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INTRODUZIONE
Quello mediatico è diventato un vero e proprio mondo, oggi sempre più autonomo. Il pensiero
critico ormai parla di due verità: quella mediatica e quella reale. Dalla seconda metà degli anni 90 è
cominciata la formazione di un nuovo sistema di comunicazione elettronica sulla scia della fusione
dei mass media globalizzati e personalizzati con la comunicazione mediata da computer. Questo
nuovo sistema ha esteso il Regno della comunicazione elettronica a tutti gli ambiti della vita ed è
stato definito il multimedia. L'accesso a notizie, corsi e spettacoli audiovisivi attraverso lo stesso
mezzo, persino da fonti differenti, contribuisce a incrementare il fenomeno di confusione dei
contenuti già in atto nella televisione di massa. Unificando tutti i sottoinsiemi il computer ha
permesso la nascita di un tutto organizzato che modella, trasforma, controlla e tende poco a poco a
confondersi con esso. Jaques Ellul Nella sua opera maggiore, il sistema tecnico, aveva denunciato il
pericolo che la libertà potesse sparire a poco a poco. All'interno del sistema l'uomo è sicuramente
libero e sovrano ma questa libertà è artificiale e sotto controllo. I giovani sanno di non avere
nemmeno l'ombra di una scelta: vivere la vita sociale a livello elettronico non è più una scelta, ma
una necessità, un prendere o lasciare. La società della comunicazione elettronica è una società
confessionale che cancella la linea di demarcazione tra privato e pubblico e spinge a mostrare in
pubblico proprio io interiore. È la società della nudità fisica, psichica e sociale. Chi si sottrae alla
visibilità, e a quella mediatica in particolare, è come se non esistesse. In quanto consumatore
l'individuo è libero di scegliere tra vari prodotti proposti dal sistema tecnico, ma non è libero nei
confronti del sistema stesso. Le sue scelte si basano sempre su elementi secondari e mai sul
problema globale. Il sistema tecnico riduce tutte le scelte a una: la scelta di un ritmo di crescita più
o meno rapido. Allo stesso modo non è vero quello che la tecnica cerca di farci credere, cioè che
l'informazione e l'essere documentati siano la stessa cosa della cultura. Così oggi l'uomo
postmoderno, catturato e plasmato dal sistema tecnologico e multimediale, assume sempre più tale
sistema come quello vero. I principi dell'etica sociale come il rispetto della persona, la solidarietà, la
giustizia, la sussidiarietà, l'equità, l'affidabilità, il bene comune sono applicabili alla comunicazione
multimediale? La comunicazione sociale è o può essere veritiera?
Il Knowledge gap (Scarto di conoscenza), creato dai media, determina una discrepanza culturale tra
un pubblico colto, preparato e in grado di mettere in discussione processare le informazioni che
riceve, è un pubblico meno preparato e accorto che le subisce o non le recepisce affatto. Il
multimedia crea una crescente stratificazione sociale fra gli utenti determinando un netto divario tra
gli interagenti e gli interagiti, ovvero tra quelli che sono in grado di accedere e di selezionare i
propri circuiti multidirezionali di comunicazione e quelli cui non è data la possibilità dell'accesso o
al massimo viene offerto un numero ridotto di possibilità preconfezionate. Comunicare non è
informare:
l'informazione è trasmissione di contenuti, di messaggi, è unidirezionale ovvero
dall'emittente al ricevente
comunicare è rendere comune, fare altri partecipi di qualcosa
Questo avviene nella comunicazione interpersonale diretta: come hanno dimostrato Karl Otto Apel
e Jürgen Habermas, l'atto stesso del comunicare, per la sua implicita reciprocità e interattività, è un
atto compartecipato e quindi è un atto etico. Nella comunicazione mediatica, oltre all'emittente e al
ricevente, vi è una terza componente, che è il medium tecnico, e pertanto la reciprocità e
l'interattività non solo non sono garantite, ma spesso non sono tecnicamente possibili. Il dubbio che
progressivamente cresciuto è proprio quello sul presunto carattere strumentale, neutrale dei media.
Se fossero semplicemente dei mezzi tecnici, la risposta etica dipenderebbe esclusivamente dal come
li adoperiamo, dagli scopi che intendiamo raggiungere con loro impiego. Tali mezzi, in realtà, non
solo non sono moralmente neutrali, ma non sono neppure dei puri e semplici mezzi tecnici.
La Libertà di disporre liberamente della tecnica secondo i nostri scopi è una pura illusione. I media
hanno una loro struttura e funzione determinata. Ogni apparecchio tecnico reca con sé una modalità
d'uso: possiamo impiegare la televisione allo scopo di prendere parte a un servizio divino; ma, nel
fare questo, ciò che ci plasma o ci trasforma altrettanto profondamente del servizio divino è proprio
il fatto che non vi prendiamo parte, ma consumiamo soltanto la sua immagine.
CAPITOLO 1 – IL MONDO COME IMMAGINE
In linea di massima la manipolazione da parte dei media è legittimata dalle esigenze di concisione
e dal bisogno di dare nel più breve tempo possibile il maggior numero di avvenimenti. Ma al tempo
stesso spiana la strada per una serie di inedite frodi a scapito della realtà.
LIBERTÀ ILLUSORIA
Mauro Magatti parla di epoca del trickster, dell'ingannatore, di chi consuma velocemente la
propria illusione creando delle bolle provvisorie di significato che però hanno una durata precaria e
parziale per questo sono illusioni. L'individuo nella società multimediatica intende la libertà come
opportunità infinita e pertanto ama fantasticare circa la propria libertà, rifuggendo il conforto con la
realtà così come esiste. Ritenuto libero di dare alla sua vita il senso che vuole, egli dà, nella maggior
parte dei casi, solo il senso in corso, ovvero il non senso dell'aumento indefinito degli stimoli
sensoriali, della performance. La sua autonomia diventa eteronomia, la sua autenticità mero
adattamento.
SMATERIALIZZAZIONE
L’homo mediaticus si sente perfettamente separato e perfettamente interconnesso attraverso lo
schermo di un computer o mediante un codice tecnico con l'ambiente verso cui si interfaccia. Lo
scambio è sempre meno relazionale e sempre più informazionale/ funzionale. È in atto un processo
di smaterializzazione: la multimedialità ci permette di fare tutto: ricercare, analizzare, comunicare,
osservare, ma da lontano.
I TRE POSTULATI
Per Kant, questi postulati erano quelli dell'immortalità dell'anima, della libertà positivamente
considerata e dell'esistenza di Dio. Nell'etica dell'informazione e della comunicazione la legge
morale richiede almeno tre postulati: la libertà, la verità e la reciprocità. La libertà deve essere
supposta come proprietà della volontà di tutti gli esseri ragionevoli e condizione ontologica
dell'agire etico, come pure la verità quale ideale regolativo della conoscenza. Occorre inoltre
presupporre una comunità linguistica e comunicativa che non può mettere in dubbio il rispetto
reciproco tra i suoi membri delle norme fondamentali della giustizia in quanto parità di diritti, della
solidarietà e della corresponsabilità. La pratica comunicativa richiede che ciascuno deve riconoscere
l'altro pare a se stesso, tollerare rispettare l'altro, trattare l'altro come persona. Il dovere morale della
reciprocità presuppone che i soggetti della comunità comunicativa si riconoscano come persone
morali prima che come attori linguistici.
VERITÀ E FALLIBILISMO
Nella cultura postmoderna è in atto una vera e propria verofobia: paradossalmente nelle società
occidentali coesistono due atteggiamenti nei confronti della verità delle nostre asserzioni e
narrazioniil sospetto di essere ingannati e lo scetticismo nei confronti di ogni presunta verità
oggettiva, l'esigenza di veridicità e il rifiuto della verità. Se il cyberspazio e la televisione sono
diventati luoghi abitati dall'uomo postmoderno il mondo vero e gli eventi che vi accadono sono
sempre più compresi attraverso ciò che appare nel medium televisivo e nel cyberspazio. Un evento
non è reale se non è apparso in un medium e quindi ciò che è vita, mondo, realtà è sempre più un
prodotto mediatico. Alfred Tarski definisce la verità come adeguazione della cosa e dell'intelletto:
La frase “piove” è vera se e solo se piove. Per una parte della filosofia e della cultura
contemporanea la nozione realistica della verità è obsoletail problema non è quello di rendere
veri i nostri enunciati ma di giustificarli, e pertanto non si può distinguere verità e giustificazione; e
la giustificazione in sé non è altro che l'accordo tra i membri di una comunità. La difficoltà di
definire la verità deriva dalla sua appartenenza a un insieme ramificato di nozioni, ma c'è comunque
un requisito accettato dalla maggior parte delle discussioni moderne della verità; “la neve è bianca”
è vero se e solo se la neve è bianca questo esprime la caratteristica nucleare del concetto di verità.
Il problema etico della verità e della menzogna è uno dei principali problemi dello sviluppo dei
media: il vero applicato all'informazione e alla comunicazione comporta una serie di conseguenze
pratiche e comportamentali, come rispetto della verità, il bilanciamento del peso delle emozioni
nella comunicazione, il rispetto delle persone e dei minori, il controllo della violenza e della
rappresentazione del male, l'uso sociale della pubblicità, il rispetto della privacy. La credibilità di
tutto il sistema mediatico poggia almeno su un principio etico che è quello di non dire il falso. L'era
postmoderna si caratterizza per la caduta non solo di tutte le ideologie ma anche di tutte le certezze
perché non conta la realtà oggettiva ma l'immagine, l'apparenza. Tutto è provvisorio, liquido, si
cerca il successo e il piacere immediato, dominano l'individualismo e l'edonismo.
LA COMPLESSITÀ
La realtà è l'interno, che non è riducibile alle sue parti, ma è complesso. Nel paradigma della
complessità convergono tre principi fondamentali:
1- il principio dialogico per cui dati contrapposti si rivelano reciprocamente costituitivi
2- il principio di ricorsività per cui ciascun effetto è a un tempo causa e prodotto di ciò che lo
produce
3- il principio ologrammatico secondo cui vi è un nesso di reciproco rimando o di
coappartenenza tra tutto e parti.
Il paradigma della complessità contribuisce a superare il realismo ingenuo, che afferma l'esistenza
della realtà assoluta. Se l'uomo e la tecnica fossero due realtà assolute non ci potrebbe essere nessun
tipo di relazione , neppure etica, sarebbero due mondi irrelati e impenetrabili. Il realismo ingenuo
presuppone un dualismo tra osservatore e osservato, tra soggetto e oggetto, tra uomo e tecnica,
agisce come una forbice, che taglia l'interazione e le connessioni tra uomo e mondo. Questo
produce la mostruosa patologia atomistica dell'occidente che insiste efficienza degli individui
ignorando la rete relazionale che li costituisce e il sistema di interconnessione globale della realtà.
L'uomo non è una realtà assoluta, autonoma, è costituito dal tessuto delle relazioni che lo legano al
mondo, agli altri viventi e alla tecnologia. L'identità, concepita in modo astratto, nasconde le
relazioni costitutive che la pongono in essere. la realtà non è assoluta, ovvero sciolta da ogni
legame, ma è duale: l'uomo e il mondo non sono due entità separate, ma poco appartenenti allo
stesso processo evolutivo. Il rapporto uomo ambiente va pensato nell'ottica della relazione coesiva,
della co determinazione. Per non congelare la storia dell'uomo, occorre oggi immaginare un
intreccio dinamico e creativo fra la specie umana e il pianeta, in cui la tecnologia sia vincolo e
insieme possibilità per cambiare le regole di coevoluzione fra uomo e natura. Si tratta di
abbandonare la concezione, che finora ha prevalso, dell'evoluzione culturale della nostra specie
come perfezionamento ottimizzazione di quanto vagamente prefigurato dalle società del passato,
secondo una logica di progressione lineare dal più semplice al più complesso. Secondo tale visione,
l'umanità apparirebbe oggi in un'età di vecchiaia avanzata. Se invece consideriamo che ogni essere
umano è espressione della storia singolare e unica del suo sviluppo e di eventi contingenti e casuali,
l'umanità appare in un'età di gioventù o forse ancora d'infanzia. Si prospetta in tal modo un reale
accoppiamento con evolutivo fra il soggetto creatore e lo strumento tecnico, una vera e propria
ecologia uomo macchina che produce risultati del tutto indeducibili dalla somma delle parti.
ETICA ED ESTETICA
non essendo l'uomo né solo materia né solo spirito non può essere pura vita né può essere pura
forma, bensì forma viva, essa è l'oggetto comune di entrambi gli istinti, cioè dell'istinto del gioco.
L'interezza dell'uomo è data proprio dalla riunificazione e dall'armonia tra la mente e il cuore, tra la
ragione e la fantasia, tra la ragione e la sensibilità. Tra tutti gli Stati dell'uomo il gioco è unicamente
il gioco è ciò che lo completa e nello stesso tempo sviluppa la sua duplice natura: L'uomo gioca
unicamente quando è uomo, nel senso pieno della parola, ed è pienamente uomo ovviamente
quando gioca. L'impulso del gioco produce l'armonia tra impulso materiale e l'impulso formale. Per
Schiller coltivare questo impulso è lo scopo dell'educazione estetica. È attraverso il gusto che
avviene il passaggio dal piacere sensibile al sentimento della moralità. Nella coscienza estetica
troviamo caratteri che distinguono la coscienza colta: elevazione all'universalità, distacco dalla
particolarità delle preferenze immediate, riconoscimento di ciò che non corrisponde alle proprie
individuali attese o tendenze. La coscienza estetica trova il suo organo nel gusto: occorre
risvegliare affinare il gusto nella civiltà dello spettacolo, delle immagini e del consumismo. Il gusto
sensibile non è puro istinto ma contiene già un elemento di mediazione tra l'impulso sensibile e la
libertà spirituale. Il gusto introduce l'atteggiamento della scelta e del giudizio di fronte alle esigenze
più urgenti e immediate della vita, e come un senso che non può essere acquisito o sostituito.
Tuttavia, esso non è sempre una cosa puramente privata, giacché pretende sempre di essere buon
gusto: Colui il cui gusto è urtato da ciò che è moralmente ingiusto possiedo una sicurezza il bene e
respingere il m che è la più alta.
ESPANSIONE DELLA COSCIENZA E SPAZIO INTERIORE
Se manca il riferimento alla comunità umana universale o ad altro la metro universale, manca
ogni criterio per distinguere la comunità violenta dei naziskin che ascoltano Wagner o quella dei
rocchettari dalla comunità che pratica la cittadinanza attiva e la nonviolenza: per questo il risveglio
del gusto non può bastare all'homo aestheticus, ma si richiede un risveglio ancora più profondo
della propria umanità: il risveglio della coscienza e dell'interiorità. Non c'è una tecnica per
risvegliare il proprio io interiore, perché l'io interiore e spontaneo, svegliarsi all'interiorità significa
riscoprire la sorgente dell'essere, del bene e della libertà che, nel più profondo di noi stessi, fonda e
anima la nostra vita. Con risveglio dell'interiorità noi acquistiamo una specie di intuizione spirituale
che fa di noi stessi degli esseri rispettosi, dotati di un senso innato della dignità umana.
Un'altra riflessione riguarda la maturità tecnologica: tale maturità passa da una ristrutturazione
sociale dello spazio che faccia sentire continuamente ognuno che il centro del mondo è proprio là
dove è vista, cammina e vive.
LA NETICA HACKER
L'umanizzazione della comunicazione elettronica comporta l'adozione dell'imperativo di
considerare come soggetti a tutti gli effetti della comunicazione e di evitare di strumentalizzarli.
L'uomo va considerato come fine e non come mezzo: da tale imperativo nell'information ethics
scaturiscono alcuni problemi etici, come la tutela della libertà di parola e della privacy, la difesa
dalla violenza informatica, alla crescita esponenziale della posta elettronica spazzatura, che per
motivi commerciali rischia di sommergerci di messaggi non richiesti. Un contributo allo sviluppo
della netica, ovvero dell'etica del network della rete è stato dato dagli hacker, spesso confusi con
i pirati che rubano dati o inventano virus che rovinano i nostri computer. Il termine hacker significa
fare a pezzi ma in senso positivo cioè prendere un oggetto metterci le mani sopra, scinderlo nelle
sue parti fondamentali per studiarne il funzionamento. Il criminologo Mario Strano, ha distinto sei
diverse versioni dell'identità hacker:
1. L'hacker tradizionale, che agirebbe spinto dal gusto per la sfida per dimostrare a sé e agli
altri la perizia in campo informatico
2. l'hacker distruttivo vandalico mosso dall'aggressività accumulata contro il sistema
3. l’hacker distruttivo professionista che agisce distruttivamente spinto da una logica
lucrativa
4. l'hacker spia che opererebbe dei veri e propri furti di informazioni su commissione
5. l’hacker antagonista spinto da motivazioni di tipo ideologico
6. L’hacker terrorista che apparterrebbe a gruppi volti alla destabilizzazione sociale e
istituzionale
La riconduzione dell'hacking alla criminalità informatica è piuttosto frequente e diffusa ma è
importante definire il concetto di un computer crimele azioni che si compiono mediante il
computer, dirette alla realizzazione di truffe, frodi, ricettazioni, con l'obiettivo di ottenere proprietà,
denaro, vantaggi politici e commerciali. Se consideriamo che tutte le azioni che gli hacker
sottoscrive hanno sempre un intento espressivo e non strumentale, la gravità dei reati commessi
degli hacker puri è assimilabile a quella di alcuni deputati che, nell'ambito di una manifestazione
pubblica, fumino della marijuana per spingere l'opinione pubblica a riflettere sulla possibilità di
depenalizzare il consumo delle droghe leggere. Gli hacker hanno prodotto a forme di azione
collettiva di lotta realizzata in rete per la libertà e l'apertura del codice informatico, che
costituiscono una valida alternativa a una situazione di monopolio da parte di produttori di software
proprietario. Convinti del fatto che se Internet è di tutti, anche l'informazione deve essere di tutti e
per tutti. Gli hacker si battono in un'azione di grande valore etico e sociale, per la libertà della
cultura e dell'informazione nel mondo elettronico.
LA LIBERTÀ D’ INFORMAZIONE
Si entra veramente nel problema della moralità quando si pone la libertà alla seconda persona,
come il volere della libertà dell'altro, il volere che la tua libertà sia. Infatti, come non vi può essere
la problematica della seconda persona se io non so cosa vuol dire io, essendo l'altro un altro io, così,
se non comprendo che cosa vuol dire per me essere libero e dovere diventarlo, non potrei volerlo
per gli altri. Tutta l'etica nasce da questo compito raddoppiato di far emergere la libertà dell'altro
come somigliante alla mia. Si tratta di realizzare la mia libertà attraverso la tua e la tua libertà
attraverso la mia, facendo i conti con il limite. La libertà di informazione va declinata al plurale
più che al singolare, perché non esiste una sola libertà di informazione, ma tante libertà quante sono
le posizioni che un individuo può assumere rispetto a questo diritto fondamentale. Per questo
parliamo di tre modalità della libertà di informazione: attiva, passiva, riflessiva libertà di
informare, la libertà di essere informati e libertà di informarsi costituiscono il trittico della
libertà di informazione c'è chi sostiene che con la legge sulla privacy sia stata introdotta una quarta
dimensione dell'unico generale diritto di informazione: il diritto dell'individuo a poter
controllare le informazioni sul proprio conto ed eventualmente a chiedere la cessazione del
trattamento la modifica e l'aggiornamento.
Analizziamo alcuni problemi etici dei diversi momenti della libertà di informazione:
1. La libertà attiva di informazione si può rappresentare come libertà di informare gli altri,
singoli o collettività. La libertà di cronaca è una manifestazione peculiare della libertà attiva
di informazioneuna costante giurisprudenza ritiene legittimo l'esercizio del diritto di
cronaca anche nel caso in cui violi i diritti individuali di terzi, a causa del contenuto
diffamatorio ingiurioso, a condizione che rispetti determinati canoni di correttezza. Questo
non significa che la cronaca goda di un trattamento preferenziale rispetto ad altre forme di
espressione del pensiero, né che i cronisti e gli operatori dell'informazione godano di
speciali esenzioni dunque nessuna preferenza viene fatta dalla nostra costituzione tra le varie
forme di manifestazione del pensiero, né tra i soggetti che esercitano questo diritto di libertà.
L'intimità delle persone deve restare inviolabile, meno che in tre casi:
- quando essa nasconde atti contrari all'umanitàquesto caso rientra nel principio di
ingerenza umanitaria, che nega alle barbarie ogni diritto di simulazione o di proiezione
- quando scegli di esibirsi senza riservequesto caso è illustrato dell'esibizionismo di
individui, come le star artistiche sportive politiche che scelgono di rivelare i loro gesti
quotidiani e milioni di telespettatori per rafforzare la propria immagine.
- quando divulga sotto forma di immagine o di testimonianze fatti tali da far prendere
coscienza delle condizioni intollerabili e imposte a un individuo o una collettivitàIl
terzo caso pone l'esigenza di una distinzione tra la denuncia delle intollerabile e la
contemplazione morbosa di una sofferenza, data in pasto alla compassione. Per capire
meglio il concetto possiamo fare la differenza tra la testimonianza fotografica delle atrocità
perpetrate nel Vietnam dall'esercito americano che ha contribuito a sollevare l'opinione
pubblica contro la politica degli Stati Uniti; le immagini diffuse ciclo continuo di un
bambino caduto accidentalmente in un pozzo che rientrano nello sfruttamento mercantile
della disgrazia e alimentano un diletto tanto più morboso quanto più l'infortunio assume un
carattere universale e ineluttabile.
2. Complementare alla libertà attiva di informazione è quella passiva di essere informati: se
non ci fosse la libertà di ricevere informazioni, verrebbe ridotta anche la libertà di diffondere
informazioni. Senza la democrazia cognitiva entra a rischio la democraticità del nostro
sistema politico, in quanto viene a mancare la partecipazione consapevole e motivata dei
cittadini ai processi decisionaliA tale proposito diventa condizione indispensabile per la
realizzazione della libertà di informazione il pluralismo per garantire l'apertura dei mezzi di
comunicazione alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali. Il pluralismo delle
voci è rivolto a soddisfare il fondamentale diritto all'informazione del cittadino,
indispensabile per la formazione di una libera opinione pubblica. Si possono enucleare tre
distinti profili del pluralismo:
- Il pluralismo interno, che si realizza attraverso l'apertura del mezzo informativo alle
diverse tendenze politiche e culturali presenti nel paese, e richiede la conformazione dei
contenuti informativi veicolati attraverso i media alle esigenze provenienti all'intero corpo
sociale.
- Il pluralismo esterno che si sostanzia nella concorrenza tra il maggior numero possibile di
operatori dell'informazione, singoli e imprese, operanti nel mercato, in modo che tale varietà
di voci mette il cittadino in condizione di formarsi la propria opinione e valutare avendo
presenti punti di vista orientamenti differenti anche contrastanti.
- Il pluralismo sostanziale in base al quale bisogna assicurare uguali opportunità espressive
le diverse forze politiche in competizione durante una consultazione elettorale.
3. Infine, abbiamo la libertà riflessiva di informazione: essa consiste nella facoltà di attivarsi
per cercare e acquisire notizie e informazioni, ancorché non spontaneamente diffuse.
LA DICOTOMIA PAROLA/SILENZIO
La stampa, isolando il senso della vista e rompendo l'intreccio tra tutti i sensi, aprì la strada alla
segmentazione e creo un mondo di antinomie e di dicotomie altrettanto insolubili quanto irrilevanti:
una di queste dicotomie è quella tra parola e silenzio. Tale dicotomia rischia di conferire alla parola
il compito di esorcizzare il silenzio, che appare rilevatore del nostro nulla e pertanto una minaccia
per l'uomo. Nella filosofia moderna è stato soprattutto Kant, con l'equazione conoscere=giudicare, a
tracciare il rapporto tra parole e silenzioidentificando conoscere e giudicare, le forme logico
conoscitive vengono a coincidere con le forme linguistiche del giudizio. In tal modo la conoscenza
scientifica non ha più il suo primum nei dati dei sensi, come sostenevano gli empiristi, o nelle idee,
secondo i razionalisti, ma nelle rappresentazioni, cioè nei dati sensoriali strutturati dalle forme a
priori. Ne deriva l'equivalenza tra i limiti della conoscenza e i limiti del linguaggio. Ciò che è
inesprimibile non solo sfugge al linguaggio, ma anche alla conoscenza e pertanto non è
dimostrabile, può solo mostrarsi: su ciò di cui non si può parlare si deve tacere. La dimensione
originaria della conoscenza e dunque non intenzionale, e in espressione, il silenzio. La dicotomia
moderna tra linguaggio e silenzio allargato la portata dell'ineffabile fino a capovolgerle il rapporto.
Ora è vero, come hanno notato Umberto Eco, solo ciò che non si può spiegare. In una sorta di neo-
gnosticismo, di irrazionalismo, sorto come reazione al crollo delle grandi filosofie razionalistiche
della storia e come sfiducia nei confronti della scienza e della tecnica che pensavano di trasformare
il mondo attraverso un progetto razionale.
IL SILENZIO È IL METAPROBLEMATICO
L'esperienza ci rivela che nella nostra esistenza non ci sono solo problemi da affrontare, ma vi è
anche il meta problematico o l'enigma. Nel problema l'incognita x si può trovare a partire dalla
conoscenza di un certo numero di dati punto nel mistero, invece, si pensi al mistero dell'essere al
significato della vita, tutti i dati diventano problematici punto se tutti i dati sono problematici dentro
nel gioco della discussione, non ci troviamo più di fronte a un problema, ma siamo immersi in un
meta problema. Mentre il problema noi lo comprendiamo, è il mistero che ci comprende. Il
problema è qualcosa che ci sta di fronte, è circoscrivibile scomponibile; Il mistero è un qualcosa in
cui io stesso sono impegnato e che quindi non è concepibile che, come una sfera in cui la
distinzione tra l’in me è il davanti a me, si svuota del suo significato iniziale.