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GIOVANI E COMUNICAZIONE

Il secolo che si è appena concluso, e ancora di più quello che stiamo vivendo, ha conosciuto
una crescita inarrestabile di media, messaggi, fruitori ed emittenti. In questa che Todd Gitlin
definisce “sommersione”1 «la comunicazione si presenta oggi come una massa immensa di
dati, parole, immagini che avvolge la terra: una “mediasfera” altrettanto spessa e variegata
della biosfera».2

Viene da chiedersi se all’aumento di canali, e di conseguenti, opportunità e possibilità co-


municative corrisponde uno «sviluppo della “società della conoscenza”, di una “intelligenza
collettiva” o un diluvio soffocante e alla lunga condannato alla perdita di senso».3
È certo che in questo tempo stiamo assistendo a processi di banalizzazione, ripetizione, con
capacità immersive e perversità mai viste prima, tanto da mutare il rapporto tra corpo umano
e tecniche del comunicare. L’antropologia che ne deriva è, per dirla con Bauman, “liquida”,
mentre per De Kerckhove siamo entrati nella terza fase antropologica: la prima è stata quella
analogica cui ha fatto seguito quella elettronica. Ora siamo nella fase del wireless, della tele-
fonia cellulare: non c’è più bisogno di essere in connessione diretta.4
L’homo sapiens, che alcuni anni fa aveva ceduto il passo all’homo videns e sentiens, è ormai
ricordo del passato.
Nella mediasfera proliferano miti a bassa intensità, l’utente prosumer, un “produttore-
consumatore”, naviga, taglia e incolla a suo piacimento i contenuti dando valore a tutto e a
niente,5 mentre l’utente bricoleur si arroga un ruolo non solo nel processo di produzione, ma
anche in quello di innovazione dei prodotti tecnologici che ha a disposizione. Sono soprat-
tutto i preadolescenti e gli adolescenti ad appropriarsi delle tecnologie e, attraverso un uso
innovativo e tattico delle funzionalità dei dispositivi, stimolano l’offerta e lo sviluppo di ser-
vizi commerciali legati a quel prodotto. Un caso italiano è l’appropriazione dei cellulari da
parte dei teenager che ha “costretto” la telefonia mobile a sviluppare una serie di servizi le-
gati agli SMS.6
Non è di oggi, anche per noi, la consapevolezza che i grandi mutamenti comportamentali
degli ultimi cinquant’anni si devono anche alla grande pervasività dei media,7 che stanno
riordinando l’esistenza, che lo si voglia o no, facendosi promotori di una nuova cultura.

1
Cf. Massimiliano PADULA, Immersi nei media. Il nuovo modo di essere vivi, Soveria Mannelli, Rubbettino
Editore 2009.
2
Peppino ORTOLEVA, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, Milano, Il Saggiatore 2009, 72.
3
ORTOLEVA, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, 72.
4
Cf Derrick DE KERCKHOVE, Social Network e nuovi profili antropologici, in Massimiliano PADULA
(Ed.), L’involucro della contemporaneità. Un discorso sui media, Città del Vaticano, Lateran University Press
2010, 43-55.
5
Cf. ORTOLEVA, Il secolo dei media. Riti, abitudini, mitologie, 81-84.
6
Fausto Colombo, docente dell’Università Cattolica di Milano e Direttore dell’Osservatorio sulla comunica-
zione della stessa Università, afferma che i giovani oggi non sono solo aghi della bilancia di un mercato com-
merciale, consumatori di tecnologia, ma prima di tutto modellatori. Possiedono cioè la capacità di “adattare” lo
strumento tecnologico che viene messo loro nelle mani - computer, internet, cellulare - al proprio modo di vi-
vere e gestire lo spazio, il tempo, i luoghi della loro comunicazione. Cf. Fausto COLOMBO, La domanda di
relazione nella cultura attuale, in FMA-ITALIA, Rigenerare la società a partire dai giovani. L’arte della re-
lazione educativa. Atti della 1a Convention Nazionale sul Sistema Preventivo, Roma 11-12 ottobre 2003, 39-
50.
7
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicazione e Missione. Direttorio per le Comunicazioni
sociali, n. 4. Dario Viganò, sulla base delle intuizioni di Walter Ong e di Marshall McLuhan, afferma che alle

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L’habitat ormai saturato dai media ci è diventato così naturale, dato per ovvio, così parados-
salmente impercettibile che ogni tentativo di metterlo a fuoco può scontrarsi con
l’indifferenza, con il “già saputo”.
Occorre interrogarsi sul significato che investe oggi qualsiasi discorso sui media, old o new
che siano. La tecnologia, e in particolare i dispositivi tecnologici, sono immersi in una rete
di significati sociali mutevoli, innovativi, continuamente negoziati, che in modo sempre più
rilevante danno forma a usi e pratiche diverse.
La tecnologia non è mai inerte né neutrale: significa cose diverse per soggetti diversi.
È importante, allora, comprendere correttamente i significati che i giovani danno alla tecno-
logia che usano, che gestiscono, che modellano altrimenti si corre il rischio di fraintenderne
gli usi e le pratiche.

I NEW MEDIA
A partire dagli ultimi decenni del Novecento, ai mass media (stampa, radio, televisione, ci-
nema) si sono aggiunti nuovi strumenti di comunicazione, per le cui caratteristiche sono stati
chiamati “nuovi media” (o new media).
Non sempre, data la loro repentina diffusione e incalzante innovazione, si è avuta
un’adeguata riflessione teorica capace di chiarire la loro natura.
Secondo Paccagnella «ancora oggi non è facile trovare un accordo circa il preciso significato
di questo concetto: qual è il confine tra vecchi e nuovi media? Questa difficoltà è resa evi-
dente anche dal proliferare di termini e aggettivi: cybermedia, multimedia, media virtuali,
hypermedia, media interattivi sono di volta in volta utilizzati più o meno come sinomini, in
genere aggirando il problema di spiegare a cosa esattamente ci si riferisce». 8

Possono sorgere due i problemi attorno alla difficoltà di definire con precisione che cosa so-
no i nuovi media rispetto ai “vecchi media”.
1. In che cosa sono “nuovi” i nuovi media? (intensione)
2. Quali media possono ritenersi “nuovi” tra quelli diffusi e conosciuti? (estensione)

La realtà ci dice che oggi convivono “nuove” forme di “vecchi” media: televisione via satel-
lite, via cavo, digitale terrestre, ecc.; ci sono “nuovi” supporti fisici (DVD, flash-card, usb),
“nuovi” strumenti integrati come il personal computer, gli smartphone, i dispositivi palmari;
“nuovi” spazi di comunicazione rappresentati dalle reti.

Molti degli elementi di novità attribuiti ai nuovi media esistono da tempo: la facilità di con-
tatto tra persone distanti (posta, telefono).

«Considerata l’eterogeneità delle prospettive è possibile continuare a utilizzare l’espressione


“nuovi media” in modo sfumato, senza porre barriere definitorie invalicabili tra vecchi e
nuovi media, tentando tuttavia al tempo stesso di chiarire esplicitamente alcune delle caratte-
ristiche più importanti che inducono a parlare di novità, se non addirittura di rivoluzione, per
gli strumenti di comunicazione sorti negli ultimi decenni». 9

scoperte nel campo delle comunicazioni, corrisponde un passo avanti dell’uomo nella comprensione di se stes-
so e del mondo. Una antropologia direttamente proporzionale allo sviluppo della comunicazione. Cf. Dario
VIGANÒ, La musa impara a digitare. Uomo, media e società, Città del Vaticano, Lateran University Press
2009.
8
PACCAGNELLA Luciano, Sociologia della comunicazione, Bologna, Il Mulino 2004, 167.
9
PACCAGNELLA Luciano, Sociologia della comunicazione, Bologna, Il Mulino 2004, 168.

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Queste caratteristiche sono: la digitalizzazione, la multimedialità, l’interattività,
l’ipertestualità, il concetto di ciberspazio.

La digitalizzazione
Digitale deriva dal latino “digitus”, dito, e per estensione cifra (dalla notte dei tempi l’uomo
usa le dita per contare). L’aggettivo “digitale” è dunque sinonimo di “numerico”.
Digitalizzare un’informazione significa rappresentarla attraverso una sequenza di cifre: nel
mondo dell’informatica si tratta di cifre binarie (1 e 0).
Una volta digitalizzata l’informazione: può essere facilmente elaborata; archiviata, conser-
vata e trasportata rendendo possibili processi di convergenza tra le industrie culturali tradi-
zionali e le potenze della telecomunicazione.

La multimedialità
Si tratta dell’articolazione del contenuto attraverso diversi canali sensoriali ed espressivi:
grafici, immagini fisse o in movimento, testi scritti.
Oggi si caratterizza per una integrazione tra i diversi codici: utilizzare qualsiasi modalità
espressiva senza sottostare ai rigidi limiti tecnici dei singoli media tradizionali.
La fruizione avviene senza soluzione di continuità e con l’ausilio di un unico supporto fisico
e di un unico strumento di lettura.

L’interattività
Tale caratteristica non va confusa con il concetto sociologico di interazione (una relazione
tra due o più soggetti individuali o collettivi nel corso della quale ciascun soggetto modifica
reiteratamente il suo comportamento in vista del comportamento o dell’azione dell’altro).
Il concetto di interattività va adeguato alla sua applicazione al panorama dei media, struttu-
rato come un continuum: potranno così esserci media “molto” interattivi o “poco” interattivi.
L’interattività è dunque «la misura della potenziale capacità di un medium di lasciare che
l’utente eserciti un’influenza sul contenuto e/o sulla forma della comunicazione mediata».
Possono essere tre i livelli crescenti di interattività:
- l’utente si limita a esercitare la possibilità di selezionare quali informazioni ricevere,
all’interno di un arco ampio ma finito di informazioni fisse e codificate in preceden-
za. A questo primo livello, il medium è ancora monodirezionale in quanto non pre-
vede un canale per l’invio di feedback da parte dell’utente (esempio, Televideo)
- a un secondo livello il medium prevede un canale di ritorno per ricevere informazioni
da parte dell’utente, pur conservando nel complesso una modalità di fruizione di tipo
broadcast (esempio: il world wide web)
- al livello più elevato, l’utente produce le informazioni che vengono fatte circolare dal
sistema, con una elaborazione continua dei contenuti reciprocamente orientata tra i
partecipanti (e-mail).

L’ipertestualità
Per “ipertesto” si intende un insieme di informazioni collegate tra loro in forma non lineare
attraverso rimandi logici, tali da poter essere fruite attraverso molteplici percorsi di lettura
personalizzati da ogni utente.
Un ipertesto, se ben progettato, riproduce la rete di collegamenti logici tra concetti e blocchi
di informazioni in modo da rispettare la natura non sequenzialità del pensiero umano. Per
costruire un ipertesto si deve ricorrere alla flessibilità delle tecnologie informatiche. Il world
wide web rappresenta oggi il miglior esempio riuscito di ipertesto.

Il concetto di ciberspazio
Il ciberspazio è “la rete in quanto luogo”. Con l’uso di questo termine si intende

3
l’evoluzione delle reti telematiche in senso sociale e comunicativo: le reti non sono più strut-
ture finalizzate in primo luogo al calcolo, ma diventano strumenti di comunicazione tra per-
sone, in grado di svolgere sia le funzioni normalmente attribuite ai mass media, sia quelle
tipiche dei mezzi di comunicazione interpersonale, come la posta o il telefono.
A fronte di questi cambiamenti, è interessante notare come i vecchi media non siano scom-
parsi, né tantomeno sono stati sostituiti, quanto piuttosto si sono integrati e inglobati attra-
verso un fenomeno detto di ri-mediazione, ovvero l’assunzione di un medium come conte-
nuto di un altro medium.

Sono principalmente tre le cause per cui oggi possiamo parlare di “convergenza al digitale”:
- l’aumento dell’efficacia tecnica
- la diminuzione radicale dei costi
- l’indebolimento dei filtri che in passato limitavano la diffusione dell’informazione:
famiglia, chiesa, scuola, istituzioni politiche e sociali che, sino ad alcuni decenni fa,
esercitavano un monopolio (per non parlare di censura) dell’informazione,
dell’alfabetizzazione, del sapere.

La “società dell’informazione” si connota per una marcata:


- convergenza tra il sistema di telecomunicazione e il computer
- digitalizzazione delle sorgenti di informazione e dei canali di trasmissione
- sviluppo di servizi multimediali e interattivi
- oncentrazione di un numero crescente di funzioni in dispositivi sempre più piccoli,
tascabili, friendly e facili da usare.

Ogni singolo media è oggi sganciato da una specifica piattaforma tecnologica. Ovvero, se
finora si è definito un medium sulla base della stretta connessione tra tecnologia, linguaggio
(codice) e condizioni di fruizione, oggi non è più così, o non è sempre scontato che sia così.
Perché quasi nessun media aderisce a una piattaforma tecnologica in via esclusiva. Si è in
presenza di un medium su più piattaforme.
Inoltre, ciascuna tecnologia oggi ospita altri media: il terminale mobile o il computer con-
nesso a Internet permettono scaricamento di file cinematografici o musicali, l’ascolto della
radio o la lettura di quotidiani, lo scambio di posta elettronica e la navigazione via web.10
Lo aveva anticipato De Kerkchove, sostenendo che ogni nuova tecnologia non sostituisce la
precedente, ma le si affianca e la rafforza. Più che una migrazione dai vecchi ai nuovi media
si compie un processo di integrazione degli uni e degli altri tanto da configurare una situa-
zione di convergenza al digitale, crossmedialità o intermedialità. Siamo immersi in un bro-
do di comunicazione.11

UN SISTEMA INTEGRATO DI COMUNICAZIONE

La crossmedialità traduce il formarsi di un sistema integrato di comunicazione, dove la con-


vergenza al digitale moltiplica l’offerta e l’opportunità di canali per comunicare. I nuovi
media, proprio per la loro duttile natura di veicolare contenuti che, a partire da un progetto
di comunicazione si evolvono, si moltiplicano e si modificano, si adattano alle diverse esi-
genze mediali, trasformandosi in un bacino incalzante e fluttuante di informazioni e di dati.

10
Cf Fausto COLOMBO, La digitalizzazione dei media, 16-17.
11
Cf. Pierluigi PANZA, Denaro e successo, i sogni dei giovani in «Corriere della Sera.it» (03/03/2010) in
http://archiviostorico.corriere.it/2001/giugno/16/Denaro_successo_sogni_dei_giovani_co_7_01061610436.sht
ml

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Una società “in rete” (networked society),12 con luoghi e tempi di connessione fluidi, noma-
di, convergenti, contraddistinta da mobilità e portabilità, user generated content, produttori e
autori in prima persona di contenuti, tecnologia sempre più user friendly.
È qui che ormai passa di tutto: identità, relazioni, affetti, paure, percezioni del reale, espe-
rienze nel virtuale. A fronte di tanta possibilità e opportunità di connessione, apertura, con-
fronto, dialogo, si corre il rischio di saturare e di perdere il senso della comunicazione. Di
non comunicare.13 Ma forse, dovremmo prendere al volo l’opportunità di comunicare… me-
glio.

Una società taggata, dove


far circolare parole, suoni, informazioni che hanno ciascuno un indirizzo e un
ordine di assemblaggio. Le informazioni che hanno un tag sono condivise da tut-
to il pianeta, possono separarsi e poi ritrovarsi in un istante dove è richiesto.
L’intelligenza del tag è manifestazione della potenziale interconnettività globale.
I pacchetti di informazione formano un unico corpo elettronico che assimila tut-
ti. Esiste, certo, un pericolo: se ciascun soggetto ha accesso al mondo intero, è
vero anche l’inverso: il mondo intero può entrare nella sfera della nostra intimità
violando la nostra privacy.14

Una società iperconessa, che vive l’i-pertinenza, una parola che deriva da ipertesto e ha a
che fare con l’ipertestualità delle nostre vite, con l’iperconnettività e con l’iperspazio di dati
che abbiamo sempre bisogno di conoscere meglio:
Siamo, oggi, continuamente iperconnessi, non solo volontariamente con il tele-
fonino, ma anche con i sensori che riprendono continuamente le nostre esistenze,
i nostri movimenti (la telecamera). Ognuno di noi è continuamente iperconnesso.
Questo nuovo paradigma sociale evidenzia, inoltre, una nuova configurazione
del mio rapporto con il mondo: un rapporto di intervallo, di pressione, di tatto.
Entriamo, infatti, in un periodo che segna il passaggio dal visuale al tattile […] e
questo comporta un cambiamento di sensorialità. Non sentiamo veramente, non
conosciamo direttamente però vediamo ogni cosa come se fosse tangibilmente
reale.15

Una società che ritrova la parola:


Il web è spazio privilegiato di aggregazione e di ibridazione delle esperienze di
narrazione. La moltiplicazione e l’affermazione dei social network, soprattutto
tra i giovanissimi (ma anche tra i meno giovani), rivela come la Rete “è”
l’ambiente ideale per la narrazione di “storie incrociate” in cui gli utenti si sen-
tono al centro della storia, diventando così spett-attori, e non soltanto fruitori più
o meno attivi: «Si passa così dall’interattività della consultazione all’interattività
della conversazione».16

12
Il termine networked society è stato coniato da Manuel Castells, un sociologo di origine spagnola, che svolge
opera di ricerca negli Stati Uniti. Cf. Manuel CASTELLS, La nascita della società in rete. Egea, Milano 2003
[tit. or. The Rise of the Network Society, Blackwell Publishers Ltd, Oxford, 2000].
13
Cf. Bruno M. MAZZARA, Prefazione, in M. BONAIUTO (Ed.), Conversazioni virtuali. Come le nuove tec-
nologie cambiano il nostro modo di comunicare con gli altri, Milano, Guerini & Associati 2002, 7-13.
14
DE KERCKHOVE, Social Network e nuovi profili antropologici, 45.
15
DE KERCKHOVE, Social Network e nuovi profili antropologici, 47.
16
Max GIOVAGNOLI, Cross-media. Le nuove narrazioni, Milano, Apogeo 2009, 3.

5
NATIVI DIGITALI ?
La cultura giovanile è vastissima e variegata, abbraccia molteplici espressioni e linguaggi: il
cinema e la televisione, l’editoria e il fumetto, la musica e il video, la comunicazione in Rete
nei social network e la produzione multimediale di DVD, CD-rom, senza dimenticare la
moda per terminare con incidenza molto forti sul mercato che significa consumo di dischi,
tecnologia, gadget, ecc. E descrivere i giovani, oggi, richiede un notevole sforzo di cono-
scenza e di comprensione dei linguaggi, delle forme di comunicazione ed espressione loro
propri.

Sommersi da televisori al plasma, cellulari ultra accessoriati, lettori mp3, videogiochi, com-
puter, iPad, iPod, tablet e netbook, connessioni wireless e bluetooth… I ragazzi di oggi17 fa-
ticano a immaginare una giornata off, disconnessa dalla Rete, non hanno mai provato a cer-
care una cabina per telefonare a casa, non hanno vissuto domeniche di pioggia non riempite
dal gioco della Play Station, non conoscono un altro modo per tessere la fitta rete di relazio-
ni, appuntamenti, eventi che non siano i “messaggini” e gli “squilli”. Possono pensare che
“il” mondo dei loro genitori, insegnanti, educatori sia esistito tanto tempo fa…

Colpa di Internet e di Facebook, dei videogiochi e delle Wii se i ragazzi oggi hanno in bocca
non più di 600 vocaboli, se preferiscono leggere un testo al computer piuttosto che su un li-
bro, se navigano in Internet per ore senza avvertire la stanchezza (anche se ammettono che
spesso si dimenticano cosa stavano cercando), se sembrano legati al cellulare come al cor-
done ombelicale, se appaiono assenti perché persi dietro alla musica sparata dagli auricolari
degli iPod, se sembrano non “pensare” e “pesare” le conseguenze dei messaggi che “posta-
no” su Facebook o dei clip che caricano su YouTube, se, per rendere meno noiose le ore di
studio, contemporaneamente monitorano i movimenti degli amici sui social network, scam-
biano con loro due chiacchiere su WhatsApp, vedono MTV sul portatile, ascoltano musica e
messaggiano sul cellulare?

Ricerche sembrano rilevare che l’attenzione richiesta dai prodotti multimediali affatica ulte-
riormente le facoltà cognitive, riducendo le capacità di apprendere e indebolendo la com-
prensione.18 La difficoltà non può essere la comunicazione multimediale, perché
l’apprendimento integrato da vari linguaggi rafforza l’attività stessa di imparare. Il proble-
ma, secondo alcuni autori, è da ricercare nell’impostazione stessa della Rete che non nasce
da intenti pedagogici e non è stata costruita a scopi didattici.19

D’altra parte, anche gli adulti hanno modificato il modo di leggere, scrivere, informarsi, ri-
cercare: l’icona della posta elettronica è attiva per avvisarci dell’arrivo di un nuovo messag-

17
Sono molte le metafore che identificano e cercano di descrivere il profilo delle nuove generazioni: Millen-
nials, Gen Y, Digital Youth, Next Generation, Net Gen, Generation Z, Generation I, Echo Boomers, Internet
Generation, iGeneration, Generazione Pollice, ecc. Per un approfondimento, tra gli altri: RIVOLTELLA Pier Ce-
sare, Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive dell'educazione nell'età dei media digitali, Milano,
Vita e Pensiero 2006; TAPSCOTT Don, Growing Up Digital: The Rise of the Net Generation, New York, Mc
Graw Hill 1999, ID., Net generation. Come la generazione digitale sta cambiando il mondo [Grown Up Digi-
tal: How the Net Generation Is Changing Your World, New York, McGraw Hill 2008], tr. it. di Elisa To-
massucci, Milano, Franco Angeli 2011; PALFREY John - GASSER Urs, Born Digital: Understanding the First
Generation of Digital Natives, New York, Basic Books 2008.
18
Cf CARR Nicholas, Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello [The Shallows.
What the Internet is Doing to Our Brains, New York, W. W. Norton & Company Inc. 2010], tr. it. di Stefania
Garassini, Milano, Raffaello Cortina Editore 2011, 37-52.
19
Cf PASQUALETTI Fabio, Web 2,0 Educazione e comunicazione, ovvero quando i pesci sono felici di stare nel-
la rete, in Orientamenti Pedagogici 59(2012)4, 639-640.

6
gio, la possibilità di essere raggiunti e confrontarci costantemente su Skype, il cellulare “si-
lenziato” durante i raduni, la lettura in diagonale (per qualcuno solo dei titoli) dei giornali
online, Google Map come satellitare e nuovo indirizzario stradale, ancora Google come an-
cora di salvezza per verificare, controllare, sapere, trovare…

Questa è “la” normalità, l’habitat in cui viviamo. Ed è la normalità soprattutto per i giovani
e giovanissimi:
«Noi siamo cresciuti con internet e su internet. È questo a renderci diversi, è questa la differenza
fondamentale, per quanto sorprendente dal punto di vista di chi ha qualche anno di più: noi non
«navighiamo» e internet per noi non è un «luogo» o uno «spazio virtuale». Internet per noi non è
qualcosa di esterno alla realtà, ma ne è una parte, uno strato invisibile ma sempre presente e
strettamente intrecciato all’ambiente fisico. Noi non usiamo internet, viviamo su internet e ci
muoviamo con lei. Siamo la generazione digitale».20

Una conferma, senza mezzi termini, che l’appartenenza al «continente digitale» definisce
l’identità e la relazione dei giovani, che la loro comunicazione passa ormai attraverso reti di
parole e riti di relazione.

Eppure, e non è solo percezione, è una comunicazione stentata quella che si instaura tra gio-
vani e adulti, un’interazione che procede tra incomprensioni reciproche, mentre la sempre
più rapida innovazione e diffusione delle tecnologie digitali aumenta la distanza, là dove si
presume di conoscersi. Le difficoltà interessano non solo lo spazio e il tempo delle relazioni
e delle dinamiche familiari, ma anche la scuola, con l’allarme sulla “fine del libro” e dei si-
stemi di apprendimento e di conoscenza basati su di esso, con l’inadeguatezza dei tradizio-
nali processi di istruzione-formazione di fronte alle nuove competenze richieste agli stessi
docenti e allievi.
Sono temi che alimentano le opinioni, condizionano gli esiti di indagini e ricerche statisti-
che, contrappongono “tecnoentusiasti” e “catastrofisti”, le nuove categorizzazioni di apoca-
littici e integrati. Oltre gli schieramenti, per noi è vincente l’approccio educativo per ricucire
il dialogo tra i due mondi.

«I MEDIA: IL NUOVO IMMAGINARIO COLLETTIVO»


Le ricerche di Eurispes-Telefono Azzurro sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza
da alcuni anni rilevano con “pre-occupazione” educativa la diffusione delle nuove tecnolo-
gie, ma soprattutto il consumo e i processi di appropriazione tra i bambini e gli adolescenti.

Dai dati del 14° Rapporto sulla Comunicazione in Italia, pubblicato nell’ottobre 2017, si
evidenziano ancora numeri record per internet: il 75,2% degli italiani sul web, grazie a
smartphone e social network.
La crescita degli utenti di internet in Italia ha rallentato il ritmo, ma prosegue. Nel 2017 ha
raggiunto una penetrazione pari al 75,2% della popolazione, l'1,5% in più rispetto al 2016 (e
il 29,9% in più rispetto al 2007). Il telefono cellulare è usato dall'86,9% degli italiani e lo
smartphone, in particolare, dal 69,6% (la quota era solo del 15% nel 2009).
Gli utenti di WhatsApp (il 65,7% degli italiani) coincidono praticamente con le persone che
usano lo smartphone, mentre circa la metà degli italiani usa i due social network più popola-
ri: Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%).

20
CZERSKI Piotr, Cresciuti con la rete in Internazionale.it, (2012)940, 96 in
http://www.internazionale.it/news/piotr-czerski/2012/03/17/cresciuti-con-la-rete/ (23-01-2013).

7
Notevole il passo in avanti di Instagram, che in due anni ha raddoppiato la sua utenza (nel
2015 era al 9,8% e oggi è al 21%), mentre Twitter resta attestato al 13,6%.

22,8 miliardi la spesa per smartphone, servizi di telefonia e traffico dati. Mentre tra il
2007 (l'anno prima dell'inizio della crisi) e il 2016 il valore dei consumi complessivi degli
italiani ha subito una significativa flessione (-3,9% in termini reali), la spesa delle famiglie
per gli smartphone ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom (+190% nel periodo
2007-2016, per un valore di poco meno di 6 miliardi di euro nell'ultimo anno).

Anche gli acquisti di computer hanno registrato un rialzo rilevantissimo (+45,8% nel perio-
do). I servizi di telefonia si sono invece assestati verso il basso per effetto di un riequilibrio
tariffario (-14,3%, per un valore però di oltre 16,8 miliardi di euro nell'ultimo anno). E la
spesa per libri e giornali ha subito un crollo verticale (-37,4%). Complessivamente, nel 2016
la spesa per smartphone, servizi di telefonia e traffico dati ha superato i 22,8 miliardi di eu-
ro.

Dal multimediale alle piattaforme multicanale. La grande novità dell’ultimo anno è rap-
presentata dalle piattaforme online che diffondono servizi digitali video e audio, come ad
esempio Netflix o Spotify. Oggi l’11,1% degli italiani guarda programmi dalle piattaforme
video e il 10,4% ascolta musica da quelle audio. Il dato è più elevato tra le persone più
istruite, diplomate e laureate (rispettivamente, il 14,1% e il 13,3%). E praticamente rad-
doppia tra i più giovani: il 20,6% degli under 30 si connette ai servizi video e il 22,6% a
quelli audio. È lo stesso concetto di internet che comincia a modificarsi: la rete diventa il
veicolo di diffusione di contenuti che, pur viaggiando da un centro alla periferia, posso esse-
re fruiti dagli utenti come e quando vogliono, influenzando l'immaginario collettivo degli
italiani.

Giovani e anziani sempre più lontani nei consumi mediatici. Tra i giovani (14-29 anni) la
quota di utenti della rete arriva al 90,5%, mentre è ferma al 38,3% tra gli anziani (65-80 an-
ni). L'89,3% dei primi usa telefoni smartphone, ma lo fa solo il 27,6% dei secondi. Il 79,9%
degli under 30 è iscritto a Facebook, contro appena il 19,2% degli over 65. Il 75,9% dei gio-
vani usa YouTube, come fa solo il 16,5% degli ultrasessantacinquenni. Quasi la metà dei
giovani (il 47,7%) consulta i siti web di informazione, contro appena il 17,6% degli anziani.
Il 40,9% dei primi guarda la web tv, contro appena il 7,4% dei secondi. Il 39,9% dei giovani
ascolta la radio attraverso lo smartphone, mentre lo fa solo il 3,5% dei longevi. Su Twitter
c'è più di un quarto dei giovani (il 26,5%) e un marginale 3,2% degli over 65. Nel caso dei
quotidiani, invece, la situazione è opposta: l'utenza giovanile (23,6%) è ampiamente inferio-
re rispetto a quella degli ultrasessantacinquenni (50,8%).

Forever young: il processo di «giovanilizzazione» degli adulti. I comportamenti mediatici


dei giovani e degli adulti sono sempre più omogenei. Nel 2017 viene praticamente colmato
il gap nell'accesso a internet, con una utenza dell'87,8% tra i 30-44enni contro il 90,5% dei
14-29enni. Lo stesso avviene per i social network (l'80,4% e l'86,9% di utenza rispettiva-
mente), gli smartphone (l'84,7% e l'89,3%), la tv via internet (il 39,5% e il 40,9%) e gli e-
book (il 15,4% e il 15,2%). Tra i media tradizionali si registra l'allontanamento degli adulti
dai quotidiani a stampa, letti nel 2017 dal 27,5% rispetto al 46,6% del 2012. Anche in questo
caso gli adulti si avvicinano ai giovani, tra i quali nel 2017 i lettori di quotidiani scendono al
23,6% rispetto al 33,6% del 2012. I modelli della comunicazione digitale si estendono, coin-
volgendo pienamente anche le fasce adulte della popolazione. La rapidità d'accesso, la fles-
sibilità nell'impiego dei mezzi, la connessione alle reti globali, l'abbattimento delle barriere
di spazio e tempo, la personalizzazione dei palinsesti, la disintermediazione digitale, non so-

8
no fattori avvertiti come essenziali solo dagli adolescenti: ormai sono entrati nella vita quo-
tidiana della maggior parte degli italiani.

Gli adolescenti, anche se fondamentalmente insicuri, sanno essere critici riguardo


all’esperienza scolastica che vivono e “sognano” una scuola più attenta alla formazione di
competenze e all’orientamento lavorativo; sono informati dei “rischi” che nasconde la Rete
e si dicono consapevoli di attivare pratiche di navigazione più sicura e responsabile. Vivono
in ambienti ad alto contenuto tecnologico e trascorrono la giornata sempre connessi: deside-
rano autoaffermarsi, anche se hanno paura, e non sempre sono soddisfatti del proprio aspetto
fisico. Dilaga l’uso del selfie (1 su 4 ammette di scattarne almeno uno al giorno e l’85%
condivide lo scatto sui social) per “essere visti”. Il loro mondo digitale è sempre più avvol-
gente: musica, video, ricerche per la scuola, acquisti e giochi online.
I ragazzi e le ragazze richiedono attenzione, comprensione e libertà. Sono sommersi dalle
informazioni, ma hanno bisogno di punti fermi con cui confrontarsi e rielaborare i contenuti
per “capire” più che “sapere”. Sono in bilico: tra il “presente” impastato di precarietà sociale
e di fascinazione della Rete, il “passato” che non ha più il sapore della memoria, e il “futu-
ro” che non c’è, se non con un orizzonte dal campo sempre più stretto, che rischia di svuo-
tarsi di tutta l’ebbrezza della progettualità e della speranza, che solo uno sguardo ampio e in
avanti regala.

NATIVI DIGITALI?

Tutto questo, può indurci ad avvalorare l’ipotesi di chi coglie nel tessuto sociale una spacca-
tura culturale tra i digital natives (nativi digitali), coloro che sono nati nel mondo della tec-
nologia digitale, e i digital immigrants (immigranti digitali), coloro che vi sono stati proiet-
tati da adulti.
La classifcazione la si deve a Marc Prensky, un divulgatore scientifico sviluppatore di vi-
deogiochi, che definisce appunto i nati tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila
digital natives in quanto esposti fin dalla nascita ad una cultura visiva e dell’immagine, dove
hanno imparato a convivere con molteplici schermi (televisione, computer, Play station, cel-
lulare, ecc.):
«I nostri studenti sono cambiati radicalmente. Gli studenti di oggi non sono più quelli per cui il no-
stro sistema educativo è stato progettato. Essi sono la prima generazione cresciuta con le nuove
tecnologie. Hanno passato la loro intera vita usando ed essendo immersi in computer, videogame,
riproduttori. Come dovremmo chiamare questi “nuovi” studenti di oggi? L’appellativo più utile
che ho trovato è Nativi Digitali. I nostri studenti oggi sono tutti “parlanti nativi” del linguaggio di-
gitale dei computer, dei videogame e di internet. I cervelli dei nativi digitali sono probabilmente fi-
sicamente differenti, effetto dell’input digitale che hanno ricevuto crescendo. Quelli tra noi che
non sono nati nel mondo digitale ma che ne sono rimasti affascinati ad un certo punto della loro vi-
ta e hanno adottato molti aspetti delle nuove tecnologie, sono considerabili come Immigrati Digi-
tali […]».21

Le metafore suggerite sono suggestive ed efficaci e hanno senza dubbio il merito di aver ri-
chiamato l’attenzione sulla profonda differenza della nostra epoca da quella precedente, do-
vuta al fatto che la comprensione della realtà oggi è primariamente “visuale” e non più “te-
stuale”.22
In questi anni, la suddivisione tra “nativi” e “immigranti digitali” ha animato il dibattito ac-
cademico come pure quello dell’opinione pubblica.

21
PRENSKY Marc, Digital Natives, Digital Immigrants in
http://www.marcprensky.com/writing/prensky%20-%20digital%20natives,%20digital%20immigrants%20-
%20part1.pdf, 1-2 (24-01-2013).
22
Cf MIRZOEFF Nicholas, Introduzione alla cultura visuale, Roma, Meltemi 2002.

9
Le riflessioni di Prensky sottolineano in prima istanza la familiarità dei “nativi” nel maneg-
giare i dispositivi tecnologici contrapponendola alla incapacità degli “immigranti”; tematiz-
zano il ritardo della scuola, e dei sistemi formativi in genere, a rispondere in modo innovati-
vo alle “nuove” esigenze e stili di apprendimento dei ragazzi; avanzano l’ipotesi che si stia
formando una nuova specie umana, con una modificazione a livello cerebrale, per cui il cer-
vello dei “nativi” subisce un’alterazione dei collegamenti neurali, che trasforma i tradiziona-
li divari generazionali in qualcosa di nuovo: «Diversi tipi di esperienze portano a strutture
cerebrali differenti […]. È molto probabile che la mente e lo stesso cervello dei nostri stu-
denti siano cambiati - e siano diversi dai nostri - a causa dell’ambiente in cui sono cresciuti.
Se questo è vero, possiamo dire con certezza che anche i loro modelli di vedere e costruire il
mondo sono cambiati».23
Una voragine chiamata brain gap: nei bambini che hanno un’interazione precoce con la te-
levisione e con il computer le connessioni cerebrali si sviluppano in modo diverso rispetto a
chi esercita un’attività di lettura e scrittura o un’attività corporea.24
Nella generazione che apprende esplorando, prende decisioni sulla base dell’esperienza, in-
teragisce e comunica con estrema facilità con i dispositivi e gli artefatti digitali, 25 sembra
che vada sviluppandosi un’intelligenza digitale, definita «opzione click», cioè la capacità di
destreggiarsi, imparare, scoprire, prendere decisioni basate sul codice binario, il linguaggio
proprio del digitale, dove l’attenzione è convogliata a cogliere e a interagire con lo “stato” di
acceso/spento; in/off; selezionato/deselezionato.26

UN MITO DA SFATARE
La tesi di Prensky, e di chi sostiene la trasformazione dell’intelligenza su basi genetiche, se-
condo Rivoltella è una “neuromitologia”, in quanto pare che «la sovrainterpretazione del
ruolo delle neuroscienze nella comprensione di alcuni fenomeni connessi con
l’apprendimento abbia condotto negli ultimi anni a fornire agli insegnanti indicazioni che in
ultima analisi si dimostrano prive di fondamento scientifico». 27
Il “mito” si forma basandosi sull’osservazione del comportamento di ragazzi e adolescenti,
da cui si ricavano, in questo caso specifico, alcuni elementi per avvalorare l’idea che il loro
funzionamento cerebrale sia differente delle precedenti generazioni.

Le strade da percorrere per “smontare” il mito dei “nativi digitali” potrebbero essere molte-
plici. A noi interessa l’approccio educativo in quanto, pur accogliendo come suggestiva que-
sta distinzione tra “nativi” e “immigranti digitali”, è doveroso sottolineare che molti tra gli
“immigranti digitali” sono in fase di diventare nativi, stanno cioè imparando il “linguaggio”,
23
PRENSKY, Digital Natives, Digital Immigrants 1.
24
Cf SMALL Gary - VORGAN Gigi, iBrain: Surviving in the Technological Alteration of the Modern Mind. New
York, Harper Collins 2008.
25
Cf FERRI Paolo, Nativi digitali, Milano, Bruno Mondadori 2011, 78.
26
Cf BATTRO Antonio - DENHAM P.J., Verso un’intelligenza digitale [Hacia una inteligencia digital, Buenos
Aires, Academia Nacional de Educación 2007], Milano, Ledizioni 2010.
27
RIVOLTELLA Pier Cesare, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Milano, Raffaello Cortina
Editore 2012, 1. Il termine “neuromitologie” fa riferimento all’opera di GEAKE John G., The Brain at School.
Educational Neuroscience in the Classroom, London, Open University Press 2009. Lo studioso australiano,
fondatore dell’Oxford Cognitive Neuroscience Education Forum, ritiene che la distinzione tra persone cerebro-
destre” (creative) e “cerebrosinistre” (metodiche) sia un’idea ingenua, diventata modello implicito di riferimen-
to che gli insegnanti utilizzano nel loro lavoro quotidiano. Non è la prima volta che Rivoltella si sofferma sul
funzionamento mitologico di alcuni discorsi che accompagnano l’introduzione e l’appropriazione sociale delle
tecnologie. In questo caso, secondo questo autore, il mito sostiene, rafforza, diffonde la convinzione della tra-
sformazione dell’intelligenza su basi genetiche, arrivando a confonderla con la plasticità cerebrale, per cui il
nostro cervello attiva di continuo nuove sinapsi.

10
gli “usi e i costumi” del “paese straniero” in cui sono stati catapultati, loro malgrado; inoltre,
adulti e giovani trovano spesso nelle tecnologie un terreno di negoziazione, relazione, con-
divisione di interessi, idee, progetti (si pensi al cellulare, ai videogiochi, ai profili condivisi
sui social network).28
Studiosi australiani29 avanzano una critica seria e documentata alle tesi di Prensky riguardo
all’esistenza o meno di una generazione “digitale”, all’estrema dimestichezza che questa
dimostra nell’utilizzo dei dispositivi, e, infine, al fatto che i loro stili di apprendimento siano
strutturalmente differenti da quelli degli adulti.
In particolare, questi autori sottolineano come sia indebito includere nella categoria dei “na-
tivi digitali” tutti i bambini, ragazzi e adolescenti. Molte ricerche rilevano infatti differenze
riguardo all’appropriazione, l’accesso, l’utilizzo dei media, dei dispositivi e delle piattafor-
me in quanto sono determinanti le variabili socio-economiche, di età e di genere, per cui,
spesso «C’è la stessa differenza all’interno della generazione dei nativi digitali che tra le ge-
nerazioni».30

Il multitasking, la capacità cioè di gestire contemporaneamente più attività (studiare, ascolta-


re musica sull’iPod, controllare gli squilli del cellulare, messaggiare con WhatsApp, ecc.)
non è appannaggio esclusivo di questa generazione: alcuni decenni fa, la televisione e la ra-
dio erano il “sottofondo” dei pomeriggi degli adolescenti. Oggi come allora, si evidenzia che
tenere aperti più fronti di attenzione non favorisce la concentrazione in quanto il cervello è
impegnato a gestire molteplici stimoli.
Ancora, l’apprendimento è un processo dinamico e non si può né presumere né generalizza-
re che uno stile venga adottato e messo in pratica da un’intera generazione. Infine, introdurre
nuove tecnologie nella scuola non equivale automaticamente a innovazione dei processi
educativi e formativi, ma soprattutto non è possibile riprodurre, e sperimentare,
nell’ambiente formale le caratteristiche di informalità e ludicità che sono proprie dei disposi-
tivi e degli ambienti sociali digitali.

Secondo gli autori, allora, l’espressione “nativi digitali” funziona più come metafora in sé,
in quanto il termine riempie un vuoto semantico del linguaggio.31 La metafora viene utiliz-
zata quando, per dare significato a quanto si sta dicendo, non si hanno a disposizione parole
per descriverlo adeguatamente. Dire che esistono i “nativi e gli immigranti digitali” aiuta
cioè a dare un nome, semplificare e rappresentare, soprattutto per il grande pubblico, i con-
torni di due generazioni e il loro confronto dialettico. La metafora dei “nativi digitali” viene
amplificata dal sistema dei media, che ne fa oggetto di attenzione tematica enfatizzando la
presenza, le caratteristiche, l’azione di un gruppo sociale ritenuto significativo, perché rive-
latore di comportamenti particolari. Secondo Bennet, Maton e Kervin ci si troverebbe in una
situazione di «moral panic»,32 in quanto il fenomeno non riguarda la massa, ma il sistema
dei media che dilata il discorso sociale.

28
Cf Pier Cesare RIVOLTELLA, Da Marc Prensky a Marc Prensky in
http://piercesare.blogspot.it/2010/10/da-marc-prensky-marc-prensky.html (17-01-2013).
29
Cf BENNET Sue - MATON Karl - KERVIN Lisa, The “digital natives” debate: A critical review of the evidence
in British Journal of Education Technology 39(2008)5, 775-786. L’articolo è anche in Rete:
http://www.pgce.soton.ac.uk/ict/NewPGCE/PDFs/Digital%20Natives%20Debate%20Critical%20review%20o
f%20evidence.pdf, 1-12 (20-01-2013).
Tale studio è stato diffuso nel contesto italiano da contributi rilanciati in Rete: Cf MARCONATO Gianni, Nativo
digitale, uno stereotipo dannoso in http://www.giannimarconato.it/2011/03/nativo-digitale-uno-stereotipo-
dannoso; FINI Antonio, Il mito dei nativi digitali in http://fininformatica.it/wp/il-mito-dei-nativi-digitali/ (20-
01-2013).
30
BENNET - MATON - KERVIN, The “digital natives” debate 779.
31
Cf MELCHIORRE Virgilio, Essere e parola, Milano, Vita e Pensiero 1984.
32
Cf COHEN Stanley, Folk Devils and Moral Panics, London, MacGibbon & Kee 1972.

11
Attualmente però, sempre secondo questi autori, per il fatto che tale metafora sia stata presa
sul serio anche nel dibattito accademico, ci si troverebbe di fronte a un «academic moral pa-
nic».33
Anche riguardo il versante neuroscientifico è possibile smontare il mito della trasformazione
del cervello. È, infatti, da escludere sul piano biologico il divario tra giovani e adulti. Studi e
ricerche, anche longitudinali, lo smentiscono.
Il divario generazionale si gioca a partire da cosa si intende per “plasticità del cervello”, cioè
«la capacità dei circuiti nervosi di essere modificati nel corso dell’intera vita», 34 uno dei
concetti chiave nel campo delle neuroscienze, che in questo momento non è nostra intenzio-
ne affrontare. Contrariamente a quanto si pensava, il cervello non è qualcosa di immutabile,
ma ha la capacità di rinnovarsi, di riorganizzarsi anche in tempi brevi e modificare le sue
funzioni. Il grado di plasticità diminuisce con l’invecchiamento.35
Tutto il nostro comportamento, nelle sue forme più semplici fino a quelle più complesse,
come parlare, dormire, mangiare, camminare, provare emozioni e ricordare, attiva aree cere-
brali specifiche e molteplici: quando si agisce si influenza, fino a modificare, il sistema ner-
voso. Di conseguenza, le differenze tra “nativi e immigranti digitali” vanno semmai ricerca-
te nell’ambito dell’utilizzo dei dispositivi e delle pratiche d’uso delle nuove tecnologie in
quanto «occorrono centinaia di migliaia di anni perché cambiamenti realmente rivoluzionari
si verifichino sul piano neuroanatomico. Certo, poi se si va a studiare il cervello dei nativi vi
si possono riscontrare differenze dal punto di vista dell’organizzazione sinaptica in relazione
al fatto che sono più esposti ai media, ma questo accadrebbe anche se parlassero francese
invece che inglese, oppure se pur parlando inglese giocassero o meno a tennis».36

Comprendere come funziona il cervello però può essere d’aiuto per poter meglio orientare
gli interventi educativi e didattici. Non solo. Gli studi di Damasio circa i fenomeni nervosi
alla base dei processi cognitivi rivelano che non esiste una mente staccata dal cuore: quando
si sceglie qualcosa a livello razionale, tale decisione è condizionata dagli stati emotivi. Per
cui, imparare “dipende” anche dalla coscienza e dalle emozioni.37

APPRENDERE ATTIVAMENTE E INSIEME


Mentre per gli adulti Internet significa principalmente World Wide Web,38 navigazione, ri-
cerca ed e-mail, per i ragazzi vuol dire soprattutto social network, Instant Messaging, video-
giochi, file-sharing, downloading e uploading: tutte attività che li mettono in grado di non

33
Cf BENNET - MATON - KERVIN, The “digital natives” debate 782-783.
34
CATANIA Dario, Neuroscienze e Web 2.0, in Orientamenti Pedagogici 59(2012)4, 673. L’autore approfondi-
sce il rapporto tra strumenti e ambienti delle reti sociali e funzioni cognitive, cercando di verificare se la navi-
gazione in Internet, che richiede un’intensa attività cerebrale, sottrae nei “nativi digitali” risorse altrimenti ri-
servate allo sviluppo e all’esercizio delle capacità di elaborazione, immaginazione e pensiero critico.
35
Cf CARR, Internet ci rende stupidi? 37-52.
36
RIVOLTELLA, Neurodidattica 16.
37
Cf DAMASIO Antonio, Il sé viene alla mente, Milano, Adelphi 2012; ID., Alla ricerca di Spinoza. Emozioni,
sentimenti, cervello, Milano, Adelphi 2003; ID., Emozione e coscienza, Milano, Adelphi 2000; ID., L’errore di
Cartesio, Milano, Adelphi 1995.
38
Internet e World Wide Web nel linguaggio corrente vengono usati indifferentemente per riferirsi sia alla tec-
nologia della rete come alle sue applicazioni. I due termini non sono interscambiabili. Internet è la tecnologica
che collega server e computer distanti tra loro in una rete di comunicazione, mentre il Web (o anche www) è
l’ipertesto che permette la navigazione e la consultazione, mediante un browser, dei contenuti depositati nei
server e nei computer di tutto il pianeta. Il Web poggia su Internet e ha bisogno di questa infrastruttura per cre-
scere e svilupparsi. Internet, senza il Web, è una rete di computer che dialogano tra loro grazie a codici di pro-
grammazione, ma non permetterebbe nessuna consultazione dei contenuti depositati nei singoli ser-
ver/computer.

12
essere non più, e solo, consumatori ma piuttosto produttori di contenuti (user generated con-
tent), abbandonando quello che con i media di massa e prima ancora con l’invenzione della
stampa di Guntenberg era l’utente passivo, l’audience.39
Nel testo di Czerski è possibile evidenziare alcune caratteristiche del come i “nativi digitali”
pensano e imparano:

«Cresciuti sul web, noi pensiamo in modo differente. Per noi la capacità di trovare informazioni è
elementare quanto lo è per voi quella di trovare una stazione ferroviaria o un ufficio postale in una
città sconosciuta. Quando vogliamo sapere qualcosa […] sappiamo che troveremo l’informazione
che cerchiamo su molte fonti, sappiamo come arrivarci, sappiamo come valutare la loro attendibili-
tà. Abbiamo imparato ad accettare che troveremo molte risposte anziché una sola, e da queste pos-
siamo dedurre la versione più probabile scartando quelle che ci sembrano meno credibili. Selezio-
niamo, filtriamo, ricordiamo e siamo disposti ad abbandonare le informazioni che abbiamo in fa-
vore di altre aggiornate e migliori, se ne troviamo. Per noi il web è una sorta di memoria esterna
condivisa. Non dobbiamo ricordare dettagli superflui: date, calcoli, formule, nomi di strade, defi-
nizioni particolareggiate. Ci basta avere un riassunto, l’essenziale per elaborare le informazioni e
riferirle ad altri. Se ci servono i dettagli, possiamo recuperarli nel giro di pochi secondi». 40

È evidente che le nuove generazioni sono potenzialmente protagoniste di un flusso di dati e


contenuti che esse stesse plasmano e reinventano, imparando attraverso schermi, icone e
“navigazione” e sviluppando comportamenti di tipo ipertestuale piuttosto che lineare: nuove
forme di gioco, comunicazione e socializzazione, scambio di informazioni e capacità di tran-
sitare tra le diverse piattaforme mediali e i social network, possibilità di scegliere, monitora-
re e creare nuovi contenuti e nuovi formati di video e testo.

È un approccio alla conoscenza più personalizzato, esperienziale, diretto, meno dogmatico


poiché i ragazzi «entrano direttamente nei differenti campi di esperienza, anche formativa,
sperimentando naturalmente la pedagogia dell’errore e del trial and error, più che un ap-
proccio storico o sistematico e sequenziale alla conoscenza come il nostro. Piuttosto che in-
terpretare, configurano; piuttosto che concentrarsi su oggetti statici, vedono il sapere come
un processo dinamico di co-costruzione».41 Stabiliscono una “simbiosi naturale” con i me-
dia, di conseguenza l’apprendere per loro è un processo di partecipazione attiva, carico di
contenuti sociali e relazionali.42

Al saper leggere, scrivere, far di conto si affiancano la capacità di ricercare e selezionare le


informazioni; di usare le tecnologie digitali per esprimersi, rappresentare, comunicare idee e
conoscenze, di porre e porsi domande e lavorare coinvolgendosi e condividendo con gli al-
tri.43 L’apprendimento è centrato sul soggetto; dalla costruzione delle competenze e
dell’espressione individuale si passa al coinvolgimento della persona in una comunità di ap-
prendimento, dove le pratiche e gli usi, le abilità e gli strumenti favoriscono un’esperienza di
networked society.

39
Cf MARINELLI - FERRI, New Media Literacy e processi di apprendimento 29-30.
40
CZERSKI, Cresciuti con la rete 96.
41
Cf MARINELLI - FERRI, New Media Literacy e processi di apprendimento 33.
42
Cf LONGO Giuseppe O., Il simbionte. Prove dell’umanità futura, Meltemi, Roma 2003. Nel volume, l’autore
sostiene che da sempre la persona si ibrida con gli strumenti che costruisce, per cui anche l’homo sapiens è
sempre stato un homo technologicus, un incrocio di uomo e tecnologia in continua trasformazione. Attualmen-
te, l’homo sapiens, o simbionti a bassa intensità tecnologica, vengono sostituiti da creature a tecnologia sempre
più intensa, che tendono ad adattarsi alla corrispondente successione di ambienti sempre più artificiali. Appare
un simbionte avviato a un futuro post-umano, tuttavia lacerato dal disadattamento tra la componente biologica
e quella tecnologica e con la nostalgia del passato.
43
Cf HAREL Idit, Learning new media literacy: a new necessity for the young clickerati generation in Tele-
medium. The Journal of Media Literacy 48(2002)1, 17-26. L’autore aggiunge alle tre R (Reading, wRiting, aR-
itmetic) tre X (eXploration, eXpresssion, eXchange).

13
Secondo Jenkins, le tecnologie digitali comprendono e attivano abilità come:
- gioco-esperimento (Play): fare esperienza e conoscere nella modalità del problem-
solving;
- performance: adottare identità alternative per scoprire e improvvisare;
- simulazione (Simulation): interpretare e costruire modelli dinamici che riguardano i
processi del mondo reale;
- appropriazione (Appropriation): mescolare e produrre contenuti mediali significati-
vi;
- multitasking: prestare attenzione ai dettagli delle differenti situazioni e dei diversi
ambienti;
- conoscenza distribuita (Distributed Cognition): interagire in maniera significativa
con gli strumenti che espandono le capacità mentali;
- intelligenza collettiva (Collective Intelligence): far convergere le conoscenze e con-
dividere idee significative con gli altri attorno ad un obiettivo comune;
- giudizio (Judgment): verificare e valutare la fattibilità e credibilità di differenti in-
formazioni e fonti;
- navigazione transmediale (Transmedia Navigation) seguire il flusso delle storie e
delle informazioni attraverso piattaforme multiple; Networking: ricercare, sintetizza-
re e diffondere le informazioni;
- negoziazione (Negotiation): esplorare e viaggiare attraverso le molteplici comunità
della rete, rispettando e comprendendo le prospettive e le opinioni altrui, e seguendo
norme alternative.44

Comprese in un’ottica globale, tali abilità sviluppano atteggiamenti di cooperazio-


ne/collaborazione, di espressione delle proprie idee e opinioni, di ricerca/esplorazione (ri-
spetto alla passività della ricezione) della conoscenza che, attraverso le tecnologie digitali,
non è più scritta e depositata solo nei testi, ma circola in uno spazio a più dimensioni che si
arricchisce per l’interazione e la molteplicità di codici e linguaggi con cui si esprime. Il ri-
sultato è un apprendimento = immersione, che favorisce la reticolarità, il connessionismo e il
costruttivismo, la simulazione diretta dell’esperienza.45

La mediazione dell’adulto garantisce che ogni apprendimento sia integrazione di “sapere ta-
cito”, dato dall’esperienza, e “sapere teorico”.46 Per aiutare i nostri ragazzi e giovani a non
cedere all’apatia, all’indifferenza, alla noia, alla passività mentale, linguistica, di giudizio è
opportuno guidarli dall’immersione totale delle pratiche e dei contenuti digitali in cui si tro-
vano a loro agio all’astrazione; dalla navigazione online alla conversazione offline; dall’uso
dei dispositivi alla verbalizzazione dell’esperienza.

La lingua è senza dubbio quanto di più appropriato possediamo per accompagnare l’“attività
del pensare”. Il processo mentale astratto procede per ipotesi, analisi, immaginazione, con-
centrazione e verifica di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e tra le nostre mani, inter-
pretazione dei segni e dei significati che la situazione presenta. Si tratta di aiutare a interpre-
tare i differenti punti di vista, a riflettere a partire dagli eventi, a generare idee, svilupparle,
organizzarle e comunicarle, a scorgere connessioni con le conoscenze e le esperienze acqui-
44
Cf JENKINS, Culture partecipative e competenze digitali 60-61.
45
Cf CANGIÀ Caterina, Tra immersività e pensiero simbolico. I “digitali nati” e i percorsi alternativi verso
l’acquisizione del sapere in Scuola Materna per l’educazione dell’infanzia 98(2010)2, 16-17. L’autrice cura da
alcuni anni (2009-2012) una rubrica mensile sulle nuove tecnologie applicate alla didattica, anche della lingua
straniera, nelle seguenti riviste: «Scuola Materna per l’educazione dell’infanzia», «Scuola Italiana Moderna»,
«Tuttoscuola», «Scuola dell’Infanzia» e «Scuola e Didattica».
46
Cf ID., Teoria e pratica della comunicazione multimediale nella scuola nella formazione professionale, Ro-
ma, Editoriale Tuttoscuola 2001, 123-126.

14
site precedentemente, a incrementare il vocabolario, classificare, categorizzare concetti e in-
formazioni, a comprendere una storia o un libro, a studiare, revisionare, leggere e compren-
dere, a interrogarsi sulle conseguenze delle proprie idee, azioni, espressioni. In altre parole,
transitare dagli apparati tecnologici alla scrittura e all’oralità per condividere la ricchezza di
quanto è stato pensato e ragionato. Il tutto avvolto nella partecipazione, nell’interazione e
nella convergenza che “accade” con i dispositivi, le piattaforme, gli ambienti della tecnolo-
gia digitale.47

È importante, allora, di fronte ai nativi digitali, comprendere che ogni tecnologia è un filtro,
che potenzia certe capacità umane e ne indebolisce altre. Si pensi, nel rapporto uomo-
computer al mutamento della comunicazione umana, articolata e ricca, che rischia però
sempre più di assomigliare a quella meccanica, di diventare cioè più efficiente e meno sfu-
mata, più logica e meno emotiva, condizionando le abilità comunicative e il loro sviluppo.48
Ciò che più conta, per la generazione digitale, è la relazione,49 anche se sempre più si tratta
di legami deboli, distanti dalle tradizioni dei rapporti forti come quelli familiari o amicali di
un tempo.

ADOLESCENTI E NUOVI MEDIA


Riguardo al rapporto che gli adolescenti instaurano con i nuovi media è importante rilevare:
- il tipo di relazione che l’adolescente intrattiene con i nuovi media (il cellulare, ma
anche le consolles playgame, o i servizi di instant messaging su Internet, come MSN
Messenger)
- gli usi che ne fa
- il tipo di attitudine cognitiva che sviluppa interagendo con essi

IL TIPO DI RELAZIONE
I nuovi media sono “ubiquitari” (ubiquitos and pervasive technology) poiché, grazie alla lo-
ro portabilità, hanno la caratteristica di essere sempre disponibili: si possono portare real-
mente dappertutto e questo produce una serie di rilevanti conseguenze per l’adolescente:
- la costante reperibilità
- la performatività, il fatto, cioè, che i nuovi media sono “attori sociali” e non solo og-
getti: richiamano la nostra attenzione, ci costringono a interagire e a modificare le re-
lazioni che si stabiliscono grazie a loro
- la pervasività: non solo perché “invadono” la vita colonizzando tempi e spazi che
prima del loro avvento rimanevano liberi per altre attività. Ma piuttosto perché i
nuovi media contribuiscono a creare una dimensione di realtà intermedia tra quella
che viene chiamata “vita reale” e “vita virtuale”. Si tratta di una dimensione che vie-
ne indicata con l’espressione “realtà aumentata” (augmented reality) rispetto al no-
stro agire individuale e sociale: i nuovi media, pur lasciandoci piantati nella realtà

47
Cf ID., Il “pensiero radiante” ristruttura i contenuti c’entrano la LIM e il banco interattivo? in Scuola Ma-
terna per l’educazione dell’infanzia 98(2010) 4, 19.
48
Mai come oggi, nella società della comunicazione, il rischio di non comunicare è forte e la sfida è fornire
qualità alla comunicazione. Alla sovrabbondanza di opportunità di vie di comunicazione che si intrecciano nel-
la società in rete non sempre corrisponde un arricchimento dei significati e dei messaggi. I giovani hanno perso
per strada un mucchio di parole: per cui, se nel 1976 un ragazzo di 16 anni disponeva di 1.400 vocaboli, oggi
sembra che non ne abbia in bocca più di 600. E siccome nessuno può pensare al di là delle parole che conosce,
aumenta incredibilmente la quantità del dolore, perché si soffre di più quando non si è in grado di nominare e
quindi di comunicare il proprio dolore.
49
Cf. DE KERCKHOVE, Social Network e nuovi profili antropologici, 51-53.

15
“reale” offrono forme di inter-azione improntate alla contrazione degli spazi, alla ve-
locizzazione dei tempi, all’accessibilità delle informazioni.

GLI USI
I nuovi media sanciscono l’affermazione dello user generated content, il contenuto che vie-
ne costruito direttamente dall’utente. I “vecchi media” – cinema, stampa, televisione, radio –
erano caratterizzati da processi di produzione dei contenuti particolarmente complessi, co-
stosi, tali da richiedere competente estremamente specifiche. Era impensabile per il “lettore
comune” pensare di diventare autore; la comunicazione, di conseguenza, era tendenzialmen-
te unidirezionale, orientata dall’alto verso il basso.
I nuovi media, invece rendono facile all’utente la produzione e la pubblicazione dei suoi
contenuti. Scattare una fotografia con il cellulare e “appenderla” in Flickr, girare un piccolo
video e caricarlo su YouTube, pubblicare un post su Facebook, scaricare musica con Emule e
condividerla con gli amici grazie agli MP3 e agli iPod è … un gioco da ragazzi: operazioni
semplicissimi che anche i più piccoli riescono a fare senza difficoltà.

IL TIPO DI ATTITUDINE
La presenza dei nuovi media nella vita degli adolescenti e le pratiche che essi promuovono
producono effetti interessanti anche sotto il profilo cognitivo. Sono due le espressioni che
spiegano queste trasformazioni:
- Multitasking è la possibilità che i nuovi media garantiscono di attivare forme diverse
di consumo nello stesso momento. I preadolescenti e gli adolescenti gestiscono e
portano avanti molte attività contemporaneamente, utilizzando più canali di comuni-
cazione: si studia, si chatta, si ascolta la radio e si scarica musica, si aggiornano i
profili su Facebook e Twitter, si vede televisione online, si gestiscono sms e squilli al
cellulare. Si tratta indubbiamente di una abilità che permette di fare più cose con-
temporaneamente, ma che comporta anche una discontinuità nell’attenzione, che non
viene mai interamente garantita “su” qualcosa, ma si sposta sempre superficialmente
da un oggetto all’altro: una discontinuità che certamente minaccia la riflessione e
l’approfondimento.
- Instant thinking fa riferimento, invece, alla “velocità” del pensiero adolescente, un
carattere che può essere visto sia in positivo che in negativo: pensiero veloce vuol di-
re pensiero pronto, rapido, capace di arrivare subito alle cose, ma vuol dire anche
pensiero fugace, superficiale, incapace di riflessione e approfondimento.
Ma ancora, nei giovani è forte la capacità di passare, un vero e proprio transitare, da
un pensiero logico-razionale a un pensiero intuitivo: apprendere per loro non signifi-
ca semplicemente ricevere informazioni, ma piuttosto sperimentare, provare, tra-
sformare, riconfigurare, giudicare, interscambiare, partire dall’immagine; mettere in
comune le esperienze; confrontarsi in modo diretto, darsi consigli e dialogare simul-
taneamente.

Il rapporto dei giovani con la Rete e il loro vivere negli spazi digitali rivela segnali positivi:
- continuità tra dimensione offline e online della relazione: non si costruiscono mondi
paralleli, in rapporto problematico tra loro (surrogato, sostituzione), ma esiste un
unico spazio “reale” di esperienza, diversamente articolato, e unificato dalle pratiche
e dalle relazioni.
- individualità relazionale: l’individuo non è assolutizzato, né assorbito nel gruppo,
ma costituisce relazionalmente la propria identità, attraverso una gestione misurata
delle proprie tracce, nella relazione con gli altri.
- centralità della relazione nelle dinamiche del riconoscimento e della fiducia come
chiave di accesso alle cerchie sociali: non è l’ambiente tecnologico che determina i

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modi delle le relazioni, ma è la relazione che dà forma all’ambiente, unificando spazi
diversi in un unico mondo relazionale.
- sensibilità al contesto, sia come ambiente relazionale (in cui evitare l’eccesso indi-
viduale e il conflitto) che come spazio comune da mantenere vivo, con comporta-
menti orientati all’armonia piuttosto che al narcisismo, e nella definizione implicita
di un’etichetta dell’abitare gli spazi digitali.
- capacità di far durare le relazioni, di stabilizzare i luoghi comuni dell’incontro, di
custodire le memorie e aprirsi alle potenzialità del futuro, diversamente da quanto le
analisi sull’assolutizzazione del presente hanno affermato negli ultimi anni.
- capacità di stare-con, di condividere, di accompagnarsi a vicenda sia nei momenti di
passaggio, sia nella quotidianità.
- capacità di far prevalere la parola fática su quella strumentale, valorizzando la tes-
situra di uno spazio comune e creando le condizioni di possibilità di una gratuità.
- capacità di parlare di sé con fiducia, costruendo, dal basso, uno spazio in cui la di-
mensione personale viene messa in comune.
- riconoscimento che non si è autosufficienti, che si ha bisogno degli altri. La verità di
se stessi è in qualche modo anche “ricevuta” dagli altri.

Allo stesso tempo, però ci sono rischi da non sottovalutare:


- forme di banalizzazione per evitare il conflitto o di omologazione, dove non si
esprimono posizioni dissonanti rispetto a quelle del gruppo.
- l’espressione dell’intimità che passa attraverso modelli “allineati” al gruppo, o si
esprima prevalentemente in forma indiretta e mediata.
- il prevalere di una parola puramente fatica che impoverisce lo scambio e che rende
impossibile l’incontro, al di à dell’essere-con.
- L’amicizia che si costruisce sulle basi della similitudine e dell’affinità (philìa), la-
sciando fuori tutto ciò che è “altro” (per età, autorevolezza, diversità di storie e ve-
dute; alterità rispetto alla dimensione dell’intimo; alterità rispetto alla dimensione
dell’immanenza). Senza un’apertura all’alterità difficilmente può esserci incontro e
comunicazione.
- il non voler “emergere” come persona porta ad inibire la responsabilità, la testimo-
nianza.
- il non riuscire ad articolare la dimensione privata con quella pubblica, in vista della
partecipazione a una società civile digitale.

INTERPELLANZE EDUCATIVE
Oggi basta un clic per avere una seconda vita: l’opportunità, unica e allettante degli universi
paralleli di Internet, dove ciascuno può scegliere una “Second life” con un’identità nuova e
vivere esperienze puramente virtuali è la possibilità aperta ad ogni terminale. Non si tratta
solo di esistenze parallele: da una parte la vita reale e dall’altra la vita online, che scorrono
in maniera distinta. Nella maggior parte dei casi i due mondi si intersecano, si incontrano e
questo succede, prima di tutto, perché le relazioni, le amicizie che una persona ha non stan-
no tutte o da una parte o dall’altra.

Educare a una chiara identità, che prende su di sé la responsabilità di una comunicazione


sempre più distribuita e fluida tra il dentro e il fuori della Rete, tra l’online e l’offline, tra il
reale e il virtuale, perché la vita non sia fuga dalla fatica, dalla concretezza, ma sia libertà di
dono e di risposta.

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Il rischio del networked individualism è forte: l’identità stabile si trasforma in una pluraliz-
zazione di identità,50 si entra a far parte di comunità anche loro declinate al plurale, dove si
punta alla collaborazione e all’interazione sociale, ma dove è altrettanto presente la “con-
fusione” tra dimensione pubblica e privata.51
Prendere consapevolezza dei rischi e dei pericoli che nasconde la Rete per adottare approcci
critici e responsabili, soprattutto riguardo all’assunzione di identità fittizie, che incidono sul-
la credibilità dell’interazione in Rete.52

Educare alla responsabilità per comprendere che la comunicazione è intenzionale e che in


questa decisione di mettersi in gioco ciò che si dice e si fa, ciò che si pubblica e si dichiara è
detto, scritto, visto.
Non è allora più sufficiente educare (solo) “lettori critici” (obiettivo della ME): è importante
educare la responsabilità di ciascuno in quanto autore. Con la potenza e la rapidità di diffu-
sione, con l’estrema facilità di uso e di manipolazione, grazie ai tools multimediali del cellu-
lare, si passa da ricettori a produttori di media. “Girare” un video e “pubblicarlo” in Rete è
facilissimo, ma cosa comporta questo in relazione a quanto viene rappresentato?
All’etica delle emittenti subentra la responsabilità di qualsiasi comunic-attore quale è cia-
scuno di noi nella misura in cui può produrre messaggi e non solo consumarli.
È una responsabilità che diventa etica, nel senso di interrogarsi riguardo a quale mondo vo-
gliamo creare. Perché oggi “siamo capaci di fare storia”. L’etica si configura quindi come
etica del sentimento, delle attitudini, del pensiero e del cuore: «Per questo devono cambiare i
livelli di responsabilità di ciascuno di noi. Ogni individuo deve integrare se stesso con que-
sta dimensione di responsabilità molto più allargata».53

50
Cf. Barry WELLMAN et al., The social Affordances of the Internet for Networked Individualism, in Journal of
Computer-Mediated Communication 8(2003)3. L’articolo è disponibile in Rete all’indirizzo:
http://jcmc.indiana.edu/vol8/issue3/wellman.html (6/09/2009).
51
Cf. Stefano MARTELLI, Identità e relazioni sociali nel Web 2.0. Come il social networking cambia il rappor-
to tra comunità e persone. Intervento al Convegno Chiesa in Rete 2.0, organizzato dall'Ufficio Nazionale per le
Comunicazioni Sociali della CEI (Roma, 19-20 gennaio 2009). Il testo della relazione è disponibile online:
http://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/allegati/5387/stefanomartelli.pdf (6/09/2009).
52
La Canadian Medical Association sostiene che la IAD (Internet Addiction Disorder) è reale quanto
l’alcolismo: provoca, come le altre patologie da dipendenza, problemi sociali, desiderio incontrollabile, sintomi
astinenziali, isolamento sociale, problemi coniugali e prestazionali, difficoltà economiche e lavorative. Ne sono
predisposte persone tra i 15 e i 40 anni e i sintomi del disagio si riconducono a difficoltà di relazione, a un forte
senso di attaccamento al computer, al mentire sul totale delle ore trascorse online, a casi di obesità, a depres-
sione e ansia, all’accusa di dolori alla schiena e al progressivo allontanamento da ogni hobby che non sia quello
di essere in Rete. La gravità del disagio è acuita dal fatto che tali patologie influiscono e possono avere forti
ripercussioni sulla vita familiare. La IAD riveste, in questi casi, i tratti della fuga, dell’isolamento,
dell’allontanamento dalla realtà: le persone si rintanano in Internet per non affrontare i problemi dell’esistenza
quotidiana. Per ulteriori approfondimenti: Franco DI MARIA - Stefania CANNIZZARO (Eds.), Reti telemati-
che e trame psicologiche. Nodi, attraversamenti e frontiere di Internet, Milano, Franco Angeli, 2001, 15-41;
Tonino CANTELMI et al., La mente in Internet. Psicopatologie delle condotte on-line, Padova, Piccin 2000,
55-93; Kymberly S. YOUNG, Presi nella Rete. Intossicazione e dipendenza, Bologna, Calderini, 2000 [tit. or.
Caught in the Net, New York, NY, John Wiley & Sons, 1998].
53
DE KERCKHOVE, Social Network e nuovi profili antropologici, 48.

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