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DIRITTO

DELL’INFORMAZIONE
E DELLA
COMUNICAZIONE

PROF.SSA ANNA PAPA

2021
CAPITOLO UNO

Ci interessa conoscere le regole della realtà digitale perché esse influenzano i rapporti
economici e quelli sociali e politici. Ciò accade in parte perché sono presenti i cosiddetti
“leoni da tastiera”, ovvero coloro che esprimono in modo spesso molto forte in rete, opinioni
che nella realtà fisica non avrebbero il coraggio di esprimere. Questo perché, almeno da un
punto di vista sociale, la realtà digitale consente un anonimato che la realtà fisica non
consente fino in fondo.

Sul piano sociale le persone si sentono molto più libere nelle loro relazioni digitali, non
soltanto perché si sentono più libere di esprimere il proprio pensiero, ma si sentono più libere
anche di valutare se frequentare o meno una persona.

Sul piano giuridico la presenza fisica e quella virtuale non fanno differenza, nel senso che il
“leone da tastiera” può essere anonimo nella società, ma non per il diritto, perché le
conoscenze tecnologiche oggi sono tali che qualora sia necessario, il soggetto che in modo
celato esprime un’opinione, una forte critica o diffamazione nei confronti di un’altra persona,
può essere più facilmente rintracciabile (di fatto è più semplice rintracciare una persona che
si muove nello spazio digitale, piuttosto che una che si muove nello spazio fisico).

Dunque, possiamo affermare che siamo una società digitale (o dell’informazione e della
comunicazione) e questo avviene soltanto in società tecnologicamente avanzate. In questo
momento quindi il mondo è diviso principalmente in due grandi aree: l’area
tecnologicamente avanzata (società digitali) e l’area in cui questa forma di tecnologia non
caratterizza ancora la vita sociale e quindi dove i modelli di vita, giuridici ed economici sono
profondamente diversi.

Non tutte le società dell’informazione e della comunicazione sono democrazie e questa è una
novità rispetto ad un secolo fa, quando si pensava che l’economia fosse appannaggio dei
paesi occidentali: la tecnologia digitale ed il fatto che alcuni paesi sono partiti molto
velocemente con questi aspetti, fa si che almeno un paese molto importante sul piano della
società digitale, ovvero la Cina, non possa essere qualificata una società democratica. Quindi
la società digitale non è necessariamente democratica, sebbene il digitale ci faccia
immaginare di essere tutti uguali e quindi di basarsi su quella regola che afferma che “uno
vale uno”. In realtà anche nella realtà digitale non vale questa regola, poiché chi è ricco
diventa ancora più ricco e chi è povero diventa ancora più povero anche nel digitale.

La società dell’informazione e della comunicazione è una società basata sui dati, divisi in due
grandi categorie: personali e non personali. Dunque, in questo tipo di società gli utenti dei
servizi digitali rappresentano anche il motore (o carburante) della società. Quindi gli utenti
sono anche produttori gratuiti di dati: “se un servizio digitale non ha prezzo, quel prezzo sei
tu”, proprio per sottolineare come questo tipo di economia basata sul dato ha bisogno di una
grande raccolta di dati e per invogliare le persone ad offrire determinati dati, si offrono
servizi gratuiti.

I BIG DATA

I grandi aggregati di dati sono chiamati BIG DATA. Essi sono enormi volumi di dati che
vengono scambiati molto velocemente e che consentono una profilazione delle persone ed è il
modo mediante il quale noi riceviamo informazioni che ci somigliano sempre di più.

Nel nostro ordinamento giuridico e nell’ordinamento giuridico europeo sono presenti norme
costituzionali che disciplinano, seppur indirettamente, le attività che si svolgono in rete ed
esse entrano in gioco nella disciplina normativa della società dell’informazione e della
comunicazione perché, poiché tutto ciò che avviene in rete viene ricondotto ai concetti di
informazione e comunicazione, si deve partire necessariamente dagli articoli che
rappresentano i capisaldi della tutela.

SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

Inoltre, oggi non si fa differenza tra comunicare e parlare con una persona, ma dal punto di
vista giuridico la differenza è fondamentale: comunicare con una persona significa affidare ad
essa in modo riservato il nostro pensiero, mentre parlare con una persona significa
condividere un pensiero con il quale altre persone potranno poi farci ciò che vogliono.

DIFFERENZA TRA ART.15 E ART.21

A fare la differenza tra art. 15 e 21 è la sensazione o l’animo della persona che comunica:
quando una persona intende comunicare con un’altra persona in modo bidirezionale e
soprattutto riservato e personale, ci ritroviamo sicuramente all’interno dell’art.15; quando
invece si vuole comunicare con una persona in modo multidirezionale e con la leggerezza di
chi sta dicendo una cosa che vuole far sapere anche agli altri, allora ci ritroviamo all’interno
dell’art.21.

Abbiamo bisogno di questa differenza perché l’art.15 è un articolo di grande protezione del
pensiero delle persone, al punto che si può affermare che ciò che viene detto in una
comunicazione art.15 non ha rilevanza giuridica e dunque ha un contenuto giuridicamente
irrilevante. Ciò significa che se si sta parlando con un amico al telefono, oppure scrivendo
qualcosa su una chat e si dice un qualcosa su una terza persona e l’amico invia lo screen della
conversazione su WhatsApp o glielo riferisce, codesta terza persona non mi potrà citare in
giudizio per qualcosa che avevo scritto in una comunicazione che è riservata e personale. Se
invece quella cosa che io scrivo in maniera riservata ad un amico, la dico in un bar dove tutti
mi possono ascoltare, o la scrivo in un post su facebook, o la dico in televisione ecc. allora
questo amico potrà querelarmi per diffamazione o calunnia, proprio perché ho offeso in
pubblico la sua dignità.
Dunque, il diritto cerca di tutelare anche quel nostro pensiero che noi in pubblico non
esponiamo, ma che sentiamo il bisogno di dire a persone di cui ci fidiamo.

I primi 3 articoli sui diritti 13, 14 e 15 della costituzione sono chiamati diritti dell’intimità,
ovvero che tutelano la persona nella riservatezza del proprio corpo, della propria casa e della
propria comunicazione riservata.

Inoltre, la legge ha dovuto creare il Revenge porn per cercare di bloccare il tentativo di
trasformare una comunicazione privata in una comunicazione pubblica e dunque la legge ha
stabilito un’eccezione alla regola generale in base alla quale le comunicazioni riservate e
personali non hanno conseguenze giuridiche. Ma proprio perché ormai il passaggio di chat
non poteva più essere qualificato come riservato e personale, il legislatore per evitare
equivoci ha messo per iscritto in una legge che se si diffonde un contenuto riservato e
personale, allora si sta violando una legge.

ART. 15 DELLA COSTITUZIONE

“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono
inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”

1. Primo comma: si nota la lungimiranza del costituente, poiché ha immaginato che la


nostra costituzione avrebbe incontrato nel tempo molte altre forme di comunicazione
e quindi non ha scritto “la corrispondenza e la telefonata” (come accadeva nel ’48),
ma ha scritto “ogni altra forma di comunicazione” proprio per sottolineare che anche
nuove forme diverse di comunicazione sono sempre tutelate da questo articolo. La
libertà di corrispondenza è importante a tal punto che la Costituzione utilizza per
questo diritto e non per altri le stesse garanzie che utilizza per il diritto di voto e
dunque la corrispondenza per essere libera deve essere segreta e questa segretezza è
inviolabile.

Da chi è inviolabile questa segretezza?

Si distinguono due ipotesi:

• La comunicazione semplice: fa nascere un obbligo di segretezza soltanto per chi la deve


consegnare. Ad esempio, il secolo scorso quest’obbligo sorgeva nei confronti del postino
che aveva il dovere di consegnare le lettere chiuse, le quali non potevano essere lette; le
mail che il provider deve consegnare non lette. Dunque, quando ci troviamo di fronte ad
una comunicazione semplice, comunicazione in cui gli unici ad essere soggetti all’obbligo
di segretezza e dunque di tutela della segretezza sono i vettori, dunque postino e provider
di posta. Ciò significa che nessuno deve leggere una corrispondenza prima che la legga il
destinatario; quindi, il mittente che scrive la lettera o l’e-mail deve avere la certezza che
nessuno legga la sua mail/lettera prima del destinatario e se qualcuno dovesse farlo, questo
è reato con sanzione penale, perché viola l’art.15 della costituzione. Non è più reato,
invece, dopo che il destinatario ha letto l’e-mail/lettera, perché la legge afferma che una
volta essere stata aperta, l’e-mail/lettera diventa documento e a quel punto l’obbligo di
mantenere la segretezza di quel documento ricade su chi l’ha ricevuta. Questo significa che
chi riceve diventa proprietario di quel documento e può farne ciò che vuole. Dunque
quando una corrispondenza è ordinaria, semplicemente personale, sarà poi il destinatario a
deciderne il futuro: egli potrà distruggerla, quindi cancellarla nella sua versione fisica e
virtuale; conservarla e quindi l’onere della riservatezza ricade sul destinatario; farla leggere
a qualcun altro, perché una volta divenuto documento, il destinatario può anche farla
vedere ad altri, consapevole che se in quella lettera vi sono elementi di reato oppure
opinioni, queste ultime non possono diventare oggetto di una querela nei confronti del
mittente, perché quando quest’ultimo le ha scritte, lo ha fatto in maniera personale.

• La comunicazione riservata e personale: una mail si dice riservata e personale guardando


al contenuto oppure ritrovando al suo interno la frase “questa mail è riservata e personale.
Chi l’ha ricevuta per sbaglio deve distruggerla. In ogni caso non ne può divulgare il
contenuto”. Nel momento in cui il mittente qualifica una mail come riservata e personale,
il destinatario non può farla vedere a nessuno senza il consenso del mittente. Il
destinatario, comunque, conserva il diritto di distruggerla o conservarla, ma non conserva
il diritto di farla vedere a terze persone, senza consenso da parte del mittente. Ad esempio,
se su una chat si riceve un messaggio, una foto o un video e questi hanno chiaramente
contenuto riservato e personale (anche se non è scritto espressamente), sarà vietato
inoltrarli a terze persone. In caso contrario, si deve essere consapevoli del fatto che si sta
ledendo un principio morale e soprattutto una regola giuridica e dunque si sta violando
l’art. 15 della costituzione.

2. Secondo comma: È presente una doppia riserva: quella di legge e quella di


giurisdizione. Ciò significa che qualsiasi atto che va a limitare la nostra libertà in
corrispondenza o di comunicazione, deve essere prevista dalla legge e decisa da un
giudice. Questo è il caso delle intercettazioni, ma anche del controllo della
corrispondenza di alcuni soggetti (dei detenuti, dei minori, dei falliti ecc..). In questi
casi è la legge che deve prevederlo (e in assenza di una legge, un orientamento della
giurisprudenza) e può avvenire con le garanzie stabilite dalla legge, non soltanto nei
modi previsti dalla legge, ma anche con le garanzie. Ad esempio, i detenuti ricevono
corrispondenza in carcere, la quale non viene controllata proprio perché si tratta
dell’esercizio di un diritto fondamentale. Ma se, ad esempio, il direttore del carcere ha
il dubbio che quella persona possa ricevere o far partire corrispondenza che abbia
contenuto illecito, allora egli può chiedere al giudice di fare un controllo su questa
corrispondenza, con la garanzia che la corrispondenza in uscita venga letta dal
detenuto prima di essere chiusa, dunque prima che essa diventi corrispondenza, e
quindi viene chiesto al detenuto di leggere ciò che ha scritto; per la corrispondenza in
entrata, invece, il contenuto della lettera viene prima letta dal detenuto e dopodiché
essa verrà letta dal direttore del carcere.

INTERCETTAZIONI

L’intercettazione rappresenta la forma più importante di invasione nella corrispondenza


privata. La più importante invasione che può esser fatta è quella che riguarda le
comunicazioni e le conversazioni telefoniche e telematiche. La telefonata è sempre stata vista
come lo strumento più libero di comunicazione, poiché l’idea è sempre stata quella che,
mentre poteva essere rischioso mettere per iscritto a qualcuno un nostro pensiero, perché egli
poteva rovinarci la reputazione sociale facendo leggere la conversazione ad altri, parlare al
telefono con qualcuno era visto come un qualcosa di più tutelante della nostra libertà di
corrispondenza, proprio perché al più la persona con la quale avevo parlato al telefono poteva
dire a terzi che io avevo detto una cosa, ma io avrei avuto la stessa libertà di dire che non era
vero, visto che nessuno dei due avrebbe potuto dare la prova di quello che effettivamente si
era detto. A partire dagli anni 80 si è imparato che la telefonata, tradizionale o telematica,
sono oggi la forma di comunicazione che più facilmente può essere soggetta ad interferenze,
grazie alle intercettazioni. L’intercettazione è l’azione o l’insieme di azioni operate al fine di
acquisire nozioni ed eventualmente copia di uno scambio di comunicazioni fra due o più
soggetti terzi di cui si analizzano, spesso a loro insaputa, le comunicazioni intercorse tra di
essi.

Dunque, si ascolta e si registra la telefonata di terzi, in modo da sapere cosa si sono dette
queste persone. Un privato non può mai intercettare la telefonata di un’altra privata:
l’intercettazione tra privati è reato perché è violazione dell’art.15 della costituzione. invece,
l’intercettazione posta in essere da un soggetto pubblico è lecita se rispetta questi tre requisiti:

1) può essere richiesta dal Pubblico Ministero;

2) soltanto per determinati reati;

3) previa autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari (GIP).

Oggi non possiamo affermare che tutti siamo intercettati, ma possiamo mettere in campo la
possibilità di esserlo soltanto se si realizzano queste tre condizioni.
REATI PER INTERCETTAZIONE

I reati per i quali sono possibili le intercettazioni sono:

• tutti i delitti non colposi (dunque dolosi) per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della
reclusione superiore nel massimo a 5 anni determinata a norma dall’art.4;

• delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a 5 anni determinata a norma dell’art.4;

• delitti di tratta, concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

• delitti di tratta concernenti le armi e le sostanze stupefacenti;

• delitti di tratta concernenti il contrabbando;

• delitti di tratta concernenti il traffico di persone;

• reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni


privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del
telefono;

• delitti legati alla pornografia e pedopornografia;

• atti persecutori.

Inoltre, i reati di ingiuria (ed i successivi presenti in quel punto) sono atti persecutori: in
questo ambito rientrano tutte quelle ipotesi nelle quali è il soggetto utente telefonico che
chiede di mettere il proprio telefono sotto controllo. Dunque, in seguito ad una denuncia per
atti persecutori, si mette sotto controllo l’utenza della vittima, proprio per cercare di
individuare attraverso l’attività di intercettazione chi lo stia perseguitando e quindi in questo
caso abbiamo la particolarità in ci l’utente sa che il proprio cellulare è disposto sotto il
controllo.

Negli altri casi, invece, è necessario che l’utente non sappia di avere il telefono sotto
controllo e quindi da un punto di vista procedimentale, le intercettazioni sono molto
importanti in una prima fase dell’attività investigativa, quando la persona in questione non ha
ancora il sospetto di poter essere intercettata.

TIPOLOGIE DI INTERCETTAZIONE

Vi sono tre tipologie di intercettazione:

1) diretta: è la più importante. Il PM indaga, si apre un fascicolo con ipotesi di reato che
prevede intercettazione e sono presenti alcune persone, informate dei fatti o sospettati,
che il PM decide di intercettare, previa autorizzazione del GIP. Quindi nel caso
dell’intercettazione diretta è già stato aperto il fascicolo (con ipotesi di reato) su quel
reato e tramite l’intercettazione si cerca di avere prove da portare poi nel processo.
2) indiretta: è quella telefonata che viene fatto verso un’utenza che è già sotto controllo per
un’altra ipotesi di reato, durante la quale si ha notizia di un nuovo reato e dunque di una
nuova ipotesi di reato. Dunque, l’intercettazione indiretta è casuale, ma che molto spesso
può far emergere reati che probabilmente non sarebbero emersi e non vale come prova nel
processo, ma viene utilizzata per aprire un fascicolo.

3) ambientale: è un’intercettazione di tipo diretto che si differenzia da quella diretta perché


non viene posta in essere nei confronti di una sola persona, bensì nei confronti di un
gruppo di persone oppure di un luogo.

Questi tre tipologie hanno un problema: intercettano ore ed ore di conversazioni telefoniche,
ore in cui l’utente e chi lo chiama non commettono sempre e solo reati, ma parlano tra loro di
tantissime cose, esprimendo anche ipotesi su terze persone, le quali richiamano anche la
attenzioni dell’opinione pubblica, che si interessa non soltanto alle informazioni strettamente
legate al processo, bensì ma anche a tutto il resto che viene detto. Quando un fascicolo viene
chiuso e dunque quando le indagini vengono chiuse, il fascicolo viene messo a disposizione
delle parti interessate. Se esce qualche notizia prima che il fascicolo viene chiuso, si parla di
fuga di notizie ed è un fatto illecito; se invece la notizia viene resa nota dopo che viene
chiuso il fascicolo, allora non siamo di fronte ad un fatto illecito, bensì una delle parti che
aveva accesso al fascicolo lo ha reso noto ad un giornalista. Le parti che hanno accesso al
fascicolo sono il PM, l’avvocato difensore e tutti gli altri avvocati delle persone coinvolte.
Ovviamente tutte queste persone hanno interessi diversi a far sapere all’opinione pubblica
anche altri aspetti non legati al processo, ma che riguardano le persone coinvolte, ad esempio
per screditarle o al contrario dimostrare che sono brave persone.

LEGGE 28 FEBBRAIO 2020 N.7

Questa legge afferma che quando termina una fase istruttoria (le indagini) il PM si deve
assumere la responsabilità di dividere il contenuto delle intercettazioni che hanno rilevanza
nel processo, da quelle che invece non hanno rilevanza nel processo stesso. Questa seconda
parte non deve essere messa nel fascicolo, bensì deve essere conservata a parte per tutta la
durata del procedimento penale, m non può essere accessibile a chiunque, il PM assume
dunque un ruolo chiave, col fine di evitare che nelle intercettazioni si riportino delle frasi che
possono essere considerate espressioni sensibili da non riportare sul giornale.

Chi non può essere intercettato?

• In modo diretto non può essere intercettato il parlamentare (anche i ministri), se non
viene chiesta prima l’autorizzazione alla camera alla quale egli appartiene. E se egli viene
intercettato in modo indiretto, non può essere utilizzata quella parte della telefonata, se non
si ha l’autorizzazione da parte della camera di appartenenza;
• Il Presidente della Repubblica non può mai essere intercettato;

• L’avvocato difensore, quando parla con il suo assistito, non può essere intercettato.

DISTINZIONE DELLE FORME DI COMUNICAZIONE


Quello che distingue le due forme di comunicazione, quella personale e quella pubblica, è
l’intenzione di chi comunica, ovvero, sia di chi inizia la comunicazione e sia l’intenzione di
chi riceve questa comunicazione. Esempio: se io sto comunicando con una perdona in chat,
questa persona sa che sta facendo una comunicazione personale, per questo quando noi
comunichiamo dobbiamo ben essere consapevoli che se le parti che stanno dialogando sono
convinte che questo tipo di comunicazione sia personale non posso poi trasformare quella
comunicazione in una comunicazione pubblica. Quando noi parliamo di un animus
dell’articolo 15, significa essere consapevoli che la comunicazione personale ha regole ben
precise; dunque, è una comunicazione che posso avere anche con più persone ma che
debbano essere determinate o comunque determinabili. Diverso il caso in cui registro una
telefonata, mentre una terza persona non può registrare una telefonata ,oggi la giurisprudenza
è aperta all’ipotesi che uno dei due interlocutori di una telefonata possa registrare la
telefonata stessa , ma può utilizzare il contenuto di questa telefonata solo per ragioni di
giustizia , quindi solo per difendersi da un accusa o per fare un accusa .Al di fuori di questi
casi però la registrazione non è utilizzabile perché andrebbe a violare l’affidamento dell’ altra
persona di star facendo una conversazione riservata. Tutto ciò che riguarda la corrispondenza
è riservato fino a quando la telefonata non si è conclusa, oppure fino a quando la lettera o l’e-
mail non è stata aperta.

Le forme della corrispondenza:


-lettera cartolina fax sono corrispondenza; telefonata con linea telefonica tradizionale oppure
telefonata zoom sono articolo 15; le chat, profilo chiuso di Facebook, di Instagram sono
art.15;
-la newsletter è art.21, il blog forum il sito, parlare in una piazza, parlare in televisione sono
art.21; scrivere un libro sono art.21.
L’ art.15 comprende una serie di nostre attività comunicative che sono destinate a soggetti
determinati o comunque determinabili, non importa se li conosciamo, ma l’importante è che
li posiamo determinare.
L’articolo 21 riguarda tutte quelle comunicazioni che noi definiamo nella sfera pubblica, tutto
ciò che è potenzialmente idoneo al parlare in pubblico.
ART 21.
L’articolo 21 è l’altro caposaldo della società dell’informazione e della comunicazione,
perché noi siamo diventati tutti un mondo di comunicatori, comunicatori di dati. Quando noi
parliamo di libertà di manifestazione del pensiero dobbiamo fare riferimento per il nostro
paese all’art21 della nostra costituzione, che si presenta come la disposizione costituzionale
più librale che abbiamo in Europa perché la carta dei diritti fondamentali del cittadino
dell’unione europea (oppure la cedu)si presentano più limitativi rispetto a questa libertà
enorme che la nostra costituzione ha voluto prevedere. La nostra costituzione ha immaginato
un diritto di parola molto esteso perché venivamo da un periodo nel quale nessuno poteva
esprimere un’opinione che fosse diversa da quella del potere e quindi, in un’ottica di
reazione, la nostra costituzione ha previsto un diritto molto ampio. Non un diritto assoluto ,
perché nessun diritto costituzionale e assoluto , noi viviamo in un sistema giuridico basato sul
bilanciamento tra i diritti e quindi l’esercizio di un diritto va bilanciato con l’esercizio di un
altro diritto, per esempio l’esercizio del diritto di manifestazione del pensiero va bilanciato
con la dignità della persona o con la dignità dello stato ; ma questo bilanciamento non è
sempre uguale perché se ad esprimere il mio pensiero sono io , il mio bilanciamento è più
faticoso mente invece se a esprimere la propria opinione e un giornalista o un parlamentare
nell’esercizio delle loro funzioni allora ala loro libertà di parola può comprimere anche un po'
la mia dignità , la mia riservatezza , perché vi è un interesse generale all’informazione che a
quel punto diventa prevalente ,anche se non la potrà mai schiacciare del tutto , rispetto alla
sfera della mia intimità .
Dire che l’art.21 è un diritto molto ampio, non significa dire che in nome della libertà della
manifestazione del pensiero si può parlare sempre di tutto e di chiunque; ogni manifestazione
del pensiero deve essere bilanciata con il diritto delle persone delle quali noi vogliamo
parlare.
Nell’art.21 la costituzione utilizza in modo ampio il termine “tutti”, sottolineando che in una
società democratica deve assumere rilevanza il pensiero di chiunque, cittadino o non
cittadino; quindi, nel nostro paese tutti possono esprimere la propria opinione perché non
esiste un pensiero dominante. Tutti hanno diritto di parlare , ma non c’è il diritto di poterlo
fare con qualsiasi mezzo, quindi se io esprimo un pensiero no-vax durante un comizio ,
nessuno mi potrà chiamare in giudizio per quello che ho detto (a meno che non abbia offeso
qualcuno in particolare)ma non posso pretendere che una televisione , un giornale , un
giornale online mi diano lo stesso spazio che danno ad altre opinioni, perché ce un diritto di
parlare ma non c’è un corrispondente diritto ad accedere in nodo paritetico ai mezzi di
informazione.
Avere un diritto comporta la possibilità di decidere se esercitarlo o non esercitarlo; quindi, il
diritto di esprimere un’opinione è un diritto che trova eccezione soltanto per il testimone del
processo penale che invece e anche un obbligo di dire ciò che sa ma che non esce da questo
caso , in tutti i campi del nostro vivere noi abbiamo il diritto al silenzio, quindi il diritto di
poter tacere la nostra opinione ad esclusione dell’ipotesi in cui siamo testimoni in un
processo penale ,allora in questo caso abbiamo un obbligo di dare testimonianza. (l’imputato
invece questo obbligo non ce l’ha).
TUTELA COSTITUZIONALE
Anche il verbo che è stato utilizzato “manifestare” segna la differenza con l’art.15, la
corrispondenza non è una manifestazione ma è un colloquio, il manifestare significa portare
all’attenzione di molti qualcosa che ho pensato, che ho scritto o che ho scolpito. Non ci può
essere tutela se non c’ è la manifestazione; quindi, se io qualcosa l’ho pensata ma non l’ho
detta non potrò lamentarmi che io l’avevo pensata prima di quelli che stanno dicendo. (il
pensiero è tutto ciò che è frutto dell’intelletto)La manifestazione del pensiero è il pensiero di
qualsiasi cosa ad esempio il tema in classe , la tesi di laurea , la prova di fine corso, la
canzone , al scrittura , il dipinto ; tutte queste sono espressioni del nostro pensiero che si
manifesta , ma il pensiero deve essere proprio quindi non è ma manifestazione del pensiero
quando noi copiamo il pensiero di qualcun’altro e andrà ,dunque, ad essere tutelato l’altro
qualora noi ci appropriamo di un pensiero che non è il nostro. Il contenuto di un articolo
anche se frutto di un’intervista rappresenta sempre il pensiero di chi lo scrive a meno che non
metta le virgolette; ma se il giornalista decide di non usare le virgolette, in questo caso, la
persona che è stata intervistata può chiedere di rettificare quell’intervista sottolineando che il
giornalista non ha compreso il senso di quelle parole oppure che quelle parole non sono
affatto state dette.
Quindi chi riporta il pensiero di un altro può farlo in modo creativo ma se si limita a copiarlo
questo pensiero non può essere considerato tutelabile. Il giornalista può citare frasi di una
conversazione o un’intervista, mettendole tra virgolette non si prende la responsabile di
quelle parole salvo il fatto che poi l’intervistato non possa dimostrare di non averle dette.
I mezzi con cui possiamo manifestare il nostro pensiero sono con la parola , con lo scritto e
con ogni altro mezzo di diffusione ; la televisione esisteva già negli stati uniti quando i nostri
costituenti hanno scritto la costituzione non limitando la libertà della manifestazione del
pensiero soltanto alla parola e allo scritto e alle arti figurate come la pittura la scrittura ma
ogni nuova forma di diffusione di pensiero sia scritto sia visualizzabile quindi rientrano
pienamente nella tutela sia la televisione tradizionale e nelle sue nuove forme e sia il web .La
nostra costituzione ha voluto stabilire bel nodo più ampio possibile i contorni di questa
manifestazione e quindi anche se noi oggi diciamo che esiste un bilanciamento tra diritti la
costituzione non ha voluto formalizzarlo. La nostra costituzione che conosceva la parola
dignità e che conosceva la privacy non ha voluto inserire nessuno di questi elementi
all’interno della costituzione e ha inserito come unico limite esplicito “sono vietate le
pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon
costume”. Il buon costume è un concetto di comunità, una scelta del nostro costituente il
quale ha voluto affidare all’evoluzione della società anche la sua percezione di che cosa si
debba intendere per buon costume. Si rivolge soprattutto al settore artistico (“tutte le altre
manifestazioni contrarie”). Il concetto di buon costume dal 48 agli anni 70 già era cambiato e
se dagli anni 70 ad oggi il concetto del buon costume si è ulteriormente modificato. Oggi,
allora, possono essere considerate contrarie al buon costume quelle pubblicazioni, quegli
spettacoli o eccessivamente violenti oppure lesivi del pudore sessuale dei minori. Dove il
concetto di minore si abbassa sempre di più, non è più il 17 per il momento è ancora il
quindicenne ma ben presto diventerà tredicenne, proprio perché l’evoluzione della società
porta a riequilibrare questo concetto di pudore, e in parte e anche concetto di violenza,
rispetto al sentimento degli anni 50,70,90. La tutela del buon costume non è nel vietare
determinati tipi di pubblicazioni ma semplicemente nel renderle invisibili a quei soggetti che
si potrebbero turbare. Per tutelare i minori da spettacoli televisivi inopportuni per la loro età,
segnalando ai genitori che il programma non è adatto a quell’età e soprattutto evitando che
determinati spettacoli che potrebbero ledere la sensibilità dei minori vadano in onda in fasce
orare nelle quali i minori sono davanti al televisore.
Va considerata l’ampiezza del diritto di manifestazione del pensiero che si allarga ancora di
più nel momento in cui noi parliamo non soltanto della manifestazione del pensiero di uno di
noi ,ma quando parliamo della manifestazione del pensiero del giornalista perché la nostra
costituzione da un primo livello di tutela alla manifestazione che potremmo definire ordinaria
,quella di ciascuno di noi, e dà poi una protezione rafforzata a chi fa informazione
professionale(stampa, televisione, giornale online ) proprio per consentire la possibilità di
concorrere a informare la opinione pubblica nel modo più libero possibile e quindi la
costituzione dice espressamente che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure e quindi ci dice espressamente che tutta l’informazione professionale non può essere
sottoposta alla cancellazione dei contenuti che sono stati preparati.
LIBERTÀ DI STAMPA (Informazione professionale)
La libertà della manifestazione del pensiero appartiene a tutti, ognuno ha il diritto di parlare,
di parlare ad un gruppo di amici dove tutti possono sentire, di scrivere un post su Facebook o
Instagram oppure di avere un blog, tutto cioè̀ è la libertà di pensiero articolo 21 comma 1.La
libertà di stampa, la intendiamo come libertà di informazione professionale, cioè̀ parlare per
informare qualcun altro, quindi parlare in pubblico con degli strumenti più̀ importanti come i
giornali, sia cartacei sia online e la tv. La libertà di stampa è dunque, la libertà di informare in
modo professionale, l’informazione ha il compito di informare l’opinione pubblica,
un’informazione che non è una manifestazione del pensiero, ma è la volontà̀ di informare
l’opinione pubblica su fatti.La nostra costituzione garantisce la libertà di stampa, durante il
fascismo compressa, perché in democrazia dobbiamo tutelare sia il pensiero di chi la pensa
come la maggioranza sia quello di chi la pensa in modo diverso rispetto la maggioranza.
L’articolo 21 della costituzione, tutela anche il pensiero contrario, cioè̀ il pensiero di chi non
è d’accordo, non tutela però il pensiero antagonista perché́ va contro i valori della nostra
comunità̀ democratica.Nel 1948 esistevano i giornali, non la tv e la radio era solo pubblica,
quando il costituente ha scritto l’articolo sulla libertà di stampa, gli è stato dato questo nome
perché́ pensava ai giornali.
L’articolo 21, secondo comma, ci dice che la stampa non può̀ essere soggetta ad
autorizzazioni e censure. Non dobbiamo essere autorizzati per informare, non è soggetto a
censura cioè̀ non possiamo impedire ad un giornale stampato di essere pubblicato. Ovvero
non possiamo oscurare un giornale online, che non possiamo oscurare un tg che sta andando
in onda, quando l’informazione è professionale non deve né essere autorizzata prima per fare
il proprio lavoro, non può̀ essere né censurato dopo che è stato stampato, mandato in onda, o
caricato su un sito. La nostra costituzione prevede ancora il sequestro degli stampati, ovvero
la possibilità̀ che viene oscurato un tg, previsto dal comma 3 dell’articolo 21.“si può̀
procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità̀ giudiziaria nel caso di delitti,
per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle
norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. Cioè̀ si può̀
sequestrare un giornale solo per i reati che sono previsti dalla legge sulla stampa.
Secondo la legge sulla stampa del 48 sono previsti solo due reati:-la stampa clandestina,
cioè̀ che non ha chiesto la registrazione (non è un’autorizzazione)
- La stampa che contiene immagini raccapriccianti (immagini di cadaveri). In questo caso
l’autorità̀ giudiziaria può̀ procedere al sequestro dello stampato. Delle immagini
raccapriccianti importante che non ci sia l’istantaneità̀ ovvero la quotidianità̀ della morte,
ma possono essere pubblicate solo per fatto storico come l’immagine di Aldo Moro la sua
morte in macchina.

Anche se noi abbiamo il desidero di fare informazione, ma noi manifestiamo il pensiero


perché́ non siamo soggetti ai quali la costituzione e la legge d le garanzie che sono dei
giornalisti. se nel fare informazione definisco “stupido, imbecille” una persona della quale sto
parlando, questa persona mi potrà̀ denunciare per diffamazione.
Se in un articolo di giornale, sia cartaceo o online, oppure durante la trasmissione televisiva,
un giornalista può̀ dire ad un altro soggetto che non capace di fare il suo mestiere solo
perché́ l’ha fatto in ambito di professione giornalistica e si presenta come condizione di
causa, anche se la persona querelerà̀ per diffamazione il giornalista difficilmente vincerà̀ la
causa. Dobbiamo tener distinti la manifestazione del
La libert di pensiero prevede dunque sia il pensiero contrario sia il pensiero non vero,
l’informazione professionale va alla ricerca di una qualche verità̀ e si basa su tre regole
precise:
• linguaggio adeguato
• attualità̀ della notizia,
• veridicità̀ di quanto viene raccontato. (comma 1, e comma 2 articolo 21).

FAKE NEWS.
Riguarda l’animo di chi la dice, dove ognuno focalizza l’attenzione su qualcosa, dando più̀
versioni diverse, stessa cosa quando noi assistiamo ad un fatto (partita, comizio, cronaca)
quando si ascoltano i testimoni si sa che, anche estranei al fatto, daranno una
rappresentazione del fatto diversa. La ricostruzione della verità̀ diventa un’operazione




complessa perché́ , la verità̀ diventa la sommatoria degli eventi che si sono raccolti e alla fine
il quadro che emergerà̀ sarà̀ un quadro in cui avranno un punto fermo ma con piccole
differenze. Avremo dunque, alcuni elementi che saranno presenti in quasi tutte le
testimonianze che daranno l’idea presumibilmente vero, altri avremo contorni certi. Quando
si racconta un fatto, o esprime opinione su una persona che influenzata da alcuni elementi
di empatia, e quindi in parte sarà̀ influenzata dal proprio modo di rapportarsi. Ognuno di noi
ha una propria percezione della realtà̀ , la verità̀ come elemento oggettivo non esiste, essa
dipende dalla quantità̀ di informazioni che riusciamo ad immettere nel nostro processo
cognitivo ed espositivo.
Quando un giornalista racconta un fatto se stato testimone di quel fatto, lo racconterà̀ per
come l’ha visto lui, ma non detto che un altro giornalista lo racconterà̀ in modo
parzialmente diverso. Una fonte giornalistica attendibile è una fonte che dovrà̀ essere molto
attento ad individuare le proprie fonti per poter garantire un’attività̀ di informazione corretta.

STAMPA E INFORMAZIONE PROFESSIONALE

Quando parliamo di libertà di stampa facciamo riferimento alla legge 8 febbraio 1948 n°47

Perché facciamo riferimento a questa legge? Perché dal 1948 il nostro legislatore non è più
riuscito ad approvare una legge sui sistemi dell'informazione. Solamente la giurisprudenza in
qualche modo ha cercato di adattare quelle regole che sono contenute nella legge del 1948 al
terzo millennio.

La legge del 8/2/1948 è una legge storicamente importante perché è una legge che è stata
approvata direttamente dell'Assemblea costituente nel gennaio del 1948, proprio poco prima
che l'Assemblea costituente interrompessi i propri lavori.

Perché tutta questa fretta nell'approvare una legge sulla stampa?

Perché Subito dopo, diciamo così, la fine dei lavori dell'Assemblea costituente furono
convocate le elezioni per il primo Parlamento della Repubblica italiana, si andò a votare ad
aprile. Certamente non si poteva fare campagna elettorale più la stampa non avrebbe potuto
informare i cittadini sulla base della legge approvata nel periodo fascista. Perché quella legge
era una legge “liberticida” (la legge sulla stampa che era che veniva utilizzata durante il
periodo fascista, prevedeva la censura prevedeva le autorizzazioni prevedeva il divieto di
quei giornali che esprimevano un pensiero contrario rispetto al regime) quindi esattamente
l'opposto di quello che dice la Costituzione italiana del 1948.



LEGGE SULLA STAMPA 8 FEBBRAIO 1948, N.47

Articolo 1 - definizione di stampa o stampato:

“sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche
o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla
pubblicazione”.

Nell’ottica del costituente si faceva riferimento ad un giornale che avesse una fisicità e che,
come tutte le cose fisiche, fosse destinata a durare un tempo limitato.

In inglese, “news”, si comprende che la notizia è un qualcosa di nuovo, attuale, che passato il
momento in cui si verifica o in cui la raccontiamo, diventa insignificante poiché non tutto ciò
che accade nel mondo diventa storia.

Sicuramente oggi la nozione di stampa non è più legata all’elemento materiale; restano
invece gli obblighi contenuti nell’articolo 2 della legge del 48: un giornale non deve essere
considerato clandestino; di fatto, uno dei due reati per il quale si può procedere al sequestro
degli stampati è la clandestinità. Consideriamo un giornale clandestino per il fatto che non si
è registrato presso il tribunale e non ha indicato gli elementi considerati dalla legge
considerati. Premesso che i giornali non vengono autorizzati, si afferma che essi devono
essere registrati perché l’opinione pubblica e le persone eventualmente danneggiate dalle
notizie pubblicate, devono sapere a chi rivolgere le proprie lamentele e dunque capire chi
devono querelare ed a chi devono chiedere il risarcimento del danno.

Articolo 2 - indicazioni obbligatorie sugli stampati:

“ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il
domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore”.

Dunque, i giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazione e i periodici di qualsiasi


altro genere devono recare indicazione:

• del luogo e della data della pubblicazione;

• del nome e del domicilio dello stampatore;

• del nome del proprietario e del direttore o vicedirettore responsabile.

Il luogo di un giornale cartaceo non è la sede legale del giornale stesso, bensì la tipografia;
la sede legale del telegiornale non è dove esso viene registrato, bensì dove ha la sede legale
l’emittente televisivo; infine, il luogo del giornale online è la sede legale del giornale.

La data o anno della pubblicazione: il giornale ci deve dire qual è la sua periodicità (se è
un libro ci interessa l’anno), dunque ogni quanto tempo esso esce. Ci interessa sapere la
periodicità perché dobbiamo sapere se quei fogli sui quali è pubblicata una certa notizia sono
effettivamente stati pubblicati da quel giornale e quindi non c’è stato qualcuno che
falsificando quel giornale abbia pubblicato una notizia che non rientra nel giornale stesso.

Il nome ed il domicilio dello stampatore subentrano soltanto nel caso del giornale online,
mentre il nome dell’editore (proprietario) viene indicato perché egli è il proprietario del
giornale ed è dunque colui che si dovrà assumere la responsabilità per il risarcimento dei
danni provocati dalla pubblicazione di una notizia sul suo giornale. L’editore è quindi
equiparabile ad un proprietario di un’impresa, ad un imprenditore.

Inoltre, il giornale ha un nome, che in alcuni casi è anche associato ad un colore. In questi
casi, quindi, il segno distintivo di un giornale non è soltanto un nome, bensì anche il colore
ad esso legato. Poiché il giornale è un’impresa, l’informazione è gestita da soggetti privati
che gestiscono questa attività in forma di impresa, subendone il rischio; questa impresa, poi,
deve presentare dei caratteri distintivi, ovvero la proprietà, il nome, il luogo e la data.

Infine, l’ultimo elemento fondamentale è il direttore responsabile (equiparabile al manager),


ossia l’amministratore delegato, il vertice della struttura dell’azienda giornalistica.

Questi elementi (nome, luogo, data, direttore responsabile ed editore) sono elementi
fondamentali per richiedere la registrazione nel giornale.

Articolo 5 - registrazione nel giornale:

La registrazione nel giornale è un elemento fondamentale previsto dall’articolo 5 della legge


del 1948. Non c’è dunque la possibilità di decidere se registrare o meno un giornale, perché
lo stampato non registrato è clandestino e come tale deve essere sequestrato.

Il giornale si registra presso tribunale competente per territorio, rispetto al luogo che viene
indicato tra gli elementi costitutivi del giornale. Quindi il giornale si registra nel luogo dove
viene materialmente stampato.

Il tribunale può rifiutare la registrazione solo se manca uno degli elementi fondamentali; non
si tratta di un’autorizzazione, bensì di registrare in un registro pubblico il giornale con i suoi
elementi fondamentali. La registrazione è un obbligo, essa non si può rifiutare, se non per il
motivo sopra citato (mancanza di uno degli elementi) e il registro è pubblico.

La stampa in qualsiasi stato liberale e democratico è sempre stata una stampa plurale e
soprattutto gestita da imprenditori privati; in Italia non c’è mai stato un giornale pubblico e
dunque si può affermare che esso è un’impresa che segue le regole del diritto privato.

Perché un privato dovrebbe fare l’imprenditore editoriale?


Molto spesso accade che alcuni imprenditori facciano nascere giornali, ma in realtà svolgono
nella vita altre professioni, come ad esempio Berlusconi, il quale ha iniziato la propria attività
imprenditoriale come costruttore. Successivamente, poiché era un appassionato dello
spettacolo, ha inventato la televisione privata nel nostro paese e solo dopo è diventato editore;
dunque, si è occupato di giornale cartaceo.

Queste persone decidono di fare gli imprenditori editoriali perché i giornali sono ancora oggi
il più importante strumento di formazione dell’opinione pubblica ed è dunque il mezzo
mediante il quale un editore cerca di offrire ai lettori che compreranno il suo giornale, il suo
punto di vista sulla realtà.

Inoltre, così come l’imprenditore nella propria impresa da l’indirizzo di quello che si deve
produrre e di quanto si deve produrre, dunque detta le linee generali, così l’editore detta la
linea editoriale. La linea editoriale è realizzata dal direttore responsabile, il quale è all’interno
dell’impresa editoriale il vertice: è lui che coordina i giornalisti.

Articolo 3 – DIRETTORE RESPONSABILE

La legge è chiara, ogni giornale deve avere un direttore, denominato direttore responsabile.
“Responsabile” significa che sarà lui a dover rispondere in giudizio per tutte le querele che
verranno rivolte al giornale e proprio per questo motivo la legge è molto restrittiva: il
direttore del giornale non solo deve essere giornalista, ma deve essere cittadino italiano o al
più cittadino europeo e deve essere iscritto nella lista elettorale e dunque deve avere
l’elettorato attivo e passivo. Quindi se per qualche motivo un giornalista, un direttore di
giornale perde la capacità elettorale (perde il godimento dei diritti politici per una particolare
sentenza e per un periodo di tempo), non potrà essere in quel periodo un direttore
responsabile.

Inoltre, quando il direttore è investito di mandato parlamentare, deve essere nominato un


vicedirettore che assume la qualità di responsabile.

RESPONSABILITÀ DEL DIRETTORE

Innanzitutto, c’è da affermare che su ogni giornale, ogni giorno sono pubblicati una serie di
articoli, di notizie, le quali sono scritte da singoli giornalisti, devono essere lette
preventivamente dal direttore del giornale, il quale esercita su questi articoli scritti dai
giornalisti che sono dipendenti del giornale, un duplice controllo:

• deve verificare che il contenuto dell’articolo non sia in contrasto con la linea editoriale del
giornale;

• deve controllare che l’articolo contenga una notizia veritiera (o almeno la fonte deve essere
attendibile), che sia scritta con un linguaggio adeguato e che riguardi un fatto di interesse
pubblico. Questi 3 elementi, secondo la Cassazione, si devono sempre ritrovare nel diritto
di cronaca.

Molto spesso, invece, si legge che le notizie vengono smentite: ciò significa che il giornale
deve ammettere che la fonte sulla quale ha basato la propria notizia, sia una fonte in quel
momento non attendibile.

Dunque, il direttore responsabile ha il compito di verificare che una notizia scomoda, emessa
da un giornale, sia blindata e che il giornale (anche se verrà querelato), non verrà condannato
a risarcire il danno alla persona che si è sentita offesa.

il direttore responsabile ha:

1) responsabilità per omesso controllo: sorge nel momento in cui egli non controlla
l’articolo del giornalista che si è rivelato non veritiero;

2) co-responsabilità: sorge nel momento in cui egli stesso ha scritto l’articolo e quindi
risponde della condanna in quanto autore o co-autore dell’articolo;

3) Responsabilità per articolo anonimo: sorge quando il direttore del giornale risponde in
prima come giornalista per gli articoli anonimi che pubblica sul suo giornale. Anonimi
nel senso che a volte può capitare che in alcuni articoli giornalistici non è presente la
firma del giornalista. Nel caso in cui è presente la firma, il giornalista si prende la
responsabilità di quello che scrive ed il direttore responsabile si assume la
responsabilità del controllo.

Invece, nel caso in cui la firma del giornalista non è presente, è come se quell’articolo fosse
stato scritto del direttore stesso, perché c’è bisogno che qualcuno si assuma sempre la
responsabilità penale dei reati che vengono commessi a mezzo stampa. Se la persona
danneggiata richiederà il risarcimento del danno, questo verrà pagato dall’editore.

N.B.: la calunnia si ha quando si accusa ingiustamente una persona di aver commesso un


reato. Per esserci calunnia devo essere consapevole del fatto che ciò che sto dicendo non è
vero, ma lo dico soltanto per infangare la reputazione di un’altra persona.

Inoltre, l’automaticità si ha nel momento in cui un giornalista viene condannato per un reato,
non è possibile che il giudice possa solo dare la pena detentiva. Il giudice deve valutare se
dare una pena detentiva o una pecuniaria, perché sussistono reato e condanna, ma il carcere
per la manifestazione di un’idea di un giornalista deve sempre essere valutato con molta
attenzione.

Articolo 16 – STAMPA CLANDESTINA

L’art.16 della legge n.47 del 1948 qualifica come clandestina quello stampato che viene
distribuito ma per il quale non ci sia stata registrazione o ci sia stata registrazione falsa.
TESTATA GIORNALISTICA TELEVISIVA

Nel ‘48 si parla solo di stampa cartacea e all’inizio dell’attività televisiva i telegiornali
venivano considerati una sorta di spettacolo. Agli inizi della televisione (che era solo
pubblica), chi leggeva le notizie del giornale molto spesso non era giornalista, perché anche il
telegiornale era inquadrato all’interno del concetto di spettacolo, si stava semplicemente
riportando una notizia o un fatto senza dare ad essi nessun significato ulteriore oltre a quello
di informare le persone. Si utilizzava dunque una sorta di neutralità, la quale poteva essere
espressa anche da un non giornalista; ad essere giornalisti, invece, erano i componenti della
redazione, ovvero coloro che fabbricavano la notizia.

Nel ’69 vi fu la diretta televisiva dello sbarco sulla luna ed in quel caso il giornalista deve
effettuare una cronaca “intensa”; dunque, si sente sempre di più l’esigenza che anche i
telegiornali abbiano una propria connotazione giuridica e si arriva all’approvazione della
legge 14 aprile 1975, n.103.

LEGGE 14 APRILE 1975, N.103

Questa legge stabilisce che i telegiornali vengano equiparati ai giornali e che quindi come i
giornali debbano registrarsi. Naturalmente cambia il mezzo, passando da un giornale
cartaceo, il quale il giorno dopo non ha più nessun valore informativo, ad una trasmissione
televisiva con una durata specifica e delle quale dopo non reta più traccia, se non negli
archivi televisivi.

La legge del ’75 prevede la registrazione:

• nome: segno identificativo di quella trasmissione televisiva che oggi ha le caratteristiche


dell’attività giornalistica;

• luogo: dove ha la sede legale l’emittente televisiva e quindi a differenza del giornale, il cui
luogo è la tipografia, il telegiornale si deve registrare presso il tribunale competente per
territorio rispetto alla sede legale dell’emittente televisiva;

• periodicità: quante volte al giorno/settimana va in onda il tg ed in quali fasce orarie e


quando si deve fare un’edizione ulteriore, essa deve assumere le caratteristiche di edizione
straordinaria;

• proprietario: può essere un editore oppure una società;

• direttore di rete: anche i tg hanno un direttore responsabile che la legge individua nel
direttore della rete televisiva. Il direttore della rete televisiva è anche il direttore del
telegiornale della rete. In realtà, il direttore di una rete televisiva deve assumersi il tempo e
l’onere di leggere tutte le notizie che verranno poi lette al tg. Anche se queste notizie poi
verranno lette, esse sono pur sempre notizie e quindi la redazione prepara delle notizie che
potrebbero essere tranquillamente pubblicate sul giornale, solo che invece di essere messe
per iscritto, vengono esposte durante il tg. Quindi il direttore di rete non ha il tempo e
molto spesso non ha le competenze, poiché non è detto che il direttore di una rete
televisiva sia giornalista: molto spesso è un manager che si occupa più di intrattenimento,
invece che di giornalismo. Quasi sempre il direttore della rete delega ad un giornalista le
funzioni di direttore responsabile del tg e quindi la figura del direttore del tg è una figura
non obbligatoria, perché basta che ci sia il direttore di rete, e dal momento in cui si assume
la responsabilità dei contenuti del tg per contratto e non per legge, lo farà in forza di un
accordo contrattuale. Quindi mentre nel caso del direttore di un giornale cartaceo, si sa che
per legge egli è il direttore responsabile e quindi si sta assumendo la responsabilità di ciò
che si sta pubblicando sul giornale, il direttore del tg esiste in quanto all’interno
dell’organizzazione della rete televisiva si decide di affidare ad una persona specifica,
ovvero un giornalista, la qualità di direttore del tg e quindi questa persona che viene
nominata, viene anche delegata, per contratto e non per legge, questa responsabilità.

TIPOLOGIE TELEVISIVE DI PROGRAMMI DI APPROFONDIMENTO


GIORNALISTICO

I programmi televisivi di approfondimento giornalistico sono differenti dai telegiornali e si


dividono in tre tipologie (divisione fatta dall’AGICOM, autorità garante delle comunicazioni)
:

4) Talk show politico: programmi con ospiti in studio (ed eventualmente anche pubblico)
che dibattono argomenti vari con un intrattenitore che media tra i vari interventi per
animare la conversazione. Un talk show può essere di spettacolo, calcistico, politico, ma
non è detto che il conduttore/mediatore debba essere un giornalista;

5) Inchieste: programma giornalistico di approfondimento (spesso anche con filmati)


solitamente su singole tematiche;

6) Dibattiti: programmi che prevedono un dibattito in studio o fuori studio per


l’approfondimento di temi solitamente di attualità sociale o politica. Mentre nel talk show
solitamente è il conduttore che decide se far interdire contemporaneamente più ospiti
oppure uno alla volta, nel caso del dibattito invece più persona contemporaneamente
discutono di un argomento di attualità sociale, politica, economia ecc. Questi programmi,
che vanno in onda nelle ore più diverse (nel pomeriggio, prima serata, seconda serata),
sono qualificati in base al format, ovvero il soggetto che propone alla rete televisiva il
programma stesso, il quale decide se vuole essere ricondotto nella categoria
intrattenimento, oppure in quella giornalismo. Se uno spettacolo è ricondotto all’interno
della categoria intrattenimento, il conduttore sa di poter essere soggetto a dei tagli del
programma (soprattutto se è registrato); sa di essere soggetto ad una sorta di censura; sa
di dover presentare preventivamente una scaletta del programma, in modo tale che il
direttore della rete possa valutare se quella scaletta del programma sia adeguata o meno al
target della rete televisiva. Se invece opta per essere attività giornalistica, allora sarà più
libero, perché sa che a quella trasmissione si applicheranno le regole del secondo e terzo
comma dell’art. 21 e della legge sulla stampa e quindi non ci potranno essere tagli del
programma. Egli, però, dovrà garantire veridicità, continenza e pertinenza di ciò che
viene detto all’interno del programma. Inoltre, molte volte accade che il conduttore dica
agli ospiti, durante la trasmissione, le frasi “abbassate i microfoni” oppure “io mi dissocio
da quello che si sta dicendo”: ciò significa che, in quel momento, se fosse il direttore di
quella trasmissione, taglierebbe quel pezzo, ma a quel punto la persona si trova a dover
reggere da sola tutta la responsabilità di ciò che sta dicendo, proprio perché il conduttore
si sta dissociando e dunque dice al pubblico che egli è contrario rispetto a ciò che l’ospite
sta dicendo. In questo caso, c’è da affermare che il conduttore all’interno del suo
programma presenta una credibilità che è superiore a quella del singolo ospite o in ogni
caso, anche se entrambi sono credibili, il conduttore/giornalista in quel momento si sta
estraniando dalla co-responsabilità di ciò che viene detto. È dunque in suo potere il poter
spegnere i microfoni: quando un ospite dice un qualcosa di particolarmente grave,
chiedendo di chiudere i microfoni è come se si stesse operando una sorta di
differenziazione tra ciò che è la linea editoriale del programma e ciò che è la libera
manifestazione del pensiero dell’ospite. Molto spesso, infatti, quell’ospite non si ritroverà
più all’interno dello studio subito dopo la pubblicità, perché è una cosa che si fa spesso: si
manda subito la pubblicità e si cerca di chiarire all’ospite che determinate affermazioni
non si possono fare.

Dunque mentre il tg rientra sicuramente all’interno della legge del 1975 ed è sempre attività
giornalistica, per tutti i programmi di intrattenimento televisivo che vediamo quotidianamente
è una scelta del format: se vuole essere attività di intrattenimento, sapendo che a quel punto la
libertà sarà limitata, oppure essere attività di approfondimento giornalistico (quindi
giornalismo), ma a quel punto la responsabilità si accentua, proprio perché non siamo più
nell’ambito dell’intrattenimento, bensì in quello della libertà di manifestazione del pensiero.

TESTATA GIORNALISTICA ONLINE

In rete non c’è la stessa possibilità di distinguere ciò che è informazione professionale e ciò
che non è informazione professionale, come invece si può fare per la stampa cartacea, la
quale è sempre informazione professionale, il tg e le trasmissioni di intrattenimento.

I siti internet molto spesso hanno la forma del giornale, un nome, confezionano gli articoli
come se fossero un giornale (forse sono un giornale), e proprio qui è presente la grande
particolarità dell’informazione professionale in rete perché l’unica norma presente fino a
questo momento contenuta nel decreto legislativo 70 del 2003 non prevede l’obbligo per i
giornali online di registrarsi. Mentre il giornale cartaceo deve registrarsi, perché se non lo fa
rientra nella stampa clandestina, per il giornale online non vale la stessa regola e quindi un
sito può decidere di fare informazione essente dentro sé stesso di essere un giornale senza
bisogno di dover adempiere a tutte quelle formalità previste nella legge del 1948.

Ma può anche decidere di farlo: non è presente l’obbligo, o meglio c’è l’obbligo per un sito
di informazione di registrarsi come giornale soltanto se ha un fatturato annuo superiore ai
100.000 euro (e questo è l’unico caso in cui c’è l’obbligo). In tutti gli altri casi c’è la libertà
di registrarsi.

Un giornale online, però, può decidere di registrarsi quando non vuole correre il rischio di
essere sequestrato; di fatto, tutti i siti posso essere sequestrati con atto motivato dall’autorità
giudiziaria.

Nel caso del giornale online registrato, gli articoli non si cancellano, nel caso in cui una
persona si senta diffamata da ciò che viene scritto: al massimo il giudice, se da ragione alla
persona che si sente diffamata, può obbligare il giornale a pubblicare una rettifica. Se invece
il giornale non è registrato, nel momento in cui io presento querela, il mio avvocato chiederà
anche una misura “cautelare”, ovvero il sequestro del sito al fine di evitare che quella
diffamazione presente su quel sito continui ad essere visibile fino a quando non finirà il
processo.

Dunque la garanzia di un giornale online registrato, rispetto a uno non registrato, è molto
diversa, perché quello registrato resiste a qualsiasi interferenza da parte del giudice, perché
egli può provvedere al sequestro soltanto se il sito manca di qualche elemento della
registrazione: nel caso in cui il sito non è un giornale registrato, il giudice potrà valutare
come preminente la mia esigenza di essere ancora diffamata da quell’articolo e quindi
sequestrare il sito, oppure l’articolo pubblicato.

Inoltre, oltre alle varie garanzie, se un sito online è un giornale registrato, egli potrà
richiedere un finanziamento pubblico, come fanno i giornali cartacei, ma questo significa
anche indicare non soltanto il nome, ma anche luogo, periodicità, direttore responsabile ed
editore. Secondo ciò che è previsto dalla normativa italiana che ha dato attuazione al comma
5 dell’art.21, un giornale online deve anche indicare le fonti di finanziamento, perché su
questo l’Italia ha fatto una scelta precisa: esiste una legge che obbliga i giornali ad indicare
ogni anno quali sono le loro fonti di finanziamento proprio per capire chi paga la pubblicità
del giornale, chi sovvenziona il giornale.

Dunque, anche questo è un modo per controllare come la linea editoriale di un determinato
giornale sia influenzata da interessi diversi che molto spesso sono di tipo economico.

Quindi un giornale online si registra se vale essere tutelato, ma sa di avere questi obblighi; se
è registrato, deve avere un direttore responsabile e oggi la giurisprudenza ci dice che egli ha
la stessa responsabilità del direttore di un giornale cartaceo, con una differenza: risponde
soltanto dei contenuti scritti dalla redazione, non anche dei commenti degli utenti.

Si può poi affermare che è difficile stabilire la periodicità di un giornale online, ma essendo
un giornale, deve indicarla. Quando si stabilisce nella registrazione la periodicità, bisogna
indicare anche per quanti giorni la notizia resta pubblicata sul giornale online;
successivamente tale notizia va nell’archivio del giornale online.

La particolarità della sezione archivio di un giornale online registrato rispetto a qualsiasi altro
archivio è che questa sezione non è indicizzabile nei motori di ricerca: quando una notizia
pubblicata su un giornale online termina il suo periodo e finisce in archivio, si potrà
recuperare soltanto in archivio e non mediante il motore di ricerca. Questo a tutela del diritto
all’oblio delle persone, altrimenti queste notizie rimarrebbero in circolazione sempre, senza
distinzione del momento in cui sono accadute sembrerebbero sempre attuali.

Infine, sul giornale online non esiste la rettifica perché di solito per quando chiediamo al
giornale di rettificare, è già passata anche la periodicità del giornale stesso e la notizia è già
finita nell’archivio. In questo caso la regola è che se un giudice chiede al giornale di
rettificare la notizia, essa viene rettificata all’interno dell’archivio insieme alla notizia
originale.

IMPRESA EDITORIALE

L’impresa editoriale è un’impresa a tutti gli effetti (molto spesso in forma di società) ed
essendo un’impresa a tutti gli effetti ha un proprietario, ha una organizzazione aziendale che
vede al vertice il direttore responsabile ed ha una serie di dipendenti. Questi dipendenti, che
sono lavoratori dipendenti a tutti gli effetti, sono però dipendenti che svolgo una funzione che
il nostro ordinamento giuridico ritiene di particolare importanza. I giornalisti che scrivono sul
giornale hanno la funzione fondamentale di informare l’opinione pubblica. Hanno bisogno
quindi di alcune garanzie, nei confronti del loro stesso datore di lavoro, che possano garantire
che la persona possa sia liberarsi velocemente di un rapporto di lavoro che non è più
soddisfacente, sia li renda sufficientemente liberi di svolgere la loro attività.

Ogni giornale ha una linea editoriale, quindi in ogni giornale i giornalisti che vi lavorano
sono lì perché condividono la linea editoriale di quel giornale. Un giornalista che si è formato
in una certa scuola di giornalismo, che ha una certa visione di quello che è l’interesse
generale, difficilmente potrà lavorare in un giornale che segue una linea editoriale
completamente opposta.
I Mass media di informazione sono 3:
• Giornale cartaceo
• Telegiornale,
• Giornale on line, e uguale però è la figura del giornalista che vi lavora.

I giornalisti nel nostro paese, anche da un punto di vista giuridico, sono in primo luogo dei
professionisti, vuol dire che non si può svolgere l’attività di giornalista professionista se non
si è conseguita l’abilitazione e non ci si è iscritti all’albo dei giornalisti. Noi siamo tra i pochi
paesi al mondo che hanno l’albo dei giornalisti, cioè che considerano i giornalisti
potenzialmente dei liberi professionisti.

Il giornalista che deve frequentare una scuola apposita, oppure fare il giornalista praticante
per almeno 2 anni, prende quest’abilitazione e poi può decidere se fare il giornalista di un
giornale, telegiornale, ecc., oppure fare il freelance, ossia il giornalista che per necessità
decide di svolgere la propria attività professionale in modo autonomo, da libero
professionista e non dipendente di un giornale e poi vendere gli articoli di giornale o i propri
servizi fotografici (il giornalismo si esprime anche attraverso servizi fotografici) ai giornali
che siano diversi o sempre lo stesso.

Molto spesso dietro il freelance si nasconde un giornalista che pur lavorando stabilmente per
un giornale non è stato assunto regolarmente da quest’ultimo. La figura di freelance può
avere sia l’aspetto romantico di chi decide di essere libero nelle inchieste e nei reportage
fotografici che fa e poi li vende ad uno o più giornali (giornalisti di inchiesta, di guerra), ma
accanto a questo aspetto romantico si nasconde un’altra realtà che è quella dei giornalisti che
di fatto lavorano alla dipendenza di un giornale, ma nella forma hanno un rapporto di
collaborazione freelance con questo giornale.

Un’altra differenza che facciamo è tra giornalista professionista e giornalista pubblicista. Il


giornalista pubblicista è un giornalista che nella vita fa tutt’altro (professore universitario ad
esempio) e che essendo particolarmente competente su qualcosa, cravatte, legislazione
universitaria…, scrive degli articoli senza essere però realmente un giornalista; quindi non è
un freelance perché non è un giornalista, ha già un altro lavoro, ma poiché presenta nella sua
professione o nel suo hobby una o più skills molto professionalizzate, allora può scrivere
questi articoli di giornale per uno o più giornali diversi a seconda di chi li richiede. In questo
caso esiste proprio un albo, ossia l’albo dei giornalisti pubblicisti e la cosa importante è che
questi articoli vanno pagati; quindi, il giornale che riceve questi articoli deve remunerare e di
solito i giornalisti pubblicisti scrivono gli articoli su richiesta. Abbiamo quindi due
macrocategorie: giornalista professionista e giornalista pubblicista, e poi la categoria
giornalista professionista si suddivide a sua volta in giornalista dipendente e giornalista
freelance (queste due categorie hanno diritti e doveri leggermente diversi).
Responsabilità del direttore

Anche il direttore è un giornalista, quindi anche lui deve essere iscritto all’ordine del
giornalista, deve essere cittadino italiano o europeo, è un dipendente del giornale, è il vertice
dell’impresa, ed ha delle responsabilità sue proprie, la più importante è quella per omesso
controllo (i giornalisti scrivono gli articoli e lui deve controllarli prima di pubblicarli); ma ha
anche forme di responsabilità tutte sue come la co-responsabilità, ossia quando scrive e firma
un articolo insieme ad un altro giornalista; e poi ha responsabilità diretta, ossia quando scrive
direttamente lui un articolo o quando decide di pubblicare un articolo sul giornale senza
firma, che in questo caso è come se lo avesse scritto lui.

Responsabilità dell’editore

L’editore, come qualsiasi imprenditore, è responsabile del risarcimento del danno; quindi, se
vi è la violazione di un diritto, che viene sanzionato da un giudice (diffamazione,
calunnia…), quindi se il giornale viene condannato al risarcimento di un danno a qualcuno,
questo risarcimento non lo paga il giornalista, non lo paga il direttore del giornale, ma lo paga
l’editore. Questa non è una particolarità del giornale, ma è tipico di qualsiasi amministrazione
e impresa privata. Quindi sia nel settore pubblico sia nel settore privato, per l'errore del
dipendente, sul piano civile risponde sempre il proprietario; quindi, l'editore dovrà rispondere
economicamente del danno che è stato provocato dal proprio dipendente.

DIRITTI E DOVERI DEL GIORNALISTA

In che cosa la lo status del giornalista si differenzia da quello degli altri lavoratori? In che
cosa presenta dei diritti tutti i suoi?

Il diritto che forse più conosciamo è il cosiddetto diritto di cronaca, critica e satira. Il lavoro
del giornalista è quello di raccontare, raccontare un fatto che è accaduto, raccontare un
personaggio ad esempio le interviste, descrivere, cercare di capire politicamente,
calcisticamente culturalmente come sta cambiando la società. In alcuni casi si parla di fatti
realmente accaduti in altri casi si parla più che altro di sensazioni, di cambiamenti in atto e
quant'altro.

DIRITTO DI CRITICA

Il giornalista ha anche il diritto di critica: cosa significa? Significa commentare un fatto o


descrivere una personalità non in modo imparziale, ma in modo un po’ critico; infatti, si dice
sempre che un giornalista dovrebbe fare domande un po’scomode quando fa un'intervista, ma
in realtà l'intervista normalmente è un'intervista piuttosto neutrale.

Se invece il giornalista non intende esercitare il diritto di cronaca, ma vuole esercitare il


diritto di critica allora le domande saranno un po' più pungenti, proprio perché tenderanno a
raccontare il fatto o a descrivere questa personalità nei suoi aspetti più problematici, piuttosto
che nella facciata rassicurante che questo personaggio può avere. Il giornalista può anche
avere in sé una vena satirica, che si esprime di solito soprattutto con le vignette: cosa
significa una vena satirica? Significa che può cercare di rappresentare la realtà non con le
parole, ma con le immagini (esempio: la rivista francese Charlie Hebdo, che poi fu oggetto di
un attentato di matrice islamica e questo giornale viene qualificato come giornale satirico,
cioè è un giornale che fa il fare informazione non attraverso le parole, ma attraverso le
immagini).

Tutti noi siamo liberi di esprimere liberamente il nostro pensiero, ma tutti noi siamo
consapevoli che dobbiamo anche stare attenti a che il nostro pensiero non venga considerato
offensivo o lesivo di un proprio diritto da parte di qualcun altro. Questo perché tutti i diritti
devono essere bilanciati, quindi il mio diritto di parola non può sopprimere il diritto alla
dignità di un'altra persona. Per il giornalista le cose cambiano perché il giornalista deve avere
la possibilità di essere pungente, deve avere la possibilità di raccontare il fatto per come egli
lo vede e non per come qualcuno gli chiede di vederlo; quindi, deve raccontare la realtà nel
modo più vicino alla realtà stessa che gli è possibile.

Se i giornalisti avessero la stessa libertà di manifestazione del pensiero che abbiamo tutti noi,
di fatto non potrebbero fare il giornalista, perché nel momento stesso in cui vanno a
raccontare delle opinioni di persone, che vogliono dare la migliore immagine di sé, e invece il
giornalista ha scoperto degli aspetti del carattere della vita di questa persona, che non sono
proprio così limpidi, ebbene se il giornalista avesse la stessa libertà di pensiero di uno di noi,
non avrebbe possibilità di raccontarle.

Un giornalista per essere giornalista deve essere pungente, deve andare a raccontare anche
cose che gli interessati non vorrebbero raccontare.

ESEMPIO: a Roma, ci sono due candidati al ballottaggio e un giornalista è andato a


ritrovare una vecchia dichiarazione, che uno dei due candidati aveva pubblicato su un suo
post, che aveva detto durante un'intervista, e questa affermazione l'ha ripubblicata e ne è
nato un gran dibattito, perché effettivamente l'opinione espressa da questo candidato sindaco
non è proprio una di quelle opinioni che si possono esprimere con grande tranquillità.
Questo ci dice che il giornalista ha potuto farlo perché sa di godere di una libertà maggiore
rispetto a quella di ciascuno di noi, perché se io fossi andata a ripescare questo mio ricordo,
che avevo sentito, che questo candidato aveva detto questa cosa e l'avessi pubblicata come
post su Facebook, questo candidato se la leggeva e se riteneva che io avessi espresso
un'opinione così lesiva della sua dignità, mi poteva querelare per diffamazione. Invece no, al
giornalista non lo può querelare per diffamazione, o meglio se un soggetto che si sente offeso
nella propria dignità querela un giornalista, il giornalista ha dalla sua parte quelle che in
diritto si chiamano esimenti, se ha rispettato queste esimenti può avere la ragionevole
certezza di non essere condannato.
DIRITTO DI CRONACA, CRITICA, SATIRA

Partiamo dal diritto di cronaca: La Corte di Cassazione ci dice che il diritto di cronaca
deve presentare tre elementi: veridicità, continenza, pertinenza. Ci dice che quando un
giornalista racconta un fatto o racconta un personaggio, lo deve fare in modo veritiero.

La Cassazione non parla di verità, ma parla di verità putativa, cioè parla di veridicità.

Qual è la differenza? La verità non esiste, cioè la verità come elemento oggettivo non esiste,
perché ciascuno di noi vede la realtà dal proprio punto di vista, anche se guardiamo tutti nella
stessa direzione, il nostro occhio coglierà elementi diversi rispetto all’altro. Quando due
persone si trovano a vivere la stessa esperienza, quindi ad assistere allo stesso fatto, ognuno
di loro la percepirà con elementi diversi. La Cassazione, nello scrivere quello che si
chiama il decalogo del giornalista, dice che noi non possiamo chiedere al giornalista la verità
assoluta, ma gli possiamo chiedere soltanto la verità putativa o veridicità, ossia dobbiamo
chiedergli di raccontare il fatto per come lo ha visto senza travisarlo.

Deve raccontare la personalità che sta intervistando senza travisarla, cercando di attenersi il
più possibile alle parole che ascolta, tant'è vero che quando un giornalista intervista qualcuno
e vuole proprio riportare delle parole che questa persona ha detto, le mette tra virgolette.

C'è poi un altro aspetto: il giornalista potrebbe non avere assistito personalmente al fatto e
allora in questo caso la veridicità è assicurata dall'attendibilità della fonte, cioè il giornalista
deve verificare che la persona che gli ha raccontato il fatto sia un testimone attendibile, cioè
sia una fonte seria che non ha interesse a travisare la realtà. Quindi primo elemento del
diritto di cronaca è la veridicità: se un giornalista dimostra di essersi comportato
correttamente sul piano della veridicità non può essere condannato per un reato di opinione.

CONTINENZA

Il giornalista deve usare un linguaggio adeguato: deve usare un linguaggio ordinato, non
sopra le linee, senza espressioni forti, parolacce, ma anche che lo deve fare in modo
imparziale, cioè deve fare in modo che chi lo ascolta non riesca a percepire il giornalista che
opinione personale ha, perché è vero che il giornalista attraverso il diritto di cronaca, critica e
satira esercita il proprio diritto alla manifestazione del pensiero, ma lo deve fare secondo le
regole del diritto di stampa.

PERTINENZA

Elemento più importante: il giornalista deve raccontare fatti che siano di pubblico interesse;
quindi, deve raccontare la realtà di oggi e quindi il suo articolo deve essere pertinente. La
pertinenza è l'elemento più importante del diritto del giornalista. Il giornalista non può
raccontare fatti che non interessano a nessuno, non può raccontare i fatti che sono accaduti
dieci anni fa, se questi fatti non sono tornati di attualità.
Quindi non può utilizzare la sua libertà di manifestazione del pensiero per ragioni sue
personali. Il giornalista non può parlare di chi gli pare, non può andare a cercare fatti se
questi fatti non hanno o potranno avere un interesse pubblico, altrimenti la persona che viene
chiamata in causa potrebbe lamentarsi del fatto che il giornalista abbia usato il suo potere per
ragioni personali.

Perché il giornalista ha un potere? Perché quello che leggiamo sul giornale, quello che
sentiamo al telegiornale, quello che leggiamo su un giornale online viene letto grazie a questi
mezzi da tantissime persone, le quali le leggono nell'ottica della attendibilità che deriva dal
fatto che a dirlo è un giornalista; perché se a dirlo sono io e allora quella è una mia opinione e
come tutte le opinioni vale uno, se invece ad esprimere quell'opinione è un giornalista, c'è
qualcuno che dice qualcosa, che racconta un fatto per mestiere e che quindi conosce bene la
realtà, a quel racconto, a quella notizia diamo un valore superiore a uno, quanto più
autorevole il giornalista tanto più noi ci crediamo.

Nel diritto di cronaca devono coesistere tutti e tre gli elementi: veridicità, pertinenza e
continenza.

Quale di questi tre elementi perdiamo nel passaggio al diritto di critica? La continenza.

Nella critica siamo un po' più sopra le righe, manifestiamo di più la nostra opinione,
perdiamo la nostra imparzialità, ma lo dobbiamo fare sempre raccontando un fatto in modo
veritiero e pertinente, cioè attuale. Quindi se un giornalista intervistando un'altra persona
cerca di metterlo in difficoltà, quindi comportandosi in modo critico, non lo può fare su fatti
che non sono di interesse pubblico o alterando la realtà, lo deve incalzare sempre su fatti di
interesse pubblico e che hanno un fondo di verità, quindi che sono veritieri.

Nel diritto di satira tra veridicità e pertinenza cosa perdiamo?

Nel diritto di satira perdiamo la veridicità. In una vignetta tutto viene trasfigurato, ma noi
dobbiamo però essere consapevoli che questa trasfigurazione si basa su un fatto che
realmente accaduto e che è di interesse pubblico in questo momento.

Ricapitolando il primo diritto del giornalista sono in realtà tre diritti: diritto di cronaca,
critica e satira. Il giornalista ha il diritto e anche il dovere di raccontare la realtà, di
raccontare l'attualità, e a seconda che stia esercitando il diritto di cronaca, di critica e di satira
dovrà rispettare i tre elementi, i due elementi, e un solo elemento, che sono stati individuati a
partire dal 1984 dalla Corte di Cassazione in quello che viene definito il “decalogo del
giornalista”.
DIRITTO AL SEGRETO PROFESSIONALE

Il diritto al segreto professionale lo conosciamo per altre professioni come un dovere, il


dovere professionale, tutti i professionisti di regola sono vincolati al segreto professionale.

Perché nel caso del giornalista noi lo qualifichiamo come diritto? Lo qualifichiamo come
diritto del giornalista a poter gestire le proprie fonti nel modo che ritiene più utile. Il segreto
professionale del giornalista riguarda le fonti, le proprie fonti. Ogni giornalista tende di
regola a non dire mai quali sono le loro le sue fonti, le vuole tenere per sé e sono un
patrimonio professionale non indifferente.

La fonte per un giornalista è sicuramente un diritto nella misura in cui ha il diritto di tenerla
segreta, con le due eccezioni, il giornalista ha anche il diritto di rivelare la propria fonte
qualora questo sia necessario per di discolparsi di un'accusa. Il giornalista ha il diritto di
tenere segrete le proprie fonti, ma anche il diritto di rivelarle qualora rivelarle sia necessario
per lui per potersi difendere da un'accusa. Lui ha il diritto a non rivelarle, ma c'è un ambito
nel quale le fonti di un giornalista possono essere particolarmente preziose, soprattutto se il
giornalista è un giornalista di inchiesta e quindi il giornalista potrebbe aver intervistato delle
persone molto a conoscenza di fatti sui quali sta indagando la magistratura, potrebbe essere
entrato in possesso di documenti che potrebbero essere molto utili in un'inchiesta penale, e su
questo noi abbiamo molte sentenze da parte della magistratura, che cercano di bilanciare il
diritto al segreto professionale del giornalista e il diritto della comunità di indagare su
determinati fatti.

Nelle massime di due sentenze della Cassazione in una si dice che ci deve essere
proporzionalità tra segreto professionale e accertamento dei fatti oggetto di indagine penale e
in questo caso ci può essere l'ordine del giudice al giornalista di mostrare le proprie fonti, ma
questo ordine deve essere un ordine motivato, cioè deve essere specificato che quello è
l'unico modo per poter arrivare alla realtà; e l'altra massima riguardo il caso del sequestro
della memoria di un computer di un giornalista, è possibile soltanto se il giudice, che ordina il
sequestro, riesce a dimostrare che in quel caso, in quel computer non c'è nulla che riguardi il
segreto professionale del giornalista, ma sempre facendo in modo di non compromettere il
diritto del giornalista alla riservatezza delle proprie fonti.

Opinione personale della prof.: i giornalisti fanno i giornalisti, gli investigatori fanno gli
investigatori, quindi noi non possiamo sacrificare la capacità di informare di un giornalista e
quindi la sua capacità di avere le fonti perché chi sta indagando su una questione non è in
grado di trovare da soli le fonti; è capitato molte volte che giornalisti hanno posto il segreto
professionale davanti alla richiesta del giudice di dire loro come erano riusciti ad
intervistare un capomafia, piuttosto che un camorrista, piuttosto di un passato un terrorista,
e la difesa di questi giornalisti è stato che così come c'erano riusciti loro, anche gli
investigatori potevano riuscirci allo stesso modo, e in più e questo poi ha fatto sì che mai si
sia chiesto di rivelare la fonte in questi casi così delicati, rivelare la fonte significa mettere la
fonte stessa in pericolo di vita. Quindi i giudici non hanno mai potuto fino in fondo obbligare
un giornalista a rivelare in questi casi le proprie fonti, proprio perché rivelare le proprie
fonti avrebbe messo i testimoni, gli informatori dei giornalisti, le fonti dei giornalisti, in
grandissimo pericolo.

TUTELA DEI DATI PERSONALI

Se invece un giornalista riesce ad avere da una fonte le informazioni riservate sul


procedimento in corso, se si scopre che le ha avute non potrà opporre il segreto professionale
perché in questo caso la fonte ha acquisito le informazioni in modo fraudolento, quindi
violando la legge. La violazione di legge per l'acquisizione di informazioni non è coperta dal
segreto professionale. La stessa cosa succede anche nel momento in cui il giornalista viene a
conoscenza di fatti su cui c'è il segreto di Stato o in questi casi conserva comunque la libertà
del segreto professionale?

No, anche in questo caso, proprio perché noi sappiamo che il segreto di Stato è un vincolo
per i magistrati ed è un vincolo per l'opinione pubblica in generale; quindi, se un giornalista
acquisisce informazioni coperte da segreto di Stato ne deve rispondere, cioè ne deve
rispondere davanti alla magistratura perché si tratta di una acquisizione fraudolenta di
informazioni. Una volta che il giornalista le ha divulgate conta poco che verrà condannato per
acquisizione fraudolenta di queste informazioni, e che quindi non possa essere coperto dal
principio dell'attendibilità dal segreto professionale, quindi dall’attendibilità della fonte,
ormai le ha rivelate.

Il segreto di Stato è un modo per alterare la verità e quindi diciamo così se un giornalista
riesce ad acquisire informazioni coperte da segreto di Stato, sicuramente per lui arriverà una
condanna penale, ma l'effetto mediatico che questo avrà lo ripagherà diciamo così della
condanna che inevitabilmente dovrà poi subire.

Nel caso in cui una fonte rivelasse queste informazioni durante il processo, sarebbe
condannata la fonte o il giornalista? Dobbiamo immaginare questa situazione c'è un
processo, in questo processo o il pubblico ministero o la difesa portano quale testimone il
giornalista, perché il giornalista in un proprio articolo ha parlato di quel fatto in un modo che
è interessante, o per il pubblico ministero, o per la difesa, o per le parti civili. Se il giornalista
rifiuta di rivelare la propria fonte, il giudice può accettare il suo rifiuto ritenendo che quello
che gli viene chiesto è coperto dal suo segreto professionale, oppure può ordinare al
giornalista di rivelare chi gli ha detto queste cose e di consegnare i documenti che danno
testimonianza di quello che lui ha scritto nell'articolo. Se arriva questo ordine del giudice,
questo ordine però deve essere adeguatamente motivato, quindi abbiamo come si dice in
diritto l'inversione della prova, è il giudice che deve dimostrare perché vuole violare il diritto
del giornalista al segreto professionale. Quindi il giudice che deve dire che non esiste un altro
modo per conoscere i fatti se non facendoseli dire o facendoseli consegnare dalla fonte del
giornalista.
DIRITTO DI POTERSI DIMETTERE LIBERAMENTE

Il terzo diritto del giornalista è un diritto diciamo così di natura economica, che si lega
fortemente alla libertà di informazione del giornalista.

Cosa intendiamo per libertà di coscienza? Consiste nel diritto del giornalista a dimettersi
senza dare preavviso.

Perché il giornalista può decidere di andarsene? Decide di andarsene perché ad esempio gli
hanno fatto un'offerta migliore di un'altra in un altro giornale, oppure decide di andarsene
semplicemente perché il suo direttore del giornale non gli pubblica più gli articoli, perché
ritiene ad esempio che non sono in linea con la linea editoriale del giornale. Questo può
capitare a volte quando il giornale viene venduto ad un altro editore che potrebbe non avere
la stessa linea editoriale del precedente. Quindi il giornalista dipendente potrebbe trovarsi
nella condizione di non essere più a suo agio nel giornale, se ne accorge per il fatto che gli
cambia l'editore, cambia il direttore responsabile e lui non riesce più a vedersi pubblicati i
suoi articoli. Come tutti, il giornalista può dimettersi senza preavviso, come per tutti i
dipendenti privati anche il giornalista può dimettersi senza preavviso, ma nel suo caso egli
non avrà nessuno svantaggio economico perché il giornale gli dovrà pagare per intero lo
stipendio del mese in corso, e dovrà anche diciamo così pagargli tutta la liquidazione che gli
spetta.

UNICO DOVERE DEL GIORNALISTA: IL DOVERE DI RETTIFICA

Può capitare che un giornalista dia una notizia e qualcuno gli segnali che questa notizia è
“sbagliata”. Ad esempio: avere abbinato una fotografia ad un nome e cognome sbagliato,
potrei aver detto una cosa ricostruendo il curriculum di una persona che invece non è vera, e
oppure potrei avere proprio detto di una persona qualcosa che questa persona ritiene
assolutamente non vera.

Quando viene pubblicata una notizia, o viene data sul giornale una notizia, o viene
pubblicato su un giornale online una notizia, che riguarda qualcuno e questo qualcuno ritiene
che quella notizia non sia corretta chiede al giornale al telegiornale o al giornale online di
rettificare i tre mass media che vi ho citato.

Hanno regole completamente diverse:

Il giornale cartaceo: si può chiedere una rettifica al giornale cartaceo sia se quello che il
giornale cartaceo ha scritto non è vero, sia se l'interessato lo considera non vero, quindi sia
che hanno detto una cosa sbagliata del curriculum e quindi io scrivo al giornale, oppure ad
esempio il giornalista potrebbe scrivere che Anna Papa è diventata un professore
universitario solo grazie e a una serie di congiunture favorevoli senza dire quali, lasciando
quindi intendere chissà come questo sia avvenuto. Nel primo caso siamo di fronte a una cosa
oggettivamente non vera, nel secondo caso siamo di fronte a qualcosa che potrebbe tanto
essere vero quanto non essere vero.

Nel caso del giornale cartaceo io posso in entrambi i casi chiedere che il giornale rettifichi, e
qui tocca alla giornale fare una valutazione: se si rendono conto che è meglio rettificare, si
applica quella che si chiama rettifica spontanea e può essere pubblicata in una qualsiasi
delle pagine del giornale; quindi la notizia che hanno dato l'hanno messa in prima pagina,
ebbene la rettifica la mettono scritta piccolo in qualche l'altra pagina del giornale, dove non la
legge nessuno; oppure il giornale non vuole rettificare è convinto di aver scritto correttamente
la notizia allora a questo punto la sottoscritta si rivolge al giudice e chiede che il giornale sia
condannato a rettificare: si chiama rettifica giudiziale. In questo caso se il giornale viene
condannato deve pubblicare la rettifica sulla stessa pagina e con la stessa importanza con la
quale aveva dato la prima notizia; quindi, nel caso del giornale cartaceo diciamo così si deve
rettificare non soltanto la notizia sicuramente sbagliata, ma anche la notizia che viene
considerata sbagliata dall'interessato, quindi perché pregiudizievole della propria reputazione.

Telegiornale:

Nel caso del telegiornale invece la redazione rettifica soltanto la notizia falsa; quindi,
l'interessato può chiedere al telegiornale di rettificare solo se la notizia è palesemente falsa,
non anche se è una notizia data in modo ambiguo oppure che può dar vita a più
interpretazioni. Anche qui la rettifica può essere di due tipi:
• la rettifica spontanea e quindi il telegiornale potrà rettificare subito a volte capita
che durante il telegiornale viene letta una notizia alla fine del telegiornale, è arrivata
già la richiesta di una rettifica e quindi prima di chiudere il telegiornale, il giornalista
dice dobbiamo rettificare una cosa che abbiamo detto prima non è 20% ma è 30%
quindi qualcuno avrà segnalato che quella notizia che è stata data, e che riguardava il
fatturato del Napoli per l'anno scorso, che è aumentato, non è aumentato il 20% ma è
aumentato del 30 %.
• Anche qui c'è la rettifica giudiziale, quindi se la redazione del giornale non vuole
rettificare e l'interessato si rivolge al giudice, qualora vi sia una condanna alla
rettifica, la rettifica deve avvenire in un telegiornale nella stessa fascia oraria dove era
stata data la prima notizia sbagliata. Bisogna specificare che si tratta di una rettifica,
quindi che si è data un'informazione sbagliata.

Giornali online:

Sui giornali online invece non esiste la rettifica in senso stretto, perché non esiste la fisicità
del giornale, le notizie sono tutte lì. Hanno quindi stabilito che se un interessato segnala che
una notizia è sbagliata, oppure che una notizia deve essere aggiornata perché è stata data in
un modo ma poi ci sono stati degli aggiornamenti, (immaginiamo pincopallo è indagato per
riciclaggio e questa notizia viene mandata sul giornale online per 2,3,4 giorni, quando
finisce il periodo indicato dal giornale online come periodo di pubblicazione sul sito della
notizia, questa notizia finisce in un archivio del giornale, che si può consultare dal sito
stesso, ma che non è indicizzabile dai motori di ricerca. Quindi che cosa deve fare il giornale
dopo 3, 4 giorni che la notizia è andata nell'archivio? Se c'è un aggiornamento della notizia
oppure c'è l'obbligo di rettificare quella notizia, quella notizia dovrà essere rettificata
corretta all'interno dell'archivio del giornale online subito, sotto la notizia stessa, quindi la
notizia deve essere contestualizzata, aggiornata. La rettifica va soltanto nell’archivio, a meno
che dopo qualche mese, dopo qualche anno, a quella specifica notizia potrà risalire al fatto
che quella notizia all'inizio data sul giornale online non era corretta e che è stata poi
rettificata o spontaneamente, o su ordine del giudice).

DIFFERENZA TRA I TRE MASS MEDIA

Quindi diciamo che mentre sul giornale cartaceo, sul telegiornale la rettifica ha un senso, che
di solito chi legge un giornale, legge sempre lo stesso, chi guarda il telegiornale, guarda
sempre lo stesso e più o meno alla stessa ora, sul giornale online invece non possiamo parlare
di rettifica vera e propria perché questa rettifica difficilmente verrà pubblicata sul sito del
giornale, ma verrà invece quasi sempre pubblicata direttamente all'interno dell'archivio del
giornale quindi concludendo potete notare come la professione del giornalista sia una
professione particolarmente tutelata con più diritti che doveri, naturalmente poi ci sono i
diritti e i doveri del lavoratore giornalista e cioè da un lato il diritto allo stipendio, dall'altro il
diritto all'esclusiva e dall'altro il rispetto della deontologia, e dall'altra parte il diritto alle
ferie. In questo è un dipendente come tutti gli altri, ma rispetto a questi diritti e doveri
tradizionali, noi aggiungiamo questi diritti che sono espressamente previsti dalla legge o dalla
giurisprudenza proprio per garantire la serenità di chi esercita questa professione così
importante, e soprattutto la garanzia della sua non imparzialità perché il giornalista non è mai
un soggetto imparziale, ma in quanto professionista sa che pur nelle sue convinzioni
personali, l'esposizione dei fatti che fa è legata è obbligata dei principi della veridicità,
pertinenza e continenza.

TUTELA DELLA DIGNITÀ


L'importante che non abbiamo trattato quando abbiamo trattato del primo comma dell'articolo
21 e abbiamo detto come la nostra libertà di esprimere la nostra opinione termina dove inizia
il diritto di qualcun altro ed infatti una prima categoria di reati che sono collegati all'articolo
21 riguarda proprio la violazione della dignità altrui, quindi tutti quei casi in cui una persona
nel manifestare il proprio pensiero viola attraverso i reati di ingiuria ,diffamazione e carogna
la dignità di un'altra persona. C’è un'altra categoria di reati che vuole tutelare la dignità delle
istituzioni e qui diciamo così il discorso diventa più complesso e delicato perché in
democrazia è necessario che tutti possano esprimere le proprie opinioni critiche nei confronti
fi chi esercita il potere quindi se una persona è in disaccordo con una determinata politica
deve avere la possibilità di esprimere una opinione contraria, naturalmente l’espressione
critica va espressa in modo tale da non ledere la dignità delle istituzioni ,ma senza mai andare
a colpire il contenuto della libertà di manifestazione del pensiero. Quindi in democrazia, il
pensiero contrario, deve essere tutelato, cosa diversa invece se il pensiero è antagonista, cioè
se il pensiero è contrario a quei valori sui quali si fonda la nostra democrazia, perché in
questo caso non c'è possibilità di tutela e il riferimento è a quei reati che puniscono la
cosiddetta apologia.

Quindi andando per ordine all’interno della categoria piuttosto eterogenea, individuiamo tre
sottogruppi:
1) Quei reati che vogliono perseguire manifestazione del pensiero che sono contrario alla
dignità di una persona.
2) La seconda categoria che mira a perseguire quelle manifestazioni di pensiero che sono
contrarie alla dignità delle istituzioni.
3) Mira a colpire quelle manifestazioni di pensiero che sono contrarie ai valori sui quali
la nostra comunità democratica si fonda.
Bisogna sempre stare attenti a bilanciare il diritto di ciascuno di noi di esprimere un’opinione
con il diritto di altri di non vedersi soffocati da un’opinione contraria particolarmente
mortificante. La Corte costituzionale ha definito sin dalle prime sentenze la libertà di
espressione la pietra angolare della democrazia, proprio per sottolineare come la libera
circolazione dell’opinione sia fondamentale per poter far crescere una comunità, ma non l’ha
voluto configurare questo diritto come diritto assoluto perché non esistono diritti assoluti non
ci sono diritti he in partenza prevalgono su altri diritti.

REATO DI OPINIONE
Il primo gruppo di reati fa riferimento alla tutela della dignità della persona. Questo concetto
di dignità della persona trova il proprio fondamento costituzionale negli art.2-3 primo comma
della costituzione. L’articolo 2 viene considerato la matrice dei diritti (la repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle
quali la persona sviluppa la propria personalità). Lo sviluppo della personalità è una
declinazione della tutela della dignità della persona e nel suo diritto a determinare il proprio
essere, a determinare la propria proiezione sociale. Nell art.3 primo comma (tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale). Quando è stata scritta questa parte dell’articolo faceva riferimento
al fatto che non esistono più i titoli nobiliari. Oggi quel concetto ha acquisito un significato
nuovo, ovvero, il diritto di ogni persona a dare di sé la proiezione sociale che ritiene più
adatta; quindi, non è la società che determina la proiezione sociale, ma è la persona che
determina la propria proiezione sociale.
REATO DI INGIURIA
I comportamenti che possono ledere la dignità di una persona portano all’esistenza di alcuni
reati: il primo reato che il nostro Codice penale prende in considerazione è il reato di
ingiuria. Ci dice l’art.594 del Codice penale che chiunque offende in onore o il decoro di
una persona presente è punito con la multa fino a 516 euro, e si dice che questo reato è stato
depenalizzato. Un reato si dice depenalizzato quando pur rimanendo reato, non prevede più il
carcere, ma semplicemente una pena pecuniaria (multa fino a 516 euro). L’ingiuria è quella
situazione in cui io offendo una persona che però è presente, che si può difendere o
rispondere, ciò lo considero reato quando la forza tra le due persone (forza non solo fisica ma
anche morale tra due persone) è tale che potenzialmente la persona si può difendere, ma in
realtà il solo difendersi non mette in parità la situazione. L’ordinamento giuridico vuole
punire il comportamento volto a screditare una persona presente in tutte le situazioni in cui
non c’è parità tra le due persone, tra chi offende e chi viene offeso. L’ingiuria è un reato
molto fastidioso perché l’offesa viene fatta ad una persona presente e alla presenza di altre
persone, ma l’ordinamento giuridico l’ha depenalizzata perché ritiene che in una società nella
quale siamo sostanzialmente con pari dignità sociale, ognuno può difendersi. Diverso è il
caso previsto dall’ art.595 che è l’articolo dove ce maggiore giurisprudenza, è quella
situazione nella quale una persona parlando con altre lede la dignità sociale di qualcuno che è
assente. Quest’articolo ci dice “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente,
comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a
un anno o con la multa fino a mille trentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a
due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero
in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore
a euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua
rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”
La diffamazione può avere diversi stadi: il primo comma ci dà uno stadio generico, ovvero, io
parlo male di una persona ma senza dire cose specifiche (esempi: dicendo quella non è una
brava persona) quindi nulla di preciso, però voglio dare con le mie parole a chi mi sta
ascoltando la sensazione che quell’altra persona non è una persona della quale fidarsi; quindi,
mi mantengo nel vago, diffamando la persona mantenendomi nel generico. In quest’articolo
c’è scritto che non solo devo parlare di una persona assente, ma anche con più persone (la
giurisprudenza ha detto almeno due) perché si vuole salvare l’ipotesi di una comunicazione
riservata tra due persone nella quale invece possiamo parlar male di altri perché tanto ci
siamo soltanto noi e chi ci sta ascoltando. Quindi se io parlo male di una persona per
rovinarle la reputazione, questa perdona lo viene a sapere e mi querela, allora il giudice mi
potrà condannare per diffamazione se io non solo ne ho parlato male, ma io ho anche riferito
dispregio sociale su fatti specifici. L’art.595 ci dice che se una offesa è recata con il mezzo
della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (un post su Facebook, una chat che
viene condivisa), in questo modo io affido questa mia osservazione ad un pubblico
indeterminato; quindi, sto amplificando la mia opinione volutamente malevola e in questo
caso la multa passa da 6 mesi a 3 anni, mentre la multa non può essere inferiore a 516 euro.
La diffamazione non riguarda l’attribuzione di un fatto che abbia un valore giuridico, ma è
attraverso l’attribuzione di un fatto che ha un valore sociale, questo perché il diritto è
consapevole che le persone vivono nella società, non nel diritto, e quindi vivendo nella
società essere additati per qualcosa può ledere l’equilibrio psicofisico delle persone, e quindi
è qualcosa che il diritto se non può impedirlo deve, quantomeno, punire.

REATO DI CALUNNIA
Abbiamo il terzo reato contro la persona ancora di più dobbiamo punire chi calunnia,
disciplinata dall’art.368 del Codice penale. Con la calunnia, io accuso una persona di aver
commesso un rato ma sono perfettamente consapevole che questo non è vero. L’art.368 ci
dice “Chiunque, con denuncia [333 c.p.p.], querela [336 c.p.p.], richiesta [342 c.p.p.] o
istanza [341 c.p.p.], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o
ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale
internazionale (2), incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di
lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni”. Per il rato di calunnia,
il giudice non può decidere di dare una pena pecuniaria, ma deve necessariamente di dare la
pena detentiva. Nella sua misura massima, la pena detentiva non consente la sospensione
condizionale della pena ciò significa che se la calunnia è stata così pesante da portare ad una
condanna a sei anni di reclusione.

REATO DI VILIPENDIO
Il reato che riguarda la lesione della dignità delle istituzioni. Accanto alla dignità della
singola persona, c’è anche una dignità collettiva per chi appartiene a uno stato o una
repubblica. Il reato di vilipendio si identifica nei singoli di questo stato e il nostro Codice
penale, in una parte che noi abbiamo ereditato dalla legislazione fascista. Ancora oggi
puniamo quelle espressioni del pensiero che sono profondamente critiche nei confronti dei
singoli della nostra repubblica. In primo luogo, nel tempo il legislatore si è reso conto
dell’importanza di sottolineare come il pensiero critico non possa mai portare al carcere;
inoltre proprio perché molto spesso è stata sollevata davanti la Corte costituzionale il dubbio
se in una democrazia possa ancora esistere il reato per un’espressione critica. La Corte
costituzionale ha, però, chiesto ai giudici di valutare volta per volta in modo molto attento se
davvero l’espressione critica che viene pronunciata da chiunque sia suscettibile di ledere il
prestigio della repubblica.
Due sentenze che abbiamo avuto nel tempo riguardano il vilipendio alla bandiera:
- il primo caso un senatore della repubblica fu condannato per vilipendio alla bandiera perché
pronunciando una frase a piazza san marco (che con la bandiera ci faceva una determinata
cosa quando va in bagno, avendo pronunciato questa frase durante un comizio pubblico ed
essendo un senatore della repubblica, quell’offesa aveva una sua credibilità politica,
istituzionale e sociale.
- nel secondo caso di un manifestante in Campania che viveva in una parte del Vesuvio, dove
non si faceva nulla contro lo svezzamento illecito dei rifiuti, in un corteo di protesta brucio la
bandiera. Qualcuno cercò di denunciarlo ma il giudice non lo rinvio neanche al giudizio,
dicendo che quello era il gesto di un grido di aiuto di una persona che voleva attirare
l’attenzione sul problema gravissimo. Due casi uguali (bruciare la bandiera) ma due sentenze
del giudice diverse che ci dicono che il reato del vilipendio dipende da chi lo commette, se a
commettere l’offesa alle istituzioni è un politico oppure una persona delle istituzioni allora
abbiamo un vilipendio. Se invece a esprimere questa critica molto forte è una persona
ordinaria, che chi ascolta la mia critica la considera per quella che è, allora non ce vilipendio.
Abbiamo, quindi, l’articolo 290 del Codice penale che ci dice “Chiunque pubblicamente
vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo, o la
Corte costituzionale o l’ordine giudiziario, è punito con la multa da euro 1.000 a euro
5.000 “e art 292 “Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un
altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000”. Invece resta
reato con pena detentiva il vilipendio alle tombe e ai cadaveri, perché in quel caso un’azione
di questo genere resta l’offesa a qualcuno o a qualcosa che contiene qualcuno, che non si può
difendere e che assolutamente in una comunità civile può essere denigrato

ISTIGAZIONE A DELINQUERE
La terza e ultima categoria di reati è quelli che vanno a colpire il pensiero antagonista, lì non
c’è interpretazione critica ma c’è la convinzione che questa persona che pronuncia queste
frasi voglia andare contro i valori sui quali si basa la nostra pacifica convivenza. Abbiamo
due reati:
-il primo è l’istigazione, significa incitare o convincere qualcuno che è particolarmente
succube di noi a commettere un reato. La persona non sta costringendo la persona a
commettere un reato ma lo sta persuadendo, in modo subdolo invitando a commettere un
reato (qui non si tratta di forza) fin quando la persona o mi denuncia oppure commette il
reato. Qui le pene sono decisamente più alte:” Chiunque pubblicamente istiga a commettere
uno o più reati è punito, per il solo fatto dell'istigazione :1) con la reclusione da uno a cinque
anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; 2) con la reclusione fino a un anno,
ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si
applica la pena stabilita nel numero 1”.
APOLOGIA
L’ultimo reato è l’apologia. Chi pubblicamente fa apologia di uno o più delitti viene punito
con la stessa pena prevista per l’istigazione. C’è stata poi un’aggiunta recentemente:” Alla
pena stabilita nell’articolo 414, n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o
più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è
aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Quest’aggiunta è forse la prima volta che un reato commesso in modo telematico viene
punito più severamente rispetto al reato commesso nel mondo fisico. L’apologia è
l’esaltazione di un valore antagonista per esempio l’apologia del razzismo, del fascismo,
dell’olocausto ecc. Quindi l’apologia di tutti quei ismi che la legge italiana o le convenzioni
internazionali considerano crimini contro l’umanità. Tutte le volte che una persona o più
persone esaltano quello che per normativa nazionale (in questo caso ci riferiamo sempre alla
normativa internazionale) considerano reati contro l’umanità, allora questa persona se
condannata, è condannata ad una pena detentiva che prevede una pena fino a cinque anni. In
questo caso, il punto dal quale parte il nostro Codice penale è che nel caso dell’apologia non
ci troviamo difronte ad un pensiero contrario ma ci troviamo contro un pensiero che mira a
sovvertire l’ordine democratico, che va a colpire uno di quei valori non soltanto politici (ad
esempio la pedofilia) e proprio uno di quei valori che rappresenta la base nel nostro modo di
interpretare la pacifica convivenza. Se quest’apologia della pedofilia viene posta in essere
mediante strumenti telematici, allora la pena viene aumentata (il Codice civile non ci dice di
quanto) e viene aumenta in ragione di quanto sia grave il comportamento che è stato posto in
essere in rete. In conclusione, quando pariamo di reati commessi con l’utilizzo delle parole,
entriamo in una sfera molto delicata perché partiamo dal presupposto che le parole possano
fare male, c’è chi invece ritiene che le parole non possano mai fare male. Il nostro
ordinamento giuridico , ritiene che le parole possano fare male , tutte quelle volte che le
persone che sono oggetto di queste parole o in alcuni casi anche di gesti (manifestare il
proprio pensiero si può fare anche con gesti) ,queste manifestazioni del pensiero (verbali o
simboliche)sono dall’ordinamento punite tutte le volte che non c’è la parità delle armi oppure
nel caso dell’apologia sempre, proprio perché non si può consentire che vengano messi in
discussione quei valori fondamentali del nostro agire comune , quindi della nostra pacifica
convivenza.
LA TELEVISIONE E CONVERGENZA TECNOLOGICA.
La stampa è il primo MASS MEDIA; quindi, giornale cartaceo ma anche online è un giornale
integralmente votato all'informazione.
La televisione è un Mass media misto perché non nasce per fare informazione nasce per fare
intrattenimento, e poi nel tempo però ha acquisito una rilevanza anche sul piano
dell'informazione.
Le caratteristiche della televisione sono: l’intrattenimento (film, serie televisive, spettacoli) e
l’informazione quindi non soltanto dai telegiornali ma anche programmi di intrattenimento
giornalistico.
•La televisione si differenzia dalla stampa: la televisione è un mass media che costa molto
produrre e tende ad una concentrazione oligopolistica. Il numero di imprenditori televisivi è
limitato. La televisione, inoltre, viene qualificata come servizio pubblico universale con
conseguente necessità di garantire il pluralismo interno alle singole reti televisive; dunque, è
un servizio radiotelevisivo che viene considerato un servizio pubblico essenziale.
Il diritto all'antenna, ovvero il diritto di ogni individuo di potersi in qualsiasi momento
collegare ad un ad un servizio televisivo. La Corte di Cassazione in più sentenze ha
dichiarato il diritto all'antenna come un diritto fondamentale, perché legato all'articolo 21
ovvero il diritto di informarsi. La Corte costituzionale invece ci dice che esiste anche il diritto
ad essere informati, cioè il diritto a ricevere notizie, ovvero tutto ciò che rappresenta la libera
circolazione delle idee.

LA TELEVISIONE DEL XX SECOLO


La Corte costituzionale ci ha detto che ogni rete televisiva e soprattutto quelle pubbliche
debbono garantire il pluralismo interno, cioè la pluralità delle opinioni espresse. É
obbligatorio per le reti pubbliche, ma dal 2005 è previsto anche per le televisioni private.
La televisione nasce in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, a costituzione già scritta. Nel
1952 il Parlamento dà una frequenza in concessione ad una società pubblica che inizialmente
si chiamava ERAR, ora si chiama RAI, radiotelevisione italiana. Dal 1954 cominciano le
trasmissioni televisive e duravano 1 2 ore al giorno, il segnale veniva trasmesso utilizzando
l’etere ovvero l’aria (senza cavi.) L’aria è un elemento della sovranità dello stato, solo il
soggetto pubblico poteva utilizzare le frequenze o dandolo in concessione.
•La prima televisione pubblica nasce monopolista perché lo stato che era il soggetto che
gestiva le frequenze e decide di dare una all’ERAR. Negli anni 60 la televisione è arrivata su
tutto il territorio nazionale prima arrivi l'energia elettrica. Fino al 1967 in molti non potevano
guardare la televisione, non perché il segnale televisivo non fosse arrivato fin dove si
trovavano loro, ma perché non c'era l'energia elettrica che consentiva loro di diciamo
accendere la tv. La Corte costituzionale ha giustificato il monopolio pubblico, anche perché
all'inizio non c'erano imprenditori interessati ad avventurarsi su questa su questa strada. Ad
un certo punto cominciano ad esserci perché c’era un programma televisivo di nome
carosello, dove vengono realizzati dei mini-episodi, nel quale si pubblicizzavano alcuni
prodotti a pagamento. Alla fine degli anni 60 abbiamo alcuni imprenditori televisivi che non
potevano usare l’etere e negli anni 70 a inventare la televisione via cavo, ovvero la Tele
Biella e le Capodistria. É una televisione che vuole superare il monopolio della Rai e
utilizzare la rete telefonica. Corte costituzionale però afferma che la televisione è un servizio
pubblico e solo lo stato può erogare questo servizio pubblico. Alla fine degli anni 70 la
televisione locale può cominciare a fare la pubblicità, e quindi abbiamo un grande interesse
imprenditoriale per la televisione. Silvio Berlusconi inventa il network televisivo, ovvero la
possibilità di mandare in onda in contemporanea su più televisioni locali lo stesso programma
(programmi registrati). La Fininvest è la prima società di Silvio Berlusconi. In quegli anni
nasce Canale 5 dove appunto Silvio Berlusconi comincia a produrre in proprio programmi
televisivi cosa che fino a quel momento aveva fatto soltanto la Rai, li registra e vende queste
cassette fa un accordo con queste reti private in modo tale che mandino in onda su quasi tutto
il territorio nazionale lo stesso programma. La televisione inizialmente nasce come strumento
di intrattenimento, perché con la legge 103 del 1975 in televisione si tende a non fare
programmi in diretta:
-un po' per controllare i programmi e fare in modo che non accada qualcosa che possa andare
contro alla buon costume sostanzialmente.
- un po' perché le trasmissioni in diretta richiedono una tecnologia. La televisione, oggi,
segue le regole dello spettacolo, perché i programmi che manda in onda sono programmi
cosiddetti di intrattenimento quindi legati alla normativa sullo spettacolo

LE LEGGI DI DISCIPLINA DELLA TELEVISIONE ANALOGICA.


•Delibera parlamentare di concessione della frequenza alla rai del 1952
•Legge numero 103 del 1975 che riconosce il diritto delle televisioni locali di trasmettere.
• Legge n.223 del 1990, prima legge del sistema, conosciuta come legge Mammì dal nome
del ministro che la propose al governo e poi al Parlamento. La legge Mammì del 1990
decide di mettere a gara 7 frequenze, che possono essere utilizzate da editori televisivi in 7
spazi nell'etere, questa legge prende atto che è arrivato il momento del superamento del
monopolio e decide di mettere a bando le 7 frequenze disponibili. Stabilisce dunque le
regole per fare questo bando: ovvero una disciplina antitrust, cioè se un imprenditore è già
presente nel mercato dell'editoria, per più del 25% non può avere reti televisive Le può
avere, invece: 1, se ha una presenza nel mercato dell'editoria non superiore al 16% , ne può
avere due se ha una presenza nel mondo dell'editoria non superiore all' 8%, --può avere tre
se ha una presenza nel settore della vittoria inferiore 8%. La legge Mammì è un freno alla
FININIVEST che si era presentata pronta con tre canali televisivi, ma che era già
proprietaria di molte società pubblicitarie, anche della Mondadori e quindi questa legge
pone dei limiti antitrust. Sempre la legge Mammì stabilisce che l’imprenditore non possa
avere più di tre reti televisive (La RAI aveva 3 reti televisive, ed una casa editoriale che non
le permetteva di superare l’8% e quindi può partecipare al bando, mentre la Fininvest non
può perché aveva già una presenza importante nel settore dell’editoria che giustificava la
possibilità di poter partecipare soltanto alla gara per due frequenze).
• Nel 91 quindi viene fatto il bando, nel 92 assegnano le frequenze: tre alla Rai, due alla
Fininvest, una a MTV, e l’altra a Telemontecarlo (ovvero LA7) la settima è Europa+ che si
aggiudica una delle 7 reti televisive messe a disposizione. Nel 93 abbiamo una nuova legge
elettorale, la discesa in politica di Silvio Berlusconi che alle elezioni del 94 vince e ottiene
in Parlamento la maggioranza dei seggi insieme alla Lega, che dura solo un anno.
•Nel 1997 viene approvata la legge Maccanico che così cristallizza lo status quo, ovvero
abbassa le percentuali che si debbono avere per poter chiedere le reti televisive (nel senso
che prima si dovevano diciamo avere meno dell’8% per avere una rete televisiva questa
percentuale scende al 5%). Nel 97 quando viene approvata la legge Maccanico, c’era il
governo di centrosinistra preferisce abbassare le soglie antitrust e mettere anche nella anche
la Rai nella condizione di non poter avere più di due frequenze e allora mette tutti nella
condizione che è meglio lasciare le cose come stanno.
Nell'unione europea, si sta approvando la seconda direttiva europea sulla televisione senza
frontiere che prevede il passaggio dalle frequenze analogiche alle frequenze digitali, ovvero il
passaggio da un numero di frequenze scarse ad un numero di frequenze digitali che è un
numero molto più significativo. Nel 2001 si sperimenta il digitale, e l'Italia è tra i primi paesi
a sperimentare la televisione digitale che regala al nostro paese 100 frequenze. La gara che
viene fatta nel 2001 in cui le prime 50 frequenze vengono regalate agli 8 operatori televisivi
già esistenti quindi lo stato non guadagna nulla da queste 50 frequenze digitali, mentre le
altre 50 vengono messe a bando; quindi, chiunque può acquistare una di queste frequenze
digitali.

LA TELEVISIONE DEL XXI SECOLO


1)Il primo caposaldo è la convergenza tecnologica (un programma lo guardiamo in tv,
smartphone, pc, tablet) oggi abbiamo una completa scissione tra strumento e servizio
televisivo. Anche le TV sono diventate digitali perché anche loro hanno dovuto adattarsi ad
una televisione che non essendo più analogiche.
2). Il secondo elemento che viene dall’UE è la frammentazione degli operatori televisivi.
Nella televisione del ventesimo secolo Rai Uno, era sia il canale sia la rete, sia soggetto che
produceva i programmi che andavano in onda su Rai Uno.

LA FRAMMENTAZIONE DEI FORNITORI DI SERVIZI, i soggetti da uno diventano


tre:
1). il primo soggetto è il fornitore del servizio di accesso che consente l'accesso alla rete
televisiva che può essere: il decoder, provider telefonico la linea Internet. Il provider di
accesso concorre a offrire il servizio televisivo
2)Il secondo provider o il secondo soggetto televisivo, è l'operatore di rete (Rai 1,2,3,
Canale5) è il soggetto che gestisce il palinsesto, ovvero che decide cosa acquistare e mandare
in onda, non produce servizi televisivi. La caratteristica del palinsesto è che è statico, l’utente
può decidere solo di cambiare canale ma non l’ordine con il quale vuole vedere quel canale
3). Fornitore di contenuti, dove l’operatore di rete compra il palinsesto) e sono delle società
che gestiscono i diritti televisivi delle partite, proprietarie di format (amici), producono
fiction, società distribuzione del film, e che gestisce il telegiornale. Quindi quando devono
decidere la programmazione (palinsesto) di una giornata compra un po' da queste società. Un
operatore di rete non può comprare più del 60% dei contenuti che trasmette giornalmente
dallo stesso fornitore di contenuti. Le regole della concorrenza e del pluralismo fanno sì che
lo stesso operatore di rete non possa comprare dallo stesso fornitore di contenuti più del 60%
dei programmi televisivi che trasmette quotidianamente.

SERVIZI NON LINEARI, (Netflix, Amazon Prime)


Sono operatori televisivi di servizi non lineari, che invece di organizzare i contenuti a loro
disposizione in un palinsesto li organizzano in un catalogo, e quindi lo spettatore può
decidere in qualsiasi momento di vedere quel determinato contenuto. Mentre l’operatore
televisivo deve organizzare il palinsesto costringendoci quindi a vedere o a cambiare canale,
nei servizi lineari rientrano i canali tradizionali e rientra anche Sky. L'Italia è uno dei pochi
paesi che ha i doppiatori, perché negli altri paesi vanno visti in lingua originale. Il Festival di
Sanremo è uno dei programmi televisivi più comprati al mondo, come il super Bowl negli
Stati Uniti o l'eurovision che è il programma televisivo più visto al mondo.
Dunque, queste nuove forme hanno cominciato a fare concorrenza ai canali tradizionali
perché hanno due vantaggi molto forti:
-Non pagano il canone di concessione, perché devono chiedere un’autorizzazione per poter
offrire il loro servizio. (non vanno in diretta)
-Non devono fare una valutazione, non devono fare una valutazione dell'opportunità di
trasmissione di determinati contenuti perché non c'è il vincolo della tutela dei minori.
Nei servizi lineari l’operatore di rete stabilisce delle fasce orarie in cui minori possano
guardare programmi a loro dedicati, e soprattutto stabilire quali programmi non possono
andare in onda nelle fasce cosiddette protette servizi.
Nel 2010 viene approvato IL DECRETO ROMANI, decreto legislativo che disciplina le
regole sia per i servizi lineari sia per i servizi non lineari. É previsto che neanche le
piattaforme possono mandare in onda servizi di incitamento all'odio di qualsiasi tipo.

DISCIPLINA PER I SERVIZI LINEARI.


Se una piattaforma decide di avere una sezione dedicata a film assolutamente vietati ai
minori, deve essere segnalata proprio per fare in modo che i genitori possa inibire modo la
visione.
•Tutti devono rispettare il diritto d’autore, ad esempio su Netflix non possiamo trovare dei
programmi televisivi i cui diritti sono già stati venduti ad altre piattaforme. Quando abbiamo:
“produzione originale”, “in esclusiva”, ovvero chela piattaforma si è riservato l'esclusiva e
quindi non potrà essere erogato da nessun altro operatore televisivo sia lineare sia non lineare
sullo stesso territorio nazionale.
•Inoltre, prevede l’accessibilità, la possibilità che questi canali televisivi siano accessibili
anche ai diversamente abili.
Il decreto romani prevede in più rispetto alla legge Gasparri del 2004, e al testo unico del
2005 (la terza legge di sistema), il decreto conferma che per essere operatore di rete
tradizionale bisogna farsi dare una concessione.
•Le televisioni tradizionali devono garantire la tutela dei minori.
•Hanno l’obbligo di acquistare almeno il 50% dei loro prodotti da società europee, e non
acquistare più del 60% dallo stesso fornitore.
•Per i servizi lineari è stato disciplinato il product placement, ovvero che sono state
regolamentati gli inserti pubblicitari all'interno del programma; dove ma all'interno della
narrazione ci siano degli elementi tradizionali inseriti come elemento della narrazione
artistica. (Ad esempio, Esempio Benvenuti al sud aveva come product placement Poste
Italiane ma non solo perché passavano sempre davanti le poste ma anche perché era un
elemento della narrazione) Quindi sono pubblicità che diventa parte della narrazione, questo
lo troviamo nei servizi lineari.

DISCIPLINA SERVIZI NON LINEARI


In questo caso basta un'autorizzazione per poter lanciare una piattaforma nel circuito
televisivo, in quello che viene chiamato Sic, (Sistema Integrato delle Comunicazioni), non c'è
nessun obbligo di tutela dei minori e nessuna regolamentazione del product placement.
DIRETTIVA COM (2017)
L’UE ha deciso di aumentare i doveri anche ai servizi non lineari, poiché la televisione è una
fonte di finanziamento.
La direttiva è stata approvata nel 2017, e prevede che anche YouTube è un servizio non
lineare, e quindi considerare come un servizio non lineare, e quindi deve rispettare le stesse
regole che rispetta ad esempio Netflix. YouTube per quanto riguarda la tutela dei minori
prevede meccanismi più sofisticati, si parla di un codice di sblocco per poter fare in modo che
i minori non possano accedere a contenuti che potrebbero ledere il loro equilibrio psicofisico.
La direttiva, inoltre ha stabilito che le piattaforme che operano in Europa non possono
comprare più dell’80% da fornitori extraeuropei, quindi almeno il 20% dei contenuti
televisivi che hanno che verranno caricati sulle piattaforme dovranno essere prodotti in
Europa.
La pubblicità è l'entrata più redditizia degli operai per gli operatori televisivi, il quale non
possono mandare in onda più del 20% della pubblicità tra le 7 e le 23:00. Da un lato ogni rete
televisiva potrà stabilire quali sono gli orari in cui mandare meno pubblicità, perché sono
orari nella quale la gente non guarda molto la televisione. Ma potrà concentrare invece la
pubblicità negli orari di maggiore interesse da parte degli spettatori.
INTERNET PROVIDER

Il web, è il terzo MASS MEDIA. Ci troviamo di fronte ad un mezzo internet che è nato per
uno scopo militare sostanzialmente, ed ha reso possibile la nascita di una realtà digitale che si
affianca alla realtà fisica. Oggi internet non è semplicemente un mezzo di comunicazione, ma
è anche un mercato poiché poniamo in essere compravendite. Internet viene definita una rete
di nodi, nodi che sono virtuali ma sono anche fisici, dove ad esempio nell’ hard disk, ci sono
documenti che conservo. É un mass media, che è destinato in futuro, mi permette inoltre di
condividere documenti dando vita al flusso dei dati. La vita origine di internet non ha una
data di nascita ben precisa, è nata nell'ambito di un progetto militare chiamato ARPANET,
che ha fatto tesoro di quello che era accaduto dopo che erano state sganciate le bombe
atomiche in Giappone. La tecnologia internet nasce proprio per trovare un modo di
trasmissione di un segnale completamente diverso che si basa, sulla matematica binaria;
quindi, di trasmettere questo segnale utilizzando una tecnologia alternativa. Oggi Noi siamo
ancora legati attraverso la rete Wi-Fi, e quindi un segnale che sia in grado di essere trasmesso
non solo attraverso il cavo telefonico o telematico ma anche diciamo così con strumenti
completamente molto più in materiali. Questo progetto militare inizia a “collaborare” con le
Università, e negli anni 80 abbiamo il primo collegamento tra università militare e
l’università inglese, dove si dimostra per la prima volta che questa trasmissione digitale non
viene bloccata non si ferma neppure davanti ad uno spazio considerevole come il mare. Nel
92, chi ha cominciato ad utilizzare internet e voleva collegarsi ad un sito non poteva
semplicemente digitare www.uniparthenope.it ma inseriva http. Dunque, due scienziati del
CERN di Ginevra hanno inventato questa tecnologia che consente la ricerca dei siti che sono
presenti in internet grazie ad una marcatura ed ecco il www., che consente semplicemente
digitando www.uniparthenope.it di trovare il sito che state cercando. Il fatto che questi due
scienziati decidono di non brevettare questa loro invenzione ma di renderla open-access, ha
fatto sì che in brevissimo tempo il web abbia semplificato l'utilizzo di internet reso molto
accessibile: user-friendly. Internet è una tecnologia composta anche da link, mentre il web è
un'immensa biblioteca che cataloga siti e piattaforme, dove sono sistematizzati tutto quello
che esiste in internet ovvero un numero di siti web. E siccome il web è diventato grandissimo
ed internet lo è ancora di più. É stata elaborata una tripartizione del web che tende a
suddividere tutti gli infiniti siti piattaforme che sono presenti in internet in tre grandi
categorie.

1). Dark web, è quell'insieme di siti che non riescono ad essere catturati dai motori di ricerca
perché sono siti che si proteggono e che vogliono rimanere in quella che noi chiamiamo la
parte oscura della rete. Cioè che vogliono essere invisibili ai motori di ricerca richiedono una
password o comunque di sistemi per poter accedere. Nel Dark web operano anche i servizi

segreti dei singoli stati che naturalmente hanno una serie di attività di intelligence, che non
possano essere casualmente individuate da utenti ordinari.

2). Deep web è quella parte di siti che non sono catturati dai motori di ricerca e questi siti che
si trovano nel Deep Web. Sono diversificati tra di loro, ci sono i siti ormai obsoleti. Molte
volte nasce un forum che viene alimentato per un periodo dal suo gestore, riceve commenti
non lo cura più e quindi si può considerare un rifiuto spaziale. Cioè quel sito resta
difficilmente verrà rimosso, quel sito resta però è inutilizzato che i motori di ricerca non lo
prendono proprio in considerazione; quindi, non viene catturato dall'algoritmo dei motori di
ricerca. Quindi siti obsoleti di scarsissima rilevanza, parti riservate di siti. (Esse 3 ha una
parte pubblica dove appunto, vediamo tutti i programmi di insegnamento, gli orari e
quant’altro. E una parte riservata che per accedere bisogna fare il login) Quindi noi troviamo
siti diciamo così diversificati, insignificanti e obsoleti, oppure quelle parti di siti che sono
protetti da password ma che non sono nascoste. Il web tradizionalmente è l'insieme di tutti i
siti che noi possiamo trovare utilizzano i motori di ricerca. Internet, presenta due
caratteristiche: a-temporale e a-territoriale.

1). a- territoriale, oggi il territorio è in grande crisi perché non esistono più i confini.
Attraverso la rete possiamo comunicare con persone che si trovano in tutte in quasi tutte le
parti del mondo, e trovare informazioni su siti che sono prodotti da soggetti che si trovano in
quasi tutto il mondo. La comunicazione è qualcosa di globale.

2). A-temporale, significa che i contenuti non sono scadenza quindi un contenuto che è stata
immessa in rete finché viene ricercato sarà sempre disponibile indipendentemente da quanto
tempo è passato. Quando leggiamo un contenuto se esce tra i primi risultati della ricerca sui
motori, potrebbe avere la sensazione che sia un contenuto recente, o che quel contenuto è
stato prodotto molti anni fa.

Internet si può definire una immensa biblioteca piena di contenuti.

Un punto importante, Internet si è sviluppato come uno spazio di libertà, non è mai stato
gestito da un soggetto pubblico. Nel momento in cui è stato condiviso con le università, la
prima domanda che si è fatta e se si voleva far gestire internet da una istituzione pubblica
chiamata a dare regole. Oggi abbiamo un unico soggetto pubblico internazionale, con uno
scopo ovvero quello di attribuire i cosiddetti nomi di dominio. (quando vuoi creare un sito
avete bisogno di dargli un nome)

Dunque, quest’organizzazione Internazionale attribuisce nomi di dominio, ha il compito di


verificare che il nome di un sito non sia a qualcun altro che ha già dato al proprio, ma anche il
nome della stringa di ricerca che non abbia già questo nome, esempio: che non ha più “.it”,
ma che potrà avere il suffisso “Eu”. Dunque, se non devo sceglierne un altro che quindi verrà
inserito in questo registro internazionale dei nomi di dominio. Ma anche per evitare i due siti
abbiano lo stesso nome e lo stesso suffisso, tutto il resto dei servizi è libero. Dato che
abbiamo una pluralità di servizi che troviamo in internet, il legislatore con il decreto
legislativo 70 del 2003 distingue i provider: in provider Service e in provider Catching.

Il provider Service, sono 3: provider di accesso, provider di memorizzazione-temporanea-


provider di memorizzazione duratura.

-provider di accesso, esso ci consente di accedere a Internet che nella stragrande maggioranza
dei casi è il provider telefonico. Con questo provider, ciascuno stipula un contratto a titolo
oneroso alla quale ci impegniamo a pagare una prestazione, e in cambio il provider ci dà una
certa qualità dell’accesso ad internet. Esso mi permette l’accesso totale o può essere limitato
dall’UE. Esempio: In Italia abbiamo la legge che obbliga i provider di accesso a impedire i
propri utenti che possono accedere a siti pedopornografici, che si trovano nel Dark Web. Il
provider MERE CONDUIT se viene a conoscenza dell’esistenza di un sito deve impedire a
tutti i clienti di accedere, e segnalare ad un'autorità apposita il contrasto alla pedopornografia,
in modo tale da oscurare quel sito. Ma diventa complicato quando si deve tutelare il diritto
d’autore, e quindi il provider deve fare una scelta oppure aspettare che glielo ordina il
giudice, il quale chiede l’oscuramento di quel sito. Qualora il giudice dovesse dare ragione al
chi esercita la tutela del diritto d’autore, allora il provider dovrà risarcire il danno, che si
conta dal giorno in cui è stata fatta la prima segnalazione fino alla data di scadenza del
giudice.

Il provider d’accesso, ad esempio nelle aziende consentendo l'accesso soltanto ad alcuni siti,
chi utilizza la rete aziendale deve poter accedere soltanto a dieci siti perché sono quelli che
gli servono per lavoro. La Black list consente l'accesso a tutti i siti tranne a quelli che sono
inseriti in un elenco che loro consegnano al provider. Il provider di accesso, quindi, non ha
responsabilità a meno che non sia a conoscenza di un illecito che viene effettuato tramite la
rete internet, tramite il suo servizio e non faccia nulla per impedirlo.

- il provider di memorizzazione- temporanea, è l'applicazione ad un grande Catching provider


qual è il motore di ricerca della memorizzazione temporale. Esistono provider che agevolano
la ricerca da parte dell'utente di siti che l'utente ricerca spesso. I motori di ricerca, oggi, sono
dei Catching provider, che non vi devono consentire l'accesso a siti dei quali a conoscenza del
contenuto illecito, o che gli sono stati segnalati per avere un contenuto illecito. In seguito alla
sentenza Google Spain, fatta dalla corte di giustizia nel 2016, oggi possiamo chiedere a
Google di non farvi più di non inserire più nei suoi risultati di ricerca che riteniamo lesive
della vostra privacy. Dunque, o Catching provider catturano e memorizzano quello che
abbiamo appena cercato in modo da renderli più facile la ricerca successiva.

-il provider hosting provider. Internet un insieme di host (ospite) e di link. Hosting è un
imprenditore privato che di regola a pagamento, concede una parte del suo server per ospitare
il vostro sito. Esempio: il sito del nostro Ateneo, sito abbastanza impegnativo da un punto di
vista informatico, e quindi abbiamo bisogno di un signor server per ospitare quel sito e la
tecnologia che serve per farlo funzionare. L' hosting provider che fitta uno spazio del proprio
server non è responsabile per i contenuti del sito che ospita, a meno che qualcuno non lo porti
e conoscenza che su quel sito ci sono contenuti illeciti. Se l’hosting provider ha dei contenuti
illeciti e non se ne accorge, e vengono segnalati, questo deve oscurare il sito, il sito continua
ad esistere ma è praticamente inaccessibile proprio perché i contenuti che sono presenti sono
contenuti illeciti. Il provider deve decidere se vuole correre il rischio di lasciare quel
contenuto su quel sito accessibile a tutti, e se ci sarà una causa di diffamazione da un altro
soggetto e la vince quest’ultimo richiede il risarcimento del danno non soltanto al gestore del
sito, ma anche all’hosting provider al quale mi ero rivolta. Wikipedia è un hosting provider
perché è una piattaforma che si appoggia ad un server, e dà la possibilità a tutti gli utenti di
creare delle pagine quante biografie di persone viventi e soprattutto vi consente di aggiornare
contenuti. Wikipedia dice che non è responsabile dei contenuti che liberamente vengono
modificati sulla sua enciclopedia ma che fornirà tutta la disponibilità possibile all'autorità
giudiziaria per individuare chi ha scritto o diciamo modificato un contenuto. Essa afferma
non opporrà resistenze, non cercherà in alcun modo di nascondere chi ha modificato o
inserito contenuti. YouTube, invece è semplicemente un contenitore di contenuti fatti da altri
che gentilmente la piattaforma. Ospita, sentenze di giudici non solo italiani ci dicono
esattamente il contrario e qualificano YouTube come hosting attivo. Hosting attivo, è quel
provider che offre ospitalità, ma che seleziona i contenuti nel caso di YouTube diventa il
proprietario dei contenuti che li indicizza in modo da rendere più visibili alcuni contenuti
rispetto ad altri. quindi un provider svolge un ruolo attivo, nel senso che la sua attività non si
limita l'ospitalità ma è associata ad un'attività di gestione dei contenuti. In questo caso il
provider hosting attivo è responsabile per tutti i contenuti che in qualche modo ha contribuito
a valorizzare.

TUTELA DEI DATI PERSONALI- PRIVACY


La tutela della privacy vuole tutelare quella dimensione della nostra vita personale dal mondo
esterno, cioè rappresentare un filtro tra la nostra sfera dell’intimità e la sfera sociale.

La nostra costituzione prevede dei diritti dell’intimità cioè uno spazio fisico e comunicativo
all’interno del quale una persona deve sentirsi libera e decidere il livello di interazione con il
modo esterno.

Tutto questo assume più valore con il passaggio all’era digitale.

Privacy e riservatezza dei dati personale stanno confluendo nel concetto di privacy digitale.

La stessa esigenza che sentiamo nel mondo fisico, quella di avere uno spazio di riservatezza
rispetto al piano esterno, oggi la iniziamo a sentire anche nel piano digitale: esigenza non
solo di una tutela dei dati ma anche di un’identità virtuale che una persona realizza nella sua
dimensione online.

Quando nasce il concetto di privacy?


Il concetto di privacy nasce alla fine del 1800 negli Stati Uniti da due giuristi americani ed è
definita come “the right to be alone” (letteralmente: il diritto di essere lasciato soli).

Nella definizione americana è un diritto a lasciare fuori, quindi a separare lo spazio interno
dallo spazio esterno. Ogni persona e ogni famiglia ha il diritto di interporre un filtro rispetto
alla curiosità altrui.

Sfera dell’intimità può essere intesa in due modi:

-come il riconoscimento dei diritti dell’intimità tutelati dalla Costituzione;

- esigenza di evitare che informazioni che ci riguardano possano diventare notizie di pubblico
dominio senza la nostra autorizzazione.

I diritti dell’intimità previsti dalla Costituzione italiana riguardano:

-art. 13 libertà personale

-art. 14 inviolabilità del domicilio

-art. 15 libertà di corrispondenza.

(perché i costituenti hanno deciso di non introdurre in modo esplicito il concetto di diritto alla
privacy?)

La tutela della privacy rappresenta un limite alla libertà dell’informazione.


I costituenti pur conoscendo il diritto alla privacy hanno deciso di non definirlo in modo
esplicito per evitare che attraverso la privacy si potesse porre un limite alla manifestazione
del pensiero che si voleva ampliare.
(Nel tempo poi è stato inserito il bilanciamento.)

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO


La stessa esigenza che la Costituzione pone sulla tutela dei diritti dell’intimità è richiamata
anche dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. A New York nell’ottobre del 48
entra viene proclamata la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che all’articolo 12
contiene il concetto di privacy: nessun individuo può essere sottoposto ad interferenze
arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza né
a lesione del suo onore e della sua reputazione.

Mentre casa e corrispondenza ripetono quello che noi abbiamo nella nostra costituzione la
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo inserisce questo concetto importante di vita
privata quindi di spazio non fisico ma di notizie che deve essere tutelato.
Convenzione europea dei diritti dell’uomo
lo stesso concetto lo ritroviamo dell’articolo 8 dalla Cedu (Convenzione europea dei diritti
dell’uomo) che è stata firmata a Roma nel 1950.

la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata approvata da un’organizzazione


internazionale che si chiama Consiglio d’Europa che è un’organizzazione completamente
diversa dalla comunità economica europea. il Consiglio d’Europa è a tutti gli effetti
un’organizzazione internazionale, quindi, non è un’organizzazione sovranazionale come
l’unione europea. Il Consiglio d’Europa e quindi di riflesso anche alla Cedu aderiscono tutti
gli Stati europei che sono circa 50 quindi anche quegli Stati che non fanno parte dell’unione
europea, la caratteristica del Consiglio d’Europa è quella di dover mettere insieme dimensioni
giuridiche molto diverse. La cedu è scritta con riferimento a quegli stati che negli anni 50 non
avevano un regime democratico.

Articolo 8:

Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale
diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una
misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza
nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e
della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

È molto importante perché è scritta per tutelare il più possibile questa


dimensione anche dalle stesse autorità pubbliche: la tutela viene posta non
nei confronti dei privati ma soprattutto nei confronti del soggetto pubblico.

La nostra Costituzione in nessun articolo per quanto riguarda i diritti civili li bilancia con la sicurezza
nazionale la stessa, invece, la cedu consente per quanto riguarda la vita privata che la legge
possa per generali motivi di sicurezza nazionale stabilire dei limiti alla sfera dell’intimità di
una persona.

La cedu doveva contemperare il fatto, che soprattutto nel primo dopoguerra, in molti paesi
dell’est la tutela dei diritti era un po’ più problematica.
Carta di Nizza:
Questo aspetto lo vediamo bene analizzando invece l’articolo 7 della carta di Nizza.

La carta di Nizza è la carta dei diritti dei cittadini europei approvata all’interno dell’unione
europea.

È stata approvata a Nizza nel 2000, a distanza di molti anni dall’entrata in vigore delle
Costituzioni e dalla Cedu stessa poiché è tendenzialmente democratica.

La prima parte è praticamente uguale all’articolo 8 della cedu: ogni persona ha diritto al
rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria
corrispondenza (dove per corrispondenza nell’epoca moderna intendiamo comunicazioni).

A differenza della cedu, però, non ci sono limiti: proprio perché in una prospettiva
democratica il bilanciamento può essere fatto su singoli casi non dando in partenza il diritto
alla legge di stabilire una posizione di forza per l’autorità di pubblica sicurezza che quindi
può derogare alla tutela di questo diritto.

La costituzione italiana è forse tra le poche in costituzione che non prevede espressamente il
diritto alla tutela della privacy ma questo principio oltre ad essere insito in due articoli della
nostra costituzione (art. 2/3) è insito anche nelle carte dei diritti (Dichiarazione Universale
Dei Diritti Dell’uomo, La Cedu E La Carta Di Nizza).

Anche se questo diritto non è espressamente menzionato dalla nostra costituzione il diritto
alla privacy è un diritto costituzionalmente garantito perché queste carte entrano nel nostro
ordinamento giuridico attraverso l’articolo due della costituzione e queste carte lo prevedono.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (questi diritti non sono
quelli elencati nella nostra costituzione ma sono tutti quei diritti che sono presenti in carte
internazionali e sovranazionali ai quali noi abbiamo aderito).

Articolo tre primo comma: tutti hanno pari dignità sociale, significa dire che ognuno di noi ha
diritto alla propria reputazione, a quella dignità sociale che nasce dal fatto di poter garantire
la propria immagine pubblica anche e soprattutto attraverso la tutela del diritto alla privacy.

Se il diritto alla riservatezza è un diritto a tutti gli effetti, significa che è un diritto:

- Indisponibile, ma l’indisponibilità è relativa perché io posso decidere di rinunciare


alla riservatezza e così mettere a disposizione le informazioni che mi vengono chieste
anche se non ne sono tenuta;

- Non si può trasmettere agli eredi, perché che la riservatezza è personale e quindi se
emergono notizie su una persona che ormai non c’è più gli eredi non potranno
chiedere che non se ne parli per rispetto della riservatezza di chi non c’è più proprio
perché questo diritto non si trasmette
- Imprescrittibile, potrei parlare liberamente dei miei fatti per tutta la vita ma nel
momento stesso in cui invece decido che voglio riservarmi questo diritto non si
prescritto e può essere esercitato in qualsiasi momento anche in difformità di come ci
si è comportati fino a quel momento;

- Diritto costituzionale in quanto ammesso al bilanciamento, pur non essendo


espressamente menzionato in costituzione è un diritto costituzionale e quindi viene
bilanciato alla pari con tutti gli altri diritti. Il bilanciamento non è un bilanciamento
secco non è sempre uguale.

Il diritto alla riservatezza viene meno nelle parole di un parlamentare che parla alla camera o
al Senato o in un giornalista che sta correttamente esercitando il proprio diritto di cronaca,
però diventa più forte se si sta parlando di persone che non sono di interesse pubblico, o
medio forte se ne parla un giornalista ma non riesce a dimostrare fino in fondo la rilevanza di
quello che sta dicendo.

Il fatto che in Italia non si sia data una definizione giuridica normativa o costituzionale di
privacy ha fatto sì che nelle leggi ma anche nelle sentenze si usino termini diversi come
diritto alla riservatezza o diritto all’oblio.

L’individuo non può impedire che parole scritti o vicende siano diffusi ma può pretendere che
non lo siano arbitrariamente cioè abbiamo un diritto ad impedire la mera curiosità da parte
degli altri.

In assenza di una legge o una disposizione costituzionale, il diritto alla riservatezza non è
codificato in nessun atto normativo ed è quindi un diritto di natura giurisprudenziale.

La Corte di Cassazione in una sentenza del 1975 lo riconosce come un vero e proprio diritto
costituzionalmente garantito.

SENTENZA SORAYA

La prima prende il nome dalla persona coinvolta: la principessa Soraya.

La principessa. Soraya è stata la seconda moglie dello sci di Persia: lo scià sposa questa
principessa che tuttavia viene ripudiata dopo qualche anno perché non potrà avere dei figli,
quindi, non può dare un erede al trono quindi la principessa accetta il divorzio e decide di
venire in esilio in Italia alla fine degli anni 60. Il marito decide di riconoscerle un’indennità
molto significativo a condizione però che lei si presenti come una principessa triste cioè si
presenti come una donna innamorata ancora dell’ex marito e che rimanga afflitta per tutta la
vita. In quegli anni in cui Roma era il centro della vita mondana mondiale una donna molto
giovane e molto bella, come la principessa Soraya, ci metteva davvero poco tempo per
riprendere in mano la propria vita. Viene paparazzata sempre più spesso fino a quando un
paparazzo non decide di fotografarla proprio all’interno della sua villa in compagnia di un
uomo, queste foto finiscono su tutti i giornali dell’epoca e lo Scià di Persia minaccia di
togliere il vitalizio proprio perché lei è venuta meno a questo patto post-matrimoniale di
fedeltà nei suoi confronti. La signora Soraya fa causa e arrivata in Cassazione per la prima
volta viene affermato questo importante principio: anche se la persona è molto nota non vi
può mai essere una compressione del proprio diritto alla vita privata che possa comportare un
danno alla persona stessa.

Quindi alla tutela di queste situazioni e vicende strettamente personali e familiari anche se
verificatesi fuori dal domicilio domestico non hanno per i terzi un interesse socialmente
apprezzabile, quindi, vengono considerate ingerenze e se anche compiute con mezzi leciti per
scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l’onore, la reputazione e il decoro
non sono giustificati per motivi meramente di curiosità.

Come possiamo indagare nella vita di un politico che si candida alle elezioni, un industriale
che fa grandi proclami di libertà e bellezza; quindi, personaggi pubblici che vogliono avere
un ruolo nella società non possiamo invece indagare non possiamo indagare nella vita di una
persona soltanto perché è nota se non vi è un preminente interesse generale.

SENTENZA BERLUSCONI

Nel 2008 abbiamo avuto una sentenza che fa anche un passo avanti per quanto riguarda la
privacy perché nel 2007 su un giornale di gossip comparve una foto di Silvio Berlusconi
all’interno della sua villa in Sardegna circondate da un enorme giardino con muri alti, quindi,
non è possibile che si si butti lo sguardo all’interno e si vede e si veda che cosa accade.

Quindi, lui viene fotografato in compagnia da un fotografo che utilizza uno strumento
sproporzionato di penetrazione all’interno del giardino della villa.

Qui la sentenza ha ad un personaggio pubblico si cui ci interessava in quando candidato alle


elezioni del 2007 ma in questo caso la Cassazione dice che si era esagerato con l’utilizzo
degli strumenti di interferenza nella vita privata ribadendo in questo modo che anche un
personaggio pubblico ha il diritto di porre un diaframma tra la propria vita strettamente
personale e la sfera pubblica.

SENTENZA TOTTI

Una domenica mattina molto presto Totti esce di casa con quello che non si capiva se fosse
un pigiama o una tuta e va a comprare il giornale e viene paparazzato da un giornalista,
queste foto vanno sul giornale e lui si ribella che dice non è possibile che un personaggio
pubblico sia sotto i riflettori anche alle 06:30 del mattino.

Il tribunale gli dà ragione proprio per sottolineare che non qualsiasi immagine di un
personaggio pubblico sia di interesse pubblico.
SENTENZA ATTRICE

C’è stata un’altra sentenza, invece, che riguardava un’attrice che in Sardegna si mise a
prendere il sole nella sua stanza di albergo sul balcone della sua stanza di albergo
completamente nuda e poi lamentò il fatto di essere stata fotografata. In quel caso invece il
tribunale le diede torto perché pur ritenendo il balcone di un albergo domicilio privato
sottolineò proprio come la natura del balcone stesso così come le finestre non possono
impedire l’altrui curiosità.

È emersa nel tempo la consapevolezza che accanto ad una dimensione di intimità che si
esplicita nello spazio fisico c’è una dimensione nello spazio virtuale fatta non soltanto di
immagini o scritti ma anche di dati che noi produciamo durante la nostra vita online.

Su impulso dell’unione europea si è deciso di subito di salvaguardare i dati che vengono


prodotti dall’individuo durante la sua navigazione in Internet. Si sente da subito l’esigenza di
eliminare ogni barriera che potesse limitare la circolazione del dato non si voleva in questo
caso tanto tutelare le persone ma al contrario si voleva evitare che le persone rivendicando un
diritto di proprietà su tali dati ne impedisse la libera circolazione.

La prima direttiva è del 95 da cui ne ricaviamo un decreto legislativo: la legge 675 del 96.

Ma subito dopo all’unione europea approva altre due direttive che ci portano
all’approvazione nel 2003 del decreto legislativo 196 del 2003.

Questo decreto legislativo è ancora vigente ma è stato fortemente ridimensionato dal fatto che
nel 2016 l’unione europea ha approvato un regolamento europeo sulla tutela dei dati
personali quindi l’unione europea si è sin dal primo momento impossessata della disciplina
della tutela del diritto alla tutela dei dati personali sin dal primo momento visto che non
esisteva questa problematica questa riflessione a livello dei singoli stati sin dal primo
momento ha deciso che la tutela dei dati personali era una materia di competenza europea.

Nel 2016 si rende conto che c’è bisogno di un’unica regola uguale su tutto il territorio
dell’unione e quindi ha approvato il regolamento 676 del 2016.

Il decreto legislativo del 2003 in Italia ci ha abituato a conoscere tre tipi di dati:

- Dato personale

- Dato sensibile

- Dato giudiziario

Il dato è qualsiasi informazione che identifica o rende identificabile una persona e che la
possa caratterizzare per quanto riguarda le abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni
personali, il suo stato di salute. il concetto di dato personale è un concetto vastissimo che
vada al nostro nome e cognome alla nostra data di nascita al nostro indirizzo di residenza al
nostro codice fiscale al nostro numero di conto corrente alla nostra matricola.

Il decreto legislativo 196 e il regolamento europeo, proprio perché non esiste la proprietà
della persona sul proprio dato, ci dice che alla persona dobbiamo garantire che il trattamento
dei dati venga fatto secondo liceità e correttezza. Quindi il dato può essere trattato se c’è una
finalità che lo giustifica.

I dati sensibili sono tutti quelli che individuano una caratterizzazione particolare di noi stessi:
l’origine razziale, le convinzioni religiose, le convinzioni filosofiche, le opinioni politiche,
l’adesione ad un partito.

Un tipo di dato molto sensibile è il dato giudiziario cioè il nostro rapporto con la giustizia,
non solo con riguardo alle condanne penali o quant’altro ma dobbiamo pensare a tutti quei
dati che riguardano il nostro rapporto con la giustizia (ad esempio il divorzio).

Questa era la vecchia tripartizione oggi sono, invece, divisi in due parti: i dati personali
ordinari e i dati personali particolari.

I dati giudiziari e sensibili vengono considerati dati particolari mentre tutti gli altri rientrano
nella nozione di dati personali ordinari.

L’unione europea nel 2016 approva il regolamento 676 che è entrato in vigore in tutti gli Stati
membri a maggio del 2018, l’unione europea ha deciso di dare due anni di tempo agli Stati
per potersi organizzare.

La gestione dei dati doveva essere uguale su tutto il territorio nazionale, c’era omogeneità
all’interno dello stesso Stato ma c’erano comunque le differenziazioni.

Il regolamento del 2016 cambia l’impostazione nella tutela dei dati.

L’UE ha deciso che non bisognava stabilire una regola standardizzata per tutti ma bisognava
invece stabilire dei principi che consentissero a tutti coloro che dovevano trattare i dati
personali di farlo sotto la propria responsabilità.

Il regolamento 669 del 2016 ruota intorno a tre pilastri fondamentali:

- Il pilastro centrale è la responsabilizzazione di chi deve gestire i dati che non ha più la
copertura di autorizzazione del garante ma deve definire quali dati, come e perché li
vuole trattare;

- La consapevolezza dell’interessato;

- la gestione del rischio (data breach): ogni soggetto che tratta dati di altri deve
stabilire delle misure di sicurezza e una procedura da seguire qualora vi sia un furto di
dati (come un attacco hacker o un incendio).
Questi sono i tre assi fondamentali intorno ai quali ruota il nuovo regolamento europeo della
privacy.

Tutti i cittadini dell’unione europea stanno ponendo in essere tutte le misure che servono per
poter garantire la tutela dei dati personali.

SI TUTELANO I DATI PER CONSENTIRNE LA CIRCOLAZIONE.

È importante fare una grande differenza tra soggetto privato e soggetto pubblico:

- il soggetto privati che tratta dati personali li tratta dopodiché li archivia, i soggetti
privati sono limitati a maggiori regole.

- Quando si fa una navigazione si acconsente all’utilizzo dei cookie ciò significa che il
sito comincia a raccogliere i dati di navigazione che vengono impacchettati
spacchettati e possono essere venduti divisi per territorio\navigazione\età ad altre
società. Durante la navigazione in rete noi produciamo una serie di dati che si
appoggiano ai dati personali che la rete già conosce. La finalità del regolamento
europeo è quella di consentire questa cessione ma senza che da questo possa derivare
un pregiudizio per l’utente che li ha prodotti.
DIRITTO ALL’OBLIO

Definito come la tutale del particolare interesse di una persona a non subire ulteriori lesioni
della propria sfera personale causate dalle reiterazioni del contenuto di una notizia in passato
legittimamente pubblicata, ma oramai priva di quell’interesse pubblico che ne giustifica la
diffusione.

Data l’evoluzione del panorama informativo, ovvero l’informazione tramite la rete, la


circolazione di notizie, anche non più così recenti, possono essere riportate alla luce.

In Italia si inizia a parlare di oblio nel 1995, all’interno del cruciverba viene immessa una
immagine della prima pagina de “Il Messaggero” degli anni 70 trattante un omicidio dove era
chiaramente leggibile il nome dell’omicida. Il soggetto interessato era oramai cambiato:
aveva scontato la sua pena e tornato a vita normale. Questo provoco un serio pregiudizio dei
rapporti sociali e lavorativi del soggetto. In merito a questo episodio il tribunale di Roma dice
“Non costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca per mancanza di utilità sociale della
notiziala riproduzione, nel contesto di un gioco a premi…

Perché il diritto alla riservatezza non può coincidere con il diritto all’oblio?

Diritto alla riservatezza: aspetto della vita personale che non intendo esporre alla comunità

Sentenza cassazione 9 aprile 1998

Posto che per diritto all’oblio si intende il legittimo interesse di ogni persona a non restare
indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione
la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, non costituisce
legittimo esercizio del diritto di cronaca la pubblicazione di fatti già resi noti sei anni prima,
salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti, facendo sorgere un
nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione.

(Parlando di un soggetto prima indagato per mafia e successivamente assolto, dopo sei anni
era stata ripubblicata la notizia della affiliazione senza aggiornarlo con la successiva
assoluzione a processo)

Bilanciamento diritto all’oblio e diritto di cronaca


• Veridicità del fatto narrato
• La continenza delle espressioni utilizzate
• Interesse pubblico alla conoscenza della notizia
Questi tre elementi sono stati messi in discussione dalla capacità di memorizzazione delle
nuove tecnologie, portando ad una potenziale lesione dell’identità attuale dei soggetti
coinvolti.

ELEMENTI CARDINE DEL DIRITTO ALL’OBLIO

1. Fattore temporale (verità della propria immagine nel momento storico attuale)
• Contestualizzare la notizia tramite: data di pubblicazione, archiviazione della
notizia una volta esaurita la sua funzione di notizia e rimandare un
collegamento alle notizie successive e precedenti della vicenda.

2. L’interesse della collettività di essere informati


• Una volta perso l’interesse della collettività, deve essere dimenticato il
collegamento coi soggetti coinvolti

3. I soggetti legittimati a richiedere il diritto all’oblio


• In base al ruolo dei soggetti nella società: un soggetto politicamente esposto
non può essere legittimato ad agire e ricevere il diritto all’oblio
• Tutela della memoria storica

CASO GOOGLE SPAIN

Con una sentenza della corte di giustizia dell’UE nei confronti di Google SP viene stabilito
l’obbligo per i motori di ricerca di sopprimere, su richiesta, i link verso pagine web che
presentano informazioni ritenute lesive da parte del soggetto interessato, cosiddetto “obbligo
di deindicizzazione” con successivo riconoscimento nel GDPR del diritto all’oblio.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Dell’intelligenza artificiale ne parlammo nella lezione iniziale, proprio per sottolineare come
il terzo millennio sia in millennio del digitale e di un digitale che non soltanto caratterizza i
nostri processi comunicativi, come vediamo, ma che sta sempre più caratterizzando proprio il
modo in cui si sta strutturando, in cui si struttura la società, il mondo produttivo, ben presto
anche il mondo politico, con il voto elettronico e altro. Quello che sappiamo un po’ tutti è che
ciò che noi siamo è sostanzialmente il frutto di ciò che impariamo e di ciò che viviamo
sostanzialmente. La tecnologia diciamo così dell'intelligenza artificiale utilizza gli stessi
principi soltanto che ciò che l'intelligenza artificiale apprende, ciò che diciamo così assimila,
sono i dati e quindi diventa importantissimo come alimentiamo l'intelligenza artificiale;
quindi, quali sono i dati che inseriamo all'interno di queste macchine intelligenti. è
importante anche l'algoritmo, ma prima ancora dell’algoritmo e quindi della volontà di
ottenere determinati risultati, importantissimi sono i dati che immettiamo.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL 2021

La Commissione Europea, sta lavorando da tempo alla reale disciplina dell'intelligenza


artificiale, quindi alla possibilità di scrivere un regolamento sull'intelligenza artificiale. Cosa
ci dice il “Libro Bianco” sull'intelligenza artificiale dell'anno scorso? Dice “l'intelligenza
artificiale cambierà le nostre vite migliorando l'assistenza sanitaria, aumentando l'efficienza
dell'agricoltura, migliorando l'efficienza dei sistemi di produzione mediante la manutenzione
predittiva, aumentando la sicurezza dei cittadini europei”. Subito dopo però cosa dice: “al
tempo stesso l'intelligenza artificiale comporta una serie di rischi potenziali quali meccanismi
decisionali opachi, discriminazioni, intrusioni nelle nostre vite private o utilizzi per scopi
criminali”. Come possiamo vedere, l'idea di intelligenza artificiale che emerge da questo
Libro Bianco della commissione europea è un'idea di intelligenza artificiale che stiamo già
vivendo. L'intelligenza artificiale disciplina molti settori produttivi, organizza nel modo
migliore turni di lavoro, è in fondo una macchina razionale che è capace di ottimizzare le
risorse a disposizione quando l'umano, influenzato da altri elementi potrebbe non ottenere il
miglior risultato possibile.

DEFINIZIONE

Intelligenza artificiale con corpo o senza corpo.

Ci dice sempre la commissione europea: Con il termine intelligenza artificiale noi indichiamo
quei sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e
compiendo azioni con un certo grado di autonomia e per raggiungere oggetti specifici.

Forse l'esempio del robottino che pulisce casa è perfetto perché il robottino che pulisce casa è
in grado di percepire l'ostacolo e quindi di cambiare direzione, ha una sua autonomia, una
volta che l'abbiamo acceso fa quello che deve fare senza bisogno che stiamo come con la
scopa elettrica ad aiutarlo a fare quello che deve fare, e sa che il suo compito è quello di
raccogliere le briciole che ci sono in casa.

Diamo un'ultima definizione di tecnologia: l'intelligenza artificiale è quella tecnologia che


permette ad un computer di analizzare grandi quantità di dati e sulla base della conoscenza e
dell'esperienza acquisita consente di adottare comportamenti intelligenti, di proporre o
prendere decisioni.

Si tratta di una tecnologia che permette ad una macchina di svolgere funzioni che
tradizionalmente sono riconosciute soltanto alla capacità umana. Questo in un convegno ha
detto Filippo donati che è un esperto di intelligenza artificiale, proprio per sottolineare come
passando dalla funzione più semplice del robottino che svolge una funzione elementare, noi
siamo arrivati ad affidare agli algoritmi e quindi a tutte le macchine che si basano sugli
algoritmi, dove l'algoritmo svolge la funzione del nostro cervello, di affidare agli algoritmi
l'adozione di decisioni. Oggi vogliamo utilizzare l'intelligenza artificiale nei processi, oggi
vogliamo utilizzare l’intelligenza artificiale nelle decisioni pubbliche, stiamo già utilizzando
l'intelligenza artificiale nel mondo produttivo e del lavoro.

Vediamo adesso i problemi: come si stanno evolvendo queste macchine?

Queste macchine si stanno evolvendo o meglio, la tecnologia che è alla base di queste
macchine si sta evolvendo in un modo molto interessante, ma anche molto rischioso, perché
l'ultima generazione di in macchine di intelligenza artificiale è in grado di avere quella
funzione cosiddetta di autoapprendimento. Noi oggi ci troviamo di fronte a dei robot che
sono in grado di auto-apprendere quindi che non soltanto conoscono tutto ciò che è accaduto
prima, ma sono anche in grado di rielaborarli esattamente come fa il cervello umano e quindi
di immaginare come affrontare una situazione, che fino a quel momento non si era ancora
verificata, o meglio che non era ancora stata immagazzinata nella sua memoria.

Quindi noi siamo di fronte oggi ad una nuova categoria di computer, cioè quei computer che
sono in grado di apprendere in modo automatico, ed ecco allora che ci dobbiamo porre il
problema di come un'intelligenza artificiale così evoluta possa andare a ledere l'umano. Se è
vero che la macchina è in grado di auto apprendere, è anche vero che la macchina parte da un
punto di partenza, che è quello di come lo abbiamo programmato è un po’ come l'educazione
che ciascuno di noi riceve da piccoli, noi sicuramente man mano che cresciamo ci
emancipiamo rispetto all'educazione che abbiamo avuto da bambini, ma non possiamo
nascondere il fatto che quegli input di educazione, che abbiamo ricevuto da bambini ci
caratterizzano per il resto della nostra vita, o per adesione, o per contrasto, quindi noi tanto
cresceremo assimilando, avendo fatto nostre anche inconsapevolmente l'imprinting che ci è
venuto dai nostri genitori, in generale dalla famiglia, oppure ci ribelleremo proprio perché
avendo noi umani anche un'anima, abbiamo la capacità di decidere se aderire o non aderire a
ciò che abbiamo imparato.
RISCHI PER I DIRITTI FONDAMENTALI

Nel caso della macchina l'auto apprendimento è sempre un'auto apprendimento cognitivo non
è mai un apprendimento emozionale, questo significa che se una macchina è stata
programmata per produrre una discriminazione, questa macchina continuerà ad evolversi non
solo perpetrando, ma anche facendo evolvere quella discriminazione. Il primo rischio che si
corre con un utilizzo definito opaco dell'intelligenza artificiale è proprio il rischio della
discriminazione su uno dei qualsiasi elementi previsti dall'articolo tre primo comma della
nostra Costituzione, e che sono previsti in tutte le democrazie occidentali. Poi c'è un rischio
per quanto riguarda la protezione della vita privata e dei dati personali delle persone, perché i
computer si basano sull'accumulo dei dati personali delle persone. E Poi c'è il rischio
soprattutto nel momento in cui noi andremo a utilizzare questi sistemi di intelligenza
artificiale nei processi, di stabilire se davvero il giudizio posto in essere da una macchina sia
quello di un giudice imparziale. Noi già adesso con gli umani abbiamo il dubbio del giudice
imparziale, ma sappiamo che proprio perché umano noi il dubbio lo dobbiamo avere. Con la
macchina potremmo correre il rischio di ritenere che in quanto macchina quel giudice sia
assolutamente imparziale, mentre invece come sappiamo potrebbe non esserlo.

Da dove può venire il rischio?

I rischi possono essere di due tipi: uno che abbiamo progettato male l'intelligenza artificiale;
quindi, l'abbiamo progettata senza seguire le tre regole di Asimov che vi ho detto prima.
Quindi un primo errore può essere un errore di progettazione mentre l’altro può essere un
errato inserimento di dati.

CARTA ETICA SULL’UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Nel 2018 il Consiglio d’Europa ha elaborato una carta sull'etica dell'utilizzo dell'intelligenza
artificiale e ha introdotto 5 principi che sono oggi i principi che noi poniamo alla base
dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale sia nel settore privato che nel settore pubblico.

Il primo principio è il principio del rispetto dei diritti fondamentali, cosa significa? Significa
che nell'andare a fare un check sul corretto utilizzo dell'intelligenza artificiale, noi dobbiamo
verificare che il robot sia effettivamente in grado di garantire quei diritti che abbiamo appena
citato.

Secondo e specifico principio riguarda il principio di non-discriminazione che in realtà è un


diritto fondamentale, ma che il Consiglio d'Europa ha voluto espressamente sottolineare e
cioè l'intelligenza artificiale non deve essere uno strumento di discriminazione e quindi nella
sua elaborazione deve essere diciamo così corretto il passato. Poiché l’intelligenza artificiale
ragiona sul passato ed il passato molto spesso è un passato di discriminazione, (pensate a
tutte le leggi del passato che discriminavano le donne nel nostro paese ma non solo nel nostro
paese) allora questo dato va corretto proprio per evitare che una discriminazione del passato
diventi un elemento di progettazione del futuro.
Il terzo principio è il principio di qualità e sicurezza, cosa significa? Significa che chi
elabora, cioè chi costruisce un algoritmo, chi costruisce in senso generale un robot deve
essere un soggetto certificato. Quando ci andiamo ad affidare a un programmatore, che deve
elaborare per noi un sistema di intelligenza artificiale, questo soggetto deve essere un
soggetto diciamo così idoneo a poterlo realizzare e a certificare i dati che ha utilizzato.

Quarto principio che è stato elaborato è il principio di trasparenza, imparzialità ed equità,


cosa significa? Significa che noi dobbiamo avere il diritto di conoscere quali dati sono stati
utilizzati, inseriti nella memoria del computer e abbiamo il diritto (fermo restando la tutela
del diritto d'autore) di conoscere il funzionamento dell’algoritmo, quindi come è stato
progettato l'algoritmo.

Ultimo e fondamentale principio è il principio del controllo da parte dell’utilizzatore, cioè


l'utilizzatore deve sempre controllare il funzionamento dell'algoritmo. L'utilizzatore
dell'algoritmo deve essere un utilizzatore in grado di avere il controllo delle proprie scelte è
un po' come dire che chi si mette alla guida di una macchina a guida assistita, deve sapere
esattamente su quale tecnologia è stata elaborata quella macchina e quindi deve essere in
grado di percepire se la macchina sta dando un cattivo funzionamento, perché se vede che in
una strada urbana invece di andare a 40 all'ora come ci hanno detto che doveva andare,
comincia ad andare a 50 all'ora, sia in grado di verificare a questo punto che c'è un
malfunzionamento della macchina stessa.

TRASPARENZA ALGORITMICA

Principio che stabilito nel 2018 dal Consiglio d'Europa, noi troviamo presente anche nel
regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, perché se noi mettiamo insieme
l'articolo 13 e l'articolo 15 di quel regolamento, noi abbiamo diciamo così la realizzazione di
quel principio di trasparenza algoritmica.

Che cosa significa? Significa che ciascuno di noi quando si trova ad essere soggetto ad una
procedura automatizzata, deve sapere se in quella procedura viene utilizzato un algoritmo.
Quando un soggetto è sottoposto ad un trattamento automatizzato, fermo restando che il
regolamento europeo sulla tutela dei dati personali vieta che un trattamento sia interamente
automatizzato. Premesso questo quando ciascuno di noi è sottoposto ad un trattamento
automatizzato o apparentemente automatizzato, deve sapere se è stato utilizzato un algoritmo,
quanto l'algoritmo abbia pesato sulla decisione finale.

Quindi se la procedura è interamente automatizzata, quindi tutta basata sull’algoritmo è in


contrasto con il regolamento europeo, ma se è al 50%, 60% lo devo sapere e devo sapere
come ha funzionato l'algoritmo, quindi quali erano i criteri che erano stati messi posti alla
base dell’elaborazione dell’algoritmo, e di conseguenza quale correlazione c'è tra i criteri che
sono stati posti e le conseguenze per l'interessato.

Questo che cosa significa? E che cosa ci dice la giurisprudenza in materia?


Ogni volta che l'algoritmo viene posto alla base di una decisione pubblica, noi dobbiamo
sapere, dobbiamo conoscere l'algoritmo, dobbiamo sapere quanto l'uso dell'algoritmo è
significativo, cioè quanto incide e dobbiamo essere in grado di comprenderlo; quindi, deve
essere qualcosa che con l'ordinaria diligenza possa essere compreso da chiunque si trovi ad
essere, ad entrare in contatto con l'algoritmo stesso.

Opacità ALGORITMICA

Vediamo adesso che cosa intendiamo per opacità algoritmica:

Cominciamo a vedere la prima opacità, ossia l'opacità algoritmica: l'algoritmo è troppo


complicato. Quindi la prima causa, la più frequente causa di una opacità di algoritmo è
l'opacità tecnica, ossia l'algoritmo non è comprensibile per quei soggetti che non hanno una
idonea capacità tecnica.

C'è poi l'opacità intrinseca, che cosa significa? Tutte le macchine che si basano su
meccanismi di autoapprendimento hanno una opacità intrinseca, perché? Perché lo stesso
sviluppatore, lo stesso programmatore non è in grado di sapere a priori (esattamente come
accade con il cervello umano), come la macchina evolverà nella sua funzione di
autoapprendimento. Questo significa che la macchina è intelligente, cioè la macchina ha una
auto-capacità di evolversi che per certi aspetti è sconosciuta, ma qui siamo veramente molto
più avanti anche rispetto a quelli che utilizziamo oggi, è in grado di diciamo così evolversi
secondo la propria volontà.

A noi invece cosa interessa? Interessa che l'algoritmo non abbia una opacità giuridica e
come possiamo risolvere questo problema dell'opacità giuridica? Innanzitutto, che cos'è? Noi
abbiamo innanzitutto il diritto di conoscere il funzionamento dell'algoritmo. Chi ha
sviluppato l'algoritmo ci può opporre il suo diritto d'autore il suo diritto di proprietà
individuale. Questo diritto di proprietà individuale prevale sul nostro diritto di conoscere, a
meno che noi non portiamo in giudizio la macchina, e quindi chi ha programmato la
macchina e non dimostriamo che la macchina, l'utilizzo di quella macchina, leso la prima e la
seconda legge di Asimov, e quindi ha leso il principio in base al quale la macchina non deve
produrre alcun danno ad un umano. Di fronte a questo rischio anche il diritto alla proprietà
intellettuale in giudizio viene meno. Quindi cosa possiamo dire? Che tutte le volte che siamo
in giudizio, quando l'algoritmo utilizzato da una pubblica amministrazione, e quando diciamo
così noi chiediamo di poter conoscere come funziona l'algoritmo, quindi facciamo una
richiesta di accesso, allora abbiamo diritto di andare oltre il principio della opacità
algoritmica.
LUCI ED OMBRE

Quali sono le luci e quali sono le ombre dell'utilizzo di decisioni automatizzate?

Le luci sono sicuramente decisioni più rapide e si prendono in modo più economico, in che
senso economico? Voi sapete ad esempio in materia di giustizia quanto si dice che i ritardi, la
lentezza della giustizia produce danni al sistema economico, ecco l’utilizzo di decisioni
automatizzate; quindi, di giudizi e di processi automatizzati per le questioni, diciamo così,
più tabellari, più frequenti, potrebbe sicuramente portare un risparmio e diciamo così togliere
un limite allo sviluppo economico,

tra le ombre troviamo che gli algoritmi, sono per loro natura opachi, sia perché la maggior
parte di noi non è in grado di comprenderne il funzionamento, sia perché lo stadio attuale
delle macchine è tale che noi non sappiamo queste macchine come sono in grado di
sviluppare la propria capacità di auto apprendimento, e terzo perché al momento non
abbiamo regole (e speriamo di averle dal futuro regolamento europeo sull'intelligenza
artificiale), non abbiamo regole di bilanciamento tra il diritto alla proprietà intellettuale di chi
ha elaborato l'algoritmo e il diritto di ciascuno di noi a non essere leso in un proprio diritto
fondamentale.

In questo momento la maggior parte di noi non solo non ha consapevolezza che alcuni aspetti
della propria vita sono gestiti dall'intelligenza artificiale, sia non abbiamo consapevolezza di
come si possa realizzare un bilanciamento tra i nostri diritti e il diritto dell'economia a
utilizzare questi algoritmi, quindi innanzitutto l'opacità, e secondo noi non sappiamo come
questi dati vengono diciamo così immessi nel circuito dell'intelligenza artificiale.

Quindi l'altra grande opacità, l'altra grande ombra possiamo dire dell'intelligenza artificiale è
proprio che noi non possiamo avere certezza che alla base del funzionamento dell'intelligenza
artificiale, non vi sia un trattamento dei nostri dati personali. Facciamo un altro esempio,
quando voi andate in banca a chiedere un prestito, la banca interpella un software predittivo
quindi un software di intelligenza che si basa sull'intelligenza artificiale, che cerca di predire
se voi sarete un buon pagatore, se io sarò una buona pagatrice, ecco tutte queste funzioni
predittive affidate all'intelligenza artificiale, sono tutte funzioni non neutrali; quindi, basate
su dati personali idonee ad identificare la persona.

Non c'è conclusione naturalmente al discorso che vi sto facendo molto ci verrà detto dal
regolamento europeo sull'intelligenza artificiale, che, come vi dicevo all’inizio, si sta
elaborando. Perché abbiamo bisogno di un regolamento europeo sull'intelligenza artificiale?
Perché la dimensione degli Stati sarebbe una dimensione troppo piccola per disciplinare un
fenomeno che, come tutto quello che riguarda Internet, i dati, il digitale è globale, quindi
abbiamo bisogno della forza in questo senso dell'unione europea. Consapevoli di che cosa?
Che l'Europa regolamenta non per frenare l'intelligenza artificiale, ma per favorirla e questo
significa che l'ottica economica dell'intelligenza artificiale sarà sempre presente e non è un
male. Quindi l'intelligenza artificiale ci porterà a dover fare un ragionamento tra tutela
dell'umano e tutela della macchina, dove la macchina è al servizio della maggiore efficienza
possibile del sistema produttivo e dei processi decisionali, ma l'umano invece è espressione di
una società e che, come dicevo all’inizio la società, è imperfetta e quindi non può essere
disciplinata da una macchina perfetta.

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