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SOCIOLOGIA DEI NEW MEDIA

ANNO 2020/2021

Cap 1: MEDIA VECCHI, NEW MEDIA E CULTURA DIGITALE


1.2) I NUOVI MEDIA SONO DAVVERO NUOVI?
Quelli che chiamiamo ad oggi “new media” sono davvero nuovi?
Le innovazioni tecnologiche che definiscono le novità dei nuovi media non sono cosi recenti, ad esempio il
primo sito web ufficiale è nato nel 1991 al CERN di Ginevra, mentre le originarie applicazioni di internet
sono ancora più precedenti, infatti nel 1969 nasce l’ARPANET un’antenata della rete internet che collegava
quattro campus statunitensi per poi dal 1986 connettersi anche ad alcune università italiane. Il web dunque
ha una lunga gestazione tra USA e Europa ed è a disposizione solo di pochi utilizzatori che lavorano
all’interno dell’università o che sono appassionati di computer e di nuove tecnologie. Il nuovo media
diventa invece tale a partire dal momento in cui la loro diffusione raggiunge dimensioni di massa vale a dire
intorno al 2000 attraverso un boom straordinario di connessione di risorse commerciali disponibili non
soltanto a vantaggio di specialisti ed esperti. Come ci ricorda MCLUHAN ogni nuovo mezzo di
comunicazione tende a riassumere in sé molte delle funzioni assolte dai media precedenti. Questi
straordinari mezzi di comunicazione determinano certamente una rivoluzione nella nostra quotidianità e
nel modo con cui possiamo metterci in contatto gli uni con gli altri, collocandosi su una tradizione già
esistente.
Dagli anni 50 la televisione tradizionale ha svolto una funzione pedagogica, ma a partire dagli anni 80 la neo
televisione inizia ad omologarsi al gusto del pubblico. Un passo ulteriore è quello realizzato dal Web 2.0
(Il web 2.0 è un termine che indica un'evoluzione di internet. Quello che chiamiamo Web
1.0 era formato prevalentemente da siti internet statici senza la possibilità di interazione sia di utenti che
di altri siti) in cui il pubblico interagisce e collabora personalmente nella produzione di contenuti, cosa che
porterà ad un ampliarsi del coinvolgimento.
I nuovi media funzionano in un certo modo anche perché sono esistiti i media vecchi che hanno aperto la
strada a un maggior coinvolgimento dei pubblici e consumatori nell'elaborazione dei propri contenuti. I
nuovi media sono l'invenzione straordinaria ma non costituiscono né l'incarnazione di un futuro radioso
fatto di democrazia diretta e intelligenza collettiva, né l'anticipazione di un futuro scuro in cui rapporti
umani dovrebbero ridursi alla comunicazione mediata dal computer. Nel web si possono salvare persone in
difficoltà creare relazioni solidali ma allo stesso tempo si possono istigare altre persone al suicidio
attraverso il cyber bullismo, si possono ottenere informazioni di prima mano da fonti non raggiungibili
come il caso di WikiLeaks (essa è un’organizzazione internazionale dedita alla raccolta e alla pubblica
citazione i documenti coperti da segreto, l’obiettivo è di denunciare comportamenti immorali o criminali da
parte di istituzioni) o si può essere spiati da potenti antenne che ascoltano le nostre conversioni come il
cast di Data Gate, 2013 rete di intercettazione della NSA.
1.3) ALCUNE CARATTERISTICHE DELLA NOVITÀ DEI “NUOVI MEDIA”
I nuovi media sono nuovi ciascuno nel proprio tempo e per un periodo limitato prima che una successiva
innovazione tecnica li renda vecchi. Sono tre le novità caratteristiche dei new media:
 Il supporto utilizzato, non più carta
 Organizzazione dei linguaggi e dei contenuti
 La produzione di contenuti e l'accesso all’informazioni
Occorre evitare l'equivoco che al passaggio dalla Carta alla rete vengano meno le procedure produttive
necessarie a fare un buon giornale, un buon manuale o una buona enciclopedia.
La novità tecnica costituita dall’accesso e dalla forma di lettura non trascina con sé necessariamente una
parallela novità delle routine creative, per cui chiunque può democraticamente partecipare alla produzione
di qualsiasi contenuto senza più distinzione tra competenze ed esperienze, in questo caso che nasce il
fenomeno del DILETTANTISMO: in queste materie è più pericoloso della manipolazione scientifica delle
notizie perché è basato proprio sulla buona fede di lettori che si fanno giornalisti o di consumatori di testi
che ne divengono produttori attraverso tutta l’epica dei prosumer (-produttore e consumatore- il prosumer
è la moderna figura dell’utilizzatore del web che, contrariamente a quel che accadeva in passato con i
pubblici televisivi o radiofonici, non si limita ad un consumo passivo dei contenuti di siti e blog, ma
partecipa attivamente alla loro produzione)
Uno degli aspetti che più colpisce nell’uso del web è la facilità delle persone che si fanno paladini delle
teorie cospiratori presenti in rete sui più diversi argomenti, questo fenomeno è definito COMPLOTTISMO. Il
complottismo è la differenza tra chi denuncia soprusi e illeciti governativi e chi invece va a caccia di
cospirazione: i primi raccolgono fatti e sulla base di quelli cercano di costruire una tesi che permetta di
spiegare tutti gli episodi in questione. I secondi partono invece da un’idea preconcetta e vanno alla ricerca
di fatti e particolari che sembrino confermarla scartando gli altri.
Una teoria cospirativa si fonda su 3 principi:
1. attribuzione degli eventi a una specifica internazionalità umana
2. la rigida distinzione tra forze del bene e del male
3. la credenza in una realtà occulta e sotterranea
Teorie della cospirazione semplificando la realtà dando una spiegazione a quanto sembra incomprensibile e
suscitando sentimenti contro un nemico comunque.
Uno dei dati sconcertanti della vita sociale è che nessuna azione ha mai esattamente il risultato previsto.
1.4) LA CULTURA DI MASSA
Le società occidentali iniziano a divenire di massa quando alcuni importanti cambiamenti toccano gli strati
medio bassi il loro popolazioni, a cominciare dal concentrarsi di molti abitanti nelle città, dove grandi masse
di contadini si inserirono nei sistemi produttivi industriali trasformando progressivamente operai e
impiegati in consumatori. Si configura così una produzione industriale di massa e un consumo di massa di
beni e servizi. A comporre il quadro finale contribuiscono poi la scolarizzazione di massa, che ha riguardato
principalmente le classi sociali che sino ad allora ne erano rimaste escluse, e la nascita dei partiti politici di
massa. I mezzi di comunicazione di massa si sovrappongono a ciascuno di tali mutamenti dilatandone gli
effetti e contribuendo a creare un patrimonio di conoscenze collettive che, ben presto verrà denominato
“cultura di massa”
Internet permette a questi larghi strati di popolazione di connettersi tra di loro e attraverso la grande rete
di prendere contatto con istituzioni e organizzazioni. In effetti il connettersi offre l’opportunità di sottrarsi
almeno parzialmente al destino della massificazione, dal momento che si costruiscono nel web comunità,
gruppi e altre forme di aggregazione legate agli interessi sociali.
Nasce così un nuovo utilizzo del termine cultura di massa, la massa diviene:
1. meno anonima dato il maggior numero di relazioni tra utilizzatori della rete.
2. meno passiva grazie alla possibilità di rispondere e interagire.
3. sempre più interconnessa perché viene meno al concetto di frazionamento.
Internet oggi rappresenta una risorsa straordinaria per l’acculturazione autonoma degli individui.
La caratteristica prima della cultura di massa è di inserirsi nella tradizionale distinzione tra cultura colta e
cultura popolare. I media vecchi, soprattutto la televisione sono per antonomasia i contenitori di
rappresentazioni della realtà piuttosto semplificate e stereotipate di divulgazione e di forme di
intrattenimento legati al gossip. A tutto questo di solito le élite intellettuali ed economiche guardavano con
una certa sufficienza, ora l’importanza della cultura di massa risiede proprio nel costruire un’alternativa alla
cultura colta e alla cultura popolare, dalle quali rappresenta un sostituto e insieme una miscela in cui si
combinano elementi di una e dell’altra. (“Allodoxia culturale” (Bourdieu): “il piccolo borghese è la vittima
designata (...) di tutti gli errori di identificazione e di tutte le forme di falso riconoscimento”. La cultura di
massa propone “modelli di riconoscimento sbagliati, fa credere ai propri consumatori che non sia
importante apprezzare le differenze”, Stella, p. 17) Chi utilizza il web, si trova tra le mani uno strumento
potente, che può agevolarlo nel superare i ritardi culturali e renderlo capace di riconoscere quello che più
gli serve. La grande rete in realtà si può scomporre in diverse parti ad esempio capire ciò che è autentico
vero e attendibile e distinguerlo da ciò che non lo è. In un famoso saggio Berger e Luckmann definivano
conoscenza normativa ciò che si deve sapere per perseguire degli scopi pratici nella vita quotidiana. Una
delle competenze standard minimi richiesti ogni membro di una società e di possedere una quantità
sufficiente di conoscenza normativa tale da consentirgli di orientarsi nel mondo con una certa familiarità.
Occorre insomma acculturarsi agli usi di Internet allo scopo di non cadere vittima, di quella che chiamiamo
cultura di massa, cioè a soluzioni già preconfezionate, sia per quanto riguarda la ricerca di un esperto, sia
per le domande più opportune da porvi. C’è da capire a chi il medium fornisca delle effettive opportunità di
crescita culturale e a chi spacci invece risorse fintamente innovative, che continuano a collocarlo sui gradini
“bassi” o “medi” della scala sociale. Nelle ricerche nelle teorie relative al ruolo sociale della radio, della
televisione e dei giornali si è prodotta sin dall’gli anni 50 del secolo scorso una spaccatura molto netta tra
ricercatori che se ne sono occupati. Per alcuni (GLI INTEGRATI) i mezzi di comunicazione elettronici hanno
contribuito a democratizzare e a distribuire il sapere, le pratiche e le conoscenze tradizionali. Per altri (GLI
APOCALITTICI) I media che allora erano nuovi hanno rappresentato una diversa forma di oppressione
simbolica che toglieva libertà di scelta autonomia alle persone di basso ceto e poco acculturate, proprio
perché la produzione industriale di cultura finiva col fornir loro risorse simboliche linguistiche stereotipate e
semplici. La cultura di massa quindi per i primi ovvero gli integrati era una risorsa positiva che collaborava
ripartire tra molti ciò che in passato era solo di pochi; per i secondi gli apocalittici si trattava di uno
strumento con cui pochi continuavano ingannare i grandi gruppi di individui procurando loro adattamenti
con lo scopo di offrire a tutti il senso di essere all’altezza dei consumi legittimi.
Questo dibattito persiste ancora oggi dove gli “ottimisti” sono convinti che usare i social network offre la
grande possibilità di mettersi in relazione con chiunque, mentre i “pessimisti” la vedono come una
condanna a un isolamento dovuto a una confusione tra vita reale e vita virtuale.
A questo proposito si può fare un accenno anche al caso degli hikikomori, termine giapponese con cui si
indicano quegli individui che tendono non solo a isolarsi nella loro stanza, ma anche a ribaltare il normale
ritmo sonno-veglia, dormendo di giorno e utilizzando la notte per collegarsi a Internet.
1.5) LA CULTURA DIGITALE
Per cultura digitale si intende l’insieme delle trasformazioni che riguardano sia l’agire collettivo sia l’agire
individuale, in entrambi i casi i nuovi sapere pratici vengono appresi e nuovi ambienti reali e virtuali
accolgono l’innovazione creando così le premesse per una sua rapida anche se non uniforme diffusione
geografica e sociale. Il termine cultura digitale non comprende solo l’acquisizione individuale di capacità
pratiche ovvero saper usare un computer, una connessione è un telefono cellulare ma nell’ambito delle
trasformazioni che investono differenti sfere dei sistemi sociali acquista un peso è un significato molto più
ampio non è più una cultura libresca non è una cultura di accumulazione di conoscenze ed esperienze
personali e infine non è neanche più una cultura materiale essa è un insieme di esperienze, conoscenze,
contenuti e relazioni simboliche molto complesse, che inaugurano un intero mondo di azioni di significati. Si
tratta di una cultura perché è trasmissibile, accumulabile, capace di auto trasformarsi e di adattarsi ad
esigenze tecniche o sociali. La cultura digitale si sovrappone e si integra ai linguaggi che assorbe e fa propri,
diventando essa stessa un linguaggio, ciò modifica l’idea stessa di prossimità nei riguardi di persone
istituzioni potenti, che si mostrano più accessibili e trasparenti meno sacre che in passato. Occorre
ricordare però che nella cultura digitale vi sono anche le figure definite hacker ovvero chi ha abilità tecniche
e volontà politiche di andare oltre le protezioni e controlli del web che vengono elusi, allo stesso modo la
cultura digitale di un ragazzo una ragazza di diciott’anni i cosiddetti nativi digitali non è quella di persone
più anziane sia per la capacità sia per l’uso del mezzo. Come nella realtà anche le reti sono formate e
proliferano sotto culture che testimoniano la vitalità del medium. Non è detto chi usa Internet deve avere
consapevolezza dello spessore culturale generale dello strumento che utilizza ma che debba farsi un’idea
del modo in cui tale uso può risultare meno basso e semmai più alto possibile e invece il compito di
ciascuno è acculturarsi a Internet come lo è stato per i giornali e per le TV per farlo in maniera efficace
occorre però guardare a sé stessi e alla propria relazione col web in forma riflessiva e acquisire
consapevolezza del mezzo dei suoi vantaggi ma soprattutto dei suoi limiti.
Livingstone: i nuovi media possono essere compresi solo scomponendoli nelle loro
tre dimensioni costitutive:
- Gli artefatti o dispositivi utilizzati per comunicare
- Le attività e le pratiche
- L’organizzazione sociale o le forme organizzative che si sviluppano intorno ai dispositivi e alle
pratiche
Cap.2. Come è nato il mondo che conosciamo oggi.
LE INTERFACCE
Negli anni Sessanta una tipica azione di introduzione di informazioni in un computer prevedeva tre attori,
che potremmo definire tre tipi di utenti: l’esperto che codificava su fogli di carta le sue specificazioni, il
perforatore (o la perforatrice) che perforava le schede riproducendo in forma diversa l’identica
informazione passatagli, l’operatore che forniva le schede al computer attraverso un lettore di schede. Da
un lato, inoltre, c’era questo gruppo di esperti che avevano la competenza di agire sul calcolatore, dall’altro
c’erano tutti coloro che ricevevano i risultati dell’elaborazione informatica, sulla base dei quali dovevano
prendere decisioni, senza in realtà avere alcuna conoscenza delle procedure che li avevano prodotti.
L’interfaccia per definizione è l’elemento fisico simbolico che si pone tra la macchina e me, è un elemento
di interazione, comunicazione e mediazione (touch, mouse, schermo, tastiera)
Gli utenti
È solo quando il computer diviene uno strumento personale - e nello stesso tempo strumento per
raggiungere una grande varietà di obiettivi, non necessariamente connessi al calcolo o all’informatica – che
inizia ad emergere un’elaborazione teorica che considera l’utente come una delle variabili in gioco. È
dunque con la nascita del personal computer, e della GUI (Grafical User Interface), che si può parlare di
nascita dell’utente.
L’utente è un soggetto che interagisce con un dispositivo informatico; l’incontro tra i due elementi (utente
e il dispositivo informatico) avviene al livello dell’interfaccia, che rappresenta il punto di contatto e di
scambio tra il dispositivo ed il corpo dell’utente, concepito sia come porta percettiva, che conduce
all’attività di elaborazione condotta a livello cognitivo, sia come ponte ergonomico per l’azione.
Iniziamo a parlare di un mondo in cui non esistevano i mezzi di oggi, ovvero, quando gli utenti non erano
utenti. I computer erano stanze piene di armadi, e funzionavano tramite valvole di apertura e chiusura. Per
comunicare bisognava andare da un ufficio, che trasformava il problema in una domanda per il computer e
si riceveva la risposta dopo una settimana, poi si passa all'uso di un cartoncino che accoglieva le schede per
dare una risposta, tramite calcoli si passa al pc= personal computer che permette di avere un proprio
accesso e diventa personal. Nasce la riflessione sulla human computer interaction. Dialogo con il pc, grazie
ad una tastiera per inserire. Il pc comprende i comandi-› command line interfacce. Successivamente si
vuole creare un'interfaccia grafica, rivoluzione impostata da Apple. Nell'ambiente composto da macro-
sistemi e sottosistemi, se lo strumento diventa semplice da utilizzare, l'interfaccia mi permette di liberare le
risorse cognitive, per l'utilizzo della macchina, per il lavoro creativo.
Oggi l'interfaccia è ovunque. Si pone tra noi e la macchina, e la nostra interfaccia è la mano che agisce come
nel mondo "reale". Utilizziamo anche il nostro corpo come interfaccia con l'ambiente, andiamo verso il
concetto di interfacce naturali.
Si parla ad oggi di MULTIVERSO ovvero progetto di realtà virtuale che diventa una "grande" interfaccia per
tutti i contenuti. WIMP (Windows, Icon, Menu, Pointing device)
DEFINIZIONE DI INTERFACCIA
L’interfaccia delle tecnologie digitali contemporanee è insieme organo e luogo dell’interazione:
 predispone i dispositivi fisici e simbolico-concettuali attraverso i quali la macchina rappresenta sé
stessa (le proprie funzionalità) all’utente;
 consente all’utente di pianificare un’operazione sulla base delle alternative disponibili o percepite
momentaneamente;
 attiva il dialogo attraverso l’interpretazione dei feedback che segnalano la risposta sequenziale del
sistema alle manipolazioni compiute dall’utente.
 Interfaccia: “zona dell’adattamento fra corpo dell’uomo e apparecchiatura” (Anceschi)
Corpo è inteso nel duplice senso:
- porta percettiva della mente
- ponte ergonomico verso l’azione
Nel personal computer:
- Schermo: dispositivo di interfacciamento destinato ai ricettori visivi del corpo umano
- mouse, tastiera, etc.: dispositivi destinati agli effettori tramite i quali l’azione si esplica.
IL LIMITE DELLE INTERFACCIE USER FRIENDLY
Il design dell’interfaccia è stato progettato per macchine elementari rispetto alle attuali.
 I principi guida delle GUI (visibilità delle funzioni, manipolazione, etc.) puntano alla facilità d’uso:
ad “addolcire” la complessità della macchina mal fine di nasconderla.
 Gli stessi principi rischiano però di creare confusione ed essere ingestibili per sistemi molto
complessi come gli attuali. (Norman 1999)
2.1) LA COMUNICAZIONE MEDIATA DAL COMPUTER
Dagli anni 80, cioè dal periodo in cui le tecnologie informatiche avevano già qualche anno di applicazione
all'interno del mondo professionale ed accademico, non è stato l'uso del computer in sé all'interno delle
organizzazioni che ha sviluppato l'interesse delle scienze sociali, quanto l'introduzione dei programmi per la
comunicazione mediata dal computer ovvero CMC (come la posta elettronica). Con l’introduzione della
CMC l’ambito delle ricerche si è spostato dalle ricerche di un modello comunicativo basato sul rapporto
“macchina-uomo” ad un concetto di “interazione” che coinvolge più individui attraverso la mediazione del
computer.
La comunicazione mediata dal computer è stata distinta in sincronia e asincrona. Nel primo caso si fa
riferimento ai programmi che mettono in relazione gli utenti in modo immediato, nello stesso momento,
come avviene per esempio nella conversazione telefonica o faccia a faccia. Con la mediazione del
computer, la comunicazione è sincrona grazie a strumenti come la chat video conferenza o giochi di ruolo.
Quella asincrona avviene invece attraverso sistemi come la posta elettronica, in più non c'è simultaneità
nella comunicazione tra emittente e destinatario, il processo comunicativo differisce nei tempi di invio e
risposta e può rivolgersi a un interlocutore alla volta. Altri esempi sono sistemi di messaggistica come i
forum ovviamente social network. È necessario già ora evidenziare che una delle caratteristiche del Web
2.0 e quella di mischiare CMC sincrona e asincrona.
Con la diffusione dei media arriva quella della Comunicazione mediata dal computer (CMC) messa in pratica
da individui che si relazionano tra loro, lavorano insieme o dialogano attraverso il medium informatico. La
comunicazione mediata dal computer può venire in sincrona, attraverso una telefonata o una
videochiamata oppure in asincrona, come l’utilizzo della posta elettronica.
2.2) I PRIMI APPROCCI: RSC, SIDE, DIP, Hypepersonal
In Gran Bretagna, negli anni Settanta, furono condotti alcuni studi in ambito psicosociale che avevano come
obiettivo la comprensione di come le nuove tecnologie informatiche potessero aiutare a ridurre i costi
legati alla comunicazione egli uffici informativi. Nella seconda meta degli anni ottanta viene inaugurato il
filone degli studi denominato: Reduced Social Cues (RSC). L’elemento da cui parte questo filone di studi è
che la CMC si basa per lo più su testi scritti digitati al computer che non consentono di veicolare i segnali
propri della comunicazione faccia a faccia come l'intonazione della voce, gesti, espressioni del volto. Di
conseguenza si avrebbe un processo di uscita dalla propria individualità, ovvero chi interagisce tramite
computer tende a perdere alcuni freni inibitori e a sentirsi più libero di esprimersi. Si deduce quindi che la
CMC è povera di social cues, ovvero di quegli elementi del contesto comunicativo che veicolano agli
interagenti tutte le informazioni necessarie a comprendere cosa stia succedendo realmente in quel dato
momento. Ciò porterebbe da un lato a una maggiore partecipazione nel processo decisionale, ma dall’altro
a una serie di fenomeni ad esempio:
- la de individuazione nel senso che chi interagisce via computer, non visibile fisicamente spesso coperto
all’anonimato, si sente meno esposto, più libero, meno inibito nel rapporto con gli altri.
-il Fleming (episodio di litigio online in cui gli interagenti si scontrano verbalmente, è la tipica situazione in
cui è facile fraintender e ciò che dice l’altro)
- la uniformazione nel senso che nella comunicazione mediata dal computer, ci sarebbe una maggiore
partecipazione ai processi decisionali da parte di tutti i soggetti coinvolti, a prescindere dallo status e dalla
posizione gerarchica di ciascuno.
Questi fenomeni possono ostacolare e rendere più lungo e complesso il processo individuale e decisionale
ma allo stesso tempo hanno delle potenzialità democratizzanti.
Il superamento della RSC viene proposto social identity deindividuation theory(SIDE) nei primi anni degli
anni Novanta. Questa teoria pone una distinzione fra identità individuale e identità sociale, ossia tra quello
che una persona è come individuo isolato e le diverse identità che può acquisire in diversi contesti sociali in
cui agisce. Non è detto che nella CMC ci sia un processo di maggiore uniformazione tra gli individui; in un
contesto dove sono noti nomi e status sociale dei partecipanti alla comunicazione, tutti tenderanno ad
agire nel rispetto delle stesse regole e convenzioni che guidano l’ordinaria comunicazione faccia a faccia.
Un altro approccio contemporaneo alle SIDE è la Social Information Processing Perspective (SIP): essa
critica in primo luogo la modalità in cui vennero condotte le ricerche iniziali, i teorici della SIP affermano che
la CMC non è meno efficace rispetto a quella tradizionale in presenza e può dare origine a relazioni
altrettanto significative, a patto di avere a disposizione un lasso di tempo sufficiente per sviluppare tale
interazione.
La SIP supera definitivamente l’idea di povertà comunicativa proposta dalle prime ricerche, tant’è che i suoi
teorici arrivano alla formulazione del modello HypePERSONAL. Secondo quest’ultimo le caratteristiche della
CMC fanno si che i riceventi tendano a idealizzare i propri interlocutori (a partire dai limiti elementi a loro).
Gli emittenti hanno la possibilità di un’autopresentazione selettiva (presentare solo alcuni elementi di sé,
solitamente i più desiderabili). Le caratteristiche tecniche dei canali rafforzano i processi di costruzione
selettiva dei messaggi (Walther si soffermava su comunicazione asincrona). Il feedback garantisce fenomeni
di conferma comportamentale, rafforzando le reciproche aspettative sviluppate dagli interlocutori nel corso
della loro interazione.
COME CAMBIANO GLI STUDI
- Superamento teoria matematica dell’informazione
- concezione non riduzionistica della dimensione sociale
- realtà sociale come costrutto e non come dato ontologico
critica a determinismo
Dall’esperimento in lab all’approccio etnografico

LE TRE ETÀ DEGLI INTERNET STUDIES


- Fasi della prima età degli Internet Studies (Metà anni 90)
 Utopia: L'evento tecnologico più significtivo da quando gli esseri umani hanno catturato il fuoco
(John Perry Barlow, 1995)
 Fenomeni online isolati dalla società
 Distopia: Disconnessi tra di noi
 Specialisti della tecnologia cercano di spiegare il mondo, dimenticando le scienze sociali
 Poca ricerca empirica
 Ciò che accade online è indipendente, separato da ciò che accade offline
Considerano internet come qualcosa di distaccato dalla realtà ma allo stesso tempo cosa strana e molto
tecnica infatti è riservata solo agli specialisti ovvero agli informatici. Spiegano e cercano di comprendere
internet in questa prima fase senza relazionarsi con le scienze sociali, vi è inoltre anche pochissima ricerca
empirica si fanno solo delle ipotesi su ciò che succede online.
- Fasi della seconda età
 Crescente attenzione da parte del mercato e dei policymakers
 Crescita continua dell'uso di Internet
 Internet diventa una cosa importante, ma non una cosa speciale
 Ricerca empirica su larga scala (università, governi, aziende Pew Internet & American Life Project e
World Internet Project)
 "Neither the utopians hope…. nor the dystopians fears.
 A un uso crescente di Internet si accompagnano maggiori contatti anche con altri mezzi (face to
face, telefono, ecc.)
In questa fase internet Inizia ad essere utilizzato da tutti, internet diventa una cosa importante ma non
speciale, inizia a diventare pero parte della realtà e non più una cosa esterna ad essa, iniziano le
ricerche empiriche iniziano ad essere raccolti dati, informazioni. Vi è quindi una normalizzazione e una
ricerca per quanto riguarda la rete internet. Si fanno una serie di studi e si afferma che internet è
utilizzato da persone che hanno una alta conoscenza sociale, si scopre che la maggior parte di noi
proprio perché è più socievole usa internet, molto spesso internet non è qualcosa che ci imprigiona e ci
porta via dalla vita reale ma ci accompagna nella nostra vita.
Le prime due età degli internet studies sono state semplici. Nella prima età, non c’era bisogno di ricorrere ai
dati: bastava un’eloquente euforia o un altrettanto eloquente disperazione. Nella seconda età, i
ricercatori potevano cogliere frutti facilmente raggiungibili, utilizzando metodi standard della ricerca sociale
– questionari e lavoro sul campo – per documentare la natura di internet
-Fasi della terza età
 Progetti di ricerca più focalizzati, supportati dalla teoria
 Internet e relazioni sociali
 Internet e sviluppo di individualized networks
 Personalizzazione, portabilità, connettività ubiqua
 I gruppi si sono trasformati in network individualizzati"
 La persona è diventata un portale"
All’interno della terza fase si capisce che l’aspetto più interessante di internet è il modello dei cambiamenti
della società, che ha visto la fine dei tradizionali metodi di socializzazione e la comunità come soggetto
sociale che ha sviluppato maggiormente l’idea di individuo e individualismo, un individualismo connesso in
cui si possono creare nuove relazioni. Questa face è caratterizzata da processi di ricerca che hanno tanto di
studio sociale. Ognuno di noi attraverso internet crea i network relazionale, ognuno di noi sceglie con chi e
come relazionarsi. Ognuno di noi è diventato un portale che ha accesso a tutta una serie di rete differenti
che noi stessi possiamo attivare e disattivare.
Gli anni che hanno caratterizzato le maggiori fasi dello sviluppo di internet sono anni caratterizzati dalla
presenza e dagli studi di grandi autori:
La prima è Sherry Turkle
Tra i principali lavori degli anni 90 un posto d’onore va riservato a Sherry Turkle. Turkle È una sociologa e
psicoterapeuta statunitense che ha iniziato molto presto a riflettere sulla relazione tra psicologia e
tecnologia e sulla relazione quotidiana tra individui e computer. Ci sono almeno due macro temi affrontati
da Turkle:
 Intelligenza artificiale e le relazioni con i computer
 Le dinamiche di costruzione dell’identità
Per prima cosa, la cultura informatica si impara fin da piccoli e i bambini sono estremamente abili nel
discriminare tra ciò che si può aspettare da una macchina e ciò che invece è vivo, in altre parole, il confine
tra persone e computer è intatto, ma i bambini trovano naturale pensare chiama oggetto in animato possa
pensare e avere una personalità. Questo aspetto della cultura informatica conduce una profonda riflessione
sul ruolo che le macchine possano giocare e che le macchine siano agenti post moderni, in grado di
proporre modalità di interazione molteplici e decentrate. La sociologa conclude quindi che la cultura
informatica accetta il fatto che le macchine possono essere intelligenti, addirittura in modo simile a quello
umano, ma che comunque rimangono diverse poiché biologicamente inanimate. Nella prima parte della
sua carriera la Turkle era un ottimista, lavorava infatti molto sulla sperimentazione, nella seconda parte
della sua carriera invece diventa molto pessimista, affermando che le nuove tecnologie ci connettono ma
non ci permettono di prestare attenzione l’uno all’altro. Grazie alla diffusione delle tecnologie portatili,
l'interazione digitale costante e questo limitano, fino a impedirle, le nostre capacità di riflessione, noi stessi.
Il tipo di comunicazione che sperimentiamo è la connessione: ne diamo messaggi digitali di cui attendiamo
una risposta, e non importa se questa risposta viene scritta mentre il nostro interlocutore sta facendo
qualcosa' altro. Allora, dice Turkle, ciò che perdiamo è l'attenzione del nostro interlocutore nei nostri
confronti e viceversa. Ne deriva l'incapacità progressiva di stare dentro una conversazione, che richiede
impegno, attenzione, spontaneità e coinvolgimento. E, siccome è attraverso la conversazione, l'interazione
diretta con l'altro, che impariamo a riflettere su noi stessi e a comprenderci, le nuove tecnologie mobili ci
connettono, ma non ci permettono di prestare attenzione all'altro e di conoscerci.
Manuel Castells
Manuel Castells è uno dei maggiori esperti della società dell'informazione che ha posto importanti basi per
lo studio dei processi di trasformazione sociale che stanno cambiando il nostro mondo.
Per Castells, le reti costituiscono la nuova «morfologia sociale» delle nostre società: la contemporaneità è
costruita intorno a «flussi» (di capitali, di informazioni, di immagini, di suoni, di simboli ecc.) e a un «tempo
senza tempo», grazie alle tecnologie digitali che rendono possibile una comunicazione in tempo reale o in
forma asincrona, slegata dalle tradizionali cronologie e da quel tempo biologico che caratterizza gli spazi
materiali e fisici.
È la socialità stessa, allora, a essere «in rete»; di nuovo, dalla comunità si passa al network, non nel senso
che non vi sia più una socialità legata a un luogo fisico, bensì che le società contemporanee guardano a
modelli di relazioni non più uniformi.
L'evoluzione delle tecnologie della comunicazione ha introdotto nuovi attori e contenuti nell'organizzazione
sociale, autonomi rispetto ai centri del potere tradizionale e in grado di ridisegnare i rapporti di forza in uno
scenario in cui, tuttavia, il potere principale resta quello della comunicazione. La discussione che, in questo
senso, pone Castells è comunque media-centrica, centrata sul concetto di mass self-communication, quella
sorta di comunicazione di massa individuale che, in contrapposizione ai grandi network della
comunicazione globale e commerciale, dà la possibilità ai movimenti sociali di intervenire con efficacia nella
comunicazione.
Jan Van Dijk e le 7 leggi del web
Jan van Dijk è un altro sociologo europeo, precisamente olandese, che ha contribuito alla riflessione sulla
network society. Al diffondersi di internet ha cercato di affrontare tutti gli aspetti sociali rilevanti che si
stavano evidenziando attraverso il mutamento tecnologico: economia, cultura, politica, struttura sociale. La
network society viene definita come: “una forma di società che organizza sempre di più le sue relazioni a
partire da reti di media destinate gradualmente a integrare le reti sociali della comunicazione faccia a
faccia.”
Le reti sociali e mediali danno forma alla principale «modalità di organizzazione» e alle più importanti
«strutture» della società. La società è ancora costituita da individui, coppie, organizzazioni. Se la società
fosse per assurdo costituita da reti sociali e mediali indistinguibili e identiche in cui tutte le relazioni
sarebbero mediate, i corpi, le menti, le regole e le risorse di ogni tipo continuerebbero a costituirne la base
(ibidem).
La prima conclusione che trae l'autore è che la società moderna sta diventando una network society
parallelamente al suo divenire una information society.
Le reti mediali e la comunicazione mediata non sostituiscono le reti sociali o la comunicazione faccia a
faccia, ma sono con loro e tra loro integrate e intrecciate, in modo da creare un'unica ecologia fisica e
mediale che «hopefully» combinerà le principali caratteristiche di incontro e mediazione.
Dopo una lunga riflessione, durata quasi venti anni, van Dijk è giunto alla formulazione di sette «leggi del
web», che concludono la terza edizione di The Network Society, pubblicata nel 2012.
La prima è la legge della «network articulation»: una struttura di relazioni si fa avanti a spese
dell'indipendenza delle unità collegate. La struttura a rete pervade l'intera società, a tutti i livelli, dalla
comunicazione interpersonale fino alla politica internazionale. Ci sono due corollari a questa prima legge: in
primo luogo, le strutture a rete non sono «necessità naturali», ma si trovano in un rapporto dialettico con
gli altri elementi sociali. In tal modo, dice van Dijk, c'è spazio per l'azione - agency - e la coscienza, è
possibile cioè «scegliere». È per questo che l'autore afferma di non essere né ottimista né pessimista nei
confronti delle nuove tecnologie, che si limitano a rappresentare caratteristiche e tendenze sociali.
Il secondo corollario è che gli effetti delle strutture a rete sulla società non sono unidirezionali, bensi hanno
una struttura duale. Tulle le applicazioni dei nuovi media all'economia, alla politica, alla cultura e
all'esperienza personale sono caratterizzate da una combinazione di ciò che van Dik definisce «estensione e
riduzione di scala»: l'estensione di scala si esplica in processi di nazionalizzazione e internazionalizzazione,
le riduzioni di scala in ambienti di vita e di lavoro sempre più piccoli. Con questa espressione il sociologo
indica una delle principali caratteristiche dei nuovi media, questa dualità appunto che consiste nella
formazione di opposizioni: «centralizzazione e decentramento, controllo centrale e autonomia locale, unità
e frammentazione, socializzazione e individualizzazione». Le reti connettono e disconnettono, perciò
troviamo chi partecipa e decide, ma anche chi è marginalizzato o escluso.
La seconda legge del web è «the law of network externality» le reti producono effetti sulle persone e sulle
cose che sono esterne alla rete. In primo luogo c'è un impulso alla connessione: si stima che in un Paese
quando viene raggiunta la soglia del 20-25% di accessi, allora la diffusione acceleri. Tuttavia, l'accesso
universale non è mai raggiunto, ci sono sempre competenze digitali ineguali.
Un altro effetto è la spinta alla standardizzazione, che si vede sia nelle tecnologie che nei protocolli di rete
che tendono a utilizzare processi identici. Le grandi compagnie come Microsoft, Apple, Facebook, Google
stanno proponendo i loro propri standard, nella speranza di arrivare a dominare l'intera rete. La terza
legge, «the law of network extension» sostiene che, in un breve periodo, una rete diventa talmente estesa
che intermediario o mediatori diventano necessari per far funzionare tutto ciò che vi si trova.
In base alla quarta legge, «the law of small worlds» le reti aumentano la connessione tra persone,
organizzazioni e società. Oggi, gli individui possono entrare in contatto in pochissimo tempo in tutte le parti
del mondo, scegliendo tra un vasto ventaglio di possibilità. Secondo van Dijk, questo causa una sorta di
effetto di «contagio», per cui sia le notizie buone che quelle cattive si diffondono molto più rapidamente
che in passato.
La principale conseguenza della crescita della connessione e del contagio è che la network society è una
società instabile, poiché se da un lato le reti conducono verso una società meglio informata e organizzata,
dall'altro però esse ne amplificano le tensioni. Nel settore dei media internet è dominata da poche grandi
compagnie, ma allo stesso tempo è possibile trovare infinite piccole fonti mediali. Questo fenomeno è
rinforzato dalla quinta legge, «the law of the limits to attention on the web».
Quest'ultima è collegata alla penultima legge, «the power law», che si rispecchia nella cosiddetta
«Googlearchy»: quelle fonti che risultano già in testa alla lista dei risultati sul motore di ricerca
diventeranno ancora più popolari. Questo causa concentrazione e diseguaglianza tra le fonti, per cui i ricchi
diventeranno sempre più ricchi.
Infine, van Dijk conclude che tutti i cambiamenti analizzati e osservati danno l'idea della portata evolutiva e
non rivoluzionaria delle reti “evolutionary rather than revolutionary”. I nuovi media sono cioè trend
amplifiers, e in questo consiste l'ultima legge: i nuovi media intensificano le tendenze già presenti e
rinforzano le relazioni sociali esistenti nella società coeva. Per quanto vaste possano essere le conseguenze
sociali dei nuovi media, essi non cambieranno le basi delle società sviluppate. Il capitalismo ne sarà in
qualche modo rinvigorito in una forma più accelerata, flessibile e socialmente dura Tuttavia, non bisogna
dimenticare che instabilità e potenziale critico crescono in maniera ugualmente veloce.
Come già accennato, van Dijk si pone in una posizione di osservazione dalla quale evidenzia le dinamiche,
oppositive e contrastanti, che attraversano la network society in tutti i suoi aspetti e che conduce all'unica
visione offerta, quella per cui non si può essere né ottimisti né pessimisti. Ed è questa forse l'unica
possibilità data al sociologo e alla sociologa che riflettono su società e nuovi media. Van Dijk usa spesso un
esempio per rendere questa idea più chiaramente: la network individualization. È quasi un ossimoro,
perché gli ambienti di vita e di lavoro diventano progressivamente più piccoli mentre allo stesso tempo la
varietà della divisione del lavoro, delle comunicazioni interpersonali e dei mass media si amplifica. In questa
costante dialettica sta la chiave dell'interpretazione di van Dijk della network society.
Henry Jenkins
Henry Jenkins ha conquistato un ruolo in primo piano nella riflessione sulla cultura digitale contemporanea.
Egli inizia dallo studio dei “fan”, i fan-dice Jenkins, sono sempre stati i «pionieri delle nuove tecnologie
“Siccome non si accontentano dei prodotti offerti dall'industria cinematografica, o discografica, o editoriale,
i fan si appropriano dei contenuti e li fanno vivere in altre forme di produzione culturale. Ma questo non è
una novità di per sé, ciò che è mutata è la visibilità della fan culture oggi: la rete amplifica enormemente i
prodotti dal basso delle fan culture.
Una dinamica in cui le opere dei fan non possono più essere considerate solo come «derivate dai materiali
dei media main-stream, ma devono essere percepite come a loro volta aperte all'appropriazione e alla
rielaborazione da parte dei media. Tuttavia, è chiaro che le grandi aziende hanno bisogno dei fan per
diffondere e ramificare Il successo dei loro prodotti e che «il cambiamento mediatico attuale sta
riaffermando il diritto della gente comune di contribuire attivamente alle forme della propria cultura»
Jenkins riflette quindi sulla relazione tra convergenza mediatica e cultura partecipativa. Con convergenza
egli intende «il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell'industria dei
media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento» Nella sua
visione non si tratta solo di un punto di arrivo delle tecnologie ma di un processo di cambiamento culturale
che investe tutto il sistema dei media e tutta la società. L'espressione «cultura partecipativa» si riferisce
all'emergere di nuovi ruoli per produttori e consumatori, interagiscono tra loro e creano nuovi prodotti
culturali.
Bisogna fare differenza tra media e sistemi di delivery: la delivery è il modo in cui mi arriva il messaggio in
medium è ciò che mi trasmette la delivery. Il sistema di delivery con la tecnologia il medium ha a che fare
con la cultura. Oggi gli attuali sistemi di delivery ci permettono di mettere in gioco il watching, questa
possibilità tecnologica ha dato il via ad una fase sociale e culturale
Dal connubio, reso possibile dalla digitalizzazione, tra convergenza mediatica e cultura partecipativa
emerge il concetto di “cultura convergente”. Ciò che si osserva è che le idee e la cultura si diffondono
dall'alto verso il basso, cioè vengono prodotte su larga scala dai media e poi vengono riappropriate dai
diversi pubblici e al contempo vengono rivolte verso l'esterno attraverso l'elaborazione culturale. Alcune
idee nascono dal basso e poi entrano nei canali commerciali quando suscitano l'interesse dei media. In
questo processo nuovi e vecchi media si compenetrano e produttori e consumatori interagiscono in modi
imprevedibili.
Welleman
Welleman è uno studioso statunitense, è uno dei primi sociologi che si è interessato a Internet soprattutto
per ciò che concerne il rapporto tra questo medium e la vita quotidiana.
Attraverso differenti studi, tradotti nel libro The Internet in everyday life, l'autore si è concentrato
sull'utilizzo del web da parte degli utenti per ciò che riguarda le relazioni interpersonali, i mutamenti delle
dinamiche di interazione umana, le connessioni tra Internet e il capitale sociale. Insomma, suoi lavori hanno
tentato nel tempo di rispondere alla domanda: la rete può essere considerata come qualcosa di separato
dagli altri aspetti delle vite degli individui?
Uno dei contributi rilevanti dell’autore è l’analisi delle reti sociali all’interno di internet, la rete sociale come
un insieme di nodi socialmente rilevanti e che sono connessi tra di loro da uno o più rapporti. I rapporti
dell'intersezione di molte reti e delle influenze tra i loro differenti nodi. Ogni individuo, pertanto, diventa
parte integrante della rete essendone un nodo e contribuendo alla sua stessa sopravvivenza.
Prendiamo come esempio il caso dei Social Network Site. Ciascuno degli utenti iscritti fa parte della rete in
quanto individuo che la «popola» e mantiene in vita il network condividendo contenuti, commentando i
post degli altri utenti ecc.
Partendo da questi presupposti, Wellman sviluppa il concetto di networked individualism o di individualized
networking (etichetta utilizzata da Wellman successivamente per non porre troppo l'accento sulla
disconnessione tra i nodi della rete): in Internet gli individui possono fare parte di differenti network
scegliendo autonomamente a quali di queste reti appartenere in base ai loro interessi.
Wellman portata a maturazione con il saggio Networked (2012), i cambiamenti sociali e tecnologici
consentono ai soggetti un ulteriore mezzo per creare rapporti che vanno a integrarsi con la vita quotidiana
piuttosto che porsi come alternativa a essa. La rete non è quindi la fautrice del networked individualism,
ma, più semplicemente, una piattaforma grazie alla quale questo modello raggiunge la sua massima
espressione. Nell'interpretazione di Wellman il network si sostituisce al gruppo, passaggio che dona
all'individuo un maggiore potere slegandolo sia dalle limitazioni inerenti allo spazio fisico sia da quelle che
lo collegavano al proprio status ascritto.
Sonia Livingstone
La studiosa Sonia Livingstone si è concentrata soprattutto sull’uso di Internet da parte delle persone più̀
giovani. A suo avviso è possibile comprendere i nuovi media solo partendo da un approccio
interdisciplinare, cercando di cogliere quali siano gli effettivi elementi di novità̀ rispetto ai media
precedenti. I più̀ giovani sono generalmente più̀ facilitati nell’adottare le nuove tecnologie, perché ́ le usano
non per lavoro, ma per interagire fra loro.
Geert Lovink
Geert Lovink è piuttosto critico nei confronti delle grandi corporation e di come regalarvi i propri contenuti
risulti ormai essere l’unica opzione disponibile.
Lovinik adotterà̀ quindi un atteggiamento di net criticism che non è puramente distruttivo, ma propone
modelli alternativi e forme di aggregazione differenti (organised networks) rispetto alle grandi corporation
economiche come ad esempio quella di far diventare il dilettante (spesso giovane) un professionista.
Cap. 3 FORME E LINGUAGGI DEI NUOVI MEDIA
3.1) DIGITALE E DIGITALIZZAZZIONE
In italiano, digitale può fare riferimento alle dita, come le impronte digitali, o a qualcosa che ha a che fare
con l'informatica, il linguaggio dei calcolatori elettronici.
L'informatica si basa sul codice binario e converte in bit (binary digit) le informazioni che vuole elaborare.
Quando si parla di passaggio dall'analogico al digitale si intende quindi il processo attraverso il quale
l'informazione viene «digitalizzata», ovvero trasformata in un linguaggio numerico binario.
Più i calcolatori elettronici sono diventati potenti, e quindi in grado di elaborare una mole sempre maggiore
di dati, più si è parlato di “digitalizzazione”. In senso stretto, la digitalizzazione significa la codifica delle
informazioni in formato digitale, cioè numerico binario; in senso più ampio, rappresenta
il passaggio che ha caratterizzato gli ultimi decenni e che ha visto l'utilizzo sempre maggiore delle scienze
informatiche e delle sue tecnologie. La digitalizzazione è stata possibile anche grazie alla miniaturizzazione
cioè alla costante riduzione delle dimensioni dei calcolatori elettronici, ad esempio fattori come l’invenzione
del microchip, hanno consentito di modificare il modo in cui gli individui fruiscono le informazioni. Un altro
elemento che si aggiunge e quindi quello della compressione delle informazioni. La codifica digitale
consente di comprimere i dati in modo da occupare poca memoria ed essere più leggeri negli scambi tra
supporti. Un’altra caratteristica della digitalizzazione e l’aumento delle prestazioni, che viene solitamente
espresso dalla legge di Moore. Gordon Moore cofondatore di Intel, enuncia la legge che prende il suo nome
nel 1965; essa recitava così “le prestazioni dei processori e il numero di transistor collocabili su essi
raddoppiano ogni 18 mesi “, con questa affermazione si intendeva che i computer avrebbero aumentato la
loro capacità di calcolo costantemente grazie lo sviluppo di processori sempre più potenti e sempre più
piccoli. Ciò che diceva Moore oggi è il risultato vero infatti noi riusciamo a parlare di nano chip, che hanno
dimensioni infinitesimali e il cui limite è dato dallo spazio fisico occupato dagli atomi che li compongono. La
digitalizzazione dei contenuti non è solo un fatto puramente tecnologico, ma, come vedremo, influenza
anche il modo in cui i contenuti vengono prodotti veicolati e distribuiti
3.2) IBRIDAZIONE E CONVERGENZA
Digitalizzazione, compressione, miniaturizzazione e aumento delle prestazioni hanno innescato il fenomeno
della “convergenza multimediale “con cui si intende la fusione di contenuti (video, audio, dati) supporti
(computer, TV, videogiochi eccetera) e distribuzione (come i contenuti arrivano al supporto). Si parla
indifferentemente di convergenza o ibridazione, anche se per alcuni sono due termini distinti, perché il
primo è più ampio e il secondo invece più specifico e fa riferimento agli aspetti puramente tecnici che si
fondono nei diversi media. Facciamo esperienza nella convergenza ogni giorno, quando consultiamo una
mappa sul nostro smartphone, quando inviamo un tweet o quando guardiamo la trasmissione televisiva, la
convergenza è un fenomeno evidente quotidiano è molto sfaccettato. L’idea della convergenza tra i media
non è recentissima ed è stata largamente utilizzata da Ithiel Sola Pool, il quale agli inizi degli anni 80
analizzato il sistema dei media di allora sotto diversi aspetti, soprattutto giuridici e sociali. Pool sostiene che
a partire dal XIX secolo i media sono stati raggruppati e divisi in tre arie:
1. i vettori cioè reti per il trasporto delle comunicazioni (posta, telegrafo, telefono)
2. l’editoria, che riguardava la produzione dei contenuti, dalla stampa al cinema dalla musica ai video.
3. il broadcasting (questa parola si ritrova nelle sigle delle principali compagnie radiotelevisive come la
BBC, sta ad indicare le modalità di irradiazione del segnale, che avviene da un’emittente verso un
indistinto pubblico, cioè quella che viene anche comunemente detta comunicazione da uno a molti.
Questa è l’area più recente, che comprende le reti radiotelevisive.
Ogni qualvolta appariva un nuovo medium, questo veniva inserito per analogia all’interno di una rete delle
tre arie, di cui di conseguenza assumeva le caratteristiche giuridiche e sociali la collocazione di un nuovo
medium all’interno di un’area dipendeva solo impartirà natura tecnica del mezzo ed era soprattutto frutto
di processi storico sociali. Il sistema tripartito però è stato messo in crisi nel XX secolo dall’avvento di molti
nuovi media che si sono posizionati a cavallo fra le tre arie, ad esempio quando in USA si diffuse la TV via
cavo che faceva teoricamente parte contemporaneamente in tutte e tre le arie.
Nello specifico la convergenza multimediale vede la sua realizzazione nella digitalizzazione pervasiva e nella
combinazione di due sistemi prima separati e cioè l’industria dei media tradizionali e il settore delle
telecomunicazioni, che si articola su tre livelli:
1- la produzione dei media: si tratta della convergenza di attività e metodi gestionali differenti nelle
imprese multimediali. Queste enormi aziende nascondono solitamente come industrie dei media
tradizionali che progressivamente aggregano i settori emergenti delle telecomunicazioni, sebbene
questi grandi gruppi si basano sulla diversificazione degli investimenti più che su di un avere propria
ibridazione, la tendenza e comunque verso una sovrapposizione delle funzioni di ogni settore, non
solo dal punto di vista economico
2- le tecnologie: i canali non sono più come diceva Paul l’elemento distintivo tra i diversi media
3- I contenuti simbolici: questo livello a che fare con la multimedialità. La convergenza in tal senso
riguarda la crisi dei linguaggi simbolici utilizzati dei vari media che si ibridano tra loro, che significa
non solo il modo in cui vengono confezionati i contenuti, i codici utilizzati, ma anche la forma che
viene loro data. La con Miss Tione di linguaggi, cioè muta la stessa natura dei contenuti che
vengono strutturati e adattati per differenti piattaforme.
La convergenza multimediale quindi investe tutto il sistema dei media, andando anche a ridefinire la
relazione tra vecchi e nuovi media. È grazie però ad Henry Jenkins Che la riflessione si è ampliata fino a
comprendere la dimensione più propriamente simbolica e sociale, cioè quella culturale, egli afferma che i il
termine convergenza descrive il cambiamento sociale, culturale, industriale e tecnologico inerente alla
modalità di circolazione della nostra cultura. Tramite questa formula vengono generalmente indicati: il
flusso di contenuti attraverso più piattaforme mediatiche, la cooperazione tra imprese diverse, ricerca di
nuove forme di finanziamento tra vecchi e nuovi media e il comportamento nomade dei pubblici si che
sono alla ricerca di nuove esperienze di intrattenimento gratificanti. Probabilmente la convergenza
mediatica si riferisce alla digitalizzazione di coesistenza tra sistemi mediatici multipli nella quale il flusso dei
contenuti è fluido. Secondo Jenkins la convergenza non è un fatto esclusivamente tecnologico legato alla
digitalizzazione, bensì rappresenta un cambiamento culturale che riguarda in primis i consumatori, gli
utenti delle tecnologie, che le usano per connettere le loro intelligenze. Il consumo si trasforma in un
processo collettivo in consumatori diventano una forma alternativa di potere mediatico. Dopo lo scoppio
della bolla delle.com, ovvero le aziende che operano nel settore informatico e Internet, il digitale ha perso
la sua aura salvifica e straordinaria è diventato qualcosa di familiare, quotidiano, a cui i consumatori
partecipano attivamente. Secondo JackIns quell’americana è sempre di più una cultura convergente in cui
da un lato la convergenza delle grandi conglomerate convive con quella guidata dal basso dai consumatori,
dall’altro aumentano le aspettative di un flusso di idee e contenuti più libero. Il compito dello studioso è
merito dello studioso stato quindi quello di ridimensionare il determinismo tecnologico che traspariva dal
Kuhn letture profetiche di rimettere al centro la questione gli usi significati culturali e sociali della
convergenza di cui gli utenti consumatori sono i principali soggetti.
3.3) LA MULTIMEDIALITÀ ALL’EPOCA DIGITALE
È multimediale una comunicazione che utilizza diversi supporti, codici, canali per veicolare il suo messaggio.
Tuttavia, detto così è troppo ampio e non circoscrive ciò che oggi viene definito multimediale. Oggi non ha
più senso considerare multimediale qualcosa che si limita a raggruppare diversi codici e usare
contemporaneamente differenti canali sensoriali nella sua comunicazione. È il connubio con il digitale che
ha specificato il significato. E negli anni 80 che il termine comincia essere usato in ambito informatico,
tant’è che la leggenda vuole che sia stata la Apple a utilizzarlo nel 1984 per descrivere il suo nuovissimo
Macintosh (uno spot Che andò in onda una sola volta nel corso del SuperBowl, raffigurava un futuro
distopico in cui un grande fratello orwelliano che rappresentava il colosso Veniva distrutto da un giovane
atleta) il primo personal computer dotato di interfaccia grafica e finestre e mouse. Multimediale quindi
inizia essere un aggettivo attribuito ai computer che non si limitano più alla sola gestione dei testi, ma
integrano anche immagini e suoni. Si usa l’espressione rivoluzione multimediale come equivalente di
rivoluzione digitale, si parla infatti di computer multimediali pensando ai computer dotati di scheda video e
altoparlanti, si considerano testi multimediali videogiochi, animazioni sul pc e gli ipertesti.
I nuovi media sono nuovi perché sono multimediali, ma perché sono multimediali? Dire che essi integrano
diversi codici comunicativi non è esatto, dire che lo fanno in modo digitale, non è abbastanza. È necessario
focalizzarsi sul modo in cui i vari linguaggi si fondono e sul modo in cui i fruitori ne fanno esperienza. In
primo luogo, la caratteristica della multimedialità contemporanea è la possibilità di una perfetta
integrazione, di una interconnessione così stretta di dati testi suoni immagini di ogni genere all’interno di
un unico ambiente informativo digitale, da far perdere le caratteristiche individuali dei singoli media. La
perfetta integrazione è possibile grazie alla digitalizzazione dei contenuti che permette di trattare i dati
mediante lo stesso linguaggio. Si ottiene un messaggio che, utilizzando più supporti risulta omogeneo. In
secondo luogo, è multimediale ciò che consente al fruitore di avere un’esperienza di fusione
multisensoriale in cui il messaggio complessivo che riceve e dato dall’insieme di linguaggi utilizzati, in cui il
tutto è più delle singole parti. Basta pensare a Skype quando la connessione lenta e il video salta l’audio si
blocca noi perdiamo la nostra sensazione di fusione multisensoriale. Alla base della multimedialità vi sono
due strategie uno definire le diverse forme di multimedialità sulla base dei supporti e dei canali due
intrecciare la multimedialità con altri concetti propri dei new media. Bisogna distinguere all’interno della
multimedialità l’offline e l’online. la multimedialità off line è proprio dei prodotti editoriali fissati su supporti
come CD e DVD, che sono fruibili autonomamente; la multimedialità online riguarda i siti web che sono
fruibili grazie la connessione Internet.si può parlare anche inoltre di multimedialità interattiva e
ipermedialità. Nel primo caso si pone in evidenza la possibilità di partecipazione dell’utente alla costruzione
della comunicazione; nel secondo caso l’accento è posto sull’organizzazione associativa delle informazioni
diverso origine media
3.4) L’IPERTESTUALITÀ
Chi naviga in rete è ormai avvezzo a un certo tipo di esperienza: si cerca una cosa e se ne trovano molte
altre, più o meno affini rispetto all'interesse iniziale. Una sola pagina quindi ci offre numerose possibilità di
approfondimento, che sta a noi decidere di sfruttare oppure no. E questa la tipica modalità ipertestuale a
cui il web ci ha abituato fin dalla sua comparsa ed è per questo una delle prime caratteristiche di
innovazione che gli è stata attribuita. Con ipertesto digitale si intende, oggi, un insieme di materiali
multimediali che sono connessi tra loro attraverso collegamenti - gli hyperlink - e che consentono all'utente
una consultazione non sequenziale e non preordinata. Saper navigare significa anche sapere interagire
correttamente con un modello iper testuale, grazie al quale l'utente può costruire il suo percorso di lettura
e di consultazione. L’idea dell’ipertesto non è nata però con il web: Negli anni Sessanta, quando le
tecnologie erano mature, Ted Nelson, insieme a un altro pioniere dell'informatica, Douglas Engelbart
l'inventore del mouse -, prende le mosse dal lavoro di Bush e fonda il progetto Xanadu.
Secondo Nelson, Xanadu doveva diventare un archivio mondiale di documenti, immagini, video collegato da
una rete di computer e gestito grazie a un'interfaccia dall'utente, il quale poteva muoversi attraverso una
mole enorme di dati senza mai temere di perdersi. Era questa la sua idea di «ipertesto»
Sebbene siano passati decenni, Nelson sta ancora lavorando al progetto è fortemente critico nei confronti
di quanti sostengono che la sua opera sia stata realizzata nel web. Secondo Nelson, l’attuale web sarebbe
solo lo scimmiotta mento nella scrittura su carta e trarrebbe in inganno l’utente facendolo perdere tra le
concerie di pagine e informazioni. In altre parole, per Nelson la carta è una prigione con quattro mura e
l’attuale web invece di liberare l’utente dei vincoli della carta non gli fa capire dove va, quando la fonte e
consulta l’origine del link. Aldilà delle risorse del suo coniatore, il termine ipertesto è diventato un
elemento fondamentale della rivoluzione digitale perché contraddistingue il tipo di interazioni che l’utente
sperimenta quando si interfaccia con il mondo digitale. L’idea di ipertesto a creato numerosi dibattiti in
campo filosofico, teorico, letterario soprattutto semiotico, poiché scardina il concetto dei cieli di testo e
realizza quella molteplicità di livelli di lettura che allungo era stata teorizzata. Non solo, il significato è
costruito attivamente anche dal lettore, senza il quale non può esistere alcun ipertesto. Infine, l’oggetto
ipertestuale è la realizzazione delle utopie che vedono la rete la possibilità di creare una connessione
infinita tra intelligenze, umani ma non solo.
3.5) L’INTERATTIVITÀ
L’interattività è una definizione di quasi esclusivo appannaggio informatico. Quando pensiamo a un medium
interattivo, oggi potrebbe venirci in mente la televisione del digitale terrestre o le Smart TV. Potremmo
altresì pensare un videogioco che ci permette di giocare a tennis con un controller oppure riconosce la
nostra voce i nostri movimenti, addirittura senza alcun controller interattività e, nella nostra esperienza
quotidiana, quella tecnologica, digitale, che interagisce con noi, che ci permette di fare delle cose, che
risponde attivamente e immediatamente ai nostri input. Quasi tutti i media digitali interagiscono con noi e
lo faranno sempre di più grazie alle tecnologie come l’Internet delle cose (con Internet delle cose si intende
la possibilità degli oggetti di connettersi alla rete e gestire le informazioni gli usi che li riguardano.) Secondo
la definizione di Jensen l’interattività è la misura della potenziale facoltà dei media di lasciare che l’utente
eserciti un’influenza sul contenuto o sulla forma della comunicazione mediata. In tal senso i media sono
posizionabili su tre livelli di interattività: alla base si trova l’interattività selettiva che definisce la facoltà
dell’utente di scegliere un contenuto; al secondo livello troviamo l’interattività conversazionale per riferita
alla possibilità dell’utente di produrre inserire informazioni; infine l’interattività registrata che riguarda la
capacità del sistema di adattarsi alle informazioni inserite dall’utente. Si va a quindi da un’interattività di
base, come quella della consultazione di un DVD a un livello successivo in cui l’utente può intervenire
attivamente come sul web, fino a un massimo rappresentato dell’intelligenza artificiale. L’interattività è un
concetto che è stato ampiamente analizzato soprattutto nell’ambito degli studi sulla realtà virtuale subito
videogiochi. In tale contesto gli elementi principali di un medium interattivo sono la velocità, la gamma e il
controllo. Con velocità si intende il tempo di risposta del sistema l’input dell’ambiente, la cui massima
realizzazione è l’alterazione in tempo reale da parte dell’azione dell’utente. La gamma fa riferimento al
numero di elementi dell’ambiente mediato che l’utente può manipolare e quanto infine il terzo elemento
che indica l’interattività di un medium è il controllo cioè il modo in cui le azioni umane sono connesse
all’azioni dell’ambiente mediato. Esso può essere un controllo arbitrario in cui la relazione tra un comando
e la sua esecuzione frutto di una scelta oppure può essere un controllo naturale per cui se uso il controller
come una chitarra o Tron terminato suono durante il videogioco.

3.6) LA PERSONALIZZAZIONE ( significa fare esperienze su misura per i visitatori del sito in base alle loro
preferenze, invece che uniforma per tuti)
La tendenza alla personalizzazione si ritrova anche nei media tradizionali, non si tratta ciò è di una
caratteristica intrinseca solo ai media digitali, tuttavia, è con la digitalizzazione che alcuni elementi si
enfatizzano. Basta pensare al primo vero medium personale: il “Walkman” (primo dispositivo che ha
consentito di ascoltare la musica ovunque) esso ha stravolto la fruizione della musica, che è diventata
personale e mobile.
Gli elementi principali che definiscono il processo di personalizzazione sono:
1. La crescente adattabilità dei prodotti alle scelte dell’utente
2. La flessibilità dei tempi e degli spazi del consumo digitale
3. Lo sviluppo di azioni di bricolage sui media

- Personalizzazione dei contenuti


L’utente seleziona materiali preesistenti si costruisce un prodotto su “un misura”. All’interno di internet si
devono gestire tantissime informazioni e tantissimi contenuti, per selezionare le informazioni esistono due
grandi famiglie di strategie: la logica Pull (tirare): qualcosa è prodotto sulla base di una richiesta dell’utente
(azione conseguenza di una domanda) e la logica Push (spingere): la domanda è anticipata dal sistema, che
propone senza che l’utente abbia fatto specifiche richieste. Nello scenario contemporaneo invece cambia lo
scenario il push si basa sul nostro pull, oggi la maggior parte delle piatteforme prevede un’integrazione tra
push e pull, abbiamo delle informazioni che ci vengono spinte dalla piattaforma ma che derivano tra una
nostra ricerca. La sintesi dell’integrazione tra push e pull è algoritmo, ogni piattaforma è in continua ricerca
per far mantenere ricerca e attenzione sulla piattaforma stessa, monitorando i nostri interessi e offrendoci
cose che ci piacciono. Ognuno di noi viene classificato dall’algoritmo.
- Personalizzazione di tempo e spazio
I consumi mediali non sono più vincolati ai tempi di produzione e distribuzione, agli spazi in cui sono
collocati supporto tecnologie tradizionalmente previste per la funzione mediali. Fino a non molto tempo fa,
il palinsesto televisivo era personalizzabile attraverso la registrazione dei contenuti che ha costituito un
avere propria svolta di sistema, perché ha superato gli utenti dalle logiche del broadcasting. Oggi la
registrazione non è più necessaria, poiché le tecnologie streaming e on demand permettono al fruitore di
vedere quello che vuole quando vuole (Netflix) elementi principali di questo secondo livello di
personalizzazione, quindi, sono costituiti dall’offerta disposizione dell’utente dei sistemi tecnologici che
permettono di sui contenuti in modo svincolato da spazio e tempo.

- Personalizzazione della produzione


Si tratta della diffusione di pratiche di consumo e produzione mediale a quelle delle industrie culturali. Ci
sono almeno due aspetti differenti da considerare:
1. La manipolazione dei prodotti mediali, che si traduce non solo nella combinazione di elementi
offerti ma che, in senso tattico, si spinge all’appropriazione vera e propria.
2. Le interfacce grafiche interattive, la portabilità delle tecnologie, l’abbassamento dei prezzi e la
diffusione di software progettati in base allo user centered design hanno reso le tecnologie facili da
usare e alla portata di chiunque
Da un lato si assiste sempre di più alla produzione mediale e culturale da parte di soggetti esterni o
marginali rispetto alle industrie culturali, che poi ne vengono assorbiti. Dall’altro, la diffusione degli
smartphone, dotati di foto e videocamera evidenziano la funzione di prosumer degli utenti. Con prosumer
si intende il fenomeno per il quale chiunque sia dotato di un dispositivo digitale di foto o di video
registrazione diventa un potenziale prodotto di contenuti mediali.
3.7) LA CROSSMEDIALITÀ
L’avanzata del Web 2.0, del web sociale che sollecita la partecipazione dell’utente e la personalizzazione dei
contenuti, anche l’idea di convergenza multimediale, che viene sempre più definita come crossmedialità.
Potremmo definire la crossmedialita come la convergenza 2.0. In tal caso, i contenuti vengono prodotti
ovunque ci sia un medium digitale e una connessione Internet, e poi diffusi trasversalmente su svariate
piattaforme web. La prossima idealità veicola ancor di più l’idea della globalità dei contenuti disseminati
attraverso il web e non solo. Il sistema dei media oggi è cross mediale nel senso che fonde tutti i media e
tutti i contenuti attraverso il web sempre in più tempo reale al centro del sistema dell’utente. I protagonisti
della crossmedialita come sostiene Jankins sono sempre di più gli utenti, i quali diventano il fulcro di
qualsiasi nuova proposta online, nel senso che sono chiamati sempre di più a contribuire. Ci sono svariate
forme di partecipazione. Da un lato c’è il web social dall’altro invece il web collaborativo. Il web
collaborativo offre agli utenti continue possibilità di interazioni, di partecipazione, di collaborazione. Un
esempio è rappresentato dei sistemi di rating, grazie ai quali gli utenti possono iscrivere valutazioni su varie
tipologie di prodotti: come libri ristoranti film eccetera. Anche i siti di e-commerce e si basano sulla
collaborazione degli utenti, che attraverso il loro giudizio contribuiscono a costruire reputazione dei
venditori. Le piattaforme di Mashup invece permettono di aggregare informazioni che provengono da fonti
diverse come blog siti e social network. Ci sono moltissime applicazioni che fanno della collaborazione degli
utenti il loro punto di forza. E a farmi che si basa sulla collaborazione di utenti ne nascono ogni giorno tutto
questo è Wikipedia. I software Wiki, parola Vaiana che significa veloce, hanno come caratteristica principale
quella di permettere agli utenti registrati di apportare velocemente modifiche a materiali pubblicati online
direttamente al browser utilizzato, quindi senza usare linguaggi di programmazione specifici. I documenti
possono essere modificati da chiunque, gli utenti cioè possono anche cancellare cambiare e spostare i
documenti inseriti da altri utenti. Alla base di Wiki è quella della creazione di contenuti da parte dell’utente
in modo collaborativo. È possibile farlo in forma anonima in cui Wiki che lo permettono, come è avvenuto
all’inizio con Wiki Lens. Il Wiki più famosi in assoluto è Wikipedia nato nel 1201 e pubblicata in 285 lingue
differenti. E tra 10 siti più consultati al mondo, con milioni di visitatori ogni giorno. È un in ciclope dia
multilingue, collaborativa, online e gratuita. Wikipedia e collaborativa nel senso che si basa sui contributi di
volontari che ne descrivono le varie voci. Essa si basa su cinque valori principali definiti come cinque pilastri:
1. Wikipedia è enciclopedia ovvero si escludono quindi le definizioni dizionario, discussioni, la
propaganda, le autobiografie, i saggi promozionali e così via.
2. Wikipedia è un punto di vista neutrale ovvero ogni voce deve riportare le diverse posizioni di
diverse teorie cercando di utilizzare un linguaggio imparziale.
3. Wikipedia è libera: la licenza adottata assicura la libera diffusione e chiunque può modificare o
creare nuove voci e il fatto di essere iscritto alla comunità.
4. Wikipedia è un codice di condotta la “Wikiquette” regola le interazioni tra i membri della comunità,
che dovrebbero evitare attacchi personali e presumere la buona fede di cui partecipa e non
abusare delle possibilità.
5. Wikipedia non ha regole fisse: a volte cioè non bisogna essere timidi nel partecipare la creazione
delle voci.
Il problema di un’enciclopedia è libera e l’attendibilità e l’autorevolezza delle voci pubblicate Wikipedia
infatti non dà garanzie sulla validità dei contenuti ogni contributore è responsabile dei suoi inserimenti.
La caratterista dei media digitale è quella di mettere insieme media differenti. La possibilità tecnica produce
un espressività cross medialita la possibilità che lo stesso contenuto venga prodotto e trasportato su
piattaforma differenti a seconda di dove mi serve, quindi è lo stesso contenuto che viene prodotto su media
differenti che avrà caratteristiche differenti a secondo della piattaforma di dov’è andato. Un esempio di
Trans media story telling è Matrix che nasce come film, il film racconta una storia in cui esiste un mondo in
cui le macchine hanno preso il controllo e gli umani vi sono vittime, di Matrix però esiste anche il
videogioco e una serie animata. Una differenza fondamentale è che tutte le varie creazioni i di Matrix
raccontano una storia diversa all’interno dello stesso mondo di Matrix, sappiamo ad esempio come si è
arrivata alla storia di Matrix grazie alla serie e altre parti al videogioco. Questo modo di raccontar una storia
è prendere ogni singolo medium e fargli raccontare una storia, si può fare se smette di pensare alla storia in
termini lineari e penso alla storia cosi com´ è. Il Trans media story telling è un processo in cui elementi
integrali di una storia si diramano sistematicamente attraverso molteplici canali con l’obiettivo di creare
un’esperienza di intrattenimento omogenea e coordinata. I brand di altissimo livello pensano le stesso per
le storie, producono esperienze differenti a seconda del brand. È la frontiera attuale della sceneggiatura,
che pensa a creare dei mondi all’interno del quale costruisce una storia.

3.9) LA LIBERTÀ: L’ETICA HACKER E L’OPEN SOURCE


La gratuità e la libertà sono i principi nell’etica hacker, l´hacker è una persona molto esperta di tecnologia
che è in grado di far fare delle cose previste alle macchine o ai software. L’etica dell´hacker ha avuto un
ruolo molto rilevante nella costruzione della rete così come lo conosciamo oggi. Quando pensiamo agli
hacker potrebbero venirci in mente dei giovani nerd che si divertono ad attaccare siti più o meno
istituzionali, o a intestare la rete con virus informatici o a craccare software, cioè usarli senza licenza. Gli
hacker sono questo e molto altro, nel senso che già gli esordi la diffusione di Internet del suo sviluppo
orientato allo sfruttamento accademico commerciale storici sono dedicati all’appropriazione della rete con
altre finalità, soprattutto enti commerciali e a volte politiche. Sono stati loro a porre l’attenzione a questioni
come la privacy, l’accessibilità, la vulnerabilità dei sistemi ma soprattutto all’idea che l’informazione la
conoscenza devono essere di tutti e non in mano a pochi colossi informatici e commerciali. Una delle
colonne portanti della loro etica è il free software, espressione con cui non si indica la gratuità bensì la
libertà del software. In altre parole un free software è libro ma non necessariamente gratis. Un programma
è un software libero se gli utenti godono delle quattro libertà fondamentali enunciati da Robert Stallmann:
1. libertà di seguire il programma per qualsiasi scopo
2. libertà di studiare come funziona il programma e modificarlo in modo da adattarlo alle proprie
necessità
3. libertà di ridistribuire copia in modo da aiutare il prossimo
4. libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati, in modo
tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.
Il prerequisito per realizzare queste libertà è che il codice sorgente sia aperto, cioè il file scritto dal
programmatore che ha realizzato il software si è reso accessibile a tutti. Stelllman e la sua fondazione
promuovono invece il progetto GNU, una piattaforma software libera, al cui interno si sviluppa il free
software più celebre Linux, Linux è un sistema operativo aperto e gratuito che consente un utilizzo
personalizzato del computer che molto spesso è prediletto dagli addetti al settore. Ma anche se è un free
software non significa che l’Inps sia privo di tutela della proprietà intellettuale, tutt’altro. La Free Software
Foundation ha elaborato una licenza denominata new barra GPL con lo scopo di proteggere l’autore e il
prodotto dalla chiusura del codice o privatizzazioni. La GPL diventata alla base di altri tipi di licenza copyleft
soprattutto a opera di creative Common le licenze copi il Left tutela l’autore e la sua proprietà intellettuale
all’opera ma consentono di utenti di usarla senza chiedere autorizzazioni senza pagare. Su Linux si basa
anche lo sviluppo di Android sistema operativo per dispositivi mobili Google: si tratta di un software open
source che come dice la parola stessa ha il codice aperto ma in senso diverso rispetto al free software lo
penso infatti si basa in modo quasi antitetico sulla volontà di sfruttamento commerciale: sanità di un
software condiviso. I software liberi si basano sulla collaborazione tra utenti sulla loro partecipazione
Cap.4 Media digitali tra identità, interazioni e gestione del self

4.1) IDENTITÀ E NUOVI MEDIA


Il sistema mediatico e quello comunicativo negli ultimi anni hanno visto mutare in maniera importante le
loro forme e le routine che li governavano.ma in che modo le tecnologie sono intervenute nei processi
identitari e nelle relazioni umane?
In passato uomini e donne sono sempre stati abituati a pensarsi in qualità di pubblici, consumatori,
cittadini, figure tipiche della comunicazione di massa che trovavano nel tempo nello spazio i limiti della loro
socialità. Oggi le cose si sono modificate: siamo circondati da tecnologie della comunicazione e investiamo
molte energie in pratiche che cambia la nostra posizione all’interno del paradigma comunicativo: ciascuno
di noi quindi non è più solo un oggetto della comunicazione altrui ben si soggetto di questa tutto ciò si
enfatizzato maggiormente con il cambiamento in chiave sociale del web permettendo di potenziare le
relazioni tra individui.
Everett Rogers nel 1962 portò in primo piano la natura comunicativa del processo di diffusione di
un'innovazione in cui i canali di comunicazione giocano un ruolo fondamentale. Lo studioso distingue tra la
comunicazione personale e quella attraverso i media rilevando come l'influenza dei singoli individui sia più
rilevante di quella dei mass media. I canali comunicativi non possono essere separati dal sistema sociale in
cui sono inseriti e il grado di diffusione di un'innovazione risulta quindi legato alle norme sociali dominanti,
alla presenza di opinion leader che influenzano le decisioni e di soggetti che fanno sì che l'innovazione
avanzi all'interno del sistema sociale attraverso il sostegno del bisogno di cambiamento, il supporto della
circolazione di informazioni, l'identificazione di problemi che possono essere affrontati tramite
l'innovazione e il favorire la stabilizzazione del processo di adozione. Quest'ultimo viene suddiviso da
Rogers in cinque momenti: awareness, in cui l'individuo è esposto all'innovazione, senza detenere
informazioni specifiche in proposito; interest, in cui le prime informazioni arrivano al soggetto che mostra
una certa attitudine a ricercarne di nuove; evaluation, momento in cui si prefigura la situazione futura
immaginandosi mentalmente l'innovazione grazie alle informazioni raccolte nei suoi step precedenti; trial,
cioè il momento di sperimentazione dell'innovazione; adoption, l'adozione vera e propria in cui l'individuo
decide di applicare completamente l'innovazione. Il ragionamento appena descritto porta Rogers a
suddividere gli adopter secondo una curva normale:

Il primo gruppo, quello degli innovator, è composto da soggetti con un alto livello d’istruzione, che hanno
specifiche abilità nella comprensione e nell'applicazione delle conoscenze tecniche e sono esposti a più
fonti di informazione. Gli early adopter sono quegli individui che hanno alti livelli di istruzione e un elevata
reputazione all’interno della comunità, cosa che li porta a ricoprire una funzione di leader all'interno della
società. Il terzo gruppo (early majority) è caratterizzato da soggetti che hanno una forte interazione con i
pari, hanno una posizione di leadership e tendono a seguire un processo deliberativo per ciò che concerne
l'adozione di una nuova idea. I late majority comprendono soggetti che hanno un capitale economico
basso, che subiscono fortemente la pressione dei pari e che sono molto prudenti: sono normalmente
scettici e tradizionalisti. Infine ci sono i laggard, cioè individui isolati e sospettosi che hanno relazioni solo
con vicini e parenti; hanno risorse limitate e affrontano il processo di decision making lentamente. Gli
individui entrano a far parte di una comunicazione personale di massa e, in modo più o meno consapevole,
si rendono conto di essere protagonisti attivi nella comunicazione grazie all’accumulazione e alla diffusione
delle pratiche che consentono di auto rappresentarsi. Alla base di tutto c’è la propensione dell’attore
sociale a farsi media ovvero a diventare soggetto della comunicazione anche grazie all’interiorizzazione
delle logiche dei linguaggi mediali, così come delle forme espressive ed estetiche dei media. Il linguaggio dei
mezzi di comunicazioni viene fatto proprio ibridandolo con quello della vita quotidiana grazie anche
all’occasioni che i media digitali mettono oggi a disposizione, i contenuti mediali partono perlopiù dalle
esperienze della vita concreta dei soggetti che pensano alla propria comunicazione attraverso i social media
soprattutto in funzione dei potenziali elettori. Le scienze sociali spiegano che l’identità di ciascuno si trova
in un rapporto dialettico continuo con la società. Un tempo essere affidata alla classe di appartenenza, al
gruppo religioso al gruppo sociale di riferimento. Oggi però i suoi confini, anche grazie le nove tecnologie
digitali, si allargano, ma l’identità rimane pur sempre al centro del rapporto tra me e le altre persone. Da
sempre i media hanno avuto un ruolo rilevante nelle dinamiche identitarie fornendo spesso la possibilità di
entrare in contatto con sfere esperienziali e modelli di riferimento non direttamente accessibili nella vita
quotidiana. Identità, come abbiamo già affermato, è un’istanza razionale e passa da tutti quegli strumenti
che permettono, anche in forma immediata delle a media digitali compresi. Pertanto le risorse le quali
ciascuno accede per poter costruire la propria identità sono in larga misura presenti anche nella realtà
strutturale e mediale. I media digitali, soprattutto se contempliamo le piattaforme di social media, sono
strumenti importanti in cui e con cui i differenti attori costruiscono e mettono alla prova la propria identità.
Le piattaforme sociali e i nuovi media offrono ciascuno nuovi modi di rappresentarsi e ne articolano le
dimensioni pubbliche e private ridefinendone i confini. Costruire la propria “faccia” significa oggi curare
anche la presentazione del sé che viene fatta mediante i nuovi media.
Erving Goffman ha prodotto un corpus di lavori molto differenziato che l'ha portato a occuparsi di
interazione e situazioni di vita quotidiana, ma anche di linguistica e media. I suoi primi lavori si sono
concentrati principalmente sull'identità e la gestione del self. Nel 1959, con il libro La vita quotidiana come
rappresentazione teorizzò che la rappresentazione del sé fosse una performance. Attraverso la metafora
drammaturgica Goffman spiega come ciascuno di noi incarni differenti ruoli nella vita di tutti i giorni. Ci
sono spazi di ribalta dove mettere in atto la nostra performance in relazione al pubblico che abbiamo di
fronte (genitori, insegnanti, colleghi, amici ecc.) e spazi di retroscena dove prepararci alla performance.
Aprire un profilo su una determinata piattaforma, scegliere una foto degna di presentarci o iscriversi a un
particolare gruppo ecc., sono tutti azioni che fanno parte della selezione delle nostre caratteristiche per con
concepire una facciata pubblica della nostra identità. Al fine di costruire la percezione stessa che gli altri
hanno di noi, ciascuno rivela qualcosa di sé, esplicitando i propri gusti musicali, le proprie scelte politiche e
altre molte cose. Tutto ciò, ovviamente, viene calibrato anche in base alla piattaforma, perché, come
Goffman insegna, ogni situazione prevede specifici comportamenti anche in relazione ai pubblici di
riferimento. Nel profilo professionale in LinkedIn ad esempio, che serve per trovare lavoro, non metterò
mai le stesse foto che pubblico su Facebook. L’avvento del web sociale ovvero tutte quelle piattaforme
presenti in Internet che permettono agli individui di interagire tra di loro, che è un importante spartiacque
all’interno dell’analisi del rapporto tra identità e media digitali. Nel primo periodo di analisi dei media
digitali spesso è stata tracciata una netta linea di demarcazione tra il mondo online e quello off line.
Frequentemente i due universi sono stati descritti come separati e aventi qualità del tutto differenti.
Secondo alcuni autori lo spazio virtuale è concepito come un miglioramento di quello reale, un luogo privo
di materialità e disembodied, in cui vi è una iper-realizzazione del reale, una zona ricca di libertà e isolata
dalla realtà esteriore, dove possibile la sospensione del sé fisico. Per altri il virtuale invece non è autentico è
semplicemente una brutta copia del reale. In passato gli analisi si sono soffermati maggiormente sulla
presentazione del sé online, visto come qualcosa che si separava dal identità personale per inserirsi in una
serie di pratiche, come l’abbellimento virtuale (ovvero di scriversi più belli di quello che si è) in multitasking
identitario (avere più profili con identità differenti) ho il gender-swapping (fingersi donne pur essendo
uomini e viceversa), fondate sull’equazione corpo uguale identità; equazione che nei Digital media e nella
comunicazione immediata in generale risulta poco credibile.
4.2) I NUOVI APPROCCI CHE SI SONO OCCUPATI DI IDENTITÀ E NUOVI MEDIA
Grazie all’analisi dei nuovi media e sulla nuova cultura digitale è stato mostrato come la vita virtuale in
Internet non si è mai decontestualizzata o disincarnata, questi studi sono ormai d’accordo sul fatto che lo
spazio digitale è materialmente reale, socialmente regolato e discorsivamente costruito. Gli spazi offerti
dalla rete vedono la convergenza del concreto e del virtuale. Gli spazi fisici e quelli digitali vanno a fondersi
in un continuum che perde l’eccezione reale e virtuale, online offline per definirsi in toto semplicemente
come esperienza e interazione, che sia essa è mediata o meno. In altri termini, sei in passato il gioco
dell’identità consisteva nel fingersi qualcuno diverso da noi, oggi il continuo confronto con gli altri utenti, la
valutazione dei feedback che riceviamo, e riconoscimento che otteniamo attraverso quello che mostra in
rete, fanno parte di un processo che si allontana dalla finzione per avvicinarsi invece al continuo dialogo tra
identità personale sociale che avviene nella vita quotidiana. A mutare e specialmente, l’eccezione di
anonimato, che perde di significato in particolar modo quando parliamo di alcuni social media come ad
esempio Facebook. Nel flusso comunicativo il pubblico di riferimento non è più formato da network
segregati, ma da una rete che li contiene tutti al suo interno. I media sociali possono aumentare l’accesso
alla propria intimità, ma la performance identitaria che ciascun soggetto compie all’interno degli spazi
digitali e messa in atto con forti intenti di desiderabilità sociale (il termine desiderabilità descrive
quell’effetto di disturbo che può essere presente in una ricerca con un soggetto che risponde un’indagine
da risposte che possono essere considerate più accettabili socialmente). Attraverso i continui feedback
l’identità è messa alla prova al fine di operare continui aggiustamenti che puntano nella direzione
dell’accettazione sociale. Il raccontarsi attraverso i nuovi media trascende pertanto la semantica del vero e
del falso, del reale del virtuale, che perdono la loro valenza analitica nell’epoca del Web 2.0.si esplicita
piuttosto il processo di produzione dei contenuti da pubblicare e le tracce che questi lasceranno. La facciata
che soggetti mostrano attraverso i media digitali e il risultato di una negoziazione tra immagini e immagini
dentro e fuori dalla rete, tra lo spazio pubblico e quello privato. Ciò che vogliamo mostrare è il frutto di un
continuo gioco di riflessioni su come si potrebbero vedere gli altri, come vediamo noi stessi, come
vorremmo che gli altri ci vedessero e su cosa vorremmo che gli altri vedessero di noi. L’identità diventa un
canovaccio al cui soggetto lavora costantemente attraverso l’integrazione delle auto narrazioni e delle
narrazioni altrui, dei sistemi di relazioni, delle appartenenze, dei prodotti mediali che l’individuo crea o
consuma. In questo complesso lavoro di bricolage i nuovi media hanno la posizione non di poco conto. Essi
mettono a disposizione risorse variegate alle quali accedere per gestire le narrazioni del sé così come
sistemi di interazione. Gli utenti ripropongono all’interno dei social media stati d’animo, sensazioni,
emozioni, che prendono forma nel digitale eri acquisiscono forza nella vita quotidiana una volta che gli altri
li visualizzano. I media digitali divengono in tal modo strumenti attraverso i quali misurare la propria
identità sociale e personale così come veri e propri banchi di prova per entrambe. I nuovi media, quindi
fungono da ribalta dove poter mettere scena la propria identità attraverso atti performanti durevoli grazie
all’incorporazione delle tecnologie. Il web sociale ha forti legami con il concetto di memoria privata e
collettiva, esso può essere considerato come un grande archivio ti ricordi privati resti immediatamente
pubblici e condivisi dagli utenti, sia ricordi privati e autobiografici sia ricordi mediati da frammenti della
cultura popolare di massa tra parentesi una canzone un film ecc.)

4.3) TECNOLOGIE DELLO STARE ASSIEME


Utilizzare i nuovi media non vuol dire veramente esprimersi e mettere alla prova la propria identità con un
pubblico inerte, ma anche interagire. Da sempre le tecnologie mediatiche hanno influenzato le relazioni e
permesso organizzazioni più semplice il sistema sociale, ma non solo. Se riflessioni sul legame tra mezzi di
comunicazioni e relazioni sociali hanno avuto inediti sviluppi con l’ingresso nel panorama mediatico dei
nuovi media, spesso sono stati fatti dei paragoni tra le forme di socialità che possono avvenire mediante
l’uso dei media digitali e le forme più classiche di aggregazione umana, di volta in volta mutuando o
rinnegando concetti come quello di comunità e dando eccezioni quali virtuale e online. Al pari di ciò che è
tutto in generale per i nuovi e vecchi media, due sono le grandi visioni che si sono contrapposte l’interno
del dibattito sui media digitali, posizioni che, da una parte, riprendono la polarizzazione tra apocalittici e
integrati e, dall’altra, contestualizzato in modo differente il rapporto che esiste tra online e off line, da un
lato troviamo che afferma che i Digital media rappresentano un mondo sociale totalmente sganciato dalla
vita reale quotidiana; dall’altro vi è, invece, chi sostiene che i nuovi media possono avere un effetto
dirompente sulla socialità e sulle differenti forme. Oggi sono le tecnologie digitali a destare le
preoccupazioni maggiori, poiché accusati di assorbire individui in un mondo parallelo e in tal modo isolarle.
Sherry Turkle afferma che con la diffusione di Internet e la sempre maggiore disponibilità di beghe sociali
accessibili ovunque grazie agli smartphone o alle tecnologie Wi-Fi, gli individui cambiano in modo di
razionalizzare. A queste posizioni si contrappongono le ricerche empiriche che dagli anni 90 hanno
mostrato come coloro che utilizzano Internet tendono ad avere reti sociali più ampie e differenziate
rispetto a chi non fa uso delle tecnologie digitali. L’utilizzo di Internet, secondo autori come Raine e
Wellman non allontana individui dallo spazio pubblico, ma piuttosto si è rilevato un fattore che arricchisce il
capitale sociale delle persone e la loro vita. Alla base del dibattito tra le posizioni, vi è una più antica
discussione e cioè, ancora una volta, quello che vede la contrapposizione tra online e offline. I concetti di
cyberspazio o di mondo virtuale erano più calzanti negli anni 90, periodo in cui la rete era totalmente
trattata da piattaforme come le BBS, siti web ho le chatroom, spazi all’interno dei quali si potevano vivere
esperienza totalmente distinta dalla vita reale, con la possibilità di poter giocare con la propria identità
mutandola. Oggi, vi è un importante cambiamento che vede gli individui in rete connettersi Mediante i
media sociali all’interno dei quali postano emozioni, esperienze e avvenimenti che provengono dalla loro
vita quotidiana. La distinzione tra online e off line interno e quindi utile solo per descrivere analiticamente
le interazioni, lo scopo di definire se è se è mediata dal computer o se riferisce a situazioni di competenza
fisica.

4.4) INTERAZIONI E MEDIA DIGITALI


La nostra memoria è fortemente legata alla nostra identità, l’utilizzo che noi facciamo dei social è un grande
strumento per archiviare frammenti significativi della nostra vita che normalmente condividiamo con gli
altri, il bisogno di condivisione è un bisogno che non nasce con i social media da un bisogno interno umano,
infatti vi era anche prima dell’avvento dei media.
Questi frammenti significativi molto volte fanno parte di altri media, ad esempio condividere una parte di
un film o una canzone, noi sentiamo il bisogno di condividere ogni parte della nostra vita, basta pensare al
diario esso potrebbe essere definito come una vecchia tecnologia che ci ricorda qualcosa della nostra
identità. I social media oggi sono come se avessero preso il suo posto. Vengono chiamati social media
infatti perché hanno una radice di socialità, essi sono un come un diario ma con una differenza, sui social
non tutti noi e non tutti allo stesso modo abbiamo la nostra coscienza che ci dice che vi è un pubblico con
cui dialoghiamo.
I social sono tante cose, ma soprattutto, sono delle “tecnologie dello stare assieme” sono cioè degli
strumenti che permettono di esprimerci ma anche di entrare in contatto con gli altri.
L’insieme delle caratteristiche di un social influenzano l’interazione e la comunicazione, tutti gli strumenti di
comunicazione infatti hanno dei limiti o degli obblighi, noi esplicitamente non li vediamo ma implicitamente
li usiamo. Anche le regole non scritte di comportamento influenzano la piattaforma stessa.
Questo tipo di “nuova” interazione nata attraverso i social è migliore o peggiore di quella in presenza?
La studiosa Sherry Turkle arriva al concetto di “insieme ma soli”, lei crede che queste tecnologie che ci
fanno apparentemente avvicinare in realtà ci stanno solo allontanando, altri studiosi invece hanno scoperto
che alcuni persone che hanno tanti contati online ne hanno anche tanti offline quindi non sembrerebbe
esistere una differenza. Altri studiosi invece credono che attraverso l’online si creino tanti contatti offline,
non vi è una contrapposizione delle due funzioni ma una dipende dall’altro, gli studiosi Raine e Wellman
dicono addirittura che questi social ci fanno anche aumentare.
I media digitali possono intervenire all’interno delle interazioni umane, è per questo che parliamo di
“comunità virtuali”. Il termine virtuale è un termine vecchissimo nato negli anni 80´e ancora oggi
sopravvive nel concetto di community
Ma qual è la differenza tra comunità e società?
La differenza tra comunità e società nasce proprio negli anni 80 ´quando vi è il passaggio dalla struttura
comunitaria ad una societaria comunità
Per capire meglio il concetto bisogna basarsi sulle ferie espresse da Ferdinand Tönnies tra comunità e
società. Semplificando il pensiero dell’autore, possiamo distinguere due sistemi:
Comunità caratterizzata da:
- regole informali ma condivise
- Il gruppo precede l’individuo
- Le norme sono molto forti
Dopo la rivoluzione industriale nascono le città, dove le persone si allontanano dal contesto comunitario
contadino e si avvicinano a quello urbano dove di sviluppa principalmente:
- equilibrio tra autonomia individuale e norme sociali
- Meno identificazione con la collettività
- Interazioni meno opprimenti, ma più fredde
- Alti livelli di solitudine
Il legame comunitario è forte. Si appartiene a una comunità, non si può decidere però di appartenere ad
essa; posso decidere invece se entrare a far parte di un gruppo online, ma posso con facilità smettere di
farne parte. Le tecnologie assecondano (e contribuiscono a sostenere) un differente approccio ai legami
sociali, soprattutto per quanto riguarda la forza e la persistenza del legame.
Il legame comunitario è molto forte, non si decide di appartenere ad una comunità ma ci si nasce ed è per
questo che il concetto di comunità antico non coincide con quello moderno. Ogni tecnologia ci consente di
gestire i differenti tipi di legame, esiste un legame debole ovvero quel legame che caratterizza la nostra
struttura sociale e i legami forti che invece sono quelli famigliari e degli amici stretti. i legami deboli i
comprendono i colleghi, i social e i conoscenti, questi legami deboli sono sempre di più quelli che
terminano la nostra vita. Vi sono dei legami particolari definiti “legami ponti”. Granovetter parla della
società contemporanea come società dei legami deboli, egli ci dice che tutte l’attività informali sono delle
opportunità per estendere il nostro network sociale.
Con la diffusione dei social media con i cambiamenti del sistema delle relazioni, alcune letture hanno
tentato di spiegare quella che è stata interpretata come l’emergere di una nuova forma di socialità, che
trova un’interessante chiave nella lettura nel network individualismo di Welllman. L’idea che sta alla base
del concetto etichettato da Wellman come network individualismo è quella del mutamento del legame
sociale che in precedenza si basava sulla vicinanza tra persone. Con i media digitali questo legame cambia
svincolando i soggetti da luogo di appartenenza e ponendo come elemento fondante della connessione
sociale non più il gruppo ma piuttosto l’individuo e la sua rete di contatti. L’individuo diviene da quel
momento in poi maggiormente alienato e isolato. I cambiamenti che coinvolgono la società, lo spazio
urbano e le tecnologie diventano il terreno fertile per una nuova forma di socialità. Le relazioni instaurate
attraverso Internet non sono pertanto la causa di questi mutamenti, quanto piuttosto un loro effetto. Al
centro di tutti questi mutamenti c’è l’individuo, che può costruirsi la propria comunità personale al fine di
ricevere ciò che in passato poteva dare la comunità tradizionali in termini di sostegno, socialità,
informazioni, identità e senso di appartenenza. A livello di relazioni sociali la lettura di quel mette in risalto
la possibilità di creare connessioni, locali come a distanza, indipendentemente dalle interazioni face tu
Face. Wellman vuole spiegare che oggi possiamo creare connessioni che non derivano semplicemente il
frequentare lo stesso corso di studi la medesima palestra al circolo del partito che ideologicamente ci
sembra più vicino. Possiamo invece far parte di gruppi che trascendono il fatto che ci si vede
frequentemente che piuttosto basso non la solidarietà interna su valori condivisi o il perseguimento di scopi
ben precisi. Con il Virtual TogetherNess Barkardjieva vuole superare le accettazioni normative che
sorreggono l’idea di comunità: la socialità online infatti può assumere altre forme oltre a quella
comunitaria. Secondo l’autrice bisogna trascendere il dualismo che contrappone la società in rete con
quella reale poiché la seconda non sarebbe il contrario della prima. La vera distinzione sta piuttosto tra
l’uso del web che prevede l’interazione con gli altri e il consumo in modo isolato di beni e di servizi che la
rete mette a disposizione. Nella Virtual Togetherness la sociologa in questione distingue diverse tipologie di
relazione sociali e digitali, che si muovono all’interno del continuum formato tra il mondo del consumo e il
mondo della comunità. Il primo modello è quello rappresentato dall’INFOSUMER chi USA i media digitali
semplicemente per cercare informazioni. L’utente di questo tipo non partecipa alla vita sociale svolta negli
altri membri, si comporta quasi sempre da lurker ovvero da colui che legge con attenzione i messaggi ma
non mi scrive o non invia mai di propri. Il secondo tipo è quello dell’instrumental relations. Internet rimane
pur sempre una fonte di informazioni, ma c’è un maggiore interesse a interagire con gli altri membri della
comunità di riferimento. Cioè poiché esplora le idee nelle storie pubbliche virtuali e cioè che rappresenta
quel modello di socialità digitale che vede nella rete un luogo di raccolta di informazioni, ma che connette a
questa funzione pure quelle di scambio confronto con le idee degli altri. Successivamente troviamo l’utente
definito Chatter, colui che è uno stile internazionale in cui la socievolezza non ha confini; In questo caso il
web è utile per incontrare persone instaurare interazioni che si basano su esperienze personali ed
emozioni. Infine il modello comunitario vede l’uso della rete come una fonte di sostegno sociale. Un’ultima
prospettiva interessante rispetto la socialità digitale E quella descritta da Danah Boyd, Che definisce gli
utenti dei media digitali in particolar modo dei social media come pubblici connessi, si domanda se è
corretto parlare di comunità quando si prendono in considerazione i media digitali, poiché non sempre i
membri che appartengono a reti costruite mediante i media digitali e si conoscono direttamente e, spesso,
gli interessi o i comportamenti condivisi sono limitati, come sostenevano anche gli autori in passato i legami
di questi gruppi sono talvolta effimeri è più debole rispetto a quelli tradizionali. Danah Boyd afferma che
nella rete oggi c’è una crescente disponibilità di UGC (user generated content) che assumono quattro
specifiche caratteristiche:
 persistenza: ciò che si esprime online è automaticamente registrato e archiviato;
 replicabilità: I contenuti possono essere facilmente duplicati;
 scalabilità: la visibilità potenziale dei contenuti nei pubblici connessi è molto grande;
 ricercabilità: nei pubblici connessi si può avere accesso ai contenuti mediante un sistema di ricerca.
Sul piano delle relazioni i pubblici connessi sono sicuramente meno densi vincolanti rispetto alle comunità
tradizionalmente intese, offrono ai propri membri la possibilità di ottenere degli altri un riconoscimento di
identificarsi con una causa comune. Essi infatti possono risultare molto più fluidi e transitori, pensiamo ad
esempio pubblico che si forma su Twitter attorno ad un hashtag: in quel momento si crea un gruppo che
pone le attenzioni rispetto a quel particolare # e che interagirà per parlare di quello specifico argomento,
dopodiché svanirà. Le proprietà descritte in precedenza danno vita, secondo Boyd, A tre dinamiche proprie
della socialità in rete. Per prima cosa le audience sono invisibili, cioè non tutti pubblici sono visibili quando
l’utente crea i contributi online, allo stesso modo, i pubblici non sono sempre compresenti. In seconda
istanza fa emergere la mancanza di confini spaziali, sociali e temporali, che rendono complicato mantenere
distinti i contesti sociali. Infine c’è una certa opacità nei confini tra pubblico e privato, che perdono la loro
specificità in favore di una nuova maniera di intendere questi due spazi non più così distinti.

4.5) I SOCIAL MEDIA


Tra le novità più interessanti apparse nel panorama mediale troviamo quel sotto insieme dei media digitali
che abbiamo più volte citato con il termine media, espressione di quello che vinee solitamente definito web
2.0. con il termine social media si sottolinea per lo più la componente comunicativa delle nuove
piattaforme enfatizzando il loro ruolo nella mediazione piuttosto che quello di tecnologie informatiche. A
questa caratteristica si somma l’ordinamento dei media digitali alla partecipazione degli utenti, cosa che, a
livello semantico, rende inter marcabile il termine social media con altri quali il web 2.0, web sociale o web
partecipativo. Non è possibile elencare in modo preciso tutti i media sociali poiché, come ciascuno di noi
può sperimentare, moltissimi sono i servizi Web 2.0 che popolano la rete e che creano nuovi spazi di
socialità: i blog e i social network site, sono le piattaforme che abbiamo maggiormente nominato.
All’interno di diversi social media i blog sono tra le più antiche piattaforme pensate per comunicare e per
essere utilizzate da un pubblico ampio e diffuso. Il termine blog deriva dalla contrazione della combinazione
tra i termini web e log, cioè “diario in rete”, divenuto poi we-blog e infine blog. I blog sono siti Internet in
cui contenuti sono gestiti dall’utente e sono formati da post, cioè contenuti che vengono organizzati
all’interno della pagina web. Si possono distinguere diversi tipi di blog cioè:
 Lock style ovvero una storia breve di diario che trova spazio nella rete in cui viene raccontata la
propria vita quotidiana.
 Il filter style un blog che si concentra principalmente sul mondo esterno e fornisce ai differenti
lettori svariati link che danno la possibilità di approfondire vari temi
 I note book style ovvero un mix tra i due precedenti.
Ci sono anche altri modi di catalogare un blog seguendo differenti caratteristiche che possono toccare,
secondo la lettura di autori, i contenuti, i formati, gli autori e gli scopi. I blog definiscono il ruolo dei soggetti
all’interno di un panorama comunicativo più complesso e fluido, in cui ciascuno può divenire mittente e
non è relegato semplicemente a ruolo di destinatario dei messaggi. Altre piattaforme presenti all’interno
del gruppo dei social media sono quelle rappresentate dai Social Network Site , definiti come servizi web
che hanno una natura è una nomenclatura che possono variare da sito che permettono all’individuo di
creare un profilo pubblico o semipubblico con un sistema i propri vincoli costruire una lista di utenti con cui
essi possono condividere le connessioni guardare e scorre la propria lista di contatti e loro accetta verso la
piattaforma. Per esempio uno dei maggiori SMS conosciuti e Facebook. Il famoso sito di social network ci
permette di creare un profilo personale rispettando però schemi prestabiliti, una volta accreditati con le
nostre credenziali abbiamo la possibilità di decidere se voler rendere questo profilo accessibile a tutti
indifferentemente caratteristiche. Ciascun utente avrà una lista di contatti che come nel caso di Facebook,
può anche differenziarsi rispetto all’appartenenza a determinate cerchi, cosa che si rivelerà utile per visitare
le bacheche degli altri e venire a conoscenza dei dati che ognuno espone pubblicamente. Si può identificare
nel 2000 l’anno in cui ha inizio l’espansione di queste piattaforme. Come network site oltre a Facebook
possiamo citare anche LinkedIn, Flick o MySpace. Questi siti si distinguono l’uno dall’altro per gli scopi e le
modalità offerti dagli utenti i quali organizzano i diversi gruppi in cui fanno parte con i differenti social Milia.
I differenti social network site si rivolgono spesso a pubblici diversi, ma ciò non significa che essi non
possono sovrapporsi: ad esempio, Facebook è usato molto dagli adolescenti ma anche dagli adulti e delle
aziende che trovano in questo luogo la possibilità di aprire nuovi spazi di marketing nei network site molto
importante anche la convergenza: si può passare da una comunicazione sincrona, come quella permessa
dalle chat, forme di interazioni differenti come la condivisione dei contenuti nei pro i o degli altri utenti nei
commenti. I social network site sono gestiti da aziende private che pur offrendo un servizio gratuito,
guadagno informazioni che gli utenti forniscono, in modo non sempre volontario, sito e alle pubblicità. In
Internet mi sono comunque anche servizi a pagamento così come piattaforme non profit. Ognuno di noi
accede a questi particolari siti con motivazioni differenti strategie d’uso che possono essere talvolta molto
dissimili, sono stati infatti fatti degli studi nel 2008 che distingue gli utilizzatori del web in due tipi ovvero in
non utilizzatori e gli utilizzatori: in utilizzatori possono essere suddivisi in: i preoccupati della sicurezza
online, che temono soprattutto la circolazione all’interno del web dei loro dati privati; gli esperti livello
tecnico cioè coloro poco invece di lizzare Internet il computer; chi rifiuta ideologicamente l’utilizzo poiché
non ha interesse per i siti di social network. Gli utilizzatori invece vengono classificati in cinque tipi il primo
di questi è rappresentato dagli
- Alpha socialisers: gli utenti che usano i siti di social network per filtrare incontrare nuove persone e
divertirsi.
- Attention seekers: chi cerca le attenzioni e commenti degli altri utenti solitamente postando foto o
customizzando i propri profili
- I Faithfuls ovvero gli utenti che usano questi particolari spazi per riprendere i contatti con i vecchi
amici e colleghi.
- I functionals ovvero una minoranza di soggetti network per scopi ben precisi esempio rimanere
informati sono particolari squadra di calcio.
L’utilizzo di questo attorno al profilo utente, che permette a ciascuno di gestire la propria densità personale
le connessioni con gli amici con i quali condividere differenti contenuti. Le funzioni che social network site
assolvono solo perlopiù di natura relazionale. Le relazioni che si interessano in Internet divengono più
intense e radicate, poiché è più vicine alle relazioni off line.

4.6) SOCIAL MEDIA E GESTIONE DEL SELF

Sull'uso della rete come palcoscenico, finestra sulla propria intimità e sulla propria identità, che conduce gli
utenti a un continuo impegno di ridefinizione della loro facciata. Un comportamento presente nella
quotidianità di ogni soggetto, ma che esplicita i suoi funzionamenti con il web e con i Social Network Site in
particolare modo, ambienti digitali che, per non incorrere nell'esclusione sociale o nelle sanzioni
simboliche, gli individui devono imparare a governare attraverso l'esperienza. Non sempre si pone la
dovuta attenzione a questo processo e ciò può esporre gli utenti a quella che Goffman (1969) definirebbe
«perdita della faccia, e cioè la disgregazione di quella maschera che nel tempo riusciamo a costruire e che
utilizziamo abilmente nelle differenti situazioni.
In definitiva i social media divengono strumenti grazie ai quali rielaborare il sé e con un alto valore
identitaria. Queste piattaforme non sono altro che una delle differenti possibili esperienze relazionali che la
vita quotidiana propone di entrare in contatto con gli altri attraverso un medium digitale, nella fattispecie
un sito di social network, vuol dire accedere a un ambiente comunicativo coinvolgente e che
può rivelarsi molto intimo. La mediazione digitale permette una maggiore protezione che, se da un lato può
sfruttare la così detta visual anonymity*per superare le barriere connesse alla timidezza e all'imbarazzo,
dall'altro permette una continua negoziazione dell'avvicinamento della presa di distanza dall'altro.
Il processo esplicito di costruzione della facciata e delle relazioni nei Social Network Site crea una flessibilità
della negoziazione della distanza relazionale. Queste piattaforme proprie del web 2.0 danno modo a ogni
utente di decidere cosa mostrare - o non mostrare - e a chi mostrarlo. Sono piattaforme che, se usate
consapevolmente, aiutano a gestire le relazioni distinguendole secondo l'importanza che ciascuno dà a
ognuna di esse. Anche la reputazione personale così come la privacy passa attraverso i social media.
All’interno dei social media i differenti membri acquistano reputazione in base a ciò che pubblicano sulle
proprie bacheche, in relazione a quello che pensano i pubblici di riferimento che viene dettato dei valori
condivisi. Più alte la reputazione migliore sarà la possibilità di partecipazione all’interno del gruppo.
L’importanza che ciascuno da all’interazione con un determinato pubblico mostra quanto sia fondamentale
tale interazione per la costruzione della propria identità personale. Se osserviamo il tema della privacy
all’interno dei social media, dal punto di vista generale, in prima istanza possiamo notare un importante
fenditura in quella che la dimensione privata. Riportare in rete numerose informazioni sul proprio conto
rende l’esposizione pubblica di ciò che normalmente considerato privato qualcosa che fa rivalutare il
rapporto tra due dimensioni sono rimasti separati, ma che già con i media elettronici avevano iniziato a
confondersi. Rapporto di pubblico e privato se le va due ordini di problemi: da una parte quelli connessi
all’uso dei nostri dati da parte delle grandi aziende, il cosiddetto “dossieraggio digitale”, e dall’altra
l’accesso da parte dei singoli alle informazioni private informatiche possono incrementare le minacce della
privacy a causa della mancata percezione spaziale dei confini dei differenti pubblici, esso può portare a
quello che Barnes chiama il paradosso della privacy, secondo cui gli adolescenti all’interno dei social media
tendono a dare maggiori informazioni su di te per aumentare il dignità dei rapporti sociali, ma al contempo
vorrebbero anche avere un controllo maggiore sui dati che inseriscono in queste piattaforme. Descriversi
bene dare molte informazioni su sé stessi in un social media può voler dire esporsi maggiormente, ma il
contempo mostrarsi in modo più efficace e quindi farsi conoscere di più a meglio il proprio Self branding
personale. Come ricorda Sonia Livingston la privacy diventa soprattutto per i giovani un processo continuo
in cui scegliere cosa nascondere e cosa rivelare. Tutto questo discorso ci porta a rivedere i confini tra
pubblico e privato, l’interno dei new media, più sfumati. Il mutamento di fondo si connette con una certa
sovrapposizione dei contesti sociali di pubblico all’interno degli ambienti digitali. Con i social media e tutto
è ridefinito: le variazioni spazio-temporali, così come le modalità comunicative, vanno rimodulare l’interno
di un panorama in cui le rigidità di questo tipo di divisione svaniscono. Si entra in quella che bocci artieri
definisce intimità digitale ovvero uno stato in cui si possono vivere forte condivisione emotiva e senza che
siano un preludio alla capacità di dare vita a relazioni profonde

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