bene applicati sufficientemente provato dall'esistenza di numerosi bambini testardi e ribelli, di adolescenti continuamente recalcitranti all'autorit, di adulti perversi e afflitti da spirito di contraddizione. Anche gli equilibrati e padroni di s sono consapevoli qualche volta della tentazione di fare esattamente il contrario di ci che sanno dovrebbero fare.

E' la tentazione, molto spesso, di un male senza scopo n vantaggio, di un'offesa gratuita e per cos dire, disinteressata contro il senso comune e l'ordine comune. Alla maggior parte di queste tentazioni induttive si resiste con successo: alla maggioranza, ma non a tutte. Di tanto in tanto persone ragionevoli e in sostanza rispettabili, si imbarcheranno, improvvisamente in imprese che esse stesse saranno le prime a disapprovare. In questi casi il malfattore agisce come se fosse posseduto da qualche entit diversa dal suo io ordinario e perversamente ostile ad esso. In realt egli vittima di un meccanismo neutrale che (come non di rado avviene con le macchine) sfuggito al controllo, da servo del suo possessore, ne diventa padrone. Philippe era straordinariamente attraente e i pi sacri giuramenti sono paglia nel fuoco del sangue. Ma oltre che fuoco nel sangue vi induzione nel cervello. Trincant era il migliore amico del parroco. Proprio l'atto di riconoscere che una cosa simile sarebbe stata mostruosa, creava nella mente di Grandier un desiderio perverso di tradirlo. Invece di fare uno sforzo supremo per resistere alla tentazione il parroco cerc ragioni per cedere. Egli si andava dicendo che il padre di un bocconcino delizioso come Philippe non aveva alcun diritto di comportarsi tanto fiduciosamente. Era pura follia, no, peggio che follia; era un delitto che meritava adeguata punizione. Le lezioni di latino, proprio! Era di nuovo la storia di Eloisa e Abelardo, col pubblico ministero nella parte dello zio Fulbert, che invita il rapitore a sentirsi a suo agio in casa. Mancava solo una cosa: il privilegio, cos liberamente accordato al tutore di Eloisa, di usare la sferza. E forse se egli lo chiedesse, l'imbecille Trincant gli concederebbe anche quello... Il tempo pass. La vedova continuava a godersi i suoi marted; ma nella maggioranza degli altri giorni della settimana Grandier lo si poteva trovare dal pubblico ministero. Franoise era gi sposata; ma Philippe era ancora a casa e faceva ottimi progressi col suo latino. "Omne adeo genus in terris hominumque ferarum et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres, in furias, ignesque ruunt; amor omnibus idem."

[Traduzione: Cos tutte le specie della terra di uomini e di bestie, le creature del mare i greggi, gli uccelli dai colori brillanti, sono travolti da violente passioni; l'amore lo stesso per tutti.] Ed anche i vegetali sentono la tenera passione. "Nutant ed mutua palmae foedera, populeo suspirat populus ictu, et platano platanus, alnoque assibilat alnus." [Traduzione: In un mutuo incontro si agitano le palme, i pioppi sospirano in armonia, armonia sospirano i platani, l'ontano bisbiglia a un altro ontano.] Philippe traduceva zelantemente per lui i pi teneri brani dai poeti, gli episodi pi scabrosi della mitologia. Con una abnegazione che la vedova gli rendeva piuttosto facile praticare, il parroco si asteneva da qualsiasi attentato all'onore della sua pupilla, da qualsiasi cosa che potesse essere soltanto interpretata come dichiarazione o proposito. Egli non faceva altro che rendersi affascinante e interessante, diceva alla ragazza due o tre volte alla settimana che ella era la donna pi intelligente che egli avesse mai conosciuto e occasionalmente la guardava in modo tale che Philippe abbassava gli occhi e arrossiva. Era piuttosto una perdita di tempo, ma divertente. E per fortuna, vi era sempre Ninon; e altrettanto fortunatamente la ragazza non poteva leggere i suoi pensieri. Stavano nella stessa stanza, ma non nello stesso universo. Non pi bambina, ma non ancora donna, Philippe abitava quel roseo limbo della fantasia che si trova tra l'innocenza e l'esperienza. La sua vita non era a Loudun, n tra questa gente zotica e noiosa, ma con un dio di un Elisio privato, trasfigurato dallo splendore dell'amore nascente e della sessualit immaginaria. Gli occhi scuri di lui, i suoi baffi, quelle mani bianche e ben curate, la perseguitavano come una coscienza colpevole. E che spirito egli aveva, che cultura profonda! Un arcangelo, saggio quanto bello e gentile quanto saggio. Ed egli la considerava intelligente, egli lodava la sua diligenza; e aveva una certa maniera di guardarla. Era mai possibile che egli...? Ma no, no, era sacrilegio anche solo pensare cose simili, era peccato. Ma come poteva mai confessarlo a "lui"? Ella concentrava tutta la sua attenzione sul latino.

"Turpe senex miles, turpe senilis amor." [Turpe il militare vecchio, turpe l'amore senile.] Un momento dopo, per, ella era sopraffatta da un vago ma violento struggimento. Nell'immaginazione ricordi di piaceri appena intuiti si trovavano improvvisamente associati a quegli occhi chiaroveggenti, a quelle mani bianche eppure pelose. La carta stampata perdeva forma davanti ai suoi occhi; ella esitava, balbettava. "Il vecchio soldato corrotto", pronunzi alla fine. Egli le dette un colpetto sulle nocche delle dita con la riga e le disse che era fortunata a non essere un maschio; perch se un ragazzo avesse fatto un errore cos grossolano, egli si sarebbe sentito in dovere di adottare decisamente pi severe misure. Ed agit la riga. Decisamente le pi aspre misure. Ella lo guard, poi frettolosamente gir lo sguardo. Il sangue le afflu alle gote. Gi fermamente stabilita nel prosaico e deluso appagamento di un matrimonio felice, Franoise port a sua sorella notizie di prima mano dal fronte del matrimonio. Philippe ascolt con interesse, ma sapeva che, per quanto la riguardava, tutto sarebbe stato sempre molto diverso. Il sogno ad occhi aperti si prolungava, si sviluppava in sempre maggiori particolari. Ora ella viveva il personaggio di governante di lui. In un altro momento egli era stato elevato alla sede di Poitiers e vi era un passaggio sotterraneo tra il palazzo episcopale e la casa di lei nei sobborghi. Oppure ella aveva ereditato centomila corone, cos egli lasciava la Chiesa ed essi passavano il tempo tra la corte e i loro possedimenti in campagna. Ma sempre, prima o poi, ella si doveva svegliare alla triste constatazione che lei era Philippe Trincant e lui, m. le "cur"; che anche se lui l'amasse (ed ella non aveva alcuna ragione per supporlo) non poteva mai dirlo; e se anche lo avesse detto, sarebbe stato sempre dovere di lei tapparsi le orecchie. Ma nello stesso tempo quale felicit, mentre era china sul libro o sul ricamo, immaginare l'impossibile! E poi la gioia tormentosa di udirlo bussare, poi il suo passo, la sua voce! Il delizioso peccato, il celestiale purgatorio di sedere con lui nella biblioteca di suo padre, traducendo Ovidio, sbagliando di proposito affinch egli minacciasse di frustarla,

ascoltando quella ricca voce sonora quando parlava del cardinale, dei ribelli protestanti, della guerra in Germania, della posizione dei gesuiti sulla grazia preveniente, delle sue prospettive di avanzamento. Se solo le cose potessero andare in quel modo per sempre! Ma era come chiedere (proprio perch la fine di un madrigale tanto bella, proprio perch la luce della sera trasforma tutto ci che tocca in qualcos'altro, qualcosa di impareggiabilmente pi bello), era come chiedere tutta una vita di tramonti d'estate, o un'infinit di autunni morenti. Con una parte di s ella sapeva di ingannare se stessa; ma per qualche settimana beata era capace, chiudendo gli occhi della ragione, di credere che la vita si fosse fermata in Paradiso e non avrebbe mai pi ripreso il suo cammino. Era come se l'abisso tra la fantasia e la realt fosse stato abolito. La vita reale ed i suoi sogni ad occhi aperti erano momentaneamente identici. Le sue immaginazioni non erano pi la consolante negazione dei fatti; i fatti si identificavano con le sue immaginazioni. Era una beatitudine, a lei pareva, senza peccato, perch cos priva di avvenimenti, cos completamente interiore; una beatitudine celeste, una beatitudine alla quale ella poteva abbandonarsi con tutto il cuore, senza paura o rimorsi. E quando pi completamente vi si abbandonava, tanto pi intensa essa diventava finch a un certo punto ella non fu pi capace di mantenere il segreto. Un giorno ne parl in confessione, con cautela, naturalmente, senza accennare, come ella immaginava, che fosse lo stesso confessore a provocare quelle emozioni. Le confessioni si seguivano una dopo l'altra. Il parroco ascoltava attentamente, ed ogni tanto faceva una domanda che le dimostrava com'egli fosse lontano dal sospettare la verit, come fosse caduto completamente nel suo innocente inganno. Facendosi coraggio, Philippe gli raccont ogni cosa, ogni cosa nei pi intimi dettagli. La sua felicit in quell'epoca sembr aver superato i limiti del possibile, sembrava una specie di lungo parossismo, di dolce frenesia che ella poteva rinnovare a volont, poteva continuare a rinnovare per sempre. Per sempre, per sempre. E poi arriv il giorno in cui si lasci sfuggire "voi" invece di "lui" e cerc di ritirare la parola, si confuse e, alle domande di lui, scoppi in lagrime e confess la verit. "Finalmente" disse a se stesso Grandier "finalmente!" Ed

ora era tutto un andare a gonfie vele, era questione solo di parole e gesti attentamente graduati, di tenerezza modulata con sfumature insensibili, da quella del cristiano di professione al petrarchista, e dal petrarchista all'animale fin troppo umano e autotrascendente. La discesa sempre facile e in questo caso vi fu abbondanza di casistica per lubrificare le guide del varo e, dopo che fu raggiunto il fondo, tutte le assoluzioni che una ragazza poteva desiderare. Qualche mese dopo vi fu una vera e propria salita a bordo. In verit, essa fu una piccola delusione. Perch non si era accontentato della vedova? Per Philippe intanto la beatitudine interiore e priva di avvenimenti era stata sostituita dalla spaventosa realt di una passione confessata e ricambiata, dalle interminabili torture della lotta morale, dalle preghiere per ottenere forza, dai voti di non pi cedere, e alla fine in una sorta di disperazione, quasi come a buttarsi da una rupe, dalla resa. La resa non le aveva portato niente di tutto ci che ella aveva immaginato. Invece essa aveva portato la rivelazione, nel suo arcangelo, di un pazzo bruto e la scoperta nella propria mente e nel proprio corpo, prima della vittima predestinata, la martire dolorosa e perci felice, e poi, improvvisamente, apocalitticamente, di una nuova se stessa non pi somigliante di quanto quella feroce incarnazione di passione aveva somigliato all'eloquente predicatore, allo spiritoso e raffinato umanista del quale in origine ella si era innamorata. Ma ora si rendeva conto che innamorarsi non era lo stesso che amare. Innamorarsi era una specie di fantasia e ci di cui ci si innamorava era solo un'astrazione. Quando si amava, si amava un'esistenza completa e la si amava con tutto il proprio essere, con l'anima e con ogni fibra del corpo, con l'io e con quest'altro scoperto ora estraneo ed inferiore, oltre ed entro l'io. Ella era tutta amore e solo amore. Non esisteva altro che l'amore: niente altro. Niente altro? Con un guizzo quasi udibile, il Fato fece scattare la trappola che ella stessa si era preparata. Ed eccola presa disperatamente tra la fisiologia e l'ordine sociale: incinta ma non maritata, disonorata senza possibilit di redenzione. L'inconcepibile era diventato reale: ci che era stato fuori questione era ora un fatto. La luna cresceva, indugiava per una o due notti gloriose in tutto il suo splendore, poi impallidiva come l'ultima speranza, e scompariva.

Non c'era niente da fare se non morire nelle sue braccia: morire, oppure, se ci fosse impossibile, almeno dimenticare per un po' ed essere qualcun altro. Allarmato da tanta violenza, tanto inconsiderato abbandono, il parroco cerc di modulare la sua passione in un tono pi gaio e meno tragico. Accompagn le sue carezze con appropriate citazioni dai classici pi vivaci. "Quantum, quale latus, quam juvenile femur!" [Che fianco, che giovane coscia!]. Negli intervalli dell'amore egli le raccontava storie sconvenienti dalle "Dames Galantes" di Brantme, le sussurrava all'orecchio qualcuna delle enormit catalogate cos diligentemente da Sanchez nel suo volume sul matrimonio. Ma il volto di lei non mutava mai espressione. Era come un volto nel marmo, un volto su una tomba, chiuso, impenetrabile, vuoto anche di vita. E quando finalmente ella riapriva gli occhi, era come se lo guardasse da un altro mondo, un mondo dove vi era solo dolore e granitica disperazione. Quello sguardo lo preoccupava; ma alle sue premurose domande ella non rispondeva; solo gli afferrava i folti riccioli scuri e lo attirava a s, alle labbra, alla gola e al seno che si offrivano. Poi un giorno, mentre lui raccontava una storia su re Francesco che beveva coppe per le debuttanti - quei calici incisi nell'interno con atteggiamenti amorosi, i quali si rivelavano sempre pi completamente ad ogni sorso di vino dissimulatore - ella lo interruppe con la laconica notizia che stava per avere un bambino, e scoppi in un parossismo di singhiozzi. Trasferendo la mano dal petto al capo inclinato e mutando tono improvvisamente, da osceno a clericale, il parroco le disse che doveva imparare a portare la sua croce con rassegnazione cristiana. Poi, ricordando la visita che aveva promesso di fare alla povera madame de Brou, che aveva un cancro all'utero e aveva bisogno di tutta la consolazione spirituale che egli poteva darle, si accomiat. Dopo di che fu sempre troppo occupato per darle altre lezioni. Eccetto come penitente Philippe non lo vide pi solo. E quando, nel confessionale, ella cerc di parlargli come persona - come all'uomo che aveva amato, l'uomo il quale, com'ella ancora credeva, l'aveva amata - si trov di fronte solo il prete, solo il transustanziatore del pane e del vino, il datore di assoluzione e il distributore di penitenza. Come la sollecitava eloquentemente a pentirsi, ad affidarsi alla misericordia divina! E quando ella ricord il loro passato amore, egli la rimprover con indignazione quasi profetica di cullarsi con tanta

compiacenza nella sua corruzione; quando ella gli domand disperatamente che cosa doveva fare, egli le disse mellifluamente che, come cristiana doveva, non soltanto rassegnarsi alla umiliazione che era piaciuto a Dio di farle soffrire; ma doveva abbracciarla e attivamente volerla. Della propria partecipazione alla disavventura di lei egli non le permetteva di parlare. Ogni anima deve portare il fardello del proprio malfatto. I propri peccati non erano scusati dai peccati che gli altri potevano e non potevano aver commesso. Se ella veniva a confessarsi, era allo scopo di chiedere perdono di ci che aveva fatto, non di indagare nella coscienza degli altri. E con ci, confusa e lagrimante, ella veniva congedata. Lo spettacolo di tanta infelicit non suscitava in lui n piet n rimorso, ma solo un senso di fastidio. L'assedio era stato noioso, la conquista senza gloria, il godimento successivo solo moderato. Ed ora con questa precipitosa e importuna fecondit, ella lo minacciava nell'onore, nella stessa esistenza. Un piccolo bastardo, in cima a tutti i suoi altri impicci, sarebbe stata la sua rovina! In realt della ragazza non gli era mai importato; ora la detestava energicamente. Ed ella non era nemmeno pi graziosa. La gravidanza e le preoccupazioni avevano contribuito a darle l'espressione di un cane frustato, l'aspetto di un bambino con i vermi. Insieme a tutto il resto, quella temporanea bruttezza lo indusse a pensare che non soltanto egli non aveva nessun altro impegno verso di lei, ma che ella lo aveva offeso e, impugnando il suo buon gusto, lo aveva imbrogliato. E con la coscienza tranquilla assunse ora l'atteggiamento che, non essendovi alternativa accettabile, avrebbe dovuto assumere anche se si fosse sentito colpevole. Decise di fingere sfacciatamente; di negare tutto. Non solo avrebbe agito e parlato, ma anche pensato e sentito interiormente, come se niente del genere fosse mai, o potesse mai essere accaduto, come se la stessa idea di un'intimit con Philippe Trincant fosse assurda, sciocca, assolutamente fuori questione. "Le coeur le mieux donn tient toujours demi, Chacun s'aime un peu mieux toujours que son ami." [* Il cuore pi donato cede solo a met, ognuno ama se stesso un po' pi del suo amico.]

NOTE. N. 1: I seguenti estratti sono riportati dal sommario di H. C. Lea sulle condizioni della Chiesa francese dopo il Concilio di Trento. Nella prima parte della nostra era l'influenza dei canoni tridentini fu insufficiente. In un consiglio reale tenuto nel 1560 Charles de Marillac, vescovo di Vienna, dichiar che la disciplina ecclesiastica era quasi superata e che nessun'epoca aveva visto in precedenza scandali cos frequenti, o la vita del clero cos reprensibile. I prelati francesi come quelli tedeschi avevano l'abitudine di raccogliere il "cullagium" da tutti i loro preti, e di informare quelli che non mantenevano concubine che potevano farlo se lo desideravano, ma dovevano pagare il permesso in ogni caso. E' evidente da tutto ci che il livello della morale ecclesiastica non era salito per gli sforzi dei padri tridentini; eppure uno studio della disciplina nella Chiesa dimostra che aumentando il decoro e la raffinatezza della societ durante il diciassettesimo e diciottesimo secolo le aperte e ciniche manifestazioni di licenza tra il clero diventarono gradatamente pi rare. Evitare gli scandali divent questione di suprema importanza. Le concubine, se venivano mantenute, venivano mantenute "sotto l'apparenza di sorelle e nipoti". Secondo un codice di regole emanato nel 1668 fu decretato che i frati dell'Ordine dei Minimi non fossero scomunicati se "nel cedere alle tentazioni della carne, o prima di commettere un furto, avessero prudentemente lasciato l'abito talare". (Henry C. Lea, "Storia del Celibato Sacerdotale", capitolo 29, "La Chiesa Post-Tridentina"). In tutto questo tempo furono compiuti sforzi disperati per imporre la rispettabilit. Nel 1624, per esempio, il reverendo Ren Sophier fu riconosciuto colpevole di aver commesso adulterio in una chiesa con la moglie di un magistrato. Il "lieutenant criminel" di Le Mans lo condann alla forca. Il caso fu portato davanti al Parlamento di Parigi, il quale condann, invece l'imputato ad essere bruciato vivo.

Capitolo 2

Le settimane passarono. Philippe usciva sempre meno frequentemente, e alla fine rinunzi finanche ad andare in chiesa. Disse di essere malata, e che doveva rimanere in camera. La sua amica, Marthe le Pelletier, una ragazza di buona famiglia, ma orfana e poverissima, venne a vivere in casa per assisterla e farle compagnia. Senza ancora sospettare niente, ancora indignato se qualcuno si permetteva solo di accennare alla verit o di pronunziare una parola contro il parroco, m. Trincant parlava con interesse paterno di tendenze morbose e di minaccia di tisi. Il dottor Fanton, medico curante, tacque discretamente con chiunque. Gli altri a Loudun o ammiccavano con equivoco compiacimento, oppure si abbandonavano ai piaceri della giusta indignazione. Quando lo incontravano, i nemici del parroco lasciavano cadere allusioni velenose; gli amici pi severi scotevano il capo, i pi rabelaisiani lo stuzzicavano e gli porgevano oscene congratulazioni. A tutti Grandier rispondeva di non sapere di che cosa parlavano. Per coloro che non erano gi prevenuti contro di lui, i suoi modi franchi e dignitosi e la manifesta sincerit delle sue parole erano prova sufficiente della sua innocenza. Era moralmente impossibile che un uomo simile potesse aver fatto le cose di cui lo accusavano i suoi calunniatori. Nelle case di persone famose come m. de Cerisay e madame de Brou egli era ancora ospite gradito. E le loro porte rimasero aperte per lui anche dopo che quella del pubblico ministero gli era stata chiusa. Poich, alla fine, anche gli occhi di Trincant si aprirono sulla vera natura della indisposizione di sua figlia. Messa alle strette, ella confess la verit. Da fedele amico del parroco Trincant divenne, improvvisamente, il pi implacabile e pericoloso dei suoi nemici. Grandier aveva stretto un'altra maglia essenziale nella catena che avrebbe segnato il suo destino. Il bambino arriv finalmente.

Attraverso le imposte chiuse, attraverso le pesanti cortine e le coperte con le quali si era sperato di soffocare ogni vagito, gli urli della giovane madre, velati, ma perfettamente distinti, annunziarono l'evento benedetto a tutti i vicini di m. Trincant, ansiosamente in attesa. Entro un'ora la notizia aveva riempito la citt e la mattina seguente un'ode scurrile alla "Nipote bastarda del pubblico ministero" era stata incollata alla porta del Tribunale. Fu sospettata una mano protestante; poich m. Trincant era eccessivamente ortodosso e aveva profittato di qualsiasi occasione per ostacolare e molestare i concittadini eretici. Intanto con eroica generosit, che spicca tanto pi notevolmente per il prevalente squallore morale, Marthe le Pelletier aveva assunto pubblicamente la maternit del bambino. Era stata lei a peccare, lei era stata costretta a nascondere la sua vergogna. Philippe era soltanto la benefattrice che le aveva offerto rifugio. Nessuno, naturalmente, credette una parola; ma il gesto fu ammirato. Quando la bambina ebbe una settimana, Marthe l'affid a una giovane contadina che aveva accettato di farle da balia. Tutto ci alla luce del sole, in modo che tutti potessero vedere. Non ancora convinti, i protestanti continuarono a chiacchierare. Per far tacere il loro indecente scetticismo, il pubblico ministero ricorse ad uno stratagemma legale, particolarmente odioso. Fece arrestare Marthe le Pelletier sulla pubblica strada e la fece condurre davanti al magistrato. Qui, sotto giuramento e alla presenza di testimoni, le fu chiesto di firmare un atto, col quale ella riconosceva ufficialmente il bambino come suo e ne accettava la responsabilit del mantenimento per il futuro. Per amore dell'amica, Marthe firm. Una copia dell'atto fu archiviata nei registri dell'ufficio, l'altra intascata trionfalmente da m. Trincant. Debitamente provata, la bugia era adesso legalmente vera. Per gli intelletti addestrati nella legge, la verit legale la stessa cosa della verit senza riserve. A chiunque altro, come scopr con suo dolore il pubblico ministero, l'equivalenza non sembra affatto evidente. Anche dopo che egli ebbe letto l'atto ad alta voce, anche dopo che ebbero visto la firma con i loro occhi, toccato il timbro ufficiale con le loro dita, i suoi amici sorrisero solo educatamente e parlarono d'altro, mentre i nemici ridevano forte e facevano osservazioni offensive.

Tale era la cattiveria dei protestanti, che uno dei loro ministri sostenne pubblicamente che lo spergiuro peccato pi grave della fornicazione, e che il bugiardo il quale giuri il falso allo scopo di nascondere uno scandalo pi meritevole del fuoco eterno di colui che per lascivia aveva in origine provocato lo scandalo. Un lungo secolo ricco di avvenimenti separava l'et matura del dottor Samuel Garth dalla giovinezza di William Shakespeare. Nel governo, nella organizzazione sociale ed economica, in fisica e in matematica, in filosofia e nelle arti, vi erano stati mutamenti rivoluzionari. Ma vi era per lo meno una istituzione che rimase, alla fine di questo periodo, esattamente quale era stata al principio: la farmacia. Nella bottega del farmacista descritta da Romeo: "... a tortoise hung An alligator, stuff'd, and other skins, Of ill-shap'd fishes, and about the shelves A beggarly account of empty boxes, Green earthen pots, bladders and mustv seeds." [Traduzione: Una tartaruga appesa, un alligatore imbalsamato, ed altre pelli di pesci malfatti, e sugli scaffali una misera raccolta di barattoli vuoti, vasi verdi di creta, vesciche e germi ammuffiti.] Nel suo "Dispensario" Garth dipinge un quadro quasi identico: "Here mummies lay, most reverently stale, And there the tortoise hung her coat of mail; Not far from some large shark's devouring head The flying fish their finny pinions spread. Aloft in rows large poppy heads were strung And, near, a scaly alligator hung; In this place drugs in musty heaps decay'd, In that dried bladders and drawn teeth were laid." [Traduzione: Qui stanno le mummie conservate col pi profondo rispetto, e l la tartaruga appesa nella sua armatura, non lontano da una grande testa spalancata di pescecane, le rondini marine disseminano le loro ali pinnate. In alto grandi semi di papavero sono stesi in file e, vicino, pende uno squamoso alligatore. Qui erano collocate le droghe in cumuli polverosi, l vesciche secche e denti cavati.] Questo tempio della scienza, che nello stesso tempo il laboratorio di un mago ed il banco secondario di una fiera campagnuola, il simbolo pi espressivo di quello strano agglomerato di incongruit, la mente del diciassettesimo secolo.

Infatti l'epoca di Descartes e di Newton fu anche l'epoca di Fludd e di Sir Kenelm Digby; l'epoca dei logaritmi e della geometria analitica fu l'epoca altres degli unguenti miracolosi, della Polvere Simpatica, della teoria delle firme. Robert Boyle, che scrisse "Il chimico scettico" e fu uno dei fondatori della Royal Society lasci un volume di ricette per rimedi casalinghi. Raccolte da una quercia con la luna piena, le bacche di vischio asciugate, ridotte in polvere e mescolate con succo di amarene cureranno l'epilessia. Per le crisi apoplettiche, bisogna prendere il mastice (la resina che si trova sui cespugli di lentischio nell'isola di Chio), estrarne l'olio essenziale distillandolo in un alambicco di rame e introdurne una o due gocce con un cannello in una delle narici del paziente e dopo un po' nell'altra. Lo spirito scientifico era gi energicamente vivo. Ma non meno energicamente vivo era lo spirito del clinico e della strega. La farmacia di m. Adam in rue des Marchands era di media categoria, n misera, n grandiosa, ma solidamente provinciale. Troppo modesta per le mummie o per un corno di rinoceronte essa poteva vantare per diverse tortore dell'India Occidentale, il feto di una balena e un coccodrillo lungo due metri. E la merce era abbondante e assortita. Sugli scaffali vi erano tutte le erbe del repertorio galenico, tutte le novit in prodotti chimici dei seguaci di Valentino e di Paracelso. Rabarbaro ed aloe abbondavano; e abbondava anche il calomelano o, come m. Adam preferiva chiamarlo, "Draco mitigatus", Drago mitigato. Vi era colloquintide per chi desiderava una pillola vegetale per il fegato; e vi era anche tartaro emetico e antimonio metallico per chi desiderava provare cure pi moderne. Chi per disgrazia aveva avuto fortuna in amore con un cattivo genere di ninfa o di Adone poteva scegliere tra "Arbor vitae" e "Hydrargyrun cum Creta", tra salsapariglia e una unzione di unguento blu. Con tutti questi prodotti, nonch con vipere disseccate, zampe di cavallo e ossa umane, m. Adam era in grado di accontentare esaurientemente i suoi clienti. Gli specifici pi costosi: - lo zaffiro in polvere, per esempio, o le perle dovevano essere ordinati e pagati in anticipo. Da quel momento in poi la bottega del farmacista divent il quartier generale e luogo di convegno abituale di una congiura, il cui unico scopo era di vendicarsi di Urbain Grandier. Gli spiriti animatori dell'intrigo erano il pubblico ministero, suo nipote, il canonico Mignon, il "lieutenant criminel" e il suocero, Mesmin de Silly,

Mannoury il chirurgo, e m. Adam stesso, il quale per le sue attribuzioni di preparatore di pillole, cavadenti, ed esecutore di clisteri della comunit fruiva di impareggiabili opportunit per la raccolta di notizie. Infatti, da madame Chauvin, la moglie del notaio, egli aveva saputo (nella pi stretta confidenza, mentre preparava un vermifugo per il piccolo Thophile) che il parroco aveva proprio allora investito ottocento lire in una prima ipoteca. Il mascalzone stava diventando ricco. Ed ecco qualche cattiva notizia. Dalla cognata del secondo valletto di d'Armagnac che soffriva di disturbi femminili ed era cliente assidua per il suo decotto di erbe, il farmacista aveva sentito che Grandier avrebbe pranzato al castello il giorno dopo. A ci il pubblico ministero aggrott le sopracciglia, il lieutenant bestemmi e scosse il capo. D'Armagnac non era soltanto il governatore; egli era uno dei favoriti del re. Che un uomo simile fosse amico e protettore del parroco era infatti deplorevole. Vi fu un lungo e pesante silenzio, rotto alla fine dal canonico Mignon, il quale dichiar che la loro unica speranza stava in un grosso scandalo. In un modo o nell'altro avrebbero trovato il mezzo di coglierlo "in flagrante delicto". Forse la vedova del vinaio? Malinconicamente il farmacista dovette ammettere che, da questo fronte non aveva niente di buono da riferire. La vedova sapeva come tenere la bocca chiusa, la cameriera si era dimostrata incorruttibile e quando la sera prima egli aveva cercato di spiare da una fessura delle imposte, qualcuno si era affacciato da una finestra superiore con un vaso da notte pieno... Il tempo pass. Con serena e maestosa impudenza, il parroco continuava i suoi affari e i suoi piaceri, come al solito. E ben presto le pi strane voci giunsero all'orecchio del farmacista. Il parroco si tratteneva sempre pi a lungo con la pi illustre bigotta e "dvote", mademoiselle de Brou. Madeleine era la seconda delle tre figlie di Ren de Brou, uomo dalla posizione solida e nobile di nascita, imparentato con le migliori famiglie della provincia. Le sue due sorelle erano sposate, una ad un medico, l'altra a un gentiluomo di campagna; ma a trent'anni Madeleine era ancora nubile e stranamente libera.

I corteggiatori non erano mancati; ma ella aveva rifiutato tutte le offerte preferendo rimanere a casa, occuparsi dei vecchi genitori assorta nei suoi pensieri. Era una di quelle giovani donne tranquille ed enigmatiche che nascondono le forti emozioni dietro un rigido isolamento. Stimata dagli anziani, ella aveva pochi amici tra i coetanei e i giovani, che la consideravano presuntuosa e, dato che non amava i loro chiassosi divertimenti, una guastafeste. Inoltre ella era assolutamente troppo devota. Va bene la religione; ma non bisognava permetterle di invadere la santit della vita privata. E quando si arrivava alla comunione frequente, alla confessione ogni santo giorno e a rimanere inginocchiati per ore, come soleva fare Madeleine, davanti all'immagine di Nostra Signora, ebbene, questo era in verit un poco troppo per essere cosa buona. La lasciarono a se stessa, ed era esattamente ci che Madeleine voleva. Poi il padre mor e dopo poco la madre si ammal di cancro. Durante la lunga e penosa malattia, Grandier aveva trovato tempo, negli intervalli tra Philippe Trincant e la vedova del vinaio di visitare la povera signora e portarle le consolazioni della religione. Sul letto di morte madame de Brou raccomand la figlia alle sue cure pastorali. Il parroco promise di tutelare gli interessi materiali e spirituali di Madeleine come se fossero propri. A modo suo avrebbe mantenuto quella promessa. Il primo pensiero di Madeleine, dopo la morte della madre, fu di staccarsi da ogni vincolo col mondo ed entrare in convento. Ma quando consult il suo direttore spirituale, lo trov contrario al progetto. Fuori del chiostro, insistette Grandier, ella avrebbe potuto fare pi bene che dentro. Tra le orsoline o le carmelitane, avrebbe dovuto nascondere la sua luce e limitarla. Il suo posto era l, a Loudun; la sua vocazione, dare uno splendido esempio di saggezza a tutte quelle vergini folli che pensavano solo alle vanit periture. Egli parl eloquentemente e vi era un accento divino nelle sue parole. I suoi occhi splendevano, tutto il volto sembrava brillare di un fuoco interiore di zelo e di ispirazione. Egli somigliava, pens Madeleine, a un apostolo, a un angelo.

Tutto ci che diceva era vero, assiomaticamente, chiaro di per s. Continu a vivere nella vecchia casa; ma essa appariva cos scura, ora, cos vuota, ed ella prese l'abitudine di passare buona parte della giornata con la sua amica (quasi la sola amica) Franoise Grandier, che viveva col fratello alla canonica. Qualche volta - che cosa c'era di pi naturale? - Urbain si univa a loro quando sedevano insieme a cucire per i poveri o ad eseguire ricchi ricami per Nostra Signora o per uno dei santi; e improvvisamente il mondo sembrava illuminarsi e riempirsi di significato divino s che ella sentiva l'anima riboccare di felicit. Questa volta Grandier cadde nel suo stesso trabocchetto. La sua strategia - la vecchia strategia familiare al seduttore - avrebbe richiesto freddezza di fronte a un fuoco deliberatamente acceso, una sensualit distaccata da opporre alla passione e lo sfruttamento degli infiniti elementi dell'amore per i propri scopi strettamente limitati. Ma mentre la campagna progrediva, si verific qualcosa di negativo, o piuttosto qualcosa di positivo. Per la prima volta nella sua vita Grandier si trov innamorato; innamorato non solamente con la prospettiva delle future sensualit, non solamente di un'innocenza che sarebbe stato divertente corrompere, di una superiorit sociale la cui umiliazione sarebbe stato il suo trionfo, ma di una donna riconosciuta come persona ed amata per ci che era effettivamente. Il libertino si convert alla monogamia. Fu un grande passo avanti, ma un passo avanti che un prete della Chiesa Cattolica non poteva fare senza trascinare se stesso in infinite difficolt, etiche e teologiche, ecclesiastiche e sociali. Fu allo scopo di liberarsi di qualcuna di queste difficolt che Grandier scrisse il breve trattato sul celibato del clero, citato in un capitolo precedente. Nessuno ama considerarsi immorale ed eretico; ma nello stesso tempo nessuno ama rinunziare al corso di avvenimenti dettati da potenti impulsi, specialmente quando questi impulsi sono riconosciuti di natura buona, in quanto tendenti verso una vita pi alta e pi intensa. Da ci tutta la strana letteratura di razionalizzazione e giustificazione, razionalizzazione dell'impulso o dell'intuizione in termini di quella filosofia che capita, in una determinata epoca o luogo, di essere in voga, giustificazione di azioni non ortodosse in riferimento al codice di morale corrente, reinterpretato per adattarlo al caso particolare. Il trattato di Grandier un esemplare caratteristico di questa toccante e spesso straordinariamente curiosa branca dell'apologismo.

Egli ama Madeleine de Brou e sa che questo amore intrinsecamente buono; ma secondo i regolamenti dell'organizzazione alla quale appartiene, anche questo amore intrinsecamente buono cattivo. Egli deve quindi trovare qualche argomento per provare che i regolamenti non intendono ci che dicono oppure che egli stesso non intendeva ci che disse quando accett, sotto giuramento, di uniformarsi ad essi. Per un uomo intelligente, niente pi facile che trovare argomenti per convincersi di essere nel giusto quando si tratta di fare ci che gli piace fare. A Grandier gli argomenti del suo trattato sembrarono irrefragabilmente convincenti. E ci che alquanto pi notevole, essi sembrarono irrefragabilmente convincenti a Madeleine. Religiosa quasi fino allo scrupolo, virtuosa non solo per principio, ma per abitudine e per temperamento, ella considerava le regole della Chiesa come tanti imperativi categorici e sarebbe morta piuttosto che peccare contro la castit. Ma era innamorata; per la prima volta e con passione tanto pi violenta in quanto questa si era impossessata di una natura spirituale, a lungo e costantemente tenuta a freno. Il cuore aveva le sue ragioni, e quando Grandier sostenne che il voto di celibato non legava e che un prete poteva sposarsi, ella gli credette. Se diventava sua moglie, sarebbe stata autorizzata ad amarlo; infatti sarebbe stato suo dovere amarlo. Quindi - poich la logica irresistibile - l'etica e la teologia del trattato del suo innamorato erano senza biasimo. E cos avvenne che una notte, nella chiesa vuota e silenziosa, Grandier ademp alla promessa fatta a madame de Brou partecipando al rito matrimoniale con l'orfana che ella gli aveva affidata. Come prete egli chiese a se stesso se voleva prendere quella donna come sua sposa, e come sposo rispose affermativamente, poi infil l'anello al dito di lei. Come prete invoc una benedizione, e come sposo si inginocchi a riceverla. Fu una cerimonia fantastica, e malgrado la legge e la tradizione, malgrado la Chiesa e lo Stato, essi decisero di credere nella sua validit. Amandosi scambievolmente essi sapevano che, agli occhi di Dio, erano effettivamente sposati (1). Agli occhi di Dio, forse, ma certamente non agli occhi degli uomini. Per la brava gente di Loudun, Madeleine era semplicemente l'ultima concubina del loro parroco, una piccola "sainte nitouche", una santarellina

in apparenza, ma in realt molto peggiore di quanto volesse far credere; una bigotta che si era improvvisamente rivelata sgualdrina e prostituiva il suo corpo nella maniera pi vergognosa a questo Priapo in tonaca, a questo pazzo in berretta. Tra coloro che si incontravano tutti i pomeriggi sotto il coccodrillo di m. Adam, l'indignazione era maggiore, la malignit pi velenosa che in qualsiasi altro ambiente. Detestando il parroco ma incapaci di rivolgere contro di lui quest'ultimo oltraggio, tanto prudentemente egli aveva manovrato le cose, essi si ripagavano della forzata inazione ricorrendo al pettegolezzo. Non potevano far niente; ma almeno potevano parlare. E parlarono a tante persone e in termini cos ingiuriosi che i parenti di Madeleine decisero alla fine di dover fare qualche cosa. Che cosa essi pensassero della relazione di Madeleine col suo confessore non registrato. Ci che sappiamo che essi, come Trincant, credevano fermamente nel potere della verit legale in luogo della verit senza riserve. "Magna est veritas legitima, et praevalebit" [La verit legale grande e prevarr]. Agendo secondo questa massima, essi persuasero Madeleine a presentare una querela per diffamazione contro m. Adam. Il caso fu giudicato dal Parlamento di Parigi e il farmacista fu riconosciuto colpevole. Un proprietario del luogo, che non era amico dei de Brou e che detestava Grandier, prest garanzia per lui e fu fissato un appello. Vi fu una seconda udienza, e fu confermata la decisione della Corte minore. Il povero m. Adam fu condannato a pagare seicentoquaranta lire di danni, a sopportare tutte le spese delle due cause e, alla presenza dei magistrati della citt e di Madeleine de Brou e dei suoi parenti, inginocchiarsi, a testa scoperta, e dire a voce alta e intelligibile di avere, temerariamente e con malizia, pronunciato terribili e scandalose parole contro la santa damigella, per il che chiedeva perdono a Dio, al re, alla giustizia e alla detta mademoiselle de Brou, riconoscendola fanciulla virtuosa e onorata. E cos fu fatto. La verit legale aveva trionfalmente prevalso. Gli stessi legali, il pubblico ministero e il "lieutenant criminel" ammisero la sconfitta. In qualsiasi futuro attacco a Grandier, essi si resero conto che Madeleine doveva essere lasciata in pace.

Dopo tutto, sua madre era stata una Chauvet; de Cerisay era suo cugino; de Brou era imparentato con i Tabarts, i Dreux, i Genebauts. Qualunque cosa facesse una ragazza con parenti di tanta importanza non poteva essere che "fille de bien et d'honneur". Intanto, era molto triste che il farmacista fosse stato completamente rovinato. Tuttavia, questa la vita, questi i misteriosi disegni della Provvidenza. Tutti abbiamo le nostre piccole croci, e ogni uomo, come osserv giustamente l'apostolo, deve portare il proprio fardello. Due nuove reclute si erano aggiunte alla congiura contro Grandier. La prima, un avvocato di una certa importanza, Pierre Menuau, avvocato del re. Per anni egli aveva infastidito Madeleine con proposte di matrimonio. I rifiuti non lo avevano scoraggiato e aveva ancora qualche speranza di conquistare la ragazza, la dote e la larga influenza della famiglia. Grande, quindi, fu la sua rabbia quando scopr che Madeleine lo aveva defraudato di ci che egli considerava suo diritto dandosi al parroco. Trincant ascolt con simpatia le sue lamentele e, per consolarlo, gli offr un posto nel consiglio di guerra. L'invito fu accettato con alacrit, e d'allora in poi Menuau fu uno dei membri pi attivi della congiura. Il secondo dei nuovi nemici di Grandier era un amico di Menuau, di nome Jacques de Thibault; gentiluomo di campagna, una volta soldato, ora agente segreto del cardinale Richelieu, guazzava nella politica provinciale. Fin dal principio a Thibault il parroco era riuscito antipatico. Un pretonzolo da quattro soldi, un membro della piccola borghesia, che sfoggia baffi da ufficiale di cavalleria, che ostenta maniere da principe, e fa mostra del suo latino come se fosse professore della Sorbona! Ed ora ha l'impudenza di pervertire la promessa sposa dell'avvocato del re! Senza dubbio cose simili non dovrebbero essere permesse. Il primo passo di Thibault fu di rivolgersi ad uno dei pi potenti amici e protettori di Grandier, il marchese du Bellay. Egli parl con tanta veemenza e present le sue accuse con una lista cos lunga di colpe reali e immaginarie che il marchese cambi bandiera e d'allora in poi tratt l'antico amico come "persona non grata". Grandier ne fu profondamente addolorato e non poco preoccupato. Amici servizievoli si affrettarono a riferirgli la parte avuta da Thibault nella faccenda e quando i due uomini si incontrarono, il parroco (che indossava i paramenti e si accingeva ad entrare nella chiesa della SainteCroix) apostrof il suo nemico con aspre parole di biasimo.

Per tutta risposta Thibault alz il bastone e diresse un colpo contro la testa di Grandier. Era cominciata una nuova fase della battaglia di Loudun. Grandier fu il primo ad agire. Giurando vendetta a Thibault, il mattino dopo si mise subito in viaggio per Parigi. La violenza contro la persona di un prete era sacrilegio, era bestemmia in atti. Sarebbe ricorso al Parlamento, al procuratore generale, al cancelliere, al re in persona. Non era passata un'ora e m. Adam era gi informato della sua partenza e dello scopo del viaggio. Buttando via il pestello, egli si precipit a comunicare la notizia al pubblico ministero il quale immediatamente invi un servo per convocare gli altri membri della congiura. Essi arrivarono e, dopo qualche discussione, elaborarono un piano di contrattacco. Mentre il parroco era a Parigi lamentandosi col re, essi sarebbero andati a Poitiers a lamentarsi col vescovo. Fu compilato un documento nel migliore stile legale. In esso Grandier veniva accusato di aver pervertito innumerevoli donne maritate e fanciulle, di essere profano ed empio, di non leggere mai il breviario e di aver fornicato nel recinto della chiesa. Trasformare queste affermazioni in verit legale fu facile. M. Adam fu spedito al mercato e ritorn subito con due individui dall'aspetto misero i quali si dichiararono disposti, per un piccolo compenso, a firmare qualunque cosa fosse stato loro presentato. Bougreau sapeva scrivere, ma Cherbonneau sapeva soltanto firmare. Quando tutto fu sistemato, essi presero il danaro e se ne andarono allegramente a bere. La mattina dopo il pubblico ministero e il "lieutenant criminel" montarono a cavallo e si diressero tranquillamente a Poitiers. L si recarono dal rappresentante legale del vescovo, il promotore della Corte e con grande soddisfazione appresero che Grandier figurava gi nella lista nera della diocesi. Alle orecchie dei suoi superiori erano arrivate le voci sulle imprese amorose del parroco e all'indecenza e all'indiscrezione si era aggiunto il peccato pi grave dell'arroganza. Solo recentemente, per esempio, l'amico aveva avuto l'insolenza di usurpare l'autorit episcopale concedendo, contro pagamento, una dispensa di matrimonio senza le pubblicazioni preliminari.

Era ora di fare abbassare la cresta al galletto. Questi signori erano arrivati da Loudun proprio a proposito. Con una lettera di raccomandazione del promotore della Corte, Trincant, e Herv si affrettarono dal vescovo, il quale risiedeva nel suo splendido castello di Dissay a circa quattro leghe fuori della citt. Henry-Louis Chasteignier de la Rochepozay era un fenomeno raro, un prelato nobile per grazia divina e nello stesso tempo uomo di cultura e autore di opere prodigiose di esegesi biblica. Suo padre, Louis de la Rochepozay, era protettore e amico per la vita di Joseph Scaliger, ed il giovane principe e futuro vescovo aveva avuto il vantaggio di essere istruito da quell'insuperabile studioso il pi grande intelletto secondo Mark Pattison che si sia mai dedicato alla conquista della conoscenza. Va tutto a suo merito che, nonostante il protestantesimo di Scaliger e malgrado la detestabile campagna di calunnie da parte dei gesuiti contro l'autore di "De emendatione temporum", egli rimanesse risolutamente fedele al vecchio maestro. Verso tutti gli altri eretici m. de la Rochepozay si mostr implacabilmente ostile. Egli detestava gli ugonotti, numerosissimi nella sua diocesi, e faceva quanto era in lui per rendere loro la vita impossibile. Ma come la carit, come la pioggia che cade sul giusto e sul peccatore, il malumore divinamente imparziale. Quando i suoi cattolici lo annoiavano, il vescovo era pronto a trattarli ugualmente male come trattava i protestanti. Cos, nel 1614, secondo una lettera scritta dal principe di Cond alla reggente, Maria dei Medici, vi erano duecento famiglie accampate fuori della citt e impossibilitate a ritornare alle loro case perch il loro pastore, "plus meschant que le diable" [pi cattivo del diavolo], aveva ordinato ai suoi archibugieri di sparare se avessero tentato di varcare le porte. E quale era il loro delitto? Fedelt al governatore designato dalla Regina, ma non gradito a m. de la Rochepozay. Il principe chiese a Sua Maest di punire la inaudita insolenza di questo prete. Non se ne fece niente, naturalmente, e il buon vescovo continu a regnare a Poitiers finch nel 1651, in tarda et, fu ucciso da un colpo apoplettico. Aristocratico capriccioso e piccolo tiranno, studioso innamorato dei libri, per il quale il mondo dietro la porta del suo studio era soltanto fonte di insopportabili interruzioni all'importante occupazione di leggere: questo era l'uomo che ora dava udienza ai nemici di Grandier.

Dopo mezz'ora aveva preso la sua decisione. Il parroco era un impiastro e bisognava dargli una lezione. Fu chiamato un segretario e fu preparato per Grandier un ordine, firmato e sigillato, di arresto e traduzione nelle prigioni episcopali di Poitiers. Il documento fu consegnato a Trincant e al "lieutenant criminel" perch ne facessero l'uso pi opportuno. Intanto a Parigi Grandier aveva presentato il suo ricorso al Parlamento e (grazie a d'Armagnac) era stato ricevuto in udienza privata dal re. Profondamente commosso dal racconto del parroco circa i torti ricevuti, Luigi Tredicesimo dette ordine che giustizia fosse fatta con ogni sollecitudine, e dopo qualche giorno Thibault ricevette un mandato di comparizione dal Parlamento di Parigi. Egli part immediatamente, portando con s l'ordine di arresto per Grandier. Il caso fu discusso. Tutto sembrava andare in favore del parroco, quando Thibault con un colpo di scena mostr il mandato del vescovo e lo porse ai giudici. Essi lo lessero e aggiornarono immediatamente il caso all'epoca in cui Grandier avesse chiarito la sua posizione con il superiore. Un trionfo per i nemici del parroco. A Loudun, intanto, un'inchiesta ufficiale sulla condotta di Grandier veniva condotta, prima sotto l'imparziale presidenza del "lieutenant civil", Louis Chauvet, e poi, quando Chauvet si dimise disgustato, sotto quella preminentemente parziale, del pubblico ministero. Le accuse ora piovevano da tutte le parti. Il reverendo Meschin, uno dei vicari di Grandier a San Pietro, afferm di aver visto il parroco intrattenersi con le sue amiche sul pavimento (alquanto duro per simili divertimenti) della chiesa. Un altro ecclesiastico, il reverendo Martin Boulliau, si era nascosto dietro una colonna e aveva spiato il collega mentre parlava con madame de Dreux, la defunta suocera di m. de Cerisay, il "bailli", nel banco di famiglia. Trincant perfezion questa testimonianza sostituendo le parole commettendo l'atto venereo all'affermazione originale, in cui era questione solo di parlare alla detta signora con la mano poggiata sul braccio di lei. Le sole persone che non testimoniarono contro il parroco furono quelle la cui testimonianza sarebbe stata pi convincente: le servette dai facili costumi, le mogli scontente, le vedove troppo consolabili, e Philippe Trincant, e Madeleine de Brou.

Dietro consiglio di d'Armagnac, il quale promise di scrivere per conto suo a m. de la Rochepozay e al promotore della Corte ecclesiastica, Grandier decise di presentarsi volontariamente al vescovo. Ritornato segretamente da Parigi egli pass solo una notte alla canonica. Il giorno dopo, al sorgere del sole, era di nuovo in cammino. All'ora di colazione il farmacista sapeva tutto. Un'ora dopo, Thibault, che era ritornato a Loudun due giorni prima, galoppava lungo la strada di Poitiers. Andando direttamente al palazzo episcopale, egli inform le autorit che Grandier era in citt, cercando di evitare l'umiliazione dell'arresto con un atto di volontaria sottomissione. Ad ogni costo non bisognava permettergli un simile sotterfugio. Il promotore della Corte fu d'accordo. Quando Grandier lasci il suo alloggio diretto al palazzo, fu arrestato dal sergente del re e condotto, riluttante, ma "sans scandale, s prisons episcopales dudict Poitiers". Le prigioni episcopali di Poitiers erano site in una delle torri del palazzo della signoria. Qui Grandier fu consegnato al carceriere, Lucas Gouiller, e rinchiuso in una cella umida e quasi priva di luce. Era il 15 novembre 1629. Era passato meno di un mese dal litigio con Thibault. Faceva un freddo pungente, ma al prigioniero non era permesso procurarsi abiti caldi e quando, qualche giorno dopo, sua madre chiese di visitarlo, ricevette un rifiuto. Dopo due settimane di questa segregazione terribilmente severa, egli scrisse una lettera pietosa a m. de la Rochepozay. Mio Signore essa cominciava avevo sempre creduto e anche insegnato che il dolore fosse la vera strada verso il cielo, ma non l'avevo mai provato finch la bont vostra, spinta dal timore della mia perdizione e dal desiderio della mia salvezza, mi butt in questo luogo dove quindici giorni di pene mi hanno portato pi vicino a Dio di quanto lo avessero mai fatto quarant'anni di precedente prosperit. A ci segue un brano complessamente letterario, pieno di idee ricercate e di allusioni bibliche. Sembra che Iddio abbia felicemente congiunto la faccia dell'uomo con quella del leone, in altri termini la vostra moderazione con la passione dei miei nemici i quali, desiderando distruggermi come un altro Giuseppe, hanno provocato il mio progresso nel regno di Dio.

Fino al punto che il suo odio si era trasformato in amore, la sua sete di vendetta in desiderio di servire coloro che gli avevano fatto del male. E dopo un fiorito paragrafo su Lazzaro, egli conclude con la scusa che fine della punizione l'emendamento e che dopo due settimane di prigione egli si era emendato; poteva quindi essere rilasciato. E' sempre difficile credere che l'emozione sincera e spontanea possa trovare espressione negli strani artifici di uno stile laborioso. Ma la letteratura non la vita. L'arte governata da una serie di regole, la condotta da un'altra. L'assurdit primo diciassettesimo secolo dello stile epistolare di Grandier perfettamente compatibile con una reale sincerit di sentimento. Non vi alcuna ragione di dubitare della sua genuina convinzione che il dolore lo avesse avvicinato a Dio. Disgraziatamente per lui, egli conosceva troppo poco la propria natura per rendersi conto che il ritorno alla prosperit avrebbe infallibilmente disfatta (a meno che egli non compisse sforzi enormi e persistenti) l'opera del dolore, e disfatta non in quindici giorni, ma nei primi quindici minuti. La lettera di Grandier non ammans il vescovo. E ancora meno lo ammans la lettera che ricevette da m. d'Armagnac e dal buon amico di m. d'Armagnac, l'arcivescovo di Bordeaux. Che quest'odioso omiciattolo dovesse avere amici cos influenti era gi abbastanza; ma che questi amici si permettessero di comandare a lui, a de la Rochepozay, uno studioso al cui paragone l'arcivescovo non valeva uno dei suoi cavalli; che essi pretendessero di suggerirgli come regolarsi con un prete insubordinato, ci era assolutamente intollerabile. Dette ordine che Grandier fosse trattato ancora peggio di prima. Gli unici visitatori del parroco, in tutto questo periodo disgraziato, furono i gesuiti. Egli era stato loro allievo ed ora essi non lo abbandonarono. Insieme al conforto spirituale i buoni padri gli portarono calze di lana e lettere dal mondo esterno. Da queste egli apprese che d'Armagnac l'aveva spuntata sul procuratore generale, che il procuratore generale aveva ordinato a Trincant, come pubblico ministero di Loudun, di riaprire il processo contro Thibault, che Thibault era andato da d'Armagnac allo scopo di concludere un accordo, ma che "Messieurs les esclezeasticques" (l'ortografia del governatore sempre sorprendente) avevano sconsigliato ogni compromesso che avesse potuto "faire tort vostre ynosance". Il parroco si sent rincuorato, scrisse un'altra lettera al vescovo sul suo caso, ma non ebbe risposta; ne scrisse ancora un'altra, quando Thibault lo

interpell direttamente per offrirgli di chiarire la questione fuori del tribunale, e neppure ebbe risposta. Al principio di dicembre i testimoni che erano stati pagati per accusarlo furono ascoltati a Poitiers, e nonostante i giudici fossero prevenuti in loro favore, fecero un'impressione assolutamente pietosa. Poi fu la volta del vicario di Grandier, Gervais Meschinel, e dell'altro prete cacciatore di avvenimenti piccanti che lo aveva visto nel banco con madame de Dreux. La loro testimonianza si dimostr altrettanto poco convincente come quella di Bougreau e di Cherbonneau. Riconoscere qualcuno colpevole per tali prove sembr impossibile. Ma m. de la Rochepozay non era l'uomo che cambiasse la sua linea di condotta per l'influenza di inezie come l'equit o la procedura legale. Il tre gennaio milleseicentotrenta, la sentenza fu finalmente emessa. Grandier fu condannato al digiuno di pane e acqua ogni venerd per tre mesi e fu sospeso, per cinque anni nella diocesi di Poitiers e per sempre nella citt di Loudun dalle funzioni sacerdotali. Per il parroco questa sentenza significava la rovina finanziaria e la delusione di tutte le speranze di futuro avanzamento. Ma intanto era di nuovo un uomo libero, libero di vivere un'altra volta nella propria casa ben riscaldata, di mangiare un buon pranzo (eccetto il venerd), di parlare con i parenti e gli amici, di ricevere (con quante infinite precauzioni!) la donna che credeva di essere sua moglie e libero, finalmente, di chiedere appello contro l'autorit di m. de la Rochepozay al suo superiore ecclesiastico, l'arcivescovo di Bordeaux. Con profusione di espressioni di rispetto, ma non di meno con fermezza, Grandier scrisse a Poitiers annunziando la sua decisione di chiedere la revisione del processo. Incensato oltre misura, m. de la Rochepozay non potette tuttavia far niente per impedire l'intollerabile affronto al suo orgoglio. La legge canonica - c'era qualcosa di pi sovversivo? - ammetteva che i vermi avessero dei diritti e permetteva anche, in determinate circostanze, che si ribellassero. A Trincant e agli altri membri della congiura, la notizia che Grandier intendeva produrre appello non fu certamente gradita. L'arcivescovo era in rapporti personali con d'Armagnac e non poteva soffrire m. de la Rochepozay. Vi erano tutte le ragioni per temere che l'appello avrebbe avuto successo. Nel qual caso Loudun avrebbe dovuto sopportarsi il parroco per sempre.

Per impedire questo appello i nemici di Grandier appellarono essi stessi, non alla pi alta corte ecclesiastica, ma al Parlamento di Parigi. Il vescovo e la sua Corte erano giudici ecclesiastici e potevano imporre solo punizioni spirituali, come il digiuno, e in casi estremi, la scomunica. Non era possibile impiccagione, n mutilazione o marchio a fuoco, n condanna alle galere, se non per decreto di magistrato civile. Se Grandier era tanto colpevole da meritare l'interdizione "a divinis", allora con tanta pi sicurezza egli era colpevole abbastanza da essere giudicato dall'Alta corte. L'appello fu depositato e il processo fu fissato alla fine dell'agosto successivo. Questa volta fu il parroco a sentirsi a disagio. Il caso di Ren Sophier, il parroco di campagna che, solo sei anni prima, era stato bruciato vivo per "incesti spirituali e impudicizie sacrileghe" era fresco nella sua memoria come in quella del pubblico ministero. D'Armagnac, col quale egli trascorse la maggior parte di quella primavera e dell'estate nella sua casa di campagna, lo rassicur. Dopo tutto, Sophier era stato colto sul fatto, Sophier non aveva amici a Corte. Mentre per lui non vi erano prove e il procuratore generale aveva gi promesso il suo aiuto, o per lo meno la sua benevola neutralit. Tutto sarebbe andato bene. E, infatti, quando la causa fu chiamata in udienza, i giudici fecero proprio ci che i nemici di Grandier avevano sperato non facessero: ordinarono un nuovo processo davanti al "lieutenant criminel" di Poitiers. Questa volta i giudici sarebbero imparziali, i testimoni sarebbero sottoposti al pi scrupoloso interrogatorio. Le prospettive erano cos allarmanti che Cherbonneau svan come nebbia al sole e Bougreau non solo ritir l'accusa, ma confess di essere stato pagato per firmarla. Dei due preti, il pi anziano, Martin Boulliau, aveva da molto tempo ritirato le dichiarazioni attribuitegli dal pubblico ministero e ora, pochi giorni prima dell'inizio del nuovo processo, l'altro pi giovane, Gervais Meschin, and dal fratello di Grandier e in una crisi di panico mista forse a rimorso, dett una dichiarazione per affermare che tutto ci che aveva detto sull'empiet di Grandier, dei suoi piaceri con ragazze e matrone sul pavimento della chiesa, i suoi convegni notturni con ospiti femminili alla canonica, era completamente falso e che egli aveva fatto le dichiarazioni dietro suggerimento e sollecitazioni di coloro che avevano condotto l'inchiesta.

Non meno schiacciante fu la volontaria testimonianza di uno dei canonici della Sainte-Croix il quale rivel che Trincant era andato segretamente da lui cercando prima di corromperlo e poi di intimorirlo perch facesse accuse senza fondamento contro il suo collega. Quando il processo arriv in ruolo non vi erano testimonianze contro il parroco, ma molte prove contro i suoi accusatori. Completamente discreditato, il pubblico ministero si trov tra i corni di un dilemma. Se diceva la verit circa sua figlia, Grandier veniva condannato e il suo comportamento vergognoso spiegato e in qualche modo scusato. Ma dire la verit sarebbe stato esporre Philippe al disonore e se stesso al disprezzo o alla piet-derisione. Si tenne la pace. Philippe fu salvata dall'ignominia; ma Grandier, l'oggetto di tutto il suo odio, fu assolto e la propria reputazione di gentiluomo, di avvocato, di funzionario pubblico, fu irreparabilmente intaccata. Non vi era pi pericolo, ora, per Grandier, di essere bruciato vivo per incesti spirituali; ma la interdizione "a divinis" rimaneva valida e, poich m. de la Rochepozay non avrebbe ceduto, non vi era altro da fare che procedere con l'appello all'arcivescovo. L'arcivescovado di Bordeaux era a quell'epoca l'abitazione di famiglia della casa di Escoubleau de Sourdis. Grazie al fatto che sua madre, Isabeau Babou de la Bourdaisire, era zia di Gabrielle d'Estres, l'amante preferita di Enrico Quarto, Franois de Sourdis aveva fatto rapidamente carriera. A ventitr anni ricevette la porpora cardinalizia e l'anno seguente, 1599, divent arcivescovo di Bordeaux. Nel 1600 fece un viaggio a Roma, dove si acquist il soprannome, poco rispettoso, di "cardinale sordido, arcivescovo di bordello". Rientrato in sede, egli divideva il suo tempo tra la istituzione di case religiose e i litigi, per questioni banali, ma feroci, con il Parlamento locale che ad un certo momento egli scomunic con tutte le solennit di rito. Nel 1628, dopo un regno di quasi trent'anni, mor e gli successe il fratello minore, Henri de Sourdis. Le note di Tallemant sul nuovo arcivescovo, cominciano cos: Madame de Sourdis, sua madre, gli disse sul letto di morte che egli era figlio del cancelliere de Chiverny, che ella gli aveva procurato il vescovado di Maillezais e parecchi altri benefici ecclesiastici e lo pregava di contentarsi di un diamante senza chiedere altro della propriet del suo ultimo marito.

Egli rispose: "Mamma, non avrei mai creduto che tu valessi cos poco ("que vous ne valiez rien"); ma ora mi accorgo che vero". Ci non gli imped di intascare le cinquantamila corone della sua quota legale come gli altri fratelli e sorelle, poich vinse la causa (2) Come Vescovo di Maillezais (un altro possedimento di famiglia, che suo zio aveva occupato prima di lui), Henri de Sourdis condusse la vita di brillante cortigiano. Libero dalle responsabilit del matrimonio, egli non ritenne necessario privarsi dei piaceri dell'amore. Visto che sciupava tanta parte delle sue sostanze per questi piaceri, mademoiselle du Tillet, con parsimonia prettamente gallica, consigli alla moglie di suo fratello Jeanne de Sourdis, di "faire l'amour avec m. l'vesque de Maillezais, votre beau-frre" [far l'amore col signor vescovo di Maillezais, vostro cognato]. "Jesus, mademoiselle! Che cosa dice?" esclam madame de Sourdis. "Che cosa dico?" ribatt l'altra. "Dico che non sta bene che il denaro esca dalla famiglia. Sua suocera fece lo stesso col cognato, che era anche lui Vescovo di Maillezais". (3). Negli intervalli dell'amore il giovane vescovo si occupava soprattutto di guerra, prima delle forze di terra come sovrintendente generale di artiglieria, e successivamente delle forze navali, come comandante e grande ammiraglio. In quest'ultima qualit cre virtualmente la Marina Francese. A Bordeaux Henri de Sourdis segu le orme del fratello litigando col Governatore, m. d'Epernon, per questioni come il diritto dell'arcivescovo a una tassa governativa e la pretensione del governatore alla prima scelta del pesce fresco. Le cose furono esasperate al punto tale che un giorno il governatore ordin ai suoi uomini di fermarsi e voltare le spalle alla carrozza dell'arcivescovo. Per vendicare questo insulto l'arcivescovo scomunic le guardie di m. d'Epernon e interdisse in anticipo qualunque prete che celebrasse la Messa nella sua cappella privata. Nello stesso tempo ordin che in tutte le chiese di Bordeaux fossero recitate preghiere pubbliche per la conversione del duca d'Epernon. Il duca infuriato contrattacc proibendo qualsiasi riunione di pi di tre persone entro i recinti del palazzo arcivescovile. Quando gli fu comunicato questo ordine m. de Sourdis si precipit in istrada invitando il popolo a proteggere la libert della Chiesa.

Uscendo per sedare il tumulto, il Governatore si trov a faccia a faccia con l'Arcivescovo e, in frenetica esasperazione, lo colp col bastone. M. de Sourdis lo dichiar "ipso facto" scomunicato. La disputa fu sottoposta a Richelieu, che prefer appoggiare m. de Sourdis. Il duca fu confinato nei suoi possedimenti e l'arcivescovo rimase trionfalmente padrone del campo. In seguito lo stesso m. de Sourdis cadde in disgrazia. Durante l'esilio scrive Tallemant egli impar un poco di teologia. Un uomo simile era la persona pi adatta per comprendere ed apprezzare Urbain Grandier. Dedito egli stesso ai piaceri del sesso, consider i peccatucci del parroco con benevola indulgenza. Combattivo egli stesso, ammir lo spirito di lotta anche in un subalterno. Inoltre il parroco parlava bene, evitava l'affettazione, aveva un'immensa riserva di informazioni utili e di aneddoti divertenti ed era in complesso il pi piacevole dei compagni. Il vous affectionne bien fort scrisse d'Armagnac al parroco, dopo la visita di quest'ultimo a m. de Sourdis nella primavera del 1631, e l'affetto trov presto pratica espressione. L'arcivescovo ordin la revisione del processo presso la Corte di Bordeaux. Intanto la grande rivoluzione nazionalistica iniziata dal cardinale Richelieu, aveva fatto molti progressi ed ora, quasi improvvisamente cominci ad influenzare la vita privata dei personaggi implicati in questo piccolo dramma provinciale. Per demolire la potenza dei protestanti e dei magnati feudali, Richelieu aveva persuaso il re e il Consiglio ad ordinare la demolizione di tutte le fortezze del regno. Innumerevoli erano le torri gi abbattute, i fossati riempiti, i bastioni trasformati in strade a tre corsie. E adesso era il turno del castello di Loudun. Fondato dai romani, ricostruito e ingrandito pi volte attraverso il Medio Evo, esso rappresentava la pi solida fortezza in tutta Poitou. Una cinta di mura difese da diciotto torri incoronava la collina sulla quale era costruita la citt, e dentro questa cinta vi era un secondo fossato, un secondo muro e, sovrastante tutto il resto, l'immenso torrione medioevale, restaurato nel 1626 dall'attuale governatore, Jean d'Armagnac. Le riparazioni e la ricostruzione degli interni gli erano costate una bella somma; ma aveva ricevuto assicurazioni personali dal re, di cui era stato al

servizio come primo gentiluomo di camera, che, anche se il resto del castello veniva distrutto, il torrione sarebbe rimasto in piedi. Richelieu, per, aveva le sue opinioni sull'argomento ed esse non coincidevano con quelle del re. Per lui d'Armagnac non era che un piccolo cortigiano senza importanza e Loudun un covo di ugonotti potenzialmente pericolosi. Questi ugonotti, vero, erano rimasti fedeli durante tutte le recenti sollevazioni dei loro correligionari: nel Sud sotto il duca de Rohan, a La Rochelle in alleanza con gli inglesi. Ma la fedelt di oggi non era garanzia contro la ribellione di domani. E comunque essi erano eretici. No, no, il castello doveva essere abbattuto e insieme al castello dovevano essere aboliti gli antichi privilegi di una citt la quale, rimanendo preminentemente protestante, si era dimostrata indegna di essi. Il progetto del cardinale era di trasferire questi privilegi alla propria citt, la vicina ed ancora ipotetica citt di Richelieu, che era allora in costruzione, o da costruire, intorno alla casa dei suoi avi. A Loudun l'opinione pubblica era fortemente contraria alla demolizione del castello. Erano tempi in cui la pace interna era ancora rara e precaria. Privati della fortezza, i cittadini sapevano, i cattolici come i protestanti, che sarebbero rimasti (come diceva d'Armagnac) alla merc di ogni specie di soldataglia e soggetti a frequenti saccheggi. Inoltre si erano gi sparse voci circa le segrete intenzioni del cardinale. Quando egli le avesse realizzate, la povera vecchia Loudun non sarebbe pi di un villaggio, e un villaggio anche quasi deserto. A causa della sua amicizia col governatore, Grandier era inequivocabilmente dalla parte della maggioranza. I suoi nemici personali, quasi senza eccezione, erano cardinalisti, i quali non si curavano affatto dell'avvenire di Loudun, ma avevano interesse soltanto a procurarsi il favore di Richelieu chiedendo clamorosamente la demolizione e manovrando contro il governatore. Proprio nel momento in cui Grandier sembrava vicino a raggiungere la vittoria finale, egli fu minacciato da una potenza enormemente superiore a quelle che aveva dovuto combattere fin'allora. Per tutto questo tempo la posizione sociale del parroco era assolutamente paradossale. Egli era stato interdetto "a divinis"; ma era ancora il "cur" di San Pietro, dove suo fratello, il primo vicario, lo rappresentava.

Gli amici erano ancora gentili, ma i nemici lo trattavano come un reietto, escludendolo dalla loro societ di gente rispettabile. Eppure, dietro le quinte, questo reietto esercitava le principali funzioni di governatore reale. D'Armagnac era costretto a passare quasi tutto il suo tempo a Corte al servizio del re. Durante la sua assenza si faceva rappresentare a Loudun dalla moglie e da un fedele sostituto. Sia il sostituto che madame d'Armagnac avevano ricevuto ordini espliciti di consultarsi con Grandier su tutte le questioni importanti. Il prete disonorato e sospeso dalla carica fungeva da vice-governatore della citt e tutore della famiglia del suo primo cittadino. Nel corso di quell'estate del 1631 m. Trincant si ritir a vita privata. I suoi colleghi e il pubblico in generale erano rimasti profondamente impressionati dalle rivelazioni fatte al secondo processo di Grandier. Un uomo capace, per ragioni di vendetta privata, di commettere spergiuro, di subornare testimoni, di falsificare testimonianze scritte, non era certamente idoneo a ricoprire un'alta carica legale. Dietro pressioni discrete ma insistenti Trincant si dimise. Invece di vendere (come avrebbe avuto diritto di fare) il suo incarico, egli lo cedette a Louis Moussaut, ma lo cedette ad una condizione. Il giovane avvocato non sarebbe diventato pubblico ministero di Loudun se non dopo aver sposato Philippe Trincant. Per Enrico Quarto, Parigi valeva bene una Messa. Per m. Moussaut un buon posto valeva la perduta verginit della fidanzata e gli scherzi volgari dei protestanti. Dopo una cerimonia intima, Philippe si accinse a scontare la sua condanna: quarant'anni di matrimonio senza amore. Nel novembre successivo Grandier fu convocato all'Abbazia di Saint Jouin-de-Marnes, una delle residenze favorite tra le molte di cui l'arcivescovo di Bordeaux godeva il beneficio ecclesiastico. Qui egli apprese che il suo appello alla sentenza di m. de la Rochepozay era stato accolto. La sua interdizione "a divinis" era stata revocata ed egli era di nuovo libero di esercitare le funzioni quale "cur" di San Pietro. M. de Sourdis accompagn questa notizia con qualche consiglio amichevole e ragionevole oltre ogni dire. La riabilitazione legale, egli osserv, non avrebbe disarmato la furia dei suoi nemici, ma piuttosto l'avrebbe intensificata.

Visto che questi nemici erano numerosi e potenti, non sarebbe stato pi saggio, pi prudente, lasciare Loudun e ricominciare da capo in qualche altra parrocchia? Grandier promise di riflettere su questi consigli, ma aveva gi deciso di non farne niente. Egli era il parroco di Loudun e a Loudun intendeva rimanere, nonostante i suoi nemici o piuttosto proprio per loro. Essi volevano che se ne andasse; benissimo, egli rimarrebbe, proprio per dar loro fastidio e perch amava la lotta, perch, come a Martin Lutero, gli piaceva di arrabbiarsi. Oltre a queste il parroco aveva altre e pi apprezzabili ragioni per desiderare di rimanere. Loudun era il paese di Madeleine e sarebbe stato molto difficile per lei lasciarlo. E vi era il suo amico, Jean d'Armagnac, il quale aveva ora tanto bisogno dell'aiuto di Grandier quanto Grandier una volta aveva avuto bisogno del suo. Lasciare Loudun nel mezzo della battaglia per il castello sarebbe stato come abbandonare un alleato di fronte al nemico. Tornando a casa da Saint-Jouin, Grandier si ferm alla canonica di uno dei villaggi sulla strada e chiese di cogliere un ramo dal bell'albero di alloro che cresceva nel giardino. Il vecchio prete fu lieto di accontentarlo. Niente di pi indicato delle foglie d'alloro per migliorare il sapore dell'anitra selvatica e del cervo arrosto. E niente di pi indicato delle foglie d'alloro, aggiunse Grandier, per celebrare un trionfo. E fu con in mano il lauro della vittoria che egli cavalc per le strade di Loudun. Quella sera, dopo circa due anni di silenzio, la voce tonante del parroco fu udita di nuovo in San Pietro. Intanto sotto il coccodrillo del farmacista, i membri della congiura accusarono la sconfitta e discussero ferocemente la mossa successiva. Una nuova fase della lotta doveva iniziare prima di quanto essi o chiunque altro si aspettasse. Un giorno o due dopo il ritorno trionfale di Grandier da Saint-Jouin, un distinto visitatore arriv in citt e prese alloggio al Cigno e la Croce. Il visitatore era Jean de Martin, baron de Laubardemont, Primo presidente della Corte d'Appello ("cour des aides") di Guyenne, membro del Consiglio di Stato ed ora inviato speciale di Sua Maest per la demolizione del castello di Loudun.

Per un uomo di solo quarantuno anni m. de Laubardemont aveva fatto strada. La sua carriera era la dimostrazione del fatto che, in alcune circostanze, strisciare un mezzo di locomozione pi efficace anzich salire e che i migliori striscioni sono anche i pi implacabili roditori. Tutta la vita Laubardemont aveva sistematicamente strisciato davanti ai potenti e morsicato gli indifesi. Ed ora stava raccogliendo la sua mercede, era diventato uno dei dipendenti favoriti di Sua Eminenza. Nell'aspetto e nei modi il barone si era modellato, duecento e pi anni prima, sull'Uriah Heep di Dickens. Il corpo lungo e dinoccolato, le mani umide che si stropicciava continuamente le incessanti proteste di umilt e buon volere: c'era tutto. E simile era la cattiveria sottostante, lo sguardo spietato teso ad ogni occasione di affermarsi. Questa era la seconda visita di Laubardemont a Loudun. Egli c'era stato l'anno precedente per rappresentare il re al battesimo di uno dei figli di d'Armagnac. Perci il governatore, piuttosto ingenuamente, credeva che Laubardemont fosse un amico fedele. Ma il barone non aveva amici ed era fedele solo ai potenti. D'Armagnac non deteneva alcun potere effettivo; egli era soltanto il favorito di un re il quale si era dimostrato sempre troppo debole per dire no al suo Primo Ministro. Il favorito aveva avuto assicurazione da Sua Maest che il torrione non sarebbe stato abbattuto; ma Sua Eminenza aveva deciso di farlo demolire. Cos stando le cose, c'era da concludere in partenza che prima o poi (e molto probabilmente prima) il re avrebbe ritirato la promessa. In conseguenza di che il favorito si sarebbe rivelato ci che era: niente, o una nullit titolata. Prima di partire per Poitou, Laubardemont era andato dal governatore e gli aveva presentato i soliti omaggi, aveva fatto le tradizionali proteste di amicizia eterna. E durante il suo soggiorno a Loudun era assiduo di attenzioni verso madame d'Armagnac e arriv fino ad essere gentile col parroco. Segretamente, tuttavia, ebbe lunghe consultazioni con Trincant, Herv, Mesmin de Silly e gli altri cardinalisti. Grandier, il cui servizio di informazioni privato era almeno altrettanto efficiente di quello del farmacista, venne presto a conoscenza di queste riunioni.

Egli scrisse al governatore avvertendolo di guardarsi da Laubardemont e, soprattutto, dal padrone di Laubardemont, il cardinale. D'Armagnac rispose trionfalmente che il re aveva proprio allora scritto personalmente al suo agente con ordini precisi che il torrione fosse lasciato in piedi. Ci avrebbe risolto la questione, una volta per sempre. La missiva reale fu consegnata verso la met di dicembre 1631. Laubardemont non fece altro che metterla in tasca e non disse niente a nessuno. La demolizione delle mura e delle torri esterne procedeva regolarmente e quando, in gennaio, Laubardemont lasci Loudun chiamato altrove per affari pi urgenti, i demolitori erano arrivati vicinissimi al torrione. Grandier interpell l'ingegnere addetto ai lavori. Gli ordini erano di demolire tutto. Agendo di propria iniziativa, il parroco ordin ai soldati del governatore di formare un cordone intorno alla fortezza interna. In febbraio Laubardemont torn e, rendendosi conto che, per il momento, la partita era perduta, si scus con madame d'Armagnac per la sua imperdonabile svista e finalmente pubblic la lettera del re. Temporaneamente il torrione era stato salvato, ma per quanto e a quale prezzo? Michel Lucas, segretario particolare di Sua Maest e fedele agente del cardinale, ricevette ordini di minare l'influenza di d'Armagnac nei riguardi del suo reale padrone. In quanto al parroco, sarebbe stato trattato a dovere non appena se ne presentasse l'occasione. Grandier e d'Armagnac conseguirono la loro ultima e pi suicida vittoria al principio dell'estate 1632. Venne corrotto un corriere e intercettato un fascio di lettere dei cardinalisti a Michel Lucas. Queste lettere contenevano, insieme alle pi perfide calunnie contro il governatore, le prove evidenti che gli uomini che le avevano scritte lavoravano di buona lena per la rovina di Loudun. D'Armagnac, che si trovava nella sua residenza di campagna a Lamotte, arriv inaspettato in citt e, al suono delle campane, convoc un'assemblea di popolo. Le lettere incriminate furono lette ad alta voce e fu tale la furia popolare che Herv, Trincant e gli altri dovettero andare a nascondersi. Ma il trionfo del governatore fu di breve durata. Ritornando a Corte qualche giorno dopo, egli trov che la notizia della sua impresa lo aveva preceduto e che il cardinale l'aveva presa molto male.

La Vrillire, il segretario di Stato ed un fedele amico lo trassero in disparte e gli dissero che avrebbe dovuto scegliere tra il torrione e il servizio a corte. In nessun caso Sua Eminenza gli avrebbe permesso di conservarli entrambi. E comunque, indipendentemente da quelle che potevano essere le attuali intenzioni di Sua Maest, il torrione era in via di demolizione. D'Armagnac cap a volo. D'allora in poi non fece pi resistenza. Un anno dopo il re scrisse un'altra lettera al suo agente. Monsieur de Laubardemont, avendo appreso del vostro zelo... Scrivo questa lettera per esprimere la mia soddisfazione e poich il torrione rimane ancora da demolire, non mancherete di farlo abbattere del tutto, senza lasciare niente. Come al solito, il cardinale aveva fatto a modo suo. Intanto Grandier aveva combattuto le proprie battaglie oltre quelle del governatore. Dopo qualche giorno dal suo ritorno ufficiale alle funzioni di "cur" di San Pietro, i suoi nemici chiesero al vescovo di Poitiers il permesso di ricevere i Sacramenti da altre mani che non fossero quelle cos notoriamente impure, del loro parroco. M. de la Rochepozay fu ben lieto di accontentarli. Cos facendo egli avrebbe punito l'uomo che aveva osato appellare contro la sua sentenza e nello stesso tempo avrebbe detto all'arcivescovo esattamente ci che pensava di lui e delle sue preziose assoluzioni. Questa dispensa fu occasione di nuovi scandali. Nell'estate del 1632 Louis Moussaut e sua moglie, Philippe, si recarono a San Pietro col loro primo nato. Invece di lasciare il battesimo ad uno dei suoi vicari, Grandier si offr, con inconcepibile cattivo gusto, di compiere il rito lui stesso. Moussaut present la dispensa del vescovo. Grandier insistette che era illegale e, dopo un violento alterco col marito della sua ex amante, inizi un procedimento legale per imporre i suoi diritti. Mentre il nuovo caso era in attesa di giudizio, se ne era risvegliato uno vecchio. Erano stati dimenticati tutti i sentimenti cristiani della lettera che aveva scritto dalla prigione; tutte quelle belle frasi sull'odio trasformato in amore, la sete di vendetta sostituita dal desiderio di servire coloro che lo avevano offeso. Thibault lo aveva colpito e Thibault doveva pagare.

D'Armagnac gli consigli ripetutamente di definire la cosa senza il Tribunale. Ma il parroco declin tutte le offerte di conciliazione da parte di Thibault e, non appena fu riabilitato, sollecit le antiche accuse in tutto il loro valore. Ma Thibault aveva amici a Corte, e sebbene alla fine Grandier vincesse la causa, i danni assegnati furono vergognosamente irrisori. Per ventiquattro lire egli aveva distrutto l'ultima speranza di riconciliazione, o per lo meno di accordo, con i nemici.

NOTE. N. 1: Dagli atti del sinodo ugonotto di Poitiers nel 1560, evidente che spesso i preti si sposavano segretamente con le loro concubine, e, quando la donna era calvinista, la sua posizione equivoca diventava questione di grande importanza per la sua Chiesa. (Henry C. Lea, "Storia del celibato sacerdotale". Dal capitolo 29 "La Chiesa dopo il Concilio di Trento". N. 2: Tallemant des Reaux, "Historiettes" (Parigi, 1854), volume 2, pagina 337. N. 3: Ibid., volume 1, pagina 189.

Capitolo 3

1. Mentre Urbain Grandier era cos impegnato a condurre la ruota della fortuna dal trionfo alla sconfitta e di nuovo a un precario trionfo, un suo pi giovane contemporaneo stava combattendo un'altra specie di battaglia per uno scopo incomparabilmente pi alto. Quando studiava al Collegio di Bordeaux, Jean-Joseph Surin deve aver visto spesso, tra gli studenti di teologia o i novizi gesuiti, un giovane prete dall'aspetto particolarmente attraente, deve avere udito spesso i suoi maestri parlare con compiacimento dello zelo di m. Grandier e della bravura di m. Grandier. Grandier lasci Bordeaux nel 1617, e Surin non l'avrebbe visto mai pi. Quando egli arriv a Loudun nel tardo autunno del 1634, il parroco era gi morto, e le sue ceneri erano state sparse ai quattro venti. Grandier e Surin: due uomini quasi della stessa epoca, educati nella stessa scuola, dagli stessi maestri, nella stessa disciplina umanistica e religiosa, entrambi preti, uno secolare, l'altro gesuita, eppure destinati ad abitare universi incommensurabili. Grandier era l'uomo medio sensuale: solo appena pi accentuato. Il suo universo come prova sufficientemente il racconto della sua vita, era "il mondo" nel senso in cui questo mondo tanto frequentemente usato nei Vangeli e nelle Epistole. Guai al mondo per le sue colpe! Io non prego per il mondo. Non amerai il mondo, n le cose che sono del mondo. Chi ama il mondo non possiede l'amore del Padre. Poich tutto ci che nel mondo, il piacere della carne, e il piacere degli occhi, e l'orgoglio della vita, non del Padre, ma del mondo. Ed il mondo passer e il piacere con esso; solo colui che fa la volont di Dio vivr in eterno. "Il mondo" l'esperienza dell'uomo come si presenta all'io e come dall'io viene modellata. E' quella vita meno ricca che viene vissuta secondo i dettami dell'io isolato. E' la natura denaturata dagli occhiali deformanti dei nostri appetiti e delle nostre reazioni. E' il finito divorziato dall'Eterno.

E' la molteplicit isolata dalla sua Base non-dualistica. E' il tempo percepito come tante cose condannate una dopo l'altra. E' un sistema di categorie verbali che sostituisce i particolari misteriosi e incommensurabilmente belli che costituiscono la realt. E' una nozione etichettata "Dio". E' l'Universo equiparato alle parole del nostro vocabolario utilitario. Al di sopra del "Mondo", sta "l'altro mondo", il Regno di Dio in s. Verso questo Regno Surin si era sempre sentito attratto, fin dal principio della sua vita autocosciente. Ricca e distinta, la sua famiglia era anche pia, di una piet pratica e altruista. Prima di morire il padre di Jean-Joseph aveva donato una considerevole propriet alla Compagnia di Ges, e dopo la morte del marito, madame Surin realizz un sogno lungamente accarezzato prendendo il velo come monaca carmelitana. I vecchi Surin devono aver allevato il figlio con severit sistematica e coscienziosa. Cinquant'anni dopo, riandando alla sua fanciullezza, Surin pot scoprire solo un breve interludio di felicit. Aveva otto anni, e vi era stato un caso di peste nella famiglia. Il bambino fu mandato in quarantena in campagna. Era d'estate, il luogo incantevole, la governante aveva ordini di farlo divertire, i parenti andavano a trovarlo con ogni specie di regali magnifici. Passavo i giorni giocando e correndo all'impazzata, senza aver paura di nessuno. (Che frase penosamente rivelatrice!) Dopo questa quarantena fui mandato a scuola e cominciarono i tempi tristi, sotto la guida di Nostro Signore, guida cos pesante che, da quell'epoca fino a quattro o cinque anni fa, le mie sofferenze furono cos grandi e continuarono ad aumentare finch raggiunsero il pi alto grado di cui, credo, la nostra natura capace. Jean-Joseph fu messo a scuola dai gesuiti. Essi gli insegnarono tutto quello che sapevano e quando venne l'ora di scegliere una professione, fu verso la Compagnia che egli senza alcun dubbio si orient. Da un'altra fonte, contemporaneamente, egli aveva appreso qualche cosa anche migliore del buon latino, qualcosa anche pi importante della teologia scolastica. Durante cinque anni circa dell'infanzia ed adolescenza di Surin era superiora del convento carmelitano a Bordeaux, una monaca spagnuola, suora Isabella degli Angeli.

Suora Isabella era stata compagna e seguace di Santa Teresa e, nell'et matura, le fu assegnata, insieme ad altre monache, l'opera missionaria di portare in Francia il nuovo tipo di Ordine teresiano e la dottrina mistica e le pratiche spirituali di Santa Teresa. A tutte le anime pie che desideravano sinceramente di ascoltare, suor Isabella era sempre pronta a spiegare questi alti e ardui insegnamenti. Tra coloro che andavano da lei regolarmente e ascoltavano pi seriamente vi era uno scolaretto di dodici anni piuttosto piccolo di statura. Il ragazzo era Jean-Joseph e questa era la maniera in cui gli piaceva passare i suoi pomeriggi di vacanza. Attraverso la grata del parlatorio egli ascoltava, limitato dalla pronunzia, una voce che parlava in un francese stentato e gutturale, dell'amore di Dio e della beatitudine dell'unione, dell'umilt e dell'automortificazione, della purificazione del cuore e del vuoto della mente occupata e distratta. Ascoltando, il ragazzo si sentiva pieno di ambizione eroica di combattere il mondo e la carne, i poteri e i principati, di lottare e vincere per essere in grado, alla fine, di darsi a Dio. E generosamente si tuff nel combattimento spirituale. Aveva da poco compiuto tredici anni quando gli fu concesso ci che sembr un segno del favore divino, un presagio di vittoria ultima. Pregando un giorno nella chiesa carmelitana, ebbe la percezione di una luce soprannaturale, una luce che sembrava rivelare la natura essenziale di Dio e nello stesso tempo manifestare tutti gli attributi divini. Il ricordo di questa illuminazione e della beatitudine celestiale da cui era stata accompagnata l'esperienza, non lo lasci mai. Esso gli imped, nella stessa specie di ambiente sociale ed educativo di Grandier e di Bouchard, di identificarsi, come questi altri avevano fatto, con "i piaceri della carne, i piaceri della vista e la vanit della vita". Non che la vanit e i piaceri lo lasciassero impassibile. Al contrario, egli li trovava orribilmente attraenti. Surin era uno di quegli esseri fragili e nervosi in cui l'impulso sessuale poderoso quasi fino alla frenesia. Inoltre il suo talento come scrittore era notevole e negli ultimi anni fu tentato di adeguare tutta la sua personalit a questi doni e diventare un letterato di professione, dedicandosi principalmente a problemi di estetica. Questo desiderio di cedere al pi rispettabile dei "piaceri della vista" era sostenuto da vanit e da ambizione terrene. Egli avrebbe gustato la fama, avrebbe goduto, dando l'impressione, naturalmente, di disprezzarle, le lodi dei critici, il plauso di un pubblico in adorazione.

Ma l'ultima debolezza di una nobile mente altrettanto fatale, per quanto riguarda la vita spirituale, quanto la prima debolezza di quella ignobile. Le tentazioni di Jean-Joseph, le degne non meno che le indegne, erano potentissime; ma alla luce di quel ricordo di gloria egli poteva riconoscerle per quel che erano. Surin mor vergine, bruci la maggior parte della sua produzione letteraria e fu contento, non soltanto di non essere famoso, ma (come vedremo) positivamente ignoto. Penosamente, con perseveranza eroica e contro inimmaginabili ostacoli che saranno descritti in un capitolo seguente, egli si dedic al compito di raggiungere la perfezione cristiana. Ma prima di avventurarci nella storia del suo strano pellegrinaggio, fermiamoci un momento ad esaminare che cosa che spinge uomini e donne ad intraprendere simili viaggi nell'ignoto. 2. L'introspezione, l'osservazione e la storia del comportamento umano nei tempi passati e in quelli presenti ci dicono chiaramente che il bisogno di autotrascendenza quasi altrettanto diffuso e, qualche volta, altrettanto potente quanto il bisogno di autoaffermazione. Gli uomini desiderano intensificare la coscienza di essere ci che essi considerano "se stessi", ma desiderano anche - e lo desiderano, molto spesso, con irresistibile violenza - la coscienza di essere qualcun altro. Insomma, essi bramano di uscire da se stessi, di oltrepassare i limiti di quel minuscolo universo-isola entro il quale ogni individuo si trova confinato. Questo desiderio di autotrascendenza non identico al desiderio di sfuggire al dolore fisico o morale. In molti casi, vero, il desiderio di sfuggire la pena rinforza il desiderio di autotrascendenza. Ma questo pu esistere senza l'altro. Se cos non fosse, gli individui sani e fortunati, i quali (nel linguaggio psichiatrico) si sono adattati alla vita in maniera eccellente, non sentirebbero mai il bisogno di uscire da se stessi. Mentre lo fanno. Anche tra coloro che la natura e la ricchezza hanno pi generosamente dotati, troviamo e non infrequentemente, un orrore profondamente radicato di se stessi, un'ansia appassionata di liberarsi della piccola ripugnante

identit alla quale sono stati condannati proprio dalla perfezione del loro "adattamento alla vita". Chiunque, uomo o donna, che sia felice (secondo i criteri del mondo) oppure disgraziato, pu arrivare, improvvisamente o gradatamente, a ci che l'autore della "Nuvola dell'Inconoscibile" chiama "la conoscenza e la sensazione nude del tuo proprio essere". Questa immediata consapevolezza di s produce uno struggente desiderio di andare al di l dell'io isolato. Sono amareggiato scrive Hopkins, "I am gall, I am heartburn. God's most deep decree Bitter would have me taste: my taste was me; Bones built in me, flesh filled, blood brimmed the curse. Selfyeast of spirit a dull dough sours. I see The lost are like this, and their scourge to be As I am mine, their sweating selves; but worse." [Traduzione: Sono amareggiato, sono scontento. Il pi impenetrabile decreto divino mi ha dato un gusto amaro: il mio gusto ero io, le ossa costruirono in me la maledizione, la carne la riemp, il sangue la ricopr. Il lievito dello spirito inasprisce una materia dura. Lo vedo, i dannati sono come me e il loro inferno deve essere come il mio il proprio io doloroso; ma peggiore.] La dannazione completa consiste nell'essere il proprio io doloroso, ma peggiore. Essere il proprio io doloroso, ma non peggiore, soltanto non migliore, dannazione parziale, e questa dannazione parziale la vita quotidiana, la nostra coscienza, generalmente ottusa, ma qualche volta acuta e "nuda", di comportarci come la media degli esseri umani sensuali che siamo. Tutti gli uomini hanno ragione di dolore dice l'autore della "Nuvola" ma pi specialmente ha ragione di dolore colui che sa e sente che egli . Tutti gli altri dolori in paragone a questo non sono che un giuoco di fronte alla seriet. Poich pu soffrire seriamente colui che conosce e sente non solo ci che , ma che egli . E soffra pure colui che non prov mai questo dolore; perch egli non ha mai sentito il dolore perfetto. Questo dolore, quando viene provato, purifica l'anima non solo del peccato, ma anche del dolore meritato per il peccato; ed altres rende

l'anima capace di ricevere quella gioia, che toglie all'uomo tutta la conoscenza e la sensazione del suo essere. Se sperimentiamo il bisogno di autotrascendenza, perch, in qualche maniera oscura e nonostante la nostra ignoranza conscia, sappiamo che veramente siamo. Noi sappiamo (o, per essere pi precisi, qualcosa dentro di noi sa) che il fondamento della nostra conoscenza individuale identico al Fondamento di tutta la conoscenza e di tutto l'essere che Atman (l'"intelletto" nell'atto di decidere di assumere il punto di vista temporale) lo stesso che Brahman (l'Intelletto nella sua essenza eterna). Sappiamo tutto ci, anche se possiamo non aver mai sentito parlare delle dottrine in cui il Fatto primordiale stato descritto, anche se, nel caso che esse ci siano familiari, possiamo considerare queste dottrine come fantastiche. E conosciamo anche il loro corollario pratico, cio che lo scopo finale della nostra esistenza di far entrare nel "tu" il "Quello", di farci da parte s che il Fondamento possa venire alla superficie della nostra coscienza, di "morire" cos completamente da poter dire io sono crocifisso col Cristo; pure vivo, ma non io, Cristo vive in me. Quando l'io fenomenale trascende se stesso, l'io essenziale libero di realizzare, in termini di coscienza finita, il fatto della propria eternit, insieme al fatto correlativo che ogni particolare nel mondo dell'esperienza partecipa dell'infinito e dell'eterno. Questa liberazione, questa illuminazione, questa visione beatifica, in cui tutte le cose sono percepite come sono "in se stesse" e non in relazione ad un io che desidera e odia. Il Fatto primordiale che "Quello sei tu" un fatto di coscienza individuale. Per gli scopi della religione, questo fatto della coscienza deve essere esternato e oggettivato dalla proiezione di una deit infinita, staccata dal finito. Nello stesso tempo il primordiale Dovere di farsi da parte affinch il Fondamento possa venire alla superficie della coscienza finita, viene proiettato esternamente come dovere di conquistare la salvezza entro lo schema della Fede. Da queste due proiezioni originali le religioni hanno tratto i loro dogmi, le loro teorie di mediazione, i loro simboli, i loro riti, le regole e i precetti. Coloro che si conformano alle regole, che adorano i mediatori, che compiono i riti, che credono nei dogmi ed adorano un Dio "al di l" oltre il

finito, possono attendersi, con l'aiuto della grazia divina, di raggiungere la salvezza. Se raggiungono o no l'illuminazione, che accompagna la realizzazione del Fatto primordiale, dipende da qualche cosa che non la pratica fedele della religione. In quanto aiuta l'individuo a dimenticarsi e dimenticare le sue opinioni standardizzate sull'universo, la religione preparer la via alla realizzazione. In quanto essa fa sorgere e giustifica passioni come la paura, la scrupolosit, la santa indignazione, il patriottismo come istituzione e l'odio di parte, in quanto insiste sulle virt redentrici di certe nozioni teologiche, di certe venerate combinazioni di parole, la religione un ostacolo sulla via della realizzazione. Il Fatto primordiale e il Dovere primordiale possono essere formulati, pi o meno adeguatamente, nel vocabolario di tutte le principali religioni. Nei termini impiegati dalla teologia cristiana possiamo definire la realizzazione come unione dell'anima con Dio quale Trinit, uno e trino. E' un'unione simultanea col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, unione con l'origine e il Fondamento di tutto l'essere, unione con la manifestazione di quel Fondamento nella coscienza umana ed unione con lo spirito che congiunge l'Inconoscibile col conosciuto. L'unione con ogni singola persona della Trinit con esclusione delle altre due, non realizzazione. Cos, l'unione esclusivamente con il Padre conoscenza, attraverso l'estatica partecipazione, del Fondamento nella sua essenza eterna e non, contemporaneamente, nella sua manifestazione nel finito. L'esperienza completamente liberatrice e illuminante quella dell'eterno nel tempo, del non-dualistico nella molteplicit. Per il Bodhisattva, secondo la tradizione Mahayanist, le estasi di annientamento-del-mondo del Sravaka Hinayanista, non sono realizzazione, ma barriere alla realizzazione. In Occidente la lotta al Quietismo fu motivata da considerazioni ecclesiastiche e risult nella persecuzione. In Oriente il Sravaka non fu punito; gli fu soltanto detto che si trovava su una via sbagliata. Il Sravaka dice Ma-tsu illuminato, e pure va fuori strada. L'uomo comune fuori della retta vita, eppure in un certo senso illuminato. Il Sravaka manca di percepire che l'Intelletto com' in se stesso non conosce stadi, n causa, n immaginazione.

Disciplinandosi nella causa, egli ha ottenuto il risultato e risiede nel Samadhi del Vuoto per infiniti cicli cosmici. Per quanto a suo modo illuminato, il Sravaka non affatto nella giusta via. Dal punto di vista del Bodhisattva ci (risiedere nel Samadhi del Vuoto) come soffrire le pene dell'inferno. Il Sravaka si seppellito nel vuoto e non sa come uscire dalla sua tranquilla contemplazione, poich egli non ha l'intuizione della natura del Budda. La conoscenza unitiva del solo Padre esclude la conoscenza del mondo com' in se stesso: molteplicit che manifesta l'Infinito nondualistico, ordine temporale che partecipa di eterno. Se il mondo deve essere conosciuto com' "in se stesso", vi deve essere unione non solo col Padre, ma anche col Figlio e con lo Spirito Santo. L'unione col Figlio assimilazione della personalit a un modello di appassionato altruismo. L'unione con lo Spirito Santo nello stesso tempo mezzo di autotrascendenza individuale in appassionato altruismo e frutto di essa. Insieme essi permettono la consapevolezza di ci che, inconsciamente, noi godiamo in ogni momento, l'unione col Padre. Nei casi in cui l'unione col Figlio viene perseguita troppo esclusivamente - in cui l'attenzione concentrata sull'umanit del mediatore storico - la religione tende a diventare questione, esternamente, di "opere" e interiormente di immagini, visioni e emozioni autoprovocate. Ma in se stesse n le opere, n le visioni, n le emozioni dirette verso una persona ricordata o immaginata, sono sufficienti. Il loro valore, per quanto riguarda liberazione e illuminazione, puramente strumentale. Esse sono mezzi per raggiungere l'altruismo (o per essere pi esatti, esse possono essere mezzi verso l'altruismo) e rendono possibile cos all'individuo che compie le opere, o vede le visioni e sente le emozioni, di diventare conscio del divino Fondamento in cui, senza saperlo, egli ha sempre avuto il suo essere. Il complemento delle opere, delle immagini e delle emozioni la fede, non la fede nel senso di credo in una serie di affermazioni teologiche e storiche, o nel senso di appassionata convinzione di essere salvati dai meriti di qualcun altro, ma fede come fiducia nell'ordine delle cose, fede come teoria circa la natura umana e divina, come ipotesi felice deliberatamente praticata nella prospettiva che ci che cominci come assunzione finir col

trasformarsi, prima o poi, in esperienza effettiva con la partecipazione di una realt che, per l'io isolato, inconoscibile. L'inconoscibilit, possiamo osservare, di norma un attributo non soltanto del Fondamento divino del nostro essere, ma altres di tutto il resto che si trova, per cos dire, tra questo Fondamento e la nostra coscienza quotidiana. Ad esempio, per coloro i quali si sottopongono ad esperimenti di E.S.P. [percezione extrasensoria] o di previsione non vi distinzione percettibile tra successo e insuccesso. Il processo di indovinare si sente esattamente identico, sia il risultato da attribuire a puro caso, o decisamente al di sopra o al di sotto di questo limite. Ci costantemente vero per le situazioni negli esperimenti di laboratorio. Ma non sempre vero per le situazioni di tipo pi significativo. Dai numerosi casi autentici registrati evidente che E.S.P. e previsione qualche volta si verificano spontaneamente, e che le persone a cui capitano sono consapevoli dell'avvenimento e fermamente convinte della verit dell'informazione che viene trasmessa. Nel campo spirituale troviamo casi analoghi di teofanie spontanee. Grazie a un'improvvisa intuizione, ci che normalmente inconoscibile si fa conoscere, e la conoscenza valida al di l di ogni possibile dubbio. Negli uomini e nelle donne che hanno raggiunto un alto grado di altruismo, queste intuizioni, da rare e brevi, possono diventare abituali. L'unione col Figlio attraverso le opere e l'unione con lo Spirito Santo, attraverso la docilit all'ispirazione, rende possibile un'unione conscia e trasfigurante col Padre. In questo stato di unione gli oggetti non sono pi percepiti in quanto connessi a un io isolato, ma sono conosciuti "come sono in se stessi", in altri termini, come sono in relazione al divino Fondamento di tutto l'essere e in definitiva identit con esso. Ai fini dell'illuminazione e della liberazione, un'unione troppo esclusiva con lo Spirito non meno insufficiente di un'unione troppo esclusiva col Padre nell'estasi di oblio del mondo, oppure col Figlio nelle opere esteriori e nelle immagini ed emozioni interiori. Quando l'unione con lo Spirito Santo perseguita con l'esclusione delle altre unioni, allora troviamo gli schemi di pensiero dell'occultismo, gli schemi di comportamento dei medium e dei soggetti ipnotici. I soggetti ipnotici sono persone che hanno innata o acquisita la facolt di essere consci di avvenimenti che si verificano su piani subliminali, dove

l'intelletto incarnato perde la sua individualit e vi la fusione con il mezzo psichico (per usare una metafora fisica), in cui l'io personale stato cristallizzato. In questo mezzo vi sono molte altre cristallizzazioni, ciascuna con i suoi contorni confusi, i confini mescolati e compenetrati. Alcune di queste cristallizzazioni sono le menti di altri esseri incarnati; altre, "i fattori psichici" che sopravvivono alla morte corporale. Alcune, senza dubbio, sono le idee-schema create dalla sofferenza, dalla gioia e dalla riflessione individuale le quali persistono, come oggetti di possibile esperienza, "al di l" nel mezzo psichico. E, finalmente, ancora altre di queste cristallizzazioni possono essere entit non-umane, benefiche, cattive, o soltanto estranee. Tutti coloro che aspirano esclusivamente all'unione con lo Spirito sono condannati al fallimento. Se ignorano la chiamata all'unione col Figlio attraverso le opere, se dimenticano che lo scopo finale della vita umana la liberatrice e trasfigurante conoscenza del Padre, in cui abbiamo il nostro essere, essi non raggiungeranno mai il loro fine. Per essi, non vi sar unione con lo Spirito; vi sar una mera fusione con lo spirito, con ogni Tizio, Caio o Sempronio di un mondo psichico i cui abitanti in massima parte, non sono pi vicini alla luce di quanto lo siamo noi, mentre alcuni possono essere in realt pi impenetrabili alla Luce anche dei pi opachi tra gli esseri incarnati. Oscuramente noi sappiamo veramente chi siamo. Da ci il dolore di dover sembrare ci che non siamo, e da ci l'appassionato desiderio di superare i limiti di questo io che ci imprigiona. L'unica autotrascendenza liberatrice attraverso l'altruismo e la docilit all'ispirazione (in altri termini, l'unione col Figlio e con lo Spirito Santo) nella coscienza di quell'unione col Padre in cui, senza conoscerla, abbiamo sempre vissuto. Ma l'autotrascendenza liberatrice pi facile a descriversi che a raggiungersi. Per coloro i quali sono trattenuti dalle difficolt di una ascesa, vi sono altre alternative meno ardue. L'autotrascendenza non affatto invariabilmente verso l'alto. Infatti, in molti casi, essa una scappatoia sia verso il basso in uno stato al di sotto della personalit, oppure orizzontalmente in qualche cosa di pi vasto dell'io, ma non pi alto, non essenzialmente diverso. Noi cerchiamo sempre di mitigare gli effetti della caduta collettiva nell'isolamento dell'io, con un'altra caduta strettamente privata nell'animalit

e nel disordine mentale, oppure con qualche altra autodispersione pi o meno stimabile nell'arte o nella scienza, nella politica, nel lavoro o nel divertimento. Inutile dire, questi surrogati dell'autotrascendenza verso l'alto, queste fughe in surrogati subumani o meramente umani della Grazia, sono nella migliore ipotesi insoddisfacenti e nella peggiore disastrosi [vedi Appendice]. 3. Le "Lettere Provinciali" vanno classificate tra i pi raffinati capolavori dell'arte letteraria. Che precisione, che eleganza verbale, che suggestiva lucidit! E che delicato sarcasmo, che gentile ferocia! Il piacere che ci procurano le esibizioni di Pascal tale da renderci ciechi al fatto che, nella polemica tra gesuiti e giansenisti, il nostro impareggiabile virtuoso combatteva per quella che, in sostanza, era la causa peggiore. Che alla fine i gesuiti trionfassero sui giansenisti non fu pura beatitudine, ma per lo meno fu maledizione minore di quanto sarebbe stato, con ogni probabilit, il trionfo del partito di Pascal. Impegnata con la dottrina giansenista della dannazione predestinata quasi per chiunque e con l'etica giansenista del puritanesimo illimitato, la Chiesa sarebbe diventata facilmente strumento di danno quasi assoluto. In realt invece prevalsero i gesuiti. Nella dottrina, le stravaganze dell'Agostinismo giansenista furono temperate da una dose di semipelagico buon senso. (In altre epoche le stravaganze del pelagianesimo - quelle di Elvezio, per esempio, quelle di J. B. Watson e di Lysenko ai nostri giorni avrebbero dovuto essere temperate da adeguate dosi di semiagostiniano buon senso.) In pratica il rigorismo dette luogo a un atteggiamento pi indulgente. Questo atteggiamento pi indulgente fu giustificato da una casistica il cui scopo era sempre di provare che ci che sembrava un peccato mortale fosse in effetti veniale; e questa casistica fu razionalizzata in termini di teoria del probabilismo, per mezzo della quale la molteplicit delle opinioni autoritarie veniva usata allo scopo di dare al peccatore il beneficio di ogni possibile dubbio. Al rigido e fin troppo coerente Pascal, il probabilismo sembr estremamente immorale.

Per noi la teoria e la specie di casistica che esso giustific, possiedono un enorme merito: insieme esse riducono all'assurdo l'odiosa dottrina della dannazione eterna. Un inferno, dal quale si pu essere salvati da un cavillo che non avrebbe valore davanti al magistrato, non pu essere preso sul serio. L'intenzione dei casisti gesuiti e dei filosofi della morale fu di conservare, con la mitezza, anche i pi grandi peccatori nei confini della Chiesa e quindi rinforzare l'organizzazione nel suo complesso e il proprio Ordine in particolare. Fino a un certo punto essi raggiunsero questo fine proposto. Ma nello stesso tempo provocarono un notevole scisma nella Chiesa ed implicitamente, la "reductio ad absurdum" di una delle dottrine cardinali del cristianesimo ortodosso, la dottrina della pena eterna per colpe terrene. La rapida diffusione, dal 1650 in poi, del deismo, del "libero arbitrio" e dell'ateismo fu il risultato di molte cause concatenanti. Tra queste cause vi furono la casistica gesuita, il probabilismo gesuita e quelle "Lettere Provinciali" in cui, con insuperabile bravura artistica, Pascal ne mini con ferocia la caricatura. I gesuiti che parteciparono, direttamente o da lontano, al nostro strano dramma furono singolarmente diversi dai buoni padri delle "Lettere Provinciali". Essi non ebbero niente a che fare con la politica; ed ebbero appena contatto col "mondo" e con i suoi abitanti; l'austerit della loro vita fu eroica quasi fino alla follia, e predicarono la stessa austerit ai loro amici e discepoli, che erano tutti, come essi stessi, contemplativi dediti alla conquista della perfezione cristiana. Essi erano mistici di quella scuola di misticismo gesuita, il cui pi eminente rappresentante era stato padre Alvarez, direttore spirituale di Santa Teresa. Alvarez fu censurato da un generale della Compagnia per aver praticato ed insegnato la contemplazione, in opposizione alla meditazione discorsiva lungo le linee degli esercizi di Sant'Ignazio. Un altro generale, Acquaviva, lo sospese e, cos facendo, istitu quella che potrebbe chiamarsi la politica gesuita ufficiale per quanto riguarda la preghiera contemplativa. Sono da biasimare quelle persone che tentano prematuramente e temerariamente di lanciarsi nell'alta contemplazione. Tuttavia noi non dobbiamo arrivare al punto di ribellarci alla lunga esperienza dei santi padri disprezzando la contemplazione e proibendola ai nostri membri.

Poich bene stabilito dall'esperienza e dall'autorit di molti padri che la vera e profonda contemplazione possiede pi forza ed efficacia di tutti gli altri metodi di preghiera, sia per sottomettere e avvilire l'orgoglio umano e sia per spronare le anime tiepide ad eseguire gli ordini dei superiori e lavorare con ardore per la salvezza delle anime. Durante la prima met del diciassettesimo secolo quei membri della Compagnia che manifestarono una spiccata vocazione per la vita mistica furono autorizzati, anzi incoraggiati, a dedicarsi alla contemplazione entro l'ambito del loro Ordine essenzialmente attivo. In un periodo successivo, dopo la condanna di Molina e durante l'aspra controversia per il quietismo, la contemplazione passiva fu considerata dalla maggioranza dei gesuiti con notevole diffidenza. Negli ultimi due volumi della sua "Histoire Littraire du Sentiment Religieux" en France, Bremond drammatizza pittorescamente il conflitto tra la maggioranza "asceticista" nell'Ordine e una minoranza di frustrati contemplativi. Pottier, il dotto gesuita, storico di Lallemant e dei suoi discepoli, ha sottoposto la tesi di Bremond a una critica severa e distruttiva. La contemplazione, egli insiste, non fu mai condannata ufficialmente e i singoli contemplativi continuarono, anche nei giorni peggiori del movimento antiquietista, a fiorire nella Compagnia. Nel 1630 il quietismo era lontano nel futuro ancora di mezzo secolo, e la controversia sulla contemplazione non era stata ancora avvelenata dalle accuse di eresia. Per Vitelleschi, il generale, e la sua gerarchia di superiori, il problema era puramente pratico. L'esercizio della contemplazione produceva migliori gesuiti dell'esercizio della meditazione discorsiva, oppure no? Dal 1628 fino a quando si ritir per ragioni di salute, nel 1632, un grande gesuita contemplativo, padre Louis Lallemant, occup il posto di istruttore al collegio di Rouen. Surin fu mandato a Rouen nell'autunno del 1629 e vi rimase con un gruppo di dodici o quindici altri giovani preti, che erano l per il loro "secondo noviziato", fino alla primavera inoltrata del 1630. Per tutto quel memorabile semestre egli ascolt le prediche quotidiane dell'istruttore e si prepar, con la preghiera e con la penitenza, ad una vita di perfezione cristiana nello schema della regola di Sant'Ignazio. Le linee generali dell'insegnamento di Lallemant, cos come riportate brevemente da Surin e, pi diffusamente, dal suo compagno e discepolo, padre Rigoleuc, furono elaborate dalle note originali da un altro gesuita,

padre Champion, e pubblicate, negli ultimi anni del diciassettesimo secolo, con il titolo di "La doctrine spirituelle du pre Louis Lallemant". Nella dottrina di Lallemant non vi era niente di sostanzialmente nuovo. E non poteva essere diversamente. Il fine proposto era quella conoscenza unitiva di Dio che lo scopo di tutti coloro i quali aspirano all'autotrascendenza ascensionale. Ed i mezzi verso questo fine erano rigidamente ortodossi: Comunione frequente, scrupoloso adempimento del voto gesuita dell'obbedienza, sistematica mortificazione dell'"uomo naturale", esame di coscienza e continuo "controllo del cuore", meditazioni quotidiane sulla Passione e, per chi vi fosse disposto, la preghiera passiva del "semplice sguardo", la vigile attesa di Dio nella speranza di una trasfusione di grazia contemplativa. I temi erano antichi; ma la maniera in cui Lallemant prima li speriment e poi li espresse era personale e originale. La dottrina, come fu formulata dal maestro e dai discepoli, ha il suo carattere particolare, il suo tono e il suo gusto speciale. Nell'insegnamento di Lallemant un'enfasi particolare fu data alla purificazione del cuore e alla docilit alla guida dello Spirito Santo. In altri termini, egli insegn che l'unione conscia col Padre pu sperarsi solo quando vi sia stata unione col Figlio attraverso le opere e la devozione, e l'unione con lo Spirito nella vigile passivit della contemplazione. La purificazione del cuore deve raggiungersi con l'intensa devozione, con la Comunione frequente e con la coscienza vigile tesa alla rivelazione e mortificazione di qualsiasi impulso alla sensualit, all'orgoglio e all'amor proprio. Delle immagini e dei sentimenti di devozione e delle loro relazioni con l'illuminazione, vi sar occasione di parlare in un capitolo successivo. Ora i nostri temi sono i processi di mortificazione e "l'uomo naturale", che deve essere mortificato. Corollario di Venga il regno tuo il nostro regno se ne vada. Su ci tutti sono d'accordo. Ma non tutti sono d'accordo sul mezzo migliore per fare andar via il nostro regno. Deve essere conquistato con la forza delle armi? O deve essere convertito? Lallemant era un rigorista e aveva un'opinione molto severa e agostiniana circa la completa depravazione della natura decaduta. Da buon gesuita egli auspicava indulgenza verso i peccatori e verso coloro che vivevano nel mondo.

Ma il tono del suo insegnamento teologico era profondamente pessimistico, e verso se stesso e tutti coloro che aspiravano alla perfezione egli era implacabile. Per loro come per lui non vi era altra via che quella di una mortificazione spinta agli estremi limiti della sopportazione umana. E' certo scrive Champion nella sua breve biografia di Padre Lallemant che i rigori corporali che egli si impose superarono la sua forza fisica e i loro eccessi, secondo il giudizio degli amici pi intimi, abbreviarono di molto la sua vita. E' interessante, a questo proposito, leggere ci che l'altro contemporaneo di Lallemant, John Donne, il cattolico diventato anglicano, il poeta pentito diventato predicatore e teologo, ha da dire sull'argomento dell'autopunizione. Le croci estranee, i meriti degli altri non sono miei; le croci spontanee e volontarie, contratte dai miei propri peccati, non sono mie, n sono mie le croci remote, solitarie e inutili. Poich io sono destinato a prendere la mia croce, deve esservi una croce che sia mia, una croce preparata da Dio, e posta sulla mia strada che di tentazioni o tribolazioni per vocazione; e io non devo lasciare la mia strada per cercare una croce; perch cos essa non mia, n posta perch io la prenda. Io non sono destinato a correre dietro alla persecuzione, n ad affrontarla senza fuggire, n sopportare un tormento senza rimuoverlo, n ad espormi ad un attacco e non difendermi. Io non sono destinato ad affamarmi con un digiuno sregolato, n a strapparmi le carni con inumane battiture e flagellazioni. Io sono destinato ad abbracciare la mia croce; quella che sia solo mia, la croce posta per me dalla mano di Dio con le tribolazioni e tentazioni ad essa connesse, secondo la mia vocazione. Queste opinioni non sono affatto esclusivamente protestanti. In tutti i tempi esse sono state espresse da molti tra i pi grandi santi e teologi cattolici. Eppure la penitenza fisica, portata spesso fino ai limiti estremi, rimase pratica comune nella Chiesa Cattolica per molti secoli. Ci per due ragioni, una dottrinale e l'altra psicofisiologica. Per molti, l'autopunizione sostituiva il Purgatorio. L'alternativa era tra tortura ora e tortura molto peggiore nel futuro postumo. Ma vi erano anche altre e pi oscure ragioni per le penitenze corporali.

Per coloro il cui fine l'autotrascendenza, il digiuno, l'insonnia e la pena fisica sono "alternative" (per usare un termine dell'antica farmacologia); esse procurano un cambiamento di stato, fanno il paziente diverso da com'era. Sul piano fisico queste alternative se somministrate all'eccesso, possono risultare in autotrascendenza discendente, con malattia finale e, anche, come nel caso di Lallemant, in morte prematura. Ma a mezza via verso questa indesiderabile perfezione, o nei casi in cui vengano usati con moderazione, questi rigori fisici possono diventare strumenti di autotrascendenza orizzontale e anche ascensionale. Quando il corpo affamato, spesso si ha un periodo di insolita lucidit mentale. La mancanza di sonno tende ad abbassare la linea di demarcazione tra cosciente e subcosciente. Il dolore, quando non sia eccessivo, agisce da choc tonificante sugli organismi profondamente e compiacentemente adagiati nell'abitudine. Praticate da uomini di preghiera, queste autopunizioni possono realmente facilitare il processo di autotrascendenza ascensionale. Pi frequentemente, tuttavia, esse danno adito, non al divino Fondamento di tutto l'essere, ma a quello strano mondo "psichico" che si trova, per cos dire, tra il Fondamento ed i piani superiori, pi personali dell'intelletto subcosciente e cosciente. Coloro i quali vengono ammessi in questo mondo psichico - e la pratica dei rigori fisici sembrerebbe una eccellente via per l'occulto - spesso acquistano poteri del genere che i nostri antenati chiamarono "soprannaturale" o "miracoloso". Tali poteri e gli stati psichici relativi spesso venivano confusi con la illuminazione spirituale. In effetti, senza dubbio, questa specie di autotrascendenza meramente orizzontale, e non ascensionale. Ma le esperienze psichiche sono cos stranamente affascinanti che molti uomini e molte donne hanno voluto e finanche bramato di sottoporsi alle autotorture che le rendono possibili. Coscientemente e come teologi, Lallemant e i suoi discepoli mai credettero che "le grazie straordinarie" fossero identiche all'unione con Dio, o che avessero con essa alcuna relazione necessaria. (Molte "grazie straordinarie", come vedremo, non si distinguono nelle loro manifestazioni dalle attivit degli "spiriti maligni"). Ma la fede cosciente non l'unica determinante della condotta e sembra possibile che Lallemant, e probabilmente Surin, si sentissero fortemente

attratti verso le austerit che li aiutarono in effetti ad ottenere "grazie straordinarie" (1), e razionalizzassero questa attrazione nei termini di credenze ortodosse secondo cui l'uomo naturale intrinsecamente cattivo e deve essere liberato ad ogni costo e con tutti i mezzi per quanto violenti. L'ostilit di Lallemant verso la natura era diretta esteriormente e interiormente. Per lui il mondo degradato era pieno di insidie e cosparso di trappole. Appassionarsi alle creature, amarne la bellezza, indagare troppo nei misteri della mente e della vita e della materia: queste, secondo lui, erano distrazioni pericolose dal giusto studio del genere umano, che non l'uomo, non la natura, ma Dio e la via verso la conoscenza di Dio. Per un gesuita il problema di raggiungere la perfezione cristiana era particolarmente difficile. La Compagnia non era un ordine contemplativo, i cui membri vivessero in reclusione e dedicassero la vita solo alla preghiera. Essa era un Ordine attivo, un Ordine di apostoli, dedicati alla salvezza delle anime ed impegnati a combattere le battaglie della Chiesa nel mondo. La concezione di Lallemant del gesuita ideale riassunta nelle note in cui Surin registr l'insegnamento del suo maestro. L'essenza, e tutto il punto della Compagnia consiste in ci: che essa riunisce cose in apparenza contrarie, come la cultura e l'umilt, la giovinezza e la castit, diversit di nazioni e perfetta carit... Nella nostra vita noi dobbiamo mescolare un profondo amore per le cose celesti con gli studi scientifici ed altre occupazioni naturali. Ora, facilissimo precipitare in un estremo o nell'altro. Si pu avere troppa passione per le scienze e trascurare la preghiera e le cose spirituali. Oppure, se si aspira a diventare un uomo spirituale, si pu trascurare di coltivare, come si dovrebbe, quelle qualit naturali come la conoscenza dottrinaria, l'eloquenza e la prudenza. L'eccellenza dello spirito gesuita consiste in ci che esso onora ed imita la maniera in cui il divino era unito con tutto ci che era umano in Ges Cristo, con le facolt dell'anima, con le membra del corpo, col sangue, e divinizzava tutto... Ma questa alleanza difficile. E' perci che coloro tra di noi i quali non realizzano la perfezione dello spirito, tendono ad aggrapparsi ai vantaggi naturali e umani, destituiti del soprannaturale e del divino.

Il gesuita che manca di vivere lo spirito della Compagnia diventa il gesuita della immaginazione popolare, e non infrequentemente del fatto storico: mondano, ambizioso, intrigante. L'uomo che manca di applicarsi generosamente alla vita interiore cade inevitabilmente in questi difetti; poich l'anima affamata e povera ha pi bisogno di aggrapparsi a qualche cosa nella speranza di soddisfare la sua brama. (2). Per Lallemant, la vita di perfezione una vita simultaneamente attiva e contemplativa, una vita vissuta nello stesso tempo nell'infinito e nel finito, nel tempo e nell'eternit. Questo ideale il pi alto che un essere razionale possa concepire, il pi alto e nello stesso tempo il pi realistico, il pi conforme ai fatti dati della natura umana e divina. Ma nel discutere i problemi pratici impliciti nella realizzazione di questo ideale, Lallemant e i suoi discepoli manifestarono un rigorismo ristretto e autodegradante. La "natura" che deve essere unita al divino non la natura nella sua totalit, ma una zona rigidamente limitata della natura umana: un'attitudine per lo studio, o per la predicazione, per gli affari o per l'organizzazione. La natura non-umana non trova posto nel riassunto di Surin ed citata solo di passaggio nella pi diffusa relazione sull'insegnamento di Lallemant fatta da Rigoleuc. Pure Cristo disse ai suoi seguaci di osservare i gigli, e di osservarli, si noti, con uno spirito quasi taoistico, non come simboli di qualche cosa fin troppo umana, ma come fortunatamente diversi, come creature autonome che vivono secondo le leggi del proprio essere ed in unione (perfetta salvo la incoscienza) con l'ordine delle cose. L'autore dei "Proverbi" ammonisce gli oziosi di osservare l'opera della prudente formica. Ma Cristo si delizia dei gigli proprio perch essi non sono prudenti, perch non mietono e non tessono; eppure sono incomparabilmente pi belli dei pi magnifici re ebrei. Come gli "Animali" di Walt Whitman. "They do not sweat and whine about their condition, They do not lie awake in the dark and weep for their sins, They do not make me sick discussing their duty to God, Not one is dissatisfed, not one is demented with the mania for owning things, Not one kneels to another, nor to his kind that lived thousands of years ago, Not one is respectable or industrious over the whole earth." [Traduzione: Non si preoccupano e non si lamentano per il loro stato Non vegliano nell'oscurit piangendo i loro peccati Non mi

seccano con le discussioni sul dovere verso Dio Nessuno scontento, nessuno assalito dalla mania del possesso Nessuno si inchina all'altro, n ai suoi simili che vissero migliaia di anni fa Nessuno rispettabile o industrioso su tutta la terra.] I gigli di Cristo sono mondi diversi dai fiori con cui san Francesco di Sales apre il suo capitolo sulla purificazione dell'anima. Questi fiori, egli dice a Filoteo, sono i buoni desideri del cuore. L'"Introduzione" abbonda in riferimenti alla natura, ma alla natura vista con gli occhi di Plinio e degli autori del Bestiario, alla natura in quanto simbolo dell'uomo, alla natura del pedagogo e del moralista. Ma i gigli del campo vestono una gloria che ha questo in comune con l'Ordine della Giarrettiera: che non legata a stupidi meriti. Questa, esattamente, la loro caratteristica; ecco perch per noi esseri umani, essi sono tanto dolci e, su un piano pi profondo di quello della morale, cos altamente istruttivi. "La gran via" dice il terzo patriarca di Zen, "The Great Way is no harder than men themselves Make it by not refusing to prefer; For where there is no abhorrence, where there is no Frenzy to have, the Way lies manifest." [Traduzione: La gran via non pi difficile di quanto la fanno gli uomini stessi non rifiutandosi di scegliere; poich dove non vi ripugnanza, dove non vi frenesia, la via chiara.] Come sempre nella vita reale, siamo in mezzo ai paradossi e alle antinomie, costretti a scegliere il bene anzich il male, ma costretti nello stesso tempo, se vogliamo realizzare la nostra unione col Fondamento divino di tutto l'essere, a scegliere senza ardore n avversione, senza imporre all'universo le nostre nozioni di utilit o di moralit. In quanto ignorano la natura non-umana, oppure la trattano come meramente simbolica della natura umana, come meramente strumentale e subordinata all'uomo, gli insegnamenti di Lallemant e Surin sono caratteristici del loro tempo e del loro paese. La letteratura francese del diciassettesimo secolo stupefacentemente povera di espressioni che non siano di interesse rigidamente utilitario o simbolico per gli uccelli, i fiori, gli animali, il paesaggio. In tutto "Tartufe", per esempio, vi un solo riferimento alla natura nonumana: un solo verso, e questo stranamente privo di poesia. "La campagne prsent n'est pas beaucoup feurie." [La campagna attualmente non molto fiorita.]

Nessuna parola pi vera fu mai pronunziata. Relativamente alla letteratura, la campagna francese, durante quegli anni che condussero, includendolo, al "grand sicle", fu quasi spoglia di fiori. I gigli del campo erano al loro posto, ma i poeti non li notarono. La regola ebbe naturalmente le sue eccezioni; ma furono poche: Thophile de Viau, Tristan l'Hermite e, in seguito La Fontaine, il quale occasionalmente scrisse della creazione bruta non riferendosi ad uomini in pellicce e piume, ma ad esseri di un altro ordine, sebbene affine, da considerare per se stessi e da amare senza altro fine che Dio. Nei "Discours madame de la Sablire" vi un bellissimo passaggio sulla filosofia allora in voga, i cui esponenti affermano: "Que la beste est une machine; Qu'en elle tout se fait sans choix et par ressorts; Nul sentiment, point d'me, en elle tout est corps... L'animal se sent agit De mouvements que le vulgaire appelle Tristesse, joye, amour, plaisir, douleur cruelle, Ou quelque autre de cest estats. Mais ce n'est point cela; ne vous y trompez pas." Questa sintesi della odiosa dottrina cartesiana - dottrina, sia detto incidentalmente, non molto dissimile dall'opinione cattolica ortodossa secondo la quale i bruti sono privi di anima e quindi possono essere usati dagli esseri umani come se fossero mere cose - seguita da una serie di esempi dell'intelligenza animale, nel cervo, nella pernice, nel castoro. Tutto il brano di una bellezza unica, nel suo genere, nel campo della poesia di riflessione. Esso tuttavia rimane isolato. Nelle opere dei grandi contemporanei di La Fontaine, la natura nonumana non ha quasi parte alcuna. Il mondo in cui gli enormi eroi di Corneille recitano le loro tragedie quello di una societ rigidamente organizzata e gerarchica. L'espace cornlien c'est la Cit scrive m. Octave Nadal. L'universo ancora pi rigidamente limitato di Racine che serve da pretesto all'angoscia delle sue eroine e dei maschi piuttosto insignificanti, altrettanto chiuso quanto la citt corneliana. La sublimit di queste tragedie postsenechiane soffocante e oppressiva, il pathos manca di respiro, di slancio, di sfondo. Siamo lontani infatti da "Re Lear" e da "Come vi piace", dal "Sogno di una notte di mezza estate" e da "Macbeth". In tutte praticamente le commedie o tragedie di Shakespeare basta leggere venti versi per sentire che dietro i pagliacci, i criminali, gli eroi, dietro gli

amori e le regine in lagrime, al di l di tutto ci che angosciosamente o farsescamente umano, eppure in simbiosi con l'uomo, immanente nella sua coscienza e consustanziale con il suo essere, sta il dato eterno, stanno i fatti dati dell'esistenza planetaria e cosmica su ogni piano animato e inanimato, superficialmente e profondamente conscio. Una poesia che rappresenti l'uomo isolato dalla natura, lo rappresenta inadeguatamente. E analogamente una spiritualit che cerchi di conoscere Dio solo nelle anime umane, e non contemporaneamente nell'universo non-umano al quale in effetti siamo indissolubilmente legati, una spiritualit che non pu conoscere la pienezza dell'essere divino. E' mia profonda convinzione scrive un eminente filosofo cattolico dei nostri tempi, m. Gabriel Marcel mia profonda e incrollabile convinzione - e se eretica, tanto peggio per l'ortodossia - che nonostante tutto ci che hanno detto dottori e pensatori, non volont di Dio essere amato da noi CONTRO la creazione, ma piuttosto glorificato ATTRAVERSO la creazione, e con la creazione come nostro punto di partenza. Ecco perch trovo insopportabili tanti libri di devozione. Sotto questo aspetto, il pi sopportabile libro di devozione del diciassettesimo secolo sarebbe "Secoli di meditazioni" di Traherne. Per questo poeta e teologo inglese la questione non di un Dio in contrapposizione alla creazione. Al contrario, Dio deve essere glorificato attraverso la creazione e realizzato nella creazione: l'infinito in un granello di sabbia e l'eternit in un fiore. L'uomo il quale, secondo Traherne, conquista il mondo con la contemplazione disinteressata, conquista per conseguenza Dio, e si accorge che il resto gli viene dato per soprappi. Non dolce soddisfare tutte le brame e le ambizioni, eliminare ogni sospetto e ogni infedelt, acquistare coraggio e gioia? Eppure vi tutto ci nel godimento del mondo conquistato. Poich da esso si vede Dio in tutta la sua saggezza, potenza, bont e gloria. Lallemant parla della mescolanza di elementi apparentemente incompatibili, quelli naturali e quelli soprannaturali, nella vita della perfezione. Ma, come abbiamo visto, ci che egli chiama "natura" non la natura nella sua pienezza, ma soltanto un estratto. Traherne difese la stessa mescolanza di incompatibili, ma accett la natura nella sua totalit e nei pi piccoli dettagli.

I gigli e i corvi devono essere considerati non "quoad nos", ma per se stessi, "an sich", che lo stesso come dire "in Dio". Ed ecco la sabbia e un fiore crescere fra i granelli: contemplate queste cose con amore e le vedrete trasfigurate dall'immanenza dell'eternit e dell'infinito. E' degno di nota che questa esperienza di una divinit immanente negli oggetti naturali fu provata anche da Surin. In alcune brevi annotazioni egli ricorda che vi furono tempi in cui percepiva effettivamente tutta la maest di Dio in un albero, o al passaggio di un animale. Ma, fatto abbastanza strano, egli non scrisse mai circa la visione beatifica dell'Assoluto nel relativo. Ed anche ai destinatari delle sue lettere spirituali non sugger mai che l'obbedienza al comandamento di Cristo di osservare i gigli del campo poteva aiutare l'anima offuscata e brancolante ad arrivare alla conoscenza di Dio. Si pu soltanto supporre che la convinzione acquistata circa la depravazione totale della natura caduca fosse pi forte, nella sua mente, del dato della propria esperienza. I termini dogmatici appresi alla Scuola Domenicale furono tanto spessi da eclissare il Fatto immediato. Se desideri vederlo davanti agli occhi scrive il terzo patriarca di Zen non avere nozioni fisse n per Lui n contro di Lui. Ma fissare delle nozioni l'occupazione professionale dei teologi, e sia Surin che il suo maestro furono teologi prima di essere cercatori di illuminazione. Nello schema di ascesi di Lallemant, la purificazione del cuore doveva essere accompagnata e completata dalla continua docilit alle direttive dello Spirito Santo. Uno dei Sette Doni dello Spirito Santo l'Intelligenza e il vizio opposto all'Intelligenza l'ottusit circa le cose spirituali. Questa ottusit la condizione ordinaria dei non rigenerati, i quali sono pi o meno completamente ciechi alla luce interiore e pi o meno completamente sordi all'ispirazione. Mortificando i suoi impulsi di autocompiacimento, controllando i suoi pensieri e mettendo una piccola sentinella per seguire i movimenti del cuore l'uomo pu affinare le sue percezioni fino a captare i messaggi in arrivo dalle oscure profondit del suo intelletto, messaggi sotto forma di conoscenza intuitiva, di comandi diretti, di fantasie e sogni simbolici.

Il cuore continuamente controllato e custodito diventa suscettibile di tutte le grazie e alla fine veramente posseduto e governato dallo Spirito Santo. Ma sulla via di questa perfezione vi possono essere possessioni di genere molto diverso. Perch non tutte le ispirazioni sono divine, morali e significative. Come facciamo a distinguere tra le direttive del non-Io che lo Spirito Santo e quell'altro non-Io che qualche volta un imbecille, qualche volta un lunatico e qualche volta un criminale malvagio? Bayle cita il caso di un giovane e pio anabattista il quale un giorno si sent ispirato a decapitare un confratello. La vittima predestinata aveva letto la Bibbia, sapeva che cose simili erano gi accadute, riconobbe l'origine divina dell'ispirazione e, alla presenza di una larga assemblea di fedeli, come un secondo Isacco, si lasci decapitare. Simili interruzioni teologiche della morale, come le chiama elegantemente Kierkegaard, vanno benissimo nel libro della Genesi, ma non nella vita reale. Nella vita reale dobbiamo guardarci dagli scherzi pericolosi del maniaco interiore. Lallemant era ben consapevole che molte delle nostre ispirazioni non sono certamente di provenienza divina, e aveva cura di prendere le dovute precauzioni contro l'illusione. A quelli tra i suoi colleghi i quali obiettavano che la sua dottrina di docilit allo Spirito Santo somigliava troppo alla dottrina calvinista dello spirito interiore, egli rispondeva: primo che era articolo di fede che nessun'opera buona potesse compiersi senza la guida dello Spirito Santo sotto forma di ispirazione e, secondo, che l'ispirazione divina presupponeva la fede cattolica, le tradizioni della Chiesa e l'obbedienza dovuta ai superiori ecclesiastici. Se un'ispirazione spingeva un uomo ad andare contro la fede o la Chiesa, essa non poteva certamente essere divina. Questo un mezzo - e un mezzo molto efficace - di difendersi contro le stravaganze del maniaco abitatore. I quaccheri ne avevano un altro. Alle persone che si sentivano spinte a compiere qualcosa di insolito o di grave si consigliava di consultarsi con un certo numero di "amici autorevoli" e di seguire la loro opinione circa la natura dell'ispirazione. Lallemant sosteneva la stessa procedura. Infatti, egli afferma che lo Spirito Santo realmente ci spinge a consultarci con persone giudiziose e a uniformare la nostra condotta all'opinione degli altri.

Nessun'opera buona pu essere compiuta senza l'ispirazione dello Spirito Santo. Questo, lo sottolineava ai suoi critici, un articolo della fede cattolica. A quelli dei suoi colleghi che si lamentavano di non aver mai questa specie di guida dallo Spirito Santo e di non essere in grado di sperimentarla egli rispondeva che, se fossero in istato di grazia, tali ispirazioni non sarebbero mai mancate, anche se essi potevano non accorgersene. E aggiungeva che si sarebbero certamente accorti dell'ispirazione divina se si fossero comportati a dovere. Ma invece essi preferivano vivere fuori di se stessi, tornando raramente a scrutare le proprie anime, facendo l'esame di coscienza (al quale erano obbligati dal voto) in maniera molto superficiale e prendendo in considerazione solo quei peccati ovvi agli estranei, senza cercare di scoprire le radici profonde delle passioni e delle abitudini dominanti, e senza esaminare la condizione e la tendenza dell'anima ed i sentimenti del cuore. Che persone simili non potessero sperimentare la guida dello Spirito Santo non era da sorprendere. Come potevano conoscerla? Essi non conoscono neppure i loro peccati interiori che sono azioni proprie liberamente compiute da essi stessi. Ma non appena decideranno di creare in se stessi le appropriate condizioni per tale conoscenza, infallibilmente la otterranno. Tutto ci spiega perch gran parte delle opere che sarebbero buone, sono inefficaci al punto da essere quasi cattive. Se l'inferno pavimentato di buone intenzioni, ci accade perch molte persone, essendo cieche alla luce interiore, sono effettivamente incapaci di avere una intenzione buona. Per questa ragione, dice Lallemant, l'azione deve essere sempre in diretta proporzione alla contemplazione. Quanto pi siamo rivolti verso l'interno, tanto pi possiamo intraprendere attivit esteriori; quanto minore l'interiorit, tanto pi dovremmo astenerci dal tentare il bene. E ancora Ci si affanna con opere di zelo e di carit; ma per un motivo puro di zelo e di carit? Non , forse, perch si trova una soddisfazione personale in questa specie di cose, perch non interessa la preghiera e lo studio, perch non si sopporta di rimanere nella propria stanza, non si tollera la reclusione e il raccoglimento? Un prete pu avere una congregazione numerosa e devota; ma le sue parole e le sue opere daranno frutto solo in proporzione alla sua unione con Dio e al suo distacco dai propri interessi. L'apparenza di fare il bene spesso profondamente menzognera. Le anime vengono salvate dal santo, non dalla persona affaccendata.

Non si deve mai permettere che l'azione sia un ostacolo alla nostra unione con Dio, ma essa deve servire piuttosto a legarci pi strettamente e appassionatamente a Lui. Poich proprio come vi sono certi umori che, se troppo abbondanti, provocano la morte del corpo, cos nella vita religiosa, quando l'azione predomina eccessivamente e non temperata dalla preghiera e dalla meditazione, essa infallibilmente soffoca lo spirito. Da ci la sterilit di tante vite, apparentemente meritorie, cos brillanti e produttive. Senza l'altruista interiorit che condizione per l'ispirazione, il talento sterile, lo zelo e l'opera indefessa non producono valori spirituali. Un uomo di preghiera pu fare pi in un anno di quanto un altro possa compiere in tutta la vita. Le opere esclusivamente esteriori possono essere efficaci nel cambiare le circostanze esteriori; ma colui che desidera cambiare le reazioni umane alle circostanze - e si pu reagire distruttivamente e in maniera suicida anche all'ambiente migliore - deve cominciare col purificare la propria anima e renderla capace di ispirazione. Un uomo meramente esteriore pu lavorare come un troiano e parlare come Demostene, ma un uomo interiore far pi impressione sui cuori e sulle menti con una singola parola animata dallo spirito di Dio di quanto possa fare l'altro con tutti i suoi sforzi, tutta la sua intelligenza e la sua cultura. Qual esattamente la sensazione di essere posseduto e governato dallo Spirito Santo?. Questo stato di coscienza e di continua ispirazione fu descritto, con la pi delicata precisione di autoanalisi, dalla contemporanea pi giovane di Surin, Armelle Nicolas, affettuosamente conosciuta in tutta la nativa Bretagna come "la bonne Armelle". Questa incolta ragazza di servizio, che visse la vita di una santa contemplativa tra i fornelli, le cure della casa e dei bambini, non era in grado di scrivere la propria storia. Ma fortunatamente questa fu scritta per lei da una monaca molto intelligente che riusc a farla parlare e a tramandare le sue confidenze quasi parola per parola (3). Perdendo contatto con se stessa e con le opere della sua mente, Armelle non inquadrava pi l'immagine di se stessa in azione, ma sottomessa penosamente e passivamente alle opere che Dio compiva in lei e per mezzo suo; sicch le sembrava che, mentre possedeva un corpo, poteva essere mossa e governata solo dallo Spirito di Dio.

Fu in questo stato che ella cominci dopo che Dio le ebbe comandato perentoriamente di fargli spazio... Quando ella pensava al suo corpo o alla sua mente, non diceva pi "il mio corpo", o "la mia mente"; poich la parola "mio" era stata bandita, ed ella soleva dire che ogni cosa apparteneva a Dio. Ricordo di averla udita dire che, dall'epoca in cui Dio si era fatto padrone assoluto del suo essere, ella era stata licenziata cos categoricamente come ella stessa in passato aveva dato il preavviso (le metafore di Armelle erano tutte tratte dal vocabolario professionale di una cameriera tutto-fare) a quelle altre cose (le sue cattive abitudini, i suoi impulsi di autocompiacimento). Una volta licenziata, la sua mente non aveva il permesso di vedere o capire che cosa Dio operasse nei pi profondi recessi dell'anima, n di interferire con le sue opere. Era come se la sua mente rimanesse, rannicchiata, fuori la porta di questa camera centrale, dove solo Dio poteva entrare liberamente, in attesa, come un lacch, degli ordini del suo padrone. E la mente non si trovava sola in questa situazione; ma sembrava qualche volta che un numero infinito di angeli schierati intorno alla dimora scelta da Dio, le tenesse compagnia s da impedire a checchessia di varcarne la soglia. Questo stato di cose dur qualche tempo. Poi Dio permise al suo io cosciente di entrare nella camera centrale dell'anima, entrare e VEDERE veramente le divine perfezioni delle quali ora essa era piena, delle quali, in effetti, essa era stata sempre piena; ma come chiunque altro, ella non lo aveva saputo. La Luce interiore era intensa pi di quanto ella potesse sopportarla, e per un certo tempo il suo corpo soffr tormentosamente. Alla fine, ella acquist un certo grado di tolleranza e fu capace di sopportare la coscienza della sua illuminazione senza troppa pena. Notevole in se stessa, l'autoanalisi di Armelle doppiamente interessante in quanto rappresenta ancora un'altra prova tra le molte prove testimoniali tutte dirette alla stessa conclusione: cio, che l'io fenomenale sovrapposto a un Puro Ego o Atman, il quale della stessa natura del Fondamento divino di tutto l'essere. Fuori della camera centrale dove (finch l'anima abbia raggiunto l'oblio di s) non pu entrare altri che Dio tra il Fondamento divino e l'io cosciente, sta la mente subliminale, quasi impersonale nei suoi contorni in dissolvimento, ma in processo di cristallizzazione, avvicinandosi l'io

fenomenale, nel subcosciente personale con i suoi cumuli di rifiuti settici, formicolanti di topi e di scarafaggi e qualche volta di scorpioni e di vipere. Questo subcosciente personale il rifugio del pazzo criminale dimorante in noi, il "locus" del peccato originale. Ma il fatto che l'io sia associato con un maniaco non incompatibile col fatto che esso associato anche (del tutto inconsciamente) col Fondamento divino. Noi nasciamo col peccato originale; ma nasciamo pure con la virt originale, con la capacit di grazia, nel linguaggio della teologia occidentale, con una "scintilla", una "zona luminosa dell'anima", un frammento di coscienza immacolata, sopravvissuta allo stato di innocenza originaria e conosciuta tecnicamente come "sinteresi". Gli psicologi freudiani si interessano molto di pi al peccato originale anzich alla virt originale. Essi contemplano i topi e gli scarafaggi, ma sono riluttanti a vedere la Luce interiore. Jung e i suoi seguaci si sono dimostrati alquanto pi realistici. Oltrepassando i limiti del subcosciente personale, essi hanno cominciato ad esplorare il regno dove la mente, diventando sempre pi impersonale, affonda nella zona psichica, nella quale gli io individuali sono cristallizzati. La psicologia junghiana va al di l dell'immanente maniaco, ma si ferma prima del Dio immanente. Eppure, lo ripeto, abbondano le prove dell'esistenza di una virt originale sottostante al peccato originale. L'esperienza di Armelle non fu unica. La conoscenza di una camera centrale dell'anima, splendente della luce della saggezza e dell'amore divino, giunta, nel corso della storia, a moltitudini di esseri umani. Essa giunse, fra gli altri, a padre Surin, e giunse, come vedremo in un altro capitolo, insieme alla conoscenza, non meno immeditata e non meno irresistibile, degli orrori in genere nella zona psichica e dei parassiti velenosi nel subcosciente personale. Nello stesso momento egli fu consapevole di Dio e di Satana, conobbe al di l di ogni dubbio di essere eternamente unito al Fondamento divino di tutto l'essere, eppure fu convinto di essere gi irrevocabilmente dannato. Alla fine, come vedremo, fu la coscienza di Dio che prevalse. In quella mente tormentata, il peccato originale fu finalmente sommerso nell'infinito di una virt molto pi originale perch eterna.

Esperienze mistiche, teofanie, sprazzi di ci che stata chiamata coscienza cosmica: questi non si possono avere a richiesta, non si possono ripetere uniformemente a volont in laboratorio. Ma se l'esperienza della camera centrale dell'anima non si pu seguire dietro comando, certe esperienze di avvicinamento a questo centro, di essere nel suo campo, di attendere alla porta (usando le parole di Armelle) tra una schiera di angeli, sono ripetibili, se non uniformemente infatti (poich solo le esperienze psicologiche pi elementari possono essere ripetute con qualcosa come la uniformit), almeno abbastanza spesso da indicare la natura del limite trascendente, verso il quale convergono tutte. Per esempio, coloro che hanno sperimentato l'ipnosi sanno che, a una certa profondit del "trance", non di rado i soggetti, se vengono lasciati soli e non distratti, diventano consapevoli di una immanente serenit e bont che spesso associata con una percezione di luce e di vasti spazi ma non solitaria. Qualche volta le persone in "trance" non sono in grado di parlare delle proprie esperienze. Deleuze, che fu uno dei migliori osservatori nella seconda generazione di magnetisti animali, ricorda che questo stato di sonnambulismo caratterizzato dal distacco completo da ogni interesse personale, dall'assenza di passione, da indifferenza verso opinioni e pregiudizi acquisiti e da una nuova maniera di considerare gli oggetti, un giudizio rapido e diretto, accompagnato da una convinzione intima... Cos il sonnambulo possiede nello stesso tempo la torcia che gli d luce e la bussola che gli indica la via. Questa torcia e questa bussola conclude Deleuze non sono prodotti del sonnambulismo; esse sono sempre in noi, ma le cure e le distrazioni del mondo, le passioni e, soprattutto, l'orgoglio e l'attaccamento alle cose periture ci impediscono di percepire la prima e di consultare l'altra. (4). (Meno pericolosamente e pi efficacemente delle droghe che qualche volta producono "rivelazioni anestetiche" (5), l'ipnotismo abolisce le distrazioni e indebolisce le passioni, lasciando libera la coscienza di occuparsi di ci che si trova oltre il ricovero del maniaco immanente). In questa nuova situazione continua Deleuze la mente piena di idee religiose, delle quali, forse essa non si era mai occupata prima. Tra la nuova maniera di considerare il mondo del sonnambulo e il suo stato normale vi una differenza cos prodigiosa che egli si sente qualche volta come ispirato; egli si considera come l'organo di un'intelligenza superiore, ma ci non eccita la sua vanit.

Le scoperte di Deleuze sono confermate da quelle di una esperta psichiatra la quale per molti anni ha studiato la scrittura automatica. Durante le nostre conversazioni, questa signora mi ha spiegato che, prima o poi, la maggior parte dei soggetti produce scritti in cui sono esposte alcune idee metafisiche. Il tema di questi scritti sempre lo stesso: che cio il fondamento dell'anima individuale identico al Fondamento divino di tutto l'essere. Ritornando allo stato normale, gli automi leggono ci che hanno scritto e spesso lo trovano in completa disarmonia con ci che hanno sempre creduto. In tale contesto interessante osservare che (come rilev F. W. H. Myers molti anni fa) il tono moralistico delle espressioni medianiche circa la vita in genere quasi invariabilmente irreprensibile. Per il loro stile, queste espressioni possono essere respinte come mere ciarle. Ma per quanto trito il linguaggio, per quanto comuni i pensieri (e per gli ultimi trenta secoli almeno tutte le grandi verit sono state luoghi comuni), le ciarle sono sempre innocue e possono essere anche, se i medium scrivessero solo un po' meglio, elevatrici. Da tutto ci si pu trarre la deduzione che in certi stati di "trance" i medium oltrepassano il subcosciente personale, oltrepassano il regno putrido del peccato originale, per arrivare in una zona di intelletto subliminale (6) in cui, come radiazione da una sorgente lontana, l'influenza della virt originale si fa sentire, debole ma pure distinta. Nello stesso tempo, non vi dubbio, trascurando di fare dell'unione col Padre il loro fine e dell'unione col Figlio, attraverso le opere, un mezzo per quel fine, essi si troveranno in continuo pericolo di venire ispirati, non dallo Spirito Santo, ma da ogni specie di entit inferiori, alcune indigene al proprio subcosciente personale, altre esistenti "laggi" nella zona psichica; alcune innocue o positivamente utili, ma altre indesiderabili al massimo grado. Di tali conferme deduttive della realt dell'esperienza mistica, tale testimonianza a portata di mano, Lallemant e i suoi discepoli non dovevano interessarsi. Essi avevano la loro conoscenza di prima mano e, a renderla valida, un'autorevole letteratura che andava dalla "Teologia mistica" di Dionisio l'Areopagita agli scritti quasi contemporanei di santa Teresa e san Giovanni della Croce.

Della realt e della natura divina del fine, di cui la purificazione del cuore e la docilit allo Spirito Santo erano i mezzi principali, non fecero mai la pi piccola questione. Nel passato grandi servi di Dio avevano scritto circa le loro esperienze, e l'ortodossia di questi scritti era stata garantita dai dottori della Chiesa. Ed ora, attualmente, essi stessi avevano vissuto le angosciose notti oscure dei sensi e della volont, ed avevano conosciuto la pace che supera ogni comprensione.

NOTE. N. 1: Le consolazioni ed i piaceri della preghiera scrive Surin in una delle sue lettere vanno di pari passo con la mortificazione corporale. I corpi non puniti, leggiamo altrove sono difficilmente capaci di ricevere le visite degli angeli. Per essere amati e carezzati da Dio, bisogna soffrire molto interiormente, oppure maltrattare il proprio corpo. N. 2: I gesuiti hanno cercato di combinare Dio e il mondo, ed hanno guadagnato solo il disprezzo di entrambi (Pascal). N. 3: Vedi Le Gourello, "Armelle Nicolas" (1913): H. Bremond, "Histoire Littraire du Sentiment Religieux en France" (Parigi, 1916). N. 4: Vedi J. P. F. Deleuze, "Pratical Instruction in Animal Magnetism", tradotto da T. C. Hartshorm, (New York, 1890). N. 5: Vedi William James, "Variet di Esperienze Religiose". N. 6: Partecipe della beatitudine divina. (N.d.R.)

Capitolo 4

Per coloro che non avevano vocazione, la vita in un convento del diciassettesimo secolo era una mera successione di noie e frustrazioni, mitigata appena da un'occasionale "Schwrmerei" [fantasticheria] dai pettegolezzi con i visitatori in parlatorio, oppure, durante le ore libere, dall'assorbimento in qualche passatempo innocente, ma cretino. Padre Surin, nelle sue "Lettere" parla delle decorazioni di paglia intrecciata con le quali molte buone suore di sua conoscenza impiegavano gran parte del tempo di ricreazione. Il capolavoro, in questo campo, fu una carrozza di paglia in miniatura, tirata da sei cavalli di paglia, e destinata a decorare il tavolo da toletta di un'aristocratica benefattrice. Delle monache della Visitazione padre de la Colombire scrive che, sebbene le regole dell'Ordine siano mirabilmente deliberate per guidare le anime alla pi alta perfezione, e sebbene egli abbia incontrato alcune visitandine di elevata santit, rimane vero tuttavia, che le Case religiose sono piene di persone che osservano le regole, si levano, vanno a Messa, alla preghiera, alla Confessione, alla Comunione soltanto per abitudine, perch suona la campana e le altre fanno lo stesso. Il loro cuore quasi non partecipa a ci che fanno. Esse hanno le loro piccole nozioni, i loro piccoli progetti che le tengono occupate; le cose di Dio entrano nella loro mente solo come cose indifferenti. Parenti ed amici, nel convento o fuori, esauriscono tutti i loro affetti, sicch rimane per Dio solo una specie di pigra e forzata emozione affatto accettabile da Lui... Le comunit che dovrebbero essere fornaci in cui le anime brucino incessantemente d'amore di Dio, rimangono invece in uno stato di spaventosa mediocrit e Dio concede che le cose non vadano di male in peggio. A Jean Racine, Port-Royal sembr di una perfezione unica per la solitudine del parlatorio, la leggera ansiet manifestata dalle monache di entrare in conversazione, la loro mancanza di curiosit circa le cose del mondo ed anche circa gli affari dei vicini. Da questo elenco dei meriti di Port-Royal possiamo dedurre i corrispondenti difetti degli altri conventi meno degni.

La casa delle monache orsoline, che fu fondata a Loudun nel 1626, non era n migliore n peggiore della media. La maggioranza delle diciassette monache erano giovanette dell'aristocrazia che avevano abbracciato la vita monastica non per qualche impetuoso desiderio di seguire i consigli evangelici e conquistare la perfezione cristiana, ma perch non vi era abbastanza danaro in famiglia per fornirle di una dote proporzionata alla loro nascita e sufficiente per corteggiatori di pari rango. Non vi era niente di scandaloso nella loro condotta e niente di particolarmente edificante. Esse osservavano la regola, ma la osservavano con rassegnazione piuttosto che con entusiasmo. La vita a Loudun era difficile. Le monache della nuova istituzione erano arrivate senza danaro in una citt mezzo protestante e tirchia al massimo grado. L'unico fabbricato che esse potettero permettersi di locare fu un vecchio e tetro palazzo in cui nessun altro avrebbe abitato perch notoriamente frequentato dagli spettri. Non avevano mobili e per qualche tempo furono costrette a dormire sul pavimento. Le educande, sulle quali contavano per il loro reddito, erano lente a presentarsi, e per un certo tempo queste de Sazillys e d'Escoubleaus, queste de Barbezires e de la Mottes, queste de Belciels e de Dampierres dal sangue blu, furono costrette a lavorare con le proprie mani e fare astinenza non soltanto il venerd, ma anche il luned, il marted, il mercoled e il gioved. Dopo qualche mese lo snobismo arriv in loro aiuto. Quando la borghesissima Loudun scopr che, per una modesta retta, la sua progenie femminile poteva apprendere buon francese e maniere regali da una cugina in secondo grado del cardinale Richelieu, da una parente anche pi stretta del cardinale de Sourdis, dall'ultima figlia di un marchese e da una nipote del vescovo di Poitiers, pensionanti e allieve esterne arrivarono rapidamente a frotte. E con loro, finalmente, venne la prosperit. Furono assunte delle domestiche per i lavori pesanti, agnello e bistecche ricomparvero in refettorio e i materassi furono rimossi dal pavimento e collocati su letti di legno. Nel 1627 la prioressa della nuova comunit fu trasferita a un'altra casa dell'Ordine e al suo posto fu nominata una nuova superiora.

Si chiamava in religione Jeanne des Anges; nel mondo era stata Jeanne de Belciel, figlia di Louis de Belciel, Baron de Coze, e di Charlotte Goumarte d'Eschillais, che veniva da una famiglia forse non meno antica e illustre di lui. Nata nel 1602, ella aveva ora poco pi di venti anni, il volto era piuttosto grazioso, ma il corpo di una piccolezza quasi nana e leggermente deforme, probabilmente per qualche affezione tubercolare delle ossa. Jeanne aveva avuto un'educazione solo di poco meno rudimentale di quella della maggior parte delle giovanette del suo tempo; ma era fornita di una notevole intelligenza innata, unita, tuttavia, ad un temperamento e ad un carattere che ne avevano fatto una tribolazione per gli altri e il peggiore nemico di se stessa. Per la sua deformit, la bambina era fisicamente priva di attrattive; e la coscienza di essere malfatta, la penosa conoscenza di essere oggetto o di ripugnanza o di piet, provocava in lei un cronico risentimento, che le impediva sia di nutrire affetto che di lasciarsi amare. Ostile agli altri e di conseguenza non amata, ella viveva in un guscio difensivo, dal quale usciva solo per attaccare il nemico - e chiunque era "a priori" un nemico - con improvvisi sarcasmi o strani scoppi di risa beffarde. Notai doveva scrivere di lei Surin che la madre superiora aveva una certa giocosit naturale che la eccitava al riso e alle buffonate e che il demonio Balaam fece del suo meglio per accarezzare e mantenere questo umore. Io mi accorsi che questo spirito era del tutto in contrasto con la seriet con la quale bisognerebbe trattare le cose di Dio, e che esso incoraggiava in lei una certa gaiezza che distrugge la compunzione del cuore indispensabile per una perfetta conversione a Dio. Mi accorsi che un'ora sola di questa specie di giocosit era sufficiente a rovinare tutto ci che avevo costruito nel corso di molti giorni, e indussi in lei un forte desiderio di liberarsi di questo nemico. Vi un riso perfettamente compatibile con "le cose di Dio", un riso di umilt e autocritica, un riso tollerante di buon temperamento, un riso in luogo della disperazione o dell'indignazione di fronte alla perversa assurdit del mondo. Molto diverso da tutti questi, il riso di Jeanne era di derisione e di cinismo. Diretto contro gli altri, mai contro se stessa, il primo era sintomo del desiderio di una deforme non rassegnata, di vendicarsi del destino mettendo gli altri al loro posto e il loro posto, nonostante tutte le apparenze, era sotto di lei.

Motivato dalla stessa brama di dominio compensatore, il secondo era una beffa pi impersonale di tutto ci che, secondo i criteri correnti, era pi solenne, nobile e grande. Le persone del carattere di Jeanne sono capaci di provocare una quantit di guai, sia a se stesse che agli altri. Incapaci di lottare con una bambina cos antipatica, i genitori la affidarono ad una vecchia zia, prioressa di un'abbazia vicina. Dopo due o tre anni essa fu vergognosamente restituita; le monache non erano capaci di tenerle testa. Il tempo pass e la vita nel castello paterno le divenne cos odiosa che anche un chiostro sembr preferibile alla famiglia. Entr nella casa delle orsoline a Poitiers, comp il solito noviziato e pronunzi i voti. Com'era da aspettarsi, Jeanne non fu una brava monaca; ma la sua famiglia era ricca ed influente e la superiora ritenne opportuno sopportarla. E allora, quasi all'improvviso, vi fu un meraviglioso miglioramento. Mai dall'arrivo a Loudun soeur Jeanne si era comportata con tanta esemplare piet e diligenza. La giovane donna che a Poitiers era stata tanto insubordinata, cos povera di zelo, cos pigra nell'adempimento dei suoi doveri, ora era una religiosa perfetta: obbediente, lavoratrice e devota. Profondamente colpita da questa conversione, la priora uscente raccomand soeur Jeanne come la persona pi adatta a sostituirla. Quindici anni dopo la convertita dette la propria versione di questo episodio. Feci molta attenzione ella scrisse a rendermi indispensabile a coloro che avevano autorit, e poich vi erano solo poche monache, la superiora fu obbligata ad affidarmi tutti gli incarichi della comunit. Non che ella non potesse fare a meno di me, poich aveva altre monache pi capaci e migliori; soltanto io mi imponevo a lei con mille piccoli servigi rendendomi in tal modo necessaria. Sapevo cos bene adattarmi al suo umore e a predominare su di lei, che alla fine ella non trovava niente ben fatto che non fosse fatto da me; credeva finanche che io fossi buona e virtuosa. Ci mi gonfiava il cuore al punto tale che non avevo difficolt a compiere azioni che mi sembravano degne di considerazione. Sapevo fingere e usavo l'ipocrisia, affinch la mia superiora potesse continuare a pensare bene di me ed essere favorevole ai miei desideri; e infatti ella mi concedeva molti privilegi dei quali abusavo, e poich ella era buona e virtuosa e credeva che anch'io intendessi andare verso Dio con

perfezione cristiana, spesso mi invitava a conversare con eminenti monaci, cosa che facevo allo scopo di compiacerla e per passare il tempo. Nell'accomiatarsi i degni monaci passavano attraverso la grata qualche classico della vita spirituale da poco tradotto. Un giorno era il trattato di Blosio; un'altra volta "La vita della beata madre Teresa d'Avila", scritta da lei stessa e le "Confessioni" di Sant'Agostino. Leggendo questi libri, imparando a discuterne il contenuto con la superiora e con i buoni padri, soeur Jeanne trov che il suo atteggiamento mutava insensibilmente. Queste pie conversazioni in parlatorio, questi studi sulla letteratura del misticismo cessarono di essere meri passatempi e divennero mezzi per uno specifico fine. Se leggeva i mistici, se discorreva con i visitatori carmelitani di perfezione, non era affatto per progredire nella vita spirituale, ma unicamente allo scopo di apparire intelligente e brillare in paragone alle altre monache in ogni specie di compagnia. La brama di superiorit della deforme inasprita aveva trovato un altro sfogo, un campo nuovo e affascinante nel quale operare. Vi erano ancora scoppi occasionali di sarcasmo e di cinica buffoneria ma negli intervalli pi seri soeur Jeanne era ora l'esperta in spiritualit, la dotta consulente su tutte le questioni di teologia mistica. Esaltata dalla conoscenza recentemente scoperta, ella poteva guardare dall'alto in basso le consorelle con un misto delizioso di disprezzo e di piet. Invero, esse erano pie, esse cercavano, poverette, di essere buone, ma che specie meschina di virt, che devozione ignorante e, si potrebbe dire, rozza! Che cosa sapevano esse delle grazie eccezionali? Che cosa sapevano delle sensazioni spirituali, delle estasi e delle ispirazioni, delle aridit e della notte dei sensi? E la risposta, la risposta piena di soddisfazione a queste domande era che esse non sapevano niente del tutto. Mentre ella, la piccola gobba con una spalla pi alta dell'altra, ella conosceva praticamente tutto. Madame Bovary fin male perch immagin di essere diversa da quella che era. Rendendosi conto che l'eroina di Flaubert incarnava una tendenza umana largamente diffusa, Jules de Gaultier coni dal suo nome il termine "bovarismo" e scrisse un libro sull'argomento che vale la pena di leggere. Il bovarismo non affatto disastroso sempre. Al contrario, il processo di immaginarci come non siamo, e di uniformarci a questa immagine uno dei meccanismi pi efficaci dell'educazione.

Il titolo del pi antico tra tutti i libri di devozione cristiana, "L'imitazione di Cristo", testimonia eloquentemente di questo fatto. Pensando e agendo in ogni data situazione, non come penseremmo e agiremmo normalmente, ma piuttosto come immaginiamo che faremmo se fossimo altre persone migliori, possiamo finalmente cessare di essere i nostri vecchi io e somigliare, invece, al modello ideale. Qualche volta, indubbiamente, l'ideale basso e il modello scelto pi o meno indesiderabile. Ma il meccanismo bovaristico di immaginarci diversi e di pensare e agire come se questa fantasia fosse un fatto, rimane lo stesso. Vi per esempio un bovarismo nel regno del vizio, il bovarismo del buon ragazzo che coscienziosamente comincia a bere e bestemmiare allo scopo di somigliare a qualche "vero uomo" o qualche scavezzacollo. Vi un bovarismo nel campo dei rapporti gerarchici, il bovarismo del borghese snob il quale immagina di essere un aristocratico e cerca di comportarsi come tale. Vi un bovarismo politico, il bovarismo di coloro che praticano l'imitazione di Lenin, di Webb o di Mussolini. Vi un bovarismo culturale ed estetico, il bovarismo delle "prcieuses ridicules", il bovarismo del moderno filisteo convertito improvvisamente dalla copertina del "Saturday Evening Post" a Picasso. E infine vi il bovarismo in religione, e abbiamo a un estremo della scala il santo che imita generosamente Cristo, e all'altro estremo l'ipocrita che cerca di apparire un santo allo scopo di perseguire pi efficacemente i propri fini profani. Nel piano intermedio tra i due estremi di Tartufe e San Giovanni della Croce, esiste una terza, ibrida variet di bovaristi religiosi. Costoro, gli assurdi ma spesso commoventi attori della vita spirituale, non sono n coscientemente perversi n decisamente santi. Il loro desiderio fin troppo umano di trarre il miglior partito da entrambi i mondi. Essi aspirano ad essere salvati - ma senza eccessiva pena; essi sperano di essere ricompensati - ma solo per apparire eroi, solo per atteggiarsi a contemplativi, non per farlo o per esserlo. La fede che li sostiene l'illusione, per met riconosciuta come tale, per met accettata con fede che dicendo Signore, Signore abbastanza spesso essi riusciranno, in un modo o nell'altro, ad entrare nel regno dei Cieli. Senza Signore, Signore, o qualche pi elaborato equivalente dottrinale o di devozione, il processo di bovarizzazione religiosa, sarebbe difficile, in qualche caso addirittura impossibile.

In questo senso la penna pi potente della spada; cio per mezzo del pensiero verbalizzato che dirigiamo e manteniamo i nostri sforzi. E' possibile per fare uso delle parole come sostituti dello sforzo, vivere in un universo puramente verbale e non nel mondo dato dell'esperienza immediata. Cambiare un vocabolario facile; cambiare le circostanze esterne delle nostre abitudini inveterate difficile e faticoso. Il bovarista religioso non disposto ad intraprendere una generosa imitazione di Cristo si contenta di acquisire un nuovo vocabolario. Ma un nuovo vocabolario non la stessa cosa che un nuovo ambiente o un nuovo carattere. La lettera uccide, o lascia soltanto inerti; lo spirito, la realt sottostante i segni verbali, che d nuova vita. Le frasi che, alla prima formulazione, esprimono esperienze significative, tendono (tale la natura degli esseri umani e la loro organizzazione religiosa) a diventare un gergo sacro per mezzo del quale l'ipocrita maschera la sua conscia cattiveria, e il pi o meno innocuo attore cerca di ingannare se stesso e far colpo sui compagni. Come potevamo aspettarci, Tartufe parla e insegna agli altri a parlare il linguaggio dei figli e dei servi di Dio. "De toutes amitis il dtache mon me, Et je verrais mourir frre, enfants, mre et femme Que je m'en soucierais autant que de cela." [* Da ogni amicizia stacca la mia anima, e vedessi morire fratello, figli, madre e moglie, non mi preoccuperei pi di tanto.] Riconosciamo un'eco deformata dei Vangeli, una parodia della dottrina ignaziana e salesiana della santa indifferenza. E che commozione quando alla fine egli si smaschera, l'ipocrita confessa la sua completa depravazione! Tutti i santi hanno sempre creduto di essere dei grandi peccatori, e Tartufe non fa eccezione alla regola. "Oui, mon frre, je suis un mchant, un coupable, Un malheureux pcheur, tout plein d'iniquit. Le plus grand sclrat qui jamais ait t." [* S, fratello mio, sono cattivo, un colpevole, un'infelice peccatore, pieno d'iniquit. Il pi gran scellerato che vi sia mai stato.] E' il linguaggio di Santa Caterina da Siena, e il linguaggio, quando ella ricorda di parlarlo, di soeur Jeanne des Anges nella sua "Autobiografia". Anche quando fa parlare Elmire, Tartufe impiega la fraseologia del devoto.

De vos regards divins l'ineffable douceur [* Dei vostri divini sguardi l'ineffabile dolcezza]: attribuite a Dio o a Cristo le parole si possono trovare negli scritti di ogni mistico cristiano. C'en est fait grida l'indignato Orgon, quando alla fine scopre la verit, "C'en est fait, je renonce tous les gens de bien; J'en aurai dsormais une horreur effroyable, Et m'en vais devenir pour eux pire qu'un diable." [* E' fatta, rinuncio a tutta la gente dabbene; ne prover ormai un orrore spaventoso, e diventer per essi peggio di un diavolo.] Suo fratello, pi ragionevole, deve fargli una lezioncina di semantica. Solo perch alcune "gens de bien" non sono ci che sembrano essere, non ne consegue che tutti siano villani commedianti. Ogni caso deve essere valutato per i suoi meriti. Nel corso del diciassettesimo secolo diversi eminenti direttori spirituali il cardinal Bona fu uno di essi, il gesuita padre Guillore, un altro pubblicarono esaurienti trattati sui problemi di distinguere la falsa spiritualit da quella genuina, le parole dalla sostanza vivente, la frode e la fantasia dalle "grazie eccezionali". Sottoposta a prove del genere di quelle proposte da questi scrittori, sembra molto improbabile che soeur Jeanne avrebbe resistito a lungo nel "farcela". Disgraziatamente i suoi direttori furono troppo ciecamente ansiosi per dubitare. Sana o isterica, ma in ogni caso attrice consumata, soeur Jeanne ebbe la disgrazia di essere presa troppo sul serio in tutte le occasioni salvo, come vedremo, nell'unica in cui ella fece del suo meglio per dire la chiara e nuda verit. Se i suoi direttori la presero sul serio fu sia perch avevano le proprie ragioni non troppo stimabili per credere nelle sue grazie eccezionali, oppure perch erano portati per temperamento e "Weltanschauung" [visione delle cose] verso questa specie di illusione. Fino a che punto, il caso di domandarci ora, ella stessa si prese sul serio? E la presero sul serio le altre monache sue compagne? A queste domande possiamo rispondere solo con delle supposizioni. Vi devono essere occasioni in cui, per quanto perfetti nei termini dei loro ruoli solenni, gli attori della vita spirituale diventano consci con disagio che qualcosa non va, che forse, dopo tutto, Dio non si lascia burlare e che anche gli esseri umani possono non essere (pensiero spaventoso!) cos completamente stupidi come si poteva essere indotti a credere.

Quest'ultima verit sembra si fosse insinuata in soeur Jeanne in uno stadio piuttosto iniziale della sua lunga impersonificazione di santa Teresa. Dio ella scrive spesso permise che le cose mi accadessero alla presenza di creature che mi fecero pi male. Attraverso i veli tenebrosi di questo vecchio gergo indoviniamo l'ironica alzata di spalle con cui suor X accolse qualche discorso particolarmente eloquente sul matrimonio spirituale, il duro commento fatto da suor Y sul nuovo trucco di Jeanne, in chiesa, di roteare gli occhi e premersi le mani, come qualche santa nei quadri barocchi, su un seno sfrenatamente palpitante di grazie straordinarie. Noi tutti immaginiamo di essere contemporaneamente perspicaci ed impenetrabili, ma, salvo se accecati da qualche infatuazione, gli altri possono vedere in noi altrettanto facilmente di quanto noi possiamo vedere in loro. La scoperta di questo fatto pu essere eccessivamente sconcertante. Fortunatamente per soeur Jeanne - o forse per sua grande sfortuna - la prima priora della casa di Loudun fu meno perspicace di quelle altre creature il cui ironico scetticismo le aveva dato tanta pena. Profondamente colpita dalla santa conversazione e dalla condotta esemplare della giovane discepola, la buona madre non aveva esitato a raccomandare la nomina di Jeanne come superiora. Ed ora ella era stata nominata ed eccola a soli venticinque anni a capo di un istituto, regina di un minuscolo impero, i cui diciassette sudditi erano legati da Santa Obbedienza ad eseguire i suoi ordini ed ascoltare il suo consiglio. Ora che la vittoria era stata conquistata, ora che i frutti di una lunga ed ardua battaglia erano sicuramente a portata di mano, soeur Jeanne pens che poteva concedersi una vacanza. Ella continuava le letture mistiche, continuava, di tanto in tanto, a discorrere con molta dottrina della perfezione cristiana; ma negli intervalli si permetteva - infatti, come superiora, ella comandava realmente a se stessa - di darsi bel tempo. Nel parlatorio, dove ora era libera di trattenersi quanto le piacesse, la nuova priora si abbandonava ad interminabili conversazioni con i suoi amici e conoscenti del mondo fuori del chiostro. Anni dopo ella devotamente espresse il desiderio che le fosse permesso di raccontare tutte le colpe che commisi e fui causa che altri commettessero nel corso delle conversazioni non strettamente necessarie; perch allora si sarebbe visto com' pericoloso esporre le monache giovani con tanta facilit

alle grate dei parlatori, anche se i loro discorsi possano sembrare del tutto spirituali. S, anche i discorsi pi spirituali, come la priora sapeva fin troppo bene, avevano uno strano modo di concludersi come qualcosa di completamente diverso. Si cominciava con una serie di edificanti osservazioni sulla devozione a san Giuseppe, sulla meditazione e sul preciso momento in cui si poteva dar luogo alla preghiera del semplice sguardo, sulla santa indifferenza e sulla pratica della presenza di Dio: si cominciava con queste cose e poi, prima di accorgersi dove si era arrivati o come precisamente vi si era arrivati, si stava discutendo, ancora una volta, le imprese dell'affascinante ed abominevole m. Grandier. Quella svergognata creatura nella rue du Lion d'Or... Quella giovane fraschetta che fu la governante di m. Herv prima che egli si sposasse... La figlia di quel calzolaio che ora era al servizio di Sua Maest, la regina madre, e che lo teneva informato di tutto ci che accadeva a Corte... E le sue penitenti... Si trema a pensarci... S, nella sacrestia, reverenda madre, nella sacristia: a meno di quindici passi dal Santissimo Sacramento... E la povera piccola Trincant, sedotta, si pu dire, sotto gli occhi del padre, nella sua stessa biblioteca. Ed ora mademoiselle de Brou. S, quella bigotta, quella formalista. Cos attaccata alla verginit da non volersi mai maritare. Cos devota che, quando mor sua madre, parl di farsi carmelitana. E invece... E invece... Nel suo caso, pens la priora, non vi era stato "invece". Novizia a diciannove anni, monaca quando era appena in et. Eppure, dopo la morte delle sorelle e dei due fratelli, i genitori le avevano chiesto di tornare in famiglia e sposarsi e dar loro dei nipoti. Perch aveva rifiutato? Perch, se odiava questa vita infelice tra quattro mura, si era ostinata a pronunziare i voti finali? Per amore di Dio, o per antipatia verso sua madre? Per dispiacere a m. de Coze o per piacere a Ges? Ella pens con invidia a Madeleine de Brou. Nessun padre collerico, nessuna madre in preghiera; danaro in abbondanza, e padrona di s, libera di fare come le piacesse. Ed ora aveva Grandier.

L'invidia si trasform in odio e disprezzo. Quest'ipocrita, con la faccia pallida di una vergine martire in un libro di immagini! Questa melliflua dissimulatrice, con le sue corone e le sue lunghe preghiere e l'edizione tascabile del vescovo di Ginevra in marocchino rosso! E sempre, sotto le brune gramaglie, sotto gli occhi chini, che fuoco, che lascivia! Non migliore di quella sudiciona nella rue du Lion d'Or, non migliore della figlia del calzolaio o della piccola Trincant. E queste almeno avevano la scusa di essere giovani o vedove; il che non si poteva dire di quella vecchia zitella trentacinquenne, secca come una scopa e senza alcuna grazia. Mentre lei, la priora, era ancora sul vent'anni, e suor Claire de Sazilly soleva dire che aveva un volto sotto la cuffia come quello di un angelo sospeso sulle nuvole. E che occhi! Tutti avevano sempre ammirato i suoi occhi, anche sua madre, anche la detestabile vecchia zia badessa. Se solo lo avesse potuto avvicinare in parlatorio! Allora lo avrebbe fissato attraverso la grata, lo avrebbe fissato acutamente, profondamente, con occhi che avrebbero rivelato l'anima in tutta la sua nudit. S, in tutta la sua nudit: poich la grata non aggiungeva modestia; essa sostituiva la modestia. La riservatezza era stata tolta dalla mente ed incarnata in una grata di ferro. Dietro le sbarre si poteva essere spudorate. Ma, ahim, nessuna opportunit di spudoratezza si present mai. Il parroco non aveva ragioni, n professionali n personali, di visitare il convento. Egli non era direttore delle monache, non aveva parenti tra le educande. Le cause e i doveri parrocchiali non gli lasciavano tempo per le chiacchiere futili o i discorsi sulla perfezione, e le sue amanti non gli lasciavano voglia di imbarcarsi in nuove e azzardose avventure. I mesi si seguirono, poi gli anni, e la priora non aveva ancora trovato occasione di sfoggiare quei suoi occhi irresistibili, per lei Grandier rimase soltanto un nome, ma un nome potente, un nome che evocava inconfessabili fantasie, spiriti familiari e vergognosi, un demone di curiosit, un incubo di concupiscenza. Una cattiva reputazione l'equivalente mentale dei richiami puramente fisiologici emanati dagli animali durante le stagioni dell'accoppiamento: grida, odori ed anche, nel caso di certe falene, raggi infrarossi. Per una donna la fama di promiscuit costituisce un invito fisso ad ogni maschio entro il raggio del pettegolezzo.

E com' affascinante, anche per le dame pi rispettabili, il seduttore di professione, il pi duro divoratore di cuori! Nell'immaginazione delle sue parrocchiane le imprese sentimentali di Grandier assumevano proporzioni eroiche. Egli divenne una figura mitica, un po' Giove, un po' Satiro: bestialmente lascivo eppure, o quindi, divinamente attraente. All'epoca del suo processo, una signora sposata, appartenente ad una delle famiglie pi rispettabili di Loudun testimoni che, dopo aver somministrato la Comunione, il parroco l'aveva fissata insistentemente, in conseguenza di che ella fu assalita da un violento amore per lui, che cominci con un piccolo fremito in tutte le membra. Un'altra lo incontr per la strada e fu sopraffatta violentemente da una straordinaria passione. Una terza lo guard solamente mentre entrava in chiesa e sent emozioni straordinariamente forti, insieme ad impulsi di desiderio ad andare a letto con lui l per l. Tutte queste signore erano notoriamente virtuose e di reputazione irreprensibile. Ciascuna di esse, inoltre, aveva una casa con un uomo e dei figli. La povera priora non aveva niente da fare, nessun marito, nessun figlio e nessuna vocazione. Niente di strano quindi che ella pure si innamorasse del delizioso mostro! La mre prieure en fut tellement trouble, qu'elle ne parlait plus que de Grandier, qu'elle disait estre l'obyet de touttes ses affections. [* La madre priora ne fu talmente turbata da non parlare d'altro che di Grandier, che diceva esser l'oggetto di tutte le sue afflizioni.] Questa doppia "t" in "touttes" sembra innalzare tutto a un grado pi alto, sicch Grandier diventa l'oggetto di affetti al di l del limite dell'esperienza, affetti che era impossibile per chiunque sentire, eppure ella li provava in tutta la loro perversa e mostruosa enormit. Il pensiero del parroco la ossessionava continuamente. Le sue meditazioni, che avrebbero dovuto essere una pratica della presenza di Dio, erano la pratica, invece, della presenza di Urbain Grandier, o piuttosto dell'immagine oscenamente affascinante che si era cristallizzata nella sua fantasia intorno a questo nome. Il suo era il desiderio senza oggetto e quindi illimitato e insano della falena per la stella, della scolaretta per il grande artista, della donna di casa annoiata e frustrata per Rodolfo Valentino. A questi peccati meramente carnali come la ghiottoneria e la lascivia, il corpo impone, per la sua stessa natura e costituzione, certi limiti.

Ma, mentre la carne debole, lo spirito sempre pronto all'infinito. Ai peccati della volont e dell'immaginazione la natura non fissa limiti. L'avarizia e la brama di potenza sono quasi altrettanto infinite quanto pu esserlo qualsiasi cosa in questo mondo sublunare. E tale ci che D. H. Lawrence chiam "la sessualit cerebrale". Come la passione eroica, essa una delle ultime infermit dell'intelletto superiore. Come sensualit immaginaria una delle prime infermit della mente malata. E in entrambi i casi (essendo libera dal corpo e dalle limitazioni imposte dalla stanchezza, dalla noia, dalla banalit essenziale degli avvenimenti materiali rispetto alle nostre idee e fantasie), essa partecipa dell'infinito. Dietro le sbarre la priora si trov vittima di un insaziabile mostro, la propria immaginazione. Nella sua persona ella riuniva la preda tremante e lacerata con l'equivalente infernale del "divin cacciatore". Come era da aspettarsi, la salute non resistette e dal 1629 soeur Jeanne cominci a soffrire di un disturbo psicosomatico allo stomaco che secondo il dottor Rogier ed il chirurgo Mannoury la ridusse in uno stato tale di debolezza che stentava a camminare. Durante tutto questo tempo, dobbiamo ricordare, il "pensionnat" delle orsoline provvedeva all'istruzione, all'insegnamento del catechismo e delle regole di buon comportamento, per una schiera sempre crescente di fanciulle. Come reagirono le allieve, ci si domanda, all'influenza di una direttrice preda dell'ossessione sessuale, di maestre gi contagiate dall'isterismo della superiora? A questa domanda, i documenti, purtroppo, non forniscono risposta. Tutto ci che sappiamo che fu soltanto in una fase inoltrata dell'azione che i genitori indignati cominciarono a ritirare le bambine affidate alle suore. Per il momento, sembrerebbe, l'atmosfera mentale del convento non era cos manifestamente anormale da suscitare allarme. Poi, al principio del quinto anno di regno della priora, si verific una serie di avvenimenti i quali, sebbene insignificanti in se stessi, erano destinati ad avere enormi conseguenze. Il primo di questi avvenimenti fu la morte del direttore spirituale delle orsoline, il canonico Moussaut.

Degnissimo prete, il canonico aveva fatto coscienziosamente del suo meglio per la nuova comunit, ma il suo meglio, poich egli si trovava alle soglie della seconda infanzia, non era stato un gran che. Egli non capiva niente delle sue penitenti; e le penitenti, da parte loro, non si curavano affatto di ci che egli diceva. Alla notizia della morte di Moussaut, la priora cerc ad ogni costo di apparire triste; ma internamente era piena di effervescente esaltazione. Finalmente, finalmente! Non appena il vecchio sacerdote fu felicemente seppellito, ella invi una lettera a Grandier. Cominciava con una frase circa l'irreparabile perdita subita dalla comunit, proseguiva sottolineando la necessit per lei e le sue sorelle della guida spirituale di un direttore non meno saggio e santo del caro defunto, e finiva con l'invito a Grandier di occupare il posto del canonico. Ad eccezione dell'ortografia, che era sempre stato il punto debole di soeur Jeanne, la lettera era perfetta. Rileggendo la bella copia, la priora non vedeva come egli potesse resistere a un appello cos sentito, cos pio, cos delicatamente lusinghiero. Ma la risposta di Grandier, quando arriv, fu un cortese rifiuto. Non solo egli si sentiva indegno di tanto onore; era anche troppo occupato con i suoi compiti parrocchiali. Dall'apogeo di contentezza, la priorit piomb a capofitto in una delusione in cui il dolore era mescolato all'orgoglio ferito, e con la quale cresceva, man mano che ella masticava la sua amara sconfitta, una fredda rabbia ostinata, l'insistente perfidia dell'odio. Concretare questa ostilit non era affatto facile perch il parroco viveva in un mondo nel quale era impossibile per una monaca di clausura entrare. Ella non poteva andare da lui; ed egli non andava da lei. Il pi prossimo avvicinamento a un contatto personale si present quando Madeleine de Brou si rec al convento per visitare una nipotina, ospite del pensionato. Entrando in parlatorio, Madeleine si trov di fronte la priora dall'altra parte della grata. Ella pronunzi un saluto cortese e le fu risposto con un torrente di insulti che diventavano man mano pi aspri e violenti. Sgualdrina, prostituta, corruttrice di preti, colpevole del massimo sacrilegio! Attraverso le sbarre la priora sput alla sua rivale. Madeleine volt le spalle e scapp. L'ultima speranza di una vendetta personale, faccia a faccia era sfumata. Ma una cosa, almeno soeur Jeanne poteva ancora fare: si poteva associare con tutta la comunit ai nemici di Grandier.

Senza indugio mand a chiamare colui che, fra tutti gli ecclesiastici del luogo aveva pi ragione di detestarlo. Brutto, zoppo, privo di ingegno non meno che di fascino, il canonico Mignon aveva sempre invidiato il bell'aspetto, lo spirito vivace e i facili successi del parroco. A questa antipatia generica, e per cos dire antecedente, si erano aggiunti, con gli anni, numerosi motivi pi specifici di ostilit: il sarcasmo di Grandier, la cugina di Mignon, Philippe Trincant, sedotta; e, pi recentemente, una lite per una propriet disputata tra la chiesa collegiale di Sainte Croix e la parrocchia di Saint Pierre. Senza ascoltare i consigli degli altri canonici Mignon era ricorso in tribunale e, come tutti avevano profetizzato, aveva perduto la causa. Egli era ancora esacerbato per l'umiliazione subta quando la priora lo invit nel parlatorio del convento e, dopo aver accennato genericamente alla vita spirituale e in particolare alla condotta scandalosa del parroco, gli propose di diventare confessore delle monache. L'offerta fu accettata immediatamente. Un nuovo alleato si era unito alle forze confederate contro Grandier. Come precisamente questo alleato poteva essere usato Mignon ancora non sapeva. Ma, da buon generale, era pronto ad afferrare qualsiasi opportunit potesse presentarsi. Nella mente della priora, intanto, il nuovo odio per Grandier non aveva distrutto, e neppure mitigato, gli antichi ossessionanti desideri. L'eroe immaginato nei sogni notturni e in quelli a occhi aperti rimase lo stesso; ma ora egli non era pi il principe azzurro al quale si lascia aperta la finestra, ma un incubo importuno che si deliziava ad infliggere alla sua vittima l'oltraggio di uno sgradito ma irresistibile piacere. Dopo la morte di Moussaut soeur Jeanne sogn in diverse occasioni che il vecchio fosse tornato dal Purgatorio per implorare dalle sue antiche penitenti aiuto nelle preghiere. Ma mentre egli si lamentava ecco che tutto cambiava: e non era pi la persona del suo antico confessore, ma il volto e le sembianze di Urbain Grandier il quale, alternando le parole e i modi con la figura, le parlava d'amore, l'avviliva di carezze non meno insolenti che impudiche, e la sollecitava a concedergli ci di cui non era pi suo diritto disporre, ci che per voto, ella aveva consacrato allo Sposo divino. La mattina dopo la priora narrava queste avventure notturne alle altre monache.

I racconti non perdevano affatto nella narrazione e, ben presto, due altre giovani dame: suor Claire de Sazilly (la cugina del cardinale Richelieu) e un'altra Claire, una conversa, cominciarono anch'esse ad avere visioni di importuni ecclesiastici e ad udire una voce che sussurrava loro all'orecchio le pi volgari proposte. L'avvenimento che segu, determinante nella lunga serie che condusse alla distruzione del parroco, fu un giuoco piuttosto stupido. Ideato da un comitato di monache giovani e di allieve anziane, allo scopo di spaventare i bambini e gli adulti devoti e ingenui, il giuoco era una semplice chiassata di finte apparizioni e di spiriti. La casa in cui abitavano le monache e le pensionanti aveva fama, come abbiamo gi visto, di essere frequentata dagli spettri. I suoi inquilini quindi erano ben disposti a lasciarsi spaventare quando, poco dopo la morte del vecchio canonico, una figura bianca fu vista attraversare fugacemente i dormitori. Dopo la prima visita tutte le porte furono accuratamente serrate, ma i fantasmi o venivano dalle grondaie ed entravano attraverso le finestre oppure erano introdotti nelle stanze dalla loro quinta colonna. Le coperte venivano strappate dai letti, dita gelate sfioravano le guance. In alto, nei solai, si udiva cigolo e frastuono di catene. Le bambine strillavano; le reverende madri si segnavano e invocavano san Giuseppe. Inutilmente. Dopo qualche notte di tranquillit, gli spettri ritornavano. La scuola e il convento erano in preda al panico. Seduto al suo posto di ascolto nel confessionale, il canonico Mignon veniva a conoscenza di tutto: degli incubi nelle celle, dei fantasmi nei dormitori, dei giochetti in solaio. Venne a conoscenza di tutto ed improvvisamente ebbe una luce di intuizione e riconobbe la mano della Provvidenza. Egli si rese conto che tutte le cose procedevano verso la stessa direzione e si sarebbe unito a loro. A tale scopo rimprover le autrici dei giochetti, ma ordin loro di non parlare delle burle. Instill nuovo terrore nelle vittime di quelle burle dicendo che le cose scambiate per fantasmi erano molto probabilmente demoni. E consolid le allucinazioni della madre superiora e delle sue compagne visionarie assicurando loro che i visitatori notturni erano realmente e manifestamente satanici.

Dopo di che si rifugi, con quattro o cinque tra i nemici pi influenti del parroco, nella casa di campagna di m. Trincant a Puydardane, a una lega dalla citt. Qui, all'assemblea del consiglio di guerra rifer ci che accadeva al convento e sugger il modo di sfruttare la situazione a danno di Grandier. La questione fu discussa e fu tracciato un piano di guerra, completo di armi segrete, lotta psicologica e un servizio di spionaggio soprannaturale. I cospiratori si lasciarono esultanti. Questa volta, ne erano sicuri, lo avevano preso. La successiva mossa di Mignon fu di recarsi dai carmelitani. Aveva bisogno di un buon esorcista: potevano fornirne uno i reverendi padri? Con entusiasmo il priore gliene dette non uno, ma tre: i padri Eusbe de Saint-Michel, Pierre-Thomas de Saint-Charles e Antonin de la Charit. Con Mignon essi si misero subito all'opera e riuscirono cos bene nella loro azione che, in pochi giorni, tutte le monache, salvo due o tre tra le pi vecchie, ricevettero le visite notturne del parroco. Dopo qualche tempo cominciarono a diffondersi voci circa il monastero infestato dagli spiriti, e in breve divent cosa risaputa che le buone suore erano tutte possedute dai demoni e che i demoni riversavano la colpa di ogni cosa sull'allegro m. Grandier. I protestanti, come si pu immaginare, ne furono felici. Che un prete papale avesse cospirato con Satana per corrompere un intero convento di orsoline era quasi sufficiente a consolarli per la caduta di La Rochelle. In quanto al parroco, egli si strinse solo nelle spalle. Dopo tutto egli non aveva neppure messo gli occhi sulla priora e le sue farneticanti compagne. Ci che queste dementi dicevano di lui era soltanto prodotto del loro male: malinconia cronica mista a un attacco di "furor uterinus". Isolate dagli uomini, le poverette devono necessariamente immaginare un incubo. Quando questi commenti furono riferiti al canonico Mignon egli sorrise e osserv che ride bene chi ride l'ultimo. Intanto il lavoro di esorcizzare tutte queste indemoniate era tanto che, dopo qualche mese di combattimenti eroici con i diavoli, il canonico dovette chiedere rinforzi. Il primo a essere convocato fu Pierre Rangier, "cur" di Veniers, l'uomo che doveva la sua notevolissima influenza nella diocesi e la sua universale impopolarit al fatto di essere la spia e l'agente segreto del vescovo.

Partecipando Rangier agli esorcismi, il canonico poteva aver fiducia che non vi sarebbe stato scetticismo nelle alte sfere. Il convento sarebbe stato riconosciuto indemoniato in maniera ufficiale e ortodossa. A quella di Rangier fu subito aggiunta la collaborazione di un altro prete di stampo completamente diverso. M. Barr, "cur" di Saint Jacques nella vicina citt di Chinon, era uno di quei cristiani negativi per i quali il diavolo impareggiabilmente pi reale e pi interessante di Dio. Egli vedeva dovunque l'orma dei piedi fessi e riconosceva l'opera di Satana in tutti gli avvenimenti strani, disastrosi o troppo piacevoli della vita umana. Niente lo divertiva tanto come un nutrito corpo a corpo con Belial o Belzeb, quindi egli non faceva altro che inventare ed esorcizzare indemoniati. Grazie ai suoi sforzi, Chinon era piena di ragazze in convulsioni, di vacche stregate, di mariti incapaci, a causa dei perversi incantesimi di qualche stregone, di compiere il loro dovere coniugale. Nella sua parrocchia nessuno poteva lamentarsi che la vita fosse priva di interesse; un po' per il "cur" e un po' per il diavolo, non vi era mai un momento di noia. L'invito di Mignon fu accettato con sollecitudine, e qualche giorno dopo Barr arriv da Chinon alla testa di una processione formata da una larga rappresentanza dei suoi parrocchiani pi fanatici. Con grande disgusto egli trov che, fin'allora, gli esorcismi erano stati praticati a porte chiuse. Che idea, nascondere le proprie opere meritorie! Perch non dare al pubblico l'opportunit di rimanere edificati? Le porte della cappella delle orsoline furono spalancate; la folla si rivers nell'interno. Al terzo tentativo Barr riusc a mandare in convulsioni la madre superiora. Priva di sensi e di ragione soeur Jeanne si rotol sul pavimento. Gli spettatori apprezzarono molto la scena, specialmente quando ella mostr le gambe. Alla fine, dopo molte violenze, vessazioni, urli e digrignamento di denti, due dei quali nella parte posteriore della bocca si ruppero il diavolo obbed all'ordine di lasciare in pace la sua vittima. La priora giacque esausta; m. Barr si asciug il sudore dalla fronte.

Ed ora fu il turno del canonico Mignon e di suor Claire de Sazilly, di padre Eusebio e della conversa, di m. Rangier e di suor Gabriella dell'Incarnazione. Lo spettacolo fin solo con la fine del giorno. Il pubblico si allontan a frotte nel crepuscolo autunnale. Fu da tutti riconosciuto che da quando erano venuti quegli acrobati ambulanti, con i due nani e gli orsi ammaestrati la povera vecchia Loudun non aveva visto una rappresentazione bella come questa. E completamente gratuita, poich senza dubbio non si era obbligati a mettere niente nella borsa quando veniva fatta circolare, e se si metteva qualcosa, un centesimo tintinnava come una lira. Due giorni dopo, l'8 ottobre 1632, Barr riport la sua prima grande vittoria, cacciando Asmodeo, uno dei sette diavoli che si era stabilito nel corpo della priora. Parlando attraverso le labbra dell'indemoniata, Asmodeo rivel di essere trincerato nel basso ventre. Per pi di due ore Barr lott contro di lui. Le sonore frasi latine rimbombarono ripetutamente. Exorciso te, immundissime spiritus, omnis incursio adversarii, omne phantasma, omnis legio, in nomine Domini nostri Jesus Christi; eradicare et effugare ab hoc plasmate Dei. [Esorcizzo te, spirito immondissimo, ogni assalto dell'avversario, ogni spettro, ogni legione, in nome di nostro signor Ges Cristo, che tu sia sradicato e messo in fuga da questa creatura di Dio.] E poi si spruzzava l'acqua santa, c'era l'imposizione delle mani, della stola, del breviario, delle reliquie. Adjuro te, serpens antique, per Judicem vivorum et mortuorum, per factorem tuum, per factorem mundi, per eum qui habet potestatem mittendi te in gehennam, ut ab hoc famulo Dei, qui ad sinum Ecclesiae recurrit, cum metu et exercitu furoris tui festinus discedas. [Scongiuro te, antico serpente per il Giudice dei vivi e dei morti, per il tuo creatore, per il creatore del mondo, per colui che ha potest di buttarti nella Geenna, di lasciare rapidamente questa serva di Dio, che ha fretta di rientrare in seno alla Chiesa, insieme con i timori e le afflizioni della tua furia.] Ma invece di andarsene, Asmodeo scoppi a ridere e pronunzi qualche spiritosa bestemmia. Un altro si sarebbe arreso. Non m. Barr. Ordin che la priora fosse condotta in cella e mand a chiamare in fretta il farmacista.

M. Adam arriv, e con lui il classico emblema della professione, l'enorme siringa di ottone delle farse di Molire e la realt medica del diciassettesimo secolo. Pronto per lui vi era un quarto d'acqua santa. La siringa fu riempita e m. Adam si avvicin al letto su cui giaceva la madre superiora. Sentendo che si approssimava la sua ultima ora, Asmodeo lanci un colpo. Invano. I lombi della priora furono immobilizzati, mani forti tennero fermo il corpo convulso e, con l'abilit nata dalla lunga pratica, m. Adam somministr il miracoloso clistere. Due minuti dopo Asmodeo era andato via (1). Nell'autobiografia che scrisse qualche anno dopo, soeur Jeanne ci assicura che, durante i primi mesi in cui era indemoniata, aveva la mente tanto confusa che non riusciva a ricordare niente di ci che le era accaduto. L'affermazione pu essere vera, oppure no... Vi sono molte cose che ci piacerebbe dimenticare, e facciamo del nostro meglio per sopprimerle, ma che in effetti continuiamo a ricordare fin troppo vividamente. La siringa di m. Adam, per esempio... Dall'isolamento dell'io vi sono molte maniere di rifugiarsi in una condizione embrionale di subumanit. Questo stato partecipa della inesistenza, tema di tanti poemi di Mallarm. "Mais ta chevelure est une rivire tide, Ou noyer sans remords l'me qui nous obsde, Et trouver le Nant que tu ne connais pas." Ma per molte persone, l'inesistenza assoluta non sufficiente. Ci che vogliono un niente con qualit negative, una nullit che puzzi e sia odiosa. "Une nuit que j'tais prs d'une affreuse juive, Comme au long d'un cadavre un cadavre tendu..." Anche questa un'esperienza di inesistenza, ma con una differenza in pi. Ed precisamente nell'"inesistenza con una differenza in pi" che certi intelletti scoprono quale sia per loro il tipo pi piacevole di sperimentata diversit. In Jeanne des Anges, il desiderio di autotrascendenza era potente in proporzione alla intensit del suo egotismo innato e alle circostanze frustratorie dell'ambiente.

Negli anni seguenti ella finse di tentare, e tent anche effettivamente senza finzione, di raggiungere un'autotrascendenza ascetica nella vita dello spirito. Ma a questo stadio della sua carriera l'unica via d'uscita che si present fu una discesa nella sessualit. Ella aveva cominciato ad indulgere deliberatamente nell'immaginazione di un'intimit col suo "beau tnbreux", lo sconosciuto ma notoriamente stuzzicante m. Grandier. Per col tempo l'indulgenza deliberata ed occasionale si trasform irresistibilmente in vizio. L'abitudine mut le sue fantasie sessuali in imperiosa necessit. Il "beau tnbreux" assunse un'esistenza autonoma indipendente dalla sua volont. Invece di essere padrona della propria immaginazione, ora ella ne era schiava. La schiavit umiliante; eppure la coscienza di non avere pi il controllo dei propri pensieri e delle proprie azioni una forma, inferiore senza dubbio, ma effettiva, di quella autotrascendenza alla quale aspirano tutti gli esseri umani. Soeur Jeanne aveva cercato di liberarsi dalla schiavit delle immagini erotiche che ella aveva evocato; ma l'unica libert che riusc a conquistare fu la libert di essere l'io che aborriva. Non c'era altro che scivolare di nuovo nella prigione della sua debolezza. Ed ora, dopo mesi di questa lotta interiore, ella era nelle mani dell'egregio m. Barr. La fantasia di una autotrascendenza discendente era stata trasformata nel fatto bruto di essere trattata effettivamente come qualche cosa di meno che umano, come una bizzarra specie di animale, da esibire alla folla come una scimmia ammaestrata, come una creatura meno che persona buona solo per urlarle oscenit, manipolarla, mandarla con insistente opera di suggestione in crisi e alla fine sottoporla, contro ci che rimaneva della sua volont e nonostante gli avanzi di modestia, all'oltraggio di una forzata irrigazione del colon. Barr le aveva imposto una esperienza equivalente pi o meno, a una violenza in una latrina pubblica (2). La persona che fu una volta soeur Jeanne des Anges, priora delle orsoline di Loudun, era stata annichilita, annichilita non alla maniera di Mallarm, ma di Baudelaire, con una differenza in pi. Parodiando la frase di san Paolo, ella poteva dire di s Io vivo, pure non io, ma il fango, l'umiliazione, la mera fisiologia vive in me.

Durante gli esorcismi ella non era pi un soggetto; era soltanto un oggetto con sensazioni intense. Orribile, ma anche meraviglioso: un oltraggio, ma nello stesso tempo una rivelazione e, nel senso letterale della parola, un'estasi, un'evasione dall'odioso e fin troppo familiare io. A quest'epoca, bisogna notare, soeur Jeanne non aveva l'esatta consapevolezza di essere indemoniata. Mignon e Barr le dissero che era infestata dai diavoli e nei deliri provocati dagli esorcismi ella stessa diceva altrettanto. Ma non aveva ancora alcuna sensazione di essere posseduta dai sette diavoli (sei dopo la partenza di Asmodeo) che si supponeva fossero accampati nel suo minuscolo corpo. Ecco la sua analisi della situazione. Non credevo allora che si potesse essere indemoniati senza il proprio consenso, o senza aver fatto un patto col diavolo; in ci mi sbagliavo perch i pi innocenti e i pi santi possono essere indemoniati. Io non ero fra il numero degli innocenti; perch migliaia e migliaia di volte mi ero arresa al demonio peccando e opponendo continua resistenza alla grazia... I demoni si insinuarono nella mia mente e nelle mie inclinazioni, in maniera tale che, attraverso le disposizioni al male che trovarono in me, essi fecero di me un'unica ed uguale sostanza con se stessi... D'ordinario i diavoli agivano in conformit ai sentimenti della mia anima; e ci facevano con tanta sottigliezza che io stessa non credevo di aver alcun diavolo in me. Io mi sentivo offesa quando la gente manifestava il sospetto che io fossi indemoniata, e se qualcuno accennava al fatto che io ero posseduta dai diavoli, provavo una violenta emozione di rabbia e non potevo controllare l'espressione del mio risentimento. Ci significa che la persona la quale non poteva fare a meno di sognare m. Grandier, la persona che m. Barr trattava come una specie di animale da laboratorio, non era cosciente, fuori degli esorcismi e durante le ore di veglia di essere in alcun modo anormale. Le estasi di umiliazione e di sensualit allucinatoria venivano inflitte ad una mente che si sentiva ancora quella di una donna di sensualit media la quale aveva avuto la sfortuna di capitare in un convento, mentre avrebbe dovuto sposarsi e avere una famiglia. Delle condizioni mentali di m. Barr e degli altri esorcisti non sappiamo niente di diretto. Essi non lasciarono autobiografie e non scrissero lettere.

Finch non entr in scena padre Surin circa due anni dopo, la storia degli uomini coinvolti in questa prolungata orgia psicologica manca completamente di contatti personali. Fortunatamente per noi. Surin fu un introverto col bisogno di autorivelarsi, un "informatore" nato la cui passione per la confessione compens ampiamente la reticenza dei suoi colleghi. Scrivendo di quei primi anni passati a Loudun e in seguito, a Bordeaux, Surin deplora di essere soggetto a tentazioni della carne quasi continue. Date le circostanze di vita di un esorcista in un convento di monache indemoniate, il fatto non pu meravigliare. Al centro di un gruppo di donne isteriche, tutte in stato cronico di eccitazione sessuale, egli era il "maschio" ufficiale, imperioso e tirannico. L'abiezione in cui si abbandonavano estaticamente le donne affidate a lui serviva solo a dare enfasi alla trionfale virilit del ruolo dell'esorcista. La loro passivit rinforzava in lui la sensazione di essere il padrone. In mezzo ad incontrollabili farneticamenti egli era lucido e forte; in mezzo a tanta animalit era l'unico essere umano; in mezzo ai diavoli era il rappresentante di Dio. E come rappresentante di Dio, aveva il privilegio di fare ci che voleva di queste creature inferiori: poteva far loro eseguire giochetti, mandarle in convulsioni, malmenarle come se fossero scrofe o giovenche recalcitranti, ordinare il clistere o la frusta (3). Nei loro momenti pi lucidi le indemoniate confidavano ai loro padroni e con quale osceno piacere in questo calpestare le convenzioni che erano state parte essenziale della loro personalit! i fatti inconfessabili del loro stato fisiologico, le pi terribili fantasie estratte dalle melmose profondit del subcosciente. La specie di rapporto che poteva esistere tra gli esorcisti e le monache che si supponeva fossero indemoniate bene illustrato dal seguente estratto di un resoconto dell'epoca sulle orsoline di Auxonne, possedute dal demonio, il quale va dal 1658 fino al 1661. Le monache dichiarano, e altrettanto fanno i preti, che per mezzo dell'esorcismo, essi (i preti) le liberano dell'ernia, "qu'ils leur ont fait rentrer des boyaux qui leur sortaient de la matrice" [* che gli facevano rientrare budella uscite dalla matrice], che le guarivano in un momento di lacerazioni all'utero causate dagli stregoni, che essi provocavano la espulsione "des bastons couverts de prpuces de sorciers qui leur avoient este mis dans la matrice, des bouts de chandelles, des bastons couverts de langes et d'aultres instruments d'infamie, comme des boyaux et aultres choses des quelles les

magiciens et les sorciers d'taient servis pour faire sur elles des actions impures". Esse dichiarano altres che i preti le curarono di coliche, mal di stomaco e mal di capo, che essi curavano l'indurimento del seno con la Confessione; fermavano le emorragie con l'esorcismo, e con l'acqua santa presa per bocca, eliminavano i gonfiori all'addome provocati dalla copulazione con diavoli e stregoni. Tre delle monache comunicano, senza esitazione, di essersi congiunte a demoni e di essere state deflorate. Altre cinque dichiarano di aver sofferto, per mano di stregoni, maghi e diavoli, azioni che la modestia proibisce di ripetere, ma che in effetti non sono diverse da quelle descritte dalle prime tre. I nominati esorcisti testimoniano della verit di tutte le suddette affermazioni. (Vedi "Barbe Buve et la pretendue possession des ursulines d'Auxonne", del dottor Samuel Garnier (Parigi, 1895), pagine 14-15). Che squallore profondo, quali intimit da sala operatoria! Il sudiciume morale e materiale; le miserie fisiologiche sono pari a quelle spirituali e intellettuali. E al di sopra di tutto, come una nebbia puzzolente, si stende una fosca sessualit, abbastanza spessa da tagliarsi col coltello e onnipresente, inevitabile. I medici che, per ordine del Parlamento di Burgundy, visitarono le monache, non trovarono prove che fossero possedute dal demonio, ma molti sintomi che tutte o la maggior parte di esse soffrivano di un male a cui i nostri padri dettero il nome di "furor uterinus". I sintomi della malattia erano calore accompagnato da un bisogno irresistibile del coito e incapacit da parte delle suore pi giovani, di pensare o parlare di qualsiasi cosa estranea alla sessualit. Questa era l'atmosfera di un convento di monache indemoniate, e queste le persone con le quali, in un'intimit che era un misto dell'intimit esistente tra il ginecologo e la paziente, il domatore e la bestia, lo psichiatra amato e la nevrotica loquace, il prete officiante passava molte ore del giorno e della notte. Per gli esorcisti di Auxonne le tentazioni furono troppo forti e vi ragione di credere che essi profittarono della situazione per sedurre le monache affidate loro. Nessuna accusa del genere fu rivolta contro i preti e i monaci che operarono su soeur Jeanne e sulle altre isteriche di Loudun. Vi fu, come testimonia Surin, una continua tentazione, ma si resistette. La prolungata orgia si svolse nell'immaginazione e non fu mai fisica.

L'espulsione di Asmodeo fu una vittoria cos notevole e le monache erano diventate cos brave a recitare la parte di indemoniate che Mignon e gli altri nemici di Grandier si sentirono abbastanza forti per intraprendere un'azione ufficiale. Di comune accordo, l'11 ottobre Pierre Rangier, parroco di Veniers, fu invitato all'ufficio del magistrato capo della citt, m. de Cerisay. Egli rifer ci che era accaduto e invit il "bailli" ed il suo sostituto, Louis Chauvet, a recarsi sul posto e constatare. L'invito fu accettato e quello stesso pomeriggio i due magistrati, con i loro impiegati, arrivarono al convento dove furono ricevuti da Barr e dal canonico Mignon e condotti in una stanza dal soffitto altissimo mobiliata con sette lettini, uno dei quali occupato dalla conversa ed un altro dalla madre superiora. Quest'ultima era circondata da diversi carmelitani, da alcune monache del convento, da Mathurin Rousseau, prete e canonico della Sainte-Croix e dal chirurgo Mannoury. Alla vista del "bailli" e del suo sostituto, la priora (come risulta dai verbali scritti dall'impiegato dei magistrati) cominci a fare violentissimi movimenti, e certi rumori simili ai grugniti di un porcellino, poi si seppell sotto le coperte, digrign i denti e fece varie contorsioni tali che potevano essere fatte da una persona fuori di senno. Alla sua destra vi era un carmelitano e alla sinistra il suddetto Mignon, il quale introdusse due dita, esattamente il pollice e l'indice nella bocca della detta madre superiora e esegu esorcismi e scongiuri alla nostra presenza. Nel corso di questi esorcismi e scongiuri trapel che soeur Jeanne era diventata preda del demonio attraverso il tramite materiale di due diabolici "patti", uno consistente in tre aculei di biancospino, l'altro in un fascio di rose che ella aveva trovato sulle scale e aveva introdotto nella cintura in conseguenza di che era stata presa da un gran tremore al braccio destro e assalita d'amore per Grandier per tutto il tempo delle preghiere, rimanendo incapace di fissare la sua attenzione su qualsiasi cosa che non fosse la rappresentazione della persona di Grandier che era stata impressa internamente su di lei. Quando le fu chiesto in latino Chi mand questi fiori? la priora dopo aver indugiato ed esitato rispose come se vi fosse stata costretta, "Urbanus". Al che il detto Mignon disse "Dic qualitatem" [Dite la sua condizione]. Ella disse, "Sacerdos". Egli disse, "Cujus ecclesiai?" [Di quale chiesa?] e la detta monaca rispose, "Santi Petri", le cui ultime parole ella pronunzi piuttosto male.

Quando l'esorcismo fu terminato, Mignon prese in disparte il "bailli" e, alla presenza del canonico Rousseau e di m. Chauvet osserv che quel caso sembrava presentare una impressionante somiglianza con quello di Louis Gauffridy, il prete provenzale il quale, venti anni prima, era stato bruciato vivo per aver stregato e pervertito certe orsoline di Marsiglia. Facendo il nome di Gauffridy, il giuoco era stato scoperto. La strategia della nuova campagna contro il parroco apparve chiaramente rivelata. Egli sarebbe stato accusato di stregoneria e di magia, processato e, se assolto, avrebbe perduto la reputazione, se condannato, sarebbe stato mandato al rogo.

NOTE. N. 1: Barr non fu l'inventore di questo complemento dell'esorcismo. Tallemant riferisce che un aristocratico francese, m. de Fervaque, l'aveva usato con successo su una monaca indemoniata di sua conoscenza. Oggigiorno, nel Sud Africa, vi sono sette di negri che praticano il battesimo col lavaggio del colon. N. 2: Nella pratica medica del diciassettesimo e diciottesimo secolo, il clistere era impiegato largamente e frequentemente quanto lo oggi l'ipodermoclisi. I clisteri scrive Robert Burton sono molto richiesti. Trincavellius li stima molto ed Ercole di Sassonia ne grande sostenitore. Io ho osservato (egli dice) che molti malinconici ipocondriaci sono stati guariti col solo uso del clistere. Poich senza dubbio aggiunge Burton in un altro punto un clistere, usato opportunamente, non pu decidere in questa come in molte altre malattie ma pu fare molto bene. Fin dalla prima infanzia tutti i membri delle classi che potevano permettersi di chiamare il medico o il farmacista avevano familiarit con la gigantesca siringa e le supposte, con le copiose dosi rettali di sapone di Castiglia, miele bollito, elleboro, scammonea, eccetera. Non da sorprendere, quindi, che quando descrive i suoi divertimenti infantili con le "petites demoiselles" che solevano giuocare con le sorelline Jean Jacques Bouchard (preciso contemporaneo della priora) parli, come di cosa nota a chiunque, dei "petits bastons", con i quali i ragazzini e le bambine solevano fingere di farsi scambievolmente dei clisteri.

Ma il fanciullo padre dell'uomo e la bambina madre della donna, e per generazioni la mostruosa siringa del farmacista continu a ossessionare l'immagine sessuale, non soltanto dei bambini, ma anche degli adulti. Pi di centocinquant'anni dopo l'impresa di m. Barr, gli eroi e le eroine del marchese di Sade, nei laboriosi sforzi di allargare la portata del godimento sessuale, facevano uso frequente dell'arma segreta dell'esorcista. Una generazione prima del marchese, Franois Boucher aveva presentato, ne "L'attente du Clystre", la pi spaventosa "pin-up girl" del secolo, forse di tutti i tempi. Dall'osceno brutale e dal grazioso pornografico vi una facile modulazione nel comico rabelaisiano e nella barzelletta da salotto. Ricordare la vecchia signora in "Candide" con le sue battute sulle Cannule e "nous autres femmes". Si pensi all'amoroso Sganarello, in "Le Mdecin malgr lui", che prega teneramente Jacqueline perch gli permetta di darle, non un bacio, ma un "petit clystre dulcifiant". Quello di M. Barr, col quarto di acqua santa fu un "petit clystre sanctifiant". Ma, santificante o dolcificante, la cosa rimase ci che era intrinsecamente e ci che, per convenzione e in quel particolare momento storico, era diventata, un'esperienza erotica, un oltraggio alla modestia, e un simbolo arricchito da tutta una gamma di sfumature ed armonie pornografiche, che era entrato nella tradizione popolare diventando parte della cultura ambientale. N. 3: Nella lettera che scrisse dopo una visita a Loudun nel 1635, Thomas Killigrew descrive il trattamento inflitto alla incantevole suor Agnese le cui belle sembianze e la condotta impressionantemente modesta, le avevano guadagnato, tra gli "habitus" dell'esorcismo, l'affettuoso soprannome di "le beau petit diable". Ella era molto giovane e bella, la pi graziosa e snella di tutte... La bellezza del volto era oscurata dallo sguardo grigio e triste che, al mio arrivo in cappella, ella nascose, ma ora ha svelato nuovamente. (Killigrew aveva solo vent'anni in quell'epoca, ed era di non comune bellezza.) E sebbene ella fosse legata ora come una schiava alla merc del frate, in quegli occhi neri si potevano vedere, attraverso tutte le disgrazie, le glorie intatte di molti trionfi. "Come una schiava alla merc del frate", le parole sono tristemente efficaci. Poco dopo, come riferisce Killigrew, la ragazza stregata era una schiava sotto i piedi del frate.

Poich dopo averla mandata in convulsioni e averla fatta rotolare sul pavimento il buon padre calpest trionfante la vittima accucciata. Confesso che fu uno spettacolo cos triste dice Killigrew, che non ebbi cuore di vedere l'operazione miracolosa di farla riavere e uscii per tornare in albergo.

Capitolo 5

E cos Grandier fu accusato di stregoneria e le orsoline erano indemoniate. Noi leggiamo queste dichiarazioni e sorridiamo; ma prima che il sorriso si possa mutare in una smorfia o possa esplodere in una sghignazzata, cerchiamo di scoprire quale fosse precisamente il significato attribuito a queste parole durante la prima met del diciassettesimo secolo. E poich, in questo periodo, la stregoneria era dovunque un delitto, cominciamo con gli aspetti legali del problema. Sir Edward Coke, il pi grande avvocato inglese nel periodo che va dalla fine del regno elisabettiano a tutto quello di Giacomo Primo, defin la strega come persona che abbia rapporti col diavolo per consultarsi con lui o per compiere qualche azione. Secondo lo statuto del 1563, la stregoneria era punita con la morte solo quando potesse provarsi che la strega avesse attentato alla vita altrui. Ma nel primo anno del regno di Giacomo questo statuto fu sostituito da una nuova legge pi severa. Dopo il 1603 la colpa capitale non era pi l'assassinio con mezzi soprannaturali, ma il semplice fatto di essere riconosciuta strega. L'azione compiuta dall'accusato poteva essere innocua, come nel caso di divinazione, o anche benefica, come nel caso di guarigioni per mezzo di parole magiche o incantesimi. Se vi erano prove che esse erano state compiute attraverso "rapporti col demonio", o con metodi di magia intrinsecamente diabolici, l'atto era criminale e l'esecutore doveva essere condannato a morte. Questa era una legge inglese e protestante; ma pienamente in armonia con la legge canonica e la pratica cattolica. Kramer e Sprenger, i dotti domenicani autori del "Malleus maleficarum" (per quasi due secoli libro di testo e "vade mecum" per tutti i cacciatori di streghe, luterani e calvinisti non meno dei cattolici), citano molte autorit per dimostrare che la pena pi indicata per la stregoneria, la predizione del futuro, la pratica di ogni specie di arte magica, la morte. Poich la stregoneria alto tradimento contro la maest di Dio. E quindi essi (gli accusati) devono essere messi alla tortura per farli confessare. Qualsiasi persona, di ogni rango o posizione, per un'accusa simile pu essere messa alla tortura.

E colui che viene riconosciuto colpevole, anche se confessa il suo delitto, che sia tormentato, che soffra tutte le torture prescritte dalla legge allo scopo di punirlo in proporzione alla sua colpa. (1). Dietro queste leggi stava una tradizione immemorabile di interventi demoniaci nelle questioni umane e, in particolare, le verit rivelate che il demonio il principe di questo mondo e nemico giurato di Dio e dei figli di Dio. Qualche volta il diavolo opera per suo conto; qualche volta egli compie i suoi misfatti per mezzo degli esseri umani. E alla domanda se il demonio sia meglio in grado di danneggiare gli uomini e le creature egli stesso anzich attraverso una strega, si pu dire che non vi paragone tra i due casi. Poich egli infinitamente meglio in grado di fare del male per tramite delle streghe. Prima, perch in questo modo egli offende pi gravemente Dio usurpando a s una creatura dedicata a Lui. In secondo luogo perch, quando Dio maggiormente offeso, Egli gli concede maggior potere di danneggiare gli uomini. E in terzo luogo, per il proprio vantaggio, che egli ripone nella perdizione delle anime. (2). Nel mondo cristiano durante il Medioevo e il principio dell'ra moderna, la situazione degli stregoni e dei loro clienti era quasi analoga a quella degli ebrei sotto Hitler, dei capitalisti sotto Stalin, dei comunisti e degli stranieri in viaggio negli Stati Uniti. Essi erano considerati agenti di una potenza estera, antipatriottici nella migliore ipotesi e, nella peggiore, traditori, eretici, nemici del popolo. Morte la pena inflitta a questi metafisici Quisling del passato e in molti luoghi del mondo contemporaneo, morte la pena che attende gli adoratori del demonio, politici e secolari, conosciuti qui come rossi, l come reazionari. Nel secolo diciannovesimo di liberalismo fugace uomini come Michelet trovarono difficile non soltanto perdonare, ma anche comprendere la crudelt con cui gli stregoni erano stati trattati una volta. Troppo severi verso il passato, essi furono nello stesso tempo troppo indulgenti col presente e troppo ottimisti nei riguardi del futuro, nei NOSTRI riguardi! Erano dei razionalisti i quali immaginarono con entusiasmo che la decadenza della religione tradizionale avrebbe messo fine a simili diavolerie come la persecuzione degli eretici, la tortura e il rogo per le streghe. "Tantum religio potuit suadere malorum" [Tanto male pu causare la religione].

Ma guardando, dal nostro vantaggioso punto di osservazione sulla strada discendente della storia moderna, su al passato, vediamo ora che tutti i mali della religione possono fiorire senza alcuna fede nel soprannaturale, che materialisti convinti sono pronti ad adorare le proprie creazioni malcostruite come se fossero l'assoluto, e che sedicenti umanisti perseguiteranno i loro avversari con tutto lo zelo di inquisitori intenti allo sterminio di fedeli di un Satana personale e trascendente. Simili schemi di comportamento sono anteriori e sopravvivono alle credenze che, in ogni dato momento, sembrano motivarle. Poche persone ora credono nel diavolo; ma moltissime amano comportarsi come si comportavano i loro antenati quando lo spirito maligno era una realt indiscutibile come la sua entit opposta. Allo scopo di giustificare la loro condotta, essi trasformarono le loro teorie in dogmi, i loro regolamenti in princpi essenziali, i loro capi politici in di e tutti i dissenzienti in demoni incarnati. Questa idolatrica trasformazione del relativo nell'assoluto e del fin troppo umano nel divino, rende loro possibile soddisfare le pi basse passioni con la coscienza pulita e nella certezza di agire per il Massimo Bene. E quando le convinzioni correnti acquistano, a loro volta, un'apparenza sciocca, ne sar inventata una nuova serie, in modo che la immemorabile follia possa continuare a rivestire la sua tradizionale maschera di legalit, di idealismo e di vera religione. Nel principio, come abbiamo visto, la legge relativa alla stregoneria fu molto semplice. Chiunque deliberatamente avesse trattato col demonio era colpevole di delitto capitale. Descrivere come questa legge fosse amministrata in pratica richiederebbe molto pi spazio di quanto si possa disporre qui. Baster dire che, mentre in alcuni giudici erano evidenti i pregiudizi, molti facevano del loro meglio per concedere all'accusato un processo esauriente. Ma anche un processo esauriente era, secondo i nostri attuali criteri occidentali, una mostruosa caricatura della giustizia. Le leggi dice il "Malleus maleficarum" ammettono qualunque testimonio d'accusa. E non soltanto tutti indistintamente erano ammessi come testimoni, compresi i bambini e i nemici mortali dell'accusato, ma era ammessa altres ogni specie di testimonianza: pettegolezzo, sentito dire, deduzioni, ricordi di sogni, affermazioni fatte dagli indemoniati.

Sempre pronta, la tortura veniva spesso (sebbene non invariabilmente) impiegata per estorcere le confessioni. Ed insieme alla tortura le false promesse circa la sentenza finale. Nel "Malleus" (3) questo punto delle false promesse discusso con tutto l'acume e la competenza abituali degli autori. Vi sono tre alternative possibili. Se sceglie la prima, il giudice pu promettere alla strega la vita (a condizione, naturalmente, che ella riveli i nomi di altre streghe) con l'intenzione di mantenere la promessa. L'unica insidia che egli tende di lasciar credere all'accusata che la pena di morte sar commutata in qualche pena minore, come l'esilio, mentre IN CUOR SUO ha deciso di condannarla all'isolamento perpetuo a pane e acqua. La seconda alternativa preferita da coloro i quali ritengono che dopo che ella sia stata in questo modo consegnata alle carceri, la promessa di risparmiarle la vita deve essere mantenuta per un certo tempo, ma che dopo un determinato periodo ella deve essere bruciata. Una terza opinione che il giudice possa tranquillamente promettere all'accusata la vita, ma in modo tale che in seguito possa disconoscere il dovere di eseguire la sentenza, incaricando in sua vece un altro giudice. (Com' significativa questa parola "tranquillamente"! La menzogna sistematica qualche cosa che mette l'anima del bugiardo a un considerevole rischio. "Ergo", se ritenete opportuno mentire, abbiate cura di fare una riserva mentale tale che vi faccia apparire, a voi stessi - se non agli altri, o ad un Dio che molto probabilmente non si lascia imbrogliare - un degno candidato per il Paradiso). Per noi che guardiamo con gli occhi di occidentali contemporanei la caratteristica pi assurda e pi iniqua del processo alle streghe nel Medioevo o al principio dell'ra moderna fu il fatto che quasi ognuno degli strani e perversi avvenimenti della vita quotidiana poteva essere legittimamente trattato come effetto di intervento diabolico provocato dalle arti magiche di uno stregone. Ecco per esempio un brano di testimonianza per il quale una delle due streghe processate nel 1664, a Bury Saint Edmunds davanti al futuro capo della magistratura inglese, Sir Matthew Hale, fu condannata all'impiccagione. Nel corso di una lite, l'accusata aveva maledetto e minacciato uno dei vicini. Dopo di ci, testimoni l'uomo non appena le sue scrofe figliarono, i porci presero a correre e saltare e immediatamente caddero morti.

N questo fu tutto. Dopo un po' di tempo egli fu afflitto da numerosi pidocchi di straordinaria grandezza. Di fronte a questi insetti soprannaturali, i metodi di disinfezione correnti si dimostrarono inefficaci ed il testimone non ebbe altra scelta che consegnare due dei suoi migliori vestiti alle fiamme. Sir Matthew Hale era un giudice equo, amante della moderazione, un uomo di vasta cultura, scientifica e letteraria e legale. Che egli prendesse sul serio questa specie di testimonianza sembra quasi incredibile ora. Eppure rimane il fatto che egli la prese sul serio. La ragione da ricercare, presumibilmente, nel fatto che, oltre a tutto il resto egli era anche straordinariamente pio. Ma in un'epoca fondamentalista la piet implicava fede in un demonio personale e il dovere di distruggere le streghe che erano le sue ancelle. Inoltre, ammessa la verit di tutta la tradizione giudeocristiana, vi era un precedente di probabilit che, se preceduta dalla maledizione di una vecchia, la morte dei porcellini e la moltiplicazione dei pidocchi fossero avvenimenti soprannaturali, dovuti all'intervento di Satana per conto di un suo seguace. Nella tradizione biblica dei diavoli e delle streghe erano state incorporate numerose superstizioni popolari che finirono con l'essere trattate con la stessa venerazione accordata alle verit rivelate della Scrittura. Per esempio, fino alla fine del diciassettesimo secolo, tutti gli inquisitori e molti magistrati civili accettarono senza obiezioni la validit di ci che potrebbe chiamarsi la prova fisica della stregoneria. Il corpo dell'accusato presentava segni insoliti. Si poteva trovare in esso qualche macchia insensitiva alla punta di un ago? Vi era soprattutto qualcuna di quelle piccole protuberanze o capezzoli soprannumerari a cui qualche familiare rospo o gatto - potesse succhiare e ingrassare? In caso affermativo il sospetto indubbiamente praticava la magia; poich la tradizione affermava che questi erano i segni e i sigilli con cui il diavolo marcava i suoi. (Poich il nove per cento di tutti i maschi e un po' meno del cinque per cento di tutte le femmine nascono con capezzoli soprannumerari, le vittime predestinate non mancavano mai. La natura puntualmente faceva la sua parte; i giudici, con i loro postulati incontrollati e i loro "alti princpi", fecero il resto.) Delle altre superstizioni popolari che furono cristallizzate in assiomi ve ne sono tre le quali, per le immense miserie legate alla loro accettazione generale, meritano almeno una breve menzione.

Sono queste le credenze secondo cui, invocando l'aiuto del diavolo, le streghe possano provocare tempeste, malattie e impotenza sessuale. Nel "Malleus" Kramer e Sprenger trattano queste nozioni come verit evidenti, stabilite non soltanto dal buon senso ma anche dall'autorit dei pi grandi dottori. san Tommaso, nel suo commento su Giobbe, dice quanto segue: "Bisogna confessare che, col permesso di Dio, i demoni possono perturbare l'aria, sollevare i venti e far cadere il fuoco dal cielo. Poich, sebbene quando si tratta di assumere varie forme, la natura corporea non al comando di alcun angelo, n buono n cattivo, ma solo al comando di Dio Creatore, pure, in questioni di movimento locale, la natura corporale deve obbedire alla natura spirituale... Ma i venti e la pioggia e altre simili perturbazioni atmosferiche possono essere provocate dal mero movimento di vapori liberati dalla terra o dall'acqua; tuttavia la potenza naturale dei demoni sufficiente a causare simili cose". Cos dice san Tommaso. (4). In quanto alle malattie non vi infermit, neppure lebbra o epilessia, che non possa essere causata dalle streghe, col permesso di Dio. E ci provato dal fatto che nessuna specie di infermit esclusa dai dottori. (5). L'autorit dei dottori confermata dalle osservazioni personali dei nostri autori. Poich abbiamo spesso osservato che alcune persone sono state colpite da epilessia o convulsioni attraverso le uova bruciate con corpi morti, specialmente i corpi morti delle streghe... particolarmente quando queste uova sono state somministrate a una persona nei cibi o nelle bevande. (6). Circa l'impotenza, i nostri autori tracciano una netta distinzione tra quella naturale e quella soprannaturale. L'impotenza naturale l'incapacit di avere rapporti sessuali con qualsiasi membro del sesso opposto. L'impotenza soprannaturale, provocata da incantesimi e demoni, la incapacit in relazione ad una sola persona (specialmente la moglie o il marito), mentre la potenza rimane in vigore nei riguardi di tutti gli altri membri del sesso opposto. Bisogna notare, dicono gli autori, che Dio permette pi stregonerie in rapporto alla potenza generatrice che in ogni altro campo della vita umana, per la ragione che, dalla caduta di Adamo ed Eva, esiste in tutto ci che si riferisce al sesso una maggiore corruzione che in tutte le altre azioni umane.

Gli uragani devastatori non sono rari, l'impotenza selettiva colpisce la maggioranza degli uomini una volta o l'altra, e le malattie non mancano mai. In un mondo dove la legge, la teologia e la superstizione popolare erano tutte d'accordo nel ritenere responsabili le streghe di questi incidenti quotidiani, le occasioni di spionaggio e le opportunit di delazione e persecuzione erano innumerevoli. Nel pieno della lotta alle streghe nel sedicesimo secolo, la vita sociale in certe zone della Germania deve essere stata molto simile alla vita sociale sotto i nazisti, o in un paese da poco sottoposto alla dominazione comunista. Sotto la tortura, o spinto da un senso di dovere o di costrizione isterica, un uomo denunziava la moglie, una donna i suoi migliori amici, un bambino i genitori, un servo il suo padrone. E questi non erano i soli mali che si incontravano in una societ ossessionata dal demonio. In molti individui la continua suggestione della stregoneria, i quotidiani ammonimenti contro il demonio, avevano un effetto disastroso. Alcuni tra i pi timorosi uscivano di senno, altri venivano uccisi dalla continua paura. Sugli ambiziosi e i permalosi questa insistenza sui pericoli soprannaturali aveva un effetto del tutto diverso. Allo scopo di conquistare le mete freneticamente bramate, uomini come Bothwell, donne come madame de Montespan, erano pronte a sfruttare le risorse della magia nera per i loro scopi criminali. E se qualcuno si sentiva oppresso e frustrato, se qualcuno nutriva rancore verso la societ in genere e il proprio vicino in particolare, niente di pi naturale che rivolgersi a coloro i quali, secondo san Tommaso e gli altri, erano capaci di compiere s enormi misfatti! Rivolgendo tanta attenzione al demonio e trattando la stregoneria come il pi spaventoso dei delitti, i teologi e gli inquisitori in effetti diffusero le credenze e incoraggiarono le pratiche che cercavano tanto alacremente di reprimere. Al principio del diciottesimo secolo la stregoneria aveva cessato di essere un serio problema sociale. Essa scomparve, tra le altre ragioni, perch quasi nessuno ora si curava di reprimerla. Quanto meno veniva perseguitata, tanto meno veniva propagandata. L'attenzione era passata dal soprannaturale al naturale. Dal 1700 circa ai nostri giorni tutte le persecuzioni in Occidente sono state secolari e, si potrebbe dire, umanistiche.

Per noi, il diavolo radicale ha cessato di essere qualcosa di metafisico ed diventato politico o economico. E questo diavolo radicale ora si incarna, non in stregoni e maghi (poich noi amiamo considerarci positivisti) ma nei rappresentanti di qualche classe o nazione odiata. Le origini dell'azione e delle razionalizzazioni hanno subto un certo mutamento; ma gli odii motivati e le atrocit giustificate sono fin troppo familiari. La Chiesa, come abbiamo visto, insegn che la stregoneria era una terribile e onnipresente realt, e con adeguata implacabilit la legge oper secondo questo insegnamento. Fino a che punto l'opinione pubblica era d'accordo con i criteri ufficiali sull'argomento? I sentimenti della maggioranza illetterata e anonima possono essere dedotti solo dai resoconti delle loro azioni e dai commenti delle persone colte. Nel capitolo dedicato all'incantesimo di animali, il "Malleus" illumina di squarcio un curioso angolo di vita in quei villaggi medioevali per cui i sentimentalisti, la cui antipatia per il presente acceca sugli errori non meno spaventosi del passato, ancora sospirano con nostalgia. Non vi la pi piccola fattoria leggiamo dove le donne non danneggiano a vicenda le proprie mucche inaridendo in loro il latte (per mezzo di magia), e molto spesso uccidendole. Quattro generazioni dopo troviamo, negli scritti di due teologi inglesi, George Gifford e Samuel Harsnett, riferimenti sostanzialmente simili circa la vita campestre in una societ frequentata dal demonio. Una certa donna scrive Gifford, litiga aspramente col vicino; segue un grande malanno... Si concepisce un sospetto. A distanza di qualche anno ella si trova in carcere con un altro. Anche questi malato. Il fatto notato da tutti. La notizia si diffonde. Mamma W. una strega... Orbene, mamma W. comincia ad essere molto odiosa e terribile con molti, i suoi vicini non osano dire niente ma pure in cuor loro desiderano che ella sia impiccata. Dopo poco un altro si ammala e langue. I vicini vanno a visitarlo. "Ebbene, vicino" dice uno "non sospettate qualche malo artificio? Non avete mai fatto arrabbiare mamma W.?" "Veramente, vicino" diss'egli "quella donna non mi mai piaciuta.

Non saprei dire come ho potuto dispiacerle, solo forse l'altro giorno, mia moglie la preg, e anch'io, di tener lontane le sue galline dal nostro giardino... Credo veramente che mi abbia stregato." Tutti ora dicono che infatti mamma W. una strega... E' fuori di ogni dubbio, poich fu vista una donnola uscire correndo dal cortile di lei e introdursi dal vicino poco prima che questi si ammalasse. L'uomo malato muore e giura sulla sua morte di essere stato stregato. Allora mamma W. viene arrestata e condotta in prigione; ella accusata e condannata e, sulla forca, ella giura sulla sua morte di non essere colpevole (7). Ed ecco che cosa scrive Harsnett nella sua "Dichiarazione sulle egregie imposture papali": Orbene allora, in guardia, attenti a voi, amici! Se qualcuno di voi ha una capra malata di vertigini, o un maiale con gli orecchioni, o un cavallo azzoppato, o un ragazzo indisciplinato a scuola, o una fanciulla pigra nel lavoro, e non abbia abbastanza condimento per la minestra, n suo padre e sua madre abbastanza burro per il pane... e al tempo stesso mamma Nobs l'abbia chiamata per combinazione "piccola fraschetta fannullona" o abbia detto al diavolo di graffiarla, allora senza dubbio mamma Nobs la strega. (8). Queste descrizioni di comunit rurali fermamente basate sulla superstizione, la paura e la scambievole malvagit sono singolarmente deprimenti, tanto pi deprimenti perch cos moderne, cos attuali e all'ordine del giorno. Esse ci ricordano fin troppo efficacemente certe pagine de "La VingtCinquime Heure" e di "1984": pagine in cui il romeno descrive l'incubo degli avvenimenti presenti e appena passati, l'inglese predice l'ancora pi diabolico futuro. I predetti resoconti da parte di uomini colti circa l'opinione pubblica in genere sono sufficienti ad illuminarci. Ma i fatti parlano anche meglio delle parole, e una societ che periodicamente lincia le streghe proclama, nella maniera pi enfatica, la sua fede nella magia e la sua paura del diavolo. Ecco un esempio tratto dalla storia francese e contemporaneo agli avvenimenti riferiti in questo libro. Nell'estate del 1644, dopo una violentissima e distruttiva grandinata, gli abitanti di parecchi villaggi vicini a Beaune si allearono allo scopo di vendicarsi degli spiriti incarnati che avevano cos vandalicamente distrutto i loro raccolti.

Guidati da un ragazzo diciassettenne il quale pretendeva di avere un fiuto infallibile per le streghe, essi adocchiarono un gruppo di donne e le percossero a morte. Altre sospettate furono bruciate con pale roventi, e spinte in forni di mattoni oppure buttate a capofitto da un'altura. Per mettere fine a questo regno del terrore, il Parlamento di Digione dovette inviare due commissari speciali a capo di una numerosa forza di polizia. Vediamo quindi che l'opinione pubblica in genere era pienamente d'accordo con i teologi e gli avvocati. Tra le persone colte, tuttavia, non vi era tanta unanimit di approvazione. Kramer e Sprenger scrivono con indignazione di coloro - e alla fine del quindicesimo secolo erano gi numerosi - i quali mettevano in dubbio la realt della stregoneria. Essi osservano che tutti i teologi e canonisti concordano nel condannare l'errore di coloro i quali dicono che non vi stregoneria al mondo, ma solo nell'immaginazione degli uomini che per la loro ignoranza delle cause nascoste, che nessun uomo comprende ancora, attribuiscono certi effetti naturali alla stregoneria, come se fossero effettuati non da cause nascoste, ma da demoni operanti o per conto proprio o in collaborazione alle streghe. E per quanto tutti gli altri dottori condannino questo errore come pura falsit, san Tommaso lo impugna pi vigorosamente e lo stigmatizza come vera e propria eresia, dicendo che questo errore deriva dalla radice dell'infedelt. (9). Questa conclusione teoretica solleva un problema pratico. E cio se le persone le quali sostengono che le streghe non esistono debbano essere considerate notoriamente eretiche, oppure se debbano essere considerate gravemente sospette di professare opinioni eretiche. Sembra che la prima tesi sia quella giusta. Ma sebbene tutte le persone convinte di tale funesta dottrina abbiano meritato la scomunica, con tutte le penalit ad essa connesse bisogna considerare il gran numero di persone le quali, per la loro ignoranza, saranno certamente ritenute colpevoli di questo errore. E poich l'errore molto comune, il rigore della corretta giustizia pu essere temperato dall'indulgenza. D'altra parte che nessun uomo creda di poter sfuggire adducendo l'ignoranza. Poich coloro che abbandonano la retta via per ignoranza di questo tipo, possono essere ritenuti colpevoli di peccato grave.

Insomma l'atteggiamento ufficiale della Chiesa era tale che, sebbene lo scetticismo circa la stregoneria fosse indubbiamente eresia, lo scettico non correva pericolo immediato di pena. Tuttavia, egli rimaneva gravemente sospetto e, se persisteva nella sua falsa dottrina dopo essere stato informato della verit cattolica, poteva trovarsi in guai seri. Perci la cautela manifestata da Montaigne nell'undicesimo capitolo del suo Libro Terzo. Le streghe del mio circondario rischiano la vita ogni qual volta qualcuno presenta nuove testimonianze sulla realt delle loro visioni. Conciliare gli esempi che le Sacre Scritture ci danno di queste cose esempi certi e irrefutabili al massimo grado - e paragonarli a quelli che accadono nei tempi moderni, poich non possiamo vederne n le cause n i mezzi per cui si verificano, richiede capacit superiore alla nostra. Pu essere che Dio solo sappia dire che cosa sia un miracolo e che cosa non lo sia. A Dio bisogna credere, ma noi dobbiamo credere a un uomo uno di noi, che stupefatto del suo stesso dire, e deve necessariamente essere stupefatto, se non fuori di senno. E Montaigne conclude con una delle sue sentenze che merita di esser scolpita sull'altare di ogni chiesa, sul banco di ogni magistrato, sulle mura di ogni sala di conferenze, di ogni senato o parlamento, di ogni ufficio governativo e camera di consiglio. Dopo tutto (meglio se le parole figureranno al neon, o in lettere cubitali!) dopo tutto significa dare alle proprie congetture una ben alta valutazione, arrostire un uomo vivo sulla base di esse. Mezzo secolo pi tardi Selden si dimostr meno prudente, ma anche meno umano. La legge contro le streghe non prova che ve ne siano; ma essa punisce la malvagit di quelle persone che usano questi mezzi per sopprimere gli uomini. Se qualcuno dichiarasse che facendo girare il cappello tre volte e gridando "buzz", egli pu uccidere un uomo, sebbene in realt egli non possa fare una cosa simile, pure sarebbe una buona legge dello Stato che chiunque faccia girare il cappello tre volte gridando "buzz", con l'intenzione di sopprimere un uomo, sia messo a morte. Selden era abbastanza scettico per disapprovare la elevazione di congetture al grado di dogmi; ma nello stesso tempo era abbastanza avvocato per pensare che arrostire un uomo vivo per il fatto di ritenersi uno stregone potesse essere giusto e salutare.

Anche Montaigne era stato educato nella legge; ma la sua mente si era ostinatamente rifiutata di assumere la tinta legalistica. Quando pensava alle streghe, egli era portato a considerare, non la loro punibile malvagit, ma la loro forse curabile malattia. In tutta coscienza egli scrive io avrei piuttosto prescritto elleboro (rimedio che si supponeva efficace nel distruggere la malinconia e quindi guarire la pazzia) anzich la cicuta. Il primo attacco sistematico contro la pratica della caccia alle streghe e alla teoria dell'intervento diabolico venne dal medico tedesco, Johann Weier, nel 1563 e da Reginald Scot, Giudice nel Kent, il quale pubblic la sua "Scoperta della stregoneria" nel 1584. Il non conformista Gifford e l'anglicano Harsnett condividevano lo scetticismo di Scot circa gli esempi contemporanei di stregoneria, ma non potevano andare tanto lontano come lui obiettando ai riferimenti biblici circa gli indemoniati, la magia e i patti col diavolo. Schierati contro gli scettici troviamo un gruppo notevole di credenti. Primo nel tempo e per eminenza sta il grande Jean Bodin il quale ci dice che scrisse il suo "Dmonomanie des sorciers", oltre tutto per rispondere a coloro che tentano, con i loro libri, per quanto possibile, di scusare gli stregoni; inquantoch sembra come se essi fossero influenzati dal demonio stesso a pubblicare questi bei libri. Scettici tali, pensa Bodin, meritano di essere mandati alla forca insieme alle streghe che i loro dubbi servono a proteggere e giustificare. Nella sua "Demonologie" Giacomo Primo assunse la stessa posizione. Il razionalistico Weier, egli dice, un apologo degli stregoni, e con il suo libro si accusa di essere stato di quella professione. Illustri contemporanei di Giacomo Primo, Sir Walter Raleigh e Sir Francis Bacon sembra siano stati dalla parte dei credenti. Pi tardi nello stesso secolo troviamo la questione della stregoneria sostenuta in Inghilterra da filosofi come Henry More e Cudworth, da medici colti e studiosi come Sir Thomas Browne e Glanvil, e da avvocati del calibro di Sir Matthew Hale e Sir George Mackenzie. Nella Francia del diciassettesimo secolo tutti i teologi accettarono la realt della stregoneria; ma non tutti gli ecclesiastici praticavano la caccia alle streghe. A molti tutta la questione sembr estremamente indecorosa e una minaccia all'ordine e alla tranquillit pubblica. Deplorarono lo zelo dei colleghi pi fanatici e fecero del loro meglio per contenerlo. Una situazione simile esisteva tra gli uomini di legge.

Alcuni erano fin troppo felici di bruciare una donna "pour avoir, en pissant dans un trou, compos una nue de grele qui ravagea le territoire de son village [* per avere, pisciando in un buco, composto una nube di grandine che devast il territorio del proprio villaggio] (questo particolare rogo ebbe luogo a Dole, nel 1610); ma ve ne erano altri, i moderati, i quali credevano, senza dubbio, nella teoria delle streghe, ma erano reticenti, in pratica, a procedere contro di esse. Sotto una monarchia assoluta per l'opinione decisiva quella del re. Luigi Tredicesimo si interessava molto al demonio, ma suo figlio no. Nel 1672 Luigi Quattordicesimo ordin che tutte le persone recentemente condannate per stregoneria dal Parlamento di Rouen avessero le sentenze tramutate nel confino. Il Parlamento protest; ma le loro argomentazioni, teologiche non meno che legali, lasciarono impassibile il monarca. A lui faceva piacere che queste streghe non fossero bruciate, e ci era sufficiente; ecco tutto. Quando consideriamo gli avvenimenti che si svolsero a Loudun dobbiamo fare una netta distinzione tra asserito invasamento delle monache ed asserita causa di quell'invasamento: le arti magiche impiegate da Grandier. Con quanto segue tratter principalmente la questione della colpa di Grandier, lasciando le considerazioni sul problema dell'invasamento per un capitolo successivo. Padre Tranquille, membro di uno dei primi gruppi di esorcisti, pubblic nel 1634 un "Fedele rapporto delle esatte procedure osservate nella questione dell'invasamento delle orsoline di Loudun e nel processo a Urbain Grandier". Il titolo menzognero; poich l'opuscolo non fedele relazione di niente; ma soltanto una polemica e retorica difesa degli esorcisti e dei giudici contro ci che fu molto evidentemente un generale scetticismo e una quasi universale disapprovazione. Nel 1634, chiaro, la maggioranza delle persone colte erano dubbiose circa la realt dell'invasamento delle monache, erano convinte dell'innocenza di Grandier ed erano impressionate e disgustate dall'iniqua procedura del suo processo. Padre Tranquille ricorse alla stampa nella speranza che un piccolo pulpito di eloquenza portasse i suoi lettori ad un pi corretto schema di giudizio. I suoi sforzi non ebbero successo. Invero, il re e la regina erano tra i decisi credenti; ma i cortigiani, quasi senza eccezione, non lo erano.

Delle persone altolocate che si recarono a vedere gli esorcismi, pochissime credettero nella genuinit dell'invasamento e, naturalmente, se l'invasamento non era reale, allora Grandier non poteva essere colpevole. La maggioranza dei visitatori medici and via con la convinzione che i fenomeni da essi osservati fossero fin troppo naturali. Mnage, Thophraste Renaudot, Ismal Boulliau, tutti i letterati che scrissero di Grandier dopo la sua morte sostennero risolutamente la sua innocenza. Dalla parte dei creduloni vi erano le grandi masse di cattolici analfabeti. (I protestanti analfabeti, inutile dire, erano in questo caso scettici all'unanimit). Che tutti gli esorcisti credessero nella colpevolezza di Grandier e nella genuinit dell'invasamento sembra sicuro. Essi credettero anche quando, come Mignon, avevano aiutato a preparare le false prove che mandarono Grandier sul rogo. (Dalla storia dello spiritismo appare molto chiaro che la frode, specialmente la pia frode, perfettamente compatibile con la fede). Circa le opinioni della massa del clero non sappiamo quasi niente. Come esorcisti di professione, i membri degli Ordini religiosi erano presumibilmente dalla parte di Mignon, di Barr e degli altri. Ma che dire dei preti secolari? Si curarono di credere e di predicare che uno di loro aveva venduto l'anima al diavolo e stregato diciassette orsoline? Sappiamo almeno che tra l'alto clero l'opinione era nettamente divisa. L'arcivescovo di Bordeaux era convinto che Grandier fosse innocente e che le monache soffrivano di una combinazione tra canonico Mignon e "furor uterinus". Il vescovo di Poitiers invece, era convinto che le monache fossero realmente invasate e che Grandier fosse uno stregone. E la suprema autorit ecclesiastica, il cardinale-duca? In un contesto, come vedremo, egli fu completamente scettico; in un altro manifest la fede di un attizzatore. Si trattava ovviamente di un brutto tiro; eppure, in senso pickwickiano, e qualche volta anche in senso non pickwickiano, era tutto perfettamente vero. La magia, bianca o nera, era l'arte e la scienza di raggiungere fini naturali con mezzi soprannaturali (sebbene non divini). Tutte le streghe fecero uso della magia e della potenza di spiriti pi o meno maligni; ma alcune di esse erano anche seguaci di ci che in Italia venne chiamata la "vecchia religione" (10).

Allo scopo di offrire una visione pi chiara scrive Miss Margaret Murray nell'introduzione del suo apprezzabile studio, "Il culto delle streghe nell'Europa occidentale" io distinguo nettamente tra stregoneria operativa e stregoneria rituale. Nella stregoneria operativa includo tutti gli incantesimi e le magie, usati sia da una strega riconosciuta che da un cristiano riconosciuto intesi sia per il bene che per il male, per uccidere o per guarire. Tali incantesimi e magie sono comuni a tutte le nazioni e a tutti i paesi, e sono praticati da preti e persone di ogni religione. Essi sono parte dell'eredit comune della razza umana... La stregoneria rituale - o, come propongo di chiamarla, il culto dianico comprende le credenze religiose e i riti delle persone conosciute nelle ultime epoche medioevali come "streghe". Le testimonianze provano che, sottostante alla religione cristiana vi era un culto praticato da molte classi della comunit, principalmente, tuttavia, dai pi ignoranti o dagli abitanti delle zone pi deserte del paese. Esso pu essere rintracciato nei tempi precristiani e appare come l'antica religione dell'Europa occidentale. In quell'anno di grazia, milleseicentotrentadue, pi di mille anni erano passati da quando l'Europa occidentale era stata "convertita al cristianesimo"; eppure l'antica religione di fertilit, notevolmente corrotta dal fatto di essere cronicamente "fuori legge", era ancora in vita, vantava ancora i suoi confessori e i suoi eroici martiri, aveva ancora un'organizzazione ecclesiastica; identica secondo Cotton Mather, a quella della sua congregazione religiosa. La sopravvivenza dell'antica fede sembra alquanto meno stupefacente, se pensiamo che, dopo quattro secoli di sforzi missionari, gli indiani del Guatemala non sono minimamente pi cattolici oggi di quanto lo fossero nella prima generazione dopo l'arrivo di Alvarado (11). Tra sette o ottocento anni la situazione religiosa nell'America Centrale potr giungere, forse, a somigliare a quella che prevalse nell'Europa del diciassettesimo secolo, dove una maggioranza di cristiani perseguit accanitamente una minoranza attaccata all'antica fede. (In alcune zone i membri del culto dianico ed i loro compagni viaggiatori possono avere effettivamente costituito una maggioranza della popolazione. Remy, Boguet e de Lancre hanno lasciato notizie rispettivamente sulla Lorena, il Giura e il Paese basco, come li trovarono alla fine del diciassettesimo secolo.

Dai loro libri chiaro che in queste lontane regioni la maggioranza del popolo apparteneva, fino a un certo punto per lo meno, alla vecchia religione. Mettendosi al sicuro essi adoravano Dio, di giorno, e il diavolo, la notte. Tra i baschi molti preti solevano celebrare entrambe le Messe, quella nera e quella bianca. Lancre bruci tre di questi eccentrici ecclesiastici, ne perdette cinque che fuggirono dalla cella dei condannati, e sospett fortemente di molti altri.) La cerimonia centrale della magia rituale era il cosiddetto "sabbato", parola di origine sconosciuta, che non aveva alcuna relazione con la sua omonima ebraica. I sabbati venivano celebrati quattro volte all'anno: il 2 febbraio, festa della Candelora; il primo maggio, giorno della crocefissione; il primo agosto, festa del raccolto, e la vigilia di Tutti i Santi, il 31 ottobre. Queste erano grandi feste, spesso frequentate da centinaia di fedeli, che venivano anche da molto lontano. Tra i sabbati vi erano settimanalmente gli "Esbat" per piccole congregazioni nei villaggi dove l'antica religione veniva ancora praticata. A tutti i grandi sabbati il diavolo stesso era invariabilmente presente nella persona di un uomo che aveva ereditato, o diversamente acquisito, l'onore di essere l'incarnazione del dio a due facce del culto dianico. I fedeli rendevano omaggio al dio baciando la sua faccia posteriore, una maschera indossata, sotto una coda di animale, sul dietro del diavolo. Vi era allora, per alcune almeno delle fedeli, una copulazione rituale con il dio, il quale era equipaggiato a questo scopo con un fallo artificiale di corno o di metallo. Questa cerimonia era seguita da una merenda (poich i sabbati venivano celebrati all'aperto vicino ad alberi o pietre sacre) da danze e alla fine da una promiscua orgia sessuale che, senza dubbio, era stata originariamente una operazione magica per incrementare la fertilit degli animali dai quali i cacciatori e i pastori primitivi dipendevano per il loro sostentamento. L'atmosfera prevalente nei sabbati era di cameratismo e di gioia animale e superficiale. Quando furono catturati e processati, molti di coloro che avevano partecipato ai sabbati rifiutarono risolutamente, anche sotto la tortura, anche sul rogo, di abiurare la religione che aveva arrecato loro tanta felicit. Agli occhi della Chiesa e dei magistrati civili l'essere membro del partito del demonio era un'aggravante al delitto di stregoneria. Una strega che avesse partecipato al sabbato era peggiore di una strega che si fosse limitata strettamente alla pratica privata.

Partecipare al sabbato significava professare apertamente di preferire il culto dianico al cristianesimo. Inoltre, l'organizzazione delle streghe era una societ segreta che poteva venire usata da capi ambiziosi per ragioni politiche. Che Bothwell avesse cos fatto uso delle streghe scozzesi sembra quasi certo. Ancora pi certo il fatto che Elisabetta e il suo Consiglio Privato fossero convinti, a ragione o a torto, che cattolici stranieri e locali impiegassero le streghe e i maghi per attentare alla vita della regina. In Francia, secondo Bodin, gli stregoni costituirono una specie di Mafia, con membri in ogni classe di societ e ramificazioni in ogni citt e villaggio. Affinch il suo crimine potesse sembrare pi abominevole, Grandier fu accusato non soltanto di operare stregoneria, ma anche di partecipazione ai riti del sabbato, di essere membro della Chiesa diabolica. Lo spettacolo cos evocato di un discepolo dei gesuiti che rinnega solennemente il battesimo, di un sacerdote che scappa dall'altare per rendere omaggio al diavolo, di un grave e dotto ecclesiastico che balla la giga con le streghe buttandosi nel fieno in mezzo a loro, era uno di quelli congegnati per spaventare i devoti, eccitare gli spettatori e rallegrare i protestanti.

NOTE. N. 1: Kramer e Sprenger: "Malleus maleficarum", tradotto dal rev. Montague Summers (Londra, 1948), pagine 5-6. N. 2: Op. cit. pagina 122. N. 3: Kramer e Sprenger, Op. cit., pagina 228. N. 4: Op cit., pagina 147. N. 5: Op cit., pagina 134. N. 6: Op cit., pagina 137. N. 7: George Gifford, "Discorso sulle sottili pratiche demoniache operate dalle streghe", dalle citazioni in W. Notestein: "Storia della stregoneria in Inghilterra". N. 8: Notestein, Op. cit., pagina 91. N. 9: Kramer e Sprenger, Op. cit., pagina 56. N. 10: In italiano nel testo. (N.d.R.) N. 11: Vedi Maud Oakes, "Le due Croci di Todos Santos", New York, 1951.

Capitolo 6

Le indagini preliminari eseguite da de Cerisay lo avevano convinto che non vi era genuino invasamento, solo malattia, pi qualche piccolo imbroglio da parte delle monache, una grande malvagit da parte del canonico Mignon e superstizione, fanatismo e interesse professionale degli altri ecclesiastici implicati nella faccenda. Non era possibile alcuna guarigione, era ovvio, finch gli esorcismi non fossero stati sospesi. Ma quando egli cerc di mettere fine a queste suggestioni che facevano sistematicamente perdere il senno alle monache, Mignon e Barr gli mostrarono trionfalmente una disposizione scritta del vescovo, che li incaricava di continuare ad esorcizzare le orsoline fino a nuovo ordine. Non volendo rischiare uno scandalo, de Cerisay dette il permesso perch gli esorcismi continuassero, ma insistette di essere presente durante la loro esecuzione. In una di tali occasioni, stato riferito, vi fu uno spaventoso rumore nel camino e improvvisamente apparve sul focolare un gatto. La bestia fu inseguita, catturata, spruzzata d'acqua santa, segnata con la croce e scongiurata in latino di allontanarsi. Dopo di che si scopr che questo diavolo mascherato era Tom, il beniamino delle monache che era stato sui tetti e tornava a casa per una scorciatoia. Le risate furono clamorose e rabelaisiane. Il giorno dopo Mignon e Barr ebbero l'impudenza di chiudere la porta del convento in faccia a de Cerisay. Egli fu lasciato ad attendere fuori con gli altri magistrati (si era d'autunno), mentre, contrariamente ai suoi ordini, i due preti esorcizzavano le loro vittime senza testimoni ufficiali. Tornato ai suoi uffici, il giudice indignato dett una lettera per gli esorcisti. Il loro comportamento, egli dichiar, era tale da creare un fortissimo sospetto di bricconeria e di suggestione. Inoltre avendo la superiora del convento accusato e diffamato pubblicamente Grandier, dicendo che egli aveva un patto coi demoni, niente d'allora in poi avrebbe dovuto essere fatto in segreto, al contrario, tutto deve ora essere fatto di fronte alla giustizia ed in nostra presenza.

Allarmati da tanta decisione, gli esorcisti si scusarono e riferirono che le monache si erano calmate e di conseguenza non erano necessari per il momento, ulteriori esorcismi. Intanto Grandier si era recato a Poitiers per fare appello al vescovo. Ma quando egli si present, m. de la Rochepozay era indisposto e potette solo inviare un messaggio per mezzo del suo cappellano facendo presente che M. Grandier sarebbe stato citato davanti ai giudici regi e che egli, il vescovo, sarebbe stato felice se avesse potuto ottenere giustizia in quest'affare. Il parroco ritorn a Loudun e si rivolse subito al "bailli" per ottenere un ordine di controllo contro Mignon e i suoi complici. De Cerisay prontamente eman un'ingiunzione che proibiva a chiunque, di qualsiasi grado o condizione, di far male o calunniare il detto "cur" di Saint-Pierre. Nello stesso tempo egli ordin espressamente a Mignon di non pi esorcizzare. Il canonico ribatt che egli era responsabile solo verso i suoi superiori ecclesiastici e che non riconosceva l'autorit del "bailli" in una questione la quale, poich implicava il diavolo, era assolutamente spirituale. Nel frattempo Barr era tornato dai suoi parrocchiani a Chinon. Non vi furono altri esorcismi pubblici. Ma ogni giorno il canonico Mignon passava lunghe ore con le sue penitenti, leggendo loro capitoli dal popolarissimo resoconto di padre Michaelis sul caso Gauffridy, assicurando loro che Grandier era un gran mago come il suo collega provenzale e che anch'esse erano state stregate. D'allora la condotta delle buone suore era diventata cos eccentrica che i genitori delle educande ebbero paura; ben presto le convittrici furono tutte ritirate e le poche esterne che ancora si avventuravano al convento riportavano le pi preoccupanti notizie. A met della lezione di aritmetica suor Chiara di San Giovanni aveva cominciato a ridere irrefrenabilmente, come se qualcuno la solleticasse. Nel refettorio suor Marta era venuta alle mani con suor Luisa di Ges. Che strilli! Che parolacce! Alla fine di novembre, Barr fu richiamato da Chinon e, sotto la sua influenza, in tutte indistintamente i sintomi peggiorarono. Il convento ora era un manicomio. Mannoury, il chirurgo, e Adam, il farmacista, si allarmarono e, dopo aver esaminato le monache, fecero un rapporto scritto al "bailli". La loro conclusione fu la seguente: le monache sono certamente trasportate, ma non riteniamo che ci sia avvenuto attraverso le opere di demoni e spiriti...

Il loro asserito invasamento ci sembra pi illusorio che reale. A tutti meno che agli esorcisti e ai nemici di Grandier, questa dichiarazione sembr conclusiva. Grandier fece un altro ricorso a de Cerisay e de Cerisay rinnov i suoi sforzi per mettere fine agli esorcismi. Ancora una volta Mignon e Barr resistettero e ancora una volta egli rifugg dallo scandalo che sarebbe seguito usando la forza contro i preti. Invece scrisse una lettera al vescovo, chiedendo a Sua Signoria di mettere fine alla pi dolorosa furfanteria inventata da molti anni a questa parte. Grandier, egli continu, non aveva mai visto le monache e non aveva mai avuto a che fare con esse; e se avesse avuto i demoni a propria disposizione, li avrebbe usati per vendicare le violenze e gli insulti ai quali era stato sottoposto. A questa lettera m. de la Rochepozay non si degn di rispondere. Grandier lo aveva offeso facendo ricorso contro la sua decisione. Quindi qualunque cosa fosse fatta per danneggiare il parroco era decisamente giusta e ben fatta. De Cerisay scrisse una seconda lettera, questa volta al capo della Corte. Pi diffusamente che al vescovo egli rifer i dettagli della grottesca e orribile farsa che si stava rappresentando a Loudun. M. Mignon dice gi che m. Barr un santo, e si stanno canonizzando reciprocamente a vicenda senza attendere il parere dei superiori. Barr corregge il diavolo quando si perde nel labirinto della grammatica, e sfida gli increduli a fare come lui e mettere un dito in bocca alle indemoniate. Padre Rouseau, un "cordelier", fu afferrato e percosso cos forte che fu costretto a tirare il naso della monaca con l'altra mano, per mandarla via, gridando Au diable, au diable! pi forte ancora di quanto le nostre cuoche gridano Au chat, au chat! quando il micio scappa via con qualche cosa. Dopo di che fu proposta la questione perch lo spirito maligno avesse morsicato un dito consacrato e fu concluso che il vescovo aveva voluto risparmiare l'Olio Santo e l'unzione non era arrivata fino al dito. Diversi preti inesperti si provarono ad esorcizzare, fra cui un fratello di Philippe Trincant. Ma questo giovanotto fece tanti errori in latino - "hoste" come vocativo di "hostis", e "da gloria Deo" che il pubblico colto non riusc a mantenersi serio ed egli dovette essere escluso. Inoltre, aggiunge de Cerisay anche al culmine delle convulsioni, la monaca sulla quale lavorava non permetteva a m. Trincant di metterle un

dito in bocca (perch egli piuttosto sporco) e domandava insistentemente un altro prete. Nonostante tutto ci il buon padre guardiano dei cappuccini meravigliato della durezza di cuore del popolo di Loudun e stupefatto della loro riluttanza a credere. A Tours, egli ci assicura, egli avrebbe fatto bere come acqua fresca un miracolo simile. Egli ed altri hanno dichiarato che coloro i quali non credono sono atei e gi dannati. Anche questa lettera rimase senza risposta, e l'orribile farsa fu lasciata proseguire, giorno per giorno, fino alla met di dicembre, quando m. de Sourdis arriv molto opportunamente alla sua abbazia di Saint-Jouin des Marnes. Ufficiosamente da Grandier e ufficialmente da de Cerisay l'arcivescovo fu informato di ci che accadeva e chiese di intervenire. M. de Sourdis mand immediatamente il suo medico personale a osservare il caso. Sapendo che il medico non era uomo da tollerare stupidaggini e che il suo padrone, l'arcivescovo, era sinceramente scettico, le monache ebbero paura e durante tutto il tempo dell'indagine si comportarono come tante pecore. Non vi fu alcun segno di invasamento. Il medico fece il suo rapporto in questo senso e negli ultimi giorni di dicembre 1632 l'arcivescovo pubblic un'ordinanza. D'allora in avanti Mignon non avrebbe esorcizzato affatto, e Barr poteva farlo solo insieme a due esorcisti designati dall'Arcivescovo, un gesuita di Poitiers e un oratorista di Tours. Nessun altro poteva partecipare agli esorcismi. La proibizione fu quasi inutile; poich durante i mesi che seguirono non vi furono diavoli da esorcizzare. Non pi stimolate dalle suggestioni dei preti, le frenesie delle monache furono sostituite da uno stato di depressione e di malinconia in cui la confusione mentale era mista alla vergogna, al rimorso e alla coscienza dell'enorme peccato. E se l'arcivescovo avesse ragione? Se non vi fosse stato alcun demone? Allora tutte queste cose mostruose che esse avevano fatto e detto potevano essere imputate loro come crimini. Indemoniate, esse erano innocenti. Non indemoniate, avrebbero dovuto rispondere, nell'Ultimo Giudizio, di bestemmia e impudicizia, di menzogne e malvagit. Ai loro piedi si apriva spaventosamente l'inferno.

E intanto, a peggiorare le cose, si trovavano senza danaro e tutti erano contro di loro. Tutti: i genitori delle educande, le pie dame della citt, le folle di spettatori, ed anche i loro parenti. S, anche i propri parenti; poich ora che non erano pi indemoniate, ora che, secondo il giudizio dell'arcivescovo, erano o colpevoli di impostura o vittime della malinconia e della forzata continenza, esse erano cadute in disgrazia presso le famiglie, e come tali ripudiate, rinnegate, lasciate senza assegni. Carne e burro scomparvero dal refettorio, le serve dalla cucina. Le monache furono costrette a compiere i lavori domestici; e inoltre dovettero guadagnarsi il loro pane con lavori di cucito, e filando per conto di mercanti avidi i quali profittarono del bisogno e della disgrazia pagando loro anche meno del prezzo corrente per lavori mal pagati. Affamate, oppresse da un lavoro assillante, ossessionate da terrori metafisici e da un senso di colpa, le povere donne rimpiansero i giorni felici del loro invasamento. L'inverno fu seguito dalla primavera, e la primavera da una non meno infelice estate. Poi, nell'autunno del 1633, la speranza rinacque. Il re aveva cambiato idea circa il torrione del castello e m. de Laubardemont si trovava di nuovo ospite del "Cigno e La Croce". Mesmin de Silly e gli altri cardinalisti esultarono. D'Armagnac aveva perduto la partita; il castello era condannato. Ora non rimaneva che liberarsi dell'insopportabile parroco. Nel suo primo colloquio col commissario del re, Mesmin ventil l'affare dell'invasamento. Laubardemont ascolt attentamente. Da uomo che aveva giudicato e bruciato diverse decine di streghe, egli poteva legittimamente pretendere di essere un esperto in questioni soprannaturali. Il giorno dopo egli si rec al convento nella rue Paquin. Il canonico Mignon conferm il racconto di Mesmin; lo stesso fece la madre superiora; lo stesso fece la parente del cardinale; suor Claire de Sazilly, e lo stesso fecero le due cognate di Laubardemont, le damigelle di Dampierre. I corpi di tutte le buone suore erano stati infestati dagli spiriti maligni; gli erano stati introdotti per magia, e il mago era Urbain Grandier. Queste verit erano state attestate dagli stessi demoni, ed erano quindi fuori dubbio.

Eppure Sua Grazia, l'arcivescovo, aveva detto che non vi era reale invasamento, e con ci le aveva disonorate agli occhi del mondo. Era un'ingiustizia mostruosa, ed esse pregarono m. de Laubardemont di usare la sua influenza con Sua Eminenza e Sua Maest per fare qualche cosa. Laubardemont fu cordiale, ma non fece alcuna promessa. Personalmente, egli non trovava niente pi piacevole di un bel processo per magia. Ma che cosa pensava il cardinale di simili cose? In effetti era difficile dirlo. Qualche volta sembrava che egli le prendesse molto sul serio. Ma un'altra volta era possibile che egli parlasse del soprannaturale col tono di derisione di un discepolo di Charron o di Montaigne. Da coloro che lo servono, un grand'uomo deve essere trattato nello stesso tempo come un dio, un bambino capriccioso e una bestia selvaggia. Il dio deve essere adorato, il bambino deve essere divertito e vezzeggiato e la bestia selvaggia placata e, se si sveglia, evitata. Il cortigiano il quale, con un suggerimento sgradito, disturba questa insana trinit di diritto superumano, di ferocia subumana e di stupidaggine infantile, vuole cercarsi dei guai. Le monache potevano piangere e implorare; ma finch non avesse scoperto da che parte spirava il vento, Laubardemont non aveva intenzione di far niente per loro. Qualche giorno dopo Loudun fu onorata dalla visita di un personaggio molto illustre, Henri de Cond. Questo principe di sangue reale era notoriamente sodomita e riuniva in s la pi sordida avarizia con una esemplare piet. In politica era stato una volta anticardinalista, ma ora che la posizione di Richelieu sembrava inespugnabile, era diventato il pi servile tra i sicofanti di Sua Eminenza. Informato dell'invasamento, il principe espresse subito il desiderio di vedere lui stesso. Il canonico Mignon e le monache furono fin troppo felici di acconsentire. Accompagnato da Laubardemont e da un numeroso seguito, Cond si rec in gran pompa al convento; qui fu ricevuto da Mignon e introdotto nella cappella dove si celebrava una Messa solenne. In principio le monache osservarono il contegno pi esemplare; ma al momento della Comunione la priora soeur Claire e soeur Agns andarono in convulsioni e si rotolarono sul pavimento, urlando oscenit e bestemmie.

Ad esse si un subito tutto il resto della comunit e per un'ora o due la chiesa assunse l'aspetto di qualcosa tra il giardino zoologico e il postribolo. Altamente edificato, il principe di Cond dichiar che non era pi il caso di dubitare e sollecit Laubardemont a scrivere subito al cardinale informando Sua Eminenza di ci che stava accadendo. Ma il commissario come apprendiamo da un narratore contemporaneo non fece alcun cenno di ci che pensava circa questo strano spettacolo. Tuttavia, ritornando all'albergo, si sent compreso di profonda compassione per la disgraziata condizione delle monache. Per nascondere i suoi veri sentimenti, egli invit a pranzo gli amici di Grandier e, con loro, lo stesso Grandier. Deve essere stata una riunione deliziosa. Per spingere all'azione l'ultra prudente Laubardemont, i nemici del parroco presentarono una nuova e pi grave accusa. Grandier non era soltanto uno stregone, che aveva rinnegato la sua fede, si era ribellato contro Dio e aveva stregato tutto un convento dl monache; egli era anche l'autore di un violento ed osceno attacco al cardinale, pubblicato sei anni prima, nel 1627, col titolo "lettre de la cordonnire de Loudun". Quasi certamente Grandier non scrisse questo opuscolo; ma poich egli fu amico e corrispondente della lavorante calzolaia di cui il libello portava il nome, poich una volta egli era stato molto probabilmente il suo amante, non era del tutto irragionevole supporre che egli avesse potuto scriverlo. Catherine Hammon era una graziosa e vivace piccola proletaria la quale, nel 1616, mentre Maria dei Medici si trovava a Loudun, attir l'attenzione della regina, fu assunta al suo servizio e divenne ben presto, ufficialmente, calzolaia reale e, ufficiosamente, confidente e factotum. Grandier l'aveva conosciuta (fin troppo intimamente, si diceva) durante il periodo dell'esilio della regina a Blois, quando la ragazza torn a casa per un periodo a Loudun. In seguito, quando riprese il suo lavoro, Catherine, che sapeva scrivere, tenne informato il parroco di ci che accadeva a corte. Le sue lettere erano cos divertenti che Grandier soleva leggerne ad alta voce ai suoi amici i brani pi piccanti. Tra questi amici vi era m. Trincant, pubblico ministero e padre della deliziosa Philippe. Fu questo stesso m. Trincant, non pi amico, ma il pi implacabile dei suoi nemici, ad accusare ora il corrispondente di Catherine Hammon di essere l'autore della "Cordonnire".

Questa volta Laubardemont non fece alcuno sforzo per nascondere i suoi sentimenti. Ci che il cardinale pensava delle streghe e dei demoni poteva essere incerto; ma ci che pensava della critica alla sua amministrazione, alla sua famiglia e a lui stesso era sempre stato chiarissimo. Dissentire dall'opinione politica di Richelieu era un invito al licenziamento dalle cariche pubbliche, alla rovina finanziaria e all'esilio; insultarlo significava rischiare la morte sulla forca oppure (poich un editto del 1626 aveva proclamato che gli opuscoli diffamatori rappresentavano un crimine di "lsemajest") sul rogo o per tortura. Solo per avere stampato la "Cordonnire", un povero commerciante era stato mandato alle galere. Se fosse mai catturato, che pena sarebbe stata inflitta all'autore? Fiducioso, questa volta, che il suo zelo troverebbe accoglimento agli occhi di Sua Eminenza, Laubardemont prese copiosi appunti di tutto ci che m. Trincant diceva. E intanto Mesmin non era stato in ozio. Grandier, come abbiamo visto, era un nemico dichiarato dei monaci e dei frati, e con pochissime eccezioni i monaci e i frati di Loudun erano nemici dichiarati di Grandier. I carmelitani avevano le pi concrete ragioni per odiare Grandier ma i carmelitani non erano in condizioni di dare forma attiva al loro odio. I cappuccini avevano sofferto meno per causa di Grandier, ma le loro possibilit di fargli del male erano immensamente maggiori. Infatti i cappuccini erano colleghi di padre Giuseppe, e in corrispondenza regolare con quell'"minence grise" che fu confidente, supremo consigliere e uomo di fiducia del cardinale. Fu quindi ai frati bigi e non ai bianchi, che Mesmin confid le nuove accuse contro Grandier. La risposta fu pi di quanto avesse sperato: una lettera fu scritta immediatamente a padre Giuseppe. Laubardemont, il quale era sul punto di ritornare a Parigi, fu pregato di consegnarla di persona. Laubardemont accett la commissione e, lo stesso giorno invit Grandier e i suoi amici a un pranzo d'addio durante il quale brind alla salute del parroco, assicurandolo della sua eterna amicizia e promettendo di fare tutto ci che era in suo potere per aiutarlo nella lotta contro la congiura di nemici senza scrupoli. Tanta gentilezza, e offerta tanto generosamente, tanto spontaneamente! Grandier ne fu commosso quasi fino alle lacrime.

Il giorno dopo Laubardemont si rec a Chinon, dove pass la serata con i pi fanatici assertori della colpevolezza del parroco. M. Barr ricevette il commissario reale con tutto il dovuto ossequio e, a sua richiesta, consegn i verbali di tutti gli esorcismi, nel corso dei quali le monache avevano accusato Grandier di averle stregate. Dopo colazione, la mattina seguente, Laubardemont fu intrattenuto con le esibizioni di alcune indemoniate del luogo; poi, salutato l'esorcista, si incammin alla volta di Parigi. Immediatamente dopo il suo arrivo, egli ebbe un abboccamento con padre Giuseppe, poi, qualche giorno dopo, un abboccamento pi decisivo con le due eminenze, quella scarlatta e quella grigia, in consulto. Laubardemont lesse i verbali degli esorcismi di m. Barr e padre Giuseppe lesse la lettera con cui i suoi colleghi cappuccini accusavano il parroco di essere l'autore tanto ricercato della "Cordonnire". Richelieu decise che la questione fosse grave abbastanza per essere esaminata alla successiva riunione del Consiglio di Stato. Nel giorno stabilito (30 novembre 1633) il re, il cardinale, padre Giuseppe, il segretario di Stato, il cancelliere e Laubardemont si riunirono a Ruel. L'invasamento delle orsoline di Loudun era segnato per primo nell'ordine del giorno. Brevemente, ma spaventosamente, Laubardemont fece il suo racconto, e Luigi Tredicesimo, il quale credeva fermamente e timorosamente nei demoni, decise senza esitazione che bisognava fare qualche cosa. L per l fu compilato un documento, firmato dal re, controfirmato dal segretario di Stato, e sigillato, con cera gialla, col gran sigillo. Secondo i termini di questo documento Laubardemont fu incaricato di recarsi a Loudun, indagare i fatti dell'invasamento, esaminare le accuse formulate dai demoni contro Grandier e, se esse apparissero fondate, citare in giudizio lo stregone. Nel primo Seicento i processi per stregoneria erano ancora molto comuni; ma delle dozzine di persone accusate, durante questi anni, di trafficare col demonio, il caso di Grandier fu l'unico di cui Richelieu s'interess in maniera particolare. Padre Tranquille, l'esorcista cappuccino che nel 1634 scrisse un opuscolo a favore di Laubardemont e dei diavoli, dichiara che allo zelo dell'eminentissimo cardinale che dobbiamo la prima iniziativa di quest'affare fatto del quale le lettere che egli scrisse a m. de Laubardemont testimoniano esaurientemente.

In quanto al commissario egli non istru mai alcuna procedura per provare l'invasamento senza prima informare di tutto Sua Maest e il mio signore, il cardinale. La testimonianza di Tranquille confermata da quella di altri contemporanei, i quali scrivono dello scambio di lettere quasi quotidiane tra Richelieu e il suo agente a Loudun. Quali furono le ragioni di questo straordinario interesse per un caso, in apparenza di cos poca importanza? Come i contemporanei di Sua Eminenza, ci dobbiamo contentare di supposizioni. Che il desiderio di vendetta personale fosse motivo importante sembra certo. Nel 1618, quando Richelieu era solo vescovo di Luon e abbate di Coussay, questo presuntuoso di parroco era stato villano con lui. Ed ora vi erano buone ragioni per credere che lo stesso Grandier fosse responsabile degli oltraggiosi libelli ed insulti contenuti nella "Cordonnire". E' vero che l'accusa era tale da non poter essere provata in tribunale. Ma, solo per essere stato sospettato di un delitto simile, l'uomo meritava di essere eliminato. E questo non era tutto. Il parroco colpevole era titolare di una parrocchia colpevole. Loudun era ancora una roccaforte del protestantesimo. Troppo prudenti per compromettersi all'epoca della sollevazione che fin nel 1628 con la presa di La Rochelle, gli ugonotti di Poitou non avevano fatto niente per meritare un'aperta e sistematica persecuzione. L'Editto di Nantes vigeva ancora e, intollerabili come erano, i calvinisti dovettero essere tollerati. Ma supponiamo ora che potesse essere provato, per bocca delle buone suore, che questi gentiluomini della cos detta religione riformata erano stati in accordo segreto con un nemico ancora peggiore dell'inglese, col demonio stesso? In ci vi sarebbe stata ampia giustificazione per fare quello che egli aveva progettato da molto tempo: e cio privare Loudun di tutti i suoi diritti e privilegi, e trasferirli alla nuova citt di Richelieu. E neanche questo era tutto. I diavoli potevano essere utili in altre maniere ancora. Se si riusciva a far credere al popolo che Loudun fosse il ponte di sbarco di una regolare invasione dall'inferno, allora sarebbe stato possibile far rivivere l'Inquisizione in Francia. E come ci sarebbe stato opportuno! Come avrebbe facilitato il disegno del cardinale di centralizzare tutto il potere nella monarchia assoluta! Come

sappiamo dalla nostra esperienza dei diavoli secolari quali gli ebrei, i comunisti, gli imperialisti borghesi, la maniera migliore di istituire e giustificare uno Stato autoritario quella di insistere sui pericoli di una "quinta colonna". Richelieu fece un solo errore: supervalut la fede nel soprannaturale dei suoi compatrioti. Dato che egli si trovava al centro della Guerra dei trent'anni, probabilmente avrebbe fatto meglio a servirsi di una quinta colonna di spagnoli e di austriaci anzich di meri spiriti, per quanto infernali. Laubardemont non perdette tempo. Il 6 dicembre era gi di ritorno a Loudun. Da una casa nei sobborghi mand a chiamare segretamente il pubblico ministero e il capo della polizia, Guillaume Aubin. Essi arrivarono. Laubardemont mostr il suo mandato e un ordine regio per l'arresto di Grandier. Aubin aveva avuto sempre simpatia per il parroco. Quella sera egli invi un messaggio a Grandier informandolo del ritorno di Laubardemont e sollecitandolo a fuggire immediatamente. Grandier lo ringrazi; ma, immaginando stupidamente che l'innocenza non avesse niente da temere, ignor il consiglio dell'amico. Il giorno dopo, mentre si recava in chiesa, fu arrestato. Mesmin e Trincant, Mignon e Menuau, il farmacista e il chirurgo, nonostante l'ora mattutina, erano tutti nei paraggi a godersi lo spettacolo. Fu al suono di risa beffarde che Grandier fu condotto alla carrozza che doveva portarlo alla prigione assegnatagli nel castello di Angers. Ora la canonica fu perquisita e tutti i libri e le carte di Grandier furono sequestrati. Con disappunto, neppure un libro sulla magia nera fu trovato nella sua biblioteca; questa conteneva per (prova abbastanza schiacciante) una copia della "Lettre de la cordonnire", insieme al manoscritto di quel "Trattato sul celibato sacerdotale" che Grandier aveva scritto allo scopo di vincere gli scrupoli di mademoiselle de Brou. Nelle sue conversazioni con gli amici Laubardemont aveva osservato che se fosse riuscito a venire in possesso di solo tre righi scritti di pugno di un uomo poteva trovare qualche ragione per farlo impiccare. Nel "Trattato" e nell'opuscolo contro il cardinale egli aveva gi le pi ampie giustificazioni non soltanto per un'impiccagione, ma per la tortura, la ruota, il rogo. E la perquisizione aveva rivelato altri tesori.

Per esempio, vi erano tutte le lettere scritte al parroco da Jean d'Armagnac: lettere che, se egli si fosse reso importuno, avrebbero potuto certamente essere usate per mandare il favorito del re in esilio o sul patibolo. E vi erano le assoluzioni concesse dall'arcivescovo di Bordeaux. Per il momento m. de Sourdis lavorava molto bene all'Ammiragliato; ma se in seguito dovesse lasciare a desiderare, queste prove di aver assolto un notorio stregone potevano venire a proposito. Intanto, senza dubbio, esse dovevano essere tenute lontane da Grandier; poich se egli non poteva esibire alcuna prova di essere stato assolto dall'arcivescovo, allora la condanna del vescovo di Poitiers rimaneva ancora in vigore. E se essa vigeva ancora, Grandier era il prete che aveva compiuto l'atto venereo in chiesa. E se egli era capace di tanto, allora, ovviamente, egli era capace di stregare diciassette monache. Le settimane che seguirono furono una lunga orgia di malvagit autorizzata, di spergiuro consacrato dalla Chiesa, di odio e di invidia, non soltanto incontrollati, ma ufficialmente meritori. Il vescovo di Poitiers eman un monitorio, denunziando Grandier e invitando i fedeli a fornire informazioni contro di lui. All'ingiunzione fu entusiasticamente obbedito, ed interi volumi di malvagi pettegolezzi furono trascritti da Laubardemont e dai suoi impiegati. Il processo del 1630 fu riaperto e tutti i testimoni che avevano confessato lo spergiuro ora giurarono che tutte le bugie ritrattate erano verit di Vangelo. A queste udienze preliminari Grandier non fu n presente di persona, n rappresentato in Consiglio. Laubardemont non permise alcuna difesa e quando la madre di Grandier protest contro i metodi iniqui e perfino illegali che venivano impiegati, egli non fece altro che strappare le sue petizioni. Nel gennaio 1634 la vecchia signora comunic di aver fatto ricorso, a nome di suo figlio, al Parlamento di Parigi. Laubardemont, intanto, era ad Angers, e interrogava il prigioniero. I suoi sforzi riuscirono infruttuosi. Grandier, il quale era stato informato dell'appello e si sentiva fiducioso che il suo caso sarebbe stato esaminato da un altro giudice meno apertamente ostile, si rifiut di rispondere alle domande del commissario. Dopo una settimana di minacce e di lusinghe Laubardemont rinunzi disgustato e si precipit a Parigi dal cardinale.

Messa in moto dalla vecchia signora Grandier la pesante macchina della legge si dirigeva lentamente ma sicuramente verso l'appello. Un appello per era l'ultima cosa che Laubardemont e il suo padrone desideravano. I giudici dell'Alta Corte avevano per la legalit un interesse appassionato ed erano gelosi, per principio, dell'organo esecutivo del governo. Se venivano autorizzati a rivedere il caso, la reputazione di Laubardemont come uomo di legge sarebbe stata rovinata e Sua Eminenza avrebbe dovuto rinunziare a uno schema al quale, per ragioni note a lui solo, teneva moltissimo. In marzo, Richelieu sottopose la faccenda al Consiglio di Stato. I demoni, egli spieg al re, erano passati al contro attacco, e solo una energica azione avrebbe potuto batterli e respingerli. Come al solito Luigi Tredicesimo si lasci convincere. Il segretario di Stato stil i necessari documenti. Con firma e sigillo reale fu ora decretato che indipendentemente dall'appello depositato in Parlamento, che sua maest con questo documento annulla, il signor Laubardemont continuer l'azione iniziata contro Grandier... Al quale scopo il re rinnova il suo incaricato per il tempo che sar necessario, esonera il Parlamento di Parigi e tutti gli altri giudici dall'occuparsi del caso, e proibisce alle parti di rivolgersi ad essi, pena la multa di cinquecento lire. (1). Messo cos al di sopra della legge ed armato di poteri illimitati, l'agente del cardinale ritorn a Loudun al principio di aprile e cominci subito a preparare la scena per l'ultimo atto della sua orribile commedia. Egli trov che la citt non aveva prigioni abbastanza sicure o abbastanza malsane per ospitare uno stregone. E allora fu messo a disposizione del commissario un attico di propriet del canonico Mignon. Per renderlo a "prova di diavolo", Laubardemont fece murare le finestre, assicur le porte con una nuova serratura e pesanti catenacci e fece chiudere il caminetto (la porta di servizio delle streghe) con una solida inferriata. Sotto scorta militare, Grandier fu riportato a Loudun e rinchiuso in questa cella oscura e priva di aria. Non gli fu concesso letto di sorta e doveva dormire, come un animale, su un fastello di paglia. Erano suoi carcerieri un certo Bontemps (che aveva testimoniato contro di lui nel 1630) e la bisbetica moglie di Bontemps. Durante tutto il lungo processo essi lo trattarono con accanita malvagit.

Assicurato cos il prigioniero, Laubardemont rivolse ora la sua attenzione ai principali e in effetti unici testimoni per il processo: soeur Jeanne e le altre sedici indemoniate. Disobbedendo agli ordini dell'arcivescovo, il canonico Mignon e i suoi colleghi avevano lavorato alacremente per annullare i salutari effetti dei sei mesi di forzata quiete. Dopo pochi esorcismi pubblici le buone suore erano tutte farneticanti come non lo erano mai state. Laubardemont non dava loro tregua. Tutti i giorni, mattina e sera, le donne invasate venivano portate in blocco alle varie chiese della citt per eseguire i loro trucchi. Questi trucchi erano sempre gli stessi. Come i moderni medium che continuano a fare esattamente ci che le astute suore fecero centinaia di anni fa, queste antiche indemoniate e i loro esorcisti erano incapaci di inventare alcunch di nuovo. Le fin troppo familiari convulsioni, le stesse vecchie oscenit, le bestemmie convenzionali, le pretensioni vanagloriose venivano ripetute all'infinito, ma giammai attribuite con fondamento a potenze soprannaturali. Lo spettacolo per era sufficientemente piacevole ed equivoco, per attirare il pubblico. Dalla viva voce, con opuscoli e foglietti di propaganda, da centinaia di pulpiti, la notizia dell'invasamento si diffuse in lungo e in largo. Da ogni provincia della Francia ed anche dall'estero, gli spettatori si affollavano per vedere gli esorcismi. Con l'eclissi dell'attivit miracolosa della Notre-Dame de Recouvrance dei carmelitani, Loudun aveva perduto quasi tutto il suo commercio turistico. Ora, grazie ai demoni, esso si ristabil come e meglio di prima. Gli alberghi e le pensioni erano tutti pieni, e i buoni carmelitani, i quali avevano il monopolio delle false indemoniate (poich l'infezione isterica si era sviluppata nelle mura del convento) raggiunsero una prosperit simile a quella dei giorni migliori al tempo dei pellegrinaggi. Nello stesso tempo le orsoline decisamente si arricchivano. Ora esse ricevevano un sussidio regolare dal Tesoro reale, il quale veniva aumentato dalle elemosine costituite dagli oboli generosi e devoti lasciati da quei turisti di alto rango per i quali era stato inscenato qualche spettacolo particolarmente miracoloso. Durante la primavera e l'estate del 1634 lo scopo principale degli esorcismi non era di liberare le monache, ma di provare la colpevolezza di Grandier.

Lo scopo era di dimostrare, con le parole dello stesso Satana, che il parroco era un mago ed aveva stregato le monache. Ma Satana , per definizione, il re della menzogna, e la sua testimonianza quindi non ha valore. A questa tesi Laubardemont, i suoi esorcisti ed il vescovo di Poitiers risposero affermando che, se debitamente costretti da un prete della Chiesa Cattolica, i demoni sono tenuti a dire la verit. In altri termini, tutto ci che una monaca isterica, per istigazione del suo esorcista, era pronta ad affermare sotto giuramento, diventava a tutti gli scopi pratici, rivelazione divina. Per gli inquisitori, questa dottrina era molto conveniente. Ma essa aveva un grave difetto: mancava evidentemente di ortodossia. Nell'anno 1610 un comitato di dotti teologi aveva discusso l'ammissibilit della prova diabolica ed emanata la seguente autorevole decisione. Noi, sottoscritti dottori della Facolt di Parigi, trattando certe questioni che ci sono state proposte, siamo dell'opinione che non bisogna mai ammettere l'accusa dei demoni, ancor meno sfruttare gli esorcismi allo scopo di scoprire le colpe di un uomo o per stabilire se egli sia un mago; e siamo inoltre dell'opinione che, anche se i detti esorcismi siano stati eseguiti alla presenza del Santo Sacramento, costringendo il demonio a prestare giuramento (cerimonia che non approviamo affatto), non dobbiamo perci dare alcun credito alle sue parole, essendo il demonio sempre un bugiardo e re della menzogna. Inoltre il demonio nemico giurato dell'uomo, e quindi pronto a sopportare tutti i tormenti dell'esorcismo pur di far del male a un'anima sola. Se fosse ammessa la testimonianza del demonio le persone pi virtuose sarebbero nel pi grave pericolo; poich esattamente contro di esse che Satana infierisce pi violentemente. Per la qual ragione san Tommaso (Libro 22, Interrogazione 9, Articolo 22) sostiene con l'autorit di san Crisostomo, "Daemoni, etiam vera dicenti, non est credendum" (al diavolo non bisogna prestar fede, anche quando dice la verit). Dobbiamo seguire l'esempio di Cristo, il quale impose il silenzio ai demoni anche quando dicevano la verit, dicendosi Figlio di Dio. Donde appare che, in assenza di altre prove, non bisogna mai procedere contro coloro che sono accusati dai demoni. E notiamo che ci bene osservato in Francia, dove i giudici non riconoscono queste deposizioni. Ventiquattro anni dopo, Laubardemont e i suoi colleghi non riconobbero altro.

All'umanit e al buon senso dell'opinione ortodossa, gli esorcisti avevano sostituito, e gli agenti del cardinale entusiasticamente accettata, un'eresia che era insieme immensamente stupida e pericolosa all'estremo. Ismal Boulliau, il sacerdote-astronomo, che aveva lavorato alle dipendenze di Grandier come vicario di Saint-Pierre du March, defin la nuova dottrina empia, erronea, esecrabile e abominevole: una dottrina che trasforma i cristiani in idolatri, mina le stesse fondamenta della religione cristiana, apre la porta alla calunnia e permetter al demonio di immolare vittime umane in nome, non di Moloch, ma di un dogma diabolico e infernale. Che il diabolico ed infernale dogma fosse pienamente approvato da Richelieu cosa certa. Il fatto riportato dallo stesso Laubardemont e dall'autore della "Dmonomanie de Loudun", Pillet de la Mesmardire, medico personale del cardinale. Autorizzate, qualche volta finanche suggerite, e sempre rispettosamente ascoltate, le diaboliche deposizioni affluivano al ritmo delle esigenze di Laubardemont. Cos egli trov desiderabile che Grandier non fosse meramente uno stregone, ma anche un alto sacerdote della vecchia religione. La voce si sparse ed immediatamente una delle false indemoniate si sent in dovere di confessare (attraverso le parole di un demonio sottomesso da uno degli esorcisti carmelitani) che si era prostituita al parroco, e che il parroco aveva manifestato il suo gradimento offrendosi di condurla al sabbato e farne una principessa alla corte del demonio. Grandier afferm che non aveva mai neppure messo gli occhi sulla ragazza. Ma Satana aveva parlato e dubitare delle sue parole sarebbe stato sacrilegio. Alcune streghe e stregoni, come risaputo, hanno capezzoli soprannumerari, altri acquistano, al contatto del dito del diavolo l'insensibilit in piccole zone del corpo dove la punta di un ago non causa n dolore n fuoruscita di sangue. Grandier non aveva alcun capezzolo in pi; ergo in qualche punto della sua persona vi dovevano essere quelle zone insensibili con cui il maligno segna i suoi adepti. Dove si trovavano esattamente questi punti? Il 26 aprile la priora rispose all'interrogativo. Vi erano cinque segni in tutto: uno sulle spalle, nel punto dove i criminali vengono bollati a fuoco, altri due sulle natiche, vicinissimi al sedere, ed uno

su ogni testicolo. ("A quoi rvent les jeunes filles?") [* Cosa sognano le fanciulle?] Per confermare la verit di questa affermazione, Mannoury, il chirurgo, fu incaricato di compiere una piccola vivisezione. Alla presenza di due farmacisti e diversi dottori, Grandier fu spogliato, raso completamente, bendato e poi sistematicamente punzecchiato fino all'osso con una sonda lunga ed acuminata. Dieci anni prima, nel salotto di Trincant, il parroco si era burlato di quest'asino ignorante e pomposo. Ora l'asino si vendicava, e ad usura. Il dolore era intenso e, attraverso le finestre murate, gli urli del prigioniero potevano essere uditi da una folla crescente di curiosi nella strada sottostante. Dal riassunto ufficiale dei capi d'accusa per i quali Grandier fu condannato, apprendiamo che, a causa della grande difficolt di individuare tali piccole zone insensibili, solo due dei cinque segni descritti dalla prioressa furono realmente scoperti. Ma, per gli scopi di Laubardemont due erano ampiamente sufficienti. I metodi di Mannoury, il caso di aggiungere, furono meravigliosamente semplici ed efficaci. Dopo una ventina di punture dolorosissime egli rovesciava la sonda e premeva con l'estremit non acuminata la carne del parroco. Per miracolo, non veniva accusato alcun dolore. Il diavolo aveva segnato quel punto. Se gli fosse stato permesso di continuare, indubbiamente Mannoury avrebbe scoperto tutti i marchi. Disgraziatamente, uno dei farmacisti (uno straniero di Tours indegno di fiducia) fu meno compiacente dei dottori di villaggio che Laubardemont aveva riunito per controllare l'esperimento. Cogliendo Mannoury nell'atto di imbrogliare, l'uomo protest. Invano. Il suo rapporto isolato fu completamente ignorato. Intanto, Mannoury e gli altri si erano dimostrati quanto mai graditamente cooperatori. Laubardemont fu in condizioni di annunziare che la scienza aveva corroborato le rivelazioni dell'inferno. In massima parte, naturalmente, la scienza non aveva da corroborare; "ex hypothesi", le rivelazioni dell'inferno erano vere. Quando Grandier fu messo a confronto con le sue accusatrici, esse si buttarono su di lui come una schiera di Menadi, urlando per bocca di tutti i loro diavoli che era stato lui a stregarle, lui che, ogni notte per ben quattro

mesi, vagava per il convento avvicinandosi a loro e sussurrando alle loro orecchie oscene lusinghe. Coscienziosamente Laubardemont e i suoi impiegati prendevano nota di tutto ci che veniva detto. I verbali venivano debitamente firmati, controfirmati e archiviati in doppia copia. Di fatto, teologicamente ed ora legalmente, tutto era vero. Per rendere ancora pi verosimile la colpa del parroco gli esorcisti presentarono numerosi "patti" apparsi misteriosamente nelle celle, o che (ancor meglio) eran stati vomitati, non digeriti, nel parossismo delle crisi. Per mezzo di questi patti le buone suore erano state, ed erano ancora, stregate. Ecco per esempio un pezzo di carta, macchiato con tre gocce di sangue e contenente otto semi d'arancia; ecco un gruppo di cinque pagliuzze; ecco un pacchetto di cenere, vermi, capelli e ripulitura di unghie. Ma fu Jeanne des Anges che, come al solito, super tutte. Il 17 giugno mentre era posseduta da Leviatano, ella vomit un patto contenente (secondo i suoi diavoli) un pezzo di cuore di un bambino sacrificato nel 1631 ad un sabbato di streghe vicino Orlans, le ceneri di un'ostia consacrata e un po' di sangue e seme di Grandier. Vi furono momenti in cui la nuova dottrina divent fonte dl imbarazzo. Una mattina, per esempio, un diavolo (debitamente sottomesso e alla presenza del Santissimo Sacramento) osserv che m. Laubardemont era un cornuto. L'impiegato coscienziosamente registr l'affermazione e Laubardemont, il quale non era presente all'esorcismo, firm il verbale senza leggerlo, ed aggiunse la solita postilla per confermare che, per quanto gli risultava, tutto ci che era contenuto nel "procs-verbal" era vero. Quando il fatto si seppe, furono molte le risate rabelaisiane. Un incidente spiacevole, senza dubbio, ma di non serie conseguenze. I documenti compromettenti potevano sempre essere distrutti, gli impiegati stupidi licenziati e i diavoli impertinenti richiamati al dovere con un severo rimprovero o anche una buona dose di frustate. A conti fatti, i vantaggi della nuova dottrina superavano di molto gli svantaggi. Uno dei vantaggi, come Laubardemont si accorse subito, consisteva in ci: che ora era possibile (per bocca di un demonio debitamente sottomesso alla presenza del Sacramento) adulare il cardinale in maniera nuova e soprannaturale.

Nei verbali di un esorcismo del 20 maggio 1634, scritto interamente di pugno di Laubardemont, leggiamo quanto segue: Domanda: "Che cosa mi dici del grande cardinale, il protettore della Francia?". Il diavolo rispose, giurando sul nome di Dio "Egli il flagello di tutti i miei buoni amici". Domanda: "Chi sono i tuoi buoni amici?". Risposta: "Gli eretici". Domanda: "Quali sono gli altri aspetti eroici della sua persona?". Risposta: "La sua opera per il bene del popolo, il dono di governare, che egli ha ricevuto da Dio, il suo desiderio di preservare la pace nella cristianit, l'amore sincero che egli porta alla persona del re". Era un bellissimo omaggio e proveniente, com'era, direttamente dall'inferno, esso poteva essere accettato come pura verit. Le monache erano ben prese dall'isterismo, ma mai tanto da dimenticare a chi dovevano il loro pane quotidiano. In tutto l'invasamento, come ha osservato il dottor Legu (2), Dio, Cristo e la Vergine erano puntualmente bestemmiati, mai per Luigi Tredicesimo e mai, soprattutto, Sua Eminenza. Le buone suore sapevano bene che, contro il Cielo, potevano passarla liscia. Ma se fossero state sgarbate col cardinale... Ebbene, guardate che cosa era accaduto a m. Grandier.

NOTE. N. 1: Lire tornesi, moneta del tempo. (N.d.R.) N. 2: Gabriel Legu, "Documents pour servir l'histoire mdicale des possdes de Loudun", Parigi 1874.

Capitolo 7

1. In ogni dato tempo e luogo certi pensieri sono assolutamente impensabili. Ma parallelamente a questa radicale impensabilit di certi pensieri non si osserva la stessa impossibilit radicale di provare certe emozioni o compiere le azioni ispirate da tali emozioni. In tutti i tempi si pu provare ogni specie di sentimento ed agire conformemente, sebbene qualche volta con grande difficolt e contro la disapprovazione generale. Ma sebbene gli individui possano sempre sentire e fare tutto ci che per temperamento e per costituzione sono portati a sentire e a fare, essi non possono pensare circa le loro esperienze se non nello schema di riferimenti che, in quel particolare tempo e luogo sia diventato evidente. L'interpretazione avviene nei termini dello schema di pensiero prevalente, e questo schema di pensiero condiziona in certo qual modo l'espressione degli impulsi e delle emozioni, ma non pu mai completamente inibirli. Per esempio, una solida fede nella dannazione eterna pu coesistere nella mente del credente insieme alla conoscenza che egli o ella sta commettendo un peccato mortale. In tale contesto citer le acutissime osservazioni di Bayle in una sua nota su Thomas Sanchez, il dotto gesuita che, nel 1592, pubblic un'opera sul matrimonio, considerata dai contemporanei e dagli immediati successori il libro pi sudicio mai scritto fin allora. Noi non conosciamo l'intimit domestica degli antichi pagani, come conosciamo quella dei paesi dove viene praticata la confessione auricolare; e quindi non possiamo dire se il matrimonio fosse cos brutalmente disonorato tra i pagani come lo tra i cristiani; ma almeno probabile che gli infedeli non superassero sotto questo aspetto, molte persone che credono nelle dottrine del Vangelo. Costoro tuttavia credono ci che la Scrittura ci insegna circa il Paradiso e l'Inferno, credono nel Purgatorio e nelle altre dottrine della comunione cattolica; eppure nonostante tutta questa convinzione, li vedete sprofondare in abominevoli impurit, tali da non potersi neppure nominare, e che attirano severo biasimo sul capo di quegli autori che osano menzionarle.

Io osservo ci contro coloro i quali sono convinti che la corruzione provenga dal dubitare gli uomini o ignorare che vi sia un'altra vita dopo di questa. Nel 1592 il comportamento sessuale era evidentemente molto simile a quello di oggi. Il cambiamento avvenuto solo nei pensieri circa questo comportamento. Al principio dell'ra moderna i pensieri di un Havelock Ellis o di un Krafft-Ebing sarebbero stati impensabili. Ma le emozioni e le azioni descritte da questi sessuologi moderni potevano essere provate e compiute in un contesto intellettuale di fuoco eterno cos come lo sono nelle societ secolari del nostro tempo. Nei paragrafi seguenti descriver molto brevemente lo schema di riferimenti entro il quale gli uomini del primo Seicento formularono il loro pensiero circa la natura umana. Questo schema di riferimenti era cos antico e cos intimamente legato alla tradizionale dottrina cristiana che fu considerato universalmente come una struttura di verit lampanti. Oggi, sebbene ancora molto deplorevolmente ignoranti, non sappiamo abbastanza per sentirci assolutamente sicuri che, sotto molti aspetti, l'antica struttura di pensiero era inadeguata ai dati fatti dell'esperienza. In che maniera, potremmo chiederci, questa evidente insufficienza della teoria influenz il comportamento degli uomini e delle donne nelle questioni ordinarie della vita quotidiana? La risposta sembrerebbe che, in alcuni casi, l'influenza fosse impercettibile, in altri casi, grande e potente. Un uomo pu essere un eccellente psicologo pratico eppure ignorare completamente le teorie psicologiche correnti. Ci che ancora pi notevole che un uomo pu essere molto competente delle teorie psicologiche dimostrabilmente inadeguate, eppure rimanere, grazie al suo intuito innato, un eccellente psicologo pratico. Al contrario, una teoria errata della natura umana (come la teoria che spiega l'isterismo in termini di possessione diabolica) pu richiamare le peggiori passioni e giustificare le pi crudeli malvagit. La teoria nello stesso tempo secondaria eppure molto importante. Quale fu la teoria della natura umana, nei cui termini i contemporanei di Grandier interpretarono il comportamento ordinario e gli strani avvenimenti che si svolsero a Loudun? A questa domanda risponderemo in massima parte citando Robert Burton, i cui capitoli sull'anatomia dell'anima contengono una breve e notevolmente chiara sintesi di quella filosofia che chiunque, prima di Descartes, accettava e considerava praticamente assiomatica.

L'anima immortale, creata dal nulla, e cos infusa nel bambino o nell'embrione nel seno materno, sei mesi dopo la concezione; non come i bruti, che sono "ex traduce" (trasmessi dai genitori alla prole) e morendo con loro, svaniscono nel nulla. L'anima semplice nel senso che non pu essere divisa o disintegrata. Nel senso etimologico della parola, essa un atomo psicologico, qualche cosa che non pu essere tagliata. Ma questa semplice e indivisibile anima dell'uomo ha una triplice manifestazione. Essa in certo qual modo una trinit nell'unit, comprendendo un'anima vegetale, una sensitiva ed una razionale. L'anima vegetale definita come "atto sostanziale di un corpo organico, dal quale viene nutrito, aumentato e genera un altro simile in se stesso". Nella cui definizione, sono specificate tre diverse operazioni: "altrix, auctrix, procreatrix". La prima la nutrizione, il cui oggetto il nutrimento, carne, bevande e simili; il suo organo, il fegato nelle creature ragionevoli, nelle piante la radice o la linfa. Il suo oggetto di trasformare il nutrimento nella sostanza del corpo nutrito, che egli compie attraverso il calore naturale... Come questa facolt nutritiva serve a nutrire il corpo, cos la facolt accrescitiva (la seconda operazione o potere della facolt vegetale) serve ad aumentarlo in quantit... ed a farlo crescere finch esso arriva alle dovute proporzioni e alla forma perfetta. La terza facolt dell'anima vegetale quella procreativa, la facolt di riprodurre la sua specie. Segue nell'ordine l'anima sensitiva la quale si distanzia dall'altra in dignit come la bestia dalla pianta, avendo quei poteri vegetali inclusi in essa. Essa definita come "L'atto di un corpo organico, per cui vive, ha discernimento, appetito, giudizio, respiro e moto...". L'organo generale il cervello, dal quale principalmente le azioni coscienti derivano. L'anima cosciente divisa in due parti, comprensione o movimento... Questa facolt di comprensione suddivisa in due parti; interiore o esteriore. Esteriore, come i cinque sensi, del tatto, udito, vista, olfatto, gusto... Quelli interiori sono tre: buon senso, fantasia, memoria. Il buon senso giudica, valuta ed organizza i messaggi che riceve dagli speciali organi dei sensi, come l'occhio e l'orecchio.

La fantasia esamina pi completamente i dati del buon senso e li conserva pi a lungo, richiamandoli di nuovo alla mente, o facendone di nuovi di sua fabbricazione. La memoria prende tutto ci che le arriva dalla fantasia e dal buon senso e lo accumula in un buon registro. Nell'uomo l'immaginazione soggetta alla ragione e da questa governata, o almeno dovrebbe esserlo, ma nei bruti essa non ha superiore, ma "ratio brutorum", tutta la ragione che essi hanno. Il secondo potere dell'anima sensitiva la facolt motoria, che a sua volta divisa in due facolt, il potere appetitivo e quello di spostarsi da un posto all'altro. E infine vi l'anima razionale la quale definita dai filosofi come "il primo atto sostanziale di un corpo organico, naturale e umano, per cui un uomo vive, percepisce e comprende, liberamente facendo tutte le cose e con elezione". Dalla cui definizione possiamo apprendere che quest'anima razionale include i poteri e compie i doveri delle altre due contenute in essa, e tutte e tre facolt fanno un'anima sola, la quale per se stessa inorganica, sebbene sia in tutte le parti (del corpo), e incorporea, usando gli organi e venendo fatta funzionare da essi. Essa divisa in due parti, diverse solo nell'ufficio, non nell'essenza: la comprensione, che il potere razionale di capire; la volont, che il potere razionale di muovere; alle quali due, tutti gli altri poteri razionali sono sottoposti e ridotti. Questa era la teoria nei cui termini i nostri antenati pensavano circa se stessi e cercavano di spiegare i fatti dell'esperienza e della condotta umana. Poich era molto antica, e poich molti dei suoi elementi erano dogmi teologici o corollari di dogmi, la teoria sembr assiomaticamente vera. Ma se la teoria fosse vera, allora certe nozioni che oggi sembrano ovvie ed evidenti, non potrebbero essere accettate e sarebbero impensabili a tutti gli scopi pratici. Consideriamo un paio di esempi concreti. Ecco Miss Beauchamp, una giovane donna irriprovevole ma piuttosto malata, piena di buoni princpi, di inibizioni e di ansiet. Di tanto in tanto ella diventa pigra e svogliata e si comporta come una bambina sana di dieci anni molto impertinente ed esuberante. Interrogata durante l'ipnosi, questa "enfant terrible" insiste che ella non Miss Beauchamp ma una certa Sally. Dopo qualche ora o qualche giorno Sally scompare e Miss Beauchamp torna alla coscienza, ma ritorna solo alla propria coscienza, non a quella di

Sally; perch non ricorda niente di ci che avvenuto, in suo nome e per mezzo del suo corpo, mentre questo era sotto controllo. Sally, al contrario, sa tutto quello che accade nella mente di Miss Beauchamp e fa uso di questa conoscenza per mettere in imbarazzo e tormentare l'altro inquilino di quel corpo abitato in comune. Il dottor Morton Prince, lo psichiatra che si occup di questo caso famoso, fu in grado, perch poteva pensare a questi strani fatti nei termini di una ben fondata teoria della attivit mentale subcosciente e perch era al corrente delle tecniche ipnotiche, di risolvere i problemi di Miss Beauchamp e portarla per la prima volta in molti anni, ad uno stato di sanit fisica e mentale. Sotto alcuni aspetti il caso di soeur Jeanne fu essenzialmente simile a quello di Miss Beauchamp. Periodicamente ella si prendeva una vacanza dal suo io abituale, e da monaca rispettabile di buona famiglia diventava, per qualche ora al giorno, una virago selvaggia, blasfema e svergognata che diceva di chiamarsi ora Asmodeo, ora Balaam, ora Leviatano. Quando la priora riprendeva coscienza non si ricordava affatto di ci che questi altri avevano detto e compiuto in sua assenza. Questi i fatti. Come dovevano essere spiegati? Alcuni osservatori attribuirono tutta la deplorevole faccenda a un imbroglio deliberato; altri alla "malinconia": uno spostamento dell'equilibrio umorale del corpo, risultante in uno squilibrio della mente. A coloro i quali non potevano, o non volevano, accettare queste ipotesi, rimaneva solo una alternativa: la possessione diabolica. Data la teoria nei cui termini essi dovevano pensare, era loro impossibile arrivare a qualsiasi altra conclusione. Per una definizione che era corollario di un dogma cristiano, l'"anima", in altri termini, la coscienza e la parte personale della mente era un atomo semplice e indivisibile. La moderna nozione di sdoppiamento della personalit era quindi impensabile. Se due o pi io si presentavano simultaneamente o alternativamente ad occupare lo stesso corpo, ci non poteva accadere per disintegrazione di quegli elementi psicofisici non troppo saldamente legati insieme che noi chiamiamo persona; no, doveva essere causa di una temporanea espulsione dal corpo dell'anima indivisibile e la temporanea sostituzione con uno o pi degli innumerevoli spiriti soprannaturali i quali (era un fatto della verit rivelata) abitavano l'universo.

Il nostro secondo esempio quello di una persona ipnotizzata qualsiasi persona ipnotizzata - in cui l'operatore abbia prodotto uno stato di catalessi. La natura dell'ipnosi e la maniera in cui la suggestione agisce sul sistema nervoso autonomo non sono state ancora perfettamente comprese; ma noi sappiamo almeno che facilissimo indurre in "trance" alcune persone e che, quando sono in tale stato, una parte della loro mente subcosciente far s che il corpo obbedisca alle suggestioni dell'operatore, o qualche volta dei propri io supraliminali. A Loudun questa rigidit catalettica, in cui qualsiasi operatore competente pu indurre un qualsiasi soggetto adatto, fu considerata dai fedeli come opera di Satana. E doveva essere cos; perch la natura delle teorie psicologiche correnti era tale che i fenomeni dovevano attribuirsi O a un deliberato imbroglio O a un ente soprannaturale. Anche cercando negli scritti di Aristotele e di Agostino, di Galeno e degli arabi non vi traccia di ci che ora noi chiamiamo la mente subcosciente. Per i nostri antenati vi era solo l'anima o io cosciente, da una parte, e dall'altra Dio, i santi e una schiera di spiriti buoni e cattivi. La nostra concezione di un vasto mondo intermedio di attivit mentale subcosciente, molto pi esteso e, sotto certi aspetti, pi effettiva dell'attivit dell'io cosciente, era impensabile. La teoria corrente della natura umana non le permetteva di esistere. I fenomeni che noi ora spieghiamo nei termini di questa attivit subcosciente dovevano o essere negati completamente, oppure attribuiti all'opera di spiriti non umani. Cos la catalessi era o un'impostura o un sintomo di possessione diabolica. Quando assistette a un esorcismo nell'autunno del 1635, il giovane Thomas Killigrew fu invitato dal frate addetto alle funzioni a toccare le membra della monaca: toccare, confessare la potenza del Maligno e la potenza ancora pi grande della Chiesa militante, e poi, Dio volendo, convertirsi dall'eresia, come il suo buon amico Walter Montague l'anno precedente. Vi devo dire la verit scriveva Killigrew descrivendo l'avvenimento sentii solo della carne rigida, braccia e gambe dure stese inflessibilmente. (Si noti come le monache avessero cessato completamente di essere considerate esseri umani con diritto alla riservatezza e al rispetto. Il buon padre che compie gli esorcismi si comporta esattamente come il proprietario di un baraccone alla fiera. Entrate, signore e signori, entrate! Vedere credere, ma pizzicare le gambe della nostra donna cannone significa provare la nuda verit.

Queste spose di Cristo erano state mutate in attrici da cabaret e mostruosit da circo. Ma altri continua Killigrew affermano che ella era tutta rigida e pesante come il ferro; ma essi avevano pi fede di me, ed evidentemente il miracolo apparve loro pi visibile che a me. Com' significativa questa parola "miracolo"! Se le monache non fingono, allora la rigidit cadaverica delle loro membra deve essere dovuta a cause soprannaturali. Nessun'altra spiegazione possibile. L'arrivo di Descartes e il consenso generale a quella che allora sembr una teoria pi "scientifica" della natura umana non miglior le cose; infatti si pu dire che in conseguenza gli uomini cominciarono a pensare circa se stessi in maniera meno realistica. I diavoli scomparirono dalla scena; ma insieme ai diavoli se ne and ogni specie di considerazione seria dei fenomeni una volta attribuiti ad entit diabolica. Gli esorcisti per lo meno avevano riconosciuto fatti come il "trance", la catalessi, la doppia personalit e la percezione extrasensoria. Gli psicologi dopo Descartes tendevano o a negare i fatti come non esistenti oppure a considerarli, se non si lasciavano negare, prodotto di qualche cosa chiamata "immaginazione". Per gli uomini di scienza, l'"immaginazione" era quasi sinonimo di "illusione". I fenomeni ad essa attribuiti (come per esempio le guarigioni effettuate da Mesmer col sonno magnetico) potevano tranquillamente e regolarmente essere ignorati. Il potente sforzo di Descartes di pensare geometricamente circa la natura umana aveva condotto, senza dubbio, alla formulazione di alcune ammirevoli "idee chiare". Ma disgraziatamente queste idee chiare potevano essere intrattenute solo da coloro che volevano ignorare tutta una serie di fatti altamente significativi. I filosofi precartesiani presero nota di questi fatti e furono costretti dalle loro teorie psicologiche ad attribuirli a cause soprannaturali. Oggi noi siamo in grado di accettare i fatti e di spiegarli senza far ricorso ai diavoli. Noi possiamo pensare alla mente (opposta allo "spirito", o al "puro io", o "Atman") come a qualche cosa di radicalmente diverso dall'anima cartesiana e precartesiana.

L'anima dei primi filosofi fu definita dogmaticamente come semplice, indivisibile ed immortale. Per noi, essa evidentemente un composto, la cui identit, secondo Ribot questione di numero. Questo insieme di elementi pu essere disintegrato e, sebbene esso probabilmente sopravvive alla morte corporale, sopravvive nel tempo, come qualche cosa soggetta a trasformazione e dissoluzione finale. L'immortalit non appartiene alla psiche ma allo spirito, col quale, se vuole, la psiche pu identificarsi. Secondo Descartes, le menti hanno coscienza della loro essenza; esse possono agire alternativamente sulla materia nel proprio corpo, ma non direttamente su altra materia o su altre menti. I pensatori precartesiani probabilmente sarebbero stati d'accordo con tutte queste proposizioni eccetto la prima. La coscienza, per loro, era l'essenza dell'anima razionale; ma molte delle azioni delle anime sensitive e vegetali erano inconsce. Descartes consider il corpo come un automa a regolazione autonoma, e quindi non aveva bisogno di postulare l'esistenza di queste anime sussidiarie. Tra l'io conscio e ci che si potrebbe chiamare l'inconscio fisiologico, ora noi presumiamo l'esistenza di vaste zone di attivit mentale subconsce. Inoltre, dobbiamo ammettere, se accettiamo l'evidenza della percezione extrasensoria e della psicocinesi, che sul piano subcosciente le menti possono agire e agiscono direttamente sulle altre menti e sulla materia al di fuori dei rispettivi corpi. Gli strani avvenimenti che Descartes e i suoi seguaci decisero di ignorare, e che i suoi predecessori accettarono come fatti, ma seppero spiegare solo nei termini di invasione diabolica, sono ora riconosciuti come azioni naturali di una mente la cui portata, i cui poteri e la cui debolezza sono molto maggiori di quanto lo studio dei suoi aspetti consci ci avrebbe fatto credere. Vediamo, quindi, che escludendo l'idea della frode, l'unica spiegazione puramente psicologica di ci che accadeva a Loudun era una spiegazione in termini di stregoneria e possessione. Ma vi erano molti che non considerarono mai la questione in termini puramente psicologici. Ad essi sembr ovvio che tali fenomeni come quelli manifestati da soeur Jeanne potessero spiegarsi in termini fisiologici e dovessero essere curati come tali.

I pi draconiani tra di essi prescrissero l'applicazione sulla pelle nuda di una buona sferza. Tallemant riferisce che il marchese di Couldray-Montpensier ritir le sue due figlie impossessate dalle mani degli esorcisti e le fece ben nutrire e coscienziosamente frustare; il diavolo si allontan immediatamente. Nella stessa Loudun, durante gli ultimi stadi della possessione, la frusta venne prescritta con crescente frequenza, e Surin riferisce che i diavoli i quali ridevano solo ai riti della Chiesa venivano spesso sbaragliati dalla disciplina. In molti casi l'uso antiquato della frusta fu probabilmente altrettanto efficace quanto il moderno elettrochoc e per le stesse ragioni; cio, perch la mente subcosciente sviluppava una tale paura delle torture preparate per il corpo che, anzich subirle nuovamente, decideva di smettere di comportarsi come se fosse pazza (1). Fino ai primi anni del diciannovesimo secolo, il trattamento della frusta fu impiegato regolarmente in tutti i casi di inequivocabile insania. "In the bonny halls of Bedlam, Ere I was one-and-twenty, I had bracelets strong, sweet whips ding-dong, And prayer and tasting plenty. Now I do sing, Any f ood, any feed ing, Feeding, drink or clothing? Come dame, or maid, be not afraid, Poor Tom will injure nothing." [Traduzione: Nelle belle sale del manicomio, prima ero un numero, avevo solide manette, la dolce altalena delle frustate, e preghiere e digiuno in quantit. Ora canto: qualche cibo, qualche nutrimento, nutrimento, bevanda o indumento? Venite signore, o ragazze, non abbiate paura, il povero Tom non far male a nessuno.] Il povero Tom era un suddito della regina Elisabetta. Ma anche all'epoca di Giorgio Terzo, duecento anni dopo, le due Camere del Parlamento emisero un decreto che autorizzava i medici di corte a fustigare il re pazzo. Per le semplici nevrosi o per l'isterismo, le frustate non erano l'unica cura. Queste malattie erano causate, secondo le teorie mediche del tempo, da eccesso di bile nera fuori posto. Galeno dice Robert Burton attribuisce al freddo tutto ci che nero, e pensa che essendo gli spiriti scuri e la sostanza del cervello cupa e nera, tutti gli oggetti quindi appaiono terribili, e la mente stessa, a causa di questi grossi vapori densi e oscuri, che esalano dagli umori neri, si trova in una continua oscurit, paura e dolore. Averro si fa beffe di Galeno, e altrettanto fa Ercole di Sassonia.

Ma essi sono copiosamente censurati e confutati da Aelianus Montaltus, Lodovicus Mercatus Altomarus, Guianerius, Bright, Laurentius Valesius. "L'abbassamento di temperatura", essi concludono, "produce succhi neri, la nerezza oscura gli spiriti, gli spiriti oscurati producono paura e dolore". Laurentius suppone che questi vapori neri danneggino particolarmente il diaframma, e di conseguenza la mente, la quale viene oscurata come il sole da una nuvola. Con questa opinione di Galeno concordano quasi tutti i greci e gli arabi, i latini moderni ed antichi; come i bambini hanno paura del buio, cos pure gli uomini malinconici di ogni et, come se avessero in s la causa interiore, e la trascinassero. I quali vapori neri, sia che provengano da sangue nero in prossimit del cuore (come pensa Thomas Wright, gesuita, nel suo trattato sulle passioni della mente) o dallo stomaco, dalla milza, dal diaframma, o da tutte insieme le parti colpite, non importa; essi tengono la mente in perpetua sottomissione e la opprimono con continue paure, ansiet, dolori, eccetera. Il quadro fisiologico di una specie di fumo o nebbia sorgente da sangue impuro o visceri malati, il quale o oscura direttamente il cervello e la mente, oppure ostruisce in qualche modo i tubi (poich i nervi erano considerati come tubi vuoti) lungo i quali si suppone che scorrano gli spiriti naturali, vitali e animali. Leggendo la letteratura scientifica dell'inizio dell'ra moderna si rimane colpiti dallo strano miscuglio di supernaturalismo pi sfrenato e materialismo del tipo pi semplice e crudo. Questo materialismo primitivo differisce dal materialismo moderno sotto due importanti aspetti. In primo luogo la "materia" con cui tratta l'antica teoria qualche cosa che non si presta (per la natura dei termini descrittivi impiegati) ad esatti misuramenti. Noi sentiamo parlare solo di caldo e di freddo, di aridit e umidit, di luminosit e oscurit. Non viene fatto mai nessun tentativo per chiarire il significato di queste espressioni qualitative in termini di quantit. Nella sua bella struttura la "materia" dei nostri antenati non era misurabile e di conseguenza non c'era molto da fare per essa. E quando non c' niente da fare, ben poco si pu capire. La seconda differenza non meno importante della prima. A noi la "materia" si rivela come qualche cosa in perpetua attivit, qualche cosa infatti, la cui essenza non altro che attivit.

Tutta la materia FA sempre QUALCHE COSA, e di tutte le forme di materia i colloidi che compongono i corpi viventi sono i pi freneticamente occupati, ma con una frenesia meravigliosamente integrata, in modo che l'attivit di una parte dell'organismo regola le attivit delle altre parti e a sua volta ne regolato, in un'armoniosa danza di energia. Per gli antichi pensatori e per quelli medioevali e del principio dell'ra moderna, la materia era una mera cosa, intrinsecamente inerte, anche nel corpo vivente dove le sue attivit erano dovute esclusivamente alle opere dell'anima vegetale nelle piante, dell'anima vegetale e sensitiva nei bruti, e, nell'uomo di quella unit e trinit, l'anima vegetale, sensitiva e razionale. I processi fisiologici erano spiegati non in termini chimici, poich la chimica come scienza non esisteva; n in termini di impulsi elettrici, poich non si conosceva ancora niente dell'elettricit, n in termini di attivit cellulare, poich non vi era microscopio e nessuno aveva mai visto una cellula; essi erano spiegati (senza alcuna difficolt) in termini di azione sulla materia inerte da parte di speciali facolt dell'anima. Vi era una facolt di crescere, per esempio, una facolt di nutrizione, una facolt di secrezione, una facolt per ogni e ciascun processo che si potesse osservare. Per i filosofi ci era straordinariamente conveniente; ma quando gli uomini cercarono di passare dalle parole ai fatti dati della natura, trovarono che la teoria delle speciali facolt non era di alcuna utilit pratica. La crudezza dell'antico materialismo chiaramente espressa nel linguaggio dei suoi esponenti. I problemi fisiologici sono discussi in metafore tratte da ci che accade in cucina, nel bagno e tra i rifiuti. Vi sono putrefazioni, esalazioni miasmatiche dai pozzi neri e le loro pestilenziali condensazioni in alto, al piano nobile. In termini come questi il pensiero produttivo circa l'organismo umano molto difficile. I buoni medici erano uomini con una dote naturale che non permetteva alla loro dottrina di interferire troppo con le proprie intuizioni diagnostiche e col proprio talento per aiutare la natura a compiere il miracolo della guarigione. Insieme a molte inutili e pericolose assurdit, non vi nella vasta opera di Burton, il minimo buon senso. La maggior parte delle assurdit derivano dalle teorie scientifiche correnti; la maggior parte del buon senso dall'aperto empirismo di uomini perspicaci e gentili i quali amavano i loro simili, avevano uno speciale intuito per i malati e fiducia nella "vis medicatrix Naturae".

Per dettagli sulla cura prettamente medica della malinconia, dovuta a cause naturali o soprannaturali, il lettore pu consultare l'assurdo e affascinante libro di Burton. Per gli scopi della nostra narrazione sufficiente osservare che, durante tutto il tempo dell'invasamento, soeur Jeanne e le sue compagne monache furono sottoposte a costante controllo medico. Nel loro caso, sfortunatamente, nessuno dei metodi pi ragionevoli di cura descritti da Burton furono mai applicati. Per loro non si parl mai di cambiamento d'aria, dieta, occupazione. Esse erano solo salassate e purgate e costrette a ingoiare innumerevoli pillole e purganti. Cos drastiche erano queste cure che qualcuno dei medici indipendenti che le esaminarono espresse l'opinione che la malattia fosse aggravata (come sono ancora aggravate molte malattie) dai tentativi troppo zelanti di ottenere la guarigione. Essi scoprirono che alle monache venivano somministrate abbondanti e frequenti dosi di antimonio. Forse era tutto qui il loro disturbo. (Per valutare tutta l'importanza storica di questa diagnosi, dobbiamo ricordare che, all'epoca della possessione, quella che potrebbe chiamarsi la "battaglia dell'antimonio" aveva infuriato per tre generazioni ed era ancora molto attiva. Dagli eretici antigalenici il metallo e i suoi composti erano considerati medicamenti miracolosi, indicati per qualunque cosa. Dietro pressione della destra ortodossa della classe medica, il Parlamento di Parigi aveva emanato un editto che ne proibiva l'uso in Francia. Ma la legge non fu rispettata. Mezzo secolo dopo la sua emanazione, Thophraste Renaudot, buon amico di Grandier e famoso medico di Loudun, proclamava zelantemente le virt dell'antimonio. Il suo pi giovane contemporaneo, Gui Patin autore delle famose "Lettere", fu non meno violento nel campo opposto. Alla luce delle ricerche moderne possiamo vedere che Patin si avvicin al giusto pi di Renaudot e degli altri antigalenici. Alcuni composti dell'antimonio sono specifici nella cura della malattia tropicale conosciuta come kalaazar. In tutti gli altri casi l'uso del metallo o dei suoi composti non vale i rischi che implica.

Dal punto di vista medico non vi era giustificazione per tale uso indiscriminato di questa medicina durante il sedicesimo e diciassettesimo secolo. Dal punto di vista economico, tuttavia, vi era ampia giustificazione. M. Adam ed i suoi colleghi farmacisti vendevano "pillole perpetue" di antimonio metallico. Queste venivano inghiottite, irritavano le mucose dell'intestino al loro passaggio, agendo cos da purgante, e potevano essere recuperate dal vaso da notte, lavate ed usate di nuovo, indefinitivamente. Dopo la prima spesa di capitale, non vi era ulteriore bisogno di spendere danaro per purganti. Il dottor Patin poteva fulminare e il Parlamento proibire; ma per lo stitico borghese di Francia la tentazione dell'antimonio era irresistibile. Le pillole perpetue erano considerate propriet ereditaria e passavano da una generazione all'altra). E' degno di nota tra parentesi che Paracelso, il pi grande dei primi antigalenici, dovette il suo entusiasmo per l'antimonio a una falsa analogia. Proprio come l'antimonio purifica l'oro e non lascia in esso scorie, allo stesso modo esso purifica il corpo umano (2). La stessa specie di falsa analogia tra le arti del metallurgico e dell'alchimista da una parte e le arti del medico e del dietetico dall'altra condussero alla convinzione che il valore dei cibi crescesse con il loro aumentato raffinamento: che il pane bianco fosse migliore di quello scuro, che uno stufato molto ristretto fosse superiore della carne e delle verdure non concentrate di cui era composto. Si riteneva che i cibi "volgari" rendessero volgari le persone che li mangiavano, Formaggio, latte e focaccia d'avena dice Paracelso non possono dare fini inclinazioni. Solo con l'isolamento delle vitamine, una generazione prima di noi, le vecchie false analogie con l'alchimia cessarono di fare rovina nelle nostre teorie dietetiche. L'esistenza di una cura medica bene elaborata della "malinconia" non era affatto incompatibile con l'esistenza di una convinzione diffusa anche tra i medici, nella realt dell'invasamento e della infestazione diabolica. Alcuni scrive Burton ridono di tutte queste storie. Ma nel campo opposto vi sono molti uomini di legge, teologi, medici, filosofi. Ben Jonson, in "Il Diavolo un asino", ci ha lasciato una vivida descrizione dell'intelletto nel diciassettesimo secolo, diviso tra la credulit e lo scetticismo, tra la fiducia del soprannaturale (soprattutto nei suoi aspetti

meno degni) e una presuntuosa sicurezza circa poteri recentemente scoperti della scienza applicata. Nella commedia, Fitzdottrel introdotto come un dilettante di arti magiche, il quale desidera incontrarsi col diavolo, perch i diavoli conoscono il posto dei tesori nascosti. Ma a questa fede nella magia e nel potere di Satana si unisce una fede non meno poderosa negli schemi quasi-razionali e pseudoscientifici di quegli inventori disonesti e fondatori di societ che i nostri padri chiamarono "progettisti". Quando Fitzdottrel dice alla moglie che il suo progettista ha elaborato un piano il quale gli far guadagnare infallibilmente diciotto milioni e gli assicurer un ducato, ella scuote il capo e gli dice di non fidarsi troppo di questi falsi spiriti. Spiriti! esclama Fitzdottrel, "Spirits! O no such thing, wife, it, mere wit. This man defies the Devil and all his works. He does't by engine and devices, he! He has his winged ploughs that go with sails, Will plough you forty acres at once! and mills Will spout you water ten miles off." [Traduzione: Spiriti! Niente affatto, moglie; intelligenza, mera intelligenza. Quest'uomo sfida il demonio e tutte le sue opere. Egli lavora con le macchine e l'astuzia, lui! Egli ha aratri con le ali che funzionano a vela, e ti areranno quaranta acri in un batter d'occhio! Ed i mulini ti spuzzeranno l'acqua dieci miglia lontano.] Per quanto caricaturale la figura comica, Fitzdottrel rimane tuttavia un uomo veramente rappresentativo. Egli esprime tutta un'epoca la cui vita intellettuale stava a cavallo malsicura tra due mondi. Che egli ricavasse il peggio da entrambi, anzich il meglio, pure tristemente caratteristico. Per chi sia privo della grazia, l'occultismo e i "progetti" sono notevolmente pi attraenti della scienza pura e del culto di Dio in ispirito. Nel libro di Burton, come nella storia delle monache di Loudun, questi due mondi coesistono e sono accettati come ovvi. Vi la malinconia e vi una cura medica riconosciuta per la malinconia. Nello stesso tempo risaputo che magia e possessione sono comuni cause di malattia, sia della mente che del corpo.

E non c' da meravigliarsi! Poich non vi qualcosa come il vuoto assoluto n in cielo, n sulla terra o sulle acque, sopra o sotto la terra. L'aria non cos piena di mosche d'estate, come lo in ogni tempo di invisibili diavoli; ci viene sostenuto tenacemente da Paracelso, e anche che essi hanno ciascuno i loro diversi Caos. Il numero di questi spiriti deve essere infinito; poich se vero ci che dicono alcuni matematici: se una pietra cadendo dal cielo stellato o dalle alte sfere dovesse impiegare un'ora per percorrere cento miglia, ci vorrebbero 65 anni, o pi, prima che potesse arrivare a terra, a causa della grande distanza del cielo dalla terra, la quale contiene, come dicono alcuni, 170 milioni e 803 miglia..., quanti di tali spiriti pu contenere?. In tale situazione, la cosa pi sorprendente non era il fatto di una occasionale possessione, ma il fatto che la maggioranza delle persone potessero vivere tutta la vita senza diventare indemoniate. 2. Abbiamo visto che la plausibilit dell'ipotesi della possessione era esattamente proporzionale all'inadeguatezza di una fisiologia senza struttura cellulare o chimica, e di una psicologia che ignorava completamente l'attivit mentale sul piano subcosciente. La fede nella possessione, che una volta fu universale, attualmente intrattenuta solo dai cattolici e dagli spiritisti. Questi ultimi spiegano alcuni fenomeni delle loro sedute in termini di possessione temporanea dell'organismo del medium da parte della psiche superstite di alcuni esseri umani morti. I cattolici negano la possessione da parte di anime defunte, ma spiegano certi casi di squilibrio mentale e fisico in termini di possessione da parte dei demoni, certi accompagnamenti psicofisici di stati mistici o premistici in termini di possessione da parte di qualche ente divino. Non vi niente di contraddittorio, per quanto possa giudicare io, nell'idea di possessione. La nozione non da scartare a priori sulla base di resto di antica superstizione. Essa dovrebbe essere trattata piuttosto come ipotesi valida, da intrattenere con prudenza in ogni caso in cui altre forme di spiegazione si siano dimostrate inadeguate ai fatti. In pratica gli esorcisti moderni sembrano d'accordo sul fatto che molti casi di sospettata possessione siano dovuti in effetti ad isterismo e possano essere meglio trattati con i correnti metodi psichiatrici.

In qualche caso, tuttavia, essi trovano prove di qualche cosa di pi dell'isterismo ed affermano che solo l'esorcismo e la eliminazione dello spirito possa provocare la guarigione. La possessione dell'organismo di un medium da parte dello spirito disincarnato, o "fattore psichico", di esseri umani defunti stata invocata per spiegare certi fenomeni, come scritture ed espressioni rivelatrici ai quali, altrimenti, sarebbe stato difficile dare un'attribuzione. Il primo caso di possessione del genere pu essere opportunamente studiato in "La personalit umana e la sua sopravvivenza alla morte corporale" di W. H. Myers; i pi recenti in "La personalit dell'uomo" di G. N. M. Tyrrell. Il professor Oesterreich, nel suo studio dell'argomento, ampiamente documentato (3), ha osservato che, mentre la fede nella possessione diabolica declin rapidamente durante il diciannovesimo secolo, la fede nella possessione da parte degli spiriti defunti divent, durante lo stesso periodo, molto pi comune. Cos i nevrotici che in un'epoca pi antica avrebbero attribuito la loro malattia ai demoni, furono propensi, dopo l'avvento delle sorelle Fox, a riversare la colpa sulle anime disincarnate dei cattivi, uomini e donne. Con i recenti progressi della tecnologia, la nozione di possessione ha assunto nuova forma. I pazienti nevrotici spesso lamentano di essere influenzati, contro la loro volont, da qualcosa come dei messaggi radio trasmessi dai nemici. Il "malvagio magnetismo animale" che ossession per tanti anni l'immaginazione della povera signora Eddy stato trasformato ora in "malvagia elettronica". Nel 1600 non vi era radio e la fede nella possessione degli spiriti disincarnati era pochissima. Burton cita l'opinione che i demoni siano semplicemente le anime dei morti malevoli, ma la cita solo per osservare che si tratta di un "principio assurdo". Per lui la possessione era un fatto, ed avveniva esclusivamente da parte di demoni. (Per Myers, due secoli e mezzo dopo, la possessione anche fu un fatto; ma esclusivamente da parte degli spiriti dei morti). Esistono i demoni? E se esistono, furono presenti nei corpi di soeur Jeanne e delle sue compagne? Come per la nozione di possessione, non vedo niente di intrinsecamente assurdo o contraddittorio nella nozione che vi possano essere spiriti non umani, buoni, cattivi o indifferenti. Niente ci costringe a credere che le sole intelligenze dell'universo siano quelle connesse ai corpi degli esseri umani e degli animali inferiori.

Se accettiamo le testimonianze di chiaroveggenza, telepatia e previsione (e diventa sempre pi difficile negarle), allora dobbiamo ammettere che vi sono processi mentali ampiamente indipendenti da spazio, tempo e materia. E in tal caso, non vi sarebbe ragione di negare a priori che vi possano essere intelligenze non umane, completamente disincarnate, oppure associate con l'energia cosmica in qualche modo a noi ancora ignoto. (Incidentalmente, noi ignoriamo ancora la maniera in cui gli intelletti umani sono associati con quel vortice altamente organizzato di energia cosmica conosciuto come corpo. Che esista qualche associazione evidente; ma non abbiamo ancora alcun'idea di come l'energia si trasforma in processi mentali, e come i processi mentali influiscono sull'energia) (4).Nella religione cristiana i demoni, fino ad epoche molto recenti, hanno avuto una parte molto importante, e ci fin proprio dal principio. Infatti, come ha osservato fr. A. Lefvre, S. J. il diavolo non ha che una piccola parte nel Vecchio Testamento; il suo impero non ancora rivelato. Il Nuovo Testamento lo scopre come capo delle forze coalizzate del male (5). Nelle traduzioni correnti del Padre Nostro noi chiediamo di essere liberati dal male. Ma sicuro che "apo tou ponerou" neutro anzich maschile? Non implica la stessa struttura della preghiera, che la parola si riferisca ad una persona? Non ci indurre in tentazione, ma (al contrario) liberarci dal Maligno, dal Tentatore. In teoria e per definizione teologica il cristianesimo non manicheismo. Per i cristiani, il male non una sostanza, non un principio reale ed elementare. Esso meramente privazione di bene, diminuzione dell'essere nelle creature le quali ricevono la loro essenza da Dio. Satana non Ahriman sotto un altro nome, non un eterno principio di Oscurit al di sopra del principio divino di Luce. Satana semplicemente il pi notevole tra numerosi angeli individuali che, ad un dato momento del tempo, decide di separarsi da Dio. E' solo per cortesia che noi lo chiamiamo IL Maligno. Vi sono molti maligni, di cui Satana il capo esecutivo. I demoni sono persone, e ciascuno ha il suo carattere, il suo temperamento, i suoi capricci, le sue manie ed idiosincrasie. Vi sono demoni ambiziosi, demoni lussuriosi, demoni avidi, demoni orgogliosi e presuntuosi.

Inoltre alcuni demoni sono molto pi importanti degli altri; poich essi conservano, anche all'inferno, le posizioni che occupavano nella gerarchia celeste prima della colpa. Quelli che in Paradiso erano soltanto angeli o arcangeli sono demoni inferiori di poca importanza. Quelli che erano una volta Principati e Dominazioni costituiscono ora la "haute bourgeoisie" dell'inferno. Gli ex cherubini e serafini sono l'aristocrazia con poteri grandissimi e possono far sentire la loro presenza fisica (secondo l'informazione fornita a padre Surin da Asmodeo) entro un circolo dal diametro di trenta leghe. Almeno un teologo del diciassettesimo secolo, il padre Ludovico Sinistrari, sostenne che gli esseri umani potevano essere invasati, o per lo meno ossessionati, non soltanto dai demoni, ma anche, e pi frequentemente, da entit spirituali non malvagie: i fauni, le ninfe e i satiri degli antichi, i folletti dei contadini europei, gli spiriti dei moderni ricercatori psichici (6). Secondo Sinistrari, molti incubi e succubi erano fenomeni meramente naturali n peggiori n migliori dei ranuncoli, diciamo, o delle cavallette. A Loudun sfortunatamente questa gentile teoria non fu mai avanzata. Le fantasie pazzamente libidinose delle monache furono tutte attribuite a Satana e ai suoi messaggeri. I teologi, ripeto, si sono attentamente guardati contro il dualismo manicheistico; ma in tutti i tempi, fin troppi cristiani si sono comportati come se il diavolo fosse un principio primo sullo stesso piano di Dio. Essi si sono interessati pi del male e del problema di come sradicarlo anzich del bene e dei metodi con i quali la bont individuale pu essere inculcata, e la somma della bont incrementata. Gli effetti che derivano da una troppo costante ed intensa concentrazione sul male sono sempre disastrosi. Coloro che combattono, non PER Dio in se stessi, ma CONTRO il diavolo negli altri, non riescono mai a migliorare il mondo, ma o lo lasciano com'era, o qualche volta anche leggermente peggiore di com'era, prima che cominciasse la crociata. Pensando principalmente al male noi tendiamo, per quanto eccellenti siano le nostre intenzioni, a creare occasioni perch il male si manifesti. Sebbene spesso manicheistico in pratica, il cristianesimo non fu mai manicheistico nei suoi dogmi. In questo senso esso differisce dalle nostre moderne idolatrie di comunismo e nazionalismo, che sono manicheistiche non solo nell'azione, ma anche nella fede e nella teoria.

Oggi dovunque evidente che noi siamo dalla parte della Luce, essi dalla parte dell'Oscurit. Ed essendo dalla parte dell'Oscurit, essi meritano di essere puniti e devono essere liquidati (poich la nostra divinit giustifica qualunque cosa) con i pi diabolici mezzi a nostra disposizione. Adorando idolatricamente noi stessi come Ormuzd, e considerando gli altri come Ahriman, il principe del male, noi del ventesimo secolo facciamo del nostro meglio per garantire il trionfo della stregoneria nella nostra epoca. E in uno stadio molto iniziale, questo fu precisamente ci che fecero gli esorcisti a Loudun. Identificando idolatricamente Dio con gli interessi politici della loro setta, concentrando i loro pensieri e i loro sforzi sulla potenza del male, essi fecero del loro meglio per garantire il trionfo (locale, fortunatamente, e temporaneo) di quel Satana contro cui si supponeva che lottassero. Agli effetti della nostra narrazione non necessario n affermare n negare l'esistenza di intelligenze non umane capaci di possedere i corpi degli uomini e delle donne. L'unica domanda che ci dobbiamo porre questa: ammessa l'esistenza di tali intelligenze, vi alcuna ragione di credere che esse fossero responsabili di ci che accadde alle orsoline di Loudun? Gli storici cattolici moderni concordano unanimemente sull'innocenza di Grandier circa il delitto per cui fu processato e condannato; ma alcuni di loro - citati dall'abb Bremond nella sua "Histoire littraire du sentiment religieux en France" sono ancora convinti che le monache furono vittime di una genuina possessione. Che si possa essere di tale opinione dopo aver letto i notevoli documenti, e con una conoscenza anche minima della psicologia dell'anormale, confesso di non riuscire a comprendere. Non vi niente nel comportamento delle monache che non possa essere ritrovato nei molti casi di isterismo registrati e curati con successo, dagli psichiatri moderni. E non vi sono prove che le monache manifestassero qualcuno dei poteri paranormali i quali, secondo le dottrine della Chiesa Cattolica, sono i segni distintivi di un genuino invasamento diabolico. Come si pu riconoscere la vera possessione dalla frode o dai sintomi di malattia? La Chiesa prescrive quattro prove: la prova del linguaggio, la prova della forza fisica preternaturale, la prova della levitazione e la prova della chiaroveggenza e previsione. Se una persona pu all'occasione comprendere, o meglio ancora, parlare una lingua che, in condizioni normali, ignora completamente; se pu

manifestare il miracolo fisico della levitazione o compiere eccezionali imprese di forza; e se pu correttamente predire il futuro o descrivere avvenimenti che si verificano a distanza; allora si pu presumere che questa persona sia posseduta dai demoni. (Alternativamente, si pu presumere che egli o ella riceva il dono di grazie straordinarie; poich in molti casi i miracoli divini ed infernali sono, sfortunatamente, identici. La levitazione nelle estasi dei santi si distingue dalla levitazione delle estasi demoniache solo in virt degli antecedenti e delle conseguenze morali dell'avvenimento. Questi antecedenti e queste conseguenze morali sono spesso difficili da valutare e qualche volta accaduto che anche le persone pi sante siano state sospettate di produrre i loro fenomeni E.S.P. e gli effetti P.K. (7) con mezzi diabolici).Questi sono i criteri di possessione diabolica ufficiali e consentiti in quell'epoca. A noi, questi fenomeni E.S.P. e P.K. provano soltanto che la vecchia nozione di un'anima completamente impermeabile non regge. Al di sotto e al di l dell'io cosciente vi sono vaste zone di attivit subcosciente, alcune peggiori dell'io ed altre migliori. Alcune pi stupide ed altre, in un certo senso, molto pi intelligenti. Ai margini quest'io subcosciente si sovrappone e si mescola col non-io, con il mezzo psichico in cui affondano tutti gli io e attraverso il quale possono comunicare direttamente l'uno con l'altro e con l'intelletto cosmico. E in qualche punto di questi piani subconsci le menti individuali prendono contatto con l'energia, e prendono contatto non solo nel proprio corpo, ma anche (se si pu credere alla testimonianza aneddotica e statistica) fuori del proprio corpo. L'antica psicologia, come abbiamo visto, era costretta dalle proprie definizioni dogmatiche a ignorare l'attivit mentale subcosciente; per considerare i fatti osservati, dovette ammettere il diavolo. Per il momento, poniamoci nella posizione intellettuale degli esorcisti e dei loro contemporanei. Accettando come valido il criterio della Chiesa sull'invasamento, esaminiamo le prove in base alle quali le monache furono dichiarate indemoniate ed il parroco uno stregone. Cominceremo con la prova che, per essere di pi facile applicazione, fu in pratica la pi frequentemente applicata: la prova del linguaggio. Per tutti i cristiani dell'antichit "il dono delle lingue" era una grazia straordinaria, uno dono gratuito dello Spirito Santo.

Ma era anche (tale la natura stranamente equivoca dell'universo) un sintomo certo di possessione da parte dei diavoli. Nella grande maggioranza dei casi, la glossolalia non consiste nel parlare in maniera chiara ed evidente una certa lingua fin'allora sconosciuta. Essa consiste in un borbottio pi o meno articolato e sistematico, che presenta una certa somiglianza con alcune forme di discorso tradizionale e conseguentemente interpretabile, da ascoltatori di buona volont, come espressione alquanto oscura di una lingua a loro familiare. Nei casi in cui individui in istato di "trance" hanno dimostrato una conoscenza inequivocabile di una lingua che coscientemente ignoravano, l'indagine ha generalmente rivelato che essi avevano parlato quella lingua durante l'infanzia dimenticandola successivamente, oppure che l'avevano sentita parlare e, senza comprendere il significato delle parole, si erano inconsciamente familiarizzati con il loro suono. Per il resto, secondo F.W.H. Myers, vi sono poche prove dell'acquisizione - a parte la telepatia di qualsiasi massa effettiva di nuova conoscenza, come un'altra lingua, o uno stadio di conoscenza matematica mai raggiunto prima. Alla luce di ci che sappiamo, attraverso la sistematica ricerca psichica, del "trance" medianico e della scrittura automatica, sembra dubbio che le pretese indemoniate superassero mai la prova del linguaggio in maniera completamente esauriente e decisiva. E' certo invece che i casi registrati di insuccesso completo sono numerosissimi, mentre i successi registrati sono quasi sempre parziali e non molto convincenti. Alcuni ricercatori ecclesiastici applicarono la prova del linguaggio in maniera molto ingegnosa ed efficace. Nel 1598, per esempio, Marthe Brossier fece molto parlare di s presentando i sintomi della possessione. Uno di questi sintomi - un sintomo del tutto tradizionale ed ortodosso consisteva nell'andare in convulsioni ogni volta che su di lei veniva letto un esorcismo o una preghiera. (I demoni odiano Dio e la Chiesa; di conseguenza essi tendono ad andare in collera ogni volta che sentono parole sacre della Bibbia o dei libri di preghiere.) Per provare se Marthe avesse una conoscenza paranormale del latino, il vescovo di Orlans apr il suo Petronio e inton solennemente la storia non troppo edificante della matrona di Efeso. L'effetto fu magico. Non era stata ancora completata la prima frase sonora che Marthe si rotolava sul pavimento, imprecando contro il vescovo per ci che le faceva soffrire leggendo il Sacro Testo.

E' degno di nota che, lungi dal mettere fine alla carriera di Marthe come indemoniata, questo incidente l'aiut efficacemente a raggiungere nuovi trionfi. Fuggendo il vescovo, ella si mise sotto la protezione dei cappuccini, i quali dichiararono che ella era stata ingiustamente perseguitata e se ne servirono per attirare enormi folle ai loro esorcismi. Il testo di Petronio non fu mai applicato, per quanto mi risulta, alle orsoline di Loudun. La prova che pi si avvicin a questa fu fatta da un nobile visitatore il quale porse all'esorcista una scatola in cui, cos egli bisbigli, erano conservate reliquie di straordinario carattere sacro. La scatola fu applicata sulla testa di una delle monache, la quale manifest immediatamente tutti i sintomi di un dolore intenso e lanci un urlo. Molto soddisfatto il buon frate restitu la scatola al suo proprietario il quale l'apr e spieg che, ad eccezione di qualche pagliuzza bruciata, essa era completamente vuota. Ah, signore esclam l'esorcista che specie di tiro mi avete giocato? Reverendo padre rispose il gentiluomo che specie di tiro ci state giocando? A Loudun, semplici prove di lingua venivano spessissimo tentate, ma sempre senza successo. Ecco il resoconto di un incidente che de Nion, il quale credeva fermamente nella realt dell'invasamento delle monache, consider convincentemente miracoloso. Parlando in greco, il vescovo di Nmes ordina a suor Claire di portargli il suo rosario e recitare un'"Ave Maria". Suor Claire risponde col portare prima uno spillo e poi alcuni semi di anice. Sollecitata a obbedire, ella dice Vedo che volete qualche altra cosa e alla fine porta il rosario e si offre di recitare un'"Ave". In molti casi il miracolo era ancora meno sorprendente. Tutte le monache che non conoscevano il latino erano invasate da diavoli che anche essi non conoscevano il latino. Per giustificare questo fatto strano, uno degli esorcisti francescani spieg in un sermone che vi sono diavoli ignoranti e vi sono quelli istruiti. Gli unici diavoli istruiti a Loudun erano quelli che avevano invaso la priora. Ma anche i diavoli di Jeanne non erano un gran che istruiti. Ecco parte del "procs-verbal" dell'esorcismo eseguito alla presenza di m. de Cerisay il 24 novembre 1632.

Monsieur Barr eleva l'Ostia e chiede al diavolo "Quem adoras?" [Chi adori?] Risposta: "Jesus Christus". Al che M. Daniel Drouyn, assessore al municipio, osserv a voce piuttosto alta, "Questo diavolo non vale molto". L'esorcista allora cambi la domanda in "Quis est iste quem adoras?" [Chi che tu adori?] Ella rispose, "Jesu Christe", A questo molte persone osservarono, "Che pessimo latino!" Ma l'esorcista ribatt che ella aveva detto "Adoro te, Jesu Christe". Dopo di che entr una piccola monaca ridendo rumorosamente e ripetendo, "Grandier, Grandier!". Poi entr la conversa Claire nitrendo come un cavallo. Povera Jeanne! Ella non aveva mai imparato tanto latino da comprendere tutte queste stupidaggini circa i nominativi e gli accusativi e i vocativi. "Jesus Christus, Jesu Christe" - ella aveva dato loro tutto ci che riusciva a ricordare, ed essi dicevano pure che era cattivo latino! M. de Cerisay, intanto, aveva dichiarato che avrebbe di buon grado creduto nella possibilit della possessione se la detta superiora avesse risposto categoricamente a due o tre delle sue domande. Ma quando le domande furono poste, non vi fu alcuna risposta. Abbattutasi di schianto sul pavimento, soeur Jeanne si era rifugiata in una convulsione. Il giorno successivo a questa cos poco convincente dimostrazione, Barr and da de Cerisay e protest che le sue azioni erano pure e scevre di passione o cattive intenzioni. Poggiandosi sul capo l'ostensorio, egli preg di essere confuso, se aveva agito scorrettamente o con suggestioni o persuasioni sulle monache in tutta questa faccenda. Quando ebbe finito si avanz il priore dei carmelitani e pronunzi proteste e invocazioni; anch'egli sollev sul capo l'ostensorio e preg che le maledizioni di Dathan e di Abiran si abbattessero su di lui, se aveva peccato o commesso errori in questa faccenda. Barr e il priore erano probabilmente tanto fanatici da ignorare sinceramente la natura delle proprie azioni, e fu senza dubbio con la coscienza pulita che giurarono queste enormi bestemmie. Il canonico Mignon, vediamo invece, ritenne pi saggio di non mettersi niente in testa e di non invocare i fulmini divini. Tra i turisti britannici di fama che visitarono Loudun durante gli anni dell'invasamento vi fu il giovane John Maitland, pi tardi duca di Lauderdale.

Il padre aveva raccontato a Maitland di una contadina scozzese per bocca della quale un demone aveva corretto il cattivo latino di un ministro presbiteriano, e il giovanotto per conseguenza era cresciuto con la fede a priori nell'invasamento. Nella speranza di confermare questa fede con l'osservazione diretta di indemoniati, Maitland intraprese due viaggi nel continente, uno a Antwerp, l'altro a Loudun. In entrambi i casi, ahim, rimase deluso. Ad Antwerp vidi solo delle grosse ragazze olandesi ascoltare pazientemente l'esorcismo e vomitare nella maniera pi abominevole. A Loudun l'ambiente era un po' pi vivace ma l'evidenza non era maggiore. Quando ebbi visto esorcizzare in maniera esauriente tre o quattro di loro nella cappella, e non riuscii ad udire altro che canzoni oscene cantate in francese da ragazze scostumate, cominciai a sospettare un "fourbe". Se ne lament con un gesuita il quale lod la sua "santa curiosit" nel venire a Loudun, e gli disse di andare quella sera alla chiesa parrocchiale, dove sarebbe stato ampiamente soddisfatto. Nella chiesa parrocchiale vidi moltissime persone in contemplazione ed una ragazza abbastanza bene addestrata ad eseguire trucchi, tuttavia niente di eccezionale in paragone a quanto ho visto fare agli acrobati e ai danzatori sul filo. Ritornai alla cappella delle monache, dove vidi i gesuiti ancora intenti al lavoro, a diversi altari, ed un povero cappuccino, il quale era oggetto di piet, perch era ossessionato da una malinconica fantasia che intorno al capo gli volassero demoni e applicava costantemente reliquie. Vidi la madre superiora esorcizzata e vidi la mano sulla quale mi volevano far credere che fossero scritti per miracolo i nomi Ges, Maria, Giuseppe (ma mi accorsi che erano impressi all'acquaforte); allora esaurii completamente la pazienza ed andai da un gesuita e gli dissi tutto ci che pensavo. Egli sostenne ancora l'effettiva possessione ed io chiesi, per prova, di parlare una lingua sconosciuta. Egli domand "Quale lingua?" Io gli dissi "Non lo dico, ma nessuno di tutti questi diavoli mi comprenderebbe". (Presumibilmente era al gaelico della sua Scozia natia che pensava Maitland.) Egli mi chiese se questa prova mi avrebbe convertito (perch aveva scoperto che non ero papista). Gli dissi che "Non si trattava di questo, n avrebbero potuto pervertirmi tutti i demoni dell'inferno; ma si trattava di stabilire se vi fosse effettiva

possessione e se qualcuno fosse riuscito a capirmi, lo avrei confessato per iscritto". La risposta fu "Questi diavoli non hanno viaggiato" e a ci risposi con una grande risata. Secondo il francescano, questi diavoli non erano istruiti; secondo il gesuita, non avevano mai viaggiato. Tali spiegazioni della loro incapacit a capire le lingue straniere sembravano piuttosto insoddisfacenti, e per aiutare coloro che non si sentivano di accettarle, le monache e gli esorcisti aggiunsero delle nuove e, come essi speravano, pi convincenti spiegazioni. Se i demoni non sapevano parlare greco o ebraico, era perch il patto che avevano stretto con Grandier includeva una speciale clausola secondo la quale in nessun caso essi avrebbero parlato greco o ebraico. E se ci non bastasse, allora vi era la spiegazione definitiva e cio che non era volont di Dio che questi diavoli avessero il dono delle lingue. "Deus non vult", oppure come sapeva dire soeur Jeanne nel suo latino approssimativo, "Deus non volo". Sul piano cosciente l'errore era senza dubbio attribuibile alla mera ignoranza. Ma in maniera oscura le nostre ignoranze sono spesso volontarie. Sul piano subliminale, quel "Deus non volo", quel "Io, Dio, non voglio" pu benissimo aver espresso i sentimenti di un io pi profondo di Jeanne. Sembra che le prove di chiaroveggenza siano state ugualmente negative come le prove del linguaggio. De Cerisay, per esempio, combin con Grandier che questi avrebbe trascorso la giornata in casa di uno dei suoi colleghi; poi and al convento e, nel corso dell'esorcismo, chiese alla superiora di dire dove, in quel momento, si trovasse il parroco. Senza esitare, soeur Jeanne risposte che egli si trovava nel grande vestibolo del castello con m. d'Armagnac. Un'altra volta uno dei diavoli di Jeanne afferm che aveva dovuto intraprendere un breve viaggio per Parigi allo scopo di scortare nelle regioni infernali l'anima di un "procureur du Parlement", recentemente defunto, di nome m. Proust. L'indagine rivel che non vi era mai stato un "procureur" di nome Proust e che nessun "procureur" era morto nel giorno indicato. Durante il processo di Grandier un altro diavolo della priora giur sui Sacramenti che i libri di magia di Grandier erano conservati nella casa di Madeleine de Brou. La casa fu perquisita.

Non vi erano libri di magia ma per lo meno Madeleine era stata bene spaventata, umiliata ed insultata, il che era tutto ci che interessava veramente la madre superiora. Nei suoi resoconti della possessione Surin ammette che le monache spesso non superarono le prove di E.S.P. ideate dai magistrati esaminatori, o congegnate ad edificazione e divertimento di turisti altolocati. In conseguenza di questi insuccessi molti membri del suo Ordine rifiutarono di credere che le monache soffrissero di qualcosa pi soprannaturale della malinconia e del "furor uterinus". Surin osserva che questi scettici tra i suoi colleghi non avevano mai visitato Loudun per pi di qualche giorno alla volta. Ma, come lo spirito di Dio, lo spirito del male soffia dove e quando gli piace. Per essere certi di vederlo soffiare, bisognava stare sul posto, giorno e notte, per mesi di seguito. Parlando come esorcista interno, Surin afferma che soeur Jeanne ripetutamente lesse i suoi pensieri prima che egli li esprimesse. Che un'isterica di grande sensibilit, come soeur Jeanne, avesse potuto vivere quasi tre anni nella pi stretta intimit con un direttore spirituale altamente sensibile, come padre Surin, senza sviluppare un certo grado di "rapport" telepatico con lui sarebbe infatti stato stupefacente. Il dottor Ehrenwald (8) ed altri hanno osservato che questa specie di "rapport" tra medico e paziente si stabilisce qualche volta nel corso del trattamento psicoanalitico. Il rapporto tra indemoniato ed esorcista probabilmente anche pi intimo di quello tra psichiatra e nevrotico. E in questo caso particolare, va ricordato, l'esorcista era ossessionato dagli stessi demoni che avevano invaso la sua penitente. Surin, quindi, era assolutamente convinto che la priora potesse, occasionalmente, leggere con successo i pensieri di coloro che la circondavano. Ma per definizione dogmatica chiunque potesse leggere i pensieri altrui era posseduto da un demonio, o alternativamente era oggetto di una grazia straordinaria. La nozione che la E.S.P. potesse essere una facolt naturale, latente in tutti gli intelletti e manifesta in alcuni, non sembra che sia entrata, per un solo istante, nella sua testa o nella testa dei suoi contemporanei o predecessori.

I fenomeni di telepatia e chiaroveggenza o non esistevano oppure erano opera di spiriti, che si poteva presumere, almeno che il lettore del pensiero non fosse manifestamente un santo, fossero demoni. Surin devi dalla rigida ortodossia solo in un punto: egli credette che i demoni potessero leggere nelle menti direttamente, laddove i pi autorevoli teologi erano dell'opinione che lo potessero fare solo indirettamente, per inferenza dai mutamenti corporali che accompagnano il pensiero. Nel "Malleus Maleficarum", viene asserito molto autorevolmente che i demoni non possono invadere la volont e la intelligenza, ma solo il corpo e quelle facolt mentali che sono pi strettamente associate al corpo. In molti casi i demoni non posseggono neppure tutto il corpo dell'indemoniato, ma soltanto una piccola parte di esso: un singolo organo, uno o due gruppi di muscoli o di ossa. Pillet de la Mesnardire, uno dei medici personali di Richelieu, ci ha lasciato un elenco di nomi e di luoghi di dimora di tutti i demoni che parteciparono alle possessioni di Loudun. Leviatano, egli ci dice, occup il centro della fronte della priora; Beherit si era stabilito nello stomaco; Balaam sotto la seconda costola destra; Isacaaron sotto l'ultima costola sinistra. Eazaz e Caron vivevano rispettivamente sotto il cuore e nel centro della fronte di suor Luisa di Ges, suor Agns de La Motte-Barac aveva Asmodeo sotto il cuore e Beherit nell'orifizio dello stomaco. Suor Claire de Sazilly ospitava sette demoni nel suo corpo: Zabulon nella fronte, Nephtali nel braccio destro; Sans Fin, alias Grandier delle Dominazioni, sotto la seconda costola destra; Elimi da una parte dello stomaco; il Nemico della Vergine nel collo; Verrine nella tempia sinistra e Concupiscenza dell'Ordine dei Cherubini, nella costola sinistra. Suor Serafica aveva una stregoneria nello stomaco, costituita da una goccia d'acqua custodita da Baruch o, in sua assenza, da Carreau. Suor Anne d'Escoubleau aveva una magica foglia di crespino nello stomaco affidata ad Elymi, il quale sorvegliava simultaneamente la damaschina purpurea nello stomaco di sua sorella. Tra le converse indemoniate Elizabeth Blanchard aveva un diavolo sotto ciascun'ascella, ed un altro di nome Carbone d'Impurit nella natica sinistra. Altri ancora erano alloggiati sotto l'ombelico, vicino al cuore e sotto il capezzolo sinistro. Quattro diavoli occupavano il corpo di Franoise Filatreau: Ginnillion nel cervello; Jabel, errante in ogni parte dell'organismo; Buffetison sotto l'ombelico; e Coda di Cane, dell'Ordine degli Arcangeli, nello stomaco.

Dalle numerose residenze nel corpo delle loro vittime, i diavoli si avventuravano, uno per volta, a lavorare sugli umori, le tendenze, i sensi e la fantasia. In tal modo potevano influenzare la mente, anche se erano incapaci di possederla. La volont libera e solo Dio pu intromettersi nell'intelligenza. Da ci conseguiva che una persona invasata non poteva leggere direttamente nella mente di un'altra. Se qualche volta sembrava che i diavoli avessero E.S.P., ci accadeva perch erano osservatori e intelligenti, e riuscivano quindi a dedurre i pensieri segreti di un uomo dal suo comportamento apparente. A Loudun possono essersi verificati fenomeni di E.S.P. (Surin almeno ne era convinto). Ma se essi si verificarono, si verificarono spontaneamente, e mai nelle situazioni sperimentali congegnate dai legali e dai medici investigatori. La Chiesa insegnava che i discepoli potevano essere costretti dall'esorcista ad eseguire i suoi ordini. Se, debitamente costretti, gli indemoniati, non dimostravano E.S.P. durante le prove sperimentali, allora se ne deduceva, secondo le regole del giuoco teologico e legale, che non erano invasati. Sfortunatamente per Grandier e, in effetti, per chiunque altro, il giuoco in questo caso non fu eseguito secondo le regole. Dai criteri mentali di invasamento passiamo ora a quelli fisici. Circa la levitazione, i demoni di soeur Jeanne avevano specificato fin dal principio delle procedure che nel loro patto con Grandier vi era un articolo che vietava in particolar modo ogni sollevamento soprannaturale. E comunque coloro che bramavano di vedere tali meraviglie dimostravano troppa curiosit, "nimia curiositas", una cosa che "Deus" decisamente "non volo". Eppure sebbene ella stessa non avesse mai confessato di essere stata levitata, alcuni suoi sostenitori affermarono fiduciosamente, con m. de Nion, che in diverse occasioni la madre superiora era stata sollevata da terra e sospesa in aria all'altezza di sessanta centimetri. De Nion era un uomo onesto e probabilmente credeva ci che disse. Il che dimostra come bisogna essere sempre estremamente prudenti nel credere ai credenti. Delle altre monache alcune furono meno prudenti della superiora. Al principio di maggio del 1634 il diavolo Eazas promise che avrebbe sollevato suor Luisa di Ges a novanta centimetri da terra.

Per non essere da meno, Cerbero offr di fare lo stesso per suor Caterina della Presentazione. Ahim, nessuna delle giovani dame riusc a sollevarsi in aria. Subito dopo, Beherit, che alloggiava nell'infossatura dello stomaco di suor Agns de la Motte-Barac, giur che avrebbe fatto volare lo zucchetto di Laubardemont sul tetto della cappella. Si riun una folla per vedere il miracolo. Il miracolo non si verific. Dopo di ci a tutte le richieste di levitazione si rispose con un cortese rifiuto. Le prove di forza preternaturale furono eseguite dal dottor Mark Duncan, il medico scozzese che fu direttore del collegio protestante di Saumur. Afferrando i polsi di una delle indemoniate, gli riusc facile impedirle che lo colpisse o che sfuggisse al suo controllo. Dopo questa umiliante manifestazione di diabolica debolezza, gli esorcisti si limitarono ad invitare gli increduli ad introdurre le dita nella bocca delle suore e vedere se il diavolo li avrebbe morsicati. Quando Duncan e gli altri declinarono l'invito, ci fu considerato dai benpensanti un riconoscimento della realt dell'invasamento. Da tutto ci deve essere chiaro che se, come sosteneva la Chiesa Cattolica, i fenomeni di E.S.P. e gli effetti di P.K. sono segni di possessione diabolica (o, alternativamente, sono grazie straordinarie), allora le orsoline di Loudun erano soltanto isteriche cadute nelle mani, non del maligno, non del Dio vivente, ma di una ciurma di esorcisti, tutti superstiziosi, tutti assetati di pubblicit, ed alcuni deliberatamente disonesti e coscientemente malevoli. In mancanza di qualsiasi prova di E.S.P. o P.K., gli esorcisti e i loro sostenitori furono costretti a ripiegare su argomenti ancora meno convincenti. Le monache, essi affermarono, debbono essere possedute dai demoni; infatti a che cosa si potrebbe attribuire diversamente la sfacciataggine delle loro azioni, l'oscenit e l'irreligiosit della loro conversazione? A quale scuola di libertini e di atei chiede padre Tranquille hanno imparato a vomitare simili bestemmie ed oscenit? E con una sfumatura di millanteria, de Nion ci assicura che le suore usavano espressioni cos oscene da far vergognare il pi pervertito degli uomini, mentre i loro atti, di esporsi e di invitare i presenti a un comportamento lascivo, avrebbero sorpreso i frequentatori del pi infimo bordello del paese (9). In quanto alle bestemmie e alle maledizioni, queste erano cos inaudite che non potevano essere venute in mente a esseri meramente umani.

Patetico, certamente, ma ingenuo! Ahim, non vi orrore che non possa presentarsi a mente umana. Sappiamo che cosa siamo dice Ofelia, ma non sappiamo che cosa possiamo essere. Praticamente tutti noi siamo capaci di tutto. E ci vero anche di persone che sono state allevate nell'esercizio della pi rigida morale. Quella che si chiama "induzione" non confinata ai piani inferiori del cervello e del sistema nervoso. Essa ha luogo anche nella corteccia, ed la base fisica di quell'ambivalenza del sentimento, caratteristica tanto impressionante della vita psicologica umana (10). Ogni positivo produce il negativo corrispondente. La vista di qualcosa di rosso seguita da una seconda immagine verde. I gruppi muscolari opposti, implicati in ogni azione, si spingono l'un l'altro in movimento. E su un piano superiore troviamo l'odio che accompagna l'amore, la derisione provocata dal rispetto e dal timore. Insomma, il processo induttivo attivo ubiquamente. A soeur Jeanne e alle sue compagne religione e castit erano state inculcate dall'infanzia. Questi insegnamenti avevano creato per induzione, nel cervello e nella mente associata, un centro psico-fisico il quale emanava insegnamenti contraddittori in irreligiosit e oscenit. (Ogni collezione di lettere spirituali abbonda di riferimenti a quelle spaventose tentazioni contro la fede e contro la castit, alle quali gli aspiranti alla perfezione sono particolarmente soggetti. I buoni direttori di anime osservano che tali tentazioni sono caratteristica normale e quasi inevitabile della vita spirituale e non bisogna permettere che provochino ingiuste preoccupazioni.) (11). In tempi ordinari questi pensieri e sentimenti negativi venivano repressi oppure, se si presentavano alla coscienza, con uno sforzo di volont, si negava loro ogni intromissione nel discorso o nell'azione. Indebolita dalla malattia psicosomatica, farneticante per le fantasie proibite e irrealizzabili alle quali si abbandonava, la priora perdette tutto il potere di controllo su questi indesiderabili risultati del processo induttivo. Il comportamento isterico infettivo, e il suo esempio fu seguito dalle altre monache. Ben presto tutto il convento fu un coro di insulti, di bestemmie e discorsi osceni.

Per amore di una pubblicit che si riteneva fosse buona per i rispettivi Ordini e per la Chiesa in genere, o con la deliberata intenzione di servirsi delle monache come strumenti per la distruzione di Grandier, gli esorcisti fecero del loro meglio per incoraggiare e incrementare lo scandalo. Le monache erano costrette ad eseguire in pubblico le loro bizzarrie, erano incoraggiate a bestemmiare per i visitatori di riguardo e stuzzicare gli spettatori con manifestazioni di estrema immodestia. Abbiamo gi visto che, al principio della malattia la priora non credeva di essere invasata. Fu soltanto dopo che il confessore e gli altri esorcisti le ebbero ripetutamente assicurato che era piena di diavoli che soeur Jeanne si convinse alla fine di essere indemoniata e che fosse suo dovere d'allora in poi, di comportarsi come tale. Da un opuscolo pubblicato nel 1634 apprendiamo che suor Agnese aveva spesso osservato, durante l'esorcismo, che non era invasata, ma che i frati avevano detto che lo era e l'avevano costretta a sottoporsi all'esorcismo. E il precedente ventisei giugno, avendo l'esorcista lasciato cadere per errore dello zolfo scottante sulle labbra di suor Claire, la povera ragazza scoppi in lagrime, dicendo che "Poich le avevano detto che era invasata, era disposta a crederlo, ma che non meritava per questo di essere trattata in quel modo". L'opera cominciata spontaneamente per isterismo fu completata dalle suggestioni di Mignon, di Barr, di Tranquille e degli altri. Tutto ci fu chiaramente compreso allora. Ammesso che non vi sia truffa nell'affare scrisse l'autore dell'anonimo opuscolo sopra citato ne consegue che le monache siano invasate? Non pu essere che, nella loro immaginazione esaltata e falsa, esse credano di essere invasate, quando in effetti non lo sono?. Ci, continua il nostro autore, pu accadere alle monache in tre modi. Prima, come conseguenza di digiuni, veglie e meditazioni sull'inferno e su Satana. Secondo, in conseguenza di qualche osservazione fatta dal confessore: qualche cosa che faccia loro pensare che sono tentate dai demoni. E terzo, il confessore, vedendole agire eccentricamente, pu immaginare nella sua ignoranza che esse sono invasate o stregate, e pu in seguito persuaderle del fatto con l'influenza che esercita sulle loro menti. Nel caso attuale la falsa credenza nella possessione fu dovuta alla terza di queste cause. Come gli avvelenamenti di mercurio e di antimonio dei tempi antichi, come l'avvelenamento di sulfamidici e le febbri da siero dei nostri giorni,

l'epidemia di Loudun fu una "malattia iatrogenica", prodotta e incoraggiata proprio dai medici che avrebbero dovuto guarire le pazienti. La colpa degli esorcisti sembra tanto pi grave quando si ricordi che le procedure usate furono in netto contrasto con le regole stabilite dalla Chiesa. Secondo queste regole, gli esorcismi dovevano essere compiuti in privato, non bisognava permettere ai diavoli di esprimere la loro opinione, non bisognava prestar loro fede, bisognava trattarli sempre con disprezzo. A Loudun le monache venivano mostrate a folle enormi, i loro diavoli erano incoraggiati a pronunziarsi su qualunque argomento, dal sesso alla transustanziazione, le loro dichiarazioni erano accettate come verit di Vangelo ed essi erano trattati come ospiti di riguardo in arrivo dall'altro mondo, le cui espressioni erano quasi altrettanto autorevoli quanto quelle della Bibbia. Se bestemmiavano e parlavano un linguaggio triviale, ebbene, era questa la loro maniera di fare. E comunque trivialit e bestemmie costituivano un'attrattiva. I fedeli le assaggiavano e ritornavano a migliaia, per gustarle meglio. La bestemmia soprannaturale pi della trivialit umana, e se queste non erano prove sufficienti di possessione diabolica, che dire delle contorsioni delle monache, delle loro imprese nel campo acrobatico? La levitazione era stata frettolosamente eliminata; ma se le suore non si sollevarono mai in aria, per lo meno esse eseguirono sul pavimento i numeri pi straordinari. Qualche volta, dice de Nion esse facevano arrivare il piede destro al disopra della spalla fino alla guancia. Esse facevano arrivare anche i piedi sulla testa, finch gli alluci toccassero il naso. Altre ancora riuscivano ad allargare tanto le gambe a sinistra e destra, da sedersi per terra, senza che fosse visibile spazio alcuno tra il corpo e il pavimento. Una, la madre superiora, allarg le gambe in misura cos estesa, che la distanza tra alluce ed alluce, era di due metri, sebbene ella stessa non era alta che un metro e trenta. Leggendo simili resoconti sugli spettacoli delle monache, si costretti a concludere che, oltre che "naturaliter christiana", l'anima femminile sia "naturaliter tambur-maggioretta". Per quanto riguarda l'eterno femminino, il gusto dell'acrobazia e dell'esibizionismo sembrerebbe bloccato, in attesa solo di un'opportunit favorevole per manifestarsi in salti mortali e capriole.

Nel caso dei contemplativi di clausura, queste opportunit non capitano di frequente. Ci vollero sette diavoli ed il canonico Mignon per creare le circostanze in cui a lungo andare fu possibile a soeur Jeanne fare la piroetta. Che le monache trovassero una profonda soddisfazione in questa ginnastica provato dall'affermazione di de Nion che, sebbene per mesi di seguito esse erano tormentate dai demoni due volte al giorno la loro salute non soffr affatto. Al contrario quelle che erano piuttosto delicate sembravano pi sane anzich prima dell'invasamento. Alle latenti tambur-maggiorette, alle ballerine da cabaret "in posse" era stato permesso di salire alla superficie e, per la prima volta, queste povere ragazze senza vocazione alla preghiera erano veramente felici. Ahim, la loro felicit non era completa. Esse avevano i loro intervalli lucidi. Erano consapevoli, di tanto in tanto, di ci che veniva fatto loro, di ci che esse stesse stavano facendo al disgraziato che tutte freneticamente avevano immaginato di amare. Abbiamo visto che, in data 26 giugno, suor Claire si era lamentata della maniera in cui gli esorcisti la trattavano. Il 3 luglio, nella cappella del castello, ella scoppi improvvisamente in lagrime e, tra i singhiozzi, dichiar che tutto quanto aveva detto di Grandier durante le settimane precedenti era un tessuto di bugie e di calunnie, e che ella aveva agito completamente dietro ordini di padre Lactance, del canonico Mignon e dei carmelitani. Quattro giorni dopo, in una crisi ancora pi violenta di rimorso e di ribellione, ella cerc di fuggire, ma fu presa mentre usciva dalla chiesa e riportata, piangente e recalcitrante, ai buoni padri. Incoraggiata dal suo esempio, suor Agnese (quel "beau petit diable", che Killigrew doveva vedere pi di un anno dopo, ancora strisciare ai piedi del suo cappuccino) si rivolse agli spettatori, che erano venuti per vederla mostrare quelle gambe ora familiari, chiedendo con le lagrime agli occhi di essere liberata dalla terribile prigionia tra gli esorcisti. Ma gli esorcisti ebbero sempre l'ultima parola. Le suppliche di suor Agnese, il tentativo di fuga di suor Claire, le sue ritrattazioni e le crisi di coscienza, erano tutta opera, naturalmente, del signore e protettore di Grandier, il diavolo. Se una monaca ritirava ci che aveva detto contro il parroco, questa era una prova positiva che Satana parlava per bocca sua e che quanto ella aveva affermato originariamente era indubitabile verit.

Fu nel caso della priora che questo argomento venne usato con la maggiore efficacia. Uno dei giudici scrisse un breve riassunto dei capi d'accusa per i quali Grandier fu condannato. Nel sesto paragrafo di questo documento leggiamo quanto segue. Di tutti gli accidenti da cui erano tormentate le suore, nessuno sembra pi strano di quello capitato alla madre superiora. Il giorno dopo che ebbe testimoniato, mentre m. de Laubardemont raccoglieva la deposizione di un'altra monaca, la priora apparve nel cortile del convento, vestita solo della camicia, e rimase l per la durata di due ore, sotto la pioggia scrosciante, a testa nuda, una corda intorno al collo, una candela in mano. Quando la porta del parlatorio fu aperta, ella si precipit avanti, cadde in ginocchio davanti a m. de Laubardemont e dichiar che era venuta per fare ammenda della colpa commessa di accusare l'innocente Grandier. Dopo di che, essendosi ritirata, ella fiss la corda ad un albero del giardino e si sarebbe impiccata se le altre suore non fossero corse a liberarla. Un altro uomo avrebbe potuto supporre che la priora avesse detto un cumulo di bugie e soffrisse le ben meritate torture del rimorso. Non cos m. de Laubardemont. Per lui era chiaro che questa parata di contrizione era stata inscenata da Balaam o da Leviatano, imposta per di pi dai sortilegi di uno stregone. Lungi dal discolpare il parroco, la confessione e il tentato suicidio di soeur Jeanne rafforzarono pi che mai la certezza che egli fosse colpevole. Non fu un bene. Dalla prigione che si erano costruita - la prigione di fantasie oscene ora oggettivate come fatti, di deliberate bugie ora trattate come verit rivelate le monache non sarebbero mai state capaci di fuggire. Il cardinale si era spinto troppo lontano per poter loro permettere di pentirsi. E avrebbero potuto permettersi esse di persistere nel pentimento? Ritrattando ci che avevano detto circa Grandier si sarebbero condannate, non soltanto in questo mondo ma anche nell'altro. Ripensandoci, decisero tutte di credere agli esorcisti. I buoni padri assicurarono loro che quanto esse avevano provato in maniera cos spaventosa come rimorso era solo illusione diabolica; che quanto appariva retrospettivamente come la pi mostruosa delle bugie era in effetti verit, e verit cos completa, cos cattolica, che la Chiesa era pronta a garantirne sia l'ortodossia che la corrispondenza con i fatti.

Esse ascoltarono, e si lasciarono persuadere. E quando divent impossibile continuare a fingere di credere questa abominevole assurdit, si rifugiarono nel delirio. Orizzontalmente, sul piano della realt quotidiana non vi era via d'uscita dalla prigione. E in quanto all'autotrascendenza ascensionale, era fuori questione, in mezzo a tutta questa diabolica preoccupazione dei diavoli, di elevare l'anima a Dio. Ma verso il basso la strada era ancora spalancata. Ed esse scesero sempre pi in basso, qualche volta volontariamente, in uno sforzo disperato di sfuggire alla conoscenza della loro colpa ed umiliazione; qualche volta, quando la loro follia e le suggestioni degli esorcisti erano troppo forti, contro la propria volont e nonostante se stesse. In basso nelle convulsioni in basso nel bestiale squallore della rabbia maniaca. In basso molto in basso, sotto il piano della personalit, in quel mondo subumano, nel quale sembrava naturale ad un'aristocratica esibirsi per il divertimento della plebaglia, ad una monaca bestemmiare ed assumere atteggiamenti indecenti e gridare parole irripetibili. E allora in basso, ancora di pi, in basso nello stupore, in basso nella catalessi, in basso nella beatitudine finale della completa incoscienza, dell'oblio assoluto e totale.

NOTE. N. 1: Esaurienti ed accurati resoconti circa il trattamento psichiatrico e i suoi risultati esistono dalla seconda met del diciottesimo secolo in poi. Uno psicologo di fama che ha studiato questi documenti mi dice che essi sembrano tutti puntare ad un'unica conclusione significativa; cio che negli squilibri mentali la proporzione delle guarigioni rimasta, per circa duecento anni, notevolmente costante, qualunque fosse la natura dei metodi psichiatrici impiegati. La percentuale di guarigioni dichiarata dai moderni psicoanalisti non pi alta della percentuale di guarigioni dichiarata dagli alienisti del 1800. Furono gli alienisti del 1600 altrettanto bravi come i loro successori di due e tre secoli dopo? Non si pu rispondere con sicurezza; ma io supporrei di no. Nel diciassettesimo secolo i malati di mente erano trattati con costante inumanit che spesso deve aver aggravato il male.

Avremo occasione, in un prossimo capitolo, di tornare su questo argomento. N. 2: Paracelso, "Scritti Scelti", New York 1951, pagina 318. N. 3: T. K. Oesterreich, "Les possds", tradotto da Ren Sudre, Parigi 1927. N. 4: Consultare in questo contesto le Conferenze di Sir Charles Sherrington pubblicate nel 1941 con il titolo di "L'Uomo nella sua Natura". N. 5: In "Satana", un volume degli Studi Carmelitani (1948). N. 6: Vedi L. Sinistrari: "Demoniality", Parigi 1879. N. 7: E.S.P. = Percezione extra sensoria; P.K. = Psicocinesi. N. 8: Vedi Jan Ehrenwald, M. D., "Telepaty and Mental Psiche copy", New York, 1948. N. 9: Quando l'esorcista ordin a suor Claire (come prova di E.S.P.) di ubbidire a un ordine, bisbigliato segretamente da uno degli spettatori a un altro, ella and in convulsioni e si rotol sul pavimento relevant jupes et chemises, montrant ses parties les plus secrtes sans honte, et se servant de mots lascifs. Ses gestes devinrent si grossiers que les tmoins se cachaient la figure. Elle rptait, en s'... des mains, Venez donc, foutez moi. [* alzando gonne e camicie, mostrando le sue parti pi intime, senza vergogna, e usando parole lascive. I suoi gesti divennero cos volgari che i testimoni si nascondevano il viso. Ella ripeteva mentre si ... con le mani, Venite, dunque, scopatemi.] In un'altra occasione la stessa Claire de Sazilly se trouva si forte tente de coucher avec son grand ami, qu'elle disait tre Grandier, qu'un jour s'tant approche pour recevoir la Sainte Communion, elle se leva soudain et monta dans sa chambre, o, ayant t suivie par quelqu'une des soeurs, elle fut vue avec un Crucifix dans la main, dont elle se prparait... L'honntet (aggiunge Aubin) ne permet pas d'crire les ordures de cet endroit. [* si ritrov cos fortemente tentata di andare a letto col suo grande amico, che essendosi un giorno avvicinata per ricevere la Santa Comunione, si alz improvvisamente e sal in camera sua, dove, seguita da qualcuna delle suore, venne vista con un crocifisso in mano, con cui si preparava... L'onest mi impedisce di scrivere dell'immondizia di quel luogo.] N. 10: Vedi sopra, pagina 299 e Ischlondskf, "Brain and Behaviour", Londra 1949. N. 11: In una lettera del 26 gennaio 1923, cos scrive Dom John Chapman: Nei secoli diciassettesimo e diciottesimo molte anime pie sembra abbiano attraversato un periodo in cui si sentivano sicure che Dio le avesse abbandonate...

Ci non sembra accada oggigiorno. Ma la "corrispondente prova" dei nostri contemporanei sembra essere la "sensazione di non credere affatto"; non tentazione contro alcun oggetto particolare (in genere) ma la mera sensazione che la religione non sia vera... L'unico rimedio "disprezzare" tutta la cosa e non farci caso salvo (naturalmente) assicurare nostro Signore che si pronti a sopportarla finch Egli lo desideri, il che sembra un assurdo paradosso da dire a una persona nella quale non si crede.

Capitolo 8

Debitamente costretto, il diavolo obbligato a dire la verit. Data questa premessa principale, non vi era letteralmente niente che non si potesse far seguire. Cos, a m. de Laubardemont gli ugonotti erano antipatici. Diciassette orsoline indemoniate furono pronte a giurare sul Santissimo Sacramento che gli ugonotti erano amici di Satana e suoi fedeli servitori. Stando cos le cose, il commissario si sent pienamente giustificato nell'ignorare l'Editto di Nantes. I calvinisti di Loudun furono privati del loro cimitero. Che seppellissero altrove le carcasse dei loro morti. Poi venne il turno del collegio protestante. Gli spaziosi fabbricati della scuola furono confiscati e ceduti alle orsoline. Il convento non poteva contenere le folle di devoti spettatori che affluivano in citt. Ora finalmente le buone suore potevano essere esorcizzate con tutta la pubblicit che meritavano e senza essere obbligate a trascinarsi con ogni tempo fino a Sainte-Croix o all'Eglise du Chteau. Non meno detestabili degli ugonotti erano quei cattivi cattolici che si rifiutavano ostinatamente di credere nella colpevolezza di Grandier, nella realt dell'invasamento e nell'assoluta ortodossia della nuova dottrina dei cappuccini. Lactance e Tranquille tuonavano contro di loro dal pulpito. Costoro, essi urlavano, non erano migliori degli eretici; il loro dubbio era peccato mortale ed essi erano praticamente gi dannati. Mesmin e Trincant, intanto, cominciarono ad accusare gli scettici di infedelt verso il re (ancora peggio) di cospirazione contro Sua Eminenza. E per bocca delle monache di Mignon e delle converse isteriche dei carmelitani, una schiera di diavoli annunzi che essi erano tutti stregoni che avevano trafficato con Satana. Da alcune indemoniate di m. Barr a Chinon fu sparsa la voce che anche l'irreprensibile "bailli", m. de Cerisay, si dilettava di arti magiche. Un'altra indemoniata denunzi due preti, i padri Buron e Frogier, per tentata violenza. Denunziata dalla priora, Madeleine de Brou fu accusata di stregoneria, arrestata ed imprigionata.

Grazie alla ricchezza e alle relazioni influenti, i suoi parenti riuscirono a farla rilasciare dietro cauzione. Ma terminato il processo di Grandier, Madeleine fu arrestata di nuovo. Un appello ai "Messieurs des Grands-Jours" (i giudici della Corte d'Appello peripatetica, che viaggiavano attraverso il regno per ispezionare gli scandali e gli errori della giustizia) provoc una ingiunzione contro Laubardemont. Il commissario replic con un'ingiunzione contro l'appellante. Fortunatamente per Madeleine, il cardinale non la consider abbastanza importante da giustificare una lite con il potere giudiziario. Laubardemont ebbe istruzioni di archiviare il caso e la priora dovette rinunziare al piacere della vendetta. In quanto alla povera Madeleine, fece ci che il suo amante le aveva sconsigliato di fare dopo la morte della madre: prese il velo e scomparve per sempre in un convento. Le accuse intanto, fioccavano senza tregua. Ora erano le debuttanti del luogo a fare le spese dell'attacco. Nella sua maniera vivace, suor Agnese dichiar che in nessun luogo al mondo vi era tanta impudicizia. Suor Claire fece i nomi e specific i peccati. Suor Luisa e soeur Jeanne aggiunsero che tutte le ragazze erano streghe in embrione, e l'azione finiva con i soliti atteggiamenti indecenti, il linguaggio osceno e le risa maniache. In altre occasioni gentiluomini rispettabili venivano accusati di aver partecipato al sabbato e baciato la coda del diavolo. Le mogli avevano fornicato con gli incubi, le sorelle avevano stregato i polli del vicino, le zie nubili avevano fatto in modo che un giovane virtuoso fosse impotente nella notte di nozze. E sempre, attraverso i minuscoli fori delle finestre murate, Grandier distribuiva magicamente il suo sperma: alle streghe come ricompensa, alle mogli e alle figlie dei cardinalisti nella malvagia speranza di portarle alla immeritata vergogna. Tutti questi perfidi deliri venivano registrati, parola per parola, da Laubardemont e dai suoi impiegati. Quelli che erano accusati dai demoni - quelli, in altri termini, che erano ostili al commissario e agli esorcisti - venivano convocati nell'ufficio di Laubardemont, venivano interrogati, spaventati, minacciati di procedimenti legali che avrebbero potuto costar loro la vita.

Un giorno di luglio, per suggerimento di Beherit, Laubardemont fece chiudere le porte di Sainte-Croix, bloccando all'interno un notevole gruppo di giovani donne. Le ragazze furono quindi perquisite dai cappuccini. Ma i patti con Satana che si supponeva portassero tutte sulla persona, non si rivelarono neppure alle ricerche pi scrupolose. Sebbene Beherit fosse stato debitamente costretto, per qualche strana ragione egli non aveva detto la verit. Ogni settimana cappuccini, frati minori e carmelitani urlavano e gesticolavano da tutti i pulpiti; gli scettici per non erano convinti, le proteste per l'iniquo indirizzo del processo contro Grandier diventavano pi energiche e pi insistenti. Rimatori anonimi facevano epigrammi sul commissario. Adattando parole nuove a vecchi motivi, gli uomini cantavano di lui in tono di derisione per le strade e nelle taverne. Con la complicit del buio, satire contro i buoni padri erano inchiodate sulle porte della chiesa. Interrogati, Coda di Cane e Leviatano indicarono come colpevoli un protestante ed alcuni scolaretti. Furono arrestati; ma non si riusc a provare niente contro di loro, e dovettero essere messi in libert. Ora fuori delle chiese erano appostate le sentinelle. L'unico risultato fu che i libelli venivano attaccati ad altre porte. Il 2 luglio l'esasperato commissario eman un proclama. D'allora in poi era espressamente proibito fare o dire qualunque cosa contro le monache o altre persone della detta Loudun, afflitte da spiriti maligni, o contro i loro esorcisti, o contro coloro che aiutavano gli esorcisti. Chiunque disobbedisse era passibile di multa per diecimila lire, oppure, se fosse necessario, di pene ancora pi gravi, finanziarie e corporali. Dopo di ci le critiche divennero pi caute; i demoni e gli esorcisti potettero dare sfogo alle calunnie senza rischio di contraddizione. Secondo l'anonimo autore di alcune contemporanee "Remarques et considrations pour la justification du cur de Loudun" Dio, che solo pu dire la verit, stato detronizzato ed il maligno siede al Suo posto, il quale non esprime che inganni e vanit; e questa vanit deve essere creduta come verit. Non significa ci resuscitare il paganesimo? La gente dice, inoltre, che molto opportuno che il diavolo nomini tanti maghi e stregoni, poich con questi mezzi essi verranno processati, i loro beni confiscati ed una parte sar data, se lo desidera, a Pierre Menuau, il quale, tuttavia, si pu contentare,

come anche suo cugino, il canonico Mignon, della morte del parroco e della rovina delle pi rispettabili famiglie della citt. Al principio di agosto padre Tranquille pubblic un breve trattato esponendo e giustificando la nuova dottrina: Debitamente costretto, il diavolo obbligato a dire la verit. Il libro ebbe l'approvazione del vescovo di Poitiers e fu accolto da Laubardemont come l'ultima parola in teologia ortodossa. Il dubbio non era pi permesso. Grandier era uno stregone ed altrettanto, in maniera minore, lo era m. de Cerisay, insolentemente onesto. Ad eccezione di quelle i cui genitori erano buoni cardinalisti, tutte le ragazze di Loudun erano sgualdrine e streghe. E met della popolazione cittadina era gi dannata per mancanza di fede nei demoni. Due giorni dopo la pubblicazione del libro di Tranquille, il "bailli" convoc una assemblea di notabili. Fu discussa la situazione di Loudun e fu deciso che de Cerisay e il suo sostituto Louis Chauvet, andassero a Parigi per chiedere al re protezione contro le arbitrarie azioni del suo commissario. Le sole voci dissenzienti furono quelle di Moussault, il pubblico ministero, Menuau e Herv, il "lieutenant criminel". Quando de Cerisay gli chiese se accettava la nuova dottrina e approvava ci che veniva fatto ai suoi concittadini in nome di Balaam, Coda di Cane e compagni, Herv rispose che il re, il cardinale e il vescovo di Poitiers credevano nell'invasamento, e ci, per lui, era sufficiente. Alle nostre orecchie ventesimo secolo, questo appello all'infallibilit dei capi politici suona notevolmente moderno. Il giorno dopo de Cerisay e Chauvet si diressero verso Parigi. Essi erano latori di una petizione in cui le giuste doglianze e preoccupazioni del popolo di Loudun erano chiaramente esposte. I procedimenti di Laubardemont erano severamente biasimati e la nuova dottrina dei cappuccini era presentata come contraria all'espressa proibizione della legge di Dio e in opposizione all'autorit dei padri della Chiesa, di san Tommaso e di tutta la facolt della Sorbona, che aveva formalmente condannato una simile dottrina nel 1625. In vista di tutto ci i petenti chiedevano a Sua Maest di ordinare alla Sorbona di esaminare il libro di Tranquille e inoltre domandavano che tutti coloro i quali erano stati diffamati dai demoni e dagli esorcisti fossero autorizzati ad appellarsi al Parlamento di Parigi che il giudice naturale in queste cose.

A corte i due magistrati cercarono Jean d'Armagnac, il quale immediatamente si rec dal re e chiese di riceverli. La risposta fu uno sgarbato rifiuto. De Cerisay e Chauvet lasciarono la petizione al segretario privato del re (che era creatura del cardinale e nemico dichiarato di Loudun), quindi presero la via del ritorno. Durante la loro assenza Laubardemont aveva emanato un altro proclama. Adesso era proibito, sotto pena di multa per ventimila lire, di tenere qualsiasi riunione pubblica. Dopo di che i nemici del diavolo non dettero pi fastidio. Le indagini preliminari erano state completate; era ora finalmente del processo. Laubardemont aveva sperato di reclutare almeno qualcuno dei giudici fra i principali magistrati di Loudun. Fu deluso. De Cerisay, de Bourgneuf, Charles Chauvet e Louis Chauvet, tutti si rifiutarono di essere parte in causa in un assassinio giudiziario. Il commissario prov con le lusinghe poi quando queste fallirono, accenn oscuramente alle conseguenze del dispiacere di Sua Eminenza. Invano. I quattro uomini di legge resistettero energicamente. Laubardemont fu costretto a cercare lontano: a Chinon e a Chatelleraut, a Poitiers ed a Tours e a Orlans, a La Flche e a Saint-Maixent e a Beaufort. Alla fine ebbe una giuria di tredici compiacenti magistrati e, dopo qualche complicazione con un avvocato eccessivamente scrupoloso di nome Pierre Fournier, il quale si rifiut di fare il giuoco del cardinale, un pubblico ministero di sicura fiducia. Alla met della seconda settimana di agosto tutto fu pronto. Dopo aver ascoltato la Messa e aver ricevuto la Comunione, i giudici si riunirono nel convento dei carmelitani e cominciarono ad ascoltare le testimonianze accumulate da Laubardemont durante i mesi precedenti. Il vescovo di Poitiers aveva formalmente garantito la genuinit dell'invasamento. Ci significava che veri diavoli avevano parlato per bocca delle orsoline, e questi veri diavoli avevano giurato pi e pi volte che Grandier era uno stregone. Ma debitamente costretto, il diavolo obbligato a dire la verit!. Quindi... Q.E.D.

La condanna di Grandier era cos certa, e la certezza cos notoria, che i turisti affluivano gi a Loudun per l'esecuzione. Durante quegli afosi giorni d'agosto trentamila persone - pi del doppio della popolazione normale della citt - si contendevano i letti, i pasti e le tribune dalle quali assistere al rogo. Noi troviamo molto difficile credere che avremmo mai potuto divertirci allo spettacolo di una esecuzione pubblica. Ma prima di congratularci con noi stessi per i nostri migliori sentimenti, ricordiamo che non ci mai stato permesso di vedere un'esecuzione e, in secondo luogo, che quando le esecuzioni erano pubbliche, una impiccagione sembrava altrettanto attraente quanto uno spettacolo di marionette, mentre un rogo era l'equivalente di un festival a Bayreuth o di una rappresentazione della Passione a Oberammergau: un grande avvenimento per cui valeva la pena di fare un lungo e dispendioso pellegrinaggio. Quando le pubbliche esecuzioni furono abolite, ci non avvenne perch la maggioranza ne desiderava l'abolizione; ma perch una piccola minoranza di riformatori eccezionalmente sensibili possedette influenza sufficiente a farle bandire. In uno dei suoi aspetti, la civilt pu essere definita come un sistematico rifiuto agli individui di certe occasioni di comportamento barbaro. In anni recenti abbiamo scoperto che quando, dopo un periodo di rifiuto, queste occasioni vengono ancora una volta offerte, uomini e donne, apparentemente non peggiori di noi, si sono dimostrati disposti ed anche ansiosi di approfittarne. Il re e il cardinale, Laubardemont e i giudici, i cittadini ed i turisti: tutti sapevano ci che sarebbe accaduto. L'unica persona per cui la condanna non fosse una conclusione prevista era il prigioniero. Alla fine della prima settimana d'agosto, Grandier credeva ancora di essere un accusato ordinario in un processo le cui irregolarit erano accidentali e sarebbero state chiarite non appena vi fosse stata richiamata l'attenzione. Il suo "Factum" (la deposizione scritta del suo processo) e la lettera che egli invi clandestinamente al re furono scritti evidentemente da un uomo ancora convinto che i giudici potessero essere influenzati da dichiarazioni di fatto e da argomenti logici, che essi si interessassero della dottrina cattolica e potessero inchinarsi all'autorit di teologi accreditati. Patetica illusione! Laubardemont e la sua giuria di magistrati erano gli agenti di un uomo il quale non si interessava di fatti, di logica, di legge o di teologia, ma solo di vendetta personale e di un esperimento politico,

accuratamente ideato per mostrare come potessero essere spinti lontano, in questa terza decade del diciassettesimo secolo, i metodi della dittatura totalitaria. Quando le deposizioni dei diavoli furono tutte lette, il prigioniero fu invitato a difendersi. Nel "Factum", che fu letto ad alta voce dal legale difensore, Grandier rispondeva agli infernali accusatori, metteva in rilievo l'illegalit delle procedure e la parzialit di Laubardemont, denunziava gli esorcisti per il sistematico incitamento delle indemoniate, e prov che la nuova dottrina dei cappuccini era una pericolosa eresia. I giudici sedevano, agitandosi nelle sedie con visibile impazienza, bisbigliando fra di loro, ridendo, frugandosi nel naso, scarabocchiando con penne spuntate i fogli che avevano davanti. Grandier li guard e improvvisamente ebbe la sensazione chiara che non vi era alcuna speranza. Fu riportato in cella. Nell'attico privo di finestre il caldo era terribilmente oppressivo. Giacendo insonne sul mucchio di paglia, egli poteva sentire gli ubriachi cantare di certi spettatori brettoni, venuti per la grande manifestazione e che cercavano di ammazzare il tempo dell'attesa. Solo pochi giorni ancora... E tutto questo orrore era immeritato. Egli non aveva fatto niente, era assolutamente innocente. S, assolutamente innocente. Ma la loro cattiveria lo aveva perseguitato, pazientemente, persistentemente; ed ora questa immensa macchina di ingiustizia organizzata si chiudeva su di lui. Egli poteva lottare, ma essi erano invincibilmente forti; egli poteva usare il suo spirito e la sua eloquenza, ma essi non ascoltavano neppure. Ora non c'era che chiedere piet, ed essi riderebbero soltanto. Era in trappola: acchiappato come uno di quei conigli che aveva catturati da ragazzo nei campi vicino casa. Strillava nella trappola e la trappola si stringeva mentre l'animale si dibatteva, mai abbastanza per da far cessare gli urli. Per far cessare gli urli bisognava colpirlo in testa con un bastone. Ed improvvisamente egli fu sopraffatto da un orribile miscuglio di rabbia e di frustrazione e di pena e di terrore. Al coniglio agonizzante egli aveva portato la liberazione di un singolo colpo pietoso.

Ma ESSI, che cosa ESSI avevano riservato per lui? Le parole che aveva scritte in fondo alla lettera per il re gli tornarono in mente Ricordo che, mentre ero studente a Bordeaux, quindici o sedici anni fa, un monaco fu bruciato per stregoneria; ma il clero e i monaci fecero del loro meglio per salvarlo, anche se egli aveva confessato il suo crimine. Ma nel mio caso io posso dire non senza risentimento, che monaci e monache e i miei stessi colleghi, canonici come me, hanno cospirato per distruggermi sebbene io non sia stato riconosciuto colpevole di alcunch lontanamente somigliante alla stregoneria. Chiuse gli occhi e, con l'immaginazione, vide la faccia deformata dei monaci attraverso la cortina di fiamme scoppiettanti. "Ges, Ges..." E quindi le grida diventarono inarticolate, diventarono le grida del coniglio intrappolato, e non c'era nessuno a cui implorare piet, nessuno che mettesse fine all'agonia. Il terrore divent cos insopportabile che, involontariamente, egli url forte. Il suono della propria voce lo impression. Si alz e si guard intorno. L'oscurit era impenetrabile. E improvvisamente fu sopraffatto dalla vergogna. Gridare nella notte, come una donna, come un bambino spaventato! Si corrucci, strinse i pugni. Nessuno doveva mai chiamarlo vile. Che facessero quanto di peggio erano capaci! Egli era pronto. Essi avrebbero trovato il suo coraggio pi grande della loro cattiveria, pi forte di ogni tortura immaginata dalla loro crudelt. Il parroco giaceva di nuovo, ma non per dormire. Egli aveva la volont dell'eroismo; ma il suo corpo era in panico. Il cuore pulsava incontrollabilmente. Tremando della paura irragionevole del sistema nervoso, i muscoli erano diventati ancora pi tesi per lo sforzo cosciente di vincere quel terrore puramente fisico. Cerc di pregare; ma "Dio" era una parola senza significato, "Cristo" e "Maria" nomi vuoti. Riusciva a pensare solo alla prossima ignominia, alla morte tra pene indicibili, alla mostruosa ingiustizia di cui era vittima. Tutto era assolutamente impensabile; eppure era un fatto, e stava accadendo veramente. Se avesse ascoltato il consiglio dell'arcivescovo e avesse lasciato la parrocchia diciotto mesi prima! E perch si era rifiutato di ascoltare

Guillaume Aubin? Che follia rimanere e lasciarsi arrestare! La fantasia di ci che avrebbe potuto essere rendeva la realt presente ancora pi insopportabile. Ancora pi insopportabile... Eppure egli decise di sopportarla. Da uomo. Essi speravano di vederlo umiliato e sottomesso. Ma egli non avrebbe mai dato loro questa soddisfazione, mai. Digrignando i denti pose la sua volont contro la loro cattiveria. Ma il sangue ancora gli batteva nelle orecchie, e nel voltarsi faticosamente sulla paglia, si accorse di avere tutto il corpo bagnato di sudore. L'orrore della notte fu immensamente lungo; eppure ecco in un istante l'alba, ed era pi vicino di un giorno a quell'altro giorno, quell'orrore infinitamente peggiore e finale. Alle cinque la porta della cella si apr e il carceriere annunzi un visitatore. Era padre Ambrose, dell'Ordine dei canonici agostiniani, il quale era venuto per pura carit a domandare se poteva essere di qualche aiuto o conforto al prigioniero. Grandier si vest in fretta, poi si inginocchi e cominci la confessione generale di tutta una vita di colpe e di deficienze. Erano tutti antichi peccati, per i quali aveva fatto penitenza e ricevuta l'assoluzione: peccati antichi, eppure nuovi; poich ora, per la prima volta, egli li riconobbe per quelli che erano: barriere contro la grazia; porte deliberatamente sbattute in faccia a Dio. In parole e in forme era stato cristiano, era stato prete; nei pensieri, nelle azioni e nei sentimenti non aveva mai adorato altri che se stesso. "Venga il MIO regno, sia fatta la MIA volont"; il regno della concupiscenza, della cupidigia e della vanit, la volont di far figura, la volont di calpestare, di trionfare ed esultare. Per la prima volta nella vita egli conobbe il significato della contrizione; non dottrinariamente, non per definizione scolastica, ma interiormente, con angoscia di rimpianto e autocondanna. Quando la confessione fu terminata, pianse amaramente, non per ci che avrebbe sofferto, ma per ci che aveva fatto. Padre Ambrose pronunzi la formula dell'assoluzione, quindi gli dette la Comunione, e parl un poco della volont di Dio. Non bisognava chiedere niente, egli disse, e niente rifiutare.

Ad eccezione del peccato, tutto ci che poteva capitare a ciascuno non bisognava accettarlo come mera rassegnazione; bisognava volerlo, volta per volta, come volont di Dio per quel particolare momento. Il dolore doveva essere voluto, l'afflizione doveva essere voluta, le umiliazioni, conseguenza di debolezza e inettitudine personale dovevano essere volute. E nell'atto di essere volute, esse sarebbero state comprese. E nell'atto di essere comprese, esse sarebbero state trasfigurate, sarebbero state viste, non con gli occhi dell'uomo naturale, ma come Dio le vedeva. Il parroco ascoltava. C'era tutto nel vescovo di Ginevra, tutto in sant'Ignazio. Non solo egli lo aveva sentito prima; egli lo aveva anche detto, migliaia di volte e molto pi eloquentemente, molto pi vigorosamente di quanto il povero caro padre Ambrose poteva mai sperare di dirlo. Ma il vecchio prete lo diceva sul serio, il vecchio prete senza dubbio sapeva di che cosa stava parlando. Mormorate in una bocca sdentata, senza eleganza, anche senza grammatica, le parole erano come lampade che illuminassero improvvisamente una mente a lungo oscurata dall'eccessiva considerazione delle offese passate, dall'eccessiva pregustazione di piaceri futuri o di trionfi immaginari. Dio qui mormor la vecchia voce stanca e Cristo ora. Qui la tua prigione, ora in mezzo alle tue umiliazioni e alle tue pene. La porta si apr di nuovo, ed era Bontemps, il carceriere. Egli aveva riferito al commissario della visita di padre Ambrose e m. de Laubardemont aveva ordinato perentoriamente che il reverendo uscisse immediatamente e non tornasse. Se il prigioniero voleva vedere un prete, poteva chiedere di padre Tranquille o di padre Lactance. Il vecchio prete fu spinto fuori della stanza; ma le sue parole rimasero, e il loro significato diventava sempre pi chiaro. "Dio qui e Cristo ora" e per quanto riguardava l'anima, non poteva essere altrove e in nessun altro momento. Com'era vano tutto questo schieramento della volont contro i suoi nemici, tutta questa sfida all'ingiusto destino, queste risoluzioni di essere eroico ed indomabile, com'era tutto assolutamente senza senso, nella considerazione che Dio era sempre presente! Alle sette il parroco fu condotto al convento carmelitano per un altro esame dei giudici riuniti per condannarlo.

Ma Dio era tra di loro; anche quando Laubardemont cerc di farlo imbrogliare nelle risposte, Cristo era l. Su alcuni dei magistrati la calma dignit delle maniere di Grandier fece una profonda impressione. Ma padre Tranquille la spieg molto semplicemente: era tutta opera del diavolo. Ci che appariva come calma era soltanto la sfacciata tracotanza dell'inferno; e questa dignit non era altro che l'espressione esteriore dell'orgoglio impenitente I giudici videro l'accusato solo tre volte in tutto. Poi, nelle prime ore della mattina del diciotto, dopo i consueti devoti preliminari, consegnarono il verdetto. Esso fu unanime. Grandier doveva essere sottoposto alla "tortura" sia ordinaria che straordinaria; doveva quindi inginocchiarsi davanti alla porta di san Pietro e di santa Orsola e l, con una fune intorno al collo e un candeliere di due libbre in mano, chiedere perdono a Dio, al re e alla giustizia; poi, doveva essere condotto alla place Sainte-Croix, legato ad un palo e bruciato vivo; dopo di che le sue ceneri dovevano essere sparse ai quattro venti. La sentenza scrive padre Tranquille fu veramente divina poich Laubardemont e i suoi tredici giudici erano tanto in cielo a causa della loro piet e fervente devozione, che in terra per l'esercizio delle loro funzioni. Non appena la sentenza fu pronunziata Laubardemont invi l'ordine ai chirurghi Mannoury e Fourneau di recarsi immediatamente alla prigione. Mannoury fu il primo ad arrivare; ma fu tanto sconvolto da ci che Grandier gli disse circa i suoi primi trattamenti con l'ago, che si ritir preso dal panico, e lasci al collega il compito di preparare la vittima per l'esecuzione. Gli ordini del giudice erano che Grandier fosse raso completamente: testa, faccia e corpo. Fourneau, il quale era convinto dell'innocenza del parroco, si scus rispettosamente di ci che doveva fare, poi si mise al lavoro. Il parroco fu spogliato. Il rasoio pass sulla pelle e in pochi minuti il corpo fu completamente privo di peli come quello di un eunuco. Poi i folti riccioli neri furono tagliati cos corti da apparire una ruvida stoppia: il cranio fu insaponato e rasato a zero. Poi fu la volta dei baffi mefistofelici e della barbetta. Ed ora le sopracciglia disse una voce. Sorpresi, si voltarono verso la porta. Era Laubardemont.

Riluttante, Fourneau fece quanto gli era stato detto. Quel volto che tante donne avevano trovato irresistibile, era ora la maschera, grottescamente implume, di un pagliaccio in un'arlecchinata. Bene disse il commissario bene! E ora le unghie. Fourneau rimase perplesso. Le unghie ripetette Laubardemont. Ora strappate le unghie. Questa volta il chirurgo si rifiut di obbedire. Laubardemont cominci a meravigliarsi veramente. Che c'era di strano? Dopo tutto, l'uomo era uno stregone riconosciuto tale. Ma lo stregone riconosciuto, ribatt l'altro, era pure un uomo. Il commissario si arrabbi; ma nonostante tutte le sue minacce, il chirurgo tenne duro. Non vi era tempo per cercare un altro operatore, e Laubardemont dovette contentarsi di una vittima parzialmente sfigurata dalla rasatura. Vestito solo di una lunga camicia da notte e di un paio di pantofole logore, Grandier fu condotto in istrada, spinto in una carrozza chiusa e portato in tribunale. Cittadini e turisti si affollavano nelle vicinanze; ma solo a pochi privilegiati - alti ufficiali, autorit con le mogli e le figlie, una mezza dozzina di fedeli cardinalisti della borghesia - fu permesso di entrare. Le sete frusciavano; vi era splendore di ricchi velluti, scintillio di gioielli, profumo di zibetto e ambra grigia. Nella sala del giudizio entrarono padre Lactance e padre Tranquille i quali indossavano i paramenti delle cerimonie. Con aspersori consacrati essi sparsero acqua santa su tutto ci che li circondava, intonando, nello stesso tempo, le formule di esorcismo. Poi si apr una porta e sulla soglia apparve Grandier in camicia da notte e pantofole, ma con papalina e berretta sul capo rasato. Dopo che anch'egli fu abbondantemente spruzzato, le guardie lo scortarono per tutta la lunghezza della sala e lo fecero inginocchiare davanti al banco dei giudici. Egli aveva le mani legate dietro la schiena e gli era impossibile quindi scoprirsi il capo. L'impiegato del tribunale si fece avanti, gli strapp il cappello e il berretto e li gett a terra sprezzantemente. Alla vista di quel pallido pagliaccio rasato, diverse signore risero istericamente. Un usciere intim il silenzio.

L'impiegato inforc gli occhiali, si schiar la gola e cominci a leggere la sentenza: prima, mezza pagina di gergo legale; poi una lunga descrizione della "amende honorable" che il prigioniero doveva fare; poi la condanna a morte sul rogo; poi una digressione circa la targa commemorativa da applicare nella cappella delle orsoline del prezzo di centocinquanta lire, da addebitare sui beni confiscati al prigioniero; e alla fine, come una specie di riflessione, un accenno casuale alle torture, ordinaria e straordinaria, che dovevano precedere l'esecuzione. Pronunziata nella detta Loudun, il 18 agosto 1634, ed eseguita concluse l'impiegato enfaticamente lo stesso giorno. Vi fu un lungo silenzio. Poi Grandier si rivolse ai giudici. Miei signori egli disse lentamente e distintamente. Chiamo Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo a testimoniare, insieme alla Vergine, mia sola avvocata, che non sono mai stato uno stregone, non ho mai commesso sacrilegio e non ho conosciuto mai altra magia che quella della Sacra Scrittura, che ho sempre predicato. Adoro il mio Salvatore e prego di poter partecipare ai meriti del sangue della Sua Passione. Alz gli occhi al cielo; poi, dopo un istante li riabbass per guardare il commissario e i suoi tredici prezzolati. In tono quasi intimo, come se fossero amici, disse loro che temeva per la sua salvezza, temeva che gli spaventosi tormenti preparati per il corpo potessero spingere alla disperazione la sua povera anima e, per questo gravissimo peccato, alla dannazione eterna. Certamente le loro signorie non intendevano uccidere un'anima? E, in tal caso, certamente, si sarebbero compiaciuti, nella loro clemenza, di mitigare, anche di poco, il rigore della sua pena? S'interruppe per qualche secondo e guard interrogativamente dall'una all'altra di quelle facce di pietra. Dal banco delle donne venne il suono di un'altra di quelle risate soffocate a met. Ancora una volta il parroco si rese conto che non vi era alcuna speranza, nessuna speranza se non in quel Dio che era qui e non lo avrebbe abbandonato, in quel Cristo che era ora, che avrebbe continuato ad essere ora in ogni momento del suo martirio. Apr di nuovo la bocca e cominci a parlare dei martiri. Questi santi testimoni erano morti per amore di Dio e per la gloria di Ges Cristo, erano morti sulla ruota, nelle fiamme, sotto la spada, crivellati dalle frecce, sbranati e divorati dalle bestie feroci.

Mai egli avrebbe osato paragonarsi a costoro; ma almeno egli poteva sperare che un Dio infinitamente misericordioso gli avrebbe permesso di espiare con le sofferenze tutti i peccati di una vita vana e disordinata. Le parole del parroco erano cos commoventi, ed il fato che l'attendeva cos mostruosamente crudele, che tutti, meno i suoi nemici pi inveterati, furono mossi a piet. Alcune donne che avevan riso alla figura grottesca del pagliaccio scoppiarono in lacrime. Gli uscieri intimarono il silenzio. Invano. I singhiozzi erano incontrollabili. Laubardemont fu molto contrariato. Niente andava secondo il suo piano. Meglio di chiunque altro egli doveva sapere che Grandier non era colpevole dei delitti per cui doveva essere torturato e bruciato vivo. Eppure in un certo senso altamente pickwickiano, il parroco era uno stregone. Sulla base di mille pagine di indegne testimonianze, tredici giudici mercenari lo avevano asserito. Quindi, sebbene sicuramente falso ci doveva in qualche modo essere vero. Ora, secondo tutte le regole del giuoco, Grandier avrebbe dovuto passare le sue ultime ore nella disperazione e nella ribellione, maledicendo il diavolo che lo aveva intrappolato e il Dio che lo mandava all'inferno. Al contrario, il farabutto parlava da buon cattolico e dava l'esempio pi commovente e pi straziante di rassegnazione cristiana. La cosa era insopportabile. E che avrebbe detto Sua Eminenza, sentendo che l'unico risultato di questa cerimonia accuratamente diretta era stato di convincere gli spettatori che il parroco era innocente? Vi era solo una cosa da fare, e Laubardemont, il quale era un uomo deciso, immediatamente la fece. Sfollate la corte ordin. Gli uscieri e gli arcieri della guardia si affrettarono ad ubbidire, e spinsero fuori nei corridoi e nelle sale d'attesa i nobili e le dame che protestarono con ira. Le porte furono chiuse dietro di loro e, ad eccezione di Grandier, delle guardie e dei giudici, di due frati e di un gruppo di ufficiali civici, la grande sala rimase vuota. Ora Laubardemont si rivolse al prigioniero. Confessasse la sua colpa e rivelasse i nomi dei complici.

Allora e solo allora i giudici avrebbero potuto considerare la sua domanda di mitigare la sentenza. Il parroco rispose che non poteva nominare complici che non aveva mai avuto, n confessare delitti di cui era completamente innocente... Ma Laubardemont voleva una confessione; egli, infatti, ne aveva urgente bisogno per confondere gli scettici e tacitare i critici delle sue procedure. Da severi, i suoi modi diventarono, improvvisamente, amabili. Ordin di slegare le mani di Grandier, poi tir dalla tasca un foglio, intinse una penna nel calamaio e l'offr al prigioniero. Se firmava, non sarebbe stato necessario ricorrere alla tortura. Secondo tutte le regole, un criminale riconosciuto colpevole avrebbe dovuto aggrapparsi a questa opportunit di comprarsi un po' di clemenza. Gauffridy, per esempio, il prete-stregone di Marsiglia, aveva finito col firmare qualunque cosa. Ma ancora una volta Grandier si rifiut di giocare la commedia. Prego vostra signoria di scusarmi egli disse. Solo una piccola firma insistette Laubardemont in tono convincente. E quando l'altro protest che la coscienza non gli permetteva di affermare una bugia, il commissario lo implor di riconsiderare la sua decisione, per il proprio bene, per risparmiare al suo povero corpo sofferenza inutile, per salvare la sua anima in pericolo, per ingannare il demonio e riconciliarsi col Dio che aveva tanto atrocemente offeso. Secondo padre Tranquille, Laubardemont pianse veramente mentre faceva quest'ultimo appello per una confessione, e non c' bisogno di dubitare delle parole del frate. Il carnefice di Richelieu possedeva il genuino dono delle lacrime. Il testimone oculare delle ultime ore di Cinq-Mars e de Thou descrive la scena in cui Laubardemont piangeva come un coccodrillo per i giovani che aveva proprio allora condannato a morte. Nel caso di Grandier le lacrime furono altrettanto inefficaci come erano state le minacce. Questi persistette nel rifiuto di firmare una falsa confessione. Per Lactance e Tranquille, il fatto fu una ulteriore e definitiva prova di colpevolezza. Era Lucifero che aveva chiuso la bocca del prigioniero e indurito il suo cuore contro il pentimento. Laubardemont smise di piangere, e in tono di gelida furia, disse al parroco che quella era l'ultima offerta di clemenza. Voleva firmare? Grandier scosse il capo.

Laubardemont fece cenno al capitano delle guardie e gli ordin di condurre il prigioniero al piano superiore nella camera di tortura. Grandier non grid. Chiese solo che fosse chiamato padre Ambrose, perch gli fosse vicino durante la prova. Ma padre Ambrose non era disponibile. Dopo la sua visita non autorizzata alla prigione, gli era stato ordinato di lasciare la citt. Grandier allora chiese l'assistenza di padre Grillau, il direttore dei cordeliers. Ma i cordeliers erano in cattiva luce perch avevano rifiutato di accettare la nuova dottrina dei cappuccini, o di avere in alcun modo a che fare con la possessione. E comunque si sapeva che Grillau era stato in rapporti amichevoli con il parroco e la sua famiglia. Laubardemont rifiut di farlo chiamare. Se il prigioniero desiderava consolazione spirituale, si poteva rivolgere a Lactance e a Tranquille, i suoi nemici pi implacabili. Vedo di che si tratta disse Grandier amaramente. Non contento di torturare il mio corpo, desiderate distruggere la mia anima spingendomi alla disperazione. Un giorno dovrete risponderne al mio Redentore. Dai tempi di Laubardemont, il male ha fatto qualche progresso. Sotto i dittatori comunisti, coloro che vengono processati davanti a un Tribunale del Popolo confessano invariabilmente i delitti di cui sono stati accusati, li confessano anche quando sono immaginari. In passato, la confessione non era affatto invariabile. Anche sotto la tortura, anche sul rogo, Grandier protest la sua innocenza. E il caso di Grandier non fu affatto unico. Molte persone, donne non meno che uomini, vissero esperienze simili con la stessa indomita costanza. I nostri antenati inventarono la ruota e il cavalletto, lo stivale e la tortura dell'acqua; ma nelle arti sottili di spezzare la volont e ridurre l'essere umano alla subumanit avevano ancora molto da imparare. In un certo senso, essi non volevano neppure impararle, queste cose. Essi erano stati allevati in una religione la quale insegnava che la volont libera, l'anima immortale; e agivano secondo queste convinzioni anche in rapporto ai nemici. S, anche il traditore, anche l'adoratore riconosciuto del demonio aveva un'anima che poteva essere salvata; ed i giudici pi feroci non gli

rifiutavano mai le consolazioni di una religione che continuava ad offrire la salvezza fino alla fine. Prima e durante l'esecuzione, un prete era sempre a portata di mano, e faceva del suo meglio per riconciliare il criminale morente con il suo Creatore. Per una specie di beata incoerenza, i nostri padri rispettavano la personalit anche di coloro che stavano torturando con le tenaglie infuocate o sulla ruota. Per gli assolutisti del nostro secolo tanto pi illuminato non vi anima e non vi Creatore; vi solo una massa di materia prima fisiologicamente plasmata dai riflessi condizionati e dalle pressioni sociali, in ci che, per cortesia, viene ancora chiamato essere umano. Questo prodotto dell'ambiente artificiale creato dall'uomo privo di significato intrinseco e non possiede alcun diritto all'autodeterminazione. Esso esiste per la Societ e deve conformarsi alla Volont Collettiva. In pratica, naturalmente, la Societ non che lo Stato nazionale, e come stato di fatto bruto, la Volont Collettiva soltanto la "volont di potenza" del dittatore, qualche volta mitigata, qualche volta deformata sull'orlo della pazzia da qualche teoria pseudoscientifica di ci che, nel magnifico futuro, sar il bene di un'astrazione statistica etichettata "Umanit". Gli individui sono definiti come prodotti e strumenti della Societ. Da ci discende che i capi politici, i quali pretendono di rappresentare la Societ, sono giustificati nel commettere qualsiasi concepibile ferocia contro quelle persone che essi decidono di chiamare nemici della Societ. Lo sterminio fisico per fucilazione (o, con pi vantaggio, per sfruttamento in un campo di lavoro forzato) non sufficiente. E' stato di fatto osservabile che uomini e donne non sono mere creature della Societ. Ma le teorie ufficiali dichiarano che lo sono. Quindi diventa necessario depersonalizzare i "nemici della Societ" allo scopo di trasformare la bugia ufficiale in verit. Per coloro che conoscono il trucco, questa riduzione dell'umano al subumano, dell'individuo libero all'automa ubbidiente, questione relativamente semplice. La personalit dell'uomo molto meno monolitica di quanto i teologi erano costretti per i loro dogmi ad assumere. L'anima non lo Spirito, ma soltanto associata con esso. In se stessa, e finch coscientemente decide di fare strada allo Spirito, essa non che un fascio piuttosto strettamente legato di elementi psicologici non molto stabili.

Questa entit composta pu essere molto facilmente disintegrata da chiunque sia abbastanza crudele da tentare e abbastanza abile da compiere bene il lavoro. Nel diciassettesimo secolo questo particolare tipo di crudelt si immaginava appena, e la notevole abilit necessaria quindi non venne mai sviluppata. Laubardemont fu incapace di strappare la confessione di cui aveva tanto urgente bisogno; e sebbene egli non permettesse al parroco di scegliersi il confessore, ammise il principio che anche uno stregone riconosciuto colpevole, avesse diritto al conforto spirituale. L'assistenza di Tranquille e di Lactance venne offerta e, naturalmente, rifiutata. A Grandier fu quindi concesso un quarto d'ora nel quale riconciliare l'anima con Dio e prepararsi per il martirio. Il parroco si inginocchi e cominci a pregare ad alta voce. Gran Dio e Sovrano Giudice, aiuto dei miseri e degli oppressi, soccorrimi, dammi la forza di sopportare le pene alle quali sono stato condannato. Ricevi la mia anima nella beatitudine dei Tuoi santi, rimetti i miei peccati, perdona il pi vile e spregevole dei Tuoi servi. Conoscitore dei cuori, Tu sai che non sono in alcun modo colpevole dei delitti attribuitimi, e che il fuoco che devo subire non che la punizione della mia concupiscenza. Redentore del genere umano, perdona i miei nemici e miei accusatori; ma fa che vedano i loro peccati, che possano pentirsi. Santa Vergine, protettrice del penitente, ricevi benignamente la mia infelice madre nella Tua celeste compagnia; consolala per la perdita di un figlio che non teme pene se non quelle che ella dovr sopportare su questa terra, dalla quale egli tanto presto se ne andr. Tacque. Non la mia volont, ma la Tua. Dio qui, tra gli strumenti di tortura; Cristo ora, nel momento dell'estrema angoscia. La Grange, il capitano delle guardie, annot nel suo taccuino ci che ricordava della preghiera del parroco. Laubardemont si avvicin e chiese al giovane ufficiale che cosa stesse scrivendo. Informato, si arrabbi e voleva confiscare il taccuino. Ma La Grange difese la sua propriet e il commissario dovette contentarsi di ordinargli di non mostrare a nessun altro per nessuna ragione ci che aveva scritto.

Grandier era uno stregone impenitente e gli stregoni impenitenti non pregano. Nel resoconto di padre Tranquille del processo e dell'esecuzione, e negli altri racconti scritti dal punto di vista ufficiale, il parroco viene fatto comportare nella maniera pi ingenuamente diabolica. Invece di pregare canta una canzone scorretta. Quando gli viene presentato il Crocifisso, egli si volta inorridito. Il nome della Beata Vergine non passa mai sulle sue labbra; e sebbene qualche volta egli pronunzi la parola "Dio", ovvio ad ogni persona benpensante che egli intende in realt "Lucifero". Disgraziatamente per le loro tesi, questi devoti propagandisti non furono soli a lasciare nota delle procedure. Laubardemont poteva ingiungere il segreto; ma non aveva modo di costringere La Grange ad obbedire agli ordini. E vi furono altri osservatori imparziali degli avvenimenti, alcuni, come Ismal Boulliau, l'astronomo, che conosciamo di nome, altri i cui manoscritti ci sono giunti anonimi. L'orologio batt le ore annunziando la fine della breve tregua al prigioniero. Egli venne legato, disteso sul pavimento e le gambe, dalle ginocchia ai piedi furono chiuse tra quattro assi di quercia, di cui le due esterne erano fisse, mentre le due interne erano movibili. Spingendo i cunei nello spazio che separava le due assi movibili, era possibile schiacciare le gambe della vittima contro la struttura fissa della macchina. La differenza fra la tortura ordinaria e quella straordinaria si misurava dal numero dei cunei incastrati, progressivamente pi spessi. Poich era invariabilmente (sebbene non immediatamente) fatale, la tortura straordinaria era inflitta solo ai criminali condannati, che dovevano essere giustiziati senza indugio. Mentre il prigioniero veniva preparato per la tortura, i padri Lactance e Tranquille esorcizzavano le corde, le assi, i cunei e i mazzuoli. Ci era indispensabile; poich se non erano scacciati da questi oggetti, i diavoli potevano, con le loro arti infernali, impedire che la tortura fosse dolorosa come doveva essere. Quando i frati ebbero finito di spruzzare e di borbottare, il carnefice si avanz, sollev il suo pesante mazzuolo e, come se volesse spaccare un tronco nodoso, lo abbass con tutta la forza. Vi fu un incontrollabile urlo di dolore.

Padre Lactance si curv sulla vittima e gli chiese in latino se voleva confessare. Ma Grandier scosse la testa. Il primo cuneo fu incastrato tra le ginocchia. Poi un altro fu inserito al livello dei piedi e quando questo fu infilato fino alla capocchia, la punta sottile di un terzo e pi pesante cuneo venne infilata in posizione immediatamente sotto al primo. Si ud il colpo sordo del mazzuolo, l'urlo di dolore, poi silenzio. Le labbra della vittima si mossero. Era una confessione? Il frate tese l'orecchio; ma tutto ci che riusc a sentire fu la parola Dio ripetuta parecchie volte, e poi Non mi abbandonare, non permettere che questo dolore mi faccia dimenticare di Te. Si volse al carnefice e gli disse di continuare il suo lavoro. Al secondo colpo sul quarto cuneo, si ruppero diverse ossa dei piedi e delle caviglie. Per un momento, il parroco svenne. "Cogne, cogne!" url padre Lactance al carnefice. Batti, batti! Il prigioniero apr di nuovo gli occhi. Padre sussurr dov' la carit di San Francesco? Il discepolo di San Francesco non si degn di rispondere. "Cogne!" disse nuovamente. E quando cadde il colpo, si rivolse di nuovo al prigioniero. "Dicas, dicas!" Ma non c'era niente da dire. Un quinto cuneo fu inserito. "Dicas!" Il mazzuolo pendeva sospeso. "Dicas!" La vittima guard il carnefice, guard il frate, poi chiuse gli occhi. Torturatemi come vi piace egli disse in latino. Tra poco sar tutt'uno, per sempre. "Cogne!" Il colpo cadde. Ansante e sudato nel calore estivo, il carnefice porse il mazzuolo al suo aiutante. Ed ora fu la volta di Tranquille di parlare al prigioniero. In tono di dolce persuasione, egli espose gli evidenti vantaggi di una confessione, vantaggi non soltanto nell'altro mondo, ma qui ed ora. Il parroco ascolt e, quando egli ebbe finito, pose lui una domanda. Padre disse credete in coscienza che un uomo dovrebbe, solo per liberarsi dal dolore, confessare un delitto che non ha commesso? Ignorando questi sofismi ovviamente satanici, Tranquille continu le sue sollecitazioni. Il parroco mormor che era prontissimo a riconoscere tutte le sue reali colpe. Sono stato un uomo, ho amato le donne... Ma non era questo che Laubardemont ed i francescani desideravano udire.

Siete stato uno stregone, avete avuto commercio coi diavoli. E quando il parroco protest ancora una volta di essere innocente, un sesto cuneo fu incastrato, poi un settimo, poi un ottavo. Da ordinaria, la tortura aveva raggiunto i limiti tradizionali di quella straordinaria. Le ossa delle ginocchia, degli stinchi, delle caviglie, dei piedi, erano tutte fracassate. Ma ancora i frati non riuscirono a estorcere alcuna ammissione di colpa, solo quegli urli, e negli intervalli, appena bisbigliato, il nome di Dio. L'ottavo cuneo era l'ultimo della serie regolare. Laubardemont ne chiese altri, con una crudelt che superava quella meramente straordinaria. Il carnefice and a rifornirsi e torn con altri due cunei. Quando si accorse che questi non erano pi grossi dell'ultimo della serie originale, Laubardemont and su tutte le furie e minacci l'uomo con la frusta. Ma intanto, come osservarono i frati, il cuneo numero sette al ginocchio poteva essere sostituito da un duplicato di cuneo numero otto alla caviglia. Uno dei nuovi cunei fu inserito tra le assi e questa volta fu padre Lactance che assest il mazzuolo. "Dicas!" gridava dopo ogni colpo. "Dicas, dicas!" Per non essere da meno, padre Tranquille prese il mazzuolo dalle mani del collega, fiss il decimo cuneo e, con tre potenti colpi, lo mand a posto. Grandier era svenuto di nuovo, e sembr quasi che dovesse morire prima che lo potessero condurre al rogo. Inoltre non vi erano pi cunei. Con riluttanza - perch costui per l'ostinazione con cui frustava i suoi migliori piani, meritava di essere torturato per sempre - Laubardemont ordin una tregua. Questa prima fase del martirio di Grandier era durata tre quarti d'ora. La macchina fu messa da parte, ed i carnefici adagiarono la vittima su uno sgabello. Egli si guard le gambe orribilmente maciullate, poi guard il commissario e i suoi tredici complici. Signori disse "attendite et videte si est dolor sicut dolor meus". Per ordine di Laubardemont egli fu trasportato in un'altra stanza e seduto su un banco. Era una giornata afosa di agosto, ma il parroco tremava di freddo per il grave choc chirurgico. La Grange lo copr con una coperta e gli fece bere un bicchiere di vino.

Intanto Lactance e Tranquille stavano cercando di salvare quello che era stato un pessimo lavoro. A tutti coloro che facevano domande essi rispondevano che infatti era vero, lo stregone si era rifiutato di confessare, anche sotto la tortura. E la ragione era fin troppo ovvia. Grandier aveva invocato Dio perch lo sostenesse ed il suo Dio, che era Lucifero, lo aveva reso insensibile al dolore. Si poteva continuare tutto il giorno, cuneo dopo cuneo, non sarebbe servito a niente. Per rassicurarsi di questa verit, un altro degli esorcisti, padre Arcangelo, decise di fare un piccolo esperimento. Questo esperimento fu descritto qualche giorno dopo, da uno degli ascoltatori. Il detto Padre Arcangelo osserv che il diavolo gli aveva concesso (a Grandier) l'insensibilit in quanto, essendo allungato su una panca, con le ginocchia, che erano state schiacciate dalla Geenna, coperte da un drappo verde, essendo sollevato questo drappo dal detto Padre, alquanto energicamente, anche spingendogli il detto padre gambe e ginocchia, egli non si lament per il dolore che il detto padre poteva avergli causato. Da ci discendeva, primo, che Grandier non aveva sentito dolore, secondo, che Satana lo aveva reso insensibile, terzo, che (per citare le parole stesse del cappuccino) quando parlava favorevolmente di Dio, intendeva il diavolo, e quando diceva che detestava il diavolo, intendeva che detestava Dio e quarto e conclusione, che doveva essere usata ogni cautela per assicurarsi che, sul rogo, egli sentisse tutto l'effetto delle fiamme. Quando padre Arcangelo se ne fu andato, fu il turno, ancora una volta, del commissario. Per pi di due ore Laubardemont sedette accanto alla sua vittima, usando tutte le arti della persuasione per estorcere la firma che avrebbe giustificato le sue procedure illegali, avrebbe scagionato il cardinale, avrebbe permesso in futuro l'uso dei metodi inquisitori in tutti i casi in cui monache isteriche fossero indotte dai confessori ad accusare i nemici del regime. Quella firma era indispensabile; ma nonostante tentasse tutto il possibile e m. de Gastynes, che era presente al colloquio, dichiar di non aver mai udito niente di cos abominevole come quegli argomenti speciosi, quelle adulazioni, quegli ipocriti sospiri e singhiozzi - il commissario non riusc ad ottenere ci che voleva. A tutto ci che diceva, Grandier rispondeva che gli era moralmente impossibile firmare una dichiarazione che egli sapeva, e Dio sapeva (e indubbiamente il commissario sapeva) essere assolutamente falsa.

Alla fine Laubardemont dovette arrendersi. Chiam La Grange e gli disse di far venire i carnefici. Questi arrivarono. Grandier fu vestito di una camicia impregnata di zolfo; poi gli fu legata una corda intorno al collo e fu portato gi nel cortile, dove era pronta una carrozza tirata da sei muli. Egli fu sollevato e messo su un sedile. Il conducente spron le bestie; e preceduto da una compagnia di arcieri e seguito da Laubardemont e dalla giuria dei tredici magistrati, il carro rotol lentamente sull'acciottolato. Vi fu una fermata e la sentenza fu letta ancora una volta a gran voce. Poi i muli si mossero. Davanti alla porta di san Pietro - la porta dalla quale per tanti anni il parroco era entrato ed uscito con la sua aria di fiduciosa ed altera dignit - la processione fece una tappa. Il candeliere da due libbre fu posto in mano a Grandier ed egli fu fatto scendere dal carro per chiedere perdono, come prescrive la sentenza, dei suoi delitti. Ma non vi erano ginocchia per inginocchiarsi e quando lo poggiarono a terra, egli cadde in avanti. I carnefici dovettero sollevarlo di nuovo. In questo momento, padre Grillau, il direttore dei cordeliers, usc dalla chiesa e, facendosi largo tra gli arcieri della guardia, si chin sul prigioniero e lo abbracci. Profondamente commosso, Grandier si affid alle sue preghiere e a quelle di tutta la sua comunit, l'unica a Loudun che aveva energicamente rifiutato di cooperare con i nemici del parroco. Grillau promise di pregare per l'uomo condannato, gli raccomand di aver fiducia in Dio e nel Redentore, poi gli trasmise un messaggio della madre. Ella pregava per lui ai piedi di Nostra Signora, e gli mandava la sua benedizione. I due uomini piangevano entrambi. Un mormorio di simpatia si sollev tra la folla. Laubardemont ud e si infuri. Possibile che niente andasse come egli aveva progettato? Secondo tutte le regole, la plebaglia avrebbe dovuto tentare il linciaggio di questo agente del demonio. Ed invece, essa compiangeva il suo destino crudele. Si avanz frettolosamente e dette ordini perentori alle guardie di mandar via il cordelier.

Nel parapiglia che segu, uno dei cappuccini presenti profitt per colpire Grandier sulla testa rasata con un randello. Quando l'ordine fu ristabilito, il parroco disse ci che aveva da dire, ma aggiunse, dopo aver chiesto perdono a Dio, al re e alla giustizia, che sebbene gran peccatore, egli era completamente innocente del crimine per il quale doveva ora soffrire. Mentre i carnefici lo riportavano sul carro, un frate arring i turisti e i cittadini, assicurando loro che avrebbero commesso un grandissimo peccato se avessero osato pregare per questo stregone impenitente. La processione si mosse. Alla porta del convento delle orsoline la cerimonia di chiedere il perdono di Dio, del re e della giustizia fu ripetuta. Ma quando l'impiegato gli ordin di chiedere perdono alla priora e a tutte le altre suore, il prigioniero rispose che egli non aveva mai fatto loro alcun male, e poteva solo pregare Dio che le perdonasse. Poi vedendo Moussaut marito di Philippe Trincant, tra i suoi pi implacabili nemici, gli chiese di dimenticare il passato e aggiunse con una curiosa leggera sfumatura di quella raffinatezza aristocratica per cui era stato famoso "je meurs votre serviteur" muoio servo vostro. Moussaut volt la faccia e si rifiut di rispondere. Non tutti i nemici di Grandier furono cos poco cristiani. Ren Bernier, uno dei preti che avevano testimoniato contro di lui quando egli fu accusato di cattiva condotta, si fece strada tra la folla per chiedere perdono al parroco e offrirsi di celebrare una Messa in suo suffragio. Il parroco gli prese la mano e la baci riconoscente. Nella place Sainte-Croix pi di seimila persone erano stipate in uno spazio che ne avrebbe contenuto a mala pena la met. Ogni finestra era stata affittata, e vi erano spettatori anche sui tetti e sui grondoni della chiesa. Una tribuna d'onore era stata preparata per i giudici e per gli amici personali di Laubardemont; ma la plebaglia aveva occupato tutti i posti e dovette essere sloggiata dalle guardie con la punta delle picche e delle alabarde. Fu solo dopo una battaglia campale che questi importantissimi personaggi potettero sedersi. Anche il personaggio pi importante di tutti incontr grandi difficolt per raggiungere il posto assegnatogli. Occorse al prigioniero mezz'ora per coprire gli ultimi cento metri verso il rogo, e le guardie furono costrette a lottare ad ogni passo.

Non lontano dalla parete nord della chiesa un robusto palo, alto un metro e mezzo, era stato conficcato nel terreno. Intorno alla sua base erano ammonticchiati strati di fascine, ceppi e paglia, e poich la vittima non era in grado di tenersi in piedi, un piccolo sedile di ferro era stato fissato al palo a circa mezzo metro al di sopra della legna. Per tutta l'importanza dell'avvenimento, tutta la sua immensa notoriet, le spese dell'esecuzione furono notevolmente modeste. A un certo Deliard furono pagate novanta lire e sedici soldi per la legna usata per il fal di mastro Urbain Grandier, insieme al palo al quale egli fu legato. Per un sedile di ferro del peso di dodici libbre, al prezzo di tre soldi e quattro quattrini per libbra, insieme a sei chiodi con i quali attaccare il detto sedile al palo di mastro Urbain Grandier Jacquet, il fabbro, ricevette quarantadue soldi. Per il nolo di cinque cavalli usati per un giorno dagli arcieri gentilmente offerti per l'occasione del sindaco di Chinon, e per il nolo sempre per un giorno di sei muli, un carro e due uomini, alla vedova Morin furono pagati cento otto soldi. Quattro lire furono spese per le due camicie del prigioniero: quella semplice in cui fu torturato e quella solforata nella quale fu bruciato. Il candeliere da due libbre usato nella cerimonia dell'"amende honorable" cost quaranta soldi e il vino per i carnefici, tredici. Aggiungendo a queste spese il pagamento del lavoro fatto dal portiere della Sainte-Croix e da due aiutanti, si avr un totale generale di ventinove lire, due soldi e sei quattrini. Grandier fu preso dal carro, collocato sul sedile di ferro e legato solidamente al palo. Le spalle alla chiesa, la faccia alla tribuna principale e alla facciata della casa in cui una volta si era sentito tanto a suo agio come alla canonica. Era la casa dove aveva fatto tutti quegli scherzi a spese di Adam e di Mannoury, dove aveva intrattenuto la compagnia con la lettura delle lettere di Caterina Hammon, dove aveva insegnato il latino a una fanciulla e l'aveva sedotta, dove aveva trasformato il suo migliore amico nel pi implacabile dei nemici. Ora Louis Trincant era seduto alla finestra del salotto e con lui erano il canonico Mignon e Thibault. Alla vista del pagliaccio rasato che era stato una volta Urbain Grandier, essi risero trionfalmente. Il parroco guard in su ed incontr i loro occhi.

Thibault salut con la mano come rivolto a un vecchio amico, e m. Trincant, che stava sorseggiando vino bianco con acqua, alz il bicchiere e bevve al padre di sua nipote bastarda. Un po' per vergogna - perch ricordava quelle lezioni di latino e l'abbandono della fanciulla che piangeva disperatamente - e un po' per tema che lo spettacolo del loro trionfo potesse inasprirlo e fargli dimenticare che Dio era anche qui, anche ora, Grandier abbass gli occhi. Una mano lo tocc sulla spalla. Era La Grange, il capitano della guardia, il quale era venuto a chiedere perdono al parroco per ci che era stato obbligato a fare. Poi gli fece due promesse: al prigioniero sarebbe stato permesso di fare un discorso e, prima che fosse acceso il fuoco, sarebbe stato strangolato. Grandier lo ringrazi, e La Grange si ritir per dare gli ordini al boia, il quale immediatamente prepar un laccio. Intanto i frati erano occupati ai loro esorcismi. Ecce crucem Domini, fugite partes adversae, vicit leo de tribu Juda, radix David. Exorciso te, creatura ligni, in nomini Dei patris omnipotentis, et in nomine Jesus Christi filii eius Domini nostri, et in virtute Spiritus Sancti... [Ecco la Croce del Signore, metta essa in fuga gli avversari, il leone della trib di Giuda ha conquistato le radici di David. Io esorcizzo te, creatura di legno, in nome di Dio Padre Onnipotente, ed in nome di Ges Cristo figlio di Dio nostro, ed in virt dello Spirito Santo...] Spruzzarono la legna, la paglia, i tizzoni ardenti del braciere che stava pronto dietro la pira, spruzzarono la terra, l'aria, la vittima, i carnefici, gli spettatori. Questa volta, essi giurarono, nessun diavolo avrebbe impedito allo stregone di soffrire fino all'estremo limite delle sue possibilit di dolore. Diverse volte il parroco cerc di rivolgersi alla folla; ma non appena cominciava, essi gli buttavano in faccia acqua santa o lo colpivano sulla bocca con un crocifisso di ferro. Quando volle sottrarsi al colpo, i frati gridarono trionfalmente che il rinnegato stava negando il suo Redentore. E tutto il tempo padre Lactance continuava a incitare il prigioniero perch confessasse. "Dicas!" gridava. La parola colp la fantasia degli spettatori e per il breve ed orribile resto della sua vita il frate fu sempre conosciuto a Loudun come Padre "Dicas". "Dicas! Dicas!" Per la millesima volta Grandier rispose che non aveva niente da confessare. Ed ora aggiunse dammi il bacio di pace e lasciami morire.

In un primo momento Lactance rifiut; ma quando la folla protest contro una simile malvagit indegna di un cristiano si arrampic sul mucchio di fascine e baci il parroco su una guancia. Giuda! grid una voce, ed un coro di altre voci fece eco. Giuda, Giuda... Lactance le ud e, in uno scoppio di collera incontrollabile, salt dalla pira, afferr un rotolo di paglia e, accesolo nel braciere, agit la fiamma sul volto della vittima. Che confessasse chi era, il servo del diavolo! Confessasse, rinunziasse al suo padrone! Padre disse Grandier con calma e cortese dignit che fece uno strano contrasto con la malvagit quasi isterica dei suoi accusatori, sto per trovarmi di fronte al Dio che mi testimone che ho detto la verit. Confessa url il frate a squarciagola Confessa!... hai solo un momento da vivere. Solo un momento ripetette lentamente il parroco. Solo un momento, e poi andr a quel giusto e tremendo giudizio al quale anche voi, reverendo padre, sarete presto chiamato. Senza ascoltare altro, Padre Lactance butt la sua torcia sulla paglia. Appena visibile nel bagliore del sole pomeridiano, una fiammella apparve e cominci a crepitare, allargandosi mentre avanzava verso il fastello di legna. Seguendo l'esempio del frate, padre Arcangelo appicc il fuoco alla paglia dalla parte opposta della pira. Una sottile nebbia di fumo blu si sollev nell'aria senza vento. Poi, con un allegro scoppiettio, come il rumore che accompagna una bevuta di vino caldo nelle sere d'inverno, a terra una delle fascine prese fuoco. Il prigioniero ud il rumore e girando il capo vide la gaia danza delle fiamme. E' questo che mi prometteste? chiese a La Grange in tono di dolorosa protesta. E improvvisamente la presenza divina si ecliss. Non vi era alcun Dio, nessun Cristo, niente se non paura angosciosa. La Grange grid indignato verso i frati e cerc di spegnere le fiamme pi vicine. Ma ve ne erano troppe da soffocare; ed ecco Padre Tranquille attizzare il fuoco alla paglia dietro le spalle del parroco, ecco padre Lactance accendere un'altra torcia sul braciere. Strangolatelo egli ordin. E la folla accolse il grido.

Strangolatelo, strangolatelo! Il carnefice corse a prendere il laccio, ma scopr che uno dei cappuccini aveva furtivamente annodata la fune in modo che non potesse essere usata. Quando i nodi furono sciolti, era troppo tardi. Tra il carnefice e la vittima che egli aveva inteso salvare da quest'ultima agonia vi era un muro di fuoco, una spessa cortina di fumo. Intanto, con aspersorio ed acqua santa, i frati liberavano il fal degli ultimi diavoli. "Exorciso te, creatura ignis"... L'acqua fischi tra i ceppi che bruciavano e si trasform subito in vapore. Dall'altro lato del muro di fiamme si udirono delle grida. L'esorcismo, era evidente, aveva cominciato a fare effetto. I frati si interruppero un momento per rendere grazie; poi, con rinnovata fede e raddoppiata energia, si rimisero al lavoro. "Draco nequissime, serpens antique, immundissime spiritus"... In questo momento un moscone nero apparve da chi sa dove, si pos sulla faccia del padre Lactance e cadde sulle pagine aperte del suo libro di esorcismi. Una mosca, e grossa come una noce! E Belzeb era il Dio delle mosche! "Imperat tibi Martyrum sanguis" egli grid al disopra del crepitio del fuoco. "Imperat tibi continentia Confessorum"... Con un rumoroso ronzio preternaturale l'insetto spicc il volo e scomparve nel fumo. "In nomine Agni, qui ambulavit super aspidem et basiliscum"... D'un tratto gli urli furono strozzati da un parossismo di tosse. Lo stregone cercava di imbrogliarli morendo per soffocazione! Per frustare quest'ultimo tiro di Satana, Lactance lanci una spruzzata di acqua santa nel fumo. "Exorciso te, creatura fumi. Effugiat atque discedat a te nequitia omnis ac versutia diabolicae fraudis"... Funzionava! La tosse si interruppe. Vi fu un altro grido, poi silenzio. Ed improvvisamente, con grande costernazione del frate minore e dei cappuccini suoi colleghi, quella cosa nera al centro del fal cominci a parlare. "Deus meus" essa disse "miserere mei Deus". E poi in francese, Perdona loro, perdona ai miei nemici. La tosse ricominci. Un momento dopo le corde che lo legavano al palo cedettero e la vittima cadde da un lato tra i ceppi ardenti.

Il fuoco bruciava, i buoni padri continuavano a spruzzare e ad intonare. D'un tratto uno stormo di colombi cal dalla chiesa e cominci a roteare intorno alla colonna di fuoco e di fumo. La folla url, gli arcieri brandirono le alabarde contro gli uccelli, Lactance e Tranquille li spruzzarono sulle ali con l'acqua santa. Invano. I colombi non si lasciarono allontanare. Continuavano a volare in circolo, tuffandosi nel fumo, bruciacchiandosi le penne nelle fiamme. Entrambe le parti gridarono al miracolo. Per i nemici del parroco gli uccelli, ovviamente, erano un esercito di diavoli, venuti a prelevare la sua anima. Per i suoi amici, essi erano segni dello Spirito Santo e prova vivente della sua innocenza. Sembra che nessuno pensasse mai che erano proprio colombi, i quali obbedivano alle leggi della propria natura, una natura beatamente diversa dall'umana. Quando il fuoco si fu consumato, il carnefice sparse quattro palate di ceneri, una in direzione di ciascun punto cardinale. Allora la folla si lanci avanti. Bruciandosi le dita, uomini e donne frugarono tra i resti inceneriti, alla ricerca di denti, di frammenti di pelle e di pelvi, di qualsiasi pezzetto di legno bruciacchiato che mostrasse l'impronta scura di carne bruciata. Alcuni, senza dubbio, erano soltanto collezionisti di ricordi; ma molti di loro andavano a caccia di reliquie, per un amuleto portafortuna o per un amore contrastato, per un talismano contro il mal di capo o la stitichezza o la perfidia dei nemici. E questi avanzi carbonizzati non sarebbero stati meno efficaci se il parroco fosse stato colpevole dei delitti attribuitigli, che se fosse innocente. Il potere di operare miracoli non sta nell'origine della reliquia, ma nella sua reputazione, comunque acquisita. Sempre attraverso la storia, una certa percentuale di esseri umani pu recuperare felicit e salute per mezzo di qualsiasi cosa praticamente, che sia stata diffusa attraverso una buona pubblicit: da Lourdes alla stregoneria, dal Gange alla medicina ufficiale, dal braccio taumaturgico di San Francesco Saverio a quelle "ossa di porco" che il venditore di indulgenze di Chaucer portava in giro in un bicchiere, perch tutti le vedessero e le adorassero. Se Grandier era quello che i cappuccini avevano denunziato, benissimo: anche in cenere, uno stregone ricco di alto potere.

E le sue reliquie sarebbero state cariche di un potere non inferiore, se il parroco fosse stato innocente; infatti in questo caso egli sarebbe stato un martire, pari al migliore di loro. In un batter d'occhio la maggior parte delle ceneri scomparvero. Terribilmente stanchi e assetati, ma felici al pensiero di avere le tasche gonfie di reliquie, i turisti e la gente del luogo si allontanarono alla ricerca di bevande dissetanti e dell'opportunit di togliersi le scarpe. Quella sera, dopo un brevissimo riposo e un pasto molto leggero, i buoni padri si riunirono di nuovo nel convento delle orsoline. La priora fu esorcizzata, and regolarmente in convulsioni, e rispondendo alla domanda di Lactance annunzi che il moscone nero non era altri che Baruch, il familiare del parroco. E perch Baruch si era buttato cos bruscamente sul libro degli esorcismi? Soeur Jeanne si curv all'indietro fino a toccarsi le calcagna, poi fece la piroetta e alla fine rispose che aveva tentato di buttare il libro nel fuoco. Tutto era cos edificante che i frati decisero di sospendere per il momento e di ricominciare la mattina dopo, in pubblico. Il giorno dopo le suore furono condotte a Sainte Croix. Molti turisti erano ancora in citt e la chiesa era affollatissima. La priora fu esorcizzata e, dopo i soliti preliminari, si identific con Isacaaron, l'unico diavolo attualmente disponibile, perch tutti gli altri inquilini del suo corpo erano ritornati all'inferno in occasione della grande festa organizzata per ricevere l'anima di Grandier. Abilmente interrogata, soeur Jeanne conferm quanto gli esorcisti avevano continuamente ripetuto: cio che quando Grandier aveva detto "Dio" egli intendeva sempre "Satana", e che quando aveva rinunziato al diavolo aveva in realt rinunziato d Cristo. Lactance allora volle sapere che specie di torture il parroco soffriva laggi, e fu evidentemente piuttosto deluso quando la priora gli disse che la peggiore era la privazione di Dio. Senza dubbio, senza dubbio. Ma quali erano le TORTURE FISICHE? Dopo molte insistenze soeur Jeanne rispose che Grandier aveva una tortura particolarmente per ognuno dei peccati commessi, particolarmente quelli della carne. E dell'esecuzione? Avevano potuto impedire i demoni che lo stregone soffrisse? Ahim, rispose Isacaaron, Satana era stato frustrato dagli esorcismi. Se il fuoco non fosse stato benedetto, il parroco non avrebbe sentito niente.

Ma grazie all'opera di Lactance, di Tranquile e di Archangel egli aveva sofferto atrocemente. Ma non cos atrocemente, esclam l'esorcista, come soffriva ora! E con una specie di orrore cupido, padre Lactance riport la conversazione sull'inferno. In quale delle tante dimore infernali era alloggiato lo stregone? Come lo aveva ricevuto Lucifero? Che cosa esattamente gli stavano facendo in quel momento? L'Isacaaron di soeur Jeanne fece del suo meglio per rispondere. Poi, quando la sua fantasia inizi a scemare, fu mandata in crisi suor Agnese e fu invitato Beherit a dire la sua. Quella sera, in convento, i frati osservarono che padre Lactance sembrava pallido e stranamente preoccupato. Era forse malato? Padre Lactance scosse il capo. No, non era malato. Ma il prigioniero aveva chiesto di padre Grillau, e gli era stato negato. Poteva darsi che avevano commesso un peccato rendendogli impossibile di confessarsi? I colleghi fecero del loro meglio per rassicurarlo, ma invano. La mattina seguente, dopo una notte insonne, Lactance aveva la febbre. Dio mi punisce continuava a ripetere. Dio mi punisce. Fu salassato da Mannoury, fu purgato da m. Adam. La febbre cedeva per un poco, poi ritornava. Ed ora egli cominciava a vedere certe cose, ad udire certe cose. Grandier torturato, Grandier che urlava. Grandier sul rogo che domandava a Dio di perdonare ai suoi nemici. E poi diavoli, schiere di diavoli. Essi gli entravano nel corpo, poi lo facevano delirare, gli facevano tirar calci e mordere i cuscini, gli riempivano la bocca delle pi orribili bestemmie. Il 18 settembre, esattamente un mese dopo l'esecuzione di Grandier, padre Lactance strapp il crocifisso dalle mani del prete che gli aveva somministrato l'Estrema Unzione, e mor. Laubardemont pag un magnifico funerale e padre Tranquille predic il sermone, nel quale decantava il frate come modello di santit e proclamava che egli era stato assassinato da Satana che si era vendicato cos di tutti gli affronti e le umiliazioni inflittegli da questo eroico servo di Dio. Secondo ad andarsene fu Mannoury, il chirurgo. Una sera, poco dopo la morte di padre Lactance, fu chiamato per un salasso ad un malato che abitava vicino alla Porte du Martral.

Sulla via del ritorno, un servo lo precedeva con un lume, egli vide Urbain Grandier. Nudo, come quando era stato punzecchiato per i segni del demonio, il parroco stava in piedi nella rue du Grand-Pav, tra la controscarpa del castello e il giardino dei cordeliers. Mannoury si ferm, e il servo lo vide fissare il vuoto, lo ud chiedere a qualcuno che non c'era, che cosa volesse. Non vi fu alcuna risposta. Allora il chirurgo cominci a tremare tutto. Un momento dopo, cadde in ginocchio chiedendo perdono. Dopo una settimana anch'egli era morto. Dopo di che fu il turno di Louis Chauvet, uno dei giudici ribelli i quali si erano rifiutati di partecipare alla infernale commedia del processo. La priora e molte delle monache lo avevano accusato di stregoneria, e m. Barr era in grado di confermare tale testimonianza per bocca di parecchie indemoniate della sua parrocchia, a Chinon. Il timore di ci che avrebbe potuto accadergli se il cardinale decideva di prendere sul serio queste fantasie, lo ossession. Cadde in malinconia, poi impazz e quindi cominci a deperire finch mor prima che finisse l'inverno. Tranquille era di fibra pi resistente degli altri. Fu solo nel 1638 che egli fin per soccombere alle conseguenze di una preoccupazione troppo esclusiva del diavolo. Per odio contro Grandier aveva chiamato i demoni; con la sua scandalosa insistenza negli esorcismi pubblici aveva fatto del suo meglio per tenerli in vita. Ora i demoni si rivoltavano contro di lui. Dio non si lascia beffare; egli raccoglieva ci che aveva deliberatamente seminato. In principio le ossessioni furono rare e piuttosto deboli. Ma a poco a poco Coda di Cane e Leviatano presero il sopravvento. Durante l'ultimo anno di vita, padre Tranquille si comport come le monache il cui isterismo egli aveva tanto accuratamente incoraggiato: si rotolava sul pavimento, imprecava, urlava, cacciava fuori la lingua, fischiava, schiamazzava, nitriva. N questo era tutto. Il "puzzolente Gufo Infernale", come il cappuccino suo biografo chiama pittorescamente il diavolo, lo tormentava con tentazioni irresistibili contro la castit, contro l'umilt, contro la pazienza, la fede e la devozione.

Egli chiamava la Vergine, san Giuseppe, san Francesco e san Bonaventura. Invano. La possessione andava di male in peggio. La domenica di Pentecoste del 1638, Tranquille predic il suo ultimo sermone: per qualche giorno ancora riusc a celebrare la Messa; poi si mise a letto con una malattia non meno mortale per il fatto che era evidentemente psicosomatica. Egli lanciava lordure, giudicandole Patti diabolici... Ogni volta che ingeriva qualche cibo, i demoni lo facevano vomitare con una violenza che avrebbe ucciso la persona pi sana. E intanto soffriva di mal di capo e dolori al cuore di una specie non contemplata da Galeno o da Ippocrate. Alla fine della settimana cominci a vomitare sudiciume e rifiuti cos nauseabondi, che gli infermieri dovevano buttarli via senza indugio, tanto la stanza ne rimaneva paurosamente infettata. Il luned dopo Pentecoste gli fu somministrata l'Estrema Unzione. I diavoli lasciarono l'uomo morente e immediatamente entrarono nel corpo di un altro frate, che stava inginocchiato vicino al letto. Il nuovo indemoniato si eccit a tal punto, che dovette essere ridotto all'impotenza da una mezza dozzina di confratelli i quali durarono fatica ad impedirgli di prendere a calci il cadavere ancora caldo. Il giorno dei funerali, padre Tranquille fu esposto al pubblico. Non appena la funzione fu terminata il popolo si rivers su di lui. Alcuni applicarono sul suo corpo i rosari, altri gli tagliarono dei pezzettini di abito da conservare come reliquie. Tanta fu la fretta che la bara fu sconquassata ed il corpo malmenato in tutti i modi, perch ognuno lo tirava a s per averne un pezzetto. E certamente il buon padre sarebbe rimasto completamente nudo, se non fosse stato per alcune persone rispettabili, le quali gli fecero scudo contro la indiscreta devozione del popolo che, dopo avergli tagliato l'abito, gli avrebbe maciullato anche il cadavere. I brandelli dell'abito di padre Tranquille, le ceneri dell'uomo che egli aveva torturato e bruciato vivo... Tutto era equivoco. Lo stregone era morto da martire; il suo malvagio carnefice ora era un santo, ma un santo posseduto da Belzeb. Solo una cosa era certa: un feticcio un feticcio. Perci prestatemi il coltello; dopo di voi con le forbici!

Capitolo 9

Grandier se n'era andato, ma Eazaz rimaneva, Carbone d'Impurit rimaneva, Zabulon era sempre l. A molti il fatto sembrava inspiegabile. Ma quando la causa persiste, gli effetti seguiranno sempre. Erano stati il canonico Mignon e gli esorcisti a cristallizzare originariamente l'isterismo delle monache sotto forma di diavoli, e ora erano il canonico Mignon e gli esorcisti a mantenere viva la possessione. Due volte al giorno, eccettuata la domenica, le indemoniate dovevano dare spettacolo. Come c'era da aspettarsi, esse non stavano meglio - stavano anzi un po' peggio - di quanto lo fossero state mentre lo stregone era vivo. Verso la fine di settembre Laubardemont inform il cardinale di aver chiesto l'assistenza della Compagnia di Ges. I gesuiti avevano fama di dottrina e abilit. Da questi maestri di tutte le scienze il pubblico avrebbe certamente accettato, con minori contraddizioni, l'evidenza della verit di questa possessione. Molti gesuiti, compreso Vitelleschi, il generale dell'Ordine, erano del parere che fosse meglio rifiutare cortesemente qualsiasi ingerenza con la possessione. Ma era troppo tardi per sollevare obiezioni. L'invito di Laubardemont fu seguito rapidamente da un ordine regio. Attraverso il re, il cardinale aveva parlato. Il 15 dicembre 1634 quattro padri gesuiti cavalcavano sulla strada di Loudun. Tra di essi era Jean-Joseph Surin. Padre Bohyre, il provinciale di Aquitaine, lo aveva scelto per l'incarico di esorcista e aveva poi, per consiglio dei suoi superiori, revocato l'ordine. Troppo tardi. Surin aveva gi lasciato Marennes. La nomina originaria fu lasciata in vigore. Surin aveva allora trentaquattro anni, "nel mezzo del cammin", un carattere formato, lo schema di pensiero gi fissato.

I suoi confratelli gesuiti avevano in alta considerazione le sue capacit, riconoscevano il suo zelo e rispettavano l'austerit della sua vita, il fervore con cui perseguiva l'ideale di perfezione cristiana. Ma la loro ammirazione era temperata da una certa preoccupazione. Padre Surin aveva tutto il fare dell'uomo di virt eroica; ma vi era qualche cosa in lui che lasciava perplessi i pi prudenti tra i colleghi e i superiori. Essi notavano in lui una certa esagerazione, una eccessivit negli atti e nelle parole. Egli amava ripetere che colui il quale non ha idee smoderate circa Dio non arriver mai vicino a lui. E senza dubbio era vero, ammesso per che le idee smoderate fossero del tipo giusto. Alcune idee smoderate del giovane padre, sebbene sufficientemente ortodosse, sembravano deviare dalla strada maestra della discrezione. Per esempio, egli sosteneva che dovremmo essere disposti a morire per le persone con le quali viviamo e nello stesso tempo guardarci da loro come se fossero nostri nemici; una proposizione mal calcolata per migliorare la qualit della vita in comune nelle case e nei collegi della Compagnia. Oltre che antisociali, le sue idee eccessive lo rendevano supervirtuoso fino allo scrupolo. Noi dovremmo egli diceva piangere le nostre vanit come sacrilegi, punire con la maggiore severit le nostre ignoranze e inavvertenze. E a questo inumano rigorismo in nome della perfezione aggiungeva ci che a molti, pi anziani di lui o contemporanei, sembr un interesse imprudente ed anche pericoloso per quelle "grazie straordinarie" che sono concesse qualche volta ai santi, ma che sono assolutamente superflue per la salvezza o per la santificazione. Sin dalla prima fanciullezza scriveva molti anni dopo il suo amico padre Anginot egli si sentito potentemente attirato verso queste cose, e le ha supervalutate. E' stato necessario compiacerlo in ci e permettergli di seguire una strada che non era la via comune ed ordinaria. Nella citt portuale di Marennes, dove aveva passato buona parte dei quattro anni successivi alla chiusura del suo "secondo noviziato" a Rouen, Surin ebbe come penitenti due donne d'eccezione, madame du Verger, la moglie di un ricco e devoto mercante, e Madeleine Boinet, figlia di uno stagnino protestante, convertitasi al cattolicesimo. Entrambe erano attive e contemplative (madame du Verger specialmente) erano state favorite da "grazie straordinarie".

L'interesse di Surin per le loro visioni e le loro estasi fu cos grande che egli ricopi lunghi estratti dal diario di madame du Verger e scrisse relazioni circostanziate di entrambe le signore, per farle circolare, in manoscritto, tra i suoi amici. Non vi era niente di male, naturalmente, in tutto ci. Ma perch occuparsi tanto di un argomento cos essenzialmente ambiguo, cos pieno di trabocchetti e di pericoli? Le grazie ordinarie erano le sole che avrebbero portato l'anima in paradiso; allora, perch preoccuparsi di quelle straordinarie, tanto pi che non si sapeva mai se cose simili provenissero da Dio, dall'immaginazione, da frode deliberata o dal demonio? Se padre Surin voleva arrivare alla perfezione, che vi andasse per la strada pi facile, la strada che era buona abbastanza per i membri di base della Compagnia, la strada dell'obbedienza e dello zelo attivo, la strada della preghiera verbale e della meditazione discorsiva. Secondo i critici, peggiorava le cose il fatto che Surin era malato, era vittima della nevrosi o, come si chiamava allora, la "malinconia". Per almeno due anni prima dell'arrivo a Loudun egli aveva sofferto di disturbi psicosomatici debilitanti. Il pi leggero sforzo fisico gli arrecava intensi dolori muscolari. Quando tentava di leggere, era presto costretto a rinunziare per il terribile mal di capo. Aveva la mente ottenebrata e confusa e viveva in mezzo a cos estreme agonie e pressioni che non sapeva cosa sarebbe avvenuto di lui. Era possibile che le singolarit del suo comportamento e del suo insegnamento fossero tutti prodotti di una mente malata in un corpo debole? Surin riferisce che molti dei suoi confratelli gesuiti non erano convinti, fin dal principio, che le monache fossero veramente invasate. Anche prima di venire a Loudun egli invece non era turbato da alcun dubbio del genere. Egli era convinto che in tutti i tempi il mondo sia stato visibilmente interpenetrato dal soprannaturale. Bastava che qualcuno gli dicesse di aver avuto a che fare con santi, angeli o demoni; Surin vi credeva senza discussioni, n critiche. Gli mancava evidentemente "il discernimento intuitivo". Infatti gli faceva deficienza anche la capacit di giudizio e il comune buon senso. Surin era quel non raro paradosso; un uomo di grandi capacit che nello stesso tempo un po' scemo. Egli non avrebbe mai potuto far sue le parole di monsieur Teste: "La btise n'est pas mon fort".

Insieme all'intelligenza e alla santit, la dabbenaggine ERA il suo punto forte. Surin vide per la prima volta le indemoniate ad uno degli esorcismi pubblici officiato da Tranquille, da Mignon e dai carmelitani. Egli era andato a Loudun convinto della realt della possessione; questo spettacolo spinse la sua convinzione alla massima potenza di certezza. Ora egli sapeva che i demoni erano assolutamente genuini e Dio gli fece sentire tanta compassione per le condizioni in cui si trovavano le invasate, che non potette trattenere le lacrime. La sua simpatia era sprecata o per lo meno malriposta. Il demonio scrive soeur Jeanne spesso mi divertiva per un certo piacere che provavo nelle crisi e per le altre cose straordinarie che egli faceva al mio corpo. Provavo un immenso piacere a sentir parlare di queste cose ed ero felice perch davo l'impressione di essere pi gravemente tormentata delle altre. Indebitamente prolungato, ogni piacere si trasforma nel suo opposto; solo quando gli esorcisti esagerarono cess per le monache il piacere della possessione. Praticati con moderazione, i pubblici esorcismi, come ogni altra specie di orgia, erano intrinsecamente piacevoli. Questo fatto non poteva non turbare persone abituate all'esame di coscienza alla luce di una rigida morale. Nonostante che le anime non fossero considerate colpevoli degli atti peccaminosi compiuti nel parossismo della possessione, soeur Jeanne soffr di un cronico rimorso di coscienza. Ed naturale, perch mi rendevo conto molto chiaramente che nella maggioranza dei casi ero io la causa prima dei miei disturbi, e che il diavolo agiva solo seguendo i miei suggerimenti. Ella sapeva che quando si comportava oltraggiosamente, non era perch aveva voluto liberamente l'oltraggio. Tuttavia Sono sicura, con mia grande mortificazione, che io permisi al diavolo di fare cose simili, e che egli non avrebbe avuto il potere di farle se io non mi fossi alleata con lui... Quando facevo una forte resistenza, tutte queste furie scomparivano altrettanto improvvisamente come erano venute; ma, ahim, accadeva fin troppo spesso che non facessi grandi sforzi per resistere. Rendendosi conto di essere colpevoli, non di ci che facevano quando erano fuori di s, ma di ci che non facevano prima che l'isterismo prendesse il sopravvento, le monache soffrivano intensamente di un senso di colpa.

In questa coscienza di peccato, le orge della possessione e dell'esorcismo arrivavano come tante vacanze felici. Le lagrime erano appropriate, non per questi farneticamenti e queste indecenze, ma per i lucidi intervalli che li alternavano. A Surin, molto tempo prima del suo arrivo a Loudun, era stato assegnato l'onore di esorcizzare la madre superiora. Quando Laubardemont le disse che si era rivolto ai gesuiti e che ella stava per avere come direttore il pi abile e il pi santo giovane padre della Provincia di Aquitaine, soeur Jeanne si era molto allarmata. I gesuiti non erano come questi ottusi cappuccini e carmelitani, che era stato sempre cos facile imbrogliare. Essi erano intelligenti, erano molto istruiti, e questo padre Surin era anche santo, un uomo di preghiera, un grande contemplativo. Egli avrebbe letto dentro di lei subito, avrebbe visto quando era veramente invasata e quando recitava soltanto, o per lo meno collaborava con i demoni. Ella supplic Laubardemont di lasciarla ai suoi antichi esorcisti, al caro canonico Mignon, al buon padre Tranquille e ai degni carmelitani. Ma Laubardemont e il suo padrone avevano deciso. Essi sentivano il bisogno di testimonianze accettabili della possessione che solo i gesuiti potevano fornire. Malvolentieri, soeur Jeanne si rassegn. Durante le settimane che precedettero l'arrivo di Surin, ella fece del suo meglio per scoprire tutto quello che si poteva sapere del nuovo esorcista. Scrisse alle amiche di altri conventi chiedendo informazioni; sond i gesuiti locali. Il suo scopo era di studiare le tendenze dell'uomo al quale ero stata assegnata e avendo scoperto tutto quanto poteva comportarsi con lui con la minor confidenza possibile, senza dargli alcuna informazione sullo stato della mia anima. A questa risoluzione fui fin troppo fedele. Quando il nuovo esorcista arriv, ella sapeva abbastanza della sua vita a Marennes da essere in grado di fare sarcastici riferimenti a "la Boinette" (il nome che i suoi diavoli davano con scherno a Madeleine Boinet). Surin alz le braccia stupefatto. Era un miracolo: infernale senza dubbio, ma evidentemente genuino. Soeur Jeanne aveva deciso di tenersi i suoi segreti, e attu questa risoluzione sentendo ed esprimendo una intensa avversione per il nuovo esorcista e andando in crisi (com'ella diceva essere sconvolta interiormente

ed esteriormente dai demoni) sempre che Surin cercava di interrogarla sulle condizioni della sua anima. Quando egli si avvicinava, scappava e se era costretta ad ascoltarlo, urlava e cacciava fuori la lingua. In tutto ci, soeur Jeanne osserva ella metteva a dura prova la sua virt. Ma egli aveva la carit di attribuire il suo temperamento al diavolo. Tutte le monache soffrivano di rimorso e della convinzione, nonostante i loro diavoli, di aver gravemente peccato; ma la priora pi delle sue consorelle aveva ragione di sentirsi colpevole. Poco dopo l'esecuzione di Grandier, Isacaaron che era un diavolo della concupiscenza, profitt della mia debolezza per infliggermi le pi orribili tentazioni contro la castit. Egli comp un'operazione sul mio corpo, la pi strana e pi furiosa che si potesse immaginare; per il che mi persuase che ero incinta, in maniera tale che io vi credetti fermamente e ne manifestai tutti i segni. Ella si confid alle consorelle, e subito una schiera di diavoli annunziarono la gravidanza. Gli esorcisti riferirono il fatto al commissario ed il commissario lo rifer a Sua Eminenza. La mestruazione, egli scrisse, si era interrotta per tre mesi; vi era vomito continuo, con disturbi allo stomaco, secrezione di latte ed evidente ingrossamento del ventre. Le settimane passavano e la priora diventava sempre pi agitata. Se partoriva un figlio, ella stessa e con lei la comunit di cui era a capo, e tutto l'Ordine, sarebbero stati disonorati. Era disperata e l'unico sollievo erano le visite di Isacaaron. Queste visite si verificavano quasi tutte le notti. Nell'oscurit della sua cella ella sentiva rumori e sentiva tremare il letto. Mani ignote le tiravano le lenzuola; voci le bisbigliavano all'orecchio lusinghe e oscenit. Qualche volta nella stanza si faceva una strana luce ed ella vedeva la forma di una capra, di un leone, di un serpente, di un uomo. Qualche volta cadeva in catalessi e mentre giaceva immobile, le sembrava che piccoli animali strisciassero sotto le coperte, stuzzicandole il corpo con le zampe ed i musi adunchi. Allora la voce suadente le chiedeva ancora una volta un po' d'amore, solo una minuscola concessione. E quando ella rispondeva che il suo onore era nelle mani di Dio e che Egli ne disponeva secondo la Sua volont veniva scaraventata fuori del letto e

percossa tanto violentemente da averne la faccia sfigurata e il corpo coperto di ammaccature. Accadeva molto spesso che egli mi trattasse a questo modo, ma Dio mi dette pi coraggio di quanto avrei osato sperare. Eppure ero cos perversa da inorgoglirmi di questi combattimenti insignificanti, pensando di piacere molto a Dio e che quindi non avevo ragione di temere, come avevo fatto, i rimproveri della mia coscienza. Nondimeno, trovai impossibile soffocare il rimorso o fare a meno di credere che non ero come Dio mi avrebbe voluta. Isacaaron era il principale colpevole, e fu contro Isacaaron che Surin diresse tutte le sue energie, tutti i fulmini del rituale. "Audi ergo et time, Satana malorum radix, fomes vitiorum"... Niente valeva. Poich io non rivelavo le mie tentazioni, esse aumentavano sempre maggiormente. E pi forte diventava Isacaaron, pi forte diventava la disperazione di Jeanne e le sue preoccupazioni circa la gravidanza che procedeva regolarmente. Poco prima di Natale ella trov la maniera di procurarsi alcune sostanze: il marrubio certamente, e aristolochia e colloquinta, le tre erbe medicinali alle quali la scienza di Galeno e il disperato ottimismo delle ragazze nei pasticci, attribuivano potere di procurare l'aborto. Ma se il bambino moriva senza battesimo, la sua anima si sarebbe perduta eternamente. Butt via le erbe. Ed un altro piano le si present alla mente. Sarebbe andata in cucina, avrebbe preso il grande coltello della cuoca, si sarebbe incisa, poi avrebbe estratto il bambino, lo avrebbe battezzato e poi o sarebbe guarita o sarebbe morta. Il giorno di Capodanno 1635 fece una confessione generale senza tuttavia, rivelare i miei piani al confessore. Il giorno seguente, armata di coltello e portandosi un bacile d'acqua per il battesimo, si chiuse in una stanzetta all'ultimo piano del convento. Nella stanza v'era un crocifisso. Soeur Jeanne si inginocchi e preg Dio di perdonare la sua morte e quella della creaturina, nel caso che dovessi ammazzarla con me, poich ero decisa a sopprimerla non appena battezzata. Mentre si svestiva fu assalita da "de petittes apprhensions d'estre damne"; ma queste piccole apprensioni non furono sufficienti a distoglierla dal suo malvagio proposito.

Dopo essersi tolto il vestito, tagli con le forbici un grande buco nella camicia, afferr il coltello e cominci a spingerlo tra le due costole pi vicine allo stomaco con la ferma risoluzione di procedere fino in fondo. Ma sebbene tentino spesso il suicidio, gli isterici raramente lo attuano. Grazie al misericordioso intervento della Provvidenza che mi imped di fare ci che mi ero proposto! Fui improvvisamente buttata a terra con inaudita violenza. Il coltello mi fu strappato di mano e posto davanti a me ai piedi del crocifisso. Una voce esclam Desisti! Soeur Jeanne alz gli occhi al crocifisso. Il Cristo stacc un braccio dalla croce e le porse la mano. Furono pronunziate parole divine, dopo di che vi fu mormorio e schiamazzo di diavoli. La priora decise sull'istante di cambiar vita e di convertirsi. Intanto, per, la gravidanza procedeva e Isacaaron non aveva affatto perduto le speranze. Una notte egli le offr, in segno di omaggio, di portarle un empiastro magico che, applicato sullo stomaco, avrebbe interrotto la gravidanza. La priora fu fortemente tentata di accettare la proposta, ma ripensandoci, decise di dire no. Il diavolo esasperato la percosse violentemente. Un'altra volta, Isacaaron pianse e si lament cos pietosamente che soeur Jeanne ne fu commossa e sent il desiderio che la stessa cosa avvenisse di nuovo. Cos fu. Non sembrava vi fosse alcuna ragione perch tale stato di cose non si prolungasse indefinitivamente. Molto perplesso, Laubardemont mand a chiamare il famoso dottor du Chne di Le Mans. Questi arriv, osserv attentamente la priora e dichiar che la gravidanza era genuina. La perplessit di Laubardemont si mut in allarme. Come avrebbero accolto la notizia i protestanti? Fortunatamente per gli interessati, Isacaaron fece la sua apparizione ad un pubblico esorcismo e tranquillamente contraddisse il medico. Tutti i sintomi significativi, dal vomito al flusso di latte, erano stati artifici dei diavoli. Egli fu quindi costretto a farmi rigettare tutti gli ammassi di sangue, accumulati nel mio corpo.

Ci avvenne alla presenza di un vescovo, di parecchi medici e di molte altre persone Tutti i segni della gravidanza scomparvero immediatamente e non ritornarono pi. Gli spettatori resero grazie a Dio; e altrettanto, con le labbra, fece la priora. Ma in cuor suo aveva dei dubbi. I diavoli ella scrive fecero di tutto per persuadermi che quanto era accaduto quando Nostro Signore mi imped di tagliarmi per liberarmi dalla cosiddetta gravidanza, non era stato voluto da Dio; e quindi avrei dovuto considerare tutta la faccenda come mera illusione; non farci chiasso intorno e non accennarne in confessione. In seguito questi dubbi furono messi a tacere ed ella fu in grado di convincersi che vi era stato un miracolo. Per Surin il miracolo era stato sempre fuori questione. Per lui, tutto ci che accadeva a Loudun era soprannaturale. La sua fede era ghiotta e non faceva distinzioni. Egli credeva nell'invasamento. Credeva nella colpevolezza di Grandier. Credeva che vi fossero altri stregoni all'opera dietro le monache. Credeva che il diavolo, debitamente costretto, obbligato a dire la verit. Egli credeva che gli esorcismi pubblici fossero a vantaggio della religione cattolica e che innumerevoli libertini ed ugonotti si sarebbero convertiti sentendo i demoni testimoniare la realt della transustanziazione. Credeva, infine, in soeur Jeanne e nei prodotti della sua immaginazione. La credulit un grave peccato intellettuale che solo la pi invincibile ignoranza pu giustificare. Nel caso di Surin l'ignoranza era vincibile e finanche volontaria. Abbiamo visto che, nonostante il clima intellettuale prevalente, molti dei suoi confratelli gesuiti non manifestarono affatto la sua ansia impaziente di credere. Dubitando della possessione, essi erano liberi di dissentire circa le odiose assurdit che il nuovo esorcista, con il suo morboso interesse per le grazie e le disgrazie straordinarie, aveva accettato senza neppure un tentativo di critica. La dabbenaggine, come abbiamo visto, fu uno dei punti forti di Surin. Ma altrettanto fu la santit, altrettanto fu lo zelo eroico. Il suo fine era la penetrazione cristiana, quel morire dell'io che permette all'anima di ricevere la grazia dell'unione con Dio.

E questo fine egli lo proponeva non soltanto per s, ma per tutti coloro che si lasciassero convincere a seguirlo lungo il sentiero della purificazione e della docilit dello Spirito Santo. Altri lo avevano ascoltato, perch non avrebbe dovuto ascoltarlo la priora? L'idea gli venne - e la sent come un'ispirazione - mentre stava ancora a Marennes. Avrebbe integrato l'esorcismo con il tipo di addestramento nella vita dello spirito, che egli stesso aveva ricevuto da madre Isabella e da padre Lallemant. Avrebbe liberato l'anima indemoniata sollevandola nella Luce. Qualche giorno dopo il suo arrivo a Loudun egli tratt l'argomento con soeur Jeanne, ed ebbe in risposta uno scroscio di risa da parte di Isacaaron, un ghigno di furioso disprezzo da parte di Leviatano. Questa donna, essi lo ricordarono, apparteneva a loro, era una comune dimora per diavoli; ed egli le parlava di esercizi spirituali, la sollecitava a disporre l'anima per l'unione con Dio! Ma via, erano pi di due anni che ella non aveva pi neppure tentato di praticare la preghiera mentale. Proprio la contemplazione! La perfezione cristiana! Le risate divennero fragorose. Ma Surin non si lasci scoraggiare. Ogni giorno, nonostante le bestemmie e le convulsioni, tornava alla carica. Egli aveva sguinzagliato dietro di lei la "muta celeste" e intendeva seguire la sua preda fino alla morte, la morte che la vita eterna. La priora cerc di sfuggire; ma egli spiava le sue tracce, la circondava con le sue preghiere e le sue omelie. Le parlava della vita spirituale, chiedeva a Dio di darle la forza di intraprenderne gli ardui preliminari, descriveva la beatitudine dell'unione. Soeur Jeanne lo interrompeva con scoppi di riso, barzellette circa la sua preziosa Boinette, rutti clamorosi, frammenti di canzoni, imitazioni di porci che mangiano. Ma la voce continuava a mormorare, instancabilmente. Un giorno, dopo una manifestazione particolarmente spaventosa di diabolica bestialit, Surin preg che gli fosse permesso di soffrire per conto della priora ed in sua vece. Egli voleva provare tutto ci che i demoni avevano fatto provare a soeur Jeanne; egli era pronto ad essere invasato se fosse piaciuto alla divina Bont di guarirla e condurla nella pratica della virt. Egli inoltre chiese che gli fosse concesso di subire la massima umiliazione, di essere considerato pazzo.

Preghiere simili, ci assicurano i moralisti e i teologi, non dovrebbero mai essere fatte (1). Disgraziatamente, la prudenza non era virt di Surin. La folle ed estremamente illegittima richiesta venne espressa. Ma le preghiere, se sincere, hanno maniera di farsi esaudire, qualche volta senza dubbio per diretto intervento divino; ma pi spesso, possiamo supporre, perch la natura delle idee tale che esse tendono ad oggettizzarsi, a prendere una forma, materiale o psicologica, in fatti o in simboli, nel mondo reale o nel sogno. Surin aveva pregato di poter soffrire come aveva sofferto soeur Jeanne. Il 19 gennaio cominci ad essere invasato. Forse sarebbe accaduto anche se non avesse mai pregato. I diavoli avevano gi ucciso padre Lactance, e padre Tranquille stava per subire la stessa sorte. Infatti, secondo Surin, non vi era uno tra gli esorcisti che non fosse in qualche modo assalito dai diavoli che avevano aiutato ad evocare e che cercavano in tutti i modi di tenere in vita. Nessuno pu concentrare l'attenzione sul male, o solo sull'idea del male, e non rimanerne preso. Essere pi contro il demonio che per Dio molto pericoloso. Qualunque crociato rischia di diventare pazzo. Egli ossessionato dalle perfidie che attribuisce ai suoi nemici; esse diventano in certo qual modo parte di lui. La possessione pi spesso secolare che soprannaturale. Gli uomini sono invasati dai loro pensieri di una persona odiata, di una classe odiata, di una razza o di una nazione odiata. Attualmente i destini del mondo sono nelle mani di indemoniati volontari, uomini che sono invasati, e lo manifestano, dal male che hanno voluto vedere negli altri. Essi non credono nei demoni; ma hanno cercato accanitamente di essere invasati, lo hanno tentato e vi sono riusciti magnificamente. E poich essi credono ancora meno in Dio che nel diavolo, sembra molto improbabile che saranno mai in grado di guarire dalla possessione. Concentrando l'attenzione sull'idea di un male soprannaturale e metafisico, Surin si butt in un abisso di follia raro tra gli indemoniati secolari. Ma la sua idea del bene era anche soprannaturale e metafisica, e alla fine lo salv. Al principio di maggio Surin scrisse al suo amico e confratello gesuita, padre d'Attichy, dandogli un completo resoconto di ci che gli era accaduto.

Dall'ultima lettera, sono caduto in uno stato ben lungi da qualsiasi cosa potevo mai prevedere, ma del tutto consono alle direttive della Provvidenza divina circa la mia anima... Sono impegnato in una lotta con quattro dei pi perfidi demoni dell'inferno... Il campo di battaglia meno importante quello dell'esorcismo; poich i miei nemici si sono fatti vivi segretamente, notte e giorno in migliaia di maniere diverse... Per gli ultimi tre mesi e mezzo non sono mai stato senza un diavolo di turno. La situazione diventata tale (per i miei peccati, penso) che Dio ha permesso... ai diavoli di uscire dal corpo della persona indemoniata e di entrare nel mio, di assalirmi, di buttarmi a terra, di tormentarmi in modo che tutti possano vedere possedendomi per diverse ore di seguito come un indemoniato (2). Io trovo quasi impossibile spiegare che cosa mi accade in questo tempo, come questo spirito estraneo unito al mio, senza privarmi della coscienza o della libert interiore, eppure costituendo un secondo "me", come se avessi due anime, di cui una spossessata dal mio corpo e dall'uso dei suoi organi e si tiene da parte, sorvegliando l'altra, l'intrusa, che fa tutto ci che le piace. Questi due spiriti si danno battaglia entro i limiti di un campo, che il corpo. L'anima come divisa, e in una delle sue parti vi il soggetto delle impressioni diaboliche e nell'altra, quello di sentimenti appropriati o ispirati da Dio. Io sento contemporaneamente una gran pace, come se godessi della benevolenza divina, e nello stesso tempo (senza sapere come) una furia e un odio irresistibili contro Dio che si esprimono in lotte frenetiche (stupefacenti per coloro che le osservano) per separarmi da Lui. Sperimento contemporaneamente una gran gioia e delizia e d'altra parte una infelicit che trova sfogo in sospiri e lamentazioni come quelle di un dannato. Provo lo stato di dannazione e lo temo. Sento come se fossi penetrato dai pungoli della disperazione in quell'anima estranea che sembra mia; e nello stesso tempo l'altra anima vive in completa fiducia, illumina tutti questi sentimenti e maledice l'essere che ne la causa. Io sento perfino che le grida espresse dalla mia bocca vengono da entrambe le anime insieme; e trovo difficile determinare se sono prodotti di gioia o di frenesia.

I brividi che mi assalgono quando il Santo Sacramento viene applicato a qualunque parte del mio corpo, sono causati simultaneamente (cos almeno mi sembra) dall'orrore della sua prossimit, che trovo insopportabile, e da sincera riverenza... Quando, per impulso di una di queste due anime, io cerco di farmi il segno della croce sulla bocca, l'altra anima mi scosta la mano, oppure prende il dito tra i denti e lo morde selvaggiamente. Io trovo che la preghiera mentale non mai pi facile o pi tranquilla che nel mezzo di queste agitazioni, mentre il corpo si rotola sul pavimento e i ministri della Chiesa mi parlano come a un demonio, riempiendomi di maledizioni. Non posso descriverti la gioia che provo nel trovarmi trasformato in un demonio, non per ribellione contro Dio, ma per una calamit che simbolizza chiaramente lo stato in cui mi ha ridotto il peccato... Quando gli altri indemoniati mi vedono in questo stato, una gioia vedere come esultano sentendo i demoni farsi giuoco di me! "Medico, cura te stesso! E' ora di salire sul pulpito! Uno spettacolo piacevole vedere quella cosa predicare!"... Qual privilegio questo, conoscere per esperienza lo stato dal quale Ges Cristo mi ha tratto, rendersi conto della grandezza della sua redenzione, non per sentito dire, ma con la effettiva sensazione dello stato dal quale siamo stati redenti!... Questo ci che ora mi circonda, cos che mi sento quasi tutti i giorni. Sono diventato argomento di controversia. Vi vera possessione? E' possibile per i ministri della Chiesa ridursi in simili condizioni? Alcuni dicono che tutto ci la punizione di Dio su di me, la punizione per qualche illusione, altri spiegano diversamente. In quanto a me, conservo la mia pace e non ho alcun desiderio di cambiare il mio destino, essendo fermamente convinto che non vi sia niente di meglio che ridursi al punto estremo... Nei suoi ultimi scritti Surin svilupp pi completamente questo tema. Vi sono, egli insisteva, molti casi in cui Dio si serve della possessione come parte del processo purgativo che deve precedere l'illuminazione. Permettere che le anime che Egli desidera elevare ad un alto grado di santit siano possedute o ossessionate dal demonio, uno degli inviti pi comuni di Dio sulla via della grazia. I diavoli non possono invasare la volont e non possono costringere le loro vittime al peccato. Le ispirazioni diaboliche di bestemmie, impurit e odio verso Dio lasciano l'anima pura.

Infatti esse in realt fanno del bene, in quanto fanno sentire all'anima la stessa umiliazione che proverebbe se tali orrori fossero commessi volontariamente. Queste umiliazioni e le agonie e i timori di cui i diavoli riempiono la mente sono il crogiuolo che brucia completamente, fin nel profondo del cuore, fin nell'intimo di se stessi, ogni vanit. E nello stesso tempo, Dio stesso all'opera sull'anima sofferente, ed egli lavora in maniera cos energica, cos insinuante e affascinante da potersi dire di quest'anima che uno dei capolavori della Sua misericordia. Surin concluse la sua lettera a padre d'Attichy raccomandando il segreto e la discrezione. Ad eccezione del mio confessore e dei miei superiori, tu sei l'unico al quale ho confidato queste cose. La fiducia purtroppo fu mal riposta. Padre d'Attichy mostr la lettera a tutti indistintamente. Ne furono fatte numerose copie per farle circolare e nello spazio di qualche mese essa venne stampata, come foglietto volante. Insieme ai condannati a morte e ai vitelli a sei gambe, Surin prese posto tra gli oggetti di divertimento del volgo. D'allora in poi, Leviatano e Isacaaron non erano mai molto lontani. Ma tra gli attacchi al suo corpo e durante la effettiva ossessione dell'anima, Surin fu in grado di continuare la sua missione: la santificazione di soeur Jeanne. Quando ella fuggiva, egli la seguiva; sedendole vicino, le sussurrava la dottrina spirituale di padre Lallemant nelle orecchie ribelli. La perfezione interiore, la docilit allo spirito, la purificazione del cuore, la conversione della volont a Dio... I demoni di lei si contorcevano e borbottavano; ma egli continuava, continuava anche se, dentro di s, poteva sentire i sogghigni di Leviatano, gli osceni suggerimenti di Isacaaron, il demone dell'impurit. Surin non doveva lottare solo contro i demoni. Anche nelle sue ore di equilibrio - forse soprattutto nelle ore di equilibrio - la priora gli dimostrava ancora antipatia. Gli dimostrava antipatia perch lo temeva, perch aveva paura di essere esposta dalla sua perspicacia a manifestarsi quale, negli intervalli di lucidit, ella sapeva di essere: per met attrice, per met peccatrice impenitente, del tutto isterica. Egli la preg di essere franca con lui. Gli rispose un ululato diabolico e la dichiarazione della monaca che non vi era niente da confidare.

I rapporti tra l'energumena e il suo esorcista furono complicati dal fatto che durante la Settimana Santa soeur Jeanne fu improvvisamente assalita da desideri molto cattivi e da un sentimento del pi illegittimo affetto per l'uomo che temeva e detestava tanto. Ella non sapeva decidersi a confessare il suo segreto, e fu lo stesso Surin che dopo tre ore di preghiera davanti al Santissimo Sacramento, accenn a queste "abominevoli tentazioni". Se qualcuno fu mai ammutolito per lo stupore scrisse soeur Jeanne lo fui io in quell'occasione. Era tardi ed egli la lasci a meditare il suo stupore. Alla fine ella decise, ancora una volta, di cambiare non soltanto il suo atteggiamento verso Surin, ma tutta la sua maniera di vivere. Fu una risoluzione della volont superficiale. Gi in fondo, nel subcosciente, i diavoli avevano altri progetti. Ella cerc di leggere; la mente le si svuotava. Cerc di pensare a Dio, di mettere l'anima alla Sua presenza; d'un tratto le si svilupp un formidabile mal di testa, insieme a "strani offuscamenti e debolezze". Per tutti questi sintomi Surin aveva un rimedio sovrano: la preghiera mentale. Ella consent a provarla. I diavoli raddoppiarono la loro furia. Al primo accenno alla perfezione interiore, essi le mandarono il corpo in convulsioni. Surin la fece stendere su una tavola e la fece legare saldamente con delle corde, in modo che non si potesse muovere. Poi si inginocchi vicino a lei e bisbigliandole all'orecchio, tradusse in parole un modello di meditazione. Presi per soggetto la conversione del cuore a Dio e il desiderio di consacrarsi completamente a Lui. Ne feci tre punti separati, che spiegai affettivamente, compiendo tutti gli atti per conto della madre. Questa cerimonia si ripeteva tutti i giorni. Legata, come se dovesse subire un'operazione chirurgica, la priora era alla merc di Dio. Ella lottava, urlava; ma attraverso tutto quel chiasso poteva ancora udire la voce del suo implacabile incantatore. Qualche volta Leviatano rivolgeva la sua attenzione all'esorcista, e d'un tratto padre Surin si trovava incapace di parlare. Dalla priora arrivavano urli di risa infernali.

Poi l'elettricit si spegneva di nuovo: le preghiere, gli insegnamenti bisbigliati continuavano dal punto dove erano stati interrotti. Quando i diavoli diventavano troppo violenti. Surin prendeva una scatola d'argento contenente un'ostia consacrata e l'applicava sul cuore o sulla fronte della priora. Dopo la prima spasmodica convulsione, ella fu presa da una grande devozione che si accentu mentre le sussurravo all'orecchio tutto ci che piaceva a Dio di ispirarmi. Ella divent attentissima a ci che dicevo e fu immersa in un profondo raccoglimento. L'effetto sul suo cuore fu cos grande... che le lagrime le sgorgarono dagli occhi. Fu una conversione, ma una conversione nel contesto dell'isterismo, una confessione sulla scena di un immaginario teatro. Otto anni prima, quando era una giovane monaca che cercava di cattivarsi il favore della superiora, soeur Jeanne aveva sfoggiato l'ambizione di diventare una seconda santa Teresa. Ad eccezione della vecchia dama, nessuno si era lasciato impressionare. Poi ella fu nominata priora, ebbe l'incarico del parlatorio; il misticismo cominci a sembrarle meno interessante. Dopo di che, quasi improvvisamente, le era venuta l'ossessione del sogno erotico al quale dette il nome di Grandier. La nevrosi si inaspr, il canonico Mignon parl di demoni, pratic gli esorcismi, le prest la sua copia del libro di Michaelis sul caso Gauffridy. Ella lo lesse e immediatamente si vide regina delle indemoniate. La sua ambizione a quell'epoca era di superarle in tutto: nelle bestemmie, nei grugniti, nel linguaggio osceno, nelle acrobazie. Ella sapeva, senza dubbio, che tutti i disordini della sua anima erano basati sul suo carattere e che doveva incolpare se stessa per questi disordini, senza ricorrere a cause estranee. Sotto l'influenza di Michaelis e di Mignon, questi difetti naturali si erano cristallizzati in sette diavoli. Ed ora i diavoli avevano la propria vita autonoma ed erano i suoi padroni. Per liberarsene, ella avrebbe dovuto liberarsi delle cattive abitudini e delle brutte tendenze. E per far ci, come continuava a ripeterle il nuovo direttore, avrebbe dovuto pregare, avrebbe dovuto esporsi alla Luce divina. L'ardore di Surin era infettivo; ella fu colpita dalla sincerit di quell'uomo, si rese conto che dietro i sintomi della sua ossessione egli conosceva, per esperienza profonda, ci di cui parlava.

Dopo averlo ascoltato, ella desider di andare verso Dio; ma desider di andarvi nella maniera la pi spettacolare possibile, seguita dall'ammirazione di un gran pubblico. Era stata la regina delle indemoniate; ora desiderava essere una santa, o piuttosto desiderava essere considerata santa, essere canonizzata l per l, fare miracoli, essere invocata nelle preghiere... Si tuff nella nuova parte con tutta l'energia che le era solita. Da trenta minuti di meditazione quotidiana arriv a tre o quattro ore, e per essere in grado di ricevere l'illuminazione ella intraprese un corso di durissime penitenze fisiche. Abol il materasso di piume per dormire sulle tavole nude; prepar decotti di assenzio da versare sui cibi invece della salsa; indoss un cilicio e una cintura cosparsa di chiodi; si percuoteva con una frusta almeno tre volte al giorno, e qualche volta, cos ella afferma, fino a sette ore nel periodo di ventiquattro ore. Surin che era un gran sostenitore della disciplina, la incoraggi a perseverare. Egli aveva osservato che i diavoli i quali non facevano che ridere ai riti della Chiesa, spesso venivano messi in fuga in pochi minuti da una buona dose di frustate. E la frusta era altrettanto efficace per la malinconia naturale come per la possessione soprannaturale. Santa Teresa aveva fatto la stessa scoperta. Ripeto (poich ho visto molte persone affette da questa malinconia e ho avuto molto a che fare con loro) che non vi altro rimedio, se non conquistarle con ogni mezzo in nostro potere... Se le parole non bastano, ricorrere alle punizioni, e che siano severe, se le punizioni leggere non avranno effetto. Sembra ingiusto aggiunge la santa punire la suora malata, che non si pu aiutare da s come quando sta bene. Ma, prima di tutto, bisogna ricordare che queste nevrotiche fanno un gran male all'anima delle altre. Inoltre io credo veramente che questo male derivi molto spesso da uno spirito indisciplinato, privo di umilt e male addestrato... Con la scusa di questa indole (o malinconia) Satana cerca di conquistare molte anime. Ai nostri giorni molto pi comune che in passato; la ragione che ostinazione e licenza ora si chiamano malinconia.

Tra gente che credeva fermamente nel libero arbitrio assoluto e nella completa depravazione della natura, questa maniera spiccia di trattare i nevrotici era in apparenza molto efficace. Lo sarebbe altrettanto al giorno d'oggi? In certi casi, forse. Per il resto, probabile, nell'attuale clima intellettuale, ottenere risultati migliori col "libero sfogo" anzich con l'elettrochoc autoprovocato. Un po' per gli esorcismi e un po' per l'andirivieni dei turisti, la cappella del convento era diventata troppo rumorosa per i colloqui fatti di bisbigli tra soeur Jeanne e il suo direttore. Al principio dell'estate del 1635 essi cominciarono ad incontrarsi pi riservatamente in un attico sotto i tetti. Fu innalzata una specie di grata e attraverso le sbarre Surin dava le sue istruzioni e spiegava la teologia mistica. E attraverso le sbarre la priora gli raccontava le sue tentazioni, le sue lotte con i diavoli, le sue esperienze (gi meravigliose) nel corso della meditazione. Poi in silenzio pregavano insieme e l'attico diventava, come riferisce Surin la casa degli angeli e un paradiso di gioie in cui entrambi erano favoriti da grazie straordinarie. Un giorno, mentre meditava sul disprezzo al quale era stato esposto Ges durante la passione, soeur Jeanne and in estasi. Quando si riebbe, ella rifer attraverso la grata di essere arrivata cos vicino a Dio da ricevere, per cos dire, un bacio dalle sue labbra. Ed intanto, che pensavano di tutto ci gli altri esorcisti? Qual era l'opinione della brava gente di Loudun? Surin ci dice che egli udiva la gente mormorare: "Cosa fa questo gesuita tutti i giorni con una monaca indemoniata?". Io rispondevo dentro di me: voi non conoscete l'importanza della questione in cui sono impegnato. Mi sembra di vedere Paradiso e Inferno accendersi per quest'anima, l'uno di amore, l'altro di furia, ciascuno in lotta per conquistarla. Ma ci che vedeva lui, nessun altro lo vedeva. Tutto ci che gli altri sapevano era che, invece di sottoporre la sua penitente al pieno rigore degli esorcismi, Surin passava delle ore in conversazione privata, cercando di insegnarle (nonostante i diavoli) la via della perfezione cristiana. Ai suoi confratelli il tentativo sembr assolutamente pazzesco, tanto pi che Surin era egli stesso ossessionato e aveva bisogno spesso di esorcismi per conto suo. (In maggio, quando Gastone d'Orlans, il fratello del re, si

rec a vedere i demoni, egli era stato pubblicamente invasato da Isacaaron il quale pass dal corpo di sour Jeanne in quello di Surin. Mentre l'indemoniata sedeva calma, ragionevole, sorridendo ironicamente, l'esorcista si rotolava sul pavimento. Il principe, senza dubbio, fu entusiasta, ma per JeanJoseph era stata un'altra umiliazione nella lunga serie a cui una inscrutabile Provvidenza lo stava sottoponendo.) Nessuno metteva in dubbio la purezza delle intenzioni e delle azioni di Surin; ma tutti consideravano imprudente la sua condotta, e tutti deploravano i pettegolezzi ai quali, inevitabilmente, egli dava luogo. Alla fine dell'estate fu informato il padre provinciale perch lo richiamasse a Bordeaux. La priora intanto aveva avuto la sua buona parte di tribolazioni. Nel nuovo ruolo di grande santa contemplativa, ella stava dando uno spettacolo che avrebbe dovuto mettere ai suoi piedi tutto il convento. Invece Nostro Signore permise che dovessi molto soffrire durante la conversazione con le consorelle, per opera dei diavoli, che le tormentavano; poich molte di loro concepirono una grande avversione per me, a motivo del cambiamento da loro osservato in me, nel comportamento e nella maniera di vivere. I diavoli le convinsero che era stato il demonio a operare questo cambiamento, allo scopo di mettermi in grado di esprimere giudizi sul loro carattere e sulla loro condotta. Sempre che mi trovavo con loro, i demoni ne inducevano qualcuna a beffarsi di me e schernire tutto ci che dicevo e facevo, una cosa penosissima per me. Durante gli esorcismi, le monache chiamavano la loro superiora "le diable dvot", il pio demonio. La loro opinione era condivisa dagli esorcisti. Ad eccezione di Surin tutti i padri presenti erano scettici. Invano soeur Jeanne li assicurava che il grande san Giuseppe aveva ottenuto per lei il dono della preghiera mentale, invano ella dichiarava con modestia di essere stata innalzata dalla maest di Dio al grado della contemplazione, per mezzo della quale ricevei grande illuminazione, e Nostro Signore si manifest all'anima mia in maniera particolare e personale. Invece di prostrasi davanti a questa fonte vivente di saggezza divina, gli esorcisti si limitarono a dirle che questo era il tipo di illusione al quale andavano particolarmente soggetti gli indemoniati. Di fronte a tanta durezza di cuore, alla priora non rimaneva che ritirarsi o nella follia, oppure sull'attico, col caro, buono e credulo padre Surin.

Ma anche padre Surin era una tribolazione per lei. Egli era abbastanza disposto a credere tutto ci che ella diceva circa le sue grazie straordinarie; ma poneva i suoi ideali di santit ad una disagevole altezza, mentre spiacevolmente bassa era la sua considerazione per il carattere di soeur Jeanne. Confessare di essere orgogliosi e sensuali una cosa, sentire da altri queste verit toccanti ben altra cosa. E Surin non si contentava di dire a soeur Jeanne quali fossero le sue colpe; egli cercava continuamente di correggerle. Egli era convinto che la priora fosse invasata dai demoni; ma era convinto anche che i demoni acquistassero potere per i difetti della vittima. Liberandosi dei difetti, si sarebbe liberata dei demoni. Era necessario, quindi, secondo Surin attaccare il cavallo per sconfiggere il cavaliere. Ma il cavallo trov molto seccante essere attaccato. Poich, sebbene soeur Jeanne avesse deciso di andare a Dio sulla via della perfezione, sebbene ella si vedesse gi santa e si affliggesse quando gli altri vedevano solo l'inconscia (o forse fin troppo cosciente) commediante, ella trovava il processo di santificazione estremamente duro e penoso. Surin prendeva molto sul serio le sue estasi, e ci la lusingava; era proprio ci che voleva. Ma sfortunatamente per la priora, egli la prendeva ancor pi seriamente come penitente e come ascetica. Quando ella diventava troppo arrogante, egli la rimproverava. Quando ella chiedeva punizioni appariscenti confessione pubblica dei suoi peccati, degradazione al grado di suora conversa - egli insisteva, invece sulla pratica di piccole, modeste, ma incessanti mortificazioni. Quando, come accadeva qualche volta, ella recitava la parte della gran dama, egli la trattava come se fosse una sguattera. Esasperata, ella si rifugiava nella furia orgogliosa di Leviatano, nei deliri di Behemoth contro Dio, negli sberleffi di Balaam. Invece di ricorrere agli esorcismi che, d'allora, tutti i demoni gustavano moltissimo, Surin ordinava alle entit infestatrici di frustarsi. E, poich la priora conservava sempre abbastanza libert e abbastanza desiderio genuino di migliorare se stessa per acconsentire, i demoni dovevano obbedire. Possiamo tener testa alla Chiesa essi dicevano possiamo sfidare i preti. Ma non possiamo resistere alla volont di questa femmina. Piagnucolando o maledicendo, secondo i vari temperamenti, essi si sottoponevano alla disciplina.

Leviatano colpiva pi forte; Behemoth un po' meno. Ma Balaam e, soprattutto, Isacaaron avevano orrore della sofferenza e difficilmente si lasciavano indurre a provocarsi dolore. Era uno spettacolo ammirevole dice Surin quando il demone della sensualit infliggeva la punizione. I colpi erano leggeri, ma gli urli erano penetranti, le lacrime copiose. I demoni potevano essere puniti meno di soeur Jeanne in condizioni normali. Una volta occorse un'ora intera di flagellazione per eliminare certi sintomi psicosomatici provocati da Leviatano; ma in genere qualche minuto di autopunizione era sufficiente. L'invasore era sgominato e soeur Jeanne era libera di riprendere la marcia verso la perfezione. Era una marcia noiosa e, per soeur Jeanne almeno, la perfezione aveva un grande difetto: era altrettanto modesta come quelle fastidiose piccole mortificazioni prescritte da padre Surin. Era sollevata al livello della contemplazione, era privilegiata di intime comunicazioni dall'alto. Ma che cosa c'era da sfoggiare? Assolutamente niente. Doveva raccontare delle grazie ricevute, e tutto ci che essi facevano era di scuotere il capo o alzare le spalle. E quando si comportava come si sarebbe comportata la santa madre Teresa, o scoppiavano a ridere o si infuriavano e la chiamavano ipocrita. Aveva bisogno di qualche cosa di pi convincente, qualche cosa di spettacolare, qualche cosa di evidentemente soprannaturale. I miracoli diabolici non erano pi in programma; poich soeur Jeanne aveva cessato di essere la regina delle indemoniate e aspirava ora alla immediata canonizzazione. Il suo primo miracolo divino si verific nel febbraio 1635. Un giorno Isacaaron confess che tre stregoni anonimi, due di Loudun uno parigino, erano venuti in possesso di tre ostie consacrate, che intendevano bruciare. Surin ordin immediatamente a Isacaaron di andare a prendere le ostie, che erano nascoste sotto un materasso a Parigi. Isacaaron scomparve e non fece ritorno. Allora fu ordinato a Balaam di andare in suo aiuto; questi ostinatamente rifiut, ma fu costretto alla fine, con l'aiuto del buon angelo di Surin, a obbedire. Gli ordini erano che le ostie fossero presentate all'esorcismo pomeridiano del giorno dopo.

Nel momento stabilito, Balaam e Isacaaron fecero la loro apparizione e, dopo molte resistenze e molte contorsioni del corpo della priora, annunziarono che le ostie si trovavano in una nicchia sopra il tabernacolo. I demoni allora permisero al corpo della madre superiora, che era piccolissimo, di allungarsi. All'estremit del braccio steso la mano fu introdotta nella nicchia e ricomparve con un foglio di carta accuratamente piegato con tre ostie. A questa molto dubbia meraviglia Surin attribu enorme importanza. Nell'autobiografia di soeur Jeanne essa non neppure menzionata. Si vergognava ella del trucco che aveva messo in atto con tanto successo per il suo fiducioso direttore? O forse trovava in sostanza il miracolo insufficiente? E' vero che ella aveva avuto la parte principale nella vicenda; ma la vicenda non era essenzialmente sua. Ci di cui aveva bisogno era un miracolo tutto suo, e nell'autunno di quello stesso anno trov finalmente ci che voleva. Verso la fine di ottobre, cedendo alle pressioni dell'opinione pubblica nell'Ordine, il padre provinciale di Aquitaine ordin che Surin ritornasse a Bordeaux e che il suo posto a Loudun fosse occupato da un altro, meno eccentrico esorcista. La notizia si sparse. Leviatano esult; ma soeur Jeanne, quando riprese i sensi, fu molto addolorata. Qualche cosa, pens, bisognava fare. Preg san Giuseppe ed ebbe una forte convinzione che Dio ci avrebbe aiutati e questo orgoglioso demonio sarebbe umiliato. Dopo di che, per tre o quattro giorni, ella rimase a letto malata; poi improvvisamente si sent abbastanza bene da chiedere di essere esorcizzata. Avvenne che quel giorno (era il 5 novembre) molte persone importanti fossero presenti in chiesa per assistere agli esorcismi; e in ci non poteva essere estranea una speciale provvidenza di Dio. (La speciale provvidenza di Dio era di norma, quando si trattava di personaggi importanti. Era sempre alla presenza dell'aristocrazia che i demoni eseguivano le loro maggiori imprese.) L'esorcismo cominci e Leviatano apparve in tutta la sua potenza, vantandosi di aver trionfato sul ministro della Chiesa. Surin contrattacc ordinando al diavolo di adorare il Santissimo Sacramento. Vi furono gli abituali ululati e le convulsioni. Poi Dio nella sua misericordia ci concesse pi di quanto avremmo osato sperare.

Leviatano si inchin, o per meglio dire, egli fece inchinare soeur Jeanne ai piedi dell'esorcista. Riconobbe di aver complottato contro l'onore di Surin e chiese di essere perdonato; poi, dopo un ultimo parossismo lasci il corpo della priora, per sempre. Fu un trionfo per Surin e una rivendicazione del suo metodo. Impressionati, gli altri esorcisti cambiarono atteggiamento, il provinciale gli offr di ritentare un'ultima volta. Soeur Jeanne aveva ottenuto ci che voleva e, cos facendo, aveva dimostrato che, se era invasata dai demoni, i demoni erano, in certo grado per lo meno, invasati da lei. Essi avevano il potere di farla comportare come una pazza; ma quando decideva di servirsene, ella aveva il potere di farli comportare come se non esistessero. Dopo la partenza di Leviatano, una croce di sangue apparve sulla fronte della priora e vi rimase, chiaramente visibile, per tre intere settimane. Questo andava benissimo; ma qualcosa di pi doveva seguire. Balaam annunzi ora che era pronto ad andarsene e promise che, nel prendere congedo, avrebbe scritto il suo nome sulla mano sinistra della priora, dove sarebbe rimasto fino alla morte. La prospettiva di essere cos segnata indelebilmente con la firma dello spirito dell'ironia non turb soeur Jeanne. Come sarebbe stato meglio se si fosse potuto costringere il demone a scrivere per esempio il nome di san Giuseppe! Dietro consiglio di Surin, ella inizi un corso di nove Comunioni consecutive in onore del santo. Balaam fece di tutto per interrompere la novena. Ma offuscamento mentale e malattia non ebbero alcun effetto; la priora continuava a lottare. Una mattina, poco prima della Messa, Balaam e Behemoth - derisione e bestemmia - le entrarono in testa e organizzarono tale strepito e confusione che anche sapendo benissimo di far male, ella non potette resistere a un folle impulso di precipitarsi nel refettorio. L mangiai con tale intemperanza da consumare, in un solo pasto, pi di quanto avrebbero potuto consumare in un giorno tre persone affamate. La Comunione era ora da escludere. Sopraffatta dal dolore, soeur Jeanne si rivolse a Surin per aiuto. Egli rivest la stola e dette gli ordini necessari. Il diavolo mi rientr in testa e subito mi fece vomitare cos abbondantemente da rimanere strabiliati.

Balaam ora giur che lo stomaco era totalmente vuoto e padre Surin ritenne che ella potesse ricevere senza tema la Comunione. E cos continuai la mia novena fino alla fine. Il 29 novembre lo spirito di derisione prese finalmente congedo. In questa occasione vi erano tra gli spettatori due inglesi: Walter Montague, figlio del primo conte di Manchester e cattolico di fresca data con tutto il "desiderio di credere qualunque cosa" del convertito, e il suo giovane amico e protetto, Thomas Killigrew, il futuro commediografo. Qualche giorno dopo l'avvenimento Killigrew scrisse una lunga lettera ad un amico in Inghilterra, descrivendo tutto quello che aveva visto a Loudun (3). L'esperienza, egli dice, aveva superato le sue aspettative. Passando di cappella in cappella, nella chiesa del convento, egli aveva visto, il primo giorno del suo arrivo, quattro o cinque delle energumene, inginocchiate tranquillamente in preghiera; ognuna aveva il suo esorcista inginocchiato dietro di s il quale manteneva l'estremit di una corda che con l'altra estremit era legata intorno al collo della monaca. A questa corda erano fissate delle piccole croci, le quali servivano come guinzaglio per controllare, in certo qual modo, le frenesie dei demoni. Per il momento, tuttavia, tutto era pace e quiete e non vidi altro che genuflessioni. Nel corso della mezz'ora successiva, due delle monache diventarono indisciplinate. Una di esse salt alla gola di un monaco; l'altra cacci fuori la lingua, butt le braccia al collo del suo esorcista e cerc di baciarlo. Contemporaneamente, attraverso le grate che separavano la chiesa dal convento, arriv il suono di urli lamentosi. Poi il giovane fu chiamato da Walter Montague ad assistere a uno sfoggio di diabolica lettura del pensiero. I diavoli riuscirono col neofita ma non con Killigrew. Negli intervalli di questa esibizione essi offrirono preghiere per Calvino e accumularono maledizioni sulla Chiesa Cattolica. Quando uno degli spiriti maligni si allontan, i turisti chiesero dove fosse andato. La risposta della monaca fu cos chiara che il direttore dell'"European Magazine" non seppe decidersi a pubblicarla. Subito dopo fu esorcizzata la piccola e graziosa suor Agnese. Il resoconto di Killigrew sulla scena stato gi riportato in un capitolo precedente.

Lo spettacolo di questa deliziosa creatura trattenuta da un paio di gagliardi contadini, mentre il suo frate le poggiava trionfalmente il piede sul petto e poi sulla gola bianca, riemp di orrore e disgusto il nostro giovane cavaliere. Il giorno dopo si ricominci da capo; ma questa volta lo spettacolo fin in maniera pi interessante e meno disgustosa. Essendo finite le preghiere scrive Killigrew ella (la priora) si volse al frate (Surin), il quale le avvolse una corda di croci intorno al collo e la leg con tre nodi. Ella s'inginocchi tranquillamente e non smise di pregare finch le corde non furono ben legate; allora si alz e lasci il rosario; poi dopo un inchino all'altare, si avvicin a un sedile a forma di letto con la spalliera solo da una parte, fatto appositamente per l'esorcismo, di cui ve ne sono diversi nella cappella. (Sarebbe interessante sapere se esista ancora qualcosa di questi antenati del divano psicoanalitico.) Questo sedile era sistemato con la spalliera aderente all'altare; ella vi si diresse con tanta umilt da far pensare che la sua pazienza meritasse abbastanza senza le preghiere dei preti, da mettere in fuga il diavolo. Quando arriv al divano, ella vi si adagi ed aiut il prete a legarvela con due corde, una intorno alla vita, un'altra intorno alle cosce e alle gambe. Quando fu legata e vide il prete con l'urna contenente il Sacramento, ella si segn e trem con la sensazione delle torture che stava per soffrire. N questa umilt o pazienza particolare che ella manifest; poich sono tutte cos e negli stessi casi. Quando questo esorcismo fu compiuto, un'altra delle indemoniate chiam un altro padre vicino a lei, aggiust da s il sedile, e poi vi si adagi e si leg su di esso come aveva fatto l'altra. E curioso vedere come vanno modestamente all'altare, quando sono in s e come camminano nel monastero. Nello sguardo e nel volto esprimono ci che sono (fanciulle votate alla religione). Questa monaca, al momento di cominciare l'esorcismo, giace come se avesse dormito... Surin ora si accinse a lavorare sulla priora. In qualche minuto Balaam fece la sua apparizione. Vi furono contorcimenti e convulsioni, bestemmie abominevoli, smorfie spaventose. L'addome di soeur Jeanne si gonfi, fino ad apparire come quello di una donna in avanzata gravidanza; poi i seni si ingrossarono come l'addome. L'esorcista applic reliquie sulle parti colpite e il gonfiore cedette.

Killigrew a questo punto si fece avanti e le tocc la mano: era fredda; sent il polso: era calmo e lento. La priora lo spinse da parte e cominci a strapparsi la cuffia. Un momento dopo la testa calva e ben rasata apparve nuda. Ella stralun gli occhi, cacci fuori la lingua che era prodigiosamente gonfia, di colore nero e butterata come la pelle di marocchino. Surin ora la sleg, ordinando a Balaam di adorare il Sacramento. Soeur Jeanne scivol all'indietro del sedile e si butt a terra. Per molto tempo Balaam resistette ostinatamente; ma alla fine fu costretto a compiere l'atto di adorazione richiestogli. Allora scrive Killigrew mentre giaceva sul dorso, ella si curv sulla vita come un acrobata e segu il frate mostrandosi cos a gambe all'aria, con la testa pelata, per tutta la cappella. E molte altre posizioni strane e innaturali, diverse da qualunque cosa avessi mai visto e che mai avrei creduto uomo o donna potesse fare. N si trattava di un movimento improvviso, subito cambiato; ma qualcosa di continuo che ella prolungava per pi di un'ora; eppure, con tutta quella ginnastica non le mancava il respiro n era accaldata. Per tutto questo tempo la lingua penzolava gonfia in maniera incredibile, e mai in bocca da quando era caduta in crisi, non vidi mai che la ritirasse per un momento. Poi, dopo aver sussultato e urlato talmente da far pensare che si fosse spezzata in due, la udii pronunziare una sola parola: "Giuseppe". Alla quale tutti i preti sobbalzarono ed esclamarono: "Ecco il segno, guardate il segno!" Al che, ognuno vedendola afferrarsi il braccio, guard. Mister Montague ed io facemmo lo stesso molto coscienziosamente; e sulla mano le vidi salire del colore appena rosato che si diffuse per la lunghezza di un pollice lungo la vena e form tanti punti rossi con una parola distinta; ed era la stessa parola da lei pronunziata, "Giuseppe". Il gesuita disse che il diavolo nell'andarsene aveva promesso di fare questo segno. Dell'avvenimento fu steso un verbale firmato dagli esorcisti officianti. Montague allora aggiunse una postilla in inglese, firmata da lui e da Killigrew. E la lettera cos conclude allegramente Spero che crederete tutto ci o almeno direte che vi sono pi bugiardi oltre di me, e pi grandi, sebbene non vi sia pi umile servitore del vostro Thomas Killigrew. Al nome di san Giuseppe si aggiunsero, regolarmente, quelli di Ges, di Maria e di Francesco di Sales.

Di un rosso vivo alla prima apparizione, questi nomi si sbiadirono dopo una settimana o due, ma allora furono rinnovati dal buon angelo di soeur Jeanne. Il processo fu ripetuto a intervalli regolari dall'inverno del 1635 alla festa di san Giovanni del 1662. Dopo questa data i nomi scomparvero completamente senza altra ragione scrive Surin salvo che, per liberarsi della continua importunit di coloro che col desiderio di vederli la distraevano da Nostro Signore, la madre superiora aveva insistito per essere esonerata da questa pena. Surin, insieme ad alcuni colleghi e alla maggioranza del pubblico in genere, credeva che questa novella forma di stigmate fosse una grazia straordinaria di Dio. Tra i suoi contemporanei colti invece vi era scetticismo generale. Costoro non avevano creduto nella realt della possessione, ed ora non credevano nell'origine divina dei nomi. Alcuni, come John Maitland, erano dell'opinione che fossero stati incisi nella pelle con un acido; altri che potevano essere stati tracciati sulla superficie con amido colorato. Molti osservarono il fatto che, invece di essere distribuiti su entrambe le mani, i nomi erano tutti agglomerati sulla sinistra, dove sarebbe stato pi facile scriverli per una persona abituata a servirsi della destra. Nella loro edizione dell'autobiografia di soeur Jeanne, i dottori Gabriel Legu e Gilles de la Tourette, entrambi allievi di Charcot, sono propensi a credere che la scrittura sulla mano fosse prodotta da autosuggestione, e sostengono questa opinione citando diversi esempi moderni di stimmate da isterismo. Bisogna aggiungere che nella maggioranza dei casi di isterismo la pelle diventa particolarmente sensibile. Basta passarvi appena un'unghia sulla superficie e si vedr una striscia rossa che pu durare diverse ore. Autosuggestione, imbroglio deliberato, o l'uno e l'altro; siamo liberi di scegliere le nostre spiegazioni. Per conto mio, propendo per la terza ipotesi. Le stimmate probabilmente furono abbastanza spontanee da sembrare alla stessa Jeanne genuinamente miracolose. E se erano genuinamente miracolose, non poteva esserci niente di male a perfezionare il fenomeno s da renderlo pi edificante per il pubblico e pi onorifico per lei. I suoi sacri nomi erano come i romanzi di Sir Walter Scott, basati sui fatti, ma notevolmente legati all'immaginazione e all'arte.

Ora soeur Jeanne aveva avuto il proprio miracolo personale. Ed esso non era soltanto personale, era cronico. Rinnovati dal suo buon angelo, i sacri nomi erano sempre presenti, e potevano essere mostrati in qualsiasi momento ai visitatori di riguardo o alle folle di comuni spettatori. Ora ella era una reliquia ambulante. Isacaaron prese il volo il 7 gennaio 1636. Rimaneva solo Behemoth; ma questo demone della bestemmia era pi capace di tutti gli altri messi insieme. Esorcismi, punizioni, preghiera mentale, niente valeva con lui. La religione era stata imposta ad una mente indisciplinata e ribelle, e la reazione induttiva di questa mente era stata una irreligione cos violenta e cos impressionante che la personalit normale si era sentita obbligata a dissociarsi da questa negazione di tutto ci che essa venerava. La negazione divent "qualcun altro", uno spirito maligno con esistenza autonoma nella mente stessa, il quale provocava confusione all'interno e scandalo all'esterno. Surin lott con Behemoth per altri dieci mesi; poi, in ottobre, si accasci completamente. Il padre provinciale lo richiam a Bordeaux, ed un altro gesuita assunse la direzione della priora. Padre Resss era un gran sostenitore di ci che si potrebbe chiamare l'esorcismo "d'assalto". Egli era convinto, dice soeur Jeanne, che coloro i quali seguivano gli esorcismi traessero grande giovamento dalla vista dei demoni in adorazione del Sacramento. Surin aveva cercato di abbattere il cavaliere attaccando il cavallo. Resss attacc il cavaliere direttamente e in pubblico, e lo attacc senza riguardo per i sentimenti del cavallo e senza nessun tentativo di modificarne la condotta. Un giorno scrive la priora essendo riunito un gruppo di ospiti d'eccezione, il buon padre progett di compiere degli esorcismi per il loro bene spirituale. La priora disse al suo direttore di non sentirsi bene e che gli esorcismi le avrebbero fatto male. Ma il buon padre, che era molto ansioso di compiere gli esorcismi, mi disse di farmi coraggio e di avere fiducia in Dio; dopo di che cominci l'esorcismo. Soeur Jeanne dovette esibirsi in tutto il suo repertorio, col risultato che si mise a letto con la febbre alta e un dolore forte al fianco.

Fu chiamato il dottor Fanton, ugonotto, ma il migliore medico della citt. La fece salassare tre volte e le ordin delle medicine. La cura fu cos efficace che vi fu un'evacuazione e un flusso di sangue che dur sette o otto giorni. Ella si sent meglio; poi, dopo qualche giorno si ammal di nuovo. Padre Resss pens bene di ricominciare gli esorcismi; dopo dei quali fui assalita da violenta nausea e vomito. Le torn la febbre, il dolore nel fianco e cominci a sputare sangue. Fu chiamato di nuovo Fanton il quale dichiar che si trattava di pleurite, la salass per sette giorni e le pratic quattro clisteri. Dopo di che le comunic che la malattia era mortale. Quella notte soeur Jeanne ud una voce interiore. Essa le disse che non sarebbe morta, ma che Dio l'avrebbe portata all'estremo limite del pericolo allo scopo, gloriosissimo, di manifestare la Sua potenza guarendola proprio quando fosse sul punto di morire. Per due giorni ella sembr peggiorare e indebolirsi progressivamente, tanto che il 7 febbraio, le fu somministrata l'Estrema Unzione. Poi fu chiamato il medico e mentre ne aspettava l'arrivo, soeur Jeanne pronunzi la seguente preghiera: Signore, io ho sempre pensato che Tu volessi mostrare qualche segno straordinario della Tua potenza guarendomi da questa malattia; se cos , riducimi in uno stato tale che, nel vedermi, il medico mi giudichi spacciata. Il dottor Fanton arriv e dichiar che ella aveva solo una o due ore di vita. Si precipit a casa e scrisse un rapporto a Laubardemont, il quale si trovava allora a Parigi. Il polso, gli scrisse, era convulso, lo stomaco gonfio; lo stato di debolezza era tale che nessun rimedio, neppure un clistere, poteva avere alcun effetto. Tuttavia le era stata data una piccola supposta nella speranza che potesse alleviare una oppressione cos grande da non potersi descrivere. Non che questo palliativo potesse apportare alcun reale beneficio; poich la paziente era "in extremis". Alle sei e mezzo soeur Jeanne cadde in letargo ed ebbe una visione del suo angelo custode sotto forma di un bellissimo giovane diciottenne, con lunghi riccioli biondi. L'angelo, ci spiega Surin, era l'immagine vivente del duca di Beaufort, figlio di Csar de Vendme, e nipote di Enrico Quarto e Gabrielle d'Estres. Questo principe era stato recentemente a Loudun a vedere i demoni, e la sua lunga chioma bionda aveva fatto una profonda impressione alla priora.

Dopo l'angelo arriv san Giuseppe, il quale pos la mano sul fianco destro di soeur Jeanne, nel punto dove ella sentiva tanto dolore, e la unse con un olio. Dopo di che ripresi i sensi e mi trovai completamente guarita. Era un miracolo, un altro. Ancora una volta soeur Jeanne aveva dimostrato che, fino a un certo punto almeno, ella possedeva il suo possessore. Ella aveva voluto e suggerito l'espulsione di Leviatano ed ora aveva voluto e suggerito la scomparsa di tutti i sintomi di una acuta ed apparentemente fatale malattia psicosomatica. Ella si alz dal letto, si vest, scese in cappella e si un alle suore che cantavano il "Te Deum". Fu chiamato di nuovo il dottor Fanton il quale, dopo aver sentito ci che era accaduto, osserv che la potenza di Dio superiore a quella dei nostri rimedi. Tuttavia scrive la priora egli non si convert e rifiut in seguito di occuparsi di noi. Povero dottor Fanton! Dopo il ritorno di Laubardemont a Loudun, egli fu convocato davanti a una commissione di magistrati e gli fu chiesto di firmare un certificato per attestare che la guarigione della paziente era stata miracolosa. Egli rifiut. Sollecitato a spiegare le ragioni di questo rifiuto rispose che l'improvviso passaggio dalla malattia mortale, alla perfetta salute poteva facilmente essere avvenuto naturalmente. A causa di una sensibile fuoruscita di umore, oppure per insensibile escrezione di esso attraverso i pori della pelle, oppure per lo spostamento dell'umore dalla parte dove aveva provocato questi incidenti ad un'altra parte meno importante. Inoltre, i dolorosi sintomi prodotti dalla permanenza di un umore in un certo posto possono essere alleviati senza la necessit di un cambiamento di parte; ci provocato dalla diminuzione dell'umore che si attenua naturalmente, o dall'insorgere di un altro umore che per essere meno violento, attutir l'asprezza del primo umore. Il dottor Fanton aggiunse che l'escrezione manifesta avviene per mezzo delle urine e dei flussi dell'intestino, col vomito, col sudore e con la perdita di sangue; e che l'escrezione insensibile si verifica quando le parti si scaricano insensibilmente; quest'ultimo tipo di escrezione pi frequente tra i pazienti che secernono umori caldi, notevolmente bile, senza vedere i

segni della cozione che precede tali escrezioni, anche se essa pu avvenire durante una crisi o una scarica naturale. E' ovvio che, nella cura delle malattie, quantit minori di umori devono abbandonare il corpo quando questi sono stati precedentemente eliminati dai rimedi, i quali tolgono non soltanto la causa antecedente delle malattie, ma anche le cause congiunte. A ci bisogna aggiungere che, nei loro movimenti, gli umori osservano certi orari regolari. Vediamo che Molire non invent niente: egli non fece che annotare. Passarono due giorni. Poi la priora improvvisamente si ricord di non avere tolta l'unzione che l'aveva guarita, sicch ne poteva essere rimasta sulla camicia. In presenza della vicepriora si tolse l'abito. Entrambe sentimmo un meraviglioso profumo; mi tolsi la camicia, che tagliammo all'altezza della cintura. Su di essa vi erano cinque gocce di questo balsamo divino, che emanavano un eccellente odore. Dove sono le vostre giovani padrone? chiede Gorgibus al principio di "Les Prcieuses Ridicules". Nella loro stanza dice Marotte. Che cosa stanno facendo? Preparano creme per le labbra. Era l'epoca in cui ogni donna doveva essere la propria Elizabeth Arden. Le ricette di creme per il viso e lozioni per le mani, di rossetti e profumi erano gelosamente custodite come armi segrete o scambiate con generosit tra amiche particolarmente care. Durante la giovinezza in famiglia ed anche quando entr in convento, soeur Jeanne era stata una famosa preparatrice di cosmetici e dilettante farmacista. L'unzione di san Giuseppe, il caso di sospettare, arriv da questa specie di paradiso. Ma intanto le "cinque gocce" erano l perch tutti le vedessero. Non si pu credere scrive la priora come fosse grande la devozione del popolo per questa santa unzione e quanti miracoli Dio operasse per loro mezzo. Soeur Jeanne aveva ora due prodigi d'eccezione al suo attivo e in pi una mano segnata dalle stimmate e una camicia profumata quali testimonianze perpetue delle grazie straordinarie da lei ricevute. Ma ci non bastava ancora. A Loudun le pareva che i suoi meriti non fossero degnamente conosciuti. E' vero che c'erano i turisti, i principi, i notabili e i prelati in visita.

Ma quanti milioni di persone non avrebbero mai intrapreso il pellegrinaggio! E il re e la regina! E Sua Eminenza! E tutti i duchi e le marchese, tutti i marescialli di Francia, i nunzi apostolici, gli inviati speciali e i ministri plenipotenziari, i dottori della Sorbona, i decani, gli abati, i vescovi e gli arcivescovi! Non era il caso di offrire a costoro la possibilit di ammirare il prodigio, di vedere e di udire l'umile ricevente di tali straordinari favori? Se fosse venuta da lei la proposta poteva sembrare presuntuosa, cos fu Behemoth ad affrontare per primo l'argomento. Quando, dopo un esorcismo particolarmente faticoso, padre Resss gli chiese perch resisteva cos ostinatamente, lo spirito rispose che non avrebbe lasciato il corpo della priora finch questo corpo non avesse compiuto un pellegrinaggio alla tomba di saint Franois de Sales ad Annecy, in Savoia. Gli esorcismi si seguirono uno dopo l'altro. Sotto il torrente di anatemi Behemoth impassibile sorrideva. Al primo ultimatum ora aggiunse un'altra condizione: padre Surin doveva essere richiamato, altrimenti anche il viaggio ad Annecy non avrebbe avuto alcun effetto. Alla met di giugno Surin fu di ritorno a Loudun. Ma il pellegrinaggio si dimostr di difficile attuazione. Vitelleschi, il generale dell'Ordine, non era entusiasta all'idea che uno dei suoi gesuiti se ne andasse in giro per la Francia insieme ad una monaca; e da parte sua il vescovo di Poitiers non era entusiasta all'idea che una delle sue monache se ne andasse in giro con un gesuita. Inoltre, vi era la questione economica. Il tesoro reale era, come al solito, vuoto. Tra sovvenzioni alle monache e stipendi agli esorcisti, l'invasamento era gi costato un bel po' di danaro. Non era rimasto niente per le gite in Savoia. Behemoth resistette sulle sue posizioni. Come grande concessione, egli accett di prendere commiato a Loudun, ma solo se a soeur Jeanne e a Surin fosse permesso di far voto di recarsi in seguito ad Annecy. Alla fine la spunt. Surin e soeur Jeanne furono autorizzati ad incontrarsi sulla tomba di san Francesco, ma dovevano andare e tornare per strade diverse. I voti furono pronunziati e poco dopo, il 15 ottobre Behemoth si allontan. Soeur Jeanne era libera. Due settimane dopo Surin ritorn a Bordeaux.

La primavera seguente padre Tranquille mor in un parossismo di frenesia demoniaca. Il tesoro cess di pagare lo stipendio agli esorcisti sopravvissuti i quali furono tutti richiamati alle loro varie case. Abbandonati a se stessi i demoni rimasti si allontanarono subito. Dopo sei anni di ininterrotti combattimenti, la Chiesa militante rinunzi alla lotta. I suoi nemici scomparvero rapidamente. La lunga orgia era alla fine. Se non vi fossero stati esorcisti, essa non sarebbe mai cominciata.

NOTE. N. 1: Queste sofferenze straordinarie, come la possessione e l'ossessione, sono alla stessa maniera delle rivelazioni, soggette ad Illusione; chiaro che non dobbiamo mai desiderarle, dobbiamo soltanto accettarle quasi malgrado noi stessi. Se desideriamo soffrire, abbiamo modo di farlo mortificando il nostro orgoglio e la nostra sensualit. In tal modo evitiamo di buttarci in rischi che non siamo in grado di controllare, e di cui non conosciamo le conseguenze. Ma la nostra immaginazione si compiace del meraviglioso; essa vuole quelle virt romantiche che fanno presa agli occhi del pubblico... E inoltre prove come la possessione e l'ossessione sono di grave imbarazzo, non solo per la persona che vi coinvolta, ma per i direttori spirituali e per l'intera comunit dove egli o ella risiede. La carit ci proibisce di desiderare questa specie di sofferenza. A. Poulain, S. J., "Le Grazie delle Preghiera Interiore". Edizione inglese, pagina 436. N. 2: Queste manifestazioni esteriori dell'infestazione diabolica non apparvero fino al Venerd Santo, 6 aprile. Dal 19 gennaio fino a questa data, i sintomi dell'ossessione erano stati puramente psicologici. N. 3: Pubblicata per la prima (e sembrerebbe l'ultima) volta nell'"European Magazine", febbraio 1803.

Capitolo 10

Col pellegrinaggio di soeur Jeanne, dalle ombre di un chiostro di provincia ci trasferiamo per poche settimane nel gran mondo. E' il mondo dei libri di storia, il mondo dei personaggi regali e dei cortigiani intriganti, il mondo delle duchesse col gusto dell'amore e dei prelati col gusto del potere, il mondo dell'alta politica e dell'alta moda, di Rubens e di Descartes, della scienza, della letteratura, della cultura. Da Loudun e dalla compagnia di un mistico, sette diavoli e sedici isteriche, la priora ora si affacciava su tutto lo splendore del diciassettesimo secolo. Il fascino della storia e la sua enigmatica lezione sta nel fatto che, da un'epoca all'altra niente cambia eppure tutto completamente diverso. Nei personaggi di altri tempi e di culture diverse noi riconosciamo i nostri io fin troppo umani eppure ci rendiamo conto, nel farlo, che lo schema di riferimenti nel quale si svolge la nostra vita cambiato, dai loro tempi, al di l di ogni possibile riconoscimento; che proposizioni le quali sembrarono assiomatiche allora sono adesso insostenibili e che i postulati che noi consideriamo assolutamente ovvi, non potevano, in epoche precedenti, trovare adito neppure nella mente pi arditamente speculativa. Ma quantunque grandi, quantunque importanti per pensiero e tecnologia, per organizzazione sociale e comportamento, le differenze tra ora e allora sono sempre periferiche. Al centro rimane un'identit fondamentale. In quanto sono intelletti incarnati, soggetti al decadimento e alla morte fisica, suscettibili di dolore e di piacere, guidati dal desiderio e dalla ripugnanza e indecisi tra il desiderio di autoaffermazione e il desiderio di autotrascendenza, gli esseri umani si trovano di fronte, in ogni tempo e luogo, agli stessi problemi, devono affrontare le stesse tentazioni e sono messi in grado dall'ordine delle cose di fare la stessa scelta tra irrigenerazione e illuminazione. Il contesto cambia, ma la sostanza e il significato sono invariabili. Soeur Jeanne non era in condizioni di comprendere gli sviluppi prodigiosi della scienza, nel pensiero e nella pratica, che avevano cominciato a verificarsi intorno a lei.

Di quegli aspetti della cultura del diciassettesimo secolo rappresentati da Galileo e da Descartes, da Harvey e da van Helmont, la priora era assolutamente all'oscuro. Ci che aveva conosciuto da bambina e ci che ora riscopriva durante il suo pellegrinaggio, era la gerarchia sociale e le convenzioni di pensiero, di sentimento e di condotta a cui aveva dato origine l'esistenza di quella gerarchia. In uno dei suoi aspetti la cultura del diciassettesimo secolo, specialmente in Francia, fu semplicemente uno sforzo prolungato, da parte della minoranza dominante, di superare le limitazioni dell'esistenza organica. Pi che in quasi ogni altro periodo della storia recente, uomini e donne aspiravano a identificarsi per la loro persona sociale. Essi non si contentavano di portare un gran nome; ma desideravano di ESSERLO. La loro ambizione era di DIVENTARE veramente le cariche che ricoprivano, gli onori che avevano acquistati o ereditati. Da ci la elaborazione del cerimoniale barocco, da ci quei rigidi e complessi codici di precedenza, di rispetto, di buone maniere. I rapporti non erano tra esseri umani, ma fra titoli, genealogie e posizioni. Chi aveva diritto a sedere alla presenza regale? Per Saint-Simon alla fine del secolo, la questione ebbe importanza capitale. Tre generazioni prima, questioni simili avevano tormentato la mente del piccolo Luigi Tredicesimo. Da quando aveva quattro anni egli era arrivato alla nettissima sensazione che il suo fratellastro bastardo, il duca di Vendme, non doveva mangiare con lui n rimanere a capo coperto in sua presenza. Quando Enrico Quarto decret che "Ff Vendme" doveva sedere alla tavola del Delfino e tenere il berretto in testa durante il pranzo, il piccolo principe fu costretto ad obbedire, ma lo fece con la peggiore malagrazia. Niente illumina pi vividamente la teoria e la pratica del "diritto divino" dei re di questa questione del cappello reale. All'et di nove anni Luigi Tredicesimo pass dalle cure di una governante a quelle di un istitutore. Alla presenza di un essere che era, per definizione, divino, il tutore del re rimaneva permanentemente a capo scoperto. E questa regola rimaneva valida anche quando (come il defunto re e la regina madre lo avevano incaricato di fare) egli infliggeva punizioni corporali al suo allievo.

In queste occasioni il monarca, col berretto in testa, ma con i calzoni abbassati, veniva frustato a sangue da un suddito, a capo riverentemente scoperto come davanti al Sacramento dell'altare. Lo spettacolo, come cerchiamo di immaginarlo, istruttivo e di quelli da non dimenticare. Vi una divinit che protegge un re, plasmiamolo come possiamo. Il desiderio di essere qualche cosa di pi che mera carne e sangue si rivela molto chiaramente nelle arti del nostro periodo. Re e regine, dame e gentiluomini, amavano considerarsi come Rubens rappresent le loro persone e le loro caratteristiche in allegoria, sovrumanamente atletici, divinamente sani, eroicamente autoritari. Essi avrebbero pagato un occhio della testa pur di vedersi come ritratti di Van Dyck; eleganti, raffinati, infinitamente aristocratici. A teatro amavano gli eroi e le eroine di Corneille, li amavano per la misura, per la monolitica e sovrumana consistenza, il culto della volont, l'adorazione di s. Ed ancora pi rigidamente, col passar degli anni, essi insistettero nell'unit di tempo, luogo e azione; poich ci che essi desideravano vedere nel teatro tragico non era la vita com', ma la vita corretta, la vita ridotta ad ordine, la vita come potrebbe essere solo se gli uomini e le donne fossero qualcosa di diverso da ci che sono. Nel campo dell'architettura domestica il desiderio di una grandiosit pi che umana si manifest con non minore enfasi. Come osserv anche un poeta che era ragazzo quando fu costruito il Palais Cardinal e mor prima che Versailles fosse completata: Andrew Marvell. "Why should, of all things, man unrul'd Such un pro portioned dwellings build? The beasts are by their dens express'd And birds contrive an equal nest; The low-roofed tortoises do dwell In cases fift of tortoise-shell: No creature loves an empty space; Their bodies measure out their place. But he, superfluously spread, Demands more room alive than dead. And in his hollow palace goes Where winds, as he, themselves may lose. What need of all this marble crust T'im park the wanton mote of dust?" [Traduzione: Perch l'uomo ribelle costruisce dimore cos sproporzionate? Le bestie sono espresse dalle loro tane e gli uccelli concepiscono un nido eguale a loro. Le tartarughe basse si fanno la casa in luoghi adatti a contenere il loro guscio. Nessuna creatura ama lo spazio vuoto. I loro corpi misurano il posto che occupano.

Ma egli, superfluamente disteso, richiede pi spazio vivo che morto. E va nel suo palazzo vuoto dove i venti, come lui, si possono perdere. Che bisogno c' di tutta questa incrostatura di marmo per recingere i capricciosi potenti?] E man mano che le incrostature di marmo si espandevano, le parrucche dei potenti capricciosi in esse contenuti diventavano pi lussureggianti, i tacchi delle loro scarpe pi alti. Traballando sui trampoli e coronati da torreggianti mucchi di peli di cavallo, il "gran monarca" e i suoi cortigiani si proclamarono pi grandi della vita e pi pelosi di Sansone al culmine della sua virilit. Inutile dire, questi tentativi di superare i limiti fissati dalla natura erano sempre vani. E per doppia ragione; perch i nostri antenati del diciassettesimo secolo non solo non riuscirono ad essere sovrumani, ma neanche a SEMBRARLO. L'assurdo e presuntuoso spirito era abbastanza pronto, ma la carne era incurabilmente debole. Il "Grand Sicle" non possedeva le risorse materiali ed organizzative, senza le quali non si pu recitare la commedia di apparire sovrumani. Quella sublimit, quei prodigi di grandezza, che Richelieu e Luigi Quattordicesimo desideravano cos ardentemente, possono essere ottenuti solo dai pi grandi direttori di scena, da uno Ziegfeld, un Cochran, un Max Reinhardt. Ma la potenza dello sfarzo dipende da un'armeria di congegni, da un ben fornito magazzino attrezzi e dalla collaborazione esperta e disciplinata di tutti i partecipanti. Nel "Grand Sicle" questa esperienza e questa disciplina mancavano, ed anche le basi materiali della sublimit teatrale - la "machina" che introduce e, in effetti, crea il "deus" - difettavano. Anche Richelieu, anche il re Sole erano vecchi delle Termopili che non facevano niente a dovere. La stessa Versailles era curiosamente banale, gigantesca, e nello stesso tempo volgare, grandiosa ma priva di effetto. I pomposi spettacoli settecenteschi erano di qualit scadente. Niente veniva convenientemente provato e i pi grotteschi tra gli incidenti evitabili rovinavano le cerimonie pi solenni. Consideriamo, per esempio, il caso de "La grande mademoiselle", quella patetica e buffa figura che fu la prima cugina di Luigi Quattordicesimo. Dopo la morte, secondo lo strano costume del tempo, il suo corpo venne sezionato e seppellito pezzo per pezzo: qui la testa e l un arto, qua il cuore e l gli intestini.

Questi ultimi furono cos male imbalsamati che, anche dopo il trattamento, continuarono a fermentare. I gas della putrefazione si accumularono e l'urna di porfido contenente i visceri divent una specie di bomba atomica che esplose improvvisamente durante il servizio funebre con grande spavento e orrore di tutti i presenti. Simili incidenti fisiologici non erano affatto esclusivamente postumi. Gli autori di memorie e i raccoglitori di aneddoti abbondano nelle storielle di rutti in riunioni ufficiali, di ventosit alla presenza regale, circa l'aroma grasso dei re, la puzza di sudore di duchi e marescialli. I piedi e i gomiti di Enrico Quarto godettero di fama internazionale. Bellegard aveva il naso perpetuamente sporco, Bassompierre le dita dei piedi che facevano concorrenza a quelle del suo regale padrone. L'abbondanza di questi aneddoti e il gustoso divertimento che i raccontatori evidentemente evocavano, erano in proporzione diretta all'enormit delle regali ed aristocratiche pretensioni. Proprio perch i grandi uomini cercavano di sembrare pi che umani, il resto del mondo apprezzava chiunque ricordasse che, in parte almeno, essi erano ancora meramente animali. Identificandosi con una persona che era simultaneamente principesca, sacerdotale, politica e letteraria, il cardinale Richelieu si comport come se fosse un demiurgo. Ma il poveretto doveva rappresentare la sua parte in un corpo reso cos ripugnante dalla malattia che a volte riusciva insopportabile rimanere nella stessa stanza con lui. Egli soffriva di tubercolosi ossea al braccio destro e di una piaga al sedere, ed era costretto quindi a vivere nell'atmosfera fetida della propria suppurazione. Muschio e zibetto mascheravano ma non potevano abolire questo ignobile odore di putrefazione. Richelieu non potette mai sfuggire all'umiliante conoscenza di essere oggetto, intorno a s, di aborrimento fisico. Questo contrasto brutalmente violento tra la persona quasi divina ed il corpo mortale al quale essa era associata, impression fortemente l'immaginazione popolare. Quando le reliquie di san Fiacre (il miracoloso specifico per le emorroidi) furono trasportate da Meaux al palazzo del cardinale, un anonimo poeta celebr l'avvenimento con dei versi che avrebbero entusiasmato il Decano Swift. "Cependant sans sortir un pas hors de sa chambre Qu'il faisait parfumer toute de musc et d'ambre, Pour n'estonner le Sainct de cette infection Qui

du parfait ministre est l'imperfection, Et modrer un peu l'odeur puantissime Qui sort du cul pourry de l'Eminentissime..." Ed ecco un altro brano da una ballata che descrive l'ultima malattia del grand'uomo. "Il vit grouiller les vers dans ses salles ulcres, Il vit mourir son bras: Son bras qui dans l'Europe alluma tant de guerres, Qui brusla tant d'autels..." Tra il corpo imputridito dell'uomo effettivo e la gloria della persona, l'abisso era insuperabile. Secondo Jules de Gaultier, "l'angolo bovarico" che separa il fatto dalla fantasia di circa cento ottanta gradi. Per una generazione educata a considerare assiomatico il diritto divino di re, preti e nobili, e che per conseguenza gradiva ogni opportunit per smontare le pretensioni dei suoi governanti, il caso del cardinale Richelieu fu la pi benvenuta delle parabole. "Hubris" invita la corrispondente "Nemesis". Quel terribile fetore, quei vermi che si ingrassavano in un cadavere vivente, sembravano poeticamente giusti ed appropriati. Durante le ultime ore del cardinale, quando le reliquie non avevano pi effetto e i medici lo avevano dato per spacciato, una vecchia contadina, che aveva fama di guaritrice, fu chiamata al capezzale del grande uomo. Biascicando incantesimi, ella somministr la sua panacea: quattro once di sterco di cavallo macerato in una pinta di vino bianco. Fu col gusto di escrementi in bocca che l'arbitro dei destini d'Europa esal l'ultimo respiro. Quando soeur Jeanne fu condotta alla sua presenza, Richelieu era al massimo apogeo della sua gloria; ma era gi malato, soffriva molto ed aveva continuo bisogno di cure mediche. Monsignore il cardinale era stato salassato quel giorno, e tutte le porte del castello di Ruel erano chiuse, anche ai vescovi e ai marescialli di Francia: nondimeno noi fummo introdotte nella sua anticamera, sebbene egli fosse a letto. Dopo pranzo (era stato magnifico e ci avevano servito i suoi paggi), la madre superiora e una compagna orsolina furono introdotte nella camera da letto, si inginocchiarono per ricevere la benedizione di Sua Eminenza e solo con difficolt potettero essere persuase ad alzarsi e prendere posto sulle sedie. (La contestazione di gentilezza da parte sua e di umilt da parte nostra dur moltissimo tempo; ma alla fine io fui obbligata ad obbedire.)

Richelieu cominci la conversazione osservando che la priora doveva essere molto grata a Dio, in quanto Egli l'aveva scelta, in quest'epoca di scetticismo, per soffrire a gloria della Chiesa, per la conversione delle anime e la confusione dei malvagi. Soeur Jeanne rispose con un peana di gratitudine. Ella e le sue consorelle non avrebbero mai dimenticato che, mentre il resto del mondo le aveva accusate di pazzia e di impostura, Sua Eminenza era stata per loro non soltanto un padre, ma una madre, una infermiera nonch un protettore. Ma il cardinale non volle essere ringraziato. Al contrario egli si sent estremamente obbligato verso la Provvidenza per avergli offerto l'opportunit ed i mezzi di assistere gli afflitti. (Tutte queste cose, osserva la priora, furono dette con incantevole grazia e con infinita dolcezza.) Poi, l'illustre uomo chiese di poter guardare i sacri nomi scritti sulla mano sinistra di soeur Jeanne. E dopo i sacri nomi fu la volta dell'unzione di san Giuseppe. La camicia fu spiegata. Prima di prenderla fra le mani, il cardinale si scopr devotamente il capo; poi annusando il santo oggetto ed esclamando Che buon odore! lo baci due volte. Dopo di che, tenendo la camicia con rispetto e ammirazione, egli la mise a contatto di un reliquario che stava poggiato su un tavolo accanto al letto, presumibilmente allo scopo di ricaricarlo con il mana inerente all'unzione. Dietro sua richiesta la priora descrisse (quante centinaia di volte non lo aveva gi fatto?) il miracolo della sua guarigione, poi si inginocchi per un'altra benedizione. Il colloquio era terminato. Il giorno dopo Sua Eminenza le invi cinquecento corone per rimborsarle le spese del pellegrinaggio. Dopo aver letto il resoconto di soeur Jeanne su questo colloquio, sfogliamo le lettere con cui il cardinale aveva ironicamente rimproverato Gaston d'Orlans per la sua credulit in merito all'invasamento. Sono felice di sentire che i diavoli di Loudun hanno convertito Vostra Altezza e che non avete del tutto dimenticato le bestemmie di cui la vostra bocca era abitualmente piena. E poi l'assistenza che riceverete dal capo dei diavoli di Loudun sar abbastanza potente da permettervi, in brevissimo tempo, di fare un lungo viaggio sul cammino della virt.

In un'altra occasione egli apprende da un messaggero il quale uno dei diavoli di Loudun che il principe ha contratto una malattia, la cui natura sufficientemente indicata dal fatto che l'avete meritata. Richelieu commisera Sua Altezza e gli offre come rimedio gli esorcismi del buon padre Giuseppe. Indirizzate al fratello del re dall'uomo che aveva fatto bruciare Grandier per traffici con i diavoli, queste lettere sono sorprendenti per l'insolenza e per l'ironico scetticismo. L'insolenza pu essere attribuita a quel bisogno di "battere" i suoi superiori sociali che rimase, in tutta la vita, elemento incongruamente infantile nel complesso carattere del cardinale. Ma che dire dello scetticismo, della cinica ironia? Qual fu la vera opinione di Sua Eminenza sulla stregoneria e la possessione, sulle stimmate calligrafiche e la camicia benedetta? La spiegazione migliore, suppongo, che, quando si sentiva bene ed era in compagnia di uomini di legge, il cardinale considerava tutta la storia come una frode o un'illusione, o un misto di entrambe. Se egli ostentava di credere nei diavoli, era soltanto per ragioni politiche. Come Canning egli si era rivolto al Nuovo Mondo per equilibrare quello Vecchio, con la sola differenza che nel suo caso, il Nuovo Mondo non era l'America, ma l'inferno. E' noto che la pubblica reazione ai demoni era stata insoddisfacente. Di fronte a tanto generale scetticismo, i suoi piani di una inquisitiva Gestapo per combattere la stregoneria e incidentalmente rinforzare l'autorit regia avevano dovuto essere abbandonati. Comunque sempre bene sapere che cosa meglio NON fare, e l'esperimento, sebbene negativo nei risultati, valeva la pena di essere fatto. Per questo, un innocente era stato torturato e bruciato vivo. Ma dopo tutto non si pu fare un'"omelette" senza rompere le uova. E comunque il parroco era stato un impertinente ed era stato bene eliminarlo. Ma poi il dolore alla spalla si riacutizzava di nuovo e la fistola lo teneva sveglio la notte con dolori insopportabili. Venivano chiamati i medici, ma ben poco essi potevano fare! L'efficacia della medicina dipendeva dalla "vis medicatrix Naturae". E in quel suo povero corpo la Natura sembrava aver perduto ogni potere di guarigione Era possibile che la malattia avesse origini soprannaturali? Egli chiese reliquie e immagini sacre, fece recitare preghiere per la sua salute.

Ed intanto, in segreto, consult l'oroscopo, tocc i suoi talismani di fiducia, ripetette tra di s gli incantesimi che aveva imparato da bambino dalla sua vecchia balia. Quando il male si ripresentava, quando le porte del palazzo erano chiuse anche ai vescovi e ai marescialli di Francia egli era pronto a credere in qualunque cosa, anche nella colpa di Urbain Grandier, anche nell'unzione di san Giuseppe. Per soeur Jeanne, il colloquio con Sua Eminenza non fu che il primo di una lunga serie di trionfi e di eccitamenti. Da Loudun a Parigi, e da Parigi ad Annecy, ella si moveva in uno splendore di gloria, passando da un'ovazione popolare all'altra, e da un ricevimento aristocratico ad altri ancora pi lusinghieri per la sua vanit. A Tours ella fu ricevuta, con segni di "straordinaria gentilezza", dall'arcivescovo, Bertrand de Chaux, un vecchio gentiluomo ottantenne, con la passione del giuoco, il quale si era reso recentemente ridicolo per essersi innamorato pazzamente di una signora di cinquant'anni pi giovane di lui, l'affascinante madame de Chevreuse. Egli fa tutto ci che voglio io ella soleva dire. Io non devo fare altro che, quando siamo a tavola, lasciarmi pizzicare le cosce. Dopo aver ascoltato il racconto di soeur Jeanne, l'arcivescovo dette ordine che i sacri nomi fossero esaminati da una commissione di medici. L'esame fu compiuto, e la priora ne usc vittoriosa. Da quattromila al giorno gli spettatori che assediavano il convento nel quale ella alloggiava, salirono a settemila. Vi fu un altro colloquio con l'arcivescovo, questa volta per incontrare Gaston d'Orlans, trattenuto a Tours da una relazione con una ragazza di sedici anni di nome Louise de la Marbelire, la quale ebbe da lui un figlio, fu regolarmente abbandonata dal suo regale amante e alla fine si fece monaca. Il duca di Orlans mi venne incontro fino alla porta del salotto; mi accolse cordialmente, si congratul per la mia liberazione e disse "Io venni una volta a Loudun, i diavoli che si trovavano in voi mi fecero molta paura; essi servirono a guarirmi dell'abitudine di bestemmiare, e l per l risolsi di essere migliore di quanto ero stato fin'allora." Dopo di che egli si affrett da Louise. Da Tours la priora e la sua compagna proseguirono per Amboise. Erano tante le persone che volevano vedere i sacri nomi che fu necessario tenere aperto il parlatorio del convento fino alle undici di sera.

Il giorno dopo a Blois, le porte dell'albergo dove soeur Jeanne stava pranzando furono spalancate dalla folla. Ad Orlans, nel convento delle orsoline, ella ricevette la visita del vescovo il quale le esamin la mano e poi esclam Non dobbiamo nascondere l'opera di Dio, dobbiamo dare soddisfazione al popolo!. Le porte del convento furono quindi spalancate, in modo che le folle potessero contemplare a saziet i sacri nomi attraverso la grata. A Parigi la priora alloggi in casa di m. de Laubardemont. Qui era spesso visitata da m. de Chevreuse e dal prince de Gumene, nonch da una moltitudine quotidiana di ventimila membri degli Ordini minori. Ci che era pi imbarazzante scrive soeur Jeanne era che la gente non si contentava di guardare soltanto la mia mano, ma mi chiedeva mille particolari circa l'invasamento e l'espulsione dei diavoli; ci che ci costrinse a stampare un opuscolo, nel quale il pubblico era informato degli avvenimenti pi notevoli che si erano verificati durante l'entrata dei diavoli nel mio corpo e il loro relativo allontanamento, con questioni aggiuntive circa l'impressione dei sacri nomi sulla mia mano. Segu una visita a m. de Gondi, arcivescovo di Parigi. La sua cortesia nell'accompagnare la priora fino alla carrozza fece tale impressione che tutta Parigi ora si precipit a vederla e fu necessario collocare questo soprannaturale equivalente di una stella del cinema a una finestra del pianterreno del palazzo de Laubardemont, dove il popolino poteva vederla. Dalle quattro del mattino fino alle dieci di sera ella stava l seduta, il gomito su un cuscino, la mano miracolosa penzoloni dalla finestra. Non ero libera n di ascoltare la Messa n di consumare i pasti. Il caldo era intenso e la folla lo faceva maggiormente sentire tanto che cominci a girarmi la testa e alla fine caddi svenuta sul pavimento. La visita al cardinale Richelieu ebbe luogo il 25 maggio e qualche giorno dopo, per ordine della regina, la priora fu condotta con la carrozza di Laubardemont a Saint-Germain-en-Laye. Qui ella ebbe una lunga conversazione con Anna d'Austria, la quale per pi di un'ora tenne la mano miracolosa tra le proprie dita regali contemplando ammirata una cosa che fin'allora non si era mai vista dagli inizi della Chiesa. Ella esclam "Come pu biasimare una cosa tanto meravigliosa, una cosa che ispira tanta devozione? Coloro che denigrano e condannano questa meraviglia sono nemici della Chiesa".

Un resoconto della meraviglia fu presentato al re, il quale decise di venire a vedere egli stesso. Guard attentamente i sacri nomi, poi disse Io non ho dubitato mai della verit di questo miracolo; ma vedendolo come lo vedo ora, la mia fede ne rafforzata. Poi fece chiamare quelli tra i suoi cortigiani che si erano mostrati pi scettici alla realt dell'invasamento. Che ne dite? chiese il re, mostrando loro la mano di soeur Jeanne. Ma costoro scrive la priora non cedettero. Mossa da un principio di carit, non ho mai menzionato i nomi di questi gentiluomini. L'unico momento imbarazzante di un giorno che per il resto fu perfetto, arriv quando la regina chiese un pezzetto della sacra camicia allo scopo di ottenere da Dio, attraverso le preghiere di san Giuseppe, un parto felice. (A quell'epoca Anna d'Austria era incinta di sei mesi del futuro Luigi Quattordicesimo.) La priora dovette rispondere che non riteneva fosse volont di Dio che una cosa tanto preziosa venisse tagliata a pezzi. Se Sua Maest assolutamente lo ordinava, ella era pronta a lasciarle tutta la camicia. Tuttavia, si permise di osservare che, se la camicia fosse rimasta in suo possesso, un numero infinito di anime devote a san Giuseppe avrebbero tratto grande consolazione dal vedere coi propri occhi una vera reliquia del loro santo patrono. La regina si lasci convincere e la priora ritorn a Parigi con la sua camicia intatta. Dopo questa visita a Saint-Germain il resto sembrava tutto lievemente piatto, anche un colloquio di due ore con l'arcivescovo di Sens, anche le folle di trentamila persone, anche la chiacchierata col nunzio del papa il quale disse che era una delle pi belle cose mai viste nella Chiesa di Dio e che non poteva proprio capire come gli ugonotti riuscissero a persistere nella loro cecit dopo una tanto sensibile prova delle verit alle quali si erano opposti. Soeur Jeanne e la sua compagna lasciarono Parigi il 20 giugno e trovarono le solite folle, i soliti prelati e le persone importanti in attesa ad ogni tappa. A Lione, che esse raggiunsero quattordici giorni dopo la partenza da Parigi, ricevettero la visita dell'arcivescovo, il cardinale Alphonse de Richelieu, fratello maggiore del Primo ministro. I genitori avevano deciso che Alphonse diventasse cavaliere di Malta.

Ma tutti i cavalieri di Malta dovevano saper nuotare e poich Alphonse non seppe mai imparare a nuotare, si dovette contentare della carica di vescovo nella diocesi di famiglia di Luon, che abbandon presto per diventare monaco certosino. Dopo l'avvento al potere di suo fratello egli fu tratto dalla Grande Chartreuse, nominato prima arcivescovo di Aix, poi di Lione, e gli fu data la porpora cardinalizia. Aveva fama di eccellente prelato, ma era soggetto a occasionali crisi di squilibrio mentale. Durante questi accessi indossava un abito cremisi ricamato d'oro ed affermava di essere Dio Padre. (Sembra che il fenomeno fosse comune alla famiglia; poich la tradizione, che pu essere o non essere vera, dice che il fratello minore qualche volta immaginava di essere un cavallo.) L'interesse del cardinale Alphonse per i sacri nomi fu intenso al punto da diventare chirurgico. Potevano essere cancellati con mezzi naturali? Prese un paio di forbici e cominci l'esperimento. Mi presi la libert scrive soeur Jeanne di dire "Monsignore, mi fate male". Il cardinale allora fece chiamare il suo medico e gli ordin di grattare via i nomi. Io obiettai e dissi "Monsignore, io non ho ordini dai miei superiori di sottopormi a queste prove". Monsignore il cardinale mi chiese chi potevano essere questi superiori. La risposta della priora, fu un colpo maestro. Il suo superiore dei superiori era il cardinal-duca, fratello del cardinale Alphonse. L'esperimento fu prontamente sospeso. La mattina dopo doveva ricomparire padre Surin. Egli era gi stato ad Annecy e stava ritornando alla base. Afflitto da mutismo isterico che egli attribuiva alle operazioni del demonio, Surin preg di esserne liberato sulla tomba di saint Franois de Sales: invano. Le visitandine di Annecy possedevano una grande provvista di sangue coagulato che il valletto del santo aveva raccolto per un lungo periodo di anni, aumentando la sua scorta ogni volta che il padrone veniva salassato dal barbiere-chirurgo. La badessa, Jeanne de Chantal, fu tanto addolorata dall'afflizione di Surin che gli fece mangiare un grumo di questo sangue coagulato. Per un momento egli fu in grado di parlare Ges Maria esclam; ma fu tutto e non riusc a dire altro.

Dopo aver discusso e consultato anche i padri gesuiti di Lione, fu deciso che Surin e il suo compagno, padre Tommaso, ritornassero indietro ed accompagnassero la priora alla meta del suo pellegrinaggio. Sulla via di Grenoble si verific qualche cosa che soeur Jeanne qualific come qualcosa di straordinario. Padre Tommaso inton il "Veni Creator", e immediatamente padre Surin rispose. Da quel momento egli fu in grado (almeno per qualche tempo) di parlare senza impedimento. A Grenoble Surin fece uso della voce ritrovata per predicare numerosi ed eloquenti sermoni sull'unzione di san Giuseppe e i sacri nomi. Vi qualcosa di contemporaneamente pietoso e sublime nello spettacolo di questo grande devoto di Dio il quale sostiene appassionatamente che il male era stato bene e la falsit, verit. Gridando dal pulpito, egli impiega le ultime risorse di un corpo malato, di una mente vacillante sull'orlo della disintegrazione, nello sforzo di persuadere i suoi ascoltatori della giustizia di un assassinio giudiziario, del soprannaturale nell'isterismo e del miracoloso nella frode. Tutto naturalmente per la maggiore gloria di Dio. Ma la moralit soggettiva delle intenzioni richiede di essere integrata dalla obiettiva ed utilitaria moralit dei risultati. Si pu essere in buona fede, ma se si agisce in maniera non realistica e inappropriata, le conseguenze possono essere solo disastrose. Con la loro credulit e la loro riluttanza a considerare la psicologia umana in termini diversi da quelli vecchi e dogmatici, uomini come Surin garantirono che l'abisso tra religione tradizionale e scienza in sviluppo arrivasse ad apparire incolmabile. Surin fu uomo di grande capacit, e quindi non aveva il diritto di essere cos stupido, come in questo caso, si dimostr di essere. Che si facesse martire del suo zelo non pu scusare il fatto che questo zelo fu maldiretto (1). Ad Annecy, che raggiunsero qualche giorno dopo aver lasciato Grenoble, essi trovarono che la fama dell'unzione di san Giuseppe li aveva preceduti. La gente veniva da lontano otto leghe per vedere e annusare. Dalla mattina alla sera Surin e Tommaso erano occupati a portare la sacra camicia a contatto con gli oggetti portati per lo scopo dai fedeli: rosari, croci, medaglie, anche pezzi di stoffa e di carta. La priora intanto, era alloggiata nel convento delle visitandine la cui badessa era madame Chantal.

Sfogliamo l'autobiografia, aspettandoci di trovare che ella abbia dedicato a questa santa amica e discepola di san Francesco almeno altrettante pagine di quelle dedicate ad Anna d'Austria o all'inesprimibile Gaston d'Orlans Ma siamo delusi. L'unico riferimento a santa Jeanne Chantal occorre nel seguente paragrafo. I punti dove vi era l'unzione diventarono sporchi. Madame de Chantal e le sue monache lavarono la biancheria su cui vi era l'unzione, e le unzioni conservarono il loro ordinario colore. Quali furono le ragioni di questo strano silenzio circa una persona cos notevole come la fondatrice della Visitazione? Si possono fare solo delle supposizioni. Pu essere che madame de Chantal fosse troppo perspicace e che, quando soeur Jeanne s'ingolf nella sua famosa impersonificazione di santa Teresa, non rimanesse troppo convinta? I santi hanno la tendenza ad acquistare il pi imbarazzante dono di leggere attraverso la persona fino al vero io dietro la maschera, e pu essere che la povera soeur Jeanne si trovasse all'improvviso nuda spiritualmente di fronte a questa vecchia signora terribilmente gentile, nuda e, tutt'a un tratto, sopraffatta dalla vergogna. A Briare, sulla via del ritorno, i due gesuiti si separarono dalle loro compagne. Soeur Jeanne non doveva mai pi rivedere l'uomo che si era sacrificato per riportarla alla salute. Surin e Tommaso si diressero ad ovest verso Bordeaux; le altre presero la via di Parigi, dove soeur Jeanne aveva appuntamento con la regina. Ella arriv a Saint-Germain appena in tempo. Durante la notte del 4 settembre 1638 cominciarono le doglie. La cintura della Beata Vergine, che era stata portata da Notre-Dame du Puy, fu allacciata intorno alla vita della regina e la camicia della priora fu stesa sul regale addome. Alle undici della mattina seguente Anna d'Austria partor felicemente un bambino che, cinque anni dopo, doveva diventare Luigi Quattordicesimo. Cos fu scrisse Surin che san Giuseppe dimostr la sua grande potenza, non soltanto assicurando alla regina un parto felice ma altres offrendo alla Francia un re di incomparabile potenza e grandezza di mente, un re di rara discrezione, di ammirevole prudenza e religiosit senza precedenti. Non appena la regina fu fuori pericolo, soeur Jeanne pieg la sua camicia e prese la via del ritorno verso Loudun. Le porte del convento si aprirono, poi si chiusero dietro di lei, per sempre.

La sua ora ricca di vita gloriosa era terminata; ma ella non si seppe riconciliare immediatamente con la monotona "routine" che doveva essere in seguito la sua sorte. Un po' prima di Natale si ammal di congestione polmonare. Si disperava per la sua vita, come ella stessa riferisce Nostro Signore disse al confessore mi ha dato un gran desiderio di andare in Paradiso; ma Egli mi ha trasmesso anche la conoscenza che, se rimanessi sulla terra un altro poco, potrei renderGli servigio. E quindi reverendo padre, se vorrete somministrarmi la Santa Unzione, io certamente sar guarita. Il miracolo sembr cos sicuro che il confessore di soeur Jeanne pens bene di fare gli inviti per l'occasione. Nella sera di Natale si riun nella nostra chiesa un'incredibile moltitudine di gente desiderosa di assistere alla mia guarigione. Le personalit furono sistemate in posti a sedere in una stanza attigua alla camera da letto della priora nella quale potevano guardare attraverso una grata. Al cader della notte essendo io in condizioni gravissime, padre Alange, un gesuita, nei paramenti da cerimonia, compresa la casula, entr nella stanza, portando la Santa Unzione. Avvicinandosi al letto, egli mi pose la reliquia sulla testa e cominci a ripetere le litanie di san Giuseppe che intendeva recitare completamente. Non appena egli mi ebbe collocato quel santo deposito ("dpt") sul capo io mi sentii completamente guarita. Tuttavia, decisi di non dir niente finch il buon padre non avesse finito le litanie. Allora annunziai il fatto e chiesi di vestirmi. Forse questo secondo miracolo fin troppo puntuale non fece una grande impressione sul pubblico. In ogni caso esso fu l'ultimo del suo genere. Il tempo pass. La Guerra dei Trent'Anni continuava. Richelieu si arricchiva sempre pi e il popolo si immiseriva sempre pi. Vi furono rivolte dei contadini contro le alte tasse, e rivolte borghesi (alle quali partecip il padre di Pascal) contro la diminuzione dei tassi di interesse delle obbligazioni governative. Tra le orsoline di Loudun la vita continuava come sempre. A distanza di qualche settimana il Buon Angelo (che era ancora m. de Beaufort, ma in miniatura, essendo alto ora solo un metro e mezzo e in et

di non pi di sedici anni) rinnovava i nomi sbiaditi sulla mano sinistra della priora. Chiusa ora in un bellissimo reliquario, la camicia, con l'unzione di san Giuseppe, aveva preso posto tra le reliquie pi preziose e pi efficaci del convento. Alla fine del 1642 Richelieu mor e fu seguito nella tomba, qualche mese dopo, da Luigi Tredicesimo. Per conto del re di cinque anni, Anna d'Austria e il suo amante, il cardinale Mazzarino, governarono inettamente il paese. Nel 1644 soeur Jeanne cominci a scrivere le sue memorie e acquist un nuovo direttore gesuita, padre Saint-Jure, al quale invi l'opera di Surin ancora incompiuta sui demoni. Saint-Jure prest i manoscritti al vescovo di Evreux, ed il vescovo, che aveva la cura delle indemoniate di Louviers, orient la direzione di questa nuova e, se possibile, ancora pi disgustosa orgia di follia e di malvagit, lungo le linee tracciate a Loudun. Penso scrisse Laubardemont alla priora penso che la vostra corrispondenza con padre Saint-Jure sia stata di grande utilit nella attuale questione. Meno riuscita di quelle di Louviers fu l'invasamento organizzato da m. Barr a Chinon. In principio tutto sembrava andare benissimo. Una schiera di giovani donne, tra cui alcune appartenenti alle migliori famiglie della citt, cedettero alla infezione psicologica. Bestemmie, convulsioni, denunzie, oscenit, tutto era in ordine. Sfortunatamente una delle ragazze indemoniate, di nome Beloquin, aveva un rancore personale contro m. Giloire, un prete del luogo. Andando in chiesa, nelle prime ore del mattino, ella vers il contenuto di una bottiglia piena di sangue di gallina sull'altar maggiore, poi annunzi durante l'esorcismo di m. Barr, che era il suo sangue, sparso a mezzanotte, mentre m. Giloire la violava. Barr naturalmente credette ogni parola e interrog i demoni delle altre ragazze allo scopo di raccogliere maggiori prove per incriminare il suo collega. Ma la donna dalla quale Beloquin aveva comprato la gallina, confid i suoi sospetti a un magistrato. Il "lieutenant criminel" dispose un'indagine. Barr rimase indignato e Beloquin contrattacc con sofferenze acutissime per ipocondria magicamente indotta, cos dichiararono i suoi diavoli, da m. Giloire.

Per niente impressionato, il "lieutenant criminel" chiese maggiori testimoni. Per sfuggirli, Beloquin scapp a Tours il cui arcivescovo era notoriamente favorevole alle possessioni. Ma l'arcivescovo era fuori citt e il suo posto era occupato da un ostile coadiutore il quale ascolt i racconti di Beloquin, poi chiam due infermiere, le quali scoprirono che i dolori, sebbene abbastanza reali, erano dovuti alla presenza nell'utero di una piccola palla da cannone di peltro. Messa alle strette, la ragazza ammise di averla messa lei stessa. Dopo di che il povero m. Barr fu privato delle sue prebende e bandito dalla archidiocesi di Touraine. Egli fin i suoi giorni oscuramente, come pensionante in un monastero a Le Mans. A Loudun intanto, i demoni erano stati abbastanza tranquilli. In una occasione memorabile, vero Vidi davanti a me la forma di due uomini eccezionalmente spaventosi, e sentii un gran fetore. Ognuno di questi uomini portava delle verghe; essi mi afferrarono, mi svestirono, mi legarono al letto e mi sferzarono per lo spazio di mezz'ora e pi. Fortunatamente, poich la camicia le era stata tirata sulla testa, la priora non si vide nuda. E quando i due indegni personaggi gliela tirarono gi di nuovo e la slegarono, ella non si accorse che fosse accaduto niente di contrario alla modestia. Vi furono alcuni successivi attacchi dallo stesso fronte; ma in complesso i miracoli registrati da soeur Jeanne durante i venti anni che seguirono furono di origine celestiale. Per esempio il cuore le fu spaccato in due e segnato, internamente ed invisibilmente, con gli strumenti della Passione. In diverse occasioni le anime delle suore defunte apparirono e parlarono del Purgatorio. E a volte, senza dubbio, i sacri nomi venivano esibiti attraverso la grata del parlatorio a visitatori qualificati, alcuni devoti, altri soltanto curiosi o decisamente scettici. Ad ogni ripresa dei nomi, e a intervalli frequenti, l'angelo appariva e dava una quantit prodigiosa di buoni consigli, che venivano trasmessi, in interminabili lettere, al suo direttore. Egli dava anche consigli a terze persone: a gentiluomini implicati in procedure penali, a madri ansiose, le quali volevano sapere se fosse meglio maritare le figlie, piuttosto svantaggiosamente ora, o aspettare nella

speranza che si presentasse un partito migliore prima che fosse troppo tardi per tutto se non per il convento. Nel 1648 la Guerra dei Trent'anni venne a fine. La potenza degli Asburgo era spezzata e un terzo degli abitanti della Germania era stato liquidato. L'Europa ora era pronta per le stranezze del Grande Monarca e dell'egemonia francese. Un trionfo. Ma intanto vi fu un interludio di anarchia, una Fronda si succedeva all'altra. Mazzarino si esili e ritorn al potere; si ritir ancora una volta e riapparve; poi scomparve per sempre dalla scena. Press'a poco nella stessa epoca, oscuro e in disgrazia, Laubardemont mor. Il suo unico figlio era diventato un avventuriero ed era stato ucciso. La sua unica figlia sopravvissuta era stata obbligata a prendere il velo ed era ora un'orsolina a Loudun alle dipendenze dell'antica protetta di suo padre. Nel gennaio 1656 fu pubblicata la prima delle "Provincial Letters" e quattro mesi dopo si verific il grande miracolo giansenista, la guarigione della nipote di Pascal malata agli occhi per virt della Sacra Spina conservata a Port-Royal. Un anno dopo mor Saint-Jure e la priora non ebbe pi nessuno a cui scrivere eccetto le altre monache e il povero padre Surin, il quale era ancora troppo malato per rispondere. Quale fu la sua gioia quando, al principio del 1658, ella ricevette una lettera di pugno di Surin, la prima in pi di venti anni. Quanto ammirabili scrisse alla sua amica madame du Houx, ora monaca della Visitazione a Rennes quanto ammirabili sono i disegni di Dio, il quale avendomi privata dal padre Saint-Jure, ora mette in grado il caro padre della mia anima di scrivermi! Solo qualche giorno prima di ricevere la sua lettera, io gli avevo scritto lungamente circa le condizioni della mia anima. Ella continu a scrivere circa le condizioni della sua anima: a Surin, a madame du Houx, a chiunque fosse disposto a leggere e rispondere. Se fossero state mai pubblicate, le lettere della priora sopravvissute a lei, avrebbero riempito diversi volumi. E quante altre devono essere andate perdute! Soeur Jeanne, evidente, era ancora sotto l'impressione che "la vita interiore" fosse una vita di costante autoanalisi in pubblico. Ma in effetti, naturalmente, la vita interiore comincia dove scompare l'io analizzabile.

L'anima che continua a discorrere delle sue condizioni in conseguenza di ci si preclude la conoscenza del fondamento divino. Non stato per mancanza di volont che mi sono astenuto dallo scrivervi perch sinceramente desidero per voi tutto il bene; ma perch mi sembrato che sia stato detto abbastanza per effettuare tutto ci che necessario, e che ci che manca (se qualche cosa manca) non lo scrivere e il parlare - di cui ordinariamente ve ne pi che abbastanza - ma silenzio e lavoro. Queste parole furono indirizzate da san Giovanni della Croce ad un gruppo di monache, le quali si erano lamentate che egli non rispondesse alle lettere in cui esse avevano tanto minutamente catalogato il loro stato mentale. Ma parlare distrae; silenzio e lavoro concentrano i pensieri e rafforzano lo spirito Niente, ahim, poteva far tacere la priora. Ella era altrettanto prolissa quando madame de Svign; ma le chiacchiere erano esclusivamente circa se stessa. Nel 1660, con la Restaurazione, i due turisti britannici che avevano visto soeur Jeanne in tutta la sua diabolica gloria, tornarono finalmente in auge. Tom Killigrew fu nominato Gentiluomo di Camera e autorizzato a costruire un teatro dove poteva rappresentare le commedie senza sottoporle alla censura. In quanto a John Maitland, il quale era stato fatto prigioniero a Worcester ed aveva passato nove anni al confino, divent ora segretario di Stato e primo favorito del nuovo re. La priora, intanto, sentiva il peso degli anni. Ella era sofferente e il doppio ruolo di reliquia ambulante e di sagrestana, di oggetto sacro e guida loquace, la stancava intollerabilmente. Nel 1662 i sacri nomi furono rinnovati per l'ultima volta; d'allora in poi non rimase pi niente che i devoti o i curiosi potessero vedere. Ma sebbene i miracoli fossero cessati, la pretensione spirituale rimaneva pi grande che mai. Io propongo le scrisse Surin in una delle sue lettere di parlarvi della prima necessit, della vera base della grazia, voglio dire l'umilt. Vi prego quindi di agire in modo tale che questa santa umilt possa diventare la vera e solida base della vostra anima. Le cose di cui parliamo nelle nostre lettere - cose, molto spesso, di natura sublime ed alta - non devono in alcun modo compromettere quella virt. Nonostante la sua credulit, nonostante la supervalutazione del miracoloso, Surin comprese fin troppo bene la sua corrispondente: soeur Jeanne apparteneva a quella che, in quel particolare momento storico, fu evidentemente una sottospecie comunissima di bovaristi.

E quanto fosse comune lo possiamo dedurre da una nota nelle "Penses" di Pascal. Di santa Teresa egli scrive, ci che piace a Dio la sua profonda umilt nelle rivelazioni; ci che piace agli uomini la conoscenza a lei rivelata. E cos noi ci logoriamo a morte cercando di imitare le sue parole, immaginando che perci stiamo imitando il suo stato di essere. Noi non amiamo la virt che Dio ama, n cerchiamo di portarci nello stato di essere che Dio ama. Con una parte della mente soeur Jeanne era probabilmente convinta di essere effettivamente l'eroina della propria commedia. Con un'altra parte ella deve essere stata ancora pi certa del contrario. Madame du Houx la quale, in pi di una occasione, pass lunghi mesi a Loudun, era d'opinione che la sua povera amica vivesse quasi sempre nell'illusione. Continu questa illusione fino alla fine? Oppure soeur Jeanne riusc per lo meno a morire, non come l'eroina davanti ai riflettori, ma come se stessa dietro le scene? Questo suo retroscena era assurdo, era patetico, ma se soltanto ella avesse potuto riconoscere il fatto, se avesse soltanto cessato di impersonare l'autrice del "Castello Interiore", tutto poteva ancora andar bene. Finch ella insisteva nel fingere di essere un'altra, non vi era alcuna possibilit; ma se ella avesse confessato umilmente di essere se stessa, allora avrebbe potuto scoprire che, in realt, ella era sempre stata un'altra. Dopo la morte, che avvenne nel gennaio 1665, la commedia della priora fu trasformata dai membri superstiti della Comunit nella pi volgare delle farse. Il cadavere fu decapitato e la testa di soeur Jeanne prese posto, in un'urna d'argento con le pareti di cristallo, a fianco della sacra camicia. Un artista di provincia fu incaricato di dipingere un enorme quadro dell'espulsione di Behemoth. Al centro della composizione la priora era raffigurata in estasi davanti a padre Surin, il quale era assistito da padre Tranquille e da un carmelitano. A media distanza sedevano Gaston d'Orlans e la sua duchessa in maestosa contemplazione. Dietro di loro, ad una finestra, si vedevano le facce degli spettatori di rango inferiore. San Giuseppe dominava dall'alto. Egli aveva nella mano destra tre saette da lanciare contro le schiere di demoni e di spiriti che uscivano dalle labbra socchiuse della indemoniata.

Per pi di otto anni questo quadro rimase nella cappella delle orsoline e fu oggetto di devozione popolare. Ma nel 1750 un vescovo di Poitiers in visita al convento, ne ordin la rimozione. Combattute tra il patriottismo istituzionale e il dovere di obbedire, le buone suore scelsero un compromesso appendendo sul primo, un secondo quadro ancora pi grande. La priora poteva essere in decadenza, ma era ancora l. Tuttavia non per molto. Il convento si trov in difficolt e nel 1772 fu soppresso. Il quadro fu affidato a un canonico della Santa Croce, la camicia e la testa mummificata furono spedite, forse, a qualche altro e pi fortunato monastero dell'Ordine. Tutti e tre sono ora scomparsi.

NOTE. N. 1: Superstizione - concupiscenza dice Pascal. E ancora un vizio naturale, come la incredulit, e non meno pernicioso, la superstizione.

Capitolo 11

Noi partecipiamo ad una tragedia; alla commedia guardiamo solo. L'autore tragico si sente nei suoi personaggi; e altrettanto, dalla parte opposta, fa il lettore o l'ascoltatore. Ma nella commedia pura non vi identit tra il creatore e la creatura letteraria, tra lo spettatore e lo spettacolo. L'autore guarda, giudica e registra, dall'esterno; e dall'esterno il pubblico osserva ci che egli ha registrato, giudica come egli ha giudicato e, se la commedia abbastanza buona, ride. La commedia pura non resiste per molto tempo. Questa la ragione per cui tanti dei maggiori scrittori comici hanno adottato la forma impura, in cui vi costante transizione dall'esteriorit all'interiorit e viceversa. In un momento non facciamo che vedere e giudicare e ridere; un momento dopo, siamo spinti a simpatizzare ed anche a identificarci con uno che, qualche secondo prima, era un mero oggetto. Ogni figura comica potenzialmente un Amiel o un Bashkirtseff; e ogni tormentato autore di confessioni o di giornali intimi pu essere visto, se lo desideriamo, come figura comica. Jeanne des Anges fu uno di quegli sfortunati esseri umani i quali invitano continuamente all'incontro esteriore, al trattamento puramente comico. E ci malgrado il fatto che ella scrisse confessioni intese ad invocare la simpatia cordiale del lettore per le sue notevoli sofferenze. Se possiamo leggere queste confessioni e pensare ancora alla povera priora come a una figura comica, ci dovuto al fatto che ella fu estremamente attrice; e che, come attrice, fu quasi sempre esteriore anche con se stessa. L'"io" che fa le sue confessioni qualche volta un'imitazione di sant'Agostino, qualche volta la regina delle indemoniate, qualche volta la seconda santa Teresa e qualche volta, buttando via ogni affettazione, una acuta e momentanea sincera giovane donna, che sa esattamente chi e come legata a questi altri personaggi pi romantici. Senza, ovviamente, desiderare di trasformarsi in una figura comica, soeur Jeanne impiega tutti i mezzi dello scrittore comico: il passaggio improvviso dalla maschera a un volto assurdo; l'enfasi, le eccessive protestazioni; la pia

verbosit che razionalizza cos ingenuamente qualche desiderio eccessivamente umano sotto la superficie. Inoltre, soeur Jeanne scrisse le sue confessioni senza riflettere che i lettori potevano avere altre fonti di informazione circa i fatti in esse registrati. Cos dalle note ufficiali dei capi d'accusa in base ai quali Grandier fu condannato, sappiamo che la priora e diverse altre monache furono sopraffatte dal rimorso per ci che avevano fatto e cercarono di ritirare una testimonianza che sapevano, anche nei parossismi dell'isterismo, essere completamente falsa. L'autobiografia di soeur Jeanne abbonda in dichiarazioni convenzionali di vanit, di orgoglio, di indifferenza. Ma della sua colpa maggiore - l'inganno sistematico che aveva portato un innocente alla tortura e alle fiamme - ella non fa cenno. N fa mai riferimento all'unico episodio degno nella odiosa storia; il suo pentimento e la confessione pubblica della sua colpa. Ripensandoci ella prefer accettare le ciniche assicurazioni di Laubardemont e dei cappuccini: la sua contrizione era un trucco dei demoni, le sue bugie verit di Vangelo. Qualunque resoconto di questo episodio, anche il pi favorevole, avrebbe inevitabilmente sciupato il suo ritratto di autrice quale vittima del demonio, miracolosamente liberata da Dio. Sopprimendo i fatti strani e tragici, ella decise di identificarsi con una finzione essenzialmente letteraria. Proprio queste cose sono la materia prima della commedia. Nel corso della sua vita Jean-Joseph Surin pens, scrisse e fece molte cose stupide, mal giudicate e perfino grottesche. Ma per chiunque abbia letto le sue lettere e le sue memorie egli deve rimanere sempre una figura essenzialmente tragica, alle cui pene (per quanto curiose e m un certo senso, meritate) noi sempre partecipiamo. Noi lo conosciamo come egli si conosce, dall'interno e senza maschera. L'"io" che fa la sua confessione sempre Jean-Joseph, mai qualcun altro, pi romantico, mai, come fu il caso della povera priora, quell'altro spettacolare personaggio che finisce invariabilmente per lasciar fuggire il gatto dal sacco trasformando cos lo pseudosublime in comico, o decisamente farsesco. Gli inizi della lunga tragedia di Surin sono stati gi descritti. Una volont di ferro, diretta dai pi alti ideali di perfezione cristiana e da nozioni erronee circa i rapporti tra Assoluto e relativo, tra Dio e natura, avevano logorato una costituzione debole, un temperamento in equilibrio instabile.

Egli era malato anche prima di andare a Loudun. Qui, sebbene cercasse di mitigare gli eccessi manicheistici degli altri esorcisti, rimase vittima di una troppo rigida ed intensa preoccupazione sull'idea e sul fatto apparente del Male radicale. I diavoli traevano la loro forza proprio dalla violenza della campagna che veniva combattuta contro di loro. Forza nelle monache e forza nei loro esorcisti. Sotto l'influenza di un'ossessione demoniaca organizzata, le tendenze normalmente latenti (tendenze alla licenza e alla bestemmia, alle quali per induzione, una rigida disciplina religiosa d sempre origine) affiorarono alla superficie. Lactance e Tranquille morirono in convulsioni mani e piedi nelle grinfie di Belial. Surin sub la prova autoinflitta, ma sopravvisse. Mentre lavorava a Loudun, Surin trov il tempo, tra gli esorcismi e i propri invasamenti, di scrivere molte lettere. Ma ad eccezione del suo indiscreto amico, padre d'Attichy, egli non fece alcuna confidenza. Meditazione, purezza del cuore: questi sono i temi ordinari delle sue lettere. I demoni e le sue stesse prove sono appena nominati. Circa la preghiera mentale egli scrive a una delle sue corrispondenti in clausura non ritengo un brutto segno che siate incapace, come mi dite, di mantenere la mente fissa su qualche particolare soggetto, da voi preparato in precedenza. Vi consiglio di non vincolarvi ad alcun argomento specifico, ma di andare alle vostre preghiere con la stessa libert di cuore, con cui, in passato, andavate nella stanza della madre d'Arrrac, a parlare con lei ed aiutarla a passare il tempo. Per questi colloqui non portavate un'agenda di argomenti accuratamente studiati per la discussione; poich ci avrebbe messo fine al piacere della vostra conversazione. Voi andavate da lei con la disposizione generale di fomentare e coltivare la vostra amicizia. Andate a Dio nello stesso modo. Amate il buon Dio egli scrive un'altra volta e permetteteGli di fare ci che Gli piace. Dove Egli opera, l'anima dovrebbe rinunziare alla propria maniera grossolana di agire. Fate cos e rimanete esposti alla volont d'Amore, e al Suo potere.

Mettete da parte le vostre faccende, che sono mescolate a tante imperfezioni e hanno bisogno di essere purificate. E che cos' questo divino Amore, al cui volere e potere si richiede all'anima di esporsi? L'opera dell'Amore di devastare, distruggere, abolire, e poi rinnovare, ricostruire, risuscitare. E' meravigliosamente terribile e meravigliosamente dolce; e quanto pi terribile, tanto pi desiderabile, tanto pi attraente. A questo Amore dobbiamo risolutamente darci. Non sar felice finch non lo avr visto trionfare su di voi, al punto da consumarvi e annichilirvi. Nel caso di Surin il processo di annichilazione stava solo per cominciare. Durante la maggior parte del 1637 ed i primi mesi del 1638 egli fu malato, malato per con intervalli di salute. La sua malattia consisteva in una serie di allontanamenti da uno stato che era ancora tollerabilmente normale. Questa ossessione egli scrive venticinque anni dopo in "La Science Exprimentale des choses de l'autre vie" (1) era accompagnata da straordinario vigore e contentezza mentale che lo aiutavano a portare questo fardello non soltanto con pazienza ma con gioia. Invero, la continua concentrazione era gi fuori questione; egli non poteva studiare. Ma poteva fare uso dei frutti degli studi precedenti con stupefacenti improvvisazioni. Inibito, senza sapere che cosa stava per dire, o se sarebbe stato in grado di aprire la bocca, egli si arrampicava sul pulpito, con l'animo di un condannato che sale il patibolo. Poi, improvvisamente sentiva una dilatazione del senso interiore e il calore di una grazia cos forte da liberargli il cuore come uno squillo di tromba, con una forza potente di voce e di pensiero, come se fosse stato un altro uomo... Era stato aperto un tubo e sgorgava nella sua mente un'abbondanza di forza e di conoscenza. Poi si ebbe un improvviso mutamento. Il tubo si chiuse, il torrente di ispirazione si inarid. La malattia prese una nuova forma, e non era pi la spasmodica ossessione di un'anima relativamente normale in contatto con Dio, ma una completa privazione di luce, accompagnata da una diminuzione e degradazione di tutto l'uomo in qualche cosa inferiore a se stesso.

In una serie di lettere, scritte per la maggior parte nel 1638, e indirizzate a una monaca che era passata attraverso esperienze simili alle sue, Surin descrive il primo inizio di questa nuova fase della malattia. In parte, almeno, le sofferenze erano fisiche. Vi erano giorni e settimane in cui una febbre bassa, ma ostinata, lo manteneva in uno stato di estrema debolezza. Altre volte soffriva di una specie di paralisi parziale. Aveva ancora un certo controllo degli arti; ma ogni movimento gli costava un enorme sforzo ed era spesso accompagnato da dolore. Le pi piccole azioni erano prove tormentose, ed ogni compito, il pi comune e banale, era una fatica d'Ercole. Gli occorrevano due o tre ore per slacciare i ganci della tunica. In quanto a svestirsi completamente non ne aveva la possibilit fisica. Per circa venti anni, Surin dorm vestito. Una volta alla settimana, tuttavia, era necessario (se voleva evitare gli insetti per i quali aveva grande avversione) cambiare la camicia. Soffrivo tanto per questo cambiamento di biancheria che qualche volta impiegavo quasi tutta la notte dal sabato alla domenica per togliermi la camicia sporca e indossare quella pulita. Era tale il dolore provocato da questa operazione che, se mai mi pareva di provare un raggio di felicit, era sempre prima del gioved, mentre dal gioved in poi soffrivo l'angoscia pi atroce, pensando di dovermi cambiare la camicia; poich questa era una tortura che, se ne avessi avuto la scelta, avrei voluto risparmiarmi a prezzo di qualsiasi altra sofferenza. Mangiare era quasi altrettanto penoso che vestirsi e svestirsi. La camicia veniva cambiata solo una volta alla settimana. Ma questo lavoro di Sisifo di tagliare la carne, portare la forchetta alla bocca, afferrare e inclinare il bicchiere, era una prova quotidiana, tanto pi insopportabile per la mancanza completa di appetito e perch il commensale sapeva che probabilmente avrebbe vomitato tutto ci che aveva mangiato o, diversamente, avrebbe sofferto di tormentosa indigestione. I medici fecero del loro meglio per lui. Fu salassato, fu purgato, gli furono fatti fare bagni caldi. Niente giov. I sintomi erano fisici, senza dubbio; ma la causa era da ricercare non nel sangue infetto o nella deficienza di umori, ma nella mente del paziente. Quella mente aveva cessato di essere invasata. La lotta non era pi tra Leviatano ed un'anima che, lui malgrado, era tranquillamente conscia della presenza di Dio.

Essa era tra una certa nozione di Dio e una certa nozione della natura, con lo spirito diviso di Surin in combattimento da entrambe le parti e sconfitto ad ogni incontro. Che l'infinito debba includere il finito e debba essere quindi totalmente presente in ogni punto dello spazio, in ogni attimo di tempo, sembra abbastanza evidente. Per evitare questa conclusione ovvia e sfuggire le sue conseguenze pratiche, i pi antichi e pi ortodossi pensatori cristiani impiegarono tutta la loro ingenuit, i pi severi moralisti cristiani tutta la loro persuasione e coercizione. Questo un mondo decaduto, proclamarono i pensatori, e la natura, umana e subumana, radicalmente corrotta. Quindi, dissero i moralisti, la natura deve essere combattuta su tutti i fronti: soppressa internamente, ignorata e deprezzata esternamente. Ma solo attraverso il "datum" della natura che possiamo sperare di ricevere il "donum" della Grazia. Solo accettando il dato, come esso dato, possiamo qualificarci per il dono. Solo attraverso i fatti possiamo arrivare al Fatto primordiale. Non inseguire la verit consiglia uno dei maestri di Zen solo cessa di accarezzare opinioni. Ed i mistici cristiani dicono in sostanza la stessa cosa: con questa differenza, tuttavia, che essi devono fare un'eccezione in favore delle opinioni conosciute come dogmi, articoli di fede, devote tradizioni e simili. Ma nella migliore ipotesi questi non sono che pali indicatori; e se confondiamo il dito che l'indica con la luna certamente andremo fuori strada. Il fatto deve essere avvicinato attraverso i fatti; esso non pu essere conosciuto per mezzo di parole, o per mezzo di fantasie ispirate da parole. Si pu far venire il regno dei cieli SULLA TERRA; non si pu farlo venire nell'immaginazione o nel ragionamento discorsivo. Ed esso non pu venire neppure sulla terra, finch continuiamo a vivere, non sulla terra come effettivamente , ma come appare ad un io ossessionato dall'idea di separazione, da brame e da aborrimenti, da fantasie compensatrici e da proposizioni gi fatte circa la natura delle cose. Il nostro regno deve andarsene prima che venga quello di Dio. Vi deve essere mortificazione non della natura, ma della nostra fatale tendenza a fissare qualche cosa delle nostre congetture al posto della natura.

Dobbiamo liberarci del nostro catalogo di simpatie e antipatie, di schemi verbali ai quali aspettiamo che si conformi la realt, delle fantasie in cui ci ritiriamo quando i fatti non corrispondono alle nostre aspettative. Questa la "santa indifferenza" di san Francesco di Sales; questo l'"abbandono" di de Caussade, la volont cosciente, in ogni momento, di ci che accade in realt; questo il "rifiuto di preferire" che nella fraseologia di Zen l'indice della via perfetta. D'autorit e per certe esperienze proprie, Surin credette che Dio potesse essere conosciuto direttamente, in una unione trasfiguratrice dell'anima con il Fondamento divino del proprio essere e di quello del mondo. Ma anch'egli accarezz l'opinione che, a causa del peccato dei nostri primi genitori, la natura fosse totalmente depravata, e che questa depravazione stabilisse un abisso enorme tra il Creatore e la creatura. Date queste nozioni circa Dio e l'universo (nozioni idolatricamente considerate come intercambiabili coi fatti e col fatto primordiale), Surin pens che fosse logico tentare di sradicare dalla mente e dal corpo, ogni elemento naturale che potesse essere sradicato senza in effetti causare la morte. In vecchiaia riconobbe di aver fatto un errore. Perch bisogna notare che, diversi anni prima che andasse a Loudun, il padre (Surin scrive di s in terza persona) si era tenuto estremamente stretto ("s'tait extrmement serr") per ragioni di mortificazione, e nello sforzo di rimanere incessantemente alla presenza di Dio; e sebbene vi fosse in ci un certo apprezzabile zelo, vi erano anche grandi eccessi nella riserva e nella costrizione della mente. Per tale ragione egli era in una condizione di restringimento ("retrcissement"), certamente degna di biasimo, sebbene intesa a fin di bene. Poich carezz l'opinione che l'infinito sia in qualche modo fuori del finito, che Dio sia in qualche modo opposto alla Sua creazione, Surin aveva cercato di mortificare, non il suo atteggiamento egoistico verso la natura, non le fantasie e le nozioni che egli aveva collocate al posto della natura, ma la natura stessa, i fatti dati dell'esistenza incorporata tra gli esseri umani in questo particolare pianeta. Odia la natura il suo consiglio e lascia che essa soffra le umiliazioni che Dio vuole per lei. La natura stata "condannata a morte" e la sentenza giusta; ecco perch dobbiamo permettere che Dio ci scortichi e ci crocifigga a Suo piacere. Che fosse Suo piacere, Surin lo sapeva per tristissima esperienza.

Carezzando l'opinione della totale depravazione della natura, egli aveva trasformato la noia del mondo, che sintomo tanto comune di nevrosi, in odio per la propria umanit, in aborrimento per il suo ambiente, odio e aborrimento tanto pi intensi in quanto egli provava ancora desideri, in quanto le creature, sebbene disgustose, erano ancora fonte di tentazione. In una delle sue lettere egli riferisce che, nei giorni precedenti, ha avuto da sbrigare delle faccende. Alla sua natura malata, l'occupazione arreca un certo sollievo. Egli si sente un po' meno infelice, finch arriva il momento in cui si accorge che il miglioramento era dovuto al fatto che ogni momento era stato riempito di infedelt. La sua infelicit ritorna, aggravata da un senso di colpa, una convinzione di peccato. Egli prova un rimorso cronico. Ma un rimorso che non lo sprona all'azione poich egli si accorge che incapace anche di confessione, sicch deve ingoiare i suoi peccati come acqua, nutrirsi di essi come di pane. Egli vive in una paralisi della volont e delle facolt, ma non delle sensibilit. Infatti sebbene egli non possa far niente, pu ancora soffrire. Quanto pi uno frustato, tanto pi acutamente sente i colpi. Egli nel "vuoto della morte". Ma questo vuoto pi di una mera assenza, esso il niente nel pi ampio senso della parola odioso e orribile, un abisso, dove non vi pu essere alcun aiuto o sollievo per le creature e dove il Creatore un tormentatore, per il quale la vittima pu sentire solo odio. Il nuovo padrone chiede di regnare solo; ecco perch Egli rende la vita del suo servo estremamente intollerabile; ecco perch la natura stata perseguitata e torturata a morte. Niente rimane della personalit se non i suoi elementi pi ripugnanti. Surin non pu pi pensare, o studiare, o pregare, o fare opere buone, o elevare il cuore al suo Fattore in amore e gratitudine; ma il lato sensuale ed animale della natura ancora vivo e sprofondato nel delitto e nell'abominevole. E altrettanto sono i desideri frivoli e delittuosi di distrazione, altrettanto sono l'orgoglio e la vanit e l'ambizione. Annientato interiormente dalla nevrosi e dalle sue opinioni rigoristiche, egli decide di accelerare la distruzione della natura mortificandosi dall'esterno.

Vi sono ancora certe occupazioni che arrecano un po' di sollievo alle sue pene. Egli vi rinunzia; poich necessario, lo sente congiungere il vuoto esteriore al vuoto interiore. Con questi mezzi sar eliminata la stessa speranza dell'appoggio esterno, e la natura sar lasciata, estremamente indifesa. alla merc di Dio. Intanto i medici gli avevano ordinato di mangiare molta carne; ma egli non si decideva ad obbedire. Dio gli ha mandato questa malattia come mezzo di espiazione. Se egli cercher di ristabilirsi prematuramente, ostacoler la volont di Dio. La salute viene rifiutata, le occupazioni e la ricreazione vengono rifiutate. Ma vi sono ancora quegli splendenti prodotti del suo talento e della sua cultura: i sermoni, i trattati teologici, le omelie, i poemi di devozione, a cui egli ha lavorato tanto e dei quali ancora cos perfidamente vano. Dopo lunga e tormentosa indecisione, egli sente un forte impulso di distruggere tutto ci che ha scritto. I manoscritti di diversi libri, insieme a molte altre carte, vengono strappati e bruciati. Ora egli spogliato di tutto e abbandonato completamente nudo alle sue sofferenze. Egli nelle mani dell'Operaio il quale (ve lo assicuro) incalza col suo lavoro costringendomi a percorrere aspri sentieri, che la mia natura si rifiuta di affrontare. Qualche mese dopo la strada era diventata cos aspra che Surin fu fisicamente e mentalmente incapace di descriverla. Dal 1639 al 1657 vi una grande lacuna nella sua corrispondenza, un vuoto totale. Durante tutto questo tempo egli soffr di una specie di analfabetismo patologico, e fu incapace sia di scrivere che di leggere. Qualche volta gli era difficile anche parlare. Egli si trovava in isolamento volontario, tagliato fuori da ogni comunicazione col mondo esterno. L'esilio dall'umanit era abbastanza brutto; ma era niente in paragone a questo esilio da Dio, al quale era condannato. Non molto tempo dopo il suo ritorno da Annecy, Surin arriv a convincersi (e la convinzione dur per molti anni) di essere gi dannato. Ora non gli rimaneva altro che aspettare, nella disperazione estrema, la morte che era destinata a essere il passaggio dall'inferno sulla terra a un inferno nell'inferno infinitamente pi terribile.

Il confessore e i superiori gli assicurarono che la misericordia divina illimitata e che, finch vi vita, non vi pu essere certezza di dannazione. Un dotto teologo prov l'argomento con dei sillogismi; un altro arriv all'infermeria carico di volumi e lo prov con l'autorit dei dottori della Chiesa. Tutto fu vano. Surin sapeva di essere perduto e che i demoni, sui quali egli aveva recentemente trionfato, stavano preparandogli allegramente un posto tra le fiamme eterne. Gli uomini potevano parlare come volevano; ma i fatti e le proprie azioni parlavano meglio di qualsiasi parola. Tutto ci che accadeva, tutto ci che egli sentiva ed era ispirato a fare, lo confermavano nella sua convinzione. Se sedeva vicino al fuoco, un tizzone ardente (simbolo della dannazione eterna) certamente saltava verso di lui. Se entrava in chiesa, era sempre al momento in cui qualche frase circa la giustizia di Dio, qualche denunzia del malvagio, veniva letta o cantata: per LUI. Se ascoltava un sermone, sentiva invariabilmente il predicatore affermare che vi era un'anima perduta nella congregazione: era LA SUA. Una volta, quando era andato a pregare al letto di un confratello morente, lo assal la convinzione che, come Urbain Grandier, egli era uno stregone ed aveva il potere di comandare ai demoni di entrare nel corpo di persone innocenti. E questo stava facendo adesso: un incantesimo all'uomo morente. Stava ordinando a Leviatano, il demone dell'orgoglio, di entrare in lui. Stava convocando Isacaaron, il demone della lussuria, Balaam, lo spirito dell'ironia, Behemoth, il signore di tutte le bestemmie. Un uomo stava sull'orlo dell'eternit, pronto a fare l'ultimo passo decisivo. Se, nel fare questo passo, la sua anima fosse piena d'amore e di fede, tutto sarebbe andato bene per lui. Se no... Surin poteva fiutare effettivamente lo zolfo, poteva udire gli urli e il digrignamento di denti, eppure, contro la sua volont (o lo faceva volontariamente?) continuava a chiamare i diavoli, continuava a sperare che si sarebbero manifestati. D'un tratto il malato cominci a muoversi a fatica nel letto e cominci a parlare: non come aveva fatto prima, di rassegnazione alla volont di Dio, non di Cristo e della Madonna, non della misericordia divina e delle gioie

del Paradiso, ma incoerentemente di sbattimento di ali nere, di dubbi che lo assalivano e di indicibili terrori. Con un prepotente senso di orrore, Surin si rese conto che era perfettamente vero: egli era uno stregone. A queste prove esterne e desumibili della sua dannazione si aggiunsero le assicurazioni interiori ispirate nella sua mente da qualche potenza evidentemente soprannaturale. Colui che parla di Dio egli scrisse parla di un mare di rigori e (oserei dire) di severit superiori a ogni misura. In quelle lunghe ore di disperazione, mentre giaceva inchiodato al letto da una paralisi della volont e alternativamente da collasso e contrazione dei muscoli, egli ricevette impressioni dell'ira divina cos grandi che non vi dolore al mondo da poterle paragonare. Gli anni si seguivano e un tipo di sofferenza seguiva a un altro; ma il senso dell'inimicizia di Dio non vacillava mai dentro di lui. Egli lo conosceva intellettualmente; lo sentiva come un enorme peso che premeva su di lui: il peso del giudizio divino. "Et pondus eius ferre non potui". Egli non poteva sopportarlo, eppure esso era sempre l. A rinforzare questa convinzione sentita, vi erano ripetute visioni: cos vivide, cos sostanziali, che gli era difficile decidere se le aveva viste con gli occhi della mente o con quelli del corpo. Erano visioni, in massima parte, di Cristo. Non di Cristo il Redentore, ma di Cristo il Giudice. Non di Cristo maestro o di Cristo sofferente, ma di Cristo nel giorno del Giudizio, Cristo come lo vede il peccatore impenitente nel momento della morte, Cristo come appare alle anime dannate nell'abisso infernale, Cristo dallo "sguardo insostenibile" di rabbia, di aborrimento, di odio vendicativo. Qualche volta Surin lo vedeva nella figura di un uomo armato, avvolto in un mantello scarlatto. Qualche volta, sollevata nell'aria all'altezza di una picca, la visione faceva la guardia alla porta della chiesa, proibendo al peccatore di entrare. Qualche volta, come qualcosa di visibile e di tangibile, Cristo sembrava irradiarsi dal Sacramento ed era sperimentato dal malato come una corrente di odio cos potente che, una volta, lo fece veramente cadere da una scala a pioli dalla quale egli stava osservando una processione religiosa. (Altre volte - tale l'intensit del dubbio che la fede onesta crea, per induzione, nella mente dei credenti - egli seppe con certezza che Calvino aveva ragione e che Cristo non era veramente presente nel Sacramento. Tra i corni del dilemma non era possibile alcuna scappatoia.

Quando egli sapeva per esperienza diretta che Cristo si trovava nell'ostia consacrata, sapeva, per esperienza diretta, che Cristo lo aveva dannato. Ma non era meno sicuramente dannato quando sapeva con gli eretici, che la dottrina della presenza reale era falsa.) Le visioni di Surin non erano solo di Cristo. Qualche volta egli vedeva la Santa Vergine che lo allontanava con un'espressione di disgusto e di indignazione. Alzando la mano, ella scaricava un fulmine di lampi vendicatori, e tutto il suo essere, fisico e mentale, ne sentiva il dolore. Qualche volta erano altri santi a sorgere davanti a lui, ognuno col suo "insopportabile sguardo" e il fulmine. Surin li vedeva nei sogni e si svegliava con un sobbalzo d'angoscia quando le saette lo colpivano. I santi pi inverosimili facevano la loro apparizione. Una notte, per esempio, egli fu trafitto da una saetta per mano di sant'Eduardo, re d'Inghilterra. Era costui Eduardo martire? O pu essere stato il povero Eduardo il confessore? In ogni caso sant'Eduardo manifest una furia terribile contro di me; e sono convinto che ci (il lancio di fulmini da parte dei santi) quanto avviene all'inferno. All'inizio del suo lungo esilio dal Paradiso e dal mondo degli uomini, Surin era ancora in grado, almeno nei giorni buoni, di cercare di ristabilire contatto con l'ambiente. Ero sempre dietro ai miei superiori e agli altri gesuiti allo scopo di confidare loro ci che accadeva alla mia anima. Invano. (Uno dei principali orrori dello squilibrio mentale, come dell'estrema invalidit fisica, consiste nel fatto che tra noi e voi si stabilisce un immenso abisso. Lo stato del catatonico, per esempio, incommensurabile con lo stato dell'uomo o della donna normale. L'universo abitato dal paralitico radicalmente diverso dal mondo conosciuto da coloro che hanno il pieno uso del loro corpo. L'amore pu costruire un ponte, ma non pu abolire l'abisso; e dove non vi amore, non vi neppure un ponte.) Surin inseguiva i suoi superiori e i suoi colleghi; ma essi non comprendevano niente di ci che egli raccontava; essi non desideravano neppure di simpatizzare. Riconobbi la verit di ci che disse santa Teresa: che non vi pena pi insopportabile di quella di cadere nelle mani di un confessore che sia troppo prudente. Con impazienza, essi si allontanavano da lui.

Egli li afferrava per un braccio e cercava, ancora una volta, di spiegare ci che gli stava accadendo. Era cos semplice, cos evidente, cos estremamente terribile! Essi sorridevano con disprezzo e si toccavano la fronte. L'uomo era pazzo e, per di pi, si era provocata egli stesso la sua pazzia. Dio, gli assicuravano, lo puniva del suo orgoglio e della sua originalit: per aver voluto essere pi spirituale degli altri, per aver immaginato di poter andare verso la perfezione lungo una strada eccentrica, non gesuitica e di propria scelta. Surin protestava contro questi giudizi. Il naturale buon senso, su cui costruita la nostra fede, ci fortifica cos saldamente contro gli oggetti dell'altra vita che, non appena un uomo afferma che egli dannato, gli altri considerano l'idea come un'espressione di pazzia. Ma i deliri della malinconia e dell'ipocondria sono di tutt'altra specie immaginare, per esempio, di essere un'anfora o un cardinale - o (se si effettivamente un cardinale come Alphonse de Richelieu) di essere Dio Padre. Credere di essere dannato, insisteva Surin, non era mai segno di pazzia; e per provare la sua tesi, egli cit i casi di Henry Suso, di sant'Ignazio, di Blosio, di santa Teresa, di san Giovanni della Croce. Una volta o l'altra tutti costoro avevano creduto di essere dannati; e tutti erano stati sani e santi in grado eccelso. Ma i prudenti o si rifiutavano di ascoltare, oppure se lo ascoltavano (con quale chiara impazienza!) non erano convinti. Il loro atteggiamento aggrav la gi enorme infelicit di Surin e lo spinse ancora di pi sulla strada della disperazione. Il 17 maggio 1645, nella piccola casa dei gesuiti a Saint-Macaire vicino Bordeaux, egli cerc di suicidarsi. Tutta la notte precedente aveva lottato con la tentazione di sopprimersi e aveva passato la mattinata pregando davanti al Santissimo Sacramento. Un po' prima di pranzo egli sal nella sua stanza. Entrando, vide che la finestra era aperta, vi si avvicin e, dopo aver guardato gi al precipizio che aveva ispirato alla sua mente questo folle istinto (la casa era costruita su una roccia a picco sul fiume) si ritir al centro della stanza, guardando ancora la finestra. Qui perdette coscienza e improvvisamente, come se fosse stato addormentato, senza sapere che cosa faceva, fu lanciato fuori della finestra. Il corpo cadde, rimbalz su una sporgenza della roccia e si ferm sul bordo dell'acqua.

Si ruppe il femore ma non vi furono lesioni interne. Spinto dalla sua inveterata passione del miracoloso, Surin completa il racconto della sua tragedia con un poscritto quasi comico. Proprio al momento dell'incidente, e nel luogo preciso dove si era verificata la caduta, un ugonotto scese al fiume e mentre lo attraversava si burl dell'avvenimento. Giunto a riva, rimont e, sul prato, in una strada perfettamente piana, il cavallo lo butt di sella ed egli si ruppe un braccio, ed egli stesso disse che Dio lo aveva punito perch si era beffato del padre che aveva cercato di volare, ed egli, da un'altezza molto inferiore, era incorso nella stessa disgrazia. Ora, l'altezza da cui era caduto il padre abbastanza notevole da essere fatale; poich meno di un mese fa un gatto, che cercava di agguantare un passero, cadde dallo stesso punto, e fu ucciso, sebbene questi animali, essendo leggeri e destri, generalmente cadono senza farsi male. La gamba di Surin fu messa a posto e, dopo qualche mese, egli fu in grado di camminare, sebbene sempre, d'allora in poi, con un'andatura zoppicante. La mente, tuttavia, non poteva guarire cos facilmente come il corpo. La tentazione di disperarsi persistette per anni. I luoghi alti continuarono ad esercitare un fascino pauroso. Non poteva guardare un coltello o una corda senza provare un desiderio intenso di impiccarsi o tagliarsi la gola. E l'impulso di distruzione era diretto all'esterno oltre che all'interno. Capitava che a volte Surin fosse assalito da un desiderio quasi irresistibile di appiccare il fuoco alla casa in cui viveva. Gli edifici e gli occupanti umani, la biblioteca con tutti i suoi tesori di saggezza e di devozione, la cappella, i paramenti, i crocifissi, lo stesso Santo Sacramento, tutto doveva essere ridotto in cenere. Solo uno spirito maligno poteva albergare tanta perfidia. Ma proprio questo egli era: un'anima dannata, un diavolo incarnato, odiato da Dio che ricambiava di altrettanto odio. Per lui, questa specie di malvagit era assolutamente regolare. Eppure, perduto come sapeva di essere, vi era ancora una parte di lui che rifiutava il male che era suo dovere, come dannato, pensare e sentire e compiere. Le tentazioni di suicidio e di incendio doloso erano forti; ma egli lott contro di esse. E nello stesso tempo le persone fin troppo prudenti che lo circondavano non correvano alcun rischio.

Dopo il suo primo tentativo di suicidio era sorvegliato da un inserviente, oppure legato al letto. Per i successivi tre anni Surin fu sottoposto a quella sistematica inumanit che i nostri padri riservarono ai pazzi. Coloro che profittano di tali situazioni (e sono numerosissimi) godono della crudelt per se stessa, ma spesso, nondimeno, con rimorsi di coscienza. Per alleviare il loro senso di colpa, violenti e sadici si forniscono di scuse onorifiche per il loro sport favorito. Cos, la brutalit con i bambini viene razionalizzata come disciplina, come obbedienza al Regno di Dio. Chi risparmia la sferza, odia suo figlio. La brutalit verso i criminali corollario dell'imperativo categorico. La brutalit verso gli eretici religiosi e politici un colpo a favore della fede vera. La brutalit verso i membri di un'altra razza giustificata con argomenti tratti da quella che poteva passare una volta per Scienza. Universale, una volta, la brutalit verso il pazzo non ancora estinta, perch i pazzi sono terribilmente esasperanti. Ma questa brutalit non pi razionalizzata, come lo era in passato, in termini teologici. Le persone che tormentarono Surin e le altre vittime dell'isterismo o della psicosi lo fecero prima perch godevano ad essere brutali e, secondo, perch erano convinte che facevano bene ad essere brutali. E credevano di far bene perch, "ex hypothesi", i pazzi avevano sempre voluto i loro malanni. Per qualche manifesto od oscuro peccato, essi venivano puniti da Dio, il quale permise ai demoni di assediarli e di ossessionarli. Come nemici di Dio e come incarnazioni temporanee del male radicale, essi meritavano di essere maltrattati. Ed erano maltrattati con la coscienza tranquilla e la felice sensazione che la volont divina si compiva sulla terra come in cielo. Il pazzo era percosso, affamato, incatenato nella pi malsana prigione. Se veniva visitato da un ministro della religione, era per sentirsi dire che la colpa era tutta sua e che Dio era in collera con lui. Per il pubblico in genere egli era un misto tra il babbuino e il ciarlatano, con qualche caratteristica del condannato criminale. La domenica e nei giorni di festa si portavano i bambini a vedere il pazzo, come ora si portano allo zoo o al circo. E non vi erano regolamenti che vietassero di tormentare gli animali.

Al contrario, essendo gli animali quello che erano, nemici di Dio, tormentarli non soltanto era permesso; era un dovere. La persona sana che viene trattata come pazza sottoposta ad ogni specie di insulto e di beffa: ecco un tema favorito dai commediografi e dai novellisti dei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Si pensa a Malvolio, si pensa al dottor Manente di Lasca, si pensa alla infelice vittima nel "Semplicissimus" di Grimmelshausen. E i fatti sono ancora pi spiacevoli delle rappresentazioni. Louise du Tronchay ha lasciato un resoconto delle sue esperienze nel grande manicomio parigino della Salptrire, nel quale fu rinchiusa nel 1674 dopo essere stata trovata per la strada mentre urlava e rideva da sola, seguita da un gran numero di gatti randagi. Questi gatti fecero nascere il violento sospetto che oltre a essere pazza, ella fosse una strega. All'ospedale fu incatenata in una gabbia per divertire il pubblico. Attraverso le sbarre i visitatori la spingevano coi bastoni e la beffavano, ricordando i gatti e le pene riservate alle streghe. Quella paglia sporca sulla quale giaceva, che bel fuoco avrebbe fatto quando ella sarebbe stata condotta all'esecuzione! A distanza di qualche settimana la paglia veniva rinnovata e quella sporca veniva bruciata nel cortile. Louise veniva condotta a vedere le fiamme e a sentire le allegre grida di Fuoco alla strega!. Una domenica le fecero ascoltare un sermone di cui ella stessa era il tema. Il predicatore la mostr alla congregazione come spaventoso esempio del modo in cui Dio punisce il peccato. In questo mondo una gabbia alla Salptrire; nell'altro l'inferno. E mentre l'infelice vittima singhiozzava e inorridiva, egli si dilung con soddisfazione sulle fiamme, sul fetore, sull'olio bollente, sulle sferzate con le verghe arroventate: per tutti i secoli dei secoli, amen. Con questo regime Louise, naturalmente, peggior sempre. Se poi alla fine guar fu dovuto al comportamento normale di un unico uomo, un prete che andando a visitarla la tratt gentilmente ed ebbe la carit di insegnarle a pregare. Le esperienze di Surin furono essenzialmente simili seppure a lui furono risparmiate le torture fisiche e mentali della vita in un manicomio pubblico. Ma anche nell'infermeria del collegio gesuita, anche tra studiosi di alta cultura e profondi cristiani come i suoi colleghi, vi erano atrocit sufficienti. Il confratello che lo assisteva, lo batteva senza piet.

I convittori se riuscivano a intravedere il padre pazzo, fischiavano e schiamazzavano. Da tali attori, tali azioni erano certamente da aspettarsi. Ma non erano da aspettarsi dai gravi e dotti sacerdoti, dai suoi confratelli, dai suoi compagni di apostolato. Eppure come dimostrarono di essere grossolanamente insensibili, totalmente privi della minima compassione! Ve ne erano alcuni cordiali e affettuosi, i cristiani muscolari i quali gli assicuravano che non vi era niente di strano in lui, che lo costringevano a fare tutte le cose che gli era impossibile fare, e poi ridevano quando egli urlava di dolore e gli dicevano che era tutta immaginazione. Vi erano i perfidi moralisti che venivano a sedersi al suo capezzale e gli dicevano, molto diffusamente e con evidente soddisfazione, che stava raccogliendo ci che aveva ben meritato. Vi erano i preti che andavano a trovarlo per curiosit e per divertirsi, che gli dicevano stupidaggini come se fosse un bambino o un cretino, che facevano sfoggio di spirito, e di "humour", con le facezie a sue spese, con barzellette che supponevano, solo perch non poteva rispondere, che egli non capisse. Una volta un padre di una certa importanza venne nell'infermeria, dove mi trovavo tutto solo, si sedette al mio capezzale, mi guard fissamente per molto tempo e poi, sebbene non gli avessi fatto alcun male e non desideravo fargliene, mi dette uno schiaffo bene assestato; dopo di che se ne and. Surin fece del suo meglio per indirizzare queste crudelt a vantaggio della sua anima. Dio voleva che egli fosse umiliato con l'essere considerato pazzo e trattato come un fuorilegge, senza alcun diritto al rispetto degli uomini, e neppure alla loro piet. Egli si rassegn a ci che stava accadendo; non solo, ma and oltre e volle realmente la propria umiliazione. Ma questo sforzo cosciente per riconciliarsi al suo destino non era sufficiente, per se stesso, ad operare la guarigione. Come nel caso di Louise du Tronchay, l'agente della guarigione fu la gentilezza altrui. Nel 1648 padre Bastide, l'unico dei suoi confratelli il quale aveva sempre sostenuto che Surin non era irrimediabilmente pazzo, fu nominato rettore del collegio di Saintes. Egli chiese il permesso di prendere l'invalido con s. Gli fu concesso.

A Saintes, per la prima volta in dieci anni, Surin si trov trattato con simpatia e considerazione, come un malato che subiva una prova spirituale, non come una specie di criminale che subiva la punizione dalle mani di Dio e meritevole quindi di punizioni ancora maggiori dalle mani degli uomini. Era ancora impossibile per lui lasciare la prigione e comunicare col mondo; ma ora il mondo si spostava nella sua direzione e cercava di comunicare con lui. Le prime reazioni del paziente a questo nuovo trattamento furono fisiche. Per anni l'ansiet cronica gli aveva tanto abbassato il respiro che egli sembrava sempre sul punto di asfissiare. Ora, quasi improvvisamente cominci a muovere il diaframma; respir profondamente e fu in grado di riempire i polmoni di aria e di vita. Tutti i muscoli mi erano stati serrati strettamente come da ganci, ed ora si apriva un gancio, poi un altro, con straordinario sollievo. Egli stava sperimentando nel corpo qualcosa di analogo alla liberazione spirituale. Chi ha sofferto di asma o di febbre del fieno sa l'orrore di essere tagliato fuori fisicamente dall'ambiente cosmico, e la benedizione, guarendo, di essere restituito ad esso. Sul piano spirituale la maggioranza degli esseri umani soffrono dell'equivalente dell'asma, ma essi sono soltanto molto oscuramente e saltuariamente consapevoli di vivere in uno stato di asfissia cronica. Pochi, tuttavia, si conoscono per quel che sono: asmatici. Disperatamente essi anelano all'aria; e se alla fine riescono riempirsi i polmoni, che indicibile beatitudine! Nel corso della sua strana carriera, Surin fu alternativamente soffocato e liberato, serrato nell'oscurit opprimente e trasportato in cima a una montagna nel sole. E i suoi polmoni riflettevano lo stato dell'anima: contratti e rigidi quando l'anima era oppressa, aperti quando essa tirava il respiro. Le parole "serr, band, rtrci", e la loro antitesi "dilat", ricorrono continuamente negli scritti di Surin. Esse esprimono il fatto cardinale della sua esperienza: una violenta oscillazione tra gli estremi di tensione e distensione, di contrazione in qualcosa meno dell'io ed espansione in una vita pi ricca. Fu un'esperienza dello stesso tipo di quella tanto minutamente descritta nel diario di Maine da Biran, come quella che trova la sua pi bella espressione in certi poemi di George Herbert e Henry Vaughan: un'esperienza fatta di una successione di incommensurabili. Nel caso di Surin la distensione psicologica era accompagnata qualche volta da una notevolissima dilatazione toracica.

Durante un periodo di estatico abbandono dell'io egli si accorse che la cintura di pelle che era allacciata davanti come uno stivale aveva bisogno di essere allargata di circa quindici centimetri. (Da giovane, san Filippo Neri speriment una dilatazione estatica cos notevole che il cuore rimase permanentemente ingrossato e gli si ruppero due costole. Nonostante ci, o forse proprio per questo, ebbe vita lunghissima e lavor prodigiosamente fino alla fine.) Surin fu sempre conscio di un rapporto effettivo, nonch meramente etimologico tra respiro e spirito. Egli enumera quattro tipi di respiro: un respiro del diavolo, uno della natura, uno della grazia e uno della gloria, e ci assicura di averli sperimentati tutti. Sfortunatamente egli non elabora la sua dichiarazione e siamo lasciati nell'ignoranza di ci che egli effettivamente scopr nel campo del "pranayana" (2). Grazie alla gentilezza di padre Bastide, Surin aveva ritrovato il senso di essere un membro della razza umana. Ma Bastide poteva parlare solo per gli uomini e non per Dio, o per essere pi esatti, per la nozione di Dio accarezzata da Surin. L'invalido poteva nuovamente respirare; ma non gli era ancora possibile leggere o scrivere o celebrare la Messa, camminare, mangiare, o svestirsi senza disagio o forti dolori. Queste incapacit erano tutte connesse alla ostinata convinzione di Surin di essere dannato. Essa era una fonte di terrore e disperazione, dalla quale le uniche effettive distrazioni erano il dolore e la grave malattia. Per sentirsi meglio mentalmente egli doveva sentirsi peggio fisicamente (2). La pi strana caratteristica della malattia di Surin il fatto che vi una parte della sua mente che non fu mai malata. Incapace di leggere o scrivere, incapace di compiere le pi semplici azioni senza dolori acuti e debilitanti, convinto della propria dannazione, ossessionato da coazioni al suicidio, alla bestemmia, all'impurit, all'eresia (una volta si credeva convinto calvinista, un'altra volta fedele e devoto manicheo) Surin conserv, durante tutta la sua lunga prova, un'insuperabile capacit nella composizione letteraria. Durante i primi dieci anni di follia, egli compose soprattutto in versi. Adattando nuove parole a motivi popolari, egli trasform innumerevoli ballate e canzoni in inni cristiani.

Ecco alcuni versi su santa Teresa e santa Caterina da Genova, da una ballata intitolata "Les saints enivrs d'amour" sul motivo di "J'ai rencontr un allemand". "J'aperus d'un autre ct, Une vierge rare en beaut, Qu'on appelle Thrse; Son visage tout allum Montrait bien qu'elle avait hum De ce vin son aise. Elle me dit. Prends-en pour toi, Bois-en et chantes avec moi: Dieu, Dieu, Dieu, je ne veux que Dieu: Tout le reste me pse". "Une gnoise, dont le coeur Etait plein de cette liqueur Semblait lui faire escorte: Elle aussi rouge qu'un charbon S'criait: Que ce vin est bon..." Che i versi siano fiacchi e il gusto atroce fu dovuto non a mancanza di salute, ma di talento. La poesia di Surin era scadente sia quando egli era sano, sia quando era fuori senno. Egli aveva il dono (notevole) della esposizione chiara e esauriente di un argomento in prosa. E fu proprio quest'attivit che, durante la seconda met della malattia, egli svolse effettivamente. Componendo di testa sua e dettando ogni sera ad un amanuense egli produsse, tra il 1651 e il 1655, la sua pi grande opera, "Le catchisme spirituel". Questo un trattato paragonabile in finalit e merito intrinseco all'"Holy Wisdom" del contemporaneo inglese del suo autore, Augustine Baker. Nonostante la grande lunghezza di pi di mille pagine in dodicesimo, il "Catchisme" rimane un libro leggibilissimo. Invero, la struttura superficiale dello scritto alquanto priva di interesse; ma ci non colpa di Surin, il cui stile piacevolmente antiquato stato corretto, nelle edizioni moderne del libro, da quella che il suo editore ottocentesco chiama, con inconscia ironia una mano amica. Fortunatamente, la mano amica non poteva sciupare i sostanziali pregi del libro: di semplicit anche nelle analisi pi sottili, di evidenza anche quando tratta del sublime. All'epoca in cui compose il suo "Catchisme", Surin non era in grado di consultare testi, n di rivedere il proprio manoscritto. Eppure, nonostante ci, i riferimenti ad altri autori sono copiosi e appropriati, e l'opera stessa mirabilmente bene organizzata in una serie di

ritorni sugli stessi temi, che sono trattati in ciascuna occasione da un punto di vista differente, oppure con un graduato aumento di elaborazione. Comporre un simile libro, in simili condizioni, richiedeva una memoria prodigiosa ed eccezionali possibilit di concentrazione. Ma Surin, sebbene stesse un po' meglio di quanto fosse stato nel periodo peggiore, era ancora considerato in genere (e non senza ragione) come pazzo. Essere pazzo con lucidit e nel pieno possesso delle proprie facolt intellettuali: ci deve essere certamente una delle pi terribili esperienze. Intatta, la ragione di Surin vigilava disperatamente, mentre l'immaginazione, le emozioni, il sistema nervoso autonomo si comportavano come un'alleanza di maniaci criminali decisi a distruggerlo. Fu una lotta, in ultima analisi, tra la persona attiva e la vittima della suggestione, tra Surin realista, che faceva del suo meglio per far fronte ai fatti concreti, e Surin verbalista, che convertiva le parole in odiose pseudorealt, circa le quali era del tutto logico provare terrore e disperazione. Quello di Surin fu un caso estremo dell'universale predicamento umano. In principio era il verbo. Per quanto concerne la storia umana, l'enunciazione perfettamente vera. Il linguaggio lo strumento del progresso dell'uomo fuori dell'animalit e il linguaggio la causa della deviazione dell'uomo dall'innocenza animale e dalla conformit animale alla natura delle cose nella pazzia e nella stregoneria. Le parole sono insieme indispensabili e fatali. Trattate come ipotesi valide, le proposizioni circa il mondo sono strumenti per mezzo dei quali noi siamo in grado progressivamente di comprendere il mondo. Trattate come verit assolute, come dogmi da ingoiare, come idoli da adorare, le proposizioni circa il mondo deformano la nostra visione della realt e ci conducono ad ogni specie di comportamento inappropriato. Desiderando lusingare il cieco dice Dai-o Kokushi il Budda lascia sfuggire allegramente parole dalla sua bocca d'oro. Il cielo e la terra si sono riempiti, d'allora, di rovi ingrovigliati. Ed i rovi non sono stati esclusivamente di manifattura orientale. Se Cristo venne non a portare la pace sulla terra, ma una spada fu perch egli e i suoi seguaci non avevano altra scelta se non incarnare le loro intuizioni in parole.

Come tutte le altre parole, queste parole cristiane furono qualche volta inadeguate, qualche volta troppo violente, e sempre imprecise - quindi sempre suscettibili di essere interpretate in molte maniere diverse. Trattate come ipotesi valide come utili schemi di riferimento, entro i quali organizzare e fronteggiare i fatti dati dall'esistenza umana - le proposizioni fatte di queste parole sono state di inestimabile valore. Trattate come dogmi ed idoli, esse sono state causa di immensi mali come l'odio teologico, le guerre di religione e l'imperialismo ecclesiastico, insieme a orrori minori come l'orgia di Loudun e la pazzia autosuggestionata di Surin. I moralisti insistono sul dovere di controllare le passioni; e senza dubbio hanno assolutamente ragione di farlo. Sfortunatamente la maggioranza di essi non hanno insistito sul non meno essenziale dovere di controllare le parole e il ragionamento basato su di esse. I delitti passionali sono commessi solo quando il sangue monta alla testa, e il sangue monta alla testa solo occasionalmente. Ma le parole sono sempre con noi, e le parole (a causa, senza dubbio, del condizionamento della prima infanzia) accumulano un potere di suggestione cos prodigioso da giustificare, in certo qual modo, la credenza negli incantesimi e nelle formule magiche. Molto pi pericolosi dei delitti passionali sono i delitti dell'idealismo, i delitti istigati, incoraggiati e moralizzati da parole sante. Questi delitti sono progettati quando il polso normale e commessi a sangue freddo e con ferma perseveranza per un lungo corso di anni. In passato, le parole che dettarono i delitti idealistici furono in predominanza religiose; ora esse sono in predominanza politiche. I dogmi non sono pi metafisici, ma positivistici e ideologici. Le sole cose che rimangono immutate sono la superstizione idolatrica di coloro che ingoiano i dogmi, e la sistematica follia, la diabolica ferocia, con cui essi agiscono secondo le loro credenze. Trasportata dal laboratorio e dallo studio alla chiesa, al parlamento e alla camera di consiglio, la nozione di ipotesi valide pu liberare il genere umano dalle sue follie collettive, le sue croniche coazioni ad assassinii su larga scala e a suicidi in massa. Il problema umano fondamentale ecologico: gli uomini devono imparare come vivere nel cosmo su ogni piano di esso, da quello materiale a quello spirituale. Come razza, dobbiamo scoprire come una vasta popolazione in rapido aumento possa continuare ad esistere soddisfacentemente su un pianeta di

limitate proporzioni e provveduto di risorse, molte delle quali sono beni di consumo che non potranno mai pi essere rinnovati. Come individui dobbiamo cercare come stabilire un rapporto soddisfacente con quella Mente infinita, dalla quale abitualmente ci immaginiamo di essere isolati. Concentrando la nostra attenzione sul "datum" e sul "donum" dovremo sviluppare, come una specie di sottoprodotto, adeguati metodi per trattare gli uni con gli altri. Cercate prima il Regno dei Cieli e tutto il resto vi sar dato di sovrappi. Ma invece, noi insistiamo nel cercare prima tutto il resto, gli interessi eccessivamente umani nati da una parte dalla passione egocentrica e dall'altra dall'idolatrico culto del mondo. Il risultato di ci che i nostri basilari problemi ecologici rimangono insoluti ed insolubili. La concentrazione sulla politica di potenza rende impossibile alle societ organizzate di migliorare i loro rapporti col pianeta. La concentrazione su sistemi mondiali idolatricamente adorati rende impossibile agli individui di migliorare le loro relazioni col fatto primordiale. Cercando prima tutto il resto, non solo lo perdiamo, ma perdiamo anche il regno, e la terra soltanto sulla quale il regno pu venire. Nel caso di Surin alcune delle proposizioni che gli era stato insegnato di adorare come dogmi lo condussero fuori di senno creando occasioni di terrore e disperazione. Ma fortunatamente vi furono altre proposizioni, pi incoraggianti ed egualmente dogmatiche. Il 12 ottobre 1655 uno dei padri del collegio di Bordeaux (al quale, da quest'epoca, Surin era ritornato) si rec nella sua stanza per confessarlo e prepararlo alla Comunione. L'unico peccato grave di cui il malato potette accusarsi fu di non essersi comportato abbastanza malvagiamente; poich, dato che Dio lo aveva gi dannato, era giusto che egli si uniformasse alla sua dannazione guazzando in tutti i vizi, laddove in effetti egli aveva cercato sempre di essere virtuoso. Dire che un Cristiano debba sentire lo scrupolo di fare il bene sembrer ridicolo al lettore, come lo sembra ora a me. Queste parole furono scritte nel 1663. Nel 1665 Surin pensava ancora che fosse suo dovere, come anima perduta, di essere assolutamente cattivo. Ma, nonostante questo dovere, egli trovava moralmente impossibile essere altro che buono.

Con ci, ne era convinto, aveva commesso un peccato pi grande di quello dell'assassinio premeditato. Ed era questo peccato che ora si confessava non come un uomo terreno, per il quale vi ancora speranza, ma come un dannato. Il confessore, che evidentemente era un uomo sensibile e gentile, bene informato circa il debole di Surin per lo straordinario, assicur al suo penitente che, sebbene niente affatto versato in questa specie di cose, egli aveva provato spesso una forte impressione, da potersi chiamare pure ispirazione, che tutto alla fine sarebbe andato per il meglio. Voi riconoscerete il vostro errore, sarete in grado di pensare ed agire come gli altri, morirete in pace. Queste parole fecero una profonda impressione sulla mente di Surin e da quel momento la soffocante nuvola di paura e di infelicit cominci a dileguarsi. Dio non lo aveva rinnegato; vi era ancora speranza. Speranza di guarigione in questo mondo, speranza di salvezza nell'altro. Con la speranza si verific un lento ritorno alla salute. Una per volta le inibizioni e le paralisi fisiche scomparvero. La prima ad andarsene fu la incapacit di scrivere. Un giorno, nel 1657, dopo diciotto anni di forzato analfabetismo, egli prese una penna e riusc a scarabocchiare tre pagine di pensieri sulla vita spirituale. I caratteri erano cos confusi che sembravano appena umani; ma ci non aveva importanza. Importava che la mano fosse stata capace finalmente di cooperare, per quanto in modo inadeguato, con la mente. Tre anni dopo egli riacquist la capacit di camminare. Avvenne mentre si trovava in campagna, in casa di un amico. Al principio della sua permanenza, doveva essere trasportato da due servi dalla camera da letto alla camera da pranzo perch non potevo fare un passo senza sentire dolori acuti. Questi dolori non erano come quelli dei paralitici; erano dolori che tendevano alla contrazione dello stomaco e nello stesso tempo sentivo gli intestini agitarsi violentemente. Il 27 ottobre 1660 uno dei suoi parenti si rec a visitarlo e, quando arriv il momento di andarsene, Surin si trascin alla porta per salutarlo. Rimanendo l in piedi, dopo che il visitatore si fu allontanato egli guard nel giardino e cominci a studiare, distinguendoli l'uno dall'altro, gli oggetti che vi si trovavano, cosa che, a causa dell'estrema debolezza di nervi, non ero mai stato capace di fare per quindici anni.

Sentendo, invece dei dolori familiari un certo benessere egli scese i cinque o sei scalini che conducevano al giardino e guard intorno un po' pi a lungo. Guard la terra scura e il verde splendente delle aiuole, guard i prati e le margherite di san Michele ed il viale di carpini intrecciati. Guard le colline basse in lontananza con i boschi autunnali, rossicci sotto il cielo pallido, nella luce di un sole quasi argenteo. Non vi era vento, ed il silenzio era come un immenso cristallo, e vi era dovunque un mistero vivente di colori soffusi, di forme distinte e separate, dell'innumerevole e dell'uno del tempo fugace e della presenza dell'eternit. Il giorno dopo Surin si avventur di nuovo nell'universo che aveva quasi dimenticato; e l'indomani ancora, quel viaggio alla scoperta di un mondo ritrovato lo condusse fino al sentirsi bene, senza invitarlo al suicidio. Usc perfino dal giardino e si inoltr, affondando nelle foglie morte, nel boschetto dietro le mura. Era guarito. Surin attribuisce la sua inconsapevolezza del mondo esterno ad una "estrema debolezza dei nervi". Ma questa debolezza non gli imped mai di concentrare l'attenzione sulle nozioni teologiche e sulle fantasie alle quali queste nozioni davano origine. In effetti era l'ossessione di queste immagini e di queste astrazioni che lo tagliava fuori cos disastrosamente dal mondo naturale. Molto prima dell'insorgere della malattia egli si era imposto di vivere, ad una certa distanza dai fatti dati, in un mondo dove le parole e le reazioni alle parole erano pi importanti delle cose e delle vite. Con la sublime follia di colui che porta una fede alle sue conclusioni logiche, Lallemant aveva insegnato che non dovremmo vedere n meravigliarci di altro sulla terra se non del Santissimo Sacramento. Se Dio fosse capace di meravigliarsi, Egli si meraviglierebbe solo di questo mistero, e di quello dell'Incarnazione... Dopo l'Incarnazione, non dovremmo meravigliarci di niente. Non vedendo n meravigliandosi di niente nel mondo dato, Surin agiva semplicemente per ingiunzione del suo maestro. Sperando di meritare il "donum", egli ignorava il "datum". Ma il dono pi alto si riceve per mezzo del dato. Il regno di Dio viene sulla terra ed attraverso la percezione della terra com' in se stessa, e non come appare ad una volont deformata da desideri e ripugnanze egocentriche, ad un intelletto deformato da credenze artefatte.

Da teologo rigorista, convinto della completa depravazione di un mondo caduto, Surin concord con Lallemant che non vi fosse niente in natura degno di essere guardato o di destare meraviglia. Ma le sue teorie non si accordavano con la sua esperienza immediata. Qualche volta egli scrive in "Le catchisme spirituel" lo Spirito Santo illumina l'anima successivamente e per gradi; ed allora Egli si serve di tutto ci che si presenta alla coscienza - animali, alberi, fiori o qualsiasi altra cosa nella creazione - allo scopo di istruire l'anima sulle grandi verit e di insegnarle segretamente che cosa deve fare per servire Dio. Ed ecco un altro brano della stessa vena. In un fiore, in un minuscolo insetto, Dio manifesta alle anime tutti i tesori della Sua saggezza e bont; e non necessario altro per provocare una nuova conflagrazione d'amore. Scrivendo direttamente di s, Surin ricorda che in numerose occasioni la mia anima fu assalita da questi stati gloriosi, e lo splendore del sole sembrava diventare incomparabilmente pi luminoso del solito, eppure era cos dolce e piacevole da sembrare di specie diversa dal naturale splendore del sole. Una volta che mi trovavo in questo stato, uscii nel giardino del nostro collegio di Bordeaux; e cos grande era questa luce che mi sembr di camminare in paradiso. Tutti i colori erano pi intensi e naturali tutte le forme pi squisitamente distinte dell'ordinario. Spontaneamente e per una specie di fortunato incidente, egli era entrato in quell'infinito ed eterno mondo che abiteremmo tutti solo se, come disse Blake le porte della percezione fossero abbattute. Ma la gloria si allontan e per tutti gli anni della malattia non torn mai. Non mi rimane altro che il ricordo di qualcosa di grande, che supera in bellezza e magnificenza tutto ci che ho sperimentato in questo mondo. Che un uomo per il quale il regno si era effettivamente manifestato sulla terra dovesse aderire al completo rifiuto dei rigoristi di tutte le cose create, un triste tributo al potere ossessivo delle mere parole e nozioni. Egli aveva avuto esperienze di Dio nella natura; ma invece di usare queste esperienze a sistematico scopo di devozione, come doveva fare Traherne nei suoi "Secoli di meditazione", Surin prefer ritornare, dopo ogni teofania, all'antico folle rifiuto di vedere niente o meravigliarsi di niente nella creazione. Invece, egli concentr tutta la sua attenzione sulle pi deprimenti proposizioni di fede e sulle proprie reazioni emotive ed immaginative a queste proposizioni.

Via pi sicura per allontanare la bont infinita non sarebbe stato possibile escogitare. Ogni volta che Anteo toccava la terra, egli riceveva una nuova carica di forza. Perci Ercole dovette sollevarlo e strangolarlo a mezz'aria. Simultaneamente gigante ed eroe, Surin speriment insieme il beneficio che viene dal contatto con la natura e, per semplice potenza della volont, si sollev dalla terra e si spezz il collo. Aveva aspirato alla liberazione; ma poich concep l'unione col Figlio come un rifiuto sistematico della essenziale divinit della natura, egli realizz solo la parziale illuminazione dell'unione col Padre indipendentemente dal mondo manifesto, insieme all'unione con lo Spirito in ogni specie di esperienza psichica. Nella fase introduttiva, la guarigione di Surin non fu un passaggio dall'oscurit in quella sobria certezza di beatitudine cosciente che viene quando la mente permette alla mente di conoscersi, attraverso una coscienza finita, per ci che realmente; fu piuttosto la sostituzione di uno stato profondamente anormale con un altro stato opposto, in cui "le grazie straordinarie" diventarono altrettanto ordinarie quanto le desolazioni straordinarie lo erano state prima. Bisogna osservare che, anche nei periodi peggiori della malattia, Surin aveva sperimentato brevi sprazzi di gioia, convinzioni effimere che, nonostante la sua dannazione, Dio fosse eternamente con lui. Questi sprazzi ora si moltiplicavano, queste convinzioni, da momentanee diventavano durevoli. L'esperienza psichica succedeva all'esperienza psichica, ed ogni visione era luminosa ed incoraggiante, ogni sensazione era di beatitudine. Ma per onorare Nostro Signore come Egli merita di essere onorato, bisogna staccare il cuore da ogni legame con le gioie spirituali e le grazie percettibili. Non bisogna in alcun modo fare affidamento su queste cose. Solo la fede deve essere il nostro sostegno. E' la fede che ci eleva a Dio in purit; poich essa lascia l'anima nel vuoto, ed questo vuoto che viene riempito da Dio. Cos aveva scritto Surin, pi di venti anni prima, ad una delle monache che gli chiedeva consiglio. E fu nello stesso tono che padre Bastide l'uomo alla cui carit egli doveva il principio della guarigione - ora parlava a Surin. Per quanto elevate possano essere, per quanto consolanti, le esperienze psichiche non sono illuminazione, neppure mezzi di illuminazione.

E Bastide non disse queste cose per autorit propria. Egli aveva dietro di s tutti i mistici ortodossi della Chiesa, e poteva citare san Giovanni della Croce. Per un po' di tempo Surin fece del suo meglio per seguire i consigli di Bastide. Ma le sue grazie straordinarie lo assillavano incessantemente, insistentemente. E quando egli le allontanava, esse cambiavano aspetto ancora una volta e si trasformavano in aridit e desolazioni. Sembrava ora che Dio si fosse nuovamente ritirato lasciandolo sull'orlo dell'antica disperazione. Nonostante Bastide, nonostante san Giovanni della Croce, Surin ritorn alle sue visioni, alle sue locuzioni, alle sue estasi, alle sue ispirazioni. Nel corso della controversia che segu, i due disputanti ed il loro superiore, padre Anginot, si rivolsero a Jeanne des Anges. Voleva gentilmente chiedere al suo "buon angelo" che cosa egli pensava delle grazie straordinarie? Il buon angelo cominci con l'appoggiare la causa di Bastide. Surin protest, e dopo lo scambio di molte lettere tra soeur Jeanne ed i tre gesuiti, l'angelo annunzi che entrambi i disputanti avevano ragione, in quanto ognuno faceva del suo meglio per servire Dio a modo suo. Surin fu pienamente soddisfatto ed altrettanto Anginot. Bastide, tuttavia, rimase sulle sue posizioni ed arriv fino a suggerire che fosse ora per soeur Jeanne di interrompere le comunicazioni con la celeste controfigura di m. de Beaufort. N fu l'unico a sollevare obiezioni. Nel 1659, Surin inform la priora che un eminente ecclesiastico aveva deplorato che voi abbiate organizzato una specie di mercato per sapere dal vostro angelo tutto ci che la gente vi sollecita a chiedergli, che abbiate un regolare ufficio di informazioni matrimoniali, legali e di altro genere. Questo stato di cose deve essere interrotto immediatamente, non come aveva suggerito padre Bastide, interrompendo le relazioni con l'angelo, ma consultandolo solo per scopi spirituali. Il tempo pass. Surin stava abbastanza bene ora per visitare i malati, confessare, predicare, scrivere, dirigere le anime con le parole o per corrispondenza. Il suo comportamento era ancora alquanto strano, ed i superiori ritennero necessario censurare tutte le sue lettere, in arrivo e in partenza, per tema che potessero contenere qualcosa di non ortodosso o per lo meno stravaganze imbarazzanti.

I loro sospetti erano infondati. Dell'uomo che aveva dettato "Le catchisme spirituel", quando (secondo tutte le apparenze) era fuori senno, si poteva essere sicuri che avrebbe manifestato altrettanta prudenza ora che stava bene. Nel 1663 egli scrisse la "Science exprimentale", con la storia della possessione e delle prove che seguirono. Luigi Quattordicesimo era gi bene addentrato nella sua disastrosa carriera; ma Surin non si interessava degli affari pubblici e degli schemi dei grandi. Egli aveva i suoi Sacramenti, aveva i Vangeli da leggere e meditare, le sue esperienze di Dio; questo gli bastava. In un certo senso, infatti poteva bastare; poich egli invecchiava, perdeva le forze e l'amore non va troppo bene con la debolezza; poich esso richiede un recipiente solido per resistere alla pressione delle sue attivit. Il benessere quasi maniaco di qualche anno prima era scomparso; la successione regolare e facile di grazie straordinarie apparteneva al passato. Ma aveva qualche cos'altro, qualcosa di meglio. A soeur Jeanne egli scrive che Dio mi ha dato recentemente una leggera conoscenza del Suo amore. Ma che differenza tra la profondit dell'anima e le sue facolt! Poich in effetti l'anima spesso ricca nelle sue profondit ed effettivamente satura dei tesori soprannaturali della grazia, mentre le sue facolt sono in uno stato di estrema povert. Nel profondo, come ho detto, l'anima ha un senso altissimo, delicatissimo e molto produttivo di Dio, accompagnato dal pi confortante amore e da una meravigliosa dilatazione del cuore, senza, tuttavia, essere in grado di comunicare nessuna di queste cose agli altri. Esteriormente, le persone in tale stato danno l'impressione di mancare completamente di gusto (per le cose della religione), di essere prive di qualsiasi talento e ridotte alla massima indigenza... Vi una pena immensa quando l'anima non capace, se mi permessa l'espressione, di rivoltarsi attraverso le sue facolt; il superfluo in lei provoca un'oppressione pi penosa di quanto si possa immaginare. Ci che accade nelle profondit dell'anima come l'arginatura di grandi masse d'acqua che per mancanza di uno sbocco dal quale scorrere, la sopraffanno con un peso insopportabile provocando un esaurimento mortale. In qualche maniera impossibilmente paradossale, un essere finito contiene l'infinito ed quasi annichilito dall'esperienza. Ma Surin non si lamenta.

E' un'angoscia benedetta, una morte da desiderare con devozione. In mezzo alle sue estasi e alle sue visioni, Surin aveva percorso un sentiero che conduceva, senza dubbio, in un paese molto pittoresco, ma verso una meta luminosa e morta. Ora che le grazie straordinarie erano finite, ora che era libero di percepire la prossimit della consapevolezza totale, egli aveva raggiunto la possibilit di illuminazione. Poich ora finalmente egli viveva "secondo la fede", precisamente come Bastide lo aveva sollecitato a fare. Ora finalmente egli stava in purit di intelletto e di immaginazione di fronte ai fatti dati del mondo e della propria vita, vuoto di cui poteva esser riempito, povert di cui poteva essere supremamente arricchito. Mi stato detto scrive due anni prima della morte che vi sono pescatori di perle, i quali hanno una canna che va dal fondo del mare alla superficie, dove viene mantenuta a galla con dei sugheri, e che attraverso questa canna essi respirano, e sono intanto in fondo al mare. Non so se pu essere vero; ma in ogni caso ci esprime benissimo quello che voglio dire; poich l'anima ha una canna che va in cielo, un canale, dice santa Caterina da Genova, che conduce proprio al cuore di Dio. Attraverso questo canale ella respira saggezza e amore, che la sostengono. Mentre l'anima qui, pescando perle in fondo alla terra, ella parla con le altre anime, ella predica e serve Dio; e sempre vi un canale che dal cielo attira la vita eterna e la consolazione... In questo stato l'anima insieme felice e misera. Eppure io credo che sia veramente felice... Poich senza visioni o estasi o interruzioni dei sensi, in mezzo alle comuni miserie della vita terrena, tra la debolezza e le multiformi impotenze, nostro Signore ci d qualche cosa che supera ogni comprensione e ogni limite... Questo qualcosa una certa ferita d'amore che, senza alcun visibile effetto esterno, penetra l'anima e la tiene incessantemente ansiosa di Dio. E cos, pescando perle in fondo alla terra, la canna tra i denti, i polmoni dilatati dall'aria di un altro mondo, il vecchio Surin avanzava verso la fine. Pochi mesi prima di morire, Surin fin l'ultimo scritto di devozione, "Questions sur l'amour de Dieu". Leggendo certi brani del suo libro, indoviniamo che l'ultima barriera era caduta e che, per un'altra anima, il regno era venuto sulla terra. Attraverso quel canale che comunicava proprio col cuore di Dio era discesa una pace che non mera calma, come il mare in quiete, o il flusso tranquillo dei fiumi; ma essa entra in noi, questa divina pace e riposa, come

un torrente in piena; e l'anima, dopo tante tempeste, sente, per cos dire, un'inondazione di pace; e il sollievo del divino riposo non soltanto entra nell'anima, non soltanto la tiene prigioniera, ma la travolge, come l'impeto di una moltitudine di acque. Troviamo che nell'Apocalisse lo Spirito di Dio parla di una musica di arpe e liuti simile al tuono. Tali sono le meravigliose vie del Signore: che un tuono somigli a liuti bene intonati e una sinfonia di liuti somigli al tuono. Similmente, chi creder o immaginer mai che vi possano essere torrenti di pace, che spazzano le dighe, che rompono gli argini e frantumano le difese marine? Eppure accade proprio questo, ed della natura di Dio fare assalti di pace e silenzi d'amore... la pace di Dio come un fiume, il cui corso era in un paese e sia stato deviato in un altro per la rottura di una diga. Questa pace invadente fa cose che non sembrano consoni alla natura della pace; poich essa viene di getto; viene impetuosamente; e ci appartiene solo alla pace di Dio. Solo la pace di Dio pu avanzare in simile equipaggio, come il rumore dell'alta marea perch essa non viene a devastare la terra, ma a riempire il letto preparatole da Dio. Essa viene con fierezza, viene rumoreggiando, anche se il mare calmo. Questo ruggito causato solo dall'abbondanza delle acque, e non dalla loro furia; poich il moto delle acque non per tempesta, ma delle acque stesse, in tutta la loro calma naturale, quando non spira un alito di vento. Il mare nella sua pienezza viene a visitare la terra e a baciare le sponde che lo limitano. Esso viene in maest e magnificenza. Cos dell'anima, quando, dopo lungo soffrire, l'immensit della pace viene a visitarla, e non c' un alito di vento che ne increspi la superficie. Questa pace divina, che porta con s i tesori di Dio e tutta la ricchezza del Suo Regno. Essa ha i suoi araldi che ne annunziano la vicinanza; queste sono le visite degli angeli che la precedono. Essa viene come un elemento dell'altra vita con un suono di armonia celestiale e con tale dolcezza che l'anima ne sconvolta, non perch essa abbia fatto qualche resistenza alla beatitudine, ma per la sua grande ricchezza. Questa ricchezza non fa alcuna violenza se non agli ostacoli sulla via della sua benedizione; e tutti gli animali che non sono pacifici fuggono all'insorgere della sua pace.

E con la pace vengono tutti i tesori promessi da Gerusalemme: cassia ed ambra e le altre rarit sulle sue sponde. Anche cos viene questa divina pace, viene con abbondanza, viene con una ricchezza di benedizioni, viene con tutti i preziosi tesori della grazia. Pi di trent'anni prima, a Marennes, Surin aveva spesso contemplato il calmo e irresistibile flusso della marea nell'Atlantico; ed ora attraverso il ricordo di quella quotidiana meraviglia quest'anima consumata era in grado, finalmente, di "riversarsi" in una non inadeguata espressione del fatto sperimentato. "Tel qu'en Lui-mme enfin l'ternit le change", egli era arrivato dove, senza saperlo, era sempre stato; e quando, nella primavera del 1665, la morte lo raggiunse, non era pi necessario, come disse Jacob Boehme andare in nessun posto: egli vi era gi.

NOTE. N. 1: Per l'unico testo completo ed autentico delle parti autobiografiche di quest'opera, si consulti il volume 2 delle "Lettres Spirituelles du P. JeanJoseph Surin", pubblicato da Michel e Cavallra, Toulouse, 1928. N. 2: Esercizio di respirazione yoga. (N.d.R.) N. 3: Lo stato di Surin, interessante osservare, descritto e specificamente prescritto a pagina 215 dell'autorevole opera del dottor Lon Vannier, "La pratique de l'homopathie" (Parigi, 1950): Il soggetto trattabile con Actaea Racemosa ha l'impressione di "avere la testa circondata da una spessa nuvola". Vede male, sente male, intorno a lui e dentro di lui "tutto confuso". Ci lo spaventa e "ha paura di impazzire". Cosa abbastanza strana, se compaiono dolori in qualche parte dell'organismo (nevralgie facciali o uterine, dolori intercostali, o dolori alle articolazioni), egli si sente subito meglio. "Quando il paziente soffre, il suo stato mentale migliora".

APPENDICE

Senza comprendere il bisogno, profondamente radicato dell'uomo, di autotrascendenza, n la sua stessa riluttanza naturale ad intraprendere la faticosa ascesa e la sua ricerca di qualche falsa liberazione, sia inferiore che laterale alla sua personalit, non possiamo sperare di spiegare il nostro particolare periodo storico o in realt la storia in genere, la vita come era vissuta in passato e come vissuta oggi. Per tale ragione propongo di discutere qualcosa dei pi comuni sostituti della Grazia, nei quali e con i quali uomini e donne hanno cercato di sfuggire alla tormentosa coscienza di essere meramente se stessi. In Francia vi oggi una rivendita di alcool per ogni cento abitanti, circa. Negli Stati Uniti vi sono probabilmente almeno un milione di alcoolizzati senza speranza, oltre a un numero molto maggiore di accaniti bevitori la cui malattia non ancora diventata mortale. Circa il consumo di alcoolici nel passato non abbiamo conoscenze precise o statistiche. Nell'Europa occidentale, tra i celti e i teutoni, nel medioevo e al principio dell'ra moderna, la quantit di alcool usata individualmente era probabilmente anche maggiore di quanto lo sia oggi. Nelle tante occasioni in cui noi beviamo t, o caff, o gassose, i nostri antenati si rinfrescavano con vino, birra, idromele e, nei secoli successivi, con gin, brandy e acquavite. Bere regolarmente acqua era una pena imposta ai malfattori, o accettata dai religiosi, nonch da qualche occasionale vegetariano, come gravissima mortificazione. Non bere alcoolici era un'eccentricit abbastanza notevole tanto da suscitare commenti e l'attribuzione di soprannomi pi o meno ingiuriosi. Da ci patronimici come l'italiano Bevilacqua, il francese Boileau e l'inglese Drinkwater. L'alcool non che una delle molte droghe impiegate dagli esseri umani come vie d'uscita dall'io isolato. Dei narcotici, stimolanti e stupefacenti naturali non ve n' uno, credo, le cui propriet non siano state conosciute da tempo immemorabile. L'indagine moderna ci ha dato una schiera di nuovi ritrovati sintetici; ma circa i veleni naturali ha soltanto sviluppato metodi migliori per estrarre, concentrare e ricombinare quelli gi conosciuti.

Dal papavero al curaro, dalla coca Andean alla canapa indiana e all'agarico siberiano, ogni pianta o erba o fungo capace, se ingerito, di intorpidire o eccitare o provocare visioni, sono stati da lungo tempo scoperti e sistematicamente impiegati. Il fatto molto significativo poich sembra provare che, sempre e dovunque, gli esseri umani hanno sentito la radicale insufficienza della loro esistenza personale, l'infelicit di essere il loro io isolato e non qualcosa di diverso, qualcosa di pi grande, qualcosa per dirla con Wordsworth molto pi profondamente diffusa. Esplorando il mondo intorno a lui, l'uomo primitivo evidentemente provava tutte le cose e si attaccava a ci che trovava buono. Agli effetti dell'autoconservazione buono ogni frutto o foglia mangiabile, ogni seme, radice o nocciuola sana. Ma in un altro contesto - il contesto dell'insoddisfazione e del bisogno di autotrascendenza - buono tutto ci che in natura pu trasformare la qualit della coscienza individuale. Tali trasformazioni prodotte dalla droga possono essere manifestamente peggiorative, possono costare l'attuale disagio e la futura assuefazione, degenerazione e morte prematura. Tutto ci non conta. Ci che conta la consapevolezza, anche se solo per un'ora o due, anche solo per pochi minuti, di essere un altro, o pi spesso, qualche cosa d'altro anzich l'io isolato. Io vivo, eppure non io, ma il vino e l'oppio o il peyotl o l'hashish vive in me. Superare i limiti dell'io isolato tale una liberazione che, anche quando l'autotrascendenza avviene attraverso la nausea nella frenesia, attraverso i crampi nelle allucinazioni e nel coma, l'esperienza indotta dalla droga stata considerata dai primitivi, ed anche dai popoli altamente civilizzati, come intrinsecamente divina. L'estasi attraverso l'intossicazione ancora parte essenziale della religione di molti popoli africani, sudamericani e polinesiani. Essa fu una volta, come dimostrano chiaramente i documenti sopravvissuti, parte non meno essenziale della religione dei celti, dei teutoni, dei greci, dei popoli del Medio Oriente e dei conquistatori ariani dell'India. Non soltanto che la birra sia pi efficace di Milton nel giustificare le vie del Signore verso l'uomo. La birra il dio.

Tra i celti, Sabazios fu il nome divino dato alla sensazione di essere alienato, insensibile per ubriacatura da birra. Pi a Sud, Dioniso fu, tra le altre cose, la soprannaturale oggettivazione degli effetti psicofisici di troppo vino. Nella mitologia vedica, Indra fu il dio di quella droga non identificabile ora, chiamata "soma". Eroe, uccisore di draghi, egli fu la magnifica proiezione in cielo della strana e gloriosa diversit sperimentata dall'ubriaco. Tutt'uno con la droga, egli diventa, come Soma-Indra, fonte di immortalit e mediatore tra l'umano e il divino. Nei tempi moderni la birra e le altre accorciatoie tossiche per l'autotrascendenza non sono pi adorate ufficialmente come di. La teoria ha subto una trasformazione, ma non la pratica; effettivamente milioni e milioni di uomini e donne civili continuano a rendere omaggio, non allo Spirito liberatore e trasfiguratore, ma all'alcool, all'hashish, all'oppio e ai suoi derivati, ai barbiturici e agli altri supplementi sintetici, all'antichissimo elenco di veleni capaci di provocare l'autotrascendenza. In ogni caso, senza dubbio, ci che sembra un dio, in effetti un demone, ci che sembra una liberazione in effetti un asservimento. L'autotrascendenza invariabilmente discendente verso uno stato meno che umano, pi basso del personale. Come l'ubriachezza, la sessualit elementare, goduta per se stessa, e separata dall'amore, fu una volta un dio, adorato non solo come il principio della fecondit, ma come manifestazione della diversit radicale immanente in ogni essere umano. In teoria, la sessualit elementare da molto tempo ha cessato di essere un dio. Ma in pratica pu ancora vantare un'innumerevole schiera di settari. Vi una sessualit elementare innocente, e una sessualit elementare moralmente ed esteticamente squallida. D. H. Lawrence ha scritto in maniera bellissima della prima; Jean Gent, con potenza spaventosa e dettagliatamente, della seconda. La sessualit dell'Eden e la sessualit delle fogne: entrambe hanno il potere di trasportare l'individuo oltre i limiti del suo io isolato. Ma la seconda e (si suppone purtroppo) pi comune variet trasporta coloro che vi si abbandonano ad un piano pi basso di subumanit, evoca la coscienza e lascia il ricordo, di una pi completa alienazione, anzich la prima. Da ci, per tutti coloro che sentono il bisogno di sfuggire dalla loro identit prigioniera, la perenne attrazione della deboscia e di quegli strani

equivalenti della deboscia che capiter di descrivere nel corso di questa narrativa. In molte comunit civilizzate la pubblica opinione condanna la deboscia e l'uso delle droghe come contrarie all'etica. E alla disapprovazione morale si aggiunge l'ostruzionismo del fisco e la repressione legale. L'alcool colpito da forti tassazioni, la vendita dei narcotici proibita dovunque e certe pratiche sessuali sono considerate delittuose. Ma quando passiamo dall'uso delle droghe e dalla sessualit elementare alla terza grande via di autotrascendenza discendente, troviamo, da parte dei moralisti e dei legislatori, un atteggiamento molto diverso e molto pi indulgente. Ci sembra tanto pi sorprendente in quanto il "delirio di massa", come potremmo chiamarlo, pi immediatamente pericoloso per l'ordine sociale, rappresenta una minaccia pi drammatica a quella leggera crosta di convenienza, ragionevolezza e mutua tolleranza, che costituisce una civilt, sia dell'alcool che della deboscia. E' vero, un generale e continuato costume di eccessiva soddisfazione della sessualit pu risultare, come ha sostenuto J. D. Unwin (1), nell'abbassamento del livello di energia di un'intera societ, impedendo in tal modo di raggiungere o di mantenere un alto livello di civilt. Ugualmente la dedizione alle droghe, se notevolmente diffusa, pu diminuire l'efficienza militare, economica e politica della societ in cui prevale. Nei secoli diciassettesimo e diciottesimo l'alcool puro fu l'arma segreta dei commercianti di schiavi europei; l'eroina, nel ventesimo, dei militaristi giapponesi. Ubriaco fradicio, il negro diventava una facile preda. In quanto al cinese dedito alla droga, si poteva contare su di lui perch non avrebbe dato fastidio ai suoi conquistatori. Ma questi sono casi eccezionali. Lasciata a se stessa, una societ generalmente manovra in modo da venire a patti con il suo veleno preferito. La droga un parassita sul corpo politico, ma un parassita il cui ospite (parlando metaforicamente) ha forza e ragione sufficienti per tenerlo sotto controllo. E lo stesso avviene per la sessualit. Nessuna societ che basasse le sue pratiche sessuali sulle teorie del marchese di Sade potrebbe possibilmente sopravvivere; ed infatti nessuna societ arrivata mai a fare una cosa simile.

Anche i pi liberi paradisi della Polinesia hanno le loro regole e i loro regolamenti, i loro imperativi e comandamenti categorici. Contro l'eccessiva sessualit, come contro l'eccessivo uso di droghe, le societ sembrano capaci di proteggersi con un certo grado di successo. La loro difesa contro il "delirio di massa" e le sue conseguenze spesso disastrose , in troppi casi, molto meno adeguata. I moralisti di professione che inveiscono contro l'ubriachezza mantengono un misterioso silenzio circa il vizio ugualmente disgustoso della ebbrezza di gregge, dell'autotrascendenza discendente nella subumanit attraverso il processo di riunirsi in folla. Dove due o tre persone si riuniscono insieme nel mio nome, l sono io in mezzo a loro. In mezzo a due o trecento, la presenza divina diventa pi problematica. E quando la cifra arriva a due o tremila, o diecimila, la probabilit che Dio sia l, nella coscienza di ciascun individuo, declina quasi al punto da svanire. Poich tale la natura di una folla eccitata (ed ogni folla si eccita automaticamente) che, dove due o tremila persone si riuniscono insieme, manca non soltanto la divinit, ma anche la comune umanit. Il fatto di essere uno di una moltitudine esonera un uomo dalla coscienza di essere un io isolato e lo trasporta pi gi in un regno meno che personale, dove non vi alcuna responsabilit, dove non vi giusto o sbagliato, n bisogno di pensare o giudicare o discernere, vi solo un forte e vago senso di comunione, solo un eccitamento condiviso, un'alienazione collettiva. E l'alienazione insieme pi prolungata e meno faticosa di quella indotta dalla deboscia, il mattino dopo meno deprimente di quello che segue l'autoavvelenamento da alcool o da morfina. Inoltre, al "delirio di massa" ci si pu abbandonare non soltanto senza rimorsi di coscienza, ma veramente, in molti casi con un positivo ardore di cosciente virt. Infatti, lungi dal condannare la pratica dell'autotrascendenza discendente attraverso l'ebbrezza di gregge, i capi di Chiesa e di Stato hanno attivamente incoraggiato la pratica sempre che potesse essere usata per favorire i proprio scopi. Individualmente e in gruppi coordinati e legati da un fine, i quali costituiscono una sana societ, uomini e donne manifestano una certa capacit di pensiero razionale e libera scelta alla luce di princpi etici. Riuniti in folle, gli stessi uomini e le stesse donne si comportano come se non possedessero n ragione n libero arbitrio.

L'ebbrezza di massa li riduce a una condizione di irresponsabilit interpersonale e antisociale. Drogati dal veleno misterioso che ogni gregge eccitato secerne essi cadono in uno stato di altissima suggestionabilit, simile a quello che segue un'iniezione di sodio amytal o l'induzione, con qualsiasi mezzo, di un leggero "trance" ipnotico. In questo stato essi crederanno qualsiasi assurdit che possa essere loro urlata, eseguiranno qualsiasi comando o esortazione, per quanto insensati, pazzi o criminali. Per gli uomini e per le donne sotto l'influenza del "veleno di gregge" qualunque cosa dico tre volte vera e qualunque cosa dico trecento volte Rivelazione, il mondo di Dio direttamente ispirato. Ecco perch i detentori dell'autorit - preti e governanti - non hanno mai inequivocabilmente proclamato l'immortalit di questa forma di autotrascendenza discendente. Infatti, il "delirio di massa" suscitato dai membri dell'opposizione ed in nome di princpi eretici stato sempre denunziato dagli uomini al potere. Ma il "delirio di massa" sollevato dagli agenti governativi, il "delirio di massa" in nome dell'ortodossia, tutta un'altra cosa. In ogni caso in cui pu essere usata per favorire gli interessi di coloro che controllano la Chiesa e lo Stato, l'autotrascendenza discendente per mezzo dell'ebbrezza di gregge trattata come qualcosa di legittimo, ed anche altamente desiderabile. Pellegrinaggi e adunate politiche, coribantiche riesumazioni e parate patriottiche, queste cose sono eticamente giuste finch sono i NOSTRI pellegrinaggi, le NOSTRE adunate, le NOSTRE riesumazioni e le NOSTRE parate. Il fatto che la maggioranza di coloro che prendono parte a queste cerimonie vengono temporaneamente disumanizzati dal "veleno di gregge" insignificante in paragone al fatto che la loro disumanizzazione pu essere usata per consolidare i poteri religiosi e politici esistenti. Quando il "delirio di massa" viene sfruttato a beneficio dei governi e delle Chiese ortodosse, gli sfruttatori sono sempre molto guardinghi nell'evitare che l'ubriacatura vada troppo oltre. Le minoranze dominanti fanno uso dell'ansia di autotrascendenza discendente dei loro sudditi allo scopo, primo, di divertirsi e distrarsi e, secondo, di condurli in uno stato subpersonale di accentuata suggestionabilit. I cerimoniali religiosi e politici sono graditi alle masse come opportunit di ubriacature o "avvelenamento di gregge", e dai loro governanti come

opportunit per introdurre suggestioni in menti che hanno cessato momentaneamente di essere capaci di ragione o di libero arbitrio. Il sintomo finale dell'ubriacatura di gregge la violenza maniaca. Casi di delirio di massa culminanti in gratuite distruzioni, in feroci automutilazioni, in fratricide crudelt senza scopo e contro i pi elementari interessi di tutti i partecipanti, si incontrano in quasi ogni pagina dei testi di antropologia e - un po' meno frequentemente, ma pure con triste regolarit anche nella storia di popoli altamente civilizzati. Ad eccezione del caso in cui desiderano liquidare una minoranza impopolare, i rappresentanti ufficiali degli Stati e delle Chiese vanno cauti nel risvegliare una frenesia che non sono sicuri di poter controllare. Nessuno scrupolo del genere trattiene il leader rivoluzionario, il quale odia lo "statu quo" e desidera solo di creare il caos al quale, salendo al potere, potr imporre un nuovo ordinamento. Quando il rivoluzionario sfrutta il bisogno degli uomini di autotrascendenza discendente, egli lo sfrutta fino al limite del farnetico e del demoniaco. Agli uomini e alle donne stufi di essere il loro io isolato e stanchi delle responsabilit inerenti alla partecipazione in un gruppo umano con una qualche finalit, egli offre eccitanti opportunit di "evadere completamente" in parate e dimostrazioni e comizi pubblici. Gli organi del corpo politico sono gruppi che hanno uno scopo. Una folla l'equivalente sociale di un cancro. Il veleno che essa secerne depersonalizza i membri che la costituiscono fino al punto che essi cominciano a comportarsi con selvaggia violenza, violenza di cui in condizioni normali, sarebbero stati completamente incapaci. Il rivoluzionario incoraggia i suoi seguaci a manifestare quest'ultimo e peggiore sintomo di ebbrezza di gregge, e quindi procede a indirizzare la loro frenesia contro i suoi nemici, i detentori del potere politico, economico e religioso. Nel corso degli ultimi quarant'anni le tecniche di sfruttamento dell'aspirazione umana verso questa pericolosissima forma di autotrascendenza discendente hanno raggiunto un grado di perfezione unico nella storia. Prima di tutto vi sono pi persone in un miglio quadrato di quante non ve ne siano mai state prima ed i mezzi per trasportare grandi masse da notevoli distanze, e di concentrarle in un singolo fabbricato o arena, sono molto pi efficienti anzich in passato.

Nello stesso tempo nuovi espedienti mai sognati prima per eccitare le folle sono stati inventati. Vi la radio che ha enormemente esteso la portata degli urli rauchi del demagogo. Vi l'altoparlante, che amplifica e raddoppia indefinitamente la inebriante musica del nazionalismo militare e classista. Vi la macchina fotografica (di cui si diceva ingenuamente una volta che non pu mentire) e i suoi derivati, il cinema e la televisione; questi tre hanno reso assurdamente facile la oggettivazione di fantasie tendenziose. E finalmente vi la pi importante delle nostre invenzioni sociali, la libera educazione coattiva. Chiunque oggi sa leggere, e chiunque, di conseguenza, alla merc dei propagandisti, governativi o commerciali, che posseggono le fabbriche di cellulosa, le macchine tipografiche e la stampa. Riunite una folla di uomini e donne precedentemente condizionati dalla lettura quotidiana dei giornali; trattateli con musica per banda diffusa con amplificatori, con riflettori e con l'oratoria di un demagogo il quale sia (come sono sempre i demagoghi) simultaneamente sfruttatore e vittima dell'"ebbrezza di massa", e in breve potrete ridurli in uno stato di subumanit quasi ebete. Non era mai accaduto prima che una cos piccola minoranza fosse in grado di trasformare in pazzi, maniaci e criminali, una cos grande maggioranza. Nella Russia comunista, nell'Italia fascista, nella Germania nazista gli sfruttatori del gusto fatale del "veleno di massa" hanno seguito un procedimento identico. Quando erano all'opposizione rivoluzionaria, essi incoraggiarono le masse a diventare, sotto la loro influenza, distruttivamente violente. In seguito, quando furono saliti al potere, fu solo in relazione agli stranieri e a qualche capro espiatorio selezionato, che permisero il pieno svolgimento dell'"ebbrezza di massa". Avendo acquistato un interesse legale nello "statu quo", ora essi mantenevano la discesa nella subumanit molto al di qua della frenesia. Per questi neoconservatori, l'ebbrezza di massa aveva valore soprattutto, d'allora in poi, come mezzo per aumentare la suggestionabilit dei loro sudditi e renderli quindi pi docili alle espressioni della volont autoritaria. Trovarsi in una folla il migliore antidoto conosciuto al pensiero indipendente. Da qui l'obiezione radicata nei dittatori alla "mera psicologia" e alla vita privata.

Intellettuali del mondo, unitevi! Non avete niente da perdere se non il vostro cervello. Droghe, sessualit elementare ed "ebbrezza di massa", queste sono le tre vie pi popolari per l'autotrascendenza discendente. Ve ne sono molte altre, non cos bene tracciate come queste grandi arterie discendenti, le quali conducono per con altrettanta sicurezza alla stessa mta interpersonale. Consideriamo, per esempio, la via del movimento ritmico. Nelle regioni primitive si ricorre molto spesso al prolungato movimento ritmico allo scopo di provocare uno stato di estasi interpersonale e subumana. La stessa tecnica per raggiungere lo stesso fine stata usata da molti popoli civilizzati, dai greci per esempio, dagli indiani, da molti ordini di dervisci nel mondo islamico, da sette cristiane come gli shaker e gli holy rollers. In tutti questi casi il movimento ritmico, prolungato e ripetuto, una forma di rituale deliberatamente praticato per il piacere dell'autotrascendenza discendente che ne deriva. La storia registra altres molte esplosioni sporadiche di crisi di agitazione, dondolamenti e balli ossessivi. Queste epidemie di ci che in una regione viene chiamato tarantolismo, in un'altra ballo di San Vito, si sono verificate generalmente in tempo di disordini, in seguito a guerre, pestilenze e carestie, e sono pi comuni dove la malaria endemica. Lo scopo inconsapevole degli uomini e delle donne che cedono a queste manie collettive lo stesso di quello perseguito dai settari che usano la danza come rito religioso, cio per evadere dall'io isolato in uno stato in cui non vi sono responsabilit, n passato di colpa, n ossessione del futuro, ma solo la presente e beata coscienza di essere qualcun altro. Intimamente associato al ritmo "produttore di estasi" del movimento ritmico il rito "produttore di estasi" del suono ritmico. La musica vasta come la natura umana ed ha qualcosa da dire agli uomini e alle donne su ogni piano del loro essere, da quello sentimentale a quello astrattamente intellettuale, da quello meramente viscerale a quello spirituale. In una delle sue innumerevoli forme la musica una droga potente, in parte stimolante e in parte narcotica, ma in completa alternativa. Nessun uomo, per quanto altamente civilizzato, pu ascoltare a lungo il tamburo africano, o i canti indiani, o le canzoni del Galles, e conservare intatta la personalit critica e autocosciente.

Sarebbe interessante scegliere un gruppo di filosofi tra i pi insigni delle migliori universit, chiuderli in una stanza con dervisci marocchini o incantatori di Haiti, e misurare con un cronometro la forza della loro resistenza psicologica agli effetti del suono ritmico. Sarebbero capaci i positivisti logici di resistere pi a lungo degli idealisti soggettivi? Si dimostrerebbero pi duri i marxisti dei tomisti e dei vedantisti? Che affascinante e produttivo campo di esperimento! Intanto, tutto ci che possiamo tranquillamente prevedere che, se esposto abbastanza a lungo al tum-tum e ai canti, ciascuno dei nostri filosofi finirebbe col saltare e urlare coi selvaggi. Le vie del movimento ritmico e del suono ritmico sono generalmente superimposte, per cos dire, sulla via dell'"ebbrezza di massa". Ma vi sono anche strade private, strade che possono essere prese dal viaggiatore solitario che non ama le folle, oppure non ha una solida fede nei princpi, nelle istituzioni e nelle persone nel cui nome le folle si riuniscono. Una di queste strade private la via del "mantram", la via di ci che Cristo chiam "vana ripetizione". Nel culto pubblico "la vana ripetizione" quasi sempre associata al suono ritmico. Litanie e simili vengono cantate, o per lo meno intonate. E' come musica che esse producono i loro effetti quasi ipnotici. "La vana ripetizione", quando praticata privatamente, agisce sulla mente non per la sua associazione con il suono ritmico (poich essa funziona anche quando le parole sono meramente immaginate) ma in virt di un concentramento dell'attenzione e della memoria. La costante reiterazione della stessa parola o frase provoca frequentemente uno stato di allegria o perfino di "trance" profondo. Una volta indotto questo "trance" pu essere goduto per se stesso, come delizioso senso di diversit interpersonale, oppure usato deliberatamente allo scopo di migliorare la condotta personale per mezzo dell'autosuggestione e di preparare la via per l'ultima conquista dell'autotrascendenza ascendente. Della seconda possibilit diremo di pi in un paragrafo seguente. Qui ci interessa la "vana ripetizione" come strada discendente in un'alienazione interpersonale. Dobbiamo considerare ora un metodo strettamente fisiologico di evasione dall'io isolato. Il mezzo della punizione fisica. La violenza distruttiva, sintomo finale dell'"ebbrezza di massa" non invariabilmente diretto all'esterno.

La storia della religione ricca di racconti spaventosi di autoflagellazioni, automutilazioni, autocastrazioni, anche autouccisioni collettive. Queste azioni sono conseguenza del "delirio di massa" e vengono compiute in uno stato di frenesia. Molto diversa la punizione corporale intrapresa privatamente e a sangue freddo. Qui l'autotortura iniziata da un atto della volont personale; ma risulta (in alcuni casi perlomeno) in una temporanea trasformazione della personalit isolata in qualcosa di diverso. In se stesso questo qualcosa di diverso la coscienza, cos intensa da essere esclusiva, del dolore fisico. La persona che si tortura si identifica col dolore e, diventando meramente la consapevolezza del suo corpo dolorante, viene liberata da quel senso di colpevolezza passata e di frustrazione attuale, da quell'ansiet ossessionante circa il futuro, che costituisce tanta parte dell'io nevrotico. Vi stata un'evasione dall'io, un passaggio discendente in uno stato di puro tormento fisiologico. Ma l'autotormentatore non ha bisogno necessariamente di rimanere in questa regione di coscienza interpersonale. Come colui che fa uso di "vana ripetizione" per andare oltre se stesso, egli pu essere capace di usare questa temporanea alienazione dall'io come ponte, per cos dire, verso l'alto nella vita dello spirito. Ci fa sorgere un'importantissima e difficile questione. In quale misura e in quali circostanze possibile a un uomo fare uso della strada discendente come via verso l'autotrascendenza spirituale? A prima vista sembrerebbe ovvio che la via discendente non e non pu essere mai la via verso l'alto. Ma nel regno dell'esistenza le cose non sono cos semplici come lo sono nel nostro bellissimo e accurato mondo delle parole. Nella vita reale un movimento discendente pu diventare qualche volta il principio di un'ascesa. Quando il guscio dell'io stato infranto e comincia ad esservi la coscienza della diversit subliminale e fisiologica sottostante alla personalit, avviene qualche volta che cogliamo un raggio fugace, ma apocalittico, di quell'altra diversit, che il fondamento di tutto l'essere. Finch siamo confinati nel nostro io isolato, rimaniamo inconsapevoli dei vari non-io con cui siamo associati: il non-io organico, il non-io subcosciente, il non-io collettivo del mezzo psichico in cui tutti i nostri pensieri e sentimenti hanno la loro esistenza, e il non-io immanente e trascendente dello Spirito.

Ogni evasione, anche per una strada discendente, fuori dell'io isolato rende possibile almeno una momentanea consapevolezza del non-io su ogni piano, compreso il pi alto. William James, nel suo "Variet di esperienza religiosa", d esempi di "rivelazioni anestetiche", che succedono all'inalazione di gas esilarante. Simili teofanie sono sperimentate dagli alcoolizzati, e forse vi sono momenti durante l'ubriacatura da quasi tutte le droghe, in cui la consapevolezza di un non-io superiore diventa possibile in poco tempo all'io che si disintegra. Ma questi occasionali sprazzi di rivelazione sono conquistati ad un prezzo enorme. Nell'ebbrezza, il momento della consapevolezza spirituale (se pure arriva) d luogo ben presto a stupore, frenesia e allucinazione subumani seguiti da stati di terribile prostrazione, e a lungo andare, da una limitazione permanente e fatale della salute fisica e delle facolt mentali. Molto di rado una singola "rivelazione anestetica" pu agire, come ogni altra teofania, ad incitare il suo contenente ad uno sforzo di autotrasformazione e autotrascendenza ascendente. Ma il fatto che una cosa simile avvenga qualche volta non pu mai giustificare l'impiego di mezzi chimici di autotrascendenza. Questa una strada discendente e la maggioranza di coloro che la percorrono arriveranno a uno stato di degradazione, in cui periodi di estasi subumana si alternano a periodi di cosciente individualit cos affliggenti che ogni evasione, anche se nel lento suicidio o nella dedizione alla droga, sembrer preferibile all'essere una persona. Ci che vale per le droghe, vale, "mutatis mutandis", per la sessualit elementare. La strada porta in basso; ma sulla strada vi possono essere occasionalmente teofanie. Gli di oscuri, come li chiam Lawrence, possono cambiare aspetto e diventare luminosi. In India vi uno ioga tantristico basato su una elaborata tecnica psicofisiologica, il cui scopo di trasformare l'autotrascendenza discendente della sessualit elementare in un'autotrascendenza ascendente. In Occidente il pi vicino equivalente di queste pratiche tantristiche fu la disciplina sessuale escogitata da John Humphrey Noyes e praticata dai membri della Comunit di Oneida. A Oneida la sessualit elementare non fu soltanto civilizzata con successo; essa fu resa compatibile con una forma di cristianesimo

protestante e, subordinata ad essa, fu sinceramente predicata ed onestamente praticata. L'ebbrezza di massa disintegra l'io pi completamente di quanto faccia la sessualit elementare. Le sue frenesie, le sue follie, la sua intensa suggestionabilit possono essere eguagliate solo da ebbrezze indotte da droghe come l'alcool, l'hashish e l'eroina. Ma anche al membro di una folla eccitata pu arrivare (a qualche stadio relativamente iniziale della sua autotrascendenza discendente) una genuina rivelazione delle diversit al disopra della personalit. Questa una delle ragioni per cui qualche volta pu derivare un certo bene anche dalle riunioni pi coribantiche e reviviscenti. Un certo bene nonch molto male pu derivare anche dal fatto che uomini e donne in una folla tendono a diventare pi suggestionabili dell'ordinario. In tale stato essi sono sottoposti a esortazioni che hanno la forza, quando ritornano di nuovo in s, di ordini postipnotici. Come il demagogo, il revivalista e il ritualista disintegrano l'io dei loro ascoltatori riunendoli insieme e somministrando abbondanti dosi di vana ripetizione e suono ritmico. Poi, a differenza del demagogo, essi danno consigli alcuni dei quali possono essere genuinamente cristiani. Se questi "hanno presa" risultano in una reintegrazione delle personalit disfatte su un piano alquanto pi alto. Vi possono essere anche reintegrazioni di personalit sotto l'influenza di comandi postipnotici emessi da un politico di origine popolare. Ma questi comandi sono tutti incitamenti all'odio da una parte e alla cieca obbedienza e all'illusione compensatoria dall'altra. Iniziata da una massiccia dose di "veleno di massa", confermata e diretta dalla retorica di un maniaco il quale nello stesso tempo un machiavellico sfruttatore della debolezza altrui, la "conversione" politica risulta nella creazione di una nuova personalit peggiore della vecchia e molto pi pericolosa perch devotamente fedele a un partito il cui scopo principale la liquidazione dei suoi opponenti. Ho fatto distinzione tra demagoghi e fanatici in religione, con la premessa che questi ultimi possono fare qualche volta un certo bene, laddove i primi possono difficilmente, per la stessa natura delle cose, fare altro che male. Ma non bisogna credere che gli sfruttatori religiosi dell'"ebbrezza di massa" siano del tutto innocenti.

Al contrario, essi sono stati responsabili in passato di mali quasi altrettanto gravi di quelli arrecati alle loro vittime (insieme alle vittime delle vittime) dai demagoghi rivoluzionari del nostro tempo. Nel corso delle ultime sei o sette generazioni, il potere delle organizzazioni religiose di fare del male notevolmente diminuito in Occidente. Ci dovuto principalmente allo straordinario progresso della scienza applicata e alla relativa richiesta da parte delle masse di illusioni compensatorie che abbiano l'aria di essere positivistiche piuttosto che metafisiche. I demagoghi offrono tali illusioni pseudopositivistiche e le Chiese non lo fanno. A misura che il fascino delle Chiese declina, declina anche la loro influenza, la loro ricchezza, il loro potere politico e, insieme a tutto ci, la loro capacit di far danno su vasta scala. Le circostanze hanno ora liberato l'ecclesiastico da certe tentazioni alle quali, nei secoli precedenti, i loro predecessori quasi invariabilmente cedevano. Essi sarebbero abbastanza giudiziosi volontariamente da liberarsi da quelle tentazioni che ancora rimanessero. Notevole tra queste la tentazione di acquistare potenza incoraggiando l'insaziabile desiderio degli uomini di autotrascendenza discendente. Indurre deliberatamente l'"ebbrezza di massa", anche se in nome della religione, anche supponendo che sia "per il bene" dell'ubriaco, non pu essere moralmente giustificato. Circa l'autotrascendenza orizzontale ben poco c' da dire, non perch il fenomeno non sia importante (al contrario) ma perch esso troppo ovvio per richiedere un'analisi e troppo frequente per essere facilmente classificabile. Allo scopo di evadere dagli orrori dell'io isolato la maggioranza degli uomini e delle donne preferiscono, per lo pi, non andare n in alto n in basso, ma lateralmente. Essi si identificano con qualche causa pi vasta dei propri interessi immediati, ma non pi bassa da degradare e, se pi alta, pi alta solo nell'ambito dei valori sociali correnti. Questa autotrascendenza orizzontale, o quasi orizzontale, pu essere in qualcosa di abbastanza volgare come un hobby, o prezioso come l'amore matrimoniale. Essa pu essere realizzata attraverso l'autoidentificazione con qualsiasi attivit umana, dagli affari alle ricerche di fisica nucleare, dalla

composizione musicale alla collezione di francobolli, dalla lotta per una carica politica all'educazione dei bambini o allo studio dell'accoppiamento degli uccelli. L'autotrascendenza orizzontale di estrema importanza. Senza di essa, non vi sarebbe arte, n scienza, n legge, n filosofia, e neppure civilt. E non vi sarebbe n guerra, n "odium theologicum" o "ideologicum" n intolleranza sistematica, n persecuzione. Questi grandi beni e questi enormi mali sono i frutti della capacit umana di totale e continua autoidentificazione con un'idea, un sentimento, una causa. Come possiamo avere il bene senza il male, un'alta civilt senza bombardamenti colossali o sterminio di eretici religiosi e politici? La spiegazione che non possiamo averlo finch la nostra autotrascendenza rimarr meramente orizzontale. Quando ci identifichiamo con un'idea o con una causa noi adoriamo qualche cosa di familiare, qualche cosa di parziale e di parrocchiale, qualche cosa che, per quanto nobile, pure troppo umano. Il patriottismo concluse una grande patriota la vigilia dell'esecuzione per opera dei nemici del suo paese non sufficiente. N lo il socialismo, n il comunismo, n il capitalismo; n lo l'arte, n la scienza, n l'ordine pubblico, n qualsiasi altra data religione o Chiesa. Tutte queste cose sono indispensabili, ma nessuna sufficiente. La civilt richiede dall'individuo autoidentificazione devota con la pi alta delle cause umane. Ma se l'autoidentificazione con ci che umano non accompagnata da uno sforzo cosciente e continuo per raggiungere l'autotrascendenza ascendente nella vita universale dello Spirito, il bene conquistato sar sempre controbilanciato dal male. Noi facciamo un idolo della verit scrisse Pascal; perch la verit senza carit non Dio, ma la Sua immagine e il suo idolo, che non dobbiamo n amare, n adorare. E non soltanto un errore adorare un idolo; anche molto svantaggioso. Il culto della verit separata dalla carit - autoidentificazione con la scienza senza autoidentificazione col Fondamento di tutto l'essere - risulta nella situazione di fronte alla quale ora ci troviamo. Qualsiasi idolo, per quanto esaltato, si trasforma, a lungo andare, in un Moloc affamato di sacrificio umano.

NOTE.

N. 1: J. D. Unwin, "Sessualit e cultura", Londra, 1934.

BIBLIOGRAFIA

Per scrivere questa storia di Grandier, di Surin, di soeur Jeanne e dei diavoli ho attinto alle seguenti fonti: "Histoire des Diables de Loudun" (Amsterdam 1693). Quest'opera, del pastore protestante Aubin, una relazione ben documentata del processo di Grandier e della relativa possessione. L'autore abitava a Loudun e conosceva molti attori del diabolico dramma. Jules Michelet: "Urbain Grandier" in "La Sorcire". Il saggio del grande storico breve e inaccurato, ma estremamente vivace. "Urbain Grandier et les possdes de Loudun" del dottor Gabriel Legu (Parigi 1880). Un libro molto esauriente. La precedente opera dello stesso autore: "Documents pour servir l'histoire mdicale des possdes de Loudun", Parigi 1876, anch'essa apprezzabile. "Relation", di fr. Tranquille. Prima edizione del 1634. Ristampata nel volume secondo degli "Archives Curieuses de l'Histoire de France" (1838). De Nion: "The History of the Devils of Loudun". Pubblicata a Poitiers nel 1634 e stampata in traduzione ad Edimburgo (1887-88). Come supplemento a questa narrazione figura il racconto di Lauderdale della sua visita a Loudun. "Letter" di Thomas Killigrew. Pubblicata nell'"European Magazine", febbraio 1803. Bayle: "Historical Dictionary" (Edizione inglese, 1736). Articolo su Urbain Grandier. "Soeur Jeanne des Anges, Autobiographie d'une hystrique possd". Pubblicata, con introduzione e note, dai dottori Gabriel Legu e Gilles de la Tourette, Parigi 1886. Questa l'unica edizione del racconto composto dalla priora nel 1644. L'autobiografia seguita da numerose lettere indirizzate da soeur Jeanne a fr. Saint-Jure, S. J. Jean-Joseph Surin: "Science Exprimentale", 1828. Edizione alquanto riveduta del racconto di Surin sul suo soggiorno a Loudun.

"Lettres Spirituelles du P. Jean-Joseph Surin". Pubblicate da L. Michel e F. Cavallra, Tolosa, 1926. Il volume secondo contiene il "testo fedele" di ci che gli editori chiamano l'autobiografia di Surin. "Dialogues Spirituels", di Jean-Joseph Surin, Lione 1831. "Le Catchisme Spirituel", di Jean-Joseph Surin, Lione 1856. "Fondements de la Vie Spirituelle", di Jean-Joseph Surin, Parigi 1879. "Questions sur l'Amour de Dieu", di Jean-Joseph Surin. Pubblicato con introduzione, note ed appendici, da A. Pottier e L. Maries, Parigi 1930. Aloys Pottiers, S. J.: "Le Pre Louis Lallemant et les grands spirituels de son temps", Parigi 1930. 2 volumi. Pierre Champion: "La Doctrine Spirituelle du P. Louis Lallemant". Prima Edizione 1694. La migliore edizione moderna quella del 1924. Henri Brmond: "Histoire Littraire du Sentiment Religieux en France", Parigi 1916 e anni successivi. Contiene eccellenti capitoli su Lallemant e Surin.

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