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- Giusto processo (Art 111 cost. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato
dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. (…) )
Attraverso quale organo si garantisce il rispetto delle leggi e l’uguaglianza dei cittadini? Il
POTERE GIUDIZIARIO.
Il diritto penale è costituito:
a) Dai principi penalistici espressi dalla Costituzione (che neanche il legislatore può
modificare)
b) Dai principi della norma ordinaria
Ma cosa succede se la legge ordinaria dovesse entrare in contrasto con i principi costituzionali?
Allora tale legge deve essere sottoposta al parere della Corte costituzionale. Il giudice deve
dichiarare rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità dell’art. x in
relazione all’art. y della Costituzione. Manda le carte alla Corte costituzionale, la quale dovrà
decidere se la legge è costituzionale o meno. SOLO il giudice può richiedere il parere della
Corte costituzionale.
I principi penalistici costituzionali:
1) Di legalità
2) Di materialità o offensività
3) Di personalità o colpevolezza
Il principio penalistico di legalità
Viene dichiarato innanzitutto dall’art. 25 della Costituzione.
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge [cfr. art. 102]. Nessuno può
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno
può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge [cfr. art. 13 c.2].
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Dunque, nel diritto penale solo la legge può portare a sanzioni penali 1. Infatti, i regolamenti2
(Ad esempio i DPCM) non possono portare a pene.
Ora parliamo dei quattro corollari del principio di legalità. I primi due si fanno derivare dall’art.
25 della Costituzione.
- 1° corollario: LA RISERVA DI LEGGE. L'istituto giuridico in base al quale una
determinata materia può essere regolata soltanto dalla legge o da un atto avente forza di
legge; ha una funzione di garanzia nei confronti del cittadino, escludendo l'esercizio della
potestà regolamentare da parte del governo e interventi in via amministrativa. Questa riserva
di legge nel diritto penale è tendenzialmente assoluta; tuttavia, la legge è suscettibile ad
integrazioni tecniche fatte attraverso i regolamenti. Ad esempio, la legge contro lo spaccio
di stupefacenti viene integrata periodicamente da regolamenti che indicano, e quindi
aggiornano, quali siano effettivamente le sostanze stupefacenti in questione. Quindi viene
fatto un’integrazione oggettiva per delineare il divieto specificato dalla legge. (Qui ha fatto
anche l’esempio dell’art 650 del Codice penale3).
- 2° corollario: DIVIETO DI RETROATTIVITA’ DELLA PENA. Questo è un principio
di garanzia per evitare che la maggioranza non utilizzi lo strumento legislativo per qualcosa
che è già successo a discapito di una minoranza. Inoltre, l’individuo deve sapere prima se un
suo comportamento può determinare una certa sanzione penale. Anche perché questo
potrebbe influenzare il comportamento stesso dell’individuo.
- 3° corollario: questo si fa derivare dall’art 1 del c.p. “Nessuno può essere punito per un
fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non
siano da essa stabilite”. Quindi parliamo della PREVISIONE ESPRESSA DELLA
LEGGE, ossia del principio di tassatività o determinazione. Il principio di tassatività e
sufficiente determinatezza si rivolgono a due momenti cronologicamente differenti della
norma penale: uno al legislatore e l’altro al giudice. Il principio di determinatezza obbliga il
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Legge ordinaria: La legge ordinaria è un atto normativo sostanzialmente adottato dal Parlamento ed è subito al di
sotto della Costituzione. In breve nel processo legislativo un progetto di legge arriva all’esame del Parlamento che
deve essere approvato da entrambe le Camere attraverso la navetta parlamentare. Nel nostro sistema vige il
bicameralismo perfetto quindi Camera e Senato devono approvare due testi di legge identici. Decreto-legge: Il
decreto-legge viene definito anche “atto avente forza di legge” infatti si pone allo stesso livello della legge ordinaria.
Quando si leggono i testi di legge questi si trovano indicati con la sigla D.L e sono emanati dal Governo solo in casi di
necessità e di urgenza. Questa è una procedura straordinaria in quanto il Governo detiene il potere esecutivo e non
quello legislativo. Il decreto-legge, tuttavia, sebbene venga emanato in termini molto brevi, deve essere convertito in
legge dal Parlamento (potere legislativo). Se quanto detto sopra non avviene questo decade con effetto retroattività
ovvero sin dall’inizio. Decreto legislativo: Il decreto legislativo ha le stesse caratteristiche del decreto-legge: emanato
dal Governo ed è un atto avente forza di legge. I decreti legislativi vengono indicati in modo abbreviato con la sigla d.
Lgs. o DLG. La differenza rispetto al decreto-legge risiede nella delega. Infatti, il Parlamento autorizza il Governo a
svolgere la funzione legislativa nelle materie indicate ed entro i limiti determinati. La presenza della delega permette
di salvaguardare la divisione dei poteri; infatti, nella delega stessa sono dettati tutti i criteri entro cui il Governo può
agire.
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Fonti del diritto:
In Italia tra le varie fonti del diritto può essere riconosciuta la seguente gerarchia:
- Costituzione: fonte primarie e costitutiva dello Stato italiano, frutto del potere costituente e che è possibile
modificare solo mediante procedura aggravata;
- Fonti primarie del diritto: come le leggi ordinarie o statuti e leggi regionali. A questa classificazione
appartengono anche gli atti aventi forza di legge quali decreti-legge e decreti legislativi;
- Fonti secondarie del diritto: regolamenti governativi e ministeriali, regolamenti regionali.
- Le consuetudini
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Il codice penale è formato da tre libri: una parte generale, la parte dei delitti e la parte delle contravvenzioni.
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legislatore a formulare la fattispecie chiaramente, onde evitare eccessi di discrezionalità in
sede interpretativa e punti oscuri nella descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie,
la tassatività si rivolge invece al giudice e lo vincola ad applicare la norma solo quando vi
sia piena omogeneità tra fatto astratto e fatto concreto.
- 4° corollario: questo si fa derivare dall’art. 12 delle preleggi: “Nell'applicare la legge non
si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse (1), e dalla intenzione del legislatore (2). Se una
controversia non può essere decisa con una precisa disposizione (3), si ha riguardo alle
disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (4); se il caso rimane ancora
dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (5).” Il
divieto di analogia si riallaccia al principio di tassatività, il giudice infatti non può appiccare
analogicamente una norma incriminatrice. Questo vale solo per le norme puramente penali,
quini non per le cause di giustificazione. Quindi al contrario di quello che avviene nel diritto
civile, ad esempio, nel diritto penale il giudice non può decidere di un caso facendo analogie
con un altro.
Infine, dobbiamo ricordare l’importanza della sussidiarietà del diritto penale e il fatto che esso
dovrebbe essere utilizzato solamente in estrema ratio.
7/10/2021 2° Lezione
Come detto nella lezione precedente i corollari del principio di legalità si fanno derivare
inizialmente dall’art. 25 della Costituzione, ma anche dall’art. 1 del Codice penale e dagli artt. 12 e
14 delle Preleggi del Codice civile. Ma perché è accettabile che per gli artt. Del Codice civile e del
Codice penale si parli di principi penalistici costituzionali? Questo perché è la Costituzione stessa a
riprendere il principio di legalità da questi artt., anzi in questi artt., il principio è molto rafforzato.
Ora è importante parlare dei tipi di interpretazione che si possono fare di una legge. In particolare,
in questo momento ci si riferisce all’interpretazione estensiva e a quella ideologica.
INTERPRETAZIONE ESTENSIVA
Si parla di interpretazione estensiva quando le parole usate dal legislatore non esprimono
esattamente il suo pensiero e la volontà della norma stessa, per cui la norma finisce col dire meno
rispetto a quanto il legislatore volesse dire. Per questa ragione, chi interpreta la legge, estende il suo
significato in modo da ristabilire con esattezza la volontà del legislatore.
L’esempio fatto a riguardo è sull’art.674 del Codice penale “Chiunque getta o versa(1), in un luogo di
pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o
molestare persone(2), ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di
fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a euro 206.” Si
era creato un problema con i ripetitori di Radio Vaticana, che effettivamente arrecavano disturbo
alle persone, quindi creavano molestie. Ma in quel caso si trattava di onde sonore, di cui l’art. 674
non parla. Si è cercato di fa rientrare questo caso nell’art.674, facendo un’analogia, cosa che nel
diritto penale non sarebbe possibile.
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INTERPRETAZIONE ANALOGICA
Interpretazione analogica consiste nel ricorso a norme che regolano materie simili o analoghe. È
disciplinata dall'art. 12 delle preleggi. Come detto nella precedente lezione all’art.14 delle preleggi
si specifica che questo tipo di interpretazione non è pertinente al diritto penale, cosa che si può
dedurre anche a partire dall’art.1 del Codice penale.
Il divieto di analogia è una garanzia, ma rende anche il sistema imperfetto, tuttavia, risulta
fondamentale per evitare che si possa manipolare il sistema penale con facilità
Pericolosità del comportamento: dipende dall’entità dell’offesa. Esempio (pubblico ufficiale che si porta via
due fogli di carta) non è un problema di condotta criminosa, ma un problema d’identità. Resta una condotta
offensiva, ma così poco significativa che sarebbe illogico considerarla.
Incriminazione di comportamenti che vengono censurati dal comportamento etico, come l’incriminazione
di eventuali comportamenti familiari, incriminato il concubinato, o il tradimento però anche qui
potenzialmente dei comportamenti che ledono la famiglia.
Ubriachezza: ripetuto può essere un comportamento incongruo dal punto di vista etico, ma da qui a
dedurre un profilo d’offesa è diverso. Stessa linea di pensiero per l’uso di stupefacenti.
Riflessione sul tema del vaccino: il comportamento che mette anche in discussione chi deve regolare la
condotta. Esempio, vengo in università, e contagio la classe, colpa della persona, ma anche di chi doveva
controllare il Green pass.
L’offesa sarà determinata dal comportamento altrui, ma ciò non toglie che tutto questo sarà reso possibile
dal soggetto che rivestiva una particolare verifica.
“La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.
Ciò implica che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ma non solo, la rieducazione è
una parte di essa.
La Corte Costituzionale, emanò la sentenza numero 364 del 1988, sull’articolo 27 e 5 della Costituzione.
Essa rilegge il principio di personalità del reato.
Sostenendo che: “comunque s’intenda la funzione rieducativa, essa postula almeno la colpa dell'agente in
relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la 'rieducazione' di chi,
non essendo almeno 'in colpa' (rispetto al fatto) non ha, certo, 'bisogno' di essere 'rieducato'".
Colpa significa negligenza, quel soggetto deve essere responsabile per aver voluto quello che si dichiara
offensivo, o per aver non evitato quello che poteva evitare.
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Il codice penale è del 1903, è stato scritto prima della Costituzione, facendo ricorso a forme di
responsabilità oggettive.
Articolo 42 del codice panale, comincia col dire che la responsabilità penale presuppone
l’atteggiamento dolo o colposo della gente.
“ Nessuno può essere punito per un'azione o omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha
commessa con coscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvo i casi di
delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La legge determina i casi nei
quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione .
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa
dolosa o colposa”.
L’unica cosa che interessa è che l’evento sia stata conseguenza dell’azione, omissione.
Articolo 83: “Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione
del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto il colpevole risponde, a titolo
di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Se il colpevole
ha cagionato altresì l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati”.
Danneggiamento doloso, e omicidio colposo. Spacciatore deve rendersi conto che la persona che
ingerisce quelle sostanze potrebbe morire.
Norma cautelare riguarda delle attività illecite che si possono fare, ma con attenzione, come
cacciare si può cacciare in determinate zone, ma con attenzione. Nel caso dello spacciatore è
diverso, perché si tratta di condotte già illecite.
Articolo 586: “quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva quale conseguenza non voluta del
colpevole la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83, ma le pene
stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”.
Lo spacciatore non ha interesse a uccidere vuole tenere in vita il suo cliente, per poter vendere le sue
droghe.
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2- Omicidio preterintenzionale:
Articolo 584: “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582,
cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”.
Esempio, Se il giornalista pubblica sul giornale articoli che contengono falsità, e imputabile anche il
direttore di giornale per non aver controllare ciò che veniva pubblicato?
Articolo 57: “Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o
il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il
controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito a titolo
con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”. Omesso controllo da parte
di quella persona.
Articolo 116: “Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche
questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato è più grave di quello
voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave”.
(Esempio rapina supermercato, due ragazzi sul motorino, si dirigono verso il supermercato per mettere
rubare i soldi della cassa, uno entra l’altro rimane sul motorino, l’intento era solo quello di rubare i soldi
della cassa. Il ragazzo che entra però uscendo colpisce una vecchietta che cadendo muore. Chi ricopre la
colpa del fatto?) Non è giusto punire una persona, per un evento che quella persona non poteva
minimamente prevedere.
(Caso Ciontoli, omissione di soccorso, aggravato dalla conoscenza della vittima. Omicidio volontario
commesso dal padre. Imputazione psicologica dell’evento, quell’evento è stato voluto o non è stato evitato
pur essendo nella condizione di poterlo prevedere ed evitare).
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dolo ne colpa ovvero l’evento non è né voluto né non voluto: se colpisco una persona l’evento
morte è possibile.
Art. 116 cp: concorso di persone-una persona pone in atto un delitto diverso da quello degli altri
concorrenti- c’è sentenza corte costituzionale che ancorava questa forma di responsabilità. Questa
prevedibilità dell’evento è la condizione che fa sì che la responsabilità penale sia rispettivamente
corrispondente a un principio di rimproverabilità psicologica, di colpevolezza. Non è giusto punire
qualcuno per un evento che quella persona non poteva neppure prevedere, anche se quella persona
ha altre responsabilità, ad esempio si era messa d’accordo per fare un furto, ma non si punisce per
un evento ulteriore che non poteva prevedere- chi si trova in una condizione di illecito è
responsabile anche per il caso, in realtà questo non è giusto, non è giusto che qualcuno sia
responsabile anche per il caso.
Questi principi hanno rilevanza costituzionale e ci aiutano a capire in che cosa dovrà consistere il
reato, perché il reato dovrà consistere in un fatto previsto e descritto dalla legge altrimenti non
sarebbe rispettato il principio di legalità, dovrà consistere in una condotta materialmente percepibile
altrimenti non sarebbe rispettato principio di materialità, deve consistere in un comportamento che
lede o mette in pericolo un bene giuridico, deve consistere in un comportamento umano
effettivamente rimproverabile al soggetto che lo ha tenuto perché sia rispettato il principio di
colpevolezza.
Struttura del reato- la possibilità di analizzare più nel dettaglio il reato distinguendo elemento
materiale o oggettivo da elemento soggettivo psicologico: teoria bipartita
-Possibilità di tre elementi nel reato secondo la teoria tripartita: ovvero tipicità,
quindi descrizione di quella condotta, quella condotta deve rientrare in un tipo, in una
descrizione astratta, antigiuridicità ovvero deve essere una condotta non giustificata da
qualche circostanza particolare scriminante, per esempio se una persona uccide non deve
aver ucciso per difendersi, perché se così fosse non sarebbe reato, e infine colpevolezza,
ovvero deve aver ucciso volendo la morte di quella persona o potendo prevedere ed evitare
la morte di quella persona.
Questi principi che connotano la responsabilità penale ci aiutano a capire meglio in che cosa deve
consistere un fatto illecito. La norma incriminatrice non può collegare la sanzione a qualsiasi cosa
ma deve per forza collegarlo a un comportamento umano previsto dalla legge che sia
rimproverabile. Non si può dire che se succede un fatto quella persona sarà punita con 10 anni di
carcere ma la punizione deve fare seguito a un comportamento effettivamente tenuto da quella
persona.
FUNZIONI DELLA PENA: l’analisi delle funzioni della pena si ricollega a un interrogativo quasi
filosofico/religioso, perché punire? È giusto? Perché? Questo interrogativo ci spinge a riflettere su
tante cose. In particolare da punto di vista sociale: la scelta se punire o meno costituisce la
conseguenza di una determinata impostazione. Perché si punisce? Per far sì che lui non ricommetta
lo stesso comportamento e che altre persone non commettano a loro volta lo stesso comportamento.
Già inquadriamo due funzioni della pena, la prima viene definita prevenzione speciale e quindi
attività di prevenzione legata alla persona che ha commesso il reato, la seconda viene definita come
prevenzione generale. C’è un altro motivo per cui è giusto punire? La rieducazione (art.27) che
rientra nella prevenzione speciale, ovvero per fare in modo che quella persona non commetta altri
delitti io la posso rieducare.
Se immaginiamo che non sia più necessario punire quella persona per esigenze di prevenzione, che
quella persona sia già di per sé stessa inoffensiva, immaginiamo che anche sotto il profilo della
prevenzione generale la situazione vissuta da quella persona sia una situazione talmente particolare
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da non poter essere da stimolo per altri per commettere il reato, in questo caso potremmo rinunciare
a punire? O dovremmo punire lo stesso? Posso aiutare la vittima: c’è l’idea che sia giusto riparare il
male con un altro male. Questa impostazione viene di solito descritta come funzione retributiva
della pena. Proprio da un punto di vista etico, una parte della filosofia tedesca mette in evidenza il
fatto che se la società non sanzionasse con un altro male il male commesso, in qualche modo se ne
renderebbe complice o comunque non svolgerebbe quella funzione di indirizzo etico che dovrebbe
svolgere. Ad oggi però la maggior parte della dottrina tende a superare la teoria retributiva perché
viene considerata espressione di una visione eticizzante del diritto penale, non tanto legato
all’interesse della società ma a una aspirazione alla giustizia in senso etico.
Prevenzione generale: la funzione di prevenzione generale non si manifesta tanto nel momento di
applicazione della pena, in realtà questa funzione di tutela generale si manifesta nel momento in cui
la norma viene posta, viene introdotta. Anche in relazione al principio di legalità, il diritto penale
può riuscire a orientare il comportamento dei consociati proprio perché esiste una norma di legge
entrata in vigore prima del fatto commesso che rende dotti tutti i cittadini sulle conseguenze alle
quali vanno incontro laddove violassero il divieto. Quindi se dico che chi uccide è punito con la
reclusione da 3 a 21 anni sto innanzitutto tutelando un bene giuridico.
La norma viene posta, quindi attraverso quella norma si previene la commissione del fatto. Perché
questo funzioni c’è bisogno di qualcuno che giudichi colpevole la persona che ha ucciso, quindi la
norma ha questa funzione, ma dopo ci aspettiamo che chi ha ucciso venga giudicato colpevole,
perché se così non fosse quel divieto sarebbe apparente, fine a sé stesso. Esempio: se ci sono
autovelox, c’è una norma effettiva che regola la velocità, se tutti potessero superare la velocità
consentita senza incorrere in sanzioni tutti quanti riterremmo che quel limite di velocità assume una
funzione solo orientativa.
Dall’enunciazione della norma arriviamo al momento in cui la norma viene applicata dal giudice,
quindi la sentenza di condanna. Dopo la sentenza di condanna però il meccanismo non si è ancora
completato. Dopo la sentenza si entra nella fase di esecuzione della pena. Questo è un punto molto
delicato perché se pensiamo al fatto che dobbiamo punire un soggetto affinché nessun altro compia
lo stesso reato, come dovremmo punire quel soggetto? Dovremmo fare come l’ancien regime
francese, facendolo passare per le strade, tagliandogli la testa in piazza in modo che tutti si rendano
conto dei rischi che corrono. Questo viene definito come sanzioni esemplari, ovvero che servono da
esempio per chi eventualmente volesse fare la stessa cosa. Però così facendo si arriva a giustificare
la strumentalizzazione di una persona, quella che riceve la sanzione, per uno scopo diverso.
La funzione di prevenzione generale non si deve manifestare nel momento dell’esecuzione della
pena, è chiaro che la pena va eseguita, poiché se così non fosse non la norma non sarebbe affidabile,
non è affidabile una norma che non porta a sentenze di condanna, ma anche possiamo dire che non
è affidabile una norma che porta a sentenze di condanna ma che di fatto non vengono eseguite. La
prevenzione generale presuppone che poi la norma venga applicata ma non legittima una
strumentalizzazione del momento esecutivo della pena a scopo di intimidazione nei confronti degli
altri consociati.
Prevenzione speciale: significa che di fronte alla commissione di un reato da parte di un soggetto
bisogna evitare che quella stessa persona commetta poi altri reati. Bisogna stare attenti a un punto:
abbiamo detto che il legislatore si prefigge l’obbiettivo di tutelare i beni giuridici e quindi si
preoccupa della pericolosità di determinati soggetti. Esempio: se una persona per vivere ruba, è una
persona che se non viene in qualche modo neutralizzata continuerà a realizzare altri furti, cosi come
un serial killer se non viene fermato allo stesso modo continuerà a commette omicidi. In generale,
persone che mostrano un totale sfregio delle regole, sono persone che se non neutralizzate
continueranno.
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Questo tipo di intervento, ovvero la valutazione della pericolosità della persona, fa sempre seguito
all’effettiva commissione di un reato, quella persona è pericolosa perché ha commesso un reato e
perché le modalità di realizzazione del fatto, la personalità, i precedenti, il suo carattere definiscono
una particolare pericolosità.
Se non partissimo dal presupposto della commissione di un reato, potremmo invece accogliere
l’idea che le persone pericolose vadano fermate anticipatamente e quindi a prescindere dalla
commissione di un reato potremmo legittimare un intervento neutralizzante nei confronti di un
soggetto che riteniamo pericoloso. Esempio: se leviamo i viandanti dalle strade ci saranno meno
furti o se togliamo gli psicopatici dalla città ci saranno meno aggressioni. Molto spesso si è cercato
di bloccare sul nascere categorie di soggetti che si ritengono pericolosi. Esempio: terrorismo
islamico o pedofilo: non ha ancora fatto male a nessuno ma si vede che effettivamente è un soggetto
pericoloso con sessualità deviata. Questo approccio, ovvero quello che valorizza la pericolosità del
soggetto a prescindere dalla commissione di un reato è un approccio che si muove tendenzialmente
al di fuori dei principi costituzionali. Perché? Intanto perché rifiuta il principio del libero arbitrio e
quindi la libertà della persona deve ancora esprimersi, non si è ancora espressa in modo tale da
giustificare un rimprovero, né in termini di offesa né in termini di colpevolezza. In una prospettiva
storica la pericolosità sociale in assenza di un fatto è il miglior strumento possibile per iniziare
un’attività di repressione, cioè per anticipare la punibilità e legittimare l’esigenza di sicurezza
rispetto alla libertà individuale. Anche immaginando un sistema perfetto che effettivamente riesca a
valutare la pericolosità in modo adeguato, non sulla base di pregiudizi o errori, che sono inevitabili
nei sistemi sociali, il sistema alla fine finirebbe per annullare qualsiasi spazio per la libertà
individuale perché esiste un meccanismo che già anticipa quello che succederà, quello che succede
viene ritenuto dipendente dalla capacità di valutazione predittiva di chi sa come funzionano queste
cose.
Quando parliamo di prevenzione sociale parliamo di prevenire la commissione di ulteriori reati da
parte di un soggetto che ha effettivamente commesso un reato, la valutazione di pericolosità pura
che prescinde dalla commissione di un reato si può manifestare in altri strumenti che non sono
propri del diritto penale ma ad esso strettamente legati: misure di prevenzione. Le misure di
prevenzione moderne sono ad esempio il dasto. Più rilevanti sono le misure di prevenzione legate al
contesto della criminalità mafiosa, sia personali e quindi limitazioni della libertà, sia patrimoniali
perché contro la criminalità organizzata lo strumento utilizzato in via preventiva è il sequestro e la
confisca dei patrimoni. Attraverso queste misure, che sono misure straordinarie, un soggetto che
non è mai stato condannato per nessun reato può comunque essere destinatario della confisca del
suo patrimonio. Sia in termini di effettiva commissione di un reato, sia in termini di giusto processo
in questo caso vengono meno perché si valorizzano invece le esigenze di contrasto alla criminalità
organizzata. Tanto più il sistema penale non funziona, perché processi troppo lunghi, prescrizione
ecc. tanto più si tende a ricorrere a strumenti che prescindono dal diritto penale e dal precesso
penale perché ritenuti più efficaci, più rapidi, più diretti. Queste misure di prevenzione non ci
riguardano direttamente perché quello che noi studiamo col diritto penale è un fitto reticolato di
norme che riguardano l’effettiva commissione di comportamenti che costituiscono reati, non ci
occupiamo di misure di prevenzione applicate a soggetti che non risultano aver commesso alcun
reato.
Sempre più spesso si parla di diritto penale come parte di un sistema più ampio che è il sistema
improntato alla garanzia della sicurezza. Mentre il diritto penale è andato stratificandosi, vedendo
contestualmente riconoscere tutta una serie di principi di garanzia, questo nelle misure di
prevenzione non c’è.
Prevenzione speciale: un soggetto ha tenuto un comportamento vietato dalla legge. C’è il rischio
che lo rifaccia, per evitare questo si distinguono gli interventi di neutralizzazione da interventi colti
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per la rieducazione. Se una persona si trova in carcere, può commettere reati dentro il carcere ma
certamente può più difficilmente nuocere a persone che stanno fuori dal carcere. Questo significa
neutralizzazione. Pena di morte ed ergastolo sono le forme di neutralizzazione definitiva, negli
altri casi è una neutralizzazione a tempo, se pensiamo a esempio del pedofilo lo teniamo 10 anni in
carcere, ma poi quando esce? Rischiamo di essere punto e a capo. Quindi o avalliamo idea di una
neutralizzazione definitiva che però non pare compatibile con principi costituzionali, non solo per
l’idea della rieducazione ma ancor più semplicemente per l’idea che nella vita tutti abbiamo diritto a
una seconda possibilità, quindi o rinunciamo all’idea della seconda possibilità, scegliendo la strada
della neutralizzazione immediata e definitiva, ma se questo non è ritenuto possibile senza violare
principi costituzionali, è chiaro quindi che la neutralizzazione da sola non aiuta a risolvere il
problema, questo è il motivo per il quale la prevenzione speciale si ricollega alla funzione
rieducativa della pena. Il tempo trascorso in carcere deve essere caratterizzato da un miglioramento,
da un recupero, perché se invece quella persona in carcere rafforza legami con criminalità
organizzata, stringe relazioni con altri soggetti criminali con i quali potrebbe una volta uscito
ipotizzare nuove imprese criminali la prevenzione speciale fallisce. Tendenzialmente possiamo dare
per acquisita l’idea che l’esigenza di prevenzione speciale non possa mai essere tale da indurre a
superare l’effettivo grado di colpevolezza dell’agente. Se commetto un furto, anche se c’è rischio
che continuo a rubare perché non ho lavoro, la modesta gravità del comportamento commesso non
giustifica che stia in carcere 20 anni perché sono socialmente pericoloso. La prevenzione speciale
dovrebbe far riflettere sul contenuto della pena più che della sua durata. Il contenuto deve essere
afflittivo ma anche neutralizzante, dove è necessario, e volto alla rieducazione. La durata viceversa
non può prescindere da un giudizio di gravità del fatto. Noi potremmo dire che una persona ha
tenuto un comportamento gravissimo ma che non riteniamo più pericolosa o viceversa una persona
che ha tenuto un comportamento non grave che invece riteniamo pericolosa. Esempio: soggetto
pazzo, litiga e solo rompe un dito alla persona con cui ha litigato, questo è successo perché sono
intervenuti altri e l’hanno fermato altrimenti ammazzava tutti- fatto non grave ma persona
socialmente pericolosa.
O posso avere una persona che a un certo punto è impazzita e ammazza tutti poi però si è curata,
guarita e al momento della sentenza non risulta più socialmente pericolosa.
Cosa valorizziamo? Pericolosità sociale o gravità del fatto? Questo interrogativo ci porta a
recuperare idea retributiva della pena, non nel senso che la pena serva a legittimare una sorta di
vendetta della società contro il cattivo, ma nel senso che la società ritiene comunque giusto
applicare una sanzione che trovi corrispondenza nella gravità del fatto quindi nella serietà
dell’offesa ai beni, ai valori che quella società ritiene dover garantire. Anche se quella persona non
è più socialmente pericolosa, non possiamo far finta che il fatto non sia successo, una risposta
dobbiamo darla. Cosi come al contrario: quella persona ci sembra molto pericolosa ma al momento
non ha fatto niente di serio. Questi due aspetti della retribuzione e prevenzione speciale in qualche
modo convivono. Se leggiamo art.133 cp che è quello che indica al giudice quali criteri seguire per
determinare la pena da erogare.
Art.132 c.p.: potere discrezionale del giudice in applicazione della pena. Limiti: nei limiti fissati
dalla legge (la pena la stabilisce la legge, la legge stabilisce il fatto punito ma anche la pena con la
quale va punito) il giudice applica la pena discrezionalmente ed è lui stesso che deve indicare i
motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale (quando parliamo di poteri discrezionali,
sono poteri che presuppongono l’applicazione di determinati criteri e la motivazione. Compio una
valutazione rispetto alla quale esistono dei criteri, poi sta a me motivare indicando le ragioni per le
quali sono arrivato a quella decisione).
Nell’esercizio di questo potere discrezionale l’Art.133 c.p. ci dice: gravità del reato, valutazione
degli effetti della pena. Il giudice deve tener conto della gravità del reato desunta
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II comma: il giudice deve tener conto della capacità a delinquere del colpevole desunta (ovvero la
pericolosità del soggetto)
Non sono due cose che vanno necessariamente insieme ma deve tener conto di entrambe.
La gravità del reato si desume dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dal tempo, dal luogo e da ogni
altra modalità dell’azione, dalla gravità del danno o del pericolo cagionato (conseguenze
dell’azione), dall’intensità del dolo o dal grado della colpa (aspetto soggettivo, quindi
rimproverabilità psicologica). All’interno di un fatto descritto in astratto dal legislatore, esempio:
omicidio, possiamo avere omicidi più o meno brutti, più o meno efferati a seconda del modo in cui
sono stati eseguiti, delle ragioni che lo hanno ispirato (aspetti da valutare per definire gravità del
reato).
La capacità a delinquere, ovvero la pericolosità si desume da: motivi a delinquere e dal carattere del
reo (l’ho ucciso solo perché mi dava fastidio=molto pericoloso. Non esistono motivi che
giustificano ma dipende perché, cosi posso valutare capacità a delinquere del soggetto. Se uno
uccide senza motivo è più probabile che lo rifaccia), precedenti penali e in generale la condotta del
soggetto antecedente al reato, la condotta contemporanea o susseguente al reato (ha picchiato ma si
è scusato e l’ha portato in ospedale), dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Esigenze di prevenzione speciale le vediamo nell’esecuzione della pena, per esempio a seconda del
tipo di pericolosità possiamo mettere un soggetto in carcere o detenzione domiciliare.
Il momento in cui vediamo più forte l’esigenza retributiva è quello di una pronuncia giudiziaria, nel
momento in cui c’è la sentenza la società si aspetta che il giudice indichi un trattamento
sanzionatorio adeguato alla gravità del fatto. Questa esigenza retributiva si lega anche al
riconoscimento del monopolio statuale nell’uso della forza, ovvero la società si aspetta che lo stato
sappia fare un uso corretto di questo potere coercitivo, perché se in alcuni casi la società ha
l’impressione che lo stato non lo faccia, allora potrebbe ricorrere a forme di giustizia privata. C’è
una sfiducia nella repressione statuale, quindi chi è sfiduciato della repressione statuale legittima
l’idea di un intervento privato. Le esigenze di cui tener conto sono articolate, ci sono tanti aspetti
che portano a individuare il trattamento sanzionatorio. Come viene punito chi commette un reato?
Quali pene vengono applicate? Arresto, ammenda, reclusione? Pene del codice penale: per i delitti è
previsto ergastolo, reclusione e multa mentre le contravvenzioni sono punite con arresto e
ammenda. Ma questo è un discorso solo terminologico perché voi preferireste essere soggetti alla
detenzione o all’arresto? Preferite multa o ammenda? Preferite un anno e mezzo di arresto o un
anno di reclusione? Sono esattamente la stessa cosa, si va negli stessi posti, non esistono istituti
penitenziari in cui si applica l’arresto e altri in cui si applica la reclusione. La multa sono sempre
1000 euro che sia multa o che sia ammenda. Quindi si tratta di un discorso nominale perché se
leggo la norma a seconda di quello che leggo capisco se si tratta di delitto o contravvenzione. Per il
discorso che stiamo facendo ci cambia poco. Esistono pene detentive e pene pecuniarie. Nel
sistema da quando è stato inventato il carcere come luogo di esecuzione principale della pena, la
sanzione penale principe è costituita dalla detenzione. A questa si affianca la pena pecuniaria perché
soprattutto a fronte dell’affermarsi della criminalità economica, quindi reati commessi da persone
che sono socialmente inserite, abbienti, ci si rende conto che forse è più adeguata ed efficace una
sanzione di quel tipo, mentre invece al criminale di strada nullatenente non si applicano pene
pecuniarie. Però non sono solo queste le sanzioni penali. Come si sanziona una persona? Con la
misura coercitiva, ma quale è l’altro strumento sanzionatorio? L’altro consiste nel divieto di
svolgere alcune attività, misura sostanzialmente interdittiva. Poi ci sono tutta una serie di misure
che di fatto si tratta di misure che altro non fanno che intensificare il controllo e vigilanza su quella
persona. Sono misure che intensificano il controllo, non vietano, ma per il soggetto che subisce
portano a un fastidio, a una limitazione. Questi sono gli strumenti attraverso i quali si attua una
sanzione penale. Perché si applica l’una piuttosto che l’altra? A cosa serve il carcere? La privazione
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della libertà è il contenuto della misura ed è totale, quindi è una misura più forte delle altre ma dal
punto di vista della funzione il carcere a cosa serve? Il carcere come misura di neutralizzazione è la
più forte, faccio sì che quella persona non possa più avere contatti con l’esterno, addirittura per
quando riguarda la criminalità mafiosa si parla di carcere duro, dove vengono vietati le ore d’aria, le
visite perché devo evitare che pure in carcere non commetta reati o continui a svolgere un ruolo.
Sicuramente il carcere serve quando c’è una maggiore esigenza di neutralizzazione. Poi c’è valore
simbolico molto più forte, per un fatto grave ci aspettiamo una limitazione forte. Invece
l’interdizione quando può essere più utile di altri interventi? Di solito l’interdizione si trova nelle
pene accessorie, ma anche la detenzione domiciliare è una sorta di interdizione, c’è il divieto di
uscire ma invece di essere chiuso in carcere sei chiuso a casa. Altre forme di interdizione sono la
sospensione della podestà genitoriale, interdizioni dei pubblici uffici, quindi il corrotto non può più
svolgere funzioni pubbliche, interdizione a esercizio delle imprese. Posso quindi vietare a quella
persona determinati comportamenti in modo tale da arginarne la pericolosità sociale. Poi ci sono
quelle misure che riguardano l’intensificazione del controllo che possiamo vedere in positivo e
negativo. Se le vediamo in positivo, posto che magari una persona non è necessario tenerla in
carcere, sostituiamo la misura con altre forme di controllo o in senso inverso se questa persona ha
scontato un po' di carcere ma non posso lasciarla libera ancora e quindi alcune forme di controllo
possono essere ritenute opportune.
È il legislatore che poi sceglie di valorizzare esigenza di prevenzione speciale o retributiva.
Il diritto penale in qualche modo è basato sul carcere anche se sempre più spesso ci sono delle
misure alternative al carcere per due motivi, il primo è per rafforzare l’esigenza rieducativa, in
carcere posso rieducare perché ho la persona disponibile 24h su 24 però anche immaginando il
carcere perfetto in cui si rieduca poi a un certo punto ho esigenza di accompagnare la persona in un
percorso progressivo, non può passare dalla reclusione totale alla libertà totale e quindi ci sono
queste situazioni di permessi, di semilibertà, in cui la persona piano piano viene reintegrata, allo
stesso tempo prevedendo queste misure come benefici, io spingo il detenuto a comportarsi in certo
modo perché gli propongo una strada alternativa. Sono misure premiali che vanno ad integrare il
così detto trattamento carcerario. L’altro motivo per cui si affermano misure alternative alla
detenzione è legato all’idea secondo la quale le pene detentive brevi hanno effetti più negativi che
positivi, vengono spesso considerate criminogene. Se mi faccio un breve periodo in carcere è più
forte il rischio che io conosca altre persone dedite a comportamenti criminali piuttosto che
l’auspicio che io in quel contesto venga avviato in un percorso rieducativo. C’è una certa ritrosia a
mandare in carcere persone che non hanno già manifestato una tendenza a delinquere stabile perché
c’è il rischio che diventino criminali. Questa idea ha portato a molte misure alternative.
Un aspetto che riguarda tutte le sanzioni penali a prescindere dal contenuto della sanzione è che il
diritto penale ha tendenzialmente un effetto stigmatizzante che altre sanzioni non hanno. È peggio
avere un’ammenda di 1000 euro o avere una sanzione amministrativa di 10000? È peggio avere
una sanzione pecuniaria penale con valore inferiore perché l’accertamento di quel reato e
l’applicazione di quella sanzione vengono annotati nel casellario giudiziale, ovvero la fedina penale.
Da una parte la sanzione penale si accompagna a maggiori garanzie perché c’è un processo,
verifiche ecc. ma dall’altra in caso di accertamento del fatto l’effetto stigmatizzante è molto più
forte. Questo vale a prescindere dal contenuto della sanzione poiché c’è comunque un precedente
registrato nella fedina penale. Lo stato in qualche modo registra i fatti di rilievo penale. Se il
processo si conclude con prescrizione viene meno questa possibilità di registrare esito processuale.
Le sanzioni possono essere molto diversificate. Art.17 c.p.: le pene principali stabilite per i delitti
sono: la morte (adesso abolita), l’ergastolo (applicazione pena su piano temporale non ancora ben
definito, poiché a un certo punto anche ergastolano accede a misure premiali), la reclusione, la
multa. (Il giudice chiarisce sulla base della legge in cosa consiste la pena e nella durata, ci possono
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poi essere altre valutazioni ma tendenzialmente lo dice il giudice quanti anni). Pene per le
contravvenzioni: arresto e ammenda. Sono le stesse cose ma chiamate in maniera diversa perché tra
delitti e contravvenzioni ci sono differenze quindi leggendo la norma che ci dice in che maniera è
punito capiamo se si tratta di delitto (II libro cp) o contravvenzione (III libro cp).
Le norme incriminatrici non si trovano solo nel codice penale ma in tante altre leggi per questo è
necessario conoscere attraverso nome sanzione per evitare di cadere in errore.
Art.18 c.p. parla di classificazione. Ovvero classificazione di pene pecuniarie la legge comprende
multa e ammenda e sotto classificazione pene detentive la legge comprende ergastolo, reclusione e
arresto.
Art.19 c.p. pene accessorie: Interdizione pubblici uffici, interdizione legale, estinzione contratto di
lavoro, decadenza responsabilità genitoriale, pubblicazione sentenza penale di condanna.
Art.20 c.p.: pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna, quelle accessorie
conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa.
All’inizio la pena accessoria era immaginata come una conseguenza automatica però poi ci siamo
resi conto che c’è sempre bisogno che lo stabilisca il giudice in sentenza anche per stabilire la
durata. Quindi in realtà questa distinzione non ha più molto senso perché sia le pene principali che
accessorie sono previste dalla legge e applicate dal giudice. Alcune, per esempio l’interdizione
legale, non c’è bisogno che il giudice lo scriva perché è conseguenza della reclusione, se uno sta in
galera è interdetto. Alcune pene accessorie sono quindi conseguenze automatiche.
Art successivi dicono in cosa consiste la pena di morte, in cosa consiste interdizione (in cosa
consiste e per quanto tempo), in cosa consiste ergastolo (esempio obbligo del lavoro- per fare
questo è necessario che il carcere sia organizzato ma non sempre lo è. Lavoro viene visto in due
modi o rieducazione o può diventare misura di sfruttamento-tema del lavoro e esecuzione della pena
è affidato a una legge definita legge sull’ordinamento penitenziario)
Art.22 c.p. reclusione che si estende da 20 giorni a 24 anni.
Art.24 c.p. la multa da 50 a 50mila euro.
arresto fino massimo 3 anni, ammenda fino a 10mila euro.
Multa e ammenda nel nostro sistema non sono molto applicate perché non funziona tanto bene il
sistema di recupero per cui la pena pecuniaria non è molto valorizzata nel nostro sistema. Negli
ordinamenti dove è più valorizzata la pena pecuniaria viene messa in relazione delle condizioni
economiche del reo, valore della quota varia a seconda delle potenzialità economiche del soggetto.
Oggi sono piuttosto applicate sanzioni pecuniarie che si classificano come forme di confisca,
confiscare il profitto del reato.
Art successivi parlano delle sanzioni accessorie che sono previste per reati di un certo tipo. Esempio
interdizione dai pubblici uffici per reati contro la pubblica amministrazione.
Ci sono un’altra serie di norme che prevedono che la pena pecuniaria irrogata non sia poi
effettivamente eseguita, perché? perché esiste la sospensione condizionale della pena: la pena è
applicata ma è già sospesa, se non si commettono altri reati nei 5 anni successivi quella pena non
verrà applicata, se invece commetterete altri reati pagherete per gli uni e per gli altri perché verrà
revocata la condizionale. Fino a che limite di pena può essere concessa la condizionale? Fino a due
anni. Non si concede sempre, ma si concede perché il giudice ritiene che il colpevole si asterrà da
commettere altri reati. Il giudice ritiene che questo avvertimento già sia sufficiente. Può essere
concessa una sola volta la condizionale e la condanna definitiva resta nella fedina penale, può essere
annotata anche l’estinzione ma il precedente resta.
Poi ci sono le così dette sanzioni sostitutive, sono 3 e vengono applicate dal giudice di merito,
colui che condanna. Se ho pene detentive brevi, per la logica di prima, è possibile sostituire la
detenzione con: semidetenzione, ovvero detenzione durante il giorno (applicata poco)
Libertà controllata
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Pena pecuniaria-carcere convertito in una multa
Poi ci sono le misure alternative. Queste non vengono disposte dal giudice di merito, dal giudice
della cognizione. Il giudice ti da tre anni di reclusione ma quando la sentenza diventa definitiva
puoi fare una richiesta al tribunale di sorveglianza al quale chiedi che al posto della misura
detentiva venga applicata una misura alternativa, tra cui ci sono: detenzione domiciliare e
l’affidamento in prova al servizio sociale.
Processo: si applica una pena principale che può essere detentiva o pecuniaria. Quella detentiva può
essere sostituita sa una misura sostitutiva e se prevista anche una pena accessoria. Pene detentive
non particolarmente elevate (sotto i 4 anni di solito) è prevista la possibilità di chiedere misura
alternativa.
Misure di sicurezza: situazioni definite come quasi reato, esempio: istigazione non accolta,
accordo non seguito da commissione del reato- in questo caso il principio di materialità fa sì che
non si applichi una pena. Ma si può applicare una misura di sicurezza. Visto che hai tenuto
comportamento che poteva sfociare in commissione di reato applico libertà vigilata. Misure previste
per quelle fattispecie per i quasi reato.
Altre si basano su pericolosità sociale del reo e si sovrappongono alla pena. Prima hai la pena e poi
misura di sicurezza. Si applicano a persone che sono pienamente responsabili dei loro
comportamenti e sono particolarmente pericolose perché sono delinquenti abituali/delinquenti per
tendenza. Artt. 199 c.p. e seguenti, il legislatore disciplina queste misure di sicurezza: nessuno può
essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente previste dalla legge-vale
principio di legalità-
Art.202 c.p.: misure di sicurezza applicate soltanto a persone socialmente pericolose che abbiano
commesso un fatto preveduto dalla legge come reato. anche gli altri sono in qualche modo
pericolosi, questi però soggiacciono a una classificazione particolare, vengono definiti socialmente
pericolosi.
Art.203 c.p.: definita socialmente pericolosa la persona che è probabile che compia nuovi fatti. È
probabile perché lo si desume dalle circostanze dell’art.133. ci sono però delle categorie che
riguardano persone definite come ubriachi abituali (art.221 c.p.) delinquenti abituali, delinquenti
professionali, delinquenti per tendenza.
Sistema del doppio binario: da una parte ti do la pena che riguarda principalmente la gravità del
fatto poi do misura di sicurezza, è un approccio rigido. Oggi è difficile che si applichino queste
misure di sicurezza da aggiungere alla pena perché già la pena deve proiettare la valutazione di
questi aspetti. Se stabilisco la pena devo capire se sei socialmente pericoloso.
Diverso è per quanto riguarda soggetti non imputabili: hanno patologie psichiatriche per le quali
non sono capaci di intendere e di volere. Si deve o no punire la persona incapace di intendere e di
volere? No. Anche se c’è il dolo, quindi la volontà di uccidere, manca la capacità di intendere e
percepire. Quindi il concetto di imputabilità si lega a idea di normalità psichica. Ci sono persone
che hanno caratteristiche psichiche così distanti da quelle degli altri che non ci sembrano destinatari
degli stessi criteri di valutazione. Se non vieni ritenuto in condizioni di valutare e quindi di scegliere
perché punirti? Se ti punisco la sanzione porta a qualcosa? No. Non ha senso nemmeno
stigmatizzare perché quella persona non riesce a cogliere il significato di quel giudizio sociale.
Principio di colpevolezza vale per soggetti che rientrano in condizione di normalità psichica. Altra
categoria sono i minori. Nei confronti del minore quella capacità di valutazione risulta affievolita.
Fino a 14 non si è imputabili. Dai 14 ai 18 si valuta caso per caso, giudicati dal tribunale dei minori.
Ai soggetti non imputabili non verrà applicata una pena ma una misura di sicurezza sempre a
condizione che siano tenuti socialmente pericolosi. Giudice chiede a psichiatra una valutazione. Ma
alla fine spetta al giudice decidere anche se delega il compito al suo perito.
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In concreto quali sono queste misure di sicurezza? Libertà vigilata, fino a qualche anno fa esisteva
OPG: ospedale psichiatrico giudiziale- è stato superato perché diventavano brutte copie del carcere
in cui l’aspetto coercitivo era prevalente su quello terapeutico. Ora sostituite con la detenzione nelle
reif (?) che valorizzano aspetto terapeutico.
Esiste amnistia, grazia del presidente della Repubblica-cancella tutto.
Il principio di legalità da una parte con i suoi corollari (riserva di legge, il divieto di analogia il principio di
tassatività e determinatezza della fattispecie)
Il principio di materialità con il diritto penale del FATTO al quale si ricollega il principio di offensività: l’idea
che quello deve essere un fatto dannoso, che mette in pericolo dei beni giuridici; infine il principio di
personalità della responsabilità penale dove ciascuno è responsabile per il fatto proprio e in secondo luogo
il principio di colpevolezza secondo il quale la responsabilità penale di un soggetto deve potersi fondare su
una sua rimproverabilità psicologica e quindi gli elementi più significativi della fattispecie potevano essere
addebitati per lo meno a titolo di prevedibilità quindi in termini di dolo o colpa e abbiamo visto come le
ipotesi tradizionalmente ricondotta alla responsabilità oggettiva nei sensi dell’articoli 42 terzo comma del
codice penale sono poi rivisitati in modo da ancorarne l’effettività alla prevedibilità dell’evento più grave.
Il diritto penale si lega ancora fortemente all’idea del carcere; quindi, il fatto che la sanzione più grave sia
quella detentiva/coercitiva che più di ogni altra consente la stigmatizzazione di quel comportamento,
La detenzione domiciliare da una parte riprende l’idea di una detenzione ma dall’altra è più un'interdizione
ad uscire da quel luogo (casa);
Altre forme di interdizione sono costituite dalle pene accessorie e infine altre misure che enfatizzano la
dimensione del controllo quindi: la libertà vigilata e la libertà controllata che fanno sì che il soggetto sia
sottoposto ad un controllo molto più rigido di quello a cui sono sottoposti gli altri cittadini e infine le
sanzioni pecuniarie (multa e ammenda) ma anche delle forme di confisca del profitto del reato che alla fine
dei conti vanno sempre a colpire il patrimonio del soggetto condannato.
La FUNZIONE GENERAL PREVENTIVA cioè per prevenire l’offesa di determinati beni giuridici il diritto penale
prevede delle sanzioni... Funzione special preventiva invece quando si valuta il grado di pericolosità di un
soggetto procedendo secondo una linea di neutralizzazione. Ricordiamo che le pene detentive brevi non
sono viste di buon occhio in quanto potrebbe sviluppare il rischio di cattive amicizie o cattivi esempi più di
quanto non serva ad avviare un processo rieducativo;
FUNZIONE RETRIBUTIVA DELLA PENA idea che la società di fronte alla commissione di un delitto debba
comunque stigmatizzare quanto avvenuto con una sanzione... ricondotto a funzione e visione etica della
pena.
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Esiste comunque un limite non superabile che è quello della strumentalizzazione. LA DIGNITA’ DELLA
PERSONA PREVALE RISPETTO ALLA SANZIONE.
Misure alternative alla detenzione (affidamento in prova ai servizi sociali oltre al già citato arresto ai
domiciliari)
Sospensione della pena: condanne inferiori a 4 anni danno la possibilità al condannato di richiedere una
misura alternativa.
Misure di sicurezza: partendo dal presupposto che non si può punire una persona perché è pericolosa ma
per aver commesso un reato oltre alla pericolosità... così oltre alla sanzione è previsto per alcune categorie
di soggetti (delinquenti per tendenza per esempio) vi è la possibilità di aggiungere misure di sicurezza ciò
succede però di rado o con le persone non in grado di intendere e di volere o non imputabili (minori di 14
anni per esempio).
Art.1 del codice penale parla di REATI E PENE- DISPOSIZIONE ESPRESSA DI LEGGE (nessuno può essere
punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge né con pene che non
siano da essa stabilite) ...la legge deve essere precedente al reato!
Ma le leggi cambiano nel tempo quindi l’art.2: SUCCESSIONI DI LEGGI PENALI comincia ribadendo che
nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva
un reato.
Processo di Norimberga -- i responsabili hanno agito in un momento nel quale la legge consentiva i loro
comportamenti inumani!
Secondo comma dell’art.2: se un reato viene abolito allora si cessa l’esecuzione e gli effetti penali, il
soggetto non sarà più punibile e deve essere liberato quindi avviene se la società ritiene che non abbia più
senso punire un determinato comportamento. Ci sono casi anche di modificazione di trattamento
sanzionatorio più o meno grave (vedere comma 3 dell’art.2: Se la legge del tempo in cui fu commesso il
reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo (5), salvo che
sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Art 3 La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello
Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale.
La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma
limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale. (il personale della NATO in
Italia NON È PUNIBILE PERCHE’ PROTETTO DALL’IMMUNITA’ DIPLOMATICA per esempio).
Art.6 Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è
ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od
omissione.
Art.5 Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale.
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Questo perché il principio di legalità si basa sull’idea che sta ai cittadini conoscere e approfondire la legge
altrimenti tutti potrebbero appellarsi al fatto che non si era a conoscenza della legge. Questo articolo ha
dato vita alla sentenza 364 del 1988 con cui la corte costituzionale ha affermato il principio di colpevolezza.
Prima del 1988 nessuno aveva parlato esplicitamente di principio di colpevolezza.
Le norme penali devono essere chiare per poter essere conoscibili da tutti, anche stranieri.
Ora vediamo gli articoli che riguardano la struttura del reato nel titolo 3 DEL REATO, capo 1 DEL REATO
CONSUMATO E TENTATO
Art.39: I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi
rispettivamente stabilite da questo codice.
Ci sono tante condotte umane ma al diritto penale interessano quelle che hanno determinato un reato...
Dobbiamo verificare se c’è una condotta che ha determinato in modo oggettivo un evento. (es: io ho messo
il veleno nel bicchiere di una signora per ucciderla, la signora non lo ha bevuto ma è morta lo stesso giorno
a causa di un infarto... Manca il NESSO DI CAUSALITA’ tra condotta ed eventi!
Definizioni
Azione: consiste in un comportamento attivo del soggetto, idoneo a pregiudicare l’interesse protetto dalla
norma.
Omissione: consiste nel mancato compimento di un'azione che il soggetto avrebbe l’obbligo giuridico di
compiere se si trovasse nella condizione di poterla realizzare.
Bisogna precisare che non tutte le omissioni sono rilevanti ma solo quelle in cui la persona che ha omesso
un'azione aveva un obbligo giuridico di impedire un evento (babysitter che deve intervenire se vede il
bambino in pericolo, per esempio, o il medico che deve intervenire subito e non l’ha fatto).
Art.40 Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o
pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Nel caso del ponte
di Genova chi non ha fatto la manutenzione e ha l’obbligo di mantenere la sicurezza pubblica è imputabile...
l’omissione in tal caso lo rende responsabile. Per il ponte di Genova sono imputati 40/50 persone perché i
compiti si intersecano, ciò rende difficile il verdetto finale.
Posizione di garanzia e posizione di controllo con il primo termine ci si vuole riferire a quelle situazioni in
cui esiste proprio un garante cioè un soggetto che ha un potere impeditivo (medico per esempio) mentre
con il secondo termine si intende che un soggetto che non effettua un controllo e determina l’evento
dannoso, la mia omissione diventa rilevante (chi controlla gli ingressi allo stadio per non far entrare delle
armi per esempio. Se poi dentro avvengono comunque delle risse non è colpa del controllore).
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Non è che si punisce l’omissione in sé stessa ma il fatto che questa omissione ha poi determinato la morte
di una persona per esempio dunque per aver determinato una conseguenza.
Il problema della causalità: uno spara alle gambe un altro, lo ferisce. Viene portato in ospedale dove lo
curano male e muore: di chi è la responsabilità? Chi l’ha colpito o chi l’ha visitato? causalità
condizionalistica. Se non si fosse verificata la prima condizione non sarebbe avvenuto il secondo evento. Si
selezionano gli antecedenti rilevanti.
Il profilo dell’offesa rende più significativo guardare al dato oggettivo, mentre l’elemento legato
alla colpevolezza dà maggiore rilievo alla psicologia dell’agente.
La tripartizione (tipicità, cioè descrizione di una fattispecie astratta secondo una legge,
antigiuridicità del fatto e colpevolezza) mette in evidenza che il primo elemento da verificare è la
sussistenza di un fatto concreto in base alla fattispecie astratta della legge e tendenzialmente è un
fatto oggettivo; potrebbe sussistere anche una causa di giustificazione (legittima difesa) che
scrimina quel fatto. Quindi la tripartizione non sottolinea una distinzione concettuale tra la realtà,
per come materialmente percepita, e le intenzioni, ma si sottolinea una distinzione legata
all’esistenza di una pluralità di norme e quindi la descrizione normativa dà un indice di possibile
liceità di antigiuridicità ma non è di per sé sufficiente, ci vuole anche la verifica dell’inesistenza di
cause di giustificazione.
Esempio: se qualcuno entra a casa mia e si porta via il televisore, non è detto che sia un furto,
potrebbe essere l’ufficiale giudiziario che mi pignora i mobili perché non pago il condominio e
quindi in questo caso sta semplicemente adempiendo ad un suo dovere, anche se quella condotta è
conforme alla fattispecie del furto.
Con la colpevolezza (dolo, colpa, imputabilità, inconoscibilità della norma penale) si arriva sempre
a considerare l’elemento psicologico, cosa che poteva essere rilevata anche con tipicità e
antigiuridicità.
La tripartizione finisce per mettere in rilievo che esiste una norma incriminatrice di riferimento che
dobbiamo interpretare per capire se il caso di riferimento rientra nella fattispecie astratta.
Tempo fa le cause di giustificazione venivano chiamate “elementi negativi del fatto”, si dava
rilevanza oggettiva anche alla causa di giustificazione, interpretandola come presupposto negativo
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perché ci fosse elemento oggettivo del reato. Ma era un modo troppo complicato per interpretare il
reato stesso.
Anche nei presupposti oggettivi è possibile rilevare degli aspetti psicologici.
La tripartizione finisce anche per cancellare l’idea un po’ illusoria che noi siamo sempre in grado di
distinguere ciò che è materiale da ciò che è psicologico, è giusto segmentare per capire meglio ma
spesso le due prospettive vanno di pari passo e formano un tutt’uno.
Articolo 40 “Nessuno può essere punito se l’evento dannoso o pericoloso da cui dipende l’esistenza
del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione” quindi ci deve essere una condotta attiva
o omissiva collegate causalmente, eziologicamente ad un evento. Questo articolo già ci dà
tantissime informazioni per ricostruire l’evento.
Il comma 2 dell’articolo 40 dà una serie di precisazioni sulle omissioni, perché altrimenti
sarebbero infinite. La condizione è che quel soggetto avesse l’obbligo giuridico di impedire
l’evento, altrimenti non ha senso parlare di un’omissione che ha causato il fatto, strettamente in
senso giuridico. L’obbligo è un dovere ma non sono precisati puntualmente e quindi spesso
l’obbligo lo ricaviamo dal fatto che esiste una ripartizione dei poteri (esempio direttore del carcere,
che ha l’obbligo di mantenere la sicurezza e quindi ha il potere di farlo).
L’obbligo si desume dalla funzione e posizione che una persona ha. Dalla posizione di garanzia si
passa a posizione di controllo, ovvero non ha la piena responsabilità dell’evento una volta assolto il
suo compito.
Solo dal ricorrere di determinati presupposti, potremo parlare di omissioni o posizioni di garanzia. Il
tema delle posizioni di garanzia si lega con la questione di pluralità di garanti, i compiti si
sovrappongono o si giustappongono? Dipende dal contesto.
Problema del rapporto di causalità, sia che si tratti di azione e omissione - Articolo 41 comma 1
che si occupa del concorso di cause, ma che significa causa? L’interprete si trova di fonte
all’assenza di una norma che definisca la causalità e quindi in un certo qual modo se la deve
inventare. Quando A è causa di B? quando effettivamente il motivo decisivo per cui si è verificato
B è causa di A.
Ma qual è il fattore decisivo? Con questo interrogativo, la convinzione precedente si sgretola,
perché non è sempre intuitivo definire il motivo decisivo. Spesso è considerato come il fattore che
solitamente causa l’evento, ad esempio uno sparo porta alla morte più frequentemente di un pugno.
tuttavia, questo ragionamento non funziona sempre, sicuramente non per gli scopi del diritto penale.
Viceversa, un’altra impostazione più aperta è considerare che se A non si fosse verificato, non si
sarebbe verificato neanche B (processo di eliminazione mentale), cioè la teoria della causalità
condizionalistica. Questa teoria ha il vantaggio di essere oggettiva, può implicare un ragionamento
troppo ampio ma per integrarla si applica la teoria dell’aumento del rischio o imputazione
oggettiva dell’evento. Cioè, quello che interessa non è che la conseguenza sia una conseguenza
probabile di una determinata condotta, quello che ci interessa è che quella determinata condotta
aumenti effettivamente il rischio del verificarsi un determinato evento.
Esempio: il nipote di tizio lo vuole morto perché è l’erede testamentario e quindi spinge lo zio a fare
dei viaggi in aereo sperando che l’aereo precipiti. Lo convince ad andare in Amazzonia e l’aereo
effettivamente precipita. Dal punto di vista psicologico è un omicidio volontario, ma veramente si
può dire che lo zio sia morto perché il nipote lo ha incoraggiato a prendere un aereo? Beh no.
Quindi il rapporto causale non c’è, ma sotto il profilo condizionalistico ci sarebbe perché se non lo
avesse convinto sarebbe ancora vivo.
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Art 41 comma 1 “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se
indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione
od omissione e l'evento”. Questa norma sancisce il principio dell’equivalenza di cause. Quindi se
ci sono altre undici cause, questo non inficia il rapporto di causalità tra la condotta del soggetto e
l’evento.
Il principio dell’equivalenza causale si coniuga perfettamente con il principio condizionalistico, con
la conditio sine qua non. Resta il fatto che A è causa di B, indipendentemente dal numero di cause.
Se l’art 41 si fermasse, concluderemmo che il nostro Codice Penale riconosce una causalità di tipo
condizionalistico. Ma l’articolo continua ... “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di
causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od
omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo
stabilita.”
Esempio: se io do un pugno a tizio e in seguito uno gli spara e lo uccide, se io elimino il pugno il
tizio muore lo stesso. In questo caso c’è una causa sopravvenuta (il colpo di pistola) che determina
l’evento. Ma in questo caso il pugno non determina l’evento, è irrilevante quindi la norma deve
avere un altro significato. Se la causa è da sola sufficiente, non c’è proprio bisogno di specificarlo.
Ma senza pugno, sarebbe lo stesso stato colpito da un colpo di pistola e quindi sarebbe morto
ugualmente? Siamo al punto di partenza. Quando devo escludere il rapporto causale?
Nell’interpretazione di questa norma, abbiamo a disposizione delle teorie.
La prima è quella della “causalità umana” del professor Antolisei: quello da solo sufficiente è
quello eccezionale, quello che sfugge al dominio dell’uomo. (serie causale del tutto autonoma).
Forse la ricostruzione più corretta prevede che se non c’è un aumento del rischio in considerazione
della condotta che cagiona l’evento, possiamo dire che l’altra causa è da sola sufficiente.
Il problema è che l’articolo parla solo delle cause sopravvenute, ma questo stesso principio
dovrebbe valere anche per le cause preesistenti.
…continuazione art 41 “Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa
preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
In alcuni casi si parla di reati di pura condotta. Davvero c’è sempre l’evento o a volte è sufficiente
la condotta? Ad esempio l’ingiuria, l’evasione dal carcere. Qui c’è tutto un dibattito teorico.
C’è chi dice che i reati di pura condotta non esistono e che l’evento c’è sempre. Altri dicono che in
alcuni casi, l’evento in senso materiale non esiste, esiste un pericolo o un evento in senso giuridico.
Esempio: l’incendio è reato di evento o condotta? Non serve che muoia comunque o che ci siano
ingenti danni. Il reato è l’incendio che provoca un pericolo per l’incolumità. Questa seconda teoria
valorizza l’esistenza dei reati di pura condotta, per i quali esisterebbe un evento solo in senso
giuridico.
Altri invece sostengono che sotto i reati di pura condotta esistono sempre degli eventi, perché se a
volte la condotta e l’evento sono simultanei, noi tendiamo a sovrapporli e a dare maggior peso alla
condotta.
In realtà c’è la distinzione tra condotta ed evento. Esempio del verbo mangiare, se volessimo essere
più analitici vedremmo che lui ha assunto una determinata sostanza ma non l’ha assimilata, quindi
anche l’azione del mangiare può non essere una semplice condotta di portare qualcosa alla bocca,
ma anche l’evento dell’assimilazione. Quindi non coincidono perfettamente, è sempre possibile
distinguere l’energia fisica dal risultato. In alcuni casi è più evidente, in altri meno.
Il reato si consuma nel momento in cui si verifica l’evento e nel luogo in cui si è verificato l’evento.
Caso dell’evasione: per evadere mi faccio addormentare dai medici del carcere e mi faccio mettere
a bordo di un’ambulanza. Qui la condotta non è l’allontanamento, ma rappresenta l’evento, perché
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in realtà la condotta è il fatto di essermi messo d’accordo con i medici del carcere. Ecco perché è
importante distinguere l’elemento oggettivo, ci aiuta a distinguere la condotta dall’evento.
Quando ragioniamo sulla causalità nel concorso di cause, stiamo ragionando su eventi indipendenti
e non collegati. (io do un pugno per un motivo, ma l’altro lo spara per tutt’altra ragione), altrimenti
tutto questo discorso non avrebbe senso.
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questo. Noi non possiamo conoscere l’effetto di tutti i fattori. Pensiamo al COVID, scopriremo che il fatto di
avere questa problematica influisce o la vitamina D influisce ma non arriveremo mai a conoscere tutti gli
elementi che influenzano quel decorso. In passato si distinguevano le leggi scientifiche da quelle statistiche,
si diceva che andava bene utilizzare le leggi scientifiche ma non si possono utilizzare quelle statistiche in
quanto non ti danno certezza. Solo che nel frattempo si è arrivati a capire che in realtà le leggi scientifiche
altro non sono che leggi statistiche, però per affermarsi devono avere un livello di coperture
sufficientemente elevato. Prima di dire che effettivamente A determina B non ci basta dire che su 100 pz 60
prendendo quel farmaco si siano salvati, magari si sono salvati per altri motivi. Allo stesso tempo non è solo
una legge scientifica quella che noi consideriamo, ma sono tutti gli aspetti che caratterizzano quel
particolare caso. È vero che ci vogliono leggi scientifiche di riferimento e quindi molte conoscenze, ma è alla
fine la valutazione sul rapporto causale sarà basata su tutta una serie di valutazioni sugli elementi del caso
concreto. Questi principi sono stati espressi da una sentenza delle sezioni unite molto famosa, SENTENZA
FRANZESE. Si devono prendere in considerazione soltanto le leggi scientifiche affidabili, quindi
sufficientemente dimostrate e poi bisogna valutare sulla base di tutte le leggi scientifiche disponibili dei vari
elementi del caso concreto e fare la valutazione. Questo tema viene trattato sotto il nome di sussunzione di
leggi scientifiche della teoria condizionalistica, per capire se l’evento verificato sia una conseguenza di quel
comportamento bisogna far ricorso a delle leggi scientifiche altrimenti non avremmo risposte da dare. In
qualche modo bisogna accettare che alcune volte risposte non ne abbiamo. Qui avviene un dibattito perché
qualcuno dice ‘Se io avevo il 51% di possibilità di salvarmi, chi non mi ha salvato deve condannato di
omicidio colposo.’ c’è chi dice di no perché la condanna di omicidio colposo presuppone che ci sia certezza
che la causa sia stata quella, quindi la morte del pz in termini di offesa, non la perdita di una chance. Tutto
ciò mentre in sede civile viene riconosciuta anche la semplice perdita di chance, in ambito penale si
condanna quando c’è una probabilità prossima alla certezza. Quando si parla di perdita di chance si usa un
punto di vista diverso, perché invece di guardare a ritroso perché con la causalità li guardiamo a ritroso (se
A non ci fosse stato non si sarebbe verificato B), con la perdita di chance noi guardiamo la realtà partendo
dal momento in cui si è verificato l’evento (se tu mi avessi curato avrei avuto la possibilità di salvarmi in
futuro). Questa specificazione è necessaria per capire quali problematiche si pongono in termini di
causalità, sono verifiche complesse e difficili. Più si dà rilevanza all’omissione più è necessario approfondire
temi sfuggenti. Con questa precisazione possiamo ritenere concluso il tema della causalità. Abbiamo visto
dal punto di vista oggettivo esiste una condotta attiva o omissiva, l’omissione presuppone una condizione di
garanzia con il reato alla verificazione di un evento e abbiamo in questo modo descritto tutti gli elementi
che ci interessano considerare. Vi ho accennato che ci sono reati di pura condotta, in realtà è solo un
discorso convenzionale perché ci può essere sempre l’evento che si aggiunge (ES. Evasione. Tizio è evaso a
prima vista si pensa che la norma si riferisca ad un'omissione. È evaso, è scappato, correva. Poi però un
altro esempio, quella persona si sia fatta addormentare e portata dall’ambulanza fuori dal carcere ed a un
certo punto è evaso, senza muoversi, senza tenere alcuna condotta, con l’evasione si può far riferimento
anche all’evento. L'evento è il fatto è l’evasione.) non bisogna farsi ingannare sul fatto che si utilizzi un
verbo piuttosto che un altro, a noi interessa esaminare la realtà e nella realtà si può sempre distinguere la
condotta e l’evento. Ci interessa distinguerli perché la condotta è quello che prova un essere umano,
nessuno di noi può incidere sugli eventi ma può stabilire quale condotta ottenere, quindi la responsabilità
penale va analizzata su quello che gli uomini possono e non possono decidere di fare. In diritto penale i
interessano quelle condotte che provocano un evento dannoso. Questo schema CONDOTTA-EVENTO è
sempre utile, tutto ciò sotto il profilo oggettivo della successione dei fatti, ma a noi interessa anche sapere
se Tizio poteva uccidere Caio, se l’ha ucciso di proposito. Anche se non l’avesse ucciso di proposito è stato
comunque disattento e negligente, non ci interessa il fatto che lui avrebbe voluto salvarlo magari con una
chiamata, non è colpa sua perché non poteva saperlo. Non è che ogni volta che qualcuno avrebbe potuto
fare qualcosa di diverso vuol dire che è responsabile di colpa o dolo, non abbiamo la possibilità di
prevedere il futuro. In alcuni casi si uccide per scelta, in altri casi non si uccide per scelta ma ovviamente
stando più attenti, rispettando delle regole cautelari si sarebbe evitato di cagionare la morte di quella
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persona. Tutto ciò riguarda l’elemento soggettivo, psicologico. Poteva fare qualcosa di diverso, oppure non
poteva fare assolutamente niente? Pero anche se nel momento in cui ci accorgiamo che Tizio avrebbe
potuto evitare la morte di Caio questo non ci basta a dedurre la responsabilità penale, soprattutto anche
ammettendo che Tizio sia responsabile della morte di Caio noi non riterremo rimproverabile allo stesso
modo se l’ha fatto apposta o meno. Il tema del dolo e della colpa si riassume in queste formule istintive che
utilizziamo tutti. In alcuni casi c’è chi ritiene che la risposta “NON L’HO FATTO APPOSTA” come se questo da
solo fosse motivo di giustificazione assoluto (RESPONSABILITÀ PER COLPA), mentre “L’HA FATTO APPOSTA”
(RESPONSABILITÀ PER DOLO). Voleva fare quello che ha fatto. Secondo l’articolo 45 c.p. NON È PUNIBILE
CHI HA COMMESSO IL FATTO PER CASO FORTUITO O FORZA MAGGIORE, anche l’articolo 40 “nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento danno o pericoloso, da cui
dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.” L’art. 42
(RESPONSABILIÀ PER DOLO O COLPA O PER DELITO PRETERINTENZIONALE. RESPONSABILITÀ OBIETTIVA) ci
dice: “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha
commessa con coscienza e volontà.” Quest’ultima norma può essere interpretata in più modi, parla di
coscienza e volontà dell’azione o dell’omissione (devono essere coscienti e volontari), non ci sta parlando
dell’evento ma di un’azione che ha determinato un evento. Quindi non solo l’azione o l’omissione deve
aver determinato l’evento ma deve essere stata commessa con coscienza e volontà. Esistono delle persone
non coscienti? Sonnambulismo: lui agisce ma non è cosciente di agire. In latino Non agit sed agitur - Non
agisce (liberamente), ma vi è costretto. Non stiamo parlando di tutto ciò che viene dopo, delle conseguenze
ma il fatto che il soggetto non controlla le sue azioni. Le azioni precedenti medianti le quali poi
eventualmente arginale il fenomeno. La nostra valutazione sulla condotta potenzialmente rilevante si sposti
indietro nel tempo. Questo è ciò che dice l’art. 42 comma 1, che parla semplicemente dell’azione od
omissione. Il comma 2 ci dice che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come
delitto, se non l’ha commesso con dolo”. Che cosa deve aver commesso con dolo? Il fatto, il delitto. Qui non
parla più solo dell’azione o dell’omissione, ma parla anche del fatto. Secondo voi il fatto da cosa è
composto? Sia dalla condotta che dall’evento. Se nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla
legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, quindi se non c’è dolo non c’è delitto? E l’omicidio
colposo? Non è un delitto? L'art. 589 c.p. è un delitto o contravvenzione? È un delitto, perché è punito con
una reclusione da 6 mesi a 5 anni. Perché se vi ricordate gli art. 39 e 17 distinguono i delitti dalle
contravvenzioni. Ovviamente l’art. 42 comma 2 continua dicendo “salvo i casi di delitto preterintenzionale o
colposo previsti dalla legge”. Domanda: se io vado in un negozio di cristalli e mi metto a giocare con mio
figlio di 11 anni e gli distruggiamo mezzo negozio, potremmo o no essere puniti io e mio figlio? Mio figlio no
perché ha 11 anni, ma io potrò essere punito per danneggiamento colposo per aver rotto degli oggetti del
negozio? Ma è previsto dalla legge il danneggiamento colposo? No, dovrò risarcire il negoziante ma non ho
responsabilità penale. Se il danneggiamento è doloso il soggetto verrà accusato, se è colposo invece no.
Questo dal punto di vista penale, invece dal punto di vista risarcitorio il soggetto dovrà risarcire. Il problema
è che il diritto penale non si può occupare di tutti i comportamenti che creano dei danni agli altri, ma
seleziona quelli più gravi. C'è un costo per fare i processi, per mantenere la gente in prigione. Ad oggi però
le informazioni che ricaviamo dai dibattiti che noi seguiamo sui social, la comunicazione di massa, si va
sempre ad analizzare il punto di vista della vittima come se dal punto di vista della vittima facesse sempre
seguito il comportamento di qualcuno che risolva il problema. Non è così, purtroppo. Ci sono delle persone
che subiscono dei danni ma nessuno mai li risarcirà. Pensate al COVID, quanta gente ha avuto problemi a
causa del COVID? Come si dice “aiutati che di ti aiuta”. Questa impressione che lo stato vuole rassicurare i
soggetti, in realtà è una promessa astratta, in alcuni casi e per alcuni eventi lo stato riesce a farsi carico
delle soluzioni. Ad esempio per il terremoto e al fatto che si decida di risarcire le persone che hanno perso
la casa, ma questo non è scontato. Comunque torniamo al discorso della responsabilità. Di base la
responsabilità per i delitti è dolosa, in casi specifici ed eccezionali può essere colposa o preterintenzionale.
Il modello base è quello della responsabilità dolosa, perché volutamente ha avuto una condotta per
determinare l’evento conseguente. Solo per alcuni eventi più gravi, come la morte, le lesioni viene valutata
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anche l’atteggiamento colposo, come anche l’incendio colposo o l’epidemia colposa. Sempre l’art. 42
comma 3 ci dice: “la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come
conseguenza della sua azione od omissione.” Vi ricordate che già ne avevamo parlato di questo comma
dell’art. 42? L'evento è posto a carico dell’agente, se non gli è posto per dolo, o per colpa o per
preterintenzione, come gli è posto a carico? Per responsabilità obiettiva, ne avevamo parlato perché nel
codice rocco prevedeva colpe di responsabilità oggettiva e che il principio di colpevolezza aveva portato a
rivedere questo tipo di imputazione. Avevamo parlato dello spacciatore, l’art. 586 (il cliente che muore).
Quindi ci possono essere dei casi in cui la responsabilità dell’evento prescinde anche dalla colpa e dalla
preterintenzione. La sentenza 364 dell’88 della Corte Costituzionale ha stabilito che l’imputazione degli
elementi più significativi della fattispecie devono avvenire per dolo o per colpa e quindi questa categoria
della responsabilità oggettiva tendenzialmente si svuota perché non è più compatibile con l’art. 27 della
Costituzione. Art. 42 comma 4: “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione
cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.” Per cui tendenzialmente ci stanno dicendo che per la
contravvenzione non ci dovrebbe essere reato perché ci dice che ciascuno risponde della propria azione
dolosa o colposa mentre nel delitto si dice che il soggetto deve aver commesso con dolo un fatto. Inoltre
per le contravvenzioni non basta solo il dolo ma anche la colpa, ovviamente l’azione deve essere cosciente.
Tra delitto e contravvenzioni c’è una differenza importante in termini di imputazione soggettiva, nel delitto
tendenzialmente ci vuole il dolo, nelle contravvenzioni basta anche la colpa. Ci sono dei casi in cui vige il
principio di buona fede che fa sì che in alcuni casi il soggetto sia ritenuto incolpevole anche se l’azione è in
qualche modo posta in essere con coscienza e volontà. Il requisito della colpa nella contravvenzione va
definito in modo un po' più preciso, ma lo vedremo più in là. Quindi ricapitolando l’art. 40 ci dice che la
condotta deve essere collegata all’evento dal rapporto di causalità, il secondo comma dice che non
impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Art.41 ci ha spiegato
che cosa avviene in caso di concorso di causa. L'art.42 comma 1: è necessaria la coscienza e volontà del
soggetto; comma 2: che il delitto deve essere doloso, salvo eccezioni; comma 3: l’evento è posto a carico
dell’agente; comma 4: nelle contravvenzioni basta anche la colpa.
Ma che cosa vuol dire DOLO e COLPA? Ne parla l’art. 43: il delitto è doloso e ci spiega quando, è colposo e ci
spiega quando ed è preterintenzionale e ci spiega quando. Poi ci dice che la distinzione tra reato dolo e
colposo si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da
tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico. Il delitto quindi viene definito doloso, colposo o
preterintenzionale, come se fossero tre categorie diverse. Quando il delitto è doloso? Quando c’è la volontà
di far accadere quel determinato evento da cui dipende l’esistenza di un reato. Infatti l’art. 43 dice: il delitto
è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od
omissione e da cui la legge da dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione od omissione. Cioè l’intenzione del soggetto, ovvero di determinare
l’evento in questione è preveduta e voluta da colui che agisce. Perché viene utilizzato anche il termine
“preveduto”? Quando noi parliamo di volontà apriamo un dibattito filosofico complesso, che vuol dire
voluto? Quand’è che io voglio qualcosa? Attraverso la volontà io voglio che si verifichi un evento,
esprimiamo qualcosa in più, vogliamo modificare qualcosa (gli ho dato un pugno perché volevo fargli male,
arrecandogli dolore). Da non confondere con il desiderio: io desidero che quello si rompa il naso, per
quanto riguarda la volontà invece “io gli volevo dare un pugno perché volevo rompergli il naso”. In questa
modificazione della realtà c’è chi dice che l’uomo non ha la volontà di decidere lui, perché non è Dio che
interviene e la modica esattamente come lui ce l’ha in testa. Questo concetto è sospeso tra una parte che è
soltanto di rappresentazione (io penso che facendo così posso provocare questo) e un’altra parte che va
oltre, non è soltanto un discorso logico ma un discorso che si traduce in energia fisica. Quello che conta non
è solo il ragionamento logico che ho fatto, ma è che io ho agito così, ho deciso di agire così. Attraverso
questa doppia espressione ci sono due teorie, la teoria della rappresentazione e la teoria della volontà. La
teoria della rappresentazione analizza il fatto che uno ha immaginato razionalmente quello che succede,
l’altra teoria analizza non solo quello che io ho in testa ma anche il momento in cui agisce che non sempre è
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sovrapponibile con l’azione compiuta. Nel dolo ci sono due componenti uno legato alla previsione e uno
legato alla volontà. La prima componetene analizza il fatto che se io non avessi un’idea prima di agire il mio
agire non avrebbe senso, pensate a quello che fanno i bambini in quanto non avendo conoscenza di
determinati meccanismi agiscono in un modo che per l’adulto non ha senso. Tendenzialmente l’uomo
agisce perché già sa, già ha previsto che da quell’azione proviene quella conseguenza. La secondo
componente, ovvero la volontà, fa riferimento al fatto che non è soltanto un discorso di valutazione
astratta perché quello che conta è il momento in cui agisci, perché la mente umana è fatta in modo che la
domanda su che cosa ne consegue il soggetto se la fa nel momento in cui agisce. (quando io vedrò che il
forno funziona male, la luce si accende e si spegne, sarà lì che io che valuterò se possono esserci delle
conseguenze negative, quindi se si può bruciare qualcosa). previsione e volontà mettono in evidenzia
questi due aspetti, il fatto che ci sia una valutazione precedente al fatto che poi comunque a prescindere
dalla valutazione agiamo anche proprio istintivamente per inseguire i risultati. Non tutti hanno lo stesso
grado di approfondimento, cioè tu hai fatto quello però ci hai pensato in qual momento che sarebbe
successa quell’altra cosa? È difficile dirlo perché alcune persone pensano di più, altre di meno alcune sono
più istintive però quello che conta è che secondo il nostro modo di pensare una persona che prende una
pistola è consapevole che può uccidere quello che ha davanti. Perché non è che abbiamo una fotografia
celebrale su ciò che ha pensato il soggetto. Anche questo elemento psicologico noi alla fine riusciremo ad
intuire e ricostruire ma non è che avremo la certezza di che cosa è passata alla mente di una persona. Infatti
quando si dice che il reato è un fatto materiale che deve essere percepibile e che conta anche l’intenzione.
Quello che ci interessa sapere è se il soggetto che ha gito avesse o meno l’intenzione di determinare
l’evento. Voleva uccidere o non voleva uccidere? Tizio ha ucciso, quindi ha determinato la morte di Caio,
ma voleva ucciderlo? Era la sua intenzione uccidere?
Secondo la definizione dell’art. 43 che cosa deve essere preveduto e voluto? L'evento. Mentre l’art. 42
parlava del fatto. Ad essere rigorosi la previsione e la volontà, o più in generale la coscienza e la volontà,
devono agganciare tutti gli elementi del fatto, non solo l’evento. In realtà da questo punto di vista la
definizione dell’art. 43 è un po' incompleta perché il delitto è doloso se il soggetto si è rappresentato tutti
gli elementi costitutivi del reato. Allo stesso tempo, però. È chiara perché l’art 43 si sofferma sull’evento
perché abbiamo già detto che l’azione è cosciente e volontaria. Es. Reato di calunnia, ovvero chi accusa
qualcuno di un reato di cui conosce l’innocenza. Io faccio denuncio un furto di 100 euro da casa mia e
ritengo che sia stata la donna di servizio, ciò deve essere doloso perché se effettivamente sono sicuro che si
stata lei, magari anche sbagliando perché non sapevo che di notte era entrato il vicino e mi aveva rubato i
soldi. Ciò non sarà calunnia perché io pensavo di accusarla perché pensavo fosse stata lei (caso di mancanza
di dolo), quindi manca a mia conoscenza dell’innocenza di quella persona. Un altro esempio: i guido veloce
in autostrada perché voglio arrivare prima a casa, non perché voglio andare a causare quell’incidente o
uccidere delle persone, no è quella la mia intenzione. Viceversa se io con la macchina vado addosso ad un
pedone perché sono un killer che ha avuto l’incarico di uccidere, quello è omicidio volontario. Sulla
condotta ci interessa la coscienza e volontà, sull’evento ci interessa sapere se corrisponde oi meno
all’intenzione del soggetto, fermo restando che il dolo debba comprendere tutti gli elementi del fatto tipico.
I casi pratici: immaginiamo che dei ragazzi salgono su un ponte e si mettano a lanciare dei sassi sul
cavalcavia addosso alle macchine per vedere l’effetto che fa. Questo lancio di sassi porta alla perdita di
controllo di un'auto e alla morte di quelli che c’erano all’interno. Questi ragazzi volevano l’evento morte
oppure no? Era prevedibile ma loro non lo hanno previsto? Essendo possibile se non addirittura probabile
che il lancio dei sassi determina un incidente stradale, ne potremmo desumere che in qualche modo
l’avevano previsto o hanno problemi di tipo cognitivo oppure fatichiamo a immaginare che non l’abbiano
previsto. Lo hanno previsto ma hanno agito lo stesso. L'art. 43 dice secondo l’intenzione, ma non era loro
intenzione uccidere, però comunque c’era questa eventualità. Loro hanno valutato questa eventualità ma
hanno agito lo stesso. Facciamo un altro esempio: io voglio rubare la Gioconda, come si fa? Deve essere
tutto organizzato, ovviamente. Prima cosa che va fatta prevedere e stilare un piano, il piano prevede che io
faccia un atto terroristico all’interno di Louvre si faccia esplodere una bomba a quel punto avranno altri
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problemi, io invece che conosco la situazione potrò agire indisturbato. Ovviamente siamo tutti consapevoli
del fatto che la sala in cui esploderà la bomba sarà piena di gente, quindi qualcuno potrà morire. È nostra
intenzione uccidere? No, però siamo consapevoli del fatto che delle persone moriranno. In questi casi
parliamo di dolo diretto, cioè non siamo condizionati dalla intenzione di uccidere ma siamo consapevoli che
delle persone moriranno. Questo ci porta a comprendere il fatto che nel dolo ci sono due componenti, la
prima è la tendenza verso lo scopo, in questo caso non è uccidere la gente ma rubare la Gioconda, la
seconda è la nostra capacità di rappresentazione, noi sappiamo per certo che a seguito della nostra
condotta delle persone moriranno. Per cui, in questo caso, l’elemento della previsione che andiamo a
coniare in termini di certezza, non di rischio di possibilità, ciò ci fa capire che in questi casi esiste il dolo
diretto. In altri casi, ad esempio per quanto riguarda i due ragazzi che tirano dei sassi dal cavalcavia, io non
sono sicuro che moriranno delle persone. So però che esiste quell’eventualità ed agisco ugualmente. Un
altro esempio: se io che devo assolutamente arrivare a casa per le 7 perché altrimenti i miei figli restano
soli, mi metto a guidare in autostrada a 180 km/h non prevedo anche qui che andando a questa velocità e
perdere il controllo dell’auto e oltretutto non è adatta a quella velocità, ma io agisco lo stesso. Io prevedo
un possibile rischio (ciò non vuol dire che mi ci metto lì a pensare, ma sono consapevole del fatto che la
condotta di guida di quel tipo potrebbe portare ad un incidente stradale). È la stessa cosa rispetto alla
condotta dei ragazzi che lanciano dei sassi? Perché è diverso? Dal punto di vista logico – astratto, la
differenza è data dal differente livello di rischio, un conto è guidare veloce un conto è tirare i sassi. Inoltre
se invece di guidare a 180 km/h in autostrada il soggetto guidasse a 80 km/h di sabato pomeriggio a via del
Corso, in questo caso moriranno sicuro delle persone. Il dato relativo alla percentuale della probabilità
dell’evento è decisivo, perché è vero che non esiste mai una certezza assoluta ma comunque nel momento
in cui io agisco l’ho messo in conto. Pensate anche agli infortuni sul lavoro, ad esempio ciò che è successo a
Terni. C'è stato un incendio all’interno di un'acciaieria che ha provocato la morte di alcuni operai, il titolare
della ditta sapeva che la mancata organizzazione di tuta una serie di misura avrebbe portato a questi
incendi e questi incendi fossero pericolosi. All'inizio sono stati condannati per omicidio doloso ma poi la
sentenza ufficiale è stata di omicidio colposo, seppur con pene molto elevate.
Quindi importante è il livello di rischio, ma non solo perché non conta solo la previsione ma anche la
volontà. La grande differenza è che se io devo tornare a casa accetto questo rischio è perché confido nel
fatto che comunque l’evento non si verificherà o comunque riuscirei ad arginarlo. Perché mai io per non
lasciare i miei figli soli o per non pagare alla babysitter lo straordinario dovrei accettare di morire? Non ha
senso, sarebbe una condotta insensata. Se io vado a 180 km/h vuol dire che in un momento di imprudenza
io mi sto convincendo che io riuscirei ad evitare l’incidente. Perché mai l’imprenditore dovrebbe accettare
di far morire i suoi operai, che poi in sede se la prenderanno con lui, non è che può far finta di niente.
Viceversa, i ragazzi che lanciano i sassi dal cavalcavia sono talmente indifferenti già per il comportamento
che mostrano per la vita delle altre persone che esprimono una volontà dell’accettazione della possibilità
che qualcuno muoia. In un caso quindi ciò che avviene a sussistere è il dolo eventuale (lancio dei sassi),
nell’altro caso parliamo di colpa cosciente (padre che guida velocemente). Io sono consapevole del rischio,
l’ho previsto ma confido che l’evento non si verificherà (colpa cosciente). Un classi esempio è il lanciatore di
coltelli al circo, sfortunatamente con un coltello lo colpisce, lui sapeva che era pericoloso? Certo però
confidava sulla basa delle sue esperienze e capacità che a lui non sarebbe mai successo.
Il diritto penale si deve porre sempre dal punto di vista del possibile reo, di chi agisce, non della vittima,
perché quello che è importante è punire il soggetto se ha commesso un reato. I temi della tutela della
vittima e la sanzione nei confronti della persona responsabile che sono logicamente distinti. Tornando al
discorso di prima, un altro esempio è l’incidente avvenuto nel 2019 in Corso Francia, a Roma dove persero
la vita due ragazze, in questo caso il ragazzo alla guida non si sa se in modo decisivo a meno all’incidente
avesse assunto o meno sostanze stupefacenti, oltre a questo ciò che colpisce è una scarsa capacità di
gestione del rischio, perché in quella zona si sa che bisogna stare attenti e andare piano perché ci può
essere un attraversamento di pedoni. Non è che sono meno imprudente ma sono più consapevole, quindi
magari in altri trattai della strada di Corso Francia vado più veloce mentre li rallento sia per il fatto che c’è
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un attraversamento pedonale ma anche perché piove ed è buio. C'è una componente di rischio ma on è
decisivo perché se io sono più consapevole può essere visto si in modo favorevole o contro. Un conto è il
rischio lecito, cioè io sono consapevole che anche andando a 40 km/h potrei uccidere qualcuno se
attraversa la strada, è lecito perché in quella strada il limite di velocità è 50 km/h quindi a 40 km/h ci puoi
andare. Un rischio illecito invece accendere un fuoco accanto ad una stazione di benzina, questo è un
rischio illecito che il soggetto si assume. In questi casi qualcuno si assume un rischio che non si dovrebbe
assumere. Per quanto riguarda il lanciatore di coltelli però prevede, si assume il rischio ma confida
nell’ipotesi che l’evento non si verifica, nell’altro caso (soggetto che va veloce in auto) si assume il rischio
perché alla fine è totalmente indifferente al fatto che si verifichi o che non si verifichi perché non è quello
che lo muove. Il lanciatore di coltelli non lo farebbe mai pensando alla verificazione dell’evento. In questo
senso si prospetta una distinzione che viene di solito definita con l’espressione formula Frank, Frank è un
giurista tedesco che ha elaborato questa espressione. La formula frank dice che se colui che agisce avrebbe
avuto ola stessa condotta anche dando come certa la verificazione dell’evento allora quel soggetto è in dolo
se invece quel soggetto rappresentandosi come certa la rappresentazione dell'evento non avrebbe agito
allora on è dolo ma è colpa. Questa è la formula più garantista, perché è chiaro che l’imprenditore non
agirebbe mai se si immaginasse di uccidere i dipendenti. Chi guida la macchina non agirebbe mai se si
immaginasse di uccidere qualcuno anche perché in questo caso si potrebbe parlare anche di dolo di
suicidio. Tendenzialmente in questi casi (circolazione stradale o infortuni sul lavoro) si esclude il dolo,
tranne in scenari patologici. Viceversa rispetto a soggetti che già stanno ponendo in essere delle condotte
illecite (il rapinatore, quello che lancia i sassi alle macchine) viene più facile immaginare un atteggiamento
volontario e consapevole in cui sei consapevole che vi può essere quel rischio. Ovviamente ogni volta si
deve andare a toccare la psicologia di ogni singolo individuo. Ma in molti casi in cui c’è la probabilità è che si
verifichi quell'evento il soggetto è in dolo. Se è una possibilità remota allora oil dolo è possibile escluderlo.
Un caso in cui fu valutata la sussistenza della colpa cosciente fu in un incidente stradale di qualche anno fa
in cui il soggetto è passato con il rosso sulla nomentana è morto ed ha ucciso altre persone. Ma la formula
di Frank ha un limite, in quanto noi non siamo esseri razionali perfetti quindi non è che ragioniamo sapendo
con certezza quello che si verificherà. Noi maneggiamo sempre il rischio, a volta lo facciamo con
imprudenza altre volte invece con indifferenza (non succede ma se succede pazienza) in questo caso io ho
accetto quest’eventualità. A volte si utilizza l'espressione accettazione del rischio, in realtà questa
espressione è ambigua perché anche chi guida a 180 km/h accetta il rischio. In realtà si dovrebbe parlare di
accettazione del fatto dell’evento, accettazione dell’eventualità, se accetti anche quell’eventualità sei in
dolo se invece non la accetti e stai solamente agendo confidando soltanto nel fatto che non si verificherà
sei in colpa. Tendenzialmente possiamo distinguere un dolo intenzionale, diretto ed eventuale. Vale anche
per il contagio del HIV, chi è consapevole che ha HIV e mette a rischio gli altri soggetti potrà essere ritenuto
artefice di una condotta consapevole? Sarà voluto l’evento causato? Forse sì, soprattutto se quel tipo di
condotta reiterata. Un altro esempio è il caso di Ciontoli, è stato accusato di omicidio volontario (dolo) si
dice che Ciontoli era consapevole che non dando le giuste informazioni durante la chiamata e portandolo
tardi in ospedale il ragazzo ne saprebbe potuto derivare la morte. Non lo ha fatta confidando
nell’eventualità che il ragazzo si sarebbe salvato (come sosteneva la Corte d’Appello nella prima sentenza)
ma l’ha fatto accettando questa eventualità. Questo è un esempio interessante perché la Corte d’Appello
aveva svolto un ragionamento ampiamente logico perché se si sostiene che la volontà di Ciontoli fosse
quella di non subire dei pregiudizi sul lavoro, di non avere lui un danno, a maggior ragione è contraddittorio
ritener che lui abbia agito accettando l’eventualità di far morire quel ragazzo. Perché la morte del ragazzo è
motivo di problematiche per lui. Questo ragionamento che faceva la Corte d’Appello sembra
oggettivamente insuperabile. Però questo ragionamento è stato ribaltato dalla Cassazione con un atto
altrettanto logico, sicuramente condizionato dal fatto che il comportamento di Ciontoli era veramente
spregevole, perché ha pensato soltanto in termini di interesse personale, invece di salvare una la vita di un
ragazzo. La finalità suonava particolarmente spregevole con una forma di egoismo, di bilanciamento di
interessi veramente inaccettabili. Però non è che la Cassazione poteva dire che visto che aveva avuto un
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ragionamento spregevole allora gli diamo il dolo, doveva esserci un ragionamento razionale. La Cassazione
dice che non è che si deve pensare che chi agisce lo fa sempre secondo un percorso perfettamente
razionale, quello che si deve considerare in questo caso è che anche in ospedale anche quando ormai
l’imputato aveva davanti agli occhi la criticità della situazione, il fatto che fosse in gioco la vita di questo
ragazzo, Ciontoli continuava a dare informazioni false. Nel momento in cui concretamente vedeva
l’alternativa la sua tendenza a difendere sé stesso e quella volta, invece, a salvare il ragazzo lui continuava a
valorizzare la prima. Cioè, finché stavano a casa e il ragazzo stava male ma poteva non avere coscienza della
criticità dell’evento. Se i fatti si fossero fermati al momento in cui erano in casa era difficile sostenere il
dolo, perché si diceva che quello non si era reso conto della gravità. Però lui anche dopo, in ospedale
quando era evidente il rischio concreto l’imputato ha scelto di salvare sé stesso e quindi scatta il dolo, per
questo è stato definito omicidio volontario. Sono situazioni in cui il soggetto non agisce con quelle
intenzioni però il soggetto si trova a gestire il rischio, quindi il profilo dell’indifferenza centrale tipica del
dolo e il profilo della cattiva gestione del rischio che è propria della colpa, si sovrappongono. La condotta
illecita ci Ciontoli non è solo dare informazioni sbagliate ma è proprio lo sviamento. Ovviamente tutto
questo passa per una ricostruzione del tutto causale secondo il quale dando ai medici le info giuste
avrebbero potuto salvare il ragazzo. Tendenzialmente c’è un punto di forza in questa ricostruzione perché
immaginiamo che siamo ad un pronto soccorso e il soggetto dice che gli ha sparato allora si crea quella
consapevolezza di urgenza, se tu lo porti lì e lo fai aspettare senza spiegare che cosa è successo cambia il
reato. Al pronto soccorso si possono pure aspettare delle ore se non si ha una situazione d’urgenza.
Viceversa se arriva il pz in ambulanza con urgenza gli danno la precedenza, come è giusto che sia. Perché
tornando al discorso di Ciontoli, in un primo momento il ragazzo si lamentava quindi era cosciente mentre
successivamente ha perso conoscenza e quindi Ciontoli ha percepito la gravità della situazione.
Passiamo alla definizione della COLPA: il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se
preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La colpa può essere anche prevista come nel caso di
colpa cosciente. Quello che conta è la volontà non la previsione, perché la previsione può essere anche
qualcosa di astratto oppure potremmo dire che è previsto in stratto ma non è previsto che si verificherà, ma
è previsto che non si verificherà. Il soggetto prevede che l’evento non si verifichi, non prevede che
potrebbe verificarsi. La colpa ha quindi una definizione in negativo e una in positivo, in negativo perché dice
che l’evento no né voluto perché se fosse stato voluto ci sarebbe il dolo. La componente negativa della
colpa fa riferimento al fatto che l’evento non sia voluto (se c’è il dolo è inutile parlare di colpa), invece per
la componente positiva ad esempio se io ho fatto morire un amico perché era in macchina con me, io non
l’ho voluto uccidere quindi non c’è dolo. Potrebbe però anche non esserci la colpa, perché potrebbe anche
essersi verificato per motivi a me non imputabili, si è verificato perché un pazzo si è messo davanti.
Ovviamente ho dato un contributo causale, perché siamo usciti ed ho guidato la macchina ma non c’è ne
dolo ne colpa. Quindi l’elemento negativo è che non ci deve essere il dolo, quindi la volontà, poi però ci
vuole l’elemento positivo ci vuole una negligenza o imprudenza o imperizia. Quindi in che consiste la colpa?
Il primo presupposto è che non ci sia il dolo, quindi la volontà, però poi ci vuole qualche cosa in termini
psicologici perché non è che per il solo fatto che io abbia determinato l’evento io sia colpevole, non basta
l’elemento oggettivo ma ci vuole an he una componente soggettiva. I profili di colpa possono essere tanti
perché tanti sono gli antecedenti causali, tanto più quelli omissivi. Sono tante le condotte potenzialmente
rilevanti rispetto a queste a volte al verificarsi siano eziologicamente decisive per la determinazione
dell’evento, poi bisogna vedere se sono condotte negligenti, imprudenti. Perché ci sia la colpa ci deve
essere tendenzialmente una violazione di una regola cautelare, di imprudenza. Dove la regola c’è, se io la
rispetto sono tranquillo, dove la regola non c’è si tratta di verificare in concreto quale fosse il
comportamento di avere. È più facile intendersi quando la regola c’è, perché con il senno di poi la prudenza
non basta mai. Nella circolazione stradale ci sono delle regole sulla velocità che devono essere rispettate,
però bisogna anche valutare le condizioni della strada, della visibilità ma questa è una regola generica. Ciò
distingue profili di colpa generica da colpa specifica. Colpa specifica è quando c’è una regola, e se io non mi
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sono adeguato sono stato imprudente e negligente. Colpa generica quando non c’è una regola ma esiste un
principio generale.
Ripartiamo dal discorso dell’altra volta. Abbiamo cominciato ad analizzare l’elemento psicologico del reato,
abbiamo visto che i criteri di imputazione previsti nell’art.42 ci indicano il dolo come criterio ordinario di
imputazione e le fattispecie delittuoso, colposo e preterintenzionale come ipotesi eccezionali che devono
essere espressamente previste. Abbiamo fatto riferimento all’art.42, comma 3 e quindi alla responsabilità
oggettiva, ribadendo che al contempo del titolo di responsabilità oggettiva, la Corte Costituzionale insieme
il principio di colpevolezza ha sancito che deve sussistere un’imputazione quantomeno a titolo di colpa per
gli elementi più significativi della fattispecie.
Andando poi ad esaminare il significato del dolo, abbiamo visto la definizione contenuta nell’art.43,
secondo la quale il delitto si definisce doloso o secondo l’intenzione quando l’evento è preveduto o voluto
dall’agente e di conseguenza della sua azione od omissione. Per quello che riguarda l’oggetto del dolo
abbiamo visto che sebbene l’art.43 faccia riferimento all’evento, il dolo deve in effetti abbracciare tutti gli
elementi costitutivi del fatto. L’oggetto del dolo è quindi rappresentato dal fatto tipico, tutti i requisiti
oggettivi della fattispecie devono essere oggetto al tempo stesso di rappresentazione da parte dell’agente.
Il discorso assume maggior significato proprio in relazione agli eventi futuri, poiché il passato non possiamo
volerlo, possiamo conoscerlo o non conoscerlo mentre la volontà riguarda il futuro e quindi l’evento che
essendo una conseguenza non ancora verificatasi nel momento in cui si agisce, è appunto oggetto di
volontà.
Abbiamo ragionato sui due poli dell’azione: condotta ed evento, mettendo in rilievo il fatto che l’azione è
interessante sotto il profilo psicologico perché è quella che si sviluppa sulla base dell’impulso del soggetto
che, secondo la definizione dettata dall’art.42, comma 1 presuppone coscienza e volontà da parte
dell’agente. La prima condizione è che il soggetto metta in atto la sua condotta, attiva o passiva, con
coscienza e volontà. Da una parte la condotta è interessante perché mostra la capacità di dominio
dell’uomo sul suo comportamento, un dominio che l’uomo non ha su altri aspetti, ma ce l’ha sul suo
comportamento (tante volte si dice che a prescindere dai risultati, devo comportarmi in un certo modo per
quello che mi è effettivamente possibile, ovvero per quello che io posso dominare). Entrambi i due poli,
condotta ed evento, sono importanti dal punto di vista dell’atteggiamento psicologico: sulla condotta ci
deve essere coscienza e volontà (abbiamo visto casi particolari in cui il soggetto era dominato da impulsi,
istinti, situazioni non controllabili). Per quanto riguarda l’evento abbiamo visto come le due espressioni
utilizzate dal legislatore “preveduto e voluto” assumono singolarmente un significato importante, perché da
una parte noi agiamo sulla nostra capacità di prevedere le conseguenze, se non potessimo prevederle, le
azioni sarebbero diverse (esempio del bambino: il bambino fa delle cose senza neanche immaginare i
risultati, invece noi che abbiamo una capacità previsionale che il bambino non ha mentre lo vediamo agire
gli diciamo di stare fermo perché può cadere o rompere tutto, il bambino non si accorge della conseguenza
della sua azione), è necessaria la previsione per dare un significato ai comportamenti umani. Dall’altra parte
la previsione può essere un aspetto soltanto razionale, tante previsioni si fanno in maniera del tutto fine a
se stesse, non per valutare come uno si deve comportare. Oltre quindi alla previsione ci interessa la
condizione psicologica nella quale il soggetto agisce pensando di influire sugli eventi che ha previsto, quindi
quando il soggetto accelera con la macchina, perché sta accelerando? Con quale stato psicologico? Non è
soltanto un discorso teorico “se si accelera, lo spazio di frenata aumenta”, questo è un discorso teorico che
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magari nel momento in cui si agisce non si ha neanche il tempo o lo spazio di frenare, ma c’è una
componente che fa si che la psicologia del soggetto, sulla base di una serie di previsioni che in quel
momento lui ha presenti, cerchi di indirizzare gli eventi in un modo piuttosto che in un altro. Pensiamo a un
soggetto che percuote un’altra persona, nel momento in cui lo sta colpendo, sta pensando di ucciderla?
Quindi sta colpendo pensando di perseguire quel risultato oppure no? Non c’è solo una valutazione teorica
“se gli dai un altro colpo muore”, ci sono dei modi in cui viene compiuta l’azione che ci fanno pensare che
lui stia perseguendo un determinato risultato. Immaginiamo uno scenario dove il soggetto si rende conto
che la persona da lui colpita ha battuto la testa, si spaventa, interrompe la sua azione e cerca di verificarne
le condizioni, da questo presumeremo che non voleva ucciderlo. Tutto si basa sull’agire umano e sulla
difficoltà nel valutarlo, nel valutare questa condizioni per le quali per un verso agiamo sulla base di
valutazioni razionali e per l’altro sulla base di impulsi emotivi. Questo ci aiuta a capire le valutazioni che
vengono fatte nelle situazioni in cui il soggetto non agisce con un dolo intenzionale, ovvero non ha
l’obiettivo di determinare quell’evento e quindi di uccidere quella persona, però ciò nonostante tiene un
comportamento che probabilmente porterà alla morte di uno o che comunque potrebbe portare alla
verificazione di quell’evento. In questi casi, per un verso la Giurisprudenza cerca di oggettivizzare questo
ragionamento e quindi se la condotta è suscettibile probabilisticamente determinare la verificazione di
quell’evento allora si riterrà che il soggetto agisce sulla base di un atteggiamento doloso. Alle volte si dice
che se l’evento è probabile c’è dolo diretto, se l’evento è possibile c’è dolo eventuale. Pensiamo al gioco
della roulette russa, c’è una pistola e immaginiamo che ci sia una possibilità su sei che il proiettile sia
effettivamente inserito li dove finirà per essere esploso, in quel caso, premendo il grilletto so che c’è una
possibilità su sei che io uccida la persona sulla quale ho puntato la pistola e questo è un chiaro caso in cui il
soggetto effettivamente accetta la possibilità, se invece egli sapesse che la pistola è sicuramente caricata a
dovere, la verificazione dell’evento sarebbe sostanzialmente certa. Il discorso oggettivo legato alla
probabilità ci dice qualche cosa sul livello di accettazione dell’evento, col vantaggio di questo tipo di
approccio, di consentire di analizzare dei dati comprensibili a tutti, oggettivi, mentre invece altri tipi di
valutazione richiedono una capacità di lettura della psicologia di quell’individuo che a volte rischia di essere
difficile. Riprendendo l’esempio della roulette russa, quello che spara, perché spara? Per gioco, non ha altra
vera finalità e quindi potremmo dire (anche se dipende sempre dal contesto, magari sta terrorizzando un
prigioniero o altre situazioni) che non si esclude che sebbene la possibilità sia una su sei, il dolo in realtà è
un dolo intenzionale perché io ho la volontà di ucciderlo, magari non subito: prendiamo l’esempio del
prigioniero che voglio uccidere, prima voglio anche spaventarlo, quindi potrebbe anche essere che con un
evento che in quel momento è soltanto possibile, l’atteggiamento della volontà e quindi l’atteggiamento
psicologico, sia quello invece di un pieno perseguimento dell’evento morte. Paradossalmente anche
quando ragioniamo sul dolo c’è chi propone una lettura più legata al particolare percorso di quel soggetto e
c’è chi in qualche modo cerca di oggettivizzare anche l’analisi degli atteggiamenti psicologici, ovvero se fai
una cosa che potrebbe provocarne un’altra, vuol dire che la vuoi. Entrambi i modi di ragionare hanno degli
argomenti a sostengo, allo stesso tempo, il fatto che tutti e due questi ragionamenti siano legittimi fa si che
poi le valutazioni dei casi possano dare luogo a giudizi anche contrastanti. Il dolo intenzionale non si presta
a equivoci: egli ha agito perché voleva uccidere, tutte le altre situazioni possono lasciare dei margini di
incertezza più o meno significativi su quale fosse davvero la volontà del soggetto agente.
Ci sono casi più problematici dove il dolo eventuale si pone al confine con la colpa cosciente: la situazione in
cui il soggetto pur avendo astrattamente previsto la possibilità dell’evento, alla fine confida nell’eventualità
che il fatto non si verifichi. Se quella pistola carica, il soggetto la stesse puntando sulla sua di testa, forse
potremmo dire che in realtà lui sta confidando sul fatto che sarà fortunato e non finirà per suicidarsi. È più
difficile accettare il fatto che sta accettando il rischio di suicidarsi. Anche questo esempio ci fa capire come
la stessa identica correlazione tra causa ed effetto, se l’applichiamo a contesti diversi sotto il profilo
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emotivo, ci potrebbero portare a valutazioni diverse. Abbiamo fatto l’esempio dei sassi buttati dal
cavalcavia, fino a che punto i ragazzi che lanciano i sassi accettano l’eventualità che qualcuno sotto possa
morire? Tendenzialmente si ritiene che accettino quell’eventualità perché sono assolutamente capaci di
rendersi conto dell’alto pericolo che deriva da quella condotta. Potrebbe però anche essere che in relazione
al caso specifico ci si rende conto che ci sono una serie di elementi che ci fanno ritenere che invece quei
soggetti non volessero.
Abbiamo poi parlato del caso Ciontoli.
Tutto questo discorso ci consente di memorizzare il fatto che in relazione invece alle forme di dolo, cioè ai
tipi di dolo, la diversa intensità della volontà porta a distinguere le categorie di dolo intenzionale, dolo
diretto e dolo eventuale.
L’espressione “secondo l’intenzione” in realtà, sembra ricollegarsi al modello di riferimento del dolo
intenzionale, “il delitto è doloso o secondo l’intenzione”. Il caso dei sassi dal cavalcavia non si può dire
probabilmente che l’intenzione dei ragazzi fosse di uccidere, quello è un indice normativo che porta quindi
a richiedere uno standard più elevato in termini di previsione e volontà da parte del soggetto, viceversa,
l’espressione “accettazione del rischio” rischia invece di modificare verso il basso il confine del dolo che, se
la semplice accettazione di un rischio significa volontà nel determinare quell’evento, allora il dolo finisce
per tracciare una serie di situazioni molto più avanti. Anche chi guida troppo veloce accetta il rischio
dell’incidente, ma certamente si asterrebbe dall’andare cosi veloce se davvero si rendesse conto che la
verificazione dell’incidente è imminente.
Abbiamo parlato poi degli infortuni sul lavoro, nelle quali viene escluso che l’atteggiamento del datore di
lavoro nei casi ordinari potesse essere orientato a determinare la morte di un dipendente in maniera
voluta.
Nel caso si verificasse un caso di alta velocità su strada bagnata, la strada bagnata aumenta il rischio ma
tendenzialmente si arriva ad escludere che nella circolazione stradale ci sia il dolo, perché ammettere che
chi guida voglia uccidere i passanti o altri conducenti significa ammettere che abbia anche un dolo di
suicidio perché quel tipo di incidente potrebbe pregiudicare la sua stessa permanenza in vita e questo
sembrerebbe assurdo, sembra assurdo che una persona solo per guidare più veloce accetti la possibile
morte. Non è comunque del tutto escluso anche il dolo di suicidio, anche se ritorniamo all’esempio della
roulette russa, una persona può comunque accettare di morire. Quando però si è in un processo e si deve
ricostruire la realtà si cerca di affidarsi a delle regole di esperienza che siano piuttosto oggettive e condivise.
Il caso Ciontoli veramente porta ad una forzatura della regola ordinaria perché di partenza tutti diremmo
che se si fosse reso conto che uccideva il ragazzo avrebbe agito diversamente, in quel caso però, valutando
proprio le peculiarità del caso completo si è andati invece ad invertire quella che poteva essere una
valutazione più semplice, più ordinaria. Si oscilla quindi, tra valutazioni legate ai tipi si situazione, infortuni
sul lavoro non c’è dolo, circolazione stradale non c’è dolo, anche se un caso di dolo nella circolazione
stradale c’è stato ed è il caso di uno straniero che dopo un furto scappava con il furgone e ha forzato un
blocco stradale e li si diceva che pur di scappare era pronto anche ad accettare l’eventualità di uccidere
qualcuno. Questa valutazione è stata a lungo criticata poiché si diceva che si faceva una valutazione a
seconda del tipo di soggetto, ovvero dato che lui ha commesso un furto è cattivo e vuole uccidere, l’altro
che invece sta litigando con la ragazza non è altrettanto cattivo e non vuole uccidere. Insomma è difficile
fare valutazioni. Un altro caso può essere il poliziotto che sparò al tifoso della lazio è stato condannato per
omicidio doloso perché durante un intervento in un autogrill utilizzò la pistola sparando a un’altezza
ritenuta pericolosa per la vita delle persone.
Viene fatta una distinzione tra dolo generico e dolo specifico. Questa distinzione non attiene alle forme di
dolo citate in precedenza ma attiene all’oggetto del dolo, cioè su che cosa deve ricadere la previsione della
volontà? La risposta a questa domanda già la sappiamo, di solito la previsione, la rappresentazione della
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volontà, deve ricadere su tutti gli elementi costitutivi del fatto e questo è quello che avviene nel caso di
dolo generico: l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo altro non sono che le due facce di una stessa
medaglia, tutto quello che deve esistere effettivamente sotto il profilo materiale e oggettivo, deve essere
allo stesso tempo oggetto di rappresentazione da parte del soggetto.
Nel dolo specifico invece, è necessario non solo che il soggetto si rappresenti questi elementi ma anche che
persegua uno scopo particolare. Il caso tipico è il dolo di profitto che si verifica in alcuni reati. Se andiamo a
prendere la fattispecie di furto prevista dall’art.624 del c.p. leggiamo: “Furto. Chiunque si impossessa della
cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di crearne profitto per se o per altri, è punito con la
reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da euro”. Qualche anno fa il prof ottenne un’assoluzione per un
ragazzo che aveva preso un cartello stradale, perché? Perché non aveva preso il cartello stradale per
ottenere un profitto ma semplicemente per fare una bravata, quindi è stato assolto per mancanza di dolo.
Lui era consapevole di sottrarre una cosa mobile altrui ma non voleva ricavarne un profitto. In realtà molte
volte la giurisprudenza tende a cancellare questo dicendo che comunque sapevi che la cosa aveva un valore
e che l’hai fatta per uno scopo, qualunque esso sia, poiché ne trai vantaggio personale, però cosi facendo si
va contro la legge. Un altro esempio può essere il reato di rapina, art.628 c.p., reato che consiste nel
sottrarre qualcosa a qualcuno con la forza, con la minaccia. Ci sono vari casi che hanno portato a discutere
del dolo di profitto: il ragazzo che sottrae il telefono alla sua fidanzata al fine di far vedere al padre di lei
alcune fotografie contenute nel telefono, in questo caso la Cassazione ha detto che c’era il dolo di profitto e
che, quindi il ragazzo ne avrebbe tratto vantaggio. Questo però va un po' contro il significato dell’articolo
stesso. Nel dolo specifico ci vuole quindi anche una finalità particolare, non basta realizzare il fatto con
piena consapevolezza e quindi con previsione e volontà ma bisogna farlo con uno scopo preciso. Perché il
legislatore fa questo? Perché non ci interessano tutti i casi in cui qualcuno toglie qualcosa a un altro. Il
diritto penale non si può occupare di tutti i comportamenti che vanno a ledere una persona, ma si deve
occupare soltanto di quelli più gravi perché le sanzioni sono sanzioni più serie, perché l’accertamento ha un
costo più importante da parte dello Stato e quindi si deve seguire una logica di sussidiarietà. Il problema
che c’è nel nostro sistema è che la responsabilità civile a volte funziona poco. Quando ci sono delle
disfunzioni non è che bisogna pensare che la soluzione sia sempre nel reato penale, tante volte dovremmo
riuscire a mettere piede nei meccanismi che dissuadono da tenere determinati comportamenti senza che ci
sia bisogno sempre della sanzione penale, altrimenti succede che i processi non si riescono a fare, la
sanzione non arriva.
La colpa. Art.43.
Gli articoli solitamente sono divisi in commi, nel caso dell’art.43 non è un vero e proprio comma perché il
legislatore va a capo ma usa il punto e virgola, la frase non finisce mai.
“il delitto: è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento dannoso o pericoloso che è il risultato
dell’azione o dell’omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e
voluto come conseguenza della propria azione od omissione” -in realtà se parliamo di omissione non c’è
nessun agente-
La seconda linea ci dice quando è che il delitto è preterintenzionale
Alla terza linea ci dice che il delitto è: “colposo o contro l’intenzione quando l’evento anche se preveduto,
non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. C’è una condizione negativa perché l’evento non è
voluto, in positivo invece, cosa ci deve essere? Perché puniamo qualcuno anche se non l’ha fatto apposta?
Perché deve stare più attento. Riteniamo dal punto di vista della sua rimproverabilità che quella scarsa
attenzione connoti una sostanziale indifferenza delle conseguenze della sua azione. In questo senso si
definisce a volte la colpa come prevedibilità ed evitabilità dell’evento: lo potevi prevedere ed evitare, in
altre parole era in tuo potere far si che quell’evento non si verificasse, se si è verificato è perché tu non sei
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stato attento all’esigenza di tutela dei beni altrui, manifestando un certo grado di indifferenza a dei beni
giuridici rilevanti. Non nello stesso modo in cui lo fa il soggetto che è in dolo, perché il soggetto in dolo
quell’indifferenza lo porta proprio a cagionare lui l’evento. Nella colpa c’è indifferenza, quindi anche
nell’atteggiamento colposo c’è rimproverabilità intesa come indifferenza del soggetto verso beni giuridici a
cui invece la collettività attribuisce valore, ma questo non nasce da un discorso astratto sul modo di
comportarsi delle persone, ma nasce su una valutazione di quel caso concreto: se fossi stato attento,
l’evento non si sarebbe verificato. Esiste sia una concatenazione causale per cui la tua condotta è causa
dell’evento sia l’idea che tu eri in condizione di modificare la tua condotta per non far verificare l’evento.
Prevedibilità ed evitabilità vanno insieme. Perché? Perché nessuno di noi si mette a prevedere tutte le
conseguenze delle condotte ma allo stesso tempo ciascuno di noi sa che bisogna evitare alcuni eventi. La
fase della previsione e la fase della esecuzione della condotta sono due componenti di un unico agire.
Potremmo contestare la prevedibilità, se è prevedibile ma il soggetto agisce lo stesso vuol dire che non l’ha
previsto, ma abbiamo visto che c’è anche la colpa cosciente, ovvero anche se preveduto non è voluto: il
lanciatore di coltelli ha previsto che potrebbe colpire l’altra persona che partecipa al suo numero ma ha
agito confidando nella sua capacità e che non la colpirà. In questo caso c’è una previsione astratta ma il
concreto non lo ha previsto, se avesse previsto che essendo lui in quel momento più stanco e che quindi
c’era un rischio si sarebbe arrestato. Quindi quando il legislatore nella colpa ci dice che c’è una previsione,
ci dice che c’è una previsione astratta di un rischio astratto, non c’è mai una previsione concreta.
Un’altra possibile definizione della colpa si riallaccia alla inosservanza di regole cautelari, sappiamo che ci
sono regole di cautela che se rispettate consentono di arginare i rischi. Esempio: se metti cintura ai figli, in
caso di incidente probabilmente si salveranno. È una regola che mira ad arginare un rischio, in questo caso
è una regola formalizzata poiché ci sono norme del codice della strada che impongono la cintura ma altri
casi non sono formalizzati, esempio: prima di prendere la teglia dal forno controlla se scotta, la regola di
cautela dice di prendere le presine cosi da evitare di bruciarti. Un’altra definizione generale della
responsabilità colposa che può ritenersi valida è quella che individua nella colpa la verificazione di un
evento dovuta alla violazione di una regola cautelare. Ci sono valutazioni oggettive che riguardano la
sussistenza di posizione di garanzia e il rapporto causale e valutazioni soggettive che riguardano la
rimproverabilità del soggetto in termini di violazione della norma cautelare. Prevedibilità ed evitabilità ci
aiutano di più a mettere in rilievo l’aspetto psicologico della rimprovarebilita, mentre la violazione della
norma cautelare ci fa vedere meglio la struttura. Io non ti contesto l’evento di per sé ma ti contesto una
condotta che viola una norma cautelare e che in questo caso ha portato al verificarsi di un evento.
Dopo questo aspetto generale, possiamo poi distinguere situazioni diverse tra loro. Il legislatore nell’art.43
distingue tra negligenza, imprudenza e imperizia. Negligenza è un concetto che si avvicina alla scarsa
attenzione, non hai previsto, non hai evitato perché sei stato poco attento e quindi negligente. Pensiamo a
chi deve eseguire una manovra all’interno di un garage, vede gli spazi, vede se entra (previsione), non si
rende conto che in realtà non entra, continua la manovra continuando a restare attento agli spazi, quindi
una persona diligente si renderà conto poi che non entra, una persona negligente no. Oppure la previsione
è giusta, quindi entri, però poi è l’esecuzione che è sbagliata, il soggetto non è stato attento nell’eseguire la
manovra. Questa negligenza può essere definita come imprudenza, la scarsa attenzione non è tanto legata
a una scarsa meticolosità ma proprio allo scarso rilievo che si attribuisce al rischio. Imprudente è chi tende
ad assumersi rischi. Negligenza e impudenza esprimono in modo diverso sempre questa forma di
indifferenza. La prudenza è legata al fatto che quando uno vede un rischio si dovrebbe arrestare, la persona
imprudente invece va avanti e se ne frega. L’imperizia fa riferimento alla scarsa capacità di eseguire
correttamente l’azione. È giusto punire per l’imperizia? Magari sono un giovane medico e durante un
intervento sbaglio, è giusto punire per la mia imperizia? Si tratta di capire se effettivamente potesse o meno
assumersi quella responsabilità, se ne aveva le capacità, perché nessuno dovrebbe svolgere funzioni che
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non è in grado di svolgere. Se c’è una situazione di emergenza in cui il medico mi dice che devo provare
anche io ad operare altrimenti muoiono sicuro? Sono scenari in cui in assenza di alternative l’assunzione di
responsabilità è giusta. Questo per dire che non si vuole colpire il fatto che uno sia più bravo di un altro,
non ha colpa se è meno bravo, potrebbe però avere colpa nell’aver voluto lo stesso fare una cosa che non è
in grado di fare. L’imperizia non viene intesa come scarsa attitudine ma come l’idea che pur rendendoti
conto che c’è un rischio decidi di andare avanti lo stesso. Negligenza, imprudenza e imperizia indicano di
solito quella che sia chiama colpa generica. Mentre viceversa, l’inosservanza di leggi, normi e discipline
integra un’ipotesi di colpa specifica. Che significa? Significa che mentre la negligenza, l’imprudenza e
l’imperizia sono frutto di una nostra valutazione, nella colpa specifica la regola già c’è, perché se c’è scritto
che devi andare a 50km/h devi andare a 50 altrimenti ti stai assumendo un rischio illecito. Mentre in altre
situazioni è lasciata al singolo la valutazione di negligenza o impudenza, in altri c’è la norma. Per
presunzione ritengo che, dopo aver guardato che non c’è nessuno, posso passare con il semaforo rosso, in
questo caso non si può dire che ho valutato che non c’era nessun rischio perché la norma impone che col
rosso non si passi, per cui se passando col rosso, provoco un incidente sarò sicuramente in colpa per
violazione di una norma cautelare scritta. Che succede dal punto di vista della ricostruzione dei casi
concreti? Succede che nella colpa specifica è più facile, perché dobbiamo verificare il rapporto causale,
verificare che effettivamente è stata violata la regola cautelare scritta e abbiamo già risolto il problema. Nel
caso di colpa generica invece siamo noi a dovere creare la regola cautelare. Esempio: i bambini giocavano,
uno è arrivato di corsa quindi la porta gli è arrivata in faccia, fino a che punto quello che ha chiuso la porta
doveva stare attento anche a quell’eventualità? Qui di solito facciamo riferimento alla diligenza dell’uomo
medio, la persona che sta attenta come si sarebbe comportata? Se anche la persona attenta non sarebbe
riuscita ad evitare l’evento vuol dire che non c’è colpa. Però allo stesso tempo si tende a fare riferimento
alla figura dell’”agente modello” che è quello che effettivamente sta proprio attento al massimo, però se
immaginiamo la persona più attenta in assoluto veniamo meno a quella che è la funzione del diritto penale,
di colpire i comportamenti patologici. È vero che stando veramente attento ti potevi rendere conto ma, per
dirla in parole semplici, eri bravo se te ne accorgevi. Non sei negligente se non te ne sei accorto.
Questo tipo di problema si manifesta con maggior evidenza in alcuni settori, in particolare nella
responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza dei lavoratori, perché in questo caso, essendoci una
posizione di garanzia onnicomprensiva, col senno di poi si vede che c’era qualcosa che potesse essere fatto
affinché l’evento non succedesse. Però per esempio non avere evidenziato il divieto dell’uso del telefono
mentre si è intenti a svolgere attività con l’uso del caschetto è stato l’antecedente causale decisivo per la
morte dell’impiegato. La stessa cosa avviene per i medici, si battono da anni per una limitazione della loro
responsabilità penale, qualche volta si dice che dovrebbe essere limitata ai casi di colpa grave. Ma quando è
che è grave? La legge Gelli-Bianco aveva stabilito che il medico non è colpevole se comunque aveva
rispettato le linee guida, ma la Cassazione giustamente ha chiesto cosa voleva dire “linee guida”, poiché
quello che conta è se hai valutato correttamente quel caso, sta a te medico valutare di volta in volta
l’attenzione che devi avere per quella malattia. Oggi si tende a valorizzare la presenza di protocolli, che non
sono dello Stato, si vuole ridurre tutto a delle regole preesistenti, ma nella medicina non funziona perché
hai eseguito quel protocollo ma non ti sei reso conto che il paziente aveva un altro problema. C’è sempre
una componente psicologica nella colpa, che non si può emarginare del tutto. Quel medico ha sbagliato, ma
è un errore che può capitare o è un errore che si verifica solo se uno se n’è fregato? Ci sono valutazioni
nella medicina, ma anche in tanti altri ambiti, che sono valutazioni discutibili. Se lo chiediamo a 5 medici,
tre faranno in un mood e due i un altro, se poi hanno ragione i due, o hanno ragione i tre e si è scelta la
strada suggerita da quegli altri e il paziente è morto, vuol dire che gli altri hanno avuto un atteggiamento
negligente o vuol dire che hanno fatto una valutazione che dopo si è rivelata sbagliata ma che in quel
momento sembrava giusta? C’è tendenza a valutare gli eventi con il senno di poi quasi partendo dal
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presupposto che noi abbiamo la possibilità di evitare tutto. La differenza è quindi che nel caso della colpa
generica sta al giudice individuare la condotta che avrebbe dovuta essere tenuta in quel frangente. Da
questo punto di vista si distingue il cosi detto rischio lecito dal rischio illecito. Non dovete identificare la
colpa con il rischio perché ci sono alcuni rischi che non sono dovuti a negligenza e sono dei rischi leciti,
esempio: guido la macchina e so che anche guidando nel rispetto dei limiti di velocità si potrebbe creare un
incidente, opero un paziente, so che quel paziente potrebbe essere colpito da infezione. Il sistema ha
fissato la regola cautelare già riconoscendo che una parte di rischio è consentita. Viceversa ci sono altre
situazioni in cui il rischio non è in alcun modo consentito, è tutto illecito. Da questo punto di vista nella
medicina, le linee guida e i protocolli servono a quello, a dire che posto che esistono dei rischi, in un caso o
nell’altero la regola di condotta è questa. La logica delle linee guida e dei protocolli è corretta, il problema è
che poi stabilire se effettivamente il protocollo da applicare fosse quello o un altro, ci riporta alla difficoltà
di interpretazione del caso concreto.
Questo discorso si può ricollegare ai vari ambiti di responsabilità omissiva. Il datore di lavoro può accettare
un rischio per i suoi dipendenti? Tendenzialmente no. I dipendenti devono essere sicuri al 100% sul posto di
lavoro. Col covid invece si è accettato che un minimo di rischio c’è.
Nessuno dice in modo specifico che il rischio è consentito, lo si desume dal sistema. Se mi dici di riaprire
con l’obbligo della mascherina, vuol dire che se impongo l’obbligo della mascherina a lavoro sono apposto.
Se qualcuno mi dice che posso inquinare entro però una soglia di questi valori medi da rispettare, se i valori
medi sono rispettati io sono apposto. Non è quindi sempre facile distinguere l’area di rischio consentito
dall’area di rischio illecito. L’aerea di rischio consentito esiste sempre. Il problema è che se l’aerea di rischio
lecito viene esplicitata allora sono tranquillo, se invece la soglia non è esplicitata, col senno del poi mi
diranno sempre che ho sbagliato. La formalizzazione della regola, per un verso fa si che ti dia quella regola
ma dall’altra parte tutela dal rischio che la regola cautelare ricostruita a ex post sia molto più severa di
quella che sarebbe stata la regola cautelare costituita in ex ante. Esempio: se non c’è obbligo di museruola
ma tu sai di avere un cane aggressivo gliela devi mettere lo stesso. Ogni settore è comunque diverso e le
regole che riusciamo a presumere dal sistema sono diverse in ogni caso. Esempio: regole cautelari che deve
osservare la babysitter- tenere d’occhio il bambino, attenta che non vada in posti dove può cadere, se
piange troppo deve avvisare la mamma- è difficile ricostruire quelle che sono le regole cautelari che poteva
o doveva seguire, in fondo sono regole cautelari che ci poniamo solo quando ci troviamo in quella
situazione. Se lo si fa col senno di prima le possibilità che si arrivi a ritenere che il soggetto ha rispettato la
regola di comportamento sono maggiori, se lo si fa col senno di poi, dopo che è morto il bambino, è molto
più difficile che quella valutazione porti a un giudizio di rispetto della regola cautelare da parte dell’agente.
Norme cautelari vs misure cautelari- le misure cautelari sono provvedimenti che vengono assunti nel corso
di un processo prima della condanna definitiva, vale la presunzione di innocenza, nessuno può essere
ritenuto colpevole prima di una sentenza di condanna definitiva, però allo stesso tempo se c’è pericolo che
vengano inquinate le prove o che il soggetto si dia alla fuga allora può essere sottoposto a custodia
cautelare-misure cautelari personali: carcere o arresti domiciliari -misure cautelari patrimoniali: sequestro
di beni. Questa è un’esigenza legata al processo. Le norme cautelari a cui facevamo riferimento sono tutte
le norme più varie previste nell’ordinamento giuridico o anche semplicemente desumibili da principi di
prudenza, quindi non scritte da nessuna parte, che possono fondare un rimprovero colposo, cioè una
norma cautelare è una norma che prescrive un determinato comportamento al fine di evitare il verificarsi di
un evento.
Colpa cosciente e colpa incosciente: colpa con previsione è la colpa cosciente. Se andiamo a vedere
l’articolo che si occupa delle circostanze aggravanti, ovvero l’art.61 c.p. vediamo che al numero 3 è prevista
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come circostanza aggravante l’avere, nei delitti colposi, l’agire nonostante la previsione dell’evento. La
colpa con previsione è più grave della colpa ordinaria. L’art.61 ci aiuta a stabilire un diverso disvalore di
quella imprudenza che si manifesta a fronte dell’idea che avevi pensato a quello che poteva succedere ma
hai agito comunque.
La colpa deve essere oggetto di previsione esplicita e quindi omicidio colposo è previsto dal codice penale
viceversa il danneggiamento colposo non costituisce reato.
L’ultimo comma dell’art.43 c.p. dice che: “la distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo
articolo per i delitti si applica altresi alle contravvenzioni ogni qualvolta per queste la legge penale faccia
dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”. Cerchiamo di capire perché le contravvenzioni
hanno una disciplina diversa. Per fare questo dobbiamo ragionare sulla differenza tra delitti e
contravvenzioni. Che differenza c’è? Il codice penale francese distingue tre tipi di reato: crimini, delitti,
contravvenzioni. Noi ne distinguiamo due: delitti e contravvenzioni. Questo significa che nell’ambito di
un’unica categoria, il reato, potrebbe avere senso immaginare una struttura diversa per fatti più gravi e fatti
meno gravi. Le contravvenzioni sono meno gravi e quindi hanno tempi di prescrizioni più brevi. Il fatto però
che sia meno grave potrebbe astrattamente rispondere a motivi diversi. Anche il delitto colposo è meno
grave di quello doloso. Perché sono meno gravi? Perché sono meno offensive? C’è meno lesione? C’è più
rimproverabilità soggettiva? Questo non lo dice nessuna norma, tendenzialmente l’espressione
“contravvenzioni” valorizza un aspetto di tipo formale, cioè tu hai violato una regola, hai contravvenuto a
una regola, mentre invece il concetto di delitto richiama una rimproverabilità psicologica maggiore. Le
contravvenzioni sono legate a un profilo di logica formale, per questo non ha molto senso interrogarsi sul
dolo in termini di volontà di un evento, chi costruisce una casa abusiva o che fa una finestra dove non
poteva non evidenzia una volontà, ma più semplicemente non poteva costruirla ma l’ha fatto, per questo
tendenzialmente l’art.42 equipara il dolo alla colpa. Esempio: art.674 c.p. “chiunque getta o versa in un
luogo di pubblico transito o in un luogo privato, cose atte a offendere, imbrattare o molestare persone,
ovvero nei casi non consentiti dalla legge, che provoca emissioni di gas, vapore, fumo, è punito con arresto
fino a un mese o con la multa. È un reato costituito in termini dolosi o basta la colpa? Se tendo i panni non li
chiudo bene con la molletta e cadono in testa ai passanti sono responsabile di questa contravvenzione?
Probabilmente si. Se fosse stato un delitto ci saremmo dovuto domandare se era previsto a titolo di colpa.
Era previsto? No. Non è previsto a titolo di colpa, quindi è doloso. Ma trattandosi di una contravvenzione
dovremmo dire che è indifferente sia che le getti apposta o no. Per cui la logica di questi reati è che
tendenzialmente basta la negligenza, non è necessario il dolo. La negligenza ci vuole altrimenti esiste il
principio detto di buona fede nelle contravvenzioni. Sta all’agente dimostrare la correttezza del suo
operato. Succede una cosa che non doveva succedere, o mi dimostri che è successo per una ragione a te
non imputabile oppure ne sei responsabile. Questo non vale sempre perché potrebbe essere che il
legislatore nel prevedere come contravvenzione un determinato comportamento, in verità faccia
riferimento a un comportamento voluto, doloso. Si dice che in alcuni casi ci sono contravvenzioni a base
dolosa, che non avrebbe senso sanzionare se non fossero dolose, perché non sono azioni che si fanno per
sbaglio. Il paradosso però è che si finisce per parificare la condotta dolosa con quella colposa. Esempio:
lancio dei sassi dal cavalcavia, di per se integra questo tipo di reato, se nessuno si fa male è getto pericoloso
di cose e si prescrive velocemente.
Il delitto preterintenzionale. Art.43 c.p.: ”si definisce delitto preterintenzionale o oltre l’intenzione quando
dall’azione o dall’omissione dell’agente deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto
dall’agente”. Non c’è solo una condotta e un evento, c’è una condotta con due eventi, uno che è voluto e
uno più grave che non è voluto. Esempio: omicidio preterintenzionale. Un soggetto percuote un altro, le
lesioni sono volute, la morte (evento più grave) non è voluto.
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Questo tipo di imputazione connota una gravità media tra dolo e colpa, meno grave del dolo, più grave
della colpa.
Omicidio doloso art.575 c.p.- pena non inferiore a 21 anni
Omicidio colposo art.589 c.p.- pena da sei mesi a 5 anni
Omicidio preterintenzionale art.584 c.p. -chiunque con atti diretti a commettere uno dei delitti previsti
dall’art.501 o 502, quindi con atti diretti a ledere o percuotere, cagiona la morte a un soggetto è punito con
reclusione da 10 a 18 anni.
Partiamo dal presupposto che la morte non è voluta, altrimenti sarebbe omicidio volontario, doloso, ma
allora perché questa pena? Dobbiamo punirlo anche per lesioni volontarie, lo puniamo per un reato di base
doloso più un evento ulteriore che gli viene attribuito a titolo di colpa o di responsabilità oggettiva.
Abbiamo due reati in uno. Volevi ledere e hai leso e non volendo hai anche ucciso. Imputazione di dolo +
colpa o responsabilità oggettiva.
Dolo + colpa= si interpreta la colpa non più come violazione della regola cautelare ma come prevedibilità ed
evitabilità dell’evento, potevi prevedere quel rischio ed evitarlo.
Dolo+ responsabilità oggettiva=Posto che già stai ledendo l’incolumità di quella persona sei
automaticamente responsabile di un evento ulteriore a quello ricollegabile.
Terza interpretazione è che la preterintenzione è autonoma, diversa da dolo e colpa. In effetti la
costruzione dell’articolo farebbe pensare questo. Si distingue l’ipotesi che il delitto sia voluto o non voluto
però è anche vero in determinate situazioni non siamo in grado di stabilire se l’evento è voluto o meno.
Nella colpa lo capiamo, è chiaro che l’evento non è voluto, cosi come è chiaro nell’omicidio doloso che il
soggetto voglia uccidere, in altre situazione lo volevano picchiare, ma lo volevano anche uccidere? Ha senso
dire che non volevano ucciderlo? L’hanno comunque picchiato, quindi non ci soddisfa usare un solo criterio
di colpa perché c’è un rapporto talmente stretto tra i due eventi, quello voluto e quello non voluto, che ci
interessa di più ragionare sul presupposto oggettivo legato alla progressione dei fatti che non andare a
interrogarci su cosa pensavano quelli che l’hanno picchiato. In delle situazioni ben precise il legislatore
introduce una categoria particolare, quella della preterintenzione, che consente di graduare la
responsabilità del soggetto all’effettiva progressione dei fatti. Se fosse solo dolo+ colpa, si farebbe la
somma, non ci sarebbe bisogno di una categoria autonoma, ma nella preterintenzione c’è un evento più
grave di quello voluto.
Determinare la morte del soggetto picchiato è grave dal punto di vista psicologico perché il grado di
indifferenza che l’agente ha mostrato nei confronti della vita di altre persone è maggiore. Da una parte se le
categorie si distinguono tra evento voluto ed evento non voluto, non sembra esserci spazio per un’ulteriore
categoria, dall’altra parte è pur vero che se il legislatore attribuisce a questa situazione una gravità
intermedia lo fa ha ragione veduta, perché tutti noi tendiamo a percepire un grado di disvalore che è
diverso nel caso del delitto per preterintenzione. I casi di delitto preterintenzionale non sono molti, c’è il
caso dell’aborto preterintenzionale, il caso di maltrattamenti in famiglia con seguito la morte della vittima.
Sono casi in cui la gravità della condotta di base porta a ritenere più grave rispetto alla semplice
responsabilità colposa. Poi c’è un altro caso: omissione di soccorso e la morte, bisogna trovare una strada
intermedia. Tra cosa? Tra non punire e punire per omicidio colposo, perché arrivare a dire che tutti quelli
che passavano con la macchina che non si sono fermati sono tutti responsabili della morte della persona è
dire troppo. Delle volte quindi il legislatore cerca di costruire delle fattispecie basate su una possibile
progressione dei fatti. Alcune volte queste funzionano, altre no. Tutto sommato, con queste norme si evita
anche di eccedere nella definizione del dolo eventuale perché in qualsiasi situazione in cui una persona
muore per lesioni potremmo dire che c’è dolo eventuale, tu sapevi che volevi ucciderlo, tu lo sai che dando
un pugno a una persona quella potrebbe morire, quindi questa fattispecie è fatta in modo di evitare questa
discussione cosi difficile.
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Lezione 11.11.2021
Abbiamo trattato insieme gli articoli che vanno dal 39 al 43: la distinzione tra delitti e contravvenzioni, la
necessità che vi sia un rapporto causale tra condotta e evento, la rilevanza della condotta omissiva laddove
ha determinato un evento che vi è l'obbligo giuridico di impedire, la disciplina della causalità e quindi il caso
di concorso tra cause; poi l'articolo 42, le regole di imputazione per i delitti e le contravvenzioni; l'articolo
43, la definizione del delitto doloso, preterintenzionale e colposo, poi ovviamente a fianco agli articoli
abbiamo anche parlato della teoria, degli esempi pratici che aiutano a comprendere il significato di queste
norme, le teorie sulla causalità, il problema della posizione di garanzia, delle posizioni controllo, la loro
fonte, il tema della responsabilità oggettiva rispetto all'articolo 42 che pure la prevede al terzo comma, la
definizione di dolo, il significato di rappresentazione, volontà, l'oggetto del dolo quindi il fatto tipico,
eventualmente una finalità ulteriore se si tratta di dolo specifico, le forme di dolo: dolo intenzionale, dolo
diretto e dolo eventuale, le diverse ricostruzioni della preterintenzione che abbiamo visto che viene
ricostruita come dolo misto a colpa, come dolo misto a responsabilità oggettiva o come criterio di
imputazione autonomo. La colpa: colpa cosciente, colpa non cosciente, colpa specifica e colpa generica e
abbiamo visto il motivo per il quale anche l'atteggiamento colposo comunque è un atteggiamento
riprovevole che esprime indifferenza nei confronti del bene giuridico tutelato, prevedibilità ed evitabilità
dell’evento o violazioni di norme cautelari come contenuti positivi della colpa che allo stesso tempo
presuppongono in negativo che l’evento non sia voluto. Andando avanti gli art successivi esprimono
problematiche che sono direttamente collegate agli articoli precedenti. L’art.44 ad esempio riguarda la
condizione obiettiva di punibilità e ci dice “quando per la punibilità del reato la legge ritiene il verificarsi di
una condizione il colpevole risponde del reato anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della
condizione, non è da lui voluto”. Cosa significa? Qual è la parola nuova che contiene questo articolo rispetto
alle parole che abbiamo visto utilizzare dagli articoli precedenti? La parola -condizione- è una parola che
non avevamo mai visto perché la condizione di solito fa pensare a qualche cosa che è estraneo all'agire
umano, mentre invece come abbiamo visto condotta e evento esprimono proprio l'appartenenza del fatto
al soggetto.
L'articolo 44 ci dice che alcuni reati potrebbero essere puniti solo al verificarsi di alcune condizioni rispetto
alle quali la volontà non conta, è irrilevante, per questo si chiamano “condizioni obiettive di punibilità” e
quindi sono a loro volta una forma di eccezione a quella coincidenza tra elemento oggettivo ed elemento
soggettivo.
Potrebbe porci un problema il fatto che alcune condizioni diciamo siano imputate all’agente a prescindere
dalla sua volontà? Avevo detto che secondo la sentenza 364 del 1988 sul principio di colpevolezza gli
elementi più significativi della fattispecie devono essere attribuiti all’agente quantomeno a titolo di colpa.
Immaginate una norma incriminatrice che prevedesse che il non vaccinato che esce di casa commette reato
se questa sua uscita da casa ha determinato il contagio nei confronti di un altro soggetto, cioè si farebbe
dipendere la punibilità e la sanzione da un fatto che non è direttamente collegato sotto il profilo psicologico
alla condotta dell'agente; quel soggetto è uscito di casa, è uscito senza mascherina, ha seguito la facoltà che
gli viene concessa perché nessuno gli vieta di uscire di casa, però così facendo ha determinato un contagio.
Questa sarebbe una norma illegittima perché viola il principio di colpevolezza perché in questo caso
l'elemento più significativo della fattispecie, l’aver contagiato un'altra persona, gli dovrebbe essere
attribuito a titolo di dolo, o quantomeno a titolo di colpa: cioè si dovrebbe dire o che l'ha fatto apposta o
quantomeno che ha tenuto un comportamento imprudente perché ha violato delle norme cautelari, es.
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assembramento, ma se questo non c'è, se non c'è un collegamento in termini di colpa non gli potrebbe
essere attribuito un evento come condizione di punibilità. Non sarebbe giusto a meno che non si dica che
possono uscire di casa soltanto i vaccinati allora va bene, ma se il non vaccinato può uscire lui non sta
violando nessuna regola cautelare quindi non ci sarebbe neanche la colpa. Questo articolo 44 pone dei
problemi interni di rispetto al principio di colpevolezza perché si dà una responsabilità a quel soggetto
anche sulla verificazione di fatti che non dipendono da lui o comunque sono dipesi da lui sotto il profilo
oggettivo della successione degli eventi, ma che non erano da lui governabili; non c'è rimproverabilità.
Questo tipo di meccanismo di imputazione che fa sì che un evento sia imputato oggettivamente è
particolarmente discutibile però ci sono dei casi in cui questo avviene, per esempio la norma sull'incesto
prevede che l'incesto sia punito qualora ne derivi un pubblico scandalo. L’art.564 del codice penale
“chiunque in modo che ne derivi pubblico scandalo commette incesto con un discendente o un ascendente
o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni”.
Vuol dire che l’incesto di per sé non è punibile, è punibile se ne deriva un pubblico scandalo. Se vogliamo
dirlo più semplicemente è punibile se si viene a sapere. Se lo ha saputo soltanto la polizia giudiziaria che
faceva le intercettazioni, ma nessuno lo ha saputo nel contesto familiare e sociale delle persone coinvolte Il
fatto non è punibile. Il soggetto lo vuole il pubblico scandalo? Assolutamente no. Il pubblico scandalo deriva
da sua colpa? Spesso no, è stato attento a non essere scoperto, ma l'hanno beccato dei vicini impiccioni o
qualcos'altro. Questa è una condizione obiettiva di punibilità. Non interessa al legislatore il fatto che il
soggetto non lo volesse pubblicare. Questo è possibile fintanto che già il comportamento in sé stesso, in
questo caso l'incesto, sia ritenuto riprovevole.
L’adulterio è stato oggetto di intervento alla Corte Costituzionale, però ancora oggi l’incesto crea scandalo.
Il pubblico scandalo costituisce una condizione di punibilità, cioè proprio per tener conto anche del fatto
che il diritto penale non vuole assumere una caratura etica si dice che tutto sommato se la cosa resta tra le
mura domestiche inutile che vi sia la persecuzione penale. Se però poi la cosa diventa di dominio pubblico a
quel punto si interviene e quindi in qualche modo si ritiene che sia un discorso di opportunità quello legato
alla punibilità, non è che è più grave se c'è pubblico scandalo e lo è di meno se non c'è il pubblico scandalo.
Il disvalore sta già nel fatto in sé. Un altro esempio è la bancarotta fraudolenta. Di solito le società
beneficiano della cosiddetta limitazione di responsabilità, cioè se una società a un certo punto non riesce a
pagare i debiti che succede? Che li paga il socio? No. Li paga l’amministratore? No. La società fallisce, il
patrimonio della società è separato da quello dei soci e dei suoi amministratori e quindi si dice che la
società si avvale della limitazione di responsabilità. Questi meccanismi, che esistono dai tempi del diritto
romano, servono semplicemente a favorire lo sviluppo di iniziative imprenditoriali perché altrimenti i rischi
connessi a un'impresa economica allontanerebbero le persone dall’investire, mentre invece questo
meccanismo fa sì che se io voglio investire non so pensate anche un'attività commerciale: io spendo
€50000, ce li ho, se poi l'attività commerciale va male io sono sopraffatto dai debiti, più di €50000 non
posso perdere; questo è il dato di partenza. Poi non sempre è vero perché in alcuni casi capita che per
avere dei finanziamenti bancari il piccolo imprenditore soprattutto avvia delle fideiussioni cioè delle
garanzie anche personali rispetto al debito bancario. Essendoci una limitazione di responsabilità è chiaro
che i creditori si aspettano comunque un comportamento corretto da parte dell'imprenditore. Se io sono il
fornitore di un ristorante che è sempre pieno tutte le sere, ma poi i soldi se li prende in contanti il titolare e
quando io chiedo che sia pagata la mia fornitura di vini di €50000 mi risponde che non ha niente è chiaro
che il creditore ha subito un anno. Fatta questa premessa potete cercare di capire in che cosa consiste la
bancarotta fraudolenta per distrazione: se la società fallisce ed emerge che sono state sottratte delle risorse
da quella società prima del fallimento chi le ha distratte risponde di bancarotta fraudolenta, quindi non si è
punti perché la società è fallita, ma perché uno ha sottratto del denaro.
Torniamo al caso del ristoratore: il ristoratore in Italia molto probabilmente una parte dell’incasso lo fa in
nero, quindi una parte dei soldi che il suo ristorante incassa lui non li riversa nelle casse della società, basta
che mette direttamente al suo portafogli. Questa è una distrazione di risorse? Sì. Quei soldi dovrebbero
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andare nel conto della società per pagare gli stipendi, per pagare le tasse, se poi però la società titolare del
ristorante fallisce emerge che sono stati sottratti i soldi perché soltanto una parte degli incassi venivano
riversati, quel ristoratore risponderà di bancarotta fraudolenta. In questo caso la sentenza di fallimento è
una condizione di punibilità, cioè se la società non fosse fallita e se il ristoratore semplicemente magari,
pure evadendo un po' di tasse, continua a pagare tutti i debiti il fatto che lui si sia messo nel portafogli per
anni una parte dell'incasso non costituisce bancarotta. Se poi la società fallisce è bancarotta. Anche in
questo caso è possibile che l'imprenditore nel momento in cui stava sottraendo i soldi non è che pensasse
al rischio di fallire, le cose gli andavano bene fino a quel punto, quindi non lo stava facendo già pensando al
fallimento. Il fallimento è una condizione che prescinde dalla sua volontà. Anche in questo caso il
meccanismo funziona ed è accettabile in quanto noi riteniamo che già nella sottrazione di denaro ci sia un
disvalore, già quello era il comportamento che non avrebbe dovuto essere tenuto, il fallimento è soltanto
una condizione che rende opportuno l'intervento penalistico. Quindi le condizioni obiettive di punibilità
possono essere ammesse fintanto che non si tratti degli elementi più significativi della fattispecie, cioè degli
elementi su cui si poggia il disvalore del comportamento perché altrimenti mancherebbe la rimproverabilità
psicologica. Questo nell’articolo 44. Queste sono norme generali, della parte generale del Codice Penale poi
le si comprende quando le si mette in relazione con la parte speciale cioè con degli esempi con alcuni reati.
Articolo 45: caso fortuito, forza maggiore. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per
forza maggiore”. Questa ci sorprende? No, già abbiamo detto che ci vuole la causalità, che la condotta deve
appartenere al soggetto perché deve essere cosciente e volontaria; se il fatto viene commesso per caso
fortuito o per forza maggiore è intuitivo che quel soggetto non sarà punito. Forza maggiore che vuol dire?
Che la condotta non è mia, che c'è qualcuno che mi costringe. Io stavo in barca e ad un certo punto si è
scatenata una tempesta e la mia barca ha travolto dei bagnanti uccidendoli. Quel pezzo della condotta è
dovuto ad un evento di forza maggiore. Se mai si può discutere se sono responsabile della mia condotta
precedente perché sapendo dell'esistenza della tempesta non mi dovevo avviare, in ogni caso quel
comportamento è imprudente per me, non avrai pensato che a un certo punto sarei stato travolto e sarei
andato a colpire qualcun altro. Questa norma non è che abbia un autonomo valore in sé, ci aiuta a chiudere
il cerchio, a capire meglio il significato delle regole sulla causalità, sulla colpa e sulla condotta cosciente
involontaria. Articolo 46: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto
mediante violenza fisica alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi. In tal caso del fatto
commesso dalla persona costretta a rispondere autore della violenza”. Se qualcuno con la pistola minaccia
un'altra, gli dice di rubare questi oggetti se no l'ammazza, il furto non viene attribuito all’agente, ma a colui
che lo ha costretto. Che cosa significa costrizione? Se un cancelliere fa sparire gli atti perché minacciato
dalla malavita risponde del reato o no perché è stato costretto? Qui si apre spazio per valutazione difficili
perché potremmo dire, no ma quello poteva denunciare. Il diritto penale non può legittimare qualsiasi
condotta illecita soltanto perché qualcuno ha subito delle pressioni. Dall’altra parte avviene appunto che la
persona sia strumento di un'altra persona, questo in particolare vale per i minori, magari possono essere
costretti dai genitori.
Articolo 47: errore di fatto. “L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente”. Che
vuol dire che c’è un errore sul fatto? Che la persona non si è rappresentata correttamente il fatto, pensava
che il fatto fosse diverso. Credeva di sparare ad un cinghiale invece ha sparato ad un uomo. Questo che
cosa vi ricorda? Se c'è una mancata rappresentazione dell'evento vuol dire che siamo di fronte ad una
situazione in cui manca il dolo. Il dolo deve avere oggetto il fatto tipico, se c'è un errore sul fatto tipico
manca la rappresentazione. Quando parliamo di fatti futuri diciamo previsione, quando parliamo di fatti
concomitanti o resistenti parliamo di rappresentazione. Manca il dolo se c’è un errore sul fatto. Anche
questa norma non ci stupisce e va letta insieme alla frase successiva “nondimeno se si tratta di errore
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo”. Che significa? Lo vediamo con un esempio: io stavo lì a caccia, ho visto e sentito un rumore lì, ho
pensato che fosse un cinghiale, ho sparato e ho ammazzato altri cacciatori; di che reato rispondo? Omicidio
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volontario sicuramente no perché manca il dolo. è punito anche a titolo di colpa questo delitto? Sì, esiste
l’omicidio colposo. Quindi se il mio errore è stato determinato da colpa risponderò di omicidio colposo.
Non è detto che sia così, potrebbe essere che questi cacciatori obiettivamente abbiano avuto loro un
comportamento imprudente, sono usciti strisciando dalla foresta mentre giocavano pur sapendo che era un
sabato di caccia, l’errore non è colpa mia che ho sparato. In questo caso l’imprudenza non sta nella
violazione di una regola cautelare che riguarda l'esecuzione, cioè ho sparato male, il problema sta che mi
sono rappresentato male la situazione perché non sono stato attento, fossi stato più attento mi sarei
accorto che quelle potevano essere delle persone e quindi non era il caso di sparare. Anche questo va
perfettamente in linea con quello che ci ha detto l'articolo 43 terzo linea: “il delitto è colposo quando
l'evento anche se preveduto non è voluto dall’agente si verifica a causa di negligenza, imprudenza,
imperizia. L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato
diverso”.
Questo articolo 47 si occupa di errore sul fatto. Oltre all'espressione “errore di fatto” si contrappone
l'espressione “errore di diritto”. Un conto è che tu non sai che quello è un uomo e gli spari pensando che
quello sia un cinghiale, altra cosa è che tu pensi che sia possibile sparare alle persone perché si tratta di
ladri. Vi ricordate quale era la norma che regolava questo problema dell’errore di diritto? L'articolo 5 del
codice penale: “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”. Questa è la legge che
ha dato vita alla formazione del principio di colpevolezza nella sentenza 364 dell’88, però l'affermazione
che è contenuta nell’articolo 364 ha un valore più generale rispetto all'articolo 5. La regola è che ignorantia
legis non excusat, tra cui mentre l’errore sul fatto rileva, eventualmente se è colposo può comunque dar
vita a un’intenzione colposa, l’errore di diritto, salvo quel caso particolarissimo non rileva, non ci interessa
che tu immaginavi che quello si potesse fare, non è che apriremo un processo per stabilire se tu conoscevi o
non conoscevi la norma, a noi non interessa, la norma la devi conoscere. Quindi l’errore sul fatto rileva,
l’errore di diritto non rileva. E però il terzo comma dell'articolo 47 ci dice un'altra cosa, dice che “l'errore su
una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che
costituisce reato”. Immaginiamo che io ritenga che un determinato terreno sia il mio, ma non so che in
realtà un altro soggetto lo ha usucapito, perché non conosco la legge, non so che cos'è l'usucapione;
usucapione è il possesso ultraventennale sugli immobili che determinano l’acquisizione sulla proprietà a
titolo originario, quindi una situazione di fatto che si consolida fino a diventare situazione di diritto. Se io
immagino che quel terreno sia mio e lo invado non commetto invasione di terreni. Io faccio entrare in Italia
la mia colf perché penso che le norme sull'immigrazione clandestina me lo consentano perché pensavo che
effettivamente quel visto valesse ancora, oppure pensavo che quella persona avesse acquisito la
cittadinanza italiana stando in Italia, essendo nata in Italia; sbaglio su questa norma e quindi la
accompagno, la vado a prendere all’estero e la porto in Italia, quindi non commetterò favoreggiamento
all'immigrazione clandestina perché pensavo, sulla base di un errore che ho commesso nella lettura di una
norma extra-penale. Diverso è se invece uno pensa che non ci siano problemi a far venire la gente in Italia:
questo è un errore sulla legge penale, devi sapere che è vietato favorire l’immigrazione clandestina perché
questo te la dice la norma penale. Viceversa le norme per acquistare la cittadinanza sono norme extra-
penali, sono norme amministrative. Non è punibile l'errore sul fatto anche se è determinato da una norma,
da un errore sulla norma extra-penale; è sempre un errore sul fatto, non è l'ignoranza della legge in sé: il
discorso è che io pensavo che la donna fosse italiana, essere italiani è un fatto. Ho sbagliato sull’elemento
costitutivo del reato perché a monte ho fatto una valutazione giuridica errata data nel valutare altre norme.
Articolo 48, errore determinato dall’altrui inganno. “Le disposizioni dell'articolo precedente si applicano
anche se l’errore sul fatto che costituisce il reato è determinato dall'altrui inganno in tal caso del fatto
commesso dalla persona ingannata risponde chi l'ha determinata a commetterlo”; è un po' lo stesso
meccanismo del costringimento fisico.
Articolo 49, “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato nella supposizione erronea che
esso costituisca reato”. Reato supposto erroneamente si chiama di solito più comunemente reato putativo:
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io penso di tenere una condotta che è reato, in realtà non è reato. Quello che conta in questo caso è il dato
oggettivo: il fatto non costituisce reato di per sé stesso. Il secondo comma ci dice “la punibilità è altresì
esclusa quando per inidoneità dell'azione o per inesistenza dell'oggetto di essa è impossibile l'evento
dannoso o pericoloso”. Es. io volevo uccidere mia moglie soffiando sul suo viso convinto che la potessi
avvelenare in questo modo come mi aveva convinto un medico, in realtà questa è una azione inidonea ad
uccidere. Altro es. se io allungo la mano in una borsa per sottrarre il portafogli ma in realtà portafogli non
c'è perché la donna titolare della borsetta se l'è dimenticato a casa, qui anche potremmo dire che manca
l'oggetto, volevo rubare un portafoglio che non c'è. “Nei casi preveduti alle disposizioni precedenti se
concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso si applica la pena stabilita per il reato
effettivamente commesso”.
Norme sul maltrattamento degli animali: 727 (contravvenzione) e 727 bis. L’articolo 727 prevede
l'abbandono di animali, 727 bis è “uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di
specie animali o vegetali protette”, questi sono gli animali protetti. Comunque è ovvio che se io pensavo di
commettere un altro reato che non ho commesso, però un altro diverso l'ho commesso, di quel reato ne
risponderò. Quindi anche da questo punto di vista l'articolo 49 terzo comma ci dice una cosa che ci
potevamo aspettare. Nel caso indicato nel primo capoverso il giudice può ordinare che l'imputato
prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza; se io volevo ammazzare il vicino invece ho sparato al
cinghiale è vero che da un punto di vista oggettivo non ho fatto niente, non ho neanche messo in pericolo la
vita di questo, lui non c'era, però è anche vero che posso essere ritenuta una persona socialmente
pericolosa e quindi mi si può applicare una misura di sicurezza. Dal punto di vista oggettivo non è successo
nulla alla fine, il diritto penale del fatto, l'offensività fanno dire che non c'è necessità di intervenire però se
invece valutiamo la pericolosità del soggetto quel soggetto è pericoloso e quindi potremmo valutare se sia il
caso di applicare una misura di sicurezza che sono le stesse misure che valgono per gli incapaci di intendere
e di volere.
Perché un comportamento viene vietato? Perché bisogna tutelare un bene giuridico. Ci sono delle volte in
cui ci troviamo in una situazione di conflitto, es. il conflitto etico, io dovrei consegnare quella persona che è
responsabile di omicidio ma quella persona è mio padre. C’è una norma che mi dice di fare questo è poi c’è
un’altra norma che mi dice esattamente l’opposto. Dal punto di vista giuridico io ho una norma che mi dice
che non si tiene questo comportamento perché c'è da tutelare un determinato interesse, però ci sono altre
norme che mi impongono di tutelare diversi beni giuridici e quindi potrebbe essere che io mi trovi a dover
fare una scelta che comunque porterà al sacrificio di un bene giuridico. Ci sono o degli interessi almeno
equivalenti che possono in qualche caso portare a giustificare la commissione del fatto tipico oppure ci
sono degli spazi di libertà che comunque l'ordinamento vuole tutelare; o c’è un interesse prevalente che fa
sì che quel comportamento sia ampiamente giustificato. Il meccanismo di queste contro norme è o di
valorizzare degli interessi che possono essere prevalenti oppure comunque di riconoscere degli spazi di
libertà alle persone.
I reati che riguardano gli animali li si considera come reati contro il sentimento umano di pietà nei confronti
degli animali, non è una tutela dell'animale; il bene offeso, per come è costituito questo titolo IX bis del
libro II del Codice Penale, sentito a delitti contro il sentimento per gli animali, la prima fattispecie riguarda
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l'uccisione la seconda il maltrattamento, poi ci sono gli spettacoli e le manifestazioni vietate per lo
sfruttamento degli animali in spettacoli e il divieto di combattimenti. Dunque quello che abbiamo visto negli
articoli 44-49 quindi altro non è che una specificazione di alcuni aspetti che già potevamo ricostruire sulla
base delle nozioni acquisite attraverso gli articoli 40-43 del Codice Penale con alcune specificazioni che sono
importanti da sapere.
Ci dobbiamo adesso occupare delle cause di giustificazione. Abbiamo visto che le norme incriminatrici, cioè
le norme che descrivono il fatto a cui consegue la sanzione penale sono delle vere e proprie norme penali,
cioè sono delle norme caratteristiche del sistema penale.
Le contro norme, cioè le cause di giustificazione, sono norme a loro volta tipiche dell’ordinamento penale?
Sicuramente hanno un'efficacia nel senso che ce ne occupiamo in quanto neutralizzano il valore della
norma incriminatrice, quindi hanno un rilievo penale, però allo stesso tempo sono delle norme che tendono
a spostare l'attenzione non tanto sulla norma incriminatrice, sulle caratteristiche specifiche del diritto
penale, quanto sulle esigenze più ampie dell'intero ordinamento giuridico; cioè di fronte a una norma che ci
si occupa soltanto della tipizzazione dei fatti a cui consegue la sanzione c’è poi un'esigenza di verificare se
quelle norme sono coerenti con tutto il sistema giuridico. Quando il legislatore dice che è vietato rubare sta
dando un'indicazione che riguarda l'applicazione della sanzione penale a comportamenti di furto, però poi
ci sono una serie di esigenze più ampie. Il caso dell'ufficiale giudiziario è un caso in cui si sta facendo
riferimento a un settore specifico che è oggetto di previsione in altre norme che sono quelle del codice di
procedura civile.
Queste norme ci aiutano a stabilire dei criteri che consentono di mettere in armonia la norma penale con
altre esigenze. Quali possono essere queste altre esigenze? Può darsi che qualcuno ti abbia dato il
permesso di fare qualche cosa e questo è il consenso dell'avente diritto; può darsi che qualcuno abbia
tenuto un determinato comportamento perché in quel momento è aggredito e assalito e quindi doveva
difendersi, potrebbe esserci la legittima difesa. Per quanto ci siano delle situazioni che chiariscono il motivo
per cui vi può essere una forma di giustificazione in tante situazioni diverse, non si riesce attivizzarle tutte.
Esiste anche un’altra causa di giustificazione, ampia e generica, che si chiama -esercizio di un diritto,
adempimento di un dovere-. Esercizio di quale diritto? Di un diritto, possono essere tanti diritti che
esercitati in determinati contesti portano alla commissione di un fatto tipico. Quale dovere? Possono essere
tanti doveri.
Ci sono situazioni un po' particolari sulle quali non è ben chiaro quale sia la categoria da applicare però allo
stesso tempo è abbastanza intuitivo che l’attività sia legittima, ad es. il medico che per curare una malattia
amputa un braccio commette il reato di lesioni dolose se guardiamo al fatto tipico, lui sa che sa che a quello
sta levando un braccio, però lo fa legittimamente solo che non è chiaro questa legittimazione da che cosa
deriva. Deriva dal fatto che lui è medico e quindi deve far ste cose, deriva dal fatto che il paziente gli ha
dato il consenso, deriva dal fatto che il paziente in quel caso ha il diritto di curarsi e quindi la scelta di
amputare il braccio è la scelta corretta? Un altro caso è quello dell’attività sportiva.
Es. box, chi colpisce risponde di lesioni dolose? No. Perché no? Perché l'altro gli ha dato il consenso o
perché lo sport alla fine viene considerato una cosa buona?
Sull'attività sportiva siamo di fronte ad attività pericolose tendenzialmente legittime, ma ci possono essere
casi più delicati. Lo stesso per la medicina. Es. un medico che è stato condannato per omicidio doloso che
faceva degli interventi su pazienti terminali forse anche al fine di guadagnarci qualche cosa; si diceva
siccome quelli sono interventi che non andrebbero fatti perché sono inutili, per il paziente è una sofferenza
in più e quindi è stato condannato per omicidio doloso perché si è ritenuto sulla base di intercettazioni che
alla fine quell’intervento non si dovesse fare.
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Nello sport c’è la clausola compromissoria, cioè siccome questi reati poi, salvo il caso della morte, le lesioni
sono punibili a querela, tendenzialmente l’atleta non può querelare un altro atleta perché verrebbe meno
alla clausola compromissoria, cioè l'impegno a mantenere all'interno dell'ordinamento sportivo le
controversie, dovrebbe essere eventualmente autorizzato per violare la clausola compromissoria.
Articolo 50, “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può
disporne”. Il permesso è del soggetto che può disporre del diritto posto in pericolo.
Quando una persona dispone effettivamente di un diritto? Del diritto di proprietà se ne dispone, una cosa è
mia e se voglio la do ad altri. Del diritto alla salute se ne dispone? No.
Es. se io sono una persona povera, ho due reni e ne voglio vendere uno a un poveretto malato con la dialisi
alla fine fa stare meglio lui, io ci faccio €300000 con cui ci campo la famiglia, forse è meglio per tutti, ma
non si può. Perché è vietato? Perché esiste un'idea di dignità della persona che viene prima del libero
scambio per noi. Il consenso scrimina, giustifica, legittima ma non in tutti i casi. Tendenzialmente, rispetto al
patrimonio si, rispetto alla vita no. Pensate anche all’immagine dei minori che viene utilizzata nelle
pubblicità; fino a che punto? Quelli sono bambini.
Una prima causa di giustificazione è data dal consenso dell'avente diritto che di solito è la persona offesa
dal reato, per cui devono essere intanto dei reati che offendono uno o più soggetti determinati sennò se
offende una pluralità indefinita di soggetti il consenso non ci sarà mai.
Dopo l'articolo 50 troviamo l’articolo 51 che è quello che ha carattere più generale in quanto fa riferimento
in maniera indiscriminata a tutti i casi di esercizio di un diritto e adempimento di un dovere. “L'esercizio di
un diritto, l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della
pubblica autorità esclude la punibilità. Se il fatto tipico viene commesso nell'esercizio di un diritto o
nell’adempimento di un dovere non c’è responsabilità” Ora qui il codice dice che esclude la punibilità, ma in
realtà si è espresso male; non è un problema solo di punibilità è proprio che il fatto è lecito, esclude
l'antigiuridicità. Non è che siccome astrattamente rientra in una norma incriminatrice sarà illecita. No, è
tipico ma non sarà antigiuridico perché è nell’esercizio di un diritto.
Tornando alla responsabilità medica, immaginiamo che una persona che ha una grave patologia venga
sottoposta a un intervento chirurgico che al 30-40% determina la morte del paziente. Si fa l'intervento e
quello muore. Se non ci fosse la causa di giustificazione sarebbe omicidio doloso, quella persona accetta
quell’eventualità. Qualcuno potrebbe dire però che quello non è un atto diretto a uccidere, ma un atto
diretto a salvare se guardiamo allo scopo, però se guardiamo ai fatti quello se non faceva l'intervento non
moriva di certo quel giorno, magari sarebbe morto lo stesso in un altro momento, però sei tu che hai
accettato l'eventualità che quello morisse quel giorno facendo l’intervento. Quindi possiamo ritenere che
quella condotta non sia sanzionabile in quanto il medico ha adempiuto a un suo dovere che quello di
salvare i pazienti, e questo è quello che hanno ritenuto le sezioni unite quando si sono occupati di questo
argomento circa 5 anni fa, solo che il problema della ricostruzione dell'attività medica come adempimento
di un dovere è che finisce per auto legittimare l'intervento medico, mentre mette del tutto ai margini il
tema della libertà del paziente perché se quel paziente non volesse sottoporsi al trattamento chirurgico, il
medico glielo può fare lo stesso? Tendenzialmente no, da un punto di vista civilistico no. E se glielo fa senza
il suo consenso e lo uccide? Se il medico fa un intervento giusto, ma senza il consenso del paziente e il
paziente muore? Ad essere rigorosi quello è omicidio volontario. Una prima interpretazione sta nel dire che
non è volontario perché la finalità dell’intervento era di salvezza, di tutela e di cura. Ci può stare quella
lettura però vuol dire che si va proprio a scriminare non tanto il rapporto tra soggetto ed evento come ci
siamo detti fino adesso, ma le motivazioni. Se l'hai fatto per soldi è dolo, se l'hai fatto perché dici secondo
me questo andava fatto...diciamo se già gli dai il colposo arriva una soluzione un po' più ragionevole perché
quello comunque un medico, ha cercato di salvare un paziente. Se invece ha fatto senza il consenso del
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paziente un intervento che non era opportuno fare e il paziente è morto? Perché le Sezioni Unite hanno
scelto la strada dell'adempimento di un dovere? Perché così risolvono il problema sul nascere.
è il consenso sì, però entro certi limiti di ragionevolezza. Potremmo dire che il medico, nei limiti degli
interventi che appaiono congrui rispetto a esigenza di tutela del paziente e nel rispetto della dignità del
malato quando interviene lo fa adempiendo ad un dovere. Da un punto di vista teorico non convince
perché l’articolo 32 della Costituzione dice che nessuno può essere sottoposto contro la sua volontà a un
determinato trattamento medico. Poi ci sono le eccezioni, es. paziente incosciente, per quello se la vede il
medico, magari per scrupolo consulta i familiari oppure c’è il medico che si fa rilasciare il consenso per un
determinato intervento poi aprendo il pancreas in sala operatoria si rendi conto che è opportuno fare un
intervento diverso; che facciamo? Gli chiediamo di richiudere e di prendere un nuovo consenso o se la vede
lui? Forse qui è più logico pensare facciamo finta che il consenso è presunto.
Poi ci sono i genitori testimoni di Geova che non vogliono fare la trasfusione al figlio e lo fanno morire.
Commettono reato? è quasi un omicidio volontario però loro per il loro credo religioso ritengono che non
sia opportuno. Qui diventa tutto un discorso di rapporti tra la religione e la tutela dei minori e finché è
possibile è giusto cercare di superare il credo religioso, ma non al punto da far morire dei minorenni.
Il secondo comma dice che se il fatto è commesso per ordine dell'autorità del reato risponde sempre il
pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Se il giudice ha fatto arrestare l'amante della moglie ne risponderà
lui, però risponde altresì del reato chi ha eseguito l’ordine salvo che abbia ritenuto di obbedire a un ordine
legittimo e non è punibile chi esegue un ordine anche illegittimo quando la legge non gli consente alcun
sindacato sulla legittimità dell’ordine. Il caso dei rapporti tra polizia e magistratura mi sembrano
riconducibili a quest'ultima ipotesi, cioè se il magistrato dispone io devo eseguire; eventualmente gli
esprimerò delle riserve se ritengo.
Sotto il profilo della rimproverabilità psicologica è chiaro che quello che segue è meno colpevole di quello
che dà le indicazioni, ma questo sempre. In qualsiasi situazione si tende a punire più severamente quello
che le attività criminali le immagina, le realizza, non quello che fa un pezzetto, che esegue. Però da qui a
dire che quello che esegue non è responsabile ce ne passa, è che ciascuno risponde della propria azione di
condotta. Gli altri rispondono per quello che hanno fatto, però tu comunque hai eseguito.
Poi c'è l'esempio del diritto di critica, del diritto di cronaca. Sono dei diritti e quindi scriminano una ipotetica
diffamazione.
Il diritto di critica può assumere rilevanza anche in situazioni delicate. Es. anni fa era stato ucciso un
consigliere del ministro del lavoro, Biaggi, a cui poi è dedicato il nome della legge, perché era stato un po'
additato dai sindacati come responsabile dell’organizzazione del mondo del lavoro. Si può ritenere che chi
critica oltre un certo limite risponde del delitto di omicidio? Sotto il profilo penale tendenzialmente no poi
si può dire c'è una responsabilità politica, sociale, però entro certi limiti.
Un altro omicidio che ha scosso molto opinione pubblica è quello del commissario Calabresi, fu arrestato un
anarchico, Pinelli, che poi è precipitato al commissariato ed è morto. Questo ha creato grosse proteste e
anche una valutazione in termini di diretta responsabilità degli ufficiali di polizia che lo avevano arrestato.
Questo poi ha portato successivamente all'omicidio di Calabresi il cui figlio, famoso giornalista, direttore
della Stampa e per questo omicidio era stato condannato anche un altro intellettuale assai noto Adriano
Sofri. La presa di posizione forte contro questo evento, oltretutto credo che questo Calabresi non fosse
neanche presente lui nella stanza, non fosse la persona eventualmente responsabile dell’accaduto, però
sicuramente anche l'espressione di opinioni, di proteste poi può avere conseguenze anche sulla vita delle
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persone in determinati contesti, ciò non toglie però che esista il diritto di critica, anche accesa, anche
violenta.
Diritto di ritenzione cioè quando io ho il possesso di una cosa e tu me la chiedi, se mi dai questa cosa che ti
ho prestato, No non te la do finché non mi dai €5000 che mi devi dare. Tendenzialmente questo tipo di
affermazioni sono estorsive, è una minaccia. Tu avresti diritto, ma io non ti do ciò a cui tu hai diritto finché
tu non fai quello che io ti chiedo; o comunque sarebbe se non una estorsione un reato meno grave che si
chiama esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Tuttavia nel diritto civile il diritto di ritenzione, cioè il rifiuto
di restituire la cosa, è ammesso, quindi questo è un diritto: chi si rifiuta di restituire la cosa fino a quando
non gli vengono rimborsati determinati costi, esercita un diritto, il diritto di ritenzione. Questo è un
esempio che aiuta a capire che la soluzione pratica non sta solo nelle norme penali, sta nella ricostruzione
giuridica di ciascuna situazione. Poi sono tanti casi dibattuti cioè l’adempimento di un dovere, sì, ma fino a
che punto? Io devo far sgomberare le case su ordine del questore, fino a che punto devo comunque farle
sgomberare anche ledendo il diritto alla salute delle persone che ci stanno dentro? è difficile stabilire il
limite a queste cose.
Alla fine quello che viene fuori è un bilanciamento degli interessi in conflitto, la difficoltà però è che questo
bilanciamento non è che viene sempre fatto dalla legge prima e quindi tu già sai esattamente come vanno
bilanciati; va fatto in concreto lì per lì, quindi da una parte nella situazione di vita vissuta lo deve fare
l’agente dall'altra nell'eventuale giudizio lo fa giudice. Questa è un po' la caratteristica delle cause di
giustificazione, cioè sono una sorta si dice di organi respiratori del sistema, cioè il sistema da una parte
deve essere certo, conosciuto e quindi il principio di legalità, dopodiché nella vita succedono situazioni
particolari rispetto alle quali a volte si tratta di valutare in concreto qual è l'interesse da preferire.
La giurisprudenza dà una serie di indicazioni, per cui a volte più che la legge è l’esperienza concreta dei
precedenti che aiuta a stabilire qual è il confine tra comportamento lecito e illecito. Ma se qualcuno mi
chiedesse, ma se durante lo sgombero viene ucciso uno delle persone che si rifiutano di allontanarsi questo
è un omicidio volontario colposo? La mia risposta sarebbe non lo so, dipende, mi devi spiegare che è
successo cioè fino a che punto. Tendenzialmente quando si compie un dovere il dolo lo si dovrebbe
escludere. è difficile pensare che quella persona che sta lì che adempie a un dovere uccida per uccidere.
Articolo 53, uso legittimo delle armi. Per noi risponde sempre all’adempimento di un dovere pubblico, non
esiste l’uso delle armi private a casa. Però allo stesso tempo siccome la situazione è particolare, il pericolo
ovviamente è maggiore, il legislatore ha ritenuto dedicarvi un articolo. “Ferme le disposizioni contenute
negli articoli precedenti cioè legittima difesa e adempimento di un dovere (legittima difesa per il privato che
dovesse sparare, adempimento del dovere per un poliziotto) non è punibile il pubblico ufficiale che al fine
di adempiere un dovere del proprio ufficio fa uso o ordina di far uso delle armi o di altri mezzi di coazione
fisica, es. gli idranti, i fumogeni, il taser, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di
respingere una resistenza all’autorità”.
Se c’è resistenza passiva? Io devo sgomberare e quello rifiuta di essere sgomberato, lo prendo e lo porto via
con la forza Poi c'è un aggiunta che è legata anche ai problemi degli anni di piombo e diceva “o comunque
anche senza la violenza, di impedire la consumazione dei delitti di strage, sommersione, disastro aviatorio,
disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”, cioè se ho
l'impressione che stanno per commettere questi delitti io posso sparare, così dice la norma, anche qui però
con dei limiti che derivano da un'interpretazione corretta. La norma voleva proprio appunto dare maggior
serenità alle forze di polizia in una fase particolare e comunque il circoscrive questo tipo di facoltà alla
commissione di reati di particolare gravità "sono soggetti che già loro stanno giocando con la vita delle altre
persone.
C'è una norma che sanzioni l'abuso nell'uso delle armi? Non è che ci vuole un'altra norma. La contro norma
sull’uso legittimo delle armi presuppone comunque un bilanciamento tra le esigenze d'intervento e il
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rischio per le persone coinvolte perché comunque questo mio intervento potrebbe ledere anche la vita del
criminale, ma poi potrebbe pure procurare danni ad altre persone che stanno lì per caso.
Solo che l'esigenza di cui si fanno carico questi articoli è che un conto è giudicare a bocce ferme, col senno
di poi, seduti sulla poltrona, un conto è dover valutare quelle situazioni nell'immediatezza. Cioè da una
parte si vuole garantire il bilanciamento di interesse quindi chi agisce deve fare la scelta giusta che tuteli al
massimo i vari interessi coinvolti, Però dall'altra parte, e qui non è tanto un discorso di antigiuridicità
quanto di rimproverabilità soggettiva, non si può neanche prendersela per il minimo errore di chi in pochi
istanti deve valutare quale sia la situazione giusta perché sennò altrimenti il poliziotto prende, si fa gli affari
suoi, si gira dall'altra parte, almeno sta più sicuro.
L'articolo 55 nella sua globalità si occupa dell’ipotesi di eccesso colposo, cioè dice l'articolo 55 “quando nel
commettere alcuni dei fatti preveduti dagli articoli 51 52 53 54 si eccedono colposamente i limiti stabiliti
dalla legge o dall'ordine dell'autorità, ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti
i delitti colposi”, sempre ovviamente che il fatto sia previsto come delitto colposo. Quello che chiamiamo
abuso è un fatto volontario di uno che ha semplicemente approfittato dell'occasione, ma quello è un fatto
che non c'entra niente con la causa di giustificazione; non c'era nessuna esigenza di impedire e di bloccare il
compimento di quei reati o di superare una resistenza. Poi ci possono essere fatti che evidenziano un
cattivo comportamento, un cattivo bilanciamento degli interessi, ma che si basa comunque sulla necessità
di gestire quel tipo di situazioni, es. quel poliziotto stava lì, ha avuto l'impressione che fosse necessario
sparare perché altrimenti i rapinatori passavano all’azione; ha sbagliato perché i rapinatori ancora stavano
lì a fare valutazioni preliminari, ha ammazzato uno e non ce n'era bisogno, però è un eccesso colposo, non
è un comportamento doloso rispetto al quale la causa di giustificazione non c'entra niente, cioè è un
eccesso che per come è costruito alla norma si riferisce a una situazione effettivamente esistente, ma che
ha portato una reazione eccessiva, sproporzionata, sbagliata, a un eccesso. L'altra ipotesi che ci può essere
invece è quella che io valuto proprio male la situazione: io penso che un soggetto mi stia aggredendo
quando quello non mi stava aggredendo quello stava semplicemente venendomi a salutare, prendo e gli
sparo. Questo non è un eccesso colposo, qui l'esigenza è difendersi. Questo è un errore di fatto
sull'esistenza della causa di giustificazione. Io pensavo che qualcuno mi stesse chiedendo e invece non c'era
nessuno che mi voleva aggredire. Uno ha un eccesso di azione, un altro è la rappresentazione di un
presupposto che legittimerebbe, ma che in realtà non esiste, questa si chiama la causa di giustificazione
putativa: io penso che ci sia, ma in realtà non c'è. Questa situazione invece è regolata dall'articolo 59 quarto
comma, “se l'agente ritiene per errore che esistano delle circostanze di esclusione della pena”, in realtà
sono cause di giustificazione. Queste sono sempre valutate a favore di lui, tuttavia se si tratta di errore
determinato da colpa la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo.
Questo si chiama un caso di colpa impropria: l'evento è voluto, hai sparato per uccidere, quindi semmai
ragionassimo in termini di colpa secondo l'articolo 43 l'evento è voluto, lo so però è voluto in quanto io per
colpa immaginavo che ci fosse una giustificazione, quindi l'evento è voluto, ma il rimprovero è sempre un
rimprovero colposo. Non è colpa sulla base di quello che dice l’articolo 43, è colpa sulla base di quello che ci
dice l'articolo 59 quarto comma.
I problemi dell'eccesso colposo e della causa di giustificazione putativa che non determinano la legittimità
del comportamento, ma che vengono presi in considerazione in quanto trasformano il rimprovero da
doloso a colposo.
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Lezione 15 novembre
Non tutte le situazioni in cui è stata determina la morte di un uomo possono essere ricondotte a reato di
omicidio.
Violenza sessuale: non viene più vista come violazione pubblica ma come violazione della persona.
Reati tributari sono tutte quelle violazioni delle norme fiscali, si trovano al di fuori del codice penale.
2- Seconda valutazione dobbiamo verificare che il fatto verificato può essere inserito in una
delle leggi del codice penale.
Se all’esito di questa verifica è che realmente vi è una condotta antigiuridica, abbiamo il terzo passo.
Colpa impropria: l’evento è voluto, ma è voluto come fatto lecito non come fatto illecito. Non l’avrebbe mai
ucciso se non l’avesse ritenuto realmente necessario.
Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non
conosciute, o da lui per erroneamente inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (2).
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate
contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate
a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il
fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo .
51
L’eccesso: esempio “la valutazione sull’esistenza del presupposto è corretta ma l’azione tenuta è eccessiva.
Il legislatore non vuole che il soggetto che ha errato nella sua valutazione risponda di reato doloso”. Se c’è
eccesso colposo non c’è dolo.
L’eccesso colposo: è una categoria particolare afferma che se c’è un soggetto che nel commettere
Il consenso: se la persona che è proprietario di quel diritto, lo concede ad altrui non è reato. Se ti do il
permesso di prendere la mia macchina non è furto.
Bisogna verificare che c’è consenso e che sia di sua proprietà e non di altrui. Questo tema è semplice o c’è o
non c’è. Situazione estrema, io ho percepito il consenso. C’à chi dice che non esiste il consenso presunto.
Non è vero né che il consenso deve essere puramente oggettivo, né semplicemente deduttivo, ti devi
accertare della situazione. Ci sono delle situazioni in cui è più difficile desumere il consenso.
Il diritto alla salute è una situazione delicata, infatti possiamo ricordare i testimoni di Geova che non
permettono di mettere in atto le trasfusioni di sangue, mettendo in pericolo di vita anche i propri figli
magari.
Fino a che punto è giusto spingersi? Esempio i giornalisti, fino a che punto è giusto raccontare la vita privata
degli altri suoi giornali?
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto
proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all'offesa.
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui
al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa
un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto
all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un
atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di
coazione fisica, da parte di una o più persone .
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Costretto dalla necessità di difendersi un diritto proprio o altrui.
Esempio se c’è un rapinatore che scappa da dietro e io gli sparo da dietro, in questo caso non posso dire
che il rapinatore stava mettendo in pericolo la mia incolumità, perché stava scappando non mi stava
aggredendo. Un pericolo attuale di fronte al quale io ho la necessità di difendermi non ho altre strade.
C’è qualcuno che invade il io terreno alla prossima gli ho dato un pugno, c’era la necessità? No non stavo
subendo nessun tipo di minaccia fisica.
Il soggetto di fronte a un’aggressione si trova davanti a una pluralità di condotte, ho molte opzioni che mi si
presentano davanti e posso scegliere quale mettere in atto.
Il tema più delicato di cui il diritto penale non può non farsi carico è quello del profilo psicologico della
situazione.
Causa di giustificazione serve a dire se hai sbagliato o se non hai sbagliato, motivo per cui la legittima difesa
è condannata a una situazione di controllo costante.
Chiunque s'introduce nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di
essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo ovvero vi s'introduce
clandestinamente o con l'inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di
escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno .
La pena è da due a sei anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose o alle
persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od
altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona(2), pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo .
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo .
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato
dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta
a commetterlo.
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Lezione Diritto Penale – 22 novembre 2021
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L'art. 42 terzo comma introduce il tema della possibile responsabilità oggettiva. Essa
deve fare i conti con il principio di colpevolezza e l'esigenza che gli elementi più
significativi della fattispecie siano in realtà gli imputati almeno per colpa.
Poi abbiamo visto l'uso legittimo delle armi e conciliare le diverse esigenze di tutela.
La legittima difesa e lo stato di necessità che hanno delle caratteristiche in comune,
ma anche delle differenze.
- Nella legittima difesa, il bilanciamento è tra i diritti dell'aggredito e la
proporzione intesa come esclusione del fatto che qualcuno si faccia giustizia da
solo. Quella norma particolare che riguarda la legittima difesa domiciliare,
articolo 51 secondo comma, tratta la possibilità che una persona sia aggredita
nella propria casa o nel proprio negozio. La proporzione c'è, se c'è stata
violazione di domicilio e se non c'è desistenza che porta a problematiche.
- Nello stato necessità invece la valutazione è un po' più stringente perché non
c'è un aggressore, c'è la necessità di sacrificare qualcosa o qualcuno per poter
salvare altro. C'è quella norma che però dice che non deve avere il soggetto un
particolare dovere di esporsi al pericolo.
Le cause di giustificazione rilevano anche dal punto di vista putativo, cioè che ci può
essere una scriminante putativa (io pensavo che fosse una scriminante in realtà non
c'era - pensavo che quel soggetto mi volesse aggredire, ma mi son sbagliato). In
questo caso è punibile a titolo di colpa ed effettivamente quel soggetto dev'essere
stato negligente e ha commesso un errore determinato da colpa.
Può poi accadere un'altra cosa, che il soggetto effettivamente si trova in una
condizione in cui esiste una causa di giustificazione, però nell'agire eccede. La
situazione esiste, ma nella sua reazione va oltre e reagisce in modo sproporzionato.
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Questo caso, se per il delitto previsto anche con delitto colposo, ci può essere un caso
di eccesso colposo (art. 55 CP).
Quindi la causa di giustificazione rileva dal punto di vista oggettivo, possono rilevare
anche dal punto di vista meramente psicologico perché putative, o sotto forma di
eccesso colposo cioè esistono le cause giustificazione ma il soggetto è andato oltre. In
questi casi si parla anche di colpa impropria, perché l'evento è voluto. Secondo l'art.
43 il delitto sarebbe doloso, però considerando questo errore ci troviamo di fronte a
una natura colposa. Quindi se l'errore è su un fatto scriminante giustificativo, allora
questo trasforma il rimprovero in colposo. Questo è previsto dall'art. 59 nelle
circostanze che escludono la pena, rilevano in senso oggettivo, ma il quarto comma ci
dice che rilevano anche se l'agente ritiene per errore che esistono circostanze di
esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui, ma se si tratta di
errore determinata da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto
dalla legge come delitto colposo.
Quindi abbiamo:
- Tipicità
- Antigiuridicità, perché non ci sono scriminanti.
- Colpevolezza: il soggetto è rimproverabile a titolo di dolo o di colpa.
L'art. 56, delitto tentato. Se questa norma ci parla di delitto tentato, significa quindi
che ci sono dei delitti tentati e delitti riusciti. Noi fino adesso abbiamo parlato del
diritto riuscito o dritto consumato (si deve verificare l'evento e la condotta deve
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determinare quel risultato). Se invece l'evento non si verifica, uno potrebbe essere
punito lo stesso. La punibilità del tentativo dipende dalla funzione che noi vogliamo
attribuire, cioè interveniamo quando c'è stata già l'offesa o interveniamo anche se c'è
stata solo un'intenzione che dev'essere stigmatizzata.
Bisogna trovare un criterio per capire il delitto tentato, perché se il delitto non si è
consumato è possibile che qualcuno sia comunque responsabile a titolo di delitto
tentato? E quando e a quali condizioni?
L'art. 56: chi compie atti idonei (non siamo nella sfera nelle intenzioni, ma nella sfera
delle condotte e azioni) diretti in modo non equivoco a commettere un delitto,
risponde di diritto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
Quindi l'azione non si compie e l'evento non si verifica, è quel qualcosa in meno che
ci deve essere rispetto al delitto consumato. Abbiamo detto che l'azione non si
compie perché in alcuni casi ci sono reati di mera condotta.
Es: il furto di mera condotta sta nel fatto che il soggetto ha cercato di strappare la
borsetta e non c'è riuscito.
Il problema è l'elemento che ci vuole in più perché si superi una soglia di non
punibilità: io ho solo desiderato, o magari ho anche cercato di capire come lo potevo
fare il furto. Se si inizia l'esecuzione, poi sarai punito.
Quindi l'art. 56 sceglie un'altra strada, cioè parla di atti idonei. Parla di idoneità
dell'azione ed è un requisito oggettivo, al di là delle tue intenzioni. Gli atti che tu hai
commesso devono essere in grado di determinare la realizzazione di quel fatto.
Esso dice anche che non solo devono essere potenzialmente in grado di determinare
una conseguenza, ma devono essere inequivocabilmente diretti a qualcuno. Dal punto
di vista della tua intenzione, io non faccio un processo alle tue intenzioni
psicologiche, io valuto gli atti e dico che quegli atti non hanno altro possibile
significato che il determinare quella conseguenza. L'inequivocità è importante perché
io pretendo che quell'intenzione, sia un'intenzione che un’azione, a un certo punto si
manifesta. Finché quell'intenzione non si manifesta quel soggetto potrebbe ancora
cambiare idea. È vero che ha la vaga intenzione di fare quell'azione, però finché non
lo fa, io lo punirei solo per un'intenzione. Io invece lo punisco per un'intenzione
messa in pratica quando è idonea e inequivoca. È un comportamento pericoloso, ma
non dannoso. Anche nell'art. 40 dice l'evento dannoso o pericoloso, non ci vuole
sempre un danno perché ci sia un reato. Anche il reato consumato potrebbe essere
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privo di danno (es: incendio, ma non muore nessuno, però tu hai appiccato il fuoco).
Questa norma, che è chiara nella sua struttura e nel suo significato, si basa sulla
volontà, ed essa si forma nel momento in cui si agisce. Questo significa che
l'ideazione lascia il tempo che trova, conta il comportamento. Il problema di questa
norma è che esiste la persona che agisce, però poi dopo esistono le forze di polizia
che devono reprimere quei comportamenti e quindi se c'è uno che vuole uccidere o
rapinare, quando si arresta? Bisogna aspettare che ci sia il morto prima di
intervenire? Questa esigenza di oggettivizzazione del comportamento umano a volte
si deve conciliare col fatto che a certo punto chi indaga poi deve intervenire. Mentre
ci sono situazioni in cui noi valutiamo la situazione a fatti già avvenuti, altre
situazioni in cui in fondo i fatti vengono interrotti dall'intervento delle forze di
polizia. Questo è tanto più vero quanto la condotta del singolo tanto più la condotta
più persone. Se ad agire è un singolo, noi possiamo sempre immaginare che all'ultimo
si tira indietro, quando l'intrapresa criminale coinvolge più persone, è più difficile
pensare che alla fine non si faccia nulla. Già una condotta plurisoggettiva può
apparire ideona e inequivoca.
L'inequivocità fa anche riferimento che da un momento in poi sotto un profilo
oggettivo sembra che il dado sia tratto. I requisiti del tentativo sono: idoneità e
inequivocità.
Il secondo aspetto del tentativo riguarda il delitto, che si chiama delitto tentato e
riguarda il delitto con atteggiamento psicologico di dolo (per alcuni deve essere
intenzionale). Questo tentativo è punito con la reclusione da 24 a 30 anni, se è
prevista la pena di morta. Con la reclusione non inferiore a 12 anni, se si prevede
l'ergastolo, altrimenti con la pena stabilita per il delitto consumato ridotta da un terzo
ai due terzi. Sostanzialmente è punito con la metà della pena, ma con una cornice
ulteriore (1/3 o 2/3) a seconda dei casi.
Poi ci sono altre due norme. Il secondo comma riguarda la cosiddetta desistenza
volontaria, cioè c'è la possibilità che qualcuno stia provando e a un certo punto
desiste. Allo stesso tempo il fatto che lui desista, annulla quel giudizio negativo. Se il
colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto la pena per gli atti
compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso.
Altra ipotesi ancora è quando metto in atto l'azione, ma a un certo punto mi attivo per
impedire l'evento. Non mi fermo prima di aver tenuto la condotta, ma dopo aver
tenuto la condotta che volevo tenere e poi metto in piedi una contro condotta per
impedire l'evento tragico. Se volontariamente impedisce l'evento e soggiace alla pena
stabilità per il delitto tentato diminuita da un terzo alla metà, cioè rispetto alla pena
del delitto tentato c'è un'ulteriore revisione.
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Importante è sapere che esistono due istituti fondamentali per delimitare la
responsabilità penale in forza dei quali a seguito del delitto tentato ci può essere però
o una desistenza volontaria con conseguente non punibilità a titolo di tentativo, o ci
può essere un recesso attivo (volontariamente impedisce l'evento) con conseguente
riduzione del trattamento sanzionatorio previsto per il delitto tentato.
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- L'aver, prima del giudizio, riparato interamente il danno o essersi
spontaneamente ed efficacemente operati per elidere le conseguenze dannose o
pericolose. L'aver cercato comunque di rimediare.
Poi ci sono le attenuanti generiche, per introdurre un ulteriore metodo per scontare la
pena.
Il grosso problema della discrezionalità del giudice è dato da un altro aspetto che
riguarda le conseguenze applicative delle circostanze. Se c'è un'aggravante aumenta
la pena e tendenzialmente aumenta fino a 1/3. Se c'è sia un'attenuante che
un'aggravante, sta al giudice capire quanto è rilevante uno o l'altro. Si apre lo spazio a
una valutazione in concreto, ed è possibile un bilanciamento. Si valuta se son più forti
attenuanti-aggravanti o più o meno si equivalgono. Se si equivalgono non devo
applicare nulla, se prevalgono le attenuanti, applico le attenuanti, se prevalgono le
aggravanti metto le aggravanti. Questo punto è scritto nell'art. 69: concorso di
circostanze aggravanti.
La norma più interessante è la 69. Quando concorrono sia aggravanti che attenuanti,
se le prime sono ritenute prevalenti dal giudice si applicano soltanto gli aumenti di
pena (non si tiene conto delle attenuanti), se invece sono prevalenti le attenuanti non
si tiene conto delle aggravanti.
Il terzo comma ci dice che se il giudizio di bilanciamento porta a un'equivalenza si
applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.
La discrezionalità del giudice diventa enorme perché non solo lui può fare il
bilanciamento, ma può concedere le generiche prevalenti (se le ritiene più forti). In
questo caso si annullano le aggravanti e si riduce la pena di 1/3. Per bilanciare questo,
si prevede che alcune circostanze aggravanti non siano bilanciabili cioè non possono
essere oggetto di un giudizio di prevalenza delle attenuanti.
Le disposizioni del seguente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla
persona del colpevole, esclusi alcuni casi. Se le aggravanti portano a una pena con
una circostanza effetto speciale, possono essere azzerate, ma non ci può essere una
prevalenza delle attenuanti perché il legislatore ha cercato di limitare un minimo il
rischio di questo eccesso di discrezionalità al ribasso. Su alcuni casi è intervenuta la
Corte Costituzionale dicendo che non è giusto perché a volte, per esempio nel caso
della ricettazione, è più rilevante il fatto dell'attenuazione della pena piuttosto che la
serialità secondo la Costituzione. Quindi ci sono delle eccezioni e poi ci sono le
eccezioni che sono state dichiarate costituzionalmente illegittime.
63
L'art. 70 ci fa notare che esistono delle circostanze oggettive e circostanze
soggettive. Alcuni sono fatti che si percepiscono in sé (il danno è grave o meno), altri
riguardano la soggettività, cioè l'atteggiamento, la finalità, il motivo, oppure i
rapporti tra l'agente e l'offeso.
Come per gli elementi costitutivi del reato, ci sono dei dati materiali e oggettivi e altri
soggettivi e psicologici. Il motivo per cui il legislatore fa questa distinzione è un
altro: se più soggetti concorrono nello stesso reato, le circostanze oggettive devono
essere valutate per tutti, quelle soggettive solo per quella persona. Quindi anche il
rapporto tra me e la vittima (dato oggettivo) però è soggettivo perché sarà applicabile
soltanto a me.
Sulle circostanze è la stessa cosa? Anche sulle circostanze ci vuole il dolo? Intanto
per le attenuanti, abbiamo visto l'art. 59 primo comma che dice che le circostanze
che escludono, ma anche quelle che attenuano la pena, sono valutate a favore
dell'agente anche se da lui non conosciuti. Quindi le attenuanti rilevano anche se io
non lo sapevo, invece per le aggravanti c'è stata una modifica normativa che ha detto
nell'art. 59 secondo comma che le circostanze che aggravano la pena sono valutate a
carico dell'agente soltanto se da lui conosciute, ma anche se ignorate per colpa o
ritenute inesistenti per errore. Devono essere conosciute o conoscibili. Basta
l'imputazione colposa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano delle aggravanti, queste non sono valutate.
Però attenzione: abbiamo visto che la scriminante putativa rileva, l'attenuante
putativa non rileva. Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o
attenuanti, queste non sono valutate.
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29 Novembre 2021
Oggi ci occupiamo del concorso di persone nel reato e se mettiamo il c.p. avanti lo facciamo
esaminando le norme contenute negli artt. 110 e seguenti del c.p.
Siamo sempre nella parte generale, (ambito: 1º libro del c.p. norme generali).
Che significa il fatto che ci sia una parte generale e una speciale? Perché un fatto sia
penalmente rilevante deve essere specificamente previsto dalla legge.
Queste norme vengono dette norme incriminatrici, ovvero norme che descrivono un fatto e
sono di parte speciale (c’è un Art. Sul furto o sulla corruzione o sull’estorsione o sulla
percussione).
Poi ci sonno tutte le atre norme, di cui ci siamo già occupati, che aiutano ad interpretare
correttamente le singole incriminazioni.
Queste norme di parte speciale si leggono insieme alle norme di parte generale.
*Vuoto min. Da 6 a 9
Dal punto di vista fenomenico, fattuale, non è sorprendente che più persone agiscano.
Es: in caso di rapina in banca i rapinatori non li immaginiamo agire individualmente, una
rapina in banca richiede la partecipazione di più soggetti.
Perché, però, questo istituto richiede una particolare attenzione? Perché se noi prendiamo le
norme incriminatrici, le stesse norme incriminatrici descrivono una condotta commessa da
una sola persona.
Es: Si dice chiunque cagiona la morte di un uomo e non coloro che cagionano la morte di un
uomo.
Oppure nella corruzione il pubblico ufficiale che riceve denaro indebitamente è punito con.
Ma anche chi ha dato il denaro al pubblico ufficiale risponde allo stesso reato, ovvero
risponde del reato di corruzione.
Quindi noi abbiamo o delle norme che descrivono la condotta di un singolo, o delle norme
che richiedono necessariamente la partecipazione di più soggetti, questi tipi di reati si
chiamano reati a concorso necessario.
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Perché ci sia corruzione ci deve essere un fatto che coinvolga almeno due persone, perché se
manca il corrotto manca anche il corruttore.
Una rissa la possono fare solo una pluralità di soggetti e di gruppi contrapposti.
Quindi noi abbiamo un modello tradizionale in cui il reato viene descritto come mono
soggettivo, Es: chiunque sottrae la cosa mobile altrui (Art.626 cp - Furto)
Altre volte abbiamo, invece, situazioni in cui la descrizione coinvolge il fatto di più persone.
Es: il reato di associazione a delinquere è un tipo di reato che richiede il coinvolgimento di
più persone, in questo caso di almeno 3 soggetti.
In caso di rissa (Art. 588 cp) ci vogliono una pluralità di persone altrimenti difficilmente si
può parlare di rissa.
Quindi non è sorprendente che più soggetti possano concorrere nello stesso reato, ma quello
che va sottolineato è che leggendo la singola descrizione del fatto non ci dicono quante sono
le persone responsabili.
Es: quante sono le persone responsabili della morte di Willy Monteiro?
Dove possiamo trovare un chiarimento che ci aiuta a capire quali sono e quanti sono i
soggetti responsabili?
Perché innanzitutto dobbiamo capire se c’è un fatto di rilevanza penale e se c’è un fatto che
coinvolga almeno un soggetto.
Molto spesso, però, non c’è un unico soggetto che agisce, quindi bisogna capire non solo se
c’è un reato ma in quanti l’hanno commesso.
Nel caso di Ocean’s twelve non ci sono dubbi che tutti abbiamo concorso, ma se eliminiamo
però il contributo di uno dei criminali, sono tutti decisivi quei contributi?
È veramente così importante all’atto pratico il contributo di ognuno dei soggetti? Non è che
se il contributo del soggetto non è decisivo perché l’azione del singolo sia fallita allora non
ha partecipato al furto, quindi al reato.
Se pensiamo sempre ad Ocean’s twelve, qual è l’elemento decisivo che ci fa pensare che
concorrano tutti in quel reato?
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All’inizio del film si vede un accordo, cioè tutti i soggetti si dichiarano partecipi
mostrandosi d’accordo con il programma, dunque con un progetto e poi lo mettono in
pratica.
I comportamenti umani sono interdipendenti gli uni dagli altri, molte azioni sono
consequenziali alle azioni degli altri. Molte delle nostre condotte hanno un senso solo se c’è
stato un accordo con qualcuno.
Es: siamo presenti a lezione se il professore stesso è presente. È un accordo. La presenza del
professore in aula rende possibile la scelta della nostra presenza.
L’accordo può essere formalizzato in vari modi, a volte c’è un’aspettativa di un determinato
comportamento da parte di un’altra persona.
Es: se il professore non comunica l’annullamento della lezione, gli studenti si presentano in
aula lo stesso e agli stessi orari perché l’accordo tra docente e studenti non va
necessariamente rinnovato.
Quindi non si tratta più, come analizzato in lezioni precedenti, di dolo eventuale nel
rapporto con l’evento.
Nel concorso di persona c’è da verificare se un soggetto sta aderendo alla condotta degli
altri, quindi sta partecipando non un’adesione percepibile.
Anche qui il tema dell’omissione diventa un tema delicato, perché in questo caso sto
partecipando al pestaggio (o con la violenza o con le parole che tengo incitando il
pestaggio), se invece sono presente al momento della rissa e non faccio niente
tendenzialmente non si può dire che io partecipi ma il problema negli episodi di questo tipo,
ovvero episodi che si protraggono nel tempo, è difficile che un soggetto resti totalmente
indifferente, in qualche modo ad un certo punto bisogna prendere parte o aderendo e
giustificando o invitando a smettere.
La semplice omissione non può integrare il concorso, salvo che quel soggetto non abbia un
obbligo di tutela.
Es: se io sono il medico che ha in cura un paziente che viene aggredito ho il dovere di
intervenire. Ci potrebbe essere una responsabilità di tipo colposo se non intervengo, ma
anche una omissione di tipo doloso.
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Salvo questi casi di posizioni di garanzia, la mia omissione di solito non è un’adesione o una
partecipazione, ma in alcuni contesti l’indifferenza assoluta a quello che sta avvenendo
suona con una forma di sostegno all’istigazione.
Dal codice: Art. 110, Cap III del titolo IV del libro I, che si chiama concorso di persone.
“Quando più persone concorrono al medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per
questo stabilita.”
Questo articolo non chiarisce quale sia il momento in cui qualcuno concorre, ma ci ha detto
che se concorrono rispondono tutti tendenzialmente allo stesso modo.
Tutti quelli che rispondono ad omicidio volontario verranno reclusi per un periodo non
inferiore ad anni 21, poi ci saranno patteggiamenti o attenuanti, ma la pena di base è quella.
Non c’è ancora la risposta alla domanda quando è che qualcuno concorre. Questa risposta
non è presente nemmeno negli artt. Successivi, che si occupano di questioni specifiche.
Intanto l’art. 111 dice: chi ha determinato a commettere un reato una persona non
imputabile (es: minore di 14 anni) risponde del reato da questo commesso e la pena è
aumentata.
La norma ci sta dicendo che in questo contesto la pena va data al soggetto imputabile
aumentando la sanzione perché sta strumentalizzando la non imputabilità del minore.
Però questa norma ci sta dando una specifica in più sul concorso di persona, perché ci sta
dicendo che c’è la possibilità che si verifichi che un soggetto determini un altro a
commettere un reato.
La norma adesso ci sta parlando di determinazione, cioè quel momento in cui il fatto
descritto dalla norma incriminatrice è posto in essere da un soggetto, ma c’è un atto che
concorre determinandolo ovvero istigandolo, perché in altri artt. troviamo la parola
istigazione
Es: Art. 115 cp “salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si
accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è
punibile per il solo fatto dell’accordo.“ ipotesi di quasi reato in virtù del principio di
offensività, cioè Non vi può essere reato senza offesa un bene giuridico, cioè a una
situazione di fatto o giuridica protetta dall’ordinamento, dunque non è punibile l’accordo
allo scopo di commettere un reato senza che poi il reato sussista.
Nel caso di un accordo per un omicidio, il giudice non punisce il soggetto per aver preso un
accordo, ma può adottare delle misure di sicurezza in quanto si ritiene il soggetto pericoloso
socialmente.
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Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato se L
istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso.
Qualora l’istigazione non sia stata accolta, se si è trattata di istigazione ad un delitto,
l’istigatore può essere sottoposto ad una misura di sicurezza.
Questa norma va presa con precisione perché non va punita l’istituzione in sé, ma quando L
istigazione è accolta, cioè quando quel messaggio istigatore ha prodotto un effetto
psicologico nel destinatario, però poi quel soggetto il reato non lo commetterà.
In qualche modo il codice penale indirettamente alcune cose ce le dice, ci sta dicendo che si
può, di solito, concorrere ad un reato determinando un soggetto a commetterlo, istigandolo a
commetterlo. Vedi Art. 115
Stessa cosa vale per l’accordo, se più soggetti si mettono d’accordo per commettere un reato
e il reato verrà commesso, saranno tutti i soggetti e responsabili del reato.
Dunque possiamo affermare che il concorso di persone si manifesta nel reato doloso, Perché
ha senso l’accordo se c’è una comune volontà.
Infatti se andiamo a prendere l’Art. 113 del codice penale ci parla di cooperazione nel
delitto colposo.
Nel delitto colposo non si concorre, perché non c’è questa dimensione d’accordo, però può
succedere che più condotte finiscano per determinare tutte quante, in ragione della
negligenza avvenuta, lo stesso evento lesivo.
Se è caduto il ponte di Genova, si presuppone che siano stati negligenti più soggetti, non
uno solo.
Nel delitto colposo Quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone,
ciascuna di queste soggiace alle per il delitto stesso.
Mentre nel concorso abbiamo un unico reato a cui tutti partecipano, nel delitto colposo In
realtà c’è una pluralità di fatti colposi indipendenti che sono rilevanti in sé stessi.
Es: operazione chirurgica andata male, medico che dimentica la garza nel paziente, medico
che non controlla la lista degli strumenti ecc.
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Non partecipano allo stesso fatto, ma tutti tengono una condotta che risulta decisiva alla
verificazione dell’evento ovvero la morte del paziente.
Nel caso invece di incidenti stradali: se due passeggeri dello stesso veicolo hanno lo stesso
obiettivo, ovvero quello di arrivare in orario e il passeggero incita il guidatore ad aumentare
la velocità, in questo caso potrebbe esserci un concorso.
La responsabilità della condotta di guida non sarà del passeggero ma del conducente.
Se Invece questo fosse un fatto doloso non avremo dubbi nel dire che anche il passeggero ha
partecipato istigando il conducente.
Quindi anche questa norma sulla cooperazione nel delitto colposo non ci permettere di
mettere a fuoco le caratteristiche del concorso di persona nel reato
Abbiamo visto come l’art. 110 dice che quando più persone concorrono, quelle stesse
persone sono soggette alla pena stabilita di quel reato salvo le disposizioni degli articoli
seguenti.
Questa norma ci dice che alcune precisazioni di diversi livelli di responsabilità dei singoli
sono contenute nelle norme successive, anche se non dice in cosa consiste il concorso.
Art. 111 Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non
punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa
commesso, e la pena è aumentata.
Comma 2 la pena è aumentata al doppio se è un genitore o per i reati più gravi da 1/3 fino a
2/3
Art. 112 è intitolato circostanze aggravanti: La pena da infliggere per il reato commesso è
aumentata:
1. se il numero delle persone, che sono concorsi nel reato, e di cinque o più
2. Perché, anche fuori dei casi preveduti dai due numeri seguenti, ha promosso o
organizzato la cooperazione del reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono
concorsi nel reato medesimo
70
3. Perché, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha determinato a
commettere il reato persone ad esso soggette
4. Perché, fuori del caso preveduto dall’articolo 111, ha determinato a commettere il
reato un minore di anni 18 ho una persona in stato di infermità o di deficienza
psichica, ovvero se comunque è valso degli stessi o con gli stessi a partecipato nella
commissione di un delitto per il quale previsto l’arresto in flagranza.
Ciò denota una criminalità strutturale più elevata perché cerca la partecipazione di più
soggetti. Es nel caso di omicidio di mafia c’è la presenza di più persone che si mette
d’accordo mostrando una volontà a commettere il reato.
Art. 113 Cooperazione nel delitto colposo: nel delitto colposo, quando l’evento è stato
cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite
per il delitto stesso.
Comma 2. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto. Questa è
una norma di non facile interpretazione perché non intuitiva.
Art. 114 Circostanze attenuanti: il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da talune
delle persone che gli sono concorsi nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto
minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la pena.
Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell’articolo 112.La pena può altresì essere
diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando
concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3:04 del primo comma e nel terzo comma
dell’articolo 112
LEZIONE 2 Dicembre
71
Libro secondo
DEI DELITTI IN PARTICOLARE
Abbiamo esaminato giovedì scorso le norme incriminatrici contenute nei primi tre
titoli del libro secondo:
Titolo I. Delitti contro la personalità dello stato (artt. 241-313)
Norme datate legate ad una visione tendenzialmente autoritaria del ruolo dello
stato e volte a sanzionare eventuali condotte – fattispecie di attentato al capo dello
stato, al capo di stato estero.
Diversamente da ciò che avviene di solito dove la norma incriminatrice descrive un
reato consumato, l’at.56 poi, consente di stabilire condizioni della veridicità del
delitto tentato in alcuni casi in particolare nel caso dei delitti contro la personalità
dello Stato è la stessa norma incriminatrice che disciplina una norma di attentato
(Tentativo di uccidere il capo dello stato).
Tutto quello che abbiamo detto rispetto all’offensività del fatto, l’idoneità degli atti
viene superato dal fatto che si sanzioni già una condotta di attentato.
Sono tutte norme con scarse possibilità di applicazione, molte sono legate al
contesto bellico. Le fattispecie tutt’ora applicabili sono quelle che riguardano l’offesa
dei diritti civili dei cittadini, anche se nulla esclude che si possano verificare degli
attentati alle massime cariche istituzionali, e anche le condotte di spionaggio che
possono avere rilevanza nel contesto internazionale.
73
Indebita percezione di prestazioni provenienti dalla pubblica amministrazione
(pensione di invalidità reddito di cittadinanza), chi chiede queste prestazioni senza
averne i requisiti.
Resistenza \ violenza al pubblico ufficiale – commessi dai privati contro la pubblica
amministrazione
Interruzione di pubblico servizio
Omissione di atti di ufficio
Turbativa d’asta, chi deve fare un bando pubblico per acquistare beni o servizi dove
il pubblico ufficiale o privato con violenza, minaccia o altri mezzi turba il
procedimento amministrativo
Frode in pubbliche forniture
Esiste anche l’autocalunnia – faccio finta che mi hanno distrutto il motorino quando
in realtà sono stato io …
Nella simulazione di reato il bene giuridico tutelato è il corretto funzionamento del
sistema giudiziario, nella calunnia abbiamo anche la tutela della persona
ingiustamente accusata.
Infedeltà del patrocinatore, invece che tutelare la sua parte tutela quella opposta
Non c’è diritto di mentire nel sistema americano perché se si scopre c’è una
ripercussione, mentre in Italia l’imputato\indagato può stare in silenzio, mentire o
dire la verità e se mente non incorre in sanzioni future.
Le dichiarazioni dell’accusato non sono usate solo contro di lui ma anche
contro altri accusati.
77
Quando prende in causa gli altri però ha l’obbligo di dire la verità in quanto diventa
testimone, può fare falsa testimonianza solo quando parla di sé, quando è lui in
causa (molto farraginoso però perché bisogna sempre capire se chi parla difende se,
chiama in causa gli altri, sta solo raccontando i fatti che lui ha vissuto … il sistema
americano molto più pratico o stai in silenzio o parli).
Chiamata di correo, oltre a me c’è un correo e io lo dichiaro tale (Io e Mario siamo
colpevoli).
Es. pentito x stragi di mafia.
Abbiamo visto che per i Delitti contro l’amministrazione della giustizia ci sono 2 cause
di non punibilità, molto particolari:
1. Ritrattazione di falsa testimonianza, prima della sentenza uno dice che ha detto
cose non vera
2. Volontà di salvare sé stessi o un prossimo congiunto nella libertà o nell’onore
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La colpevolezza, rimproverabilità del soggetto in chiave psicologica. Questa
rimproverabilità presuppone che il soggetto imputabile viene considerato idoneo
dal punto di vista mentale e fisico.
Titolo IV. Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti
(artt. 402-413)
Capo I - Dei delitti contro le confessioni religiose (1)
Art. 402 - Vilipendio della religione dello Stato
(1) La Corte Costituzionale con sentenza 20 novembre 2000, n. 508 ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale del presente articolo, che così recitava: "Chiunque
pubblicamente vilipende la religione dello Stato è punito con la reclusione fino a un
anno."
Art. 403 - Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone.
Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di
chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la
multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante
vilipendio di un ministro del culto.
Questa rimasta in vigore perché comprende tutte le religioni e non solo quella
cattolica come l’art. 402 c.p.
Art. 404 - Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o
danneggiamento di cose.
Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico,
offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che
formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate
necessariamente all'esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di
funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con
la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente
distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino
oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente
all'esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni.
Art. 405 - Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa.
Chiunque impedisce o turba l'esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del
culto di una confessione religiosa (1), le quali si compiano con l'assistenza di un
ministro del culto medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico
o aperto al pubblico, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia, si applica la reclusione da
uno a tre anni.
(1) Le parole: “del culto cattolico” sono state così sostituite dall’art. 9 della L. 24
febbraio 2006, n. 85
Art. 406 - Delitti contro i culti ammessi nello Stato. (1)
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(1) L'articolo che recitava: "Chiunque commette uno dei fatti preveduti dagli articoli
403, 404 e 405 contro un culto ammesso nello Stato è punito ai termini dei predetti
articoli, ma la pena è diminuita." è stato abrogato dall'art. 10, L. 24 febbraio 2006,
n. 85.
80
Fuori dei casi di cui all'articolo 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi
precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è
aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso
attraverso strumenti informatici o telematici. (1)
(1) Comma aggiunto dall’art. 15, comma 1 bis, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144,
convertito con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155 e, successivamente, così
modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 2, D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito,
con modificazioni, dalla L. 17 aprile 2015, n. 43.
(2) Comma così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 1, D.L. 18 febbraio 2015,
n. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 aprile 2015, n. 43.
Norma molto importante dal punto di visto storico per il contrasto alla
criminalità mafiosa perché in alcune situazioni si è rilevato più agevole
dimostrare che tizio faceva parte di un’associazione mafiosa piuttosto che era
responsabile di una determinata estorsione o rapina.
Motivo per cui questa norma ha assunto una simile importanza.
Anche il fatto di evidenziare come una condotta di appartenenza ad
un’associazione mafiosa sia in termine di associazione sia in termini di
favoreggiamento, queste situazioni conferiscono a quelle condotte un
disvalore\offensività peculiare (falsificare i passaporti per l’immigrato
clandestino non è la stessa cosa che falsificarli per i mafiosi, riciclare denaro per
la mafia non è uguale come per quelli che hanno ottenuto reddito di
cittadinanza indebitamente).
83
Oggi, le associazioni mafiose operano sia tramite minaccia e violenza ma anche
tramite corruzione della pubblica amministrazione. Ciò rende l’associazione mafiosa
pericolosa.
(perché la gang di periferia si attua omertà e assoggettamento ma non cerca il
controllo del bene pubblico).
Art. 110 e 416bis c.p. possono esser uniti? La risposta è favorevole e trova vita nel
concorso esterno senza associazione
Il reato sta nel fatto che io vengo affiliato o che io svolgo un ruolo? In realtà per
come descritto è per associazione, anche se nella maggior parte io mio ruolo da
associato verrà dimostrata con la mia partecipazione.
Quindi, anche solo chi dà una mano senza essere affiliato può essere perseguito?
Però alla fine io o ne faccio parte o no, ma se non ne faccio parte è associazione
esterna perché concorro senza esserne associato (artt. 110+416bis c.p.)
Artt. 110+416 normale si può? Si, ma non viene fatto in quanto non ha senso perché
chi concorre esternamente alla fine partecipa anche lui, e anche perché chi
partecipa all’associazione e chi concorre esternamente se scoperto è soggetto alla
stessa sanzione.
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Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, al fine di uccidere, compie atti
tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte
di più persone, con la morte
Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l'ergastolo. In ogni altro caso
si applica la reclusione non inferiore a quindici anni [c.p. 28, 29, 32]
Art. 423 - Incendio
Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni
La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se
dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica
Art. 423 Bis - Incendio boschivo
Chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali
destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a
dieci anni.
Se l'incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione
da uno a cinque anni.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall'incendio
deriva pericolo per edifici o danno su aree protette.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se
dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente
Art. 426. Inondazione, frana o valanga.
Chiunque cagiona un'inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è
punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
Art. 427 - Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga.
Art. 428 - Naufragio, sommersione o disastro aviatorio.
Art. 429 - Danneggiamento seguito da naufragio.
Art. 430 - Disastro ferroviario.
Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a
quindici anni.
Art. 431 - Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento.
Art. 432 - Attentati alla sicurezza dei trasporti.
Art. 433 - Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas ovvero
delle pubbliche comunicazioni.
Art. 433-bis - Attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari ( 1)
Art. 434 - Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi.
Sono i così detti disastri, i quali possono essere sia colposi che dolosi
Non è facile definire cosa sia l’inquinamento perché sono tante le condotte di
inquinamento.
Difficile definire questi temi, tutti siamo d’accordo sul fatto che l’ambiente debba
essere tutelato, cosa significa offesa all’ambiente poi tutto è da verificare.
87
qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce
un altro delitto contro la fede pubblica con la reclusione fino a un anno.
Titolo VIII. Dei delitti contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio (artt.
499-518)
Tornate in attività con il Covid (prezzo mascherina, tampone ecc..), erano state
in uso nell’epoca fascista.
Art. 501 Bis - Manovre speculative su merci (1)
Fuori dei casi previsti dall'articolo precedente, chiunque, nell'esercizio di qualsiasi
attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta,
accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di
prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato
interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a
euro 25.822.
Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro
sul mercato interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e
nell'esercizio delle medesime attività, ne sottrae all'utilizzazione o al consumo
rilevanti quantità.
L'autorità giudiziaria competente e, in caso di flagranza, anche gli ufficiali e agenti di
polizia giudiziaria procedono al sequestro delle merci, osservando le norme
sull'istruzione formale. L'autorità giudiziaria competente dispone la vendita coattiva
immediata delle merci stesse nelle forme di cui all'articolo 625 (2) del codice di
procedura penale.
La condanna importa l'interdizione dall'esercizio di attività commerciali o industriali
per le quali sia richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione,
autorizzazione o licenza da parte dell'autorità e la pubblicazione della sentenza (3).
Titolo IX. Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume (artt. 519-544)
Art. 519 - Della violenza carnale. (2)
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale è punito
con la reclusione da tre a dieci anni [c.p. 29, 30].
Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona, la quale al
momento del fatto:
1. non ha compiuto gli anni quattordici [c.p. 539];
2. non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole ne è l'ascendente [c.p. 540] o
il tutore [c.c. 346, 357, 360], ovvero è un'altra persona a cui il minore è affidato per
ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia [c.p. 61, n. 11];
88
3. è malata di mente, ovvero non è in grado di resistergli a cagione delle proprie
condizioni d'inferiorità psichica o fisica, anche se questa è indipendente dal fatto del
colpevole;
4. è stata tratta in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
90
Cap IV - Dei delitti contro l'assistenza familiare
Art. 570 - Violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una
condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di
assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge, è punito
con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. ( 1)
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al
lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua
colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1
e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente
comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più
grave reato da un'altra disposizione di legge.
Il furto è in qualche modo il delitto che le classi sociali meno abbienti cercano attraverso l'illecito di
superare questa loro situazione di difficoltà finanziaria. Oggi la giurisdizione ambisce a diventare
una forma di verifica e di controllo anche dell’agire del potere costituito, anzi, a maggior ragione
91
tanto più un soggetto ha un ruolo rilevante nella società, tanto più corre il rischio di essere oggetto
di attenzione e quindi anche di contestazione da parte della giurisdizione penale.
Complessivamente oggi, nei paesi europei, in particolare in Italia, la funzione della giurisdizione
penale è totalmente trasformata. Ciò non toglie però che i delitti contro il patrimonio continuano a
rivestire un’importanza significativa perché la leva economica è una leva che motiva la stragrande
maggioranza dei comportamenti umani e le forme tradizionali sulle quali si cerca di ottenere un
beneficio economico sono quelle previste dal codice penale nel Titolo che riguarda
______________________________________. Dobbiamo considerare non soltanto quindi che è
mutato il paradigma e quindi il diritto penale non può più in alcun modo essere considerato come lo
strumento “i ricchi si proteggono dai poveri”, per schematizzare al massimo, ma oltre a questo c'è
un altro aspetto che è legato alle trasformazioni economiche della società capitalista. Se voi
pensate a una società pre capitalista, una società aristocratica o contadina, la ricchezza è un dato
immanente, cioè la visione che abbiamo del patrimonio è molto più statica e meno dinamica,
difficilmente l'evoluzione che il soggetto può determinare attraverso la sua attività, e così via, può
mutare questa condizione di partenza. Il ricco tendenzialmente rimane ricco e il povero rimane
povero, anche perché in mancanza di attività di impresa significative, trasformazioni della
condizione personali si verificano molto molto di rado. Nella società successiva, diciamo prima
quindi di capitalismo industriale, e poi finanziario, il patrimonio viene considerato sempre più
spesso in una prospettiva dinamica, cioè non conta quello che io ho oggi, ma quello che io sono in
grado di produrre e di acquisire. Es. concreto: la Tesla è un’azienda che vale una cifra enorme
anche se non produce utili perché si ritiene che potrà farlo in futuro.
I delitti tradizionali contro il patrimonio, il furto, la truffa, la rapina, l'estorsione guardano al
patrimonio in una dimensione stabile. Una persona ha dei beni, io per portarglieli via o glieli sfilo, o
lo inganno oppure lo costringo con la forza; eventualmente se quella persona è incapace lo posso
circuire: circonvenzione di incapace, ma oggi non è soltanto questo il reato mosso da un intento
patrimoniale, ci sono le dinamiche dei reati fallimentari, delle bancarotte, molto più spesso quello è
conta è il comportamento infedele anche di un soggetto privato. Ma perché io che sono un
avvocato in auto importante piuttosto che rubare basta che convinco il capo dell’ufficio legale di
una grande azienda a darmi tutta una serie di incarichi e a pagarmi lautamente e io divento ricco.
Questa sarebbe un’ipotesi di corruzione privata. L’offesa di natura economica oggi è mutata e ad
incorrere in responsabilità per queste ipotesi tradizionali sono sempre le classi economiche magari
disagiate mentre invece in altre classi sociali l'eventuale delitto mosso da un intento economico si
materializza in altro modo. I reati contro il patrimonio non sono più così centrali nell'ambito della
criminalità economica del profitto.
Dando un’occhiata ai reati contro il patrimonio cominciamo ovviamente dall'articolo che riguarda il
furto, l’articolo 624 del Codice Penale: rubare vuol dire impossessarsi della cosa mobile altrui. Ci
sono poi tutta una serie di aggravanti, il furto è quasi sempre aggravato.
Il ladro si appropria della cosa altrui sottraendola a chi la detiene.
Un altro caso è l’appropriazione indebita: il reato di chi detiene una cosa perché gli è stata affidata
da un terzo, ma se ne appropria.
Articolo 628: riguarda la rapina. La rapina si effettua con minaccia o con violenza; in questo caso
uno si impossessa della cosa mobile altrui attraverso la violenza o la minaccia.
Si distingue rapina propria e rapina impropria perché a volte la violenza e la minaccia non sono
funzionali allo spossessamento, ma possono essere funzionali alla conservazione del possesso
dopo lo spossessamento già avvenuto. Nel caso della rapina le pene sono molto elevate: pena
della reclusione da quattro anni e mezzo a vent'anni se sussistono tutta una serie di aggravanti, in
particolare se ci sono più persone riunite, se c'è la persona travisata, il passamontagna, o se ci
sono reati, oppure se avviene in domicili pubblici, in dei negozi.
Un altro reato di pari gravità rispetto alla rapina è l’estorsione. Nell’estorsione non c’è la sottrazione
della cosa, c'è sempre la violenza e la minaccia, che serve però a costringere qualcuno a fare
qualcosa, es. a darmi dei soldi; es. o tu firmi quel contatto oppure ti rompiamo il negozio. Poi c'è il
sequestro di persona a scopo di estorsione: in questo caso c’è il sequestro della persona (è un
reato che esiste di per sé, 605 del codice penale, consiste nel privare qualcuno della libertà
personale).
Es. il reato contestato a Salvini: non far sbarcare qualcuno non significa privato della libertà, quindi
la privazione della libertà presuppone che sia io a tenerti ostaggio, qui invece è la situazione che ti
92
rende ostaggio, io non ti faccio sbarcare, tu vorresti sbarcare e non hai altri obiettivi se non
sbarcare e quindi resti bloccato sulla nave.
Se avviene un sequestro di persona per ottenere il denaro, cioè per conseguire un ingiusto profitto
come prezzo della liberazione, il reato è quello del 630 ed è molto più grave perché si va da 25 a
30 anni invece che da sei mesi a otto anni. 630: sequestro a scopo di estorsione.
Anche il danneggiamento è un reato contro il patrimonio. Il danneggiamento è un reato doloso
quindi presuppone dolo. Poi arriviamo alla truffa. La truffa è un reato molto più sofisticato di quello
che voi potreste pensare. La truffa è un reato molto particolare che presuppone che lo
spossessamento, o comunque il danno patrimoniale, avvenga per la base di una libera
disposizione da parte della persona offesa, cioè c'è qualcuno che deve fare un assegno, deve
consegnare i beni. Non c'è violenza, non c'è minaccia, non c'è sottrazione, il problema è che lo fa
perché il soggetto è indotto in errore, ritiene che le cose stiano in un modo, invece stanno in un
altro. Chi lo ha indotto in errore? Lo ha indotto in errore il truffatore con artifizi e raggiri. Artifizi e
raggiri inducono in errore, sulla base dell’errore la persona compie un atto di disposizione
patrimoniale da cui deriva un danno ingiusto per lui e un vantaggio per il truffatore.
Poi c’è la circonvenzione di persona incapace, il 643 del Codice Penale: questo è un reato sempre
difficile da ravvisare, soprattutto oggi. Che è successo? che la vita si è allungata e gli anziani con
la testa sì ci stanno e non ci stanno, però in molti casi gli anziani semplicemente invece di lasciare
i soldi ai loro eredi preferiscono farne altro utilizzo, es. c'è chi si innamora della badante, c'è chi
decide di andare a giocare al casinò. Quanto questo è frutto della circonvenzione di qualcuno che
ha interesse e quanto non ha invece tutto della determinazione del soggetto? Oggi esiste un
istituto che si chiama Amministrazione di sostegno e che fa sì che in alcuni casi l’anziano sia
supportato da un amministratore di sostegno, quindi che non possa liberamente disporre del suo
patrimonio.
Nella circonvenzione di incapace la differenza rispetto alla truffa è che non c'è tanto un problema
di artificio o raggiro, c’è uno sfruttamento della scarsa lucidità, della scarsa capacità dell'anziano,
dell’incapace. “Chiunque per procurarsi un altrui profitto abusando dei bisogni, delle passioni o
dell’inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dell’infermità o deficienza psichica di
una persona la riduce a compiere un atto pregiudizievole”.
Articolo 644: usura. L’usura significa prestare soldi richiedendo un corrispettivo esagerato che
addirittura è parametrato al doppio di tasso legale stabilito dalla Banca D’Italia per quel tipo di
operazioni, perché poi gli interessi poco o molto, non è facile quantificarli, dipende dalla situazione
quindi si è deciso di fare riferimento a dei dati riconoscibili in ossequio al principio di legalità, la
specificità della possibilità di conoscere praticamente l'oggetto del precetto. “Chiunque si fa dare o
promettere utilità, interessi o altri vantaggi”. Sono usurari gli interessi oltre il limite stabilito dalla
legge e poi costano comunque essere in alcuni casi valutazione in concreto.
Articolo 646: appropriazione indebita.
Articolo 648 ricettazione e 648 bis riciclaggio. In che consistono? Il ricettatore è quello che di solito
riceve i beni di provenienza furtiva o delittuosa in generale e se li rivende. È qualcuno che riceve a
scopo di profitto dei beni di provenienza delittuosa. (Anche quello che si compra il motorino rubato,
ma se non sa che è rubato manca il dolo e quindi non c’è reato).
Il riciclaggio invece, che è un reato più grave, consiste nella trasformazione del profitto del reato, a
scopo di occultamento. Non è soltanto che io traggo un vantaggio dall'acquisizione di beni di
provenienza illecita, io faccio di più, io li trasforma in modo che non siano riconoscibili. Riciclaggio
va da 4 a 12 anni.
PROCESSO PENALE:
93
Perché nel diritto penale questo accertamento in contraddittorio è importante? Lo stato per poter
infliggere la sanzione penale deve dare la possibilità al singolo di difendersi, altrimenti l'equilibrio
tra tutela dell'individuo ed esigenza dello Stato sarebbe totalmente squilibrato.
Il processo penale è garanzia di libertà individuale. Questa garanzia presuppone che il processo si
svolga in un certo modo rispettando alcuni principi. Quali sono?
-Giudice terzo ed imparziale. Terzo rispetto a chi? Rispetto alle parti che sono l’accusa e la difesa.
L’accusa è rappresentata dal Pubblico Ministero. Terzo e imparziale presuppone una equidistanza
rispetto alle parti, quindi anche in relazione ai rappresentanti delle parti: PM e avvocato difensore.
(Imparzialità del giudice, però imparziale è una valutazione che alla fine riguarda la decisione,
l'esito; è l’esito a cui aspiriamo)
-La giustizia è amministrata in nome del popolo: il processo deve essere pubblico. Ci deve essere
la possibilità per tutti di seguirlo.
Ci sono dei casi particolari in cui è a porte chiuse, tendenzialmente però il dibattimento non può
essere a porte chiuse, sarebbe una violazione dei principi soprattutto per la Corte Europea dei
diritti dell’uomo. Questo di solito avviene o perché c’è una scelta a monte della difesa oppure nei
reati in cui la vittima è esposta, es. reati a sfondo sessuale, ecc…sono forme di limitazione a tutela
della vittima.
-Come si dimostra quello che è avvenuto? Testimonianze. Le carte ti danno degli elementi, ma poi
è il contributo di altre persone che spesso consente di costruire che cosa è avvenuto. La
testimonianza può avere ad oggetto non soltanto il fatto da provare, ma anche tanti altri elementi
che poi diventano fondamentali per la ricostruzione del fatto in sé.
Il giudice ascolta i testimoni. È il principio di oralità e contraddittorio.
Se il giudice non avesse la possibilità di sentire i testimoni in una situazione in cui i testimoni
vengono messi sotto pressione, quindi si tende a far emergere l'effettiva credibilità o meno, non
sarebbe in condizione di valutare quelle testimonianze. Solo attraverso oralità c’è questa possibilità
di verifica. Non solo perché chi ha raccolto la testimonianza potrebbe aver avuto un interesse in un
senso o nell'altro, ma perché i testimoni non sono attendibili per natura, possono esserlo o meno.
Es. caso di Rignano Flaminio: tutte le mamme dei bambini si erano convinte di una certa dinamica,
in buona fede. La testimonianza è uno strumento di prova molto meno affidabile di quello che si
può si può immaginare. È necessaria la cosiddetta cross-examination, ma poi in generale bisogna
garantire il contraddittorio perché potrebbe essere che la difesa sia in condizioni di portare un
unico testimone che però smentisce tutta la costruzione che c’è stata fino a quel momento.
Questo è quello che c’è scritto a grosso modo nell’articolo 111 della costituzione. Questo articolo è
stato integrato alcuni anni fa. L’articolo 6 della Convenzione sui diritti umani non è esattamente
sovrapponibile, ma esprime gli stessi principi: diritto a un processo equo.
-Principio dell’immediatezza: se facciamo la verifica nell’immediatezza forse riusciamo a capirci
qualcosa, se facciamo un processo a distanza di 15 anni diventa più complesso e l’oralità viene
meno.
-Un altro principio fondamentale che sta scritto nel 111 è che poi quando all’esito del processo di
arriva a un provvedimento, il provvedimento deve essere motivato, cioè non basta che io dico che
l'imputato è colpevole, devo spiegare perché è colpevole. L’autorità della mia decisione non è da
solo sufficiente, deve essere la logica che lo suffragia, e questo è importante per 2 motivi: 1.
rispetto al principio di pubblicità consente una verifica e quindi anche una critica, 2. dà senso ai
giudizi di impugnazione successivi. Quando io vado a fare appello contro una decisione lo faccio
sulla base della motivazione che sarà per ____________________________________, se non ci
fosse la motivazione esisterebbe un nuovo processo, ma non esisterebbe l’impugnazione.
L’impugnazione presuppone che si parta da una determinata ricostruzione, che poi può essere
messa in discussione in toto, possono essere messe in discussione delle parti, delle questioni di
diritto o di fatto, ma c'è comunque una motivazione, anche perché la ricostruzione logica dei fatti
non sempre riesce in prima battuta perché tanto più una vicenda richiede una valutazione
congiunta di tanti aspetti tanto più è probabile che quello che è chiamato a decidere ne valuterà
correttamente alcuni e male degli altri, è fisiologico. Le impugnazioni fanno sì che l'avvicinamento
della verità processuale alla verità storica possa avvenire anche per gradi.
La logica della pluralità dei gradi di giudizio è uno degli aspetti che caratterizza gli ordinamenti
europei rispetto a quello statunitense dove non c'è il secondo grado di giudizio, ci può essere una
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revisione del giudizio. È uno strumento fecondo quello della motivazione e dell'impugnazione, non
è necessariamente una ridondanza.
Quello che non funziona tanto anche da noi è che per una serie di motivi tutti i processi finiscono
per essere sottoposti a tre gradi di giudizio, ovviamente può essere un motivo di
malfunzionamento. Questo succede per 2 motivi: 1. sarebbe il fatto che attraverso l’impugnazione
potrebbe maturare la prescrizione, 2. l’impugnazione rinvia il momento di esecuzione della pena, la
presunzione di innocenza vale fino alla condanna definitiva.
La misura cautelare non c’è perché si va in Appello, o c’era anche prima e quindi eventualmente
rimane anche durante l’Appello, o non c’è e se non c’è non glielo si mette dopo il primo grado.
Se dopo la condanna definitiva emergono nuove prove che potrebbero portare a un giudizio di non
colpevolezza è possibile chiedere la revisione. Se succede il contrario non si può sovvertire un
verdetto definitivo di assoluzione per il principio del ne bis in idem: il cittadino che sto processando
ad un certo punto prima o poi dovrò lasciarlo libero, non può rimanere processato a vita.
C’è chi sostiene che già in caso di assoluzione in primo grado non si debba concedere l’appello al
PM, era stata fatta una riforma di questo tipo, ma è stata giudicata incostituzionale. L’appello del
PM perché c’è un principio di parità di parti, se il giudice sapesse che assolvendo non può
giudicare nessuno sarebbe una situazione anomala, potrebbe anche non essere vantaggiosa per
l’imputato. Se si crede che alla verità a volte si arriva per gradi questo può valere in un senso o
nell’altro.
Il limite temporale ci deve essere, è la garanzia contro l’arbitrio. Io posso decidere a quel punto di
mandare avanti il processo contro XX e di non mandare avanti quello contro YY. È una garanzia di
certezza anche sullo svolgimento processuale. Se il processo dura più di un certo limite sarebbe
dovuto un risarcimento per l’ingiusta durata del procedimento.
Se questo è il processo, l'indagine a che serve? Le indagini devono essere funzionali al processo,
e verificare se vi siano responsabilità penali di alcuni soggetti.
Con il codice nuovo del 1988 si è voluto introdurre in Italia il cosiddetto rito accusatorio, che è il
tipico sistema processuale anglosassone. Che vuol dire? Vuol dire che il processo ricomincia da
capo, in contraddittorio, davanti a un giudice terzo e imparziale. Vuol dire che tra le indagini e il
processo c’è una apertura, mentre il rito cosiddetto inquisitorio cerca di fare in modo che le indagini
poi trovino continuità nella successiva verifica processuale, cioè che il processo si svolga sempre
partendo da quello che è emerso dalle indagini.
Il problema del rito inquisitorio è che così facendo chi indaga riesca in qualche modo a plasmare la
realtà e che il contraddittorio alla fine sia molto limitato. Allo stesso tempo è chiaro che il rito
accusatorio è molto faticoso e costoso, bisogna ricominciare da capo. Tutte le situazioni in cui non
ci sarebbe bisogno di ricominciare da capo finiscono per essere sottoposte allo stesso
meccanismo che è molto faticoso e costoso. Nel sistema anglosassone molte vicende si risolvono
col patteggiamento.
Questa riforma è andata in crisi un po’ perché troppi processi vanno in dibattimento, ma soprattutto
perché garantire la correttezza nella fase delle indagini non sembrava così importante perché poi
si fa il processo e l’imputato sarà assolto. Quindi la polizia non avrebbe interesse a fare indagini
forzate perché il processo è destinato a smascherarle, ma se invece succede che il processo dura
una vita e non si sa se si fa e quello che dovrebbe essere il segreto istruttorio che fa sì che la fase
delle indagini resti riservata e segreta non viene rispettata, a quel punto è chiaro che chi svolge le
indagini non avrà più di mira l’obiettivo del processo, che è un obiettivo incerto e insicuro, ma
l’obiettivo di dare significato alla sua indagine subito, adesso perché questo gli darà promozioni,
notorietà, ecc.…e l’imputato inizia già a subire il pregiudizio. Questo fa saltare tutto il senso di
meccanismo di equilibrio che dovrebbe essere garantito dal rito accusatorio perché crea un
sistema in cui le indagini assumono una funzione autonoma rispetto al processo. Questo finisce
per ingolfare ulteriormente il processo perché le indagini non saranno state costruite per l’effettiva
esigenza di prova. Ci sono i processi in cui l’accusa non ha le prove e sono processi che non si
fanno perché è l’accusa che preferisce aspettare. In molti casi la prescrizione può essere un esito
che sta bene all’accusa perché lascia forte il valore delle indagini svolte.
Abbiamo individuato la fase delle indagini preliminari. Chi sovraintende alle indagini? Il PM dirige le
indagini. La notita criminis da dove proviene? Spesso la polizia giudiziaria deve informare il PM se
ha notizia di un reato. La polizia giudiziaria può aver avuto la notitia criminis in vari modi oppure
direttamente dalla persona offesa o da un privato cittadino.
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Il fatto che il PM debba partire da una notitia criminis è una garanzia rispetto al rischio che il PM
invece di essere un recettore oggettivo della notitia criminis si trasformi in uno che va lui a cercare i
reati. Quindi il PM iscrive nel registro delle notizie di reato in cui vengono scritte le notitiae criminis.
Il procedimento potrebbe essere contro ignoti, o contro persone individuate. Sulla base di queste
notitiae criminis si svolgono delle indagini che spesso vengono delegate dal PM alla polizia
giudiziaria. Qualche volta il PM può sentire le persone lui direttamente.
Poi ci sono i mezzi di acquisizione della prova. Come si acquisisce la prova? Ci sono le
perquisizioni, sequestri, si va in un posto e si vede se si trovano le cose che si cercano, si
ispeziona una persona per vedere se ha addosso la droga, intercettazioni telefoniche, il Trojan che
è uno strumento particolare d’intercettazione perché non si sente più la telefonata soltanto in
corso, ma si può fare una intercettazione ambientale, le cosiddette microspie. Ora si potrebbe fare
la stessa cosa usando il Trojan.
Poi c'è l'interrogatorio e quindi fermo restando la possibilità per una persona di non rispondere,
anche quello è un mezzo per acquisire delle prove. Possono essere prove a suo favore o prove
contro di lui, o possono essere prove contro altri.
Quindi durante le indagini può accadere che l’indagato non sappia niente perché l'indagine
inizialmente è riservata e segreta, poi invece può anche accadere che alcuni atti, come la
perquisizione rendano inevitabile dargli l’avviso, o anche l'interrogatorio; se voglio interrogare devo
fargli sapere che è accusato. Questi sono gli atti garantiti, quindi in quei casi avviso la persona, gli
do la possibilità di nominare un avvocato e se vuole di presentare delle memorie. Queste indagini
hanno un tempo prestabilito di 6 mesi prorogabili per altri 6, spesso non vengono rispettati però.
Alla fine delle indagini che succede? Il PM deve decidere se chiedere l’archiviazione o chiedere il
rinvio a giudizio. A chi lo chiede? Al GIP. Cioè un giudice che dovrà dare il suo assenso o alla
richiesta di archiviazione o alla richiesta del rinvio a giudizio. Però prima di decidere c’è un onere:
se per caso ritiene di chiedere il rinvio a giudizio deve dare la possibilità all’indagato di difendersi,
lo deve informare dell’accusa quando ha finito, gli mette a disposizione tutti gli atti d’indagine e gli
dà la possibilità nei termini di 20 giorni di presentare memorie, prove, ecc.… Questo si chiama
avviso di conclusione delle indagini preliminari. Se lo archivia non deve dire nulla all’indagato, se
rinvia a giudizio lo deve avvisare. Si chiama la cosiddetta discovery: vengono messe a
disposizione tutti gli atti, l’indagine è finita e non c'è più nulla da nascondere. Se c’è l’archiviazione
la vittima può opporsi alla richiesta di archiviazione e il giudice deciderà. Il giudice può richiedere
altri accertamenti o richiedere un’ordinanza di imputazione coatta.
Se invece, anche dopo l’avviso di conclusione delle indagini resta convinto della sua decisione
chiede il rinvio a giudizio dell’imputato. Si fa tendenzialmente un’udienza preliminare, (per i reati
meno gravi è il PM che esercita direttamente lui l’azione penale, non ha bisogno di un controllo del
giudice).
Il PM chiede il rinvio a giudizio e in questa udienza in cui si discute il contraddittorio il giudice
decide se rinviare o meno a giudizio. Questa udienza filtro non funziona per 2 motivi: uno è legato
alla separazione del _____________________ e un altro legato all’atto di perizia
(?)______________________
L’avvocato dell’accusa, quello che nel processo sostiene le ragioni dell'accusa, non è quasi mai la
stessa persona che ha seguito le indagini.
La sentenza non luogo a procedere non è una sentenza irrevocabile. È possibile l’apertura sia in
caso di archiviazione, sia una revoca della sentenza.
Rinvio a giudizio e inizia il processo.
Misure cautelari. A che servono? Si applicano quando c’è il rischio che l’esito del processo non
possa poi tradursi nell’esecuzione della misura corrispondente; per l’esigenza di assicurare lo
svolgimento corretto; per la tutela della propria attività rispetto al rischio che quel soggetto non è
stato ancora condannato e possa commettere altri reati= reiterazione del reato; inquinamento
probatorio; _______________.
Le misure cautelari presuppongono gravi indizi di colpevolezza e queste esigenze cautelari:
custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, obbligo di firma alla polizia giudiziaria,
obbligo/divieto di dimora, divieto di avvicinarsi luoghi frequentati dalla persona offesa.
Sotto il profilo economico ci possono essere i sequestri per evitare che si commettano altri reati
con i beni sequestrati, oppure per evitare che un'ipotetica confisca non possa essere disposta.
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Anche sulle misure cautelari ci sono delle forme di impugnazione. Il PM chiede l’arresto
segretamente, il GIP gliela dà, eseguono l’arresto. A quel punto si può impugnare il provvedimento
dinanzi al Tribunale del riesame, ed eventualmente la decisione del riesame si può impugnare in
Cassazione.
Da noi non esiste la libertà su cauzione; il senso è, la garanzia economica che viene prestata
consente di attenuare il pericolo che tu commenta una di queste condotte.
Es. chi sta agli arresti domiciliari deve rispettare gli arresti domiciliari, se prestasse una garanzia
economica sul fatto che rispetti i domiciliari sarebbe ancora più sicuro.
Riti alternativi. A che servono? Tendenzialmente servono a fare prima secondo meccanismi
diversi.
1. Il patteggiamento che è un accordo.
2. decreto penale di condanna. Invece che fare il processo, già ti dico la pena che ti vogliamo dare,
è molto bassa; se invece fai opposizione si va al processo. L’accusato ha tempo 15 giorni per fare
opposizione, se non fa opposizione passa in giudicato.
3. Rito abbreviato. Come funziona? Si decide sulla base degli atti raccolti dal PM: si rinuncia al
dibattimento. Esiste anche il rito abbreviato condizionato, l’imputato chiede un’integrazione.
Dopo l’abbreviato il giudice mi applica la pena scontata di ⅓. L’abbreviato si fa per 2 motivi: o
perché si è convinti di avere una assoluzione o perché male che vada uno si porta a casa lo
sconto di pena. Il rito abbreviato, a differenza di 1 e 2, ti permette di fare l’Appello.
Es. processo Stasi.
4. Il giudizio immediato. O lo chiede l’imputato, oppure lo chiede il PM, ma sostenendo che ci
sarebbero prove evidenti.
Oltre alle misure cautelari ci sono anche le misure precautelari, che sono quelle predisposte dalla
polizia giudiziaria: arresto in flagranza e fermo di indiziato di delitto.
Arresto in flagranza: nelle successive 48 ore il PM deve chiedere la convalida dell’arresto e nelle
successive 48 ore un giudice la deve convalidare. Dura tutto 4 giorni. Dopo questi 4 giorni è il
giudice che decide se vuole applicare la misura cautelare o lasciarlo libero.
Flagranza vuol dire che il reato è in corso nel momento in cui la polizia interviene.
Il fermo si fa quando c’è il pericolo di fuga.
Il dibattimento.
Si compone di varie fasi:
1. Questioni preliminari: la difesa può contestare il procedimento eseguito in quel momento
perché il processo deve iniziare regolarmente. L’imputato è avvisato, le notifiche sono
regolari.
2. Richieste di prova. Il giudice guarda se ammettere le prove. Ammette quelle rilevanti,
elimina quelle inutili. Non valuta il risultato di quella prova perché non può sapere quale
sarà il risultato.
3. Dopo che sono state ammesse le prove si procede all’acquisizione delle prove. I documenti
vengono prodotti e acquisiti, i testimoni vengono sentiti, i periti vengono incaricati. Tutta
questa parte si chiama istruttoria dibattimentale. Istruire il processo vuol dire raccogliere
elementi di prova in contraddittorio.
4. Il giudice invita le parti a concludere. Prima dice la discussione finale, prima la requisitoria
del PM, poi arringa difensiva. Poi il tribunale si ritira in camera di consiglio e decide.
Volendo potrebbe non decidere, ma ritenere necessaria l’assunzione di altre prove.
5. Il giudice decide, legge il dispositivo a conclusione della sua decisione. La motivazione
verrà predisposta dopo la decisione entro un certo tempo. Perché? Perché si vuole
garantire il fatto che la decisione venga emessa a caldo dopo la discussione. Poi viene
specificato il percorso logico seguito.
Poi ci può essere il secondo grado, l’Appello, che porta a rimettere in discussione tutto quello che
la difesa contesta. C’è una nuova decisione in Appello al seguito della quale può esserci ricorso in
Cassazione.
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Il ricorso in Cassazione non può portare alla richiesta di una nuova valutazione delle prove, è un
giudizio di legittimità, per cui o si contesta che non sono state seguite le leggi processuali, o si
contesta che non è stato applicato bene il diritto penale oppure si censura il difetto di motivazione:
ti dico controlla perché in quella motivazione manca un pezzo, c’è un salto logico. Spesso la
Cassazione può annullare senza rinvio, altre volte rileva che quello che è contestato nel ricorso è
fondato e quindi chiedo al giudice del rinvio a cui io mando le carte di verificare questo punto che
non è stato verificato, per questo dopo la Cassazione c’è spesso il cosiddetto Appello bis, un
nuovo giudizio di appello. Perché la Cassazione verifica soltanto se le contestazioni sembrano
fondate alla luce della lettura della sentenza. Un altro motivo di ricorso in Cassazione è la mancata
assunzione di una prova decisiva.
C’è uno squilibrio tra i poteri dell’accusa rispetto a quelli della difesa? Anche la difesa può
raccogliere prove e fare una serie di accertamenti. Lo squilibrio è dato dalle diverse risorse a
disposizione.
La valutazione del risultato probatorio dovrebbe tener conto della forza probatoria che la parte ha.
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