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DELL’INFORMAZIONE
E DELLA
COMUNICAZIONE
2021
CAPITOLO UNO
Ci interessa conoscere le regole della realtà digitale perché esse influenzano i rapporti
economici e quelli sociali e politici. Ciò accade in parte perché sono presenti i cosiddetti
“leoni da tastiera”, ovvero coloro che esprimono in modo spesso molto forte in rete, opinioni
che nella realtà fisica non avrebbero il coraggio di esprimere. Questo perché, almeno da un
punto di vista sociale, la realtà digitale consente un anonimato che la realtà fisica non
consente fino in fondo.
Sul piano sociale le persone si sentono molto più libere nelle loro relazioni digitali, non
soltanto perché si sentono più libere di esprimere il proprio pensiero, ma si sentono più libere
anche di valutare se frequentare o meno una persona.
Sul piano giuridico la presenza fisica e quella virtuale non fanno differenza, nel senso che il
“leone da tastiera” può essere anonimo nella società, ma non per il diritto, perché le
conoscenze tecnologiche oggi sono tali che qualora sia necessario, il soggetto che in modo
celato esprime un’opinione, una forte critica o diffamazione nei confronti di un’altra persona,
può essere più facilmente rintracciabile (di fatto è più semplice rintracciare una persona che
si muove nello spazio digitale, piuttosto che una che si muove nello spazio fisico).
Dunque, possiamo affermare che siamo una società digitale (o dell’informazione e della
comunicazione) e questo avviene soltanto in società tecnologicamente avanzate. In questo
momento quindi il mondo è diviso principalmente in due grandi aree: l’area
tecnologicamente avanzata (società digitali) e l’area in cui questa forma di tecnologia non
caratterizza ancora la vita sociale e quindi dove i modelli di vita, giuridici ed economici sono
profondamente diversi.
Non tutte le società dell’informazione e della comunicazione sono democrazie e questa è una
novità rispetto ad un secolo fa, quando si pensava che l’economia fosse appannaggio dei
paesi occidentali: la tecnologia digitale ed il fatto che alcuni paesi sono partiti molto
velocemente con questi aspetti, fa si che almeno un paese molto importante sul piano della
società digitale, ovvero la Cina, non possa essere qualificata una società democratica. Quindi
la società digitale non è necessariamente democratica, sebbene il digitale ci faccia
immaginare di essere tutti uguali e quindi di basarsi su quella regola che afferma che “uno
vale uno”. In realtà anche nella realtà digitale non vale questa regola, poiché chi è ricco
diventa ancora più ricco e chi è povero diventa ancora più povero anche nel digitale.
La società dell’informazione e della comunicazione è una società basata sui dati, divisi in due
grandi categorie: personali e non personali. Dunque, in questo tipo di società gli utenti dei
servizi digitali rappresentano anche il motore (o carburante) della società. Quindi gli utenti
sono anche produttori gratuiti di dati: “se un servizio digitale non ha prezzo, quel prezzo sei
tu”, proprio per sottolineare come questo tipo di economia basata sul dato ha bisogno di una
grande raccolta di dati e per invogliare le persone ad offrire determinati dati, si offrono
servizi gratuiti.
I BIG DATA
I grandi aggregati di dati sono chiamati BIG DATA. Essi sono enormi volumi di dati che
vengono scambiati molto velocemente e che consentono una profilazione delle persone ed è il
modo mediante il quale noi riceviamo informazioni che ci somigliano sempre di più.
Nel nostro ordinamento giuridico e nell’ordinamento giuridico europeo sono presenti norme
costituzionali che disciplinano, seppur indirettamente, le attività che si svolgono in rete ed
esse entrano in gioco nella disciplina normativa della società dell’informazione e della
comunicazione perché, poiché tutto ciò che avviene in rete viene ricondotto ai concetti di
informazione e comunicazione, si deve partire necessariamente dagli articoli che
rappresentano i capisaldi della tutela.
Inoltre, oggi non si fa differenza tra comunicare e parlare con una persona, ma dal punto di
vista giuridico la differenza è fondamentale: comunicare con una persona significa affidare ad
essa in modo riservato il nostro pensiero, mentre parlare con una persona significa
condividere un pensiero con il quale altre persone potranno poi farci ciò che vogliono.
A fare la differenza tra art. 15 e 21 è la sensazione o l’animo della persona che comunica:
quando una persona intende comunicare con un’altra persona in modo bidirezionale e
soprattutto riservato e personale, ci ritroviamo sicuramente all’interno dell’art.15; quando
invece si vuole comunicare con una persona in modo multidirezionale e con la leggerezza di
chi sta dicendo una cosa che vuole far sapere anche agli altri, allora ci ritroviamo all’interno
dell’art.21.
Abbiamo bisogno di questa differenza perché l’art.15 è un articolo di grande protezione del
pensiero delle persone, al punto che si può affermare che ciò che viene detto in una
comunicazione art.15 non ha rilevanza giuridica e dunque ha un contenuto giuridicamente
irrilevante. Ciò significa che se si sta parlando con un amico al telefono, oppure scrivendo
qualcosa su una chat e si dice un qualcosa su una terza persona e l’amico invia lo screen della
conversazione su WhatsApp o glielo riferisce, codesta terza persona non mi potrà citare in
giudizio per qualcosa che avevo scritto in una comunicazione che è riservata e personale. Se
invece quella cosa che io scrivo in maniera riservata ad un amico, la dico in un bar dove tutti
mi possono ascoltare, o la scrivo in un post su facebook, o la dico in televisione ecc. allora
questo amico potrà querelarmi per diffamazione o calunnia, proprio perché ho offeso in
pubblico la sua dignità.
Dunque, il diritto cerca di tutelare anche quel nostro pensiero che noi in pubblico non
esponiamo, ma che sentiamo il bisogno di dire a persone di cui ci fidiamo.
I primi 3 articoli sui diritti 13, 14 e 15 della costituzione sono chiamati diritti dell’intimità,
ovvero che tutelano la persona nella riservatezza del proprio corpo, della propria casa e della
propria comunicazione riservata.
Inoltre, la legge ha dovuto creare il Revenge porn per cercare di bloccare il tentativo di
trasformare una comunicazione privata in una comunicazione pubblica e dunque la legge ha
stabilito un’eccezione alla regola generale in base alla quale le comunicazioni riservate e
personali non hanno conseguenze giuridiche. Ma proprio perché ormai il passaggio di chat
non poteva più essere qualificato come riservato e personale, il legislatore per evitare
equivoci ha messo per iscritto in una legge che se si diffonde un contenuto riservato e
personale, allora si sta violando una legge.
“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono
inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”
INTERCETTAZIONI
Dunque, si ascolta e si registra la telefonata di terzi, in modo da sapere cosa si sono dette
queste persone. Un privato non può mai intercettare la telefonata di un’altra privata:
l’intercettazione tra privati è reato perché è violazione dell’art.15 della costituzione. invece,
l’intercettazione posta in essere da un soggetto pubblico è lecita se rispetta questi tre requisiti:
Oggi non possiamo affermare che tutti siamo intercettati, ma possiamo mettere in campo la
possibilità di esserlo soltanto se si realizzano queste tre condizioni.
REATI PER INTERCETTAZIONE
• tutti i delitti non colposi (dunque dolosi) per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della
reclusione superiore nel massimo a 5 anni determinata a norma dall’art.4;
• delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a 5 anni determinata a norma dell’art.4;
• atti persecutori.
Inoltre, i reati di ingiuria (ed i successivi presenti in quel punto) sono atti persecutori: in
questo ambito rientrano tutte quelle ipotesi nelle quali è il soggetto utente telefonico che
chiede di mettere il proprio telefono sotto controllo. Dunque, in seguito ad una denuncia per
atti persecutori, si mette sotto controllo l’utenza della vittima, proprio per cercare di
individuare attraverso l’attività di intercettazione chi lo stia perseguitando e quindi in questo
caso abbiamo la particolarità in ci l’utente sa che il proprio cellulare è disposto sotto il
controllo.
Negli altri casi, invece, è necessario che l’utente non sappia di avere il telefono sotto
controllo e quindi da un punto di vista procedimentale, le intercettazioni sono molto
importanti in una prima fase dell’attività investigativa, quando la persona in questione non ha
ancora il sospetto di poter essere intercettata.
TIPOLOGIE DI INTERCETTAZIONE
1) diretta: è la più importante. Il PM indaga, si apre un fascicolo con ipotesi di reato che
prevede intercettazione e sono presenti alcune persone, informate dei fatti o sospettati,
che il PM decide di intercettare, previa autorizzazione del GIP. Quindi nel caso
dell’intercettazione diretta è già stato aperto il fascicolo (con ipotesi di reato) su quel
reato e tramite l’intercettazione si cerca di avere prove da portare poi nel processo.
2) indiretta: è quella telefonata che viene fatto verso un’utenza che è già sotto controllo per
un’altra ipotesi di reato, durante la quale si ha notizia di un nuovo reato e dunque di una
nuova ipotesi di reato. Dunque, l’intercettazione indiretta è casuale, ma che molto spesso
può far emergere reati che probabilmente non sarebbero emersi e non vale come prova nel
processo, ma viene utilizzata per aprire un fascicolo.
Questi tre tipologie hanno un problema: intercettano ore ed ore di conversazioni telefoniche,
ore in cui l’utente e chi lo chiama non commettono sempre e solo reati, ma parlano tra loro di
tantissime cose, esprimendo anche ipotesi su terze persone, le quali richiamano anche la
attenzioni dell’opinione pubblica, che si interessa non soltanto alle informazioni strettamente
legate al processo, bensì ma anche a tutto il resto che viene detto. Quando un fascicolo viene
chiuso e dunque quando le indagini vengono chiuse, il fascicolo viene messo a disposizione
delle parti interessate. Se esce qualche notizia prima che il fascicolo viene chiuso, si parla di
fuga di notizie ed è un fatto illecito; se invece la notizia viene resa nota dopo che viene
chiuso il fascicolo, allora non siamo di fronte ad un fatto illecito, bensì una delle parti che
aveva accesso al fascicolo lo ha reso noto ad un giornalista. Le parti che hanno accesso al
fascicolo sono il PM, l’avvocato difensore e tutti gli altri avvocati delle persone coinvolte.
Ovviamente tutte queste persone hanno interessi diversi a far sapere all’opinione pubblica
anche altri aspetti non legati al processo, ma che riguardano le persone coinvolte, ad esempio
per screditarle o al contrario dimostrare che sono brave persone.
Questa legge afferma che quando termina una fase istruttoria (le indagini) il PM si deve
assumere la responsabilità di dividere il contenuto delle intercettazioni che hanno rilevanza
nel processo, da quelle che invece non hanno rilevanza nel processo stesso. Questa seconda
parte non deve essere messa nel fascicolo, bensì deve essere conservata a parte per tutta la
durata del procedimento penale, m non può essere accessibile a chiunque, il PM assume
dunque un ruolo chiave, col fine di evitare che nelle intercettazioni si riportino delle frasi che
possono essere considerate espressioni sensibili da non riportare sul giornale.
• In modo diretto non può essere intercettato il parlamentare (anche i ministri), se non
viene chiesta prima l’autorizzazione alla camera alla quale egli appartiene. E se egli viene
intercettato in modo indiretto, non può essere utilizzata quella parte della telefonata, se non
si ha l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza;
• Il Presidente della Repubblica non può mai essere intercettato;
• L’avvocato difensore, quando parla con il suo assistito, non può essere intercettato.
FAKE NEWS.
Riguarda l’animo di chi la dice, dove ognuno focalizza l’attenzione su qualcosa, dando più̀
versioni diverse, stessa cosa quando noi assistiamo ad un fatto (partita, comizio, cronaca)
quando si ascoltano i testimoni si sa che, anche estranei al fatto, daranno una
rappresentazione del fatto diversa. La ricostruzione della verità̀ diventa un’operazione
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complessa perché́ , la verità̀ diventa la sommatoria degli eventi che si sono raccolti e alla fine
il quadro che emergerà̀ sarà̀ un quadro in cui avranno un punto fermo ma con piccole
differenze. Avremo dunque, alcuni elementi che saranno presenti in quasi tutte le
testimonianze che daranno l’idea presumibilmente vero, altri avremo contorni certi. Quando
si racconta un fatto, o esprime opinione su una persona che influenzata da alcuni elementi
di empatia, e quindi in parte sarà̀ influenzata dal proprio modo di rapportarsi. Ognuno di noi
ha una propria percezione della realtà̀ , la verità̀ come elemento oggettivo non esiste, essa
dipende dalla quantità̀ di informazioni che riusciamo ad immettere nel nostro processo
cognitivo ed espositivo.
Quando un giornalista racconta un fatto se stato testimone di quel fatto, lo racconterà̀ per
come l’ha visto lui, ma non detto che un altro giornalista lo racconterà̀ in modo
parzialmente diverso. Una fonte giornalistica attendibile è una fonte che dovrà̀ essere molto
attento ad individuare le proprie fonti per poter garantire un’attività̀ di informazione corretta.
Quando parliamo di libertà di stampa facciamo riferimento alla legge 8 febbraio 1948 n°47
Perché facciamo riferimento a questa legge? Perché dal 1948 il nostro legislatore non è più
riuscito ad approvare una legge sui sistemi dell'informazione. Solamente la giurisprudenza in
qualche modo ha cercato di adattare quelle regole che sono contenute nella legge del 1948 al
terzo millennio.
La legge del 8/2/1948 è una legge storicamente importante perché è una legge che è stata
approvata direttamente dell'Assemblea costituente nel gennaio del 1948, proprio poco prima
che l'Assemblea costituente interrompessi i propri lavori.
Perché Subito dopo, diciamo così, la fine dei lavori dell'Assemblea costituente furono
convocate le elezioni per il primo Parlamento della Repubblica italiana, si andò a votare ad
aprile. Certamente non si poteva fare campagna elettorale più la stampa non avrebbe potuto
informare i cittadini sulla base della legge approvata nel periodo fascista. Perché quella legge
era una legge “liberticida” (la legge sulla stampa che era che veniva utilizzata durante il
periodo fascista, prevedeva la censura prevedeva le autorizzazioni prevedeva il divieto di
quei giornali che esprimevano un pensiero contrario rispetto al regime) quindi esattamente
l'opposto di quello che dice la Costituzione italiana del 1948.
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LEGGE SULLA STAMPA 8 FEBBRAIO 1948, N.47
“sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche
o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla
pubblicazione”.
Nell’ottica del costituente si faceva riferimento ad un giornale che avesse una fisicità e che,
come tutte le cose fisiche, fosse destinata a durare un tempo limitato.
In inglese, “news”, si comprende che la notizia è un qualcosa di nuovo, attuale, che passato il
momento in cui si verifica o in cui la raccontiamo, diventa insignificante poiché non tutto ciò
che accade nel mondo diventa storia.
Sicuramente oggi la nozione di stampa non è più legata all’elemento materiale; restano
invece gli obblighi contenuti nell’articolo 2 della legge del 48: un giornale non deve essere
considerato clandestino; di fatto, uno dei due reati per il quale si può procedere al sequestro
degli stampati è la clandestinità. Consideriamo un giornale clandestino per il fatto che non si
è registrato presso il tribunale e non ha indicato gli elementi considerati dalla legge
considerati. Premesso che i giornali non vengono autorizzati, si afferma che essi devono
essere registrati perché l’opinione pubblica e le persone eventualmente danneggiate dalle
notizie pubblicate, devono sapere a chi rivolgere le proprie lamentele e dunque capire chi
devono querelare ed a chi devono chiedere il risarcimento del danno.
“ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il
domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore”.
Il luogo di un giornale cartaceo non è la sede legale del giornale stesso, bensì la tipografia;
la sede legale del telegiornale non è dove esso viene registrato, bensì dove ha la sede legale
l’emittente televisivo; infine, il luogo del giornale online è la sede legale del giornale.
La data o anno della pubblicazione: il giornale ci deve dire qual è la sua periodicità (se è
un libro ci interessa l’anno), dunque ogni quanto tempo esso esce. Ci interessa sapere la
periodicità perché dobbiamo sapere se quei fogli sui quali è pubblicata una certa notizia sono
effettivamente stati pubblicati da quel giornale e quindi non c’è stato qualcuno che
falsificando quel giornale abbia pubblicato una notizia che non rientra nel giornale stesso.
Il nome ed il domicilio dello stampatore subentrano soltanto nel caso del giornale online,
mentre il nome dell’editore (proprietario) viene indicato perché egli è il proprietario del
giornale ed è dunque colui che si dovrà assumere la responsabilità per il risarcimento dei
danni provocati dalla pubblicazione di una notizia sul suo giornale. L’editore è quindi
equiparabile ad un proprietario di un’impresa, ad un imprenditore.
Inoltre, il giornale ha un nome, che in alcuni casi è anche associato ad un colore. In questi
casi, quindi, il segno distintivo di un giornale non è soltanto un nome, bensì anche il colore
ad esso legato. Poiché il giornale è un’impresa, l’informazione è gestita da soggetti privati
che gestiscono questa attività in forma di impresa, subendone il rischio; questa impresa, poi,
deve presentare dei caratteri distintivi, ovvero la proprietà, il nome, il luogo e la data.
Questi elementi (nome, luogo, data, direttore responsabile ed editore) sono elementi
fondamentali per richiedere la registrazione nel giornale.
Il giornale si registra presso tribunale competente per territorio, rispetto al luogo che viene
indicato tra gli elementi costitutivi del giornale. Quindi il giornale si registra nel luogo dove
viene materialmente stampato.
Il tribunale può rifiutare la registrazione solo se manca uno degli elementi fondamentali; non
si tratta di un’autorizzazione, bensì di registrare in un registro pubblico il giornale con i suoi
elementi fondamentali. La registrazione è un obbligo, essa non si può rifiutare, se non per il
motivo sopra citato (mancanza di uno degli elementi) e il registro è pubblico.
La stampa in qualsiasi stato liberale e democratico è sempre stata una stampa plurale e
soprattutto gestita da imprenditori privati; in Italia non c’è mai stato un giornale pubblico e
dunque si può affermare che esso è un’impresa che segue le regole del diritto privato.
Queste persone decidono di fare gli imprenditori editoriali perché i giornali sono ancora oggi
il più importante strumento di formazione dell’opinione pubblica ed è dunque il mezzo
mediante il quale un editore cerca di offrire ai lettori che compreranno il suo giornale, il suo
punto di vista sulla realtà.
Inoltre, così come l’imprenditore nella propria impresa da l’indirizzo di quello che si deve
produrre e di quanto si deve produrre, dunque detta le linee generali, così l’editore detta la
linea editoriale. La linea editoriale è realizzata dal direttore responsabile, il quale è all’interno
dell’impresa editoriale il vertice: è lui che coordina i giornalisti.
La legge è chiara, ogni giornale deve avere un direttore, denominato direttore responsabile.
“Responsabile” significa che sarà lui a dover rispondere in giudizio per tutte le querele che
verranno rivolte al giornale e proprio per questo motivo la legge è molto restrittiva: il
direttore del giornale non solo deve essere giornalista, ma deve essere cittadino italiano o al
più cittadino europeo e deve essere iscritto nella lista elettorale e dunque deve avere
l’elettorato attivo e passivo. Quindi se per qualche motivo un giornalista, un direttore di
giornale perde la capacità elettorale (perde il godimento dei diritti politici per una particolare
sentenza e per un periodo di tempo), non potrà essere in quel periodo un direttore
responsabile.
Innanzitutto, c’è da affermare che su ogni giornale, ogni giorno sono pubblicati una serie di
articoli, di notizie, le quali sono scritte da singoli giornalisti, devono essere lette
preventivamente dal direttore del giornale, il quale esercita su questi articoli scritti dai
giornalisti che sono dipendenti del giornale, un duplice controllo:
• deve verificare che il contenuto dell’articolo non sia in contrasto con la linea editoriale del
giornale;
• deve controllare che l’articolo contenga una notizia veritiera (o almeno la fonte deve essere
attendibile), che sia scritta con un linguaggio adeguato e che riguardi un fatto di interesse
pubblico. Questi 3 elementi, secondo la Cassazione, si devono sempre ritrovare nel diritto
di cronaca.
Molto spesso, invece, si legge che le notizie vengono smentite: ciò significa che il giornale
deve ammettere che la fonte sulla quale ha basato la propria notizia, sia una fonte in quel
momento non attendibile.
Dunque, il direttore responsabile ha il compito di verificare che una notizia scomoda, emessa
da un giornale, sia blindata e che il giornale (anche se verrà querelato), non verrà condannato
a risarcire il danno alla persona che si è sentita offesa.
1) responsabilità per omesso controllo: sorge nel momento in cui egli non controlla
l’articolo del giornalista che si è rivelato non veritiero;
2) co-responsabilità: sorge nel momento in cui egli stesso ha scritto l’articolo e quindi
risponde della condanna in quanto autore o co-autore dell’articolo;
3) Responsabilità per articolo anonimo: sorge quando il direttore del giornale risponde in
prima come giornalista per gli articoli anonimi che pubblica sul suo giornale. Anonimi
nel senso che a volte può capitare che in alcuni articoli giornalistici non è presente la
firma del giornalista. Nel caso in cui è presente la firma, il giornalista si prende la
responsabilità di quello che scrive ed il direttore responsabile si assume la
responsabilità del controllo.
Invece, nel caso in cui la firma del giornalista non è presente, è come se quell’articolo fosse
stato scritto del direttore stesso, perché c’è bisogno che qualcuno si assuma sempre la
responsabilità penale dei reati che vengono commessi a mezzo stampa. Se la persona
danneggiata richiederà il risarcimento del danno, questo verrà pagato dall’editore.
Inoltre, l’automaticità si ha nel momento in cui un giornalista viene condannato per un reato,
non è possibile che il giudice possa solo dare la pena detentiva. Il giudice deve valutare se
dare una pena detentiva o una pecuniaria, perché sussistono reato e condanna, ma il carcere
per la manifestazione di un’idea di un giornalista deve sempre essere valutato con molta
attenzione.
L’art.16 della legge n.47 del 1948 qualifica come clandestina quello stampato che viene
distribuito ma per il quale non ci sia stata registrazione o ci sia stata registrazione falsa.
TESTATA GIORNALISTICA TELEVISIVA
Nel ‘48 si parla solo di stampa cartacea e all’inizio dell’attività televisiva i telegiornali
venivano considerati una sorta di spettacolo. Agli inizi della televisione (che era solo
pubblica), chi leggeva le notizie del giornale molto spesso non era giornalista, perché anche il
telegiornale era inquadrato all’interno del concetto di spettacolo, si stava semplicemente
riportando una notizia o un fatto senza dare ad essi nessun significato ulteriore oltre a quello
di informare le persone. Si utilizzava dunque una sorta di neutralità, la quale poteva essere
espressa anche da un non giornalista; ad essere giornalisti, invece, erano i componenti della
redazione, ovvero coloro che fabbricavano la notizia.
Nel ’69 vi fu la diretta televisiva dello sbarco sulla luna ed in quel caso il giornalista deve
effettuare una cronaca “intensa”; dunque, si sente sempre di più l’esigenza che anche i
telegiornali abbiano una propria connotazione giuridica e si arriva all’approvazione della
legge 14 aprile 1975, n.103.
Questa legge stabilisce che i telegiornali vengano equiparati ai giornali e che quindi come i
giornali debbano registrarsi. Naturalmente cambia il mezzo, passando da un giornale
cartaceo, il quale il giorno dopo non ha più nessun valore informativo, ad una trasmissione
televisiva con una durata specifica e delle quale dopo non reta più traccia, se non negli
archivi televisivi.
• luogo: dove ha la sede legale l’emittente televisiva e quindi a differenza del giornale, il cui
luogo è la tipografia, il telegiornale si deve registrare presso il tribunale competente per
territorio rispetto alla sede legale dell’emittente televisiva;
• direttore di rete: anche i tg hanno un direttore responsabile che la legge individua nel
direttore della rete televisiva. Il direttore della rete televisiva è anche il direttore del
telegiornale della rete. In realtà, il direttore di una rete televisiva deve assumersi il tempo e
l’onere di leggere tutte le notizie che verranno poi lette al tg. Anche se queste notizie poi
verranno lette, esse sono pur sempre notizie e quindi la redazione prepara delle notizie che
potrebbero essere tranquillamente pubblicate sul giornale, solo che invece di essere messe
per iscritto, vengono esposte durante il tg. Quindi il direttore di rete non ha il tempo e
molto spesso non ha le competenze, poiché non è detto che il direttore di una rete
televisiva sia giornalista: molto spesso è un manager che si occupa più di intrattenimento,
invece che di giornalismo. Quasi sempre il direttore della rete delega ad un giornalista le
funzioni di direttore responsabile del tg e quindi la figura del direttore del tg è una figura
non obbligatoria, perché basta che ci sia il direttore di rete, e dal momento in cui si assume
la responsabilità dei contenuti del tg per contratto e non per legge, lo farà in forza di un
accordo contrattuale. Quindi mentre nel caso del direttore di un giornale cartaceo, si sa che
per legge egli è il direttore responsabile e quindi si sta assumendo la responsabilità di ciò
che si sta pubblicando sul giornale, il direttore del tg esiste in quanto all’interno
dell’organizzazione della rete televisiva si decide di affidare ad una persona specifica,
ovvero un giornalista, la qualità di direttore del tg e quindi questa persona che viene
nominata, viene anche delegata, per contratto e non per legge, questa responsabilità.
4) Talk show politico: programmi con ospiti in studio (ed eventualmente anche pubblico)
che dibattono argomenti vari con un intrattenitore che media tra i vari interventi per
animare la conversazione. Un talk show può essere di spettacolo, calcistico, politico, ma
non è detto che il conduttore/mediatore debba essere un giornalista;
Dunque mentre il tg rientra sicuramente all’interno della legge del 1975 ed è sempre attività
giornalistica, per tutti i programmi di intrattenimento televisivo che vediamo quotidianamente
è una scelta del format: se vuole essere attività di intrattenimento, sapendo che a quel punto la
libertà sarà limitata, oppure essere attività di approfondimento giornalistico (quindi
giornalismo), ma a quel punto la responsabilità si accentua, proprio perché non siamo più
nell’ambito dell’intrattenimento, bensì in quello della libertà di manifestazione del pensiero.
In rete non c’è la stessa possibilità di distinguere ciò che è informazione professionale e ciò
che non è informazione professionale, come invece si può fare per la stampa cartacea, la
quale è sempre informazione professionale, il tg e le trasmissioni di intrattenimento.
I siti internet molto spesso hanno la forma del giornale, un nome, confezionano gli articoli
come se fossero un giornale (forse sono un giornale), e proprio qui è presente la grande
particolarità dell’informazione professionale in rete perché l’unica norma presente fino a
questo momento contenuta nel decreto legislativo 70 del 2003 non prevede l’obbligo per i
giornali online di registrarsi. Mentre il giornale cartaceo deve registrarsi, perché se non lo fa
rientra nella stampa clandestina, per il giornale online non vale la stessa regola e quindi un
sito può decidere di fare informazione essente dentro sé stesso di essere un giornale senza
bisogno di dover adempiere a tutte quelle formalità previste nella legge del 1948.
Ma può anche decidere di farlo: non è presente l’obbligo, o meglio c’è l’obbligo per un sito
di informazione di registrarsi come giornale soltanto se ha un fatturato annuo superiore ai
100.000 euro (e questo è l’unico caso in cui c’è l’obbligo). In tutti gli altri casi c’è la libertà
di registrarsi.
Un giornale online, però, può decidere di registrarsi quando non vuole correre il rischio di
essere sequestrato; di fatto, tutti i siti posso essere sequestrati con atto motivato dall’autorità
giudiziaria.
Nel caso del giornale online registrato, gli articoli non si cancellano, nel caso in cui una
persona si senta diffamata da ciò che viene scritto: al massimo il giudice, se da ragione alla
persona che si sente diffamata, può obbligare il giornale a pubblicare una rettifica. Se invece
il giornale non è registrato, nel momento in cui io presento querela, il mio avvocato chiederà
anche una misura “cautelare”, ovvero il sequestro del sito al fine di evitare che quella
diffamazione presente su quel sito continui ad essere visibile fino a quando non finirà il
processo.
Dunque la garanzia di un giornale online registrato, rispetto a uno non registrato, è molto
diversa, perché quello registrato resiste a qualsiasi interferenza da parte del giudice, perché
egli può provvedere al sequestro soltanto se il sito manca di qualche elemento della
registrazione: nel caso in cui il sito non è un giornale registrato, il giudice potrà valutare
come preminente la mia esigenza di essere ancora diffamata da quell’articolo e quindi
sequestrare il sito, oppure l’articolo pubblicato.
Inoltre, oltre alle varie garanzie, se un sito online è un giornale registrato, egli potrà
richiedere un finanziamento pubblico, come fanno i giornali cartacei, ma questo significa
anche indicare non soltanto il nome, ma anche luogo, periodicità, direttore responsabile ed
editore. Secondo ciò che è previsto dalla normativa italiana che ha dato attuazione al comma
5 dell’art.21, un giornale online deve anche indicare le fonti di finanziamento, perché su
questo l’Italia ha fatto una scelta precisa: esiste una legge che obbliga i giornali ad indicare
ogni anno quali sono le loro fonti di finanziamento proprio per capire chi paga la pubblicità
del giornale, chi sovvenziona il giornale.
Dunque, anche questo è un modo per controllare come la linea editoriale di un determinato
giornale sia influenzata da interessi diversi che molto spesso sono di tipo economico.
Quindi un giornale online si registra se vale essere tutelato, ma sa di avere questi obblighi; se
è registrato, deve avere un direttore responsabile e oggi la giurisprudenza ci dice che egli ha
la stessa responsabilità del direttore di un giornale cartaceo, con una differenza: risponde
soltanto dei contenuti scritti dalla redazione, non anche dei commenti degli utenti.
Si può poi affermare che è difficile stabilire la periodicità di un giornale online, ma essendo
un giornale, deve indicarla. Quando si stabilisce nella registrazione la periodicità, bisogna
indicare anche per quanti giorni la notizia resta pubblicata sul giornale online;
successivamente tale notizia va nell’archivio del giornale online.
La particolarità della sezione archivio di un giornale online registrato rispetto a qualsiasi altro
archivio è che questa sezione non è indicizzabile nei motori di ricerca: quando una notizia
pubblicata su un giornale online termina il suo periodo e finisce in archivio, si potrà
recuperare soltanto in archivio e non mediante il motore di ricerca. Questo a tutela del diritto
all’oblio delle persone, altrimenti queste notizie rimarrebbero in circolazione sempre, senza
distinzione del momento in cui sono accadute sembrerebbero sempre attuali.
Infine, sul giornale online non esiste la rettifica perché di solito per quando chiediamo al
giornale di rettificare, è già passata anche la periodicità del giornale stesso e la notizia è già
finita nell’archivio. In questo caso la regola è che se un giudice chiede al giornale di
rettificare la notizia, essa viene rettificata all’interno dell’archivio insieme alla notizia
originale.
IMPRESA EDITORIALE
L’impresa editoriale è un’impresa a tutti gli effetti (molto spesso in forma di società) ed
essendo un’impresa a tutti gli effetti ha un proprietario, ha una organizzazione aziendale che
vede al vertice il direttore responsabile ed ha una serie di dipendenti. Questi dipendenti, che
sono lavoratori dipendenti a tutti gli effetti, sono però dipendenti che svolgo una funzione che
il nostro ordinamento giuridico ritiene di particolare importanza. I giornalisti che scrivono sul
giornale hanno la funzione fondamentale di informare l’opinione pubblica. Hanno bisogno
quindi di alcune garanzie, nei confronti del loro stesso datore di lavoro, che possano garantire
che la persona possa sia liberarsi velocemente di un rapporto di lavoro che non è più
soddisfacente, sia li renda sufficientemente liberi di svolgere la loro attività.
Ogni giornale ha una linea editoriale, quindi in ogni giornale i giornalisti che vi lavorano
sono lì perché condividono la linea editoriale di quel giornale. Un giornalista che si è formato
in una certa scuola di giornalismo, che ha una certa visione di quello che è l’interesse
generale, difficilmente potrà lavorare in un giornale che segue una linea editoriale
completamente opposta.
I Mass media di informazione sono 3:
• Giornale cartaceo
• Telegiornale,
• Giornale on line, e uguale però è la figura del giornalista che vi lavora.
I giornalisti nel nostro paese, anche da un punto di vista giuridico, sono in primo luogo dei
professionisti, vuol dire che non si può svolgere l’attività di giornalista professionista se non
si è conseguita l’abilitazione e non ci si è iscritti all’albo dei giornalisti. Noi siamo tra i pochi
paesi al mondo che hanno l’albo dei giornalisti, cioè che considerano i giornalisti
potenzialmente dei liberi professionisti.
Il giornalista che deve frequentare una scuola apposita, oppure fare il giornalista praticante
per almeno 2 anni, prende quest’abilitazione e poi può decidere se fare il giornalista di un
giornale, telegiornale, ecc., oppure fare il freelance, ossia il giornalista che per necessità
decide di svolgere la propria attività professionale in modo autonomo, da libero
professionista e non dipendente di un giornale e poi vendere gli articoli di giornale o i propri
servizi fotografici (il giornalismo si esprime anche attraverso servizi fotografici) ai giornali
che siano diversi o sempre lo stesso.
Molto spesso dietro il freelance si nasconde un giornalista che pur lavorando stabilmente per
un giornale non è stato assunto regolarmente da quest’ultimo. La figura di freelance può
avere sia l’aspetto romantico di chi decide di essere libero nelle inchieste e nei reportage
fotografici che fa e poi li vende ad uno o più giornali (giornalisti di inchiesta, di guerra), ma
accanto a questo aspetto romantico si nasconde un’altra realtà che è quella dei giornalisti che
di fatto lavorano alla dipendenza di un giornale, ma nella forma hanno un rapporto di
collaborazione freelance con questo giornale.
Anche il direttore è un giornalista, quindi anche lui deve essere iscritto all’ordine del
giornalista, deve essere cittadino italiano o europeo, è un dipendente del giornale, è il vertice
dell’impresa, ed ha delle responsabilità sue proprie, la più importante è quella per omesso
controllo (i giornalisti scrivono gli articoli e lui deve controllarli prima di pubblicarli); ma ha
anche forme di responsabilità tutte sue come la co-responsabilità, ossia quando scrive e firma
un articolo insieme ad un altro giornalista; e poi ha responsabilità diretta, ossia quando scrive
direttamente lui un articolo o quando decide di pubblicare un articolo sul giornale senza
firma, che in questo caso è come se lo avesse scritto lui.
Responsabilità dell’editore
L’editore, come qualsiasi imprenditore, è responsabile del risarcimento del danno; quindi, se
vi è la violazione di un diritto, che viene sanzionato da un giudice (diffamazione,
calunnia…), quindi se il giornale viene condannato al risarcimento di un danno a qualcuno,
questo risarcimento non lo paga il giornalista, non lo paga il direttore del giornale, ma lo paga
l’editore. Questa non è una particolarità del giornale, ma è tipico di qualsiasi amministrazione
e impresa privata. Quindi sia nel settore pubblico sia nel settore privato, per l'errore del
dipendente, sul piano civile risponde sempre il proprietario; quindi, l'editore dovrà rispondere
economicamente del danno che è stato provocato dal proprio dipendente.
In che cosa la lo status del giornalista si differenzia da quello degli altri lavoratori? In che
cosa presenta dei diritti tutti i suoi?
Il diritto che forse più conosciamo è il cosiddetto diritto di cronaca, critica e satira. Il lavoro
del giornalista è quello di raccontare, raccontare un fatto che è accaduto, raccontare un
personaggio ad esempio le interviste, descrivere, cercare di capire politicamente,
calcisticamente culturalmente come sta cambiando la società. In alcuni casi si parla di fatti
realmente accaduti in altri casi si parla più che altro di sensazioni, di cambiamenti in atto e
quant'altro.
DIRITTO DI CRITICA
Tutti noi siamo liberi di esprimere liberamente il nostro pensiero, ma tutti noi siamo
consapevoli che dobbiamo anche stare attenti a che il nostro pensiero non venga considerato
offensivo o lesivo di un proprio diritto da parte di qualcun altro. Questo perché tutti i diritti
devono essere bilanciati, quindi il mio diritto di parola non può sopprimere il diritto alla
dignità di un'altra persona. Per il giornalista le cose cambiano perché il giornalista deve avere
la possibilità di essere pungente, deve avere la possibilità di raccontare il fatto per come egli
lo vede e non per come qualcuno gli chiede di vederlo; quindi, deve raccontare la realtà nel
modo più vicino alla realtà stessa che gli è possibile.
Se i giornalisti avessero la stessa libertà di manifestazione del pensiero che abbiamo tutti noi,
di fatto non potrebbero fare il giornalista, perché nel momento stesso in cui vanno a
raccontare delle opinioni di persone, che vogliono dare la migliore immagine di sé, e invece il
giornalista ha scoperto degli aspetti del carattere della vita di questa persona, che non sono
proprio così limpidi, ebbene se il giornalista avesse la stessa libertà di pensiero di uno di noi,
non avrebbe possibilità di raccontarle.
Un giornalista per essere giornalista deve essere pungente, deve andare a raccontare anche
cose che gli interessati non vorrebbero raccontare.
Partiamo dal diritto di cronaca: La Corte di Cassazione ci dice che il diritto di cronaca
deve presentare tre elementi: veridicità, continenza, pertinenza. Ci dice che quando un
giornalista racconta un fatto o racconta un personaggio, lo deve fare in modo veritiero.
La Cassazione non parla di verità, ma parla di verità putativa, cioè parla di veridicità.
Qual è la differenza? La verità non esiste, cioè la verità come elemento oggettivo non esiste,
perché ciascuno di noi vede la realtà dal proprio punto di vista, anche se guardiamo tutti nella
stessa direzione, il nostro occhio coglierà elementi diversi rispetto all’altro. Quando due
persone si trovano a vivere la stessa esperienza, quindi ad assistere allo stesso fatto, ognuno
di loro la percepirà con elementi diversi. La Cassazione, nello scrivere quello che si
chiama il decalogo del giornalista, dice che noi non possiamo chiedere al giornalista la verità
assoluta, ma gli possiamo chiedere soltanto la verità putativa o veridicità, ossia dobbiamo
chiedergli di raccontare il fatto per come lo ha visto senza travisarlo.
Deve raccontare la personalità che sta intervistando senza travisarla, cercando di attenersi il
più possibile alle parole che ascolta, tant'è vero che quando un giornalista intervista qualcuno
e vuole proprio riportare delle parole che questa persona ha detto, le mette tra virgolette.
C'è poi un altro aspetto: il giornalista potrebbe non avere assistito personalmente al fatto e
allora in questo caso la veridicità è assicurata dall'attendibilità della fonte, cioè il giornalista
deve verificare che la persona che gli ha raccontato il fatto sia un testimone attendibile, cioè
sia una fonte seria che non ha interesse a travisare la realtà. Quindi primo elemento del
diritto di cronaca è la veridicità: se un giornalista dimostra di essersi comportato
correttamente sul piano della veridicità non può essere condannato per un reato di opinione.
CONTINENZA
Il giornalista deve usare un linguaggio adeguato: deve usare un linguaggio ordinato, non
sopra le linee, senza espressioni forti, parolacce, ma anche che lo deve fare in modo
imparziale, cioè deve fare in modo che chi lo ascolta non riesca a percepire il giornalista che
opinione personale ha, perché è vero che il giornalista attraverso il diritto di cronaca, critica e
satira esercita il proprio diritto alla manifestazione del pensiero, ma lo deve fare secondo le
regole del diritto di stampa.
PERTINENZA
Elemento più importante: il giornalista deve raccontare fatti che siano di pubblico interesse;
quindi, deve raccontare la realtà di oggi e quindi il suo articolo deve essere pertinente. La
pertinenza è l'elemento più importante del diritto del giornalista. Il giornalista non può
raccontare fatti che non interessano a nessuno, non può raccontare i fatti che sono accaduti
dieci anni fa, se questi fatti non sono tornati di attualità.
Quindi non può utilizzare la sua libertà di manifestazione del pensiero per ragioni sue
personali. Il giornalista non può parlare di chi gli pare, non può andare a cercare fatti se
questi fatti non hanno o potranno avere un interesse pubblico, altrimenti la persona che viene
chiamata in causa potrebbe lamentarsi del fatto che il giornalista abbia usato il suo potere per
ragioni personali.
Perché il giornalista ha un potere? Perché quello che leggiamo sul giornale, quello che
sentiamo al telegiornale, quello che leggiamo su un giornale online viene letto grazie a questi
mezzi da tantissime persone, le quali le leggono nell'ottica della attendibilità che deriva dal
fatto che a dirlo è un giornalista; perché se a dirlo sono io e allora quella è una mia opinione e
come tutte le opinioni vale uno, se invece ad esprimere quell'opinione è un giornalista, c'è
qualcuno che dice qualcosa, che racconta un fatto per mestiere e che quindi conosce bene la
realtà, a quel racconto, a quella notizia diamo un valore superiore a uno, quanto più
autorevole il giornalista tanto più noi ci crediamo.
Nel diritto di cronaca devono coesistere tutti e tre gli elementi: veridicità, pertinenza e
continenza.
Quale di questi tre elementi perdiamo nel passaggio al diritto di critica? La continenza.
Nella critica siamo un po' più sopra le righe, manifestiamo di più la nostra opinione,
perdiamo la nostra imparzialità, ma lo dobbiamo fare sempre raccontando un fatto in modo
veritiero e pertinente, cioè attuale. Quindi se un giornalista intervistando un'altra persona
cerca di metterlo in difficoltà, quindi comportandosi in modo critico, non lo può fare su fatti
che non sono di interesse pubblico o alterando la realtà, lo deve incalzare sempre su fatti di
interesse pubblico e che hanno un fondo di verità, quindi che sono veritieri.
Nel diritto di satira perdiamo la veridicità. In una vignetta tutto viene trasfigurato, ma noi
dobbiamo però essere consapevoli che questa trasfigurazione si basa su un fatto che
realmente accaduto e che è di interesse pubblico in questo momento.
Ricapitolando il primo diritto del giornalista sono in realtà tre diritti: diritto di cronaca,
critica e satira. Il giornalista ha il diritto e anche il dovere di raccontare la realtà, di
raccontare l'attualità, e a seconda che stia esercitando il diritto di cronaca, di critica e di satira
dovrà rispettare i tre elementi, i due elementi, e un solo elemento, che sono stati individuati a
partire dal 1984 dalla Corte di Cassazione in quello che viene definito il “decalogo del
giornalista”.
DIRITTO AL SEGRETO PROFESSIONALE
Perché nel caso del giornalista noi lo qualifichiamo come diritto? Lo qualifichiamo come
diritto del giornalista a poter gestire le proprie fonti nel modo che ritiene più utile. Il segreto
professionale del giornalista riguarda le fonti, le proprie fonti. Ogni giornalista tende di
regola a non dire mai quali sono le loro le sue fonti, le vuole tenere per sé e sono un
patrimonio professionale non indifferente.
La fonte per un giornalista è sicuramente un diritto nella misura in cui ha il diritto di tenerla
segreta, con le due eccezioni, il giornalista ha anche il diritto di rivelare la propria fonte
qualora questo sia necessario per di discolparsi di un'accusa. Il giornalista ha il diritto di
tenere segrete le proprie fonti, ma anche il diritto di rivelarle qualora rivelarle sia necessario
per lui per potersi difendere da un'accusa. Lui ha il diritto a non rivelarle, ma c'è un ambito
nel quale le fonti di un giornalista possono essere particolarmente preziose, soprattutto se il
giornalista è un giornalista di inchiesta e quindi il giornalista potrebbe aver intervistato delle
persone molto a conoscenza di fatti sui quali sta indagando la magistratura, potrebbe essere
entrato in possesso di documenti che potrebbero essere molto utili in un'inchiesta penale, e su
questo noi abbiamo molte sentenze da parte della magistratura, che cercano di bilanciare il
diritto al segreto professionale del giornalista e il diritto della comunità di indagare su
determinati fatti.
Nelle massime di due sentenze della Cassazione in una si dice che ci deve essere
proporzionalità tra segreto professionale e accertamento dei fatti oggetto di indagine penale e
in questo caso ci può essere l'ordine del giudice al giornalista di mostrare le proprie fonti, ma
questo ordine deve essere un ordine motivato, cioè deve essere specificato che quello è
l'unico modo per poter arrivare alla realtà; e l'altra massima riguardo il caso del sequestro
della memoria di un computer di un giornalista, è possibile soltanto se il giudice, che ordina il
sequestro, riesce a dimostrare che in quel caso, in quel computer non c'è nulla che riguardi il
segreto professionale del giornalista, ma sempre facendo in modo di non compromettere il
diritto del giornalista alla riservatezza delle proprie fonti.
Opinione personale della prof.: i giornalisti fanno i giornalisti, gli investigatori fanno gli
investigatori, quindi noi non possiamo sacrificare la capacità di informare di un giornalista e
quindi la sua capacità di avere le fonti perché chi sta indagando su una questione non è in
grado di trovare da soli le fonti; è capitato molte volte che giornalisti hanno posto il segreto
professionale davanti alla richiesta del giudice di dire loro come erano riusciti ad
intervistare un capomafia, piuttosto che un camorrista, piuttosto di un passato un terrorista,
e la difesa di questi giornalisti è stato che così come c'erano riusciti loro, anche gli
investigatori potevano riuscirci allo stesso modo, e in più e questo poi ha fatto sì che mai si
sia chiesto di rivelare la fonte in questi casi così delicati, rivelare la fonte significa mettere la
fonte stessa in pericolo di vita. Quindi i giudici non hanno mai potuto fino in fondo obbligare
un giornalista a rivelare in questi casi le proprie fonti, proprio perché rivelare le proprie
fonti avrebbe messo i testimoni, gli informatori dei giornalisti, le fonti dei giornalisti, in
grandissimo pericolo.
No, anche in questo caso, proprio perché noi sappiamo che il segreto di Stato è un vincolo
per i magistrati ed è un vincolo per l'opinione pubblica in generale; quindi, se un giornalista
acquisisce informazioni coperte da segreto di Stato ne deve rispondere, cioè ne deve
rispondere davanti alla magistratura perché si tratta di una acquisizione fraudolenta di
informazioni. Una volta che il giornalista le ha divulgate conta poco che verrà condannato per
acquisizione fraudolenta di queste informazioni, e che quindi non possa essere coperto dal
principio dell'attendibilità dal segreto professionale, quindi dall’attendibilità della fonte,
ormai le ha rivelate.
Il segreto di Stato è un modo per alterare la verità e quindi diciamo così se un giornalista
riesce ad acquisire informazioni coperte da segreto di Stato, sicuramente per lui arriverà una
condanna penale, ma l'effetto mediatico che questo avrà lo ripagherà diciamo così della
condanna che inevitabilmente dovrà poi subire.
Nel caso in cui una fonte rivelasse queste informazioni durante il processo, sarebbe
condannata la fonte o il giornalista? Dobbiamo immaginare questa situazione c'è un
processo, in questo processo o il pubblico ministero o la difesa portano quale testimone il
giornalista, perché il giornalista in un proprio articolo ha parlato di quel fatto in un modo che
è interessante, o per il pubblico ministero, o per la difesa, o per le parti civili. Se il giornalista
rifiuta di rivelare la propria fonte, il giudice può accettare il suo rifiuto ritenendo che quello
che gli viene chiesto è coperto dal suo segreto professionale, oppure può ordinare al
giornalista di rivelare chi gli ha detto queste cose e di consegnare i documenti che danno
testimonianza di quello che lui ha scritto nell'articolo. Se arriva questo ordine del giudice,
questo ordine però deve essere adeguatamente motivato, quindi abbiamo come si dice in
diritto l'inversione della prova, è il giudice che deve dimostrare perché vuole violare il diritto
del giornalista al segreto professionale. Quindi il giudice che deve dire che non esiste un altro
modo per conoscere i fatti se non facendoseli dire o facendoseli consegnare dalla fonte del
giornalista.
DIRITTO DI POTERSI DIMETTERE LIBERAMENTE
Il terzo diritto del giornalista è un diritto diciamo così di natura economica, che si lega
fortemente alla libertà di informazione del giornalista.
Cosa intendiamo per libertà di coscienza? Consiste nel diritto del giornalista a dimettersi
senza dare preavviso.
Perché il giornalista può decidere di andarsene? Decide di andarsene perché ad esempio gli
hanno fatto un'offerta migliore di un'altra in un altro giornale, oppure decide di andarsene
semplicemente perché il suo direttore del giornale non gli pubblica più gli articoli, perché
ritiene ad esempio che non sono in linea con la linea editoriale del giornale. Questo può
capitare a volte quando il giornale viene venduto ad un altro editore che potrebbe non avere
la stessa linea editoriale del precedente. Quindi il giornalista dipendente potrebbe trovarsi
nella condizione di non essere più a suo agio nel giornale, se ne accorge per il fatto che gli
cambia l'editore, cambia il direttore responsabile e lui non riesce più a vedersi pubblicati i
suoi articoli. Come tutti, il giornalista può dimettersi senza preavviso, come per tutti i
dipendenti privati anche il giornalista può dimettersi senza preavviso, ma nel suo caso egli
non avrà nessuno svantaggio economico perché il giornale gli dovrà pagare per intero lo
stipendio del mese in corso, e dovrà anche diciamo così pagargli tutta la liquidazione che gli
spetta.
Può capitare che un giornalista dia una notizia e qualcuno gli segnali che questa notizia è
“sbagliata”. Ad esempio: avere abbinato una fotografia ad un nome e cognome sbagliato,
potrei aver detto una cosa ricostruendo il curriculum di una persona che invece non è vera, e
oppure potrei avere proprio detto di una persona qualcosa che questa persona ritiene
assolutamente non vera.
Quando viene pubblicata una notizia, o viene data sul giornale una notizia, o viene
pubblicato su un giornale online una notizia, che riguarda qualcuno e questo qualcuno ritiene
che quella notizia non sia corretta chiede al giornale al telegiornale o al giornale online di
rettificare i tre mass media che vi ho citato.
Il giornale cartaceo: si può chiedere una rettifica al giornale cartaceo sia se quello che il
giornale cartaceo ha scritto non è vero, sia se l'interessato lo considera non vero, quindi sia
che hanno detto una cosa sbagliata del curriculum e quindi io scrivo al giornale, oppure ad
esempio il giornalista potrebbe scrivere che Anna Papa è diventata un professore
universitario solo grazie e a una serie di congiunture favorevoli senza dire quali, lasciando
quindi intendere chissà come questo sia avvenuto. Nel primo caso siamo di fronte a una cosa
oggettivamente non vera, nel secondo caso siamo di fronte a qualcosa che potrebbe tanto
essere vero quanto non essere vero.
Nel caso del giornale cartaceo io posso in entrambi i casi chiedere che il giornale rettifichi, e
qui tocca alla giornale fare una valutazione: se si rendono conto che è meglio rettificare, si
applica quella che si chiama rettifica spontanea e può essere pubblicata in una qualsiasi
delle pagine del giornale; quindi la notizia che hanno dato l'hanno messa in prima pagina,
ebbene la rettifica la mettono scritta piccolo in qualche l'altra pagina del giornale, dove non la
legge nessuno; oppure il giornale non vuole rettificare è convinto di aver scritto correttamente
la notizia allora a questo punto la sottoscritta si rivolge al giudice e chiede che il giornale sia
condannato a rettificare: si chiama rettifica giudiziale. In questo caso se il giornale viene
condannato deve pubblicare la rettifica sulla stessa pagina e con la stessa importanza con la
quale aveva dato la prima notizia; quindi, nel caso del giornale cartaceo diciamo così si deve
rettificare non soltanto la notizia sicuramente sbagliata, ma anche la notizia che viene
considerata sbagliata dall'interessato, quindi perché pregiudizievole della propria reputazione.
Telegiornale:
Nel caso del telegiornale invece la redazione rettifica soltanto la notizia falsa; quindi,
l'interessato può chiedere al telegiornale di rettificare solo se la notizia è palesemente falsa,
non anche se è una notizia data in modo ambiguo oppure che può dar vita a più
interpretazioni. Anche qui la rettifica può essere di due tipi:
• la rettifica spontanea e quindi il telegiornale potrà rettificare subito a volte capita
che durante il telegiornale viene letta una notizia alla fine del telegiornale, è arrivata
già la richiesta di una rettifica e quindi prima di chiudere il telegiornale, il giornalista
dice dobbiamo rettificare una cosa che abbiamo detto prima non è 20% ma è 30%
quindi qualcuno avrà segnalato che quella notizia che è stata data, e che riguardava il
fatturato del Napoli per l'anno scorso, che è aumentato, non è aumentato il 20% ma è
aumentato del 30 %.
• Anche qui c'è la rettifica giudiziale, quindi se la redazione del giornale non vuole
rettificare e l'interessato si rivolge al giudice, qualora vi sia una condanna alla
rettifica, la rettifica deve avvenire in un telegiornale nella stessa fascia oraria dove era
stata data la prima notizia sbagliata. Bisogna specificare che si tratta di una rettifica,
quindi che si è data un'informazione sbagliata.
Giornali online:
Sui giornali online invece non esiste la rettifica in senso stretto, perché non esiste la fisicità
del giornale, le notizie sono tutte lì. Hanno quindi stabilito che se un interessato segnala che
una notizia è sbagliata, oppure che una notizia deve essere aggiornata perché è stata data in
un modo ma poi ci sono stati degli aggiornamenti, (immaginiamo pincopallo è indagato per
riciclaggio e questa notizia viene mandata sul giornale online per 2,3,4 giorni, quando
finisce il periodo indicato dal giornale online come periodo di pubblicazione sul sito della
notizia, questa notizia finisce in un archivio del giornale, che si può consultare dal sito
stesso, ma che non è indicizzabile dai motori di ricerca. Quindi che cosa deve fare il giornale
dopo 3, 4 giorni che la notizia è andata nell'archivio? Se c'è un aggiornamento della notizia
oppure c'è l'obbligo di rettificare quella notizia, quella notizia dovrà essere rettificata
corretta all'interno dell'archivio del giornale online subito, sotto la notizia stessa, quindi la
notizia deve essere contestualizzata, aggiornata. La rettifica va soltanto nell’archivio, a meno
che dopo qualche mese, dopo qualche anno, a quella specifica notizia potrà risalire al fatto
che quella notizia all'inizio data sul giornale online non era corretta e che è stata poi
rettificata o spontaneamente, o su ordine del giudice).
Quindi diciamo che mentre sul giornale cartaceo, sul telegiornale la rettifica ha un senso, che
di solito chi legge un giornale, legge sempre lo stesso, chi guarda il telegiornale, guarda
sempre lo stesso e più o meno alla stessa ora, sul giornale online invece non possiamo parlare
di rettifica vera e propria perché questa rettifica difficilmente verrà pubblicata sul sito del
giornale, ma verrà invece quasi sempre pubblicata direttamente all'interno dell'archivio del
giornale quindi concludendo potete notare come la professione del giornalista sia una
professione particolarmente tutelata con più diritti che doveri, naturalmente poi ci sono i
diritti e i doveri del lavoratore giornalista e cioè da un lato il diritto allo stipendio, dall'altro il
diritto all'esclusiva e dall'altro il rispetto della deontologia, e dall'altra parte il diritto alle
ferie. In questo è un dipendente come tutti gli altri, ma rispetto a questi diritti e doveri
tradizionali, noi aggiungiamo questi diritti che sono espressamente previsti dalla legge o dalla
giurisprudenza proprio per garantire la serenità di chi esercita questa professione così
importante, e soprattutto la garanzia della sua non imparzialità perché il giornalista non è mai
un soggetto imparziale, ma in quanto professionista sa che pur nelle sue convinzioni
personali, l'esposizione dei fatti che fa è legata è obbligata dei principi della veridicità,
pertinenza e continenza.
Quindi andando per ordine all’interno della categoria piuttosto eterogenea, individuiamo tre
sottogruppi:
1) Quei reati che vogliono perseguire manifestazione del pensiero che sono contrario alla
dignità di una persona.
2) La seconda categoria che mira a perseguire quelle manifestazioni di pensiero che sono
contrarie alla dignità delle istituzioni.
3) Mira a colpire quelle manifestazioni di pensiero che sono contrarie ai valori sui quali
la nostra comunità democratica si fonda.
Bisogna sempre stare attenti a bilanciare il diritto di ciascuno di noi di esprimere un’opinione
con il diritto di altri di non vedersi soffocati da un’opinione contraria particolarmente
mortificante. La Corte costituzionale ha definito sin dalle prime sentenze la libertà di
espressione la pietra angolare della democrazia, proprio per sottolineare come la libera
circolazione dell’opinione sia fondamentale per poter far crescere una comunità, ma non l’ha
voluto configurare questo diritto come diritto assoluto perché non esistono diritti assoluti non
ci sono diritti he in partenza prevalgono su altri diritti.
REATO DI OPINIONE
Il primo gruppo di reati fa riferimento alla tutela della dignità della persona. Questo concetto
di dignità della persona trova il proprio fondamento costituzionale negli art.2-3 primo comma
della costituzione. L’articolo 2 viene considerato la matrice dei diritti (la repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle
quali la persona sviluppa la propria personalità). Lo sviluppo della personalità è una
declinazione della tutela della dignità della persona e nel suo diritto a determinare il proprio
essere, a determinare la propria proiezione sociale. Nell art.3 primo comma (tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale). Quando è stata scritta questa parte dell’articolo faceva riferimento
al fatto che non esistono più i titoli nobiliari. Oggi quel concetto ha acquisito un significato
nuovo, ovvero, il diritto di ogni persona a dare di sé la proiezione sociale che ritiene più
adatta; quindi, non è la società che determina la proiezione sociale, ma è la persona che
determina la propria proiezione sociale.
REATO DI INGIURIA
I comportamenti che possono ledere la dignità di una persona portano all’esistenza di alcuni
reati: il primo reato che il nostro Codice penale prende in considerazione è il reato di
ingiuria. Ci dice l’art.594 del Codice penale che chiunque offende in onore o il decoro di
una persona presente è punito con la multa fino a 516 euro, e si dice che questo reato è stato
depenalizzato. Un reato si dice depenalizzato quando pur rimanendo reato, non prevede più il
carcere, ma semplicemente una pena pecuniaria (multa fino a 516 euro). L’ingiuria è quella
situazione in cui io offendo una persona che però è presente, che si può difendere o
rispondere, ciò lo considero reato quando la forza tra le due persone (forza non solo fisica ma
anche morale tra due persone) è tale che potenzialmente la persona si può difendere, ma in
realtà il solo difendersi non mette in parità la situazione. L’ordinamento giuridico vuole
punire il comportamento volto a screditare una persona presente in tutte le situazioni in cui
non c’è parità tra le due persone, tra chi offende e chi viene offeso. L’ingiuria è un reato
molto fastidioso perché l’offesa viene fatta ad una persona presente e alla presenza di altre
persone, ma l’ordinamento giuridico l’ha depenalizzata perché ritiene che in una società nella
quale siamo sostanzialmente con pari dignità sociale, ognuno può difendersi. Diverso è il
caso previsto dall’ art.595 che è l’articolo dove ce maggiore giurisprudenza, è quella
situazione nella quale una persona parlando con altre lede la dignità sociale di qualcuno che è
assente. Quest’articolo ci dice “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente,
comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a
un anno o con la multa fino a mille trentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a
due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero
in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore
a euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua
rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”
La diffamazione può avere diversi stadi: il primo comma ci dà uno stadio generico, ovvero, io
parlo male di una persona ma senza dire cose specifiche (esempi: dicendo quella non è una
brava persona) quindi nulla di preciso, però voglio dare con le mie parole a chi mi sta
ascoltando la sensazione che quell’altra persona non è una persona della quale fidarsi; quindi,
mi mantengo nel vago, diffamando la persona mantenendomi nel generico. In quest’articolo
c’è scritto che non solo devo parlare di una persona assente, ma anche con più persone (la
giurisprudenza ha detto almeno due) perché si vuole salvare l’ipotesi di una comunicazione
riservata tra due persone nella quale invece possiamo parlar male di altri perché tanto ci
siamo soltanto noi e chi ci sta ascoltando. Quindi se io parlo male di una persona per
rovinarle la reputazione, questa perdona lo viene a sapere e mi querela, allora il giudice mi
potrà condannare per diffamazione se io non solo ne ho parlato male, ma io ho anche riferito
dispregio sociale su fatti specifici. L’art.595 ci dice che se una offesa è recata con il mezzo
della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (un post su Facebook, una chat che
viene condivisa), in questo modo io affido questa mia osservazione ad un pubblico
indeterminato; quindi, sto amplificando la mia opinione volutamente malevola e in questo
caso la multa passa da 6 mesi a 3 anni, mentre la multa non può essere inferiore a 516 euro.
La diffamazione non riguarda l’attribuzione di un fatto che abbia un valore giuridico, ma è
attraverso l’attribuzione di un fatto che ha un valore sociale, questo perché il diritto è
consapevole che le persone vivono nella società, non nel diritto, e quindi vivendo nella
società essere additati per qualcosa può ledere l’equilibrio psicofisico delle persone, e quindi
è qualcosa che il diritto se non può impedirlo deve, quantomeno, punire.
REATO DI CALUNNIA
Abbiamo il terzo reato contro la persona ancora di più dobbiamo punire chi calunnia,
disciplinata dall’art.368 del Codice penale. Con la calunnia, io accuso una persona di aver
commesso un rato ma sono perfettamente consapevole che questo non è vero. L’art.368 ci
dice “Chiunque, con denuncia [333 c.p.p.], querela [336 c.p.p.], richiesta [342 c.p.p.] o
istanza [341 c.p.p.], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o
ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale
internazionale (2), incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di
lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”. Per il rato di calunnia,
il giudice non può decidere di dare una pena pecuniaria, ma deve necessariamente di dare la
pena detentiva. Nella sua misura massima, la pena detentiva non consente la sospensione
condizionale della pena ciò significa che se la calunnia è stata così pesante da portare ad una
condanna a sei anni di reclusione.
REATO DI VILIPENDIO
Il reato che riguarda la lesione della dignità delle istituzioni. Accanto alla dignità della
singola persona, c’è anche una dignità collettiva per chi appartiene a uno stato o una
repubblica. Il reato di vilipendio si identifica nei singoli di questo stato e il nostro Codice
penale, in una parte che noi abbiamo ereditato dalla legislazione fascista. Ancora oggi
puniamo quelle espressioni del pensiero che sono profondamente critiche nei confronti dei
singoli della nostra repubblica. In primo luogo, nel tempo il legislatore si è reso conto
dell’importanza di sottolineare come il pensiero critico non possa mai portare al carcere;
inoltre proprio perché molto spesso è stata sollevata davanti la Corte costituzionale il dubbio
se in una democrazia possa ancora esistere il reato per un’espressione critica. La Corte
costituzionale ha, però, chiesto ai giudici di valutare volta per volta in modo molto attento se
davvero l’espressione critica che viene pronunciata da chiunque sia suscettibile di ledere il
prestigio della repubblica.
Due sentenze che abbiamo avuto nel tempo riguardano il vilipendio alla bandiera:
- il primo caso un senatore della repubblica fu condannato per vilipendio alla bandiera perché
pronunciando una frase a piazza san marco (che con la bandiera ci faceva una determinata
cosa quando va in bagno, avendo pronunciato questa frase durante un comizio pubblico ed
essendo un senatore della repubblica, quell’offesa aveva una sua credibilità politica,
istituzionale e sociale.
- nel secondo caso di un manifestante in Campania che viveva in una parte del Vesuvio, dove
non si faceva nulla contro lo svezzamento illecito dei rifiuti, in un corteo di protesta brucio la
bandiera. Qualcuno cercò di denunciarlo ma il giudice non lo rinvio neanche al giudizio,
dicendo che quello era il gesto di un grido di aiuto di una persona che voleva attirare
l’attenzione sul problema gravissimo. Due casi uguali (bruciare la bandiera) ma due sentenze
del giudice diverse che ci dicono che il reato del vilipendio dipende da chi lo commette, se a
commettere l’offesa alle istituzioni è un politico oppure una persona delle istituzioni allora
abbiamo un vilipendio. Se invece a esprimere questa critica molto forte è una persona
ordinaria, che chi ascolta la mia critica la considera per quella che è, allora non ce vilipendio.
Abbiamo, quindi, l’articolo 290 del Codice penale che ci dice “Chiunque pubblicamente
vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o la
Corte costituzionale o l’ordine giudiziario, è punito con la multa da euro 1.000 a euro
5.000 “e art 292 “Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un
altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000”. Invece resta
reato con pena detentiva il vilipendio alle tombe e ai cadaveri, perché in quel caso un’azione
di questo genere resta l’offesa a qualcuno o a qualcosa che contiene qualcuno, che non si può
difendere e che assolutamente in una comunità civile può essere denigrato
ISTIGAZIONE A DELINQUERE
La terza e ultima categoria di reati è quelli che vanno a colpire il pensiero antagonista, lì non
c’è interpretazione critica ma c’è la convinzione che questa persona che pronuncia queste
frasi voglia andare contro i valori sui quali si basa la nostra pacifica convivenza. Abbiamo
due reati:
-il primo è l’istigazione, significa incitare o convincere qualcuno che è particolarmente
succube di noi a commettere un reato. La persona non sta costringendo la persona a
commettere un reato ma lo sta persuadendo, in modo subdolo invitando a commettere un
reato (qui non si tratta di forza) fin quando la persona o mi denuncia oppure commette il
reato. Qui le pene sono decisamente più alte:” Chiunque pubblicamente istiga a commettere
uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione :1) con la reclusione da uno a cinque
anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; 2) con la reclusione fino a un anno,
ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si
applica la pena stabilita nel numero 1”.
APOLOGIA
L’ultimo reato è l’apologia. Chi pubblicamente fa apologia di uno o più delitti viene punito
con la stessa pena prevista per l’istigazione. C’è stata poi un’aggiunta recentemente:” Alla
pena stabilita nell’articolo 414, n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o
più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è
aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Quest’aggiunta è forse la prima volta che un reato commesso in modo telematico viene
punito più severamente rispetto al reato commesso nel mondo fisico. L’apologia è
l’esaltazione di un valore antagonista per esempio l’apologia del razzismo, del fascismo,
dell’olocausto ecc. Quindi l’apologia di tutti quei ismi che la legge italiana o le convenzioni
internazionali considerano crimini contro l’umanità. Tutte le volte che una persona o più
persone esaltano quello che per normativa nazionale (in questo caso ci riferiamo sempre alla
normativa internazionale) considerano reati contro l’umanità, allora questa persona se
condannata, è condannata ad una pena detentiva che prevede una pena fino a cinque anni. In
questo caso, il punto dal quale parte il nostro Codice penale è che nel caso dell’apologia non
ci troviamo difronte ad un pensiero contrario ma ci troviamo contro un pensiero che mira a
sovvertire l’ordine democratico, che va a colpire uno di quei valori non soltanto politici (ad
esempio la pedofilia) e proprio uno di quei valori che rappresenta la base nel nostro modo di
interpretare la pacifica convivenza. Se quest’apologia della pedofilia viene posta in essere
mediante strumenti telematici, allora la pena viene aumentata (il Codice civile non ci dice di
quanto) e viene aumenta in ragione di quanto sia grave il comportamento che è stato posto in
essere in rete. In conclusione, quando pariamo di reati commessi con l’utilizzo delle parole,
entriamo in una sfera molto delicata perché partiamo dal presupposto che le parole possano
fare male, c’è chi invece ritiene che le parole non possano mai fare male. Il nostro
ordinamento giuridico , ritiene che le parole possano fare male , tutte quelle volte che le
persone che sono oggetto di queste parole o in alcuni casi anche di gesti (manifestare il
proprio pensiero si può fare anche con gesti) ,queste manifestazioni del pensiero (verbali o
simboliche)sono dall’ordinamento punite tutte le volte che non c’è la parità delle armi oppure
nel caso dell’apologia sempre, proprio perché non si può consentire che vengano messi in
discussione quei valori fondamentali del nostro agire comune , quindi della nostra pacifica
convivenza.
LA TELEVISIONE E CONVERGENZA TECNOLOGICA.
La stampa è il primo MASS MEDIA; quindi, giornale cartaceo ma anche online è un giornale
integralmente votato all'informazione.
La televisione è un Mass media misto perché non nasce per fare informazione nasce per fare
intrattenimento, e poi nel tempo però ha acquisito una rilevanza anche sul piano
dell'informazione.
Le caratteristiche della televisione sono: l’intrattenimento (film, serie televisive, spettacoli) e
l’informazione quindi non soltanto dai telegiornali ma anche programmi di intrattenimento
giornalistico.
•La televisione si differenzia dalla stampa: la televisione è un mass media che costa molto
produrre e tende ad una concentrazione oligopolistica. Il numero di imprenditori televisivi è
limitato. La televisione, inoltre, viene qualificata come servizio pubblico universale con
conseguente necessità di garantire il pluralismo interno alle singole reti televisive; dunque, è
un servizio radiotelevisivo che viene considerato un servizio pubblico essenziale.
Il diritto all'antenna, ovvero il diritto di ogni individuo di potersi in qualsiasi momento
collegare ad un ad un servizio televisivo. La Corte di Cassazione in più sentenze ha
dichiarato il diritto all'antenna come un diritto fondamentale, perché legato all'articolo 21
ovvero il diritto di informarsi. La Corte costituzionale invece ci dice che esiste anche il diritto
ad essere informati, cioè il diritto a ricevere notizie, ovvero tutto ciò che rappresenta la libera
circolazione delle idee.
Il web, è il terzo MASS MEDIA. Ci troviamo di fronte ad un mezzo internet che è nato per
uno scopo militare sostanzialmente, ed ha reso possibile la nascita di una realtà digitale che si
affianca alla realtà fisica. Oggi internet non è semplicemente un mezzo di comunicazione, ma
è anche un mercato poiché poniamo in essere compravendite. Internet viene definita una rete
di nodi, nodi che sono virtuali ma sono anche fisici, dove ad esempio nell’ hard disk, ci sono
documenti che conservo. É un mass media, che è destinato in futuro, mi permette inoltre di
condividere documenti dando vita al flusso dei dati. La vita origine di internet non ha una
data di nascita ben precisa, è nata nell'ambito di un progetto militare chiamato ARPANET,
che ha fatto tesoro di quello che era accaduto dopo che erano state sganciate le bombe
atomiche in Giappone. La tecnologia internet nasce proprio per trovare un modo di
trasmissione di un segnale completamente diverso che si basa, sulla matematica binaria;
quindi, di trasmettere questo segnale utilizzando una tecnologia alternativa. Oggi Noi siamo
ancora legati attraverso la rete Wi-Fi, e quindi un segnale che sia in grado di essere trasmesso
non solo attraverso il cavo telefonico o telematico ma anche diciamo così con strumenti
completamente molto più in materiali. Questo progetto militare inizia a “collaborare” con le
Università, e negli anni 80 abbiamo il primo collegamento tra università militare e
l’università inglese, dove si dimostra per la prima volta che questa trasmissione digitale non
viene bloccata non si ferma neppure davanti ad uno spazio considerevole come il mare. Nel
92, chi ha cominciato ad utilizzare internet e voleva collegarsi ad un sito non poteva
semplicemente digitare www.uniparthenope.it ma inseriva http. Dunque, due scienziati del
CERN di Ginevra hanno inventato questa tecnologia che consente la ricerca dei siti che sono
presenti in internet grazie ad una marcatura ed ecco il www., che consente semplicemente
digitando www.uniparthenope.it di trovare il sito che state cercando. Il fatto che questi due
scienziati decidono di non brevettare questa loro invenzione ma di renderla open-access, ha
fatto sì che in brevissimo tempo il web abbia semplificato l'utilizzo di internet reso molto
accessibile: user-friendly. Internet è una tecnologia composta anche da link, mentre il web è
un'immensa biblioteca che cataloga siti e piattaforme, dove sono sistematizzati tutto quello
che esiste in internet ovvero un numero di siti web. E siccome il web è diventato grandissimo
ed internet lo è ancora di più. É stata elaborata una tripartizione del web che tende a
suddividere tutti gli infiniti siti piattaforme che sono presenti in internet in tre grandi
categorie.
1). Dark web, è quell'insieme di siti che non riescono ad essere catturati dai motori di ricerca
perché sono siti che si proteggono e che vogliono rimanere in quella che noi chiamiamo la
parte oscura della rete. Cioè che vogliono essere invisibili ai motori di ricerca richiedono una
password o comunque di sistemi per poter accedere. Nel Dark web operano anche i servizi
segreti dei singoli stati che naturalmente hanno una serie di attività di intelligence, che non
possano essere casualmente individuate da utenti ordinari.
2). Deep web è quella parte di siti che non sono catturati dai motori di ricerca e questi siti che
si trovano nel Deep Web. Sono diversificati tra di loro, ci sono i siti ormai obsoleti. Molte
volte nasce un forum che viene alimentato per un periodo dal suo gestore, riceve commenti
non lo cura più e quindi si può considerare un rifiuto spaziale. Cioè quel sito resta
difficilmente verrà rimosso, quel sito resta però è inutilizzato che i motori di ricerca non lo
prendono proprio in considerazione; quindi, non viene catturato dall'algoritmo dei motori di
ricerca. Quindi siti obsoleti di scarsissima rilevanza, parti riservate di siti. (Esse 3 ha una
parte pubblica dove appunto, vediamo tutti i programmi di insegnamento, gli orari e
quant’altro. E una parte riservata che per accedere bisogna fare il login) Quindi noi troviamo
siti diciamo così diversificati, insignificanti e obsoleti, oppure quelle parti di siti che sono
protetti da password ma che non sono nascoste. Il web tradizionalmente è l'insieme di tutti i
siti che noi possiamo trovare utilizzano i motori di ricerca. Internet, presenta due
caratteristiche: a-temporale e a-territoriale.
1). a- territoriale, oggi il territorio è in grande crisi perché non esistono più i confini.
Attraverso la rete possiamo comunicare con persone che si trovano in tutte in quasi tutte le
parti del mondo, e trovare informazioni su siti che sono prodotti da soggetti che si trovano in
quasi tutto il mondo. La comunicazione è qualcosa di globale.
2). A-temporale, significa che i contenuti non sono scadenza quindi un contenuto che è stata
immessa in rete finché viene ricercato sarà sempre disponibile indipendentemente da quanto
tempo è passato. Quando leggiamo un contenuto se esce tra i primi risultati della ricerca sui
motori, potrebbe avere la sensazione che sia un contenuto recente, o che quel contenuto è
stato prodotto molti anni fa.
Un punto importante, Internet si è sviluppato come uno spazio di libertà, non è mai stato
gestito da un soggetto pubblico. Nel momento in cui è stato condiviso con le università, la
prima domanda che si è fatta e se si voleva far gestire internet da una istituzione pubblica
chiamata a dare regole. Oggi abbiamo un unico soggetto pubblico internazionale, con uno
scopo ovvero quello di attribuire i cosiddetti nomi di dominio. (quando vuoi creare un sito
avete bisogno di dargli un nome)
-provider di accesso, esso ci consente di accedere a Internet che nella stragrande maggioranza
dei casi è il provider telefonico. Con questo provider, ciascuno stipula un contratto a titolo
oneroso alla quale ci impegniamo a pagare una prestazione, e in cambio il provider ci dà una
certa qualità dell’accesso ad internet. Esso mi permette l’accesso totale o può essere limitato
dall’UE. Esempio: In Italia abbiamo la legge che obbliga i provider di accesso a impedire i
propri utenti che possono accedere a siti pedopornografici, che si trovano nel Dark Web. Il
provider MERE CONDUIT se viene a conoscenza dell’esistenza di un sito deve impedire a
tutti i clienti di accedere, e segnalare ad un'autorità apposita il contrasto alla pedopornografia,
in modo tale da oscurare quel sito. Ma diventa complicato quando si deve tutelare il diritto
d’autore, e quindi il provider deve fare una scelta oppure aspettare che glielo ordina il
giudice, il quale chiede l’oscuramento di quel sito. Qualora il giudice dovesse dare ragione al
chi esercita la tutela del diritto d’autore, allora il provider dovrà risarcire il danno, che si
conta dal giorno in cui è stata fatta la prima segnalazione fino alla data di scadenza del
giudice.
Il provider d’accesso, ad esempio nelle aziende consentendo l'accesso soltanto ad alcuni siti,
chi utilizza la rete aziendale deve poter accedere soltanto a dieci siti perché sono quelli che
gli servono per lavoro. La Black list consente l'accesso a tutti i siti tranne a quelli che sono
inseriti in un elenco che loro consegnano al provider. Il provider di accesso, quindi, non ha
responsabilità a meno che non sia a conoscenza di un illecito che viene effettuato tramite la
rete internet, tramite il suo servizio e non faccia nulla per impedirlo.
-il provider hosting provider. Internet un insieme di host (ospite) e di link. Hosting è un
imprenditore privato che di regola a pagamento, concede una parte del suo server per ospitare
il vostro sito. Esempio: il sito del nostro Ateneo, sito abbastanza impegnativo da un punto di
vista informatico, e quindi abbiamo bisogno di un signor server per ospitare quel sito e la
tecnologia che serve per farlo funzionare. L' hosting provider che fitta uno spazio del proprio
server non è responsabile per i contenuti del sito che ospita, a meno che qualcuno non lo porti
e conoscenza che su quel sito ci sono contenuti illeciti. Se l’hosting provider ha dei contenuti
illeciti e non se ne accorge, e vengono segnalati, questo deve oscurare il sito, il sito continua
ad esistere ma è praticamente inaccessibile proprio perché i contenuti che sono presenti sono
contenuti illeciti. Il provider deve decidere se vuole correre il rischio di lasciare quel
contenuto su quel sito accessibile a tutti, e se ci sarà una causa di diffamazione da un altro
soggetto e la vince quest’ultimo richiede il risarcimento del danno non soltanto al gestore del
sito, ma anche all’hosting provider al quale mi ero rivolta. Wikipedia è un hosting provider
perché è una piattaforma che si appoggia ad un server, e dà la possibilità a tutti gli utenti di
creare delle pagine quante biografie di persone viventi e soprattutto vi consente di aggiornare
contenuti. Wikipedia dice che non è responsabile dei contenuti che liberamente vengono
modificati sulla sua enciclopedia ma che fornirà tutta la disponibilità possibile all'autorità
giudiziaria per individuare chi ha scritto o diciamo modificato un contenuto. Essa afferma
non opporrà resistenze, non cercherà in alcun modo di nascondere chi ha modificato o
inserito contenuti. YouTube, invece è semplicemente un contenitore di contenuti fatti da altri
che gentilmente la piattaforma. Ospita, sentenze di giudici non solo italiani ci dicono
esattamente il contrario e qualificano YouTube come hosting attivo. Hosting attivo, è quel
provider che offre ospitalità, ma che seleziona i contenuti nel caso di YouTube diventa il
proprietario dei contenuti che li indicizza in modo da rendere più visibili alcuni contenuti
rispetto ad altri. quindi un provider svolge un ruolo attivo, nel senso che la sua attività non si
limita l'ospitalità ma è associata ad un'attività di gestione dei contenuti. In questo caso il
provider hosting attivo è responsabile per tutti i contenuti che in qualche modo ha contribuito
a valorizzare.
La nostra costituzione prevede dei diritti dell’intimità cioè uno spazio fisico e comunicativo
all’interno del quale una persona deve sentirsi libera e decidere il livello di interazione con il
modo esterno.
Privacy e riservatezza dei dati personale stanno confluendo nel concetto di privacy digitale.
La stessa esigenza che sentiamo nel mondo fisico, quella di avere uno spazio di riservatezza
rispetto al piano esterno, oggi la iniziamo a sentire anche nel piano digitale: esigenza non
solo di una tutela dei dati ma anche di un’identità virtuale che una persona realizza nella sua
dimensione online.
Nella definizione americana è un diritto a lasciare fuori, quindi a separare lo spazio interno
dallo spazio esterno. Ogni persona e ogni famiglia ha il diritto di interporre un filtro rispetto
alla curiosità altrui.
- esigenza di evitare che informazioni che ci riguardano possano diventare notizie di pubblico
dominio senza la nostra autorizzazione.
(perché i costituenti hanno deciso di non introdurre in modo esplicito il concetto di diritto alla
privacy?)
Mentre casa e corrispondenza ripetono quello che noi abbiamo nella nostra costituzione la
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo inserisce questo concetto importante di vita
privata quindi di spazio non fisico ma di notizie che deve essere tutelato.
Convenzione europea dei diritti dell’uomo
lo stesso concetto lo ritroviamo dell’articolo 8 dalla Cedu (Convenzione europea dei diritti
dell’uomo) che è stata firmata a Roma nel 1950.
Articolo 8:
Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale
diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una
misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e
della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
La nostra Costituzione in nessun articolo per quanto riguarda i diritti civili li bilancia con la sicurezza
nazionale la stessa, invece, la cedu consente per quanto riguarda la vita privata che la legge
possa per generali motivi di sicurezza nazionale stabilire dei limiti alla sfera dell’intimità di
una persona.
La cedu doveva contemperare il fatto, che soprattutto nel primo dopoguerra, in molti paesi
dell’est la tutela dei diritti era un po’ più problematica.
Carta di Nizza:
Questo aspetto lo vediamo bene analizzando invece l’articolo 7 della carta di Nizza.
La carta di Nizza è la carta dei diritti dei cittadini europei approvata all’interno dell’unione
europea.
È stata approvata a Nizza nel 2000, a distanza di molti anni dall’entrata in vigore delle
Costituzioni e dalla Cedu stessa poiché è tendenzialmente democratica.
La prima parte è praticamente uguale all’articolo 8 della cedu: ogni persona ha diritto al
rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria
corrispondenza (dove per corrispondenza nell’epoca moderna intendiamo comunicazioni).
A differenza della cedu, però, non ci sono limiti: proprio perché in una prospettiva
democratica il bilanciamento può essere fatto su singoli casi non dando in partenza il diritto
alla legge di stabilire una posizione di forza per l’autorità di pubblica sicurezza che quindi
può derogare alla tutela di questo diritto.
La costituzione italiana è forse tra le poche in costituzione che non prevede espressamente il
diritto alla tutela della privacy ma questo principio oltre ad essere insito in due articoli della
nostra costituzione (art. 2/3) è insito anche nelle carte dei diritti (Dichiarazione Universale
Dei Diritti Dell’uomo, La Cedu E La Carta Di Nizza).
Anche se questo diritto non è espressamente menzionato dalla nostra costituzione il diritto
alla privacy è un diritto costituzionalmente garantito perché queste carte entrano nel nostro
ordinamento giuridico attraverso l’articolo due della costituzione e queste carte lo prevedono.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (questi diritti non sono
quelli elencati nella nostra costituzione ma sono tutti quei diritti che sono presenti in carte
internazionali e sovranazionali ai quali noi abbiamo aderito).
Articolo tre primo comma: tutti hanno pari dignità sociale, significa dire che ognuno di noi ha
diritto alla propria reputazione, a quella dignità sociale che nasce dal fatto di poter garantire
la propria immagine pubblica anche e soprattutto attraverso la tutela del diritto alla privacy.
Se il diritto alla riservatezza è un diritto a tutti gli effetti, significa che è un diritto:
- Non si può trasmettere agli eredi, perché che la riservatezza è personale e quindi se
emergono notizie su una persona che ormai non c’è più gli eredi non potranno
chiedere che non se ne parli per rispetto della riservatezza di chi non c’è più proprio
perché questo diritto non si trasmette
- Imprescrittibile, potrei parlare liberamente dei miei fatti per tutta la vita ma nel
momento stesso in cui invece decido che voglio riservarmi questo diritto non si
prescritto e può essere esercitato in qualsiasi momento anche in difformità di come ci
si è comportati fino a quel momento;
Il diritto alla riservatezza viene meno nelle parole di un parlamentare che parla alla camera o
al Senato o in un giornalista che sta correttamente esercitando il proprio diritto di cronaca,
però diventa più forte se si sta parlando di persone che non sono di interesse pubblico, o
medio forte se ne parla un giornalista ma non riesce a dimostrare fino in fondo la rilevanza di
quello che sta dicendo.
Il fatto che in Italia non si sia data una definizione giuridica normativa o costituzionale di
privacy ha fatto sì che nelle leggi ma anche nelle sentenze si usino termini diversi come
diritto alla riservatezza o diritto all’oblio.
L’individuo non può impedire che parole scritti o vicende siano diffusi ma può pretendere che
non lo siano arbitrariamente cioè abbiamo un diritto ad impedire la mera curiosità da parte
degli altri.
In assenza di una legge o una disposizione costituzionale, il diritto alla riservatezza non è
codificato in nessun atto normativo ed è quindi un diritto di natura giurisprudenziale.
La Corte di Cassazione in una sentenza del 1975 lo riconosce come un vero e proprio diritto
costituzionalmente garantito.
SENTENZA SORAYA
La principessa. Soraya è stata la seconda moglie dello sci di Persia: lo scià sposa questa
principessa che tuttavia viene ripudiata dopo qualche anno perché non potrà avere dei figli,
quindi, non può dare un erede al trono quindi la principessa accetta il divorzio e decide di
venire in esilio in Italia alla fine degli anni 60. Il marito decide di riconoscerle un’indennità
molto significativo a condizione però che lei si presenti come una principessa triste cioè si
presenti come una donna innamorata ancora dell’ex marito e che rimanga afflitta per tutta la
vita. In quegli anni in cui Roma era il centro della vita mondana mondiale una donna molto
giovane e molto bella, come la principessa Soraya, ci metteva davvero poco tempo per
riprendere in mano la propria vita. Viene paparazzata sempre più spesso fino a quando un
paparazzo non decide di fotografarla proprio all’interno della sua villa in compagnia di un
uomo, queste foto finiscono su tutti i giornali dell’epoca e lo Scià di Persia minaccia di
togliere il vitalizio proprio perché lei è venuta meno a questo patto post-matrimoniale di
fedeltà nei suoi confronti. La signora Soraya fa causa e arrivata in Cassazione per la prima
volta viene affermato questo importante principio: anche se la persona è molto nota non vi
può mai essere una compressione del proprio diritto alla vita privata che possa comportare un
danno alla persona stessa.
Quindi alla tutela di queste situazioni e vicende strettamente personali e familiari anche se
verificatesi fuori dal domicilio domestico non hanno per i terzi un interesse socialmente
apprezzabile, quindi, vengono considerate ingerenze e se anche compiute con mezzi leciti per
scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione e il decoro
non sono giustificati per motivi meramente di curiosità.
Come possiamo indagare nella vita di un politico che si candida alle elezioni, un industriale
che fa grandi proclami di libertà e bellezza; quindi, personaggi pubblici che vogliono avere
un ruolo nella società non possiamo invece indagare non possiamo indagare nella vita di una
persona soltanto perché è nota se non vi è un preminente interesse generale.
SENTENZA BERLUSCONI
Nel 2008 abbiamo avuto una sentenza che fa anche un passo avanti per quanto riguarda la
privacy perché nel 2007 su un giornale di gossip comparve una foto di Silvio Berlusconi
all’interno della sua villa in Sardegna circondate da un enorme giardino con muri alti, quindi,
non è possibile che si si butti lo sguardo all’interno e si vede e si veda che cosa accade.
Quindi, lui viene fotografato in compagnia da un fotografo che utilizza uno strumento
sproporzionato di penetrazione all’interno del giardino della villa.
SENTENZA TOTTI
Una domenica mattina molto presto Totti esce di casa con quello che non si capiva se fosse
un pigiama o una tuta e va a comprare il giornale e viene paparazzato da un giornalista,
queste foto vanno sul giornale e lui si ribella che dice non è possibile che un personaggio
pubblico sia sotto i riflettori anche alle 06:30 del mattino.
Il tribunale gli dà ragione proprio per sottolineare che non qualsiasi immagine di un
personaggio pubblico sia di interesse pubblico.
SENTENZA ATTRICE
C’è stata un’altra sentenza, invece, che riguardava un’attrice che in Sardegna si mise a
prendere il sole nella sua stanza di albergo sul balcone della sua stanza di albergo
completamente nuda e poi lamentò il fatto di essere stata fotografata. In quel caso invece il
tribunale le diede torto perché pur ritenendo il balcone di un albergo domicilio privato
sottolineò proprio come la natura del balcone stesso così come le finestre non possono
impedire l’altrui curiosità.
È emersa nel tempo la consapevolezza che accanto ad una dimensione di intimità che si
esplicita nello spazio fisico c’è una dimensione nello spazio virtuale fatta non soltanto di
immagini o scritti ma anche di dati che noi produciamo durante la nostra vita online.
La prima direttiva è del 95 da cui ne ricaviamo un decreto legislativo: la legge 675 del 96.
Ma subito dopo all’unione europea approva altre due direttive che ci portano
all’approvazione nel 2003 del decreto legislativo 196 del 2003.
Questo decreto legislativo è ancora vigente ma è stato fortemente ridimensionato dal fatto che
nel 2016 l’unione europea ha approvato un regolamento europeo sulla tutela dei dati
personali quindi l’unione europea si è sin dal primo momento impossessata della disciplina
della tutela del diritto alla tutela dei dati personali sin dal primo momento visto che non
esisteva questa problematica questa riflessione a livello dei singoli stati sin dal primo
momento ha deciso che la tutela dei dati personali era una materia di competenza europea.
Nel 2016 si rende conto che c’è bisogno di un’unica regola uguale su tutto il territorio
dell’unione e quindi ha approvato il regolamento 676 del 2016.
Il decreto legislativo del 2003 in Italia ci ha abituato a conoscere tre tipi di dati:
- Dato personale
- Dato sensibile
- Dato giudiziario
Il dato è qualsiasi informazione che identifica o rende identificabile una persona e che la
possa caratterizzare per quanto riguarda le abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni
personali, il suo stato di salute. il concetto di dato personale è un concetto vastissimo che
vada al nostro nome e cognome alla nostra data di nascita al nostro indirizzo di residenza al
nostro codice fiscale al nostro numero di conto corrente alla nostra matricola.
Il decreto legislativo 196 e il regolamento europeo, proprio perché non esiste la proprietà
della persona sul proprio dato, ci dice che alla persona dobbiamo garantire che il trattamento
dei dati venga fatto secondo liceità e correttezza. Quindi il dato può essere trattato se c’è una
finalità che lo giustifica.
I dati sensibili sono tutti quelli che individuano una caratterizzazione particolare di noi stessi:
l’origine razziale, le convinzioni religiose, le convinzioni filosofiche, le opinioni politiche,
l’adesione ad un partito.
Un tipo di dato molto sensibile è il dato giudiziario cioè il nostro rapporto con la giustizia,
non solo con riguardo alle condanne penali o quant’altro ma dobbiamo pensare a tutti quei
dati che riguardano il nostro rapporto con la giustizia (ad esempio il divorzio).
Questa era la vecchia tripartizione oggi sono, invece, divisi in due parti: i dati personali
ordinari e i dati personali particolari.
I dati giudiziari e sensibili vengono considerati dati particolari mentre tutti gli altri rientrano
nella nozione di dati personali ordinari.
L’unione europea nel 2016 approva il regolamento 676 che è entrato in vigore in tutti gli Stati
membri a maggio del 2018, l’unione europea ha deciso di dare due anni di tempo agli Stati
per potersi organizzare.
La gestione dei dati doveva essere uguale su tutto il territorio nazionale, c’era omogeneità
all’interno dello stesso Stato ma c’erano comunque le differenziazioni.
L’UE ha deciso che non bisognava stabilire una regola standardizzata per tutti ma bisognava
invece stabilire dei principi che consentissero a tutti coloro che dovevano trattare i dati
personali di farlo sotto la propria responsabilità.
- Il pilastro centrale è la responsabilizzazione di chi deve gestire i dati che non ha più la
copertura di autorizzazione del garante ma deve definire quali dati, come e perché li
vuole trattare;
- La consapevolezza dell’interessato;
- la gestione del rischio (data breach): ogni soggetto che tratta dati di altri deve
stabilire delle misure di sicurezza e una procedura da seguire qualora vi sia un furto di
dati (come un attacco hacker o un incendio).
Questi sono i tre assi fondamentali intorno ai quali ruota il nuovo regolamento europeo della
privacy.
Tutti i cittadini dell’unione europea stanno ponendo in essere tutte le misure che servono per
poter garantire la tutela dei dati personali.
È importante fare una grande differenza tra soggetto privato e soggetto pubblico:
- il soggetto privati che tratta dati personali li tratta dopodiché li archivia, i soggetti
privati sono limitati a maggiori regole.
- Quando si fa una navigazione si acconsente all’utilizzo dei cookie ciò significa che il
sito comincia a raccogliere i dati di navigazione che vengono impacchettati
spacchettati e possono essere venduti divisi per territorio\navigazione\età ad altre
società. Durante la navigazione in rete noi produciamo una serie di dati che si
appoggiano ai dati personali che la rete già conosce. La finalità del regolamento
europeo è quella di consentire questa cessione ma senza che da questo possa derivare
un pregiudizio per l’utente che li ha prodotti.
DIRITTO ALL’OBLIO
Definito come la tutale del particolare interesse di una persona a non subire ulteriori lesioni
della propria sfera personale causate dalle reiterazioni del contenuto di una notizia in passato
legittimamente pubblicata, ma oramai priva di quell’interesse pubblico che ne giustifica la
diffusione.
In Italia si inizia a parlare di oblio nel 1995, all’interno del cruciverba viene immessa una
immagine della prima pagina de “Il Messaggero” degli anni 70 trattante un omicidio dove era
chiaramente leggibile il nome dell’omicida. Il soggetto interessato era oramai cambiato:
aveva scontato la sua pena e tornato a vita normale. Questo provoco un serio pregiudizio dei
rapporti sociali e lavorativi del soggetto. In merito a questo episodio il tribunale di Roma dice
“Non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca per mancanza di utilità sociale della
notiziala riproduzione, nel contesto di un gioco a premi…
Perché il diritto alla riservatezza non può coincidere con il diritto all’oblio?
Diritto alla riservatezza: aspetto della vita personale che non intendo esporre alla comunità
Posto che per diritto all’oblio si intende il legittimo interesse di ogni persona a non restare
indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione
la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, non costituisce
legittimo esercizio del diritto di cronaca la pubblicazione di fatti già resi noti sei anni prima,
salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti, facendo sorgere un
nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione.
(Parlando di un soggetto prima indagato per mafia e successivamente assolto, dopo sei anni
era stata ripubblicata la notizia della affiliazione senza aggiornarlo con la successiva
assoluzione a processo)
1. Fattore temporale (verità della propria immagine nel momento storico attuale)
• Contestualizzare la notizia tramite: data di pubblicazione, archiviazione della
notizia una volta esaurita la sua funzione di notizia e rimandare un
collegamento alle notizie successive e precedenti della vicenda.
Con una sentenza della corte di giustizia dell’UE nei confronti di Google SP viene stabilito
l’obbligo per i motori di ricerca di sopprimere, su richiesta, i link verso pagine web che
presentano informazioni ritenute lesive da parte del soggetto interessato, cosiddetto “obbligo
di deindicizzazione” con successivo riconoscimento nel GDPR del diritto all’oblio.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Dell’intelligenza artificiale ne parlammo nella lezione iniziale, proprio per sottolineare come
il terzo millennio sia in millennio del digitale e di un digitale che non soltanto caratterizza i
nostri processi comunicativi, come vediamo, ma che sta sempre più caratterizzando proprio il
modo in cui si sta strutturando, in cui si struttura la società, il mondo produttivo, ben presto
anche il mondo politico, con il voto elettronico e altro. Quello che sappiamo un po’ tutti è che
ciò che noi siamo è sostanzialmente il frutto di ciò che impariamo e di ciò che viviamo
sostanzialmente. La tecnologia diciamo così dell'intelligenza artificiale utilizza gli stessi
principi soltanto che ciò che l'intelligenza artificiale apprende, ciò che diciamo così assimila,
sono i dati e quindi diventa importantissimo come alimentiamo l'intelligenza artificiale;
quindi, quali sono i dati che inseriamo all'interno di queste macchine intelligenti. è
importante anche l'algoritmo, ma prima ancora dell’algoritmo e quindi della volontà di
ottenere determinati risultati, importantissimi sono i dati che immettiamo.
DEFINIZIONE
Ci dice sempre la commissione europea: Con il termine intelligenza artificiale noi indichiamo
quei sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e
compiendo azioni con un certo grado di autonomia e per raggiungere oggetti specifici.
Forse l'esempio del robottino che pulisce casa è perfetto perché il robottino che pulisce casa è
in grado di percepire l'ostacolo e quindi di cambiare direzione, ha una sua autonomia, una
volta che l'abbiamo acceso fa quello che deve fare senza bisogno che stiamo come con la
scopa elettrica ad aiutarlo a fare quello che deve fare, e sa che il suo compito è quello di
raccogliere le briciole che ci sono in casa.
Si tratta di una tecnologia che permette ad una macchina di svolgere funzioni che
tradizionalmente sono riconosciute soltanto alla capacità umana. Questo in un convegno ha
detto Filippo donati che è un esperto di intelligenza artificiale, proprio per sottolineare come
passando dalla funzione più semplice del robottino che svolge una funzione elementare, noi
siamo arrivati ad affidare agli algoritmi e quindi a tutte le macchine che si basano sugli
algoritmi, dove l'algoritmo svolge la funzione del nostro cervello, di affidare agli algoritmi
l'adozione di decisioni. Oggi vogliamo utilizzare l'intelligenza artificiale nei processi, oggi
vogliamo utilizzare l’intelligenza artificiale nelle decisioni pubbliche, stiamo già utilizzando
l'intelligenza artificiale nel mondo produttivo e del lavoro.
Queste macchine si stanno evolvendo o meglio, la tecnologia che è alla base di queste
macchine si sta evolvendo in un modo molto interessante, ma anche molto rischioso, perché
l'ultima generazione di in macchine di intelligenza artificiale è in grado di avere quella
funzione cosiddetta di autoapprendimento. Noi oggi ci troviamo di fronte a dei robot che
sono in grado di auto-apprendere quindi che non soltanto conoscono tutto ciò che è accaduto
prima, ma sono anche in grado di rielaborarli esattamente come fa il cervello umano e quindi
di immaginare come affrontare una situazione, che fino a quel momento non si era ancora
verificata, o meglio che non era ancora stata immagazzinata nella sua memoria.
Quindi noi siamo di fronte oggi ad una nuova categoria di computer, cioè quei computer che
sono in grado di apprendere in modo automatico, ed ecco allora che ci dobbiamo porre il
problema di come un'intelligenza artificiale così evoluta possa andare a ledere l'umano. Se è
vero che la macchina è in grado di auto apprendere, è anche vero che la macchina parte da un
punto di partenza, che è quello di come lo abbiamo programmato è un po’ come l'educazione
che ciascuno di noi riceve da piccoli, noi sicuramente man mano che cresciamo ci
emancipiamo rispetto all'educazione che abbiamo avuto da bambini, ma non possiamo
nascondere il fatto che quegli input di educazione, che abbiamo ricevuto da bambini ci
caratterizzano per il resto della nostra vita, o per adesione, o per contrasto, quindi noi tanto
cresceremo assimilando, avendo fatto nostre anche inconsapevolmente l'imprinting che ci è
venuto dai nostri genitori, in generale dalla famiglia, oppure ci ribelleremo proprio perché
avendo noi umani anche un'anima, abbiamo la capacità di decidere se aderire o non aderire a
ciò che abbiamo imparato.
RISCHI PER I DIRITTI FONDAMENTALI
Nel caso della macchina l'auto apprendimento è sempre un'auto apprendimento cognitivo non
è mai un apprendimento emozionale, questo significa che se una macchina è stata
programmata per produrre una discriminazione, questa macchina continuerà ad evolversi non
solo perpetrando, ma anche facendo evolvere quella discriminazione. Il primo rischio che si
corre con un utilizzo definito opaco dell'intelligenza artificiale è proprio il rischio della
discriminazione su uno dei qualsiasi elementi previsti dall'articolo tre primo comma della
nostra Costituzione, e che sono previsti in tutte le democrazie occidentali. Poi c'è un rischio
per quanto riguarda la protezione della vita privata e dei dati personali delle persone, perché i
computer si basano sull'accumulo dei dati personali delle persone. E Poi c'è il rischio
soprattutto nel momento in cui noi andremo a utilizzare questi sistemi di intelligenza
artificiale nei processi, di stabilire se davvero il giudizio posto in essere da una macchina sia
quello di un giudice imparziale. Noi già adesso con gli umani abbiamo il dubbio del giudice
imparziale, ma sappiamo che proprio perché umano noi il dubbio lo dobbiamo avere. Con la
macchina potremmo correre il rischio di ritenere che in quanto macchina quel giudice sia
assolutamente imparziale, mentre invece come sappiamo potrebbe non esserlo.
I rischi possono essere di due tipi: uno che abbiamo progettato male l'intelligenza artificiale;
quindi, l'abbiamo progettata senza seguire le tre regole di Asimov che vi ho detto prima.
Quindi un primo errore può essere un errore di progettazione mentre l’altro può essere un
errato inserimento di dati.
Nel 2018 il Consiglio d’Europa ha elaborato una carta sull'etica dell'utilizzo dell'intelligenza
artificiale e ha introdotto 5 principi che sono oggi i principi che noi poniamo alla base
dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale sia nel settore privato che nel settore pubblico.
Il primo principio è il principio del rispetto dei diritti fondamentali, cosa significa? Significa
che nell'andare a fare un check sul corretto utilizzo dell'intelligenza artificiale, noi dobbiamo
verificare che il robot sia effettivamente in grado di garantire quei diritti che abbiamo appena
citato.
TRASPARENZA ALGORITMICA
Principio che stabilito nel 2018 dal Consiglio d'Europa, noi troviamo presente anche nel
regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, perché se noi mettiamo insieme
l'articolo 13 e l'articolo 15 di quel regolamento, noi abbiamo diciamo così la realizzazione di
quel principio di trasparenza algoritmica.
Che cosa significa? Significa che ciascuno di noi quando si trova ad essere soggetto ad una
procedura automatizzata, deve sapere se in quella procedura viene utilizzato un algoritmo.
Quando un soggetto è sottoposto ad un trattamento automatizzato, fermo restando che il
regolamento europeo sulla tutela dei dati personali vieta che un trattamento sia interamente
automatizzato. Premesso questo quando ciascuno di noi è sottoposto ad un trattamento
automatizzato o apparentemente automatizzato, deve sapere se è stato utilizzato un algoritmo,
quanto l'algoritmo abbia pesato sulla decisione finale.
Opacità ALGORITMICA
C'è poi l'opacità intrinseca, che cosa significa? Tutte le macchine che si basano su
meccanismi di autoapprendimento hanno una opacità intrinseca, perché? Perché lo stesso
sviluppatore, lo stesso programmatore non è in grado di sapere a priori (esattamente come
accade con il cervello umano), come la macchina evolverà nella sua funzione di
autoapprendimento. Questo significa che la macchina è intelligente, cioè la macchina ha una
auto-capacità di evolversi che per certi aspetti è sconosciuta, ma qui siamo veramente molto
più avanti anche rispetto a quelli che utilizziamo oggi, è in grado di diciamo così evolversi
secondo la propria volontà.
A noi invece cosa interessa? Interessa che l'algoritmo non abbia una opacità giuridica e
come possiamo risolvere questo problema dell'opacità giuridica? Innanzitutto, che cos'è? Noi
abbiamo innanzitutto il diritto di conoscere il funzionamento dell'algoritmo. Chi ha
sviluppato l'algoritmo ci può opporre il suo diritto d'autore il suo diritto di proprietà
individuale. Questo diritto di proprietà individuale prevale sul nostro diritto di conoscere, a
meno che noi non portiamo in giudizio la macchina, e quindi chi ha programmato la
macchina e non dimostriamo che la macchina, l'utilizzo di quella macchina, leso la prima e la
seconda legge di Asimov, e quindi ha leso il principio in base al quale la macchina non deve
produrre alcun danno ad un umano. Di fronte a questo rischio anche il diritto alla proprietà
intellettuale in giudizio viene meno. Quindi cosa possiamo dire? Che tutte le volte che siamo
in giudizio, quando l'algoritmo utilizzato da una pubblica amministrazione, e quando diciamo
così noi chiediamo di poter conoscere come funziona l'algoritmo, quindi facciamo una
richiesta di accesso, allora abbiamo diritto di andare oltre il principio della opacità
algoritmica.
LUCI ED OMBRE
Le luci sono sicuramente decisioni più rapide e si prendono in modo più economico, in che
senso economico? Voi sapete ad esempio in materia di giustizia quanto si dice che i ritardi, la
lentezza della giustizia produce danni al sistema economico, ecco l’utilizzo di decisioni
automatizzate; quindi, di giudizi e di processi automatizzati per le questioni, diciamo così,
più tabellari, più frequenti, potrebbe sicuramente portare un risparmio e diciamo così togliere
un limite allo sviluppo economico,
tra le ombre troviamo che gli algoritmi, sono per loro natura opachi, sia perché la maggior
parte di noi non è in grado di comprenderne il funzionamento, sia perché lo stadio attuale
delle macchine è tale che noi non sappiamo queste macchine come sono in grado di
sviluppare la propria capacità di auto apprendimento, e terzo perché al momento non
abbiamo regole (e speriamo di averle dal futuro regolamento europeo sull'intelligenza
artificiale), non abbiamo regole di bilanciamento tra il diritto alla proprietà intellettuale di chi
ha elaborato l'algoritmo e il diritto di ciascuno di noi a non essere leso in un proprio diritto
fondamentale.
In questo momento la maggior parte di noi non solo non ha consapevolezza che alcuni aspetti
della propria vita sono gestiti dall'intelligenza artificiale, sia non abbiamo consapevolezza di
come si possa realizzare un bilanciamento tra i nostri diritti e il diritto dell'economia a
utilizzare questi algoritmi, quindi innanzitutto l'opacità, e secondo noi non sappiamo come
questi dati vengono diciamo così immessi nel circuito dell'intelligenza artificiale.
Quindi l'altra grande opacità, l'altra grande ombra possiamo dire dell'intelligenza artificiale è
proprio che noi non possiamo avere certezza che alla base del funzionamento dell'intelligenza
artificiale, non vi sia un trattamento dei nostri dati personali. Facciamo un altro esempio,
quando voi andate in banca a chiedere un prestito, la banca interpella un software predittivo
quindi un software di intelligenza che si basa sull'intelligenza artificiale, che cerca di predire
se voi sarete un buon pagatore, se io sarò una buona pagatrice, ecco tutte queste funzioni
predittive affidate all'intelligenza artificiale, sono tutte funzioni non neutrali; quindi, basate
su dati personali idonee ad identificare la persona.
Non c'è conclusione naturalmente al discorso che vi sto facendo molto ci verrà detto dal
regolamento europeo sull'intelligenza artificiale, che, come vi dicevo all’inizio, si sta
elaborando. Perché abbiamo bisogno di un regolamento europeo sull'intelligenza artificiale?
Perché la dimensione degli Stati sarebbe una dimensione troppo piccola per disciplinare un
fenomeno che, come tutto quello che riguarda Internet, i dati, il digitale è globale, quindi
abbiamo bisogno della forza in questo senso dell'unione europea. Consapevoli di che cosa?
Che l'Europa regolamenta non per frenare l'intelligenza artificiale, ma per favorirla e questo
significa che l'ottica economica dell'intelligenza artificiale sarà sempre presente e non è un
male. Quindi l'intelligenza artificiale ci porterà a dover fare un ragionamento tra tutela
dell'umano e tutela della macchina, dove la macchina è al servizio della maggiore efficienza
possibile del sistema produttivo e dei processi decisionali, ma l'umano invece è espressione di
una società e che, come dicevo all’inizio la società, è imperfetta e quindi non può essere
disciplinata da una macchina perfetta.