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Educazione e nuovi media

Pier Cesare Rivoltella, UCSC, Milano


[Via verità e vita Comunicare la fede. 2/2010 (marzo-aprile)]
Il rapporto dell’educazione con i nuovi media (e cioè con i media di nuova concezione che
progressivamente nella storia della cultura si sono venuti avvicendando) è sempre stato
caratterizzato dal sospetto. Le ragioni sono diverse e si può provare a censirle.
I sospetti dell’educazione nei confronti dei media
Senza dubbio ha giocato la sua parte la percezione da parte degli educatori che il nuovo
mezzo compromettesse gli equilibri e gli assetti che la società aveva in qualche modo stabilito
con i precedenti. Tali assetti hanno sempre avuto a che fare con il tema del controllo, e quindi
del potere (Foucault, 1993). Platone, per bocca di Socrate, nelFedro e nella Lettera VII, esprime
bene questa preoccupazione: sottratte al controllo del maestro che può verificarne in presenza
gli effetti sulla mente dell’allievo, le parole scritte “rotoleranno” dappertutto, capitando tra le
mani anche di chi non avrà le competenze per intenderne il corretto significato. È
l’espropriazione dell’autore (dell’educatore) della sua possibilità di influire sull’interpretazione
(l’apprendimento) del suo insegnamento (Ong, 1984; Rivoltella, 1998a). Più in generale, è
l’aprirsi di una forbice tra l’orizzonte del dovere e quello della libertà individuale, come ben si
comprese nel caso della stampa in occasione della Riforma Protestante (Rivoltella, 1998b).

Platone ha agito indirettamente anche sul secondo “motivo” della ricezione “educativa” dei
media, ovvero la convinzione che sapere è vedere. Nel greco classico la radice –ιδ è comune
tanto all’aoristo forte del verboοραω (vedere) che a termini come ι δέα, oεϊδος, che vogliono
dire “struttura, forma”. Il ragionamento è chiaro: se ho visto come stanno le cose, so; e sapere
qualcosa significa appunto averne colto la struttura, l’intelaiatura sostanziale, la forma. Questo
vedere, naturalmente, non è il vedere degli occhi: quest’ultimo si esercita sulle forme sensibili,
che sono copie sbiadite delle forme ideali. Il vedere di cui si parla è il vedere delle mente che
coglie direttamente le forme. Chiaro l’effetto sul rapporto media-educazione: nella misura in cui
le immagini dei media si rivolgono allo sguardo degli occhi (spettatoriale), in esse non vi è
nulla di serio, anzi, corrono il rischio di distogliere o di portare lontano dalla verità delle forme;
al contrario, l’insegnamento si rivolge allo sguardo della mente e attraverso questa relazione
cerca di favorire proprio l’intuizione (intus ire, andare dentro) della verità (Steiner, 1994).

Questo platonismo di ritorno opera anche “dietro” alla terza ragione del sospetto
dell’educazione nei confronti dei media. Tale ragione si può esprimere molto bene col dire che
mentre l’educazione è sempre stata sostanzialmente “giansenista”, i media al contrario sono
“edonisti” (Jacquinot, 2007). Il giansenismo educativo insegna che l’appropriazione del sapere
è un compito serio, che richiede fatica, comporta tempi lunghi, necessita di pazienza e
applicazione costante. L’edonismo mediale iscrive tutto nello spazio del divertimento,
sostituisce alla fatica il piacere, impone tempi rapidi, attenzione distribuita, esaurisce il
consumo nell’immediato e nell’effimero. Come si capisce lo spostamento è dal piano
conoscitivo a quello etico: la partita, nel caso dei media, per l’educazione si gioca sul terreno
dei valori.

Un cambio antropologico?
Se torniamo sui motivi del sospetto pedagogico nei confronti dei media, è facile riconoscervi le
tre domande-chiave su cui sempre un’antropologia si costruisce. Come suggeriva Kant esse
sono: cosa possiamo conoscere? Cosa dobbiamo fare? Cosa possiamo sperare? Metafisica,
etica, religione; verità, dovere, valori.
Ora, su questa base si può ritenere che nella misura in cui i media modificano il nostro modo
di accedere alla conoscenza, il nostro modo di fare uso della nostra libertà in ordine al dovere,
l’interiorizzazione dei valori in base ai quali orientiamo la nostra esistenza, allora i media stanno
probabilmente cambiando la nostra antropologia. Si tratta di una percezione sempre più
chiara già a partire dall’età della televisione, ma soprattutto dopo l’avvento di Internet e delle
sue applicazioni, in modo particolare il Social Network, e la diffusione della telefonia mobile
con i mille servizi che essa è in grado di offrire.
Quali sarebbero i tratti caratterizzanti di questa nuova antropologia? Si raccolgono attorno ad
almeno tre coppie di elementi: reale-virtuale, identità-spersonalizzazione, superficie-profondità
(Rivoltella, Ferrari, 2010).

Una prima idea è che il “mondo della rete” finirebbe per contrapporsi a quello reale,
comportando una frattura tra la vita come essa è e il suo surrogato schermico.
Educativamente si possono ricondurre a questo tema la preoccupazione per il troppo tempo
passato dai ragazzi (i “nativi digitali”) con le tecnologie, il sospetto che il loro mondo finisca per
diventare quello dei videogiochi e delle relazioni in MSN, la perdita di realtà che deriva da una
situazione in cui i soggetti tendenzialmente possono sapere tutto quello che accade nel mondo
ma poi non riescono più ad avere esperienza diretta nemmeno di quanto avviene nel loro
quartiere.
La seconda idea ha a che fare invece con i processi identitari e la comunicazione tra le
persone. La scena attuale della comunicazione è fatta di una pluricollocazione e di una
scomposizione dell’io: il cellulare ci consente di trovarci in un luogo e di continuare a gestire
processi che avvengono invece in un altro, come se fossimo in entrambe; il Social Network ci
offre la possibilità di moltiplicare le rappresentazioni del nostro io, con il risultato che possiamo
essere persone diverse in spazi di comunicazione diversi. Educativamente la preoccupazione
è per un io sempre più estroflesso, che comunica con tutti anche le sue questioni più intime,
ma che poi rischia di non sapersi più relazionare in presenza.
La terza idea rinvia infine ai processi di costruzione della conoscenza. Il “nativo digitale”
conosce le tecnologie, le domina, le usa con una velocità che l’adulto “immigrante” non riesce
a riprodurre. Non solo. Le usa “in parallelo”: ascolta musica, con il cellulare acceso, mentre
legge un libro e chatta con gli amici in MSN. Si chiama multitasking e configura una
competenza specifica che consiste nel prendere e lasciare con una grande velocità di
esecuzione compiti cognitivi che si stanno portando avanti allo stesso tempo. L’educatore si
chiede dove sia finito il tempo della riflessione, la lentezza che serve a ponderare le cose, ad
andare in profondità riguardo ai fenomeni. E teme che l’uomo nuovo sia rapido ma
superficiale.
“Umanizzare” i media?
Dai due passaggi che abbiamo descritto potrebbe prendere forma la convinzione che l’unica
possibilità per l’educazione sia di “umanizzare” i media e i processi individuali e sociali che ad
essi si possono ricondurre. Cosa vuol dire “umanizzarli”? Vuol dire neutralizzarne ilbrainframe
(deKerkhove, 1993), ovvero creare le condizioni perché le conseguenze che si sospetta essi
producano, non si verifichino.
Come si capisce è un’operazione difensiva. Davanti ai due umanesimi, il “nostro” e quello dei
media, facciamo di tutto per tenerci il nostro. Si tratta di una soluzione già nota da tempo.
Nutrita di presupposti che affondano radici nella teoria critica della Scuola di Francoforte, essa
si è tradotta in educazione sia nell’approccio inoculatorio di chi sostiene che compito
dell’educazione sia di vaccinare le giovani generazioni contro il virus mediale, sia nel
ripiegamento sul “valore formativo” delle discipline tradizionali (high culture) contro la
tentazione di aprire le porte alle subculture mediali (low culture)(Rivoltella, 2001). Di simili
atteggiamenti abbiamo avuto anche di recente chiarissimi esempi sulla stampa nazionale: da
chi pretende di correggere il Santo Padre (reo su questi temi di essere troppo progressista), a
chi dichiara guerra alla pedagogia per riaffermare il valore della Cultura, della Storia, della
Costituzione. Non crediamo che la soluzione si possa trovare in questa direzione e proviamo a
spiegarne il perché.
In primo luogo, difendersi è ammettere di non capire. Quando Victor Hugo fa dire a Claude
Frollo, l’arcidiacono di Notre Dame: “Il libro ucciderà l’edificio”, fotografa perfettamente questo
atteggiamento (Eco, Carriére, 2009). Credere che il libro possa sostituire l’edificio significa
confondere il supporto con il suo uso, la tecnologia con le forme del suo consumo. Le vetrate
di

Notre Dame non si possono portare in giro nella borsa, il libro sì. Il libro non uccide l’edificio,
semplicemente gli si affianca aggiungendo una nuova forma di accesso al contenuto delle
Scritture. Quel che occorre fare non è difendersi, ma comprendere lo specifico dei “nuovi”
media, capire come essi si collocano nell’ecologia generale degli altri supporti.
In secondo luogo, la cultura dei ragazzi, oggi, è in larga parte la cultura dei media. È una
cultura integrata, in cui vecchi e nuovi consumi si affiancano. È una cultura in cui i media
protesizzano le esistenze: i ragazzi non surrogano la comunicazione faccia-a-faccia con quella
virtuale; la prolungano, in modo da poter estendere nello spazio e nel tempo il contatto
(Rivoltella, 2006). È una cultura in cui i media sono sempre più spazi di negoziazione, luoghi di
avvicinamento delle generazioni: l’SMS è sempre più spesso il modo in cui i genitori
raggiungono i figli (Brancati, Ajello, Rivoltella, 2008);Facebook il “confessionale” entro cui
chiedere aiuto o confronto a un adulto significativo. Come si capisce, sono usi assolutamente
“naturali”, normali. Qui non vi è il bisogno di “umanizzare” perché già ci troviamo di fronte a
comportamenti e fenomeni “umani”.
In terzo luogo, occorre ricordare sempre che l’educazione consiste nel fornire ai soggetti chiavi
interpretative per vivere nella loro cultura. Sarebbe curioso che nel caso dei media questo non
avvenisse. Soprattutto finirebbe per generare una divaricazione tra l’esperienza dei ragazzi e il
sistema formativo finendo per disorientarli: come se il mondo e la scuola, quello che vivono
tutti i giorni e quello che i loro educatori dicono, fossero due cose differenti. L’esito degli
approcci cui sopra abbiamo fatto (anche un po’ polemicamente) cenno è proprio questo:
disincarnare l’educazione, allontanarla dal mondo reale e, con questo, non riuscire a fornire ai
soggetti quel supporto e quell’orientamento di cui essi hanno bisogno.
Cittadinanza e bilinguismo
Concludiamo allora con due indicazioni di lavoro per chi educa intorno ai media
oggi. Le traiamo
da due volumi recentemente tradotti in italiano.
Maryanne Wolf (2009) studia da anni la dislessia, più in generale i problemi connessi al
“cervello che legge”. Al centro del suo libro, tra le questioni-chiave, sta anche la domanda
relativa ai possibili mutamenti genetici che un cervello come quello dei “nativi digitali”
sollecitato dai nuovi media potrebbe subire. La risposta della Wolf è tranquillizzante a metà.
Sicuramente mutazioni a livello genotipico sono da escludere: il cervello umano è
sostanzialmente lo stesso da 120.000 anni. Ma questo non implica che non possano
essercene a livello fenotipico: sull’individuo, anche se non sulla specie. E si spiega, la Wolf.
Dalle ricerche dei neuroscienziati risulta che un bambino cui sono state lette tante storie
impara a leggere più in fretta di uno cui non ne sono state raccontate. Imparando più in fretta a
leggere, avrà maggiori possibilità di diventare un buon lettore. Diventando un buon lettore
arricchirà il suo lessico e svilupperà competenze, come quelle di comprendere e argomentare,
che gli saranno utili anche per altri aspetti della sua avventura cognitiva. Il libro non è
ininfluente sull’organizzazione delle sue connessioni neuronali e da queste connessioni
dipende il suo successo cognitivo. Un bambino che fin da piccolo usa i media digitali,
verosimilmente sviluppa altre connessioni, che gli garantiscono altre competenze. Il problema
non è di promuovere le une e inibire le altre. Il problema è piuttosto di consentirgli di crescere
praticando le due “lingue”: tratterrà tutto ciò che ha a che fare con la cultura del libro, con in
più tutto ciò che a che fare con la cultura del computer e della rete.
Roger Silverstone (2009) è stato uno dei massimi esponenti dei British Cultural Studies,
studioso di media-culture, soprattutto del consumo televisivo in famiglia. La sua riflessione, nel
libro che ne rappresenta il vero e proprio testamento (Silverstone è mancato prima che fosse
stampato), ruota attorno al concetto dimediapolis. Che cosa è lamediapolis? È la società attuale,
segnata da una presenza dei media assolutamente nuova, perché essi hanno sviluppato a tal
punto la loro natura protesica da essere “indossati” dalle persone e perché sono diventati la
normale arena di negoziazione entro cui avvengono buona parte dei processi di costruzione
sociale di significato. Nella mediapolis i media non sono degli optional, qualcosa che si può
decidere di avere o di non avere: sono un ingrediente “normale” della vita riguardo ad essi, è
dunque una questione di cittadinanza. Rispetto ai media occorre richiamare diritti e doveri del
soggetto, educare la sua consapevolezza critica e insieme la sua responsabilità. Bilinguismo e
cittadinanza sono le due frontiere dell’educazione ai media in questo scorcio di Millennio.
sociale delle persone. La questione educativa,
Educação e Novas Mídias
Pier Cesare Revolver, Milão, UCSC

A relação da educação com as novas mídias (ou seja, com o conceito de média, novo na
história da cultura veio gradualmente alternada) sempre foi caracterizada pela suspeita. As
razões são diferentes e você pode tentar compilar.
Suspeitas de mídia-educação em
Sem dúvida, desempenhou o seu papel, a percepção de educadores que a nova mídia poderia
comprometer o equilíbrio ea estrutura que a empresa tinha de alguma forma com o jogo
anterior. Esses acordos sempre tiveram que lidar com a questão do controle e, portanto, de
poder (Foucault, 1993). Platão, na boca de Sócrates, e no nelFedro VII Epístola expressa bem
essa preocupação, sujeito ao escrutínio do professor, que pode ocorrer se os efeitos sobre a
mente do estudante, a palavra escrita "material" sobre o mundo, me deparei com mesmo
aqueles que não têm as habilidades para compreender o significado correto. É a expropriação
do autor (educador) na sua capacidade de influenciar a interpretação (aprendizagem) do seu
ensino (Ong, 1984; Revolver, 1998a). Mais genericamente, é a abertura de um fosso entre o
horizonte do direito e que a liberdade individual, como é bem compreendido, no caso da
imprensa durante a Reforma Protestante (Revolver, 1998b).
Platão agiu indiretamente sobre a "razão" para a recepção de segunda "educativa" da mídia é
a idéia de que o conhecimento é visto. No clássico grego ιδ raiz é comum a ambos os
verboοραω aoristo forte (ver) que termos como ι δέα, oεϊδος, eles querem dizer "estrutura e
forma". O raciocínio é claro: se eu vi como as coisas estão, eu sei, e sei que algo está apenas
ter compreendido a estrutura, o material de estrutura, forma. Este ponto de vista, é claro, não
está vendo com os olhos: é exercida sobre as formas sensíveis, que estão desbotadas cópias
das formas ideais. Vendo que você fala é a visão da mente que apreende os formulários
diretamente. Claro efeito sobre a relação entre mídia e educação: na medida em que as
imagens da mídia são direcionados para o olhar dos olhos (espectador), e neles não há nada
de grave, na verdade, correm o risco de desgaste ou mais longe da verdade formas, ao
contrário, o ensino é direcionado através do olho da mente e do presente relatório visa
incentivar a sua intuição (intus ire, ir in) verdade (Steiner, 1994).
Este retorno ao platonismo também opera "por trás" o terceiro motivo de suspeita em relação
à educação para os media. A razão pode ser expressa muito bem, dizendo que a educação
enquanto sempre foi essencialmente "jansenista", os meios de comunicação em contrário
"hedonista" (Jacquinot, 2007). educação jansenismo ensina que a apropriação do
conhecimento é uma tarefa difícil que exige esforço, tempo, requer paciência e constante
aplicação. medial Hedonism registrar tudo em um espaço de entretenimento, que substitui o
prazer difícil, exige uma rápida, cuidadosamente distribuídos esgotar o consumo imediato e
efémero. Como você sabe que a mudança é de uma cognitiva à ética: o jogo, como mídia para
a educação a desempenhar no valor das terras.
Uma mudança na antropologia?
Se formos por motivos educacionais de suspeita em relação a mídia, é fácil reconhecer as três
questões-chave sobre os quais se constroem mais e antropologia. Como Kant sugeriu que eles
são: o que podemos aprender? O que devemos fazer? O que podemos esperar? Metafísica, a
ética, a religião, a verdade, dever, valores.
Agora, sobre esta base pode ser considerada, na medida em que a mídia mudar a forma como
acesso ao conhecimento, a forma como fazemos uso da nossa liberdade, a fim de dever, a
internalização de valores que nos orientam nossas existência, então a mídia está
susceptíveis de mudar a nossa antropologia. É uma percepção cada vez mais evidente já
desde a idade da televisão, especialmente após o advento da Internet e suas aplicações,
nomeadamente da Rede Social, ea disseminação da telefonia móvel com a miríade de
serviços é pode oferecer.
Quais seriam as características distintivas desta nova antropologia? Eles se reúnem em torno
de pelo menos três pares de elementos: real-virtual, a profundidade de identidade
despersonalização da superfície (Revolver, Ferrari, 2010).

A primeira idéia é que o "mundo conectado" acabar em oposição ao real, levando a uma
separação entre a vida como ela é e seus schermico substituto. Educacional que pode trazer a
este assunto muito preocupado com o tempo gasto pelos rapazes (os "nativos digitais") com a
tecnologia, a suspeita de que seu mundo vai acabar se tornando um dos MSN Games e
relações na perda da realidade deriva de uma situação em que indivíduos tendem a saber o
que está acontecendo no mundo, mas depois não pode mais ter a experiência direta do que
está acontecendo em seu bairro.
A segunda ideia tem a ver sim com os processos de identidade e comunicação entre as
pessoas. O cenário actual é feito de um pluricollocazione comunicação e uma repartição do
ego: o telefone celular nos leva a um lugar e continuar a gerir os processos que ocorrem em
outro lugar, como se estivéssemos em ambos, a Rede Social nos oferece a possibilidade de
aumentar as representações de nós mesmos, com o resultado que podemos ser pessoas
diferentes em diferentes áreas da comunicação. Educacional a preocupação é para mim cada
vez mais extrovertido, que também se comunica com todas as suas questões mais íntimas,
mas depois pode não saber como se relacionar com mais presença.
Finalmente, a terceira idéia refere-se aos processos de construção do conhecimento. Os
"nativos digitais" conhece a tecnologia, os domínios, a utilização de uma taxa que o adulto
"imigrante" não podem se reproduzir. Não só isso. O uso "em paralelo": ouvir música com o
telefone ligado ao ler um livro e conversar com amigos no MSN. É chamado de multitarefa, e
configura uma habilidade específica que está a tomar e sair com uma grande velocidade de
execução de tarefas cognitivas que estão sendo realizados ao mesmo tempo. O professor
pergunta onde o tempo finito de reflexão, que é lento para ponderar as coisas, ir em
profundidade sobre os fenômenos. E teme que o novo homem é rápido, mas superficial.
"Humanizar" a mídia?
Dos dois passos que poderia tomar a forma descrita na crença de que a única opção para a
educação é a "humanizar" a mídia e os processos individuais e sociais que podem ser
rastreados de volta para eles. O que significa "humano"? Isso significa neutralizar ilbrainframe
(deKerkhove, 1993), que criam as condições para as conseqüências que você suspeitar que
eles produzem, não irá ocorrer.
No nosso entender é uma operação defensiva. Falando para as duas formas de humanismo,
"nosso" e da mídia, vamos tentar manter o nosso. Esta é uma solução já conhecida há algum
tempo. Condições que alimenta as suas raízes na teoria crítica da Escola de Frankfurt, que
resultou na educação Inoculator é a abordagem daqueles que argumentam que a tarefa da
educação é de vacinar meninas contra o vírus gerações medial, está em retiro sobre o valor "
formação "das disciplinas tradicionais (a alta cultura) contra a tentação de abrir as portas
para a mídia subcultura (baixa cultura) (Revolver, de 2001). Tais atitudes também tinha
exemplos muito claros de imprensa nacional recente: quem quer corrigir o Santo Padre
(culpado sobre estas questões são demasiado liberal), que declara a guerra em pedagogia
para reafirmar o valor da História, Cultura, Constituição. Nós não acreditamos que a solução
pode ser encontrada nesse sentido e tentar explicar o porquê.
Primeiro, a defesa é a de não admitir a entender. Quando Victor Hugo se diz Claude Frollo, o
arcediago de Notre Dame: "O livro matará o edifício," esta atitude perfeitamente fotógrafo
(Eco, Carriere, 2009). Acreditando que o livro pode substituir o edifício é confundir os meios
de comunicação com o seu uso, a tecnologia com outras formas de consumo. As janelas do
Notre Dame não pode carregar em sua bolsa, o livro faz. O livro não mata o edifício é
flanqueado por simples adição de uma nova forma de acesso ao conteúdo das Escrituras. O
que precisamos fazer é não se defender, mas para entender o específico "novos" meios de
comunicação, entender como eles são colocados na ecologia dos outros meios de
comunicação em geral.
Em segundo lugar, a cultura dos jovens de hoje é largamente os meios de cultura. É uma
cultura integrada, que são acompanhadas pelo consumo de antigos e novos. É uma cultura
em que as existências de mídia prótese: os meninos não substituem a comunicação face-a-
cara com a extensão virtual, a fim de estender no espaço e no tempo de contato (Revolver, de
2006). É uma cultura onde a mídia está cada vez mais espaços comerciais, pontos de
convergência entre as gerações: o SMS é cada vez mais a maneira em que os pais cheguem a
seus filhos (Brancati, Ajello, Revolver, de 2008); manter o confessionário " "em comparação
com ajuda ou um adulto significativo. Como você sabe, eu uso absolutamente "natural"
normal. Aqui não há necessidade de "humanizar" porque já estamos diante de
comportamentos e fenômenos "humanos".
Em terceiro lugar, você deve sempre lembrar que a educação é fornecer chaves
interpretativas para os indivíduos a viver em sua cultura. Seria estranho se essa mídia não é o
caso. Especialmente eventualmente levaria a uma lacuna entre a experiência das crianças e
do sistema de ensino, eventualmente, desorientação: como se as escolas do mundo e que
eles enfrentam todos os dias e que os professores dizem, eram duas coisas diferentes. O
resultado das abordagens mencionadas acima têm feito (mesmo um pouco de "controversa)
menciona é esta: a educação desencarnados, afastar-se do mundo real e, com isso, não ser
capaz de fornecer aos que os apoiam em que a orientação e eles precisam.
Cidadania e bilinguismo
Em seguida, concluir com duas direcções de trabalho para o educador para a mídia em torno
de hoje. O empate
Dois livros recentemente traduzido para o italiano.
Maryanne Wolf (2009) vem estudando anos a dislexia, a questões mais gerais relacionadas
com o "cérebro de leitura." No coração de seu livro, uma das questões-chave, a questão
também está relacionada com as possíveis alterações genéticas que um cérebro como o de
"nativos digitais" poderia ser chamado de novas mídias. A resposta do Wolf é reconfortante no
meio. Certamente mutações genotípicas ser excluídos: o cérebro humano é essencialmente o
mesmo para 120 mil anos. Mas isso não implica que não pode ser ao nível fenotípico: o
indivíduo, embora não na espécie. E ele disse Wolf. A partir da pesquisa de neurocientistas é
que uma criança que tenha sido lido tantas histórias aprender a ler mais rápido do que um
caso não tenha sido dito. Aprender a ler mais rápido, ele terá uma melhor chance de se tornar
um bom jogador. Tornando-se um bom leitor vai enriquecer o seu vocabulário e desenvolver
habilidades, tais como os que entendem e discutem, que serão úteis para outros aspectos de
sua aventura cognitiva. O livro não tem qualquer influência sobre a organização de suas
conexões neuronais e essas conexões depende de seu sucesso cognitivo. Uma criança de
tenra idade usando a mídia digital, é provável que se espalhou para outras conexões, que lhe
fornecem a outras habilidades. O problema não é de promover e inibir um ao outro. O
problema é que em vez de permitir que ela cresça, praticando as duas "línguas" vai manter
tudo o que tem a ver com a cultura do livro, além de tudo a ver com a cultura do computador
e da rede.
Roger Silverstone (2009) foi um dos principais expoentes da British Cultural Studies, um
estudioso dos meios de cultura, especialmente o consumo de televisão na família. Seu reflexo
no livro que representa o verdadeiro testamento (Silverstone estava faltando antes de ser
impresso), gira em torno do conceito dimediapolis. Qual é lamediapolis? É a sociedade actual,
marcada por uma presença na mídia completamente nova, porque se desenvolveram de tal
forma a natureza da prótese a ser "usado" pelas pessoas e por isso eles se tornaram o cenário
normal de negociação, dentro do qual ocorre a maior parte do processo de construção
significado social. No Mediapolis a mídia não são opcionais, algo que você pode decidir ter ou
não: eles são um ingrediente da vida "normal" sobre eles, é, portanto, uma questão de
cidadania. Em comparação com a mídia deve ser atraídos para os direitos e deveres do
sujeito, sua consciência crítica e educar todas as suas responsabilidades. Bilingüismo e
cidadania são as duas fronteiras dos meios de comunicação nesta parte do Milênio. integração
social das pessoas. A questão da educação,

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