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Lezione n 1

DIRITTO PRIVATO: regola i rapport tra privati cioè soggetti che sono sullo stesso piano e servono a risolvere
eventuali conflitti fra privati. Un soggetto che può essere considerato “privato” nell’ambito delle regole del
diritto privato può essere il comune di Bologna: es uno studente vuole acquistare un immobile di proprietà
del comune di Bolognain questo caso si applica le regole del diritto privato in quanto il comune di
Bologna, ente pubblico, vende l’immobile agendo con il diritto dei privati (come se fosse un privato) e
dunque non agisce come un ente pubblico con potestà di diritto pubblico, ma si mette sullo stesso piano del
privato e dunque del cittadino acquirente. Molto spesso gli enti pubblici si comportano come enti privati e
quando agiscono così, si applicano le norme del diritto privato. In definitiva per privato si intende sia la
persona fisica, che persona giuridica ma anche un ente pubblico.

ESAME: una domanda di carattere generale ed ampia; una domanda un po’ più specifica; ultima domanda
per il 30 e la lode che sarà abbastanza specifica e molto rapida da risponderedura in totale 10/12 min

Ciò che non piace al prof è definendo un istituto si dice che x è quando…

Il modulo con la dott Albanese inizia il 10 marzo e finisce il 29 marzo (ore totali 20).

Lezione n 2

FONTI DEL DIRITTO: vengono illustrate nelle disposizioni sulla legge in generale che sono quelle 16 regole
(perché dalla 17esima al 31esima è stata abrogata) che precedono il codice civile ì, che sono state
approvate preliminarmente al cc con regio decreto n 262/1942 ed in particolare sono contenute nell’art 1.
Le fonti del diritto prevedono che nel rango costituzionale ci sono la Costituzione e le norme di derivazione
europea che in questa sede possiamo accontentarci di suddividere in 3 tipologie: due trattati (il trattato
sull’unione europea con i principi fondanti dell’unione ed il trattato sul funzionamento dell’ue), i
regolamenti (è self-executing cioè immediatamente applicabile così come è) e le direttive (necessitano di
essere attuate dal legislatori interni entro un dato termine). Ci sono anche delle direttive immediatamente
applicabili dette self-executing. Un esempio di normative del diritto privato originato da disposizioni
comunitarie è la disciplina della privacy, oppure la tematica della tutela del consumatore, i servizi finanziari,
il danno da vacanza rovinata (es classico: si compra un pacchetto turistico con almeno 1 pernottamento ma
arrivati sul posto si trova un mare inquinato ed un panorama con ciminiere e non era ciò che si aspettava
nel momento dell’acquisto perché non rappresentato dall’agente di viaggio: secondo il diritto della UE si
può chiedere oltre al risarcimento dei danni per l’inadempimento del contratto di viaggio, anche un danno
di carattere non patrimoniale per il mancato divertimento). In questo ambito si deve sottolineare che non
esiste un codice civile europeo (anche se vi sono stati tentativi di crearlo) anche perché gli organi della UE
(commissione europea, parlamento europeo e consiglio europeo) perché non hanno la competenza
giuridica di legiferare in modo generale nel campo del diritto privato. La UE allora, sfruttando delle
competenze di cui gode dal pto di vista giuridico, è intervenuta a macchia di leopardo (per quanto riguarda
il consumatore, tutelando il mercato unico, è il cavallo di Troia con il quale la UE riesce a legiferare e
dettare regole che afferiscono al diritto privato dei paesi membri).

Parimerito con i trattati e le leggi della UE, si colloca all’apice della piramide delle fonti la Costituzione della
repubblica italiana, al cui interno vi sono tanti riferimenti al diritto privato. La norma della Cost che
consente la legittimità delle potestà legislativa della Ue è l’art 117 co 1 che afferma che i limiti delle leggi
statali e regionali sono la Cost ed i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed obblighi internazionali.

Si skippa allora le altre fonti del diritto

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ART 1 delle preleggi: si parla di norme corporative che sono state abrogate e poi di usi. Gli usi e le
consuetudini sono delle fonti fatto e l’art 8 preleggi prevede che gli usi sono quelli richiamati da legge o
regolamento cioè secundum legem, mentre si possono trovare gli usi praetem legem che sono legittimi
nelle materie non legiferate.

Gli usi appena descritti, detti usi normativi, sono diversi dagli usi negoziali che sono clausole usualmente
inserite in un dato tipo di contratto in conformità alla pratica negoziale corrente. La legge presume che
siano volute dalle parti anche laddove manchi un espresso richiamo in contratto. L’uso negoziale non è
fonte del diritto.

Si va ora ad analizzare quanto diritto privato c’è nella Costituzione: la Cost tutela

 la persona e i suoi diritti fondamentali (art 2, 32, 22)


 le formazioni sociali (art 2, art 18)

Trovano la loro norma cardine nell’art 2 Cost che parla dei diritti della personalità: si parla di
riconoscimento dei diritti, dunque sono delle prerogative innate alla persona: esistono indipendentemente
da ogni diritto oggettivo

Per diritto oggettivo si fa riferimento alla legge posta dallo Stato, cioè diritto inteso in senso materiale,
mentre per diritto soggettivo è la prerogativa che spetta ad ogni soggetto giuridico.

I diritti alla personalità sono:

- diritti assoluti // diritto relativo ( si vanta in relazione a determinati soggetti)

- intrasmissibili

- un catalogo aperto perché l’art 2 cost è una norma che sancisce che non c’ è un numero chiusospetta
all’ord riconoscerli

I diritti della personalità sono:

- il diritto alla vita (ex art 13 Cost),

- diritto alla salute (ex art 32 Cost): può subire delle restrizioni dalla legge

Vi è poi la tutela delle formazioni sociali a cui appartiene il singolo e su tutte vediamo le associazioni e la
famiglia che sono tutelate all’art 18 e art 29 Cost e sono tutelate in quanto luoghi in cui si svolge la
personalità dell’individuo: la repubblica garantisce i diritti delle formazioni sociali e nelle formazioni sociali
(principio personalistico e principio pluralistico). Proprio in materia familiare si è avuto dei cambiamenti
epocali rispetto all’impostazione della carta costituzionale: l’art 29 prevedeva che la famiglia fosse fondata
sul matrimonio mentre ora esistono sia le coppie di fatto (convivenze) sia le unioni civile sia la riforma sulla
filiazione del 2012 (ci fu un cambiamento di molte norme sul diritto di famiglia perché sono state introdotte
la completa e piena equiparazione tra figli nati fuori dal matrimonio e i figli nati nel matrimonio: oggi non c’
nessuna differenza giuridica). Infatti dal punto di vista tecnico-giuridico per famiglia si fa riferimento alla
filiazione (alla discendenza) e dunque se si ha solo un marito ed una moglie si ha una formazione sociale (e
non famiglia).

Lezione n 3

La nozione di patria potestà è stata abolita a seguito della parità tra i coniugi a seguito della riforma del
1975. Ora al posto della potestà genitoriale c’è la responsabilità genitoriale, che deriva da regolamenti
europei che non tanto indicano un diritto-dovere dei genitore verso i figli, quanto una responsabilità dei

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genitori. A tal rilievo viene l’art 30 Cost ove al primo comma si dice che è dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio, cioè viene posto al centro la
persona del figlio che deve essere educato da entrambi i figli anche se i genitori non sono sposati o anche
se sono separati o divorziati. Al co 2, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a riguardo e
dunque la norma che viene a rilievo è quella prevede la dichiarazione dello stato in abbandono, cioè non ci
sono soggetti di diritto suscettibili di svolgere le funzioni di genitori. In particolare il DPR 396/2000 regola
l’attività dello stato civile e riguarda anche la facoltà della madre, al momento della nascita, di non essere
nominata all’atto di nascita conservando l’anonimato. Al co 4 dell’art 30 Cost, si dice che la legge disciplina
e limita la ricerca della paternità: dinnanzi all’anonimato della madre e del padre, si apre il procedimento
dell’adozione e dal punto di vista giuridico l’adozione di minorenni implica un inesistente legame con i
genitori biologici ma entra a far parte della famiglia degli adottanti. Ci si pone la domanda se in futuro tale
neonato può andare alla ricerca dei genitori: è lecito ma deve essere bilanciato con il diritto all’anonimato
esercitato dalla madre (ci sono due interessi confliggenti). L’art 28 co 4 prevede che i genitori adottivi
possono avere info su genitori biologici su autoriz del tribunale per gravi e comprovati motivi (es motivi di
salute). Si analizza poi anche il co 5, co 6 e co 7 ….. E’ stata sollevata questione di legit cost di questa norma
perché lesiva dei diritti del minore e la Corte si è espressa con decisione del 18/11/2013 con la quale ha
dichiarato la illeg cost del co 7 ove non prevede con un proc stabilito dalla legge che assicura la max
riservatezza la poss del giudice di interpellare la madre su richiesta del figlio per un eventuale revoca
dell’anonimato. L’art 30 co 3 è ora non compatibile con la disciplina attuale perché non c’è differenza tra
famiglia legittima e famiglia di fatto: si parla di figli nati nel matrimonio o figli nati fuori dal matrimonio.
L’unica differenza che si riscontra tra i figli nati dentro e fuori dal matrimonio è che quando un soggetto
nasce da una coppia sposata, al momento della nascita automaticamente si instaura il rapporto giuridico
della filiazione con la madre ed il marito della donna che ha partorito ai sensi dell’art 231 cc che prevede la
presunzione di paternità, ma tale presunzione si può vincere con l’azione di disconoscimento del figlio
perché non è automatico che il padre del figlio sia il marito della donna (in alcuni casi la legge consente di
dim ciò e di vincere la presunzione di paternità). Per i figli nati fuori dal matrimonio, i genitori devono
riconoscere il figlio che non è automatico. Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è fatto
nell’atto di nascita (direttamente in ospedale) oppure con un apposita dich posteriore alla nascita davanti
all’ufficiale di stato civile. Può anche avvenire che il riconoscimento può avvenire solo da uno dei genitori.
Quindi il riconoscimento dal punto di vista tecnico-giuridico è un atto giuridico.

**FATTO GIURIDICO = è qualsiasi accadimento naturale o umano che viene ad eversione/che rileva per
l’ordinamento giuridico (es. un codice civile che cade dalla finestra perché su un davanzale e sfonda un
tetto è rilevante per il diritto perché consegue la nascita di un’obbligazione del risarcimento del danno
perché vi è il concorso di un fatto naturale cioè la folata di vento e la negligenza di lasciare un cc in bilico sul
davanzale della finestra).

All’interno della categoria del fatto giuridico c’ è la sottocategoria incluso che è l’insieme dell’ ATTO
GIURIDICO = si vuole che determinati effetti vengano prodotti e dunque conta la volontarietà degli effetti.
All’interno degli atti giuridici ci sono gli ATTI GIURIDICI IN SENSO STRETTO (come il riconoscimento): il
soggetto che lo pone in essere non può minimamente modulare gli effetti di tale atto che sono automatici
(es: quando si riconosce un figlio, si riconosce in toto)

La differenza tra un obbligo ed un’ onere è che un ONERE è la condotta che si deve tenere se si vuole
conseguire un det risultato (si è liberi se tenere o meno questa condotta). Il più famoso degli oneri nel
diritto privato è l’onere della prova (art 2697cc: chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti
che ne costituiscono il fondamentose voglio tutelare il diritto di proprietà, devo dim prima che sono

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proprietario). Qualche volta però l’onere della prova è invertito in cui è il convenuto a dimostrare il diritto e
non l’attore.

Si procede poi a dire cosa è un DIRITTO POTESTATIVO = un soggetto di diritto vanta un diritto soggettivo al
quale corrisponde la soggezione di un altro soggetto di diritto e quindi può esercitare il proprio diritto al cui
esercizio corrisponde l’assoggettamento di un altro dirittodal lato attivo vi è una situazione di potere
mentre dal lato passivo c’è la posizione della soggezione (nei diritti relativi dal lato attivo c’è una pretesa e
dal lato passivo vi è un obbligo).

Lezione n 4

Terminiamo il discorso del diritto privato nella costituzione: oltre alla persona, ci sono altre tematiche
importante del diritto privato:

1) il lavoro: art 39 cost (non tratteremo)

2) iniziativa economica privata ART 41 COST: si prevede che l’iniziativa economica è liberal’iniziativa
economica privata si concretizza nella libertà di impresa e riconosce anche la libertà di contratto e
l’autonomia contrattuale. Si pone dunque in relazione con l’art 1322 cc: prevede una ampia libertà
contrattuale perché al co 1 prevede che si può determinare il contenuto del contratto entro i limiti della
legge mentre al co 2 si prevede che si possono concludere contratti non direttamente disciplinati dal
legislatore (detti contratti atipici ad esempio contratto di leasing perché non ha una puntuale disciplina del
cc). I limiti all’autonomia privata imposti dalla legge sono quelli imposti dalla Cost all’art 41:

a) utilità sociale
b) sicurezza, libertà e dignità umana
ES: vi è una normativa di origine UE che riguarda la sicurezza dei prodotti infatti vi sono prescrizioni sulla
messa in commercio di un bene e la responsabilità del produttore per il danno derivante dal prodotto
messo in circolazione.

3) proprietà ART 42 COST: la proprietà è pubblica o privata ed i beni economici appartengono allo Stato, ad
enti o a privati e la proprietà è garantita dalla legge che stabilisce i modi di godimento e di acquisto che è
ricondotto all’art 832 cc: il proprietario ha il diritto di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo entro i
limiti imposti dall’ordinamento giuridico, per garantire la funzione sociale della proprietà che è previsto
dall’art 42 co 2 Cost. Per funzione sociale si fa riferimento al fatto che per quanto compatibile con il diritto
di proprietà, la proprietà stessa deve essere esercitato in modo tale che siano preservati interessi di
carattere generale e di altri privati che entrano in contatto con il titolare del diritto di proprietà perché si
ritiene che in ogni caso quantunque il diritto di proprietà abbia il contenuto più ampio, le cose che ne
costituiscano oggetto debbano comunque entro certi limiti essere impiegati per quanto possibile anche
nell’interesse sociale. I limiti al diritto di proprietà per assicurare la funzione sociale sono:

1. limiti per l’interesse generale di terzi: sono quelli che hanno portato il legislatore a stabilire una
disciplina per gli atti di emulazione (= il diritto di proprietà non può essere esercitato al fine di
recare danno a terzi) ed espropriazione per pubblico interesse (l’art 42 Cost prevede che la
proprietà privata può essere nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo espropriata per motivi di
interesse generale, che è prevista all’art 834 cc) che è governata da due principi: il principio di
legalità (l’espropriazione è possibile solo nei casi previsti e nel rispetto delle procedure previste
dalla legge) e il principio dell’indennizzo (al proprietario espropriato deve corrispondere una
somma che compensi la perdita subita)il DPR 327/2001 disciplina l’espropriazione per pubblica
utilità che prevede la quantificazione dell’indennizzo che non corrisponde al valore di mercato del
bene espropriato, ma l’indennizzo non può essere meramente simbolico

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2. limiti per l’interesse di privati: ad esempio le immissioni (= devono essere tenute nei limiti della
normale tollerabilità)
PARTIZIONI DEL CODICE CIVILE e la struttura

Si parla di “codice” perché si fa riferimento ad un insieme di regole che vanno a trattare in modo
sistematico ed ordinato un’intera materia: i codici infatti sono leggi ordinarie dello Stato (il cc è un regio
decreto), la cui diffusione ha preso piede con le codificazioni ottocentesche (vedi Code Napoleone nel 1804
che seppur modifiche è tuttora vigente). Con il codice si intendeva superare il particolarismo giuridico per la
quale ogni classe aveva un suo diritto e dunque si intendeva favorire il principio di uguaglianza. A partire dal
1950 e 1960 successe che l’idea di codice è entrata in crisi perché si ha avuta una rapida evoluzione e
complessità sociale che ha portato alla preferenza del legislatore di leggi ad hoc per certe specifiche
tematiche piuttosto che ammodernando i codici, che comunque restano fonti di cognizione del diritto di
fondamentale importanza. L’esistenza di molte leggi collegate ha fatto sì che si parli oggi di decodificazione,
cioè le nuove esigenze si risolvono con leggi speciali e non con le modifiche dei codici. Esempi di leggi
speciali sono la legge sull’adozione, sulla locazione, sul divorzio. Nel 1942 c’è stata un’unificazione dei codici
civili e dei codici di commercio del 1865 che ha portato ad una commistione tra diritto privato e diritto
commerciale tanto da parlare di “commercializzazione del diritto privato”.

La struttura del codice è la seguente:

1. LE DISPOSIZIONI SULLA LEGGE IN GENERALE: art 1 ad art 16 mentre dal 17 al 31 sono stati abrogati
dalla legge 218/1995 che ha integralmente riformato il diritto internazionale privato (= è
quell’insieme di regole in virtù delle quali è possibile stabilire quando il giudice nazionale deve
applicare il diritto italiano e quando invece il rapporto su cui è chiamata a decidere è soggetto a
norme giuridiche di altri ordinamenti)la UE ha emanato 2 regolamenti per la legge applicabile a
obbligazioni contrattuale ed extracontrattuali: tra gli stati membri, si sa già il diritto applicabile
perché stabilito da questi 2 regolamentiin particolare la legge applicabile è quella scelta dalle
parti, se nulla è stato stabilito, si applica la legge dello stato membro che ha il collegamento più
stretto con il contratto/ del paese nel quale si è verificato il danno extracontrattuale
2. LIBRO PRIMO: delle persone e della famiglia ART 1 – 455 cc
3. LIBRO SECONDO: delle successioniè disciplinato anche il contratto di donazione perché è
strettamente collegato alla successione nel senso che mediante la donazione si possono verificare
lesioni della riserva della legittima. Si trova la disciplina delle successioni in generale, della
successione legittime etc
4. LIBRO TERZO: della proprietà ART 810 - 1172
5. LIBRO QUARTO: delle obbligazioniprevede la teoria delle obbligazioni in generale fino all’art 1320
mentre dal 1321 prevede la materia del contratto comprendente anche altri atti o fatti fonti di
obbligazione oltre che il fatto illecito
6. LIBRO QUINTO: del lavoro (non costituisce oggetto del nostro corso) e la disciplina delle società
(che non verrà trattata)
7. LIBRO SESTO: della tutela dei dirittitratta della disciplina della prova, della prescrizione e della
decadenza
Il cc consta di 2969 articoli.

Lezione n 5

SOGGETTI DI DIRITTO: analizziamo cioè chi sono per l’ordinamento giuridico i soggetti che hanno
l’attitudine di essere titolari di diritti e doveri e che possono essere ritenuti rilevanti per l’ordinamento
stesso.

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Si deve allora partire dal concetto di CAPACITÀ GIURIDICA con la prima regola base del cc: libro primo ART 1
cc = la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. Occorre il momento della nascita per
acquistare la capacità giuridica, ossia l’attitudine dell’uomo a essere titolare di diritti e di doveri. La norma
prosegue sostenendo che vi sono delle regole che possono prevedere il concepito però tali regole
presuppongono l’atto della nascita. Un esempio è l’art 784 cc che riguarda la donazione fatta in favore di
dovrà venire a nascere, il nascituro, che potrà essere già concepito p che deve essere ancora concepita
all’atto di donazione, ma l’acquisto dei diritti derivanti dalla donazione è subordinato al momento della
nascita. Il tema della capacità giuridica si connette con l’art 22 Cost ove si dice che nessuno può essere
privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome: vi è una tutela
costituzionale di determinate prerogativetale capacità giuridica dura fino alla morte del soggetto. A
questo punto abbiamo introdotto il concetto del momento della nascita la cui identificazione non necessita
particolari identificazioni. Abbiamo poi detto che la capacità giuridica perdura fino al momento della morte,
che però necessita una identificazione più specifica perché è più complicato definirla tecnicamente: allora ci
si deve rifare ad una definizione legislativa di morte alla L. 578/1993 che è intitolata “norme per
l’accertamento della certificazione della morte”: la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte
le funzioni dell’encefalo. L’alternativa a tale definizione di morte celebrale sarebbe potuta essere la morte
cardiaca: in precedenza infatti era più accreditata la nozione di morte in riferimento alle funzioni cardiache.
Il motivo per cui la nozione di morte ha necessitato una definizione di morte e dunque è importante è in
riferimento al diritto successorio perché la successione si apre al momento della morte del de cuius
nell’ultimo suo domicilio (l’accadimento naturale come la morte a cui la legge ricollega effetti ben
determinati). Al di la delle prerogative successorie, alla morte si ricollegano lo scioglimento del matrimonio,
la donazione degli organi (L. 91/1999), l’estinzione di contratti personali o contratti intuitu personae
(=perfezionati in ragione di particolari caratteristiche personali delle parti del contratto es. contratti con
avvocati, medici, professionisti) ma in genere i contratti perdurano alla morte del contraente perché le
obbligazioni contrattuali si trasmettono agli eredi.

Per quel che riguarda i diritti del nascituro, l’art 462 cc in materia di successioni sancisce che sono capaci di
succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione: possono
succedere anche coloro che sono solo concepiti all’apertura della successione (=al momento della morte
del de cuius). Possono ricevere per testamento i figli di una persona vivente alla morte del testatore anche
se ancora non concepiti. L’art 784 cc prevede che si possono fare donazioni anche a soggetti non concepiti.
Inoltre c’è un tema interessante che si interseca con il fatto illecito, che riguarda un soggetto che subisca
dei danni prima che viene alla luce, detti “danni prenatali”. Esempi sono durante un parto il medico compie
una manovra errata e dunque vi è una responsabilità al personale medico; donna incinta si fa una diagnosi
atta a verificare che il nascituro non sia affetto da certe patologie con esito negativo, ma invece nasce con
una di quelle patologie che erano state esclusela pretesa che si costruisce dinnanzi al medico si basa sul
fatto che se l’esame fosse stato fatto correttamente, si sarebbe potuto decidere di abortire e dunque per
tutta la vita si dovrà mantenere un soggetto in difficoltà: vi è la sottrazione alla madre tale prerogativa e
dunque il danno è in capo alla madre; ma ci si domanda se colui che è nato potrebbe lamentare qualche
pretesa risarcitoria ma in realtà no perché l’alternativa è la mortela cassazione nel 2015 ha stabilito che
l’alternativa a nascere con un infermità non è nascere sani, ma è non nascere che non è concepito dal
nostro ordinamento: è il diritto a non nascere se non sano. Nel richiedere il risarcimento del danno si
applica la teoria differenziale: cosa si avrebbe avuto se non si avesse subito il danno?

*Giurisprudenza = le sentenze dei giudici hanno valore orientativo ma non vincolante e l’importanza sta sul
fatto che guida l’interpreteanche se è possibile che si siano degli orientamenti giurisprudenziali locali che
fa sì che viene meno la certezza del diritto. Inoltre è anche successo che la Corte di Cassazione divisa in più
sezioni abbia deciso la stessa questione di diritto in maniera diversa: la Cassazione non è un terzo grado di
giudizio ma è un giudizio di legittimità. Visto dunque che in Italia non vi è un precedente vincolante, vi

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possono essere sentenze difformi. L’unico caso in cui il precedente può avere più forza sono le sentenze
delle sezioni unite della Corte di Cassazione: quando la Corte di Cassazione riunisce le sue sezioni ed emette
la sua sentenza, vuol dire che nella composizione rientrano i presidenti delle sue varie sezioni che decidono
insieme un questione di particolare importanza decisa in maniera difforme in giurisprudenza con la finalità
di dare una linea uniforme, assolvendo alla funzione nomofilattica = uniforme interpretazione della legge.
Vi è una norma infatti che dice che un giudice, se si vuole discostare da un principio di diritto delle sezioni
unite, deve specificatamente indicare i motivi per cui ha deciso di discostarsene*

Lezione n 6

ART 2: riguarda la CAPACITÀ DI AGIRE = è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici attraverso i quali
acquista diritti o assume doveri (es: conclusione di un contratto) e la capacità di agire si acquista con la
maggiore età che è fissata al compimento del diciottesimo anno. L’art 2 co 2 prevede che in taluni casi è
possibile al minore prestare attività lavorativa. Prima del raggiungimento della maggiore età, per far
convivere il minore con il traffico giuridico, si sfrutta il meccanismo ai sensi dell’art 320 cc: la
rappresentanza dei genitori. La rappresentanza del minore dunque di regola spetta ai genitori
congiuntamente o a quello che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, la cui responsabilità
genitoriale è disciplinata all’art 316 cc.

Per quando riguarda gli atti giuridici consentiti al minore, viene in rilievo:

- l’art 250 cc in materia di riconoscimento dei figli: il minore ultra sedicenne benché non emancipato può
compiere il riconoscimento del figlio (=atto giuridico in senso stretto)

- si ritiene che la sua capacità naturale (= è la capacità di intendere e di volere cioè di rendersi conto degli
effetti giuridici dei propri atti) permette al minore concludere i “contratti della vita quotidiana” (es. andare
in cartoleria) e può anche concludere contratti come rappresentante di un’altra persona che non sia
incapace (ciò è consentito perché comunque gli effetti giuridici dell’atto che ha concluso il minore come
rappresentante non ricadono su di lui ma sul rappresentato)

Per il diritto, l’incapacità di intendere e di volere è tutelata dall’ordinamento: in particolare si sottolinea che
non risponde del fatto illecito chi non aveva la capacità di intendere e di volere all’epoca del fatto
commesso, ma dal punto di vista giuridico vi è un’ipotesi di responsabilità indiretta in capo al
rappresentante dell’incapace. Sempre in questo tema, vi è una norma fondamentale ART 428 CC: si
prevede l’annullamento di atti giuridici posti in essere da soggetti incapaci di intendere e di volere se gli
recano pregiudizio. Il co 2 del medesimo articolo prevede che i contratti posti in essere da soggetti incapaci
di intendere e di volere possono essere annullati se, oltre al pregiudizio dell’incapace, si dimostra anche la
malafede dell’altro contraente. Si aggiunge al co 3 che l’azione per l’annullamento degli atti dura 5 anni con
il rinvio all’art 1442 cc. Questa è una norma che ha molto a che vedere con un contratto ma che per varie
ragioni non è nel libro 4 ma nel libro 1.

Per EMANCIPAZIONE si ha quando il minore che ha compiuto 16 anni si sposa ex art 84 cc (requisiti per
contrarre matrimonio-età) disposto dal tribunale per gravi motivi (molte volte la giurisprudenza si è
espressa su cosa integrano i gravi motivi e la maggior parte tende ad escludere che i gravi motivi siano
integrati dal matrimonio riparatore, infatti possono essere qualsiasi fondata ragione che induce il giudice a
ritenere che qls soggetto possa convolare a nozze perché l’impedimento alle nozze sarebbe per lui
pregiudizievole): rispetto al minore non emancipato, l’emancipato ha più autonomia ove non c’è più
rappresentanza ex art 320 cc (la rappresentanza dura fino alla maggiore età o all’emancipazione). L’art 390
cc prevede che il minore è di diritto emancipato con il matrimonio, con il riferimento al matrimonio ex art
84 cc. Inoltre il minore emancipato non ha la piena capacità che consegue il maggiorenne, ma un grado
minore nel senso che ha capacità di compiere atti di ordinaria amministrazione ma non gli atti di

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straordinaria amministrazione, per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare e il consenso del
mio curatore (=soggetto che si affianca al minore emancipato) ex art 394 cc.

La TUTELA ex art 343 è prevista qualora i genitori siano morti o siano incapaci di esercitare la responsabilità
genitoriale, su nomina del giudice tutelare (= è un magistrato ordinario previsto nel tribunale ordinario che
ha i compiti di sopraintendere alle tutele e curatele ex art 344 cc) .Il giudice tutelare, appena ricevuta
notizia dell’apertura della tutela, provvede alla nomina del tutore e art 346 cc seguendo i criteri ex art 348
cc. In questo ambito si deve sottolineare chi siano gli affini, cioè le persone con le quali noi instaurano i
legami derivanti dal matrimonio (ex art 78 cc) mentre la parentela prevede la discendenza da una persona
(ex art 78 cc).

Nel nostro ordinamento, ci sono una serie di misure di protezione delle persone che sono prive in tutto o in
parte di autonomia: gli istituti giuridici a sostegno e protezione di tali soggetti sono l’interdizione,
l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno (introdotta nel 2004).

INTERDIZIONE: l’art 414 ss prevede che il maggiore di età o il minore emancipato in cond di abituale
infermità di mente tali da non rendere capace di curare i suoi interessi, possono essere
interdettil’interdizione fa sì che si porti il soggetto allo stadio del minore non emancipato: è una misura
molto forte e drastica (perché si toglie tutta la capacità). Viene nominato un tutore per l’interdetto

INABILITAZIONE: l’art 415 cc prevede che il maggiore di età infermo di mente ma non in condizioni gravi da
dar luogo all’interdizione, può essere inabilitatol’inabilitazione fa sì che si porti il soggetto allo stadio del
minore emancipato (si può compiere atti di ordinaria amministrazione). Viene nominato un curatore per
l’inabilitazione. Può essere inabilitato anche chi per prodigalità o per abuso di sostanze stupefacenti od
alcoliche .

L’art 417 cc prevede che le due misure possono essere promosse dalle stesse persone, dal coniuge, dalla
persona stabilmente convivente, dai parenti fino al 4 grado, affini fino al 2 grado, dal tutore o curatore o da
PM. OSS: l’art 75 cc e l’art 76 cc prevedono che sono parenti in linea retta chi discende direttamente l’uno
dall’altro il nonno e il figlio mentre in linea collaterale i fratelli, gli zii etc. In linea retta si contano i gradi
quanti sono le generazioni escluso lo stipite mentre in linea collaterali si computano le generazioni salendo
le linee collaterali e discendendo per quelle rette escluso lo stipite comune. L’art 419 cc prevede che il
giudice poi deve avere esaminato l’interdicendo od inabilitando, può farsi assistere da un consulente
tecnico e può sentire i parenti. Nel corso del procedimento il giudice può nominare un tutore o curatore
provvisorio e se si chiude positivamente il processo, si chiude con una sentenza in cui ex art 427 cc si può
stabilire che taluni atti di straordinaria amministrazioni possano essere compiuti dall’inabilitato senza il
curatore o atti di ordinaria amministrazione dal interdetto senza il tutore.

Lezione n 7

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: è stata introdotta nel 2004 = è una misura più duttile, elastica e
modulabile rispetto alle altre due: non è drastica come l’interdizione (si perde la capacità di agire
totalmente) e non è nemmeno fissa come misura come l’inabilitazione (riporta allo stadio di minore
emancipato) infatti si colloca nel mezzo e che potrebbe avere un po’ dell’una e dell’altra. E’ il giudice
tutelare che decide con il decreto di nomina dell’amministrazione di sostegno quali compiti deve avere la
persona che assiste l’incapace, che si chiama l’amministratore di sostegno, mentre l’incapace è il
beneficiario dell’amministrazione di sostegno: è il giudice che volta per volta nel caso concreto ricama la
misura sull’incapace che è dunque modulabile volta per volta. Per queste due caratteristiche è una misura
che ha avuto successo e che ha eroso molto i margini di concreto utilizzo degli altri istituti. Nel cc siamo
all’art 404 cc: si applica ad una persona che per effetto di una infermità o menomazione fisica o psichica è
impossibilitato anche in modo temporaneo o parziale a provvedere ai propri interessi. I soggetti che
possono attivare il ricorso per l’istituzione di amministratore di sostegno sono disciplinati all’art 406 cc: il
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beneficiario e da uno dei soggetti ex art 417 cc (congiunti e familiari); il co 2 prevede anche l’intervento dei
responsabili dei servizi sanitari e sociali impegnati nella assistenza della persona. Remind: è il giudice
tutelare che agisce in caso di tutela e curatela di soggetti deboli che agisce con sentenza per interdizione o
inabilitazione, mentre con decreto per l’amministrazione di sostegno. Il procedimento del ricorso è
disciplinato dall’art 407 cc e l’amministratore di sostegno viene scelto ai sensi dell’art 408 cc con l’esclusivo
riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario. Inoltre tale articolo prevede che l’amministratore può
essere scelto proprio dal beneficiario in previsione dell’eventuale futura incapacità mediante:

- atto pubblico = la definizione è presente nel libro 6 del cc all’art 2699 nel capo che riguarda le prove
documentaliun atto pubblico è un documento redatto da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato
ad attribuirgli pubblica fede nel luogo ove l’atto è formato. Inoltre l’art 2700 cc prevede che l’atto pubblico
fornisce piena prova fino a querela di falso: è il più affidabile perché ha un valore fortissimo (es.
riconoscimento di un figlio fuori matrimonio; contratto di compravendita anche se non è necessario a
rigore ad andare da un notaio perché potrebbe avvenire facendo un contratto mediante scrittura privata
ma andare dal notaio è un onere per il venditore perché immediatamente si può rendere opponibile
l’acquisto a terzi, cioè si va a fare con l’atto pubblico una cosa che non si può fare con la scrittura privata,
cioè la trascrizione nei pubblici registri = il notaio si reca alla conservatoria dei registri immobiliare per
registrare il bene immobile così che risulta di essere proprietario l’acquirente con la trascrizione quindi si
ottiene il vantaggio che si evita che il venditore abbia venduto lo stesso appartamento
contemporaneamente a più persone diverse e dunque si dice che è opponibile a terzi)

- scrittura privata autenticata = è una sottoscrizione privata autenticata dal notaio o altra autorità, cioè
l’attestazione da parte di un pubblico ufficiale che tale sottoscrizione è stata apposta in sua presenza ex art
2703 ccse non è autenticata, allora non viene presentata al notaio per la verifica

Si tratta dunque di una designazione ora per allora, che si ricollegano alla DAT, cioè disposizioni anticipate
di trattamento disciplinata da una legge 219 del 2017 che è in generale ricollegato al consenso informato
nel trattamento sanitario. L’art 4 di tale legge afferma che ogni persona maggiorenne, in previsione di un
eventuale futura incapacità di autodeterminarsi può esprimere la propria volontà in materia di trattamenti
sanitari ed indica anche una persona di sua fiducia, detto fiduciario, che lo rappresenti con le strutture
sanitarie quando il soggetto sarà incapace; inoltre le DAT devono avvenire con atto pubblico, con scrittura
privata autenticata o con scrittura privata consegnata all’ufficiale di stato civile. Prima che entrasse in
vigore questa legge, come strumento per sopperire ad una legge in proposito, si adoperava
dell’amministrazione di sostegno con la designazione ex art 408 cc perché un domani prendesse le
decisioni al posto suo anche se sviava alle finalità proposte inizialmente da questo istituto giuridico.

Una volta individuato l’amministratore di sostegno, viene nominato con decreto che deve indicare l’oggetto
dell’incarico e gli atti che possono essere compiuti in nome e per conto del beneficiario (differenza
dall’interdizione), deve indicare gli atti che il benficairio può compiuere solo con l’assistenza
dell’amministratore di sostegno (conserva la capacitò di agire per gli atti che non richiedono l’assistenza
dell’ amministratore + può compiere gli atti che consentono il prosego della vita quotidiana) ai sensi dell’art
405 cc

Gli atti compiuti dall’interdetto, dall’inabilitato in riferimento alla straordinaria amministrazione, o dal
beneficiario dell’amministrazione di sostengo in violazione del decreto sono atti invalidi in particolari sono
atti annullabili, cioè quelli compiuti dall’incapace in violazione della legge sono annullabili. Ciò è anche in
riferimento all’art 427 co 2 e co 3 cc.

DIRITTI DELLA PERSONALITA’ : i caratteri sono:

 inviolabilità
 indisponibili
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 imprescrittibili =
 irrinunciabili
 inalienabili
 assoluti = hanno tutela nei confronti di tutti
Lezione n 8

CARATTERI DEI DIRITTI DELLA PERSONALITA’:

1) assolutezza

2) imprescrittibilità

3) indisponibilità = queste forme di sfruttamento dei diritti della personalità per il merchandising non
possono essere negate e allora questi atti di disposizione sono ammissibili però si deve ritenere che vi sia il
limite della irrinunciabilità e indisponibilità: sono ammissibili nei limiti in cui non implichino la perdita
definitiva del diritto che non può verificarsi perché sono irrinunciabiliva sempre riconosciuto al soggetto
di revocare questo atto dispositivo e sfruttamento.

4) inviolabilità

5) sono riconosciuti perché preesistono all’ordinamento ex art 2 Cost in quanto connessi alla personal’art
2 Cost è una clausola generale (o fattispecie aperta) = sono quelle norme nelle quali il legislatore mantiene
un approccio di carattere generale in una tematica per far sì che tali norme si possono adattare alle
evoluzioni socialiil legislatore non ha elencato una lista di diritti perché il catalogo così sarebbe rimasto
incompleto e parziale e dunque legifera con clausola generale cioè si parla in genere di diritti della
personalità senza identificarli tutti in maniera tassativa. In tal modo l’art 2 è ancora attuale perché spetta
all’interprete il compito di individuarli progressivamente che essi vengano ad emersione (si ritrova anche
all’art 2043 cc in materia di fatto illecito). Proprio in virtù dell’incedere con clausola generale, vi è una
tradizione contrapposizione tra i diritti della personalità e i nuovi diritti della personalità: sono detti “nuovi”
perché non sono quelli già disciplinati dal legislatore ma emersi dopo. Ad esempio il diritto all’identità
personale è nato negli anni 70 ad opera della giurisprudenza non presente dunque nel codice. Il DIRITTO
ALL’IDENTITA’ PERSONALE è il diritto presente ad esempio nel caso Veronesi (il dott Veronesi era un famoso
oncologo in un intervista dichiarò che le sigarette light erano forse meno dannose delle sigarette normale
(era un’informazione di carattere generale) ed una società di tabacco sfruttò ciò che disse sostenendo che
le sue sigarette light non erano dannose cosa che non eranovenne dunque travisata una sua convenzione
personale e professionale facendogli dire qualcosa che lui non pensava assolutamente e quindi si aprì un
caso giudiziario che causò un precedente giurisprudenziale circa la violazione dell’identità personale. Un
altro esempio è prendere un tizio come testimonial per una campagna all’aborto ma lui è contro. Ciò è
diverso al DIRITTO ALL’IMMAGINE che si basa sul modo di apparire in via superficiale infatti in riferimento
solo alla percezione visiva, mentre il DIRITTO ALL’IDENTITA’ tutela la nostra percezione morale e sociale che
gli altri hanno e tutela il travisamento del fascio di convinzione che un soggetto ha (dunque è una
percezione più profonda di un soggetto). Tra l’altro uno è un diritto della personalità (ex art 10 cc) mentre
l’altro è un nuovo diritto alla personalità. Ancora diverso è il DIRITTO ALL’ONORE, che è un’offesa alla
reputazione, e si distingue dall’ingiuria per il fatto che l’offesa viene rivolta direttamente all’interessato,
mentre per la diffamazione l’offesa viene detta ad altri. Nel diffamare qualcuno, il diritto che ledo è la
reputazione e quindi la dignità, l’onore e la reputazione. Nel cc non ci sono norme che tutelano l’ingiuria e
la diffamazione è nel codice penale (anche se l’ingiuria è stata depenalizzata), ma è comunque un diritto
della personalità perché comunque normatizzato. Però non si può escludere che vi siano casi in cui con un
medesimo atto si leda sia l’onore che l’identità personale. Per quanto riguarda la diffamazione, c’è tutto il
tema della libertà di espressione e manifestazione del pensiero e di critica e cronaca: quando si va oltre a

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tali diritti di critica e di cronaca, allora vi è la diffamazione e la giurisprudenza ha un’asticella molto alta per
poter esorbitare dal diritto di critica.

L’art 10 cc tratta deel diritto all’immagine che prevede la poss dell’inibitoria e del risarcimento.

Gli altri diritti della personalità sono il DIRITTO DELL’INTEGRITA’ PERSONALE (art 5): gli atti di disposizioni
del proprio corpo che cagionano una diminuzione permanente all’integrità fisica, o contrari alla legge,
all’ordine pubblico o al buon costume sono vietati. Si osserva che l’ordine pubblico e il buon costume sono
clausole generali: il buon costume è il sentire sociale in base a varie sfere (come quella sessuale). Esempio
di atti di disposizioni del corpo contrario alla legge è la vendita di organi (ciò va letto in rif all’art 32 Cost)

Il DIRITTO AL NOME è il diritto ad un segno distintivo, con il quale siamo contrassegnati e ci distinguiamo
dagli altri consociati ex art 6 cc. Si prevede che si parla di nome il prenome e il cognome (es il nome è
Francesco Uncini); inoltre vi sono delle norme che disciplinano l’assegnazione dei nomi nell’art 34
dell’ordinamento dello stato civile (DPR 396/2000): non vi si possono assegnare nomi ridicoli, contrari al
buon costume, in riferimento al sesso e con lettere dell’alfabeto italiano. L’art 7 cc prevede inoltre che ci
possa essere l’azione di reclamo e dunque contestazione dell’uso altrui e l’azione di usurpazione, cioè che
qualcuno usurpando il mio nome, sento pregiudizio da tale uso. L’art 9 cc prevede che lo pseudonimo sia
tutelato ex art 7 cc qualora tale nome acquisisca una certa notorietà.

Questi sono i diritti alla personalità annoverati nel codice civile.

Lezione n 9

TEMA DELLA PRIVACY: il regolamento dell’unione europea è entrato in vigore completamente un anno e
mezzo fa

Il DIRITTO ALLA PRIVACY fa riferimento in senso più ampio ove per privacy si fa riferimento ad un concetto
più ampio che ricomprende la riservatezza in ogni sua accezione, che sconfina sotto certi aspetti alla libertà
personale (questo negli ordinamento di common law). Nel nostro ordinamento lo si intende con un
accezione più ristretta. Il testo italiano che tutela la privacy è il d.lgs 196/2003, che si rifà al regolamento EU
679/2016. L’art 1 prevede che il trattamento dei dati personali avviene secondo il regolamento 2016/679
UE e del presente testo, nel rispetto della dignità umana e dei diritti e libertà fondamentali della persona.
L’art 2 prevede che la finalità della normativa è l’adeguamento al regolamento UE (sono norme di
attuazione). L’art 2 bis prevede che l’autorità di controllo è il Garante della protezione dei dati personali.

Per quanto riguarda il regolamento UE, esso contiene 173 considerando (=premesse) che sono state di
recente modificate. L’art 1 stabilisce norme a protezione delle persone fisiche circa il trattamento dei dati
personale e la circolazione di tali dati; tutela le libertà delle persone fisiche in specifico alla protezione dei
dati personali. L’art 2 stabilisce l’ambito di applicazione materiale, cioè riguarda il trattamento interamente
o parzialmente automatizzato dei dati personali e al trattamento non automatizzato dei dati personali
contenuti in un archivio o destinati a figurarvi. Mentre non si applica per le attività che non riguardano l’UE,
né effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività di carattere esclusivamente personale o
domestico. L’art 3 prevede l’applicazione territoriale che si applica ove il trattamento sia eseguito al
soggetto ricollegabile o ricollegato all’ unione, indipendentemente che il trattamento sia effettuato
nell’unione. All’art 4 si danno delle definizioni: per dato personale si intende qualsiasi informazione
riguardante una persona fisica indentificata o identificabile con rif a elementi………….; per trattamento si
intende qualsiasi operazione compiute con o senza l’ausilio do processi automatizzati e applicate a dati
personali; per titolare del trattamento si intende …………….. L’art 5 stabilisce i principi applicabili al
trattamento dei dati personali: in modo lecito, corretto e trasparente verso l’interessato, con finalità
esplicite e legittim, devono essere esatti ed aggiornati, conservati per un arco di tempo non superiore al

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conseguimento delle finalità per le quali sono trattati: diritto all’oblio = il diritto ad essere dimenticati. I
presiupposti di leceità sono:

- consenso dell’interessat per uno o più specifiche finalità

- il trattamento è parte dell’esecuzione di un contratto

- il trattamento è necessario per adempiere ad un obbligo legale, per un compito di interesse pubblico etc
(ex art 6)

L’art 9 prevede la disciplina dei DATI SENSIBILI = è vietato trattare sati personale che rivelano l’origine
raziale o etnica. Convinzioni regiose o filosofiche, appartenenza sindacale, dati genetici, dati biometrici
relativi alla salute, o alla vita sessuuale. SI possono trattare se è stato prestato il consenso etc

Dal capo 3 seguono vari diritti dell’interessato come diritto all’oblio ex art 17, o detto anche diritto alla
cancellazione: lijteressato ha il diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza
ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo qualora non sinao pià necessari, se revoca il
consenso, se sono statai trattati illecitamente etc. I limiti a tale diritto sono: quando il trattamento è
necessario al diritto alla libertà di espressione e informazione (cioè diritto alla cronaca), per motivi di
interesse pubblico epr la sanità pubblica, per la ricerca scientifica o storica, per l’accertamento di un diritto
in sede giudiziaria.

L’art 21 prevede il diritto di opposizione: l’interessato piò sempre opporsi al trattamento dei dati personali.

La nostra normativa interna grossomodo è identica al regolamento UE, ma la parte più interessante è l’art
15 che tratta dei danni cagionati per effetto del trattamento che è stato abrogato dal regolamento del
2018: prevedeva che chiunque cagiona danno ad altri per il trattamento dei dati personali, è tenuto al
risarcimento. Tale art è stato sostituito dall’art 24 regolamento UE: tenuto conto della natura ed ambito
dell’applicazione e finalità del trattamento, il titolare del trattamento mette in atto misure tecniche
adeguate a garantire e dimostrare che il trattamento è effettuato conformemente al presente regolamento
(vedi riferimento all’art 2050 cc).

SENT 9147/2020 Cass civile sez 1: ha trattato in modo più approfondito del diritto all’oblio.Il tribunale di
pescara chiedeva la cancellazione di una notizia in una testata giornalistica, e il richiedente si riteneva
anche leso il diritto all’immagine. Al punto 7 si tratta del diritto alla riservatezza partendo da una pronuncia
di Cassazione del 1956 ove non si dava riconoscimento a tale diritto perch<è on veniva ritenuto degno di
protezione in quanto non aveva rilievo economico. La seconda pronuncia del 1963 cambia perché non
giunge a riconoscerlo in modo incondizionato, ma riconosce un diritto erga omnes con richiamo all’art 2
cost. Dal 1975 in poi si riconosce come diritto alla personalità infatti assume un rilievo pubblico intesa come
proiezione dell individo all’esterno. Si parla poi del diritto all’oblio che ha la finalità di evitare che la via
passata possa essere di ostacolo a quella presente: questo prevale sul diritto di cronaca perché le vicende
erano passate.

OSS: i diritti alla personalità attengono anche alle persone giuridiche.

PERSONA GIURIDICA = è un ente collettivo previsti dalla legge. Gli enti collettivi si dividono in:

- pubblici (es comune, provincia, regione etc)

- privati (es. societa)

- miste pubblico-privato (a compartecipazione pubblica)

Le società si distinguono ex lege in:

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a) società di persone (previsto dal libro 5) = sono società in nome collettivo, società a comandita semplice e
la società sempliceprevale il profilo del socio nella regolamentazione di tali società (più che l’istituzione in
se): rispondono i contraenti con il loro patrimonio

b) società di capitali = rileva di più il soldo che il sociosono le società a resp limitata, società in
accomandita per azioni, società per azioni: rispondono nei limiti in cui si è messo il denaro (è più sicuro)

Il fine dei contratti della società è il lucro: questi enti si caratterizzano per un fine di guadagno. A questi si
contrappongono le ASSOCIAZIONI, le FONDAZIONI e i COMITATI: perseguono uno scopo ideale e sono
annoverati nel libro 1 del cc. Per le associazioni, c’è un contratto di associazione con cui si costituisce: le
caratteristiche sono che è un contratto plurilaterale, aperto, con comunione di scopo.

Lezione n 10

PERSONE GIURIDICHE = ci riferiamo agli enti collettivi che sono soggetti di diritto (cioè soggetti che esistono
ed hanno rilievo per l’ordinamento giuridico) diversi dalle persone fisiche. L’ente collettivo è un soggetto
giuridico di diritto distinto dalla persona fisica socio o associato e che restano titolari di diritti e doveri. Da
ciò deriva che gli enti sono dotati di una propria capacità giuridica (=cioè avere l’attitudine di essere titolari
di diritti e doveri). Gli enti hanno poi anche la capacità di agire perché compiono gli atti giuridici per mezzo
delle persone che lo compongono mediante il “consiglio di amministrazione” (nelle società), od in generale
organo di amministrazione. Gli effetti degli atti compiuti dall’organo di amministrazione ricadono sulla
persona giuridica. Quando si ha un ente collettivo, esso è autonomo e in linea di massima è tale persona
giuridica che risponde di eventuali debiti o responsabilità, ma non si esclude che in certe ipotesi si possa
bucare il velo dell’ente collettivo e andare a prendere le persone fisiche che ci stanno dietro (in inglese si
usa l’espressione “piercing the veil”).

C’è una legge che regola l’attribuzione della personalità giuridica agli enti collettivi: si hanno enti collettivi
che sono considerate persone giuridiche perché hanno chiesto ed ottenuto la cosiddetta personalità
giuridica, ed enti collettivi che non hanno la personalità giuridica. Alla luce di ciò, si spiega il motivo per cui
si preferisce il termine enti collettivi perché dire persona giuridica implica il fatto che l’ente ha la personalità
giuridica e non tutti gli enti collettivi hanno personalità giuridica e dunque non tutti sono persone
giuridiche.

La personalità giuridica o è attribuita direttamente dalla legge a certi tipi di organizzazioni (ad esempio le
società hanno la personalità giuridica per legge non appena nascono), oppure va chiesta secondo il
procedimento secondo il DPR 361/2000: l’art 1 prevede che le associazioni, le fondazioni ed altre istituzioni
di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento, che è determinato
dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture. Andiamo ora a definire la
personalità giuridica: essa è l’autonomia patrimoniale perfetta, cioè i creditori dell’ente possono rifarsi su
un patrimonio che si costituisce in capo all0ente, che è totalmente separato da quello delle persone fisiche
che compongono l’ente collettivo. Gli enti hanno dunque una propria soggettività giuridica, pur se non
identica a quella delle persone fisiche (perché gli enti collettivi sono vincolati al raggiungimento di
determinati scopi e non possono essere titolari di diritti inerenti alla famiglia). Tale soggettività giuridica
non si identifica con la personalità giuridica, perché anche gli enti senza personalità giuridica, rimangono
soggetti di diritto distinti dai propri membri. Quindi si potrebbe dire “persona giuridica = ente dotato sia di
capacità giuridica generale, sia di autonomia patrimoniale perfetta”. Dal DPR, si evince che uno dei requisiti
per avere il riconoscimento della personalità giuridica, si deve certificare il proprio patrimonio e certificare
che tale patrimonio sia idonea a conseguire lo scopo sociale prefissato: “la domanda per il riconoscimento
di una persona giuridica sottoscritta dal rappresentante dell’ente è presentata alla prefettura; alla domanda
si allega l’atto costitutivo e lo stato e ai fini del riconoscimento è necessario che lo scopo sia possibile e
lecito e il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo. La consistenza del patrimonio deve

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essere dimostrata da idonea documentazione allegata alla domanda: entro 120 g dalla presentazione della
domanda, il prefetto provvede all’iscrizione”.

Nel nostro ordinamento sono a pieno titolo persone giuridiche le ASSOCIAZIONI, le FONDAZIONI e i
COMITATI che abbiano ottenuto il riconoscimento, oppure le SOCIETA’ DI CAPITALI (spa, srl, saa, società
cooperative). Andiamo ora a vedere gli enti privati senza scopo di lucro nel libro 1 del cc: associazioni,
fondazioni e comitati (art 11 – 42 cc)

ASSOCIAZIONI: si costituiscono per contratto plurilaterale mediante il quale più persone si impegnano a
perseguire uno scopo di natura ideale o comunque di natura non economica (es i sindacati, i partiti, società
sportive, circoli culturali o ricreativi). Alle associazioni già costituite, possono aderirvi nuove persone (è un
contratto plurilaterale aperto) purché aderiscano ai principi fondanti della associazione. L’atto costitutivo
delle associazioni e fondazioni si fa mediante atto pubblico, mentre la fondazione può anche essere
disposta mediante testamento (ex art 14 cc). La differenza tra fondazione e associazione è che nelle
fondazioni prevale l’elemento patrimoniale che serve allo scopo (mentre nell’associazione è più percepibile
l’elemento della cooperazione umana) e di norma si creano per atto unilaterale (da un unico fondatore) e
dunque non si basano su un contratto. L’art 15 prevede che l’atto di fondazione può essere revocato dal
fondatore fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento oppure se il fondatore non ha fatto iniziare
l’attività dell’opera da lui disposta (sempre però dopo il riconoscimento)si ritiene infatti sulla base di un
dato normativo che essendo predominante l’elemento patrimoniale, che non possano darsi fondazioni non
riconosciute, ma altri le ritengono invece ammissibili (la tematica è discussa), diversamente dalle
associazioni che possono essere sia riconosciute che non riconosciute. La facoltà di revoca è un atto
personalissimo che non si trasmette agli eredi ex art 15 co 2 cc.

L’art 16 prevede che l’atto costitutivo e lo statuto deve contenere:

- la denominazione dell’ente

- indicazione dello scopo

- patrimonio

- sede

Nel caso di associazioni ……..

L’art 18 cc prevede che gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato
(che devono rispondere in maniera diligente). Se l’amministratore è negligente e crea un danno, allora ne
risponde con il proprio patrimonio perché l’ente gli fa causa. Le decisioni di alto livello vengono prese dall’
assemblea degli associati (organo assembleare deliberativo): l’art 22 cc prevede che le azioni di
responsabilità contro gli amministratori delle associazioni sono deliberati dall’assemblea. La disciplina del
recesso ed esclusione degli associati è disciplinato ex art 24 cc.

FONDAZIONI: si distingue dall’associazione per ciò che è stato detto prima; l’atto costitutivo è unilaterale
produttivo di effetti giuridici per volontà del singolo fondatore e può essere l’atto costitutivo nascere per
testamento. Vi è un solo organo fondato dagli amministratori, ma in realtà di norma hanno altri organi. Gli
amministratori sono vincolati al perseguimento dello scopo trovato dal fondatore. E l’autorità governativa
esercita un controllo sull’attività delle fondazioni ex art 25 cc (si fa riferimento alla prefettura).

ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE: l’art 38 cc sancisce che le obbligazioni assunte dalle persone
rappresentanti l’associazione i terzi possono far valere i diritti sul fondo comune, ma se non è sufficiente
allora anche le persone che hanno agito per conte e per nome dell’associazioni rispondono personalmente
e solidamente.

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COMITATI: sono formati da più persone che raccolgono fondi destinati per uno specifico scopo di interesse
generale (ex art 39 cc). L’art 40 cc prevede che, diversamente dalle associazioni che necessitano un atto
pubblico per l’atto costitutivo, la nascita del comitato è dovuta a più persone che raccolgono fondi attorno
ad uno scopo da parte dei promotori. Essi rispondono illimitatamente alle obbligazioni assunti mentre i
sottoscrittori sono tenuti solo per le oblazioni promesse. Possono acquistare la personalità giuridica
divenendo un’ associazione o fondazione.

TERZO SETTORE: gli enti del terzo settore sono disciplinati dal d.lgs 117/2017 che in virtù di ciò, proprio in
questi mesi si sta istituendo il registro unico nazionale del terzo settore. Il terzo settore è un altro ordine o
classe rispetto alla sfera dello stato e pa (primo settore) e del mercato e delle imprese (2 settore): ha una
funzione di assistenza e sono un complesso di enti privati con perseguimento di finalità civile, solidaristiche
senza scopo di lucro e in attuazione del principio di sussidiarietà, promuovo attività di interesse generale
(sarebbero i no profit).

Lezione n 11

LE SUCCESSIONI

La perdita della personalità giuridica si ha con la morte, cioè la cessazione irreversibile delle funzioni
dell’encefalo. Con la morte di una persona fisica inoltre ci sono anche altre conseguenze come l’apertura
della successione. E’ importante innanzitutto stabilire dove e quando avviene la morte del soggetto perché
così si è in grado di determinare la normativa che disciplina la successione e gli eredi. L’art 456 cc statuisce
che la successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto;
naturalmente la giurisprudenza e la dottrina ritengono di equiparare al soggetto anche la morte presunta
oltre che la morte fisica del soggetto: per morte presunta si intende la scomparsa per 10 anni di un
soggetto. Un altro istituto che ci interessa è l’istituto della commorienza: cioè quando fra due persone
morte, non si sa chi sia premorta e dunque si presumono che siano morti nello stesso istante (questo
perché spesso i due soggetti possono essere uno l’erede dell’altro)c’è dunque una presunzione della
morte nello stesso istante e dunque il soggetto non può succedere all’altro (ammette prova contraria però).
La morte di un sbj fa si che il patrimonio sia perso dal titolare ma la morte non sempre implica la
trasmissione del patrimonio agli eredi: si deve distinguere infatti tra DELAZIONE e ACCETTAZIONE. Con la
morte del sbj c’è l’apertura della successione, successivamente c’è la fase intermedia detta DELAZIONE cioè
i aprenti più prossimi sono chiamati all’eredità (possono decidere se accettare o meno) e solo nella terza
fase c’ è il trasferimento del patrimonio agli eredi detta ACCETTAZIONE. Quando si parla dunque di
successione, si parla del fenomeno in cui un soggetto entra nella titolarità di rapporti attivi e passivi di un
altro soggetto. Il trattamento giuridico della successione è venuta mutata nel tempo rispetto al passato
perché ad esempio ora la ricchezza non è solo costituita da cespiti immobiliari, ma anche partecipazioni in
società ed investimenti, ed inoltre la ricchezza non è più individuale, ma spesso rientra in associazioni, enti,
società etc. Oggi ci fermiamo su un aspetto generale di inquadramento e dunque si deve pensare la ratio di
questa disciplina delle successioni: la morte dell’individuo determina l’esigenza negativa che un patrimonio
resti senza un titolare e dunque una pericola precarietà della titolarità del patrimonio e dunque un
incertezza dei rapporti obbligatori la cui certezza deve essere garantita; con la disciplina delle successione
gli interessi tutelati sono sia gli interessi del defunto (che è preoccupato dalla sorte che i suoi beni possono
avere dopo l’evento morte), sia gli interessi dei familiari del de cuius (in particolare laddove godevano dei
beni di questo o ricevevano degli aiuti economici), sia gli interessi dei creditori (cioè a chi erano legati al
defunto con un vincolo obbligatorio che possono correre il rischio di vedere insoddisfatta l’obbligazione
assunta dal de cuius) ed in ultimo anche gli interessi dello stato non solo perché in ultima istanza potrebbe
ereditare il patrimonio, ma in ogni caso riguarda la tassazione dei trasferimento di ricchezza che si
verificano mortis causa: in conformità infatti di una antica tradizione il nostro ordinamento prevede un

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sistema complesso ove si trovano riscontro una varietà di esigenze tra ci quella dello stato di far cassa
anche mediante tali trasferimenti economici.

A fronte della delazione, l’EREDITÀ si può devolvere:

1) per legge (detta “SUCCESSIONE LEGALE, legittima o intestata”): a sua volta opera in due casi

a) se il sbj che muore non aveva disposto per testamento i suoi beni succedono allora i cosiddetti
“successori legittimi” che sono parenti più prossimi entro il 6 grado
b) pur essendoci un testamento, ci sono dei sbj (detti “legittimari”) che devono necessariamente
succedere al de cuius e a cui deve essere garantita una quota detta “quota di riserva”detta
SUCCESSIONE NECESSARIA
c) pur essendoci un testamento, ci sono dei beni che non sono stati disciplinati dal testamento (quindi
non è esaustivo)
E’ la legge che stabilisce chi deve succedere al patrimonio del de cuius tenendo conto il rapporto di
parentela ed affinità: il patrimonio va ai membri della famiglia per salvaguardare l’interesse dei più prossimi
al defunto. La successione legittima incontra però un limite perché non si può andare alla ricerca infinita dei
parenti: la legge circoscrive le norme sulla successioni entro i parenti del 6 grado: se non esistono o non
accettano, è lo Stato ad ereditare (però eredita solo le posizioni attive)

2) per testamento (detta “SUCCESSIONE TESTAMENTARIA”): se il defunto aveva fatto un testamento prima
di morire, allora l’eredità si devolve alle persone che sono indicate nel testamentoquindi il sbj defunto
regola per un atto di libera volontà il suo patrimonio, disponendo dei suoi beni e stabilire a chi attribuire tali
beni

L’art 457 cc prevede che se si succede per legge o testamento, queste sono le due ipotesi con cui si può
succederenon si può succedere per contratto. In tal ambito si citano i PATTI SUCCESSORI: sono degli
accordi e contratti stipulati dal soggetto ancora vivo e coloro che dovrebbero succedere al momento della
morte. Tali patti sono nulli per il nostro ordinamento e sono vietati in virtù del “votum captandi morti”
(per evitare comportamenti immorali che conducono a desiderare la morte del sbj). Nei patti successori si
distinguono 3 tipologie:

1. confermativi o istitutivi = il sbj che sta devolvendo per contratto istituisce un erede
2. dispositivi = colui che dovrebbe subentrare nel patrimonio di un sbj ancora vivo già vendesse i beni
che gli dovranno pervenire alla morte del soggetto dante causa
3. rinunciativi = hanno come contenuto la rinuncia dell’eredità di un soggetto prima che il sbj sia
morto
Tutti questi patti hanno a che fare con un evento che ancora deve accadere ed è sanzionato con la nullità
anche per salvaguardare della libertà di disporre del proprio patrimonio (oltre a quello di evitare
comportamenti immorali) che verrebbe meno con un contratto come sono i patti successori. C’è solo una
deroga che è il PATTO DI FAMIGLIA: è un contratto stipulato prima della morte del sbj che però è valido per
tutelare un ulteriore interesse ex 768 bis cc. Ha come oggetto il trasferimento dell’azienda
dall’imprenditore o colui che detiene delle partecipazioni azionari che le trasferisce in tutto o in parte le
proprie quote ad uno o più discendenti. Il 768 quater prevede che al contratto deve partecipare anche il
coniuge e i legittimari. Avendo un obj così specifico, si intende derogare al divieto di patti successori, perché
c’è il prevalente interesse alla continuità aziendale e dunque alla produttività (ci potrebbero essere figli
interessati a continuare l’attività aziendale ed altri che non sono interessati o sono incapaci). La
particolarità sta anche nel fatto che ex art 768 quater co 2 cc ci sono delle ulteriori conseguenze con
carattere successorio: a fronte della partecipazione de coniuge e degli altri legittimari a questo accordo, a
tali soggetti devono essere liquidate le quote (sto anticipando il momento della successione con una fictio
disponendo delle quote a favore di alcuni soggetti che liquideranno le quote a coloro che non hanno

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beneficiato del trasferimento in forza del patto di famiglia). Il problema è che quando si fa il patto di
famiglia, i legittimari potrebbero essere diversi rispetto ai legittimari che si avrebbero al momento della
morte (il coniuge potrebbe morire dopo il patto di famiglia ma prima della morte del de cuius).

Lezione n 12

Il complesso del rapporti patrimoniali trasmissibili sono sia attivi e passivi: questo costituisce la sua
EREDITA’ in senso OGGETTIVO. Si utilizzano anche espressioni equivalenti ad eredità come asse o massa
ereditaria o patrimonio caduto in successione. Si deve precisare che quando si parla di patrimonio si
intende l’insieme dei rapporti giuridici dei quali il de cuius era titolare sia attivi e passivi indipendentemente
del valore economico del patrimonio (anche se quindi il valore economico trasmesso è modesto o anche se
è costituita solo da debiti). Colui che viene chiamato a succedere gli succede a titolo universale, cioè
nell’integrità dei rapporti attivi e passivi; però non è sempre vero e allora si deve distinguere ex art 588 co 1
cc:

1) EREDITA’: quando la successione mortis causa è a titolo universaleil soggetto chiamato subentra in
tutti i rapporti attivi e passivi e nel momento in cui l’accetta, diventa erede

2) LEGATO: quando la successione è a titolo particolareil soggetto chiamato non subentra in tutti i
rapporti, ma soltanto in uno o alcuni determinati rapporti: si parla non di un chiamato all’eredità, ma bensì
di un legatario perché la disposizione a titolo particolare che ha ad oggetto solo determinati beni o rapporti
viene definita legato

Come dicono le stesse espressioni adoperate, la contrapposizione si fonda sul diverso titolo a cui opera la
vocazione, o la chiamata a successione. Rimane dunque da chiedersi quando la successione si qualifichi a
tiolo universale e particolare perché non sempre è così immediato capirlo davanti ad una successione
testamentaria infatti il testamento è redatto la maggior parte delle volte è redatto da una persona non
competente in materie giuridiche: molto spesso è l’interprete che deve capire se quella disposizione è a
titolo particolare o universale. La difficoltà ex art 588 co 2 cc sta nel fatto che l’indicazione di determinati
beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale quando risulta che il testatore ha inteso
assegnare qui beni come quota del suo patrimonio (se si trasmette solo beni singoli e determinatilegato;
se si trasmette quote del patrimonio pur essendoci l’indicazione di beni specificieredità). Generalmente è
il testamento il luogo in cui si può disporre a titolo universale e particolare, mentre per la successione
legittima sono quasi sempre successione a titolo universale, infatti le uniche ipotesi ricondotte al legato
nella successione ex lege sono:

a) il fatto che al coniuge superstite spetti a titolo di legato il diritto di abitare nella casa familiare e
l’uso degli arredi
b) la previsione a favore del coniuge dichiarato responsabile della separazione giudiziale di un assegno
vitalizia a cui spetta a titolo di legato
Però non tutti i rapporti sono trasmissibili, ma non solo quando sono inter vivos, ma a fortiori quando si ha
a che fare con un defunto: innanzitutto le situazioni giuridiche non patrimoniali non sono trasmissibili
mortis causa ad esempio lo status, filiazione, coniugio, così come nell’ambito dei rapporti patrimoniali, la
regola è che tutti i rapporti patrimoniali sono trasmissibili ma le eccezioni si rifanno ai rapporti personali
(ove rileva la persona come sbj individuato come parte del rapporto) come uso, usufrutto, abitazione,
rendita vitalizia, comodato, rendita alimentare, che sono intrasmissibili. Inoltre la morte causa lo
scioglimento dei rapporti caratterizzati dall’ “intuitus personae” (es la commissione di un quadro ad un
artista famoso): non si possono trasmettere quei rapporti in cui le caratteristiche della parte contrattuale
sono tali da sorreggere il rapporto personale.

Ieri si è detto che è importante anche avere una corretta scansione temporale dalla morte del defunto e
l’entrata in possesso dell’eredità: vi è infatti un periodo in cui il soggetto chiamato all’eredità può decidere
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se accettare o meno all’eredità ed in questa fase può essere necessario gestire il patrimonio (prima
dell’eventuale accettazione o rifiuto in quanto vi sono 10 anni per decidere) per evitare un
depauperamento dello stesso. L’art 528 cc prevede una specifica figura che è quello dell’ EREDITA’
GIACENTE: ricorre quando concorrono 3 condizioni simultaneamente:

a) non deve essere ancora avvenuta l’accettazione da parte del chiamato;


b) il chiamato all’eredità non si deve trovate in possesso dei beni ereditari;
c) deve essere stato nominato su istanza di un qualsiasi interessato (o d’ufficio ) dal tribunale un
CURATORE DELL’EREDITÀ GIACENTE che deve essere motivata a qualche concreta esigenza di
provvedere ad atti digestione del patrimonio ereditario che non possono esser rinviati in attesa che
venga a cessarsi la situazione di attesa
Il curatore dell’eredità giacente non è un rappresentante né del chiamato, né dei creditore del de cuius, né
dell’eredità stessa: è un amministratore del patrimonio con funzione conservative anche se non sono
esclude poteri dispositivi (è legittimato ad agire in giudizio sia attivamente che passivamente, può pagare i
debiti purché autorizzato dal tribunale: in generale atti di ordinaria amministrazione). Laddove non sia stato
nominato un curatore e non sia ancora però stata accettata l’eredità, non si è di fronte ad una ipotesi di
eredità giacente, ma si verifica l’ipotesi di VACANZA DELL’EREDITA’, in quanto il patrimonio ereditario è
privo di dominus: sono concessi allora al chiamato all’eredità dei limitati poteri di natura prevalentemente
conservativa ma anche consentito esercitare delle azioni possessorie ed in generale un’amministrazione
temporanea dei beni (es può anche venderli laddove dimostri che sia troppo dispendioso conservarli con
autorizzazione del giudice). Naturalmente le figure del curatore dell’eredità giacente e dell’erede con
funzioni conservativi sono incompatibili.

Si deve allora trattare della CAPACITA’ DI SUCCEDERE: ha capacità di succedere qualunque persona fisica
che al momento dell’apertura della successione sia già nata e sia ancora in vita. Qualora si ignori se il
chiamato all’eredità sia vivo, il legislatore ammette che la successione che ad esso spetterebbe si devolva a
favore di coloro i quali sarebbe spettata laddove l’assente sarebbe morto (dunque gli eredi dell’assente)
rimanendo impregiudicati i rimedi a favore dell’assente ove esso ritorni prima della maturazione della
prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità (se il chiamato all’apertura è assente, l’eredità va agli
eredi, ma se ritorna prima di 10 anni, allora può far valere i suoi diritti e ritornare nella capacità di
succedere e divenire erede). C’è però una previsione specifica per i concepiti: in particolare l’art 462 cc
afferma che hanno capacità di succedere anche chi all’apertura della successione erano ancora concepiti,
presumendo che sia concepito chi nasce entro 300 gg successivi alla morte della persona di cui si tratta la
successione (salvo prova contraria), anche se l’attribuzione dell’eredità è subordinato al momento nascita
(se non dovesse nascere vivo, la quota verrà ripartita tra gli altri eredi come se non fosse mai esistito). L’art
643 prevede che nel periodo dell’apertura della successione e la nascita del concepito (per l’acquisto della
capacità di succedere) i beni che spettano al concepito vengono amministrati dal padre oppure in
mancanza dalla madre. L’art 462 co 2 cc però prevede un’ ulteriore specificazione in ambito della
successione testamentaria: infatti possono essere chiamati alla successione mediante testamento anche
figli non ancora concepiti di soggetti viventi al momento della successione (la condizione che il soggetto che
deve mettere al mondo il non concepito, deve essere vivente). Abbiamo detto che il periodo di incertezza in
riferimento al concepito è di 300 gg, mentre la disposizione a favore del non concepito prevede un periodo
di incertezza molto più lunga: il legislatore allora dispone che la gestione dell’eredità è in capo ai soggetti
cui spetterebbero tali eredità qualora i nascituri non verrebbero a nascere, salvo la facoltà del testatore di
indicare nel testamento un soggetto rappresentante dei nascituri per la gestione dei beni. Con la nascita
dunque si acquista la capacità di succedere e cessa questo periodo di incertezza ma si deve tutelare la sua
incapacità: in virtù di questo rimane sospeso il periodo di accettazione fino a quando il nato non diventi
maggiorenne e in tal caso sarà lui a decidere se accettare o meno l’eredità.

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Diverso invece è l’istituto dell’INDENNITA’, che invece è una valutazione di sostanziale incompatibilità
morale del soggetto chiamato all’eredità con la chiamata stessa all’eredità: l’indennità si fonda sulla
considerazione che si è ritenuto socialmente riprovevole il fatto che chi si sia reso colpevole di atti
pregiudizievoli verso il de cuius possa succedere dunque il soggetto viene chiamato all’eredità ma non la
può trattenere, infatti l’indennità è una causa di esclusione che opera in forza di una sentenza giudiziale di
carattere costitutivo che lo esclude dunque dall’annovero degli eredi: tale diritto di avere tale sentenza si
prescrive in 10 anni dall’apertura della successione. Le cause sono indicate dall’ordinamento nell’art 463 cc:

- reati contro la persona contro il de cuius e dei suoi familiari

- reato contro la personalità morale (es calunnia) contro il de cuius e i suoi familiari

- reati contro la libertà di testare (es revoca di un testamento, mutazione di un testamento già redatto,
distruzione, nascondiglio del testamento del de cuius, creazione di un falso testamento etc)

E’ escluso dalla successione del figlio il genitore che è decaduto dalla responsabilità genitoriale del figlio,
salvo eventuale reintegro prima della morte del figlio.

Quindi l’indennità è una sorta di sanzione comminata contro quel soggetto che abbia compiuto degli atti
gravemente contrari alla persona del de cuius e dei suoi parenti più prossimi e proprio perché è una
sanzione, questa non si trasmette ai successori del soggetto ritenuto indegno. Nonostante ciò
l’ordinamento ritiene di blindare la posizione dell’indegno affinché esso non tragga beneficio dall’eredità
devoluta ai suoi eredi infatti l’art 465 cc prevede che l’indegno non ha il potere di amministrare né
l’usufrutto legale sui beni ricevuti in eredità dagli eredi dell’indegno: inoltre la sentenza costitutiva ha
effetto retroattivo cioè deve restituire i frutti ricevuti dopo l apertura della successione e prima della
sentenza stessa. Però l’ordinamento consente anche a chi si è macchiato di tali atti di essere riabilitato e
dunque di poter tornare ad essere capace di succedere. L’unico soggetto che può riabilitare l’indegno è il de
cuius: tale riabilitazione può essere totale in forza di una espressa dichiarazione (sia nel testamento che in
un atti pubblico) oppure parziale e si verifica quando l’indegno viene citato come erede di una particolare
disposizione nel testamento (diventa al più u legatario). Tale riabilitazione può avere ad oggetto solo talune
delle condizioni ex art 463 (come il pto 4,5,6).

Si deve poi distinguere anche la DISEREDAZIONE: è una clausola testamentaria con cui il de cuius dichiara
che non vuole che alla successione partecipi un soggetto nonostante la successione legittima lo preveda; è
naturale che una simile disposizione non è idonea a incidere ai diritti che la legge dà ai legittimari (es si può
diseredare i fratelli qualora non abbia ne coniuge ne figli ne ascendenti in generale perché i fratelli non
sono legittimari).

ACQUISTO DELL’EREDITA’ E DELLA RINUNCIA: come si è detto, l’acquisto dell’eredità non è automatico ma
c’è un periodo che dura 10 anni in cui il soggetto chiamato all’eredità può decidere se accettare o non
accettare. La valutazione rispetto all’acquisto può essere supportata da una serie di ragioni: soprattutto un
interesse economico (perché potrebbero esserci più posizioni passive che attive nell’eredità), ma anche un
interesse morale (a non diventare erede di una persona moralmente indegno) etc. A fronte di questa
libertà di accettazione, si deve andare a vedere in che modo si può accettare l’eredità e in che modo si può
rifiutare. Si deve distinguere tra:

a) ACCETTAZIONE PURA E SEMPLICE: ci riferiamo ad una accettazione che determina una confusione
tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede: si ha la creazione di un unico patrimonio
dell’erede all’interno rientrano anche i beni oggetto dell’eredità (si parla di un erede subentrato in
tutte le posizioni del defunto)ciò determina il fatto che il soggetto erede è tenuto al pagamento
dei debiti del de cuius anche se i debiti superano l’attivo derivato dall’eredità (responsabilità
patrimoniale piena)
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b) ACCETTAZIONE CON BENEFICIO DI INVENTARIO: la confusione tra il patrimonio del defunto e
dell’erede non avviene il che significa che il chiamato all’eredità non dovrà rispondere degli
eventuale debiti dell’eredità con tutto il suo patrimonio, ma solo con il controvalore dei beni
pervenuti attraverso l’eredità (in particolare se i debiti ereditati sono maggiori rispetto all’attivo
derivato dall’eredità)
Questa è la prima macro-distinzione; adesso vediamo come in concreto si può accettare e si avrà 3 modalità
di accettazione:

 ACCETTAZIONE ESPRESSA: esplicita manifestazione di volontà di voler acquisire


quell’ereditàquella pura e semplice può (non è necessaria quella espressa) essere fatta con atto
pubblico o scrittura privata (anche se non autenticata) in cui il soggetto dichiara di accettare
l’eredità a cui è stato chiamato assumendo il titolo di erede. Nell’ipotesi dell’accettazione con
beneficio dell’inventario, l’accettazione deve essere sempre espressa e deve essere ricevuta o dal
notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui la successione si è aperta. Il contenuto
non prevede una particolare formula sacramentale, ma è necessaria la manifestazione inequivoca
di una scelta consapevole di stare acquisendo la qualità di erede ed accettare l’eredità devoluta.
OSS: quando si parla di accettazione, essa non può essere né condizionata né con termine, perché
altrimenti sarebbe nulla, così come ogni accettazione parziale. Quindi quando l’ordinamento
individua un chiamato all’eredità, ad esso compete due facoltà: accettare o rinunciare e non sono
ammesse soluzioni intermedie
 ACCETTAZIONE TACITA: quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua
volontà di accettare e che non varrebbe il diritto di fare se non in qualità di erede (ex art 476 cc) si
fonda sul compimento di un atto che presuppone la volontà di accettare e che soprattutto il
soggetto chiamato non avrebbe il diritto di fare se non in qualità di erede
 ACCETTAZIONE PRESUNTA: l’acquisto dell’eredità avviene automaticamente in forza della legge o
perché non si è posto in essere un atto previsto dalla leggequindi il soggetto chiamato viene
considerato erede puro e semplice laddove abbia omesso di compiere un’attività a cui era tenuto
per legge. L’art 485 cc prevede che il chiamato all’eredità nel possesso dei beni deve compiere
l’inventario sui beni: se trascorre questo termine senza che si sia compiuto, allora è considerato
erede puro e sempliceè una presunzione assoluto che non ammette prova contraria.
Si è detto che il termine di accettazione è di 10 anni e quindi potrebbe accadere che il chiamato possa
morire prima di avere accettato l’eredità: in tale caso si trasmette il diritto di accettare quell’eredità agli
eredi del chiamato che è morto senza averla accettata. Questa trasmissione del diritto di accettare si
distingue da un altro istituto che è quello della RAPPRESENTAZIONE: esso presuppone che il chiamato non
possa, perché è morto prima della successione, oppure è assente o dichiarato indegno o non voglia
accettare l’eredità, accettare l’eredità e dunque ope legis subentra nel luogo e nel grado dell’ascendente ai
suoi successori. Analizzando i due istituti, se un soggetto non abbia fatto in tempo ad accettare l’eredità,
tale diritto rientra nel suo patrimonio, e dunque quella è una delle tante posizioni che si potrà trasmettere
ai suoi eredi, che per poterlo esercitare devono accettare l’eredità. Nella rappresentazione, il diritto di
accettare si traferisce anche a favore di colui che rinuncia all’eredità: anziché esserci dei passaggi intermedi
in cui il diritto di accettare passi da un chiamato all’altro, in mancanza del primo chiamato utile, subentra il
chiamato successivo senza che essi accettino necessariamente l’eredità di chi lo precede.

ACCETTAZIONE CON BENEFICIO DI INVENTARIO

Essa impedisce la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede: l’articolo che ci deve
guidare è l’art 490 che stabilisce che l’erede conserva tutti i diritti e obblighi che aveva verso il defunto
(mentre nella pura e semplice i rapporti si estinguono in proporzione alla quota spettante all’erede); in
secondo luogo l’ erede non deve pagare i debiti ulteriori all’attivo ed infine i creditore del defunto hanno
preferenza al ………….. : quando un soggetto eredita, da un alto deve soddisfare i creditore del defunto,
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dall’altra parte rimangono anche i suoi eventuali creditori, che potrebbero giovarsi di un ampliamento del
patrimonio su cui rifarsivi è una sorta di concorso dei creditori del defunto che devono essere soddisfatti
con i beni ricevuti in eredità e i creditori dell’erede. Ma i creditori del defunto hanno preferenza sul
patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede: prima devono essere soddisfatti i creditori del
defunto. Rispetto all’accettazione con beneficio dell’inventario, per evitare che gli incapaci e enti incorrano
delle responsabilità patrimoniali per i debiti derivanti dall’eredità anche al di là dell’attivo, la legge stabilisce
che per gli incapaci assoluti o relativi, per le persone giuridiche e gli enti non riconosciuti, essi devono
accettare sempre con beneficio d’’inventario. La legge poi esige una forma particolare affiche tale
accettazione sia espressa in maniera valida ed è sottoposta ad una particolare forma, ma deve anche essere
sottoposta ad un regime particolare di pubblicità infatti deve essere inserita nel registro delle successioni
conservato presso il tribunale in cui si è aperta la successione deve essere trascritta nei registri immobiliari
in modo tale che il soggetto creditore capisca se l’erede è puro e semplice oppure se è un erede con
beneficio di inventario. Inoltre una ulteriore precisazione riguarda il fatto che tale accettazione deve essere
ex art 484 cc preceduta o seguita da un inventario, che deve essere redatto secondo le forme prevista da
cpc e che garantisce che si cristallizzi i beni del patrimonio oggetto di eredità in modo tale che l’erede non
deve rispondere di ulteriori beni pervenuti dall’eredità. Inoltre se il chiamato all’eredità è nel possesso dei
beni ereditari, tale inventario deve essere fatto entro 3 mesi dall’apertura della successione ed entro 40 gg
successivi se non ho compiuto l’inventario entro il quale deve dichiarare se lo accetta, altrimenti è
dichiarato erede puro e semplice. Se il chiamato non è nel possesso dei beni, la dichiarazione si può
compiere fino a quando non è prescritto il diritto di accettare e cioè fino a 10 anni dopo l’apertura della
successione e la redazione dell’inventario può esser fatta entro i 3 mesi successivi . Se il chiamato all’eredità
ha fatto l’inventario prima della dichiarazione di accettazione, tale dichiarazione deve seguire l’inventario
entro i successivi 40 gg, altrimenti verrà considerato comunque erede puro e semplice.

Lezione n 13

L’eredità può anche essere rinunciata: la RINUNCIA rientra nello schema generale della rinuncia ai diritti. La
rinuncia all’eredità consiste in una dichiarazione unilaterale da parte del chiamato all’eredità non recettizia,
cioè che non produce effetto quando viene a conoscenza dei terzi, ma solo con il gesto del rinunciare.
Avendo delle conseguenze importanti, la rinuncia richiede la ricezione della dichiarazione al notaio o al
cancelliere del tribunale e proprio perché deve essere nota un’eventuale rinuncia, è anche assoggettata ad
un particolare regime di pubblicità perché deve essere inserita nel registro delle successioni. La rinuncia
non può essere fatta da chi è in possesso dei beni ereditari dopo un particolare periodo di tempo e dunque
è un azione di colui che è legittimato a compierla e non ammette termini o condizioni: è dunque nulla
anche la rinuncia che si riferisce a una parte di eredità (o si accetta tutta o non si accetta). Chi rinuncia
all’eredità deve essere considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità: questo è il carattere
retroattivo, quindi fin dall’apertura della successione il rinunciante è come se non fosse mai stato tra i
soggetti chiamati ad ereditare. La rinuncia però è in astratto revocabile, ma tale revoca anche a tutela
dell’affidamento dei terzi e delle loro posizioni, essa può essere revocata fino a quando non è stata
accettata da altri chiamati. La perdita del diritto all’eredità diviene definitiva per effetto dell’accettazione
dei chiamati successivi. Le conseguenze della rinuncia sono diverse a seconda che si tratti di una:

a) successione legittima se non ha luogo la rappresentazione, la parte di colui che rinuncia va a


favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante (es se un fratello rifiuta la sua parte,
allora va agli altri fratelli, altrimenti ai parenti di grado ulteriore) o, se non ci sono soggetti di apri in
grado, l’eredità si devolve ai chiamati di grado ulteriore
b) successione testamentariasi può verificare anche un ulteriore ipotesi: quella della sostituzione =
è un meccanismo di sostituzione del soggetto chiamato all’eredità prevista ex ante dallo stesso
testatore

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SUCCESSIONE LEGITTIMA: l’ordinamento giuridico consente a ciascun individuo di disporre i propri beni per
il tempo in cui avrà cessato di vivere e stabilire le volontà di ciascuno di noi nel momento in cui sarà morto.
Se il defunto non ha disposto in tutto o in parte i suoi beni, interviene la legge a disciplinare la
distribuzione, che detta dei criteri a cui la legge si ispira per disciplinare il fenomeno successorio in
mancanza di un testamento ed avendo come presupposto l’intensità del vincolo che unisce il defunto ai
suoi parenti: i parenti più prossimi e presumibilmente più cari saranno preferiti rispetto ai parenti più
lontani che non mantengono tale intensità del vincolo. Quindi si esprime il principio della solidarietà
familiare.

Le categorie dei successibili (soggetti che sono chiamati all’eredità del soggetto) sono il coniuge, i
discendenti, gli ascendenti, i collaterali, i parenti entro il 6° grado e poi lo Stato. Naturalmente la riforma
della filiazione del 2012 ha parificato lo status di figlio naturale e figlio legittimo, dunque il riferimento ai
figli si rivolge tanto a quello naturale che quello legittimo, così come al coniuge deve considerarsi parificata
della parte dell’unione civile, mentre le convivenze di fatto non può essere parificato al coniuge in
considerazione del fatto che rispetto alla disciplina delle convivenze di fatto, vi è una estrema irrilevanza del
profilo successorio, il che implica che il convivente non può diventare erede se non in forza di una
successione testamentaria. I figli innanzitutto succedono tutti in parti uguali tra loro ed escludono sia gli
ascendente che i collaterali, ma non il coniuge. Da ricordare che in caso di premorienza dei figli, a loro
succedono i discendenti che escludono gli altri potenziali eredi legittimi perché si collocano nella posizione
del rappresentante. Poi abbiamo l’ipotesi in cui concorrano i fratelli, i genitore e le sorelle: essi succedono
se il de cuius muore senza lasciare prole. In particolare i genitori succedono in parti uguali mentre se ce ne
solo uno, succede in maniera totale. Per i fratelli si deve distinguere tra:

 fratelli germani = sono quelli che hanno in comune entrambi i genitori


 fratelli unilaterali/uterini = sono quelli che hanno in comune un solo genitorel’art 570 cc prevede
che conseguono la metà della quota che spetterebbe ai fratelli germani
Vedi schema riassuntivo della ripartizione delle quote nell’ambito della successione legittima.

Gli ascendenti ulteriori succedono soltanto in assenza dei genitori perché gli ascendenti più prossimi
escludono quelli di grado più remoto: essi concorrono con fratelli o sorelle del de cuius, che però se
rinunciano, agli ascendenti spetta…….. . Per i collaterali dal 3° al 6° grado, essi hanno diritto di accettare la
successione solo quando non vi siano altri successibili più prossimi con il principio per cui il più vicino di
grado concorre esclude quello più lontano di grado: se anche ne dovessi trovare uno, mi devo fermare e
non posso chiamare parenti oltre quel grado, mentre se nel medesimo grado concorrono più persone,

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questi cugini concorrono tra loro in quote uguali. La successione come detto non ha luogo per i parenti
entro il 6 grado perché quel vincolo sanguineo è così allentato che non necessitano tutela.

Una volta che nel tentativo di attribuire questa eredità a soggetti man mano sempre più lontani non dovessi
trovare nessun parente entro il 6 grado, la successione è devoluta allo Stato che ha però dei caratteri
particolari:

a) l’acquisto opera di dirittonon c’ è bisogno di un’accettazione e lo Stato non può rinunciare: tale
meccanismo è stato pensato per evitare che decorsi i termini di accettazione, un patrimonio non
accettato non venga perso
b) lo stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati e ciò avviene
ipso iurelo stato gode dunque di un’accettazione beneficiata e dunque è evidente che la finalità
della successione dello stato è anche assicurare la gestione dei rapporti giuridici delle persone
defunte che non abbiano eredi, oltre che essere una modalità di arricchimento a favore dello Stato
SUCCESSIONE TESTAMENTARIA: le regole della legge non valgono o valgono limitatamente alla parte
dell’eredità non caduta nel testamento. La prima cosa di cui ci si deve occupare è il testamento = un atto
unilaterale non recettizio che dispone per il tempo in cui il soggetto testatore avrà cessato di vivere e con il
quale esso stabilisce le modalità con cui verranno distribuite le proprie sostanze. Il testamento è un atto
sempre revocabile e la revoca può essere sia espressa (= una dichiarazione in cui il testatore nell’ambito del
nuovo testamento dichiara di volere revocare tutte le disposizioni fatte con i precedenti testamenti) o
implicita/tacita (=quando le disposizioni del nuovo testamento sono incompatibili con quelle del nuovo
testamento con il presupposto che prevale il testamento successivo). Un’altra caratteristica è che il
testamento deve avere un contenuto patrimoniale, infatti può contenere l’istituzione di uno o più eredi o
legati. E’ inoltre un atto strettamente personale, quindi non è ammessa la rappresentanza né volontaria né
legale: un soggetto senza capacità di agire non può delegare qualcun altro per redigere per suo conto un
testamento. Anche per questo carattere strettamente personale non è ammesso il testamento congiuntivo,
cioè il testamento fatto da due o più persone nello stesso atto, né un testamento a vantaggio di un terso ne
con disposizioni reciproche, perché tali modalità potrebbero essere suscettibili di comprimere la libertà del
soggetto di testare. Il testamento simultaneo è quel testamento fatto contemporaneamente da due
soggetti ma in atti distinti ciascuno sottoscritto da una sola persona seppur redatti materialmente su uno
stesso foglio, mentre il testamento congiuntivo è un unico atto che insieme due soggetti dispongono e che
vengono sottoscritti da entrambi in calce (questo non è ammesso). Nulla vieta peraltro a due persone di far
confluire in atti distinti delle condizioni reciproche di un soggetto a favore di un altro a meno che non sia
intervenuto un patto successorio, che è nullo. Il testamento poi non solo deve avere un determinato
contenuto patrimoniale e deve essere redatto dal soggetto di cui ha i beni, ma deve anche rispettare ab
substantiam delle determinate forme imposte dalla legge: il testamento viene considerato un atto solenne.
Le forme individuate dalla legge sono 3 e sono forme scritte (non è ammesso infatti il testamento orale): si
deve distinguere tra:

a) forme ordinarie: il testamento può essere:


 OLOGRAFO
E’ disciplinato dall’art 602 cc: nel co 1 vengono indicate le caratteristiche che deve avere cioè l’autografia
(scritto di pugno da testatore), deve essere datato e deve essere sottoscritto. Esso è la forma più semplice e
più frequente perché non è necessario null’altro. Inoltre la sottoscrizione deve avvenire alla fine delle
disposizioni e la data deve contenere giorno, mese ed anno. La data può essere sindacata solo in casi
stabiliti dall’art 602 co 3 cc. Guardando alle caratteristiche di tale testamento, è evidente che sia un
testamento basilare. L’autografia viene meno con un eventuale collaborazione grafica (= un soggetto che
guida la mano del testatore), mentre non è nulla quella collaborazione detta intellettuale, cioè la mano non
viene sorretta da un altro soggetto, ma è dove vi sia un’attività di preparazione di una bozza da parte di un
terzo. Il testamento olografo è una scrittura privata, perciò ne consegue un particolare regime di valore
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probatorio, perché essa può far prova in quanto venga riconosciuta dalla parte contro cui si esibisce; in caso
di disconoscimento, l’onere della prova della veridicità della scrittura è in capo al soggetto che beneficia dal
testamento. Dobbiamo considerare anche un altro aspetto: la sottoscrizione serve ad individuare il
testatore ed essa comprende il nome e il cognome, ma può essere costituita da qualunque indicazione
(vezzeggiativo, pseudonimo etc) che designi con certezza la persona del testatore. La sottoscrizione deve
essere posta in calce alla disposizione e laddove non avvenga, si avrà l’invalidità dell’atto perché ulteriori
argomentazioni non vengano aggiunte dopo che si è apposto la sottoscrizione. Il testamento olografo può
essere consegnato a più persone di mia fiducia o si può scegliere di tenere chiuso in un cassetto sperando
che qualcuno lo trovi e lo faccia pubblicare ma ciò può avvenire tardi quando è difficile dar seguito a tali
disposizioni.

 PUBBLICO
Non è così semplice come il testamento olografo, perché non è un documento redatto dal testatore, ma è
redatto da un notaio con il rispetto di determinate formalità prescritte dal cc: risponde all’esigenza che la
manifestazione di ultima volontà del soggetto sia accertata sia in relazione alla provenienza, sia in
riferimento al contenuto. Per quanto riguarda la provenienza, il notaio fa fede che la dichiarazione
testamentaria provenga da quel soggetto, il che significa che nel testamento pubblico non può essere
riconosciuta la sottoscrizione. Con riguardo al contenuto, sebbene le disposizioni siano quelle del testatore,
il documento redatto dal notaio garantisce che ci sia una maggiore rispondenza delle intenzioni del
soggetto e la trasformazioni in termini giuridici delle volontà e le relative conseguenze. I requisiti specifici
previsti per la validità sono:

 la dichiarazione di volontà resa oralmente dal testatore e ricevuta dal notaio: dichiara la volontà di
testare in un determinato modo e il notaio accerta l’identità del testatore, indaga della libertà di
volontà del testatore (verifica che sia libero nel decidere) e cerca di comprendere quale sia
l’effettiva volontà de testatore precisando delle espressioni poco chiare e le traduce nella forma
giuridica appropriata senza sostituirsi al testatoreè un mero interprete
 la presenza di testimoni: il testamento è ricevuto dal notaio alla presenza di almeno 2 testimoni
che servono perché questi garantisce che la dichiarazione provenga dal testatore, che il notaio non
ne abbia influenzato la volontà e che essa sia stata fedelmente riprodotta. Proprio in virtù del ruolo
dei testimoni, non si può rinunciare alla presenza di questi testimoni. Se è solo sordo o sordomuto
o muto, allora si rimanda alla legge notarile per gli atti pubblici mentre se il testatore è anche
analfabeta, in tal caso invece che 2 testimone, occorrono 4 testimoni affinché sia rinforzata la
posizione del testatore che è in una condizione di svantaggio (ex art 603 co 4 cc).
 In forza della dichiarazione orale del testatore, il notaio procede alla redazione per iscritto della
volontà del testatore in particolare il cc parla di una redazione a cura del notaio che deve
intendersi nel seno che il notaio deve redigere effettivamente il testamento ma la scritturazione
può essere fatta anche sotto la guida di un altro soggetto. Successivamente il notaio deve darne
lettura al testatore e ai testimoni la cui finalità è il controllo diretto del testatore dei testimoni della
veridicità della volontà del testatore ed infine tale testamento deve riportare la sottoscrizione del
testatore e la data però accanto alla sottoscrizione del testatore, il testamento deve essere
sottoscritto dai testimoni e dal notaio. Se il testatore non può scrivere perché analfabeta, deve
dichiara la causa dell’impedimento e deve incorporare tale fatto all’interno del testamento prima
della lettura dell’atto. Infine è necessario la menzione dell’osservanza delle formalità previste
affinché tale atto possa far fede fino a querela di falso e affinché le formalità menzionate siano
osservato (sono le formalità viste fino a questo punto in cui si estrinseca il procedimento in cui la
volontà espressa oralmente dal testatore si arriva da una redazione del testamento a cura del
notaio e si occuperà della lettura da parte del notaio ed infine la sottoscrizione da parte del
testatore, testimoni e notaio).

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 SEGRETO
E’ l’ultima categoria di testamenti ordinari che ci è rimasta da vedere ed è un testamento che rispetto a
quello pubblico ha il vantaggi oche il testatore può se vuole mantenere riservato il contenuto delle
diposizioni rese al notaio e rispetto a quello olografo, ha una maggiore garanzia di conservazione del
documento: esso coniuga i vantaggi di entrambi le forme precedenti perché garantisce il rispetto della
segretezza del contenuto del testamento, e dall’altra parte ha una maggiore garanzia di conservazione del
documento. Il testamento segreto è composto da due elementi essenziali:

a) scheda testamentaria (detta impropriamente testamento): è disposta dal testatore ed è costituita


da uno o più fogli sulla volontà del soggetto a ciò che deve avvenire dopo la sua morte la scheda
non deve essere necessariamente redatta in maniera autografa ma può essere scritta da un terzo o
con mezzi meccanici. Sono ammesse queste facoltà perché nel testamento olografo non sapendo
da chi viene reperito questo testamento, dobbiamo essere certi con la grafia e sottoscrizione che
tale testamento appartiene a quel soggetto e che siano contenuto le volontà liberamente espresse;
nel testamento segreto vi è un soggetto che personalmente consegna il plico al notaio e accerta che
le volontà avvengano dal testatore. E’ comunque necessaria la sottoscrizione nella scheda
testamentaria che però deve esserci alla fine di ogni pagine delle schede affinché non si aggiungano
altri fogli alla scheda testamentaria.
b) atto di ricevimento: è un atto predisposto dal notaio con il quale si documenta che il testatore, alla
presenza di due testimoni, gli ha consegnato questa scheda sigillata ed ha dichiarato che in quel
plico sigillato sono contenute le sue volontà testamentarieladdove questa scheda non dovesse
essere già sigillata dal testatore, provvederà il notaio affinché il contenuto rimanga segreto
Se difettano dei requisiti del testamento segreto, vale il principio di conversione formale: se quel
testamento è stato redatto di pugno, sottoscritto e datato, può comunque valere come testamento
olografo perché nell’ambito della materia successoria, si è di fronte a volontà espresse da un soggetto che
però non può più sanare dei vizi formali o sostanziali perché è deceduto. Conseguentemente essendo
impossibile riformulare quelle volontà inserendoli in un nuovo atto formalmente corretto, allora si cerca di
salvare il salvabile: se non ha i requisiti per una tipologia ma per un'altra, allora si riconverte nella seconda.
Naturalmente anche il testamento segreto si può revocare attraverso il semplice ritiro del plico prima della
morte da parte del testatore stesso sempre che il ritiro non consenta di sopravvivere come testamento
olografo.

b) forme speciali
Lezione n 14

Accanto alle forme ordinarie testamentarie, ci sono anche i TESTAMENTI SPECIALI, che hanno delle forme
più snelle e semplificate a cui si può ricorrere in particolari circostanze, tali da non rendere agevole il ricorso
al notaio o il ricorso alle forme ordinarie di testamento: sono una sorta di ausilio affinché laddove si trovino
determinate circostanze particolari e si voglia testare, si può comunque fare validamente. Le circostanze
particolari sono individuate dall’art 609 cc e consistono in malattie contagiose, calamità pubbliche o
infortuni. Si aggiungono poi casi di soggetti che sono a bordo di navi o aeromobili o soggetti militari a
seguito di truppe in contesto bellico. In queste circostanze è difficile reperire un notaio o degli strumenti
fisici per rispettare le formalità è previste dal cc e allora è possibile testare in modo più semplice ma
l’efficacia è limitata nel tempo: la caratteristica di tali testamenti è che perdano la loro efficacia decorsi 3
mesi dalla cessazione della causa che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie o dopo che
il testatore è avvenuto in un luogo in cui avrebbe potuto testare in modo ordinario.

Ci interessa ora analizzare il fatto che nel momento in cui il soggetto testa, dispone del suo patrimonio però
la facoltà di testare è sottoposta a dei limiti che sono la SUCCESSIONE NECESSARIA, che è l’altra faccia di
quella testamentaria: è quella che ricorre tutte le volte in cui nell’ambito della successione testamentaria,

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sia necessario tutelare le posizioni di alcuni soggetti, detti legittimari, che non possono essere né estromessi
dalla successione e né si può riconoscere una quota inferiore rispetto a quella che la legge ritiene essere
necessaria. Ciò però è vero fino ad un certo punto perché le norme della successione necessaria si
applicano quando i legittimari si considerano lesi e vogliano impugnare il testamento attraverso l’azione di
riduzione, ma non opera automaticamente. Il soggetto leso infatti può o impugnare il testamento per
ottenere la parte residua e reintegrare la quota di legittima, oppure può decidere di dare seguito alle
volontà testamentarie del padre ed ottenere dunque la quota di sua spettanza. La legge fa sì che sia
rimesso al soggetto interessato la scelta dell’impugnazione del testamento per più motivi ricondotti alle
consuetudini familiari, rapporti interpersonali o al rispetto delle volontà di chi lo ha preceduto. Vediamo
nello specifico di che cosa si tratta: questa successione è una forma di successione per legge che coinvolge i
legittimari che sono il coniuge, i figli ed in mancanza di essi, gli ascendente in forza della quale una parte dei
beni del de cuius deve essere attribuita a tali soggetti, e tale quota è detta “quota di legittima” o “quota di
riserva”; a coloro che non sono legittimari, il testatore può riservare la residua quota detta “quota
disponibile”. La ripartizione delle quote qui sono diverse perché nell’ambito di questa successione si
devono tutelare dei soggetti più limitati di numero e si deve tenere intatta la quota disponibile vedi
specchietto riassuntivo

E’ ovvio che quando si parla di legittimari, si fa riferimento a soggetti che sono eredi cioè destinatari di
disposizioni testamentarie a carattere universale. Questa circostanza non esclude che si possa essere una
coincidenza tra soggetti legittimari e legatari (=coloro che ricevono a titolo particolare un determinato
bene): questa coincidenza si può avere in 2 ipotesi:

a) legato in sostituzione di legittima = è un’attribuzione patrimoniale a titolo particolare con la quale il


soggetto testatore attribuisce un particolare bene al posto della quota di legittima che ti
spetterebbeciò importa che al legittimario compete la scelta o di accettare il legato oppure di
rifiutare il legato e acquisire la sua quota di legittima
b) legato in conto di legittima = è sempre un’attribuzione a titolo particolare a beneficio di un
legittimario, ma tale disposizione fa sì che al legittimario sia attribuito un bene da calcolare
nell’ambito della quota di legittimanon c’è nessuna scelta perché il legittimario potrà trattenere
per sé il bene ricevuto come legato e chiedere il supplemento se i beni attribuitigli non gli consente
di raggiungere la quota di legittima cui gli spetta ( si parla di “erede” comunque)

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La giurisprudenza ritiene che se si tratta di un legato in sostituzione di legittima, esso deve essere palesato
dal testatore circa la volontà di conformare tale legato come sostituito alla quota di legittima; se manca,
tale legato si considera in conto di legittima.

Si è detto che se un soggetto muore con un figlio senza coniuge ed ascendenti, al figlio spetta metà del
patrimonio mentre la restante metà è quota disponibile, ma come si determina materialmente la quota di
riserva? Nel momento in cui si apre la successione del soggetto, si opera una riunione di tutti i beni del de
cuius, detta riunione fittizia, sulla base della quale si calcola il valore dei beni che appartengono al defunto e
si determina il valore della quota disponibile e di riserva (detta collazione). Si calcolano i valori dei beni
appartenenti al defunto, a cui si detrae il valore delle passività; a tale valore ora si aggiungono le eventuali
donazioni fatte in vita dal soggetto defunto: questo è il valore complessivo del patrimonio (netto) da cui si
determinano le quote. In virtù di questo si può verificare se nell’ambito delle disposizioni testamentarie,
quelle quote individuate sono state rispettate: se risulta che le disposizioni testamentarie o le donazioni
fatte eccedono la quota di cui un testatore può disporre, ciascun legittimario ha la facoltà di poter agire per
ridurre le disposizioni testamentarie o di donazione attraverso l’ AZIONE DI RIDUZIONE. Si va dunque a
erodere le disposizioni testamentarie o donazioni in modo tale da ampliare la quota di legittima;
nell’ambito di tale azione, c’è un ordine infatti il cc stabilisce un ordine delle riduzioni: vanno ridotte in
primis le disposizioni testamentarie che vengono diminuite proporzionalmente a quanto ricevuto a questi
soggetti. Se tale riduzione è sufficiente a integrare la quota di legittima, l’erede si può fermare; se tali
disposizioni non sono sufficienti a garantire al legittimario l’integrità della quota di legittima, può procedere
alla riduzione di donazioni fatte a coloro che hanno beneficiato: si inizia all’ultima fatta in ordine di tempo e
poi si risale alle altre. L’azione di riduzione ha un termine di 10 anni di prescrizione dal termine
dell’apertura della successione, anche se c’è chi crede che tale tempo decorre da quando il testamento
viene pubblicato anche se la giurisprudenza dominante fa ricorrere il dies da quo dalla pubblicazione
testamentaria.

Abbiamo parlato dell’azione di riduzione ma esiste anche l’AZIONE DI RESTITUZIONE, che deve essere
esperita dallo stesso legittimario: l’azione di riduzione implica la restituzione del bene che ha determinato
la lesione. Infatti l’art 6.. prevede che se il bene è stato alienato, il legittimario che abbia esperito con
successo l’azione di riduzione, debba escutere i beni del donatario per ottenere il rimborso del bene
venduto: se il donatario dovesse avere una capienza patrimoniale tale da consentire il soddisfacimento del
legittimario, allora si rifà su tale patrimonio, altrimenti si rifà sull’acquirente con l’azione di restituzione.
Quindi nell’ambito dei contratti di compravendita mobiliare, è sempre bene sapere da dove quel bene
proviene (es compravendita o donazione) perché eventualmente quel bene potrebbe esserci sottratto
successivamente per reintegrare la quota di legittima del legittimario con l’azione di restituzione.

Lezione n 15

Riguardo al macro argomento successioni, è la disciplina della COMUNIONE EREDITARIA: sia che la
successione avvenga ex lege, sia che sia testamentaria, il risultato che si produce è che tra questi si crea una
comunione che investe tutti i beni caduti in successione, questa è la comunione ereditaria, ove si trovano
tutti coloro che acquisiscono il titolo di erede (ma non i legatari). Per la comunione ereditaria si applicano le
regole della comunione tout court, leggendo l’art 1100 cc ci possiamo fare un’idea di cosa stiamo andando
a trattare: il regime di comunione si ha quando la proprietà od altro diritto reale fanno capo a più persone.
Però il fatto che tale comunione ereditaria sia associata alla classica comunione, è vero fino ad un certo
punto perché la prima p assoggettata ad altre disposizioni che si giustificano nel tentativo di evitare che nei
rapporti tra coeredi si intromettano soggetti estranei con intento di mera speculazione: mentre nella
comunione ordinaria ciascun partecipante può alienare la propria quota, in quella ereditaria è sembrato
inopportuno al legislatore di liberarsi in modo semplice della propria quota e dunque ha introdotto il
meccanismo previsto dall’art 732 cc: il virtù di ciò i coeredi hanno il diritto di essere preferiti qualora uno di

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essi intenda alienare una sua quota o parte di essa: spetta dunque il DIRITTO DI PRELAZIONE. Se un coerede
dunque vuole alienare la quota, deve fissare il prezzo e notificare notizia del fatto dell’alienazione e del
prezzo agli altri coeredi; tale diritto deve essere esercitato nel termine di 2 mesi dall’ultima delle
notificazioni, ma in mancanza di notificazione, finché dura la comunione ereditaria, i coeredi hanno diritto
di riscattare la quota dall’acquirente e così anche di ogni successivo avente causa. Se tale diritto di riscatto è
esercitato dai più, la quota si divide tra i tanti. La comunione ereditaria non cessa in questo modo, perché
può avvenire solo con la DIVISIONE: ciascuno dei soggetti che partecipavano alla comunione ereditaria può
ottenere la titolarità esclusiva su una parte determinata del bene o beni comuni corrispondente per valore
della quota spettante nello stato di indivisione. Le quote dunque all’inizio dell’apertura della successione
sono pro indiviso, ma gli eredi sono comproprietari: tale stato di comunione pro indiviso cessa quando si
agisce per ottenere la divisione e ciò può portare o ad una ripartizione del bene oppure laddove
immaginiamo che siano caduti in successione più beni, ad ogni erede si attribuisce un bene rispettando le
quote di spettanza di ciascun erede. La facoltà di far cessare la comunione ereditaria spetta a ciascun erede
in qualunque momento: in realtà per ottenere la divisione si hanno più vie da percorrere, perché la
divisione può avvenire:

a) nel testamento da parte del testatore


L’ordinamento in termini generali riconosce al testatore anche la possibilità di inserire nel testamento dei
criteri per la formazione delle porzioni dei beni, tale divisione p nulla se non ha ricompreso qualcuno dei
legittimari o altri eredi istituiti nell’ambito del testamento. In realtà la giurisprudenza non è convinta che
tali disposizioni integrino un’ipotesi di divisione perché se viene fatta a monte dal testatore, second una
parte della giurisprudenza non determina il sorgere della comunione ereditaria e non si deve procedere alla
divisione.

b) d’accordo tra gli eredi


Viene fatta in accordo tra gli eredi garantendo che tale divisione rispecchi anche il valore delle quote che gli
sono spettate per legge o per testamento: se il contratto di divisione riguarda beni immobili, tale dovrà
rivestire la forma scritta ad substantiam (=un atto che deve avere una forma ad substantiam si parla di un
atto che deve rivestire quella forma a fine di validitàè nullo se non riveste tale forma // se invece una
forma viene richiesta ad probationem, il mancato rispetto della formità determina un’impossibilitò di dar
prova dell’esistenza dell’atto ma non a fini di validità dell’atto; quando i contratti hanno ad oggetto dei beni
immobili, è sempre richiesta la forma scritta ad substantiam perché si cerca di tutelare il regime di
circolazione del bene e garantire una regolarità delle trascrizioni nei registri immobiliari), altrimenti non p
richiesta la forma scritta. Secondo la giurisprudenza se si è proceduto a una divisione per legge mentre
esisteva un testamento ancora non scoperto al tempo della divisone, vi è un errore della divisione
contrattuale che dà luogo alla nullità del contratto che non è sanabile. La divisione è nulla anche quando
non abbia visto la partecipazione di tutti gli eredi: tale divisione deve rispecchiare quindi le quote ereditarie
derivante da legge o testamento e deve vedere la partecipazione di tutti gli eredi.

c) laddove manchi l’accordo delle parti, si può adire ad una divisione giudiziale
Si ha quando non c’è l’accordo tra le parti e dunque non si può usare la divisione giudiziale e dunque la
questione è decisa da un giudice che stabilisce come dividere i beni caduti in successione: tale giudizio può
essere proposto da ogni coerede e al pari della divisione consensuale contrattuale, devono partecipare al
giudizio tutti i coeredi. Si tratta di un giudizio attraverso cui occorre fare due cose: stimare il valore dei beni
caduti in successione e, sulla base del valore dei beni, formare le porzioni che spettano a ciascun coerede.
Tenente presente che vi sono dei beni facilmente divisi (vedi un fondo agrario), ma vi sono degli immobili
(come un appartamento in un condominio) che non possono essere comodamente divisi tra più persone.
Per garantire che ci sia un riconoscimento del valore economico della quota, il giudice deve cercare di
porzioni che abbiano una loro commercialità e di evitare di addivenire ad una divisione dello stesso bene
quando questo non è opportuna alla pubblica economia o per ragioni di igiene (ex art 720 cc). Se non
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possono essere compresi nella porzioni di un coerede o più coeredi, sono venduti all’incanto (= vuol dire
all’asta) e il denaro ricavato dalla vendita è diviso tra i coeredi in proporzione alle quote di proprietà sul
bene. Se le porzioni formate in natura non corrispondono alle quote ereditarie, chi ha avuto la porzioni
eccedente, deve ripagare il più in denaro a beneficio degli altri coeredi: in tale modo si sta salvaguardano
l’integrità del bene e la sua commercialità. La stima dei beni per la formazione delle quote tra la0tro è un
procedimento preliminare alla formazione delle quote e il valore attribuito a questi beni deve riferirsi allo
stato e al valore venale che quel bene ha al tempo della divisione (e non la tempo dell’apertura della
successione). È anche possibile che uno o più coeredi possano chiedere l’assegnazione dell’intero bene, e
sarà accordata laddove questo soggetto paghi il controvalore della quota agli altri coeredi: se non vi è
accordo, si procederà con la ripartizione come detto prima.

Per quando riguarda la ripartizione dei debiti e crediti ereditari, si è detto che gli eredi sono chiamati a
subentrare nella posizione del de cuius nella sua integrità nei rapporti attivi e passivi (cosa che non avviene
nei legatari salvo che non sia il testatore a specificare tale condizione): i debiti devono essere sopportati dai
coeredi nella quota di partecipazione salvo che il testatore non lo disponga. Tale regola non vale solo tra
coeredi, ma anche nei rapporti esterni fra i coeredi e i terzi: mentre per i rapporti attivi vi è una comunione
pro indiviso, non così vi è per i debiti, infatti ciascun erede risponde solo per la quota direttamente
imputabile perché non vi è un vincolo solidale.

OSS: Infatti quando si parla di obbligazione solidale, si fa riferimento ad un obbligazione che vede una
plurilateralità di soggetti, sia di debitori (detta solidarietà passiva) o di creditori (solidarietà attiva). La
solidarietà passiva determina che se il creditore va da un debitore, può chiedere a questi di eseguire l’intera
prestazione. Chi paga in favore del creditore può agire in via di regresso verso gli altri condebitore le quote.
Così non è nell’ambito dei rapporti non solidali, come quello dei coeredi. Se un coerede ha una sua quota in
cui subentra nelle posizioni passive del defunto, deve pagare al creditore solo ed esclusivamente
l’ammontare corrispondente della sua quota: si tratta di un’obbligazione parziaria.

In ogni caso però il coerede che ha pagato l’intero potrà comunque agire in regresso contro gli altri coeredi
nei limiti in cui gli altri sono tenuti a contribuire al pagamento dei debiti ereditari; diverso regime opera per
i crediti ereditari, perché non si dividono automaticamente tra gli eredi, ma entrano nella comunione
ereditaria e le quote sono quote pro indivisone consegue che ciascuno dei coeredi può agire
individualmente verso i debitori del de cuius per far valere l’intero credito comune o solo per la sua quota.

DONAZIONI

Si fa riferimento all’ART 769 CC: tale articolo ci dà una serie di elementi importanti. E’ un contratto, cioè
non è sufficiente che affinché si perfezioni ci sia la volontà del solo donante (=è colui che dona al donatario
che è colui che riceve la donazione) , ma è necessario che la donazione venga accettata dal donatario.
L’unica deroga a tale regola generale è quella della donazione obnuziale, cioè fatta in vista di un
matrimonio. Poi l’art descrive la morfologia di tale contratto, perché deve essere caratterizzato dallo spirito
di liberalità e dall’arricchimento del donatario. Per SPIRITO DI LIBERALITÀ si fa riferimento alla causa che
deve avere il contratto: deve quindi portare a una prestazione che può essere costituita da un
trasferimento di un diritto o assunzione di un’obbligazione, senza che il donante riceva un corrispettivo
dall’altra partetale spirito di liberalità è detta animus donanti, cioè la condizione psicologica del donante
senza una controprestazione. Nell’ambito di tale schema contrattuale, è caratterizzata da liberalità la
donazione rimuneratoria, cioè fatta per riconoscenza o per i meriti riconosciuti al donatario; sebbene ci sia
stato un motivo che ha indotto a procedere a tale senso, questo non vuol dire che manchi lo spirito di
liberalità. Il secondo elemento è l’ARRICCHIMENTO, cioè l’incremento del patrimonio del donatario: come
risulta evidente, l’arricchimento può realizzarsi o disponendo di un diritto, oppure nell’assunzione di un
obbligazione verso il donatario, che però secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, non può
essere un’obbligazione di facere, ma deve essere un’obbligazione di dare. Naturalmente per le peculiarità
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delle donazioni, è impensabile che ci possa essere un contratto preliminare perché se la donazione è
un’attività e impegno spontaneamente assunto, non può risultare conforme alla salvaguardia della
spontaneità prevedere una contrazione di un accordo che abbia ad oggetto l’obbligo di concludere una
donazione.

La donazione è dunque un negozio a titolo gratuito, ma la categoria di negozi a titolo gratuito è più ampia
della mera donazione perché non qualsiasi contratto in cui non ci sia una controprestazione debba
intendersi una donazione. Ad esempio il commerciante ha nella sua disponibilità la macchina del caffè del
fornitore che può usare senza un sinallagma, ma questo contratto di comodato non è paragonabile ad una
donazione perché manca il requisito della liberalità infatti il fornitore sta mettendo a disposizione la
macchina del caffè per trarne profitto infatti in quel modo l’esercente potrà vendere i miei prodotti (il
ritorno economico non è il comodato, ma deriva dal fatto che l’esercente venderà solo quei prodotti).

Lo scopo liberale di arricchire una persona si può raggiungere sia con una donazione, ma anche con una
maniera indiretta, avvalendosi di negozi con causa diversa da quella della donazione, ma utilizzandoli in
funzione donativa, cioè per raggiungere lo scopo della donazione si può usare in via indiretta un contratto
diverso con causa diversa. Ad esempio per aiutare uno studente meritevole in difficoltà economica, si può
dare a lui la somma di denaro necessaria per pagare le tasse universitarie (con donazione) o posso
procedere io al pagamento delle tasse (con il contratto del pagamento del debito altrui). Un’ipotesi molto
frequente che ci fa tornare in mente l’azione di riduzione è la donazione indiretta in cui un genitore paga
con proprio denaro il prezzo dell’acquisto di un immobile fatto però formalmente dal figlio: è una
DONAZIONE INDIRETTA, che rientra nella figura del negozio e quindi le parti per raggiungere lo spirito di
liberalità invece che usare lo schema proprio della donazione, adottano uno altro schema con causa diversa
raggiungendo il loro intento. Ora dunque è più chiara quella disposizione sulle successione quella che
impone di ridurre le donazioni fatte nei riguardi di altri soggetti, altrimenti astrattamente un figlio in vita ha
raggiunto una donazione ingente e gli altri figli non avrebbero nulla da ereditare, consentendo a coloro che
hanno meno della quota di legittima di riequilibrare le posizioni.

Soffermiamoci sui requisiti affinché una donazione sia valida e sul procedimento: si deve innanzitutto
guardare alla capacità dei soggetti coinvolti: per quanto riguarda il donante, la capacità di donare è regolata
dai principi generali e dunque non possono compiere donazioni i minorenni, gli interdetti, gli inabilitati e gli
incapaci naturali perché non sono capaci di agire e essendo un atto strettamente personale, non è possibile
delegare il tutore, il curatore o il rappresentante a donare al mio posto. Per quanto riguarda le persone
giuridiche, anch’esse possono compiere donazioni ma solo se tale capacità è riconosciuta dal loro statuto o
nell’atto costitutivo e nei limiti previsti da essi; fino a non molto tempo addietro, la donazione non veniva
neanche riconosciuta a questi soggetti. Per quanto riguarda la capacità di ricevere la donazione, vi è un
parallelismo con la successione circa i nascituri e del concepito: anche in questo ambito, la regola generale
p che capace di ricevere una donazione è un soggetto vivo però anche in tale ambito vi è una possibilità di
donare in favore di figli anche se ancora non concepiti di una persona vivente all’epoca della donazione.
Possono tra l’altro essere soggetti che ricevono donazioni le persone giuridiche e enti di qualunque natura
riconosciuti e non, ma non è consentito di disporre donazioni a soggetti non riconosciuti. Per quanto
riguarda l’oggetto di una donazione, in virtù del fatto che l’art 769 cc ci dice che la donazione può avere ad
oggetto:

 un diritto, non però fatto valere su un bene futuro (ex art 771 cc) e la sua giustificazione si trova sul
fatto che si vuole porre un freno alla prodigalità: non può essere consentito ad un soggetto di
privarsi di un bene non ancora venuto in esistenza (è sanzionato con la nullità). La dottrina e
giurisprudenza ha anche vietato la donazione di beni altrui, collegandolo con i beni futuri, perché
ritornano al concetto di vendita cosa futura e vendita di cosa altrui, infatti quest’ultimo non ha a d
oggetto il trasferimento di proprietà, ma si assume l’obbligo di procurarmi la proprietà del bene e di

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venderlaper ciò la vendita di cosa altrui è collegata alla vendita di cosa futura. Per ciò anche nelle
donazioni è vietato donare bene altrui;
 un bene, in riferimento ai beni presenti, siano mobili, immobili e tra l’altro è anche ammessa la
donazione universale, cioè quella che ha ad oggetto tutti i beni che ha il donante. Ciò è consentita
perché accanto alla disciplina delle donazioni, si pone anche un obbligo a carico del donatario che
viene sancito dall’art 437 cc: ci dice che il donatario è obbligato laddove sia indigente il donante, a
prestare gli alimenti che si estrinseca in un assegno alimentare corrisposto con cadenza mensile.
Questa è la ratio che giustifica che si possa pervenire ad una donazione universale perché in tal
caso l’ordinamento sostiene il donante perché il donatario deve mantenerlo.
 un’obbligazione
Per quanto riguarda la forma della donazione, essa è un contratto solenne che necessita per la sua validità
una determinata forma e tale forma richiesta ad substantiam è la forma dell’atto pubblico, per di più è
indispensabile che siano presenti due testimoni. Tale rigore formale è previsto perché è un modo per
indurre il donante a riflettere sull’importanza dell’atto che sta per compiere e per riflettere alle
conseguenze dell0atto con cui il donante si spoglia del diritto o assume un’obbligazione senza corrispettivo.
Se la donazione ha per oggetto cose mobili, l’atto deve essere redatto in modo tale che da questi sia
possibile desumere il valore dei beni mobili perché generalmente per i beni immobili il valore di questi è
facilmente determinabile dal mercato. Se questo però è la regola generale, a questa regola generale
sfuggono quelle donazioni aventi un modico valore ed aventi ad oggetto beni mobili: in tal caso non è
necessaria la formalità dell’atto pubblico ma è sufficiente la traditio, cioè la consegna materiale della cosa.
Per modico valore si deve far riferimento al valore oggettivo del bene oggetto di donazione, ma anche delle
condizioni economiche in cui versa il donante (es beni che pur essendo importanti non lo son per la
condizione patrimoniale del donante).

Già prima si è detto della donazione obnuziale, cioè quella fatta in previsione di un futuro matrimonio: tale
donazione non deve essere accettata necessariamente dalle parti beneficiare; in secondo luogo è un
particolare tipo di donazione sottoposta a condizione, che si verifichi il matrimonio. Si sta dunque parlando
di un futuro matrimonio sia di sposi che di altri soggetti diversi dagli sposi; tale donazione p diversa in
considerazione della vicenda matrimoniale considerata diversamente dall’ordinamento: infatti la donazione
non produce effetto finché il matrimonio non viene celebrato e a ciò si aggiungere che l’eventuale
annullamento del matrimonio, comporterà la nullità della donazione.

Nell’atto di donazione si può aggiungere la CONDIZIONE DI REVERSIBILITA’: in sostanza nell’ambito di tale


donazione si può inserire una condizione risolutiva e dunque qualora si avveri fa venire meno la donazione.
Si stabilisce che i beni possano tornare al donante qualora il donatario o i suoi discendenti muoiano prima
del donante medesimo in modo tale da poterne disporre a favore di altri soggetti.

La donazione inoltre al pari delle vicende testamentarie, può essere REVOCATA ma non c’è una libertà tale
da essere assimilata al testatore (che lo può fare sempre): si può revocare solo al verificarsi di determinate
condizioni perché questo è un contratto e dunque c’è l’incontro di due volontà che non avviene nel
testamento. E dunque sì si deve tutelare il donante, ma anche il donatario ed i casi di revoca sono:

 ingratitudine del donatario (ex art 801 cc): è simile ai casi di indegnità a succedere, a cui si aggiunge
l’ingiuria grave, che consiste in un qualsiasi comportamento che si concreti nell’offesa del donante
o decoro dell’immagine sociale del donante mediante o singolo atto o condotta reiterata. Un’altra
ipotesi è il rifiuto degli alimenti dal donatario al donante
 sopravvenienza di figli: se il donante dovesse avere altri figli o scoprire di avere avuto altri figli di cui
non ne era a conoscenza, quella donazione può essere revocata perché i figli sono tutelati
maggiormente

31
Lezione n 16

COLLAZIONE: quando dobbiamo ad andare a quantificare il patrimonio complessivo del defunto per
calcolare la quota di legittima e quota disponibilesi parla quindi sia di beni nelle mani del defunto ma
anche dei beni appartenenti al defunto ma di cui si era spogliato il de cuius mediante donazioni nella vita. In
particolare rispetto alla collazione, l’art di riferimento è il 737 cc ed è un istituto funzionale alla divisione
dell’eredità e allo scopo di aumentare la massa ereditaria da dividere. I beni donati rientrano nella massa
ereditaria ma solo per reintegrare la quota del legittimario che sia stata lesa; nella collazione nello specifico
non ci sono legittimari in astratto ma un eredità da dividere e necessita anche di considerare i beni del de
cuius usciti per donazione. Conseguentemente può avvenire che il testatore possa dispensare il donatario
dalla collazione, cioè escludere che nel momento in cui si va a computare il patrimonio complessivo, il bene
oggetto di donazione rientra nel patrimonio da considerare: se ciò non avviene, il bene deve rientrare nel
patrimonio, ma non è possibili che la donazione incida negativamente sulla posizione dei legittimari perché
può essere disposta la collazione solo per la quota disponibile. I soggetti tenuti alla collazione sono il
coniuge superstite ed i figli e l’oggetto della collazione sono tutte le donazioni effettuate dal defunto in
favore di persone che rientrano i queste due categorie: si è tenuti alla collazione sia quando si è beneficiati
alla donazione diretta o alla donazione indiretta. Sostanzialmente con la collazione in senso stretto, si
restituisce alla massa ereditaria il bene che si è ricevuto e il bene ricevuto si imputa a quota di legittima.

PROPRIETA’

L’art 810 cc dà una nozione generica: sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Il concetto di
bene e di cosa generalmente nel linguaggio volgare sono confusi o adoperati come sinonimi, ma dal punto
di vista giuridico sono concetti diversi: con “cosa” si fa riferimento ad una parte di materia, mentre con
“bene” si intende solo cose che possono essere fonte di utilità e dunque oggetto di appropriazione. In virtù
dell’art 810 cc, si può dire che non sono beni le cose delle quali non si può trarre alcun vantaggio perché
non possono formare oggetto di alcun diritto (es le stelle, giacimenti in altri pianeti etc), così come non
sono beni le res communem omnium, cioè le cose di cui tutti possono fruire indistintamente senza
escludere gli altri dalla fruizione (es: l’aria, il vento, l’acqua del mare etc). L’art 810 cc dunque stabilisce che
sono beni gli oggetti che possono formare diritti e che dunque possono avere un valore economico di
scambio; nel significato ristretto di bene possiamo dire che i beni sono una species all’interno di un genus
più ampio delle cose (all’interno delle cose c’è il sottoinsieme più piccolo dei beni), peraltro se in senso
economico il bene è una cosa che presenta un valore, in senso giuridico per bene non si guarda alla res in
quanto tale, ma piuttosto al diritto che si può esercitare sul bene, infatti è il diritto ad avere una funzione in
virtù del fatto che è il diritto ad essere negoziabile (es nel contratto di compravendita si trasferisce il diritto
di proprietà su un bene). Tra l’altro le cose che possono essere oggetto di diritti non sempre si
caratterizzano per una loro corporeità e dunque essere apprezzati attraverso i sensi, perché all’interno della
macro categoria di beni si devono fare delle distinzioni:

 beni materiali: nell’ambito del cc si trovano quasi esclusivamente di beni materiali, cioè beni che
hanno una loro corporeitàl’art 814 cc considera come bene materiali anche le energie naturali
(per un motivo storico essendo stato scritto nel 1942), infatti il legislatore riconosceva ad esse un
valore economico
 beni immateriali: l’ammissibilità di essi non è riscontrabile nel cc per ovvie ragioni temporali, infatti
tale concezione sfuggiva alla percezione dei giuristi dell’epoca (es: strumento finanziario, un
software hanno un valore economico)
 beni immobili: il riferimento è agli artt 812 ss ccsi intendono come beni immobili quei beni (come
il suolo e le sorgenti e fonti d’acqua) che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo e
che forma con esso un unico corpo (es: edificio, alberi etc). Accanto ad essi ci sono beni che pur non
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essendo incorporati al suolo, sono determinati immobili per determinazione di legge ex art 812 co 2
cc: i mulini, bagni, altri edifici galleggianti quando saldamente agganciati alla riva in modo
permanente
 beni mobili: è una categoria residuale, cioè quei beni che non si possono considerare mobili in virtù
all’art 812 ccrientrano anche le energie naturali
Sia che siano beni mobili o immobili, essi possono essere suscettibili di registrazione: si hanno

 beni registrati: vi sono talune categorie di beni che sono oggetto di iscrizione in registri pubblici
liberamente consultabili da chiunque (es: il registro immobiliare nel quale vengono censiti tutti i
fabbricati e terreni all’interno del territorio nazionale e si dà pubblicità di vicende traslative; il
registro automobilistico e il registro in cui vengono iscritti quei beni considerati mobili registrati
come veicoli)è opportuno che le vicende traslative debbano essere rese pubbliche e debbano
essere liberamente consultabili, cosa che non avviene per i beni mobili non registrati
 beni non registrati
Si ha poi:

 beni fungibili: sono qui beni individuati con riferimento esclusivo all’appartenenza ad un
determinato generenon si guarda il singolo bene ma si guarda che il bene appartiene ad un
determinato genere (es: grano, farina, i soldi in generale (non la banconota identificata con un
particolare numero di serie)). Dunque sono beni sostituiti con altri in quanto non interessa avere
proprio quel bene ma una data quantità di beni di quel genere
 beni infungibili: sono quei beni che non sono interscambiabili con altri
La fungibilità o infungibilità può anche derivare dalla volontà delle parti che possono dare un carattere di
infungibilità ad un bene che generalmente è fungibile (es: un codice che però è appartenuto ad un mio
parente a cui dunque attribuisco un valore affettivo a quell’oggetto)

Altre distinzioni sono:

 beni consumabili: quando quel bene non può arrecare un effettiva utilità all’uomo senza perdere la
sua interezza o individualità oppure non può arrecare utilità senza che il soggetto se ne privida
questi beni si trae utilità quando si consumano e dunque quando perdono la sua interezza (cioè
nello stato precedente all’uso)
 beni inconsumabile: sono qui beni suscettibili di una pluralità di utilizzazione senza che essa possa
portare alla loro distruzione nella loro consistenza
 beni divisibili: possono essere divise in parti omogenee senza che perda il suo valore economico
intrinseco
 beni indivisibili: quei beni che sono in assoluto indivisibili e che non sono suscettibili di essere divise
in parti omogeneesi devono dunque attribuire in toto quel bene fatto salvo il diritto di farsi
riconoscere il valore della sua quota all’altro soggetto
 beni presenti: sono beni che sono già esistenti in natura e dunque suscettibili di essere oggetto di
diritti (non necessariamente quelli che non sono nati dall’intervento dell’uomo)
 beni futuri: sono quei beni che ancora non sono presenti in natura (es. una casa che è stata solo
progettata ma non costruita; i frutti che saranno prodotti da un albero)
 beni pubblici: beni che appartengono a soggetti pubblici in senso soggettivosi distinguono in:
 beni del demanio pubblico/demanialil’art 822 cc stabilisce quali siano questi e questi si
distinguono in:
 beni del demanio necessario: l’art 822 co 1 cc li descrive come beni immobili che
devono appartenere necessariamente allo stato: es. demanio marittimo (mare),
demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi) e demanio militare (opere destinate alla
difesa nazionalefortificazioni, impianti, aeroporti militari)
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 beni del demanio accidentale: l’art 822 co 2 cc li descrive come beni mobili che
universalità di mobili che possono apparteneva anche a privati e che sono
demaniali se appartengono allo stato od altro ente pubblico statale o beni del
demanio stradale, demanio aereonautico civile e demanio culturale
Questi beni demaniali sono assoggettati ad un regime particolare perché non possono
essere oggetti di rapporti di diritto privato e non possono essere oggetti di terzi; in
realtà con l’esigenza di far cassa, nel tempo si è cercato di dismettere beni anche
appartenenti al demanio per poterne garantire la commercialità e ricevere una
remunerazione

 beni del patrimonio/patrimoniali: si distinguono in


 indisponibile: non possono essere sottratti dalle loro destinazione se non per
norme di diritto pubblico (es:………)
 disponibile: non sono destinati direttamente al perseguimento del fine pubblico,
ma sono soggetti alle norme del codice civile e possono essere alienati senza
ricorrere alle norme del diritto pubblico ma mediante le norme dei rapporti tra
privati (parificando l’agire delle PA all’agire di un privato cittadino).
 beni privati: si fa riferimento ad una macro categoria di beni che possono essere soggetti a titolarità
da privati
I diritti esercitabili su questi beni sono i DIRITTI REALI, che sono i diritti sulle cose. L’ordinamento riconosce
una serie di diritti reali:

 diritto di prorietà
 diritto di superficie
 enfiteusi
 uso
 abitazione
 etc
Quando si parla di diritti reali, ci si riferisce a dei diritti caratterizzati dalla:

1. immediatezza = possibilità per il titolare di esercitare direttamente in maniera immediata del


potere sulla cosa senza la necessità che ci sia l’intermediazione o cooperazione di terzi per
l’esercizio del diritto
2. assolutezza = il dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto che il titolare del
diritti reale ha con il beneimplica anche la possibilità per il titolare di agire in giudizio contro
chiunque pregiudichi tale diritto (dunque vale erga omnes)
3. inerenza = opponibilità del diritto reale nei confronti di chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa
(es: il proprietario può agire verso chiunque possieda il bene di sua proprietà)
4. numero chiuso = i diritti reali sono solo ed esclusivamente quelli indicati dalla legge e dunque è
precluso a privati di creare altri diritti reali non previsti dalla legge (questi diritti reali sono 7 perché
secondo l’orientamento della dottrina e giurisprudenza)
5. disttipicità = è impedito ai privati di modificare la disciplina legale dei singoli diritti reali (non si
possono far discendere delle conseguenze diverse od ulteriori rispetto a quelle previste
dall’ordinamento)
Il motivo dei due ultimi caratteri è riconducibile al fatto che si vuole precludere ai privati di evitare che i
titolari di diritti reali modifichino i limiti dei diritti rendendo inefficiente la gestione del bene e non
tutelando i terzi, che devono conoscere con esattezza i vincoli che gravano su un bene.

Nella macro categoria dei diritti reali, dobbiamo distinguere i DIRITTI SU COSA PROPRIA (ius in re propria),
cioè diritti che gravano su beni di propria proprietà, e i DIRITTI SU COSA ALTRUI (ius in re aliena), cioè i

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diritti reali gravano su beni di proprietà altrui e tali due tipologie di diritti sono destinati a coesistere per un
tempo indefinito determinando una compressione del diritto di proprietà.

Nell’ambito dei diritti reali su cosa altrui, si distinguono in DIRITTI REALI DI GODIMENTO e DIRITTI REALI DI
GARANZIA: a noi ci interessa i primi, cioè quei diritti reali esercitati su una cosa non di proprietà del titolare
del diritto ma che determinano la possibilità del soggetto di godere del bene e che non consentono al
soggetto che può vantarli un godimento sul bene, ma sono diritti reali che insistono su quel bene e sono
funzionali a garantire l’adempimento di un’obbligazione: pegno ed ipoteca.

Fatte queste premesse, il diritto reale per eccellenza è il DIRITTO DI PROPRIETA’, ed è un istituto che nel
corso del tempo ha subito una serie di modificazioni dovute alla sensibilità dei consociati rispetto al diritto
stesso. Se noi prendessimo infatti la definizione che ritroviamo sul codice o la definizione che ritroviamo
nella Costituzione, vedremo quanto è diversa già tra i due testi, ancor più se ci si riferisce allo Statuto
Albertino. Leggendo questi tre testi normativi, vedrete come la percezione dei diritto di proprietà sia
profondamente mutata. Lo Statuto Albertino riteneva che la proprietà fosse inviolabile né da parte da
privati né da parte dello Stato, altre costituzioni coeve allo statuto ritenevano la proprietà sacra: tali
formule sono espressione di una concezione liberale che esaltavano il ruolo che all’epoca si riconosceva al
ruolo della proprietà privata che era un pilastro della società. Nelle costituzioni ottocentesche la proprietà
era la massima espressione della libertà del cittadino, tanto da considerarlo diritto innato all’uomo: lo stato
doveva rispettare la priorità di tale diritto anche in relazione all’organizzazione dello Stato.

L’ART 832 CC già ci dà l’impressione che tale diritto fosse mutato perché inserisce un qualcosa di molto
rilevante: entro i limiti e l’osservanza degli obblighi dell’ordinamento giuridico. Dunque non c’è più
l’apicalità della proprietà ma c’è una parificazione dell’ordinamento al diritto di proprietà; accanto a questo
l’art 832 cc ci dice che il contenuto di tale diritto è la possibilità di godere e disporre delle cose in modo
pieno ed esclusivo. Il potere di godimento del bene implica il potere del titolare di trarre dalla cosa le utilità
che la stessa è in grado di fornire, decidendo di utilizzarla o no, in che termine utilizzarla (direttamente o
indirettamente). Poi c’è il potere di disporre del bene, da intendersi il potere di cedere a terzi in tutto o in
parte diritti sulla cosa (es: vendere il bene, darlo in locazione, donarlo etc). Questi poteri possono essere
esercitati in maniera piena ed esclusiva: per pienezza del diritto si intende il fatto che il proprietario ha il
diritto di fare della cosa tutto ciò che vuole (al punto di distruggerla: si dice ius utendi, fruendi et abutendi),
mentre l’esclusività si fa tornare nell’assolutezza della proprietà e dunque l’attribuzione dei poteri al
proprietario di escludere terzi nell’ingerenza nelle scelte e godimento del bene. Un ulteriore passo in avanti
viene compiuto dalla Costituzione, ove la limitazione della proprietà viene costituzionalizzato: l’art 42 co 2
Cost demanda al legislatore ordinario il compito di determinare i modi di acquisto, di godimento e limiti
della proprietà alo scopo di far sì che tale diritto sia esercitato in modo sociale e affinché tale proprietà resti
accessibile a tutti. In altre parole, in virtù dell’art 42 Cost il legislatore è legittimato ad intervenire per
delineare e definire il contenuto del diritto di proprietà e dunque dei poteri che competono al proprietario
al fine di garantire il relativo esercizio comunque consenta di realizzare la funzione sociale della proprietà
con l’esigenza di realizzare uno sfruttamento economico dei beni che si a efficiente ed in grado di instaurare
rapporti equi con l’esigenza ultima di tutelare quei valori ed interessi ritenuti costituzionalmente rilevanti e
che devono essere protetti (senza la cui funzione sociale della proprietà tali interessi sarebbero sacrificati).
Nel corso del tempo tale diritto ha cambiato pelle inducendo un profondo ripensamento del concetto di
proprietà: la proprietà nella Cost è disciplinata nell’art 42 e non nella parte della Cost che non può essere
soggetta a modifica e dunque in linea tendenziale una eventuale contrasto tra il diritto di proprietà e il
diritto alla salute, nel nuovo panorama costituzionale porterebbe alla soccombenza del diritto di proprietà
rispetto al diritto alla salute. L’art 42 Cost ci dice anche altro: infatti la proprietà è sia pubblica che privata,
ma ci dice anche che la proprietà privata può essere nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di interesse generale (dunque l’art 42 si pone in mezzo tra interessi egoistici del
privato e gli interessi della collettività del bene). La Cost specifica però anche quali siano i presupposti
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dell’esproprio: innanzitutto è necessaria la sussistenza di un interesse generale in capo alla collettività, in
secondo luogo è necessaria una previsione legislativa ed in ultimo l’art 42 inserisce la condizione
dell’indennizzo, cioè vi è la necessità di ricompensare la perdita del privato in virtù del perseguimento
dell’interesse della collettività che sacrifica il diritto di proprietà del singolo.

Lezione n 17

L’espropriazione è importante in riferimento ad un carattere del diritto di proprietà cioè l’imprescrittibilità:


anche se si è un proprietario di un fondo ma non si va materialmente a coltivarlo, ciò non significa che si
perda il diritto di proprietà perché anche il non uso del bene è un’estrinsecazione dei poteri del diritto di
proprietà (eccezione è l’usucapione). In termini generali, salva l’ipotesi in cui si voglia cedere il diritto di
proprietà, non si può essere spogliato del diritto salva l’ipotesi dell’espropriazione ed usucapione.

L’espropriazione è il potere della PA di sottrarre un bene privato per un interesse generale salvo un
indennizzo per la perdita subita. Ora si è fatto un quadro generale dei limiti esterni della proprietà: si va ora
ad analizzare i LIMITI INTERNI ALLA PROPRIETÀ. Il cc dice che il diritto di proprietà si esercita nei limiti della
legge. Soffermiamoci sulla proprietà fondiaria, cioè quello esercitato da un soggetto su un fondo (sia rustico
che urbano): esso è delimitato nello spazio sia orizzontalmente che verticalmente. Da un punto di vista
verticale, la proprietà fondiaria si estende all’infinito sia nel sottosuolo che nello spazio aereo in linea di
principio generale; a ciò si deve aggiungere però la disciplina dell’art 840 cc: il co 1 ci dice che si estende
all’infinito nel sottosuolo essendo dunque libero di fare attività di escavazione, ma ci sono delle limitazioni
ove la mia attività vada ad incidere su miniere, cave e torbiere in cui ci si deve rifare alle norme speciali. Il
co 3 inoltre dice che il proprietario del suolo non può opporsi allo svolgimento di attività poste in essere da
terzi e che si svolgano o ad una profondità tale da non recare pregiudizio al fondo stesso oppure ad una
altezza da essere indifferenti al proprietario. Infatti non viene compromesso il diritto di proprietà in questi
casi perché il proprietario non può sfruttare la colonna che si crea al di sopra e al di sotto del suolo: si
estende dunque la proprietà solo alla zona sotto o sovrastante suscettibile di utilizzazione secondo il
principio di normalità.

L’estensione della proprietà in senso orizzontale si nota subito entro i propri confini e dunque il
proprietario ha la facoltà di recintare il proprio fondo ed inoltre può impedire l’accesso a chiunque altro
all’interno dei confini di questo fondo.

Molto importanti nell’ambito dei limiti dell’esercizio di proprietà sono le norme che regolamentano i
rapporti di vicinato: le singole proprietà immobiliari sono necessariamente obbligati a convivere uno
accanto all’altro e dunque il potere all’interno del proprio fondo deve essere limitato quando va a ledere il
diritto di proprietà del vicino. E dunque l’esercizio in modo pieno del diritto di proprietà potrebbe far
scaturire dei conflitti che il cc si fa carico di regolamentare proprio al fine di contenere questi conflitti
contemperando gli interessi conflittuali di proprietari di fondi contigui. Il cc dunque detta una serie di
norme ex art 833 ss cc:

 gli ATTI EMULATIVI (o di emulazione): art 833 cc dice che gli atti emulativi non hanno altro scopo se
non quello di recare molestia o nuocere il vicinosiccome sono atti che si potrebbero compiere
perché ricompresi nel potere del diritto, è necessario che siano vietati qualora tali atti siano
compiuti al sol fine di nuocere ad altri soggetti: il divieto è espressione di ciò che è detto abuso del
diritto = un’azione che astrattamente rientra nei miei poteri ma si abusa di ciò perché con
quell’azione di reca molestia verso gli altri. Quindi è necessario che ricorrano due presupposti: uno
di carattere oggettivo cioè l’assenza di utilità da chi compie quell’atto, e l’altro presupposto di
carattere soggettivo, cioè quel motivo interno che spinge il proprietario a compiere una
determinata azione (detto animus nocendi) che si può presumere (è presunzione relativa) quando
l’atto non dia utilità al proprietario e sia lesivo al vicino. Si ritiene che però dall’altra parte non

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ricada nell’ambito del divieto degli atti emulativi un comportamento che sia solo omissivo (dunque
quand’anche sia finalizzato a nuocere il vicino, se è omissivo non è vietato). Ad esempio è stata
reputata legittima la condotta del soggetto che ha fatto crescere degli arbusti spontanei con
l’intento di precludere al vicino il godimento del panorama. Colui che subisce un atto emulativo può
chiedere in termini di tutela il risarcimento del danno sofferto laddove un danno ci sia stato ed in
secondo luogo può chiedere la cessazione del comportamento che nuoce o determinato molestia.
 le DISTANZE LEGALI: ci si riferisce alla distanza che deve sussistere tra le costruzioni che insistono su
fondi finitimi laddove queste costruzioni non siano costruite in aderenzase vi è uno spazio, è
necessario che tale spazio sia rispettoso delle previsioni normative perché la legge vuole impedire
che fra gli immobili che si fronteggiano fra fondi appartenenti a fondi diversi, vengano a crearsi
delle anguste intercapedini con effetti negativi sulla vivibilità degli edifici e sulla salute (ove si
possono accumularsi dei rifiuti o delle acque putride). L’art 873 cc dice che le costruzioni su fondi
finitimi se non unite o aderenti devono essere tenuti a distanza non minore di 3 metri. Nessuna
parte della costruzione deve trovarsi ad una distanza inferiore rispetto a quella prescritta: se risulta
a distanza inferiore, il vicino può agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata e
chiedere il risarcimento del danno sofferto. L’art 873 cc peraltro fa salva l’ipotesi che degli
strumenti urbanistici locali (vedi regolamenti locali) possano prevedere una distanza fra le
costruzioni superiore ai 3 metri. A queste disposizioni dobbiamo aggiungere qualcosa perché l’art
873 cc è una regola generale ma poi il cc contiene delle disposizioni relative alle distanze fra i muri,
fra gli alberi, fra le siepi cioè il cc non si limita a dire 3 metri, ma poi scende più nel dettaglio fino a
determinare come tali distanze debbano essere materialmente rispettate. Per quanto riguarda i
muri, ci sono delle disposizioni che riguardano i muri nel confine etc: in particolare prevede che il
proprietario confinante ha diritto di acquistare mediante sentenza costitutiva ove l’altro
proprietario non vi consenta la comproprietà del muro nel confine, nonché il muro che si trova a
distanza inferiore al metro e mezzo dal confine. Poi vi sono delle disposizioni su cui non ci
soffermeremo sui pozzi, cisterne, fossi e canali etc proprio a garantire l’incolumità dei soggetti dal
punto di vista di salubrità dell’aria che dal punto di vista di integrità fisica.
 le LUCI E VEDUTE: quando noi abbiamo un’apertura nel muro che si affaccia su un fondo limitrofo,
si deve operare una distinzione: in alcuni casi sono delle vedute, quando tali aperture consentono
in condizioni di sufficiente comodità non solo di guardare sul fondo del vicino, ma addirittura
consente di sporgersi nel fondo del vicino con una veduta che può essere sia frontale, che obliqua e
laterale (es finestre, balconi, terrazze). Il proprietario di un fondo può sempre aprire delle vedute
nel muro contiguo sul fondo altrui, ma è necessario tutelare la riservatezza del proprietario del
fondo finitimo e dunque è necessario che tali vedute rispettino delle distanze minime dal confine ex
art 905 cc e sscon molto dettaglio il legislatore del ’42 si è preso la briga di disciplinare i rapporti
tra i vicini. Accanto alle vedute ci sono le luci, che sono quelle aperture che non consentono di
potersi affacciare o sporgersi sporgere sul fondo altrui, ma che consentono soltanto il passaggi odi
aria e di luce: la legge in tal caso proprio in virtù del fatto che con consentono di guardare sul fondo
altrui, prescrive che la luce debba avere determinare caratteristiche per potersi considerare
regolare in particolare deve essere dotata di un’inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino,
munita di una grata in metallo a maglie strette in modo da evitare che dei rifiuti possano esser
gettati sul fondo contiguo e che tale apertura sia ad una determinata altezza. Se un’apertura che
non consente di inspicere o prospicere, si dice luce irregolare e il vicino ha sempre il diritto di
esigere che tale luce sia resa regolare.
 le IMMISSIONI: si è detto che in virtù dell’art 832 cc, evidentemente ogni proprietario si può
opporre ad ogni attività materiale esercitata sul proprio fondo che incidono negativamente e
direttamente sul fondo; ma possono esserci attività che pur non esercitate sul fondo di proprietà,
incidono sul mio godimento facendo riferimento ad immissioni immateriali. L’art 844 cc parla di

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fuso, esalazioni ,rumori , scuotimenti e dunque una serie di attività che pur essendo esercitati su
fondi limitrofi, si ripercuotono negativamente sul mio godimento. Tale articolo rispetto a tali
pregiudizi stabilisce che se queste immissioni non superano la normale tollerabilità avuto anche
riguardo alle condizioni dei luoghi, il proprietario del fondo non può impedirle. La normale
tollerabilità deve essere parametrata alla condizione dei luoghi: si deve infatti andare ad esempio a
guardare il rumore di fondo che c’ è in un ambiente analizzando un particolare rumore incriminato.
Rispetto alla normale tollerabilità non hanno nessun rilievo la sua particolare sensibilità, mentre si
può ottenere il risarcimento e la cessazione delle immissione se esse superano la normale
tollerabilità. Si deve però aggiungere la disciplina in riferimento alle attività produttive che
producono immissioni: si ritiene prevalente l’attività produttiva e dunque non si può esercitare una
tutela inibitoria verso l’attività, ma si potrà ottenere un indennizzo perché si sta subendo un
pregiudizio in virtù del fatto che da quella attività si producano immissioni.
A questo punto, andiamo a parlare dei MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’: essi si distinguono in

 modi di acquisto A TITOLO DERIVATIVO = importano e che sono l’espressione di una successione
dello stesso diritto già appartenuto ad un soggetto di un soggetto nuovo (es compravendita,
donazione, successione mortis causa, contratto, espropriazione, acquisto effettuato a seguito di
asta pubblica)non si sta creando un nuovo diritto ma si sta subentrando nel diritto di un altro
soggetto. Esso rileva perché eventuali vizi che dovessero inficiare il titolo di proprietà del
precedente proprietario si riverbereranno anche nel mio acquisto: sconterò dei vizi del titolo di
proprietà del dante causa.
 modi di acquisto A TITOLO ORIGINARIO = determinano la nascita di un diritto nuovo che non
apparteneva a nessuno e che è del tutto indipendente rispetto alle vicende che hanno potuto
interessare quel bene.
La prima applicazione pratica della suddivisione in queste categorie deriva dalla verifica che un eventuale
vizio possa inficiare o meno il mio acquisto.

I modi di acquisto a titolo originario sono:

1. OCCUPAZIONE (art 923 cc) = si possono acquistare per occupazione solo beni mobili che non sono
di nessuno (res nullius) oppure quei beni che sono stati abbandonati (res derelictae), a cui sono
assimilati gli animali. Sostanzialmente quando io mi approprio di un bene mobile che non è di
nessuno o che è abbandonato, io divento automaticamente proprietario di quel bene proprio
perché o era stato abbandonato e dunque il precedente proprietario aveva dismesso l’esercizio del
diritto di proprietà o perché non aveva proprietario. In ogni caso, non sono suscettibili di
occupazione anche se res nullius i beni immobili perché non si possono acquistare per occupazione
ma solo per usucapione
2. INVENZIONE (art 927 cc) = ci troviamo di fronte a cose smarrite che quindi hanno un loro
proprietario e che non ha mai dismesso il diritto di proprietà e dunque non si può acquistare la
proprietà del bene per occupazione, ma si deve consegnare al proprietario e se non lo si conosce, lo
si deve consegnare al sindaco del luogo in cui si è ritrovato il bene. Se il soggetto proprietario entro
1 anno non si palesa, allora si può chiedere l’acquisto del bene; se il proprietario si palesa, allora
deve al ritrovatore un premio pari al decimo del valore della cosa (ex art 930 cc). Il problema sta
che dinnanzi ad un bene mobile, per capire se si tratta di invenzione o occupazione, si deve
analizzare il luogo e le circostanze del ritrovamento del bene che permette di capire se il bene è
stato smarrito o è stato abbandonato. Una particolare ipotesi di invenzione è quella dell’art 932 cc:
il tesoro è qualunque cosa mobile di pregio che sia nascosta o sotterrata e di cui nessuno può
essere proprietario. Il tesoro appartiene al proprietario del fondo su cui si trova il tesoro, però se il
tesoro è trovato nel fondo altrui purché scoperto per effetto del caso, spetta per metà proprietà al
ritrovatore e l’altra metà al proprietario del fondo. Un limite però è il ritrovamento di un bene
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culturale: in tal caso né il proprietario né il ritrovatore diventano proprietario ma diventa proprietà
dello stato e al ritrovatore e il proprietario del fondo spetta un premio.
3. ACCESSIONE (art 934 cc e ss)= è una stabile incorporazione per opera dell’uomo o naturale di due
beni mobili che determinano la creazione di un nuovo bene. Dobbiamo fare dei distinguo però
perché l’accessione può essere:
 di mobile a mobile = ci rifacciamo o:
 unione = congiunzione di due beni appartenenti a proprietari diversi che creano un
tutt’uno inseparabile senza dare luogo a una cosa nuovala proprietà diventa
comune. Se però una delle due cose si può considerare principale o il suo valore è
molto superiore rispetto all’altra cosa, il proprietario della cosa maggiore acquista
la proprietà del tutto ma è tenuto a corrispondere all’ altro proprietario una
somma di denaro secondo i criteri ex art 8?? c
 specificazione = consiste nella creazione di una cosa del tutto nuova con beni
appartenenti ad altri soggettila specificazione quindi presuppone che si abbia
una trasformazione della materia mediante l’opera umana che permette la
trasformazione dei beni originari. Per questo motivo vi è una diversa disciplina
perché il codice ha dato importanza all’elemento del lavoro: se è superiore il valore
della mano d’opera rispetto a quello del bene originario, allora la proprietà spetta
allo specificatore, altrimenti prevale il diritto del proprietario della materia che sarà
poi tenuto a pagare il prezzo della mano d’opera.
 di immobile a immobile:
 alluvione = ci troviamo dinnanzi ad un fondo rivierasco, che è soggetto ad una
progressiva riduzione e il fondo che si trova a valle verrà incrementato con i detriti
che l’acqua porta dalla sorgente alla vallequesto incremento determina
un’accessione di immobile a immobile che si esplica nell0auomento della
consistenza del fondo. Il proprietario del fondo che viene aumentato diventa
proprietario anche di quelle porzioni che vengono ad aggiungersi in virtù della forza
dell’acqua. Siccome non si sa da quale fondo proviene un pezzo di terra, non si
dovrà alcuno indennizzo.
 avulsione = sempre rispetto ai fondi rivieraschi e in forza dell’azione dell’acqua, si
determina un distaccamento di una porzione riconoscibile del fondo che si va ad
aggiungersi al fondo a valle, il cui proprietario diventa proprietario anche della zolla
del terreno staccato ma siccome tale pezzo di terreno è riconoscibile, sarà tenuto a
corrispondere un indennizzo al proprietario del fondo che ha visto una riduzione
del proprio fondo.
 di mobile a immobile: il proprietario del fondo acquista ciò che è incorporato sul fondo (es
piantagione) salvo l’accessione invertita, cioè si va ad edificare al confine tra due fondi e si
sconfina in buona fede, allora in quel caso colui che costruisce rimane proprietario anche
della parte costruita sul fondo altrui sotto indennizzo al vicino.
4. USUCAPIONE
5. POSSESSO VALE TITOLO
Lezione n 18

AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETA’: sono azioni giudiziarie che l’ordinamento riconosce il proprietario
affinché faccia valere il suo diritto e sono dette azioni petitorie e sono:

1. AZIONE DI RIVENDICAZIONE: è disciplinata dall’art 948 ss cc ed è concessa a chi afferma di essere


proprietario di un bene ma non ne ha il possesso cioè gli è stato sottratto ed ha come obiettivo
quello di ottenere l’accertamento da parte del giudice del diritto di proprietà su questo bene e

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d’altro canto ottenere una condanna a carico di chi possegga il bene affinché lo restituisca al
legittimo proprietario. Generalmente i soggetti coinvolti nell’azione giudiziaria sono detti
legittimato attivo (chi la può proporre) e il legittimato passivo (chi subisce l’azione): il soggetto
legittimato attivo è chi sostiene che sia proprietario di un bene ma non si trova nel possesso del
bene perché sottratto da un altro soggetto; il legittimato passivo è chi, avendo il possesso del bene,
lo ha sottratto al proprietario ed è nella condizione di poterglielo restituire. Per quanto riguarda
l’onere della prova, il legittimato attivo deve provare che chi agisce il giudizio deve dimostrare la
fondatezza del diritto (art 2697 cc): nell’ambito dell’azione di rivendicazione il legittimato attivo ha
l’onere di dimostrare che effettivamente ha il diritto di proprietà sul bene e dunque l’azione si
fonda sulla prova del legittimato attivo del diritto di proprietà. Se l’acquisto è a titolo originario, non
ci sono problemi nella dimostrazione perché basta acquisire il bene a tale titolo; se l’acquisto è a
titolo derivativo è più complesso perché in tale caso non basta la semplice produzione in giudizio
del titolo in acquisto (cioè non basta il semplice deposito del rogito notarile che attesta l’acquisto
mediante compravendita) perché l’alienante potrebbe non essere stato il proprietario del bene
stesso e quindi il vizio che inficiava il vizio di proprietà è stato traslato su di me: se il soggetto che ha
venduto il bene non ne era proprietario, non poteva trasferire il titolo a me. E dunque chi ha
acquistato a titolo derivato la proprietà, in giudizio dovrà fornire la prova del titolo di acquisto di
tutti i precedenti proprietari fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario (detta probatio
diabolica), tanto più che la prova di beni immobili non basta i certificati catastale, ma bisogna
fornire il titolo di acquisto di chi ha avuto in proprietà quel bene. Ci sono però due istituti che
incorrono a tutelare il legittimato attivo: per beni mobili l’attore deve dimostrare che quand’anche
avesse acquistato il bene da chi non era proprietario, avrebbe comunque acquisito la proprietà
della cosa per effetto di un acquisto a titolo originario sulla base dell’istituto del POSSESSO VALE
TITOLO perché può dimostrare di aver ricevuto a suo tempo in buona fede e sulla base di un tiolo
idoneo al trasferimento, la proprietà del bene stesso che ora gli è stato sottratto dal legittimato
passivoil possesso vale titolo dunque è un modo di acquisto a titolo originario che assolve
all’onere probatorio dell’azione; per i beni immobile, occorre che l’attore provi che quand’anche
avesse acquistato a non domino, avrebbe acquisito la proprietà della cosa sulla base di un
intervenuta USUCAPIONE, cioè ha avuto il possesso continuato nel tempo in grado di far maturare
la proprietà, che è anch’essa modo di acquisto della proprietà a titolo originario. Il convenuto si
trova in una posizione più comoda rispetto all’attore perché può limitarsi a dire che poiché
possiede il bene, ne è il proprietario e dunque può semplicemente attendere che l’attore sia in
grado di provare il suo diritto e dunque può vincere la causa limitandosi ad attendere un eventuale
prova dell’attore di proprietà del bene. L’azione di rivendicazione è un’azione imprescrittibile
proprio perché è strumentale a garantire un diritto imprescrittibile quale è il diritto di proprietà.
2. AZIONE DI MERO ACCERTAMENTO: alcuni ritengono che non sia autonoma infatti come detto
prima, nell’azione di rivendicazione, c’è una fase in cui si accerta che l’attore sia il vero proprietario
del bene; in tale azione manca la parte relativa alla condanna infatti è funzionale esclusivamente
all’accertamento della proprietà perché il soggetto che agisce non ha perso il possesso del bene,
ma è ancora nel possesso del bene ed ha solo interesse di una pronuncia giudiziale che affermi la
proprietà del bene in capo all’attore. I mezzi di prova sono uguali all’azione di rivendicazione infatti
la probatio diabolica spetta all’attore nelle modalità previste in precedenza.
3. AZIONE NEGATORIA: disciplinata dall’art 949 cc e tale azione è concessa a chi si presume essere
proprietario e il contenuto dell’azione consiste nell’agire da parte del proprietario per accertare
l’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene di cui egli è proprietario. Naturalmente accanto
a questo accertamento dell’insussistenza di un diritto reale vantato da terzi, si può anche chiedere
la condanna del soggetto legittimato passivo alla cessazione delle molestie o turbative determinate
dall’esercizio ritenuto abusivo e chiedere eventualmente il risarcimento del danno. Per quanto

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riguarda la prova da fornire, poiché tale azione non riguarda la contestazione della proprietà ma è
tesa soltanto a riconoscere giudizialmente la libertà del bene dall’esistenza di diritti di terzi, l’attore
non deve fornire la prova della proprietà sul bene, ma è sufficiente che dimostri un valido titolo di
acquisto (che sia originario che derivativo) e dunque si deve produrre il rogito notarile ad esempio;
incombe invece sul soggetto che ritiene di avere un diritto reale di godimento sul bene del
proprietario la dimostrazione che tale diritto reale esista e dunque ad esempio deve dimostrare
giudizialmente che egli esercita quella servitù sulla base di un titolo valido.
4. AZIONE DI REGOLAMENTO DEI CONFINI: neanche è in discussione il diritto di proprietà, ma
presuppone l’incertezza del confine fra due fondi finitimi. I rispettivi titoli di proprietà non sono in
contestazione e per questo non è richiesta una prova rigorosa del diritto di proprietà perché è
incerta l’estensione orizzontale del diritto di proprietà. Tale azione infatti è volta ad accertare dove
corre il confine di questi due fondi contigui ed eventualmente ad ottenere la condanna della
restituzione della striscia di terreno che dovesse possedere al soggetto proprietario sulla base
dell’accertamento effettuato dal giudice (analizzando generalmente le mappe catastali)
5. AZIONE PER APPOSIZIONE DI TERMINI: non è in contestazione il diritto di proprietà, neanche
contestazioni circa l’esistenza di diritti reali altrui e neanche l’incertezza del luogo in cui vi è il
confine, ma vi è l’incertezza non sul luogo in cui si colloca il confine, ma non si riesce a vedere più
quei segni evidenti che marcavano il confine fra due fondi. È dunque un’azione strumentale volta a
ristabilire quei segni tra due fondi affinché i soggetti possano esercitare il diritto di proprietà sul
bene per il quale hanno il titolo.
Tutte queste azioni sono imprescrittibili e sono la trasposizione giudiziaria dei poteri che la legge riconosce
al proprietario: se anche avessi un diritto ma non potessi esercitarlo giudizialmente, sarebbe un diritto privo
di contenuto perché in sostanza non si può chiedere ad un giudice di far rispettare quel potere che la
norma ha attribuito e soprattutto si tratta di un ventaglio di azioni che possono essere fatte valere erga
omnes

Quando abbiamo parlato della proprietà come diritto reale, essa è la massima espressione dei diritti reali
ma non è l’unico diritto reale che si trova nell’ordinamento. Andiamo ora ad analizzare gli altri diritti reali: si
era detto anche che la proprietà è un diritto reale che si esercita su un bene che appartiene, mentre tutti gli
altri diritti reali sono DIRITTI REALI SU COSA ALTRUI, il che significa che sono diritti che si esercitano su un
bene di cui non sono proprietario e non costituiscono una parte o frazione del diritto di proprietà, ma sono
una limitazione del diritto di proprietà. Quindi i diritti reali su cosa altrui determinano una compressione del
diritto di proprietà del soggetto titolare. Quando si parla di diritti reali di godimento, questi sono un numero
chiuso e sono tipici per evitare che la loro proliferazione possa determinare una situazione di anarchia
giuridica in cui si moltiplicano i diritti di godimento incidendo negativamente sul diritto di proprietà. I
DIRITTI REALI DI GODIMENTO su cosa altrui sono:

DIRITTO DI SUPERFICIE: si deve ricordare che ciò che è stabilmente incorporato sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario del suolo medesimo. Tale regola generale ammette una deroga laddove venga
attribuito ad una persona diversa dal proprietario il diritto di superficie. Esso può consistere
alternativamente in due situazioni:

 diritto di costruire al di sopra di un fondo appartenente ad un altro soggetto un’opera che allo stato
attuale non esiste e di cui il superficiario (chi vanta tale diritto) diventerà proprietario a titolo
originarioil fondo dunque è di un determinato soggetto che concede il diritto di superficie ad un
altro soggetto che può costruire un’opera di cui diventerà proprietario a seguito della sua
realizzazione a titolo originario: si parla di proprietà superficiaria. Tale proprietà rimane separata
dalla proprietà del suolo che invece resta in capo al suo titolare; tale proprietà sul fondo è detta
nuda proprietà;

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 diritto di proprietà separata di una costruzione già esistente di cui diviene proprietario un soggetto
(detta proprietà superficiaria) diverso dal proprietario del suolo (nuda proprietà)
Se la costruzione dunque non esiste quando si concede tale diritto, tale diritto di superficie si estingue se il
superficiario non costruisce l’opera entro 20 anni; diversamente nella seconda ipotesi una costruzione su
quel suolo già esiste e dunque quando si scinde tale proprietà, non è concepibile l’estinzione del diritto di
superficie per non uso. Inoltre il diritto di superficie può essere perpetuo, oppure può essere costituito a
termine (=alla scadenza del termine, la proprietà della costruzione a titolo gratuito viene traslata al
proprietario del suoloquindi il diritto di proprietà del suolo si rispande e diventerà pieno proprietario).
L’acquisto della proprietà superficiaria avviene mediante contratto, testamento o per usucapione. I poteri
del superficiario sono la libera disponibilità della costruzione che non è altro che una proprietà separata e
dunque il superficiario può alienare quella costruzione ma anche costituire altri diritti reali e non e dunque
è come se fosse un diritto di proprietà che riguarda soltanto l’opera costruita. Se però il diritto di proprietà
è imprescrittibile, non sempre così è il diritto di superficie perché se è perpetuo, allora anch’esso è
imprescrittibile, ma se è a tempo determinato, la scadenza del termine importa l’estinzione di tutti i diritti
del superficiario e quelli costituiti dal superficiario a favore di terzi con l’espansione del diritto di proprietà
al proprietario del suolo. Penso che pochi di noi abbia sentito parlare di questo diritto ma in realtà proprio
in tempi recenti sta avendo questo istituto un’amplissima applicazione pratica ad esempio nell’ambito degli
edifici condominiali, la proprietà del suolo su cui viene eretto l’edificio è di proprietà comune di tutti i
condomini, mentre la proprietà delle singole unità immobiliari di cui è costituito quell’edificio compete in
via esclusiva a ciascun condomino (quindi ogni condomino vanta il diritto di superficie perpetuo solo su
una porzione dell’edificio mentre la proprietà del fondo appartiene a tutti i condomini pro indiviso). Un
altro esempio sono gli immobili di edilizio popolare ove le proprietà dei singoli immobili diviene in via
esclusiva di ciascun acquirente solo che nell’ambito di queste abitazioni questo diritto superficiario non è
perpetuo ma la proprietà di ciascuna unità immobiliare appartiene al soggetto che ne usufruisce per un
massimo di 99 anni, mentre la nuda proprietà è patrimonio indisponibile dello Stato. Altro esempio sono i
parcheggi sotterranei costruiti sotto il suolo pubblico: in tale ipotesi la proprietà del suolo rimane alla
pubblica amministrazione, mentre la proprietà dell’autosilo edificato anche se sotto il suolo diviene per un
determinato periodo di tempo del privato che lo costruisce, tempo sufficientemente lungo affinché il
privato possa recuperare l’investimento ricavato.

ENFITEUSI: al contrario della superficie è un diritto reali di godimento che non ha avuto un grande sviluppo
nonostante fosse stato molto usato nelle epoche precedenti nel medioevo e considerato con molto favore
nel codice del 1865 e riproposto nel 1942 anche se non è molto usato. L’enfiteusi attribuisce alla persona a
favore della quale è costituita lo stesso potere di godimento su un bene immobile che spetta al proprietario
salvo però l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario dello stesso un canone periodico che
può essere costituito da una somma di denaro, o da una corresponsione di una determinata quantità fissa
di prodotti naturale dal fondo stesso. I soggetti coinvolti dunque sono il proprietario del fondo e l’enfiteuta
verso cui tale diritto è costituito. L’enfiteuta può anche mutare la destinazione del fondo stesso purché tale
mutamento di destinazione non determini un deterioramento del fondo. Al pari di ciò detto per il diritto di
superficie, l’enfiteusi può esser o perpetua o a tempo: laddove sia temporanea, non può mai avere una
durata inferiore a 20 anni perché se si consentisse di costituire le0nfiteusi per un termine inferiore, nessuno
sarebbe invogliato ad assumere l’obbligo di gestire un fondo per un tempo ristretto. Inoltre l’enfiteusi può
esser e costituita con contratto, con testamento o per usucapione. I poteri che la legge attribuisce ai
soggetti coinvolti in questa vicenda sono il potere di affrancazione, cioè il potere riconosciuto all’enfiteuta
per effetto del quale questo soggetto acquista la piena proprietà del fondo mediante il pagamento al
concedente di una somma di denaro. Dall’altra parte c’è il potere di devoluzione riconosciuto in capo al
concedente, per effetto del quale il concedente in caso di inadempimento da parte dell’enfiteuta
dell’obbligo di migliorare il fondo, di non deteriorarlo e l’obbligo di pagare un canone periodico, può

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chiedere ed ottenere di liberare il fondo dal diritto enfiteutico. Quindi ove vi sia un inadempimento
dell’enfiteuta, il concedente può chiedere dell’estinzione del diritto enfiteutico.

USUFRUTTO. È un diritto reale di godimento su cosa altrui che consiste nel diritto di godere della cosa altrui
con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica diversamente dall’enfiteusi. L’usufruttario quindi può
trarne dalla cosa tutte le utilità che può trarne il proprietario ma non ha il diritto di mutare la destinazione
economica. Al contrario della superficie ed enfiteusi, l’usufrutto ha una durata temporanea perché non
presenterebbe altrimenti alcuna utilità per il proprietario del fondo concedente perché se si spogliasse
definitivamente del godimento di quel bene a tempo indeterminato, non potrebbe trarne nessuna utilità
dal fatto di rimanerne mero proprietario perché non potrebbe utilizzarla né alienarla. L’usufrutto può
essere costituti sia in favore di una persona fisica (in tal caso tale diritto si intende costituito per tutta la
durata della vita dell’usufruttario e alla morte di questo soggetto si determina l’estinzione del diritto di
usufrutto) oppure in favore di una persona giuridica (in tal caso l’usufrutto non può avere durata superiore
a 30 anni). Per quanto riguarda i modi in cui tale diritto può essere acquisto, si ha ancora una volta il
contratto, l’usucapione, oppure il testamento ma a questi modi si aggiunge anche la legge in determinate
ipotesi che riguardano i rapporti familiari e per quanto riguardano nello specifico l’usufrutto legale dei beni
del figlio minore. I poteri che competono all’usufruttuario sono il potere di godimento sul bene, (che
naturalmente si estrinseca nel possesso della cosa (=nel poterla trattenere per se) e anche nella possibilità
di acquisire e trattenere per se i frutti naturali e civili prodotti dalla cosa, e il potere di disposizione del
diritto nel senso che non può alienare il bene ma può disporre del suo diritto di usufrutto cioè cedere a terzi
il diritto di godere di quel bene e costituire in favore a terzi il diritto di usufrutto a quel bene. Tale diritto
però non può condurre a danneggiare la proprietà del nudo proprietario il che significa che il potere di
cedere il diritto di usufrutto non può prolungare il diritto di usufrutto e dunque esso si estingue decorso il
termine stabilito nell’atto di costituzione o alla morte del primo usufruttario anche se questi lo abbia
trasferito a terzi. Naturalmente il potere di disposizione dell’usufruttuario comprende anche un potere di
disposizione rispetto al solo godimento del bene, ad esempio può mantenere per sé il diritto di usufrutto
ma può concedere in locazione o in comodato in favore di terzi: tale disposizione che coinvolge il mero
godimento non si sostanzia nella costituzione di un nuovo diritto reale, ma di un trasferimento del
godimento del bene. Anche rispetto al trasferimento del godimento del bene, il legislatore è intervenuto
per evitare degli abusi e dunque le locazioni concesse dovrebbero estinguersi di regola quando si estingue
l’usufrutto sempre nella prospettiva di non comprimere per un tempo più lungo il diritto di proprietà.
Tuttavia il legislatore a beneficio del conduttore e per garantire una continuità di rapporti e del godimento
del bene, ha stabilito che le locazioni in corso al momento della cessazione dell’usufrutto possano
proseguire per la durata stabilita originariamente per il contratto di locazione, a condizione che tale
locazione e la sua durata risultino da un atto pubblico o scrittura privata che abbia data certa anteriore al
momento in cui si verifica l’evento che fa estinguere l’usufrutto ed in ogni caso tale locazione non può
durare oltre un quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto. In capo all’usufruttaria stessa grava anche il
dovere di restituire la cosa al termine del suo diritto e quindi in virtù della restituzione in capo al
proprietario, deve usare la diligenza del buon padre di famiglia nell’uso della cosa e dunque conservare
quel bene nelle condizioni in cui gli è stata consegnata e come detto non deve modificare la destinazione
economica. E poi deve procedere ad inventariare tutti i beni che formano oggetto dell’usufrutto salvo che
non venga dispensato dal nudo proprietario, perché alla fine, dovendo restituire i beni, deve sapere anche
che cosa deve restituire. Nell’ambito della durata dell’usufrutto, è possibile che si va incontro a delle spese
nella conservazione del bene oggetto di usufrutto e il cc regolamenta la ripartizione delle spese tra
l’usufruttuario e il nudo proprietario: l’usufruttuario generalmente deve sostenere le spese ed oneri relativi
alla custodia, manutenzione ordinaria e amministrazione della cosa e dunque le riparazione ordinarie
mentre ciò che esula dall’ordinaria amministrazione e che involga delle riparazioni straordinarie andrà a
carico del nudo proprietario (perché le straordinarie riparazione vanno a rimanere anche al termine
dell’usufrutto). Quando cessa l’usufrutto, si determina quale effetto principale la espansione della nuda
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proprietà che torna ad essere piena proprietà. Accanto all’usufrutto, ci sono degli istituti che si rifanno allo
schema generale dell’usufrutto pur attribuendo al beneficiario ditali diritti dei poteri più contenuti: in
particolari ci si riferisce:

DIRITTO DI USO: consiste nella facoltà del soggetto beneficiario di potersi servire del bene e se fruttifero, di
raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia. Si capisce bene dunque lo scarto
tra uso e usufrutto: l’usuario ha le stesse facoltà dell’usufruttuario di utilizzare il bene, ma non può disporne
(dunque traslare il proprio diritto né costituire altri diritti a favore di terzi) e quando se ne serve, lo può fare
solo limitamene ai bisogni propri e della propria famiglia perché è un diritto che è costituito per garantire i
diritti di un determinato soggetto e della famiglia

DIRITTO DI ABITAZIONE: consiste nel diritto di abitare un determinato immobile limitatamente ai bisogni
propri e della propria famiglia dunque vi sino le stesse limitazioni dell’uso. In virtù del fatto che hanno
entrambi un carattere marcatamente personale, non solo non si possono cedere tali diritti e concessi in
modi di godimento a terzi, ma tali diritti si estinguono necessariamente con la morte del titolare e dunque
non possono formare oggetto di disposizione testamentaria.

Lezione n 19

SERVITU’ PREDIALI: ci riferiamo ad un diritto reale di godimento che si estrinseca nel peso imposto sopra un
fondo, detto fondo servente per l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante laddove questi due fondi
appartengono a due proprietari diversi. Per peso si fa riferimento ad un aggravio e dunque una
compressione della facoltà di godimento che il proprietario del fondo servente ha posta a favore del fondo
detto dominante. In questo ambito, per evitare equivoci, la cosa essenziale è il rapporto che intercorre tra i
due fondi, dunque l’utilità che corrisponde al peso imposto sul fondo servente non è un utilità anche deve
andare a vantaggio del singolo proprietario, ma a favore del fondo e dunque l’elemento essenziale è che il
rapporto riguarda i due fondi a prescindere dell’utilità che il singolo proprietario può trarre. Quando si parla
di utilità tratta dal fondo dominante, ci si riferisce ex art 1028 cc alla maggiore comodità o amenità del
fondo dominante e dunque un miglior godimento e da ciò discende che il contenuto delle servitù prediale
può essere vario infatti è tutto ciò che si estrinseca su un peso del fondo servente per un utilità del fondo
dominante. Quindi fermo restante il rapporto prediale tra i due fondi, accanto alle servitù tipiche
contemplate nel cc il cui contenuto è già regolato, sono ammesse le servitù atipiche che pur non essendo
riconducibili al codice civile, il cui contenuto può essere liberamente determinato dalla volontà dei
proprietari del fondo purché l’elemento essenziale della servitù venga garantito e ciò l’utilità venga
estrinseca a favore del fondo dominante e non del suo proprietario. Questo aspetto legato al rapporto di
servizio tra i fondi e dall’altra alla possibilità che le servitù possano essere tipiche o atipiche non deve esser
confuso con le servitù irregolari, che sono cosa diversa rispetto a quelle atipiche perché non costituiscono
servitù prediali le cosiddette SERVITU’ IRREGOLARI o PERSONALI in cui l’utilità è prestata da un fondo
osservante in favore di una persona determinata non in favore di un fondo (es: è regolare la servitù di
passaggio su un fondo a favore di un altro fondo perché consente al fondo dominante di avere accesso alla
via pubblica, ma è servitù irregolare la possibilità di passaggio che è consentita per andare a esercitare la
pesca ove però il fondo non se ne avvantaggia).

I caratteri fondamentali delle servitù sono:

1. La servitù riguarda due fondi o più fondi che appartengono a proprietari diversi anche se c’è un
rapporto di accessorietà
2. I fondi devono trovarsi in una situazione topografica tale che l’uno possa arrecare utilità
all’altrociò implica non che i due fondi devono essere contigui (es servitù di elettrodotto che
impone al proprietario del fondo di veder passare sopra il fondo i cavi elettrici o il posizionamento

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di un tralicciociò implica che il fondo che fornisce la corrente non è attaccato al fondo che riceve
la corrente)
Modi di costituzione della servitù: dunque si deve distinguere tra:

 SERVITÙ COATTIVE = si costituiscono in funzione dell’attuazione di un obbligo di legge a cui il


proprietario del fondo servente non può sottrarvisono dunque ipotesi previste dall’ordinamento
infatti la legge si preoccupa del pregiudizio che arreca e dunque attribuisce al proprietario del bene
un diritto potestativo per poter ottenere l’imposizione della servitù sul fondo altrui anche se questo
non voglia. In contropartita al sacrificio imposto al fondo servente, il proprietario del fondo
dominante dovrà versare al proprietario del fondo servente un’indennità per l’utilizzo del fondo
servente a beneficio del fondo dominante. Si osserva però che se il fondo si trova nelle condizioni
previste dalla legge, non si può automaticamente esercitare la servitù, ma la legge consente di
poter avere tale servitù e per costituirla effettivamente si dovrà o stipulare un contratto con il
proprietario del fondo servente per riconoscere i presupposti per la nascita della servitù, oppure
cisi può rivolgere ad un giudice che con sentenza costitutiva riconosce la servitù a suo vantaggio. E’
ovvio che la servitù una volta costituita permane fino a quando sussistano i presupposti necessari e
dunque il venir meno dei presupposti giustificativi della costituzione della servitù coattiva legittima
la richiesta di estinzione che anche se è stata costituita contrattualmente, richiede una sentenza
costitutiva del giudice emessa su domanda del soggetto interessato che accerti la cessazione della
servitù. Nell’ambito delle servitù coattive rientrano:
 servitù di acquedotto coattivo (art 1033 cc): su cui si modellano le servitù di elettrodotto
coattivo e il passaggio coattivo delle linee telefonicheesso si basa sul presupposto che
l’acqua è bene essenziale sia per la vita del proprietario del fondo che la vita agricola sul
fondo. In considerazione della rilevanza dell’acqua, il proprietario del fondo servente è
tenuto a consentire il passaggio delle acque sia che servano ai bisogni della vita di coloro
che abitano il fondo dominante, sia che sia destinate ad usi agricoli o industriali. Il diritto
all’acquedotto coattivo sussiste anche quando l’acqua non è necessaria ma semplicemente
utile
 servitù di elettrodotto coattivo: si fonda sulla riconosciuta importanza del legislatore
dell’energia elettrica nella vita moderna e dunque ogni proprietario di fondo è tenuto a
consentire al passaggio sul suo fondo delle condutture elettriche
 servitù del passaggio coattivo delle linee telefoniche
 servitù del passaggio coattivo: ricadono dunque gli esempiin questi ipotesi l’accesso di un
fondo alla via pubblica si considera condizione indispensabile per la sua utilizzazione perché
in mancanza di accesso non si può accedere al proprio fondo. Tuttavia ci sono delle ipotesi
di fondo intercluso cioè circondato da altri fondi e non ha accesso diretto alla via pubblica e
dunque per poter utilizzare quel fondo, si debba costituire su uno dei fondi che lo
circondano una servitù di assaggio affinché mi sia consentito di accedere al mio fondo. In
questo ambito, il diritto alla servitù sussiste non solo nell’ipoteso più grave del fondo
intercluso, ma sussiste tale diritto anche nell’ipotesi in cui il proprietario non può procurarsi
l’uscita senza un eccessivo dispendio o disagio (es tra il fondo e la via pubblica c’è un fiume
e per poter accedere ad essa si dovrebbe costruire un ponte ed dunque è consentito
passare per il fondo del vicino). Il sacrificio dell’imposizione della servitù sul fondo servente
deve essere il minore possibile e dunque l’art 1051 cc stabilisce i criteri che il giudice deve
prendere in considerazione per la determinazione del luogo in cui deve avvenire il
passaggio. Si deve tenere in considerazione la maggiore brevità del passaggio (e dunque si
sacrifica in maniera minore il fondo servente), il minor danno del fondo su cui la servitù
deve essere costituita. La coniugazione dei due criteri avviene quando la via breve deve
esser preferita quando è anche la meno dannosa ma se la più breve arreca un danno
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maggiore rispetto alla via più lunga, quest’ultima deve essere preferita (prevale il criterio
del minor danno rispetto quello della brevità).
 SERVITÙ VOLONTARIE = sono costituite per volontà dell’uomo che si possono creare o per
testamento o per contratto o anche per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.
Quando un fondo non si trova nelle condizione sfavorevoli che giustificano la costituzione di una
servitù legale, il proprietario può assicurarsi una maggiore utilità mediante la conclusione di un
contratto con il proprietario del fondo su cui vuole acquisire una servitù, rientrando nelle servitù
atipiche. La determinazione fa sì che si debba pervenire alla conclusione di un contratto che
riferendosi ad un diritto reale su bene immobile, deve farsi necessariamente per iscritto e per poter
essere opponibile a terzi, deve essere anche trascritto. Accanto ad esso, troviamo anche la
costituzione di una servitù per testamento. Ora, alcune servitù di carattere sia volontario che
coattivo possono sorgere anche per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, ma non
tutte le servitù hanno questa possibilità: le uniche sono le servitù apparenti, che si distinguono dalle
servitù non apparenti che si possono costituire solo per contratto o testamento. Per servitù
apparenti si intende delle servitù al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti sia che
siano formate naturalmente sia che sia formate dall’azione dell’uomo, che obbiettivamente sono
finalizzate all’esercizio di dette servitù. Dunque queste opere devono manifestare e palesare in
modo inequivoco per la loro struttura e per la funzione che assolvono, l’esistenza del peso gravante
sul fondo servente che si estrinseca nella servitù; in altre parole occorre che queste opere rendano
manifesta la soggezione alla servitù del fondo servente al fondo dominante. E’ importante il
palesarsi di queste opere perché il legislatore ritiene che al fine di evitare che sorgano servitù in
base a manifestazioni non chiare ed inequivocabile ma che incidono nella sfera altrui, allora fa sì
che le servitù apparenti si possano costituire oltre che per contratto e testamento, anche per
usucapione e per dest del padre di famiglia, ma quando mancano tali opere, non si può ritenere che
la servitù si possa costituire in maniera diversa dal contratto o testamento perché la manifesta
volontà delle parti interessate supplice alla mancanza di opere visibili e permanenti. Quando si
parla di servitù apparenti, ci si riferisce ai tralicci nelle servitù di elettrodotto, un sentiero battuto o
strada asfaltata lungo un fondo etc. Quando non c’ è nessuna opera naturalistica ne umana, allora
si tratta di una servitù non apparente.
Andiamo a parlare delle SERVITÙ PER DESTINAZIONE DEL PADRE DI FAMIGLIA: è un’ipotesi molto
particolare che ricorre se il proprietario di un fondo costruisce sul suo bene opere permanenti e per effetto
della creazione di queste opere permanenti in virtù delle quali una parte del fondo risulta asservita all’altra
parte del ondo medesimo, questo consente una migliore utilizzazione del fondo ma non consente in virtù di
quello detto prima rispetto ai presupposti per il sorgere di una servitù, non consente che essa sorga perché
non c’è l’altruità della cosa ma si tratta di pere realizzate dal proprietario del fondo a beneficio di una parte
del fondo e a discapito dell’altra ma non è servitù perché il proprietario è lo stesso. Se però il fondo cessa di
appartenere allo stesso proprietario in maniera unitaria e diventa di due proprietari, allora lo stato di fatto
che consisteva alla parte del fondo di trarre utilità dall’altra parte del fondo continui a trarre utilità e in virtù
di questo quando quel fondo cessa di appartenere ad un proprietario, si costituisca ex lege una servitù
corrispondente allo stato di fatto preesistente. Ciò non avviene se nel contratto con cui si aliena una parte
del fondo o nel testamento in cui si attribuisce una parte ad un figlio e l’altra parte all’altor se è
esplicitamente vietata la costituzione di una servitù.

I modi estinzione sono:

1. cessazione dei presupposti che avevano determinato il sorgere della servitù


2. rinuncia del titolare
3. confusione = una situazione in cui il proprietario del fondo dominante acquisisce la proprietà del
fondo servente

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Il legislatore si è anche preoccupato di inserire un’azione affinché il proprietario di un fondo che si trova
all’interno di un rapporto di servizio possa trovare tutela: AZIONE CONFESSORIA in forza della quale di
fronte ad una contestazione dell’esistenza o consistenza qualitativa o quantitativa della servitù, chi afferma
di essere titolare della servitù e dunque proprietario del fondo dominante, chiede una pronuncia giudiziale
di accertamento del suo diritto. Accanto alla pronuncia dell’accertamento, si può chiedere la condanna
altrui alla cessazione di eventuali comportamenti che abbiano determinato una turbativa dell’esercizio della
servitù o la rimozione delle cose e ripristino dello stato coante quando il proprietario del fondo servente
abbia realizzato opere per impedire l’esercizio del diritto reale di godimento. Accanto a tale sentenza di
accertamento e condanna, si può anche aggiungere una richiesta del risarcimento del danno se provato.

Nella realtà fenomenica un diritto reale può appartenere a più persone le quali sono tutte contitolari del
medesimo ed unico diritto. Il fenomeno della contitolarità prende il nome di COMUNIONE. Secondo
l’opinione maggiormente accreditata, il diritto di ciascuno contitolare investe l’interno bene sebbene trovi il
limite dell’ugual diritto di coloro che lo possono esercitare sullo stesso bene. Qualora non sia previsto, le
quote sono uguali e la contribuzione al bene da parte dei contitolari per gli atti conservativi sono
commisurati alla quota di partecipazione sebbene il godimento sia sull’intero bene. La costituzione della
comunione può essere volontaria (con l’accordo dei futuri contitolari) o anche incidentale (quando
scaturisce non da un atto di volontà dei soggetti interessati ma quando si determina in virtù del verificarsi di
un evento fuori dalla diretta volontà dei soggetti partecipanti vedi comunione ereditaria determinata dalla
morte del de cuius). Accanto a queste due ipotesi, poi abbiamo anche la comunione forzosa, che si ritrova
quando la comunione deriva dall’esercizio del diritto potestativo da parte di uno dei futuri contitolari (vedi
la possibilità di costruire un immobile in aderenza ad un altro e in questo caso il muro che è posto tra i due
immobili è in comunione). Un’altra distinzione da fare riguarda i tipi di comunione, perché non tutte le
ipotesi di comunione ricadono nella stessa disciplina: accanto alla comunione ordinaria vi sono delle
comunioni speciali che sono delle figure disciplinate dalla legge in maniera autonoma tra cui rientra la
comunione incidentale degli eredi assoggettata ad una particolare disciplina rispetto anche alla circolazione
delle quote. Rientrano anche poi la comunione nell’ambito del condominio degli edifici e ci ritroviamo di
fronte ad una comunione disciplinata ad hoc in cui i diritti e doveri delle parti non ricalcano quelli della
comunione ordinaria.

La disciplina della COMUNIONE ORDINARIA prevede che il diritto di ciascuno dei titolari può esercitare
pienamente il suo diritto pur dovendo considerare nell’esercizio del proprio diritto il limite incontrato
nell’esercizio del diritto altrui. In particolare si deve distinguere:

1. il potere di godimento: ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune nella sua integralità a
condizione che non alteri la destinazione economica del bene e non impedisca agli altri contitolari
di utilizzare quel bene nello stesso modole parti possono naturalmente derogare all’uso
promiscuo concordando anche una divisione del godimento del bene sia nello spazio che ne tempo.
Inoltre ciascuno dei contitolari di questo diritto ah diritto di percepite i frutti della cosa in
proporzione alla rispettiva quota così come rispettivamente alla quota deve partecipare alle spese
della gestione e pagamento della conservazione del bene
2. il potere di disposizione: questo può riguardare solo la sua quota infatti non può né disporre della
quota altrui ne il bene per intero. La situazione di comunione si ripercuote nell’ambito
dell’amministrazione della cosa comune infatti ciascuno dei compartecipi ha diritto di concorrere
nell’amministrazione della cosa rispettando in principio di maggioranza che si calcola non in
relazione al numero dei partecipanti, ma in riferimento al valore delle quote dei partecipanti: per gli
atti di ordinaria amministrazione è necessaria la maggioranza assoluta mentre la straordinaria
amministrazione è necessaria la maggioranza qualificata. Con questo meccanismo si delibera non
solo le migliorie ma anche le spese deliberate con le maggioranze che gravano su ciascun
compartecipe alla comunione in relazione all’entità della rispettiva quota.
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Questa situazione di comunione si protrae nel tempo però il legislatore ha sempre guardato con sfavore
allo stato di indivisione, cioè più soggetti esercitanti diritti sullo stesso bene. In virtù di tale sfavore, il
legislatore attribuisce a ciascuno dei partecipanti alla comunione di chiedere in qualsiasi momento e contro
la volontà della maggioranza lo scioglimento della comunione, e dall’altro lato vieta che le parti anche
convenzionalmente si vincolano alla situazione di comunione per un tempo superiore di 10 anni, detto
patto di indivisione. L’eventuale indivisibilità del bene comune non preclude lo scioglimento della
comunione perché in tal caos può esser alienato a terzi o assegnato ad uno dei contitolari.

Lezione n 20

L’art 1111 cc riguarda il divieto di patto di divisione perché secondo il legislatore tale patto è ammesso solo
se il tempo per cui perdura la comunione è di 10 anni. Nonostante ciò, una circostanza sopravvenuta
rispetto al 1942 è il ricorso ad edifici suddivisi in più porzioni immobiliari generalmente sovrapposte
determinando la crescente importanza della figura che si fonda sulla comunione: il CONDOMINIO, che si ha
quando nel medesimo edificio coesistono più unità immobiliari di proprietà esclusiva ai condomini singoli
ma ci sono delle parti comuni di proprietà di tutti i condomini strutturalmente e funzionalmente connesse
alle unità immobiliari perché funzionali al godimento delle unità immobiliari singole. Nell’ambito di queste
parti comuni del condominio, vi sono tutte quelle parti dell’edificio per l’uso comune (es: suolo su cui sorge
l’edificio è di proprietà comune dei condomini come il tetto, le scale, i portoni di ingresso): accanto a queste
parti comuni vi sono le aree per il parcheggio o i locali per i servizi in comune (la portineria, la lavanderia
etc), cosi come quelle opere o istallazioni o manufatti destinati all’uso o godimento comune come
ascensori, impianti idrici o impianti fognarie. Dunque la nostra realtà si scontra con le previsioni del 1942
tanto che ha una disciplina autonoma perché più complessa. Proprio in relazione alle peculiarità di tale
istituto, anche i diritti e doveri del singolo condomino sono declinati in una maniera particolare: il singolo
condomino può fare uso delle parti comuni perché è un comproprietario e tali parti sono funzionali ad un
uso promiscuo cioè generalizzato di tutti i condomini senza che nessuno di essi possa farne uso esclusivo e
tale uso promiscuo non deve incidere sulla destinazione d’uso originarie delle parti comune e purché tale
uso promiscuo non impedisca di farne un uso analogo. Inoltre il singolo condomino può apportare alle parti
comuni delle modificazioni funzionali al miglior godimento della unità condominiale, ma tale utilizzo non
deve impedire agli altri condomini di godere e fruire delle parti comuni del condominio. Però vi sono anche
degli obblighi: il primo e principale obbligo è quello di contribuire in misura proporzionale alla quota di
proprietà per le spese necessarie per il godimento e mantenimento e per la prestazione dei servizi per le
parti comuni (es riscaldamento centralizzato, impianto dell’acqua etc): tale ripartizione viene fatta sui
millesimi di proprietà e quindi come se l’intero condominio fosse pari a 1000/1000 e sulla base della
grandezza dell’immobile, si computano i millesimi di spettanza di ogni condomino. Quello che non può fare
il singolo condomino è quello di rinunciare al suo diritto sulle parti comuni al fine di sottrarsi all’obbligo del
pagamento delle spese condominiali. Un altro limite importante è che il singolo condomino non può
disporre delle parti comuni ne parzialmente ne nella totalità se non congiuntamente alla porzione
immobiliare di proprietà esclusiva (tali limiti non ci sono nelle comunioni normali). Inoltre il singolo
condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o che recano pregiudizio per
stabilità, sicurezza o decoro architettonico del condominio. Poiché si è compreso che queste parti comuni
sono funzionali ad un miglior sfruttamento delle unità immobiliari facenti parti del condominio, esse sono
indivisibili. Nell’ambito della disciplina della comunione, per poter garantire il miglioramento del bene
oggetto di comunione, è necessario che vi sia il rispetto di un principio maggioritario nel momento in cui si
devono prendere decisioni nell’intero immobile per opere di ordinaria o straordinaria amministrazione, ma
essendo nel condominio la situazione più complessa, l’ordinamento si è premurato di strutturare meglio
l’organizzazione del condominio creando organi funzionale alla gestione e mantenimento del condominio:
gli organi del condominio sono l’assemblea che è un organo collegiale che ha diritto di intervenire su tutti
gli aspetti che riguardano la vita e gestione del condominio e a cui partecipano tutti i condomini, l’altro

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organo che è obbligatorio sono quando i condomini sono più di 8, è l’amministratore di condominio ,che è
un organo monocratico.

L’assemblea è l’organo più importante nel contesto condominiale: fanno parte tutti i condomini e è
competenza dell’assemblea l’adozione del regolamento condominiale che stabilisce le regole
comportamentali da seguire nel condominio e spetta all’assemblea la nomina dell’amministratore e
l’approvazione del preventivo delle spese nell’anno (bilancio di previsione), ma spetta al condominio anche
l’approvazione del rendiconto annuale (spese effettivamente fatte) ed anche spetta stabilire come
impiegare il residuo attivo della gestione annuale. L’assemblea inoltre vota anche circa la realizzazione di
opere di straordinaria o ordinaria manutenzione, o opere di miglioramento. In virtù di queste competenze,
l’assemblea è l’organo più importante mentre l’amministratore è un esecutore delle decisioni assunte tanto
che nei contesti condominiali più piccoli, non è necessario nominare l’amministratore. Nell’ambito delle
assemblee, un ruolo particolare è affidato al verbale: di tutte le attività svolte nell’assemblea deve redigersi
il processo verbale che deve essere trascritto nel relativo registro tenuto dall’amministratore. Nel verbale
affinché sia valido, devono risultare tutti i partecipanti all’assemblea sia in proprio che con delega. Devono
comparire i nomi dei condomini assenzienti, dissenzienti ed astenuti dei punti all’ordine del giorno. Accanto
a questo, si indica anche le quote di millesimali al fine di verificare che la maggioranza eventualmente
raggiunta circa un punto sia una maggioranza effettiva perché quando si computa la maggioranza ai fini
deliberativi, noi non dobbiamo considerare i singoli soggetti ma dobbiamo guardare la quota dei singoli
soggetti. La mancanza di questi elementi nell’ambito del verbale determina che esso può essere annullabile
e delle relative deliberazioni assunte, che può essere impugnato da uno dei condomini. L’efficacia di queste
deliberazioni è rivolta ai sensi dell’art 1137 cc a tutti i partecipanti del condominio indipendentemente che
siano stati presenti o no all’assemblea ed indipendentemente dal voto espresso.

L’amministratore è un organo monocratico nominato dall’assemblea e che dura in carica per un anno che
può essere rinnovato o revocato dall’assemblea anche se non è decorso l’anno d’attività. I compiti che
spettano all’amministratore è l’esecuzione delle decisioni assembleare e il compito di convocare almeno 1
volta l’anno l’assemblea per l’approvazione del rendiconto e curare l’osservanza del regolamento
condominiale ed è il rappresentante del condominio nei rapporti stragiudiziali, che nell’ambito dei rapporti
giudiziali. Può capitare che l’amministrazione del condominio sia una persona giuridica

POSSESSO

Si deve tenere in mente la distinzione tra avere il diritto di godere e disporre del bene (=diritto di proprietà)
ed il godere e disporre effettivamente di questo bene e dunque esercitare un potere di fatto. Infatti se è
vero che normalmente chi ha il diritto di godere e disporre di un bene è anche colui che gode
materialmente e dispone materialmente di quel bene, non è detto che queste due situazioni coincidano
perché può accadere che il proprietario non sia nelle condizioni effettivamente di esercitare i poteri
riconosciuti dalla legge. Il cc attribuisce rilevanza giuridica non solo al diritto, ma anche a queste situazioni
di fatto che si estrinseca ad un’attività corrispondente all’esercizio del possesso e riconosce rilevanza
giuridica a prescindere che a queste situazioni di fatto corrisponda una situazione di diritto. In sostanza
proprio perché c’è una scissione tra proprietà e possesso, al possessore vengono garantiti dall’ordinamento
tutta una serie di tutele per garantirsi il possesso di quel bene (azioni giudiziarie), ma addirittura quel
possesso viene considerato importante che in alcuni casi può comportare l’acquisto della proprietà (quindi
per un procedimento inverso fino ad ora visto: si acquista il diritto e dunque si esercita il possesso): ciò
avviene nell’usucapione o la regola possesso vale titolo. Il possesso dunque è una situazione di fatto
produttiva di effetti giuridici ed oggetto del possesso piò essere qualunque bene mobile e immobile purché
sia un bene materiale (perché il possesso presuppone il godimento del bene).

La cosa che connota sempre il possesso è l’elemento soggettivo detto “animus possidendi”, che consiste
nella volontà del soggetto di comportarsi con riguardo del bene su cui esercita il possesso come un
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proprietario, godendo e disponendo il bene escludendo qualunque altro soggetto. L’altro elemento invece
è un elemento eventuale (può esserci come no) ed è l’elemento oggettivo, cioè il “corpus” e quindi avere la
concreta disponibilità di fatto sul bene nell’ambito della propria sfera di controllo. Se c’è sia animo che
corpo, si parla di POSSESSO PIENO, mentre se si ha l’animus ma non corpus, è detto POSSESSO
MEDIATO/INDIRETTO, cioè il soggetto possessore si comporta come se fosse il proprietario ma
materialmente non dispone del bene (es ladro che concede in noleggio un veicolo ad un terzo
nell’ambito di questo esempio, noi ritroviamo tutte e tre le situazioni: si ha un soggetto proprietario, un
soggetto possessore che è il ladro e si ha poi un terzo soggetto cui spetta la detenzione del bene della
macchina). La DETENZIONE si differenzia dal possesso ed è caratterizzata da non solo una disponibilità di
fatto sulla cosa, cioè il corpus, che deve sempre esserci, e da un elemento soggettivo cioè l’animus che non
è possidendi, ma tale comportamento non si estrinseca come se fosse il proprietario ma è un animus
detinendi che fa si che tale soggetto esteriormente goda e disponga del bene ma nel rispetto dei diritti che
lo stesso detentore riconosce spettare ad altri: nell’ambito della detenzione il soggetto ha la disponibilità
della cosa nel rispetto e riconoscimento dei diritti sullo stesso bene che spettano ad altri. L’inquilino ad
esempio è un detentore perché gode dell’immobile concesso il locazione, ma tale contratto riconosce che
l’appartamento appartiene al locatore e fa sì che rispetta la proprietà pagando il canone, non alterando la
destinazione d’uso del bene restituendo il bene alla fine del contratto di locazione.

Quello che rileva ai nostri fini nell’ambito della distinzione tra possesso e la detenzione non è lo stato
psicologico che il soggetto nutre al proprio interno, ma lo stato psicologico che nel momento in cui si
appropria del bene quel soggetto ha manifestato all’esterno: se si è manifestato come se fosse il
proprietario, si ha difronte un possessore, ma un soggetto che è un mero detentore. In considerazione di
ciò, in genere a nulla rileva la circostanza che il soggetto che ha cominciato a detenere un determinato
bene in un secondo momento modifichi a cuor suo al suo interno l’atteggiamento psicologico originario e
voglia comportarsi come un vero e proprio possessore. Il fatto che io successivamente cambi il mio
atteggiamento e voglia diventare da detentore a possessore è privo di rilievo perché all’inizio ho
manifestato l’essere detentore. Il mutamento da detenzione in possesso è talvolta consentito: si parla di
INTERVERSIONE DEL POSSESSO. Questo mutamento può avvenire solo se la modificazione dello stato
psicologico del detentore venga manifestata all’esterno in uno dei modi indicati dall’ordinamento:

 una opposizione fatta dal detentore al possessore, cioè un atto che può essere di natura giudiziale o
stragiudiziale con cui il detentore manifesta inequivocabilmente l’intenzione di tenere in futuro la
cosa non più come detentore, ma come possessore e quindi non più conservare la cosa in nome del
possessore, ma per conto proprio
 una causa proveniente da un terzo, cioè un atto con il quale il possessore attribuisce al detentore il
diritto corrispondente alla propria posizione possessoria (es ladro che dopo aver noleggiato un
auto, la vende al terzo, ma in ogni caso il terzo diviene possessore)
Un ulteriore distinzione da fare è quella tra possesso legittimo e possesso illegittimo: il POSSESSO
LEGITTIMO si ha quando il potere di godere e disporre del bene è esercitato dall’effettivo titolare del diritto
di proprietà (la situazione di fatto coincide con la situazione di diritto); laddove non ci sia coincidenza tra
proprietà e possesso, si è di fronte al POSSESSO ILLEGITTIMO, cioè il potere di disporre e godere del bene è
esercitato da un soggetto diverso dall’effettivo titolare del diritto di proprietà. All’interno del possesso
illegittimo, non tutte le situazioni sono sovrapponibili e non tutte le posizioni meritano una stessa tutela
perché all’interno del possesso illegittimo ci si trova una molteplicità di situazioni con cui una circostanza di
fatto sono meritevoli di tutela oppure no. All’interno del possesso illegittimo si ha:

1. possesso in buona fede (art 1147 cc) = il possessore ha acquisito la disponibilità del bene ignorando
di ledere il diritto altrui, ove però l’ignoranza non dipenda da colpa grave del possessore il
possessore non avrebbe neanche potuto sapere che era di proprietà di terzi (es acquisto di un
quadro in una casa d’aste implica che non si può ritenere che sia rubato e dunque si ritiene che si
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stia acquisendo la proprietà). Per qualificare il possesso come di buona fede però non è necessario
che la buona fede perduri per tuta la durata del possesso, ma è sufficiente che la buona fede
sussistesse al momento dell’acquisto del possesso.
2. possesso in malafede: il possessore ha acquistato il bene pur sapendo il difetto di titolo
dell’alienante, oppure si sarebbe potuta sapere questa circostanza utilizzando l’ordinaria diligenza
3. possesso illegittimo vizioso: il possessore ha acquistato la materiale disponibilità del bene non solo
in malafede, ma anche con violenza (= comportamento attivo contrario alla volontà dell’altro
soggetto) o clandestinamente (=comportamento furtivo che non consente al soggetto esercente il
diritto di non accorgersi che si sta acquistando il possesso)
Anche la detenzione va distinta in DETENZIONE QUALIFICATA, quando il detentore ha acquisito la materiale
disponibilità del bene nell’interesse proprio ovvero del possessore, o DETENZIONE NON QUALIFICATA,
quando il detentore ha acquisito questa disponibilità del bene solo per ragioni di ospitalità, o di servizio o di
lavoro. Nel primo caso si ha un titolo per poter detenere il bene e dunque la posizione è tutelabile, mentre
nel secondo caso non si ha alcun titolo giuridico e che non sta detenendo il bene per suo interesse.

Lezione n 21

Nell’ambito dell’istituto del possesso, si iscrivono due ulteriori istituti ove il possedere il bene può
determinare l’acquisto della proprietà a titolo originario: il possesso vale titolo e l’usucapione.

POSSESSO VALE TITOLO: se si acquista un bene da un soggetto che non è il proprietario del bene, si sta
facendo un acquisto a non domino e che quindi non può trasferirmi il diritto di proprietà e dunque a
seguito dell’acquisto a non domino, non si diventa proprietario del bene. Questa regola, se fosse applicata
in maniera rigorosa, potrebbe causare un ostacolo alla circolazione dei beni da cui deriverebbero delle
difficoltà ed incertezze nella circolazione dei beni che potrebbero portare a paralizzare il traffico giuridico
che è essenziale in una società moderna e dinamica come quella attuale. Nel nostro codice, c’ è la regola
del POSSESSO VALE TITOLO che è un’eccezione alla regola generale suesposta: infatti per quanto riguarda
gli acquisti di beni mobili non registrati, chi acquista un bene a non domino, ne diventa proprietario a titolo
originario purché concorrano dei presupposti:

1. tale acquisto è riferito ad un bene mobile che non sia registrato


2. l’acquirente deve vantare un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà (es un
contratto che è funzionale al trasferimento di proprietà che non presenti altro vizio se non il fatto
che non ne è l’effettivo proprietario)
3. l’acquirente deve aver acquistato il possesso del benenon solo deve esser stato stipulato l’atto
d’acquisto idoneo, ma ci deve essere stata la consegna a favore del soggetto che ha acquistato il
bene. In mancanza della traditio, si preferisce tutelare il precedente proprietario e non l’acquirente
4. l’acquirente nel momento in cui ha acquistato il bene, doveva essere in buona fedenon basta che
l’acquirente ignori che il soggetto venditore non aveva il diritto di disporre della cosa, ma occorre
che l’ignoranza non sia dipesa da una sua colpa grave che sussisterebbero se le circostanze
dell’acquisto avrebbero dovuto indurre la0cquirete a sospettare circa la legittimità del venditore ad
alienare il bene.
Queste sono le condizioni che devono sussistere contestualmente affinché l’acquisto di bene mobile da un
soggetto non titolare del diritto di proprietà possa determinare l’acquisto a titolo originario del diritto di
proprietà in capo all’acquirente.

USUCAPIONE: il possesso rileva anche in questo istituto che ha uno schema molto similesi ha l’acquisto
della proprietà a titolo originario in forza di un possesso del bene che in questo caso deve essere
prolungato nel tempo. In sostanza, il possesso protratto fa acquisire al possessore del bene la titolarità del
diritto reale e il soggetto acquista esattamente la titolarità del diritto reale corrispondente alla situazione di
fatto che esercita. La ratio dell’usucapione è diversa rispetto a quella del possesso vale titolo, infatti in
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questo caso c’è l’opportunità dal punto di vista sociale che va a favorire chi nel lasso del tempo utilizza e
rende produttivo un determinato bene anche a discapito del proprietario che evidentemente ha trascurato
e rendere produttivo quel bene. Inoltre l’usucapione agevola altresì in talune ipotesi la prova
estremamente rigorosa richiesta al proprietario laddove questi non sia in grado, andando a ritrovo degli
acquisti del bene, di dare la probatio diabolica (anche se questo è un corollario di quello detto prima). Per
usucapione si possono acquistare sono la proprietà e i diritti reali di godimento ma non i diritti reali di
garanzia, ma non si possono acquistare per usucapione le servitù non apparenti perché in mancanza dei
segni visibili non si dà prova di aver sfruttato quel bene. I presupposti dell’usucapione sono:

1. il possesso del bene e che tale possesso sia o di mala fede o di buona fedeè irrilevante ai fini
dell’usucapione l’animus con cui posseggo quel bene
2. il possesso non deve essere limitato in determinati momenti, ma ci deve essere una continuità del
possesso per un certo lasso di tempo indicato dall’ordinamento giuridicoil soggetto interessato
non deve fornire la prova di aver posseduto il bene giorno per giorno, ma la legge soccorre questo
soggetto affinché anch’esso vada incontro alla probatio diabolica. Per questo opera la presunzione
di possesso intermedio: in forza di questo è sufficiente che il soggetto dimostri di possedere ora il
bene e di averlo posseduto in un tempo più remoto e ciò è sufficiente a far presumere (che
ammette prova contraria) che il bene fosse stato posseduto anche nel tempo intermedio
3. questa continuità del possesso non deve aver subito interruzioni che possono essere di carattere
naturale (il soggetto possessore perde materialmente il possesso del bene) oppure può essere
un’interruzione civile (quando il possessore è stato destinatario di una domanda giudiziale volta a
privarlo del possesso ad esempio il proprietario che chiede di tornare in possesso del bene) tale
interruzione fa cominciare a decorrere un nuovo periodo per l’usucapione
Rispetto al lasso di tempo, si è detto che affinché ci sia usucapione è necessario un possesso protratto e non
interrotto: il periodo di tempo affinché si maturi usucapione è 20 anni ex art 1588 cc (=usucapione
ordinaria), ma la legge prevede che tale termine possa essere inferiore in particolari ipotesi (es 10 anni, 15
anni etc).

AZIONI A TUTELA DEL POSSESSO: si è dunque capito l’importanza del possesso nel nostro ordinamento e
dunque esistono un ventaglio di azioni esperibili dal possessore affinché sia tutelata la sua posizioni. Le
azioni sono dette AZIONI POSSESSORIE che si distinguono dalle azioni petitorie che sono a tutela della
proprietà. Mentre le azioni possessorie possono essere esercitate anche dal possessore, quelle petitorie
sono da chi si affermi essere titolare del diritto di proprietà. Chi invece è sia proprietario che possessore,
può scegliere se esercitare le azioni possessorie o quelle petitorie: sicuramente la scelta dipende dalle
circostanze del caso concreto ma in termini generali le azioni possessorie si giovano di un procedimento
giudiziale più agile rispetto a quello ordinario applicabile alle azioni petitore; inoltre quelle possessorie fa
gravarsi su chi agisce un onere probatorio meno gravoso rispetto a quello chiesto dalle azioni petitorie.
D’altra parte però, le azioni possessorie assicurano per definizione una tutela di carattere provvisorio nel
senso che chi soccombe nel giudizio possessorio può esperire poi un giudizio petitorio quindi non è una
tutela definitiva come quella dei giudizi petitori, ma è provvisoria a cui può far seguito un giudizio petitorio.
Le azioni possessorie sono due:

1. AZIONE DI REINTEGRAZIONE O SPOGLIO = risponde ad una esigenza semplice, cioè garantire a chi
possiede un bene una sollecita tutela giudiziaria e ciò indipendentemente dalla prova che su quel
bene il soggetto che esercita l’azione abbia anche il diritto di proprietàè volta a tutelare il
possessore che sia stato spogliato violentemente o clandestinamente (richiama l’azione di
rivendicazione). Per spoglio si intende un’azione che si risolve in una duratura perdizione del
possesso o modificazione preesistente di una situazione precedente: lo spoglio può essere
effettuato o in maniera violenta o in maniera clandestina. Tale azione si può esperire solo quando
lo spoglio è accompagnato dall’animus spoliandi, cioè la volontà di compiere un atto materiale dal
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quale deriva lo spoglio del possessore. Tale azione spetta a qualunque possessore, sia legittimo che
illegittimo, sia diretto che mediato, sia di buona o mala fede, addirittura il possessore con violenza o
clandestinità ha la facoltà di esperire tale azione, così come può essere esercitata dal detentore
qualificato. Il legittimato passivo è chi ha esercitato lo spoglio o chi ha ricevuto il bene
successivamente dallo spoglio. Tale azione però non è imprescrittibile, ma sono soggetto ad un
termine decadenziale molto breve di 1 anno decorrente dal giorno del sofferto spoglio o dal giorno
della sua scoperta. Qualora lo spoglio non sia stato ne violento ne clandestino, non è possibile agire
con un’azione di reintegrazione, ma il soggetto potrà agire con la seconda azione possessoria.
2. AZIONE DI MANUTENZIONE = può essere esperita in due casi:
 quando sia richiesta la reintegrazione del possesso dal possessore che sia visto spogliato il
bene che non è stato ne violento ne clandestino
 serve a garantire il possessore che subisce delle molestie o turbative nel godimento del
bene da parte di terzi, ove per molestia o turbativa è qualunque attività che rechi al
possessore un disturbo apprezzabile che può consistere sia in atti materiali sia in molestie
di diritto, cioè con atti giuridici o di natura stragiudiziale notificati al possessore e arrecano
a questo pregiudizio.
La giurisprudenza ritiene che per quanto riguarda l’azione di spoglio, nell’ambito dell’azione di
manutenzione essa sia esperibile quando c’è l’animus turbandi: la consapevolezza che il proprio
atto materiale giuridico sia arrecando pregiudizio al possessore. Tale azione non spetta al detentore
e neppure a tutti i possessori in maniera indistinta, ma solo al possessore di un immobile, di un
diritto reale su un immobile o di una universalità di immobili e a condizione che sia possessore
continuativi vo da almeno 1 anno. Anche l’azione di manutenzione è soggetta alla decadenza da un
anno per uno spoglio ne violento ne clandestino, ovvero un anno da giorno in cui ha avuto inizio
questa attività che reca molestia e turbativa.

Lezione n 22

OBBLIGAZIONE = è un vincolo di carattere giuridico in virtù del quale un soggetto passivo, detto debitore, è
tenuto a una prestazione a favore o nei confronti di un soggetto attivo detto creditore.

Una volta definita un’obbligazione, si deve capire da dove nascono le obbligazioni: l’art 1173 cc prevede che
le obbligazioni nascono dal:

1. contratto
2. fatto illecito (es obbligazione di risarcire il danno cagionato)
3. ogni altro atto o fatto giuridico idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento
giuridico (es art 1989 cc: promessa al pubblico)
Tale vincolo giuridico deve essere caratterizzato da un carattere patrimoniale della prestazione: la
prestazione che forma oggetto della obbligazione deve avere CARATTERE PATRIMONIALE cioè esser
suscettibile di valutazione economica. Quindi la prestazione deve consister o nel pagamento di una soma di
denaro o di un comportamento di un debitore che sia riconducibile alla somma di denaro che ne
rappresenta il valore. L’art 1174 cc dice che l’interesse del creditore può anche essere non patrimoniale la
prestazione dunque dedotta deve essere suscettibile di valutazione economica ma po' esser corrispondente
ad un interesse anche non patrimoniale del creditore.

*obbligazione = rapporto giuridico; prestazione = ciò che le parti hanno dedotto in obbligazione*

OSS: differenza tra diritti reali di godimento e diritti personali di godimentonei diritti reali di godimento
non è necessario la cooperazione del terzo affinché il titolare del diritto possa godere quel diritto infatti si
ha un rapporto immediato e diretto con il bene. Invece nei diritti personali di godimento (vedi locazione) è
necessaria la cooperazione di un altro soggetto per godere del bene (es: contratto di locazione = è il

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contratto con il quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un certo
tempo dietro il pagamento di un corrispettivosi deve far godere la cosa mobile o immobile all’altro e si
deve pagare il canone a chi mi fa godere della cosaobbligazione di fare e obbligazione di dare).

Esistono vari tipi di prestazione:

1. prestazione di dare o consegnare = si distinguono due tipi di queste:


 obbligazioni di genere = l’oggetto dell’obbligazione è una cosa determinata solo nel suo
genere (es una somma di denaro, una tonnellata di grano etc)l’art 1178 cc espone la
regola secondo la quale il debitore deve prestare cose di qualità non inferiore alla media
 obbligazioni di specie = l’oggetto dell’obbligazione è una cosa determinata nella sua
identità (es l’appartamento X)l’obbligazione di consegnare una cosa determinata nella
specie include l’obbligo di custodirla fino alla consegna (art 1177 cc)
2. prestazioni di fare = si distinguono in:
 obbligazioni di mezzi = ci si vincola nei confronti del creditore solo nel svolgere una
determinata attività ma non garantire il risultato a cui potrebbe giungere tale
attivitàsono dette obbligazioni di comportamento o di condotta perché in tali
obbligazioni si deve verificare se si abbia adempiuto con la diligenza dell’uomo medio.
Quindi nell’eseguire le prestazioni di obbligazioni di mezzi si deve usare la diligenza
dell’uomo medio (nelle attività professionali la diligenza del professionista medio)
 obbligazioni di risultato = il debitore si obbliga a conseguire il risultato (es. contratto di
trasporto
Da un punto di vista strettamente pratico, da ciò consegue che la differenza tra le
obbligazioni di mezzi e risultato in merito al rapporto tra creditore e debitore sta nel fatto
che solo e soltanto nelle obbligazioni di mezzi il debitore può liberarsi da responsabilità
dimostrando la sua diligenza (ha una prova liberatoria in più)
3. prestazione di non fare = sono delle obbligazioni negative che hanno dei vincoli di durata
abbastanza contenuti in quanto queste tipologie di obbligazioni vanno a limitare il principio di
autodeterminazione e dunque la circolazione di beni nel mercato (es divieto di non concorrenza è
molto frequente
4. prestazione di contrattare = ha per oggetto la conclusione di un futuro contratto ed è il caso del
contratto preliminare (è un contratto dal quale sorge l’obbligo di contrattare un ulteriore contratto
detto definitivo e presenta già tutti i requisiti essenziali minimi di un futuro contratto da
concludere)
5. prestazioni di garanzia = ha per oggetto l’assunzione di un rischio (es garanzia per vizi della cosa
venduta)
Procediamo poi agli ART 1175 CC: il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole di
correttezza: questa è una clausola generale perché a seconda degli usi, del tempo, dei costumi sociali si
estrinseca in maniera diversa. Inoltre la buona fede in senso oggettivo corrisponde al principio di
correttezza, perché infatti la buona fede in senso soggettivo è l’ignoranza di non ledere l’altrui diritto.

ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI. L’art 1176 cc prevede che nell’adempiere alle obbligazione il
debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (cioè l’uomo medio). Come detto prima nel co 2
si specifica che le obbligazioni aventi natura professionale, la diligenza è parametrata al professionista
medio (che ha un bagaglio culturale che l’uomo medio tout court non ha). Al dovere di correttezza o buona
fede in senso oggettivo, vengono ricondotti anche obblighi previsti in singoli rapporti contrattuali, i
cosiddetti obblighi di protezione, nei confronti dell’altra parte per far si che si realizzi l’interesse in funzione
del quale si è contrattato.

Lezione n 23

54
Art 1175 cc: il debitore e creditore devono fare ricorso a buona fede, intesa come correttezza e lealtà
nell’ambito del rapporto obbligatorio. Avevamo poi iniziato a vedere che in aggiunta a questo obbligo di
correttezza, all’art 1176 cc la legge prevede che nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia, ove per buon padre di famiglia deve intendersi la diligenza dell’uomo
medio. Il co 2 compie una precisazione ove si dice che nell’adempire delle obbligazioni nell’esercizio di un
attività professionale, la diligenza deve valutarsi non al buon padre di famiglia, ma alla diligenza del
professionista medio. Queste norme di carattere generale riguardano le modalità con cui adempiere le
prestazioni e la norma base per verificare se una prestazione è stata correttamente adempiuta o meno,
però ci sono anche altri indici che servono a valutare l’esattezza della prestazione, cioè a valutare de il
debitore ha eseguito correttamente la prestazione perché noi sappiamo che la prestazione costituisce
l’oggetto del rapporto obbligatorio e affinché il rapporto obbligatorio sia eseguito correttamente, deve
essere correttamente eseguita la prestazione. Il primo elemento è quello relativo alla modalità
dell’esecuzione (vedi diligenza scritto sopra) e questo indice è importante per valutare in particolare
l’adempimento delle obbligazioni di mezzo (che sono dette infatti obbligazioni di comportamento di
condotta ove è centrale la condotta tenuto dal debitore che si libera se fornisce la prova di aver agito ex art
1176 cc); il secondo elemento è il TEMPO DELL’ESECUZIONE e qui andiamo all’ART 1183 fino a ART 1187 cc:
il tempo serve a valutare se rispetto alla tempistica data dalle parti la prestazione sia stata correttamente
portata a termine. Dall’art 1183 cc si capisce che se non è stato fissato una data dalle parti, il creditore può
esigere la prestazione immediatamente, ma se alla luce delle circostanze del caso concreto è necessario un
termine e non c’è accordo tra le parti, esso viene fissato dal giudice. Il co 2 dice che…………… L’art 1184 cc
dice che il termine fissato è presunto essere a favore del debitore e ne deriva dunque che il creditore non
può pretendere la prestazione prima del termine fissato: quando c’ è un termine dunque si presume fissato
a favore del debitore a meno che non sia espressamente a favore del creditore o entrambi. L’art 1185 cc
prevede che il creditore non può pretendere la prestazione prima del termine, ma il co 2 dice che in ogni
caso se il debitore esegue la prestazione prima del termine, non ha azione per riottenere quanto dato
anche se non era a conoscenza dell’esistenza del termine a suo favore. La ratio di questa norma è
ricondotta al fatto che anche se era anticipata la prestazione, era un atto dovuto e dunque prima o poi si
doveva eseguire. Lo stesso comma però dice che eventualmente il debitore, se il pagamento anticipato ha
creato un arricchimento a favore del creditore che non avrebbe avuto se il debitore avesse pagato nel
termine, può riottenere in dietro questo plus di cui si è arricchito il debitore. Questa norma è molto
importante perché si deve sapere sin da adesso l’AZIONE DI RIPETIZIONE e l’ARRICCHIMENTO SENZA
CAUSA: l’art 2033 cc sancisce proprio questo tipo di azione, ove per “ripetere” vuol dire avere indietro e dal
punto di vista pratico ha un rilievo importante perché tutte le volte che si esegue una prestazione non
dovuto allora si può riottenere indietro quanto dovuto salvo determinate ipotesi che sono ad esempio la
prestazione contraria al buon costume e le obbligazioni naturali. Ad esempio quando un soggetto vuole far
valere la nullità del rapporto obbligatorio, la nullità dello stesso consente di ripetere ciò che si è dato in
esecuzione del rapporto. Questo è l’indebito oggettivo, mentre per indebito soggettivo che riguarda il
pagamento fatto nelle mani di chi non è legittimato a riceverlo (art 2036 cc): in questo caso l’azione di
ripetizione dell’indebito soggettivo si ha quando si paga un debito che credevo proprio invece era di altri.
L’art 2041 cc fa riferimento all’arricchimento senza causa: chi si è arricchito senza causa a danno di un altro,
deve indennizzare questo della correlativa diminuzione patrimoniale  questa è detta AZIONE DI
ARRICCHIMENTO.

Ritornando al tempo dell’adempimento, la DECADENZA DAL TERMINE fissato si può avere quando il
debitore è insolvente o ha diminuito per fatto proprio le garanzie che aveva dato o non ha dato le garanzie
promesse: in questi casi il creditore può esigere immediatamente la prestazione. Per insolvente si fa
riferimento ad un oggetto che non ha più un patrimonio tale da poter garantire il creditore in caso di
inadempimento. Ciò trova la legittimità giuridica nell’art 2740 cc: il debitore risponde dell’adempimento
con tutti i suoi beni presenti e futuri e dunque è con il patrimonio che il debitore garantisce
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dell’adempimento. L’art 1187 cc prevede che il termine è computato ex art 2963 cc che è dettato in materia
di decorso del termine di prestazione (è una norma di dettaglio).

Dunque sino ad adesso si sono visti 2 parametri per verificare la corretta esecuzione di una prestazione: le
modalità di esecuzione e il tempo dell’esecuzione. Un altro parametro importante per valutare l’esattezza
delle prestazione è il LUOGO DELL’ ADEMPIMENTO. Le regole generali sono dettate dal codice civile in via
suppletiva: l’art 1182 cc prevede che nel caso di obbligazione di dare una cosa certa e determinata,
l’obbligazione deve esser fatta ove l’obbligazione è sorta, etc…………..

Un ulteriore indice per valutare è LA PERSONA CHE ESEGUE LA PRESTAZIONE: l’art 1191 cc prevede che il
debitore incapace che ha eseguito la prestazione non può impugnare tale pagamento perché incapace,
questo perché è un atto dovuto: tale norma si applica quando un soggetto si vincola e successivamente
diviene incapace. Però si osserva che tale articolo si riferisce all’ipotesi di incapacità sopravvenuta, mentre
l’art 428 cc sancisce che se si fosse incapace sin dal primo momento, il rapporto obbligatorio sarebbe
annullabile.

Un altro elemento è la persona destinataria della prestazione: vengono in rilievo art 1188, 1180 e 1190 cc. Il
1188 prevede che il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante o alla persona
indicata dal creditore o dal giudice e dalla legge autorizzata. Il co 2 prevede che il pagamento fatto ad un
soggetto non legittimato libera il debitore solo se il creditore lo ratifica o se ne è approfittato. Altrimenti il
debitore non si è liberato e deve rifare il pagamento nelle mani corrette. Il 1189 cc è espressione del
PRINCIPIO DELL’APPARENZA: il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo, è
liberato se prova di essere stato in buona fede, ove per buona fede si intende in senso oggettivo e anche
nel senso che si è posto in essere per accertarsi per quanto si potesse che quello era il creditore tutti gli
accertamenti imposti dall’obbligo di diligenza: si parla di creditore apparente.

Un ultimo criterio è L’IDENTITA’ DELLA PRESTAZIONE: per adempiere all’obbligazione si deve svolgere la
stessa prestazione dedotta dal rapporto obbligatorio ma l’art 1197 cc dice che il debitore non si può
liberare con una prestazione diversa ma può farso solo se il creditore vi consenta: si chiama prestazione in
luogo dell’adempimento. In tal caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione viene eseguita.
Se però la diversa prestazione diviene impossibile, il debitore deve adempiere alla prestazione originaria
perché questa non è stata estinta dall’accordo delle parti perché infatti si parla di obbligazioni alternative: o
l’una o l’altra. Ciò distingue la prestazione in luogo dell’adempimento dalla novazione, cioè una modo di
estinzione dell’obbligazione diverso dall’ adempimento in forza del quale le parti del rapporto obbligatorio
si accordano nel senso di cancellare l’obbligazione originaria e sostituirne con una nuova diversa da quella
originaria per l’oggetto e per il titolo.

**differenza tra prestazione in luogo dell’adempimento e novazione : domanda classica di esame**

OBBLIGAZIONI PECUNIARIE: sono obbligazioni che hanno ad oggetto il pagamento di denaro e sono rette da
un principio loro proprio cioè principio nominalistico. L’obbligazione di restituire un somma di denaro
rimane invariata con il passare del tempo e dunque se si riceve 100 si deve restituire il valore nominare cioè
cento nonostante con il tempo il denaro può perdere il potere di acquisto a causa del fenomeno
dell’inflazione. Ci sono però dei meccanismi contrattuali che servono a paralizzare la perdita di valore nel
tempo del denaro nel senso che impongono una automatica rivalutazione della moneta parametrata sul
potere di acquisto. Il principio nominalistico è sancito dall’art 1277 cc mentre l’art 1278 cc disciplina che se
l’oggetto della prestazione è una moneta non aventi corso legale, il debitore ha facoltà di pagare nella
moneta legale ma tale regola non si applica se la moneta non avente corso legale non abbia la clausola
“effettivo” salvo che non ci sia più la moneta in circolazione (art 1279 cc). Si possono prevedere clausole di
rivalutazione monetarie come la clausola oro o la clausola istat, che sono clausole di indicizzazione cioè
adeguano l’importo nominale del debito al potere di acquisto della valuta calcolato sulla base di certi

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parametri. Le obbligazioni pecuniarie si distinguono tra debiti di valuta e debiti di valore: per quanto
riguarda i primi, la valuta è la moneta di per sé e dunque il debito di valuta implica che si deve consegnare
quella somma di denaro in quanto tale; per quanto concerne i secondi, il denaro viene in considerazione
come valore di un altro bene e non come bene in se per se coonsiderato

Lezione n 24

ESEMPI DI DEBITI DI VALORE: le somme dovute a titolo di risarcimento per aver distrutto un bene, per aver
sconfinato i limiti, detta accessione invertita  il proprietario della cosa accessoria diviene proprietario
della cosa principale che si verifica solo nell’ipotesi ex art 938 cc: occupazione di porzione di fondo attiguo.
Il debito di valore si riferisce al denaro che viene in rilievo come controvalore della porzione del fondo
occupato in buona fede dal vicino che ha sconfinato e mi deve il doppio del valore del fondo occupato
(*terza domanda specifica: accessione invertita*).

La peculiarità delle obbligazioni pecuniarie è, oltre al principio nominalistico, che la somma di denaro
proprio per la sua natura è un bene di genere e fungibile, cioè il debitore non è tenuto alla consegna di
quella determinata moneta ben potendo sostituirla con un’altra dello stesso valore: sorge in capo al
debitore l’obbligo di consegnare il bene di qualità non inferiore alla media. Inoltre un’altra peculiarità in
merito all’oggetto delle obbligazioni è gli INTERESSI, che sono frutti civili che si producono
automaticamente dal denaro nel senso che all’obbligazione di pagare una somma di denaro, si accompagna
sempre l’obbligazione accessoria di corrispondere gli interessi, qualora il credito sia liquido ed esigibile e il
contratto non stabilisca diversamente. Per credito liquido si intende determinato nel suo ammontare quindi
quando il debito che forma oggetto dell’obbligazione è di ammontare certo, mentre esigibile significa che
non è sottoposto ad un termine non ancora scaduto. Se il credito è liquido ed esigibile, allora è anche
produttivo di interessi e abbiamo due tipi di interessi: compensativi, cioè sono gli interessi dovuti su debiti
di denaro non sottoposti a termine o a termine scaduto per i quali non si sia avuta ancora la costituzione in
mora (maturano dunque nella fase fisiologica del rapporto), o interessi moratori, dopo la costituzione in
mora, cioè si fa quella formare richiesta di avere indietro il denaro dicendogli che è in ritardo e che non si
tollera ulteriori ritardi nell’adempimento (ex art 1219 cc)  gli interessi sono non come compenso, ma
come ritardo del pagamento infatti tecnicamente il termine “mora” indica ritardo. Un’altra peculiarità delle
obbligazioni pecuniarie è che il debitore che non adempie non potrà liberarsi dalla responsabilità secondo
la regola generale perché le prestazioni oggetto di tali obbligazioni non divengono mai oggettivamente
impossibili (perché di genere visto che genus nunquam perit).

Per ANATOCISMO, si intende il fenomeno della produzione degli interessi da parte di interessi scaduti: gli
interessi che un soggetto non ha dovuto a loro volta produce interessi, oppure gli interessi si calcolano solo
sulla somma originaria e non sulla somma originaria con l’aggiunta degli interessi? L’art 1283 cc dice che in
mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo nella domanda in giudizio
oppure per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che siano interessi dovuti
per almeno 6 mesi. Vi era una consuetudine per cui quando un cliente di un istituto di credito titolare di un
conto corrente risultava a debito rispetto alla banca, ogni 3 mesi si faceva operare (e non a cadenza
semestrale) l’anatocismo, cioè la banca calcolava sulle somme che le erano dovute anche gli interessi
prodotti dagli interessi scaduti da 3 mesi: erano invalso l’uso di annotare con cadenza trimestrale gli
interessi a debito del correntista e quindi di ritenerli a loro volta produttivi di interessi. Potete capire che
questo uso applicato da tutti gli istituti di credito a tutti i rapporti con la clientela possono implicare somme
che diventano importantissime: le banche davano come giustificazione di questa pratica l’inciso “in
mancanza di usi contrari”, infatti dicevano che vi erano gli usi bancari, però vengono ritenute nulle le
operazioni di capitalizzazioni trimestrali degli interessi a cui si rifacevano le banche e la giurisprudenza in
particolare la Cassazione ha detto che l’attività consistente nel derogare all’art 1283 cc è nulla perché gli usi
bancari a cui le banche si appellavano non sono usi normativi, ma sono usi negoziali e infatti se ne era

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parlato nelle fonti del diritto all’inizio del corso. Infatti la cassazione ha detto che se la consuetudine e
dunque le clausole nei contratti con la clientela fossero riproduttivi di un uso normativo, l’anatocismo
trimestrale sarebbe valido, ma se, come ritiene la cassazione, le clausole dei contratti bancari sono
espressione di usi negoziali, ossia di clausole non scritte di un contratto vincolante per i contraenti salva
diversa volontà delle parti (cioè prassi contrattuali reiterate), sarebbero nulle perché contrarie alla
disciplina dell’art 1283 cc. La cassazione dunque è arrivata a dire che l’uso di annotare con cadenza
trimestrale gli interessi a debito del correntista è negoziale e non normativo e non lecito di derogare all’art
1283 cc. Ciò ha creato notevolissimi problemi perché la nullità delle clausole implica l’azione di ripetizione,
cioè se si sancisce la nullità di quelle clausole, si apre le porte alla possibilità di richiedere indietro la somma
di denaro che nel tempo il correntista ha dato alla banca in esecuzione della clausola nel contratto
credendo che derogasse validamente all’art 1283 cc, e tale azione si prescrive per 10 anni e dunque per 10
anni si può richiedere le somma di denaro che la banca ha indebitamente percepito: ripetizione di indebito
oggettivo. E’ intervenuto poi anche il legislatore ed ancora la cassazione ma ora la linea si è stabilizzata in
questo senso. A seguito dei grandi impatti delle regole si legge, si parla dell’analisi economica del diritto.

Lezione n 25

OBBLIGAZIONI SOGGETTIVAMENTE COMPLESSE o PLURISOGGETTIVE: ci riferiamo all’ipotesi in cui nelle


obbligazioni ci siano più debitori o/e più creditori: in questo caso ci sono due categorie di obbligazioni:

1. Obbligazioni solidali (art 1292 cc): quando più debitori sono obbligati tutti per la stessa prestazione
in modo che ciascuno può essere costretto ad adempierle per la totalità e l’adempimento di un solo
debitore libera gli altri  questa è la solidarietà passiva perché vi sono più debitori. Mentre si parla
di solidarietà attiva ex art 1292 co 2 quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere
l’adempimento di ciascuno obbligazione e l’adempimento del debitore lo libera da tutti i creditori
2. Obbligazioni parziarie: quando la prestazione che fa capo a più soggetti si divide si può aver
parziarietà attiva, quando ciascun concreditore più esigere dal debitore comune solo la sua parte
della prestazione, mentre per parziarietà passiva, si ha che ciascun condebitore dello stesso
creditore può esser obbligato a pagare solo la sua quota di debitor
Le regole fondamentali sono: quando vi sono più creditore dello stesso debitore, si intende un obbligazione
parziaria, a meno che la legge o la volontà delle parti non dispongano diversamente; quando vi sono più
debitori di un solo stesso creditore, l ‘obbligazione per il favor creditoris si intende solidare fatto slavo
diversa previsione della legge o delle parti (art 1294 cc). I rapporti interni tra i debitori o creditori solidari si
divide l’obbligazione in solido tra i diversi creditori o debitori ex art 1298 cc, a meno che l’obbligazione sia
stata contratta a favore di un solo di essi, e le parti si considerano uguali. Il debitore in solido che ha pagato
il debito può ripetere e dunque riottenere dai condebitori solo la parte di ciascuno di essi; se uno di essi
però è insolvente, allora la perdita si contribuisce tra gli altri compreso chi ha fatto il pagamento ex art 1299
cc: è l’azione di regresso. Per quanto riguarda le obbligazioni indivisibili, si applica la disciplina della
solidarietà

INADEMPIMENTO: si ha quando il debitore o non esegue la prestazione o non la esegue correttamente la
valutazione della correttezza della prestazione deve essere parametrata alla diligenza del buon padre di
famiglia, il tempo, il destinatario, il luogo e la persona che esegue la prestazione (vedi lezioni precedenti). A
seguito di inadempimento del debitore, incombe la responsabilità in capo al debitore ex ART 1218 CC che è
anche la norma cardine della responsabilità contrattuale. La norma invece fondamentale in merito alla
responsabilità extracontrattuale è l’ART 2043 CC. L’art 1218 cc statuisce quindi che il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno a meno che non dimostri che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione e che questa
impossibilità della prestazione deriva da causa a lui non imputabile: questa è la PROVA LIBERATORIA dalla
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responsabilità che incombe sul debitore. Tale prova non è sempre agevole e si deve suddividere in due
tronconi:

a) il debitore deve innanzitutto deve provare che si è verificata un’ipotesi di impossibilità oggettiva di
eseguire la prestazione, ove per responsabilità oggettiva si intende che l’adempimento risulta
impossibile a qualsiasi altro debitore di quel determinato tipo di prestazione: è oggettivamente
impossibile per qualsiasi soggetto che si fosse obbligato ad eseguire quella stessa prestazione.
L’impossibilità che non libera è la responsabilità soggettiva, cioè che è in definitiva imputabile a
quello specifico debitore e dunque la difficoltà che ha avuto quello specifico debitore se non è una
difficoltà in cui non sarebbe incorso qualsiasi altro debitore chiamato ad eseguire la stessa
prestazione, non lo libera.
b) Il debitore deve poi dimostrare che l’impossibilità derivi da cause non imputabili al debitore, quali il
caso fortuito o la forza maggiore o il fatto del terzo o il fatto del principe (= mediante un ordine
della pubblica autorità)
Andiamo ora a declinare l’impossibilità sui vari tipi di obbligazioni:

1. obbligazioni di consegnare una somma di denaro  non diviene mai impossibile


2. obbligazione di consegnare una cosa nel genere  non diviene mai impossibile, a meno che il
genere di riferimento è limitato
3. obbligazione di consegnare cose di specie  può diventare oggettivamente impossibile
4. obbligazioni di mezzi  il metro per valutare è la diligenza ex art 1176 cc e la prestazione può
diventare oggettivamente impossibile e può essere non imputabile al debitore e dunque è liberato
o può essere imputabile al debitore e dunque non è liberato
5. obbligazioni di risultato  può essere oggettivamente impossibile e la causa dell’impossibilità può
essere imputabile al debitore che non è dunque liberato, oppure non può essere imputato al
debitore che dunque è liberato
6. obbligazioni di non fare  il debitore è sempre responsabile perché ogni fatto compiuto in
violazione dell’obbligazione negativa è riconducibile alla sua volontà
LA MORA DEL DEBITORE

La mora del debitore è il ritardo del debitore nel senso che il creditore lo intima formalmente e per iscritto
dimostrando di non tollerare ulteriormente il ritardo dell’adempimento. E’ un atto che deve essere
compiuto dal creditore perché altrimenti l’ordinamento presume la tolleranza nel ritardo. L’art 1219 cc
statuisce la costituzione in mora e lo stesso articolo prevede che non sia giusto la presunzione sopracitata
quando:

 il debito derivi da fatto illecito


 il debitore ha per iscritto detto che non vuole eseguire la prestazione
 è scaduto il termine se la prestazione eseguita al domicilio del creditore
L’art 1220 stabilisce l’offerta non formale dal debitore che non può essere considerato in mora.
Praticamente gli effetti della costituzione in mora sono due: innanzitutto si fa perché può servire a
smuovere le acque (motivo di opportunità) e dunque forse si riesce ad avere la prestazione; in secondo
luogo sul piano pratico l’art 1221 cc stabilisce che il debitore in mora non è liberato per la sopravvenuta
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, ma come prova liberatoria può
dimostrare che l’oggetto della prestazione sarebbe perito presso il creditore; in ultimo nelle obbligazioni
pecuniarie ex art 1224 cc dal giorno della mora sono dovuti gli interessi al tasso legale anche se non erano
dovuto primo anche se il creditore dimostra che non ha ricevuto alcun danno: sono detti interessi moratori.

Lezione n 26

omissis
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Lezione n 27

Abbiamo visto che il modo fisiologico per estinguere un’obbligazione è l’adempimento, mentre un altro
modo per estinguersi è l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, cioè c’ è la prova liberatoria ex art
1218 cc: si dice che è un modalità non satistativa di estinzione dell’obbligazione perché il creditore non ha
ricevuto la prestazione e non ha potuto chiedere il risarcimento del danno, ma potrà richiedere di ripetere
la sua prestazione o meglio quanto ha pagato per la prestazione che il debitore non è riuscito ad eseguire.
Gli articoli di legge di riferimento sono gli artt 1256 ove si parla anche di impossibilità temporanea. L’art
1257 cc stabilisce che l’obbligazione che ha per oggetto una cosa determinata si definisce impossibile
quando la cosa è smarrita senza aver dimostrato il perimento. L’art 1258 cc invece riguarda le obbligazioni
divisibili, per le quali se parte di essa è impossibile il debitore si libera adempiendo alle prestazioni possibili
da eseguire.

Un’altra modalità di estinzione delle obbligazioni è la NOVAZIONE: essa è un contratto in forza del quale il
debitore e creditore si accordano nel senso di sostituire l’obbligazione alla quale sono vincolati con una
diversa obbligazione che si distingue dalla precedente che si distingue o per l’oggetto o per la causa/titolo.
Questa assomiglia all’istituto della prestazione in luogo dell’adempimento, ma la differenza che sussiste tra
i due sta nel fatto che ex art 1197 cc nella novazione le parti si accordano di sostituire l’obbligazione
originaria con una nuova, mentre nell’altro istituto si accordano nel senso di aggiungere o rendere
alternativa un’altra obbligazione e dunque qualora la nuova obbligazione aggiunta risulti impossibile, il
debitore è sempre costretto ad eseguire la prestazione originaria. Quella di cui abbiamo parlato ora è la
novazione oggettiva: la legge ex art 1230 co 2 dice che la volontà di estinguere l’obbligazione deve risultare
in modo non equivoco e dunque espresso e chiaro. L’art 1231 cc dice che non significano che ci sia stata
novazione il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione o eliminazione di un termine. In
ultimo l’ultima regola dice che la novazione è senza effetto se non esistevano l’obbligazione originaria ex art
1234 cc: qualora quell’obbligazione originaria sia fondata da una causa annullabile, la novazione è valida
che il debitore ha assunto il debito sapendo del vizio del titolo originario. L’art 1235 cc dice che quando un
nuovo debitore è sostituito a quello originario che viene liberato, si rimanda al capo 6° di questo titolo: tale
articolo è rubricato come novazione soggettiva, con la quale si intende che un nuovo debitore si sostituisce
con quello originario che viene liberato  avviene una sostituzione di un soggetto del rapporto
obbligatorio. Negli artt 1268 e ss ci sono delle regole importanti: l’istituto importante che sembra difficile è
la DELEGAZIONE ex art 1268 cc. In forza di tale istituto, un debitore, detto delegante, assegna al creditore,
detto delegatario, un nuovo debitore, detto delegato che si obbliga verso il creditore, ma il debitore
originario non è liberato salvo che il creditore non espliciti la sua liberazione. Il delegante deve qualcosa al
delegatario però si ha anche che il delegante è creditore del delegato e quindi per estinguere con un solo
passaggio due rapporti obbligatori, si può chiedere al delegato di adempiere al delegatario in luogo del
delegante: la finalità è semplificare i traffici giuridici. Il rapporto che c’è tra delegante e delegatario è detto
il rapporto di valuta, mentre invece il rapporto tra delegato e delegante è un rapporto di debito credito che
è detto rapporto di provvista. Si distinguono poi due tipi di delegazione: delegazione di debito e
delegazione di pagamento. Dal punto di vista tecnico la delegazione di pagamento è quella più rapida
perché nella delegazione di debito c’è un debito e dunque si crea un nuovo rapporto obbligatorio tra il
delegatario e il delegato. La delegazione può anche essere poi privativa o cumulativa: nell’ultima non si ha
la liberazione del delegante, infatti il delegato e il delegante sono due soggetti obbligati verso il creditore,
che però potrebbe liberare il delegante: si tratterebbe in questo caso di delegazione privativa. La prima si
trova ex art 1268 cc che è una delegazione di debito, mentre la seconda è disciplinata ex art 1269 cc:
affinché una vera e propria delegazione soggettiva, deve verificarsi una delegazione privativa di debito.

Un altro modo di estinzione è la REMISSIONE: l’art 1236 sancisce che mediante la remissione il creditore
estingue il proprio credito verso il debitore quando è comunicata al debitore a meno che il debitore in un
congruo termine dichiari di non volere profittare della remissione del debitore.
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Un altro modo è la CONFUSIONE ex art 1253 cc e si ha quando la persona del creditore per un certo motivo
si identifica nella persona del debitore (es successione testamentaria) e terzi che hanno prestato garanzia
per il debitore si liberano. L’art 1255 cc dice che se nella stesa persona si riuniscono le qualità di fideiussore
e debitore principale, la fideiussione resta in vita se il creditore vi ha interesse: essendo la fideiussione una
garanzia personale, il rapporto di garanzia può attribuire delle prerogative ulteriori e diverse al creditore
che può avere interesse a mantenere in vita (es si possono opporre delle eccezioni diverse al debitore e
fideiussore).

L’ultimo modo di estinzione dell’obbligazione è la COMPENSAZIONE ex art 1241 cc: due persone sono
obbligate tra loro in virtù di due diversi vincoli obbligatori e in tal caso i due debiti si estinguono per le
modalità corrispondenti alle obbligazioni ricorrenti tra i due. Ci sono 3 tipi di compensazione: la prima è la
compensazione legale, che si verifica in forma automatica dal momento della coesistenza dei due debiti. La
compensazione si verifica ex art 1243 cc quando i debiti sono di una somma di denaro o cose fungibili
omogenei, liquidi ( il suo ammontare è determinato con un calcolo aritmetico) ed esigibili. La
compensazione giudiziale si ha quando i debiti sono omogenei ed esigibili ma non sono liquidi ma di facile e
pronta liquidazione, mentre la compensazione volontaria si ha quando ex art 1252 cc.

Agli art 1260 si tratta dell’istituto della CESSIONE DEL CREDITO: l’utilità della cessione di credito è ricondotta
nella necessità di avere soldi liquidi subito, ma spesso il credito viene venduto non al valoro nominale ma
vendita a sconto proprio perché è il creditore originario ad avere interesse ad avere subito soldi liquidi: per
vendere e dunque cedere un credito, si fa un contratto di vendita ex art 1260 cc: il creditore può trasferire a
titolo gratuito o oneroso anche senza il consenso del debitore purché il credito non abbia carattere
strettamente personale. La cessione di credito ha effetto quando gli è stata notificata o se l’ha accettata, ma
se il debitore paga il debito prima della notificazione al creditore originario, anche se sapeva della cessione
di credito, non è liberato. L’ART 1265 CC stabilisce che se il credito è oggetto di cessioni multiple, prevale la
cessione notificata per prima. L’art 1266 cc stabilisce che il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del
credito al tempo della cessione; il cedente non risponde della solvenza del debitore ex art 1267 cc a meno
che non abbia assunto specificatamente tale garanzia: in tal caso risponde nei limiti di quanto ha ricevuto.

Lezione n 28

omissis

Lezione n 29

CONTRATTO

La domanda classica che capita in esame è “mi parli dell’accordo?”. L’accordo è l’elemento cruciale sul
quale si basa il contratto ed è l’incontro delle volontà delle parti: l’accordo si intende perfezionato quando
si arriva alla piena coincidenza delle dichiarazioni di volontà delle parti, in particolare si ha la proposta e poi
c’è la parte che deve fare l’accettazione dinnanzi alla proposta dopo averla valutata. La regola generale che
vige è l’autonomia delle parti: nel contratto bilaterale si hanno quindi due dichiarazioni di volontà, da un
lato c’è la proposta che è un atto unilaterale e dall’altro lato l’altra parte deve esprimere il suo assenso con
l’accettazione. Se l’altra parte non accetta ma rilancia, che tecnicamente si dice che fa una controproposta,
allora ovviamente la controproposta funge da nuova proposta e dunque chi avrebbe dovuto accettare
diviene proponente e si va avanti così fino a quando il contenuto della proposta non coincide con il
contenuto dell’accettazione, cioè fin quando le due parti non siano d’accordo ed in maniera figurata si
stringono la mano. Per capire l’esatto secondo in cui si perfeziona il contratto e dunque si verifica la
coincidenza delle volontà, si deve analizzare due tipologie di contratto: è simultaneo se si hanno le parti
presenti nello stesso luogo e dunque la presenza delle firme in calce rende sufficiente la presunzione della
coincidenza delle volontà. L’esempio funziona quando il contratto deve essere concluso per iscritto, ma se
fosse stato orale e ci si accorda di metterlo per iscritto, allora l’accordo si è avuto quando chi ha fatto la
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proposta ha avuto notizia dell’accettazione dell’atra parte. La regola generale comunque è che ai sensi
dell’art 1326 co 1, il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza
dell’accettazione dell’altra parte: è il principio di cognizione. Il medesimo articolo poi dice che
l’’accettazione deve giungere al proponente nl termine da lui stabilito, o quello necessario ordinariamente.
Inoltre il co 4 prevede che se è necessario una forma particolare, l’accettazione non ha effetto se con forma
diversa. In generale infatti è necessaria la forma scritta che costituisce una prova di conclusione del
contratto. Il co 5 prevede che un’accettazione non conforme alla proposta costituisce una nuova proposta.
Comunque nel nostro ordinamento vige sì il principio di cognizione, ma viene chiamato PRINCIPIO DI
COGNIZIONE ATTENUATO, infatti l’art 1335 cc prevede che ogni dichiarazione diretta ad una persona si
presume venga conosciuta quando giunge all’indirizzo del soggetto, salvo che il diretto interessato dimostri
di essere stato impossibilitato di averne notizia. L’attenuazione fa riferimento al fatto che basta la
conoscibilità ma non l’effettiva conoscenza.

***quali sono le presunzioni che assistono al possesso?*** (2° domanda d’esame).

La proposta e l’accettazione possono essere revocate: la prima può essere fatto prima della conclusione del
contratto, la seconda può avvenire se la revoca avviene prima del proponente prima dell’accettazione. Ma è
possibile che il proponente si obblighi a mantenere ferma la proposta per un certo tempo: è detta
proposta irrevocabile. La morte o sopravvenuta incapacità di fare la proposta non toglie efficacia alla
proposta (art 1329 cc). L’art 1330 cc dice che la proposta fatta dall’imprenditore che diventa incapace o
muore non rende inefficacie la proposta a meno che si tratta di piccoli imprenditori o risulti dalla natura
dell’affare o altre circostanze. Un altro istituto importante (***una terza domanda dell’esame è mi dica
quale è la differenza tra la proposta irrevocabile e il patto di opzione ex art 1331 cc***) è il patto di opzione
ex art 1331 cc che prevede che diversamente dalla proposta irrevocabile è una dichiarazione unilaterale, le
parti creano un contratto mediante il quale uno di esse rimarrà vincolata alla propria dichiarazione e l’altra
abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima parte che si considera irrevocabile. E’
necessario però ex co 2 un termine, che se non è stato fissato, può essere stabilito dal giudice. Dunque il
patto di opzione è 1) un contratto; 2) è necessario un termine; 3) essendo un contratto il patto di opzione
può essere ceduto: queste sono le differenze con la proposta irrevocabile. Quindi si ha la soggezione in
capo al proponente e l’altro gode del diritto potestativo di accettare o no.

Ci sono dei casi nei quali il contratto si perfeziona secondo altre regole (***quali sono le deroghe al
principio di cognizione?***). Basti pensare ai contratti reale, che si perfeziona con la datio rei, cioè la
consegna della cosa (es di contratti reali sono il mutuo, il comodato, il deposito, pegno e ipoteca. Si
sottolinea che è importante non confondersi con i contratti ad effetti reali, che implica il trasferimento della
titolarità di un diritto di proprietà. I contratti in generale infatti si distinguono in contratti consensuali, che
possono avere effetti reali (ex art 1376 cc) e si perfezionano con il principio di cognizione, e contratti reali,
che si perfezionano con la consegna della cosa. Quindi le deroghe al principio di cognizione sono 1) i
contratti reali; 2) i contratti con l’obbligazione del solo proponente (art 1333 cc) ove c’ è il principio del
silenzio – assenso (es fideiussione); 3) l’art 1327 cc prevede che è possibile avere l’esecuzione del contratto
prima di una preventiva risposta di accettazione e nel luogo e nel momento in cui si dà inizio all’esecuzione
si presume che il contratto è concluso, su richiesta del proponente o per la natura degli affari o secondo gli
usi.

L’art 1336 cc tratta dell’offerta al pubblico: può valere come proposta se contiene gli elementi essenziali del
contratto, mentre diverso è l’invito ad offrire che consiste nell’invitare ad un terzo a fare una proposta. Le
parti nello svolgimento delle trattative devono comportarsi in buona fede, cioè correttezza e lealtà.

Lezione n 30

62
Proseguiamo con i requisiti del contratto ed analizziamo la CAUSA DEL CONTRATTO: è la funzione
economico-pratica del contratto ove il requisito della patrimonialità deve essere sempre presente parlando
di un vincolo connotato proprio da tale carattere. E dunque la funzione economico-sociale del contratto
cioè la sua causa è appunto lo scopo economico-pratico che si prefiggono le parti che concludono un
contratto. La definizione di causa non è contenuta nel nostro codice civile, anche se è un elemento
importantissimo: il legislatore ha dunque optato per la via di non fornire una definizione espressa, anzi il cc
dedica alla causa 3 articoli (art 1342 a 1345). Si ricava dalle norme che studieremo domani che nel nostro
ordinamento vige il principio di necessità, cioè non ci può essere un accordo senza una causa, cioè il nostro
ordinamento non consente in altri termini alcun spostamento patrimoniale che non sia dotato di una causa,
e dunque si deve trovare uno scopo economico-pratico oggettivo ovvero una giustificazione, altrimenti tale
spostamento se non fosse giustificato sarebbe nullo perché una causa di nullità è la mancanza di uno dei
requisiti essenziali del contratto (come la causa), e dunque lo spostamento patrimoniale in forza di un
contratto nullo può essere sottoposto all’azione di ripetizione, cioè si ha il diritto che si prescrive in 10 anni
di ripetere ciò che ho dato ex art 2032 cc per l’indebito oggettivo. Per quanto riguarda la causa nei contratti
tipici, la causa è prevista dalla legge (es: nella compravendita la causa è lo scambio di diritto con prezzo) e
può essere usata senza porsi problemi in tema di causa; nei contratti atipici, in teoria si dovrebbe cercare la
causa di un contratto (questo per evitare che qualcuno ci dica che il contratto è nullo) anche perché nei
contratti tipici la causa si presume lecita, mentre nei contratti atipici c’è il rischio che la causa sia illecita e
dunque contraria alla legge e al buon costume. In realtà questo è un esercizio più teorico perché può
capitare che si inventi un contratto nuovo a cui nessuno ha mai pensato: allora non si ha altri termini di
raffronto e giustamente il tema della causa si pone in maniera consistente, però attualmente ci sono
pochissimi casi di contratti inediti.

Un contratto misto è un contratto che unisce più schemi contrattuali: esempio sono il rent to buy, che
assomma il contratto di locazione e il contratto di compravendita; il contratto di albergo, al cui interno vi è
la locazione, il deposito e un appalto di servizi etc. In questi casi vi sono delle fusioni di cause per dare vita
ad un contratto atipico. Da questo va tenuto distinto i contratti collegati, nei quali ogni contratto mantiene
la sua individualità e il suo scopo economico pratico che non si confonde con quello di altri contratti, ma
questi sono posti in collegamento l’uno all’altro per perfezionare un’operazione complessa.

Si parla molto nella giurisprudenza delle cause in astratto e cause in concreto, anche se nel codice civile non
è prevista tale distinzione: abbiamo visto che il nostro ordinamento già prevede una serie di contratti
preconfezionati dal legislatore che non pongono problemi dal punto di vista causale. Ma attenzione, ci sono
delle ipotesi in cui ci sono problemi anche rispetto ai contratti tipici: un esempio basato sulla vendita è l’art
1500 cc che consente che la vendita contempli al suo interno un ulteriore patto cosiddetto di riscatto, cioè il
venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi
stabiliti. Ma avuto riguardo alla specifica fattispecie pratica in cui viene usato tale modello contrattuale, non
si esclude che tale modello possa essere illecito calato nella realtà concreta. Ad esempio potrebbe
verificarsi che Tizio è debitore di Caio e gli deve 100; Caio gli dice che deve restituirli in modo tale che Tizio
gli dà un suo bene che vale almeno 100 e nel caso in cui Tizio non gli restituisca 100, quel bene diviene di
proprietà di Caio. Questo patto, detto patto commissorio, non è tollerato dall’ordinamento ed è
considerato nullo perché in primis se fosse una garanzia, questa non può eccedere il valore del bene e in
secondo luogo il secondo motivo può pregnante sta nel fatto che vige il principio della parità di trattamento
dei creditori (par condicio creditorum), infatti nel patto commissorio gli altri creditori rimarrebbero con il
cerino in mano non potendo rifarsi sull’unico bene rimasto al debitore, in quanto un solo creditore si
porterebbe via una parte del patrimonio del debitore da solo. Dunque, per camuffare un patto
commissorio, Tizio e Caio potrebbero mascherarlo da vendita con patto di riscatto, nel senso che Tizio
riscatterà il bene solo se risulterà aver adempiuto all’obbligo di aver restituito i 100 altrimenti non li
riscatterà. Dunque un contratto tipico di per sé lecito viene usato per eludere un divieto di legge e dunque è

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considerata una causa illecita. Questo esempio permette di spiegare che cos’è la causa in concreto: in
astratto la vendita con patto di riscatto è lecita ma in alcuni casi può essere usata in modo distorto e
dunque anche un contratto tipico diviene di causa illecita, tenuto dunque conto della qualità delle parti, dei
rapporti intercorrenti e del contesto nel quale il contratto è perfezionato. Ciò è disciplinato all’art 1344 cc
che fa riferimento al contratto in frode alla legge; in ultimo si analizza l’art 1345 cc che parla di motivo
illecito. La differenza tra motivo e causa del contratto sta nel fatto che i primi sono irrilevanti per il nostro
mondo giuridico e sono considerati soggettivi, ma se il motivo è illecito, allora il contratto è illecito.

Lezione n 31

Il diritto di prelazione può essere convenzionale, se previsto da un accordo, o legale, se previsto


dall’ordinamento giuridico e in generale prevede che il titolare di un diritto di proprietà sul bene deve, in
caso di alienazione, rivolgersi in primo luogo al soggetto titolare del diritto di prelazione. La prelazione nelle
garanzie reali di garanzie è il diritto ad aggredire per primo il bene e a rifarsi per primo sul ricavato della
vendita del bene oggetto di garanzia. Le due garanzie reali di garanzia sono pegno ed ipoteca, mentre la
garanzia personale è la fideiussione, che è una garanzia personale perché vi è una persona che garantisce e
non una cosa. Attenzione a non confondere la prelazione con il patto di opzione. Negli statuti societari, c’è
la clausola di prelazione: se si vuole vendere un’azione, gli altri soci hanno il diritto di prelazione per evitare
che terzi estranei entrino nella compagine sociale.

OGGETTO DEL CONTRATTO: nella compravendita è il trasferimento del diritto di proprietà di un bene e il
trasferimento del diritto di proprietà del corrispettivo in denaro (mentre la causa è lo scambio dei due
beni). L’oggetto del contratto ex art 1346 cc deve essere possibile (esempio vendita di un unicorno), lecito,
determinato o determinabile (nel contratto devono esserci dei criteri per capire di che bene si tratta). L’art
1349 cc prevede che la determinazione dell’oggetto può essere rimessa ad un terzo che deve agire con
equo apprezzamento; se però la scelta è iniqua, la scelta può essere rimessa al giudice. Però il co 2
consente che la determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non è contestabile se non per malafede:
se manca la determinazione del terzo e le parti non concordano, il contratto è nullo.

FORMA DEL CONTRATTO: la forma del contratto potrebbe non essere un requisito essenziale del contratto
perché nel nostro ordinamento vige il principio generale di libertà della forma, cioè salvo le ipotesi nelle
quali la legge dispone diversamente, le parti possono fare quello che vogliono (ci può essere un contratto
verbale, un contratto per gesti concludenti, oppure può esser un contratto scritto). Ci sono dei casi ove la
legge dispone che il contratto deve essere per iscritto: art 1350 cc fa riferimento a contratti di trasferimento
di immobili, modificano usufrutto su immobili, enfiteuta, diritto di superficie, modifiche di servitù prediali,
atti di rinuncia di diritti, affrancazione del fondo enfiteutico, contratto di locazione con durata di anni 9
minimo etc.

Il contratto preliminare ex art 1351 cc fissa gli elementi essenziali del contratto vero e gli effetti che sorgono
dal contratto preliminare fanno sì che le parti si impegnano a concludere il contratto definitivo: viene usato
molto spesso perché in virtù di quel contratto, si è messo nero su bianco gli elementi essenziali
dell’operazione che si vuole concludere. Il preliminare non trasferisce subito la proprietà ed è utile se
intanto si deve andare in banca per i soldi, ma lascia un po’ di tempo per concludere il contratto definitivo
che trasferirà il diritto. Il contratto preliminare ha effetti solo obbligatori, infatti obbliga le parti a
concludere il contratto definitivo ma non ha effetti reali traslativi. Il cc prevede che deve avere la stessa
forma del contratto definitivo. Un altro tipo è la lettera di intenti, che però non vincola nulla a niente e
serve solo per formalizzare in linee generali il percorso dell’operazione ma si deve specificare che non è un
contratto preliminare e non si fissa un prezzo (al massimo un range di prezzi).

Il programma di contratto prevede la programmazione di avviare delle trattative; poi viene la lettera di
intenti (o dette minute di contratto o puntuazioni), poi il contratto preliminare ed infine il contratto

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definitivo: sono step prodromici alla conclusione di un contratto e nella pratica è molto diffuso
specialmente nelle operazioni complesse.

Lezione n 32

Abbiamo detto che il contratto preliminare deve avere la stessa forma del contratto definitivo e le norme
sulla forme concludono nell’art 1352 cc: riguarda le forme convenzionali cioè pattuite dalle parti. Se le parti
hanno convenuto per iscritto di adottare una forma determinata per la conclusione di un contratto, si
presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo.

GLI EFFETTI DEL CONTRATTO: dobbiamo ora introdurre ora il discorso su due elementi del contratto che
sono eventuali anche se nella pratica sono talmente comuni che di fatto costituiscono quasi elementi
essenziali o connaturati ad ogni contratto: sono in primo luogo il termine (nel senso di data) che può essere
di duplice natura cioè un termine iniziale e un termine finale. Il primo indica quando il contratto inizia ad
avere effetto mentre il secondo indica quando il contratto cessa di avere efficacia tra le parti. Ovviamente il
termine è qualcosa di futuro ma sicuro e certo (***una terza domanda può essere “mi dica quali differenze
ci sono tra il termine iniziale o finale e il termine essenziale?***). Per termine essenziale invece si intende
un periodo di tempo trascorso il quale il creditore non ha più interesse a ricevere la prestazione e per
questo è detto essenziale. La conseguenza che si prevede per il mancato rispetto del termine da
considerarsi essenziale è la risoluzione del contratto, cioè il creditore potrebbe chiedere lo scioglimento del
contratto per inadempimento.

L’altro carattere non essenziale è la condizione, che è un evento futuro naturale od umano ma non certo: si
subordina l’efficacia del contratto al verificarsi di un evento futuro ed incerto. La disciplina della condizione
è più complicata rispetto a quella del termine e le regole importanti sulla condizioni si devono sapere.
Innanzitutto vi sono due tipi di condizione: sospensiva, se l’efficacia del contratto è subordinata
all’accadimento di un evento, o risolutiva, per cui l’efficacia del contratto che vigeva si scioglie al verificarsi
di un dato fatto. L’art 1353 cc prevede la facoltà delle parti di inserire una condizione risolutiva o sospensiva
di un contratto od anche una sua clausola ad un evento futuro ed incerto. L’art 1354 cc prevede che sia
nullo il contratto ove vi sia una condizione illecita, mentre la condizione sospensiva impossibile rende nullo
il contratto mentre si ha come se non apposta se vi è una condizione risolutiva. Inoltre la condizione si può
catalogare a seconda dell’evento: può essere una condizione naturale, se il fatto non è voluto o è derivante
da un fatto naturale, oppure una condizione meramente potestativa quando dipende dal mero arbitrio di
una delle parti, oppure una condizione potestativa, oppure una condizione mista, quando si mescola
l’azione dell’uomo e l’azione naturale. Per quanto riguarda la condizione meramente potestativa ex art
1355 cc che prevede che sia nullo un obbligo derivante da una condizione sospensiva di carattere
meramente potestativa (es ti venderò un bene quando vorrò), mancando il requisito dell’accordo. Per
quanto riguarda la condizione risolutiva di tipo meramente potestativa, essa è consentita perché riguarda
l’istituto del recesso. Inoltre se si conclude un contratto sottoposto a condizione e una parte ha interesse a
che non si verifichi una condizione, allora la legge per sanzionare tale atteggiamento presume che la
condizione si sia verificata: si parla di finzione di avveramento ex art 1359 cc. In ultimo la norma più
importante è l’art 1360 cc: la condizione di un contratto ha effetto retroattivo seguendo le norme di
scioglimento del contratto che sono sempre retroattive, retroagendo al tempo in cui sia stato concluso il
contratto, salvo che per volontà delle parti o natura del rapporto gli effetti devono essere riportati ad un
momento diverso. Il co 2 però dice che se la condizione risolutiva è apposta al contratto che prevede
prestazioni eseguite continuamente o periodicamente, l’avveramento della condizione non ha effetto sulle
prestazioni eseguite.

L’art 1372 cc dice che il contratto ha forza di legge tra le parti, cioè una volta che ci si vincola ad un’altra
parte con un contratto, è come se siamo vincolati dalla legge rispetto all’altra parte. Il contratto inoltre dice
la norma non si può sciogliere se non per le cause ammesse dalla legge o per mutuo consenso, cioè è
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necessario un accordo tra le parti per lo scioglimento del contratto consensualmente. Ma la regola molto
importante è presente anche al co 2: il contratto non produce effetto verso terzi che non sono parte del
contratto salvo casi disposti dalla legge (es. accollo che risponde allo schema del contratto a favore di terzi
ex art 1411 ss cc. Inoltre il 1374 obbliga le parti anche alle conseguenze derivanti dalla legge, dagli usi o da
equità; il 1375 prevede che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede. L’art 1376 tratta poi dei
contratti reali il cui trasferimento del diritto avviene quando si raggiunge il consenso delle parti (es. quando
si va all’Euronics, l’acquisto di una TV avviene quando si decide di comprarla e non quando si paga, infatti la
nostra non è un’economia di contanti): si tratta del principio consensualistico. Per una determinata massa
di cose (es gregge), anche per il trasferimento di esse si applica il 1376, mentre per le cose determinate nel
genere, il trasferimento del diritto avviene con l’individuazione che coincide con la consegna del bene
(venendo infatti con la traditio individuata il bene), oppure può avvenire quando si trasferisce al vettore o
allo spedizioniere il bene da consegnare al nuovo proprietario. Sempre in punto di effetti del contratto, vi è
un’altra regola che va a risolvere il conflitto tra più diritti personali di godimento ex art 1380 cc: il vincitore è
chi per primo ha conseguito il godimento, altrimenti si preferisce chi ha data certa anteriore (nei debiti per
chi ha ricevuto la notifica per primo (detto debito ceduto); per beni immobili chi lo ha trascritto per primo;
per beni mobili, chi ne ha l’effettivo possesso). In ultimo ai sensi dell’art 1381 cc chi ha promesso
l’obbligazione o fatto del terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente se il terzo rifiuta di obbligarsi o
non compie il fatto promesso

Lezione n 33

CAPARRA, CLAUSOLA PENALE E CAPARRA

Principio consensualistico: per regola generale il contratto produce i propri effetti in virtù del consenso
delle parti  un’eccezione al principio consensualistico sono i contratti reali, che si perfezionano con la
consegna della cosa. Il primo argomento all’ordine del giorno è la caparra = è la consegna di una somma di
denaro in vista della conclusione di un contratto. *il deposito cauzionale consiste in una somma di denaro
che viene affidata in deposito con qui. Quindi l’obbligo di restituirla che viene fatta per equivalente e il
deposito può essere fruttifero o non fruttifero*

Nella sezione seconda del capo…… si parla di caparra e clausola penale: l’art 1385 cc prevede che se al
momento della conclusione del contratto una parte all’altra una somma di denaro, la caparra in caso di
adempimento deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Tale dazione di denaro viene data
con la funzione di assicurare la conclusione del contratto e la consegna di questa somma di denaro e
dunque la caparra è un contratto reale la cui esistenza la possiamo verificare il base al titolo per il quale si
consegna tale somma. Quindi come il deposito la caparra ha una funzione di garanzia dell’adempimento,
come l’anticipo sul prezzo la caparra può essere imputata alla prestazione dovuta. Per caparra
confirmatoria, se la parte che ha presentato la caparra è inadempiente, l’altra parte può recedere dal
contratto ritenendo la caparra; se è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, l’altra parte può
recedere dal contratto e esigere il doppio della caparra: questa è la differenza con il deposito cauzionale.

Concludendo al contratto, aderisco ad un regolamento sancito dalla legge: per liberarsi dal contratto si può
o essere d’accordo con la controparte (detto “mutuo dissenso”) che è un contratto uguale e contrario al
contratto precedentemente concluso; quando non c’è l’accordo, ad esempio per inadempimento, si può
agire giudizialmente con delle azioni ma comunque non si ha il potere di scioglimento unilaterale ma si
deve andare da un giudice e dimostrare che vi è un inadempimento. Un’eccezione a questo è il recesso, che
è un diritto potestativo cioè è il potere di determinare una modificazione nel mondo del diritto: il recesso
può essere previsto dalla legge (come la disciplina della caparra) o dalle parti. L’art 1386 cc parla della
caparra penitenziale che è il corrispettivo del diritto di recesso: il diritto di recedere può infatti essere
previsto da contratto che può essere per una parte o per entrambi ( vedi il recesso ad nutum, cioè senza
giusta causa), ma le parti possono accompagnare la previsione specifica con la dazione di denaro a titolo di
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caparra, che è il corrispettivo del diritto di recesso: se chi recede ha dato la caparra, esercitando il diritto di
recesso, perde la caparra, oppure se la caparra è stata data alla persona che poi recede, recedendo deve
versare il doppio del denaro dato in caparra. In questo caso il diritto di recesso ha fonte pattizia ma
parallelamente a questa clausola del diritto potestativo di recesso, consegnano una somma di denaro a
titolo di caparra.

La clausola penale è il secondo argomento: il fatto che si chiami clausola implica che essa è una clausola
inserita in un determinato contratto e dunque c’ è una significativa differenza tra due contratti autonomi e
una clausola del contratto. Per capire la penale si deve analizzare la responsabilità contrattuale: se una
parte è inadempiente, è obbligato a risarcire il danno cagionato, ma la fatica più grande nel giudizio civile è
l’onere della prova (= è un peso che devo sopportare che ottenere un certo risultato). La clausola penale è
uno strumento che consente di evitare tutti gli sforzi dell’onere della prova: l’art 1382 cc prevede che la
clausola che in caso di inadempimento uno dei contrenti è tenuto ad una determinata prestazione, ha
l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa: la pena è dovuta indipendentemente alla
prova del danno. Questo articolo prevede che si può predeterminare l’importo del risarcimento con la
conseguenza che non si deve dimostrare in giudizio il danno e togliere dalle spalle l’onere della prova:
questo è un qualcosa che può esser visto di buon occhio dal creditore e debitore. Un limite però è previsto
dall’art 1384 cc che dice che il giudice può equamente ridurre la penale se l’obbligazione è stata eseguita in
parte ovvero se la penale è eccessivo avuto riguardo dell’interesse del creditore all’adempimento. Però
mediante la clausola penale si può ex ante garantire una certa sicurezza, clausola penale che permette
anche di poter dimostrare post il danno ulteriore previsto oltre al risarcimento previsto dalla clausola però
non si può chiedere insieme la penale e l’inadempimento, che però è consentito solo per il ritardo. Una
domanda potrebbe essere la disciplina in caso di caparra manifestatamente eccessiva: sarebbe infatti un
problema di discriminazione non prevedere per due situazioni di pari effetto una disciplina diversa. Per
questo tale questione nel 2014 è arrivata dinnanzi alla Corte Costituzionale che ha detto che non c’è un
giudizio di costituzionalità perché il giudice, se ritiene che sia talmente sproporzionata da violare il principio
generale di buona fede e dunque di solidarietà sociale iscritto nell’art2 cost, po' dichiararne la nullità: è una
sentenza creativa e molto discutibile.

Il terzo ordine del giorno è la rappresentanza: essa è un potere attribuito ad un soggetto per compiere atti
giuridici in nome ep per conto di un’altra persona. La fonte della rappresentanza è legale, ove il potere è
dato dalla legge, o volontaria, ove il potere è dato dal rappresentato mediante un atto unilaterale cioè la
procura. Perché questo potere diventi un dovere, si sottoscrive un contratto di mandato (che capita anche
nel contratto di lavoro subordinato). La rappresentanza volontaria si distingue in:

 rappresentanza diretta (art 1388 cc): si spende (rivela) il nome in nome e per contogli effetti
dell’atto compiuto dal rappresentante (parte formale) ricadono direttamente nella sfera giuridica
del rappresentato (parte sostanziale)
 rappresentanza indiretta: non spende il nome per conto gli effetti dell’atto restano nella sfera
giuridica del rappresentante (parte formale e sostanziale). L’obbligazione di ritrasferimento degli
atti al rappresentato prevede dunque un “negozio di trasferimento” o “negozio di ritrasferimento”
La rappresentanza volontaria si dà con la procura che deve essere data nella stessa forma del contratto che
il rappresentane deve concludere (art 1393 cc); la sussistenza della procura può essere espressa o tacita; la
procura può essere generale per tutti i possibili affari ( di solito l’ordinaria amministrazione, oppure speciale
(per uno o più specifici affari); la procura è revocabile nella stessa forma della procura oppure irrevocabile.
Ciò però crea delle problematiche

1. sulla capacità: per il rappresentato è necessaria la capacità di agire mentre per il rappresentante è
necessaria la capacità naturale

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2. e vizi della volontà e stati soggettivi: per il rappresentante c’è l’errore, violenza, dolo, buona fede e
mala fede, con l’unica eccezione dell’elemento predeterminato (es gioiello falso)
Ultimo caso da trattare è il falso rappresentante che avviene:

1. abuso di potere: si ha per conflitto di interessi (ex art 1394 cc) oppure per un contratto con sé
stesso (art 1395 cc) il cui unico caso in cui questo non è autorizzato è la specifica autorizzazione al
rappresentante o beni la cui natura esclude il conflitto di interesse è annullabile
2. eccesso di potere: il rappresentante va oltre al potere affidato dalla procura  la tutela è
l’inefficacia perché manca la volontà ed inoltre vi è anche il risarcimento (ex art 2043 cc)
3. difetto di potere: il rappresentante non ha la procura o gli è stata revocata la tutela è l’inefficacia
perché manca la volontà ed inoltre vi è anche il risarcimento (ex art 2043 cc)
Negli ultimi due casi, il rappresentato può decidere di ratificare il contratto o espressamente o
tacitamente: è un atto unilaterale recettizio he sana l’eccesso o di difetto di potere e conferisce
efficacia a posteriori all’atto, con effetto retroattivo.
Tale disciplina è presente al 1387 cc e seguenti: la sentenza del marzo 2020 delle sezioni unite importante è
quella sul patto fiduciario, cioè sull’ipotesi della rappresentanza indiretta.

Lezione n 34

CONTINUO RAPPRESENTANZA

L’effetto della rappresentanza di per sé si effettua con la procura con la quale si conferisce il potere ci
concludere uno o più atti giuridici a nome del rappresentato, perché vi è la cosiddetta spendita del nome:
questa è la rappresentanza pura e semplice e in termini pratici gli effetti ricadono sul rappresentato (se c’è
la spendita del nome). Il contratto di mandato invece è un contratto tipico per cui il mandatario deve
concludere un contratto per conto del mandatario, mentre quando si attribuisce la procura, si chiede al
procuratore di concludere il contratto in nome del rappresentato. Gli effetti pratici per il mandatario sono
che gli effetti giuridici ricadranno su di lui, che quindi con un altro contratto dovrà far ricadere gli effetti sul
mandante. Invece, nel caso del rappresentante, lui agisce in nome del rappresentato e dunque gli effetti
ricadono direttamente in capo a quest’ultimo e non sul rappresentante. Il mandato è un contratto tipico la
cui disciplina è all’art 1703 cc. Al 1704 cc si dice che se al mandatario si è conferito il potere di agire anche
in nome del mandante, allora si rimandano alle norme sulla rappresentanza e dunque gli effetti del
contratto ricadono sul mandante e cioè sul rappresentato. Se non c’ è la rappresentanza, il mandatario
assume gli obblighi degli atti compiuti con terzi anche se hanno conoscenza del mandato. Inoltre il 1706 cc
esprime una particolarità importante: il mandante per cose mobili è considerato già proprietario, anche se
il mandante non è realmente proprietario perché il mandatario ha agito in nome proprio, e dunque può
esercitare l’azione di rivendicazione. Nel co 2 invece si parla di beni immobili, o mobili iscritti in pubblici
registri, per i quali il mandatario è obbligato a ritrasferirli al mandante: si tratta di un obbligo a contrattare
(come nel contratto preliminare). Nel caso di inadempimento dell’obbligo di contrattare, in generale, si
parla di esecuzione specifica forzata dell’obbligo di contrattare ex art 2932 cc, per il quale il giudice può
emettere una sentenza che produce gli stessi effetti del contratto (oss: attenzione il giudice non emette un
provvedimento che costringe l’altra parte a sottoscrivere un contratto perché un giudice civile non può
perché è un obbligo incoercibile, ma mediante una sentenza che produce gli effetti di un contratto non
concluso). *Un’altra domanda classica è la fine del contratto concluso dal falso rappresentante, che è
inefficacie perché …. *

Per quanto riguarda gli effetti del contratto, si deve parlare dell’istituto della simulazione del contratto che
ha regola poche ma dettagliate ex art 1414 – 1417 cc: per simulazione del contratto si intende una finta
stipulazione di un contratto ma in realtà non se ne conclude nessuno. Questa è la forma più palese di
simulazione che è detta simulazione assoluta (fare finta di concludere un contratto del quale però non si
vogliono e non si producono effetti); poi vi è un secondo tipo di simulazione è la simulazione relativa, cioè si
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fa finta di stipulare un contratto ma in realtà se ne fa un altro tipo. Nella maggior parte dei casi si vogliono
aggirare delle disposizioni di legge nell’utilizzo della simulazione. La norma 1414 cc esordisce dicendo che il
contratto simulato non produce effetti tra le parti mentre nel co 2, parlando di simulazione relativa, si dice
che ha efficacia il contratto dissimulato a patto che ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma. I temi
che pone la simulazione sono quelli di un conflitto tra diversi soggetti come i creditori, che potrebbero fare
affidamento sul contratto che non sanno essere simulato: infatti il cc detta poi due regole per risolvere i
conflitti con i terzi ex art 1415 e con i creditori ex art 1416 cc. Nel primo si dice che un terzo che in buona
fede ha acquistato diritti dal titolare apparente, non viene toccato dalla simulazione né da parte dei
creditori del simulato alienante: ciò però non avviene se la domanda di simulazione viene trascritta.

Lezione n 35

SISTEMA BIBLIOTECARIO ATENEO (SBA)

Le banche date importanti sono “de jure” e “pluris” per giurisprudenza e “dogi” che raccoglie la bibliografia
che esce dalle riviste giuridiche.

***

IL MANDATO: è disciplinato dall’art 1703 cc mentre il 1704 parla del mandato con rappresentanza e il 1705
tratta del mandato senza rappresentanza. Un’importante sentenza della cassazione a sezione unite è la
sent 6459 del 6/03/2020: la soluzione è che i patti fatti tra familiari sono validi e tutelabili.

Il capitolo successivo è l’INVALIDITA’ CONTRATTUALE: l’art 1418 cc parla di nullità del contratto dicendo che
è nullo se contrario a norme imperative salvo che la legge non dispone diversamente: si dice nullità
virtuale. Il secondo comma parla di nullità per mancanza di uno dei requisiti o per vizio degli stessi,
rimandando dunque alla struttura del contratto: si dice nullità strutturale. Al comma tre si dice che un
contratto è nullo se previsto da una disposizione di legge specifica: si parla di nullità testuale. Rispetto ad un
contratti ci si deve porre due problemi: la validità e l’efficacia. Due ipotesi di invalidità del contratto sono la
nullità, che è l’ipotesi generale, e l’annullabilità, che è un’ipotesi particolare perché previsti dalla legge.

*Per negozio giuridico si intendono degli atti da cui promana una volontà del soggetto (come testamento e
matrimonio)*

Le problematiche della invalidità due si distinguono se:

 manca un elemento essenziale del contratto > questo contratto non può produrre effetti: nullità
che tutela un interesse generale. Infatti l’azione di nullità è imprescrittibile
 un elemento essenziale è viziato  produce effetti fino a che il sbj pregiudicato non agisce per
eliminarli: annullabilità che tutela un interesse particolare. Infatti l’azione di annullabilità si
prescrive in 5 anni
LA NULLITA’ (art 1418 cc) si ha quando

 manca un elemento essenziale (art 1325 cc): accordo, causa, oggetto e forma
 la causa è illecita (es compravendita di organi umani)
 il motivo è illecito  il motivo è rilevante nel diritto è l’esclusivo motivo comune fra le parti illecito
(es mutuo di gioco)
 l’oggetto è impossibile (es. vendita di casa abusiva o assicurazione per il morto)
 l’oggetto è illecito (es. compravendita di un’auto rubata)
 l’oggetto è indeterminabile (es compravendita di una parte del terreno)
 contrarietà a norma imperativa (es. circonvenzione di incapace)
 altri casi previsti dalla legge

69
Gli effetti della nullità è un tipo di effetto domino: dichiarando nullo il primo contratto, la nullità travolge
tutto:

 tra le parti  il contratto nullo non ha effetto (tamquam non esse = come se non fosse mai
esistito). Si può chiedere il risarcimento ex art 1338 cc quando una parte sa dell’invalidità del
contratto ma tace la circostanza mentre l’altra parte è in buona fede
 verso i terzi  il contratto nullo travolge anche i diritti acquistati sulla base dell’atto nullo
Le eccezioni degli effetti di tale nullità è la regola del possesso vale titolo

La nullità può anche essere:

 nullità parziale si distingue in:


 oggettiva (art 1419 cc)  clausola nulla anche se è valido se le parti lo avrebbero
comunque concluso o per inserzione autonmati
 soggettiva (art 1420 cc)  sono validi i contratti plurilaterali con comunione di scopo
 nullità totale (es vendita immobiliare orale)
Le caratteristiche della nullità:

1. insanabile = non c’è rimedio


2. improduttività di effetti = l’atto non ha mai prodotto e mai produrrà effetti
3. retroattività = gli effetti vengono meno anche per il passato
4. assolutezza = chiunque abbia interesse può chiedere che sia dichiarata e la dichiarazione vale nei
confronti di tutti
5. imprescrittibilità dell’azione = si può chiedere che sia dichiarata in qualsiasi tempo
6. rivelabile d’ufficio  se il giudizio ha ad oggetto un atto nullo, il giudice lo dichiara anche se le parti
non lo hanno chiesto
7. natura dichiarativa  il giudice si limita ad accertarla e dichiararla infatti la nullità era già avvenuta
oss: le sentenze possono essere:

 sentenze di condanna
 sentenze dichiarative = si limita a dichiarare una situazione giuridica che ha già prodotto i suoi
effetti o non ha prodotto i suoi effetti
 sentenze costitutive = il giudice manipola e modifica qualcosa nel mondo del diritto (es
annullamento del contratto)
Un caso particolare è quello della conversione del negozio nullo e si ispira al principio di conservazione del
negozio e si può fare da un giudice se ricorrono i seguenti presupposti:

 soggettivi = le parti avrebbero voluto il diverso negozio


 oggettivi = il negozio nullo ha i requisiti di forma e sostanza del negozio diverso
CODICE DEL CONSUMO: si applica se uno dei due soggetti è un consumatore  tale codice va a specificare
la disciplina delle condizioni generali del contratto ex art 1341 cc. Il codice del consumo distingue 3 tipi di
clausole vessatorie:

 lista bianca = si può sempre provare che la clausola è vessatoria (art 33 co 1)


 lista grigia = si presumono vessatorie fino a prova contraria una lista di clausole (art 33 co 2)  la
prova contraria è che il professionista deve dimostrare che c’è stata una trattativa individuale cioè il
consumatore è stato messo nella possibilità concreta di poter incidere nella contrattazione
 lista nera = sono le clausole previste ex art 36 co 2 che sono nulle anche se il professionista
dimostra la trattativa individuale e sono 3
L’art 36 codice consumo prevede che queste clausole sono nulle mentre il contratto è valido (nullità
parziale) e il co 3 dice che la nullità opera solo a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio
dal giudice ed essendo una nullità di protezione tale nullità è relativa ed è nel solo interesse della parte
70
debole. La UE ha dunque scardinato il codice civile italiano sostenendo che la nullità è relativa quando si ha
a che fare con un consumatore che era sancito dal 1341 cc anche se questo interviene se non si ha un
consumatore nel rapporto giuridico.

Lezione n 36

Per norme imperative si fa riferimento alle norme inderogabili dalle parti che proteggono interessi
particolari (es tutela del contraente debole) e poi vi sono norme imperative che tutela interessi generali. Le
prime a protezioni di interessi particolari è quelli al co 1 art 1418 cc: l’illiceità deriva dal mancato rispetto
dell’ordine pubblico, del buon costume, e delle norme imperative. Se questa illiceità deriva dalla
contrarietà all’ordine pubblico e buon costume, allora le norme imperative da cui deriva l’illiceità stanno a
tutela di interessi generali. La differenza sta nell’obj a tutela delle norme imperative: al co 1 non si può
derogare perché le norme tutelano una parte, mentre le norme imperative la cui violazione porta l’illiceità
al co 2 proteggono interessi di carattere generale che prescindono quelli di una parte. Inoltre si è detto che
il contratto nullo non può essere convalidato, nel senso che le parti si accordano che il contratto è nullo,
dandone comunque esecuzione oppure dichiara di convalidare il contratto anche se sa che è nullo. Ciò però
con la nullità non si può fare ex art 1423 cc, ma si può convertire ex art 1424 cc: la conversione può essere
fatta dal giudice in un tipo diverso di contratto se così convertito il contratto non presenta il vizio di nullità,
anche se deve contenere i requisiti di sostanza e di forma. Non sempre la nullità travolge tutti gli effetti del
contratto nullo: un esempio è la pubblicità sanante ex art 2656 n 6 ed ha l’effetto di salvaguardare i diritti
da chi ha acquistato da chi non aveva diritto di vendere e dunque la sentenza che dichiara la nullità della
vendita non si riverbera anche nelle vendite sottoposte a trascrizione dal terzo in buona fede.

Prima di parlarvi dell’annullamento, è importante la pubblicazione su internet di una sentenza di cui si è


parlato nei giornali in settimana (è del 19 aprile 2021) che ha deciso la controversia civile tra Mediaset e
Vivendi (è l’omologo di mediaset in Francia), il cui oggetto del contendere era Mediaset Premium che era
un canale pay di Mediaset. Nel 2016 questi due colossi hanno concluso un contratto preliminare all’esito
del quale Vivendi avrebbe dovuto diventare titolare al 100% di Mediaset Premium in cambio di altri favori
irrilevanti per la questione odierna; sorge poi però una controversia tutta fondata sui temi studiati ora:
infatti Vivendi si è tirata indietro tenendo una condotta che non ha reso possibile il perfezionamento del
contratto definitivo perché ancor prima ha impedito l’avverarsi di una condizione sospensiva dal quale
dipendeva l’efficacia del contratto (io ti vendo Mediaset premium ma l’accordo preliminare presuppone
che si verifichino certe condizioni sospensive): se si verificano queste condizioni sospensive, allora i due
soggetti sono obbligati a concludere il contratto definitivo. Vivendi ha cominciato a fare delle analisi su
Mediaset Premium che non gli sono piaciute e ha rifiutato di porre in essere certe attività necessarie per far
avverare la condizione e quindi ha causa della condotta omissiva di Vivendi, la condizione non si è verificata
e il contratto preliminare non ha mai prodotto effetto sfumandosi dunque l’affare. Ovviamente è pacifico
che Vivendi non avesse il diritto di comportarsi così perché risulta dalle carte che nessuno gli aveva
garantito la bontà del prodotto e dunque tale condotta omissiva che di fatto lascia il contratto inefficacie è
una condotta qualificata illecita anche dal Tribunale di Milano con sent. del 19/94/2021. E’ interessante
perché si è andati in tribunale in quanto Mediaset ha chiesto l’esecuzione del contratto preliminare in
prima battuta applicando dunque la finzione di avveramento, infatti Mediaset ha detto che è avvenuta una
violazione di comportarsi in buona fede in pendenza delle condizione e inoltre il 1359 cc prevede che la
condizione si deve verificare avverata se è mancata dall’altra parte che aveva interesse contrario
all’avveramento. Il tribunale però non ha accolto la domanda perché la condizione era l’ottenimento delle
autorizzazioni amministrative che servivano per comprare Mediaset premium: dunque Vivendi non ha
messo in moto il procedimento che avrebbe portato ad ottenere le autorizzazione, ma il problema è che un
giudice italiano con la finzione di avveramento sostituirsi all’autorizzazione delle autorità competenti (in
particolare l’antitrust). A quel punto Mediaset ha chiesto il risarcimento dei danni perché l’inadempimento
di Vivendi da cui deriva la possibilità di richiedere il risarcimento del danno è il fatto di aver violato degli
71
obblighi ai quali si sarebbe dovuta attenere in pendenza della condizione: la somma che Mediaset ha
chiesto a Vivendi poco più di 2 miliardi di euro e il Tribunale innanzitutto ha certificato l’imputabilità
dell’inadempimento di Vivendi (art 1218 cc), dopodiché ha cominciato ad esaminare una ad una tutte le
voci di danno chieste da Mediaset: l’indagine che ha fatto il tribunale sul danno è stato il rapporto causale
tra il danno e l’inadempimento, oltre alla perdita patrimoniale. A fronte della richiesta di 2 miliardi di euro,
il Tribunale di Milano ha condannato Vivendi al pagamento di 1 milione e 700 mila euro, che erano le spese
affrontate e certificate e dimostrate da Mediaset per allestire la contrattazione: il tribunale ha dunque
rigettato tutte le altre domande che erano molto complicate (come il risarcimento dei danni alla
reputazione commerciale di Mediaset, il danno corrispondente ai costi sostenuti per 9 milioni per
estinguere anticipatamente un finanziamento in essere perché non sarebbe stato compatibile con
l’operazione e il giudice in questo caso ha detto che non si è dimostrata l’incompatibilità tra il contratto
recesso e l’operazione di Vivendi). In definitiva la morale della favola per le parti è che Mediaset ha
ottenuto un buon risultato laddove ha accertato l’illiceità della condotta di Vivendi, che ha ottenuto un
buon risultato ove è riuscita a far rigettare tutte le domande risarcitorie nei suoi confronti.

Introduciamo ora l’annullamento del contratto: è la forma di invalidità di carattere testuale e non è quella
di carattere testuale come la nullità, ma deve essere specificatamente prevista dalla legge in luogo della
nullità. I casi nei quali l’invalidità è annullamento e non nullità sono:

 incapacità delle parti ex art 1425 e 1426: il contratto è annullabile se una delle parti è incapace di
contrattare ad esempio se un sbj è legalmente incapace o naturalmente incapace di intendere e
volere. Dunque l’incapacità in generale porta all’incapacità di contrattare e quindi all’annullamento
del contratto. L’art 1426 cc però dice che il contratto non può essere annullato se il minore con
raggiri ha nascosto la sua età con raggiri però la semplice dichiarazione da lui fatta di essere
maggiorenne non è sufficiente. Ciò si ricollega all’art 428 cc
 vizi del consenso, cioè il consenso che si dà da parte di una persona capace di intendere e di volere,
giuridicamente e legalmente è viziato da:
 errore
 violenza
 dolo, inteso come raggiro
Lezione n 37

L’errore è causa di annullamento del contratto quando ai sensi dell’art 1428 cc è rilevante cioè se è:

 essenziale = ex art 1429 cc quando cade sulla natura o sull’obj del contratto, oppure quando cade
sull’identità dell’obj della prestazione ovvero sopra la qualità dello stesso, oppure quando cade
sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente, oppure quando, trattandosi di errore
di diritto (=quando si è inteso male una norma di legge), è la ragione unica e principale del
contratto (per ragione si intende motivo del contratto non causa)
 riconoscibile dall’altro contraente = ex art 1431 cc quando una persona di normale diligenza
avrebbe potuto rilevarlo.
Si osserva che l’errore di calcolo non dà luogo all’annullabilità, ma si può effettuare la rettifica (diversa è la
ratifica, che è l’atto con cui si sana una falsa rappresentanza (che equivale ad una procura ex post)). Inoltre
la parte in errore non può chiedere l’annullamento del contratto se l’altra chiede di eseguirlo qualora non ci
sia alcun pregiudizio. L’art 1433 cc dice che le disposizioni precedenti si applicano anche al caso in cui
l’errore cade sulla dichiarazione o in cui la dichiarazione è stata inesattamente dichiarata: è detto errore
ostativo.

La violenza, che causa annullamento del contratto, è ad esempio sotto minaccia, ed in generale anche se la
violenza è esercitata da un terzo. I caratteri della violenza ex art 1435 cc sono tali per cui deve fare
impressione ad una persona sensata e tale da far esporre ad un male ingiusto e notevole, violenza che può
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essere anche diretta a terzi legati al contraente. Si osserva che il solo timore riverenziale non costituisca
causa di annullamento, mentre la minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullabilità se è
diretta a vantaggi ingiusti **per abuso del diritto si intende un uso distorto che uno fa di un diritto vedi atti
emulatori**

Il dolo si era inteso fino a qua come un elemento soggettivo, cioè come intenzione e volontà. In realtà qui è
declinato in un altro significato, cioè artificio o raggiro: se senza i raggiri l’altra parte non avrebbe
contrattato, allora il dolo è causa di annullamento. Si distingue poi tra dolo incidente, che non porta
all’annullamento del contratto, perché il contratto si sarebbe concluso anche se a condizioni diverse (porta
solo al risarcimento), mentre il dolo determinante può essere causa di annullabilità perché il contraente
non avrebbe concluso affatto il contratto.

AZIONE DI ANNULLAMENTO: la legittimazione attiva di tale azione spetta solo al soggetto a favore del quale
la legge prevede l’annullamento del contratto il sbj incapace, caduto in errore, soggetto a violenza o chi
ha subito raggiri (mentre l’azione di nullità è concessa a tutti in quanto la nullità è posta a presidio
soprattutto di interessi generali). L’azione di annullamento si prescrive in 5 anni ex art 1442 cc
(diversamente dall’azione di nullità che è imprescrittibile) che decorrono dal gg in cui è cessata la violenza,
è stato scoperto l’errore o dolo, è cessato lo stato di incapacità o al raggiungimento della maggiore età,
mentre negli altri casi dal gg della conclusione del contratto. L’ultimo comma dice che se un sbj viene
convenuto per l’esecuzione del contratto, questo può far valere l’annullabilità del contratto anche se
prescritta l’azione. L’art 1444 cc prevede la convalida di un contratto annullabile (***mentre la conversione
è per il contratto nullo***) da parte del contraente al quale spetta l’annullamento. In ultimo si cita l’effetto
dell’annullamento nei confronti di terzi: esso non pregiudica i diritti acquisiti a titolo oneroso da terzi in
buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento  non è vero che invalido
implica inefficacie o il contrario (vedi anche la pubblicità sanante).

***La conversione è fatta dal giudice se si accorge che un contratto che presenta profili di nullità può
essere convertito in un altro tipo di contratto non nullo e presenta i requisiti di forma e sostanza di questo
tipo di contratto nuovo e che le parti avrebbero voluto convertirlo in questo nuovo contratto, allora lo
converte.***

Lezione n 38

RESCISSIONE DEL CONTRATTO

E’ uno strumento mediante il quale una delle due parti può ottenere lo scioglimento del contratto a delle
precise condizioni che sono due ipotesi che presuppongono un’anomalia del rapporto contrattuale di tipo
genetico, cioè un’anomalia che il contratto si porta avanti dalla nascita, nel senso che nasce squilibrato a
causa:

1. lo stato di pericolo (art 1447 cc)


2. lo stato di bisogno (art 1448 cc)  il co 2 dice che la rescissione per lesione si può chiedere solo se
il valore che avete ricevuto è inferiore della metà rispetto al valore della prestazione che si è
eseguita (*attenzione perché il co 2 risulta difficile*). Il co 4 dice che la rescissione non è prevista
per i contratti aleatori (es contratti in borsa) perché non si può accettare di concludere un contratto
aleatorio e poi dopo andare dal giudice ed invocare lo scioglimento del contratto perché squilibrato
L’azione di prescrizione decorre ad un anno dalla conclusione del contratto ex art 1449 cc e non può essere
opposta in via d’eccezione quando l’azione è prescritta, diversamente dall’annullamento, ed inoltre colui
contro il quale si propone la rescissione può effettuare una modificazione del contratto per evitare la
rescissione.

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Un’altra forma di scioglimento del contratto più ricorrente rispetto alla rescissione è la risoluzione del
contratto, che si attua quando il contratto diventa squilibrato, infatti le cause di risoluzione del contratto
sono delle cause che mostrano che una parte, nell’esecuzione del rapporto, perde qualcosa rispetto a ciò
che ha dato:

1. inadempimento trova applicazione a contratti con prestazioni corrispettive ex art 1453 cc. Tale
disciplina è integrata dall’art 1455 cc che dice che il contratto può essere risolto se
l’inadempimento non ha scarsa importanza. Per evitare di andare davanti al giudice ed ottenere la
risoluzione per inadempienti ci sono 3 modi:
 diffida ad adempiere (art 1454 cc)
 clausola risolutiva espressa (art 1456 cc) = è una pattuizione inserita nel contratto
mediante il quale i contraenti possono convenire che il contratto si risolva qualora una
determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite  la risoluzione
si verifica di diritto quando una parte dice all’altra di far valere tale clausola (è detta
espressa perché si riferisce al fatto che la parte che intende avvalersene deve dichiararlo
espressamente all’altra parte)
 termine essenziale per una delle parti (art 1457 cc)
Gli effetti della risoluzioni sono che ha effetto retroattivo delle parti, mentre rispetto ai terzi la
risoluzione, anche se espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi salvi gli effetti
della trascrizione della domanda. Ci sono poi dei mezzi di autotutela della parte:

 l’eccezione di inadempimento (art 1460 cc)


 mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti (art 1461 cc)
 clausola limitative della proponibilità di eccezioni (art 1462 cc)
2. eccessiva onerosità sopravvenuta, nel senso che in corso di esecuzione del rapporto la mia
prestazione diviene troppo gravosa
3. impossibilità sopravvenuta
Lezione n 39

Le ulteriori due ipotesi della risoluzione sono:

1. impossibilità sopravvenuta  è un modo di estinzione dell’obbligazione ex art 1218 cc e ex art


1463 e 1464 cc distingue tra:
 impossibilità totale
 impossibilità parziale
L’art 1465 cc dice che per i contratti con effetti traslativi o costitutivi di diritti, se il perimento della cosa
non è imputabile all’alienante ciò non libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione

2. eccessiva onerosità  se la prestazione diventa eccessivamente onerosa per avvenimenti


straordinari e imprevedibili, la parte che deve la prestazione può domandare la risoluzione del
contratto (il co 2 dice che tale onerosità eccessiva non deve essere confusa con l’alea normale del
contratto). Inoltre non si può rescindere per eccessiva onerosità sopravvenuta per i contratti
aleatori
SINGOLI CONTRATTI: studiate il mandato e la vendita (almeno)

FATTO ILLECITO = è una fonte delle obbligazione ex art 2043 ss cc: qualunque fatto doloso o colposo atto a
cagionare un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno. Sono solo una dozzina di
norma ma sono state soggette a fiumi di sentenze, interpretazioni diverse e vaghe: si dice che è una
materia giurisprudenzialmente orientata. L’obbligazione che sorge è il risarcimento del danno, ove per il
risarcimento in materia di responsabilità extracontrattuale si applicano le norme ex art 2056 cc già viste per
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il risarcimento del danno in materia di obbligazione tranne che per l’art 1225 cc perché questo presuppone
che ci siano due parti che prima divincolarsi hanno contrattato (che dice che il debitore deve risarcire solo il
danno prevedibile salvo il caso di dolo). Può anche capitare che un fatto causi sia una responsabilità
contrattuale che una responsabilità extracontrattuale: in questo caso si deve scegliere di agire o con le
norme sul fatto illecito o sulle norme circa l’inadempimento del contratto (vi è un concorso di due tipi di
responsabilità) anche se conviene agire con le norme sul contratto perché nell’altro casi deve dimostrare il
dolo, il danno, il nesso causale tra dolo e danno mentre nell’altro caso deve solo allegare l’inadempimento
senza dimostrarlo. Inoltre la responsabilità contrattuale si prescrive in 10 anni mentre la responsabilità
extracontrattuale si prescrive in 5 anni.

Per definire danno ingiusto il legislatore ha inteso intraprendere una clausola generale o aperta
(diversamente dalla Germania il cui cc elenca le lesioni che costituiscono il danno ingiusto). Il legislatore ha
demandato il compito di definire il danno ingiusto al giudice e infatti mano a mano dal 42 in avanti i giudici
hanno creato un’elaborazione giurisprudenziale: sicuramente un danno ingiusto è la lesione di un diritto
assoluto per poi far rientrare in tale espressione anche la lesione dei diritti relativi, cioè benché tale diritto
si possa far valere tra due soggetti, in alcune ipotesi come il concorso o l’induzione all’inadempimento una
pretesa risarcitoria può esser fatta valere anche contro il terzo che ha portato a non adempiere. Questa
ultima corrente di pensiero è iniziata con la strage di Superga: la società di calcio del Torino aveva il
contratto con più di 22 giocatori ben pagati morti in un incidente aereo si trova a metà del campionato con
questi defunti calciatori e così ha deciso di fare causa alla compagnia aerea perché è risultato un guasto
aereo e dunque la società vantava un diritto relativo ma alla fine la giurisprudenza in cassazione ribaltò la
questione e disse che solo i diritti assoluti sono risarcibili; qualche anno dopo ci fu un altro incidente che
coinvolse un calciatore del Torino Meroni che fu investito da un auto guidata dal presidente del Torino
qualche anno dopo: anche in quel caso si richiese una pretesa risarcitoria e questa volta la cassazione la
accordò e da lì in poi questi due avvenimenti hanno portato alla estensione del danno derivante da lesione
di diritto relativo. Successivamente si è fatto un altro passaggio perché anche la lesione di situazioni di fatto
(vedi possesso e convivenza) fu tutelata dal risarcimento, fino ad arrivare a chiedere il risarcimento di un
interesse legittimo (=è un interesse del soggetto che trova tutela solo che coincidente con l’interesse
pubblico). **mi parli dell’ingiustizia del danno**

Il dolo / colpa; nesso causale; danno ingiusto  questi sono gli elementi del fatto ingiusto.

Altre norme sono l’art 2045 cc che prevede il comminare di un’indennità a seguito del danno cagionato da
uno stato di necessitàqui si parla di indennità perché non si è fatto un fatto illecito e dunque non si parla
di risarcimento, ma una qualche forma di riparazione detta indennità; l’art 2044 cc prevede che non è
responsabile chi agisce per legittima difesa; art 2046 cc prevede che non risponde delle conseguenze del
fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e volere a meno che tale incapacità non derivi da sua
colpa  art 2047 cc dice che il risarcimento è dovuto a chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace salvo che
non dimostri che non si era in grado di impedire il fatto; il co 2 dice che nel caso previsto dalla prova
liberatoria il giudice però può condannare l’autore del danno ad un equa indennità: si parla di
responsabilità indiretta perché non risponde chi ha cagionato l’illecito ma chi risponde per lui.

Lezione n 40

La prima categoria di eccezioni al 2043 che vuole la responsabilità per dolo e per colpa è la responsabilità
oggettiva è più rigorosa perché prevede il risarcimento del danno se ci si trova in un caso previsto dal
codice civile infatti il legislatore ha pensato che certe situazioni potessero essere più pericolose di altre e
dunque meritassero un trattamento più severo  non si va a vedere se ci sono gli elementi soggettivi. La
seconda eccezione è la responsabilità indiretta perché è chiamato a risarcire chi doveva controllare questo
soggetto che ha commesso materialmente il danno.

75
Andiamo a vedere quali sono le voci che fanno eccezione alla regola generale: non risponde delle
conseguenze chi non aveva la capacità di intendere e di volere. La responsabilità oggettiva è all’art 2051 e
2052 cioè il danno cagionato da animali o cose in custodia: il proprietario dell’animale o delle cose in
custodia è responsabile del danno cagionato o dagli animali o dalla cosa in custodia semplicemente per il
fatto di avere in custodia il bene. L’unica prova liberatoria è il caso fortuito, cioè devo individuare un evento
positivo che non si poteva prevedere ne evitare che spezza la concatenazione causale e che permette di
non rispondere per il danno: dunque l’onere della prova è molto rigoroso. Diversa è il 2050 per l’esercizio
delle attività pericolose: risponde chi esercita un attività pericolosa che cagiona un danno se non prova di
aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. La disciplina delle cause ignote si ha quando si
verifica un danno ma non si scopre il perché cioè la concatenazione causale del danno e il risarcimento
cambia a seconda del regime della prova liberatoria del 2050 o del 2051 e 2052: nell’ultimo caso allora se la
causa è ignota, non so la concatenazione causale e allora il caso fortuito non si riesce a provare perché si
deve necessariamente ricostruire la concatenazione causale. In astratto non è così per il 2050, infatti la
struttura della prova liberatoria prevede che si deve provare di aver adottato le misure idonee e qualora si
riuscisse di dimostrare ciò, anche se non provo il motivo per cui il fatto è accaduto, anche ove ci fosse una
causa ignota potrei essere liberato. Un altro caso di resp oggettiva è il 2053 cc sul danno cagionato da
edifici rovinati. L’ultimo caso di resp oggettiva è il 2054 ove si somma anche un ipotesi di resp indiretta: il co
1 dice che il conducente di un veicolo senza rotaie deve risarcire il danno se non prova di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno. Questi sono i casi di respo oggettiva nel codice, ma ce ne sono altri nel codice
del consumo per i prodotti difettosi e anzi nel corso del tempo tali casi sono proliferati e la ragione
economico-giuridica alla base di tale fenomeno è che nell’epoca moderna sempre più interconnessa fa sì
che alcune posizioni ritenute più pericolose ma non evitabili meritassero una resp più rigorosa.

I casi di responsabilità indiretta sono l’art 2047 cc circa il danno cagionato dall’incapace: chiunque è tenuto
alla sorveglianza è chiamato a risarcire quel danno anche se non compiuta da lui  qualcuno rileva
l’elemento soggettivo . Questa norma può essere confusa con il 2048 cc: nel primo si fa rif all’incapace di
intendere e volere mentre nell’ultimo non ce n’è il riferimento e inoltre il 2047 ha a che fare con i minori
mentre nel 2048 si fa riferimento a minori capaci di intendere e volere (come minori più grandi). Le altre
resp indirette sono il 2049 cioè responsabilità dei datori di lavoro: lui è respons per i danni cagionati dal loro
impiegato nell’esercizio delle incombenze cui sono stati adibiti, senza alcun riferimento però alla prova
liberatoria perché in questo caso non c’è tanto che secondo molti tali ipotesi assomma una resp indiretta
ed oggettiva. La ratio sta nel fatto che fosse chiamato a risarcire chi ha un patrimonio più adeguato a
garantire il risarcimento alla vittima; forse una prova liberatoria si può trovare dimostrando che il
domestico ha commesso il fatto illecito non nell’esercizio delle sue incombenze. In ultimo c’ è il 2054 cc al
comma 3: il proprietario del vicolo è respons in solido con il conducente se non prova che la circolazione del
veicolo è avvenuto contro la sua volontà. Nel caso di furto la prova liberatoria necessita che le chiavi non
siano in auto e che anche il libretto di circolazione venga portato con il proprietario secondo la
giurisprudenza più rigorosa.

L’altro capitolo è il danno non patrimoniale ex art 2059 cc: deve essere risarcito solo nei casi determinati
dalla legge. Il codice fa riferimento al 185 cp che dice che in caso di reato, chi ha compiuto il reato deve
risarcire sia il danno patrimoniale che non patrimoniale i primi commentatori del cc avevano all’orecchio
tale art e quindi hanno pensato che le due norme andassero a disciplinare la medesima situazione e la
conseguenza interpretativa di questo presupposto restrittivo iniziale è che tutti gli interpreti per 60 anni
hanno pensato che il 2059 dovesse essere letto come il risarcimento del danno non patrimoniale dovesse
essere previsto dal 185 cp dunque nei casi di reato. Con il tempo però è emersa una limitazione eccessiva
perché c’erano situazioni meritevoli di tutela a livello sociale che si scontravano con questa norma senza
avere dunque risarcimento anche perché il reato sussiste non solo se c’è un evento dannoso che viene a
verificarsi ma devono esserci precise condizioni (min 14 anni e capace di intendere e volere etc). Ciò ha

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portato a far si che gli interpreti hanno cercato di ammorbidirla tale limitazione e quindi si è cercato di dire
che si ammettesse anche se il reato fosse solo in astratto e non solo in concreto (cioè se aveva meno di 14
anni e/o incapace di intendere e volere etc); e poi rimanendo fuori molte cose, si è cercato di spostare tutto
sul piano patrimoniale, cioè si è patrimonializzato il danno non patrimoniale: si è cercato di dire di risarcire
non solo la sofferenza, ma anche tutto ciò che il danno patrimoniale che deriva da quel danno (es cure
mediche, non ha lavorato per un mese) ma si sono evidenziate delle prime distonie interpretative che
hanno evidenziato che il 2043 non era sufficiente. Allora si è cercato nell’ottica di una sempre rigorosa
connessione del 2059 e 185 co, si è cercato di ammorbidire il 2043 dicendo che il danno subito alla persona
è uguale a tutti perché è il danno fisico subito uguale per tutti: il 2043 si deve interpretare nell’ottica della
tutela di un diritto specifico come quello alla salute e dunque si deve costituzionalmente interpretare ex art
32 cc. Si ha dunque ex art 2043 il danno patrimoniale, il danno non patrimoniale ex art 185 cp e il danno
patrimoniale costituzionalmente orientato ex art 2059 cc se ho a che fare con beni tutelati sovraordinati (il
danno biologico è il danno all’integrità psicofisica e richiede un accertamento medico come prova
specifica). Successivamente la cassazione con un ragionamento che ora sembra banale, dice verso gli anni
2000 che il 2059 parla di casi stabiliti dalla legge e non solo da reati e dunque non vi è più la tripartizione di
prima. Soffermiamoci al 2959 che contiene il danno da reato, esistenziale e biologico: il rischio è triplicare il
risarcimento di un unico evento lesivo e dunque è reintervenuta la cassazione con una pronuncia che forse
è stata una marcia indietro: si è affermato che è giusto inserire il danno non patrimoniale nel 2059 ma le tre
voci di danno devono essere considerate come voci descrittive ma il danno è uno solo che non si può
triplicare in sede di liquidazione.

Lezione n 41

CONTRATTO INDIRETTO E CONTRATTO FIDUCIARIO

Sono due categorie nate dalla dottrina o dalla prassi in quanto non è previsto dal legislatore. Si parla di
contratto fiduciario quando la causa che si danno le parti eccede lo scopo  esistono due tipologie di
fiducia: cum amico (è quella del contratto fiduciario nei rapporti familiari) e cum creditore (es illecito: patto
di riscatto). Il contratto indiretto è un contratto usato dalle parti per una funzione diverso dalla causa
(vendita nummo uno)

PRESCRIZIONE: istituto in forza del quale il diritto si estingue per il prolungato mancato esercizio del diritto
(è detta prescrizione estintiva) mentre per prescrizione acquisitiva un esempio è l’usucapione ex art 2934
cc. La decorrenza della prescrizione parte dal gg in cui il diritto può essere fatto valere ex art 2935 cc:
questo però causa problemi circa l’interpretazione. Inoltre non si può giocare contrattualmente sulla
prescrizione perché ogni patto atto a disciplinare diversamente il regime di prescrizione è soggetto a nullità:
tali norme sono inderogabili ed anche irrinunciabili. La prescrizione inoltre si può interrompere e anche
sospendere: nel primo caso con l’invio di una lettera attestante la interruzione della prescrizione, il termine
ricomincia da capo, mentre la sospensione prevede un blocco e congelamento della prescrizione senza
necessariamente farla ricominciare da capo e il codice prevede casi ex art 2941 cc nei cui contesti vi sono
dei vincoli tali per cui certe formalità non verranno poste in essere. In generale la finalità della prescrizione
è quella di dare certezza e non lasciare nell’incertezza situazioni giuridiche

DECADENZA: …….

PROGRAMMA DA FARE:

- prescrizione e decadenza benissimo

- no le prove, ma sapere che cosa sono le presunzioni = mezzo di prova ex art 2727 cc

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- trascrizione  nei limiti delle lezioni quindi che cos’è, a che cosa serve, cosa si può trascrivere, il titolo per
la trascrizione, prevalenza di chi trascrive un bene immobile venduto a più persone, i diritti dei terzi
pregiudicati dalla risoluzione dell’invalidità del contratto potrebbero esser travolti se l’acquisto del bene
immobile è stato trascritto primo della domanda giudiziale, la trascrizione sanante nella nullità

-altri atti o fatti fonte di obbligazione si!  promessa di pagamento, ripetizione dell’indebito, gestione affari
altrui, arricchimento senza causa, promessa

- fatto illecito benissimo  ingiustizia del danno, resp indiretta, resp oggettiva, nesso causale (a quasi
ciascuno capita la domanda sul fatto illecito in particolare come prima domanda)

- i contratti con i consumatori per quanto riguarda le clausole vessatorie e per grandi linee in generale

-contratto di mandato e vendita benissimo

Il resto dei contratti no!!

- circolazione del credito e contratto  accollo, espromissione, cessione del credito, etc

- i criteri di comportamento e interpretazione del contratto  sono da fare a grandi linee

- la famiglia e filiazione NO!

- successioni benissimo

- respo del debitore e creditore solo per sapere la garanzia del creditore è rappresentata da tutti i beni
presenti e futuri del debitore ex art 2740 cc

Quindi non fare famiglia e company, locazione, appalto, mandato, comodato, mutuo, locazione,
consumatori per cenni generali, respo del debitore e creditore solo per sapere la garanzia del creditore è
rappresentata da tutti i beni presenti e futuri del debitore, prove solo presunzioni.

ESEMPI DOMANDE

PRIMA DOMANDA: diritti della personalità; il fatto illecito; possesso; diritto di proprietà e azioni a difesa
della proprietà; risoluzione del contratto; nullità; annullamento; forme del testamento; legittimari

SECONDA DOMANDA: interversione del possesso; novazione; modi di acquisto della proprietà con
particolare riguardo all’usucapione o accessione

TERZA DOMANDA: accessione invertita; differenza tra diritto all’immagine e diritto di immagine; differenza
tra multa penitenziale e caparra penitenziale

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