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Diritto Internazionale

di Alessandro Remigio
L'elaborato prende spunto dal libro di testo di Benedetto Conforti "Lineamenti di
Diritto internazionale" edizione 2006. Sono stati introdotti elementi presi dalle
lezioni della Prof.ssa Paola Puoti, A.A. 2006/07

Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di


Chieti e Pescara
Facoltà: Economia
Alessandro Remigio Sezione Appunti

1. Definizione del diritto internazionale


Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati. Si tratta di un
complesso di norme che nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di ogni stato. Si
dice anche che il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca
perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il diritto internazionale disciplina
anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e non è più un semplice "diritto per diplomatici", ma
viene continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali. E' pertanto opportuno distinguere
la definizione formale (nel senso che crea obblighi e diritti per gli Stati) da quella materiale (nel senso che
regola i rapporti interindividuali, cioè interni alle singole comunità statali).
Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale privato. In realtà
bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il
diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato,
stabilendo quando esso va applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto
privato straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge 218/95.

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2. Funzioni di produzione, accertamento e attuazione del diritto


internazionale
Anche nell'ordinamento internazionale troviamo tre funzioni:
1. la funzione normativa
2. la funzione di accertamento del diritto
3. la funzione di attuazione coattiva delle norme.
1. Per quanto attiene alla funzione normativa, bisogna distinguere tra diritto internazionale generale e diritto
internazionale particolare, ossia tra le norme che si indirizzano a tutti gli Stati e quelle che vincolano solo
una ristretta cerchia di soggetti. L'articolo 10 della Costituzione italiana fa riferimento alle norme di diritto
internazionali generalmente riconosciute. Queste norme sono innanzitutto le consuetudini, che si formano
nella comunità internazionale attraverso l'uso. La caratteristica di questo tipo di norme è che, a differenza
degli ordinamenti interni, è la fonte primaria ed ha dato luogo ad uno scarso numero di norme. Possiamo
trovare comunque norme strumentali (come quelle che regolano i requisiti di validità ed efficacia dei trattati)
e quelle materiali (che impongono direttamente obblighi e riconoscono diritti).
Le tipiche norme del diritto internazionale particolare sono invece i trattati (o patti, accordi, convenzioni)
che vincolano solo gli Stati contraenti. Il trattato è subordinato alla consuetudine come il contratto è
subordinato alla legge.
Al di sotto dei trattati troviamo un'altra fonte: i procedimenti previsti da accordi:essi traggono la loro forza
dai trattati internazionali che li prevedono e vincolano solo gli Stati aderenti ai trattati stessi. In questa
categoria rientrano molti atti delle organizzazioni internazionali, ossia delle varie associazioni fra Stati,
come l'ONU, le tre Comunità Europee etc.
In realtà le organizzazioni internazionali non hanno poteri legislativi e lo strumento di cui si servono è la
raccomandazione, che non è vincolante, ma ha valore di mera esortazione.
2. Per quanto concerne invece la funzione di accertamento giudiziario dl diritto internazionale, nell'ambito
della comunità internazionale prevale una funzione arbitrale, che poggia sull'accordo tra le parti. Ciò che
quindi è l'eccezione nel diritto interno, diventa la regola nell'ordinamento internazionale.
3. Per quanto attiene invece ai mezzi che vengono utilizzati per assicurare coattivamente l'osservanza delle
norme e reprimerne le violazioni, entriamo nella categoria delle forme dell'autotutela (altra diversità dal
diritto interno).
Il diritto internazionale è vero diritto?
Ci si chiede se il diritto internazionale sia in realtà un vero diritto e quali argomenti si possano addurre per
dimostrare la sua obbligatorietà.
Una soluzione proposta di tale problema riposa in tre strumenti:
1. il diritto internazionale deve passare attraverso i giudici interni che devono applicarlo e quindi farlo
rispettare;
2. l'articolo 10 della Costituzione italiana impegna al rispetto delle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute;
3. infine i trattati stipulati dal nostro Paese generalmente sono oggetto di una legge ordinaria che ne ordina
l'applicazione.
Quanto qui esposto è una formulazione in termini moderni della teoria positivistica di Jellinek, che
considerava il diritto internazionale come il frutto di un'autolimitazione del singolo Stato, poiché non

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esistono veri e propri mezzi giuridici per reagire efficacemente ed imparzialmente alle violazioni delle
norme internazionali. Ciò che bisogna superare è però l'idea dell'arbitrio del singolo Stato, altrimenti si
legittimerebbe la possibilità dello Stato stesso di sciogliersi liberamente in qualsiasi momento da qualunque
impegno internazionale.

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3. I soggetti del diritto internazionale


Se definiamo il diritto internazionale come il diritto della comunità degli Stati, bisogna specificare cosa
intendiamo per Stato, poiché, a livello di definizione, possiamo distinguerlo in Stato-comunità o in Stato-
organizzazione. La prima accezione fa riferimento ad un insieme di individui che si stanzia su una porzione
di superficie terrestre ed è sottoposta a delle regole. La seconda, invece, è costituita dall'insieme di
governanti, cioè degli organi che esercitano sui singoli associati il potere di imperio.
La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta allo Stato-organizzazione, allo Stato-apparato. Sono
infatti gli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionali, sono loro i destinatari
delle norme internazionali materiali e sono sempre loro che rispondono per eventuali violazioni delle norme
internazionali. Ovviamente, quando parliamo di organi statali facciamo riferimento a tutti gli organi, sia
quelli del potere centrale che quelli del potere periferico.
Lo Stato-organizzazione deve presentare però dei requisiti per poter essere considerato tale:
1. il primo è l'effettività del proprio potere su di una comunità territoriale. Pertanto la qualifica di soggetto
internazionale deve essere negata ai Governi in esilio, le organizzazioni o fronti, o comitati di liberazione
internazionale che abbiano sede in un territorio straniero, dove hanno costituito una sorta di organizzazione
di governo.
2. il secondo requisito è l'indipendenza o sovranità esterna. In tal senso non sono soggetti del diritto
internazionale gli Stati federati di Stati federali (perché, anche se talvolta possono essere autorizzati dalla
Costituzione federale a stipulare accordi con Stati terzi, devono normalmente avere il consenso del Governo
centrale), né le Confederazioni che è un'unione fra Stati perfettamente indipendenti e sovrani, creata in
genere per scopi di difesa.
Il requisito dell'indipendenza deve essere inteso con cautela: non coincide con la perfetta possibilità di
determinarsi da sé, poiché l'interdipendenza è oggi una delle caratteristiche sempre più marcate delle
relazioni internazionali (stati satelliti, stati deboli, stati con truppe straniere...). Bisogna allora intenderlo in
senso formale: è indipendente uno stato il cui ordinamento è originario, cioè tragga la sua forza giuridica
dalla propria Costituzione e non da quella di un altro Stato.
Quando ricorrono i due requisiti, l'organizzazione di governo acquista la qualità di soggetto internazionale
automaticamente: non è necessario il riconoscimento. Il riconoscimento, come anche il non-riconoscimento,
è un atto meramente lecito che attengono alla sfera della politica ma non producono conseguenze giuridiche.
Generalmente infatti il riconoscimento da parte degli Stati preesistenti serve per giudicare se il nuovo Stato
"meriti" o meno la soggettività per stipulare alleanze o altri rapporti.
Quando si richiedono altri requisiti come quello che il nuovo Stato non debba costituire una minaccia per la
pace e la sicurezza per la pace, che il suo Governo goda del consenso del popolo e che non violi i diritti
umani, questi non sono necessari ai fini dell'acquisto della soggettività internazionale, ma servono soltanto
per valutazioni politiche degli altri Stati per valutare se stringere rapporti d'amicizia.
Sembra risolto anche il problema della soggettività del Governo insurrezionale: gli insorti non sono soggetti
del diritto internazionale e il Governo c.d. legittimo potrà prendere i provvedimenti che reputa più opportuni
(fatti salvi però i movimenti di liberazione nazionale). Se tuttavia i ribelli nel corso della guerra civile
riescono a dare vita ad un'organizzazione di governo che controlla effettivamente una parte del territorio, la
personalità non può negarsi.
Una parte della dottrina parla di una personalità limitata degli individui, perché ddestinatari di molte norme
e convenzioni che riconoscono loro diritti e poteri di azione. In realtà si contesta anche la natura dei diritti e

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degli obblighi internazionali, perché destinatari delle norme sarebbero sempre e solo gli Stati.
Piena personalità bisogna poi riconoscere alle organizzazioni internazionali, ossia alle associazioni tra Stati.
La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha affermato: "L'organizzazione internazionale è un soggetto di
diritto internazionale, vincolato, in quanto tale, da tutti gli obblighi che gli derivano da regole generali del
diritto internazionale, dal suo atto costitutivo e dagli accordi di cui è parte".

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4. La formazione delle norme internazionali: la consuetudine


Le norme generali del diritto internazionale che vincolano tutti gli Stati, sono le consuetudini. Innanzitutto
bisogna vedere cosa si deve intendere per consuetudine: è un comportamento costante e unifome tenuto
dagli Stati, accompagnato dall convinzione dell'obbligatorietà del comportamento stesso. Due sono quindi
gli elementi costitutivi: la diuturnitas (o meglio la "prassi") e l'opinio iuris sive necessitatis. Questa
impostazione cosiddetta "dualistica" non ha trovato unanimità di consensi, ma è stata criticata per aver
considerato il secondo elemento come necessario. In altre parole, per potersi parlare di consuetudine
basterebbe soltanto la prassi costante e uniforme, perché altrimenti si ammetterebbe anche la consuetudine
nata dall'errore (opinio iuris). Tuttavia la prassi dei Tribunali internazionali e la giurisprudenza interna
sembrano orientati verso l'impostazione dualistica. Inoltre gli Stati, per evitare che la sola prassi crei diritto,
dichiarano che un comportamento che stanno tenendo è determinato da mere ragioni di cortesia e non può
essere considerato come capace di creare una norma o addiritture una desuetudine.
Quello che dobbiamo sottolineare è che, almeno al momento della formazione della consuetudine, un
comportamento non è sentito come giuridicamente vincolante, bensì come socialmente dovuto. E se
mancasse l'elemento della opinio iuris sarebbe impossibile distinguere una consuetudine produttrice di
norme giuridiche da un atto di mera cortesia, di cerimoniale o da un mero "uso".
L'opinio iuris inoltre permette di distinguere se un comportamento di uno Stato sia diretto a modificare o
abrogare una determinata consuetudine attraverso la formazione di una desuetudine, dal comportamento che
costituisce invece un illecito internazionale.
Quali organi concorrono alla formazione della norma consuetudinaria?
Si riconosce che la partecipazione spetta a tutti gli organi statali e non solo i detentori del potere estero.
Possono concorrere pertanto non solo atti "esterni" degli Stati (trattati, note diplomatiche, comportamenti in
seno ad organi internazionali), ma anche atti "interni" (leggi, sentenze, atti amministrativi), senza alcun
ordine di priorità. Sicuramente un ruolo decisivo è svolto dalla giurisprudenza interna, con particolare
rigurdo alle corti supreme.
Problema degli Stati nuovi
Poiché le consuetudini creano diritto generale, vincolano tutti gli Stati, indipendentemente dalla loro
partecipazione alla sua formazione. Questo problema si è posto con particolare riguardo per gli Stati nuovi
che sono nati dal processo di decolonizzazione: il diritto consuetudinario esistente si era formato in epoca
coloniale e rispondeva ad esigenze ed interessi del tutto contrastanti da quelli emergenti (pensiamo ai settori
del diritto internazionale economico, al diritto internazionale marittimo).
La soluzione del problema viene posta nei seguenti termini:
se la contestazione proviene da un singolo Stato ("persistent objector"), questa è da considerarsi irrilevante.
Non occorrerebbe neanche la prova dell'accettazione della norma consuetudinaria perché altrimenti si
configurerebbe come accordo tacito, negando la stessa idea di diritto internazionale generale. Inoltre è stato
dimostrato che generalmente il persistent objector non rivendica l'inopponibilità nei suoi confronti della
norma, ma tenta di impedire la sua formazione o di negare che si sia formata. Se la contestazione, invece,
proviene da un gruppo di Stati non può essere ignorata: in tal caso non solo non è opponibile ai Paesi che la
contestano, ma non si può neanche considerare come norma consuetudinaria esistente.
Le consuetudini particolari
Oltre alle norme consuetudinarie generali esistono anche le consuetudini particolari, ossia quelle regionali o
locali. La loro figura è certamente da ammettersi e la sua applicazione più rilevante è fornita, più che dalle

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norme a carattere regionale, dal diritto non scritto che può formarsi per modificare o abrogare le regole poste
da un determinato trattato: in altre parole, accade che le parti che stipulano un accordo diano inizio ad una
prassi che modifica le norme a suo tempo pattuite.
Anche questo tipo di consuetudini devono considerarsi un fenomeno di gruppo. Non costituiscono
consuetudini particolari, invece, i casi di uniformità di contegni tra un certo numero di Stati non legati da
trattato o da vincoli geografici o di altra natura.
Le norme consuetudinarie sono suscettili di interpretazione analogica?
L'analogia è una forma di interpretazione estensiva, che consiste nell'applicare una norma ad un caso che
essa non prevede, ma i cui caratteri essenziali siano analoghi a quelli del caso previsto. Nell'ambito del
diritto consuetudinario, il ricorso all'analogia ha senso solo con riguardo alle fattispecie nuove.

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5. I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili


L'art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia anovera tra le fonti del diritto internazionale i
principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. Secondo la comune interpretazione di
quest'articolo, detti principi si collocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e sarebbero
applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie applicabili al caso concreto. Costituirebbero
cos', secondo quest'impostazione, una sorta di analogia iuris, esprimibile con principi come: ne bis in idem,
nemo iudex in re sua, in claris non fit interpretatio.
In realtà esiste una notevole varietà di opinioni in merito: alcuni dicono che non si trattano affatto di norme
giuridiche internazionali, altri affermano la natura integratrice, altri ancora li collocano al vertice della
gerarchia delle fonti. Ma poi cosa bisogna intendere con principi delle "Nazioni civili"?
A nostro avviso, perché possano essere applicati questi principi devono sussistere due condizioni:
1. devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli Stati
2. devono essere sentiti come obbligatori.
Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di norme consuetudinarie internazionali.
Secondo una simile impostazione allora non sarebbero principi destinati a colmare soltanto le lacune del
diritto internazionale; il loro rapporto sarebbe invece il normale rapporto tra norme di pari grado: la norma
posteriore abroga quella anteriore e la norma speciale deroga quella generale.
Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto internazionale generale
comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa, per violazione dell'articolo 10: tale illegittimità
potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni
civili.

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6. Altre presunte norme generali non scritte: i principi


Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme consuetudinarie un'altra categorie di norme generali
non scritte: i principi. Si è così sostenuta l'esistenza di una serie di principi "costituzionali" dell'ordinamento
internazionale. Secondo il Quadri, vigoroso sostenitore di questa teoria, i principi costituirebbero le norme
primarie del diritto internazionale, in quanto "espressione immediata e diretta della volontà del corpo
sociale". Tra questi principi esisterebbero quelli formali, che si limitano a istituire ulteriori fonti di norme
internazionali, e quelli materiali, che disciplinerebbero direttamente i rapporti tra gli Stati. I principi formali
sarebbero consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. I principi materiali potrebbero avere qualsiasi
contenuto a secondo della materia che si disciplina.
Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruire principi materiali indipendentemente
dall'uso e ricostruirli fino alle estreme conseguenze, perché si aprirebbe la strada all'abuso. Inoltre
l'interprete interno, dovendo stabilire quali norme internazionali generali siano da applicare in Italia ex
art.10 Cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi siano "imposizioni" in una determinata materia
da parte delle forze dominanti nella comunità internazionale.
Può essere considerata l'equità come fonte di norme internazionali?
L'equità può essere considerata come il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto. Si ritiene che a parte la
c.d. equità secundum o infra legem, ossia la possibilità di utilizzare l'equità soltanto come ausilio
interpretativo e a parte quando un tribunale internazionale sia espressamente autorizzato a giudicare ex
aequo et bono, la risposta deve essere negativa. Ovviamente sarà da escludere l'equità contra legem,
contraria cioè a norme consuetudinarie o pattizie, oltre che quella praeter legem, diretta a colmare le lacune
del diritto internazionale.

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7. Il valore degli accordi di codificazione


Bisogna esminare il problema se esistano o meno norme internazionali generali scritte. E questo problema si
pone innanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni Unite.
L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella comunità internazionale manca
un'autorità con poteri legislativi, il Trattato è l'unico strumento per la trasformazione del diritto non scritto in
diritto scritto.
L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che l'Assemblea generale intraprenda degli studi e
faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del diritto internazionale e la sua codificazione. A tali
fini l'Assemblea ha creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere alla preparazione di testi di
codificazione delle norme consuetudinarie relative a deterinate materie, procedendo a studi, raccogliendo
dati e predisponendo in tal modo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi
adottati e aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi.
Il primo problema che si pone è se, vista la codificazione e la ratifica, vincolano soltanto gli Stati contraenti
o anche gli Stati terzi?
Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di codificazione come corrispondenti al diritto
consuetudinario generale e soprattutto nell'estenderli ai Paesi non contraenti. Innanzitutto non si può riporre
un'illimitata fiducia nei lavori della Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, perché spesso
ci può essere l'influenza dell'interprete o anche di chi è chiamato a far parte della Commissione stessa.
Inoltre gli Stati fanno quello che si fa sempre in sede di conclusione delle trattative per la conclusione degli
accordi internazionali: cercano di far prevalere i propri interessi, le proprie convinzioni. Infine, l'art. 13 parla
di "sviluppo progressivo" ma si rischia di far introdurre norme che erano abbastanza incerte sul piano del
diritto internazionale.
Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno considerati come normali accordi internazionali e
quindi vincolano i soli Stati contraenti che li ratificano.
Un grosso problema si creerebbe al verificarsi del fenomeno del c.d. ricambio delle norme contenute
dall'accordo. Ammesso che l'accordo di codificazione sia coincidente con il diritto internazionale
consuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibile che in epoca successiva il diritto
consuetudinario subisca dei cambiamenti per effetto della mutata pratica degli Stati. Si può anche verificare
anche il fenomeno dell'invecchiamento dell'accordo di codificazione man mano che gli interessi mutano e i
rapporti si evolvono, come anche dimostrato dal diritto dei trattati. Che succede allora? Innanzitutto questo
fenomeno riconferma la tesi che a maggior ragione i principi non si possono applicare agli Stati non
contraenti, mentre per gli Stati contraenti sarà necessario dimostrare che essi abbiano la volontà di derogare
all'accordo nella prassi, altrimenti si applica il diritto consuetudinario contenuto nell'accordo.

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8. Le dichiarazioni di principi dell'assemblea dell'ONU


Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche il problema del valore delle Dichiarazioni di
principi emanate dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di dichiarazioni contenenti una serie di regole
che talvolta riguardano i rapporti tra Stati, ma spesso i rapporti interni alle varie comunità Statali, come i
rapporti dello Stato con i propri sudditi o con gli stranieri.
Bisogna innanzitutto sottolineare che le Dichiarazioni non costituiscono un'autonoma fonte di norme
internazionali generali, poiché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha poteri legislativi mondiali
(tanto che si esprime mediante raccomandazione, che ha valore di esortazione, non vincolante).
Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante ai fini dello sviluppo internazionale e al suo
adeguamento alle esigenze di solidarietà e di interdipendenza. Per quanto riguarda il diritto consuetudinario,
le Dichiarazioni vengono in rilievo, ai fini della sua formazione, in quanto prassi degli Stati, in quanto
somma degli atteggiamenti degli Stati che le adottano, e non come atti dell'ONU.
Certe dichiarazioni o parti di Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordi internazionali: sono quelle
che non solo enunciano un principio ma in modo espresso e inequivocabile ne equiparano l'inosservanza alla
violazione della Carta. Tuttavia, poiché l'Assemblea non ha poteri interpretativi sovrani che vincolerebbero
tutti gli Stati a quell'interpretazione, anche le Dichiarazioni restano delle mere raccomandazioni, dal punto di
vista della Carta. Hanno però carattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che le abbiano approvate e
vanno inquadrate come accordi in forma semplificata.

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9. I trattati fra Stati


Una volta esaurito l'esame del diritto internazionale generale, possiamo passare a quello del diritto
internazionale particolare: i trattati. La terminologia usata per indicare questa materia è assai vasta: accordo,
trattato, patto, convenzione etc. Si parla di Carta o Statuto per i trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali, scambio di note per l'accordo risultante dallo scambio di note diplomatiche etc.
L'accordo internazionale può essere definito come l'unione o l'incontro della volontà di due o più stati,
dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Anche i trattati possono dar vita
sia a norme materiali, cioè a regole che direttamente disciplinano i rapporti tra destinatari, imponendo
obblighi o attribuendo diritti, sia a norme formali o strumentali, che si limitano cioè ad istituire fonti per la
creazione di ulteriori norme. A questa categoria appartengono i trattati costitutivi di organizzazioni
internazionali, che oltre a disciplinare direttamente certi rapporti tra gli Stati membri, demandano agli organi
sociali la produzione di norme ulteriori.
Come nel diritto interno i contratti sono subordinati alla legge, così i trattati sottostanno alle consuetudini
(pacta sunt servanda). Le Nazioni Unite hanno promosso l'elaborazione della Convenzione di Vienna del
1969 sul diritto dei trattati, in vigore dal 27.01.1980 e ratificata anche dall'Italia con legge 112/74.
Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suo campo di applicazione non tocca le regole
meramente riproduttive delle norme consuetudinarie generali, che, proprio perché generali, valgono per tutti
gli Stati e per tutti i trattati. La Convenzione, invece, si applica unicamente ai trattati conclusi tra Stati dopo
la sua entrata in vigore per tali Stati. Ma occorre che gli Stati stipulanti un accordo siano gli stessi della
Convenzione o vale anche se alla conclusione del Trattato partecipano anche Stati terzi? Generalmente si
preferisce questa seconda interpretazione.
Come si arriva alla conclusione di un accordo?
I modi di incontro della volontà degli Stati sono molto liberi nel diritto internazionale in materia di forma e
procedura. L'accordo si può perfezionare istantaneamente o al termine di complicate procedure.
Generalmente il procedimento formale o solenne vede la competenza assoluta del Capo di Stato. Il trattato
veniva negoziato degli emissari del Sovrano, definiti "plenipotenziari", in quanto dotati di "pieni poteri", per
la negoziazione. I plenipotenziari predisponevano il testo dell'accordo e lo sottoscrivevano. Seguiva poi la
ratifica da parte del Sovrano, con cui accertava se i plenipotenziari si fossero effettivamente attenuti al
mandato ricevuto. Alla fine, per portare la volontà del Sovrano a conoscenza delle controparti, avveniva lo
scambio delle ratifiche. Abbiamo quindi 4 fasi: negoziazione, firma, ratifica e scambio delle ratifiche.
La fase di negoziazione è tanto più complessa quanto più numerosi sono gli Stati che partecipano alla
negoziazione stessa.
Il negoziato si conclude con la "firma" da parte dei plenipotenziari, ma questa non comporta ancora nessun
vincolo per gli Stati: ha solo valore di autenticazione del testo predisposto.
La manifestazione della volontà dello Stato che si impegna si ha con la ratifica. La competenza a ratificare è
disciplinata dal diritto costituzionale di ogni Stato. L'ordinamento italiano all'art. 87 dispone che il
Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionale, previa, quando occorre, l'autorizzazione delle
Camere. L'art. 80 specifica quali sono le materie per le quali è prevista l'autorizzazione e deve essere data
con legge: trattati che hanno natura politica, o prevedono regolamenti giudiziari, o comportano variazioni
del teritorio nazionale o oneri alle finanze, o modificazioni di leggi. Questi due articoli devono essere letti
con l'art. 89 Cost., secondo cui nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dal ministro
proponente che se ne assume la responsabilità.

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Non sempre le Costituzioni moderne parlano di ratifica. Possiamo trovare anche i termini come
"approvazione", "conclusione" etc. Alla ratifica inoltre si equipara l'adesione che si ha, nel caso di trattati
multilaterali, quando la manifestazione di volontà diretta a concludere l'accordo proviene da uno Stato che
non ha preso parte ai negoziati. Ovviamente sarà necessario che il trattato sia "aperto", ossia che contenga
una clausola di adesione.
Alla ratifica segue lo scambio delle ratifiche o il deposito delle ratifiche. Nel caso di scambio, l'accordo si
perfeziona istantaneamente. Nel caso di deposito, che è la procedura normalmente seguita per i trattati
multilaterali, l'accordo si forma tra gli Stati depositanti. A volte si può prevedere che il trattato non entri in
vigore finché non si siano raggiunte un certo numero di ratifiche.
Questa, abbiamo detto, è la procedura solenne. E' possibile però che gli Stati, godendo di ampia libertà per la
formazione degli accordi, scelgano un'altra forma. La più diffusa è la forma semplificata, tanto che si parla
anche di accordi informali. L'accordo che si perfeziona con questa procedura entra in vigore per effetto della
sola sottoscrizione del testo da parte dei plenipotenziari, attribuendo alla firma il valore di piena e definitiva
manifestazione di volontà. Ovviamente lo Stato dovrà attribuire questo potere ai plenipotenziari, si dovrà
specificare questo effetto della firma e si dovrà esprimere nel corso della negoziazione che si intende
attribuire questo valore alla firma.
Rientrano nella categoria degli accordi in forma semplificata anche gli scambi di note diplomatiche. In
questa categoria rientrano tutti gli accordi che, in modo o in un altro, gli organi dello Stato preposti alle
relazioni con gli altri Stati, stipulano senza ricorrere alla procedura della ratifica, impegnando
definitivamente la responsabilità dello Stato. La competenza a concludere gli accordi in forma semplificata,
al pari della competenza a ratificare, è regolata dal diritto costituzionale di ciascuno Stato. Tendenzialmente
l'organo è l'Esecutivo.
Cosa succede se l'organo che stipula il trattato era incompetente?
Tendenzialmente si escludono sia visioni prettamente internazionalistiche, sia visioni prettamente interne:
gli accordi non sono né sempre validi, né sempre invalidi. Ripudiate tali situazioni estreme, la Convenzione
di Vienna propone una soluzione all'art. 46: il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un
trattato sia stato espresso in violazione di una regola di competenza a stipulare del suo diritto interno non
può essere invocato da tale Stato come vizio del suo consenso, a meno che la violazione non sia manifesta e
non concerna una regola del suo diritto interno di importanza fondamentale; una violazione è manifesta se è
obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la prassi abituale e in buona
fede. Noi riteniamo che la violazione di norme interne di importanza fondamentale sia causa di invalidità del
trattato solo quando sull'accordo non si sia pronunciato uno degli organi cui la Costituzione assegna un
potere decisionale effettivo nel procedimento di stipulazione. La parte in cui prevede la buona fede, invece,
non sembra da seguire perché risente di una conzione troppo "diplomatica" del diritto internazionale.
Accordi stipulati dalle organizzazioni internazionali
Nella prassi contemporanea è anche molto diffuso il fenomeno degli accordi stipulati dalle organizzazioni
internazionali, sia fra loro, sia con Stati terzi. Probabilmente il potere di concludere trattati è da considerare
la manifestazione più saliente della personalità giuridica internazionale delle organizzazioni. Il Trattato
istitutivo dell'organizzazione stessa deve disciplinare quali sono gli organi competenti a stipulare e quale sia
la competenza per materie. Una violazione grave delle norme statutarie sulla competenza a stipulare può
comportare l'invalidità dell'accordo. Poiché, però, le norme contenute nel Trattato istitutivo sono
modificabili dalla consuetudine, la competenza a stipulare può anche risultare da regole consolidatesi nella
prassi dell'organizzazione, purché si tratti di prassi certa, ossia seguita dagli organi e accettata dagli Stati
membri e sempre che non ci sia un organo giudiziario incaricato di vegliare sul rispetto del trattato.

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10. Inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi e incompatibilità


Inefficacia dei Trattati nei confronti di Stati terzi
La caratteristica del diritto pattizio è che fa legge tra le parti e solo tra le parti. Se il trattato contiene una
clausola di adesione, cioè è aperto, altri Stati, che non hanno partecipato ai negoziati, vi possono comunque
aderire a pieno titolo mediante una loro dichiarazione di volontà. In tal modo la posizione degli Stati
aderenti non differirà giuridicamente da quella degli Stati originari, se non per il esmplice fato che non
hanno partecipato alla formazione dell'accordo.
Può verificarsi, però, che la clausola di adesione manchi e che la convenzione crei diritti in suo favore o
obblighi a suo carico. Anche in questo caso sarà necessario dimostrare che gli obblighi e i diritti siano in
qualche modo accettati dallo Stato: cioè che il trattato contenga in qualche modo un'offerta e dallo Stato
terzo provenga un'accettazione, il che determinerà quell'incontro di volontà che è caratteristico dell'accordo.
Fuori da questi casi non potrà che applicarsi il principio di inefficacia dei trattati nei confronti degli Stati
terzi, non contraenti.
Le parti possono anche impegnarsi in un contratto a favore di Stati terzi, che quindi risulti vantaggioso per
questi Stati non contraenti. Ma tali vantaggi, finché non si trasformano in diritti attraverso la partecipazione
del terzo all'accordo in uno dei modi indicati, possono essere sempre revocati dalle parti contraenti. Le parti
contraenti se vogliono negare al terzo i vantaggi pattuiti non hanno bisogno di stipulare un successivo
trattato, ma possono negarli in determinati casi e riconoscerli in altri.
L'art. 34 della Convenzione di Vienna sancisce, come regola generale, che un trattato non crea obblighi o
diritti per un terzo Stato senza il suo consenso. La stessa regola vale per un obbligo. Ma mentre il consenso
nel primo caso si presume fino a prova contraria, nel secondo caso deve essere maniestato. Nel caso in cui i
contraenti creino dei vantaggi per lo Stato terzo, possono revocare quando vogliono il "diritto" accettato dal
terzo, a meno che non ne abbiano previamente stabilita in qualche modo l'irrevocabilità.
Incompatibilità tra norme internazionali
Ovviamente un trattato può essere modificato o abrogato da un trattato successivo fra gli stessi contraenti,
cosa succede se i contraenti dell'uno e dell'altro trattato coincidono solo in parte?
Si cerca di trovare la soluzione nei principi di successione dei trattati nel tempo e quello dell'inefficacia dei
trattati nei confronti di terzi: fra gli stati contraenti di entrambi i trattati, prevale l'accordo successivo; nei
confronti degli Stati che siano parti di uno solo dei trattati, restano invece integri, nonostante
l'incompatibilità, tutti gli obblighi che da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di entrambi si
troverà, in poche parole, a dover scegliere a quali impegni tenere fede e rispondere di inadempimento per
degli altri. La Convenzione di Vienna è orientata in tal senso, ma all'art. 41 precisa che due o più parti di un
trattato non possono concludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti reciproci,
quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale, oppure pregiudica la posizione delle altre parti
contraenti oppure è incompatibile con la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme.
L'espressione "non possono" è molto ambigua, ma si ritiene che non figuri una causa di invalidità
dell'accordo (perché la disposizione non si colloca nell'ambito delle cause di invalidità), ma illiceità e
responsabilità internazionale.

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11. Le riserve nei trattati


La riserva indica la volontà dello Stato di non accettare certe clausole del trattato o di accettarle con alcune
modifiche, oppure secondo una determinata interpretazione (c.d. riserva interpretativa). Così facendo tra lo
Stato autore della riserva e gli altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la parte non investita dalla
riserva, mentre il trattato resta integralmente applicabile agli altri Stati.
Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali, soprattutto quello stipulati da un numero
rilevante di Stati. Nei trattati bilaterali, lo Stato che non vuole assumere certi impegni deve solo proporre
alla controparte di non includerli nel testo. L'istituto della riserva,allora, serve a facilitare la larga
partecipazione degli Stati ai trattati multilaterali.
Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità di apporre riserve doveva essere tassativamente
concordata nella fase di negoziazione e quindi doveva figurare nel testo del trattato predisposto dai
plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non aveva altra alternativa se non quella di ratificare il trattato. Due
erano i modi per i quali era possibile apporre riserve: o i signoli Stati dichiaravano al momento della
negoziazione di non voler accettare alcune clausole, oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà di
apporre riserve al momento della ratifica o dell'adesione, e in tal sede ogni Stato valutava se avvalersi o
meno di tale facoltà. In quest'ultimo caso era comunque necessario che il testo specificasse quali clausole
potevano essere oggetto di riserva.
Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 della Corte Internazionale di Giustizia affermò
che una riserva può essere anche formulata all'atto della ratifica, anche se la relativa facoltà non è
espressamente prevista nel testo del trattato purché essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato;
purché, in altre parole, essa non riguardi clausole fondamentali e caratterizzanti l'intero trattato, altrimenti
non si configurerebbe neanche l'accordo.
Il parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della Convenzione di Vienna, nella quale è
codificato il principio che una riserva può essere sempre formulata purché non sia espressamente esclusa dal
testo del trattato e purché non sia incompatibile con lo scopo e l'oggetto del trattato medesimo. Se la riserva
non è prevista dal testo del trattato e nessuno la contesta entro dodici mesi dalla notifica della riserva stessa
alle altri parti contraenti, essa si intende accettata.
Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non solo confermato quanto disposto, ma ha anche portato
innovazioni, riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno Stato formuli le riserve in un momento
successivo rispetto a quello in cui aveva ratificato il trattato, purché nessuna delle altre parti contraenti
sollevi obiezioni contro il ritardo. La tendenza più innovatrice si ricava dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti umani: se lo Stato formula una riserva inammissibile (perché espresamente esclusa dal
testo o perché contraria all'oggetto o allo scopo del trattato), tale inammissibilità non comporta l'estraneità
dello Stato stesso rispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva che si avrà per non apposta. Bisogna
però osservare che la giurisprudenza della Corte europea riguarda solo la Convenzione europea dei diritti
umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati è prematura.
Quando alla formazione della volontà dello Stato concorrono più organi, può darsi che l'apposizione di una
riserva sia decisa da uno, ma non dagli altri. Cosa succede se il Governo non tiene conto di una riserva
decisa dal Parlamento o formula una riserva che il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche
verificati in Italia e le opinioni dottrinali in merito sono svariate. Alcuni ritengono che il Governo possa
apporre riserve, in quanto gestore dei rapporti internazionali, mentre la tesi opposta, muovendo da posizioni
più garantiste e dalla necesstà della collaborazione tra i due organi, sostiene che il governo non possa

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apporre riserve non volute dal Parlamento.
A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto due principi costituzionali cardine: la formazione e
manifestazione della volontà dello Stato e la responsabilità del Governo dall'altra. Sotto il primo profilo una
riserva è valida sia che venga formulata solo dal Parlamento, sia solo e autonomamente dal Governo.
Tuttavia se il Governo decide di discostarsi in tema di riserve da quanto deliberato in Parlamento,
rischierebbe il ricorso dell'organo legislativo ai meccanismi della messa in gioco della responsabilità
governativa. Siccome per il diritto internazionale è irrilevante la responsabilità del Governo, ma si
preoccupa della formazione della volontà dello Stato, la riserva resta comunque valida, tranne nel caso in cui
la riserva fosse contenuta nella legge di autorizzazione e di cui il Governo non tenga conto in cui si
verificherebbe una violazione grave del diritto interno e dovrà ritenersi che lo Stato non resti impeganto per
detta parte se e finché il Parlamento non revochi espressamente o implicitamente la riserva.

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12. La successione degli stati nei trattati


XIII Diritto internazionale -> La formazione delle norme internazionali -> La successione degli Stati nei
trattati
Il problema della successione nei trattati si pone quando uno Stato si sostituisce ad un altro nel governo di
un territorio. E' o non è vincolato dai trattati stipulati dal suo predecessore e in vigore in quel territorio?
La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati: per effetto di cessione o conquista, sotto la
sovranità dello Stato esistente oppure si costituisce uno Stato nuovo e indipendente.
Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata una Convenzione di codificazione, predisposta dalla
Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite e firmata a Vienna nel 1978.
Un principio pacifico per la dottrina e la prassi in materia di successione, enunciato anche dalla
Convenzione, è quello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo di una
comunità territoriale è vincolato dai trattati o dalle clausole di un trattato localizzabile, cioè che riguardano
l'uso di determinate parti di territorio, conclusi dal predecessore. In questa categoria rientrano i trattati che
istituiscono servitù attive o passive nei confronti degli Stati vicini, la concessione in affitto di parti del
territorio, i trattati che prevedono la lebera navigazione dei fiumi e simili.
La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che è comune a tutte le altre ipotesi in cui il diritto
internazionale ammette la trasmissione dei diritti e degli obblighi pattizi. Tale limite consiste nelle non
trasmissibilità degli accordi che abbiano un prevalente carattere politico, che siano cioè strettamente legati al
regime vigente prima del cambiamento di sovranità.
Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior parte. Per questo tipo di accordi la prassi
risulta assai confusa anche perché sempre più spesso la successione nei trattati del predecessore è regolata
mediante accordi tra lo Stato subentrante e le altre parti contraenti dei precedenti trattati. La regola
fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili è quella della c.d. tabula
rasa: lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni, vincolato
dagli accordi conclusi dal suo predecessore. La prassi depone in tal senso.
La Convenzione distingue la situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione dalla situazione di ogni altro
Stato che subentri nel governo di un territorio. Mentre per la prima assume come regola fondamentale quella
della tabula rasa, per la seconda sceglie la regola opposta della continuità dei trattati. Un simile trattamento
differenziato non trova però corrispondenza nel diritto consuetudinario.
A questo punto possiamo esaminare le singole ipotesi di mutamento di sovranità assumendo come punto di
partenza la regola della tabula rasa.
1. Il principio della tabula rasa si applica anzitutto nell'ipotesi del distacco di una parte del territorio di uno
Stato. Può darsi che la parte di territorio distaccatasi si aggiunga al territorio di un altro Stato preesistente. In
tal caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al
territorio distaccatosi e si estendono invece automaticamente gli accordi vigenti nello stato che acquista il
territorio.
2. Può darsi invece che sulla parte distaccatasi si formino uno o più Stati nuovi (secessione). Anche in
questo caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al
territorio che acquista l'indipendenza. La prassi relativa agli Stati sorti dalla decolonizzazione ha suggellato
tale tendenza. L'applicazione del principio della tabula rasa agli Stati nuovi formatisi per distacco è integrale
per quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dal predecessore e vigenti nel territorio distaccatosi. Tali
trattati potranno continuare a vivere solo se rinnovati attraverso un apposito accordo con la controparte. La

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stessa cosa vale per i trattati multilaterali chiusi, ossia dei trattati che non prevedono la partecipazione,
mediante adesione, di Stati diversi da quelli originari: anche in questa ipotesi sarà necessario un nuovo
accordo con tutte le controparti. Per i trattati multilaterali aperti, il principio della tabula rasa subisce un
temperamento. Lo Stato di nuova formazione può, anziché aderire, procedere alla c.d. notificazione di
successione: con tale atto la sua partecipazione retroagisce al momento dell'acquisto dell'indipendenza. In
altre parole, mentre l'adesione ha effetto ex nunc, la notificazione di successione ha carattere retroattivo.
3. Affine all'ipotesi della secessione è il caso dello smembramento. Mentre la secessione non implica
l'estinzione dello Stato che la subisce, la caratteristica dello smembramento sta proprio nel fatto che uno
Stato si estingue e sul suo territorio si formano due o più Stati nuovi. L'unico criterio idoneo a distinguere le
due ipotesi è quello della continuità o meno dell'organizzazione di governo preesistente: l'ipotesi dello
smembramento è da ammettere quando nessuno degli Stati residui abbia la stessa organizzazione di governo,
lo stesso regime. Ai fini della successione nei trattati, lo smembramento deve essere assimilato al distacco.
Si applica il principio della tabula rasa, temperato però dalla regola che per i trattati multilaterali aperti
prevede la facoltà di procedere ad una notificazione di successione.
4. Oposte in un certo senso al distacco e allo smembramento sono l'incorporazione e la fusione. La prima si
ha quando uno Stato, estinguendosi, passa a far parte di un altro Stato; la seconda quando due o più Stati si
estinguono tutti e danno vita ad uno Stato nuovo. La distinzione è molto sottile e bisogna pertanto riferirsi
all'organizzazione di governo che risulta dall'unificazione. All'incorporazione si applica la regola della
mobilità delle frontiere dei trattati. I trattati dello Stato che si estingue cessano di avere vigore, mentre al
territorio incorporato si estendono i trattati dello Stato incorporante. Per i trattati dello Stato incorporato
vale, ancora una volta, il principio della tabula rasa. Lo stesso principio regola i casi di fusione: lo Stato
sorto dalla fusione, sempre che sia effettivamente stato nuovo e che non presenti condizioni di continuità per
quanto riguarda l'organizzazione di governo, nasce libero da impegni pattizi.
5. Un'eccezione al principio della tabula rasa sia nell'ipotesi di incorporazione che di fusione, deve
ammettersi quando le comunità statali incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti internazionali,
conservino un notevole grado di autonomia nell'ambito dello Stato incorporante o nuovo, quando si instauri
un vincolo di tipo federale. In tal caso la prassi si è orientata nel senso della continuità degli accordi.
6. Un problema di successione nei trattati si pone anche nel caso si verifichi un mutamento di governo
nell'ambito di una comunità statale, senza che il territorio subisca ampliamenti o diminuzioni. Quando il
mutamento avviene per vie extralegali e si instaura un regime radicalmente diverso, si deve ritenere che muti
la persona di diritto internazionale (proprio perché lo Stato soggetto di diritto internazionale si identifica con
l'apparato di governo). Opera anche qui il principio della tabula rasa o si ha una successione del nuovo
Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore? La prassi sembra orientata in questo secondo senso,
eccezion fatta per i trattati incompatibili con il nuovo regime.
Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale
Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti localizzabili. Secondo la prassi più recente
(smembramento dell'URSS e della Cecoslovacchia) il debito deve essere equamente ripartito tra gli Stati
sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori.

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13. Cause di invalidità e di estinzione dei trattati


Le cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono molto simili a quelle previste dal diritto dei contratti, ma
la categoria è allargata dalle cause tipiche del diritto internazionale. La disciplina è contenuta da norme ad
hoc e dalle consuetudini che costituiscono i principi generali di diritto.
Cause di invalidità:
1. errore essenziale, previsto dall'art. 48 della Convenzione di Vienna, è un fatto, una situazione che lo Stato
supponeva esistente al momento in cui è stato concluso il trattato e che costituiva una base essenziale del
consenso di questo Stato.
2. dolo, previsto all'art. 49, comprende anche l'ipotesi della corruzione dell'organo stipulante (art. 50).
3. violenza, che può essere fisica o morale, prevista all'art. 51.
Cause di estinzione:
Il trattato si estingue per una delle seguenti ipotesi:
1. condizione risolutiva
2. termine finale
3. denuncia
4. recesso
5. inadempimento di controparte
6. sopravvenuta impossibilità di esecuzione
7. abrogazione (totale o parziale, espressa o per incompatibilità) mediante accordo successivo tra le parti

Tra le cause di invalidità rientra anche la violenza esercitata sullo Stato nel suo complesso. L'art. 52 infatti
dispone che è nullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l'uso della forza
in violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Si evince facilmente che viene bandito l'uso della
forza, ma si ritiene che si tratti della forza armata, perché nella prassi non ci sono elementi che facciano
ricomprendere pressioni di altro genere (come le pressioni politiche ed economiche ancorché illecite che ci
sono spesso).
La violenza sullo Stato è da configurare come causa d'invalidità dei trattati entro limiti ristretti. Il problema
dei trattati ineguali non si risolve sul piano della validità. Si interpretano in modo equo i trattati in cui la
parte non ha un ampio margine di potere contrattuale, e in modo restrittivo le clausole particolarmente
favorevoli agli Stati più forti.

Clausolo rebus sic stantibus:


Il trattato si estingue in tutto o in parte se mutano le circostanze esistenti al momento della stipulazione,
purché si tratti di circostanze essenziali, senza cui i contraenti non avrebbero trattato. Per l'antica dottrina è
una condizione risolutiva tacita, perché venivano meno le circostanze a cui si subordinava l'efficacia del
trattato. Se è espressa, non si creano problemi perché si configura come condizione stabilita dalle parti. Se,
invece, non è espressa, la situazione è più delicata: si riconosce tuttavia che il trattato si estingua solo se le
circostanze mutate costituivano la "base essenziale del consenso dele parti" (art. 62 Convenzione di Vienna).
Questo principio sembra essere la negazione della consuetudine secondo cui pacta sunt servanda.

Guerra:
Ci si chiede se la guerra sia causa di estinzione o sospensione dei trattati. La regola classica era orientata nel

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primo senso. La prassi moderna, invece, propone molte eccezioni e temperamenti: si nega l'effetto estintivo
della guerra per i trattati multilaterali, ma la giurisprudenza tende a considerare estinte quelle convenzioni
incompatibili con lo stato di guerra. tuttavia bisogna verificare di volta in volta se la guerra abbia
determinato un mutamento radicale delle circostanze esistenti al momento del trattato (rebus sic stantibus).

Mezzi per far valere l'estinzione o invalidità:


Una volta che si è verificata la causa di estinzione o di invalidità, questa opera automaticamente o è
necessario un atto formale di denuncia? Il problema è molto controverso in dottrina:
1. certe cause (termine finale, abrogazione da parte di un accordo successivo etc.) operano automaticamente.
2. altre cause di invalidità e di estinzione (che sono la maggior parte, come i vizi della volontà o il
mutamento sopravvenuto delle circostanze) operano in modo automatico secondo alcuni, dopo un formale
atto di denuncia notificato agli Stati contraenti secondo altri, resta in vigore finché non si accerta in modo
imparziale la causa di invalidità o estinzione secondo altri ancora.
Tendenzialmente si esclude l'automaticità quando la causa invalidante o estintiva consista in fatti difficili da
provare o di dubbia interpretazione.

Denuncia:
Lo scopo della denuncia consiste nella manifestazione della volontà di uno Stato di sciogliersi una volta per
tutte dal vincolo contrattuale. La denuncia produce la cessazione del vincolo? La denuncia vincola alla
disapplicazione, ma deve provenire dagli organi competenti a manifestare la volontà dello Stato sul piano
dei rapporti internazionali. A tali fini, bisognerà guardare la Costituzione dei singoli Stati: in generale è
l'Esecutivo, ma esistono anche forme di collaborazioni tra Parlamento e Governo.
Gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla denuncia dello Stato. In caso di disaccordo sull'effettiva
insorgenza della causa di invalidità o estinzione, il trattato entra in una fase di incertezza sul piano del diritto
internazionale.
Procedura prevista dalla Convenzione di Vienna per far valere l'invalidità e l'estinzione (artt. 65-68)
1. Notifica scritta della pretesa dello Stato agli altri paesi contraenti
2. Se, trascorso un periodo non inferiore a tre mesi salvi i casi di urgenza, non vengono presentate obiezioni,
lo Stato può definitivamente dichiarare che il Trattato è invalido o estinto, con atto comunicato alle altre
parti, sottoscritto dal Capo dello Stato o dal Capo del Governo o dal Ministro degli Esteri, o comunque da
una persona munita di pieni poteri in tal senso
3. se invece vengono presentate obiezioni, si cerca una soluzione della controversia con mezzi pacifici. La
soluzione deve pervenire entro 12 mesi
4. se passano i 12 mesi inutilmente, si mette in moto una procedura conciliativa che fa capo ad una
commissione formata nell'ambito delle Nazioni Unite che sfocia in una decisione non obbligatoria, ma
esortativa. La pretesa all'invalidità o estinzione resta paralizzata in perpetuo. I giudici interni non sono mai
vincolati e costretti alla paralisi.

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14. Le fonti previste da accordi: Le Nazioni Unite


I Trattati non contengono solo regole materiali, ma anche regole strumentali o formali, che istituiscono cioè
ulteriori procedimenti o fonti di produzione di norme. Generalmente il compito delle organizzazioni
internazionali non è quello di emanare norme, ma di facilitare la collaborazione tra Stati membri, mediante
raccomandazioni, cioè atti che hanno scarso valore giuridico perché non sono vincolanti, ma hanno solo
valore di esortazione.
Le risoluzioni delle organizzazioni internazionali possono essere, a seconda dei loro Statuti, prese a
maggioranza o maggioranza qualificata, ma spesso è richiesta l'unanimità. Recentemente si è affermata la
pratica del consensus, che consente nell'approvare una risoluzione senza una votazione formale, ma con una
dichiarazione (non contestata, ma concertata) dal Presidente dell'organo che attesta l'accordo tra i membri.

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15. L'Organizzazione delle Nazioni Unite


Fondata dopo la seconda guerra mondiale al posto della Società delle Nazioni, la Conferenza di San
Francisco ne elaborò la carta nel 1945. La Svizzera non ne fa parte. L'art. 7 della sua carta disciplina i suoi
organi principali:
1. Assemblea generale: ha quasi tutte le competenze (tende a coincidere con la stessa organizzazione), ma
non ha alcun potere vincolante; sono rappresentati tutti gli Stati e tutti hanno pari diritto di voto.
2. Consigli di sicurezza: composto da 15 membri, di cui 5 a titolo permanente [USA, Russia, Francia, Gran
Bretagna e Cina] che godono anche del diritto di veto. Si occupa di questioni attinenti al mantenimento della
pace e della sicurezza internazionale.
3. Consiglio economico e sociale: i suoi membri vengono eletti dall'Assemblea generale per tre anni ed
insieme al
4. Consiglio di amministrazione fiduciaria è subordinato all'Assemblea generale, di cui deve seguire le
direttive.
5. Corte internazionale di giustizia: formata da 15 giudici, ha la funzione di dirimere le controversie tra Stati,
ma ha anche una funzione consultiva (pur essendo i pareri dei giudici né obbligatori, né vinvolanti su
qualsiasi questione giuridica).
6. Segretariato nominato dall'Assemblea generale su proposta del consiglio di sicurezza, è l'organo
esecutivo.
Le materie di competenza sono vastissime, tanto che è più facile sottolineare che esulano dalla sfera di
competenza dell'organizzazione le questioni interne di uno Stato. Le aree che le spettano possono essere
raggruppate in tre categorie:
1. mantenimento della pace
2. sviluppo delle relazioni amichevoli tra Stati fondatori sul principio di eguaglianza dei diritti e
autodeterminazione dei popoli
3. collaborazione in campo economico, sociale, culturale e umanitario.
La sua attività principale consiste nell'emanazione di raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di
convenzione (soprattutto per l'Assemblea generale che non è organo legislativo, ma foro di discussione).
L'organizzazione è dotata, in rari casi, anche di poteri vincolanti nei confronti degli Stati membri. Secondo
l'art. 17 della Carta, l'Assemblea generale ha il potere di ripartire tra gli Stati membri:
1. le spese dell'organizzazione (con una decisione presa a maggioranza di 2/3)
2. può esprimere una decisione vincolante sulle modalità e termini per la conessione dell'indipendenza ai
territori sotto dominio coloniale.
Decisioni vincolanti del consiglio di sicurezza:
Sono prevista da talune disposizioni rispetto alla minaccia alla pace,alle violazioni della pace e agli atti di
aggressione. Gli artt. 41 e 42 distinguono le misure implicanti e quelle non implicanti l'uso della forza. Il
Consiglio può intraprendere azioni di tipo bellico contro uno stato. L' art. 41 dispone che il Consiglio di
sicurezza decide quali misure non implicanti l'uso della forza armata debbono essere adottate dagli Stati
membri contro uno Stato che minacci o abbia violato la pace e indica siffatte misure a titolo esemplificativo,
l'interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime,
aeree, postali, telegrafiche, radio e altre e la rottura delle relazioni diplomatiche.

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16. Istituzioni Specializzate delle Nazioni Unite


In campo economico e sociale troviamo tutta una serie di organizzazioni internazionali sia a carattere
universale sia a carattere regionale. Alcune si chiamano istituti specializzati (o istituzioni specializzate) delle
Nazioni Unite perché ad esse subordinate e da esse controllate.
Il collegamento tra le istituzioni specializzate e le Nazioni Unite nasce da un accordo che, dal lato dell'ONU,
è negoziato dal Consiglio economico e sociale e approvato dall'Assemble generale. Il contenuto si ricollega
ad uno schema tipico che prevede:
1. scambio di rappresentanti
2. osservatori
3. documenti
4. consultazioni in caso di necessità
5. coordinamento dei rispettivi servizi tecnici
6. impegno dell'istituto specializzato a prendere almeno in esame le raccomandazionidell'ONU.
Un'altra caratteristia è l'applicabilità delle norme della carta che si occupano degli Istituti e che li
sottopongono, entro certi limiti, al potere di coordinamento e controllo dell'ONU, tanto che l'art. 58 abilita
l'Assemblea e il Consiglio economico e sociale ad emanare raccomandazioni al fine di coordinare i
programmi e le attività degli Istituti specializzati. Anche gli Istituti specializzati emanano di solito
raccomandazioni, oppure predispongono Progetti di Convenzione. In alcuni casi emanano, a maggioranza,
decisioni vincolanti per gli Stati membri o decisioni che diventano vincolanti se entro un certo periodo gli
Stati non provvedono a ripudiarle.
Queste decisioni sono inquadrate tra le fonti previste da accordo, cioè dall'accordo istitutivo della relativa
organizzazione.

FAO (Food and Agricultural Organization)


Creata nel 1945, tra i suoi organi: Conferenza (composta da un delegato di ogni Stato membro) che si
riunisce ogni due anni in sessione ordinaria, il Consiglio (composto da 18 membri scelti dalla Conferenza) e
il Direttore generale. L'istituzione ha il compito di ricerca e informazione alla promozione ed esecuzione di
programmi di assistenza tecnica e aiuti nel campo agricolo e alimentare.

ILO (International Labor Organization)


Creata dopo la prima guerra mondiale, è composta dalla Conferenza generale, formata da 4 delegati per ogni
Stato, di cui 2 rappresentano il Governo e 2 rispettivamente i datori di lavoro e i lavoratori. Le funzioni
consistono nell'emanazione di raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di convenzione
multilaterale in materia di lavoro. I progetti di convenzione, approvati con la maggioranza dei 2/3, vengono
comunicati agli Stati membri che restano liberi di approvarli o meno, ma hanno l'obbligo di sottoporli entro
un certo periodo agli organi competenti per la ratifica e di fornire notizie al direttore generale sulla sorte da
essi subita.

UNESCO (United Nations Educational Scientific and Cultural Organization)


Si propone la diffusione della cultura, la promozione dello sviluppo dei mezzi di educazione all'interno degli
Stati membri e l'accesso all'istruzione. I suoi organi sono: Conferenza generale, Comitato esecutivo e
Segretario.

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ICAO (International Civil Aviation Organization)


Si occupa del traffico aereo, dei servizi di comunicazione legati ai segnali di terra, zone d'atterraggio etc. E'
composta da un'Assemblea, in cui ogni Stato possiede un solo voto e un Consiglio di 21 membri scelti
dall'Assemblea. Le sue disposizioni si chiamano standards internazionali o pratiche raccomandate.

WHO (World Health Organization)


Organizzazione mondiale della sanità che si preoccupa di adeguare tutti i popoli al livello più alto possibile
di salute.

IMO (International Maritime Organization)


Si occupa di garantire la sicurezza dei traffici marittimi.
ITU (International Telecomunication Union)
WMO (World Metereological Organization)
UPU (Universal Postal Union)
IMF (International Monetary Fund)
IBRD (International Bank for Reconstruction and Development)
IFC (International Finance Corporation)

IDA (Internationale Development Association)


Il fondo monetario internazionale e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo furono creati
nel 1994 con gli accordi di Bretton Woods. E' presente un Consiglio di Governatori che è l'organo
deliberante, ma le sue delibere non vengono prese in base al principio uno stato/un voto, ma secondo le
quote di capitale sottoscritte e quindi con il peso determinante dei Paesi piuù ricchi e in particolare degli
USA. Si propone la collaborazione monetaria internazionale, la stabilità dei cambi, l'equilibrio delle bilance
dei pagamenti e della concessione di prestiti a breve termine. La Banca, invece, concede mutui agli Stati
membri per investimenti produttivi a tasso di interesse variabile (a lungo termine).

IFAD (International Fund for Agricultural Development)


Contribuisce allo sviluppo, sotto forma di aiuti, dell'agricoltura dei Paesi più poveri con deficit alimentari
notevoli.

WIPO (World Intellectual Property Organization)


Si occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale.

UNIDO (United Nations Industrial Development Organization)


Dal 1979 è diventato un istituto specializzato a cui competono funzioni di tipo operative e non normative.

IAEA (International Atomic Energy Agency)


Sovrintende lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell'energia atomica, ma non è un istituto
specializzato.

WTO (World Trade Organization)


Del tutto indipendente dalle Nazioni Unite, vi fanno parte 135 stati. E' composta da una Conferenza

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ministeriale, dal Consiglio Generale e dal Segretariato con a capo un direttore generale. Fornisce un forum
per lo svolgimento dei negoziati relativi alle relazioni commerciali multilaterali e tendenti alla
globalizzazione del mercato. Tra i più importanti negoziati, ricordiamo il GATT, in tema di liberalizzazione
dei commerci internazionali. In seno a questa organizzazione vale il principio della clausola della nazione
più favorita, ossia dell'automatica estensione a tutte le parti contraenti delle concessioni fatte a una di esse,
sui dazi doganali e le tasse ed imposte su importazioni ed esportazioni. Può emanare decisioni vincolanti a
maggioranza di 3/4 della Conferenza ministeriale o del Consiglio Generale sull'interpretazione delle norme.
Ha anche un ruolo fondamentale sulla risoluzione delle controversie nascenti dagli accordi che ad essa fanno
capo.

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17. Le Comunità Europee e l'Unione Europea


CEE, CECA ed EURATOM sono le organizzazioni internazionali più dotate di poteri decisionali nei
confronti degli Stati che ne fanno parte. Possono emettere atti vincolanti.
Si tratta di tre organizzazioni distinte a cui appartengono 15 Stati. La CECA fu creata a Parigi nel 1951, CE
(CEE) ed EURATOM nel 1957 con i trattati di Roma. Nonostanto siano separate, hanno organizzazioni
comuni.
La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata in maniera rilevante modificata da una serie di
trattati: l'Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo nel 1986 e il Trattato sull'Unione Europea (Maastricht
1992) che hanno introdotto una forte integrazione tra gli Stati membri, azioni comuni in ambito di politica
estera e cooperazione degli Stati nel settore della giustizia e degli affari interni. Significative modifiche sono
state inoltre introdotte in materia di cittadinanza europea, nel rafforzamento del potere del Parlamento e
l'unione monetaria (specie con la creazione della BCE e della moneta unica).
Delle tre organizzazione sicuramente la CEE è la più importante, poiché investe tutta la vita economica e
sociale degli Stati membri. Così, mentre la CECA si occupa del mercato comune nel settore
corbosiderurgico e l'EURATOM nel settore dell'energia atomica, la CEE sovrintende la libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Queste rappresentano le 4 libertà fondamentali
dell'Europa e servono per assicuare la libera concorrenza.
La maggior parte delle norme del trattato sono ELASTICHE, GENERICHE E PROGRAMMATICHE
Si discute sulla natura giuridca delle Comunità Europee: si tratta di vere e proprie organizzazioni
internazionale (visto che ci sono organi con vari poteri) o embrioni di Stati federali (per la prevalenza del
diritto comunitario sul diritto interno)?

Organi:
1. COMMISSIONE, composta da individui e non Stati che non ricevono istruzioni dai governi nazionali di
appartenenza. Nella CECA la Commissione è l'organo decisionale effettivo, emana atti vincolanti che
formano la legislazione comunitaria. Il Consiglio ha solo poteri consultivi. Nella CEE ed EURATOM vale,
invece, il contrario: è il Consiglio l'organo deliberante, mentre la Commissione ha solo poteri di iniziative ed
esecutivi.
2. CONSIGLIO. E' l'organo che rappresenta i 15 Stati membri e presieduti a turno per 6 mesi. Di solito ne
fanno parte i ministri. Nella CECA ha funzioni prettamente consultive, nella CEE emana gli atti più
importanti della legislazione comunitaria decidendo, secondo i casi, a maggiornaza o all'unanimità.
3. PARLAMENTO EUROPEO. Dal 1979 è composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri eletti
a suffragio universale diretto. Non è l'organo legislativo della comunità, ma il Trattato di Maastricht gli ha
conferito certi poteri di partecipazioni alla funzioni legislativa. Svolge una funzione di controllo politico
sulle altre istituzioni, mediante l'esame dei rapporti che gli altri organi sono tenuti a sottoporgli (tranne la
Corte di Giustizia).
Troviamo inoltre procedure di COOPERAZIONE e CODECISIONE. La prima si applica in materia di
trasporti, fondo sociale europeo, ricerca e sviluppo professionale e l'ultima parola spetta al Consiglio (se il
Consiglio è unanime può anche andare contro il parere del Parlamento in seconda lettura). La procedura di
codecisione si applica nelle materie di corcolazione delle persone, libertà di stabilimento e circolazione di
sservizi. Il Parlamento può bloccare l'azione del Consiglio con una decisione adottata a maggioranza
assoluta dai suoi membri.

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4. CORTE DEI CONTI. Svolge funzioni di controllo delle entrate e uscite della Comunità.
5. CORTE DI GIUSTIZIA. Vegli asul rispetto dei Trattati e può essere anche adita dai cittadini europei.
Da questo quadro, si riesce a capire che in realtà l'organo legislativo è il Consiglio e che la legislazione
comunitaria si caratterizza per essere generica e programmatica. Tra gli atti vincolanti possiamo trovare:
DECISIONI: non hanno portata generale ed astratta, ma concreta. Può indirizzarsi sia ad uno Stato membro,
sia ad un individuo, sia ad un'impresa che opera nel territorio comunitario. Acquistano efficacia non con la
pubblicazione, ma con la notifica al destinatario.
DIRETTIVE: vincolano lo Stato al risultato da raggiungere, lasciando la scelta di forma e mezzi nella
competenza degli organo nazionali. La direttiva dovrebbe enunciare principi e criteri generali, ma oggi è
sempre più dettagliata, tanto che la scelta dello Stato si limita solo alla forma giuridca interna della norma
(cioè se scegliere una legge o un atto amministrativo).
REGOLAMENTI: hanno portata generale obbligatoria in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile.
Si tratta di norme generali ed astratte che gli Stati devono applicare.
Come tutte le organizzazioni internazionali, le Comunità Europee hanno la capacità di concludere accordi
internazionali. La competenza è così ripartita: spetta alla Commissione per i negoziati; al Consiglio, previa
consultazione o, in certi casi, previo parere conforme del Parlamento, per la manifestazione di volontà
diretta ad impegnarsi. La Corte di Giustizia può dare un parere sulla compatibilità dell'accordo con le
disposizioni del Trattato. Gli accordi stipulati diventano una categoria di atti comunitari con efficacia
vincolante.

Tra gli accordi troviamo:


1. Convenzioni di Associazione che istituiscono un'associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci,
azioni in comune e procedure particolari
2. Accordi comerciali, cioè di politica commerciale comune.
In questi casi la competenza esclusiva è della Comunità e gli Stati membri non possono stipulare da soli
accordi nelle stesse materie. Negli accordi misti possono partecipare sia la Comunità sia gli Stati membri. Se
uno Stato stipula da solo l'accordo senza autorizzazione del Consiglio l'accordo resta valido, ma si ha
violazione del diritto comunitario o causa l'invalidità? Il problema è ancora aperto.
La Corte di Giustizia ritiene che esiste un parallelismo tra competenze interne ed esterne comunitarie: in
tutte le materie in cui la Comunità ha, in base al Trattato, competenza ad emanare atti di legislazione
comunitaria, ha anche implicitamente competenza a concludere accordi con Stati terzi. Una volta che la
competenza sia stata esercitata all'interno delle Comunità in una determinata materia, la competenza esterna
diventa esclusiva rispetto a quella degli Stati membri. Ne consegue che gli Stati restano liberi di stipulare
accordi internazionali finché la Comunità non abbia legiferato, ma poi perdono tale libertà.

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18. Il Consiglio d'Europa


Dopo la seconda guerra mondiale furono create due organizzazioni: l'OECE (Organizzazione Europea per la
Cooperazione Economica) e l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), e il
Consiglio d'Europa (comprendente 40 Stati). Lo scopo di quest'ultimo è quello di conseguire una più stretta
unione fra i suoi membri per salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro
comune patrimonio e di favorire il loro progresso economico e sociale.
E' composto da:
1. COMITATO DEI MINISTRI, composto dai ministri degli Esteri
2. ASSEMBLEA CONSULTIVA, composta da rappresentanti dei Parlamenti nazionali
3. SEGRETARIATO (con a capo un segretario generale)
Predispongno testi di convenzione in materie giuridiche (diritto e procedura penale)

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19. La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti


dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali
Fu firmata a Roma nel 1950. Contiene due generi di norme: uno a carattere sostanziale (in cui è offerto il
catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali) e una a carattere procedurale.
E' composta da tanti membri quanti sono gli Stati, con un mandato di 6 anni.
Fino al 1998 svolgeva funzioni istruttorie e di conciliazione sui ricorsi che venivano presentati sulla
violazione della Convenzione da parte di uno Stato contraente. I ricorsi erano presentabili da Stati, individui
e gruppi di individui.
Nel 1998 vi fu una riforma: il Comitato dei ministri decide a maggioranza dei 2/3 se c'è stata violazione e
pone un termine entro cui è necessario eliminarla. Questo sicuramente è un intervento di carattere politico
più che giuridico.

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20. Altri organi per la tutela dei diritti umani


CONVENZIONE AMERICANA DEI DIRITTI DELL'UOMO, firmata a San José de Costa Rica nel 1969
CARTA AFRICANA del 1986
2 PATTI INTERNAZIONALI: uno sui diritti economici, sociali e culturali, l'altro sui diritti civili e politici.
Il primo patto non ha organi ad hoc, ma stabilisce che gli Stati contraenti sottopongono rapporti periodici
sulle misure prese in osservanza del patto al Consiglio Economico e sociale delle Nazioni che può a sua
volta trasmetterli alla Commissione dei diritti umani dell'ONU perché formuli raccomandazioni di ordine
generale o sottoporli all'Assemblea generale.
Il secondo prevede un comitato per i diritti dell'uomo (18 membri in carica per 4 anni) che può esminare i
reclami presentati contro uno Stato contraente da altri Stati o da individui. La procedura non sfocia in atti
vincolanti. Riceve, inoltre, anche i rapporti degli Stati sull'applicazione del Patto nei rispettivi territori.

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21. Le raccomandazioni degli organi internazionali


Le raccomandazioni sono l'atto tipico delle Nazioni Unite. Non sono vincolanti e per questo non si possono
inserire tra le fonti del terzo tipo e ci si chiede se siano del tutto improduttiva di effetti giuridici.
Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. EFFETTO LICEITA': non commette illecito lo Stato che
segue una raccomandazione, andando contro ad impegni già assunti con accordo o contro il diritto
consuetudinario. Tale effetto è da ammettere solo nei rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle
raccomandazioni legittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degli organi del trattato). Manca
però un organo incaricato di giudicare la legittimità della raccomandazioni o quelli che l'abbiano approvata
senza riserva. Per gli Stati che hanno votato contro o si siano astenuti, l'effetto liceità è da escludersi.
Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattati istitutivi di organizzazione internazionali fa
sì che sia illecito il comportamento di uno Stato che rifiuti di osservare tutta una serie di raccomandazioni.
Questa impostazione non è da condividere perché le raccomandazioni non sono vincolanti e la caratteristica
dell'atto consiste proprio nella funzione esortativa.

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22. La gerarchia delle fonti internazionali


XI Diritto internazionale -> La formazione delle norme internazionali -> La gerarchia delle fonti
internazionali
1. Norme consuetudinarie (compresi i principi generali di diritto comuni agli ordinamenti)
2. Trattati (obbligatorietà riposta nella consuetudine pacta sunt servanda)
3. Fonti previste da accordi (gli atti delle organizzazioni internazionali)
In che rapporto stanno?
La consuetudine è molto flessibile, poiché può essere derogata da una fonte inferiore, nei limiti in cui la
consuetudine lo consente. Oggi si parla sempre più di un gruppo di norme cogenti (ius cogens).
L'art. 53 della Convenzione di Vienna sancisce la nullità di qualsiasi trattato che, al momento della sua
conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Con norma
imperativa del diritto internazionale generale si intende una norma accettata e riconosciuta dalla comunità
internazionale degli Stati nel suo insieme, come norma a cui non si può apportare nessuna deroga e che non
può essere modificata se non da una norma di diritto inernazionale generale dello stesso carattere.
Il trattato quindi non può derogare le norme cogenti del diritto internazionale.
L'art. 64 stabilisce che se una norma imperativa di diritto internazionale generale è in contrasto con un
trattato, questo diventa nullo e si estingue.
Ma cos'è il diritto cogente? La Convenzione di Vienna non lo dice, né la dottrina riesce a trovare un criterio
di riferimento. Si fa leva sull'art. 103 della Carta dell'ONU: in caso di contrasti tra gli obblighi contratti dagli
Stati membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da esse assunti in base a qualsiasi
altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente statuto. Oggi il rispetto della
Carta è considerato fondamentale.

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23. L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale


Quali sono i mezzi di applicazione di una norma internazionale?
1. operatori giuridici e in particolare gli organi statali (per mezzo delle norme giuridiche)
2. accertamento giudiziario (applicazione diretta della norma da parte dei giudici)
Non si può dire che il diritto internazionale debba essere applicato a tutti i costi all'interno dello Stato perché
il diritto interno deve poter difendere certi valori costituzionali, sacrificando, se necessario, il diritto
internazionale. Tuttavia la difesa dei valori interni non deve avvenire ad ogni costo, perché sono importanti
anche valori internazionalistici (come la collaborazione e la solidarietà internazionale).
Troviamo irrilevanti le teorie dei monisti (che ritengono che il diritto statale trova fondamento nel diritto
internazionale) e dei dualisti (che sostengono che l'ordinamento statale è originario ed è netto e separato da
quello della comunità degli Stati) perché ci interessa sapere come si applicano le norme internazionali e
come queste si coordino con quelle interne.
Si fa tradizionalmente una distinzione tra PROCEDIMENTI ORDINARI e PROCEDIMENTI SPECIALI di
adattamento dei due diritti. Il primoavviene mediante norme (costituzionali, legislative, amministrative) che
si distinguono da quelle statali solo per il motivo per cui vengono emanate. Le norme internazionali vengono
riformulate all'interno dello Stato. Nei procedimenti speciali, la norma internazionale non viene riformulata
all'interno dello Stato: gli organi con funzioni normative ordinano l'osservanza della norma internazionale. Il
costituente, il legislatore o l'organo amministrativo operano con rinvio alla norma internazionale (come del
resto obbliga l'art. 10 Cost.), dando diretta applicazione nello Stato della norma internazionale. Di solito è
infatti con legge che si dà ordine di esecuzione di un trattato.
Tra i due è preferibile il procedimento speciale: con il procedimento ordinario ci si trova ad inteerpretare e
riformulare con provvedimento interno la norma. L'interprete si trova di fronte ad una norma identica a
quella statale, tranne che per il motivo che l'ha ispirata. Applicherà la norma interna e terrà conto di quella
internazionale ispiratrice solo in casi di interpretazione dubbia. Ma se il diritto internazionale di evolve? Se
interviene una desuetudine o una norma abrogatrice? In casi del genere ci troviamo, quindi, di fronte a
problemi di applicazione ed è per questo che si preferisce il procedimento speciale. In questi ultimi si ha un
semplice rinvio e il centro dell'applicazione della norma internazionale si sposta dall'interprete al legislatore.
Il giudice potrà commettere errori di interpretazione della norma internazionale, ma l'errore si ircoscriverà al
caso concreto e non a tutte le fattispecie. Il procedimento ordinario è però necessario in altri casi: quando la
norma internazionale non è direttamente applicabile ("self-executing"), ma necessita di un'attività
integratrice da parte degli organi statali. In Gran Bretagna generalmente si usa il procedimento ordinario e,
una volta introdotta, la norma internazionale coincide con quella nazionale. Gli altri Paesi invece
preferiscono il procedimento speciale.
Norme self-executing e non
La norma non self-executing si può avere in due casi:
1. quando la norma attribuisce facoltà agli Stati
2. quando la norma, pur imponendo obblighi, non riceve esecuzione perché mancano gli organi predisposti o
le procedure indispensabili per la sua applicazione.
Ci sono casi dubbi di norme self-executing e non self executing, ma noi crediamo che si ha self-executing
quando, in caso di sospensione o di mancata obbligazione o difficoltà di applicazione della norma
internazionale, si debba ricorrere a procedure di conciliazione o atti o mezzi di risoluzione delle
controversie. E' ancora self-executing quando la norma internazionale contiene una "clausola di esecuzione"

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che preveda che gli Stati adotteranno tutte le misure di ordine legislativo o d'altro genere per dare effetto alle
sue disposizioni. Invece quando nonostante la clausola di esecuzione, ci sono norme effettivamente non self-
executing ed impegnano lo Stato a prendere i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati, si può
parlare di non self-executing.
L'adattamento con rinvio comporta difficoltà nell'individuare la sfera di applicazione a causa della
formulazione delle norme (soggetti, rapporti, enti).
Rango nella gerarchia delle fonti interne:
tende ad essere quello che, nella gerarchia delle fonti, corrisponde al procedimento (ordinario o speciale) di
adattamento: se all'adattamento provvede il legislatore costituzionale, la norma avrà rango costituzionale; se
è il legislatore ordinario (trattati) avrà rango di legge ordinaria.

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24. L'adattamento al Diritto Internazionale Consuetudinario


In Italia l'adattamento avviene a livello costituzionale ex art. 10. Questa norma prevede un procedimento di
adattamento speciale o con rinvio. Il Costituente ha affermato la sua volontà di adattamento automatico,
completo e continuo. Le norme internazionali valgono all'interno dello Stato se e finché vigono
nell'ordinamento internazionale.
Il Perassi ha sostenuto la tesi della trasformazione permanente del diritto internazionale in diritto nazionale.
Una legge ordinaria che viola il diritto internazionale sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione
dell'art. 10 Cost.
Problema: posto che hanno rango costituzionale, che rapporto hanno le norme internazionali con la
Costituzione?
In concreto non ci sono molte possibilità di conflitto tra norme internazionali generali e norme costituzionali
perché si ha una differenza di competenze. La Costituzione regola i rapporti tra lo Stato e i suoi organi; il
diritto consuetudinario internazionale regola i rapporti tra organi, stranieri e Stati stranieri.
Tuttavia è possibile che si verifichino dei conflitti riguardo la Domestic Jurisdiction: un esempio può essere
fornito dalle immunità giurisdizionali degli agenti diplomatici, degli Stati e delle organizzazioni
internazionali dalla giurisdizione civile. Queste immunità e la conseguente impossibilità di convenire in
giudizio gli individui o gli enti che ne beneficiano, paralizza o no la tutela giudiziaria dei diritti ex art. 24
Cost.?
La soluzione al problema si ravvisa nella possibilità dei giudici di disapplicazione la norma internazionale
che violi i principi fondamentali garantiti dalla Costituzione.

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25. L'adattamento dei trattati e delle fonti da esso derivate


La Costituzione non prevede alcuna norma sull'adattamento dei Trattati. Il Quadri, con un'interpretazione un
po' forzata, ha tentanto di farli rientrare nella previsione dell'art. 10, facendo leva sulla consuetudine "pacta
sunt servanda". Il Costituente però si è limitato a parlare di diritto internazionale generale e non anche del
diritto internazionale particolare: oggi, inoltre, si stipulano fin troppi trattati e farli assurgere a rango
constituzionale significherebbe facilitare i raggiri e le revisioni delle norme costituzionali senza le procedure
previste dalla Carta fondamentale.
Perché il Trattato entri in vigore, è necessario un ordine di esecuzione. Generalmente lo si dà con legge
ordinaria, ma nulla vieta che possa essere anche un atto amministrativo. La giurisprudenza ritiene che se è
stato stipulato un trattato, ma ancora non è interenuto il provvedimento che ne ordini l'applicazione, non si
può pretenderne l'osservanza e poco importa la responsabilità degli organi nazionali sul piano internazionale
per violazione degli obblighi contratti. Da questa impostazione si capisce facilmente che neanche la
giurisprudenza avalla la tesi che un trattato abbia qualcosa in più rispetto alla legge sul piano della gerarchia
delle fonti. Se l'ordine di esecuzione viene dato con legge, il trattato sarà parificato alla legge: si
applicheranno le normali regole di successione delle leggi nel tempo, seppure con alcuni temperamenti:
1. presunzione di conformità delle norme interne al diritto internazionale: se la legge posteriore è ambigua,
deve essere interpretata in modo da consentire allo Stato il rispetto degli obblighi assunti in precedenza.
2. La legge posteriore prevale se vi è una chiara indicazione della volontà del legislatore di contravvenire
agli impegni internazionali assunti. Una volta che il trattato abbia acquisito validità formale nello Stato, è
sorretto da una duplice volontà normativa: la volontà di rispettare gli impegni assunti e la volontà di regolare
quella materia, così come è disciplinata dal trattato. Non sembra perciò ammissibile un'abrogazione o
modifica da parte della norma posteriore per una semplice ncompatibilità con il trattato. La volontà di
derogare con legge posteriore può essere esplicita o implicita. In quest'ultimo caso si ritiene che l'oggetto
dell'obbligazione e quello della norma interna debano coincidere perfettamente: sia per materia, sia per i
soggetti destinatari della regolamentazione.
3. Il trattato si ritiene una norma speciale ratione materiae.
Una volta che la norma internazionale è stata immessa nell'ordinamento con legge ordinaria, non si discosta
da questa per quanto riguarda il controllo di costituzionalità.

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26. L'adattamento al diritto comunitario


Ai Trattati istitutivi della Comunità Europea si è data esecuzione con legge ordinaria. Pertanto non solo
hanno acquistato forza giuridica le norme del Trattato, ma automaticamente acquistano la stessa forza, via
via che vengono emanate, le norme dei regolamenti comunitari. L'art. 189 del Trattato espressamente
prevede che i regolamenti siano direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Il regolamento è
così una fonte normativa non prevista dalla Costituzione, ma che non comporta una violazione della Carta
fondamentale, per effetto della previsione all'art.11 che ammette limitazioni alla sovranità nazionale.
La diretta e automatica applicabilità dei regolamenti riguarda la forza formale dei regolamenti stessi: creano
diritti ed obblighi, indipendentemente da un provvedimento di adattamento ad hoc. Tuttavia, ocn ciò non si
vuol dire che i regolamenti siano self-executing anche per il loro contenuto, poiché possono esserci
regolamenti incompleti o che, per avere applicazione, hanno bisogno di essere integrati. Per i regolamenti
che lasciano ampi margini di discrezionalità alle autorità statali è necessaria una legge di attuazione.
Le direttive e le decisioni comunitarie non sono, invece, direttamente applicabili, ma hanno bisogno di una
legge di adattamento ad hoc (che sia legge ordinaria, decreto legislativo o decreto legge). In genere questo
adattamento è eseguito mediante procedimento ordinario: è senza rinvio e il provvedimento interno ne
riformula il contenuto. La direttiva pone un obbligo di risultato, lasciando libertà di mezzi e di forma. Quali
effetti costituiscono un corollario dell'"obbligo di risultato" e quindi si producono subito e quali sono
condizionati a "forme e mezzi" e si producono solo dopo l'atto ad hoc?
Le direttive creano tre effetti c.d. "diretti".
1. quando il giudice interpreta una norma interna su una materia disciplinata da una direttiva, tale
interpretazione deve avvenire alla luce della direttiva.
2. se la direttiva riproduce un obbligo di un trattato, la sua interpretazione è vincolante.
3. se la direttiva comporta un obbligo di risultato senza un atto di esecuzione necessario, gli individui
possono farla valere davanti al giudice.
Quest'ultimo effetto può essere invocato solo contro lo Stato (c.d. effetti verticali) e non anche nelle
controversie tra individui (c.d. effetti orizzontali): la direttiva fa nascere degli obblighi a carico dello Stato e
lo Stato risponde del ritardo o dell'inattuazione della direttiva. Questa tesi viene per lo più accettata, ma è
anche criticata perché frutto di un'intepretazione troppo letterale: il fatto che a rispondere sia lo Stato, se ad
esempio una direttiva crea dei diritti nei confronti del lavoratore dipendente, il dipendente della pubblica
amministrazione potrà chiamare a rispondere lo Stato per l'inattuazione, ma il lavoratore privato non potrà
dir nulla contro il suo datore privato. Il risarcimento dei danni può essere dovuto nei casi di inattuazione di
direttive che attribuiscono diritti.
In che rapporto stanno le norme comunitarie con le leggi ordinarie?
La Corte costituzionale ha assunto pareri contrastanti.
Nel 1964 riteneva che i trattati (ricevendo applicazione con legge ordinaria) sono di pari grado con la legge
e pertanto possono essere abrogati o modificati da leggi successive. Nel 1975 ha ritenuto che la violazione
del diritto comunitario ad opera delle leggi ordinarie costituisca violazione dell'art. 11 Cost., che stabilirebbe
una prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Nel 1984, invece, ha ribadito la prevalenza del
diritto comunitario, ma anche che questo e il diritto interno si devono coordinare secondo le ripartizioni di
competenza volute dal Trattato istitutivo della comunità. Oggi vige il principio della automatica
disapplicabilità della norma interna difforme da parte del giudice ordinazio, senza bisogno di ricorrere agli
altri organi di giustizia costituzionale.

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I Trattati e le norme della legislazione comunitaria possono essere sottoposte al controllo di costituzionalità?
La prtecipazione all'U.E. non comporta una rinuncia ai principi costituzionali. Se è vero che i trattati e le
norme comunitarie possono essere sottoposte ad un controllo di conformità con la Costituzione, è anche
vero che tale controllo debba essere condotto cum grano salis, cioè a salvaguardia delle sole norme materiali
della Costituzione, cioè quelle che tutelano i diritti fondamentali dei cittadini e non di quelle strumentali
(che disciplinano la formazione della legge e l'organizzazione dei poteri dello Stato). L'ordine interno e
quello europeo costituiscono due sistemi separati e distinti, anche se fra loro coordinati.

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27. L'adattamento del diritto internazionale e le competenze delle


regioni
Il problema delle regioni sorge quando il diritto internazionale tocca le materie che la Costituzione riserva
alla competenza regionale. Si ritiene che ad immettere il diritto internazionale nel nostro ordinamento sia il
potere centrale. Tuttavia questo comporta dei problemi, visto che la Costituzione riserva determinate materie
alla competenza esclusiva delle regioni con conseguente impossibilità di interferenza da parte
dell'ordinamento centrale.
Innanzitutto si può dire che, in linea di principio, se la legge regionale è in contrasto con una norma del
diritto internazionale di qualsiasi tipo, vincolante per il nostro ordinamento, è costituzionalmente illegittima.
Le regioni, pur essendo dotate di una sorta di autonomia, non sono soggetti del diritto internazionale, perché
è sempre lo Stato centrale (che ha poteri sovrani) che decide se assumere o meno obblighi internazionali.
All'inizio, il legislatore e la Corte Costituzionale sostenevano che tutto ciò che era del diritto internazionale
rientrava nella materia degli "affari esteri" ed era di competenza esclusiva dello Stato centrale. Tuttavia nelle
materie riservate alla competenza delle regioni, in caso di inerzia di queste ultime, lo Stato non poteva
sostituirsi, rischiando quindi di essere chiamato a rispondere per carenze od omissioni non sue.
Succesivamente si mutò orientamento: le regioni venivano "delegate" dal potere centrale a partecipare
all'attuazione e specificazione dei diritto internazionale. Dopo molteplici critiche, la tesi oggi sostenuta è che
la Corte riconosce la competenza autonoma ed originaria delle Regioni nelle loro materie di competenza. Lo
Stato centrale può sostituirsi non solo in caso di inerzia, ma anche di urgenza o esigenze di uniformità
sorrette dall'interesse nazionale, oppure quando una sua disposizione risulti direttamente attuativa della
norma comunitaria e necessaria al proseguimento della finalità attuativa.

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28. La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze


Il compimento di un fatto illecito internazionale comporta la responsabilità degli Stati sul piano
internazionale. Nel 1953 la Commisione di diritto internazionale delle Nazioni Unite ha presentato un
progetto di codificazione che ha visto luce nel 1996. Nel 1980 fu approvato un Progetto di articoli sulla
responsabilità degli Stati, ma che si limitava a disciplinare l'origine della responsabilità (ossia gli elementi
dell'illecito). Nel 1996 il Progetto fu completato con l'aggiunta delle conseguenze dell'illecito e con una
parte realativa alla risoluzione delle controversie.
La caratteristica è che si considerano i principi sulla responsabilità come valevoli in linea di massima per la
violazione di qualsiasi norma internazionale, mentre prima venivano individuati soltanto alcuni tipi di
violazione (ad esempio delle norme sul trattamento degli stranieri) e i danni arrecati venivano risarciti sulla
base della responsabilità aquiliana.
L'elemento soggettivo è lo Stato come soggetto di diritto internazionale, ossia lo Stato-organizzazione: il
fatto illecito deve consistere in un comportamento di uno o più organi (azione od omissione) attribuibile allo
Stato e il comportamento deve essere illecito, antigiuridico. Con Stato-organizzazione intendiamo tutti
coloro che partecipano all'esercizio del potere di governo nell'ambito di uno Stato. Pertanto non solo
l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario, ma anche gli organi territoriali e le altre persone a cui è attribuibile
la potestà di governo. Non è ipotizzabile la violazione di norme internazionali attraverso la semplice
emanazione di leggi o altre norme di portata astratta.
In dottrina si discute sulla responsabilità dello Stato quando l'organo commette un'azione internazionalmente
illecita avvalendosi della sua qualità, nell'esercizio delle sue funzioni, ma in violazione di una norma del
diritto interno. Ad esempio è configurabile la responsabilità dello Stato nel caso di azioni illecite commesse
da organi di polizia che contravvengono agli ordini ricevuti? Sarebbero attribuibili allo Stato, o
risponderebbe il singolo poliziotto?
Qualcuno ritiene lo Stato responsabile, qualcun'altro configura la responsabilità del singolo individuo che
l'ha commessa, qualcun'altro ancora ravvisa la responsabilità dello Stato nella misura in cui non ha
predisposto i mezzi idonei per evitare la violazione.
Viene concordemente esclusa la responsabilità dello Stato per atti dei privati che danneggiano individui,
organi o Stati stranieri. Non esiste la responsabilità di gruppo, dell'orami antica dottrina germanica, ma lo
Stato risponderà solo quando non abbia disposto le misure per prevenire l'illecito altrui.

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29. L'elemento oggettivo


Il secondo elemento del fatto illecito è l'antigiuridicità, cioè l'elemento oggettivo. Si ha violazione di un
obbligo internazionale quando un fatto di tale Stato non è conforme a ciò che è imposto dal predetto obbligo.
Il Progetto distingue i crimini e i delitti internazionali e poi fa una distinzione tra violazioni di obblighi di
mezzi e violazioni di obblighi di risultato. Le prime consistono in un comportamento determinato, le
seconde, lasciano libero lo Stato nella scelta dei mezzi per raggiungere il risultato previsto. La differenza è
importante per determinare il tempus commissi delicti.
CAUSE CHE ESCLUDONO L'ILLICEITA':
1. CONSENSO DELLO STATO LESO
Come nel diritto penale, non è illecito una violazione commessa con il consenso dell'avente diritto. Questo
non vale però nei casi di violazione di una norma dello ius cogens. Il consenso dello Stato deve essere
unilaterale, e varrà la disciplina del consenso viziato.
2. AUTOTUTELA
Questa ipotesi è riferibile alla legittima difesa e consiste nel compimento di azioni dirette a reprimere
l'illecito altrui. Sono azioni in sé illecite, ma che se vengono attivate in risposta ad un illecito altrui, perdono
il carattere dell'antigiuridicità. Tra le forme di autotutela abbiamo la rappresaglia e la ritorsione, oltre che
l'autotutela collettiva e individuale.
3. FORZA MAGGIORE E CASO FORTUITO
4. STATO DI NECESSITA'
Consiste nell'aver commesso il fatto per evitare un periocolo grave, imminente e non volontariamente
causato. La dottrina non ha molto da discutere quando lo stato viene invocato nel caso in cui il pericolo
riguardi la vita dell'individuo-organo. Si ha invece qualche incertezza quando la necessità si riferisce allo
Stato nel suo complesso e quando c'è di mezzo un interesse statale. La dottrina però è concorde nel ripudiare
la tesi che prevede l'invocabilità di questa scusante per un diritto di conservazione dello Stato. Pertanto lo
stato di necessità è invocabile solo quando:
-- il fatto era l'unico modo per proteggere un interesse essenziale contro un pericolo grave e imminente non
volontariamente causato, e
-- il fatto abbia leso gravemente un interesse essenziale dello Stato nei confronti del quale esisteva l'obbligo.
In ogni caso non può essere invocato:
-- se l'obbligo non deriva da una norma imperativa del diritto internazionale generale
-- se lo Stato ha contribuito a creare lo stato di necessità.
Il problema è che non è mai stato chiarito cosa debba intendersi con interesse essenziale o vitale dello Stato.
5. RACCOMANDAZIONI DI ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Queste, abbiamo visto, producono il c.d. effetto liceità e fanno sì che lo Stato che segue la raccomandazione
dell'organizzazione (ovviamente non viziata) non commette illecito.
6. RISPETTO DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI DI UNO STATO
Ad esempio la pena di morte, prevista dalla Costituzione di uno Stato, non produce illecità internazionale.

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30. Gli elementi controversi: colpa e dolo


Sono tre i tipi di responsabilità che si possono configurare: per colpa, dolo e responsabilità oggettiva. Per il
dolo, nulla quaestio: si configura l'intenzione di nuocere e di violare la norma. La responsabilità per colpa,
invece, si verifica quando l'autore dell'illecito ha commesso il fatto con negligenza, trascurando di adottare
le misure necessarie per prevenire il danno. Ovviamente si distingue, come nel diritto penale, tra colpa lieve
e grave.
La responsabilità oggettiva può essere di due tipi:
1. relativa (strict liability): sorge per effetto del solo compimento dell'atto illecito, ma l'autore può invocare
una causa di giustificazione consistente in un evento esterno che gli ha impedito il rispetto della norma. La
responsabilità è aggravata e produce uno spostamento dell'onere della prova dalla vittima dell'illecito al suo
autore.
2. assoluta: questo tipo di responsabilità non ammette cause di giustificazione. E' prevista per attività
particolari o socialmente dannose e possono essere collegati a sistemi di assicurazione obbligatoria.
Il dibattito sulla responsabilità è sempre stato molto vario: Grozio considerava la responsabilità dello Stato
(violazione delle norme sul trattamento degli stranieri e più in particolare sulle offese arrecate da privati a
individui, organi e Stati stranieri) per colpa. Nel XX secolo, Anzilotti sostiene la natura oggettiva della
responsabilità internazionale. Oggi vige un sistema c.d. "residuale": lo Stato risponde di qualsiasi violazione
del diritto internazionale da parte dei suoi organi, purché non dimostri l'impossibilità assoluta (cioè non da
lui provocata) di rispettare l'obbligo.
Se esaminiamo la giurisprudenza delle Corti internazionali (Corte comunitaria e Corte europea dei diritti
umani) ci si rende conto che un'indagine sul dolo o la colpa non è mai stata condotta.

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31. Le consenseguenze dell'illecito: l'autotutela


Oggi si ritiene che le conseguenze dell'illecito consistono in una nuove relazione giuridica tra lo Stato offeso
e lo Stato offensore, discendente da una norma secondaria (diversa da quella primaria, cioè quella violata).
Vi sono pareri discordi in dottrina:
ANZILOTTI ritiene che le conseguenze dell'illecito siano il diritto dello Stato offeso a pretendere e l'obbligo
dello Stato offensore a fornire un'adeguata riparazione che dovrebbe ripristinare la situazione quo ante e
risarcire il danno subito.
AGO sostiene che nella norma secondaria rientrano le conseguenze giuridiche autonome dell'illecito e
quindi anche i mezzi di autotutela (rappresaglie e contromisure). Dal fatto illecito nascerebbe per lo Stato
offeso il diritto di chiedere la riparazione e il diritto di ricorrere a contromisure coercitive aventi il precipuo
ed autonomo scopo di infliggere una punizione allo Stato offensore.
KELSEN ribadisce l'inutilità di costruire le conseguenze dell'illecito in termini di diritti/obblighi alla
riparazione, ma l'unica conseguenza immediata è il ricorso alle misure di autotutela e la riparazione sarebbe
solo eventuale e dipenderebbe dalla volontà dello Stato offeso e offensore di evitare l'uso della coercizione e
ricorrere ad un accordo o all'arbitrato [concezione fortemente imperativistica del diritto].
Noi crediamo che l'illecito non produca rapporti giuridici. La fase patologica del diritto internazionale è
poco normativa. Le misure di autotutela sono fondamentalmente dirette a reintegrare l'ordine giuridico, cioè
a far cessare l'illecito e a cancellarne gli effetti. Se lo Stato offensore ha l'obbligo di porre fine all'illecito e
cancellarne gli effetti, non lo deve fare in base ad un nuovo rapporto o una nuova norma. L'altra forma di
riparazione (risarcimento del danno) è prevista da un'autonoma norma di diritto internazionale generale.
La normale reazione all'illecito è l'autotutela: farsi giustizia da sé. Ne consegue una scarsa efficienza e
credibilità dei mezzi internazionali di attuazione del diritto. Il moderno diritto internazionale impone che
l'autotutela non consista nella minaccia o nell'uso della forza (art. 2 Carta delle Nazioni Unite e previsto
anche dalla consuetudine). L'unica eccezione è la risposta ad un attacco armato già sferrato (art. 51 della
Carta): il diritto naturale di legittima difesa individuale e collettiva nel caso che abbia luogo un attacco
armato contro un membro delle Nazioni Unite, rispettando il principio di proporzionalità. Il divieto di uso
della forza armata non ha altre eccezioni: né per proteggere la vita dei propri cittadini all'estero, né per
grosse violazioni dei diritti umani nei confronti dei propri cittadini. Quando si parla di uso della forza, non
rientra la forza interna nella sovranità territoriale e nella normale potestà di governo di uno Stato sovrano.
La fattispecie più importante di autotutela è la rappresaglia o contromisura. Consiste in un comportamento
che in sé sarebbe illecito, ma che diventa lecito in risposta ad un illecito altrui. Lo Stato viola, a sua volta, gli
obblighi che gravano su di lui.
Ovviamente esistono dei limiti alle contromisure:
1. PROPORZIONALITA' tra violazione e reazione. Non si deve trattare di perfetta coincidenza tra le due
violazioni, ma mancanza di sproporzione.
2. RISPETTO DEL DIRITTO COGENTE
Non si può violare il diritto cogente, neanche quando si tratti di reazione per violazione dello stesso tipo.
L'unica eccezione è l'uso della forza per respingere un attacco armato.
3. RISPETTO DEI PRINCIPI UMANITARI
L'art. 50 del Progetto dispone anche che a titolo di contromisura non possa essere compromessa in alcun
caso l'inviolabilità degli agenti, locali, archivi e documenti consolari e diplomatici.
4. PREVIO ESAURIMENTO DEI MEZZI PER UNA SOLUZIONE CONCORDATA DALLA

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CONTROVERSIA (arbitrato, conciliazione, negoziato).
La contromisura tende a reintegrare l'ordine giuridico violato. Lo scopo afflittivo è secondario.
La ritorsione si distingue dalla rappresaglia perché non consiste in una violazione di norma internazionale,
ma in un comportamento inamichevole (come l'attenzione o la rottura dei rapporti diplomatici o della
colloborazione economica). Non è una forma di autotutela perché uno Stato potrebbe tenere questo
comportamento anche senza aver subito un illecito. Tuttavia, nella prassi dei rapporti tra gli Stati, la
ritorsione reagisce ad azioni di rilievo puramente politico e a violazioni di diritto internazionale o ad
entrambe contemporaneamente, perché in genere gli Stati collaborano tra loro. E' difficile, nella ritorsione,
distinguere tra motivazioni politiche e giuridiche, ma non si può non considerarla una forma di autotutela
quando le secondi sono presenti.
L'autotutela collettiva consiste in un intervento degli Stati che non hanno subito nessuna lesione in risposta
ad una violazione dei diritti umani, obblighi erga omnes, crimini internazionali per i quali tutti gli Stati
possono considerarsi lesi.
Non si può dire che ciascuno Stato abbia diritto di reagire con misure di autotutela in caso di violazione in
nome dell'interesse comune. Le norme consuetudinarie prevedono forme di intervento per Stati terzi in
ordine a specifici obblighi internazionali. Si presuppone una richiesta da parte dello Stato aggredito.
Per le norme consuetudinarie alll'autotutela collettiva si può ricorrere per negare effetti extraterritoriali agli
atti di governo emanati in un territorio acquiostato con la forza (per il principio di autodeterminazione dei
popoli) e nei casi di aiuti militari ai movimenti di liberazione.
Il diritto pattizio tende a limitare piuttosto che estendere l'esercizio dell'autotutela e prevede la creazione di
meccanismi internazionali di controllo che possono essere messi in moto da ciascuno Stato contraente ma
che comunque difettano di poteri sanzionatori.
Non esistono principi generali che consentano ad uno Stato di intervanire a tutela di un interesse
fondamentale della comunità internazionale o di un interesse collettivo (solo singole norme
consuetudinarie). E' auspicabile che si consolidi una tendenza verso l'autotutela collettiva come iniziativa dei
singoli Stati che agiscono in nome della comunità internazionale nel suo complesso, ma che non sono esenti
da atteggiamenti arbitrari.
Uno Stato può obbligarsi con trattato a non ricorrere a misure di autotutela o a ricorrervi solo a certe
condizioni. E' importante comunque sottolineare che deve essere intesa come extrema ratio.
La WTO subordina l'adozione di contromisure in caso di mancato rispetto delle decisioni di carattere
giurisprudenziale emesse in seno all'organizzazione, all'autorizzazione dell'organo per la soluzione delle
controversie. L'art. 51 del Progetto dispone che l'attacco armato come legittima difesa può essere esercitato
finché il Consiglio si sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza
internazionale.

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32. La riparazione
Essa integra innanzitutto l'obbligo della restituzione in forma specifica: far cessare l'illecito e cancellarne,
ove possibile, gli effetti. Anche la soddisfazione è una forma di riparazione dei danni morali, dovuta per il
solo fatto che l'illecito sia stato commesso e a prescindere dalla richiesta di risarcimento dei danni
patrimoniali. Tra le diverse forme troviamo la presentazione di scuse, l'omaggio della bandiera o altri
simboli dello Stato leso, versamento di una somma simbolica. Se questi vengono accettati dallo Stato leso,
viene meno qualsiasi ulteriore conseguenza del fatto illecito e il ricorso a misure di autotutela.
L'unica forma di riparazione vera e propria è il risarcimento del danno prodotto dall'illecito internazionale.
Bisogna chiedersi se scaturisce da qualsiasi violazione delle norme internazionali: per il danno agli stranieri,
l'azione è automatica per il solo fatto di produzione dell'illecito; per il danno agli Stati, si fa riferimento ai
danneggiamenti dovuti ad un'azione violenta (tranne la guerra) contro beni, mezzi e organi dello Stato
(distruzione di sedi diplomatiche, aeree...); per i danni alla funzione, si risarciscono i danni prodotti con la
lesione degli individui che ricoprono la qualifica di organo: bisogna però distinguere tra danni subiti
dall'individuo e danni subiti dall'organizzazione statale (danni alla funzione). In ogni caso sono risarcibili i
danni materiali.

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33. La responsabilità per fatti leciti


Esiste una responsabilità per fatti leciti? Esiste nelle attività altamente pericolose ed inquinanti.
Qualcuno dice che si tratta di responsabilità oggettiva o senza illecito, quando è chiamato a rispondere non
solo delle attività dei suoi organi, ma anche degli individui sottoposti al suo controllo.
Si ha responsabilità oggettiva assoluta, anche quando il danno non si verifica (nel diritto spaziale).
La dottrina crede che sia meglio un sistema di responsabilità civile ed esistono convenzioni in tal senso che
però non riguardano la responsabilità internazionale, ma di diritto interno.

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34. La sicurezza collettiva prevista dalle Nazioni Unite


Nei rapporti internazionali è vietato l'uso della forza. Il Consiglio di sicurezza ha il compito di mantenere la
pace e l'ordine tra gli Stati e può utilizzare la forza ai fini di polizia internazionale. Esso, una volta che aha
accertato la violenza o la minaccia, può decidere le sanzioni da applicare contro lo Stato (senza però usare la
forza), come l'interruzione delle comunicazioni o delle relazioni internazionali ed economiche. Prima però
deve invitare lo Stato a prendere le misure provvisorie necessarie a non aggravare la situazione. Il Consiglio
gode di un larghissimo potere discrezionale nell'accertare una minaccia o una violazione della pace, anche
perché non è necessario l'uso della violenza bellica per violare la pace. Nel diritto internazionale esiste una
dichiarazione che elenca le diverse ipotesi di aggressione, ma non incide sulle competenze del Consiglio.
Dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati istituiti altri organi di carattere giurisdizionale ed è aumentata
la discrezionalità del Consiglio.
Misure provvisorie:
L'art. 40 prevede che il Consiglio può invitare le parti interessate ad ottemperare alle misure provvisorie
necessarie, ma esse non devono pregiudicare i diritti o la posizione delle parti interessate. Le misure hanno
natura preventiva (per non aggravare la situazione) e non vincolante (si tratta pur sempre di un invito).
Le misure non implicanti l'uso della forza:
L'art. 41 prevede che il Consiglio può vincolare gli Stati membri dell'ONU a prendere una serie di misure
più blande (l'embargo, ad esempio) per lo Stato che abbia, secondo il giudizio insindacabile dell'organo,
violato o minacciato la pace.
Le misure implicanti l'uso della forza:
L'art. 42 prevede le ipotesi del ricorso alla forza contro uno Stato colpevole di aggressione, minaccia o
violazione della pace internazionale oppure anche all'interno di uno Stato (guerra civile). Il Consiglio,
infatti, può eseguire azioni di polizia internazionale, mediante delibere operative, con le quali non esorta, ma
agisce direttamente. Le modalità dell'azione del Consiglio di sicurezza si formano sulla base di accordi. Gli
artt. 43 ss. non hanno mai ricevuto applicazione dal 1945. Il Consiglio è di solito intervenuto in crisi
internazionali o interne con misure militari. Ha creato le Forze delle Nazioni Uniti (caschi blu), ma con
compiti assai limitati per il mantenimento della pace, ha aumentato l'uso della forza degli Stati membri, sia
singolarmente, sia nell'ambito delle organizzazioni regionali.
In ultimo esistono le c.d. pace-keeping operations, la cui caratteristica è la delega del Consiglio in ordine sia
al reperimento, attraverso accordi con gli Stati, sia al comando delle Forze internazionali, che hanno compiti
molto limitati. E' necessario il consenso.

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35. La Funzione Giurisdizionale Internazionale


L’accertamento delle norme internazionali e la soluzione delle controverse tra stati:
La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi natura arbitrale, essendo ancorata al principio per
cui un giudice internazionale, comunque costituito, non può mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata
preventivamente accettata da tutti gli Stati parti di una controversia. Ed è proprio questo fatto che fa sì che si
privilegi il momento interno dell'applicazione del diritto internazionale.
Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionale una qualsiasi controversia che riguardi i loro
rapporti: ciò che importa è che siano d'accordo sulla scelta e accettino come vincolante la sua decisione.
Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente carattere arbitrale, poiché riposa sulla volontà degli
Stati.
Il punto di partenza dell'evoluzione dell'istituto è l'arbitrato isolato. Esso si svolgeva solitamente in questo
modo: sorta una controversia tra due o più Stati, si stipulava un accordo (il c.d. compromesso arbitrale) con
il quale si nominava un arbitro (ad esempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale, si stabiliva
eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a rispettarne la sentenza così emessa. L'istituto
si è evoluto: per facilitare l'accordo, alla fine del secolo scorso, si è cominciato a ricorrere a degli
accorgimenti per l'instaurazione del processo: sono comparsi i c.d. trattati generali di arbitrato (chiamati
anche "non completi" per distinguerli da quelli successivi "completi") e le clausole compromissorie. Questi
obbligavano gli Stati a ricorrere all'arbitrato per tutte le controversie che sarebbero sorte in futuro in ordine
all'applicazione e all'interpretazione della convenzione tra gli Stati stessi. Questi, quindi, creano soltanto un
obbligo de contrahendo, cioè l'obbligo di stipulare il compromesso arbitrale. Nella seconda fase, con la fine
della prima guerra mondiale, è stata creata la Corte Permanente di Giustizia Internazionale all'epoca delle
Società delle Nazioni, e poi, nel 1945, la Corte Internazionale di Giustizia. Si tratta di un corpo permanente
di giudici, eletti dall'Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. Resta comunque un tribunale
arbitrale. In questa fase, compare la figura della clausola compromissoria "completa" e del "trattato generale
di arbitrato" completo. Questi non si limitano a creare l'obbligo di stipulare il compromesso, ma prevedono
direttamente l'obbligo di sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale già predisposto.
Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionale internazionale va sempre cedendo il passo ai
mezzi diplomatici. Inoltre è necessario distinguere i tribunali internazionali (destinati a risolvere le
controversie tra Stati) dai tribunali istituiti all'interno delle organizzazioni internazionali (che risolvono le
controversie di lavoro tra funzionari e l'organizzazione).
Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settoriali che presentano caratteristiche proprie:
spicca, tra essi, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (con sede a Lussemburgo), che però si occupa
a) dei ricorsi per violazione del Trattato da parte di uno Stato membro, b) del controllo di legittimità sugli
atti degli organi comunitari e c) delle questioni c.d. pregiudiziali (esempio, quando un giudice interno deve
chiedere l'interpretazione del Trattato CE, ha il dovere di sospendere il processo e di chiedere una pronuncia
della Corte al riguardo).
Nel 1988 è stato inoltre istituito il Tribunale di primo grado delle Comunità europee.
La Corte europea dei diritti dell'uomo controlla il rispetto della convenzione europea dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali da parte degli Stati contraenti.

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36. I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali


Questi mezzi si distinguono dai mezzi giurisdizionale di soluzione delle controversie in quanto tendono
soltanto a facilitare l'accordo delle parti: di conseguenza non hanno carattere vincolante per le parti.
L'accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati diretti tra le parti medesime, e in genere sono il
mezzo più utilizzato.
Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifica l'internvento di uno Stato terzo, o di un organo
supremo di uno Stato o di un'organizzazione internazionale a titolo personale. La differenza tra buoni uffici
e mediazione è più teorica che pratica: di solito con i primi ci si limita a indurre le parti della controversia a
megoziare; nella mediazione c'è invece una partecipazione più attiva del terzo alle trattative.
Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di più all'arbitrato. Le commissioni di
conciliazione sono di solito composte da individui e da Stati ed hanno il compito di esaminare tutti gli
aspetti della controversia e formulare una proposta di soluzione che le parti sono libere di accettare o meno.
Le Commissioni di inchiesta, invece, hanno il compito di accertare il fatto. Il ricorso alla conciliazione è
sempre succedaneo del ricorso all'arbitrato, soprattutto nei trattati multilaterali. Sempre più spesso è previsto
come obbligatorio il ricorso alla conciliazione, con la conseguente possibilità per uno degli Stati contraenti
di dare unilateralmente avvio alla procedura conciliativa. Ai mezzi diplomatici vanno riportate anche le
procedure di soluzione non vincolanti che si svolgono in seno alle organizzazioni internazionali.
La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Stati membri hanno l'obbligo di risolvere le loro controversie
con mezzi pacifici.
Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio di Sicurezza, che dispone di un potere di inchiesta, da
eserctare sia personalmente, sia per mezzo di un organo ad hoc, come ad esempio un'apposita Commissione.
Il Consiglio può anche sollecitare le parti di una controversia a ricorrere ai mezzi e procedimenti pacifici. Il
Consiglio può rivolgere un invito generico o indicare uno specifico procedimento.

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Indice
1. Definizione del diritto internazionale 1
2. Funzioni di produzione, accertamento e attuazione del diritto internazionale 2
3. I soggetti del diritto internazionale 4
4. La formazione delle norme internazionali: la consuetudine 6
5. I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili 8
6. Altre presunte norme generali non scritte: i principi 9
7. Il valore degli accordi di codificazione 10
8. Le dichiarazioni di principi dell'assemblea dell'ONU 11
9. I trattati fra Stati 12
10. Inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi e incompatibilità 14
11. Le riserve nei trattati 15
12. La successione degli stati nei trattati 17
13. Cause di invalidità e di estinzione dei trattati 19
14. Le fonti previste da accordi: Le Nazioni Unite 21
15. L'Organizzazione delle Nazioni Unite 22
16. Istituzioni Specializzate delle Nazioni Unite 23
17. Le Comunità Europee e l'Unione Europea 26
18. Il Consiglio d'Europa 28
19. La Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà 29
20. Altri organi per la tutela dei diritti umani 30
21. Le raccomandazioni degli organi internazionali 31
22. La gerarchia delle fonti internazionali 32
23. L'adattamento del diritto statale al diritto internazionale 33
24. L'adattamento al Diritto Internazionale Consuetudinario 35
25. L'adattamento dei trattati e delle fonti da esso derivate 36
26. L'adattamento al diritto comunitario 37
27. L'adattamento del diritto internazionale e le competenze delle regioni 39
28. La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze 40
29. L'elemento oggettivo 41
30. Gli elementi controversi: colpa e dolo 42
31. Le consenseguenze dell'illecito: l'autotutela 43
32. La riparazione 45
33. La responsabilità per fatti leciti 46
34. La sicurezza collettiva prevista dalle Nazioni Unite 47
35. La Funzione Giurisdizionale Internazionale 48
36. I mezzi diplomatici di soluzione delle controversie internazionali 49

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