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I diritti nell’età del costituzionalismo

L’origine storica dei diritti costituzionali è tradizionalmente rinvenuta nell’età delle grandi
rivoluzioni borghesi. È l’idea base del costituzionalismo, sottoporre il potere a regole,
subordinandolo ai bisogni della società e degli individui. Grande influenza ci deriva dalle
esperienze greco-romana, cristiana e medievale, ma anche dall’influenza culturale della
filosofia antica e del cristianesimo nell’affermazione del valore della dignità umana e di diritti
intangibili dell’individuo o alla embrionale prefigurazione del principio tipico dello Stato di
diritto rinvenibile nel famoso passo della Politica di Aristotele. Con il superamento del
particolarismo feudale e con la fondazione di un nuovo ordine sociale imperniato sulla
centralità della persona si aprirà la strada per una diversa concezione dei diritti individuali.
Sarà solo con il superamento delle basi oligarchiche che soggetti estranei alla classe borghese
potranno effettivamente divenire titolari di diritti costituzionali. La Costituzione si apre alla
società, non è più indifferente alle reali condizioni di vita del soggetto e mira ad organizzare la
libertà umana nella realtà sociale. È attorno ai principi della dignità e della libertà della persona
che ruotano le Costituzioni e le principali codificazioni internazionali dei diritti del secondo
dopoguerra. La Costituzione è vista come un sistema di valori e i diritti fondamentali come
elementi costitutivi dello stesso. I diritti fondamentali si garantiscono e si rafforzano
reciprocamente trovando la loro matrice unitaria in un certo concetto di libertà. Se il singolo,
per motivi di carattere materiale, non fosse in grado di esercitare effettivamente la propria
libertà, allora questa avrebbe soltanto un valore formale: rimarrebbe sulla carta. Le
costituzioni pretendono proprio di tutelare la libertà “reale”, rimuovendo tutti i limiti di
carattere materiale che impediscano la possibilità stessa della partecipazione dell’individuo alla
vita della comunità. La nostra Costituzione repubblicana nel ripudiare l’idea, ripresa ed esaltata
dal fascismo, della priorità dello Stato sulla persona, non solo riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità (art. 2* Cost), ma prevede uno specifico impegno alla realizzazione
dell’uguaglianza sostanziale.

I diritti fondamentali nella Costituzione italiana. Il riconoscimento dei diritti inviolabili

L’art 2 Cost. italiana afferma solennemente che “La repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità”. La formula impiegata sembra presupporre la preesistenza dei diritti riconosciuti
rispetto all’ordinamento riconoscente, anteriori a ogni istituzione politica e a ogni potere
politico. Nell’art. 2 Cost trova la sua essenziale formazione il principio personalistico,
pluralistico e solidaristico, principi che si collegano al principio democratico e necessitano della
rimozione degli ostacoli di fine sociale e economico che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese (art. 3* Cost.). La libertà personale si qualifica quindi come
inviolabile, non può essere esclusivamente riguardata come libertà fisica ma come libertà
psicofisica, come libertà della mente e del corpo nella loro indissolubile unità.

Le garanzie dei diritti nell’ordinamento costituzionale italiano

Tra i congegni di protezione dei diritti preposti nel nostro ordinamento va innanzitutto
annoverata la riserva di legge, che costituisce un vincolo al potere legislativo a disciplinare per
legge le materie riservate (riserva di legge). Altra forma di garanzia dei diritti è la riserva di
giurisdizione, posta con riferimento alle restrizioni della libertà personale, di domicilio, di
corrispondenza e di stampa; le suddette limitazioni possono avvenire solo per atto motivato
dell’autorità giudiziaria. I diritti sono inoltre specificamente garantiti dalla possibilità di agire e
difendersi in giudizio per la loro tutela (art. 24* Cost.). La garanzia dei diritti nei confronti della
pubblica amministrazione è assicurata sia attraverso rimedi giurisdizionali (art. 113* Cost.), sia
per il tramite dei controlli preventivi di legittimità, che spettano alla Corte dei conti (art. 100*
Cost.). La Costituzione prevede, peraltro, la responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti
pubblici che compiano atti in violazione dei diritti (art. 28* Cost.). Ai fini della tutela dei diritti
fondamentali rilievo decisivo assume anche il sindacato di legittimità costituzionale, che può
essere sollecitato dal giudice nel corso di un giudizio. Si tratta di una forma indiretta di
garanzia, spettando alla Corte costituzionale controllare che la legislazione ordinaria non
comprima le garanzie previste per i diritti fino ad annullarle.

Il principio di eguaglianza nella costituzione italiana

Nell’art. 3 Cost. viene solennemente proclamato il principio dell’eguaglianza formale, una sorta
di supernorma che condiziona tutto l’ordinamento nella sua obbiettiva struttura. A tale
concezione formale dell’eguaglianza, la nostra Carta costituzionale ha affiancato anche
l’affermazione del principio dell’eguaglianza sostanziale. Questo principio pone una particolare
attenzione non soltanto all’ampliamento dell’area e delle dimensioni dei diritti costituzionali,
ma anche al profilo della loro effettività. Sulla base di un’interpretazione strettamente letterale
dell’art. 3 Cost. il principio di eguaglianza andrebbe applicato ai soli cittadini, con esclusione
quindi degli stranieri, un falso problema, dal momento che l’eguaglianza impedisce al
legislatore di dettare una disciplina che direttamente o indirettamente dia vita ad una non
giustificata disparità di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura
e dalla qualificazione dei soggetti cui queste vengono imputate. Per cui si è pervenuti a
giustificare l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione del principio anche agli stranieri
e agli apolidi, nonché alle persone giuridiche, siano essere private o pubbliche. Del resto,
anche a livello comunitario, la proclamazione generale dell’eguaglianza è contenuta nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nella quale si connota il riferimento a tutte le
persone, con parificazione della posizione giuridica di cittadini e stranieri. Allo stesso tempo
agli stranieri vengono imposti i doveri pubblici costituzionalmente sanciti, ad eccezione del
dovere di difesa e fedeltà della Repubblica, anch’esso legato al c.d. status activae civitatis. Del
resto nel complessivo disegno costituzionale è al pari tutelata la posizione dello straniero, al
quale sia impedito nel proprio paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite
dalla Costituzione italiana, riconoscendogli il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni stabilite dalla legge, sempre secondo legge è vietata la loro estradizione
per motivi politici, ad esclusione dei delitti di genocidio. Un discorso a parte va fatto, a seguito
del consolidarsi del processo di integrazione europea, per quel che concerne la posizione
giuridica degli stranieri che siano cittadini di uno degli Stati membri dell’Unione europea, dal
momento che il Trattato di Maastricht ha introdotto il concetto di cittadinanza europea
integrando così la mancata cittadinanza nazionale in caso di necessità. La cittadinanza
dell’Unione si sostanzia nel riconoscimento ai cittadini degli altri Stati dell’Unione europea che
si trovino nel proprio territorio, primo fra tutti il diritto di elettorato attivo e passivo nello Stato
in cui si risiede, a parità di altre condizioni con i cittadini di quello Stato, seppur limitatamente
alle elezioni comunali ed a quelle per il Parlamento europeo. Il principio di eguaglianza formale
comporta innanzitutto l’eguaglianza davanti alla legge applicabile a tutti, tanto ai governanti
quanto ai governati, e la proclamazione della pari dignità sociale dei cittadini con il divieto del
riconoscimento dei titoli nobiliari e quindi la parità potenziale dei diritti. Una seconda accezione
richiede eguaglianza nella legge senza operare discriminazioni di sorta, o meglio senza
adottare trattamenti irragionevolmente differenziati. La legge deve essere, pertanto,
egualmente differenziata, per tratta in modo eguale situazioni eguali ed in modo diverso
situazioni ragionevolmente diverse. L’art 3, 1° comma detta, in quello che è definito il nucleo
forte del principio di eguaglianza, una serie di sei specifici e tassativi divieti di discriminazioni
per motivi attinenti alla sfera più gelosa della personalità:

• Il divieto di discriminazione in base al sesso, che trova applicazione nell’ambito della


famiglia, in forza del principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
discriminazione che si rinfranca nei rapporti di lavoro, stante il riconoscimento della parità
di trattamento tra lavoratori di sesso opposto, e anche con la previsione dell’accesso agli
uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza di tutti i cittadini dell’uno
e dell’altro sesso.
• Il divieto di discriminazione in base alla razza è assai invece più rigoroso del
precedente divieto, determinando un limite ritenuto di carattere assoluto.
• Il divieto di discriminazione fondato per motivi linguistici, a cui si affianca l’obbligo
assunto dalla Repubblica alla tutela delle minoranze linguistiche.
• Il divieto di discriminazione in ragione della religione, alla quale si lega il principio
dell’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge ed il principio di laicità
o non confessionalità dello Stato e quindi di equidistanza e imparzialità verso tutte le
religioni. Questo diritto viene garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea.
• Il divieto di discriminazione in ragione delle proprie opinioni politiche, con la
tutela costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, il divieto di privare il
cittadino della propria capacità giuridica, della cittadinanza e del nome per motivi politici.
• Il divieto di discriminazione in base alle condizioni personali e sociali, e quindi
anche economiche. In Questo modo il principio dell’eguaglianza formale diviene
pervasivo e risulta enormemente dilatato, diventando così principio di ragionevolezza,
espressione di un più generale canone di coerenza dell’ordinamento. Per situazione
giuridica soggettiva si potrebbe intendere la posizione giuridicamente rilevante di un
soggetto rispetto ad un altro, che implichi vantaggio o svantaggio per il soggetto che ne è
titolare. Si suole distinguere tali situazioni soggettive, in attive e passive. Alla prima
categoria possono essere ricondotti: il diritto soggettivo, il potere, la potestà, il diritto
potestativo, il permesso, la facoltà, l’aspettativa e l’interesse legittimo; mentre alla
seconda: il dovere, l’obbligo, l’onere e la soggezione. Il diritto soggettivo designa la
pretesa o il potere di agire dei soggetti dell’ordinamento, per il soddisfacimento di un
proprio interesse riconosciuto e tutelato dal diritto oggettivo. Resta fermo, in ogni modo, il
divieto di abusare del proprio diritto e il dovere di solidarietà sanciti dall’art. 2 Cost.

Il “catalogo” dei diritti costituzionali: le libertà individuali

I diritti soggettivi vengono distinti a loro volta in diritti assoluti e diritti relativi. Nei diritti
assoluti rientrano sia i diritti della personalità o diritti fondamentali dell’uomo come il diritto
alla vita, alla salute, all’onore, pensiero, religione ecc., sia i diritti patrimoniali quali i diritti
reali come, ad esempio, il diritto di proprietà. I diritti relativi, al contrario, esigono la
collaborazione del terzo per la realizzazione dell’interesse ad essi sottointeso (actio in
personam) come i titoli di credito.

• Il potere è la situazione giuridica soggettiva attiva consistente nella possibilità attribuita


ad un soggetto di produrre determinati effetti giuridici, ossia di costruire, modificare o
estinguere un rapporto giuridico, è una situazione che si riferisce a comportamenti
liberamente attuabili.
• La potestà consiste in un potere/dovere attribuito ad un determinato soggetto, al fine di
tutelare un interesse altrui che l’ordinamento ritiene meritevole di tutela. Il titolare può
opporsi verso chiunque pretenda di esercitarla al suo posto ma è altresì dovere.
• Il diritto potestativo, invece, è riconosciuto nell’interesse dello stesso titolare: esprime il
potere di produrre effetti giuridici mediante una dichiarazione unilaterale di volontà
(eredità).
• Il permesso designa la situazione giuridica soggettiva attiva consistente nella possibilità
di compiere liberamente un atto.
• L’interesse legittimo è, infine, la situazione giuridica attiva che sussiste ogniqualvolta vi
sia corrispondenza fra la pretesa del singolo e l’interesse giuridicamente rilevante a che la
pubblica amministrazione esplichi la sua attività amministrativa. Consiste, dunque, nella
pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa da parte di chi si trovi in un determinato
rapporto con la pubblica amministrazione, e viene tutelato dall’ordinamento soltanto in via
mediata ed indiretta.
• L’aspettativa è l’ultima delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio e rappresentala
posizione di attesa di un effetto acquisitivo incerto. Si tratta quindi di un interesse privo di
qualunque protezione se e fino a quando non assurge a diritto soggettivo. Passando ora
alla disamina delle situazioni giuridiche soggettive passive:
• Il dovere è una situazione imputabile ad una pluralità di soggetti, mentre l’obbligo solo a
colui che è tenuto ad adottare un comportamento al fine di soddisfare l’interesse del
titolare del diritto. Pertanto, si parla di dovere fino a quando la situazione non si attualizza
in capo a soggetti determinati, di obbligo qualora la situazione si concretizzi nell’ambito di
uno specifico rapporto giuridico.
• L’onere, invece, è la situazione giuridica soggettiva in forza della quale un soggetto è
tenuto ad un determinato comportamento al fine di conseguire un proprio interesse;
l’eventuale inosservanza non implica una sanzione in capo al soggetto, bensì la
realizzazione di un effetto giuridico a lui sfavorevole ovvero il mancato verificarsi di un
effetto giuridico a lui favorevole.
• La soggezione è, infine, la situazione giuridica soggettiva passiva in cui si trova colui che,
pur non essendo tenuto a seguire una certa condotta in forza di un preciso obbligo, deve
tuttavia subire gli effetti della potestà di altri (minore).

L’ordinamento riconosce soggettività giuridica anche alle collettività, ovvero gruppi di soggetti
appartenenti ad una stessa categoria e legati da un vincolo associativo. La tutela dei loro
interessi, detti appunto collettivi, è garantita tramite degli organismi rappresentativi degli
interessi di categoria (ad esempio i sindacati). Si differenziano dagli interessi collettivi, i così
detti interessi diffusi, tutelati in funzione della loro rilevanza sociale, in quanto collegati a
bisogni della collettività (tutela della salute, salvaguardia paesaggio). Ciò posto, si può
analizzare la disciplina costituzionale della prima categoria da esaminare: quella delle libertà
attinenti alla persona. Si tratta di una normativa costruita intorno a quell’unica libertà
individuale garantita dall’art. 26* dello Statuto albertino, intesa come libertà situazione. La
classica e primaria tra le libertà individuali è la libertà personale qualificata come inviolabile
dall’art. 13* Cost., che contempla il diritto di disporre liberamente della propria persona senza
coercizioni fisiche e senza menomazioni della libertà morale, libertà c.d. psicofisica. A questo
diritto fondamentalissimo della persona possono ricondursi nuovi diritti emergenti
indipendentemente da una specifica disciplina costituzionale, in particolare quelli riconosciuti
agli aspetti essenziali della persona come unità psicofisica. In primo luogo, vengono in
evidenza i diritti di identità personale, posti a presidio dell’integrità della sfera personale
dell’uomo e della sua libertà di autodeterminarsi nella vita privata: diritto del nome, diritto
all’immagine e il diritto all’identità sessuale. In secondo luogo, vengono in rilievo i diritti
all’integrità psicofisica della persona, tra i quali rientra, primo fra tutti, il diritto alla vita,
considerato a ragione un diritto implicito nella nostra Costituzione. Infine, occorre far
riferimento ai diritti all’interiorità e della coscienza, e quindi all’esigenza di tutela dell’integrità
psichica e spirituale, tra i quali vanno menzionati il diritto all’onore ed alla reputazione,
qualificati come valori fondamentali ed ascritti alla categoria dei diritti inviolabili dell’uomo; il
diritto alla rettifica di notizie che riguardano il singolo nonché quello del proprio decoro, della
propria rispettabilità, riservatezza, intimità ecc. In questo ambito prende rilievo la libertà di
coscienza che manifesta il valore della dignità umana nel suo più profondo e intangibile diritto
della persona. In quest’ultimo va anche compreso e ricondotto il diritto alla privacy. Restrizioni
della libertà personale possono essere disposte soltanto nei casi e modi previsti dalla legge e
con atto motivato dell’autorità giudiziaria. Quest’ultima può avvenire tramite due modi: la
prima è la riserva assoluta di legge, da intendersi come assoluta e riferita alla sola legge
statale, ed è qui che la legge deve indicare tassativamente i casi eccezionali di necessità ed
urgenza in cui l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori restrittivi
della libertà personale; la seconda modalità di restrizione è rappresentata dalla riserva di
giurisdizione, infatti, una volta adottati dall’autorità giudiziaria i succitati provvedimenti
provvisori, devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li
convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
Nell’ottica di rafforzare il sistema dei rimedi giurisdizionali, l’art. 111* Cost. cita che è sempre
ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, nonché la legge istitutiva del c.d.
Tribunale della libertà e l’istituto del riesame delle misure coercitive, che l’imputato può
richiedere entro un brevissimo termine. L’art. 13 Cost., prevede, inoltre, che sia punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, le pene non
devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato, con rifiuto assoluto della pena di morte. Il principio di
umanizzazione della pena deve tendere alla rieducazione, la sanzione detentiva non può
comportare una totale ed assoluta privazione della libertà personale della personale; ne
costituisce certo una grave limitazione, ma non la soppressione, ci deve essere cioè quel
residuo di libertà che rimane comunque in capo al detenuto. L’art 13 Cost. attribuisce alla
legge la determinazione dei limiti massimi della carcerazione preventiva cui può essere
sottoposto colui che è in attesa di sentenza definitiva, e che l’attuale Codice di procedura
penale denomina custodia cautelare, facendola rientrare nell’ambito delle misure cautelari. La
carcerazione preventiva non può in ogni caso trasmodare in una sorta di pena anticipata,
dovendo comunque coniugarsi con il principio della presunzione di non colpevolezza
dell’imputato. Altre misure limitatrici della libertà personale si rinvengono nelle misure di
sicurezza personali (detentive e non detentive), previste dall’art. 25 Cost., fondate su
fattispecie di sospetto, ritenute comunque legittime dalla Corte costituzionale. Nel caso della
legislazione in tema di immigrazione, nel caso di violazione degli obblighi relativi all’ingresso
ed alla permanenza degli stranieri su territorio nazionale sono state previste le misure
dell’espulsione dello straniero e del suo trattenimento pressi i centri di identificazione ed
espulsione per il tempo strettamente necessario. L’ultimo intervento legislativo ha introdotto
come nuova circostanza aggravante la clandestinità, prevedendo successivamente anche il
reato di immigrazione clandestina. Nell’ambito del sistema delle forme di libertà fondamentali
previste in costituzione, la libertà di domicilio viene in rilievo come tutela della libertà della
persona nella sua proiezione spaziale. La correlazione tra gli art. 13 e 14 Cost. è talmente
stretta che la Costituzione ha esteso alla libertà di domicilio, qualificata anch’essa come
inviolabile, le stesse garanzie prescritte per la libertà personale, il che significa che eventuali
ispezioni e perquisizioni possono concretizzarsi solo sotto la duplice garanzia fondamentale
della riserva assoluta di legge e quella di giurisdizione. Per quel che concerne il domicilio si
rimanda alla nozione di luogo di privata dimora, che si estende ad ogni luogo di cui il soggetto
abbia legittimamente la disponibilità a titolo privato per lo svolgimento di attività connesse
alla vita privata e dal quale egli intende escludere i terzi. L’art 16 Cost. garantisce al cittadino
la libertà di circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio nazionale; l’art 16 Cost.
affida alla legge il compito di stabilirne le limitazioni in via generale per motivi di sanità e di
sicurezza, escludendo restrizioni determinate da ragioni politiche. L’art 16 Cost garantisce
altresì la libertà di espatrio, ovvero la libertà di uscire dal territorio della Repubblica e di
potervi rientrare. Alla libertà di espatrio è strettamente collegata la libertà di emigrazione
riconosciuta dall’art 35 Cost. La libertà di circolazione e soggiorno delle persone nell’ambito
dell’Unione europea nasce come uno dei pilastri dell’integrazione comunitaria, e viene
riconosciuta ad ogni cittadino dell’Unione europea dall’art 45 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea. Il carattere di inviolabilità connota anche la libertà e
segretezza della corrispondenza e di ogni altro mezzo di comunicazione (art 15 Cost.) che
viene a garantire una delle forme più dirette ed immediate di collegamento della persona con
il mondo esterno. Questa nozione è volta a tutelate sia la posizione soggettiva del mittente
che quella del destinatario della comunicazione, a prescindere dal contenuto della
comunicazione stessa, nonché dalla forma e dallo strumento utilizzati. Le limitazioni alla
libertà e segretezza delle comunicazioni possono avvenire legittimamente soltanto per atto
motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, e pertanto sono anche in
questo caso garantite da una doppia riserva, di giurisdizione e di legge. L’art 21 Cost.
riconosce a tutti la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione,
nonché il libero uso dei mezzi di divulgazione. Questo principio incontra il limite esplicito del
buon costume, concernente tutte le manifestazioni del pensiero. Peraltro, la libertà di
manifestazione del pensiero può incontrare ulteriori limiti espliciti derivanti dall’esistenza di
beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. Tra questi
limiti vi si possono far rientrare anzitutto quelli che discendono dai diritti della personalità,
ossia la tutela dell’onore, della reputazione e della riservatezza altrui, nonché del diritto
d’autore, anche limiti che si collegano a varie forme di segreto: come il Segreto di Stato,
d’Ufficio, professionale ecc. Non è altresì dubitabile che sussista la libertà dell’informazione,
ovvero un interesse generale della collettività all’informazione (sia ad informare che ad essere
informati), considerando che un regime democratico implica pluralità di fonti d’informazione,
libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali alla circolazione delle
notizie e delle idee. Dalla lettura combinata dell’art. 13 e dell’art. 3 della Costituzione si è
dedotta l’imprescindibile esigenza di una effettiva tutela del principio del pluralismo
dell’informazione, che va difeso contro l’insorgere di posizioni dominanti o comunque
preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale. A questo si
ricollega anche la necessità di un pluralismo di stampa e nel sistema radiotelevisivo. La libertà
di stampa è l’unica disciplinata analiticamente dalla Costituzione, quale mezzo di diffusione
tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell’informazione dei cittadini e quindi della
formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole. La previsione costituzionale è
diretta a sottrarre la stampa a controlli preventivi o censure e di sottoporla a misure di
controllo successivo alla pubblicazione, quale il sequestro, esclusivamente sotto la duplice
garanzia di una riserva assoluta di legge e di una riserva di giurisdizione . La legge di riforma
dell’editoria ha il merito di aver introdotto, a tutela del pluralismo dell’informazione nella
stampa, il primo esempio di antitrust dettando norme dirette ad impedire i processi di
concentrazione della proprietà editoriale. Anche nell’evoluzione della disciplina del sistema
radiotelevisivo alla preoccupazione costante è stata sempre quella di assicurare l’effettiva
garanzia del valore fondamentale del pluralismo, fondato sul diritto del cittadino
all’informazione. La Corte si preoccupa altresì di precisare che l’obiettivo di garantire
l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno attraverso l’accesso al sistema
radiotelevisivo del massimo numero di voci diverse. Si è in effetti verificato, ovvero il
costituirsi di un forte monopolio di un solo operatore privato, che ha assorbito la gran parte
delle emittenti locali, grazie ad una disciplina legislativa transitoria che legittimava a posteriori
la situazione di fatto creatasi. Bisogna attende la Legge Mammì del 1990 per individuar enei
principi di pluralismo, obbiettività, completezza, apertura alle diverse opinioni e tendenze
politiche, sociali, culturali e religiose, i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo. Il
limite individuato per il numero massimo di concessioni radiotelevisive rilasciabili non doveva
essere superiore al 25% delle reti previste dal piano nazionale, però fu dichiarato illegittimo
dalla Corte costituzionale, in quanto inadeguato a garantire un’effettiva tutela del pluralismo
dell’informazione, costringendo il Parlamento ad intervenire nuovamente in materia nel 1997
con la legge Maccanico che ha ridotto il suddetto limite al 20%. A livello comunitario, l’art 10
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea tutela la libertà di pensiero nel suo
aspetto interno, ossia la libertà di formare liberamente il proprio pensiero; mentre il
successivo art. 11, ne garantisce anche l’aspetto esterno, la libertà di espressione, tanto la
libertà passiva dell’informazione (essere informati) che quella attiva (informare). Allo stesso
tempo la Carta costituzionale affida alla repubblica il compito di promuovere lo sviluppo della
cultura, tanto nel riconoscimento del potere dello Stato di dettare le norme generali
sull’istruzione, con il principio del pluralismo scolastico, ossia l’obbligo di istituire scuole statali
per tutti gli ordini e gradi. La dimensione sociale della persona è costituzionalmente protetta
da una pluralità di disposizioni che concorrono a delineare quelle che sono state definite le
libertà collettive. L’art 17 Cost. riconosce il diritto di riunione, a condizione che essa si svolga
pacificamente e senza armi. Per riunione si intende la volontaria compresenza di più persone,
in un medesimo luogo, per il perseguimento di uno scopo comune, in assenza del quale si
avrebbe piuttosto un mero assembramento di persone. Le riunioni possono avvenire in luogo
privato, al quale si può accedere solo con il consenso del soggetto che ne abbia la giuridica
disponibilità, luogo aperto al pubblico, a cui può accedere chiunque pur rispettando
determinate condizioni fissati da chi ne ha la giuridica disponibilità, in luogo pubblico, al quale
può accedere chiunque a prescindere da permessi, solo le ultime due hanno l’obbligo del
preavviso all’autorità di pubblica sicurezza ed alla possibilità del divieto preventivo per motivi
di sicurezza e di incolumità pubblica. L’art 18 Cost. è ritenuto dalla Corte costituzionale vera e
propria libertà sociale dei cittadini e rappresenta la libertà di associazione per fini che non
vietati ai singoli dalla legge penale, come è anche liberà la volontà di non associarsi. Ciò che è
penalmente lecito al singolo non può essere vietato ad una associazione. Due limiti specifici
alla libertà di associazione è il divieto di associazioni segrete e le associazioni paramilitari che
perseguono scopi politici. La solenne proclamazione della libertà dell’organizzazione sindacale
comporta il riconoscimento della libertà sia di costituire una pluralità di associazioni sindacali
per ogni categoria economica e professionale, sia di aderirvi o meno, essendo tutelata anche
la libertà sindacale negativa. Il c.d. Statuto dei lavoratori garantisce a tutti i lavoratori la
libertà di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere l’attività sindacale all’interno
dei luoghi di lavoro. Un ulteriore importante corollario dell’art 18 Cost. è rappresentato dalla
libertà di associazione politica, diritto riconosciuto a tutti i cittadini al fine di concorrere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale (art 49 Cost.). l’art 98 Cost prevede la
possibilità di limitare per legge il diritto di iscriversi ad un partito politico per una serie di
pubblici dipendenti (magistrati, militari di carriera, funzionari e agenti di polizia ecc.).
L’esplicito divieto è quello di ricostruire il disciolto partito fascista, nessun altro limite di natura
ideologica può essere fatto valere nei confronti dei partiti politici, che restano così assoggettati
al solo limite del rispetto del metodo democratico. All’interno dei diritti sociali si propone una
distinzione fra quelli c.d. originari e quelli derivati. I primi attengono a rapporti giuridici che si
istituiscono su libera iniziativa delle parti, e pertanto possono essere fatti valere direttamente
dagli eventi diritto nei confronti della controparte. Quelli condizionati, invece, sono diritti il cui
godimento dipende dall’esistenza di un’organizzazione necessaria e idonea all’erogazione della
prestazione oggetto dei diritti stessi (diritto all’assistenza ed alla previdenza sociale). Le prime
e le più importanti elaborazioni dei diritti sociali sono sorte proprio con riferimento ai diritti
inerenti al mondo del lavoro, ed in particolare al diritto al lavoro, fondamentale diritto di
libertà della persona umana, che si estrinseca nella scelta e nel modo di esercizio dell’attività
lavorativa. L’art 35 Cost. impone ai pubblici poteri la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni. L’art 36 Cost. detta la regolamentazione del rapporto di lavoro (retribuzione, ore
lavorative, ferie), a garanzia dei più importanti diritti sociali interno al rapporto lavorativo
stesso. Il principio della giusta retribuzione risponde all’esigenza di una quantità proporzionale
alla quantità di lavoro effettuato, e che deve essere sufficiente ad assicurare a costoro
un’esistenza libera e dignitosa. L’articolazione della prestazione lavorativa è, invece, fatta
oggetto di apposite garanzie costituzionali, per quel che concerne la durata delle pause
(giornaliere e delle pause settimanali e annuali), al fine di consentire al lavoratore di vivere
quell’esistenza libera e dignitosa, chiave della tutela costituzionale. L’art 37 Cost. introduce il
divieto di discriminazioni a danno delle donne e dei minori, imponendo una particolare tutela
per la lavoratrice madre, onde consentire alla donna l’adempimento della sua essenziale
funzione familiare; naturalmente va tutelata anche l’attività lavorativa del minore. Nel
passare, quindi, all’analisi del sistema di sicurezza sociale prefigurato dall’art 38 Cost.,
bisogna senza dubbio tener conto dei numerosi casi di cittadini che versano in stato di bisogno
per cause di inabilità al lavoro e mancanza di mezzi necessari per vivere, ai quali lo Stato deve
garantire assistenza sociale e la previdenza sociale, quest’ultima relativa ai lavoratori e alla
mancanza dei mezzi per vivere. Lo strumento più efficace di autotutela degli interessi collettivi
dei lavoratori è lo sciopero, tutelato a garanzia dell’effettiva libertà sindacale. L’art 40 Cost. fa
seguire al riconoscimento costituzionale del diritto dello sciopero, un rinvio alla legislazione
futura per la disciplina dei limiti al relativo esercizio. La tutela dei diritti inerenti al mondo del
lavoro non assume quella centralità, in ambito comunitaria, che invece abbiamo visto rivestire
nella Costituzione italiana. Ciò trova conferma anche nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, al cui interno la scelta stessa della collocazione delle norme lavoristiche
appare quanto meno discutibile. Il diritto alla salute, l’unico diritto che la Costituzione
definisce espressamente fondamentale. La giurisprudenza costituzionale ha definito il diritto
alla salute come valore costituzionale primario, sia per la sua inerenza alla persona umana, sia
per la sua valenza di diritto sociale, rappresentabili come valori dell’individuo e interesse della
collettività. Il 2° comma dell’art 32 Cost. introduce, infine, il tema dei trattamenti sanitari
obbligatori, i trattamenti relativi alle malattie infettive e contagiose, le vaccinazioni
obbligatorie, accertamenti HIV). Il valore dell’ambiente è anch’esso erto a valore primario e
assoluto, sia come interesse della collettività sia come diritto soggettivo individuale, che
muove da un concetto di salute. Altrettanto importante è il diritto all’abitazione quale diritto
strumentale e concorrente rispetto ad altre situazioni soggettive riconosciute di bisogno,
diretto ad integrare la garanzia delle condizioni minime essenziali per un’esistenza libera e
dignitosa. Anche in ambito comunitario l’art 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea riconosce e tutela il diritto all’assistenza abitativa, volto a garantire un’esistenza
dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti. Alla base di quella che viene
definita Costituzione economica si pongono l’insieme delle disposizioni costituzionali dedicate
appunto alla disciplina dei rapporti economici, che spingono a regolarizzare il libero mercato
con misure antitrust e allo stesso tempo misure destinate a promuovere un mercato aperto e
in libera concorrenza. L’unico caso di nazionalizzazione di un’impresa, si è realizzato con delle
imprese produttrici di energia elettrica, che ha dati vita all’Enel; tuttavia, ormai da tempo si
va consolidando sempre più il superamento del monopolio pubblico spingendo verso la
privatizzazione delle imprese pubbliche. Anche il diritto di proprietà viene riconosciuto e
garantito, anche se non dichiarato inviolabile, in quanto nei casi previsti dalla legge per motivi
di interesse generale ci può essere l’espropriazione salvo indennizzo di risarcimento.

I doveri costituzionali

Occorre fare un cenno ai doveri costituzionali inderogabili di solidarietà politica, economica e


sociale di cui alla Repubblica, ai sensi dell’art. 2 Cost., richiede l’adempimento. I richiamati
doveri si distinguono in doveri di solidarietà economica e sociale e doveri di solidarietà politica.
Per quanto riguarda i primi la Costituzione annovera: il dovere del lavoro, l’obbligo di
prestazioni personali e patrimoniali, i doveri dei genitori nei confronti dei figli, il dovere
sottoporsi ai trattamenti sanitari previsti dalla legge, il dovere di istruzione, c.d. scuola
dell’obbligo, il dovere di contribuire alle spese pubbliche, anche per i non cittadini. Nell’ambito
dei doveri costituzionali di solidarietà politica si fanno rientrare: il dovere del voto, indicato
dall’art. 48 come dovere civico, anche se non comporta alcuna sanzione l’inadempimento il
dovere della difesa della Patria, che l’art 52 Cost. definisce sacro dovere del cittadino, servizio
militare professionale il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e
delle leggi, a cui segue il dovere di adempiere con disciplina ed onore al ruolo svolto nelle
funzioni pubbliche.

I diritti fondamentali nella dimensione europea

Al rafforzamento dei diritti a livello interno, si accompagna il processo di sovra


nazionalizzazione dei diritti, il graduale affermarsi dell’idea della protezione dei diritti come
specifico compito della Comunità internazionale. Si tratta di un processo tutt’altro che lineare,
segnato da eventi catastrofici (quali le due guerre mondiali) che hanno indotto l’umanità a
ripensare le sue stesse strutture sociali e i modi di intendere i rapporti internazionali. La
caratterizzazione antropocentrica delle principali Carte internazionali si spiega anche come
reazione agli orrori della guerra e dei regimi totalitari. Questo processo si traduce
significativamente in Europa nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottata nel 1950 dagli Stati membri del
Consiglio europeo. La CEDU è senz’altro la più importante carta dei diritti adottata in seno al
Consiglio d’Europa. Essa riconosce il diritto alla vita e alla protezione della persona umana,
alla libertà e alla sicurezza, ad un processo equo, al rispetto della vita privata e familiare, alla
libertà di pensiero, di coscienza e di religione, di riunione e di associazione, di sposarsi e di
fondare una famiglia, di circolazione e di soggiorno. Le disposizioni della CEDU integrano il
parametro costituzionale, ma non acquistano la forza delle norme costituzionali, rimanendo
pur sempre ad un livello sub- costituzionale e, come tali, soggette al controllo di
costituzionalità. In questo processo si inserisce, significativamente, la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, cui solo ora è attribuito lo stesso valore giuridico dei
trattati, grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona, che, dal 1° dicembre 2009
diviene parametro di legittimità dell’azione degli organi dell’Unione europea. Nella Carta si
parla di diritti in modo penetrante, si parla del modo in cui i diritti dovranno vivere
nell’ordinamento comunitario e in quello degli Stati. La carta consolida nuovi diritti,
aggiornando, ma non cristallizzando, il catalogo dei diritti nella dimensione europea. Quanto ai
rapporti con la CEDU e con le Costituzioni nazionali va ricordato che l’art 53 della Carta
stabilisce che nessuna disposizione di essa deve essere interpretata come limitativa o lesiva
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione. Alla luce
delle evoluzioni si evince un riconoscimento multilivello dei diritti fondamentali, per ora su 3
piani: livello europeo, livello CEDU e livello nazionale. Il che impone una diversa modulazione
dei rapporti tra Corte di Giustizia, Corte europea e Corti nazionali, tutte chiamate, a diverso
livello, ad assolvere l’importante compito della tutela dei diritti fondamentali.

L’Unione combatte la discriminazione e promuove la giustizia sociale, ma non si impegna a


rimuovere gli ostacoli di carattere materiale che permettono di rendere effettivi i diritti di
libertà. Infatti, il principio comunitario di eguaglianza pare ancora caratterizzato
esclusivamente in senso formale.

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