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Integrazione di Diritto

Costituzionale
VL
29/11/2021
Diritto Costituzionale I

Capitolo I
Lo Stato e gli altri ordinamenti giuridici
Le forme di Stato e le forme di Governo
La storia dello Stato italiano e del cammino europeo

Sezione I
Gli ordinamenti giuridici e lo Stato

Il concetto di ordinamento giuridico

Il concetto di ordinamento giuridico indica l’esistenza di un gruppo organizzato sulla base di regole
giuridiche.
Diverse sono le teorie sul concetto di ordinamento giuridico:
- le teorie istituzionalistiche che danno rilievo all’organizzazione del gruppo, sanciscono l’identità fra
ordinamento giuridico e corpo sociale inteso come <<istituzione>>, cioè composto da una pluralità
di ordinamenti (es: istituzioni religiose, associazioni politiche etc.). Ciascuna formazione sociale è
dotata di un certo grado di autonomia. Dall’ <<Istituzione>> che lega i sudditi allo Stato discendono
altri due componenti dell’ordinamento: l’ordine normativo e l’organizzazione;
- quelle normativistiche danno rilievo alle regole dettate per disciplinare i rapporti tra consociati. Le
norme seguono una rigida gerarchia al vertice della si pone la norma-base (c.d. Grundnorm), norma
sulla produzione giuridica che dà efficacia e che regge l’ordinamento sia a livello internazionale che
nazionale. In questo senso norma e sanzione costituiscono momenti indefettibile dell’ordinamento.

I rapporti, istituzionalistico e normativistico, non si escludono l’un l’atro, perché lo studio di realtà complesse come lo
Stato moderno non può che prescindere da un’analisi approfondita di tutti gli aspetti che concorrono a formarlo. Il
concetto di ordinamento comporta la sua applicabilità a molteplici fenomeni e quindi va riconosciuta l’esistenza di una
pluralità di ordinamenti giuridici.

Un particolare ordinamento giuridico è rappresentato dallo Stato, inteso quale organizzazione del potere
politico esercitato su una comunità di persone all’interno di un determinato territorio.
È difficile dire a cosa si debba il passaggio dalle originarie aggregazioni allo Stato modernamente inteso. Gli
storici danno rilievo a quelle vicende che condussero alla fine dell’esperienza feudale è al sorgere di gruppi
sociali tendenti alla centralizzazione del potere, che rinvenivano in sé stesse e nella propria capacità di
governo del territorio e degli abitanti la fonte della propria legittimazione.
Il momento di svolta viene fatto coincidere con la stipulazione del trattato di Westfalia del 1648, che chiuse la
sanguinosa Guerra dei Trent’anni. Da quella data tutti gli Stati europei riuscirono ad affermare la loro
eguaglianza, sovranità e indipendenza politica ponendo fine alla diarchia Impero-Papato.

La forma di Stato indica la relazione che si determina tra sovranità, territorio e popolo .

La prima forma di Stato moderno è lo Stato assoluto, inteso come regime politico in cui il potere è
esercitato dal sovrano senza restrizioni e limitazioni. Sue caratteristiche sono:
- concentrazione del potere nelle mani del sovrano;
- delimitazione di uno specifico territorio su cui si estende l’autorità del sovrano ;
- creazione di un apparato burocratico e diplomatico composto da funzionari fedeli alla corona ;
- creazione di eserciti nazionali permanenti a difesa del territorio ;
- sviluppo di un sistema fiscale accentrato che consente di reperire attraverso la riscossione dei
tributi, i mezzi necessari per il mantenimento della burocrazia e dell’esercito;

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- sostituzione della vecchia classe dirigente con la nuova borghesia legata ai traffici e alle principali
professioni.

Lo Stato liberale nasce dalla necessità di limitare il potere della Corona attraverso il riconoscimento dei
diritti fondamentali degli individui e l’istituzione di organi collegiali preposti a tutelarli (parlamenti).
L’azione politica del Sovrano viene sottoposta alla legge e quindi controllata dal Parlamento, l’organo
rappresentativo della Nazione. Sue caratteristiche sono:
- una nuova concezione della sovranità, che si sposta dal sovrano al popolo che la esercita attraverso i
propri rappresentanti liberamente eletti;
- la presenza di un testo costituzionale (Statuto o Costituzione a seconda se emanato direttamente
dalla Corona o votato in assemblea dai rappresentanti delle classi sociali), che definisce il nuovo
assetto istituzionale e proclama i diritti e i doveri dei cittadini;
- l’affermazione del concetto di rappresentanza politica in virtù del quale le elezioni diventano lo
strumento principale per la scelta dei rappresentanti dei cittadini;
- l’affermazione del primato della legge e del principio di legalità;
- l’affermazione del principio della separazione die poteri , in virtù del quale i poteri legislativo,
esecutivo e giudiziario devono essere esercitati da organi diversi ed indipendenti tra di loro: al
Parlamento spetta il potere di fare le leggi, al Re e ai suoi ministri di farle eseguire, ai giudici di
verificare la loro applicazione;
- un base sociale omogenea, quella borghese liberale, che gradualmente accede al voto e sceglie i suoi
rappresentanti;
- il riconoscimento costituzionale dei diritti di libertà , intesi sia nella loro accezione positiva, come
diritti civili inalienabili del cittadino, sia come libertà negative cioè riconoscimento di una sfera
privata individuale libera da ogni ingerenza esterna, compresa quella dello Stato. Rientra in questa
categoria il diritto di proprietà inteso come diritto inviolabile che costituisce il parametro sul
quale vengono strutturati gli altri diritti della persona.

Lo Stato totalitario. Lo Stato liberale entra in crisi nei primi anni del Novecento e in quelli immediatamente
successivi alla prima guerra mondiale (1914-1918) a causa di fattori di ordine economico e sociale. Questa
crisi ebbe un duplice effetto:
in Inghilterra e Francia si assiste al passaggio allo Stato democratico;
in Italia e Germania prendono piede i regimi totalitari.
Sue caratteristiche sono:
- esistenza di un partito unico che rappresenta la Stato;
- un forte apparato repressivo, volto all’eliminazione del dissenso e degli avversari politici;
- ruolo di indiscussa supremazia del Capo del Governo;
- la sovrapposizione delle strutture del partito a quelle dello Stato (in Italia il Gran Consiglio del
fascismo esautorò di fatto il parlamento);
- l’identificazione dello Stato e della società civile nelle strutture del partito, che si fa carico di tutto
anche di disciplinare la vita quotidiana compreso il tempo libero dei cittadini soprattutto
l’educazione dei giovani attraverso attività collettive;
- l’uso della propaganda per indottrinare le masse, plagiandone il pensiero e indirizzando i
comportamenti ai valori stabiliti dal regime.

Lo Stato democratico, come lo Stato totalitario, nasce dalla crisi dello Stato liberale, alla quale dà una
risposta completamente diversa.
Mentre lo Stato totalitario costituisce una degenerazione, lo Stato democratico si presenta come una
naturale evoluzione dello Stato liberale , di cui conserva i principi fondamentali del governo della legge,
della separazione dei poteri, e della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

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Lo Stato democratico allarga la sfera dei destinatari dei diritti e delle libertà, includendo anche le classi
sociali prima escluse e riconoscendo nuove forme di libertà nello Stato, nel campo dei diritti politici, e
soprattutto attraverso lo Stato sostenendo nuovi diritti sociali, pari opportunità etc.
Lo Stato assume un atteggiamento interventista in economia, che non ha una finalità di controllo come nel
caso dello Stato totalitario, ma risponde ad una esigenza di tutela delle fasce economicamente più deboli.
Lo Stato democratico si configura anche come Stato sociale (Welfare State). Nel rispetto della proprietà
privata dei mezzi di produzione e della libera iniziativa economica, crea una rete di servizi e prestazioni
quali tutela della salute, diritto all’istruzione, alla casa, assistenza sociale e previdenziale etc., finalizzata a
garantire il soddisfacimento dei bisogni minimi vitali e un miglioramento della qualità della vita di tutti i
cittadini.

Lo Stato Costituzionale. Lo stato democratico si caratterizza per la sua connotazione di Stato


Costituzionale.
Alla base della maggior parte degli ordinamenti democratici vi sono delle costituzioni rigide, a garanzia dei diritti
fondamentali e dell’assetto istituzionale democratico-pluralistico. Il carattere rigido, che richiede il
procedimento aggravato per la modifica del testo, si giustifica con il fallimento, in termini di garanzie e
tutele, degli Statuti e delle Costituzioni liberali a carattere flessibile, modificabili con il ricorso a semplici
leggi ordinarie. Ne sono un esempio lo Statuto Albertino e la Costituzione tedesca, rimasti formalmente in
vigore durante il fascismo e il nazismo. Dopo gli orrori provocati dalla Seconda guerra mondiale, fu chiaro
che lo Stato di diritto, nella sua versione liberale, restava esposto a derive autoritarie e necessitava di
strumenti giuridici istituzionali più forti per la realizzazione dei fini politico-sociali, quindi si trasformò in
Stato costituzionale.

Il carattere rigido delle Costituzioni impone, per una loro eventuale modifica, il consenso di una
maggioranza più ampia (qualificata) di quella sufficiente per governare (assoluta). La Costituzione è la
legge fondamentale di tutta la collettività, garantisce valori profondi per cui non può essere cambiata dalle
sole maggioranze che sono espressione di una sola parte del popolo. Qui sta il senso del procedimento
aggravato: la ricerca di un consenso più ampio, che coinvolga anche le opposizioni, mira a ricercare il clima
del costituente cioè un ampio consenso di coesione nazionale in cui tali costituzioni nascono .

A garanzia del rispetto della Costituzione sono creati organi autonomi e indipendenti: i tribunali o le Corti
costituzionali, create sull’esempio della Corte suprema degli Stati Uniti, prevista dalla Costituzione
americana del 1787, che testimoniano in maniera evidente il passaggio dalla Stato di diritto allo Stato
costituzionale.
Se lo Stato di diritto era fondato sulla supremazia assoluta della Legge, lo Stato costituzionale impone alle
leggi di rispettare i principi fondamentali contenuti nella Costituzione. In questo modo il legislatore non è
più completamente libero di operare, ma è costretto a muoversi entro limiti ideologici, giuridici e politici
definiti dalla Carta fondamentale.
Il controllo di costituzionalità affidato ad un organo terzo e imparziale, previsto da tutte le Costituzioni
democratiche del secondo dopoguerra.

Lo Stato di polizia (Lo Stato di polizia si manifestò in un particolare periodo storico e in un particolare
contesto geografico. Esso si affermò infatti all'epoca dell'Illuminismo, particolarmente in Prussia e
nell'Impero austriaco, rispettivamente sotto i regni di Federico il Grande e di Maria Teresa d'Austria e del
figlio Giuseppe II.) non deve essere inteso come atteggiamento repressivo da parte dello Stato. Il termine
polizia, va ricondotto alla matrice greca di polis, città, cioè inteso come soddisfazione dei bisogni della città.
Sue caratteristiche sono:
- concessione al popolo di alcune libertà civili, come quella di stampa;
- adozione di provvedimenti volti a migliorare l’istruzione e le condizioni sanitarie dei sudditi;

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- l’elaborazione di sistemi fiscali parzialmente più equi, con una ridistribuzione del carico fiscale
anche tra gli ordini privilegiati esenti dal versamento dei tributi;
- razionale amministrazione della giustizia, caratterizzata in alcuni casi anche dall’abolizione della
pena di morte.

Lo Stato sociale in cui la nuova base sociale è apertamente multi-classe e richiede una rappresentanza di
una pluralità di interessi che fino a quel momento erano stati esclusi o sottorappresentati. Si assiste a un più
intenso interventismo statale volto a garantire forme di tutela nei confronti degli strati della popolazione più
deboli a partire dai lavoratori. L’intervento statale si estende rapidamente anche ad altri settori in grado di
far fronte alle domande sociali essenziali e si accompagna ad un rapidissimo incremento delle spese dello
Stato. L’ordinamento non può che rafforzare le proprie leve fiscali con una politica di parziale
redistribuzione dei redditi a favore delle classi meno agiate.
Da un lato si assiste all’inserimento dei diritti sociali destinati ad assumere un rilievo sempre maggiore e
dall’altro all’affiancamento all’eguaglianza formale del principio di eguaglianza sostanziale. Questa
tendenza espansiva dell’intervento statale avrebbe minato le fondamenta del nuovo assetto comportando la
crisi dello Stato sociale.

Lo Stato socialista. Il colpo di Stato che eliminò lo zarismo e proclamò la dittatura del proletariato e del
successivo Stato socialista degli operai e dei contadini favorì la diffusione della dottrina marxista-leninista
anche su scala mondiale. Questa forma di Stato si affermò in Europa orientale, in Cina e Cuba e in alcuni
paesi dell’Africa, entrando in crisi agli inizi degli anni Novanta soprattutto a causa della rigidità del sistema
economico che ne è l’espressione, e del tradimento dell’originario progetto comunista disatteso dall’ascesa
delle dittature del proletariato totalmente estranee ai principi solidali ed egualitari del modello ideale
marxista. Tale degenerazione ha impedito ai paesi socialisti di reggere il confronto e la concorrenza politica,
economica e militare dei paesi capitalisti.
La dittatura del proletariato che si è imposta autodefinendosi Stato socialista vuole:
- l’abolizione della proprietà privata e la collettivizzazione dei mezzi di produzione, con
sopravvivenza della sola proprietà personale di beni non produttivi e dell’iniziativa privata
limitatamente ai soli territori economici secondari;
- pianificazione economica e burocratica centralizzata;
- ruolo centrale del Partito comunista, come nucleo dirigente e unico organismo politico con funzioni
di indirizzo in grado di condizionare l’operato di tutti gli organi statali ai vertici dei quali furono
collocati gli uomini di partito;
- sospensione delle libertà fondamentali ai fini dell’edificazione del socialismo, regola secondo la
quale le norme di diritto possono sempre essere derogate dai supremi organismi dello Stato e del
partito in nome del principio di legalità socialista;
- funzionalizzazione delle libertà fondamentali agli interessi dello Stato e del Partito che pur se
formalmente riconosciute sono nella sostanza significativamente compresse se ritenute un pericolo
per gli interessi del regime.
- Un diverso approccio del rapporto fra governanti e governati parte dalla dislocazione del potere sul territorio
dello Stato.

Classificazione degli Stati in base alla dislocazione del potere sul territorio

Lo Stato unitario è quello in cui sussiste un unico governo sovrano che opera si a livello centrale che
periferico. Si caratterizza per il decentramento che consente, mantenendo il carattere strettamente unitario
dello Stato, di diminuire l’impronta centralista di esso e favorire la dislocazione degli apparati in più sedi
con l’effetto di alleggerire l’organizzazione centrale e di rendere più vicino ai destinatari il livello di governo
che assume le decisioni relative agli stessi.

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Lo Stato federale è lo Stato in cui al Governo centrale si contrappongono diversi governi locali, dotati al loro
interno di poteri sovrani autonomi ed esclusivi anche se subordinati alla Costituzione e alle leggi federali.
A livello costituzionale è previsto il riparto delle competenze tra lo Stato centrale e gli Stati membri. Si
caratterizza per un’assemblea parlamentare normalmente bicamerale, a bicameralismo non perfetto con uno
dei due rami rappresentativo degli stati membri e l’altro dell’intero corpo elettorale nazionale.
La composizione dell’esecutivo tende ad essere rappresentativa della natura composita dello stato.
Vi è la previsione espressa di un ruolo degli Stati membri nel procedimento di revisione costituzionale.
Vi è un organo di giurisdizione ferale, spesso coincidente con quello della giustizia costituzionale, con
funzioni arbitrali tra enti territoriali.
Lo Stato federale rappresenta l’esito di due distinti processi:
- alcuni, come Stati Uniti e Germania, non sorti a seguito di progressiva unificazione-integrazione di
Stati precedentemente sovrani, passando per esperienze di tipo confederale (la Confederazione è
un’unione di Stati regolata dal diritto interno nazionale e dagli accordi di cooperazione intervenuti
fra gli stessi, senza creazione di un nuovo Stato);
- altri, come Canada, Austria, Brasile, sono il risultato di un processo di decentramento intervenuto in
Stati unitari accentrati per avvicinare maggiormente le componenti dello Stato-collettività allo Stato
apparato in nome di un principio di democrazia diffusa.

Lo Stato regionale non è composto da Stato membri ma da enti territoriali autonomi, non dotati di una
propria carta costituzionale ma previsti dalla Costituzione dello stato con sfere, più o meno ampie, di
autonomia statutaria, normativa, amministrativa e finanziaria. Non vi è un’assemblea parlamentare
direttamente rappresentativa degli enti territoriali e la partecipazione di questi ultimi all’esercizio di
funzioni statali è di solito limitata e contenuta. Alle regioni presenti sul territorio sono riconosciuti statuti
differenti a livelli di autonomia più o meno spiccati.

La Confederazione di Stati è un’aggregazione tra Stati indipendenti e sovrani i quali sono spinti a
collaborare per affrontare comuni problemi di natura prevalentemente economica o militare. Tale unione
non da vita ad un nuovo Stato, ma ad un soggetto di diritto internazionale fondato su un accordo concluso
fra gli Stati partecipanti.
Non si può negare che la Confederazione abbia spesso rappresentato il preludio alla formazione di uno Stato
federale come è avvenuto per esempio, per la Confederazione americana (1871) tedesca (1815), che hanno
preceduto la nascita dei corrispondenti Stati federali.
All’interno della Confederazione i singoli Stati mantengono la propria sovranità ed indipendenza. I loro
rapporti sono regolati, oltre che dal diritto internazionale, dal diritto derivato emanato dagli organi. La
confederazione si limita unicamente a regolare i rapporti tra gli Stati membri, da un lato, e con gli Stati terzi,
dall’altro.

Lo Stato autoritario che non manca di attribuire il conferimento delle cariche pubbliche al termine dei
procedimenti elettivi, formalmente regolari, ma in realtà svuotati di ogni significato autenticamente
rappresentativo.
Lo Stato patrimoniale forma caratteristica dei primordi dello Stato moderno, quando lo Stato si identificava
con il sovrano e i relativi patrimoni con quelli dei rispettivi reggenti. La coincidenza del patrimonio dello
Stato con quello del Sovrano assoluto riconduceva a quest’ultimo ogni potere d’imperio e la possibilità di
disporre di ogni cosa, compresi i pubblici poteri. Il potere statale si manifestava come assoluto e mancava
qualsiasi garanzia giuridica in capo ai sudditi.

La forma di governo descrive i rapporti che si instaurano tra gli organi di vertice dello Stato , cioè il
modello organizzativo che uno Stato adotta per esercitare il potere sovrano. Per cui:
- la forma di Stato riguarda le relazioni che intercorrono fra tutti gli elementi che compongono lo
Stato, popolo, territorio, sovranità;
- la forma di governo riguarda le relazioni che intercorrono all’interno del potere sovrano . L’analisi
delle forme di governo pone l’attenzione sui rapporti tra Parlamento, Governo e Capo dello Stato,

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con particolare riferimento alle modalità con cui sono ripartiti e condivisi i rispettivi poteri e
funzioni.

La forma di governo parlamentare è quella adottata dalla maggioranza degli Stati contemporanei e si
caratterizza per il fatto che il Governo formula un indirizzo politico che si impegna a seguire e di cui è
responsabile solo dinanzi al Parlamento il quale, a sua volta può in ogni momento revocarlo, togliendogli
la fiducia.
La carica di Capo dello Stato può essere indifferentemente assunta da un Monarca o da un Presidente eletto,
ma in genere gode di limitati poteri e non partecipa alla determinazione dell’indirizzo politico.

La principale caratteristica della forma di governo parlamentare è costituita dalla commistione tra la
funzione legislativa e quella esecutiva ; tra i due organi che la esercitano si instaurano complessi rapporti
caratterizzati da una serie di pesi e contrappesi (balance of powers) per cui il Governo, titolare della funzione
esecutiva, attraverso la fiducia, è sottoposto al controllo del Parlamento. Quindi, la forma di governo
parlamentare si caratterizza:
- per la condivisione del potere di indirizzo politico tra l’esecutivo e il legislativo ;
- la presenza di un solo organo direttamente rappresentativo della volontà popolare;
- la responsabilità politica del Governo nei confronti dell’organo legislativo , che si esprime
attraverso l’istituto della fiducia cioè l’istituto attraverso il quale la maggioranza dei membri del
Parlamento prende atto del programma politico presentato dal Governo e garantisce a quest’ultimo
il proprio sostegno per l‘approvazione degli atti legislativi necessari per la sua realizzazione;
- il Capo di dello Stato, in tale forma di governo, costituisce un organo di rappresentanza, controllo ed
equilibrio volto a garantire la continuità democratica e l’osservanza della Costituzione.

La forma di governo presidenziale indica una forma di governo in cui il principio della separazione dei
poteri è applicato in maniera rigida. In questa forma di governo il Presidente della Repubblica è
contemporaneamente Capo dello Stato e Capo del Governo ed è eletto direttamente dal popolo.
Caratteristiche di questa forma di governo sono:
- un Capo dello Stato (Presidente) eletto direttamente dal popolo;
- l’assunzione da parte del Presidente del doppio ruolo di Capo dello Stato e di Capo del Governo;
- l’impossibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia che imponga le dimissioni
dell’esecutivo.

Per parlare di presidenzialismo le tre caratteristiche devono coesistere, la semplice elezione diretta del Capo
dello Stato non è da sola sufficiente per poter parlare di presidenzialismo, dal momento che ciò che
caratterizza questa forma di governo è la netta separazione tra l’organo legislativo e quello esecutivo, con
l’assunzione da parte del Presidente di ampi poteri di governo.
L’esempio classico del presidenzialismo è quello degli Stati Uniti d’America, dove la carica di Presidente
rispetto a tutti gli altri organi e riunisce nella su persona sia la carica di Capo dello Stato che quella di Capo
dell’esecutivo.
Nella sua funzione di Capo di Stato rappresenta la federazione, riceve e accredita i rappresentanti
diplomatici, è posto al vertice delle forze armate, nomina i funzionari federali etc.
Nella sua funzione di Capo dell’esecutivo, nomina e revoca i ministri che rispondono solo a lui, assumendo il
ruolo di suoi collaboratori tecnici in completa indipendenza dal Congresso che ha struttura bicamerale ed è
titolare della funzione legislativa, del potere di approvazione della legge annuale di bilancio e anche della
facoltà di rimuovere il presidente d’ufficio in caso di impeachement.
La rigida separazione tra esecutivo e legislativo non prevede nessun accordo fiduciario né possibilità di
scioglimento anticipato delle camere, ma si accompagna a un complesso e articolato meccanismo di cheks
and balances cioè controllo e bilanciamento reciproco per evitare che uno dei due possa prendere il
sopravvento sull’altro.

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La forma di governo semipresidenziale costituisce una soluzione intermedia tra governo presidenziale e
parlamentare. Si caratterizza per la sussistenza di un doppio rapporto di fiducia che lega il Governo tanto al
Presidente della repubblica che lo nomina, quanto al Parlamento dal quale deve comunque ottenere e
mantenere la fiducia.
La carica di capo dello Stato è assunta da un Presidente eletto direttamente dal popolo al quale sono
attribuiti rilevanti poteri nella determinazione dell’indirizzo politico.
Il sistema semi-presidenziale è quello adottato in Francia con la costituzione del 1958.

A differenza del modello parlamentare il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento è notevolmente
allentato, pur non giungendo alla completa separazione prevista dal modello statunitense. Infatti, non
prevede alcun voto di fiducia da parte del Parlamento nei confronti dell’esecutivo che è pienamente
operativo nel momento in cui è nominato dal presidente della Repubblica, salvo un’espressa mozione di
sfiducia votata dall’Assemblea Nazionale cioè una delle due camere del Parlamento francese .
Il sistema semi-presidenziale è molto flessibile, infatti può operare, a seconda degli equilibri politici, sia
come sistema semi-presidenziale con la prevalenza del Presidente sia come sistema semi-parlamentare
con la prevalenza del binomio Parlamento-Governo. Nulla vieta che il Presidente sia espressione di una
parte politica diversa rispetto a quella che detiene la maggioranza in Parlamento e che sostiene il Governo.
Per cui:
- il Presidente ed il Governo sono espressione della stessa maggioranza quindi in questo caso il
sistema è semipresidenziale. La figura predominante è quella del presidente, il quale oltre ad
esercitare i poteri che gli sono conferiti dalla Costituzione, può contare su una maggioranza
parlamentare. Per cui nominerà un Governo che è espressione della stessa maggioranza, sia di sua
fiducia in linea con il suo orientamento politico e pronto a dare attuazione al suo programma.
- Il Presidente ed il Governo rappresentano maggioranze diverse c.d. coabitazione . In questo caso il
sistema è da considerarsi semi-parlamentare. Il Presidente deve convivere con una maggioranza
Parlamentare a lui politicamente ostile. Un Governo che fosse espressione dell’orientamento politico
del Presidente sarebbe inevitabilmente destinato a scontrarsi con il Parlamento: ragioni di
opportunità politica indurranno, quindi, il Presidente a nominare un Primo ministro gradito
all’Assemblea parlamentare. A prevalere è il legame Parlamento-Governo. L’esecutivo, ed il suo
primo Ministro avranno un ruolo ben più incisivo rispetto al caso precedente, potendo contare su un
solido rapporto fiduciario con la maggioranza parlamentare. La figura del presidente è
ridimensionata, ma il Capo dello Stato continua ad esercitare poteri importanti, soprattutto in
materia di politica estera. La coabitazione può verificarsi quando, ad esempio, il popolo elegge un
Presidente di destra, ma alle successive elezioni per il Parlamento elegge una maggioranza di
sinistra. Questo si è verificato negli anni 1997/2002, con Presidente Chirac e primo ministro Jospin.

La forma di governo direttoriale trova riscontro in Svizzera (prevista per la prima volta dalla Costituzione
francese del 1975). In questa forma di governo il potere esecutivo è esercitato dal Consiglio federale o
Direttorio, formato da sette membri eletti dal Parlamento o Assemblea Federale nominato ad ogni inizio di
legislatura.
È assente l’istituto della sfiducia, per cui il Direttorio dura in carica per tutto il periodo della legislatura, e
dall’assenza di conflitto tra maggioranza ed opposizione in quanto nel direttorio sono presenti tutte le
componenti politiche.
L’effettivo funzionamento della forma di Governo tende a far prevalere il Consiglio federale sull’Assemblea,
in considerazione della sua continuità di azione politico-amministrativa, della sua sostanziale inamovibilità,
della sua ampia rappresentatività che include anche le minoranze.

Gli elementi costitutivi dello Stato sono:


- popolo cioè l’elemento personale;
- il territorio cioè l’elemento spaziale;
- la sovranità cioè l’elemento organizzativo.

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Il concetto di popolo è largamente usato nella Costituzione che ne fa menzione:
- all’art. 1, dove lo indica come titolare della sovranità;
- art. 101 dove esprime con valenza simbolica, il soggetto in nome del quale è amministrata la
giustizia;
- art. 102 dove esprime i modi della diretta partecipazione all’amministrazione della giustizia;
- art. 11 nel contesto della dimensione internazionalistica nell’espressione di ripudio della guerra
come strumento di offesa e di libertà degli altri popoli;
- all’art. 6 che tutela le minoranze linguistiche e costituisce la principale espressione del diverso
indirizzo politico adottato in relazione alle minoranze dopo la caduta del fascismo che aveva
adottato una politica repressiva e ne aveva promosso la forzosa assimilazione al gruppo linguistico
dominante.
La Costituzione, nel rispetto dei principi e dei valori di libertà e uguaglianza, detta un’apposita
norma che ribadisce il precetto contenuto al 1° comma dell’art. 3 nella parte in cui vieta ogni
discriminazione in base alla lingua. In tal modo il Costituente si dissocia dalla precedente esperienza
dittatoriale impegnandosi per la tutela delle minoranze alloglotte.
L’art. 6 garantisce anche una tutela positiva, al fine di conservare il patrimonio linguistico e culturale delle
minoranze in ossequio ai principi di pluralismo e di tolleranza nel rispetto del:
- principio pluralistico riconosciuto dall’art. 2, essendo la lingua un elemento d’identità individuale e
collettiva di importanza basilare;
- principio di eguaglianza riconosciuto all’art. 3, al primo comma, stabilisce la pari dignità sociale e
l’eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, senza distinzione di lingua e, al secondo comma,
prescrive l’adozione di norme che valgono positivamente per rimuovere le situazioni di fatto da cui
possono derivare conseguenze discriminatorie.

Dal punto di vista della tutela legislativa, fino all’emanazione della L. 482/1999, che contiene le norme in
materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, non esisteva nell’ordinamento una legge-quadro
nazionale per la tutela delle minoranze. Uno status giuridico privilegiato veniva riconosciuto soltanto alle
minoranze nazionali (francofona in Valle d’Aosta, germanofona in Trentino, slovena in Friuli-Venezia
Giulia) cui una legislazione di rango costituzionale (gli Statuti delle regioni speciali) e la relativa normativa
di attuazione riservava e garantiva forme più garantiste di tutela. Con la legge 482/99 sono stati assicurati
interventi a tutela de patrimonio culturale e linguistico di tutte le minoranze storiche (albanesi, catalane,
germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,
l’occitano e il sardo) a livello di scuole, università, amministrazioni pubbliche, favorendone la conoscenza,
l’uso, la conservazione.
In ossequio al principio di unitarietà della nazione, costituisce un baluardo insormontabile l’uso della
lingua italiana, che deve sempre conservare il carattere ufficiale, nonché il primato rispetto alle altre lingue.

Con il termine popolo si indica la comunità di individui cui l’ordinamento giuridico statale attribuisce lo
status di cittadino. Dal popolo e dal cittadino vanno distinti i concetti di:
- popolazione, che indica l’insieme di individui che si trovano nel territorio dello Stato. Si tratta,
quindi non di un concetto giuridico, ma demografico e statistico;
- nazione, che identifica una collettività etnico-sociale caratterizzata dalla comunanza di lingua, razza,
costumi, religione;
- razza, che indica una comunanza di caratteri biologici che costituisce una pericoloso forma di
discriminazione contraria al principio di eguaglianza se assurge a rango di valore costituzionale;
- etnia, che indica la comunanza di matrici storiche, culturali e linguistiche, che se istituzionalizzato
può condurre a forme di ingiuste disparità e conflitti interetnici;
- patria, che indica la terra di un popolo alla quale ci si sente legati per ragioni di nascita per forti
vincoli di carattere storico, politico, morale.

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La cittadinanza consiste nell’appartenenza giuridica di un individuo ad uno Stato, costituisce, uno status
personale che attribuisce diritti e doveri. Le norme sulla cittadinanza sono contenute nella L. 91/92 che
stabilisce che: è cittadino per nascita chi (art. 1):
- nasce in Italia da genitori ignoti;
- nasce da genitori apolidi;
- il nato non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato cui questi appartengono
(Ius soli).
- Il figlio di padre o d madre italiani (Ius sanguinis).

La stessa legge stabilisce che è cittadino per estensione, art. 2 e 3:


- il figlio riconosciuto o dichiarato giudizialmente durante la minore età. Se è maggiorenne conserva il
proprio stato di cittadinanza, ma può dichiarare entro un anno dal riconoscimento o dalla
dichiarazione giudiziale di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione;
- il minore straniero adottato da cittadino italiano;
- il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano, quando dopo il matrimonio, risieda legalmente
da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio
se residente all’estero.

La legge 91/92, inoltre, stabilisce che è cittadino per beneficio di legge, art. 4:
- lo straniero o l’apolide con padre o madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado
sono stati cittadini per nascita se:
- presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare
la cittadinanza italiana;
- se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiara di voler
acquistare la cittadinanza italiana;
- lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al
raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza
italiana entro un anno.

È cittadino per naturalizzazione, art. 9, con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di
Stato, su proposta del Ministro dell’interno:
- lo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono
stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica, è che vi risieda da almeno tre
anni;
- lo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della
Repubblica da almeno cinque anni successivamente all’adozione;
- lo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello
Stato;
- il cittadino di uno Stato membro della Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro
anni nel territorio della repubblica;
- l’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;
- lo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica;
- con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno:
 lo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia;
 lo straniero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.

La cittadinanza italiana si perde:


- per assunzione di impiego o carica pubblica presso uno Stato estero o un ente internazionale cui non
partecipi l’Italia se non si ottempera all’intimazione che il Governo italiano rivolge di abbandonare
l’impiego, la carica o il servizio militare;

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- quando si accetti o non si abbandoni un impiego o una carica pubblica, si presti servizio militare
senza esservi obbligato o si acquisti volontariamente la cittadinanza di uno Sato estero che si trovi in
stato di guerra con l’Italia;
- per rinunzia, qualora il cittadino italiano risieda o stabilisca la residenza all’estero, o se essendo figlio
di persona che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, abbia raggiunto la maggiore età e sia in
possesso di altra cittadinanza.

La cittadinanza italiana si può riacquistare:


- per prestazione di servizio militare o assunzione di un impiego pubblico alle dipendenze dello Stato
italiano previa dichiarazione di volerla riacquistare;
- per rinuncia da parte di un ex cittadino all’impiego o servizio militare presso uno Stato estero con
trasferimento, per almeno due anni, della propria residenza in Italia;
- per dichiarazione di riacquisto con stabilimento entro un anno, della residenza nella Repubblica, o
dopo un anno dalla data in cui l’ex cittadino ha stabilito la propria residenza nel territorio italiano,
salvo espressa rinuncia.

La cittadinanza europea. Con il trattato di Lisbona è stata ribadita la cittadinanza europea prevedendo che è
cittadino dell’unione chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro. La cittadinanza europea si
affianca e non sostituisce la cittadinanza nazionale. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti
ai doveri previsti dai trattati.

La condizione giuridica dello straniero art. 10 Cost.


La condizione giuridica dello straniero è prevista dalla Costituzione ed è disciplinata dalla legislazione
ordinaria. Si tratta di norme che si impongono ormai come diritti della persona nei confronti degli Stati di
rispettiva appartenenza e si applicano anche agli stranieri, poiché nella coscienza dell’umanità sono legati
alla natura dell’essere umano pensiamo al diritto al cubo, all’acqua, all’istruzione etc. c.d. <<diritti sociali>>.
Anche questi diritti devono ritenersi parte dei diritti fondamentali degli esseri umani e, come tali, rientrano
tra le <<norme del diritto internazionale generalmente riconosciute>>.

Il 2° comma, delega la legislazione ordinaria per la regolazione della condizione giuridica dello straniero in
conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Il 3° comma stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo
le condizioni stabilite dalla legge.

Il 4° comma vieta l’estradizione per motivi politici di un individuo condannato o accusato di crimini
commessi per opporsi a regimi illiberali o per affermare un diritto di libertà il cui esercizio nel suo paese è
negato. Bisogna distinguere tra:
- rifugiato politico, cioè chi nel giustificato timore d’essere perseguitato per motivi di razza, religione,
opinione politica, si trova fuori dal suo Stato e non può o non vuole, per tale timore, domandare la
protezione del suo Stato;
- richieste d’asilo, colui che richiede non solo il soggiorno in uno Stato per sottrarsi all’autorità e alla
giustizia di un altro Stato, ma ne chiede protezione;
- profugo, cioè chi è costretto ad abbandonare la propria terra a causa di guerre, persecuzioni di diritti
umani o catastrofi di vario tipo.

Per quanto riguarda la legislazione ordinaria la disciplina è contenuta nella L.286/98 c.d. Testo unico
sull’immigrazione, il cui art. 1 definisce stranieri i cittadini di Stati non appartenenti all’unione Europea e gli
apolidi.

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Bisogna distinguere, quindi, fra cittadini appartenenti all’Unione europea e cittadini non appartenenti
all’Unione europea.
- I cittadini europei godono di una condizione più favorevole per quanto riguarda l’entrata e la
presenza in Italia disciplinate dal D.Lgs. 30/2007. In particolare godono: di un diritto soggettivo alla
libera circolazione e soggiorno che può essere limitato, con apposito provvedimento, solo per motivi
di sicurezza dello Stato; non devono essere autorizzati all’entrata tramite la richiesta del visto e i
controlli alle frontiere sono minimi; possono permanere senza alcuna formalità fino a tre mesi e, con
pochi adempimenti, per una durata più lunga fino ad ottenere, dopo 5 anni, il diritto al soggiorno
permanente.
- La parte della normativa in comune con i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea è
quella che riguarda l’uscita dalla Stato, cioè le misure di allontanamento previste come sanzioni a
determinati comportamenti, per cui i cittadini dell’unione possono essere allontanati al pari degli
stranieri per:
 motivi ammnistrativi: l’allontanamento di tipo amministrativo può avvenire per mancanza
dei requisiti richiesti per la permanenza, ma non può prevedere un divieto di reingresso sul
territorio nazionale, mentre è una importante conseguenza dell’espulsione amministrativa
dei cittadini extra UE. La presenza a seguito di allontanamento crea presupposti per una
contravvenzione, punita con l’arresto da un mese a sei mesi con l’ammenda da 200 a 2.000
euro, e non per un delitto come nel caso di stranieri extra UE;
 motivi di sicurezza pubblica che riguardano la sicurezza dello Stato, o di ordine pubblico.

Per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea l’ingresso dello straniero è condizionato, ai sensi
dell’art. 4, commi 1 e 2, D.Lgs. 286/1998, al possesso di:
- passaporto valido o documento equipollente;
- visto rilasciato dalle autorità diplomatiche e consolari italiane nello Stato di origine o di stabilire
residenza dello straniero con l’indicazione dei diversi motivi d’ingresso.
- la permanenza in Italia e consentita previa concessione di un permesso di soggiorno con
l’indicazione di motivi d’ingresso identica a quella del visto. Il permesso, che viene rilasciato dalla
Questura, ha di norma la stessa durata prevista dal visto d’ingresso, che varia a seconda dei motivi
per i quali lo straniero è entrato in Italia. La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di
soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e
un massimo di 200 euro;
- contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno, deve essere
presentato un Accordo di integrazione, articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici
obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La
stipulazione dell’accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del
permesso di soggiorno e la perdita integrale dei crediti determina l’espulsione dal territorio dello
Stato art 4bis, L.94/2009. La ratio del provvedimento è di garantire l’effettiva integrazione dello
straniero nel territorio italiano dando impulso a quel processo finalizzato a promuovere la
convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione.

Nei confronti dello straniero presente nel territorio italiano, anche se clandestino, deve essere garantito il
rispetto dei diritti fondamentali della persona umana previsti da norme interne o da consuetudini e
convenzioni internazionali, art. 2, 1° comma, D.Lgs. 286/98. La Corte Costituzionale, in proposito, con
sentenza 252/2001, ha dichiarato come esistano garanzie costituzionali che valgono per tutti, cittadini e
stranieri perché essere umani; quindi, è necessario un bilanciamento tra l’osservanza del provvedimento
dell’autorità, in materia di controllo dell’immigrazione illegale, e l’insopprimibile tutela della persona
umana.
Lo straniero regolarmente soggiornante, invece, gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino
italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il testo unico non dispongano
diversamente. Lo straniero regolare può prendere parte alla vita pubblica locale e gode della parità di

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trattamento relativamente alla tutela giurisdizionale, nei rapporti con la pubblica amministrazione e
nell’accesso ai pubblici servizi, nei modi e nei limiti previsti dalla legge.

Il territorio è l’ambito spaziale entro il quale lo Stato esercita la propria sovranità. Comprende:
- la terraferma;
- il mare territoriale, la cui estensione raggiunge normalmente i 12 miglia dalla costa;
- la piattaforma continentale, cioè i fondi marini e il loro sottosuolo al di là del mare territoriale;
- lo spazio aereo sovrastante la terra ferma;
- il territorio fluttuante cioè le navi e gli aerei militari, ovunque si trovino.
Il termine territorio a livello costituzionale compare per la prima volta nei principi fondamentali:
- all’art. 10 riferito alle condizioni alle quali lo straniero ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica;
- all’art. 16, 2° comma, mentre il 1° comma usa l’espressione territorio nazionale;
- all’art. 80 che fa riferimento al territorio tout court.

La sovranità consiste sia nel potere supremo dello Stato all’interno del proprio territorio sia
nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato. Per cui la sovranità è:
- esterna, e riguarda i rapporti dello Stato con gli altri Stati, e si sostanzia nell’effettiva autonomia che
ciascuno Stato, in virtù della sua originarietà, possiede e manifesta;
- interna, che attiene ai rapporti dello stato con coloro che, si trovano sul suo territorio; si manifesta
nel potere d’imperio e si connota nella supremazia nei confronti di ogni altro soggetto, ente o
organizzazione presente sul territorio statale.

La sovranità dello Stato è suprema ed esclusiva, perché non riconosce altri poteri a sé, ed è originaria, in quanto
sorge al momento della nascita dell’organizzazione statale. Il carattere originario dei suoi poteri differenzia lo Stato
dalle altre organizzazioni esistenti al suo interno, i cui poteri sono derivati, dal momento che è lo stato stesso a
riconoscere la legittimità e le possibilità e modalità di esercizio.
Con l’affermazione dello Stato moderno, ci si pose il problema di individuare l’autorità che fosse
effettivamente titolare della sovranità. In fasi e climi politici diversi la sovranità è stata attribuita:
- al sovrano;
- alla nazione (1789) con il superamento dell’identificazione tra Stato ed istituzione monarchica. Alla
struttura sociale rigidamente divisa in base al ceto subentra una moltitudine di cittadini eguali;
- al popolo. Con l’elaborazione della teoria della sovranità popolare di Rousseau, secondo cui la
sovranità coincide con la volontà del popolo sovrano, inteso quale ente collettivo a prescindere dalla
nazionalità dei singoli cittadini.

Nel corso del Novecento il principio della sovranità popolare ha trovato generale applicazione, perdendo
una significativa parte della sua radicalità. Da una parte si è accolto il principio rappresentativo, in base al
quale il popolo esercita la sovranità non direttamente, ma attraverso propri rappresentanti
democraticamente eletti. Dall’altra, con la diffusione di Costituzioni rigide e di appositi organi posti alla loro
tutela, sono stati fissati importanti vincoli giuridici all’esercizio della sovranità popolare.
La sovranità al giorno d’oggi, incontra notevoli limiti:
- giuridici, dovuti all’appartenenza dello Stato all’ordinamento internazionale e a istituzioni
sovranazionali, le cui norme varcano sempre di più i confini nazionali e mirano a coinvolgere
direttamente i popoli e gli individui;
- di fatto, dovuti alla globalizzazione, che determina una sostanziale perdita di controllo da parte
dello Stato di settori legati a una dimensione transazionale, quali l’economia, le comunicazioni etc.
Le privatizzazioni che hanno coinvolto le imprese strategiche di grandi dimensioni hanno inciso
notevolmente sul tessuto economico e politico nazionale contribuendo a determinare un fenomeno
nuovo e intollerabile da parte dei singoli ordinamenti, appunto, la globalizzazione. Le
multinazionali, capaci di generare ricchezze superiori al PIL di interi Paesi che, al contrario delle
industrie dirette o partecipate dagli Stati, non socializzano i propri profitti. È sorta una competizione

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a livello mondiale solo economica che non ha alcun risvolto sociale e che assume toni sempre più
drammatici, soprattutto in quei Paesi che sono costretti ad offrire agli investitori stranieri grandi
vantaggi in termini di riduzione del costo del lavoro. Si afferma, quindi una nuova forma di
dipendenza economica che genera gravi ricadute sociali sulle comunità locali e porta a nuove e
pericolose forme di autocrazia. La conseguenza è l’incapacità degli Stati di esercitare la piena
sovranità sul territorio, la stessa UE nata per motivi strettamente economici, ha mostrato di non
sapere curare politiche sociali poste a tutela dei cittadini europei, a tutto vantaggio di superiori e
intoccabili poteri economici. Questo ha indotto gli studiosi a parlare di fuga si sovranità. È
auspicabile, che venga presto applicato l’art. 6 del Trattato dell’Unione che prescrive il
riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo sanciti dalla carta dei diritti
dell’Unione europea. In tal modo, si potrebbe garantire la nascita di una Europa di diritto,
cancellando l’attuale Europa dei mercati che non è stata in grado di provvedere alla necessità dei
cittadini europei.

Caratteri ed evoluzione storica dello Stato italiano

Lo Stato Liberale

L’ordinamento costituzionale è quel nucleo di norme scritte e non scritte che danno forma all’ordinamento
giuridico determinandone l’identità e l’effettività.
L’ordinamento italiano si caratterizza per una Costituzione scritta, votata, rigida e lunga, che costituisce il
risultato di processi politici, storici, sociali e giuridici che vanno dall’unità d’Italia (1861) alla caduta del
fascismo (1945).

Il 1848 ha segnato una tappa fondamentale per l’affermazione del costituzionalismo nella nostra penisola. In
quell’anno, l’intera Europa fu sconvolta da una serie di moti insurrezionali finalizzati a sovvertire l’assetto
politico territoriale delineato nel 1815 dal Congresso di Vienna.
Nel Regno di Sardegna, Re Carlo Alberto emanò un proclama di 14 articoli, lo Statuto, redatto dal Consiglio
dei ministri sabaudo dell’epoca in sole 25 sedute e, promulgato il 4 marzo 1848. Lo Statuto del regno d’Italia
rimase in vigore per circa un secolo ed era una Costituzione:
- ottriata, cioè concessa unilateralmente dal Re, senza alcuna approvazione da parte del popolo;
- flessibile, cioè modificabile con un semplice procedimento legislativo ordinario, che non offriva
nessuna reale garanzia né in merito alla forma di governo né riguardo alla tutela dei diritti dei
cittadini;
- contenente disposizioni molto generiche che lasciavano adito a molteplici e pericolose
interpretazioni soprattutto in materia di libertà dei cittadini.

Lo Statuto Albertino introduceva, nell’ordinamento costituzionale, una forma di governo caratterizzata dal
dualismo di poteri fra il sovrano e l’assemblea rappresentativa. Il Re:
- nominava e revocava i ministri che erano responsabili esclusivamente nei suoi confronti;
- aveva il comando delle forze armate;
- gestiva la politica estera;
- anche il potere giudiziario emanava dal Re, ed era gestito a suo nome da giudici che egli stesso
istituiva;
- al Re si contrapponevano le due camere di cui:
 la Camera dei deputati (c.d. camera bassa) realmente rappresentativa dei cittadini, anche se
dei soli ceti alti, a cui veniva riconosciuto il diritto di esaminare con precedenza le proposte
di legge in materia;

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 il Senato composto dai membri nominati dal Re, che nella maggioranza dei casi finiva per
adeguarsi alla decisione del Sovrano, connotando così un bicameralismo imperfetto.
- Pochi erano gli articoli dedicati al rapporto fra Stato e cittadini. Si trattava, in genere, di disposizioni,
che riconoscevano i fondamentali diritti di libertà (domicilio, stampa, personale), il principio di
eguaglianza formale, l’inviolabilità della proprietà etc..
- La flessibilità dello Statuto riconosceva piena discrezionalità al legislatore nel disciplinare tali diritti,
così che esso poteva comprimerne l’esercizio.

Il Regime Totalitario

Con le elezioni del 1919 entrano a far parte della scena politica italiana i grandi partiti di massa, che grazie
alla riforma elettorale avevano assunto una posizione di preminenza. I due anni che seguirono furono
segnati da agitazioni e rivendicazioni sindacali, c.d. Biennio Rosso, che spaventarono la classe dirigente,
accompagnate dal timore della diffusione delle idee comuniste già affermatesi in Russia con la rivoluzione
del 1917.
Nacquero in questo clima i Fasci di combattimento di Benito Mussolini che, pur agendo in palese violazione
della legalità incontrarono il favore di liberali e cattolici in quanto si presentavano come gli unici difensori
dell'ordine costituito contro l'avanzata delle sinistre. In questo clima di incertezza politica e illegalità le
squadre fasciste marciarono su Roma il 27 ottobre del 1922. Il Re al posto di dichiarare lo stato di assedio
(come proposto dal presidente del consiglio Facta e deliberato dal Consiglio dei ministri) per disperdere i
dimostranti con prassi del tutto estranea al regime parlamentare designò il 29 ottobre primo ministro Benito
Mussolini leader del nascente fascismo.
Ottenuta la fiducia delle camere in un clima di grave intimidazione, Mussolini assunse la carica di capo del
governo e prese le redini del paese dando vita ad una serie di trasformazioni istituzionali - come la creazione
della milizia fascista e l'introduzione della legge acerbo che assicurava al regime in carica un premio di
maggioranza - che fecero degenerare il sistema parlamentare in dittatura.
Dopo il delitto di Giacomo Matteotti avvenuto il 10 giugno 1924, Mussolini tenne un discorso alla camera nel
quale preannunciava la fine delle libertà civili e politiche, vennero emanate una serie di leggi c.d.
fascistissime.

- L. 2263/1925: fu quella più rilevante alterò radicalmente la forma di governo fino ad allora vigente.
Prevedeva che il capo del governo, nominato e revocato dal re, fosse responsabile dell'indirizzo
politico, mentre i ministri nominati dal re su proposta del capo del governo erano responsabili verso
il re e verso il capo del governo degli atti e dei provvedimenti dei loro ministeri. All'abbandono della
forma di governo parlamentare si accompagnava anche la perdita per le camere dell'autonomia
parlamentare dal momento che nessun oggetto poteva essere posto all'ordine del giorno senza il
consenso del capo di governo a cui venivano riconosciuti anche poteri di controllo e di indirizzo
dell'agenda parlamentare.
- L. 100/1926: modificò profondamente il sistema delle fonti del diritto in senso nettamente favorevole
all'esecutivo. Si stabilì la prima disciplina compiuta del decreto legge, vennero previsti decreti
legislativi con il solo obbligo della delega, si estesero significativamente le competenze
regolamentari del governo.
- L. 2008/1926: istituiva il tribunale speciale per la difesa dello Stato per reprimere l'opposizione del
regime. Contestualmente si ripristinava la pena di morte per il reato di attentato alla vita all'integrità
della libertà personale del re o del capo del governo; si punivano i reati politici di mera intenzione; si
stabiliva la reclusione per quanti di costituivano i partiti politici ed associazioni disciolte o
svolgevano all'estero un'attività antifascista. La composizione le garanzie di difesa del tribunale
lasciavano molto a desiderare e le sentenze non erano in alcun modo impugnabili. La politica
repressiva e limitativa delle libertà personali avrebbe poi trovato sistematica e compiuta attuazione
nei nuovi codici penale e di procedura penale, così come nel testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza.

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- L. 1019/1928: prevedeva nuovi meccanismi di elezione per la Camera dei deputati che si sostanziava
in una lista unica nazionale con movimenti designati dal partito e dalle organizzazioni cooperative,
approvata dal gran consiglio del fascismo. Al culmine di questa evoluzione si sarebbe infine prevista
la soppressione della Camera dei deputati e la sua sostituzione con la Camera dei fasci e delle
corporazioni, con totale scomparsa del principio rappresentativo. Si poteva votare per solo partito
fascista infatti nel 1929 e nel 1934 più che a votazioni, grazie alla pesante propaganda di regime, si è
assistito a veri e propri plebisciti indetti da Mussolini. Fu in questo clima che nel 1940 l'Italia entrò in
guerra come alleata della Germania nazista.

Caduta del fascismo e passaggio alla Repubblica

La prima fase del periodo transitorio va dal 1943 al 1946 e si caratterizza per la totale assenza di punti di
riferimento giuridico-costituzionali.
Lo statuto Albertino era di dubbia rilevanza e l'atteggiamento della monarchia pareva improntato al
superamento della crisi mediante un ritorno al passato osteggiato dai partiti politici. Mancava il
Parlamento l'unica fonte di diritto praticabile erano i decreti-legge del governo.
In questo quadro incerto la svolta fu rappresentata, sul piano politico, dalla tregua istituzionale fra
monarchia e comitato di liberazione nazionale con la quale si rinviava a dopo la liberazione di Roma la
decisione dell'assetto istituzionale e costituzionale del paese, con l'intesa di una futura nomina del figlio del
re, Umberto, alla carica di luogotenente che implicava un richiamo alla corona e non alla monarchia
implicata col fascismo. Nei primi giorni del giugno 1944 intervennero sia la liberazione della capitale sia la
nomina di Umberto al luogotenente e la traduzione del patto sul piano giuridico fu attuata con il decreto
luogotenenziale 151/44 ricordato come la prima costituzione provvisoria. Veniva stabilito che dopo la
liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali venivano scelte dal popolo italiano, che avrebbe
eletto a suffragio universale diretto e segreto un'assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione
dello Stato.
I membri dell'esecutivo si impegnavano a non compiere fino alla convocazione dell’Assemblea costituente
atti che pregiudicassero la soluzione della questione istituzionale.
In attesa dell'entrata in funzione del nuovo Parlamento, si stabiliva che i provvedimenti aventi forza di legge
fossero deliberati dal Consiglio dei ministri. Pochi mesi dopo l’assetto venne completato con l'istituzione
della Consulta nazionale, avente funzioni soltanto consultive. Si trattò di un luogo di discussione esame e
proposta circa i problemi di ordine istituzionale che avrebbero caratterizzato l'assetto del futuro Stato.
Una volta avvenuta la liberazione dell'intero territorio nazionale il quadro istituzionale delineato fu
modificato con la seconda costituzione provvisoria con la quale fu deciso di affidare la decisione sulla forma
istituzionale dello Stato direttamente al popolo mediante referendum da tenersi contemporaneamente alle
elezioni per l’Assemblea costituente.
Fu stabilita l'opzione per la forma di governo parlamentare. Fino alla convocazione del nuovo Parlamento il
potere legislativo restava delegato, salvo la materia costituzionale al governo ad eccezione delle leggi
elettorali delle leggi di approvazione dei trattati internazionali le quali saranno deliberate dall'assemblea. A
rompere la tregua costituzionale e l'assetto sancito nelle Costituzioni provvisorie intervenne a poche
settimane dal voto l'abdicazione di Vittorio Emanuele III a favore del figlio, il quale cinse la corona con il
nome di Umberto secondo dal 9 maggio 1946 fino allo svolgimento del referendum istituzionale.

La seconda fase del periodo transitorio va dal 1946 al 1947. Il 2 giugno del 46 ebbero luogo sia referendum
istituzionale sia l'elezione dell’Assemblea costituente della quale fecero inizialmente parte:
- 207 eletti nelle file democristiane;
- 115 socialisti;
- 104 comunisti;
- numeri minori ebbero le altre formazioni politiche tutte con percentuali di voto inferiore al 7%.
L’Assemblea costituente si riuniper la prima volta entro la fine di quello stesso mese di giugno e provvide,
tra i primi atti, ad eleggere il capo dello Stato provvisorio nella persona di Enrico De Nicola.

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L'assemblea svolse i propri lavori prima sotto la Presidenza di Giuseppe Saragat, poi sotto quella di
Umberto Terracini.
Per la redazione della costituzione l'assemblea deliberò di affidare la preparazione di un progetto a una sua
articolazione interna, la commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini è suddivisa a sua volta in tre
sottocommissioni:
- La prima si occupò delle disposizioni relative ai diritti civili e politici;
- La seconda dell'organizzazione costituzionale dello Stato;
- La terza dei rapporti economici e sociali.
Un comitato ristretto detto dei 18 coordinò i lavori delle tre sottocommissioni e prosegui la sua opera anche
dopo la presentazione del progetto dell'assemblea, avvenuta nel giugno del 1947.
Il progetto era composto di 131 articoli più di 9 disposizioni finali e transitorie risultava suddivisa:
- Disposizioni generali articoli 1- 7.
- Parte I -Diritti e doveri dei cittadini articoli 8-51, suddivisa in quattro Titoli.
- Parte II -Ordinamento della Repubblica articoli 52- 131, suddivisa in sei Titoli.
- Disposizioni finali e transitorie 1-X.

Dal 4 Marzo al 22 dicembre 1947 l'articolato fu discusso, emendato e approvato dall'assemblea ea norma
della sua diciottesima disposizione transitoria e finale la Costituzione fu promulgata il 27 dicembre dal capo
provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Il testo fu votato da tutte le forze politiche che
erano state protagoniste dell'antifascismo e della resistenza.

L’Assemblea costituente approvo una Carta costituzionale:


- Rigida, non modificabile da leggi ordinarie ma solo attraverso un procedimento aggravato che
richiede un consenso più ampio rispetto a quello della sola maggioranza.
Il controllo della conformità delle leggi alla Costituzione venne risolto con la creazione di un organo
ad hoc la Corte costituzionale.

La dottrina elaborato due serie di limiti alla revisione costituzionale:


- limiti espliciti in quanto stabiliti espressamente dalla Costituzione e quindi da questa direttamente
ricavabili (per esempio la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale ai
sensi dell'articolo 139 della costituzione);
- limiti impliciti in quanto non espressamente previsti ma ricavabili dal dal quadro complessivo dei
principi costituzionali e identificati per lo più nei principi e nei valori che caratterizzano la nostra
forma di Stato è nel concetto di costituzione materiale, inteso come nucleo duro e immodificabile
della nostra Costituzione.

L'esistenza di limiti alla revisione costituzionale è stata affermata anche dalla Corte costituzionale con la
sentenza 1146/88 dove è stato precisato che la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non
possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di previsione
costituzionale o da altre leggi costituzionali come, per esempio: i diritti inviolabili dell'uomo sanciti dall'art. 2
della Costituzione.
- Lunga perché disciplina dettagliatamente il funzionamento degli organi costituzionali ed elenca i
diritti e doveri dei cittadini.
- Garantista perché attraverso apposite riserve di legge garantisce una tutela più ampia dei diritti dei
cittadini perché riserva determinate materie solo alla legge escludendo il potere regolamentare del
Governo.
- Programmatica non limitandosi a sancire regole per l'organizzazione e l'azione dei pubblici poteri o
per la disciplina dei rapporti fra questi cittadini ma decidendo di stabilire obiettivi e programmi cui
deve tendere l'attività della Repubblica.

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L’attuazione della Costituzione e le revisioni intervenute

I primi anni di vita della Costituzione sono stati deludenti sotto il profilo della sua attuazione (c.d.
congelamento della Costituzione). Congelamento dovuto all'ostruzionismo della maggioranza.
La prima legislatura trascorse senza risultati apprezzabili e l'intero periodo dei governi centristi che va dal
1948-1963 si è caratterizzato per una vera e propria inattuazione della carta costituzionale. Ad eccezione
dell'istituzione della Corte costituzionale, il periodo si caratterizza per una marcata omissione della
realizzazione di nuovi istituti anzi vi fu un recupero di continuità con l'ordinamento giuridico precedente e
le sue disposizioni e persino per alcuni tentativi di dare attuazioni di parvenza ai precetti costituzionali
perché si reputava che vi fossero molte disposizioni costituzionali meramente programmatiche virgola e
come tali, inapplicabili perché imponevano necessariamente l'intermediazione di organi statali per
acquistare concreta operatività.
Ci sono voluti alcuni anni per superare questa impostazione che svalutava la portata innovativa della
Costituzione trascurando la circostanza per cui, anche quando hanno bisogno di specificazioni, le
disposizioni della Costituzione esercitano immediatamente l'effetto di rendere costituzionalmente illegittime
le disposizioni legislative ordinarie ispirate a principi incompatibili con quelle cui esse sono informate.
Per un cambiamento di prospettiva si sarebbe dovuto attendere la conclusione dell'esperienza centrista e
l'ingresso del partito socialista nelle compagini del governo. L'elemento di svolta fu rappresentato da un
recupero degli stessi organi di indirizzo politico con conseguente adeguamento della produzione normativa
ordinaria.
Tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 si registrano significativi interventi destinati a dare concretezza ad
una serie di previsioni tra cui:
- i provvedimenti che conducono all'istituzione delle regioni ordinarie, con l'adozione degli statuti e
l'inizio del funzionamento dei rispettivi organi;
- le norme sul referendum e sulla iniziativa legislativa popolare;
- l'elaborazione dello statuto dei lavoratori L. 300/70;
- la riforma del diritto di famiglia;
- l’introduzione un nuovo gruppo di norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della libertà.

Si apriva una fase nuova della vita della Costituzione che avrebbe progressivamente spostato il fulcro
dell'attenzione dalla necessità della sua attuazione all'opportunità di un suo radicale ripensamento. Tra le
vicende che vi hanno contribuito vi è l'iniziativa presa dal capo dello Stato nel 1975 (Giovanni Leone) che
interviene nel dibattito appena avviato attraverso un passaggio alle camere e dove evidenziava lo stato delle
istituzioni repubblicane e la difficoltà di funzionamento delle stesse proponendo i possibili rimedi.
Vi era anche la necessità che la riforma riguardasse:
- un deciso rafforzamento dell'esecutivo;
- l'introduzione di regole elettorali in grado di disincentivare la frammentazione tra i partiti;
- l'elezione diretta del capo dello Stato quindi un meccanismo capace di premiare una forte
personalità politica e al contempo scardinare la posizione di egemonia dei due principali partiti
dell'epoca la democrazia cristiana il partito comunista.

La prima parte del dibattito sulle riforme si sviluppò con un alternante opera di attuazione della carta
costituzionale e con un certo numero di interventi di integrazione revisione del testo che nell'arco delle
prime 10 legislature si sono appuntati soprattutto sulla parte organizzativa come quella sulla responsabilità
penale dei membri del governo a causa del contemporaneo coinvolgimento della stessa responsabilità del
capo dello Stato e delle attribuzioni dell'organo della giustizia costituzionale.
Per quanto riguarda il processo di attuazione per via legislativa del dettato costituzionale una nuova fase
propositiva si presenta a circa vent'anni di distanza:
- la legge numero 400/1988 sull'attività normative l'organizzazione del governo;

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- la legge 86/1989, L. la Pergola, sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e
sulla esecuzione degli obblighi comunitari;
- L. 219/1989 con le nuove norme in tema di reati ministeriali conseguenti all'entrata alla
all'intervenuta modifica delle disposizioni costituzionali sulla responsabilità dei membri
dell'esecutivo e del presidente della Repubblica.

Una spinta notevole della necessità di una riforma istituzionale e costituzionale complessiva si ebbe gli inizi
degli anni 90 e derivò da due avvenimenti importanti:
1. la questione morale che da un lato evidenzio a seguito di una serie di procedimenti penali avviati
dalla magistratura il diffuso grado di corruzione esistente che aveva dato vita ad un sistema
generalizzato di finanziamento illecito ai partiti su larghissima scala. Il fenomeno noto come
Tangentopoli concorso a produrre un vero e proprio sconvolgimento dei soggetti e dei ruoli
consolidati dal sistema politico italiano, inducendo ad una situazione di forte sospetto nei confronti
di tutti coloro che in qualche misura avessero operato a livello politico.
2. Le vicende che hanno condotta alla modifica delle leggi elettorali a livello comunale provinciale
regionale e per Camera e Senato.

La necessità di cambiare la legge elettorale per il Parlamento nazionale era da tempo sottolineata allo scopo
di garantire una maggiore governabilità del paese attraverso un rafforzamento del governo e una più netta
distinzione tra forze di maggioranza e di opposizione tale da porre fine al cosiddetto consociativismo e a
creare un'alternanza tra due diversi schieramenti. Il cambiamento però non fu in grado di superare la
situazione di stallo che si era venuta a creare a livello parlamentare e fu per questo che venne ad un certo
punto intrapresa la strada della consultazione popolare attraverso l'organizzazione di un referendum
abrogativo tramite il quale ottenere direttamente una nuova legge elettorale o comunque fornire un segnale
chiaro alle camere. Al corpo elettorale si voleva chiedere di pronunciarsi su tre distinte questioni:
1. l'abrogazione di alcune parti e di singole parole della legge elettorale, in modo da trasformare la
stessa da essenzialmente proporzionale in mista con carattere prevalentemente uninominale-
maggioritario;
2. la riduzione a una delle preferenze esprimibili dell'elettore per la Camera dei deputati;
3. la trasformazione in maggioritario del sistema elettorale comunale.

La Corte costituzionale ritenne ammissibile soltanto la seconda richiesta ma la relativa consultazione venne
in realtà caricata di significati politici ulteriori attribuendo al responso del corpo elettorale la volontà di
mutare anche il sistema elettorale del proporzionale in maggioritario e più in generale di esprimersi contro la
classe politica di allora. I due referendum giudicati inammissibili nel 1991 furono riproposti l'anno
successivo con leggere modifiche che vennero ritenute dalla Consulta sufficienti a mutare posizione e
aggiungere ad una pronuncia di ammissibilità per entrambe.

Il referendum abrogativo del 1993 condusse l'abrogazione all'approvazione del Mattarellum che introdusse
un procedimento elettorale maggioritario corretto da una quota proporzionale. Per cui l'Italia dopo 45 anni
all'insegna del più rigoroso sistema proporzionale con numerosi governi di coalizione della durata media
inferiore all'annualità si modifica.

Il sistema maggioritario pur avendo contribuito alla polarizzazione dello scenario politico in due coalizioni
contrapposte (poli), ha avuto durata breve e attraverso la L. 270/2005 c.d. Porcellum si é introdotto un
sistema proporzionale temperato da clausole di sbarramento e premio di maggioranza. Tale legge aboliva la
possibilità in capo al singolo lettore di esprimere la preferenza (lista bloccata) provocando una caduta di
democraticità nella selezione dei rappresentanti delle assemblee in quanto le segreterie di partito a loro
insindacabile giudizio non solo erano chiamate direttamente a selezionare i candidati ma attraverso un gioco
di precedenze nelle liste elettorali ne determinavano unilateralmente l'ordine di presentazione nella lista e
quindi l'eleggibilità. Gli eletti in questo modo perdevano ogni forma di collegamento con i propri elettori e si
legavano alle segreterie che ne assicuravano l'elezione.

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La Corte costituzionale con la legge con la sentenza 1/2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle
norme della legge 270/2005 nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere la sua preferenza
vietandogli, così, di esprimere il suo inviolabile potere sovrano, espresso all'articolo 1 della costituzione che
costituisce la norma base della democrazia.
Dopo la pronuncia della legge 270 è stata approvata la L. 52/2015 anch'essa dichiarata parzialmente
incostituzionale con la sentenza 35/2017.
La nuova legge elettorale c.d. Italicum non disciplinava l'elezione del Senato in considerazione della riforma
costituzionale allora ancora all'esame del Parlamento che ne presiedeva la sua elezione indiretta da parte dei
consigli regionali e sindacati.
E’ stata approvata una nuova legge elettorale la legge 165 /2017 il Rosatellum che prevede un sistema
elettorale misto proporzionale e maggioritario.
Alla camera e 630 seggi sono divisi in:
- 232 in collegi uninominali
- 386 in piccoli collegi plurinominali
- 12 nella circoscrizione estero.
Al Senato i 315 seggi sono divisi in:
- 102 collegi uninominali
- 207 in piccoli collegi plurinominali
- 6 nella circoscrizione estero
Per cui i 232 candidati più votati in ogni collegio uninominale alla camera e 102 del Senato ottengono
direttamente il primo seggio, anche se con un solo voto in più del loro diretto avversario.
La soglia di sbarramento della quota proporzionale è fissata al 3% su base nazionale, sia al Senato che alla
Camera, con l'eccezione delle liste relative alle minoranze linguistiche per le quali la soglia è al 20% nella
regione di riferimento. In aggiunta alla soglia del 3% è prevista anche la soglia del 10% minima per le
coalizioni. Nei collegi uninominali sono riproposte le cosiddette liste bloccate che, tuttavia, dovrebbero
sfuggire alla scure della Corte costituzionale.
La Consulta aveva bocciato i listini bloccati in grandi collegi mentre il Rosatellum prevede collegio
abbastanza piccoli da garantire la riconoscibilità dell’eletto.
Il nuovo sistema vieta il voto disgiunto cioè la possibilità di votare un candidato nel collegio uninominale e
una lista a lui non collegata nella parte proporzionale: l'elettore dovrà scegliere un abbinamento candidato-
partito.

La formula elettorale riguarda il meccanismo di traduzione dei voti in seggi e alla ripartizione degli stessi tra
i singoli candidati. Le formule elettorali principali sono:
1. a maggioranza assoluta richiedono la maggioranza assoluta del 50%+1 dei suffragi espressi per
l'attribuzione del seggio;
2. a maggioranza relativa operano in circoscrizioni uninominali e richiedono la maggioranza relativa
per l'assegnazione del seggio e a chi raggiunge il più alto numero di consensi a prescindere dal
quorum;
3. proporzionali si propongono di assicurare a ciascun partito un numero di seggi rapportato alla sua
forza politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il territorio nazionale consentono
un'adeguata rappresentanza delle forze politiche minoritarie che i sistemi maggioritari tendono a
paralizzare.

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