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DIPENDENZA DA INTERNET (riassunto)

INTRODUZIONE, con l’ottimismo della ragione


Questo libro è concentrato sulla complessa problematica delle tecnologie sempre più
imponenti nel mondo dei giovani. Con l’introduzione della tecnologia nel nuovo mondo
moderno si è assistito a cambiamenti epocali: queste conseguenze si estendono su ambiti
sociali, costruzione della conoscenza ed elaborazione del pensiero.
Infatti la tecnologia influenza la mentalità, i comportamenti, l’identità ed il pensiero dei
giovani su una razionalità tecnica, strumentale ed utilitaristica. Questi atteggiamenti si
riversano anche sugli ambienti scolastici: i docenti di tutti i gradi delle scuole dell’obbligo
denunciano come questa tecnologia limiti la soglia di attenzione, di concentrazione, di
astrazione e di motivazione degli studenti. A tal proposito è stata condotta una ricerca
sulle nuove criticità nei processi di apprendimento evidenziate negli ultimi anni in tutti i
gradi di istituzione: Giorgio Poletti, analizzando i dati, nota un forte abuso del digitale che
conduce ad una forma pericoloso di dipendenza. Questa dipendenza può a sua volta
portare ad una perdita d’interesse sia nei confronti delle scuole sia nelle forme di
socializzazione. Questo studio, condotto su molteplici discipline (epistemologico,
sperimentale, filosofico-educativo, didattico), non solo evidenzia le criticità rilevate negli
approcci cognitivi di bambini e adolescenti ma inoltre mostra una soluzione a questa
dipendenza tecnologica. Infatti il web può e deve essere un ambiente formativo purché vi
sia un utilizzo critico e creativo da parte dei soggetti: bisogna che vi sia la ragione, che
vigila sul rischio della dipendenza, sia la competenza metacognitiva in quanto il web
richiede anche un livello maggiore di interpretazione. Si propone così una didattica
sapiente per gli studenti che ha come compito quello di promuovere un atteggiamento e
specializzazione attivi, favorire un approccio trans e interdisciplinare e condurre ad una
visione sistemica. Questa didattica ha lo scopo di informare il cittadino postmoderno delle
criticità del presente.
IL FILOSOFO RIBELLE, critica alla pervasività digitale
1. SOLITUDINI REALI E VIRTUALI – In questo paragrafo viene analizzato e preso come
punto di riferimento il pensiero del filosofo coreano Han: costui viene ricordato per la
sua intransigente indagine sul digitale, che viene definito come uno strumento di
oppressione politica, sociale e culturale. Vengono analizzati in particolare due libri
dell’autore, “Nello sciame. Visioni del digitale” e “Psicopolitica”, in cui spiegano al
meglio le problematiche che il filosofo rileva del mondo digitale. Prima di tutto il mondo
digitale ha contribuito a smarrire l’umanità in quanto i media non producono relazioni di
scambio sociale ma isolano e generano forme di narcisismo. Infatti, la massa umana
unita in questo contesto digitale non sviluppa un “Noi” ma anzi alimenta sempre di più
l’esibizione dell’intimità e della sfera privata di ogni singolo soggetto. Questo comporta
ad una grande conseguenza: smarrito così il contatto reale, diventando sempre più
rarefatto, reale e virtuale finiscono per confondersi e sovrapporsi. Altro aspetto che
impone il mondo digitale, secondo Han, è una libertà illusoria in quanto i soggetti non
sono solo facilmente dominati perché sono sempre più contagiati dalla passività dei
media, ma allo stesso sono sempre costantemente osservati dai loro stessi strumenti
tecnologici. Questa sorveglianza non è solo “passiva” ma diviene anche un controllo
attivo in quanto i big data, se opportunamente manipolati, rappresentano forme
d’accesso alla nostra psiche e hanno così l’obiettivo di condizionare i soggetti a livello
“pre-riflessivo”. Ed è proprio qui che si instaura, secondo il filosofo, la relazione fra
politica e mondo digitale: per Han il nuovo potere democratico non si sarebbe
realizzato senza queste tecnologie. La critica che egli pone a questa relazione è che
queste tecnologie avrebbero potuto avere un maggior ruolo nella Stato se non fossero
state piegate a tale “sorveglianza”. Oltre a questa libertà illusoria vi è anche la
trasparenza che domina l’essere umano: questo aspetto viene focalizzato sulle
informazioni al quale i soggetti hanno accesso illimitato grazie al web ma che ciò non
aiuta ad estendere un pensiero più profondo o ad acquisire migliori strategie per la
nostra vita. La conseguenza di questa trasparenza porta a non essere più cittadini attivi
alla vita dello Stato ma ad esserne solo degli spettatori in quanto non ha più particolari
interessi. Ultimo problema che scaturisce il mondo digitale è la perdita di pensare in
maniera complessa in quanto gli strumenti digitali impongono operazioni semplificate di
input-output. Questa problematica nasce dall’essere umano stesso in quanto si affida
alla mente digitale, illimitata di informazioni, perché la nostra mente tende a
dimenticare risultando più debole nell’archiviare informazioni. A tale pensiero viene
associato anche il pensiero sociale di Bauman: anche costui vede i media come uno
strumento di disordine sociale, culturale e psicologico del soggetto. L’individuo, una
volta perso le sue certezze, si rifugia nel mondo digitale credendo di trovare libertà e
sicurezza ma, come anche per Han, questa sicurezza è illusoria.
2. RETI DI VIOLENZA ANONIMA – Questo paragrafo vuole evidenziare come il mondo
digitale rende i soggetti, che ne usufruiscono, vittime inconsapevoli di una violenza di
cui non avvertono l’efficacia devastante. Questa violenza è rivolta sia al pensiero
cognitivo del soggetto sia alla sua presa di posizione nel mondo reale. In primo luogo, il
mondo digitale viene paragonato al mondo descritto da Orwell nel romanzo “1984”:
come Big Brother costruisce una dittatura dominata da un solo pensiero e significato,
Internet domina i propri soggetti attraverso la seduzione. Questo implica una grande
manipolazione nei confronti del pensiero umano che, attraverso un progetto di
elementarizzazione, diventa sempre meno complesso e cognitivo. La conseguenza è
che non solo gli esseri umani vengono addomesticati e fatti vivere al di sotto delle loro
potenzialità ma questo può e porta ad una grande forza violenta di ignoranza in
quanto, soprattutto nei giovani, non vi è libertà e volontà di pensiero. Anzi la volontà
ormai risiede nella vasta dose quotidiana di Internet. E anche se questa dominazione
viene colta dall’essere umano, le persone preferiscono sopportare la dittatura e non
aspirare alla libertà e alla partecipazione attiva alla vita democratica in quanto,
secondo loro, il “nuovo regime” non fa uso della forza. Altra violenza che impone il
mondo digitale è quello basato sul lavoro dell’essere umano. Attraverso l’analisi di
alcuni pensieri di autori della Scuola di Francoforte, come la società di massa si è
sentita alienata nei confronti della società e del mondo del lavoro, si è riflettuto e
pensato che anche la rete sia diventata la forma alienate di un lavoro che richiede
nessun talento. Il mondo digitale non è quindi visto come un semplice mezzo ma come
fine, per cui la rete facilita la gestione di un lavoro a “pezzi” umiliando così il soggetto a
semplice accessorio. Questa è una grande violenza in quanto l’essere umano,
accontentatosi del suo mediocre lavoro, non lascia traccia della propria identità in ciò
che produce. Possiamo quindi concludere che questo nuovo mondo viene descritto da
Han come un “secondo illuminismo” in quanto ora pone la sua fiducia solo alle
“barbarie dei dati”, unica certezza che non ha bisogno di essere accompagnata da
un’ipotesi.
3. LE MACCHINE SONO PROTESI – In quest’ultimo paragrafo si vuole invece parlare di
come questo mondo digitale viene trasmesso negli esseri umani. Si inizia con la
citazione di Umberto Eco in quanto nel suo libro “Apocalittici e integrati: comunicazioni
di massa e teorie della cultura di massa” sosteneva che questi media vivono nella
realtà come “macchine pubblicitarie al servizio delle necessità del mercato,
rappresentando un tipo esempio della cultura di massa volta ad influenzare le scelte
del pubblico”. La macchina, come definita nel dizionario della Treccani, è quel mezzo
che facilita il lavoro dell’essere umano in quanto compie tutte quelle operazioni che
risparmiano fatica e tempo al soggetto. Ecco perché questi mezzi digitali vengono
introdotti per la prima volta nei contesti scolastici: come definisce Skinner, questi
strumenti digitali non sostituiscono il lavoro dei docenti e l’importanza
dell’apprendimento tramite la didattica, ma devono essere “attrezzature preziose che
gli insegnati impiegheranno per risparmiare tempo e fatica”. Ma queste macchine con il
tempo si sono sempre più trasformate passando dal terreno formale-istruttivo ad
informale-ricreativo. Questo è stato causato dall’innovazione della rete che ha
influenzato sempre più i giovani portando via un’elevata capacità di attenzione e di
abilità considerate normali prima dell’arrivo del mondo digitale. Seppur ritenuta una
grande rivoluzione in quanto la rete permette di accompagnare l’educazione scolastica
tramite diversi giochi che suscitano l’apprendimento, bisogna concentrarsi più
sull’aspetto metodologico con fini educativi e non solo ludici. A tal proposito si sono
condotte ricerche che hanno verificato che l’informazione è il vero ostacolo della
formazione. Infatti ricordiamo le parole di Adorno che evidenziano l’esistenza di un
“velo tecnologico” che nasconde e confonde le strategie degli esseri umani. Sorgono
però altrettante interessanti critiche riguardo il mondo digitale: possiamo citare Jasper
che individua una solidarietà tra comunicati digitali in quanto tutti ricercano la verità;
Carlo Formenti che mette in luce l’impossibilità di controllare la rete ed un’intelligenza
autoreferenziale dello “sciame”. A questo commento si accompagna quello di Keen che
insiste su un “darwinismo digitale”, ovvero della legge del più forte, che porta alla
conseguenza di uno “sciame” di soggetti tutti simili che non ascoltano. Citiamo anche il
concetto di “autismo elettronico” di Manuel Castells, ovvero a comunicazione di rete è
un’autocomunicazione di massa. Interessante è la definizione del nuovo “amico”
dell’era digitale di Sherri Turkle, un amico che altro non è che una strumentalizzazione
dell’alterità. Nicolas Carr invece si focalizza sul problema di Google, vero dominatore
della rete, in quanto pensa che la potente multinazionale voglia rendere questo
modello di intelligenza artificiale più potente di quella umana. Il russo studioso Morozov
ritiene che questa rete porti via il senso di civismo nei giovani rafforzando sempre più
localismi e nazionalismi pericolosi, come organizzazioni terroristiche. Lanier invece
deduce che sia lo stesso “sciame”, completamente preso dalla tecnologia, a cancellare
l’autonomia dell’individuo. Interessante il termine “googlization” di Vaidhyanathan:
questo strumento permette di cogliere l’indipendenza degli utenti per esercitare una
maggiore macroinfluenza incontrollabile. Greert Lovik parla invece di internet come un
cambia di battaglia in cui i diversi media agiscono come produttori di verità
egocentriche a base di infiniti click. Infine non può mancare il pensiero di Orwell al
quale possiamo associare il suo “Ministro della verità”, che fra i diversi compiti ha
anche quello di cancellare con tutte le procedure parole sgradite al potere, al nuovo
mondo digitale.

USI E ABUSI, le nuove difficoltà cognitive da dipendenza tecnologica


1. INTRODUZIONE: I FIGLI DELL’ERA DIGITALE – Con l’introduzione della tecnologia, il
mondo digitale ha assunto dimensioni inimmaginabili solo pochi anni fa. Questo
universo infinito affascina ed interessa il campo sociale, economico e soprattutto
antropologico in quanto introduce un nuovo tipo di umanità con differenti mentalità e
modelli di pensiero inediti. Inoltre è interessante sottolineare come questo mondo
digitale acceleri i tempi e dilati il campo d’azione delle esperienze. In questo mondo
vivono soprattutto i giovani che vengono visti come una tribù accomunati dallo stesso
gergo, ma questo ha portato ad innumerevoli conseguenze. La prima fra tutte è quella
che i giovani creano e confondono l’identità digitale con quella reale. Con l’introduzione
della tecnologia nelle scuole, come aiuto didattico, approvata dal MIUR nel 2012, si
assiste ad un nuovo fenomeno ancor più grave: la dipendenza da Internet a partire
dalla fascia d’età infantile a quella adolescenziale. Questa dipendenza manifesta
sintomi simili alle dipendenze da sostanze. Questi soggetti vengono definiti “soggetti
addicted” in quanto fanno abuso ossessivo di queste tecnologie tanto da portare ad
alcune conseguenze: perdita di controllo del proprio tempo, uno scarso rendimento o
abbandono scolastico (p.38), vere e proprie crisi di astinenza quando si interrompe o
diminuisce l’utilizzo delle piattaforme. Altre gravi conseguenze della dipendenza dalle
reti è la perdita delle competenze emozionali, tanto da sfociare nella solitudine: si è
condotto uno studio a riguardo e si è arrivata alla conclusione che il mondo digitale è
così tanto stimolante, piacevole e immediatamente gratificante non solo
nell’apprendere informazioni ma anche nelle comunicazioni in quanto evita un contatto
personale che risulta più impegnativo, da rimuovere il senso della distanza e del
tempo. Così si distorce la relazione con il mondo in quanto si preferisce la
comunicazione web-mediata perché sfugge al senso di disagio e di imbarazzo
comportamentale e caratteriale delle persone. A tal proposito sono stati condotti molte
ricerche quantitative sull’abuso delle dipendenze: vi sono percentuali elevate in tutti i
continenti di soggetti smarriti nel mondo digitale, soprattutto nel mondo asiatico
(Giappone, tribù del pollice) [p.36].
1.1. a proposito della tecnologia – In questo paragrafo si vuole sottolineare la grande
differenza che vi è fra “tecnica” e “tecnologia”, ma prima di passare a queste due
definizioni è bene porre un contesto. Abbiamo già detto che il mondo del digitale
non favorisce la crescita cognitiva ed emozionale tanto da isolare e a far crescere la
dipendenza tecnologica nei ragazzi che ne fanno troppo uso. Si può parlare così
già di un uso eccessivo e scorretto delle tecnologie digitali. Alcuni studiosi hanno
rilevato queste conseguenze sin dalle scuole elementari per passare poi ad un
aumento di questa dipendenza nei ragazzi frequentati scuole di secondo grado ed
università. Si rileva, ancora una volta, un grande problema cognitivo che è sempre
più alimentato anche dagli stessi pensieri degli adulti ed anziani: non conoscendo
appieno e non sapendo maneggiare con questi dispositivi, costoro credono che i
ragazzi della nuova generazione siano più intelligenti della precedente generazione.
Questo alimenta l’illusione dei giovani sempre più bravi e veloci nell’utilizzare
queste nuove attrezzature: credono di saper padroneggiare il mondo virtuale tanto
da negare il valore dei saperi scolastici in quanto l’immediatezza delle informazioni
e dei saperi è ben più gradevole e soddisfacente. Ma tutto ciò si rivela essere
un’illusione in quanto in queste informazioni rapide via web mancano molte delle
premesse per una elaborazione profonda dei contenuti e per una competenza
metacognitiva. Possiamo quindi dire che un’altra conseguenza che ha prodotto il
mondo digitale è l’aver fatto combaciare le due definizioni all’inizio citate. Vi è una
grande differenza tra “tecnica” e “tecnologia”: prendendo sempre come riferimento
l’enciclopedia della Treccani, definiamo la tecnica come “l’insieme di norme che
caratterizzano un’attività” insistendo sulle qualità pratiche dell’essere umano e sulle
acquisizioni tramite esperienza e conoscenze scientifiche delle tecniche. Mentre la
tecnologia “mette in rilievo il settore delle ricerche al fine di forgiare strumenti per la
soluzione di problemi pratici tenendo conto dell’ottimizzazione delle procedure”.
Possiamo quindi vedere come questa tecnologia sostituisca l’essere umano e gioca
un ruolo attivo mentre la tecnica esalta la forte dominazione dell’uomo sulla natura.
2. LA RAZIONALITA’, QUANDO E’ STRUMENTALE – In questo paragrafo si parla di una
nuova caratteristica del mondo digitale. Questa caratteristica si focalizza sulla sua
ragione, sul tipo di razionalità che domina l’essere umano. Si parla di una razionalità
strumentale, ovvero basta unicamente sull’utile, su ciò che è necessario e pertanto sul
profitto. Lascia così da parte i fini ultimi del benessere dell’essere umano: come ci
ricorda anche Weber, vi è quindi l’affermarsi di una razionalità formale che condiziona
la routine dell’uomo, una routine segnata dal lavoro non come realizzazione del sé ma
come necessità. Questo porta quindi ad una forma di totalitarismo dominato e segnato
dal mondo digitale che mira solo sul profitto, sul fine. Questo conduce anche a
ricordare il pensiero di Adorno ed Horkheimer che vedono questo dominio sia
dell’uomo sia della natura come ingiustizia ed infelicità in quanto tutto si basa sul
capitale (Marx). Nel mondo odierno questa ragione strumentale domina la tecnica
portando l’uomo alla perdita progressiva del controllo dei mezzi trasformandoli in un
fine. Interessante è anche il pensiero di Heidegger in quanto sposta questo discorso
sul piano ontologico: egli crede e sottolinea che l’autodistruzione dell’essere umano è
data dal nostro stesso modo di intendere l’Essere e la nostra vita. Infatti siamo arrivati
oggi a dare forma ed oggetto a ciò che non è oggettivo in quanto la scienza e
soprattutto la tecnica lo rendono possibile. Per concludere possiamo quindi dire che
questa razionalità non è metacognitiva, in quanto vincolata al raggiungimento di uno
scopo pratico, e neppure in grado di favorire la creatività perché trascura la divergenza
e la molteplicità delle informazioni, mirando solo ad un pensiero convergente (no
fluidità di idee ed originalità).
3. L’INQUIETANTE ORDINE DEL DIGITALE – In questo paragrafo si vuole sottolineare il
pensiero e la presa di posizione del filosofo coreano Han in materia del mondo digitale.
Han ritiene che questo mondo fornisca un’immagine di ordine che in realtà non è altro
che un’inconsapevole sottomissione. Infatti per Han l’individuo è diventato imprenditore
di se stesso ma che vive nella costante paura di non essere all’altezza del suo
compito. Ciò comporta a quella che lo stesso filosofo chiama “ansia di prestazione” che
conduce a stati depressivi latenti. Per cui possiamo affermare che la società odierna è
una “società di prestazione”. Altro inquietante desidero dell’individuo del nuovo mondo
digitale è il continuo desidero dell’Altro in quanto si sente vittima di una “violenza
dell’uguale”: infatti Han dice che questo mondo è caratterizzato dall’Uguale “poiché
ognuno è iper-consumatore ed iper-comunicatore, accumulatore di big data”. Per
questa ragione l’Altro diviene un desiderio ed un mistero per l’essere umano. E’
interessante soffermarsi anche sul pensiero di fine ‘800 di Gianni Vattimo: egli temeva
fin da allora che il mondo tecnologico poteva ridurre l’uomo ad un ente prevedibile ma
a cui era in grado di ribellarsi a questa forma di tecnologia. Mentre oggi vediamo,
sempre attraverso le parole di Han, come il medium digitale è arrivato a modificare in
maniera decisiva e costante il nostro comportamento. Per citare l’espressione di
Umberto Eco, siamo diventati soggetti “integrati”, ovvero individui che apprezzano il
cambiamento del mondo in uno più tecnologico tendendo sempre così ad intossicarci
del digitale. Questo porta a pesanti conseguenze, il primo fra tutti quello di non essere
più una “massa” (Le Bon) ma solo uno sciame che non sa esprimere un “Noi”, ciò
implica anche la carenza della comunicazione tra persone reali. Questa sottomissione
digitale porta anche a disimparare a pensare in maniera complessa in quanto l’essere
umano si affida alle informazioni superficializzate e condivise da tutti: il compito del
mondo digitale è quello di ottenere un cittadino che si domina con facilità non
proponendo nulla da leggere e da pensare. Questo aspetto ricade anche
sull’ideologismo di ogni teoria: con il mondo digitale vi sono un sufficiente numero di
dati disponibili tanto da rendere superflua la teoria. Quindi la mente umana diventa così
irrilevante nell’interessarsi di storie e racconti in quanto tutto quello che conta è
addizionare ed accumulare dati. Ultima conseguenza, già ribadita negli scorsi
paragrafi, riguardano le emozioni che sono altrettanto manipolate. Tutto questo mondo
digitale si riflette anche nella politica, definita come psicopolitica in quanto è lo stesso
individuo ad essere un organo genitale del capitale: il soggetto è imprenditore di se
stesso e quindi dello stato, un soggetto non libero in quanto la tecnologia rende lo
rende passivo ma allo stesso tempo lo illude ad essere attivo attraverso la
manipolazione dei big data. La via di fuga da questa sottomissione del mondo digitale
che propone Han è quello di avere il coraggio della resistenza contro la “violenza del
consenso”: per arrivare a ciò bisogna possedere una conoscenza eretica, una
selezione critica ed un ordine logico nei confronti delle informazioni e del mondo
digitale.
4. ATTESE E DISATTESE – E’ in questo contesto digitale che avviene l’antropologia
della nuova generazione e diversi studiosi ritengono che queste nuove tecnologie
debbano essere usate in maniera funzionale, critica e creativa (p.53) per poter essere
ritenuto un soggetto competente e non addicted. Possiamo quindi dire che la nuova
tecnologia deve accompagnare l’attività cognitiva, per cui non si deve solo basare ad
una sola interpretazione ma bensì allo sviluppo di altrettante strategie. L’aspetto più
importante del processo cognitivo è la percezione del sé, ovvero la consapevolezza dei
meccanismi di costruzione delle conoscenze e delle proprie idee. E proprio perché ad
oggi il concetto di formazione e di educazione sono cambiati, riducendoli sempre più a
tecnicismi e a superficialità, tutte le conoscenze dei soggetti della nuova generazione
non vengono interiorizzate e provocano disordini mentali. E’ bene quindi prendere
provvedimenti sin da quando sono bambini: sia genitori che inseganti si devono
applicare a sorvegliare e a guidare i bambini riguardo questi media (p.55). Bisogna
infondere a questa nuova generazione il pensiero critico in quanto apre le menti dei
soggetti riguardo i pericoli e l’utilizzo di queste nuove piattaforme digitali. Ciò è compito
delle scuole e delle famiglie, attivando un lavoro di grande collaborazione.
DALLA RAGIONE DISPERATA ALLA RAGIONE COMUNICATIVA
1. INTRODUZIONE – In questo capitolo si vuole indagare sulla questione “dipendenza da
internet”, che è sempre più estesa fra i ragazzi, al fine di individuale le ragioni di una
crisi del pensiero che inaugura una nuova antropologia. In questo capitolo verranno
analizzati alci aspetti del pensiero di Habermas, che studia la ragione ed il suo
impegno plurimo, in quanto è in stretta connessione con le questioni formative del
nostro tempo. Accanto al pensiero del sociologo, verrà anche analizzata ed interpretata
la ragione strumentale e la ragione critica.
2. LA CRISI E IL TESSUTO FORMATIVO DELLA SFERA PUBBLICA – Habermas
indaga sulle relazioni tra conoscenza ed interesse e in merito a ciò ha individuato tre
modelli di scienza: quella empirico-analitica che ricerca le leggi di spiegazione e con un
interesse tecnico, quella storico-ermeneutica che predilige la comprensione e con un
interesse pratico, ed infine quella critico-riflessiva che vuole individuare un modello
sostenibile di condizione umana e con un interesse emancipativo. Al giorno d’oggi il
modello preponderante è il primo e questo porta al pensiero unilaterale che esclude
l’esercizio della ragione critica. Quindi possiamo parlare di una ragione strumentale:
questa è stata analizzata da Weber all’interno del sistema industriale occidentale del
‘900. Questo sistema si avvale di una razionalità formale in quanto si preoccupa solo di
individuare l’adeguamento dei mezzi ai fini pratici da conseguire, quindi la sua unica
logica è quella del profitto. Adoro assieme d Horkheimer aggiungono una nota
pessimista a questa ragione in quanto ostacola l’impulso al piacere (ovvero alla felicità
che deve adeguarsi alle esigenze del mercato), domina sulla natura e sugli uomini ed
infine imponi doveri in assenza di diritti. Tale vita ora è all’interno del nuovo mondo
globale, che riscontra crisi. La prima fra queste, come spiega Habermas, è che il
cittadino si trasforma in un consumatore: se la cultura non riesce a motivare polita,
formazione e lavoro, questa carenza viene colmata dal consumismo. Per cui l’essere
umano si consola comprando senza rendersene conto, soprattutto i giovani. Altra
grande crisi è quella della scomparsa della sfera pubblica che viene sostituita sempre
più da quella privata. Si parla infatti di un egocentrismo crescente, che contamina le
giovani generazioni, rendendo queste ultime poco empatiche e scarsamente motivate
ad un contatto con l’altro che non abbia fini di interesse personale. Ciò e dovuto ad una
restrizione dello spazio comunicativo in quanto vi è la tendenza a favorire gli interessi
di piccoli gruppi, togliendo lo spazio ed il respiro ai grandi temi che hanno invece
bisogno di partecipazione, confronto e apertura. Questo così porta via quel processo
spontaneo di discussione tra soggetti liberi ed uguali, che era garantita dalla pluralità
mediativa di organizzazioni (partiti, sindacati, associazioni, ecc). Oggi la rete digitale ha
cancellato il piacere di incontrarsi faccia a faccia per comunicare, dibattere ed entrate
in relazioni. Ciò porta ad un’altra conseguenza, ovvero al non avere più lo spazio di
un’opinione pubblica: possiamo quindi dire che ciò rappresenti ben più di una crisi
economico-sociale in quanto i cittadini hanno perso la loro consapevolezza agendo
soprattutto tramite le tecniche digitali che di fatto allontanano i soggetti dalla
partecipazione e dalle libertà fondamentali. Tutto ciò trova terreno fertile nelle scuole
ed è quindi indispensabile una vera e propria svolta per garantire un futuro alla civiltà
democratica. Di qui la necessità, sul campo della formazione, di ripristinare l’impegno
critico della ragione: ciò sarà possibile solo con una spinta proveniente dal basso, da
quella sfera pubblica che deve poter riappropriarsi del suo ruolo autonomo di azione
politico-sociale. In altre parole, bisogna ricollocare i processi formativi al centro di una
strategia d’impegno democratico ed il primo passo potrebbe essere quello di
salvaguardare la dignità di tutte le discipline, il suo valore nel campo delle conoscenze.
3. INSIDIE DELLA COMUNICAZIONE E STRUMENTI DELLA DEMOCRAZIA –
Habermas, come Adorno ed Horkheimer, coglie un pessimismo nei confronti della
modernità: questo pessimismo riguarda proprio quella ragione “disperata” che guida
l’affermarsi progressivo del capitalismo che altro non fa che generare barbarie. Queste
ultime sono la disumanizzazione dei rapporti interpersonali, un ottuso dominio sulla
natura fino a raggiungere all’impoverimento. Ragion per cui il nostro autore rivolge una
critica alla ragione strumentale: mettendo in discussione la sua potenza, siamo
consapevoli di possedere un legame ragione-potere che contamina l’intero panorama
esistenziale, dal lavoro alla scienza ed in particolare alla tecnica. Questa oggi si è
tradotta in un mito ingannevole, per cui possiamo dire che questa nuova ragione non è
più malata ma disperata in quanto vi è lo stesso modo di vedere, ascoltare e
consumare. Questo ci porta anche a focalizzarci sulla ragione comunicativa che è
sempre più immersa nelle inquietanti forme pseudo-comunicative del digitale,
diventando anch’esso un’ideologia. In assenza della ragione comunicativa (p.64),
ormai in balia del digitale, l’essere umano non è in grado di orientare la propria
esperienza storica, culturale e sociale. Questo comporta all’esaltazione di quella che
chiamiamo “ragione soggettocentrica”, definita come ragione strumentale. Per cui
possiamo dire che sia mutato il modo di essere della sfera pubblica sotto l’effetto dei
media di nuova generazione: internet non rappresenta un vantaggio o uno svantaggio
ma il suo problema consiste nel fatto che “la rete distrare e disperde”. Habermas
definisce questo problema come un “rumore digitale” che porta all’isolamento e alla
frammentazione del sociale. Quindi è necessario l’introduzione, già avviata,
dell’educazione civica in quanto aiuta a rispettare i valori democratici e riappropriarsi
del ruolo dei cittadini. Se questo rispetto non deve esserci, se questa educazione viene
a mancare, allora la stessa prtica educativa perde di rilevanza etica e conoscitiva.
4. INTERCULTURA, CONFRONTO E RICONOSCIMENTO – In questo paragrafo si
vuole evidenziare l’importanza della socializzazione (p.66), di lo stesso Habermas ci
parla, in quanto questa apertura sociale ci aiuta a coltivare sempre più l’educazione
civica. Viviamo in un mondo globale che ha incarnato la negazione dei diritti umani in
quanto il suo unico obiettivo è quello del denaro, ottenibile con ogni mezzo, anche con
la distruzione dei valori e delle culture. Si vive in una società liquida, come ci viene
ricordato da Baumann, “in cui le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano
prima che i loro modi di agire riescono a consolidarsi in abitudini e procedure” . Questa
liquidità oggi affascina ed attira i comportamenti giovanili in quanto si parla di un nuovo
modo torbido, imprevedibile e fuori controllo. Ma questa globalizzazione si instaura
anche nei legami con la finanza e ha come scopo quello di ridurre ogni individuo al
consumo acritico e di privare il soggetto di autonomia in nome dell’omologazione. E
questo discorso equivale anche per la cultura globale che pianifica il suo pensiero
unico su basi scientifiche che invocano una sola modalità di spiegazione dei fatti. Per
cui possiamo stabilire di essere nel pieno della tecnoscienza, la quale trova risposte
poco impegnative a molti dubbi, contraria alla democrazia cognitiva che è l’unica a
favorire l’incontro e lo scambio tra differenze che facilitano la crescita di un mondo più
pacifico, empatico e rispettoso delle diversità. Ecco perché è necessario e di
fondamentale importanza l’aspetto della socializzazione: Habermas definisce il
soggetto non tanto passivo ma, assieme agli altri, egli esercita il rito del consumo
comune che favorisce la rifeudalizzazione della sfera pubblica. L’autore pone molta
importanza sul riconoscimento dei diritti collettivi, punto di forza dei consumatori, in
quanto determina un’intesa fra soggetti volti alla reciprocità nelle interazioni del loro
agire. questo aiuta a dare un senso alla democrazia di questo presente: la solidarietà
tra estranei, di cui parla Habermas, è di fondamentale importanza perché apre
all’ostilità. Questa apertura non è un allarmismo ma un ribadire con forza la necessità
di un uso pubblico della ragione che aiuta al dibattito fra cittadini. Per far ciò però
occorre una mentalità dei cittadini attiva, quindi uno sforzo ermeneutico capace di
mettere in discussione un assunto di tolleranza perché bisogna saper accogliere o
straniero nelle sue diversità.
LA PAROLA AGLI INSEGNANTI
1. RICERCA QUALITATIVA E QUANTITATIVA – La ricerca è un’indagine che mira ad
approfondire, accrescere e sottoporre a prova il complesso di cognizioni, teorie,
documenti, leggi inerenti ad una determinata disciplina. Per cui possiamo dire che la
ricerca diviene la chiave per analizzare i dati e le metodologie che determinano le
relazioni che esistono tra i dati stessi. La logica (epistemologia) di una ricerca
sottolinea una profonda relazione tra i processi mentali e la costruzione delle
conoscenze dei soggetti e dei suoi processi naturali e sociali che gli stanno attorno.
Inoltre si parla di una ricerca che lavora sulla convinzione che l’errore può essere
considerato una rielaborazione in chiave scientifica (riferimenti agli appunti). Definito il
concetto di ricerca, applichiamo quest’ultima nel campo della pedagogia: vi sono due
metodi di ricerca che si possono applicare, quello quantitativo e quello qualitativo. Il
primo si basa sull’applicazione di un metodo botton-up (le singole analisi sono
specificate in dettaglio e poi connesse tra loro in modo da formare componenti più
grandi fino a giungere ad un sistema completo), mentre il secondo applica un metodo
top-down (ovvero una formulazione generale in cui si descrive la sua finalità senza
entrare nel dettaglio, ma poi successivamente rifinita). Il metodo quantitativo si basa su
un approccio numerico e ha come obiettivo quello di verificare teorie, adatto quindi ad
individuare la ricorrenza dei fenomeni per poter definire processi generali con un lavoro
che tenda a standardizzare i dati. Mentre il metodo qualitativo si basa su un approccio
descrittivo e ha come obiettivo quello di interpretare dati e informazioni che emergono
dalla realtà indagata, adatto ad indagare su realtà complesse. Vi sono grandi
differenze (tabella 1, p.74) fra questi due metodi di ricerca che possono essere
suddivise in
● Riferimenti epistemologici:
ricerca qualitativa – idealismo, attenzione all’etica; ermeneutica, attenzione
all’interpretazione; fenomenologia, attenzione sulle apparenze illusorie; post-
modernismo, tener conto delle crisi dei grandi ideali moderni; costruttivismo,
convinzione che la rappresentazione della realtà è il risultato delle attività
costruttive delle nostre strutture cognitive; rifiuto del modello delle scienze
naturali, inadeguatezza di un sistema deterministico in quanto crede ad una
stretta correlazione tra causa ed effetto.
ricerca quantitativa – modello delle scienze naturali; realismo, convinzione
dell’esistenza di una realtà indipendentemente da schemi concettuali, pratiche
linguistiche e credenze; positivismo, fiducia nella scienza e nel progresso
scientifico-tecnologico che sottolineano l’importanza dell’obiettività e di studiare
comportamenti osservabili; post-positivismo, approccio critico della realtà che si
studia.
● Oggetto di ricerca
ricerca qualitativa- natura delle cose, significati, fenomeni naturali, sociali e di
apprendimento.
ricerca quantitativa – qualità delle cose, comportamenti e fenomeni artificiali,
con l’attenzione sui fenomeni riproducibili.
● Obiettivo della ricerca
ricerca qualitativa – esplorazione, di processi che permettono di far emergere
una teoria ed un obiettivo ideografico richiamando le scienze storiche o spirituali
o di quelle che studiano il soggetto.
ricerca quantitativa – testare ipotesi e testare teorie con l’obiettivo di ricercare
leggi generali e di formulare teorie comprensive.
● Tecnica di indagine della ricerca
ricerca qualitativa – metodi di osservazione, strumenti come interviste aperte
che permettono ai ricercatori di essere vicini all’abito d’investigazione; uso di
domande standardizzate e libere.
ricerca quantitativa – esperimento (metodo), strumenti come inchiesta
campionaria che aiuta a rilevare le informazioni; domande standardizzate.
● Analisi e rappresentazione dei dati
ricerca qualitativa – interpretazione, codifica e descrizione.
ricerca quantitativa – statistica descrittiva (strumenti grafici) e inferenziale
(caratteristiche dei dati e dei comportamenti con una possibilità di errore
predeterminata), analisi formale.
Entrambe le ricerche citate utilizzano due metodi di ricerca nelle diverse fasi delle
analisi di un fenomeno: esistono fasi e metodi di ricerca che si adattano a livello
“conoscenza” che si ha del fenomeno. Vi sono infatti tre macro fasi dell’approccio del
fenomeno
o poco conosciuto, sia qualitativo che quantitativo operano per esplorazione e
descrizione utilizzando entrambi un metodo induttivo.
o parzialmente conosciuto, i qualitativi cercano di risalire ad una possibile
produzione di regole mentre i quantitativi procedono dall’esplorazione alla
definizione di un concetto generale. Entrambi operano per deduzione ma con la
differenza che il secondo è un motivo di modifica del modello ed il primo è un
arricchimento del modello.
o meglio conosciuto, la ricerca qualitativa si base su un modello descrittivo in
quanto determinano e definiscono una serie di regole all’interno del fenomeno
mentre quella quantitativa opera per un modello calcolato. Non vi è per forza il
modello della deduzione e dell’induzione.
Concludendo, spostiamo la nostra attenzione sugli indicatori che permettono di
determinare la validità di una ricerca qualitativa. Questi indicatori determinano una
validità
▪ torica, che misura la coerenza fra le ipotesi iniziali o sviluppate durante la ricerca
e i dati e i risultati ottenuti.
▪ strutturale, che misura il grado con cui le diverse procedure e metodologie di
raccolta dati e l’analisi relative fanno giungere agli stessi risultati.
▪ semantica, misura la corrispondenza tra le categorie di analisi e i significati
assunti nel contesto indagato.
2. COSTRUIRE QUESTIONARI – In questo paragrafo si dedica l’attenzione al
questionario, strumento utilizzato per la ricerca a carattere esplorativo anche sulle
criticità nei processi di apprendimento. Il questionario raccoglie le informazioni su un
fenomeno di interesse ed è strutturato in modo tale da raccogliere dati confrontabili.
Questo strumento è un elemento di dialogo tra ricercatore, colui che avvia la ricerca e
definisce le domande ed analizza i risultati, il soggetto ed il rilevatore, che può essere il
ricercatore stesso o uno strumento non influente ai fini della strutturazione. In un
questionario, la sua struttura dipende dal tipo di fenomeno indagato, dal tipo di
strumento che si vuole usare per la somministrazione e dal tipo di domande e risposte
che si vuole ottenere. Le domande del questionario devono essere chiare, ovvero
ridurre al minimo le ambiguità e le possibili interpretazioni del quesito, semplici per
facilitare l’attenzione alla comprensione il più immediata possibile ed infine brevi
aiutando così lo sviluppo di un approccio empatico con le questioni. Le domande
possono essere aperte, chiuse e domande che usano una scala di valutazione, ma
prima di somministrate tali domande il ricercatore deve verificare che tutti i soggetti
siano in grado di saper dare una risposta e che tra queste domande non coesistano più
di una risposta. È inoltre importante porre l’attenzione anche sull’ordine delle domande
perché tende ad influenzare il risultato del sondaggio: infatti determinate domande
possono influenzare la risposta alle domande successive. Bisogna quindi minimizzare
questa possibilità. Esistono due modelli di sequenza delle domande: successione ad
imbuto, partendo da domande generali per poi spostarsi nel particolare (top-down), e
successione ad imbuto rovesciato, ovvero partire da domande particolare per poi
giungere a quelle generali (bottom-up). la prima sequenza aiuta a focalizzare
l’attenzione sul tema proposta, e quindi aiuta la memoria e a registrare opinioni non
mediate, mentre la seconda è adatta a raccogliere opinioni mediate su un determinato
argomento. Sempre in tema della struttura e delle caratteristiche delle domande, oltre a
far attenzione al linguaggio utilizzato (p.84), è necessario evitare
● domande doppie.
● domande retrospettive, in quanto implicano uno sforzo di memoria e sviluppano
due problemi: o la dimenticanza di un evento se non più citato o un errore di
localizzazione all’interno del periodo di interesse.
È importante che nelle domande e nelle risposte sia opportuno esplicitare criteri di
risposta e definire a quali paramenti riferirsi. Infine si preferisce utilizzare un approccio
etnografico (metodo scientifico usato dalle scienze sociali per approcciare e descrivere
il loro oggetto di studio), utilizzando come strumento le interviste in profondità (tecnica
di ricerca qualitativa che prevede una conversazione semi-libera tra ricercatore e
soggetto e costui può esprimere liberamente e dettagliatamente le proprie opinioni sul
tema), per tematiche che pongono il focus su atteggiamenti presunti.
Concludendo spostiamo l’attenzione sulle strutture del questionario:
▪ intervista diretta, vi è un rapporto diretto tra rilevatore e soggetto, quindi vi è una
sorta di giudizio da parte del rilevatore.
▪ intervista telefonica, vi è sempre un rapporto diretto ma con un aspetto più
“anonimo” del rilevatore.
▪ questionario cartaceo, non vo è un rapporto diretto, se non parzialmente, con il
rilevatore e questo può far emergere dei dubbi al soggetto sulle sue risposte
▪ questionario online, non c’è nessun rapporto diretto e nemmeno un reale
anonimo, bisogna quindi adattare indicatori per valutare spontaneità ed
attendibilità.
3. SCALE DI MISURAZIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI – In questo paragrafo si parla
delle scale valutative che interpretano i risultati dei questionari: questi strumenti
rivelano degli atteggiamenti che devono essere misurati con apposite scale. Queste
scale di misurazione permettono quindi di fare una misura della natura e delle intensità
delle opinioni, permettendo a sua volta una rilevazione della frequenza di determinati
comportamenti. Questi metodi di rilevazione tengono conto che un atteggiamento è
composto da comportamenti cognitivi (ovvero la conoscenza di un elemento), valutativi
(propensione ad esprimere un giudizio) ed infine conativi (la tensione ad un’azione
consequenziale). Le scale hanno come obiettivo la definizione di processi che
permettono il trasferimento di concetti complessi da un piano teorico ad un piano
empirico. Queste scale sono più efficaci per le ricerche qualitative. La suddivisione
delle scale di misurazione degli atteggiamenti può essere catalogata in
⮚ single item – si analizza una singola domanda al posto di una batteria di
domande, per cui si parla di una sola scala di domande chiuse con risposte
ordinarie.
⮚ multi item – si usano più domande e per ciascuna di essa sono proposte più
affermazioni da valutare. Questa scala viene considerata migliore di quella
precedente in quanto le domande singole sono meno valide, meno precise e
meno attendibili (p.87). Per validità si vuole intendere il grado di precisione della
traduzione in variabile di un concetto, mentre per attendibilità si intende il
concetto di riproducibilità del risultato.
Si fa riferimento a diversi livelli di misurazione nelle scale, infatti si parla in generale di
scale nominali (sesso, stato civile, occupazione), scale ordinali (titolo di studio), scale
ad intervalli (libri letti nell’ultimo mese) ed infine di scale a rapporti (assumono valori
numerici).
All’interno della catalogazione delle scale è possibile individuare tipologie specifiche
per il tipo di costrutto e di analisi che hanno come obiettivo. Le scale single item
possono essere suddivise in
▪ semanticamente autonome, le domande presentano delle alternative di risposta
senza mettersi in relazione con le altre categorie di risposta. L’autonomia
semantica permette di scegliere una risposta per il suo contenuto
indipendentemente dalla posizione nei confronti delle altre. (esempio p.88)
▪ parziale autonomia semantica, presentano categorie di risposta ordinate con
affermazioni del tipo “assolutamente contrario, contrario” e così via. Per cui le
risposte sono solo parzialmente autonome delle altre. (esempio p.89)
▪ auto-ancoranti, o munite da due categorie estreme (per nulla-molto), o divise da
un continuum, o rappresentato da caselle, da cifre o da un segmento ove
collocare la sua risposta. Vi è un criterio di autovalutazione. (esempio p.89)
Anche le scale multi item possono essere catalogabili in diverse tipologie e queste
sono
▪ scala di Likert, possibilità di applicare metodi di analisi degli item basati sulle
proprietà statiche delle scale di misura a intervalli o a rapporti. (esempio p.90)
▪ scala del Differenziale Semantico, ha lo scopo di rilevare il significato che
assumono i concetti che sono sottoposti a valutazione degli individui ed
utilizzano aggettivi bipolari (buono-cattivo). Questa scala può consistere in due
tipologie di analisi: aggregata, i punteggi individuali sono sommati per ottenere
un punteggio complessivo, e del profilo, rappresentazione grafica che si ottiene
unendo con una linea il punteggio. Quest’ultimo viene utilizzato per indentificare
i punti deboli e forti dell’oggetto analizzato.
▪ scala Stepel, sono scale monopolari e non verbali: si usano numeri e le frasi e
gli aggettivi sono presenti separatamente. Queste sono di più facile gestione in
alcune interviste, in particolare quelle telefoniche ed online. (esempio p.91)
▪ scala Guttman, proposta dallo psicologo sociale Guttman tra il 1944 ed il 11947,
questa consiste in una serie di domande su determinati problemi per il quale si
intende conoscere l’atteggiamento del soggetto. Queste domande sono
disposte in maniera che la risposta positiva di una domanda comporti risposte
positive a tutte le altre domande (si parla dello scalogramma). Questo sistema
risolve il problema dell’unidimensionalità della scala. (esempio p.91/92)
▪ scala di Thurstone, proposta dall’ingegnere e psicologo Leon Thurstone, e
questa scala presenta serie di domande e di risposte valutate da un gruppo di
esperti che distribuiscono le risposte su una scala ad 11 punti. Questo permette
di considerare un atteggiamento continuo. Questa scala misura una particolare
porzione del costrutto. Possiede però degli svantaggi: in termini teorici, lo
svantaggio è che non sono i soggetti a fare la scala ma i giudici esperti, difficili
da trovare, mentre in termini pratici lo svantaggio riguarda gli atteggiamenti che
non rispecchiano sempre il modello di Thurstone. (esempio p.94)
▪ scala Rasch, si fonda su un approccio di tipo probabilistico, presupponendo un
modello di relazione tra la posizione sul continuum e la probabilità di risposta ad
un determinato elemento della scala, chiamato traccia. (esempio p.95, figura 1)
Per concludere, analizziamo i vantaggi e gli svantaggi delle scale single item e multi
item (vedi tabella 4, p.96).
4. LA PAROLA AGLI INSEGNANTI, breve viaggio nel mondo della scuola – L’attività di
EURESIS (Laboratorio di Epistemologia della Formazione dell’Università di Ferrara),
dopo aver analizzato questo grande tema critico del mondo digitale, ha avviato il
progetto di una proposta di una scuola che miri alla valorizzazione dei talenti sia degli
insegnanti sia degli studenti. Il progetto parte dall’analisi della situazione e delle
percezioni dei docenti della scuola secondaria di primo grado strategie e procedure
che siano in grado di orientare diversamente le abitudini cognitive di bambini e di
adolescenti. Quindi il progetto è partito da un’intervista rivolta agli insegnanti riguardo il
mondo delle tecnologie ed il loro uso che hanno influito sugli stili cognitivi (di
apprendimento). Questa intervista prevede di utilizzare una scala di Likert e di essere
somministrata tramite un sistema on-line, e grazie ai docenti questo questionario è
stato diffuso tramite un link ad altri insegnanti. Si è prima scelto di voler somministrare
questa intervista ai docenti della provincia di Ferrara e in alcune scuole del Friuli-
Venezia-Giulia: il focus principale è stato sugli insegnanti della scuola secondaria di
primo grado ma si sono anche ottenuti questionari di docenti della primaria e della
secondaria di secondo grado. Il questionario, dopo aver dichiarato il suo progetto, è
suddiviso in tre sezioni: la prima riguarda la raccolta di dati relativi al titolo di studio,
sesso ed età (vedi tabella 2 p.98), la seconda sui dati relativi all’insegnamento e
dell’anzianità di servizio (vedi tabella 3 p.99) ed infine l’ultima sezione è quella più
importante perché riguarda la rilevazione del pensiero dei docenti (vedi tabella 4
p.100). Quest’ultima sezione è composta da tre domande, due chiuse ed una aperta
per raccogliere eventuali suggerimenti e sensazione degli insegnanti (far riferimento da
pagina 98 a 100 per comprendere la sua struttura). I questionari raccolti sono in totale
204 ed ora si analizzano i loro dati (immagini da p.101 a 103): la parte più importante
dei risultati è quella relativa alla sezione tre, che ha riportato dati che confermano la
criticità tecnologica studiata da EURESIS, quindi vi è la necessità di interrogarsi e
riflettere sugli stili di apprendimento e ripensarli in relazione alle tecnologie e al nuovo
modo di comunicare e di assumere le informazioni (vedi da p.103 a 105). Per
concludere, è interessante focalizzarsi sul prossimo obiettivo del progetto, ovvero la
ricerca sulla rilevazione degli stili cognitivi: una risposta di un docente al questionario
ha espresso la problematica del cattivo uso delle piattaforme digitali e non tanto della
scarsa capacità di apprendimento, ed è proprio qui bisogna chiedersi in che modo sia
cambiata il modo di usare e di percepire la capacità.

GIOCHI DELL’INTELLIGENZA NEL MONDO VIRTUALE, proposta educativa


1. INTRODUZIONE – c’è sempre stata la consapevolezza che le attività legate al gioco
facciano parte solo dei momenti della giornata legati allo svago, il gioco come perdita di
tempo in quanto ci distare dai doveri della vita. In pratica è quello che succede,
soprattutto per la sua invasività e nei confronti di un nuovo modo di giocare con
l’impegno di strumenti elettronici. Ma l’atto del giocare ha in realtà profondi significati
ed è legata direttamente a fenomeni culturali e sociali che hanno sempre avuto un
ruolo fondamentale nella crescita dei più piccoli. Infatti è attraverso il gioco che il
bambino sviluppa capacità, impara a relazionarsi, alimenta pensieri astratti, impara a
raggiungere obiettivi e a risolvere i problemi. A queste caratteristiche si devono
aggiungere certamente il piacere, la motivazione, la libertà, la spontaneità, la creatività
e l’immaginazione. Possiamo quindi dire che le attività di apprendimento dei bambini
sia legata al gioco, diventando oggetto di studio e analisi da parte delle ricerche
scientifiche (ricordiamo Montessori, Dewey ecc.). oggi, la ricerca di ambiti pedagogico
nominata game-based learning (disciplina che studia e fa ricerca sui giochi, anche
computerizzati) ha dimostrato come il gioco abbia una funzione centrale nello sviluppo
dei bambini e nelle sue capacità cognitive, sviluppando quindi forme di apprendimento
e di autoapprendimento. Proprio per queste ricerche anche la scuola deve tener conto
di tale importanza: l’istituto scolastico deve essere in grado di valorizzare la
dimensione ludica, soprattutto quando si parla di scuole dell’infanzia e primarie. Per
cui, l’obiettivo di questo capitolo è quello di indagare sulle potenzialità del videogioco
sul piano cognitivo e sul come costruire modelli/ambienti di apprendimento nell’ambito
del digital game design.
2. DAL GIOCO AL VIDEOGIOCO – Il gioco ha un ruolo fondamentale ed è riconosciuto
come diritto per tutte le età, infatti il gioco ha la caratteristica di essere
transgenerazionale. Il gioco ha da sempre una stretta relazione con l’intera società:
McLuhan lo considera come una modalità di partecipazione collettiva a schemi
socialmente condivisi, “sono un modo attraverso il quale l’intera società parla a se
stessa”. All’interno di questo tema è interessante citare Johan Huizinga in quanto
distrugge un dualismo che ha portato all’idea che il gioco fosse solo una banale
espressione più importati del lavoro, dei rituali e della religione. Per questo storico
olandese il gioco è una convenzione sociale, radicato nelle tradizioni, ed è ancorato
nell’anima e nel vivere sociale degli uomini strettamente connesso alla cultura umana.
Possiamo quindi definire che ogni cultura ha sviluppato un proprio modo di giocare,
esprimendo attraverso lo stesso gioco le proprie credenze, i propri valori e le proprie
tradizioni. È interessante studiare la stessa evoluzione del gioco: lo stesso Platone
parla del gioco come attività educativa dei bambini. Ricordiamo i Giochi Olimpici del
776 a.c. che esaltano l’ideale della perfezione dell’armonia del corpo e dello spirito.
Possiamo quindi notare le prime forme di attività ludica, che nascono con finalità
addestrative o militari durante l’età ellenica. Dall’antichità si arriva al Rinascimento,
epoca di grandi studi ed approfondimenti sul gioco come valenza educativa. A partire
dalla fine del Novecento si comincia a studiare il gioco in maniera più accurata e
scientificamente corretto: nasce così la disciplina Game Studies, che ebbe maggior
successo ed impulso negli anni Venti grazie all’enorme diffusione dei giochi
computerizzati. Tale disciplina ha indagato sul fenomeno del gioco e sulla sua attività
interdisciplinare e sulla sua crescita e ha concluso che tutto questo è strettamente
collegato alla diffusione dei giochi digitali intesi come pratiche culturali, a loro volta
collegate all’analisi del gioco come artefatto cognitivo. Riferimenti importanti sulla storia
del gioco si trovano negli anni Trenta del secolo scorso: ancora una volta, Huizinga
sottolinea l’importanza del gioco sia per l’individuo, in quanto funzione biologica, sia
per la collettività, in quanto funzione sociale. Infatti, nell’epoca di Spencer e
dell’estetica il gioco viene visto come costante dei comportamenti culturali. Il gioco,
secondo lo storico olandese, ha queste caratteristiche: libero e volontario, possiede
regole prestabilite, è al di fuori della vita ordinaria, è consapevole di non essere reale e
quindi poco serio (inteso come attività contraddistinta da caratteristiche di profondità e
riflessività), è fine a se stesso, avviene all’interno di confini spazio-temporali precisi ed
infine ci assorbe totalmente. È interessante citare anche Roger Caillos che nel corso
del Novecento definì “l’asse dell’atteggiamento del gioco”: il giocatore si posiziona in
due modalità di gioco, quella spensierata (paida) e quella invece del seguire regole
precise (ludus). Tutti questi autori citati hanno contribuito a costruire quella che oggi è
la disciplina del game-based learning. Ora invece ci soffermiamo a tratteggiare le
caratteristiche del videogioco: dal punto di vista tecnologico, altro non è che un
dispositivo hardware la cui parte più importante è lo schermo che diventa l’interfaccia
con cui il giocatore può interagire, accompagnato poi da mouse o tastiera o joystick. I
videogiochi nel corso del tempo sono sempre più cresciuti dal punto di vista tecnico e
hanno sviluppato tanti generi diversi: possiamo parlare dei giochi arcade (p.113), di
avventura, di azione, di strategia, di simulazione, di sports game, di ruolo ed infine
giochi educativi. I videogiochi hanno però un riscontro economico: da un lato può
essere considerato un aspetto positivo in quanto vi è un alto numero di interesse e di
pubblicazione, in termini anche internazionali (ricordiamo Asia, Stati Uniti ed Italia), ma
dall’altro lato abbiamo un aspetto più negativo e preoccupante. Ragione per cui questo
libro è stato scritto e pubblicato: Gramigna ha analizzato il forte abuso di queste
tecnologie digitali che portano ad una carenza comportamentale e cognitiva dei
soggetti. In più, dai dati analizzati dalla ISFE (industria dei videogiochi, interactive
Software Federation of Europe), possiamo notare come questi apparecchi elettronici
non siano solo usati dai giovani ma anche dagli adulti: è positivo se le ragiono sono
legate ad un controllo dell’utilizzo digitale mentre risulta negativo se gli stessi adulti non
hanno consapevolezza della gravità del digitale. Si ribadisce così un intervento
educativo teso a sfruttare le potenzialità delle tecnologie a supporto dell’intelligenza.
3. VIDEOGIOCHI E APPRENDIMENTO – In questo paragrafo si vuole evidenziare
l’importanza del rapporto che vi è fra il piacere che si può trovare nei processi didattici
attraverso il gioco, e più in particolare nel videogioco, e i relativi miglioramenti dei
processi di apprendimento significativo. È importante quindi mettere in evidenza la
ricerca educativa nel settore del game-based learning sul campo dell’apprendimento,
dall’asilo nido fino alla formazione professionale. Lo scopo di tale disciplina è
l’innalzamento del livello motivazionale e di coinvolgimento degli studenti senza che
essi possano pensare che si possa apprendere senza sforzo.
3.1 pro e contro – La potenzialità didattica dei videogiochi è oggetto di studio e di analisi,
ragione per cui bisogna anche tener conto delle diverse posizioni di vantaggio e
svantaggio dettate dai ricercatori. Le posizioni contrarie sono basate su condizioni di
ordine medico, psicologico e sociologico in quanto i videogiochi favorirebbero lo
sviluppo di una dimensione autistica, condotte antisociali e un atteggiamento violento
ed aggressivo. Più in generale, sia i genitori sia gli insegnanti esprimono un sentimento
di inquietudine, preoccupazione e di ansia vedendo come il tempo usato dai giovani su
queste piattaforme digitali porta via attività sociali, relazionali e di studio, con la
conseguenza di una difficoltà ad un coinvolgimento nelle attività didattiche. Ragione
per cui è importante trovare la chiave per evitare la frattura generazionale: i Games
Studies, perso in considerazione questa dinamica, si stanno occupando di scompattare
il dispositivo dequalificante, che per troppo tempo ha gravato sul nostro giocare.
3.2 potenzialità didattiche – In questo paragrafo si vuole invece sottolineare ed elencare
gli effetti positivi nel rapporto fra l’uso dei giochi computerizzati e le sue potenzialità
apprendimento. Il gioco favorisce
● partecipazione attiva in modo quasi naturale; il giocatore deve partecipare
attivamente per elaborare tutte le informazioni del gioco che permettono di
proseguire con i livelli e di sviluppare pensieri strategici indispensabili per il
gioco. Tutto ciò avviene naturalmente.
● attività collaborative e relazioni sociali; i giochi online favoriscono non solo
l’apprendimento delle lingue necessarie per comunicare ma milioni di persone
creano attraverso il gioco anche un senso di appartenenza e legami molto forti.
Questo sentirsi parte di una comunità viene rafforzato dalla logica di Rete e
degli ambienti Web 2.0. Se spostiamo l’argomento sul piano educativo
possiamo invece parlare di una pedagogia 2.0 o di alcune scuole che oggi sono
definite 2.0 in quanto sono ambienti didattici in grado di sfruttare le tecnologie
secondo principi teorici socio-costruttivi che generano modelli dinamici di
apprendimento.
● processi di apprendimento attraverso la tecnica del problem solving, capacità di
prendere decisioni, di fare ipotesi e pensare in modo strategico, percepire la
complessità dei fattori coinvolti nel processo decisionale ed infine aumentare la
capacità di far fronte ai problemi del mondo reale. Infatti, il ragionamento logico
ti consente di sopravvivere, di andare avanti e di rendere reale l’informazione
astratta.
● grandi potenzialità educative attraverso l’attivazione di processi mentali e
funzioni cognitive, come ad esempio memoria, funzioni esecutive, attenzione e
motivazione. È interessante sottolineare anche come il gioco solleciti
implicazioni di natura fisiologica, come la coordinazione occhio-mente oppure
abilità visuo-motorie.
● sensazioni di benessere immediato e l’aumento della nostra soddisfazione nella
nostra vita non ludica; questo è possibile grazie alla produzione di endorfine
durante il nostro momento ludico.
● apprendimento in maniera spontanea ed efficace.
4. LINEE GUIDA PER PROGETTARE ED UTILIZZARE GIOCHI IN MODO EFFICACE –
In questo paragrafo si vuole trattare ed approfondire lo sviluppo dei modelli di
progettazione di videogames utili a mettere in pratica principi di apprendimento. Un
game designer realizza giochi in grado di generare esperienze di gioco piacevoli e
significative, quell’esperienza è il vero obiettivo di un designer. Ma il videogioco con
intenti formativi deve essere caratterizzato da un qualcosa che sia in grado di generare
esperienze riflessive e stimolazione cognitiva. È importante quindi definire modalità
operative e linee di guida da applicare nella progettazione dei giochi computerizzati. A
tal proposito, indichiamo una serie di principi che di volta in volta devono essere
adattati alla situazione, in termini di obiettivi di apprendimento e di coerenza con un
preciso target di riferimento.
⮚ i videogiochi devono generare esperienze che si fanno veicolo di significato;
abbiamo detto come il gioco ci faccia vivere un’esperienza piacevole ma che
potrebbe implicare anche qualcosa di più. Queta dimensione è indirizzata ad
esperienze che si fanno veicolo di significato. Il game designer, quindi, deve
creare esperienze istruttive o che stimolano un pensiero critico e riflessivo
⮚ i videogiochi devono consentire la piacevolezza dell’esperienza; si parla di
quello stato piacevole e gratificante di lavoro per affrontare e superare gli
ostacoli e le difficoltà che il gioco presenta. Alla luce di ciò, si è lavorato al
concetto di “flusso”, ovvero quello stimolo interiore, intenso, piacevole,
inebriante, che ci rapisce dal mondo reale e che si genera quando ci dedichiamo
ad alcune tipo di attività. Infatti, possiamo notare e confermare l’esistenza di tre
stati d’animo mentre si gioca: ansia, quando si parla di una sfida troppo grande,
al suo opposto abbiamo la noia ed infine il flusso, quando sfida e capacità sono
perfettamente bilanciate. A riguardo, il game designer potrebbe progettare il
gioco secondo l‘aumento graduale della complessità dei livelli in base alle
aumentate competenze dei giocatori.
⮚ il gioco centrato sul giocatore e sulla libertà di giocare; la caratteristica del gioco
è la sua libertà, nel senso che il giocatore implica uno sforzo volontario per
superare ostacoli non necessari. È molto importante questo aspetto perché
aiuta a far capire i comportamenti e le azioni che si instaurano nel mentre si
gioca.
⮚ il videogioco deve consentire potenziamento cognitivo; questo potenziamento
cognitivo è inteso come estensione o arricchimento di una o più capacità mentali
di base (percezione, attenzione, memoria, comprensione, ecc.). si tratta quindi
di migliorare le funzioni cognitive degli studenti poco sviluppate.
⮚ proporre attività sfidanti e significative per i soggetti; il successo delle attività del
videogioco diventa significativa per il prestigio che possono ottenere nel gruppo
dei pari. Inoltre il videogame contente esperienze più divertenti e sfidanti in cui
investe le proprie risorse cognitive rispetto a quelle scolastiche.
⮚ potenziare la concettualizzazione astratta a partire dalla manipolazione
concreta; nei giochi di simulazione la rappresentazione della realtà può
diventare un ponte tra situazione reale e concetto astratto che la sottende. Il
piano simbolico-astratto e la divisione sul piano operativo-concreto si crea un
collegamento cognitivo, così come succede con la manipolazione virtuale di
oggetti, che diventa l’azione concreta che dà significato al simbolo astratto.
⮚ usare il gioco come mezzo per ottenere e dare feedback; è importante
comprendere le regole e le strategie se si vuole trasformare l’esperienza ludica
in una situazione di apprendimento. Lo scopo del feedback, umano o
computerizzato, deve essere quello di rendere progressivamente autonomo lo
studente nel regolare il proprio apprendimento, in sostanza essere in grado di
scoprire da solo.
⮚ game-based learning come manipolazione del ludico; collegare di nascosto
l’area del piacere con l’area del dovere per ottenere apprendimenti attraverso il
gioco. La manipolazione sta nel livello di progetto e nell’utilizzo del ludico da
parte di chi educa.
⮚ livelli successivi e capacità di adattamento; sviluppare capacità che ti
consentono di avanzare nei successivi livelli e questo fa capire ai giocatori che
stanno migliorando. Anche qui entra in gioco il concetto di “stato di flusso”,
aspetto che i game designer devono prendere in considerazione nella
progettazione del gioco: è necessario quel fattore aggiuntivo nominato
“complessità strutturata” che deve essere implementata da quella “capacità di
adattamento” allo stato di flusso, diverso da giocatore a giocatore. Possiamo
quindi dire che la struttura del gioco si adegua in itinere attraverso l’impiego di
sistemi di intelligenza artificiale al percorso personale del giocatore.
5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE – ln conclusione possiamo dire che le
tecnologie dipendono dal modo in cui vengono usate, dal modo in cui le risorse
educative digitali vengono progettate, dalle strategie didattiche e dai relativi paradigmi
che ne guidano l’uso. In mancanza di tutto ciò, le tecnologie piuttosto che favorire
processi cognitivi, determinano impoverimento didattico e diventano una scorciatoia
per evitare il ragionamento. In questo dibattito rientra anche il videogioco: è importante
concentrare maggiore attenzione a quest’ultimo in quanto l’assenza di una strategia
didattica in grado di sfruttare le potenzialità del gioco computerizzato significa non
offrire ai giovani l’opportunità di crescita in termini cognitivi e di pensiero critico. Infatti
giovani non si accorgono della pericolosità del videogioco, tanto da avere un approccio
più quantitativo (ovvero eccessivo utilizzo del digitale) che qualitativo (approccio
cognitivo). Ciò trasforma i nativi digitali in sciocchi o idioti digitali. Per favorire il
passaggio dei giovani da utilizzatori passivi a pensatori critici e riflessivi è importante
mettere in campo una precisa azione educativa: vi devono essere dei principi teorici
che devono essere utilizzati come guida.

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