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Sociologia dei processi culturali e comunicativi

Ogni cambiamento sancisce un progresso da cui difficilmente si torna indietro, e reca con sé differenti
caratteri mutuati dal precedente modello, riadattandoli alle necessità contingenti dell’epoca, dello
scenario e della cultura in cui si reinscrive.

La comunicazione ha sempre cercato di fissare in determinati mezzi i canoni di trasmissione di specifici


contenuti.

Abbiamo più metainformazioni (chi l’ha fatta, quando, possibilità di acquisto) che informazioni stesse
(specifiche del prodotto).

L’importanza della cultura nella comunicazione del designer:


● Capire l’identità e le diversità;
● Confrontarsi con il mondo che ci circonda;
● Maturare un pensiero critico;
● Avere “strumenti” validi di lavoro.

Gemello digitale: figura altra da noi che in rete è conosciuta per cose che anche noi stessi spesso non
ricordiamo, traccia di noi stessi parte del passato lasciata sull’internet. Oppure aspetto implementativo
che consente di fare esperimenti, prototipazioni, lavorando su di una simulazione talmente perfetta che
permette di avere un esito progettuale o capacità di valutazione molto alto, viene sfruttata da aziende.

GAN: avversari al network - algoritmo generativo che crea una contestazione.

Pratiche culturali. Creolizzazione, barocchizzazione e cannibalismo:


Considerando l’ossimoro metaforico delle “tribù di un villaggio globale”, le tante comunità,gruppi
ridotti, accomunati da elementi condivisi e riconoscibili ma non esclusivi, possiamo rilevare come
esistano situazione di progettazione dei media e di appropriazione tecnologica che esulano il modello
occidentale, ma allo stesso modo, lo contaminano con le loro forme culturali.
Si assiste a formulazioni da riti “sciamanici” in queste “tribù”, ovvero in base alle competenze e alla
possibilità di intervento sui media stessi, si realizzano azioni che tendono a cambiare la destinazione
d’uso di un mezzo, a personalizzarlo, a “strappargli l’anima cannibalizzandolo”, cioè, per dirla in
termini più allineati al nostro modello culturale occidentale, a “rimediare” le sue funzionalità in qualcosa
che non ha più nulla a che vedere con la struttura, la retorica e le dinamiche che aveva in precedenza.
In questa direzione si posizione la ricerca di François Bar, antropologo americano, che distingue tre
modalità principali di appropriazione tecnologica. La «barocchizzazione», la «creolizzazione» e il
«cannibalismo» ((pagg 127-128))

- Barocchizzazione: “make it your own” - immettere una serie di elementi che possano rendere
ancora più pieno un qualsiasi elemento. Forma di volontà di personalizzazione.
- Creolizzazione: "reinventato e adattalo a tua misura” - non solo arricchisco, lo trasformo.
Insieme di più elementi che consentono di cambiare il costrutto originale di un qualsiasi oggetto
per adattarlo ad un’altra misura. Ampliamento dello spettro di qualcosa senza cancellarne la
destinazione originaria ma rimodulando quella che era la sua principale proposta pubblica.
- Cannibalismo: “il nuovo modello ingloba e supera il precedente” - pratica di inglobare il modello
che anticipava per trasformarlo in qualcosa che non ha più nulla a che fare con l’originario.
Strettamente legata alla comunicazione e al modello di superamento hegeliano.
Il mezzo e i messaggi: “il medium è il messaggio” - nasce come una provocazione, il canale di
comunicazione influenza il messaggio a tal punto da profondamente incidere sulla forma di ricezione e
comprensione. Scrivendo a penna, operiamo un principio di sintesi diverso rispetto ad una
comunicazione di tipo vocale o molto più lunga. Da quando esistono media, il messaggio viene
completamente trasfigurato.

Il termine “media”: ha una sua dimensione specifica, spesso viene fraintesa e trasformata in una serie
di derivazioni, indica ciò che si pone in modo bilanciato tra più elementi; di fatto prendendo la parola in
un’accezione fondamentalmente singolare (“la media”) si parla di media quando si inquadra il termine
per scopi matematici o statistici: dalla media tra due o più numeri, alla media scolastica, alla velocità
media, etc. Caso differente quando la parola prende una connotazione formalmente plurale (“i media”) e
nel singolare diventa necessariamente un richiamo al termine latino di “medium”.

Il termine “medium”: indica ciò che sta nel mezzo: una via di mezzo, una condizione neutrale, un luogo
accessibile. Tale connotazione di “stare nel mezzo” si è gradualmente inserita nel senso comune per ciò
che chiamiamo propriamente “mezzi”, cioè gli strumenti e i sistemi che supportano una certa attività, una
certa comunicazione, un determinato bisogno. I media diventano ciò che consente di passare da uno
stadio X a uno stadio Y: sono i supporti fisici, tecnici, a volte impalpabili, a volte misurabili, la cui funzione
dovrebbe essere quella di agevolare, favorire, permettere o determinare una trasformazione tra due enti,
un passaggio, una transizione, una traduzione, una trasformazione da una situazione iniziale a una
finale, da un(a) (e)mittente a un destinatario (ricevente).

Con la crescita dei mezzi di comunicazione e la capillarizzazione degli stessi, l’accezione


di “media” diventa comune, identificando i mezzi stessi, come radio e televisione, giornali, riviste e
successivamente apparati che consentono di fruire contemporaneamente di più elementi visivo-testuali e
interattivi (prodotti multimediali, legati all’arrivo dei computer) e infine di Internet (assumendo poi la
locuzione “New Media” e creando anche un falso anglicismo sulla parola “media”).

Per McLuhan (professore di letteratura interessato ai processi di letteratura legati alla pratica e alla
costruzione di contenuti, autore di Understanding Media, conosciuto anche per una serie di aforismi
divenuti celebri), un medium molto potente è la luce: nel passato, la produttività era strettamente
connessa al mezzo della luce, in quanto l’attenzione e la capacità di produrre dipendeva dal sole o dalle
candele a disposizione, risultando comunque limitata.

La sua più famosa provocazione è stata quella di asserire che ogni medium, inteso cioè pura estensione
di noi stessi (una vera e propria protesi fisiologica), porti a conseguenze personali e sociali legate proprio
alla nuova dimensione introdotta. In pratica, l’uso di un determinato strumento o l’adozione di una
specifica tecnica, incidono a tal punto sulla soglia di utilizzo, sulle modalità di impiego, sulle possibilità di
fruizione, sulle capacità soggettive di codifica e decodifica rispetto a un certo supporto, da modificare
profondamente la natura stessa del contenuto che tale mezzo deve veicolare.
Rispetto il discorso di quanto gli strumenti possano influenzare il lavoro di chi progetta, oggi,
identificando questi strumenti, si parla soprattutto di software, anzi, si arriva a postulare una vera e
propria “Cultura Software” (Manovich 2010). L’obiettivo di tali “mezzi”, declinati con modalità
comunicative e interfacce adeguate, è quello di consentire agli utenti di essere non solo più produttivi ma
anche più innovativi
È necessario dunque far fronte alla formulazione di un contenuto eseguito grazie a uno strumento
che ne permette la realizzazione e a un supporto che lo veicola (quindi una prima doppia
contaminazione: gli strumenti di sviluppo da un lato, i supporti sui quali il progetto di comunicazione deve
trovare una sua diffondibilità dall’altro) e inoltre anche sulla formulazione del contenuto stesso in base
alle possibilità della materia del messaggio: infografica, advertising, comunicazione istituzionale, etc.
Il progettista della comunicazione ha un passaggio interpretativo di grande importanza: trovare la
formulazione migliore per una specifica cultura, che consenta ai membri e ai gruppi di questa (ridotti o
allargati) di percepire il contenuto del messaggio proposto, oltre che in superamento ai vincoli del
supporto, anche in armonia con la rappresentazione del contenuto stesso, che si tratti di grafica, di
typesetting, di elementi multimediali, di semplice testo o di qualsiasi altra forma di rappresentazione la
cui fenomenologia può essere solo una scelta critica consapevole del progettista.

“The medium is the massage”: se noi prendiamo la parte che riguarda la parola massaggio possiamo
avere almeno 4 visioni di questo; oggi i media assecondano così tanto la volontà degli utenti che
operano una sorta di “massaggio”, di appagamento rispetto al contenuto.

Società che ragiona mediante formule di caos, persa nelle informazioni.


Non si tratta più di una comunicazione peer-to-peer, bensì le tecnologie ci
permettono di comunicare pervasivamente da masse per masse.
Oggi che siamo massificati, vediamo le bombe cadere ad una distanza non
eccessivamente lontana, ma non le percepiamo così tanto vicine. Siamo molto
più sensibili alla rappresentazione della realtà contingente su uno schermo
piuttosto che a questa stessa. Quando non ho un collegamento diretto,
percepisco una barriera e tendo a mantenere delle distanze.

Evoluzione dei media, esempi per fenomeno:


Un aspetto estremamente interessante è vedere come i mezzi di comunicazione si siano sviluppati in
frangenti di tempo sempre minori. La tabella illustra per tappe distinte e, in alcuni casi necessariamente
approssimative, quale sia stata la velocità evolutiva esponenziale dei sistemi di comunicazione a partire
dalla nascita dell’oralità fino ai nostri giorni.
Ciò che emerge è una differente velocità all’interno delle
dinamiche di scambio e relazione in base al principale
supporto (medium) che abbia sostenuto il linguaggio,
ovvero il corpo umano, la scrittura o l’elettricità.

Se oggi devo tramandare al futuro dei dati, che cosa utilizzo


per ottenere la maggiore proiezione nel futuro di questi? La
carta, essendo quella che risente del tempo ma che resiste di
più di qualsiasi apparato elettronico.

L’oralità:
Nelle culture orali il mezzo proprio di comunicazione è il
corpo, e le possibilità del linguaggio non hanno permesso
progressi rapidi. La lingua, di difficile comprensione e non
unificante, viene condivisa da poche persone, e solo in
“tempo reale”. Quindi ogni comunicazione deve essere
ripetuta, ritualizzata e ri-contestualizzata costantemente, di
generazione in generazione. L’organizzazione della parola
nel momento della sua costruzione orale, cioè quando si
deve produrre un discorso, memorizzarlo, ripeterlo, esporlo in
pubblico piuttosto che farlo proprio nell’interiorità del
pensiero, richiede un certo tipo di attitudine, di pratiche, di capacità, di usi e di formule che differiscono
profondamente dalla parola che ha incontrato un supporto su cui poter essere incisa, fissata, ridotta a
testimonianza scambiabile e distribuita.
La scrittura:
Il linguaggio scritto può essere utilizzato invece da diverse generazioni in diversi ambiti e può essere
tradotto in altre lingue e quindi trasmesso nello spazio e nel tempo.
Questa separazione dal corpo ha portato anche a una forma di astrazione: i sistemi di scrittura alfabetica
di fatto ridefiniscono le relazioni delle persone con il corpo stesso. La lettura favorisce la vista, a
differenza del linguaggio orale che favoriva l’udito, e questa predominanza del dominio del senso visivo
nell’elaborazione delle informazioni, tanto nella lettura che nella scrittura, ha portato a una
comunicazione desensorializzata.
Le parole scritte presto vengono considerate più autorevoli del parlato. Le persone che imparano a
scrivere prendono il controllo sul linguaggio e lo interiorizzano; imparano a pensare linguisticamente e
trasformano le proprie menti in «un laboratorio di immagini e suoni per “interpretare” le parole scritte»
Se la scrittura e la sua diffusione successiva tramite l’introduzione della stampa hanno costituito il primo
grande passaggio da una prospettiva acustica a una visiva, con le differenze e i cambiamenti a livello
relazionale, comunicativo e progettuale che ciò ha comportato, il grande salto che seguirà questo primo
importante cambio di paradigma, sarà quello legato alla corrente elettrica.

La “rivoluzione elettrica” (McLuhan 1959):


L’avvento dell’elettricità infine ha dato un impulso ancora più forte alla spinta evolutiva di supporti e
modalità per comunicare, condensando negli ultimi due secoli una serie di scoperte, invenzioni, modelli e
apparati che non solo avrebbero rivoluzionato il vivere e il comunicare umano, ma avrebbero cambiato le
modalità con cui si articolano le relazioni e gli scambi in un’ottica mai immaginata prima.
L’introduzione di strumenti capaci di coprire larghe distanze in pochi istanti ha riconfigurato la
dimensione del progetto di comunicazione, sia per il necessario ripensamento dei supporti, sia per
l’imminente “massificazione” degli scambi e delle relazioni, che avrebbero portato ancora più distanti i
punti di riferimento che erano stati fissati anteriormente dal semplice linguaggio e poi dalla scrittura e
dalla stampa.
Se si è partiti da modelli ancora acustici (telegrafo e radio), che permettevano la propagazione di tracce
sonore su grandi distanze, si è poi passati a sistemi più elaborati in grado di aprirsi totalmente alla
dimensione visiva (televisione, elettronica di consumo). Le comunicazioni di massa si sono spostate
poi verso un asse di relazione e partecipazione che non vedevano più la comunicazione verticale da
un’emittente a un destinatario, ma partecipativa e condivisibile: ingresso delle comunicazioni di rete e
successivamente delle forme “social” del Web, cioè di modelli in cui l’elettricità fosse il metasupporto di
altri mezzi (computer, smartphone e in generale apparati portatili o indossabili) e tramite cui venisse
offerta una connessione costante con altri membri di una medesima comunità di riferimento (amici,
colleghi, compagni, familiari, etc.). Dunque, la “rivoluzione elettrica” non ha solo prodotto cambiamenti di
paradigma a livello di infrastrutture, tecnologie e innovazioni di processo, ma ha “riprogettato” il
pensare umano, l’architettura aperta del cervello che ha dovuto creare sofisticati collegamenti tra
strutture e circuiti neuronali in origine preposti ad altri più basilari processi, come la vista e la lingua
parlata.

L’avvento del digitale:


L’avvento della cultura digitale, la preminenza di una dimensione visuale rispetto a una acustica, il
privilegiare l’immagine sulla scrittura, ha riaperto una transizione epocale che ha di nuovo portato a un
cambiamento di paradigma usi, abitudini e addirittura aspetti fisiologici di chi si approccia a tali strumenti,
a partire dalle recenti generazioni dei nativi digitali.

Ephemeral data: o li vedi, o li perdi per sempre.


Mass media - New media:

Mass media: mezzi organizzati per comunicare a numerosi riceventi entro un breve spazio di tempo.
- Misure di efficacia: riuscire ad arrivare al proprio pubblico;
- Soddisfazione di bisogni o usi: informazioni, svago etc;
- Tecnologie caratterizzanti: mezzi, supporti, canali;
- Reti sociali che possono supportare, condividere, sostenere la comunicazione.

Si possono delineare sette principali tappe nell’evoluzione dei mass media, che coincidono con i mezzi
che hanno avuto maggior impatto e seguito: stampa, oggetti di registrazione, cinema, radio, televisione,
internet, generazione mobile (portabili e personali).

- Stampa: libri, giornali, politica, d’elite, popolare, quotidiana commerciale, altre forme quali
periodico, pamphlet, fanzine etc.
- Registrazione: il concetto di registrazione implica la diffusione di tutti quei sistemi che
permettevano di avere un elemento dapprima sonoro, poi audiovisivo, per arrivare infine al
digitale. Dischi, nastri, cassette, cartucce, CD, DVD, BluRay, e tutti gli altri supporti permanenti o
volatili;
- Cinema: nasce a fine Ottocento, come risposta alla domanda delle famiglie, soprattutto del ceto
urbano medio-basso di avere un modo economico di passare il tempo libero. Con la
“americanizzazione” dell’industria cinematografica, lo sviluppo di un modello di consumo più
privato e personale che ha favorito la dimensione del consumo televisivo, mediante la
separazione dei film dalle sale cinematografiche.
- Radiotelevisione e musica registrata: nasce nei primi del Novecento, come sistema destinato
a processi astratti di trasmissione e ricezione. Deriva da media precedenti, quali telefono,
telegrafo, fotografia, cinema etc.
- Radio: la sua nascita risale alla fine dell’Ottocento, in modo economico e popolare, è
riuscita ad entrare nelle case dei cittadini di tutto il mondo, costituendo il primo strumento
di comunicazione di massa nuovamente basato sul fattore acustico. Incentivò inoltre
l’intrattenimento e l’educazione dei ceti popolari.
- TV: sviluppata alla fine del 1800, ma il cui ingresso nel mercato di massa avverrà a partire
dagli anni ’50, possiede un alto grado di regolamentazione pubblica, una buona
distribuzione dal centro alla periferia e diventa medium di gestione sociale, in quanto
riesce ad educare, intrattenere, fare politica, imporre obiettivi sociali.
- Musica registrata: incontro tra musica radiodiffusa e disco - passaggio della radio da
mezzo di comunicazione di massa familiare ad individuale.
- Internet: nasce circa dopo il 1990 circa, con Internet le tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ICT) sono venute in contatto con contesti sociali, favorendo tre momenti
fondamentali: la crescita e la diffusione di strumenti e artefatti tecnologici, l’aumento di attività,
pratiche e impieghi delle tecnologie digitali nei contesti di vita quotidiana, la formulazione di
nuove dinamiche di aggregazione sociali intorno alle pratiche introdotte dalla rete e dal Web.
- Telefoni: con la nascita dei primi smartphone del nuovo millennio, la presenza di uno schermo
interattivo ha consentito, mediante connessione di rete, di ricevere e inviare contenuti (e che oggi
ha trasformato i cellulari in vere e proprie centrali di telecomunicazione e software).

New media: tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) collegate a relativi contesti sociali.
- Strumenti e artefatti tecnologici;
- Attività, pratiche e impieghi;
- Aggregazioni sociali intorno alle pratiche.

Evoluzione dei media e dei canali di comunicazione precedenti con rilievo di:
- Comunicazione via satellite;
- Introduzione del Computer;
- Processi di digitalizzazione.
Mass media e new media: media editoriali, media radiofonici, media televisivi, sino alla già citata
locuzione di “nuovi media”, che accomuna in modo grossolano tutti i sistemi di comunicazione che sono
parte della rivoluzione digitale, dell’avvento dell’informatizzazione e della rete, e che consentano una
simultaneità comunicativa e cognitiva fondata su esperienze collettive e connettive (social network,
piattaforme e strumenti Web, wearable device, etc.).
Dei “nuovi media” si perdono i contorni di una reale definizione, tanto che la parola “nuovo” porta con
sé la difficoltà di non demarcare mai un passaggio temporale ma di restare sempre contemporanea e
attuale. Così spesso si considerano nuovi media tanto i siti Web quanto sistemi come Facebook, Twitter,
YouTube, Wikipedia, Foursquare, i microblog, etc., che per alcuni dovrebbero essere definiti “nuovi nuovi
media”, in contrapposizione ai tradizionali “nuovi media” di posta elettronica e pagine online, poiché
cambiano le modalità di partecipazione e di progettazione dell’informazione, consentendo e
incoraggiando con questi “nuovi” modelli tutti i consumatori a diventare produttori, ai lettori di diventare
scrittori ed editori, agli spettatori a diventare artisti.

Il problema che emerge è che in rete ogni persona (peer) fa parte di una maglia complessa a bassa
densità. In questa configurazione, la persona (non il gruppo) è il nodo centrale delle relazioni e tende ad
affermarsi e contribuire (in maniera differente e unica) all’insieme di tutte le altre risorse che afferiscono a
diverse reti a cui l’individuo stesso è collegato.
Le reti sono costituite da questi nodi di persone, la cui maglia è determinata dalla forza e dalla debolezza
dei collegamenti, con legami di diverso valore e con obiettivi relazionali diversificati. L’individualismo
nasce proprio da questo presupposto: in rete le persone funzionano più come individui connessi
che come gruppi aggregati.
La rivoluzione della rete sociale non si riferisce quindi a un cambiamento tecnologico (o non solo), ma a
un cambiamento relazionale, in cui le reti - anziché i gruppi - diventano sistemi di sostegno dei
singoli. La struttura relazionale richiede così forme di progettazione della comunicazione che tengano
ben chiaro il funzionamento delle reti sociali online, caratterizzate quindi da una
Tutti i caratteri di questa tripla rivoluzione si inscrivono nella necessità di capire come si
costituiscono e come partecipano le audience nei sistemi sociali online e, più in generale, nelle
culture dei media, per poter comprendere i passaggi progettuali sottesi alla realizzazione di contenuti,
servizi e prodotti di comunicazione nel solco del design contemporaneo.

Come ricorda McQuail, relativamente agli albori delle comunicazioni di massa, «[...] non era
impossibile immaginare anche un contributo positivo della comunicazione moderna alla
coesione e alla comunanza. I mass media potevano favorire un nuovo tipo di coesione in grado
di unire i singoli individui in una comune esperienza nazionale cittadina e locale».

Tuttavia il significato originario di massa aveva una connotazione negativa, che spesso ancora oggi
viene richiamata, per indicare le folle, ritenute ignoranti e indisciplinate. Un’accezione positiva venne
conferita al termine dalla tradizione socialista, per la quale “massa” indicava la «forza e solidarietà della
classe operaia quando si organizza per uno scopo collettivo quando deve resistere all’oppressione».

Accezioni di massa:
La progettazione tradizionale dei contenuti per le comunicazioni di massa prevedeva formulazioni
standard, facilmente replicabili: veri e propri format studiati per uno scopo, adattati alla massima
trasversalità e applicati al contesto di riferimento per il bacino degli utenti che si doveva coprire.
Se si considera una progettazione della comunicazione di tipo tradizionale per i mass media, è
importante distinguere alcuni caratteri che possano rendere più chiaro il concetto di “massa” rispetto ad
altre entità che hanno reazioni, possibilità di comprensione, di partecipazione e di risposta differenti.
Riprendendo le classificazioni realizzate da Blumer, McQuail e Jenkins, si evidenziano cinque
possibili accezioni diverse:
1. Gruppo: si tratta di un’entità estremamente ridotta, dove tutti si conoscono o comunque
possono comunicare assieme, hanno obiettivi ed esperienze in comune e relazioni solitamente
dirette data la ridotta misura del nucleo di partecipanti. I gruppi trovano spesso forme di
aggregazione e scambio basate sulle attività che perseguono. Tra le tipologie di gruppi si trovano
tutte le micro-aggregazioni, che vanno da insieme di persone appartenenti a un medesimo
ufficio, allo stesso corso, a un tema di un forum di discussione, a un’iniziativa locale o
promossa tramite social network, etc.

2. Comunità/Community: il termine comunità (o community, che ne delinea più la matrice da social


network) è un’aggregazione di persone più estesa, che può variare e intercettare anche diversi
gruppi, e che si fonda su interessi comuni senza necessariamente avere una fitta rete di
relazioni e di scambio tra tutti i partecipanti, ma mantenendo comunque una discreta soglia di
condivisione di materiali, idee, passioni, problemi, etc. Le community, dall’avvento della rete in
poi, sono proliferate e continuano a crescere, toccando tutti i campi del sapere e della
società. Alcuni esempi sono le comunità di gamers appassionati a uno specifico gioco, quelle
di un determinato social network, i membri di un intero forum, le fandom (nuclei di molteplici
individui accomunati dalla passione per un tema specifico, dalla cultura steampunk, una serie
TV), etc.

3. Folla: indica un insieme di persone molto elevato in termini di quantità, fondamentalmente


osservabile in uno spazio reale, e caratterizzato da un’aggregazione temporanea, a differenza
delle altre tipologie indicate che hanno vincoli più duraturi nel tempo. La folla determina la sua
formazione abitualmente per motivazioni emotive, di identità, di protesta, di orgoglio, di
manifestazione, non necessariamente razionali e spesso con esito comportamentale non
prevedibile rispetto alle intenzioni iniziali di ritrovo. Tra gli esempi si annoverano soprattutto le
manifestazioni di piazza o nelle strade, che consolidano nuovi aderenti durante il loro
svolgimento.

4. Pubblico: è una dimensione di insieme non ponderabile, solitamente di grandi dimensioni per
numero di individui, senza particolari vincoli o relazioni tra chi vi fa parte, se non l’interesse
verso un elemento accomunante che è quello che caratterizza l’oggetto e la motivazione
dell’aggregazione stessa. Di solito il pubblico viene individuato come la moltitudine di individui
attenti e disposti alla partecipazione, nei limiti degli strumenti a loro disposizione per poter
interagire o prender parte alle dinamiche di ciò che seguono. L’accezione è spesso connotata da
un senso di fruizione passiva rispetto a un soggetto emittente, cui il pubblico presta
attenzione. Tale connotazione è stata rivista da Jenkins che ha preferito introdurre il concetto di
audience e lasciare che la nozione di pubblico potesse essere meglio concepita alla luce dei
nuovi modelli transmediali di produzione, dove i destinatari dei prodotti realizzati diventano parte
attiva, in alcuni frangenti veri e propri prosumer (produttori e consumatori allo stesso tempo).

5. Audience: si intende il raggruppamento di un insieme di individui che in un dato momento


segue un programma, una trasmissione, un canale di informazione o un qualsiasi
elemento comunicativo trasmesso tramite un sistema massmediale di distribuzione. Per
quanto l’accezione sia del tutto paragonabile a quella di pubblico, la distinzione che si vuole
sottolineare consiste nel fatto che l’audience è un raggruppamento considerato soprattutto a fini
statistici e di misurazione. Nel momento in cui l’audience prende parte attiva al sistema di
trasmissione, diventando un nuovo “capitale progettuale” per proseguire o dare seguito a un
qualsiasi prodotto dei media, può essere ascritto alla categoria di pubblico.
Analisi (Nova Spivack):
Secondo le analisi di Nova Spivack, imprenditore americano attivo nel segmento dei social media e della
gestione aperta dei dati, sta diminuendo la sovrapproduzione di informazioni replicate migliaia di volte
nel Web, ma sta crescendo la riprogettazione di quelle che già esistono, e che possono essere meglio
utilizzate con una serie di metadati aggiuntivi che le rendono più flessibili, ricche, aggiornate e modulari.

Cultura ad oralità primaria:


La cultura è l’insieme di fenomeni sociali, le scoperte, le innovazioni, le possibilità
di comunicazione e scambio, le differenti economie, che hanno sedimentato nel corso della storia l’idea
di cosa possa essere ascrivibile al termine cultura. Eppure, seguendo il pensiero di Bauman, si può
cercare di distinguere tre differenti nozioni di cultura:
1. La nozione “gerarchica: comprendere la cultura come un fenomeno di “coltivazione” e
conoscenza; è gerarchica in quanto di matrice classificatoria, e deriva soprattutto dalle forme di
potere e di legittimazione della classe intellettuale e della sua crisi (De Benedittis 2013: 5). Il
concetto è singolare, non ammette pluralità (solo una cultura) e la sua accezione è quella di
rappresentare l’unicità e l’assolutismo di un aspetto emergente: la cultura scientifica, la cultura
accademica, la cultura politica, etc.
2. La nozione “differenziale”: tende a sottolineare le diversità specifiche e presenta una matrice
plurale volta ad evidenziare le differenze che sussistono tra contesti, gruppi sociali, ambienti,
idee, etc. Le espressioni che caratterizzando questo tipo di nozione sono: “la nostra cultura”, “la
cultura latino-americana”, in cui si rende esplicita un’appartenenza tra individui accomunati da
una serie di caratteri che rendono unica e distante l’identificazione di certi valori, idee, tradizioni
rispetto ad altri, oppure “la cultura hipster”, “la cultura del design italiano” etc.
La difficoltà sta nella relativizzazione dei caratteri che possono essere accomunanti due o più
culture, essendoci sempre forme sfumate o nozioni non chiare e complete di ciò che possa
realmente distinguere un fenomeno culturale.
3. La nozione “generica”: supera le due precedenti formulazioni per arrivare ad accomunare il
genere umano sotto un unico grande modello ordinatore. Si tratta della nozione più vasta di
cultura, e sottolinea la capacità di imporre strutture, progettarle, costruire e definire simboli e
riferimenti che siano comprensibili solo in relazione a un dato sistema di individui capaci di
comprenderli e decodificarli.

Cultura a oralità primaria e secondaria:


Ong definisce cultura a oralità primaria una cultura che non ha mai avuto contatto con forme di
scrittura o di stampa o che non le riconosce come tali. Di conseguenza, definisce culture a oralità
secondaria, tutte quelle popolazioni che sono venute in contatto o utilizzano gli strumenti
tradizionali della scrittura. Il passaggio dall’oralità alla scrittura comporta differenti cambi di
prospettiva. Un cambio di prospettiva, dall’acustico al visivo, che rappresenterà un cambiamento non
solo culturale ma anche operazionale nelle situazioni di tutti i giorni, variando abitudini, strumenti,
modalità di relazione e soprattutto modelli comunicativi.
Caratteristiche:
- Costruzione paratattica: frasi legate da congiunzioni, piuttosto che da proposizioni subordinate.
L’utilizzo di congiunzioni facilita la cadenza e il ritmo della frase e rende più semplice tanto la
memorizzazione, più schematica, quanto l’esposizione;
- Carattere aggregativo invece che analitico: uso di epiteti, ridondanza, per favorire il ricordo,
sfrutta l’associazione di elementi tali da creare dei cliché di più semplice memorizzazione e di
immediata identificazione;
- Carattere di ridondanza: proprio perché si tratta di un “filo” nel discorso orale, c’è una linea
temporale di continuità. La ridondanza, intesa anche come ripetizione di ciò che è già stato detto,
aiuta a mantenere sulla traccia sia l’oratore che l’ascoltatore;
- Carattere conservatore: vita concreta, pochi concetti astratti, è legato alla necessità di ripetere
più volte e tramandare le conoscenze che altrimenti svanirebbero in breve tempo. Per quanto
anche la scrittura possa sembrare conservatrice in quanto necessaria a “congelare” testi e lasciti
del passato, in verità permette di liberare la memoria dall’onere del mantenimento delle
informazioni, consentendo così di sviluppare nuove originali speculazioni;
- Carattere empirico: , concettualizzare la conoscenza e partendo dall’esperienza vissuta, pratica,
assimilarla con un riferimento il più possibile vicino ad aspetti famigliari immediati della vita
quotidiana;
- Carattere agonistico: si tratta di utilizzare discorsi, parole e dialoghi quasi si dovesse
partecipare a una battaglia verbale tesa a ottenere consenso o a prevalere sugli altri interlocutori.
Nella scrittura non si incontra propriamente una forma di agonismo, quanto di differenti stili, in
base al contesto e alla tipologia di scritto;
- Carattere enfatico e partecipativo: rappresenta l’identificazione stretta, la vicinanza empatica
- con l’oggetto che si conosce. La scrittura invece tende a separare soggetto conoscente oggetto
conosciuto, definendo le regole base dell’oggettività e del distacco personale;
- Carattere omeostatico: eliminare memorie inutili, Mentre nella scrittura la conservazione è un
obiettivo primario, nella comunicazione orale un principio di matrice occamista (l’occamismo
riduce la realtà a individui irrelati, oggetto di conoscenza intuitiva; gli universali sono finzioni o
segni comprendenti più individui, senza alcuna realtà fuori della mente) di eliminazione degli enti
superflui richiede di mantenere solo i dati più essenziali e funzionali agli aspetti contingenti degli
individui;
- Carattere situazionale: è legato alla necessaria attribuzione di un termine a un concetto che
nelle culture a oralità primaria, cioè con un basso livello di astrazione, risulterà più concreto e più
vicino all’ambiente, alla circostanza, alla specifica situazione in cui la parola dovrà identificare un
oggetto o un’azione.

Verso una terza oralità:


Se l’arrivo della scrittura ha profondamente mutato le modalità di comprensione, di espressione e di
relazioni tra gli individui, l’introduzione di nuovi supporti e di modelli che permettono una rapida
propagazione dei contenuti e una loro diffusione molto ampia a fronte di un costo ormai contenuto, sia
intellettuale (licenze aperte per distribuire materiali mantenendone i diritti ma garantendo la visibilità) che
economico (si pensi a Internet), ha sancito definitivamente un passaggio culturale verso una dimensione
totalmente diversa di conoscenza comunicazione e progettazione.
Vi sono alcuni caratteri che sono il risultato e allo stesso tempo il catalizzatore di questo passaggio:

- Riproducibilità e memorizzazione esterna del sapere: grazie all’uso di un alfabeto regolato si


ha la capacità di fissare (e di fruire) su supporti esterni alla propria memoria le conoscenze, le
informazioni, i ricordi e ogni traccia che si voglia preservare o diffondere.
- Distacco: del soggetto dalla sua tribù, e dell’individuo dal suo ambiente. Viene meno la coralità e
la formulazione collettiva della memoria, del ricordo, delle celebrazioni, della conoscenza, e ogni
individuo diventa più emancipato rispetto al passato.
- Pensiero personale: in contrapposizione alla conservazione corale della cultura. Nasce una
capacità di astrazione personale esterna al contesto di confronto, dialogo e tradizione che si
aveva in precedenza, e si sviluppa una sensibilità critica e analitica.
- Passaggio dall’udito alla vista: dal parlato al modello visivo, dal suono a ciò che si basa
sull’interpretazione grafolettica di una traccia scritta.
- Miglioramento degli assetti scientifici: la conservazione della memoria, la sua divulgazione, il
poter accedere a un contenuto di conoscenza, fissarlo, ampliarlo documentandone ogni aspetto
ha contribuito a definire un modello di cultura scientifica del tutto nuovo e più scrupoloso.

La velocità delle trasmissioni, la diffusione su larga scala di sistemi a basso costo dotati di connettività
Web, la facilità di utilizzo dei software e delle app per la comunicazione e lo scambio, hanno indotto una
velocizzazione delle pratiche di scrittura e relazione tra gli individui, facendo riconfluire un modello che
separava e rendeva astratto e personale il pensiero come quello della scrittura, in un paradigma
culturale che risponde a criteri e parametri nuovamente orali, che pertanto si potrebbe definire Terza
Oralità.
Questa riguarda l’insieme delle pratiche che caratterizzano le popolazioni, le culture e i gruppi sociali che
hanno avuto un passaggio dall’oralità alla scrittura e sono entrati nel pieno flusso della rivoluzione
elettrica e digitale, ritrovandosi deprivati delle regole formali che avevano trasferito e tradotto alcuni
caratteri da una tradizione all’altra.
La Terza Oralità diventa così una forma progettata di comunicazione, per quanto la progettualità
intrinseca nel modello non sia esplicita e cosciente, ma spesso faccia parte dei meccanismi acquisiti
culturalmente dagli utilizzatori dei sistemi digitali contemporanei. Ciò che invece risulta chiaro è la cultura
del progetto che si fonda sui sistemi e sugli standard a cui tale rovesciamento di prospettiva ha condotto:
rimodulare i contenuti, ridefinire i target e le audience, adattare le strategie più opportune per
sfruttare al massimo i supporti a disposizione è una necessità e una dimensione che si può e si
deve ricercare oltre che con una discreta conoscenza degli scenari contemporanei, anche con una
cultura dei media e delle loro caratteristiche.
Le caratteristiche della Terza Oralità:

- Sintesi emotiva: ovvero la capacità di gestire con grande velocità e forme di ironia e metafora i
contenuti da comunicare attraverso delle forme di abbreviazione e di espressività visuale (uso di
emoticons, ascii art, sigle, acronimi, etc.).
- Comunicazione dialettica differita: l’approccio alle comunicazioni e ai dialoghi non
simultaneamente ma con formule di retroazione che permettono di gestire il tempo di risposta a
discrezione degli interlocutori (soprattutto con sistemi di messaggistica come Whatsapp o
Messenger, che superano gli standard delle chat in cui la copresenza risulta comunque
vincolante o i messaggi di posta e SMS che non rendono chiara la presenzialità degli altri).
- Eliminazione della voce dalle pratiche di relazione: la possibilità di costruire dialoghi e forme
partecipate di scambio in contesti di non-presenzialità senza necessità di interloquire
direttamente (con conseguente ampliamento delle circostanze di utilizzo delle app e dei sistemi di
scambio che consentono l’uso in contesti dove non si può o non si vuole parlare).
- Dimensione plurale della scrittura: la possibilità di costruire forme di comunicazione scritta non
sincronica (messaggi a più persone simultaneamente senza necessità di risposta da tutti i
partecipanti nell’immediato, possibilità di collaborazione sui medesimi testi mediali, etc.).
- Definizione di uno stile personale: l’emulazione di alcuni aspetti che contraddistinguono la
personalità dei soggetti, come il tono di voce, o le espressioni facciali e mimiche, tramite
espedienti grafo-testuali derivanti dal linguaggio e dalla postura tipici del discorso parlato e dalla
commistione di elementi multimediali inseribili nelle comunicazioni.
- Astrazione e originalità: la possibilità di costruire blocchi testuali di natura verbo-visiva che
permettano di favorire i processi di interpretazione e dialogo critico, mediante l’arricchimento e
l’ipertestualizzazione dei contenuti.

Le considerazioni che emergono dalla tipologia di scritture elencate in Tabella 3 riguardano la


dimensione del progetto, in particolare del progetto di comunicazione, che si trova ad affrontare
differenti supporti e particolari modalità nell’utilizzarli che rideterminano il contenuto e le
dinamiche di fruizione e distribuzione dello stesso. Comprendere le modalità di produzione e di
interazione secondo le quali il design può far sue delle linee guida per rispondere in modo efficace alle
esigenze progettuali delle culture dei media è un passaggio che deve andare verso un processo di
astrazione e di classificazione tassonomica modulare dei sistemi e delle possibilità che questi offrono.
Risulta di fatto impossibile mappare in modo puntuale e duraturo piattaforme specifiche, blog affermati,
social network di tendenza, etc., perché variano la loro offerta in base alle opportunità e ai trend della
società, ampliando e cambiando funzionalità e dinamiche. Variano la loro dimensione progettuale,
orientandola quasi sempre alla risposta del mercato.

Con l’introduzione dei (social) network e, più genericamente, dei sistemi di comunicazione di massa, non
si può quindi parlare di comunità al singolare, ma di tante comunità, di molteplici “tribù”, nel senso di
gruppi ridotti, accomunati da elementi condivisi e riconoscibili, ma non esclusivi. Si hanno così una
pluralità di individui appartenenti a una molteplicità di “tribù”, che abitano in quello che McLuhan
chiamava il “villaggio globale”, ovvero un luogo dove «the globe has been contracted into a village by
electric technology» e «the instantaneous movement of information from every quarter to every point at
the same time»

Mass-casting:
Di fatto, la dimensione progettuale, a fronte di un riscontro di diverse tipologie di destinatari nella cultura
dei media, e in questo caso dei mass-media, si trova così orientata a dover ripensare alle pratiche che
possono stare alla base del sistema di analisi dei contenuti e della loro trasmissione, secondo
caratteri di ricezione e diffusione che contraddistinguono ogni specifico insieme di individui e ogni
supporto (medium) con il quale sono veicolati i contenuti.
Ci si trova in una situazione che può essere definita di mass-casting, ovvero di lancio, ma anche di
formulazione, di assegnazione dei contenuti verso le “masse” di individui, che oggi sono il valore reale
delle dinamiche di produzione e scambio.
Il mass-cast diventa il momento di approccio alla definizione dell’impianto progettuale che è alla
base della comunicazione e che deve trovare non solo la formulazione più appropriata per i
destinatari cui si rivolgerà, ma anche il canale e il supporto più idonei a raccogliere e divulgare i
contenuti, permettendo anche, se previsto, una continuità da parte dei pubblici stessi.
Per comprendere al meglio le possibilità del Design della comunicazione nelle culture dei media diventa
a questo punto necessario rilevare quali sono i principali sistemi che hanno definito e continuano a
riconfigurare l’attuale scenario.

- Spot Barilla: comunicazione che crea un certo tipo di cultura riguardo la quotidianità delle
persone.
- Spot Thema: lusso che diventa un aspetto interiorizzato, un bene per sè, non da ostentare.
Qualità e precisione raccontate tramite parametri che si oppongono alla massificazione, risultano
elitarie.
- Spot Mcdonald's: cambio di passo secondo cui la qualità, la freschezza, la qualità diventano il
perno per affrontare un’esperienza di gusto, non di consumo.
- Spot Mcdonald’s 2: inserimento del personaggio di Joe Bastianich, cambia il tasso di interesse
in quanto coinvolge i nuovi influencer. Business che si occupa di cucina nei canali mainstream.

“If it works, it’s obsolete” - M. McLuhan : obsolescenza programmatica: espressione con cui si fa
riferimento al processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei
consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie.

Il copyright, i libri e l’endless design sono esempi di obsoleto che tutt’oggi funziona.
Il copyright viene definito come la fortissima necessità di far valere il diritto di autore, i libri in quanto
ancora impiegati e non soppiantati totalmente dal digitale e l'endless design dei nuovi prodotti che
possiedono una specificità tale da avere sempre un’alto tasso di desiderabilità (vedi ultimi smartphone
apple). Se il consumatore diventa anche produttore, entrano in gioco gli open contents e il participative
approach, il transmedia storytelling e gli UGC.
La cultura della convergenza:
“Seductive invitations to play” - Rebecca Houze
I “seducenti inviti a partecipare” della Houze indicano chiaramente la dimensione entro cui la cultura del
progetto di comunicazione si muove per dar seguito a una dimensione sempre più aperta agli spazi di
co-partecipazione e interazione del pubblico. Sono tutte quelle azioni eseguite su larga scala per
ottenere un punto di riferimento che permette l’interazione tra la quotidianità, ossia le microazioni, e
l’azienda. Quella che è diventata ormai da tempo un modello esemplare sotto il profilo sociale,
economico e progettuale, è la cultura della convergenza, che pone il fuoco su due fenomeni
contemporanei:
1. La convergenza come punto di incontro tra gli stakeholders, le imprese, le grandi holding del
mercato e i consumatori, sempre meno propensi a restare un’audience passiva e misurabile e
sempre più propensi a dimostrare una capacità che va oltre il mero consumo e diventa
produzione attiva (prosuming: attività di consumo e di produzione contemporanea) dei contenuti.
2. La convergenza dei contenuti stessi, che si spostano da un medium all’altro, che vengono
tradotti, trasformati, riadattati, convertiti in altre formulazioni di consumo, di continuità narrativa o
di variazione del modello originale. Questo secondo tipo di convergenza, che fa confluire su una
o più piattaforme contenuti con una riprogettazione del tessuto originario, è frutto non solo degli
autori e dei progettisti che si sono occupati della produzione iniziale, ma coinvolge e rende piena
autonomia anche al pubblico che ne determina o ne ridefinisce formulazioni transmediali, varianti
crossmediali, adattamenti, spin-off, sequel amatoriali e moltissime altre forme di sottrazione al
modello base e di riappropriazione dello stesso.

La cultura convergente diventa dunque un punto di riferimento del consumo, o meglio di una nuova
«interfaccia del consumo» che è di grande rilievo per il Design della comunicazione, aprendo uno
scenario di analisi critica e progettualità per fornire contenuti mediali e trovare linee guida in grado di
offrire ai pubblici una reale dimensione di partecipazione ed engagement.

La circolazione di contenuti mediali entro la cultura partecipativa può essere al servizio di molti interessi
diversi, alcuni culturali, altri personali, altri politici e altri ancora economici. Partendo con lo slogan “If it
doesn’t spread, it’s dead”: letteralmente, “se non si spalma, è morto”.

Se si parte dalle abilità delle audience, nel diventare pubblici attivi capaci di partecipare attivamente alla
cultura convergente, si possono identificare alcuni punti chiave che Jenkins indica a partire dalle
generazioni più giovani: “Quali abilità devono avere i ragazzi che vogliono partecipare attivamente alla
cultura convergente? […]”
- La capacità di unire la propria conoscenza ad altri per creare un’impresa collaborativa (come
per lo spoiling di Survivor);
- La capacità di condividere e mettere a confronto sistemi di valori nel valutare drammi e
dilemmi etici (come succede nel gossip che fiorisce intorno ai reality televisivi);
- L’abilità di trovare collegamenti fra frammenti sparsi di informazione (come succede con The
Matrix, 1999, o con Pokémon, 1998);
- La capacità di esprimere interpretazioni e sentimenti nutriti nei confronti di fiction popolari
attraverso la propria cultura folk (è il caso del fan cinema di Star Wars);
- La capacità di far circolare le proprie creazioni in rete così da poterle scambiare con altri
(ancora una volta è il caso del fan cinema).

Modello della partecipazione attiva: secondo Jenkins, la PA è solo un mito in quanto, partendo dal
presupposto della capacità del Web 2.0 di rendere gli utenti attivi , ossia produttori: “La partecipazione
attiva e la creazione di contenuti digitali sembrano molto meno rilevanti delle folle che attirano. La
creatività di massa, in linea generale, è comportamento di consumo sotto un altro nome.”
Lurker* vs. Partecipazione Periferica:
- Horowitz: utenti 90% inattivi
- Forme più elaborate di partecipazione mediante legami (Hayes, Bartle)
- Koster: creatori, di che cosa?
- Le culture diventano più partecipative rispetto alle configurazioni di potere dei media
- Brecht: dalla radio all’ascoltatore partecipe
*Nel linguaggio di Internet, frequentatore di una chat, di un newsgroup o di un forum, che si limita a leggere i
messaggi altrui senza inviarne di propri.

Resistenza vs. Partecipazione:


- Cultura grassroots per resistere al modello media mainstream - traducibile letteralmente come
"radici dell'erba", rimanda al concetto di spontaneità del movimento che viene alimentato dal basso
verso l'alto, a differenza dei movimenti politici o culturali creati e sostenuti da strutture di potere
tradizionali. Movimenti di base sono spesso organizzazioni locali, sostenute dall'attività di volontariato
dei suoi simpatizzanti.
- Il brand come punto di riferimento (es. Apple)

Audience vs. Pubblico:


- Audience come indicatore di quantificazione degli spettatori - insieme di persone passive
misurato per determinare quanto un prodotto abbia seguito, indicatore di appeal.
- Pubblico come massa proattiva sui messaggi mediali - massa attiva che può fornire un feedback.
Es: fan (relazione appassionata) e fandom (identità condivisa): As the World Turns (1956-2010)

Clicktivism: Anche conosciuto come “slacktivism”, è la forma più pigra di attivismo. Sui social media, gli
“slacktivist” esprimono il loro supporto nei confronti di una causa cambiando la loro immagine di profilo,
retweettando un post o schierandosi nelle fazioni di hashtag e commenti. Il concetto di slacktivism
richiama ciò che il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha battezzato “interpassività”, ovvero “l’attivarsi in modo
fittizio attraverso l’altro”; è ciò che accade con le risate registrate nelle sit-com che ci fanno sentire
coinvolti e di riflesso innescano in noi il riso. È un meccanismo che risponde a un’esigenza fondante
della nostra contemporaneità: l’essere sempre attivi.

Categorie nella partecipazione:


Sentire Vs Ascoltare:
- Crescita dei livelli di partecipazione e maggior interesse dei brand;
- Sentire, cioè ricevere un messaggio (spesso monitoraggio quantitativo);
- Ascoltare implica la decodifica del messaggio delle audience per rispondere.
Es. Tiger Woods PGA Tour 08 e 09 - Youtube

Partecipazione Vs Collaborazione:
- Il luogo di partecipazione determina gli assetti di relazione;
- Derek Johnson: dalle metafore della "guerra" e della "resistenza" a quella della "collaborazione",
una relazione moralmente più complessa, in cui i collaboratori possono "aver assunto posizioni
personali entro una struttura di potere oppressiva, vedendole come il modo migliore per portare
avanti i loro interessi individuali" e in ultima istanza per creare nuove opportunità e strumenti "con
cui altri possano sfidare le regole di un ordine sociale d'occupazione (2010).

Il concetto di diffondibilità, o spreadability, per chiamarla con l’accezione esatta che le conferisce
Jenkins, indica la possibilità di un determinato messaggio mediale di poter essere divulgato e
condiviso tra gli utenti perché riesce a far breccia nei loro interessi e a renderli partecipi non solo del
contenuto che viene presentato, ma della possibilità di ridistribuirlo verso altri individui, arricchendolo,
variandolo o semplicemente riportandolo come l’originale, in quanto lo si riconosce come appartenente
a un orizzonte culturale in cui ognuno può aggiungere un proprio tassello sia per senso di presenza,
che per volontà di affermazione e visibilità, che per semplice
spirito di condivisione.

La diffusione di un contenuto per poter essere operata deve


passare dal filtro culturale del pubblico di massa che
riceve un determinato messaggio mediale e decide
autonomamente (nella misura di ogni singolo individuo) se
procedere a veicolarlo, modificarlo o abbandonarlo per
sempre.

Stickiness (presa): si tratta della concentrazione


dell’attenzione degli utenti su di uno specifico sito attraverso
un dato canale o un particolare escamotage;
Spreadability (diffondibilità): è la caratteristica che hanno
alcuni testi mediali di essere adatti alla diffusione.
ES. Un film che esce nelle sale di tutto il mondo ma non è
disponibile in streaming online e non può essere remixato
non è spreadable e si presta alla pirateria.
ES. Il caso di Susan Boyle, aspirante al programma
televisivo inglese “Britan got Talent”. Le persone hanno
giudicato quell’audizione così straordinaria che il video su Youtube di quel provino è stato condiviso da
milioni di persone, e passato di mano in mano, ha raggiunto 77 milioni di visualizzazioni senza l’aiuto di
alcuna strategia comunicativa dall’alto.

Uno dei fattori più influenti riguardo il concetto di spreadability


è il modello della lunga coda, un paradigma che nasce da
un’idea del giornalista e saggista statunitense Chris
Anderson. È legata a due fattori: l’economia dell’abbondanza
e la nuova efficienza della distribuzione, produzione e
marketing della rivoluzione digitale.

La teoria illustra come una buona strategia di comunicazione,


di marketing e di vendita non si rivolga più alla massa
indistinta, bensì si tratti invece di guardare alle nicchie di
pubblico, la cui somma è uguale o addirittura maggiore
rispetto al pubblico di massa (la coda diventa infatti più lunga della testa in quanto la specificità risulta
più vantaggiosa rispetto alla genericità). I vecchi mezzi di comunicazione di massa, generalisti per
natura, hanno perso gradualmente la loro efficacia in favore di nuovi strumenti di distribuzione di
contenuti e di vendita di prodotti e servizi.

La lunga coda determina la crescita del mercato.


In breve: la somma delle vendite di tutti i prodotti di nicchia è
uguale, o addirittura superiore, alla somma delle vendite dei
prodotti di massa.
Testo producente: Si parla di testi producenti (producerly) nel caso un prodotto mediale si presti alla
produzione popolare poiché «[…] ha fili sciolti che sfuggono il suo controllo, i suoi significati eccedono la
sua stessa capacità di disciplinarli, le sue lacune sono abbastanza ampie perché in esse si possano
produrre interi nuovi testi – è, in un senso molto reale, al di là del suo controllo» (Fiske 1989: 104)
Se in tal caso è bene lasciare a ciascuno individuo la possibilità di leggere un prodotto mediale in base al
proprio retroterra e alle proprie esperienze, esistono altre teorie, come quella del branding per la quale,
invece, è più importante controllare il significato piuttosto che ispirare la circolazione: «per i brand le
occasioni per raggiungere i singoli in audience di massa stanno rapidamente svanendo. Per raggiungere
le persone ora devi trovare un modo per incrociare la loro strada alle loro condizioni, dove scelgono di
trascorrere del tempo. E quei luoghi sono definiti dalle passioni delle persone. Le vite delle persone non
ruotano intorno al tuo brand; ruotano intorno alla vita» (Arauz 2009: online).
I brand di oggi tendono a ritenere essenziale l’assetto di dialogo con i propri consumatori.

Jenkins suggerisce alcune tipologie di testi che sono particolarmente funzionali perché allineate alle
strategie che consentono al pubblico di recepire e ridistribuire un prodotto mediale:

1. Fantasie condivise: Vecchie pubblicità che ricordano l’infanzia, testi che innescano il ricordo,
elementi multimediali che innescano legami emotivi, etc. sono solo alcuni degli espedienti con cui
si possono mettere a fuoco le strategie di comunicazione che consentono a utenti appartenenti al
medesimo solco culturale (generazionale, professionale, sportivo, etc.) di trovare un punto di
contatto e di ridivulgazione dei contenuti che vengono fruiti.
2. Humor: Si tratta di far leva su testi mediali basati sulla sottile differenza che passa tra il buon
umore e l’offesa. Lo humor a precisare l’intesa e la relazione tra tutti i membri di un gruppo o di
una comunità con i quali si condivide una battuta o un motto di spirito.
ES. La campagna pubblicitaria di Old Spice del 2010 nella quale, per sponsorizzare un profumo
ci si rivolgeva al pubblico femminile e si prendeva in giro con semplice umorismo l’idea di
mascolinità, ottenendo un ottimo consenso in fase di vendita.
3. Parodia: Si tratta di una forma di humor che si basa sul fatto che l’audience colga una battuta o
condivida una certa sensibilità: un umorismo con un riferimento culturale specifico. I contenuti
spesso sono basati su riferimenti nostalgici, esperienze condivise, riferimenti incrociati.
ES. La pubblicità del 2007 della Toyota, ambientata in uno scenario online del videogioco World
of Warcraft, incrociando in modo divertente i due riferimenti culturali. Alle audience piace poter
seguire i riferimenti tra testi mediali disomogenei e lontani fra loro, attivandole e spingendole a
cogliere le sfumature, magari eseguendo ulteriori ricerche e approfondimenti sui brand e sui
contenuti stessi
4. Contenuti incompiuti: Si tratta di attivare le capacità individuali e collettive delle audience.
Questi testi mediali richiedono un completamento, una maggior intuizione, di ricontrollare o
riguardare meglio perché non è chiaro o credibile quello che si vede o si legge.
Il gioco sull’ambiguità e sulla natura incompiuta del messaggio fa leva tanto sull’intelligenza
collettiva che sulla dimensione partecipativa del pubblico, incoraggiando così la diffusione dei
contenuti per affrontare assieme una sfida o un processo di analisi.
ES. Burger King che nel 2004 coinvolgeva gli utenti nella creazione di video, offrendo loro la
possibilità di dare un comando che veniva recepito dal sistema e interpretato mostrando una
possibile restituzione (tra 300 clip disponibili) in base a quanto digitato. Tale coinvolgimento
destava curiosità e una reiterazione dell’esperienza che veniva poi condivisa con gli altri utenti.

5. Mistero: Si tratta di testi mediali il cui oggetto, la destinazione, il contenuto stesso, non è chiaro,
crea una forma di angoscia, incertezza, speranza, dubbio, voglia di sapere di più, e spesso non
permette neppure di comprendere se sia una storia vera, un prodotto commerciale, una bufala o
altro che l’audience non riesce a decodificare correttamente. Proprio questa mancanza di
decodifica spesso spinge ad approfondimenti, a confronti, a continuare l’analisi del testo mediale
per arrivare a capire meglio il senso del contenuto o della vicenda presentata.
ES. Diversi esempi di spot diffusi come storie reali (come Witchery nel 2009), si tratta a volte di
finzioni costruite su misura, di cui non si capisce dove stia il reale e dove inizi il narrato che
inganna.

6. Controversia tempestiva: Si tratta di testi che creano una forma di disaccordo, litigio, a volte di
sopruso, di scandalo, specialmente per valori morali e giudizi etici. Spesso questo tipo di testi
mediali si diffonde per le tematiche molto attuali o di grande interesse per micro e macro
comunità di audience. Questo spinge un numero ragguardevole di utenti ad essere coinvolti,
perché direttamente toccati su aspetti di sensibilizzazione e polemica. La tempestività è un
fattore di massima importanza, in quanto occorre individuare il giusto momento per collegare
l’impianto di un testo mediale di questo tipo alla corretta comunità e al pubblico più idoneo,
perché in alcuni casi non ci sarebbe seguito o il contenuto sarebbe ignorato.
ES. Il caso di John Tyner del suo rifiuto, a rischio di arresto, per una perquisizione in aeroporto
che è poi degenerata ma che è stata ripresa da Tyner stesso e pubblicata sui social diventando
virale e addirittura remixata (ripresa da altri utenti e rielaborata) in pochissimo tempo.

7. Voci: Si tratta di testi mediali con una velocissima rapidità di propagazione, ma anche i più
pericolosi per il possibile danno che possono provocare. Bisogna distinguere in ogni caso i
“rumors”, cioè le “chiacchiere” informali e temporanee, dalle voci che invece assumono maggiore
coerenza mentre vengono diffuse (Turner 1994). I contenuti che si diffondono meglio, in questo
caso, non sono quelli di qualità o di autorità più elevate, ma quelli che si rivolgono con maggior
intensità alle speranze, alle paure e ai desideri dell’audience.
ES. Le voci dei conservatori durante le elezioni di Obama, relative alla sua educazione e al
conseguente fatto che non potesse governare il paese: queste voci di fatto spostavano
l’attenzione dal tema razziale di Obama al tema del patriottismo e della religione.

Storytelling: Racconto come presupposto per un certo tipo di successo.

Transmedia: Un prodotto che, a partire da un punto di accesso, un pretesto, una “rabbit hole” di una
narrazione mediale originale (un personaggio secondario di un racconto, l’ambientazione di un film, un
evento specifico in una serie tv, l’epilogo di una notizia, un imprevisto durante un evento, etc.) sviluppi
una nuova narrazione su un altro supporto (da romanzo a Web Series, da film a pubblicità, da evento ad
Alternate Reality Game, etc.) del tutto autonoma rispetto alla narrazione originale.

Altri prodotti transmediali: Inanimate Alice (2005) e The Cosmonaut (2013), nei quali il lavoro del
designer diventa un processo di una equipe ibrida e interconnessa, votata alla realizzazione di tutti gli
aspetti della produzione: «La necessità che emerge non è solo di offrire un supporto tecnico adeguato al
contenuto per essere distribuito, quanto di modulare e tradurre un contenuto che sia fruibile al meglio sui
diversi media che lo devono veicolare, mantenendo bilanciati i pattern narrativi, le modalità di
coinvolgimento degli utenti e la capacità economica dei progetti».

I caratteri che Jenkins definisce come propri di ogni narrazione transmediale:

1. Spalmabilità vs. Penetrabilità:


L’idea di spalmabilità (spreadability) rappresenta un concetto di diffusione garantito
dall’intenzione dei pubblici che scelgono esplicitamente di divulgare, riprodurre e trasformare un
dato contenuto mediale (a differenza dell’idea di viralità, spesso considerata analoga, ma
piuttosto basata su un presupposto quasi meccanico di replicazione, senza che vi sia un
intervento attivo da parte degli utenti per deciderne la circolazione. La penetrabilità (drillability)
invece è un concetto introdotto da Jason Mittell e mette in evidenza la capacità di un testo
mediale a invogliare i pubblici nell’approfondire i dettagli di una narrazione addentrandosi nella
sua complessità. La differenza tra le due nozioni è di matrice culturale. La spreadability consente
un’operazione
più orizzontale e superficiale di partecipazione alla produzione transmediale, facendo leva invece
su grandi numeri di utenti per arrivare a risultati significativi.
La drillability punta invece su fandom e gruppi di appassionati per un lavoro più verticale, a lungo
termine e impegnativo a fronte degli obiettivi finali che si pone.

2. Continuità vs. Molteplicità:


La continuità (continuity) è la coerenza culturale e narrativa all’interno di un prodotto
transmediale o, quantomeno, in rapporto al suo universo di riferimento. Questa coerenza è uno
dei punti più ricercati da parte dei fan, perché consente di mantenere l’attenzione e l’emotività
della narrazione su un binario comune che non viene a mancare anche frammentando in
molteplici traduzioni transmediali il testo mediale originale. La molteplicità (multiplicity) fornisce
diverse linee alternative all’interno di un unico universo narrativo, fornendo situazioni e
prospettive nuove potenzialmente a tutti gli elementi del testo mediale. La molteplicità è di
supporto ai contenuti generati dagli utenti garantendogli maggior flessibilità e meno vincoli per
prendere parte o derivare una loro propria dimensione narrativa.

3. Immersione vs. Estraibilità:


I concetti di immersione ed estraibilità definiscono la relazione tra narrativa transmediale e soglia
di percezione del reale della/nella vita quotidiana. L’immersione permette allo spettatore di
esplorare l’universo narrativo rielaborando esperienze, oggetti o elementi che appartengono alla
dimensione reale, aumentando così la sensazione di far parte della storia. L’estraibilità invece
sottende la possibilità di incontrare nel mondo reale esperienze che sono parte della finzione
narrativa (dai prodotti di consumo ai parchi a tema).

4. Costruzione di mondi:
L’idea della costruzione di mondi si fonda sull’importanza di dare maggior rilievo, in una narrativa
transmediale, all’insieme dei caratteri che costituiscono l’universo di riferimento, piuttosto che una
la trama stessa dell’opera. Di fatto, avere come denominatore comune uno scenario e i dettagli
che ne determinano la vastità narrativa, consente sia una più facile traduzione da un medium a
un altro, sia di reinscrivere nel medesimo testo transmediale molteplici trame e varianti della
storia, asincronicamente e in totale indipendenza da possibili altre persone o storie (che, quindi,
possono anche non essere note).

5. Serialità:
Il concetto di serialità sviluppa una linea frammentata e dispersa di elementi in una narrazione
transmediale, che possono essere rinvenuti su media differenti, secondo un percorso non-lineare
e con una forma diacronica che si può rimodulare in base alle esigenze della narrazione stessa.
La serialità in questo senso differisce dai tradizionali concetti di storia e trama, ma li fa suoi
riconfigurandoli.

6. Soggettività:
La soggettività è l’espressione di un punto di vista sviluppato da un determinato personaggio a
cui viene affidata la responsabilità di una narrazione parallela o non allineata alla principale. Si
tratta di un cambiamento di punto di vista che può approfondire, estendere o variare la
dimensione del testo transmediale, anche su supporti differenti, o ricalibrarli per una fruizione
differita e specifica per un determinato medium.
7. Performance:
Il concetto di performance è rappresentato dall’espressione creativa e partecipativa dei pubblici
e dei fan a completare, sviluppare, ampliare un universo narrativo di riferimento, in base a proprie
modalità di sviluppo e di successiva divulgazione, piuttosto che non partendo da elementi già
presenti nella narrazione (quelli che Jenkins chiama “cultural activators”) che intrinsecamente già
invitano a completare o accrescere il testo transmediale.

Esiti di una traduzione transmediale:


- Una nuova narrazione transmediale, originale, non derivante da altri artefatti.
- Una narrazione transmediale “rimediata”, cioè ispirata, derivata o riscritta da altri artefatti.
- Una narrazione transmediale “rimediata”, una cui parte (l'ambiente, un personaggio, un evento,
un oggetto, un credito, etc.) sia ispirata, derivata o riscritta da altri artefatti.

ES. The Cosmonaut:


Produzione crowdfounded/crowdsourced spagnola (Collettivo Riot
Cinema).
- Crowdfunding: 400.000€
- Crowdsourcing: script originale online; disponibilità completa
agli utenti per riuso, taglio, diffusione; libertà creativa
(qualsiasi narrazione in qualsiasi formato); coinvolgimento
degli sponsor e degli spettatori.

Nel modello transmediale


la traduzione dei diversi
testi mediali diventa esperienza olistica del prodotto.
I nuovi franchising mantengono gli assetti top-down di
progettazione ma sono aperti alla logica grassroots di consumo
partecipativo.
Complementarità che consente un consumo ragionato e a
misura d’utente: elementi separati che si rifanno in maniera
fedele al complesso della storia, del contenuto, del
prodotto originale. Non cambia (solo) il supporto ma i
processi e le logiche di partecipazione e scambio.
Crossmedia: Implica che una narrazione venga tradotta su un diverso medium, mantenendo però
tutti caratteri possibili dell’originale. Esempi dei primi esperimenti di produzioni transmediali, come The
Magus di John Fowles, 1965, o la fiction collaborativa Ong’s Hat, 1980, dimostrano un cambiamento
significativo, in quanto già nella loro primissima formulazione sperimentale, si «mostrava che la cultura
del progetto si iniziava a distaccare dalle forme nomotetiche di produzione, per aprirsi a un modello
ideografico».

Evoluzione delle narrazioni: distribuzioni di media, luoghi e tempi del racconto

Ogni volta che si progetta un messaggio bisogna considerare:


- La narrazione: che cosa si intende raccontare, in che modo, da che pov, etc;
- I destinatari: aspetti socio-culturali, segmentazione demografica, etc - rischio di fallimento (D&G
in Cina).

Asimmetria informativa e consumo di status:


Novecento: stato caratterizzato da modelli di consumo tesi a soddisfare una serie di bisogni.
Oggi la spinta è verso un individualismo più marcato e verso la dimensione dell’autorealizzazione.
Tuten e Solomon individuano due fasi che hanno portato a tale cambiamento:
1. Prima fase: risale agli anni Settanta ed Ottanta nei Paesi Occidentali, oggi sta crescendo nei
Paesi emergenti. Coincide con il consumo di status e rappresenta l’indicatore delle differenze tra
ceti sociali che segnala il raggiungimento di un certo grado di benessere economico.
a. Allargamento del ceto medio;
b. Possibilità di migliorare il proprio status mediante l’acquisto di bene o servizi che lo
rendano evidente;
c. Determinazione di un’insoddisfazione permanente: “gioco al rialzo” di affermazione >
osservazione del vicino;
d. Dinamica inconsapevole sul valore di ciò a cui si aspira, determinato dal controllo delle
imprese e dei riferimenti di mercato sui canali di informazione e comunicazione;
e. “Asimmetria informativa” tra produttore, distributore (incremento del valore) e
consumatore.

2. Seconda fase: cambiamento degli assetti e dell’informazione, tramite un consumo consapevole.


Emerge a partire dalla fine degli anni Novanta e pone al centro non tanto i beni materiali in sè
come oggetto del consumo, bensì il significato che questi assumono nelle comunità di riferimento
dei consumatori stessi.
a. Il pubblico, forte delle esperienze di consumo e delle formule di comunicazione recepita,
assume maggior capacità, arrivando ad una minor influenzabilità da parte dei media (non
solo bensi, ma informazioni);
b. Superamento del consumo di status, facendo apparire l’atteggiamento tipico di quel
modello come poco acuto o superficiale, contrariamente alla gratificazione che deriva
attraverso l’acquisizione di..
c. Conoscenze e competenze specifiche.

Nelle formule di social media marketing, il ciclo di vita dell’operazione commerciale non si limita
all’acquisto, bensì procede oltre attraverso uno storytelling di persone che, tramite la
strategia di “spreadability”, rende credibile tale narrazione. Viene attuata un’autovalidazione
del prodotto.

ES.

Dal connettivo al collettivo:


Grado sociale delle conoscenze:
Affinché ci sia una conoscenza "indiretta" di tutte le persone del mondo (i.e. 6 miliardi di persone) è
sufficiente avere 24 conoscenze casuali (in senso matematico) ovvero conoscere una persona a caso su
250 milioni.
La rete sociale non è però realistica visto che le conoscenze non sono casuali, ma tendenzialmente
sono aggregate (es. prossimità geografica, familiarità, perimetro esperienziale quotidiano, etc.)
La rete delle conoscenze tra le persone è perciò più simile ad una rete «piccolo mondo» che ad una
«rete casuale».

Una prospettiva connettiva:


Il sistema di comunicazioni e di diffusione globale delle informazioni è arrivato a una soglia per cui i dati
tendono a essere meno replicati ma più elaborati (Nova Spivack, già visto). Affrontare un ampliamento
della conoscenza e delle informazioni che circolano liberamente in rete, è frutto sempre più della
dimensione culturale dei media e dei prosumer che si attivano per poter offrire il loro contributo.
La portata di un’intelligenza collettiva, anticipata da Engelbart(1962) e sviluppata da Levy (1994) è un
fenomeno consolidato nelle pratiche di collaborazione e scambio, ma è ancor più evidente il legame
connettivo tra le formazioni sociali che basano questo loro relazionarsi sulla rete.
La prospettiva di un’intelligenza connettiva (de Kerckhove 1997) si affianca e simultaneamente si
oppone all’idea di collettività proposta da Levy (1994), aggiungendo però a questa la dimensione
frammentata delle potenzialità della rete.
Un’enciclopedia collettiva è lavorata da tante persone non necessariamente confrontate tra di loro.

Il paradigma Wiki:
Un paradigma come Wiki è sia collettivo che connettivo, ovvero sia distribuito/condiviso tra utenti (e
aperto) che fondato su una logica di accumulo crescente di conoscenza/servizi.

Il modello connettivo definisce quindi un approccio e un incontro sinergico dei singoli soggetti, orientati
verso un obiettivo comune, e supportati dagli strumenti capillarmente diffusi di produttività elettronica.
Il problema che resta aperto, nella progettazione e nella realizzazione tanto degli artefatti comunicativi,
quanto di quelli più propriamente cognitivi, è la parcellizzazione dei contenuti e delle informazioni che
spesso sono a rischio della loro libertà di divulgazione o di accesso.
Se la realizzazione di testi mediali oggi quindi è più semplice e più aperta, il tema è quello relativo alle
policy per regolamentarli in modo equilibrato, etico e semplice.

Licenze:
Se la realizzazione di testi mediali oggi quindi è più semplice e più aperta, il tema è quello relativo alle
policy per regolamentarli in modo equilibrato, etico e semplice. Una risorsa preziosa che viene incontro a
questa necessità è il modello delle licenze Creative Commons.
Le Creative Commons Public Licenses (CCPL o più semplicemente CC) sono delle licenze di diritto
d’autore che si basano sul principio de “alcuni diritti riservati”. Tali licenze infatti semplificano per il titolare
dei diritti di segnalare in maniera chiara i vincoli e le possibilità di riproduzione, diffusione e circolazione
delle proprie produzioni. Le licenze Creative Commons offrono sei diverse articolazioni dei diritti d’autore
per varie tipologie di utenti che desiderino condividere in maniera ampia le proprie produzioni secondo
alcuni modelli differenti, tra cui scegliere, che garantiscono un diverso tipo di protezione e libertà.

Lo schema, disponibile sulla piattaforma Web creativecommons.org, definisce le seguenti


possibilità:
Etica Hacker:
È importante precisare che non si vuole recuperare il concetto rivitalizzato a inizio millennio da Pekka
Himanem nel testo che reca l’omonima dicitura, quanto ripartire dagli albori dell’idea, nata nei primi anni
cinquanta al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston. Theodore Nelson (1974) e Steven
Levy (1984) sono i primi a tratteggiare il significato di questo termine, facendolo risalire alla dicitura
“hack”, utilizzata per indicare la sensazione di piacere ed engagement quando si prende parte a un
progetto in fase di sviluppo. L’etica hacker diventa quindi la modalità con cui si introduce uno stile di
vita nuovo, fondato sulla condivisione, sull’apertura, sulla decentralizzazione, sul libero accesso
alle tecnologie informatiche e a una tensione progettuale orientata a voler migliorare in qualche
modo il mondo. L’aspetto empirico e sperimentale è alla base di questo modello, a cui si aggiungono la
curiosità e la sintesi progettuale dell’apprendimento secondo l’idea del learning- by-doing, precursore
delle formulazioni del design transmediale.
Il modello hacker riparte dall’analisi anche del già esistente, dalle formulazioni dei prodotti mediali, dai
contenuti e dalle forme di progetto sottese ai sistemi che ne sono derivati per capirli e conoscerli.
In questo modo sarà possibile sia un miglioramento di ciò che c’è già, sia la definizione di soluzioni
nuove. L’accesso, per dirlo con uno slogan da etica hacker, crea lo sviluppo.

Linee guida di questa etica:


- L’etica hacker tende a dubitare dell’autorità e a promuovere il decentramento. Questo
significa cercare in tutti i modi di evitare gli ostacoli che si possono frapporre nel libero scambio
di informazioni e rallentare quindi le fasi di apprendimento e sviluppo. Per questa ragione il
modello hacker è contrario a ogni forma di burocrazia (aziendale, governativo, accademica),
che viene considerata solo un rallentamento e un ostacolo alla conoscenza.
- Un altro carattere è la trasparenza della valutazione che riguarda solo il risultato e le abilità per
raggiungerlo, senza considerare altri criteri formali ritenuti falsi, come ceto, età, razza,
sesso o posizione sociale;
- Il codice stesso (inteso come software) può avere un valore estetico al di là della sua
funzionalità. Questo significa che con un sistema di elaborazione si può arrivare a forme d’arte:
realizzare programmi anche molto complessi, funzionanti con il minor numero di istruzioni
possibile, se particolarmente curati e ben scritti, è considerato una forma d’arte. Questa attitudine
ha portato a un miglioramento degli assetti produttivi, in quanto un codice ordinato e ben scritto
risulta anche più diffondibile e riutilizzabile. Tale prospettiva apre un filone di progettazione che si
interroga sulla formalità del codice e degli strumenti che possono migliorare il livello di produttività
dei pubblici e dei prodotti mediali stessi
- I computer possono trasformare le condizioni di vita in meglio: sono gli elaboratori elettronici
che formano parte integrante delle vite degli hacker, avendo donato loro obiettivi e nuove
esperienze. Assumono un ruolo di estensione così importante perché consentono di
trasformare pure intuizioni immateriali o possibilità astratte in realtà.
- La condivisione resta uno dei temi più sentiti e determinanti per l’etica hacker. Che si tratti di
una pratica interna tra membri della stessa comunità, o di una diffusione esterna già predisposta
per un più ampio pubblico, non ancora così specializzato, le pratiche di condivisione sono alla
base della cultura e dell’etica hacker, tanto da aver fortemente sostenuto e contribuito allo
sviluppo dei concetti di free software e di open source software.

Da questi principi emerge anche il risvolto negativo che affligge l’etica hacker: non si tratta di “pirati” o
di figure che compiono atti criminosi, ma spesso sono visti come individui che vanno contro il
sistema causando danni perché non accettano restrizioni che possano fermare la loro tensione
alla scoperta e alla conoscenza. Laddove vi sono vincoli alla libertà di accesso si può verificare che tali
limiti vengano superati anche se ciò comporta un’infrazione delle regole.
Etica maker:
Un’altra filosofia invece ha preso piede e si muove sulla scia della continua richiesta di accesso e
condivisione. Si parla in questo caso dei maker, una forma di cultura contemporanea che
rappresenta un’estensione tecnologica, partecipativa e orientata al vecchio modello del
do-it-yourself, superandolo completamente e arrivando a presupposti culturali precisi e all’adozione e
applicazione di strumenti e pratiche evolute, intersecandosi anche con la cultura hacker (che come è
stato illustrato è meno interessata agli oggetti fisici in quanto si concentra sul software) nella volontà e
negli scopi di essere innovatrice e permettere la creazione di nuovi supporti e dispositivi.
I maker, visti come gli “artigiani” del villaggio globale, hanno alcuni punti di riferimento, come la volontà
di perseguire una progettazione completamente opensource e la possibilità di avere risultati
discreti e tangibili della loro applicazione intellettuale. Gli interessi che meglio inquadrano tale
cultura sono le attività di sviluppo ingegneristico, l’elettronica, la robotica, la stampa 3D e l’utilizzo di
strumenti numerici controllati da computer, oltre ad attività più tradizionali come la lavorazione del
metallo, del legno e di altri materiali sintetici.
La cultura maker tende anch’essa a focalizzarsi su un modello di progettazione e di studio
learning-by-doing, incentivando l’assimilazione attiva di nozioni e competenze in un ambiente sociale
condiviso, e sostenendo l’apprendimento informale, in rete, condotto tra pari e condiviso, motivato
soprattutto dal divertimento e dall’auto-realizzazione.

La partecipazione comunitaria e la condivisione delle conoscenze sono un punto chiave della cultura
maker spesso mediate attraverso tecnologie di rete, con piattaforme Web e social media che
costituiscono la base delle repository di conoscenza nonché i canali principali per la condivisione di
informazioni e lo scambio di idee che possono poi essere meglio focalizzate in presenza, tramite incontri
sociali in spazi condivisi come i makerspace e i FabLab, dall’inglese fabrication laboratory, solitamente
spazi non troppo estesi, forniti dei materiali e degli strumenti necessari per la fabbricazione
digitale.

In questi laboratori non esiste solo la condivisione di forme produttive e di consumo, ma anche:
- Una nuova logica di apprendimento (ciclico – lifelonglearning)
- Nuove forme di responsabilità ed etica distribuita che includono i progettisti, gli utenti e la
tecnologia stessa come soggetti legali (implementazione soggetti-tecnologia).

Paradigma della società liquida:


Se si pensa alla normale evoluzione della società, anche solo nei termini di progettazione architettonica
o culturale, si nota l’avanzare di un presupposto di modularità e flessibilità, un paradigma liquido,
per richiamare le tesi di Bauman (2002); è lo stesso paradigma che oggi definisce la rete, intesa come
modello di comunicazioni, che si è sviluppata secondo differenti estensioni, riconducibili alle relazioni
socio-culturali degli individui coinvolti e della formulazione delle informazioni e relazioni che dispiega.
Volendo identificare alcuni punti di riferimento quali margini entro cui qualificare l’emergere della rete
come paradigma attuale non si può prescindere dal lavoro di Mark Taylor.
Taylor, pensatore americano, ripercorre il problema della complessità negli scenari contemporanei
mostrando quanto i cambiamenti dovuti all’introduzione dei nuovi media, la progressiva e inarrestabile
importanza acquisita dal mondo del Web e le contaminazioni tra popoli, culture e rami del sapere hanno
contribuito a modificare completamente le coordinate sociali e progettuali dell’uomo contemporaneo.

Secondo Taylor, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, e con una velocità
esponenziale, è iniziata una metamorfosi che ha reso necessari nuovi modelli di comprensione
ed esperienza del mondo. Uno dei momenti chiave di questa trasformazione è stato il crollo del muro
di Berlino, che nel 1989 ha sancito definitivamente il passaggio da una società industriale a una società
basata sull’informazione: alla dimensione della Guerra fredda, da cui il mondo era stato governato per
oltre mezzo secolo, si era sostituita quella della globalizzazione. Si era passati da uno status sociale
basato sulla divisione (il muro) e sull’idea di trattato, a uno aperto all’integrazione (il Web) e
fondato sull’accordo Il progetto dei nuovi media (Friedman 2000). Così, da processi all’apparenza
slegati, si è giunti a un cambio di paradigma in cui si riesce a decifrare come primo elemento di
caratterizzazione la velocità con cui mutano sistemi, strutture, condizioni e legami della vita quotidiana.
Per comprendere la portata e l’importanza di questi mutamenti, Taylor parte dal lavoro di tre architetti:
Mies van der Rohe, Robert Venturi e Frank Gehry.
Infatti esaminando le opere di Mies, Venturi e Gehry emerge la trasformazione che da una società
industriale ha portato a una cultura dei media fino a delineare una cultura a rete. Si arriva cioè a un
momento della complessità che può essere inteso come il passaggio da un mondo strutturato in base a
‘griglie’ a un mondo organizzato secondo delle ‘reti’.
In breve, la dimensione del passaggio architettonico illustrata da Taylor, che mostra come una cultura
del progetto “a griglie” si è trasformata in una cultura “a rete”, molto più complessa e
disomogenea, rispecchia fedelmente i cambiamenti propri delle culture dei media e rinvenibili nelle
modalità in cui il modello gerarchico ha lasciato completamente spazio a quello grassroots, dal
basso.

Si arriva a un textum della comunicazione che viene riorganizzato dal basso: una rete con agenti non
più disposti da un artefice più o meno involontario, ma da utenti che godono di una completa autonomia
e uno spazio di produzione e progettazione aperto e sostenibile, capace di interconnetterli senza limiti
strutturali invalicabili.
Il riassetto di una cultura che si è spostata verso una dimensione a rete viene quindi come primo tassello
di analisi di qualsiasi ricerca che voglia indagare come possono essere gestite e progettate le
comunicazioni oggi, fondate su un continuum tra la vita quotidiana del mondo reale e quella estesa
tramite media sempre più presenti e connessi. Si ritorna al villaggio globale di McLuhan, che perde
sempre più la sua dimensione metaforica e tende a essere più reale di quanto non lo si pensi.
La cultura del progetto deve quindi cercare tra le maglie e le sfide del cambiamento la sua dimensione di
sviluppo e risposta.

Total surround: il progetto di comunicazione nei social media


Con l’avvento dell’era digitale, la comunicazione si è orientata sempre più verso un paradigma sociale
ibridato: da molti a molti. Uno dei passaggi che si può operare per razionalizzare sotto il profilo del
progetto della comunicazione le differenti modalità di produzione e definizione di testi mediali coerenti e
rimodulabili in base alle situazioni di progettazione che si possono incontrare, soprattutto in ambienti
social media enhanced, è tracciare delle aree di confine entro cui recepire una serie di modelli
comunicativi mirati.
A tal proposito, un valido lavoro di razionalizzazione e proposta progettuale è quello offerto da
Tuten e Solomon (2014) che, a fronte della necessità di inquadrare le audience, i modelli di consumo e
le possibili aree di definizione di contenuti mediali, hanno sviluppato una partizione in quattro
macro-settori caratterizzati da specifiche sotto-aree di interesse, partecipazione e produzione.
1. Social community:
Con social community si intendono i canali, gli strumenti e le app che si basano sulle relazioni e
le attività che si instaurano tra utenti che partecipano o condividono medesimi interessi,
passioni, hobby, idee, etc. I caratteri di comunicazione sono bi-direzionali o multidirezionali; è
prevista una forte intesa partecipativa per condividere materiali e raccontare le proprie
esperienze ed emozioni. L’obiettivo principale delle social community è il mantenimento delle
relazioni nel corso del tempo o la loro rimodulazione creando e riconnettendo legami tra
persone. Dal punto di vista del mercato, gli obiettivi delle social community sono calati
soprattutto sulla costruzione e capitalizzazione del marchio, sulle operazioni di marketing, sulla
“viralizzazione” e la diffusione di contenuti e la proposta di meme, sulla fidelizzazione delle
audience e la creazione di pubblici attivi. Fanno parte del modello delle social community:
- SNS, Social Network Sites;
- Bacheche elettroniche e forum;
- Piattaforme Wiki;
- Sistemi di microsharing/microblogging (Twingly, Twitter, Instagram, Snapchat, Whatsapp,
etc.);
- Sistemi di messaggistica integrati (IM, Instant Messaging);
- Piattaforme di dating online.

2. Social Publishing:
I sistemi di social publishing rappresentano la variante digitale ai meccanismi di editoria e
pubblicazione tradizionali, e beneficiano delle possibilità offerte dai media elettronici.
Favoriscono la diffusione di contenuti a differenti tipologie di audience e permettono la
circolazione, la condivisione, la modifica e la cooperazione su contenuti mediali di differente
tipologia. Dal punto di vista del mercato, i sistemi di social publishing mirano soprattutto a
costruire valore (di un brand) attraverso contenuti, a gestire forme di pubblicità e
advertising, a condividere e redistribuire materiali e informazioni tra pubblici partecipativi
e audience che ne recepiscono solo una parte. Fanno parte del modello del social publishing:
- Siti di media sharing; (blog, CMS - Content Management System);
- Siti di microsharing/microblogging;
- Siti di media sharing;
- Sistemi di social bookmarking;
- Piattaforme di news.

3. Social Entertainment:
L’area del social entertainment si sviluppa per offrire opportunità di svagarsi, divertirsi,
giocare mediante specifici canali, piattaforme e app orientate all’erogazione di contenuti
mediali diversificati, passivi e immersivi. Dal punto di vista dei supporti online si trovano
differenti tipologie di piattaforme, orientate a garantire l’accesso e il mantenimento della
connessione per poter offrire un’esperienza che si protragga il più a lungo possibile. I sistemi di
social entertainment di fatto puntano sulla durata o la spendibilità economica di un’esperienza
che si sviluppa senza cambio di piattaforma. Dal punto di vista del mercato, i sistemi social
entertainment cercano di fornire accesso a differenti tipologie di siti e community che
forniscono accesso ai contenuti, sia fruiti in modalità singola (streaming video), sia in
gruppo (portali di gioco). Fanno parte del modello del social entertainment:
- Siti per il gaming online;
- Community con funzioni social per streaming ed entertainment;
- Piattaforme di streaming e social streaming;
- Sistemi ARG (Alternate Reality Game);
- Mondi virtuali, inclusi i sistemi a realtà virtuale o blended reality;
- Piattaforme di dating online.
4. Social Commerce:
Il modello del social commerce si riferisce all’uso dei canali social per favorire la vendita e
l’acquisto online di prodotti e servizi. Le modalità di sviluppo delle audience e di creazione dei
contenuti si basano sulla possibilità di favorire un processo di acquisto o incentivare un
comportamento che porti gli acquirenti a interagire durante l’esperienza di valutazione e
osservazione. Dal punto di vista del mercato, i sistemi di social commerce mirano a ottenere
transazioni di acquisto e vendita, di conversione dei visitatori in clienti e di assistenza e gestione
del cliente (CRM) direttamente dalle piattaforme.

Fanno parte del modello social commerce:


- Piattaforme di vendita e sistemi
e-commerce;
- Siti di aste online;
- Community flash sales;
- SNS, Social Network Sites per
gruppi di acquisto;
- Piattaforme di personal shopping.

Paid media: sorgono su pagamento nella piattaforma;


Earned media: nascono da conversazioni tra utenti, da likes e shares, da raccomandazioni;
Owned media: social media in cui la comunicazione è gestita autonomamente in quanto posseduti.
Big data e progettazione:
Esiste un noto paradosso che è significativo per comprendere l’overload di informazioni che si
verifica oggi nell’epoca della cultura dei Big Data. Si tratta del frammento di Jorge Luis Borges relativo
alla Mappa dell’Impero attribuito dall’autore a un testo che in realtà non esiste. Questo vuole intendere
che la quantità di informazioni che circola in rete supera la conoscenza e la capacità di
comprensione che si può avere di un determinato fenomeno o di una specifica esperienza. Si
tratta di un’incessante proliferazione che non dipende neppure più dalla sola contribuzione degli utenti in
modo partecipativo, ma afferisce a sensori, tracce, cookies, dati personali e innumerevoli altri elementi
che vengono catturati e costituiscono una “mappa dell’impero” molto più vasta di quanto misuri il
mondo reale.

Il Design della comunicazione non può tralasciare la cultura generata dai cosiddetti Big Data. Come
giustamente osservato da Lindy Ryan «i dati sono potenti» in quanto permettono di analizzare la
trasformazione in atto in ambito comunicativo, economico, culturale, sociale, etc. ma permettono
anche di anticipare se non guidare questa trasformazione.
Sottolinea inoltre che la visualizzazione dei dati è da considerarsi come una combinazione di arte e
scienza: il design visivo e il meccanismo di visualizzazione dei dati sono concetti diversi, che lavorando
insieme aiutano a comprendere meglio l’informazione. Del resto, come già visto nei passaggi da acustico
a visuale, l’imperialismo visivo definisce l’attuale società anche cognitivamente. John Medina, biologo
molecolare, per esempio, ha comprovato che di un testo letto ci ricordiamo dopo tre giorni
unicamente il 10% delle informazioni ottenute, appunto, dalla lettura, mentre le informazioni offerte
visivamente trovano uno spazio più ampio nella memoria: un testo scritto unito a un’immagine
rilevante permette di ricordare fino al 65% delle informazioni ricevute.
Per progettare correttamente una visualizzazione di dati, la Ryan suggerisce di scegliere attentamente
fonti, e flussi da esporre così come la forma visiva che li articolerà: i due elementi, infatti, devono
lavorare insieme per comunicare un solo messaggio. Per raggiungere questo scopo è importante
spogliare i dati delle informazioni non necessarie e progettare la data story in modo che dia Il
progetto dei nuovi media alla audience un solo, chiaro, messaggio.

Scala del valore dei contenuti:


Contenuti originali vs filler:
I contenuti filler sono contenuti ripresi
da fonti esterne e riproposti.

I contenuti originali possono essere:


- Base: che non stravolge l’attenzione
del pubblico;
- Authority-building: generano
credibilità ed autorità per il marchio >
ES. contenuti how-to, suggerimenti;
- Pilastro: determinano la credibilità
totale del marchio o dell’autore;
- Flagship: consentono al marchio di
affermarsi sopra il prodotto >
ES. Nutella al posto di “crema di
nocciole”.
La scala di valore dei contenuti deve tener conto del contesto.
Linkbaiting: altro escamotage per ottenere attenzione nei confronti di un contenuto creato.
- Resource hook: esca delle risorse - elenco che genera un senso di importanza, gerarchia;
- Contrary hook: esca del contrario - cambio il senso per ottenere un dato riscontro > ES. “eat
chocolate to lose weight”;
- Humor hook: esca dell’umorismo - divertire mediante forme di divertimento;
- Discount hook: esca dello sconto - fanno leva sulla volontà di ottenere un vantaggio;
- Research hook: esca della ricerca - sfruttano l’evidenza scientifica e la sua veridicità.

Social technographic:
Garantiscono informazioni riguardo la vita social dei
consumatori di un dato media.
1. Creators: danno vita a contenuti originali, non
sono la maggioranza ma sono fondamentali per la vita
del social;
2. Conversatori: non creano materiale ma restano
attivi riguardo il proprio stato nel social - sono aperti al
dialogo virtuale;
3. Critici: si muovono in risposta ad altri, danno
feedback, commentano e costruiscono una continuità
rispetto al tessuto nel quale si inseriscono;
4. Collezionisti: tendono a vedere, leggere,
conservare contenuti. Non prendono parte attivamente
ma condividono in maniera generica;
5. Socievoli: sono l'entry level dei consumatori
social, danno i primi riscontri ma non risultano
eccessivamente operativi;
6. Spettatori: sono estremamente operativi per
rimanere informati ma rimangono in silenzio.

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