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SOLIFERRUM

Cari lettori ed e-lettori, siamo di nuovo qui, con l'


abituale ritardo, sulla teorica cadenza bimensile del
nostro foglio di lotta. Andiamo a raccontarvi cosa è
accaduto nel tempo trascorso dal nostro precedente
numero. Partiamo dal Fronte Nazionale, nell’ultimo
Comitato Centrale che si è tenuto a Roma il 2 luglio,
Adriano Tilgher ha rassegnato le sue dimissioni da
Presidente del Partito, pur restandone iscritto e motore
culturale. Bruno Laganà è stato nominato “Reggente”
sino alla convocazione di una assemblea degli iscritti,
(che dovrebbe tenersi nel Gennaio 2018), ed il
sottoscritto, tornerà ad occuparsi dell’organizzazione.
Queste dimissioni hanno suscitato un po di disaffezione
soprattutto a livello nazionale, ma nel piccolo anche
nella nostra comunità, Paolo Buchetti ha fatto un passo
indietro, restando iscritto e Militante, ma lasciando la
carica di Segretario Provinciale, carica che va alla nostra
Federica. Abbiamo inaugurato 2 nuove sedi, a Livorno
ed a Grosseto, e finalmente abbiamo un nostro giornale
online, "Il Pensiero Forte" (www.ilpensieroforte.it)
progetto sganciato dal Partito ma che vede in prima fila
oltre ad Adriano Tilgher e Rodolfo Sideri, anche il nostro
Lorenzo Maria Pacini che ricoprirà il ruolo di
caporedattore. Come Italia Domani stiamo lavorando
alla costituzione di una lista civica, che prenderà il nome
di "Voltiamo Pagina" e ci vedrà tutti impegnati nelle
elezioni amministrative del Comune di Pescia. Come
Soliferrum, abbiamo finalmente registrato il nome come
"Associazione di Volontariato" e ci siamo affiliati all'
E.N.A.C. – Ente Nazionale Attività Culturali, in cui Marco
Canestrelli ricoprirà l'Incarico di vice Presidente
Nazionale. Continuano i nostri incontri Culturali ultimo
in ordine di tempo la presentazione del libro di Giulia
Bovassi (Monselice 1991 - Laureata in Filosofia presso
l’Università degli Studi di Padova) L' eco della solidità -
Nostalgia del richiamo tra antropologia liquida e
postumanesimo. In questa epoca di disillusione e
personalismi, noi continuiamo a credere nella politica e
nella Comunità, per noi, l'essere viene prima dell'avere,
il Noi prima dell'Io, storpiando la locuzione Cartesiana
mi sento di dover gridare al Mondo "Milito ergo Sum."
EXEMPLIS VITAE

Mu'ammar Muhammad Abu Minyar 'Abd al-Salam al-


Qadhdhafi, semplificato come Muammar Gheddafi (Sirte 7
giugno 1942 - 20 ottobre 2011) Nacque il 7 giugno del 1942
in una tenda presso Qasr Abu Hadi, un villaggio della
Tripolitania a circa 20 km da Sirte, all'epoca parte della
provincia Italiana di Misurata. Tra il 1956 e il 1961 frequentò
la scuola coranica di Sirte, in cui venne a contatto con le idee
panarabe del Presidente egiziano Nasser, alle quali aderì con
entusiasmo. Nel 1961 decide di iscriversi all'Accademia
Militare di Bengasi. Una volta concluso il corso, inizierà la
propria carriera nelle file dell'esercito, ricevendo la nomina al
grado di capitano. Insoddisfatto della politica di re Idris,
giudicata troppo servile nei confronti dell' Occidente, il 26
agosto 1969 si pone alla guida di un colpo di Stato, che
porterà, il 1º settembre dello stesso anno, alla proclamazione
della Repubblica guidata da un Consiglio della Rivoluzione
composto da 12 militari tutti di tendenze Nasseriane. Una
volta al potere, Gheddafi, farà approvare una nuova
costituzione e abolirà le elezioni e tutti i partiti politici.
Gheddafi prende di mira proprio il concetto di "Partito" come
di entità dentro allo stato, che implicitamente lo divide.
L'organicismo panarabo e panislamico che già Gheddafi trova
tanto nel Corano che nelle esperienze di Nasser impone alla
sua riflessione di non concepire altro soggetto storico che "il
popolo", per antonomasia indivisibile e non frazionabile.
"Tutti i sistemi politici sono il risultato della lotta
di..apparati per giungere al potere. La lotta può essere
pacifica od armata, ma il suo risultato è sempre la vittoria
di uno strumento di governo,.e la sconfitta del
popolo..nessun partito...può..comprendere un’intero
popolo".La politica della prima parte del governo Gheddafi
viene definita una "Terza via" rispetto al comunismo e al
capitalismo, nella quale cerca di coniugare i principi del
panarabismo con quelli della socialdemocrazia. Gheddafi
decide di esporre le proprie visioni politiche e filosofiche nel
suo "Libro verde della Rivoluzione" pubblicato nel 1976,
(esplicito ammiccamento al Libretto rosso di Mao, ma con
molti rimandi anche a "La disintegrazione del sistema" il
folgorante testo politico che Franco G. Freda scrisse nel
1969, in cui si prospettava la possibilità di un fronte comune
‘rosso’ e ‘nero’ per l’annichilimento del sistema borghese). In
nome del Nazionalismo arabo, decide di nazionalizzare la
maggior parte delle proprietà petrolifere straniere, di
chiudere le basi militari statunitensi e britanniche e di
espropriare tutti i beni delle comunità Italiana ed ebraica,
espellendole dal paese. In politica estera, il regime libico
diventa finanziatore dell'OLP di Yasser Arafat nella sua lotta
contro Israele, inoltre, si fa spesso propugnatore di un'unione
politica tra i tanti Stati islamici dell'Africa, caldeggiando in
particolare, nei primi anni settanta, un'unione politica con la
Tunisia dell'allora presidente Tunisino Bourguiba. Nel 1977,
il "regime" decide di effettuare alcune opere a favore della
propria nazione, come la costruzione di strade, ospedali,
acquedotti e industrie. Proprio sull'onda della popolarità di
tale politica, nel 1979, Gheddafi rinuncerà a ogni carica
ufficiale, serbandosi solo l'appellativo onorifico di "Guida
della Rivoluzione". Il regime di Gheddafi, ha, negli anni,
adempiuto ai doveri della sua posizione tra i "Non-allineati":
dalla difesa della causa palestinese, all'appoggio alle lotte di
rivendicazione nazionale (ETA - IRA ecc..), all’ unità con altri
paesi nella decostruzione delle narrazioni Wahabbite, dal
collegamento economico con il COMECON (Consiglio di
mutua assistenza economica, sino alla disponibilità al
commercio con l'Unione Sovietica. Gheddafi contribuì
fortemente alla sconfitta dell'Apartheid in Sud Africa, dando
sostegno sia economico che militare all'Anc di Nelson
Mandela. Mandela dichiarerà: "Ho tre amici nel mondo, e
sono Yasser Arafat, Mu'ammar Gheddafi e Fidel Castro".
Nella pratica il governo di Gheddafi garantì al popolo libico la
libertà dallo sfruttamento neocoloniale. La vulgata dipinge il
Colonnello come un Dittatore, ma per 41 anni, fino alla sua
morte, Muammar Gheddafi ha fatto delle cose davvero
sorprendenti per il suo Paese. In Libia la casa era considerata
un diritto umano naturale. Il Libro Verde della rivoluzione
riporta: ”La casa è un bisogno fondamentale sia
dell’individuo che della famiglia, quindi non dovrebbe
essere proprietà di altri”. Le cure mediche erano
completamente gratuite. "i medicinali non dovrebbero
essere venduti né soggetti alla commercializzazione. I
medicinali devono essere gratuiti e i vaccini dati
gratuitamente ai bambini..." Gheddafi ha effettuato il più
grande progetto di irrigazione del mondo. Il Grande fiume
artificiale (o GMR, acronimo della traduzione inglese Great
Man-made River), un acquedotto che preleva acqua dolce dal
Sahara per condurlo ai paesi della costa. Per fare ciò ha
sfruttato l'enorme quantità di acqua fossile, presente nel
Sahara, trasportandola per centinaia di chilometri verso le
città costiere dove risiede il 70% della popolazione. La
realizzazione dell'opera venne affidata all'impresa Coreana
Dong Ha. Tutti potevano avviare gratuitamente un’azienda
agricola. Se qualunque Libico avesse voluto avviare una
fattoria, gli veniva data una casa, terreni agricoli, animali e
semi, tutto gratuitamente. Le madri con neonati ricevevano
un sussidio in denaro. Quando una donna libica dava alla luce
un bambino, riceveva 5.000 dollari USA per sé e per il
bambino. L’elettricità era gratuita, in Libia non esistevano
bollette dell’elettricità. La Benzina in Libia costava 0,14
dollari USA al litro. Gheddafi ha innalzato il livello
dell’istruzione dal 24 all’87% con un aumento del 25% dei
laureati. La Libia aveva una propria banca di Stato, che ha
fornito ai cittadini prestiti a tasso zero e non aveva debito
estero. Il suo regime era ormai divenuto il nemico numero
uno degli Stati Uniti e della NATO. Il 15 aprile 1986, il
presidente americano Ronald Reagan ordina un massiccio
bombardamento sulla Libia, la residenza di Gheddafi di Bab
al Aziziyya, è rasa al suolo. Gheddafi ne uscirà incolume solo
grazie all’ avvertimento delle intenzioni statunitensi fattogli
dall’allora Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi.
Quando Gheddafi scoprì che l'Inghilterra aveva fornito le basi
agli aerei americani per il blitz, decide di aumentare gli aiuti
all'IRA. Il 21 dicembre 1988 esplode un aereo passeggeri
sopra la cittadina scozzese di Lockerbie, dove periscono 259
persone. L'ONU attribuisce alla Libia la responsabilità
dell'attentato, chiedendo al governo di Tripoli l'arresto di due
suoi cittadini accusati di esserne direttamente coinvolti. Al
netto rifiuto di Gheddafi, le Nazioni Unite approvano la
Risoluzione 748, che sancisce un pesante embargo
economico contro la Libia. Il 27 giugno 1980 un aereo di
linea Douglas DC-9, appartenente alla compagnia aerea
italiana Itavia, in volo da Bologna a Palermo si squarciò
all'improvviso e scomparve in mare nei pressi dell'isola di
Ustica. Persero la vita 81 persone. Inizialmente le cause
accreditate furono il "cedimento strutturale". A distanza di
molti anni in cui si sono susseguiti innumerevoli depistaggi,
falsi indizi e morti sospette, si arriverà alla verità, quella cioè
dell'abbattimento. Un missile aria/aria sarebbe stato lanciato
da un velivolo militare francese all'indirizzo di un caccia libico
MiG-23 in sorvolo nei cieli Italiani, Il missile però anziché
colpire il MiG, avrebbe raggiunto e abbattuto l'aereo
passeggeri italiano. All'origine dell'intervento francese vi
sarebbe stata la convinzione da parte dei servizi di
spionaggio transalpini (SDECE), che sul velivolo libico si
trovasse il colonnello Gheddafi, l'ordine partì direttamente
dal Presidente francese Giscard d'Estaing. Il presidente
francese voleva la morte di Gheddafi, perché era entrato in
guerra contro il governo del Ciad per annettersi il territorio
della Striscia di Aozou, ricco di giacimenti di uranio. A partire
dai primi anni novanta, Gheddafi decide un ulteriore
cambiamento del ruolo del suo regime all'interno dello
scacchiere internazionale; condanna l'invasione dell'Iraq ai
danni del Kuwait nel 1990 e successivamente sostiene le
trattative di pace tra Etiopia ed Eritrea. Quando anche Nelson
Mandela fa appello alla "Comunità Internazionale", a fronte
della disponibilità libica di lasciar sottoporre a giudizio gli
imputati libici della strage di Lockerbie, l'ONU decide di
ritirare l'embargo alla Libia (primavera del 1999). Nei primi
anni duemila, proprio questi ultimi sviluppi della politica
libica, porteranno Gheddafi a un riavvicinamento alle
“democrazie” europee. A seguito degli attacchi terroristici
agli U.S.A. dell'11 settembre 2001, Gheddafi condannerà
pubblicamente gli attentati ed il suo presunto artefice -
Osama Bin Laden - sulla cui cattura metterè addirittura una
taglia. Il leader libico diviene sempre più ostile al
fondamentalismo islamico. Grazie a questi passi il presidente
statunitense George W. Bush decide di togliere la Libia dalla
lista degli Stati Canaglia (di cui fanno parte Iran, Siria e
Corea del Nord) portando al ristabilimento di rapporti
diplomatici. Gli anni 2000 vedono Gheddafi protagonista del
riavvicinamento tra Italia e Libia, sancito da diverse visite
ufficiali del capo libico in Italia della controparte italiana in
Libia. Gheddafi fu un forte sostenitore e principale artefice
della fondazione dell'Unione africana. Ha speso molte risorse
per la concretizzazione di uno stato panafricano che
permettesse l'emancipazione e l'autodeterminazione
africana nei confronti del colonialismo e neocolonialismo dei
paesi occidentali; ha svolto numerose attività per l'Africa
come ad esempio il lancio del primo satellite africano per le
telecomunicazioni. Dal 2 febbraio 2009 al 31 gennaio 2010 è
stato Presidente dell'Unione africana, partecipando al G8
come rappresentante della stessa. Nel febbraio del 2011
anche la Libia, sull'onda delle cosiddette Primavere Arabe,
vedrà l'insorgere di moti di insurrezione, (come in molti altri
casi finanziati da Francia, Stati uniti, Israele, e monarchie del
Golfo) che ben presto sfoceranno in una guerra civile. Su
forte ingerenza Francese la Nato entrerà ufficialmente nel
Conflitto, appoggiando i Ribelli. Parigi voleva far fallire il
progetto di Gheddafi di creare una nuova valuta panafricana
alternativa al franco Cfa utilizzato da 14 paesi dell’area
Françafrique. (Mali - Benin - Camerun - Costa d'Avorio - Ciad
- Niger - Burkina Faso - Repubblica Centrafricana -
Repubblica del Congo - Gabon - Guinea Bissau - Guinea
Equatoriale - Senegal - Togo. Il 65% delle riserve nazionali
di questi 14 paesi sono depositate presso il dicastero del
Tesoro transalpino, il valore del Cfa è fissato all’euro e il
Tesoro francese ne garantisce la convertibilità.). I
bombardamenti francesi alla Libia del marzo 2011, non
furono dettati da ragioni umanitarie, ma per evitare di
incrinare il predominio di Parigi sull’Africa. Questa
ricostruzione nasce dalla lettura di alcune delle oltre tremila
email dell'allora segretario di stato Hillary Clinton
declassificate e pubblicate in Italia dal sito “Scenari
Economici”. Ciò che emerge da questa corrispondenza, ha
riflessi anche per il nostro Paese, visto che tra gli obiettivi di
Sarkozy c’era quello di scalfire l’influenza dell’Eni nell’area.
In particolare, in una mail del 2 aprile 2011, si spiegano i
reali motivi che avrebbero spinto Parigi ad attaccare la Libia.
Guadagnare una quota maggiore della produzione di petrolio,
in mano italiana. - Aumentare l’influenza francese sul
Nordafrica - ma soprattutto impedire la creazione di una
valuta panafricana in grado di soppiantare il Cfa. Il progetto
di Gheddafi era garantire questa nuova valuta con ingenti
riserve d’oro (stimate in 143 tonnellate). È evidente, come
un’ iniziativa simile mettesse in pericolo l’intera economia
francese. Da qui, l’esigenza di buttare fuori dalla scena il Ràis
libico. Iniziativa militare che mise all’angolo l’Italia e il
governo Berlusconi, costretto a malavoglia a partecipare alla
missione, decisione che personalmente ritengo sia stata la
vera fine Politica del Cavaliere, che contrariamente all'ex
amico Bettino Craxi non ha avuto il coraggio di opporsi alle
politiche Francesi e Statunitensi. La rivolta libica fu
l’occasione per Sarkozy di offrire la percezione di una Francia
in soccorso delle esigenze di libertà e democrazia, la verità
nasconde invece il progetto di mantenere e rinnovare il suo
dominio sull’area africana. Sin dalle prime sollevazioni gli
scontri, si rivelarono molto cruenti. Le forze del regime
misero in atto una repressione armata, la stampa occidentale
parlerà subito di eccidi e stupri da parte dei Lealisti. Nel corso
del mese di agosto le forze ribelli erano già in procinto di
conquistare Tripoli, Gheddafi venne localizzato presso la sua
città natale, Sirte. Il 20 ottobre 2011, Muammar Gheddafi
tentò di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il
convoglio in cui viaggiava fu individuato da droni Americani
e attaccato da parte di aerei francesi. Raggiunto dai ribelli,
Gheddafi fu ferito e catturato vivo. Dopo essere stato
ripetutamente pestato e brutalizzato, fu ucciso con un colpo
di pistola alla testa, il suo cadavere fu trasportato a Misurata,
esposto al pubblico e, infine sepolto in una località segreta.
La sua eredità politica e la guida della Libia saranno raccolte
dal figlio Sayf al Islam, il quale, il 23 ottobre 2011, per mezzo
della Tv siriana al-Rai, dichiarerà di voler vendicare la morte
del padre e di continuare la resistenza contro i cosiddetti
"Ribelli", le forze NATO e l'esercito francese: "Io vi dico,
andate all'inferno, voi, e la NATO dietro di voi. Questo è il
nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e continueremo a
combattere" Secondo un'inchiesta di Amnesty International,
non esisterebbe nessuna prova degli stupri di cui sono state
accusate le forze di Gheddafi. La cecità ideologica dimostrata
nel supportare la destituzione violenta di Gheddafi, è dovuta
all’ incapacità di vedere un reale quadro Politico, sganciato
da risentimenti di natura, storica per la Destra (fu quello che
cacciò gli Italiani) e, Petaloso/umanitaria per la Sinistra (
fustigatore di Omosessuali etc..) Gheddafi è stato un grande
Rivoluzionario, che ha fortemente amato il suo Popolo e
aspirato ad un Mondo dove ogni popolo potesse sentirsi
libero di scrivere il proprio destino.
ITALIA DOMANI:

UN CONTINENTE DALLE FRONTIERE


SBAGLIATE

Su “il Giornale” del 15 ottobre 2017 è uscito un interessante


articolo di Alain de Benoist intitolato L’Europa delle regioni
cresce sulle macerie degli Stati delegittimati. Scrive l’autore:
“Nel contesto della globalizzazione c’è stata una
accelerazione di questo processo. Da un lato gli Stati-Nazioni
sono stati sopraffatti sia dall’alto, a causa della de-
territorializzazione dei problemi e della confusione
transnazionale degli interessi, che dal basso, con la crescita
di movimenti indipendentisti o separatisti. E’ così emersa la
teoria secondo la quale gli Stati-Nazioni sono diventati troppo
grandi per risolvere i piccoli problemi e troppo piccoli per
affrontare i grandi. Dobbiamo avere il coraggio di capire che
l’aspirazione all’indipendenza è alimentata da un legittimo
rifiuto delle classi politiche nazionali corrotte che non hanno
un vero progetto collettivo da proporre. Come in Francia,
dove ci sono molti francesi che non amano più la Francia, ci
sono in Spagna degli spagnoli che non amano più la Spagna”.
Secondo de Benoist le attuali richieste di sempre maggiore
autonomia da parte di comuni, province e regioni, che
talvolta sconfinano nella pretesa di totale indipendenza,
deriverebbero da una progressiva perdita di credibilità degli
Stati nazionali, condotti alla rovina da ceti dirigenti corrotti e
indegni del proprio ruolo. In linea di massima concordiamo
con questa analisi, ma per giungere a conclusioni definitive
occorre compiere un passo indietro e risalire alle origini
storiche di questo diffuso separatismo. Iniziando dalle coste
spagnole, troviamo subito una regione, soltanto in apparenza
rassegnata alla sua appartenenza: la Galizia. Si tratta della
prosecuzione settentrionale del Portogallo e infatti il dialetto
locale è molto più simile al lusitano che all’ispanico. Segue
quindi la Navarra, congiunta all’Aragona per motivi dinastici
ma orgogliosissima del proprio passato e della propria
cultura. Inutile parlare dei Baschi, ove l’indipendentismo si è
manifestato a lungo tramite il terrorismo dell’Eta, o quella
Catalogna di cui sono piene le cronache, ove la lingua locale
appartiene alla famiglia occitana, comune al mezzogiorno
della Francia. Quest’ultima, poi, gode della fama di Stato
unitario inossidabile ma, ove si esamini meglio la questione,
troviamo una realtà profondamente diversa. Le regioni del
sud, Provenza compresa, sono state incorporate nella
monarchia centrale in tempi assai recenti, nel XV secolo,
mentre la grande penisola bretone, ove la popolazione è
celtica, resta tuttora un grave problema per Parigi, con le sue
dure rivendicazioni autonomiste e bilinguiste. I territori nord-
orientali appartengono poi alle Fiandre, tanto che vi si parla
il fiammingo, in cui è espressa la stessa toponomastica. Il
nome Dunkerque non è per esempio che la traduzione
assonantica del toponimo olandese Duinkerk, ovvero la
Chiesa sulle dune. Proseguendo verso le Alpi troviamo la
Lorena e l’Alsazia prevalentemente tedesche (Strasburgo
non è che l’alemannica Burg an der Strasse) e, tra i confini
svizzeri e italiani, la Savoia, fino al 1860 parte integrante del
Regno di Sardegna. Per non parlare di Nizza, ligure dal punto
di vista etnico, geografico e storico, con la strada panoramica
ai piedi del castello che porta tuttora il genovesissimo nome
di Rauba capeu, o Rubacappello, in omaggio al possente
maestrale che vi spira e che fa volare i copricapi dei passanti.
Sulla Corsica ci soffermeremo dopo. Oltre Manica, la Gran
Bretagna sembra un altro Stato unitario al di sopra di ogni
sospetto, ma la realtà è diversa. Non solamente scozzesi e
inglesi rappresentano due popolazioni profondamente
eterogenee, tanto che i primi hanno organizzato un recente
referendum indipendentista, ma le stesse regioni dell’Irlanda
del Nord, del Galles e della Cornovaglia hanno da lamentarsi
per il trattamento di Londra. Il dirimpettaio Belgio è
addirittura un caso di scuola per le tendenze separatiste. Il
sottoscritto ne fu testimone diretto quando, anni fa, provò a
rivolgersi in francese alla Reception di un hotel di Anversa,
oltretutto a 5 stelle, e da un apparentemente benevolo
portiere si sentì riprendere in tal modo: “Signore, qui potete
esprimervi in qualsiasi lingua del mondo, compreso l’italiano,
ma vi prego formalmente di non usare il francese, perché da
noi ciò è ritenuto una provocazione”. Oppure frequentando
la Biblioteca Reale di Bruxelles, ove dovrebbe regnare un
perfetto bilinguismo, quando una scostante e poco
collaborativa funzionaria divenne all’improvviso cordialissima
e quasi si commosse al mio solo pronunciare quattro frasi in
olandese! La Germania, sappiamo, è uno Stato molto
giovane, più o meno come l’Italia, e le differenze fra i
Laender, anche sul piano linguistico, sono particolarmente
accentuate, tanto che fino all’Ottocento non si sapeva ancora
quale, fra i tanti patois tedeschi, sarebbe diventato lingua
nazionale. La Baviera, per esempio, si definisce ancora oggi
Stato, mentre i confini con i paesi slavi si sono sempre rivelati
oggetto di contesa, tanto che la lotta per i Sudeti e per
Danzica scatenò la seconda guerra mondiale. La dissoluzione
dell’Unione Sovietica, poi, ha dato vita a una serie di identità
statali più o meno grandi, tutte interessate a rivendicazioni
etniche e storiche, quali le Repubbliche Baltiche, la
Bielorussia, l’Ucraina, la Moldavia, che più tardi si sono a loro
volta frantumate, come la guerra civile ucraina e il
referendum secessionista della Crimea attestano. Molte altre
sarebbero le situazioni da considerare, ma queste bastano,
giustificando ognuna la definizione di Europa come
"Continente dalle frontiere sbagliate", ma a cosa sono dovuti
tali errori? In merito, citiamo due esempi che ci riguardano
da vicino: la Toscana e la Corsica. Nell’alto Medioevo, la
prima era formata esclusivamente da liberi comuni, vere e
proprie Città-Stato che si autogovernavano a somiglianza
della polis greca, perfettamente sovrane e con classi dirigenti
tratte dalla più qualificata cittadinanzale. Ben presto, con lo
sviluppo economico e l’aprirsi dei mercati, si scatenarono
lotte fra loro, miranti alla conquista delle grandi vie di
comunicazione, delle terre più fertili, dei luoghi in prossimità
dei principali fiumi, idonei alla costruzione delle preziose
fabbriche andanti ad acqua: in pratica una guerra di tutti
contro tutti dal sapore hobbesiano. Ciò durò fino a quando
uno di questi comuni, Firenze, s’impose sui propri vicini
grazie all’egemonia dei Medici, potentissima stirpe di
mercanti e banchieri. La Città del Giglio, in una serie di
sanguinosissime guerre di conquista, s’impadronì una dopo
l’altra di quelle libere repubbliche, iniziando dalle più vicine
per poi attaccare le più remote. Nell’arco di circa un secolo
tutte le città della regione furono sottomesse e annesse al
Granducato: Arezzo, Prato, Pistoia, Pisa, Grosseto e per
ultima Siena, che avanti di arrendersi vendé cara la pelle.
L’unica che i fiorentini non riuscirono a conquistare fu Lucca,
potentissima per pecunia e milizia, la quale mantenne
l’indipendenza fin quasi all’Unità d’Italia, tanto che durante il
Risorgimento vi circolava un famoso detto: “Italiani sì,
toscani mai”. Giudicata retrospettivamente la formazione
della Toscana moderna, dobbiamo riconoscere che nessuna
delle popolazioni interessate aveva optato di farne parte per
libera scelta, ma tutte vi erano state costrette dalla
superiorità dell’esercito fiorentino. Così si spiegano le
incomprensioni e le invidie che hanno sempre caratterizzato
i loro rapporti e che oggi sono sbrigativamente ricondotte
sotto il generico termine di campanilismo. Ma le divisioni fra
un centro e l’altro vanno ben oltre, basti pensare alle notevoli
differenze fra i dialetti, che tuttora permettono di stabilire a
colpo sicuro le rispettive origini. Ancor più significativo il
destino della Corsica, geograficamente, storicamente,
etnicamente italianissima, ma che essendosi posta in
perenne contrasto con Genova,sua dominatrice, fu da
quest’ultima ceduta al re di Francia per un prezzo fra l’altro
irrisorio. Quando l’esercito francese sbarcò per prenderne
possesso, i patrioti còrsi, guidati dal mitico eroe Pasquale
Paoli, opposero una disperata resistenza reclamando
l’indipendenza della regione ma, abbandonati dalla
madrepatria italiana, furono infine disfatti, subendo
gravissime perdite. Da allora la Corsica ha sempre
rappresentato una spina nel fianco della Francia, e la
battaglia indipendentista, talvolta mascherata da semplice
richiesta di autonomia, talaltra accompagnata da violenti
attentati, non ha mai visto la fine. Le osservazioni su Toscana
e Corsica, mutatis mutandis, potrebbero valere anche per
diverse contrade italiane e per la maggior parte di quelle
europee. Gli Stati unitari del nostro Continente si sono
invariabilmente formati a seguito di campagne militari,
annessioni frutto di vittorie, dinastie egemoni e dinastie
scomparse, trasferimento e deportazione forzata di
popolazioni intere senza minimamente tener conto della loro
volontà, in un continuum storico che dal Medioevo giunge
all’epoca contemporanea. Ecco da cosa derivano i confini
sbagliati, che ignorano quasi sempre le specificità dei territori
di riferimento. Queste sono le basi oggettive a cui si
richiamano i movimenti indipendentisti e autonomisti attuali.
La domanda che ci poniamo, al termine di questo veloce
excursus, è per quali motivi le rivendicazioni territoriali
esplodano proprio adesso, in presenza di una Europa
formalmente unita dai vari trattati internazionali, ma in
realtà divisa come poche volte in passato. La verità è che il
declino del nostro Continente, accompagnato da una
spaventosa crisi etica e culturale ancor prima che economica,
è stato causato dallo svuotamento dall’interno della
democrazia, ridotta in pratica a semplice simulacro, ad opera
della criminalità finanziaria globale egemone, che si è
comprata la fedeltà di partiti, sindacati, parlamenti e governi,
sia a livello nazionale che comunitario, complici classi
politiche inette e corrotte, sempre pronte a vendere i propri
affermati ideali in cambio di posti e prebende. Gli scandali
che quotidianamente scoppiano ovunque ne rendono ampia
testimonianza. La lettura che do alle riacutizzate spinte
autonomiste e indipendentiste è pertanto la seguente: esse
rappresentano un tentativo, sia pure maldestro e quasi
sempre velleitario (che spesso ottiene il risultato di rafforzare
anziché indebolire le mafie di potere) per riappropriarsi, da
parte dei cittadini, della sovranità loro concessa e poi
sottratta dagli Stati, mediante il loro smembramento. E’
questa una risposta efficace che guarda al futuro?
Personalmente ritengo di no, anche se spesso tali
rivendicazioni, come abbiamo visto, poggiano su fondamenta
inoppugnabili. Il rimedio però è un altro. La riappropriazione
della sovranità perduta, anziché attraverso una riduzione dei
problemi alle piccole patrie, passa attraverso il cambiamento
istituzionale di quelle grandi, nel senso di garantire una
effettiva partecipazione di ciascun cittadino all’andamento
della cosa pubblica tramite nuove e coraggiose forme di
autogoverno. L’ideale della polis tornerà a vivere non
spezzettando gli Stati unitari, perché anzi i poteri forti
avrebbero ancor maggiore facilità di dominio su quelli
regionali, ma riconoscendo che in tutte le forme statuali,
grandi o piccole, deve mutare alla radice la vecchia filosofia
politica, prendendo atto che la democrazia rappresentativa è
defunta , e sulle sue ceneri ne dovrà nascere una diversa ,
integralmente partecipativa, il solo modo di restituire al
cittadino la propria autentica capacità decisionale.

Carlo Vivaldi Forti


Continuità Ideale

Gianfranco Maria Chiti

Un Beato della Repubblica Sociale Italiana

La Santa Sede ha aperto la causa di Beatificazione di


Gianfranco Maria Chiti, ufficiale della Repubblica Sociale
Italiana, successivamente Generale dei Granatieri e frate
cappuccino. Nato nel 1921 a Gignese (Vb), una rinomata
località vicino Stresa, aveva frequentato fin da ragazzo il
Collegio Militare di Roma e poi l'Accademia di Modena dove
ne uscì sottotenente quando oramai eravamo in guerra. Di
altissima statura, oltre i due metri, fu assegnato come
granatiere al XXXII Battaglione controcarro del 3° Rgt.
Granatieri, partecipò alla campagna di Russia, riportandone
un congelamento, una ferita di guerra e la medaglia di bronzo
al valor militare, non ultima la grandissima stima dei suoi
superiori, dei colleghi e dei suoi soldati che riuscì a riportare
in Patria. Dopo la resa del 1943, trovandosi con il Battaglione
a Bagnoregio, presso Viterbo, non esitò a mettersi a
disposizione dell'amata Italia seguito da alcuni suoi
commilitoni. Dopo la costituzione della R.S.I., alla quale
aveva aderito con entusiasmo e convinzione, assunse il
comando della 5a compagnia del Reparto degli Studenti
Volontari dei Granatieri di Sardegna, che fu l'unica
formazione militare italiana presente nella zona Pontina,
essendo dislocato a Velletri, al momento dello sbarco anglo-
americano di Anzio. Il reparto trasferito a Milano divenne in
seguito la Compagnia Roma del I Bgt Granatieri, poi
Cacciatori degli Appennini, impegnato successivamente in
Lombardia, Emilia, Veneto, Piemonte, Liguria e Val d'Aosta
soffrendo gravi perdite umane. Da combattente della R.S.I.
Dimostrò il suo valore e la sua statura morale. A fine del
1944, a pochi mesi dalla sconfitta Chiti escogitò un corso
speciale di arruolamento nella sua compagnia di granatieri
con il quale riuscì a salvare circa 200 giovani che non
avevano risposto alla chiamata di leva della Repubblica,
considerati partigiani, e diede protezione ad alcune umili
famiglie di razza ebraica. A fine del conflitto il reparto di Chiti,
che aveva subito una ferita in combattimento, si sciolse con
l'onore delle armi e fu internato nel campo di
concentramento di Coltano. Reintegrato nell'esercito italiano
fu inviato in Somalia per conto dell'Onu e divenne colonnello
comandante della Scuola della scuola allievi ufficiali di
Viterbo da dove fu congedato con il grado di Generale di
Brigata. Non nascondeva la sua adesione alla R.S.I., della
quale rimase fedele agli ideali per tutta la sua vita, e divenne
Componente della Consulta d'Onore dell'Istituto Storico (ora
Fondazione) della R.S.I. In loc. Cicogna di Terranuova
Bracciolini, dove si recava in occasione dell'assemblea dei
soci e di alcune conferenze storiche per portare la
testimonianza di fedeltà ai suoi ideali. Famosa la storia di
quando, comandante a Viterbo, il ministero ordinò a Chiti,
per metterlo in difficoltà, di commemorare il 25 aprile e a
parlare della guerra di liberazione, contro la sua storia. Chiti
imperterrito andò al microfono di fronte ai suoi ufficiali e
soldati e dopo un lungo elogio degli italiani ricordò quanto sia
importante per la nazione il 25 aprile essendo la data di
nascita del grande genio Guglielmo Marconi.Ne seguì
l'indignazione del ministero , ma Chiti per niente intimorito,
rispose che aveva eseguito gli ordini commemorando il 25
aprile, anche se la cosa frenò la sua folgorante carriera. Una
carriera importante, quella di Chiti, alla quale rinunciò per
seguire la sua vocazione: un anno dopo infatti scelse il
convento diventando frate cappuccino. Morì nel 2004 all'età
di 83 anni. Con l'editto del 13 aprile 2015 il vescovo della
diocesi di Orvieto-Todi, monsignor Tuzia, ha promosso così
la sua beatificazione: “Sacerdote professo dell’Ordine dei
frati minori cappuccini – scrive - nato a Gignese (Vb) il 6
maggio 1921 è morto a Roma nell’ospedale militare del Celio
il 20 novembre 2004 in fama di santità. A questo scopo il
postulatore, legittimamente deputato, ha rivolto a me, a
norma del diritto, la formale richiesta di iniziare l’inchiesta
diocesana sulla vita, virtù e fama di santità del predetto
Servo di Dio. Avuto il consenso della Conferenza episcopale,
espresso nella sessione del 15 aprile 2013, il consenso di sua
eminenza reverendissima il cardinale Agostino Vallini, vicario
di Sua Santità per la diocesi di Roma a istruire il processo
presso questa diocesi in data 5 novembre 2013, ritengo
opportuno, per la gloria di Dio, che è mirabile nei suoi santi,
di accogliere tale richiesta e di procedere in conformità alla
costituzione apostolica Divinus perfectionis magister del 25
gennaio 1983 e delle rispettive Normae servandae emanate
dalla Congregazione per le cause dei santi il 17 febbraio
1983”.Fra Gianfranco Maria prese i voti il 1 novembre 1979
a Rieti, nel Convento di Colle San Mauro: con il voto di
povertà lasciò i suoi beni ed i suoi emolumenti. Con
l'ordinazione sacerdotale presso lo stesso Convento, nel
1982 Fra Gianfranco Maria divenne Padre Chiti: la sua prima
messa fu celebrata in uno stracolmo Duomo nella città di
Rieti, presenti molte autorità militari. La vicenda di Padre
Chiti ricorda in maniera emblematica proprio quella del
fondatore del suo Ordine: San Francesco, prima di indossare
il saio, aveva impugnato una spada. Con incredibile
passione,lavoro e fantasia trovò i mezzi economici per il
restauro del convento di S. Crispino a Viterbo,creò una
comunità di fedeli, si occupò concretamente di una comunità
di giovani che volevano uscire dal tunnel oscuro della droga,
offrì l'assistenza religiosa a chiunque la chiedesse,
specialmente ai militari.,infine onorò sempre i Combattenti
della R.S.I.. Per Padre Chiti, personalità di altissimo livello
patriottico, militare,ideologico e religioso il suo servizio
militare nella Repubblica Sociale Italiana, è stato nella sua
vita, degnamente vissuta , un gradino estremamente
qualificante e necessario. Morì il 20 novembre 2004, la sua
camera ardente fu allestita presso il Museo dei Granatieri a
Santa Croce in Gerusalemme, alle sue esequie, celebrate nel
Duomo di Orvieto, parteciparono il Capo e Sottocapo di Stato
Maggiore dell'Esercito. Vive ora il suo riposo eterno presso il
cimitero monumentale di Pesaro, dove si trova la tomba di
Famiglia.

Giovanni Gentile- Uncrsi-Continuità Ideale


CONTRIBUTO

Fascismo e stile di vita Mario Michele Merlino.


..Mi torna a mente una mattina di tarda primavera,
università La Sapienza, siamo Sandro ed io, capelli
lunghi barba incolta camicia a scacchi e i pantaloni
di velluto a zampa di elefante – inquieti fragili
troppe le incertezze inutili le domande. Piazzale
della Minerva quasi deserto, il bianco dei marmi
accentua sogni di grandezza, il nitore d’un tempo
eroico con il grigiore del presente. La solitudine
dell’eroe in piedi tra le rovine si rende in noi
ribellismo ondate ormonali ruggito del topo. Cesare
siede in disparte, tenendosi le ginocchia raccolte
sotto il mento. E’ il nostro responsabile. Lo
aggrediamo –io, nichilista, in cerca d’un confessore
– e lo tempestiamo e lo incalziamo con i nostri
stupidi perché. Il senso vago dell’esistenza si
confonde con il progetto (vago anch’esso, a
ripensarci con l’arco di mezzo secolo). Egli,
paziente, ci ascolta e interrompe e ci guida verso
porti ove approdare di nuovo fidenti. Con la voce
roca dall’accento marcato da calabrese, studente
fuori sede di medicina. Confortati, ci sentiamo di
nuovo ‘allineati e coperti’, in cammino, militi severi,
bastoni e barricate, ‘la Rivoluzione è come il vento’
e il vento soffia a nostro favore (illusi). Sapemmo,
poi, come in quella medesima mattina un
telegramma gli aveva annunciato la morte del
padre. Avrebbe, dunque, avuto ben motivo di
risolvere le nostre chiacchiere in sciocchezze.
Eppure…Cesare se n’è andato proprio in questi
giorni, accasciatosi sul pavimento, scivolato dalla
poltrona. Il mio, però, non intende essere elogio
funebre. L’anagrafe impietosa ci sta raccogliendo,
spighe ormai insecchite, uno dopo l’altro. Non
riesco a straziarmi il cuore, la mente sola si riempie
di ricordi. Come questo. Se il Fascismo come stile
di vita gli s’impose, sui gradini del Rettorato, con il
valore della gerarchia e i doveri che ad essa
s’accompagnano anteponendoli agli affetti privati,
al dolore intimo familiare. E lo rende atemporale,
universale – nonostante la disfatta del ’45, la
‘macelleria’ nei giorni di aprile e a seguire, la
polvere spessa e tesa su uomini e idee, prigionieri
delle circostanze dell’ottenebramento del vorticare
dei cambiamenti. Le parole di Cesare, la
disponibilità, vennero conseguenza
dell’appartenenza noi tre al comune destino,
medesima la militanza (al di là di quanto
appartiene patrimonio di sentimenti), non si
espressero per formale buonismo o pacche amicali
sulla spalla. (A scuola ero solito dire ai miei alunni
– una mattina, ad esempio, Sergio scrive sulla
lavagna ‘Merlino uno di noi’ – come io fossi così, un
‘Mario grande!’, altro esempio, non per mio merito
ma perché ‘fascista’. Forse ci si nasce, ma lo si può
divenire e lo stile è il viatico e lo specchio a
confrontarci. Annota Giulio Cesare come basti nella
propria tenda, a sera, prendere tavoletta e stilo e
incidere i caratteri di come s’è resa la giornata che
volge al termine. Mettersi in gioco – ‘l’eminente
dignità del provviso-rio’, scrive Brasillach ne La
ruota del tempo –, non mettere in gioco ciò in cui
si crede per cui ci si batte. Non aveva dichiarato –
e pagato con il sangue – Giuseppe Solaro come ‘I
ribelli siamo noi!’?…). Tutto lecito chiedersi se il
Fascismo fu idea esclusivamente mediterranea o
se, come propendeva l’amico Adriano Romualdi, un
‘fenomeno europeo’. Scindere la sorte e i contenuti
con il nazismo (operazione tanto ostinata e
sostenuta da Renzo De Felice). Io, però, ricordo
una mattina al bar con Mario Sannucci, già btg.
Lupo, e di un omino di solida fede comunista che,
però, raccontava come si trovasse al distretto
militare, a Roma, l’8 di settembre, non sapendo
cosa fare e come rientrare a Mirandola. Ecco
arrivare dei soldati tedeschi, ‘tutti al muro!’, un
sergente strappa loro le mostrine e ‘Andate via! Noi
combatteremo da soli anche per voi!’. Tutto lecito
strappare brani di Fascismo secondo il proprio
intendere e gusto – lo squadrismo irriverente e
caro all’amico Giacinto (e come si fa a non esaltarsi
BL 18 gagliardetti randelli pugnali e bombe a mano
su strade polverose e sterrate o davanti a sedi
‘sovversive devastate) o, magari ad alibi proprie
frustrazioni e miserie, quel ‘Socialismo fascista’ (e
come si fa a sottacere il filo rosso che unisce La
Carta del Carnaro alla Socializzazione, figure quali
Nicola Bombacci che grida, levando il pugno chiuso,
estremo atto di fede, ‘Viva il Socialismo! Viva
Mussolini!’ lungo la spalletta del lago di Como).
Tutto lecito, certo ma non quale premessa o
esclusivo luogo d’indagine pur condiviso con occhi
lucidi e trasognanti. In caso contrario, il Fascismo
diviene ‘la terra dei morti’ mentre, a noi, ci piace
citare Nietzsche quando avverte ‘Dove ci sono
sepolcri, là ci sono resurrezioni’. Pur consapevoli
come Fascismo e stile di vita non sono l’Arca di
Noè, pronta a imbarcare ogni specie di animali.
Aristocratici e selettivi, quanto basta. Fascismo
quale stile di vita, dunque, a vincere il tempo e le
circostanze. Aggiungerei, però, una sorta di
processo inverso. Lo stile conduce, con i suoi valori,
a rendere vicino il Fascismo. Chi avverte in sé la
forza di determinati canoni comportamentali, ne
sente fascino e richiamo, ad essi guarda e tenta di
viverli in sé è o sarà un ‘fascista’, anche quando
non vi si riconosce ne ignora termine e contenuti,
di più, prigioniero dell’oggi, vibra di sdegno al solo
sentirlo nominare… (In modo analogo lo scrittore
francese André Malraux affermava come un uomo,
al contempo d’azione e pessimista, è o sarà
fascista. Concordo: ho amato e, da giovane,
‘praticato’ l’attivismo e, in quanto al pessimismo,
da Nietzsche ho appreso quello attivo). Non si è
qualcosa e, a parte, si fa professione di Fascismo –
tutto o niente. Certo si può studiarlo approfondirne
le vicende gli uomini le idee farne critica e distinguo
o collezionare fotografie cimeli testimonianze
riempire scaffali di libri documenti riviste – l’arte
nobile dello storico si necessita e, da professore in
pensione, continuo ad amare le copertine l’odore
della carta stampata il mio studio-rifugio con la
bandiera della Kriegsmarine, bianca e la croce dei
cavalieri teutonici, le fotografie incorniciate di
Filippo Corridoni di Robert Brasillach, gli elmetti da
guerra della Wehrmacht. Ben sia così, ma non
s’insegni come ‘essere fascisti’. E’ altra cosa.
(Codreanu rilevava che i giovani, in tempi di
normalità, cercano esempi da imitare, in tempi di
lotta devono, però, essere essi stessi esempio. E
questi, mi sembra, sono tempo di lupi e di spade
da affrontare e non descrivere. Con gesti toni
istrionici e lacrimevoli). Recita un aforisma di
Nietzsche; ‘Dove c’è uno stile, là è passato un
Capo’. Il tempo eroico della guerra del sangue
contro l’oro non si è consumato con il 1945, le
rovine del bunker nella Berlino in fiamme, il
panzerfaust dei ragazzini in pantaloni corti e di
cuoio, le divise feldgrau e lo scudetto tricolore della
Charlemagne. Quella guerra è stata solo
l’immagine plastica a cui volgere lo sguardo con
animo stupito vivida la commozione sincera
adesione. Non basta. L’oro continua a esercitare il
mefitico suo imperio e il sangue ad essere versato.
Scegliere per non essere scelti. Con stile. Così
rendiamo ai morti l’Onore dovuto e, in comunione
con loro, in marcia. E me ne frego – nell’accezione
più compiuta ed ampia – chi sono i miei fratelli di
lotta, quali i camerati (compagni) di strada. Il
camerata Richard può ben oggi indossare il basco
che fu di Guevara o battersi tra le macerie di
Damasco…Il Fascismo è stile di vita e lo stile lo
cerca lo chiama lo fa suo, con o senza la camicia
nera.
La società
sessualizzata

Un dramma postmoderno

La società occidentale è ormai in piena crisi, schiacciata


in ogni sua espressione dal liberalismo, l’ideologia
dell’individuo, il cancro che uccide il mondo. La
conseguenza prima della totalizzante ideologia liberale
è la sconnessione totale tra le persone e qualsiasi
presupposto di natura comunitaria. Questo aspetto
chiaramente non fa altro che permeare come un veleno
all’interno del tessuto sociale, dissolvendolo a poco a
poco in ogni sua componente, tra le quali anche quella
erotica. Viviamo ormai in una società totalmente
sessualizzata, ovunque puntiamo lo sguardo veniamo
bombardati costantemente da tonnellate di simboli,
messaggi e quant’altro alluda al sesso nel senso più
materiale e bestiale del termine. La società
contemporanea è ormai il luogo in cui si assiste ad una
esasperazione dell’erotismo, che non risparmia
nessuno, poiché essa è martellante, totalizzante,
ossessiva; bambini, giovani, adulti e anziani sono
costantemente oggetto di un attacco che mina le
fondamenta della comunità. Dalla pubblicità ai
riferimenti culturali passando per la quotidianità, tutto
è grondante di allusioni sessuali, esplicite e non, che
oltrepassano spesso il limite della decenza. La
sessualità è certamente una componente fondamentale
della vita, poiché è il presupposto biologico della vita
stessa, e proprio su questo presupposto biologico,
istintivo, animale, fa leva il capitalismo, creando una
frattura violenta proprio nei valori componenti la
sessualità. Parlando di sessualità, dobbiamo
necessariamente parlare di comunità e di civiltà; poiché
l’una influenza l’altra e getta le basi per una costruzione
sociale più complessa. Fin dagli albori, la storia
dell’uomo si è eretta su una fondamentale struttura
sociale, quella della famiglia, ovvero l’archetipo della
comunità e quindi della civiltà. È pacifico dire che civiltà
significa anche mettere in secondo piano gli istinti
primordiali che ci caratterizzano biologicamente, per
addivenire ad una morale civile più alta ed altra, che
elevi la nostra vita al di sopra della “lotta per la
sopravvivenza” tipica del contesto animale. Questo
implica che il sesso sia concepito soltanto all’interno di
un contesto relazionale che aspiri all’immenso, che
abbia un perché, un obbiettivo ultimo che non sia
soltanto quello del mero godimento. Il dramma della
società liquido-moderna nell’ambito della sessualità e
quindi delle relazioni intime è che si è perpetrato uno
scollamento violento tra “sesso”, “eros”, e “agape”.
Questa violenta frattura creata dal sistema turbo
capitalista, a sua stessa misura, ha contribuito, insieme
ad altri molteplici fattori, a creare una concezione di
sessualità, ovvero quella della “sessualità-consumo”,
basata appunto sul consumo sfrenato, eccessivo dei
prodotti che il mercato ci offre in questo senso;
prostituzione, pornografia, zoofilia, pedofilia, e altre
oscene perversioni, tutto ad un certo punto può
apparire lecito, poiché la logica di questo modello di
sessualità, non è l’armonica qualità del rapporto che è
in essere nel “trinomio” sopra espresso, bensì è la
quantità consumata. Il sesso-consumo è come una
droga, ha bisogno di un costante aumento di dose per
riprodurre lo stesso effetto, lo stesso piacere materiale;
annichila le menti dei giovani e non solo, alimentando
lo sviluppo di “ipersessuali” che non sono capaci di
relazionarsi con il sesso opposto; ragazze sempre più
frigide e ragazzi sempre meno maschi che vivono in
ogni caso una sessualità malata, distorta, eccessiva, e
proprio nell’eccesso costante e duraturo, trovano il loro
piacere fisico, materiale. Un problema quindi di varia
natura, che investe molteplici sfere della vita civile; la
risoluzione di questo dramma postmoderno, passa
unicamente per la ricostruzione dello stato, ente unico
in grado di garantire alle generazioni future
un’educazione ben orientata verso i valori etici,
spirituali, sociali e civili che fecero grande il popolo
europeo, e dei quali si avverte, in questo mondo così
fluido e che sembra andare al contrario, l’assoluta
mancanza.

Andrea Brizzi
GLOBALIA

Historia est militia super terram.


“Vi sono tre categorie di professioni legittimate nel portare la
toga: il prete, il giudice e lo studioso. La toga rappresenta
l'integrità della coscienza di colui che la porta, la sua
imparzialità nel giudizio,la sua responsabilità escluvisamente
davanti a se stesso ed al suo Dio. Simboleggia la intima
sovranità di queste tre figure: queste dovrebbero essere le
ultime a cedere di fronte a delle pressioni e di agire fuori dalla
loro volontà[1]

Kantorowicz così si esprime, in evidente risposta differita


all'ostracismo di una america anticomunista che dopo averlo
accolto, transfugo, a seguito delle intollerabilità tedesche, lo
ricaccia nella difficile situazione di essere ebreo errante
nazionalcomunista. Kantorowicz, storico di quella
generazione nata dalle ceneri di Pirenne e che dopo essersi
acclimatata in America lascia all'Europa, che la aveva tradita,
la generazione dei (pur acuti) Ginzburg e Prosperi, si serve
di una metafora potente, tripartita e gerarchica. Cosa hanno,
in comune, le tre figure a cui Kantorowicz appioppa la toga?
Sono intermediari che inverano la gerarchia, che, ancora
negli anni sessanta del secolo scorso, è una appendice di
civiltà. Prete, giudice e studioso dirimono, dividono,
scelgono, selezionano, distinguono. Sono professioni che
fanno cernita di uomini (e di anime): dividono il mondo in
giusto e sbagliato, santo e peccaminoso, corretto e scorretto,
augusto e miserevole. Sono i colli della bottiglia della
violenza organica e razionale umana: tanto più l'umanità,
con il concettualizzare, incasellare e selezionare, facendosi
violenza avanza verso il ritorno all'Uno, tanto più sente che
la funzione di organizzare filosoficamente questa violenza
deve essere riposta su una professione. Come la società
medievale simbolizza il boia e rende una professione a suo
modo onorevole lo svellere teste, così la società già in
qualche modo moderna si sente in dovere di uniformare
questre tre professioni di “cernitori di uomini” in un unico
vestiario. Insieme alla professione e alla responsabilità, la
toga è il “regalo” della civiltà stessa: un mantello, una
protezione, una divisa. Qualcosa che rende queste tre
professioni intoccabili: non solo in ambito religioso, ma anche
civile. La società lascia ad individui specifici la funzione
sociale di correggerla dirimendo e distinguendo, e
contestualmente ne eleva il rango, sollevandoli dalla polvere
delle pochezze e rendendoli santi laici. Di questre tre
professioni la più ampia e la più responsabilizzata di fronte
alla società è lo studioso: esso non agisce su uomini o sui
loro comportamenti, ma sulle realtà in potenza, le teorie, e
stende tappeti su strade di cocci sconnessi o interrompe
sentieri che portano alla Verità. Egli prende dagli uomini ciò
che gli uomini sanno ma non sanno dire e dice ciò che gli
uomini dicono senza sapere di saperlo. Teorizzare,
concettualizzare è la vera missione che lo studioso ed in
particolare lo Storico deve assolvere. Lo storico come
studioso di un multiforme scorrere mai puntualizzato è, ipso
facto, LO studioso, se si parla di Uomo. Egli maneggia il
materiale dell'essere evocato nella più prosaica forma
biografica (nelle parentesi biologiche dell'uomo) fino ad
intendere i grandissimi sviluppi diacronici. Lo storico
armeggia in filosofia, in economia, in teologia senza
addentrarvicisi, con una necessaria ignoranza delle leve
profonde delle stesse discipline. Ma erchè questa
superficialità non sia un intralcio ma la sua stessa ragion
d'essere egli deve necessariamente aspirare al raccoglimento
di tutto questo sapere in grandi disegni: per loro natura
lacunosi, ma per loro virtù esplicativi. Se infatti “Intendere è
superare”[2], va da se che lo storico quando rifiuta, per
vigliaccheria intellettuale o per moda, di “Intendere”, vale a
dire di raccogliere, definire, dire l'ultima parola, non supera:
e se non supera, cioè non s'arrischia a tirare le fila di un
pensiero, di una riflessione, di un periodo, spesso non ha
compreso a fondo. Nella sera dell'epoca della
ultraspecializzazione lo Storico ha subito la fascinazione
finale di questo modello di “vigliaccheria gnoseologica”. La
tensione alla specificità e la rivincita delle competenze
tecniche su quelle ideali e totalizzanti ha trasformato il
coraggio della sintesi e il dono della filosofia storica
rispettivamente in faziosità e debolezza scientifica. Come se
le opere storiche classiche non fossero scientifiche, gli storici
per evitare facili accuse, in una era di attacco concentrico alle
scienze umanistiche, hanno non solo ristretto il campo di
veduta, pervenendo alla microstoria di un Ginzburg, ma
contestualmente si son rifiutati di dare letture, di dare
contezza, di risolvere criticamente le difformità nella realtà
che gli si paravano. Non volendo sono tornati a compilare
“Annales”, o a tirare somme di eventi ultraspecifici, che per
loro natura sono privi del gran respiro che hanno invece le
opinioni su grandi temi. Questi nuovi storici hanno lasciato
ad altri, spesso, la facoltà di speculare:
giornalisti,esperti,massmediologi. Figure che spesso
difettavano della completezza della formazione dello storico
e della sua naturale aspirazione all'Uno.
LA MICROSTORIA È UNA STORIA DI CLASSI LIQUIDE

Contrapposta alla grande Storia, quella che conchiude e


riassume e da letture ampie di fenomeni complessi, sta la
microstoria. La quale non è il metodo ed atteggiamento di
opere acutissime come “Il formaggio ed i vermi” di Carlo
Ginzburg, bensì il metodo e l'atteggiamento di chi, annotati
fatti e legami inerenti ad un determinato evento, per analogia
costruisce una narrazione (che è storia denaturata) che
risponde a semplici domande, quando va bene, e pruriti
ideologici, quando va male. Questo storicizzare è il rifiuto
della visione di insieme che sola da vera sostanza alla
“lezione” che la Storia può impartire all'uomo. Anche non
dovesse avere valore pedagogico,la Storia forma una
coscienza di popolo, che è in ultima analisi il rispecchiarsi in
fatti, collegamenti, direzioni già accadute e, confrontandole
con l'odierno, trarne le dovute analogie processuali. Una
storia minuscola, per quanto correttissima, perde di questa
facoltà di creare “coscienza”: ne crea una a misura di nano,
di tecnico, e non di Uomo,ne' di classe (o gruppo sociale). Se
la missione della storia illuministica era “educare il popolo”
alla ragione, di cui la Storia era il necessario dispiegarsi, e la
storiografia romantica s'è basata sulla formazione di una
“teoria nazionale” da regalare al popolo e alla patria[3], la
nuova storia in ritirata è una storia da specialisti per
specializzandi e spiluccatori, che non da ne' il brivido della
deduzione in grande stile ne' gli strumenti per carpire a
ritroso le reali implicazioni di una riflessione a tutto tondo sul
rapporto tra passato, presente e futuro. La Microstoria è,
quindi, la Storia di una fase di disarmo dell'intelletto umano.
La disgregazione della profonda etica di una storia “ad
populum” e la costruzione di una etica della “moderatezza”,
edificata sul senso di assoluta matematicità della verità,
hanno realizzato un panorama ideologico desolante, dove gli
oppressi, sia nella loro valenza internazionale che nazionale,
hanno poco o nulla di ampio respiro in cui rispecchiarsi. Se
non crea, non produce e non concettualizza, la Storia non
aiuta l'umanità di avanzare di un passo e lascia i rapporti
intellettuali così come sono. Anche la storiografia
conservatrice, elitaria e antipopolare, per l'eterogenesi dei
fini, crea una coscienza e palesa una distanza tra quel che
rappresenta e quel che la società sente che debba esser
detto. Il fallimento nel discorso sulla decostruzione
conservatrice della Rivoluzione Francese, ad esempio,
prodotto da Cobban, da Taylor e da Vovelle ha dato il La alla
sintesi di François Furet, che ha correttamente depurato Le
Febvre da certo economicismo. Questo nuovo “scrivere Di
storia” lascia i rapporti intellettuali tra massa e popolo, tra
culture diverse, tra sfruttati e sfruttatori esattamente dove li
ha trovati. Imperversano, infatti, in questi anni, le
conclusioni liquide: non una consona cautela sulla definizione
di concetti tagliati con l'accetta, ma la pavidità di non dare
nomi alle cose, di non tentare mai di lanciare il cuore oltre
l'ostacolo della complessità, appellandosi alla fluidità. Cos'è
dunque questa microstoria se non una storia reazionaria per
una società dalle classi liquide?

CONTRO LA MEMORIA E L'IMPARZIALITA'

Al fine di sfuggire alle catene che essa stessa si è forgiata ai


pedi, questa società inventa continuamente espedienti (non
rimedi, perchè transeunti e bisunti) per risolvere la
contraddizione che ha ucciso la complessità sana del fare
riflessione storica. Espedienti che sono maleodoranti, e che
alienano le funzioni dello Storico a processi altri, se non a
figure terze. Si sente, quindi, come panacea alla decadenza
del riflettere storico, il magnificare la “Memoria Storica”: un
irocervo intellettuale che le anime pie socialdemocratiche
non si sono degnati di mostrarci. La “Memoria Storica” è il
nuovo modo in cui la Storia (pare) si debba fare dal basso:
quello che una volta era deputato alla riflessione continuata,
adesso è appaltato ad associazioni, congregazioni, gruppi
settoriali che, adoperando strumenti non scientifici fissano
un punto sulla mappa del tempo e, dopo aver deciso chi e
come può ricordare, stilano una “Storia” facendo finta che la
“Memoria” sia oggettiva, sana e senza problemi. Ma la
“Memoria” è, invece, quanto di più soggettivo e passibile di
errore vi possa essere. Non tanto per la sua natura
unilaterale (e la somma di più unilateralità non fa MAI la
mutilateralità) e particolare, ma per sua stessa ammissione.
Il ricordo (la somma e la problematizzazione dei quali
dovrebbe costituire una “memoria”) è sempre “Il ricordo di
qualcuno”, limitato nel tempo e nello spazio e anche nella
autenticità, talvolta. Il Ricordo come unità della nuova storia
non può diventare l'unità se non di “memorie parziali”; che a
loro volta creano storia anguste e claustrofobiche, in cui non
c'è spazio per una problematizzazione radicale e completa di
un periodo, di un evento, di un personaggio, di una ideologia.
Il miraggio di fare una Storia che sia, nei suoi tratti finali,
nient'altro che una “memoria collettiva” fallisce nel suo
proponimento di unire. Infatti l'utilizzo del “ricordo” e della
“memoria”, nella società contemporanea, da sempre luogo a
narrazioni divisive, sia in senso politico che filosofico: la
retorica (o memoria) antifascista (col suo corollario di ricatti
morali), e la retorica anticomunista (col suo bagaglio di
“sentito dire”), altro non sono che i degni prodotti della
premessa filosofica alla loro base. Esse non sono una
“memoria collettiva”, una base sociale ed edificante, ma
soltanto una congerie di “memorie” e “ricordi” che, partiti
dalla unilateralità, dalla parzialità e dalla insufficienza
veritativa arrivano ad una Storia unilaterale, insufficiente e
parziale. Cosa, quindi, vale la pena ottenere da questo
baratto che ha dato la complessità, la naturalità e la
filosofizzazione della Storia in pasto alle liste di proscrizione.
Si dice che la Memoria, il ricordo, sarebbero imparziali perchè
semplice esposizione di fatti e non di riflessioni sugli stessi.
Sarà liberatorio dunque liberarsi dal dogma della
“Imparzialità imposta” rileggendo Trotskij: “Il lettore serio e
dotato di spirito critico non ha bisogno di una ingannevole
imparzialità,che gli offra una coppa di spirito di conciliazione
misto ad una buona dose di veleno depositata sul fondo, ma
gli occorre la buona fede scientifica che, per esprimere le
proprie simpatie ed antipatie, francamente e senza
mascherature,cerca di fondarsi su uno studio onesto dei fatti,
sulla dimostrazione dei rapporti reali tra i fatti, sulla
individuazione di quanto nello svolgimento dei fatti vi è di
razionale. Questa è la sola obbiettività storica possibile,
d'altronde del tutto sufficiente”[4] Questo baratto, quindi,
che ha divorato da dentro una Storia forse ideologica ma di
sicuro ampio respiro e ci ha reso una storia minuscola che
non edifica, non ci ha nemmeno garantito una parzialità
desiderabile. Non l'equanimità che trasforma la parzialità
dello storico come terreno di dibattito tra tesi aderenti alla
realtà, ma un astratto sentire prepolitico che muore ancor
prima di essere concepito, stante che ogni Storia è sempre
storia di interessi intellettuali.

UNA NUOVA STORIA PER UN NUOVO PATRIOTTISMO

La devastazione di questo bombardamento “buonista” la


vediamo ovunque, e si vede che tre soggetti sono scomparsi
dalla Nostra storia: le classi, la patria e la Storia.
Ripercorrendo a ritroso la nostra genealogia dell'errore non
ci riesce difficile capire il motivo di questa scomparsa. Questi
tre soggetti sono ampi, ariosi, difficili da maneggiare negli
spazi angusti e castrati che la nuova corrente della storia
pavida si è imposta. Ovunque si sciolgono le grandi
soggettualità che prima invece occupavano le redazioni e le
teorizzazioni storiche in monadi di facile comprensione, ma
che non traghettano la psiche dell'Uomo da nessuna parte.
L'individuo, il diritto, la forma, i santini moderni (diritti
umani, diritti sessuali,pruriti democratici) si sostituiscono ai
suddetti soggetti, lasciandoci privi di una vera “Storia patria”,
la quale è più e meglio di una agiografia puzzolente
dell'italianità, ma una riflessone cogente e continua su cosa
voglia dire essere italiani e come si realizzi davvero un
orizzonte nazionale. Colpendo alla nuca lo sciovinismo
abbiamo buttato via il bambino con l'acqua sporca. Invece di
decorticare la Storia dalla patina di agiografia e di
sciovinismo che vi si era appiccicata sopra, agli italiani (e agli
europei) hanno tolto il diritto di ragionare su di se',
identificando la Nazione con la sua parte cattiva (posto che
essi siano due corpi divisibili chirurgicamente e non aspetti
di una stessa essenza), e lasciando quindi sul campo soli con
le nostre miserie di colpevolezza. La “Religione della colpa”,
di cui la “Religio Holocaustica” è una confessione
maggioritaria ha distrutto la Storia, e il ragionamento sulla
stessa, ingessandoli e gettandoli a mare con il peso del
nazifascismo e del comunismo ai piedi. La teoria del “Male
assoluto”, dell'Ur-Fascismo e di altre amenità sono aspetti
teoretici e culturali di una dominazione esterna, militare e
culturale. E se è vero che, come abbiamo detto, ciascuna
storia è sempre storia di interessi intellettuali, e quest'ultimi
sono i paraventi filosofici di interessi materiali, lo scadimento
della Storia al degrado che abbiamo descritto, così pavido e
così insulso, altro non è se non la moda culturale della
dominazione neocoloniale sull'Europa, prima imposta
forzosamente e dopo assimilata. In questo quadro una
decolonizzazione della mentalità storica e del fare Storia è un
aspetto inscindibile da una lotta anticoloniale reale, che
abbracci anche la sfera culturale, e non solo quella materiale.
Esclusivamente in una storia ragionante e complessa,
rinnovata nella sua volontà categorica di tirare somme,
affettare in parte la realtà ed avere prospettive
filosoficamente e genuinamente parziali, senza illudersi che
esistano altri mezzi se non il metodo scientifico per
comprendere la realtà, solo questa Storia può offrire la casa
comune di dibattito in cui i nodi di Gordio della Storia
nazionale si possono sciogliere. Lo Storico quindi deve
tornare ad elevarsi sopra la misera comune, con un metodo
rigidamente scientifico e una grande teoria (o vestito di idee:
Ideen Kleid) che possa ristabilire il rapporto tra passato,
visione complessiva e problemi reali. Lo storico è, pertanto,
un militante. Non di un partito, ma di una ideologia (quale
essa sia), che ne informi la visione del mondo e che lo porti
ad un vaglio critico della realtà, volto tuttavia non solo (o non
tanto) alla correttezza, ma alla sicurezza che fare Storia è,
soprattutto, concettualizzare, dirimere, comprendere e
superare, donando.

Lorenzo Centini

[1] Ernst Kantorowicz, “The fundamental Issue: documents and marginal


notes on the university of California Loyalty oath”, 1960

[2] George W. H. Hegel, citato in “In memoria del Manifesto” di Arturo


Labriola,1895

[3] La tesi di Frederick Jhon Teggart in “Theory and process of


History”,1918

[4] Leon Trotskij, prefazione alla “Storia della Rivoluzione Russa”,1930


FARE FRONTE

Pensiero e politica
Sono molti i compiti che la politica e i singoli cittadini
possono prefigurarsi per rinnovare, ribaltare e ricostruire le
radici del nostro paese. Quello che pare più lontano, perché
avulso dal sistema di idee e dalla logica del nostro tempo, è
ciò che concerne il pensiero. Un pensiero che ha oramai
perso il linguaggio della politica, e una politica che ha perso
la logica del pensiero: del resto nel mondo in cui tutto è
ridotto alla pura funzionalità, che significato e quali
“risultati” può ottenere il pensiero, visto come una perdita
di tempo, fine a se stessa, un’elucubrazione mentale non
più degna della nostra epoca? E’ fondamentale, perciò,
cercare di riappropriarsi del pensiero politico, o meglio, di
un pensiero politico autentico. Continuare a distogliere lo
sguardo dal quadro generale della politica significa
disinteressarsi non solo del bene comune, ma anche di noi
stessi. Volgere l’attenzione al particolare, al locale, al
microcosmo della nostra vita quotidiana, singolare e
immediata, ci porta non solo a considerare che la gran
parte dei nostri problemi, con la loro soluzione, abbiano
carattere locale, ma soprattutto neghiamo che tali ostacoli
alla nostra realizzazione abbiano radici, carattere e natura
politici. L’uomo odierno è rimasto oppresso dalla profonda
delusione nei confronti della vita politica degli ultimi anni e
ne ha dimenticato le potenzialità. Per giunta si è anche
dimenticato che ogni nostra singola azione,pensiero e
discorso ingloba e presuppone una particolare concezione
del mondo, una concezione che è politica, e la quale,seppur
inconsapevolmente, coincide con la concezione politica del
mondo in cui viviamo: non è un paradosso che l’ideologia
del nostro mondo contrasti e lobotomizzi il pensiero politico,
che ha di mira l’universale, la comunità, la grandezza del
tutto, ma sia in pieno accordo teorico con le azioni e le
convinzioni dei singoli che mirano all’utile individuale, al
bene immediato e fugace, con chi si chiude nelle mura di
casa,distaccato da qualsiasi relazione sociale,con chi se la
tira in tasca l’un l’altro, con chi pensa a sé e non alla
collettività. Questo è il mondo politico cui siamo immersi,
che è politico solo apparentemente, non curandosi della
comunità; e consapevolmente o meno, chi separa la
quotidianità dall’ambito politico, e si volge solamente alla
sfera individuale, ne legittima la sua più profonda esistenza
e conservazione. Staccandoci da tale canovaccio, non
dobbiamo perciò solamente ritornare alla politica, perché
come già detto la stiamo facendo e pensando male, ma
tornare ad un pensiero politico consapevole, un pensiero
politico autentico, che è il vero pensiero, che abbia di mira
l’universale, la comunità e il suo bene.

Leonardo Masi
EOWYN

Appello ai Patrioti
Citando un film di qualche anno fa, “sono tempi duri per
i sognatori”, ma lo sono ancora di più per noi menti
rivoluzionarie, derubate e spogliate dell’imprescindibile
materiale umano su cui erigere le cattedrali che da
tempo costruiamo nelle nostre teste. Il caro ideale
rimane inevitabilmente sepolto sotto il peso del
chiacchiericcio, della mediocrità degli scopi, della
meschinità delle pulsioni, delle sconfitte della coerenza.
Ciò che resta è la frustrazione di non essere capiti.
Similmente all’albatros di Baudelaire, le nostre ali sono
troppo maestose, spesso terribilmente pesanti, e
finiscono col rendere goffo anche il nostro pensiero, per
quanto non manchino gli sforzi, spesso eroici, di
tradurre in prassi una teoria che fatica a farsi regola.
Uniti nella lotta contro il liberismo, divisi nel metodo:
ecco chi sono gli ultimi avanguardisti di un XX secolo
che stenta a morire del tutto, nonostante le sirene del
nuovo millennio abbiano provato strenuamente a
irretire e soffocare una Storia che prepotentemente
rifiuta di farsi polverosa e immobile memoria. La
rivoluzione divampa ogni qualvolta uomini e donne di
buona volontà reclamino a gran voce l’unico diritto
inalienabile di ogni essere umano: un “socialismo
nazionale”. Al momento però questa richiesta è ancora
un moto irrazionale, un’onda spirituale che muove le
masse alla ricerca di quelle risposte che il “ricco“
Occidente liberale, decadente nel corpo come nello
spirito, non è riuscito a dare. Dovremmo essere noi,
intellettuali e militanti, comunisti e fascisti, Rossi e Neri,
gli unici e veri interpreti di uno straordinario e fecondo
presente, che però rischia di sfuggirci dalle dita perché
ancora troppo impegnati a evocare i fantasmi del
passato. Non lasciate che l’aderenza nostalgica a una
guerra che non abbiamo combattuto ci distragga
dall’ultima battaglia che merita di essere vissuta e
vinta: quella contro il liberismo e la sua sudicia bandiera
a stelle e strisce! L’Italia ce lo chiede, la Storia lo esige:
contro il globalismo e la narrazione liberal-capitalista,
Socialismo Nazionale avanguardia d’Europa!

Federica Florio
ELEGIA
All’amato me stesso

«A Cesare quel che è di Cesare, a


Dio quel che è di Dio». / Ma uno
come me dove potrà ficcarsi?

Dove mi si è apprestata una tana?

S’io fossi piccolo come il grande oceano,

mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l’alta


marea, accarezzando la luna.

Dove trovare un’amata uguale a me?

Angusto sarebbe il cielo per contenerla!

O s’io fossi povero come un miliardario? Che cos’è il


denaro per l’anima? / Un ladro insaziabile s’annida in
essa: /all’orda sfrenata di tutti i miei desideri

non basta l’oro di tutte le Californie!

S’io fossi balbuziente come Dante o Petrarca...

Accendere l’anima per una sola,

ordinarle coi versi.. Struggersi in cenere. E le parole e


il mio amore sarebbero un arco di trionfo:

pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero


sotto le amanti di tutti i secoli.
O s’io fossi silenzioso, umil tuono... Gemerei
stringendo con un brivido l’intrepido eremo della
terra...

Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa.

Le comete torceranno le braccia fiammeggianti,

gettandosi a capofitto dalla malinconia.

Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti

s’io fossi appannato come il sole...

Che bisogno ho io d’abbeverare col mio splendore

il grembo dimagrato della terra?

Passerò trascinando il mio enorme amore

in quale notte delirante e malaticcia?

Da quali Golia fui concepito

così grande, e così inutile?

Vladimir Majakovskij
Cono di nebbia

Cono di nebbia orizzontale

vertice fitto

labile base

che si tuffa nella direzione

delle nostre speranze.

La fermata è immersa nella foschia

una cittadina del genere

è fatiscente e squallida nella foschia

che si aggiunge alla mia.

Gabriele Napoli
Islam

Particelle di vetro cocente

Freddo alla sera.

Stagnante Dei e guerrieri.

Ansia di rivolta

dalla fronte sudata dei figli dell'Islam.

Silenzi assordanti per ampliarne gli spazi.

Ascesi nei suoni di guerra,

Spazio sordo all'ampliarsi.

Aria di rivoluzione.

Guerrieri di Dio,

Particelle di vetro cocente

Freddo alla sera.

Marco Braccini
Figli dispersi

Siamo i figli dispersi di una generazione scomparsa,

invisibile, muta di strepiti feroci.

Una generazione prosciugata anzitempo

scomparsa tra le pieghe di cristalli liquidi

per recuperare quelle scintille perdute

dovremmo fare salti, balli, capriole,

cerimonie telluriche, dovremmo partecipare alle


esecuzioni, a pubblici esercizi di morte

vissuta nel privato / innanzi a tutti

a squartamenti di piazza.

Dovremmo cavalcare gli ultimi

raggi lunari all'alba, nel fragore della città

che sale mentre si dissipano

nel rinnovato chiarore ottenebrante

del giorno che ancora, sia dannato

da Dio, ritorna irremovibile, perpetuo

come le ninfee degli stagni

nei parchi cittadini,

con i muretti crepati e i pesci impazziti

dovrò dare immagini eloquenti

di apocalissi imminenti
per scongiurare di nuovo quel che sarà

per rinnegare quel che è stato;

Tu non conosci chi porta al braccio

la fascia imperiosa, il nastro dorato

per i regali odiati di un Natale mortuario

ed io nemmeno. / Toccherà a noi, i più fortunati

di essere costretti, su cornicioni

a raccontarci storie paranoiche

Ci aspetterà l'inverosimile.

Aspetteremo pazienti come Odisseo

il giorno della nostra rivincita;

ma per adesso attendiamo ansiosi

in una sala fredda e senza sedie

in questo mondo invernale

la mano del Fato da baciare,

in questo periodo gelido in cui ci riscaldiamo

toccandoci le guance con mestizia

& diffidenza guardandoci le labbra meravigliati

senza baciarci mai, per non dare origine a qualcosa


d'ineterno.

Gabriele Napoli
Nebbia

Lungo un viale sbiadito


Passeggiano anonime
Due persone,
di grigio vestite.
Si ode il suono
Del fiume, di fianco,
nascosto e scordato.
Poco lontano
Troneggia l’ombra antica
Di un ponte,
sul niente,
inghiottito in una gola densa,
di suggestivo infinito sapore.
Il sole gioca triste,
ad un nascondino
mal voluto,
e tutto intorno
è una vecchia foto;
uomini,
alberi,
case,
bestie,
immortalati in un eterno
bianco e nero.
Lungo il viale
Passeggiano ancora i due;
due amici, due amanti forse,
figure anch’esse sbiadite,
camminando, a poco a poco sparendo
nell’ignoto incerto
della nebbia.
Metafora fin troppo vivida
di una vaporosa modernità.
Andrea Brizzi
DEUS VULT

Le Origini Esoteriche del Mondialismo

Seconda Parte - Segue da "Vexatio Stultorum del


numero scorso)

A proposito di presenza in tutta Europa di comunità


ebraiche, non si può non essere colpiti dal fatto che per
tutto il Medioevo, in ogni parte d'Europa, ci furono
processi, o pogrom a furor di popolo, perchè gli ebrei
venivano accusati di rapire bambini, per sacrificarli in
Olocausto nei loro riti. Certo, accuse infondate basate
sull'antisemitismo dei Cristiani, ma la diffusione
geografica e temporale del ripetersi di queste accuse fa
riflettere. Le ricchezze ottenute tramite il prestito del
denaro e l'usura li rendevano utili ai potenti ed invisi ai
deboli, ed anche nel Rinascimento, il periodo di maggior
efficienza della Santa Imquisizione, nelle Città d'Europa
i figli di Abramo vivevano in appositi ghetti, quando non
erano perseguitati e costretti all'esilio. Ma facciamo un
passo indietro...
All'inizio del quattordicesimo secolo, persi i territori
della Terra Santa, l'Ordine dei già citati Cavalieri del
Tempio di Gerusalemme, ingombrante e potente come
forza economica e militare, viene messo fuori gioco, con
le accuse più nefande, dalla pratica della magia alla
sodomia, fino all'accusa di blasfemia sui simboli
Cristiani ed alla adorazione di gatti neri e di strani idoli.
In quanto eretici, secondo le leggi, perdevano il diritto
ai crediti che potevano esigere verso il Papato ele
Corone di tutta Europa, tutti più o meno indebitati con
loro. I membri dell'Ordine vennero arrestati e torturati
in molte parti d'Europa, come in Francia, da cui erano
partite le accuse, in Spagna e in Italia, mentre in altre
zone, come in Germania, essi si opposero agli arresti
minacciando di scendere in campo in armi, cosa che li
salvò, mentre altrove furono protetti dai regnanti, come
successe in Portogallo. Altrove, come in Georgia e nei
cantoni della futura Svizzera, paesi che li ricordano nelle
poro bandiere Nazionali, chi più chi meno apertamente,
si riciclarono come Truppe di Elite, contribuendo alla
nascita di quelle Nazioni; Nella battaglia di Sempach,
che vide i montanari Svizzeri sbaragliare l'esercito e la
cavalleria Austriaci, pare siano intervenute misteriose
schiere di Cavalieri ammantati di bianco, perfettamente
armati ed addestrati; che la tradizionale riservatezza ed
efficienza delle Banche Elvetiche affondi le origini in
questi tempi? Chissà.. Certa è invece, negli stessi anni,
la partecipazione di un reparto di Cavalieri Templari,
ormai interdetti, al fianco del re di Scozia contro gli
Inglesi, nella vittoriosa battaglia di Bannockburn.
Tutto questo per arrivare alla costruzione della nota
cappella di Rosslynn, in Scozia, un Tempietto che
trasuda simboli e architetture di un nuovo sodalizio
iniziatico, i Frammassoni, che affermavano di detenere
le chiavi della Geometria Sacra e di essere gli eredi dei
costruttori delle grandi Cattedrali Gotiche, di cui
usavano ritualmente gli attrezzi e la terminologia. Nei
loro rituali, si rifacevano alle conoscenze esoteriche dei
Rosa Croce, dell'alchimia e della Quabbalà Ebraica,
affermando di voler vendicare il tradimento e la
persecuzione dei Templari e del loro ultimo
Maestro,Jaques de Molay, arso sul rogo dal Re di
Francia, Filippo il Bello. Da qui in poi, le consorterie
massoniche, spesso evidentemente infiltrate da menti,
idee e simbologie Giudaiche, sono presenti dietro ogni
sommossa di popolo, dietro ogni Rivoluzione, dietro
ogni libertario bagno di sangue, che ha portato ad
abbattere dei legittimi Tiranni, per sostituirli con regimi
sanguinari capeggiati immancabilmente da portatori di
grembiule di pelle di agnello; qualche esempio? George
Washington, Benjamin Franklin, Napoleone, Voltaire,
Camillo Benso di Cavour, Mazzini, Garibaldi, ma anche
Trozky, e Lenin, per arrivare al progetto operativo di
mondializzazione forzata, il New World Order, altrimenti
definibile piano Kalergi, dal nome del suo ideatore,
massone anch'egli, neanche a dirlo, portato avanti da
spietati individui, seduti nei consigli di amministrazione
delle grandi Banche e delle Multinazionali che fagocitano
non solo le economie, ma il futuro stesso di interi popoli.
Volendo tornare sul significato della parola Olocausto, è
curioso notare che, negli anni successivi alla prima
guerra mondiale, mentre Richerd Coudenhove-Kalergi
scriveva L'Idealismo Pratico, vera bibbia del
Mondialismo, sui giornali statunitensi apparivano
articoli che parlavano di "sei milioni di ebrei europei in
pericolo", lo stesso esatto numero emerso dalla
contabilità delle vittime della Shoà. Un Olocausto,
appunto, che ha avuto, come conseguenza diretta, la
improcrastinabile fondazione dello Stato Ebraico, al
quale sono state concesse e tollerate azioni che ad altri
sarebbero costate l'isolamento se non la guerra, vedi i
territori Occupati o l'affondamento della USS Liberty.
Ecco, in estrema sintesi, la genesi del male Pluto-
Giudaico-Massonico, ora Comunista, ora Capitalista,,
che attaglia e plasma il mondo moderno, a cui noi (per
citare Evola) ci ribelliamo.

David Valori
Vexatio
Stultorum

Sentimentalismo Religioso:

“Hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas. “


Giovenale

Attenzione, attenzione! In concomitanza con l’ avvenuta


rivoluzione dottrinale di Sua Sant… di Francesco, Vescovo di
Roma, dicasi El Papa della Chiesa-ancora-quale-non-si-è-
capito, vogliamo attirare lo sguardo dei nostri amati lettori
su una vexatio che va tanto di moda nel nuovo mondo
pauper-chic e easy-cath: il sentimentalismo religioso.Niente
a che vedere con le soap opera americane o le telenovelas
argentine, che possono piacere o meno, neppure ci
soffermeremo su aspetti prettamente canonici e dogmatici,
bensì cercheremo di mettere luce su una sfumatura tanto
particolare quanto decisiva per chiunque si dichiari fedele
cristiano cattolico. Questo breve estrapolato dal «Dizionario
di Teologia Dommatica» (1952, Piolanti, Parente, Garofalo,
Editrice Studium Roma) spiega con relativa semplicità come
si può arrivare all’eresia (materiale o formale) ed allo scisma
(o atteggiamento scismatico) attraverso il sentimento. Alla
luce dei fatti, si può sostenere che oggigiorno il
«sentimentalismo» sembra aver causato numerosi “piccoli”
scismi all’interno della Chiesa, tante eresie, di fatto provando
a minare l’Unità e la Santità della Chiesa stessa, in contesti
più o meno vasti. Tuttavia, laddove non ricorrono le note
distintive (una o più di una) che caratterizzano la Chiesa,
ovvero Unità, Santità, Cattolicità, Apostolicità, lì c’è un
problema che, nella storia, all’occorrenza, abitualmente i
Pontefici (e/o i Vescovi – Chiesa docente) hanno sanato,
talvolta tempestivamente, altre volte nei tempi comunque
necessari ed opportuni ad evitare il divampare di eresie e
scismi. Si sa che al cane disobbediente bisogna tirare una
bastonata “nel groppone”.

Unità e Santità. L’Unità della Chiesa implica la professione


della stessa Fede, a cui si oppone l’eresia (negazione di una
verità rivelata e definita); la partecipazione agli stessi
Sacramenti, a cui si oppone il peccato (contro l’Unità della
Grazia data dai Sacramenti); la sottomissione alla stessa
Gerarchia legittima, a cui si oppone lo scisma. Le Encicliche
«Satis Cognitum» (Leone XIII), «Mortalium Animos» (Pio XI)
e «Mystici Corporis Christi» (Pio XII) spiegano l’Unità della
Chiesa. La Santità della Chiesa, come l’Unità, è triplice. La
Santità dei principî, ovvero la Chiesa è dotata di mezzi che
sono atti a produrre santità negli uomini (Magistero,
Ministero, Autorità); la Santità delle membra, ovvero il fedele
che vive santamente (osservando il Magistero, ubbidendo
alla legittima Gerarchia, etc…) e/o chi segue i santi consigli,
generalmente «raggiunge le alte vette dell’eroismo»
(canonizzazione); la Santità dei carismi, ovvero il dono dei
Miracoli (veri, definitivi) con i quali lo Spirito Santo manifesta
la sua presenza nella Chiesa (in tutto il Corpo Mistico), come
in alcuni membri particolarmente virtuosi (anime più care a
Dio, in via ordinaria usate «per operare meraviglie»). Non
esistono veri miracoli nelle false religioni. Eresie, peccati e
falsi carismi, ovviamente, sono opera del maligno per
“attentare” alla Santità della Chiesa.
Il Sentimento religioso. Secondo il citato Dizionario, alcuni
«ritengono che il sentimento deriva da una facoltà affettiva
o emotiva distinta sia dalla facoltà volitiva (motiva) sia dalla
facoltà percettiva-intellettiva; altri riducono i sentimenti a
«moti e fenomeni psicologici»; infine altri ne fanno «delle
funzioni rappresentative o intellettive». La teoria scolastica
formulata dall’Aquinate (amico Tommy n.d.r.) sulle tracce di
Aristotele: «nonostante l’antichità, presenta le migliori
garanzie di verità» (ivi.). Nell’uomo, quindi, ci sarebbero
«due sole facoltà psichiche: la conoscitiva e l’appetititva»,
ognuna delle quali può essere sensibile o soprasensibile
(quindi spirituale). Dice ancora: «Si ha quindi la zona
sensitiva con gli organi sensori, le sensazioni e le passioni,
che appartengono insieme al corpo e all’anima che lo
informa. Da essa si passa alla zona spirituale, in cui
funzionano intelletto e volontà, che sono facoltà immateriali.
Propria delle facoltà sensitive è la sensazione, che da
impressione passiva del mondo esterno sui sensi diventa
percezione dell’oggetto e sua rappresentazione (fantasma –
immagine), cui corrisponde nella facoltà appetitiva il
movimento verso l’oggetto percepito, ossia quell’impulso
accompagnato da emozione fisica, che suol chiamarsi
passione (amore, odio, gioia, tristezza ecc.)». Quale
spiegazione poteva meglio disegnare il movimento verso
l’oggetto percepito, ossia quell’impulso accompagnato da
emozione fisica? Ancora: «Come l’appetito sensitivo ha le sue
passioni subordinate alle rappresentazioni sensibili, così
l’appetito razionale o volontà ha le sue affezioni subordinate
alle rappresentazioni intellettive (concetti-idee). Tra queste
affezioni della volontà va collocato il sentimento, il quale pur
risiedendo in una facoltà spirituale, come la volontà, ha
ripercussioni nella zona sensitiva e, a somiglianza della
sensazione, ha insieme carattere passivo e attivo, in quanto
può dirsi impressione ordinata ad una azione» (ivi.).
Il Sentimentalismo. Spiega il Dizionario: «Indefinita è la
gamma dei sentimenti, che ha alla base l’amore». Per
esempio, il sentimento religioso «nasce dalla conoscenza di
Dio Creatore, che ispira all’uomo umile soggezione,
adorazione, timore, soprattutto amore». Secondo la dottrina
cattolica, il Magistero, «il sentimento religioso non precede,
ma accompagna e segue la conoscenza di Dio ed è energia
preziosa per lo sviluppo della pietà e della perfezione
spirituale». Il sentimento, dunque, non può precedere la
conoscenza di Dio, che noi abbiamo correttamente illustrata
dal Magistero della Chiesa, ma deve seguire la guida (Chiesa
docente) che opera per la santificazione dell’uomo così come
abbiamo visto in precedenza (insegnamento, Sacramenti,
governo, etc…). Purtroppo dal dannato Luteranesimo in
avanti, «il sentimento è diventato per molti l’unica o la
principale fonte della religione ridotta a una semplice
esperienza psicologica individuale». Questa «esperienza
religiosa» è oggi, dal comune fedele (sovente ignorante, in
buona o cattiva fede), «elevata a criterio di conoscenza e di
vita etico religiosa». Adesso è opportuno far capire meglio,
cito un caso concreto. Per esempio si sente dire: se non vai
a Medjugorje non potrai mai capire le sensazioni,
l’atmosfera, ci sono i miracoli (sono definitivi e riconosciuti
dalla Chiesa?), ci sono le conversioni (in che senso? Il
“convertito” crede nella Chiesa o in Medjugorje? Conosce il
Credo commentato? I dieci comandamenti commentati? Il
Catechismo? È una conversione o è un principio di
conversione, che può avvenire ovunque quando Dio vuole?),
etc … indifferenti a tutte le condanne ivi comminate dalla
Chiesa, freddi alla guida della Chiesa Ecco concretizzarsi «il
superamento della conoscenza di Dio», che noi abbiamo
correttamente illustrata solo dal Magistero della Chiesa
(eresia materiale o formale); ecco la sovrapposizione
dell’«esperienza religiosa» al Governo della Chiesa (scisma o
atteggiamento scismatico). Con carità dobbiamo saper
spiegare ad un fratello in errore perché sbaglia. Ecco a cosa
serve l’erudizione in materia (non serve a pavoneggiarsi o ad
aggredire ostentando verità n.d.r.). Questo atteggiamento
provoca «tutte le aberrazioni di cui è capace il sentimento
cieco, individuale, subcosciente, non disciplinato della luce e
dalla forza della ragione». Per conseguenza «riduce la
religione ad un capriccio psicologico, rinnegando, insieme
con la dignità dell’intelletto, la personalità stessa di Dio, il
fatto storico della Rivelazione [es. si nega, di fatto, che la
guida è la Chiesa docente, a favore della Chiesa discente che
è invece suddito, gerarchicamente inferiore.], e tutti i fatti
esterni religiosi, che si impongono alla coscienza e non
derivano da essa» (ivi.). La Chiesa ha rigettato questa
tendenza condannando nel Concilio di Trento il Luteranesimo
ed il Modernismo poi (cf. Pascendi Dominici Gregis, san Pio
X e Humani Generis, Pio XII). Il fondatore della «teologia
sentimentale», adottata come criterio di vita da molti fedeli
contemporanei (spesso ignari a causa della carente cultura e
pericolosa formazione delle loro guide), è Schleiermacher.
Conclusione.Conclude il Dizionario: «il sentimentalismo
psicologico, esagerazione del semplice sentimento, sul
terreno religioso è anarchia e smarrimento dello spirito, che
s’avvia inconsciamente verso il Panteismo e l’Ateismo». È
ovvio, poiché, come dimostrato, se il fedele (Chiesa discente)
si pone, anche “in buona fede”, al di sopra dell’Autorità
(Chiesa docente), o nella materia della docenza o nella
materia dei sacramenti (e/o sacramentali) o nella materia del
governo, non può esserci altro che anarchia celata nella
«fede sentimentalista», con le logiche conseguenze a cui
conduce. Difatti, per concludere, o si crede realmente nella
Chiesa dotata di Unità, Santità, Cattolicità, Apostolicità, o si
crede in altro, poiché sono due fedi differenti. In una normale
condizione di giurisdizione nella Chiesa, i prodotti della
«teologia sentimentale» all’interno della Chiesa sono stati
sempre arginati sul nascere con misure di Governo adeguate.
Giustamente, chi ha le mani impastate in cronaca cattolica,
noterà subito che questo “sintomo” di ambiguità religiosa è
ampiamente diffuso, tanto da portare il cosiddetto numero
dei credenti a cifre degne di annuari, senza però avere un
riscontro nella pratica sacramentale, devozionale ma
soprattutto non cala la ignoranza in materia di Fede
(conoscenza del Magistero, della Parola di Dio, delle sante
Leggi della Chiesa, della morale, della storia, ecc.). Il
risultato è un fanatismo sensazionalistico, dove la Fede è
prêt-à-porter, la pratica si riduce a ciò che piace e non ciò
che si deve, la prima trovata di marketing fideistico
acchiappa anime come il miele con le api, cadendo nella
esaltazione plateale e idolatrica del Very-Important-Christian
del momento. - Attenti, cari amici, a non cadere nella
Vexatio!

Lorenzo Pacini

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