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CAMBIARE PAGINA

- PER SOPRAVVIVERE AI MEDIA DELLA SOLITUDINE – LUCA DE BIASE

CAP 1. MEDIA: PROBLEMA O SOLUZIONE?


Finora internet ha dato spazio a una serie di rivolte contro i vecchi modi di raccontare la realtà e i media
tradizionali devono quindi adattarsi al nuovo contesto: comprendere, accettare e accompagnare il nuovo
atteggiamento del pubblico nei confronti dei media: la trasformazione degli utenti da passivi spettatori ad
attivi creatori.

Oggi è difficile immaginare un’azienda, un ente, che non abbiano un’espressione sul web. Ed è impossibile
pensare al sistema dei media senza tenere in considerazione Google, Facebook, Twitter. Oggi la realtà è
sotto gli occhi di tutti. Costruita da infinite innovazioni. Già dalla metà degli anni Novanta non mancavano gli
esploratori delle possibilità offerte dalla rete, come ‘’Resporters Online’’, ‘ ‘’La repubblica’’, tra i primi a dare
vita ai loro siti.

La domanda che può sintetizzare le mille curiosità che sottendono questo libro è la seguente:

- i media italiani sono parte delle cause che frenano il paese o possono essere un motore del suo
futuro?

La mediasfera italiana sembra:

 da una parte affetta da meccanismi avversi al cambiamento


 dall’altra parte pervasa dall’aspettativa che si avveri l’esplosione di opportunità da cogliere, che si
manifesta in tutto il mondo aperto all’innovazione digitale.

Il libro vuole sollevare un dubbio sul ruolo storico dei media capace di diventare consapevolezza per chi li
riprogetta: è attraverso i media che la società risponde e si coordina per ripartire? Oppure è attraverso i
media che la società resta frenata, imbrigliata e mantenuta nel suo stato di paralisi?

Il parallelismo tra strutture mediatiche e tendenze storiche non è una coincidenza. Proprio negli anni in cui il
mondo adottava con entusiasmo internet come medium di informazione e strumento di conversazione, gli
economisti si convincevano di dover esplorare una dimensione fino a quel momento trascurata: l’economia
della felicità.

L’economia della felicità è nata dalle sollecitazioni delle ricerche della psicologia sociale che intervistava da
tempo i cittadini chiedendo di valutare il proprio stato di felicità: se si fossero esclusi le quote di popolazione
che ne uscivano da una condizione di povertà, non sarebbe esistita alcuna correlazione tra la crescita dei
consumi e la valutazione che le società davano della propria felicità. Ciò contraddiceva una delle principali
convinzioni degli economisti tradizionali: che gli esseri umani siano dei semplici massimizzatori della loro
utilità, portati ad accrescere i loro consumi senza altri freni che non siano i vincoli di bilancio. Adam Smith
sapeva che la convinzione secondo la quale i ricchi sono più felici dei poveri è un inganno, ma lo considerava
un inganno costruttivo: l’aspirazione dei poveri ad arricchirsi, li conduceva a darsi da fare, alimentando la
salute generale dell’economia. Dopo Smith, quella consapevolezza fu lentamente abbandonata da
un’economia sempre più specialistica.

Gli economisti, si domandavano:

- se la felicità non è associata alla crescita dei consumi, a che cosa è invece collegata?
Cercando di rispondere a questa domanda, scoprirono che i consumi offrono una soddisfazione di breve
durata, poco correlata a ciò che le persone considerano felicità, mentre altri beni hanno effetti più duraturi:

 beni culturali e identitari, beni ambientali ecc.

Ovvero, le persone sono felici se hanno una vita sociale e affettiva intensa, se sono consapevoli del loro
ruolo nel mondo, se godono di un contesto ambientale pulito e vivibile. Si accorsero quindi che i beni di
maggior valore per una durevole felicità erano quelli che non si potevano comprare.

- Come si ponevano i media in questo contesto?


Per tutta la fase vincente dell’avanzata della società dei consumi, la regina incontrastata era stata la
televisione commerciale. I programmi che mandava in onda erano coerenti con l’idea secondo la
quale accrescere i consumi è tutto ciò che la gente davvero desidera. Per accrescere i consumi,
occorreva concentrare l’attenzione sui valori connessi alla produzione di denaro, avere per modello
chi si arricchiva, anche attraverso scorciatoie banali come quella di fare carriera in tv. Proprio
quando ha cominciato ad essere totalizzante, questa narrazione ha suscitato dubbi crescenti,
generando il bisogno di riequilibrio.

- A quali condizioni il sistema dei media può essere un motore di rinnovamento e a quali condizioni
sarà una fonte di incertezza, paura, paralisi?
La realtà espressa dai media, con i loro programmi e le loro strutture organizzative, può essere
diversa dalla realtà percepita dalla società. Ma se procedono in sincronia, si rafforzano e si
accelerano a vicenda.
Chi lavora nel mondo dei media sa che molte scelte sono dettate da meccanismi collettivi che in
qualche misura vincolano le persone a comportamenti conformisti. Le conseguenze di queste
logiche inconsapevoli, conformiste, possono essere pericolosamente aperte alle azioni
manipolatorie più inaccettabili, che certo convengono ai burattinai dell’informazione, ma non
giovano alla credibilità di un progetto innovativo del sistema dei media.

- Che cos’è internet? Un generatore di cultura o la conseguenza di una cultura?

Possiamo dire quello che non è: non è Google, non è Wikipedia, non è Facebook. Non è il web. Non è
un mezzo di comunicazione.

Si è sviluppata da un primo esperimento del 1969 per servire gli scienziati di diverse università
americane, che già si conoscevano tutti fra loro ed erano culturalmente omogenei. Gente che pensava a
un mezzo di cui si sarebbero avvantaggiate tutte le scienze e tutti gli indirizzi di ricerca. E poi è evoluta
sulla scorta dell’iniziativa di chi ha visto in internet un’opportunità e ha tentato di coglierla.
L’atteggiamento di chi è interessato alla rete, è quello di prendere in mano un progetto e realizzarlo.
Tutto questo funziona se si prende consapevolezza del fatto che è finita l’epoca dell’ideologia digitale.
Come tutte le tecnologie di rete, anche internet non aveva alcun valore quando nessuno la usava.
Quando pochi usavano internet e dunque aveva poco valore, l’ideologia secondo la quale la rete e la
digitalizzazione, avrebbero condotto di per sé a migliorare il mondo e avrebbe dato ai suoi pionieri un
vantaggio competitivo decisivo, è stata funzionale del suo successo. E’ poi intorno alla continua crescita
del valore d’uso, garantita dalla moltiplicazione delle persone connesse e delle attività che svolgono in
rete, che si è riattivata la capacità innovativa dell’ecosistema internettiano.

Internet è stata vista, a partire dalla metà degli anni 90, come una risposta pratica e concreta. Per
rovesciare il senso di frustrazione che deriva dall’essere sempre e soltanto spettatori e consumatori, e
diventare invece produttori.
CAPITOLO 2
SPAZIO – L’INNOVAZIONE DI LUNGA DURATA
I media sono un ecosistema. Qualunque innovazione destinata a durare nella mediasfera parte
dall’ambiente nel quale si inseriscono e che sono destinati ad arricchire: qualunque progettazione dei media
parte da un pensiero simile a quello degli architetti, dei designer.

Lo spazio è il primo e più importante campo d’azione di chiunque pensi ai media. Perché è il contesto
concreto della società da cui ogni messaggio nasce e a cui si rivolge: è il contenitore dei contenitori.

Un giornale, un mezzo di comunicazione, ha bisogno di sapere dove si trova la popolazione a cui si rivolge: e
una popolazione riconosce un giornale come proprio se, prima di tutto, lo vede incarnare l’informazione che
riguarda il luogo in cui vive.

Il ruolo degli apparati dedicati allo scambio di informazioni, quelli che chiamiamo ‘’media’’, si comprende
solo nel contesto di tutto quanto attiene alla generazione di senso: le persone sono le stesse, sia quando
sono pubblico dei mezzi di comunicazione sia quando vivono in un paesaggio che a sua volta comunica. E le
idee che esse si formano derivano dalla sintesi di quanto vengono a sapere dai media e dall’esperienza che
compiono nel loro spazio di vita.

 Che cosa sono i media?

La risposta si trova esplorando quella dimensione della generazione di senso nella quale ciascuno è autore,
ascoltatore, trasmettitore. La vita quotidiana, le reti di relazioni sociali, la loro incarnazione nel paesaggio
costituiscono il luogo principale della generazione di senso per la maggior parte della vita. Per cercare di
risolvere i problemi dei media tradizionali, dobbiamo capire cosa sta cambiando il contesto della vita
quotidiana. Questa non è l’epoca della certezza ma è un’epoca che mette alla prova la nostra capacità di
pensare e nella quale l’approfondimento e la riflessione sul senso di quello che stiamo facendo ci possono
salvare.

- Ecologia dell’informazione:

In una mostra tenutasi nel 2006 alla Biennale di Venezia, Carlo Ratti, architetto e inventore del progetto
Senseable City Lab, ha illustrato una popolazione in movimento all’interno di una metropoli. Gli schermi
mostravano le migliaia di persone che si muovono nella città di Roma: persone che si connettono alle
altre, che arrivano alla mattina in stazione e ripartono la sera. Questa informazione collettiva discende
dall’aggregazione dei dati emessi dalle persone che portano con sé lo strumento diventato parte
integrante del loro corpo, il telefonino. Il progetto di Ratti è un modo per riconoscere un senso
all’insieme dei messaggi lanciati nello spazio (cittadino) da milioni di corpi estesi dai loro strumenti
digitali. Rodotà ricorda che il corpo è un generatore di info che viaggiano ben oltre il suo controllo.

Pochi anni dopo, Carlo ratti, scopre che la sua intuizione avrebbe trovato una dimostrazione spontanea :
progettò di leggere quei dati come info sociali prodotte in tempo reale, di aggiungere sensori alle reti
dei trasporti, dell’energia, servizi ambientali. Pensava che questo sarebbe diventato un sistema di
crowdsourcing, un modo per le persone di organizzare la vita in comune. E lo vediamo con Facebook,
twitter, disposti a scambiarsi con il cell informazioni sui posti dove si trovano, le loro impressioni, la
possibilità di incontrarsi ecc.
Il problema epocale è comprendere come funziona il sistema con il quale una comunità umana
gestisce questa complessa circolazione di idee e quali sono le connessioni tra la cultura sedimentata nei
millenni, la dinamica mediatica quotidiana, le funzioni della rete sociale. Perché un ecosistema può
essere sano o inquinato, sostenibile, insostenibile, vitale o morente.

In fondo, il cammino delle civiltà potrebbe essere raccontato come storia dei modi che le popolazioni
umane hanno trovato per coordinare gli individui e consentire loro di vivere in comunità meglio di
quanto avrebbero potuto vivere da soli. Non per nulla si subisce il fascino dei nuovi modi di evidenziare
gli interessi collettivi delle persone, resi possibili da internet, e la loro capacità di registrare le scelte di
ogni utente. Ad esempio, Google alla fine dell’anno, offre sempre i dati sulle ricerche più popolari
compiute dal miliardo di persone che hanno usato il suo motore negli ultimi 12 mesi. Questi informano
sui movimenti dell’umanità, sugli interessi, su quello che si dice e si legge.

Le tecnologie dedicate alla circolazione delle idee, quelle tecnologie che chiamiamo ‘’mezzi di
comunicazione’’: libri, giornali, radio, tv, cinema, teatri. Internet è presente in ciascuno di questi ambiti
perché è una tecnologia malleabile che ciascuno può usare come vuole. La sostenibilità, intesa come
carattere di un sistema di produzione che non consuma più risorse ambientali, sociali e culturali di
quante ne generi, può anche essere la nuova prospettiva implicita nell’epoca della conoscenza, una
prospettiva pervasa dai segni dell’economia della felicità: ma ha bisogno di un sistema di media e di una
concezione dei media adeguati. Un’ecologia dei media. Il che significa che un ecosistema mediatico è
tanto più capace di adattarsi alle trasformazioni quanto più è ricco di diversità.

Nella prospettiva dell’azione coordinata, coerente con il flusso di messaggi che ha luogo nella
mediasfera allargata, si potrebbe pensare alla nozione di intelligenza collettiva. L’ipotesi dell’esistenza di
un’intelligenza collettiva emerge dall’osservazione: vi sono infatti gruppi di individui che si comportano
collettivamente in un modo che sembra intelligente, cioè affrontano in modo coordinato situazioni e
problemi nuovi, imparano a risolverli e applicano la loro conoscenza comune per adattarsi ai mutamenti
del contesto. Ma il web dà l’impressione di aver raggiunto qualcosa che resta ancora da comprendere.
Più difficile è intendere pienamente il modo in cui le possibilità creative e culturali offerte da internet
influiscono sui modi di pensare e di agire. Per esempio, internet favorisce la costante ricerca di
innovazioni, data dall’insieme di opportunità enorme che offre.

Ogni innovazione nei media oggi non si può imporre al pubblico: deve cercare di farsi adottare dal
pubblico. Perché sono il tempo, l’attenzione e lo spazio relazionale del pubblico che definiscono il
successo di una proposta mediatica. I media sono in un certo senso estensioni del corpo sociale delle
persone e le influenzano tanto quanto ne sono influenzati. Il successo dei media dipende tanto dal
significato implicito nel design almeno quanto dai contenuti che propongono: l’ambiente è il medium.
L’innovazione dei media nel mondo digitale è collegata all’interfaccia che si disegna per i mezzi di
comunicazione.

Per questo motivo è importante la media literacy, cioè l’alfabetizzazione ai media, è l’educazione
all’interpretazione della funzione dei media. E la più importante educazione viene svolta dai media
stessi attraverso la forma spaziale che viene loro conferita dal design, dall’architettura dell’informazione
che li progetta. Oggi le aziende che riescono a indirizzare con maggiore incisività la ricerca di design
nella consapevolezza delle innovazioni scientifiche e tecniche, dai sensori alle nuove interfacce,
servendo il pubblico nei suoi processi emozionali e cognitivi e riuscendo costantemente a sorprenderlo,
sono quelle che ottengono i migliori risultati. Mai come ora si avverte il bisogno del contributo dei
media per organizzare la vita, migliorarne la qualità, coltivare una prospettiva, non in solitudine ma in
relazione ad una comunità.
CAPITOLO 3
TEMPO – le trasformazioni dell’immutabile bisogno di narrazioni
Il tempo è la risorsa più scarsa e meno rinnovabile del pianeta e dell’umanità. Il tempo è la nostra vita,
nelle sue diverse dimensioni: individuali, sociali e globali.

- Il regno del contesto


Ogni narrazione è una scelta e una selezione di fatti. Però nessun racconto può contenere tutto il
materiale del quale è composto un avvenimento: anzi, in una notizia la maggior parte del contenuto
è data per scontata, perché si suppone che sia conosciuto il contesto nel quale il fatto è avvenuto.
La narrazione di un avvenimento non si comprende storicamente senza la conoscenza del contesto
dell’avvenimento e del suo narratore. Il che è complicato perché intorno a un fatto succedono
moltissime cose in contemporanea. Il contesto inoltre è formato anche dalle caratteristiche
strutturali delle tecnologie utilizzate. Non è la stessa cosa raccontare in televisione, alla radio, su un
ipad, sul web. I meccanismi impliciti nei vari mezzi, in termini di linguaggio, modelli di business,
leggi, sono a loro volta parte del contesto narrativo. La narrazione dei fatti, dunque, è tutt’altro che
semplice da raccontare. E’ comprensibile solo in relazione a quanto non viene narrato ma dato per
scontato. Il singolo atomo di informazione, la notizia, ha senso solo nel quadro delle strutture e
congiunture, dei diversi punti di vista degli osservatori e dei mezzi di comunicazione utilizzati: si dice
che CONTEST IS KING , il contenuto dei media ne è il sovrano, ma in realtà si potrebbe dire
CONTEXT IS KING, la conoscenza non espressa e che fa da contesto ai fatti narrati è altrettanto
importante.

- I filtri nella gerarchia e nella rete


Dall’avvento di internet e dei media sociali, l’ecosistema dell’informazione ha conosciuto
un’accelerazione dell’innovazione sotto tutti i profili. La principale conseguenza è la caduta delle
barriere tecnologiche ed economiche alla pubblicazione di informazioni, che ha moltiplicato i
partecipanti attività alla produzione di conoscenze pubbliche e la quantità di informazioni e
narrazioni disponibili. L’innovazione emersa dalle reti è derivata dalla malleabilità della tecnologia
digitale. Centinaia di nuove aziende, iniziative non profit, singole persone hanno affrontato la
questione dei filtri. I principali beneficiari di questa fase sono stati i produttori di servizi online
orientati a fare da bussola nel mare delle informazioni.
 Google prima di tutto. Il motore di ricerca più usato nel mondo consente di trovare almeno un terzo
di tutto l’immenso materiale pubblicato in rete, grazie a un algoritmo che funziona come un
indagine sulla rilevanza delle pagine web basato sulla frequenza con cui quelle stesse pagine
vengono citate in rete. Facebook, è diventato a sua volta un enorme incentivo alla pubblicazione di
informazioni e allo stesso tempo un potentissimo e innovativo filtro sociale: qui non è la tecnologia
del motore di ricerca a generare i risultati, ma gli stessi 550 milioni di iscritti. Le loro segnalazioni
agli amici, i loro mi piace, i link che pubblicano, le foto, sono nuovi atomi di informazione ma
diventano anche e contemporaneamente un motore di ricerca sociale.

Facebook, twitter, ed altri si sono sviluppati perché rispondevano all’esigenza numero uno:
rigenerare il modo in cui si trova e si esclude l’informazione in rete a fronte della crescita
quantitativa dei produttori di informazione.
Per gli editori, la perdita del virtuale monopolio dei filtri ex ante, quelli che le loro linee
interpretative, le loro tecnologie e i loro modelli di business imponevano alle conoscenze nella fase
prima della pubblicazione, dovuto al crollo delle barriere alla diffusione di informazioni, è stato un
cambiamento epocale. In molti casi ha indotto i manager e gli imprenditori dell’editoria a
lamentarsi, ad accusare Google e le altre piattaforme di parassitismo, a puntare sul rallentamento
dell’innovazione. Dimenticando quanti costi in meno e quanta qualità in più potevano esprimere i
loro giornalisti grazie al fatto di poter usare la rete per produrre i loro articoli. In altri casi, ha
stimolato negli editori la ricerca e l’innovazione. Ma di certo il loro compito, visto in funzione
dell’agenda comune, è tutt’altro che perduto: si direbbe anzi che la rete non sia riuscita per ora a
scalfire il controllo dell’agenda comune, detenuto dagli editori tradizionali, specialmente televisivi.
La rete ha sicuramente abbattuto una gerarchia. Ha creato un nuovo potere, come quello di Apple.
Ma ha anche creato molte opportunità, piccole e grandi, per innovatori e creatori. Ci si può
aspettare che anche nell’ambito dell’editoria dell’informazione avvenga qualcosa di simile. Qui la
rivolta è stata meno violenta, ma certamente ha qualcosa in comune con quella contro le major
discografiche: meno persone leggono il giornale di carta e più persone cercano alternative in rete.
Certo è che la resistenza delle tradizioni ha molte cause. Anzitutto, le abitudini di una parte
consistente del pubblico non si modificano tanto facilmente, complice anche la relativa limitatezza
dell’accesso alle tecnologie digitali (specialmente per quella fetta di popolazione che, per
analfabetismo completo o di ritorno, rimane appagata da una dieta mediatica fatta di sola
televisione). Ma vanno anche considerate le caratteristiche strutturali delle tecnologie di rete,
nonché la specificità narrativa dei prodotti editoriali.

- La definizione di pubblico

Il dubbio spesso avanzato circa il rapporto di causalità tra pubblico e media, cioè se sia il pubblico a
creare i suoi media o i media a creare il loro pubblico, deriva da un’ambiguità la cui origine è forse più
nel marketing editoriale che nella storia. In effetti, l’informazione che ha la funzione di costruire la sfera
pubblica si distingue dai fatti che restano nel mondo privato non tanto per l’argomento delle notizie
quanto per i flussi di significati e relazioni nei quali quelle notizie sono inserite. Sarebbe tutto più
semplice se ammettessimo che l’ecosistema dell’informazione è prima di tutto un mondo per leggere la
vita in base a ciò che riguarda il pubblico.

Le informazioni viaggiano in diversi ambiti della convivenza:


1. Esiste una dinamica quotidiana dell’informazione che riguarda un flusso di significati e relazioni
personali.
2. C’è poi l’informazione più impersonale che si scambia per rendere possibile lo svolgimento delle
attività connesse ai ruoli sociali ed economici tipici di una popolazione.
3. E infine si dà un’informazione comune a tutta la popolazione che vive in un certo territorio, che
ne genera il coordinamento e ne stabilisce l’agenda, sulla quale si scatena il confronto tra potere
e il contropotere.

All’informazione quotidiana occorrono media di comunicazione personale, dalla posta al telefono, dalle chat
agli sms: i flussi di senso si limitano alle vicende dei network sociali più stretti, dalla famiglia al vicinato, dal
posto di lavoro all’associazione di volontariato.

L’informazione è ciò che viene riconosciuto come tale nelle reti sociali sulle quali viaggi. Sicchè tutto riparte
dal comportamento del pubblico che, cogliendo le opportunità offerte dal cambiamento tecnologico, mette
in discussione molte vecchie abitudini: la rete sociale è il luogo per eccellenza nel quale si svolge la vicenda
dell’ecosistema dell’informazione e non è un caso che sia proprio la rete internet, a diventare lo strumento
principale sul quale si svolge il cambiamento in atto.

- Il carattere originario di internet

E’ la rete sociale che definisce l’informazione. E internet è il mezzo la cui forma aderisce più da vicino
alla forma della rete sociale. L’avvento di internet e della partecipazione massiccia di milioni di persone
alla rete è un’opportunità evidente per l’informazione. La rete semplicemente è una tecnologia che
abilita le iniziative di chiunque voglia costruirvi una sua attività. Comprese fare informazione, fiction e
pubblicità. Tutto questo avviene in base al principio cardine della rete: la net neutrality. Internet, è una
tecnologia per trasferire pacchetti di bit: non deve influenzare i contenuti di quei pacchetti, soltanto
mandarli il più efficientemente possibile dove devono andare.

Da questo punto di vista, la rete è tutto quello che si vuole e si è capaci di farne: informazione e
pubblicità, fare telefonate a basso costo, prenotare un aereo ecc.

Per tutti coloro che vogliono sviluppare una relazione con un loro pubblico, c’è un punto da chiarire:
le persone sono attive, non passive, e possono comunicare tra loro, anche senza la mediazione dei
poli professionali dell’informazione o della pubblicità. Partire dal presupposto che un editore
possieda una posizione dominante sul suo pubblico significa non aver compreso il cambiamento
avvenuto.
Usando molte piattaforme le persone si esprimono, si connettono, trovano riconoscimento e
riconoscono altri, generando una rete umana nella rete tecnologica. Quella rete umana è un
medium: perché notizie, invenzioni, storie, opinioni possono passare da un individuo all’altro anche
a grande velocità.
La rete è costruita e centrata intorno alla dinamica delle relazioni sociali, le alimenta e le migliora.

- Le forme dell’informazione

Focalizzando l’analisi dell’ecosistema dell’informazione sui caratteri originali di internet, si mettono in


discussione le vecchie forme di definizione degli ambiti e dei linguaggi mediatici. E se ne trovano di nuove.
Nell’antico regime bastava distinguere per tecnologie e target. I linguaggi del video erano riservati alla
televisione, il testo scritto apparteneva alla carta stampata, l’audio alla radio.

Su internet le informazioni si classificano in base al senso:

1. Ci sono le informazioni atomiche -> le singole notizie sui singoli fatti.


2. Ci sono gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca -> servizi che organizzano i flussi di notizie
atomiche per renderli fruibili in diverse circostanze.
3. Ci sono i modi interpretativi -> capaci di rappresentare le comunità.

Se è vero che il nuovo ordine dell’informazione ha aperto una crisi strategica per i protagonisti
tradizionali del sistema dei media, è anche vero che le funzioni fondamentali, la comunicazione
quotidiana, la costruzione dell’agenda comune non sono stati risolti nello stesso tempo. E il problema
dei giornali deve ancora trovare una sua formulazione corretta.

- Un problema senza soluzione non è un problema o è posto male.

Nel paradigma lineare, i giornali si scrivevano sulla carta o sul palinsesto televisivo. Lo spazio era limitato e
la scelta di ciò che si pubblicava distingueva il grande potere delle redazioni. ‘’all the news that’s fit to
print’’(si riportano le notizie indistintamente) era lo slogan del New York times. Oggi lo spazio è
virtualmente illimitato, sicché i giornali si scrivono in rapporto al tempo del pubblico. La capacità di scelta è
passata al pubblico.

Il titolo di questo paragrafo è uno slogan coniato il 25 agosto 2006. Era trascorso quasi un anno dall’uscita
del libro di Philip Meyer ‘’The vanishing newspaper’’, ed era passato qualche giorno dalla copertina
dell’economist intitolata ‘’who killed the newspaper’’. Ma i grandi guru dell’informatica prevedevano la fine
dei giornali da almeno 7 anni. La carta è un medium e non coincide col concetto di giornale. La carta ha una
sua dinamica, i suoi costi e i suoi vantaggi. Finirà, forse, ma il giornale non finirà necessariamente con lei. Il
giornale non è la sua carta: è la redazione, la testata, il rapporto che ha costruito con il suo pubblico.
E nell’evoluzione dei media digitali, anche grazie alle sollecitazioni di quelli più innovativi come l’Ipad e i
tablet, si assiste ai primi sviluppi di una nuova concezione: i giornali sono applicazioni. Sono programmi che
servono ad organizzare l’informazione, a renderla fruibile, a offrirla al pubblico in modo tanto flessibile
quanto può esserlo il software del quale sono fatti, il design che li ha progettati. Però i conti dei giornali non
tornano, e all’orizzonte non si vede una soluzione, potrebbe essere anche che il problema è posto male.

- Il punto di partenza non è l’editore o il prodotto, ma la conoscenza e il pubblico.


Il pubblico sembra sempre meno interessato al destino di alcune aziende editoriali. Consultando
google trends si scopre che il numero di volte che gli utenti hanno digitato la parola newspapers è
diminuito del 75% tra il 2004 e oggi. Il pubblico online oggi cerca i siti dei giornali tradizionali
insieme a quelli nuovi. La comodità della fruizione online sembra convincere più del rito di andare
in edicola a comprare il quotidiano di carta.

- Il concetto di ecosistema dell’informazione


Nell’economia della conoscenza il valore si concentra sull’immateriale. Ma la materia, il corpo, il
prodotto ne è molto spesso il vettore, il medium. La mediasfera è una dimensione molto più ampia
dell’insieme delle aziende editoriali.
Il modo in cui l’informazione circola influisce in modo rilevante sulla cultura, sull’economia, sulla
politica, sulla strutturazione della società.
Nel contesto di questa complessità accelerata dalla tecnologia, e soprattutto dall’uso caotico che se
ne può fare, non si prevede l’evoluzione ma si possono riconoscere regolarità emergenti, almeno
per quanto riguarda il territorio più dinamico, cioè quello legato alle tecnologie digitali. Ci si riferisce
di solito a tre leggi:
 La legge di Moore prevede il raddoppio della capacità di elaborazione dei chip ogni 12-24 mesi a
parità di costo economico.
 La legge di Metcalfe mostra come il valore dei singoli nodi di una rete cresca esponenzialmente con
la crescita del numero dei nodi.
 La legge di Zuckerberg osserva il raddoppio ogni 12 mesi della quantità di informazioni che le
persone condividono in rete.
Le tre leggi si alimentano a vicenda creando continuamente le condizioni che le rafforzano.

- Le aperture storiche della coevoluzione


Il megamedium rappresentato dalle persone è una forza dinamica per la mediasfera e coevolve con
tutti gli altri media. Questo avviene su diverse dimensioni:
1. La dinamica tecnologica è dettata dai tempi della digitalizzazione che tende a coinvolgere tutti i
media, abbattendo le barriere che proteggevano molti business mediatici tradizionali, portando
in ogni settore la dinamica innovativa tipica delle leggi di Moore e di Metcalfe, insieme alla
crescita esponenziale del valore delle tecnologie standard messe in rete.
2. Le storie che si possono raccontare, i mondi interpretativi che possono essere costruiti, le icone
simboliche di ogni settore mediatico, vivono in un contesto crossmediale, al quale le persone
accedono attraverso diversi media nelle modalità e con gli strumenti che preferiscono nelle
varie fasi della loro giornata e vita.
3. I mondi chiusi, tecnologicamente e narrativamente, non scompaiono ma non si impongono più
per mera forza di mercato: devono essere adottati dal pubblico che non è più passivo fruitore e
consumatore, ma attivo arbitro e coproduttore.
4. I diversi media non scompaiono e non perdono le loro caratteristiche di efficienza specifica, ma
si riposizionano nell’insieme della mediasfera per ospitare le storie crossmediali ( Con il termine
crossmedialità ci si riferisce alla possibilità di mettere in connessione i mezzi di
comunicazione l'uno con l'altro, grazie allo sviluppo e alla diffusione di piattaforme digitali. )
cogliere le opportunità offerte dalla convergenza produttiva digitale, corrispondere in modo
attento con il pubblico attivo. Tutto questo impone a ogni protagonista del sistema dei media la
conquista di una nuova capacità di sperimentazione, ricerca e innovazione. La mediasfera, trova
il suo senso in un contesto sociale e territoriale più ampio.

- L’importante e l’interessante.

Sui giornali, sostiene l’autore di fantascienza Bruce Sterling <<si sceglie di pubblicare ciò che è interessante,
non necessariamente ciò che è importante>>. E’ un mantra degli storici che hanno sentito l’influenza della
scuola francese delle Annales. I media sarebbero le tecnologie, attraverso le quali le persone e le società
narrano i loro fatti importanti, implicitamente e quelli interessanti, esplicitamente. Per essere informati su
ciò che è interessante basta lasciarsi abbagliare dai fatti narrati e dal modo più o meno coinvolgente con il
quale sono presentati. Occorre imparare a leggere il senso storico nascosto tra le righe delle strutture
mediatiche e delle interpretazioni di fondo che quelle strutture avvalorano.

La discussione a distanza tra Clay Shirky e Nicholas Carr sugli effetti culturali di internet è emblematica.
Shirky osserva e sostiene l’immensità del potenziale innovativo della rete. E’ convinto che si possa puntare
sulla cultura della partecipazione di un enorme quantità di persone alla produzione e allo scambio di
informazioni attraverso i nuovi media. Nicholas Carr osserva però che la qualità culturale di quanto emerge
in rete non è del tutto priva di conseguenze: la rete, come ogni medium, attiva particolari circuiti cerebrali e
ne addormenta altri. Tende a favorire la velocità e a sfavorire la profondità di lettura. Tende a ridurre la
capacità di ciascuno di farsi un’idea propria e portarla avanti in modo focalizzato.

Molte discussioni sono condotte intorno al tema della proprietà dei media e dunque degli interessi che si
pensa debbano sostenere. Come non vedere nelle tv commerciali di proprietà di un politico una peculiare
fabbrica di consenso? E come non vede nei modelli di business dei grandi governatori del traffico in rete, da
google a facebook, le radici di nuove forme di controllo dei flussi di informazione?

Chiaramente, le piattaforme hanno tutto l’interesse a raccogliere più informazioni possibili sui loro utenti,
per sostanziare le loro offerte commerciali agli inserzionisti pubblicitari. E i cittadini osservano come quelle
piattaforme abbiano di fatto esteso la sfera pubblica, allargandola a territori della vita individuale in
precedenza considerati privati. L’informazione si è allargata, e la sfera pubblica di conseguenza: solo il modo
in cui le persone gestiscono i loro comportamenti individuali online può salvaguardare la loro privacy.

E’ un’enorme differenza rispetto al modello precedente, nel quale esistevano fortissimi controllori delle
principali filiere mediatiche. In genere, solo gli editori dei giornali controllavano la filiera che andava dalle
redazioni alle tipografie e alle edicole: il prezzo del giornale era il lasciapassare per entrare nel mondo delle
notizie. E lo stesso avveniva per gli editori della televisione. Con la digitalizzazione tutto questo è stato
messo in discussione e ogni barriera è saltata.

- Il tempo dell’editoria in prospettiva


La rete ha abilitato milioni di persone a prendere parte attiva all’ecosistema dell’informazione, ma il
valore di questa ricchezza deve ancora essere compreso fino in fondo. Nella logica della rete, non
prevalgono automaticamente i meccanismi che producono informazione di qualità o che si pongono
l’obiettivo di influire sull’agenda. Nella rete i meccanismi fondamentali sono quelli che riguardano la
capacità di generare link, collegamenti, relazioni tra le persone. E infatti questo aspetto logico
fondamentale si rivela anche la prima gratificazione della partecipazione alla rete.
La forma dell’ecosistema è più chiara se si distingue tra:

 l’informazione che costruisce la vita quotidiana, generata dagli stessi network sociali delle persone;
 l’informazione di servizio, generata dalle strutture mediatiche professionali che si danno questa
missione;
 l’informazione che serve all’agenda, prodotta dall’informazione orientata alla politica;
ma nessuna di queste funzioni si svolge nell’isolamento. Tutte coevolvono in uno spazio comune di
legittimità tutto da costruire.

CAPITOLO 4. RILEVANZA. CHE COSA PENSANO I PROTAGONISTI

- Dal giurassico al cartaceo..e oltre


Il ruolo degli innovatori è cambiato profondamente: il web ha abbassato le barriere alla
pubblicazione, riducendo i costi e moltiplicando le fonti di informazione. Mentre nel paradigma
precedente il filtro, la scelta avveniva prima della pubblicazione, oggi la selezione deve avvenire
dopo la pubblicazione. Il pubblico attivo è il nuovo protagonista storico della scena dei media,
abilitato e rafforzato dalle macchine e dagli algoritmi.
I nuovi competitori degli editori sono ovunque. Le stesse persone che, appassionate o esperte di un
argomento specifico, senza aver bisogno di alcun modello di business, pubblicano informazioni su
blog e social network. Nei mondi dell’informazione tecnologica, i blog specializzati hanno messo in
serissima difficoltà le tradizionali riviste. I blog on hanno le stesse necessità aziendali degli editori.
Hanno altri obiettivi: marketing, servizio al cliente, semplice voglia di contribuire alla conoscenza
generale con l’offerta di tempo e informazione gratuiti. Non c’è dubbio, del resto, che Wikipedia
abbia messo in crisi il concetto stesso di business delle enciclopedie cartacee. Il business editoriale
ha bisogno di coltivare i suoi punti di forza acquisiti e di rigenerarne il valore. Questo si fa con la
ricerca, con la sperimentazione e con il coraggio. Si tratta dell’innovazione dell’interfaccia, del
linguaggio, del mix narrativo.
Nell’epoca industriale classica, l’agenda delle persone coincide con il palinsesto televisivo. Alla
linearità della vita quotidiana delle società di massa, fondate sulla catena di montaggio e sugli orari
di lavoro ben definiti, corrisponde il consumo di massa e il modello dei mezzi di comunicazione di
massa. Quando il processo di industrializzazione e urbanizzazione è terminato, quando l’economia e
la società sono diventate più complesse, quando l’agenda quotidiana ha lentamente ma
inesorabilmente cessato di essere lineare, la televisione aveva ormai conquistato il centro della
scena. E il suo palinsesto non aveva più bisogno di adattarsi alla vita quotidiana: la poteva
modellare. La sua commercializzazione ha generato nuove convenzioni, ha aperto la strada a nuove
pratiche, ha reso la pubblicità e la conquista dell’attenzione il centro tattico del suo business.
Internet però non ha annullato l’importanza della televisione, l’ha semplicemente resa relativa alla
rete sociale. Ha rigenerato la dimensione sociale della comunicazione in cui la televisione non
poteva strutturalmente entrare.
Parlando di tecnologia dei media, in effetti non ci potrebbero essere strutture più apparentemente
distanti di quanto non siano internet e la televisione. La rete corrisponde alla struttura della società,
intesa come rete delle singole persone che, ciascuna nel proprio ambiente, si esprime, si connette
alle altre, cerca riconoscimento. La televisione corrisponde alla gerarchia della conoscenza e della
narrazione pubblica acquisita nel tempo: ormai, riflette la struttura del potere prima di essere il
riflesso della società.
B. J. Fogg è lo studioso che più di ogni altro ha concentrato la sua attenzione sulle capacità
persuasive della tecnologia. La disciplina che ha fondato, la captologia, studia come il computer
viene usato per influenzare le idee e i comportamenti delle persone. La sua teoria è basata
sull’osservazione delle tre qualità principali dei computer:
-> sono nello stesso tempo strumenti, media e attori sociali.
La persuasione, dice Fogg, cioè l’induzione a cambiare comportamento o idea, può avvenire in base
a sette dinamiche:
1. semplificazione: una tecnologia che invita a fare qualcosa e nello stesso tempo rende facile farla
è persuasiva.
2. tunnel. Una tecnologia che impone una strada da percorrere e passo dopo passo conduce nella
direzione voluta è persuasiva.
3. personalizzazione. Una tecnologia che propone un’azione dimostrando che si tratta di una cosa
fatta su misura per il soggetto da convincere è persuasiva.
4. timing. Una tecnologia capace di lanciare suggerimenti esattamente al momento giusto, non
interrompendo le attività ma inserendosi al momento opportuno con un invito è persuasiva.
5. automonitoraggio. Una tecnologia che serva alla persona a controllare i risultati di una decisione
che ha preso in relazione a un nuovo comportamento da adottare è persuasiva.
6. sorveglianza. Una tecnologia che riesca a far credere al soggetto da convincere che il suo
comportamento sarà sorvegliato è persuasiva.
7. condizionamento. Una tecnologia che condizioni un comportamento in base a paura o premio è
molto persuasiva.
E’ chiaro che i computer hanno tutte le caratteristiche necessarie alle tecnologie persuasive.
Se cerchiamo il modo in cui si forma l’agenda collettiva e come i media possono influire su di essa,
dobbiamo chiederci quali ne siano le condizioni di esistenza:
1. Non esiste agenda collettiva senza una collettività che si senta unita in un ambiente.
2. Non esiste agenda senza un quadro di regole e meccanismi sociali condivisi.
3. L’agenda è una lista di priorità per una collettività e chi la detta è leader.
4. I leader non sono coloro che hanno potere ma coloro che sanno farsi adottare dal pubblico che
a sua volta adotta la loro agenda.
5. La conoscenza che porta una società dell’adozione di un’agenda è allo stesso tempo razionale
ed emotiva.

CAPITOLO 5. ATTENZIONE. USCIRE DA UN LABIRINTO DI SPECCHI


La conquista dell’attenzione è l’obiettivo immediato di ogni soggetto attivo nel sistema dei media. Ma
l’attenzione è una risorsa molto scarsa.

- L’interruzione è il messaggio
I segnali si moltiplicano. La connessione sempre e dovunque, via cellulare, via mail, via sms, sta
superando il livello di guardia. Non esiste conversazione che non sia spezzata dall’arrivo di un nuovo
messaggio. Non esiste un momento di dialogo esente da squilli di telefonino. Non c’è
comunicazione che ottenga la piena attenzione degli interlocutori. Thomas Friedman, editorialista
del New York Times, ha persino proposto una visione epocale: dopo l’era dell’informazione, oggi
siamo entrati nell’era dell’interruzione. Ma il problema non è solo l’interruzione. Perché questo
potrebbe essere risolto con l’organizzazione: per esempio, cercando di spezzettarne in segmenti il
tempo molto brevi tutte le forme di comunicazione. In realtà, il fenomeno più grave è che ogni
singola comunicazione viene svolta mentre si gestisce l’arrivo di un’altra. Spesso, si tengono più
comunicazioni contemporaneamente. La tecnologia ha creato questa situazione moltiplicando le
forme di accesso e di connessione. L’etichetta di ogni forma di comunicazione prevede la sua
specifica norma di comportamento: una risposta a un email, o a un sms è obbligatoria, anche se
non necessariamente immediata.
Quali sono i percorsi che ci possono condurre a costruire un ecosistema dell’informazione più sano
e vivibile? Di certo, l’elaborazione di nuovi strumenti concettuali e pratici per affrontare il
sovraccarico di messaggi e la loro svalutazione è sempre più urgente. Probabilmente, l’information
overload non è una novità di per sé: è nuova l’ansia che viene associata al fenomeno. C’è una
moltiplicazione dei messaggi e contemporaneamente una crisi dei modi per filtrarli.
- Critica dell’attenzione.
Il concetto di economia dell’attenzione ha ormai una storia piuttosto lunga. Già nel 1971 Herbert
Simon, uno psicologo premiato con il Nobel per l’economia, scriveva: ‘’l’informazione consuma
attenzione. Quindi l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il
bisogno di allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di informazione che la
possono consumare.’’. In un contesto nel quale l’informazione è sovrabbondante, si assiste a una
crescente scarsità di attenzione. La teoria economica tradizionale ha trattato questa scoperta in
modo piuttosto ovvio: la scarsità di attenzione ne aumenta il valore per chi riesce a produrla e
rivenderla. L’industria che più di ogni altra è capace di produrre attenzione è quella dei media. E chi
ha più interesse ad acquistarla è la pubblicità.
Il sistema dei media stesso appare in crisi di fronte alle sue stesse conquiste. La moltiplicazione dei
canali televisivi digitali, il fenomeno esplosivo della telefonia mobile, il boom dei videogiochi e
soprattutto la fioritura internettiana delle forme di comunicazione e informazione si sono
manifestati tutti insieme nel corso di 15 anni: un vero e proprio terremoto che ha messo in
discussione la tenuta strutturale del sistema dei media.
Dal punto di vista tecnico, la digitalizzazione è forse il fenomeno decisivo del terremoto mediatico.
Le persone hanno adottato molto in fretta i nuovi strumenti di comunicazione e informazione,
probabilmente anche perché questi consentivano loro di tornare in possesso degli strumenti di
espressione e connessione con gli altri che nel periodo d’oro dei mezzi di comunicazione di massa
avevano in parte perduto.
In gioco c’è un valore fondamentale, la grande responsabilità del sistema dei media: la vera risorsa
scarsa e la meno rinnovabile è il tempo delle persone. Cioè la vita delle persone. I media si
rivolgono alle persone e chiedono essenzialmente il loro tempo.

CAPITOLO 6. LA QUALITA’. LA RICOSTRUZIONE DELL’INFORMAZIONE.


- L’obiettività dell’equilibrio
Fare informazione è un contributo alla narrazione che la società dedica a se stessa. L’informazione
definisce la sfera pubblica. L’obiettività in verità è solo uno devi calori che potrebbero definire il
giornalismo e l’informazione, visto che ogni giorno, quell’obiettività deve fare i conti con un impasto
di emozioni, passioni politiche, buono e cattivo gusto, esigenze commerciali e molto altro.
In realtà non è possibile parlare di obiettività nell’informazione con obiettività.
 Innanzitutto, perché il giudizio cambia in funzione del punto di vista dell’osservatore.
 In secondo luogo, perché il significato e il valore dell’obiettività dipendono dai riferenti di chi fa
informazione: la loro obiettività, cambia se pensano di lavorare per i loro editori, o per le loro fonti,
o per il loro pubblico, o per la cerchia di amici e solidali culturali.
Paradossalmente, tutto questo non toglie, ma aggiunge importanza al dibattito sulla qualità e,
l’obiettività nel giornalismo.
L’inflazione e l’autoreferenzialità dei messaggi, la moltiplicazione dei media, la confusione tra
comunicazione e informazione, gli stessi meccanismi della carriera giornalistica, sono
probabilmente tra le cause della crisi dell’obiettività nel giornalismo e di certo non aiutano a
superarla. L’obiettività dei giornali dipende da mille fattori, editoriali o commerciali, politici e
tecnologici, culturali e sociali. Ma l’obiettività dei giornalisti dipende molto dalle loro scelte.
- L’informazione VS comunicazione
Nel contesto editoriale, l’informazione non è la comunicazione. L’informazione è un servizio che
risponde al bisogno del pubblico di conoscere come stanno le cose ed è prodotta con un metodo
controllato, in base a un criterio di verificabilità esplicito. La comunicazione invece serve a
trasmettere messaggi che hanno lo scopo di orientare il pensiero del pubblico nel senso previsto e
voluto da chi comunica.
Il problema dell’obiettività nel giornalismo ha spesso origine dalla confusione tra queste due
attività. Qualche anno fa, a farsi capofila di chi non è d’accordo con la distinzione tra comunicazione
e informazione è stato Giuliano Ferrrara. Una delle fonti del suo successo sta proprio nel suo
esplicito rifiuto della differenza tra comunicazione e informazione. Per Ferrara le mezze verità, della
politica e del giornalismo, sono tutte fatte della stessa sostanza: servono alle contrapposizioni o alle
alleanze politiche, a costruire pensieri condivisi o schieramenti concorrenti. Informazione e
comunicazione per lui non sono attività tanto diverse. Tutte le mezze verità hanno un’altra metà: ma
nei discorsi dei politici che fanno comunicazione l’altra metà è fatta di menzogna, l’altra per chi fa
informazione è fatta di ignoranza.
Il problema non è sapere se una fonte è credibile, ma se un’informazione è vera. Quindi la verifica
va fatta sull’informazione e solo in seconda battuta sugli interessi che motivano la fonte a dare
quell’informazione.
Nove caratteristiche della disciplina di chi fa informazione:
 Il giornalismo è prima di tutto obbligato a cercare la verità
 È prima di tutto fedele ai cittadini
 È essenzialmente la disciplina della verifica
 Chi lo pratica deve mantenersi indipendente dalle persone delle quali scrive
 Deve servire come un sistema indipendente per monitorare il potere
 Deve offrire un luogo per la critica pubblica e il compromesso tra le differenti posizioni
 Deve impegnarsi a rendere ciò che è importante anche interessante e rilevante
 Deve mantenere le notizie complete e proporzionate
 Chi lo pratica deve essere autorizzato a lavorare secondo la propria coscienza.

CAPITOLO 7. PROGETTO
PER UN ECOSISTEMA SOSTENIBILE DELL’INFORMAZIONE
L’economia della conoscenza e la tecnologia digitale hanno cambiato il giornale: da prodotto a servizio. Il
progetto del giornale è diventato simile al design dei servizi: comprende la logistica delle idee, efficienza
delle connessioni tra le persone coinvolte nella produzione e fruizione delle informazioni, ecc. L’innovazione
è motivata da visioni diverse: miglioramento della qualità dei servizi, nuove piattaforme territoriali e
comunitarie, nuovi modelli di business ecc.

- I giornali sono applicazioni crossmediali


Il pubblico divide il suo tempo tra i social network, i giornali e altro, online: ma i loro comportamenti
non sono monolitici(compatti, tutti d’un pezzo) e il traffico che generano si muove da un sito
all’altro, sicchè non c’è solo concorrenza ma anche e forse soprattutto collaborazione tra i social
network, i blog e i giornali. La sola strada per avere successo su internet è quella di aprirsi a questa
realtà. Anche perché internet è e resterà il luogo più dinamico dell’innovazione e della crescita.
Su questa base, le redazioni potranno realizzare i diversi formati con i quali proporre il loro lavoro.
Sui tablet ci sarà una più comoda e godibile leggibilità portatile, sui cellulari una maggiore velocità,
sulla carta la preziosa qualità della tradizione.

L’innovazione tecnologica e la qualità del metodo di ricerca, insieme, possono fare la differenza a favore
delle strutture che si occupano professionalmente di informazione.

- Nuove unità di misura

Per muoversi in questa situazione, editori e pubblicitari avranno bisogno di nuove forme di misurazione
dei risultati. A partire da nuove forme di attenzione a piccoli particolari un tempo trascurati. Per arrivare
a vere e proprie nuove unità di misura. Hal Varian è uno dei massimi economisti specializzati nelle
dinamiche dell’epoca dell’informazione. <<tutti riconoscono che l’editoria attraversa una crisi ma non
tutti sono d’accordo sulle cause di questa crisi e sui rimedi che si possono adottare. Soprattutto non c’è
accordo sul ruolo del web come causa di crisi e come opportunità di riscatto>>. La crisi dell’editoria è
cominciata molto prima dell’avvento del web. In America la diffusione dei giornali ha cominciato a
diminuire dal 1985. Intanto, il valore assoluto della pubblicità raccolta è rimasto costante almeno fino al
2005 e il fatturato per il lettore è aumentato fino a quell’anno. Internet, centra poco. E le difficoltà della
pubblicità dopo il 2005 sono il risultato di molti fattori, non certo solo della concorrenza dei siti web.

Per Varian, la lettura dei giornali online è un’attività che si svolge durante l’orario di lavoro, mentre la
lettura dei giornali offline è un’attività che si svolge nel tempo libero, quando la gente ha più tempo sia
per leggere le notizie che per guardare la pubblicità. Grazie ai cellulari, i giornali trovano minuti preziosi
da conquistare in ogni istante della vita quotidiana dei lettori. E con l’ipad o gli altri tablet, possono
aspirare a recuperare anche la dimensione della lettura tranquilla e rilassata, con molti più minuti a
disposizione.

La prima novità in termini di unità di misura, ancora acerba e con pochi dati per poter essere sviluppata,
è la nozione di tempo mediatico. Il calcolo del tempo mediatico consentirebbe di avere un’unità di
misura omogenea per le diverse testate e per il valore pubblicitario dei loro lettori. Ma a questo
occorrerebbe aggiungere una forma di misurazione dell’efficacia e della qualità dell’attenzione che i
lettori dedicano alle loro testate crossmediali. Si tratterebbe in questo caso di calcolare quanto i lettori
passano all’azione dopo aver letto qualcosa sui giornali di cui si fidano. Per esempio, quanto comprano
dopo aver visto una pubblicità. Infine, andrà misurata la rilevanza delle informazioni che i lettori trovano
sui giornali. Sono rilevanti le informazioni delle quali i lettori parlano con amici e conoscenti.

Il fine dell’editoria che si occupa di informazione è informare, il profitto è uno degli strumenti che lo
rendono possibile. Ma il suo riferimento è il grande ecosistema dell’informazione del quale fanno parte i
cittadini, non il mercato finanziario: perché, se così fosse, l’editoria che si occupa di informazione
scomparirebbe. I media in questo scenario di reazione costruttiva alla crisi diventano propositivi.
Possono giocare un ruolo di motore dell’innovazione e dell’uscita dalla paralisi intellettuale e operativa
che i trent’anni di solitudine lasciano in eredità alla società attuale.

CAPITOLO 8: IDENTITA’
IL FUTURO È QUELLO CHE COSTRUIAMO
- Quando non succede più niente
In Italia, l’economia non sta scomparendo insieme alla fine del racconto. In italia, come in tutte le
società che sono entrate nell’epoca della conoscenza, l’economia si è spostata nel racconto. Non per
nulla si lamenta un information overload e non certo una mancanza di fatti da raccontare. L’italia sta
entrando nel sistema dell’iperconnessione: tra ogni elemento della società locale e globale.
Disarmata dal punto di vista degli strumenti, come un esploratore arrivato in un nuovo mondo, la
società cerca di capire come gestirsi, come interpretare il suo spazio e il suo tempo. Il tema
dell’identità coincide con il senso della vita quotidiana, dell’economia, del racconto. L’ipotesi è che
si possa ricostruire la capacità di gestire le informazioni, senza aspettare che la moltiplicazione dei
punti di vista finisca con il coincidere con le identità individuali dell’intera popolazione. Le soluzioni
sono molteplici:
una di queste è la deriva populista, facilitata dalla persistenza della centralità televisiva del potere:
che non risolve il tema dell’identità ma riesce ad accomunare i comportamenti delle persone pur
riducendole a un’audience di consumatore. Il suo difetto è quello di standardizzare i modelli
culturali intorno all’attesa che qualcosa venga fornito dall’alto, in una condizione di passività.
Un’altra opzione è la tentazione localista che si indirizza alla più facile delle soluzioni al problema
dell’identità: il territorio è un tale generatore di senso da poter ancora aspirare a fornire una sintesi
comprensibile. Ma è una soluzione irrealistica e di breve periodo, poiché non esiste un avvenire
senza identità, ma non esiste un progetto di secessione dalla globalizzazione.
L’unica soluzione è pensare l’ecosistema dell’informazione che coltiva le sue diversità come il
complesso ma realistico mezzo della narrazione di una vita fatta di identità multiple. E allora i ruoli
narrativi si separano, nelle diverse nicchie ecologiche, ma si connettono nella varietà dell’insieme.
- Check List
Si può sviluppare una check list almeno per definire i contorni di un progetto di innovazione
nell’informazione all’epoca di internet? Proviamoci.
1. Definizione del servizio. L’informazione è un flusso, si incarna in molti oggetti che si muovono
nella geografia in cui vive una comunità e riguarda ogni partecipante alla storia della comunità.
Il servizio può essere: la piattaforma, lo strumento di accesso, la ricerca di informazione, la
selezione ecc.
2. Adesione ai processi che garantiscono una qualità standard della produzione di informazione. La
qualità standard è cruciale perché consente di aderire al servizio dell’informazione e non a
qualunque altro settore della comunicazione.
3. L’identità degli autori, dei luoghi ai quali si riferiscono le loro produzioni, l’identità dei fruitori,
sintetizzato da un nome, da una testata, da un brand, è il motivo per cui si può immaginare che
un servizio possa avere successo.
4. Progettare l’architettura del servizio in modo che corrisponda al posto che può essere
riconosciuto come coerente con la sua identità.
5. Progettare il mondo di senso del servizio in modo che il contesto implicito che offre ai brani di
informazione sia coerente con la vicenda della comunità cui si propone. Il prima e il poi sono
parte della vicenda, come lo sono i conflitti e le opposizioni che incontrano i protagonisti. Ma
sono parte della vicenda anche i fenomeni di lunga durata, gli episodi ecc. L’insieme dello
storytelling diventa storia.

CAPITOLO 9: PROSPETTIVA
LA NARRAZIONE DAL PASSATO AL FUTURO
Trent’anni fa il racconto ospitato dai mezzi di comunicazione si fece più sofisticato con l’esplosione
della complessità economica e sociale del paradigma industriale. I canali televisivi si moltiplicarono,
la pubblicità ne divenne il modello di business e l’ispirazione culturale, l’esperienza del consumo si
fece più intensa e apparentemente personale, mentre la massa si scioglieva nella molteplicità dei
target.

Se la televisione era stata il medium dell’industrializzazione e del consumismo, internet sembra potersi
candidare a essere il medium dell’epoca della conoscenza.

Per la domanda inizialmente posta in questo libro, c’è un’ipotesi di risposta. Le strutture mediatiche,
economiche e sociali vanno di pari passo. Le une sono precondizioni delle altre, in un sistema
complesso, nel quale cioè le interrelazioni tra i fenomeni sono quasi infinite. L’identità dei media non
regge più soltanto nella chiave autoreferenziale: il contesto storico sta riconquistando il suo ruolo
primario. E impone ai media una forte, necessaria, strutturale innovazione.

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