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DIRITTO DELL’INFORMAZIONE E DELL’INFORMATICA

CAPITOLO 1 – Informazione e comunicazione nell’era digitale

Quando parliamo di diritto dell'informazione e della comunicazione dobbiamo innanzitutto analizzare nello
specifico questi due termini. “Informazione” fa riferimento alla libertà di informarsi, di acquisire
conoscenze. “Comunicare” fa riferimento alla libertà di interagire con un'altra persona. Informazione e
comunicazione rispondono a due diritti diversi, anche se spesso questi due termini nella società
contemporanea si sovrappongono. Mentre va bene “sovrapporli” nel comune parlato, nel linguaggio
giuridico distinguiamo due articoli diversi, in quanto uno attiene alla sfera privata ed uno alla sfera
pubblica: libertà di comunicazione (art. 15 della Costituzione) e libertà di informazione (art. 21 della
Costituzione).

Con il termine comunicazione si indica la condivisione con altri di un’idea, un’opinione, un’informazione.
Tale azione può assumere forme diverse, utilizzare linguaggi diversi (verbale, gestuale, grafico) e può avere
natura monodirezionale (dal comunicatore al destinatario), bidirezionale o pluridirezionale.

Nelle moderne società avanzate la comunicazione ha assunto un ruolo chiave, al punto che esse vengono
definite società dell’informazione e della comunicazione. Le società dell’informazione e della
comunicazione sono società tecnologicamente avanzate sul versante della tecnologia digitale. L’affermarsi
della tecnologia ha esponenzialmente ampliato la produzione di dati e informazioni, spesso anche in modo
dannoso. La tecnologia digitale è la tecnologia del dato: nella società dell'informazione e comunicazione il
dato preso singolarmente non ha senso di esistere, ma un insieme di dati contribuiscono all'acquisizione di
una serie di informazioni. Le persone rappresentano dei produttori di dati: questi dati servono sia per
profilare l’utente, ma anche per creare grandi volumi di dati, che prendono il nome di big data.

Anche nelle società dell’informazione e della comunicazione è necessario garantire a ciascun individuo la
tutela dei diritti. I diritti sono inviolabili, in quanto sono diritti ai quali non possiamo rinunciare e che non
possono essere compressi o limitati, possono essere limitati soltanto in presenza di un’esigenza di pari
importanza o di importanza maggiore. Di conseguenza, sono diritti non assoluti: tutti i diritti si trovano ad
interagire tra di loro in una prospettiva di bilanciamento.

Art. 2 MATRICE DEI DIRITTI FONDAMENTALE: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Art. 3 UGUAGLIANZA TRA LE PERSONE: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono tutti eguali
davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali
e sociali”. Differenziare senza discriminare.

Questi due messi insieme ci restituiscono un diritto, “IL DIRITTO ALL'IDENTITA'” inteso come diritto alla
dignità e autodeterminazione di una persona: ognuno di noi ha diritto ad avere un profilo pubblico, ma
soprattutto un profilo privato. In realtà la realtà virtuale ormai non è più da intendersi come proiezione di
quella fisica, ma da considerarsi come realtà a parte, autonoma.

Il digital divide è la difficoltà di accedere alla rete internet, che è luogo e il mezzo mediante il quale oggi si
esercitano una serie di attività. A tal proposito distinguiamo un divide economico e un divide strutturale.

Il divide componenziale è la capacità o meno di utilizzare il mezzo (divide generazionale).

Col termine “profilazione” dell'utente si intende quell'attività preposta alla raccolta ed elaborazione di dati
relativi agli utenti che fruiscono di un dato servizio, al fine di conoscere il loro comportamento d'acquisto, le
loro preferenze ecc.
Tutela della libertà di comunicare nella Costituzione

(Ricordiamo che i diritti sono inviolabili: l’articolo 2 della Costituzione dice che la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali. I diritti della nostra
Costituzione non sono assoluti, bensì bilanciati: sono diritti che nel momento in cui entrano in relazione con
altri diritti o con altri interessi si riducono nella misura necessaria a garantire anche l’altro diritto e l’altro
interesse. Non esistono diritti tiranni.)

La Costituzione italiana tutela la comunicazione in due distinti articoli:

 Art. 15: sfera privata, comunicazioni interpersonali (scambio di informazioni tra due o più persone
scelte dagli stessi interlocutori), definite “corrispondenza e comunicazione”.

“La libertà e la segretezza della corrispondenza di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro
limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla
legge”.

La sua collocazione è molto importante in quanto l’articolo 15 viene inserito nella Parte I della Costituzione,
dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”, immediatamente dopo la libertà personale (art. 13) e la libertà
domiciliare (art. 14). Non solo si inserisce quindi tra i diritti fondamentali della persona, ma va altresì ad
aggiungersi a quei principi costituzionali supremi che non possono essere modificati, in quanto
appartenenti ai valori della personalità. Gli articoli 13-14-15 compongono il cosiddetto “trittico
dell’intimità”, che va a tutelare la sfera privata dell’individuo: essi ci danno le tre dimensioni della sfera
privata, cioè la dimensione corporea, spaziale e spirituale. La Costituzione parla di dimensione spirituale per
sottolineare come ciascuno di noi abbia bisogno di uno spazio comunicativo che sia completamente libero.

Nel caso dell’art. 15 della Costituzione l’oggetto di tutela è il “rapporto comunicativo”, ovvero lo “scambio
di pensiero” che ha luogo tra due o più persone, cui viene riconosciuta una piena e assoluta intangibilità
rispetto a ogni tipo di intromissione da parte di terzi.

L’oggetto di protezione costituzionale non coincide con la corrispondenza o con la comunicazione, ma


risiede nella libertà e nella segretezza delle stesse (i concetti di “libertà” e “segretezza” li trovavamo anche
nel diritto di voto, art. 48). Questi elementi pur se connessi, rappresentano distinti profili che conservano la
loro autonomia concettuale, in modo che i soggetti comunicanti possano rinunciare alla segretezza, senza
rinunciare alla libertà.

 Art. 21: sfera pubblica, riguarda la manifestazione del proprio pensiero al pubblico.

Questa netta separazione degli ambiti comunicativi appare oggi messa in discussione dalle attuali
tecnologie di comunicazione, in effetti le moderne tecnologie dell’informazione rendono talvolta difficile
distinguere i piani comunicativi, rischiando di confondere sfera privata e sfera pubblica. La Rete, infatti, ha
introdotto importanti cambiamenti nella comunicazione e nella informazione, fino a qualche anno fa
sostanzialmente unidirezionale con riferimento ai mass media. Oggi, invece, ciascun individuo ha a
disposizione un enorme biblioteca, il web, dal quale trarre conoscenze, notizie, curiosità…

La nozione di corrispondenza e comunicazione

L’ordinamento non offre una nozione precisa e unitaria di “corrispondenza”. Una prima definizione del
Codice penale descriveva la corrispondenza come quella comunicazione tra individui che avviene per via
“epistolare, telegrafica, telefonica”. Con l’avvento poi della tecnologia e stata modificata ed estesa anche
alle comunicazioni per via “informatica o telematica”. Il codice postale invece ritiene corrispondenza “le
lettere, i biglietti posali, le cartoline illustrate, le fatture commerciali”. Di fatto, la Costituzione non si limita a
garantire la libertà di corrispondenza, ma estende la propria tutela a “ogni altra forma di comunicazione”,
non presidia quindi la libertà di corrispondere ma più in generale la “libertà di comunicare”, ampia
categoria all’interno della quale si colloca anche la corrispondenza in senso proprio. Da qui scaturisce
l’irrilevanza di definire puntualmente cos’è “corrispondenza”, in quanto le nozioni di corrispondenza e
comunicazione devono essere considerate congiuntamente.

Le caratteristiche della comunicazione

Intersoggettività: volontà del mittente di destinare il proprio messaggio o la propria comunicazione


soltanto ad uno o più soggetti determinati o determinabili. Attraverso la facoltà di corrispondere, quindi il
soggetto non intende esternare le proprie opinioni verso chiunque, ma trasmetterle in via esclusiva a
specifici soggetti. Questo requisito consente di distinguere gli ambiti operativi degli Art. 15 e 21 Cost. Se vi è
intersoggettività, la comunicazione trova tutela nell’Art. 15. In assenza invece si parla di espressione delle
proprie idee in pubblico e quindi appartenenti all’Art. 21 Cost.

Attualità: descrive l’astratto segmento temporale entro cui la comunicazione del soggetto mittente
mantiene la sua caratteristica di intersoggettività, rimanendo destinata solo a soggetti determinati e
continuando a costituire, perciò, una corrispondenza in senso proprio. L’attualità di una comunicazione
definisce quindi cronologicamente lo spazio di tutela assicurato dall’Art. 15.

Le garanzie costituzionali alla libertà di comunicare

La Costituzione presidia la libertà di corrispondenza tramite un duplice strumento:

 la riserva di giurisdizione: un’intercettazione non può essere decisa da un autorità di pubblica


sicurezza, ma da un giudice;
 la riserva di legge: la legge non è obbligata a disciplinare interamente le garanzie alla libertà e alla
segretezza di corrispondenza, ma deve semplicemente stabilirle. Le garanzie sono: l’indicazione dei
soggetti che possono subire un’intromissione nella loro comunicazione e i casi e i modi mediante i
quali quest’intromissione può avvenire.

Limitazioni libertà di comunicare

I soggetti che possono subire una limitazione della loro comunicazione sono:

 i detenuti: possono essere sottoposti al controllo della libertà della corrispondenza e della
comunicazione.
 i minori: possono essere soggetti al controllo della corrispondenza. Il dovere di vigilanza che spetta
a ciascun genitore non può giustificare qualsiasi intromissione indebita nella sfera del minore. La
valutazione, quindi, va effettuata caso per caso, avendo riguardo all’età del ragazzo, al contesto ed
all’effettiva necessità del controllo eseguito al fine di tutelare il minore. Il minore deve essere a
conoscenza del controllo.
 gli imprenditori soggetti a fallimento: hanno l’obbligo di consegnare al curatore tutte le
comunicazioni, cartacee o elettroniche, riguardante i “rapporti compresi nel fallimento”.

L’intercettazione

L’intercettazione è l’azione o l’insieme di azioni che hanno la finalità di acquisire nozione ed eventualmente
copia di uno scambio di comunicazione tra due o più soggetti terzi di cui si analizzano, spesso a loro
insaputa, le comunicazioni intercorse tra di esse. L’intercettazione tra privato viola l’articolo 15, tranne
quelle situazioni di crisi viste prima, cioè la paura di un evento grave per sé o per la propria famiglia. In Italia
l’intercettazione viene chiesta dal Pubblico Ministro previa autorizzazione del GIP e viene utilizzata come
strumento di indagine solo per alcuni reati:

 delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel
massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4;
 delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’articolo 4, cioè quei reati per i quali
applicando un aggravante si supera il limite minimo previsto dalla legge;
 delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
 delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;
 delitti di contrabbando;
 reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate,
molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;
 delitti legati alla pornografia o pedopornografia;
 atti persecutori

Esistono tre tipologie di intercettazione:

 diretta (vale come prova nel processo): quella intercettazione che è stata autorizzata dal giudice,
per la quale è già stato aperto un fascicolo. Tutto ciò che loro diranno durante le intercettazioni e
che ha un collegamento con le indagini potrà essere utilizzato come prova nel processo. Tuttavia,
un processo non può essere solo indiziario: ciò che ascoltiamo deve essere confermato da altri fatti
concludenti che portiamo come prova nel processo, oppure le intercettazioni servono per
confermare prove già acquisite;
 indiretta (non vale come prova nel processo, ma viene utilizzata per aprire un fascicolo): mentre
stiamo intercettando una utenza per un determinato reato, durante la conversazione con qualcuno
emergono elementi per una nuova ipotesi di reato;

ES: Sto intercettando Tizio, perché sospetto che sia un trafficante di droga. Durante un'intercettazione Tizio,
però, parla con Caio di traffico di armi. A questo punto il sospetto che sorge è che questo soggetto non
faccia solo traffico di droga, ma anche traffico di armi. Ovviamente questa non è una prova, ma ci consente
di aprire un nuovo fascicolo e metterlo sotto intercettazione anche per il traffico di armi.

 ambientale (vale come prova nel processo): è una intercettazione diretta, di massa. Può essere
fisica e telefonica/telematica. Per quanto riguarda le “intercettazioni ambientali”, qualora queste
avvengano all’interno di abitazioni o altri luoghi privati, esse sono ammissibili soltanto se vi è
fondato motivo di ritenere che l’attività criminosa sia in atto in quel momento. In ragione del suo
carattere fortemente invasivo, il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova è consentito soltanto
per fatti di particolare gravità, come: delitti non colposi (con volontà), delitti contro la pubblica
amministrazione, delitti concernenti sostanze stupefacenti, reati di ingiuria, delitti concernenti la
pornografia minorile.

L’attività di intercettazione conosce in ogni caso un termine di durata, ferma la possibilità di una o più
proroghe per periodi di pari durata.

Legge 28 febbraio 2020 n.7

Quando si chiude l’indagine, il fascicolo viene depositato in procura e da quel momento possono prendere
visione del contenuto del fascicolo anche gli avvocati delle parti che sono state coinvolte, oltre al Pubblico
Ministero. Di conseguenza, capitava spesso che qualcuno facesse arrivare ai giornali qualcosa che mettesse
in cattiva luce la persona indagata per migliorare l’immagina del proprio assistito.

Per evitare che ciò accadesse nel 2020 è stata approvata questa legge, che prevede un limite alle
intercettazioni ed una regola che i Pubblici Ministeri devono seguire: prima che il fascicolo venga
depositato, il Pubblico Ministero e il Giudice per le indagini preliminari devono verificare cosa è
effettivamente utile o meno per il processo, tra tutto il materiale frutto di intercettazioni. Il provvedimento
prevede una stretta sulla diffusione delle telefonate, mediante l’introduzione del divieto di pubblicazione
per le intercettazioni irrilevanti che saranno coperte da segreto e non pubblicabili, al contrario di quelle
rilevanti che, una volta inserite nel fascicolo, saranno pubbliche e potranno essere diffuse. La valutazione
sulla rilevanza delle intercettazioni viene rimessa al Pubblico Ministero e poi al Giudice per le indagini
preliminari. Sarà la pubblica accusa a selezionare il materiale per stabilire quando una intercettazione sia
rilevante per le indagini e quando no. Sempre il Pubblico Ministero dovrà vigilare affinché nella trascrizione
delle intercettazioni non siano riportate espressioni “sensibili”. Tale disposizione vale anche per le
intercettazioni rilevanti. I pubblici ministeri dovranno anche controllare che all’interno dei verbali non siano
inserite espressioni lesive della reputazione dei singoli. I verbali saranno, poi, depositati assieme alle
registrazioni entro 5 giorni e ai difensori sarà concesso estrarre copia delle intercettazioni rilevanti.

La libertà di manifestazione del pensiero

La libertà di espressione è la pietra angolare dell’ordine democratico: la democrazia ha bisogno che le


persone esprimano il proprio pensiero ed è necessario tutelare il pensiero della minoranza. Il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero si pone senza dubbio tra le situazioni giuridiche di maggior
rilievo ai fini della realizzazione di una società democratica. L’esercizio di tale diritto, infatti, consente a tutti
gli individui non solo di esplicitare la propria personalità, ma anche di partecipare alla formazione
dell’opinione pubblica, in più in questo modo (confrontandosi con gli altri) ciascuno ha la possibilità di
evolversi come persona. L’origine del diritto di manifestare il proprio pensiero risale all’antica Grecia,
tuttavia e solo con l’affermarsi della democrazia che questo diritto assume una sua connotazione più
precisa e completa. La dichiarazione ONU del 1948 afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di
opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione”. Questa
risoluzione internazionale ha influenzato certamente anche le Carte costituzionali che in quegli anni
venivano elaborate: in particolare, la Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che dedica
l’Art. 21 alla libera manifestazione del proprio pensiero e la Legge fondamentale tedesca del 1949.

La libertà di manifestazione del pensiero nella Costituzione italiana

In Italia il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero trova tutela nell’Art. 21 Cost.

Articolo 21 Comma 1: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”

Il diritto di manifestare il proprio pensiero comprende la diffusione di idee, pensieri ed opinioni destinate
ad altre persone. Analizzando l’Art. 21 da un punto di vista lessicale possiamo verificare:

 come riconosca a “tutti” e non ai soli cittadini il diritto di libera espressione;


 prosegue poi riconoscendo il diritto di manifestare “liberamente”, ciò significa senza limitazioni ma
soprattutto senza essere costretti, nessuno può essere obbligato ad esprimere un’opinione,
un’idea… tutti hanno il diritto al silenzio (eccezione fatta per i testimoni convocati in un processo, i
quali hanno l’obbligo di esprimersi);
 l’oggetto del pensiero tutelato deve essere “proprio”, non vi è quindi tutela per chi riproduce,
appropriandosene, l’opinione di altri. Tuttavia, distinguendo l’attività di plagio (falsa attribuzione a
sé di un pensiero) dalla ripetizione di un pensiero altrui che si condivida al punto da farlo diventare
proprio e che si esteriorizza nella sua forma originale (in questo caso si parla di citazioni) o in modo
rielaborato.

Bisogna ricordare inoltre che non deve essere per forza un pensiero “utile” alla comunità, in quanto ogni
individuo esteriorizza il proprio pensiero per esplicitare la propria persona, ne deriva quindi che il pensiero
espresso possa anche essere frutto di fantasia, o essere non veritiero, a condizione che non consista nella
pubblicazione e diffusione di notizie false in grado di turbare l’ordine pubblico. In riferimento al pensiero
proprio, parliamo poi della possibilità di esercitare il diritto di manifestazione in “forma anonima” o
mediante l’utilizzo di pseudonimi. L’esigenza di esprimere il proprio pensiero in forma anonima appare
contraddittoria, al tempo stesso però bisogna tener conto che in una comunità, l’individuo è talvolta
limitato da condizionamento sociali, familiari, lavorativi. Vi sono delle criticità in relazione al pensiero
anonimo, qualvolta questi possano 0essere lesivi di diritti altrui, quali la reputazione o la privacy. Il tema è
diventato di particolare interesse anche in relazione all’utilizzo sempre più imponente della Rete.
Maggiormente problematica si presenta, invece, la valutazione circa la tutelabilità o meno del pensiero
“contrario” e di quello “antagonista”.

Contrario chi non è d’accordo con il pensiero prevalente in società, deve essere necessariamente tutelato,
di fatto la tutela costituzionale ha come destinatario privilegiato proprio chi dissente dall’opinione della
maggioranza in virtù della maggior propensione al rischio.

Antagonista colui che promuove idee o valori contrari alla Costituzione. In questo caso prevale l’opinione
negativa, secondo cui va punito ogni comportamento teso a contestare e dissacrare i valori ritenuti
fondamentali dalla Costituzione stessa. Non possiamo tutelare il pensiero antagonista che disconosce i
valori su cui si fonda la nostra democrazia. L’ultima parte del comma 1 dell’Art. 21 è dedicata ai mezzi di
diffusione, prevedendo che il pensiero possa essere manifestato mediante “la parola, lo scritto ed ogni altro
mezzo di diffusione”. Questo rinvio testuale pone le sue fondamenta sulla presenza del Web (attore
protagonista della nascita di nuovi mezzi), in effetti oggi sono molteplici i mezzi di diffusione nuovi rispetto
al passato e proprio grazie a questo rinvio testuale, quest’articolo è capace di adeguarsi ed aggiornarsi di
pari passo con l’evoluzione.

Limiti alla libertà di manifestazione del pensiero

L’Art. 21 ha però un limite, seppur vago. Il limite di cui parliamo è quello del “buon costume” di cui si parla
al comma 6: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al
buon costume. La Costituzione stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
“Buon costume” viene definito un limite “vago” perché non ha un significato giuridico determinato; la Corte
costituzionale ha quindi ritenuto necessario interpretare questa locuzione in modo evolutivo e dinamico.
Da qui, la previsione di una limitazione alla libera manifestazione del pensiero ogni qualvolta la comunità si
senta colpita negativamente, danneggiata e offesa dalle pubblicazioni, dagli spettacoli, dalle
manifestazioni… Bisogna per esempio tutelare il pudore sessuale dei minori; evitare di pubblicare immagini
atroci; ecc. ecc.

Sono stati poi individuati ulteriori limiti, i “limiti impliciti”, i quali hanno l’obiettivo di raggiungere il
cosiddetto “BILANCIAMENTO” tra il diritto di manifestazione del pensiero ed altri diritti di pari rilevanza,
infatti il diritto di espressione non è da considerarsi automaticamente prevalente in caso di antinomia
(presenza di due pensiero/affermazioni contraddittorie). Questi limiti possono avere natura individuale,
volti a tutelare i singoli individui, o destinati a salvaguardare la personalità dello Stato, volti quindi a difesa
della pace sociale.

Reati di opinione

Con il termine “reati di opinione” ci si riferisce a fattispecie che incriminano la manifestazione e/o
l’espressione di un determinato contenuto di pensiero.

Reati che ledono un interesse individuale:

1. Ingiuria (art. 594 Codice penale): Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è
punito con una multa fino a 516 euro. Questo reato è stato depenalizzato, in quanto non è stato più
considerato dal legislatore come reato, ma come illecito civile: fino a pochi anni fa veniva punito
con la reclusione fino a sei mesi.
2. Diffamazione (art. 595 Codice penale): Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente,
comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un
anno o con la multa fino a 1032 euro. Abbiamo quindi un carattere fondamentale da evidenziare,
ossia l'assenza dell'offeso: consistente nell'impossibilità che la persona offesa percepisca
direttamente l'affermazione diffamatoria. L'impossibilità di difendersi determina infatti una
maggiore potenzialità offensiva rispetto alla mera ingiuria. La differenza principale è che
nell'ingiuria si parla di una opinione comunicata in presenza del soggetto che viene offeso, qui si
parla de “l'altrui diffamazione”, cioè l'opinione che terze persone hanno di noi.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due
anni, ovvero della multa fino a 2065 euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con
qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a
tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico,
amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio,
le pene sono aumentate.

Come ci si tutela dalla diffamazione? La diffamazione è un reato particolare oggi nel nostro ordinamento è
previsto che il diffamato possa decidere se andare dal giudice penale (se vuole far condannare e far
macchiare la fedina penale di chi lo ha leso) o civile (chiedendo il risarcimento del danno per la lesione della
propria reputazione). Con la diffamazione si può subire un danno materiale (danno emergente lucro
cessante), morale. Per dichiarare il risarcimento del danno deve essere ammesso se effettivamente quella
persona è stata davvero lesa.

3. Calunnia (art. 368 Codice penale): Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se
anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità incolpa di un reato
taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato è punito con la
reclusione da 2 a 6 anni.

Reati che ledono un interesse collettivo:

1. Vilipendio (art. 290 Codice penale): “Chiunque pubblicamente, vilipende la Repubblica, le


Assemblee legislative o una di queste, ovvero il governo o la Corte costituzionale o l'ordine
giudiziario è punito con una multa da 1000 a 5000€. La stessa pena si applica a chi vilipende le
Forze Armate dello Stato.” È punito con la pena pecuniaria, perché 30 anni fa c’è stata la
depenalizzazione di questo reato. Vilipendere significa esprimere un pensiero di disprezzo nei
confronti di qualcosa e nello specifico della Repubblica, istituzioni ecc. Lo Stato ha interesse a
punire questo reato perché si pensa che queste opinioni possano ledere l’ordine pubblico. Molti
studiosi ritengono che questo sia un reato da cancellare, perché diventa molto sottile la linea di
demarcazione tra la critica e vilipendio: questo passaggio lo abbiamo quando l’offesa non è volta a
esprimere un’opinione, ma a screditare l’istituzione.
2. Istigazione a delinquere (art. 414 Codice penale): “Chiunque pubblicamente istiga a commettere 1
o + reati, è punito per il solo fatto dell'istigazione: con la reclusione da 1 a 5 anni (se si tratta di
istigazione a commettere delitti) 2) o con la reclusione fino a 1 anno o con una multa fino a 206€ (se
si tratta di istigazione a commettere contravvenzioni)”. L’istigazione è una provocazione, un invito
ad assumere un determinato comportamento: quando si istiga qualcuno a commettere un reato. In
questo caso non c’è un’azione materiale, ma sto convincendo quella persona con le parole.
3. Apologia (art. 414 Comma 3): l’apologia è l’esaltazione di un valore contrario, la celebrazione di un
delitto, corrisponde alla dimostrazione di stima o ad un individuo che ha posto in essere condotte
criminose o nei confronti di un fatto criminoso. Essa è quella condotta consistente nella difesa o
nell'esaltazione di un'azione riconosciuta come reato dalla legge della nazione in cui si vive. Si
differenzia dall'istigazione per una minore capacità di influenzare i soggetti cui è rivolta. Nel diritto
italiano i due casi di apologia più noti sono “L'apologia di fascismo” e “L'apologia di delitto” prevista
appunto dall'art 414 comma 3.
Non più di 5 anni fa, a questa disposizione è stato aggiunto un pezzo: la pena prevista è aumentata
se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici e telematici: è proprio attraverso la rete
internet che si verifica la maggiore diffusione del pensiero antagonista.

Diritto alla riservatezza

Il diritto alla riservatezza o diritto alla privacy ha due facce: una faccia è la faccia dell’identità di una
persona, e quindi privacy intesa come diritto ad essere lasciati in pace, ma anche riservatezza dei dati
personali, quindi controllo sulla circolazione dei dati digitali che noi produciamo. La tutela dei dati nasce
come declinazione digitale di un altro diritto, e cioè il diritto alla riservatezza. Il diritto alla tutela dei propri
dati personali rappresenta l’evoluzione e la diversificazione del più antico e più ampio diritto alla privacy.
Usiamo i termini privacy e riservatezza dei dati come sinonimi, ma sono due concetti diversi: la privacy
riguarda il diritto di ciascuno di noi ad avere una propria sfera di isolamento rispetto all’esterno; la
riservatezza riguarda i singoli elementi, le singole informazioni che noi creiamo nell’ecosistema digitale.

Nel 1890 due giuristi americani, Brandeis e Warren, definiscono la privacy come “The right to be alone”,
tradizionalmente tradotto con il diritto ad essere lasciati in pace nella sua accezione di rispetto della
presenza di una sfera di intimità. Questa sfera di intimità può essere intesa in due modi: come il
riconoscimento, non controverso, ad avere uno spazio, allora fisico, di non interferenza e come, aspetto
nuovo per quel tempo, la richiesta del riconoscimento di un diritto a vedere impedita l’altrui curiosità
vietando le indiscrezioni e le pubblicità non volute, nonché la conoscenza e la divulgazione di vicende
personali non autorizzate.

Nel linguaggio del legislatore italiano e della giurisprudenza non si è mai affermato un vero e proprio
concetto di privacy o di vita privata, ma si è preferito frammentarlo in diverse situazioni giuridiche
soggettive: il diritto alla riservatezza, il diritto alla protezione dei dati personali, il diritto all’identità
personale, il diritto all’oblio. Nel 1948 la nostra Costituzione non ha riconosciuto il diritto alla riservatezza
perché il nostro costituente non voleva mettere limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.

La riservatezza si prefigge di garantire all’individuo la possibilità di tenere lontano dalla propria sfera di
individualità attenzioni indiscrete, impedendo la divulgazione di parole, scritti e vicende relativi a tale sfera.
L’individuo non può certamente impedire che parole, scritte e vicende siano diffusi (diritto di cronaca), ma
può pretendere che non lo siano arbitrariamente” (mera curiosità).

Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo

Articolo 12: Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella
sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione.
Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni.

CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo)

Articolo 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria
vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di
una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica
sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla
protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Carta di Nizza
Articolo 7: Rispetto della vita privata e familiare. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.

Il diritto alla riservatezza è quindi certamente un diritto della personalità, cioè un diritto innato della
persona; è un diritto indisponibile, cioè un diritto soggettivo che non può essere trasmesso dal titolare a un
altro soggetto; intrasmissibile, in quanto questo diritto non si trasmette agli eredi, termina con la morte; è
un diritto imprescrittibile; è un diritto costituzionale in quanto ammesso al bilanciamento, cioè non è
espressamente previsto dalla Costituzione, ma è un diritto costituzionalmente garantito che entra nel
bilanciamento degli altri diritti. Non è un diritto assoluto, ma deve essere bilanciato con gli altri diritti: il
diritto alla riservatezza deve essere bilanciato col secondo comma e successivi dell’art. 21, e cioè la libertà
di informazione. Il diritto alla riservatezza si riduce dinanzi al diritto di cronaca. Il diritto di cronaca è il diritto
di un giornale di informare l’opinione pubblica, raccontando un fatto o parlando di una persona. La libertà
di informazione deve seguire delle regole previste dalla giurisprudenza: regola della veridicità, continenza e
pertinenza. È necessario parlare di quel fatto o di quella persona nella misura più obiettiva possibile; nel
diritto di cronaca la veridicità è soprattutto attendibilità della fonte. Chi racconta un fatto deve farlo in
modo imparziale, facendo in modo che chi ascolta non abbia l’idea del sentimento di parte di chi sta
raccontando quel fatto. La pertinenza è il parlare di un fatto attuale o di una persona di interesse pubblico.

Si afferma così il diritto ad avere uno spazio di intimità riferito non solo al proprio corpo, al proprio
domicilio e alla propria corrispondenza, ma alla propria vita e alle vicende che la caratterizzano. Un ruolo
fondamentale in questa azione è stata svolta dalla Corte di cassazione: questo diritto di matrice
giurisprudenziale entra nel nostro ordinamento giuridico nel 1975 con una sentenza della Corte di
Cassazione del 1975 “Caso Soraya”. La Principessa Soraya era la prima moglie dello Scia di Persia, che fino
agli anni 80 era ancora uno stato monarchico. Questo Scia di Persia aveva sposato la Principessa Soraya,
donna molto bella che non fu in grado di dargli un erede. Poiché doveva garantire un erede, lui divorzia da
lei e le riconosce un vitalizio importantissimo, ponendo una condizione: lei si deve presentare agli occhi del
mondo come una Principessa triste. Lei era triste perché questo era il ruolo che aveva concordato con l’ex
marito in cambio del vitalizio. La principessa rispetta il patto; decide di andare a vivere a Roma negli anni
della dolce vita: vita mondana molto piacevole, lei diventa una protagonista di questa dolce vita. Un
fotografo decide di seguire la principessa fino a casa, una bellissima villa con giardino a Roma e la fotografa
nella sua riservatezza. Vengono pubblicate queste foto e lo Scia di Persia decide di non darle più il vitalizio
perché è venuta meno al patto di mostrarsi come una principessa triste. Lei fa causa al fotografo: gli
avvocati impostano la causa non come violazione del domicilio. La tutela di quelle situazioni e vicende
strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno
per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che compiute sia pure con mezzi leciti,
per scopi non esclusivamente speculativi, e senza offesa per l'onore, la reputazione e il decoro, non siano
giustificate da interessi pubblici preminenti.

Caso Berlusconi

Silvio Berlusconi attorniato e coccolato a più riprese da cinque ragazze all’interno di Villa Certosa, sua
residenza esista a Porto Rotondo. È quello che vedono milioni di italiani il 17 aprile 2007 dopo l’uscita del
settimanale “Oggi”, autore dello scoop intitolato “Le bagatelle di Berlusconi”, un servizio accompagnato da
quindici fotografie, una delle quali in copertina.

La Corte di Cassazione conferma la condanna del giornale decisa dalla Corte di appello. Con un
ragionamento che alla fine è sintetizzabile in questo passo della sentenza: “Non possono farsi rientrare tra
gli stampati e le copie di quotidiani o di giornali periodici le fotografie ritraenti atteggiamenti della vita
privata ottenute con una condotta costituente reato, mediante intrusione in luoghi di privata dimora con
mezzi tecnici particolari, perché esse non attengono alla manifestazione del pensiero”. In altre parole,
anche le fotografie sono considerate pubblicazioni tutelate dall’art. 21 della Costituzione, ma non quando
attraverso di esse vengono diffusi comportamenti rientranti nella sfera personale di un soggetto e carpiti da
un domicilio privato.

Dopo il caso Soraya del 1975, il mondo cambia: con l’avvento e la rapidità di diffusione delle nuove
tecnologie, ci troviamo in un mondo nuovo caratterizzato dall’Internet e dai nuovi mezzi di diffusione del
pensiero. Di conseguenza, il dato personale diventa “il petrolio del nuovo ecosistema digitale”; i dati sono la
merce di scambio dell’epoca. È necessario distinguere tra dati pubblici e dati personali: i dati pubblici, intesi
come comuni, sono tutti quei dati che o non sono stati prodotti da una persona o sono stati prodotti in un
procedimento che ha valore di pubblicità. Nel contesto digitale, si passa dalla tutela della sfera intima della
persona alla necessità di mantenere un potere di controllo sui propri dati personali.

L’esigenza di una regolamentazione della tutela dei dati personali viene dall’Unione Europea: questo
perché Internet è una realtà globale, quindi per avere una regolamentazione omogenea a livello europeo.

Nel 2003 nasce nell’ordinamento italiano il codice in materia di protezione dei dati personali, denominato
“Codice della privacy”. L’intera disciplina del codice ruota intorno alla nozione di “dato personale”, definito
come qualunque tipo di informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile.

I dati personali possono essere suddivisi in diverse categorie:

 i dati sensibili: possono rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose o di altro tipo, le
opinioni politiche ecc. È necessario il consenso scritto dell’interessato e, fino al 2018,
l’autorizzazione preventiva del Garante per la protezione dei dati personali. L’orientamento
sessuale dell’individuo e informazioni riguardanti lo stato di salute rappresentano i “dati
supersensibili”.
 i dati giudiziari: consentono di rivelare l’esistenza di determinati provvedimenti giudiziari soggetti
ad iscrizione nel casellario giudiziale o la qualità di imputato o di indagato;
 i dati comuni: consentono in vario modo l’identificazione e il tracciamento della persona (nome,
cognome, codice fiscale, numero di cellulare);
 i dati semisensibili: categoria dai contorni indefiniti, alla quale si riconducono tutte quelle
informazioni il cui trattamento espone il soggetto al pericolo di pregiudizio rilevante.

I dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; devono essere raccolti e
registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in
termini compatibili con tali scopi. I dati personali devono essere esatti e, se necessari, aggiornati. Devono
essere pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente
trattati. Devono essere conservati per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per
i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.

REGOLAMENTO UE 2016/679

Nel 2016 l’unione Europea passa da una direttiva (cioè un atto normativo che non entra direttamente negli
ordinamenti giuridici degli Stati membri, ma deve essere recepita dagli stessi) a un regolamento (vincolante
sia per gli Stati che per i cittadini, entra in vigore in modo uguale su tutto il territorio dell’Unione).

L’obiettivo del regolamento è fare in modo che, in una società in cui tutto ruota intorno al dato personale,
l’utilizzo dei dati personali avvenga sempre nel rispetto della persona e che la persona abbia sempre il
controllo dei dati che sta fornendo per usufruire di un determinato servizio.

Le principali novità di questo regolamento sono rappresentate da 3 pilastri fondamentali:

1. Awareness: consapevolezza dell’interessato. È necessario il consenso dell’interessato tramite


l’informativa dati. I diritti dell’interessato sono rafforzati dal diritto all’oblio (art. 17), diritto alla
rettifica (art. 16), cioè il diritto di chiedere al titolare del trattamento di rettificare determinati dati
se non esatti o non aggiornati, e diritto all’opposizione (art.21), cioè il diritto di opporsi ad un
trattamento dei dati personali, anche se in passato si è dato il consenso.
2. Accountability: responsabilizzazione del titolare. Viene rafforzata la responsabilità del titolare,
ovvero del responsabile del trattamento.
3. Risk based approach. l regolamento europeo stabilisce che il trattamento dei dati personali è un
approccio delicato ed estremamente rischioso: quando si trattano i dati personali, si va ad incidere
sulla sfera dei diritti fondamentali e delle libertà degli utenti, quindi tutta la filiera del dato
personale deve essere controllata. Il trattamento dei dati personali è un’attività potenzialmente
rischiosa, quindi vengono introdotti alcuni aspetti fondamentali: privacy by design e privacy by
default e DPIA (data protection impact assessment). Il DPIA è un’ulteriore procedura di controllo
che consiste in una specifica valutazione dell’impatto del trattamento dei dati personali;
rappresenta, quindi, un controllo preventivo.

C’è una differenza tra proprietario dei dati e titolare dei dati: il proprietario dei dati è ciascun individuo che
si muove nell’ecosistema digitale, finché non dà il consenso; il titolare dei dati è colui che decide di usare
dei dati che non sono suoi, con il consenso li acquisisce e diventa responsabile del trattamento dei dati.

Diritto all’oblio

La parola oblio significa dimenticare qualcuno o qualcosa; è un evento che accade in modo naturale. Da
circa 30 anni lo tuteliamo come un diritto, ossia il diritto della persona ad essere dimenticata. La definizione
di oblio non esiste nella normativa italiana: il legislatore italiano non ha mai disciplinato l’oblio, la
legislazione europea non parla di oblio, ma di deindicizzazione. L’oblio è il diritto di una persona a non
subire ulteriori lesioni della propria sfera personale causate dalla reiterazione di una notizia che in passato
era stata legittimamente diffusa o pubblicata, ma che ormai è priva di interesse pubblico.

La prima volta che si è parlato di oblio è nella sentenza del ‘95. Il giornale “Il Messaggero” pubblicò un
gioco a premi: in una delle domande del cruciverba, c’era l’immagine di una persona che in passato era
stata condannata per aver ucciso la moglie. Dopo questa pubblicazione, la persona che aveva scontato la
pena e si era ormai rifatto una vita, si è ritrovata nuovamente al centro dell’attenzione, perdendo sia il
lavoro che la vita sociale che aveva ricostruito. Questa persona decise di querelare il giornale. Il tribunale di
Roma arrivò alla considerazione che non è legittimo l’esercizio del diritto di cronaca che riproduce una
notizia del passato che non ha più un’utilità sociale. Questa prima sentenza del tribunale di Roma viene poi
confermata dalla Corte di Cassazione.

“Tutela del particolare interesse di una persona a non subire ulteriori lesioni della propria sfera personale
causate dalla reiterazione del contenuto di una notizia in passato legittimamente pubblicata, ma ormai
priva di quell’interesse pubblico che ne giustifica l’ulteriore diffusione” (Corte di Cassazione 1998).

Quindi, il diritto all’oblio fa riferimento al diritto di un individuo a non vedere distorta la propria immagine
attuale a causa di eventi passati che lo hanno visto protagonista. In base al diritto all’oblio, non si possono
riprodurre né le notizie negative né le notizie positive: la giurisprudenza attuale ci dice che in entrambi i casi
è un qualcosa che l’individuo sente non essere più corrispondente alla sua identità attuale. Tutto ciò che
non rappresenta più l’individuo nel suo oggi presenta il presupposto per la violazione del diritto all’oblio.

I tre elementi cardine del diritto all’oblio sono:

1. Il fattore temporale: il diritto all’oblio per potersi formare ha bisogno che sia trascorso del tempo. Il
diritto all’oblio vuole garantire sempre la verità della propria immagine nel momento storico
attuale. Il garante della privacy nel 2004 ha stabilito un obbligo per i quotidiani online di strutturare
degli archivi storici: una volta pubblicata la notizia sulla versione online del quotidiano, questi
giornali, una volta soddisfatto l’interesse della collettività, devono necessariamente archiviare
l’informazione. Quindi devono garantire la ricerca storiografica, ma sottrarre l’informazione dai
comuni motori di ricerca. Un secondo elemento è rappresentato dalla contestualizzazione
dell'informazione: nel 2012 la cassazione ha previsto che i quotidiani non solo devono prevedere
l'archiviazione della notizia, ma devono anche contestualizzare: fare in modo di porre all’interno
della pagina che riporta la notizia anche una serie di strumenti che consentono di garantire
eventuali aggiornamenti alla notizia stessa.
2. L’interesse della collettività ad essere informata: si intende un bilanciamento tra diritto di cronaca
e diritto all’oblio, che sta proprio nella considerazione di cosa possa essere interesse per la
collettività. In questo si pone il problema del diritto alla storia: vi sono delle vicende per cui
l’interesse della collettività non viene mai meno; sono le vicende che interessano la collettività dal
punto di vista storico. In questo caso, il diritto all’oblio non può mai essere reclamato.
3. I soggetti legittimati ad agire: bisogna riconoscere i soggetti legittimati a pretendere la tutela della
propria persona. Parliamo in questo caso del bilanciamento necessario tra tutela dell’identità
personale e diritto di cronaca. In generale, l’inviolabilità della sfera privata di un individuo deve
essere necessariamente riconosciuta anche ai personaggi noti, tuttavia, in alcuni casi, il percorso di
vita di una persona risulta essere strettamente connessa al contesto sociale, e per questo assume
importanza anche la veste storica (non può essere invocato quindi il diritto all’oblio). Come il diritto
alla privacy, anche il diritto all’oblio spetta ai vivi e non ai morti.

Per diritto alla deindicizzazione si intende quel diritto a che i motori di ricerca non catturino determinati
contenuti che ledano il diritto all’oblio di una persona (Sentenza Google Spain). Con la Sentenza Google
Spain viene stabilito l’obbligo per i motori di ricerca di sopprimere, su richiesta, i link verso pagine web
(anche pubblicizzate da terzi) che presentano informazioni ritenute lesive da parte del soggetto interessato.
Il motore di ricerca viene riconosciuto per la prima volta titolare del trattamento dei dati personali.

Dopo questa sentenza si hanno 2 strade:

1. Rivolgersi al sito che ha pubblicato la notizia e chiedere di rimuoverla, in quanto non più attuale e
quindi lesiva del diritto all’oblio (strada che spesso non trova successo);
2. Strada sancita dalla sentenza Google Spain e oggi disciplinata dal regolamento europeo per la
tutela dei dati personali: prevede di rivolgersi al motore di ricerca, chiedendo di non indicizzare la
notizia contenuta su quel sito. Se il motore di ricerca non può indicizzare quella notizia, essa va a
finire nel deep web: ciò significa che diventa una notizia non catturata dai motori di ricerca, per cui
è quasi come se non esistesse.

Con la sentenza Google Spain viene sancito il diritto di una persona a chiedere la indicizzazione della notizia
facendola sparire dal web principale.

Dopo la sentenza Google Spain, nel 2016 ne abbiamo avuta un’altra un po’ diversa. Era accaduto che una
persona si era trasferita negli Stati Uniti, dopo aver fatto indicizzare in Europa la notizia che lo riguardava.
Negli Stati Uniti se questa persona cercava la notizia, usciva comunque. Per cui fece nuovamente ricorso,
chiedendo che la notizia non fosse visibile anche al di fuori dell’Unione Europea. Il ricorso fu respinto dalla
Corte di Giustizia, in quanto la loro competenza è limitata soltanto allo spazio dell’UE, e anche perché il
web è diviso per zone geografiche.

Quando chiediamo al motore di ricerca di indicizzare la notizia, ci rivolgiamo direttamente a Google o ad un


altro motore di ricerca. Google ha una propria commissione che valuta se la richiesta è legittima o meno (di
solito approva le richieste indicizzando ciò che gli viene richiesto).

Il diritto alla deindicizzazione non può avvenire se contrasta con la libertà di informazione.
La fonte legale del diritto alla deindicizzazione è l’art. 17 del regolamento europeo sulla privacy. L’art. 17 ha
un contenuto molto più ampio di quello che il nostro paese la giurisprudenza ha definito diritto all’oblio,
perché nel regolamento europeo non troviamo né il fattore tempo né il fattore assenza di interesse
pubblico. Il diritto all’oblio è meglio tutelato dalla sentenza Google Spain di quanto venga fatto dall’art. 17
del regolamento europeo.

Argomenti:

Persone e dato: profilazione e digital divide

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Diritto all’oblio

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