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COSTANZA LONGOBUCCO VA LES

FAKE NEWS AL TEMPO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Il 4 novembre di 100 anni fa entrava in vigore l'armistizio di Villa Giusti: per
l'Italia finiva la Prima guerra mondiale, cioè il massacro che ha sottratto una
generazione all'Europa. Sono state molte le iniziative e i commenti per
il centenario della Grande guerra, ma c'è almeno un aspetto di cui, forse, non si
è parlato abbastanza. Nonostante il centenario 2015-2018 sia caduto proprio
quando si affermava lo spauracchio delle cosiddette fake news (ormai uno slogan,
più che una definizione), non sono in molti ad aver fatto notare che notizie
false, leggende, dicerie, superstizioni, profezie, propaganda sono
state protagoniste di questo primo conflitto.

Da una parte è l'ennesima dimostrazione che, contrariamente a certe narrazioni, la


diffusione di bufale e teorie del complotto precede il malefico internet e gli ancor
più demoniaci social network. Ma a rendere attuale la Prima guerra mondiale in
questi tempi di disordine informativo è proprio la varietà e la portata delle notizie
false di quegli anni.

"Talvolta può accadere che un giornalista riproduca, del tutto innocentemente,


una voce diffusasi in un paese o in un determinato gruppo sociale [...] Ma il più
delle volte la falsa notizia di stampa è semplicemente un oggetto fabbricato; è
abilmente forgiata per uno scopo preciso - per agire sull'opinione pubblica, per
obbedire a una parola d'ordine - o semplicemente per infiorettare l'esposizione".

Queste parole potrebbero essere state scritte ieri, eppure sono tratte


da Riflessioni di uno storico sulle false notizie di  guerra (1921), un breve saggio
dello storico francese Marc Bloch, testimone e studioso della Prima guerra
mondiale, nonché partigiano assassinato dai nazisti nella seconda. L'intero testo,
parte del libro La guerra e le false notizie (Donzelli, 2004), dà una sensazione
di dejà vu che al tempo stesso affascina, spiazza e preoccupa. Lo storico chiama
il conflitto un grande esperimento sociale, e ritiene che la disciplina a cui devono
rivolgersi gli storici per capire il fenomeno le notizie false è appunto la psicologia
sociale.

Da prima dell’invasione dei tedeschi in Belgio nel 1914, cominciarono a circolare


nell'esercito tedesco diverse voci sulla brutalità dei belgi, uomini o donne che
fossero, e in particolare c'era l'idea che li avrebbero accolti un agguerrito corpo
di franchi tiratori. Quei cecchini non erano mai esistiti, e la popolazione aveva
ricevuto ordini di non opporsi, ma poi il caso ci ha messo la mano. Le facciate
delle case belghe avevano di solito delle feritoie. Servivano semplicemente per
montare facilmente le impalcature in caso di lavori. Ma agli occhi del soldato
tedesco diventarono la prova che erano circondati da cecchini, e che le voci sui
brutali belgi erano vere.

Bugia però chiama bugia: l'invasione diventò nota come lo stupro del Belgio, e
gli alleati ingigantirono i crimini di guerra (che senza dubbio c'erano stati) con lo
stesso obiettivo: il nemico non era umano.

Il racconto orale tornò essere una fonte di notizie per i soldati. Questi vivevano
generalmente in fazioni isolate e distanti dalla altre. Un importante punto di
contatto erano i fornitori, in particolare delle cucine, che assieme ai viveri
portavano oralmente notizie da una all'altra.

Le cosiddette fake news non sono quindi nate con Facebook: uno dei più grandi
maestri di propaganda è stato Adolf Hitler. Per tutto il periodo in cui è stato al potere
ha messo in circolazione bufale a non finire, sfruttando ogni canale di comunicazione
allora disponibile, partendo dai giornali, passando per radio, cinema e cartoni animati.
A gestire il giro di false notizie era il ministero della propaganda, presieduto dal suo
braccio destro, Joseph Goebbels. Il tutto non era a costo zero: il Reich spendeva tra un
quarto di miliardo e mezzo miliardo di dollari all'anno per finanziarlo.
Il risultato fu una macchina del consenso impeccabile che partoriva notizie false a
ripetizione
Come i famigerati articoli che alimentarono la campagna contro “la scienza ebraica,
massonica e bolscevica” o quelli contro le “orde asiatiche” (i comunisti) e contro gli
Ebrei.
La fake news più celebre sul loro conto raccontava che rapivano i neonati prima della
celebrazione della Pasqua ebraica perché avevano bisogno del sangue di un bambino
cristiano da mescolare con il loro matzah (il pane non lievitato).
la guerra è cominciata con una bufala costruita a tavolino. Prima di attaccare la Polonia
(1939) il regime lanciò una campagna mediatica per preparare l'opinione pubblica alla
guerra, gonfiando le notizie di "atrocità polacche" che secondo gli organi di regime
sarebbero culminate con l'attacco alla stazione radio tedesca a Gliwice.
La notizia venne ripresa da tutti i mezzi di informazione, peccato che fosse falsa:
l'attacco era stato fatto da SS tedesche che indossavano le divise polacche. Nessuno se
ne accorse e il giorno seguente Hitler annunciò la sua decisione di invadere la Polonia.
Tutte queste (false) notizie oltre che sui giornali, circolavano sulle radio: nella città
tedesca di Zeesen c'erano otto trasmettitori radio in grado di raggiungere il mondo
intero con canali personalizzati per ogni paese.
Le trasmissioni naziste godevano di un discreto consenso, anche fuori dalla
madrepatria: il loro modo di raccontare la guerra, irriverente e sarcastico, era ritenuto
poco istituzionale e spesso piacevole. Un sondaggio all'epoca rilevava che il 58% degli
ascoltatori in Inghilterra ne rimaneva attratto "perché trovava la sua versione delle
notizie così fantasiosa da essere divertente".
Una delle riviste che pilotava di più l'opinione pubblica era Signal, pensata sulla
falsariga del settimanale americano LIFE. Anche Signal era a colori e fu distribuita dal
1940 al 1945 in 23 paesi tra quelli neutrali alleati e quelli occupati. Per realizzarla e
promuoverla il regime aveva stanziato un budget equivalente a 2 milioni di dollari.
Copertina del mensile Signal, prodotto dal regime nazista e distribuito dal 1940 al
1945.
La redazione era composta da militanti dell'esercito tedesco specializzati in
giornalismo, cinema e fotografia incaricati di perlustrare il fronte, recuperando
immagini brillanti da mettere in circolazione con stile e brio hollywoodiano. L'editore
rispondeva direttamente all'Alto Comando della Wehrmacht.
La gente lo comprava e la leggeva con piacere. A conferma che la macchina della
propaganda era in grado di far credere alla gente qualsiasi cosa il regime volesse.

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