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Principali punti

[intro] Poteri e mass media nell’era della globalizzazione

La mediazione offerta dai mezzi di comunicazione di massa è diventata centrale fin dall’inizio del
‘900 quando la stampa era l’unico mezzo d’informazione.
La comunicazione di massa è legata alla diffusione di notizie e informazioni, pubblicità, formazione
dell’opinione pubblica, propaganda e intrattenimento di massa.

La planetarizzazione/globalizzazione ha portato all'omologazione tra le varie società e culture del


pianeta, creando un’entità unica.
Con la rivoluzione digitale i media sono divenuti una tecnologia caratterizzante della nostra epoca con
un grosso potere d’influenza sull’individuo e i suoi comportamenti. La civiltà delle immagini è meno
concettuale, meno analitica e meno organizzata, basata sulla centralità dell’immagine, che affida al
fruitore la riorganizzazione personale.
Attualmente l’universo dei media è caratterizzato dal controllo dell’informazione da parte di pochi
grandi gruppi mediatici di vocazione mondiale, grossi trust mediatici come ABC, Paramount, Fox,
Columbia...

Peterson, Thurstone, Blumer: attraverso le loro indagini, dimostrarono che l’esposizione a contenuti
visuali influenza lo spettatore, soprattutto se si tratta di un bambino, suggerendo valori, predisposizioni
di gruppo, interessi materiali.

Stiamo assistendo all’evoluzione di una rete globale di comunicazione e a quella che alcuni autori
chiamano network society, una forma di società le cui relazioni si strutturano sempre più secondo reti
mediali che stanno gradualmente sostituendo le reti sociali basate sulla comunicazione faccia a faccia.
Si riducono quindi le esperienze di prima mano con quelle vissute attraverso la mediazione
simbolica dei mezzi di comunicazione di massa, come sosteneva anche Debray.

Attualmente gran parte della ricerca è orientata a studiare gli effetti a lungo termine, l’effetto
cumulativo di anni di visione televisiva.
Negli anni ‘40 e ‘60 il contesto economico, istituzionale e politico invece privilegiava gli studi a breve
termine di interesse commerciale, per capire gli effetti della pubblicità, dell’esposizione ai messaggi
sugli individui, distinguendoli in categorie e individuando le variabili intervenienti che contribuivano a
facilitare o bloccare il flusso delle comunicazioni.
Fu Packard a rivelare al grande pubblico come fosse in corso il tentativo di scoprire le segrete debolezze
del consumatore nell’intento di influenzarne il comportamento.
Nelle agenzie pubblicitarie si lavora per stabilire un linguaggio pubblicitario così che la persona diventa
un bersaglio, un target, con l’obiettivo quindi di manipolarci facendoci consumare sempre di più.

Questa “pubblicità del profondo” viene usata anche in politica per le campagne elettorali.
Ad es. i sondaggi sono utilizzati per indirizzare gli indecisi ad allinearsi alla maggioranza.
La teoria della “spirale del silenzio” si basa su: la società minaccia di isolare gli individui devianti; essi
hanno paura di vivere nell’isolamento; la paura li spinge a cercare di rapportarsi in ogni momento con il
clima di opinione; i risultati della ricerca influenzano i comportamenti del pubblico.

Noam Chomsky parla di “illusioni necessarie”: in un sistema in cui la popolazione non può essere
disciplinata con la forza, entrano in gioco forme più sottili di controllo ideologico: i
media sono strumento del potere per il controllo del consenso e del dissenso.
media sono strumento del potere per il controllo del consenso e del dissenso.

Jean Baudrillard teorizza “l’uccisione della realtà e lo sterminio dell’illusione mediante l’informazione
mediale e le nuove tecnologie”.
La società è governata dal principio di simulazione, non da un principio di realtà: tutti i segni si
scambiano tra di loro senza scambiarsi più con qualcosa di reale. La fine del reale, paradossalmente, si
esplicita in un eccesso: l’iperreale, il più reale del reale, il reale riprodotto.

Ormai l’informazione si traduce in semplice cronaca che crei spettacolo, privilegiando aspetti
scandalistici ed eccezionali; difficile valutare obiettivamente i messaggi, ci si concentra, più che sul
contenuto, sull’effetto che il media produce per uno scopo.

Ramonet parte dall’assunto che sono mutati i concetti di base del giornalismo: prima dell’avvento del
dominio televisivo informare significava descrivere precisamente e fornire parametri al lettore
per capire. Con l’avvento della tv cambia tutto, ad es. il tg grazie alla diretta ha imposto un concetto di
informazione dove informare equivale a mostrare la storia in movimento.
L’obiettivo principale del telespettatore non è capire la portata dell’avvenimento, ma semplicemente
vederlo: vedere=capire, il che significa un regresso intellettuale che ci rimanda indietro di secoli allo
stadio pre razionale.
Serve forza di impegno civico: esigere dai grandi media più etica, più verità, più rispetto di una
deontologia che consenta ai giornalisti di agire secondo coscienza, e non in funzione di interessi di
gruppi, delle imprese o dei proprietari dei media che li ingaggiano.
Occorrerebbe un corso di “autodifesa intellettuale” per evitare la manipolazione e il controllo, una
sorta di V potere che combatta il IV potere, l’informazione.
Il pluralismo dell’informazione e la libertà di stampa sono un elemento essenziale della democrazia.

Cambia il concetto di veridicità dell’informazione: un fatto è vero non perché lo è, ma perché anche
altri media lo confermano. I media non distinguono più il vero dal falso.
Quindi:
- Il giornalismo tv è strutturato come una fiction, non è fatto per informare, ma per distrarre.
La rapida successione di notizie brevi e frammentate produce un duplice effetto negativo:
sovra informa e disinforma allo stesso tempo.
- Volersi informare senza sforzo è un’illusione che dipende più dai miti della pubblicità
(messaggio breve, condensato). Anche i giornali adottano caratteristiche proprie degli
audiovisivi con prime pagine come uno schermo, articoli corti e precedenza al sensazionalismo.

Bourdieu riteneva la comunicazione e la garanzia di standard minimi di qualità uno degli elementi
indispensabili per una democrazia.

Una distinzione interessante è quella tra educazione e socializzazione, che può essere di tipo:
- formale, dove è chiara l’intenzionalità e la progettualità dell’intervento formativo (in famiglia
e nelle scuole, o nelle chiese),
- informale, costituito da quella serie di relazioni sociali che mettono in atto qualche forma di
socializzazione (opportunità).
In questi ultimi anni si è modificato il processo di socializzazione all’interno delle principali istituzioni
educative (famiglia, scuola), passando quindi da una socializzazione “forte” all’attuale leggerezza
dell’azione educativa con i media come nuovi educatori, denotando un rafforzamento del controllo
sociale con nuovi metodi di condizionamento sottili con l’avvento di tecniche avanzate.
In questa società dei consumi la merce viene prodotta come segno e i segni (la cultura) come merce.

L’homo sapiens cede il posto all’homo videns: una nuova specie generata dalla tv che si limita a vedere.
La socializzazione leggera è il risultato di una tendenza generale alla soggettivizzazione e
all’allontanamento dalla realtà.
all’allontanamento dalla realtà.

Danilo Dolci differenzia il trasmettere dal comunicare:


- Trasmettere: è più facile a uno o a pochi trasmettere ad una miriade di singoli. Il trasmettere è
uno spedire che sovente ignora chi riceverà.
- Comunicare: qui non basta l’iniziativa di un singolo, occorre anche l’attivo corrispondere di un
altro. Il comunicare presuppone partecipazione personalizzata, attiva nell’esprimere e al
contempo nell’ascoltare, nel ricevere.

Comunicare significa “mettere qualcosa in comune”, “far vita comune”.


Se ognuno al mondo sapesse distinguere il trasmettere dal comunicare, il mondo sarebbe diverso:
occorre il coraggio di chiamare comunicazione solo il sistema in cui ogni partecipante co-informa e
corrisponde. Nel sistema ora dominante, chi sceglie?, chi trasmette?, chi informa?
Se non cresce la creatività di ognuno, individuo e gruppo, quasi per gravità, tende a imporsi chi ha più
potere, cercando di accumulare anche il potere altrui.

La rivoluzione digitale oltre ad aver permesso l’esplosione dei new-media e della loro pervasività ha
favorito la diffusione di “mezzi leggeri” utilizzabili da un gran numero di persone.
Tuttavia molte persone sono in grado di realizzare prodotti multimediali a costi contenuti ma non
hanno possibilità di diffondere i propri contenuti, poiché non riescono ad accedere ai canali di
diffusione o distribuzione.
Si pone una questione politica: democrazie e consenso: i media possono orientare il consenso, quindi il
“diritto a comunicare” diviene una questione di esercizio della sovranità che tocca tutti i cittadini e non
può essere subordinato ad interessi di natura privata.

Infatti secondo la teoria degli scarti di conoscenza (knowledge gap) l’affermarsi della società
dell’informazione con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa non porta all’uguaglianza
sociale, ma anzi a forme di sviluppo e distribuzione della conoscenza molto diversificate, si vengono
cioè a creare delle differenze. Coloro che appartengono ad uno status socio-economico più elevato
acquisiscono tali informazioni più velocemente rispetto a coloro che appartengono ad uno status
minore.

La piramide mediatica però si sta sgretolando. Si è costituita una comunità globale di nuovi narratori, i
Media Attivisti.
Il mediattivismo è un attivismo sociale che trova i suoi strumenti nella rete e in tecnologie a basso
costo che mirano a sottrarre la comunicazione sociale alla passività e alla forma spettacolare. È una
tribù di attivisti che ha reagito contro i colossi dell’informazione: video maker, radio amatori, reporter,
hacker che hanno iniziato a produrre in maniera indipendente l’informazione su siti, blog, forum, chat.
Tutto ciò per scardinare il cosiddetto “pensiero unico” diretto dai mediascape (media proprietari).

Una risposta locale ai problemi globali sono le tv on the road o telestreet, emittenti di quartiere che
sperimentano linguaggi e raccontano storie metropolitane via cavo e via satellite.
Il progetto telestreet punta all’idea che la TV debba proliferare dal basso così che sia l’intelligenza
sociale diffusa a offrire contenuti televisivi.

Sociologia visuale

Premessa storica

Sociologia e fotografia nascono a metà dell’800 ed entrambe vogliono esplorare/analizzare la società:


tra il 1896 e il 1916 l’American Journal of Sociology presenta 31 articoli corredati da foto finché il nuovo
tra il 1896 e il 1916 l’American Journal of Sociology presenta 31 articoli corredati da foto finché il nuovo
direttore Albion Small decise di privilegiare ricerche basate sull’analisi causale e il trattamento
statistico delle informazioni, non considerando scientifico tutto ciò che non poteva venire quantificato
e computerizzato.

Fotografi sociali ed etnografi visuali vennero marginalizzati (non riconosciuto il potenziale conoscitivo).
La fotografia non considerata prova nelle scienze sociali (in altre scienze si), per il suo carattere
soggettivo e manipolabile.
Le fotografie sono prodotti culturali e, in quanto tali, assumono il significato del loro contesto che ne dà
una definizione:
- possono essere immagini sociali, ossia frutto di una attività umana e quindi cariche di un
valore e di una funzione nella società;
- o possono essere delle immagini del sociale, ovvero che rappresentano o descrivono
fenomeni sociali dal punto di vista soggettivo del fotografo,
- o infine immagini sociologiche, valide sulla base di procedure legittimate sul piano
metodologico.

Non basta utilizzare delle immagini per fare della sociologia visuale, ma è necessario anche accertarsi
del loro grado di iconicità, dato dalla capacità del prodotto visuale di registrare un certo tipo di realtà e
dalla veridicità del suo contenuto.

Le immagini trovano posto nel foto-giornalismo, nel documentarismo, e nell’etnografia/antropologia


visuale:
- nel 1870 Jacob Riis giornalista fotografo usa le foto come strumento di critica sociale, per
illustrare le condizioni di vita degli immigrati nei quartieri poveri (un suo libro fotografico ebbe
un forte impatto sull’opinione pubblica).
- Lewis Hine seguì il suo esempio: tra il 1908 e il 1914 portò a termine una ricerca fotografica
sul lavoro minorile. La fotografia “usata” come mezzo per migliorare le condizioni di vita.
- Nel 1942 due antropologi Bateson e Mead rivendicarono il ruolo dell’immagine, pubblicando
una ricerca sulla cultura di Bali.
Aggiunsero fotografie che traducevano: “aspetti della cultura mai registrati in modo
soddisfacente”: le parole erano inadeguate e insufficienti per descrivere il modo in cui la vita
emozionale e la cultura della popolazione studiata era organizzata.

Nell’era della post-modernità il fenomeno visuale abbia preso il sopravvento su quello testuale, e
l’analisi statistica non è sufficiente per descrivere cambiamenti sociali, ma c’è da chiedersi come
funzionano le immagini. Centrale quindi è anche il concetto di visualizzazione.

Se visualizzare significa rendere visibile, fornendo così una definizione di realtà e veicolando un
significato, allora visualizzare significa anche a ermare un punto di vista, determinare ciò che va
mostrato e ciò che invece va nascosto, stabilendo un nesso profondo tra vedere e controllare.
Sulla base di questa introduzione possiamo a ermare che non è possibile dare una risposta univoca
alla domanda iniziale, ma che la sociologia visuale abbia doppia natura:
- caratterizzata come lavoro con le immagini, guidata da un approccio conoscitivo che opera la
propria indagine utilizzando, durante il processo di raccolta delle informazioni, immagini che
vengono prodotte dal ricercatore e/o dai soggetti che vengono usate al fine di ottenere dati
utili alla ricerca.
- caratterizzata come lavoro sulle immagini, quindi vista come disciplina autonoma che,
attraverso immagini già esistenti, svolge la propria analisi in un determinato ambito di studio,
individuando ideologie veicolate e influenza esercitata.

Ne deriva che la sociologia visuale studia i fenomeni sociali utilizzando la fotografia e altre forme
Ne deriva che la sociologia visuale studia i fenomeni sociali utilizzando la fotografia e altre forme
visive.
Si sviluppa dagli anni ‘70 a partire dalle riflessioni di Becker e, in Italia, di Ferrarotti poi ripreso da
Mattioli.

La sociologia visuale si fonda su 3 aspetti definiti da Grady:


1. l'atto di vedere (seeing), ossia il ruolo della vista nel processo di costruzione di significati e
dell'organizzazione sociale;
2. l'atto di comunicare attraverso le immagini (communicating with icons), ossia il modo in cui
la costruzione delle immagini e il loro uso possano veicolare informazioni e come queste
possano influire nelle relazioni sociali; si caratterizza come un lavoro sulle immagini;
3. fare sociologia visuale (doing sociology visually), ossia la ricerca visuale vera e propria in cui
ci si interroga sul modo in cui le tecniche di produzione e di decodifica dei messaggi possano
essere usate per studiare l'organizzazione sociale, la cultura e i processi psicologici di una
società; fulcro della metodologia e della ricerca sul campo, che si caratterizza quindi come un
lavoro con le immagini.

La ricerca visuale sul campo: Uno dei metodi adottati dai sociologi è quello dell’osservazione
partecipante, dove, a differenza dei giornalisti, essi portano la macchina fotografica e studiano a lungo
e a fondo un certo comportamento sociale, trasformandolo in immagini.

Becker descrisse le seguenti fasi per condurre un’osservazione sociologica fotografica, o filmica, sul
campo:
1. formulazione delle ipotesi provvisorie con dati e teorie;
2. osservazione e documentazione sul campo, utilizzando video, foto e colloqui per
rispondere alle domande riguardanti status sociale, norme e valori, devianza e controllo
sociale, confrontando le ipotesi con il lavoro ottenuto;
3. riformulazione delle ipotesi e delle teorie in base ai risultati ottenuti;
4. ricerca degli indicatori visuali delle ipotesi teoriche.

La ricerca visuale “Grounded Theory”: La ricerca visuale sul campo si inserisce in un contesto
teorico definito Grounded Theory, ossia un approccio basato sulla costante interrelazione tra teoria e
ricerca.

Suchar ipotizzò che il potenziale della fotografia e dei video sociologici stia in un processo di
interazione tra il sociologo e le immagini prodotte, le quali vengono usate per rispondere o ampliare
domande su un particolare tema. Tale processo è stato definito interrogatory principle.
Questo processo utilizza metodologie e tecniche specifiche come gli shooting script, liste-guida flessibili
di argomenti/domande che agevolano la rivelazione di modelli nei dati visuali.

La ricerca parte con la messa a punto di uno shooting script iniziale, seguito da un resoconto
descrittivo delle immagini ottenute, ovvero una serie di annotazioni in gradi di rappresentare delle
possibili risposte alle domande dello shooting script.
Ottenuto il materiale, le immagini possono essere codificate in modo non definitivo, mettendo delle
etichette, o nomi, ai resoconti descrittivi.
Tali comparazioni hanno prodotto dei “codici assiali”, ossia nuove categorie di analisi. Si evince, così,
che lo shooting scripts sia un elemento flessibile, che si modifica durante la ricerca e che presuppone il
ritorno sul campo.

Le metodologie utilizzate sono:


- l’intervista foto-stimolo: mentre la comunicazione verbale utilizza una connotazione forte,
quella visuale sfrutta la debolezza del suo codice polisemico e sposta il focus sull’immagine
senza definirla, lasciando l’intervistato libero di interpretarla.
Le fotografie, realizzate dal ricarcatore o tratte da archivi, sono connesse all’ambiente in cui il
soggetto vive; mostrandogliele, gli viene chiesto di spiegare il suo mondo, cosa che mette il
ricercatore in condizione di vedere il fenomeno da un altro punto di vista.
ricercatore in condizione di vedere il fenomeno da un altro punto di vista.
Tale metodo si fonda su due regole base: sospensione del giudizio e comunicazione empatica.
Diverse sono le influenze sotto cui la foto acquista significato: vissuto personale,
contesto sociale, convenzioni culturali degli attori; è compito del ricercatore informarsi sul
modo in cui gli intervistati usano le foto (espressione artistica: significato simbolico;
riproduzione reale: intenzioni autore).
- la native image making: questo metodo d’indagine consiste nel fornire i soggetti di una
foto/videocamera chiedendo loro di raccontare il proprio vissuto/tradurre concetti in immagini.
Spinto dal suo personale sistema di rilevanza il soggetto costruisce una visione del mondo
riflettendo su aspetti per lui scontati in modo da renderli comprensibili al ricercatore,
contribuendo all’incremento conoscitivo di entrambi.
È la soggettività dell’osservato (ora osservatore) ad essere oggetto d’analisi, guidando sulla
scelta di cosa fotografare=selezionare/interpretare.
Molte ricerche di questo tipo permettono così anche una lotta etica per la propria
autoa ermazione. Il grande vantaggio di questo metodo è che consente di superare di coltà
linguistiche permettendo una rappresentazione più ricca, anche se l’intervistato dovrà
necessariamente spiegare i significati impliciti della sue produzione visiva.
- la ri-fotografia: teorizzata da John Rieger (‘96), il quale a erma che cambiamento visuale e
sociale siano strettamente connessi e che per metterlo in luce sia necessario ripetere
l’osservazione sulla base di una sequenza temporale o confrontare le proprie fotografie con
quelle di un archivio storico. È importante che le immagini siano scattate con gli stessi
criteri per permettere un confronto in grado di evidenziare le manifestazioni sociali e visuali del
cambiamento.
Non è detto che un’alterazione visuale influisca su una sociale, come non tutti i mutamenti
sociali hanno ripercussioni visuali.

Molti passi avanti sono stati fatti nella direzione di una maggiore chiarezza concettuale e metodologica
sull’uso delle immagini nel processo di ricerca sociologica: fra queste la più complessa è quella che
riguarda le distorsioni di comportamento dei soggetti osservati per effetto della presenza
dell’attrezzatura fotocinematografica, che disturba gli attori sociali che tendono a comportarsi in
maniera innaturale. In sociologia visuale il problema è stato risolto sul piano teorico introducendo il
principio di Heisenberg, il cosiddetto principio di indeterminazione, principio per il quale “osservare
significa trasformare” e quindi tutto ciò che è osservabile, in quanto osservato, si trasforma.

Esempi di ricerca:

- CON LE IMMAGINI
- Suchar ha osservato la gentrificazione di un quartiere di Lincoln Park; ha stilato uno
shooting script (quali negozi, quali servizi, quali clienti...), dopodiché ha proceduto alla
descrizione delle prime immagini ottenute (in base a teoria e ipotesi) con possibili
risposte, codificandole in categorie concettuali per poter confrontare future immagini, e
che contribuiscono ad ampliare su un certo tema (interrogatory principle). Infine ha
notato che esiste una sorta di “romantico urbano”: in base all’aspetto degli edifici,
emerge l’interiorità delle persone.
- Harper ha trascorso due anni all’interno di un gruppo di railroad tramp: scaturiscono
immagini che evidenziano la divergenza tra come noi immaginiamo quel mondo e
come loro stessi si percepiscono.
- Harper e Faccioli, The Italian Way: il focus di tale ricerca è il significato culturale e
sociale che assume il cibo nella cultura italiana.

Hanno partecipato alla ricerca 25 famiglie di diversa età, rango sociale e culturale, di cui
una mono-genitoriale e due coppie gay.
I soggetti erano tutti residenti a Bologna, ma di origini geografiche diverse. Non si tratta
dunque di un campione rappresentativo, ma di un insieme di famiglie eterogenee con
abitudini diverse.
A queste famiglie i due ricercatori hanno chiesto di preparare pranzi e cene come
A queste famiglie i due ricercatori hanno chiesto di preparare pranzi e cene come
avrebbero fatto di solito, sia per quanto riguarda il menù che la preparazione della
tavola.

Durante questi research dinners i due sociologi avevano dei colloqui informali con le
famiglie, mentre Harper scattava foto riguardanti i rituali della normale vita quotidiana,
che si possono raggruppare in tre categorie:
1. il normale flusso di attività: persone che preparano il cibo, che si muovono
in casa e che mangiano;
2. persone che si mettono in posa;
3. interni delle case: le immagini svelano dove il cibo viene preparato, l’ordine e
il disordine nelle case, dove e come è preparata la tavola, le stoviglie e gli
utensili utilizzati. Inoltre, sono state inserite foto di archivi storici per mostrare
la mutazione sociale.

Dalla ricerca è emerso che:


- preparare il cibo e offrirlo, da una parte viene considerato un atto di amore,
ma nello stesso tempo è un modo di ritrovarsi e condividere un
momento familiare.
- Inoltre, è emerso che il cibo può essere anche sintomo di potere: è stato
provato che grazie ad esso emergono in parte le identità sociali delle donne
italiane con il loro controllo in cucina. Anche dopo l’entrata delle donne nel
mondo del lavoro, la preparazione del cibo e dei lavori domestici sono gestiti
sempre dalle donne.
- Le coppie gay hanno dimostrato invece che gli uomini possono adattarsi ai
ruoli femminili in casa, mentre pochi degli altri uomini intervistati sembrano
svolgere un ruolo nel mondo del cibo, ad eccezione di scegliere il vino,
grattugiare il parmigiano o sparecchiare la tavola.
- Un altro aspetto emerso relativo al cibo riguarda il modo degli italiani di
combinare i cibi fra loro e l’ordine in cui vanno mangiati, preoccupandosi di
mangiare bene e di preservare la salute. Infatti, molte abitudini e “divieti” che
noi italiani diamo per scontato, dal punto di vista americano risultano illogiche
(mai pizza con vino, o cappuccino dopo le 11 del mattino, o carne e pesce
insieme, o la pizza insieme all’ananas).

Mentre la sequenza precisa su come il cibo deve essere servito a tavola sembra derivare
dall’antica Roma:
1. Gestum
2. Mensa prima
3. Mensa seconda
4. Dulcis in fundo

- FOTOSTIMOLO
- Faccioli e Simoni: utilizzarono la foto-stimolo per analizzare il fenomeno dei
rinunciatari singoli, per far emergere come avevano vissuto il percorso di
rinuncia, come avvertivano la distanza sociale; le immagini mostrate ai
senzatetto rinviavano a categorie come solitudine, immaginario di non povertà,
precarietà familiare…
In generale, vi era un rifiuto verso la condivisione dei propri bisogni in una rete
sociale.
Due sono le reazioni cognitive emerse: identificazione (rinunciatari cronici non
disponibili a cambiare: “potrei essere io”) e riconoscimento (giovani borderline
aperti al cambiamento: “come se fossi parte”).
- Harper e Faccioli: testarono come la cultura d’appartenenza influenzi
l’interpretazione di stessi messaggi pubblicitari al fine di evidenziare tre livelli
del messaggio: lettura, significato sociale, rapporto con l’identità individuale.
A due gruppi di donne (italiane e americane) vennero mostrate foto di vetrine e
manifesti bolognesi e poi chiesto se si sentissero attratte dal prodotto, che
manifesti bolognesi e poi chiesto se si sentissero attratte dal prodotto, che
immagine di donna venisse proposta e quali sentimenti l’immagine provocasse
in loro.
È necessario tener presente che, mentre le italiane rimangono nel loro mondo,
l’interpretazione americana è data anche dal fascino per la cultura europea.
- Le americane, percependo una donna vittima di violenza e vista come
merce di piacere sessuale, si sono sentite o ese e spinte a rifiutare le
immagini loro proposte; l’immagine della donna di colore ha
confermato il contesto razzista statunitense in cui il nero è simbolo di
discriminazione.
- Le italiane, al contrario, hanno inquadrato le donne come seduttrici
sicure di sé e del proprio corpo e consenzienti ad una violenza vista
come sintomo di passione; mentre data l’esperienza coloniale del
nostro paese il corpo nero è stato percepito come bellezza esotica.

- SULLE IMMAGINI

- Un esempio di murales molto significativo è quello che raffigura il bacio tra due
personaggi politici della guerra fredda: si tratta di Leonid Il’ič Brežnev e Erich
Honecker. Nel 1979 i due (allora rispettivamente Segretario Generale dell’URSS e
Presidente della DDR) si salutarono in una cerimonia ufficiale scambiandosi un bacio
fraterno sulle labbra.
La fotografia del bacio, ampiamente diffusa, fu ripresa dall’artista Dimitrji Vrubel, che
la ricopiò intitolandola “Mio Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale” (
scritto in cirillico).
Questo murales si trova nella “East Side Gallery”, si tratta di una parte del muro di
Berlino ricoperto da murales e graffiti artisti provenienti da tutto il mondo, incentrati
sul tema della pace o comunque della caduta del muro in seguito alla fine della guerra
fredda. É un vero e proprio museo a cielo aperto e rappresenta un memoriale
internazionale alla libertà.
La fotografia originale di Bossu incarna tutto il mondo comunista (il bacio fraterno
socialista consiste in un abbraccio e un bacio reciproco sulle guance o in casi più rari alla
bocca. L’origine di questo rito deriva dai riti della Chiesa ortodossa. Tra i leader politici
comunisti era visto come una questione di formalità). Il bacio dei segretari generali è
diventato il simbolo della liberazione, un atto audace ed eversivo che ha influenzato e
rappresentato in seguito diverse situazioni politiche.

- NATIVE IMAGE MAKING


- Venne richiesto a cittadini stranieri residenti a Bologna di realizzare scatti che
incarnassero le tematiche di: lavoro, famiglia, tempo libero, identità/di erenza,
rapporto tra culture, controllo sociale.
Ciò che è emerso è una versione della città diversa non tanto per la
denotazione (contenuto) ma per il significato attribuito alle immagini.
L’ambiente lavorativo in cui operano è la strada (non l’u cio), della
famiglia esaltano la solidarietà relazionale piuttosto che il valore istituzionale, ci
invitano a immedesimarci in chi subisce sguardi di intolleranza e odio per la
diversità.
- Una delle più famose ricerche di native image-making è “Through Navajos
Eyes” del ‘66, per cui ad un gruppo di nativi americani venne chiesto di
raccontare il proprio mondo e loro stessi in maniera autonoma e secondo i loro
principi, liberandosi dalla visione che il mondo occidentale ha di loro. L’obiettivo
era sottolineare le scelte semantiche, tematiche e sintattiche nell’uso dei mezzi
di registrazione: come comunicano i navajos con le immagini?

- RI-FOTOGRAFIA
- Interessante è una ricerca condotta da Margolis (1994), che ha analizzato foto
d’archivio, scattate da fotografi diversi, delle comunità residenti attorno alle
d’archivio, scattate da fotografi diversi, delle comunità residenti attorno alle
miniere di carbone del Colorado; tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, i
proprietari delle miniere di carbone fecero costruire le cosiddette Company
Towns (abitazioni per i minatori). L’industria del carbone era spesso oggetto di
lotte violente tra minatori e proprietari. I fotografi erano soliti fotografare gli
eventi e le situazioni circostanti, con lo scopo di creare delle immagini
corrispondenti ai valori e alle convinzioni sociali esistenti.
Margolis si è basato su foto d’archivio appartenenti a collezioni diverse per
confrontare il diverso modo di leggere, e dunque la diversa costruzione visuale
di tali eventi e situazioni sociali. Si trattava di tre collezioni private (Mitchell,
Aultman e Lee), la collezione della compagnia Colorado Fuel and Iron
Corporation e infine quella del sindacato dei minatori.
Uno dei temi tipici presenti nelle collezioni era rappresentato dalle abitazioni
dei minatori. Ogni collezione possedeva, su tale tema, degli idealtipi fotografici
chiaramente identificabili, che fornivano un significato complessivo all’insieme
delle foto, a partire però da diversi punti di vista, che riflettevano l’ideologia e
gli scopi dei diversi fotografi.
- Mitchell: foto di minatori davanti alle case da loro costruite sui terreni
affittati dalla compagnia; emerge separazione e alterità dei minatori.
- Aultman: confronto tra case costruite dai minatori e quelle della
compagnia, per dare un’immagine progressista e moderna, di contro al
basso grado di civiltà dei minatori.
- Sindacato: didascalie che ironizzavano sul termine casa, inadatto per
descrivere quelle che piuttosto erano baracche.
- Compagnia mineraria: case sane e decorose, autocelebrazione.
- Russell Lee: vita dei minatori; le sue foto rappresentavano da un lato
la forza e la vivacità delle comunità che vivevano nelle piccole città
costruite dai minatori, e dall’altro l’arretratezza delle
infrastrutture nelle città costruite dalle compagnie.

Sociologia del cinema

Kracauer può essere considerato il padre della sociologia cinematografica: egli fu il primo a rendersi
conto come il cinema fosse, piuttosto che una riflessione autoriale di cui analizzare solo i contenuti, un
vero e proprio specchio della società di cui esso è frutto.
Prende ad esame una serie di film tedeschi dell’avanguardia espressionista per mettere in luce come il
fenomeno nazista già esistesse seppur a livello embrionale: la presenza di personaggi autoritari in
molte pellicole simboleggia il timore/aspirazione all’autorità.

Con l'avvento del sonoro il cinema italiano visse una profonda crisi produttiva: gli esercenti, avendo
investito una grande quantità di capitali per adattare le sale alle nuove modalità di produzione,
determinavano il mercato dell'offerta cinematografica, privilegiando i film che potevano garantire un
incasso sicuro.

Dal 1929 al 1931 la massiccia importazione di film stranieri, soprattutto americani, preoccupava il
regime, che temeva il crollo finanziario completo delle attività cinematografiche italiane, oltre che la
possibile penetrazione nel paese di ideali non allineati con quelli del fascismo.

- Nel 1931 venne istituita la Direzione Generale per la Cinematografia, con lo scopo di
rilanciare la produzione: venivano concessi prestiti agevolanti ai produttori che
investivano nell'industria cinematografica.
investivano nell'industria cinematografica.
- Nel 1932 si apriva la prima edizione della Mostra Internazionale del cinema di Venezia, che
rappresentava per il regime “...uno status symbol tra i più rappresentativi delle ambizioni
culturali e della dichiarata volontà di mantenere l'Italia nel quadro della politica internazionale”.

Due anni dopo la nascita della Mostra di Venezia aprirono gli stabilimenti cinematografici di Tirrenia
(Pisorno), e quelli della Lux di Torino che, realizzati tre anni prima di Cinecittà (con l’obiettivo di formare
una nuova generazione di cineasti fascisti, ma in realtà divenne in quegli anni un centro di scuola
antifascista), ospiteranno produzioni sia italiane sia straniere.

Nello stesso anno videro la luce due leggi molto importanti per l'industria cinematografica italiana:
quella del 23 giugno 1934, che sanciva la costituzione della Corporazione dello spettacolo, e quella del
16 agosto 1934, che creava la Federazione Nazionale fascista degli industriali e dei lavoratori dello
spettacolo, con lo scopo di “curare la tutela delle categorie, di studiare e risolvere i problemi
economici, di procedere alla stipulazione di contratti collettivi, di promuovere iniziative per il
miglioramento della produzione”.

Il terremoto politico-economico che investì l'Italia dal 1936 in poi coinvolse anche l'industria
cinematografica. Il rovesciamento tra film nazionali e film stranieri venne determinato del decreto legge
del 4 settembre, in base al quale si sanciva il monopolio delle pellicole straniere da parte dell'ENIC,
organismo controllato dallo Stato. In seguito a ciò le grandi case americane ritirarono i loro prodotti dal
mercato italiano creando una condizione di particolare favore per l'industria cinematografica italiana.
Queste iniziative ebbero un effetto evidente sulla produzione: dal 1936 in poi i film italiani in
circolazione nelle sale incrementarono costantemente di numero, si passò dai 43 del 1936 ai 106 del
1942, ultimo anno di produzione cinematografica fascista prima del crollo del regime.

Propaganda: l’origine del termine avviene in un contesto religioso: nel XVII secolo papa Gregorio XV
istituì la Sacra Congregazione de Propaganda Fide, un organo con scopi missionari.
Dopo il proselitismo religioso la parola è stata applicata alla diffusione di idee politiche e con lo
sviluppo dei mass media si sono creati canali nuovi: durante la prima guerra mondiale fu usata su vasta
scala.

Il regime fascista individuò nel cinegiornale il mezzo privilegiato per la propaganda dei propri dogmi: è
quindi attraverso il Luce e le sue proiezioni che vennero enfatizzate le imprese di Mussolini, la
fascistizzazione dell'Italia e, successivamente, la nascita dell'impero.
La reale pressione ideologica sulla popolazione italiana avvenne soprattutto attraverso altri media, la
stampa e la radio, oltre al già citato cinegiornale.

I cinegiornali Luce erano il fulcro del processo propagandistico del regime.


Nel 1933 Mussolini “commissionava” al giornalista statunitense Robert Lowell la realizzazione di
“Mussolini Speaks”, prodotto dalla Columbia Pictures, intervenendo direttamente nella scelta dei
temi e del taglio da dare all'intera operazione.
Per la prima volta Mussolini si serviva direttamente dal cinema per parlare al mondo e costruire il
proprio monumento per immagini. Mostrando gli obiettivi raggiunti dal fascismo “il dittatore vuole
offrire all'estero l'immagine di un paese nel quale regnano l'ordine e la disciplina e in cui si lavorava
per raggiungere gli obiettivi della più avanzata civiltà industriale”.
Il film sembrava costruito per dimostrare la perfetta sintonizzazione tra l'ideologia del New Deal e
quella fascista, in una fase in cui negli Stati Uniti si guardava all'Italia con interesse e simpatia.

Il film di finzione godeva invece, almeno fino alla guerra, di una condizione di relativa libertà, non
essendo richiesto un totale asservimento dello sguardo del regista a quello dei vertici del regime.
Questa libertà espressiva era data dal fatto che il regime considerava il cinema come un puro
Questa libertà espressiva era data dal fatto che il regime considerava il cinema come un puro
intrattenimento, uno spettacolo innocuo e poco pericoloso per il proprio equilibrio.

All'inizio degli anni Trenta, l'élite culturale del fascismo assecondava la necessità del regime di iniziare
un processo di autocelebrazione e fondazione di un blasone culturale, attraverso una teoria che
proponesse una linea di continuità tra la storia passata (Rinascimento) e quella presente del popolo
italiano, rielaborando in chiave fascista episodi gloriosi del passato [film storico].

Dopo dieci anni dalla conquista del potere, il regime decise di “limitare” l'esaltazione e la
rappresentazione delle gesta contemporanee, non volendo regalare visibilità alla sua anima violenta e
squadristica, evitando così la glorificazione cinematografica delle camicie nere.
Scelsero invece di mostrare camicie nere come perfettamente inserite nelle foto di gruppo della
famiglia contadini non è altro che un modo ovvio per esibirne le ascendenze popolari e per rendere
familiari le figure degli squadristi. Nella fase confusa dell'immediato dopoguerra, in cui tutti i valori
sono rovesciati e non esistono più punti di riferimento ideali, lo squadrista appare come un “difensore
della sacralità del focolare e dell'unità del mondo contadino”.

Prendeva inoltre piede, accanto all'affresco storico, il film piccolo-borghese, che raccontava soprattutto
storie d'amore ambientate nelle piccole e grandi città italiane.

L'ultimo grande filone del cinema dell'epoca fascista fu quello storico-eroico, ispirato agli ideali della
fase finale del regime, quella dell'espansione coloniale, dell'alleanza con la Germania e infine della
guerra.
La retorica dell'impero costruito dal fascismo, la mitizzazione ormai completa della figura del duce,
l'eroismo dei soldati italiani, l'attenzione al mondo contadino ma anche a quello piccolo borghese,
impegnati stavolta nell'opera di colonizzazione, erano i temi fondamentali di questo genere di film.

Alla fine della guerra l'Italia è quasi al collasso: affamata e impoverita, è però attraversata da una
corrente di energia indomabile, frutto della lotta di liberazione e della voglia di ricostruire.

L'industria cinematografica si è barcamenata come poteva durante il conflitto ma, nonostante i disagi e
la precarietà, nel 1943 viene realizzato un film importantissimo come “Ossessione” di Visconti,
universalmente riconosciuto come spartiacque tra il cinema del fascismo e il neorealismo.
Egli realizza un'opera di respiro internazionale, e in questo senso, più che il realismo degli ambienti e
dei personaggi popolari, segna la frattura definitiva con il cinema autarchico del fascismo, legato a
stereotipi nazionali e spesso incapace di elevarsi dalle retorica populista del regime.

Il neorealismo (‘43-48) può essere definito un movimento morale i cui esponenti, tutt’altro che coesi
sotto il punto di vista stilistico, si opponevano agli schemi imposti al cinema sotto il fascismo.
Se durante il regime la funzione del cinema doveva essere di promuovere l’autocelebrazione della
patria e il recupero glorioso del passato, gli autori neorealisti con la loro sensibilità mostrano l’Italia
post-bellica in tutto il suo crudo realismo:
- disgrazie portate dal conflitto (da qui il privilegio di riprese en plein air che permettessero di
mostrare il territorio distrutto e dimenticato),
- precarietà e di coltà di vita in un paese in ginocchio,
- uso di non-attori o antidivi.

Seppur il grande successo che questi film ebbero all’estero, il neorealismo ebbe vita molto breve.
Considerato una minacciosa piaga comunista dalla neo-eletta Democrazia Cristiana, fu accusato di
gettare cattiva luce sull’Italia rappresentandola nella miseria più assoluta; per contrastare questa
produzione venne messa in pratica una strategia censuaria protezionistica simile a quella fascista del
rifiuto al finanziamento, in modo da incentivare un cinema commerciale d’evasione che esprimesse
ideologie più rasserenanti.
ideologie più rasserenanti.
Oltre all’attacco da parte delle istituzioni, il cinema neorealista non riuscì ad ottenere l’appoggio del
pubblico che piuttosto fu scosso dal vedere le proprie disgrazie sul grande schermo.

Post neorealismo: agli inizi degli anni ’50 vi fu in Italia una ripresa economica che portò allo
straordinario boom degli ’60. Alla fine degli anni ’50 aumentò in modo esponenziale la produzione di
film e le sale cinematografiche si moltiplicarono.
In questo periodo i film italiani furono apprezzati sempre di più. I rappresentanti più importanti furono
Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, che lanciarono due dive italiane che ebbero molto successo anche
all’estero, Sophia Loren e Silvana Mangano, e inoltre aprirono la stagione delle coproduzioni con Stati
Uniti, Francia e Gran Bretagna.

Nei primi anni ’50 nacque la cosiddetta corrente del “neorealismo rosa”.
Questo filone raccoglie una lunga serie di film di consumo basato sul romanzo popolare.
I protagonisti appartengono alla stessa estrazione sociale del cinema neorealista, ma il loro obiettivo
non è più quello di un bisogno primario per vivere, ma è diventato un benessere economico, come il
matrimonio, la casa, il lavoro, l’automobile ecc.
A questo filone appartengono film come: Le ragazze di Piazza di Spagna (1952) e Terza liceo (1954) di
Emmer, Due soldi di speranza (1952) di Castellani, i primi due film della serie Pane, amore e… (1953 e
1954) di Comencini, Poveri ma belli di Risi (1956).

Accanto troviamo il melodramma familiare ispirato ai fotoromanzi, film di enorme successo con storie
strappalacrime, tradimenti, perdoni, pettegolezzi.

Infine il peplum, filone storico-mitologico di scarsa qualità, leggero e disimpegnato, come ad es.
Maciste. È un cinema di completo disimpegno culturale che propone storie improbabili, effetti speciali
di serie B e il trionfo dell’eroe muscoloso.

Nello stesso periodo prese piede anche la commedia leggera o all’italiana, con donne aggraziate come
Lucia Bosè e Marisa Allasio, ma anche personaggi maschili che iniziano ad incarnare i vizi e le virtù
dell’italiano medio, come Totò, Manfredi e Sordi.
È un filone importante del nostro cinema, sia per il suo successo commerciale, sia perché ha saputo
raccontare in maniera concreta e credibile i cambiamenti in corso nella società italiana degli anni ’60,
velando di amarezza la risata e riflettendo ironicamente le contraddizioni del boom economico.
Questi film riprendono temi e dinamiche piccolo-borghesi già indagate dal neorealismo rosa, ma si
distingue per uno sguardo satirico e dissacrante che scava nelle meschinità e contraddizioni
dell’italiano medio, cialtrone, votato all’arte di arrangiarsi.
La commedia all’italiana spinge alla risata liberatoria, ma graffia e lascia il segno, raccontando la
rincorsa al successo e al benessere consumistico, la disgregazione della famiglia, lo sviluppo di una
nuova morale sessuale, senza risparmiare la morale cattolica, affrontando col sorriso argomenti
scomodi come il fascismo.

Gli anni ’60 si aprono per il cinema italiano all’insegna di una nuova rinascita, nel boom
economico anche il cinema vive un momento florido. La situazione italiana brilla come un’eccezione
rispetto alla crisi internazionale: troviamo le opere di Visconti (Rocco e I suoi fratelli), Fellini (La dolce
vita) e Antonioni.
Acquistano spicco il cinema d’autore e i film d’avventura, anche se si assiste ad un calo di pubblico in
seguito alla diffusione della TV e al diverso modo di gestire il tempo libero, ma che economicamente
sarà compensato dall’aumento del costo del biglietto.

Cinema dell’impegno: in contemporanea alla commedia all’italiana emerge anche in Italia una nuova
generazione di autori che cerca nel cinema il mezzo per un nuovo impegno nei confronti della realtà
sociale e politica. Sono registi accomunati dalla militanza politica nelle fila della sinistra che svolgono
un’opera di denuncia dei meccanismi della società lavorativa, delle logiche di dominio dello Stato e
dell’economia, del potere occulto delle organizzazioni criminali nel sud d’Italia.
dell’economia, del potere occulto delle organizzazioni criminali nel sud d’Italia.
I rappresentanti più illustri sono: Rosi, Petri, fratelli Taviani, Bellocchio, Pontecorvo.

Cinema americano:

Stereotipi culturali: i film USA, prodotti della cultura di massa, esprimevano stereotipi culturali che
anche se «limitati» dalla MPPDA creavano un universo popolato da «americani» e «stranieri», i primi
governati dai valori dei ceti medi, i secondi una massa indifferenziata, che aderisce a usi estranei,
spesso bizzarri ed esotici, talvolta sinistri, ma sempre divergenti dalla norma USA.
- Il «sambo», il nero come figura servile, infantile e cuor contento;
- il bandito messicano;
- il malvagio cinese.
Una visione del mondo «coerente», basata su precise posizioni politiche, di colore della pelle, di
appartenenza etnica e di americanismo.

La questione del destino nazionale è oggetto negli USA di varie tradizioni cinematografiche:
1) il western, il racconto delle origini che fa del cinema un medium fondamentale nella costruzione
dell’identità nazionale americana;
2) il cinema di sicurezza nazionale, che attraverso film polizieschi, di guerra, spionaggio ma anche di
commedie sentimentali, interroga la possibilità di sopravvivenza degli USA, la legittimità della loro
potenza militare e del suo utilizzo presente e futuro.

Il punto di articolazione tra industria del cinema di sicurezza nazionale e lo Stato è il rapporto con la
minaccia:
1) Comunismo: URSS, Cuba, Cina, Vietnam, Corea del Nord;
2) Terrorismo: mediorientale, ex repubbliche sovietiche;
3) Cyberspazio: attacchi informatici;
4) Fanatismo/follia: religioso, criminali, serial killer.

La minaccia è una nozione polimorfa, incessantemente elaborata e plasmata dal dibattito strategico:
essa fornisce un materiale drammatico di prim’ordine a Hollywood e le offre i mezzi per attirare il
pubblico.
Il mondo brulica di minacce che legittimano la produzione di strategia e di potenza militare, le cui
proiezioni all’esterno permettono d’imporre l’ordine americano, senza il quale gli USA pensano non
possa esserci sicurezza.
La nozione di minaccia, per risultare efficace è necessario che abbia una «dimensione affettiva», che
scateni autentici sentimenti collettivi d’inquietudine, oltre che di paura, di orrore all’idea che chi ne è
oggetto ne possa soffrire, e subire l’annientamento delle persone care per mano di forze distruttrici,
mosse da un’ideologia politica o da una volontà malvagia.

Il cinema di sicurezza nazionale crea una storia alternativa immaginata e trasformata in spettacolo
collettivo, che si costituisce poi come universo mentale dove l’attualità strategica viene giocata o
rigiocata in modo da essere discussa e «perfezionata».
Riprende e interpreta quei grandi miti americani che intervengono a dare il loro significato alle sfide
strategiche.

Il più potente è quello della frontiera: investe lo spazio (ignoto, ostile, con indigeni pericolosi) in cui i
coloni si insediano; il luogo in cui i pionieri, collettivamente e individualmente, vengono messi alla
prova.
La sfida riguarda anche la ricostruzione della propria identità: il pioniere non è più costretto da «vecchie
norme» che conosceva in origine e la sua nuova identità si forgia attraverso un «nuovo rapporto con la
violenza», mezzo necessario per sopravvivere, per appropriarsi dello spazio e della natura, ma anche
violenza», mezzo necessario per sopravvivere, per appropriarsi dello spazio e della natura, ma anche
per purificarsi e rigenerarsi (una violenza «rigeneratrice, virtuosa»).

Cinema e identità militare:


1) US Army (esercito) -> radicata alla terra, al combattimento al suolo con tutto ciò che questo
comporta: sofferenza, sangue, eroismo, dolore, morte, durezza.
2) US Navy (marina) -> mare; l’arma democratica per eccellenza, perché un colpo di stato non
potrà mai avere luogo in mare; è il medium storico di una cultura della fluidità strategica dalla
diffusione morbida della potenza americana a partire dagli oceani. I fucilieri di marina, i
Marine, sono l’affermazione della capacità storica della US Navy di sbarcare a terra e aprire la
strada alle altre truppe.
3) Air Force (aviazione) -> aria; arma del dispiegamento aereo, liberato dalle contingenze
terrestri, caratterizzata dalla fusione tra l’uomo, il materiale e la tecnologia nell’esperienza del
volo. Trascende le distanze, dà un carattere astratto alla frontiera.
La concezione aerea della guerra è caratterizzata dalla contrazione temporale, tende a rendere
obsoleta la nozione di combattimento al suolo.

C’è un’ambivalenza: la mentalità USA è recettiva nei confronti dello spettacolo militare, aperto
all’ammirazione delle armi e della tecnologia ma, allo stesso tempo, è «preoccupato» dalle armi in
quanto incarnano il rischio di sradicamento della persona dai valori essenziali (libertà, democrazia e
diritto).

Questa ambivalenza è paragonata alla mètis, l’astuzia dei greci, il cui archetipo è Ulisse, re di Itaca, capo
militare, uomo capace di padroneggiare o sviare la tecnologia costruendo il cavallo di Troia.
L’uomo capace di métis è grado di usare la tecnica a suo profitto senza diventarne schiavo, di
combattere con tutte le sue forze per sopravvivere e annientare i suoi nemici: è insieme tecnologo ma
anche vicino alla natura.

Esempi di film:

- FASCISMO
- PICCOLO-BORGHESE
- Gli uomini, che mascalzoni!, Camerini ‘32: commedia comico-sentimentale,
rappresentò un'importante innovazione nel cinema italiano dell'epoca, per la
scelta rivoluzionaria di girare in esterni invece che negli ambienti ricostruiti nei
teatri di posa; incentrato sulle ambizioni sociali piccolo-borghese, attenzione ai
nuovi mestieri e categorie sociali e descrivendo la vita nelle grandi città italiane,
attraverso i filtri di ironia e sentimento vengono definite le linee portanti della
commedia fascista: uniformità, rassicurazione e conquista del futuro.
Trama: nell'operosa Milano degli anni trenta, l’autista Bruno si invaghisce della
schiva Mariuccia, commessa in una profumeria e figlia di un tassista.
Poiché la ragazza e le sue colleghe non sembrano prenderlo sul serio vedendolo
in bicicletta, per far colpo su di lei, Bruno va a prenderla al lavoro con l'auto del
padrone, presa di nascosto con la scusa di un guasto, e invece di
riaccompagnarla a casa la porta a fare un giro fino ad Arona, sul Lago Maggiore.
Sulla via del ritorno si fermano in un'osteria, dove ballano insieme sulle note di
Parlami d'amore Mariù.
Quando sulla stessa strada passa la moglie del padrone che riconosce l'auto,
Bruno finge di essere uscito solo per provare la vettura dopo averla riparata ed
è costretto a riportare subito la signora a Milano.
A Mariuccia, Bruno lascia detto che tornerà subito ma rimane coinvolto in un
A Mariuccia, Bruno lascia detto che tornerà subito ma rimane coinvolto in un
incidente durante il ritorno. La ragazza si ritrova sola, lontana da casa, senza
soldi. Conquistata la solidarietà femminile della moglie dell'oste con il racconto
della propria disavventura, viene ospitata per la notte e riaccompagnata in città
la mattina dopo.
Bruno, licenziato per aver distrutto l'auto, si reca in profumeria per scusarsi con
Mariuccia, ma viene accolto gelidamente dalla ragazza, convinta di essere stata
presa in giro, e viene indotto ad acquistare un costoso profumo, come
punizione per il suo comportamento.
I due si perdono di vista e si reincontrano casualmente quando il nuovo
padrone di Bruno dà un passaggio in auto proprio a Mariuccia. Bruno non può
sopportare l'umiliazione di fare da autista alla ragazza e rinuncia al lavoro così
faticosamente trovato, abbandonando l'auto e i passeggeri in mezzo alla strada.
Mariuccia, scoperto che Bruno non è un signore ma un semplice lavoratore, è
disposta a ricredersi e a dargli un'altra occasione ma ora è lui a non volerne più
sapere di lei e l'accusa di essere interessata solo agli uomini ricchi.
Pentito per averla trattata male, Bruno cerca di nuovo Mariuccia e la ritrova al
suo nuovo posto di lavoro presso uno stand della Fiera campionaria.
La ragazza, sentendosi in colpa per essere stata l'involontaria causa del
licenziamento di Bruno, sfrutta l'interesse suscitato in un maturo ingegnere per
procurargli un lavoro durante la Fiera, senza però fargli sapere che il merito è
suo.
I due ragazzi sono ormai una coppia ma il loro rapporto viene nuovamente
messo in crisi da un'incomprensione: una sera Mariuccia, in segno di
riconoscenza, accompagna l'ingegnere al parco dei divertimenti all'interno della
Fiera. Bruno, che lavora qualche stand più in là, riceve la soffiata dalla
commessa di uno stand di caramelle invaghitasi di lui e senza pensarci due
volte, chiede alla commessa di andare con lui nello stesso posto. Bruno finge di
essere in confidenza con la commessa, provocando il dispiacere di Mariuccia.
Quando però la ragazza incolpevole scappa via in lacrime, Bruno abbandona la
commessa e insegue Mariuccia fin dentro un taxi, dove infine si chiariscono e
lui le propone di sposarlo. Caso vuole che il taxista sia proprio il padre di
Mariuccia che ha sentito tutto ed è ben disposto a benedire la nuova unione.
- STORICO-EROICO
- Scipione l’Africano, Gallone ‘37: voluto da Mussolini per glorificare la figura
del dittatore e celebrare la conquista dell’Etiopia associando il regime
all’impero romano e al trionfo di Scipione, chiamato “l’Africano” per aver
ottenuto la conquista del mediterraneo (a Zama, contro cartaginesi).
Il film sarà un disastro (scelta degli attori) poiché il tentativo di tornare al film
storico anni dieci risulta ridicolo e l’intenzione politica evidente.

- NEOREALISMO
- Ossessione, Visconti ‘43: il film racconta una storia di passioni torbide, di tradimenti,
di violenza.
C’è un uso rivoluzionario del paesaggio, le pianure dell’Emilia, le vie contorte e le
piazzette affollate di mercanti e di biciclette. Più volte ritirato dalla circolazione,
provocò scandali per i due interpreti troppo sensuali, per il finale riservato ai due
amanti assassini, ebbe una carriera breve, quasi clandestina, ma ricomparve nel
dopoguerra.
Trama: Un giovane vagabondo, Gino Costa (interpretato da Massimo Girotti) attraversa
l’Italia in autostop e arriva a bordo di un camion in un casolare sulle rive del Po.
Il proprietario Giuseppe Bragana (Juan De Landa), che ospita Gino e gestisce uno
Il proprietario Giuseppe Bragana (Juan De Landa), che ospita Gino e gestisce uno
spaccio insieme alla giovane moglie Giovanna (Clara Calamai), casalinga frustrata
declassata a lavare i piatti in una trattoria di provincia.
Una relazione si intesse tra Giovanna e Gino, i due decidono di scappare, ma la donna
che non si sente di affrontare una vita da vagabonda, ritorna al casolare prima che
Bragana si accorga della fuga.
Durante il viaggio verso Ancona, Gino incontra lo Spagnolo (Elio Marcuzzo) che gli
propone di unirsi a lui negli affari.
Dopo diverso tempo, i coniugi Bragana si recano ad Ancona, dove Giuseppe partecipa
ad un concorso per cantanti dilettanti. Qui incontrano Gino, e Giuseppe, che ha della
simpatia per lui, lo convince a ritornare con loro allo spaccio.
Il sentimento si riaccende tra i due amanti e Giovanna e Gino decidono di uccidere
Bragana simulando un incidente stradale.
Il rapporto tra i due amanti non è felice, il rimorso per il delitto compiuto, la paura di
essere scoperti dalla polizia. Inoltre, Gino crede di essere strumentalizzato dalla donna
per la riscossione dell'assicurazione, ciò lo rende irrequieto ed insofferente alla vita che
conduce.
Infine Gino lascia Giovanna per una per ballerina-prostituta, Anita (Dhia Cristiani).
- Roma città aperta, Rossellini ‘45: il film racconta di un’Italia piegata dalla
guerra durante l’occupazione tedesca e la tenacia della resistenza Italiana. A far da
quadro a questa cornice ci sono i sentimenti umani, quelli più forti come la
disperazione, l’amore e la speranza ma anche l’attivismo sociale, la frivolezza e la
corruzione.
Altro tema trattato è il conforto e l’appoggio che le persone ricercavano nella religione
cristiana, parte integrante della nostra cultura (ruolo interpretato da Aldo Fabrizi) ed al
superamento della barriere in vista di un ideale comune ancora più forte.
Il film si conclude in tragedia a voler sottolineare che non vi è lieto fine quando c’è la
guerra di mezzo.
Trama: il film si ispira alla storia vera di don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti
perché colluso con la Resistenza.
Durante l'occupazione, don Pietro protegge i partigiani e, tra gli altri,spicca un
ingegnere comunista: Manfredi.
Nel frattempo, la popolana Pina, fidanzata con un tipografo impegnato nella Resistenza,
viene uccisa a colpi di mitra sotto gli occhi del figlioletto mentre tenta d'impedire
l'arresto del suo uomo, trascinato via su un camion.
Poco più tardi, anche don Pietro e l'ingegnere - tradito quest'ultimo dalla propria ex-
amante tossicodipendente - vengono arrestati.
Manfredi muore sotto le atroci torture inflittegli dai tedeschi per ottenere i nomi dei
suoi compagni della Resistenza.
La sorte di Don Pietro è la stessa: il sacerdote viene fucilato davanti ai bambini della
propria parrocchia, tra i quali il figlio ormai orfano di Pina.
- Paisà, Rossellini ‘46: girata con attori prevalentemente non professionisti, rievoca
l'avanzata delle truppe alleate americane dalla Sicilia al Nord Italia durante la seconda
guerra mondiale.
L’occupato territorio italiano diventa un drammatico a resco in cui la sincerità dei
personaggi si colora di poeticità e la lotta partigiana viene onorata nel suo
riconoscimento di una comune identità e ragioni di vita.
Trama:
- Sbarco in Sicilia, dove una ragazza e un soldato americano vedono troncare sul
nascere la loro storia d'amore.
- Napoli: i protagonisti sono un soldato afroamericano e un bambino che viene
derubato. Inseguendolo, il bambino scopre la vita misera che conduce con la
famiglia e decide di non denunciarlo.
- Roma, dove un soldato incontra una prostituta e le racconta di una ragazza
che aveva conosciuto tempo prima: l'uomo non sa che quella giovane di cui
serba il ricordo è proprio lei.
- Il quarto episodio rievoca le drammatiche giornate della liberazione di Firenze,
dove una donna cerca un suo amico pittore, ora capo partigiano.
- Romagna, nella riposante quiete di un piccolo convento sulla linea gotica,
sconvolto dagli eventi.
- Delta del Po, esalta la coraggiosa opera dei partigiani italiani nelle paludi della
Valle padana.
- Germania anno zero, Rossellini ‘48: Ambientato nella Berlino del ‘46, dove vive il
giovane protagonista dodicenne, Edmund. Vagabondeggia per la città, cercando di
ottenere qualche soldo per la famiglia finita in miseria, sfollata per le distruzioni
belliche; il padre inoltre è immobilizzato a letto, malato di cuore, mentre la madre è
morta e sorella lo accudisce, prostituendosi per ottenere sigarette dai soldati. Il
fratello non esce di casa, in mancanza di documenti e temendo di finire in un lager.
Edmund si perde d’animo, ma un giorno il signor Enning lo porta nella casa in cui vive. Il
maestro pedofilo soggioga Edmund con terie irrazionali, su deboli e forti, e gli affida il
compito di produrre discorsi su Hitler da diffondere.
Il padre malato, dopo una crisi e tornato dall’ospedale, alla fine viene avvelenato da
Edmund, mentre in seguito a un controllo, il fratello senza documenti viene portato via,
ma torna il giorno seguente, venendo a conoscenza della morte del padre.
Sconvolto, non ha il coraggio di tornare a casa e, nel suo inquieto vagabondare,
percepisce il suono di un organo uscire da una chiesa distrutta e se ne allontana. Infine
si arrampica sull'edificio in rovina di fronte all'abitazione della famiglia, da dove vede
portare via la bara del padre; i fratelli, arrivati in ritardo, cercano Edmund chiamandolo,
ma questi non risponde. Prostrato dal peso del rimorso, il ragazzo si suicida gettandosi
nel vuoto sotto lo sguardo attonito della sorella Eva.
- Sciuscià, De Sica ‘46: attraverso le vicende di due ragazzi napoletani e la loro infanzia
rubata, si mostra il degrado, la povertà e l’emarginazione della situazione postbellica, in
una Roma devastata dal disagio sociale, non mancando di richiamare una vitalità
guidata da una disperata voglia di serenità e comprensione umana.
Sciuscià è un termine della lingua napoletana, ora in disuso, che deriva
dall'inglese shoe-shine e sta ad indicare i lustrascarpe del dopoguerra.
Trama: i due ragazzini, Giuseppe e Pasquale, si guadagnano da vivere lustrando le
scarpe ai soldati americani sui marciapiedi di via Veneto.
La strada è la loro casa, il palcoscenico della loro vita: è qui che fanno affari, contano
soldi e come piccoli uomini sono attenti a tutte le opportunità, anche illegali, pur di far
qualche spicciolo in più.
Un'infanzia rubata in un mondo di adulti che cercano di stare a galla come possono, ma
c'è un oggetto del desiderio per i due ragazzi che richiama la loro spensieratezza: un
cavallo bianco, Bersagliere. Appena possono, corrono a Villa Borghese e con 300 lire lo
affittano per cavalcarlo in due. Il loro sogno è quello di possedere il puledro e sono
disposti anche a lavori sporchi pur di comprarlo.
L'occasione arriva quando il fratello di Giuseppe, Attilio, e un suo compare li
coinvolgono in un furto a casa di una chiromante. È una trappola e ne pagheranno le
conseguenze disastrose, ma prima di essere arrestati e portati al riformatorio riescono,
con i proventi del lavoretto, a comprare Bersagliere.
Il cavallo viene affidato alle cure di uno stalliere e Pasquale e Giuseppe condannati,
vengono rinchiusi in celle diverse. Qui sperimentano una vita disciplinata da disumane
vengono rinchiusi in celle diverse. Qui sperimentano una vita disciplinata da disumane
e brutali regole, inganni e tradimenti.
Durante l'interrogatorio, infatti, Pasquale è ricattato: se non confessa il suo amico sarà
picchiato duramente. Pasquale cade nel tranello e parla.
I due si tradiscono a vicenda e si affrontano, finché Giuseppe inciampa, cade dalla
spalletta del ponte e muore.
Pasquale, rinsavitosi dalla smania di vendetta, non potrà fare altro che piangere
disperato l'amico, urlando al mondo il suo dolore mentre si avvicina la polizia e mentre
Bersagliere si allontana dal ponte.
- Ladri di biciclette, De Sica ‘48: presentazione di una società stanca e quindi ancora più
crudele, scandita dalle vicende aspre subite dal protagonista non-attore. La precarietà
lavorativa e la scarsità di denaro sono evidenziate nelle situazione quotidiane, in cui le
immagini traducono sentimenti elementari.
Trama: Roma, secondo dopoguerra. Antonio Ricci, un disoccupato, trova lavoro come
attacchino comunale. Per lavorare deve però possedere una bicicletta e la sua è
impegnata al Monte di Pietà, per cui la moglie Maria è costretta a dare in pegno le
lenzuola per riscattarla. Proprio il primo giorno di lavoro, però, mentre tenta di incollare
un manifesto cinematografico, la bicicletta gli viene rubata. Antonio rincorre il ladro, ma
inutilmente. Andato a denunciare il furto alla polizia, si rende conto che le forze
dell'ordine per quel piccolo e comune furto non potranno aiutarlo.
Tornato a casa amareggiato, capisce che l'unica possibilità è mettersi lui stesso alla
ricerca della bicicletta. A Porta Portese, Antonio riconosce il ladro in compagnia di un
vecchio barbone, perdendolo subito di vista. Anche il vecchio vuole sfuggire a Ricci, che
lo segue fino a una mensa dei poveri, dove dame di carità della pia borghesia romana
distribuiscono minestra agli affamati che partecipano alla funzione religiosa. L'uomo
pretende di essere accompagnato dal barbone alla casa del ladro ma, approfittando di
una sua distrazione, il vecchio si dà alla fuga.
Per caso, Antonio s'imbatte nuovamente nel colpevole in un rione malfamato, dove
però tutti gli abitanti prendono fermamente le difese del ladro, minacciando il
derubato. Nemmeno un carabiniere, non trovando prove concrete, può fare alcunché
per arrestare il colpevole. Stravolti dalla stanchezza, Antonio e Bruno attendono il tram
per tornare a casa, quando Antonio nota una bicicletta incustodita e, preso dalla
disperazione, tenta maldestramente di rubarla, ma viene subito fermato e aggredito
dai passanti. Solo il pianto disperato del figlio, che muove a pietà i presenti, gli evita il
carcere. Bruno stringe la mano al padre e i due si allontanano tra la folla, mentre su
Roma scende la sera.
- Riso amaro, De Santis ‘49: le tematiche sociali a rontate sono: dopoguerra italiano,
criminalità (furto collana) e condizione della donna (lavoro nelle risaie).
Trama: in una affollata stazione, da cui partono i treni che portano le mondine alle
risaie, Walter Granata tenta di sfuggire alla polizia. Alcuni agenti in borghese gli danno
la caccia per il furto di una preziosa collana, del valore di cinque milioni di lire. Walter,
giunto in stazione per incontrare Francesca, la sua ragazza, decide di sviare le ricerche,
affidandole la collana e rinviando il loro incontro. Francesca avrà il compito di
confondersi tra le mondine, mentre Walter rimarrà nascosto per incontrarla più tardi e
darsi insieme alla fuga.
Silvana, una delle mondine con sui Francesca condivide il viaggio, ha notato Walter per
il suo fascino, ma ha pure il sospetto che i due stiano nascondendo qualcosa. Incuriosita
dalla situazione e allettata all'idea di conoscere Walter, Silvana cerca di conquistare la
fiducia di Francesca e la presenta ad un "caporale" come "clandestina". Nelle risaie, le
ragazze clandestine sono lavoratrici prive di contratto, che arrivano senza ingaggio
sperando comunque di trovare un posto e ottenere un salario.
sperando comunque di trovare un posto e ottenere un salario.
Sembra, però, che per Francesca sia difficile ottenere un lavoro; la stessa Silvana, che
possiede un regolare ingaggio, la addita come crumira di fronte alle compagne per
tenerla occupata e rubarle la collana. Quando Francesca scopre il furto, è disperata. Nel
frattempo le mondine si schierano insieme alle crumire di fronte ai padroni per
chiedere a gran voce di assumere tutte le ragazze, che hanno bisogno di un lavoro.
Silvana decide, intanto, di restituire il gioiello a Francesca, e lo fa sotto gli occhi di
Marco, militare in servizio nella zona. Le due donne si rappacificano e Francesca
racconta la sua storia a Silvana. Quest'ultima rimane sempre più affascinata da Walter.
Quando l'uomo arriva alle risaie per incontrare Francesca, nota subito Silvana. Si
scontra con Marco, che corteggia Silvana senza alcun risultato, e ne fa la sua amante e
complice, mentre progetta con alcuni "caporali" di impadronirsi del riso rinchiuso nel
magazzino.
Walter pensa di approfittare dell'ultimo giorno di lavoro e della confusione generata
dalla festa di saluto. Il piano sembra funzionare; Walter, inoltre, provoca l'allagamento
della risaia per accrescere la confusione, ma alla notizia che l'acqua sta distruggendo il
riso, tutti corrono per salvarlo. Walter tenta la fuga, ma Marco lo ferma. I due si
battono; al loro fianco, Francesca e Silvana partecipano alla colluttazione. Silvana,
delusa dal comportamento di Walter, di cui è innamorata, lo uccide. Poco dopo, ella
sale su un'alta impalcatura e si getta nel vuoto.

- POST NEOREALISMO
- ANNI ‘60
- I Vitelloni 1953 Federico Fellini: in una imprecisata città di provincia un
gruppo di amici trascorre le proprie giornate tra sogni e soste al bar. Il film, che
segue contemporaneamente i 5 ragazzi, segna un paradigma: una generazione
senza coraggio e senza volontà, pessimista. Vengono rovesciate le colpe dei
figli sui padri colpevoli di conformismo, di vuoto attivismo dannunziano
(mancanza di valori).
Fellini solidarizza sempre con i suoi personaggi nei quali c’è sempre
proiettata una parte della propria esperienza umana.
- La dolce vita, Fellini ‘60: scopriamo la società italiana anni ’60, con la sua
esaltazione della futilità e mera del mondo dello spettacolo.
Fellini utilizza un linguaggio dall’estrema potenza drammatica per descrivere
una Roma caotica che diverrà poi espressione emblematica per definire un
fenomeno sociale.
Trama: Marcello è un giornalista romano che si occupa di cronache
scandalistiche, nonostante conservi l'ambizione di diventare scrittore.
Incaricato di accogliere all'aeroporto una famosa stella del cinema, il giovane se
ne invaghisce e si offre di accompagnarla in visita per la capitale, tra i lustrini
della lasciva vita notturna. Il loro piccolo viaggio si conclude con un bagno nella
Fontana di Trevi, dove Marcello, stupito dalle eccentriche maniere della ragazza,
le confessa timidamente una puerile ammirazione. Giunta l'alba, la magia di
quell'avventura notturna si dissolve e l'incauto giornalista subisce
un'aggressione dal fidanzato dell'attrice.
L'esistenza frammentata di Marcello, sedotto dai frivoli piaceri della "dolce
vita" romana, prosegue negli incontri quotidiani, tra i capricci e le minacce di
un'amica gelosa e pericolosamente paranoica, attraversando il delicato incontro
con il padre ed i vizi vissuti assieme ad un'aristocrazia arida e fasulla. Per un
momento sembra riavvicinarsi a se stesso con l'amicizia che lo lega al
trascinante Steiner, scrittore esistenzialista, ma questi, di lì a poco, si
suiciderà uccidendo prima i propri figli.
suiciderà uccidendo prima i propri figli.
Stanco dei toni di questa vita, Marcello sente rinascere la voglia di scrivere e si
rifugia nella provincia, pacifica e silenziosa. Ma la sua serenità dura poco: in
breve tempo, le lusinghe effimere dell'alta società lo rigettano in un esistenza
priva di valori morali.
Nel finale, all'indomani di una festa a Fregene, il disincanto di Marcello si
concretizza nell'apparizione di un animale decomposto, trainato verso la riva.
Sull'orizzonte lontano, oltre la carcassa del mostro, una bambina fa cenno di
seguirla, ma il giornalista la intravede appena, senza capire, senza distinguerne
le parole. La ragazza è il simbolo di quella grazia che gli uomini, persi nei loro
piccoli e grandi fallimenti, non sono più capaci di vedere.
- Rocco e i suoi fratelli- Visconti ‘60: la tragica storia di una vedova e dei suoi
quattro figli fa da espediente per parlare di tematiche quali l’immigrazione dal
sud al nord Italia, la conseguente di coltà d’integrazione, la povertà e i drammi
familiari.
- ANNI ‘70
- La classe operaia va in paradiso, Elio Petri: protagonista del film è un operaio
lombardo, Lulù, 30 anni, che lavora in fabbrica. Il suo unico obiettivo è la busta
paga: stimato dai padroni, odiato dai colleghi.
Separato, convive con una parrucchiera.
In seguito ad un infortunio sul lavoro perde un dito e i compagni organizzano
manifestazioni di protesta a cui Lulù si unisce e si scatenano scontri con la
polizia.
Perde il lavoro, ma col sindacato lo recupera.
Torna alla catena di montaggio ma è ormai alle soglie della pazzia e si lascia
andare a un sogno delirante in cui basta abbattere un muro per trovarsi in
paradiso.
Il film sarà oggetto di polemiche per l’immagine ingrata che da al lavoro in
fabbrica. I temi sono l’alienazione della vita in fabbrica, le lotte sindacali, le
rivendicazioni sociali degli operai.

- SICUREZZA NAZIONALE
- Decisione critica 1996: Qui l’esercito è mitizzato come prolungamento armato e
fedele della società USA. Terroristi orientali vogliono far esplodere un aereo sopra New
York. Un commando multietnico, rappresentante di tutte le comunità USA,
neutralizzerà i terroristi. L’eroismo dimostrato illustra quanto le forze di difesa siano
essenziali per assicurare la perpetuazione della società.

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