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L'informazione: un orizzonte incerto.

di Antonella Artista

I nostri scenari quotidiani sono sempre più caratterizzati dalla presenza pervasiva di
tecnologie informatiche e digitali il cui impatto sugli individui e sulla società si esprime attraverso
processi di ri-strutturazione e ri-configurazione degli scenari sociali, politici e culturali.
Tali processi contribuiscono in maniera significativa al cambiamento di fisionomia delle
società contemporanee, incidendo così profondamente nel tessuto sociale e culturale da provocare
un radicale mutamento delle nostre mappe cognitive, modificando così la nostra epistemologia ma
anche la nostra ontologia1.
L'avvento di una nuova epoca, definita a-criticamente come rivoluzione digitale, impone
dunque una riflessione attenta e una ri-concettualizzazione di due categorie concettuali,
informazione e comunicazione; la cui centralità sembra aver assunto un valore scontato e
indiscusso.
Le posizioni critiche nei confronti dei nuovi artefatti comunicativi e delle trasformazioni
tecno-sociali in corso provengono dalle analisi di scienziati sociali che aderiscono alla tradizione
della Wissensoziologie2 europea, piuttosto che alla tradizione sociologica angloamericana più
orientata alla "misurazione" che alla "valutazione" del mutamento caratterizzante gli attuali scenari
comunicativi.
David Lyon propone una ri-lettura critica Società dell’informazione, i cui sviluppi telematici
e informatici non si identificano tout-court con una svolta epocale, vista come traguardo necessario
e come esito scontato della rivoluzione info-telematica.
Il sociologo canadese si dichiara infatti scettico circa la probabilità che "la mera diffusione
di tecnologie informatiche in molti differenti settori di una società, dalla casa alla fabbrica e dalle
scuole al governo, dia di per sé stessa origine ad un nuovo tipo di società" (D. Lyon, 1991: 8) e si
concentra, piuttosto, sullo studio dei processi di sfaldamento e di disaggregazione 3 "di tradizioni ed
assetti sociali ormai dati per scontati" (ibidem: 11), provocati dalle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione.

1
"La tecnologia dunque non modifica la nostra visione del mondo e la nostra azione su di esso solo nel senso scontato di
potenziare i nostri sensi: essa agisce a livello più profondo, poiché incide sui riferimenti primari, modifica la nostra
epistemologia e, attraverso di essa, la nostra ontologia” (G. O. Longo, 1998: 16).
2
Il concetto di Wissensoziologie venne introdotto all'inizio degli anni Venti da Max Scheler che inaugurò la Sociologia
della conoscenza come ambito di studi specifico dandone una prima sistematica trattazione in Versuche zu einer
Soziologie des Wissens (1925). (Cfr. Enciclopedia Scienze Sociali, 1997: 599).
3
Anthony Giddens fa un'analisi approfondita dei processi di disaggregazione caratteristici della modernità. Per
"disaggregazione" Giddens intende "l’enuclearsi dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione e il loro
ristrutturarsi attraverso archi di spazio-tempo indefiniti" (A. Giddens, 1994: 32).

1
Tali perplessità servono a scardinare ed a rimettere in discussione il paradigma denominato
determinismo tecnologico, secondo il quale il mutamento tecnologico sarebbe automaticamente
responsabile di profonde e significative trasformazioni sociali in direzione di un movimento
collettivo verso forme di progresso che investono le diverse sfere e i diversi domini, da quello
produttivo a quello politico, dalla sfera comunicativa a quella cognitiva.
Le nozioni di Informazione e Comunicazione necessitano quindi di essere ri-pensate e ri-
definite, tentando di superarne    l’ambiguità e la polisemia che caratterizzano un ampio e variegato
ventaglio di definizioni incapaci spesso di individuarne i tratti distintivi e peculiari.
Si delinea quindi l'esigenza di individuare nuove definizioni e di costruire nuovi strumenti
teorici per un'adeguata comprensione scientifica delle due key-words della nostra contemporaneità,
che rinviano a dimensioni che contribuiscono significativamente al cambiamento dei nostri scenari
antropologici e sociali, oltre che ad una profonda metamorfosi delle nostra architettura cognitiva.
La crescita del valore centrale accordato alla comunicazione in tutte le sue forme, si riflette
nella pluralità semantica del termine senza che si sia avvertito il bisogno di definirlo in modo
rigoroso.
L’ambiguità e l’imprecisione che gravitano attorno alla parola comunicazione ne alimentano
un alto grado di flessibilità che ha reso possibile la sua penetrazione in un vasto arco di campi
disciplinari differenti e di realtà eterogenee: dalla psicologia cognitiva al mondo della telefonia e
delle telecomunicazioni, dalla sociologia alla semiotica, dalla sfera giornalistica al settore
audiovisivo, solo per citarne alcuni.
Le due nozioni di Informazione e Comunicazione hanno subito, nel corso del tempo,
notevoli deformazioni semantiche fino a giungere ad uno svuotamento del senso percepibile
attraverso l’uso inflazionato dei due termini. La parola comunicazione, oggi, volendo riferirsi a un
ventaglio infinito di fenomeni e di pratiche sembra paradossalmente aver perduto pregnanza
semantica e descrittiva.
Sembra proprio che gli estremi, toccandosi, si annullino; l’eccesso di comunicazione, il
pancomunicativismo esasperato, decreta la morte stessa della comunicazione.
Il fenomeno dell'inflazione o inquinamento semiotico (U. Volli, 1995: 17) crea forme di
disorientamento cognitivo tali da evidenziare un grosso gap tra la sfera tecnologica dei mezzi di
informazione e la sfera sociale delle pratiche di costruzione dei significati e dei saperi.
"La velocità assoluta" (Virilio, 1995, http) con cui scorre il flusso delle informazioni sembra
non lasciare spazio ad un tempo di riflessione tempo di riflessione necessario per comprenderle ed
analizzarle, per far sì che creino "differenze4" o scarti significativi nel nostro sistema di conoscenze.

4
A questo concetto si dedica una riflessione specifica più avanti.

2
"Di fronte ad una massa di informazioni che non si ha tempo di assimilare o analizzare,
spesso relative a sviluppi, paesi o individui di cui ha nessuna o scarsa conoscenza, la gente tratta le
notizie in uno stato di 'credulità sospesa', per mancanza di una struttura di riferimento entro cui
riporle, e della capacità reale di comprenderle. La situazione può essere così stressante e
l'abbondanza di informazioni così eccessiva che la gente può scegliere di essere 'presente
nell'assenza', ovvero, di ritirarsi dalla comunicazione reale" (Darbishire et al., 1999: 47).
Secondo il filosofo francese Jean Baudrillard "la nostra cultura del senso crolla sotto
l’eccesso di senso, la cultura della realtà crolla sotto l’eccesso di realtà, la cultura dell’informazione
crolla sotto l’eccesso di informazione. Seppellimento del segno e della realtà nello stesso lenzuolo
funebre" (J. Baudrillard, 1996: 22).
Sempre su questo versante critico si colloca la riflessione di Philippe Breton, volta a
problematizzare il concetto di comunicazione, sottolineandone l'uso generico e inflazionato: "Ma
che cosa significa , in realtà, la parola comunicazione, oggi sulla bocca di tutti? Di fatto tutto e
niente. Se si prende alla lettera lo slogan utopico che afferma perentoriamente che tutto è
comunicazione, il termine finisce per perdere ogni significato preciso: comunicazione è divenuto
oggi un gigante terminologico dai piedi d'argilla" (P. Breton, 1995: 117, corsivi miei).
Breton adotta la stessa prospettiva de-banalizzante per analizzare la nozione di
Informazione: "Il termine informazione … appare anch'esso circondato da nebbie propizie alla
confusione. Il suo uso nelle lingue latine comprende significati molto diversi. Esso serve in
particolare a tradurre in una stessa parola tre distinti termini inglesi: data, news e knowledge. In
effetti l'informazione è tanto il dato con cui l'informatico alimenta le macchine, quanto le notizie
che il giornalista confeziona per comunicarle al pubblico. Inoltre, attraverso il gioco di
un'estensione spesso malriuscita, la nostra lingua rende equivalenti informazione e sapere
(knowledge), cosa che … rientra nel campo della più totale confusione" (ibidem: 118-119).
Ed è proprio a questo disorientamento e a questa con-fusione di termini e di definizioni che
la riflessione scientifica dovrebbe sfuggire proponendo nuove ipotesi di lettura dei concetti, senza
approdare a teorie esaustive e totalizzanti, bensì ri-formulandoli come termini-problema e non come
termini-soluzione, parafrasando l'espressione di Morin usata per definire la complessità (E. Morin,
1993: 2).
La confusione tra Informazione e Conoscenza è al centro dell'elaborazione critica di Philippe
Breton che indaga gli aspetti problematici di tale rapporto, evidenziandone l'a-simmetria, e
individua i possibili rischi derivanti dalla fuorviante identità fra i due termini: "Uno degli
inconvenienti provocati oggi dai media è il fatto che l'uomo moderno crede di avere accesso al
significato degli eventi semplicemente perché è informato. Ora, …l'informazione giunge sempre a

3
una soglia in cui non è in grado di rendere conto del senso dell'evento. … L'informazione, per
quanto sia ben fatta, non può restituire o rimpiazzare l'esperienza5" (P. Breton, 1995: 128).
A questo proposito, Baudrillard definisce la nostra epoca come epoca della "simulazione
indefinita" (J. Baudrillard, 1991: 10) in cui i media si configurano come i principali agenti di un
processo di "atrofia progressiva dell’esperienza" (W. Benjamin, 1962: 93).
Dietro le nozioni generiche e opache dei concetti di Informazione e Comunicazione,    si
nascondono spesso fuorvianti convinzioni, quali quelle che associano deterministicamente
mutamento a progresso, scivolando così verso mistificanti equazioni tra Società dell’informazione e
Società della conoscenza (Knowledge-based Society o Learning Society6).
Da tale assunto deriva quindi la diffusa convinzione, dettata da un ragionamento lineare di
taglio deterministico, che vede nell’incremento delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione una crescita simmetrica e quasi proporzionale dei processi comunicativi e cognitivi,
deducendo con una logica inferenziale che la diffusione capillare dei New media crei tout-court
soggetti più informati, capaci di conoscere di più e meglio. Infine, si dà per scontato che la presenza
pervasiva di strumenti comunicativi realizzi di per sé, quasi automaticamente, un rinnovamento dei
processi di intesa intersoggettiva.
L'esercizio di un pensiero critico imprime invece una direzione e un orientamento di segno
diverso all'analisi dei mutamenti tecno-sociali in corso cambia di segno, permettendo di delineare i
profili di una società in cui l'eccesso di informazione (Information Overload) riduce gli spazi da
dedicare alla comprensione e alla ricerca di senso, esistenti come spazi residuali e marginali rispetto
a quelli dominati dal flusso informazionale.
La sovrabbondanza di informazioni e di messaggi oltre una certa soglia critica,
corrispondente al limen al di là del quale l’uomo cadrebbe in una sorta di "noia percettiva" (T.
Maldonado, 1997: 88), genera effetti molto simili a quelli del "rumore 7" che sovrasta il senso,
nell’ambito dei processi comunicativi.
L’ascolto, così, ne risulta confuso, il senso ne viene alterato o addirittura smarrito, e i
meccanismi di intesa e di comprensione reciproca sembrano svuotarsi o appiattirsi.   

5
I processi di mediatizzazione intervengono massicciamente nelle pratiche sociali di costruzione e ricostruzione della
realtà, sostituendo progressivamente alla realtà esperibile una realtà "mediata", simulacrale, una "iperrealtà". In
particolare, gran parte della riflessione filosofica e sociologica di Jean Baudrillard è incentrata sulle teorie simulacrali,
che identificano le società postmoderne come epoche in cui le dimensioni della realtà e della fiction (rappresentazione
mediatica) sono indistinguiìbili, dissolvendosi insieme nell'unica dimensione dell’iperrealtà, in cui il segno prevale sul
senso.
6
Tali etichette terminologiche sono rispettivamente sinonimi di "Società fondata sulla conoscenza" e "Società
dell'apprendimento".
7
E' "rumore", in termini di comunicazione, "ogni perturbazione che alteri o disturbi la trasmissione di un'informazione"
(E. Morin, 1994: 115).

4
Quanto più aumenta il flusso informativo, infatti, tanto più diminuisce la soglia di attenzione
di chi fruisce l’informazione; in altri termini, quanto più aumenta la quantità di informazione tanto
più sembra diminuire l’attenzione necessaria ad elaborarla criticamente, ad isolarla dal flusso
informativo per analizzarla e concettualizzarla.
La sensazione di caos che prevale negli scambi comunicativi "disturba" i processi di
costruzione di un comune ambiente simbolico, di un comune orizzonte di senso, generando una
profonda frattura ed una progressiva divaricazione tra flussi informazionali e processi cognitivo-
comunicativi.
Come sottolineato da Breton, "l'informazione si trova a suo agio nella discontinuità, mentre
la conoscenza è un processo continuo" (P. Breton, 1995: 130).
E' in questo solco che si colloca la riflessione di Tomàs Maldonado sul rapporto tra
Informazione e Conoscenza. Lo studioso pone un interrogativo cruciale nell'attuale dibattito sul
ruolo dei media e sul loro impatto nei processi di costruzione e formazione del "sapere", sia sul
versante individuale sia su quello sociale.
Egli si chiede "in quale misura sia vero l'assunto che più informazione è uguale a più sapere,
e più sapere, dal canto suo, uguale a più potere. In apparenza la domanda può sembrare meramente
retorica, giacché una risposta positiva sarebbe in ogni caso scontata. Eppure le cose non sono tanto
semplici. … l'ipotizzata catena di transitività (più informazione = più sapere; più sapere = più
potere) ha un anello debole. Mi riferisco alla prima equazione.    Personalmente, sono persuaso che
questa, a differenza della seconda, non è convincente. La crescita del sapere non si può spiegare
solo in termini di crescita dell'informazione. Anzi, … l'aumento del volume complessivo
dell'informazione circolante si configura talvolta come un fattore negativo per un approfondimento
del sapere. Ciò che si guadagna in estensione, si perde in spessore. E non è tutto. Di frequente, ai
giorni nostri, l'informazione veicola disinformazione, ossia informazione approssimata, distorta o
falsa" (T. Maldonado, 1997: 83).
Il senso della misura, del peso, della proporzione tra le cose si disperde, ne deriva che se
tutto è informazione niente informa più davvero.
Il mondo dell’informazione e della comunicazione globale, rischia di profilarsi come mondo
del rumore assoluto nel quale, usando metaforicamente il linguaggio del Gestaltismo, i messaggi
non vengono più percepiti come figure contrapposte ad un fondo in quanto tutto diventa fondo, anzi
"rumore di fondo".
I nuovi strumenti di comunicazione, più che occasioni per la diffusione e l'espansione della
conoscenza, sembrano alimentare una sorta di collezionismo delle informazioni che, prive di una

5
cornice cognitiva di riferimento nella quale ri-acquistino senso e valore, decadono al rango di flusso
di dati e di veicoli segnici ai quali non sempre corrisponde un'adeguata produzione di senso.
Questa considerazione sembra trovare conferma nell'analisi di Joshua Meyrowitz, che
associa l'utilizzo delle nuove tecnologie informatiche all'immagine di una "giungla dove abbondano
frammenti di 'dati' (benché sia una giungla che creiamo ed immagazziniamo noi); alcuni dati
vengono cacciati, raccolti e analizzati qualora nasca il desiderio di metterli in relazione e una volta
trovati, i collegamenti vengono spesso consumati e digeriti immediatamente senza essere
faticosamente collegati ad altre idee e conoscenze" (J. Meyrowitz, 1995: 524).
I due effetti collaterali, patologici, della Società dell’informazione globale, sono
fondamentalmente assimilabili a due dimensioni: da un lato, l’Information Overload e, dall’altro, il
fenomeno della disinformazione di ritorno, tanto preoccupante oggi da diventare strumento di
potere e di manipolazione delle coscienze mediante tecnologie avanzate (le Computer-mediated
communications) che, secondo Howard Rheingold, ibridano disinformation ed entertainment, dando
luogo al fenomeno denominato disinfotainment (H. Rheingold, 1993: 14).
Disinformazione e de-culturazione8, fenomeni massicciamente presenti nella nostra Società
dell’informazione, sono solo la punta dell’iceberg di un più complesso e intrecciato sistema di
effetti perversi e controfinali che la distribuzione capillare e pervasiva delle moderne tecnologie
concorre fortemente a creare.
Se il tentativo è dunque quello di ri-emergere dal rumore che l'esplosione dei New media
contribuisce spesso ad amplificare, è necessario avviare un'analisi teorica che esplori in profondità e
criticamente tali concetti prendendo le distanze sia da ottuse apologie sia da rischiose posizioni a-
valutative che scaturiscono da una presunta neutralità dei termini esplorati,    carichi invece di forti
implicazioni ideologiche, epistemologiche e culturali.
Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, al di là delle banalizzanti apologie,
si configurano quindi come percorsi non sempre convergenti verso un traguardo comune
caratterizzato dalla crescita e dalla diffusione delle conoscenze 9 e delle relazioni. Più che le
relazioni, sembrano espandersi invece i contatti, senza che ciò equivalga ad una reale ricerca di
significati e di fini10 verso i quali ri-orientare la rivoluzione in corso.

8
Cristopher Lasch attribuisce a questa espressione il significato di "processo di disapprendimento senza precedenti
storici" (C. Lasch, 1992: 197).
9
Ragionare criticamente significa anche scoprire quanta indigenza informativa si cela tra le pieghe più nascoste
dell'opulenza informativa (T. Maldonado, 1997: 91).
10
Charles Taylor individua tre fattori responsabili del disagio caratterizzante l'epoca moderna: la perdita di senso,
l'eclisse dei fini di fronte al dilagare della ragione strumentale e, infine, la perdita di libertà (C. Taylor, 1994: 14).

6
La crisi del significato, e dunque del sapere, caratterizzante le società contemporanee crea
uno stato di tensione e di anomia che deriva dalla limitata capacità di "comprendere le crescenti
quantità di informazione e … di adattarvisi" (Darbishire et al., 1999: 47).
Jean Pierre Dupuy, critico attento dei "miti" generati dalla Società dell'informazione,
sostiene in sintesi che ad una crescente informazione corrisponde un impoverimento del significato,
ovvero "sempre più informazione, sempre meno significato" (ibidem).
La sovrapposizione fra i concetti di Informazione, Comunicazione e Conoscenza, conduce
ad un'ingannevole e rischiosa interscambiabilità dei termini sui quali occorre invece fare chiarezza
mediante un'analisi sociologica orientata a ritrovare le linee di confine tra questi territori    la cui
ibridazione crea confusione terminologica e concettuale.   
Ciò equivale anche a costruire strumenti teorici funzionali a ri-declinare tali nozioni
cogliendone le differenze e attribuendo a ciascuna di queste dimensioni un proprio statuto
scientifico che ne evidenzi la specificità.
E' nell'ambito di questa prospettiva che la Teoria matematica delle Comunicazioni di
Shannon e Weaver (1949), fondamento-cardine della modello informazionale classico, rappresenta
certamente una tappa fondamentale nell'attuale dibattito scientifico che orbita attorno alla nozione
di Informazione.
L'elaborazione di nuovi paradigmi teorici e l'individuazione di orizzonti meno incerti per
ridefinire il termine Informazione costituiscono aree di analisi in cui la ricerca sociale dovrà
concentrare i propri sforzi. La revisione di tale nozione dovrà orientarsi, se si vuole affrontare con
consapevolezza critica la rivoluzione tecno-sociale sfuggendo ad accettazioni passive, al
superamento della genericità che avvolge questo termine-rebus.
Le due parole chiave, Informazione e Comunicazione, sono ormai "parole-labirinto" che
possono portare a tutto e a nulla, "sono percorsi dove ci si smarrisce, ed è qui che la questione
mediatica trova gli ostacoli maggiori" (A. Cavallari, 1996).
Bisogna quindi elaborare teorie fondate su costrutti e categorie utilizzabili nel rinnovato
ambiente comunicativo, approcci orientati al tentativo di ri-definire e ri-concettualizzare
l’esperienza comunicativa per una adeguata e puntuale ri-attribuzione di senso alle parole
Informazione e Comunicazione, sottraendole così alle fluttuazioni semantiche e ai fraintendimenti
che ancora oggi ne riducono una adeguata comprensione scientifica.
Le diverse definizioni di Società dell'informazione scaturiscono proprio dall'incapacità
teorica e concettuale di identificarne i tratti peculiari e distintivi, di coglierne la specificità o gli
elementi discriminanti rispetto ai modelli di società che l'hanno preceduta.

7
Nell'ampio e variegato ventaglio di approcci e di etichette categoriali che tentano di
individuarne gli aspetti più connotativi, le definizioni di McQuail e di Meyrowitz acquistano forse
una maggiore rilevanza.
La prima costituisce una    sintesi capace di evidenziare due tratti peculiari di questo nuovo
ordine socio-economico,    con essa "… ci si riferisce ad un tipo di società in cui viene a crearsi una
sempre maggiore dipendenza dall'informazione e dalla comunicazione da parte degli individui e
delle istituzioni, dipendenza divenuta necessaria al fine di poter operare efficacemente in quasi tutte
le sfere di attività" (McQuail, 1995:    25).
I due caratteri distintivi di dipendenza da e di necessarietà dell'informazione, enucleati da
McQuail come motivi topici della Società dell'informazione, illustrano con chiarezza la posizione
centrale occupata dalle nuove tecnologie info-telematiche nello scenario della società capitalistica
post-industriale.
E' importante sottolineare come tra le tante definizioni che identificano la nostra epoca, il
prefisso post funge da denominatore comune a tutte evidenziando come l'elemento di raccordo,
all'interno dell'ampio ventaglio di definizioni e di categorie concettuali con le quali si tenta di
sintetizzare i tratti emblematici e paradigmatici della nostra contemporaneità, sia costituito da
un'analisi che insiste sul superamento e sull'esaurirsi della modernità, sia che si parli di post-
modernità o postmodernismo, sia che ci si approcci alla società post-industriale o post-capitalistica.
E' di Daniel Bell la prima versione di Società post-industriale come Società
dell'informazione; quest'ultima è caratterizzata, secondo Bell, da alcune nuove tecnologie
responsabili di un radicale    mutamento che incide profondamente nel tessuto sociale
ristrutturandolo e ri-modellandolo (cfr. D. Bell, 1990).
La riflessione di Joshua Meyrowitz sulle metamorfosi della società contemporanea si orienta
in questa stessa direzione. Società elettronica è per Meyrowitz sinonimo di società industrializzata
nel senso che in essa "alcune nuove tecnologie hanno un ruolo essenziale nel rimodellare la società"
(J. Meyrowitz, 1993: 559).   
Il superamento dell'organizzazione industriale è segnato quindi dal prevalere di nuove forme
di capitale e da nuove merci11, coincidenti con risorse conoscitive, immateriali, quali sono le
11
Bell è tra i primi studiosi a tematizzare la cifra immateriale della nostra epoca, segnata dalla terza rivoluzione
tecnologica, quella informatica, da cui prende le mosse la nostra Società dell’informazione nella quale, alla produzione
di merci e di beni materiali si sostituisce la produzione, diffusione e manipolazione delle informazioni, neo-merce della
società capitalistica avanzata e sulla quale si incentra la nuova Information economy. Con essa si intende
quell'economia che crea valore aggiunto e incrementa i livelli di profitto sfruttando il potenziale produttivo del capitale
culturale, delle risorse cognitive possedute e da creare e infine, del flusso di informazioni da memorizzare, manipolare,
diffondere e moltiplicare creando nuova ricchezza.

8
informazioni, decretando il declino dei tradizionali fattori produttivi equivalenti al capitale e alla
forza lavoro.
Meyrowitz registra un passaggio fondamentale nella transizione dai tradizionali modelli di
società a quelli incentrati sulla risorsa sociale informazione, sottolineando che stiamo diventando
sempre più "una società a sussistenza informativa" (J. Meyrowitz, 1995: 524).
Nonostante questi tentativi definitori, le scienze sociali devono orientarsi verso un
riflessione critica impegnata a integrare, ri-leggere e ri-concettualizzare i paradigmi esistenti sulla
Società dell'informazione.
Le diverse definizioni ne colgono solo parzialmente la complessità emergente dal gioco di
interazioni tra una molteplicità di fattori che concorrono simultaneamente a definire i "nuovi
paesaggi sociali" (ibidem: 207) profondamente ristrutturati dalle tecnologie informatiche e
comunicative.
Qualunque riflessione orientata a cercare una spiegazione delle trasformazioni
antropologiche e sociali in corso, risente della necessità di confrontarsi dialetticamente con
quell'elaborazione teorica che costituisce un'importante concettualizzazione, scientificamente
fondata, del termine Informazione.
La communis opinio intorno al modello trasmissivo della comunicazione sembra non
lasciare spazio ad una revisione critica, ad una ri-lettura del testo tra le cui pieghe si annida il germe
concettuale della dimensione qualitativa implicita nell'idea di Informazione.
Il rigore logico ed il linguaggio analitico ai quali Weaver ricorre per esporre le proprie
osservazioni, propri dell'ambito disciplinare e della formazione ingegneristica dei due autori, non
costituiscono una barriera concettuale confinante il problema comunicativo al solo spazio tecnico-
procedurale.
Il testo presenta diverse occasioni e spunti per ampliare lo sguardo sulla definizione di
Informazione, irriducibile ad un rigida formalizzazione matematica che associa il fenomeno
comunicativo alla sola dimensione sintattica, ad un problema di natura tecnico-procedurale.
Forse una ri-lettura più attenta di questa Teoria può contribuire a una ri-definizione del
concetto di Informazione, visto che il panorama teorico attuale si presenta piuttosto incerto e
frastagliato. Gli stessi paradigmi semiotico-comunicativi elaborati da Eco e Fabbri (1965) in
direzione di un superamento del modello informazionale classico 12, trovano la loro matrice, il loro
12
Si fa qui riferimento ai modelli semiotico-informazionale e semiotico-testuale. Il modello semiotico-informazionale
deriva proprio dall'innesto del problema della significazione sul vecchio modello informazionale. Il problema della
significazione rimette in discussione due punti fragili del modello precedente:

 l'informazione rimane costante attraverso le operazioni di codifica e decodifica;

 l'informazione si propaga attraverso un codice comune sia all'emittente sia al ricevente.

9
punto d'origine proprio nel paradigma trasmissivo della comunicazione, con il quale qualunque
revisione critica ha necessità di confrontarsi dialetticamente.    I nuovi modelli, pur integrando e ri-
leggendo criticamente la Teoria di Shannon e Weaver non costituiscono forse una vera e propria
"svolta" nel panorama teorico della Communication research, ancora lacunoso di
concettualizzazioni e di elaborazioni critiche sistematicamente e scientificamente fondate sull'idea
di Informazione.
Questa necessita di essere ri-definita alla luce di nuovi paradigmi e di nuove teorie che
tengano conto dei processi in atto, conseguenziali all'avvento dei nuovi strumenti comunicativi
caratterizzati dalla digitalizzazione, dall'interattività e dalla multimedialità.
L'impegno teorico va dunque ri-orientato verso un nuovo orizzonte    interpretativo volto a
problematizzare i concetti piuttosto che appiattirli in banalizzanti esemplificazioni che si risolvono
troppo spesso in un'analisi scontata della Teoria matematica delle Comunicazioni, sul cui
superamento tout- court convergono le più recenti teorie di matrice semiotica ed ermeneutica13.
Nonostante Weaver inauguri il paragrafo dedicato all'Informazione con una precisazione che
determina una frattura profonda tra questa e il significato a essa attribuibile14 (ibidem: 8), sviluppa
immediatamente dopo una riflessione che ri-vela una dimensione della nozione di informazione
complementare a quella "quantitativa".
"Senza dubbio, il termine informazione nella teoria delle comunicazioni non riguarda tanto
ciò che si dice effettivamente quanto ciò che si potrebbe dire. Cioè, l'informazione è una misura
della libertà di scelta che si ha quando si sceglie un messaggio" (W. Weaver, 1949: 8, corsivi miei).
Termini quali "scelta" e "libertà", pur riferendosi alla dimensione probabilistico-
combinatoria nella selezione dei messaggi, suggeriscono un'idea di "responsabilità" nel farsi del
gioco comunicativo e quindi la comparsa di un soggetto della comunicazione al quale viene
La revisione critica di questi due aspetti "deboli" del modello matematico della comunicazione , permette di approdare a
conclusioni dissimili da quelle caratterizzanti il paradigma informazionale:
I. in primo luogo, la decodifica non avviene in modo necessariamente identico al processo di codifica, possono
infatti intervenire notevoli elementi di difformità legati al possesso di competenze linguistiche, comunicative,
socio-culturali, etc, .. diverse tra gli interlocutori;
II. in secondo luogo, non è accettabile l'ipotesi di un codice unico, comune sia all'emittente sia al ricevente, basti
pensare al problema della comunicazione sistematicamente distorta causato spesso dalla asimmetria di codici
tra parlanti (Problema della "decodifica aberrante").
Rispetto al precedente modello (semiotico-informazionale), quello semiotico-testuale pone al centro del processo
comunicativo non più il messaggio ma il testo, inteso come insieme strutturato di elementi aventi funzione inter-
testuale, intra-testuale e con-testuale.
13
Tali teorie sono più spiccatamente interessate ai processi di costruzione e comprensione dei tessuti testuali
intersoggettivamente negoziati più che alla "trasmissibilità" dei dati o dei singoli messaggi.
14
Le teorie semiotiche hanno messo in evidenza l'esistenza di uno spazio comunicativo più articolato e complesso in
relazione al quale emerge una profonda distinzione fra il messaggio trasmesso come segno e il messaggio ricevuto come
significato (M. Morcellini e G. Fatelli, 1999: 156).

10
attribuito un doppio ruolo attivo. Nella veste di Emittente del messaggio, esprime la propria libertà
di scelta e di selezione all'interno di un repertorio di possibilità, mentre in quella di Ricevente
manifesta un impegno in quella operazione altrettanto selettiva di riduzione dell'incertezza il cui
output finale prende il nome di informazione.
Nella sezione della Teoria matematica delle comunicazioni (1949) scritta da Claude E.
Shannon, la doppia valenza del termine Informazione trova espressione nel seguente frammento:
"Possiamo trovare una misura di quanta scelta comporta la selezione dell'evento, ovvero della nostra
incertezza riguardo al risultato?" (ibidem: 53, corsivi miei).
L'Informazione è quindi il prodotto di un processo selettivo che assume centralità sia nei
processi cognitivi che in quelli comunicativi.
Secondo il neuroscienziato Jean-Pierre Changeux, "il cervello accede alla conoscenza
attraverso un processo di selezione. To think is to make selections15, osservava William James" (J-P.
Changeux e Paul Ricoeur, 1999: 111).
Anche Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza, individua nella selezione l'elemento
distintivo dei processi informativi e cognitivi sostenendo che "l’attribuire alla realtà un significato
include inevitabilmente in sé la segmentazione: infatti ciò che non ha fine non ha neanche senso, per
cui la comprensione è legata alla segmentazione dello spazio non discreto. La tendenza umana ad
attribuire alle azioni e agli avvenimenti un senso e uno scopo sottintende uno scomporre la realtà
continua in alcuni segmenti convenzionali" (S.Tagliagambe, 1997: 30, corsivi miei).   
Spostando lo sguardo sul testo di Weaver è importante sottolineare come la "libertà di scelta
tra più messaggi", cui fa riferimento, tuttavia non implichi questioni di valore o di contenuto
(significato) dell’informazione.
A questo livello, meramente tecnico-quantitativo, è irrilevante la differenza di contenuto
semantico tra i diversi messaggi, "l’informazione come misura non ha cioè a che fare con i problemi
di significato … ma indica che la possibilità di scelta è maggiore se ci troviamo dinanzi a cento
messaggi piuttosto che a due" (G. B. Artieri, 1998: 44).
Sottolineando questo aspetto così importante nella definizione di informazione data dalla
Teoria metrica, si può esprimere lo stesso concetto in termini diversi affermando che tale teoria
misura essenzialmente "la libertà relativa di scelta di ognuno nella selezione di elementi da un dato
repertorio. Quanto più probabile è la scelta dell’elemento (ovvero minore la libertà relativa di
sceglierlo), tanto minore è la sorpresa o notizia (minore l’informazione nel senso quantitativo) che
si presume l’elemento porti con sé" (Enciclopedia Einaudi, 1979: 579).

15
"Pensare è operare delle selezioni" (trad.ne).

11
Superando ed integrando il livello sintattico con quello semantico16, si passa da un concetto
di informazione metrica (trasmissibilità e misurabilità dell’informazione) ad un’idea di
informazione come processo della comunicazione attraverso il quale si opera una "riduzione
dell’incertezza su un insieme di eventi comunicativi possibili" (G. B. Artieri, 1998: 44) realizzabile
attraverso una scelta, una selezione che inevitabilmente consiste in un’operazione di analisi e
distinzione implicante il concetto di "differenza".
La capacità di distinguere e differenziare è proprio la struttura assente nell'archetipo di uomo
metropolitano che George Simmel individua nell'analisi della modernità, che elegge la metropoli
come locus privilegiato di realizzazione: "L’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della
sensibilità rispetto alle differenze fra le cose, non nel senso che queste non siano percepite – come
sarebbe il caso per un idiota – ma nel senso che il significato e il valore delle differenze, e con ciò il
significato e il valore delle cose stesse sono avvertiti come irrilevanti. Al blasé utto appare di un
colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze" (G. Simmel, 1995: 43)
La rilevanza del concetto di "differenza" nella definizione del termine informazione, emerge
anche dall'analisi proposta da Anthony Wilden: "La base della comunicazione è in realtà in se stesaa
una differenza. Si percepisce un'infinità di differenze, alcune delle quali - attraverso processi
nervosi e retinici, la formazione, le abitudini e decisioni consapevoli o inconsapevoli - vengono
selezionate come distinzioni. Per esempio, quando in una folla si distingue il volto di un amico, si
seleziona una possibile differenza e la si isola dallo sfondo costituito da un gran numero di altre
differenze. Ogni volta che, in questo modo, s'individuano una o più differenze, diverse da tutte le
altre, s'introduce una discontinuità in una continuità. Isolare la figura dallo sfondo equivale a
tracciare una delimitazione intorno a una differenza o a una serie di differenze. In tal modo si sarà
reso distinto l'uno o l'altro elemento" (A. Wilden, in Enciclopedia Einaudi, 1978: 652).
E' dunque la differenza l'elemento distintivo che forse più di ogni altro, nell'infinità varietà di
definizioni elencabili attorno ai termini di Informazione e Comunicazione, caratterizza tali nozioni,
seguendo l'orizzonte individuato da Gregory Bateson che definisce l'informazione come "a
difference that makes a difference" (cfr. G. Bateson, 1993: 346-347). L’informazione si configura

16
Weaver identifica tre livelli di problemi riguardanti le comunicazioni. A questo proposito egli scrive: "In relazione
all'ampio campo della comunicazione, sembrano porsi problemi a tre livelli. Così sembra logico chiedersi, nell'ordine:
Livello A. Con quanta esattezza possono venir trasmessi i simboli della comunicazione? (Problema tecnico)
Livello B. Con quanta precisione i simboli trasmessi trasferiscono il significato desiderato? (Problema semantico)
Livello C. In che misura il significato giunto a destinazione induce realmente ad un comportamento nel senso
desiderato? (Problema della efficacia)" (W. Weaver, 1971: 2).

12
pertanto come "una differenza che trasforma lo stato di un sistema, cioè produce una differenza" (R.
De Giorgi, N. Luhmann, 1995: 61).
Da tali definizioni emerge l'approccio sistemico al problema comunicativo, come sintesi che
risultante da tre selezioni : "informazione, atto del comunicare, comprensione" (ibidem).
"La comunicazione rendendo operativa la condizione di incertezza pone il problema della
riduzione dell’incertezza stessa, un problema da affrontare selettivamente (selezionando). E’ dal
processo selettivo, di riduzione dell’incertezza che si genera informazione" (G. Boccia Artieri,
1998: 51).
Lo stesso Luhmann pone in evidenza la centralità dell’operazione selettiva rispetto alla
riduzione della complessità, sottolineandone la necessità per quella autoriproduzione del sistema
(autopoiesi) che si realizza attraverso la comunicazione: " … la forma della complessità è allora la
necessità di mantenere un collegamento solo selettivo tra gli elementi, o in altre parole:
l’organizzazione selettiva dell’autopoiesi del sistema" (N. Luhmann e R. De Giorgi, 1995: 42).
L’informazione così analizzata, da una prospettiva di superamento del modello meramente
trasmissivo, mostra di essere un concetto estremamente più fertile e funzionale ad analisi
sociologiche che mettano l’accento sugli aspetti qualitativi della prassi comunicativa.
Essa si pone come l’elemento generatore di una variazione, di uno scarto, di una differenza
provocata da una "perturbazione" nel dominio cognitivo dei partecipanti al processo comunicativo
che comporta una modifica strutturale delle conoscenze e delle coscienze prodotta attraverso
l'interazione tra sistemi.
Humberto Maturana, aderendo alla epistemologia costruttivista, sostiene che fuori di noi non
c'è una realtà che, simile a un libro, "si offre come una serie di informazioni che bisogna registrare
per ottenerne la conoscenza, bensì una serie di processi che sono selezionati e organizzati nei limiti
delle possibilità distintive e organizzative del linguaggio" (L. De Carli, 1997: 96, corsivi miei).
Sembra quindi puntuale ed acuta la riflessione dei due esperti di tecnologie comunicative,
Gianfranco Bettetini e Fausto Colombo, quando affermano che "la diffusa quanto erronea
identificazione di messaggio e informazione illude sulla possibilità di una conoscenza basata sulla
trasmissione di informazioni: in realtà si tratta di una elementare trasmissione di dati sui quali deve
ancora iniziare ad operare quella riduzione di incertezza che si chiama informazione" (G. Bettetini e
F. Colombo, 1993: 319).
Il problema del ruolo da assegnare alle nuove tecnologie dell’informazione si traduce quindi
nella possibilità che esse vengano pensate come "sistemi informativi" la cui funzione non consiste
tanto nella conservazione, trattamento e trasmissione dell’informazione, quanto nella capacità di

13
contribuire, in interazione con il soggetto umano, a quella riduzione dell’incertezza che equivale
alla riduzione della complessità o del disordine che caratterizza il rapporto tra sistema e ambiente.
Il concetto di casualità o disordine è infatti quello che più di ogni altro identifica in negativo
la categoria di informazione (nel senso di entropia negativa 17, equivalente alla riduzione del
disordine); "in quanto forma di varietà, l’informazione non si distingue intrinsecamente dal rumore
… in o per un dato sistema, l’informazione rappresenterà una varietà codificata o strutturata e il
rumore una varietà non-codificata    … ordine e disordine pongono in gioco un’interazione simile a
quella tra informazione e rumore" (Enciclopedia Einaudi, 1979: 565-567).
L'informazione-differenza non può quindi che emergere in presenza di una rete di
possibilità18, di una varietà sulla quale il soggetto interviene creando ordine, "mettendo in forma" il
caos indifferenziato della physis (natura) mediante artefatti culturali e "forme simboliche" (Cfr. E.
Cassirer, 1976).
E’ quindi da questo "principio della varietà necessaria", introdotto per la prima volta da
Ashby con la formula di "requisite variety" (cfr. Ashby, 1971) che emerge un'idea di informazione
più rispondente agli assunti della teoria sistemica, interessata a scoprire la complessità
caratterizzante la relazione tra sistema e ambiente.
"Come regola generale, si può affermare che quanto più è elevato l’ordine di complessità di
un dato sistema finalizzato19, tanto più alto è il numero di tipi e livelli di varietà che questo è
praticamente o potenzialmente in grado di codificare e impiegare come informazione”
(Enciclopedia Einaudi, 1979: 566).
Il paradigma epistemologico a fondamento della Teoria matematica dell’informazione
trascura questo importante aspetto caratterizzante, in maniera distintiva, i sistemi viventi.
Ad uno sguardo critico, la Teoria metrica si rivela fertile ed efficace finché i suoi livelli di
applicazione si limitano ai "sistemi chiusi" per i quali i cibernetici della prima generazione (quella
di cui fu capostipite Norbert Wiener negli anni Quaranta) l’avevano pensata, altrimenti, utilizzata
come paradigma interpretativo dei processi comunicativi operanti nei "sistemi aperti" rivela chiari
difetti e limiti di ordine epistemologico.
I sistemi di informazione aperti differiscono da quelli chiusi, ai quali invece si riferisce la
Teoria cibernetica classica di stampo meccanicistico, in quanto costituiscono degli ecosistemi di
grado e ordine di complessità variabili, definibili perciò come sistemi multidimensionali.
17
Questo concetto viene definito in termini più rigorosi negentropia, sinonimo di energia negativa.
18
Henri Bergson mette l'accento sulla creatività e imprevedibilità che si nasconde nella dimensione della "possibilità",
definendo il possibile infinitamente più ricco del reale (cfr. I. Prigogine, 1997: 56-57). "L'universo che ci circonda deve
essere compreso a partire dal possibile, e non da un qualunque stato iniziale da cui potrebbe, in qualche modo, essere
dedotto" (ibidem).
19
Per "sistema finalizzato" si intende qualunque sistema - sociale, organico o artificiale - che sia almeno capace di
elaborare informazioni per la correzione degli errori e/o che sia almeno organizzato verso la propria riproduzione
(Enciclopedia Einaudi, 1979: 567).

14
L’informazione biologica, al pari di quella sociale, entrambe espressione di sistemi aperti, è
caratterizzata da distinzioni non solo quantitative (come voluto dal paradigma informazionale
classico) ma anche e soprattutto qualitative, da "tipi e livelli di varietà" diversi.
Il limite del modello metrico dell’informazione sta proprio nel non considerare o trascurare
tale aspetto multi-level, caratteristico dei sistemi aperti, derivandone così una mutilante
unidimensionalità logica per la Teoria dell’informazione.
Più chiaramente, "un sistema aperto differisce da un sistema chiuso, o isolato dall’ambiente,
in quanto é distinto dall’ambiente mediante un confine piuttosto che mediante una barriera. I sistemi
aperti sono quindi sistemi limitati, ma attraverso i loro confini esiste uno scambio continuo di
materia, energia e informazione … I confini del sistema – luoghi reali di scambio di informazione
con l’ambiente – traducono e trasformano la varietà disponibile in modo che il sistema aperto,
finalizzato, la possa usare come informazione (ordine)" (Enciclopedia Einaudi, 1979: 576, corsivi
miei).
Infatti, finchè la teoria metrica è limitata ai settori in cui si applica correttamente e
adeguatamente, rappresenta un’innovazione tecnologica estremamente utile, "ma quando è usata
illegittimamente o incosciamente per superare i confini posti dalla sua stessa autochiusura (al livello
fisico dell’informazione binarizzata e digitalizzata), l’applicazione della teoria quantitativa soffre
del più comune tra tutti i difetti metodologici: lo scientismo riduzionista insito nel superamento di
confini tra differenti ordini e livelli di complessità, senza una corrispondente realizzazione" (ibidem:
575).
Poiché esclude un’appropriata Teoria dei livelli, "e in particolare una soddisfacente teoria
dei livelli semantici e prammatici associati all’informazione, la prospettiva del tipo sistemi chiusi
della teoria metrica è soggetta a una consistente confusione di livelli. Nel caso dell’analogia con
l’entropia fisica, la teoria metrica confonde l’informazione con l’energia che ne è il supporto"
(ibidem: 579).
Heinz von Foerster, padre della corrente cibernetica del secondo ordine, ovvero quella che si
occupa non tanto dei sistemi osservati quanto dei "sistemi che osservano" (H. von Foerster, 1987),
sottolinea la profonda differenza esistente tra informazione-segno e informazione-senso.
Secondo il pensatore austriaco, i teorici classici dell'informazione propongono, attraverso il
modello comunicativo trasmissivo, una fuorviante confusione tra informazione e segnale, definito
da von Foerster un caso di "patologia semantica" (ibidem: 136).
"A viaggiare lungo quei fili, tuttavia non sono informazioni ma segnali … un potenziale
mezzo (di trasporto o di informazione) viene confuso con ciò che esso fa solo quando qualcuno
glielo fa fare. E' qualcuno che deve farglielo fare. Da sé, il mezzo non fa proprio un bel niente"

15
(ibidem: 169-170). Confondendo quindi "i veicoli di potenziale informazione con l'informazione
stessa si colloca di nuovo il problema della cognizione nel punto cieco della nostra visione
intellettuale, e il problema convenientemente scompare" (ibidem: 137).
Egli sottolinea continuamente il senso da ri-attribuire alla parola informazione all'interno
della cornice epistemologica costruttivista; esso va ricercato ri-definendo l'informazione come la
risultante di un processo attraverso il quale il sistema vivente, l'osservatore, ri-struttura, ri-costruisce
e modifica continuamente se stesso.
Il sistema, quindi, riducendo la complessità dell'ambiente con il quale interagisce, dà vita a
forme di organizzazione che si configurano come "auto-organizzazione".
Marvin Minsky, esperto di intelligenza artificiale, individua proprio nell'auto-referenzialità
la caratteristica fondamentale dell'attività cognitiva nei sistemi viventi: "Non ha senso parlare del
cervello come se fabbricasse pensieri come le abbriche fanno automobili. La differenza è che il
cervello ua processi che modificano se stessi, e che quindi non possono venir separati dai prodotti
che essi producono. In particolare il cervello fabbrica ricordi, che modificano il modo in cui
penseremo in seguito. L'attività principale del cervello consiste nell'apportare modifiche a se stesso"
(M. Minsky, 1989: 563).
L'accento va quindi posto sul carattere processuale20 dell'informazione e sulla "qualità" del
processo piuttosto che sulla "quantità" di informazioni.
Riprendendo Wittgenstein, von Foerster descrive l'informazione come dipendente
dall'osservatore, essa non è tanto un'istruzione esistente a-priori negli oggetti, nella realtà21, non è
data, bensì "è ciò che noi costruiamo" (ibidem: 33); quello di informazione è quindi un concetto da
relativizzare, esso assume un significato "solo quando viene posto in relazione con la struttura
cognitiva dell'osservatore" (ibidem: 158).
Le riflessioni che Edgar Morin sviluppa intorno al rapporto problematico tra informazione e
conoscenza, riprendono le elaborazioni teoriche di von Foerster sul problema della
"computazione22" nei sistemi viventi: "Per me la nozione di informazione deve senz'altro essere
posta su un piano secondario rispetto all'idea di computazione. … Qual è la cosa importante? Non è
20
Il carattere processuale implica la nozione di tempo, mettendo in rilievo il carattere storico-temporale dei processi
cognitivi. La costruzione del senso degli eventi non trova adeguate condizioni di realizzazione nell'immediatezza e
nell'istantaneità che caratterizzano il flusso informazionale.
21
Questo principio costituisce uno degli assunti di base del paradigma costruttivista, che contrappone il ruolo attivo del
soggetto, nel costruire selettivamente l'informazione, alla neutralità dell'ambiente:"L'ambiente non contiene
informazioni; l'ambiente è quello che è" (H. von Foerster, 1987: 158). Anche Wittgenstein ritiene che il mondo non sia
informativo, "è come è", l'informazione è infatti ciò che ne tiriamo fuori (ibidem: 45).
22
E' importante esplicitare la valenza che assume questo termine nella trattazione teorica di von Foerster: "Tale termine
è infatti sostanzialmente innocuo: computare (da com-putare) significa letteralmente riflettere, considerare (putare) le
cose di concerto, nel loro complesso, (com-), senza alcun riferimento esplicito a quantità numeriche. Utilizzerò dunque
questo termine nel senso più generale, per indicare qualsiasi operazione, non necessariamente numerica, che trasformi,
modifichi, ordini o riordini le entità fisiche osservate, gli 'oggetti' o le loro rappresentazioni, i 'simboli' " (ibidem: 221).
Egli propone quindi di interpretare i processi cognitivi "come processi ricorsivi di computo infiniti" (ibidem: 223).

16
l'informazione, è la computazione che tratta, e direi estrae delle informazioni dall'universo. Sono
d'accordo con von Foerster nell'affermare che le informazioni non esistono in natura. Siamo noi che
le estraiamo dalla natura; noi trasformiamo gli elementi e gli eventi in segni, strappiamo
l'informazione al rumore muovendo dalle ridondanze. Naturalmente le informazioni esistono dal
momento in cui ci sono degli esseri viventi che comunicano tra loro e interpretano i loro segni. Ma
prima della vita, l'informazione non esiste. L'informazione presuppone la computazione vivente …
Ecco che allora emerge la differenza tra informazione e conoscenza, poiché la conoscenza è
organizzatrice23" (E. Morin, 1993: 111).
E' sempre da questa angolazione che il filosofo della mente e del linguaggio, John Searle,
guarda al termine informazione sottolineandone l'observer dependentness, ovvero la dipendenza
dall'osservatore. Tale termine "non indica una reale caratteristica causale del mondo, così come lo
sono i tronchi d'albero o la luce del sole. Gli anelli dell'albero e i cicli delle stagioni sono aspetti
reali del mondo che esistono indipendentemente da noi, ma qualsiasi informazione che si aggiunga
a queste caratteristiche fisiche è totalmente relativa alla nostra esistenza. … L'informazione, ripeto,
non è qualcosa che esiste nel mondo reale e che possiamo usare in quanto informazione. Essa è
relativa all'osservatore" (J. Searle 1997: 170-171).
La complessa dinamica generatrice di informazione implica, per i sistemi viventi, una
costante interazione tra i concetti di ordine, disordine e organizzazione. I processi cognitivi si
alimentano di questo inscindibile intreccio fra le tre dimensioni che non vanno affatto considerate in
valore assoluto, ipostatizzando l'idea di ordine o di disordine, bensì re-interpretandole in chiave
relativistica rispetto all'architettura cognitiva del sistema organizzatore.
"Le idee di disordine, di ordine e organizzazione sono concettualmente legate all'idea
generale di computo. … ho voluto legare questi concetti a quello di computo, per dimostrare che
queste misure dipendono in tutto e per tutto dalla cornice di riferimento che ci scegliamo per
effettuare questi computi (e che si scopre essere il linguaggio). In altre parole, la quantità di ordine
o di complessità, dipende inevitabilmente dal linguaggio in cui parliamo di questi fenomeni. Ciò
significa che se cambiamo linguaggio, ne risultano creati diversi ordini e diverse complessità" (H.
von Foerster, 1987: 193).   
Il gioco dinamico che si stabilisce tra ordine e disordine, tra informazione ed entropia, tra
organizzazione e chaos, non va più visto secondo una logica oppositiva che crea fratture all'interno
delle coppie bipolari menzionate, piuttosto è dalla co-esistenza e dalla co-implicazione di entrambe
le dimensioni che emerge la possibilità per i sistemi viventi di creare "order from noise", in altri
termini, ordine dal rumore    (ibidem: 63).     

Questo processo organizzatore nei sistemi viventi assume la connotazione di processo "auto-organizzatore" (cfr. E.
23

Morin, 1983).

17
Von Foerster elabora tale principio traendo spunto dal lavoro di Erwin Schröedinger, What is
Life ? (1945), in cui lo scienziato pone un interessante interrogativo sulla natura peculiare dei
sistemi viventi, sulle caratteristiche che differenziano i sistemi fisici, governati da leggi
deterministiche, dagli organismi viventi, per i quali il "caos" (cfr. Prigogine, 1999) assume una
valenza creativa e non più distruttrice nei confronti dell'ordine.
Schröedinger si era chiesto perché l'essere vivente, invece di soccombere al disordine in
virtù del secondo principio della termodinamica24, riuscisse invece a mantenere integra la propria
organizzazione, sopravvivendo al "rumore", anzi sfruttandolo e avvalendosi di questo per creare
ordine ad un nuovo livello.
Dai suoi studi emersero due meccanismi fondamentali attraverso i quali egli tentò una prima
spiegazione della differenza tra l'evoluzione dei sistemi viventi e la dinamica dei fenomeni fisici,
corrispondenti rispettivamente al "principio dell'ordine dall'ordine" e a quello "dell'ordine dal
disordine". Schröedinger identifica il primo come "la vera chiave per comprendere la vita",
affermando che "ciò di cui si nutre ogni organismo non è altro che entropia negativa" (H. von
Foerster, 1987: 63, corsivo mio).
Nella rilettura che ne dà von Foerster si assiste ad un superamento di tale posizione,
attraverso la formulazione di una "seconda chiave" per comprendere i processi che caratterizzano
l'organizzazione dei sistemi viventi. Riferendosi all'espressione metaforica di Schroedinger, von
Foerster si spinge oltre i confini posti dall'individuazione di quei principi-chiave per spiegare
l'ordine del vivente: "Nel mio ristorante, … i sistemi auto-organizzatori non si nutrono solo di
ordine, ma sul menu troveranno anche del rumore" (ibidem).   
L'analisi di von Foerster insieme a quella di Atlan (1974), che sostituisce al principio di
order from noise quello di complexity from noise25, apre un problema di portata rivoluzionaria nella
comprensione scientifica di quei processi che sono alla base dell'esistenza.
Prima Boltzmann (1872), con il concetto di entropia come "informazione mancante" ,
successivamente Schröedinger, e infine Brillouin (1959), che rivedendo la Teoria classica
dell'informazione esplicita il rapporto tra entropia e la sua negazione ricorrendo al concetto di

24
Questo principio fu elaborato per la prima volta da Clausius alla fine del XIX secolo (1865). Lo scienziato si accorse
che ogni processo di trasformazione è accompagnato da una progressiva e irreversibile degradazione dell'energia.
L'entropia è una misura del grado di progressiva degradazione dell'energia. "L'entropia di un sistema isolato aumenta in
modo monotono col tempo fino a raggiungere il suo valore massimo, corrispondente all'equilibrio termodinamico" (I.
Prigogine, 1997: 58). Nei sistemi chiusi quindi (isolati dall'ambiente, col quale pertanto non possono scambiare energia)
l'entropia tende a crescere. Da questa considerazione scaturisce l'ipotesi di morte termica dell'universo.
25
Henri Atlan , nella seconda metà degli anni Sessanta, sulla scorta della lettura delle teorie di von Foerster, tenta di
elaborare una teoria dell'organizzazione dei sistemi viventi avvalendosi del concetto di complessità e varietà,
valorizzandolo piuttosto che negarlo. Per Atlan "i sistemi auto-organizzatori non soltanto resistono al rumore (insieme
delle aggressioni aleatorie dell'ambiente), ma giungono a utilizzarlo fino a trasformarlo in fattore di organizzazione" (H.
von Foerster, 1987: 19)

18
informazione, suggeriscono una nuova chiave di lettura nella definizione del complesso rapporto
che lega il sistema all'ambiente.
Morin illustra tale rapporto come "paradosso dell'organizzazione vivente, il cui ordine
informazionale che si costruisce nel tempo sembra contraddire un principio di disordine26 che si
diffonde nel tempo; … questo paradosso non può essere affrontato che muovendo da una
concezione che leghi strettamente ordine e disordine, cioè che faccia della vita un sistema di
riorganizzazione permanente fondato su una logica della complessità" (E. Morin, 1994: 25, corsivi
miei).
Si profila così l'immagine di un soggetto i cui processi costitutivi (cognizione e
comunicazione) non possono essere assimilati, attraverso dispositivi di riproduzione artificiale e
algoritmi di simulazione27, a quelli delle macchine artificiali.
Per i dispositivi artificiali i concetti di disordine, rumore, errore, rappresentano un "ostacolo"
alla trasmissione di informazioni, fonte quindi di disturbo che perturba l'efficiente scambio di
messaggi, improntato ad una logica di precisione, correttezza e velocità di trasferimento (cfr.
Shannon e Weaver, 1949). Tali fenomeni, se pur ineliminabili, vanno sottoposti a regolazione e
controllo impedendo all'entropia, al rumore, di prevalere sull'informazione28.
Il disordine e la sua negazione vengono quindi visti in chiave contrapposta, il gioco
comunicativo, per i cibernetici della prima generazione, si anima di questa tensione costante fra
entropia e informazione, fra i quali esiste una rottura dicotomica più che un rapporto dialettico.
Essi, considerando i sistemi chiusi, per i quali l'entropia non può che tendere
progressivamente ad aumentare,    fanno riferimento ad un modello di razionalità disincarnata29 che
prescinde dall'interazione del sistema con l'ambiente e quindi dalla possibilità di scambiare energia
con esso ri-utilizzando, a livelli diversi, l'energia degradata (entropia) come fonte e occasione di
nuova organizzazione e quindi di nuova informazione.         

26
Riconducibile al secondo principio della termodinamica, chiamato da Clausis (---) entropia, caratterizzante
irreversibilmente il divenire della natura.
27
In questo senso sia Gerald Edelman, la figura attualmente di maggiore spicco nel campo delle neuroscienze, sia John
Searle, filosofo della mente e del linguaggio, concordano sulla limitatezza dei modelli computazionali della mente e
sull’insostenibilità delle ipotesi funzionaliste o connessioniste, derivate dagli ultimi sviluppi dell'Intelligenza Artificiale,
in quanto essi trascurano aspetti e proprietà essenziali della mente umana, quali la coscienza e l’intenzionalità che si
configurano come dimensioni semantiche irriducibili alla mera dimensione sintattica (cfr. E. Carli, 1997).
28
La Teoria dell’informazione (cfr. Shannon e Weaver, 1949) affronta il problema della trasmissione del messaggio
indicando i procedimenti e le operazioni necessarie a ridurre il disordine entropico che si insinua nel canale di
trasmissione sotto forma di rumore. Questo, nella prospettiva cibernetica, può essere sottoposto a controllo solo
attraverso la creazione di "isole d’entropia localmente decrescente" (N. Wiener, in P. Breton, 1995: 29), corrispondenti
alla produzione di informazione.
29
La tendenza comune alle scienze cognitive verso un’impostazione formale dei processi cognitivi, incentrata su una
razionalità disincarnata. ha condotto alla formulazione di un'analogia tra cervello e computer, secondo la quale la
conoscenza si risolverebbe in un'attività di Information processing, incentrata sulla capacità di manipolare simboli
secondo regole date.

19
Secondo Morin, "una differenza fondamentale tra gli organismi viventi, concepiti come
macchine naturali, e le macchine artificiali, anche le più raffinate, … costruite dall'uomo, concerne
il disordine, il 'rumore' , l'errore. … Ora, per quanto riguarda la macchina artificiale, tutto ciò che è
disordine , rumore, errore accresce l'entropia del sistema, cioè comporta la sua degradazione, la sua
degenerazione e la sua disorganizzazione. … L'organismo vivente, invece, funziona malgrado e con
la presenza del disordine, del rumore, dell'errore, i quali, non comportano necessariamente un
aumento di entropia del sistema, non risultano necessariamente degenerativi, e possono persino
fungere da rigeneratori … Il rumore è legato non soltanto al funzionamento, ma più ancora
all'evoluzione del sistema vivente.    … Ora, in certi casi, il 'rumore' provoca il manifestarsi di una
innovazione e di una complessità più ricca. L'errore, in questo caso, lungi dal degradare
l'informazione, l'arricchisce30.    Il 'rumore' lungi dal provocare un disordine fatale, suscita un ordine
nuovo31. La casualità della mutazione, lungi dal disorganizzare il sistema, gioca un ruolo
organizzatore32. … Così, il cambiamento e l'innovazione, nel campo del vivente, non si possono
concepire che come il prodotto di un disordine che arricchisce perché diviene fonte di complessità."
(E. Morin, 1994: 115-117).   
Questa lunga digressione sulla dialettica ordine-disordine-complessità contribuisce ad
arricchire il panorama di riflessioni che trovano un denominatore comune nel concetto di
informazione intesa come "il prodotto di una riduzione dell’incertezza (a un livello specifico) di
fronte a varie altre alternative o possibilità. Senza alternative [ovvero differenze] non può esservi
informazione" (Enciclopedia Einaudi, 1979: 571).
Il binomio informazione-differenza, la cui formulazione teorica trova espressione nella citata
definizione di Bateson, è forse il punto dal quale ri-partire per tentare di ri-definire tale concetto-
chiave della nostra contemporaneità, associandolo alle complementari nozioni di "novità", di
"sorpresa" e quindi di "cambiamento".
Heinz von Foerster rende tale concetto con un'immagine che esprime compiutamente il
potenziale trasformativo e metamorfico del processo comunicativo, in esso "…non c'è passaggio di
informazione, perché l'informazione non esiste. E' nella mia testa e posso 'sintonizzarmi' con un
altro, come in una danza, dopo la quale ne so più di prima. Questa danza è un dialogo parlato,
scritto o letto con qualcuno. L'informazione è il modo in cui si cambia dopo il coinvolgimento con
questo qualcuno" (H. von Foerster, 1987: 45).

30
Secondo il principio individuato da Atlan (1974).
31
Questo concetto è a fondamento del percorso teorico seguito da Von Foerster.
32
Questo principio trova origine nel testo di Monod, Il caso e la Necessità. (1970).

20
Il cambiamento si rivela possibile solo all'interno di uno spazio che privilegi le differenze, in
cui si moltiplichino le "possibilità di scelta 33" per la realizzazione di quei processi selettivi dai quali
può emergere l'informazione.
Secondo Boccia Artieri "occorre quindi prescindere da ogni via deterministica nella lettura
dei fenomeni socio-comunicativi ed includere, come orizzonte di riferimento per l’interpretazione,
il possibile altrimenti. Ogni fatto sociale incorpora cioè altre possibilità, altri modi di essere: può
essere altrimenti” (G. Boccia Artieri, 1998: 25).
E’ la dimensione della virtualità ad assumere in particolare, secondo questa prospettiva, il
carattere di "generatore moltiplicativo delle possibilità", ben al di là delle limitative incarnazioni
tecnologiche (VR Technology) e prendendo distanza critica dall’attribuzione di concetti quali
“immaginario”, “fittizio”, “fantastico” alla sfera della virtualità.
Attraverso il superamento dei significati comunemente e ingenuamente attribuiti dalla
tradizione e dal senso comune, essa non è tanto sinonimo di realtà inautentica e ingannevole quanto
piuttosto di una dimensione che va scoperta come realtà dotata di un grado infinito di possibilità.
A questo proposito Elémire Zolla suggerisce di spalancare le porte "all’immensa distesa del
possibile" (E. Zolla, 1992, p. 15) indicando, con questa metafora letteraria, l'esigenza di riscoprire il
valore del possibile, dandogli quasi una consistenza ontologica, spaziale, quando parla di "fenditure
e varchi aperti verso i possibili" (ibidem: 16).
Il virtuale si pone allora in definitiva "al grado zero del possibile, cioè come apertura al
possibile: è il labirinto che contiene tutte le possibilità" (G. Boccia Artieri, 1998: 144); esso incarna
un’idea di non-attualità dinamica differendo perciò dal concetto comune di possibile34.
La virtualità come sfera del meta-possibile, va quindi ri-definita come "trasformazione da
una modalità dell’essere a un’altra" (P. Lévy, 1997: 2), interpretata come uno dei possibili modi di
essere contrapponibile, solo per ragioni concettuali, non alla realtà ma alla attualità.
Con la virtualizzazione, così come risulta dall’interpretazione datane da Pierre Lévy, teorico
dell'intelligenza collettiva, ci si imbatte in una rivoluzionaria problematizzazione della realtà,
dovendo necessariamente rimettersi in discussione "il concetto di identità classica, pensata
33
Il testo di von Foerster (1987) più volte chiamato in causa lungo questa riflessione, si conclude emblematicamente
con un invito al riconoscimento delle "differenze", sotto forma di imperativo etico che mutua la struttura dagli
imperativi kantiani: "Agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta" (H. von foerster, 1987:
233).
34
Il concetto di possibile, così come comunemente inteso, rimanda ad un’entità statica, predeterminata, non ancora
attualizzata ma tuttavia già integralmente definita e premodellata allo stato potenziale, a differenza del virtuale che si

configura come multiversum del molteplice e del possibile altrimenti. Lévy, infatti, imposta la sua indagine sul virtuale
partendo dalla distinzione tra le coppie possibile-reale e virtuale-attuale, quest’ultima ripresa da Bergson (action réelle-
action virtuelle) e soprattutto da Deleuze (cfr. T. Maldonado, 1994: 51, nota 91).

21
servendosi di definizioni, di determinazioni, di esclusioni, di inclusioni e di terzi esclusi" (ibidem:
15).
Questa mutazione antropologico-culturale in divenire, accelerata e modellata dalle nuove
tecnologie comunicative e simulative, non implica processi di alienazione, reificazione,
straniamento mutilante, piuttosto "la virtualizzazione è sempre eterogenesi, divenire altro, processo
di accoglimento dell’alterità” (ibidem, corsivi miei).
Può l’interazione e l’incontro delle "alterità" realizzarsi sotto la spinta delle nuove
tecnologie informatiche e comunicative, vissute e intese come mezzi indispensabili per rendere
operante e vivo un contesto comunicativo caratterizzato dalla cooperazione e da una conversazione
polifonica, risultante dalla sinergia e dall'intreccio delle singole intelligenze individuali interagenti,
in rete, ad un meta-livello globale (intelligenza collettiva)?
Solo una cultura orientata a cogliere il nesso intimo fra identità e alterità, legate da un
rapporto di reciprocità, riuscirà a valorizzare la differenza come risorsa indispensabile per la
produzione di conoscenza e di comunicazione. Il cambiamento può dunque diventare il valore-
chiave della contemporaneità soltanto se non si identifica con una corsa a-critica al progresso
tecnologico, ma piuttosto ripensandolo nella forma della metamorfosi del soggetto.

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