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Diritto dell informazione e della comunicazione

Diritto Dell'informazione e Della Comunicazione (Università degli Studi di


Napoli Parthenope)
CAPITOLO 1 - INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE NELL’ERA DIGITALE

Quando parliamo di diritto dell'informazione e della comunicazione dobbiamo innanzitutto


analizzare nello specifico questi due termini.

“Informazione” fa riferimento alla libertà di informarsi, di acquisire conoscenze.


“Comunicare” fa riferimento alla libertà di interagire con un'altra persona.

Quindi informazione e comunicazione rispondono a due diritti diversi, anche se spesso questi due
termini nella società contemporanea si sovrappongono.

Questo va bene “sovrapporli” nel comune parlato, mentre nel linguaggio giuridico distinguiamo:

Libertà di comunicazione (ART.15 costituzione)


Libertà informazione (ART.21 costituzione)

Perchè due articoli diversi? Perchè uno attiene alla sfera privata, l'altro alla sfera pubblica.

Con il termine comunicazione si indica, la condivisione con altri di un’idea, un’opinione, una
informazione. Tale azione può assumere forme diverse, utilizzare linguaggi diversi (verbale, gestuale,
grafico), ed infine può avere natura monodirezionale (dal comunicatore al destinatario),
bidirezionale o pluridirezionale.

Nelle moderne società avanzate la comunicazione ha assunto un ruolo chiave, al punto che esse
vengono definite società dell’informazione e della comunicazione.

Nella società dell'informazione e comunicazione il dato preso singolarmente non ha senso di


esistere, ma un insieme di dati contribuiscono all'acquisizione di una serie di informazioni.

Molto importante è poi una veloce analisi sugli articoli 2 e 3 della costituzione.

Art.2 (MATRICE DEI DIRITTI FONDAMENTALE): “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Art.3 (UGUAGLIANZA TRA LE PERSONE): “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono tutti eguali
davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, ling,ua, religione, opinioni politiche e condizioni
personali e sociali.”

Messi insieme ci restituiscono un diritto, “IL DIRITTO ALL'IDENTITA'” inteso come diritto alla dignità e
autodeterminazione di una persona.

Significa che ognuno di noi, ha per costituzione diritto ad avere un profilo pubblico, ma soprattutto
un profilo privato.
In realtà la realtà virtuale ormai non è più da intendersi come proiezione di quella fisica, ma da
considerarsi come realtà a parte, autonoma, insomma come una realtà a se.

Spesso addirittura ci poniamo in modi anche diversi nella realtà virtuale e nella realtà fisica.
Bisogna poi inevitabilmente affrontare il tema della PROFILAZIONE.

Col termine “profilazione” dell'utente si intende quell'attività preposta alla raccolta ed elaborazione
di dati relativi agli utenti che fruiscono di un dato servizio, al fine di conoscere il loro comportamento
d'acquisto, le loro preferenze ecc.

Ognuno di noi con l'avvento della società digitale dievnta un produttore inconsapevole di dati.

Se io passo con l'automobile al telepass, sto fornendo i miei dati. (Sono passato in quel giorno, a
quell'ora, in quella strada, seguendo quella direzione.)

Tuttavia la fonte principale di informazione è lo smartphone.

Basti pensare, che se io cerco su un motore di ricerca informazioni relativamente ad un dato modello
di scarpe, appena terminata la mia ricerca avrò lo smartphone invaso da annunci pubblicitari
riguardanti quel modello o modelli molto affini.

L’affermarsi della tecnologia ha esponenzialmente ampliato la produzione di dati e informazioni,


spesso anche in modo dannoso, ma pensare di tornare indietro sarebbe assolutamente
anacronistico.

TUTELA DELLA LIBERTA’ DI COMUNICARE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA:


La Costituzione italiana, tutela la comunicazione in due distinti articoli:
- Art. 15: sfera privata, comunicazioni interpersonali ( scambio di informazioni tra due o più
persone scelte dagli stessi interlocutori), definite “corrispondenza e comunicazione”;
- Art. 21: sfera pubblica, riguarda la manifestazione del proprio pensiero al pubblico.
Questa netta separazione degli ambiti comunicativi appare oggi messa in discussione dalle attuali
tecnologie di comunicazione, in effetti le moderne tecnologie dell’informazione rendono talvolta
difficile distinguere i piani comunicativi, rischiando di confondere sfera privata e sfera pubblica.
La Rete infatti ha introdotto importanti cambiamenti nella comunicazione e nella informazione, fino
a qualche anno fa sostanzialmente unidirezionale con riferimento ai mass media. Oggi, invece,
ciascun individuo ha a disposizione un enorme biblioteca, il web, dal quale trarre conoscenze,
notizie, curiosità …

L’ACCESSO ALLA TECNOLOGIA QUALE DIRITTO DI UGUAGLIANZA:

L’affermarsi della società dell’informazione e della comunicazione, presuppone che i singoli


individui possano accedere e sappiano utilizzare le tecnologie digitali per poter usufruire delle
diverse opportunità offerte.
In realtà, ancora oggi - a distanza di circa 30 anni dalla diffusione dell’informatica – il livello di
conoscenza e competenza in merito all’utilizzo della tecnologia non può essere considerato
soddisfacente, infatti vi è una percentuale significativa di persone non in grado di accedervi (cd.
Divario tecnologico) per ragioni geografiche, economiche, conoscenza del mezzo.
Da qui nasce l’esigenza di configurare un vero e proprio diritto di accesso alla rete, considerato
come prerequisito necessario per l’accesso ai servizi offerti dall’era digitale (Principio di
uguaglianza).

PLURALITA’ DI FORME COMUNICATIVE IN RETE:

In Rete sono presenti una pluralità di forme di comunicazione, talune di esse sono rivolte ad
attivare una comunicazione riservata, altre invece, consentono al soggetto di interagire nello spazio
sociale della Rete. La questione non è irrilevante sul piano giuridico, dal momento che un soggetto
potrebbe avviare in Rete una comunicazione di tipo relazionale, nella convinzione erronea che essa
produca una comunicazione di tipo riservato, e acquisire poi in un secondo momento
consapevolezza dell’errore con la diffusione della propria esternazione nella sfera pubblica.

In virtù di ciò bisogna capire e verificare quali sono le comunicazioni appartenenti alla sfera privata, e
quali appartenenti alla sfera pubblica.
Le tipologie di comunicazione in rete sono:

- E-MAIL: consentono di indirizzare e trasmettere un messaggio scritto ad una o più persone,


questo tipo di comunicazione rientra nel concetto di “corrispondenza” riservata, dal
momento che il mittente decide a chi inviare. Ciò comporta la necessità di garantire
l’inviolabilità dei dati trasmessi, anche attraverso l’utilizzo di sistemi di crittografia sicuri
(mezzi tecnici per assicurare la segretezza della corrispondenza);

- CHAT: presentano almeno a prima vista i caratteri di una comunicazione riservata,


consentendo ad un soggetto collegato ad internet di stabilire una conversazione in tempo
reale sia con persone conosciute sia con sconosciuti.
Nel primo caso, lo scambio di messaggi avviene tra persone identificate. Nel secondo invece vi
e una conversazione tra soggetti sconosciuti, entrambi presenti all’interno di una “chatroom”
virtuale, la quale può richiedere un’iscrizione identificativa, oppure non richiedere alcuna
identificazione e quindi favorire le cosiddette chat anonime;

- SOCIAL NETWORK: Comunità di individui che entrano in relazione tra di loro e che si
scambiano messaggi, commenti, foto e altro. E’ basato sulla volontà delle persone di
relazionarsi con altre persone.
Accanto alle forme di comunicazione appena descritte, in Rete è possibile accedere a spazi
dedicati a soggetti indeterminati per la manifestazione e diffusione del pensiero nella sfera
pubblica:

- GRUPPI DI INFORMAZIONE: offrono la possibilità di confronti aperti su questioni specifiche,


accessibili a chiunque ma dove gli interessati devono decidere esplicitamente di andare a
visionare le informazioni esposte. I contenuti quindi non entrano direttamente nella sfera
pubblica ma restano in quello che potrebbe definirsi un “luogo aperto al pubblico.”

- FORUM: veri e propri gruppi di discussione, nei quali le persone dibattono intorno ad un tema
predefinito. Un aspetto rilevante è la predeterminazione dell’argomento da parte
dell’amministratore, talvolta viene individuato anche un moderatore del dibattito il cui ruolo è
quello di garantire un contesto tranquillo e pacifico, evitando che le discussioni degenerino.

- BLOG: in questo caso è il gestore del sito a pubblicare le sue opinioni, emozioni, informazioni.
Esprime la volontà del singolo di manifestare in rete le proprie idee, spesso ricevendo un
confronto diretto con chi entra in contatto con esso. Il blog può essere considerato un’
embrione di una forma di comunicazione più elaborata.

- IL SITO INTERNET: viene creato da singoli per ragioni personali, da un’azienda per finalità
commerciali, da un soggetto pubblico. In ogni caso esso occupa uno spazio all’interno del
Web, e ciò consente al suo gestore una visibilità che presenta continuità temporale e
proiezione globale, dal momento che può essere visualizzato in tutte le zone del mondo.

CAPITOLO 2 – LA LIBERTA’ DI CORRISPONDENZA E DI COMUNICAZIONE

La libertà di corrispondenza - e in termini più generali, di comunicazione – può intendersi come la


facoltà di destinare in via esclusiva il proprio pensiero a uno o più soggetti determinati, il che si
traduce nella pretesa da parte del soggetto mittente che le sue comunicazioni personali siano
protette dall’illegittima captazione da parte di terzi.

La necessità di una tutela giuridica era già avvertita in passato, ciò nonostante, Lo Statuto
Albertino era privo di una disciplina relativa alla trasmissione privata.

Le cose cambiano con l’avvento dello Stato repubblicano e l’entrata in vigore della Costituzione, con
L’Articolo 15: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione
sono inviolabili.” (comma 1), e che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato
dell’Autorita giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” (comma 2).
Anche la sua POSIZIONE è molto importante, in quanto L’ART. 15 viene inserito nella Parte I della
Costituzione, dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”. Immediatamente dopo “la libertà personale”
(ART. 13) e “libertà domiciliare” (ART. 14).
Non solo si inserisce quindi tra i diritti fondamentali della persona, ma va altresì ad aggiungersi a
quei principi costituzionali supremi che non possono essere modificati, in quanto appartenenti ai
valori della personalità.

• L’oggetto di protezione costituzionale non coincide con la corrispondenza o con la


comunicazione, ma risiede nella libertà e nella segretezza delle stesse.

• NB: I concetti di “libertà” e “segretezza” li trovavamo anche nel diritto di voto (Art.48)

Questi elementi pur se connessi, rappresentano distinti profili che conservano la loro autonomia
concettuale, in modo che i soggetti comunicanti possano rinunciare alla segretezza, senza
rinunciare alla libertà.

LA NOZIONE DI CORRISPONDENZA E COMUNICAZIONE:


L’ordinamento non offre una nozione precisa e unitaria di “corrispondenza”.

• Una prima definizione del codice penale, descriveva la corrispondenza come quella
comunicazione tra individui che avviene per via “epistolare, telegrafica, telefonica”…. Con
l’avvento poi della tecnologia e stata modificata ed estesa anche alle comunicazioni per via
“informatica o telematica”.

• Il codice postale invece ritiene corrispondenza “ le lettere, i biglietti posali, le cartoline illustrate,
le fatture commerciali”.

Di fatto la Costituzione non si limita a garantire la libertà di corrispondenza, ma estende la propria


tutela a “ogni altra forma di comunicazione”, non presidia quindi la libertà di corrispondere ma più
in generale la “libertà di comunicare”, ampia categoria all’interno della quale si colloca anche la
corrispondenza in senso proprio. Da qui scaturisce l’irrilevanza di definire puntualmente cos’è
“corrispondenza”, in quanto le nozioni di corrispondenza e comunicazione devono essere
considerate congiuntamente.

LE CARATTERISTICHE DELLA COMUNICAZIONE:

Intersoggettività: volontà del mittente di destinare il proprio messaggio o la propria comunicazione


soltanto ad uno o più soggetti determinati o determinabili. Attraverso la facoltà di corrispondere,
quindi il soggetto non intende esternare le proprie opinioni verso chiunque, ma trasmetterle in via
esclusiva a specifici soggetti.

Questo requisito consente di distinguere gli ambiti operativi degli Art. 15 e 21 Cost.

Se vi è intersoggettività, la comunicazione trova tutela nell’Art. 15. In assenza invece si parla di


espressione delle proprie idee in pubblico e quindi appartenenti all’Art. 21 Cost.
Attualità: descrive il segmento temporale entro cui la comunicazione mantiene la sua caratteristica
di intersoggettività, rimanendo destinata solo a soggetti determinati. L’attualità di una
comunicazione definisce quindi cronologicamente lo spazio di tutela assicurato dall’Art. 15.

L’IMPATTO DELL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA SULL’AMBITO DI TUTELA DELL’ART. 15:

E’ evidente che le nozioni di corrispondenza e comunicazione sono per loro natura destinate ad
assumere un significato dinamico e variabile, mutando in relazione al progresso tecnologico.
I sistemi di comunicazione vedono sempre più estese le proprie potenzialità, ciò impone un
continuo aggiornamento delle discipline legislative.
A tal proposito ricordiamo il rinvio testuale presente nell’articolo 15 Cost., il quale estende la
propria garanzia ad “ogni altra forma di comunicazione”. Consentendo alla norma di adattarsi
automaticamente agli sviluppi della tecnologia.

L’INQUADRAMENTO DELLE NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE: (LETTURA)

Le nuove forme di comunicazione che l’era digitale conosce sono:

SMS, E-MAIL: le quali possono inquadrarsi tra le forme di comunicazioni personali riconducibili
all’Art.15, con l’intento del mittente di comunicare in forma riservata con uno o più destinatari
previamente determinati. Questi connotati però possono venire a mancare, se ad esempio vi è
volontà del mittente di comunicare con il più ampio numero possibile di persone.
Ci si riferisce, in particolare, al fenomeno dello spammin, ossia l’invio sostanzialmente casuale di
messaggi pubblicitari a carattere commerciale verso un gruppo non definito di destinatari. In tale
ipotesi, sembra più corretto invocare l’applicabilità dell’Art. 21 Cost.

BLOG, NEWS GROUP, FORUM: Art. 21 Cost.

CHAT PRIVATE: Art. 15 Cost.

CHAT PUBBLICHE: Art. 21 Cost., in quanto mancano i requisiti di intersoggettività e segretezza.

LE POSSIBILI LIMITAZIONI ALLA LIBERTA’ DI CORRISPONDENZA:


L’Art. 15 Cost., stabilisce che le limitazioni a tale diritto possono avvenire “soltanto per atto
motivato dall’Autorità giudiziaria” e “con le garanzie stabilite dalla legge”.

Tra le modalità più rilevanti di limitazione della libertà di comunicare, vi è l’intercettazione.

Per intercettazione si intende “ogni captazione occulta di una comunicazione o conversazione tra
due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri, attuata da un soggetto estraneo
alla stessa.”
Non sono, pertanto, intercettazioni in senso proprio le registrazioni di conversazioni da parte di uno
dei partecipanti alle medesime. (Perchè nell'intercettazione noi siamo intercettati da soggetti
estranei, in maniera segreta, mentre nella registrazione siamo noi stessi a registrare la nostra
chiamata.)
Inoltre, noi possiamo registrare le telefonate che riceviamo, il problema è poi il successivo utilizzo
delle registrazioni fatte.

L'attività di intercettazione NON PUO' MAI essere posta in essere da un privato. (Viola ART.15)

In Italia può essere usata come strumento di indagine SOLO nei seguenti casi:

• Specifici reati (Traffico di droga, armi; usura, corruzione, concussione, molestie ecc.)
• Disposta dal PM
• Autorizzata dal GIP

TIPI DI INTERCETTAZIONE:

Esistono 3 tipi di intercettazione:

• Intercettazione diretta: quella intercettazione che è stata autorizzata dal giudice, per la quale
è già stato aperto un fascicolo. Registriamo tutte le telefonate ecc. e tutto ciò che ricaveremo
potrà essere usato contro di lui.

• Intercettazione indiretta: mentre stiamo intercettando una utenza per un determinato reato,
durante la conversazione con qualcuno emergono elementi per una nuova ipotesi di reato.

ES: (Sto intercettando Tizio, perchè sospetto che sia un trafficante di droga; durante un'
intercettazione Tizio però parla con Caio di traffico di armi. A questo punto il sospetto che sorge è
che questo soggetto non faccia solo traffico di droga ma anche traffico di armi. Ovviamente questa
non è una prova ma ci consente di aprire un nuovo fascicolo e metterlo sotto intercettazione anche
per il traffico di armi.)

• Intercettazione ambientale: è una intercettazione diretta, di massa.

Per quanto riguarda le “intercettazioni ambientali”, qualora queste avvengano all’interno di


abitazioni o altri luoghi privati, esse sono ammissibili soltanto se vi e fondato motivo di ritenere
che l’attività criminosa sia in atto in quel momento.
In ragione del suo carattere fortemente invasivo, il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova è
consentito soltanto per fatti di particolare gravità, come: delitti non colposi (con volontà), delitti
contro la pubblica amministrazione, delitti concernenti sostanze stupefacenti, reati di ingiuria,
delitti concernenti la pornografia minorile.

L’attività di intercettazione conosce in ogni caso un termine di durata, fissato in 15 giorni, ferma la
possibilità di una o più proroghe per periodi di pari durata.
CHI NON POSSIAMO INTERCETTARE?
• L'avvocato difensore dell'imputato
• Il presidente della repubblica
• I parlamentari (A meno che non vi sia autorizzazione da parte della camera di appartenenza)

ALCUNE FORME DI LIMITAZIONE DELLA LIBERTA' DI CORRISPONDENZA:

Sequestro di lettere, pacchi, valori, qualora siano stati spediti all’imputato o risultino a lui diretti,
anche sotto nome diverso. Questo sequestro può essere disposto anche dalla polizia giudiziaria, la
quale tuttavia non e ammessa a prendere diretta conoscenza del contenuto degli oggetti
sequestrati, a meno che non vi sia urgenza. In tal caso, la polizia giudiziaria dovrà informare
tempestivamente il pubblico ministero, il quale potrà autorizzare l’apertura immediata e
l’accertamento del contenuto. (Cioè non posso aprire un pacco a un detenuto, se non
preventivamente autorizzato. Sarà il detenuto ad aprire il pacco o la lettera, davanti agli occhi
dell'agente preposto.)

Il controllo sulla libertà di corrispondenza, riguarda generalmente alcune categorie di soggetti:

• Detenuti
• Imprenditori soggetti a fallimento: hanno l’obbligo di consegnare al curatore tutte le
comunicazioni, cartacee o elettroniche, riguardante i “rapporti compresi nel fallimento”.
• Minori: (Con casi particolari, es: (se due genitori sono separati, la telefonata tra genitore e
figlio non può essere ascoltata dall'altro genitore); o in ogni caso comunque non può esserci
una “intromissione indebita” nella sfera del minore da parte del genitore, ma sempre deve
essere motivata)

FORME DI TUTELA: (SOLO LETTURA)

Qualora la libertà di comunicare subisca indebite limitazioni al di fuori di quelle che sono le modalità
prescritte dalla legge, la lesione provocata a tale libertà è da considerarsi illecita.
In tale eventualità, l’ordinamento consente al titolare della posizione violata di agire
giudizialmente al fine di ottenere una pronuncia, a suddetta facoltà si aggiunge poi la possibilità di
ottenere l’eventuale risarcimento del danno, sia patrimoniale che non patrimoniale.

IL POTERE DI CONTROLLO DEL DATORE DI LAVORO SULLA CORRISPONDENZA DEL DIPENDENTE:


Di notevole interesse risulta essere la problematica relativa alle comunicazioni poste in essere dal
dipendente sul luogo di lavoro e, più precisamente, in merito alla possibilità di ammettere intrusioni
legittime del datore di lavoro in riferimento a tale corrispondenza.
Si rileva infatti che, il diritto del lavoratore a una libera e segreta comunicazione si scontra con
interessi di pari rilievo costituzionale, quali quello dell’imprenditore alla salvaguardia del patrimonio
aziendale e del buon funzionamento dell’impresa.
Partendo dal presupposto che “chiunque prenda cognizione del contenuto di una corrispondenza
chiusa, a lui non diretta” è considerato reato. I messaggi del dipendente che transitano su dispositivi
aziendali non possono qualificarsi come corrispondenza “chiusa”, diversamente dalla
corrispondenza cartacea, di regola accessibile solo al destinatario.
Quando il sistema telematico e protetto da una password, deve intendersi che la corrispondenza in
esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di tutti coloro che legittimamente dispongano
della chiave informatica di accesso. Ne consegue quindi che il superiore gerarchico, qualora sia
legittimamente in possesso della password abbia pienamente facoltà di entrare in possesso della
corrispondenza, purchè il lavoratore sia preventivamente avvisato che il datore di lavoro può
disporre della password.

CAPITOLO 3 – LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO

Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero si pone senza dubbio tra le situazioni
giuridiche di maggior rilievo ai fini della realizzazione di una società democratica. L’esercizio di tale
diritto, infatti, consente a tutti gli individui non solo di esplicitare la propria personalità, ma anche di
partecipare alla formazione dell’opinione pubblica, in più in questo modo (confrontandosi con gli
altri) ciascuno ha la possibilità di evolversi come persona.
L’origine del diritto di manifestare il proprio pensiero risale all’antica Grecia, tuttavia e solo con
l’affermarsi della democrazia che questo diritto assume una sua connotazione più precisa e
completa.

La dichiarazione ONU del 1948 afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di
espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione”.

Questa risoluzione internazionale ha influenzato certamente anche le Carte costituzionali che in


quegli anni venivano elaborate: in particolare la Costituzione italiana entrata in vigore il 1° gennaio
1948, che dedica l’Art. 21 alla libera manifestazione del proprio pensiero; e la Legge fondamentale
tedesca del 1949.

- LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA


In Italia il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero trova tutela nell’Art. 21 Cost.
L'Articolo 21:
Comma 1: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione.”

Il diritto di manifestare il proprio pensiero comprende la diffusione di idee, pensieri ed opinioni


destinate ad altre persone.

Analizzando l’Art. 21 da un punto di vista lessicale possiamo verificare:


• Come riconosca a “tutti” e non ai soli cittadini il diritto di libera espressione.
• Prosegue poi riconoscendo il diritto di manifestare “liberamente”, ciò significa senza
limitazioni ma soprattutto senza essere costretti, nessuno può essere obbligato ad esprimere
un’opinione, un’idea… tutti hanno il diritto al silenzio (eccezione fatta per i testimoni
convocati in un processo, i quali hanno l’obbligo di esprimersi).
• L’oggetto del pensiero tutelato deve essere “proprio”, non vi è quindi tutela per chi
riproduca, appropriandosene, l’opinione di altri. Tuttavia distinguendo l’attività di plagio
(falsa attribuzione a se di un pensiero) dalla ripetizione di un pensiero altrui che si condivida
al punto da farlo diventare proprio e che si esteriorizza nella sua forma originale (in questo
caso si parla di citazioni) o in modo rielaborato.

Bisogna ricordare inoltre che non deve essere per forza un pensiero “utile” alla comunità, in
quanto ogni individuo esteriorizza il proprio pensiero per esplicitare la propria persona, ne
deriva quindi che il pensiero espresso possa anche essere frutto di fantasia, o essere non
veritiero, a condizione che non consista nella pubblicazione e diffusione di notizie false in grado
di turbare l’ordine pubblico.
In riferimento al pensiero proprio, parliamo poi della possibilità di esercitare il diritto di
manifestazione in “forma anonima” o mediante l’utilizzo di pseudonimi. L’esigenza di esprimere il
proprio pensiero in forma anonima appare contraddittoria, al tempo stesso però bisogna tener
conto che in una comunità, l’individuo è talvolta limitato da condizionamento sociali, familiari,
lavorativi.
Vi sono delle criticità in relazione al pensiero anonimo, qualvolta questi possano essere lesivi
di diritti altrui, quali la reputazione o la privacy. Il tema è diventato di particolare interesse
anche in relazione all’utilizzo sempre più imponente della Rete.
Maggiormente problematica si presenta, invece, la valutazione circa la tutelabilità o meno del
pensiero “contrario” e di quello “antagonista”.

Contrario chi non è d’accordo con il pensiero prevalente in società, deve essere necessariamente
tutelato, di fatto la tutela costituzionale ha come destinatario privilegiato proprio chi dissente
dall’opinione della maggioranza in virtù della maggior propensione al rischio.

Antagonista colui che promuove idee o valori contrari alla costituzione. In questo caso prevale
l’opinione negativa, secondo cui va punito ogni comportamento teso a contestare e dissacrare i
valori ritenuti fondamentali dalla Costituzione stessa.
L’ultima parte del comma 1 dell’Art. 21 è dedicata ai mezzi di diffusione, prevedendo che il
pensiero possa essere manifestato mediante “la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di
diffusione”. Questo rinvio testuale pone le sue fondamenta sulla presenza del Web (attore
protagonista della nascita di nuovi mezzi), in effetti oggi sono molteplici i mezzi di diffusione nuovi
rispetto al passato e proprio grazie a questo rinvio testuale, quest’articolo è capace di adeguarsi
ed aggiornarsi di pari passo con l’evoluzione.

- LA LIBERTA’ DI INFORMARE
Una seconda declinazione del diritto di manifestazione del pensiero è rappresentata dalla libertà
di informare, intesa come “libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, commenti” ad un numero
indeterminato di destinatari.
Possiamo avere un “informazione non professionale”, la quale non è soggetta alle regole del
giornalismo in senso proprio… parliamo quindi della generale libertà di manifestazione del pensiero
prima descritta.
In più abbiamo la cd. “Informazione professionale”, espressamente prevista dall’Art. 21, riservata
a specifici soggetti, i giornalisti, i quali hanno diritti e doveri.
Ogni giornalista, nel narrare un fatto, ha il diritto di filtrare ciò che descrive alla luce del proprio
modo di vedere la realtà. Ne consegue quindi che l’attività informativa di un singolo giornalista sia
tutelata anche qualora risulti essere non imparziale e poco obbiettiva, purchè rispetti il punto di
vista di chi diffonde il messaggio. Diversa invece è la prospettiva qualora si valuti l’informazione nel
suo complesso, dal momento che quest’ultima, nella molteplicità dei punti di vista, deve garantire
correttezza, imparzialità e pluralismo. Questi parametri quindi non vanno ricercati nel singolo atto
di informazione, bensì nel complesso.
Di contro al diritto ad informare, riconosciamo il diritto ad essere informati, come diritto
inviolabile (Art. 21 Cost).

- LIMITI ALLA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO


L’Art. 21 ha però un limite, seppur vago. Il limite di cui parliamo è quello del “buon costume” di cui
si parla al comma 6: (sono vietate le pubblicazioni, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume).

“Buon costume” viene definito un limite “vago” perchè non ha un significato giuridico
determinato, la Corte Costituzionale ha quindi ritenuto necessario interpretare questa locuzione
in modo evolutivo e dinamico. Da qui, la previsione di una limitazione alla libera manifestazione
del pensiero ogni qualvolta la comunità si senta colpita negativamente, danneggiata e offesa dalle
pubblicazioni, dagli spettacoli, dalle manifestazioni…

Bisogna per esempio tutelare il pudore sessuale dei minori; evitare di pubblicare immagini atroci;
ecc. ecc.

Sono stati poi individuati ulteriori limiti, i “limiti impliciti”, i quali hanno l’obiettivo di raggiungere
il cd. “BILANCIAMENTO” tra il diritto di manifestazione del pensiero ed altri diritti di pari
rilevanza, infatti il diritto di espressione non è da considerarsi automaticamente prevalente in
caso di antinomia (presenza di due pensiero/affermazioni contraddittorie). Questi limiti possono
avere natura individuale, volti a tutelare i singoli individui, o destinati a salvaguardare la
personalità dello Stato, volti quindi a difesa della pace sociale.

- INFORMAZIONE E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA


Il diritto di informare e di essere informati, rappresentano situazioni giuridiche soggettive
non sono individuali ma anche orientate al buon funzionamento della vita democratica,
poniamo particolare attenzione quindi al rapporto tra informazione e opinione pubblica.
I mass media rappresentano oggi il più importante strumento di circolazione delle informazioni e
di conseguenza contribuiscono fortemente alla formazione dell’opinione pubblica, in questo
ambito si è inserita ora la Rete, luogo di riferimento soprattutto per le generazioni più giovani, per
condividere e per formare la propria opinione. Deduciamo quindi che l’attività di informazione è
strettamente collegata con la formulazione dell’opinione pubblica.

- COMUNICAZIONE POLITICA
Anche la comunicazione politica influisce sulla formazione dell’opinione pubblica, ha come obiettivo
principale quello di portare a conoscenza dei cittadini sia l’attività politico-istituzionale sia i
programmi, i punti di vista, e i diversi pensieri dei soggetti presenti sulla scena politica.
In un sistema democratico, risulta essere di particolare importanza avere spazi dedicati alla
comunicazione politica e parità di accesso agli stessi.
Si parla di “propaganda”, “informazione” e “pubblicità” elettorale. Tutti i soggetti politici devono
avere parità di trattamento, anche con riferimento alle fasce orarie e al tempo di trasmissione.
La normativa riguardante la comunicazione politica non contiene nessuna disposizione in merito alla
disciplina della Rete. Molto spesso quindi vengono violati elementi come il silenzio elettorale o il
divieto di pubblicare sondaggi, orientamenti di voto nei 15 giorni che precedono le elezioni.

CAPITOLO 4 – LA LIBERTA’ DI INFORMAZIONE PROFESSIONALE

- LA LIBERTA’ DI STAMPA
L’ordinamento giuridico italiano, nel periodo pre-repubblicano, ha disciplinato la stampa con lo
Statuto Albertino nel 1848 (tutelando la libertà di informazione professionale, ma allo stesso
tempo sottoponendola a specifiche limitazioni previste dalla legge). Abbiamo poi l’Editto sulla
stampa del 1848 con il quale si riconosceva il principio della libertà di stampa anche attraverso
l’espresso divieto di limitazioni preventive e di interventi repressivi, salvo in caso di abusi con
l’intervento del giudice.
Tuttavia questo atteggiamento favorevole nei confronti della libertà di stampa ha subito poi nel
tempo una progressiva restrizione, mano a mano che emergeva sempre più evidente il nesso tra
stampa e politica.
Durante il periodo fascista infatti fu significativa la tendenza del regime ad estendere il proprio
controllo. Solo con l’avvio dei lavori dell’Assemblea costituente che si assiste ad un primo
significativo provvedimento legislativo, nel 1946 con l’abolizione del sequestro preventivo.
Con l’entrata in vigore della Costituzione, alla stampa viene poi riconosciuta una tutela
costituzionale con l’Art. 21, dopo aver affermato che la stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni e censure, ha stabilito che si può procedere al sequestro soltanto per atto motivato
dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti che la stessa legge prescrive. Lo stesso articolo inoltre
afferma che il sequestro può essere eseguito dagli ufficiali di polizia sono nel caso in cui vi sia
urgenza, si tratta tuttavia si un provvedimento non definitivo che deve poi essere convalidato dal
giudice, pena la revoca dello stesso.

- LA LEGGE SULLA STAMPA


Legge N. 47 del 1948, partendo dalla nozione di stampa, facendo rientrare in questa categoria “
tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici destinate alla
pubblicazione”.
La legge stabilisce poi i requisiti della stampa, prevedendo che lo stampato deve indicare il luogo, la
data di pubblicazione, il nome dello stampatore, nonché quello del direttore responsabile e quello
del proprietario.
La legge N. 47 prevede poi la registrazione della testata giornalistica presso la cancelleria del
Tribunale. In virtù di questa registrazione, conosciamo la “stampa clandestina”, ovvero quelle
pubblicazioni, dalle quali non sia ricavabile il nome dell’editore e dello stampatore.
Il direttore responsabile è considerato l’elemento di congiunzione tra l’editore e la redazione, per
questo, soggetto deputato a conciliare la linea editoriale voluta dall’editore con la libertà di
informazione riconosciuta alla redazione. Il direttore di un giornale è considerato responsabile nelle
ipotesi in cui non abbia compiuto tutti gli atti che gli sono concessi per evitare la pubblicazione del
pezzo non conforme, e naturalmente anche nell’ipotesi in cui agevoli l’articolista partecipando alla
redazione dell’articolo diffamatorio.

- L’INFORMAZIONE TELEVISIVA
L’informazione televisiva può essere considerata oggi uno dei più importanti strumenti attraverso
il quale gli utenti acquisiscono notizie, la televisione infatti negli anni oltre ad essere strumento di
intrattenimento, è entrata a far parte della categoria di mezzi di informazione (principalmente con
i telegiornali, oltre ai quali riconosciamo anche nuove trasmissioni fondate essenzialmente sulla
conversazione, con la presenza di personaggi pubblici/politici che vengono intervistati su
argomenti di vario genere, i cd. Talkshow).

- L’INFORMAZIONE ONLINE
Nascono i primi giornali online, ovvero versioni telematiche di testate cartacee che conservano
stesso nome, linea editoriale, e che si differenziano da queste ultime solo per la veste grafica.
Nonostante il diritto si conformi alle nuove tecnologie, I nuovi mezzi di comunicazione, tra cui
l’informazione online non possono essere inclusi nel concetto di stampa.

CAPITOLO 5 – DIRITTI E DOVERI DEL GIORNALISTA


Nell’ordinamento italiano la qualifica di “giornalista” non può essere attribuita a chiunque “faccia
informazione”, non risulta esserci coincidenza tra giornalisti ed attività giornalistica, in quanto
quest’ultima rappresenta un’attività che viene esercitata e garantita a chiunque eserciti il proprio
diritto ad informare. Quindi al fine di poter esercitare la professione, è necessaria l’iscrizione
all’Albo dei giornalisti, tenuto dall’Ordine dei giornalisti.
Distinguiamo il giornalista dal “pubblicista”, ovvero colui che svolge l’attività in modo non
occasionale e retribuito, ma non esclusivo. Nell’Albo sono presenti 2 elenchi per le due categorie
con regole diverse. Per diventare giornalista professionista è necessario: aver raggiunto il
21esimo anno di età, iscrizione nel registro dei praticantati, l’esercizio della pratica per almeno
18 mesi e il superamento della prova di idoneità professionale. Oltre a questi requisiti positivi, è
necessario anche un requisito negativo, secondo cui non possono essere iscritti all’albo coloro
che abbiano riportato una condanna penale con interdizione dai pubblici uffici, salvo
riabilitazione.
I giornalisti sono soggetti a controllo disciplinare da parte dell’Ordine, qualora si renda colpevole di
fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale, le conseguenti sanzioni disciplinari
possono, essere a seconda dei casi: l’avvertimento, la censura, la radiazione (in questo caso è
possibile richiedere l’iscrizione all’Albo, trascorsi 5 anni dalla radiazione).

- PRUDENTE BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI


La libertà di informazione del giornalista deve essere prudentemente coniugato e bilanciato con gli
altri interessi costituzionalmente protetti, ed in tal senso si parla dell’obbligo di lealtà e buona fede
da parte del giornalista, che riflette l’obbligo di rettificare (sempre in capo al giornalista) quelle
notizie che risultano smentite o non conformi. Bisogna precisare inoltre che la rettifica deve avere la
stessa risonanza che ha prodotto la notizia originaria, a cui la rettifica fa riferimento.
Sempre in relazione al prudente bilanciamento, parliamo della cd. clausola di coscienza, che
prevede la possibilità per il giornalista di risolvere il proprio rapporto in caso di sostanziale
cambiamento della linea editoriale del periodico presso il quale lo stesso svolge la propria attività
lavorativa, conservando il diritto all’indennità di licenziamento.
I giornalisti inoltre non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto (segreto
professionale), salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria se le notizie sono
indispensabili ai fini della prova del reato.
Un ulteriore importante aspetto dell’attività giornalistica riguarda il rapporto tra quest’ultima e la
tutela della privacy. Nell’esercizio della propria professione, infatti il giornalista può raccogliere,
elaborare e pubblicare informazioni e dati personali. A tal proposito, la divulgazione di notizie di
rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando la
pubblicazione dell’informazione privata sia indispensabile per descrivere il fatto e per qualificare i
protagonisti.

- DIRITTO DI CRONACA,CRITICA E SATIRA


Il diritto di cronaca rappresenta il diritto di pubblicare fatti di interesse pubblico realmente
accaduti.
Il diritto di critica, invece, è un’attività di tipo “valutativo” diretta ad esprimere un giudizio o
un’opinione di solito negativa su un determinato evento.
Distinguiamo la critica dall’insulto, in quanto il primo è un giudizio frutto di un ragionamento,
mentre il secondo è del tutto gratuito.
I limiti dell’esercizio del diritto di critica sono quello del rispetto della dignità altrui, e della verità del
fatto narrato.
Un’altra modalità di fare informazione è rappresentato dalla satira, ha modalità simili alla critica,
dalla quale si differisce però in relazione alla rappresentazione della notizia (che viene presentata
al pubblico in modo ironico, con vignette e caricature).
Il diritto di satira, a dispetto di quello di cronaca, è sottratto al parametro della verità del fatto, in
quanto esprime un giudizio ironico su un fatto, purchè il fatto sia espresso in modo apertamente
difforme dalla realtà, tanto da poterne apprezzare subito il carattere scherzoso.

- IL DECALOGO DEL GIORNALISTA


Il legislatore non ha fornito i confini della cronaca, critica e satira. Essi sono stati quindi definiti
dalla giurisprudenza, in particolare dalla Corte di Cassazione, in quella che è la cd. “sentenza-
decalogo”. Limiti deontologici, ovvero regole morali per l’esercizio della professione.
Attraverso questa sentenza, sono stati fissati i criteri ai quali deve attenersi il giornalista per
esercitare il diritto di cronaca, affinchè la divulgazione di notizie - seppur lesive dell’altrui sfera
personale – possa considerarsi una legittima espressione del diritto con conseguente esonero del
giornalista da ogni responsabilità civile e penale. Secondo tale decalogo, quindi, il diritto di
cronaca risulta leggittimo quando vi è: utilità sociale dell’informazione, verità oggettiva dei fatti
esposti, forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione.
La Corte di Cassazione ha dato rilevanza anche al concetto di cd. “mezza verità”, che ricorre
quando, pur essendo i fatti veritieri, siano stati nascosti altri fatti “tanto strettamente
ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato”
La cd. ”verità putativa”, notizia obiettivamente falsa, diffusa da chi pur avendo rispettato
l’obbligo di controllo relativo all’attendibilità delle fonti, non poteva che ritenerla vera. Questa
tipologia di verità esonera il giornalista da responsabilità a condizione che vi sia stato un serio e
diligente lavoro di ricerca. In sostanza quindi, può capitare che il fatto riferito dal giornalista non
sia vero, ma ciò non esclude che sia assolutamente vero il fatto che qualcuno lo abbia
raccontato.
Infine possiamo dire che si impone a chiunque faccia informazione “proporzione, moderazione,
misura”… esporre il fatto così come effettivamente è avvenuto, senza alcun tipo di filtro soggettivo.

CAPITOLO 6 – TELEVISIONE E CONVERGENZA TECNOLOGICA


- FASI ED EVOLUZIONE DEL SISTEMA RADIOTELEVISIVO ITALIANO
In seguito alla commercializzazione dei primi strumenti radiofonici prima, telefonici poi, la scarsità
delle frequenze disponibili connessa al servizio di interesse generale ha giustificato una riserva
assoluta allo Stato per svolgere tale attività.
Alla prima fase di monopolio pubblico ha fatto poi seguito un periodo di profonda crisi,
caratterizzata dall’avvento sul mercato dei primi operatori privati, inaugurando un sistema
pubblico-privato. Dunque nel corso del tempo si sono susseguite profonde trasformazioni, le quali
hanno avuto come obiettivo quello di realizzare un sistema radiotelevisivo quanto più plurale e
completo alla luce dell’interesse pubblico. Come è noto infatti, la diffusione plurale di informazioni
è sempre collegata alla corretta evoluzione democratica delle società contemporanee.

- LA TELEVISIONE DEL XX SECOLO:

• Analogica
• Caratterizzata in Italia da un iniziale monopolio pubblico poi divenuto oligopolio pubblico-
privato (scarsità delle frequenze)
• Distinta in canali di diffusione nazionale e locale
• Incentrata su programmi di intrattenimento e programmi con una componente informativa
(telegiornali/talk show)
• Durata e frequenze piuttosto limitate (Pochi canali, in onda per 2-3 ore al massimo)

- NEL DETTAGLIO
Agli albori del sistema radiotelevisivo italiano, vi era riserva assoluto allo Stato per l’esercizio
dell’attività in virtù delle frequenze limitate e dell’importanza a livello sociale. Anche con l’avvento
della televisione, questo nuovo servizio veniva gestito dallo Stato attraverso la Rai, anch’essa a
partecipazione statale.
Tale modello però riscontra ben presto dei limiti, in particolare nell’Art. 21 Cost, il quale
riconosceva a tutti la libertà di manifestare il proprio pensiero “con la parola, con lo scritto e con
ogni altro mezzo di comunicazione” (si comprendeva anche il sistema radiotelevisivo).
Tuttavia, nonostante le numerose polemiche avanzate da imprenditori privati, i quali
rivendicavano i propri diritti, la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi nel 1960 dichiarò
l’impossibilità di modificare quest’assetto in virtù di una possibilità concreta che tutto il sistema
potesse finire nelle mani di uno o pochi soggetti, se veniva lasciato al mercato. Quindi il regime di
riserva statale appariva come unica soluzione.
Inoltre, a quanti evidenziavano la violazione dell’Art. 21, la Corte Costituzionale rispose che in virtù
dell’elevato costo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale in questione avrebbe
comunque impedito a chiunque di esercitare questi servizi, confermando le preoccupazioni circa il
pericolo di trasformare l’attività radiotelevisiva un privilegio per pochi.
Nonostante la sentenza adottata nel 1960, fu proprio la Corte Costituzionale a farsi promotrice,
pochi anni dopo, del declino del monopolio pubblico. Partendo dalle sentenze N. 225 e 226 del
1974, con le quali si dichiarava l’illegittimità della riserva statale con riferimento a due ambiti
specifici: la ritrasmissione di programmi di emittenti esteri e la diffusione di programmi a livello
locale.
LEGGI DI DISCIPLINA DELLA TELEVISIONE ANALOGICA:

• Legge n.103 del 1975


• Legge n.223 del 1990 (Legge Mammi)
• Legge n.249 del 1997 (Legge Maccanico)
• Legge n.112 del 2004 (Legge Gasparri)
• D.Lgs. n.177 del 2005 (Testo Unico della Televisione)

Le leggi dal 90 al 2004 vengono dette “leggi di sistema.”

La prima legge di riforma del settore radiotelevisivo varata nel 1975 (legge 103), confermò la
riserva allo Stato dell’attività, ma allo stesso tempo dispose di un regime di autorizzazione per
quelle attività libere da riserva (trasmissioni a livello locale); in altre parole la televisione privata
può nascere, purchè trasmetta solo a livello locale.
Per la prima volta, quindi si concede l’ingresso dei privati nel mercato radiotelevisivo. Questa
legge inoltre per garantire il diritto di partecipazione dei cittadini all’evoluzione democratica della
società, riconosceva il “diritto di accesso” al servizio radiotelevisivo pubblico(ciò significa che i
sindacati, i partiti politici, gli enti, le organizzazioni potevano accedere al servizio per esprimere le
loro opinioni). Questo ebbe, tuttavia, un effetto controproducente ai fini dell’obiettivo pluralista,
la cd. “liberta di antenna” ben presto si rivelò un sistema critico e complesso fatto di occupazioni
abusive delle frequenze, alleanze tra i vari operatori, ancor più grave si diede vita alla pratica
“dell’interconnessione”, ovvero, le emittenti locali, attraverso punti d’appoggio dislocati in quasi
tutte le regioni italiane, riuscivano a trasmettere simultaneamente i programmi creando dei ponti
radio, eludendo quindi il limite territoriale. (Es. Berlusconi)

In questo panorama, ben lontano dagli obiettivi del pluralismo e libertà di accesso, viene adottata
la legge Mammì del 1990, la quale riconosce la partecipazione dell’imprenditore privato nel settore
radiotelevisivo.
La legge Mammì subordinò l’esercizio dell’attività alla preventiva determinazione delle frequenze
disponibili tramite il piano di riparto ed assegnazione delle frequenze. In particolar modo si misero
al bando 7 frequenze. La stessa legge definisce poi anche requisiti specifici per il rilascio di titoli
abilitativi (potenzialità economiche, qualità della programmazione prevista, oggetto sociale
inerente all’attività radiotelevisiva). La specificità di questi requisiti, aveva come obiettivo quello di
limitare il numero di soggetti operanti nel settore, facendo restare solo i più meritevoli.
Si pongono anche i primi limiti antitrust, per garantire la leale concorrenza (es. a fronte di alcune
percentuali si poteva presentare domanda per un numero massimo di reti televisive; comunque è
irrilevante.)
Ben presto la legge Mammì mostra i suoi limiti, soprattutto nella sezione dedicata alla disciplina
antitrust.
L’insieme di limiti non faceva altro che confermare il rigido assetto ormai affermatosi, dominato
sostanzialmente dalla Rai (pubblica) e dalla Fininvest (privata). Nel 1994 la Corte Costituzione fu
chiamata ad esprimersi e dichiarò l’illegittimità costituzionale della legge Mammì.
Nel 1997 nasce la cd. Legge Maccanico, l’obiettivo era quello di superare questo processo di quasi
monopolio venutosi a creare. Stabilì la riduzione della percentuale di reti televisive affidabili ad un
solo soggetto dal 25 al 20%, in questo modo entrambi gli operatori leader del mercato avrebbero
dovuto liberare 1 delle 3 frequenze possedute… cosa che non accadde.

Si assiste poi ad una serie di importanti innovazione tecnologiche, la principale riguarda la


disattivazione del segnale analogico a favore delle frequenze digitali, si supera così la
corrispondenza univoca tra frequenza e canale, consentendo la diffusione fino a 5/6 canali per
singola frequenza.

Si parla di “convergenza tecnologica”, nel momento in cui nascono diverse piattaforme


(smartphone, tablet) cd. “multi-funzionali”, si perde infatti lo stretto rapporto con la televisione
quale unico dispositivo per la trasmissione, in favore di una molteplicità di dispositivi aggiunti.
All’interno di un panorama cosi innovativo che nasce nel 2004 la legge Gasparri, dal nome
dell’allora Ministro delle Comunicazioni, con l’obiettivo di garantire il pluralismo informativo alla
luce delle nuove tecnologie. In essa era prevista anche la delega al Governo per l’emanazione del
Testo Unico in materia radiotelevisiva.

Nel 2005 nasce cosi il Testo Unico. Il primo aspetto di rilievo è rappresentato dall’innovativo
quadro dedicato alla concorrenza a tutela del pluralismo informativo, introducendo ulteriori limiti
antitrust, quali ad esempio: i soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di
comunicazione (ROC) non possono conseguire ricavi superiori al 20% dei ricavi complessivi del
sistema integrato delle comunicazioni (SIC). Il T.U. prevede che tutte le emittenti esercitino attività
di informazione soddisfacendo vari requisiti (presentazione veritiera dei fatti, trasmissione
giornaliera di telegiornali, libertà di accesso a tutti i soggetti politici, assoluto divieto di utilizzare
metodologie capaci di manipolare il contenuto delle informazioni). Ben presto pero il T.U. mostra
le sue prime lacune, a partire proprio dalla disciplina antitrust. Infatti, prevende che i soggetti non
debbano superare il 20% dei ricavi del Sic, il Sic però non riguarda esclusivamente l’informazione,
ma ha un campo d’azione ampio che varia dall’editoria alle sponsorizzazioni e per questo è un
limite privo di significato ai fini del pluralismo, in quanto anche senza sfiorare il 20% dei ricavi
totali, un soggetto può acquisire una posizione dominante nel mercato.

Con il d.lgs N. 44 del 2010 si ha una fusione tra disciplina delle telecomunicazioni e quella
radiotelevisiva alla luce del processo di convergenza tecnologica, si parla adesso dei cd. “servizi di
media audiovisivi” superando il concetto ormai obsoleto di servizio radiotelevisivo. Nel panorama
moderno, oltre alla presenza della classica programmazione televisiva standard, si afferma la
possibilità di usufruire di questo servizio con una metodologia più flessibile, grazie alla tecnologia
on demand e allo streaming.

Da qui la distinzione tra servizi a carattere lineare (programmazione televisiva standard basata su
un palinsesto, canali pay per view ecc.) e servizi non lineari (non vi è un palinsesto, ma è l'utente a
scegliere cosa e quando guardare qualcosa; es: Netflix.)
Vi è anche un differente peso regolativo sulle 2 diverse tipologie di servizi televisivi, infatti la
maggior flessibilità garantita dai contenuti on demand, soprattutto in relazione alle modalità e di
tempi di utilizzo, consente all’utente di potersi meglio tutelare, in maniera autonoma, dalla
visione di contenuti lesivi o potenzialmente dannosi. Questa maggiore libertà di composizione
della programmazione televisiva, fa si che vi sia una più leggera regolamentazione per i servizi
audiovisivi a richiesta (quindi non lineari). Maggiormente vincolante, invece, per i servizi
tradizionali di tipo lineare.
Negli ultimi anni, il processo di convergenza tra televisione e servizi distributivi via Internet è stato
caratterizzato da una forte accelerazione, resa possibile anche grazie alla diffusione di nuove
piattaforme trasmissive, come spartphone, tablets e mart TV, che offrono un esperienza diversa da
quella tradizionale. In virtù di questo cambiamento, si è resa necessaria una revisione delle norme
applicabili, con particolare riferimento alla tutela dei minori e alla disciplina pubblicitaria.

In tal senso, la direttiva della commissione europea del 2017, ruota intorno a 4 pilastri
fondamentali:

1) Inserimento nel settore dei media delle piattaforme per la condivisione di video (es.
Youtube)

2) Allineamento delle norme a tutela dei minori per i servizi di media audiovisivi tradizionali e
per quelli a richiesta (tali misure possono riguardare l’ora di trasmissione, gli strumenti per la
verifica dell’età dell’utente o altre tecniche) (Anche Netflix deve tutelare i minori)

3) Previsione dell’obbligo per i fornitori di servizi a richiesta di garantire che almeno il 20% dei
contenuti offerti sia di origine europea.

4) Ammodernamento della disciplina pubblicitaria (la nuova proposta pone un unico limite
giornaliero complessivo del 20% che non deve essere superato quotidianamente tra le 7 e le ore
23);

PROVIDER NEI SERVIZI TELEVISIVI:


LA TELEVISIONE DEL XXI SECOLO:

• Si basa sulla tecnologia digitale, la cui sperimentazione è cominciata nel 2001 e conclusa nel
2005, stesso anno dell'approvazione del testo unico radiotelevisivo.

• Tra il 2018 e il 2022 i canali passeranno al nuovo digitale terrestre (Dvb-T2), cioè smetteranno
di funzionare su quei televisori che non hanno determinati requisiti tecnologici.

MOLTO IMPORTANTE E' POI LA LEGGE 28/2000: “Legge sulla par condicio.”

“Par condicio”: Con l'espressione latina par condicio si intendono quei criteri adottati dai mass media
nel garantire un'appropriata visibilità a tutti i partiti e/o movimenti politici.

Essa è una legge:


• Pensata per la televisione
• Distingue tra propaganda, informazione, pubblicità
• Estensione della disciplina della comunicazione sui media a tutto il periodo della legislatura
(quindi sempre)

Controllo affidato:
• Alla commissione parlamentare di vigilanza → per la RAI
• All'AGCOM → per le emittenti private

• La fissazione dei criteri per tutte le emittenti (pubbliche e private) spetta all'AGCOM. Di fatto
ora l'AGCOM, in campagna elettorale, controlla anche le emittenti pubbliche.
CAPITOLO 7 – LA RETE E IL RUOLO DEGLI INTERNET PROVIDER

Internet si configura come una ragnatela di nodi virtuali, costituita da un complesso di host (sia
client sia server), di router, ma privo di un centro, quindi una ragnatela senza ragno, senza un
soggetto propulsore. L’origine di internet viene fatta risalire agli anni 60, negli Stati Uniti,
nell’ambito di un progetto militare, negli anni 80 poi furono ideati i link, fino ad arrivare alla
creazione del web (world wide web), ufficializzato al pubblico solo nel 1992. All’interno del web
troviamo risorse ordinate da ricercare tramite broswer.
Distinguiamo quindi il Web da Internet, il primo è un insieme di siti, il secondo invece è una
ragnatela di nodi virtuali.

- GLI INTERNET SERVICE PROVIDER


La complessa Rete oggi è gestita interamente da privati, coloro che forniscono servizi Internet
prendono il nome di INTERNET SERVICE PROVIDER.
Diverse tipologie di Provider (azienda di servizi)

• Il provider di connettività: è il soggetto che fornisce all’utente la connessione alla rete Internet
e non ha alcuna responsabilità per le informazioni trasmesse, a condizione che non le modifichi.
L’attività di questo provider appare sostanzialmente neutra, al contrario però esso è in grado di
differenziare la velocità di cambio dei dati, ed è in grado di inibire l’accesso a determinati siti, sia
perché richiesto dall’autorità, sia sulla base di accordi contrattuali con l’utente (si pensi al cd.
Parental control);

• Caching provider: svolge un servizio di memorizzazione temporanea delle pagine web, utile ad
abbreviare i tempo di ricerca di siti frequentemente ricaricati da un utente. Essi non sono
responsabili per i siti in questione, a condizione che non modifichino le informazioni;

• Hosting: fornisce agli utenti uno spazio sul proprio server per gestione di un sito oppure per
l’immissione di dati che possono essere utilizzati da tutti gli utenti della Rete, hanno l’obbligo di
rimuovere contenuti illeciti ogni qualvolta acquisisca conoscenza.
A prescindere dalle responsabilità, ogni Internet provider è tenuto ad informare l’autorità
competente qualora vengono a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti il
proprio cliente.

- CONTENT PROVIDER
I CONTENT PROVIDER possono essere definiti, come gli operatori che mettono a disposizione del
pubblico informazioni ed opere di qualsiasi genere caricandole sulle memorie dei server.
Esistono dei content provider che danno la possibilità di confrontarsi in rete, ospitano quindi
contenuti inviati da terzi, essi sono “blog” e “forum” (sedi di discussione pubbliche tra internauti
caratterizzate da scambio di opinioni, anche critiche). Per questa tipologia di provider, essi sono
considerati intermediari di tipo neutrale, privi di ogni responsabilità, ma con l’obbligo di oscurare i
commenti lesivi.

- MOTORI DI RICERCA E SOCIAL NETWORK

I motori di ricerca (tra i più importanti google, yahoo) propongono agli internauti determinati siti,
in base ad un algoritmo. Infatti, inserendo determinate parole chiave produce un elenco di siti che
contengono la parola stessa che l’utente ha digitato.
E’ opinione diffusa che l’indicizzazione dei siti da parte dei motori di ricerca venga posta in essere
attraverso algoritmi che privilegiano determinati siti rispetto ad altri, l’attività di ricerca quindi non
è neutrale, con la conseguenza che i motori di ricerca pur non essendo produttori di notizie,
possono dimostrare un criterio editoriale in base alla posizione dei siti che privilegiano.

CAPITOLO 8 – DATI PUBBLICI, TRASPARENZA E LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE INFO

- I DATI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI


La “libera” circolazione delle informazioni e la “trasparenza” dell’agire politico amministrativo
rappresenta due esigenze fondamentali delle democrazie contemporanee. La prima rappresenta, il
motore della formazione dell’opinione e della conoscenza nella cd. “sfera pubblica”; la seconda
esprime l’aspirazione ad un azione politico-amministrativa “trasparente”.
Nel 1990 si è avviato un processo di “apertura generalizza” dei documenti della pubblica
amministrazione, appunto per dimostrare trasparenza dell’operato, e per permettere ai cittadini di
conoscere e quindi anche di controllare l’operato e l’impiego delle risorse pubbliche.
Come tutti i diritti, anche il diritto di accesso non è da considerarsi assoluto ma richiede di essere
bilanciato con altri interessi di pari rilievo, si parla quindi di un accesso “semplice” e
“generalizzato”, per raffigurare che la pubblicazione dei dati pubblici non deve inficiare sul diritto
alla privacy. L’amministrazione quindi ha il compito di effettuare una valutazione preliminare per
valutare l’impatto dei dati pubblicati sulla tutela dei dati personali.

CAPITOLO 9 – I REATI DI OPINIONE


REATI DI OPINIONE: (PALOMBINO) 03/04/2020

Abbiamo visto che l'articolo 21 della Costituzione recita:

Art.21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione.”

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.


Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria, nel caso di delitti
per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che
la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità
giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria,
che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria.
Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo
d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento
della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon
costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”

Focalizziamoci adesso sul comma 1:

L’ultima parte del comma 1 dell’Art. 21 è infatti dedicata ai mezzi di diffusione, il quale si conclude
con “la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”.

In realtà l'opinione può essere già espressa attraverso dei comportamenti pratici, che comunque
già di per se sono espressivi di una propria e personale opinione.

Es: Nel 2014 durante il match Villareal – Barcellona al terzino Dani Alves viene lanciata addosso una
banana.
Nella pratica non ci sono state parole o espressioni scritte da parte dei tifosi (seppur una piccola
percentuale) del Villareal, ma comunque questo gesto, questo comportamento pratico ha generato
un messaggio razzista.

Focalizzandoci adesso sui “reati di opinione”:

Innanzitutto l'espressione “reati di opinione” dev'essere utilizzata con cautela.

1) Innanzitutto il termine REATO è inequivocabile, ci rimanda alla fattispecie PENALE.

(Non esiste reato civile)

Il diritto penale è un “extrema ratio” cioè la soluzione più severa che lo stato può prendere nei
confronti dell'individuo. “Extrema ratio” infatti vuol dire “piano estremo” inteso come ultima
possibile soluzione, ossia la soluzione cui ricorrere quando tutti i possibili rimedi di un determinato
problema sono già stati tentati senza successo.

E' possibile che lo stato limiti la manifestazione del pensiero tramite la sanzione penale? SI

Attenzione però: lo stato non limita l'espressione del pensiero in funzione della mera opinione
dell'individuo (come accadeva nei regimi totalitari, es. durante il fascismo); in quanto nel sistema
democratico ciò non accade poiché l'espressione del pensiero viene punita per tutelare
qualcos'altro.

In parole povere c'è una sorta di limitazione del pensiero solo se quel pensiero lede qualcosa di
grave.

2) Per parlare di REATO di opinione poi, questa opinione dev'essere stata espressa davanti a un
PUBBLICO. (quindi soggetto recettizio)

3) Un ulteriore aspetto rilevante è che il contenuto che si diffonde deve avere una componente
“CRITICA” e non dev'essere quindi un contenuto meramente “informativo.”

Con il termine “reati di opinione” ci si riferisce a fattispecie che incriminano la manifestazione e/o
l’espressione di un determinato contenuto di pensiero.

Quando parliamo dei reati di opinione dobbiamo distinguere due principali MACROCATEGORIE:
1° Categoria: Reati che ledono un interesse INDIVIDUALE:
➔INGIURIAINGIURIA
➔INGIURIADIFFAMAZIONE
➔INGIURIACALUNNIA

2° Categoria: Reati che ledono un interesse COLLETTIVO:


➔INGIURIAVILIPENDIO
➔INGIURIAISTIGAZIONE A DELINQUERE
➔INGIURIAAPOLOGIA

Analizziamo la 1° categoria:

ART 594 c.p. INGIURIA: “Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con
la reclusione fino a sei mesi o con multa fino a 516€.”

Questo reato è stato depenalizzato, in quanto non è stato più considerato dal legislatore come reato
ma come illecito civile.
ART 595 c.p. DIFFAMAZIONE: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente,
comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno
o con la multa fino a milletrentadue euro.”

Abbiamo quindi un carattere fondamentale da evidenziare ossia:

- L'assenza dell'offeso: consistente nell'impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente


l'affermazione diffamatoria. L'impossibilità di difendersi determina infatti una maggiore potenzialità
offensiva rispetto alla mera ingirua (ad oggi comunque depenalizzata).

La differenza principale è che quinci nell'ingiuria si parla di una opinione comunicata in presenza del
soggetto che viene offeso.

Qui si parla de “l'altrui diffamazione.” Cioè l'opinione che terze persone hanno di noi, può dunque
avvenire anche in nostra assenza.

ART 368 c.p. CALUNNIA: “Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o
sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità incolpa di un reato taluno che egli
sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato è punito con la reclusione da 2 a 6
anni.”

L'opinione in questo caso assume una “forma vincolata.”

Questo cosa significa? → Abbiamo SOGGETTO e FORME stabilite.

-Innanzitutto l'opinione non è diretta a un soggetto qualsiasi, ma all'Autorità Giudiziaria. (Quindi a un


soggetto stabilito)

-La diffusione dell'opinione deve avvenire attraverso denuncia, querela, richiesta, istanza ecc. (forme
stabilite ; vincolate appunto)

Analizziamo adesso la 2° categoria:

Art. 290 c.p. VILIPENDIO: “Chiunque pubblicamente, vilipende la Repubblica, le Assemblee


legislative o una di queste, ovvero il governo o la Corte costituzionale o l'ordine giudiziairo è punito
con una multa da 1000 a 5000€. La stessa pena si applica a chi vilipende le Forze Armate dello Stato.”

Art. 414 c.p. ISTIGAZIONE A DELINQUERE: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere 1 o + reati,
è punito per il solo fatto dell'istigazione:

1) Con la reclusione da 1 a 5 anni (se si tratta di istigazione a commettere delitti)

2) Con la reclusione fino a 1 anno o con una multa fino a 206€ (se si tratta di istigazione a
commettere contravvenzioni.)”

E sempre allo stesso articolo, dunque

Art. 414 c.p. Comma 3 APOLOGIA: Il quale punisce anche “L'apologia di reato.”
Che cosa significa “Apologia di reato?”

Essa è quella condotta consistente nella difesa o nell'esaltazione di un'azione riconosciuta come
reato dalla legge della nazione in cui si vive.

Si differenzia dall'istigazione per una minore capacità di influenzare i soggetti cui è rivolta.

Nel diritto italiano i due casi di apologia più noti sono “L'apologia di fascismo” e “L'apologia di
delitto” prevista appunto dall'art 414 comma 3.

CAPITOLO 10 – LA TUTELA DELLA PRIVACY

Nel 1890, in America, si ha la prima definizione di privacy, come il “diritto ad essere lasciati in pace”.
Con le innovazioni tecnologiche e un incremento esponenziale dei mezzi di informazione, si rende
necessaria però una rielaborazione della definizione di privacy, trasformandolo in un vero e proprio
diritto di controllo dei propri dati personali. In sostanza, non si ritiene più che il diritto alla privacy
sia circoscritto al solo potere di vietare qualsiasi circolazione di informazioni private, ma lo si
estende anche al potere di vigilare su queste.

- DIRITTO ALLA RISERVATEZZA


La riservatezza rappresenta la prima e più elementare traduzione italiana del concetto di privacy.
La funzione principale accordata a tale diritto (oltre alla conservazione di uno spazio di tranquillità
inattaccabile) è quella di salvaguardare l’interesse del soggetto, che in sostanza, si traduce nel
potere di impedire l’intromissione nella propria sfera intima da parte di qualsivoglia soggetto.
Il diritto al riserbo non va confuso con altri diritti, quali la tutela del domicilio (Art. 14), la
segretezza della corrispondenza (Art. 15), o alla difesa dell’onore/reputazione dell’individuo.
Infatti, esso si attiene alla mera diffusione incontrollata di informazioni personali, non
necessariamente lesive all’onore del soggetto. Sebbene questo diritto non abbia mai conosciuto
una disciplina specifica, vi è sempre stata la possibilità di offrire una copertura costituzionale
attraverso l’aggancio implicito ad una pluralità di disposizioni (quali Art. 2-3-14-15-22-29-117
Cost.). Ne deriva quindi una garanzia estremamente incompleta e frammentaria. Con la definitiva
consacrazione tra i diritti della personalità, assume invece un’identità più autonoma, trovando
protezione nell Art. 2 della Carta costituzionale (con forme di tutela preventive e successive).
Come ogni altro diritto, esso deve sempre confrontarsi con valori opposti, in questo caso con la
libertà di manifestazione del pensiero (Art. 21 Cost.) In questo “scontro”, la libertà di manifestare il
proprio pensiero è destinata a prevalere o a soccombere in ragione della presenza o meno dei
requisiti fondamentali, quali pertinenza, verità e continenza.
La nozione di riservatezza sin qui analizzata, ha manifestato con il passare del tempo, una
mancanza.. essa infatti non era in grado di confrontarsi con un mutato quadro di innovazioni
tecnologiche, le quali conducono l’individuo ad una costante diffusione di dati, comportando il
rischio di nuove forme di aggressione. Il problema quindi dell’individuo non è solo quello di vietare
a chiunque l’accesso nella sua sfera privata o impedire la diffusione di informazioni, ma anche
quello di mantenere un potere di controllo sui dati che lo riguardano. Nasce così una nuova
declinazione della privacy: “il diritto alla protezione dei dati personali”. Nel 2003 nasce
nell’ordinamento italiano il codice in materia di protezione dei dati personali, denominato “Codice
della privacy”.

L’intera disciplina del codice ruota intorno alla nozione di “dato personale”, definito come
qualunque tipo di informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile.

I dati personali possono essere suddivisi in diverse categorie:

• I dati sensibili, quelli idonei a rivelare l’origine razziale o etnica, le convinzioni religiose, le
opinioni politiche. Orientamento sessuale del individuo e informazioni inerenti lo stato di
salute rappresentano i “dati supersensibili”;

• I dati giudiziari, quelli in grado di rivelare la qualità di indagato o imputato del soggetto;

• I dati comuni, quelli che consentono in vario modo l’identificazione e il tracciamento della
persona (nome, cognome, codice fiscale, numero di cellulare);

• I dati semisensibili, categoria dai contorni indefiniti, alla quale si riconducono tutte quelle
informazioni il cui trattamento espone il soggetto al pericolo di pregiudizio rilevante.

Tutti questi dati possono essere oggetto di trattamento da parte di terzi, siano questi privati o
pubblici.
Il trattamento da parte dei privati richiede sempre il consenso dell’interessato, diversa la disciplina
qualora, il trattamento sia effettuato dalla Pubblica amministrazione.. In tal ipotesi, questo non
necessita del consenso da parte dell’interessato se il trattamento ha per oggetto i dati comuni, e
con finalità istituzionali. Nel caso invece di raccolta dei dati sensibili, c’è bisogno di autorizzazione,
a meno che non vi sia un provvedimento in atto di un giudice che lo prevede.
Per trattamento deve intendersi qualsiasi operazione di raccolta, consultazione, elaborazione,
conservazione, organizzazione dei dati.
Il rapido evolversi delle tecnologie e degli strumenti informatici che ha contraddistinto l’ultimo
ventennio ha imposto un ulteriore e più approfondito ripensamento delle modalità di tutela dei
dati personali.
L’Unione Europea ha individuato quindi la necessita di stabilire norme comuni al fine di garantire
tutela adeguata in vista della creazione di un mercato unico digitale, con il Regolamento Ue del
2016.

Le principali novità di questo regolamento sono rappresentate da 4 pilastri fondamentali:

1) Viene rafforzata la responsabilità del titolare, ovvero del responsabile del trattamento.
L’ampliamento dei flussi informativi pone, infatti, rischi seri per i diritti e le libertà delle
persone fisiche. Un indebito trattamento dei dati personali può provocare ad esempio,
discriminazioni, furti, usurpazioni d’identità.

2) L’introduzione di importanti novità connesse alle fasi operative del trattamento, il


Regolamento impone che ogni nuova attività di trattamento venga progettata sin dal
principio nel modo più sicuro possibile.

3) Il Data protection impact assessment, Ulteriore procedura di controllo consistente in una


specifica valutazione dell’impatto del trattamento dei dati personali. Rappresenta quindi un
controllo preventivo.

4) Data protection officer, Nuova figura professionale.. la sua responsabilità è quella di


osservare, valutare e organizzare la gestione del trattamento di dati personali all’interno di
un azienda, affinchè questi siano trattati nel rispetto delle normative privacy.

CAPITOLO 11 – DIRITTO ALL’OBLIO

- DIRITTO DI DIMENTICARE ED ESSERE DIMENTICATI


Con il termine diritto all’oblio si indica, il “giusto interesse di ogni persona a non restare esposta ai
danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una
notizia in passato legittimamente divulgata”. Si fa riferimento quindi al diritto di un individuo a non
vedere distorta la propria immagine attuale a causa di eventi passati che lo hanno visto
protagonista. L’esigenza di tutelare questo diritto è nata in seguito alla profonda trasformazione
subita dal panorama informativo, infatti l’utilizzo della Rete ha dato vita ad un nuovo “ecosistema
digitale”, nel quale vi è permanenza dei dati e delle info.
Il diritto all’oblio è stato per anni relegato ai margini della sfera di azione del diritto alla
riservatezza, il fattore temporale risultava spesso sottovalutato. Solo nel 1986, la Corte di
Cassazione diede rilievo al ruolo svolto dal “tempo” nell’ambito della diffusione delle notizie.

I TRE ELEMENTI CARDINE DEL DIRITTO ALL’OBLIO

Alla base del riconoscimento dell’azione dell’oblio vi sono il fattore temporale, l’interesse della
collettività ad essere informata ed il ruolo che i soggetti coinvolti rivestono nella società.

• Il fattore temporale, va interpretato in un ottica dinamica. Infatti il parametro di riferimento


del diritto all’oblio, non è il passato in sé, ma è il presente. Si valuta quindi il potenziale danno
all’immagine di un individuo nel momento storico attuale;

• Il trascorrere del tempo è condizione necessaria, ma non sufficiente, affinchè possa essere
evocato il diritto all’oblio in maniera legittima, infatti la condizione temporale è da associarsi
anche il mancato interesse sociale della notizia (se invece e una notizia di interesse pubblico,
non si potra invocare il diritto all’oblio, ma è più conforme parlare di diritto di cronaca);

• L’ultimo elemento chiave è riconoscere i soggetti legittimati a pretendere la tutela della propria
persona. Parliamo in questo caso del bilanciamento necessario tra tutela dell’identità personale e
diritto di cronaca. In generale, l’inviolabilità della sfera privata di un individuo deve essere
necessariamente riconosciuta anche ai personaggi noti, tuttavia, in alcuni casi, il percorso di vita
di una persona risulta essere strettamente connessa al contesto sociale, e per questo assume
importanza anche la veste storica (non può essere invocato quindi il diritto all’oblio).

- IL CASO GOOGLE SPAIN


Controversia tra Google Spain e Google Inc… Google Spain voleva ordinare a Google Inc di
adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici i dati personali riguardanti un
soggetto coinvolto in un pignoramento di beni immobili e di impedire in futuro l’accesso ai dati,
poiché il fatto era accaduto molti anni prima. La Corte di Giustizia si pronunciò sul caso, arrivando
alla conclusione e all’identificazione di un vero e proprio obbligo a carico dei motori di ricerca di
sopprimere su richiesta, dall’elenco dei risultati, i link che indirizzano a pagine web pubblicate da
terzi. La Corte di Giustizia ha quindi ritenuto che al motore di ricerca è responsabile e ha l’obbligo
di garantire che i dati raccolti siano trattati lealmente e lecitamente. E’ bene sottolineare però,
che la rimozione dei risultati che emergono dall’attività di ricerca su tali piattaforme, non implica
la contestuale cancellazione dei contenuti sul sito.
In seguito a tale sentenza, Google ha deciso di allinearsi immediatamente alla decisione presa,
predisponendo un apposito modulo online, che consente agli utenti di richiedere la
deindicizzazione dei dati personali ritenuti potenzialmente lesivi alla propria persona.

CAPITOLO 12 – IL DIRITTO D’AUTORE

Nell’esaminare il diritto d’autore, inteso come istituto a tutela della proprietà intellettuale, non si
può non partire dalla Costituzione Italiana, la quale non contiene un esplicito riferimento alla
proprietà intellettuale, ma trova conforto generico negli Art. 2 (riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo), Art. 4 (diritto al lavoro), Art 21 (libertà di manifestazione del pensiero), Art.
33 (libertà dell’arte e della scienza), Art. 35 (tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni).
La disciplina del diritto d’autore è inoltre regolata da una serie di convenzioni internazionali, quali
la Convenzione di Berna del 1886, o la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata
dall’ONU.

- L’OPERA DELL’INGEGNO:

Nella disciplina normativa italiana non viene enunciata una definizione chiara dell’opera
dell’ingegno, la quale viene piuttosto presupposta.
E’ possibile definire l’opera dell’ingegno come il risultato del lavoro intellettuale e/o materiale di
un individuo. L’opera letteraria, musicale, figurativa, architettonica, programmi per elaborare
(softwere). Tutte queste opere, per il solo fatto di essere create (la creazione dell’opera
costituisce il modo d’acquisto a titolo originario del diritto d’autore) determinano il sorgere in
capo al loro autore del diritto d’autore.
Questo diritto non assicura tutela alle semplici idee, ma solo alla loro concretizzazione.
L’acquisto e la conservazione del diritto d’autore sono indipendenti da qualsiasi formalità, infatti il
deposito e la registrazione dell’opera presso l’Ufficio della proprietà letteraria artistica e scientifica
della Presidenza del consiglio dei ministri ha il solo effetto di far fede alla pubblicazione dell’opera e
della paternità dell’autore, mentre la registrazione ha una finalità generica di controllo. In altri
termini, la creazione dell’opera è atto necessario e sufficiente per l’acquisto del diritto d’autore.

- COMPONENTE MORALE E PATRIMONIALE DEL DIRITTO D’AUTORE


Al suo interno distinguiamo il diritto patrimoniale d’autore, dal diritto morale.

• Il diritto patrimoniale, può essere descritto come il potere che l’autore ha di realizzare l’opera
dell’ingegno e successivamente di sfruttarla economicamente in modo esclusivo, è assimilabile al
diritto di proprietà (diritto esclusivo di pubblicazione, diritto di riproduzione dell’opera). Il diritto
patrimoniale dura tutta la vita dell’autore e per 70 anni dopo la sua morte a favore degli eredi,
successivamente l’opera diventa di dominio pubblico.

• Venendo al diritto morale, rientra fra i diritti della personalità, e in quanto tale, è
insopprimibile ma soprattutto gli conferisce durata illimitata (diritto di paternità, diritto di
integrità dell’opera).

- CONTITOLARITA’ DELL’OPERA DELL’INGEGNO


L’opera dell’ingegno può anche essere oggetto di contitolarità, “in comunione” è quella creata con il
contributo di più persone. Il diritto d’autore appartiene in comune, e trova applicazione la
presunzione di uguaglianza del valore delle quote.
Quanto alle decisioni sulle attività da compiere riguardo all’opera, richiede normalmente
l’unanimità dei consensi, nel caso in cui invece vi sia un rifiuto ingiustificato di 1 o più creatori, si
può ricorrere al giudice.

- L’ESERCIZIO DEL DIRITTO D’AUTORE


Non è semplice per l’autore di un’opera dell’ingegno esercitare personalmente ed
individualmente i diritti di utilizzazione economica di cui è titolare. Questa difficoltà deriva
dall’utilizzazione di massa che viene fatta di alcune opere. Tale situazione è peggiorata con il
progresso tecnologico, che ha aggiunto nuove modalità di utilizzo delle opere.

Per ottemperare a tali esigenze, sono state create delle società di intermediazione, le cd. “società
di gestione collettiva” indispensabili per la determinazione, il controllo, la riscossione e la
ripartizione dei proventi ricavati dall’utilizzo delle opere dell’ingegno. Le società di gestone
ricevono un mandato da parte degli aventi diritto, in virtù del quale si occupano della concessione
per conto e nell’interesse degli aventi diritto.
- TRASMISSIONE DEL DIRITTO D’AUTORE
L’affermazione secondo cui il diritto d’autore è liberamente trasmissibile necessita di una
specificazione, infatti a poter essere trasferita è solo la componente patrimoniale del diritti, che in
sostanza rappresenta le forme di utilizzazione economica dell’opera.
Il diritto morale invece, come abbiamo detto in precedenza è un diritto della personalità, ed in
quanto tale intrasmissibile, esso quindi non si perde nemmeno con l’eventuale cessione a terzi de
diritti patrimoniali. L’autore potrebbe anche decidere di non trasferire il diritto, ma solo la
legittimazione ad esercitarlo, in questo caso si parla di contratto con carattere di concessione.

- DIRITTI CONNESSI AL DIRITTO D’AUTORE


I diritti connessi, sono quei diritti non riconosciuti all’autore dell’opera, ma bensì ad altri soggetti in
qualche modo collegati all’opera stessa (produttori di fotogrammi, produttori di opere
cinematografiche).

- MERCATO UNICO DIGITALE


Si è avuta la richiesta da parte degli utenti, di poter usufruire dei servizi online non solo quando si
trovano nel loro Stato di residenza, ma anche quando sono presenti temporaneamente in un altro
Stato.
L’Unione Europea è quindi intervenuta, attraverso la promozione di un mercato unico digitale, con
l’obiettivo di promuovere gli interessi dei consumatori, consentendo un accesso senza frontiere ai
media audiovisivi.

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