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Definizione di Infosfera: L’infosfera è un ambiente paragonabile, ma diverso, dal cyberspazio

poiché include anche spazi informativi off-line e analogici. Il termine indica la globalità dello spazio
delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso. L’infosfera è l’intero
ambiente informazionale delle reti globali, habitat finale per la mente umana, generato dalle
tecnologie digitali, in cui gli utenti si trovano immersi e condizionati dalle logiche di influenza degli
algoritmi di funzionamento.

1. Lo studente commenti questa osservazione: L’intensità emotiva, che prima il teatro e poi il
cinema e la televisione hanno contribuito a generare, è divenuta una specie di memoria
sociale che contribuisce a forgiare le norme morali e le regole del comportamento
collettivo.

Uno degli aspetti più importanti della comunicazione di massa è la costruzione di una memoria
sociale, che vede i mass media sia come strumenti sia come attori dei processi di comunicazione e
di veicolazione sociale del ricordo e della sua portata simbolica. I media, grazie al loro carattere
auto-promozionale, hanno imposto alla società dei miti che alimentano l’immaginario collettivo e
che costruiscono la cultura, i valori e le ideologie della società. A tal proposito, la televisione, a
partire dalla prima metà degli anni 80 del secolo scorso, ha dato spazio ad un nuovo linguaggio
visivo: la pubblicità, la quale contribuì a definire l’immaginario collettivo e a creare dei nuovi
modelli culturali. Per individuare il ruolo della comunicazione nell’ambito dell’uso che il sistema
sociale fa della memoria è utile analizzare il pensiero di McLuhan. Dal suo punto di vista, in una
comunicazione, il medium produce degli effetti sull’immaginario collettivo, a prescindere dal suo
contenuto. McLuhan distingue in: caldi e freddi. I media caldi, fornendo una elevato numero di
informazioni, non richiedono al fruitore nessuna operazione di integrazione del messaggio durante
la percezione. Degli esempi sono la il cinema e il teatro.
I media freddi, al contrario, lasciano spazio al fruitore, gli chiedono anzi di completare la loro
portata informativa con una partecipazione attiva. Nel caso della distinzione tra caldo e freddo,
McLuhan mette in evidenza come l'effetto dei media non dipenda solo dal contenuto, ma
soprattutto dal tipo di relazione percettiva che uno strumento instaura con i processi percettivi e
cognitivi del fruitore.

2. In che modo Floridi descrive il processo migratorio dall’habitat fisico all’infosfera?


L’avvento dei new media, con il conseguente sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (Information and Communication Technology), ha portato a riconfigurare il
concetto di tempo, spazio e dell’identità umana. Relativamente alla reontologizzazione del mondo,
Floridi ha elaborato il concetto di infosfera, ovvero una dimensione informazionale, composta dal
complesso delle informazioni e dagli agenti che processano tali dati. In questo contesto, gli inforg
si trovano a vivere, agire e interagire con le ICT, la cui interattività le porta a personalizzare le
risposte in base agli input dell’utente. La continua interazione tra l’habitat fisico e l’infosfera
conduce ad un processo migratorio che affievolisce il confine tra reale e virtuale; inoltre, gli
individui vivono questa migrazione in maniera inconsapevole, proprio come i pesci che nuotano
inconsapevolmente nell’acqua.

3. Che cosa comporterà sul piano della vita corrente questa e-migrazione?
Per quanto riguarda la vita corrente, il processo migratorio dal mondo fisico all’infosfera renderà i
nativi digitali incapaci di vivere nell’habitat fisico senza provare un senso di spaesamento quando
si troveranno disconnessi dalla realtà digitale. Questo senso di spaesamento è provocato
dall’incapacità di distinguere l’infosfera dal mondo fisico. Le ICT digitali si sono interconnesse con
la coscienza del sé, coinvolgendo le modalità di relazionarsi con l’Altro da noi e con la natura
materiale delle cose. Tale coinvolgimento ha già portato a riontologizzare le capacità cognitive
umane e la dimensione corporea, spostandoli verso una dimensione virtuale.
Molto probabilmente, i migranti digitali, ossia coloro che hanno vissuto in una società prettamente
analogica e che si sono approcciati all’ambiente informazionale a partire dall’età adulta, saranno le
ultime generazioni che manterranno la porta d’accesso all’infosfera socchiusa, senza precludersi
dal mondo fisico.

4. Lo studente commenti questa affermazione di Gisèle Freund: “Ogni grande scoperta


tecnica dà sempre origine a crisi e catastrofi. Scompaiono i vecchi mestieri, ne sorgono di
nuovi. La loro nascita, d’altro canto, significa progresso, anche se le attività da essi
minacciate sono condannate a morire”.
La diffusione della tecnica si deve in gran parte alla sociologia, la quale, durante l’Ottocento, ha
diffuso tra le classi dominanti il mito della tecnica e il mito del progresso. A partire dal positivismo
con l’avvento della rivoluzione industriale, la tecnica ha costruito delle macchine che superano di
gran lunga le capacità fisiche e cognitive dell’uomo. Se inizialmente i prodotti della tecnica
dovevano servire come supporto alle mansioni dell’uomo, il progresso della tecnica ha invertito i
ruoli, rilegando all’uomo il ruolo di comparsa e alla macchina quello di protagonista. La creatività
umana non è puro calcolo, questo differenzia un uomo da una macchina. Ma se ci concentriamo
solo sul risultato finale non c’è dubbio che le creazioni delle macchine sono ormai paragonabili o
addirittura superiori a quelle degli uomini.

5. Che cosa intende Susan Sontag quando dice che “in una prospettiva sociologica la
fotografia è prima di tutto un modo di vedere e non un atto del vedere”?
Nella post-modernità, le immagini e il tempo visuale hanno sostituito lo storytelling non solo come
un canale privilegiato della comunicazione, ma anche nella costruzione dei simboli e dei significati.
L’affermazione della fotografa Susan Sontag sottolinea la potenza significativa delle immagini, le
quali competono nella produzione di costruzioni sociali e nella definizione della realtà.
Inoltre, il fatto che la visualizzazione avvenga all’interno di una realtà sociale, la quale modifica il
modo di vedere un’immagine, mostra la loro natura ambigua e polisemica.
In questa polisemia, competono anche i significati dirottati dal carattere denotativo e connotativo
delle immagini.

6. Che cosa è il bias cognitivo e quali sono i fattori che lo influenzano negativamente?
Il bias cognitivo, dall’inglese “inclinazione”, è una forma di distorsione della valutazione dei fatti, causata da
pregiudizi o da informazioni già acquisite, che inducono a degli errori di valutazione o ad una mancanza di
oggettività nelle reazioni. I fattori che influenzano i bias cognitivi sono: l’esperienza individuale, il contesto
culturale e le credenze, il giudizio altrui e il timore che una scelta possa portare ad un danno. I bias
affliggono anche gli archivi di raccolta dei dati della machine learning e sono causati dal bagaglio culturale
di chi le ha programmate. Questo porta a privilegiare la presentazione di alcune informazioni a discapito di
altre.

7. Nell’ambito della cultura digitale in che modo il passaggio dai fatti ai dati – come modalità
di giudizio – trasforma il modo con cui vediamo le cose?
Il passaggio da una modalità di giudizio basata sull’osservazione dei fatti ad una modalità di giudizio fondata
sull’analisi dei dati ha trasformato radicalmente il modo con cui gli individui percepiscono la realtà. In
particolare, i nativi digitali hanno maturato la convinzione che i dati mostrino la realtà in maniera
incontestabile. L’affidabilità dei dati viene messa in discussione da diversi fattori, quali: l’impossibilità
dell’uomo di controllarli (dal punto di vista tecnologico e cognitivo) e la possibilità di ogni utente di poter
trasmettere e manipolare le informazioni.
8. Lo studente commenti questa asserzione di Stanley Millgram: ” L’obbedienza dipende in
massima parte dalla re-definizione che il soggetto fa del significato della situazione che
sta vivendo”
Millgram, nei suoi studi riguardo all’influenza e al controllo dei comportamenti individuali da parte delle
autorità e dei new-media, dimostrò con degli esperimenti le cause dell’obbedienza.
I risultati dei suoi esperimenti evidenziavano come l’obbedienza dipenda dalla re-definizione che il soggetto
attua in merito al significato dell’azione che sta vivendo. Ogni individuo base le sue azioni e reazioni alle
situazioni della vita corrente, seguendo delle ideologie che, secondo Millgram, sono vulnerabili a quello che
suggerisce la situazione stessa. Di conseguenza, quando gli individui si trovano in situazioni che mettono in
crisi i loro ideali, essi finiscono per seguire la definizione della situazione, suggerita da un’autorità; a costo
di assumere dei comportamenti opposti alla propria moralità. Tali azioni saranno soggette ad una
rivalutazione dell’inidividuo, il quale cercherà di giustificarne la sua assoluta necessità.
e, in quest’ottica, anche l’azione più orribile sarà riclassificata come ragionevole e oggettivamente
necessaria. La tendenza umana a reprimere la propria ideologia per conformarsi a quella predominante è
stata affrontata dai sociologici della comunicazione, in particolare da Nouelle Newmann, la quale indica i
mass media come le cause di questo effetto persuasivo. Nella teoria della spirale del silenzio, Newmann
spiega che la tendenza degli individui è quella di reprimere le loro opinioni, nel momento in cui
percepiscono che è dissonante con quella predominante; mentre in caso contrario, si espongono. Come
negli esperimenti di Millgram, anche in questa teoria il comportamento umano è controllato da un’autorità,
la quale è costituita dalla massa e dalla cornice rappresentativa della realtà, offerta dai media. Un altro
effetto che determina l’obbedienza delle masse è l’agenda setting, che definisce i temi di maggiore
rilevanza. L’agenda setting si avvale dei media per filtrare la rappresentazione della realtà, offrendo una
chiave di lettura che veicola il pensiero collettivo e portano ad una re-definizione della realtà che gli
individui vivono.

9. Perchè l’eolipila di Erone di Alessandria passò inosservata agli uomini del suo tempo?
Che considerazioni si possono fare?
L’eolipila, inventata da Erone di Alessandra, fu soggetta ad una risonanza sociale minore, rispetto
ad altre invenzioni di studiosi e intellettuali della sua contemporaneità. Le motivazioni, anche se in
parte legate all’approvvigionamento dei materiali adatti, è da ricercare negli equilibri di potere tra
l’autorità e i ceti sociali più bassi: gli schiavi. L’eolipila di Erone, se fosse stata attutata, avrebbe
anticipato l’avvento della macchina a vapore e avrebbe portato a dei consistenti vantaggi
produttivi, economici, culturali e sociali già in età classica.
L’automazione, resa possibile dal progetto di Erone, avrebbe reso superfluo il lavoro degli schiavi e
avrebbe condotto ad un’inesorabile e radicale stravolgimento dell’ordine sociale e della gerarchia
che determinava l’equilibrio nella società. Nonostante venisse giudicato ingiusto da parte della
popolazione dell’epoca, la schiavitù era parte di una costruzione naturale della società.
Come affermava Hobbes, in seguito agli studi sulla politica e la società – temi introdotti dalla polis
greche – l’uomo è un animale egoista e il suo agire si basa su leggi analoghe a quelle del mondo
animale. Di conseguenza, l’uomo, per fuggire dallo stato di disordine provocato dalla sua stessa
natura, accetta di essere sottomesso ad un potere assoluto. Questo pensiero, contenuto nella
Teoria contrattualistica della società, sostiene che quest’ultima è fondata su un contratto
condiviso da tutti i soggetti della società, che garantisce l’equilibrio e l’ordine sociale.
Da queste considerazioni, si può osservare che la tendenza al rifiuto di opere oggettivamente
necessarie è propria anche del mondo contemporaneo. Questo fenomeno scaturisce nell’effetto
NIMBY, nel quale gli individui nonostante riconoscano l’utilità di un’opera o di un’infrastruttura
pubblica, si oppongono alla sua realizzazione nel loro territorio per evitare dei possibili disagi.
Questo atteggiamento, come mostrato con l’invenzione di Erone, va a discapito dell’interesse
comune e dell’evoluzione dello stesso.
10. Come sappiamo non solo i “dati” sono da considerare degli artefatti culturali, ma anche le
tecniche subiscono l’influenza dell’evoluzione sociale. A questo proposito alcuni studiosi
parlano di una “vita sociale” dei metodi riferendosi al fatto che gli “e-methods” sono allo
stesso tempo modellati dal mondo e agenti che modellano il mondo. Lo studente
commenti questa constatazione, eventualmente ricorrendo a: Ruppert, Law, Savage,
“Reassembling Social Scienze Methods: The Challenge of Digital Devices”.In, Theory,
Culture & Society, 30 (4), pp. 22-46. 2013. Savage, Burrows, “The coming crisis of
empirical sociology”. In Sociology 41 (5), pp.885-899. 2007. Beer, Burrows R. “Popular
Culture, Digital Archives and the New Social Life of Data”. In, Theory Culture & Society, 30
(4), pp.47-71. 2013.
Il riconoscimento del fatto che i metodi abbiano una vita sociale, comporta: da un lato, l’emergere
di un interesse crescente interdisciplinare, verso la metodologia della ricerca come oggetto di
studio; dall’altro, consente di mettere in luce i limiti di una visione positivista delle scienze sociali
che considerano la disciplina quella espressione di una forma di sapere fondata unicamente su
processi connotati da elevata standardizzazione. Va aggiunto che anche i contesti nei quali
vengono registrate le informazioni non posso essere considerati neutrali.

11. È corretto dire che i big data hanno la capacità di rilevare – anche in assenza di una
prospettiva teorica – il perché dei fenomeni? Se si, che cosa comporta questo?

L’affermazione è corretta perché i Big Data hanno la capacità di sfruttare l’ingente quantità di dati
a loro disposizione per identificare gli schemi narrativi ricorrenti, al fine di evidenziare delle
tendenze nel comportamento degli utenti. A tal proposito, i Big Data basano la propria previsione
su un sistema di algoritmi predittivi,i quali deducono le tendenze dall’osservazione di un campione
di dati appartenente agli utenti, tramite un processo di inferenza statistica. Questo modus
operandi, associato all’enorme capacità di calcolo dei dati delle grandi multinazionali, comporta
delle violazioni della privacy, attraverso un monitoraggio degli utenti volto non solo a
comprenderne il comportamento, anche per anticiparne i desideri di consumo o addirittura per
indirizzarli.

Sì, I big data hanno la capacità di rivelare il perché dei fenomeni. Infatti tra le possibilità offerte da
essi, abbiamo gli algoritmi predittivi. — Partiamo però prima da una breve definizione: ‘’Big data’’
si riferisce a un grande volume di dati. Tuttavia, non è importante la quantità ma l’uso che ne
viene fatto, infatti possono essere utilizzati per affrontare problemi aziendali, e per l’appunto,
rilevare fenomeni futuri. I big data sono tradizionalmente identificati da tre fattori, detti ‘’le 3 V’’, i
quali sono Volume, Varietà e Velocità. Oggi però, possono essere caratterizzati da tre ulteriori
fattori, ovvero Variabilità, Complessità e Veridicità: proprio quest’ultima è relativa al valore
informativo che si può estrarre dai dati. — Tornando a noi, gli algoritmi predittivi funzionano
secondo un approccio fisico o statistico, e permettono di stimare la probabilità di realizzazione di
un evento, partendo dalle condizioni precedentemente misurate. Questo ci consente di prevenire,
per esempio, alcune specie di malattie a sviluppo lento. In conclusione, è comodo affidarsi a essi,
anche dal punto di vista economico, infatti ci permettono evitare lunghe ricerche e formulazioni di
teorie da verificare. Tuttavia questo comporta conseguenze, dubbi e eventuali problemi, a livello
etico: primo fra tutti il monitoraggio degli utenti e dei loro movimenti.
12. Cosa comporta sul piano della comunicazione il passaggio dai vecchi mediatori
dell’informazione – come erano l’editoria, la radio, la tv e il cinema – ai nuovi mediatori,
come sono di fatto Amazon, Apple, Google, Facebook?

Il passaggio dai vecchi mediatori dell’informazione, come l’editoria e la radio, ai nuovi, i quali sono
basati sul trattamento di un ingente quantità di dati in forma digitale, ha aumentato le disparità
sul piano dell’informazione e della comunicazione tra gli individui e le grandi corporazioni
transizionali. I nuovi media, basandosi sulla registrazione di tutte le informazioni fornite dagli
stessi utenti in maniera più o meno volontaria, vengono registrate e archiviate dai Big Data.
Questo comporta che le informazioni, nella post-modernità, abbiano assunto il valore di un bene
economico, il quale determina il progresso delle grandi aziende, che sfruttano i dati per capire le
tendenze dei consumatori. La cessione dei nostri dati è divenuta ormai una moneta di scambio,
che permette agli individui di poter usufruire dei servizi offerti da media digitali, la cui natura
gratuita è una farsa poiché il vero costo è la nostra privacy.

Questa sostituzione aumenta in modo esponenziale l’enorme asimmetria di interazione tra gli
individui e le grandi corporazioni transnazionali.

Il risultato di queste deleghe alle organizzazioni corporative (da parte di settori sempre più ampi
della società) è che tutte le informazioni fornite dagli individui in maniera più o meno volontaria
vengono oggi registrate e immagazzinate per diventare una parte importante dei Big Data.

In una tale prospettiva, le cosiddette nuvole di computer dove si condensano i servizi sociali sono in
realtà distese di macchine protette da guardie armate.

La cessione delle informazioni sulla persona dovrebbe essere una scelta personale per molte
ragioni. Cedere i propri dati significa cedere alcuni diritti e per questo dovrebbe essere una scelta
consapevole. Nella modernità le informazioni hanno un valore economico e sono commercializzate
nonostante che le persone non ne abbiano la percezione. Gli utenti del digitale vengono considerati
dei semplici consumatori dai quali estrarre i dati per usarli o rivenderli, quando in realtà sono una
merce. Per consuetudine, oggi, i dati correlati a un individuo sono considerati – nell’linguaggio
economico-burocratico – una commodity, vale a dire una merce che si possiede e che, a ragione
della sua natura, non si può vendere ma solo usare come bene di scambio.

In altri termini, non si possono vendere i propri dati, ma si possono cedere in cambio di un servizio
a chi invece – se vuole – potrà rivenderli.

Vediamo un caso di specie.


Quando nel 2014 Facebook ha comprato WhatsApp per 19 miliardi di dollari, di cui 4 in contanti,
non ha certo comprato un software, ma ha acquistati i dati appartenenti a 400milioni di utenti.
Se proviamo a fare due conti ogni persona è stata valutata circa 40 euro.

Come abbiamo visto, l’utente è – allo stesso tempo – risorsa da cui estrarre la materia prima dei
dati e obiettivo su cui realizzare la valorizzazione dell’informazione prodotta a partire dai dati
estratti.
In pratica siamo in presenza di una sorta di neo-potere, caratteristico delle piattaforme, che ha
dato vita a un nuovo potere politico ed economico organizzato in modo tale che le proprie policy di
utilizzo finiscono per essere considerate alla stregua di leggi internazionali.
Con policy, nei paesi di lingua inglese, si indica un insieme di azioni poste in essere da soggetti di
carattere pubblico e privato correlate ad un problema collettivo.

Cosa se ne deduce?

Che le aziende, di fatto, acquisiscono dei diritti senza contrattazione e impongono delle pratiche
senza che gli utenti si accorgano di quanto accade.

Va anche detto che queste piattaforme, grazie alla loro tecnologia, forniscono servizi basati su
standard che quasi sempre sono superiori a quelli dei servizi classici – sia privati che pubblici –
innescando, senza che ce ne rendiamo appieno conto, processi di privatizzazione consensuale,
silenziosi e inavvertiti

Non va dimenticato che l’enorme capacità di calcolo e di elaborazione dei dati consente alle grandi
aziende dell’informatica – spesso in regime di monopolio, quasi sempre di oligopolio – di fornire
analisi in qualunque settore della conoscenza, potendo attingere non solo alle risorse del proprio
recinto di dati, ma anche alle fonti ad accesso libero.

In quest’ottica la produzione di dati a mezzo di dati fa si che la volontà di offrire piattaforme aperte
è più che altro una forma avanzata di capitalismo travestito di buonismo, nel quale il lavoro
individuale si muta in una opportunità di contribuire al loro progresso.
Perché?

Perché il meccanismo alla base delle nuove forme di intelligenza artificiale è il cosiddetto
apprendimento automatico o machine learning.

Per semplificare al massimo, quello che preoccupa le scienze sociali non è l’input – i Big data
estratti dall’attività di miliardi di consumatori – né l’output, ma la non trasparenza che sta nel
mezzo, vale a dire le righe di codice che guidano il processo con cui gli algoritmi on line
ingeriscono i dati sui comportamenti degli utenti.

Algoritmi che, abbiamo sottolineato più volte, rappresentano un investimento – insieme ai dati – da
custodire con grande cura perché gran parte dei profitti di colossi come Google, Netflix e Amazon
derivano proprio dai suggerimenti automatici che acquisiscono.

13. Quali sono o potrebbero essere i pericoli che le scienze sociali identificano
nell’algocrazia?

L’espressione Algograzia indica una forma di società basata sul dominio degli algoritmi, in tutti gli
ambiti della vita corrente, sia negli apparati pubblici sia privati. Le scienze sociali, in seguito alla
riotologizzazione della realtà, hanno intavolato una serie di discussioni riguardo i pericoli che
comporta l’algocrazia sulle vite degli individui, definendo questa situazione come una “dittatura di
algoritmi”, in cui quest’ultimi hanno ridotto notevolmente le capacità decisionali dell’uomo e la
sua privacy. Gli algoritmi, basando la registrazione di tutte le informazioni fornite dagli stessi
utenti, in maniera più o meno volontaria, non vengono sfruttati solo dalle aziende analizzare i
propri consumatori e dettare i loro desideri. Infatti, gli algoritmi regolano anche il mondo della
finanza, nel quale gli algoritmi non solo analizzano enormi quantità di dati, ma prendono anche
decisioni sugli investimenti in qualche frazione di secondo. Allargando l’orizzonte da specifici
ambiti alla società nel suo insieme, l’aspetto forse più interessante è l’utilizzo degli algoritmi da
parte dei governi e delle democrazie. In questo contesto, gli algoritmi potrebbero utilizzare i dati
personali, ricavati dagli utenti, per sfruttarli a vantaggio di un rappresentate o partito politico.

Diversi sociologi e filosofi hanno discusso sui rischi dell’algocrazia, dell’attuale momento storico in
cui gli algoritmi hanno un enorme potere sulla vita degli individui, e fanno scelte per loro,
arrivando quasi ad annullarli. Si potrebbe addirittura parlare di ‘’dittatura di algoritmi’’ Ciò che
preoccupa maggiormente le scienze sociali non è l’input né l’output ma la ‘’non trasparenza’’,
ovvero ciò che guida il processo con cui gli algoritmi online apprendono dati sui comportamenti
degli utenti; Questi ultimi sono un investimento da custodire, perché gran parte dei profitti di
Google, Amazon, Netflix e altri colossi derivano proprio dai suggerimenti automatici che
acquisiscono. Gran parte degli algoritmi sono progettati da privati per scopi commerciali, e le
ricadute sono pubbliche: un esempio è quello del recommender di Amazon, che suggeriva
componenti per fare una bomba artigianale in quanto i materiali erano ‘’spesso comprati
assieme’’. In conclusione, l’algoritmo è uno strumento apparentemente semplice e utile, che
esegue ordini, ma che può produrre esiti preoccupanti; Secondo i sociologi, la cultura occidentale
si sta trasformando negli anni in una ''cultura algoritmica''. Per definire tutto ciò potremmo,
citando Hanna Arendt, parlare di ‘’banalità dell’algoritmo’’.

14. Perché le pratiche della profilazione sono antitetiche ai principi della privacy? Illustrare
la risposta anche con degli esempi.
La profilazione è digitale, usufruendo dell’enorme quantità di dati relativi ai comportamenti di ogni
utente, delinea la fisionomia digitale di un utente, trasformando l’individuo come qualcosa di
misurabile e manovrabile. Utilizzata inizialmente solo dalle forze dell’ordine, il profiling è diventato
uno strumento ricorrente nell’ambito commerciale, non solo per determinare degli schemi
ricorrenti dei comportamenti dei propri consumatori, ma anche per dettare i loro desideri. Gli
utenti, il più delle volte, sono all’oscuro del fatto che le loro azioni vengano sfruttate dalle grandi
corporazioni transizionali e che la loro privacy sia il prezzo da pagare per usufruire dei loro servizi.
Un esempio di proliferazione digitale è l’algoritmo utilizzato dal social network Tik Tok che, in base
alle ricerche, gli hashtag e gli effetti utilizzati dagli utenti, attribuisce maggiore rilevanza a
determinati contenuti. Un altro esempio è Netflix che stima la probabilità che un utente possa
guardare un determinato titolo, in base ad una serie di fattori, tra cui: le interazioni con il servizio,
le informazioni sugli altri titoli (come il genere, gli attori, la durata degli episodi), i dispositivi
utilizzati per usufruire del servizio e la media di utilizzo giornaliero. Queste informazioni
costituiscono i dati che consentono all’algoritmo di consigliare i titoli più conformi alle tendenze
dell’utente.

15. Lo studente commenti questa affermazione: Il segreto di Pulcinella del digitale è il suo
potere di estrarre valore economico dalla capacità umana di incontrarsi, comunicare,
mostrarsi, generare senso e articolare i legami sociali.

I new media si sono progressivamente inseriti negli spazi in cui viviamo e tendono ad interagire
con ogni aspetto della vita corrente. Questo aspetto ha portato alla possibilità di creare delle
identità digitali che rendano riconoscibile ogni individuo all’interno della rete e di costruire delle
relazioni virtuali con altre identità digitali. La fruizione di questi servizi, benchè non dipenda da un
pagamento economico, è dettata dalla concessione, più o meno volontaria, da parte degli utenti di
cedere i propri dati personali alle grandi aziende. Di conseguenza, ogni comportamento,
interazione con altri utenti e ricerche sul web, costituiscono il materiale sul quale viene basato il
profiling digitale, il quale non monitora solo i comportamenti e le interazioni, ma, in base alle
tendenze dell’utente, prevede i suoi desideri. In alcuni casi, il profiling può creare i desideri dei
consumatori o, nel caso del profiling utilizzato in ambito politico, può veicolare delle ideologie o
manipolare gli utenti. Gli utenti diventano delle merci mentre la loro privacy diventa la moneta di
scambio per poter accedere ai servizi della società dell’informazione e della comunicazione
digitale. In tanti ormai siamo consapevoli di essere tracciati completamente, però forse sottovalu-
tiamo ancora che questa “invasione” va molto oltre lo sfruttamento dei dettagli personali inse-
riti su Facebook e su Twitter. La nostra vita diventa via via più trasparente nel moltiplicarsi di
dati e di reti personali, attraverso social network e sistemi automatizzati che registrano le no-
stre attività sociali, economiche e culturali

Più in generale il campo di studio del profiling commerciale, applicato ai consumi, non riguarda
solo l’area degli acquisti, ma l’insieme delle interazioni e dei sentimenti (dei processi emotivi) che
un individuo sviluppa in un ambiente sociale predisposto per mezzo del web.

Quello che viene raccolto e conservato non è, come nelle indagini di mercato classiche, una sorta di
istantanea (di Polaroid) scattata in un dato momento, ma è un flusso di dati in movimento che
aumenta costantemente e si modifica in continuazione, realizzando una sorta di controllo continuo.

In sostanza, ogni utente che è in rete sviluppa e acquisisce un’impronta identitaria unica e in
perenne metamorfosi.
Il tracciamento di questa impronta avviene in vari modi e per mezzo delle applicazioni che ci
mettono in contatto con i servizi.

Questo perché l’obiettivo dei servizi che ci offrono è il profitto e non certo quello di metterci in
contatto con altri o di condividere con noi le esperienze della vita.

Oggi il profiling commerciale è ancora più sofisticato perché non si limita ad anticipare i desideri di
consumo, ma li orienta e in molti casi li crea, dovremmo aggiungere, il più delle volte a nostra
insaputa.

16. Utilizzando “CookieViz” o un programma analogo lo studente analizzi le interazioni tra


il suo computer, il suo brower, i siti e i server remoti, commenti il risultato ed
eventualmente ne disegni un diagramma. (Per poter utilizzare CookieViz prima di tutto
selezionare la lingua, inglese o francese.)

I cookie sono file di testo contenenti informazioni minime inviate al browser e archiviate sul
dispositivo dell’utente, affinchè il server del sito web che li ha installati possa ottenere delle
informazioni sull’attività che compie l’utente. Ad ogni collegamento, i cookie rimandano le
informazioni al sito di riferimento e così è possibile riconoscere e tracciare l’attività a distanza di
tempo. Per spiegare più nel dettaglio le interazioni messe in atto dai cookie, facciamo un esempio:
supponiamo che un utente svolga una ricerca su un sito di abbigliamento, digitando nella barra di
ricerca l’articolo “borse”; a quel punto, viene installato un cookie corrispondente alla richiesta
dell’utente, definita query. In seguito, un software installato sul sito consultato, usufruirà del
query per veicolare all’utente degli annunci pubblicitari, personalizzati e attinenti alla sua ricerca.
Nonostante i siti web siano obbligati ad avere il consenso degli utenti, facendogli leggere e
accetare i “Termini di servizio”, la maggior parte degli utenti non solo è all’oscuro della presenza di
software, installati nei broswer che abitualmente utilizzano, ma è inconsapevole del fatto che ogni
volta che una tecnologia Web permette a un server di salvare qualche dato all’interno del browser,
questo può essere usato come sistema di tracciamento.
17. Quali sono gli elementi socio-culturali che nella contemporaneità hanno svalutato il
paradigma che presupponeva una coincidenza tra cultura e territorio. Quali sono le
conseguenze?

Il XXI secolo ha portato alla ridefinizione del paradigma riguardo la costruzione degli Stati-
nazionali, in base ad una coincidenza di territorio, cultura, etnia e lingua. Nell’ultimo decennio, il
radicale cambiamento del rapporto tra gli individui e lo spazio sociale e territoriale e
l’assimilazione dello Stato nazionale ad un tessuto sociale disomogeneo, ha ridefinito il paradigma
fondato sulla coincidenza tra cultura e territorio. Gli elementi socio-culturali che hanno contribuito
alla svalutazione di questo paradigma sono: lo sviluppo e la diffusione dei new media, i nuovi
assetti politici e le nuove dinamiche che muovo i flussi migratori odierni. Questi nuovi paradigmi
conducono alla conseguenza inedita della “multipolarità territoriale”, in cui le idee e gli stili di vita
risultano globalizzati, includendo in questo processo l’intera umanità e non solo un elitè, come in
passato. Questi flussi migratori mettono in risalto le contrapposizioni socio-culturali tra le culture
dominanti e le subculture, i centri e le periferie e i colonizzatori e i colonizzati. Inoltre, i nuovi
confini socio-culturali hanno perso la loro fisicità e vengono continuamente ridefiniti. Le nuove
forme di migrazione hanno portato anche ad un fenomeno inedito, dove le diversità culturali
vengono imitate dalla cultura dominante e soprattutto dall’Occidente.

18. Che cos’è il digital divide? Quali sono i problemi e i pericoli che comporta? Quali sono
i possibili rimedi?

Il termine digital divide è stato usato per la prima volta negli anni 90 del secolo scorso negli USA,
nell’ambito di alcuni studi che mostravano le disparità nell’acquisizione di un personal computer,
in relazione ai diversi gruppi etnici. Il digital divide è il divario presente tra i soggetti che hanno
accesso alle tecnologie dell’informazione e che ne viene escluso totalmente o parzialmente.
Questo divario ridefinisce le differenze sociali, riducendole alla possibilità di accesso ai mezzi per
partecipare alla “società dell’informazione”. Le condizioni di vita precarie, l’insufficiente livello
economico e scolastico e l’appartenenza ad una determinata etnia sono fattori che determinano
l’esclusione nella fruizione dei new-media e che aumenta il gap presente tra i paesi occidentali e
quelli del Terzo e Quarto mondo. Tale divario condurrà a delle forme di conflitto non solo tra i
localismi ma anche tra i nativi digitali e i migranti digitali e i conflitti per un’equa re-distribuzione
delle risorse naturali, le quali sono sfruttate maggiormente dai paesi della fascia temperata. La
riduzione del digital divide va di pari passo con l’uguaglianza delle condizioni economico-sociali che
gli Stati dovrebbero assicurare ai propri cittadini. Solo in quel caso sarebbe possibile garantire
l’accesso ai new e degli ambienti digitali che rendano l’utente autosufficiente e partecipante
attivo.
19. Che cos’è la conformità sociale e quale è il ruolo del gruppo nel favorire i fattori di
conformità?
- Spiegare la teoria della spirale del silenzio di Noelle Newmann
Questo termine indica una tendenza a conformarsi a opinioni, usi e comportamenti già definiti in
precedenza e politicamente o socialmente prevalenti.
In ambito sociale si definisce conformista colui che, ignorando o sacrificando la propria libera
espressione soggettiva, si adegua e si adatta nel comportamento complessivo, sia di idee e di
aspetto che di regole, alla forma espressa dalla maggioranza o dal gruppo di cui è parte. È una
sorta di comportamento mimetico: l'individuo si nasconde nell'ambiente sociale nel quale vive,
assumendone i tratti più comuni, in termini di modi di essere, di fare, di pensare. Il senso di
protezione che ne deriva rafforza ulteriormente i comportamenti conformisti.
L'atteggiamento opposto al conformismo viene definito anticonformismo e consiste quindi in un
rifiuto delle idee e dei comportamenti prevalenti. Infatti, normalmente, le persone non
conformiste hanno già sviluppato un livello di coscienza diverso che permette loro di poter sfidare
i comportamenti comuni senza soffrirne. Solitamente si hanno personalità non conformiste negli
artisti, negli scienziati, nei filosofi, negli statisti e nei santi, quindi in tutti coloro che si danno la
possibilità di libera espressione di se stessi fuori dalla forma già predefinita dall'ambito sociale e
storico in cui vivono.

20. Lo studente commenti questa affermazione e consideri le conseguenze.


Alcuni studiosi, da qualche tempo, sostengono la tesi secondo la quale la diffusione di
procedure di analisi sui Big Data stanno indirizzando gli studi empirici verso un
approccio di ricerca data driven invece che theory driven. In sostanza il percorso
empirico sarebbe sempre più guidato dalle informazioni disponibili anziché dalle
ipotesi di ricerca elaborate sulla base di un quadro teorico, dando vita a una nuova
forma di ricerca empirica.
Con il termine data-driven, letteralmente “guidato dai dati”, si intende la costruzione di processi
decisionali e la formulazione di ipotesi attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale. Si tratta di
un approccio all’acquisizione delle informazioni e alla generazione di conoscenza del tutto
innovativo dal punto di vista metodologico, che riconosce ai dati il ruolo di guida. I big data sono
tradizionalmente identificati da quattro fattori, detti ‘’le 4 V’’, i quali sono Volume, Varietà,
Velocità e Veridicità; proprio quest’ultima è relativa al valore informativo che si può estrarre dai
dati. Gli algoritmi predittivi funzionano secondo un approccio fisico o statistico, e permettono di
stimare la probabilità di realizzazione di un evento, partendo dalle condizioni precedentemente
misurate. Questo processo, basato sulla previsione, ha dei limiti evidenti: perché basandosi su fatti
storici, le previsioni saranno vere solo se si verificheranno le medesime situazioni. Nonostante i
nativi digitali convinti dell’affidabilità dei dati digitali, essa viene messa in discussione da diversi
fattori, quali: l’impossibilità dell’uomo di controllarli (dal punto di vista tecnologico e cognitivo) e
la possibilità di ogni utente di poter trasmettere e manipolare le informazioni. Le informazioni
digitali, inoltre sono anche vittime dei bias, non solo di chi ha programmato le tecnologie digitali
ma anche delle opinioni dominanti che l’intelligenza artificiale memorizza.
21. Quali sono i pericoli di quel fenomeno che la sociologia chiama di “auto- referenzialità
dei media”? In che modo condiziona l’agenda-setting?

I cookie

22. È corretto dire e, se è corretto, perché la riontologizzazione ricompone i caratteri che


promuovono l’etica del simbolico e la formazione dell’immaginario?
È corretto perché

23. Lo studente – anche a fronte della particolare situazione che stiamo vivendo –
commenti questa constatazione: La disuguaglianza digitale appare, nella situazione
attuale, un fenomeno molto più complesso di quello indicato con l’espressione di
digital divide. Perché questa disuguaglianza digitale comprende anche le disparità tra
chi è già online. Disparità che possono essere strutturali e non contingenti perché si
fondano sulle diverse capacità degli individui di sfruttare a proprio vantaggio un mezzo
di comunicazione complesso e una massa di informazioni enorme e non organizzata.

Va sottolineato che l’identità per sua natura non può che essere molteplice e meticciata. L’idea di
un identità pura e statica è un’illusione.

L'identità digitale è, invece, la rappresentazione di un individuo.


Un’identità disegnata da coloro che creano e usano i dataset (cioè le collezioni di dati) in cui questa

identità è memorizzata.
In sostanza, una persona digitale è la rappresentazione digitale di un individuo reale.

Una sorta di persona astratta che può essere connessa a un individuo reale e che comprende una
quantità di dati sufficiente per essere usata in ambiti specifici.
In pratica è una delega di cui si può essere coscienti o che si realizza a nostra insaputa.

Roger Clarke, un esperto di cultura digitale australiano, ha definito due tipi di identità digitale:
quella progettata e quella imposta.
La progettata è costruita dallo stesso individuo, che la trasferisce ad altri per mezzo di dati.
Ad esempio: con la creazione di un Blog personale o di una pagina personale su un social network,
o luoghi digitali simili.

Quella imposta è quella proiettata sulla persona. In un certo senso è quella illuminata per mezzo dei
dati collezionati da agenzie esterne, quali sono le società commerciali o le agenzie governative (dati
che hanno molteplici scopi, come, per esempio, valutare di una persona il suo grado di solvibilità ai
fini della concessione di mutui, il suo stato di salute a fini assicurativi o creditizi, definire le sue
preferenze politiche, i suoi gusti musicali, eccetera.

In una conferenza a Roma di qualche anno fa, Roger Clarke – affrontando il il tema dell’Identità
Digitale – ha definito quattro categorie di persona digitale modellate sull’individuo reale come
forme di un inconscio digitale:
- alla prima categoria troviamo una persona che non è a conoscenza degli archivi che conservano i
suoi dati sensibili.

- alla seconda, una persona che è a conoscenza degli archivi dati, ma non può accedere ad essi.
- alla terza, una persona che è a conoscenza degli archivi e ne ha accesso ma non conosce i codici
per decodificare le informazioni su tali archivi.

- all’ultima categoria troviamo una persona che nonostante abbia accesso ai suoi dati sa che ad essi
sono state sottratte o aggregate molte delle informazioni che la profilano, senza conoscerne il
motivo.

In questo contesto il profiling è l’insieme di quelle tecniche che servono per disegnare il profilo di
un utente in base al suo comportamento.

24. In che modo l’Internet of Things può minacciare la socialità. Illustrare la risposta anche
con degli esempi.

“La socialità è, almeno in parte, analoga agli istinti fondamentali incontrati in tutti gli animali.
Presuppone la necessità di adattamento all’ambiente esterno, ai bisogni umani fisici e psichici, alla
vita attiva.
La si potrebbe definire come inclinazione innata degli uomini a comunicare con i loro simili le loro
impressioni onde cercare insieme il migliore modo di conservarsi e attuarsi.
L'Internet of Things (IoT) può minacciare la socialità in diversi modi, tra cui:
1. Dipendenza dalla tecnologia: l'uso eccessivo di dispositivi IoT può portare a una
dipendenza dalla tecnologia, riducendo il tempo dedicato alle relazioni sociali e alla
comunicazione faccia a faccia.
2. Isolamento sociale: l'utilizzo di dispositivi IoT, come gli assistenti vocali o i robot domestici,
può sostituire le interazioni umane, portando all'isolamento sociale.
3. Sorveglianza: i dispositivi IoT possono raccogliere e trasmettere dati sugli utenti, creando
preoccupazioni per la privacy e la sorveglianza.
4. Disuguaglianze: l'accesso limitato ai dispositivi IoT può creare disuguaglianze, con alcune
persone che hanno maggiori opportunità di utilizzare la tecnologia rispetto ad altre.
Per esempio, una persona che passa la maggior parte del suo tempo a parlare con un assistente
vocale potrebbe trascurare le relazioni sociali e familiari. Inoltre, l'utilizzo di dispositivi di
sorveglianza IoT in casa può creare preoccupazioni per la privacy e rendere le persone più restie ad
invitare amici e familiari a casa propria.

25. Che cosa intende Roger Clarke quando parla di “inconscio digitale”? quali sono le
quattro categorie della persona nascosta?
In una conferenza a Roma di qualche anno fa, Roger Clarke – affrontando il il tema dell’Identità
Digitale – ha definito quattro categorie di persona digitale modellate sull’individuo reale come
forme di un inconscio digitale:
- alla prima categoria troviamo una persona che non è a conoscenza degli archivi che conservano i
suoi dati sensibili.
- alla seconda, una persona che è a conoscenza degli archivi dati, ma non può accedere ad essi.
- alla terza, una persona che è a conoscenza degli archivi e ne ha accesso ma non conosce i codici
per decodificare le informazioni su tali archivi.
- all’ultima categoria troviamo una persona che nonostante abbia accesso ai suoi dati sa che ad
essi sono state sottratte o aggregate molte delle informazioni che la profilano, senza conoscerne il
motivo.
In questo contesto il profiling è l’insieme di quelle tecniche che servono per disegnare il profilo di
un utente in base al suo comportamento.

Lo sviluppo del web 2.0 e la pervasività delle sue applicazioni hanno prodotto la nascita di una
rappresentazione digitale (identità digitale o persona digitale) degli individui che usano la rete.
Tale rappresentazione si discosta da quella tradizionalmente basata sull'apparenza dell'individuo e
sui suoi comportamenti pubblici (identità personale). Uno dei primi studiosi ad occuparsi della
nascita della 'persona digitale' (digital persona) e dei suoi effetti sulla privacy dei cittadini fu, a
partire dal 1994, il tecnologo Roger Clarke, che diede questa definizione: "la persona digitale è un
modello di personalità individuale pubblica basato su dati e mantenuto da transazioni, destinato
ad essere utilizzato su delega dell'individuo." Sappiamo oggi che tale funzione di delega viene
negata nei fatti sia dalle società che gestiscono i servizi sulla Rete (Google, Microsoft, Facebook,
Twitter, ecc.), sia dalle agenzie di intelligence (tutte).
questi dati vengono poi inferenzialmente connessi per mezzo di specifici algoritmi che
'costruiscono' la personalità digitale del singolo individuo e ne predicono i comportamenti futuri. I
dati acquisibili sono molto vari: stato di salute, educazione, reddito, capacità di spesa, preferenze
di acquisto, preferenze sessuali, religiose, culturali, politiche, ecc. Ciascuno di questi dati, preso
singolarmente, potrebbe non avere molto valore, ma la capacità analitica esercitata dalle
applicazioni dei Big Data (Business Intelligence, Data Mining, ecc.), consente di creare dei profili
molto accurati e predittivi delle scelte future degli individui, la cui esistenza, contenuto e scopo
rimangono sconosciuti agli interessati.

26. Dove i saperi sono consegnati al calcolo e alla simulazione tecnologicamente assistita.
Dove dilagano le procedure di semplificazione, spacciate per procedure d verità. Dove
ogni conoscenza ha il suo posto e il suo compito performativo, la filosofia finisce per
venir esautorata. Donatella Di Cesare
Per la cosiddetta intelligenza artificiale i fattori fondamentali sono due.
Il potere di calcolo e i dati.
Soprattutto questi ultimi che sono la materia grezza dalla quale il network neurale trae le sue
conclusioni e le sue predizioni.
Ma come abbiamo più volte detto se questi dati non sono di buona qualità il risultato non potrà
essere che pessimo. Alla fine del secolo scorso, invece, le ricerche sulla cosiddetta intelligenza
artificiale erano concentrate sullo sviluppo delle capacità simboliche.

Vale a dire si cercava di far apprendere alle macchine tutte le regole necessarie per portare a
termine un compito.

Per tradurre dall’italiano all’inglese – per fare un esempio – si cercava di fornire al computer tutte le
regole grammaticali e i vocaboli delle due lingue per poi chiedergli di convertire una frase da una
lingua all’altra.
Con il risultato di tradurre merluzzi con piccoli merli.

Oggi sappiamo che il modello simbolico ha grossi limiti e funziona solo in quei campi che hanno
regole chiare e rigide, come la matematica e gli scacchi.

L’atteggiamento generale iniziò a cambiare con gli ultimi anni del secolo scorso quando diventò
evidente che il machine learnig consentiva di risolvere problemi che l’intelligenza artificiale
simbolica non sarebbe mai stata in grado di risolvere.
Tutto ciò, grazie a una mole senza precedenti di dati a disposizione e all’accresciuta potenza di
calcolo dei computer.

Alla base del machine learning c’è l’utilizzo di algoritmi che analizzano enormi quantità di dati,
imparano da essi e poi traggono delle conclusioni o fanno delle previsioni.

In breve, come abbiamo detto, nel caso del machine learning è la macchina che scopre da sola come
portare a termine l’obiettivo che le è stato fissato.
È una forma di intelligenza?
No.

Per imparare a riconoscere un numero, diciamo il numero “quattro”, un’intelligenza artificiale deve
essere sottoposta a migliaia e migliaia di esempi. A un bambino di cinque anni basta vederne
qualcuno.

In ogni modo il machine learning è in marcia.


Guiderà le nostre automobili, ma già adesso, per esempio, ci può assistere come se fosse un
avvocato, soprattutto nelle pratiche internazionali.
Un avvocato capace di scartabellare in pochissimo tempo nei database legali di tutto il mondo.

Qual è il problema?
È che spesso i dati forniti alle IA (intelligenze artificiali) includono molti pregiudizi umani che si
riflettono inevitabilmente sui risultati ottenuti con le macchine.

L’esempio di scuola di questa constatazione è quella del bot progettato da Microsoft e chiamato
Tay. Ne abbiamo già parlato.

Appena ha cominciato a immagazzinare dati si sono scatenati i troll che hanno iniziato a
comunicare con Tay dandogli in pasto una miriade di opinioni razziste e omofobe che lo hanno fatto
diventare nel giro di 24 ore il primo esempio di intelligenza artificiale nazista.

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