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LA PERSONALIZZAZIONE DELLE MASSE

La nostra società in pochi anni con l’avvento del web è cambiata.


In età moderna, l’unico evento paragonabile è l’invenzione della stampa.
Oggi, nel volgere di un decennio, ci siamo trasformati in una PLATFORM SOCIETY in cui la nostra esistenza è
filtrata dai social media.
Al centro della mutazione genetica ci sono i dati e l’uso che ne facciamo.
Siamo passati dall’attore che fa le reti, alle reti che fanno gli attori. Il cittadino-utente si muove in
apparente autonomia, ma in realtà è vincolato alle forme e agli spazi che l’algoritmo consente. Un
individualismo di massa, autocentrato e guidato, ma al tempo stesso iperconnesso. In un’epoca in cui il
narcisismo è elevato a valore supremo, l’io prevale su ogni forma di responsabilità collettiva.
Questa iperpersonalizzazione ha conseguenze in ogni campo della vita associata, ma la conseguenza più
dirompente riguarda la politica.
I partiti politici che affollano oggi la scena democratica sono spesso così legati al leader da non sopravvivere
alla sua fine. Di tale processo, in Italia, emblema del PARTY GOVERNAMENT è diventata, negli ultimi anni, il
precursore della politica personale sullo scenario internazionale.
I leader politici appaiono così gli unici attori in grado di stimolare e stabilizzare le identità collettive,
alimentando con i cittadini una sorta di MEDIATED INTIMACY, un’intimità permessa dai mezzi di
comunicazione di massa.
La tecnologia ha dato un gigantesco potere alle reti, a scapito delle tradizionali strutture di potere
gerarchiche.
Oggi, è la rete stessa a mostrare un’inedita tendenza alla formazione di nuove gerarchie, e nuovi canali di
manipolazione.
Con il monitoraggio scientifico di ingentissime quantità di post e tweet, come insegna Cambridge Analytica,
i messaggi del leader vengono calibrati su orientamenti e pulsioni degli elettori.
Lo sviluppo della rete appare dunque in bilico: tra il centralismo cybercratico di leadership neo-autoritarie e
la personalizzazione delle masse che, al tempo stesso, alimenta e insidia questo processo.

L’OPINIONE PRIVATIZZATA
L’inedita capacità di calcolo sui dati permette di elaborare forme automatizzate di comunicazione con
amplissimi pubblici, come il mercato dei beni.
Un esempio è Amazon: piattaforma che detiene il primato del commercio elettronico, utilizza informazioni
dettagliate per dare consigli pubblicitari basati sui precedenti acquisti.
Negli anni, cresce in maniera vertiginosa il numero di imprese al mondo che fanno dei dati una componente
essenziale del loro business.
L’uso dei BIG DATA impatta sull’opinione pubblica, stravolgendone le caratteristiche originarie, così
strettamente intrecciate con l’ascesa dei regimi liberaldemocratici. A partire dal suo elemento più prezioso:
la libertà e l’autonomia di giudizio.
Lo sviluppo dell’opinione pubblica è legato a tre fattori, e alla loro sinergia: l’esistenza di libertà civili
tutelate dallo Stato, l’ampia diffusione di organi di stampa pluralisti, e un adeguato livello di
alfabetizzazione che consenta alla popolazione di partecipare attivamente al dibattito pubblico. Tuttavia,
l’analisi delle motivazioni di voto mostrerà che, a dispetto delle più o meno parziali informazioni che un
cittadino può raccogliere sul funzionamento della vita pubblica, queste non saranno trasformate
necessariamente nella scelta di un partito rispetto ad un altro, o di un leader.
Le sue scelte possono essere orientate su altri fattori, che si tratti ad esempio della propria esperienza di
socializzazione alla politica-familiare, subculturale o partitica, oppure della semplice tutela di un proprio
interesse privato senza prendere minimamente in considerazione le ricadute sul bene collettivo.
Un altro fattore che, dalla seconda metà del 900’, mette in crisi la centralità dell’opinione pubblica sono i
sondaggi d’opinione.
La loro pretesa di esaustività, sarà poi criticata. Quanto, veramente ne sapevano, i cittadini intervistati,
delle questioni su cui si esprimevano?
Basti pensare ai “last minute voters”, persone indecise pronte a cambiare idea all’ultimo momento.
Con i sondaggi, l’opinione pubblica diventa più facilmente influenzabile, ma, sarebbe sbagliato attribuire ai
sondaggi un ruolo sistematico di manipolazione o contraffazione. A parte casi isolati, nella maggior parte
delle democrazie i rilevamenti di opinione sono regolamentati e controllati.
Il limite principale dei sondaggi non riguarda lo strumento ma il fenomeno che mette a nudo, ovvero: è
problematico raggiungere, per la maggior parte dei cittadini, un livello informativo adeguato ad affrontare
soluzioni complesse, a causa di due punti deboli e oscuri dell’opinione di rete: l’eterodirezione e la
privatizzazione.
Il primo riguarda il cittadino come autorità suprema nel connettere dati, informazioni e conoscenza che
rischia di venire meno per la progressiva incapacità di gestire la mole di dati della nuova infosfera. Sono gli
algoritmi elettronici a selezionare e diffondere i contenuti online. Ciò che in rete è visibile o non visibile
dipende da chi stabilisce le regole del web.
Google assegna valore alle pagine web sulla base delle misure quali-quantitative come il numero delle visite
degli utenti, valutando le abitudini e le preferenze di quest’ultimi.
Una conseguenza del modellamento sulla base delle preferenze degli utenti riguarda la formazione delle
ECHO CHAMBERS che rinforzano la segregazione ideologica, ciò non ci aiuta a confrontarci con chi ha
identità o posizioni diverse dalla nostra.
Il secondo elemento è un fenomeno di cui ancora facciamo fatica a coglierne la portata.
Come sia stato possibile che la separazione tra sfera pubblica e sfera privata sia stata spazzata via in pochi
anni?
Siamo noi ad aver reso pubblica la nostra vita privata, adeguandoci ai vari protocolli che le multinazionali
social imponevano. (es. Facebook)
Questa separazione è stata di cruciale importanza per lo sviluppo dell’Occidente.
Col che, veniamo al secondo risvolto della privatizzazione delle opinioni: il controllo economico del
processo, delle sue forme e del suo utilizzo da parte delle stesse aziende che lo hanno tecnologicamente
promosso, e che ne detengono l’oligopolio economico e tecnologico.

LA PLATFORM SOCIETY
La società dei social media.
Diciamo social e sembriamo dire sociale. Ma la rete non è come la società che conosciamo, è il suo
contrario. A partire dal modo in cui le persone stanno insieme. O, più precisamente, connesse.
Per secoli l’unità di base del vivere comune era stata la comunità, l’associazione tradizionale fatta di
condivisione valoriale e identitaria. Direbbe Durkheim, legati da un tipo di solidarietà meccanica. Ruoli e
comportamenti si perpetuavano nel tempo, in un assetto riproducibile all’infinito. O almeno così appariva.
Ciò serviva soprattutto per ristabilire l’ordine, che a un certo punto della storia, invece, crolla.
Nasce la società moderna. Un periodo di grande trasformazione, che non poteva che creare sgomento.
La solidarietà da meccanica si fa organica, gli individui e i gruppi stanno insieme in un sistema di divisione
del lavoro. Si afferma la separazione tra pubblico e privato. Ma con l’avvento dei social network, la
possibilità di interazione per il cittadino si ampliano ben al di là dei confini comunitari, originari o virtuali.
Parliamo della partecipazione USER-CENTERED del web 2.0.
Appare infatti, a prima vista, avvincente la logica neoliberale che promette di connettere venditori e clienti,
governi e cittadini, amici e conoscenti, in modo da renderne più efficace, e anche più conveniente,
l’interazione.
Le grandi corporation diventano i guardiani del nuovo ordine. Dal 2006 al 2012 cresce a dismisura il
controllo oligopolistico dei BIG FIVE, le cinque multinazionali che controllano di fatto oggi la rete: Apple,
Alphabet, Amazon, Microsoft e Facebook, totalizzando nel 2017 una capitalizzazione superiore al prodotto
interno lordo della Germania, e non di molto inferiore a quello del Giappone.
Dunque, si ha il passaggio dalla CONNECTEDNESS: la reputazione di un individuo passa attraverso il suo
status e la sua rete di relazioni, alla CONNECTIVITY: qui i collegamenti sociali diventano un’espressione
numerica, possono riguardare anche soggetti che non conosciamo. E soprattutto non sono una risorsa che
l’individuo gestisce in autonomia. Tra gli utenti connessi si interpone la macchina algoritmica, un sistema
automatizzato che struttura e manipola le relazioni.
Con lo sviluppo della CONNECTIVITY, il principio di popolarità diviene generalizzato e dominante. Non
importa la qualità delle relazioni, ma la loro quantità. Chi ha molti contatti è di per sé desiderabile.
Lo stesso fenomeno coinvolge gli oggetti. Quando una frase, un video o un articolo circola, acquista valore.
Grazie a un pervasivo meccanismo di raccolta e utilizzo di informazioni sugli utenti, per ogni attività online
lasciamo tracce che possono essere utilizzate a fini commerciali. Ed è per questo che le piattaforme danno
concreti vantaggi nella ricerca di ciò che si vuole, anche producendo in molti casi un abbassamento dei
prezzi. Con conseguente concentrazione del potere “nelle mani di pochi proprietari, gli unici a dominare il
cuore dell’ecosistema.”

GIOCHI DI GUERRA
Sul web si scontrano anche le superpotenze. Giganti come la Russia e la Cina cercano di penetrare
l’Occidente, attraverso lo spionaggio digitale sferrando pericolosi cyberattacchi. Questa è una guerra che
può essere ovunque, al di là di ogni dominio bellico tradizionale.
Il mondo prende per la prima volta coscienza della pericolosità della cyberguerra nel maggio del 2007,
definita “web war one”. Vittima dell’attacco è l’Estonia di cui accusa il Cremlino, anche se i russi
continueranno in seguito a negare. La causa dell’attacco è la rimozione di una statua di un soldato sovietico
posta in una piazza di Tallinn, simbolo dell’armata rossa.
I server del governo, delle banche, delle televisioni e del parlamento dell’Estonia sono resi inutilizzabili per
via informatica. Ma la vera novità del conflitto 2.0 è la sua penetrazione a livello di massa, con iniziative di
propaganda o di campagna psicologica volte a influenzare quanto i cittadini sanno di sé e degli altri. Siamo
in presenza di azioni mirate a condizionare il clima politico in un altro paese, o a mettere a repentaglio
procedure di cruciale rilevanza come le elezioni. Esempio eclatante è la campagna elettorale che ha portato
Donald Trump alla Casa Bianca. Gli apparati di intelligence hanno accusato Mosca di una intensa e duratura
manipolazione delle informazioni al fine di favorire Trump, condizionando gli orientamenti dell’opinione
pubblica. L’obiettivo è quello di mostrare la superiorità del modello russo rispetto a quello occidentale.
Nel 2016 un’azione di spionaggio politico porta a condizionare pesantemente la campagna elettorale di
Hilary Clinton. Le agenzie di manipolazione delle opinioni, in genere con base fuori dai confini statunitensi,
hanno sfruttato i più avanzati metodi di profilazione anagrafica e psicologica per suddividere l’elettorato in
gruppi e poter inviare messaggi in base a interessi e orientamenti.
La comunicazione politica- elettorale veniva poi potenziata dal coinvolgimento di un esercito di bot e troll:
migliaia di profili falsi sono stati creati dal 2013 al 2016 da un’agenzia russa di S. Pietroburgo, la Internet
Research Agency, svolgendo un’azione importante di “manifattura del consenso”.
Non è un fenomeno che riguarda solo le elezioni americane, si indaga ad esempio sul ruolo nella campagna
referendaria per la Brexit dell’agenzia Cambridge Analytica, in contatto con il partito antieuropeista Ukip e
il suo leader Nigel Farage. Una campagna referendaria che ha diviso in due l’elettorato britannico, e che,
come conferma un ex dipendente di C.A, ha fatto ricorso a “operazioni psicologiche con metodi simili a
quelli utilizzati dai militari per produrre cambiamenti nel sentimento delle masse.” Scendendo più a sud, il
nostro paese potrebbe essere un ulteriore esempio di Russian Connection. Il legame tra Russia e Italia è
divenuto più intenso con l’avvento al potere di Matteo Salvini. Con l’uso estensivo di mezzi di propaganda
illegittimi, che mina all’interno gli equilibri delle democrazie occidentali.
GUTENBERG 2.0
Con il termine Gutenberg 2.0 parliamo dell’espansione illimitata della conoscenza.
Il web può essere usato nei modi e per le finalità più diverse, è estremamente multitasking.
L’analogia più frequente è con la rivoluzione di Gutenberg, l’avvento della scrittura che mise a disposizione
di una vasta platea di lettori, informazioni che per secoli erano rimaste privilegio di un elite ristrettissima.
Ma i numeri di oggi sono del tutto diversi, incredibilmente superiori a quelli cartacei.
Ancor più della dimensione del fenomeno, incide, però, la forma della comunicazione con cui il nuovo
ecosistema si afferma, dando vita a un nuovo tipo di BRAINFRAME: il cervello digitale, ponendo fine
all’egemonia conquistata dalla parola scritta sulla nostra strumentazione logica.
Fino alla comparsa del PC e l’irruzione dell’ electric language coi suoi programmi di video-scrittura.
Lo spazio concettuale di un libro stampato è uno in cui la scrittura è fissa e controllata esclusivamente
dall’autore, mentre lo spazio concettuale della scrittura elettronica è caratterizzato dalla fluidità e da una
relazione interattiva tra scrittori e lettori.
Gutenberg 2.0 ha la sua consacrazione quando si diffondono i programmi DTP (desktop publishing) che
trasformano in modo istantaneo ogni utente di un personal computer nell’editore di se stesso.
Tuttavia l’ampiezza e la diversità delle opportunità cognitive e comunicative che si aprono alla mente
digitale è resa problematica dalla rapidità dei cambiamenti. Inoltre, il nostro uso del web rende più difficile
conservare le informazioni nella nostra memoria biologica e siamo costretti a fare sempre più affidamento
sulle memorie artificiali. Funzione che aumenta la dipendenza dal web e che porta al tempo stesso a
sviluppare nuove attitudini cognitive.
Ma la vera rivoluzione riguarda il potenziamento di ogni intelligenza individuale nella forma di “intelligenza
connettiva”. Il pensiero web è, per sua natura, connesso, e ad accesso libero, alla portata di chiunque.
In questa odissea del cyberspazio, fanno da bussola le geniali intuizioni di tre persone sulle cui spalle è
costruito il nostro futuro.
Bush nel 1945 presenta il MEMEX , un dispositivo in cui un individuo memorizza tutti i suoi libri, documenti,
e comunicazioni, è meccanizzato in modo che può essere consultato con estrema rapidità.
Brand è noto per aver coniato nel 1974 il termine “personal computer”.
McLuhan, massmediologo canadese, affermava: “il mezzo è il messaggio”, confermando anche: “ il
prossimo medium quale che sia potrebbe essere l’estensione della coscienza.”
Includerà la televisione come contenuto, non come contenitore, e trasformerà la televisione in una forma
d’arte. Un computer come strumento di ricerca e comunicazione potrà sviluppare la ricerca, rendere
obsoleta l’organizzazione delle biblioteche, recuperare la funzione enciclopedica dell’individuo e
trasformarla in una linea privata di accesso a dati rapidamente personalizzati e commercializzabili.

DEMOCRAZIA VIRTUALE
In questo quadro concettuale e storico la democrazia diventa virtuale perché si rivela inadempiente, non
riesce più a mantenere le sue promesse.
Un ruolo determinante in questa svolta spetta al declino di due attori: il parlamento e i partiti.
La crisi nasce dall’interno, riguarda il Dna dei partiti e del parlamento come soggetti collettivi. Eroso dal
nuovo spirito del tempo ovvero il virus della personalizzazione: sul piano istituzionale ciò avviene a
vantaggio dei leader, sul piano sociale, si declina come individualismo di massa.
Il progressivo deteriorarsi dei principali attori e indicatori democratici segnala che la democrazia
contemporanea è diventata sempre meno reale. Più virtuale. Il termine fa riferimento al ruolo di Internet,
e, più in generale, delle forme elettroniche di partecipazione e decisione politica.
Il primo finding di democrazia virtuale su Google riguarda la voce di E-democracy su Wikipedia.
Allora: virtualità come finzione o, al contrario, come espansione?
Bisogna cominciare dall’analisi delle due facce canoniche del processo democratico: input e output,
partecipazione e governo (E-participation ed E-government).
E-partecipation in termini sia di inclusione, grazie alle rete molte persone possono accedere al mondo
politico, sia in termini di decisione, dove le infrastrutture informatiche consentirebbero di fare scelte in
tempo reale su una molteplicità di questioni. Le comunità che la partecipazione consente di costruire e di
smontare sono ispirate a logiche di interazione, interessi, di genere, di affinità ideologiche che facilmente
superano i confini spaziali. La Scozia nel 2004 è il primo paese a lanciare un’esperienza pilota di e-petition,
portando sin da subito a rilevare un concreto impatto di partecipazione dei cittadini sul policy-making
(politiche decisionali).
E-government riguarda l’amministrazione del processo di infromatizzazione più trasparente e più
direttamente controllabile (information highways).
L’imperativo “work better, cost less” trova ampia applicazione nelle politiche del digitale, che offrono mezzi
per la velocizzazione e la riduzione dei costi dell’amministrazione.
Le politiche del governo elettronico possono cosi puntare al coinvolgimento degli utenti, dapprima fruitori
di migliori servizi, poi come attori coinvolti nelle dinamiche partecipative.
In questo caso, si fa riferimento ad alcune agenzie americane che hanno dato vita ad applicazioni di
ELECTRONIC RULEMAKING, coinvolgendo i cittadini nella redazione e valutazione dei testi amministrativi.
Ed è qui che si annidano i primi allarmi sul potenziale antidemocratico dell’amministrazione in rete.
Del resto, non era stata la burocrazia il primo calcolatore della Storia? Da virtuale, la democrazia digitale
diventa terribilmente reale.

SOCIAL CAMPAIGNING
La rete è il campo dove si vincono le elezioni.
Nella realtà virtuale il SOCIAL CAMPAIGNING rende la competizione elettorale una partita del tutto nuova.
Esso è formato dalle tre “p”: personale, pervasiva e permanente, questi tre aspetti nel tempo sono
cambiati.
Personale: le campagne elettorali iniziano a diventare “centrate sul candidato”. Il meccanismo di
appartenenza al partito politico si trasforma in un rapporto di fedeltà al leader, alimentato per via
mediatica. Un processo in cui saranno sempre più decisive le caratteristiche personali dei leader. Inoltre, il
contatto diretto tra candidato ed elettore, presi nella loro singolarità, trova in rete il suo ambiente ideale.
Un esempio dei rischi e delle opportunità è emerso nelle elezioni americane di Obama.
Il motore del S.C di Obama è la partecipazione dal basso di attivisti che si incontrano attraverso i blog e
vengono continuamente coinvolti dal centro su singole iniziative, dando vita ad un fenomeno nuovo:
NETROOTS.
Anche con il fundraising ovvero la raccolta di piccole donazioni per via e-mail o messaggi di testo fanno
raggiungere la campagna elettorale di Obama a cifre record. Quattro anni dopo il successo si ripete grazie al
MICROTARGETING: la chiave della comunicazione digitale che differenzia i messaggi politici per gruppo, o
per singolo utente. Si tratta di flussi comunicativi che possono raggiungere anche gli indecisi o i
disaffezionati.
Pervasiva: i social grazie alla loro penetrazione rompono ogni tipo di barriera sociale, facendo nascere una
campagna elettorale definita uno-a-uno. I messaggi utilizzati dai social oltre a circolare velocemente, sono
molto più difficilmente controllabili dalle autorità governative. Un terreno ideale per la diffusione delle fake
news.
Le informazioni web sono capaci di condizionare la percezione dei fatti, prima ancora che i cittadini
riescano a farsi una loro opinione.
Oltre alla velocità, la pervasività richiede semplicità. I messaggi politici attirano l’attenzione grazie al
linguaggio semplice e spesso aggressivo, capace di rompere gli schemi, e di farlo nello spazio di una
battitura o di un comportamento scomposto.
Tuttavia, per avere successo, la comunicazione di un leader, deve essere martellante.
Un messaggio deve essere riproposto e rinforzato per non finire nel dimenticatoio. Al posto dei partiti
dinosauro delle origini, i partiti contemporanei nascono e si decompongono facilmente, ed è per questo
che cresce anche il numero di cittadini che cambia opinione, e posizione, da un turno elettorale all’altro.
Permanente: la permanenza fa riferimento alla costruzione del consenso. Indicando la tendenza del leader
ad utilizzare, anche dopo esser stati eletti, tecniche di comunicazione del periodo di campagna, come guida
all’azione di governo. Con il risultato, però, di assorbirla.
I leader sanno benissimo che, se da un lato hanno a disposizione potenti mezzi per entrare in una relazione
anche emotiva con i cittadini, sono poi costretti a rinforzare continuamente questo legame. Che potrebbe
in ogni momento affievolirsi. L’obiettivo è quello di “capitalizzare il consenso”.

PARTITI TRA EXIT E VOICE (POPULI)


I cittadini possono reagire in modi diversi al deterioramento di un servizio, di un’azienda privata, o di una
istituzione pubblica.
Possono protestare per ottenere un cambiamento, esercitando cosi l’opzione voce, oppure semplicemente
escono, ed è questa l’alternativa nella quale sono stretti negli ultimi anni milioni di cittadini democratici.
Con la crisi del partito di massa organizzato come lo abbiamo conosciuto nel Novecento, il suo posto è
preso dai partiti che, si installano nello Stato, perdendo la capacità di stimolare e incanalare la
partecipazione delle masse. Uno dei programmi di ricerca empirica degli anni Ottanta ricorrerà alla formula
del CARTEL PARTY, questi partiti sviluppano a vantaggio del proprio ceto politico, una presa sempre più
ristretta sulle risorse statali, nutrendo la crescente disaffezione dei cittadini, dando spazio ai movimenti di
protesta.
Ciò è anche conseguenza del cambiamento nei processi di finanziamento ai partiti. In passato essi traevano
fondi soprattutto dalla società civile. Negli ultimi anni i principali partiti europei dipendono dal
finanziamento statale, al fine di introdurre ed espandere i sussidi pubblici a loro favore, col risultato di una
“polarizzazione tra privilegi”, di cui i partiti godono grazie all’accesso allo Stato, e alla legittimità sociale,
poiché percepiti sempre di più in modo negativo dai cittadini.
Tuttavia, i metodi inclusivi adottati dai partiti portano ad un paradosso: da una parte, i vertici di partito
hanno molti mezzi per influenzare o limitare le opzioni di base. Dall’altra, nel creare un rapporto diretto tra
leader e supporter, tali metodi finiscono per indebolire gli strati intermedi del partito.
Lo sviluppo del CARTEL PARTY porta al ritirarsi dei cittadini dalla politica attiva.
L’astensionismo è una delle più diffuse strategie di exit da parte dei cittadini. In Italia il trend di affluenza
alle urne è così decrescente che si passa da una percentuale del 93,4% alle consultazioni politiche del 1976
al 72,9% in quelle del 2018.
L’insoddisfazione per i risultati della democrazia sta diventando l’umore prevalente ed è questo vento di
malcontento a sostenere le forze politiche che si prefiggono di difendere il popolo contro i suoi “nemici”.
I partiti populisti si scagliano contro le élite economiche o politiche ritenute lontane, corrotte e non degne
di fiducia. (es. Trump e Salvini)
Lo stato nazionale di trova quindi in difficoltà non solo per il mantenimento del benessere dei cittadini ma
anche per la loro sicurezza. Dal crollo delle Torri Gemelle al Bataclan la sensazione di vulnerabilità del
cittadino occidentale produce atteggiamenti di chiusura trasformati facilmente dalle forze populiste in
attacco al diverso e allo straniero. Può sembrare un’ironia che gli stessi partiti antisistema si fanno sistema.
Hanno cercato tra difficoltà e improvvisazioni di governare il Paese, imparando presto però a proprie spese
quanto sia impervio governare il vuoto lasciato dalla crisi dei vecchi sistemi di partito.

L’AUTOCRAZIA DEL SELFIE


Nella società della comunicazione, per ridare voce al popolo disaffezionato ai partiti, la strada obbligatoria è
il leader carismatico.
La televisione (la MEDIA LOGIC) detta da un lato la centralità dei singoli leader, dall’altro apre la strada per
la costruzione di un popolo legato alla sua figura, per suggestione emotiva, fedeltà e talora anche
appartenenza. (es. è la figura di Berlusconi)
Sarà Renzi a segnare l’ingresso per la via principale in Italia delle nuove tecnologie come strumento politico
e anche come forma mentis: è il primo passaggio alla Repubblica dei selfie, in cui il leader cerca il contatto
diretto con l’elettorato attraverso la sua visibilità.
Nella società individualizzata è il cittadino il centro della scena, in quanto interviene, spesso in maniera
attiva e compulsiva con commenti o immagini nello spazio interconnesso.
Lo ha capito bene il leader della Lega, Salvini ha dato via ad un gioco dalle regole semplici: “ fa più punti chi
mette più velocemente mi piace su Fb, Ig e Twitter. Cosa si vince? “Ogni giorno la tua foto diffusa sui miei
canali social a 6 milioni di amici, una telefonata con me e, ogni settimana, un caffè di persona”.
Ma, essere sempre connessi si traduce in alienazione ipermoderna.
La politica si adatta e si fa misura del cittadino, o meglio a sua immagine. Il leader sviluppa un rapporto
immediato con milioni di cittadini.
L’immediatezza comunicativa acquista spesso concretezza nell’essenzialità di un’immagine, il formato che
meglio si adatta agli obiettivi dei “mercanti dell’attenzione”.
Il leader, più che convincere, deve piacere. Invece, dei programmi pluriennali, ai cittadini vengono
presentati messaggi a presa rapida, a grande potenzialità emotiva, e senza l’onere della coerenza.
Si chiama autocrazia dei selfie perché finisce col diminuire le capacità di lettura intelligente e di astrazione
comprendente.
La sfida, quindi, sta nel riprendere le fila della tela democratica proprio a partire dalle sterminate
potenzialità che la stessa rete sembra offrire. Restituendo al cittadino digitale lo scettro che spetta al
popolo sovrano.

THE MACHIAVELLAN MOMENT


L’avvento della popolocrazia è la parabola del popolo contro la democrazia.
Ciò avviene quando sembrava che il progresso e le sorti della democrazia non avessero più nemici esterni.
Anche per questo, facciamo fatica a capire dove e come si è inceppato il meccanismo grazie al quale,
trent’anni di guerra civile europea, ci eravamo illusi di coniugare all’infinito pace e benessere.
Ma un’autocritica non può che andare alle radici dello stesso dispositivo da cui origina l’escatologia
democratica: la fede illimitata nella libera circolazione dei beni, materiali e immateriali. Impattando, cosi,
con l’anello forte di congiunzione tra società industriale e digitale: l’autoregolamentazione.
Il mondo come una rete illimitata di relazioni autogestite.
La prima rete virtuale se la inventarono gli economisti neoclassici, con la fake news del libero scambio come
condizione naturale dell’uomo, occorse, storicamente, il grande crollo del 29’ e, teoricamente la magistrale
confutazione di Polanyi per capire che la natura umana era geneticamente predisposta a scambiare
ininterrottamente e indiscriminatamente.
Il nucleo del problema sul se e come regolamentare la rete è lo stesso che ha investito, duecento anni fa, le
nostre società alle prese con il “virus” del libero scambio.
Siamo investiti da un’evoluzione genetica, e non facciamo neanche in tempo ad accorgercene. Siamo
consapevoli che la generazione Z, cresciuta a smartphone e biberon ragiona e ancor più ragionerà in modo
completamente diverso. Ma non sappiamo, né loro sanno, come.
Siamo di nuovo al tornante machiavelliano in cui un regime appare improvvisamente vulnerabile, ma con
una novità: il nemico viene individuato nel populismo, espressione di quello stesso Domus che dovrebbe
costituir le fondamenta del regime. La crisi delle democrazie contemporanee origina da cause strutturali
profonde, il progressivo esaurimento dello scambio tra risorse.
Un altro fattore importante riguarda il cambiamento nella sfera dell’opinione pubblica. Grazie a Facebook,
ad esempio, ogni internauta ha potuto trasformarsi in opinion leader.
Questo processo di intermediazione ha investito, i media tradizionali, costretti a rincorrere i social e a
diventare, in molti casi, “ostaggio dei dilettanti”. Subito dopo, inesorabilmente, ha contagiato i leader
politici, e di come quest’ultimi si stiano trasformando in personal leader, adattando la propria immagine a
quella dei propri seguaci.
Stiamo così assistendo all’emergere di nuove policy arenas, aree di intervento in cui prevale l’investimento
a brevissimo termine e a fortissimo impatto simbolico.
Assistiamo al fenomeno dei partiti cybercratici. In questo fenomeno si saldano due componenti tipiche del
web: quella superficiale e visibile, e quella profonda e nascosta.
Al tempo stesso, si pone il problema di conciliare la natura orizzontale e illimitata della partecipazione con
la struttura piramidale che dovrebbe selezionarne e indirizzarne le scelte.
In passato, ciò veniva colmato da due principali fattori: il limite spazio-temporale della partecipazione e la
stratificazione organizzativa.
Tecnicamente, la rete consente, invece, una partecipazione non stop. In questo ambiente la creazione di
filtri e gerarchie può apparire innaturale e libera.
Un esempio di partito cybercratico è il Movimento 5 Stelle, mosso dall’ideologia della rete. Lo slogan “uno
vale uno”, sarebbe divenuto il nuovo mantra con cui chiamare il popolo del web e far valere i propri diritti
attraverso un server salvifico.
Il momento machiavelliano del nuovo ecosistema digitale ruota intorno a questi tre fattori: forti leader-ship
personalizzata (Obama, Trump), strutturazione cybercratica del consenso (Salvini, Macron) e rivoluzione
ideologica (Grillo).
Con la rete, la ribellione delle masse sembra avere rotto definitivamente gli argini, ridimensionando
brutalmente e spesso azzerando, il ruolo di intermediazione che opinionisti di vario ordine e grado si erano
costituiti nei secoli.

PERSONAL LEADER
La personalizzazione è il principale processo politico degli ultimi decenni.
Con il potenziamento delle leve istituzionali presidenziali, e la formazione di un rapporto diretto con i
cittadini, il capo monocratico si afferma come responsabile principale e ultimo dei processi di governo
(Personal President). Il terreno principale dell’affermazione delle leadership personali è la sfera
comunicativa radiotelevisiva. Un esempio è il partito Forza Italia. Il modello berlusconiano si fonda sul
controllo privato delle risorse organizzative, in questo caso si saldano due elementi: il know-how
professionale legato alla raccolta pubblicitaria e alle clientele assicurative su base territoriale.
Grazie alla proprietà delle reti Mediaset, Berlusconi può accedere a una quantità di spazi televisivi senza
precedenti nelle campagne politiche europee.
L’elemento innovativo però, riguarda la personalizzazione del rapporto comunicativo del pubblico, in cui
presenta direttamente ai telespettatori le proprie idee. L’altra innovazione riguarda l’identificazione
personale tra il leader e i suoi seguaci, esibendo perfino i propri vizi, trasformandoli in oggetto, più o meno
inconscio del desiderio dei suoi ammiratori, esibendo la sua dimensione privata.
Grazie ai social media, i leader possono rafforzare il feeling di autenticità con le audience popolari.
Questa nuova strategia funziona poiché la percezione di somiglianza tra la personalità dei leader e quella
degli elettori ha dimostrato di avere un impatto enorme sul voto.
Questo fenomeno non riguarda però, solo i leader già affermati sulla scena nazionale. Un esempio può
essere Trump o Salvini, quest’ultimo ha confezionato un’immagine della propria personalità incorata agli
stereotipi della gente comune (il rosario esibito, indossare la felpa, etc.).
Questi vengono definiti “moderni hyperleaders”, che, comunicano e veicolano i loro messaggi sulla base
della microtargettizzazione permessa da sofisticati strumenti di marketing politico-digitale.
Questo però, può evidenziare l’aspetto manipolativo di persuasione privata.
La simbiosi tra leader e votanti che si realizza attraverso il micro-targeting nel web diventa più inquietante
se si considera la trasformazione in atto delle dinamiche istituzionali coinvolte in questo stesso processo.
Bypassando i protocolli formali delle procedure ufficiali, l’atto decisionale viene realizzato attraverso la
comunicazione istantanea via social media.

IL PARTITO CYBERCRITICO
Ogni cambiamento politico comprende un’idea di organizzazione. Durante tutto il ventesimo secolo i
partiti, tra guerre e rivoluzioni, hanno espresso notevole vitalità e capacità di innovazione. Per tenersi a
galla, hanno dovuto reinventarsi in continuazione. Da partiti di élites parlamentari a organizzazioni di
massa, fino a restringersi con l’apparato statale.
Oggi i partiti appaiono in affanno. Due processi in particolare li hanno fatti barcollare: la personalizzazione,
che trasforma i partiti in una macchina al servizio di un leader, e la digitalizzazione. Inizialmente partiti e
nuove tecnologie erano sembrati facilmente conciliabili, finché i social media acquistano una propria
spiccata autonomia di funzionamento.
Ciò porta alle formazioni “neonate”, che proprio dalla rete traggono la propria linfa vitale, con due
caratteristiche comuni: di tipo ideologico, cioè, quando i nuovi soggetti politici digitali salgono alla ribalta
grazie al potenziale del web, non si autodefiniscono partiti (es. Movimento 5 Stelle).
I nuovi partiti sono in “nome del popolo”, favorendo un maggior coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni
istituzionali.
La seconda caratteristica riguardano le promesse dei nuovi soggetti politici digitali, promettono di
“disintermediare la politica, renderla più simile all’immediatezza, all’interattività e all’istantaneità
dell’esperienza sociale nell’era digitale”.
Quest’obiettivo si scontra, però con la convivenza e il contrasto tra partecipazione e decisione.
La risposta, è di riproporre, come soluzione, la neutralità e, al tempo stesso la potenza della piattaforma
(es. Silicon Valley)
Una piattaforma che mette insieme il controllo centralizzato dei flussi comunicativi e la partecipazione
individualistica dei cittadini.
Questo ha come base non più aggregati locali ma individui. Il partito personale diventa interpersonale,
perché fondato sulle relazioni individuali tra i suoi membri, e, al tempo stesso, iperpersonale, perché pone
la persona al centro anche del rapporto con i vertici.
I leader politici webpopulisti utilizzano il contatto diretto con i cittadini come strumento di statistica
computazionale e propaganda. Si tratta dell’analytics turn, la svolta per la quale i data science sono piegati
per trarre informazioni sintetiche delle opinioni e dei comportamenti di larghe aggregazioni di individui, con
lo scopo di organizzare e spingere segmenti chiave dell’elettorato a votare, e a condividere privatamente e
pubblicamente le decisioni con gli altri.
Nella metamorfosi in corso del rapporto tra partiti e democrazia, il cittadino ha, dunque, ancora molte
carte da giocare.
Molto dipende dai leader che sapranno interpretare le domande e, soprattutto, i linguaggi di un elettorato
sempre più, nel bene e nel male, integrato nell’ecosistema digitale.
Il sapere delle piattaforme, è ancora prevalentemente sotto il controllo dei giganti della Silicon Valley. Ma
stanno crescendo le incursioni, dal basso come dall’alto della politica che vede nel web la frontiera del
proprio riscatto.

L’ECOLE DIGITALE
La sfida più dura della protesta populista sta nel rifiuto di un sistema formativo che a dispetto dei valori
fondanti della democrazia riproduce ai vertici del potere un oligarchia del sapere, con criteri di selezione in
cui l’ideologia meritocratica si ritrova nei fatti a coprire disuguaglianze di accesso legate al censo e al ceto di
appartenenza. Ad esempio, nel sistema francese tutto ciò avviene sotto l’egida dello stato (dopo la chiusura
dell’Ecole national d’administration), negli USA i grandi atenei si reggono sulle salatissime rette dei
frequentanti e le donazioni che perpetrano il mix di scelte private.
Il tema dell’istruzione pubblica è stato tra le questioni fondative dei moderni Stati nazionali, una battaglia
prolungata e durissima per affermare i valori di universalismo ed eguaglianza che sono nel Dna della
politica contemporanea, ma è diventato, oggi, la cenerentola economica e ideologica delle grandi questioni
sociali, come se il futuro di un paese non dipendesse da quanto e come si investe sulle proprie risorse
umane.
Il futuro di una nuova frontiera dell’alta formazione aperta e senza barriere sociali sta avvenendo oggi in
internet. Con il movimento per un accesso libero alla conoscenza con due filoni storici: le grandi data banks
digitali che hanno trasformato le principali biblioteche e archivi internazionali in una rete di accesso
istantaneo al sapere di ogni ordine e grado, lingua. Formato grafico, etc. E, l’information retrieval, ovvero la
possibilità di reperire un testo immediatamente da Google o di procurarselo velocemente attraverso
Amazon.
Ciò ha dato vita all’Open Access. Le iniziative per le risorse educative aperte si sono moltiplicate grazie alla
capacità della rete di distribuire grandi quantità di contenuti a basso costo e alle possibilità del web 2.0 di
connettere un numero senza precedenti di persone e metterle in condizione di collaborare alla produzione
di contenuti.
Il modello MOOC (corso di studi gratuito per un gran numero di persone) lanciato dalla Stanford University
diventerà egemone.
Se la scelta rimarrà tra un sistema universitario chiuso negli accessi troppo selettivi, nelle strutture fisiche
inadeguate, nella rigidità di un’offerta formativa che impiega anni a cercare di adeguarsi alle richieste del
mondo del lavoro, e, soprattutto, nei linguaggi incapaci di dialogare con la forma mentis delle generazioni
digitali, e la rapida evoluzione di un ecosistema multimediale orientato e trainato dalla logica web, le
università inesorabilmente perderanno la propria egemonia culturale.

I MILLE CORPI DEL RE


Al cuore della democrazia c’è un inganno. I giuristi direbbero: una fictio. Il popolo comanda ma, con la
mediazione di qualcuno. Il mito di Atene ha tratto il suo fascino millenario dall’idea di superare l’impasse
facendo decidere a tutti. Solo che nell’agorà erano in pochi a partecipare e le questioni su cui decidere
pochissime. Chi sarà il principe digitale? Il leader, il partito o il popolo? La partita è ancora aperta. La rete è
uno strumento straordinario per chi crede che ciascuno abbia il diritto di provare a diventare il proprio
Aristotele.

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