(da Il vostro ordine e il nostro disordine, conferenza tenuta il 15 marzo 1896 a San
Francisco)
E a Roma a Roma
ci sta un papa
che di soprannome
si chiama Pio Nono
Lo butteremo giù dal trono
dei papi in Roma
non ne vogliamo più (2 vv.)
E a Roma a Roma
suonavan le campane
piangevan le puttane
gh'è mort al puttanè
Lo butteremo in una pignatta
o brutta vacca
buon brodo ci darà (2 vv.)
O popoli fratelli
Oppressi da mill’anni
Oppressi da mill’anni
Buttate giù i cancelli
Scacciate i re tiranni
Scacciate i re tiranni
Mai più sui troni siedano
Imperatori o re
Mai più sui troni siedano
Imperatori o re
La fine dell’800 e il primo decennio del ‘900 vedono gli ideali anarchici e
socialisti diffondersi e prendere piede. Assieme alla grande miseria e ai
clamorosi scandali dei governi liberali, la Chiesa Cattolica, con la sua presenza
capillare nel territorio italiano, sembra costituire uno dei baluardi che si ergono
a frenare la gloriosa marcia di liberazione del proletariato. Anche in questo
periodo sono peraltro numerosi gli scandali legati alle curie e ai prelati nei quali
viene coinvolta molto spesso la … popolazione infantile. La Francia espelle i
sacerdoti e le monache e anche in Italia si
invoca un provvedimento simile. Che non
verrà mai.
La polemica anticlericale vede
all’avanguardia anche il giovane Filippo
Turati e non c’è canto anarchico e
socialista che non proclami di far “guerra
ai palagi alle chiese” e auspichi che
“presto i dì verranno/ che papa re e
signori/ coi birri lor cadranno/ per man
dei malfattori”.
Nasce L’Asino ma tutta l’Italia vede
sorgere testate a forte carica anticlericale.
Su L’Asino, aiutato dai violenti disegni di
Galantara, Podrecca inchioda preti, suore,
frati. E lo fa anche con le canzoni, alcune
delle quali diventeranno popolarissime. E con esse gli epigrammi di Stecchetti,
del Giusti e di Renato Fucini. Anche il mondo contadino vede nascere contrasti
con il clero perché quest’ultimo è proprietario di molte terre. Insomma in
questo periodo si tocca il punto più alto della lotta anticlericale.
ALESSIO
Pal che si vadi a Roma eh, Neri ?
NERI
Pare.
Arméno 'n der giolnale c'era scritto.
Io. pel me, mi ci filmo: o che vo' fare?
D' artronde tutti diano: S'ha 'r diritto!
Ma che 'r Papa si lasci sputestare
Di tutta la su' robba e stare zitto,
Sbaglierò, ma mi pal che 'un possi stare ;
Prima di cede', lui fa peso ritto...
ALESSIO
Ma cosa voi rizza' ? se va 'r Ciardini,
'Li mangia li zuavi 'n du' bocconi ;
Rabbiosi 'ome lui ce n'è poini.
E po'.... bell'omo... sverto ... co' su' sproni....
Se fa tanto d'entra' drent' a' 'onfini,
'Ni spelpera, Dio prete, anch' e' piccioni.
CURATO. Figliole ?
AGATA. O che sarà questo fottio?
CURATO. Nulla, donnine mie, nulla di male.
GIGIA. Reverendo, si felmi...
CURATO. Ho furia, addio.
(Renato Fucini Sonetti, XXIV, La mattina der 20 Settembre 1870 in via l'Arancio. Firenze, 1870)
Bruceremo le chiese
Non abbiamo informazioni sull’origine di questa canzone né sul suo autore. La melodia
è un collage di motivetti preesistenti e conosciuti dal popolo. Il testo ha un evidente
tono sarcastico – come si deduce dallo strumento utilizzato per ‘impiccare il Papa-Re’
– volto a mitigare la crudezza truculenta dei concetti espressi nelle strofe. È
interessante notare come il tema anticlericale, di rivolta contro l’ordine imposto dalla
Chiesa e dal Papa-Re, si leghi al tema della ribellione contro ogni ordine sociale nel
nome della libertà: il motto garibaldino “O Roma o morte” si lega all’anarchico “O
libertà o morte”. Altrettanto interessante è anche il testo della ultime strofe, dove la
figura di Gesù Cristo viene
anacronisticamente arruolata nei
ranghi del socialismo solidaristico e
popolare, in contrapposizione alle
figure clericali, nel tentativo di
separare le responsabilità del
profeta del cristianesimo da quelle
della gerarchia ecclesiastica.
Rivoluzione sia,
guerra alla società
piuttosto che vivere così
meglio morire per la libertà.
E il Vaticano brucerà
e il Vaticano brucera
e il Vaticano brucerà
con dentro il papa!
E se il governo si opporrà
e se il governo si opporrà
e se il governo si opporrà
rivoluzione!
Rivoluzione sia
guerra alla società - la società
piuttosto che vivere così
meglio morire per la libertà
…eretici da sempre''
Pietro Gori: GLI ANARCHICI
Chi sono i socialisti
anarchici?
Se lo domandate ad un
poliziotto, costui vi
risponderà: “Gli anarchici
sono dei malfattori”. Se lo
domandate ai padroni che
pur vivono alle spalle di voi
lavoratori, senza lavorare,
costoro risponderanno che
gli anarchici sono degli
scansa fatiche, della
gente che non ha voglia
di lavorare! Se lo domandate infine agli uomini seri e pratici vi diranno, con uno
sforzo di benevolenza, che gli anarchici sono matti da legare.
E i governi, monarchici o anche repubblicani, danno ragione a codesta gente e
mandano i socialisti anarchici a popolare le prigioni e ad insanguinare i patiboli. Che
importa?
Chiunque è interessato a difendere privilegi non può essere giudice imparziale di
uomini che hanno per grido di guerra l’abolizione di ogni privilegio e di ogni forma di
sfruttamento.
I socialisti anarchici vogliono l’uguaglianza, ma quella vera, non quella bugiardamente
proclamata dalle leggi e brutalmente smentita dalla realtà dei fatti sociali. La
uguaglianza sociale non sarà possibile se non allorquando tutti gli uomini saranno in
possesso delle terre, delle macchine e di tutte le altre fonti della ricchezza, e fino a
che codesta ricchezza, che è il prodotto del lavoro di tutti, non sarà posta in comune a
tutti.
Questo è il comunismo. Secondo il principio tutti per ciascuno e ciascuno per tutti, in
contrapposto alla egoistica morale borghese del ciascuno per sé. Dalla associazione
dei beni e delle forze di tutti deriverà l’associazione dei cuori e si svilupperà
spontaneamente un alto e diffuso senso di solidarietà e di fratellanza.
Scomparso con la proprietà individuale ogni istinto di basso interesse personale,
anche l’accoppiamento di un uomo e di una donna non sarà più un affare mercantile.
L’unione libera sulle solide basi dell’amore: ecco l’unico logico vincolo sessuale, ecco la
famiglia dell’avvenire, senza la menzogna convenzionale del giuramento civile in faccia
al sindaco, o di quello religioso in faccia al prete…
E il prete? Oh, il prete scomparirà con l’ignoranza e l’abbrutimento dei più; e col prete
scompariranno tutte le menzogne religiose fugate dal raggio vivificatore della scienza.
Noi lo combattiamo additandolo come l’eterno alleato degli oppressori e sfruttatori dei
lavoratori e cercando di sfatare al lume della ragione l’impostura del soprannaturale.
Rivendichiamo per tutti il nutrimento allo stomaco, e poi nutrimento al cervello e al
cuore, nutrimento di scienza e d’affetti.
Ma sopra tutto, innanzi tutto, libertà!
L’un governo equivale all’altro; tutti i governi sono contri di noi – e noi contro tutti i
governi, contro tutte le oppressioni, contro tutte le tirannidi. Noi soli rivendichiamo
agli uomini la uguaglianza vera nel comunismo, con la soppressione d’ogni
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, con l’abolizione della proprietà individuale; noi soli
vogliamo l’emancipazione completa della personalità umana dal giogo opprimente
d’ogni autorità politica, civile, militare e religiosa. Noi soli vagheggiamo per il genere
umano la libertà integrale, la libertà delle libertà: l’Anarchia.
(da Socialismo legalitario e socialismo anarchico, conferenza tenuta a Milano il 4 aprile 1892)
La Canzone Anarchica
La canzone anarchica occupa una parte importante dell'area del canto
popolare,quella parte che da sempre ha raccolto i temi politico sociali.
Fin dalle sue origini infatti ha accompagnato la nascita e l'evoluzione della
questione sociale, nelle sue diverse sfaccettature,in termini immediatamente
trasmissibili e condivisibili e inserendo nel canto anche quei contenuti e quella
sensibilità che non potevano trovare espressione nel canto politico tradizionale
e popolare.
Il canto è stato ed è alla radice della trasmissione orale, l'asse portante della
vita sociale di tutte le comunità.
I canti riguarderanno le condizioni contadine, operaie, saranno la voce dei
derelitti, degli umiliati, dimostreranno una voglia di ricerca di cambiamento
verso orizzonti egualitari e la speranza di una vita migliore.
I figli del popolo la gente comune, i lavoratori, il quarto stato, non sono mai
stati visti dai cantautori anarchici come masse da indottrinare, ma come
facenti parte di un processo evolutivo dove essi stessi ne fossero partecipi.
Gran parte degli autori delle canzoni anarchiche sono anonimi, è importante
trasmettere l'ideale e non l'individuo.
Storicamente potremmo far risalire il primo canto anarchico intorno al 1871, gli
anni della Comune di Parigi; le idee di Proudhon e Bakunin hanno già dato
nuovi stimoli per la ricerca di uguaglianza sociale, Eugene Pottier scrisse
'Germinal':
Subito dopo la guerra inizieranno le prime azioni violente fasciste che avranno
come contrasto le formazioni armate degli Arditi del popolo (anarchici e arditi
di guerra). Nasceranno canzoni come 'Figli dell'officina' e numerose altre.
La guerra proletaria
Guerra senza frontiere
Innalzeremo al vento
Bandiere rosse e nere
(Raffaelli, Del Freo - Figli dell'officina)
Gli Arditi del Popolo, appoggiati ufficialmente e sostenuti concretamente dal
solo movimento libertario, che ne alimentava la base militante, pagheranno in
prima persona lo scotto dell'isolamento con la sconfitta sul campo e la
inevitabile repressione, per poi risorgere nei giorni del riscatto con la lotta di
Resistenza e la rivincita finale della Liberazione.
Dal periodo fascista ai giorni nostri, gli anarchici, saranno sempre utilizzati dal
potere
centrale del momento per tamponare atti anche cruenti e scomodi con un
nome che ormai nella fantasia popolare è sinonimo di bombe e sangue:
Attentato Anarchico!!
E con questo motivo si arresteranno,uccideranno,tortureranno molti dei
discendenti dei ”cavalieri erranti.. con la speranza in cor”.
Ma... la storia continuerà ad essere tramandata sopratutto con le canzoni, che
a distanza di anni discolperanno i loro martiri.
O per ricordarli:
Rinchiuso come un cane, Franco sta male e muore.
Ma arriva alla prigione solo un procuratore
domanda a Franco: '' Perché eri lì?"
“ Per un’idea: la libertà "
(Ballata per Franco Serantini - Canzoniere Pisano,1972)
Adoro il popolo
la mia patria è il mondo
il pensier libero
è la mia fe'
Io pugno intrepido
per la Comune
come Leonida
saprò morir
Figli dell'officina
È un inno divenuto tradizionale del movimento anarchico. La musica è tratta da
un'aria probabilmente cantata in artiglieria.
Il testo originale fu scritto da Giuseppe Raffaelli e Giuseppe Del Freo, anarchici
carraresi, nel 1921, mentre si preparavano ad affrontare le squadracce fasciste con gli
"Arditi Del Popolo".
Giuseppe Raffaelli, nato il 30 gennaio 1892 a La Soggetta di Cerreto (Montignoso), ha
lavorato nelle cave di Carrara come riquadratore e nel 1921 è stato uno degli
organizzatori degli Arditi del Popolo di Massa Carrara. Raffaelli, si rifugiò a Viareggio
nel giugno 1921, dopo aver abbandonato Massa per sfuggire alle aggressioni fasciste,
che si facevano sempre più più frequenti.
A Viareggio venne ospitato dal professor Giuseppe Del Freo, suo amico d'infanzia,
insieme crearono questo canto con l'intenzione di dare un inno agli Arditi del popolo
(la musica deriva invece da un canto popolare). Gli Arditi del popolo resistettero nella
zona sino al 1923.
Con l’avvento del fascismo Raffaelli fu costretto ad emigrare in Francia facendo
svariati mestieri (manovale, scalpellino, elettricista, contadino...) e partecipò alla
rivoluzione spagnola del 1936, nella brigata Libero Battistelli, nei pressi di Barcellona
dove venne ferito. Rientrato a Nizza, viene arrestato durante il governo Petain e
internato nel campo di Fernet Dans l’Ariegé dove rimane fino al 1943. Consegnato al
governo italiano, è condannato a cinque anni e inviato al confino di Ventotene per
essere poi liberato dopo il 25 luglio.
Durante la resistenza lo stesso canto, ma con variazioni nelle strofe, fu ripreso dai
partigiani "rossi" del nord Italia e sarà usato come inno partigiano.
Diventerà poi uno tra i canti più diffusi del movimento dei lavoratori.
Figli dell’officina
O figli della terra
Già l’ora s’avvicina
Della più giusta guerra
La guerra proletaria
Guerra senza frontiere
Innalzeremo al vento
Bandiere rosse e nere
Ai morti ci stringiamo
E senza impallidire
Per l’anarchia pugnamo
O vincere o morire
I nostri dì si involano
fra fetide carene
siam magri smunti schiavi
stretti in ferro catene.
La Locomotiva
Alla fine di ogni concerto Francesco Guccini ripropone la sua ballata più popolare: "La
locomotiva".
Dopo oltre quarant'anni (la canzone è stata scritta da Guccini nel 1972), con tutto
quello che è avvenuto nel frattempo, questa canzone dal sapore libertario, continua a
smuovere qualcosa negli animi di giovani e meno giovani, in quella parte che vuole,
malgrado tutto, continuare a avere fiducia nella possibilità di un mondo migliore.
E quell'immagine, sia pure un po' sinistra, della locomotiva "come una cosa viva
lanciata a bomba contro l'ingiustizia" mantiene il suo fascino col passare delle
generazioni.
Ma pochi sanno che questa canzone si richiama a un fatto realmente accaduto il
secolo scorso: protagonista il fuochista anarchico Pietro Rigosi, che si impadronì di
una locomotiva e la mandò a schiantarsi contro una vettura in sosta nella stazione di
Bologna. Miracolosamente si salvò, ma non svelò mai il mistero di quella folle corsa.
Pietro Gori
Se Errico Malatesta fu l’agitatore instancabile e
l’organizzatore, se Luigi Fabbri fu l’intellettuale
acuto e aperto alle sollecitazioni di una società in
profondo mutamento, Pietro Gori fu, a cavallo fra
ottocento e novecento, fra i grandi anarchici
italiani, quello che più di ogni altro riuscì a
comunicare all’immaginazione delle masse
popolari la grandezza e la sovversiva originalità
dell’umanesimo anarchico.
La sua vita avventurosa e la tragica e prematura morte ne hanno a lungo
accompagnato il ricordo, evidenziandone gli aspetti più romantici, quelli che ne
hanno fatto “il cavaliere dell’ideale” o il “poeta dell’anarchia”, ma la sua attività
sociale, ben lungi dall’essere improntata a una approssimativa divulgazione
dell’idea anarchica, fu determinante per il crescere e il consolidamento fra le
classi subalterne di una volontà di rivolta cosciente e di emancipazione
solidale. La sintesi fra il solido pensatore, l’agitatore irrequieto e il
comunicatore di straordinaria grandezza, contribuì alla nascita di un mito
duraturo che appartenne, trasversalmente, non solo agli anarchici della “sua”
Toscana, ma a tutti coloro che aspirarono e lottarono, col pensiero e con
l’azione, per l’edificazione di una società in cui giustizia e libertà non fossero
parole vuote destinate a pochi, ma i principi fondamentali della vita collettiva.
Addio a Lugano
La cui musica, di autore anonimo, è sicuramente di origine popolare, toscana, è la più
famosa, insieme con Stornelli d'esilio, fra le canzoni di Pietro Gori. Egli la scrisse nel
luglio del 1895 in Svizzera, dov'era dovuto riparare dopo l'omicidio del Presidente
francese Sadi Carnot, ucciso da Sante Caserio. Era stato infatti fermato dalla polizia
crispina, nel corso di una vasta operazione repressiva contro anarchici e socialisti, con
l'accusa di essere il mandante "spirituale" del delitto, in quanto amico e difensore del
Caserio. Costretto all'emigrazione, si trasferì a Lugano e, sfuggito a un misterioso
attentato (gennaio 1895), venne espulso dalla Svizzera stessa insieme con altri dodici
esuli. Fu allora che scrisse le parole del suo canto immortale.
Un’altra testimonianza sull’origine del canto la troviamo nel libro Gli scariolanti di
Ostia antica. Storia di una colonia socialista allorché Pietro Gori si reca ad Ostia presso
la comunità dei braccianti ravennati per passare con loro alcuni giorni. Siamo nel 1902
dopo il suo rientro in Italia dall’America del Sud dove si reca nel 1898 per sfuggire ad
una condanna in seguito ai tumulti contro il carovita che si sono succeduti in tutta
Italia con epilogo a Milano dove la monarchia ordina a Bava Beccaris la violenta
repressione costata oltre 80 morti.
“...Era un poeta, e aveva un bel viso, un corpo snello, elegante. Si accarezzava il baffo
appuntito, e sapeva ascoltare i coloni ravennati che raccontavano la loro storia. Provava un
profondo rispetto per il coraggio che avevano speso in quella impresa, e glielo diceva con
calore. Gli ricordavano gli uomini della Pampa, ripeté. Avevano anche cantato insieme, fino a
sgolarsi, quella notte. Avevano cantato le sue canzoni, gli Stornelli dell’esilio, Sante Caserio,
Amore ribelle... Di Addio Lugano Bella Gori aveva raccontato com’era nata. Dopo che Caserio
aveva pugnalato a morte Carnot, lui era dovuto riparare in Svizzera. Qui l’avevano arrestato,
insieme con altri 150 fuorusciti italiani, anarchici e socialisti. Tutti poi erano stati espulsi.
Quando li conducevano alla frontiera, avevano le manette ai polsi e i loro passi affondavano
nella neve...Con le lacrime agli occhi, si era girato indietro a guardare Lugano e pensava agli
anarchici scacciati senza colpa che partono cantando con la speranza in cuor...”
(Liliana Madeo Gli scariolanti di Ostia antica. Storia di una colonia socialista, Ed. Camunia, 1989.
Le note riguardanti Pietro Gori sono alle pp. 181-183. Vengono narrate le vicende di una colonia di
braccianti formata da socialisti, anarchici e repubblicani ravennati che si recano nell’Agro Romano per
iniziare la bonifica. La storia ha inizio nel 1884 e continua tra alterne vicende fino alla fine degli anni
cinquanta.)
Addio a Lugano diviene popolarissimo con l’inizio del nuovo secolo e ancor oggi è uno
dei canti politici più eseguito.
Amore ribelle
Nota anche come “Canzonetta del libero amore”, Gori la scrisse nel 1895.
Leda Rafanelli (1880-1971, scrittrice, artista ed esponente dei futuristi di sinistra,
soprannominata la "Zingara anarchica") racconta come nacque il canto:
“La sorella di Gori avrebbe voluto che lui si sposasse, ma avrebbe voluto anche una ricca, e gli
fece conoscere una signorina americana, bella, ricchissima. Pietro Gori! Pensa, sarebbe come a
me mi facessero conoscere cosa...non so, un canterino della televisione, per me son gente che
‘un vale un soldo, eh. Lui questa signorina la salutò e poi...quella s’era già innamorata, perché
era bellissimo Pietro Gori, sai; era siciliano, bruno, alto, con gli occhi neri, dei capelli nerissimi,
era bellissimo Pietro; senza che se ne accorgesse, eh. Quel giorno, io ero in casa sua ospite, in
una stanza che dava nel giardino. Sento a un tratto, leggevo, e il parrucchiere, il barbiere, un
pisano, che parlan tanto, si senton anche da lontano, eh. Sento dire a un tratto, io non ci
guardavo: “Allora Pietro, li facciamo a zero?”. Io dissi: “Cosa parla?”. M’affaccio alla finestra,
sidi, e vedo Pietro a sedere con la salvietta al collo e questo pisano con la macchinetta, gli
aveva fatto, sai, mezza testa, insomma rapata. Io dissi: “Figurati la Bice!”, la sorella, pareva
glielo facesse per dispetto. Io...e non ero più a tempo perché...gliel’aveva fatta a mezza testa.
Io scesi giù, eh, ma era già tardi, eh. Lui era lì calmo calmo, che parlava, io gli dissi: ”Pietro,
ma mi dici Bice cosa dirà?”. “Ma” – dice - “è caldo, era caldo”, sarà stato giugno, luglio. “Ci
avevo caldo!”. Io stetti zitta; quando venne, uscì, siti, pareva una caricatura. Era bruno, denti
bianchi bianchi, baffi neri, le sopracciglia e questa testa bianca rapata. Pareva un mostro. Io
stetti in camera mia, dico: “Adesso vi arrangiate”; a un tratto sento...e si fece una crisi isterica
la sorella. Una crisi...sentii degli urli. E poi Pietro scrisse quella canzone: all’amor tuo preferisco
l’idea. Amori non n’ha avuti Pietro, almeno a quello che si sapeva noi. Noi non sappiamo che
Pietro abbia avuto un amore… ecco, uno sì: L’anarchia.”
Stornelli d'esilio
È un intramontabile canto di Pietro Gori, che ne potrebbe aver scritto sia all’epoca del
primo esilio - quando fu espulso dalla Svizzera dove era riparato per evitare l’arresto,
accusato di essere l’ispiratore dell’attentato di Sante Caserio al presidente francese
Sadi Carnot – sia a quella del secondo esilio, quando Gori fu costretto a fuggire in Sud
America a seguito della repressione scatenata a partire dai moti milanesi del 1898.
Composta su una base musicale tratta dal canto popolare toscano “Figlia
campagnola”, fu pubblicata per la prima volta nel 1898 sull'opuscoletto Canti anarchici
rivoluzionari, edito dalla rivista degli anarchici italiani profughi in America, e divenne
l'inno dell'internazionalismo libertario.
Pur nel suo desiderio di ribellione e di libertà, il testo, di fine Ottocento, tradisce
chiaramente i gusti letterari e le passioni ideali dell'epoca. Dal punto di vista del
contenuto storico e politico, richiama da vicino la vicenda personale dell’autore e
l'altra sua celebre composizione Addio a Lugano. Il ritornello "Nostra patria è il mondo
intero" è ripreso dall'introduzione dell'opera buffa “Il Turco in Italia” (1814) di
Gioacchino Rossini e Felice Romani.
Il fatto che Gori abbia sperimentato in prima persona le amarezze dell'esilio e della
persecuzione politica, unito alle sue magistrali doti creative, trasmette a questo brano,
con grande vigore realistico, tutte le tematiche fondanti dell'anarchismo: il dolore per
la miseria e l'ingiustizia, la tensione eroica verso l'emancipazione umana e verso un
mondo migliore.
O profughi d’Italia
a la ventura
si va senza rimpianti
né paura.
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ed un pensiero
Nostra patria è il mondo intero
e nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.
Dei miseri le turbe
sollevando
fummo da ogni nazione
messi al bando.
Nostra patria è il mondo intero…
Dovunque uno sfruttato
si ribelli
noi troveremo schiere
di fratelli.
Nostra patria è il mondo intero…
Raminghi per le terre
e per i mari
per un’Idea lasciammo
i nostri cari.
Nostra patria è il mondo intero…
Passiam di plebi varie
tra i dolori
de la nazione umana
i precursori.
Nostra patria è il mondo intero…
Ma torneranno Italia
i tuoi proscritti
ad agitar la face
dei diritti.
Nostra patria è il mondo intero…
Sul patibolo, di fronte alla morte, il giovane Caserio non perse la fiamma che gli
bruciava in corpo ed invece di tremare di paura, si rivolse alla folla gridando “Forza,
compagni! Viva l’anarchia!“
Era il 16 agosto 1894 giorno in cui l’anarchico Sante Geronimo Caserio, venne
ghigliottinato, alla giovanissima età di 21 anni.
Sulla figura di Caserio si è in seguito sviluppata una tradizione popolare di canti e di
memoria collettiva che dura ai giorni nostri. Oltre la "La ballata di Sante Caserio" di
Pietro Gori, numerose sono le canzoni a lui dedicate, in parte tramandate oralmente.
Esempi sono “Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio [Il sedici di agosto]” di
Pietro Cini (nota anche come "Aria di Caserio"), "Partito da Milano senza un soldo" di
autore anonimo, "Il processo di Sante Caserio".