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INTRODUZIONE
Il futuro vedrà nei minori di oggi, sempre di meno sul piano numerico, gli abitanti legittimi
bisognosi di adeguate politiche di tutela e di cura soprattutto a seguito della pandemia da
Covid-19.
Partiamo con il delineare i nodi tematici che stanno alla base di questo libro:
1. La società del 30%. I minori nelle prospettive del Paese —> dall’inizio di questo
secolo si parla con una certa preoccupazione di un progressivo invecchiamento della
popolazione, documentato dalle varie indagini e dai dati del censimento Istat del
2022. Nel 2022, la popolazione degli over 65 anni (in uscita o fuori dal mercato del
lavoro) rappresenta il 23,8% del totale e, rispetto al 1992, è aumentata del 60%.
Sulla base delle previsioni demografiche, tra vent’anni il 33,7% la popolazione sarà
costituito da anziani; solo 11,5% verrà rappresentato da bambini e ragazzi; il 24,4%
da giovani. Al progressivo aumento della platea degli anziani e alla diminuzione di
quella giovanile, si aggiunge una revisione della sequenza dei cicli di vita: passiamo
da un’infanzia sempre più breve ad una giovinezza sempre più lunga; poi si diventa
adulti, il più tardi possibile; infine arriva l’età in cui si è considerati anziani. In Italia
l’età media è di oltre 47 anni e mezzo, circa quattro in più nell’ultimo decennio. A ciò
si affianca l’evidente e diffusa tendenza a spostare in avanti la giovinezza, a dirsi
‘giovani’ più a lungo, tanto più quando si invecchia: si parla di una fatica di diventare
adulti. In questo quadro di preoccupazioni per il futuro, tra le varie fasi dell’età, a
catturare l’attenzione è l’adolescenza nel suo rapporto con l’universo dei media:
incertezza, vulnerabilità, rischio, transizioni, mutevolezza, ricerca dell’identità, sono
tutte caratteristiche che si applicano all’età della transizione che è l’adolescenza.
Grazie ai media si partecipa all'elaborazione del carattere simbolico della vita sociale,
dove forma e contenuto, pubblico e privato, sé e altro si mescolano e contribuiranno
al divenire del soggetto. Si potrebbe asserire che i media addirittura potenziano la
forma di riflessiva del sé, perché sottopongono il processo di costruzione identitaria a
stimoli e richieste senza precedenti, fornendo materiali simbolici con cui confrontarsi
e a cui riferirsi a livello di lettura delle pratiche sociali. Ecco che i media non soltanto
esercitano forti influenze nel processo riflessivo di costruzione dell’identità per
l’abbondanza di materiali simbolici che forniscono all’individuo, ma anche a livello
relazionale perché attualizzano pratiche sociali con altri soggetti con i quali si
condividono gusti e costumi mediali (Thompson). Thompson pensa al fandom: la
relazione che si instaura tra celebrità e fan come qualcosa di intimo e normalizzato.
É anche attraverso il fandom o, a livello più generale, l’esperienza connessa
all’essere fan di un contenuto o un personaggio mediale, che gli individui tessono la
loro trama di relazioni e costruiscono i loro immaginari e l’identità di gruppo (oltre che
di genere) —> i giovani fan considerano le celebrità come la loro immagine del sé
idealizzata, cercano di sviluppare o ridefinire atteggiamenti e personalità in modo che
combaciano il più possibile con quelli dei loro idoli.
2. Le paure e la fuga dal futuro —> è legato alla diffusione del ‘sentiment’ di paura reale
e coltivata dai media e l’incidenza sulla percezione del futuro. Infatti, il sentimento
confuso e spiazzante di paura è effetto e causa delle narrazioni mediali intorno a
molti fattori che caratterizzano il mondo contemporaneo, dai cambiamenti climatici
alle migrazioni, dalla criminalità e le guerre alla pandemia; infine la paura domina le
relazioni sociali e le politiche pubbliche intorno alle emergenze dei nostri tempi,
culminate con il terrore e l’insicurezza sociale generali dal COVID-19 e dalla guerra
in Ucraina. Criminalità, terrorismo internazionale, problemi ambientali, pandemie,
amplificati dal nuovo mainstream digitale, sono argomenti che chiamano in causa
una riflessione sull’incidenza dei media nella costruzione dell’idea di realtà, del senso
di sicurezza o della paura per il futuro, nel fornire l’accesso alla cultura condivisa
attraverso le tematizzazioni prevalenti delle televisioni e della grande cassa di
risonanza della rete. Niente più della paura mal gestita può avere effetti devastanti
sulla natura biologica e sociale dell’essere umano, sgretolando la già fragile
piattaforma della fiducia reciproca, oltre a quella delle istituzioni, e il ‘sentiment’ di
sicurezza. Vecchi problemi mai insanabili affiorano più forti e accentuati dalla
stratificazione di paure: povertà, divari sociali, marginalità, immigrazioni,
sottofinanziamento dell’istruzione, dell’Università e della ricerca, sono stati zittiti dalle
grida di dolore di un paese e di un mondo inginocchiato davanti all’epidemia.
3. L’infanzia e l’adolescenza tra schemi interpretativi e schemi digitali —> i media
audiovisivi determinano una iper-stimolazione di un soggetto ovviamente non ancora
formato. L’impatto sulla mente del bambino, sulle sue abitudini, sulla sua attenzione,
rappresenta un’evidenza empirica, al punto da immaginare un cambiamento
profondo della gestualità del bambino, con interessanti sviluppi di precoci forme di
autonomia e di navigazioni del nuovo (es. la loro capacità di utilizzare i pollici per
svolgere molte dell’attività della vita quotidiana attraverso le tecnologie touch).
Educare ai media significa allenare la mente al pensiero critico, allinearsi ai tempi
che cambiano, in termini di innovazione dei linguaggi e alleanze reciproche, proprio
nel momento in cui la distribuzione dei saperi (incentivata dai media) implica una
democratizzazione dell’accesso e un aumento delle chances di vita.
4. Dentro il mainstream. Culture e politiche per l’infanzia e per la comunicazione —>
occorre entrare in punta di piedi nell’universo dell’infanzia e dell’adolescenza,
partendo dall’analisi del mezzo che più si è instaurato anche nella vita di minori: la
televisione e l'audiovisivo. Spetta ancora ai media mainstream, in sinergia con le
istituzioni, le scuole, il mondo degli adulti, immaginare strategie di continuità con gli
altri universi mediali anche in termini di tutela e di accompagnamento dei minori nel
complesso universo del cambiamento. Nel mainstream si cercano le risposte nei
momenti di difficoltà, come accaduto durante il periodo della pandemia o quando ci
siamo trovati immersi in un conflitto russo-ucraino. Si può ipotizzare che, in situazioni
di difficoltà e di aumento della paura, si individua nei media e nella buona
comunicazione, la via della conciliazione, della ricomposizione dei legami fra le
generazioni e della convergenza culturale tra soggettività e pratiche sessuali
eterogenei, la strategia per vincere le paure: da questo progetto di società non può
mancare una attenzione ai bambini e ai ragazzi.
Lo scenario post-mediale
La digitalizzazione del sociale ha, di fatto, dato inizio a quella che Ruggero Eugeni definisce
la «condizione postmediale».
Usiamo tranquillamente carte di credito, navigatori satellitari, telefoni cellulari, senza
neppure sospettare la complessità delle strutture e dei processi tecnologici con i quali i nostri
semplici gesti interagiscono. D'altra parte gli stessi dispositivi tecnologici tendono a divenire
piccoli, maneggevoli, portabili: gli schermi televisivi si appiattiscono; i computer vengono
integrati agli stessi schermi che ne visualizzano i dati, oppure si rimpiccioliscono in vari
dispositivi portatili e indossabili (orologi, occhiali, talvolta veri e propri vestiti).
Rapportarsi con i dispositivi post-mediali significa anzitutto «riempirli di senso», ovvero dare
forma al nostro genio creativo. Vuol dire quindi relazionarsi con un pubblico, spesso
differenziato e carico di aspettative nei nostri confronti. Tutto questo avviene in spazi di
connessione permanente che destrutturano l'esperienza tecnologica sempre meno percepita
come difforme da quella sociale, ma a essa sovrapposta e naturale.
Se il nostro rapporto con gli artefatti tecnologici si è sempre giocato nell'ottica di accensione
e spegnimento (accendo e spengo il televisore), di spazi e tempi imposti (devo vedere quel
programma a quell'ora e in quel determinato luogo fisico), oggi si stanno sviluppando
sempre più configurazioni di vita digitale caratterizzate da un'integrazione tra on e off.
● A queste tre tappe se ne sta aggiungendo una quarta caratterizzata dal passaggio
dalla condivisione dei contenuti a un pubblico generalista (come succede sui feed di
Facebook e Instagram) a una condivisione dei contenuti con pubblici sempre più
ristretti attraverso le piattaforme di messaggistica istantanea come WhatsApp o
Telegram. Si tratta di un modello a «uno a pochissimi» tipico dei gruppi di Facebook,
della funzione «amici più stretti» di Instagram o di quella «Circle» di Twitter. Nasce,
quindi, l'era dei social media antisocial abitata da un'utenza giovanile. I più piccoli
vogliono essere se stessi e stabilire amicizie autentiche basate esclusivamente su
interessi condivisi. Desiderano anche privacy, sicurezza e vogliono emanciparsi dalla
moltitudine di persone presenti sulle piattaforme social, che ora includono anche i
loro genitori e i loro nonni.
Il nuovo quadro trasmissivo avviato nella seconda metà degli anni Settanta, vedeva le
emittenti private iniziare a programmare animate sia da interessi politici che commerciali e
l'esigenza di procurarsi nuovo pubblico portò all'individuazione di spazi liberi pomeridiani da
dedicare, interamente, all'intrattenimento del pubblico dei più giovani. Iniziò, così, una
disputa concorrenziale che vide la RAI reagire con un mutamento dei palinsesti, guidata
dalla consapevolezza che fosse proprio il pubblico dei più giovani la leva su cui investire.
Fu così che, negli anni successivi, la RAI, nell'ottica di avvicinare i più giovani alle sue
programmazioni, avviò una politica di attenzione al target anche tramite degli studi e
sondaggi aventi a oggetto i loro gusti e preferenze.
Siamo in piena seconda fase di sviluppo della tv per ragazzi in Italia che, oltre alla nascita di
programmi-contenitore a copertura strategica di interi blocchi di palinsesto, la accredita
quale importante spazio di programmazione, rilevante anche sul piano
commerciale/pubblicitario.
Questo percorso andò avanti fino ai primi anni del secondo millennio, vero spartiacque nella
storia italiana della programmazione dedicata ai minori.
Quanti sono, all'interno di tale sempre più ampia offerta i canali dedicati ai bambini e ragazzi,
lo si può osservare attraverso i dati dell'Osservatorio Europeo sull'Audiovisivo. Si distingue il
caso del Regno Unito, che trasmette il 40% del totale della programmazione europea per
minori, mentre l'Italia copre il 5% dei canali.
Relativamente ai generi di programmazione, sul fronte della DTT free to air (che trasmette
programmi gratuiti) ampio spazio è ancora dedicato al modello generalista (38%),
all'intrattenimento e alla fiction, genere che domina anche nel modello pay insieme allo sport
e ai documentari (18%).
In Europa, dunque, l'offerta free riservata alla tv per minori è pari al 4% sul totale delle
trasmissioni.
Diversa invece la situazione dell'offerta pay, che vede ben 11% del totale dei canali europei
dedicato alla platea dei bambini e dei ragazzi, chiara testimonianza dell'attrattività business
dei contenuti rivolti ai più piccoli.
Ancora diverso è il quadro dell'offerta di canali per bambini e ragazzi accessibile via satellite
che comprende anche l'offerta extra-europea, come, per esempio, programmi trasmessi dal
Bahrain, Iran, Egitto, Mondo Arabo e Hong Kong che approdano nelle case europee anche
sotto forma di contenuti per minori. A questi si aggiungono le reti nazionali norvegesi,
romene, russe, serbe, albanesi e turche che realizzano, tramite il satellite, una discreta
diffusione di programmi per bambini e ancora la ricca offerta di trasmissioni provenienti da
operatori statunitensi. Nella maggior parte dei Paesi europei l'offerta è in sintonia con il
sistema televisivo nazionale.
Quella con la (tele)visione resta una relazione verticale, gestita dall'alto, ovvero da chi
possiede i mezzi di produzione e di distribuzione e, in un certo senso, «subita» da chi e in
basso, una sorta di proletariato mediale che ha da offrire soltanto la propria «forza visiva e di
consumo». Gli spettatori sono sempre in una posizione subalterna che non può essere mai
ribaltata, ma solo interrotta spegnendo l’apparecchio televisivo. Con l'avvento del digitale si
concretizzerà una sorta di lotta di classe: ovvero la spettatorialità audiovisiva sarà investita
da una rivoluzione inimmaginabile.
Le quattro tappe della spettatorialità. Negli ultimi due secoli, grazie alla diffusione delle
tecnologie della comunicazione, il vedere è diventato una dimensione propria della
conoscenza. La nostra è “una cultura dell'occhio”, perché in essa il congegno della visione
costituisce l'asse intorno al quale si organizza sia l'attività cognitiva dei soggetti (io so,
perché vedo), e sia la loro vita relazionale (io interagisco, perché vedo).
La storia dell'umanità è da sempre legata al vedere, considerato sin dalle origini un atto
necessario alla conservazione e allo sviluppo della vita stessa. Tuttavia, la meraviglia di
fronte alla varietà e alla bellezza del mondo trasforma una semplice e meccanica attitudine
in un'esperienza molto più ricca e profonda. È questa la trasformazione dell'homo videns
(l'individuo che vede meccanicamente per sopravvivere) in homo spectator, un soggetto il
cui vedere è come una chiave di accesso a una dimensione ulteriore rispetto alla cura
quotidiana. Si parla di «spettatore originario», il cui vedere supera la semplice percezione
per trasformarsi in un'esperienza coinvolgente: lo spettatore, quindi, si evolve aggiungendo
alla competenza ricettiva passiva, l'interazione con immagini, simboli e significati capaci di
dare senso all’esistenza.
L'invenzione della fotografia e del cinema favoriscono la «parabola evolutiva» dello
spettatore che può proiettare il suo sguardo nei diversi dispositivi ottici, dando spazio a nuovi
significati del vedere mediale e inaugurando la seconda tappa della spettatorialità: lo
«spettatore mediale».
I media moderni diventano il palcoscenico sul quale è possibile sia rivivere la propria storia
(es. fotografia, filmini amatoriali), sia interiorizzare e prendere parte delle realtà e delle
memorie prodotte dalla cultura di massa. Data la sua capacità di riprodurre la realtà
continuamente e perfettamente, l'immagine mediale ricrea il mondo e la dimensione della
conoscenza si dota di strumenti tecnologici capaci di far giungere lo sguardo laddove finora
non era arrivato. Tuttavia, pur in un contesto di potenziamento estremo delle sue facoltà, lo
spettatore mediale vive il limite del framing: la realtà delle immagini mediali è sempre
inquadrata, delimitata dai bordi dell'inquadratura, definita da una prospettiva, sempre
orientata da un punto di vista.
Lo spettatore mediale, in definitiva, dipende sempre da scelte altrui, nonostante assuma
sempre più consapevolezza e capacità di lettura dei contenuti. Diventa cioè un consumatore
sempre più consapevole, seppur limitato esclusivamente alla fruizione.
Queste limitazioni termineranno con la successiva configurazione della spettatorialità (la
terza fase) che possiamo definire «spettatore post-mediale»: associare concetto di
post-medialità allo spettatore significa contestualizzarlo all'interno delle piccole e grandi
narrazioni sociali che circolano nell'età del digitale e dei social network.
Il mondo dello spettatore post-mediale si definisce soprattutto per due elementi:
1. Si colloca in una realtà tecnologica nella quale i dispositivi tradizionali sono in fase di
dissoluzione o inglobati e integrati nelle tecnologie digitali, mobili e altamente
personalizzabili;
2. Egli ha a che fare con tipi di visione che implicano non soltanto prassi consumistiche,
ma soprattutto produttive e riproduttive (quindi relative all'offerta).
Per questo motivo può anche essere definito spettAutore, ovvero un soggetto dotato di
«funzione autore»: di lui non contano più tanto le caratteristiche individuali, psicologiche,
biografiche, ma soltanto la sua funzione cioè i suoi atti, le sue scelte buone o cattive che
siano. Per questo lo “spettAutore post-mediale” si trova investito di grandi responsabilità che
non sempre è in grado di prendersi: egli è definibile più come un centro di attività piuttosto
che come il possessore dello sguardo consapevole.
È per questo che l’idea di “spettatore post-mediale” necessita di un'ulteriore evoluzione che
riconosca un’identità spettatoriale in grado di capire l’impatto e le conseguenze dei suoi atti.
Parliamo questo proposito di «spettAttore» (la quarta l’ultima fase), ovvero di un agente
sociale che incide nel web inteso come uno scenario comunicativo e relazionale.
Lo spettAtore si muove in un orizzonte onlife, incide sul contesto in cui gravita, rispetta il
prossimo, ha capacità giuridica ovvero è titolare di diritti e di doveri, partecipa, sa
relazionarsi. In una sola espressione: è un individuo socializzato che ha interiorizzato
l'inconsistenza concettuale della dicotomia on/off e percepisce l'online come un pezzo
indistinto e naturale della sua esistenza tout court. Pertanto, le «sue azioni “digitali” hanno lo
stesso impatto - o forse anche maggiore - delle sue azioni “fisiche”, andando a determinare
positivamente le dinamiche storiche della società e della cultura. Lo spett-attore si
caratterizza così per il contributo attivo che è in grado di dare nello sviluppo della società».
Lo spett-attore è, dunque, un cittadino che rispetta le leggi, gestisce l'affettività e usa
l'empatia, esattamente nello stesso modo in cui è stato abituato ed educato a fare prima
dell'avvento delle tecnologie digitali.
Questa educazione alle virtù è ancora più necessaria in coloro che ancora non sono cittadini
compiuti e per cui il processo di socializzazione è ancora in itinere: i bambini e gli
adolescenti.
Honey, We Lost the Kids. Premesse per un'analisi critica del rapporto tra bambini e
tecnologie comunicative
Un impegno che guarda alla co-responsabilizzazione dei singoli attori coinvolti nei processi
di produzione e fruizione mediale, non può prescindere da una riflessione sugli effetti
dell'esposizione ai testi comunicativi da parte delle fasce più deboli, in particolare dei minori:
possiamo distinguere l'influenza nociva della televisione sulla mente di un bambino e sul
forte condizionamento dell'intera vita di una persona esposta alla fruizione tv durante
l'infanzia:
«Sophie, 2 anni, guarda la tv 1 ora al giorno. Questo duplica le sue chance di avere disturbi
di attenzione quando sarà grande.
Lubin, 3 anni, guarda la tv 2 ore al giorno, triplicando così le sue possibilità di diventare in
sovrappeso.
Kevin, 4 anni, guarda programmi per ragazzi violenti come Dragon Ball Z. Questo
quadruplica la sua possibilità di avere dei disturbi di comportamento quando inizierà la
scuola elementare».
Tale punto di vista estremo trova riscontro sia nelle analisi neurologiche e pediatriche,
interessate soprattutto al medium, a prescindere dal contenuto, sia in una certa letteratura
mediologica, improntata sull'incidenza della tv nella diffusione dei fenomeni come la
violenza, le paure, le insicurezze a vari livelli.
Il dibattito, iniziato già negli anni Cinquanta, rimane ancora aperto e pieno di contraddizioni.
Per contestualizzare la portata del fenomeno, riportiamo un ulteriore riferimento che
documenta che i bambini tra i 0-4 anni trascorrono in media davanti alla TV circa 3-4 ore al
giorno, spendendo così il 30-40% del totale del tempo di veglia. Lo studio arriva alla
conclusione che, almeno fino ai 2 anni, un bambino non dovrebbe essere esposto
assolutamente alla tv. Nei primi due anni di esistenza, il cervello triplica la sua dimensione,
da una media di 333 grammi a 1 kg. L'aumento delle dimensioni è direttamente correlato alla
stimolazione esterna e alle prime esperienze di vita. Le immagini luminose in rapida
successione stancano il cervello dei figli, agitandoli e generando disagi, conclude il
ricercatore.
Tra i risultati dello studio, vengono riportate alcune considerazioni:
1. I programmi televisivi, persino quelli cosiddetti educativi, generano problemi di
sviluppo e ritardo nell’apprendimento dei linguaggi. Il telespettatore-bambino guarda,
ascolta, ma non interagisce con altri oratori, non parla, inibendo o ritardando le
proprie capacità espressive;
2. I bambini in età scolare che hanno guardato spesso programmi televisivi nei primi
due o tre anni di vita hanno performance più deboli nei test di memoria e lettura,
dimostrando anche una più scarsa attenzione e capacità di concentrazione. La
lettura richiede uno sforzo maggiore, un impegno di immaginazione, implica una
concentrazione superiore rispetto alla semplice visione di immagini. Pertanto, ad
esempio, un bambino di 14 mesi può imitare quello che vede in un film, ma
imparerebbe molto di più da una vera e propria esperienza.
Siamo, dunque, in un territorio controverso, che riversa sulla tv le responsabilità di
generazioni con problemi di sviluppo intellettuale, risultati scolastici insoddisfacenti, problemi
di linguaggio, di attenzione, di immaginazione e creatività. Dal punto di vista di questi studi,
sono da mettere sul conto di una scorretta dieta televisiva -somministrata in età precoce- la
violenza, l'alcolismo, disturbi sessuali, comportamenti alimentari sbagliati, obesità e persino
le aspettative di vita.
Una prima dimensione che restituirebbe al nuovo ambiente digitale una sua funzione
positiva nello sviluppo del bambino, secondo il Rapporto dell'Accademia delle Scienze
francese, è quella esperienziale: mentre nella socializzazione tradizionale l'esperienza del
bambino era limitata al rapporto con l'ambiente familiare di riferimento e con lo spazio fisico
della casa, il nuovo contesto multimediale permette allo stesso di esperire quanto sarebbe
per lui difficile affrontare nello spazio limitato che frequenta. Colori, parole, suoni, volti,
movimenti entrano a far parte e a integrare il suo patrimonio conoscitivo, incentivando in
alcuni casi la sua reattività e capacità di apprendimento e adattamento rispetto a nuove
situazioni.
I supporti visuali e tattili potrebbero generare empowerment, soprattutto quando vengono
introdotti dai genitori, dai nonni o dai bambini più grandi della famiglia, trasformando così il
mondo che passa per gli schermi in quella realtà più affine all'intelligenza dei bambini tra 0 e
2 anni. Di conseguenza, nella costruzione del pensiero simbolico, tra i 2 e i 6 anni, i bambini
devono, per la prima volta, imparare a sperimentare l'alternanza tra il reale e il virtuale (il
verosimile), soprattutto nell'attività di gioco, che inizia nella vita reale, con le bambole e le
persone del suo entourage per poi trasferirsi nelle attività di gioco che vedono la mediazione
degli schermi di qualsiasi tipo.
Tuttavia, quest'età è anche quella in cui, con una certa facilità e spontaneità, il bambino si
può rifugiare e persino nascondere nel mondo degli schermi, dove l'attività specifica
dell'infanzia -il gioco- potrebbe sfuggire agli occhi e alla sensibilità degli adulti. È proprio per
questo che s'impone non il divieto di frequentazione delle tecnologie, ma una pratica
moderata e autoregolata.
Quello che non dobbiamo perdere di vista -concordando con il rapporto elaborato
dall’Accademia delle Scienze francese- è che accanto a un necessario accompagnamento
da parte degli adulti nel mondo degli schermi, i bambini hanno bisogno di un ambiente
formativo istituzionale consapevole delle opportunità e dei limiti delle tecnologie
comunicative.
Non solo palinsesti per bambini e ragazzi. Il caso Covid-19, la «globalizzazione della
solidarietà» e la nuova avanzata dei minori nei canali generalisti
Una volta esplorate le offerte mediali dedicate all'infanzia e all'adolescenza e i principali
trend nei rapporti con le opportunità digitali, emerge l'esigenza di addentrarsi ulteriormente
nella complessità del rapporto minori/testi mediali, con la consapevolezza che i consumi di
queste fasce di età non possano essere assolutamente ricondotti alla sola programmazione
dei canali appositamente progettati
Risulta, pertanto, opportuno iniziare dall'immersione nel «laboratorio dell’audiovisivo», a
partire dalla restituzione di una foto di gruppo del mondo che cambia anche sotto il peso
dell'emergenza pandemica che ci siamo solo in parte lasciati alle spalle.
La televisione sta cambiando irrevocabilmente: alcuni annunciano con gioia la sua morte,
altri sono meno ottimisti, ma insistono sul fatto che la televisione sta cambiando
radicalmente sotto i nostri occhi. I cambiamenti: siamo di fronte all'offerta più ampia di
contenuti per minori di sempre.
Si possono elencare 8 canali free-tv, 15 canali pay-tv, circa 10 App dedicate, l'offerta di video
on demand di Netflix, Amazon, Timvision, Disney+, Warner, la prateria illimitata di YouTube, i
contenuti sui social network sites e i giochi online.
Tuttavia, a partire dalla fine di febbraio 2020 -periodo della pandemia-, si osserva una
tendenza sorprendente tra i pubblici di bambini e ragazzi. Sembravano ormai persi per la
televisione tradizionale quando la paura, il lockdown, la condivisione degli spazi vitali con gli
altri familiari e il bisogno di informazione certificata, li hanno riportati nuovamente e ancor più
numerosi del passato davanti agli schermi televisivi.
I dati di ascolto fanno emergere un riavvicinamento delle platee di bambini e ragazzi alle
televisioni generaliste, con picchi di incremento percentuale dell'ascolto medio delle sette reti
tradizionali italiane nei mesi di marzo/maggio 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 che
sfiorano il 54% sulla fascia 4-14 anni.
Osservando quello che accade nelle dinamiche della fruizione dei telegiornali nazionali, si
può evidenziare che tutte le principali edizioni dei Tg delle 7 generaliste italiane vedono un
incremento dei propri pubblici, con una sorprendente crescita sui giovani e persino sui
bambini. La vera sorpresa arriva dalla lettura dei valori assoluti, che restituiscono una platea
di minori e giovani under 25 anni più che raddoppiata nel 2020 rispetto al 2019:
● 105.000 contro 53.000 sulla fascia 4-14 anni;
● 62.000 nel 2020 contro i 29.000 del 2019 per la fascia 15-19;
● Una media di 86.000 contro i 39.000 del 2019 per i soggetti tra i 20 e i 24 anni.
Inoltre, per le varie fasce di età considerate, non sono i canali tematici dedicati a registrare le
maggiori performance di audience, ma i canali generalisti come Canale 5, Italia 1, RAI 1:
1. Canale 5 risulta nel 2016 il canale più seguito nel prime time televisivo sia sul target
4-7 anni sia sul target 8-13 anni e 14-17 anni, seguito sempre da RAI 1.
2. Canale 5 si attesta, inoltre, come il canale preferito dai minori tra 8 e 17 anni anche
nel preserale e nella fascia protetta.
Questi dati si confermano anche a distanza di anni. Analizzando una settimana tipo (2-8
aprile 2023) possiamo osservare che, nonostante i tanti canali dedicati al target dei bambini
e dei ragazzi, i minori si trovano coinvolti maggiormente nel mainstream televisivo e, in
particolare, nei network dedicati alle famiglie, come Canale 5 e RAI 1.
Se volessimo però legare le devianze criminali all'universo dei minori dovremmo andare oltre
la sfera meramente informatica e riposizionarle in un alveo comportamentale che esiste a
prescindere dalle tecnologie. Si tratta, infatti, di comportamenti che non necessitano di
particolari abilità tecniche, ma sono consentite dal semplice accesso alla Rete. Se ne
individuano, a questo proposito, tre macro tipologie:
1. Minacce, calunnie denigrazioni (hate speech e cyberbullismo): il fenomeno
dell'hate speech è un esempio di questa non evidente correlazione con la Rete.
Esso, infatti, si qualifica come indicatore di: “tendenze che non interessano solo la
contemporaneità, non sono appannaggio esclusivo dei linguaggi giovanili ed è
riduttivo correlare sic et simpliciter alla crescente diffusione dei social media. È una
violenza condivisa sia nel mondo reale sia nella rete, ma che nell'online genera rischi
cui vanno incontro soprattutto gli utenti non consapevoli della portata virale che le
parole assumono sul web”. Numerose sono le ricerche sui discorsi di odio, tutte
orientate a confermare uno degli effetti nefasti della comunicazione digitale: la
polarizzazione, ovvero la crescente segregazione degli utenti (facilitata dalla rapidità
della circolazione dei contenuti online) in fazioni contrapposte. Secondo uno studio,
la pandemia ha generato rinnovate forme di intolleranza decretando un aumento del
40% dei discorsi di odio rispetto al periodo precedente all'emergenza Covid. Si tratta
di un odio che «che colpisce in modo trasversale: sessista, omobi-transfobico,
razzista e xenofobo, islamofobo, antisemita, antiziganista, classista. E che aumenta il
rischio di esclusione e di discriminazione di chi è più vulnerabile» come i bambini e
gli adolescenti. Che sono spesso vittime di un altro atto criminale, ossia di
cyberbullismo, un'urgenza sociale così rilevante da diventare non solo oggetto di
analisi, prevenzione e soluzione, ma di regolazione giurisprudenziale. È del 2017 la
legge «Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto al fenomeno
del cyberbullismo» che, per la prima volta, traccia i contorni del fenomeno e ne
affronta le conseguenze, con l'obiettivo di sensibilizzare i più giovani a prendere
consapevolezza dell'importanza di non assumere atteggiamenti aggressivi e
persecutori.
2. Diffusione online di contenuti di natura sessuale (revenge porn): in Italia esiste
anche una norma che stabilisce il reato di revenge porn, ovvero di diffusione di
contenuti di natura sessuale senza il consenso dell'interessato. Si tratta della legge
n.69 del 2019 conosciuta come «Codice rosso», che stabilisce che «chiunque, dopo
averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o
video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il
consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e
con la multa da euro 5.000 a euro 15.000».
3. Sfruttamento sessuale di minori (grooming e pedopornografia online): un reato
specificatamente legato all'universo minorile è la pedopornografia online sanzionata
dall'articolo 600-ter comma 3 del codice penale italiano. Produrre, divulgare,
diffondere e pubblicizzare, anche per via telematica, immagini o video ritraenti
persone minorenni coinvolte in comportamenti sessualmente espliciti non è però
soltanto un'aberrante azione criminale, ma una vera e propria «piaga planetaria e in
crescita vertiginosa».
Dai media tradizionali alle piattaforme. Un passo avanti con il nuovo Testo Unico per i Media
Audiovisivi
Il percorso di tutte le normative che si sono susseguite nel tempo è scandito in vari
documenti pubblici, tra i quali uno dei più completi e affidabili è Il Libro bianco Media e
Minori dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (2013, 2018).
Tuttavia, tra gli ultimi testi normativi, il recepimento a livello nazionale della Direttiva europea
SMAV* sollecita una particolare attenzione proprio in relazione alla tutela delle fasce deboli e
dei bambini e dei ragazzi nello specifico.
L'approvazione del nuovo *Testo Unico per la fornitura di Servizi di Media Audiovisivi a
livello nazionale ha creato delle aspettative rispetto a una diversa attenzione da parte del
legislatore e delle istituzioni nei confronti della qualità del rapporto che s'instaura tra i testi
audiovisivi e le platee cosiddette «fragili» dei minori.
Il nuovo Testo Unico si presenta come una promessa in termini di maggiore vigilanza
rispetto alla qualità della programmazione dell’abbondante prateria digitale, che vede esposti
i minori.
La pandemia da Covid-19, inoltre, ha costretto a una più decisa riflessione sull’importanza
delle misure di tutela e sulla presa di responsabilità, non solo per via dell’emergenza
sanitaria, ma anche per la sua forte incidenza sulle dimensioni socio-psicologiche, su quelle
relative al cambiamento negli stili di vita e sulla sovraesposizione dei minori ai testi mediali.
In tale contesto si è imposta una riflessione sul ruolo che media, istituzioni e società civile
dovrebbero assumersi in termini di accompagnamento delle fasce più deboli nel
perseguimento dei propri diritti e nella loro tutela. Infatti, il messaggio che dovrebbe orientare
politiche pubbliche della comunicazione e l'agire degli operatori nei confronti delle persone
che hanno trovato rifugio nei testi mediali, è proprio il desiderio di sfruttare la scossa della
pandemia per «guardare oltre», scongiurando la coltivazione di un immaginario negativo sul
futuro delle nuove generazioni.
Si tratta di istanze che stanno a monte del Codice Tv e Minori del 2002, ulteriormente
accentuate dal lavoro portato avanti dal Comitato di applicazione del Codice di
autoregolamentazione Media e Minori e dal Ministero di riferimento.
Infatti, scommettere sui bambini e sugli adolescenti significa scommettere sul futuro delle
nazioni e sul progetto globale dell'umanità. Il futuro si presenta anche come un fatto
complesso mediatico e digitale, prova di una responsabilità condivisa che coinvolge tutti gli
stakeholder nella sua costruzione sicura e consapevole: policy maker, organizzazioni
transnazionali, genitori, istituzione educativa e lettori multimediali e digitali.
L'ambiente digitale da un lato offre grandi opportunità, ricchezza di contenuti, creatività e
supporto all'esperienza offline, dall'altro è anche esposto a trappole, criminalità, reati.
- Una novità importante riguarda l'obbligatorietà del rispetto del Codice di
autoregolamentazione Media e Minori da parte di tutti i fornitori di servizi media, a
prescindere da canale o piattaforma (art. 37, comma 6). L'articolo 37 delega molte
delle responsabilità di tutela all'utilizzo del cosiddetto «parental control»,
presupponendo che la tutela dei più piccoli e dei ragazzi debba far leva su questi
strumenti tecnologici innovativi di protezione e sulla diffusione di una corretta
educazione dell'utenza all'uso di tali dispositivi, dimensione rientrante anche nelle
successive specificazioni relative alle azioni congiunte (iniziative scolastiche «per un
uso corretto e consapevole del mezzo televisivo» o progetti rivolti ai genitori).
Dalla dieta mediale alla qualità dell'alimentazione. Il benessere dei minori e le responsabilità
dell'audiovisivo europeo
Un'attenzione particolare meritano gli aspetti relativi alla protezione dei minori nei confronti
delle comunicazioni commerciali, in particolare del junk food («cibo spazzatura»), a ulteriore
testimonianza di una diversa responsabilizzazione delle istituzioni rispetto alle ricadute dei
contenuti mediali, anche in termini di salute e stili di vita dei minori, adulti del futuro.
«Junk food» è un'espressione popolare inglese utilizzata per indicare alimenti ricchi di sale,
zuccheri semplici e grassi, ma poveri dal punto di vista nutrizionale di vitamine, fibre e
proteine —> “i bambini devono evitare”.
La rilevanza dell'argomento è sottolineata anche dallo studio Global Burden of Disease, che
vede il coinvolgimento di 195 Paesi e che già nel 1998 dimostrava che le diete squilibrate a
livello globale sarebbero state causa di 1 morte su 5.
L'Organizzazione Mondiale per la Sanità invita a lavorare sulla prevenzione dei fattori di
rischio, promuovendo l'adozione di diete equilibrate, a partire dall'infanzia. Tra le
raccomandazioni:
● Introdurre profili nutrizionali, atti a identificare i cibi HFSS - High in saturated fats,
trans fats, free sugars andlor salt;
● Promuovere la loro riformulazione e la riduzione dei consumi di alimenti squilibrati;
● Incentivare l'adozione di rigorosi vincoli a marketing e pubblicità, compresa quella sul
web e sui social network.
Inoltre, l'Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia che un problema da non
sottovalutare è la stretta correlazione tra esposizione dei minori alle comunicazioni
commerciali relative al junk food e problemi quali obesità infantile e malattie correlate.
Tuttavia, una valutazione dello stato di attuazione di tali raccomandazioni evidenzia che le
politiche e i regolamenti emanati dai diversi Paesi sono del tutto insufficienti per affrontare le
continue sfide poste in questo campo dal marketing transfrontaliero e, quindi, a invertire la
rotta di obesità infantile, sovrappeso e malnutrizione, in continua crescita in tutta Europa,
soprattutto nei Paesi mediterranei. Spesso i provvedimenti risultano applicati solo ai media
pre-digitali; ai bambini più piccoli (trascurando il target sensibile degli adolescenti, più
vulnerabile nei confronti della malnutrizione per eccesso o per difetto); ai programmi diretti in
maniera specifica a bambini e ragazzi (piuttosto che a quelli che prevedono un pubblico
composto anche da minori).
Le principali critiche sono:
1. I criteri usati per distinguere un prodotto salutare dal junk food sono troppo vaghi;
2. Restano esclusi dalle restrizioni troppi programmi televisivi guardati regolarmente dai
bambini;
3. Gli impegni presi dalle aziende sono troppo deboli per disciplinare il marketing negli
ambienti digitali;
4. Le industrie non hanno preso alcun impegno su packaging e uso di gadget;
5. Il meccanismo di segnalazione delle violazioni è lento, complesso da utilizzare per i
consumatori e, in generale, tende a favorire le aziende.
Alla domanda formulata dal Censis nell'indagine 2022 sull'età giusta per accedere a Internet
senza la presenza degli adulti —> la maggior parte degli intervistati dichiara che tale
accesso debba avvenire preferibilmente dopo i 14 anni (14-16 anni per il 61% degli
intervistati; 17-18 anni per il 26,3%) e persino una volta raggiunta la maggiore età (22%), i
dati reali vedono una situazione totalmente diversa.
Infatti, un'elaborazione Censis a partire dalle rilevazioni Auditel 2022 attesta una situazione
completamente diversa: quasi il 70% dei minori tra i 4 e i 18 anni accede alla Rete prima dei
14 anni, di cui il 61,7 persino prima dei 13 anni. Dai 14 anni in poi l'accesso è rilevato su
tutta la platea dei minori.
Il Ministro dello Sviluppo Economico, d'intesa con il Ministro dell'Istruzione, con l'Autorità
garante per l'infanzia e l'adolescenza e con il Presidente del Consiglio dei Ministri, dispone
la realizzazione di:
● Iniziative scolastiche per un uso corretto e consapevole del mezzo televisivo;
● Di programmi con le stesse finalità rivolti ai genitori, utilizzando a tale fine anche gli
stessi mezzi radiotelevisivi, in orari caratterizzati da ascolti medi elevati e soprattutto
nella fascia oraria compresa tra le ore 19:00 e le ore 23:00, e in particolare i mezzi
della società concessionaria del pubblico servizio radiofonico, televisivo e
multimediale.
A questi provvedimenti normativi si aggiunge l'impegno nel garantire un'azione concertata e
la cooperazione a livello nazionale e internazionale per rispettare, proteggere e realizzare i
diritti dei minori nell'ambiente digitale.
Ormai da decenni i minori sono immersi in contesti di fruizione digitale, in grado di fornire
molteplici opportunità: favoriscono la loro istruzione; migliorano la loro creatività; permettono
di sostenere e diffondere le loro libertà civili; garantiscono opportunità sociali e culturali e di
intrattenimento; contribuiscono persino alle esperienze offline e alla loro integrazione.
Al contempo, tale ambiente si presenta complesso, soggetto a rapida evoluzione e ha la
capacità di modellare e rimodellare la vita dei bambini in vari modi fino all'età adulta,
esponendoli a crescenti rischi (es. cyber bullismo, cyber grooming, auto-isolamento, abuso
di dati personali, violazioni della privacy ecc.).
In questo quadro, non può non essere menzionata la povertà educativa digitale, diretta a
colpire prevalentemente i minori che vivono in contesti svantaggiati dal punto di vista
socio-economico, in abitazioni sprovviste di connessione veloce o affollate, dove lo studio
risulta maggiormente problematico. Una povertà sopita che la didattica a distanza ha fatto
emergere in tutta la sua gravità.
Da mezzo importante ma facoltativo per l'apprendimento, la socializzazione e le attività di
svago, la Rete diventa così il modo primario per molti bambini e ragazzi di interagire con la
scuola, gli amici e la famiglia, mettendo in evidenza significativi ritardi nello sviluppo delle
loro competenze digitali (oltre che dei genitori e degli insegnanti).
L'esperienza della pandemia porta così l'intera società a prendere definitivamente atto delle
profonde lacune nella conoscenza e nell'utilizzo degli strumenti tecnologici di un target che
forse troppo frettolosamente era stato etichettato come «nativo digitale», attribuendo a esso
conoscenze, competenze e, soprattutto, consapevolezze non del tutto acquisite. Alle
carenze più evidenti - difficoltà a condividere lo schermo durante una videochiamata, a
inserire un link in un testo, a scaricare un file da una piattaforma della scuola o a utilizzare
un browser per l'attività didattica - si affiancano infatti quelle, più difficili da rilevare, relative
alla consapevolezza digitale (come la protezione dei device, dei dati e della privacy, della
salute e del benessere individuale, dell'ambiente) che fanno emergere un quadro tutt'altro
che rassicurante.